PCR Patient and Cardiovascular Risk - n°1 Gennaio/Marzo 2011

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TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Anno III - N . 1, 2011

Tra scienza, coscienza e portafoglio: a chi l’ultima parola? Appropriatezza terapeutica e prescrittiva La cardioselettività nell’insufficienza cardiaca Rilevanza clinica della pressione arteriosa centrale L’automisurazione pressoria e la donna Antiinfiammatori non steroidei nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare

Le Aziende Sanitarie Locali nel processo di valutazione e miglioramento dell’aderenza al trattamento in ambito di prevenzione cardiovascolare

Il paziente davanti al suo rischio cardiovascolare



TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

SOMMARIO

Anno III - N. 1, 2011

Tra scienza, coscienza e portafoglio: a chi l’ultima parola? Prof. Claudio Borghi & Ettore Ambrosioni

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Appropriatezza terapeutica e prescrittiva Dr. Fabio Lucio Albini

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La cardioselettività nell’insufficienza cardiaca Dott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi, Prof. Claudio Borghi

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Rilevanza clinica della pressione arteriosa centrale Maria Lorenza Muiesan, Massimo Salvetti, Anna Paini, Claudia Agabiti Rosei, Carlo Aggiusti

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L’automisurazione pressoria e la donna Dr.ssa Cristiana Vitale

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Antiinfiammatori non steroidei nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare Prof. Claudio Ferri, Livia Ferri

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Le Aziende Sanitarie Locali nel processo di valutazione e miglioramento dell’aderenza al trattamento in ambito di prevenzione cardiovascolare Dr. Luca Degli Esposti

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Il paziente davanti al suo rischio cardiovascolare Dr. Simone Mininni, Dr. Mauro Vannucci

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Note di servizio al numero 4/2010 Relativamente all’articolo “La modulazione del RAS con gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II: differenze sperimentali e cliniche”, l’Autore precisa che: 1. La numerosità della popolazione in Studio per quanto riguarda la molecola telmisartan e riportata in tabella 1 è stata erroneamente trascritta; la numerosità è di 52000 pazienti. 2. Nelle figure 2, 3 e 4 la stella indica la rimborsabilità approvata e non l’indicazione ottenuta AIFA. L’editore si scusa con Bracco S.p.A. per l’errore di stampa in cui è saltata una riga ti testo nell’ADV.

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Editoriale

Tra scienza, coscienza e portafoglio: a chi l’ultima parola? Gli enormi progressi compiuti dalla medicina nel corso degli ultimi cinquant’anni hanno migliorato lo stato di salute, allungato la durata della vita e portato la spesa per l’assistenza vicino al limite di sostenibilità per tutti i paesi. Questo aumento dei costi apparentemente incontrollabili, costituisce oggi un grosso ostacolo alla utilizzazione ed alla implementazione dei benefici prodotti dalla medicina. Di fatto le autorità sanitarie di vari stati europei, Italia compresa, hanno assunto iniziative volte a contenere l’aumento della spesa sanitaria basate quasi esclusivamente su limitazioni alla prescrizione dei farmaci e delle indagini strumentali e di laboratorio. L’attuazione di questa iniziativa non è stata però associata ne fatta seguire da verifiche sulla qualità dell’assistenza e su i costi a carico del servizio sanitario nazionale, che ne potevano derivare. La conseguenza di una mancata valutazione del rapporto costo/ beneficio delle iniziative intraprese è stata quella di cadere nel grave errore di ritenere che “spendere meno“ in farmaci e procedure diagnostiche si dovesse tradurre in un “risparmio economico“ scevro di conseguenze per la salute. Un modello paradigmatico di quanto fallace sia questo tipo di impostazione è rappresentato dagli interventi attuati nell’ambito delle malattie cardiovascolari. Queste, come è noto contribuiscono in maniera sostanziale e crescente ai costi della sanità. In particolare l’ipertensione arteriosa che rappresenta il più importante fattore di rischio per la morbilità e mortalità cardiovascolare. Essa colpisce circa il 38% della popolazione italiana, necessita di un trattamento farmacologico per tutta la vita attingendo ad un ampio armamentario di farmaci antiipertensivi. E poiché questi farmaci presentano un prezzo di acquisto abbastanza diverso hanno conosciuto forti limitazioni nella scelta del loro impiego. L’intendimento era quello di spendere meno, ma dimenticava completamente che il prezzo di acquisto degli anti-ipertensivi incide al più solo marginalmente sul costo globale del paziente iperteso. Al costo globale del paziente iperteso concorrono voci come: visite mediche; indagini strumentali e di laboratorio; complicanze cardiovascolari gravemente invalidanti e costose come ictus, infarto del miocardio, scompenso cardiaco,insufficienza renale; eventuali ricoveri ospedalieri; costo della terapia. Quest’ultimo a sua volta si articola in: controlli medici, perdita di ore di lavoro, aderenza e persistenza in terapia, controlli di laboratorio, e prezzo di acquisto dei farmaci. Corre l’obbligo di ricordare, se rivuole prendere la misura del peso reale del prezzo d’acquisto sul costo globale, che il solo cambiare terapia passando dall’impiego di un farmaco ad un altro aumenta i costi della terapia di un 20%, che la comparsa di effetti indesiderati è causa di interruzione del assunzione dei farmaci nel 51% degli ipertesi. La chiave di volta della riduzione dei costi della ipertensione

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arteriosa è rappresentata dal controllo dei valori pressori il principale determinante della prevenzione degli eventi cardiovascolari. Il paziente iperteso con mancato controllo della pressione arteriosa costa al servizio sanitario molto di più di quanto non costi curarlo indipendentemente dal prezzo di acquisto del farmaco impiegato. Nell’ambito di un recente studio riferito alla comunità europea è stato calcolato che il mancato controllo della pressione arteriosa in Italia costi al servizio sanitario circa 15 miliardi di euro per anno. Addirittura 4 miliardi di euro in più di quanto costerebbero i farmaci antiipertensivi necessari a trattare tutti gli ipertesi italiani. Spendere meno negli esami diagnostici e nei farmaci anti-ipertensivi vuol dire spendere alla fine molto di più, curando in modo insufficiente. Risparmiare significa mantenere e o migliorare la qualità dell’assistenza spendendo meno e allo stesso tempo prevenendo ed alleviando grandi sofferenze. Un'altra componente dell’iniziativa “spendere meno”, ancora più gravida di conseguenze negative delle precedenti, è quella di avere proposto incentivazioni per il medico curante che riduceva la spesa per l’assistenza dei suoi pazienti e o richiamando i medici che non si adeguavano a questo indirizzo. “Distrarre” il medico dal suo obiettivo primario di controllare la pressione arteriosa, accrescendo le obiettive difficoltà del suo programma terapeutico non può che contribuire a mantenere all’attuale livello dell’80% il numero di ipertesi con la pressione non controllata e quindi esposti al rischio delle complicanze cardiovascolari. E’ invece altamente auspicabile che venga prevista una incentivazione economica per il medico che attua un risparmio curando al meglio il suo paziente. A questo fine sarà opportuno allargare anche all’Italia il programma in corso in alcuni paesi europei dove il parametro di riferimento è la qualità della cura erogata al suo paziente valutata su gli obiettivi conseguiti (es. controllo pressorio, riduzione del rischio CV globale, etc.). Una proposta da parte dei medici italiani rappresenterebbe un segnale molto importante. Rappresenterebbe la loro preoccupazione che l’iniziativa di “spendere meno“ possa interferire nel rapporto medico-paziente e costituire un pericolo per la possibilità del medico di fare appieno l’interesse del paziente. Deve essere obiettivo di tutti pazienti, autorità sanitarie, medici prendere una direzione opposta a quella attuale: mirare la risparmio dei costi innalzando la qualità della cura. La strada maestra per il raggiungimento della meta rimane quella di facilitare l’opera del medico ad agire assolutamente in ”scienza e coscienza“ per la salute dei suoi pazienti e le casse del servizio sanitario nazionale. Claudio Borghi & Ettore Ambrosioni Cattedra di Medicina Interna Università degli Studi di Bologna

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Appropriatezza terapeutica e prescrittiva (controllo dell’ipertensione nella prevenzione e terapia delle malattie CV) Dr. Fabio Lucio Albini Internista, Cardiologo e Medico di MG - SIIA (Società Italiana Ipertensione Arteriosa) e SNAMID Commissione Prevenzione CV reg Lombardia (00-05) - Docente e Tutor corsi formazione in Medicina Generale

In questo articolo vengono analizzati i criteri per l’appropriatezza terapeutica e prescrittiva alla luce degli enormi costi legati alla non aderenza e persistenza alla terapia Background L'evidenza statisticamente più rilevante degli ultimi decenni è il notevole allungamento del periodo di vita nei paesi occidentali e in particolare in Italia: in soli 30 anni la vita media è aumentata di più di 6 anni e la tendenza è in ulteriore crescita. Ben 4 di questi anni “salvati” sono attribuibili ai progressi nella Prevenzione e terapia delle malattie CV. La lotta al fumo e il contrasto dell'ipertensione e della ipercolesterolemia hanno dato i risultati più incoraggianti, seppur molto migliorabili, mentre in controtendenza risultano incidenza e prevalenza di obesità, sindrome metabolica e diabete. Rimane però ancora molto da implementare visto che mortalità, morbilità e postumi invalidanti relati alle malattie CV sono ancora ben saldamente al primo posto nelle statistiche

italiane (fig. 1). E ancora, vi è sì una vita più lunga ma spesso di scarsa qualità. La prevenzione CV, che riguarda il lavoro di tutti i Medici di Medicina Generale (MMG = 42.000 in Italia) e di moltissimi specialisti, è sicuramente molto costosa, ma è estremamente efficace per ridurre mortalità, morbilità e invalidità permanente e i costi che ne derivano (fig. 2). La spesa per i farmaci utilizzati nel cardiovascolare rappresenta in Italia circa il 70% della spesa farmaceutica globale. Ma la spesa farmaceutica rappresenta solo il 13% della Spesa Sanitaria Globale, mentre quella per beni, servizi e personale (cioè ospedali) rappresenta il 60% (fig. 3): ne consegue che terapie ben condotte nel tempo possano ridurre grandemente anche gli enormi capitoli di spesa relativi ai ricoveri in area cardiovascolare.

La patologia cardiovascolare è ancora la principale causa di morte Numero di morti (miglialia)

Nr. di morti (asse sx)

400

Uomini Donne

35 30 25

300

% di tutte le morti (asse dx)

20 15

200

10 100

5 0

0 Malattia cardiaca e stroke

Cancro

Incidenti

Patologie croniche apparato respiratorio

% Tutte le morti (uomini + donne)

500

Diabete Dati 2002

Figura 1

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Costi delle malattie c.vascolari 5000

C.Ischemica Cerebro-vasc. Scompenso Cardiaco

4199 milioni Euro/anno

4000 3000

2602 2120

2000 1000 0 ITALIA European Heart Journal (2006) 27, 1610-1619

Figura 2

Ripartizioni % funzioni di spesa sulla spesa totale - anno 2003

Personale Beni e servizi

Oneri Altre Prestazioni Finanziari 0,22% Specialistica 8,45% Convenzionata 3,48% Ospedaliera Convenzionata 10,43%

Personale 34,56%

Assistenza Sanitaria di Base Farmaceutica Ospedaliera Convenzionata Specialistica Convenzionata

Farmaceutica 13,82%

Altre Prestazioni Oneri Finanziari

Medicina di Base 5,92%

Beni e servizi 23,11%

Figura 3 Nell’ analisi delle evidenze per stabilire gli obiettivi prioritari di strategie di prevenzione appropriate, non ci si può basare sul solo prolungamento della vita media, ma su un allungamento del periodo di vita "event-free" (cioè qualitativamente buono) con riduzione dei costi a medio e lungo termine (fig. 4). Di tutti i Fattori determinanti il Rischio CV l'Ipertensione Arteriosa, oltre che il maggiormente rappresentato nella popolazione adulta è anche sicuramente il più “pesante”: basti pensare che 2 particolari esiti clinici (Scompenso e FA) provocati dall’ ipertensione non efficacemente trattata nel tempo, sono

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responsabili di più di 200.000 ricoveri/anno, con riospedalizzazione a 6 mesi del 50%, e coprono da soli il 3-3.5% di tutta la spesa sanitaria globale. Ipertensione e Prevenzione CV: cosa si è fatto finora e cosa rimane da implementare Il 48% della popolazione italiana adulta (fra i 35 e i 75 anni) presenta una condizione di ipertensione, con tendenza a prevalenza fino all’80% dopo i 75 anni. Dagli anni 1970 in avanti, grazie ad una sempre maggior disponibilità di efficaci molecole e alla

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Futuri scenari per morbilità e mortalità cv Aree Blu: carico economico complessivo sul SSN Morte

Primo Evento CV Attualmente (USA)

76 yrs

55 yrs Solo aumento Vita Media

80 yrs 55 yrs

Allungamento del periodo privo di Eventi CV 65 yrs

80 yrs

Modificato da Fries JF, Ann Intern Med 2003

Figura 4 presenza di validi poli di formazione e ricerca (Milano ne è solo un esempio) si è assistito ad una progressiva drastica riduzione di mortalità e morbilità CV legate ad eventi CV maggiori. E nei decenni successivi, quando si è iniziato ad operare anche sugli altri fattori di rischio coesistenti, questo trend è ulteriormente migliorato. Grandi progressi per la mortalità, ma meno per la morbilità CV. Rimane una quota consistente di beneficio atteso (dall'uso delle terapie antiipertensive e con statine) che si fatica ad ottenere: è il fenomeno del “rischio CV residuo”, ben noto agli ipertensiologi ed ai lipidologi. Per ridurre la quota di rischio CV residuo ed ottenere un ulteriore beneficio come allungamento del periodo event-free, vi è consenso nel proporre: a) più ambiziosi target terapeutici per l'ipertensione (tranne che nei grandi anziani); b) miglior aderenza e persistenza in terapia e un contrasto all’inerzia terapeutica; c) anticipare di qualche anno l'inizio della terapia: se si tarda troppo ci può essere una componente di irreversibilità nello sviluppo del danno d'organo; d) Utilizzo di farmaci che permettano un miglior controllo della PA in tutte le 24 ore e una minor variabilità pressoria; e) E infine un maggior sinergico controllo degli altri FR associati all'ipertensione (obesità, sedentarietà, fumo, LDL, diabete). In Lombardia i data base amministrativi dimostrano che Il 50% degli ipertesi sospende la terapia almeno una volta nei 5 anni successivi, mentre il 65% assume il farmaco in modo assolutamente discontinuo. Ogni iperteso che assume il farmaco in modo discontinuo “sciupa” 18.000 euro ogni 10 anni. E ancora, attualmente il periodo medio “coperto” dalla assunzione di terapia in un iperteso è del 52% mentre dovrebbe tendere almeno all’80% per essere costo-efficace a livello di popolazione. Pertanto tutti gli interventi che migliorano aderenza e persistenza in terapia (quali una buona comunicazione medico-paziente e l’uso di farmaci appropriati e ben tollerati) e che contrastano l’inerzia terapeutica, sono efficaci e anche costo-efficaci.

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Quali sono i cardini di ogni strategia di intervento preventivo? (fig 5) Se analizziamo bene la Figura, notiamo subito che il punto 3 è quello essenziale e che ricapitola tutte le energie investite, sia umane che economiche; ma è anche quello meno misurato e, purtroppo, più disatteso. Definizione di appropriatezza terapeutica Abitualmente gli epidemiologi e gli strenui sostenitori della evidence-based medicine, ci propongono un modello dove il rapporto costo/efficacia (quanto devo spendere con quel farmaco per evitare un evento) è totalizzante ma molto riduttivo. Infatti i grandi trial di intervento che sottendono queste analisi possono svilupparsi per un numero molto limitato di anni, periodo spesso insufficiente ad osservare gli effettivi eventi risparmiati con un buon trattamento duraturo. Il che non significa che invece da un punto di vista clinico vi possano essere enormi benefici nel medio-lungo periodo; e le Linee Guida principali (ESH-ESC-ATP III- SPREAD) sono culturalmente basate sulle vastissime evidenze “ragionate” estratte dalla letteratura scientifica e da migliaia di validi studi clinici. La lotta al fumo e il contrasto dell'ipertensione e della ipercolesterolemia hanno dato i risultati più incoraggianti, seppur molto migliorabili, mentre in controtendenza risultano incidenza e prevalenza di obesità, sindrome metabolica e diabete.

Ma la spesa farmaceutica rappresenta solo il 13% della Spesa Sanitaria Globale, mentre quella per beni, servizi e personale (cioè ospedali) rappresenta il 60%.

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Prevenzione 1 - Definizione e identificazione del Rischio del soggetto 2 - Interventi preventivi Appropriati 3 - Efficacia nel raggiungere e mantenere i target preposti Figura 5

Appropriatezza terapeutica Sintesi clinica + farmaco-economica Si definisce “Appropriato” un intervento terapeutico antipertensivo quando Consenta di raggiungere e mantenere il target pressorio specifico per quel profilo di rischio CV (senza interferire inopportunamente con altre patologie e/o con altre terapie concomitanti) Abbia un buon rapporto costo/efficacia Corollario: farmaci poco tollerati possono ridurre aderenza e persistenza, influendo sull’appropriatezza Figura 6 Attualmente le uniche verifiche di “appropriatezza” al quale il MMG è sottoposto da parte delle ASL riguardano la sua spesa farmaceutica “pesata” (cioè corretta per età ed esenzioni) sia globale che per gruppi terapeutici e per singole molecole; questa spesa indotta dal singolo viene poi paragonata alla media prescrittiva degli altri MMG. Se lo scostamento supera il 30% scatta automaticamente il campanello d’allarme e le conseguenti verifiche amministrative. Inoltre parecchie ASL pongono dei severi limiti alla prescrizione di alcuni efficaci ma costosi gruppi terapeutici (soprattutto Sartani e Statine) producendo PDTA locali (avulsi dalle principali LG di riferimento) basati esclusivamente su evidence-based criteria estratti da metanalisi di trials spesso obsoleti o interpretati con parzialità. La reale appropriatezza terapeutica va invece anche verificata sul campo: efficacia nel raggiungere e mantenere il target pressorio, gradimento del pz, aderenza e persistenza, riduzione dei ricoveri nelle specifiche aree cardiocerebrovascolari. E’ pertanto necessario estendere la definizione di Appropriatezza terapeutica e prescrittiva ad evidenze cliniche oltre che farmaco-economiche (fig 6). Appropriatezza prescrittiva: chi la definisce e con quali parametri? Attualmente gli organismi preposti al controllo della spesa farmaceutica definiscono come appropriato l’intervento del MMG se Grandi progressi per la mortalità, ma meno per la morbilità CV. Rimane una quota consistente di beneficio atteso (dall'uso delle terapie antiipertensive e con statine) che si fatica ad ottenere: è il fenomeno del "rischio CV residuo".

