Sinistra per... presenta
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o ! N a t r o p a l l e u q
L’UniPi dà i numeri (programmati)!
Non chiudete quella porta Questo dossier nasce in un momento molto drammatico per l'università pubblica e quindi il nostro Ateneo, non certo esente dalla crisi di finanziamenti generata (e mai arrestata) dalla Legge 133/08 del Governo Berlusconi, nonché da alcuni provvedimenti, come il DM 17, che dovrebbero garantire una didattica di qualità e che invece stanno imponendo condizioni insostenibili per la sopravvivenza dei corsi di laurea. La somma di questi provvedimenti, sempre più indice di un disegno preciso del vecchio Governo (ma cominciamo ad avere il dubbio che sia lo stesso disegno dell'attuale, vista il sostanziale indirizzo di continuità dei primi provvedimenti presi), sta mettendo seriamente in discussione la coesistenza di due principi che hanno caratterizzato storicamente il nostro Ateneo: la formazione di massa e la formazione di qualità.
Paletti, chiavistelli, catenacci, lucchetti In Italia la Legge che regola il numero chiuso è la 264/1999, realizzata sotto il Governo di centro-sinistra D'Alema, con Zecchino Ministro dell'Istruzione. Questa Legge impone il numero chiuso (per definizione determinato a livello complessivo nazionale direttamente dal Ministero, che poi divide il carico tra i vari Atenei) per i corsi di laurea: • Medicina e Chirurgia • Medicina Veterinaria, • Odontoiatria e Protesi Dentaria, • direttamente finalizzati alla formazione di architetto, • per la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione • Scienze della Formazione Primaria, • scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario • corsi di formazione specialistica di medici • scuole di specializzazione per le professioni legali • corsi universitari di nuova istituzione per un numero di anni corrispondente alla durata del corso. La possibilità di iscriversi è determinata dal posizionamento in una graduatoria a scorrimento secondo il punteggio realizzato in un test d'ammissione. È inoltre prevista, nei singoli atenei, la possibilità di inserire numeri programmati (per definizione decisi dai singoli atenei, in particolare su proposta dei singoli corsi di laurea in questione); a seguito della riforma D.M. 270/2004, l’accesso all’Università, per le lauree triennali e quelle a ciclo unico, deve essere preceduto da una verifica obbligatoria delle conoscenze iniziali dello studente con la possibilità di attribuzione di obblighi formativi aggiuntivi (OFA) da soddisfare nel primo anno di corso. Il Regolamento Didattico d'Ateneo dell’Università di Pisa, all'articolo 18 comma 2, recita: "Per l’iscrizione ad un Corso di Laurea o a un Corso di Laurea magistrale a ciclo unico, sono altresì richiesti il possesso o l'acquisizione di un’adeguata preparazione iniziale. Gli Ordinamenti didattici definiscono le conoscenze richieste per l'accesso e le competenti strutture didattiche ne determinano le modalità di verifica, anche a conclusione di attività formative propedeutiche come successivamente indicate. Se la verifica non è positiva, possono essere indicati specifici obblighi formativi aggiuntivi da soddisfare nel primo anno di corso. Tali obblighi formativi aggiuntivi sono
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assegnati anche a studenti dei Corsi di Laurea ad accesso programmato che siano stati ammessi ai corsi con una votazione inferiore ad una prefissata votazione minima." Entrando nel merito politico della questione, abbiamo sempre considerato il numero chiuso, come qualsiasi forma di limitazione dell'accesso al percorso universitario, la negazione della libertà di ogni cittadino di formarsi e di intraprendere il percorso di studi che ritiene più opportuno; ogni accesso negato è una possibilità persa di avere uno studente che studia ciò che vuole. La retorica utilizzata per giustificare la scelta del numero chiuso pone la questione in termini meritocratici e in termini di qualità dei corsi di laurea: in termini meritocratici, in quanto si ritiene giusto che l'accesso ai gradi più alti del sapere venga concesso