Dark Heaven - Il bacio proibito Primo capitolo

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«PANDORA»

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Della stessa autrice (anche in ebook) Dark Heaven – La carezza dell’angelo Dark Heaven – L’abbraccio dell’angelo

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Bianca leoni capello

dark heaven il bacio proibito

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dark heaven – il bacio proibito Proprietà Letteraria Riservata © 2014 Sperling & Kupfer Editori S.p.A. ISBN 978-88-200-5681-0 86-I-14

Realizzazione editoriale a cura di Studio Dispari. La citazione di Stephen King è tratta da Il miglio verde, traduzione di Tullio Dobner, Sperling & Kupfer, Milano 2009; la citazione di Emily Dickinson è tratta da Tutte le poesie, traduzione di Margherita Guidacci, a cura di Massimo Bacigalupo, Mondadori, Milano 1977.

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A chi non teme i muri perchĂŠ sa di poterli abbattere.

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«Il tempo si prende tutto, che tu lo voglia o no. Il tempo si prende tutto, il tempo lo porta via, e alla fine c’è solo oscurità. Talvolta incontriamo altri in quella oscurità e talvolta li perdiamo di nuovo là dentro.» Stephen King

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Prologo

Il marmo dei pavimenti amplifica il rumore dei miei passi, trasformandoli in colpi sonori e duri; ogni passo una lama che affonda nel profondo, nell’anima. Posso essermi sbagliato sulla cosa cui tenevo di più al mondo? Se davvero fosse così, tutto si rivelerebbe solo un bluff e il mio posto sarebbe proprio dove mi vuole Amelia. Accanto a lei, immerso nell’Oscurità. Di nuovo e per sempre. A mano a mano che mi avvicino al salone, l’illuminazione si fa più intensa e grappoli di persone animano lo spazio. Mi sembrano personaggi di un videogioco che appaiono e scompaiono, ombre che la collera rende indistinte. La musica martellante fa vibrare le pareti e l’ingresso al salone è gremito di maschere: zombie, maghi e vampiri sono le più frequenti. Il sangue finto adorna i loro ghigni presuntuosi. Mi faccio largo in mezzo a un gruppo di streghe; i loro abiti lunghi e fluttuanti mi sfiorano. «Signore della Morte, che ne dici, facciamo un sabba?» mi apostrofa una, trattenendomi per il mantello. Risate e altri tentativi di fermarmi, mani che si allungano, sussurri 1

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languidi. Il mio sguardo di fuoco è sufficiente a farle arretrare impaurite. In pista, avanzare si fa più complicato, pesto piedi e mi impiglio in mantelli, ma procedo comunque. «Ehi, Damien, non ti fermi a fare due salti con noi?» Giorgia, con il suo vestito inguinale da diavolessa. «Non ora», le rispondo senza rallentare. Sbuffa. «Sempre il solito.» Non mi prendo la briga di risponderle. Voglio solo andarmene da questo luogo maledetto. Arrivo quasi alla fine del salone, dove mi accorgo che si è formato un capannello di persone. Un presentimento mi fa avanzare in quella direzione, sgomitando per giungere davanti. Mi fermo, incredulo, mentre le pulsazioni subiscono una potente accelerata. Mormorii di sorpresa accompagnano la scena: di fronte a me due ragazze dai capelli rossi e l’abito ottocentesco verde bottiglia. Lo stesso pallore, gli stessi ricci selvaggi, le stesse labbra piene. Identiche. Virginia e il suo doppio si fronteggiano, il corpo che vibra di rabbia, i pugni stretti a sbiancare le nocche. Una il riflesso dell’altra. «Virginia», chiamo, senza sapere quale delle due sia quella giusta. Si voltano entrambe e mi rivolgono il medesimo sguardo di disperata passione, uno schiaffo che mi fa sciogliere il cuore. Una delle due è la vera Virginia, lo so, mentre l’altra è Amelia. Il pensiero è immediato e frenetico: devo riconoscerle, devo sapere chi è l’una e chi l’altra… Il mio sguardo rim2

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balza tra le due ragazze cercando appigli, segnali‌ e poi si blocca. Ha veramente senso quello che sto facendo? mi domando. Fino a qualche attimo fa avrei dato la vita per una di quelle donne, senza il minimo ripensamento. Ma ora una voce profonda che vibra nella mia coscienza mi chiede: sei certo di quale delle due vuoi salvare, Damien De Silva?

