L’ANATOMIA ARTISTICA Salvatore Laratro Antonio Nasuto
L’ANATOMIA ARTISTICA Salvatore Laratro Antonio Nasuto
Ministero dell’Università e della Ricerca Alta Formazione Artistica e Musicale Accademia di Belle Arti di Foggia
TESTI E COORDINAMENTO ICONOGRAFICO Salvatore Laratro COLLABORAZIONE ALLA FOTOGRAFIA Anna Maria Salvatore PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Antonio Nasuto TAVOLE E DISEGNI Valeria Acciaro, Lucia de Carolis, Michele Di Cosmo, Mirella di Croce, Nicla di Croce, A. Di Leo, M. Di Lillo, Antonino Foti, Caterina Lacasella, Salvatore Laratro, Maria Rita Mastroluca, Erica Maria Mottola, Fernando Napolitano, Antonio Nasuto, Francesca Piemontese, Angela Romanazzi, Angela Ruberto, Marilena Sasso, Antonella Travosi, Adriana Vitale. Un ringraziamento particolare a Simona di Benga per il contributo dato alla realizzazione delle tavole miologiche. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione degli autori.
SOMMARIO PARTE PRIMA Capitolo primo Capitolo secondo Capitolo terzo Capitolo quarto Capitolo quinto Capitolo sesto Capitolo settimo Capitolo ottavo Capitolo nono Capitolo decimo Capitolo undicesimo Capitolo dodicesimo Capitolo tredicesimo Capitolo quattordicesimo
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CENNI STORICI DELL’ANATOMIA ANALISI DELL’ANATOMIA GENERALITA’ SULLE OSSA SCHELETRO DELLA TESTA SCHELETRO DEL TRONCO SCHELETRO DELL’ARTO SUPERIORE SCHELETRO DELL’ARTO INFERIORE LE ARTICOLAZIONI GENERALITà SUI MUSCOLI MUSCOLI DELLA TESTA MUSCOLI DEL COLLO MUSCOLI DEL TRONCO MUSCOLI DELL’ARTO SUPERIORE MUSCOLI DELL’ARTO INFERIORE
PARTE SECONDA Capitolo primo Capitolo secondo Capitolo terzo Capitolo quarto Capitolo quinto
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ELEMENTI MORFOLOGICI ESTERNI ELEMENTI MORFOLOGICI DELLA TESTA LE TIPOLOGIE SOMATICHE LE TIPOLOGIE ANTROPOLOGICHE IL CANONE BIBLIOGRAFIA
Rembrandt (1606-1669) La lezione di anatomia del dottor Tulp, 1632 Museo Mauritshuis , L’Aia
PARTE PRIMA
CENNI STORICI DELL’ ANATOMIA C A P I T O L O
P R I M O
I primi studi anatomici si riscontrano già a partire dagli antichi egizi che avevano una buona conoscenza del corpo umano acquisita nella preparazione dei cadaveri per il processo di mummificazione. Nella Grecia classica i grandi scultori furono attenti osservatori dei muscoli che, essendo gli elementi esterni, sono facilmente visibili e ben definiti nelle
Frontespizio dell’opera di Andrea Vesalio “De humani corporis fabrica”, 1543
pratiche sportive. Difatti molte sono le opere scultoree di Fidia, Mirone, Policleto, Lisippo, ecc. che raffigurano atleti rappresentati con forte e incisivo realismo formale. Precisione anatomica che ancora oggi è punto di riferimento per gli studiosi e gli artisti figurativi (ne è riprova l’aver accluso a questo volume, tra le varie illustrazioni, alcune loro opere). Grandi studiosi come Ippocrate, Aristotele, Erofilo, esaminarono le strutture anatomiche umane direttamente sui cadaveri tramite la dissezione e raccolsero le osservazioni nei loro trattati. Gli studi anatomici a Roma trovarono grande sviluppo sopattutto nel I secolo a.C. e capofila della scuola medica romana fu Claudio Galeno (130-200? d.C.). Egli sviluppò il sistema medico di Ippocrate, tant’è che nei secoli successivi si parlò di sistema ippocrito-galenico che distingueva l’anatomia pratica, che comprendeva ossa e muscoli, dall’anatomia filosofica che studiava gli organi interni. Con la disgregazione dell’impero romano e l’avvento del Cristianesimo si ebbe un affievolimento dello spirito scentifico. La nuova religione teneva in gran-
Tavola miologica da “De humani corporis fabrica”, 1543
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de rispetto il corpo umano privo di vita e, temendo eventuali profanazioni di cadaveri, vietò la dissezione che durò fino a tutto il Medioevo. Gli studi anatomici furono, pertanto, abbandonati e si determinò un imbarbarimento delle arti plastiche avendo perso quel realismo estetico tipico dell’arte greco-romana. A distanza di vari secoli gli studi anatomici ripresero con rinnovato vigore ad opera di Federico II di Svevia. Uomo dotato di lungimiranza e dallo spirito laico nel 1230 trasgredì ai divieti della Chiesa ed emanò una legge che autorizzava la dissezione di cadaveri al solo uso scientifico, proibendo inoltre l’esercizio della medicina a chi non avesse conoscenze di studi anatomici. Nelle università italiane sorte in quegli anni (Bologna, Padova, Salerno, ecc.), si poté così procedere all’insegnamento dell’anatomia. Esso veniva espletato dal professore che dall’alto della cattedra leggeva e commentava il testo di Galeno, mentre in basso un barbiere sezionava il corpo e un dimostratore con la bacchetta indicava il corrispettivo di quanto Galeno aveva descritto (vedi le illustrazioni di I e IV di coperti-
Marco d’Agrate (1504-1574) San Bartolomeo, (Duomo, Milano)
Leonardo da Vinci (1452-1519) Studi anatomici
Bernhard Seigfried Albinus (1697-1770) Tavola osteologica
Bernhard Seigfried Albinus (1697-1770) Tavola miologica
na). L’anatomia moderna nacque solo quando il professore abbandonò il testo di Galeno divenuto dogmatico per tradizione, tanto che qualche anatomico, trovandosi di fronte a scoperte non conformi alle osservazioni di Galeno, preferì dedurre che il corpo
umano fosse cambiato nei secoli piuttosto che ammettere gli errori di Galeno; scese dalla cattedra, prese il coltello prima impugnato dal barbiere e si mise a trattare l’oggetto anatomico. Lo studioso di spicco in questa fase fu Mondino de’ Liuzzi (1270-1326), anatomista bolognese che scrisse il primo trattato di anatomia umana “Anathomia Mundini” cardine dell’insegnamento universitario per oltre tre secoli. Nel Rinascimento lo studio anatomico sui cadaveri riportò di moda un’arte più realistica e gli artisti gareggiavano con i medici nell’uso del bisturi per la dissezione. I grandi artisti che si applicarono personalmente alla pratica della dissezione furono Andrea del Verrocchio, il Pollaiolo, Michelangelo, Raffaello, ecc., ma su tutti emerse, per la serietà dell’applicazione dovuta ad uno spirito più scentifico, Leonardo da Vinci (vedi il capitolo sul canone). La riforma dell’anatomia, oltre a Mondino de’ Liuzzi e Leonardo da Vinci, trovò il suo grande alfiere nel belga Andrea Vesalio (1514-1564) che nell’opera “De
humani corporis fabrica” vibrò colpi definitivi al dogma Galenico. L’opera di Vesalio, pubblicata nel 1543 e con un numero notevole di riedizioni, è fondamentale sia per la moderna e innovatrice concezione dell’anatomia, sia per la corretta descrizione morfologica delle tavole realizzate da artisti della cerchia di Tiziano. Oltre a pittori che realizzarono cospicue tavole anatomiche ad uso artistico, sul finire del Cinquecento molti scultori si dedicarono all’esecuzione di statue miologiche. Essi, nel trattare la figura umana scorticata, espressero la loro attrazione per gli studi anatomici operando con sapiente virtuosismo estetico. Un esempio rilevante è il famoso San Bartolomeo di Marco d’Agrate (1504-1574) che si trova nel Duomo di Milano. Altri scorticati noti sono quelli eseguiti da Baccio Bandinelli (1488-1559), Willem van den Broeck (1530-1574), Lodovico Cigoli (1559-1613), Ercole Lelli (1702-1766), ecc. Dalla fine del Seicento e per tutto il Settecento dilagarono molte opere enciclopediche ed atlanti di anatomia umana ad uso specifico
Govard Bidloo (1649-1713) Tavole osteologiche
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dei medici e degli artisti. Queste opere erano redatte da medici chirurghi e illustrate con incisioni eseguite da valenti artisti, i quali, non limitandosi alla mera rappresentazione delle ossa o dei muscoli, davano un’ambientazione scenografica al fine di arricchire le tavole con un personale tocco creativo. Tra queste opere è opportuno citare: “l’Anatomia dei pittori” di Carlo Cesio (1626-1686), “Anatomia per uso et intelligenza del disegno” di Bernardino Genga (1636?1734?), “Anatomia humani corporis” dell’olandese Govard Bidloo (1649-1713), e “Tabulae sceleti et muscolorum corpis humani” del tedesco Bernhard Siegfried Albinus (1697-1770). Quest’opera dell’Albinus presenta la più completa e perfetta descrizione osteo-miologica, al punto che ancora oggi è ritenuta insuperabile. Difatti alcune tavole presenti in questo volume sono tratte (e rielaborate graficamente) dall’opera di Albinus. A sottolineare in quale grande considerazione erano tenuti gli studi anatomici è indicativo notare che molte opere pittoriche avevano come tema la “lezione di anatomia”. A partire dalla pittura fiamminga del Seicento fino a tutto l’Ottocento sono molti i dipinti, i disegni o le incisioni che raffigurano famosi chirurghi ed anatomisti ritratti nel contesto della loro attività professionale (vedi alcuni esempi quì di seguito riportati, e le opere che fanno da sfondo alle pagine relative a Parte Prima e Parte Seconda). Nel XIX secolo i cambiamenti di linguaggio artistico, dovuti alla grande rivoluzione impressionista che mirava a un’arte contrapposta al realismo accademico, determinarono un disinteresse per lo studio dell’anatomia e resero il libro di anatomia uno strumento sempre più tecnico, ostico e rivolto unicamente agli studenti di medicina. D’altronde l’evoluzione artistica ha investito di nuovo significato il concetto di Arte. Essa è la manifestazione di libertà espressive non necessariamente figurative rendendo lo studio dell’anatomia inutile e obsoleto per molti artisti che operano nell’ottica di un linguaggio informale e concettuale. Questo clima di disinteresse alla materia si avverte anche nelle odierne Accademie di Belle Arti. Difatti l’ultima significativa riforma relativa a questi Istituti, emanata nel 1999, ha penalizzato questa disciplina eliminando l’obbligatorietà per tutta la durata degli studi che essa aveva in alcuni corsi.
Bartolomeo Passarotti (1529-1592)
Bartolomeo Passarotti (1529-1592)
Michiel van Miereveld (1566-1641)
Andriaen Backer (1635?-1684)
Jan van Neck (1634-1714)
Jan van Neck (1634-1714)
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Francesco Bertinatti Lezione di anatomia applicata all’Accademia di Torino , 1837
Thomas Eakins (1844-1916)
Thomas Eakins (1844-1916)
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ANALISI DELL’ ANATOMIA CAPITOLO SECONDO
L’anatomia (dal gr. anatomé, composto di ana “in” e tomé “taglio, sezione, divisione”) è l’arte di esaminare i corpi, sia animali che vegetali, separandone le parti per conoscere internamente la struttura (la forma) e le funzioni (i meccanismi). Assodato l’obiettivo che si prefigge questa disciplina, vediamo ora di esaminare cosa si intende per “Anatomia Artistica” e quali differenze di applicazioni presenta con le varie branche di Anatomia (patologica, radiologica, istologica, embriologica, topografica, comparata, ecc.) che si studiano in medicina. Per comodità di studio è opportuno innanzitutto procedere ad una breve appendice di biologia. Alla base della vita c’è il protoplasma (dal gr. protos “primo” e plasma “forma”) che costituisce la materia organica. L’insieme del materiale protoplasmatico (acqua, sali minerali, proteine, carboidrati, lipidi, acidi nucleici) costituisce la cellula che rappresenta l’entità fondamentale di tutti gli organismi viventi. Che siano essi organismi unicellulari o pluricellulari, con la cellula la sostanza vivente diventa figurata, dotata cioè di una struttura anatomica ben visibile. La cellula si compone di una sottilissima membrana esterna, costituita da molecole lipidiche, che racchiude il citoplasma e il nucleo. Il citoplasma, dall’aspetto gelatinoso, comprende tutti i costituenti protoplasmatici già citati, mentre il nucleo, di forma rotondeggiante, contiene il nucleolo (RNA: acido ribonucleico) e particelle di cromatina che, composte da proteine e DNA (acido desossiribonucleico), costituiscono i cromosomi (i portatori dell’informazione genetica). Le cellule
variano enormemente per forma, dimensione e specializzazione, mantenendo tuttavia la stessa organizzazione generale. Esse possono presentarsi in forma rotondeggiante, stellata, allungata, fusiforme, ecc. Riunite insieme per identità di struttura e di funzione, formano i tessuti. La consistenza di un tessuto è subordinata alla forma ed alla forza di coesione cellulare. L’associazione di vari tessuti costituisce un organo. Un osso, quale ad esempio il femore, è un organo scheletrico composto di vari tessuti: il tessuto osseo (diviso in compatto e spugnoso), il tessuto cartilagineo (diviso in ialino e fibroso), il midollo osseo, ecc. La combinazione di vari organi, pur differenti per costituzione e sulla base di analoghe funzioni, formano gli apparati e/o sistemi. Tutti gli apparati che compongono il corpo umano si dividono in due precise categorie: apparati della vita animale ed apparati della vita vegetativa.
APPARATI DELLA VITA ANIMALE
Per vita animale (dal lat. animus “spirito” derivato dal gr. anemos “soffio, vento”) si intende quegli apparati preposti alle attività dinamico-sensoriali. Essi sono: 1) L’apparato locomotore, composto di ossa, muscoli e articolazioni. 2) L’apparato neuro-sensitivo, composto dal cervello e dagli organi di senso. 3) L’apparato vocale, costituito dalla laringe (l’organo di base della fonazione). Questi apparati permettono all’individuo (uomo o animale che sia) di essere in relazione col mondo esterno. Difatti l’apparato locomotore, con la deambulazione, consente l’escursione nello spazio circostante e l’apparato neuro-sensitivo la percezione e la cognizione dello stesso. Mentre l’apparato vocale determina la comunicazione con gli individui della stessa specie.
APPARATI DELLA VITA VEGETATIVA
Per vita vegetativa (dal lat. vegetare “far crescere”) si intende tutti gli apparati preposti al metabolismo. Il metabolismo (dal gr. metabolé “trasformazione”) è il procedimento attraverso il quale alcuni elementi
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(grassi, carboidrati, proteine) vengono convertiti in energia per mantenere attivi i processi vitali (respirazione, circolazione sanguigna, funzioni renali, ecc.) utili all’accrescimento, il rinnovamento e il mantenimento dell’organismo. Essi sono: 1) Apparato respiratorio. 2) Apparato circolatorio. 3) Apparato digerente. 4) Apparato urinario (o escretore). 5) Apparato endocrino (a secrezione ghiandolare). 6) Apparato genitale. Questi apparati, ad eccezione di quello genitale, operano tutti in stretta simbiosi; pertanto, l’organismo non sopravvive se viene meno al funzionamento uno di essi. L’apparato genitale, invece, è finalizzato alla conservazione non tanto dell’organismo in sé, ma della specie di appartenenza. Difatti si può procedere alla gonadectomia (asportazione chirurgica delle ghiandole sessuali) delle ovaie (nel caso della femmina) o dei testicoli (nel caso del maschio) senza compromettere la sopravvivenza dell’organismo stesso. Alla fine di questa esposizione, estremamente schematica e che abbraccia comunque quasi tutti i settori della medicina, risulta chiaro che il campo di osservazione necessario al nostro studio si limita unicamente all’apparato locomotore, in quanto è l’unico che determina la connotazione fisica della figura. Come già precedentemente illustrato, l’apparato locomotore è composto dallo scheletro (la struttura rigida e portante), dalle articolazioni (i meccanismi che determinano i tipi di movimento) e dai muscoli (gli elementi attivi che producono il movimento). Pertanto il nostro studio iniziale prende in causa l’osteologia, l’artrologia e la miologia. A questi settori dell’anatomia, nella seconda parte del percorso di apprendimento, vanno aggiunti studi più circostanziali e strettamente connessi con l’immagine esteriore della figura quali: l’analisi degli elementi morfologici esterni (pelle, capelli, occhi, ecc.) e le conformazioni corporee (le tipologie somatiche). Inoltre, visto il carattere artistico del nostro studio, si rende necessario un approfondimento sui canoni di proporzione e le varianti estetiche che si sono verificate nel corso della storia dell’Arte.
Tessuto osseo
Tessuto muscolare
Tessuto sanguigno
Tessuto cerebrale
Schema indicativo raffigurante aggregazioni cellulari costituenti vari tessuti
protoplasma cellula tessuto
(cellule dello stesso tipo)
ORGANO
(tessuti di diversa natura)
apparati apparati della vita animale
apparati della vita vegetativa
apparato locomotore
apparato respiratorio
(di relazione col mondo esterno)
(preposti al metabolismo)
(ossa, muscoli, articolazioni)
apparato circolatorio
apparato neuro-sensitivo (cervello, organi di senso)
apparato digerente
apparato vocale (laringe)
apparato urinario (o escretore)
apparato endocrino (a secrezione ghiandolare)
apparato genitale N.B. L’apparato locomotore è sottolineato in grassetto per evidenziare il nostro argomento di studio, mentre l’apparato genitale è sottolineato in corsivo per i motivi già su enunciati.
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GENERALITà SULLE OSSA
ai parametri di lunghezza, larghezza e spessore, le ossa si dividono in: ossa lunghe, ossa larghe e ossa brevi.
Piano cefalico
Ossa lunghe
C A P I T O L O
T E R Z O
Le ossa sono organi duri e resistenti che unite fra loro in un sistema articolare costituiscono lo scheletro. Esso è l’impalcatura di sostegno del corpo umano e ne conferisce la sua forma caratteristica subordinata alle variazioni inerenti la razza, l’età, il sesso. Le ossa sono costituite da una sostanza compatta esterna ed una spugnosa interna. Tanto la sostanza compatta che la spugnosa sono formate dal tessuto osseo risultante dall’unione di osseina (parte organica) e sali di calcio (parte minerale). Il colore varia leggermente in rapporto all’età e va dal bianco dei bambini a un colorito decisamente giallastro negli individui vecchi. Essendo la postura naturale dell’uomo la stazione eretta, esso può essere inscritto in un parallelepipedo posto verticalmente e che presenta un piano inferiore o plantare, un piano superiore o cefalico, un piano anteriore o ventrale, uno posteriore o dorsale, uno laterale destro ed uno laterale sinistro. Va considerato inoltre un piano mediale o sagittale che divide il parallelepipedo in due parti uguali nel senso longitudinale. Leggendo all’interno di questo parallelepipedo lo scheletro, possiamo constatare che gli elementi ossei siti sul piano mediale sono dotati di simmetria bilaterale e sono detti ossa impari mediane. Le altre ossa dette ossa pari, collocate ai lati, presentano un riscontro gemellare come immagine speculare, onde sullo scheletro esistono di tali ossa due esemplari: destro e sinistro. Nell’ambito di queste due categorie e in rapporto
Sono quelle ossa in cui la lunghezza supera le altre due dimensioni. Ad eccezione delle coste e della clavicola, collocate rispettivamente nel torace e nel cingolo scapolare, le ossa lunghe si trovano prevalentemente negli arti. Morfologicamente presentano un corpo tubolare detto diafisi e due estremità, più ispessite rispetto al corpo, dette epifisi. Esempi sono: l’omero, il femore, la tibia, i raggi metacarpali, le falangi, ecc. L’aver citato fra gli esempi le falangi serve a non cadere nell’errore di associare il concetto di piccolo con breve, in quanto anche nella più piccola delle falangi, malgrado l’irrisoria entità, prevale la lunghezza.
Piano dorsale
Piano sagittale
Ossa larghe
Dette anche ossa piatte, sono quelle ossa in cui prevale la larghezza. Sono collocate generalmente attorno alle cavità del corpo. Hanno forma di lamine e presentano un margine e due superfici molto estese, delle quali quella interna che guarda la cavità è concava, mentre quella esterna è convessa. Esempi sono: la scapola, l’osso iliaco, lo sterno, le ossa del cranio, ecc.
Ossa BREVI
Sono le ossa che hanno dimensioni equivalenti, nel senso che i tre parametri sono più o meno similari. Esempi sono: le ossa del carpo, le ossa del tarso, le vertebre, ecc. Le ossa sono in genere definite da una terminologia anatomica molto antica e praticamente si può dire che, salvo gruppi di ossa similari e omodiname come le vertebre e le coste che hanno una denominazione numerica progressiva, ogni osso del corpo umano ha un nome proprio. Tale nomenclatura ha molteplice origine. In alcuni casi il nome è dedotto dal paragone ad oggetti che hanno una forma nota come i termini di scafoide, cuneiforme, vomere, uncinato, ecc.
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Piano laterale destro
Piano ventrale
Piano laterale sinistro
Piano plantare
Inscrizione dello scheletro nel parallelepipedo
In altri casi è dedotto da riferimento di sito come il caso di osso occipitale, parietale, frontale, ecc. Altri prendono il nome da tentativi di geometrizzazione come osso trapezio, cuboide, piramidale, ecc. Molti nomi delle ossa hanno origini antichissime di cui si sono perse le tracce etimologiche come i termini di femore, omero, tibia, ecc. Esiste poi una nomenclatura anatomica per definire le singole parti componenti le ossa e tali dettagli superficiali vengono elencati nei seguenti termini: EPIFISI – Sono le estremità terminali delle ossa lunghe che servono per il contatto articolare.
DIAFISI – E’ il tratto centrale (corpo) delle ossa lunghe. APOFISI – Sono sporgenze tozze e brevi che partono dalla superficie dell’osso con una larga base. PROCESSI – Sono sporgenze ben delimitate in generale con radice di attacco ristretta. TUBEROSITA’ – Sono sporgenze arrotondate a larga base non ben delimitate. TUBERCOLI – Sono sporgenze del medesimo tipo, più piccole e circoscritte. SPINA – Breve sporgenza a corta radice e terminante a punta. FOSSE, DOCCE, SOLCHI – Indicano gli avvallamenti superficiali delle ossa; le fosse sono arrotondate, le docce sono allungate e i solchi sono sottili con margini netti.
Osso largo (scapola)
Osso breve (calcagno)
Descrizione dello scheletro
Cartilagine articolare
Tessuto spugnoso Arteria nutritizia Midollo osseo
Tessuto compatto
Femore parzialmente sezionato
Lo scheletro è costituito di 200 ossa distribuite in una parte assile e parti appendicolari. Esso si compone di un lungo stelo: la colonna vertebrale, posta verticalmente e posteriormente sulla linea mediana e costituita da una serie di elementi ossei sovrapposti: le vertebre. La colonna vertebrale può essere considerata l’unità centrale di uno scheletro su cui prendono impianto gli altri elementi ossei. Difatti sintetizzando al massimo una struttura scheletrica, come nel caso dei serpenti, essa risulta come unico fattore presente, motivo per cui gli animali dotati di scheletro interno sono detti “vertebrati”. Tale colonna, che funziona come asse di sostegno del corpo, con la sua estremità superiore sostiene il cranio, mentre l’estremità inferiore si appiattisce ed i suoi elementi si saldano in un unico blocco per formare il sacro e, rimpicciolendosi ulteriormente, il coccige. Con la parte toracica della colonna vertebrale si articolano simmetricamente 12 paia di archi ossei, le coste, che si dirigono in avanti per congiungersi sulla linea mediana ad un osso piatto impari, lo sterno, mediante strisce cartilaginee, le cartilagini costali. Viene a formarsi in tal modo la gabbia toracica. La parte superiore della gabbia toracica è circondata in ambo i lati da due ossa, la scapola posta posteriormente e la clavicola anteriormente, che costituiscono insieme la cintura scapolare.
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Epifisi
Diafisi
Osso lungo (femore)
Epifisi
Le tre forme caratteristiche delle ossa
Dalla cintura scapolare, o cingolo scapolare, prende impianto una serie di ossa lunghe che formano l’arto superiore. Esso si compone dei seguenti segmenti: braccio (omero), avambraccio (radio e ulna) e mano (carpo, metacarpo e falangi). Dalla parte inferiore della colonna vertebrale in corrispondenza del sacro partono, a forma di larghe ali, due grandi e robuste ossa piatte, le ossa iliache. Esse si portano anteriormente e si articolano fra loro circoscrivendo così una cavità: il bacino. L’insieme delle ossa iliache costituisce la cintura pelvica, sui lati della quale, all’altezza degli acetaboli, prendono impianto gli arti inferiori. L’arto inferiore è così suddiviso: coscia (femore), gamba (rotula, tibia e perone) e piede (tarso, metatarso e falangi). La distribuzione numerica delle ossa dello scheletro così costituito è la seguente:
Cranio Faccia Osso ioide Colonna vertebrale (tratto cervicale) (tratto toracico) (tratto lombare) Sacro Coccige Torace (coste e sterno) Cinture scapolari Arti superiori Cintura pelvica Arti inferiori Totale
8 14 1 7 12 5 1 1 25 4 60 2 60 200
Visione anteriore dello scheletro
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Visione laterale
Visione posteriore
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SCHELETRO DELLA TESTA
CAPITOLO
QUARTO
La testa, essendo la sede del cervello e dei suoi organi ricettori, è la parte più importante del corpo umano e la sua struttura ossea ne risulta pertanto alquanto complessa. Viene distinta, per comodità di descrizione, in due parti: cranio e faccia. IL CRANIO, la cui parte superiore è detta volta e l’inferiore base, è una scatola ossea di forma ovoidale con l’estremità grossa rivolta in basso e poste-
riormente a costituire la nuca, e la piccola, corrispondente alla fronte, in alto ed anteriormente. Il cranio è costituito in prevalenza da ossa piatte ben saldate tra loro tramite sinartrosi (articolazione fissa) onde conferire la massima protezione all’encefalo. Esso è composto di otto ossa di cui due pari (parietale e temporale) e quattro impari (frontale, etmoide, sfenoide ed occipitale). LA FACCIA, o massiccio facciale, è formata da ossa dalla forma fortemente irregolare che delimitano numerose cavità di valore viscerale. Per questa loro peculiarità sono dette anche ossa pneumatiche. La faccia nell’uomo è relativamente poco sviluppata rispetto al volume complessivo della testa, di cui si può dire rappresenti circa i 2/5; ma negli altri vertebrati queste proporzioni vanno via via modificandosi quanto più si scende la scala zoologica, finchè le proporzioni sono invertite e il volume della faccia predomina su quello del cranio. Le ossa che compongono la faccia sono disposte in modo da formare due apparati mascellari, superiore ed inferiore, divisi fra loro dalla cavità della bocca.
Cranio di uomo 3/5
Cranio di scimpanzè 2/5
Cranio di mucca 1/5
processo zigomatico
incisura sovraorbitaria
margine sovraorbitario spina nasale
bozza frontale
faccia temporale linea temporale
margine sovraorbitario
arcata sopracigliare
incisura etmoidale
glabella
Visione anteriore dell’ osso frontale
faccia orbitaria
Visione inferiore dell’ osso frontale
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Il mascellare superiore è costituito (per sinartrosi) da tredici ossa di cui sei pari ed uno impari e sono: due mascellari, due zigomatici, due palatini, due conche, due nasali, due lacrimali e il vomere. Il mascellare inferiore si compone per diartrosi (articolazione mobile) di un solo osso impari: la mandibola, unico osso mobile di tutta la testa. Considerando il fine puramente illustrativo di questo studio ci limiteremo a descrivere solo le ossa, e le loro superfici esterne, che concorrono al modellato della testa.