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non vi è iperprescrizione (cioè se non spende più del 30% della media dei colleghi) e se vi è sequela non tanto alle principali LG del settore, ma a specifici PDTA aziendali (alcuni accettabili, ma in maggioranza finalizzati al puro contenimento di spesa) La scelta degli Indicatori è il vero problema per la valutazione dalla Appropriatezza. Quelli qui indicati sono tutti parametri fondamentali e facilmente desumibili ed analizzabili dai data-base amministrativi (DBA) e dalle cartelle cliniche dei programmi dei MG (CC), strumenti ufficiali dell’operato di ogni medico. 1. Spesa “pesata” per ogni iperteso assistito (DBA). 2. Definizione del livello di rischio CV (CC): un iperteso a rischio elevato (> 20%, o con eventi CV, o Danno d’organo o IRC o Sindrome Metabolica o Diabete) necessita di interventi più precoci e incisivi. 3. Aderenza e Persistenza in terapia (DBA e CC). 4. Riduzione spese indotte dalle ospedalizzazioni (DBA) (aree cardiovascolare, neurologica, nefrologica) rispetto alla media ASL: misura non perfetta ma tendenzialmente indicativa dell’impegno del medico nel tempo e del suo “successo” nella prevenzione CV. Va analizzato il trend: questi dati risentono infatti del tempo della ridotta esposizione al rischio pressorio (buon controllo nelle 24 ore, assenza di discontinuità, rallentamento delle alterazioni strutturali negli organi bersaglio). 5. Performance dell’indicatore: ottenimento e mantenimento dei target nel tempo (CC): PA misurata in studio, medie dei diari di PA automisurata a domicilio, ma anche LDL, Circonferenza Addominale…. E’questo quel che manca clamorosamente come analisi e confronto con le medie degli altri medici. Ma è il dato più importante per la verifica di ogni appropriatezza prescrittiva, ed è facilmente estraibile dai data base dei programmi gestionali del medico, sempre che questi esegua i controlli e li riporti puntual-

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mente in cartella. E’ cattiva abitudine (e rischiosa) limitarsi a segnare i valori dei parametri pressori solo quando sono alterati (fig 7). Come agire professionalmente bene e difendersi dalle “critiche” delle ASL? L'aiuto delle LG e delle cartelle cliniche elettroniche Il MMG, occupandosi continuativamente della Persona, è la figura professionale più indicata a effettuare la Prevenzione CV, che si articola nel medio-lungo periodo: educazione, counseling, rinforzo della compliance agli interventi, verifiche periodiche dei risultati. Negli ultimi 10 anni difficoltà di ordine finanziario inducono sempre più SSN, Regioni e ASL a contrarre le spese coercibili in tempi brevi: il MMG, “prescrittore ufficiale” di farmaci e accertamenti diagnostici, è stato identificato come il principale strumento di “freno”. Ne consegue un difficilissimo ruolo, in bilico fra due opposte esigenze: a)da un lato le LG (ESH-ESC 2007; ATP III; SPREAD…) indirizzano ad un corretto utilizzo di diagnostica e farmaci per la salute attuale e futura della persona. B) dall’altro PDTA aziendali, note AIFA e continue minacce di sanzioni amministrative e pecuniarie spingono sempre più ad una drastica riduzione delle spese per la Prevenzione. E ancora: da un lato il MMG è tenuto ad aderire ai PDTA e ai budget aziendali (rischia pesanti perdite economiche personali o sanzioni); dall’altro in ogni eventuale procedimento penale il MMG soccomberà se non avrà agito nell’interesse della persona sua assistita e secondo LG autorevoli! In questa paradossale situazione un Medico che voglia curar bene i propri assistiti secondo scienza e coscienza, come può trovare comportamenti professionali validi e amministrativamente meno rischiosi? La risposta come già accennato, sta nel ragionato utilizzo dei contenuti delle LG (ESH 2007) applicato al singolo individuo: stratificazione del rischio CV individuale con ricerca del danno d’organo preclinico, interventi con farmaci efficaci nel raggiungimento e mantenimento del target specifico, che favoriscano buona copertura delle 24 ore e non sgraditi al pz. Ma sta anche nel corretto utilizzo dei programmi di gestione (CC), senza dimenticare

E’ pertanto necessario estendere la definizione di Appropriatezza terapeutica e prescrittiva ad evidenze cliniche oltre che farmaco-economiche.

Spiegare i grandi benefici a medio e lungo termine (in qualità di vita e in risparmio economico) che si possono ottenere dalla corretta applicazione e implementazione in MG delle Linee Guida di riferimento (ESH 2007, ATP III, SPREAD).

di annotare con cadenze periodiche i parametri rilevati durante le visite: frequenza di misura della PA, valori di PA, percentuale di PA <140/90 (o < 130/80 nell’alto rischio) sul totale delle misure effettuate, percentuale di LDL < 100 (o < 70 nel rischio elevato), andamento della circonferenza addominale, quanti sospendono il fumo e quanti intraprendono attività fisica… Ad esempio un MMG può valutare e mostrare alla ASL la propria performance nell’ipertensione estraendo la percentuale di propri pz a target (con almeno 3/4 dei valori <140/90), e confrontarla con la performance percentuale media(=21% degli ipertesi in Lombardia) fornita dai data-base amministrativi. Un medico può spendere “100” e mantenere questa scoraggiante performance sui propri ipertesi (21%), mentre un altro può spendere “130” e mantenere una performance del 70%. E’ chiaro che sarà questo secondo medico ad avere la miglior appropriatezza prescrittiva. Sintesi Operativa E’ essenziale in questo periodo un chiaro messaggio culturale unitario e condiviso da tutte le Società Scientifiche di settore, che venga recepito e fatto proprio da SSN, AIFA, Regioni, ASL: spiegare i grandi benefici a medio e lungo termine (in qualità di vita e in risparmio economico) che si possono ottenere dalla cor-

APPROPRIATEZZA TERAPEUTICA E PRESCRITTIVA Elenco dei Parametri indispensabili per la definizione del vero rapporto di costo-efficacia nel tempo. Parametri già tutti estraibili dai data-base ASL e dai programmi elettronici di gestione delle cartelle cliniche dei MMG Presenza o assenza di rischio CV >20% o pregressi Eventi o Danni d’organo o IRC o Dabete Spesa farmacologica per gruppo terapeutico e per singola molecola Aderenza e Persistenza in terapia per gruppi e per singole molecole Spese di Ospedalizzazione generali e per singole aree Performance degli indicatori di efficacia = raggiungimento o miglioramento dei target nel tempo PA <140/90 LDL <100 Circonferenza Add <102 o < 88 Figura 7

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retta applicazione e implementazione in MG delle Linee Guida di riferimento (ESH 2007, ATP III, SPREAD). Applicare correttamente le norme di Good Clinical Practice secondo le evidenze delle LG ed eseguire periodicamente i controlli dei risultati da noi ottenuti, segnando i parametri sopra indicati in cartella elettronica (CC), consente di: • Operare nel tempo una Prevenzione efficace, consentendo miglior sopravvivenza e soprattutto qualità della vita (eticità) • Ridurre enormemente i costi socio-sanitari a medio e lungo termine (economicità) • Una inattaccabilità dal punto di vista penale ed una solida difesa di fronte ai controlli aziendali sulle nostre spese. Due corollari interessanti 1. E' giusto parlare di farmaci di prima scelta nell’ipertensione? L’iperteso standard o l’iperteso medio non esiste nella pratica clinica; per cui non è conveniente parlare di farmaci di prima o di seconda scelta. Quel che conta è la riduzione protratta nel tempo dei valori pressori sotto i target stabiliti per quel singolo individuo. 2. Esistono gruppi di farmaci che contribuiscono a “rallentare” la progressione delle alterazioni strutturali che l’ipertensione provoca a livello degli organi bersaglio (cuore, arterie, rene, cervello)? Come già detto quel che conta prioritariamente è la riduzione protratta nel tempo dei valori pressori di per sè. Ma le quattro categorie di farmaci che in qualche modo influiscono sull’asse Renina-Angiotensina-Aldosterone (ACE-inibitori, antagonisti AT1 angiotensina II o “sartani”, inibitori renina, antialdosteronici) mostrano delle peculiari interferenze sulla evoluzione o regressione del danno prodotto dall’ipertensione e rappresentano un beneficio “aggiuntivo” alla riduzione pressoria. Citiamo qui come esempio il caso degli inibitori recettoriali AT1 dell’angiotensina II ( ARBs o Sartani). L’angiotensina II presenta diverse azioni fisiopatologiche che possono essere antagonizzate dal blocco recettoriale con Sartani: • Disfunzione endoteliale • Effetti pro-infiammatori e ossidativi su radicali liberi endoteliali • Accumulo di detriti macrofagici e di LDL nella matrice della placca, con tendenza a vulnerabiltà • Proliferazione-iperplasia delle cellule muscolari lisce e della matrice proteica nelle pareti arteriose; Rimodellamento del tessuto muscolare con accelerazione della ipertrofia ventricolare. Questi farmaci presentano i benefici aggiuntivi di: una ottima aderenza e persistenza in terapia (relate al miglior gradimento da parte dei pazienti); una riduzione di incidenza e prevalenza di IVS, FA e scompenso cardiaco; una minor progressione del danno endoteliale con tendenza alla stabilizzazione delle placche “vulnerabili”; una minor progressione del danno glomerulare e proteinurico. Sempre sul tema dei benefici aggiuntivi vi è ancora una molecola particolare, il telmisartan , che presenta oltre gli effetti di classe tre caratteristiche esclusive: copertura completa delle 24 ore con spiccata riduzione della variabilità pressoria; non eliminazione del farmaco per via renale (che ne permette l’uso senza titolazione anche nelle IRC); spiccata indu-

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….il telmisartan, che presenta le seguenti caratteristiche: copertura completa delle 24 ore con spiccata riduzione della variabilità pressoria; non eliminazione del farmaco per via renale; spiccata induzione, già alle normali dosi usate per l’ipertensione, delle PPAR-gamma, fondamentale “controller” del metabolismo glicidico.

zione, già alle normali dosi usate per l’ipertensione, delle PPARgamma, fondamentale “controller” del metabolismo glicidico che ripristina la sensibiltà insulinica negli adipociti (effetto “glitazonico”): caratteristica utile per quegli ipertesi in cui sono associate Sindrome Metabolica o Diabete. L’Aggiornamento 2009 delle Linee Guida Europee Ipertensione (update 2009 on ESH 2007) conferma che” i farmaci agenti a vari livelli sul sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAAs) trovano indicazione specifica in un ampio numero di condizioni cliniche e che inoltre la grande maggioranza delle associazioni farmacologiche si basa proprio sull’impiego di queste classi di farmaci, che consentono di ottenere un elevato grado di cardiocerebroprotezione e di nefroprotezione”. Considerazioni Finali E’ perfettamente vero che i criteri per l’appropriatezza terapeutica e prescrittiva si basano sull’analisi di costo efficacia di una molecola, di riduzione degli eventi (e conseguenti ricoveri) e di raggiungimento del target pressorio .Ma non sottovalutiamo anche alcune doti cliniche delle singole molecole, quali la tollerabilità (> aderenza e persistenza), la auspicabile ottimale copertura delle 24 ore con riduzione della variabilità pressoria, l’influenza sulla sensibilità insulinica (almeno il 30% degli ipertesi presenta Sindrome Metabolica) e il rallentamento nella evoluzione dei danni agli organi bersaglio. L’Iperteso costa molto: ma la spesa (impegno lavorativo + costi per diagnostica e farmaceutica) necessaria per una applicazione pratica delle LG rappresenta un grande investimento etico ed economico. E non sono risorse irrorate “a pioggia”, ma utilizzate nel singolo individuo per ottenere il massimo vantaggio: la riduzione di incidenza e prevalenza di morbilità CV. Bibliografia - European guidelines ESH/ESC 2007 for the Management of Arterial Hypertension. J Hypertens 2007;25:1105-1187. “Guidelines on Hypertension Management Revisited in 2009” - An ESH position statement. 19th European Meeting on Hypertension. - Atlante italiano delle malattie cardiovascolari in www.cuore.iss.it. - Corrao G et al. Better Compliance to Anti Hypertensive Medications Reduces Cardiovascular Risk. J Hypertension. 2010 (in press). - Zanchetti A et al. Failure of Current Treatments to Remove a High Risk Condition. J Hypertens. 2009. - Elliott WJ. What Factors Contribute to the Inadequate Control of Elevated Blood Pressure? J Clin Hypertens. 2008; 10 (1 suppl 1): 20-26. - Sokol MC, et al. Impact of medication adherence on hospitalization risk and healthcare cost. Med Care. 2005;43:521-530. - Schiffrin EL. Vascular and cardiac benefits of angiotensin receptor blockers. Am J Med 2002;113:409-418.

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La cardioselettività nell’insufficienza cardiaca Dott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi, Prof. Claudio Borghi Dipartimento di Medicina Interna, dell'Invecchiamento e Malattie Nefrologiche. Università di Bologna

Esiste ormai una chiara evidenza che supporta l’utilizzo dei β-bloccanti beta-1 selettivi nello scompenso cardiaco cronico, questo articolo metterà in evidenza le caratteristiche peculiari di questi farmaci

IL contenuto di noradrenalina nel tessuto miocardico è di solito ridotto, così come la densità dei recettori betaadrenergici (fenomeno della down-regulation) e la concentrazione dell’AMP ciclico.

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quenza cardiaca e aumentando il tempo di perfusione coronarica in diastole ed esercitano anche una azione antiaritmica. A livello neuroendocrino il beta-blocco è in grado di modulare l’attivazione di vari sistemi, come dimostrato dalla riduzione dell’attività reninica plasmatica, e dei livelli di noradrenalina sia nel plasma che nel seno coronarico. Dal punto di vista emodinamico, la somministrazione cronica dei beta-.bloccanti riduce la frequenza cardiaca, riduce significativamente la pressione di riempimento ventricolare sinistra, mentre l’indice cardiaco e la pressione arteriosa tendono ad aumentare in maniera più o meno significativa. Se da un lato gli ACE-inibitori, rispetto ai beta-bloccanti, hanno la possibilità di essere utilizzati a

Attivazione simpatica e prognosi dello scompenso cardiaco 100 Mortalità totale (%)

Il sistema nervoso adrenergico risulta sempre marcatamente attivato nello scompenso cardiaco. I livelli di noradrenalina circolante sono usualmente elevati a riposo (tale riscontro rappresenta inoltre un segno prognostico negativo) ed ancora di più possono aumentare in seguito all’esercizio fisico (Fig. 1). Al contrario, il contenuto di noradrenalina nel tessuto miocardico è di solito ridotto, così come la densità dei recettori beta-adrenergici (fenomeno della down-regulation) e la concentrazione dell’AMP ciclico. Probabilmente tali modifiche a livello locale sono dovute alla precedente prolungata attivazione adrenergica sul tessuto miocardico. Qualunque sia il meccanismo patogenetico di tali eventi, tutt’oggi non ancora ben chiariti, negli stadi più avanzati della malattia si assiste ad una maggiore dipendenza del miocardio dalla stimolazione adrenergica extracardiaca (midollare delle ghiandole surrenali); tale stimolazione adrenergica generalizzata può a sua volta essere responsabile di effetti non desiderabili quali l’aumento delle resistenze vascolari periferiche (e quindi del post-carico) nonché la induzione di aritmie ventricolari. La noradrenalina liberata nelle terminazioni simpatiche renali attivate provoca inoltre vasocostrizione delle arteriole efferenti, venendo a favorire il riassorbimento tubulare di sodio. La concentrazione plasmatica di dopamina risulta aumentata nello scompenso, probabilmente per controbilanciare gli effetti di vasocostrizione del sistema renina-angiotensina. Gli effetti favorevoli del betablocco nello scompenso cardiaco possono essere sintetizzati come effetti a livello miocardico, a livello neuroendocrino ed a livello emodinamico. A livello miocardico i β-bloccanti sono in grado di prevenire i fenomeni di tossicità catecolaminica. Essi esercitano un’azione anti-ischemica, riducendo la fre-

80 60 40 20 0 0

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24

36 Mesi

48

60

Noradrenalina > 900 pg/ml Noradrenalina > 600 pg/ml e ≤ 900 pg/ml Noradrenalina ≤ 600 pg/ml tratto da Cohn J et al, NEJM, 1984

Figura 1

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Vantaggi nell’utilizzo precoce dei beta-bloccanti rispetto agli ACE-inibitori Blocco duplice del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone mentre gli ACE-inibitori bloccano in modo marginale il sistema nervoso simpatico Migliore titolazione dosaggio BB a dosi target con conseguente vantaggio in termini di rallentamento della progressione dello scompenso Riduzione morte improvvisa (causa principale morte in fase iniziale scompenso) Riduzione fenomeno escape aldosterone rilevata a seguito trattamento con ACE-inibitori Rallentamento ipotensione e insufficienza renale a seguito trattamento con ACE-inibitori Figura 2

lungo termine e con dosaggi ottimali, dall'altro i beta-bloccanti sono utilizzati in un numero significativamente inferiore di pazienti scompensati e ad un dosaggio sub-ottimale. Negli ultimi anni si è fatta avanti la possibilità di utilizzare i beta-bloccanti in sostituzione degli ACE-inibitori a partire dalle primissime fasi del trattamento dell'insufficienza cardiaca. Il razionale di questa differente strategia si basa sull'osservazione di una elevata incidenza di mortalità durante le prime fasi precoci dell'insufficienza cardiaca, determinata principalmente dalla morte improvvisa, e sulla considerazione che i beta-bloccanti hanno un maggior effetto protettivo sulla morte improvvisa rispetto agli ACE-inibitori. L'opzione terapeutica che vede l'utilizzo del beta-bloccante a partire dalla fasi precoci dell'insufficienza cardiaca sarebbe giustificata dal punto di vista fisiopatologico, in quanto nelle prime fasi della malattia si osserva una forte attivazione del sistema simpatico, mentre il sistema Gli effetti favorevoli del beta-blocco nello scompenso cardiaco possono essere sintetizzati come effetti a livello miocardico, a livello neuroendocrino ed a livello emodinamico.

