Editoriale
La scelta vintage di un giornalino nell'epoca dei blog e dei social Lorenzo "Voce" Guastalli
I
Scuola di utopia Scuola di utopia: troppo facile nascondere il problema Anna Maria Monfeli
Consiglio di scuola e OFA
[continua a pag.2]
I
La Scuola di Ingegneria e l'accesso al sapere: è tempo di parlarne. pag.3
V
uoi ottenere il titolo di Ingegnere Meccanico Triennale all´Università di Pisa? Sappi che in media dovrai impiegarci 6 anni! Dopo questa notizia, che per molti purtroppo non è una novità, mettiamo un momento da parte l'orgoglio ingegneristico che ci porta spesso a dividere burlescamente il mondo universitario tra ingegneri, mezz'ingegneri (a voi la scelta di collocare qui il corso che volete), e ''scienziati delle merende''; si fa presto a capire che questo dato è effettivamente drammatico, e la prima domanda che naturalmente ci si pone è su quali siano le cause che determinano tempi così lunghi. Questa domanda è stata oggetto di grandi discussioni nei consigli di Dipartimento e di Scuola negli ultimi mesi; se da un lato Ingegneria Meccanica si distingue dagli altri corsi in termini di abbandoni e di tempi di percorso lunghi, è anche vero che risulta essere il corso più complesso in termini burocratici.
Nuovo Ministro, vecchia storia Chi il nuovo ministro e cosa proporrebbe "di nuovo" pag.4
Essere studente Part Time Istituire la figura dello studente part-time. La nostra proposta. pag.6
La nostra ora di buco
pag.5
Senza
n questo momento storico, dove le informazioni viaggiano velocissime sulla rete attraverso milioni di canali che le portano in maniera capillare fino ai nostri monitor per darci migliaia di visioni possibili, siamo sempre più spettatori che attori degli avvenimenti, li possiamo osservare come e quando vogliamo, da qualsiasi angolazione e in alta definizione, ma scegliamo quasi sempre la scelta comoda di commentarli da dietro a uno schermo tamburellando la tastiera o il touch screen piuttosto che fare la sporca scelta di starci nel mezzo. Condividiamo in continuazione sui social network pezzi della nostra vita quotidiana, tra l’altro spesso di dubbio gusto, per mostrare agli altri ciò che potremmo mostrargli se lo facessimo insieme. n questo scenario, dove anche i giornali si digitalizzano, è legittimo che vi chiediate che senso può avere la realizzazione di un giornalino che parli della Scuola di Ingegneria di Pisa, di quanto accade nei suoi organi politici, di quello che succede in Senato Accademico o in Consiglio di Amministrazione, come di esperienze concrete in ambito ingegneristico fatte da persone assolutamente non famose. La nostra risposta è che cerchiamo tutti gli strumenti possibili per invertire il meccanismo che ci rende spettatori e ritornare attori della società, partendo dall’Università dove Sinistra Per… abita e fa il suo lavoro, quello della rappresentanza, in maniera assolutamente trasparente e cercando sempre l’interlocuzione e il confronto con i suoi rappresentati, ovvero gli studenti; tra questi strumenti abbiamo deciso quindi di dotarci anche di un giornalino che serva per parlare con un registro linguistico, diverso da quello dei volantini, più discorsivo, che dia un punto di vista critico e di parte, anche criticabile e sicuramente discutibile, non asettico come i report contenuti in un volantino e che faccia nascere dibattito circa gli avvenimenti che stanno intorno a noi. er questo abbiamo realizzato un giornalino, per condividere e discutere, per dare uno spazio di narrazione fisico agli studenti, ai loro diritti, ai loro sogni.