Ossa del cranio
OSSO FRONTALE - E’ un osso piatto impari sito frontalmente dalla caratteristica forma a coppa; è chiamato anche osso coronale perché su di esso poggiava la corona dei re. Vi si distingue una faccia posteriore concava corrispondente alla cavità cra-
nica, una faccia anteriore convessa corrispondente alla fronte, ed una faccia inferiore corrispondente alla parete superiore delle orbite oculari. La faccia anteriore presenta ai lati e a metà della sua altezza due rilevatezze rotondeggianti, più sviluppate nel bambino che nell’adulto, chiamate bozze frontali. In basso la faccia anteriore passa alla faccia inferiore, o orbitale, attraverso due rilievi curvilinei detti arcate sopraccigliari. Tra le due arcate, medialmente, si trova un’area detta bozza nasale (quando essa è prominente) o glabella (quando è una semplice area pianeggiante). Quest’area termina con un margine fortemente dentellato per l’articolazione in questo punto dei processi mascellari e delle due ossa nasali. Le arcate sopraccigliari terminano ciascuna, lateralmente e obliquamente, con un prolungamento osseo detto processo zigo-
crista galli
faccia orbitale
processo uncinato cornetto nasale medio
lamina perpendicolare
processo uncinato
cornetto nasale medio
lamina perpendicolare
Visione laterale dell’etmoide piccola ala
Visione frontale dell’etmoide fessura orbitaria superiore
faccia temporale della grande ala
faccia orbitale della grande ala
margine zigomatico
spina angolare
lamina laterale del processo pterigoideo
uncino pterigoideo
Visione frontale dello sfenoide
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matico che si articola con l’osso zigomatico. ETMOIDE – E’ un osso impari dalla morfologia complessa. Trovandosi fra la cavità del cranio e le fosse nasali è in massima parte nascosto; però, viene a far parte delle pareti mediali delle orbite per mezzo delle sue facce laterali e con la sua lamina perpendicolare concorre insieme al vomere a formare il setto nasale. SFENOIDE – E’ un osso impari posto alla base del cranio tra l’occipitale e il frontale. Paragonato per la sua forma ad una farfalla, presenta un corpo cubico centrale e tre paia di espansioni laminari simmetriche: due, dette piccole ali, rivolte quasi orizzontalmente in alto ed in avanti; due, dette grandi ali, rivolte lateralmente; due processi per ogni lato, detti pterigoidei (distinti in lamine e uncini) diretti in basso e facenti parte dello scheletro della faccia. Così come l’etmoide, lo sfenoide è in parte nascosto. Viene facilmente individuato per le grandi ali che concorrono, con le facce temporali, a costituire parte delle pareti laterali del cranio e, con le facce orbitali, parte delle pareti laterali delle orbite oculari. OSSO OCCIPITALE – E’ un osso impari piatto situato posteriormente ed inferiormente. Articolandosi con la prima vertebra cervicale è l’osso che mette in relazione il cranio con la colonna vertebrale. Vi si distingue anteriormente un corpo di forma quadrilatera, detto processo basilare, che si articola col corpo dello sfenoide. Lateralmente ad esso si sviluppano due tratti ossei che presentano dei rilievi, detti condili dell’occipitale, che si articolano con le faccette superiori dell’atlante. Posteriormente l’osso si appiattisce in una estesa lamina detta squama dell’occipitale, sulla cui faccia esterna sono presenti due rilievi paralleli per l’attacco dei muscoli posteriori del collo e detti rispettivamente: linea nucale inferiore e linea nucale superiore. Il corpo posto in avanti, i condili, siti lateralmente, e la squama circoscrivono un foro, detto grande foro occipitale, attraverso cui passa il midollo spinale. Nel suo complesso l’osso si presenta a forma losangica curva. OSSO PARIETALE – E’ così chiamato perché forma la maggior parte delle pareti del cranio. E’ un osso piatto, pari, di forma quadrangolare a concavità in-
teriore. Vi si riconoscono quindi due facce (interna ed esterna) e quattro margini (inferiore, anteriore, posteriore e superiore o sagittale). La faccia esterna è convessa e presenta al centro una sporgenza rotondeggiante, più accentuata nel bambino e nella donna, detta bozza o gobba parietale. Il margine inferiore si articola col temporale, il margine anteriore si articola con il frontale, il margine posteriore con l’occipitale e il margine superiore con lo stesso margine del parietale opposto. OSSO TEMPORALE – Così chiamato perché situato nella regione della tempia (da tempus, in quanto i capelli di questa regione sono i primi ad incanutire), è un osso pari che occupa da ciascun lato della scatola cranica tutto lo spazio compreso fra l’occipitale, il parietale e lo sfenoide. Esso contiene gli organi essenziali dell’udito e per la sua peculiare morfologia è l’osso più complesso del cranio. Il temporale si compone di tre parti ossee: la squama, la rocca petrosa e la porzione mastoidea. La squama è una lamina sottile a forma di semicerchio che assomiglia alla valva di una conchiglia e pertanto concava internamente e convessa esternamente. Il suo margine si articola con lo sfenoide e, quasi in sovrapposizione, col parietale. Dalla parte inferiore della squama sorge un prolungamento osseo che si porta orizzontalmente in avanti chiamato
squama dell’occipitale
linea nucale superiore
cresta occipitale esterna linea nucale inferiore
grande foro occipitale condilo occipitale processo giugulare
processo basilare
Faccia esterna dell’occipitale margine sagittale
gobba parietale squama temporale margine occipitale margine frontale linea temporale superiore
incisura parietale
linea temporale inferiore
poro acustico rocca petrosa
processo zigomatico
processo mastoideo
fossa mandibolare
margine temporale processo stiloideo
Faccia esterna del temporale destro
Faccia esterna del parietale destro
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processo zigomatico. Questo processo, articolandosi con l’osso zigomatico, crea una ponte detto arcata zigomatica. Sotto la squama, interposta fra l’insorgenza del processo zigomatico e la porzione mastoidea, è presente la rocca petrosa, una porzione ossea del temporale di forma piramidale con l’apice diretto verso l’interno del cranio e la base rivolta verso l’esterno. La rocca petrosa contiene l’organo dell’udito; pertanto, la base presenta un piccolo orifizio ovale detto poro acustico esterno. sfenoide
etmoide
Dalla faccia inferiore della rocca sorge un lungo e sottile processo appuntito, diretto in avanti, chiamato processo stiloideo. Dai processi stiloidei dei due ossi temporali partono due legamenti che si inseriscono sull’osso ioide (unico ossicino della testa non in contatto ma sospeso al cranio). La porzione mastoidea costituisce la parte posteriore del temporale, si prolunga in basso ed in avanti in un processo, detto processo mastoideo, su cui prende origine il muscolo sternocleidomastoideo.
frontale
grande corno
margine posteriore
piccolo corno
margine anteriore
corpo
margine inferiore
Osso ioide sfenoide
etmoide frontale
parietale
parietale
temporale
occipitale
parietale
temporale
temporale
Visione inferiore della scatola cranica
parietale
occipitale
temporale
Visione superiore in sezione della scatola cranica
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Ossa della faccia
MASCELLA (o mascellare superiore) – E’ un osso pari ed è il più voluminoso del blocco facciale. In unione con l’osso contro-laterale partecipa alla delimitazione delle fosse nasali, delle cavità orbitarie e della cavità orale. L’osso si compone di un corpo dal quale dipartono, in direzioni diverse, quattro espansioni ossee dette processi, che prendono rispettivamente il nome di: processo frontale, processo zigomatico, processo alveolare e processo palatino. Sul corpo, di forma irregolare, distinguiamo tre facce: una antero-laterale, una superiore ed una mediale. Al centro della faccia antero-laterale si trova un infossamento detto fossa canina che offre inserzione al muscolo canino; al di sopra di tale depressione si nota un orifizio detto foro infraorbitario. Questa faccia presenta: in alto e medialmente il processo frontale che si articola con la porzione nasale dell’osso frontale; lateralmente e al centro, il processo zigomatico che si articola con l’osso zigoma-
tico; inferiormente presenta il processo alveolare, caratterizzato dalla presenza di rilievi verticali determinati dalle radici dei denti, le quali sono accolte in fossette chiamate alveoli. Questo processo unendosi a quello del lato opposto, viene a formare un arco a concavità posteriore. Posteriormente al processo alveolare sorge il processo palatino, costituito da una lamina orizzontale che unendosi a quella del lato opposto forma parte dello scheletro del palato. La faccia superiore o orbitaria, piana e liscia, viene a formare parte del pavimento dell’orbita. La faccia mediale o nasale corrisponde alle pareti laterali delle fosse nasali. OSSO PALATINO – E’ un piccolo osso pari situato profondamente e costituito da due sottili lamine perpendicolari l’una all’altra. Di queste la lamina orizzontale, articolandosi con il processo palatino del mascellare, completa posteriormente lo scheletro del palato. OSSO ZIGOMATICO – E’ un osso pari situato nella
parte superiore e laterale della faccia e di cui forma la sporgenza maggiore. Esso è costituito da una lamina ossea di forma quadrangolare che presenta una faccia esterna leggermente convessa, liscia e sottocutanea ed una faccia interna concava che concorre alla costituzione della fossa temporale. L’osso zigomatico ha origine dai tre processi zigomatici (rispettivamente del frontale, del temporale e del mascellare) costituendone il raccordo. Dei suoi margini quello orbitale, rivolto in alto ed in avanti, partecipa alla formazione del contorno orbitale, e con la sua faccia superiore alla parete laterale dell’orbita. OSSO NASALE – E’ un osso pari che articolandosi col suo contro-laterale costituisce la volta del naso, chiudendo lo spazio compreso tra il frontale e i processi frontali dei due mascellari. Ha un contorno rettangolare dalla tipica forma a scalpello in quanto il margine inferiore, che corrisponde all’orlo superiore dell’apertura piriforme, si presenta lamina perpendicolare
margine lacrimale
processo frontale
cresta etmoidale
margine infraorbitario faccia orbitale
seno mascellare
solco nasolacrimale
foro infraorbitario
processo zigomatico
spina nasale anteriore
processo palatino del mascellare
fossa canina
tuberosità mascellare
processo alveolare
processo alveolare
lamina orizzontale
Sezione del mascellare destro con risalto dell’osso palatino
Visione laterale destra dell’osso mascellare
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processo frontale processo temporale
margine orbitario
foro zigomatico processo mascellare margine inferiore dell’arcata zigomatica
Osso zigomatico destro
margine superiore
foro nasale margine posteriore
margine anteriore
margine inferiore
Osso nasale destro
ala del vomere
lamina
Visione destra del vomere
settile e laminare, mentre superiormente è assai più spesso. Si sviluppa in senso longitudinale diretto dall’alto in basso e da dietro in avanti. CONCA – E’ un piccolo osso pari, dalla caratteristica forma di lamina accartocciata, che sporge dalla parete laterale della fossa nasale. VOMERE – E’ un osso impari sottile la cui forma ben si adatta al nome. E’ situato sul prolungamento in basso della lamina perpendicolare dell’etmoide, venendo a completare la parte ossea del setto nasale. OSSO LACRIMALE – E’ un osso pari (il più piccolo di tutto lo scheletro della testa) costituito da una lamella ossea detta anche unguis (unghia) per la sua sottigliezza. E’ situato nella parte anteriore della faccia mediale dell’orbita. La sua forma è generalmente quadrangolare ma sovente gli angoli sono alquanto smussi onde l’osso assume una forma quasi ovoidale. La sua faccia esterna presenta un solco, detto solco lacrimale, a cui fa seguito un canale che sbocca nelle fosse nasali. Questo canale accoglie il condotto membranoso attraverso cui passano le lacrime. MANDIBOLA (o mascellare inferiore) – E’ un osso impari che completa inferiormente la forma della faccia e della quale forma circa 1/3 dell’altezza. Presenta un corpo piatto foggiato a ferro di cavallo con la convessità in avanti e la concavità verso l’interno. Dal corpo dipartono posteriormente, in posizione pari e simmetrica, due grosse formazioni ossee laminari dirette verso l’alto dette rami e che si decompongono in due processi denominati: coronoideo l’anteriore e condiloideo il posteriore. I due processi sono separati da una insellatura denominata incisura sigmoidea. Il processo coronoideo è una lamina ossea di forma triangolare dai margini piuttosto affilati e l’apice diretto in alto; esso dà inserzione al muscolo temporale. Il processo condiloideo, o articolare, è all’inizio laminare poi si trasforma in un tratto cilindroide detto collo. Il collo poi trapassa in una formazione cilindrica disposta ortogonalmente che è il condilo articolare, il quale si articola con l’osso temporale. Il corpo della mandibola presenta una superficie esterna alquanto liscia, ma in corrispondenza della sua linea mediana si nota una lieve rilevatezza ver-
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ticale detta sinfisi del mento, la quale termina in basso con una sporgenza triangolare detta protuberanza del mento. Lateralmente a questa d’ambo i lati, sotto il secondo dente premolare, si trova un foro detto foro mentale o mentoniero. Il margine inferiore del corpo costituisce il mento e si presenta piuttosto smussato ed arrotondato, mentre il margine superiore presenta un processo alveolare dovendo ospitare le radici dei denti inferiori.
Denti
Pur non essendo ossa è opportuno procedere a una loro sommaria descrizione per l’importanza che essi rivestono nella conformazione della faccia. Si pensi infatti alle particolarità fisionomiche che ne derivano in considerazione della loro totale assenza o al prognatismo dovuto all’impianto molto obliquo degli stessi. I denti sono corpi duri e resistenti in numero (nell’adulto) di trentadue; otto per ciascun mascellare e sedici per la mandibola. Compongono due arcate di cui la superiore è più sporgente in avanti dalla inferiore. Da ciò risulta che nei movimenti propri della masticazione i denti in avanti combaciano a guisa delle lame delle forbici, ed in virtù di questo meccanismo si effettua l’azione tagliente sui cibi. Più indietro ed ai lati le arcate si adattano una sull’altra, in modo che le sostanze solide che qui vi vengono a cadere sono compresse e triturate. Ciascun dente presenta una parte libera, detta corona, una parte fissa nell’alveolo, detta radice, ed una parte intermedia nascosta nella gengiva detta colletto. I denti si distinguono in: incisivi, canini, premolari e molari. I denti incisivi, in numero di quattro superiori e quattro inferiori, sono disposti nella parte mediana della bocca e la loro corona è tagliente a guisa di scalpello. I canini, due superiori e due inferiori, sono collocati ai lati degli incisivi e hanno una corona appuntita. I premolari, quattro superiori e quattro inferiori disposti a due a due lateralmente ai canini, hanno la corona foggiata a doppia punta (cuspide) e la loro radice è bipartita. I molari, sei superiori e sei inferiori, sono disposti a gruppi di tre posteriormente ai premolari. Hanno corona con tre o quattro cuspidi e radice bipartita gli inferiori e tripartita i superiori.
processo condiloideo
condilo mandibolare
incisura sigmoidea processo coronoideo
processo coronoideo collo del condilo
cresta temporale
fossetta pterigoidea
linea obliqua esterna
processo alveolare
ramo della mandibola
angolo mandibolare processo alveolare
tuberositĂ masseterina angolo mandibolare tubercolo mentale corpo della mandibola
tuberositĂ del mento
foro mentale
Visione laterale destra della mandibola
foro mentale
Visione frontale della mandibola
processo condiloideo
incisura sigmoidea
processo coronoideo
incisivi
canini
premolari
corpo della mandibola
tuberositĂ del mento
Visione superiore della mandibola
Denti superiori e inferiori di metĂ arcata
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molari
MASCELLARE
processo palatino del mascellare ZIGOMATICO PALATINO
arcata zigomatica SFENOIDE processo pterigoideo
fossa mandibolare processo basilare
TEMPORALE
processo mastoideo
condilo occipitale
grande foro occipitale
OCCIPITALE
squama dell’occipitale
cresta occipitale esterna
Visione inferiore dello scheletro della testa
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arcata sopraccigliare
glabella
FRONTALE bozza frontale
processo zigomatico del frontale
PARIETALE
SFENOIDE TEMPORALE LACRIMALE
NASALE processo frontale del mascellare
ETMOIDE
ZIGOMATICO processo zigomatico del mascellare
foro infraorbitario CONCA VOMERE
processo mastoideo
fossa canina
MASCELLA
processo alveolare
ramo della mandibola
MANDIBOLA
foro mentale
corpo della mandibola
sinfisi del mento
protuberanza del mento
Visione frontale dello scheletro della testa
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PARIETALE
TEMPORALE
SFENOIDE
FRONTALE bozza frontale
glabella squama temporale
LACRIMALE NASALE processo frontale del mascellare
OCCIPITALE
ZIGOMATICO
processo zigomatico del temporale poro acustico
MASCELLA
rocca petrosa processo alveolare
processo mastoideo protuberanza del mento
processo stiloideo processo condiloideo incisura sigmoidea
processo coronoideo
ramo della mandibola
MANDIBOLA
Visione laterale destra dello scheletro della testa
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foro mentale
SCHELETRO DEL TRONCO vertebre cervicali
CA P ITO LO
Q UINTO
La colonna vertebrale
La colonna vertebrale è un’asta ossea lunga e flessibile situata nella parte mediana e posteriore del tronco. Essa risulta formata di vari pezzi ossei detti vertebre, dal verbo verto (giro), in considerazione del movimento di rotazione che si compie nell’intera colonna nel volgere il tronco da un lato o dall’altro. Tutte le vertebre che compongono la colonna sono in numero di 33, ma soltanto 24 di esse si trovano come ossa distinte nello scheletro dell’adulto a costituire la parte libera della colonna stessa, mentre le altre si modificano saldandosi fra loro per formare il sacro, composto di 5 vertebre, ed il coccige, composto di 4 vertebre rudimentali. La colonna vertebrale si suole dividerla in 4 regioni: cervicale, toracica, lombare e pelvica. Delle 24 vertebre libere 7 costituiscono la regione cervicale, 12 la regione toracica e 5 la regione lombare; mentre alla regione pelvica appartengono il sacro ed il coccige. Le vertebre libere (dette anche vertebre vere) presentano una parte massiccia, detto corpo vertebrale, situata anteriormente ed una parte posteriore formata da due prolungamenti che, dipartendo da ciascun lato del corpo, si uniscono all’indietro mediamente a formare un arco vertebrale. Quest’arco insieme al corpo circoscrivono un foro, detto vertebrale, entro il quale decorre il midollo spinale.
vertebre toraciche
vertebre lombari
vertebre sacrali
vertebre coccigee
Visione laterale, frontale e posteriore della colonna vertebrale
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La parte posteriore dell’arco vertebrale è formata da lamine ossee che danno origine al processo spinoso. Dai lati dell’arco prendono origine altri sei processi dei quali due sono chiamati processi traversi e gli altri quattro, due rivolti in alto e due in basso, denominati rispettivamente processi articolari superiori ed inferiori. Tra una vertebra e l’altra è posto un cuscinetto cartilagineo detto disco intervertebrale. La colonna vertebrale non è rettilinea, ma presenta delle curve naturali sul piano sagittale dette lordosi e cifosi. La lordosi è una curvatura a convessità anteriore presente nel tratto cervicale e lombare della colonna. La cifosi è una curvatura a convessità posteriore presente nel tratto dorsale e pelvico. Queste curve, che variano con l’età e l’individuo, conferiscono elasticità alla colonna vertebrale e ne aumentano la resistenza alle pressioni esercitate dall’alto. Sovente nella colonna vertebrale si trovano altre curvature fisiologiche sul piano frontale a convessità laterale destra o sinistra dette scoliosi. Queste curve, più o meno accentuate, sono dovute a peculiari atteggiamenti preferenziali dell’individuo. Le vertebre cervicali si distinguono per il corpo poco sviluppato e per alcune peculiarità morfologiche che caratterizzano la prima, la seconda e la settima vertebra. La prima vertebra cervicale, sostenendo direttamente la testa, va col nome di atlante per similitudine col mitologico gigante che reggeva la volta celeste. E’ una vertebra assai più larga delle altre e manca completamente del corpo vertebrale tanto da sembrare costituita da un semplice anello osseo. Si articola superiormente con i condili dell’occipitale tramite due faccette articolari collocate ai lati dell’anello. Il foro vertebrale è percorso trasversalmente da un legamento che divide il foro in due settori; in quella anteriore è collocato il dente
faccetta articolare superiore
tubercolo posteriore
faccetta articolare inferiore
tubercolo posteriore
foro trasversario fossetta del dente tubercolo anteriore
tubercolo anteriore
Faccia superiore dell’atlante
Faccia inferiore dell’atlante
dente dell’epistrofeo
dente dell’epistrofeo faccetta articolare anteriore faccetta articolare superiore processo trasverso
faccetta articolare inferiore
Faccia laterale destra dell’epistrofeo
dell’epistrofeo mentre in quello posteriore è accolto il midollo spinale. La seconda vertebra, detta epistrofeo, possiede tutti i caratteri generali delle vertebre cervicali. Si differenzia però per la presenza, sulla faccia superiore del corpo, di un processo diretto verso l’alto, detto dente dell’epistrofeo, che si articola col tratto anteriore del foro dell’atlante, quasi a costituirne il corpo mancante. La settima e quindi ultima vertebra cervicale può considerarsi come una vertebra di transizione perché ha già molti caratteri delle vertebre dorsali. Va con l’appellativo di prominente in quanto, avendo il processo spinoso molto lungo rispetto alle altre cervicali, si mostra con maggiore evidenza nella flessione della testa.
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faccetta articolare inferiore
Faccia anteriore dell’epistrofeo
Visione posteriore della regione cervicale con evedenziate le vertebre: atlante, epistrofeo e prominente
Le vertebre toraciche, o dorsali, hanno il corpo più voluminoso delle cervicali con aumento progressivo dalla prima alla dodicesima; il foro cervicale è più piccolo e il processo spinoso è molto lungo e fortemente inclinato verso il basso. Ma il carattere differenziale più importante è dovuto al fatto che esse si articolano con le coste, le quali prendono rapporto con due corpi vertebrali contigui e il relativo disco intervertebrale. Per questo motivo il loro corpo (ad eccezione della prima e delle ultime tre) presenta sui lati, in prossimità della radice dell’arco, due semifossette articolari di cui quella superiore si articola con la costa del livello corrispondente, mentre quella inferiore si articola con la costa sottostante. Le vertebre lombari si distinguono per l’aumento considerevole del corpo, che cresce progressivamente dalla prima alla quinta, e la conseguente riduzione del foro vertebrale. I processi spinosi, anch’essi molto robusti, hanno forma di lamina rettangolare, e si sviluppano quasi orizzontalmente. L’osso sacro è un unico osso che nasce dalla fusione delle cinque vertebre sacrali. La fusione tra i diversi elementi avviene a livello dei corpi e delle masse laterali dove sono presenti dei fori (quattro per lato) detti sacrali. Il sacro nell’insieme ha la forma di una piramide appiattita con l’apice rivolto in basso e la base in alto, sulla quale prende rapporto la quinta vertebra lombare. Presenta una faccia anteriore concava, una posteriore convessa e due facce laterali. Sulla faccia anteriore sono visibili quattro linee trasversali che indicano la saldatura tra i corpi delle primitive vertebre. La faccia posteriore è molto accidentata perché presenta sulla linea mediana delle rilevatezze irregolari a cui si dà il nome di cresta sacrale. Essa non è altro che il proseguimento dei processi spinosi, e come quelli è situata direttamente sotto la cute. Le facce laterali del sacro sono ampie in alto e scendendo si restringono fino a formare veri e
faccetta costale trasversaria
processo spinoso
processi articolari superiori
processo traverso
faccetta costale superiore
corpo vertebrale
faccetta costale trasversaria faccetta costale superiore
foro vertebrale
faccetta costale inferiore processo articolare inferiore
corpo vertebrale
processo spinoso
Faccia laterale destra della VI toracica
Faccia superiore della VI toracica processo spinoso
processo articolare superiore
faccetta articolare superiore
processo trasverso
processo trasverso corpo vertebrale radice dell’arco vertebrale
faccetta articolare inferiore processo spinoso
Faccia laterale destra della III lombare propri margini. Dette facce presentano una superficie articolare che, per la sua somiglianza al padiglione dell’orecchio, è detta superficie auricolare. Questa si adatta perfettamente all’omonima superficie dell’osso iliaco. L’apice del sacro presenta una faccetta ellittica che si articola con la base del coccige. Il coccige, composto generalmente di quattro piccoli pezzi saldati insieme, è l’ultimo segmento
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corpo vertebrale
Faccia superiore della III lombare della colonna vertebrale e insieme al sacro completa la parte posteriore della pelvi. Nella base, rivolta in alto, si osservano due piccole apofisi ascendenti chiamate corni del coccige; essi corrispondono ai processi articolari superiori della prima vertebra coccigea. Il coccige dell’uomo ha il significato di una vera e propria appendice caudale, rappresenta cioè il rudimento della coda posseduta da molti altri mammiferi.
base
base processi articolari superiori
ala del sacro
faccetta auricolare
cresta sacrale fori sacrali
linea trasversale
apice
Faccia anteriore del sacro
Faccia posteriore del sacro
tuberositĂ sacrale
cresta sacrale
base corni coccigei processi traversi 1a vertebra coccigea 2a vertebra coccigea faccetta auricolare
3a vertebra coccigea 4a vertebra coccigea apice
corno sacrale
apice
Faccia laterale destra del sacro
Faccia anteriore e posteriore del coccige
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La gabbia toracica
La gabbia toracica è un apparato osteo-articolare che racchiude e protegge il cuore ed i polmoni. Essa è formata, dall’indietro in avanti, dalle dodici vertebre dorsali, dalle coste (in numero di dodici per ciascun lato) e da un osso impari e mediano che è lo sterno. Le coste sono segmenti scheletrici piatti e nastriformi dalla caratteristica forma ad arco e presentano due estremità, una detta vertebrale e l’altra sternale. L’estremità vertebrale si articola per diartrosi (articolazione mobile) con le vertebre, mentre l’estremità sternale si articola per anfiartrosi (articolazione semi-mobile) con lo sterno tramite un tratto cartilagineo che rappresenta il prolungamento della costa e della quale conserva la forma. Le dodici coste, essendo delle ossa omodiname, vengono indicate con numeri romani progressivi
in direzione cranio-caudale e divise in tre gruppi per le modalità di connessione con lo sterno. Il gruppo principale comprende le sette coste superiori che vengono denominate sternali perché si uniscono singolarmente allo sterno. Il secondo gruppo comprende tre coste denominate asternali in quanto esse non arrivano a connettersi direttamente allo sterno ma le loro cartilagini costali prendono unione con il tratto cartilagineo della settima costa. Il terzo gruppo è formato dalle due ultime coste le quali non avendo contatto alcuno con lo sterno vengono denominate fluttuanti o libere. La lunghezza delle singole coste va aumentando progressivamente dalla prima all’ottava, poi gradatamente diminuisce fino alla dodicesima. Parallelamente alla variazione di lunghezza si hanno modifiche di orientamento delle facce
esterna ed interna. La prima costa è incurvata secondo i margini e non secondo le facce che sono in questo caso superiore ed inferiore. La seconda costa ha caratteri generali intermedi tra la prima e la terza costa, dove l’inclinazione già permette di leggere una faccia esterna ed una interna polmonare. Lo sterno (dalla voce greca che significa petto) è un osso piatto, impari e mediano, che chiude anteriormente la gabbia toracica. Si sviluppa dall’alto in basso con una leggera obliquità in avanti. Lo sterno dell’adulto è costituito da tre porzioni che nel giovane sono ben separate da tratti di cartilagine e sono rispettivamente il manubrio, la parte superiore e più slargata, il corpo che è la parte centrale e principale, ed una breve appendice terminale detto processo ensiforme o xifoideo.
cartilagine costale manubrio dello sterno incisura clavicolare
apertura superiore del torace
1a costa
1a vertebra toracica canale vertebrale
processo spinoso
Visione dall’alto della gabbia toracica
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7a vertebra cervicale
manubrio dello sterno
corpo dello sterno
coste sternali
cartilagine costale
processo xifoideo
1a vertebra lombare coste asternali
Visione anterione della gabbia toracica
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clavicola
scapola
omero
coste fluttuanti
Visione posteriore della gabbia toracica
34
7a vertebra cervicale 1a vertebra toracica
manubrio dello sterno
corpo dello sterno
cartilagine costale
coste fluttuanti
Visione laterale destra della gabbia toracica
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SCHELETRO DELL’ARTO SUPERIORE C A P I T O L O
S E S T O
L’arto superiore è diviso in quattro parti che in successione prossimodistale sono: la spalla, il braccio, l’avambraccio e la mano. La spalla è il dispositivo di attacco dell’arto superiore al tronco, mentre le altre parti costituiscono la cosiddetta parte libera.
Scheletro della spalla
Lo scheletro della spalla è formato da due ossa, la clavicola e la scapola, che insieme costituiscono il cingolo scapolare o cintura toracica. La clavicola (dal lat. clavis, e quindi clavicula “piccola chiave” per similitudine alle chiavi antiche) è un osso lungo, pari, situato anteriormente nella parte superiore del torace fra il manubrio dello sterno e l’acromion della scapola. E’ diretto un po’ obliquamente dall’alto al basso in senso mediale. La clavicola presenta un corpo a forma di esse e due estremità di cui quella mediale è detta sternale e quella laterale è detta acromiale. Le due curvature non molto accentuate del corpo sono a concavità posteriore quella mediale, ed a concavità anteriore quella laterale. L’estremità mediale si articola con il manubrio dello sterno e si presenta alquanto ingrossata e dalla forma prismatica triangolare. L’estremità laterale si presenta invece come una lamina spatoliforme molto appiattita che si articola con l’acromion della scapola. La clavicola generalmente è più tozza e massiccia nell’uomo che nella donna, ed è maggiormente sviluppata negli individui sottoposti a forte esercizio
degli arti superiori. Per lo stesso motivo la clavicola destra risulta poco più sviluppata della sinistra. La scapola è un osso pari, piatto e sottile, che si trova adagiato sulla parete posteriore e in posizione superiore laterale della gabbia toracica. Ha la forma di un triangolo quasi isoscele avente la base in alto e l’apice in basso e presenta, pertanto due facce, tre margini e tre angoli. La faccia posteriore, convessa e rivolta dorsalmente, presenta una grande rilevatezza ossea detta spina della scapola. Questa, percorrendo l’osso obliquamente dal basso verso l’alto in direzione laterale e facendosi sempre più sporgente, si prolunga in una apofisi piatta e robusta chiamata acromion (dal gr. acro “sommità” e omos “spalla”). La spina della scapola divide la faccia posteriore in due depressioni dette: fossa sovraspinata quella superiore e fossa infraspinata (dal prefisso lat. infra “sotto”) quella inferiore. Da queste due fosse prendono origine i muscoli omonimi. La faccia anteriore è concava e rivolta verso la gabbia toracica. Tale concavità prende il nome di fossa sottoscapolare e da origine al muscolo omonimo.
