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TRIMESTRALE A CARATTERE SCIENTIFICO Anno VI, N. 1 - Marzo 2011
Diagnosi a colpo d’occhio
Problematiche dermatologiche nel neonato e lattante post-dimissione dal centro nascita La cute rappresenta il mantello impermeabile che segna il confine tra l’individuo ed il mondo esterno.
Le mastocitosi Le mastocitosi rappresentano un gruppo di condizioni caratterizzate da un’abnorme proliferazione ed accumulo tissutale di mastociti.
Il dolore minore in età pediatrica: capire per trattare Il dolore minore è un esperienza frequente nella vita quotidiana del bambino. Resta, tuttavia, ancora oggi un profondo divario tra le conoscenze e la loro applicazione nella pratica clinica quotidiana.
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Sommario 3
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Problematiche dermatologiche nel neonato e lattante post-dimissione dal centro nascita
Presentazione Riflessioni Pediatria vuole essere una rivista di agile consultazione, capace di fornire messaggi clinici precisi e immediati. Di volta in volta verranno pertanto affrontate tematiche di ampio respiro su argomenti pratici e che possano costituire un valido ausilio alla attività professionale del Pediatra.
Le mastocitosi
In questo numero vengono trattate alcune problematiche che ineriscono a temi di fisiologia e patologia delle pelle nel neonato/ lattan-
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Il dolore minore in età pediatrica: capire per trattare
te e viene autorevolmente fatto il punto sul “Dolore minore nel bambino”, un aspetto della patologia del bambino la cui rilevanza clinica è troppo spesso sottovalutata. E’ stata anche introdotta una nuova rubrica: “Diagnosi a colpo
Anno VI, N. 1 Marzo 2011
ria t a i d e Universo P
Periodico trimestrale a carattere scientifico Registrazione Tribunale di Milano n. 607 del 02/10/2006
d’occhio”. Si tratta di un quiz in copertina da risolvere, appunto, a colpo d’occhio, per il quale verranno privilegiati argomenti dermatologici e di immagine. Buona Lettura La redazione
Editore SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: redazione@edizionisinergie.com www.edizionisinergie.com Direttore responsabile Mauro Rissa Direttore scientifico Gian Luigi Marseglia Clinica Pediatrica Università di Pavia Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo Comitato scientifico Giacomo Faldella Mario La Rosa Antonietta Marchi Luigi Nespoli Alessandro Plebani Carmelo Salpietro
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Redazione Sinergie Edizioni Scientifiche S.r.l. Impaginazione Sinergie Edizioni Scientifiche S.r.l. Stampa Galli Thierry Stampa S.r.l. Via Caviglia, 3 - 20139 Milano Tiratura 3.000 copie Copyright ©2011 SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.
Mastocitoma isolato del lattante. Tipica lesione tondeggiante isolata di colore giallo-bruno, classicamente localizzata al tronco. In figura si evince chiaramente il segno di Darier che viene evocato strofinando la lesione. La stimolazione meccanica della lesione determina la rottura della membrana dei mastociti e induce una reazione flogistica locale, osservabile dopo pochi minuti, caratterizzato da marcato eritema circostante le lesione stessa.
Problematiche dermatologiche nel neonato e lattante post-dimissione dal centro nascita La cute rappresenta il mantello impermeabile che segna il confine tra l’individuo ed il mondo esterno. Paolo Manzoni, Elena Gallo Divisione di Pediatria Neonatale - Neonatologia Ospedaliera - NPO Azienda Ospedaliera Materno-Infantile Regina Margherita - S. Anna, Torino
Introduzione
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mese, per la proliferazione centrifuga delle cellule cilindriche dello strato basale si costituisce, fra
Da un punto di vista istologico è costituita da uno
queste ed il periderma, uno strato INTERMEDIO di
strato esterno, l’epidermide, di derivazione ecto-
cellule poliedriche ricche in glicogeno. Per la pro-
dermica, ed uno interno, il derma, di derivazione
liferazione centripeta, sempre dello stesso strato
mesodermica.
basale, traggono origine gli annessi. L’epidermide,
Lo sviluppo dell’epidermide avviene a partire da
nel frattempo si ispessisce e alla sedicesima setti-
quella parte dell’ectoderma che rimane dopo la
mana lo strato intermedio diviene pluristratificato:
differenziazione e separazione del neuroectoder-
strato spinoso.
ma e subito dopo che si è venuto a costituire quel-
Alla diciassettesima settimana, al completamento
lo che alla terza settimana di vita embrionale si
dell’epidermide, il suo strato più profondo diventa
definisce disco neurale e che darà luogo al sistema
germinativo mentre il periderma scompare e viene
nervoso. Questo complesso sistema evolutivo
sostituito dal corneo. Soltanto, all’ultimo momen-
avviene per gradi, infatti sino alla terza settimana
to si costituiscono le ghiandole, i peli, le unghie.
di vita dell’embrione, l’epidermide è costituita da
Intorno all’ottava-decima settimana di vita embrio-
un solo strato di cellule indifferenziate in attiva
nale, si assiste alla migrazione in seno all’epider-
moltiplicazione. Dopo il primo mese si riconosco-
mide di cellule che derivano dalla cresta neurale:
no due strati: quello superficiale definito PERIDER-
i melanoblasti che successivamente, nell’epider-
MA, formato da grandi cellule poligonali appiatti-
mide, si trasformano in melanociti e sono respon-
te secondo la superficie del tegumento, che svolge
sabili del sistema pigmentario cutaneo. Più tardi-
una funzione probabilmente protettiva ed uno
vamente, sempre nell’epidermide, compaiono le
strato profondo o BASALE, costituito da un piano
cellule di Langherans di derivazione mesenchima-
di cellule prima cubiche, poi cilindriche, con fun-
le e le cellule di Merkel da cui prendono origine i
zione proliferativa. Intorno alla fine del quarto
corpuscoli tattili. Dunque l’epidermide non è un
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pre interamente la superficie corporea del feto. Sotto il derma è presente uno strato di grasso di vario spessore che costituisce un importante riserva di energia ed un efficace coibente termico. Per tale sua struttura la cute a partire dall’età neonatale, è una barriera agli insulti esterni di natura chimica, fisica, irradiante, infettiva e meccanica. La maggior parte di questi agisce innescando un meccanismo di ossidazione, con danno cutaneo
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da rilascio di radicali liberi (ROS, reactive oxygen
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species) e conseguenti eritema, edema, alterazioni della cheratinizzazione, skin aging.
Figura
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Peculiarità della cute del neonato a termine La cute rappresenta l’apparato più pesante dell’or-
tessuto uniforme, perché oltre ai cheratinociti di
ganismo, in particolare nel neonato raggiunge la
sicura origine ectodermica, esso alberga anche
sua massima estensione in rapporto al peso corpo-
cellule di origine mesenchimale e neuroectoder-
reo. Ha maggiore capacità di assorbimento rispet-
mica nonché in seguito i linfociti. Lo sviluppo del-
to all’adulto con la possibilità di terapie per via
l’epidermide non è simultaneo nelle varie regioni
percutanea, considerando però il maggior rischio
del corpo, infatti la differenziazione è più rapida a
di tossicità sistemica dopo applicazione locale.
livello delle labbra e più lenta a livello del dorso,
La cute del neonato ha una sensibilità dolorifica
dell’addome e degli arti.
sovrapponibile a quella dell’adulto e pertanto è
L’epidermide è sprovvista di vasi sanguigni e
giustificata l’applicazione preventiva di anestetici
dipende, per i processi metabolici e per i bisogni
in caso di manovre potenzialmente dolorose.
nutritivi dal derma sottostante. Al di sopra dello
Le ghiandole sebacee del neonato sono perfetta-
strato corneo esiste un film idrolipidico costituito
mente funzionanti grazie agli ormoni sessuali
da acqua sali e lipidi che rappresenta il primo e
secreti dalle ghiandole genitali e surrenali in rispo-
più valido meccanismo di difesa contro microrga-
sta alle gonadotropine di origine materna, per tale
nismi provenienti dall’ambiente esterno,di fonda-
motivo alcune patologie legate alla presenza del
mentale importanza in quanto mantiene il PH
sebo, quali milio, acne neonatale e pitiriasi versi-
cutaneo tra 4,2 e 5,6 valori che inibiscono l’attec-
color, si osservano solo nel neonato per poi scom-
chimento e la crescita di batteri funghi e lieviti.
parire sino alla pubertà.
