TRIMESTRALE SCIENTIFICO
Anno III - n. 4, Dicembre 2009
Fisioterapia e Fibrosi Cistica: alla ricerca di evidenze Guest Editor Francesca Alatri Centro Fibrosi Cistica Regione Lazio Azienda Policlinico Umberto I - Università di Roma “Sapienza” IL PROBLEMA Il ruolo del fisioterapista nella cura della fibrosi cistica ha una posizione di rilievo. Il suo compito fondamentale è il trattamento respiratorio ma, oltre a dovere individualizzare ed applicare tecniche di drenaggio che facilitino l’eliminazione delle secrezioni, egli si trova a dover affrontare un vasto ambito di problematiche che si estendono a programmi di riabilitazione mirati al miglioramento della tolleranza allo sforzo, al rinforzo muscolare, all’ottimizzazione della performance fisica generale, alla gestione e valutazione della terapia aerosolica e dell’ossigenoterapia a lungo termine ed alla gestione della ventilazione non invasiva. Il prolungamento dell’aspettativa di vita e la prospettiva del trapianto bipolmonare hanno anche trasformato il rapporto fisioterapista/paziente, si pone soprattutto il problema dell’adulto che deve vivere una vita attiva, autonoma e lavorativa, oppure quello di un paziente in lista di trapianto che deve essere portato nelle migliori condizioni fisiche possibili, in termini di muscolatura respiratoria e tolleranza allo sforzo, a superare un intervento chirurgico maggiore e recuperare la performance fisica nel periodo postoperatorio. Per tutto questo, il fisioterapista deve interagire strettamente con le altre figure professionali del team multidisciplinare che si occupano del paziente: medico, nutrizionista, infermiere professionale, intensivista, chirurgo. Spesso si dice che il fisioterapista professionalmente preparato è in grado di individualizzare il trattamento e che non esista un tipo di terapia di per sé superiore. Ma ciò potrebbe ingenerare l’idea che le tecniche di fisioterapia sfuggano a una valutazione comparativa rigorosa. Certamente è vero che una terapia che richiede un impegno attivo per parecchio tempo al giorno debba essere ben accettata dal paziente. Le tecniche di disostruzione bronchiale si sono negli ultimi decenni moltiplicate e si basano su principi diversi. Oggi il fisioterapista dispone di uno spettro di possibilità di intervento sul paziente e, al di là delle preferenze di singoli operatori o centri di riferimento, al di là della loro applicazione empirica nel caso singolo, bisogna sapere se i trattamenti siano suscettibili di una valutazione scientifica generalizzabile. L’urgenza di chiarire questi aspetti è sottolineata dal numero di pubblicazioni della “Cochrane” che hanno sottoposto a revisioni sistematiche vari aspetti della fisioterapia respiratoria in fibrosi cistica. Segno che il problema è vivo e merita risposte. Obiettivo di questo numero non è di prendere in esame il ruolo complessivo del fisioterapista, né singolarmente le varie tecniche disponibili, ma fare il punto del dibattito su aspetti controversi basandosi su recenti revisioni sistematiche della letteratura.
Pubblicazione con l’egida della Francesca Alatri Centro Fibrosi Cistica Regione Lazio Azienda Policlinico Umberto I - Università di Roma “Sapienza” Anno III, N. 4 - Dicembre 2009
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Mauro Rissa
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3 Il ruolo del fisioterapista: cinquant’anni di evoluzione 6 Alla ricerca di un consenso 8 Alla ricerca di evidenze 11 Considerazioni conclusive
FC Strumenti ed evidenze è una rivista monografica, trimestrale, dedicata al mondo della fibrosi cistica. Essa si prefigge di trattare argomenti solitamente “meno battuti” dal mondo medico e di offrire, quindi, un contributo originale a chi si occupa della cura dei pazienti o dell’organizzazione dell’assistenza. FC Strumenti ed evidenze si propone quindi come strumento per la ricerca clinica e per la valutazione dei sistemi assistenziali della fibrosi cistica. La rivista contiene articoli elaborati internamente dalla redazione con il contributo di esperti del settore, a livello nazionale ed internazionale. Ogni numero viene curato da un Guest editor che ne garantisce la validità scientifica e la completezza. L’editore sarà lieto di accogliere proposte ed eventuali contributi per la redazione di numeri monografici che verranno valutati dalla redazione. Sono anche accettati contributi di esperti che vogliano proporsi come Guest editor di una monografia. Le proposte possono essere inviate a redazione@edizionisinergie.com Finito di stampare nel mese di Dicembre 2009