Il margine superiore, detto anche margine cervicale perché guarda il collo, è il più breve e termina lateralmente con una robusta apofisi diretta in avanti, che va col nome di processo coracoideo (dal gr. korax-akos “becco di corvo”). Il margine mediale è detto anche margine vertebrale perché prossimo e parallelo alla linea dei processi spinosi delle vertebre, dalla quale dista, in posizione di riposo, circa quattro centimetri. Il margine laterale, o margine ascellare, è rugoso e termina in alto in una faccetta triangolare detta tuberosità infraglenoidea. Per quanto riguarda gli angoli della scapola che sono superiore-mediale, inferiore e laterale, è sufficiente ricordare che il superiore-mediale è quasi retto e l’inferiore è acuto ed arrotondato. Si trovano invece importanti peculiarità nell’angolo laterale dove convergono il margine superiore ed il margine laterale. Qui i due margini si ispessiscono formando un bordo detto collo della scapola. Questo collo presenta una superficie articolare di forma ellittica detta cavità glenoidea (dal gr. glene “cavità”), dove prende contatto la testa dell’omero.
estremità acromiale
estremità sternale
tuberosità coracoidea
Visione della faccia superiore della clavicola destra tuberosità coracoidea
faccetta articolare sternale
estremità acromiale tuborosità costale
Visione della faccia inferiore della clavicola destra
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processo coracoideo
processo coracoideo margine cervicale
spina della scapola
angolo mediale
angolo mediale
Acromion fossa sovraspinata Cavità glenoidea Collo della scapola fossa sottoscapolare
fossa infraspinata
Tuberosità infragrenoidea
Margine ascellare margine vertebrale
margine vertebrale
angolo inferiore
angolo inferiore
Faccia posteriore della scapola destra
Faccia anteriore della scapola destra
acromion processo coracoideo
spina della scapola
fossa infraspinata
acromion
cavità glenoidea
spina della scapola
fossa sovraspinata
tuberosità infragrenoidea faccetta articolare della clavicola cavità glenoidea margine ascellare processo coracoideo
angolo inferiore
Faccia laterale della scapola destra
Faccia superiore della scapola destra
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Scheletro del braccio
L’ omero è un osso lungo che da solo costituisce tutto lo scheletro del braccio. Esso si articola in alto con la scapola e in basso con le ossa dell’avambraccio. L’omero, come tutte le ossa lunghe, presenta un corpo (diafisi) e due estremità (epifisi) distinte in superiore ed inferiore. Il corpo, quasi rettilineo, nella metà superiore è cilindrico mentre nella restante inferiore diventa prismatico-triangolare ed appiattito in senso antero-posteriore. La faccia antero-laterale presenta, nel suo terzo medio, una parte rugosa detta tuberosità deltoidea, sulla quale si inserisce il muscolo deltoide. L’estremità superiore (o estremità prossimale) non ha limiti netti dal corpo; il limite convenzionale è un piano ortogonale detto collo chirurgico dell’omero. Essa è alquanto ingrossata e presenta un’ampia superficie articolare emisferica ricoperta di cartilagine detta testa dell’omero e delimitata da un solco circolare detto collo anatomico. Lateralmente alla testa dello omero sono presenti due tuberosità delle quali la più voluminosa va col nome di tubercolo maggiore (o grande tuberosità) e la più piccola, sita più anteriormente, chiamata tubercolo minore (o piccola tuberosità). Tra le due tuberosità è visibile un canale detto solco bicipitale che ospita il tendine del capo lungo del muscolo bicipite. L’estremità inferiore (o distale) è appiattita dal davanti all’indietro. La superficie articolare presenta lateralmente una formazione rotondeggiante detta condilo (dal gr. kondylos “prominenza”), su cui si articola il capitello del radio, ed una mediale più estesa detta troclea (dal lat. trochlea “carrucola”), dove si articola l’ulna. Su ciascuno dei lati di queste superficie articolari si notano due rilievi rugosi; quello laterale è detto epicondilo e quello mediale epitroclea. Al di sopra della troclea si trovano due depressioni, una anteriore detta fossa coronoidea perché accoglie nella flessione dell’avambraccio il processo coronoideo dell’ulna, l’altra posteriore, più estesa e profonda della prima, chiamata fossa olecranica perché riceve nell’estensione dell’avambraccio l’olecrano dell’ulna.
grande tuberosità
grande tuberosità
piccola tuberosità
testa collo anatomico
solco bicipitale
collo chirurgico cresta della piccola tuberosità
cresta della grande tuberosità
tuberosità deltoidea
epicondilo epitroclea
condilo
epicondilo
troclea
fossa coronoidea
Faccia anteriore e posteriore dell’omero destro
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fossa olecranica
Scheletro dell’avambraccio
Lo scheletro dell’avambraccio risulta costituito da due ossa lunghe e parallele tra loro che sono l’ulna e il radio. Esse si articolano in alto con l’omero e in basso con lo scheletro della mano. Le estremità di queste due ossa si presentano inversamente sviluppate, cioè l’estremità prossimale dell’ulna è più voluminosa di quella del radio e viceversa. L’ ulna (o cùbito, dal lat. cubitus “gomito” usato come unità metrica dagli antichi Greci e Romani) è un osso lungo quasi rettilineo situato nella parte mediale dell’avambraccio. Il suo corpo, di forma prismatica, è assai voluminoso in alto assottigliandosi poi progressivamente man mano che si avvicina al carpo. L’estremità superiore, molto sviluppata, presenta anteriormente una cavità a forma di semiluna chiamata incisura semilunare o grande cavità sigmoidea (dalla lettera greca sigma “la nostra esse”, quindi a forma di esse) che si articola con la troclea dell’omero. La porzione inferiore di questa cavità termina con una larga apofisi chiamata processo coronoideo (dal gr. korone “cornacchia”), mentre la porzione superiore, sottocutanea e molto visibile nella flessione dell’avambraccio, è detta olecrano (dal gr. òlèkranon “punta del gomito”). L’estremità inferiore, molto esile, presenta posteriormente un piccolo processo conico diretto in basso detto processo stiloideo dell’ulna, e lateralmente un rigonfiamento detto capitello o testa dell’ulna. Il radio è un osso lungo disposto lateralmente all’ulna. Esso presenta un corpo di forma prismatica e due estremità delle quali l’inferiore è la più sviluppata. L’estremità superiore, o prossimale, ha la forma di un capitello cilindrico per cui va col nome di capitello del radio e si articola con il condilo dell’omero. L’estremità inferiore, o distale, o carpica, è la parte più voluminosa; si presenta appiattita dall’avanti in dietro con un’apofisi laterale detta processo stiloideo del radio. I due processi stiloidei, dell’ulna e del radio, sono i corrispostivi, nell’avambraccio, dei malleoli della gamba.
olecrano capitello
olecrano
fossetta del capitello incisura semilunare processo coronoideo
collo
tuberosità dell’ulna
tuberosità del radio
cresta interossea
margine dorsale
faccia volare
faccia volare cresta interossea
capitello superficie articolare per il radio
processo stiloideo del radio
processo stiloideo del radio
Faccia posteriore e anteriore del radio destro
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processo stiloideo dell’ulna
processo stiloideo dell’ulna
Faccia posteriore e anteriore dell’ulna destra
Scheletro della mano
Lo scheletro della mano è composto di ventisette ossa divise in tre gruppi: il carpo, corrispondente al polso; il metacarpo, corrispondente alla palma della mano; e le dita, costituite dalle falangi. Il carpo è costituito da otto ossa brevi articolate tra di loro e disposte in due file, una prossimale ed una distale, formate da quattro ossa. Nella fila prossimale gli elementi sono disposti ad arco; le ossa che compongono tale arco sono tre ed andando in senso radioulnare sono denominate: scafoide (o navicolare), semilunare e piramidale. Il quarto e più piccolo osso della fila, detto pisiforme è posto invece in un piano anteriore sull’osso piramidale e non coopera quindi
alla formazione dell’arco. Nella fila distale, sempre seguendo lo stesso ordine, abbiamo: il trapezio, il trapezoide, il capitato (o grande osso) e l’uncinato. Le ossa del carpo hanno forme assai accidentate e gli antichi anatomisti hanno cercato di definirle nel modo che risulta dalla loro stessa terminologia, anche se raramente l’accostamento terminologico con forme geometriche è calzante. Il metacarpo è costituito da cinque ossa lunghe detti raggi metacarpali che vengono indicati con numero romano progressivo da I a V in senso radio-ulnare. Il nome di raggi metacarpali deriva dal fatto che queste ossa sono ravvicinate con le loro basi, mentre distalmente esse divergono e quindi non in contatto tra di
loro. Il corpo di ogni raggio è generalmente cilindrico ed incurvato in senso volare. I raggi metacarpali hanno lunghezza differente che, lasciando a parte il primo che è il più corto e tozzo, decresce dal secondo all’ultimo. Le dita, in numero di cinque, si distinguono coi nomi di: pollice, indice, medio, anulare e mignolo e si articolano con i raggi metacarpali continuandone la direzione. Ciascun dito è costituito da tre ossa lunghe dette falangi, tranne il pollice che ne ha due in quanto privo della falange intermedia. Le falangi diminuiscono di lunghezza dalla prima all’ultima e si distinguono coi nomi di: prima, seconda e terza falange; oppure con i nomi di falange, falangina e falangetta.
3a falange 2a falange
falange distale del pollice
falange distale del pollice 1a falange
falange prossimale del pollice
falange prossimale del pollice
1o raggio metacarpale
5o raggio metacarpale
1o raggio metacarpale
trapezoide trapezio scafoide
radio
uncinato capitato pisiforme piramidale semilunare
trapezoide trapezio scafoide
radio
ulna
Faccia dorsale dello scheletro della mano destra
Faccia volare dello scheletro della mano destra
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41
SCHELETRO DELL’ARTO INFERIORE
come questi si dividono in quattro segmenti che sono in direzione prossimo-distale: anca, coscia, gamba e piede.
Scheletro dell’anca
CAPITOLO SETTIMO
Preposti ai movimenti di deambulazione e gravati del peso di tutto il corpo, gli arti inferiori si presentano più robusti e lunghi degli arti superiori e
Mentre lo scheletro della spalla è formato da due ossa (la scapola e la clavicola, determinando insieme la cintura scapolare), lo scheletro dell’anca è rappresentato da un solo elemento osseo, l’osso dell’anca, che articolandosi con lo stesso del lato opposto formano la cintura pelvica. Questa, articolandosi a sua volta con la parte fissa della colonna vertebrale (il sacro), costituisce il bacino. L’ osso dell’anca, detto anche osso iliaco, osso coxale o osso innominato, è un osso pari ed è il più voluminoso ed irregolare delle ossa piatte. Esso si compone di tre porzioni (ileo, ischio e pube) che nella vita
prenatale e nella prima infanzia si presentano come ossa distinte per poi saldarsi tra loro, dopo l’adolescenza, in corrispondenza della cavità articolare chiamata acetabolo (dal lat. acetabulum “vaso per l’aceto”). L’ileo è la porzione superiore e più grande dell’osso dell’anca. Vi si distingue una parte più ristretta sita a livello dell’acetabolo denominata corpo, il quale si espande in alto in una lamina molto estesa, chiamata ala dell’ileo. Quest’ala presenta una faccia interna concava detta fossa iliaca ed una faccia esterna convessa che guarda all’indietro. Il margine superiore di quest’ala si presenta notevolmente ispessito e viene denominato cresta iliaca. Su ambo i lati la cresta iliaca presenta due protuberanze poste una sull’altra: le spine iliache anteriori (rispettivamente superiore e inferiore) e le spine iliache posteriori (superiore ed inferiore).
cresta iliaca
spina iliaca anteriore superiore
ala dell’ileo
tuberosità iliaca
fossa iliaca
spina iliaca posteriore superiore
faccia auricolare
spina iliaca posteriore superiore
spina iliaca posteriore inferiore
spina iliaca anteriore inferiore
spina iliaca posteriore inferiore
fossa dell’acetabolo spina ischiatica spina ischiatica tubercolo pubico foro otturato
tuberosità ischiatica
tuberosità ischiatica
faccetta della sinfisi pubica
Visione esterna destra dell’osso iliaco
Visione interna destra dell’osso iliaco
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L’ischio è la parte posteriore ed inferiore dell’osso dell’anca. Vi si riconosce un tratto di attacco all’ileo sito in alto ed in avanti detto corpo che concorre a formare la cavità dell’acetabolo. Posteriormente ad esso è presente un processo detto spina ischiatica. Dal corpo si origina un prolungamento postero-inferiore detto ramo inferiore il quale, dopo il decorso di qualche centimetro, si incurva in avanti con una lamina un po’ più sottile denominata ramo ascendente. Esso viene a saldarsi con il ramo discendente del pube circoscrivendo così un largo orifizio detto foro otturato o forame otturatorio in quanto chiuso da una membrana che dà attacco, su entrambe le superfici, a vari muscoli. Il pube consta di un corpo, che è in connessione con l’acetabolo, e di due rami. Il primo è detto ramo orizzontale ed è diretto orizzontalmente verso la linea mediale; raggiunta la linea mediale esso si continua in basso e all’indietro col ramo discendente fino a saldarsi con quello ascendente dell’ischio. In corrispondenza della linea mediale il pube si articola, per anfiartrosi, con il pube opposto tramite la sinfisi pubica. Fra tutte le parti
grande trocantere
grande trocantere
testa
collo anatomico
piccolo trocantere collo chirurgico
linea pettinea
linea aspra corpo
Bacino femminile
Bacino maschile
dello scheletro il bacino è quello che presenta le più spiccate differenze sessuali. Il bacino della donna è più basso e più largo di quello dell’uomo; il sacro è più basso, più largo e più curvo; i fori otturati sono quasi triangolari, mentre nell’uomo sono ovali; la sinfisi pubica è meno alta. Inoltre, per la maggior larghezza del bacino, gli acetaboli risultano più distanti tra loro determinando così una maggiore obliquità dei femori.
SCHELETRO DELLA COSCIA
Lo scheletro della coscia, in analogia col braccio, è costituito da un solo osso lungo il femore, il quale risulta essere l’osso più sviluppato dell’intero scheletro umano. Esso si sviluppa obliquamente dall’alto al basso e
epicondilo laterale
epicondilo laterale
epicondilo mediale
condilo laterale
condilo laterale
condilo mediale faccia patellare
fossa intercondiloidea
Faccia anteriore e posteriore del femore destro
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dall’esterno all’interno, in modo che le due ossa insieme risultano disposte a forma di “V”. Sulle estremità superiori e divergenti prende impianto il bacino, articolandosi con i suoi acetaboli, mentre in basso le due ossa convergono e si articolano con le rispettive tibie. Il femore, come tutte le ossa lunghe, presenta un corpo e due estremità. Il corpo è sensibilmente incurvato con concavità posteriore ed ha forma prismatica. L’estremità superiore inizia convenzionalmente da un piano trasversale passante a livello del piccolo trocantere chiamato collo chirurgico del femore, perché detto piano è quello preferenziale per la resezione della coscia. A partire da questo piano il corpo si allarga continuandosi in una massa caratterizzata da due grosse tuberosità, delle quali la maggiore e laterale è denominata grande trocantere; l’altra, mediale e meno sviluppata, è detta piccolo trocantere. In questa massa ossea si innesta medialmente la parte propriamente epifisaria costituita da un cono a base larga detto collo anatomico che termina con una calotta di circa 2/3 di sfera detta testa femorale. In totale l’estremità superiore comprende: il grande e piccolo trocantere, il collo anatomico e la testa femorale. L’estremità inferiore è molto voluminosa ed espansa sia trasversalmente che in senso antero-posteriore ed è caratterizzata dalla presenza di due robuste sporgenze dette: condilo mediale e condilo laterale. Questi sono separati da una profonda incisura chiamata fossa inter-condiloidea. Lateralmente e sopra i rispettivi condili sono presenti dei rilievi detti: epicondilo mediale ed epicondilo laterale. I due condili, pur essendo similari nella forma generale, sono differenti l’uno dall’altro per quanto riguarda lo sviluppo e la massa. Il laterale è più regolarmente incurvato, mentre il mediale è più grosso e più sporgente in basso. Questa diversità fa si che il femore, collocato obliquamente, si adatti perfettamente sulla tibia, la quale offre un piano d’appoggio orizzontale.
SCHELETRO DELLA GAMBA
Lo scheletro della gamba, così come l’avambraccio, è costituito da due ossa lunghe e parallele fra loro nel senso della lunghezza. Esse sono: la tibia, più
spina della tibia cavità glenoidea
spina della tibia
cavità glenoidea
cavità glenoidea
cavità glenoidea
testa della fibula
testa della fibula
faccetta articolare per la tibia
condilo mediale tuberosità tibiale
condilo laterale
faccia articolare con la fibula
cresta anteriore (stinco)
faccia laterale cresta anteriore
cresta posteriore
faccetta articolare per la tibia malleolo laterale
malleolo mediale esremità distale della tibia
esremità distale della tibia
Faccia anteriore e posteriore della tibia destra
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esremità distale della fibula
esremità distale della fibula
Faccia anteriore e posteriore della fibula destra
robusta e posta medialmente e la fibula, più gracile e collocata lateralmente. Allo scheletro della gamba va unito un osso breve, la rotula, posto al di sopra della tibia, in corrispondenza della faccia anteriore dell’articolazione del ginocchio. La tibia è situata nella parte antero-mediale della gamba tra il femore che poggia su di essa e l’astragalo del piede, al quale trasmette il peso del corpo. Il suo corpo non è perfettamente rettilineo, presenta una tenue concavità che è laterale in alto e mediale in basso. Ha forma nettamente prismatica-triangolare, per cui presenta tre facce (mediale, laterale e posteriore) e tre margini. Il margine anteriore (conosciuto volgarmente col nome di “stinco”), non essendo ricoperto da muscoli, è visibile base
apice
Faccia anteriore della rotula destra base
faccia articolare mediale
faccia articolare laterale
sotto la cute ed è detto cresta della tibia. L’estremità superiore, molto sviluppata ed allargata in senso trasversale, presenta nella sua faccia superiore due superfici articolari, leggermente concave, sulle quali poggiano i condili del femore e chiamate cavità glenoidee (mediale e laterale) della tibia. Queste cavità sono separate da una rilevatezza detta spina della tibia. Le due cavità glenoidee vengono sostenute da due voluminose tuberosità dette condili della tibia (mediale e laterale). L’estremità inferiore è meno sviluppata della superiore. Presenta una faccia concava che si articola con l’astragalo e medialmente una grossa apofisi diretta in basso chiamata malleolo mediale o tibiale. La fibula (o perone) è molto più sottile della tibia e si trova situata lateralmente ed alquanto posteriormente a questa. Il suo corpo, lungo e sottile, ha forma prismatica e leggermente contorto sul proprio asse. L’estremità superiore, contrariamente al suo omologo (il radio che si articola con l’omero), non ha alcun contatto col femore ma si articola unicamente con la tibia tramite una faccetta articolare posta medialmente. L’estremità inferiore è più voluminosa, presenta medialmente una faccetta articolare per la tibia e si prolunga in basso, contrapponendosi al malleolo mediale, con un processo chiamato malleolo laterale o peronale. La rotula (o patella) è un osso breve situato nella parte più alta ed anteriore della gamba, tra femore e tibia, in rapporto con l’articolazione del ginocchio. La rotula è un osso sesamoideo (dal gr. sesamoìde “a forma di seme”) racchiuso dal tendine del muscolo quadricipite. Assomiglia ad un cuore appiattito con la punta rivolta in basso. Ha una faccia anteriore convessa ed una faccia posteriore sulla quale si notano due faccette articolari per il rapporto con i condili femorali. La rotula può essere considerata come il corrispettivo dell’olecrano dell’ulna.
SCHELETRO DEL PIEDE
apice
Faccia posteriore della rotula destra
Il piede, così come la mano, si compone di tre gruppi di ossa: il tarso, il metatarso e le dita. L’insieme dei tre settori costituiscono un sistema osseo allungato di forma triangolare con apice indietro e base in avanti. Il piede presenta una faccia inferio-
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re (o plantare) ed una faccia superiore (o dorsale). La faccia plantare è a concavità inferiore e presenta un’arcata antero-posteriore ed una arcata trasversa. La faccia dorsale si presenta convessa e fortemente inclinata lateralmente, e nel punto culminante di questa convessità si ha l’articolazione con la gamba. Il tarso, formato da sette ossa brevi, è molto sviluppato tanto da costituire di per sé la metà circa della lunghezza del piede. Le ossa del tarso sono disposte in due gruppi, uno posteriore ed uno anteriore. Il gruppo posteriore comprende le due ossa più voluminose, l’astragalo ed il calcagno, sovrapposti l’uno sull’altro. Il gruppo anteriore è formato da cinque ossa disposte trasversalmente e che procedendo dal margine mediale vanno con i nomi di: primo cuneiforme, secondo cuneiforme, terzo cuneiforme e cuboide, Ad esso va aggiunto lo scafoide (o navicolare) interposto fra l’astragalo e i tre cuneiformi. Il metatarso è l’omologo del metacarpo e come questo è formato di cinque ossa lunghe che, partendo dall’alluce, prendono il nome di: primo, secondo, terzo, quarto e quinto raggio metatarsale. Queste ossa sono affiancate tra di loro con incastro delle basi, mentre le estremità distali (così come si verifica nel metacarpo) non entrano in contatto. Il primo osso metatarsale è il più breve e più grosso; il secondo è il più lungo, gli altri si succedono decrescenti in lunghezza. L’ultimo osso metatarsale nella sua estremità prossimale presenta lateralmente un’apofisi voluminosa detta tuberosità del quinto osso metatarsale. Le dita del piede in numero di cinque si distinguono, a cominciare dall’interno verso l’esterno, coi nomi di alluce, illice, trillice, pondolo e mellino. Le loro falangi ricordano, per numero e disposizione, quelle delle dita della mano e come queste si distinguono in: prime falangi, seconde falangi o falangine, e terze falangi o falangette. L’alluce, come il pollice, ha due sole falangi in quanto privo della falange intermedia. Il secondo dito è più lungo e seguono gli altri in ordine decrescente. Le falangi delle dita del piede hanno forma identica a quelle della mano, ma a differenza di queste ultime sono tutte molto più brevi.
scafoide
astragalo
calcagno 1o metatarsale falange distale dell’alluce
falange prossimale dell’alluce
1o cuneiforme
Visione mediale del piede destro tuberosità del 5o osso metatarsale 3o cuneiforme cuboide
tuberosità del calcagno
calcagno
astragalo 1o metatarsale
1o metatarsale
2o cuneiforme scafoide 1o cuneiforme
Visione dorsale del piede destro
1o cuneiforme scafoide 2o cuneiforme 3o cuneiforme
astragalo
tuberosità del calcagno
cuboide tuberosità del 5 osso metatarsale o
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calcagno
Visione plantare del piede destro
Lo Spinario Bronzo di epoca Ellenistica Musei Capitolini, Roma
Disegno di Mecco Leone raffigurante la visione scheletrica dello Spinario
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LE ARTICOLAZIONI
C A P ITOLO
OT TAVO
Per articolazione si intende il meccanismo anatomico attraverso il quale le ossa prendono rapporto tra loro condizionandone i movimenti e assicurando nel contempo l’unione di tutti gli organi componenti lo scheletro. Lo studio delle articolazioni (artrologia) è quindi un capitolo dipendente dall’osteologia, della quale è il naturale completamento. Un’articolazione nasce dal contatto di ossa attraverso le loro superfici o estremità articolari, unite tra loro da materiali connettivali. La morfologia di un’articolazione prende quindi a considerare sia le superfici ossee di contatto che le parti molli interposte. Queste ultime si differenziano in base al tipo di articolazione; si va dal semplice tessuto connettivo (il periostio) ad un più complesso sistema di giuntura (capsule, legamenti, menisco, ecc.). Le articolazioni, in rapporto al grado di mobilità, si dividono in tre gruppi: sinartrosi, anfiartrosi e diartrosi. SINARTROSI – Dette anche articolazioni fisse, sono le articolazioni nelle quali la solidarietà degli elementi ossei in contatto prevale nettamente sulle libertà di movimento. Rappresentano il tipo più semplice di articolazione costituite unicamente dall’incastro reciproco di superfici ossee. Questi incastri sono detti suture e, in base alle caratteristiche morfologiche delle superfici ossee, si distinguono in tre tipi: sutura dentata quando le superfici si presentano fortemente dentellate con reciproco incastro dei dentelli (es. la sutura sagittale tra i due parietali, o la sutura coronale tra il frontale e i due parietali); sutura squamosa quando le superfici,
Sutura dentata
Sutura squamosa
Sutura armonica
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tagliate di sbieco, si adagiano l’una sull’altra (es. il temporale col parietale); sutura armonica quando le superfici sono lisce e regolari (es. la sutura internasale). Le suture sono costituite di periostio (membrana fibrovascolare biancastra con riflessi madreperlacei) che con l’età tendono a saldarsi completamente trasformandosi in sinostosi (sostituzione del periostio con tessuto osseo). E’ da notare che essendo il cranio e la faccia sedi di elementi delicati quali il cervello e gli organi di senso, è opportuno, per le ovvie ragioni, che il loro scheletro presenti il massimo della stabilità, ragion per cui, ad eccezione della mandibola, i rapporti di connessione delle ossa del capo sono unicamente basati sulle suture. ANFIARTROSI – Dette anche articolazioni semimobili, sono le articolazioni nelle quali gli elementi ossei sono uniti da un tratto di cartilagine ialina. Questi tratti, o legamenti interossei, sono detti sinfisi e permettono limitati movimenti all’articolazione. L’ampiezza del movimento, dell’ordine di millimetri, è subordinata alla lunghezza del tratto legamentoso. E’ un tipo di articolazione non molto diffusa nell’uomo, limitata praticamente alla giunzione tra le coste e le cartilagini costali; del sacro con le ossa dell’anca; nella sinfisi pubica e nei dischi intervertebrali. DIARTROSI – Dette anche articolazioni mobili, sono le articolazioni nelle quali si ha la massima libertà di movimento. Nelle diartrosi i capi articolari, rivestiti di cartilagine, sono soltanto in contatto, lasciando tra le due superfici un’intercapedine o intervallo articolare. L’unione delle due ossa è ottenuta da dispositivi peri-articolari che formano nel complesso un manicotto di unione che impedisce il distacco dei due segmenti, esso comprende: la capsula articolare e i legamenti articolari. Internamente la capsula è tappezzata dalla membrana sinoviale, sottile e trasparente, secernente un liquido incolore, filante e vischioso detto sinovia. Esso facilita lo scorrimento delle superfici cartilaginee fungendo da lubrificante. In certe diartrosi le superfici articolari non si adattano perfettamente l’una sull’altra, per cui tra esse è interposto un disco fibrocartilagineo detto menisco (es. l’articolazione del ginocchio) che funge
da raccordo. Le diartrosi sono tutte le articolazioni degli arti e l’articolazione de lla mandibola.
PROPRIETA’ FUNZIONALI E TIPI DI DIARTROSI
Dall’analisi dei diversi tipi di articolazioni risulta evidente il ruolo dominante che hanno le diartrosi nella dinamica del corpo umano. Le diartrosi vengono classificate prendendo come criterio la morfologia dei capi articolari in contatto. Difatti la forma architettonica dei capi articolari e di conseguenza le modalità d’incastro degli stessi, sono i fattori principali che determinano le specializzazioni e le peculiarità dei diversi movimenti. Possono essere identificati i seguenti tipi di diartrosi e le relative prestazioni funzionali: A) - ARTICOLAZIONE PIANA (artrodia) – E’ una diartrosi nella quale i capi articolari presentano superfici piane ed i movimenti permessi normalmente sono soltanto di scivolamento. E’ un tipo di articolazione che si verifica frequentemente, specie nelle ossa brevi (es. le articolazioni del carpo, del tarso, delle vertebre). B) - ARTICOLAZIONE A CERNIERA (trocleare o a ginglimo angolare) – E’ una diartrosi nella quale un capo articolare ha la forma di cilindro e l’altro è una cavità cilindrica. L’asse di questo cilindro è ortogonale all’asse principale dell’osso permettendo solo movimenti angolari di flessione ed estensione (es. l’articolazione del ginocchio, del gomito, delle falangi). C) - ARTICOLAZIONE A PERNO (trocoide o a ginglimo laterale) – E’ un’articolazione simile alla precedente con l’unica variante che lo schema cilindrico dei capi articolari presenta l’asse parallelo all’asse maggiore dell’osso. Questa disposizione fa si che l’osso ruoti intorno ad un altro (es. l’atlante col dente dell’epistrofeo) o, unitamente a quest’ultimo, intorno al proprio asse (es. l’articolazione del radio con l’ulna). D) - ARTICOLAZIONE A NOCE (enartrosi) – E’ una diartrosi nella quale i capi articolari si presentano uno con superficie convessa e dalla forma semisferica, l’altro è una cavità. E’ un’articolazione che consente tutti i movimenti, sia angolari che rotatori (es. l’articolazione scapolo-omerale e l’articola-
zione coxo-femorale). E) - ARTICOLAZIONE A SELLA (condilartrosi) – E’ un’articolazione nella quale i capi articolari presentano superfici curvilinee ad ellissoide perpendicolari l’una all’altra. La parte convessa piena è detta condilo, l’altra concava è detta cavità condiloidea. E’ un’articolazione che permette tutti i movimenti angolari ma non consente la rotazione, perché il condilo non può ruotare nella cavità data la differenza dei due diametri dell’ellisse. Questa caratteristica le conferisce un valore intermedio tra le articolazioni a cerniera e a noce (es. l’articolazione del pollice, della mandibola, la radiocarpica).