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Uno

Appena entriamo nel tunnel, il vento si zittisce. Avanziamo spediti, l’uno dietro l’altro, gli occhi che cercano di scorgere qualcosa nel buio. «Rispiegami perché siamo dovuti venire qui di notte, Damien.» «Perché così passeremo inosservati… le tenebre copriranno le nostre ombre.» «Mmm… ma all’Inferno non ci sguazzano nel buio? Non è il loro elemento? In teoria potremmo essere noi quelli svantaggiati, sai com’è… i buoni appartengono alla luce, i cattivi alle tenebre.» Il tono di Francesco è leggero: se non altro la situazione non gli ha ancora fatto perdere il gusto dell’ironia. Quasi mi spiace dover puntualizzare: «Io non sono buono. Ho ucciso Lacombe». «Ma lui ha sparato alla tua fidanzata! Qualunque giuria ti darebbe le attenuanti. Temporaneamente incapace di intendere e di volere. Inoltre, d’ora in poi lavoreremo sulla buona condotta.» Scuoto la testa, senza rispondere che dubito di potermi appellare a una giuria umana. E men che meno potrei 5

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invocare la temporanea incapacità di intendere e volere. Perché io lo volevo. Lo volevo eccome. Automaticamente la mano mi sale alla tasca del giubbotto, lì dove ho riposto la fiala con il sangue di Virginia. Sarà l’unico modo per farla uscire… se supereremo indenni questo viaggio all’Inferno e la troveremo, mi dico rabbrividendo. «Esattamente dove conduce questo tunnel?» «È un condotto virtuale, una sorta di portale. Di là c’è un altro mondo, un’altra Venezia, popolata dalle anime dannate.» «E queste anime ci possono attaccare?» «Non sono loro a costituire un pericolo per noi, è la città.» «Non capisco.» «Capirai presto.» Francesco non parla più, sento il suo respiro regolare dietro di me, finché una debole luce comincia a filtrare dentro il tunnel. Mi fermo sulla soglia, aspettando il mio amico che mi affianca quasi subito. Ci siamo. Il percorso verso l’Inferno non è molto lungo né arduo. Non è difficile entrarvi, lo è uscirne. Davanti a noi Venezia, piazzale Roma. O meglio, la sua versione infernale: non c’è traffico, nessuna auto o autobus che arrivi dalla terraferma… nulla. Il chiarore di una luna insanguinata vira il nero della notte in un viola malato. Dal cemento si alza una nebbia spettrale che si avvita su se stessa come un serpente. Anime erranti percorrono senza pace lo spazio, cercando qualcosa a cui non sanno dare un nome. I loro sguardi sono vuoti, il volto grigio e smunto, i passi identici da sempre. Abitano questo luogo e vagano come le palline di un flipper, sbattendo continuamente contro i suoi confini. Prima di iniziare a salire i gradini di un ponte, preparo 6

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Francesco. «Dobbiamo fare attenzione: l’acqua qui non è solo acqua e i ponti non sempre conducono dall’altra parte.» Incuriosito, sporge il volto sul canale: la superficie, immobile, non riflette la sua immagine. Francesco si piega e allunga una mano per toccare il liquido. Non faccio in tempo a bloccarlo che un’onda si forma improvvisa, fauci d’acqua dall’aspetto mostruoso che cercano di ghermirlo. Francesco si rialza immediatamente, arretrando di un passo, il volto sbiancato. «Cos’era quello?» mi chiede in un sussurro. «Non lo so, non si può mai sapere in cosa può trasformarsi quest’acqua. Qui è Venezia a comandare; è dotata di vita propria e abitata dagli incubi peggiori. Gli Oscuri hanno il permesso di viverci, ma anche loro devono sottostare alle sue regole. Questa Venezia non sopporta un padrone. È come una belva in agguato: pare ferma e silenziosa, ma non sai mai quando sceglie il momento di attaccarti.» Superiamo il ponte velocemente, cercando di non fissare l’acqua. Le strette calli sembrano muoversi al nostro passaggio, allargarsi o restringersi come budelli pronti a inghiottirci. Risuonano lamenti di uccelli nell’aria, uno strano gracchiare sofferente. Figure nere piumate ci volano contro, sfiorandoci con ali simili a drappi funebri. Intravedo artigli, becchi feroci, occhi piccoli e rossi. Ci togliamo dalla loro traiettoria appena in tempo e li vediamo sciogliersi nella nebbia che si appoggia ovunque. Il silenzio, così assoluto, è un compagno inquietante che deforma la percezione dello spazio e del tempo. Tutto è immobile, ora, come se fossimo dentro una bolla pronta a scoppiare. Quando arriviamo in campo Santa Margherita la scena all’improvviso si anima: fuochi azzurri, simili a quelli 7

