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SALVATORE CACACE I CANI E GLI AEROPLANI
poesie
CHECK-IN (starci dentro alle lettere) ttttttt sembra un cimitero o no? cosa posso fare con il tappeto a corsia di casa mia? quello che sto cercando di creare è un alfabeto del grilletto che ti arrivi veloce che ti disturbi la pace che sia dentro la voce angolato che possa essere mano toccato. perché mi devi vedere, mi devi scoprire sotto la polvere passando il Pronto. perché ho pensato al tuo mobile di legno. perché quando accarezzi il cane mi devi sentire non catena ma collare, quando vai a lavorare mi devi schiacciare pedale. perché vale quello che si vuole fare e se non ci sono, io, li costringerò tutti a parlare questi sordomuti di imbuti, questi pelapatate sdraiati a passarsi le giornate. 5
perché se scopi fallo senza preservativo altrimenti potrei essere di lattice e dunque saremmo in tre. perché ho deciso di cambiarmi, di cambiarti e di cambiare il materiale immortale, ho deciso di farlo ragionare con la mia testa da forchetta, cucchiaio e pasta. in modo che quello che c’è tra me e te possa durare, qualcosa in più di una vita normale.
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MEZCAL adesso mi trovo a scrivere di come vorrei uscire da questa stanza in pigiama, con gli occhiali da sole, fuori sistema, senza guardarmi la schiena. entrare in una discoteca così conciato e riflettermi in tutti gli specchi, non vergognarmi. ballare con il parcheggiatore, alzare il ricevitore e gridare che non mi vedrete mai più lavorare. io alla vita voglio rubare il verme dall’amo e poi buttarlo in un distillato messicano. non mi importa il motivo, non mi importa sapere, ciò che conta è riportare dentro quello che serve, voglio sentirmi esattamente quel verme.
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CI STO VERAMENTE? poi dicono che sono particolare perché voglio parlare, perché non so parlare, perché le parole mi rovinano le giornate, le settimane, retroattivamente e per sempre. ed allora mi tocca rinascere e salutarti, prenderti la mano, chiederti come si sta a Milano o dovunque voglia metterti la fantasia e dove credo dormirò stanotte sentendomi comunque a casa mia. poi penso che non ho fatto ancora niente, che di buchi al cuore non si muore, che del sangue si sente l’odore se è fermo da ore, secco senza vita come il ricordo d’una foto fuori fuoco, fuori moda, in un’osteria. e io ci sto, sto seduto a mangiare con due amici più vecchi di sempre. come fanno loro e tu? come fanno loro e tu? con le coperte, con le finestre, con le case da pulire? e io ci sto, ci sto veramente? scappo o sono da te almeno per metà? qui è come sapere, sapere di viaggiare, 8
pi첫 si va lontano pi첫 pare di tornare.
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DISTORSIONE distorsione, no quello non è il sole, è la luna. distorsione, fuori si vogliono tutti bene. a me conviene, stare a guardare, non li capisco… distorsione, click! andiamo a scattare delle foto, sfocate. distorsione, chi ti ha dato quella roba? è storto il manico della scopa. pulirò un po’ alla volta zigzagando. (guarda che non l’ho combinato io quel casino sul pavimento). distorsione, è lunedì? distorsione, ma non di caviglie. distorsione, vedo un buco nero nella lavastoviglie. distorsione, ok, devo riposare, 10
mi indichi un letto dove giacere? distorsione, sì sono sempre così, ma non mi drogo perché non mi sfogo. mi spiego? la mia è più che altro inclinazione.
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LA MOSCA E ALBERTO GOMIRATO io ho un problema grave con le mosche e le zanzare, io non le posso ammazzare. e stamattina mentre accendevo il microonde e guardavo dalla finestra quelle diverse del mare, mentre stavo lì a pensare e ad aspettare il pane, questa, la mosca, sale fino al quarto piano per girarmi attorno, per posarsi sul forno e fare tutte quelle cose che fanno le mosche. be’ che ne so, io non ci ho più visto e con uno straccio l’ho colpita morta stecchita e così è rimasta. ora vorrei chiedere scusa a tutto il mondo buddista, adesso mi metterei a piangere perché odio uccidere e mi sento completamente dissociato, poco spiegato. m’interessano i parenti degli insetti, capisci. poi per lo stesso motivo che mi tiene attaccato incollato a questa pazzia vita, mi è capitato di fare un’ulteriore riflessione senza ragione su 12
un accendino verde menta, intanto che ero lì che immaginavo il funerale della mosca che non avrebbe potuto più volare. avevo in mano l’accendino di Alberto Gomirato, sì, è stato lui ad avermelo regalato, il mio collega d’ufficio un poco alcolizzato, Alberto Gomirato. me l’ha dato un giorno che si era fumato, fuori nel cortile del comune, una, due, tre sigarette così, spesso, il tempo è passato. io l’ho tenuto l’accendino di Alberto Gomirato anche se in realtà non ha mai funzionato. vorrei dirgli il perché, fargli sapere dove venirmi a trovare e raccontargli dei miei problemi con le mosche e le zanzare. perché mi sento dissociato, poco spiegato.
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ALLO STATO ATTUALE DELLE COSE ho meno amici delle ruote di una bici. mi stanno cadendo tutti i capelli e non trovo mai un gel adatto al mio stato d’animo. frequento tre ragazze diverse, le quali si incontrano regolarmente tra loro per discutere delle mie manie perverse. ai miei scherzi nessuno ha mai abboccato (non so far ridere, evinco). e poi, non so giocare a calcio (sono poco fico), rovescio ogni cosa che tocco (specie se ho bevuto), ma soprattutto: non so stare 14
muto. cosĂŹ, (ve lo giuro) dato che mi sento spesso solo, parlo anche con il muro.