A - Articolazione piana
B - Articolazione a cerniera
C - Articolazione a perno
D - Articolazione a noce
E - Articolazione a sella
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MOVIMENTI DELLE ARTICOLAZIONI
I movimenti consentiti dalle articolazioni vengono ricondotti a due tipi denominati: movimenti in asse e movimenti angolari. La loro definizione viene data in base al punto di partenza delle due ossa nella posizione anatomica del cadavere. MOVIMENTI IN ASSE Vengono definiti in asse quei movimenti per i quali due ossa spostandosi tra di loro non modificano l’angolatura. I movimenti in asse sono due: scivolamento e rotazione. Lo scivolamento consiste nello scorrere delle superficie articolari l’una sull’altra in senso parallelo. L’ampiezza di questo movimento viene valutata in millimetri, trattandosi sempre di movimenti di scarsa entità. La rotazione è il movimento per cui un osso può girare attorno al proprio asse in senso laterale o mediale. Nei movimenti
dell’avambraccio la rotazione laterale è detta supinazione, mentre la rotazione mediale è detta pronazione. MOVIMENTI ANGOLARI Sono quelli per cui un osso viene a formare un angolo con l’altro. Comprendono i seguenti movimenti antagonisti: flessione ed estensione quando l’angolatura si verifica lungo piani sagittali; abduzione e adduzione quando l’angolatura avviene su piani ortogonali a quello sagittale. La flessione avviene per spostamento di una delle ossa con conseguente riduzione dell’angolo, l’estensione è il movimento opposto limitato a riportare l’elemento osseo nella posizione primitiva. L’abduzione è il movimento di allontanamento dell’elemento osseo dal piano mediano del corpo, l’adduzione è il movimento contrario. Il passaggio di un qualsiasi segmento scheletrico nei quattro movimenti
Movimento di flessione-estensione del tronco
Movimento di inclinazione laterale del tronco
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descritti senza passare nella posizione intermedia viene denominato circumduzione. In questo movimento l’osso mobile descrive un cono il cui apice corrisponde all’articolazione medesima. MOVIMENTI DI SOMMAZIONE L’ampiezza di un movimento non è una prerogativa di quelle articolazioni la cui libertà di escursione è facilmente imputabile alla mobilità del tipo di diartrosi. Vi sono casi in cui l’ampiezza è determinata dalla somma di piccoli movimenti assolutamente identici dovute ad articolazioni omodiname. Il caso più semplice è rappresentato dalla colonna vertebrale. Infatti la flessione, sia laterale che frontale, del tronco è ottenuta per sommazione di piccolissimi movimenti angolari di successive vertebre, così come la torsione del tronco è la sommazione a spirale di movimenti di scivolamento, laterali o mediali, di successive vertebre.
Movimento di torsione del tronco
Movimento di pronazione-supinazione dell’arto superiore
Movimento di abduzione-adduzione dell’arto superiore
Movimento di flessione-estensione dell’arto inferiore
ARTICOLAZIONI SINARTROSI ART. FISSE SUTURE
ANFIARTROSI ART. SEMI-MOBILI SINFISI
(cranio e faccia)
(torace, vertebre, sinfisi pubica)
A CERNIERA
PIANA
tarso, carpo
gomito, ginocchio Falangi
A PERNO
atlante ed epistrofeo radio e ulna
DIARTROSI ART. MOBILI SINOVIA (arti e mandibola)
A NOCE
scapolo-omerale coxo-femorale
A SELLA
radiocarpica pollice
MOVIMENTI IN ASSE Scivolamento
DI SOMMAZIONE
ANGOLARI rotazione
supinazione
pronazione
flessione
estensione
abduzione
adduzione
circumduzione
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rotazione, flessione-estensione e inclinazione della colonna vertebrale
G E N E R A L I TÀ SUI MUSCOLI C A P I T O L O
N O N O
Se lo scheletro costituisce la parte passiva, i muscoli sono la parte attiva della complessa macchina umana. Essi rappresentano ciò che nel linguaggio comune è detto “carne”, si dividono in due gruppi: muscoli involontari e muscoli volontari. I muscoli involontari, collocati visceralmente, sono controllati dal sistema nervoso autonomo e presentano, ad eccezione del cuore, un tessuto liscio. Essi rappresentano tutti gli organi inerenti la vita vegetativa, motivo per cui non saranno oggetto del nostro studio. I muscoli volontari sono controllati dal sistema nervoso centrale. Risultano, nella grande maggioranza dei casi, composti di una parte carnosa rossa, il muscolo in senso stretto, e di estremità di inserzione costituite dai tendini o dalle aponeurosi. Presentano un tessuto striato e ricoprono quasi interamente lo scheletro. Inseriti ai segmenti ossei con le loro estremità ne determinano lo spostamento quando entrano in contrazione. Essi presiedono quindi alla deambulazione del corpo umano. Subordinatamente a criteri di connessione, i muscoli volontari si dividono inoltre in muscoli cutanei e muscoli scheletrici. MUSCOLI CUTANEI (o pellicciai) – Sono quei muscoli in cui una delle estremità si inserisce direttamente con la cute determinando, con la loro azione, spostamenti della pelle producendo pieghe, solchi, raggrinzimenti, ecc. Sono collocati esclusivamente nella testa e nel collo, e per il grande ruolo che esercitano nell’espressività del volto sono detti anche muscoli mimici.
MUSCOLI SCHELETRICI – Sono tutti i muscoli (la maggioranza) che si innestano con le loro inserzioni su organi scheletrici differenti e mobili l’uno rispetto all’altro per cui, in contrazione, avvicinando i punti di attacco creano un movimento. Essi sono disposti in diversi strati successivi e possono essere classificati in superficiali e profondi. Come regola generale si hanno in superficie le formazioni più vaste e voluminose, che maggiormente contribuiscono alla configurazione del corpo; in profondità muscoli più piccoli, che per l’irrilevante apporto andremo a trascurare.
COSTITUZIONE DEI MUSCOLI
I muscoli sono organi contrattili che presentano una massa carnosa e delle estremità di inserzioni. La parte carnosa, o massa contrattile, ha una costituzione filamentosa ottenuta dall’integrazione parallela delle unità sovracellulari (le fibre muscolari striate). Ha un colorito rosso vivo ed una consistenza molle ed elastica nella fase di rilassamento, più dura nella fase di contrazione. La vascolarizzazione del corpo muscolare è molto abbondante e ricca di capillari, per la necessità di ricambio dovuto all’eccessivo consumo di ossigeno e materiali energetici durante la contrazione. Il muscolo contraendosi si ingrossa e si accorcia fino a 1/3 della lunghezza originale. Esso anche in stato di riposo non è mai totalmente rilassato, ma mantiene uno stato di subcontrazione denominato tono muscolare. Le estremità di inserzione sono costituite dai tendini e le aponeurosi, che vanno considerate tendini sviluppati in superficie. Sono organi fibrosi che trasmettono la trazione esercitata dalla parte muscolare sul punto di inserzione con l’osso e sono quindi assai compatti, bianchi, splendenti ed inestensibili; cordonali nel caso dei tendini, laminari nel caso delle aponeurosi. Il passaggio del corpo muscolare ai tendini presenta diversità sensibili da un muscolo all’altro, perché le fibre muscolari non passano al tendine tutte al medesimo livello stabilendo quindi una netta linea di passaggio. Le variazioni danno origine a dispositivi differenti come nei casi dei muscoli pennati e semipennati. I punti di inserzione dei muscoli vengono distinti
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in punto di origine o punto fisso e punto di terminazione o punto mobile. Intendendo per fisso il punto verso cui è diretto il movimento, e per mobile quello in movimento. Se un muscolo si risolve in diversi capi ad una delle sue estremità, ogni capo avrà un proprio tendine che può fissarsi ad ossa differenti. In alcuni casi esistono tendini che si trovano nel bel mezzo del corpo muscolare; si tratta di fasce tendinee dette iscrizioni tendinee (es. muscoli dell’addome).
FORMA DEI MUSCOLI
Pur se di svariate forme vengono classificati in due tipi principali: muscoli lunghi e muscoli larghi. I muscoli lunghi sono caratterizzati dalla netta prevalenza del parametro di lunghezza, si trovano normalmente negli arti con aspetto fusiforme, conico o nastriforme. La parte carnosa è sita al centro e si continua in due estremità tendinee, la parte carnosa viene allora chiamata ventre muscolare. Alcuni muscoli lunghi sono forniti di diversi ventri muscolari e a seconda del loro numero si parla di: muscoli bicipiti, tricipiti e quadricipiti. Altri invece sono formati da due ventri muscolari uniti da un piccolo tendine intermedio e sono detti muscoli digastrici. I muscoli larghi, sviluppati nel senso della superficie, si trovano normalmente nel tronco a coprire le grandi cavità. Hanno l’aspetto di membrane con forme losangiche, rettangolari, trapezoidali, ecc. Terminano con l’aponeurosi che prosegue la forma del muscolo e provvede alla inserzione. Non di rado i muscoli larghi presentano al loro interno iscrizioni tendinee. Esistono fra i muscoli lunghi e quelli larghi aspetti di transizione rappresentati da muscoli che originano larghi e membranosi, ma che poi si raccolgono in uno spesso ventre che si continua in un tendine. Questi muscoli, detti muscoli compositi, servono a congiungere lo scheletro del tronco con lo scheletro degli arti (es. il muscolo pettorale, il deltoide, il grande gluteo, ecc.). Va infine ricordato il caso di muscoli anulari che circondano aperture di cavità naturali e denominati muscoli orbicolari.
muscolo fusiforme
muscolo largo
muscolo bicipite
muscolo pennato
muscolo poligastrico
muscolo semipennato
muscolo digastrico
Principali forme muscolari
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muscolo nastriforme
muscolo orbicolare
P
F
R
Leva di I genere
PESO E VOLUME DEI MUSCOLI
Il peso e il volume dei muscoli sono subordinati alla varietà ed alla variabilità degli stessi. La varietà dipende dalle peculiarità intrinseche e funzionali del muscolo; si va dal quadricipite femorale grosso e pesante al piccolissimo muscolo stapedio. La variabilità, che oscilla dalla ipotrofia (scarso volume) all’ipertrofia (eccessivo volume) è dovuta a tre fattori fondamentali che sono: lo stato di nutrizione, l’attività fisica e l’età.
MECCANICA DEI MUSCOLI
Come già precedentemente esposto, un muscolo scheletrico si inserisce con le sue estremità tendinee su due o più ossa differenti ed articolate tra loro; e che nella contrazione dello stesso si ha l’accostamento dell’osso mobile con l’osso fisso determinando un movimento. Ma il movimento risultante dall’azione di un solo muscolo è puramente teorico; generalmente il movimento
P
R
F
F
Leva di II genere
P
R
Leva di III genere
nasce dalla compartecipazione di diversi muscoli, così come la fissità di un osso risulta dall’irrigidimento di gruppi muscolari. Inoltre per ogni muscolo o più muscoli preposti ad uno stesso movimento (muscoli sinergisti) esistono muscoli preposti al movimento contrario (muscoli antagonisti). Un esempio classico è dato dai muscoli flessori ed estensori. I movimenti prodotti da un’articolazione sono riducibili al meccanismo della leva. I segmenti ossei infatti sono schematizzabili ad una leva, nella quale il punto di articolazione è quasi sempre il fulcro, la potenza è il punto di inserzione del muscolo in contrazione con l’osso mobile e la resistenza è un punto variabile. Secondo la disposizione dei tre punti (fulcro, potenza e resistenza) l’osso mobile rappresenterà una leva di: I genere (fulcro interposto tra potenza e resistenza), II genere (resistenza interposta tra potenza e fulcro) e III genere (potenza interposta tra fulcro
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e resistenza). La meccanica di movimento comunque più frequente nel corpo umano fa riferimento alla leva di III genere.
NOMENCLATURA DEI MUSCOLI
La nomenclatura anatomica dei muscoli è abbastanza vasta e piuttosto disorganica. In genere i muscoli vengono definiti con termini subordinati a vari criteri di lettura. Un criterio è suggerito dalla forma geometrica del muscolo (es. trapezio, romboideo, piramidale); uno è legato alla loro funzione (es. flessore, estensore, adduttore); uno al numero dei ventri muscolari (es. bicipite, tricipite, quadricipite); un altro criterio è suggerito dalla loro collocazione (es. pettorale, addominale, grandorsale). Una parte della nomenclatura comprende inoltre termini tramandatici dagli antichi studi anatomici e dei quali molte volte è ignota l’origine (es. muscolo azigos).
MUSCOLI VOLONTARI
INVOLONTARI
Attività dinamica
Attività vegetativa
(striati)
(lisci)
CUTANEI
SCHELETRICI
(mimici)
(superficiali e profondi)
LARGHI
LUNGHI
COMPOSITI
(negli arti)
(nel tronco)
(dal tronco agli arti)
Tendini
Aponeurosi
Aponeurosi e tendine
VARIETA’ (caratteristiche proprie)
PESO E VOLUME
IPERTROFIA
(eccessivo volume)
VARIABILITA ’
IPOTROFIA
(scarso volume)
stato di nutrizione attività fisica età
MECCANICA MUSCOLARE
LEVA DI I GENERE R-----------F-----------P
NOMENCLATURA
LEVA DI II GENERE F------------R-----------P
LEVA DI III GENERE R------------P------------F
FORMA GEOMETRICA (es: trapezio, deltoide, piramidale, ecc.) FUNZIONE (es: flessore, estensore, adduttore, ecc.) NUMERO CAPI TENDINEI (es: bicipite, tricipite, ecc.) COLLOCAZIONE (es: pettorale, addominale, frontale, ecc.) ANTICA ETIMOLOGIA (es: sartorio, azigos, ecc.)
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Figura miologica (visione anteriore)
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Figura miologica (visione posteriore)
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MUSCOLI DELLA TESTA
C A P ITO LO
DECIM O
In base alla loro inserzione, se cutanea o scheletrica, i muscoli della testa si dividono in due gruppi distinti: muscoli mimici e muscoli masticatori.
MUSCOLI MIMICI
I muscoli mimici sono piccoli muscoli appiattiti che prendono inserzione sulla pelle del viso e della volta cranica dando origine, con la loro contrazione, alle complesse modifiche del volto umano che caratterizzano l’espressione mimica dei sentimenti. Essi delimitano le cavità viscerali del blocco facciale e svolgono, inoltre, funzioni protettive e di collaborazione a talune attività degli apparati di senso come la vista, l’olfatto e l’udito. In base alla loro topografia si distinguono in: muscolo epicranico, muscoli delle palpebre, muscoli del naso, muscoli delle labbra e muscoli estrinseci dell’orecchio.
Muscolo epicranico
Lungo la volta del cranio, dal piano frontale al piano nucale, si trova una sottile lamina muscolo-aponeurotica detta nel complesso muscolo epicranico. Esso può essere considerato come un muscolo digastrico formato da due lamine muscolari, una anteriore con i muscoli frontali ed una posteriore con i muscoli occipitali, tra le quali è tesa un’ampia aponeurosi detta galea aponeurotica. muscolo frontale - Il muscolo frontale è un muscolo pari di forma quadrilatera che si presenta alquanto appiattito. Prende origine dalla galea aponeurotica alla sommità della fronte e si sviluppa in avanti e
in basso inserendosi alla pelle del sopracciglio, incrociando le sue fibre con quelle dell’orbicolare dell’occhio e del corrugatore del sopracciglio. La sua porzione mediana si prolunga in basso dando origine al muscolo procero che si inserisce alle ossa nasali. muscolo occipitale - Il muscolo occipitale presenta la stessa morfologia del suo antagonista. Esso prende origine dal margine posteriore della galea aponeurotica e portandosi in basso si inserisce alla linea nucale superiore dell’osso omonimo. Azione: i due muscoli contraendosi alternativamente tirano in avanti o indietro la galea e quindi il cuoio capelluto. Il frontale inoltre, con la sua contrazione, solleva il sopracciglio e corruga la fronte formando dei solchi trasversali.
Muscoli delle palpebre
Muscolo orbicolare dell’occhio - Il muscolo orbicolare dell’occhio è un muscolo sottile ed appiattito formato da fasci che costituiscono un anello ellittico intorno alla rima palpebrale. In esso si considerano una parte palpebrale ed una parte orbitale. Ambedue le porzioni si inseriscono, in corrispondenza dell’angolo mediale dell’occhio, al processo frontale dell’osso mascellare. Azione: la parte palpebrale serve ad avvicinare e chiudere la rima palpebrale; la parte orbitale, più spessa, si connette con i muscoli vicini ed è da questi coadiuvata per la chiusura forzata delle palpebre. Muscolo corrugatore del sopracciglio - Il muscolo corrugatore del sopracciglio è un piccolo muscolo situato al di sopra del muscolo orbicolare e ricoperto in parte dal muscolo frontale. Si sviluppa quasi orizzontalmente iniziando dal punto mediano dell’arcata sopraccigliare irradiandosi poi lateralmente con l’orbicolare. Azione: avvicina i due sopraccigli creando fra i due delle pieghe verticali fortemente visibili quando il corrugamento è energico.
Muscoli del naso
muscolo traverso del naso - Il muscolo traverso del naso è un muscolo situato sulla faccia laterale del naso. Sorge dall’osso mascellare, in
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corrispondenza dell’alveolo del canino, e si dirige in alto trasversalmente a forma di ventaglio inserendosi alle fibre del suo contro-laterale. Azione: restringe le narici e crea increspature sul dorso del naso. muscolo dilatatore delle narici - Il muscolo dilatatore delle narici è un piccolissimo muscolo di forma triangolare sito sulla estremità posteriore della cartilagine dell’ala nasale. Azione: dilata le narici nell’atto di fiutare o dell’inspirazione forzata.
Muscoli delle labbra
muscolo quadrato del labbro superiore - Il muscolo quadrato del labbro superiore è un muscolo laminare di forma quadrangolare che si origina dal labbro superiore e si porta in alto decomponendosi in tre fasci detti: capo angolare, capo sottorbitale e capo zigomatico. Il capo angolare si inserisce sul processo frontale del mascellare, il capo sottorbitale sul margine omonimo del mascellare e il capo zigomatico sull’osso omonimo. Azione: solleva il labbro superiore. muscolo zigomatico - Il muscolo zigomatico è un muscolo lungo ed appiattito che prende origine dall’osso omonimo dirigendosi obliquamente in basso e inserendosi alla commessura labiale. Qui le fibre si intrecciano con quelle di altri muscoli. Azione: porta in alto, lateralmente e indietro l’angolo della bocca. muscolo canino - Il muscolo canino è un piccolo muscolo di forma quadrilatera in parte nascosto dal muscolo quadrato del labbro superiore. Ha origine dalla fossa canina del mascellare e si dirige in basso inserendosi all’angolo della bocca. Azione: porta in alto la commessura delle labbra. muscolo buccinatore - Il muscolo buccinatore è un muscolo largo, appiattito e di forma quadrilatera situato profondamente. Nasce dalla faccia esterna dei processi alveolari del mascellare e della mandibola, e dal processo pterigoideo dello sfenoide. Le sue fibre si portano in avanti alla commessura delle labbra, ove si incrociano. Qui le fibre superiori passano al labbro inferiore e le inferiori passano al labbro superiore, contribuendo entrambi alla formazione del muscolo orbicolare della bocca.
Azione: i due muscoli contraendosi riducono il vestibolo della bocca. Quando la cavità orale è dilatata dai cibi o dall’aria essi comprimono il contenuto permettendo l’arretramento del cibo nell’atto della deglutizione, o la fuoruscita dell’aria nell’atto del soffiare. Muscolo risorio - E’ un muscolo lamellare di forma triangolare, con la base indietro e l’apice diretto in avanti. Nasce dal ramo della mandibola e si inserisce alla commessura delle labbra. Azione: porta indietro l’angolo della bocca. Muscolo triangolare - E’ un muscolo dalla forma omonima che nasce dal margine inferiore del corpo della mandibola. I suoi fasci convergono in alto verso la commessura labiale; qui alcuni si inseriscono alla pelle, altri passano al labbro superiore partecipando alla formazione del muscolo orbicolare della bocca. Azione: porta in basso l’angolo della bocca quale antagonista dello zigomatico. Muscolo quadrato del labbro inferiore - E’ ricoperto in parte dal triangolare e come questo ha origine dal margine inferiore della mandibola portandosi poi al labbro inferiore sotto forma di lamina quadrangolare. Azione: porta in basso il labbro inferiore quale antagonista del suo omonimo superiore. Muscolo mentale - Coperto in parte dal quadrato del labbro inferiore, è una piccola lamina di forma conica che prende origine dal gioco alveolare del dente incisivo mediale inferiore e si porta in basso inserendosi alla cute del mento. Azione: solleva e corruga la cute del mento. Muscolo orbicolare della bocca - E’ un muscolo impari disposto a forma di anello ellittico intorno all’apertura della bocca. Esso, come si è visto, risulta in gran parte costituito dalle fibre dei muscoli cutanei che convergono verso le labbra (zigomatico, canino, buccinatore e triangolare). Può essere distinto in una parte centrale ed una periferica. Azione: la parte centrale chiude strettamente l’apertura della bocca piegando all’interno il margine libero e roseo delle labbra; la parte periferica al contrario proietta in avanti il margine facendogli assumere una forma tondeggiante.
Muscoli estrinseci dell’orecchio Al padiglione dell’orecchio fanno capo tre sottili muscoli che possono, con la loro trazione, modificare lievemente la posizione del padiglione. Sono il muscolo auricolare superiore, il muscolo auricolare anteriore ed il muscolo auricolare posteriore.
MUSCOLI MASTICATORI
Preposti all’azione meccanica della masticazione, sono gli unici muscoli scheletrici presenti nel capo. Disposti in numero di quattro per lato sono: il muscolo temporale, il muscolo massetere e i muscoli pterigoidei esterno e interno. Muscolo temporale - E’ un muscolo piatto dalla forma semicircolare collocato lateralmente sul cranio ad occupare la fossa temporale. Sorge
dalla linea temporale dell’osso parietale e le sue fibre, passando internamente all’arco zigomatico, convergono in un robusto tendine che si inserisce al processo coronoideo della mandibola. Azione: porta in alto la mandibola. Muscolo massetere - E’ un muscolo corto e grosso di forma rettangolare situato lateralmente al blocco facciale. Diretto dall’arcata zigomatica al ramo ed all’angolo della mandibola, si compone di due strati sovrapposti con diversa inclinazione dei fasci. Azione: innalza la mandibola e tiene fortemente in contatto le due arcate d entali. Muscoli pterigoidei (esterno ed interno) - Sono due muscoli profondi nascosti dal ramo della mandibola e quindi non visibili nello scorticato. Azione: sollevamento e spostamento laterale della mandibola.
m. temporale
m. massetere (parte profonda)
m. massetere (parte superficiale)
Visione laterale sinistra dei muscoli masticatori
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galea aponeurotica
m. frontale
m. corrugatore del sopracciglio m. orbicolare dell’occhio (parte palpebrale)
m. procero m. temporale m. orbicolare dell’occhio (parte orbitale)
m. nasale
m. quadrato del labbro superiore m. canino
m. orbicolare della bocca
m. zigomatico m. massetere m. buccinatore m. risorio
m. quadrato del labbro inferiore
m. triangolare
m. mentale
m. sternocleidomastoideo m. scaleni m. sternocleidomastoideo
m. platisma
Visione generale dei muscoli della testa e del collo
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MUSCOLI DELLA TESTA
MUSCOLI CUTANEI
MUSCOLI SCHELETRICI
MIMICI
MASTICATORI
temporale massetere pterigoidei
MUSCOLO EPICRANICO
MUSCOLI DELLE PALPEBRE
MUSCOLI DEL NASO
MUSCOLI DELLE LABBRA
MUSCOLI DELLE ORECCHIE
frontale occipitale
orbicolare palpebrale corrugatore
traverso dilatatore
quadrato sup. zigomatico canino buccinatore risorio triangolare quadrato inf. mentale orbicolare
auricolare sup. auricolare ant. auricolare post.
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MUSCOLI DEL COLLO
CAPITOLO UNDICESIMO
La muscolatura del collo comprende una serie di muscoli scheletrici e un solo muscolo cutaneo. Essi si dividono in muscoli anteriori, muscoli laterali e muscoli posteriori (questi ultimi essendo parte integrante dei muscoli del dorso saranno illustrati nel relativo capitolo).
lo spazio che intercorre tra il muscolo trapezio e il muscolo sternocleidomastoideo. Essi nascono dai processi traversi delle vertebre cervicali e si inseriscono i primi due alla prima costa, il posteriore alla seconda costa. Azione: quando prendono punto fisso sulle vertebre cervicali hanno funzione inspiratoria facendo trazione sulle coste. Se il punto fisso è invece sulle coste contraendosi alternativamente inclinano nei due sensi laterali il tratto cervicale, lo irrigidiscono se si contraggono entrambi i lati. muscolo sternocleidomastoideo - Il muscolo sternocleidomastoideo è una voluminosa formazione muscolare nastriforme diretta obliquamente in alto. Ha due distinti capi di origine, uno mediale detto capo sternale ed uno laterale detto capo clavicolare, che si fondono insieme a costituire il ventre muscolare prendendo poi inserzione sul processo mastoideo dell’osso temporale.
Azione: la contrazione simultanea dei due muscoli flette la testa; la contrazione unilaterale del muscolo ruota la testa verso il lato opposto. muscolo platisma - Il muscolo platisma (o pellicciaio) è il muscolo più superficiale del collo. Esso è costituito da una lamina muscolare che per la sua sottigliezza non ha alcuna influenza sul modellato del collo, determinato com’è invece dai muscoli che esso ricopre. Si estende dalla parte superiore del torace avendo origine dalla seconda costa, i suoi fasci, dirigendosi in alto e medialmente, ricoprono la parte laterale del collo fino a portarsi alla faccia inserendosi alla commessura labiale. Per questa sua inserzione cutanea, il platisma risulta essere l’unico muscolo mimico della regione del collo. Azione: porta in basso l’angolo della bocca e tende la cute del collo determinando delle pieghettature oblique nella pelle, molto evidenti durante violenti esercizi muscolari.
MUSCOLI ANTERIORI DEL COLLO
I muscoli anteriori del collo si dividono a loro volta in muscoli sopraioidei e muscoli sottoioidei. Muscoli sopraioidei (digastrico, stiloioideo, miloioideo, genioioideo) - Sono piccoli muscoli nastriformi situati nella regione compresa fra la mandibola e l’osso ioideo. Azione: innalzano l’osso ioideo e con esso la laringe; se l’osso è fisso (per azione dei muscoli sottoioidei) abbassano la mandibola cooperando quindi alla masticazione. Muscoli sottoioidei (sternoioideo, omoioideo, sternotiroideo, tiroioideo) - Situati nella regione compresa fra l’osso ioideo e lo sterno sono antagonisti dei muscoli sopraioidei. Azione: abbassano l’osso ioideo e la laringe nelle fasi di deglutizione, respirazione e fonazione.
A
M
A
M
A A
M P P P
MUSCOLI LATERALI DEL COLLO
I muscoli laterali del collo sono rappresentati dai tre muscoli scaleni, dal muscolo sternocleidomastoideo e dal muscolo platisma. muscoli scaleni - I muscoli scaleni, distinti in anteriore, medio e posteriore, sono collocati nella parte laterale e profonda del collo occupando
Disegno schematico illustrante la posizione dei tre muscoli scaleni, e a destra i muscoli recisi con l’inserzione ai tubercoli delle diverse vertebre (A: anteriore, M: medio, P: posteriore)
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legamento stilomandibolare m. massetere
m. digastrico ventre anteriore m. miloioideo processo stiloideo m. stiloioideo m. digastrico ventre posteriore
osso ioide m. tiroioideo m. omoioideo m. sternoioideo
m. sternocleidomastoideo
m. sternotiroideo
m. scaleni medi
m. scaleni anteriori
m. trapezio
m. sternocleidomastoideo capo sternale m. sternocleidomastoideo capo clavicolare
Visione anterolaterale dei muscoli del collo
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MUSCOLI DEL TRONCO
CAPITOLO DODICESIMO
la spalla; la parte media tira mediamente la spalla proiettando in avanti il torace; la parte inferiore porta in basso la spalla. Muscolo grande dorsale - E’ un muscolo largo, sottile e di forma triangolare. Sorge tramite una ampia aponeurosi (detta aponeurosi lombosacrale) dai processi spinosi delle ultime sei vertebre toraciche, da tutte le vertebre lombari, dalla cresta del sacro e dalla porzione posteriore della cresta iliaca. Le fibre si portano in alto e lateralmente convergendo verso l’ascella, circondando
in parte il muscolo grande rotondo. In prossimità della inserzione alla doccia dell’omero il tendine, largo e appiattito, fa una torsione tale che il margine superiore è posto in basso e l’inferiore in alto. Questo tratto di inserzione costituisce inoltre la parete posteriore della cavità ascellare. La parte superiore della sua faccia superficiale è ricoperta in parte dal muscolo trapezio. Azione: trazione verso il basso del braccio alzato e spostamento all’indietro dell’arto superiore. Se il punto fisso è sull’omero solleva il tronco
I muscoli del tronco si suddividono in tre gruppi: muscoli del dorso, muscoli del torace, muscoli dell’addome. Queste tre aree di raggruppamento presentano inoltre delle stratificazioni muscolari suddivise in superficiali, medi e profondi. I muscoli superficiali risultano essere i più grandi in ragione degli sforzi continui esercitati per mantenere la posizione verticale e per offrire validi punti di sostegno agli arti superiori. Essi determinano la massima parte del modellato del tronco; pertanto, sarà nostro compito analizzare solo quei muscoli dello strato superficiale visibili in uno scorticato.