solo ed esclusivamente ai meritevoli; in termini di qualità, nel momento in cui si afferma che ridurre il numero di studenti in ingresso migliori la qualità del corso di laurea dal momento che ci si assicura della preparazione e della motivazione degli studenti selezionati, investendo su pochi più risorse. Si può anzitutto obiettare, con forza, che se l'accesso ai gradi più alti del sapere è ritenuto un diritto fondamentale, non si può accettare quel pericolosissimo principio puritano secondo il quale i diritti "si meritano". I diritti, come tali, non possono esistere circoscritti, ma possono solo essere garantiti a tutti; e necessariamente prescindendo da qualunque tentativo di processo alle intenzioni di chi vuole fruirne. In secondo luogo, è dato oggettivo che la qualità di un corso di laurea non può essere misurata dalla qualità degli studenti che vi accedono: è la qualità degli studenti che completano il percorso formativo che deve essere presa come indicatore. Infatti, se di meritocrazia si vuol parlare, è il percorso stesso, piuttosto che la filtrazione in ingresso, a selezionare in itinere gli studenti preparati e motivati; è la qualità della didattica a formare laureati eccellenti. Ma c'è ancora un dato oggettivo che peggiora il grado di iniquità del sistema del numero chiuso: anche insistendo nel voler concedere l'accesso ai saperi esclusivamente a chi ritenuto in grado di meritarlo, non si può però affermare che esista un metodo allo stesso tempo equo ed efficiente atto alla selezione pratica di tali studenti. Il metodo ad oggi in uso, che è di certo efficientissimo per risorse utilizzate e tempi impiegati, è quello del test "a crocette". È consueta, ormai, la polemica di fine estate su come debbano essere fatti i test d'ingresso e le domande sulle quali valutare la preparazione; per non parlare della possibilità di considerare il voto di diploma
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come punteggio aggiunto. Non si tratterà comunque mai di un metodo equo, poiché valuta in maniera più che grossolana e non poco aleatoria la preparazione generale del candidato, e non può tener conto di fattori "emotivi" come il fatto che uno studente sia realmente motivato ad affrontare il percorso di studi o il fatto che la lucidità durante lo svolgimento della prova può ridursi al minimo dovendo rispettare tempi strettissimi per rispondere ai quesiti del test. E l'iniquità è dimostrata statisticamente: in alcuni corsi che sono passati al numero chiuso, confrontando la percentuale di studenti che non completano il percorso formativo – assumiamo per semplicità che si tratti quelli poco motivati o preparati – prima e dopo l'introduzione del numero chiuso, si osserva che essa è di fatto la stessa. Se ne deduce che la selezione attuata mediante test d'ingresso "a crocette" è casuale. La carenza cronica di risorse economiche e umane a disposizione del sistema universitario italiano può spingere gli atenei alla scelta semplicistica del numero programmato, in modo di avere un numero di studenti tale per cui le risorse a disposizione per la didattica (docenti, aule, laboratori, strumentazioni ecc.) siano sufficienti. Questa mancanza di risorse è il risultato di scelte politiche che hanno raggiunto l'apice di scelleratezza con le leggi 133/08 (Tremonti) e 240/10 (Gelmini), che hanno strumentalmente definanziato e destrutturato l'università pubblica. Il progetto è stato infatti quello di dequalificare il sistema universitario pubblico per spianare sempre più la strada alle università private dall'autoproclamata eccellenza. L'intento principale di questo dossier è abbattere il luogo comune secondo il quale avere un'università di qualità significhi rinunciare ad un'università di massa così come avere un'università di massa significhi rinunciare ad un'università di qualità. Tale luogo comune è stato imposto da scelte politiche precise, che minano il concetto stesso di università pubblica; scelte politiche che vanno combattute e capovolte con proposte alternative sorrette dal principio imprescindibile che l'accesso ai saperi deve essere garantito ad ogni cittadino.