elettricità né batterie, luce fredda imbottigliata: Realtà o Fantascienza? pag.6
Quando il profitto è opposto all’etica, il caso Monsanto
pag.7
P
2
diritti
Che Diotisalvi Times
Scuola di utopia: troppo facile nascondere il problema
Anna Maria Monfeli [continua da pag.1]
N
on per essere monotoni, ma è un dato che a Ingegneria Meccanica, tanto per iniziare, ogni esame è bloccato da almeno quattro esami degli anni precedenti, c'è una rete di limitazioni talmente articolata che anche un solo esame lasciato indietro (e non si parla necessariamente di Analisi o Fisica, per intenderci) può potenzialmente bloccare tutto l'anno successivo. Detto ciò, anche volendo credere alla giustificazione della propedeuticitá intesa come “linea guida” da dare agli studenti per affrontare al meglio il percorso, qui della linea guida non ci sono neanche le più candide e lontane intenzioni: si tratta di un rigido percorso obbligato che al più può istigare gli studenti ad accontentarsi dell fortunato voto minimo pur di non spendere troppo tempo sull'esame, rischiando di fare il tutto a scapito (perché non dircelo) della preparazione, quella che gli stessi docenti amanti dei blocchi vogliono rivendicare. Ma andiamo avanti, perché questo non è l'unico dato. Gli esami sono distribuiti in modo non uniforme, e non si tratta di una lagna delle matricole. Fatevi una chiacchierata con qualche studente del primo anno e chiedete loro come sono messi con gli esami, poi meditate se possa essere considerato equilibrato un anno composto da sessione invernale con un solo esame semestrale, tutti i restanti esami annuali a giugno (una struttura a misura di studente borsista insomma) e solo un compitino su sei possibili è concesso. l problema è che questi dati non sono mai stati presi in considerazione dal corso, mai è stata messa in dubbio la perfezione della struttura didattica, si è sempre preferito imputare la colpa alla materia prima su cui si imprime la
I
conoscenza, ossia gli studenti e le studentesse, tant'è vero che l'inasprimento della discussione si è avuto quando il consiglio di corso ha proposto, seppur in maniera non unanime, di risolvere finalmente il problema per altra via: modificare i criteri di accesso, innalzare la soglia minima per superare il test OFA e bloccando tutti gli esami nel caso di non superamento del test, tentando quindi di scoraggiare tutti gli studenti gravati da obblighi fomativi aggiuntivi ad iscriversi. beffa di tutti i discorsi sopracitati, quindi, il ragionamento alla base della proposta è tanto più semplice quanto semplicistico: inserendo un ulteriore filtro di ostacoli, superabili con difficoltà maggiori, non possono che sopravvivere alla selezione solo gli studenti ''migliori'', intesi probabilmente come quelli più formati dopo aver frequentato qualche fortunato Liceo. Sicuramente una proposta drastica, senza ombra di dubbio e senza ironia direi che è una proposta che di facciata avrebbe
A
potuto dare anche risultati in apparenza positivi ai fini del dato, ma di certo non definibile come ''soluzione'', tantomeno come ''soluzione corretta''. Più che risolvere il problema, infatti, questa proposta gira alla larga da tutte le condizioni che portano a scontrarsi col problema, una proposta troppo facile, che lascerebbe tutte le drammatiche condizioni della didattica lì dove sono. Dal momento che il ragionamento è supportato nei termini di una ''qualità del corso da salvaguardare'', mi chiedo come si possa rivendicare la qualità e attribuirla al corso, alla didattica, ai risultati ottenuti dai laureati se poi il lavoro sul merito si accanisce sulle conoscenze delle scuole superiori più che sui metodi per insegnare al meglio agli studenti a diventare ingegnere. ' una ricerca della qualità utopistica, anche perché in Italia purtroppo non ci sono metri di giudizio e percorsi di conoscenza uniformi, si riduce tutto ad
E
una ricerca dell'impossibile, quando basterebbe essere più realisticamente propensi a stimolare le attitudini di ognuno attraverso i corsi, la trasmissione della conoscenza, gli esami. A quel punto se l'attitudine ad essere ingegnere non c'è, sarà chiaro allo studente in primis; finché gli studenti però non potranno misurarsi con le proprie attitudini, con il puro e semplice fine di acquisire competenze, non ci potrà essere spazio per discorsi pretenziosi su tutto il contesto. Insomma siamo qui per prepararci sui contenuti e sulla razionalità e buon senso, o per superare una serie di prove stile salto agli ostacoli? Non rimaniamo poi attaccati al problema delle risorse perché ad oggi, facendo corsi in comune, il problema si ridurrebbe drasticamente. a come è andata a finire? La richiesta di Ingegneria Meccanica non è stata accolta in base alle nostre argomentazioni e sul pericoloso precedente che poteva derivare da una misura del genere ovvero la creazione di corsi di ingegneria d’elite, dove si richiederebbe una preparazione superiore rispetto agli altri corsi quando però la base didattica è comune. Questo passo è servito ad approfondire le riflessioni da parte di chi si è sempre fermato in superficie, docenti o studenti che considerano l’università come luogo di mera selezione sulla base di dati relativi che mascherano una finta meritocrazia.
