passo in quella direzione. Adesso le scuse possibili cominciavano a scarseggiare. Sentì la voce di Edoardo, impossibile capire cosa dicesse. Il tono, però, era ancora agitato. Poi lui si interruppe. Si era accorto di lei? Jane si bloccò e contrasse ogni muscolo. Appena lui riprese a parlare, tornò a precipizio sui suoi passi fino alla stanza. Aprì gli occhi che erano quasi le due di notte. Si sentiva un odore strano, acre. Nick? Andò rapidamente a controllare ma in camera di lui era meno forte. Lasciando la finestra socchiusa e la porta accostata scese a indagare, sentendo la puzza che si faceva più intensa. In cucina fu avvolta da una folata calda e soffocante. Uno dei fornelli era acceso, da una pentola usciva fumo denso. I manici laterali, in plastica, erano sciolti a metà. Jane si avvicinò e all’interno scorse una poltiglia nera e bruciata, ormai fusa con il fondo della pentola. D’istinto provò a chiudere la manopola del fornello. Era rovente. Lanciò un grido trattenuto e mise rapida le dita sotto il rubinetto, poi rovesciò un bicchiere di acqua sul fornello acceso. Il fuoco si spense, ma l’acqua provocò una sfiatata di fumo nerissimo. L’odore sembrava entrarle sottopelle, la fece tossire. Afferrò un canovaccio e chiuse la manopola del gas, poi agguantò i manici squagliati, aiutandosi con le presine. Doveva portare fuori quella robaccia: aprì la portafinestra dimenticandosi dell’allarme. Sentì iniziare il bip del conto alla rovescia. Qual era il codice da digitare? Lo sbagliò due volte. Alla terza avrebbe bloccato il sistema. Che poteva fare? Nick e Lea conoscevano la sequenza, ma non poteva svegliare il bambino e non c’era tempo per andare a recuperare la governante. Attraversò correndo il salone grande, sperando di trovare Edoardo ancora in studio. Inciampò in un tavolino, rovesciandolo, nel momento in cui l’allarme si scatenava in tutta la sua potenza. «Che cazzo succede?» sentì esclamare accanto a sé. Qualcuno accese la luce. Edoardo era sdraiato sul divano, probabilmente si era addormentato lì. La guardò come se non l’avesse mai vista prima e si alzò in piedi. Aveva gli occhi da matto e si muoveva a scatti. Era ubriaco? 67
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«C’era qualcosa sul fuoco, io…» gli disse a voce altissima per sovrastare l’allarme. «Oddio», esclamò Edoardo, tornando in sé. In effetti non poteva che essere stato lui. «Volevo fare aria e ho aperto di là», spiegò Jane sempre urlando per farsi sentire. Lui era già corso verso il pannello della porta principale e stava digitando i numeri. L’allarme si placò immediatamente e ci fu qualche istante di silenzio irreale. Entrambi si guardarono intorno, certi che stessero per comparire gli altri. Non accadde. Il sonno di Nick era davvero a prova di bomba e Lea dormiva dall’altro lato. «Marina non c’è», ragionò Jane ad alta voce. Edoardo si passò le mani tra i capelli e cercò di riprendersi. «È colpa mia, mi sono addormentato», spiegò. «Ma tu come hai fatto ad accorgertene?» «Per fortuna mi ero addormentata con la porta aperta e mi ha svegliata l’odore.» «Già», commentò lui disgustato. Cominciò a spalancare le finestre. Lei si mise subito ad aiutarlo. «Forse dovremmo chiamare Lea», propose senza riflettere. Lui guardò l’orologio. «Alle due passate di notte? Per un po’ di puzza?» le chiese. «Penso che possiamo farcela da soli, Jane.» Sapeva di aver detto una cosa sciocca. La verità è che non si sentiva a suo agio, ma non poteva andarsene. Lui si spostò in cucina per continuare ad arieggiare. Si sentì il rumore di una pentola che rotolava e lei si ricordò che per aprire la portafinestra l’aveva poggiata a terra. Gli corse dietro. «Scusa, era rimasta lì», si giustificò. Lui aveva aperto tutto e stava scagliando fuori, con rabbia, il pentolino bruciato. Si girò a guardarla, in piedi in mezzo alla cucina, ben illuminata dalle luci al neon. Jane realizzò che mentre lui era in camicia e pantaloni, lei aveva addosso shorts di cotone cortissimi e una canottiera scollata senza reggiseno. Si sentì nuda e incrociò le braccia per coprirsi. Lui allontanò lo sguardo e tornò a grandi passi in salone. 68