Porte socchiuse all’UniPi Nel nostro Ateneo, a parte le facoltà a numero chiuso, esistono purtroppo già casi di numero programmato nei corsi di Biotecnologie e Scienze Biologiche, analizzati di seguito. Se il primo è stato a numero programmato fin dalla sua istituzione per l'a. a. 2009/2010, per il secondo il numero programmato è stato introdotto nell'a. a. 2010/2011, un anno dopo la sua nascita dalla fusione delle due triennali in Scienze Biologiche Molecolari e Scienze Ecologiche e della Biodiversità. Il corso di laurea triennale in Scienze Biologiche non aveva difficoltà in termini di sostenibilità(1) che imponessero l'introduzione del numero programmato; “semplicemente”, soffriva – anche in termini di insufficienza di strutture – dell'utilizzo come parcheggio da parte di tutti gli studenti non ammessi a Medicina (e/o professioni sanitarie varie) che in attesa di ritentare il test si iscrivevano al corso più affine tra quelli ad accesso libero, per non perdere l'anno dando magari qualche esame valido per il passaggio. In quest'ottica, la limitazione dell'accesso mediante un test (a pagamento, tra l'altro) è evidentemente considerata uno strumento di selezione degli studenti effettivamente interessanti piuttosto alle scienze biologiche che alla medicina; in altre parole, di scoraggiamento dei non aspiranti biologi e in generale degli indecisi. Di fatto, contro i 706 immatricolati dell'a. a. 2009/2010, Scienze Biologiche ha avuto nell'a. a. 2010/2011 (anno di istituzione del numero programmato) 266 immatricolati; con un aumento del coefficiente di fedeltà(2) dal 29% al 43% – aumento
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apparentemente considerevole, ma in realtà tutt’altro che soddisfacente in confronto con l'andamento dei coefficienti di fedeltà di altri corsi; tanto più che il valore previsto corrispondete a quest’anno accademico è solo il 36%… ben lontano dall’avallare la limitazione dell’accesso al corso. Del resto, il fatto che il numero di iscritti a Sc. Biologiche sia nettamente inferiore a quello programmato (350 posti disponibili, 584 candidati al test, solo 297 immatricolati) esclude definitivamente che il test abbia potuto avere qualunque funzione di selezione degli studenti rispetto alle loro competenze pregresse – ha solo scoraggiato l’iscrizione di molti, non necessariamente dei meno bravi o motivati. Scoraggiati, gli indecisi e/o non aspiranti biologi – ovvero anche una larga parte di coloro che, ignari dell'esistenza del test d'ingresso a Sc. Biologiche o per varia ragione impossibilitati, non l'hanno sostenuto –, dove sono andati ad iscriversi? In significativa parte, sicuramente presso i corsi di Biologia ad accesso libero di altri atenei toscani, dei cui dati però non disponiamo attualmente. La maggior parte, però, si è riversata sui corsi di laurea triennale più vicini all'interno della Facoltà: Chimica e Scienze Naturali e Ambientali, come dimostrato dall'abnorme incremento dei loro iscritti e dal contestuale abbassamento del relativo coefficiente di fedeltà: in 3 anni il corso di Scienze Naturali e Ambientali ha aumentato gli immatricolati da 61 a 198, con un calo del coefficiente di fedeltà dal 74% al 25% previsto per quest'anno; mentre quello di Chimica da 76 a 129 con calo dello stesso coefficiente dal 64% al 40% previsto. L'evidente abbassamento del coefficiente di fedeltà dimostra che, da quando Scienze Biologiche è a numero programmato, degli iscritti a Chimica e Scienze Naturali e Ambientali è molto minore la quantità effettivamente interessata a detti corsi. Ciò conferma l'esistenza del problema degli studenti che si iscrivono a corsi della facoltà di Scienze unicamente in vista dell'ingresso in corsi di area medica; ma dimostra altresì che la limitazione dell'accesso a Scienze Biologiche costituisce solo una traslazione di detto problema, che si riversa sul corso ad accesso libero più prossimo. Quest'ultimo corso, a