M
accesso
3
Che Diotisalvi Times
La Scuola di Ingegneria e l'accesso al sapere: è tempo di parlarne. Anna Maria Miracco
E
' iniziato da circa due settimane un percorso all'interno del consesso della Scuola che porterà a definire (si spera una volta per tutte) i criteri di accesso ai dipartimenti di ingegneria. Da anni, in Italia, ci troviamo di fronte a scenari improbabili: continui ricambi di governo, innumerevoli decreti ministeriali che arrivano "a pioggia", larghe intese, ecc… Insomma, un contesto nel quale sempre più si sta affermando una concezione del sapere come privilegio e diritto garantito a pochi, nel quale i criteri di meritocrazia si trovano spesso a combattere con numeri chiusi, test a crocette e altri mille modi per far sì che non si applichi in nessun modo la nostra Carta costituzionale. Quest'ultima, infatti, assevera solennemente che «è compito della Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini»; a questo occorrono anche gli artt. 33 e 34 che garantiscono la libertà dell’arte e della scienza e infine l’apertura della scuola «a tutti». In questa "formazione" aperta «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» (art. 34). Ma è davvero così? L'università è davvero garante di questi principi? Guardiamo un attimo al nostro
ateneo, e in particolare ai dipartimenti ingegneristici. Con scadenze sempre più brevi ci troviamo ogni anno a combattere una battaglia storica: da un lato la visione delle rappresentanze (non tutte) che con la Costituzione in mano rivendicano diritti riconosciuti, dall'altra il continuo taglio delle risorse e una visione sempre più dilagante dell'università "per pochi” posta come soluzione a tutte le difficoltà: dalla mancanza di mezzi, alla cattiva didattica, ai sempre meno efficienti servizi ecc. 'è una cosa che spaventa all'interno di questo continuo attacco: c'è davvero una parte che ha ragione e una parte che ha torto? E' vero: le risorse sono poche, il blocco del turnover toglie sempre più possibilità di ricambio, quindi ciò che si richiede è maggiore qualità con pochissime risorse. Beh, già messa così, si capisce bene che qualche problema di fondo in tutto ciò esiste e non è piccolo come si pensa. Non è il caso di fare qui un discorsone politico su quali potrebbero essere le possibili soluzioni a tutto ciò, ma è importante riflettere su quanto sia lontana dalla sua applicazione quella che consideriamo la Carta della nostra Liberazione e su come questa venga ogni giorno disattesa da coloro che governano. Questa problematica si insinua ogni anno nel dibattito
C
politico del governo dell'ateneo pisano, e mentre qualcuno pensa che innalzando le soglie e inserendo numeri programmati si riesca a risolvere i problemi di sovrannumero, mandando in frantumi i sogni di tantissimi studenti, io rimango dell'idea che questo tipo di sbarramento "inconsapevole" non solo sia anticostituzionale ma anche poco onesto. roppe volte l'università viene vista solo tramite numeri (a mo’ di banca: "entrate-uscite", investimenti rischiosi e non), troppe volte chi siede di fronte allo studente non solo non tiene a mente i sacrifici che ognuno di noi fa per mantenersi agli studi, per vivere in una città lontana dal luogo di provenienza, per laurearsi in tempi ragionevoli, per formarsi e diventare ciò che ha sempre sognato di essere. Se è vero che una soluzione deve essere trovata dobbiamo far sì che questa sia non solo razionale e opportuna, ma che funzioni. Se i tempi di laurea sono lunghi, se le percentuali di abbandono sono così alte non bisogna solo ipotizzare soluzioni superficiali (come quella avanzata dal Consiglio del corso di Ing. meccanica, vedi articolo), bisogna ricercare le cause di questi disagi nel profondo e interrogarsi sull'effettiva qualità della didattica e sul perché due studenti su tre ad un certo punto della loro carriera decidono di
T
lasciar perdere. i tutto questo si discuterà nella commissione tecnica proposta nel Consiglio della Scuola di Ingegneria che dovrà lavorare su una proposta concreta per i criteri di accesso per l'a.a. 2015/16 e sull’attribuzione di O.F.A. Mentre qualcuno arriverà a quel tavolo di discussione con tantissimi numeri -tenendo sempre bene a mente i concetti obbrobriosi di base "bancaria"fa felici sapere che a quel tavolo siederà anche una parte, quella studentesca, che cercherà di riportare la discussione sui contenuti e sulle reali problematiche. Il sapere non può essere considerato un privilegio per pochi e la vera qualità dei corsi non è da perseguirsi su criteri più o meno duri all'ingresso, bensì sulle buone programmazioni didattiche, sul personale preparato, sulla qualità della didattica erogata, ecc. empo fa un vecchio e stanco agricoltore analfabeta mi disse: "Che tu sia mendicante o regina, una cittadina con un libro in mano può essere sempre ciò che vuole". C'è molta più costituzionalità nelle parole di una persona che non ha avuto la possibilità di formarsi piuttosto che in quelle di coloro che dovrebbero garantire il diritto al sapere in tutti i modi e con tutti i mezzi, per proteggere l'università pubblica libera e di massa.