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prodotti dal gas, divampano in alcuni punti del campo e anime nere e tormentate si contorcono di fronte a essi, come foglie nell’atto di accartocciarsi. Ci avviciniamo con prudenza, incuriositi. «Stai lontano dal fuoco», bisbiglio a Francesco, che sembra ipnotizzato dal movimento delle spire. A pochi metri dalle fiamme lo sentiamo: è come un sussurro, che parla direttamente alla mente. Riferisce, con dettagli verosimili e raccapriccianti, le azioni malvagie compiute in vita dalle anime che guardano il fuoco. A mano a mano che la voce inanella il racconto di un’azione, è come se una fiamma invisibile, gemella di quella reale, lambisse il malcapitato, infliggendogli dolore. «Potrei fare anch’io quella fine», mormora Francesco. «Mi sono già macchiato di molti peccati.» «Non dire stupidaggini!» rispondo brusco. Ma è come se lui non mi avesse sentito: sembra incantato da un fuoco piccolo e particolarmente vivido, davanti al quale non sosta nessuna ombra. «La senti anche tu?» mi chiede. Faccio cenno di no con la testa, osservando il vento aizzare il fuoco, spingere le fiamme più in alto. «Parla di me e di Penny», dice lui, la voce impastata, gli occhi lucidi pieni di dolore. «Andiamo via», ribatto inquieto, tentando di capire che cosa stia accadendo. E poi vedo l’ombra del mio amico animarsi, allungarsi e tirare, come se volesse staccarsi da lui. «Basta!» grido nella mente di Francesco, cercando di svegliarlo, di rompere l’incantesimo che lo blocca. Mi metto tra lui e il fuoco e il suo sguardo inizia a tornare lucido, a concentrarsi su di me. «Cosa succede?» 8

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«Andiamo!» ringhio, prendendolo per un braccio e trascinandolo via. Quando siamo un po’ distanti dal fuoco, le fiamme si riabbassano e il vento si calma fino a scomparire. Camminiamo in silenzio, ognuno concentrato sui propri pensieri, mentre la nebbia nasconde ciò che ci lasciamo alle spalle e ciò che ci attende. Forse non è stata una buona idea lasciare che Francesco mi accompagnasse, rifletto. È riuscito a venire con me per il residuo di Oscurità che ancora lo abita, dopo che aveva quasi rischiato di finire alle dipendenze di Enomed, avendo scelto di diventare mortale per Penny. Aver convissuto con il Male ha lasciato un piccolo segno in lui, una cicatrice che si vedrà sempre. Ma la sua mortalità lo rende un corpo estraneo, un elemento che la città vuole eliminare. E cercherà di farlo di continuo, con tutte le armi a sua disposizione. Non potrò difenderlo per sempre e, se gli accadesse qualcosa, io… A un tratto una sagoma dall’aria vagamente familiare esce lentamente dalla coltre dinanzi a noi. Perso come sono nei miei pensieri, ci metto un po’ a riconoscerlo, anche perché sembra molto cambiato da prima. Gli occhi impauriti scandagliano l’orizzonte alla ricerca di nuovi pericoli in agguato. I vestiti logori e strappati gli pendono dal corpo pieno di graffi e lividi. Tiene le spalle basse in atteggiamento di difesa e cammina con cautela, zoppicando lievemente. Tutto in lui desterebbe un sentimento di pietà, ma il solo vederlo fa sì che una rabbia cieca si impossessi di me. Salgo gli ultimi scalini due alla volta per gettarmi addosso a Lacombe. Si ripara dai colpi con rassegnazione, come se fosse abituato a subire attacchi, in modo automatico e disperato. 9