Nelle prime fasi dell'insufficienza cardiaca si osserva una forte attivazione del sistema simpatico, mentre il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAA) viene attivato negli stadi successivi.

renina-angiotensina-aldosterone (RAA) viene attivato invece negli stadi successivi (fig. 2). Successivamente l'utilizzo dei due farmaci determina una soppressione delle concentrazioni di angiotensina II molto più efficace di quella ottenuta durante una terapia con gli ACE-inibitori utilizzati da soli. Queste considerazioni hanno portato alla costruzione del trial CIBIS III (fig. 3). I dati provenienti dallo studio CIBIS III hanno dimostrato come l'utilizzo di bisoprololo in monoterapia come trattamento iniziale dell'insufficienza cardiaca non è inferiore all'utilizzo di enalapril in termini di efficacia clinica definita dall'endpoint combinato di mortalità e di ospedalizzazione (fig. 4). La strategia bisoprololo-first ha mostrato inoltre la tendenza verso una migliore sopravvivenza nelle prime fasi dello studio, tendenza che si è mantenuta durante la fase della terapia di associazione. Ulteriori evidenze dell'efficacia di bisoprololo si sono evidenziate anche nella patologia respiratoria.Bisoprololo presenta una affinità selettiva (120 volte) per i recettori beta-1 rispetto ai recettori beta-2. Il sistema respiratorio ha una predominanza dei recettori beta-2, sia negli alveoli che nelle vie aeree. Il 90% dei recettori beta, nei polmoni, ha sede negli alveoli, la loro funzione è quella di regolare il riassorbimento dei fluidi dalla superfice alveolare, e così influenzano l'efficacia degli scambi gassosi. L'insufficienza cardiaca come noi sappiamo presenta un certo grado di compromissione della funzionalità polmonare, sia a riposo che durante l'esercizio. Il quadro respiratorio nella genesi dell'insufficienza cardiaca, varia dalla sindrome restrittiva, a una condizione di iperventilazione, a

Studio CIBIS III: obiettivo dello studio Confrontare, in pazienti con insufficienza cardiaca cronica, gli effetti sull’endpoint combinato morteospedalizzazione per tutte le cause dei due seguenti regimi di trattamento: Inizio del trattamento con Bisoprololo in monoterapia, seguito dalla sua associazione con Enalapril Inizio del trattamento con Enalapril in monoterapia, seguito dalla sua associazione con Bisoprololo Tratto da Willenheimer R e coll, Circulation. 2005

Figura 3

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% senza endpoint

% senza endpoint

una iper-responsività bronchiale nei conEndpoint primario combinato fronti degli agenti broncostrittori fino a un quadro di ridotto flusso espiratorio. Si Popolazione Per-protocollo (PP) 100 Bisoprololo in prima battuta è deve sottolineare che una bassa DLco, e risultato non significativamente 90 specificamente una bassa conduttanza di inferiore ad enalapril in prima membrana, si associano a una prognosi 80 battuta se il limite superiore non favorevole nei pazienti affetti da insufdel 95% CI era inferiore 70 ficienza cardiaca. Nello studio di Agostoni B/E vs E/B A hazard ratio (HR) 1.17 (P<0.025) 60 HR 0.97 (95% CI 0.78-1.21) e coll, bisoprololo aumenta la DLco, nei non-inferiorità P=0.046 confronti di carvedilolo, in tutti i pazienti 50 503 356 265 80 Numeri studiati, ma in particolare nei pazienti con 498 353 259 73 a rischio Nella popolazione PP, bisoprololo una bassa Dlco, cioè, nei pazienti con la 0 6 12 18 mesi in prima battuta non è risultato peggiore prognosi DLco-correlata. La significativamente non inferiore capacità di esercizio era significativamente ad enalapril in prima battuta Popolazione Intention-to-treat (ITT) 100 maggiore con bisoprololo, nei confronti di carvedilolo. Tuttavia, le differenze del Vo2 90 di picco erano più rilevanti, in particolare 80 nei soggetti con bassa DLco. L'aumento 70 Nella popolazione ITT, bisoprololo del Vo2 di picco con bisoprololo era correB/E vs E/B in prima battuta è significativamente lato ad aumento della DLco, sia nell'intera 60 HR 0.94 (95% CI 0.77-1.16) non inferiore ad enalapril in prima non-inferiorità P=0.019 popolazione studiata che nei pazienti con 50 battuta 505 389 291 87 Numeri DLco<80% del predetto. Questo potreb505 388 277 76 a rischio be essere spiegato dal fatto che la contrat0 6 12 18 mesi tilità cardiaca e il cronotropismo durante esercizio sono correlate con la densità dei Bisoprololo Enalapril recettori beta e bisoprololo rispetto a carvedilolo, conduce a una “upregulation” Tratto da Willenheimer R e coll, Circulation. 2005 dei recettori beta-1 “down-regolati”. Di conseguenza, la riserva contrattile cardiaFigura 4 ca, in condizioni di aumentata attività simpatica, come durante esercizio, dovrebbe essere più ampia durante trattamento con bisoprololo; ciò potrebbe spiegare il nibilità di bisoprololo dopo somministrazione orale raggiunge più elevato VO2 di picco osservato con bisoprololo. Sul veril 90%. Il legame di bisoprololo con le proteine plasmatiche è sante metabolico, i recettori beta 2 adrenergici sono coinvolti di circa il 30%. L’emivita plasmatica di 10-12 ore, consente 24 principalmente nel controllo glicemico. Quindi solo i compoore di efficacia terapeutica dopo una mono somministrazione sti beta-1 selettivi non prolungano l'ipoglicemia indotta da giornaliera. Bisoprololo viene eliminato in maniera bilanciata insulina e dovrebbero quindi essere preferiti nei pazienti diaattraverso il rene e il fegato: circa il 50% è trasformato in metabetici.Inoltre, rispetto ai composti non selettivi, quelli selettivi boliti inattivi a livello epatico, eliminati per via renale; mentre come bisoprololo vanno a ridurre l'ampiezza della costrizione il rimanente 50% è escreto per via renale immodificato. Dal periferica indotta dal sistema nervoso simpatico, durante momento che l`escrezione avviene in uguale misura nel rene l'ipoglicemia. Sono state riportate severe crisi ipertensive e nel fegato di norma non è necessario alcun aggiustamento durante ipoglicemia in pazienti trattati con beta-bloccanti non della dose in pazienti con problemi di funzionalità epatica o selettivi. Per il controllo lipidico, i farmaci ad azione non seletcon insufficienza renale. tiva, inducono vasocostrizione periferica ed alterano la funzioIn sintesi, esiste ormai una chiara evidenza che supporta l’utine della lipoproteina lipasi portando a un incremento del livellizzo dei β-bloccanti beta-1 selettivi nello scompenso cardiaco lo plasmatico di trigliceridi e a una riduzione delle lipoproteicronico, dal momento che gli effetti positivi di tale terapia si ne-HDL. Queste alterazioni, non avvengono con i composti aggiungono a quelli ottenuti con gli ACE-inibitori. In generale, selettivi e rappresentano un argomento in più a favore della terapia con β-bloccanti va iniziata a dosi molto basse, con l'uso di tali composti nel trattamento a lungo termine di successivi incrementi molto lenti e graduali, fino alla dose ottipazienti ipertesi e scompensati. L’assorbimento e la biodispomale, se tollerata. Bisoprololo rispetto a carvedilolo, conduce a una “upregulation” dei recettori beta-1 “down-regolati”.

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L’emivita plasmatica di 10-12 ore, consente 24 ore di efficacia terapeutica dopo una mono somministrazione giornaliera.

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Rilevanza clinica della pressione arteriosa centrale Maria Lorenza Muiesan, Massimo Salvetti, Anna Paini, Claudia Agabiti Rosei, Carlo Aggiusti Clinica Medica, Università di Brescia

Numerosi studi trasversali hanno dimostrato una correlazione tra la rigidità arteriosa e i vari fattori di rischio cardiovascolare, suggerendo che la rigidità arteriosa e l’ aumento della pressione centrale possano essere considerati alla stregua di un marker di rischio cardiovascolare

L’ipertensione arteriosa viene classicamente considerata come una condizione caratterizzata da un incremento delle resistenze periferiche e/o della portata cardiaca ed, in ultima analisi, del rapporto fra di esse. Tuttavia, un aspetto fondamentale della circolazione che spesso viene ignorato è rappresentato dalla intermittenza del flusso generato dal ventricolo che viene trasformato in un flusso continuo dalla capacità delle arterie di grosso calibro di assorbire energia cinetica in sistole e di restituirla durante la diastole ventricolare. Questa funzione esercitata in vivo dalle arterie di grosso calibro è comunemente descritta come “effetto Windkessel”, dal nome delle pompe antincendio un tempo utilizzate, dotate di un'ampia camera d'aria che aveva il compito di convertire il getto intermittente di acqua in un getto continuo, più adatto per lo spegnimento del fuoco. William Harvey aveva proposto tale concetto già all’inizio del 17° secolo, successivamente rielaborato da Stephen Hales (1,2). E’ dunque evidente che l’incremento delle resistenze periferiche è il determinante principale dell’aumento dei valori pressori, ma il ruolo svolto dalle arterie di grosso calibro nel determinare la morfologia dell’onda sfigmica e, in ultima analisi, l’entità della pressione arteriosa centrale è fondamentale. Nell’ipertensione arteriosa l’ aumento delle resistenze periferiche è dunque in grado di determinare una elevazione della pressione arteriosa media (PAM), e questo comporta uno spostamento verso l’alto dei valori ….ma il ruolo svolto dalle arterie di grosso calibro nel determinare la morfologia dell’onda sfigmica e, in ultima analisi, l’entità della pressione arteriosa centrale è fondamentale.

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di pressione sistolica (PAS) e diastolica (PAD), che si riferiscono ad un flusso pulsatile. A parità di PAM, i valori di pressione arteriosa sistolica, diastolica e pulsatoria, possono essere assai differenti in relazione alla distensibilità delle arterie di grosso calibro ed alla differente riflessione dell’onda sfigmica dalla periferia. L’irrigidimento dell’ aorta toracica e delle sue diramazioni principali, determinato dell’ età e dai fattori di rischio CV, determina la graduale perdita della capacità di dilatarsi in sistole e di accumulare energia elastica da rilasciare in diastole (3-5), con importanti implicazioni fisiopatologiche: (1) la PAS aumenta a causa della ridotta capacità di reservoir dei vasi e del più veloce ritorno delle onde riflesse dalla periferia; (2) la PAD diminuisce per la mancata restituzione di energia elastica da parte dei vasi in diastole; (3) la PP aumenta, indipendentemente da qualsiasi modificazione della PAM. Inoltre, l’aumento della rigidità arteriosa contribuisce a modificare il processo di amplificazione della PP che fisiologicamente si osserva passando dal centro (cuore) alla periferia. Infatti nei giovani adulti normotesi la trasmissione dell’onda pressoria dal cuore verso i vasi periferici si associa ad una spiccata modificazione della forma d’onda e la PP a livello periferico è maggiore di quella misurata centralmente; al contrario nei soggetti anziani e negli ipertesi la morfologia dell’onda pressoria a livello dell’aorta A parità di PAM, i valori di pressione arteriosa sistolica, diastolica e pulsatoria, possono essere assai differenti in relazione alla distensibilità delle arterie di grosso calibro ed alla differente riflessione dell’onda sfigmica dalla periferia.

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La rigidità arteriosa e l’ aumento della pressione centrale possano essere considerati alla stregua di un marker di rischio cardiovascolare.

L’aumento della pressione centrale aortica può favorire anche la comparsa di ictus, mediante la trasmissione del carico pressorio ad altri vasi arteriosi, quali le carotidi, che vanno incontro ad un processo di rimodellamento, quale l’ispessimento del complesso intima-media, per ridurre lo stress parietale.

ascendente e nelle arterie periferiche è molto simile perchè la maggiore velocità di propagazione dell’onda di polso e la precocità del ritorno delle onde dai siti di riflessione periferici riducono la fisiologica differenza fra la PP centrale e quella periferica. Numerosi studi trasversali hanno dimostrato una correlazione tra la rigidità arteriosa e i vari fattori di rischio cardiovascolare, suggerendo che la rigidità arteriosa e l’aumento della pressione centrale possano essere considerati alla stregua di un marker di rischio cardiovascolare (6). La stretta interconnessione esistente fra cuore ed albero vascolare fa sì che le modificazioni della pressione aortica centrale, alterando il postcarico imposto al cuore, siano in

I dati più solidi sono quelli riguardanti il significato prognostico della rigidità aortica, valutata mediante misurazione della PWV, con un potere predittivo aggiuntivo ed indipendente dai valori di pressione arteriosa brachiale e dai tradizionali fattori di rischio cardiovascolare.

grado di favorire il progressivo incremento della massa e dello spessore parietale relativo del ventricolo sinistro (VS), (che rappresentano di per sé fattori di rischio per eventi cardiovascolari), e la comparsa di alterazioni della funzione diastolica, con un effetto sfavorevole sul flusso coronarico. L’aumento della pressione centrale aortica può favorire anche la comparsa di ictus, mediante la trasmissione del carico pressorio ad altri vasi arteriosi, quali le carotidi, che vanno incontro ad un processo di rimodellamento, quale l’ispessimento del complesso intima-media, per ridurre lo stress parietale. Inoltre l’esposizione del microcircolo cerebrale (a bassa resistenza) a marcate fluttuazioni di flusso lo rende particolarmente vulnerabile e favorisce lo sviluppo di malattia cerebrovascolare. Negli ultimi anni si è accumulata un’ampia mole di dati a dimostrazione del significato prognostico non solo della rigidità arteriosa, ma anche della pressione differenziale centrale e dell’augmentation index, ovvero del rapporto tra l’aumento della pressione sistolica centrale causato dalla precoce riflessione dell’onda dalla

Studi clinici nei quali è stato valutato il significato prognostico della pressione arteriosa centrale e dell’ “augmentation index” Autore

Eventi

Follow-up (anni)

Tipo di pazienti (numero)

Età

PRESSIONE ARTERIOSA DIFFERENZIALE CENTRALE Valutaz. non invasiva Safar (2002)

Mortalità totale

4.3

ESRD (180)

54

Williams (2006)

Eventi CV

3.4

Ipertensione (2073)

63

Roman (2007)

Eventi CV

4.8

Popolazione Gen. (3520)

63

Eventi CV

4.5

Malattia coronarica (1109)

58

Valutaz. invasiva Jankowski (2008)

AUGMENTATION INDEX London (2001)

Mortalità CV e tot.

4.3

ESRD (180)

54

Weber (2004)

Eventi CV

2

Malattia coronarica (262)

66

Chirinos (2005)

Eventi CV

3.5

Malattia coronarica (297)

65

Williams (2006)

Eventi CV

3.4

Ipertensione (2073)

63

ESRD: insufficienza renale cronica terminale; CV: cardiovascolari

Tabella 1

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con misura invasiva della pressione aortica che basate sulla registrazione dell’onda di polso radiale con la tonometria di appianamento; tali differenze potrebbero spiegare, almeno in parte, i risultati sinora ottenuti. RR (95% IC) A tale proposito, è ovvio che la metodica basata sulla tonometria di appianamento debba essere, per la non invasività, quella più facilmente utilizzaPressione differenziale centrale bile nella pratica clinica. Essa consiste nella registrazione della onda di polso a livello radiale o Pressione carotideo, utilizzando 3 diverse tecniche: A) la presdifferenziale sione aortica centrale è derivata dalla arteria radiacentrale vs Pressione differenziale le, mediante una funzione di trasferimento generabrachiale: p=0.057 brachiale lizzata, che tiene conto delle caratteristiche anatomiche dei vasi arteriosi degli arti superiori B) la pressione sistolica viene stimata in base al picco 1 2 sistolico tardivo dell’onda di polso radiale e C) l’onmodificato da Vlachopulos et al, Eur Heart J 2010 da di polso è misurata sulla arteria carotide comune, e i valori di pressione arteriosa media e diastoFigura 1 lica brachiale. Il loro utilizzo sembra essere ancora confinato nell’ambito della ricerca, perchè necessita di apparecchiature abbastanza sofisticate e di periferia (augmentation pressure, che corrisponde alla operatori esperti. Proprio per evitare che tali limitazioni differenza tra il picco precoce e tardivo della pressione costituiscano un ostacolo alla implementazione della sistolica) e la PP. misurazione della pressione centrale nella pratica clinica I dati più solidi sono quelli riguardanti il significato pro(e in studi clinici su larga scala), è stato proposto un gnostico della rigidità aortica, valutata mediante misurametodo semiautomatico, che ottiene una stima della zione della PWV, con un potere predittivo aggiuntivo ed pressione sistolica centrale, partendo dal picco sistolico indipendente dai valori di pressione arteriosa brachiale e tardivo della onda di polso radiale (Omron HEM-9000AI). dai tradizionali fattori di rischio cardiovascolare. Tale sistema, confrontato con quello più ampiamente utiNumerose sono anche le rilevanti evidenze riguardo il lizzato (Sphygmocor) ha fornito dati riproducibili e si è significato prognostico della pressione arteriosa centrale e dell’augmentation index, derivati dall’analisi dell’onda di polso, ottenute in ampi gruppi di pazienti con ipertensione arteriosa (7), Rischio relativo di eventi cardiovascolari o mortalità con malattia coronarica (8-10), con insuffiper incremento di 1 m/sec di PWV cienza renale terminale(11), ed in studi di popolazione (12) (Tabella 1). RR 95% IC RR (95% IC) Nel 2010 Vlachopoulos et al (13) hanno condotto una metanalisi che ha evidenziato come il rischio relativo di eventi cardiova1,14 1,09-1,20 Eventi CV totali scolari totali fosse significativamente aumentato in rapporto ad un aumento della 1,15 1,09-1,21 Mortalità CV pressione sistolica e differenziale centrale e dell’augmentation index (Figura 1 e 2). Il valore predittivo aggiuntivo della pressione 1,09-1,21 Mortalità per tutte le cause 1,15 centrale rispetto a quella misurata a livello brachiale è risultato tuttavia marginale 1 2 (Figura 1). Va sottolineato che nei diversi studi considerati nella metanalisi erano Figura 2 state utilizzate metodiche assai diverse, sia

Rischio relativo di eventi cardiovascolari per incremento di 1 deviazione standard di pressione differenziale

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…..è stato proposto un metodo semiautomatico, che ottiene una stima della pressione sistolica centrale, partendo dal picco sistolico tardivo della onda di polso radiale (Omron HEM-9000AI).