Per quanto riguarda il derma, di origine mesenchi-
Il film lipidico protettivo cambia durante i primi
male, all’inizio è indistinguibile dal tessuto sotto-
mesi di vita: il sebo ghiandolare ricco di cere in
cutaneo. Un embrione di quattro-otto settimane
saponificabili, diminuisce ed è sostituito da lipidi di
contiene cellule mesodermiche indifferenziate
origine cellulare quali il colesterolo dermico deter-
immerse in una sostanza fondamentale amorfa,
minando un aumento di suscettibilità alle infezioni
senza nessuna fibra. Le prime fibre elastiche si
cutanee (in particolare streptococchi e stafilococ-
osservano tra il quinto ed il sesto mese di gravidan-
chi) e un aumento di sensibilità ai detergenti.
za ma la gran parte di esse si costituirà dopo la
Le ghiandole sudoripare eccrine cominciano la
nascita conferendo alla cute maggior elasticità.
loro attività funzionale in modo asincrono: nelle
Nella seconda metà della vita fetale ha luogo una
prime 24-48 ore i neonati non sudano; verso il 3-
abbondante esfoliazione delle cellule superficiali
4° giorno cominciano a comparire le secrezioni
dell’epidermide, legata a un’attiva proliferazione
sudorali soprattutto a livello del viso (fronte, regio-
di quelle profonde.
ne periorale) e del palmo delle mani. Le ghiando-
Il prodotto di questa esfoliazione, insieme ai secre-
le sudoripare apocrine nella cute del neonato sono
ti delle ghiandole cutanee, forma una sostanza
relativamente poco sviluppate e poco funzionanti.
biancastra, vischiosa, la vernice caseosa, che rico-
Per quanto concerne la flora batterica abitualmen-
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te residente sulla cute neonatale, ritroviamo batte-
ne di calore nel soggetto adulto avviene prevalen-
ri quali streptococchi, difteroli, bacilli gram nega-
temente attraverso l'attività muscolare volontaria o
tivi e candida albicans.
involontaria (brivido o tremore). Nel neonato que-
Altra peculiarità della cute neonatale nel primo
sti meccanismi sono ridotti, mentre particolarmen-
mese di vita è una spiccata flogosi eosinofila aspe-
te attivo è il meccanismo di termogenesi chimica,
cifica; una certa facilità al clivaggio dermo-epider-
cioè di produzione di calore a partire da un tessu-
mico ed intra-epidermico (formazione di fessure
to di cui il neonato è provvisto: il tessuto è defini-
responsabili della predisposizione a manifestazio-
to grasso bruno, per differenziarlo dal normale tes-
ni bollose e pustolose); infine una reazione vaso-
suto grasso bianco presente nel soggetto adulto.
motoria squilibrata per immaturità dell’innervazio-
Il “grasso bruno” è particolarmente abbondante
ne dei vasi cutanei responsabile di dermatografi-
nel neonato e ne costituisce il 3-5% del peso tota-
smo vivace e di fenomeni vasomotori (acrocianosi
le; è riccamente vascolarizzato ed innervato ed è
e livedo reticolare da freddo), ma anche di brusche
situato in alcune zone particolari del corpo come
e transitorie variazioni di irrorazione (neonato
la base del collo, attorno al cuore e ai reni, alle
arlecchino).
ghiandole surrenali e fra le scapole. Stimoli freddi
A mano a mano che il neonato cresce è stato
sulla cute del neonato innescano la produzione di
osservato un aumentato potere di riflessione della
calore da parte del grasso bruno che ne impedisce
sua cute. Tale osservazione potrebbe costituire un
così l'abbassamento della temperatura corporea.
metodo valido per la valutazione esatta dell’età
L'aumento della produzione di catecolamine sti-
del neonato: il potere di riflessione infatti è diretta-
mola il metabolismo del grasso bruno. Le cellule
mente proporzionale allo spessore e alla densità
primitive di grasso bruno iniziano a differenziarsi
della cute stessa.
dalla 26a alla 30a settimana di gestazione ed
Il grado di idratazione, molto elevato nel periodo
aumentano in dimensione e numero da 3 a 6 set-
neonatale, diminuisce rapidamente durante il
timane dopo la nascita.
primo anno di vita e poi continua a diminuire
L’ipotermia aumenta in maniera significativa il
molto più lentamente in relazione all’età.
consumo di ossigeno e l’attività metabolica. Ciò
Anche se non è rara una patologia esogena cuta-
è causa di ipossiemia, acidosi, apnea, distress
nea di tipo infettivo, prevalgono le manifestazioni
respiratorio, tutti fattori che possono mettere
legate a malattie ereditarie o a mutazioni avvenu-
seriamente a rischio la vita stessa del neonato. Il
te nel corso della vita fetale. L’epoca neonatale è
calore corporeo tende a disperdersi attraverso i
caratterizzata da una certa immaturità dell’immu-
noti meccanismi di convenzione, conduzione,
nità sia di tipo cellulo-mediata che autoimmune,
radiazione ed evaporazione. Il rapporto fra super-
mentre le reazioni IgE mediate di tipo I sono le più
ficie e volume e massa corporea del neonato è
precoci.
particolarmente alto. La stessa postura, aperta ed
I neonati, in particolar modo i nati pretermine e
esposta e la flaccidità corporea tende a termodi-
prematuri, sono estremamente sensibili alle varia-
sperdere il calore. In seguito all’esposizione a
zioni termiche. Durante la vita endouterina, il feto
basse temperature, i neonati appaiono agitati
è stato abituato ad una temperatura come quella
aumentando la loro attività muscolare come ten-
materna, di circa 37 gradi. All’improvviso, al
tativo di compenso. Allo stesso modo si realizza
momento della nascita, il neonato deve affrontare
un aumento dell’increzione di catecolamine sie-
la temperatura ambientale, notevolmente più
riche nel tentativo di aumentare la produzione di
bassa; deve perciò abituarsi a produrre calore per
calore e salvaguardare i tessuti nobili dagli effet-
opporsi alle perdite di calore che la sua nuova
ti negativi dell’ipotermia.
condizione gli comporta e per non raffreddarsi
Clinicamente, le situazioni patologiche più comu-
deve imparare a termoregolarsi. Si calcola che dal
ni che si riscontrano a carico del neonato in par-
momento della nascita la temperatura corporea
ticolare pretermine sono quindi secondarie alle
del neonato possa scendere di 2 - 3 gradi, se non
seguenti tipologie di lesione:
vengono adottate precauzioni particolari.
• Xerosi: “cute secca”; xerosi con associata flogo-
Per tale motivo, il neonato, viene posto sotto spe-
si cutanea; Desquamazione, Esfoliazione; Cheiliti;
cifiche apparecchiature riscaldanti e deve essere
• Lesioni infiammatorie: Eritemi localizzati e
attentamente asciugato in sala parto. La produzio-
generalizzati, Eruzioni microfollicolari;
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• Lesioni ulcerative e con perdita di sostanza:
seguenti: “idratare” e correggere l’eccessiva
Abrasioni, Esulcerazioni, Fissurazioni, Ustioni,
TEWL, la xerosi, la distrofia; “ungere e protegge-
Macerazione, Ulcere, Piaghe;
re”, e rimediare al fatto che lo SC è più sottile, con
• Lesioni a carico delle mucose: mucositi orali,
meno sebo, meno squalene e meno tocoferolo
genitali, perianali.
negli strati superficiali che in qualsiasi altra età,
Inoltre, va ricordato che esistono patologie siste-
creando artificialmente la barriera epidermica
miche del neonato e del lattante con importante
(skin barrier) che è funzionalmente assente nel
componente o localizzazione dermatologica: le
pretermine; “rigenerare” in caso di fissurazioni,
Infezioni da Candida Albicans che si localizzano a
cheiliti, macerazioni e perdite di sostanza.
cavo orale, podice e perineo; le Sindromi da asti-
Il dermofarmaco ideale in Neonatologia dovrebbe
nenza neonatali (S.A.N., tipiche del neonato di
perciò associare queste caratteristiche di attività ed
madre tossicodipendente) con la loro tipica esul-
efficacia clinica, ed intervenire nel prevenire il
cerazione al podice e pieghe glutee; le Sindromi
prurito aiutando a ripristinare la funzione protetti-
orifiziali; e infine gli Itteri e patologie correlate,
va della pelle.
con talora lesioni indotte da fototerapia. Bibliografia
I criteri fondamentali per la gestione della cute del neonato
- Panizon F, Leone V.”Pelle e DNA”. Medico e Bambino 2003; 4: 221-232. - Fabrizi G. Dermatoligia Pediatrica. Ed.Masson 2004.
Il meccanismo di genesi del danno cutaneo nel
- Thiele JJ, Weber SU, Packer L. “Sebaceous gland
neonato come si vede è sostanzialmente ripetitivo,
secretion is a major physiologic route of Vitamin E
legato essenzialmente al ripetersi del ciclo xerosi
delivery to skin”. J Invest Dermatol 1999; 113:
→ perdita dell’integrità dello strato corneo → flo-
1006-10.
gosi → esulcerazione → perdita di sostanza.
- Nachbar F, Korting HC. “The role of Vitamin E in nor-
Per contrastare l’insulto ossidativo a carico dei
mal and damaged skin”. J Mol Med 1995; 73: 7-17.
lipidi e delle proteine strutturali, la cute umana
- Thiele JJ, Schroeter C, Hsieh SN et al. “The antio-
è equipaggiata da un network di sistemi antios-
xydant network of the stratum corneum:” In Thiele
sidativi di natura enzimatica e non. Le principa-
JJ, Elsner P (eds): Oxidants and Antioxydants in
li azioni svolte da questo network, nel quale tra
cutaneous biology. Curr probl Dermatol. Basel,
i
Karger, 2001, vol 29, pagg 26-42
principali componenti si annoverano il
Tocoferolo e le Ceramidi, sono l’azione antios-
- Gelmetti C. “La Vitamina E topica in dermatologia
sidante a livello dello SC, con inibizione del
pediatrica”.In Ursini F, Caputo R “La Vitamina E in
danno ossidoradicalico e della risposta infiam-
Dermatologia”. CLEUP ed., Padova, 2001. Pagg. 51-64.
matoria cutanea ; una inibizione degli effetti
- Dani C, Reali MF, Bertini G , Panin G, Rubaltelli
negativi dei radicali liberi, quali le alterazioni
FF. “Effects of application of Vitamin E ointment to
della cheratinizzazione; la prevenzione dell’ef-
premature neonates’ skin: preliminary data”. Ped
fetto immunosoppressivo locale esercitato dagli
Res 1999; 45:1127.