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Il ruolo del fisioter pist cinqu nt’ nni di evoluzione Il ruolo del fisioterapista era stato, inizialmente, relegato al drenaggio delle secrezioni respiratorie. Ma presto si pose anche la questione della valutazione comparativa delle varie tecniche disponibili. I fisioterapisti furono coinvolti anche nello studio del miglior modo di somministrare terapie aerosoliche o l’ossigeno a pazienti gravi (cannule o maschera vs tenda umidificata). Quando vennero seguiti i primi pazienti con FC, non vi erano molte opzioni terapeutiche riabilitative a parte il drenaggio posturale con percussioni e vibrazioni manuali. Lo sviluppo delle conoscenze e della tecnologia ha permesso di prospettare l’uso di nuove tecniche e di dispositivi e ha posto la necessità di condurre studi di efficacia
comparativa (Tabella 1). Vogliamo prima sottolineare quanto il ruolo del fisioterapista sia andato ampliandosi nel corso degli anni, anche se i compiti specifici, le competenze e l’intervento sul paziente dipendono ancora molto da situazioni locali. Un semplice elenco degli ambiti in cui i fisioterapisti sono oggi coinvolti è riportato nella Tabella 2, e va dalla scelta del trattamento drenante alla valutazione della forza muscolare, richiede impegno in programmi di riabilitazione dei pazienti severi, anche dopo il trapianto polmonare, nella programmazione dell’esercizio fisico, nella valutazione dei dispositivi per la somministrazione aerosolica dei farmaci e per l’ossigenoterapia, ecc.. Tutto ciò richiede una stretta col-
(Da Dodd et al., 2005)
Ciclo attivo delle tecniche respiratorie (ACBT)
Esercizio di cicli respiratori Espansione del torace Controllo del respiro Espirazione forzata
Drenaggio autogeno
Ciclo respiratorio in tre fasi Adeguamento del volume corrente a volumi bassi/medi/elevati a seconda della localizzazione delle secrezioni
Oscillazione ad alta frequenza della parete toracica (HFCWO)
Oscillatore Vest
Oscillazione toracica attraverso l’applicazione esterna di un giacchetta o di involucro rigido
Ventilazione intrapolmonare percussiva (IPV)
Ventilatore percussivo intrapolmonare
Oscillazione interna applicata attraverso maschera durante l’inspirazione
Pressione positiva oscillatoria
Flutter Cornet Acapella
PEP oscillatoria variabile applicata in espirio
Pressione positiva espiratoria non vibratoria
PEP-Mask PEP a bottiglia (Bubble PEP) PEP ad alta pressione (HPEP)
Pressione positiva continua espiratoria applicata con maschera o boccaglio a 10-20cmH2o o 50-100 cmH2O(HPEP)
Drenaggio posturale
Percussioni/vibrazioni combinate con posizioni che sfruttano la gravità
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Scelta delle tecniche di disostruzione delle alte e basse vie aeree Somministrazione di terapia aerosolica Somministrazione di ossigenoterapia a lungo termine Valutazione della progressione della malattia Monitoraggio della spirometria Valutazione dei dispositivi aerosolici Valutazione dei dispositivi per l’ossigenoterapia Valutazione della tolleranza allo sforzo Allenamento all’esercizio fisico Riabilitazione muscolare Riabilitazione posturale Controllo della ventilazione non invasiva
All
ricerc
di un consenso
La diagnosi alla nascita permette di riconoscere presto le forme ad evoluzione rapida e di intraprendere interventi nutrizionali, protocolli di controllo della prima infezione respiratoria e di eradicazione della Pseudomonas aeruginosa. Le forme gravi, o intermedie, di malattia sono riconoscibili precocemente (insufficienza pancreatica, primi sintomi respiratori), ma molte forme lievi possono restare asintomatiche a lungo. Lo screening neonatale individua i casi di fibrosi cistica, ivi compresi quelli con prognosi estremamente favorevole ed è da ritenere che molti di questi pazienti non abbiano necessità di un trattamento fisioterapico precoce. Si pone il problema dell’opportunità di sottoporre quindi sin dalla nascita tutti i bambini a un programma di fisioterapia respiratoria. Che la questione resti aperta fra gli stessi fisioterapisti è dimostrato da un articolo recente che ha cercato di stabilire con la metodologia Delphi un consenso sulle pratiche. È interessante prendere brevemente in considerazione la stessa metodologia usata. L’associazione dei fisioterapisti inglesi (Association of Chartered Physiotherapists in Cystic Fibrosis, accreditata dallo UK CF Trust) è stata mossa a valutare le
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laborazione con tutte le altre figure che intervengono sul paziente, nell’ambito del centro fibrosi cistica, poichè per la scelta dell’intervento ottimale non solo deve essere conosciuta la gravità delle condizioni respiratorie, ma anche la presenza di altri fattori di rischio che possono orientare o controindicare una determinata tecnica, come la presenza di malattia sinusale, il rischio di emottisi o di pneumotorace, l’eventuale ipertensione portale con varici esofagee, il reflusso gastroesofageo, l’osteoporosi o fratture costali o vertebrali, tutte evenienze non rare nel paziente con malattia severa (Volsko TA, 2009; Dodd ME et al., 2005).