Lo studio EXPLOR, che ha incluso quasi 400 pazienti ipertesi, non controllati dal trattamento con amlodipina 5 mg, ha dimostrato che l’associazione con un antagonista della angiotensina II determina una maggiore riduzione della pressione sistolica e differenziale centrale e dell’augmentation index rispetto alla combinazione con un betabloccante.

dimostrato potenzialmente utile per un utilizzo su vasta scala. E’ importante osservare inoltre che le modificazioni della pressione centrale, indotti dalla terapia, sembrano essere più rilevanti, ai fini prognostici, rispetto ai valori della pressione brachiale, come dimostrato dallo studio CAFE, in cui è stato dimostrato che a parità di riduzione della pressione brachiale, a partire da un anno di trattamento con la associazione perindopril-amlodipina o con atenololo-bendrofluazide, i valori di PAS e PP centrale si sono mantenuti costantemente inferiori (in media 4,3 mmHg e 3 mmHg rispettivamente) nel gruppo in terapia con la associazione ace-inibitore-calcio-antagonista (7). Inoltre la correlazione con l’incidenza di eventi CV è risultata più stretta con i valori pressori misurati a livello centrale. I risultati dello studio REASON erano assai simili e dimostravano una netta differenza (circa 7 mmHg) tra la riduzione della pressione arteriosa brachiale e di quella centrale durante trattamento con betabloccante o con l’associazione di perindopril e indapamide (14). Più recentemente lo studio EXPLOR, che ha incluso quasi 400 pazienti ipertesi, non controllati dal trattamento con amlodipina 5 mg, ha dimostrato che l’associazione con un antagonista della angiotensina II determina una maggiore riduzione della pressione sistolica e differenziale centrale e dell’augmentation index rispetto alla combinazione con un betabloccante (15). Conclusioni Le alterazioni della meccanica arteriosa sono direttamente coinvolte nella patogenesi dell’ipertensione arteriosa e nella successiva comparsa di varie forme di danno d’organo e, in ultima analisi, di eventi cardiovascolari. Le metodiche attualmente disponibili consentono di valutare la pressione centrale aortica e carotidea in maniera non invasiva,

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ad un costo relativamente basso e con buona riproducibilità. L’utilizzo più diffuso della analisi della pressione centrale potrebbe costituire un ulteriore strumento per consentire una più precisa stima del rischio cardiovascolare globale e individuare le migliori strategie di trattamento nei pazienti ipertesi. Bibliografia 1. O'Rourke MF. Arterial function in health and disease. 1982. Edinburgh. Ref Type: Generic 2. Nichols WW, O'Rourke MF, McDonald DA. McDonald's blood flow in arteries theoretic, experimental, and clinical principles. 5th ed ed. London: Hodder Arnold, 2005. 3. Benetos A, Laurent S, Hoeks AP et al. Arterial alterations with aging and high blood pressure. A noninvasive study of carotid and femoral arteries. Arterioscler Thromb. 1993;13:90-97. 4. Avolio AP, Chen SG, Wang RP et al. Effects of aging on changing arterial compliance and left ventricular load in a northern Chinese urban community. Circulation. 1983;68:50-58. 5. Avolio AP, Deng FQ, Li WQ et al. Effects of aging on arterial distensibility in populations with high and low prevalence of hypertension: comparison between urban and rural communities in China. Circulation. 1985;71:202-210. 6. Laurent S, Cockcroft J, Van Bortel L et al. Expert consensus document on arterial stiffness: methodological issues and clinical applications. Eur Heart J. 2006;27:2588-2605. 7. Williams B, Lacy PS, Thom SM et al. Differential impact of blood pressure-lowering drugs on central aortic pressure and clinical outcomes: principal results of the Conduit Artery Function Evaluation (CAFE) study. Circulation. 2006;113:1213-1225. 8. Weber T, Auer J, O'Rourke MF et al. Increased arterial wave reflections predict severe cardiovascular events in patients undergoing percutaneous coronary interventions. Eur Heart J. 2005;26:2657-2663. 9. Jankowski P, Kawecka-Jaszcz K, Czarnecka D et al. Pulsatile but not steady component of blood pressure predicts cardiovascular events in coronary patients. Hypertension. 2008;51:848-855. 10. Chirinos JA, Zambrano JP, Chakko S et al. Aortic pressure augmentation predicts adverse cardiovascular events in patients with established coronary artery disease. Hypertension. 2005;45:980-985. 11. London GM, Blacher J, Pannier B et al. Arterial wave reflections and survival in end-stage renal failure. Hypertension. 2001;38:434-438. 12. Roman MJ, Devereux RB, Kizer JR et al. Central Pressure More Strongly Relates to Vascular Disease and Outcome Than Does Brachial Pressure: The Strong Heart Study. Hypertension. 2007;50:197-203. 13. Vlachopoulos C, Aznaouridis K, O'Rourke MF et al. Prediction of cardiovascular events and all-cause mortality with central haemodynamics: a systematic review and meta-analysis. Eur Heart J. 2010;31:1865-1871. 14. de Luca N, Mallion JM, O'Rourke MF et al. Regression of left ventricular mass in hypertensive patients treated with perindopril/indapamide as a first-line combination: the REASON echocardiography study. Am J Hypertens. 2004;17:660-667. 15. Boutouyrie P, Achouba A, Trunet P et al. Amlodipine-valsartan combination decreases central systolic blood pressure more effectively than the amlodipine-atenolol combination: the EXPLOR study. Hypertension. 2010;55:1314-1322.

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OMRON M6 COMFORT MISURATORE DI PRESSIONE

Il misuratore della pressione Omron M6 comfort è Clinicamente validato secondo i protocolli della European Society of Hypertension e della British Hypertension Society, anche per popolazioni speciali come obesi e anziani*.

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L’automisurazione pressoria e la donna Dr.ssa Cristiana Vitale MD, PhD, IRCCS San Raffaele Pisana - Roma

Nella donna, nella quale i valori pressori vanno incontro a profonde modificazioni in risposta alle variazioni ormonali, l’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa rappresenta lo strumento ideale per valutare tali modificazioni, perché generalmente la donna, e spesso meno incline a recarsi dal medico per effettuare un controllo dei valori pressori L’automisurazione della pressione arteriosa nella donna rappresenta lo strumento ideale per valutare le modificazioni dei valori pressori a cui esse vanno incontro nel corso della vita, anche in relazione alle variazioni ormonali. Grazie alla possibilità di utilizzare strumenti elettronici, a tecnologia oscillometrica, validati da protocolli internazionali e standardizzati, oggi ogni individuo può misurare in maniera semplice, economica ed attendibile i valori della pressione arteriosa periodicamente. La possibilità di rilevare i valori della pressione arteriosa in orari diversi della giornata, nel corso delle diverse condizioni della vita quotidiana, permette di ottenere un numero elevato di rilevazioni distribuite nel tempo, in grado di riflettere fedelmente la risposta pressoria agli stimoli a cui l’individuo è sottoposto. Permette, inoltre, di rilevare l’eventuale coinvolgimento di anomalie dei valori pressori (sia in eccesso sia in difetto) in concomitanza di eventuali disturbi clinici o malessere. Le linee guida dell’European Society of Hypertension e quelle dell’American Heart Association suggeriscono di rilevare la pressione arteriosa almeno per 3 giorni, e preferibilmente per 7 giorni, con un minimo di due misure al mattino e due la sera (1-2). E’ noto, infatti, che sia il potere predittivo di HBPM che la sua correlazione con il monitoraggio della pressione arteriosa delle 24 ore (ABPM) aumenta con il numero delle misurazioni e che la media di 12 misure (effettuate sia nel periodo diurno che la sera nel corso di diversi giorni) viene considerata adeguata per ottenere una stima attendibile del quadro pressorio del paziente (3). La valutazione diagnostica viene, quindi, effettuata sulla media di tutti i valori considerati cumulativamente, escludendo quelli rilevati il primo giorno di misurazione. Sebbene il rilievo dei valori pressori mediante HBPM risulti essere accurato in maniera sovrapponibile fra i due sessi, il confronto

fra valori di pressione arteriosa riscontrati in ambulatorio (OBPM) e mediante HBPM ha messo in evidenza alcune differenze di genere (4). Infatti, la differenza relativa ai valori di pressione arteriosa sistolica tra OBPM e HBPM in pazienti non trattati tende ad essere maggiore negli uomini rispetto alle donne, e tende ad aumentare con l'età e con i livelli di pressione arteriosa. Tali differenze sono più rilevanti nei pazienti non trattati rispetto a quelli in trattamento farmacologico. Viceversa, le differenze di pressione arteriosa diastolica tendono ad essere più o meno costanti, e sono indipendenti da sesso, età, gravità dell’ipertensione arteriosa, o presenza o meno di trattamento farmacologico (5). Inoltre, nelle donne l’indice di variabilità pressoria misurato come la differenza fra la pressione sistolica e diastolica rilevata tra la prima e la seconda misurazione di pressione risulta essere maggiore rispetto agli uomini; la pressione sistolica rilevata al mattino meno quella della sera e la variabilità giornaliera della pressione misurata all’HBPM è più elevata nelle donne rispetto agli uomini (6). Nella donna, nella quale i valori pressori vanno incontro a profonde modificazioni in risposta alle variazioni del milieu ormonale, sia nell’arco delle diverse fasi del ciclo mestruale - nelle donne in età fertile i valori di pressione arteriosa sono più bassi durante la fase luteale (fase di picco estrogenico) rispetto a quella follicolare - sia nelle diverse fasi della vita biologica (vita fertile, gravidanza, menopausa) o secondariamente all’assunzione di terapia ormonale, sia contraccettiva sia sostitutiva, l’HBPM rappresenta lo strumento ideale per valutare tali modificazioni (Tabella 1). E’ noto, infatti, che gli estrogeni svolgono un ruolo chiave nell’influenzare i valori della pressione arteriosa, a causa dell’azione vasoattiva e calcio antagonista-simile nonché a causa dell’effetto anti-aterosclerotico sui principali fattori di rischio cardiovascolari (distribuzione del grasso addominale, assetto lipidico e metaboli-

Le linee guida dell’European Society of Hypertension e quelle dell’American Heart Association suggeriscono di rilevare la pressione arteriosa almeno per 3 giorni, e preferibilmente per 7 gg, con un minimo di due misure al mattino e due la sera.

Gli estrogeni svolgono un ruolo chiave nell’influenzare i valori della pressione arteriosa, a causa dell’azione vasoattiva e calcio antagonista-simile nonché a causa dell’effetto antiaterosclerotico sui principali fattori di rischio cardiovascolari.

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co, etc). Quindi, nella donna, generalmente propensa a considerare l’ipertensione arteriosa un problema di pertinenza più del sesso maschile, e spesso meno incline a recarsi dal medico per effettuare un controllo dei valori pressori, la possibilità di avere a disposizione apparecchi che, in maniera semplice e veloce, permettano il controllo dei valori della pressione arteriosa, rappresenta uno strumento utile, se non indispensabile. E questo assume tanto più valore alla luce del fatto che l’ipertensione arteriosa a parità di età e per livelli comparabili di pressione arteriosa ha un ruolo chiave più rilevante nel determinare eventi cardiovascolari nella donna, rispetto agli uomini. Nella donna il controllo dei valori pressori deve essere effettuato con maggiore attenzione e periodicità in alcune condizioni cliniche, ovvero nel corso della gravidanza, in presenza di Sindrome dell’ovaio policistico (in cui le donne hanno un aumentato rischio cardiovascolare per la presenza di insulino-resistenza, ridotta tolleranza glucidica, dislipidemia ed ipertensione arteriosa), nel periodo post-menopausale, e durante l’assunzione di terapia ormonale. L’assunzione della terapia contraccetiva (soprattutto in donne con età superiore a 35 anni, obese e fumatrici) o di quella ormonale sostitutiva, può associarsi ad un aumento dei valori pressori. Tuttavia, recentemente l’introduzione nelle pillole estro-progestiniche di nuove molecole, quali il drospirenone, un progestinico sintetico con azione analoga allo spironolattone, in grado di modulare i valori della pressione arteriosa, può essere una valida opzione terapeutica per ridurre il rischio di un incremento dei valori pressori. L’importanza della misurazione della pressione arteriosa nelle donne che assumono terapia contraccettiva è supportata dai risultati di numerosi studi clinici che hanno dimostrato che la sola misurazione della pressione si associa ad una diminuzione significativa del rischio di ictus cerebrale. Nelle donne in gravidanza l’HBPM può fornire uno strumento Tuttavia, recentemente l’introduzione nelle pillole estro-progestiniche di nuove molecole, quali il drospirenone, un progestinico sintetico con azione analoga allo spironolattone, in grado di modulare i valori della pressione arteriosa, può essere una valida opzione terapeutica per ridurre il rischio di un incremento dei valori pressori. di supporto al fine di identificare precocemente eventuali incrementi della pressione arteriosa che, sebbene nella maggior parte delle donne sono transitori, in altre possono dare origine a quadri di ipertensione gestazionale, fino al quadro della preeclampsia. Quest’ultimo può mettere a rischio la vita sia del feto sia della madre. Infatti, l’aumento dei valori pressori diastolici, sebbene sia un segno secondario della pre-eclampsia, che si manifesta nella seconda metà della gravidanza, rappresenta un segno diagnostico chiave, sia per la sua precoce insorgenza sia per la facile rilevazione. Per tale motivo, la possibilità di misurare i valori di pressione al domicilio, in tutte le donne, ed in particolare in quelle a maggior rischio di ipertensione arteriosa (familiarità, ipertensione cronica/o in una precedente gravidanza, obesità, etc) permette di migliorare la sorveglianza nel perio-

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Nelle donne in gravidanza l’HBPM può fornire uno strumento di supporto al fine di identificare precocemente eventuali incrementi della pressione arteriosa che, sebbene nella maggior parte delle donne sono transitori, in altre possono dare origine a quadri di ipertensione gestazionale. do della gravidanza e prevenire danni al feto o alla madre. Tuttavia, è importante sottolineare che l'alterata emodinamica in gravidanza, e in particolare in fase di pre-eclampsia, così come l’effetto posturale sulla pressione sanguigna esercitato dall’utero gravido, influenzano l’adeguatezza e l’affidabilità della misurazione non invasiva della pressione arteriosa. Infatti, a lungo è stato dibattuto se i valori diastolici, rilevati mediante metodo auscultatorio fossero rappresentati in maniera più adeguata dalla IV o V fase di Korotkoff. Ad oggi, vi è consenso generale sull’utilizzo della quinta fase (scomparsa dei toni), sebbene nelle situazioni in cui i toni persistono fino alla zero venga consigliato di utilizzare la quarta fase (attenuazione dei toni). Quindi, sebbene nella donna in gravidanza, sia più facile incorrere in errori di registrazione e il metodo auscultatorio sia considerato il gold standard per la misurazione della pressione in gravidanza, numerosi studi hanno dimostrato che gli apparecchi automatici per il controllo della pressione arteriosa al domicilio, purchè validati in questa condizione clinica e soprattutto se utilizzati secondo le indicazioni suggerite per la corretta rilevazione, rappresentano uno strumento utile e complementare al metodo auscultatorio per l’identificazione precoce delle pazienti a maggior rischio di ipertensione arteriosa (7-8). Tra l’altro, è stato evidenziato che i valori della pressione arteriosa registrati in ambulatorio risultano differenti da quelli rilevati al domicilio in circa la metà delle donne in gravidanza e che nell’85% dei casi le letture rilevate al domicilio sono inferiori rispetto a quelle registrate in ambulatorio (9). Il periodo post-menopausale rappresenta un’altra epoca della vita della donna in cui deve essere effettuata un’attenta valutazione dei valori di pressione arteriosa, in quanto quest’ultimi tendono ad aumentare, indipendentemente dall’età, in seguito alla cessazione della funzione ovarica. La perdita della funzione ovarica, infatti, contribuisce in maniera diretta ed indiretta, all’aumento dei valori pressori, a causa della perdita della funzione vasodilalatoria e calcio-antagonista simile esercitata dagli estrogeni sui vasi arteriosi, della modificazione dei fattori di rischio cardiovascolare in senso pro-aterosclerotico, dell’aumento del tono simpatico e dello stress ossidativo. Infatti, la prevalenza dell’ipertensione arteriosa, inferiore nella donna rispetto agli uomini prima della menopausa, con l’avvento di quest’ultima aumenta progressivamente e nelle donne anziane diviene addirittura superiore a quella degli uomini. Tuttavia, le donne continuano a considerarsi, Infatti, la prevalenza dell’ipertensione arteriosa, inferiore nella donna rispetto agli uomini prima della menopausa, con l’avvento di quest’ultima aumenta progressivamente e nelle donne anziane diviene addirittura superiore a quella degli uomini.

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anche dopo la menopausa, ipotese e quindi, prestano L’auto-misurazione pressoria nella donna: poca attenzione al controllo dei valori pressori. Questo, in parte è anche legato al fatto che l’aumento dei valori • permette la precoce identificazione/conferma pressori dopo la menopausa si associa ad una sintomatodi ipertensione arteriosa logia caratterizzata prevalentemente da vampate di calo• permette di verificare le modificazioni dei valori pressori re e cefalea, che la donna, e spesso anche molti medici, nelle diverse fasi della vita biologica riconducono ai sintomi della menopausa piuttosto che alle variazioni della pressione arteriosa. • permette di identificare le donne in cui i valori pressori risentono dell’ “effetto camice bianco” Inoltre l’HBPM permette di discriminare i pazienti con ipertensione arteriosa, da quelli affetti da ipertensione • permette un maggior controllo dei valori pressori mascherata o in cui i valori pressori risentono dell’ “effeted una maggiore aderenza al trattamento farmacologico to camice bianco”. Quest’ultimo si riscontra in circa il 20% degli individui di entrambi i sessi e può arrivare fino • Va eseguita in particolare al 30% nelle donne in gravidanza. Con esclusione della - in corso di terapia ormonale contraccettiva / sostitutiva gravidanza, la prevalenza dell’ “effetto camice bianco” - in presenza di Sindrome dell’ovaio policistico sembra sovrapponibile nei due sessi, sebbene le donne - in corso di gravidanza tendano a manifestarla ad un’età maggiore rispetto agli - nel periodo post-menopausale uomini (10), e sebbene nelle donne in trattamento tale effetto sembri essere più marcato che negli uomini (11). Tabella 1 Infatti, il riscontro di un più frequente controllo dei valori pressori rilevati mediante ABPM nelle donne rispetto agli uomi2. Pickering TG, Miller NH, Ogedegbe G, et al. American Heart Association; ni, è stato in parte attribuito alla maggiore frequenza di elevati American Society of Hypertension; Preventive Cardiovascular Nurses valori pressori isolati nelle donne in corso di OBPM (12). Association. Call to action on use and reimbursement for home blood presL’“ipertensione mascherata”, la cui prevalenza nella popolazione sure monitoring: a joint scientific statement from the American Heart generale è stimata intorno al 10%, risulta essere più frequente nel Association, American Society Of Hypertension, and Preventive sesso maschile rispetto a quello femminile (13). Cardiovascular Nurses Association. Hypertension 2008; 52:10-29. 3. Ohkubo T, Asayama K, Kikuya M, et al. How many times should blood presIndipendentemente dalle differenze di genere è importante sotsure be measured at home for better prediction of stroke risk? Ten-year foltolineare che la presenza di questi due tipi di ipertensione si low-up results from the Ohasama study. J Hypertens 2004;22:1099-104. associa ad una maggiore incidenza di eventi cardiovascolari e 4. Verberk WJ, Kroon AA, Kessels AG, de Leeuw PW. Home blood pressure pertanto deve essere sempre e comunque oggetto di attenziomeasurement: a systematic review. J Am Coll Cardiol. 2005; 46: 743-51. 5. Mejia A, Julius S. Practical utility of blood pressure readings obtained by ne terapeutica. self-determination. J Hypertens 1989;7(suppl 3):S53-S57. Infine, l’HBPM non solo permette di monitorizzare in maniera più 6. Johansson JK, Niiranen TJ, Puukka PJ, Jula AM. Factors affecting the variaaccurata la risposta al trattamento farmacologico, ma coinvolgenbility of home-measured blood pressure and heart rate: the Finn-home study do in maniera attiva lo stesso paziente al controllo dei valori presHypertens 28:1836-1845. 7. Natarajan P, Shennan AH, Penny J, Halligan AW, de Swiet M, Anthony J. sori può favorire l’aderenza al trattamento farmacologico e quindi Comparison of auscultatory and oscillometric automated blood pressure monitors il raggiungimento del target pressorio (14). in the setting of preeclampsia. Am J Obstet Gynecol 1999;181:1203-10. E’ stato dimostrato, infatti, che i soggetti che effettuano l’HBPM 8. Shennan AH, Halligan AW. Measuring blood pressure in normal and hypertensihanno valori di pressione arteriosa più controllati ed una maggiove pregnancy Baillieres Best Pract Res Clin Obstet Gynaecol. 1999 Mar;13(1):1-26. 9. Rayburn WF, Zuspan FP, Piehl EJ. Self-monitoring of blood pressure during re probabilità di raggiungere il loro valore target della pressione pregnancy. Am J Obstet Gynecol. 1984 Jan 15;148(2):159-62. arteriosa rispetto a quelli senza HBPM. Il raggiungimento del tar10. James GD, Marion R, Pickering TG. White-coat hypertension and sex. get pressorio è di primaria importanza non solo in relazione al Blood Press Monit. 1998 Oct;3(5):281-287. maggior potere prognostico ed alla maggiore correlazione con il 11. Streitel KL, Graham JE, Pickering TG, Gerin W. Explaining gender differences in the white coat effect. Blood Press Monit. 2011 Feb;16(1):1-6. danno d’organo dei valori della pressione rilevati mediante HBPM 12. Banegas JR, Segura J, de la Sierra A, Gorostidi M, Rodríguez-Artalejo F, rispetto a quelli di OBPM ma anche perché nella donna è stato Sobrino J, de la Cruz JJ, Vinyoles E, del Rey RH, Graciani A, Ruilope LM; osservato che, rispetto all’uomo, il rischio di eventi cardiovascolaSpanish Society of Hypertension ABPM Registry Investigators. Gender difri rimane elevato anche per valori di pressione normali alti. ferences in office and ambulatory control of hypertension. Am J Med. 2008 Dec;121(12):1078-84. Quindi nella donna, generalmente meno incline a considerare 13. Kawabe H, Saito I. Influence of age and sex on prevalence of masked l’ipertensione arteriosa un problema primario per la sua salute, hypertension determined from home blood pressure measurementsJournal l’HBPM costituisce uno strumento da utilizzare per la valutazione of Human Hypertension (2007) 21. dei valori di pressione arteriosa nelle diverse fasi della propria vita. 14. Stergiou G, Mengden T, Padfi eld P, Parati G, O’Brien E, on behalf of the Bibliografia 1. Parati G, Stergiou GS, Asmar R, et al., ESH Working Group on Blood Pressure Monitoring. European Society of Hypertension guidelines for blood pressure monitoring at home: a summary report of the Second International Consensus Conference on Home Blood Pressure Monitoring. J Hypertens 2008; 26:1505-1526.