UVA ed una azione di contrasto del fotoinvec-
- Dani C, Martelli E, Reali MF, Bertini G , Panin G,
chiamento cutaneo, inibendo l’azione nei fibro-
Rubaltelli FF. “Fiberoptic and conventional phote-
blasti cutanei di collagenasi e proteinchinasi;
rapy effects on the skin of premature infants”. J
una azione di contrasto dell’effetto immunosop-
Pediatr 2001; 138: 438-40.
pressivo locale esercitato dagli stress ossidativi
- Schena S, Richelli C, Pizzini C, Fanos V. “Positive
(catena delle ROS e della lipidoperossidazione);
effects of vitamin E ointment after application of
una azione di stabilizzazione della membrana
sterile bags for urine collection”; in Cabero L,
dei Mastociti (“blocco” della degranulazione
Carrera JM (eds): Perinatology 2001. Bologna,
pro-infiammatoria”), e conseguente importante
Monduzzi, 2001, pp 965-99.
azione antiprurito; infine, la prevenzione, così
- Manzoni P, Gomirato G. “Il Tocoferolo Acetato
come i PUFA, dell’insorgenza delle ulcere da
(Vit.E) per uso topico nella prevenzione e terapia
decubito in soggetti clinicamente scadenti.
delle patologie cutanee nel neonato in TIN: espe-
Pertanto, i criteri di base per prevenire e contrasta-
rienza di un Centro di III^ livello”. Quaderni di
re il danno sono quindi obbligatoriamente i
Pediatria (Suppl. Riv Ital Ped) 2002; Vol 1(1): 97-98.
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Le mastocitosi
Elena Labò, Alessia Marseglia, Chiara Valsecchi, Silvia Caimmi, Davide Caimmi, Anna Maria Castellazzi Clinica Pediatrica Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia Il termine mastocitosi trae la sua origine etimologica dal tedesco “mästung” (mangiare in eccesso). Il termine mastocita, letteralmente quindi “cellula che mangia troppo”, fu coniato da Ehrlich che si ispirò al comportamento istologico di queste cellule, che si coloravano metacromaticamente con i colori di anilina e che sembravano pertanto assumere in eccesso tale colorante. La mastcellula o mastocita è una cellula tondeggiante, ovoidale o fusata, con attività ameboide che si trova nel tessuto connettivo con una particolare distribuzione pericapillare e negli annessi cutanei. Deriva da una cellula midollare staminale totipotente che esprime l’antigene CD34. Il mastocita presenta nel citoplasma numerosi granuli che si colorano metacromaticamente con i coloranti basici che assumono pertanto una caratteristica colorazione rosso-porpora. I granuli citoplasmatici contengono molteplici mediatori dell’infiammazione fra cui: istamina, triptasi, eparina e proteasi. Sono anche presenti gocce lipidiche, che contengono acido arachidonico, precursore della sintesi di cistenilleucotriene C4, prostaglandina D2 e PAF. La membrana plasmatica si evagina in numerose e sottili espansioni sede dei recettori per la porzione Fc delle IgE, che ne giustifica il ruolo nel determinismo delle reazioni allergiche. Dal punto di vista eziopatogenetico la mastocitosi si può definire un disordine proliferativo benigno (molto raramente maligno) del sistema mastocitario caratterizzato da un aumento del numero di mastociti maturi, funzionalmente normali. Non è ancora chiaro tuttavia se la mastocitosi sia da considerare un vero e proprio processo neoplastico o piuttosto un’iperplasia reattiva. A favore di quest’ultima ipotesi depone il decorso benigno della malattia nella maggior parte delle forme cutanee che presentano una tendenza all’autorisoluzione, soprattutto nelle forme ad esordio precoce nei primi mesi di vita. Inoltre, sempre a favore dell’iperplasia reattiva depone anche l’identificazione di un mediatore biologico che favorisce la crescita dei mastociti, chiamato MGF (Mastcell Growth
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Factor) o SCF (Stem Cell Factor) o KL (c-Kit Ligand). Questo fattore si lega ad un recettore presente su mastociti sui melanociti e su altre cellule staminali stimolandone la proliferazione e l’attività funzionale. Un’alterazione a carico di questo meccanismo potrebbe spiegare sia l’iperplasia mastocitaria responsabile della mastocitosi, sia la consensuale iperplasia e iperfunzione melanocitaria, cui consegue l’accumulo di melanina nei cheratinociti e, quindi, l’iperpigmentazione melanica delle aree mastocitarie. A sostegno della ipotesi neoplastica è invece l’identificazione di mutazioni puntiformi somatiche del gene c-Kit. La mutazione più frequentemente riscontrata è la sostituzione di un aminoacido in posizione 816 (Asp → Val). Queste mutazioni sono in grado di attivare la proliferazione mastocitaria indipendentemente dalla presenza del ligando MGF. Le mutazioni riscontrate sono diverse nella mastocitosi sistemica e nella leucemia mastocitaria, ma, ancor più, sono assenti nei bambini con mastocitosi autorisolutiva, in cui è invece presente un’altra mutazione (Gly → Lys). La mastocitosi è una patologia rara, la cui incidenza in Italia non è stata stimata, ma che ha una prevalenza generale nel mondo tra 1/20.000 e 1/40.000. E’ interessante notare come oltre il 65% delle mastocitosi cutanee interessi l’età pediatrica. Dal punto di vista clinico la mastocitosi si esprime in modo estremamente proteiforme. La lesione elementare è costituita da piccole macule, maculo-papule o noduli di colore variabile, dal marrone-ardesia al giallastro; a volte un aggregato molto evidente, il cosiddetto mastocitoma isolato, altre volte, ma raramente, il quadro è quello della mastocitosi cutanea diffusa. La presenza di aggregati di mastociti nella cute, se molto piccola, può non essere evidente all’osservazione clinica, se non nel momento in cui si verifica la degranulazione. I sintomi e segni clinici sono legati alla degranulazione dei mastociti e quindi alla attività biologica dell’ istamina e degli altri mediatori flogistici con-
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Le mastocitosi rappresentano un gruppo di condizioni caratterizzate da un’abnorme proliferazione ed accumulo tissutale di mastociti.
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tenuti nei granuli che vengono liberati: prurito, eritema, edema fino alla formazione di bolle, flushing, orticazione. Il prurito isolato può anche essere l’unico sintomo presente. L’aspetto più tipico della lesione mastocitaria riguarda la tendenza ad andare incontro ad orticazione. L’orticazione è il fenomeno per cui la lesione elementare si arrossa e si gonfia perdendo le caratteristiche cromatiche preesistenti per dare origine ad un pomfo orticarioide. Spesso l’orticazione viene elicitata dalla confricazione contro gli indumenti, dal calore (tipicamente durante e dopo il bagno caldo) o da un banale traumatismo. Compare spontaneamente e altrettanto spontaneamente si risolve nell’arco di 20-30 minuti tornando ad assumere l’aspetto della lesione elementare preesistente. Nella maggior parte dei casi pediatrici l’orticazione diventa meno evidente con la crescita. Un elemento diagnostico di rilievo è costituito dal segno di Darier; il segno di Darier viene evocato strofinando la lesione elementare con il polpastrello dell’indice 5-6 volte e attendendo alcuni minuti. La stimolazione meccanica della lesione induce la rottura della membrana dei mastociti lesionali; la conseguente liberazione di mediatori determina nell’area cutanea circostante un fenomeno flogistico caratterizzato da eritema marcato. In alcuni casi la reazione può essere talmente violenta da portare alla formazione di una bolla. Anche le crisi di fugace arrossamento o flushing sono un segno caratteristico della mastocitosi e si riscontrano prevalentemente nel mastocitoma isolato. Interessano il volto e il tronco fino alla cintura, iniziano bruscamente, senza apparente correlazione con un fattore scatenante, durano da 10 a 30 minuti e regrediscono spontaneamente. Talvolta sono chiaramente in rapporto con uno stimolo esogeno o endogeno in grado di indurre una degranulazione dei mastociti. Si verificano più frequentemente nei primi anni di vita e tendono a ridursi con la crescita. Nelle forme sistemiche possono essere presenti anche altri sintomi, come cefalea, sintomi gastrointestinali (nausea, dolori addominali, diarrea), dolori ossei. Nell’adulto con mastocitosi sistemica, e sensibilizzazione al veleno di imenotteri è stato riscontrato un maggior rischio di anafilassi severa nei confronti di altri allergeni. Sia in adulti sia in bambini affetti da mastocitosi sistemica l’anestesia generale può costituire un fattore di rischio per lo sviluppo di anafilassi. Grande attenzione va posta al rischio di liberazione massiva di mediatori in seguito alla assunzione di taluni farmaci o sostanze in grado di degranulare le mastcellule come codeina e morfina, anticolinergici, salicilati, alcool.