diverse opinioni degli operatori e a promuovere la ricerca di un consenso spinta dall’impellenza posta dalla ripresa su scala nazionale dei programmi di screening neonatale. Il metodo Delphi permette di raggiungere un consenso fra esperti e può essere applicato a diverse situazioni in cui manchi un’adeguata documentazione scientifica. Viene usato per tessere l’opinione e per strutturare il meccanismo decisionale raccogliendo e raffinando le opinioni degli esperti in tappe successive. Quattro esperti fisioterapisti hanno formulato una serie di affermazioni e le hanno proposte a 30 fisioterapisti operanti in centri di fibrosi cistica, tutti con almeno 45 pazienti. Essi dovevano dare un punteggio secondo il loro grado di accordo sulle affermazioni (0=disaccordo, 9=completo accordo). Finita la prima valutazione venivano fatti circolare i risultati, quindi proposto un secondo giro di opinioni per arrivare a un consenso finale. Questo è stato raggiunto per una serie di affermazioni tranne che per la seguente: il fisioterapista non deve intraprendere un trattamento respiratorio a partire dal momento della diagnosi a
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Tecniche come la TAC polmonare ad alta risoluzione e il lavaggio broncoalveolare permettono di individuare danni polmonari in bambini asintomatici. Il bambino piccolo risponde alle infezioni anche virali con maggiore broncostruzione ed è più vulnerabile alle infezioni respiratorie. Il collabimento delle piccole vie è più facile ed è favorito dal minore sviluppo di vie collaterali , dalla maggiore compliance della gabbia toracica, da una minore forza e resistenza del diaframma. L’introduzione precoce di una pratica quotidiana di riabilitazione respiratoria a partire dalle prime settimane di vita ne facilita l’accettazione e migliora l’adesione a lungo termine. I genitori sono maggiormente coinvolti nel trattamento del bambino.
meno che il bambino non presenti segni che rispondono al trattamento. L’accordo su questa affermazione non è stato raggiunto né dopo un secondo giro di opinioni né dopo un confronto diretto se non modificandola in: il fisioterapista non deve necessariamente intraprendere un programma di drenaggio* dalla diagnosi se non in
Anche se i segni di infiammazione sono presenti precocemente non vi sono prove che i processi infiammatori siano influenzati dalle tecniche di clearance bronchiale utilizzabili nel lattante, dato che spesso a questa età l’infiammazione non è accompagnata da un aumento di secrezione che risponde alla tecnica di disostruzione. Le sedute di toiletta bronchiale sono lunghe, impegnano pesantemente i genitori e impongono importanti cambiamenti nello stile di vita della famiglia. L’imposizione di una pratica quotidiana impegnativa finisce per portare a un rifiuto al trattamento da parte degli adolescenti. Non è corretto estrapolare al neonato e al piccolo lattante i risultati degli studi di efficacia della fisioterapia condotti in altre età.
presenza di sintomi che rispondano alla fisioterapia respiratoria. La conclusione degli autori è che l’opportunità del trattamento fisioterapico del paziente asintomatico resta da valutare e la scelta, oggi, dipende dalle convinzioni del singolo operatore (Prasad SA et al., 2008).
*airway clearance secondo diverse modalità che possono comprendere drenaggio autogeno (nella diagnosi tardiva), pressione espiratoria positiva con vari strumenti, drenaggio posturale e tecniche manuali
All
ricerc
di evidenze
Il gravoso peso del trattamento quotidiano di riabilitazione polmonare deve essere compreso dal paziente e dai suoi familiari e appare giustificato se corroborato da dati solidi che ne attestino il vantaggio, nel breve o lungo termine, anche nel paziente asintomatico. Per questo sono stati gli stessi fisioterapisti a rivalutare criticamente i propri strumenti e risultati. La scelta della tecnica da usare nel singolo caso dipende in larga misura dall’esperienza del terapista. Solo se personalmente convinto, infatti, l’operatore riesce a proporre al paziente un’attività
che lo occuperà per diverso tempo nella sua giornata, interferendo con la sua qualità di vita e vi è l’esigenza di capire se la pratica della fisioterapia possa essere supportata da dati obiettivi. Prendiamo in considerazione una serie di revisioni sistematiche apparse in letteratura negli ultimi anni che permettono di rendersi conto dello stato dell’arte. Una rassegna dei risultati di cinque Cochrane review dedicate al problema della fisioterapia in fibrosi cistica è stata anche pubblicata da Bradley et al (2006).