maggior ragione nella contingente situazione di tagli e ristrettezze di strutture e di organico, risulta pesantemente penalizzato dall'improvviso picco di affluenza: prove ne siano, tra le altre, il fatto che quest'anno gli studenti del primo anno di Chimica erano considerati troppo numerosi per poter fare attività di laboratorio, o che gli studenti dell'attuale primo anno di Scienze Naturali e Ambientali, finché non sono stati spostati di aula, in pratica non riuscissero fisicamente a seguire alcuni degli insegnamenti fondamentali. Queste situazioni hanno portato a ventilare, per tali corsi a loro volta, l'introduzione del numero programmato. A fronte di un DM 17 colpevolmente vago nell'indicare rispetto a cosa debba essere misurata la sostenibilità quantitativa(1) dei corsi, si è appunto posto il problema della sostenibilità per i corsi di Chimica e di Scienze Naturali e Ambientali. Là dove, fin tanto che esisteva la realtà delle facoltà, erano queste ultime il riferimento su cui verificare la sostenibilità dei relativi corsi come numero minimo di docenti, si poteva infatti contare su un numero complessivo di docenti della Facoltà molto ampio, tanto da garantire la sostenibilità di tutti i corsi. Con lo scioglimento delle Facoltà, tuttavia, quale sarà il riferimento con cui confrontare la numerosità dei docenti? Con ogni probabilità i dipartimenti, in una nuova situazione di competenze e attribuzioni ancora tutta da ponderare, anche rispetto alla sostenibilità qualitativa(1). Secondo quanto imposto dal DM 17, infatti, ogni settore scientifico-disciplinare deve risultare coperto almeno al 60% per il prossimo anno accademico (2012/2013) e coperto almeno al 70% a partire dall'a. a. 2013/2014. Considerati i blocchi del turn-over e in generale delle assunzioni dei docenti, tale richiesta è particolarmente difficile da soddisfare.
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Ci troviamo nell’infelice condizione di presentare a livello di Facoltà un’offerta formativa e didattica che starà però ai Dipartimenti garantire. Allo scorso dicembre (2011), non erano ancora definite le basi su cui verificare la sostenibilità e qualitativa e quantitativa – quali strutture avrebbero dovuto garantirle? In che modo? È noto che insegnamenti di uno stesso corso sono tenuti da docenti afferenti a dipartimenti diversi. Tra l’altro, nel nostro Ateneo l’incardinamento dei corsi nei dipartimenti era (e ancora è) tutt’altro che completato. Ciononostante, nei Consigli di Corso di Laurea e di Facoltà, così come nelle relative Commissioni Didattiche, già si parlava seriamente di limitare l’accesso trasversalmente ai corsi suddetti. Con ingiustificabile anticipo rispetto ai tempi limite di discussione e presentazione dei nuovi regolamenti didattici, insomma, si pianificava come recepire qualcosa che ancora non si conosceva. La nota ministeriale del MIUR nr. 169 del 31 gennaio 2012 ha sciolto i nodi sulla verifica della sostenibilità dei corsi, indicando chiaramente come procedere negli atenei dove, come nel caso dell’Università di Pisa, i nuovi dipartimenti non fossero ancora attivi (quindi non in grado di stilare la programmazione didattica). La nota, infatti, specifica che in detti casi la sostenibilità quantitativa dei corsi di studio per l’a. a. 2012/2013 sia da verificarsi a livello di Ateneo: quest’ultimo sarà la struttura didattica che nel suo complesso dovrà verificare di avere tanti docenti quanti il totale della somma di quelli necessari a sostenere tutti i singoli corsi. Così stando le cose, risulta evidente che per ogni corso del nostro Ateneo la sostenibilità è garantita (c’è anzi un avanzo di circa 40 docenti); che per nessuno sono necessarie limitazioni d’accesso. Per quanto concerne invece l’inadeguatezza dimensionale delle strutture rispetto alla grande affluenza di studenti, considerato che per il prossimo anno accademico saranno in consegna due nuovi poli didattici e