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NOR-MALE non ce n’è uno di normale. cammina su e giù con una pentola in testa. da piccolo ha picchiato la maestra e con gli occhi della sua fidanzata ci ha fatto una minestra. pensava potessero spuntargliene degli altri. non ce n’è uno di normale. porta al guinzaglio uno strano animale, metà sanguisuga e metà stivale, dice che gli serve a far da guardia al suo maiale ovale. non ce n’è uno di normale dei pensieri che partorisco, e quando esco, mi sento male.
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SOLENNEMENTE A PUTTANE la libertà non piange. la libertà ricarica sempre più rapida e mai soccombe in duello. la libertà per insegnarti ad amare, ti conduce in un bordello.
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TRENO VENEZIA-ROMA, BINARIO 6 che a dirla tutta comincio ad abituarmi ad essere assente da me stesso, amare, come si dice, quel po’ che basta. ciò che resta lo puoi immaginare, non venire a frugare nella cesta della mia biancheria. il discorso è questo e lo faccio ogni volta che mi sposto. lo faccio per non sbagliarmi e me lo ripeto mettendo il cappotto, camminando nell’orto, per strada, tirando la corda tutti i giorni e aprendo la mostarda e per forza! non mi fido. e no, che non sono malato di sesso, cancro e ho poco tempo, shopping, mobbing (nel senso che nessuno mi costringe a scappare), 18
outing (boa di struzzo, smalto finalmente!). io, mi muovo da dove mi trovo. ed è vero, mi sento un mutante in mutande in questo treno. l’Italia è un paese bellissimo lungo un metro (ci incontreremo di nuovo). ma vale solo da dietro questo vetro? vale dove nuotano i piraña? vale per la Germania? la Polonia è una colonia aliena? è possibile? sarà sempre così? anche seduto in un altro posto, guardare la gente (magari sei tra quelli), stavolta non dire niente, starsene a pensare, voler sparirti e sparire ancora, voler entrare nella borsa di chi passa. farsi rubare, continuare ad andare. 19
IO AMO io amo essere, io amo gli esseri umani e non. io amo le donne alte, gli uomini e i nani da circo. io cerco. io voglio fare discorsi bassi e passi corti. quando cazzo si scopa? e non la stanza, ma per terra va bene uguale. io soffro di istinto male animale. io mi devo abbassare. io amo essere, io amo gli esseri umani e non. io da domani, parlo con i cani.
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DAL FUMO ESCI se la fuma il vento questa sigaretta e comincio a pensare a pensarti a pensare a chiavi che chiudono casseforti con dentro fluoxetina. boccette piene d’acqua che ti bevevi a volontà . continuo a pensare a forbici e coltelli e polsi e finte ferite che mi prendono in giro, nel sonno quando sogno di diventare chirurgo per te. ed ore al tuo capezzale passate a leggere di Ginsberg e 21
Shakespeare che non c’entrano un cazzo tra loro come me con te, come te con il mondo. in fondo cosa siamo noi? siamo dei pazzi siamo. ed intanto, ti innamori di sconosciuti, ti innamori di conosciuti, ti innamori di cani, ti innamori di topi e conigli. ed intanto, qualcuno s’accorge di me. s’innamora di me, ma non ha il tuo nome. s’accorge che sto deragliando che sto mangiando, la mia fantasia come fosse l’ultimo pasto. perché questo è 22
l’ultimo posto dove vorrei stare oggi. su di uno scoglio a fumare e a ricordarti, a ricordare quanta infelicità si può seminare con la scusa dello star male. l’ho fatto io, l’ha fatto persino un dottore che non ce la faceva più a sopportare, che non ti sapeva aiutare. ed allora me ne vado: strada, asfalto, lucchetti ancora, ma di biciclette vecchie, buone per correre, 23
buone da farsi fottere, buone come le foglie secche. buone come me quando cado.
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REBORN ci sono le penne, le scrivanie, le bollette, le targhe alterne e in cucina il salame a fette di ieri. ci sono gli orari sballati, ci sono i fastidi puntuali, cazzo i drogati! ci sono i traffici, i lavori e i narcotraffici che comunque stressano. ci sono meno, io. ci sono le donne da saltare come le corde che tornano (i due capi in mano). ci sono meno io e resta l’immaginazione. sono un aquilone! tutto è possibile! tutto è possibile! accanto ho un dirigibile che traina un sommergibile, e si fotta la forza di gravità, la gravità degli abbandoni, la gravità dei silenzi, 25
la gravità dei «non mi ami», Biancaneve e tutti i sette nani. senza legami, esco da qui, fuori, esco dall’utero con lo scudo, alla luce. occhi chiusi.
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LE DOMENICHE ECOLOGICHE vado piÚ lontano dei tagli che voglio farti, delle porte che voglio aprirti per entrare, per girare dentro te, con una bicicletta inquinante. per venirmi a far notare e smetter di camminare senza saper dove andare, in questa piazza, priva di automobili ma con i negozi chiusi. ci si potrebbe annoiare, ci si potrebbe perdere e sarebbe domenica. ma io ho da aspettarti, ancora un po’, io vengo se cadi, io mi butto nel torrente se serve e se fai un incidente di sabato notte. ti devo aspettare, non ti posso odiare.
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24/10 le auto si muovono lentamente, le undici del mattino di mezza giornata e mezza stagione ad ottobre, io sono dentro una di queste. le borse con i documenti, l’odore della carta. il rumore grammatura leggerera del bianco e nero da un quotidiano, datato tuo compleanno. l’impermeabile, le pozzanghere ed i riflessi dove farti apparire ad ogni goccia di pioggia diversa.