Quadri clinici Sono stati individuati diversi quadri clinici di
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mastocitosi cutanea in base al tipo e al numero di lesioni cutanee, alla presenza di sintomi e segni a carico di altri organi e all’evoluzione della malattia. I quadri più frequenti nel bambino sono il mastocitoma isolato, l’orticaria pigmentosa e la mastocitosi cutanea diffusa. MASTOCITOMA ISOLATO Si presenta in fase di stato come una placca più o meno infiltrata o come una macula, tondeggiante, ovalare o allungata di circa 1-4 cm di diametro. La superficie della macula è rugosa, “a buccia d’arancia”, di colore dal giallo al bruno. Si localizza più frequentemente al tronco, quindi agli arti inferiori, alla testa, al collo e agli arti superiori. Il mastocitoma isolato è solitamente asintomatico o moderatamente pruriginoso e si risolve spontaneamente in alcuni anni. La diagnosi delle forme cutanee è sostanzialmente clinica. Il ricorso all’esame bioptico va riservato a casi selezionati. ORTICARIA PIGMENTOSA (o mastocitosi maculopapulosa) È la forma più frequente di mastocitosi cutanea. Insorge in circa il 50% dei casi entro il sesto mese di vita e i bambini tendono ad avere lesioni più estese dell’adulto. Dal punto di vista morfologico si presenta con numerose macule, papule, noduli o placche dal giallo (forma xantelasmoidea) al bruno scuro che migliorano caratteristicamente nei mesi estivi e si risolvono spontaneamente (90% dei casi) prima della pubertà. I flushing sono meno frequenti che nel mastocitoma isolato. MASTOCITOSI CUTANEA DIFFUSA Si manifesta in genere precocemente, di solito nel primo mese di vita, ma si può osservare anche nell’adulto. È caratterizzata da infiltrazione diffusa della cute da parte dei mastociti, che conferisce alla pelle un aspetto simil-cuoio, che inizialmente può non essere clinicamente evidente. Il prurito è intenso e costante e si possono verificare cefalea e dolori addominali. Se ne distinguono 4 forme: 1. mastocitosi diffusa senza lesioni cutanee 2. mastocitosi diffusa orticarioide 3. mastocitosi diffusa bollosa 4. mastocitosi diffusa pachieritrodermica. MASTOCITOSI SISTEMICA Le forme sistemiche comprendono un gruppo molto eterogeneo e complesso di patologie, in cui vengono annoverate anche alcune forme squisitamente neoplastiche. La mastocitosi sistemica è appannaggio quasi esclusivo dell’adulto. E’ determinata da una diffusa proliferazione dei mastociti in più di un organo (midollo osseo, TGE, linfonodi, milza, fegato, reni e pancreas). La clinica è determinata da sintomi secondari all’infiltrazione degli organi/tessuti da parte dei mastociti
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Maggiore*
Infiltrati mastocitari multifocali densi (>15 mastociti aggregati) in sezioni istologiche di midollo osseo e/o di altri organi extracutanei con immunoistochimica positiva per triptasi o con altri metodi di colorazione dei mastociti.
Minore*
a. Presenza di: > 25% di mastociti di forma fusata in infiltrati mastocitari rilevati in sezioni istologiche di midollo osseo od altro organi extracutanei oppure > 25% di mastociti atipici negli strisci di midollo osseo b. Positività della mutazione puntiforme del codone 816 del KIT (Asp816 Val) nel midollo osseo o in altri organi extracutanei c. Positività per CD2 e/o CD25 in mastociti del midollo osseo o di altri organi extracutanei d. Concentrazioni sieriche di triptasi persistentemente > 20 ng/ml
* La diagnosi di Mastocitosi Sistemica viene posta se sono presenti un criterio maggiore + un criterio minore oppure tre criteri minori.
Tabella (con conseguente compromissione della funzionalità d’organo) e da sintomi mediatore-dipendenti, secondari a rilascio dei mediatori mastocitari. La diagnosi di mastocitosi sistemica viene formulata quando vengono soddisfatti almeno un criterio maggiore e uno minore, o tre minori, come si può osservare nella tabella 1. Non esiste attualmente nessun metabolita mastocitario diagnostico per la mastocitosi. Tuttavia nelle forme sistemiche è possibile dosare alcuni metaboliti nel plasma e nelle urine che possono essere d’aiuto nella diagnosi. L’N-metilistamina urinaria, per esempio, correla con l’estensione e l’attività della mastocitosi. Utile è il dosaggio della triptasi sieriche, che costituisce, peraltro, un criterio minore per la diagnosi di mastocitosi sistemica, di cui esistono due classi, l’alfa e la beta-triptasi. La prima è espressione della quantità globale di mastociti, la seconda, di solito assente nel plasma, esprime il grado di attivazione dei mastociti. Il gold standard diagnostico resta comunque la biopsia cutanea.
Terapia e prognosi La terapia nella mastocitosi cutanea dovrebbe essere presa in considerazione solo in casi selezionati di particolare gravità. Occorre infatti tenere presente che nella gran parte dei casi le manifestazioni tendono a regredire spontaneamente. Nell’adulto con mastocitosi sistemica vi sono segnalazioni di utilizzo di interferon gamma, ciclosporina, corticosteroidi (il cui impiego è in vero controverso: può migliorare il controllo di alcuni sintomi sistemici, ma non è stato dimostrato possa ridurre la proliferazione dei mastociti) e Cladribrina. Promettenti sono gli inibitori delle tirosin chinasi associate a KIT (Imatinib, Dasatinib, etc.) da riservare alle forme più gravi di mastocitosi sistemica. Ci sono alcune importanti novità meritevoli di essere segnalate, come l’impiego di Pimecrolimus nella mastocitosi cutanea, l’utilizzo di Omalizumab, anticorpo monoclonale ricombi-
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1 nante anti IgE nelle mastocitosi sistemiche, e il trattamento, sempre nelle forme sistemiche, degli antileucotrienici. Nei bambini con mastocitosi cutanea senza segni di interessamento sistemico si deve di regola attendere la regressione spontanea della malattia. Solo in casi selezionati, in cui la lesione elementare non accenni all’involuzione naturale a 5 anni dall’esordio, è possibile rivalutare la possibilità che la forma cutanea persista o evolva in una forma sistemica. Bibliografia 1. Correia O, Duarte AF, Quirino P, Azevedo R, Delgado L. Cutaneous mastocytosis: Two pediatric cases treated with topical pimecrolimus. Dermatol Online J. 2010 May 15;16(5):8. 2. Kontou-Fili K, Filis CI, Voulgari C, Panayiotidis PG. Omalizumab monotherapy for bee sting and unprovoked “anaphylaxis” in a patient with systemic mastocytosis and undetectable specific IgE. Ann Allergy Asthma Immunol. 2010 Jun; 104(6):537-9. 3. Renauld V, Goudet V, Mouton-Faivre C, Debaene B, Dewachter P. Case Report: Perioperative immediate hypersensitivity involves not only allergy but also mastocytosis. Can J Anaesth. 2011 Feb 24. 4. Tolar J, Tope WD, Neglia JP. Leukotriene-receptor inhibition for the treatment of systemic mastocytosis. N Engl J Med. 2004 Feb 12;350(7):735-6. 5. Caplan R.M. The natural course of urticaria pigmentosa. Arch. Dermatol. 87, 146-57, 1963. 6. Sperr WR, Jordan JH, Fiegl M, Escribano L, Bellas C, Dirnhofer S, Semper H, SimonitschKlupp I, Horny HP, Valent P. Serum tryptase levels in patients with mastocytosis: correlation with mast cell burden and implication for defining the category of disease. Int Arch Allergy Immunol. 2002 Jun;128(2):136-41. 7. Arnaout RK, Schwartz LB, Irani AM. Apnea as a manifestation of mast cell activation in an infant with mastocytosis. J. Allergy Clin. Immunol. 100, 850-1, 1997. 8. Vano-Galvan S, De la Hoz B, Nuñez R, Jaen P. Indolent systemic mastocytosis. Isr Med Assoc J. 2010 Mar;12(3):185-7.
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Il dolore minore in età pediatrica: capire per trattare Il dolore minore è un esperienza frequente nella vita quotidiana del bambino. Resta, tuttavia, ancora oggi un profondo divario tra le conoscenze e la loro applicazione nella pratica clinica quotidiana. Elena Chiappini, Maurizio de Martino Dipartimento di Scienze per la Salute della Donna e del Bambino,Università di Firenze Fra le errate concezioni riguardanti il dolore minore vi quella che esso sia tale perchè di minore severità, che non debba essere trattato e che vada invece trattata solo la patologia di base che lo ha causato. Al contrario il dolore minore può essere severo ed è denominato così solamente perché la patologia che ne è alla base viene solitamente considerata non grave (ad esempio l’otite media acuta, la faringotonsillite acuta o la cefalea). Esso deve essere quindi valutato con apposite scale e trattato con tecniche non farmacologiche e farmacologiche. Tra queste ultime, ibuprofene e paracetamolo sono i farmaci di scelta nel trattamento quotidiano del dolore minore.
Introduzione Il dolore è una condizione molto diffusa in età pediatrica. Da uno studio condotto negli Stati Uniti e includente circa 750 bambini sani è risultato che oltre l’80% dei partecipanti aveva avuto un episodio di sintomatologia dolorosa nei tre mesi precedenti e, in oltre la metà dei casi, questo aveva inciso sulle normali attività quotidiane causando, ad esempio, disturbi del sonno, interruzione degli hobby, problemi di appetito, assenze da scuola (1-6). Nella gestione del dolore, tuttavia, per motivi diversi, sono diffusi credenze e comportamenti errati sia da parte di alcuni medici che da parte dei genitori o tutori dei bambini (1). Fino a pochi anni fa, ad esempio, si riteneva che il neonato non percepisse dolore avendo vie neuronali immature (2). Dati più recenti hanno mostrato invece che l’incompleta mielinizzazione delle fibre nervose provoca un rallentamento della risposta riflessa e quindi addirittura una maggiore percezione del dolore (3). L’esperienza dolorosa provata precocemente può influenzare il processo nocicettivo per il resto della vita. Altri diffusi preconcetti
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sul dolore sono la convinzione che esso faccia parte della malattia e quindi che, trattando la malattia, scompaia anche il dolore, che il dolore non possa essere valutato nel bambino pre-verbale e che il dolore minore non debba essere trattato (4). Un altro concetto errato è che il trattamento del dolore ritardi la diagnosi della patologia. Al contrario, utilizzando dei dati disponibili per l’adulto sul trattamento del dolore addominale acuto, è stato dimostrato che l’analgesia in questi pazienti non comporta un rischio maggiore di diagnosi non corretta, o di morbidità, complicanze e, inoltre, non influenza le decisioni diagnostiche ed i tempi di ricovero (5). Allo stesso modo una recente revisione sistematica, che ha incluso quattro trial clinici condotti sull’utilizzo dell’analgesia nel bambino con dolore addominale acuto, ha evidenziato l’efficacia dell’analgesia in tutti gli studi, senza che a questa si associasse una riduzione dell’accuratezza diagnostica (6).
