REALMENTE

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REALMENTE Antologia di racconti in presa diretta

Leonardo S. Amati 路 Damiano Bortolato Alessandro Gastaldi 路 Lorenzo Giglio Francesco D. Lucenti

DEDALO EDIZIONI



REALMENTE Antologia di racconti in presa diretta

Leonardo S. Amati 路 Damiano Bortolato Alessandro Gastaldi 路 Lorenzo Giglio Francesco D. Lucenti

DEDALO EDIZIONI


Pubblicazione realizzata nell’ambito del progetto “Giovane Officina Cre-Attiva 2009/2010” finanziato dalla Regione Veneto L.R. n.29/88 “G.P.S. Giovani Produttori di Significati”. Il libro viene rilasciato con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate Italia 2.5. Tu sei quindi libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quest’opera alle seguenti condizioni. Attribuzione: devi attribuire la paternità dell’opera nei modi indicati dall’autore o da chi ti ha dato l’opera in licenza. Non commerciale: non puoi usare quest’opera per fini commerciali. Non opere derivate: non puoi alterare o trasformare quest’opera, né usarla per crearne un’altra. Ogni volta che usi o distribuisci quest’opera, devi farlo secondo i termini di questa licenza, che va comunicata con chiarezza. In ogni caso, puoi concordare col titolare dei diritti d’autore utilizzi di quest’opera non consentiti da questa licenza. http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it © 2010 by Associazione Dedalo | Mira (VE) Prodotto da Spazio Sputnik | Progetto “Pùbblicati!” www.spaziosputnik.it In copertina: Autogrill di Damiano Bortolato Pagina 2: Iter del titolo di Leonardo S. Amati Finito di stampare nel mese di aprile 2010 presso Andersen Spa di Boca (NO) per conto di MiMiSol Edizioni | www.mimisol.it


Prefazione

Dal racconto dell’universitario “esistenzialista” che si riflette nei gesti e nei discorsi dei propri compagni a quello dell’artista di strada che assiste allo spettacolo dei propri spettatori; dalle elucubrazioni erotico-alcoliche di uno scrittore dall’ego un po’ troppo ingombrante alla storia dello studente-barista alle prese con la realtà distorta di una tenera anziana signora, fino al reportage epico-surreale del figlio di immigrati meridionali, in viaggio “verso Sud”: il filo rosso che unisce questi 5 racconti è il tentativo di descrivere delle situazioni reali, quasi sempre autobiografiche – quindi vissute abbastanza da vicino da poter essere raccontate “in presa diretta” – senza però cadere nel tranello dell’autoreferenzialità, della scrittura cosiddetta “ombelicale”. I testi raccolti nell’antologia sono stati scritti durante il laboratorio di scrittura e autopubblicazione “Pùbblicati!” tenuto presso la biblioteca di Oriago di Mira (VE) da Mirko Visentin e Enrico Lucchese del gruppo Auteditori (www.auteditori.it).


LORENZO GIGLIO (Dolo, 1988) si dedica alla musica e alla scrittura soprattutto per sfuggire alla noia, alla solitudine, al silenzio. Escludendo ciò che si può trovare in Internet, sotto falsi nomi, non ha mai pubblicato nulla ed è meglio così.


LORENZO GIGLIO

Il solito caffé lungo senza zucchero

Il mattino si preannunciava privo di pioggia, il cielo era terso e scintillava. 7:30. Alla fermata dell’autobus diverse persone si stagliavano fisse come alberi sulle sponde del corso. La stanchezza mi increspava le palpebre. Avevo passato una notte quasi insonne a causa della quantità d’alcool ingerito la sera prima. Ma dovevo andare a Venezia, seguire i corsi dell’università, prendere appunti, studiare; e pareva che la vita vorticasse sempre uguale attorno a tutti. Le facce alla fermata erano le stesse, tutte le mattine: quella del mendicante che provava a racimolare i primi soldi della giornata, quella del vecchio con il bastone che non smetteva mai di fumare, quella dell’impiegato modello, incorniciato nel suo abito nero, quella della studentessa liceale che si mangiava le unghie senza quasi accorgersene, tanto era meccanico il gesto e perso lo sguardo. In ritardo di dieci minuti come al solito, arrivò l’autobus finalmente. Salii e mi abbandonai sul primo sedile libero, accanto ad un giovane che doveva essere di origini nordafricane. Poggiai la testa contro il finestrino e chiusi gli occhi. Ma non mi addormentai. 7

Il solito caffé lungo senza zucchero


Gli scossoni che subiva il mezzo sull’asfalto irregolare non mi permettevano un attimo di tranquillità e la mia testa batteva incessantemente contro il vetro; d’altra parte non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi aperti per il sonno. Il viaggio scorreva nel buio delle mie palpebre intervallato da fugaci scatti, visioni di muri di fabbrica. Arrivai a Piazzale Roma in mezz’ora; per arrivare alla sede della facoltà c’era un quarto d’ora di strada a piedi, procedendo con calma. A testa china, cercando di evitare gli stronzi di cane sparpagliati sulle fondamenta, mi avviai in un’aria che sibilava e si insinuava nella barba ispida, nelle narici e dentro le orecchie. Circa dieci minuti dopo ero in sede, con sette ponti alle spalle e troppo sonno in testa. All’ingresso, quando già pregustavo il riposo afflosciato su una panchina vicino alla macchinetta del caffè, mi fermò un ragazzo sui venticinque anni. Indossava una giacca leggera con la cerniera aperta, sotto cui s’intravedeva un maglione a rombi rossi e verdi. Teneva in mano una cartellina, qualche volantino e una penna. Ero a pochi passi da lui quando cominciò a scaricarmi addosso una valanga di parole con la sua voce nasale. – Ciao, posso rubarti un minuto? Faccio parte del movimento... ti sarai accorto che negli ultimi tempi... una grave crisi... stiamo tornando indietro di due anni... Venezia... riunioni settimanali... causa comune... tutti uniti... Vuoi lasciarmi il tuo numero di telefono, così posso chiamarti? 8

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Non so se fu per il sonno o perché era estremamente petulante, ma capii metà delle parole con cui mi aveva seppellito. Declinai con gentilezza e mi avviai all’entrata. Non si diede per vinto e mi seguì ad ampi passi per qualche metro biascicando qualche altra parola come «Importante... Marxismo... Proletariato»; ma alle mie orecchie giungeva solo un debole ronzio di sottofondo e continuai per la mia strada senza più ascoltarlo. Una volta varcata la soglia dell’università credo abbia rinunciato a seguirmi. Alla macchinetta presi un caffè lungo senza zucchero. Lo bevvi con calma, rilassato, seduto su una panchina. Guardai l’orologio. Le 8:45. La lezione cominciava alle 9:15 ma era meglio muoversi prima. Arrivato in aula trovai posto accanto a un compagno di facoltà con il quale avevo già avuto modo di scambiare qualche parola. Aveva voluminosi capelli riuniti in tanti boccoli scuri e un’espressione intelligente e loquace. A guardarlo da lontano sembrava un gigantesco tarassaco pronto a librarsi in volo ad un colpo di vento più forte. Mentre attendevamo l’arrivo del professore il tarassaco riuscì a farmi un sunto preciso e schematico delle vergognose manovre politiche che il governo aveva attuato nell’ultima settimana: problemi di amministrazione comunale e regionale, di mercato internazionale, di economia; dal particolare al generale, da oggi a 20 anni fa, con una precisione da libro di storia nel citare fonti, note, articoli e date. Mi chiedevo 9

