Giugno_2014

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Franco Perlotto

Storia del Free Climbing


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editoriale

Prima triste, poi felice

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di Luigi Borgo

ambierò pensiero nel corso del mio ragionamento, alla fine mi contraddirò. Un grande poeta a questo proposito ha scritto: mi contraddico? Ebbene, sì, contengo moltitudini. Come a dire che non è sempre da imbecilli cambiare idea. Ho provato rammarico (alla fine quindi sarà piacere) per quanto si è verificato nelle ultime elezioni amministrative comunali nelle nostre valli, dove, per la riduzione imposta dal governo Monti degli assessorati da 7 a 5 nei comuni sotto i 30 mila abitanti, non abbiamo più gli assessori allo sport e alla cultura. Ovvero non abbiamo più una persona che si curi specificatamente delle attività sportive e culturali, che sono state relegate, come tutte le altre funzioni amministrative, nelle cosiddette “deleghe” a carico dei 5 assessori rimasti. Sport e cultura, quindi, come bilancio e tributi, come edilizia pubblica e privata, come politiche ambientali e sociali, come qualsiasi altra normale attività amministrativa della città. Che è un errore, un grave errore di concetto, perché così si è confuso una pratica amministrativa che è un’azione per la città con una pratica formativa che è un’azione per i cittadini! Lo si può capire bene se confrontiamo la città con lo zoo. Le città sono governate perché vi possano abitare gli uomini. Gli zoo sono amministrati, che è la stessa cosa di dire “governati”, perché vi stiano gli animali. Ciò che differenzia una città da uno zoo non è per il fatto che nella prima si fa il bilancio e nella seconda no. Anche chi gestisce uno zoo fa il bilancio, così come ha dei tributi da onorare, un’edilizia da gestire, una politica ambientale e una economica e, perfino, una sociale (la convivenza tra animali) da perseguire, e poi anche ha un aspetto commerciale-turistico (dalle magliette dello zoo ai peluche, dal bar al ristornate) da tenere ben vivo. Ciò che differenzia una città da uno zoo è la stessa cosa che differenzia un uomo da un animale: il primo cerca e lotta per il proprio miglioramento, il secondo no, gli basta campare. Per questo, perché gli uomini potessero soddisfare la loro necessità di migliorarsi, gli antichi greci dotavano le loro città, le polis, di palestre e stadi, di teatri e accademie in cui ogni singolo cittadino poteva crescere forte e in salute come un’atleta, capace di pensare in modo libero e autonomo come un filosofo. Noi moderni forse non l’abbiamo mai davvero capito a cosa avrebbero dovuto servire lo sport e la cultura pubblica ma, dotandoci degli omonimi assessorati, ci illudevamo di essere continuatori del modello classico e tanto bastava. Adesso ahimè (poi sarà un evviva!) l’antico ideale civico della polis greca, nel nome del quale, ripeto, attraverso l’educazione sportiva e culturale, il cittadino partecipava alla vita della città stessa e maturava la sua crescita come individuo, è stato definitivamente messo da parte. La città non sarà più il mezzo per la realizzazione dell’uomo come persona ma una cosa a sé, un luogo di residenza possibilmente con il bilancio in ordine… come uno zoo qualsiasi. Poi sono passati i giorni, sono arrivate le ultime notizie sullo sport che non sono buone: a Schio si chiuderà il centro del Coni, a Valdagno la piscina coperta. Più penso allo sport e alla cultura più mi rendo conto che in Italia non è mai esistito un progetto di sport e cultura pubblica. Gli stadi di calcio come le piscine come le palestre sono ormai tutte strutture private, le attività giovanili sono nella loro totalità da sempre in gestione alle associazioni private. Solo i musei e i teatri sono ancora per lo più statali, ma non ce n’è uno che non sia una spesa doppia per la collettività, biglietto più continui contributi statali di sostegno. Le nostre città forse hanno creduto di essere espressione delle antiche polis ma non hanno mai avuto un disegno politico e i mezzi finanziari per esserlo davvero. Che lo sport e la cultura quindi siano finiti tra le “deleghe” amministrative ci fa uscire definitivamente dal sogno classico, dall’ideale umanista della città come luogo di cultura e sport, in cui ci eravamo illusi di vivere. Dobbiamo esserne felici; dobbiamo essere felici perché, da adesso, sarà ben chiaro a tutti, cittadini e Stato, che la nostra educazione sportiva e culturale è solo un affare nostro e delle libere associazioni sportive e culturali di cui facciamo parte, proprio come in fondo è sempre stato. Allora, dopo gli assessori, mi aspetto che non ci siano più né il Coni, né il Ministro della Cultura, rottamati anch’essi con il Senato. Se non è una buona notizia, questa?

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climb free E di Franco Perlotto

ra il 1976 e lavavo piatti al rifugio Lavaredo quell’anno. Qualche sera prima era arrivato alle Tre Cime Mike Graham, un californiano che arrampicava sul Capitan, nella Yosemite Valley. Per lui era l’anno di Eagles Way, una via nuova a destra di Zodiac Wall, mentre la primavera seguente avrebbe ripetuto in solitaria la mitica Aquarian Wall di Jim Bridwell. Noi in Dolomiti arrampicavamo tutti con gli scarponi, quelli rigidi con le lamine d’acciaio, e vestivamo ancora con le braghe alla zuava. Mi legai in cordata con Mike Graham in una giornata uggiosa, nella quale al rifugio c’era poco da fare. Attaccammo lo Spigolo Giallo che era metà mattina, anziché la consueta alba. Io ero un rivoluzionario alle Tre Cime di Lavaredo e mi sentivo forte delle mie tante scalate veloci sulle pareti Nord. Per Mike Graham sembrava invece fosse normale attaccare le vie di montagna così tardi. Quel giorno capii che il mondo dell’arrampicata stava cambiando. Mike non si attaccò nemmeno a un chiodo: infilava le mani nelle fessure e le incastrava, poi via dritto verso l’alto, su per gli strapiombi. Per noi alpinisti su quella via esistevano soltanto il sesto grado e l’artificiale. Lui non sfiorò nemmeno un chiodo. Sulle Dolomiti in quegli anni non accadeva nulla. Gli scalatori erano arroccati nella loro visione classica della conquista, sebbene da domare non fossero rimasti ormai che gli alpinisti. C’erano le celebri vie classiche e gli scalatori che le ripetevano. Con lo stesso spirito veniva aperta qualche via nuova. Il movimento del Nuovo Mattino che ad occidente aveva mosso un po’ le acque, si vide transitare solo dalle pagine delle riviste patinate. Un giorno entrai in cucina del rifugio Dibona sulle Tofane. Ero sceso dalla via Costantini Apollonio sul Pilastro di Rozes, una celebre via di sesto grado.

Il free climbing congloba idee che negli anni Settanta e Ottanta erano all’avanguardia quali l’arrampicata pulita, l’arrampicata solitaria e l’arrampicata libera. Concetti che ai nostri giorni stanno riscuotendo rinnovato interesse restituendo a questa attività un ruolo primario. Ecco il Free Climbing raccontato da un maestro che ha scritto la storia di questa disciplina.

L’avevo scalata in solitaria alla fine di un inverno mite, ma giù per i canaloni in discesa mi ero inzuppato di neve bagnata. Mi ero seduto sul bordo della stufa per asciugarmi. Iniziai a chiacchierare con l’Antonia, la figlia di Angelo Dibona. In quel momento entrò Mario, il marito. “Sei il quarto in pochi anni che vedo seduto lì sopra, dopo aver salito in solitaria il Pilastro della Tofana”, mi disse. Sapevo che non si trattava della prima solitaria, ma attesi cos’aveva da dirmi il Mario. “Prima Cozzolino, poi Ursella, poi Zandonella”, mi disse. Tre grandi solitari, tre miei miti, tutti morti. “Tutti in libera come te”, infierì. “La libera è un’altra cosa”, gli sussurrai. Ecco quello era il concetto: l’arrampicata libera era un’altra cosa. Così per capire come stava evolvendo l’alpinismo si dovette andare in America. Riuscii ad organizzarmi alla fine di settembre del 1978. Con Marco Corte Colò scalai la diretta all’Half Dome. Quando l’aveva aperta, Royal Robbins aveva parlato di A5, ma a noi interessava capire la famosa arrampicata libera. Scalammo come potemmo, ma da buoni alpinisti portammo a casa la salita. Appena tornato in Italia vi trovai Marco Preti arrabbiato nero. Voleva esserci anche lui a mettere il naso nell’arrampicata libera californiana. Quindi, via di nuovo. Quindici giorni dopo il mio rientro, eccomi ripartito

Castelton Tower. Utah. US


r. Utah. USA

recoaro ad attendere a Londra un volo super economico stand by per San Francisco. Con noi c’era Alessandro Gogna il grande alpinista della solitaria alla Nord delle Grandes Jorasses. Tornammo a casa con un mare di idee confuse e in tasca la prima salita italiana di Salathè Wall, sul Capitan.