MUSCOLI DEL DORSO
Muscolo trapezio - E’ un muscolo largo, appiattito di forma triangolare che con il suo contro-laterale rappresenta perfettamente la figura geometrica che gli dà il nome. Sorge dalla linea nucale superiore dell’osso occipitale, dai processi spinosi della VII vertebra cervicale e di tutte le vertebre toraciche. Le sue fibre convergono verso la spalla inserendosi al terzo laterale del margine posteriore della clavicola, all’acromion e al margine superiore della spina della scapola. Si distinguono pertanto nel trapezio tre porzioni: una parte superiore a fibre oblique verso il basso, una parte media a fibre orizzontali e una parte inferiore a fibre oblique verso l’alto. Azione: la parte superiore innalza e sostiene la spalla, o inclina la testa se prende punto fisso sul-
m. trapezio destro
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m. grande dorsale sinistro
nell’atto di arrampicarsi. Muscolo romboideo - E’ un muscolo largo di forma losangica, visibile per un breve tratto in quanto coperto dal trapezio e dal grande dorsale. Ha origine dai processi spinosi della VII vertebra cervicale e delle prime quattro toraciche; le sue fibre si dirigono obliquamente e lateralmente verso il basso per inserirsi al margine mediale della scapola. Azione: tira mediamente la scapola e la fissa durante i movimenti del braccio.
MUSCOLI DEL TORACE
Muscolo grande pettorale - E’ un muscolo grande e spesso di forma triangolare situato nella parte anteriore del torace. Esso si compone di tre porzioni: una clavicolare, una sternale ed
m. romboideo destro
una addominale. La parte clavicolare ha origine dai 2/3 mediali del margine anteriore della clavicola, la parte sternale (più voluminosa) dalla superficie anteriore dello sterno e delle prime sei cartilagini costali, la parte addominale dalla guaina del muscolo retto dell’addome. I loro fasci convergono lateralmente adagiandosi gli uni sugli altri, così che la parte addominale è ricoperta da quella sternale e quest’ultima da quella clavicolare. Vicino al braccio il muscolo si inspessisce e si inserisce, con un grosso tendine appiattito, sotto la grande tuberosità dell’omero. Il tratto di inserzione costituisce la parete anteriore della cavità ascellare. Azione: adduzione del braccio e trazione in basso del braccio alzato. Se il punto fisso è sull’omero solleva il tronco cooperando con il grande dorsa-
m. grande pettorale destro
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le nell’atto di arrampicarsi. Muscolo dentato anteriore - E’ un muscolo largo ed appiattito che ricopre le pareti laterali del torace, nascosto in parte dalla scapola, dal grande dorsale e dal grande pettorale. Si origina con delle digitazioni dalla metà della faccia esterna delle prime nove coste. Le fibre che nascono da queste digitazioni convergono all’indietro verso la faccia anteriore della scapola formando tre fasci dei quali il superiore si inserisce all’angolo mediale superiore della scapola, il medio lungo tutto il margine vertebrale della scapola e l’inferiore all’angolo inferiore della stessa. Azione: se il muscolo prende punto fisso sulla scapola solleva le coste durante l’inspirazione; se invece il punto fisso è sul torace tira lateralmente la scapola spostando in fuori l’angolo inferiore.
m. dentato anteriore sinistro
MUSCOLI DELL’ADDOME
Muscolo obliquo esterno dell’addome Situato nella parte anteriore e laterale dell’addome è un muscolo largo e sottile dalla forma irregolarmente quadrilatera. Sorge dalla faccia esterna delle ultime otto coste per mezzo di digitazioni dall’incrocio col dentato anteriore e le sue fibre si portano in basso e mediamente. Quelle originate dall’undicesima e dodicesima costa ci recano in basso inserendosi al labbro esterno della cresta iliaca, mentre le altre terminano in una larga aponeurosi che si estende dal processo xifoideo dello sterno fino al pube lungo la linea alba ed incrociandosi con l’aponeurosi del lato opposto. Nella parte inferiore l’aponeurosi che decorre dalla spina iliaca anteriore al pube costituisce il legamento inguinale. Azione: se prendono entrambi punto fisso sul bacino inchinano in avanti il tronco e abbassano le coste, funzionando come muscoli espiratori. Se la contrazione è unilaterale si ha la flessione o la rotazione del tronco verso il lato del muscolo in azione. Oltre a ciò il muscolo comprime la cavità addominale. Muscolo retto dell’addome - E’ un muscolo lungo ed appiattito posto lateralmente alla linea mediana e racchiuso nella guaina costituita dalle aponeurosi dei muscoli obliqui. Nasce con tre fasci dalla V, VI e VII cartilagine costale e si dirige in basso restringendosi per inserirsi con un tendine sull’osso pubico. E’ un muscolo digastrico in quanto il suo ventre presenta iscrizioni tendinee. Queste sono in numero di tre o quattro situate: una a livello dell’ombelico, due al di sopra ed una più rara al di sotto. Azione: flette in avanti il tronco e, nella posizione sdraiata, con punto fisso al torace solleva il bacino. Muscolo piramidale - E’ un piccolo muscolo che si trova nella parte inferiore e mediana dell’addome, in corrispondenza dell’inserzione del muscolo retto. Ha la forma di un triangolo con la base che origina dal pube e l’apice, rivolto in alto, che si inserisce alla linea alba. Azione: tende la linea alba e collabora alla flessione del tronco.
m. deltoide
m. grande pettorale
m. sternocleidomastoideo
m. dentato anteriore
m. trapezio
m. grande dorsale
m. obliquo esterno dell’addome
iscrizione tendinea
guaina del m. retto dell’addome
m. retto dell’addome
m. piramidale
Visione anteriore dei muscoli del tronco
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m. trapezio
m. deltoide
m. grande pettorale m. tricipite m. bicipite m. grande dorsale
m. dentato anteriore m. retto dell’addome
m. obliquo esterno dell’addome
m. piramidale
Ercole Farnese, III sec. Copia romana da Lisippo Museo Archeologico, Napoli
67
MUSCOLI DELL’ARTO SUPERIORE CAPITOLO TREDICESIMO
A differenza dei muscoli del tronco, che per la maggior parte sono larghi e sovrapposti in più strati dovendo coprire le cavità viscerali, i muscoli dell’arto superiore, così come i muscoli dell’arto inferiore, si sviluppano intorno e longitudinalmente a segmenti ossei. Pertanto essi risultano, nella stragrande maggioranza, di forma allungata e fusiforme. L’intreccio che deriva dalla sovrapposizione dei vari ventri muscolari fa si che, anche se parzialmente ricoperti, quasi tutti i muscoli sono leggibili in uno scorticato. Il loro decorso, mettendo in congiunzione due o più segmenti ossei contigui, permettono movimenti angolari. I muscoli dell’arto superiore si dividono in: muscoli della spalla, muscoli del braccio, muscoli dell’avambraccio e muscoli della mano.
Origina dal terzo laterale del margine anteriore della clavicola, dall’acromion e da tutto il labbro inferiore della spina della scapola. Le fibre di questo muscolo, aggregate in sette lacerti e ricoprendo la giuntura della spalla, convergono in un robusto tendine che si inserisce alla tuberosità deltoidea posta circa a metà della faccia laterale del corpo dell’omero. Azione: la contrazione dell’intero muscolo solleva il braccio sul piano orizzontale, mentre la contrazione parziale della parte anteriore o posteriore del muscolo determina la trazione anteriore o posteriore del braccio. Muscolo sovraspinato - E’ un muscolo di
forma triangolare che ha origine dall’omonima fossa della scapola. I suoi fasci si dirigono lateralmente e, passando sotto l’articolazione della clavicola con l’acromion, convergono in un tendine che si inserisce alla faccia superiore della grande tuberosità (o tubercolo maggiore) dell’omero. Azione: solleva il braccio in sinergia col deltoide e tiene la testa dell’omero in stretto contatto con la cavità glenoidea della scapola. Muscolo infraspinato - E’ un muscolo appiattito e triangolare che occupa tutta l’omonima fossa della scapola. I suoi fasci si portano lateralmente e, passando sotto l’acromion, con un tendine si inserisce alla faccetta media della
m. grande pettorale m. deltoide
m. coracobrachiale m. sottoscapolare
MUSCOLI DELLA SPALLA
I muscoli della spalla hanno tutti origine dal cingolo scapolare (scapola e clavicola) e prendono inserzione sull’omero. Ad eccezione del deltoide che è un muscolo abduttore, gli altri sono tutti muscoli adduttori e sono: muscolo sovraspinato, muscolo infraspinato, muscolo piccolo rotondo, muscolo grande rotondo e muscolo sottoscapolare. Dei muscoli della spalla il deltoide funge da protagonista in quanto il più esterno, voluminoso ed appariscente, mentre gli altri sono in parte coperti dai muscoli del dorso. Muscolo deltoide - (dal greco deltoeidès “a forma di delta”). E’ un muscolo dalla forma triangolare con la base in alto e l’apice in basso.
m. grande rotondo
m. brachiale m. tricipite m. bicipite
Visione anteriore dei muscoli della spalla
68
grande tuberosità dell’omero. Azione: contraendosi ruota all’esterno il braccio e concorre col sovraspinale a stabilizzare l’articolazione scapolo-omerale. Muscolo piccolo rotondo - E’ un piccolo muscolo cilindrico che decorre lungo il margine inferiore del muscolo infraspinato. Origina dal margine ascellare della fossa infraspinale e si porta in alto e lateralmente per inserirsi con un tendine alla faccia inferiore della grande tuberosità dell’omero. Azione: è in sinergia con l’infraspinato per ruotare all’esterno il braccio e dare solidarietà all’articolazione
scapolo-omerale. Muscolo grande rotondo - Più lungo e sviluppato del precedente è situato al di sotto di questo. Origina dalla faccia posteriore dell’angolo inferiore della scapola e si reca in alto e lateralmente per inserirsi alla cresta della piccola tuberosità (o tubercolo minore) dell’omero. Azione: insieme al grandorsale adduce il braccio alzato in avanti portandolo indietro e dorsalmente; inoltre ruota leggermente l’omero in senso mediale. Muscolo sottoscapolare - E’ il muscolo più nascosto in quanto si trova nella fossa sottoscapolare; si rende in parte visibile nella parte
m. sovraspinato
m. infraspinato processo coracoideo
epifisi dell’omero m. piccolo rotondo
m. grande rotondo
m. tricipite capo lungo
m. deltoide reciso
m. tricipite capo laterale
Visione posteriore dei muscoli della spalla
69
posteriore della cavità ascellare solo quando il braccio è alzato. E’ un muscolo appiattito di forma triangolare che nasce appunto dalla medesima fossa della scapola. I suoi fasci convergono in alto e lateralmente passando sotto il processo coracoideo per inserirsi sulla piccola tuberosità dell’omero. Azione: come il grande rotondo adduce e ruota mediamente il braccio, collabora inoltre a tenere stabile l’articolazione scapolo-omerale.
MUSCOLI DEL BRACCIO
Nel braccio abbiamo anteriormente tre muscoli flessori (coracobrachiale, brachiale e bicipite) e posteriormente un solo muscolo estensore (il tricipite).
Muscoli flessori del braccio
Muscolo coracobrachiale - E’ un muscolo fusiforme posto medialmente che origina dal processo coracoideo della scapola portandosi poi in basso per inserirsi alla metà circa della superficie mediale dell’omero, di fronte all’inserzione del deltoide. Azione: solleva il braccio in avanti e, a braccio abbassato, lo tiene serrato al torace. Muscolo brachiale - (dal gr. brakhion “braccio). E’ un muscolo allungato e alquanto robusto, coperto in parte dal bicipite. Origina, all’altezza dell’inserzione del deltoide, dalle facce anteromediale ed anterolaterale dell’omero e si inserisce alla faccia inferiore del processo coronoideo dell’ulna. Azione: flette l’avambraccio. Muscolo bicipite - (dal lat. biceps-ipitis “a due teste”). Da sempre considerato nell’immaginario collettivo simbolo di forza fisica, è il più grosso e superficiale dei muscoli del braccio. Di forma cilindrica si sviluppa lungo la faccia anteriore dell’omero, ricoprendo in parte il brachiale. Superiormente il muscolo si scompone in due ventri (capo lungo, posto lateralmente, e capo breve, posto medialmente). Il capo lungo ha origine dal margine superiore della cavità glenoidea della scapola; il lungo tendine gira attorno alla testa dell’omero e percorre il solco bicipitale. Il capo breve origina, come il coracobrachiale, dal
processo coracoideo della scapola. Inferiormente, a livello della piega del gomito, il muscolo si inserisce con un robusto tendine alla tuberosità bicipitale del radio; e dallo stesso tendine diparte medialmente una lamina aponeurotica che si espande nella fascia fibrosa che ricopre i muscoli dell’avambraccio. Azione: è flessore dell’avambraccio e supinatore quando l’avambraccio è prono.
Muscolo estensore del braccio
Muscolo tricipite - E’ un muscolo composto di tre parti denominati: capo lungo, capo laterale e capo mediale. Il capo lungo origina dalla
m. coracobrachiale
tuberosità sottoglenoidea della scapola; il capo laterale dalla faccia posteriore dell’omero, poco al di sotto della grande tuberosità; il capo mediale dalla metà inferiore della faccia posteriore dell’omero ed è ricoperto in parte dal capo lungo. I fasci muscolari di questi tre capi si portano in basso convergendo in un robusto tendine piatto che va ad inserirsi tutto intorno all’olecrano dell’ulna. Azione: estensione dell’avambraccio e, ad opera del capo lungo, adduzione del braccio.
MUSCOLI DELL’AVAMBRACCIO
I muscoli dell’avambraccio, dovendo sopperire
m. brachiale
m. bicipite
70
alla grande mobilità della mano, sono in numero maggiore e sovrapposti in più strati. Essi si presentano alquanto affusolati e dotati di lunghi tendini per l’inserzione con la mano. In prossimità del polso tutti i tendini (ad eccezione di quello del palmare lungo, che è sovrastante) sono tenuti raccolti da una fascia fibrosa anulare chiamata: legamento palmare del carpo il tratto anteriore e legamento dorsale del carpo quello posteriore. I muscoli dell’avambraccio vengono classificati in: muscoli anteriori (o epitrocleari perché hanno tutti origine dall’epitroclea dell’omero), muscoli laterali e muscoli posteriori (o epicondiloidei in quanto la maggior
m. tricipite
parte hanno origine dall’epicondilo dell’omero). I muscoli anteriori sono, in senso ulna-radiale: flessore ulnare del carpo, flessore superficiale delle dita, palmare lungo, flessore radiale del carpo e pronatore rotondo. I muscoli laterali sono, in successione: brachioradiale, estensore radiale lungo del carpo ed estensore radiale breve del carpo. I muscoli posteriori sono, in senso radio-ulnare: abduttore lungo ed estensore breve del pollice (più profondi rispetto agli altri ma visibili nel loro tratto inferiore), estensore comune delle dita, estensore proprio del mignolo, estensore ulnare del carpo e anconeo.
m. flessore ulnare del carpo
Muscoli anteriori dell’avambraccio
Muscolo flessore ulnare del carpo - E’ il muscolo più mediale dei muscoli epitrocleari e dà la rotondità al margine dell’avambraccio. Origina dall’epitroclea dell’omero, dall’olecrano e dai 2/3 superiori del margine posteriore dell’ulna e si inserisce sull’osso pisiforme del carpo. Azione: ruota ulnalmente il polso e flette la mano in sinergia con gli altri flessori. Muscolo flessore superficiale delle dita - Anche se in gran parte ricoperto è il muscolo più robusto del gruppo e la sua presenza è fortemente visibile quando si serrano i pugni. Origina dall’epitroclea dell’omero, dal proces-
m. flessore superficiale delle dita
m. palmare lungo
71
so coronoideo dell’ulna e dalla faccia anteriore del radio. Durante lo sviluppo verso il basso si decompone in quattro capi che terminano con lunghi tendini. Questi ultimi procedono sotto il legamento palmare del carpo e si inseriscono alla base delle seconde falangi delle dita, ad eccezione del pollice. Azione: flessione delle seconde falangi e della mano in sinergia con gli altri flessori. Muscolo palmare lungo - E’ il muscolo più esile del gruppo, posto tra il flessore ulnare del carpo e il flessore radiale del carpo. Origina dall’epitroclea dell’omero portandosi in basso con un lungo tendine sopra il legamento palmare del
m. flessore radiale del carpo
carpo per inserirsi all’aponeurosi palmare. Azione: flessione della mano. Muscolo flessore radiale del carpo. Posto tra il palmare lungo e il pronatore rotondo, origina dalla epitroclea dell’omero per inserirsi con un robusto tendine alla base del secondo raggio metacarpale. Azione: ruota radialmente il polso e flette la mano in sinergia con gli altri flessori. Muscolo pronatore rotondo - Con decorso obliquo è il muscolo più breve e laterale del gruppo e costituisce il margine mediale del cavo del gomito. Origina dall’epitroclea dell’omero e dal processo coronoideo dell’ulna per inserirsi, con un tendine appiattito, alla faccia laterale del radio. Azione: ruota il radio all’interno (pronazione) e coadiuva alla flessione dell’avambraccio.
m. pronatore rotondo
Muscoli laterali dell’avambraccio
Muscolo brachioradiale - E’ il primo e il più lungo dei muscoli epicondiloidei e forma il margine laterale del cavo del gomito. Origina dal terzo inferiore della faccia laterale dell’omero e si inserisce in basso, con un lungo e robusto tendine, al processo stiloideo del radio. Azione: non avendo inserzione sulla mano, flette solo l’avambraccio in sinergia con i muscoli flessori del braccio. Muscolo estensore radiale lungo del carpo - E’ posto tra il bracoradiale e l’estensore radiale breve. Origina, insieme al bracoradiale, dal margine inferiore della faccia laterale e dall’epicondilo dell’omero per inserirsi col suo tendine alla base della faccia dorsale del secondo metacarpo.
m. brachioradiale
m. estensore radiale lungo del carpo
72
Azione: estende ed abduce la mano. Muscolo estensore radiale breve del carpo - Posto lateralmente e posteriormente al precedente, origina dall’epicondilo e si inserisce alla base della faccia dorsale del secondo metacarpo. Azione: estende la mano.
Muscoli posteriori dell’avambraccio
Muscolo abduttore lungo del pollice Ricoperto in gran parte, origina dalla faccia posteriore dell’ulna, dalla membrana interossea e dalla faccia posteriore del radio. Si porta obliquamente rendendosi poi visibile nel tratto inferiore. Il suo tendine, passando sotto il legamento dorsale del carpo, si inserisce alla base della faccia laterale del primo metacarpo.
m. estensore radiale breve del carpo
Azione: abduce il pollice e la mano. Muscolo estensore breve del pollice - E’ situato sotto e medialmente al precedente con decorso parallelo. Origina dalla faccia posteriore dell’ulna e dalla membrana interossea. Il suo tendine, passando anch’esso sotto il legamento dorsale del carpo, si inserisce alla base della faccia dorsale della falange prossimale del pollice. Azione: estende la prima falange e coopera col precedente all’abduzione del pollice e della mano. Muscolo estensore comune delle dita E’ il più laterale dei muscoli posteriori. Origina dalla faccia posteriore dell’epicondilo dell’omero e, in prossimità del polso, si divide in quattro tendini piatti che, passando sotto il legamento
dorsale del carpo, divergono per inserirsi alle ultime quattro dita. Ciascun tendine presenta inoltre delle appendici tramite le quali si inserisce sulle tre falangi del dito. Azione: estende la mano e tutte le dita tranne il pollice. Muscolo estensore proprio del mignolo E’ un muscolo molto sottile che decorre medialmente e parallelamente al precedente e con il quale, avendo lo stesso punto d’origine, si confonde nel tratto superiore. Il suo tendine, passando sotto il legamento dorsale, decorre lungo il quinto raggio metacarpale e si fonde col tendine del muscolo precedente diretto al mignolo. Azione: estende il mignolo. Muscolo estensore ulnare del carpo -
E’ posto medialmente al precedente, ma è più robusto. Origina dall’epicondilo dell’omero e dalla faccia posteriore dell’ulna. Il suo tendine, dopo aver percorso il legamento dorsale del carpo, si inserisce alla base del quinto raggio metacarpale. Azione: estende il polso e adduce la mano. Muscolo anconeo - E’ un piccolo muscolo piatto di forma triangolare posto nella parete posteriore e superiore dell’avambraccio. A differenza dei precedenti questo muscolo non è un estensore della mano, ma dell’avambraccio. Origina dall’epicondilo dell’omero e si inserisce alla faccia posteriore dell’olecrano proseguendo per un quarto superiore dell’ulna. Azione: insieme al tricipite estende l’avambraccio.
a
b
a) m. abduttore lungo del pollice b) m. estensore breve del pollice
m. estensore comune delle dita
73
m. estensore ulnare del carpo
m. anconeo
m. brachioradiale
m. bicipite m. brachiale
m. brachiale
m. estensore radiale lungo del carpo
m. tricipite capo mediale tendine del m. tricipite brachiale olecrano
tendine del m. bicipite
m. anconeo
m. brachioradiale
m. pronatore rotondo
m. palmare lungo
m. flessore radiale del carpo
m. flessore superficiale delle dita
m. estensore radiale lungo del carpo
m. estensore ulnare del carpo m. flessore ulnare del carpo
m. brachioradiale m. estensore comune delle dita m. estensore proprio del mignolo
m. flessore superficiale delle dita
m. abduttore lungo del pollice
m. flessore ulnare del carpo
m. flessore lungo del pollice
m. estensore breve del pollice tendine del m. estensore radiale breve del carpo tendine del m. estensore radiale lungo del carpo
m. abduttore lungo del pollice
ulna
legamento dorsale del carpo
legamento palmare del carpo
aponeurosi palmare
Visione anteriore dei muscoli dell’ avambraccio sinistro
Visione posteriore dei muscoli dell’ avambraccio sinistro
74
m. trapezio
m. deltoide
m. grande dorsale
m. dentato anteriore m. tricipite
m. bicipite
m. retto dell’addome m. anconeo
m. estensore ulnare del carpo m. flessore ulnare del carpo m. estensore comune delle dita
Ermes che si slaccia il sandalo Copia romana da Lisippo Museo Louvre, Parigi
75
MUSCOLI DELLA MANO
I muscoli della mano esercitano la loro azione sulle dita e sono tutti collocati nella faccia palmare (o volare). Essi sono distinti in tre gruppi: muscoli dell’eminenza tenar, muscoli dell’eminenza ipotenar e muscoli del gruppo intermedio. L’eminenza tenar è la protuberanza caratterizzata dalla presenza, sul primo raggio metacarpale, dei muscoli preposti alla mobilità del pollice e sono: abduttore breve, opponente, flessore breve e adduttore. L’eminenza ipotenar è il rilievo determinato dai muscoli, presenti sul quinto raggio metacarpale, preposti alla mobilità del mignolo e sono: abduttore, flessore breve e opponente. I muscoli intermedi, completamente nascosti dall’aponeurosi palmare, occupano la parte media del palmo e sono i muscoli interossei (distinti in palmari e dorsali) e i muscoli lombricali. Essendo i muscoli della mano di scarsa rilevanza morfologica e considerando il nostro studio puramente descrittivo, ci limiteremo unicamente ad esporre i movimenti che essi determinano nella dinamica della mano.
Muscoli dell’eminenza tenar
Abduttore breve del pollice - Porta il pollice in fuori su un piano ad angolo retto rispetto al palmo. Opponente del pollice - Oppone il pollice alle altre dita portandolo in avanti medialmente. Flessore breve del pollice - Ha la stessa azione dell’abduttore breve. Adduttore del pollice - Avvicina il pollice alla palma della mano e flette la falange prossimale.
Lombricali - Flettono la prima falange ed estendono la seconda e la terza delle ultime quattro dita.
Muscoli dell’eminenza ipotenar
Abduttore del mignolo - Allontana ester-
namente il mignolo. Opponente del mignolo - Sposta in avanti e medialmente il quinto metacarpo e il mignolo. Flessore breve del mignolo - Flette la falange prossimale del mignolo.
tendine del m. flessore radiale del carpo
tendine del m. flessore ulnare del carpo
tendine del m. abduttore lungo del pollice
m. opponente del mignolo m. abduttore del mignolo
m. opponente del pollice m. abduttore breve del pollice
m. flessore breve del mignolo
m. flessore breve del pollice
mm. interossei palmari 1°- 3°
m. adduttore del pollice
Muscoli del gruppo intermedio
Interossei palmari - Con esclusione del pollice avvicinano le dita alla linea mediana della mano. Interossei dorsali - Sempre con esclusione del pollice allontanano le dita rispetto all’asse.
mm. interossei dorsali 1°- 4°
Visione palmare dei muscoli della mano
76
abduttore del braccio
Deltoide
adduttori del braccio
Sovraspinato Infraspinato Piccolo rotondo Grande rotondo Sottoscapolare
flessori dell’avambraccio
Coracobrachiale Brachiale Bicipite
estensore dell’avambraccio
Tricipite
Anteriori (epitrocleari)
Flessore ulnare del carpo Flessore superficiale delle dita Palmare lungo Flessore radiale del carpo Pronatore rotondo
Laterali
Brachioradiale Estensore radiale lungo del carpo Estensore radiale breve del carpo
Posteriori (epicondiloidei)
Abduttore lungo del pollice Estensore breve del pollice Estensore comune delle dita Estensore proprio del mignolo Estensore ulnare del carpo Anconeo
eminenza tenar
Abduttore breve del pollice Opponente del pollice Flessore breve del pollice Adduttore del pollice
gruppo intermedio
Interossei palmari Interossei dorsali Lombricali
eminenza ipotenar
Abduttore del mignolo Opponente del mignolo Flessore breve del mignolo
SPALLA
BRACCIO
AVAMBRACCIO
MANO
77
Di Cosmo Michele Studio di mani Matita su carta Fabriano
78
A. Di Leo Studio di mani Matita e sanguigna su carta Fabriano
79
MUSCOLI DELL’ARTO INFERIORE
MUSCOLI DELL’ANCA
Così come per l’arto superiore i muscoli dell’arto inferiore si dividono in quattro gruppi che, in direzione prossimo-distale, sono: muscoli dell’anca, muscoli della coscia, muscoli della gamba e muscoli del piede. Per ogni gruppo muscolare prenderemo in esame solo quelli superficiali e visibili in uno scorticato.
I muscoli dell’anca hanno tutti origine dal cingolo pelvico e si inseriscono sul femore. I più superficiali sono il grande gluteo, il medio gluteo e il tensore della fascia lata; la loro azione è essenzialmente di abduzione dell’arto. Muscolo grande gluteo - E’ il muscolo più sviluppato ed appariscente non solo del gruppo ma di tutto il corpo. E’ un muscolo largo di forma quadrilatera posto nella parte posteriore del bacino. Origina dalla faccia esterna dell’ala dell’osso iliaco, dal labbro posteriore della cresta iliaca e dal margine laterale del sacro e del coccige. Le sue fibre si dirigono obliquamente in basso e lateralmente fino a raggiungere il grande trocantere. Qui, tramite un largo tendine, si continua nella fascia lata. Azione: estende e ruota lateralmente il femore; se il tronco è inclinato in avanti serve a raddrizzarlo. Per questa sua azione il grande gluteo è
m. grande gluteo
m. medio gluteo
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
80
chiamato anche “muscolo della stazione eretta”. Il suo essere sottoposto a continue sollecitazioni nel mantenere la stazione eretta fa sì che questo muscolo risulta più sviluppato rispetto ai mammiferi quadrupedi. E sempre per una questione di costante sollecitazione, il grande gluteo è ulteriormente più sviluppato in chi vive in montagna rispetto a chi vive in pianura. E’ opportuno inoltre precisare che la differenza di volume di questo muscolo, subordinatamente al sesso (cosa alquanto visibile), è dovuta unicamente ad un maggiore accumulo di pannicolo adiposo a cui è predisposta la donna. Muscolo medio gluteo - In parte ricoperto dal grande gluteo, è un muscolo piatto e triangolare situato nella parte posteriore e laterale del bacino. Sorge dalla faccia esterna e laterale dell’ala dell’osso iliaco e i suoi fasci, convergendo a ventaglio verso il basso, si riuniscono in un tendine che si inserisce sulla faccia esterna del
m. tensore della fascia lata
grande trocantere. Azione: abduce il femore e lo ruota esternamente o internamente. Se prende punto fisso sul femore inclina lateralmente il bacino. Muscolo tensore della fascia lata - E’ un muscolo fusiforme che nasce dall’estremità anteriore della cresta iliaca e dalla spina iliaca anteriore superiore. I suoi fasci si dirigono in basso intrecciandosi con la fascia lata e con un tendine si inserisce al condilo laterale della tibia. Azione: stiramento della fascia lata, elevazione ed abduzione della coscia. La fascia lata è una aponeurosi che, originando dai muscoli dell’anca, riveste ed inguaina le massi muscolari laterali della coscia. Essa decorre verso il basso prendendo inserzione sul condilo laterale della tibia.
b
d
MUSCOLI DELLA COSCIA
I muscoli della coscia si distinguono in anteriori, posteriori e mediali. I muscoli anteriori sono il quadricipite femorale (estensore della gamba) e il sartorio (flessore e pronatore della coscia). I muscoli posteriori sono il bicipite femorale, il semitendinoso e il semimembranoso (flessori dalla gamba). I muscoli mediali sono il pettineo, l’adduttore breve, l’adduttore lungo, l’adduttore grande e il gracile (adduttori della coscia).
a
c
a) vasto laterale b) vasto intermedio c) vasto mediale d) retto del femore
Muscoli anteriori della coscia
Muscolo quadricipite femorale - E’ il più voluminoso muscolo della regione anteriore della coscia e risulta composto da quattro capi: il vasto laterale, il vasto mediale, il vasto intermedio e il retto del femore, i quali presentano diversi punti di origine per raccogliersi in un unico tendine terminale. a - MUSCOLO VASTO LATERALE - Il vasto laterale occupa la faccia laterale della coscia; ha origine dal grande trocantere e dal labbro laterale della linea aspra del femore. b - MUSCOLO VASTO INTERMEDIO - Il vasto intermedio, posto profondamente tra il vasto laterale e il vasto mediale, è ricoperto dal retto del femore ed origina dai 3/4 superiori della faccia anteriore del femore.
m. quadricipite femorale c - MUSCOLO VASTO MEDIALE - Il vasto mediale è situato nella parte interna ed anteriore della coscia e sorge dal labbro mediale della linea aspra del femore. d - MUSCOLO RETTO DEL FEMORE - Il retto del femore è il capo centrale e più superficiale. Origina, con due corti tendini, dalla spina iliaca anteriore inferiore e dal margine superiore dell’acetabolo. Questi due capi, tramite una striscia tendinea, si riuniscono in un unico corpo diretto in basso. I tendini dei quattro capi del muscolo quadricipite si fondono
81
poi tra loro a costituire un unico tendine, alquanto appiattito, di inserzione. Questo tendine terminale, dopo aver inglobato la rotula (legamento della rotula), si inserisce alla tuberosità della tibia. Azione: tutto il muscolo è estensore della gamba (questo muscolo è fortemente ipertrofico nei calciatori dovendo imprimere la massima potenza nel tiro). La contrazione invece del solo retto del femore, per la sua origine sul bacino, flette la coscia. Se il punto fisso è sulla tibia estende la coscia (es. quando ci si solleva dalla posizione seduta).