D
T
4
Che Diotisalvi Times
università
Nuovo Ministro, vecchi ricordi
Fabio Cacciapuoti
C
ambia governo ma sembrano ritornare vecchi ricordi. Stefania Giannini, attuale segretario di Scelta Civica, viene designata a Febbraio dal neo Presidente del Consiglio come Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Qualcuno direbbe: “Beh almeno è una faccia nuova, sicuramente sarà competente, l’ha scelta Renzi!” No, purtroppo. A nulla sono serviti gli slogan di cambiamento, di cambio di rotta rispetto al vecchio modo di far politica, di rinnovamento, di ringiovanimento ecc… Alla fine della fiera, il posto delicatissimo di uno dei ministeri cardine per la crescita del paese,quale quello dell’Istruzione, Università e Ricerca viene delegato ad un segretario di partito per rispettare gli interessi di bottega e al gioco di far quadrare i conti tra i partitini che hanno sostenuto la maggioranza di governo. giudicare degli interventi pubblici elargiti dal neo ministro, l’aria di cambiamento va ad infrangersi definitivamente con lo spettro del taglio indiscriminato ai finanziamenti all’università pubblica, del blocco delle assunzioni, all’utilizzo del merito come giustificazione per un irrigidimento dei criteri per l’accesso alla borsa di studio. Si preannuncia il ritorno di un ministro Profumo in stile 2.0.
A
In un’intervista del gennaio 2013 a TuttoScuola, alla domanda se fosse il caso di tornare a investire su scuola e università, la Giannini ha risposto: “In Italia il settore dell’istruzione è a dieta da anni. Una dieta selvaggia e non ben calibrata che ha prodotto solo danni e impedito la crescita. Tuttavia, applicare nel nostro settore principi di revisione della spesa pubblica è ancora possibile e significa selezionare la tipologia dei tagli, indicando le priorità di investimento”. Insomma, di fronte ad una persona anoressica la Giannini proporrebbe come soluzione quella di togliergli anche l’acqua da bere. a Ministra si è anche detta favorevole al prestito d’onore, forma di finanziamento degli studi basata sull’indebitamento privato, tipica del mondo anglosassone e introdotta in Italia con risultati per ora (fortunatamente) fallimentari. In poche parole, “Hai un reddito basso? Vuoi avere la possibilità di proseguire gli studi come i tuoi colleghi più fortunati? Bene, esiste un diritto costituzionale che ti permetterebbe di avere accesso a fondi speciali erogati dallo Stato, ma, siccome lo Stato preferisce investire in aerei da guerra e tante altre cosine, ti diamo lo stesso la possibilità di avere a disposizione dei fondi, semplicemente chiedendoli in prestito ad una banca e poi li
L
restituirai una volta laureato. Conveniente no?” NO. el 2011/2012, per citare l’ultimo dato a disposizione, solo 504 studenti in tutta Italia ne hanno fatto richiesta, mentre negli Stati Uniti e in Gran Bretagna decine di migliaia di giovani si sono sottoposti a vita al ricatto del debito di studio. Per non parlare della cosiddetta “bolla formativa” che creerebbe non pochi squilibri, ricalcando la stessa strada della bolla speculativa sull’edilizia che ha causato, sempre negli Stati Uniti, la crisi che ancora soffriamo. Inutile dire che i diritti in quanto tali hanno una principale caratteristica: vanno garantiti a tutti. La Giannini ha più volte citato, negli scorsi mesi, la “cultura del merito”. Cosa significa? Significa per esempio continuare sulla strada di finanziare (sempre in maniera minima) le università solo sulla base di alcuni risultati conseguiti senza guardare minimamente alla possibilità di miglioramento delle strutture, alla disponibilità di personale docente, di materiale didattico. “Cara università, hai dei problemi? Benissimo, ti taglio i finanziamenti così i problemi spariscono.” Eppure ad oggi tramite il decreto AVA il Ministero ha a disposizione nel suo database tutti i punti critici di ogni corso
N
di studio, frutto del lungo lavoro svolto da docenti e studenti nelle diverse sedi, poichè tale decreto prevede che siano svolte riunioni periodiche all´interno del quale si analizzano i dati di ciascun corso e si individuano le opportune azioni correttive da implementare in un certo intervallo di tempo. a “cultura del merito”, che già conosciamo, purtroppo propone come unica soluzione la chiusura dei corsi di studio, invece che utilizzare queste preziosissime informazioni per investire meglio dove c’è grossa carenza. Nessun accenno al miglioramento dei corsi, ad investimenti ad hoc per appianare le difficoltà locali, insomma niente di niente, solo slogan e parole d’ordine utili solo a lavarsi la coscienza per non aver mai fatto nulla per migliorare il sistema universitario di questo Paese e non aver nemmeno la minima idea di come si possa farlo. a d’altro canto chi nell’Università ci studia e la vive ogni giorno, conosce tutti i problemi che la affliggono e spesso e volentieri è in grado di individuare persino le soluzioni. Noi ad esempio, abbiamo già messo tutte le nostre proposte in campo, in maniera semplice e chiara. Il ministro ha solo da chiedere.