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LE NOSTRE PERSONE le persone cambiano, non nel senso che gli cadono i capelli, le persone cambiano dentro. alle persone viene fuori dallo stomaco un fratello, uno con l’ombrello, l’impermeabile e il cappello. uno che aspetta che piove e piange e le spiagge vuote. e poi devi accudirlo questo fratello-bordello, lo devi addomesticare, imboccare, portare a scopare, devi insegnargli a mangiare. lui non sa far altro che pensare e pesare e non sa parlare. le persone quando credi di conoscerle ti presentano un fratello muto con in mano un cartello scritto fitto in italiano corretto che dice (il cartello dice): «io non so niente, io sono solo la mente». è a quel punto che concludi di aver sbagliato qualcosa, che la tua sposa ha una sorella che 29
sta zitta pure quella, che i cinesi sono diventati di colpo piÚ del doppio e sono due miliardi e seicento, che hai quindi un altro mento, quattro occhi e due cazzi. è a quel punto che giustifichi i tuoi sbagli, i pazzi e già sbadigli perchÊ alla fine tutti dispongono di un alter ego montato con i Lego. giocattolo perfetto da mettere in vetrina quando hanno il culo rotto. i neuroni dovrebbero calarsi i pantaloni, i neuroni dovrebbero esibirsi, vendersi e perdersi e poi ritrovarsi, vendersi e perdersi e poi ritrovarsi con se stessi. farsi e farse e frasi adatte! farsi e farse e frasi adatte! matte e pronte per chi se le fotte.
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PER IL FABBRO questa mattina s’è messo a piovere ed era tanto che non succedeva. siamo andati a camminare ed abbiamo parlato del disturbo bipolare. sembra di cadere, sembra di annegare, sembra che il vento mi tenga fermo, hai detto. hai riso, e s’intravedeva il chiaro. hai pianto, e s’è rimesso a piovere. hai riso più forte. è tutto a posto, è tutto a posto, ho pensato. a breve verrà primavera, ed il temporale sarà normale come il sole. dicono tu sia malato.
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PUNTI FERMI delle cose certe ci sono: vuoi ancora bene ad un pugno. la faccia quadrata ed il Lasonil per i lividi. ago e filo per il tuo cuore.
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SPAM noise da ventola di computer. il cervello è la soffitta con dentro i panni appesi. se hai costumi e pellicce la giornata è meno triste! una grande idea! anguria se è estiva e cinghiale se è autunno. mica devi scrivere un’enciclica! visita! visita! fai visita alla vita! hello! salvy@libero.it! hai vinto un soggiorno in bagno! hai vinto sesso virtuale trasmesso dal centro commerciale! hai vinto sesso con un’intera emittente privata/pirata. yo! yo! loghi per il tuo cellulare! abbasso le iconoclastie e i bizantini! prendi le tue idee e facci un mosaico! chiama a carico del cattivo tenente! ma attento alle spese e alle cornette! per parlare con te stesso te ne servono almeno due! good day my friend! tutto questo è dentro te! again! again! again!
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IL SOLO MATERIALE UNIVERSALE l’ho capito adesso, adesso, adesso, «il solo materiale universale». che non è strada senza fine, che non è buio dell’anima, che non è deserto e cielo. questi sono sogni, sogni, sogni e sogni di sensibilità. no! più semplice: dentro i taxi, dentro le scarpe, dentro le cornette e le corna d’un toro/corrida/macelleria/bistecca. più semplice: di amore, odio, tradimento e Fiesta 34
(letto, più volte). è: kebab, è viaggio Bangladesh-Turchia-Italia nella ruota d’un camion come la droga. è marmitta rotta e caparra-affitto-finanziamento e conto in rosso Valentino. è: porca puttana! (esclamazione?) questa settimana per te ho saltato bar, corsa, teatro, pranzo, cena e nemmeno si scopa. è: abito davanti a una chiesa e le campane suonano alle sette, alle otto, alle nove e via all’infinito. è bestemmiare. no, non è una parola. 35
non è la circostanziale frase per ammaestrare l’amicizia, la famiglia e la figa. è oggi: carne e ossa «il solo materiale universale».
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ODORI di alcune donne ho forti ricordi: Daygum alla fragola e Arbre Magique alla vaniglia.
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IO TE LE SUONEREI io ti renderei muro scuro muffa duro tamburo per batterti forte a morte. io ti raserei per farti uomo e prenderti a pugni, io i sogni ti caverei e gli occhi e i sonni. io vorrei tu fossi un animale da abbandonare, io vorrei investirti in tangenziale, mandarti all’ospedale. le calze io ti strapperei e braccia fasciate e pedate e ti romperei il collo, io dallo scoglio 38
ti butterei, io ti dimenticherei. io ti renderei muro scuro muffa duro tamburo perchÊ amarti non è un posto sicuro. io.
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INDIPENDENTE BOLOGNA hey! hey! hey! siamo arrivati a questo concerto di metallo pesante-pensante all’Indipendente Bologna, borchie e rasature, monte e montature, animale e animali, scarponi con gli speroni, le impronte di un rinoceronte. ma siamo qui per ascoltare nine inch nails o per sembrare dei coglioni? hey! hey! hey! eroina o anfetamina o semplice teina e la mamma e i biscotti rotti Plasmon nel latte per non prender le botte? hey! hey! hey! ho una maglia verde acido anni ottanta e non conta? sono poco figo per fare una foto con la puttana e il travestito da coniglio che pubblicizza il caccadura store? hey! hey! hey! niente storie! nessuno te lo sequestra il coniglio, voglio solo la sua testa e i miei cinque minuti di pazzia. 40
hey! hey! hey! ma qualcuno l’ha mai sentita questa canzone? a me pareva una canzone, sì, a me pareva una canzone. ma qui a tutti si sono spezzate le ali mentre cercavano di uscire dal pozzo dark e allora unghie rotte, sangue e nichilismo. e io che pensavo di essere, un impiegato comunale, uno normale, ah, ah, invece così non pare. hey! hey! hey! bella! questa è una festa, nessuno te lo sequestra il coniglio, voglio solo la sua testa sulla scrivania e i miei cinque minuti di pazzia.
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A VEDER DI FARSI LA BARBA prima. sentito chi? che cosa? sentito la scossa dal rasoio elettrico perché ero scalzo, poi silenzio adesso muoio. ed invece eccomi qua, con mezza faccia liscia e l’altra metà pelosa. sentito di aver lasciato in sospeso più di qualcosa, te compresa. dopo.