Muscolo sartorio - Così chiamato dagli antichi anatomisti per il movimento di sovrapposizione delle cosce, tipico dei sarti nell’atto di cucire, è un muscolo nastriforme (il più lungo del corpo umano) che attraversa obliquamente la faccia anteriore della coscia coprendo in parte il retto del femore e il vasto mediale. Origina dalla spina iliaca anteriore superiore e si inserisce sul condilo mediale della tibia. Questo tendine in prossimità dell’inserzione si espande e, insieme ai tendini dei muscoli gracile e semitendinoso, descrive una curva che va col
b
c d
a
a) m. semimembranoso b) m. bicipite femorale capo breve nome di zampa d’oca. Azione: flette la gamba sulla coscia, la coscia sul bacino e ruota all’esterno (pronazione) la coscia.
Muscoli posteriori della coscia
m. sartorio
Muscolo bicipite femorale - Posto nella regione posteriore e laterale della coscia, origina con due capi detti rispettivamente: capo lungo e capo breve. Il capo lungo nasce dalla tuberosità ischiatica insieme ai muscoli semitendinoso e semimembranoso e il capo breve origina dal terzo medio del labbro laterale della linea aspra del femore. I due capi convergono e, con un unico tendine, si inseri-
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c) m. semitendinoso d) m. bicipite femorale capo lungo scono sulla testa del perone. Azione: estende la coscia e flette la gamba. Muscolo semitendinoso - Sito nella parte postero-mediale della coscia, è un muscolo carnoso nella porzione superiore e tendineo in quella inferiore (da ciò il nome). Origina, insieme al capo lungo del bicipite, dalla tuberosità ischiatica e si inserisce al condilo mediale della tibia partecipando alla formazione della zampa d’oca. Azione: estende la coscia, flette e ruota medialmente la gamba. Muscolo semimembranoso - Coperto in parte dal semitendinoso e dal capo lungo del bicipite, è
posto medialmente al muscolo bicipite. Sorge dalla tuberosità ischiatica per mezzo di una membrana tendinea (che da appunto il nome al muscolo) per inserirsi posteriormente al condilo mediale della tibia. Azione: estende la coscia e flette la gamba.
Muscoli mediali della coscia
I muscoli mediali occupano la parte interna della coscia e servono all’adduzione del femore, a tenere avvicinati i ginocchi e a tenere fortemente serrate le cosce. Per questo motivo risultano molto sviluppati negli individui che praticano l’equitazione. Una curiosità: l’antico nome di questi muscoli era custodes virginitatis “custodi della verginità”. Muscolo pettineo - Di forma quadrilatera allungato e piatto, è il più breve ed il più supe-
riore della regione. Ha origine dal ramo orizzontale del pube e si inserisce alla linea pettinea del femore (la linea pettinea è il ramo mediale di divisione della linea aspra che si porta al piccolo trocantere). Azione: adduce e flette la coscia. Muscolo adduttore breve - E’ il più piccolo dei tre adduttori ed è interposto tra il pettineo e l’adduttore lungo che lo ricoprono quasi interamente. Nasce dal ramo orizzontale del pube e si inserisce al terzo superiore del labbro mediale della linea aspra. Azione: adduce la coscia. Muscolo adduttore lungo - E’ un muscolo piatto di forma triangolare. Origina dal ramo orizzontale del pube e si inserisce al terzo medio del labbro mediale della linea aspra. Azione: adduce la coscia.
Muscolo adduttore grande - Posto dorsalmente e dietro i precedenti, è il più potente degli adduttori. E’ un muscolo piatto e triangolare con l’apice diretto verso l’ischio. Origina dal ramo inferiore dell’ischio e dalla tuberosità ischiatica, i suoi fasci si recano verso il labbro mediale della linea aspra del femore inserendosi lungo tutto il suo percorso, dal piccolo trocantere al condilo mediale. Azione: adduce e ruota all’interno la coscia. Muscolo gracile - Situato nella parte più mediale della coscia, è un muscolo lungo ed appiattito. Nasce dal ramo inferiore del pube, in prossimità della sinfisi, e si inserisce sotto il condilo mediale della tibia. Il suo tendine di inserzione concorre a formare la zampa d’oca insieme ai tendini del sartorio e del semitendinoso. Azione: adduce la coscia, flette e ruota medialmente la gamba.
m. pettineo
m. adduttore lungo
m. adduttore breve
m. adduttore grande
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m. gracile
m. tensore della fascia lata m. pettineo m. grande gluteo
m. sartorio
fascia lata
m. grande adduttore m. retto del femore
m. adduttore lungo
m. gracile
fascia lata
m. semitendinoso m. semimembranoso
m. gracile
m. vasto laterale m. bicipite femorale capo breve
m. vasto mediale
m. bicipite femorale capo lungo
m. sartorio
rotula
zampa d’oca
Visione d’assieme dei muscoli posteriori della coscia
Visione d’assieme dei muscoli anteriori della coscia
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MUSCOLI DELLA GAMBA
I muscoli della gamba si dividono in: anteriori, laterali e posteriori. I muscoli anteriori e laterali sono meno sviluppati dei muscoli posteriori che costituiscono il polpaccio. I muscoli anteriori sono estensori del piede. Collocati nello spazio che intercorre tra tibia e perone sono: il tibiale anteriore, l’estensore lungo dell’alluce e l’estensore lungo delle dita. I muscoli laterali sono abduttori del piede e sono: il peroneo lungo e il peroneo breve. I muscoli posteriori sono flessori e lo strato superficiale è rappresentato da un solo muscolo: il tricipite della sura.
aver passato sotto i due legamenti, si divide in quattro tendini secondari diretti dorsalmente ognuno alle ultime quattro dita del piede. In corrispondenza dell’articolazione metatarsofalangea ciascun tendine si scompone ulteriormente in tre piccole appendici, di cui quella intermedia si inserisce alla base della seconda falange, mentre le altre due (mediale e laterale) alla base della terza falange. Azione: estende le ultime quattro dita e contribuisce all’estensione e alla rotazione laterale del piede.
Muscoli laterali della gamba
Muscolo peroneo lungo - E’ il più superficiale ed il più lungo dei due. Nasce dal condilo laterale della tibia, dalla testa del perone e dalla sua faccia laterale per il terzo superiore. Il suo tendine passa dietro il malleolo laterale, sovrapponendosi al tendine del suo omonimo breve, e si porta sulla faccia plantare. Qui attraversa obliquamente la pianta del piede per inserirsi al I° cuneiforme ed alla base del I° raggio metatarsale. Azione: abduce e ruota lateralmente il piede;
Muscoli anteriori della gamba
Muscolo tibiale anteriore - E’ il più robusto e mediale dei muscoli anteriori. Origina dal condilo laterale, dal terzo superiore della faccia laterale della tibia e dalla membrana interossea. A metà della gamba i suoi fasci convergono in un tendine che, passando sotto il legamento traverso e il legamento crociato della gamba, prende inserzione col I° cuneiforme e il I° raggio metatarsale. Azione: estende il piede e lo ruota medialmente. Muscolo estensore lungo dell’alluce - E’ visibile solo nel suo tendine terminale in quanto nascosto dai ventri del tibiale anteriore e l’estensore lungo delle dita. Origina dal terzo inferiore della faccia mediana del perone e dalla membrana interossea. Il suo tendine, passando sotto il legamento traverso e il legamento crociato, decorre lungo il I° raggio metatarsale e si inserisce alla base della falange distale dell’alluce. Azione: estende l’alluce e collabora ai movimenti di estensione e adduzione mediale del piede. Muscolo estensore lungo delle dita Situato lateralmente al tibiale anteriore, origina dal condilo laterale della tibia, dai due terzi superiori della faccia mediana del perone e dalla membrana interossea. I suoi fasci confluiscono verso il basso in un tendine che, dopo
m. tibiale anteriore
m. estensore lungo delle dita
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m. estrensore lungo dell’alluce
inoltre, fissa la gamba sul piede specialmente quando si sta su un piede solo. Muscolo peroneo breve - Ricoperto in parte dal precedente, origina dal terzo medio della faccia laterale del perone. Il suo tendine gira dietro il malleolo laterale per inserirsi poi alla base del V° raggio metatarsale. Azione: abduce e ruota lateralmente il piede.
Muscoli posteriori della gamba
Muscolo tricipite della sura (dal lat. sura “polpaccio”) - E’ un grosso ammasso muscolare costituito da due muscoli: il ga-
m. peroneo lungo
strocnemio, composto di due capi, e il soleo. In basso i loro ventri si fondono in un unico grosso tendine noto come tendine d’Achille. MUSCOLO GASTROCNEMIO - Il muscolo gastrocnemio (dal gr. gastér “ventre” e knémé “gamba”) è formato da due ventri muscolari: il capo laterale e il capo mediale che vanno anche col nome di gemelli della gamba. Entrambi i capi nascono dai rispettivi epicondoli del femore. In alto sono separati da una depressione nota come fossa poplitea; poi i ventri si uniscono aumentando gradualmente di volume e terminando con una aponeu-
m. peroneo breve
m. soleo
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rosi comune. MUSCOLO SOLEO - Il muscolo soleo (dal lat. soléa “suola”), posto profondamente ai due gemelli, origina dal terzo superiore di ambedue le ossa della gamba. Dall’unione dei tre capi origina il robusto tendine calcaneale (o di Achille) che si inserisce alla faccia posteriore del calcagno. Azione: flette plantarmente il piede e la sua contrazione è fortemente visibile quando si cammina o ci si alza sulla punta dei piedi. Inoltre, visto l’origine femorale del gastrocnemio, flette la gamba sulla coscia.
m. gastrocnemio
m. peroneo lungo m. tibiale anteriore m. tibiale anteriore m. gastrocnemio
m. peroneo lungo m. peroneo breve soleo
m. soleo m. estensore lungo delle dita
peroneo breve
m. estensore lungo dell’alluce estensore lungo delle dita
estensore breve delle dita m. estensore breve dell’alluce
estensore breve dell’alluce
m. estensore breve delle dita
Visione anteriore dei muscoli della gamba destra
Visione laterale dei muscoli della gamba destra
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m. vasto mediale m. sartorio m. gastrocnemio m. gracile m. adduttore grande m. semitendinoso m. soleo m. retto femorale
m. bicipite femorale
m. vasto laterale m. vasto mediale m. sartorio
Fauno Barberini Copia romana Gipsoteca, Monaco di Baviera
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MUSCOLI DEL PIEDE
Il piede, per la sua funzione di sostegno, non presenta la stessa mobilità della mano. I suoi muscoli risultano quindi alquanto rudimentali. Essi sono collocati sul piano plantare ma, a differenza della mano, dove i muscoli sono presenti solo nel palmo, nel piede sono presenti due muscoli dorsali: l’ estensore breve delle dita e l’estensore breve dell’alluce. I muscoli della pianta del piede, in analogia con il palmo della mano, sono distinti in tre gruppi: muscoli del gruppo mediale o dell’eminenza dell’alluce (abduttore dell’alluce, flessore breve dell’alluce e adduttore dell’alluce); muscoli del gruppo laterale o dell’eminenza del mellino (abduttore, flessore breve e opponente) e muscoli del gruppo intermedio (flessore breve delle dita, quadrato della pianta, lombricali, interossei dorsali e interossei plantari). Anche i muscoli del piede hanno scarsa rilevanza morfologica ed artistica, e come per la mano analizziamo solamente i movimenti che essi determinano nella dinamica del piede.
Muscoli dorsali
Estensore breve delle dita - Estende le prime quattro dita collaborando con l’estensore lungo. Estensore breve dell’alluce - Estende l’alluce.
Muscoli del gruppo intermedio
Flessore breve delle dita - Flette le ultime quattro dita. Quadrato della pianta - Collabora alla flessione delle dita. Lombricali - Flettono la prima falange ed
estendono la seconda e la terza delle ultime quattro dita. Interossei dorsali - Divaricano le dita interne. Interossei plantari - Avvicinano medialmente le dita interne.
tuberosità del calcagno
m.abduttore dell’alluce aponeurosi plantare resecata
m. abduttore del 5° dito
quadrato della pianta m. flessore breve delle dita m. interosseo dorsale 4° tendine del m. flessore lungo dell’alluce
flessore breve del 5° dito interosseo plantare 3°
m.flessore breve delle dita
Muscoli del gruppo mediale
Abduttore dell’alluce - Flette e abduce medialmente l’alluce. Flessore breve dell’alluce - Flette l’alluce. Adduttore dell’alluce - Flette e adduce l’alluce.
lombricali
Muscoli del gruppo laterale
Abduttore del mellino - Flette e abduce il mignolo. Flessore breve del mellino - Flette il mignolo. Opponente del mellino - Flette e adduce il mignolo.
Visione plantare dei muscoli del piede sinistro
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Anca
Grande gluteo Medio gluteo Tensore della fascia lata
Abduttori della coscia
Quadricipite femorale Sartorio
Anteriori (estensori della gamba)
Coscia
Vasto laterale Vasto intermedio Vasto mediale Retto femorale
Bicipite femorale Semitendinoso Semimembranoso
Posteriori (flessori della gamba)
Pettineo Adduttore breve
Adduttore lungo
Mediali (adduttori della coscia)
Adduttore grande Gracile
Anteriori
Tibiale anteriore Estensore lungo dell’alluce Estensore lungo delle dita
Laterali
Peroneo lungo Peroneo breve
Posteriori (flessori del piede)
Tricipite surale
(estensori del piede)
Gamba
(abduttori del piede)
Plantari
Piede
Eminenza dell’alluce
Adduttore Abduttore Flessore
Zona intermedia
Flessore breve delle dita Quadrato della pianta Lombricali Interossei dorsali Interossei plantari
Eminenza del mignolo
Opponente Flessore Abduttore
Estensore breve delle dita Estensore breve dell’alluce
Dorsali
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Gastrocnemio Soleo
Angela Ruberto Studio di piedi Sanguigna su carta Fabriano
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Angela Romanazzi Studio di piedi Matite colorate su carta Fabriano
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Angela Romanazzi Studio di piedi Matite colorate su carta Fabriano
Adriana Vitale Studio di piedi Matita su carta Fabriano
Adriana Vitale Studio di piedi Sanguigna su carta Fabriano
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Leon Augustin L’hermitte (1844-1925) La lezione del dottor Claude Bernard, 1899
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PARTE SECONDA
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ELEMENTI MORFOLOGICI ESTERNI C A P I T O L O
La pelle
P R I M O
La pelle è una membrana elastica che riveste interamente la superficie del corpo, con una estensione che oscilla da 1 a 2 mq subordinatamente alle dimensioni corporee. Poichè svolge diverse funzioni, deve essere considerata un vero e proprio organo, alla stessa stregua del fegato, dello stomaco, del pancreas, ecc. È un organo essenzialmente protettivo. Preserva l’organismo da fattori esterni attenuando l’effetto di certi traumi; ostacola l’azione nociva di microbi e parassiti; regola con la sudorazione la temperatura corporea ed elimina parte delle scorie organiche. Inoltre è un organo di senso, in quanto l’abbondanza della sua innervazione consente le sensazioni dolorifiche e la percezione delle tre componenti del tatto che sono: forma, pressione e temperatura. La pelle è costituita dall’epidermide (strato superficiale), dal derma (strato intermedo), dall’ipoderma (strato profondo) e da annessi cutanei quali: peli, capelli e unghie. L’epidermide è formata, a sua volta, da due strati: lo strato corneo, particolarmente resistente, e lo strato germinativo sottostante. Nello strato corneo le cellule si staccano continuamente sfaldandosi sotto forma di minutissime squame. Quando questa desquamazione si compone di particelle più grosse si parla di forfora (dal lat. furfur “crusca”), condizione assai comune presente in quelle parti della pelle coperte da peli. Lo strato germinativo provvede
a sostituire con nuove cellule quelle eliminate superficialmente, rinnovando di continuo l’epidermide. Il derma è la parte cosiddetta “nobile” della cute. Nel derma infatti sono situati i vasi sanguigni che nutrono la cute, i nervi che provvedono alle varie forme di sensibilità, le fibre elastiche, i follicoli piliferi, le ghiandole sudoripare e le ghiandole sebacee. Sotto il derma è presente l’ipoderma, o tessuto sottocutaneo, caratterizzato dalla presenza di lobuli di grasso che costituiscono il pannicolo adiposo. Lo spessore della pelle varia a seconda delle regioni corporee; maggiore in corrispondenza del palmo della mano e della pianta del piede, dove arriva ad un massimo di quattro millimetri; minore nelle palpebre, nello scroto e nel prepuzio, dove lo spessore scende anche sotto il mezzo millimetro. Il colore della pelle, così come dei capelli e dell’iride, è dovuto alla melanina (pigmenti naturali di natura proteica che si trovano di-
sciolti nelle cellule sotto forma di cristalli o granuli) e presenta delle variazioni cromatiche in rapporto all’età, al sesso, alle regioni corporee e, in maniera molto rilevante, alle razze (vedi capitolo sulle tipologia antropologiche). Difatti uno dei criteri adottati dagli antropologi per classificare i tipi umani si basa sul colore della pelle, in conseguenza del quale risultano tre gruppi razziali fondamentali: Gruppo melanoderma, caratterizzato da una forte pigmentazione dal marrone al nero per l’elevato contenuto di melanina nella pelle (razza negroide e australoide). Gruppo xantoderma (dal gr. ksanthòs “giallo”), caratterizzato da pigmentazione dal giallo al bruno (razza mongoloide). Gruppo leucoderma (dal gr. leukòs “bianco”), caratterizzato da pigmentazione dal bianco al bruno (razza europoide). La totale assenza di melanina determina l’albinismo, un fenomeno che si manifesta soprattutto nelle razze debolmente pigmentate. Non mancano comunque casi di “negri bianchi” totalmente
poro strato corneo strato germinativo epidermide fibre nervose
derma
ghiandola sebacea
m. erettore del pelo ipoderma
ghiandola sudoripara
follicolo pilifero
lobuli di grasso del pannicolo adiposo
bulbo
vaso sanguigno papilla germinativa
Disegno illustrante la sezione della pelle
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Ragazzo negroide albino
Ragazza con efelidi
Confronto della cute in rapporto all’età
albini o “negri pezzati” che presentano zone del corpo depigmentate. Nella razza bianca, per quanto riguarda l’età, il colorito è roseo nel neonato in considerazione della sottigliezza della pelle che fa trasparire i capillari sanguigni; con l’inspessimento della pelle la colorazione diventa di un bianco-roseo fino a bianca nell’adulto. In età avanzata la pelle si raggrinzisce e acquista una colorazione più scura e giallastra. La colorazione subisce anche variazioni temporanee di carattere ambientale (esposizione al sole, cambiamenti di temperatura) e patologico (colorito pallido per anemia, leucemia, ecc.; colorito cianotico per cardiopatie o malattie dei polmoni; colorito bronzeo nel morbo di Addison; colorito itterico nelle malattie biliari o del sangue). Inoltre sono visibili sulla pelle le lentiggini o efelidi, piccole macchie giallastre senza alcun significato patologico che si accentuano con l’esposizione alla luce e presenti in modo incisivo, e soprattutto nel volto, nei soggetti biondi. La pelle risente dei movimenti dei muscoli che ricopre; pertanto, si notano in essa delle pieghe “articolari” dovute all’azione delle articolazioni e delle pieghe “muscolari” ad opera dei muscoli
mimici. Le pieghe hanno uno sviluppo perpendicolare all’orientamento del movimento e i solchi che si verificano, con il ripetersi nel tempo, si rendono permanenti. In età senile, per la scomparsa delle fibre elastiche e del tessuto adiposo che concorrono a tenere in tensione la pelle, queste pieghe diventano vere e proprie rughe e presenti soprattutto nel volto.
di quantità e di distribuzione. Si pensi, ad esempio, alla classica figura del “putto” che, per la notevole quantità e la quasi uniforme distribuzione, si presenta con le masse tondeggianti inanellate dalle pieghe articolari (i cercini); al vecchio macilento che, per l’assenza di grasso sottocutaneo, presenta un fisico scarno con la pelle pendula; alla figura dell’obeso per l’esagerato sviluppo del tessuto adiposo; al culturista che, per la peculiare attività ginnica tendente a sviluppare i muscoli e a definirli, eliminando qualsiasi traccia di grasso, ci appare come un modello vivo di atlante miologico. Il pannicolo adiposo è comunque più sviluppato nella donna che nell’uomo. Questa prerogativa femminile determina quelle differenze somatiche che fanno parte dei caratteri sessuali secondari. Ed è proprio in considerazione del grasso sottocutaneo che la donna presenta quel gioco armonico di curve (seni, glutei, fianchi, ecc.) che tanto effetto hanno sul maschio. Le zone corporee dove il tessuto adiposo si accumula maggiormente sono: le mammelle, i glutei, i fianchi, l’addome, la regione cervico-dorsale e le regioni subtrocanteriche e postdeltoidee.
Il pannicolo adiposo
Il pannicolo adiposo è uno strato di grasso sottocutaneo di vario spessore che, ricoprendo i muscoli e riempiendo i solchi muscolari, contribuisce a modellare il corpo umano. In esso decorrono le vene superficiali, che si rendono più o meno visibili in considerazione del suo spessore e che varia con lo stato nutrizionale. Infatti essendo il pannicolo formato da grosse cellule ricche di lipidi, esso svolge essenzialmente funzioni trofiche (dal gr. trophé “nutrimento”), quindi di accumulo e riserva di grassi che l’organismo utilizza nei casi di necessità. Il pannicolo adiposo varia morfologicamente in relazione all’età, all’individuo, alla razza e al sesso. Variazioni comunque sempre legate a criteri
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I peli
Scherzosamente l’uomo viene definito “la scimmia nuda” in quanto ha perso il rivestimento pilifero tipico dell’animale che più gli è vicino nella scala zoologica. In realtà, ad eccezione del margine rosso delle labbra, del palmo delle mani e della pianta dei piedi, la pelle è interamente ricoperta di peli. Ma la maggior parte di essi sono talmente corti, sottili e chiari da costituire una peluria appena visibile. Vanno invece considerati peli veri e propri i capelli, la barba, i baffi, le sopracciglia, le ciglia, le vibrisse nelle narici, i tragi all’ingresso del condotto uditivo e i peli delle ascelle, del pube e dell’ano. Il pelo è una formazione filiforme costituito da una parte libera, il fusto (o scapo), e da una radice, il bulbo, contenuta in un astuccio, il follicolo pilifero. Annessi al follicolo vi sono le ghiandole sebacee e alcune fibre muscolari che formano il muscolo erettore (od orripilatore) del pelo. La contrazione di queste fibre (che avviene involontariamente sotto l’influsso di particolari stimolazioni) provoca l’erezione del pelo e lo svuotamento dei piccoli vasi sanguigni, determinando quel pallore tipico di certi stati emotivi (spavento, panico, ecc.) o situazioni ambientali (freddo, elettrizzazione, ecc.). La proprietà e la quantità dei peli varia secondo le regioni corporee, per cui risultano abbondanti sul cranio, sul pube e nelle ascelle. Sulla rimanente superficie corporea la quantità del pelo varia in rapporto all’età, a fattori costituzionali individuali e, soprattutto, al sesso. Nei maschi adulti alla peluria degli adolescenti subentrano peli completamente sviluppati sul viso (barba e baffi), sul petto, sugli avambracci, sulle gambe e talvolta sulle spalle e sul dorso. La durata del pelo varia da circa un mese per le ciglia ai diversi anni per i capelli, quando cadono i follicoli provvedono di continuo alla loro sostituzione. Per eliminare definitamente i peli occorre neutralizzare il follicolo tramite l’elettrocoagulazione. Il rinnovamento dei peli è influenzato da
fattori patologici (calvizie temporanea o precoce) e dall’età (calvizie permanente o senile). Queste aree glabre, localizzate soprattutto al capo, sono frequenti nell’uomo e rare nella donna. Col progredire dell’età i peli incanutiscono. Questo avviene sia per l’arresto di produzione di melanina, sia perché tra i filamenti di cheratina (dal gr. kéras “corno”), componente fondamentale dei tessuti cornei, si formano minutissime bolle d’aria che riflettendo la luce conferiscono ai peli il colore bianco.
I capelli
Se dal punto di vista estetico i capelli hanno una notevole importanza, dal punto di vista biologico essi non hanno nessun valore in quanto non svolgono alcuna funzione vitale. La parte visibile del capello è fatta di cellule che avendo perso il nucleo, cioè la parte vitale, si sono trasformate in cheratina (la stessa sostanza delle unghie, degli artigli, degli aculei, delle squame, delle penne, ecc.). Per dirla in maniera semplice, i capelli sono cellule morte e come tali destinate a essere eliminate.
D
I capelli sono impiantati nel cuoio capelluto ed hanno colore e caratteristiche strutturali variabili a seconda delle razze. Essi possono essere: lisci, ondulati, ricci, crespi e lanosi. Questa caratteristica è subordinata al grado di inclinazione dell’impianto ed alla sezione del capello; che si presenta circolare in quelli lisci ed ellittica, e in misura sempre più stretta, negli altri. Normalmente ogni individuo possiede da 100 a 180 mila capelli, con una densità che va da 175 a 300 capelli per centimetro quadrato di cute. Questo numero tende a diminuire con l’età. Il capello ha una crescita continua e ciclica. La sede naturale del capello è costituita dal follicolo pilifero, una sorta di tubicino dentro il quale il capello si sviluppa fino a raggiungere l’esterno. La nascita e la crescita, chiamata anagenesi, inizia a formarsi nel bulbo alla base del quale è presente la papilla germinativa, il vero centro vitale del capello in quanto collegata ai vasi sanguigni. Il capello si allunga alla velocità di circa tre mil-
D
D
C C
C
B
B
B A
A
ANAGENESI (nascita e crescita)
CATAGENESI (fase di riposo)
Fasi di sviluppo del capello
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E A TELOGENESI (caduta e rinascita)
A - papilla germinativa B - bulbo C - ghiandola sebacea D - scapo E - germe del nuovo pelo
limetri la settimana, con una durata di crescita che è di circa tre anni nell’uomo e sei o sette anni nella donna. Trascorso questo tempo il capello entra in una fase detta catagenesi (evoluzione regressiva di caratteri divenuti inutili). In questa fase, che dura alcuni mesi e durante i quali il capello non cresce più, il bulbo perde il collegamento con la papilla germinativa, migra in superficie e viene espulso. Sarà poi sostituito dal nuovo capello che nasce. Accanto infatti si è già formato, in questa fase denominata telogenesi, un nuovo bulbo che comincia a salire dagli strati profondi. Questo fenomeno (per molti versi simile alla muta) avviene fortunatamente in tempi diversi per ogni capello; altrimenti ci ritroveremmo periodicamente calvi. Normalmente il 90% dei capelli si trova in fase di crescita e per il restante 10% alcuni sono in attesa di cadere e altri cadono con una incidenza normale di 40 fino a 80 capelli al giorno. A volte ne cadono di più perché, essendo il capello legato alla vitalità dell’intero organismo, intervengono situazioni patologiche che provocano una calvizie temporanea. Molte infatti sono le malattie che determinano una improvvisa perdita dei capelli (anemie, diabete, tifo, ecc.) senza tralasciare fattori psicologici (stati d’ansia, delusioni affettive, perdita di persona cara, ecc.). Calvizie comunque che si risolve con il riassesto psicosomatico dell’organismo. Diversa invece è la calvizie permanente. Essa è imputabile a fattori ereditari, a disturbi ormonali o a malattie della tiroide. Più che una caduta (a cui farebbe seguito la sostituzione) è una miniaturizzazione del capello, lenta e irreversibile dovuta all’atrofizzazione dei follicoli e senza alcuna possibilità di ricambio. Essa, coinvolgendo inizialmente i lati della fronte e la sommità del capo, può cominciare a qualunque età dopo la pubertà. Spesso con la calvizie si riscontra, quasi a compensazione, una accentuata crescita degli altri peli (barba, sopracciglia, ecc.).
