Nicola Ferrarese
Mirko Visentin
Enrico Lucchese
Il fantasma
della
Torre
di Mestre
Pubblicazione realizzata con il contributo di
CITTA’ DI VENEZIA
MUNICIPALITA’ MESTRE-CARPENEDO SERVIZIO CULTURA E SPORT
e la preziosa collaborazione di Roberto Stevanato (Centro Studi Storici di Mestre), dello storico Sergio Barizza, di Chiara Puppini (Associazione storiAmestre) e di Marco Borghi (Istituto Veneziano per la storia della Resistenza).
© 2009 by MiMiSol Edizioni | Quarto d’Altino (VE)
Prodotto da SPAZIOSPUTNIK Soggetto: Mirko Visentin Illustrazioni: Nicola Ferrarese Testi: Enrico Lucchese Grafica e impaginazione: M. Visentin, N. Ferrarese, E. Lucchese www.spaziosputnik.it Finito di stampare nel mese di aprile 2009 presso Grafiche Antiga Spa di Crocetta del Montello (TV) per conto di MiMiSol Edizioni – www.mimisol.it
Presentazione 900 anni sono tanti o sono pochi... dipende da come sono stati vissuti, dalle avventure che si sono compiute in queste celle, dai fatti rocamboleschi che sono stati visti da questi merli, dal tempo scandito sempre con il medesimo ritmo dalla campana in cima alla torre, alla nostra Torre. Non potevamo confonderla mimetizzandola tra altri simboli, magari più recenti e per questo più vicini al nostro essere uomini e donne del secondo millennio. Essa è stata toccata, deturpata in epoche antiche ed in anni più recenti; la Torre rimane lì al suo posto ad indicare il cuore di una Città che oggi appare attraversata da un fremito di rinascita e di rivalsa verso scempi ambientali che dal verde rigoglioso di una terraferma veneziana è stata trasformata in un grigiore dove perfino i parchi diventavano cortili di cemento mantenendo con cocciuta resistenza la denominazione antica, dove al porticciolo interrato si dava il nome di “piazza” o si inventavano le corti e i campielli per convincere gli sfollati dalla laguna che Mestre poteva essere ugualmente la loro Venezia. La torre, la nostra Torre, ha saputo attendere una rinascita desiderata da tutti i concittadini, caparbiamente voluta da uomini e donne, ostinatamente decisi a mantenerla, ora, viva e vitale punto di riferimento di una Comunità accogliente, lontana dal vecchio arroccarsi in difesa di privilegi ed ora capace di condivisione e crescita verso una storia che, se saggiamente compiuta, consoliderà la torre, la nostra Torre per quello che realmente è: il segno della nostra Città protesa verso alti ideali dove le parole sanno dare solo sostegno alla concretezza dei fatti realizzati da uomini e donne di buona volontà. Queste parole sono rivolte a coloro (genitori o nonni, amici o fratelli dei nostri giovani scolari) che a vario titolo potranno-vorranno e dovranno condividere queste pagine con i nostri ragazzi e sapranno affiancare alla storia di Rambaldo la loro storia. Antonino Marra Delegato alla Cultura e Istruzione Municipalità Mestre-Carpenedo
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Mi chiamo Rambaldo Rambaldo II di Collalto Rambaldo conte di Treviso fino a che non son scomparso scomparso sÏ ma ahimè non ho ancora messo piede in paradiso. Sono 900 anni ormai che il mio fantasma vive in questa torre la sorveglia e la protegge la sostiene e la soccorre. Sono 900 anni e non mi sento ancora pronto non mi fido ancora molto questo posto è importantissimo per me voglio lasciarlo in buone mani. Sentite poi il perchÊ...
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Nell’anno domini 994 io Ottone III, re d’Italia e di Germania, dono al mio fedele condottiero Rambaldo II, signore di Collalto e conte di Treviso, il manso reale che si estende tra il castello di Mestre, Parlan e Brendole, e che è collegato al castello dal ponte lungo sopra il fiume Musone.