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Questa review considera gli studi che, nel periodo 19822005, hanno confrontato la fisioterapia convenzionale con altre tecniche di clearance valutandone gli effetti sulla funzione respiratoria, le preferenze individuali, l’adesione al programma, la qualità di vita. I dati sono stati aggiornati al settembre 2008. La tecnica tradizionale (drenaggio posturale, percussioni, vibrazioni) comporta l’assistenza di un genitore, fisioterapista o altro, mentre le tecniche non convenzionali coinvolgono il solo paziente (ciclo attivo delle tecniche respiratorie, tecnica di espirazione forzata, drenaggio autogeno, PEP-mask, flutter, vibrazioni intrinseche o estrinseche ad alta frequenza, esercizio fisico). Quindici studi possedevano tutti i requisiti necessari per la valutazione e complessivamente avevano reclutato 475 pazienti. L’analisi molto dettagliata per tipo di confronto e per variabile di esito ha portato alla conclusione che le nuove tecniche non si sono dimostrate migliori della fisioterapia convenzionale. Vi era una sostanziale eterogeneità dei risultati che può riflettere differenze fra i centri fibrosi cistica per quanto riguarda
altri trattamenti, abilità nella fisioterapia o nelle tecniche di misurazione. Ma vi erano anche risultati diversi nell’ambito di uno stesso centro per ricerche ripetute a distanza di 10 anni. Tuttavia, la principale osservazione sullo stato delle conoscenze consiste nella scarsa potenza degli studi per il basso numero di pazienti considerati. La durata degli studi non sempre è stata tale da permettere di valutare gli effetti dell’intervento a medio-lungo termine. Infatti quattro studi sono stati condotti nel corso di una esacerbazione acuta ed avevano durata di 10-16 giorni; sei studi sono stati condotti per un periodo di 1-6 mesi e solo uno era durato oltre l’anno. Le casistiche considerate hanno incluso pazienti di varia età e gravità. Quindi, l’estrema diversità delle metodologie adottate dagli studi non permette di condurre una vera e propria metanalisi. L’assenza di differenze fra la fisioterapia convenzionale e i nuovi metodi presi in considerazione può essere del tutto reale, ma può anche essere dovuta alla scarsa sensibilità delle variabili considerate.
Obiettivo di questa review è stato di valutare l’accettabilità dei dispositivi per la PEP rispetto ad altre forme di fisioterapia e la loro efficacia nel migliorare la clearance delle secrezioni. La PEP potrebbe avere il vantaggio di migliorare la clearance, aumentando la pressione transmurale ed il flusso aereo attraverso una ventilazione collaterale. Essa potrebbe anche stabilizzare le vie aeree mantenendone la pervietà durante l’espirazione. Per definizione in questa review si è considerato come PEP pressioni da 5 a 25 cm H2O e per PEP ad alta pressione livelli di 40-100 cm H2O. Sono stati identificati 40 studi e 25 sono stati poi considerati, per un totale di 507 pazienti. Venti studi erano
stati condotti con un disegno in crossover, ma i dati non sono stati pubblicati in sufficiente dettaglio da inserirli in una metanalisi. Sono stati considerati confronti fra drenaggio posturale con percussione e vibrazione (generalmente considerata intervento convenzionale); ciclo attivo delle tecniche respiratorie (respiro controllato, espirazione forzata, esercizi di espansione toracica); drenaggio autogeno e l’uso di dispositivi oscillatori come flutter, cornet, acapella e ventilazione percussiva intrapolmonare. Il parametro più spesso considerato è stata la FEV1, ma complessivamente, sia negli studi a breve termine che
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in quelli a lungo termine non si sono dimostrate significative differenze fra PEP o applicazioni di altre tecniche per quanto riguarda il parametro spirometrico. Uno studio (McIlwaine et al., 2001) durato un anno in bambini e adolescenti ha riportato una riduzione significativa di ospedalizzazioni in pazienti trattati con PEP rispetto al flutter ed è stato successivamente confermato nell’adulto da Newbold et al (2005). Un piccolo numero di studi ha trovato significative differenze nella quantità di espettorato con altre metodiche rispetto alla PEP (Falk et al., 1984; Hofmeyr et al., 1986). Molte altre variabili di outcome non hanno mostrato significative differenze fra la PEP e terapie di confronto. Anche dal punto di vista degli eventi avversi la PEP si è dimostrata altrettanto ben tollerata di metodiche a confronto. Per esempio dello studio della durata di un anno di McIlwaine (2001) non vi sono state differenze di tollerabilità fra PEP e flutter. Non vi sono state differenze di incidenza di reflusso nello studio di Costantini et al (2001). Anche se alcuni degli studi considerati hanno riportato significative differenze nei valori di post-trattamento a favore della PEP, l’analisi cumulativa dei singoli interventi o di trattamenti continuati per almeno tre mesi non ha dimostrato una significativa differenza di effetto fra PEP e altri metodi. I risultati degli studi a lungo termine sono contraddittori. Negli studi in cui il dato veniva rilevato, la preferenza espressa dai pazienti andava alla PEP.