Barba e baffi
solco ungueale
Mentre i capelli sono un elemento costante nei confronti dei tre fattori (sesso, età, razza) che più influiscono sulla morfologia umana, la barba e i baffi non hanno la stessa pertinacia. Essi sono una prerogativa del maschio sulla femmina, dell’adulto sul bambino e di alcune razze sulle altre. Non mancano tuttavia casi di donne barbute o di bambini dal volto peloso. I peli della barba e dei baffi si presentano più spessi dei capelli e ne ripropongono il colore. Essi compaiono dopo l’adolescenza sulle guance, sul labbro superiore, sul mento e lungo tutto il piano inferiore della mandibola. Generalmente barba e baffi compaiono più sviluppati nelle razze bianche che nelle razze gialle, dove risultano composti di peli radi e sottili. Anche negli aborigeni australiani la barba è molto folta, ma risultano spesso privi di baffi, mentre sono totalmente privi di barba e baffi i mongoli e gli amerindi.
corpo ungueale cuticola
margine libero
lunula
spessore dell’unghia corpo ungueale
letto ungueale
solco ungueale distale cute
falange
Unghie
Come i peli l’unghia è costituita di cheratina. Impiantata sulla superficie dorsale dell’ultima falange delle dita delle mani e dei piedi si presenta come una lamina cornea leggermente convessa nel senso della lunghezza e più incurvata in senso trasversale. Le unghie contribuiscono alla precisione funzionale della mano nel manipolare oggetti molto piccoli e a proteggere le estremità delle dita. Con l’invecchiamento si verifica una progressiva calcificazione delle unghie per la comparsa di striature verticali che le rendono più dure. L’unghia è formata da tre porzioni distinte: la radice, il corpo (o lamina) e la porzione libera. La radice e i margini laterali del corpo sono incassati nell’epidermide a costituire il solco ungueale, mentre la superficie interna del corpo aderisce a uno strato dermoepidermico detto letto ungueale o matrice dell’unghia in quanto provvede alla proliferazione delle cellule per l’accrescimento dell’unghia. La porzione libera è la parte che protrude dalle dita. L’unghia ha un colorito poco più chiaro della
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Disegno dell’unghia e sua sezione
pelle e presenta, in prossimità della radice, una piccola lunetta bianca detta lunula (area biancastra di forma semilunare presente alla base dell’unghia). Tale colore, che si differenzia da tutta l’unghia, è dovuto al maggiore spessore dell’unghia che impedisce al sangue di trasparire, come invece succede nel resto dell’unghia. Talora sulla lamina sono presenti delle macchioline bianche, dette bugie, dovute all’interposizione di minuscole bolle d’aria nella crescita. L’unghia impiega circa sei mesi a rinnovarsi completamente. Se l’accrescimento si mantiene uniforme l’unghia resta piatta. Quando invece la parte superiore cresce più velocemente di quella inferiore essa tende a piegarsi verso il basso acquisendo la forma di un artiglio vero e proprio.
ELEMENTI MORFOLOGICI DELLA TESTA
testa del sopracciglio
sopracciglio
coda del sopracciglio
CAPITOLO SECONDO
palpebra superiore bulbo oculare
cigli
caruncola
palpebra inferiore
Un corpo umano artisticamente si esprime attraverso canoni proporzionali e valori plastici subordinati a precise tipologie somatiche. Ma questo non determina necessariamente il carattere distintivo della figura che è, invece, appannaggio dell’espressività del volto. Per cui mentre la figura umana, nella sua interezza, delinea la dinamica e la composizione tematica di un’opera, il volto racchiude in sè gli elementi psicologici che caratterizzano il personaggio e lo spirito introspettivo dell’opera. Per dirla in breve “Un corpo senza testa non esprime sentimenti!”. Nella rappresentazione artistica la testa è, dunque, l’elemento centrale ed il più complesso dell’anatomia umana. Sia per la peculiare conformazione scheletrica che determina intricati giochi di vacui dovendo accogliere gli organi di senso, sia per la molteplice presenza di muscoli cutanei che presiedono alla mimica facciale. Elementi, questi ultimi, di notevole importanza per le valenze espressive e i contenuti trasfusi in un’opera. Gli elementi morfologici che caratterizzano la testa (oltre al modellato scheletrico e muscolare del cranio e della faccia, nonché alla presenza più o meno incisiva di capelli, barba e baffi) sono: gli occhi, la bocca, il naso e le orecchie. Al di là dei valori espressivi di carattere individuale, questi elementi somatici presentano delle variazioni di forma dovute a fattori temporali, sessuali e razziali (vedi il capitolo sulle tipologie
lago lacrimale
pupilla iride
Disegno illustrante gli elementi strutturali dell’occhio antropologiche). Per fare un esempio: a tutti è noto l’enorme differenza che intercorre tra le labbra tonde e rosee di un neonato e le labbra strette e rugose di un anziano; così come le labbra dalla rima sinuosa di una fanciulla con le labbra più orizzontali e virili di un maschio; o ancora quelle carnose ed everse di un uomo di colore con quelle sottili di un individuo di razza bianca. L’artista che intende approfondire lo studio della figura umana non deve ignorare le caratteristiche della conformazione di queste parti anatomiche che sono alla base di una buona e più credibile riproduzione artistica, sia che si tratti di un ritratto che di un volto idealizzato. Inoltre bisogna considerare la varietà morfologica, dovuta a fattori individuali e razziali, nonchè la variabilità dovuta a propri valori espressivi. Sarà nostro compito studiare queste singole parti anatomiche, sia dal punto di vista delle strutture che delle funzioni, per meglio comprendere i rapporti di connessione necessari a caratterizzare l’aspetto esteriore di un somatotipo prestabilito.
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L’OCCHIO
Gli occhi, collocati nelle due cavità orbitali del capo, costituiscono l’organo della vista. Essi sono considerati, non a torto, “lo specchio dell’anima” per la facilità con cui esprimono gli stati d’animo. L’avere due occhi serve unicamente per la visione stereoscopica (capacità di valutare la distanza delle cose osservate) per cui un guercio può cadere in errori di calcolo sulla profondità di spazio ma non nella visione del reale. L’occhio si compone: del bulbo oculare, dei muscoli oculomotori, dell’apparato lacrimale, delle palpebre e del sopracciglio. Il bulbo oculare, di colore bianco, ha forma sferica e presenta anteriormente la cornea (una calotta di sfera dal raggio inferiore al bulbo stesso). La cornea è incolore e riveste interamente l’iride (anello pigmentato di diverso colore che circoscrive la pupilla). La cornea si connette al bulbo oculare con la sclerotica (dal gr. scleròs “duro”): una membrana fibrosa che riveste l’intero bulbo e dal colore ceruleo nel bambino, bianca nell’adulto e giallastra nel vecchio.
palpebra superiore
m. retto superiore sclerotica retina
cornea cristallino pupilla
umor vitreo
umor acqueo iride
nervo ottico
m. ciliare palpebra inferiore
m. retto inferiore
Schema illustrante lo spaccato del bulbo oculare La cornea è ricoperta esternamente da una mucosa detta congiuntiva per facilitare lo scorrimento delle palpebre sull’occhio, mentre internamente è presente l’umor acqueo, un liquido incolore che riempie lo spazio tra cornea e iride. La pupilla è un orifizio, posto al centro dell’iride, paragonabile al diaframma di una macchina fotografica, nel senso che il suo diametro si dilata o si restringe subordinatamente all’intensità della luce che penetra in essa. Mentre l’iride presenta svariate colorazioni (dal castano al verde, dal grigio all’azzurro, ecc., ma sempre in armonia con il colore dei capelli, per cui a capelli chiari occhi chiari e a capelli scuri occhi scuri), la pupilla è sempre di un nero intenso. Dietro l’iride e la pupilla è situato il cristallino, una lente trasparente biconvessa che ha lo scopo, modificando il suo diametro, di mettere costantemente a fuoco le immagini sulla retina (tutta la parete interna del bulbo). Tra cristallino e retina è presente l’umor vitreo, un liquido incolore che occupa l’intera cavità del bulbo oculare. Quando si osserva un oggetto vicino, il cristallino si rende più convesso diminuendo il diametro; viceversa, quando si guarda lontano, esso tende a schiacciarsi allargando il diametro. Con l’avanzare dell’età il cristallino si fa più duro e i muscoli ciliari (che provvedono alla sua ela-
sticità) si rilassano non permettendo così quella maggiore convessità che consente la visione ravvicinata. Questo difetto prende il nome di presbiopia. Con la “cataratta” il cristallino perde la trasparenza e si opacizza: è necessario in tal caso provvedere all’asportazione. I muscoli oculomotori, in numero di sei, non sono visibili in quanto collocati posteriormen-
te al bulbo oculare. Essi originano dal margine equatoriale del bulbo e si inseriscono sul fondo della cavità orbitale. La loro azione è quella di spostare l’occhio nella direzione della visione. Essi, operando in coppia con ruoli alterni, sono: muscolo retto superiore e muscolo retto inferiore; muscolo retto mediale e muscolo retto laterale; muscolo obliquo superiore e muscolo obliquo inferiore. Il muscolo retto superiore sposta la pupilla in alto, contrariamente al muscolo retto inferiore che la sposta verso il basso. I muscoli retto mediale e retto laterale volgono la pupilla mediamente o lateralmente. I due muscoli obliqui spostano la pupilla in senso inverso: l’obliquo superiore lateralmente e in basso e l’obliquo inferiore lateralmente in alto. L’azione dei muscoli obliqui è coordinata con i muscoli retti dell’occhio opposto. Es.: se l’occhio destro, per l’azione dell’obliquo superiore, è rivolto lateralmente e in basso, l’occhio sinistro segue lo stesso orientamento tramite l’azione combinata del muscolo retto mediano e del muscolo retto inferiore. I muscoli oculomotori operano in sincronia con i loro controlaterali per cui lo sguardo verso una determinata direzione ha un unico asse visivo.
osso frontale m. obliquo superiore bulbo oculare
m. retto superiore m. retto mediale
osso nasale
m. retto laterale m. obliquo inferiore
processo frontale del mascellare
m. retto inferiore
Visione laterale della disposizione dei m. oculomotori dell’occhio sinistro
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Caterina Lacasella Disegno di occhio Matita su carta Fabriano
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La deviazione di quest’asse è detta: strabismo. Lo strabismo, divergente o convergente, può interessare un solo occhio o entrambi. Quando lo strabismo è minimo e di grado divergente si parla di “strabismo di Venere” in quanto si crede che conferisca grazia e seduzione a chi lo possiede. Contrariamente lo strabismo convergente conferisce un aspetto ebete. L’apparato lacrimale ha la funzione, attraverso la secrezione di un liquido acquoso leggermente alcalino e dall’azione antibatterica, di mantenere umido il bulbo oculare onde facilitare lo scorrimento delle palpebre. Dell’apparato lacrimale è visibile nell’occhio la caruncola lacrimale, piccola sporgenza rossa e carnosa (da cui il nome), situata nell’angolo mediale e da cui sgorgano le lacrime. Detto angolo, chiamato anche plica semilunare, circoscrive uno spazio di forma triangolare che va col nome di lago lacrimale. La lacrimazione eccessiva, oltre che a fattori di natura psichica, è provocata dall’irritazione della congiuntiva dovuta a infiammazione o alla presenza di corpi estranei. Le palpebre (superiore e inferiore) sono veli muscolari, dallo spessore irrisorio (meno di mezzo millimetro), che prendono origine dal margine interno (parte palpebrale) del muscolo orbicolare dell’occhio. Esse, avvicinandosi tra loro, ricoprono il bulbo oculare per proteggerlo dagli agenti esterni. La palpebra superiore è più mobile e più estesa tanto che, nell’atto di chiudere gli occhi e congiungersi a quella inferiore, ricopre interamente il bulbo oculare. La linea di congiunzione delle due palpebre chiuse, che va dall’angolo mediale all’angolo laterale, si presenta con una rima arcuata a concavità superiore. Aprendo l’occhio l’elevazione della palpebra superiore fa si che essa si infossi nel solco orbitopalpebrale superiore. La palpebra inferiore è meno estensibile di quella superiore. Essa si separa dalla guancia tramite un solco meno profondo e diretto obliquamente in senso laterale. Questo solco, che corrisponde al margine inferiore dell’orbita oculare, non di rado si mostra più netto per l’accumulo di adipe
nella palpebra inferiore. Entrambe le palpebre presentano sul margine libero, ad eccezione dell’angolo mediale, dei peli ricurvi detti cigli, che hanno funzione protettiva alla polvere e di attenuazione alla luce eccessiva. I cigli della palpebra superiore risultano essere più lunghi e folti. I sopraccigli sono dei rilievi ricoperti di peli che sovrastano gli occhi con il compito di proteggere gli stessi dal sudore della fronte. Essi corrispondono alle arcate orbitali dell’osso frontale, per cui si presentano alquanto incurvati e a concavità inferiore. L’estremità mediale più grossa è detta testa; l’estremità laterale coda del sopracciglio. La disposizione dei peli, più folti verso la testa e sfumati verso la coda, è rivolta per sovrapposizione in alto e lateralmente. I peli del sopracciglio sono gli ultimi ad incanutire. Sovente, in età adulta, essi s’infoltiscono e sporgono verso l’alto. Tra i due sopraccigli è presente un’area pianeggiante, detta glabella, priva di peli che sovrasta la radice del naso e larga 1-2 cm.. Non di rado i due sopraccigli, subordinatamente a varianti individuali e razziali, si congiungono tra loro conferendo al viso un aspetto di
durezza. Nella mimica facciale la mobilità del sopracciglio è dovuta essenzialmente al muscolo frontale, per l’elevazione dello stesso, e ai muscoli corrugatori per l’avvicinamento mediale dei due sopraccigli.
LA BOCCA
La bocca è costituita da due pieghe muscolari (superiore ed inferiore), dette labbra, che circoscrivono l’apertura della cavità orale (organo d’accesso all’apparato sia respiratorio che digerente, nonché complemento all’apparato vocale o di fonazione). Le labbra si modellano adagiandosi sopra e rivestendo il tratto centrale delle arcate alveolari, sia dei mascellari che della mandibola. Le labbra presentano esternamente una faccia cutanea, internamente una faccia mucosa, i margini liberi, e due angoli di congiunzione detti commessure labiali. La faccia esterna, o cutanea, del labbro superiore presenta mediamente un leggero avvallamento detto solco naso-labiale. Questo avvallamento produce, sul margine libero dello stesso, una rilevatezza detta tubercolo del labbro superiore, ai lati del quale si determinano delle lievi depressioni. Il margine libero del labbro inferiore, contrariamente al superiore, presenta al centro una lieve
tubercolo labbro superiore labbro superiore solco naso-labiale
depressione commessura
commessura
solco del labbro inferiore
labbro inferiore
rima buccale
Disegno illustrante la morfologia della bocca
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depressione per accogliere il tubercolo del labbro superiore. Questa configurazione fa sì che la rima buccale, prodotta dall’unione dei due margini liberi, si presenti alquanto ondulata. Nell’uomo adulto la faccia esterna del labbro superiore è ricoperta di peli più o meno folti che concorrono alla formazione dei baffi. Il labbro inferiore è separato dal mento da un solco più o meno profondo dalla forma curva a concavità inferiore. La superficie libera delle labbra è rivestita da un tegumento sottile e roseo che continua con la mucosa (tessuto morbido sprovvisto di strato corneo e che riveste internamente gli organi cavi) della faccia interna. Per ogni labbro, sulla linea mediana della faccia interna è presente una piega mucosa detta frenulo che unisce la faccia interna all’arcata dentaria corrispondente. Visto che l’arcata dentale superiore sporge più in fuori di quella inferiore, ne consegue che il labbro superiore risulta più in avanti. Contrariamente quello inferiore è più arretrato ma più everso. Lo spessore delle labbra è subordinato a variazioni inerenti: l’età, il sesso, le razze e a fattori individuali. Gli angoli esterni che uniscono i margini liberi delle labbra (commessure labiali) sono caratterizzati da una depressione più o meno marcata. La distanza che intercorre tra i due angoli è mediamente pari alla lunghezza di un occhio e mezzo. I muscoli preposti alla mobilità della bocca sono: - L’orbicolare (unico muscolo impari della faccia e disposto a forma di anello ellittico intorno alla rima labiale) che con la parte centrale chiude strettamente l’apertura della bocca piegando all’interno il margine libero e la parte periferica; al contrario, proietta in avanti i margini facendoli assumere una forma tondeggiante. - Il quadrato del labbro superiore per l’elevazione dello stesso. - Il canino che porta in alto l’angolo labiale. - Lo zigomatico che sposta lateralmente ed in alto l’angolo della bocca. - Il risorio che sposta indietro la commessura. - Il triangolare che porta in basso l’angolo della bocca in contrapposizione allo zigomatico. - Il quadrato del labbro inferiore che porta in basso il labbro inferiore.
Mottola Erica Maria Disegno di bocca Matita su carta Fabriano
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IL NASO
Il naso è la struttura esterna dell’organo dell’olfatto. Esso partecipa, inoltre, sia alla respirazione (filtrando, riscaldando e inumidendo l’aria inspirata) che alla fonazione (conferendo a determinati suoni dei timbri “nasali”). Lo scheletro del naso è un’impalcatura osteo-cartilaginea formata: dalle ossa nasali, dai processi frontali dei mascellari superiori, dalla cartilagine del setto, posta sulla linea mediana in continuità del vomere, dalle cartilagini laterali, di forma triangolare e dalle cartilagini delle pinne, a forma di parabole. Il naso, sporgendo dalla linea mediana e posto al centro del viso, ha forma piramidale con base triangolare. L’apice, o radice del naso, corrisponde alla sutura delle due ossa nasali con l’osso frontale. Esso si fonde dolcemente con la glabella (zona pianeggiante interposta fra le due arcate sopraccigliari). Non di rado nel maschio si mostra separato da questa da un solco trasversale. La base del naso è caratterizzata dalla presenza di due aperture, le narici, separate da un tramezzo mobile chiamato sottosetto. Le narici sono delle cavità ellittiche che fungono da vestibolo alle fosse nasali. Esse sono rivestite da villi che durante l’inspirazione ostacolano
glabella radice
setto
solco alare pinna narice sottosetto
lobulo solco genio-labiale
Disegno illustrante la morfologia del naso
glabella radice del naso processo frontale del mascellare osso nasale cartilagine laterale cartilagine del setto cartilagine pella pinna
Disegno illustrante lo scheletro del naso l’ingresso a corpi estranei. Lateralmente alle narici sono presenti le pinne o ali del naso (membrane cartilaginee che hanno lo scopo, sotto l’azione dei rispettivi muscoli “mirtiforme e dilatatore”, di restringere o dilatare le narici). L’ala del naso si separa dalla parte sovrastante da un solco incurvato chiamato solco alare. Detto solco si prolunga a contornare l’ala fin nella parte inferiore, separandola dal labbro superiore. Dallo stesso solco alare, lateralmente alla pinna, si diparte un altro solco che, dirigendosi verso la commessura, divide la guancia dal labbro superiore. Questo incavo, chiamato solco geniolabiale, si rende estremamente visibile nell’atto del ridere. Il dorso del naso termina in basso con il lobulo, una rilevatezza rotondeggiante in cui si fondono le due ali e il sottosetto. Questo talvolta si presenta diviso da un lieve solco verticale. Visto di profilo il dorso del naso può presentarsi rettilineo, concavo o convesso. Queste variazioni, subordinate a caratteristiche individuali e razziali, offrono diverse fisionomie: il naso dritto, dal dorso rettilineo e con un angolo aperto che lo divide dalla fronte; il naso greco, privo dell’angolo di separazione per cui si continua in linea retta con la fronte; il naso aquilino, dalla
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convessità più o meno accentuata e il lobulo rivolto in basso; il naso rincagnato o socratico, in cui il dorso è concavo e il lobulo è rivolto in alto (naso all’insù).
Disegno illustrante le fisionomie del naso Oltre alle variazioni del profilo ha notevole importanza anche l’apertura piriforme (larghezza delle narici), per cui la base del naso può risultare: rialzata, orizzontale o abbassata. Il rapporto tra la larghezza massima delle narici e l’altezza totale del naso, compresa tra la sutura naso-frontale e la base del sottosetto, determina l’indice nasale in base al quale gli antropologi suddividono gli individui in tre categorie: leptorrini (dal gr. leptos “sottile”), mesorrini (dal gr. mesos “medio”) e camerrini (dal gr. camai “largo”).
L’ORECCHIO
L’orecchio o, più opportunamente, padiglione auricolare, è la struttura esterna dell’organo dell’udito e del senso dell’equilibrio. In numero di due per la percezione stereofonica (capacità di individuare nello spazio la sorgente sonora) sono situati lateralmente al capo, tra l’apofisi mastoidea e l’articolazione temporo-mandibolare. Il padiglione auricolare è costituito, ad eccezione del lobo di consistenza più molle, da uno scheletro cartilagineo rivestito di cute. Esso ha la forma di una C e si presenta come una conchiglia irregolare ed allungata con l’asse maggiore leggermente obliqua rivolta in basso ed anteriormente, e con una inclinazione media di 10°. L’altezza di quest’asse è generalmente pari alla lunghezza del naso. La faccia esterna del padiglione è caratterizzata
da una serie di rilevatezze e di depressioni, che sono: elice, antelice, trago, antitrago, lobo, doccia dell’elice, fossetta dell’antelice e la conca. L’elice è la piega esterna che funge da perimetro del padiglione. Ha origine dalla conca portandosi in alto a circondare la parte superiore e posteriore del padiglione, per discendere poi in basso e fondersi lievemente col lobo. Nel passaggio tra il tratto superiore e quello posteriore dell’elice è spesso visibile, sul margine interno, una piccola protuberanza chiamata tubercolo di Darwin. L’antelice è una piega curvilinea a concavità anteriore e dall’andamento parallelo all’elice. Inizia dall’antitrago e si dirige verso l’alto dividendosi in due rami; quello superiore si perde nel solco dell’elice, mentre quello inferiore delimita il contorno superiore della conca.
elice
tubercolo di Darwin
fossetta dell’antelice
antelice
meato acustico trago
doccia dell’elice
conca antitrago
incisura intertragica
lobo
Disegno illustrante la morfologia dell’orecchio
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La depressione scaturita dalla biforcazione dell’antelice va col nome di fossetta dell’antelice. Il trago è una protuberanza a forma di triangolo arrotondato diretta posteriormente e collocata davanti alla conca, fungendo quasi da coperchio. L’antitrago è una protuberanza, di forma analoga al trago, posta posteriormente a fronteggiare lo stesso. Trago ed antitrago sono separati da una cavità arrotondata detta incisura intertragica. Il lobo è l’appendice molle del padiglione che sporge in basso. Di forma rotondeggiante si presenta alquanto libero nel suo margine inferiore, anche se spesso questo può risultare attaccato al volto. La doccia dell’elice è il solco concentrico che separa l’elice dall’antelice. La conca è l’avvallamento centrale del padiglione, che culmina con la cavità corrispondente al meato acustico. La faccia interna o mediale del padiglione, e più precisamente la porzione retrostante corrispondente all’elice, antelice e lobulo, è convessa e distaccata dalla parete laterale del cranio creando un angolo che oscilla tra i 15° e 35°. In alcuni casi però quest’angolo può aumentare fino a raggiungere i 90° conferendo all’orecchio un aspetto degenerativo determinato dal cosiddetto “orecchio ad ansa o a sventola”. I muscoli preposti alla mobilità del padiglione, anche se minima nell’uomo rispetto ad altri animali, sono: il muscolo auricolare anteriore, il muscolo auricolare superiore e il muscolo auricolare posteriore. I caratteri ereditari del padiglione dell’orecchio si trasmettono nella maniera più fedele. Nel senso che a differenza di altri elementi morfologici soggetti a cambiamenti di forma con l’età, l’orecchio conserva inalterata la sua conformazione. Nella donna il padiglione dell’orecchio è generalmente più piccolo, più sottile e con l’elice più accartocciato. Dal punto di vista etnico le variazioni del padiglione sono di scarso rilievo.
Francesca Piemontese Disegno di orecchio Matita su carta Fabriano
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LE TIPOLOGIE SOMATICHE C A P I T O L O
I SOMATOTIPI SECONDO SHELDON
T E R Z O
Oltre alla varietà di carattere antropologico (vedi capitolo successivo) l’uomo è soggetto, all’interno della propria etnia, ad una variabilità morfologica ordinata secondo criteri tipologici. Questa variabilità non prende in considerazione, per gli ovvi motivi, i cambiamenti somatici dovuti all’età. La tipologia classifica la figura umana sulla base del diverso grado di muscolarità, di pinguedine e dei reciproci rapporti comparativi delle parti anatomiche (es. tronco rispetto alla testa, arti rispetto al tronco, ecc.). Ne vengono fuori tre categorie fondamentali di tipi costituzionali: il longitipo, il brachitipo e il normotipo. IL LONGITIPO è caratterizzato dalla distribuzione della massa corporea in senso prevalentemente verticale. Si presenta con una figura esile e slanciata, dal tronco stretto, gli arti lunghi e con la testa che appare più grande per effetto della magrezza del tronco. IL BRACHITIPO contrariamente al precedente presenta la massa corporea sviluppata in senso orizzontale, quindi da maggior sviluppo del tronco rispetto agli arti e da tendenza alla bassa statura. IL NORMOTIPO è un individuo, come già espresso nel termine, caratterizzato da proporzioni corporee normali che presenta i valori positivi ed intermedi dei due precedenti. Questa classificazione, stabilita in via definitiva dal medico italiano Giacinto Viola (1870-1943), tende a riunire tutti i fisici umani in un numero di categorie relativamente piccolo.
Partendo da questo ordinamento, per alcuni versi troppo semplice e rigido se si considera il vasto assortimento costituzionale degli individui, il biologo americano William Hertbert Sheldon (18891977) concepì un sistema di tipologia mista che fosse oggettivamente più aderente alla realtà. Egli studiando i tre tessuti embrionali primitivi individuò nella gastrula i meccanismi di seriazione tipologica. Per meglio intendere gli studi di Sheldon è opportuno procedere ad una breve appendice di biologia. L’embrione è il prodotto dello sviluppo, o morfogenesi, dell’uovo fecondato nella fase prenatale compresa entro la fine del secondo mese in cui si formano gli abbozzi dei vari organi. A partire dal terzo mese l’embrione, acquisite le forme definitive della propria specie, prende il nome di feto. La vita dell’embrione inizia allo stato unicellulare con l’uovo fecondato, successivamente l’embrione passa allo stato pluricellulare tramite la suddivisione dell’uovo in numerose cellule. All’inizio tutte le cellule sono simili ed intercambiabili e il loro destino dipende esclusivamente dal posto che occupano nell’insieme embrionale. Poco più tardi inizia una differenziazione cellulare che in seguito si accentua fino ad arrivare ad una specializzazione. In questa fase (terzo stadio dell’embrione detto gastrula) le cellule si aggregano in tre aree differenziate e stratificate. Esse costituiscono i tessuti epiteliali primitivi da cui si formeranno progressivamente le varie strutture anatomiche. Questi tessuti, detti foglietti embrionali, si dispongono in lamine cellulari sovrapposte per invaginazione (o gastrulazione; ovverosia ripiegamento di uno strato di tessuto all’interno di un altro tessuto). Il materiale invaginato ha l’assetto di un fondo di sacco che costituisce l’intestino primitivo. L’apertura di questo sacco (il blastoporo) diventerà l’orifizio anale. In sintesi si può dire che intorno ad un vacuo si dispongono i tre tessuti embrionali che daranno origine, in base alle loro specializzazioni, ai vari organi ed apparati. I tre tessuti embrionali della gastrula sono: l’ectoderma, l’endoderma e il mesoderma.
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ECTODERMA (foglietto esterno) – E’ il tessuto embrionale preposto alla formazione del sistema nervoso centrale, dei nervi spinali e degli organi di senso. ENDODERMA (foglietto interno) – E’ il tessuto embrionale preposto alla formazione dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente e delle ghiandole annesse (fegato, pancreas, intestino, ghiandole gastriche, tiroide, timo, ecc.). MESODERMA (foglietto intermedio) – E’ il tessuto embrionale preposto alla formazione dello scheletro e della muscolatura. A B C
D
A - ectoderma B - mesoderma C - endoderma D - blastoporo
Schema della gastrula Sheldon constatò che durante la fase fetale si verifica una maggiore influenza, nel programma di sviluppo, di un tessuto embrionale sugli altri, condizionando in via permanente l’appartenenza di un individuo ad una precisa tipologia fisica così determinata: L’ECTOMORFO (o cerebrotonico) é caratterizzato dal prevalente sviluppo del sistema nervoso centrale ai danni di tutti gli altri apparati. Ne deriva una figura esile dalle lunghe estremità che contrastano con il torace poco sviluppato e piccolo, la testa grossa e un aspetto adolescenziale. L’ectomorfo puro, per il suo accentuato sviluppo del sistema nervoso, è un individuo contraddistinto da ipersensibilità emotiva e pertanto dotato di grandi capacità riflessive e dal temperamento solitario e artistico. L’ENDOMORFO (o viscerotonico) presenta una predominanza superficiale del grasso con relativa
i tipi secondo Viola
elemento dominante
i tipi secondo Sheldon
longitipo
ectoderma
ectomorfo
brachitipo
endoderma
endomorfo
normotipo
mesoderma
mesomorfo
rotondità di tutte le forme esteriori e un notevole sviluppo del sistema digerente. Ne deriva una persona alquanto tarchiata dalla testa piccola e gli arti corti per contrapposizione alla sfericità del tronco. L’endomorfo puro presenta un aspetto infantile e si caratterizza per la sua socievolezza, la facilità con cui esprime le sue emozioni, desideroso di affetti e amante dei piaceri della tavola. IL MESOMORFO (o somatotonico) si distingue per il prevalente sviluppo del sistema scheletrico e muscolare. Presenta un fisico asciutto, generale robustezza e aspetto adulto. Il mesomorfo puro è la classica figura dell’atleta caratterizzato da una tendenza all’attività fisica, al dinamismo e all’iniziativa.