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SOGNO#1 ogni volta mi trovo a pensare che bella fine questa dei sogni svegliati, avvitati nel profondo eppure estranei al mondo. e il cervello è diviso, inciso bisturi al centro, banderuola dentro dove non tira vento e che si sposta secondo principi di efficienza deficienza, zattera allla deriva se apri gli occhi. che bella fine questa dei sogni. è seria, misura la miseria del 14 di settembre, ricaccia le ombre e chissà quando le ritrovo. volevo dirti che in questo sogno c’eri tu. non le telefonate attaccate, non le visite inaspettate, non gli uomini e le donne e Sodoma e Gomorra (e che grazia! poi mi dico). si insomma, volendo spiegarlo per sommi capi in questo sogno tu 43
arrivavi e non te ne andavi e io restavo, almeno volevo restare a stirare, cucinare, allevare dei figli, scarabocchiare dei fogli, rastrellare le foglie in autunno, averti in moglie. ogni volta mi trovo a pensare che bella fine questa dei sogni. sulla sedia di fronte al letto ho la maglietta dei Ramones che ho indossato la scorsa notte, sotto ho le Adidas rotte. sono solo è vero, sono solo è vero, sono sveglio è vero, sono sveglio, non mi sbaglio.
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BESTIE IN ESTINZIONE hai e non sai. serviresti adesso se solo sapessi il perché. hai e non sai, a volte una tranquillità insopportabile, stabile, inconcepibile, hai. hai qualcosa che è fermo al vento, è fermo e contento. hai il cuscino, la coperta, la testa e la stanchezza. hai giorni tuoi. hai qualche moneta, i resti della vita, delle farmacie, delle librerie, delle multe delle polizie. hai dove stare, letti ancora. ora hai e non sai questo strano modo di stare al mondo, qualcosa che confondo in mezzo al male, hai qualcosa di animale.
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SOGNO#2 per raccontare questo sogno non saprei nemmeno da che parte cominciare, se non dalla notte appena trascorsa, come una corsa fatta in orizzontale e con il sale negli occhi. chi? tu? sì c’eri tu padre, ancora. non è passato molto da quando ho scritto di te, ricordato di te, lodato di te le poche abilità che rammento. ma qui adesso, l’ho detto, qui rammendo pezzi di fase rem assurdi da interpretare che sono fuggiti dal buio o da chissà quale io. che ci facevi padre, morto dieci anni fa, in questa testa con Prince? sì quello di Purple rain e Kiss, sì il testimone di Geova, nano afroamericano, mago della musica e pieno di figa. che ci facevi con lui vestito da S.S. nazista in una stanza a tenere in ostaggio me e qualche altra figura? 46
figuriamoci se ricordo degli altri, nei sogni le identità sono spesso scambiate, lineamenti asessuati. insomma, che cazzo avevi intenzione di combinare conciato così? sembravi un Hitler napoletano e ciccione, no che non eri una visione, volevi proprio farmi del male e qualcuno da fuori voleva entrare. era la classica situazione da sequestro di persona. io ero la persona e tu e Prince addobbati da seguaci del Reich eravate i sequestratori attori motori inceppati di questi ricordi scappati. e scapparti volevo anch’io e come in tutti i sogni i bisogni ti appaiono fra le mani. così una pistola, e ho cominciato un Bowling a columbine, pallottole verso te e Prince a cui forse, se sono stato bravo, ho spezzato una costola. i lacrimogeni dei poliziotti e un casino che non ti dico, amico padre sconosciuto muto, non hai detto niente o sbaglio in questa storia? e poi la fine appunto, come di ogni storia. io ti ho sparato al cuore, sì ti ho sparato al cuore, tanto ho pensato, che vuoi che sia, 47
fa un altro infarto e rimuore. infatti, in questo sogno, ti tenevo fra le braccia padre e tu respiravi a stento ma solo per qualche momento, sei stato zitto ovviamente, non hai mosso il mento e sei morto. il sangue dal cuore di mille persone padre, quelle ladre e quelle che amano, quelle padre. e tu padre, che non avresti mai suonato, la chitarra con Prince non avresti mai suonato.
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VEDERTI, MA VEDERTI BENE la vita è appesa ad un filo. e il filo a cosa è appeso? se fosse appeso ad una vite vorrei un avvitatore per fissarla, per assicurare la vite del filo della vita al soffitto nel modo migliore. per avere qualcosa di nato o risorto, lontano dal morto. non voglio dire per forza una corazza ma la certezza di poter vedere e di poter vedere tutto con il tempo giusto: il gusto, l’olfatto, l’udito ed anche il tatto, ho detto proprio vedere tutto. e ad un certo punto, in mezzo alle mollette che tengono le magliette asciutte e da stirare, in mezzo al mare inquinato e non, in mezzo ai frigoriferi 49
inquinanti e sì, in mezzo ad una strada di “nere” (le chiamano così?) che vendono il sedere ma più libere di chi le vuol pagare, in mezzo insomma al quotidiano anche quello del giornalaio, ad un certo punto appunto, vedere finalmente te.
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PROMEMORIA a ricordarti che paghi gli sbagli e m’annoi anche quando ti spogli, ti ficcherei un cadavere nel portabagagli.