Gli autori concludono che non vi sono evidenze chiare di superiorità della PEP. Tuttavia, sottolineano che vi sono indicazioni che la PEP sia meglio accettata rispetto ad altri tipi di fisioterapia fatto che emerge dagli studi che sono durati oltre un mese.
L’esercizio fisico viene definito ai fini della riabilitazione come un programma di regolare attività fisica vigorosa che ha l’obiettivo di migliorare la performance fisica, la funzione cardiovascolare e la forza muscolare. Esso può essere aerobico o anaerobico. Il primo comporta uno sforzo continuo a una certa intensità per un tempo prestabilito (es. bicicletta o corsa). L’attività anaerobia comporta un esercizio a elevata intensità per poco tempo (es. sollevamento pesi o scatti di corsa).
Viene comunemente accettato, da chi si occupa di fibrosi cistica, che un programma di attività fisica contribuisca a migliorare la dispnea e a migliorare la tolleranza allo sforzo. Esso può anche migliorare il diabete e l’appetito e ha effetti positivi sulla immagine corporea. L’esercizio fisico potrebbe migliorare la funzione polmonare e la clearance delle secrezioni e ridurre il volume residuo. Può ritardare la comparsa di osteoporosi prevenendo la riduzione della mineralizzazione ossea. Si ipotizza che possa ridurre
McIlwaine PM, Wong LT, Peacock D, Davidson AG. Long-term comparative trial of positive expiratory pressure versus oscillating positive expiratory pressure (flutter) physiotherapy in the treatment of cystic fibrosis. Journal of Pediatrics 2001;138:845–50. Quaranta bambini sono stati suddivisi in maniera random in due gruppi e sono stati sottoposti a terapia con PEP mask o flutter per un anno. A intervalli regolari sono state controllate le condizioni cliniche, la funzione polmonare e la compliance. I risultati mostrano che i bambini sottoposti a flutter hanno avuto una maggior caduta annua di capacità vitale forzata rispetto a quelli seguiti con PEP (–8.62 ± 15.5 vs 0.06 ± 7.9; P = .05) e un trend simile si è visto per la FEV1 (–10.95 ± 19.96 vs –1.24 ± 9.9; P = .08). Vi è stato anche un maggior numero di casi di ricovero e uso di antibiotico nel gruppo flutter. Gli autori concludono che, diversamente dalla PEP, il flutter non è efficace nel mantenere la funzione polmonare in pazienti con fibrosi cistica.
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l’ansia e la depressione e migliorare la sensazione di benessere. Un programma di training potrebbe, però, avere alcune controindicazioni, per esempio nel paziente con ipertensione portale, nel caso di osteoporosi grave, di insufficienza respiratoria o di ipertensione polmonare. Dunque, è importante capire se si possono definire soglie di esercizio fisico per diverse gravità di fibrosi cistica e se vi siano oggi evidenze della sua utilità nell’ambito di un programma fisioterapico. Da questa review sono stati esclusi gli esercizi limitati alla sola muscolatura respiratoria. I parametri considerati sono stati: la capacità di esercizio, la misura di specifici indici di forza, massa, resistenza e fatica muscolare, i test di funzionalità polmonare. Come variabili secondarie sono state prese in considerazione la mortalità, la qualità di vita, il peso, il numero di esacerbazioni, misure di ossigenazione, il controllo dell’osteoporosi e del diabete ed eventuali eventi avversi. Solo sette studi sui 26 identificati dalla ricerca bibliografica sono stati ritenuti sufficienti rispetto ai criteri di inclusione, in quanto condotti secondo un protocollo di randomizzazione con gruppi paralleli. Non tutti gli studi sono giunti a conclusioni simili. Per esempio, qualcuno ha trovato che la capacità di esercizio migliora dopo un breve periodo di allenamento, ma altri non hanno rilevato significative differenze a lungo termine. La maggior parte degli studi non trova significative differenze nei parametri respiratori dopo un programma di esercizio fisico rispetto a quanto si ottiene con le tecniche di clearance delle vie aeree, né vantaggi dell’esercizio fisico rispetto alla normale attività fisica. Tuttavia, in uno studio a lungo termine (Moorcroft, 2004) si sono riscontrati livelli significativamente inferiori di lattato durante ergometria nei pazienti che avevano seguito un programma di training. In studi a breve termine il training aerobico ha comportato un aumento significativamente superiore di forza delle braccia (Selvadurai HC et al., 2002). Studi a più lungo termine non hanno comportato effetti sulla funzione respiratoria, BMI o perdita di peso, né è stato documentato che il training aerobico abbia comportato una significativa riduzione dei numeri di ricoveri per esacerbazioni respiratorie.