Parlai con Gianni Bailo, titolare di una nota azienda di abbigliamento per gli scalatori. “Laggiù in California tutti si vestono in un’altra maniera”, gli dissi. “Dobbiamo creare una linea anche per l’arrampicatore libero italiano”. Nel frattempo sulle Dolomiti ci eravamo imbarcati sulle prime grandi vie in arram-

Salathè Wall. El Capitan. Yosemite Valley, California. USA (foto Alessandro Gogna)

Falesia di Stallavena (Verona)

picata libera. Io mi accanii sul Pilastro della Tofana. Ma c’erano anche i tedeschi Andreas Kubin e Andrea Eisenhut. Jean Claude Droyer invece s’era incaponito sulla Comici alla Cima Grande di Lavaredo. Solo mani e piedi sulla roccia, era il diktat. I chiodi soltanto per protezione. Ma i chiodi erano quelli piantati negli anni Trenta e volarci sopra per poi riprovare il passaggio conservava quel fascino antico del brivido alpinistico. Nemmeno si pensava di imbullonare le pareti per proteggerci meglio. Eravamo lontani mille miglia da quel pensiero. Sopra a casa, sulle Piccole Dolomiti, Gianni Bisson ed io “liberammo” la Soldà sulla Sisilla, poi lo spigolo Sandri Carlesso, poi lo spigolo delle Due Sorelle, poi ci spostammo sul Pasubio. Gianni Bailo si rese conto che era nata una nuova epoca e mi ascoltò. Ma quando giunse il momento di studiare una strategia di marketing per comunicare col suo target, mi venne un dubbio. “Se lo chiamiamo abbigliamento per l’arrampicata libera, creiamo un pasticcio che va ad aumentare la grande confusione che già esiste con coloro che se ne vanno slegati sulle vie classiche”, gli dissi. “Battezziamolo all’inglese”, risolvemmo, “chiamiamolo free climbing”. Lo convinsi perfino, primo in Italia, ad adottare il pile, un prodotto che Chris Bonington mi aveva fatto provare ad Alms Cliff, nello Yorkshire, quando avevamo arrampicato insieme su una paretina non più alta di due tiri di corda. Poi andai da Giancarlo Tanzi. Pochi anni prima aveva inventato la Asolo Sport e dopo la scalata al Capitan, Alessandro Gogna me lo aveva presentato. Ci voleva una scarpa con una suola liscia che tenesse un po’ di più di quelle poche che già c’erano. Delle mie idee, Tanzi ne aveva parlato in America con Yvon Chouinard, già allora

mito vivente. Un giorno il grande californiano arrivò in Italia e approdò a casa mia. Si sedette per terra in cucina e perfezionò le mie maldestre tecniche di fessura, incastrando mani e piedi tra gli elementi del termosifone. Mio padre era esterrefatto. Quei giorni studiammo un modello di scarpetta a suola liscia che divenne la più popolare dell’epoca e ne parlammo anche con Gino Soldà che ne fu entusiasta. Chouinard era il più famoso e la battezzò col suo nome. In Gran Bretagna invece accontentarono la mia vanità e mi citarono sulle pubblicità. Noi ad oriente eravamo degli alpinisti tozzi. Solo muscoli per gli strapiombi. Nemmeno ci eravamo accorti cosa fosse accaduto ad occidente. Gli inglesi erano calati in Verdon, tanti anni prima. Loro erano alpinisti e arrampicavano in libera solo sui vecchi chiodi, sui dadi o su qualche altra diavoleria inventata da poco. Ma i francesi capirono tutto al volo. Per provare e riprovare i passaggi si dovevano creare degli itinerari sicuri. Così, trapano alla mano, iniziarono a bucare la roccia. “E no!”, dicemmo dal pensatoio ad oriente. “Noi siamo alpinisti alla Paul Preuss, naturalisti alla John Muir, trascendentalisti alla Ralph Waldo Emerson, bucolici alla Henry David Thoreau”, sbraitammo. “Il free climbing non si tocca”. Qualcuno si arrabbiò. Qualcuno ci contestò la paternità del free climbing. Ma in fondo cos’era se non un’idea, un sogno? Un lungo ingenuo sogno che comunque aveva permesso a qualcuno di divertirsi davvero? Quando ci si arrampicava in libera sul Pilastro della Tofana non eravamo degli arrampicatori sportivi. Ma non eravamo nemmeno degli alpinisti, perché quelli vi salivano con le staffe. Oggi salire una via senza toccare i chiodi rientra nei canoni moderni dell’alpinismo classico. Ma allora chi

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Franco Perlottoiatore, giornalista è guida alpina, viagg

lato paesi in tutto il mondo e ha sca Ha visitato una cinquantina di lte delle quali da solo. alcune migliaia di montagne, mo ile quali 10 in solitaria, 63 sol Ha all’attivo 42 vie nuove tra itarie, 15 prime invernali. Tra tarie tra le quali 24 prime sol la tarie al Capitan in California, le salite più note sono due soli ta n in Norvegia, la prima assolu prima solitaria del Trollrygge ora Trik ezuelana), del Monte del Salto Angel (Amazzonia ven uto abalu (Borneo malese). Ha viss (Irian Jaya) e della Nord del Kin per e na silia ami nella foresta bra per tre anni con gli indios Yanom programma del Ministero degli quattro anni ha coordinato un i in Amazzonia. Esteri contro gli incendi forestal d, e in Afghanistan, Palestina, Cia Ha operato in missioni umanitari pub Ha . sile Congo, Sri Lanka e Bra Bosnia, Zaire, Rwanda, Sudan, anzi. blicato 12 libri tra cui due rom

eravamo? Poi, in nome della sicurezza si è iniziò ad imbullonare anche le vie classiche. Così noi sparimmo tra le pareti più nascoste delle montagne in cerca di emozioni in altri mondi verticali. Erano gli anni della voglia di libertà. In quegli anni ero un solitario nell’arrampicata come nella vita. Come molti arrampicatori dolomitici avevo deciso di non portare patacche e stemmi con le stelle alpine e vivevo in un mondo tutto mio. Ebbi modo comunque di incontrare tante volte gli scalatori che in quei giorni giravano sulle Dolomiti come Alberto Campanile, Luisa Jovane, Pierluigi Bini, Heinz Mariacher, ma mi ero isolato nelle mie scalate solitarie a tal punto che raramente mi legavo in cordata con qualcuno. Nel tornante poco sotto al Passo Sella, versante Val di Fassa, c’era una casetta diroccata dove vi avevamo dormito un po’ tutti, un vero punto di ritrovo per quella generazione di dolomitisti bergvagabunden. Soldi in tasca non ce n’erano e sembrava ormai diventato un look andare in giro un po’ stracciati, ma in realtà non ci si poteva spendere nulla se si voleva vivere in montagna. Ogni tanto qualcuno di generoso ci dava qualcosa da fare in cambio di un piatto di minestra calda. Io lavavo piatti in qualche rifugio o davo il fieno alle mucche in qualche malga. In alcune anime illuminate di alpinisti di quel tempo avevamo fatto breccia e ci avevano aiutato a mantenerci nella nostra visione romantica. Mi

vestivo di grigio o di beige, così non mi si vedeva in solitaria sulle pareti di dolomia. Ma ciò nonostante c’era sempre qualcuno che mi seguiva dal basso con un po’ di apprensione e poi mi dava una mano. Ugo Pompanin, grande alpinista e manager turistico, mi aveva visto fare da solo la via degli Scoiattoli e poi la Pisoni sulla Cima Scotoni, così mi aveva ospitato al suo rifugio Lagazuoi. La guida alpina Guido Salton mi aveva seguito mentre scalavo da solo sul Pilastro della Tofana e poi lo spigolo del Pilastro, così mi aveva dato da mangiare per un mese intero in una stalla dove il mio compito era accudire alle mucche al mattino prima di partire per le pareti. Ma l’obiettivo di quegli anni sembrava proprio quello di farsi vedere meno possibile, di non raccontare nulla a nessuno. Si contestava il perno centrale della storia dell’alpinismo: la prima invernale, la prima solitaria. Mi ricordo quanto si era arrabbiato con me l’accademico Giacomo Albiero, quando nemmeno volli fare la relazione scritta della via nuova che avevamo aperto sulla parete Nord della Pala di San Martino. Ora mi fa piacere scoprire, quasi quarant’anni dopo, che la relazione fatta in gran segreto dallo stesso Albiero è finita sulla nuova guida delle Pale. Si discuteva ogni paradigma: noi scalatori solitari contestavamo come le prime solitarie non fossero necessariamente imprese più importanti di una seconda o di una terza. Dipendeva da come venivano fatte. Chi faceva la terza o la quarta solitaria di una via senza nemmeno cono-