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Working Group on Blood Pressure Monitoring of the European Society of Hypertension. Self monitoring of blood pressure at home is an important adjunct to clinic measurements. BMJ 2004; 329: 870-71. 15. Agarwal R, Bills JE, Hecht TJW, Light RP. Role of home blood pressure monitoring in overcoming therapeutic inertia and improving hypertension control: a systematic review and meta-analysis. Hypertension. 2011;57: 29-38.

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Antiinfiammatori non steroidei nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare Prof. Claudio Ferri, Livia Ferri Università dell’Aquila e Università “Sapienza”, Roma

Questo articolo metterà in luce l’importanza di affrontare in modo corretto la patologia osteoarticolare del paziente anziano ad elevato profilo di rischio cardiovascolare, imparando ad utilizzare in modo più appropriato i farmaci antiinfiammatori non steroidei

Riassunto Il trattamento antiinfiammatorio non steroideo è spesso necessario nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare. Tale paziente, infatti,è più comunemente degli altri affetto da comorbilità, tra cui spiccano le patologie osteoarticolari. A causa della presenza di dolore, evitare la somministrazione di antiinfiammatori non steroidei, in particolare,spesso non è possibile. Ne consegue che è molto meglio e molto più rispettoso della necessità di migliorare la qualità di vita del paziente ad elevato rischio cardiovascolare imparare ad usare in modo più corretto questa classe di farmaci. In tale ambito clinico, infatti, la prescrizione di antiinfiammatori non steroidei, se ragionata, è assolutamente possibile e, particolarmente se occasionale, sostanzialmente sicura. Razionale Appena poche settimane or sono è stata pubblicata una metaanalisi network sulla sicurezza cardiovascolare degli antiinfiammatori non steroidei (1). In tale meta-analisi, sono state prese in considerazioni tutte le fonti possibili: banche dati, report congressuali, studi di registro, sito web della Food and Drug Administration, articoli scientifici rilevanti e, infine, lo Science Citation Index (fino al luglio 2009). Altri dati sono stati forniti direttamente da alcune aziende farmaceutiche. Grazie a tale capillare raccolta, sono stati selezionati tutti gli studi randomizzati su vasta scala in cui farmaci antiinfiammatori non steroidei siano stati paragonati tra loro o versus pla-

cebo. Per garantire l’assoluta neutralità, l’eleggibilità del singolo studio è stata valutata ogni volta da due investigatori distinti. L’outcome primario preso in considerazione è stato l’infarto miocardico. Outcome secondari sono stati l’ictus cerebri, la morte per cause cardiovascolari, e la morte per tutte le cause. Anche in questo caso, la procedura di estrazione dei dati è stata seguita da due distinti investigatori, per ogni singolo outcome. Al termine di questo corposo lavoro, sono stati “isolati” 31 studi, per un totale di 11. 429 pazienti (più di 115.000 pazienti per anno di follow up). I farmaci presi in considerazione sono stati il naprossene, il diclofenac, il celecoxib, l’etoricoxib, il rofecoxib, il lumiracoxib, oppure il placebo. I risultati della network meta-analisi hanno ribadito come l’uso degli antiinfiammatori non steroidei non sia scevro di eventi avversi a livello cardiovascolare, con profonde differenze, però, tra i differenti farmaci e un rischio assoluto di manifestare eventi che appariva comunque modesto. Secondo la network meta-analisi (1), in particolare, il farmaco associato al maggior rischio di infarto miocardico risulterebbe essere il rofecoxib (rate ratio = 2.21), come è noto ritirato dal commercio proprio per motivi di sicurezza cardiovascolare, seguito da lumiracoxib, come è noto mai disponibile nella nostra penisola (rate ratio = 2.00) e comunque ritirato dal commercio. Per quanto attiene l’ictus cerebri, esso è risultato aumentare di 3.36 volte nel paziente trattato con ibuprofen. L’antiinfiammatorio non steroideo più sicuro tra i sette farmaci esaminati è risultato essere il naprossene, di cui però sono

I risultati della network meta-analisi hanno ribadito come l’uso degli antiinfiammatori non steroidei non sia scevro di eventi avversi a livello cardiovascolare, con profonde differenze...

L’antiinfiammatorio non steroideo più sicuro tra i sette farmaci esaminati è risultato essere il naprossene, di cui però sono ben noti gli effetti gastrolesivi, non valutati in questa network meta-analisi.

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L'analisi di un database relativo a 10 anni (1997-2007) ha permesso di rilevare, almeno in uno dei modelli statistici usati per la comparazione tra farmaci, come celecoxib aumentasse l'hazard ratio per mortalità (da 1.09 a 1.20) rispetto a diclofenac (hazard ratio da 0.87 a 0.97). ben noti gli effetti gastrolesivi, non valutati in questa network meta-analisi. Sotto un profilo fisiopatologico, con tutti i limiti legati all’impropria considerazione a tal fine di un tipo di studio destinato ad analizzare tutt’altro, è interessante notare come non si sia osservata una correlazione così robusta tra specificità per la ciclossigenasi (COX)-2 ed aumento del rischio cardiovascolare. Sotto un profilo clinico, invece, resta completamente disatteso, pur nell’interesse indubbio di questa network meta-analisi, il dato relativo a cosa fare praticamente e cosa accade effettivamente nella vita reale. In quest’ultima, infatti, l’assunzione di un antiinfiammatorio non steroideo è spesso conseguente ad autoprescrizione e, comunemente, combinata all’uso di dosi non congrue in pazienti particolarmente fragili in termini di età e/o comorbilità. Pertanto, in attesa dello studio “Il Prospective Randomized Evaluation of Celecoxib Integrated Safety versus Ibuprofenor Naproxen” (PRECISION) che valuterà la sicurezza cardiovascolare di celecoxib, naproxene e ibuprofene in 20.000 pazienti che all'arruolamento presentavano diversi fattori di rischio cardiovascolare, è necessario considerare con molta attenzione altre evidenze e fare anche un altro tipo di riflessioni.

Il paziente ad elevato rischio cardiovascolare e gli antiinfiammatori non steroidei La medicina secondo l’evidenza soffre per molteplici contraddizioni. In accordo con ciò, senza nulla voler togliere all’indubbia validità delle indicazioni fornite dalla meta-analisi network curata dai ricercatori svizzeri (1), i dati derivanti dal General PracticeResearch Database (2) indicano che solo la metà dei pazienti osservati nella vita reale somiglino, per assunzione di farmaci, a quelli arruolati negli studi clinici controllati presi in considerazione da Trelle et al (1). In accordo con ciò, al fine di determinare nella vita reale la mortalità per tutte le cause in pazienti che assumevano antiinfiammatori non steroidei sia di tipo COX1 che di tipo COX-2 inibitori, un gruppo di ricercatori australiani ha studiato il database relativo a dieci anni (1997-2007) per anziani veterani e dipendenti dall’amministrazione competente per tali pazienti. I farmaci presi in considerazione sono stati il celecoxib, il rofecoxib, il meloxicam, il diclofenac, ed altri antinfiammatori non selettivi (3). Trattandosi della vita reale, ovviamente, non era presente alcun paziente in trattamento placebo, ma i ricercatori hanno cercato egualmente un gruppo di controllo, usando in modo doppio pazienti in trattamento per glaucoma/ipotiroidismo oppure con ibuprofen, mai quindi con uno dei farmaci antiinfiammatori testati. Dopo aggiustamento per età, genere, e prescrizione simultanea di altri farmaci (usata come surrogato di rischio cardiovascolare), il celecoxib mostrava un aumento dell’hazard ratio per mortalità oscillante da 1.09 (1.06 - 1.13) ad 1.20 (1.14 - 1.26); il rofecoxib da 1.16 (1.10 - 1.22) ad 1.27 (1.20 - 1.35). Per il meloxicam[da 0.90 (0.81 - 1.00) a0.99 (0.88 - 1.10)]ed il diclofenac[da 0.87 (0.85 - 0.90) a 0.97 (0.92 - 1.02)], invece, era

Pressione arteriosa monitorata nelle 24 ore dopo trattamento con acetaminofene in 33 pazienti affetti da cardiopatia ischemica Differenza pressoria (mmHg)

5,0

Acetaminofene

Placebo

p<0.05

p<0.05 2,5

0

-2,5

-5

Pressione Sistolica (da 122.4±11.9 a 125.3±12.0 mmHg; P=0.021)

Pressione Diastolica (da 73.2±6.9 a 75.4±7.9 mmHg; P=0.024)

L’assunzione di acetaminofene per 2 settimane è seguita, in 33 pazienti affetti da cardiopatia ischemica, da un significativo incremento della pressione arteriosa sistolica e diastolica modificato da: Sudano I et al. Circulation. 2010;122:1789-1797

Figura 1

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evidente una riduzione del medesimo hazard ratio. Questo almeno in uno dei vari modelli usati per la comparazione reciproca tra diversi antiinfiammatori, non versus la popolazione di controllo. Per gli antinfiammatori non selettivi[da 0.91 (0.89 - 0.93) a1.01 (0.97 - 1.06)], infine, era messa in evidenza una certa incongruenza dei dati, con una riduzione nell’hazard ratio oppure un suo lieve incremento, in base al diverso gruppo di controllo scelto. Ciò stante, appare chiaro che nella vita reale l’assunzione di coxib sembra essere lesiva in termini di mortalità, mentre nessun effetto nocivo è stato osservato per meloxicam e diclofenac. Pertanto, altrettanto chiaro appare che è legittimo, se non doveroso, particolarmente nel paziente fragile come quello ad elevato rischio cardiovascolare, essere attenti nella prescrizione di antiinfiammatori non steroidei, particolarmente se di tipo COX-2 inibente. Tuttavia, Divinum est opus sedare dolorem, come ci hanno insegnato gli antichi Maestri, per cui non è certo spendibile in alcun modo, nel contesto della vita reale, un’ipotesi che conduca al mero utilizzo dell’uso di farmaci che, nella grande maggioranza dei casi, sono usati solo ed unicamente come potenti analgesici. Ciò specie riflettendo sul fatto che, come osservato anche nel nostro territorio, gli antiinfiammatori non steroidei sono sovente autoprescritti e, quindi, sfuggono ad ogni potenziale controllo (4). Pertanto, più che ad eliminarne l’uso, molto più appropriato è interagire correttamente con il proprio paziente, mirando ad escludere le possibili cause precipitanti il singolo evento avverso farmaco-correlato. Questo anche al fine

Nella vita reale l’assunzione di coxib sembra essere lesiva in termini di mortalità, mentre nessun effetto nocivo è stato osservato per meloxicam e diclofenac. di sfatare alcuni miti, quali quelli relativi all’innocuità dell’acetaminofene, tuttora spesso raccomandato perché scevro da eventi avversi, ma che sembrerebbe, invece, poter avere gli stessi effetti vascolari esercitati dai COX-1 inibitori (Figura 1) (5). Precauzioni d’uso Di fronte ad un paziente che abbia la necessità di assumere un antinfiammatorio non steroideo e manifesti un elevato rischio cardiovascolare, un atteggiamento oculato potrebbe essere quello di suggerire l’uso, al di là della possibile terapia gastroprotettiva, di un COX-1 in luogo di un COX-2 inibitore. A lato della sopra citata indagine sulla popolazione australiana (3), il diclofenac, infatti, è risultato meno lesivo in termini di comparsa di scompenso cardiaco nel contesto del programma MEDAL (6). Di particolare rilievo, la presenza di alcuni elementi noti per essere potenti contributori nell’ambito del rischio cardiovascolare erano comunque attivi come fattori prognosticamente negativi: storia positiva per scompenso cardiaco (hazard ratio: 6.69, intervallo di confidenza al 3.59-12.47; p<0.0001), età > 65 anni (2.56, 1.65-3.98; p<0.0001), e storia di ipertensione arteriosa (1.83, 1.16-2.89; p = 0.0094) oppure diabete mellito (1.83, 1.15-2.94; p = 0.0116).

Comparsa di scompenso cardiaco nel contesto del programma MEDAL EDGE (OA) (90 mg)

Etoricoxib n/N Rate 5/3593 0,1

Diclofenac n/N Rate 4/3518 0,1

EDGE II (RA) (90 mg)

7/2032

0,3

4/2054

0,2

90 mg OA

15/2171

0,7

7/2162

0,3

90 mg RA

18/2841

0,6

9/2855

0,3

60 mg OA

19/6769

0,3

14/6700

0,2

45/10637

0,4

24/10589

0,2

MEDAL

Pooled Etoricoxib 90 mg -1,0 -0,5 A favore di etoricoxib

0,0

0,5 1,0 A favore di diclofenac

La comparsa di scompenso cardiaco è risutata inferiore per diclofenac nei confronti di etoricoxib nel contesto del programma di studio MEDAL [pooled etoricoxib 90 mg (OA + RA) versus diclofenac 150 mg, 0.4% vs. 0.2%; P = 0.015]. OA = Osteoartrosi; RA = Artrite reumatoide modificato da: Krum H et al. Eur J Heart Fail. 2009;11(6):542-50

Figura 2

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Di fronte ad un paziente che abbia la necessità di assumere un antinfiammatorio non steroideo e manifesti un elevato rischio cardiovascolare, un atteggiamento oculato potrebbe essere quello di suggerire l’uso, al di là della possibile terapia gastroprotettiva, di un COX-1 in luogo di un COX-2 inibitore.

Il diclofenac, infatti, è risultato meno lesivo in termini di comparsa di scompenso cardiaco nel contesto del programma MEDAL.

Pertanto, già la semplice prescrizione di un COX-1 in luogo di un COX-2 inibitore può costituire un meccanismo di salvaguardia, potenziato ulteriormente dall’accurata valutazione della storia clinica individuale. Questo, ovviamente, sempre considerando il bilancio tra necessità di alleviare il dolore e quella, comunque, di evitare il più possibile trattamenti protratti nel tempo. Un secondo aspetto di estrema rilevanza è costituito dal dialogo informativo con il paziente. In accordo con ciò,un semplice e breve colloquio educazionale con il paziente affetto da scompenso cardiaco all’atto della sua dimissione, inclusivo delle cautele da prendere nei confronti degli antinfiammatori non steroidei, ha ridotto consistentemente il rischio di ri-ospedalizzazione o morte (rischio relativo verso il controllo non sottoposto a colloquio educazionale, 0.65; intervallo di confidenza al 95% 0.45 - 0.93; p=0.018) (7). In relazione ancor più specificatamente, ed esclusivamente, agli antiinfiammatori non steroidei, l’adozione di un protocollo educazionale in 197 anziani con scompenso cardiaco (NYHA >II, tutti con almeno un ricovero per scompenso cardiaco nell’ultimo anno) inclusi nello studio TIME-CHF e seguiti per 3 visite di follow up ha dimostrato come sia vero che molti pazienti accettano, ma anche che molti rifiutano la sospensione di una pre-esistente terapia con antiinfiammatori non steroidei, assunti per altro da molti tra i pazienti studiati (8). Malgrado ciò, è evidente come la conoscenza dei problemi che possono derivare da una terapia antinfiammatoria sia attesa ridurne in modo estremamente consistente i potenziali pericoli, migliorando così in modo presuntivamente consistente la qualità di vita del singolo paziente, altrimenti costretto ad una “vita con dolore”. In questo contesto, un ultimo aspetto da non trascurare nel paziente in trattamento con antiinfiammatori non steroidei è quello relativo al peso corporeo ed all’accumulo di liquidi. Sebbene sicuramente inferiore ai metodi impedenziometrici ed al bilancio dei liquidi (9), infatti, la misurazione quotidiana del peso corporeo è un mezzo comunque idoneo a generare un cauto allarme nel caso di un suo ingiustificato e repentino aumento. Anche la valutazione della diuresi, di ben più difficile però realizzazione domiciliare, ha ovviamente una simile rilevanza. Conclusioni L’uso degli antinfiammatori non steroidei può generare problemi cardiovascolari e sanguinamenti, soprattutto gastroenterici, parti-

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colarmente nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare e, più in generale, in quello “fragile”, tuttavia, il medesimo uso è spesso indispensabile per sedare condizioni patologiche caratterizzate spesso da un sintomo principale insopportabile: il dolore. Pertanto, è vero che potenzialmente tutti gli antinfiammatori, ma particolarmente i coxib, sono dotati di effetti cardiovascolari sfavorevoli. Tuttavia, l’adozione di semplici misure educazionali e della giusta cautela è attesa, nel paziente trattato con COX-1 inibitori, essere tanto necessaria quanto sufficiente ad evitare che alla sedazione del dolore seguano eventi avversi a livello dell’apparato cardiovascolare. I citati dati del programma MEDAL (6), d’altra parte, costituiscono un esempio tanto semplice quanto paradigmatico di come due diversi antiinfiammatori, etoricoxib e diclofenac, possano avere effetti cardiovascolari divergenti, nel caso specifico a favore dell’uso didiclofenac. Attenzione all’evidenza e buon senso clinico, ne consegue, sono in questo spinoso campo più che necessari. Senz’altro, ribadiamo, non è possibile pensare di risolvere il problema facendo finta che esso non esista o che sia realmente possibile e facile convivere con il dolore. In poche parole, evitare il più possibile il trattamento protratto ed essere molto attenti è un conto, evitareil trattamento tout court un altro, che finisce solo per aumentare una pericolosa autogestione. Bibliografia 1. Trelle S, Reichenbach S, Wandel S, Hildebrand P, Tschannen B, Villiger PM, Egger M, Jüni P. Cardiovascular safety of non-steroidal anti-inflammatory drugs: network meta-analysis. BMJ. 2011;342:c7086. 2. Van Staa TP, Leufkens HG, Zhang B, Smeeth L. A comparison of costeffectiveness using data from randomized trials or actual clinical practice: selective cox-2 inhibitorsas an example. PLoSMed 2009;6:e1000194. 3. Kerr SJ, Sayer GP, Whicker SD, Rowett DS, Saltman DC, Mant A. All-cause mortality of elderly Australianv eteransusing COX-2 selective or nonselectiveNSAIDs: a longitudinalstudy.Br J ClinPharmacol. 2010 May 6. 4. Ventura MT, Laddaga R, Cavallera P, Pugliese P, Tummolo RA, Buquicchio R, Pierucci P, Passalacqua G. Adverse drug reactions asthe cause of emergency department admission: focus on the elderly. Immuno pharmacol Immunotoxicol. 2010;32(3):426-9. 5. Sudano I, Flammer AJ, Périat D, Enseleit F, Hermann M, Wolfrum M, Hirt A, Kaiser P, Hurlimann D, Neidhart M, Gay S, Holzmeister J, Nussberger J, Mocharla P, Landmesser U, Haile SR, Corti R, Vanhoutte PM, Lüscher TF, Noll G, Ruschitzka F. Acetaminophen increases blood pressure in patients with coronaryarterydisease. Circulation. 2010;122(18):1789-96. 6. Krum H, Curtis SP, Kaur A, Wang H, Smugar SS, Weir MR, Laine L, Brater DC, Cannon CP. Baseline factors associated with congestive heart failure in patients receiving etoricoxib or diclofenac: multivariate analysis of the MEDAL program.Eur J Heart Fail. 2009;11(6):542-50. 7. Koelling TM, Johnson ML, Cody RJ, Aaronson KD. Discharge education improves clinical outcomes in patients with chronic heart failure. Circulation 2005;111:179-185. 8. Muzzarelli S, Tobler D, Leibundgut G, Schindler R, Buser P, Pfisterer ME, Brunner-La Rocca HP. Detection of intake of nonsteroidal anti-inflammatorydrugs in elderly patients with heart failure. How to ask the patient? SwissMedWkly. 2009 Aug 22;139(33-34):481-5. 9. KataokaH. Novel monitoring method for the management of heart failure: combined measurement of body weight and bioimpedance index of body fatpercentage. Future Cardiol. 2009;5(6):541-6. 10. Amer M, Bead VR, Bathon J, Blumenthal RS, Edwards DN. Use of nonsteroidal anti-inflammatory drugs in patients with cardiovascular disease: a cautionary tale. Cardiol Rev. 2010; 18(4):204-12.