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Nell’anno Nove Nove Quattro, Ottone III volle donarmi un pezzo delle terre sue di Mestre le terre fertilissime di Mestre. Un orto gigantesco mi donò qualcosa di pazzesco tra due fiumi un importante porto. E la mia vita è stata buona ho amato veramente in prima persona la mia gente la mia terra la mia zona. E poi addio, vabbè! son morto, deceduto e la mia cara moglie e il mio figliolo mi hanno seppellito qui e qui solo avrebbero potuto, a pochi metri dalla ripam del fiume che ha specchiato lo scorrere dei giorni più memorabili della mia vita. E qui ho trascorso un secolo cento lunghi anni in un sarcofago per espiare le mie colpe, i miei malanni. Pensavo fosse giunto ormai il mio turno per lasciare il purgatorio e salire in paradiso tutto intrepido aspettavo l’annuncio divino, l’avviso finché invece all’improvviso... 7
994
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Era il mille-cento-otto (guarda me lo ricordo come se fosse ieri) sentivo sopra di me rumori sopra la mia testa, fuori fragori di vanghe e di picconi, lavori in corso. Non stavo più nella pelle dovevo uscire a controllare... non potevo non sapere e ignorare un baccano così infernale. Perciò mi sono fatto forza sono schizzato fuori dal mio corpo come un fantasma vero e proprio ma solo per un poco, mi son detto, giusto per dare un occhio. Non ci potevo credere sopra la mia tomba intorno a me c’era il tumulto più assoluto: cavalli carretti barche attraccate traghetti operai, ma più di tutto esattamente sopra il punto in cui sbucai sentii dire a un giovanotto: – Qui sorgerà la casa-torre dei Collalto a controllo e difesa del porto. Sbiancai. 9
1108
Così comincia la sua storia di fantasma, fantasma della torre che era ovvero la sua tomba, profanata da qualcuno dei suoi posteri e la sede della nuova sua condanna. Fu costretto infatti senza alcun riposo a vegliare su di essa fino a quando un erede sorvegliante premuroso non avrebbe preso a cuore la questione di difendere e accudire la città e soprattutto questa grande costruzione...
Oddio in verità all’epoca Mestre non era ancora un vera città...
C’era un castello, un’antica fortezza di legno (ridordate il secondo disegno?) poi... guardate questo qua: un fiume lo taglia a metà e un “Burgus” si legge su un lato e un altro si legge di là: sono i borghi di Mestre e di San Lorenzo ognuno coi propri porti i propri affari, i propri trasporti. Ed erano questi i due principali centri abitati e punti cruciali per i commerci fluviali.
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Così gli anni passavano e i porti crescevano, andavano bene portavano merci e le barche poi ripartivano piene. E Mestre divenne un centro importante un centro piuttosto interessante e davvero molto appetitoso per i potenti signori del Veneto che la volevano tutta per loro. Così tra il mille-cento e il milletrè subì pesanti assedi e devastanti per il castello e per i borghi circostanti.
1100-1300
Vennero da Verona – patapin-patapon passarono quelli di Bassano – patapon-pum-pam poi arrivarono improvvisi come un temporale i Tempesta di Noale. E tutto ciò turbava Venezia era un baccano che la disturbava intorpidiva le acque, i commerci di certo non la rallegrava. E allora scese con il suo esercito e si pappò tutta la zona: il vecchio castello, i due borghi e dintorni... ma volle proseguire ancora.
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1337
Mestre è un castello lontano dieci miglia da Venezia. È murato con mura alte e ha tre porte: la Veneziana, la Trevigiana vicina alla rocca, e quella di Campo di Castello. Il mercato è di venerdì e c’è la fiera di San Michele. Ha due logge: una fuori nel borgo, e l’altra sotto al palazzo del Podestà... Marin Sanudo [dal libro Itinerario per la Terraferma veneta nell’anno ]
Rapidamente però i veneziani si resero conto che il vecchio castello era un po’ deboluccio, era un forte privo di forza e non protettivo. E quindi venne deciso di trasferire nel Borgo di Mestre tutto il centro amministrativo perché qui, proprio qui già esisteva qualche solida e salda struttura: c’era la torre, la mia casa-torre e poi l’antico battifredo, cioè la futura Torre Belfredo. Così nel 1381 cominciarono i duri lavori per l’erezione di un grande complesso difensivo, di cui le due torri diventarono porte di accesso. In quattro e quattr’otto tutto fu pronto: un nuovo super potente castello e una mega-muraglia, un vero portento, alta undici metri e lunga novecento. E in una triste giornata di pioggia alla mia torre fu aperto un passaggio e c’era già chi la chiamava Porta della Loggia o Veneziana. Fu per Mestre e per me un bel periodo positivo, mi sentivo come vivo e la città si rilassò, come su un dondolo abbassò la guardia, ma dietro l’angolo... 15
1381
Si vedono uomini morti in terra e due impiccati ai restelli di Mestre verso Treviso. Le donne di Mestre si salvano nelle chiese e non sono toccate. Brucia tutta Mestre e si vedono fumi grandissimi. Restano in piedi solo le chiese e la casa della pieve di San Lorenzo... [dai Diarii di Marin Sanudo]
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30 settembre 1513 Si sentono botte, fracasso, rumore di cose rotte... Esco dalla torre e capisco: pazzesco! le truppe imperiali, i lanzichenecchi, stavano proprio spaccando tutto anzi, che dico: appiccavano il fuoco dovunque uccidendo chiunque e rubando ogni cosa comprese le mucche. Tutto distrutto tranne le chiese e la mia cara torre blindata. Fumo, fiamme, tutta la zona incendiata: il castello, le mura e checchessia perfino le case isolate in periferia.