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come facesse il tarassaco a tenere a mente tante informazioni; forse i capelli in questo lo aiutavano. Il professore nel frattempo era arrivato dando inizio alla lezione. Al termine dell’ora e mezza di appunti incompleti e nozioni apprese in maniera pessima, il sonno ricominciò a pulsare nella mia testa. Il tarassaco mi accompagnò alle macchinette del caffè per poi congedarsi dicendo di dover sbrigare alcune commissioni. Nonostante il suo tono risoluto rimase lì un altro po’, a parlare con alcuni suoi conoscenti (dovunque andasse incontrava qualcuno che conosceva). Discorso su discorso, quando mi salutò seriamente, per avviarsi alle sue faccende, della fila che intasava la macchinetta era rimasta una sola persona. Il solito caffè lungo senza zucchero. Amaro come la vita. – Fanno male troppi caffè – cantilenò una voce nota alle mie spalle. Mi voltai. Era la ragazza dai capelli scarmigliati e scuri con la quale di tanto in tanto mi fermavo a parlare. Era piacevole stare in sua compagnia e anche lei non sembrava disdegnare la mia. Aveva un sorriso che cuciva insieme cielo e terra e il suo sguardo, benché avvolto nel sonno, non perdeva la naturalezza e la serenità che lo caratterizzavano. I suoi occhi erano verdi; in essi sembravano esplodere come fuochi d’artificio dei riflessi rossastri, una stella di Natale. La ragazza dai capelli scarmigliati si dileguò subito per andare a seguire una lezione. La salutai e decisi 10

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di piantarmi in aula studio e tentare il ripasso. Ma l’idea fu stroncata quasi sul nascere. Passando per il cortile della sede incontrai alcuni conoscenti. Compagni di corso con cui passavo molto più tempo nei bar che in aula. Erano tutti lì: il Poeta e il Critico animati in una fervida discussione intellettuale intorno al ruolo della poesia (penso che non mi sarei intromesso nel discorso nemmeno se avessero chiesto la mia opinione); poco discosto da loro un ragazzo dalle orecchie appuntite e dalla testa a forma di lampadina (a causa della fisionomia del suo cranio pareva avesse sempre idee geniali, indipendentemente da quanto dicesse); accanto a lui una ragazza dai lineamenti asiatici e un ragazzo prestante con i capelli raccolti a cipolla sulla sommità del capo. Tutto si propose come sempre, con precisione allucinante: Testa-a-lampadina commentò sardonicamente il mio disgustoso abbigliamento («Sei uscito di casa in pigiama, stamattina?») e il mio naso aquilino, l’asiatica scoppiò a ridere (la risata riempì ogni angolo del cortile), Cipollino finì la sigaretta e annunciò che tornava a studiare e gli altri due rimasero infognati nella discussione finché il Poeta non si alzò e avvertì i presenti che andava a lavorare. C’era ben poco da fare, eravamo rimasti in quattro. Scegliemmo di pranzare con un trancio di pizza in campo. Quando tornammo in sede per rimetterci a studiare mi stavo nuovamente addormentando. Avevo bisogno di bere un caffè. 11

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Il solito caffè lungo senza zucchero. Amaro come le donne. – Ma non dovevo offrirtelo io, il caffè? – chiese risentita una voce alle mie spalle. La ragazza dai capelli scarmigliati e scuri mi raggiunse e inserì dei soldi nella macchinetta per prendersi un macchiato molto zuccherato. Era divertita ogni volta che mi guardava, forse a causa delle mie buffe espressioni. Finito il macchiato, promettendo che il prossimo l’avrebbe offerto lei, la ragazza dai capelli scarmigliati fuggì nuovamente. Mi disse che doveva tornare a casa presto e mettersi a studiare, cosa che avrei dovuto fare anch’io. Mi tappai in aula studio con gli altri ragazzi. Avevo il libro davanti ma riuscivo a malapena a leggere tre righe in cinque minuti; riflettevo. Riflettevo su di noi, su tutti noi. Mi venne spontaneo pensare come ognuno di noi si realizzi negli atti altrui. Siamo quando qualcuno pensa a noi, ci guarda, comunica. Posso dire di essere e realizzarmi in tutte le azioni a me rivolte, anche di striscio; nei discorsi utopicopolitici del tarassaco, nel sorriso della ragazza dai capelli scuri e scarmigliati, nei sardonici commenti di Testa-a-lampadina, nella risata dell’asiatica che riempie ogni angolo del cortile, nelle fervide discussioni intellettuali in cui il Critico e il Poeta non mi coinvolgono, nella serietà di Cipollino che quando non studia lavora e quando non lavora studia, in un paio di occhi verdi che ricordano una stella di Natale; e ancora nelle frasi frammentarie del marxista che se ne sta 12

LORENZO GIGLIO


impalato all’ingresso della facoltà, nelle lezioni di un professore che ha più di cento alunni; nella richiesta di un mendicante, nell’espressione stanca del conducente, nello sguardo distratto del passante.

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Il solito caffé lungo senza zucchero


ALESSANDRO GASTALDI (Dolo, 1983). Rimasto a lungo seduto sul bordo di una panchina osservando l’umanità, ha deciso di alzarsi e attraverso la scrittura descrivere ciò che ha visto.


alessandro gastaldi

Sguardi dal cappello

Città strade e paesi con la pioggia o con il sole con il profumo di ogni stagione mi sono spostato all’ombra di un palazzo sotto un portico o su una piazza perché no alla stazione e a quasi tutte le ore ho suonato le mie canzoni dal cuore e con il sorriso ma adesso vado ho voglia di sapere che succede al mio paese a salutare a modo mio i vecchi amici e la mia gente quella che starà sempre là che perde i capelli invecchia ma non cambia mai che sa cosa succede nel mondo perché consulta la magica sfera catodica e che chiama viaggiare una settimana di vacanza valtuor laureati un po’ tristi dai sogni infranti che preferiscono il fantacalcio e l’aperitivo delle sei fidanzarsi con la propria vicina di casa e che non sfidano mai la realtà per seguire un’idea ma mi mancano ho voglia di tornare dirgli sono qua entro sera sarò a casa ho giusto il tempo di farmi un pomeriggio ancora in strada camper in parcheggio fisarmonica in spalla e carrettino per sgabello alla mano la temperatura è buona ottimismo e allegria più di sempre arrivo nel viale principale del centro una bella zona pedonale è pieno di gente qualche 15

Sguardi dal cappello


tempo fa avrei detto tanta gente tanti spettatori tanti soldini invece ora l’esperienza mi insegna che non è così nella confusione è più facile essere scambiato per una colonna spartitraffico oppure per un cestino o peggio ancora per un disperato che chiede la carità sono pronto a tutto ho imparato anche che se vedi una strada piena di bei negozi e bei signorotti non suonare non ti apprezzerà nessuno va beh mi guardo attorno non sono solo c’è un clown un giocoliere una statua vivente e due zingari in strada vige un codice etico non ci si pesta i piedi tra artisti fatta eccezione per gli zingari che non sanno cos’è l’etica e che ogni volta che ti vengono vicino guardano quanti soldi hai fatto così alla fine scelgo la mia area all’inizio della via un posto di gran passaggio ma che credo buono prima cosa apro lo sgabello e mi siedo ormai quando lo faccio mi è quasi automatico guardarmi attorno e cercare qualche sguardo di passante mi da coraggio è bello non sto ancora facendo nulla e già qualche bambino che passa chiede alla mamma cosa fa quel signore è questo che amo la curiosità della gente è la mia forza abbraccio la mia fisarmonica faccio un respiro è il momento di iniziare io lo spazio il tempo e la musica un tango lento sono ancora un po’ freddo sono concentrato su quello che faccio cento persone o nessuna attorno a me è lo stesso ma non appena una bella donna che sembra mia 16