che i poli tutti passeranno sotto la gestione dell’Amministrazione Centrale, è fondamentale in questa sede evidenziare che l’accesso a rotazione alle aule più grandi e dotate di amplificazione sarà generalizzato a tutti i corsi di laurea. Di fatto, il problema è limitato all’organizzazione dell’orario didattico. Il Consiglio di Dipartimento di Biologia, di conseguenza, ha deliberato di mantenere invariata la propria programmazione didattica. Nonostante questo, nei consigli di corso di studi di Scienze Biologiche e Scienze Naturali e Ambientali la limitazione dell’accesso è ancora un tema attuale e scottante: nel primo si parla di ridurre il numero programmato da 350 a 300, nel secondo è stato recentemente approvato il numero programmato a 100 (questa scelta dovrà essere definitivamente approvata dal Consiglio di Facoltà e dal Senato Accademico). Se ciò fosse messo in pratica, quali sarebbero le conseguenze sulla Facoltà, ovvero sui corsi vicini? Il problema della limitazione dell'accesso per garantire la sostenibilità quantitativa è invece rimandato al prossimo anno per la facoltà di Ingegneria; sembra indirizzata a questa soluzione anche la facoltà di Economia. Nel caso di Economia, non si parla di numero programmato alla triennale, ma di soglie numeriche per l'accesso alla magistrale: se il voto di laurea triennale è inferiore ad una certa soglia, non è scontata l'iscrizione alla magistrale – bisogna prima superare un'ulteriore prova, che può essere un colloquio o un test. Questo provvedimento è stato già approvato, con nostra forte opposizione, ormai 2 anni fa dal CDF di Economia; tuttavia non è ancora entrato in vigore grazie alle deroghe da noi ottenute (basate sul fatto che bisogna tutelare chi ha già iniziato un percorso universitario non sapendo che ci sarebbero state queste soglie), e che
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sembra verranno confermate anche per il prossimo anno, visto appunto il criterio di calcolo dei requisiti di Ateneo, molto meno stringente rispetto al calcolo fatto sulla facoltà.
Entrata d’emergenza Ma quella della sostenibilità non è l'unica motivazione addotta per il numero programmato. Si vuole ricorrere a questa soluzione, infatti, anche per risolvere problemi tanto importanti quanto resolubili anche in altri modi: sacrificando qualche interesse di qualche gruppo di potere, qualche campanilismo "di area". Le facoltà di Ingegneria e Lingue sono l'esempio lampante di questo. Il pesante stato di definanziamento in cui versa l'università pubblica, sommato al blocco del turn over introdotto con la Legge 133/08 e sempre confermato nei futuri provvedimenti, ha impedito il necessario ricambio di docenti nel nostro Ateneo, così che il numero di questi è in calo anno dopo anno. Nel caso di Ingegneria, il numero di immatricolati è fortemente cresciuto negli ultimi anni, arrivando in quest'anno accademico al picco di ben 2200 presenti ai test OFA (che, se non superato, implica un debito formativo che blocca qualsiasi esame finché non saldato) con successivi 1800 immatricolati, portando a classi del primo anno sovraffollate, specialmente nei corsi di base di Analisi e Fisica, molte delle quali già accorpate. La prima proposta dal Preside presentata alla Commissione Didattica di Facoltà, come da molti anni a questa parte, è ovviamente il numero programmato, dipinto come la panacea di tutti i mali della Facoltà. Vano è stato il tentativo di persuaderci che sia l'unica soluzione possibile se vogliamo garantire una didattica di qualità – come se la qualità fosse proporzionale al numero di studenti che seguono un corso. La nostra proposta, invece, prevede un cambiamento sostanziale dell'organizzazione interna, che noi abbiamo definito "riforma del primo anno". Seguendo l'esempio di altre facoltà in Italia (a partire dal Politecnico di Torino, che su questo ha fatto scuola), sulla falsa riga di come Ingegneria era organizzata parecchi anni fa, si prevede il primo anno a comune per tutti e un inizio della differenziazione tra i vari corsi solo dal secondo anno. Questo comporterebbe una migliore distribuzione degli studenti tra i pochi docenti di Matematica e Fisica a disposizione della Facoltà rispetto agli attuali accorpamenti di