Qualcuno scrisse qualcosa a riguardo quel giorno, sono sicuro non mi sbaglio... girava le strade osservando, s’informava poi si chiudeva in studio scriveva tutto, metteva a nudo, Marin Sanudo.
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1513
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Presto fu tutto sistemato e la città fu messa in sesto. Una nuova pace era stata stipulata tra Venezia e tutto il resto dell’Europa e non aveva senso ricostruire una città fortificata.
1516
Anzi il suo sviluppo si estese addirittura fuori mura! E ricordo che i patrizi veneziani lungo le strade principali iniziarono a far costruire delle ville sontuose case di campagna tranquille. E il Borgo San Lorenzo diventava il polo principale del commercio: un centro commerciale ma all’aperto un iper mega store, ma rinascimentale. Così la vecchia Porta della Loggia a cavallo qui tra il Borgo ed il castello diventava il nuovo simbolo di Mestre. E sapeste per me che onore! Proprio allora fu montato il suo primo orologione e tornò ad essere una torre: la Torre delle Un’altra porta intanto le era stata eretta a fianco e perciò le fu tappata l’apertura ad arco. 19
Ore.
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Ma è nel millesettecento che a Mestre si vive un momento di grandissima espansione. Le case sul Terraglio, le villone l’architettura, i teatri, le feste: una Versailles in miniatura. Lo dice anche Goldoni, o meglio: Pantalone...
1700
1757
E si mo in ancuo Mestre xe deventà un Versaglies in piccolo. La scomenza dal canal de Malghera, la zira tutto el paese, e po la scorra el Terraggio fin a Treviso. La stenterà a trovar in nissun logo de Italia, e fora d’Italia, una villeggiatura cussì longa, cussì unita, cussì popolada come questa. Ghe xe casini che i par gallerie; ghe xe palazzi da città, da sovrani. Se fa conversazion stupende; feste da ballo magnifiche; tole spaventose. Tutti i momenti se vede a correr la posta, sedie, carrozze, cavalli, lacchè; flusso e reflusso da tutte le ore. [Carlo Goldoni, La cameriera brillante, 1757]
E io mi sentivo al centro, all’epicentro di tutto questo esplodere bellissimo vivevo dentro al simbolo della città, in quel luminoso secolo: il Settecento. 21
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Ma la luce che nel Settecento c’era nell’Ottocento un po’ si spense e cambiò tutta l’atmosfera. La Serenissima Venezia era caduta e con essa Mestre e il Veneto nelle mani dell’Impero Austro-Ungarico. Ricordo il mille-otto-e-quarantotto, davvero un anno brutto.
1797
1848
IN MEMORIA DI ANTONIO OLIVI E ALESSANDRO POERIO MORTI PER LA PATRIA E PER LA LIBERTÀ
La città si spopolò quasi del tutto. Poi le cose si aggiustarono: Garibaldi unì l’Italia e gli austriaci... alla fine li cacciarono! Così Mestre riviveva un bel periodo di espansione urbanistica e industriale. Era diventata ormai un comune e la torre ne era il simbolo ufficiale. Era stata inaugurata la stazione ferroviaria e io nell’ora d’aria, la mia ora libera necessaria passavo il tempo a bocca aperta di fronte ai macchinari quegli strani tuboni lunghi a motore, pieni di mercanzie o di passeggeri: i treni. 23
1861
1866
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Qualche volta mi voltavo indietro tra un treno e l’altro e rimiravo lo svettare del mio grande amore torre amore di cui ero volontariamente schiavo. E questo anche di notte da quando il quadrante dell’orologio il secondo, montato nel Seicento e rivolto verso il Borgo San Lorenzo era stato sostituito da uno nuovo, trasparente che veniva illuminato dal tramonto al mattino seguente. L’intervento era stato imponente: non solo fu cambiato il quadrante, ma questo gruppo di romanticoni la volle ritoccare e la truccò come una presunta torre medievale: aggiunsero la merlatura in cima lasciarono l’esterno in pietra viva. All’interno, invece... un inferno! Infatti se da fuori era il simbolo e l’orologio di tutti i loro giorni di festa e di lavoro per i mestrini miei concittadini la torre era anche un luogo di ritrovo un punto di ristoro, un posto da passarci qualche ora in compagnia: in quel periodo al primo piano la torre ospitava un’osteria. 25
1877
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Il Novecento iniziò bene: si costruirono edifici pubblici teatri, scuole, alberghi e l’ospedale poi però fu un disastro totale... Nell’anno quattordici scoppiò una battaglia terribile un’orribile guerra globale: la guerra mondiale. Durò fino al diciotto e sessantotto furono i morti che la città sacrificò. Durante il regime fascista Mestre subisce l’ennesimo affronto: la retrocessione. Da comune diventa frazione di Venezia, costretta a restare nell’ombra: l’ombra delle ali del Leone. Più di qualcuno reagisce e le bande fasciste per evitare qualsiasi disordine cacciano l’oste via dalla torre ci fanno una base, ci scrivono frasi poco pacifiche, slogan del Duce recentemente tornati alla luce.