L
M
studenti
Che Diotisalvi Times
Essere studente Part-Time L L
5
Andrea Tamburrino
’Università di Pisa, come emerso al momento dell’assegnazione del FFO per il 2013 da parte del Ministero, è decisamente al di sopra della media nazionale per numero di fuoricorso e di studenti inattivi (ovvero, che conseguono meno di 12 crediti in un anno accademico). Sappiamo come questi elementi siano valutati dal Ministero in maniera negativa, secondo criteri ideologici, e da anni giustamente contestati, per la ripartizione della quota premiale del FFO. Anche se, è dimostrabile, per questo anno accademico un numero minore di fuoricorso non avrebbe portato un euro in più a Palazzo alla Giornata. Si tratta di un fenomeno che va indagato a fondo e che purtroppo è spesso banalizzato: non si parla mai dell’organizzazione della didattica o della qualità (e conseguente difficoltà) di un corso di laurea, ma quasi sempre di studenti lenti perché fannulloni. Al contrario, dalle stesse indagini del nostro ateneo emerge una realtà molto
diversa: dal sondaggio compiuto lo scorso anno accademico su un campione significativo di studenti inattivi è risultato che ben il 70% degli intervistati dichiara un’attività lavorativa, mentre più del 20% dichiara un figlio a carico. i fronte a questi dati di realtà, che mettono in luce le difficoltà socio-economiche e familiari che possono nascondersi dietro gli “studenti lenti”, la lista studentesca "Sinistra per..." ha aperto una vertenza politica e culturale all’interno del nostro ateneo, che ci ha consentito da un lato di scongiurare aumenti punitivi alla contribuzione studentesca di studenti inattivi e fuoricorso e dall’altro di aprire una trattativa per l’introduzione della figura dello studente part-time, ovvero uno studente che decide di poter conseguire al massimo la metà dei crediti previsti in un anno accademico ricevendo in cambio uno sconto sulla contribuzione studentesca. uest’ultimo strumento, già adottato da molti atenei
D
Q
pubblici, è un istituto in grado di garantire un efficace sostegno agli studi per determinate situazioni che impediscono allo studente di impegnarsi full time nella formazione universitaria; al tempo stesso, poiché questi studenti non risultano fuoricorso prima del doppio della durata standard di un corso di laurea più un anno, consente all’Ateneo di ottenere indicatori migliori per la quota premiale del FFO che guarda alla didattica: attraverso questa via l’Università di Pisa può arrivare in potenza a recuperare fino a 3 milioni di euro dal ministero. Nell’ultimo anno si è riunito un gruppo di lavoro della commissione didattica d’ateneo per ragionare sulla figura dello studente part-time. Nonostante il rallentamento dei lavori e i timori dell’amministrazione centrale, si è riusciti non soltanto ad aprire un dibattito sull’opportunità di questo strumento, ma anche a ottenere che la discussione entri presto nel vivo con una bozza di regolamento da discutere negli Organi.
'obiettivo è adottare il regolamento più favorevole per gli studenti, scongiurando elementi negativi presenti in molti atenei dove è già possibile iscriversi come studente parti-time. In primo luogo, l‘istituto deve essere accessibile a tutti, senza vincolarlo alla presentazione di un regolare contratto di lavoro: la piaga del lavoro nero colpisce in maniera consistente chi ha bisogno di un lavoro per sostenere il costo degli studi. Inoltre, lo sconto sulla contribuzione studentesca deve essere significativo, al fine di rappresentare un strumento realmente efficace ed appetibile per gli studenti. Infine, abbiamo bisogno di un sistema flessibile in entrata e in uscita per non condannare uno studente a bloccare la propria carriera accademica per un numero di anni superiore alle sue reali esigenze. Solo sulla base di questi criteri questa nuova figura potrà essere realmente d’aiuto agli studenti, alle loro famiglie e all’Ateneo.