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LA DANZA DELL’AMBULANZA ero uno scolaro poco veloce, anzi ero lento. quando si facevano le gare alle elementari io, ascoltavo il vento e mi perdevo e non fumavo. mi fermavo con la bocca aperta, mani sulle ginocchia e una volta correndo in un campo di papaveri nella pausa per la merenda ho ingoiato un insetto che non aveva esattamente il sapore di una Girella Motta, ma proprio quello di una farfalla morta. ed arriviamo ad oggi, alla danza dell’ambulanza. sto camminando piano e davvero fa freddo, sciarpa e giubbotto, la strada deserta novembre e poche ombre, c’è il sole e nessun altro, ne sono sicuro. sempre lento ma questa volta oltre al vento ci sono le sigarette, il motivo per il mio fiato corto. il paese è un cantiere, tolgono i pini marini, asfalto divelto ed io mi diverto a saltare tra una crepa e l’altra, 52
forse non sono cambiato del tutto. il bar è brutto, è sempre il solito, ma voglio tabacco e mi faccio questo chilometro a piedi a rallentatore. vicino a me un sordo rumore, niente sirene, niente cantilene, nessuna agitazione. l’ambulanza zigzaga fra i cartelli dei lavori in corso con tutta la calma necessaria per arrivare a destinazione. penso alle volte che ci sono stato io dentro ad un’ambulanza, ricordo che ero ancora vivo, soffrivo sì, in modo disumano, come quella volta che mi sono amputato una mano. eppure è la velocità, la velocità della vita, ad essermi rimasta impressa. questa, questa invece è un’ambulanza distratta, questa è un’ambulanza che danza, sa di farfalla morta. qualcuno c’era, allora, ma se n’è andato.
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MARIO AL CONTRARIO stavo pensando ora se le dita delle mani che mi ritrovo valgono quanto le tue schiacciate al suolo dopo un volo che so di quanti metri? venti o li misuriamo in piedi? e se potessi fermarti a mezza via? se potessi parlarti per così dire a dieci? essere convincente insomma, che penseresti? «tirami su! non voglio cadere da questa gru! a chi importa se sono scivolato o se mi sono buttato? il mio cranio è spaccato, spappolato, asfalto macchiato.» che diresti a metà strada Mario? che diresti? ci rideresti? 54
diresti: «la mia lo sai è frenesia, va’ facciamo anche questa follia, facciamola di un tiro di cocaina. facciamo mattina anche per questo». il tiro, al contrario, il tiro, io voglio che lo facciamo al contrario Mario. al contrario Mario, Mario al contrario! vivo, adesso.
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WALK THE LINE passa, la linea passa, (The doors?) nessuna mossa, passa, adesso la mente passa la linea. passa, nessuno ti indica, io ho un’affettività labile-egocentrica. non è metrica questa, modesta metrica, vuole arrivarti in fondo, massacrarti il cuore con un trattore. su e giù, su e giù, su e giù con il trattore, la trebbia, il tremore di fare male per amore, adesso sì, si può fare. passa, la linea passa, fai ciò che non devi, fai ciò che non devi, bevi, fuma, ma sempre di più. beviti il cervello, bevi, fuma, ma sempre di più, beviti il cervello con mezcal a parte, 56
una parte di te mandala a morire, una ancora e poi un’altra ancora, non ho mezz’ora, non ti aspetto più. passa, la linea passa, nessuna mossa. la mente passa con Blake, ma ora passa la mente passa anche una strada, una distanza, una stanza da girare (i mobili). passa, la linea passa, niente musica, senza Dylan e l’armonica. passa, la linea passa, fai ciò che non devi raggiungi i tuoi pensieri con i piedi.
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CAOS-CASA-CAOS caos-casa-caos e non trovo un bel niente. caos-casa-caos significa maggiore coesione della mente? sì, perché no? sbaglio? divisi perché diversi, divisi perché persi per qualcun altro. tu per lui, io per lei, lui per lui, lei per lei o tutti per uno-uno per tutti, Porthos, D’Artagnan, Aramis e Athos. caos-casa-caos, dove ti ho messa? disordine nove lettere io lo faccio smettere! ti cerco nella padella, ti cerco sotto il divano, ti cerco nel camino, scavo tutto il giardino, soqquadro lo sgabuzzino e svuoto la credenza. caos-casa-caos, cerco una partenza, qualcosa da fermare per non restarne senza. caos-casa-caos. 58
Laos lontano? ultimo piano di un grattacielo? sopra un melo? qui non ci sei, non sei qui, dove sei?
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MOTHER mamma! mamma! mamma! sono in mutazione! voglio il maglione arancione, meglio rosa salmone e sembrare un coglione. camicia a righe e sulle spalle il maglione cucito incollato incrostato che il vento non se lo porti via anche se sono in seggiovia, il maglione sulle spalle e le palle a casa, in una cassa, gioielli di famiglia che mi serviranno a fare una figlia a trentatré anni (dica trentatré…) quando avrò ereditato. mamma vorrai mica per me l’affitto per sempre? sempre che tu mi voglia bene, mi devi comprare un gippone con le ruote grosse, i vetri oscurati e i cerchi maggiorati. mamma così io ti presento la mia fidanzata scheletro che la puoi mettere dentro un vetro da chimico e guardarle la figa con il microscopio. non è proprio uguale a te, te sei l’unica per me, ti faccio seppellire vicino al babbo povero Cristo che ha lavorato una vita per darci il meglio del peggio. poggio su un piedistallo mamma, sono edotto, 60
illuminato, fulminato solo il sabato sera ma la pera non mi piace, odio quelle vitamine (vitamina B1 – 2%, vitamina B2 – 3%, vitamina PP – 1%, vitamina C – 5%, vitamina E – 6%). centro! mamma io sono per la cocaina! mamma, no lei non se la tira, è fatta così, vedrai che ti starà simpatica, e poi io posso sempre andare a puttane, spendere fino all’ultimo centesimo risparmiato per il pane, invecchiare male e venirti a trovare in ospedale. mi aspetta una gran vita non c’è che dire, chi me lo fa fare di andare e venire? chi ha detto che devo cercare? chi ha detto che devo scavare con le mani nella merda verde bile dell’avvenire?