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Le Aziende Sanitarie Locali nel processo di valutazione e miglioramento dell’aderenza al trattamento in ambito di prevenzione cardiovascolare Dr. Luca Degli Esposti CliCon S.r.l. Health, Economics & Outcomes Research

Questo articolo affronterà il problema dell’appropriatezza prescrittiva, attraverso il metodo dell’analisi dell’aderenza al trattamento. In ambito di prevenzione cardiovascolare, l’importanza assunta da tale problematica è giustificata da molte evidenze

Una prescrizione può essere considerata appropriata se effettuata all’interno delle indicazioni cliniche e, in generale, all’interno delle indicazioni d’uso (dose, durata, …) per le quali è dimostrata l’efficacia. L’appropriatezza prescrittiva è generalmente misurabile mediante analisi dell’aderenza al trattamento (grado di trasferimento delle indicazioni d’uso nella pratica clinica) (1). In ambito di prevenzione cardiovascolare, l’importanza assunta da tale problematica negli ultimi anni è giustificata da tre principali evidenze: • la scarsa aderenza al trattamento è la causa principale di inefficacia della terapia farmacologica e rappresenta, di conseguenza, un significativa determinante di una mancata riduzione della mortalità/morbilità cardiovascolare e dei costi assistenziali complessivi (eg, farmaci, ricoveri) (Figura 1) (2); • l’aderenza al trattamento risulta insoddisfacente sia negli ipertesi senza comorbilità (53.2%) sia negli ipertesi a maggiore rischio per la presenza di diabete mellito (65.2%), malattia cardiovascolare (63.2%), scompenso cardiaco (63.3%) e insufficienza renale cronica (67.6%) (Tabella 1) (3); • il trend dell’aderenza al trattamento non presenta alcun

significativo miglioramento negli ultimi 5 anni né per gli ipertesi senza comorbilità (+0.0%) né per gli ipertesi con diabete mellito (+0.3%), malattia cardiovascolare (+0.2%), scompenso cardiaco (0.8%) e insufficienza renale cronica (+0.1%) (Tabella 1) (4). L’aderenza al trattamento ha importanti implicazioni economiche anche nel breve periodo. Dalla recente analisi del Organizzazione Mondiale della Sanità in ambito di trattamenti cronici, emerge come l’aderenza si concretizzi prevalentemente in un sotto-utilizzo dei trattamenti farmacologici (piuttosto che in un sovra-utilizzo). Di conseguenza, un incremento dell’aderenza ai trattamenti potrebbe determinare un incremento della spesa farmaceutica. Ferma restando la costo-efficacia di interventi farmacologici appropriati in termini di riduzione dei costi ospedalieri e la necessità di interventi per il miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva, un incremento attuale della spesa farmaceutica potrebbe essere difficilmente sostenibile dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) in ragione delle costrizioni finanziarie di breve periodo. In altri termini, la sensibilizzazione alla necessità di

L’appropriatezza prescrittiva è generalmente misurabile mediante analisi dell’aderenza al trattamento.

La scarsa aderenza al trattamento è la causa principale di inefficacia della terapia farmacologica.

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Rischio di ospedalizzazione e costo totale (farmaci, visite, accertamenti, ospedalizzazioni) in base ai livelli di aderenza 50 Risk of hospitalizations 40

Drug cost

10,000 Total costs ($)

Risk of hospitalizations (%)

Medical cost

12,000

30 20 10

8,000 6,000 4,000 2,000 0

0 00-19

20-39 40-59 60-79 Level of adherence (%)

80-100

00-19

20-39 40-59 60-79 Adherence level (%)

80-100

tratto da SOKOL, 2005

Figura 1

Valsartan vs placebo: NAVIGATOR co-primary end-point outcomes Ipertensione [N=91,979] %

%

Diabete mellito [N=19,523] %

%

Malattie CV [N=26,036] %

%

Scompenso [N=4,214] %

%

Malattia renale cronica [N=6,938] %

%

08

08-04

08

08-04

08

08-04

08

08-04

08

08-04

NORD

54.0

-0.2

66.8

-0.3

64.2

-0.2

64.7

+0.8

67.8

-0.1

CENTRO

51.9

-0.1

63.3

+0.1

60.2

-0.7

65.8

+1.1

66.0

+0.4

SUD E ISOLE

52.8

+0.5

64.4

+1.1

63.4

-1.1

59.8

-0.4

67.9

+0.1

ITALIA

53.2

0.00

65.2

+0.3

63.2

+0.2

63.3

+0.8

67.6

+0.1

modificato da OSMED, 2008

Tabella 1 miglioramento dell’aderenza al trattamento e la consapevolezza della costo-efficacia di una migliorata aderenza al trattamento potrebbero essere non sufficienti per permettere alla ASL di attivarsi per il miglioramento dell’aderenza al trattamento in quanto tali strategie potrebbero essere finanziariamente non sostenibili nel breve periodo. Si pone, in sostanza, il problema della disponibilità finanziaria (financial availability). In tale scenario, non è in discussione la costo-efficacia degli appropriati

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interventi farmacologici quanto piuttosto la disponibilità delle autorità sanitarie ad anticipare ad oggi risorse finanziarie per le strategie di prevenzione cardiovascolare. Oltre alle discusse costrizioni finanziarie, la letteratura individua ulteriori barriere al miglioramento dell’aderenza (5). In primo luogo, l’aderenza al trattamento viene definita come una variabile associata a diversi attori: il paziente, il medico ed il sistema sanitario. Diversamente dalle prime pubblicazioni, l’attenzione

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Dalla recente analisi del Organizzazione Mondiale della Sanità in ambito di trattamenti cronici, emerge come l’aderenza si concretizzi prevalentemente in un sottoutilizzo dei trattamenti farmacologici piuttosto che in un sovra-utilizzo.

L’aderenza al trattamento viene definita come una variabile associata a diversi attori: il paziente, il medico ed il sistema sanitario.

viene posta sul complesso degli attori che orbitano attorno al processo di miglioramento dell’aderenza al trattamento. In relazione al paziente, le principali barriere al miglioramento dell’aderenza sono considerate la dimenticanza (nel 30% dei soggetti intervistati), le altre priorità (16%), la decisione di non assunzione (11%), l’assenza di informazione (9%), i fattori emotivi (7%) ed altre cause (27%). In relazione al medico, la complessità dei regimi prescrittivi, la ridotta tollerabilità dei farmaci, i tempi e la modalità della relazione tra medico e paziente, il relazionamento tra medico specialista e medico di medicina generale (MMG), il grado sensibilizzazione al problema e l’uso di strumenti informatici facilitanti. Nonostante l’insieme dei fattori debba essere approfondito, alcuni di essi meritano un cenno particolare. Un MMG con 1,500 assistiti conta oltre 300 pazienti in trattamento antiipertensivo, la maggior parte dei quali in trattamento con ulteriori farmaci, ed effettua una visita mediamente ogni 8 minuti. La complessità e la disponibilità di tempo per una visita ambulatoriale rischia di non essere compatibile con il fattore “tempi e modalità della relazione tra medico e paziente”. Esiste, quindi, una necessità organizzativa. Alcune Regioni hanno iniziato ad affrontare tale criticità mediante l’adozione di In relazione al sistema sanitario, le principali barriere al miglioramento dell’aderenza, oltre alle costrizioni finanziarie ed alla brevità dell’orizzonte di investimento, sono considerate il grado sensibilizzazione al problema ed il sistema degli indicatori.

Un’attenzione esclusiva ai consumi rischia, quindi, di non sensibilizzare gli operatori al problema dell’aderenza al trattamento e, di conseguenza, di non creare i presupposti per il suo miglioramento.

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modelli organizzativi ad hoc (eg, chronic care model). La complessità dell’attività e la disponibilità di tempo influenzano anche il grado di sensibilizzazione del MMG al problema. Posto che la consapevolezza del problema sia il presupposto per il suo cambiamento, sono necessari strumenti informativi di sintesi dei dati per informare periodicamente il MMG circa l’aderenza al trattamento dei propri pazienti. Tali strumenti potrebbero essere gli stessi programmi utilizzati dal MMG per la gestione dell’ambulatorio oppure i report inviati dalle ASL e calcolati mediante le banche dati amministrative. Il requisito per il funzionamento di tali strumenti è, nel primo caso, il costante ed adeguato inserimento dei dati, nel secondo caso, la misurazione dei processi terapeutici e non dei soli consumi. In relazione al sistema sanitario (eg, le ASL), le principali barriere al miglioramento dell’aderenza, oltre alle costrizioni finanziarie ed alla brevità dell’orizzonte di investimento già discusse in precedenza, sono considerate il grado sensibilizzazione al problema ed il sistema degli indicatori. Generalmente, le ASL provvedono ad misurazione di indicatori di consumo (eg, spesa pro capite, numero di defined daily dose [DDD] per 1,000 abitanti die) ma non approfondiscono la valutazione dell’aderenza al trattamento. Analogamente a quanto avviene per il MMG, l’assenza di evidenze determina una mancata sensibilizzazione al problema. Nel caso della ASL, in più, in ragione del ruolo di monitoraggio delle prescrizioni effettuate dai MMG, l’assenza di un sistema di valutazione dell’aderenza al trattamento rischia di aumentare l’ampiezza del problema. Secondo le scuole di management, you got what you measure. Un’attenzione esclusiva ai consumi rischia, quindi, di non sensibilizzare gli operatori al problema dell’aderenza al trattamento e, di conseguenza, di non creare i presupposti per il suo miglioramento. In conclusione, l’aderenza al trattamento rappresenta un fattore critico per la prevenzione cardiovascolare il cui miglioramento appare condizionato dalla collaborazione tra i diversi attori coinvolti ed dalla valutazione congiunta dell’insieme delle barriere esistenti. Bibliografia 1. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale OsMed 2007. 2. Sokol MC et al. Impact of medication adherence on hospitalization risk and healthcare cost. Med Care 2005; 43: 521-30. 3. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale OsMed 2008. 4. World Health Organization. Adherence to long-term therapies. Evidence for action. Geneva: World Health Organization; 2003. 5. Osterberg L. Adherence to Medication. N Engl J Med 2005; 353: 487-97.

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Nel sito www.professionistisalute.it trova sempre disponibile l’ultima versione approvata della scheda tecnica

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Il paziente davanti al suo rischio cardiovascolare Dr. Simone Mininni, Dr. Mauro Vannucci* Direttore Sanitario, Istituto Leonardo da Vinci, Cardiologia Firenze * Direttore S.O. Riabilitazione Cardiologica I.F.C.A. Firenze

Questo articolo metterà in evidenza l’importanza di analizzare il profilo di rischio cardiovascolare del paziente in una ottica di visione globale. Per questo è centrale il ruolo del medico di medicina generale che attraverso la profonda conoscenza del singolo paziente può ottimizzare il livello di intervento rispetto a tutte le comorbilità presenti

E’ un dato ormai noto a tutti che le patologie cardiovascolari rappresentano il maggior rischio di morbilità e mortalità nel mondo industrializzato. Numerosi sono i fattori di rischio alla base di tali eventi, la loro approfondita conoscenza permette di modulare il nostro intervento. Di fondamentale importanza è la conoscenza a tutto tondo dell’universo che contorna il singolo paziente, in quanto il nostro intervento deve essere modulato in base al maggior o minor grado di rischio. Esistono dei fattori che fanno parte del vissuto del soggetto (età, pregresse patologie, sesso, stato sociale, …), per definizione non modificabili, che devono essere conosciuti a fondo in quanto ci fanno capire da quale base di rischio parte il singolo paziente. Sulla base dei fattori di rischio non modificabili agiscono poi tutti gli altri (fumo, dislipidemie, ipertensione, diabete, obesità), sui quali un’azione decisa può determinare un cambio di rotta della storia naturale del nostro paziente. Un elemento fondamentale è che tutti i fattori di rischio devono essere valutati in modo globale, evitando quel comune errore per cui ogni singolo medico si occupa della sua specialità perdendo di vista tutto ciò che, pur apparentemente lontano dalla patologia affrontata, ha un effetto sinergico nel determinare l’insorgenza della patologia cardiovascolare. Un tipico esempio, per la verità oggi molto meno presente, è il panico che colpiva spesso il medico di fronte al proprio paziente diabetico con scompenso cardiaco quando il cardiologo prescriveva una terapia con beta-bloccante; venivano in mente quelle tabelle un po’ antiquate nelle quali si afferma-

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va che tale terapia non poteva essere prescritta soprattutto nel timore che potesse peggiorare il profilo glicemico e che potesse mascherare i segni di una crisi ipoglicemica grave. Tutto questo oggi sappiamo che non è esatto e, soprattutto con i farmaci di ultima generazione, anche nel diabetico con scompenso cardiaco sono evidenti i benefici di tale trattamento sia sulla morbilità che sulla mortalità. Si corre il rischio che il paziente venga rimbalzato da uno specialista all’altro ottenendo consigli che, seppur ottimali per la singola patologia, potrebbero avere effetti dannosi su altre non perseguendo quindi l’obiettivo che tutti dobbiamo avere sempre presente che è la cura del malato e non della malattia. Per questo è centrale il ruolo del medico di medicina generale che attraverso la profonda conoscenza del singolo paziente può ottimizzare il livello di intervento rispetto a tutte le comorbilità presenti. In questo senso estremamente didattici sono i risultati dello studio INTERHEART che ha analizzato l’impatto di molteplici fattori di rischio (fumo, alti livelli di colesterolo, ipertensione, diabete, obesità addominale, Un elemento fondamentale è che tutti i fattori di rischio devono essere valutati in modo globale, evitando quel comune errore per cui ogni singolo medico si occupa della sua specialità perdendo di vista tutto ciò che, pur apparentemente lontano dalla patologia affrontata, ha un effetto sinergico nel determinare l’insorgenza della patologia cardiovascolare.

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INTERHEART: Positive impact of lifestyle factor on acute MI Risk factor Current smoking Diabetes Hypertension

Women Men

Abdominal obesity Psychosocial factors Fruits/Vegetables Exercise Alcohol ApoB/ApoA1 ratio 0.25

0.5

1.0 2 Odds ratio (99% CI)

4

8

16

Yusuf S et al. Lancet 2004; 364: 937-52

Figura 1 stress, mancanza di consumo quotidiano di frutta e verdura, non consumo di alcool e mancanza di esercizio fisico) evidenziando come la loro contemporanea presenza determini un rischio di ben 333 volte superiore rispetto a quello basale di sviluppare un infarto miocardico. Analizzando poi i singoli fattori di rischio non mancano mai elementi di collegamento tra di loro. Per quanto riguarda l’ipertensione, la pietra miliare come obiettivo è quella di controllare i valori, ma non possiamo dimenticare che per raggiungere l’obiettivo è necessario adattare la terapia su misura sul singolo paziente. Oltre alla correzione dello stile di vita spesso le terapie mediche devono essere assunte per un periodo prolungato quindi è necessario utilizzare farmaci che minimizzino gli effetti collaterali. E’ ormai Per questo è centrale il ruolo del medico di medicina generale che attraverso la profonda conoscenza del singolo paziente può ottimizzare il livello di intervento rispetto a tutte le comorbilità presenti.

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evidente infatti in letteratura come alcune classi siano mal tollerate e che quindi la percentuale di interruzione del trattamento sia elevata. In particolare il trattamento diuretico isolato ha una percentuale di persistenza ad un anno di circa il 10%; in concreto 90 pazienti su 100 interrompono la terapia. La percentuale di persistenza aumenta in modo significativo con i farmaci di altre classi fino a raggiungere circa il 70% con i sartani. Per quello che riguarda i diuretici una recente metanalisi ha poi evidenziato che l’idroclorotiazide al dosaggio compreso tra i 12,5 ed i 25 mg permette una riduzione dei valori pressori solo modesta (circa 5 mmHg), significativamente inferiore rispetto a quella ottenuta con tutte le altre classi di farmaIn particolare il trattamento diuretico isolato ha una percentuale di persistenza ad un anno di circa il 10%; in concreto 90 pazienti su 100 interrompono la terapia. La percentuale di persistenza aumenta in modo significativo con i farmaci di altre classi fino a raggiungere circa il 70% con i sartani.