La nostra ora di buco I
nizia la lezione e già si pensa a quell’ora di buco. Un’ora di buco che abbiamo cercato di riempire magari spostando altre materie, ma fra aule e professori, non si è riusciti a far nulla. E allora cosa succede al tipico ingegnere in quel’ora di buco? Se si ripensa ad un mese fa, durante la sessione invernale, un’ora in più era tutto. Intimorito dalla sessione estiva (che non prevede feste natalizie in cui abbuffarci) prende il sopravvento la diligenza dello studente. Ricopiare appunti, studiare per la lezione dopo, ripetere la lezione appena fatta, confrontarsi con i colleghi. Ecco gli ottimi propositi per quell’ora di buco. Ma un problema rimane, dove andare? Appena finita la lezione non si fa in tempo ad alzarsi che i colleghi che hanno lezione l’ora dopo fiondano sul nostro banco la loro cartella, urlano “Quel posto è mio!” e allora capisci che adesso quell’aula è occupata. Speranzosi e sollevati, uscendo dal polo B si viete investiti da un ammaliante profumo di paste appena sfornate, il corpo sarebbe
Frediana Marsalli
già in fila ma la mente ripete “ricorda i buoni propositi”. Ed ecco allora che inizia un’epopea alla ricerca di un’aula libera. I più informati sono ben coscienti che basta un clic sullo smartphone su http://gap.adm.unipi.it/GAP-UIngegneria/ sapere dove andare. Ipotizzando che sia libera la C44 e di essere attualmente al polo B, ti armi di pazienza per affrontare quelle quattro rampe di scale che mai batteranno la fatica di un solo piano del polo A, arrivi in cima senza fiato, con la cartella che sembra pesare il triplo e il cellulare da mettere sotto carica, in lontananza vedi C44, apri la porta e… risulta piena. om’è possibile? Non fa niente, si continua a cercare ma senza risultato visto che di libero c’è ben poco. Ci sono i mattinieri che fin dalle otto del mattino occupano con quadernetti i posti in biblioteca o nella aule studio. Rassegnati nel trovare un’aula libera, ci si affaccia all’uscio delle sale studio che si presentano come un’accozzaglia di persone, computer e quadernetti, ma nessun posto libero. È passata
C
mezz’ora ma ancora nulla è perduto. Fuori c’è bel tempo stranamente, il polo C offre ampi tavolini e panchine dove poter studiare e mangiare. Ma ovviamente al primo raggio di sole quelli sono i primi posti che vengono occupati, idem al polo F. Ma quanti siamo? Troppi in poco spazio. Siamo tanti, ma lo spazio dovrebbe, non avanzare, ma almeno bastare. Il povero ingegnere ha perso tempo alla ricerca del posto libero ma un’ultima possibilità sono i bar, dove la maggior parte della gente va a mangiare, ma tanti cercano un bel tavolo tondo dove appoggiare un quaderno.
E’ probabile trovarlo, però quel profumo, quella fame, l’idea di dover affrontare altre due ore non ti spingono ad aprire il quaderno ma ad abbuffarsi di paste e panini. Finito lo spuntino mancano dieci minuti all’inizio delle lezioni e bisogna avviarsi quanto prima per fiondare la cartella sul banco del collega dell’ora prima. propositi ci sono, le possibilità non mancano. Si devono prendere in considerazione le sedie ai lati dei corridoi o arrivare a portarsi appresso i tavolini da pic-nic? Piuttosto allarghiamo questi spazi.
I
6
Che Diotisalvi Times
cultura
Senza elettricità né batterie, luce fredda imbottigliata: Realtà o Fantascienza? Salvatore Argese
D
a un paio d’anni a questa parte spopolano in rete vari video che mostrano quanto sia facile creare una lampada di circa 50 watt HomeMade utilizzando una comune bottiglia di acqua minerale. La “solar bottle lamps” o “solar bottle bulbs” è nata in Brasile nel 2002 e ha avuto una rapida diffusione nelle Slums, le baraccopoli brasiliane, dove gli abitanti non possono permettersi di aggiungere finestre poiché le case sono poste una contro l'altra e i tetti in acciaio ondulato non possono sostenere il peso di lucernari. L’inventore, Alfredo Moser, è un semplice meccanico, "un inventore per caso", che ha cominciato mettendo le bottiglie di luce a casa sua, nella sua officina, dai vicini e al supermercato del quartiere. L'idea è nata durante uno dei frequenti blackout di energia elettrica del paese. Lui lo ha fatto per pochi soldi, non è diventato ricco, non ha brevettato la sua idea. Tuttavia, sembra essere orgoglioso lo stesso: «Una persona che conosco ha installato lampade a casa ed entro un mese ha risparmiato abbastanza soldi per comprare cose essenziali per il suo bambino appena nato. Potete immaginare? »
I
l funzionamento e la preparazione sono molto semplici: queste "lampade solari" sono comuni bottiglie in PET, riempite con una soluzione a base di candeggina, acqua e sale, che vengono fissate sul tetto insieme a sottili fogli di metallo ondulato (la comune carta stagnola), con il collo della bottiglia rivolto verso il sole e la metà inferiore che entra in casa. Il progetto è stato poi ripreso nel 2011 da Amy Smith, (un ingegnere del D-lab, un ufficio del Massachusets institute of technology di Boston (a cui è stata attribuita erroneamente l’invenzione), e migliorato ulteriormente da Illac Diaz, ricco benefattore asiatico a capo dell’ONG “My Shelter Foundation”, che ha dato inizio al progetto di risparmio energetico (IsangLitrongLiwanag, traduzione “un litro di luce”), coinvolgendo qualche migliaio di case ubicate nei pressi della discarica ex Pavatas a Quezon City. elle Filippine, come in molte parti del mondo in via di sviluppo, le lampade a cherosene rappresentano la fonte primaria d'illuminazione per le persone che vivono nelle zone più remote e disagiate.