Cosa sono il dolore ed il dolore minore? Secondo la International Association for the Study of Pain, il dolore è una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata ad un danno tissutale reale o potenziale. Non si tratta quindi di una semplice percezione ma di una complessa esperienza sensoriale che si concretizza in una “emozione” ed alla quale si associa un ricordo (7). Esistono diversi tipi di dolore: acuto (ad esempio l’otalgia nell’otite media acuta, o il dolore traumatico), post-operatorio, da procedura, il dolore nel paziente oncologico ed il dolore cronico ricorrente (ad esempio nel bambino con dolori addominali ricorrenti o cefalea). Ognuno di questi tipi di dolore prevede approcci particolari, ma in ogni caso è necessaria la valutazione ed il trattamento. Il dolore minore è un dolore acuto alla base
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figurativo oppure a valori numerici, il dolore che prova attraverso un’autovalutazione, cioè una descrizione dell’intensità del proprio dolore. E’ necessario spiegare al bambino il funzionamento della scala e aiutarlo a prendere confidenza con lo strumento di valutazione che si intende sottoporgli (9, 10). Alcuni esempi sono la scala visuo-analogica (VAS) e la scala numerica che possono essere utilizzate a partire dai 6 anni, la scala delle faccine che è adatta a bambini tra i 3 e i 7 anni e la scala dei colori Eland per i bambini con più di 5 anni (11) (tabella 1). Le scale di eterovalutazione si utilizzano in bambini che non sono in grado di comunicare, ad esempio bambini di età inferiore a 3 anni, o con ritardo cognitivo o privi di coscienza o sedati. Consistono nella rilevazione di segni clinici obiettivi da parte dell’operatore-osservatore che verifica la presenza del dolore e la sua intensità, confrontando parametri comportamentali e indicatori fisiologici del bambino, con situazioni di riferimento alle quali è attribuito un valore numerico (12-15). Gli indicatori fisiologici esprimono le risposte corporee a uno stimolo nocicettivo quali aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, variazioni della pressione arteriosa, sudorazione palmare, alterazioni della saturazione di ossigeno. I parametri comportamentali sono rappresentati da pianto, postura (posizione antalgica), movimenti del corpo, espressioni facciali, vocalizzazioni (lamenti e gemiti), disturbi del sonno e dell’alimen-
del quale vi è un patologia comune e solitamente ritenuta non grave (ad esempio l’otite media acuta, la faringotonsillite, la stomatite, la cefalea). Il dolore minore quindi non è definito tale per la sua intensità ridotta, potendo essere anche severo. E’ importante ricordare che tutte le componenti del dolore (danno tissutale, emotività, ricordo) vivono anche nel dolore minore (7).
Come si valuta il dolore? Misurare il dolore significa quantificare il grado di sofferenza ed esprimerlo attraverso valori numerici. Per avere un significato, la valutazione deve essere ripetuta regolarmente e il dolore deve essere misurato prima e dopo l‘intervento impiegato per il controllo del dolore; così facendo, l’operatore ha il feedback necessario per verificare l’efficacia dell‘intervento stesso. Ad esempio in generale una terapia antidolorifica può considerarsi efficace se ad essa si associ una riduzione del dolore del 50%. Non esiste un unico metodo di misurazione che sia adatto per tutti i bambini. Sono infatti oltre 60 le scale di misurazione disponibili per valutare il dolore nei lattanti, nei bambini e negli adolescenti (8). Le scale per la valutazione del dolore si distinguono in due tipologie: scale di autovalutazione e scale di eterovalutazione. Le scale di autovalutazione richiedono collaborazione da parte del bambino che deve descrivere, rispetto ad un modello
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Scale di autovalutazione (11) Scala VAS
E’ una scala graduata (0-10 cm) ai cui estremi corrispondono le categorie di “massimo dolore” e “nessun dolore”. Il bambino posiziona un cursore mobile a livello del dolore provato. Si interviene per un dolore = 4.
Scala numerica
E’ una scala visivo analogica graduata da 0 a 10. Si interviene per un dolore = 3.
Scala delle faccine
Il bambino deve indicare, tra le 6 faccine rappresentate, quella che rappresenta l’intensità del suo dolore. Ad ogni faccina viene associato un numero, si interviene per un dolore = 2.
Scala dei colori (di Eland)
Viene chiesto al bambino di scegliere tra 4 colori corrispondenti a livelli diversi di dolore e di localizzare la sede del dolore su una figura che rappresenta un bambino di fronte e di schiena. Tabella
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Scale di eterovalutazione (11) Scala CHEOPS
E’ utilizzata nella misurazione del dolore post-operatorio. Si basa sulla valutazione di 6 parametri quali il pianto, l’espressione facciale, la verbalizzazione, l’atteggiamento del dorso, la tendenza a toccare la parte dolente, la posizione degli arti.
Scala CRIES
Considera 5 indicatori (pianto, necessità di ossigeno, indicatori vitali, espressione facciale, insonnia) valutati con un punteggio da 0 a 2. Si tratta con un punteggio = 3.
Scala PIPP
Valuta la variazione di 5 parametri (corrugamento della fronte, chiusura degli occhi, accentuazione del solco nasolabiale, frequenza cardiaca, saturazione di ossigeno) nei primi 30 secondi dopo l’evento doloroso.
Scala FLACC
Rileva 5 indicatori quali l’espressione del volto, la posizione delle gambe, l’attività, il pianto, la consolabilità a cui viene assegnato un punteggio da 0 a 2. Il dolore è trattato per un punteggio = 5.
Tabella
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tazione. Ne sono esempi le scale CRIES e PIPP per i neonati, la scala FLACC per i bambini in età preverbale e la scala CHEOPS per i bambini tra 1 e 7 anni (11) (tabella 2).
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Quando e come trattare il dolore minore?
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Il dolore è un’esperienza soggettiva che coinvolge varie sfere della vita del bambino. E’ quindi necessario un approccio personalizzato e multidisciplinare. Nel bambino, non trattare il dolore, anche quello minore non è etico (16). E’ corretto trattare anche solo nel dubbio di dolore e soprattutto non attendere che il dolore peggiori o che passi da solo. Ad esempio nell’otite media acuta, soprattutto nelle prime 24 ore, le linee guida italiane della Società Italiana di Pediatria raccomandano che il dolore debba essere trattato sempre e indipendentemente dall’impostazione o meno della terapia antibiotica (17). Per il trattamento del dolore si possono utilizzare tecniche farmacologiche e non. Le tecniche non farmacologiche sono tecniche psicologiche a carattere cognitivo-comportamentale che, sfruttando la fantasia e la capacità di immaginazione tipiche dell’età evolutiva, aiutano il bambino a concentrarsi su un’immagine positiva o comunque diversa dallo stato di dolore che sta vivendo. Alcuni esempi sono la distrazione, le tecniche di respirazione, il rilassamento, la visualizzazione e la desensibilizzazione (18-20). La distrazione è una tecnica volta a focalizzare l’attenzione del bambino su uno stimolo alternativo al dolore, alterando la sua percezione sensoriale e allontanando ansia e paura legate al dolore. A questo scopo possono essere utilizzati libri, bambole, pupazzi (18, 19). Un ruolo particolare è svolto dalle bolle di sapone che agiscono sia attraverso la distrazione che il rilassamento del bambino. Le tecniche di respirazione e il rilassamento aiutano a ridurre ansia e tensione. La visualizzazione è una tecnica cognitivo-comportamentale complessa che consiste nell’utilizzo dell’immaginazione al fine di concentrare l’attenzione del bambino su un’immagine mentale di un’esperienza piacevole anziché sul dolore (20). La desensibilizzazione è una tecnica che, attraverso la concentrazione, riesce ad abbassare la sensibilità di una precisa zona corporea. Nel neonato vengono utilizzate altre tecniche come il contenimento, il metodo del marsupio, il massaggio dolce, la somministrazione di saccarosio, la suzione, l’allattamento al seno e la saturazione sensoriale (21, 22). Tra questi, il metodo più usato è la somministrazione di saccarosio, tramite il ciucciotto o tramite una siringa, il cui effetto è quello di favorire il rilascio di oppioidi endogeni e, quindi, ridurre lo stress del neonato. La stessa suzione, anche senza l’uso di sostanze aggiuntive, è in grado di ridurre il dolore da procedura (21). Per quanto riguarda le tecniche farmacologiche è importante un corretto uso dei farmaci analgesici. E’ fondamentale la scelta del farmaco in base all’intensità del dolore, seguendo le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, partendo da un analgesico non oppiaceo per il dolore lieve fino ad un oppiaceo per il dolore grave (23). La terapia prevede un approccio a scalini che aumentano con l’intensità del dolore con anti-