scerla, per noi era comunque più bravo di un primo solitario che per conoscere l’itinerario prima della sua impresa aveva fatto più volte la salita in cordata. In realtà non capivamo perché doveva essere considerato bravo solamente il primo. Lo stesso concetto valeva per le salite invernali. Poi il look un po’ barbone d’America, un po’ figli dei fiori divenne un mezzo indispensabile per distinguerci. Da una parte c’erano gli alpinisti di quegli anni che si riconoscevano dai comuni mortali per la loro divisa seriosa fatta da calzettoni rossi, zuave, camicia a quadri con l’immancabile patacca del Cai, dall’altra quei ragazzi un po’ stracciati che dormivano alla baracca sotto il Passo Sella, nei quali mi identificavo per il comune distacco dagli stereotipi. Erano scalatori forti, arrampicatori geniali, spesso solitari. Con Giancarlo Milan avevo fatto lo spigolo Soldà delle Due Sorelle in un inverno caldo sulle Piccole Dolomiti. Poi, tanti anni dopo, scoprii che ci eravamo rincorsi per la prima ripetizione della via dei Fachiri sulla Cima Scotoni, un capolavoro di Enzo Cozzolino. Milan vi era andato con Luisa Jovane, io con Renato Casarotto, Giorgio e Bruno De Donà. Se qualcuno poi ha visto della competizione alpinistica su quella via, io sinceramente non me ne ero nemmeno accorto, ma nemmeno gli altri credo. Nemmeno quando, costretto dalla naja a passare un anno in Valle d’Aosta, avevo salito

Inghilterra (foto Riccardo Cassin) da solo le vie degli Svizzeri al Grand Capucin e Gervasutti al Pic Adolphe Rey sapevo che erano prime solitarie. Lo scoprii anni dopo sulla Guida Cai Touring di Gino Buscaini. Per me quelli erano gli anni della libertà, come per quei ragazzi che avevo conosciuto al Passo Sella. Questa era la forza di quegli anni. Per i free climbers, pratica e sogno non erano poi così lontani. Spesso le loro vie si intersecavano. Qualcuno di noi aveva detto che era stato il concetto di conquista della cu-


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Monte Sinai. Egitto

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spide, della vetta, ad aver ispirato tanta retorica nell’alpinismo. Ma in fondo ci si dovrebbe ricredere. L’alpinismo è sempre stato uno sport, un’attività di competizione tra gli uomini. Che se ne dica, la montagna da sempre è terreno di sfida, simile ad una pista sulla quale l’atleta si misura. L’alpinismo romantico è esistito soltanto nelle parole. In realtà la lotta e il confronto sono sempre stati la molla per il successo. Il free climber è stato forse il primo lirico che al di là del cantare la bellezza delle montagne ha agito in coerenza col suo romanticismo. Non a caso le prime competizioni di arrampicata sportiva sono nate negli ambienti accademici dell’alpinismo classico piemontese e non tra le fila dei sognatori orientali che si arrampicavano sulle Dolomiti. Non a caso di tutta una generazione di climbers, da Manolo, a Mariacher, a Corona, nessuno si è presentato alla linea di partenza. A ripensarci bene, ciò che era nato nell’oriente delle Alpi, in fin dei conti, era una cosa originale. Raccolta l’eredità di Enzo

Cozzolino e dei suoi triestini, preso il meglio degli inglesi e degli americani, riadattato il concetto di non conquista alla francese, con tanto di sogno ad effetto altopiano che sostituiva l’idea di vetta, era nato un modo nuovo ed originale di affrontare le montagne. Uno stile che aveva decretato la fine dell’alpinismo tecnologico. Intanto sulle Dolomiti una ad una erano state liberate gran parte delle grandi vie classiche utilizzando la chiodatura che c’era nelle fessure naturali, senza i chiodi super sicuri che bucano le pareti. Qualcuno oltreoceano lo chiama clean climbing, arrampicata pulita. “All free”, si diceva noi quarant’anni fa, ma il concetto è lo stesso. Climb free è oggi un concetto, un contenitore, che molti stanno riscoprendo. Una filosofia per affrontare la montagna che è tornata a fare parlare di sé.

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Cinquant’anni di buon calcio L’Unione Sportiva Chiampo compie 50 anni: cronaca di una celebrazione che ha emozionato e fatto pensare

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aramente succede che la celebrazione di un anniversario sportivo riservi un fondamentale spazio culturale. E’ invece quanto si sono proposti gli organizzatori. Quattro giorni di eventi, come logicamente ci si attendeva, con squadre di calcio blasonate, seppur relativamente a categorie giovanili, invitate a un torneo. Le partite si sono svolte in un clima misto di agonismo e allegria, concluso con un pranzo, molto curato, per tutti. Una serata è stata impegnata allo scoprimento di una targa in onore del Cav. Bruno Gallo. La popolazione ha voluto così ricordare, alla presenza dell’anziano collaboratore, le sue doti umane e didattiche nella preparazione dei ragazzi. Insomma una vita dedicata al calcio, dal cui vivaio sono usciti campioni come Paolo Negro. Il fortissimo difensore della Nazionale italiana infatti non ha voluto mancare agli incontri, tingendo gli eventi di un contagioso entusiasmo. Ma l’approccio più sorprendente, più innovativo ruota attorno alla prima serata, giovedì 5 giugno, in cui i soci si erano proposti un incontro, una riflessione sui cinquant’anni trascorsi. Il tutto cercando di limitare fatti cronologicamente accertati e comunque significa-

tivi, quali posizioni di classifica, retrocessioni e promozioni per privilegiare una lettura più globale degli avvenimenti. Con una certa sorpresa i tempi sono stati capovolti, iniziando dal presente e immergendosi sempre più nel passato, ormai remoto. L’incontro, condotto con sapienza da Gianfranco Lovato, ha visto una prolusione di Dario Corradi, che, con un colpo d’ala, è riuscito a portare sul palco uno dei mitici fondatori: Piero Zecchin. Piero, con voce rotta dall’emozione, ha poi passato il microfono a Renato Adami. Il duetto AdamiCorradi si è focalizzato sull’inesauribile riserva del settore giovanile. Con un giustificato orgoglio sono stati sottolineati gli sforzi per affidarne la guida a Roberto Anzolin, mitico portiere della Juventus e della Nazionale. Sotto la sua guida negli anni Novanta fu istituita una scuola calcio, invidiata e imitata da molte altre società limitrofe. I risultati non si erano fatti attendere e i relatori sottolineavano la difficoltà delle compagini ospiti a scendere nel rettangolo di gioco a Chiampo. Mario Bardin, coadiuvato, dagli ex-presidenti Gianantonio Castegnaro e Silvano Faedo, ha ricordato le origini. Non solo calcistiche. Ha preso spunto dalla comu-

di Giangiacomo Zan

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ne radice che lega i termini “coltura” e “cultura” per individuare una matrice didattica quale motore pluridecennale di quell’esperienza. Una società, che si muoveva tra mille difficoltà, ma che riconosceva il suo leader nel prof. Castegnaro. L’industria locale, prevalentemente quella di Gino e

Antonio Giordani, era di supporto. Il secondo presidente di lungo termine, Silvano Faedo, proveniva invece dall’artigianato e veniva sorretto da Claudio Nardi. Si celebrava allora il venticinquesimo con due pubblicazioni che di nuovo analizzavano lo spirito societario in relazione al paese. Insomma

si evidenziava come l’autentica ricchezza fossero le idee, il progetto educativo, anche se talora si sviluppava in modo convulso. Gli interventi dei più recenti presidenti, Mario Tolio, Lino Chilese e Andrea Lovato suggellavano un dibattito pregno di spunti propositivi.

Davanti all’austera architettura del municipio, sotto le stelle, ultimi saluti, brindisi e auguri per il cambio generazionale.