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GOING INSIDE da qui a non capire un cazzo credo ce ne passi, passi lunghi e ben distesi, difesi dal freddo dentro e fuori, ma pure dai colori liberi e vari, dagli spari, dalle sparizioni, dalle informazioni, alte pile di mille molle saltate dalla padella alla brace alla testa e bulloni nelle tasche dei calzoni, ferro ed emozioni. colazioni (si comincia al mattino presto), colazioni dicevo, colazioni-emozioni e/o anche correzioni, regolazioni attraverso cavi, navi immaginarie, voglia di buttarsi e nuotare, cuore, irritazione, partita 62
dai piedi, persa partita persa dai piedi nervosi, sicura nevrosi somatizzata a livello di stomaco, prurito, forfora, sudore, puzza? boh? e dentro da dove son venuto e dove son venuto l’ultima volta e dentro la patata, fica, sorca, forca, passera, ma non passerà . e dentro con il mento, le braccia e tutto, fatto da e per le donne, insonne dentro con la fiaccola. archeologia a capire del potere, del sapere e del culo.
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FROM TOMORROW da domani mi vesto da porta lettere e ti recapito tutto l’alfabeto che per te ho inventato, ti riempio la cassetta di A e di T, di B e di Z che però hanno un altro suono, un suono buono solo per te. da domani ti consegno il latte che viene direttamente dalle mucche, poi vado al granaio e al frantoio e per te, sempre per te, preparo il pane e l’olio. da domani ricominciamo, da domani camminiamo e facciamo vita sana, sono stanco di essere una puttana. da domani torniamo indietro di qualche metro, da domani scansiamo il vetro. da domani che 64
sia futuro o passato vorrei stare ripulito, andare al Ser.t. e ascoltare comunque Les NĂŠgresses Vertes. da domani ricominciamo, da domani passeggiamo, tu per dimagrire, dici, io per non impazzire, penso.
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L’UOMO A NOVANTA Mestre e non Termini o Compton, Quartieri Spagnoli e Bari spari e via e bla bla bla. Mestre-Venezia, lo stesso, stazione dei treni, i maghrebini, gli indiani, i pakistani, i napoletani, io non da meno e “l’uomo a novanta”, anni settanta, esattamente a novanta, senza gobba o bastone, ma con in mano un cartonebicchiere coca cola a chieder l’elemosina per la sua spina dorsale guasta. e io lo guardo e basta e penso che se fossi in lui risponderei subito al cartello fuori da quel bar (cercasi cameriere con esperienza). direi: 66
«i vassoi, me li potete appoggiare sulla schiena, senza pena, ne porto anche tre o quattro e sarò io il più grande cameriere del mondo! io sono l’uomo a novanta, di esperienza ne ho tanta, serve che vi racconti tutto? della vecchiaia, della ghiaia nelle scarpe e della baia dove ho vissuto pescando pesci e donne? non uomini, non sono un pescatore di uomini e non ci ho provato, io sono l’uomo a novanta con la vita piegata, con una vita sprecata presa nel culo. come un mulo tiro avanti, i giorni bisogna che te li inventi, ogni secondo, ed io sarò da oggi il più grande cameriere del mondo». 67
FACCIA DI CARBONE penso che dare un senso a questo: «mi dispiace sia finita così e anche se non lo crederai mai, sto molto male. voglio restituirti i tuoi libri, quando te la senti». penso che dare un senso a questo, un senso più modesto, sarebbe un colpo da maestro, mi farebbe scendere la febbre e smettere di ascoltare Closer che è quattro giorni che è in repeat e mi gira nel lettore, nel sangue, nello stomaco e scusa se è poco. non la potevo trovare una chiusura più scontata, in saldo, di quella. alla faccia del poeta, dei sentimenti diretti, del guardarsi in faccia, di metterla la propria faccia e aspettare che sta faccia la faccia un’espressione di compassione, invece no, 68
faccia da culo di carbone. e allora dato che siamo nel duemilaotto ho fatto tutto in quattro e quattro otto, ti ho mandato un bell’sms, altro che un mazzo di rose rosse e ti ho lasciata zitta, stupita, adirata e poi chissà? forse con qualche desiderio di rivalsa legittimo, in fondo conosci i tuoi diritti ed io non sarò l’ultimo a spezzarti il cuore, ad accendere la trivella e a cercare combustibile nelle tue budella. sì, perché ho trovato pure il coraggio di andare al cinema, ieri, con tutti questi pensieri, io ed il mio amico, amico anche tuo ormai, lo sai, Roberto. ci siamo guardati proprio Il petroliere, una storia di frontiere e 69
vedere Daniel Day-Lewis esprimersi cosÏ, sputare, sudare, invecchiare, mi ha fatto capire quanto anch’io sia stato bravo a recitare. e adesso? adesso non mi resta che mangiare le mie gallette di riso, cucinarmi il cavolo e alzare i Joy Division.
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ALTRO NON HO altro no ho se non me stesso, osso sbattuto, braccio fottuto, frustrato frustato, di polveri sottili fatto oggi e in futuro, di cuore in malora, di acqua alla gola, di resto a galla, di salvagente parole, di ideale, ogni uomo è ideale, ogni donna è ideale, di odore di detersivo, il mattino sentirsi vivo, di quattro mura cercare, di non farsi trovare, di varie ed eventuali, di mali, peli, veli e steli, di fiori su tombe, di fiori giÚ da trombe delle scale, lasciarsi ma trombare, di sesso di sasso meglio per tutti e avanti, avanti tutta, di mappe per dove, di coppe di seni, di coppe per vini, di mille vinili e canzoni, di azioni di corsa e non in borsa, 71
di fretta di vivere, di fretta, brutta fretta che perde per strada nomi e cognomi e amori e chi li ritrova. di prova, continua, riprova.
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ARMADI E DENTISTI gli armadi hanno le carie che sono le muffe nere. gli spazi vuoti fanno male. è un qualcosa nella stanza, c’è aria di partenza. (mancano dei vestiti o dovevi ancora portarli). sei stata qui per poco o per una vita? gli armadi hanno le carie che sono le muffe nere. gli spazi vuoti fanno male.