infiammatorio non steroideo (come ad esempio ibuprofene) o paracetamolo al primo scalino (dolore lieve; con score < 6); paracetamolo-codeina, paracetamolo associato a anti-infiammatorio non steroideo oppure tramadolo al secondo scalino (dolore moderato; score:6-8); oppioidi al terzo scalino (dolore grave; score >8) (23). Ove possibile la terapia dovrebbe essere somministrata secondo uno schema e non al bisogno, in modo che il bambino non debba provare dolore prima di ricevere il trattamento. I farmaci dovrebbero essere somministrati secondo la via più semplice, più efficace e ovviamente non dolorosa (23). Un caposaldo della terapia antidolorifica è infatti che anch’essa debba, a sua volta, provocare dolore (23). Le linee guida della World Health Organization & International Association for the Study of Pain raccomandano l’uso di paracetamolo o ibuprofene per il trattamento del dolore di intensità lieve o moderata nel bambino (24). Va rimarcato che la somministrazione orale di questi farmaci è da preferire a quella rettale soprattutto per il rischio di errori nel dosaggio del farmaco e con potenziali rischi di effetti indesiderati in particolare epatotossicità (paracetamolo). Riguardo alla differenza di effetto antidolorifico tra i due farmaci, è una metanalisi del 2004 includente 17 studi randomizzati controllati in doppio cieco in bambini di età inferiore ai 18 anni ha dimostrato un comparabile effetto antidolorifico fra i due farmaci a 2 ore [rischio relativo (RR)=14, intervallo di confidenza al 95% (IC95%): 0,82-1,58)] e a 4 ore [RR=1,11, IC95%: 0,89-1,38] (25). Altri studi hanno confermato una sostanziale equivalenza o una certa superiorità dell’ibuprofene per l’efficacia antidolorifica (26-30). A proposito della sicurezza di questi farmaci devono essere citati due studi randomizzati controllati condotti rispettivamente su 84.000 bambini dai 6 mesi ai 12 anni e su 27.000 bambini di età inferiore ai 2 anni, in cui non si riscontrano significative differenze tra ibuprofene e paracetamolo (31, 32). Questo risultato è stato confermato da altre recenti pubblicazioni (25, 33), tra cui una revisione sistematica del 2009, condotta su 24 trials randomizzati controllati e 12 studi di altro tipo (34). Questa revisione dimostra l’assenza di significative differenze nel rischio relativo di reazioni sistemiche tra ibuprofene e paracetamolo (34). Di 21.305 pazienti trattati con ibuprofene, 2937 (13,78%) hanno presentato eventi avversi sistemici contro i 1466 eventi avversi presentati da 11.164 (13,13%) soggetti trattati con il paracetamolo (RR=1,03 e IC95%: 0,98-1,10) (34). I farmaci risultano quindi ben tollerati ai dosaggi previsti, anche se vi sono recenti segnalazioni di epatotossicità da paracetamolo anche a dosaggi corretti (35). L’impiego combinato di ibuprofene e paracetamolo soprattutto a scopo antipiretico stia diventando molto diffuso (36, 37). L’impiego alternato di ibuprofene e paracetamolo potrebbe tuttavia, essere associato a incrementato rischio di sovradosaggi ed ad aumentata tossicità renale, in quanto l’ibuprofene inibisce la produzione renale di glutatione che, fisiologicamente, detossifica un metabolita nefrotossico del paracetamolo, prevenendone così l’accumulo (38). Per tali motivi anche le linee guida della Società italiana di Pediatria per il trattamento del sintomo
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segno febbre nel bambino sconsigliano l’uso combinato o alternato di ibuprofene e paracetamolo (39). Un’altra possibilità per il trattamento del dolore moderato consiste nell’utilizzo dell’associazione paracetamolo-codeina in alternativa al solo paracetamolo (40-42). In una recente meta-analisi è stata confrontata direttamente l’efficacia antidolorifica di paracetamolo e di paracetamolo-codeina in pazienti adulti per il controllo del dolore post-operatorio, dimostrando che l’aggiunta di codeina aumenta del 10-15% la proporzione di pazienti che raggiungono una riduzione del 50% del dolore in 4-6 ore, diminuendo inoltre del 15% la proporzione di pazienti che necessitano una dose addizionale di farmaco (number needed to treat [NNT] per prevenire una ri-medicazione: 6,9 (4,2-19,0)], con un incremento tuttavia dell’incidenza di eventi avversi, principalmente nausea e vomito (40). Occorre tuttavia sottolineare che questi dati riguardano il trattamento di un tipo particolare di dolore, quello post-operatorio, nell’adulto, non potendo essere quindi generalizzati a tutti i tipi di dolore ed ancor meno all’età pediatrica. I dati nel bambino a questo proposito sono scarsi. Le linee guida statunitensi per il trattamento dell’otite media acuta non prevedono l’uso dell’associazione paracetamolo-codeina se non in casi di dolore particolarmente severo che non abbia risposto agli altri presidi farmacologici (ibuprofene o paracetamolo) (43). L’utilizzo di codeina inoltre di età è sconsigliato nel lattante (44, 45). Si deve infatti ricordare che l’azione analgesica della codeina dipende dalla conversione in morfina ad opera di CYP2D6 la cui attività è ridotta nel neonato (45). Circa il 10% della popolazione è lento metabolizzatore di codeina e presenta scarsa risposta al farmaco. Al contrario, a causa di variazioni genetiche, circa il 5,5% della popolazione in Europa occidentale presenta un notevole aumento dell’attività dell’enzima CYP2D6. Questi soggetti sono definiti “metabolizzatori ultra-rapidi” ed in essi è più probabile che si manifestino effetti indesiderati in seguito alla assunzione di codeina poiché convertono la codeina in morfina più velocemente ed in maggiori quantità. In donne metabolizzatrici ultra-rapide che allattano può verificarsi un aumento delle concentrazioni di morfina nel sangue e nel latte, con conseguente aumento del rischio di reazioni avverse nel bambino. A questo proposito è stato riportato un caso di decesso di un neonato allattato al seno materno per intossicazione da morfina associata all’uso nella madre di dosi terapeutiche di codeina (45). La madre è risultata essere una metabolizzatrice ultra-rapida di codeina (45). Sono inoltre stati descritti casi di apnea con conseguente danno cerebrale in bambini metabolizzatori ultra-rapidi (46). Infine ricordiamo che in alcune situazioni particolari, in aggiunta alla terapia sistemica può essere eseguita una terapia topica. Ad esempio, le linee guida italiane per il trattamento dell’otalgia raccomandano a somministrazione di antidolorifici a dosaggio adeguato per via sistemica (ibuprofene o paracetamolo) (17). Nei bambini oltre i 3 anni di vita, tuttavia, è accettabile la somministrazione topica di soluzioni analgesiche (lidocaina 2%) in soluzione acquosa, in aggiunta alla terapia antalgi-
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ca sistemica, nelle prime 24 ore dalla diagnosi di OMA con otalgia da moderata a severa, in assenza di perforazione timpanica (17). In conclusione, ibuprofene e paracetamolo sono i farmaci di scelta nel trattamento quotidiano del dolore minore tenendo conto degli effetti positivi e negativi che caratterizzano ognuna di queste molecole. Occorre tuttavia ricordare che tali farmaci, nonostante siano utili nel ridurre la sintomatologia dolorosa, non hanno effetto sulla durata dei sintomi e sulla gravità della malattia di base (47). L’associazione di paracetamolo e codeina ha un effetto antidolorifico nel dolore severo superiore rispetto al solo paracetamolo. Tuttavia sono possibili effetti collaterali. Inoltre alcuni soggetti sono geneticamente predisposti a sviluppare effetti collaterali gravi da codeina. Resta tuttavia un profondo gap tra conoscenze e applicazioni pratiche quotidiane. L’utilizzo di trattamenti aggiornati, la promozione della ricerca e della formazione sono ancora importanti priorità. Bibliografia 1. Schmucker P, Roth-Isigkeit A, Thyen U. Pain among children and adolescents: restrictions in daily living and triggering factors. Pediatrics 2005;115:152-62. 2. Swafford L, Allen D. Pain relief in the pediatric patients. Med Clin North Am 1968;52:1131-6. 3. Anand KJ, Phil D, Hickey PR. Pain and its effects in neonate and fetus. N Engl J Med 1987;317:1321-9. 4. Zempsky WT, Loiselle KA, McKay K, Lee BH, Hagstrom JN, Schechter NL. Do children with sickle cell disease receive disparate care for pain in the emergency department? 2009;122:154-60. 5. Manterola C, Astudillo P, Losada H, Pineda V, Sanhueza A, Vial M. Analgesia in patients with acute abdominal pain. Cochrane Database Syst Rev 2007:CD005660. 6. Sharwood LN, Babl FE. The efficacy and effect of opioid analgesia in undifferentiated abdominal pain in children: a review of four studies. Paediatr Anaesth 2009;19:445-51. 7. Berde CB, Sethna NF. Analgesics for the treatment of pain in children. N Engl J Med 2002;347:1094-103. 8. Champion GD, Goodenough B,Von Baeyer CL. Measurement of pain by self-report. In: Finley GA, McGrath PJ. Measurement of pain in infants and children. Progress in pain research and management, 10. Seattle: IASP Press, 1998:123-60. 9. Beyer J, Aradine C. Patterns of pediatric pain intensity. A methodological investigation of a selfreport scale. Clin J Pain 1987;3:130-41. 10. Wong DL, Baker CM. Pain in children: comparison of assessment scales. Pediatr Nurs 1988; 14:9-17. 11. Cohen LL, Lemanek K, Blount RL, Dahlquist LM, Lim CS, Palermo TM, McKenna KD, Weiss KE. Evidence-based assessment of pediatric pain. J Pediatr Psychol 2008;33:939-55. 12. Grunau RVE, Craig KD. Pain expression in neonates: facial action and cry. Pain 1987,28:395-402. 13. McGrath PJ, Johnson G, Goodman JT. CHEOPS: a behavioural scale for rating postoperative pain in children. In: Fields HL, Dubner R, Cervero F. Advances in pain research and therapy,9. New York: Raven Press, 1985:395-402. 14. Krechel SW, Bildner J. CRIES: a new neonatal postoperative pain measurement score. Initial testing of validi-
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N. 1, 2011
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALENUROFEN FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero. NUROFEN FEBBRE E DOLOREBambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVAOgni ml di sospensione orale contiene: Principio attivo: ibuprofene 20 mg. Eccipienti: sciroppo di maltitolo 450 mg Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Sospensione orale. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Trattamento sintomatico della febbre e del dolore lieve o moderato. 4.2 Posologia e modo di somministrazione La dose giornaliera e strutturata in base al peso ed all’eta del paziente. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della dose minima efficace per la durata di trattamento più breve possibile necessaria per controllare i sintomi (vedere paragrafo 4.4). Nei bambini di età compresa tra 3 e 6 mesi limitare la somministrazione a quelli di peso superiore ai 5,6 kg. La somministrazione orale a lattanti e bambini di età compresa fra 3 mesi e 12 anni dovrebbe avvenire mediante siringa dosatrice o cucchiaino dosatore forniti con il prodotto. La scala graduata presente sul corpo della siringa riporta in evidenza le tacche per i diversi dosaggi;in particolare la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. Il cucchiaino dosatore riporta due tacche per due diversi dosaggi: la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. La dose giornaliera di 20-30 mg/kg di peso corporeo, suddivisa 3 volte al giorno ad intervalli di 6-8 ore, puo essere somministrata sulla base dello schema che segue. PESO 5.6-7 Kg 7 -10 Kg 10 - 15 Kg 15 - 20 Kg 20 - 28 Kg 28 - 43 Kg
Età 3 - 6 mesi 6 - 12 mesi 1 - 3 anni 4 - 6 anni 7 - 9 anni 10 - 12 anni