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«Copriti, c’è troppa aria», le disse porgendole la propria giacca. Le stava enorme, Jane ci si avvolse dentro. Stava tremando e non era soltanto il freddo. «Siediti.» Sembrava un ordine. Lei obbedì e lo guardò andare verso il mobiletto del bar. «Vuoi qualcosa?» Jane scosse la testa. Non reggeva l’alcol ed era già abbastanza scossa. «Magari mi metto su una camomilla», rispose. «Che ragazza giudiziosa», commentò Edoardo, ironico, mentre si versava un whisky. Si sedette anche lui sul divano, distante da lei, ma ben più rilassato. «A questo punto direi che siamo pari», le disse sorridendo. Jane non capì. «Pari?» «Mi hai rovinato la macchina, ma mi hai salvato la vita. Anzi, sono io in debito», chiarì Edoardo. Aveva una luce strana negli occhi. Jane ebbe di nuovo la sensazione che avesse bevuto troppo. Non rispose e continuò a guardarsi le unghie dei piedi. «C’è qualcosa che posso fare per te?» le chiese ancora. Jane non sapeva proprio cosa rispondere. «Come ti stai trovando qui?» insistette lui, alzandosi per andare a riempire di nuovo il bicchiere. «Va tutto benissimo», si sbrigò a dire Jane. Lui alzò gli occhi, la bottiglia inclinata per metà e la osservò come alla ricerca di qualcosa. «Davvero non hai nessuno al mondo, Jane?» La domanda suonò brutale. Lei lo guardò sorpresa e ferita insieme. Edoardo provò ad aggiustare il tiro. «Voglio dire, so che i tuoi genitori non ci sono più e che i tuoi zii sono a Milano. Ho visto che esci poco. Mi chiedevo dove sono i tuoi amici.» Lei arrossì. Appariva davvero così strana? «I miei amici sono i ragazzi con cui sono cresciuta in collegio. Qualcuno lavora, qualcuno ancora studia, qualcuno… non lo so. Sono sparsi in tutta l’Europa, comunque.» 69
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«E tu che vuoi fare da grande?» Si chiese cosa fosse il caso di dire. Marina gli aveva raccontato qualcosa? «Mi piacerebbe l’Accademia di Belle Arti», rispose esitante, non sapendo che reazione attendersi. Lui sembrò rifletterci con attenzione. «Bello», commentò. «Dove vorresti iscriverti?» aggiunse in tono pratico, come se si trattasse di una scelta di carriera ragionevole. «Questo proprio non lo so», ammise lei, rincuorata da quella reazione. «A febbraio ho superato l’esame per entrare alla Bocconi. I miei zii vorrebbero che studiassi lì.» Lui le sorrise. «Così carina, così seria e così… brava», sottolineò con cenno di approvazione. Non era chiaro se la stesse prendendo in giro. Ma aveva detto «carina». Poi si risedette e si appoggiò al divano guardando davanti a sé. Jane, rossa in viso, tamburellava nervosamente con le dita. «Io tornerei a dormire», disse poi, approfittando della pausa. Temeva di non essere in grado di sostenere ulteriormente la conversazione. «Sei libera», rispose Edoardo. Lei si alzò risoluta e posò la giacca sullo schienale, accanto a lui. «Buonanotte», gli disse. «Sai, Jane?» riprese lui, senza curarsene. «Fin dalla prima volta che ti ho visto, là fuori, quando mi hai detto che lavoravi qui», ridacchiò tra sé, «nonostante il casino che stavi combinando, ho avuto una sensazione positiva.» Il ricordo di quella figuraccia, e della scortesia di lui, le diede un po’ di animo per ribattere. «Non sembrava», commentò, più intimidita che ironica. Lui si fece serio. «Invece sì. Quello che ho pensato è che avresti portato qualcosa di buono.» Jane sentì il cuore accelerare. «E avevo ragione, perché questa sera mi hai protetto…» sorrise, scuotendo la testa. «Dalla mia stessa stupidità.» Il tono si stava facendo troppo confidenziale. Non sapeva come reagire, né cosa rispondere. 70
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«Buonanotte», ripeté, più convinta. «Te ne vai così?» le chiese lui alzandosi e muovendo un passo verso di lei. Sì, era decisamente brillo. «Io non so cosa…» balbettò Jane. «Lasciati almeno ringraziare.» Jane restò immobile, il battito del cuore era diventato assordante. Lui le prese la mano tra le sue e gliela strinse forte. «Grazie Jane», le disse semplicemente, fissandola negli occhi. «Se non ci fossi stata tu avremmo rischiato tutti grosso.» Jane scoprì di non riuscire a reggere l’intensità di quello sguardo. Abbassò il proprio. «Buonanotte», ripeté ancora, pianissimo. Quando lui sciolse la stretta, corse in camera senza guardare indietro.
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