Nordic walking park chiampo

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a Valle del Chiampo è una vallata prealpina fra le Piccole Dolomiti e i monti Lessini che corre in direzione nord-sud in provincia di Vicenza, al confine con la provincia di Verona, percorsa dal fiume omonimo: il Chiampo. La sua posizione geografica la rende una valle territorialmente eccezionale per gli amanti della mountain bike, del trekking da praticare sulle vicinissime cime prealpine come Cima Zevola e Cima Carega, e la rende ancora più unica per i sempre più numerosi praticanti del nordic walking che, tra prati e boschi, si inoltrano tra i mille sentieri spesso nascosti proprio sopra casa. Questa verde valle, dove vivo e promuovo le attività legate al Nordic Walking, è ricca di percorsi ad anello e proprie “vie” che condu-

di Marta Carradore cono nei posti più incontaminati e splendenti, sentieri che si allontanano dalle strade cittadine e dalle piste pedonali e che entrano nel profondo della nostra valle, svelandone tutte le sue meraviglie. Purtroppo, la maggior parte di questi sentieri non sono frequentati e spesso, con il passar del tempo, le piante e l’erba li ingoiano facendo perdere così, agli abitanti dei comuni della vallata e limitrofi, pezzi di storia, tracce che raccontano momenti di vita passati. Così, tra le tante camminate in compagnia dei miei bastoncini è arrivata l’idea: perché non creare un “parco” che racchiuda qualche percorso ben segnalato, da poter fare conoscere a chiunque lo splendore della nostra valle? Detto fatto, il giorno seguente ho

incontrato Edoardo Righetto, assessore allo sport del comune di Chiampo, che ne è rimasto subito entusiasta e ha abbracciato da subito la mia idea. Nascerà dunque a Chiampo il primo NODIC WALKING PARK, da una collaborazione tra il Nordic Walking Sci Club Chiampo, la Scuola Italiana, della quale sono istruttrice. Il Nordic Walking park è un marchio registrato dalla Scuola Italiana che individua una zona con i percorsi segnalati per la pratica del Nordic Walking, ma anche per tutti gli appassionati del cammino in generale. Nel Park si troveranno i car-

telloni illustrativi dei percorsi con segnalate le difficoltà e i tempi di percorrenza e, lungo i vari percorsi si troveranno le frecce indicative della direzione. I colori usati per segnalare i percorsi sono il blu per i tracciati facili, il rosso per i tracciati di medie difficoltà, e il nero per i percorsi più impegnativi.


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cornedo

Attenti a quei due del volley Francesco e Federico, promesse

Nome

FRANCESCO

FEDERICO

Cognome

PRETO

CAPITANIO

Nato

3 febbraio 1999

7 aprile 1999

Residente

Piana di Valdagno

Cornedo

Altezza

188

192

Peso

75

76

Scuola

Itis Valdagno

Itis Schio

Fidanzato

No

Sì, con Rachele

Squadra

Pallavolo Cornedo

Pallavolo Cornedo

Esordio

Minivolley, in 1 media

Un anno fa

Categoria

Under 17

Under 17

Ruolo

Banda, laterale

Centrale

Aspirazioni

Giocare in serie A

Diventare un professionista

Cos’è per te la pallavolo

Disciplina, divertimento, una fede

Amicizia, crescita, miglioramento

Scuola e sport, come le vivete

È un vortice, sempre sotto

Un bell’impegno

Prossimo anno

Scuola, in 2 superiore

Volley, in 1 divisione

Attività estiva

Beach volley e green volley, ho partecipato alla Coppa Veneto a Jesolo

Partecipo a tornei 2 x 2

Giocate assieme

In campionato, sì; a beach volley, no

Quante volte vi allenate

3 volte alla settimana + 2 partite nei week end, una il sabato e una la domenica

Risultati

Siamo arrivati secondi al Campionato provinciale. Con la rappresentativa vicentina abbiamo vinto il “Trofeo delle province” e siamo arrivati secondi al “Trofeo delle Dolomiti”. Inoltre siamo stati più volte convocati a sedute di allenamento con la rappresentativa regionale.

Una grande stagione

Sì, la palla volo ci sta dando molto e per questo vogliamo ringraziare lo staff dirigenziale della nostra società, la Pallavolo Cornedo, e in particolare il nostro allenatore, Luca Meneguzzo, che continua a farci crescere sia sotto l’aspetto tecnico che umano.


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schiavon

Italia - Brasile

N

el 2012 siamo andati nel Rio Grande do Sul a percorrere il “Giro Ciclistico na Serra Gaúcha” e, in quell’occasione, abbiamo incontrato il dr. Oscar José Carlesso, oriundo da Pianezze (VI), Agente Consolare Italiano a Santa Maria (RS). Il dr. Carlesso ci presentò una precisa richiesta: ”Se tornate ancora qua in bici, dovete venire a visitare la ‘Quarta Colonia’, territorio piuttosto esteso, verso Santa Maria, nella parte centrale del Rio Grande do Sul, popolato da famiglie che si spostavano dalle zone della prima e seconda colonizzazione (Garibaldi e Bento Gonçalves) o arrivavano direttamente dall’Italia. Anche là si parla ancora ‘el tálian’ e saremo tutti ben felici di dimostrare quanto ci sentiamo ancora italiani”. Il forte rapporto esistente con il mondo della nostra emigra-

di Antonio Bianchi zione nel Brasile Meridionale, nato e sviluppato attraverso il ‘gemellaggio’ di Schiavon (VI) con Monte Belo do Sul (RSBrasile), ci ha portati a matu, rare, quasi automaticamente va nuo sta que di lità la possibi iniziativa, anche perché potevamo fare affidamento nel lavoro straordinario preparatorio dei nostri amici montebelensi, guidati da Moacir Dal Castel. E’ nato così il ‘Giro Ciclistico da Primeira à Quarta Colônia’, che , partito da Monte Belo do Sul Can di, ibal Gar a a tapp ha fatto delária, Dona Francisca, São João do Polêsine, Sobradinho, Colorado, Linha Vitória e Chapada, per un totale pedalato di 530 km. Siamo partiti da Monte Belo do Sul il 02 gennaio 2014 e siamo arrivati a Chapada domenica 12 gennaio, giusto per partecipare alla sfilata dei gruppi folcloristici nella ormai

in bici

Schiavon Un gruppo di appassionati ciclisti di compiono un’altra fantastica avventura per cizia ciclistica in Brasile nel segno dell’ami igrati em i nostri connazionali che laggiù sono


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famosa, da quelle parti, Festa della Birra ChapadaFest. Il nostro gruppo era formato da 30 persone, di cui 24 ciclisti, quasi tutti pensionati. In Brasile sono stati numerosi i ciclisti locali che si sono uniti a noi e abbiamo vissuto insieme un’altra meravigliosa avventura in terra brasiliana.

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Paolo Mei

Io, il Giro e il sogno di fare lo speaker di Giulio Centomo

foto © Nickland.org, Christian Memè e Paolo Mei

Classe 1975, capelli imbizzarriti e lingua sciolta. Paolo Mei ha firmato così anche nel 2014 il suo Giro d'Italia nelle vesti dello speaker ufficiale della corsa rosa. Per i nostri lettori si è raccontato e ci ha svelato di un sogno che oggi è realtà. Ciao Paolo, iniziamo col capire cosa vuol dire per te fare lo speaker. Questo lavoro è per me il sogno di una vita trascorsa dapprima sui pedali, poi col microfono in mano. È un sogno che si è avverato, soprattutto per uno come me che arriva da una terra, la Valle d'Aosta, notoriamente priva di tradizione ciclistica. È stata la possibilità di girare il mondo e di conoscere gente in ogni angolo, personaggi noti e soprattutto gli sportivi più forti del mondo. Come nasce la tua passione per il racconto delle gare? Nell'89 mi appassionai alla mtb e l'anno successivo iniziai a gareggiare sulle ruote grasse tra Italia, Francia e Svizzera. Dal '95 mi sono dilettato anche sulle ruote fine. Ho sempre avuto una grande passione per tutto ciò che è cronaca di gara. Da bambino rovistavo nella camera di mio zio e leggevo le classifiche delle gare di sci di fondo a cui lui partecipava. Quando andavo a scuola alle superiori, ricordo che ai ricevimenti genitori, mio papà tornava ogni volta con un giornale di ciclismo o mtb diverso: era quello che i professori mi restituivano tramite papà, dopo avermelo sequestrato in classe. Prima di mettermi a fare lo speaker ero un ragazzo con il sogno di diventare professionista della mtb. Fino al 2000 sono cresciuto costantemente e ho ottenuto dei buoni risultati, vincendo una cinquantina di gare tra cross country e granfondo, poi nel mio momento migliore un incidente mi ha costretto allo stop: il 7 maggio 2002 una caduta dalla