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Rischio di infarto miocardico acuto associato all’esposizione a fattori di rischio multipli 2,9 (2,6-3,2)

2,4 (2,1-2,7)

13,0 (10,7-15,8)

1,9 (1,7-2,1)

3,3 (2,8-3,8)

Ipertens. (3)

ApoB/A1 (4)

42,3 (33,2-54,0)

68,5 (53,0-88,6)

182,9 (132,6-252,2)

333,7 (230,2-483,9)

Odd ratio (99% CI)

512 256 128 64 32 16 8 4 2 1 Fumo (1)

Diabete (2)

1+2+3

Tutti e 4

+ Obes.

+ PS

Tutti i FR

S. Yusuf. Lancet 2004; 364: 937-952

Figura 2 ci. Per ottenere un’efficacia antiipertensiva simile alle altre classi è necessario aumentare il dosaggio ad almeno 50 mg, ma a questo dosaggio emergono chiari gli effetti negativi metabolici del diuretico (ipokaliemia, iponatriemia ed insulino-resistenza). Esistono poi altre evidenze che ci guidano nella scelta della classe del farmaco antiipertensivo. In pazienti con ridotta tolleranza al glucosio è possibile prevenire l’incidenza

di diabete? E’ questo il razionale dello studio NAVIGATOR. Ebbene per la prima volta un trattamento antiipertensivo, nello specifico Valsartan al dosaggio di 160 mg al giorno, è riuscito a dare risposte positive, con una riduzione significativa di nuovi casi. A fronte di questi ottimi risultati con il sartano il trattamento con la nateglinide, un ipoglicemizzante orale, non ha evidenziato invece alcun risultato. D’altra

Valsartan vs placebo: NAVIGATOR co-primary end-point outcomes Co-primary end-points

Valsartan, n = 4631 (%)

Placebo, n = 4675 (%)

HR (95% Cl)

pa

Progression to diabetes

33,1

36,8

0,86 (0,80-0,92)

<0,001

Composite CV events, extendedb

14,5

14,8

0,96 (0,86-1,07)

0,43

Composite CV events, corec

8,1

8,1

0,99 (0,86-1,14)

0,85

a. Two-sided test b. cardiovascular death, nonfatal MI, nonfatal stroke, or hospitalizaztion from unstable angina, heart failure, or arterial revascularization c. cardiovascular death, nonfatal MI, nonfatal stroke, or heart failure hospitalization

Figura 3

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parte prevenire il diabete significa in pratica prevenire un evento in quanto è risaputo come il diabetico senza precedenti eventi cardiovascolari abbia lo stesso rischio del paziente non diabetico con un precedente evento cardiovascolare. Passando alle dislipidemie non esistono alcuni dubbi che in prevenzione secondaria i parametri debbano essere costantemente sotto controllo, spingendosi verso un valore di LDL il più vicino possibile ai 70 mg/dl. Alcuni dubbi sorgono talora in prevenzione primaria. In nostro aiuto vengono alcune evidenze: innanzitutto ci dobbiamo sempre più abituare a ragionare non in termini di colesterolo totale, ma di HDL ed LDL. In particolare soggetti con valori di HDL estremamente bassi (inferiori a 30 mg/dl) devono essere osservati con particolare attenzione e, visto che attualmente non abbiamo a disposizione strumenti che riescano ad aumentare in modo significativo tale parametro, in tali casi l’uno rimedio valido che abbiamo è di ridurre in modo significativo le LDL con le statine. Altro utile sussidio per valutare l’opportunità di un trattamento farmacologico è lo studio dello spessore medio-intimale ben visualizzabile a livello carotideo. La presenza di uno spessore aumentato (valore normale fino a 0,8 mm), iniziale segno di danno d’organo vascolare, ci può aiutare a stabilire a fronte di valori lipidici simili quale sia il paziente da trattare. Dopo gli interventi utili un piccolo accenno ad uno che attualmente non ha indicazioni nella pratica clinica. Non sembra necessario intervenire con acido folico in pazienti con iperomocisteinemia in quanto Per la prima volta un trattamento antiipertensivo, nello specifico Valsartan al dosaggio di 160 mg al giorno, è riuscito nello studio Navigator a dare risposte positive, con una riduzione significativa di nuovi casi di diabete.

Non sembra necessario intervenire con acido folico in pazienti con iperomocisteinemia in quanto più di uno studio ha evidenziato come tale terapia pur normalizzando velocemente il valori di omocisteina ematica non determini minimamente riduzione degli eventi.

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Calcolo dello spessore mediointimale

D

IMT

Figura 4 più di uno studio ha evidenziato come tale terapia pur normalizzando velocemente il valori di omocisteina ematica non determini minimamente riduzione degli eventi. Un recentissimo studio ha ipotizzato un potenziale effetto negativo di interazione tra trattamento con acido folico e acido acetilsalicilico, come dire che in tutti i pazienti che hanno bisogno di aspirina non è opportuno aggiungere acido folico, relegando praticamente il trattamento solo in prevenzione primaria …. francamente non si smette mai di stupirci! Per minimizzare il rischio cardiovascolare del nostro paziente è quindi necessario avere sempre la visione globale, e soprattutto è necessario che tutte le figure mediche (e non solo) che incontrano il paziente nella sua vita quotidiana collaborino per riuscire a dare al paziente quei consigli che si dimostreranno utili a migliorare non solo la quantità ma soprattutto una buona qualità della vita. Bibliografia - Yusuf S, Hawken S, Ounpuu S, Dans T, Avezum A, Lanas F, McQueen M, Budaj A, Pais P, Varigos J, Lisheng L; INTERHEART Study Investigators. LANCET 2004;364: 937-52. - The NAVIGATOR Study Group. Effect of Valsartan on the incidence of diabetes and cardiovascular events. N Eng J Med 2010, 1-14. - Messerli F. et al: Antyipertensive efficacy of HCTZ as evacuate by ABPM. A meta-analysis of randomized trials: JACC 2011, 57: 590600. - Wald DS, Morris JK, and Wald NJ. Reconciling the evidence on serum homocysteine and ischaemic heart disease: A meta- analysis. PLoS One 2011.

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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. Micardis 80 mg compresse. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni compressa contiene telmisartan 80 mg. Eccipienti: Ogni compressa contiene 338 mg di sorbitolo (E420). Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Compresse. Compresse bianche, oblunghe con il codice 52H impresso su un lato ed il logo dell'azienda impresso sull'altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni terapeutiche. Ipertensione. Trattamento dell’ipertensione essenziale negli adulti. Prevenzione cardiovascolare. Riduzione della morbilità cardiovascolare in pazienti con: i) malattia cardiovascolare aterotrombotica manifesta (storia di coronaropatia, ictus o malattia arteriosa periferica) o ii) diabete mellito di tipo 2 con danno documentato degli organi bersaglio. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Trattamento dell’ipertensione essenziale: La dose generalmente efficace è di 40 mg una volta al giorno. Alcuni pazienti possono trarre già beneficio dalla dose di 20 mg una volta al giorno. Nei casi in cui non viene raggiunto il controllo pressorio, la dose di telmisartan può essere aumentata fino ad un massimo di 80 mg una volta al giorno. In alternativa, il telmisartan può essere impiegato in associazione con diuretici tiazidici, come l'idroclorotiazide, con il quale è stato dimostrato un effetto additivo in termini di riduzione della pressione, con l'associazione a telmisartan. Qualora si prenda in considerazione un aumento di dosaggio, si deve tenere presente che il massimo effetto antipertensivo si ottiene generalmente da quattro a otto settimane dopo l'inizio del trattamento (vedere paragrafo 5.1). Prevenzione cardiovascolare: La dose raccomandata è di 80 mg una volta al giorno. Non è noto se dosi di telmisartan inferiori a 80 mg siano efficaci nel ridurre la morbilità cardiovascolare. Quando si inizia la terapia con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare, si raccomanda un attento monitoraggio della pressione arteriosa e se appropriato può essere necessario un aggiustamento della dose dei medicinali che riducono la pressione arteriosa. Telmisartan può essere assunto con o senza cibo. Popolazioni di pazienti speciali. Insufficienza renale: Per i pazienti con insufficienza renale lieve o moderata non è necessario modificare la posologia. L’esperienza in pazienti con grave insufficienza renale o in emodialisi è limitata. In questi pazienti è raccomandata una dose iniziale più bassa pari a 20 mg (vedere paragrafo 4.4). Insufficienza epatica: Nei pazienti con insufficienza epatica lieve o moderata la dose non deve essere maggiore di 40 mg una volta al giorno (vedere paragrafo 4.4). Anziani. Non è necessario modificare la dose nei pazienti anziani. Pazienti pediatrici. L’uso di Micardis non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza e sull’efficacia. 4.3 Controindicazioni. • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). • Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.4 e 4.6). • Ostruzioni alle vie biliari. • Insufficienza epatica grave. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. Gravidanza: La terapia con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non deve essere iniziata durante la gravidanza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere interrotto immediatamente e, se appropriato, deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3 e 4.6). Insufficienza epatica: Micardis non deve essere somministrato a pazienti con colestasi, ostruzioni alle vie biliari o grave insufficienza epatica (vedere paragrafo 4.3) in quanto telmisartan è principalmente eliminato nella bile. Per questi pazienti è prevedibile una clearance epatica ridotta per telmisartan. Micardis deve essere utilizzato solamente con cautela in pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata. Ipertensione renovascolare: Nei pazienti con stenosi bilaterale dell'arteria renale o stenosi dell'arteria renale afferente al singolo rene funzionante, trattati con un medicinale che influenza il sistema renina-angiotensina-aldosterone, c'è un aumentato rischio di ipotensione grave ed insufficienza renale. Insufficienza renale e trapianto renale: Quando Micardis è somministrato a pazienti con disfunzioni renali, si raccomanda il controllo periodico dei livelli sierici di potassio e di creatinina. Non ci sono dati riguardo la somministrazione di Micardis in pazienti sottoposti di recente a trapianto renale. Ipovolemia intravascolare: Nei pazienti con deplezione di sodio e/o ipovolemia causata da dosi elevate di diuretici, diete con restrizione di sale, diarrea o vomito, si potrebbe verificare ipotensione sintomatica, specialmente dopo la prima dose di Micardis. Tali condizioni vanno corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Deplezione di sodio e/o ipovolemia devono essere corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Come conseguenza dell’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sono state riportate ipotensione, sincope, iperkaliemia e alterazioni della funzionalità renale (inclusa insufficienza renale acuta) in individui sensibili, soprattutto in caso di associazione di prodotti medicinali che influenzano questo sistema. Il duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ad es. per aggiunta di un ACE inibitore ad un antagonista del recettore dell’angiotensina II) non è pertanto raccomandato in pazienti con pressione arteriosa già controllata e deve essere limitata a casi individualmente definiti con uno stretto monitoraggio della funzionalità renale. Altre condizioni con stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la funzione renale dipendono principalmente dall'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (es. pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattie renali, inclusa la stenosi dell'arteria renale), il trattamento con medicinali che influenzano questo sistema, come telmisartan, è stato associato ad ipotensione acuta, iperazotemia, oliguria o, raramente, insufficienza renale acuta (vedere paragrafo 4.8). Aldosteronismo primario: I pazienti con aldosteronismo primario generalmente non rispondono a medicinali antipertensivi che agiscono tramite l'inibizione del sistema renina-angiotensina. Quindi, si sconsiglia l'utilizzo di telmisartan. Stenosi della valvola aortica e mitrale, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: Come per altri vasodilatatori, si consiglia particolare cautela nei pazienti affetti da stenosi della valvola aortica o mitrale o cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. Iperkaliemia: L’uso di medicinali che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone può causare iperkaliemia. Nei pazienti anziani, nei pazienti con insufficienza renale, nei pazienti diabetici, nei pazienti contestualmente trattati con altri medicinali che possono aumentare i livelli di potassio e/o nei pazienti con eventi intercorrenti, l’iperpotassemia può essere fatale. Prima di considerare l’uso concomitante di medicinali che influiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone deve essere valutato il rapporto tra il rischio e il beneficio. I principali fattori di rischio che devono essere presi in considerazione per l’iperkaliemia sono: • Diabete mellito, compromissione renale, età (>70 anni). • Associazione con uno o più medicinali che influiscano sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio. Medicinali o classi terapeutiche di medicinali che possono provocare iperkaliemia sono: sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non

steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. • Eventi intercorrenti, in particolare disidratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggioramento della funzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (come infezioni), lisi cellulare (come ischemia acuta dell’arto, rabdomiolisi, trauma esteso). Nei pazienti a rischio si raccomanda uno stretto controllo del potassio sierico (vedere paragrafo 4.5). Sorbitolo: Questo medicinale contiene sorbitolo (E420). I pazienti con rari problemi di intolleranza ereditaria al fruttosio non devono assumere Micardis. Differenze etniche: Come osservato per gli inibitori dell'enzima di conversione dell’angiotensina, telmisartan e altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II sono apparentemente meno efficaci nel ridurre la pressione arteriosa nei pazienti di colore rispetto agli altri pazienti, forse a causa della maggior prevalenza di stati caratterizzati da un basso livello di renina nella popolazione di colore affetta da ipertensione. Altro: Come con qualsiasi agente antipertensivo, un'eccessiva diminuzione della pressione in pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cardiovascolare ischemica potrebbe causare infarto del miocardio o ictus. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione. Sono stati effettuati studi di interazione solo negli adulti. Come altri medicinali che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, telmisartan può indurre iperkaliemia (vedere paragrafo 4.4). Il rischio può aumentare in caso di associazione ad altri medicinali che pure possono indurre iperkaliemia, sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. L’insorgenza della iperkaliemia dipende dall’associazione dei fattori di rischio. Il rischio aumenta nel caso di associazione dei trattamenti sopra elencati. Il rischio è particolarmente elevato nel caso di combinazione con diuretici risparmiatori di potassio e quando combinato con sostitutivi salini contenenti potassio. L’associazione, ad esempio, con ACE inibitori o FANS presenta un minor rischio purché si osservino strettamente le precauzioni per l’uso. Uso concomitante non raccomandato. Diuretici risparmiatori di potassio o integratori di potassio: Gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II come telmisartan, attenuano la perdita di potassio indotta dal diuretico. I diuretici risparmiatori di potassio quali spironolattone, eplerenone, triamterene o amiloride, integratori di potassio o sostitutivi salini contenenti potassio possono portare ad un significativo aumento del potassio sierico. Se l’uso concomitante è indicato a causa di documentata ipokaliemia, devono essere somministrati con cautela ed i livelli di potassio sierico devono essere monitorati frequentemente. Litio: Aumenti reversibili delle concentrazioni di litio nel siero e tossicità sono stati riportati durante la somministrazione concomitante di litio con gli inibitori dell’enzima che converte l’angiotensina e con gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II, incluso telmisartan. Se l’uso dell’associazione si dimostrasse necessaria, si raccomanda un attento monitoraggio dei livelli sierici del litio. Uso concomitante che richiede cautela. Medicinali antinfiammatori non steroidei: I FANS (cioè l’acido acetilsalicilico a dosaggio antinfiammatorio, inibitori dei COX-2 e FANS non selettivi) possono ridurre l’effetto antipertensivo degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II. In alcuni pazienti con funzionalità renale compromessa (ad es. come pazienti disidratati o pazienti anziani con funzionalità renale compromessa) la co-somministrazione di antagonisti del recettore dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono la ciclo-ossigenasi può indurre un ulteriore deterioramento della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta che è solitamente reversibile. Pertanto la co-somministrazione deve essere effettuata con cautela, soprattutto agli anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere considerato il monitoraggio della funzionalità renale dopo l’inizio della terapia concomitante e quindi periodicamente. In uno studio la co-somministrazione di telmisartan e ramipril ha determinato un aumento fino a 2,5 volte dell’AUC0-24 e della Cmax di ramipril e ramiprilato. La rilevanza clinica di questa osservazione non è nota. Diuretici (tiazide o diuretici dell’ansa): Un precedente trattamento con elevati dosaggi di diuretici quali furosemide (diuretico dell’ansa) e idroclorotiazide (diuretico tiazidico) può portare ad una deplezione dei liquidi ed a un rischio di ipotensione quando si inizi la terapia con telmisartan. Da prendere in considerazione in casi di uso concomitante. Altri agenti antipertensivi: L’effetto ipotensivo di telmisartan può essere incrementato dall’uso concomitante di altri medicinali antipertensivi. Sulla base delle loro caratteristiche farmacologiche ci si può aspettare che i seguenti medicinali possano potenziare gli effetti ipotensivi di tutti gli antipertensivi incluso telmisartan: baclofenac, amifostina. Inoltre l’ipotensione ortostatica può essere aggravata da alcol, barbiturici, narcotici o antidepressivi. Corticosteroidi (per via sistemica): Riduzione dell’effetto antipertensivo. 4.6 Gravidanza e allattamento. Gravidanza: L’uso degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non è raccomandato durante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4). L’uso degli AIIRA è controindicato durante il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Non vi sono dati sufficienti sull’uso di Micardis in donne in gravidanza. Gli studi condotti sugli animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). L’evidenza epidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell’esposizione ad ACE inibitori durante il primo trimestre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi; tuttavia non può essere escluso un lieve aumento del rischio. Sebbene non siano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA), un simile rischio può esistere anche per questa classe di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere immediatamente interrotto e, se appropriato, si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l’esposizione ad AIIRA durante il secondo ed il terzo trimestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardo nell’ossificazione del cranio) e tossicità neonatale (insufficienza renale, ipotensione, iperkaliemia). (Vedere paragrafo 5.3). Se dovesse verificarsi un’esposizione ad un AIIRA dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo ecografico della funzionalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbiano assunto AIIRA devono essere attentamente seguiti per quanto riguarda l’ipotensione (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Allattamento: Poiché non sono disponibili dati riguardanti l’uso di Micardis durante l'allattamento, Micardis non è raccomandato e sono da preferire trattamenti alternativi con comprovato profilo di sicurezza per l’uso durante l’allattamento, specialmente in caso di allattamento di neonati o prematuri. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. Comunque, quando si guidano veicoli o si utilizzano macchinari, deve essere tenuto in considerazione che con la terapia antipertensiva potrebbero occasionalmente verificarsi sonnolenza e vertigini. 4.8 Effetti indesiderati. L'incidenza complessiva degli eventi avversi riportati con telmisartan (41,4 %) è stata solitamente confrontabile a quella riportata con il placebo (43,9 %) nel corso di studi clinici controllati, in pazienti trattati per l’ipertensione. L’incidenza degli eventi avversi non era dose correlata e non era correlata al sesso, all'età o alla razza dei pazienti. Il profilo di sicurezza di telmisartan nei pazienti trattati per la riduzione della morbilità cardiovascolare era in linea con quello nei pazienti trattati per l’ipertensione. Le seguenti reazioni avverse al medicinale sono state raccolte dagli studi clinici controllati, effettuati in pazienti trattati per l’ipertensione e da segnalazioni successive alla commercializzazione. L’elenco comprende anche eventi avversi gravi ed eventi avversi che hanno determinato la sospensione del trattamento riportati in tre studi clinici a lungo termine che includevano 21.642 pazienti trattati fino a sei anni con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare. Le reazioni avverse sono state classificate per frequenza ricorrendo alla seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di ogni raggruppamento di frequenza, le reazioni avverse sono elencate in ordine decrescente di gravità. Infezioni e infestazioni. Non comune: Infezioni del tratto respiratorio superiore incluse faringite e sinusite, infezione del tratto urinario inclusa cistite. Non noto: Sepsi anche con esito fatale1.