ALESSANDRO GASTALDI


mamma mette la prima moneta nel cappello vai mi sento sicuro disinvolto che lo spettacolo inizi sono rilassato sorrido batto il tempo dalle orecchie all’ultimo dito del piede trasmetto il mio stato d’animo il più possibile e guardo attorno a me a tempo di polka passano dei ragazzi mi scrutano come se fossi un relitto della società loro con i loro bei vestiti nella passeggiata in centro a manina con la donna che tanto amano mi ricordano i miei paesani poverini sinceramente non mi aspetto neppure un centesimo e tanto meno un applauso ma guarda sto bene lo stesso se poi mi risparmiassero anche quello sguardo di compassione misto a disgusto starei ancora meglio i tipi così mi danno l’idea di essere talmente noiosi da conoscere solo una posizione mentre fanno l’amore e che i loro discorsi siano sempre e solo su cazzate delle trasmissioni del cazzo oh ecco un anziano signore lui sorride perché ha sentito da lontano il valzer di cinquant’anni fa se a me che ho vent’anni trasmette emozioni pensa a lui quante in più ne può dare infatti nel cappello arriva una bella moneta e dalla sua bocca esce un bravo e si vede da come me lo dice che è proprio data dal cuore là sull’angolino di fronte a me ci sta una coppietta troppo carini gli piace quello che faccio alla fine del pezzo si danno un bacio e lei mi porta un euro sospira e se ne va chissà che la vita vi sorrida ancora tante volte penso io 17

Sguardi dal cappello


passano i minuti passano le mie canzoni e passa la gente davvero per qualcuno non sembra sia sabato anzi espressioni di tristezza e angoscia che vi è successo? dai su io sono allegro anche se è un giorno che non mangio però adoro la vita per ogni sua piccola meraviglia ma ecco spuntare una simpatica vecchietta fa fatica a chinarsi per darmi qualcosa allora io mi fermo e prendo i soldi in mano e vedi te la tanto ambita moneta da due euro poi lei si piazza davanti a me ad ascoltare tutta la canzone fantastico sapete di arte di strada ne ho fatta molta giocoleria burattini e musica e se le prime due creano un cerchio attorno a te la terza a meno che tu non sia un virtuoso musicista o in compagnia di altri musicisti è raro che qualcuno si fermi a guardare è più facile che passi ascoltando ok ora vado con uno dei miei pezzi forti con questo non ho mai deluso nessuno e infatti ecco che tutte le persone che passano vengono avvolte dalla mia musica mi donano qualcosa e a colpirmi di più sono quelle nonne e quelle graziose mamme con i passeggini che si piazzano davanti a me e coinvolgono i bambini battendogli le mani a tempo e io non ho parole per descrivere la gioia i bimbi con lo sguardo rapito dalla mia figura spero che quella loro visione di me felice sul lato della strada che faccio quello che mi fa stare bene li faccia crescere mettendo la libertà al primo posto speriamo crediamoci 18

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non sento fame non sento freddo e la strada è mia le mani vanno da sole ogni tanto mi innamoro non manca mai la bella silenziosa che passa vicino e mette una moneta lancia uno di quegli sguardi penetranti da sbagliare nota e io ovviamente sbaglio ma rare volte però qualcuna di queste belle si ferma a parlare allora smetto di suonare e ci provo non ho ancora fatto l’amore con nessuna almeno fin’ora ma sento di raggiungere qualcosa nelle loro fantasie erotiche secondo me pensano che se le amassi come amo la mia fisa si sentirebbero nel giardino dell’eden sono certo che a rapirle è il fascino di quello che faccio non tanto la mia bellezza io che ci posso fare se non provarci vedrete che prima o poi lo farò l’amore cosa vedono i miei occhi una pattuglia gialla fluorescente i vigili urbani fanno paura in certe città un artista di strada è paragonato a uno spacciatore di eroina tagliata male e ogni volta che li vedo la mia mente corre più delle mie azioni io li guardo faccio un saluto con il capo e se arrivano vicino per cacciarmi fingo di cadere dalle nuvole e cerco di mediare altrimenti se passano e mi lasciano fare assumo un’espressione di gratitudine e perché no un sorriso sessantaquattro denti che non guasta mai in un’ora nel cappello ho un bel po’ di moneta da essere soddisfatto e in quell’ora sono passate davanti a me centinaia di persone ognuna con la propria 19

Sguardi dal cappello


aura colorata bei visi espressioni pensierose dai più borghesi ai più semplici proletari belle donne con il passo veloce e leggero stronze da paura che sembrano sfilare ma è tardi la mia gente mi attende parto dopo circa quaranta minuti oltrepasso il cartello con il nome del mio paese mi sale un’emozione dal retrogusto ansioso dentro la mia testa solo una parola – casa – ecco che passo per la piazza sono tutti lì tutti in piedi a fumare fuori dal bar nella stessa posizione del giorno che me ne sono andato simpatica la cosa parcheggio e scendo vado verso di loro qualcuno ridacchia e dice guarda Alessandrino è tornato qualcun altro sta zitto c’è chi mi da la mano e mi abbraccia altri mi chiedono da dove arrivo e io rispondo a tutti e penso che li vedo in gran forma addirittura migliorati cresciuti ed evoluti ma ahimè il mio buon pensiero svanisce non appena se ne esce il più ardito ora che sei a casa ti metterai a posto? smetterai di fare il pagliaccio per strada? con questa sua domanda e circondato da un sacco di facce che mi fissavano mi sono reso conto che era nella curiosità di tutti saperlo sapere se mi sarei messo apposto adesso che rispondo? mi è venuto automatico farlo con un’altra domanda e voi quando lo farete? e dopo questa l’atmosfera non era più quella del mio arrivo quindi per non accendere inutili discussioni come un attore che esce di scena ho salutato tutti e me ne sono andato con la convinzione di aver donato argomenti per i pettegolezzi dei prossimi 20

ALESSANDRO GASTALDI


giorni e passata l’ansia e l’emozione del ritorno a casa e dopo aver riveduto la mia generazione e aver capito che non cambierà mai proprio come lo stesso paese che rimarrà per sempre così e che sembrava essersi fermato ad aspettarmi mentre io vivevo sinceramente ho solo un desiderio ripartire al più presto muovendomi silenzioso di città in città ammirando nuovi sguardi e accontentandomi di questo.

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Sguardi dal cappello


FRANCESCO DINO LUCENTI Non penso che il fatto che scriva sia più importante del fatto che caghi. Con tutta probabilità, se dovessi scrivere una mia biografia, scriverei: “Francesco Dino Lucenti (1986). Studia Giurisprudenza a Rovigo”. Da Per un vitalismo quieto. Il Collettivo Kalicunt.0 e i suoi protagonisti, un saggio sull’anti-letteratura di inizio 2000 di Tinto Pelo, Edizioni Astolfo Monadoro.


francesco d. lucenti

Saintes-Maries-de-la-Mer

Era là. Le squadrava i seni coperti di lana grossa e pensava a come ispida s’adagiasse la peluria sulle sue braccia, bianche. Pensava al tenero prurito della lana, non l’avrebbe più rivista. Non che non provasse un qualche interesse per il futuro, era troppo occupato a provare a scorgere [indovinare] il colore della spallina del reggiseno tra le maglie del top, a toglierle le patate di mano per poterle tagliare prima, meglio. – Era chiaro che la ragazza non sapeva cucinare. – È chiaro.