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VORREI SCRIVERE UNA POESIA vorrei scrivere una poesia che metta allegria, ma ho davanti a me in questa stanza, appoggiati per terra, un dizionario di inglese, uno di spagnolo mignon, un’enciclopedia medica e un paio di scarpe bucate. dio, quanto tengo a quelle scarpe a fiori, non so perché ogni volta che le metto, mi sento i piedi nuovi. mia madre dice che i suoi, di piedi, sono diabetici, i piedi, solo quelli, è per questo che porta scarponi ortopedici e si rifiuta di farsi d’insulina. penso che la accompagnerò all’ospedale domattina. vorrei scrivere una poesia che ti porti via in generale dalla follia, dal posto di lavoro e da tutti coloro che ti amano. vorrei scrivere una poesia egoista ed essere altruista solo con te. vorrei ma ho anche fame, e il frigorifero si è mangiato tutto il prosciutto, 74
il cotto, il crudo, il lardo e persino le scatole rispettivamente di: carne, soia (che noia la soia), fagioli, ceci, piselli, mais, ecc…ecc… dovrei ingaggiare un investigatore per fare chiarezza sulle misteriose sparizioni e presumibili rapimenti che ogni notte la fame anonima chimica sarda dell’ incoscienza compie ai danni delle mie scorte alimentari elementari. un investigatore sobrio ventiquattro ore. vorrei davvero farti sorridere, ma non so se ci riuscirò continuando a scrivere, così poi. di’ ai tuoi che stasera non si diano pena, ti invito a cena a lume di candela. sarà una serata innamorata, io, te ed una pizza surgelata avanzata. 75
E VORREI FARTI UN DISCORSO SPECIALE e vorrei farti un discorso speciale, vorrei farlo a te che stai ascoltando. vorrei che cadendo come sto facendo qualcuno mi dicesse: «ti prendo, ti sto tenendo». vorrei poter fare un discorso speciale per farmi trattenere qui. da questa parte normale, vorrei stare. come si fa a stare? fermo in pace con te vicino? come si fa a stare? fermo in pace con te vicino? allora camminare. la migliore cura per i pensieri è camminare, e mentre si cammina vorrei farti questo discorso speciale per farti venire con me come fermi in pace io e te sempre nello stesso posto, muovendo. questo perché è il mondo, questo perché è la vita che sto capendo, mancando di qualche parola che hai solo tu. vorrei farti un 76
discorso speciale, per farti parlare con me, per farti tornare.
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JENS LEKMAN per esempio, sto ascoltando Jens Lekman e nessuno lo conosce e con chi ne discuto di che voce ha, se non con me stesso? mi ricordo un’altra cosa di mio padre che succedeva spesso, parlava da solo, non aveva questo gran ritegno. si faceva dei monologhi di cui non si capiva un’acca e lo faceva quando pensava di non essere visto. ma che vuoi che ti dica padre? più che averti visto, io, ti ho sentito, e se è ereditaria, credo tu mi abbia lasciato anche questa bella abitudine oltre ad avermi già donato la tua dentiera. e poi ancora, senti, io non ho mai capito perché hai perso i denti. eri troppo giovane e facevi un’impressione. ma cambiamo discorso e velocità, non sono qua per farti piangere sui morti ma 78
per portarti sui monti delle mie idee razzo spazio luce veloce controcorrente. hai preso la scossa almeno una volta? io una decina, una era argentina. che ci posso fare se baciare è sempre baciare e se sognare supera lo spazio intercontinentale, culturale. è presto detto, cosÏ sono fatto. fatto di teorie sull’amore che vorrei spiegare, illustrare, trapanare in testa a tutti o per lo meno a molti (o molte?). e la mia mente demente si riempie di poesia alternativa, fuori prospettiva, senza aspettativa, nativa sudore, nativa colore pallore, nativa pelle capelli odore, nativa solo cuore. e la mia mente demente si riempie di poesia alternativa, fuori prospettiva, senza aspettativa, nativa sudore, 79
nativa colore pallore, nativa pelle capelli odore, nativa solo cuore.
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SEMPRE FAME sempre fame, quando hai da mangiare e guardare la luce se scompare, vedere tutti ricominciare, ricominciare da un pugno di sabbia, dal niente attorno e da un non ritorno. il silenzio di questa casa è una rivista in bagno, la sala da pranzo con la televisione spenta. il divano, mia madre e mia sorella con figlia che dormono, un tappeto. la mia stanza, il letto ed un libro di Carver. la cucina e la finestra che s’affaccia sulla sera del mare. da questa cucina, semplicemente andare. qualcosa dentro. qualcosa dentro. qualcosa dentro. sempre fame, quando hai da mangiare e guardare la luce se scompare, vedere tutti ricominciare, ricominciare da un pugno di sabbia e da un non ritorno. qualcosa dentro. 81
YELLOW partiamo per questo viaggio da un biglietto giallo sulla mia scrivania, Post-it Tartan adesivo parte alta posteriore. attraverso il giallo mi ritrovo in una via di fiori gialli nel 1984 perché per me il giallo è di quell’anno, di quando con mio padre passavo dietro una discoteca fatta di lamiera dipinta di rosso e giallo, contrasto forte e poco armonico, come quello fra me e lui. giallo come il colore della pelle dell’epatite e di varie visite in ospedale per vedere se questo colore con degli aghi nelle braccia poteva cambiare. giallo, giallo, giallo alla enne, il sole per tutte le ore di tutte le vite dell’equatore, se non piove. lì è forte e diretto, qui è sbilenco ed ha varie sfumature, come le nostre verità. ti posso raccontare del giallo delle tue magliette, che ancora ricordo. ti posso dire che come vedo il giallo, un po’ arancione, al semaforo accelero per inseguirti e farmi inseguire se va male da un poliziotto. la multa sarà ingiallita, perché un anno sarà passato ed io non l’avrò pagata, l’avrò dimenticata per tutto il tempo che 82
è rimasta bianca. l’avrò dimenticata sino a stamattina, quando ho preso un Post-it giallo per ricordare, che ho una multa gialla da pagare, vecchia come i ricordi delle tue magliette e come le passeggiate con mio padre.