N
Purtroppo, però, oltre che molto inquinanti, queste lampade sono anche causa di notevoli problemi respiratori per gli utilizzatori, per questo le bottle bulbs hanno riscosso tanto successo. Il risultato ottenuto, infatti, ha davvero dell'incredibile: quando la luce del sole colpisce la bottiglia, viene rifratta dall'acqua mentre la candeggina funge da amplificatore della luce stessa tanto che, a seconda delle giornate, la luminescenza prodotta da ciascuna bottiglia può arrivare a quasi 50 watt. on solo: la candeggina previene la formazione di alghe e mantiene l'acqua priva di batteri per oltre cinque anni il che dà ad ogni "lampadina solare" una vita molto lunga. Questa iniziativa oggi, grazie al finanziamento di grandi multinazionali come Pepsi e Bosch ha illuminato circa un terzo della popolazione filippina che vive in zone disagiate, e si è diffusa anche in altri 15 paesi, tra cui India, Bangladesh, Tanzania, Argentina e Isole Fiji (stando ai dati forniti dall’organizzazione di Diaz), ma i lavori sono ancora all’inizio poiché ci sono ancora 3 milioni di utenti che non sono connessi alla rete elettrica, e una delle principali
N
cause d’incendio negli edifici è dovuta alle precarie condizioni dei collegamenti elettrici (fonte: Bureau of FireProtection). o stesso Diaz ha proposto questa lampada innovativa come soluzione di entrambi i problemi, anche perché il risparmio è notevole: basti pensare che le lampade non richiedono energia per essere prodotte, perché il materiale può essere raccolto e riutilizzato dalla comunità, e non rilasciano CO2. Per avere un termine di paragone, il "carbon footprint", (la quantità di anidride carbonica scaricata in atmosfera) di una lampadina di 50 watt, collegata per 14 ore al giorno alla rete elettrica è di circa 0,42 kg di CO2; in un anno si ha un carbon footprint di quasi 200 kg di CO2. uttavia il dibattito sull’effettivo utilizzo delle bottle lamps è aperto: la stretta dipendenza dalla luce solare le rende inutili nei giorni nuvolosi (nelle Filippine la stagione delle piogge dura da giugno a novembre) o di notte. Si è anche parlato dell’affiancamento di un backup light system, che però è in via di sperimentazione. Ma questa è un’altra storia.
L
T
etica
7
Che Diotisalvi Times
Quando il profitto è opposto all’etica, il caso Monsanto Riccardo Cangelosi
L
a Monsanto è la più grande multinazionale che si occupa di biotecnologie agrarie nel mondo, migliaia di dipendenti e un fatturato di più di 8 miliardi di dollari. Ma è anche una delle aziende più controverse della storia. Il prodotto storico della Monsanto è il Roundup, un erbicida estremamente potente e altamente tossico che ha permesso all’azienda di raggiungere alti margini di profitto. L’azienda è però conosciuta soprattutto per gli Ogm (organismi geneticamente modificati), vegetali da coltivazione modificati geneticamente per resistere all’erbicida della Monsanto. Il più famoso di questi è la soia “Roundup Ready”, pronta per il Roundup; due piccioni con una fava. E’ indubbia l’efficacia della strategia di mercato utilizzata dalla Monsanto, è dubbia invece la reale pericolosità per la salute che possono avere i prodotti dell’azienda, soprattutto gli Ogm, ed i rischi indiretti e a lungo termine di una strategia produttiva legata a doppio filo con i ritrovati delle biotecnologie in campo agrario, sostanzialmente monopolio della Monsanto. a storia della multinazionale americana non lascia molti dubbi sulla capacità dell’azienda di chiudere gli occhi di fronte a certi problemi, si è sempre ben guardata dall’approfondire troppo il tema della sicurezza per la salute ammiccando verso coloro i quali sarebbero responsabili del controllo. Una ricerca del professore Robert Bellè del Cnrs di Roscoff ha analizzato gli effetti del Roundup sulle cellule, in particolar modo nel processo di divisione cellulare, confermando che il potente erbicida è potenzialmente cancerogeno. Lo studio è però passato sotto silenzio e non ha avuto l’eco che avrebbe meritato, complice il
L