Sara dagli occhi di giada e la pelle di torba / sorride perché la sua casa non ha più una porta. / Sorride perché la sua casa fa suono di lame / e balla suonando caviglie ch’han solo catene. / Sara coi cani che piangono fango e leccano brina / tutti attorno al falò dell’uo-

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Saintes-Maries-de-la-Mer


Ma i modi bruschi che l’avevano tanto trascinato lontano da casa continuavano ad ammaliarlo in odori forti, come il sudore di lei, che lieve trapelava tra i succhi di patata. Il cumino pigmentava lo stufato come pulci. – Puoi mettere su un po’ d’acqua per il tè? – Va bene... “Da che mondo è mondo le donne fanno il tè; e dalle mie parti il caffè, pure.” Eppure lei doveva sentirlo, pensava. Ci son cose che non si possono dire o capire, si possono semmai intuire, come ci si può sperare. Ma il magnetismo statico che attrae due corpi nudi nascosti dai vestiti si può tastare, come un polso, nel tono di voce dei contraenti. Lei e la sua testa china che, se lo guardava, lo guardava negli occhi. Lui che alla presenza di lei veniva colto da una tensione religiosa, che lo riempiva di pace, come se accendesse candele in chiesa da bambino. Non riusciva proprio a fare a meno dell’idea che

mo in divisa. / “Non si spengono fuochi col pianto, mia piccola strega / ma quanto bello sarà soltanto stasera” / Il babbo le leggi dell’uomo lui sì le conosce / e casa è un lembo di terra quanto 2 cosce. / Se la mamma piange è perché è una donna / in fondo lei

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FRANCESCO D. LUCENTI


doveva trovarsi un posto, comportarsi correttamente, non urtare i sentimenti di lei, nonché, fare l’uomo. – Lascia stare faccio io. Al che lei s’irritava dimenandosi come una biscia, farfugliando briciole di frase, e lui veniva. *** Io non parlo con i miei amici. Io guardo le donne degli altri. Con occhi di merda, finti, e ci parlo pure come le tasta il dottore, come un vigliacco burocrate figlio di puttana. «Signora sto solo facendo il mio lavoro...» Ma mi faccia il piacere! E me lo fa il piacere capisce?

Ero uscito per prendere aria, ma pensavo ancora a lei e a quella strana conchiglia di pelo tra le cosce. Quel mostro ingordo e brutale... tanto che a volte ti chiedi se siano in grado di pensare.

che ne sa dove il vento ci porta. / In fondo è meglio ballare che lustrare scarpe, / e i fiori profumano più di un mazzo di carte, / le busse le prendo comunque e non c’entrano i soldi / le strade dell’uomo sono cinte da fossi di sbagli. / Il caldo della coperta, / la

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Saintes-Maries-de-la-Mer


– No. Ogni volta che provano a pensare combinano un gran casino. E se non è lei è un’altra per la puttana! Lasciati andare. Se solo non fossi miope sbaverei dalle palpebre. Grassa, morbida, con due occhi sporgenti che sembra un rospo e un sorriso da ritardata. È la fine del mondo. Una passera che quando sbatte le ali frulla banane. Eppure qui è bellissimo, e io, non son mai stato un marpione. Guarda quanta sabbia... tutti giganti cetacei fallici che s’arenano su spiagge di pelo e s’insabbiano come s’insabbia la merda di gatto, finché mamma non arriva, e svuota la lettiera. O forse no. Torno dentro apro il frigo, chiudo il frigo. Prendo la tazza del tè e la riempio d’acqua. Mi tarpo le ali. No oggi no. Mi siedo sul tavolo, lei è appena uscita dalla doccia, alza gli occhi e mi sorride per un attimo; volta la testa, imbocca le scale. Io le guardo il culo. Se ne va su, c’è un tale che l’aspetta in camera, penso sia il suo ragazzo.

lana è pecora morta. / Le lacrime tentennano agli occhi / come i cavi tesi ai tralicci, / come l’oro ai denti dei vecchi, / come vestiti logori, sporchi, davanti agli specchi. // Spogliati bimba che è tardi per questi giochetti...

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FRANCESCO D. LUCENTI


Francesco Dino Lucenti, Saintes-Maries-de-la-Mer | Trittico letterario | Tecnica mista su carta | 110×170 mm | Da Realmente. Antologia di racconti in presa diretta, Dedalo, Mira 2010. Saintes-Maries-de-la-Mer (lett. “Sante Marie del Mare”): comune francese nel dipartimento delle Bocche del Rodano della regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Il nome attuale risale al 1838. Leggenda vuole che, dopo un lungo periodo alla deriva, Maria Salomé, Maria Jacobé e la loro serva egiziana Sara, approdassero miracolosamente su questi lidi. Le statue delle tre donne si trovano nella chiesa del paese: le due Marie raffigurate sulla barca, mentre a Sara, diventata la patrona dei gitani, è dedicata la statua nella cripta. (N.d.R.)


francesco d. lucenti

La luna nei pesci

Il tugurio tracheotomico del Sacro Cuore. Quel posto dove tristi si accumulano i fantasmi di lattice bianco, lei lavorava lì. Da quando aveva lasciato quello che sarebbe diventato suo marito, non le era rimasto altro che il tempo. “Le caviglie non mi si sono ancora ingrossate” pensava, sorridendo della sua bellezza. Aveva sempre avuto le gambe secche, sin da giovane striate di vene, e un seno modesto che le faceva pensare a una vecchia poesia. Ci Vediamo in Paradiso Tra Le Donne Senza Seno “Già!” pensava appoggiando la testa al finestrino. “Alla fine sono ancora giovane, ho un lavoro...” Era un frigido giovedì di gennaio, le pozzanghere a terra erano lastricate di ghiaccio mentre un campanile batteva le 5 del mattino, troppo presto per chiunque. Il diradarsi della notte non lasciava ancora spazio allo spegnersi dei lampioni e lo sguardo vacillante 28

FRANCESCO D. LUCENTI


degli altri passeggeri del tram, le ricordava le rincasate alle quattro di quando aveva 16 anni. Le porte chiuse piano, le chiavi che non girano e i sospiri profondi che faceva al portone per pulire gli alveoli dall’odore di fumo. Allora, suo padre in poltrona. Dormiva. Entrando in reparto vide la grassa donna bionda delle pulizie e pensò a sua madre. Era un pensiero triste. Sua madre viveva in un paesino sulla costa, circa a un’ora di macchina dal suo appartamento. Si vedevano ogni volta che potevano, e non era raro che il fine settimana lo si passasse a casa della “nonna”, così il bambino poteva giocare in uno spazio più grande di un monolocale. Ciononostante, ogni volta che lasciava casa di sua madre, per quante ore ci avesse passato, aveva sempre l’impressione di aver scordato di dirle le cose più importanti. Carlo, il compagno, non la sopportava, la suocera. “Che stronzo! Solo perché i suoi genitori sono tutti e due morti pensa di potersi arrogare il diritto di soffrire” – “Che colpa ne ho se mia madre è ancora viva?” – “... e io ho voglia di vederla.” In spogliatoio. Quando si tolse le scarpe sentì il pavimento gelato attraverso le calze. Si tolse la gonna. “Ma cosa sto facendo?” Si tirò su la gonna, ma non prima di sbirciarsi il culo nello specchio del lavello, dietro di lei. Non c’era nessuno. “Nessuno può avermi visto” e sorrise. 29

La luna nei pesci


– Che porca. – Le scappò una risata. Si mise il camice, e uscì. Aveva una gran voglia di una sigaretta, così s’avviò all’uscita. Per le scale le tornò alla mente Carlo, e con lui, la violenta litigata della sera prima, dopo la quale lui decise di passare la notte in divano. Il punto attorno a cui verteva la discussione è del tutto irrilevante, sta di fatto che, alla fine, con le guance bagnate strette nel cuscino, lei continuava a ripetersi: “È finita, non c’è la faccio più, basta, è finita”. Come se questo bastasse a rendere palesi i suoi pensieri a lui, e sopratutto, a se stessa. Non aveva di certo deciso di convincersi a mollarlo perché lui la tradiva, era un uomo fedele lui – era lei, si sentiva terrorizzata all’idea che la sua vita, come l’aveva conosciuta fino ad allora, finisse. Non sarebbe mai diventata ballerina, non avrebbe mai amato un nero, lui sarebbe diventato suo marito, sarebbero andati a vivere insieme e tutto il resto – e non riusciva a capire con che forza avrebbe dovuto accettarlo. Era fuori e iniziò a fumare. Dall’interno s’affacciò alla porta a vetri un vecchio in sedia a rotelle, le sorrise e la salutò. Lo conosceva. Lei ricambiò con un sorriso che sembrava una paresi e tirò un’altra boccata dalla sigaretta. Con la cicca tra le dita aprì la porta. Mentre il vecchio usciva, vide il suo rossetto stampato sulla carta giallastra del filtro. Lei sapeva, il vecchio stava per morire. 30

FRANCESCO D. LUCENTI


– Grazie. Prese il cellulare in mano, e scrisse: OGGI PUOI VENIRMI A PRENDERE TU AL LAVORO? TI PREGO. HO BISOGNO DI PARLARTI.