1906 1914
1918
1926
Intanto si avvera il sogno industriale: nasce Marghera e Città Giardino, però un mattino arriva la Seconda Guerra Mondiale... 1940 Troppi morti, non ne voglio parlare. 27
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Finite le guerre pensavo che niente di peggio sarebbe potuto succedere e che finalmente avrei potuto lasciare le terre le mie care terre e la torre e correre in alto, in alto nei cieli dove mi si aspettava da tanto.
1945
Ma niente da fare, niente di niente... Nell’aria c’era qualcosa di brutto di critico, chimico, insano e fetente: Marghera si stava pian piano espandendo 1950-1960 e spandeva veleno dalle ciminiere e Mestre dal canto suo nel frattempo era tutta un palazzo un parcheggio una gru. Era tutta un cantiere. Ed è purtroppo così che inizia 1960-1970 l’ultimo grande saccheggio di Mestre: una gettata di grigiocemento sulla città. Nessuna regola, nessuna pietà. E i fiumi diventano strade e i campi diventano case quartieri di case su case senza il giardino i parchi parcheggi e la torre... la torre un polveroso magazzino.
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Solo negli anni Ottanta qualcuno si accorse che forse Mestre poteva tornare ad essere bella sistemando la piazza e restituendo la torresimbolo alla cittadinanza.
1980
Ma per farlo ci voleva un restauro, un’operazione che portasse alla luce le tracce della sua evoluzione. Ma si sa, queste cose vanno sempre per le lunghe: da ventanni sovrintendo ai lavori aiutando di nascosto, in segreto e adesso che tutto è finito, completo 2009 che la torre è aperta al pubblico a chi vuole visitarla capirla sentirla toccarla la mia fantasmagorica avventura giunge al fine: bambini e bambine a voi la chiave della torre e il compito di governare e difendere la città. Adesso è tardi, devo andare! Mi chiamo Rambaldo Rambaldo II di Collalto, Rambaldo conte di Treviso... Vi saluto e me ne salgo in paradiso. 31
Bibliografia di riferimento Breve storia illustrata di Mestre, a cura del Centro Studi Storici di Mestre, Mestre 2006 La Torre di Mestre (DVD), a cura del Centro Studi Storici di Mestre, Rotary Club, Mestre 2005
Nota di redazione L’atto di donazione di Ottone III (p. 6) è stato parafrasato dall’originale latino per renderlo comprensibile ai giovani lettori. Allo stesso modo le due citazioni dai testi di Marin Sanudo (p. 14 e p. 16) sono state “tradotte” dall’originale in veneziano antico. La citazione da Goldoni (p. 20) è invece fedele all’originale.
Nota tipo-grafica Il libro è stato composto principalmente in carattere Garamond, uno dei migliori caratteri a stampa mai incisi, disegnato a Parigi a metà Cinquecento dallo stampatore Claude Garamond (1480-1561) perfezionando i primissimi modelli di carattere romano sviluppati in Italia (e specialmente a Venezia, da Nicolas Jenson e Francesco Griffo) tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. Per la citazione dell’atto di donazione di Ottone III (p. 6) è stato usato il carattere Carolingia di William Boyd, il quale riprende i tratti della scrittura minuscola sviluppatasi nel secolo IX sotto l’impulso delle riforme operate da Carlo Magno. La citazione dall’Itinerario per la Terraferma veneta nell’anno 1483 di Marin Sanudo (p. 14) è stata composta in carattere Jenson, inciso a Venezia verso gli anni ‘70 del Quattrocento – quindi agli albori dell’arte della stampa a caratteri mobili – dall’incisore e tipografo francese Nicolas Jenson, e considerato il primo vero carattere romano della storia della stampa. Con il corsivo (o italico) dello stesso carattere è stata composta la citazione dai Diarii di Marin Sanudo (p. 16). Infine, il carattere usato per la citazione da La cameriera brillante di Carlo Goldoni (p. 20) è il più famoso dei caratteri «transizionali» del Settecento (ovvero a metà tra gli “antichi” veneziani e i successivi “moderni” bodoniani): il Baskerville, usato per la prima volta dal suo incisore (lo stampatore inglese John Baskerville) proprio nel 1757.
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