mancato supporto dei superiori del professore. egli States lo sviluppo degli Ogm da parte della Monsanto avrebbe potuto avere diversi intoppi a causa delle numerose ricerche e studi necessari per l’analisi e la classificazione di questi prodotti da parte dell’Fda (Food and Drug Administration, ente americano per il controllo di alimenti e farmaci ). Tali intoppi non si verificarono; la politica di deregolamentazione portata avanti dal presidente Clinton e poi da Bush senior permisero di evitare certi controlli, e dove non potè arrivare la deregolamentazione, arrivò l’Fda stesso. Gli Ogm non furono classificati come tali e dunque come nuova categoria, ma vennero equiparati ai prodotti agricoli creati attraverso il sistema tradizionale di incrocio delle piante. Non fu dunque costituita una nuova normativa specifica ma furono ritenute sufficienti le leggi già esistenti, come adatte ad essere applicate anche alle nuove tecnologie. Come affermò James Maryanski, dirigente del dipartimento di biotecnologia della Fda, fu una scelta del tutto politica e non prodotto di studi scientifici adeguati. Da qui a breve nacque il “principio di sostanziale equivalenza” che permise agli
N
Ogm di essere considerati generalmente sicuri, tutto senza una chiara posizione della comunità scientifica a riguardo. li effetti di questa scelta si ripercuotono tuttora sui consumatori che non hanno più facoltà di scelta in quanto l’etichettatura dei prodotti Ogm è proibita, al contrario che in Europa. Nel vecchio continente l’arrivo dei prodotti biotech fu preceduta da una ricerca scientifica del Rowlett Research Institute, in Scozia. Arpaz Pusztai, ricercatore dell’istituto, presentò dure critiche circa le tecniche di inserimento dei transgeni all’interno del nucleo, come possibile causa di cancro e anomalie nelle reazioni immunitarie dell’organismo. Oltre alle inquietudini sollevate dalle incertezze degli effetti sulla salute, gli Ogm e la questione del brevetto rendono moralmente spinosa l’attività imprenditoriale della Monsanto. a “polizia del seme” percorre in lungo e in largo le campagne americane alla ricerca di campioni brevettati dall’azienda ma ritrovati nelle proprietà di agricoltori biologici per cause quasi sempre accidentali, come l’impollinazione e dunque la contaminazione, per poi citarli in giudizio. Questa tecnica è utilizzata dalla Monsanto anche nei Paesi dove non può arrivare
G
L
legalmente la coltivazione transgenica, il mais Ogm ha infatti già contaminato il mais messicano. E’ concreto il rischio che gli agricoltori locali siano costretti ad acquistare erbicidi e sementi dell’impresa e al contempo è messa in pericolo l’integrità della più grande varietà di mais al mondo. L’azienda americana sta dunque “involontariamente” e indirettamente provocando una contaminazione a livello globale delle coltivazioni non Ogm, inoltre l’acquisto in tutto il mondo delle maggiori aziende sementiere rende enormemente difficile per i produttori agricoli la possibilità di scegliere tra prodotti Ogm o meno. Caso eclatante è quello Indiano, la coltivazione di cotone Ogm è risultato un fallimento per tutti gli agricoltori che si sono affidati alle nuove tecnologie. Le piante transgeniche, più costose di quelle normali, progettate per resistere ai parassiti, risultavano nel lungo periodo inefficaci. Peraltro al proliferarsi tra le piante Ogm di una malattia prima sconosciuta distrusse la maggior parte delle coltivazioni di cotone tra il 2005 e il 2006 causando fra gli agricoltori, indebitati e impossibilitati all’acquisto delle sementi normali, un’ondata di suicidi che ha raggiunto il numero di 600 casi nella regione di Vidarbha. a velata pretesa della totale trasformazione di tutte le coltivazioni in Ogm ed il controllo totale di tutti le sementi attraverso i brevetti, proiettandosi verso tutte le tipologie di culture ed in tutti gli angoli del mondo, presuppone la sconcertante volontà di controllo delle riserve alimentari globali. Che sia per mero interesse economico o per scopi più sinistri, nel peggiore dei casi prepariamoci ad un mondo transgenico, al mondo secondo Monsanto.
L
Che Diotisalvi Times
Vuoi scrivere sul prossimo numero? Manda il tuo articolo a: ingegneria@sinistraper.com
CONTATTACI | Pagina Facebook: Ingegneria in Movimento - Sinistra per... | Sito: www.sinistraper.org |