Invio. Mentre il vecchio poco distante si allontanava, finì la sigaretta e la schiacciò con forza nel posacenere, assicurandosi che si spegnesse. Guardò i primi barlumi dell’alba sorridendo. Inspirò forte, come quando aveva sedici anni e, espirando, rientrò nell’ospedale.

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La luna nei pesci


DAMIANO BORTOLATO nasce a Noale (VE) in un’afosa notte dell’agosto 1982. La madre è attrice e regista di teatro amatoriale e gli trasmette nel sangue l’interesse per l’arte. Fin da piccolo mostra una gran passione per il disegno, mentre scopre nel tempo quella per la scrittura. Durante gli studi universitari di scienze politiche passa i weekend e le stagioni estive a lavorare in vari bar e ristoranti “per potersi mantenere” come molti altri universitari. Da lì sviluppa un’acuta capacità di osservazione dei clienti abituali, da cui trae l’ispirazione per descrivere i protagonisti dei suoi racconti, esasperandone i tratti originali. Di lui diceva spesso un amico “il ragazzo parla poco, ma quando lo fa te lo ricordi bene”. Forse per questo preferisce scrivere. Attualmente è impegnato nella stesura delle testimonianze di alcune persone vicine ai malati di Alzheimer, da cui trarrà una raccolta carica di emotività.


damiano bortolato

Donna Cristina e il caffé mai pagato

Sono le cinque in punto. Come ogni tardo pomeriggio prende forma in lontananza, nella canicola dell’estate veneziana, la buffa figura della Signora Cristina. Avanza lenta, i tremori dell’età ne caratterizzano il passo. La attende il solito tavolo, la solita poltroncina, appena fuori di questo bar in campo. Ha lo sguardo pensieroso, sembra turbata. Mostra un’espressione goffa e il volto di gomma incerato. Non lascia spazio a introduzioni di rito, si accomoda ed ordina il suo caffè, unico fedele compagno dei suoi pomeriggi in tempo di vecchiaia. Osservandola giorno per giorno, sono divenuto un profondo conoscitore della routine dell’anziana signora, tutta agghindata e truccata come una bambola stile liberty in mostra sul largo plateatico. Alcuni dicono sia sorda, altri che sia pazza, è pur vero che di tanto in tanto mi accenna un sorriso storto, torcendo il collo malandato, mantenendo lo sguardo nel vuoto. Poco tempo fa, incastonata sulla sua poltroncina come la murrina sta al pendaglio del suo collo, esordì in un memorabile convivio. 33

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– Signore! Signore!! Signore mi scusi, ma come si chiama lei, Signore? – con voce stridula e un tono fuori luogo, da far voltare tutti i passanti. Le risposi cortesemente: – Damiano. – Come? Gianmarco? – sorrise compiaciuta, sicura di aver intuito quel nome che, con molta probabilità, era tutta una sua convinzione. – No, Signora Cristina, Damiano – precisai sorridendole teneramente. – Eh? Gianmarco! Gianmarco!! – ribatté convinta. – No, DA-MIA-NO! Se fosse stata veramente sorda, questa volta sarebbe stato impossibile non leggere almeno il mio labiale ben scandito. – Gianmarco, non capisco il suo nome sa, credo proprio che me lo dovrà far avere per iscritto – concluse. Ero stupefatto dalla serietà del suo volto, dalla sfrontata convinzione di essere nel giusto e dal tono oltremodo riprovevole nei miei confronti. Tuttavia non potevo far altro che riderci su, tra me e me, ricordare un episodio divertente da raccontare a casa, in famiglia e agli amici. Lasciai dunque il caffè sul tavolino e ritirai la precisa somma di 1,50 euro, appositamente preparati, già prima di uscire di casa, dalla Signora Cristina. Metodica, il pagamento del caffè è un rito giornaliero che dura interminabili secondi. Dopo aver rovistato nella borsetta, pressoché vuota, estrae un borsellino altrettanto agghindato di perle e ori veneziani. Il 34

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conteggio di un euro e cinquanta centesimi prevede lo scarto delle monete più piccole, ad una ad una, per non restare con troppo peso a braccetto. So bene di dovermi armare di pazienza, rispettare il rito quotidiano. – Bene bene! Ho pagato! Così sono libera adesso, sto seduta qua tranquilla! – Certo Cristina! Ogni volta che entro ed esco dal bar, la brezza veneziana delle sei, che prima dell’arrivo di Cristina rinfrescava i clienti nella quiete del campo, ora inebria fino al disgusto i presenti, perché non passa giorno che Cristina non imbeva letteralmente il vestito lilla d’un profumo fruttato tanto dolce quanto nauseante. Lei se ne sta lì, alla sinistra dell’entrata e, puntualmente, non lascia scorrere più di sette minuti primi per pormi il quesito fatidico. – Signore! Signore mi scusi sa, ma devo pagarle il caffè! – No Cristina, ha già pagato. – Ah si? Ero convinta di no, desolata. Le lancette del grande orologio bianco, appeso al lungo trave, sopra il bancone, si spostano di pochi altri minuti, scandiscono le gocce di sudore nella calura, si mescolano al brusio del ventilatore. Le campane della chiesa qui di fronte sono pronte a chiamar a raccolta i credenti, ma Cristina è ancora vittima dei suoi vuoti. – Signore, mi scusi, devo pagarle il caffè! – Cristina, lo ha già pagato, non ricorda? 35

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– Sul serio? Guardi che non è possibile, non lo ricordo proprio sa. Inutile darle spiegazioni, perché di lì a poco, Cristina ripeterà ancora una volta il dubbio di ogni pomeriggio. – Ho pagato? – Certo Cristina, può andare tranquillamente, la aspettiamo domani. Irrompe il frastuono delle campane che copre il vocio nel plateatico, delle conversazioni tra la gente restano gesti e risa mute. È l’ora della messa. Cristina solleva il peso della vita a fatica, dondola un po’ sui tacchi rossi fino a ristabilirsi in equilibrio, afferra la borsetta dorata, estrae il fazzolettino di seta verde e lo passa sul viso, imbrattandolo di fondotinta, rimmel e sudore. Se ne va mestamente, saluta a stento, la aspettano la benedizione delle 18 e 30, altri spiccioli da lasciare per l’elemosina, e quel che le resta in tasca per tornare a prendere il suo caffè. Da Gianmarco, il giorno dopo.

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LEONARDO SALVATORE AMATI dice: «Si sta come la carne sul palo del kebab. Ormai i social network ci impongono di parlare in terza persona, quindi: a Leonardo Amati piace Leonardo Amati, Leonardo Amati tagga Leonardo Amati, Leonardo Amati passa il link a Leonardo Amati, mi porto come portachiavi il centro “socievole” Dedalo, quindi ho in tasca anche i pesci».


leonardo s. amati

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Il viaggio sarà lungo e l’arrivo sarà tosto, quindi vi do dei consigli di lettura per capirne appieno il tragitto. Il turpiloquio è essenziale, l’uso di bestemmie anche: non potendole scrivere ci divertiremo a scoprirle con anagrammi e giochetti di parole come ENACOID, D!o P***O. Tutto ciò è davvero essenziale ai fini della storia perché non viviamo nel bon ton e una parolaccia a volte è meglio di mille perifrasi. I nostri eroi saranno Lollo “Para”, Moser “Guru”, Kong.