bici mi causò 5 diverse fratture alla gamba destra condite con la distorsione completa del piede. Tra operazioni e recupero dopo tre anni sono tornato a vincere, ma nel frattempo venivano avanti le prime esperienze da speaker. Ero ancora ingessato quando alcuni amici, rattristati dal mio infortunio, mi misero a commentare una gara di mtb e così tutto ebbe inizio. Nel 2006 arrivò il microfono dei Campionati Italiani di Winter Triathlon, sempre improvvisando tutto. Da allora è seguita una miriade di gare di ogni genere fino ad arrivare al 2010: cambiò la mia vita grazie a due miei grandi amici, Christian e Cristina, e loro sanno bene perché! Ancora il 7 maggio, ma del 2011, ero a Torino per la mia prima tappa del Giro. La tua top 5 delle più belle gare che hai commentato Al primo posto c'è l'arrivo del Giro d'Italia 2011 con Contador in rosa a Milano: qualcosa di sublime. In quell'occasione lavorai con Stefano Bertolotti, molto più di un collega, un amico vero. In seconda posizione la mia prima Tirreno Adriatico nel 2011, commentata con Zoran Filicic, oggi prima voce su Sky per la Moto Gp. Terzo posto per l'arrivo della tappa di Rocca di Cambio al Giro 2012. Quel giorno, il podio premiazione era attaccato all'arrivo, fu l'unica volta che commentammo assieme io e Bertolotti e raccontammo uno sprint tra i nostri due corridori preferiti, Tiralongo e Scarponi. Non potete immaginare gli ultimi metri... C'è poi il G.P. Camaiore, la mia prima corsa dei professionisti, nell'agosto 2010 e infine la World Cup di Mountain Bike in Val di Sole con Zoran Filicic lo scorso anno. Qual è invece la triade di sportivi che più ammiri? Alberto Tomba che ci ha fatto saltare in piedi sul divano, Gianni Bugno per la classe e la semplicità e Michele Bartoli che

sulla bicicletta ha sempre dimostrato una classe inarrivabile. Autunno-Inverno, PrimaveraEstate, sempre all'opera, ma oltre allo speaker fai anche altro? Ho sempre fatto il geometra, ma negli ultimi anni l'attività di speaker mi assorbe sempre di più. Scrivo per la rivista InBici e su un quotidiano locale. Per qualche mese ho lavorato in una TV a Milano. Naturalmente, quando posso, vado in bici, scio sulle piste da fondo a Cogne, il mio paese, corro con la mia dolce metà, Deborah, e con il nostro cane Lassie. Veniamo al Giro d'Italia. Con l'edizione 2014 sono 4 le annate che hai commentato. Quale il più bel ricordo che ti lega a questo grande evento sportivo? Il ricordo più bello in 4 anni di Giro è difficile da individuare. Lo Zoncolan, che ho visto due volte, nel 2011 e poche settimane fa, regala sempre emozioni pazzesche. E poi la tema presentation a Belfast sarà davvero difficile da dimenticare. Cosa vuol dire essere lo speaker al Giro d'Italia? Vuol dire, nel mio caso, essere un tifoso che ha avuto la fortuna di salire su quel palco e di usare il microfono di un'organizzazione incredibile. Vuol dire anche essere un grande privilegiato: quando faccio il foglio firma mi chiedo quanta gente vorrebbe essere lì al mio posto. Se non fossi lì, pagherei per esserci! 30 maggio 2014, 19^ tappa. Bassano - Cima Grappa. Una crono tutta vicentina che so ti è piaciuta molto. Come l'hai vissuta?

Quella di Bassano del Grappa è stata una delle crono più belle che abbia mai commentato. Per molti motivi: al mattino alle 9.30 la piazza era colma e la partenza del primo concorrente era prevista solo alle 13.15. Il pubblico ha risposto in maniera meravigliosa. C'era il sole, c'era il Giro. Insomma, non mancava nulla. Chiudiamo la chiacchierata con una sorta di consiglio: come ti prepari ad ogni gara? Generalmente non sono abituato a "studiare" prima di una gara. In ambito ciclistico, dal 2010 ho realizzato un database che riempio di mese in mese con dati e classifiche delle varie corse. L'idea è maturata insieme ad un mio caro amico, Laudo Glarey, mio coetaneo, ex compagno di scuola alle elementari e oggi ingegnere elettronico. Ha messo a punto un sistema in grado di riordinare i risultati della carriera di ogni corridore proporzionalmente all'importanza della corsa. Va detto che compilando di persona il data base, di per sé si tratta già di un ripasso. Più importante dei freddi dati tecnici, però, è guardarsi attorno e descrivere tutto ciò che succede tenendo a mente due cose: se lo speaker diventa protagonista, toglie visibilità ai veri protagonisti, gli atleti; chi va a vedere le corse il fine settimana vuole soprattutto divertirsi. Ecco allora che adoro divertirmi a mia volta e possibilmente divertire. Non credo che elencare il curriculum completo di un velocista o di uno scalatore, possa divertire il pubblico!


I 50 anni di Roberta T. Giovedì 10 aprile 2014 presso la biblioteca civica del comune di Dueville è stato presentato il libro “La mia terra”, autobiodatore della ditta di abbigliamento sportivo Roberta Tonini di Thiene. Nell’opera, edita da lumi raccolti in un cofanetto, l’autore ripercorre le tappe della sua esistenza, soffermandosi sugli episodi e le esperienze che maggiormente l’hanno contraddistinta.

stro Donat Cattin consegna alla ditta l’Oscar Accademico di Alta Moda. Il decennio 1980-1990 è stato per l’azienda il più fecondo

traguardo al quale tendere senza da ceti non abbienti, avendo dorinunce, a volte anche umiliazioni, prima di giungere alla meta prestito dal volume “Agnus Dei, storie di lavoro in valle Agno”, di O. Menato, calzano a pennello Nel 1964, egli racconta, contro il parere di parenti e familiari, decide di dare vita alla nuova Azienda, denominata in onore

L

’infanzia a Vivaro, dove nasce il 30 dicembre1929, secondo dei nio, amministratore dei beni dei conti Da Porto, che gli trasmise un amore viscerale per la terra e l’ambiente attorno al Bacchiglione. La giovinezza a Dueville (dove nel 1939, dopo la prematura scomparsa del padre, la famiglia si trasferì), divenuta ben scomparsa del padre. In quegli stretto ad abbandonare gli studi ginnasiali intrapresi in collegio, gli è di esempio il coraggio e la forza della madre Lucia, lavoratrice instancabile e che diviene anche il primo segretario donna della sede locale della DC. In questo periodo risalgono le sue prime esperienze lavorative di contabile, che gli permetteranno per realizzare il suo primo sogno: la licenza di caccia! La maturità, dove racconta la storia della sua azienda, attraverso una esaltante avventura che partendo da zero, lo ha portato a diventare uno de-

di Gianantonio Menato

gli imprenditori vicentini più affermati del secolo scorso. L’opera è anche un’appassionata rivisitazione della nostra storia locale, attraverso gli occhi di un uomo che orgogliosamente si è costruito la fortuna da sè ma che ha sempre dimostrato l’amore verso la propria terra, dedicandosi con grande impegno, attraverso il suo ruolo di Presidente della Pro Loco di Thiene, ad organizzare importanti eventi sportivi e culturali. (Sopratutto il Premio Nazionale di Poesia Città di Thiene). “Si dice che per fare gli imprenditori occorre avere molto denaro. È vero in parte, solo in parte. Più dei soldi occorre audacia, senso degli affari, oculatezza self-control. Una laurea o un diploma non sono indispensabili… serve avere tenacia, chiarezza di idee, fermi propositi e predisporsi un preciso

una quarantina sono le nazioni con cui opera dall’Europa all’Asia, dal Nord America al Sud America. L’impatto sullo sciatore italiano e straniero è positivo non solo per la qualità e la perfetta vestibilità dei capi, richiestissimo il pantalone mod.871 in tessuto 09 bielastico, ma anche per l’ottima campagna pubblicitaria che accompagna il lancio del prodotto. Famosissimo il cartellone con la scritta “a pennello sulla tua pelle”, frutto della creatività dello studio Vajenti di Vicenza, premiato a Londra come miglior poster del settore del 1980. La tempra di Giorgio Tonini emerge nelle situazioni più delicate: quando riesce a trattare alla pari con i clienti americani, imponendo il prezzo del proprio prodotto, o quando si oppone al malcostume delle “bustarelle” da offrire ai vari amministratori del territorio con cui è costretto ad operare. La sua determinazione, poi, lo porta a commercializzare i pantaloni da sci “oltre la cortina di ferro”: nel 1977, dopo vari tentativi presso il governo della Cecoslovacchia, inaugura il primo negozio occidentale in una nazione dell’Est europeo, in collaborazione con la ditta americana Lewi’s. Le sue parole in proposiè qui che il cuore di un piccolo industriale si spezzò di gioia….un piccolo ma orgoglioso Italiano che assieme al colosso americano ha fatto una breccia nella cortina di ferro, una breccia per la libertà dell’uomo”.

