17 agosto Sa Conca Manna - Locoli (Sardegna) S.M. 45 anni, mentre risaliva a circa 600 metri dall’ingresso, era colpito da un sasso staccatosi dalla roccia. A seguito di ciò l’infortunato lamentava forti dolori a un braccio e a una gamba.
Veniva subito allertata l’8° Zona che, considerata la complessità del recupero a causa delle difficoltà della grotta, faceva intervenire anche Tecnici da altre Delegazioni: Umbria, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia. Raggiunto il ferito veniva medicato e ben riparato dal freddo, mentre si controllavano i tratti
sifonanti della grotta e una strettoia che doveva necessariamente essere allargata. Erano inoltre allertati anche Vigili del Fuoco e squadre del Soccorso Alpino. Alle ore 20 iniziava il recupero, dopo 2 ore era raggiunta la zona di disostruzione, superata la quale si giungeva al tratto sifonante. Il recupero proseguiva
utilizzando canotti per superare i 2 laghi e, alla base del salone d’ingresso, veniva allestita una teleferica che portava l’infortunato all’esterno. Alle ore 5 la barella con il ferito era all’esterno e veniva trasportata al Punto Medico e, dopo i relativi controlli, il 118 provvedeva al trasporto in ospedale.
Aprile 1966 al Buco del Castello I 50 anni di quel tragico evento ricordati da un protagonista Il Buco del Castello fu scoperto nel 1956 da speleologi lombardi, nel 1966 l’esplorazione era ferma a circa -300 metri in corrispondenza di una strettoia. Nel marzo di quello stesso anno il Gruppo Speleologico Bolognese organizza un paio di discese con colleghi di Varese; viene sceso il P. 82 e i tre salti successivi, la portata del torrente è modesta e non preoccupa. In aprile la temperatura esterna è ancora molto rigida e la neve abbondante, condizioni meteo che permettono di sfruttare il ponte del 25 aprile per continuare l’esplorazione e recuperare il materiale. Entriamo in grotta in sette del GSB, di cui quattro (Giancarlo Zuffa, Nino Lenzi, Giordano Canducci, Lelo Pavanello) scenderemo il P.82, gli altri (Sergio Orsini, Walter Tassinari, Giangaspare Zuffa) resteranno in cima per aiutarci poi nel recupero dei numerosi sacchi di materiale. Dopo aver esplorato una nuova diramazione che immette nella parte attiva della grotta, iniziamo la risalita recuperando tutto il materiale sino alla base del P. 82, e qui ci aspetta una sorpresa: il pozzo è invaso da una cascata d’acqua che impedisce la risalita,
infatti, le scale sono proprio sotto il getto. Sapremo poi che il grande aumento della quantità d’acqua era stato causato da una sciroccata che aveva disciolto la neve alimentando così il corso sotterraneo. E’ domenica sera, studiamo la situazione sistemandoci in una saletta laterale più asciutta, in quanto fuori dal vortice di aria fredda provocato dall’acqua. Il fragore della cascata non permette nessuna comunicazione con i compagni in cima al pozzo i quali, accorgendosi della piena e non vedendoci risalire, decidono di uscire e avvisare una squadra di Soccorso a Bologna, struttura organizzativa che era stata istituita appena un mese prima. Nella giornata di lunedì parte la prima squadra che, raggiunta la cavità, viene messa al corrente della situazione e fa il piano di intervento. Nella mattina di martedì, Luigi Donini e Carlo Pelagalli entrano con il compito di raggiungere il P. 82 per cercare di avvisare i bloccati dell’arrivo dei soccorsi e attendere gli altri soccorritori. Purtroppo i due decidono di tentare la discesa, ma la cascata li travolgere e li fa precipitare alla base del salto dove assistiamo
allibiti alla tragedia. Finalmente nella serata di mercoledì, il torinese Gianni Ribaldone, dopo aver cambiato la posizione delle scale, riesce a scendere il pozzo e a farci calare i sacchi con viveri e indumenti asciutti. Gianni si rende conto della grave condizione dei feriti, e quindi risale per riportare la situazione all’esterno, dove ignoravano ancora della caduta dei due. Il giorno seguente (giovedì) scende il triestino Mario Gherbaz con il cavo del telefono e un sacco di medicinali. Grazie a questo intervento riusciamo a collegarci con il medico all’esterno, che ci dà indicazioni per medicare i feriti; Carlo non riprende conoscenza, mentre Gigi migliora. Frattanto Gherbaz risale per controllare il cavo telefonico. Venerdì scende nuovamente Ribaldone con il sacco portaferiti Gramminger. Ma Pelagalli, mente cerchiamo di imbragarlo nel Gramminger, ci muore fra le nostre braccia. Ribaldone si carica allora sulle spalle Donini e insieme vengono recuperati sul P. 82. Lì un paio di medici si prodigano a rianimarlo, purtroppo però anche Donini morirà il giorno seguente a causa di un blocco renale. Nella stessa giornata risaliamo anche noi, tutto sommato in buona salute. Questi i fatti accaduti, che devono farci pensare a un periodo in cui l’organizzazione del soccorso non era certo paragonabile a quella di oggi. Da allora sono trascorsi 50 anni e il Soccorso Speleologico è progredito sotto ogni aspetto, come dimostrano le decine di interventi effettuati non solo in Italia. Il quel caso anche la sfortuna ha giocato la sua parte, ma ciò che rimane è che due amici sono morti mentre cercavano di aiutare chi si trovava in difficoltà, e per questo meritano tutto il nostro rispetto.
Lelo PAVANELLO Q
Speleologia 74 giugno 2016
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