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1. Non finisce Partiamo che è tardi poi porca troia hanno chiuso il casello di A. e da dove cazzo entriamo ci conviene da Padova? Sì perché dobbiamo andare allo svincolo di Bologna, allora 2 ore per Bologna-autogrill-caffè-pisciatamostruosa-marcia... poi vedremo... è tardi, muoviamoci la Trinacria è lontana abbestia. – Oh Lollo ma quando arriviamo? – Che domande fai D10 P***O Kong vuoi capire che siamo ancora in Toscana mancano minimo 8 ore?! – Cosa?! – Sì anzi, fermiamoci in quell’autogrill dove quand’ero al liceo ho perso il portafoglio, non si sa mai. Comunque pisciamo, mangiamo e facciamo benza, madonnadiddio quanto costa sta benzina. – Oh i soldi per la colletta me li date quando arriviamo in Sicilia. Svegliati Guru (Moser), ma è possibile che dormi sempre? Guarda che tocca a te guidare hai capito? Oooh! Il buon Guru sbadiglia, si accende una sigaretta catramosa delle sue. – Dove siamo? quanto manca? avete cartine? – No. 40

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– No. Clunk! – Aaaaaaaah che stanchezza! Giro la chiave scendo dalla “Fusberta” (utilitaria italiana, colore verde metallizzato – verde merdtal – macchina di proprietà dei miei genitori) mi sgranchisco le gambe e rutto con vigore. – Dai scendiamo ENACOID dobbiamo muoverci! Prima arriviamo a Salerno e prima abbiamo la possibilità di imbarcarci all’una di notte verso Messina. Qui nessuno ha voglia di farsi la Salerno-Reggio Calabria. Guru e Kong scendono pieni di sonno.

Primo iter degli eroi Lobotomia di ogni autogrill: caffè, anzi scontrino alla cassa, caffè come sempre da parte delle povere formiche super veloci dell’autogrill vestite in divisa rossa, poi piscio e ennesimo giro come fossimo in un museo dei prodotti tipici della regione di quell’autogrill. Quindi eravamo in toscana, fatevi 2 conti: oltre alle troiate, alla cioccolata, alle patatine in formato king size ci sono i simboli toscani: salame al cinghiale e non ricordo più che, comunque toscana – fanculo quanto co41

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stano ma chi li prende poi, forse chi è in ritardo per un regalo, boh sembrano pieni di polifosfato. Superata la prima parte “vettovaglie” dove il Guru prende biscotti per schimicare (fame chimica) e Kong i Rodeo, ci catapultiamo sui giornali porno. Ci va male, davvero male: niente fighe di playboy ma ’na roba tipo TRANSilvania, orribile! – Bip bip – la cassa. – Cough cough – la tosse di Guru. – Un pacco di Esportazione e cartine lunghe... – sorriso del cassiere. Usciamo, il freddo ci fa lacrimare e ingobbiti ci avviciniamo alla macchina, le porte si aprono e si chiudono con un rumore da argano, la chiave gira. Il Kong comincia a cercare nelle tasche del giubbotto in maniera eloquente. – Aspetta non fare su la clava adesso, dobbiamo fare benzina, ci sgamano. Risposta di Kong: – Che cazzo dici ODI NCA. L’aveva già girata, dritta e snella. Il Guru imparanoiato: – Aspetta un secondo almeno allontaniamoci dal distributore altrimenti booom. La macchina si muove e si ferma davanti alla colonna verde, benzina verde. 42

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– Quanto faccio? – il benzinaio toscano. – Pieno – come in un coro di frocetti.

Secondo iter degli eroi Portafoglio: / 50 beuri / portafoglio mio quasi vuoto / 50 beuri nel portafoglio del benzinaio / 50 beuri non più miei ma persi in un portafoglio imbottito fino a scoppiare del benzinaio Cazzo costa davvero troppo. – Arrivederci – in toscano. – Arrivederci – in interlang veneziano. Il Kong comincia a fumare, fumo denso aroma inconfutabile (?): fumaccio del cazzo preso dal Maghreb. Colpo di tosse, fa cadere la cenere dal finestrino. – Facciamo un gioco, adesso contiamo quante icone di Padre Pio troviamo sui camion – dice Kong. Il Guru risponde ridendo: – Ne troveremo a centinaia sia sui camion sia attaccate sul cruscotto delle macchine, cazzo è più presente in autostrada Padre Pio che la Polizia. 43

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Kong mi passa la clava. Uuuuush uuuuuuush, il fumo entra nei miei polmoni, sta da 1 secondo e mezzo a 2 secondi, esce dalla mia bocca, staziona in macchina, poi via. – Ma non dovevo guidare io? – chiede il Guru. – Sì D10 M====E – bestemmiamo sia io che il Kong. Perché la Sicilia? Perché in macchina piuttosto che in treno? Neon, altoparlanti, cartelloni. La macchina continua nella corsia di destra superando la Toscana.

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2. Corsa contro il tempo Lollo: – Oh sono stufo di guidare, stufo porca troia. Se non fosse per il fatto che se arriviamo dopo l’una di notte non riusciamo a prendere la nave a Salerno sono, torno a ripetere, cazzi luridi, torno a ripetere: luridi. Dovremo superare la Salerno-Reggio Calabria: non è una strada, è un inferno è un cantiere sempre aperto, operai in mezzo alla strada massima velocità dai 40 agli 80 per fare 400 km, la strada è ghiacciata anche d’estate, se troviamo un camion che ci fa da tappo non arriviamo più, crepe sulla strada, non ci sono autogrill e pochissime zone S.O.S. quindi è davvero meglio se prendiamo la nave a Salerno. Kong: – Allora perché vai così lento? Lollo: – Perché è il massimo che posso fare! Guru: – Chi va piano... Coro: – D+ò l°°°o Divertente (risate finte da telefilm). I 3 protagonisti macinano ancora strada e strada superando il Lazio. Arrivano in Ciociaria (provincia del Lazio). Autogrill, benzina, cibo, fumo, fumo, Arbre Magique → http://www.arbremagique.it Guru: – Sono le sei del pomeriggio quanto cazzo ci metteremo ad arrivare a Salerno? 45

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Kong: – Troppo credimi davvero troppo, io ora non ho voglia di guidare e poi perché cazzo avete preso l’Arbre Magique al cocco, vi avevo detto felce africana cazzo adesso vomiteremo tutto tutto che merda. E poi dove cazzo è Lollo ocroPoiD, già siamo in ritardo. Dammi da accendere! Guru: – Non ce l’ho cazzo! Non potevi comprartelo prima? Kong: – Scusi ha da accendere? (nessuna risposta) Kong: – Scusi... (nessuna risposta) Nel frattempo Lollo va in bagno, bagno particolare, particolarmente lugubre e staccato dalla parte bar-ristorante. L’odore che emana è ovviamente di piscio, si sente in maniera chiara e bella pungente con un leggero retrogusto di detergente che tutti noi associamo all’odore dei bagni della scuola o della mensa scolastica. Lollo entra saluta la signora che pulisce i bagni con un 1-2-3 velocissimo: salve-salve-moneta sul cestino delle offerte. Lollo la dà sempre. Il bagno è vuoto un neon è rotto. Lollo: – Dove sono i cessi per pisciare in piedi? Ah eccoli! Pisssssssssssssss pis pissssssssssssssss

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Fa così freddo che mentre piscia esce fumo come se fosse in mezzo alla neve. Nel frattempo si avvicina un personaggio, descriverlo è difficile, diciamo che ha i classici vestiti da maniaco: cappello di lana, impermeabile, faccia da alienato e si mette a pisciare accanto a Lollo. Maniaco: – Uhllallà... – mostrando il cazzetto che si ritrova. Lollo “il disgustato”: – Eh? Che cazzo vuoi? Maniaco: – Uhllallà... Lollo si tira su la cerniera in velocità quasi stroncandosi il cazzo sulla zip. Un po’ di paura gli taglia la testa: – Che cazzo faccio? – Uhllallà... – il pazzo puzza, puzza da vomitare e comincia a smanettarsi – Uhllallà... Lollo: – Boia D%(). /* pausa / Lo so Lollo non sta rischiando la vita ma provate a pensarvi voi con una luce al neon a intermittenza in un bagno lugubre con un cazzo di maniaco con il cazzo in mano che vuole chissà cosa e ripete in loop Uhllallà. Ci sono 2 vie di pensiero forse anche 3, a voi la scelta: 1. picchiare 2. scappare 3. concedersi 47