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alcuni corsi, e quindi una razionalizzazione dell'impegno della forza docente a disposizione per gli studenti. Infatti, supponendo che il numero di immatricolati sia circa lo stesso di quest'anno e considerando che, ad esempio, ci sono 9 docenti di Analisi 1, avremmo 1800/9 = 200 studenti per docente – mentre oggi chi tiene il corso di Analisi solo ad Ingegneria Biomedica si trova davanti una platea di oltre 300 studenti. Certamente, questa soluzione prevede uno sforzo maggiore rispetto ad una delibera in Consiglio di Facoltà, però i risultati sarebbero migliori e soprattutto si eviterebbero tutte le conseguenze negative che il numero programmato comporta. I tempi dati in Commissione Didattica di Facoltà prevedono l'approvazione della riforma entro la primavera del prossimo anno accademico. I pericoli, tuttavia, non sono ancora scampati, perché c'è anche chi vorrebbe il numero programmato pure con il primo anno in comune. Rispetto ad un altro problema, quello di capacità numerica delle aule, che a norma di legge non possono contenere più di un certo numero di studenti, la soluzione è per noi molto semplice: sfruttare anche il sabato per fare lezione e dotare i docenti del primo anno (almeno quelli delle materie di base) di supporti multimediali come tablet e microfono, nonché mettere le proprie lezioni on line, come già oggi alcuni fanno. Attenzione: questo non comporterebbe una sostituzione delle lezioni frontali con quelle registrate, come avviene per le università telematiche (vergogna del sistema universitario italiano); rappresenterebbe bensì un supporto per chi magari in un'aula da 300 posti è seduto nelle ultime file e sicuramente non può seguire bene la lezione come chi si trova tra i primi posti. Al riguardo abbiamo ottenuto, in una Commissione Didattica straordinaria il 24 febbraio, l'impegno ad avviare questa sperimentazione multimediale già dal prossimo anno accademico. Insomma, abbiamo aperto una porta alternativa a quella del numero chiuso e da qui ad un anno la percorreremo in ogni modo, specialmente ora che anche molti docenti si sono convinti che quella del primo anno a comune è sicuramente la soluzione migliore per razionalizzare la nostra offerta didattica, piuttosto che ridurre il numero di studenti inserendo una soglia massima di immatricolati. Il caso di Lingue è invece più complicato, perché è addirittura in atto una vera e propria "corsa" al numero programmato, data la prossima convivenza con l'attuale facoltà di Lettere nel nuovo dipartimento congiunto: i docenti della facoltà di Lingue stanno cercando di approvare il numero programmato in fretta per paura di futuri problemi di approvazione nel nuovo dipartimento; infatti, il numero programmato è sempre molto difficile da togliere una volta inserito. Qui, l'ultima argomentazione adottata in ordine cronologico è che le aule sono troppo piccole per accogliere in sicurezza tutti gli studenti immatricolati (circa 500 in quest'anno accademico); ma i docenti di Lingue non sembrano voler considerare che non solo l'anno prossimo avranno accesso ad una nuovo struttura ora in fase di ristrutturazione, ma che addirittura c'è la disponibilità di utilizzare il Polo Carmignani come già fanno altre facoltà centrali come Scienze Politiche e Giurisprudenza. Ad oggi è ignoto il motivo per il quale la facoltà di Lingue non acceda a questi spazi, nonostante sia presente nella commissione spazi d'Ateneo con i propri rappresentanti. La discussione è in atto, anche se qui i docenti sembrano irremovibili, nonostante sia la situazione più facilmente risolvibile.