Patologie del sistema emolinfopoietico. Non comune: Anemia. Raro: Trombocitopenia. Non noto: Eosinofilia. Disturbi del sistema immunitario. Raro: Ipersensibilità. Non noto: Reazione anafilattica. Disturbi del metabolismo e della nutrizione. Non comune: Iperkaliemia. Disturbi psichiatrici. Non comune: Depressione, insonnia. Raro: Ansia. Patologie del sistema nervoso. Non comune: Sincope. Patologie dell'occhio. Raro: Disturbi della vista. Patologie dell'orecchio e del labirinto. Non comune: Vertigini. Patologie cardiache. Non comune: Bradicardia. Raro: Tachicardia. Patologie vascolari. Non comune: Ipotensione2, ipotensione ortostatica. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche. Non comune: Dispnea. Patologie gastrointestinali. Non comune: Dolore addominale, diarrea, dispepsia, flatulenza, vomito. Raro: Disturbo gastrico, secchezza delle fauci. Patologie epatobiliari. Raro: Funzionalità epatica alterata/disturbo epatico. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo. Non comune: Iperidrosi, prurito, rash. Raro: Eritema, angieoedema, eruzione da farmaco, eruzione cutanea tossica, eczema. Non noto: Orticaria. Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo. Non comune: Mialgia dolore alla schiena (ad es. sciatica), spasmi muscolari. Raro: Artralgia, dolori alle estremità. Non noto: Dolori ai tendini (sintomi simili alla tendinite). Patologie renali e urinarie. Non comune: Compromissione renale inclusa insufficienza renale acuta. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione. Non comune: Dolore toracico, astenia (debolezza). Raro: Malattia simil-influenzale. Esami diagnostici. Non comune: Aumento della creatinina nel sangue. Raro: Aumento di acido urico nel sangue, enzimi epatici aumentati, creatina fosfochinasi aumentata nel sangue, calo dell’emoglobina. 1 Nello studio PRoFESS è stata osservata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo. L’evento può essere un risultato casuale o può essere correlato ad un meccanismo attualmente non noto (vedere paragrafo 5.1). 2 Riportato come comune nei pazienti con pressione arteriosa controllata che sono stati trattati con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare in aggiunta alla terapia standard. 4.9 Sovradosaggio. Le informazioni disponibili riguardo al sovradosaggio nell’uomo sono limitate. Sintomi: Le manifestazioni più rilevanti legate al sovradosaggio di telmisartan sono state ipotensione e tachicardia; sono stati riportati anche bradicardia, capogiro, aumento della creatinina sierica e insufficienza renale acuta. Trattamento: Telmisartan non viene rimosso dall’emodialisi. Il paziente deve essere strettamente controllato e il trattamento deve essere sintomatico e di supporto. Il trattamento dipende dal tempo trascorso dall’ingestione e dalla gravità dei sintomi. Le misure suggerite includono induzione di emesi e/o lavanda gastrica. Il carbone attivo può essere utile nel trattamento del sovradosaggio. I livelli degli elettroliti sierici e della creatinina dovrebbero essere controllati frequentemente. Nel caso di ipotensione, il paziente dovrebbe essere posto in posizione supina e sali e fluidi dovrebbero essere reintegrati rapidamente. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antagonisti dell’angiotensina II, non associati, codice ATC C09CA07. Meccanismo d’azione: Telmisartan è un antagonista recettoriale dell’angiotensina II (tipo AT1) specifico ed efficace per via orale. Telmisartan spiazza con un’elevata affinità l’angiotensina II dal suo sito di legame con il recettore di sottotipo AT1, responsabile dei ben noti effetti dell’angiotensina II. Telmisartan non mostra alcuna attività agonista parziale per il recettore AT1. Telmisartan si lega selettivamente con il recettore AT1. Tale legame è di lunga durata. Telmisartan non mostra una rilevante affinità per altri recettori, compresi l'AT2 e altri recettori AT meno caratterizzati. Non sono noti il ruolo funzionale di questi recettori né l'effetto della loro possibile sovrastimolazione da parte dell'angiotensina II, i cui livelli sono aumentati dal telmisartan. Telmisartan determina una diminuzione nei livelli plasmatici di aldosterone. Telmisartan non inibisce la renina plasmatica umana né blocca i canali ionici. Telmisartan non inibisce l’enzima di conversione dell’angiotensina (chininasi II), enzima che degrada anche la bradichinina. Quindi non è atteso un potenziamento degli eventi avversi mediati dalla bradichinina. Nell’uomo, una dose di 80 mg di telmisartan determina un’inibizione quasi completa dell’aumento pressorio indotto dall’angiotensina II. L'effetto inibitorio si protrae per 24 ore ed è ancora misurabile fino a 48 ore. Efficacia clinica e sicurezza. Trattamento dell’ipertensione essenziale. L’attività antipertensiva inizia a manifestarsi entro 3 ore dalla somministrazione della prima dose di telmisartan. La massima riduzione dei valori pressori si ottiene generalmente da 4 ad 8 settimane dopo l’inizio del trattamento e viene mantenuta nel corso della terapia a lungo termine. L'effetto antipertensivo si protrae costantemente per 24 ore dopo la somministrazione e include le ultime 4 ore prima della successiva somministrazione, come dimostrato dalle misurazioni continue nelle 24 ore della pressione arteriosa. Ciò è confermato dal fatto che il rapporto tra le concentrazioni minime e massime di telmisartan negli studi clinici controllati verso placebo rimane costantemente superiore all'80% dopo una dose di 40 mg e 80 mg. C'è un apparente trend per una relazione tra la dose e il tempo di ritorno ai valori basali della pressione arteriosa sistolica (PAS). Da questo punto di vista, i dati che riguardano la pressione arteriosa diastolica (PAD) non sono invece consistenti. Nei pazienti ipertesi il telmisartan riduce la pressione sia sistolica che diastolica senza influire sulla frequenza cardiaca. Non è ancora stato definito il contributo dell’effetto diuretico e natriuretico del medicinale alla sua efficacia ipotensiva. L'efficacia antipertensiva di telmisartan è paragonabile a quella di medicinali rappresentativi di altre classi di antipertensivi (dimostrata negli studi clinici che hanno confrontato telmisartan con amlodipina, atenololo, enalapril, idroclorotiazide e lisinopril). Dopo una brusca interruzione del trattamento con telmisartan, la pressione arteriosa ritorna gradualmente ai valori preesistenti durante un periodo di diversi giorni, senza comportare un effetto rebound. Negli studi clinici che confrontavano direttamente i due trattamenti antipertensivi, l’incidenza di tosse secca è risultata significativamente inferiore nei pazienti trattati con telmisartan che in quelli trattati con gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina. Prevenzione cardiovascolare. ONTARGET (ONgoing Telmisartan Alone and in Combination with Ramipril Global Endpoint Trial) ha confrontato gli effetti di telmisartan, ramipril e della combinazione di telmisartan e ramipril sugli esiti cardiovascolari in 25.620 pazienti di almeno 55 anni di età con una storia di coronaropatia, ictus, TIA, malattia arteriosa periferica o diabete mellito di tipo 2 associato ad evidenza di danno degli organi bersaglio (ad es. retinopatia, ipertrofia ventricolare sinistra, macro- o microalbuminuria) che rappresentano una popolazione a rischio di eventi cardiovascolari. I pazienti sono stati randomizzati ad uno dei tre seguenti gruppi di trattamento: telmisartan 80 mg (n = 8.542), ramipril 10 mg (n = 8.576) o la combinazione di telmisartan 80 mg più ramipril 10 mg (n = 8.502) e seguiti per un periodo medio di osservazione di 4,5 anni. Telmisartan ha mostrato un’efficacia simile a ramipril nel ridurre l’endpoint primario composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia. L’incidenza dell’endpoint primario è risultata simile nei bracci di trattamento con telmisartan (16,7 %) e ramipril (16,5 %). L’hazard ratio per telmisartan verso ramipril è stato pari a 1,01 (97,5 % CI 0,93 – 1,10, p (noninferiorità) = 0,0019 con un margine di 1,13). L’incidenza della mortalità per tutte le cause è stata rispettivamente dell’11,6% e dell’11,8% nei pazienti trattati con telmisartan e ramipril. Telmisartan è risultato essere efficace quanto ramipril negli endpoint secondari pre-specificati di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus nonfatale [0,99 (97,5 % CI 0,90 – 1,08, p (non-inferiorità) = 0,0004)], endpoint primario nello studio di riferimento HOPE (The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study) che aveva valutato l’effetto di ramipril verso placebo. TRANSCEND ha randomizzato i pazienti intolleranti agli ACE-inibitori, con criteri di inclusione simili a quelli di ONTARGET, a ricevere telmisartan 80 mg (n=2.954) o placebo (n=2.972), entrambi somministrati in aggiunta alla terapia standard. La durata media del periodo di follow up è stata di 4 anni e 8 mesi. Non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa nell’incidenza dell’endpoint primario composito (morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia) (15,7% nel gruppo trattato con telmisartan e 17,0% nel gruppo trattato con placebo). É stato evidenziato il vantaggio di telmisartan rispetto al placebo nell’endpoint secondario pre-specificato di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus non-fatale [0,87 (95 % CI 0,76 – 1,00, p = 0,048)]. Non c’è stata evidenza di beneficio sulla mortalità cardiovascolare (hazard ratio 1,03,

95 % CI 0,85 – 1,24). Tosse e angioedema sono stati riportati meno frequentemente nei pazienti trattati con telmisartan che nei pazienti trattati con ramipril, mentre l’ipotensione è stata riportata più frequentemente con telmisartan. L’associazione di telmisartan e ramipril non ha aggiunto alcun beneficio rispetto a ramipril o telmisartan in monoterapia. La mortalità cardiovascolare e la mortalità per tutte le cause sono state numericamente superiori con l’associazione. Inoltre, si è manifestata un’incidenza significativamente superiore di iperkaliemia, insufficienza renale, ipotensione e sincope nel braccio trattato con l’associazione. Pertanto l’uso di una associazione di telmisartan e ramipril non è raccomandato in questa popolazione di pazienti. Nello studio “Prevention Regimen For Effectively avoiding Second Strokes” (PRoFESS) nei pazienti di almeno 50 anni che avevano recentemente avuto un ictus è stata osservata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo, 0,70 % verso 0,49 % [RR 1,43 (95 % intervallo di confidenza 1,00 – 2,06)]; l’incidenza dei casi fatali di sepsi era aumentata per i pazienti in trattamento con telmisartan (0,33 %) rispetto ai pazienti in trattamento con placebo (0,16 %) [RR 2,07 (95 % intervallo di confidenza 1,14 – 3,76)]. L’aumentata incidenza di sepsi osservata in associazione all’uso di telmisartan può essere un risultato casuale o correlato ad un meccanismo attualmente non noto. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento: L’assorbimento di telmisartan è rapido, sebbene la frazione assorbita sia variabile. La biodisponibilità assoluta del telmisartan è mediamente del 50% circa. Quando telmisartan viene assunto con il cibo, la riduzione dell’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞) di telmisartan varia tra il 6% (dose di 40 mg) e il 19% circa (dose di 160 mg). Dopo 3 ore dalla somministrazione le concentrazioni plasmatiche risultano simili sia che il telmisartan venga assunto a digiuno che con un pasto. Linearità/non-linearità: Non si ritiene che la lieve riduzione nell’AUC causi una riduzione dell’efficacia terapeutica. Non c'è una relazione lineare tra dosi e livelli plasmatici. La Cmax e, in misura minore, l'AUC aumentano in modo non proporzionale a dosi superiori a 40 mg. Distribuzione: Il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche (>99,5%), in particolare all’albumina e alla glicoproteina acida alfa-1. Il volume medio di distribuzione allo stato stazionario (Vdss) è di circa 500 litri. Metabolismo: Il telmisartan è metabolizzato mediante coniugazione al glucuronide della sostanza originaria. Non è stata dimostrata un'attività farmacologica per il coniugato. Eliminazione: Telmisartan mostra una cinetica di decadimento biesponenziale con un’emivita terminale di eliminazione superiore alle 20 ore. La concentrazione plasmatica massima (Cmax) e, in misura minore, l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞), aumentano in misura non proporzionale alla dose. Quando il telmisartan viene assunto alle dosi consigliate non si evidenzia un accumulo rilevante dal punto di vista clinico. Le concentrazioni plasmatiche sono superiori nella donna rispetto all’uomo, ma ciò non influisce in modo rilevante sull’efficacia. In seguito alla somministrazione orale (ed endovenosa), il telmisartan viene escreto quasi esclusivamente con le feci, soprattutto in forma immodificata. L’escrezione urinaria cumulativa è <1% della dose. La clearance plasmatica totale (Cltot) è elevata (ca. 1000 ml/min) se confrontata al flusso plasmatico epatico (ca. 1500 ml/min). Popolazioni speciali. Effetti legati al genere: Sono state osservate differenze di concentrazioni plasmatiche tra i sessi, nelle donne Cmax e AUC erano rispettivamente 3 e 2 volte superiori rispetto agli uomini. Pazienti anziani: La farmacocinetica del telmisartan non differisce tra i pazienti anziani e i soggetti con meno di 65 anni. Pazienti con disfunzioni renali: Nei pazienti con disfunzioni renali da lievi a moderate e gravi è stato osservato un raddoppio delle concentrazioni plasmatiche. Tuttavia, nei pazienti con insufficienza renale in dialisi sono state osservate concentrazioni plasmatiche inferiori. Nei pazienti affetti da insufficienza renale il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche e non può essere eliminato con la dialisi. Nei pazienti con disfunzioni renali l'emivita di eliminazione non varia. Pazienti con disfunzioni epatiche: Negli studi di farmacocinetica in pazienti con insufficienza epatica è stato osservato un aumento nella biodisponibilità assoluta fino a quasi il 100%. Nei pazienti con disfunzioni epatiche l'emivita di eliminazione non varia. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Negli studi preclinici di tollerabilità e sicurezza, dosi tali da determinare un’esposizione confrontabile a quella del range di dosi da impiegarsi nella terapia clinica hanno causato una riduzione dei parametri eritrocitari (eritrociti, emoglobina, ematocrito), alterazioni nell’emodinamica renale (aumento di azotemia e creatininemia) come anche un aumento nella potassiemia in animali normotesi. Nel cane sono state osservate dilatazione ed atrofia dei tubuli renali. Nel ratto e nel cane sono state osservate inoltre lesioni della mucosa gastrica (erosioni, ulcere o infiammazioni). Questi effetti indesiderati farmacologicamente mediati, come evidenziato dagli studi preclinici sia con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina che con antagonisti del recettore dell'angiotensina II, si possono prevenire somministrando supplementi salini orali. In entrambe le specie sono stati osservati aumento dell’attività della renina plasmatica e ipertrofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali. Tali alterazioni, anch’esse un effetto di tutta la classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e di altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II, non sembrano avere significato clinico. Non vi è alcuna evidenza di un effetto teratogeno, ma studi preclinici hanno mostrato alcuni rischi potenziali di telmisartan nello sviluppo postnatale della prole quali minore peso corporeo, apertura ritardata degli occhi e mortalità più elevata. Non vi è stata alcuna evidenza di mutagenesi, né di attività clastogena rilevante negli studi in vitro né di cancerogenicità nel ratto e nel topo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Povidone (K25) - Meglumina - Sodio idrossido - Sorbitolo (E420) - Magnesio stearato. 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 4 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister di alluminio/alluminio (PA/Al/PVC/Al o PA/PA/Al/PVC/Al). Un blister contiene 7 o 10 compresse. Confezioni: Blister con 14, 28, 30, 56, 84, 90 o 98 compresse o blister divisibile per dose unitaria con 28 x 1 compresse. É possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO. Boehringer Ingelheim International GmbH. - Binger Str. 173. - D-55216 Ingelheim am Rhein - Germania. 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EU/1/98/090/005 (14 compresse). EU/1/98/090/006 (28 compresse). EU/1/98/090/007 (56 compresse). EU/1/98/090/008 (98 compresse). EU/1/98/090/014 (28 x 1 compressa). EU/1/98/090/016 (84 compresse). EU/1/98/090/018 (30 compresse). EU/1/98/090/020 (90 compresse). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Data della prima autorizzazione: 16 dicembre 1998. Data dell’ultimo rinnovo: 16 dicembre 2008. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. 23 Novembre 2009.

Ipertensione - CLASSE A - € 28,72 Prevenzione cardiovascolare non attualmente rimborsata in diItalia Prevenzione cardiovascolare - In attesa- L’indicazione di determinazione delèregime di rimborsabilità da parte AIFA Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu/.


Boehringer Ingelheim e Eli Lilly and Company annunciano un’alleanza strategica per offrire nuove terapie ai pazienti che soffrono di diabete nel mondo

Boehringer Ingelheim e Eli Lilly and Company (NYSE: LLY) hanno annunciato un accordo a livello mondiale per la collaborazione nello sviluppo e nella commercializzazione di principi attivi attualmente in fase di sviluppo intermedio e avanzato, in area diabetologica. Specificatamente la collaborazione riguarda due antidiabetici orali di Boehringer Ingelheim, linagliptin e BI10773, e due analoghi dell’insulina basale di Lilly, LY2605541 e LY2963016, oltre a un’opzione di collaborazione nello sviluppo e commercializzazione dell’anticorpo monoclonale anti TGF-beta di Lilly. L’accordo si basa sulle conoscenze e competenze scientifiche delle due aziende farmaceutiche, entrambe caratterizzate da una forte attività di Ricerca e Sviluppo, per affrontare le necessità di nuove opzioni terapeutiche derivanti dalla crescente diffusione della patologia diabetica a livello mondiale. “Siamo davvero entusiasti di questa nuova alleanza con Boehringer Ingelheim, un’azienda con cui abbiamo già proficuamente collaborato in passato” ha dichiarato Vincenzo Navarra, Lilly Sr Director Diabetes. “La nostra collaborazione ci porterà ad avere una delle pipeline più interessanti di tutto il settore farmaceutico in area diabetologica. Per Lilly questa alleanza amplia la gamma di trattamenti per i pazienti con diabete e rafforza le nostre competenze nell’area terapeutica”. “Boehringer Ingelheim e Lilly hanno deciso di dare vita a una partnership strategica in area diabetologica - ha dichiarato Sergio Lai, Head of Prescription Medicines di Boehringer Ingelheim - in un momento in cui Boehringer Ingelheim sta entrando in un’ulteriore nuova area terapeutica con farmaci innovativi frutto della Ricerca e Sviluppo interni. Questa collaborazione porta a Boehringer Ingelheim e Lilly molti benefici che derivano dall’esperienza di Lilly in diabetologia e dei suoi due analoghi dell’insulina basale in fase di sviluppo, uniti alla ricca pipeline di molecole anch’esse in fase finale di sviluppo di Boehringer Ingelheim”. Vincenzo Navarra Sr Director Diabetes Eli Lilly Italia S.p.A

Sergio Lai Head of Prescription Medicines Boehringer Ingelheim S.p.A.


Depositato presso AIFApresso in dataAIFA .../.../2010 Depositato in data 01/12/2009 Cod. 572761


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