Si è descritto i tre tipi puri o fondamentali ma nella realtà sono più frequenti i tipi misti o displasici, cioè individui che, pur rimanendo nell’ambito della propria categoria tipologica, presentano svariate combinazioni morfologiche. Queste combinazioni sono determinate da innumerevoli cause quali: fattori
Ectomorfo
Mesomorfo
alimentari, peculiari attività fisiche, condizioni comportamentali preferenziali, patologie varie, ecc. Da questa analisi tiposomatica Sheldon ritenne di poter leggere una figura in termini di predominanza assoluta o relativa (cioè parziale per le diverse parti anatomiche). A tale scopo stabilì una scala fissa di valori da 1 (minimo) a 7 (massimo) per indicare le caratteristiche ectomorfiche, endomorfiche e mesomorfiche di ogni individuo. Da qui la possibilità di descrivere una vasta seriazione di tipi misti, mentre i tipi puri vengono collocati ai margini della serie con questa successione di valori:
valore ectomorfico
valore endomorfico
valore mesomorfico
ectomorfo
7
1
1
endomorfo
1
7
1
mesomorfo
1
1
7
Endomorfo
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LE TIPOLOGIE ANTROPOLOGICHE CAPITOLO QUARTO
SIGNIFICATO DI RAZZA
La ricerca scientifica ha sempre adottato un sistema di classificazione per rendere più facile lo studio della natura. Nella classificazione degli esseri viventi è fondamentale la suddivisione in specie. All’interno di ogni specie è possibile inoltre procedere ad ulteriori classificazioni e quindi suddividere una singola specie in più razze. Anche nel caso dell’uomo è possibile definire un’unica specie (Homo sapiens), entro la quale biologicamente si possono distinguere più razze. Il termine razza, riferito alla specie umana, presenta però notevoli difficoltà di precisazione sia per la complessità degli elementi che esso include, sia per l’arbitrarietà dei criteri adottati dai vari antropologi nella scelta dei parametri di classificazione. Non per ultimo l’aver associato a criteri strettamente antropologici, principi politico-religiosi che portarono al razzismo. Sul problema della questione razziale un rapporto dell’UNESCO del 1964 sancisce: “Non esistono razze pure; l’umanità è fondamentalmente una e tutti gli uomini appartengono ad un’unica specie biologica. Il concetto di razza è pura astrazione e pone in essa solo fattori fisiologici in quanto è innegabile l’esistenza di differenze di gruppo tra gli uomini.” La razza può essere pertanto definita solo come raggruppamento di individui che vivono in una determinata area e che differisce da altri gruppi per un insieme di caratteri somatici comuni ereditari. L’antropologia (da non confondere con l’etnologia
che studia le culture tribali e gli aspetti caratteristici dei vari popoli) studia questi caratteri somatici; valuta le differenze e sulla base di queste stabilisce una relativa classificazione. Rapportando lo studio sull’uomo con quello sugli animali, possiamo dire che l’antropologo sta allo zoologo così come l’etnologo sta all’etologo.
ELEMENTI MORFOLOGICI DI VARIAZIONE
Secondo la teoria monogenetica l’umanità avrebbe avuto un solo centro d’origine (nel Corno d’Africa per alcuni studiosi, nell’Asia meridionale per altri). Da questo centro d’origine l’umanità si sarebbe diffusa nel resto del mondo acquisendo gradatamente, per adattamento ai vari ambienti climatici, i diversi caratteri somatici che la diversificano. Tali caratteri sono: - Il colore della pelle dovuto alla maggiore o minore quantità di pigmento contenuto nell’epidermide in conseguenza della quale risultano tre gruppi razziali fondamentali: melanoderma, razza nera per l’alto tasso di melanina presente; xantoderma, razza gialla; leucoderma, razza bianca per l’esigua presenza di melanina. - La forma dei capelli subordinata al grado di inclinazione dell’impianto nella cute ed alla forma della sezione trasversale, per cui si hanno razze: lissotriche, capelli lisci (dal gr. lissos “liscio” e trikhos “pelo”) dovuti all’impianto dritto ed alla sezione circolare, tipici dei popoli asiatici ed amerindi; cimotriche (dal gr. kyma “onda”), capelli ondulati per l’impianto obliquo e la sezione ovale, caratteristica dei popoli europei e mediterranei; ulotriche (dal gr. ulos “ricciuto”), dai capelli ricci o crespi per l’impianto curvilineo e sezione ad ellisse più o meno stretta, caratteristica dei negri. - L’indice cefalico che avvalendosi di punti fissi per la misurazione della testa, rileva i seguenti valori craniometrici: brachicefalia (dal gr. brakhis “breve” e kephale “testa, capo”) caratterizzata da cranio corto e largo. dolicocefalia (dal gr. dolikhos “lungo”) dal
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cranio lungo e stretto. mesocefalia (dal gr. mesos “medio”) che presenta valori intermedi. - L’indice facciale dato dal rapporto della larghezza massima (agli zigomi) con l’altezza della faccia (dal mento alla radice del naso) per cui si hanno facce: leptoprosope (dal gr. leptos “sottile” e pròsopon “faccia”), facce lunghe. euriprosope (dal gr. eurys “largo”) facce larghe. mesoprosope (da mesos “medio”) facce dotate dei valori intermedi. - L’angolo facciale, noto come angolo di Camper (antropologo olandese del XVIII° sec.), è formato dall’incrocio di due rette, una orizzontale che partendo dal prostion (punto craniometrico mediano della superficie anteriore dell’arcata alveolare superiore) va al porion (punto craniometrico relativo al margine superiore del foro acustico esterno) e da una retta che partendo dal nasion (punto craniometrico mediano della sutura naso-frontale) va al prostion. L’angolo risultante determina un profilo che può presentarsi: ortognato (dal gr. orthos “diritto” e gnathos “mascella”) se l’angolo di Camper si avvicina ai 90°. prognato (dal gr. pro “avanti, fuori”) se l’angolo è acuto. Mesognato (da mesos “medio”) nelle condizioni intermedie. - L’indice nasale dato dal rapporto tra la forma della base (che può essere rialzata, abbassata o orizzontale) e il dorso (che può essere concavo, retto o convesso). In base al valore ottenuto l’umanità, relativamente alla forma del naso, può essere suddivisa in tre categorie: leptorrini (dal gr. leptos “sottile” e rhinòs “naso”); camerrini (da camai “largo”); mesorrini (da mesos “medio”). - La forma delle labbra che possono essere: sottili, medie, grosse ed everse. La forma delle labbra e della bocca è legata alle variazioni dell’angolo facciale. Al prognatismo corrispondono bocca larga e labbra grosse e spesso everse. Man mano che ci si avvicina all’ortognatismo la bocca risulta più stretta e le labbra più sottili. - La forma dell’occhio e dell’apertura palpebrale che sono in rapporto con la forma dell’orbita e con
la posizione dei suoi bordi ossei. Considerando i due casi estremi possiamo avere l’orlo inferiore dell’orbita arretrato rispetto al superiore ed in questo caso l’occhio apparirà infossato sotto l’arcata sopracciliare (caratteristica degli europoidi ed australoidi), o avere l’orlo inferiore sullo stesso piano del superiore, nel qual caso si avrà il cosiddetto “occhio a fior di pelle” (frequente tra i negroidi e i mongolidi). La plica mongolica, caratteristica di molte razze asiatiche ed amerinde, è dovuta invece ad una ripiegatura in basso della palpebra superiore che va a ricoprire la caruncola lacrimale, nell’angolo interno dell’occhio, e buona parte del margine palpebrale conferendo all’occhio una forma subtriangolare dall’apertura stretta e l’asse obliquo. - La statura media di una razza che può essere: bassissima se inferiore a 150 cm. (negroidi pigmei), bassa da 150 a 160 cm. (mongolidi), alta da 170 a 180 cm. (europoidi) ed altissima da 180 cm. in su (negroidi vatussi). Poiché la statura è un carattere variabile da individuo a individuo pur dello stesso gruppo razziale, occorre fare la media su un campione di individui tanto cospicuo quanto più è maggiore la variabilità. Il campione di popolazione sarà compreso tra i 25 e 30 anni poiché l’altezza massima è raggiunta generalmente a 25 anni per l’uomo e a 20 per la donna. All’interno del gruppo razziale di appartenenza, la donna presenta una statura media inferiore di 12 cm. rispetto all’uomo.
Alcune tipologie etniche relarive al ramo negroide
I RAMI RAZZIALI
In base alla diversa combinazione dei suddetti caratteri somatici ed alla peculiarità che essi assunsero in determinati gruppi umani, quasi tutti gli antropologi concordano nel riconoscimento di tre grandi rami razziali di origine: Negroidi, Mongolidi ed Europoidi. Questi rami razziali, che presentano un grado di omogeneità solo in popoli rimasti geograficamente isolati, a causa delle frequenti migrazioni avvenute nel neolitico si sono poi incrociati dando origine a svariate razze. All’interno delle singole razze, inoltre, possiamo riconoscere varie etnie popolazioni, queste, che pur appartenenti alla stessa razza svilupparono una diversa cultura.
Alcune tipologie etniche relarive al ramo mongolide
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NEGROIDI. Il ramo dei Negroidi presenta pelle generalmente scura, dal marrone al nero intenso (melanodermi). Statura variabile da bassa ad altissima. Scarsa pelosità del corpo che si presenta asciutto, con spalle ampie e bacino stretto. Testa in prevalenza stretta (dolicocefali) con capelli corti e crespi (ulotrici) di colore scuro. Faccia generalmente prognata con labbra grosse ed everse e naso largo (camerrini). L’area di diffusione originale è rappresentata dall’Africa a sud del Sahara. Da tempi relativamente recenti, ad opera dello schiavismo, sono presenti anche nel continente americano. MONGOLIDI. Il ramo dei Mongolidi presenta pelle di colore giallastro o bruno-giallastro (xantodermi). Statura medio-bassa e corporatura tozza con tronco prevalente sugli arti. La testa è larga (brachicefali); la faccia è larga ed appiattita per via degli zigomi prominenti sia lateralmente che anteriormente e per il naso (mesorrini) dorsalmente poco sporgente. I capelli sono lisci (lissotrici) e la pelosità sul corpo è scarsa se non addirittura assente (glabri). Ma il carattere più appariscente è dato dalla plica mongolica. Il ramo dei mongolidi è il più rappresentato nella popolazione mondiale, presente nella gran parte dell’Asia, dell’Oceania e nelle due Americhe (Amerindi). Nonostante la grande diffusione geografica, esso conserva la maggiore uniformità. EUROPOIDI. Il ramo degli Europoidi è il più variegato. Presenta pelle bianco-rosea (leucodermi) fino a bruno olivastro. La statura è media o alta. I capelli sono lisci o per lo più ondulati (cimotrici) e il colore, insieme a quello degli occhi, presenta una gamma di pigmentazione piuttosto ampia. Il corpo presenta una forte pelosità. L’indice cranico oscilla dalla mesocefalia alla dolicocefalia. Il profilo è ortognato e il naso leptorrino. L’area di diffusione è l’Europa, l’Asia occidentale compresa l’India, l’Africa mediterranea e, ad opera delle passate colonizzazioni, le Americhe e l’Australia.
Alcune tipologie etniche relarive al ramo europoide
RAMI RAZIALI
E VARIAZIONI MORFOLOGICHE
EUROPOIDI
MONGOLIDI
NEGROIDI
leucodermi
xantodermi
melanodermi
cimotrici
lissotrici
ulotrici
indice cranico
mesocefalia
brachicefalia
dolicocefalia
indice facciale
leptoprosope
euriprosope
mesoprosope
angolo facciale
ortognato
mesognato
prognato
indice nasale
leptorrino
mesorrino
camerrino
labbra
sottili
medie
grosse - everse
occhi
infossati
a livello con plica mogolica
a livello
alta
bassa
bassissima altissima
pelle capelli
statura
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Antonella Travosi Ragazza di Bali Matite colorate su carta Fabriano
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Mirella di Croce Ragazza masai Matite colorate su carta Fabrianoo
Nicla di Croce Monaco tibetano Matite colorate su carta Fabrianoo
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Antonino Foti Santone indiano Matite colorate su carta Fabrianoo
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Fernando Napolitano Indios Matite colorate su carta Fabrianoo
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M. Di Lillo Donna peruviana Matite colorate su carta Fabrianoo
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Valeria Acciaro Ragazza etiope Matita su carta Fabrianoo
Maria Rita Mastroluca Ragazzo del Sael Matita su carta Fabrianoo
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Francesca Piemontese Berbero Matita su carta Fabrianoo
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Marilena Sasso Donna Peul Matita su carta Fabrianoo
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Lucia de Carolis Ragazzo wodaabe Matita su carta Fabrianoo
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IL CANONE
C A P I T O L O
CENNI STORICI SULL’EVOLUZIONE DEL CANONE
Q U I N T O
Se prendiamo in esame un numero adeguato di persone (nell’ordine di qualche migliaio) e procediamo alla misurazione delle loro parti anatomiche, si notano dei valori antropometrici (ossia dimensioni corporee) riscontrabili nel maggior numero di individui. Questi valori costanti rappresentano il fenomeno di fissità che la natura tenderebbe a generare qualora non venisse continuamente deviata da innumerevoli cause perturbatrici di carattere esogene (fattori esterni) e patogene (malattie). Assemblando questi valori proporzionali per riprodurre la figura umana, si ottiene un somatotipo ideale che prende il nome di CANONE. In conclusione si può, quindi, dire che il canone altro non è che lo “stato normale quantitativo delle dimensioni corporee”. E’ da notare che questa quantificazione dei valori anatomici di base fa coincidere il concetto di bello con quello di normale. Ne consegue, pertanto, che il brutto tradizionale non è in definitiva che disarmonia dei rapporti quantitativi. E’ opportuno comunque sottolineare che il canone è soggetto a variazioni in rapporto alle diverse etnie e culture. Ora nel realizzare artisticamente il tipo ideale è necessario usare un modulo di misura comparativa. Generalmente come parametro si utilizza una porzione anatomica quale può essere: l’altezza della testa, la lunghezza del piede, di un dito, del palmo della mano e così via. Ogni artista è libero di adottare o costruirsi un proprio canone, così come ci dimostra la storia dell’arte.
Il termine “canone” deriva dal greco KANON che significa in senso proprio “squadra, riga” e in senso traslato “regola, norma”. Nell’antica Grecia esso designava la misura base (modulo) con cui realizzare opere in scultura e in architettura. Svariati sono i canoni adottati nel corso dell’evoluzione artistica. A partire dagli antichi Egizi ad oggi il canone ha subito diverse trasformazioni, adeguandosi ai cambiamenti del gusto estetico. Gli Egizi erano soliti dividere il corpo umano in parti uguali, così che, nell’esecuzione di una grande statua o bassorilievo, gli operai potevano suddividersi il lavoro. In pitture e sculture egizie sono state osservate linee combinate in piccoli quadri, che testimoniano come il procedimento della quadrettatura, in uso ancora oggi, non era sconosciuto agli antichi Egizi. L’unità di misura era la lunghezza del dito medio che costituiva la diciannovesima parte dell’altezza totale della figura umana. All’arte egizia, che mira all’eterno e non al mutevole, che intende raffigurare un corpo a cui si deve assicurare una vita eterna e non rappresentarlo naturalisticamente attraverso l’imitazione della realtà, si contrappone l’arte greca. Il canone greco è più accertato e documentato. Il primo teorizzatore fu Policleto di Argo che insieme a Mirone e Fidia forma la triade dei grandi scultori del V° secolo A.C. Egli scrisse un trattato sulle regole dell’armonia e nel suo “Doriforo” (portatore di lancia) attuò la traduzione plastica di tali principi nella figura dell’uomo giovane e forte, di costituzione atletica e dalle proporzioni larghe e corte. Il suo modulo era determinato dalla larghezza della mano a livello della radice delle dita. Ne risulta che l’altezza totale della figura corrisponde a sette teste e mezzo. Da Policleto si passa a Lisippo (IV° secolo A.C.). Questi volle dare alle sue statue proporzioni più slanciate in considerazione del fatto che, trovandosi esse collocate in posizioni elevate (su templi, colonne e alti piedistalli), si compensasse l’accorciamento dovuto all’effetto prospettico. E’ interessante osservare l’analogia dello sviluppo del canone umano con quello architettonico;
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19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1
Canone egizio l’uno e l’altro passano da forme robuste e tozze a forme slanciate e più eleganti, così come dall’ordine dorico a quello ionico. Nel canone di Lisippo il modulo è rappresentato dall’altezza della testa e le regole sono le seguenti: la statura corrisponde a otto teste; l’altezza della faccia, dall’attaccatura dei capelli alla base del mento, è la decima parte della statura; la faccia si divide in tre parti uguali (una compresa fra l’impianto dei capelli e la radice del naso; una fra la radice del naso e la sua base ed una fra la base del naso e il mento); la statura è pari alla dimensione delle braccia aperte in croce; l’ombelico si trova al centro del corpo; l’insieme della testa e del collo corrisponde alla lunghezza del piede, il quale a sua volta corrisponde ad un sesto della statura. Anatomicamente la lunghezza del piede, in questo canone, risulta un tantino esagerata; ma non bisogna ignorare che un canone
1°
2°
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6°
tramandatoci nell’opera “De architectura” dell’architetto romano Vitruvio (I° secolo A.C.). L’architetto e letterato Leon Battista Alberti (1404-1472), pur adottando i dati di Vitruvio, nella sua opera “De statua” si avvalse di un sistema di misurazione che chiamò “exempeda” attraverso il quale stabilì che l’altezza corrisponde a sette teste e mezzo, e che il canone di Lisippo (otto teste) è da applicarsi agli individui di statura alta. Il campo di osservazione fu però straordinariamente ampliato da Leonardo da Vinci (1452-1519). Egli accumulò una massa imponente di dati studiando i processi attraverso i quali le proporzioni oggettive dei corpi in stato di quiete mutano a seconda delle circostanze e giungendo ad unificare teoria delle proporzioni umane e teoria del movimento. Leonardo infatti accettò sì la regola del quadrato di Lisippo e di Vitruvio, ma dimostrò che l’ombelico come centro è tale solo se la figura è inscritta in un cerchio, mentre nel quadrato esso corrisponde poco al di sopra del pube Agli studi dei maggiori teorici italiani del Cinquecento (tra i quali: Cennino Cennini (1370-1440), Luca Pacioli (1445-1517), Lodovico Dolce (15081568), Vincenzo Danti (1530-1576), ecc.) vanno
affiancati quelli di Albrecht Durer (1471-1528) che, nel suo trattato “Quattro libri dell’umana proporzione”, pur impiegando nelle sue ricerche sia il metodo albertiano che quello leonardesco, abbandonò la formulazione di un canone di bellezza unico per elaborare, invece, diversi tipi caratteristici. Il canone di Lisippo venne ulteriormente perfezionato nei particolari dal pittore francese Jean Cousin (1522-1594). Le regole ormai note come “Canone di Cousin” furono raccolte in un suo trattato sulle proporzioni che ebbe un notevole successo negli ambienti artistici, tanto da essere adottato anche in epoche successive e di cui esamineremo di seguito alcune regole di costruzione. L’importanza degli studi sulla teoria delle proporzioni si affievolì rapidamente dopo il sedicesimo secolo, in corrispondenza dell’affermarsi di una concezione soggettiva della rappresentazione artistica, sempre più lontana dagli interessi scientifici del primo Rinascimento. Nei secoli successivi gli studi sulle proporzioni umane passarono definitivamente dagli artisti e dai teorici dell’arte agli scienziati e antropologi (vedi il paragrafo su Fritsch), e i trattati furono sostituiti dagli atlanti anatomici e dalle tavole antropometriche.
Canone di Vitruvio
Canone di Leonardo
7°
1/2
Canone di Policleto ha valenza essenzialmente costruttiva; d’altronde fu per una esigenza pratica che Lisippo allungò la misura dei piedi onde dare maggiore stabilità alle sue slanciate sculture. Dal punto di vista dell’eleganza e dell’armonia il canone di Lisippo è stato quello più incisivo e determinante tanto da essere adottato, pur con qualche modifica apportata, fino a tutto il Rinascimento,
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CANONE DI COUSIN
Il modulo base è dato dall’altezza della testa, misurata dalla sommità del cranio alla base del mento. L’altezza della figura consta di otto moduli così ripartiti: 1. la testa stessa. 2. dal mento al livello dei capezzoli. 3. dai capezzoli all’ombelico. 4. dall’ombelico al pube. 5. dal pube alla metà della coscia. 6. dalla metà della coscia al di sotto del ginocchio. 7. da sotto il ginocchio al mezzo della gamba. 8. dal mezzo della gamba alla pianta del piede.
S.C
La larghezza del tronco a livello delle spalle equivale a due moduli; a livello delle anche equivale al doppio dell’altezza della faccia. La lunghezza dell’arto superiore equivale a tre moduli. L’apertura delle braccia equivale alla statura. Il piede corrisponde ad un modulo. La mano equivale all’altezza della faccia.
Costruzione della testa nel canone di Cousin
La testa è suddivisa in quattro parti uguali tramite cinque linee orizzontali, parallele ed equidistanti. La prima linea (S.C.) corrisponde alla sommità del capo; la seconda linea (M.F.)
S
M.F. P
O
P’
L.O.
E.N.
E.M.
M
S.C M.F. L.O. E.N. E.M. E.C. P P’
Sommità del capo Metà della fronte Linea degli occhi Estremità del naso Estremità del mento Estremità del collo Parietale destro Parietale Sinistro
E.C.
Costruzione della testa nel canone di Cousin
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divide la fronte; sulla terza (L.O.) si trovano gli occhi; la quarta linea (E.N.) passa alla base del naso e la quinta (E.M.) al limite inferiore del mento. A queste si aggiunge una sesta linea (E.C.) che determina la lunghezza del collo. Prendendo in considerazione la prima linea con la quarta si traccia lateralmente una perpendicolare da ribaltare, con apertura di compasso, per ottenere un quadrato. All’interno del quadrato si tracciano le diagonali per ricavare il centro O. Sul centro si fa passare una linea orizzontale ed una verticale che continui fino a toccare la linea corrispondente all’estremità del mento. Si ottengono così i quattro punti più esterni del capo che sono: S (sommità del capo), P (parietale destro), P’(parietale sinistro) e M (estremità del mento). Posizionando al centro il compasso si raccordano i punti P, S e P’ per ottenere la volta cranica e con curvature paraboliche si raccordano i punti P, M e P’ per ottenere l’ovale del volto. La linea di mezzo che passa per gli occhi si divide in cinque parti di cui la seconda e la quarta sono occupate dagli occhi. Ne risulta che la distanza fra i due occhi è pari ad un occhio. La lunghezza dell’occhio si divide in tre parti, di cui una è occupata dalla pupilla. L’apertura dell’occhio è pari ad un terzo della sua lunghezza. La larghezza del naso, all’altezza delle narici, è uguale allo spazio compreso fra gli occhi. La bocca è pari alla lunghezza di un occhio e mezzo e va collocata poco al di sopra del centro dello spazio compreso dall’estremità del naso e il mento. Le orecchie si estendono in altezza dalla linea degli occhi a quella del naso. La larghezza del collo è pari alla distanza dei due punti più esterni degli occhi.
Sintesi schematica del canone
Adattamento grafico nella realizzazione artistica del canone
Verifica del canone nell’Athena Lemnia di Fidia (copia romana)
Riscontro di un volto reale (Natalie Portman) del canone
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CANONE DI FRITSCH
Fra i molti canoni moderni il più pratico è quello ideato dall’antropologo tedesco Fritsch (1895-?). Questi studiò uno schema costruttivo che combaciasse con i valori medi proporzionali. Il modulo di questo canone (segmento N-P) è rappresentato dalla distanza fra la base del naso ed il margine superiore della sinfisi pubica. Visto posteriormente le estremità di questo segmento coincidono con la prima e l’ultima vertebra della colonna vertebrale. Se ne deduce quindi che il modulo base è rappresentato dall’altezza dell’intera colonna vertebrale. Questo modulo viene suddiviso in quattro parti uguali, o sottomoduli: P-O, O-c, c-b, b-N. Prolungando da N il segmento N-P di un sottomodulo, si viene a fissare in V la sommità del cranio. Sul punto b si traccia una perpendicolare ad N-P estesa per un sottomodulo da ambo i lati, e si avranno così in S ed S’ i punti corrispondenti alle articolazioni scapolo-omerali. Sul punto P si traccia un ulteriore sottomodulo perpendicolare ad N-P, esteso per ambo i lati di mezzo sottomodulo, fissando così in A ed A’ i punti corrispondenti alle articolazioni coxo-femorali. Unendo i punti S con A’ ed S’ con A queste linee si incroceranno nel punto O che corrisponde all’ombelico. Dai punti S ed S’ si tracciano i segmenti S-N ed S’-N, e si prolungano fino ad incontrare in d e d’ le rispettive perpendicolari tirate da V. Si ottiene così il quadrato V-d-N-d’, del quale la diagonale d-d’ rappresenta la larghezza del cranio. Dal punto b si tira una parallela a d’-S fino ad incontrare il segmento S-A’ nel punto m che determina la posizione del capezzolo destro e da questo una linea orizzontale che tocchi il segmento S’-A per posizionare in m’ il corrispondente capezzolo sinistro. Congiungendo il punto S al punto al punto m’ si ottiene un segmento corrispondente alla lunghezza del braccio (segmento S-g). La distanza fra il capezzolo e l’ombelico (segmento m-O) corrisponde alla lunghezza dell’avambraccio (segmento g-p). La distanza fra l’ombelico e
l’articolazione dell’anca (segmento O-A) corrisponde alla lunghezza della mano (segmento p-x). La distanza fra uno dei capezzoli e l’articolazione coxo-femorale del lato opposto (segmento m-A’) è uguale alla lunghezza della coscia (segmento A-h). La distanza fra uno dei capezzoli e l’articolazione coxo-femorale dello stesso lato (segmento m-A) è uguale alla lunghezza della gamba (segmento h-k). L’altezza del piede corrisponde ad un mezzo sottomodulo (segmento k-s). L’altezza totale del corpo, così determinata, risulta essere composta di dieci sottomoduli e mezzo. Il canone di Fritsch è stato avvalorato dalla corrispondenza dei dati ottenuti con la misurazione di individui normalmente conformati e di numerose statue classiche. L’aspetto interessante di questo canone consiste nella possibilità di costruire una figura avendo a disposizione un solo frammento di essa. Come s’è detto la costruzione della figura è basata su di un modulo suddiviso in quattro sottomoduli. Si rende quindi necessario conoscere il modulo o quantomeno il sottomodulo per procedere alla costruzione. L’operazione è estremamente semplice se abbiamo a disposizione l’intero tronco o la testa. Quando invece si ha a disposizione un frammento solo, bisogna desumere il valore del modulo o del sottomodulo, consultando la tabella delle proporzioni, di fianco riportata e compilata secondo il seguente criterio di suddivisione: il modulo consta di quattro sottomoduli, il sottomodulo di dieci parti, una parte di cinque minuti. Esempio pratico: se di una statua o di un cadavere abbiamo come misura nota la lunghezza dell’avambraccio, dalla tabella si desume che esso equivale a circa quindici parti e più precisamente a un sottomodulo, quattro parti e quattro minuti. Ricavando il sottomodulo si può procedere al modulo e quindi alla costruzione della figura. E’ chiaro che la figura così costruita sarà alquanto approssimativa, ma certamente meno lontana dal vero se si ricercasse diversamente.
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PARTE ASSILE modulo sottomodulo larghezza della testa distanza delle articolazioni scapolo omerali (2 sottomoduli) m-m’ distanza dei capezzoli A-A’ distanza delle articolazioni coxo-femorali (1 sottomodulo) O ombelico N-P N-v d-d’ S-S’
ARTO SUPERIORE S-g lunghezza del braccio g-p lunghezza dell’avambraccio p-x lunghezza della mano ARTO INFERIORE A-h lunghezza della coscia h-k lunghezza della gamba k-S altezza del piede (1/2 sottomodulo) Canone di Fritsch m Sm p M
modulo = 4 sottomoduli sottomodulo = 10 parti parte = 5 minuti minuto
larghezza della testa P 10 larghezza delle spalle P 20 distanza fra i capezzoli P 13 + M 1 lunghezza del braccio P 17 + M 4 lunghezza dell’avambraccio SM2+P 4 + M 4 lunghezza della mano P 11 lunghezza della coscia SM 2 + P 6 lunghezza della gamba SM2+P7+M2,5 altezza del piede P4 Tabella delle proporzioni e rapporti del canone di Fritsch
v d’
d N
S
b
S’
m’
m c
g O
A
A’
P
p
x
h’
h
k’
k
s
Costruzione del canone di Fritsch
Canone di Fritsch applicato allo scheletro
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Canone di Fritsch applicato alla figura miologica
BIBLIOGRAFIA
Opere Angelo e Giovanni Morelli, Anatomia per gli artisti, Faenza, Fratelli Lega Editori, 1977 AA.VV., Anatomia Umana, Milano, Edi-Ermes, 1990 A Bairati , Trattato di Anatomia Umana, Saluzzo (CN), Edizioni Minerva Medica, 1971 AA.VV., Anatomia Umana, Milano, Casa Editrice Ambrosiana, 1987 AA.VV., Come funziona il corpo umano, Firenze-Milano, Giunti Editore S.p.A., 2007 Jenò Barcsay, Anatomia per l’artista, Milano, Vallardi Editore, 1978 Hale e Coyle, Albinus on anatomy, New York, Dover Publications inc. 1988 Fritz Schider, Atlas of anatomy for artists, New York, Dover Publications inc. 1957
Collane I grandi temi della medicina, L’apparato locomotore, Milano, Fabbri Editori, 1978 Atlanti Scientifici Giunti, Anatomia Umana, Firenze-Milano, Giunti Editore S.p.A., 1993
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2011 presso le
Grafiche Gercap Foggia - Roma
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