Il contagio di Medicina È evidente che a spingere giù il primo tassello è stato il numero chiuso della Facoltà di Medicina e Chirurgia, traslando così il problema, con effetto a cascata,
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su altri corsi, conseguentemente sovraffollati al primo anno: Scienze Biologiche, Scienze Naturali e Ambientali, Biotecnologie e Ingegneria Biomedica. È aperto da qualche tempo il dibattito sul numero chiuso in questa Facoltà, prevedendo per il 2015 un buco di 7600 specializzandi e così la riduzione del numero di medici disponibili nel futuro; si stanno già prendendo delle precauzioni, aumentando del 10% l'anno il numero dei posti disponibili – provvedimento che di certo non risolverà il problema dell’ “emergenza medici”, ma si limiterà piuttosto a traslarlo verso un futuro non troppo più lontano. Ogni anno, la corsa ai 250 posti messi a disposizione dalla Facoltà di Medicina pisana si conclude con un numero altissimo di studenti che si riversa nei corsi “affini” (o supposti tali) aspettando l’anno seguente per ritentare il test. È prevedibile che siano proprio gli aspiranti medici a superare con più facilità i test d'accesso l'area biologica (Scienze Biologiche e Biotecnologie); di conseguenza, la maggior parte degli studenti del primo anno di questi corsi è molto più incline a cambiare corso di studi che a rimanere e conseguire il titolo; si genera così, paradossalmente, un'amplificazione dell'effetto dell'abbandono al secondo anno. Questi corsi, soprattutto nel caso di Scienze, hanno reagito inserendo a loro volta il numero programmato; gli studenti si sono così riversati nei corsi di Chimica e Scienze Naturali e Ambientali che, come prevedibile, stanno pensando di introdurre anch’essi il numero programmato nei propri regolamenti. Se lo facessero, i prossimi corsi sovraffollati sarebbero Chimica per l’Industria e l’Ambiente e Scienze Geologiche, i cui consigli di corso sarebbero allora tentati a loro volta dalla limitazione dell’accesso. Anche a Ingegneria biomedica (sicuramente meno simile al corso di Medicina e Chirurgia rispetto a Scienze Biologiche) si sta pensando di inserire il numero programmato; siamo pronti a scommettere sulla reazione degli altri corsi di ingegneria. Corso per corso la malattia di diffonde. Chissà quale sarebbe la reazione dei corsi di area letteraria, se Lingue dovesse adottare il numero chiuso...
Il nostro vaccino per l’UniPi Il problema della limitazione degli accessi, oltre ad un'attenta e puntuale analisi nelle varie facoltà (che come visto hanno problemi simili ma modi diversi di risoluzione), richiede un'analisi d'Ateneo generalizzata. Noi riteniamo che questa riflessione debba riguardare: • la modifica dell'articolo 18 del Regolamento Didattico d'Ateneo, che attualmente permette di avere come criterio per l'accesso alle lauree magistrali anche soglie numeriche, imponendo piuttosto ai futuri dipartimenti e ai corsi di laurea di adottare criteri che si basino sui programmi svolti nella laurea triennale, senza considerare il voto preso, ed eventualmente assegnando debiti formativi a chi non in possesso di certe conoscenze – e non di certi voti; • nei futuri dipartimenti, il ragionamento sull'elevato numero di fuori corso da considerare non più come una zavorra ma come un'opportunità: puntando sui tutor didattici (figure previste ma mai usate), rompendo per la prima volta i tabù di ostacoli alle carriere degli studenti come le propedeuticità e mirando ad investire seriamente (e non giusto per una questione d'immagine) sui corsi di recupero a disposizione di studenti gravati di OFA; • l'investimento sull'orientamento nelle scuole superiore, non a mero scopo pubblicitario e propagandistico, bensì esponendo anche i problemi che le facoltà hanno, con tanto di statistiche sui laureati e sui tassi d’abbandono (anche con l'aiuto degli studenti). Si dovrebbe, inoltre, dare la possibilità di affrontare i test d’ingresso già negli ultimi mesi dell'ultimo anno di scuola secondaria;
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• far sì che il reclutamento fatto dai vari dipartimenti tenga conto soprattutto delle necessità dei vari corsi e non sia invece una spartizione di posti dettata da logiche baronali. Recluti chi ha più bisogno di docenti, non chi ha più potere.