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1. Lollo accecato dalla rabbia e non potendo più sopportare quell’immagine orrenda tira un calcio sulle palle al maniaco che all’improvviso si inginocchia smettendo il suo Uhllallà. Calci a volontà dove prende prende, suoni sordi Tump Tump Tump Crock, ancora calci, il maniaco comincia a sporcare il pavimento pieno di piscio con sangue Tump Tump “ahia basta! basta!”. Lollo è ormai lanciato, continua a calciare come se si fosse bloccato il tasto in un videogioco. Lollo ormai è lanciato nel suo raptus di violenza le mani gli prudono prende la testa livida del maniaco la mette in mezzo alla porta e la chiude molte volte di seguito con violenza Sbam! Sbam! Sbam! Il maniaco sviene. Lollo vince. Sigaretta accesa. 2. (io scelgo scappare perché è andata così...) Lollo fissa l’uscita la donna delle pulizie non c’è, fa un doppio passo come se fosse un calciatore, scappa senza guadarsi indietro, si ferma soltanto quando non sente più Uhllallà. 3. Pompino come nel peggior film porno. (Disgustoso) /* fine pausa/ Uscendo quasi inciampa ma raggiunge gli altri alla macchina.

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Lollo: – Dio Bas12340 non avete idea di quello che mi è successo! Racconta tutto. – Ahahahahahha! (Risate) Kong: – Dai dammi da accendere, dai che faccio su in macchina. In marcia di nuovo, ora guida Kong. Prossima fermata si spera in orario preciso a Salerno.

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3. Come non detto È l’una di notte e siamo ancora a 100 km da Salerno. Davvero, come se fossimo un coro di professionisti, partono le bestemmie. Coro: – E adesso Salerno-Reggio Calabria! Non arriveremo mai in tempo per prendere la nave, sarà già partita. Quindi freccia a destra si comincia. Rapporto: / / / / / / /

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subito viabilità interrotta ore ad aspettare lavori in corso è notte le luci dei lavori in corso sono alienanti sonno siamo in coda dietro a un camion che fa i 40 Km/h e scodinzola come se volesse sganciarci il suo carico addosso buche clacson perché andiamo troppo lenti passano 2 ore e abbiamo fatto 100 km cambio di carreggiata in direzione Reggio Calabria riduzione di carreggiata a causa di lavori in corso cambio di carreggiata

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cambio di carreggiata cambio di carreggiata cambio di carreggiata cambio di carreggiata rallentamento cambio di carreggiata riduzione di carreggiata a causa di lavori in corso buche viabilità interrotta cambio di carreggiata cambio di carreggiata cambio di carreggiata cambio di carreggiata cambio di carreggiata cambio di carreggiata clacson perché andiamo troppo lenti voglia di pisciare ma non ci si può fermare clacson perché andiamo troppo lenti sigaretta asfalto luci alienanti rallentamento riduzione di carreggiata a causa di lavori in corso riduzione di carreggiata a causa di lavori in corso si sale ancora km si scende

È mattina: ricorda se prendi la Salerno-Reggio Calabria di notte la finisci di giorno e viceversa. 51

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stanchezza ora stiamo scendendo verso il mare stanchezza cambio di carreggiata semaforo il camion è ancora davanti a noi

Si vede la Sicilia dall’alto, davvero cazzo! Però è ancora così lontana... / niente autogrill / sigarette finite Siamo quasi arrivati a Villa San Giovanni da dove poi prenderemo il ferry-boat verso Messina. / bestemmie / bestemmie / ancora bestemmie Ci siamo, siamo a villa San Giovanni. 2 ore per imbarcarci. Entriamo dentro la pancia della nave, odore di ferro e gasolio, la sensazione è di essere in un sottomarino, saliamo a bere un caffè, ci sporgiamo a vedere il profondissimo mare, siamo esattamente in mezzo tra il “continente” e la Sicilia. 52

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Il mare è blu notte la nave fa schiuma bianca, si vede da lontano una croce al neon. Ăˆ la nostra meta.

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4. Batman – Un arancino. – Anche per me. – Arancino e birra Messina. I 3 avventurieri mangiano sopra la nave, precisamente sulla Filomena Matacena, nave ferrosa. Kong: – Ma secondo voi il ponte si farà qui? Moser: – Il premier ha molta voglia di andare nei libri di scuola quindi sembrerebbe di sì ma non ne sono convinto però boh, ho sentito che anche se lo costruissero andrebbe a troie comunque per le forti correnti. Lollo: – Voi vi ricordate quanto ci abbiamo messo per arrivare qui? Vi ricordate che incubo è la strada che abbiamo affrontato per arrivare qui, com’è la Salerno-Reggio Calabria? Una merda, quindi secondo me prima di porsi il problema di costruire il ponte per poi metterci 5 minuti per attraversare lo stretto dovrebbero aggiustare per sempre la strada per arrivare qui, io non posso metterci una vita per superare quell’inferno di strada! Che cazzo serve adesso il ponte, che aggiustino prima la strada, che facciano arrivare i treni in orario prima, d1? B%ia! Clunk scaraaark tump tump – Yeeeeeeeeeeeeah! La nave è arrivata, il rumore metallico non mente mai. 54

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Davanti a noi un muro, la Sicilia. Tutti come in una scatoletta, le automobili accendono i motori, la pancia della nave rimbomba come se avesse mal di pancia, brum! brum! si scivola ssssssskkkkkkkh! Le macchine cominciano ad uscire. – Che bello. – Sì è bellissimo Lollo. – Sentite che aria. – Non è umidità del cazzo come da noi. La città sembra non avere regole autostradali, una giungla davvero, ci sono anche le palme altissime, comunque un’altra volta casello, autostrada... Lollo: – Ragazzi siamo quasi arrivati. Kong: – Già. Freccia a destra: si esce dall’autostrada. La strada si assottiglia, le macchine parcheggiate a destra e a sinistra della strada danno davvero tanti problemi al transito ma va bene così. Sorrisi nostri. Sorrisi davvero. Freccia a sinistra, passaggio a livello, salita, curve, Lourdes 2, semaforo BENVENUTI A *** 55

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*** è un comune di 3.691 abitanti della provincia di Messina a circa 30 km dal capoluogo, sorge in una zona litorale collinare. *** sorge sul versante tirrenico dei monti Peloritani a 310 metri sul livello del mare con circa 400 abitanti a 4 km dalla Strada Statale 113, lungo la Provinciale V. Marina - Rometta Superiore. ***, invece, è la parte litorale del comune con circa 4000 abitanti. *** Circondata da distese campagne, si presenta con le sue vie strette e tortuose, fiancheggiate da case moderne, con i suoi vicoli scoscesi, dove affiorano lontane immagini della *** dei secoli passati. Verso NordOvest, è di scena Milazzo di cui *** fu già territorio, col suo imponente castello, col suo mare smeraldo e con lo sfondo lontano delle Isole Eolie.

(Questo l’ho rubato da internet ma era troppo divertente!) Comunque: Lollo: – Siamo arrivati davvero adesso pausa e basta. Kong: – Io vorrei lavarmi, ma prima granita no? Guru: – E vedi ti casso!

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La macchina si ferma davanti al bar passando davanti a una chiesa, una delle tante. Tutti e tre: – Granita caffè. – Ecco. – Quanto devo? – dice Kong. – Niente niente benvenuti – dice il barista. Kong: – Allora un pacchetto di... di... di... voglio darmi un tono... Oggi Winston blu – (perché poi?) La macchina rimane lì. Camminiamo.