DOSE singola in ml 2,5 ml 2,5 ml 5 ml 7,5 ml (5 ml + 2,5 ml) 10 ml 15 ml
n° massimo di SOMMINISTRAZIONI/giorno 3 nelle 24 ore
Nel caso di febbre post-vaccinazione riferirsi al dosaggio sopra indicato,somministrando una dose singola seguita,se necessario,da un’altra dose dopo 6 ore. Non somministrare più di due dosi nelle 24 ore. Consultare il medico se la febbre non diminuisce. Il prodotto e inteso per trattamenti di breve durata. Consultare il medico se i sintomi persistono per più di tre giorni. Nei bambini di età inferiore ai sei mesi consultare il medico se i sintomi persistono dopo 24 ore di trattamento. Istruzioni per l’utilizzo della siringa dosatrice: 1 – Svitare il tappo spingendolo verso il basso e girandolo verso sinistra. 2 – Introdurre a fondo la punta della siringa nel foro del sottotappo. 3 – Agitare bene. 4 – Capovolgere il flacone, quindi, tenendo saldamente la siringa, tirare delicatamente lo stantuffo verso il basso facendo defluire la sospensione nella siringa fino alla tacca corrispondente alla dose desiderata. 5 – Rimettere il flacone in posizione verticale e rimuovere la siringa ruotandola delicatamente. 6 – Introdurre la punta della siringa nella bocca del bambino, ed esercitare una lieve pressione sullo stantuffo per far defluire la sospensione. Dopo l’uso avvitare il tappo per chiudere il flacone e lavare la siringa con acqua calda. Lasciarla asciugare, tenendola fuori dalla portata e dalla vista dei bambini. 4.3 Controindicazioni • Ipersensibilità all’ibuprofene o ad uno qualsiasi degli eccipienti. • Bambini di età inferiore a 3 mesi o di peso inferiore a 5,6 kg. • Ipersensibilità all’acido acetilsalicilico o ad altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS), in particolare quando l’ipersensibilità è associata a poliposi nasale e asma. • Ulcera peptica attiva. • Grave insufficienza renale o epatica. • Severa insufficienza cardiaca. • Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti attivi o storia di emorragia / ulcera peptica ricorrente (due o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). • Uso concomitante di FANS,compresi gli inibitori specifici della COX-2. • Gravidanza e allattamento (vedere paragrafo 4.6). 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Dopo tre giorni di trattamento senza risultati apprezzabili consultare il medico. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari). L’uso di Nurofen Febbre e Dolore deve essere evitato in concomitanza di FANS, inclusi gli inibitori selettivi della COX-2. Gli analgesici, antipiretici, antinfiammatori nonsteroidei possono causare reazioni di ipersensibilità, potenzialmente gravi (reazioni anafilattoidi), anche in soggetti non precedentemente esposti a questo tipo di farmaci. Il rischio di reazioni di ipersensibilità dopo assunzione di ibuprofene e maggiore nei soggetti che abbiano presentato tali reazioni dopo l’uso di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei e nei soggetti con iperreattività bronchiale (asma), poliposi nasale o precedenti episodi di angioedema (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.8 ). Emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione: durante il trattamento con tutti i FANS, in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente storia di gravi eventi gastrointestinali, sono state riportate emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali. Anziani: i pazienti anziani hanno un aumento della frequenza di reazioni avverse ai FANS, specialmente emorragie e perforazioni gastrointestinali, che possono essere fatali (vedere paragrafo4.2). Negli anziani e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto se complicata da emorragia o perforazione (vedere paragrafo 4.3), il rischio di emorragia gastrointestinale, ulcerazione o perforazione e più alto con dosi aumentate di FANS. Questi pazienti devono iniziare il trattamento con la più bassa dose disponibile. L’uso concomitante di agenti protettori (es. misoprostolo o inibitori di pompa protonica) deve essere considerato per questi pazienti ed anche per pazienti che assumono basse dosi di aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di eventi gastrointestinali (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con storia di tossicità gastrointestinale, in particolare anziani, devono riferire qualsiasi sintomo gastrointestinale inusuale (soprattutto emorragia gastrointestinale) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento. Cautela deve essere prestata ai pazienti che assumono farmaci concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o sanguinamento, come corticosteroidi orali, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina o agenti antiaggreganti come l’aspirina (vedere paragrafo 4.5). Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono Nurofen Febbre e Dolore, il trattamento deve essere sospeso. I FANS devono essere somministrati con cautela ai pazienti con una storia di malattia gastrointestinale (colite ulcerosa, morbo di Crohn) poiché tali condizioni possono essere esacerbate (vedere paragrafo 4.8). Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa, sindrome di Stevens–Johnson e necrolisi tossica epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedi paragrafo 4.8). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più alto rischio: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento. Nurofen Febbre e Dolore deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni della mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità. Cautela è richiesta prima di iniziare il trattamento nei pazienti con anamnesi positiva per ipertensione e/o insufficienza cardiaca poiché in associazione al trattamento con i FANS sono stati riscontrati ritenzione di liquidi, ipertensione ed edema. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus). In generale, gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (es. ≤ 1200 mg/die) siano associati ad un aumento del rischio di infarto del miocardio. I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considerazioni devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi cardiovascolari (es. ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo). L’uso di ibuprofene, di acido acetilsalicilico o di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei, richiede particolare cautela: • in caso di asma: possibile broncocostrizione; • in presenza di difetti della coagulazione: riduzione della coagulabilità; • in presenza di malattie renali, cardiache o di ipertensione: possibile riduzione critica della funzione renale (specialmente nei soggetti con funzione renale o epatica compromessa, insufficienza cardiaca o in trattamento con diuretici), nefrotossicità o ritenzione di fluidi; • in presenza di malattie epatiche: possibile epatotossicità; • reidratare il soggetto prima dell’inizio e nel corso del trattamento in caso di disidratazione (ad esempio per febbre, vomito o diarrea); Le seguenti precauzioni assumono rilevanza nel corso di trattamenti prolungati: • sorvegliare i segni o sintomi di ulcerazioni o sanguinamenti gastrointestinali; • sorvegliare i segni o sintomi di epatotossicità; • sorvegliare i segni o sintomi di nefrotossicità; • se insorgono disturbi visivi (vista offuscata o ridotta, scotomi, alterazione della percezione dei colori): interrompere il trattamento e consultare l’oculista; • se insorgono segni o sintomi di meningite: valutare la rara possibilità che essa sia dovuta all’uso di ibuprofene (meningite asettica; più frequente nei soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico o altre collagenopatie). Poiché Nurofen Febbre e Dolore contiene maltitolo, i pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale. Nurofen Febbre e Dolore non contiene zucchero ed è pertanto indicato per quei pazienti che devono controllare l’apporto di zuccheri e calorie. Ogni dose da 2,5 ml di sospensione contiene 4,63 mg (0,20 mmol) di sodio; ciò deve essere tenuto in considerazione nei casi sia raccomandata una dieta povera di sodio. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione Le seguenti interazioni sono comuni all’ibuprofene, all’acido acetilsalicilico e agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS): • evitare l’uso contemporaneo di due o più analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei: aumento del rischio di effetti indesiderati • corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) • antibatterici: possibile aumento del rischio di convulsioni indotte da chinolonici • anticoagulanti: i FANS possono aumentare gli effetti degli anticoagulanti, come il warfarin (vedereparagrafo4.4)• agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del rischio di emorragie gastrointestinale (vedereparagrafo4.4)• antidiabetici: possibile aumento dell’effetto delle sulfaniluree • antivirali: ritonavir, possibile aumento della concentrazione dei FANS • ciclosporina: aumentato rischio di nefrotossicità • citotossici: metotressato, riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • litio: riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • tacrolimus: aumentato rischio di nefrotossicità • uricosurici: probenecid, rallenta l’escrezione dei FANS (aumento delle concentrazioni plasmatiche) • metotrexato: potenziale aumento della concentrazione plasmatica di metotrexato • zidovudina: rischio aumentato di emartrosi ed ematomi in emofilici HIV (+) se trattati