Non ci avrete mai come volete voi! Inutile ribadire che siamo fortemente contrari al numero chiuso o programmato, spacciato sempre più spesso come strumento di selezione meritocratica degli studenti: pensiamo per contro che la selezione sia casuale – o, piuttosto, dipendente da moltissimi fattori collaterali ai test, che non possono così concorrere a determinare quei “migliori” tanto auspicati dai sostenitori dell’accesso limitato, rivendicato come strumento di filtrazione qualitativa. Lavorando a questo dossier, oltre ad analizzare la situazione, abbiamo rilevato che negli anni c’è stato un progressivo incremento del numero degli iscritti generalizzato a tutte le Facoltà: perché il grado di alfabetizzazione negli anni tende a crescere. Auspichiamo anzi che cresca sempre con più decisione; la risposta a questo dato non può essere la chiusura degli accessi, che dovrebbe essere piuttosto una spia d’allarme per un Paese che abbia la volontà di investire nel proprio futuro e nella ricerca. Ogni ateneo dovrebbe farsi promotore e primo difensore di questa volontà, chiedendo con forza l’interruzione di progressivi definanziamenti all’Università Pubblica e un cambio di rotta che sia ispirato da un’altra idea di università. L’altro dato spesso cavalcato dai fautori dell’accesso limitato è il tanto discusso tasso di abbandono; noi crediamo invece che questo sia il segno che il sistema funziona, anzi è su questo che bisogna puntare: il fatto che al secondo anno ci siano dei forti flussi migratori tra corsi è la dimostrazione che la selezione vera è quella in itinere – il primo anno aiuta gli studenti a capire le proprie inclinazioni, cosa non banale per chi non ha le idee chiare o non sa dove indirizzare i propri studi. Per questo è necessario anche fare attenzione alla provenienza: il bagaglio culturale può portare ad una distorta visione del corso di studi scelto; e non si può attribuire agli studenti la responsabilità (o la colpa!) di aver frequentato una scuola superiore non adatta, o di non essere a conoscenza di alcuni aspetti del mondo dell’università che possono influire sulla scelta del proprio percorso, giungendo ad una non omogena visione delle proprie inclinazioni personali. Per tutte queste ragioni, riteniamo che sia importante valutare il singolo studente rispetto a vari aspetti che non possono essere valutati da 50, 100, 1000 domande a riposta chiusa: una crocetta racconta poco! Lo sbarramento ai più alti gradi del sapere è una limitazione del Diritto allo Studio, che deve essere invece imprescindibilmente difeso da qualsiasi processo che possa limitare l’accesso ai saperi.
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NOTE (1) La sostenibilità dei corsi di laurea, come definita dal DM 17/2010, è misurata quantitativamente sui singoli corsi e qualitativamente sui settori scientificodisciplinari. Per quanto riguarda la quantità, si impone che i corsi di laurea triennale abbiano docenti in numero 12+2*(n° curricula – 1) + |9+w| dove w è il rapporto tra il numero di iscritti al primo anno effettivo e il numero massimo previsto nell'allegato c per i corsi della classe di laurea cui il corso appartiene, diminuito di 1, e il simbolo | | indica l'arrotondamento all'intero superiore. [cfr. allegato b del DM 17] La sostenibilità qualitativa è riferita ai settori scientifico-disciplinari degli insegnamenti di base e caratterizzanti, ovvero all'offerta formativa all'interno dei corsi di studi. Un settore è considerato coperto se nella facoltà (o nell'ente che ne esercita le funzioni – con ogni probabilità, a partire dall'entrata in vigore del nuovo statuto, il dipartimento) cui il corso fa riferimento esistono, per quel settore, docenti di ruolo in numero maggiore o uguale al numero di classi di laurea per le quali detto settore è attivato. Là dove il numero di docenti di ruolo del settore scientifico-disciplinare è inferiore al numero delle classi di laurea in cui quel settore si ripete, tale settore è considerato parzialmente coperto, con grado (percentuale) di copertura: grado di copertura =
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[cfr. allegato b del DM 17] (2) Abbiamo chiamato coefficiente di fedeltà uno dei due indicatori matematici con cui abbiamo misurato l'andamento delle iscrizioni nei corsi della facoltà di Scienze prima e dopo, con e senza il numero programmato. Esso è definito come rapporto percentuale tra il numero di iscritti al secondo anno e il numero di immatricolati al relativo primo anno, ed esprime quanti di loro sono rimasti piuttosto che cambiare corso – assumendo che i “poco convinti” o “interessati ad altro” cambino tendenzialmente corso dopo il primo anno: coeff. fedeltà =
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A ciascun anno accademico è associato il coefficiente di fedeltà che ha per denominatore il numero di studenti allora iscrittisi al primo anno e per numeratore il numero di studenti che da quel primo anno si sono iscritti al secondo nel successivo anno accademico. NB: i coefficienti di fedeltà previsti sono ricavati assumendo che il numero di iscritti al secondo anno nel prossimo anno accademico sia ragionevolmente paragonabile a quello degli anni accademici precedenti.
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