Roberta Tonini” con sede in viale Europa a Thiene. Era un momenstevano, il tutto poggiava sull’inventiva e la creatività dell’uomo. Considerata la maggiore disponibilità di tempo a disposizione per gli italiani dopo il lavoro, decide di creare capi per il tempo libero e per le attività ad esso inerenti. Calzoni e giacche a vento per la montagna, fuseaux da donna per to in lambretta o vespa. Per l’inverno, mette a frutto l’esperienza sulla neve maturata da militare con gli Alpini, e inizia a produrre il calzone da sci dentro scarpa. Il pantalone da sci diverrà per Il marchio Roberta Tonini è la Roberta Tonini, il cavallo di sempre stato presente come battaglia e nel mondo non ci sarà sponsor nel mondo dello sport; pista in cui esso non sia presente. Tonini sottolinea, però, che il ed infatti lavora assieme a po- suo appoggio è andato sempre chi addetti senza sosta. In pochi a discipline sportive che evidenanni le ordinazioni aumentano notevolmente, grazie anche al l’impegno, l’irriducibilità, il corapporto quasi familiare che egli raggio e l’eroismo: bob su piste sa impostare con il cliente. Ne- naturali e skeleton, alpinismo, gli anni ’70 la Tonini è tra le tre sci nordico e sci alpino. Nel bob, ditte italiane del settore presente alla prima edizione dell’ISPO di ciale delle squadre nazionali, ha Monaco e da allora verrà sem- sponsorizzato gli equipaggi del pre invitata alle principali mani- Bob Recoaro-Tonini, per ben 12 volte Campioni d’Italia. extra-europee. Nel 1972 il mini- Nel 1985 la Tonini è stata spon-


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CINQUANTENARIO DELLA DITTA ROBERTA TONINI, marchio storico del calzone da sci

Mondo di Cortina. Nell’alpinismo il marchio Tonini è legato a spedizioni himalaiane con mete grandiose come Everest, K2, Amadabla’n, Zanskar con alpinisti del calibro di Fausto De Stefani, Franco Perlotto e dei più forti scalatori spagnoli. Nel 1984 la cordata dei recoaresi Gianni Bisson e Paolo Asnicar dedica allo sponsor Tonini la prima tà estreme, allo Ptari Tepui, un monolite levigatissimo nel cuore del Venezuela. Al mondo dello sci Giorgio Tonini ha dedicato ovviamente grande attenzione: a Enego è stato per quindici anni sponsor della Marciabianca, classico appuntamento nazionale di granfondo, mentre nello sci alpino ha sempre sostenuto il settore agonistico, tanto che il Il Trofeo Tonini, che si disputava al Bondone a cavallo degli anni ‘70/’80, era entrato a far parte degli appuntamenti più importanti del calendario FISI a livello giovanile. Nel 1995, grazie al notevole successo che l’abbigliamento tecnico della ditta vicentina riscuote

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Oggi la ditta Tonini commercializza i suoi prodotti attraverso le grandi catene di distribuzione Decathlon e Sportler, dimostrando di sapere stare al passo con i tempi, rinnovandosi nella produzione di pantaloni da sci con tessuti e design sempre all’avanguardia ma con un occhio rivolto alla propria storia. Non a caso, nell’anno del 50°, ha sponsorizzato il Trofeo Roberta Tonini SKINTAGE, gara di slalom gigante per sciatori con attrezzature ed abbigliamento d’epoca che si è svolta sulle nevi di Recoaro Mille domenica 16 febbraio 2014. Chi desidera acquistare il libro di Giorgio Tonini, LA MIA TERRA, ne faccia richiesta a info@tonini.com

presso gli sciatori spagnoli, la ditta Roberta Tonini viene designata, dal governatore dell’AnCoppa del Mondo di sci alpino in Sierra Nevada.


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laghi

La festa della caccia XIII FESTA DEL CACCIATORE DI MONTAGNA – GARA DI TIRO CON LA CARABINA “Circuito armi e tiro TROFEO DEERHUNTER ” di Dorino Stocchero

D

opo dodici edizioni l’associazione Faunambiente in collaborazione con il circolo uncza montagne vicentine ha organizzato quest’anno la tredicesima Festa del Cacciatore di Montagna – Gara di Tiro riservata ai cacciatori che utilizzano fucili a canna rigata e che rientra nel circuito armi e tiro. La gara si è svolta nei giorni 7 e 8 Giugno 2014 in località Lunardelli nello splendido comune di Laghi in un luogo con due suggestivi gne che circondano. Potevano partecipare alla gara tutti i cacciatori muniti di idoneo porto di fucile con tassa concessione governativa e assicurazione validi, ogni cacciatore doveva prendere visione e al rispetto del regolamento esposto sul campo dall’organizzazione. Il regolamento era adottato in

armi e tiro. Le categorie erano suddivise in: cacciatori, libera, open, ex ordinanza, faunambiente-uncza-cacciatori di selezione. Nella categoria armi e tiro Cacciatori, Libera, Faunambiente-

Uncza-cacciatori di selezione e Open erano ammesse le armi standard a canna rigata e le caratteristiche tecniche delle armi dovevano essere le medesime con le quali i fucili e le carabine avevano ottenuto l’inserimento nel Catalogo Nazionale delle Armi. Nella categoria Ex Ordinanza erano ammesse tutte le armi antecedenti all’anno 1945 prive di ottica purché di serie, con l’obbligo di essere esclusivamente in erano in dotazione agli eserciti regolari nazionali ed esteri (erano escluse quelle impiegate da forze speciali e/o di polizia) con scatto in due tempi non inferiore a Kg 1,5. I calibri ammessi erano quelli consentiti dall’attuale legislazione sulla detenzione e il porto d’armi (carabine, combinati e basculanti). Le ottiche dovevano avere al massimo otto ingrandimenti con bloccaggio obbligatorio a tale valore per i cannocchiali con ingrandimenti variabili. A tutti i partecipanti della categoria Ex Ordinanza era consentito sparare dieci colpi su unico barilotto mentre a tutti i partecipanti delle altre categorie era consentito sparare cinque colpi su barilotti

numerati dal n°1 al n°5, più i tiri di prova su apposito barilotto contrassegnato con la lettera “P”; il tempo massimo a disposizione di tutti i tiratori era di otto minuti e i bersagli erano posti a circa 150 metri dal punto di tiro. Le piazzole di tiro, numerate e coperte, erano costituite da tavoli e tutte le categorie sparavano appoggiandosi su sacchetti di sabbia forniti dall’organizzazione. Il risultato dei centri era misurato a punti. La gara si è svolta in due giornate con ottime condizioni atmosferiche e ha avuto un grande successo anche per la massiccia partecipazione dei tiratori provenienti, oltre

che dalla Provincia di Vicenza, anche e sopratutto da altre Province e Regioni. L’edizione ha avuto una perfetta realizzazione grazie all’ottima organizzazione della gara, promossa dai collaboratori di Faunambiente e tutte quelle persone che collaborano e ci sostengono nel mantenere viva una passione che ha ragione di esistere solo se guidata dalla responsabilità e da una grande attenzione alla gestione dell’ambiente e della fauna selvatica. Sul campo gara è stato predisposto un ricco stand gastronomico gestito dalla pro loco di Posina. Le di seguito elencato:


23 LA CLASSIFICA Categoria CACCIATORI

Categoria LIBERA

Categoria FAUNAMBIENTE

Categoria EX ORDINANZA

Categoria OPEN

1. D’ASSIE ELIO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

2. TESCARO MARILIANO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

3. LORENZ LUCIANO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

4. LISSA LEOPOLDO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

5. FORNER GIORGIO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

6. CASERINI BRUNO

PUNTI 49 CON 2 MOUCHE

7. GOBBO MICHELE

PUNTI 49 CON 1 MOUCHE

1. VON PAOLAZ LIONELLO

PUNTI 50 CON 5 MOUCHE

2. VANZELLA FRANCESCO

PUNTI 50 CON 4 MOUCHE

3. PELLEGRINI FRANCESCO

PUNTI 50 CON 4 MOUCHE

4. D’ASSIE ELIO

PUNTI 50 CON 4 MOUCHE

5. TESCARO MARILIANO

PUNTI 50 CON 4 MOUCHE

6. DA RE ALBERTO

PUNTI 50 CON 4 MOUCHE

7. CAVALETTO PAOLO

PUNTI 50 CON 4 MOUCHE

1. LORENZ LUCIANO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

2. LONGHI CLAUDIO

PUNTI 50 CON 0 MOUCHE

3. BRUNELLO GIOVANNI

PUNTI 49 CON 0 MOUCHE

4. PASSUELLO IVAN

PUNTI 48 CON 0 MOUCHE

5. CAILOTTO FERRUCCIO

PUNTI 47 CON 0 MOUCHE

6. CORA’ FRANCESCO

PUNTI 46 CON 0 MOUCHE

7. VERONESE ATTILIO

PUNTI 46 CON 0 MOUCHE

1 TAMIAZZO DARIO

PUNTI 80 CON 7 MOUCHE

2. DAL MOLIN SILVIO

PUNTI 80 CON 5 MOUCHE

3. GIANCOLA MASSIMO

PUNTI 80 CON 4 MOUCHE

4. CAVEDON GIOVANNI

PUNTI 80 CON 4 MOUCHE

5. BISACCO NATALINO

PUNTI 80 CON 4 MOUCHE

6. D’ASSIE ELIO

PUNTI 80 CON 3 MOUCHE

7. SCARABELLOTTO

PUNTI 80 CON 2 MOUCHE

1. FUSARI MASSIMO

PUNTI 50 CON 3 MOUCHE

2. TESCARO MARILIANO

PUNTI 50 CON 3 MOUCHE

3. DA PIAN ROBERTO

PUNTI 50 CON 3 MOUCHE

4. RASON TARCISIO

PUNTI 50 CON 3 MOUCHE

5. VANZELLA FRANCESCO

PUNTI 50 CON 3 MOUCHE

6. DRAGONI MATTEO

PUNTI 50 CON 3 MOUCHE

7. DAMIANI CESARE

PUNTI 50 CON 3 MOUCHE

Con il numero di mouche uguali, 5° e 4°tiro misurati in millimetri a parità di punti differenziano la classifica. A fine manifestazione i primi sette tiratori classificati in ogni singola categoria sono stati premiati con ricchi premi.


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photo: di Ray Giubilo Tennis pho



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tonezza

D’estate lungo le piste dell’inverno

di Matteo e Luigi Lorenzoni

Per il LANNY SUMMER CAMP 2014, l’allenatore dello Sci Cai Schio, Guido Lanaro, ha portato i suoi atleti a compiere un trekking da Tonezza a Lavarone lungo le piste di sci che, durante l’inverno, si fanno in “superpiega”: 51 chilometri a piedi in 4 giorni. Ecco i protagonisti: Chiara, Matteo, Gioele, Filippo, Leonardo, Lapo, Luigi, Eleonora, Beatrice, Maria, Marco, Filippo, Giacomo; Accompagnatori Laura e Pierluigi.

16 giugno 14

Siamo partiti da Tonezza del Cimone e dopo aver osservato la cartina abbiamo imboccato il sentiero del CAI 537 verso il Passo della Vena di Sotto, dove abbiamo fatto merenda. Dopo aver recuperato energie ci siamo recati al Passo della Vena di Sopra per godere dello spettacolare panorama e subito dopo

17/06/14

Dopo esserci svegliati e aver fatto la colazione abbiamo osservato la cartina in modo da trovare il modo più veloce per raggiungere la nostra meta, Ortesino., Ci siamo incamminati per risalire le piste che normalmente percor-

riamo con gli sci in inverno. A Costa d’Agra, prima pista percorsa , abbiamo avuto la fortuna di poter ammirare sei camosci! Quando i camosci si sono accorti della nostra presenza sono andati a nascondersi nel bosco e noi ci

abbiamo ripreso il sentiero che fin li ci aveva accompagnato in direzione della vetta del monte Campomolon sopra al quale abbiamo pranzato. Al termine del pasto siamo dovuti scendere alla ricerca di un pezzo di macchina fotografica smarrito che non è mai stato ritrovato. Dopo esserci ristorati abbiamo fatto una piccola visita al

siamo incamminati verso Malga Pioverna Alta dove abbiamo visto le mucche al pascolo. Poi abbiamo ripreso il cammino verso il Passo Coe dove, sotto la pioggia, abbiamo mangiato al riparo offertoci dalla cassa degli

forte della I guerra mondiale Campolon, il quale svolgeva un ruolo fondamentale nell’attaccare gli austriaci, purtroppo il forte e stato pesantemente rovinato in seguito ad un esplosione perciò è visitabile solo in parte. Alla fine della visita abbiamo ripreso il cammino verso il rifugio Valbona dove abbiamo cenato e passato la notte.

skipass. Finito il pasto abbiamo ripreso il sentiero verso Ortesino dove abbiamo passato la notte, prima di smistarci nelle varie camere abbiamo visitato una vecchia stalla molto grande a pochi passi dall’albergo.


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egnato da Lapo r e d is

27

Il Fo rt

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2 18/06/14

La sveglia del mattino è suonata alquanto presto perché il tragitto del giorno sarebbe stato molto lungo. Dopo colazione abbiamo fatto una specie di gara in cui dovevamo trovare la via più veloce per la frazione Gionghi di Lavarone. Abbiamo imboccato un sentiero antico, ora non ben mantenuto, perciò ci siamo “persi” nella val d’Astico alla ricerca di un luogo in cui poter fare il bagno nel fiume. Prima di trova-

19/06/14

L’ultimo giorno abbiamo potuto svegliarci con più calma visto che non avevamo un lungo tragitto da percorrere, dopo colazione ci siamo recati alla

re il luogo giusto ci siamo seduti su un collina per fare la merenda. Per cercare il posto in cui fare il bagno abbiamo trovato una segheria, ora in ristrutturazione, che una volta funzionava spinta dalla corrente del fiume Astico. Oltre alla segheria abbiamo trovato un cartello che parlava della chalchera, una struttura dedicata a produrre calce da costruzione. Per cercare il posto per fare il bagno abbiamo visto

fattoria didattica di proprietà dell’azienda agricola ”Soto al Croz”, dove ci sono state spiegate alcune cose sull’allevamento del bestiame presente nella fattoria, durante la

delle impronte che si suppone siano di dinosauro. Dopodiché abbiamo trovato il posto giusto per fare il bagno, sotto un ponte. Solo pochi di noi hanno avuto il coraggio di buttarsi, per la gelida temperatura dell’acqua . Alla fine del bagno ci siamo recati a Carbonare, frazione di Folgaria, per pranzare. Dopo il pranzo ci siamo incamminati verso Gionghi più precisamente all’albergo Miramonti dove abbiamo cenato e passato la notte. mattinata abbiamo preparato della tosella seguendo le istruzioni dateci. Poi siamo tornati all’Hotel Miramonti per pranzare e preparare le valigie. Per finire la giornata ci siamo recati al forte austriaco Belvedere

ALTRI ESTRATTI DAI DIARI DEI BAMBINI…

Io ho mangiato un panino al burro e zucchero e due alla marmellata, poi ho bevuto la Siamo arrivati al Rifugio Valbona cioccolata. e mi sono messo a piangere. La falegnameria funzionava ad acqua, praticamente arriva Al Rifugio Valbona abbiamo l’acqua e muove il mulino che mangiato bigoli al ragù, poi muove un pezzo di legno e il cosce di pollo e poi un dolce pezzo muove la sega e la sega buonissimo, erano frutti di taglia il legno. Poi abbiamo visto bosco e frittelle. le impronte dei dinosauri: erano E’ stato buonissimo mangiare al gigantesche! Rifugio Valbona. Adesso andiamo a letto. La Chiara è cotta, è Quando siamo arrivati ci hanno stata la prima ad andare a letto. fatto festa già due cani: uno era un colly e l’altro non mi ricordo. A tavola stava capottando; verso la fine aveva un crampo al Il mio zaino funzionava da piede e non riusciva ad andare avanti. Non ce la facevamo più spazzatura, mi mettevano ad andare avanti. Ma ce l’abbia- tutte le cartacce e i rifiuti che si trovavano. mo fatta Sulla pista Guido ha trovato un Rolex d’oro per terra. Che fortunato! Oggi mi sono svegliato e Guido mi ha detto che russavo come una segheria!

fumetto di Filippo

Poi siamo tornati a Schio con il pulmino e quando sono sceso la prima cosa che ho fatto ho salutato la mamma.

dal diario di Gioele

dove una guida ci ha spiegato molte cose interessanti riguardanti il forte e la vita all’interno di esso. Alla fine abbiamo preso il pulmino per tornare a Schio dove ci aspettavano i nostri genitori per tornare a casa.

Prima lezione di vita all’aperto, come orientare una cartina, purtroppo sembra facile ma in realtà non lo è.