Tour del paese Da dove cominciare, ci sono 7 chiese per 600 abitanti, tutte fatte ristrutturare dal sacerdote che chiameremo Batman, in quanto nel campanile di una di queste chiese, precisamente nel campanile della seconda piazza a sinistra Batman ha il suo garage, il portone si alza e si abbassa con i prodigi della tecnica più avanzati. Nelle vie del paese Batman ha fatto installare degli altoparlanti che sparano messe e preghiere di continuo, se voi foste là in questo momento stareste sentendo qualche Ave o Maria o Padre nostro. Camminare per il paese con una birra si può quasi fare, ma vagare con un cannone in mano mai... Batman ti fissa, sa tutto di te, davvero tutto; se non ti 57

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comporti bene o non vai a messa Batman ti sputtanerà davanti a tutti i fedeli la domenica in una delle 7 chiese. Quindi nessun ragazzo potrà dire “non voglio più fare il chierichetto” in quanto oltre allo sputtanamento il povero ragazzo chierichetto riceverà da Batman maledizioni, le riceverà davvero ed è statisticamente provato che andranno a buon fine. Ad esempio chierichetto X non voleva più saperne di chiese, incensi e croci al neon quindi decide di vivere la sua vita, Batman gli augura di cadere dal motorino e così è stato. Altro esempio, ditta edile X è in ritardo con i lavori di ristrutturazione di una delle 7 chiese, Batman si arrabbia e augura il fallimento della ditta sopra citata, e porca troia se è vero la ditta fallisce. (Gli esempi non finirebbero sicuramente qua ma sono un pizzichino superstizioso e quindi preferisco per la mia incolumità non soffermarmi troppo sulle maledizioni. N.d.A.) Batman comunque lavora come se fosse il gestore-direttore artistico delle chiese, in quanto si prende il privilegio di organizzarci dentro mostre con tanto di spumante e concerti d’organo puntualmente deserti. Batman come detto prima è il dj dei megafoni potentissimi che sparano preghiere di continuo per il paese: preghiere, omelie ancora preghiere e poi preghiere e prediche, le preghiere spesso vengono anche dette dai bambini. La voce dei megafoni riecheggia così tanto da sentirsi anche nei paesi limitrofi, ovviamente non scherzo. Ripeto: se voi foste là in 58

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questo momento stareste ascoltando qualche Ave o Maria o qualche Padre nostro. Un’altra cosa importante: le campane del paese. Per ovvi motivi ce ne sono tantissime (fatevi due conti per 7 chiese), e poi c’è un gruppetto di campane unite in un porta campane non so come descriverlo, nel senso è come se fosse un pianoforte di campane che fa le canzoncine, comunque quello che ci interessa è che ogni quarto d’ora le campane bombardano il paese, anche di notte. Qui di seguito chiari esempi: 01:00 01:15 12:00 12:15 12:30

l’una (1 rintocco) l’una e un quarto (1 più 1 di suono diverso) mezzogiorno (12 rintocchi) mezzogiorno e un quarto (12 rintocchi più 1 di suono diverso) mezzogiorno e mezzo (12 rintocchi più 2 di suono diverso)

Secondo voi all’una meno un quarto o a mezzanotte e 3 quarti quanti rintocchi di campane bombarderanno il paese? Rispondetemi via mail. Ah sì, Batman non so con quali soldi o meglio lo potete immaginare ha fatto costruire una rivisitazione della famosissima Lourdes con tanto di Madonna (ribattezzeremo questa rivisitazione come Lourdes 2) costruita mattone per mattone anzi pietra scolpita a mano per pietra scolpita a mano in quanto l’enorme luogo di culto è costruito interamente a secco. 59

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Dunque all’interno di Lourdes 2 troviamo sacro e profano: a proteggere il castello 2 leoni ferocissimi di pietra che stringono tra i denti una catena per non fare entrare le automobili, grrrrr, appena entriamo troviamo moltissime statue e busti di personaggi storici e religiosi: accanto a un enorme Gesù dalle braccia aperte troviamo un’imperiosa statua della libertà (esatto, quella di NY). Comunque perché costruire Lourdes 2? Voci di corridoio dicono che presto avverrà il miracolo, così tutti andranno a Lourdes 2 dove il tizio o tizia vecchio o vecchia bambino o bambina sono stati miracolati. Sappiamo benissimo quale sarà il vero miracolo: dare posti di lavoro. L’intero paese è tappezzato da cartelli molto intimidatori che servono a rinvigorire i fedeli: “Vai a messa” oppure davanti al bar: “Non bestemmiare usa un linguaggio pulito” oppure: “Una domenica senza eucaristia è una domenica senza VITA”, “Prega”, “W l’arcivescovo”, “W il Papa”. Ce ne sono tantissimi e soprattutto in punti ben studiati, quasi strategici. La croce al neon illumina a giorno e protegge tutti i fedeli da Satana, ovvero dai turisti, i megafoni urlano che i turisti sono il serbatoio del demonio quindi deve essere così. L’oratorio non ha nessuna funzione, se vuoi giocare a calcetto balilla non puoi, a biliardo non puoi perché si fa troppa confusione. Durante le messe c’è una sorta di tariffario per le 60

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offerte sia nel prezzo minimo, sia nel cosa regalare alla parrocchia. Batman bussa: “Gesù ha bisogno di un candelabro d’oro, signora X” e la signora X dovrà comprarlo se non vorrà essere sputtanata a messa e maledetta per il resto della sua vita. Il castello tardo-medievale sta cadendo a pezzi, meglio rimodernare le chiese. La cresima è più importante della laurea. Ce ne sarebbe ancora tanto da scrivere... nonostante ciò il paese è abitato da gente meravigliosa. E i nostri eroi? Verranno svegliati tutte le notti dal bombardamento delle campane e dagli altoparlanti urlanti. Dong dong dong dong dong dong...

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Indice

Prefazione

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Il solito caffé lungo senza zucchero

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Sguardi dal cappello

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Saintes-Maries-de-la-Mer

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La luna nei pesci

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Donna Cristina e il caffé mai pagato

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I testi di questo libro sono composti in Meta (corpo 10 su 13 pt), carattere progettato dal type designer tedesco Erik Spiekermann alla fine degli anni ’80. Commissionato dalla Deutsche Bundespost (Poste della Germania Ovest), il Meta non venne mai utilizzato per il suo scopo originario, e fu pubblicato solo nel 1991. Riscosse però da subito un grande successo tanto da meritarsi il soprannome di «Helvetica degli anni ’90» (carattere al quale si pone programmaticamente in antitesi). Dello stesso type designer è l’Officina Serif utilizzato per i titoli. Prodotto a partire dal 1990 assieme al fratello “senza grazie” (Officina Sans) è una delle più riuscite rivisitazioni contemporanee degli ottocenteschi «slab serif» a grazie raccordate. Gli «slab serif» (o «egiziani», perché di moda all’epoca della campagna napoleonica in Egitto), come gli «ultra-Bodoni» e i primi «bastoni» nacquero tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento per soddisfare le esigenze della nascente pubblicità commerciale, la quale necessitava di caratteri forti, decisi, incisivi.


L’universitario “esistenzialista” che si riflette nei gesti e nei discorsi dei propri compagni. L’artista di strada che assiste allo spettacolo dei propri spettatori. Lo scrittore dall’ego un po’ troppo ingombrante impegnato in elucubrazioni erotico-alcoliche. Lo studente-barista alle prese con la realtà distorta di una tenera anziana signora. Il figlio di immigrati meridionali alle prese con il reportage epico-surreale di un viaggio “verso Sud”. Cinque racconti in presa diretta.

Iniziativa realizzata con il contributo della Regione Veneto Assessorato alle politiche sociali, Volontariato e No-Profit Regione Veneto


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