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Analogamente, i dati sono contradditori sul valore dell’esercizio anaerobico, anche se specifici indici di forza e di resistenza allo sforzo sembrano poter essere aumentati e se qualcuno ha riscontrato un miglioramento della FEV1 e un miglioramento del peso. (Selvadurai et al., 2002). Ma l’aumento di peso con l’esercizio anaerobico non è stato riscontrato in uno studio a lungo termine. (Klijn PHC et al., 2004). L’etereogenità dei dati non ha permesso di condurre una metanalisi, ma gli autori arrivano alla conclusione che vi sia una certa evidenza che l’esercizio fisico, a breve e a lungo termine, aerobico e anaerobico, abbia un effetto positivo sulla capacità di esercizio, sulla forza muscolare e su alcuni parametri respiratori, anche se non tutti gli studi hanno rilevato effetti della stessa entità. Non vi sono sufficienti dati per valutare l’effetto clinico a lungo termine dell’esercizio fisico sul rallentamento della progressione della malattia respiratoria. Analogamente, non vi sono sufficienti dati per confrontare l’efficacia, in termini clinici, dell’esercizio aerobio vs anaerobico. Infine, non vi sono dati per sostenere che l’esercizio fisico possa essere sostitutivo di tecniche di drenaggio. Moorcroft AJ, Dodd ME, Morris J, Webb AK. Individualised unsupervised exercise training in adults with cystic fibrosis: a 1 year randomised controlled trial. Thorax 2004;59(12):1074–80. I pazienti sono stati randomizzati e sottoposti a tre sessioni settimanali di esercizi per l’emisoma superiore o inferiore o posti in un gruppo di controllo. Lo studio è durato 12 mesi. I parametri studiati sono stati il miglioramento della fitness valutato come variazione delle concentrazioni di lattato alla fine di uno sforzo standardizzato e costante per braccia e gambe. Sono anche state valutate la frequenza cardiaca e respiratoria e le prove di funzionalità respiratoria. I risultati hanno mostrato differenze per gli arti inferiori a 12 mesi. I pazienti che avevano seguito il programma di training avevano livelli di lattato inferiori (-0.38 (0.23) mmol/l v 0.45 (0.25) mmol/l, p<0.05) e minore FC (-4.8 (2.5) bpm v 3.4 (2.5) bpm, p<0.05) dopo il test. Per quanto riguarda gli esercizi con le braccia non
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Klijn PH, Oudshoorn A, van der Ent CK, ann der Net J, Helders PJ. Effects of anaerobic training in children with cystic fibrosis: a randomised controlled study. Chest 2004;125(4):1299–305.
Un programma di training è stato prescritto a 11 ragazzi di 13.6 ± 1.3 anni con FEV1, 75.2 ± 20.7%. Altri nove ragazzi facevano da controllo. L’allenamento consisteva di due sessioni settimanali per 12 settimane di 30-45 min di attività anaerobica. I pazienti che hanno seguito il training hanno mostrato un miglioramento della performance anaerobica e aerobica e della loro qualità di vita, mentre non vi sono stati miglioramenti nella composizione corporea, funzione polmonare, forza muscolare. Gli autori concludono che un programma di training anaerobio possa essere importante nell’ambito del programma terapeutico della fibrosi cistica.
Obiettivo di questa Cochrane review è stato di determinare l’efficacia e l’accettabilità di dispositivi che permettono la trasmissione di oscillazioni alle vie aeree rispetto ad altre forme di fisioterapia. La domanda è se l’uso di questi dispositivi permetta di migliorare la funzione respiratoria, la clearance delle secrezioni e/o altri parametri clinici o fisiologici in pazienti con fibrosi cistica. Sono stati selezionati 30 studi (per un totale di 708 pazienti) la cui durata variava da una settimana a un anno e 19 studi seguivano uno schema in cross-over. La maggior parte degli studi ha utilizzato come parametro la FEV1%. Una analisi cumulativa dei dati otte-
nuti non permette di dimostrare alcuna prevalenza di un metodo rispetto agli altri. In alcuni studi si è misurato un aumento del volume di escreato, ma non sempre a favore dei dispositivi oscillatori. Undici studi hanno valutato la preferenza espressa dai pazienti, ma nessun metodo risulta sistematicamente preferito. Gli autori concludono che per ora non vi sono chiare indicazioni del fatto che i dispositivi oscillatori portino a migliori risultati rispetto a altri tipi di intervento fisioterapico. Mancano studi di adeguata potenza statistica, randomizzati e condotti a lungo termine.