contemporaneamente con zidovudina e ibuprofene • diuretici, ACE inibitori e Antagonisti dell’angiotensina II: i FANS possono ridurre l’effetto dei diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compromessa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani con funzione renale compromessa) la co-somministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono il sistema della ciclo-ossigenasi può portare a un ulteriore deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono Nurofen Febbre e Dolore in concomitanza con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio della terapia concomitante. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene (vedere paragrafo 5.1). 4.6 Gravidanza e allattamento È improbabile che soggetti di età inferiore a 12 anni vadano incontro a gravidanza, o allattino al seno. Peraltro, in tali circostanze bisogna tenere presente le seguenti considerazioni. L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale. Risultati di studi epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di malformazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della sintesi di prostaglandine nelle prime fasi della gravidanza. Il rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia. Negli animali, la somministrazione di inibitori della sintesi di prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale. Inoltre, un aumento di incidenza di varie malformazioni, inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle prostaglandine durante il periodo organogenetico. Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi delle prostaglandine possono esporre il feto a: tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); disfunzione renale che può progredire a insufficienza renale con oligo-idroamnios; la madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: possibile prolungamento del tempo di sanguinamento, un effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; inibizione delle contrazioni uterine risultanti in ritardo o prolungamento del travaglio. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non pertinente, considerata l’età del paziente. 4.8 Effetti indesiderati Gli effetti indesiderati osservati con ibuprofene sono comuni agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei. Reazioni di ipersensibilità Raramente: reazioni anafilattoidi (orticaria con o senza angioedema), dispnea (da ostruzione laringea o da broncospasmo), shock, sindrome caratterizzata da dolore addominale, febbre, brividi, nausea e vomito; broncospasmo (vedere paragrafi4.3 e 4.4). Patologie gastrointestinali Gli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedere paragrafo4.4). Dopo somministrazione di Nurofen Febbre e Dolore sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena, ematemesi, stomatiti ulcerative, esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedere paragrafo4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti. Dolore epigastrico, pirosi gastrica. I disturbi gastrici possono essere ridotti assumendo il farmaco a stomaco pieno. Raramente: epatite, ittero, alterazione dei test della funzione epatica, pancreatite, duodenite, esofagite, sindrome epatorenale, necrosi epatica, insufficienza epatica. Patologie del sistema nervoso e degli organi di senso Vertigine, cefalea, irritabilità, tinnito. Raramente: depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione, labilità emotiva, sonnolenza, meningite asettica, convulsioni, disturbi uditivi e visivi. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Raramente: broncospasmo, dispnea, apnea. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Reazioni bollose includenti sindrome di Stevens–Johnson e necrolisi tossica epidermica (molto raramente). Eruzioni cutanee (anche di tipo maculopapulare), prurito. Raramente: eruzioni vescicolo-bollose, orticaria, eritema multiforme, alopecia, dermatite esfoliativa, dermatite da fotosensibilità. Patologie del sistema emolinfopoietico Molto raramente: neutropenia, agranulocitosi, anemia aplastica, anemia emolitica (possibile test di Coombs positivo), piastrinopenia (con o senza porpora), eosinofilia, riduzione di emoglobina ed ematocrito, pancitopenia. Disturbi del metabolismo e della nutrizione Riduzione dell’appetito. Patologie cardiache e vascolari Edema, ipertensione e insufficienza cardiaca sono stati riportati in associazione al trattamento con FANS. Ritenzione di fluidi (generalmente risponde prontamente all’interruzione del trattamento).Molto raramente: accidenti cerebrovascolari, ipotensione, insufficienza cardiaca congestizia in soggetti con funzione cardiaca compromessa, palpitazioni. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus) (vedere paragrafo 4.4). Patologie renali ed urinarie Molto raramente: insufficienza renale acuta nei soggetti con preesistente significativa compromissione della funzione renale, necrosi papillare, necrosi tubulare, glomerulonefrite, alterazione dei test della funzione renale, poliuria, cistite, ematuria. Disturbi del sistema immunitario In pazienti con malattie auto-immuni preesistenti (ad esempio: lupus eritematoso sistemico, malattie del sistema connettivo) sono stati segnalati casi singoli di sintomi di meningite asettica come tensione nucale, cefalea, nausea, vomito, febbre, disorientamento (vedere paragrafo 4.4). Vari Raramente: secchezza degli occhi e della bocca, ulcere gengivali, rinite. 4.9 Sovradosaggio I sintomi di sovradosaggio si possono manifestare in bambini che abbiano assunto più di 400 mg/kg. L’emivita del farmaco in caso di sovradosaggio e 1.5-3 ore. Sintomi La maggior parte dei pazienti che ingeriscono accidentalmente quantitativi clinicamente rilevanti di FANS sviluppano al più nausea, vomito, dolore epigastrico o raramente diarrea. Sono possibili anche tinnito, cefalea e sanguinamento gastrointestinale. In caso di ingestioni di quantitativi più importanti, si osserva tossicità del sistema nervoso centrale che si manifesta con sonnolenza, occasionalmente eccitazione e disorientamento o coma, convulsioni. Nei casi più seri si può verificare acidosi metabolica, prolungamento del tempo di protrombina (INR). Si possono manifestare anche insufficienza renale e danni epatici. Nei soggetti asmatici si può verificare un’esacerbazione dei sintomi della malattia. Trattamento Non esiste alcun antidoto dell’ibuprofene. Il trattamento è sintomatico e consiste negli idonei interventi di supporto. Mantenimento della pervietà delle vie aeree e monitoraggio di funzione cardiaca e segni vitali. Particolare attenzione è dovuta al controllo della pressione arteriosa, dell’equilibrio acido-base e di eventuali sanguinamenti gastrointestinali. In caso di sovradosaggio acuto lo svuotamento gastrico (vomito o lavanda gastrica) è tanto più efficace quanto più precocemente è attuato; può inoltre essere utile la somministrazione di alcali e l’induzione della diuresi; l’ingestione di carbone attivo può contribuire a ridurre l’assorbimento del farmaco. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: farmaci antinfiammatori/ antireumatici non steroidei, derivati dell’acido propionico. Codice ATC: M01AE01 Ibuprofene è un analgesico-antiinfiammatorio di sintesi, dotato di spiccata attività antipiretica. Chimicamente è il capostipite dei derivati fenil-propionici. L’attività analgesica è di tipo non narcotico. Ibuprofene è un potente inibitore della sintesi prostaglandinica ed esercita la sua attività inibendone la sintesi perifericamente. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. In uno studio, dopo la somministrazione di una singola dose di 400 mg di ibuprofene, assunto entro 8 ore prima o dopo 30 minuti dalla somministrazione di acido acetilsalicilico (81 mg), si è verificata una diminuzione dell’effetto dell’acido acetilsalicilico sulla formazione di trombossano e sull’aggregazione piastrinica. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Ibuprofene è ben assorbito dopo somministrazione orale ed è distribuito in tutto l’organismo rapidamente. Se assunto a stomaco vuoto, i livelli serici massimi sono raggiunti dopo circa 45 minuti. Quando assunto in concomitanza a cibo, i livelli massimi nel sangue si raggiungono tra un’ora e mezzo e 3 ore. L’ibuprofene si lega in larga misura alle proteine plasmatiche, si distribuisce a livello tissutale e nel liquido sinoviale. L’emivita plasmatica della molecola è di circa due ore. L’ibuprofene è metabolizzato nel fegato in due metaboliti inattivi e questi, unitamente all’ibuprofene immodificato, vengono escreti dal rene sia come tali che coniugati. L’eliminazione dal rene è rapida e completa. L’ibuprofene viene escreto nel latte in concentrazioni molto basse. 5.3 Dati preclinici di sicurezza Non vi sono ulteriori informazioni su dati preclinici oltre a quelle già riportate in altre parti di questo Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (vedere paragrafo 4.6). 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero Polisorbato 80, glicerina, sciroppo di maltitolo, saccarina sodica, acido citrico, sodio citrato, gomma di xanthan, sodio cloruro, aroma arancia, bromuro di domifene, acqua depurata. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero Polisorbato 80, glicerina, sciroppo di maltitolo, saccarina sodica, acido citrico, sodio citrato, gomma di xanthan, sodio cloruro, aroma fragola, bromuro di domifene, acqua depurata. 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 3 anni Periodo di validità dopo la prima apertura: 6 mesi. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Nessuna particolare. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino. Siringa dosatrice con corpo in polipropilene e stantuffo in polietilene. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino. Siringa dosatrice con corpo in polipropilene e stantuffo in polietilene o cucchiaino dosatore in polipropilene. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Reckitt Benckiser Healthcare International Ltd – 103-105 Bath Road, Slough, Berkshire, SL1 3UH (UK) Rappresentante per l’Italia: Reckitt Benckiser Healthcare (Italia) S.p.A. – via G. Spadolini, 7 – 20141 Milano. 8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero, flacone da 100 ml: AIC n. 034102018. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero, flacone da 150 ml: AIC n. 034102020. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 100 ml con siringa dosatrice: AIC n. 034102259. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 100 ml con cucchiaino dosatore: AIC n. 034102246. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 150 ml con siringa dosatrice: AIC n. 034102261. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 150 ml con cucchiaino dosatore: AIC n. 034102273. 9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Agosto 2000 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Luglio 2009.
Depositato presso AIFA in data 22/10/2010
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
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1. Bertin L. et al. J Pediatr 1991; 119(5): 811-814 2. Bertin L. et al. Fundam Clin Pharmacol 1996; 10: 387-392
SOP