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Nulla però riesce a impietosirmi; anzi, mi accanisco al ricordo di come ha sparato a Virginia. Rivivo come fosse ora la scena in piazza San Marco: vedo Lacombe stagliarsi tra la folla accorsa ad assistere alle acrobazie del funambolo, vedo le sue mani stringere una pistola, il proiettile colpire Virginia in pieno petto, la vedo accasciarsi al suolo come un fiore reciso. Adesso l’anima di Virginia è qui all’Inferno, intrappolata da un maleficio di Amelia, mentre il suo corpo giace in un letto d’ospedale. «Maledetto», sibilo. «Come hai potuto farlo? Come?» Al suono della mia voce Lacombe si blocca, non oppone più resistenza e sussurra il mio nome come se non si capacitasse che fossi davvero io. Poi lo ripete con un misto di sollievo e speranza. La sua reazione mi lascia interdetto. Interviene Francesco, che si pone tra me e lui. «Ok, Damien, basta così», mi ammonisce. «Dobbiamo lavorare sulle attenuanti e la buona condotta, ricordi? Lasciamo qui questo bastardo e continuiamo per la nostra strada.» Lacombe sembra riprendersi e approfitta del momento commentando, con il solito piglio arrogante: «Che sorpresa, trovare il professore figo e il suo amico stordito quaggiù. A cosa si deve la vostra discesa nell’Abisso?» Sentendo queste parole stringo i pugni e fremo, preso dal desiderio di gettarmi nuovamente su di lui, ma è Francesco a reagire per primo. «Non credevi mica che l’avremmo lasciata qui, vero? Siamo venuti a prenderla per riportarla alla vita, quella vita che tu hai interrotto.» «Ma non ha senso… lei non potrà comunque ritornare più in vita», risponde Lacombe, incupendosi. Reagisco all’istante, riavvicinandomi a lui. «Come osi dire…» 10

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«Non lo sa, Damien», mi dice Francesco, posandomi una mano sulla spalla. Mi volto verso di lui, ancora confuso dall’ira, senza capire. «Non sa che Virginia non è morta.» Lacombe scivola a terra, in ginocchio, mentre le lacrime invadono i suoi occhi. «Non… non è morta?» chiede in un sussurro incredulo. Ancora una volta è Francesco a parlare, con un tono dolce e paziente che mi sorprende. «No, non lo è. Il proiettile è passato vicino al cuore, ma l’ha soltanto sfiorato. È in coma, in un letto d’ospedale. La sua anima però è stata presa da Amelia e condotta qui, all’Inferno. Solo se riusciremo a farla uscire potrà ricongiungersi con il corpo e ridarci la nostra Virginia.» «Ma allora… perché dopo tutto questo tempo? Perché non siete venuti prima?» Ora è Francesco a guardarmi confuso, ma io so perché Lacombe ha parlato così e capisco anche che cosa deve avere passato, perciò gli rispondo, la rabbia svaporata: «Funziona in modo diverso, quaggiù. Il tempo è dilatato perché non ha più senso, essendo eterna la pena. Per te potrebbero essere passati mesi, forse anni, ma in realtà nel mondo reale sono trascorsi solo pochi giorni da quando hai sparato a Virginia». Sta per ribattere qualcosa, ma in quel momento il ponte sotto di noi comincia a muoversi. Un movimento lento a spirale, come se volesse avvolgersi attorno a se stesso. Lacombe agisce rapido, ci grida: «Presto, saltate!» e con una spinta vigorosa ci fa ricadere sulla sponda più vicina a noi. Il mio piede scivola e rischio di finire nel canale, quando una mano mi afferra il braccio e tira per sollevarmi. La mia attenzione, però, è attirata da un soffio freddo 11

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e tagliente che sento sulla caviglia. Quando mi volto a guardare, vedo una mano d’acqua che tenta di afferrarmi il piede. L’odore che si sprigiona dal canale è raccapricciante, puzza di carne marcia e ammuffita, e un nauseante sentore di cenere aleggia su tutto. Scalcio e cerco di oppormi alla gravità che mi spinge verso quella voragine liquida, mentre il ponte continua a ruotare inabissandosi e creando un vortice che mi richiama verso di sé. Se non fosse per la stretta decisa della mano che ora mi issa con uno sforzo disperato, sarei vittima di quell’acqua maledetta. Poco dopo mi ritrovo riverso al suolo, vicino a Lacombe che boccheggia stremato. «Che ti piaccia o no, questa volta lo devi ringraziare», dice Francesco con un filo di voce. «Pare proprio che Pallavicini ti abbia appena salvato la vita.»

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