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LA GALLINA ritieni sia il caso di parlare della gallina che ho trovato ieri mattina? comunque è andata così: con la mia postura da sfigato annoiato andavo a lavorare seduto sulla bicicletta elettrica, sì lo so, sei scettica riguardo la mia bicicletta elettrica, ma, senti, ormai la gente lo sa che mi hanno ritirato la patente, che sono un impenitente e altro, molto altro. e poi le biciclette mi piacciono quasi più delle tette ed è per questo che le metto dappertutto. allora se non ti dispiace continuo, per arrivare al comune si segue la pista ciclabile che taglia tutto il paese un po’ come la Route 66 dai, e si vedono case, negozi e spazi aperti, le coltivazioni di grano, penso. e penso, penso in continuazione dopo la colazione che faccio rigorosamente con le Camille del Mulino bianco giusto per sentirmi un po’ uomo di campo, di terra, di questa terra, 84
perchÊ, lo sai, ogni tanto parto. dire non saprei cosa ci facesse quella gallina persa smarrita dimagrita sul ciglio della strada, fatto sta che mi sono fermato, ci siamo guardati dritti negli occhi e mi sono subito innamorato. capisci adesso il motivo di tutte queste piume a spasso? ma quale sesso? non ho fatto sesso con la gallina, anche se è molto carina... io ho solo voluto salvarle la vita, non volevo che finisse bollita, cosÏ adesso ho una nuova coinquilina. devi accettarlo, fartene una ragione. sulla sua intelligenza potremmo discutere per ore, ma te lo giuro, da ieri la mia vita ha un altro sapore. e dire che è febbraio e le margherite non sono ancor fiorite.
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ABOUT ME Salvatore è nato, Salvatore è nato neonato e non aveva la barba, Salvatore è nato due mani, Salvatore è nato su due piedi in casa, Salvatore settimo della prole, Salvatore millenovecentosettantanove. Salvatore parole scritte storte e dritte, Salvatore. Salvatore gli occhiali, Salvatore senza ali e con le corna, Salvatore le mette le corna, Salvatore poi se ne scorda. Salvatore guarda i cervi, Salvatore addestra i corvi ad essere felici, Salvatore e la sua bici. Salvatore fa rumore, russa dicono, Salvatore mentono! tu non russi! Salvatore e gli scrittori russi rossi per forza, Salvatore ha la scorza. Salvatore gli anelli, Salvatore e i momenti belli, Salvatore steso un paio d’ore insieme a te.
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CHECK-OUT i cani e gli aeroplani: quattro zampe, niente mani e un paio d’ali.
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TITOLI DI CODA
LINK isegretidellanottescura.splinder.com www.myspace.com/salvy7 www.fizzoentertainment.com
NOTA BIBLIOGRAFICA Nel 2005 Salvatore Cacace ha pubblicato il libro di poesie I segreti della notte scura (ed. Akkuaria)
NOTA TIPOGRAFICA Il carattere utilizzato per comporre testi e titoli di questo libro è il Frutiger, disegnato originariamente nel 1976 dal designer svizzero-francese Adrian Frutiger per la segnaletica dell’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi-Roissy.
NOTA MUSICALE Il 3 settembre 1976 i Sex Pistols suonarono il loro primo concerto fuori dalla Gran Bretagna per l’apertura del Club de Chalet du Lac a Parigi. Il resto è storia...
INDICE Check-in Mezcal Ci sto veramente? Distorsione La mosca e Alberto Gomirato Allo stato attuale delle cose Nor-male Solennemente a puttane Treno Venezia-Roma, binario 6 Io amo Dal fumo esci Reborn Le domeniche ecologiche 24/10 Le nostre persone Per il fabbro Punti fermi Spam Il solo materiale universale Odori Io te le suonerei Indipendente Bologna A veder di farsi la barba Sogno#1 Bestie in estinzione Sogno#2 Vederti, ma vederti bene
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Promemoria La danza dell’ambulanza Mario al contrario Walk the line Caos-casa-caos Mother Going inside From tomorrow L’uomo a novanta Faccia di carbone Altro non ho Armadi e dentisti Vorrei scrivere una poesia E vorrei farti un discorso speciale Jens Lekman Sempre fame Yellow La gallina About me Check-out
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Questo libro viene rilasciato con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate Italia 2.5. Tu sei quindi libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quest’opera alle seguenti condizioni. Attribuzione: devi attribuire la paternità dell’opera nei modi indicati dall’autore o da chi ti ha dato l’opera in licenza. Non commerciale: non puoi usare quest’opera per fini commerciali. Non opere derivate: non puoi alterare o trasformare quest’opera, né usarla per crearne un’altra. Ogni volta che usi o distribuisci quest’opera, devi farlo secondo i termini di questa licenza, che va comunicata con chiarezza. In ogni caso, puoi concordare col titolare dei diritti d’autore utilizzi di quest’opera non consentiti da questa licenza. http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it Proprietà letteraria riservata Salvatore Cacace, I cani e gli aeroplani © 2008 Grafica e impaginazione: Mirko Visentin – www.mimisol.it Finito di stampare nel mese di aprile 2008 presso Litostampa Veneta Srl di Mestre-Venezia per conto di MiMiSol Edizioni
BONACCIA
Ad ottobre 2008 in tutte le librerie e fumetterie una graphic novel scritta da Salvatore Cacace con i disegni di Angelo Mennillo. Scandalosamente, per Edizioni del Vento.
«Perché Salvatore abbia dato un tale titolo a questo libro è difficile a dirsi, penso sia la trasposizione astratta di un’idea indefinita. Ma che vuol dire?» Rodolfo Tiepolo, ore 00:56, l’amico.