si sono notate differenze di lattato ma vi è stato un aumento della capacità vitale forzata (46 (72) ml v 2167 (68) ml, p,0.05). Questo studio conclude che un programma di un anno condotto a domicilio di training anaerobico può portare a una riduzione dei livelli di lattato e della frequenza cardiaca in pazienti adulti con fibrosi cistica e migliorare parametri funzionali respiratori.
• Sono intra o extra toracici • Non necessitano di persona che assista e migliorano l’indipendenza del paziente • Possono essere applicati nella posizione seduta : Quando la frequenza di oscillazione si avvicina alla frequenza di risonanza del sistema polmonare, la pressione di oscillazione endobronchiale si amplifica e provoca la vibrazione delle vie aeree che stacca il muco dalle pareti e ne riduce la viscosità. L’aumento intermittente della pressione endobronchiale riduce la tendenza al collabimento delle pareti bronchiali durante l’espirio, lo stesso aumento di pressione accelera il flusso di aria in espirio che aumenta l’eliminazione delle secrezioni
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Flutter
Una biglia di acciaio contenuta in un dispositivo di plastica nel quale il paziente espira interrompe periodicamente il flusso d’aria
Volsko TA et al., 2003
Acapella
Dispositivo PEP oscillatorio che si basa su un contrappeso e magnete per generare una resistenza oscillatoria
Volsko TA et al., 2003
Cornet
Tubo rigido a forma di corno che contiene un tubo di gomma flessibile che vibra durante l’espirazione
Pryor J, 1999
Dispositivi a ventilazione intrapolmonare percussive (IPV)
Generano una oscillazione continua alle vie respiratorie attraverso la bocca
Homnick DN et al., 1998
Oscillazione ad alta frequenza della parete toracica -HFCWO- (VEST)
Sistema collegato ad un apparecchio che genera vibrazioni a varia frequenza ed intensità prestabilita secondo il grado di confort del paziente
Warwick WJet al., 1991
Cochrane Databaseof Systematic Reviews
Scopo di questa revisione sistematica della Cochrane era di determinare se l’allenamento della muscolatura inspiratoria avesse un effetto sulla qualità di vita, sulla funzione polmonare e sulla tolleranza allo sforzo. Sono stati selezionati sei studi che complessivamente avevano raccolto 140 pazienti, ma la loro analisi non permette di raggiungere conclusioni rispetto agli obiettivi, sia perché i dettagli riportati nei lavori non sono sufficiente, sia per le diverse modalità di valutare gli effetti da essi adottate. Ciò porta a non potere avanzare alcuna raccomandazione sull’uso di questo intervento. Si può intervenire in diversi modi sulla muscolatura inspiratoria come mostrato nella tabella. Gli autori non ritengono di aver trovato alcuna evidenza che corrobori l’uso di tecniche di rinforzo della muscolatura inspiratoria in pazienti con fibrosi cistica.
Tuttavia, ritengono che questo possa essere dovuto alla scarsa qualità degli studi finora condotti. Enright S, Chatham K, Ionescu AA, Unnithan VB Shale DJ. Inspiratory Muscle Training Improves Lung Function and Exercise Capacity in Adults With Cystic Fibrosis. Chest 2004;126;405-411 Obiettivo di questo studio è stata la valutazione degli effetti di un programma di training ad alta intensità dei muscoli inspiratori sulla loro funzione, sullo spessore del diaframma, sulla funzione polmonare, sulla capacità di esercizio fisico e sullo stato psicosociale in pazienti con fibrosi cistica. Sono stati seguiti 29 pazienti adulti suddivisi in tre gruppi. Due gruppi dovevano completare un pro-
Iperpnea isocapnica
Richiede il mantenimento di un livello elevato di ventilazione/min per un periodo predefinito. Impone un alto flusso, basso carico sui muscoli inspiratori, analogo a quanto si verifica, per esempio, durante l’esercizio fisico. Richiede l’uso di una complessa apparecchiatura per garantire livelli stabili di CO2 arterioso. Viene raramente usata in clinica
Soglia di carico
Viene richiesto di inspirare attraverso un dispositivo che impone una soglia di carico attraverso o un sistema a stantuffo o una valvola a molla. Bisogna generare una pressione inspiratoria critica per aprire la valvola e poter inspirare
Aumento della resistenza
Viene richiesto di inspirare attraverso un dispositivo con via inspiratoria ristretta. Il carico imposto è dipendente dal flusso inspiratorio, cioè usando tali dispositivi lo sforzo inspiratorio può essere ridotto modificando il pattern respiratorio
Pressione inspiratoria massima (PImax)
Massima pressione generata dai muscoli inspiratori contro una via aerea occlusa
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gramma di training di otto settimane la cui intensità di allenamento era stabilita all’80% della capacità di sforzo massimale (gruppo 1) o al 20% (gruppo 2). Il terzo gruppo fungeva da controllo. Sono stati controllati diversi parametri fra cui la pressione inspiratoria massima (PI max), le prove di funzione respiratoria, la composizione corporea e la capacità di esercizio fisico. Inoltre, è stato misurato lo spessore del diaframma a capacità funzionale residua e la capacità polmonare totale, l’aumento di spessore del diaframma (TR=spessore del diaframma durante PI max a capacità funzionale residua/spessore medio a capacità funzionale residua). E’ stato condotto anche un test di sforzo massimale con cicloergometro.
Il trattamento ha permesso di conseguire una significativo aumento di PI max (p < 0.05), di capacità polmonare totale (p < 0.05), di rapporto di ispessimento del diaframma (p < 0.05), di capacità vitale (p < 0.05), TLC (p < 0.05), e di capacità si forzo fisico (p < 0.05) nel gruppo 1 rispetto al gruppo 2. Nel gruppo 2 il miglioramento era limitato al PI max. Gli autori concludono che l’allenamento inspiratorio intensivo possa comportare significativi vantaggi per i pazienti con FC con aumento della forza inspiratoria e della capacità di contrazione del diaframma che si riflettono in migliori prestazioni funzionali respiratore, aumento della capacità di esercizio fisico e benefici psicologici.
Consider zioni conclusive Uno sguardo alle valutazioni sistematiche della letteratura degli ultimi anni relativa a programmi di riabilitazione respiratoria in fibrosi cistica può lasciare sconcertati. Da una parte, è certo che il problema sia di rilievo se ad esso sono state dedicate in pochi mesi ben sei diverse revisioni “Cochrane”. Il numero di studi condotti è elevato e le problematiche complessivamente considerate variano in un vasto ambito. Nessuna di queste revisioni arriva a conclusioni positive per la scelta di un determinato programma di fisioterapia. In tutti i casi è dato per certo, anche sulla base di dati meno recenti, che un programma fisioterapico sia necessario per il drenaggio delle secrezioni respiratorie, ma non sembra di poter propendere per uno specifico metodo. Le conclusioni delle revisioni sistematiche contrastano spesso con i risultati di singoli studi, anche pubblicati su riviste di prestigio, che sembrano giungere a conclusioni nette sul vantaggio di alcune procedure di intervento. Il fatto è che, mentre i singoli studi possono giungere a conclusioni chiare, l’analisi cumulativa di dati provenienti da diversi studi (metanalisi) spesso non si può condurre per la diversità di metodologia impiegata. Abbiamo cercato di mettere in evidenza questa apparente contraddizione della letteratura proponendo, a fronte delle conclusioni delle revisioni sistematiche della Cochrane, alcune schede di lavori che propongono risultati interessanti.
Risulta evidente l’importanza di programmi di fisioterapia respiratoria a lungo termine per i pazienti con fibrosi cistica, ma non emerge un chiaro vantaggio di un tipo di trattamento rispetto agli altri. Molto lavoro resta da fare per togliere l’intervento fisioterapico dall’alone di valore esclusivamente empirico da cui sembra circondato. Se pure è vero che il fisioterapista deve adattare al singolo paziente la migliore metodica, deve anche essere possibile sottoporre i metodi a valutazioni rigorose e confrontarli. Ma quest’ultimo aspetto sembra per ora molto carente. Occorrono ulteriori studi con casistiche importanti, di sufficiente potenza, di sufficiente durata e che considerino parametri rilevanti per la malattia. I pazienti devono essere stratificati secondo diverse caratteristiche cliniche e per età. Mancano del tutto studi multicentrici e le metodiche devono essere valutabili con misurazioni per standardizzarne l’applicazione in diversi centri di cura. Importanti questioni cliniche attendono chiarificazione da studi più rigorosi, ampi e prolungati. Infine, oggi si dispone di possibilità di misurazione molto sofisticate che possono essere utilizzate per gli studi comparativi di fisioterapia. Ma questo rende anche necessaria una interazione più stretta con diversi specialisti e con tecnologie avanzate che finiranno per allargare ulteriormente l’angolo visuale del fisioterapista respiratorio.
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