Siccome faceva caldo abbiamo convinto Guido di lasciarci fare il bagno nel fiume. Non avrei mai pensato che l’acqua fosse così fredda. E’ stato divertentisDopo 12 km. di cammino siamo simo!!!!!!!! arrivati al rifugio Valbona dove Affamati ci siamo fermati per ci siamo divisi in 2 camerate pranzo, dove Gianluigi ci ha e un bulldog mi ha morsicato salvato con i panini. come ricordo! Siamo partiti con il sole ma in cima alla costa D’Agra faceva molto freddo e ci siamo messi giacca, guanti e berretto di lana. Arrivati a Passo Coe ha iniziato a grandinare. Per fortuna ci siamo rifugiati sotto la biglietteria degli skipass. Al forte austroungarico di Sommo Alto dove ci siamo divertiti a percorrere tantissime e lunghissime gallerie. Sveglia alle 7,15. Colazione e poi esame di orientamento individuale

Io e altri ragazzi abbiamo supplicato Guido a lasciarci stare nella stessa camera, lui ha ceduto. In questa fattoria ogni vitellino nato prende il nome con l’iniziale della mamma mucca. E’ stata una visita moltooooooo interessante e non volevamo più venire via ma purtroppo dovevamo tornare a casa. Sfortunatamente è finita la nostra bella avventura ma ci sono rimasti tanti bellissimi ricordi e amicizie


28

chiampo

L’infinita grazia di Hilenia Mario Bardin ci racconta il grande talento per le Arti Marziali di Hilenia Lovato, Campionessa italiana di Karatè nella categoria “Speranza”.

V

iale d’autunno. Le foglie hanno accolto l’invito della terra. Il variegato colore che esprimevano sulle fronde si va ora amalgamando: la vita assume una dimensione nuova, più pacata e monocroma. Piccole sfumature di marrone. Questo si coglie nella misteriosa profondità degli occhi di Hilenia. E questo inquadrano con significativa percentuale di tempo amici ed avversari. Un magnetismo persistente.

La preparazione ai margini del tatami non rivela nulla di più di una calma disinvolta. Niente joga o simili. Solo un discorrere amabile, un rilascio di possibili ansie che comunque ogni sportivo deve subire come male necessario. Un sorriso, un sorriso che rivela una tensione consona dei muscoli mimici del viso. Nessuna contrazione, semmai la tendenza ad una gioia repressa. La concentrazione? C’è. Senza riti propiziatori o formule magiche, senza gesti atletici consueti e reiterati che garantiscano il livello necessario di tranquillità. La serenità è qualcosa di interiore, che riposa ben nascosta nelle pieghe dell’animo e che l’ammiccare delle ciglia, con spazi dilatati, lascia immaginare. Anche la muscolatura risponde a questa regola, apparentemente banale, della semplicità. Ma la semplicità, la spontaneità della figura sono figli di una preparazione costante e maniacale. Psiche e corpo rispondono allora all’unisono, come rimandassero vicendevolmente un accordo musicale che si propaga. Armonia allo stato puro. Musica assoluta. Siamo ora pronti. Si entra. Nemmeno ora trapela emozione. Semmai rispetto, legge universale degli incontri umani, ma che qui assume supremo significato simbolico. Significato che questa disciplina

di Mario Bardin foto di FOTOGI’ si trascina da tempi antichissimi ed evoca altrettante speculazioni filosofiche, stili di vita, esigenze di pensiero. Pensiero che vaga nello studio, studio per inquadrare l’avversario. Logica e intuito. In pochi attimi si deve raggiungere la cognizione dell’antagonista, immaginare il punto debole, il punto di fusione. E’ tutto un lavoro di occhi e pensiero. L’azione è lì, pronta a scattare, ma trattenuta. Perché il colpo va portato in modo magistrale, non per tentativi. L’adrenalina aumenta, gli occhi sembrano incavarsi, riflettersi in un circuito cognitivo sempre più profondo, più enigmatico. Se si potesse considerare l’azione al rallentatore il movimento esprimerebbe tutta la potenza creatrice nella sua plasticità. Un albatros che distende flessuosamente le ali, come bene si evince dalla posizione di copertina. Ma tutta questa grazia, esaltata al femminile, recede al momento concreto. Forse non rimane niente. Ma non per gli addetti ai lavori. Si trattiene il fiato. Punto. Quella pausa di riflessione, così a lungo coltivata, si cristallizza in un atto supremo.

F

r


29 Ora sono gli occhi degli spettatori che si incrociano. “Ho visto bene? O è solo fantasia?”. Sì, avevano visto bene. In un attimo il colpo è entrato e uscito. Significa vittoria, sotto l’arco di trionfo della velocità. Campionessa italiana nella categoria “Speranza”, novembre 2013. Ma come, un atteggiamento così lontano dalla teatralità, quale era tutto l’atto preparatorio, muta improvvisamente in essenzialità forsennata? Questo non ci si aspetta. Non si suppone che sotto una calma olimpica ribolla fremente il binomio pensiero-azione, uno funzione dell’altro.

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Lo schema, così assiduamente preparato, si dissolve. Inchino, un sorriso, più convinto questa volta, e si esce. Hilenia siede ora al pianoforte. Gli autori classici escono da quelle mani. Si ricompone la calma. Le foglie continuano a cadere nei viali d’autunno.

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NEL TEMPIO DELLA MOTO Cronaca dal Mugello, dove il fine settimana del Gp è sempre un evento “speciale”, parola di Valentino Rossi Un evento imperdibile per gli appassionati di motori ha aperto questo giugno 2014. Il primo del mese si è svolta al Mugello, “il circuito di casa”, la sesta tappa del motomondiale, dove i 77643 spettatori accalcati su prati e tribune di questo tempio sacro delle moto hanno esultato davanti ai sorpassi al limite dei centauri delle due ruote. Staccate infinite e violente, curvoni veloci, saliscendi mozzafiato e un rettilineo lungo ben 1141m in cui si raggiungono i 349 km orari rendono la corsa una delle più difficili e appassionanti del calendario, in grado di regalare emozioni uniche. Non importa quanta strada si è percorsa per arrivarvi, ogni anno l’avventura si ripete e dalla provincia di Vicenza come da ogni parte della nostra Nazione, perfino dalla Sicilia, giungono migliaia di persone consapevoli del fatto che questo è “un fine settimana speciale” (cit. Rossi). Si campeggia sui prati toscani all’interno della struttura consci che “al Mugello non si dorme” per la festa adrenalinica che impazza, tra il fumo di gas di scarico e un continuo ronzio di motorini truccati in sottofondo fino

all’alba della domenica, quando l’urlo profondo di Ducati, Honda e Yamaha ammutolisce tutti. Con la pelle d’oca si sceglie il proprio posto, in attesa dell’inizio delle corse. Com’è andata a finire quest’anno lo si sa. “Fenomeno Fenati” trionfa in moto 3, in moto 2 Rabat. In moto GP Marc Marquez vincente, cannibale delle due ruote a motore, sempre più leader della classifica, ci ha regalato nell’ultimo terzo di gara una battaglia a dir poco “Marcziana” con il maiorchino Lorenzo. Jorge, con tutta la cattiveria del campeón, ha risposto a ogni colpo nel duello casco a casco che si ripeteva sempre differente alla curva San Donato e poi su nel breve tratto in salita che immette nella prima di una serie di chicane, la Luco-Poggio Secco, punto più alto del circuito, da cui uscire veloci verso la seconda chicane più stretta della Materassi e Borgo San Lorenzo, per arrivare all’insidiosissima discesa destrasinistra della Casanova-Savelli, teatro di battaglie epiche, dove la forza centrifuga spinge fuori traiettoria. Ed ecco il fiume d’asfalto snodarsi nelle difficili curve cieche dell’Arrabbiata

di Elena Bernardi foto di Sarah Grillini


32 uno e due e poi la Scarperia, la Palagio che scollina verso il Correntaio. Giù in discesa coi gomiti a sfiorare l’asfalto, i due spagnoli giungevano con un’accelerazione bruciante alla esse delle Biondetti, poi alla Bucine e di nuovo gas a martello sull’infinito rettilineo in salita per dare nuovamente vita a staccate da brivido. Pathos e motocicletta. Ci vuole coraggio a guidare queste moto e gli spagnoli fin dai tempi di Nieto hanno cantato un inno alla temerarietà. Hanno il senso del tragico dentro, nel profondo; la corrida è sangre y muerte. La spagna sarà anche in crisi, ma negli ultimi vent’anni nello sport ha investito, dal calcio al tennis e per il motociclismo piste e scuole di moto, la Dorna che organizza il mondiale, un vivaio di ragazzini e ora si ritrova in pista piloti fortissimi. Alle spalle del duo di testa, c’è il fuoriclasse italiano nove volte campione del mondo Valentino Rossi. E’ il pilota che qui ha vinto di più in tutte le classi del Campionato del Mondo, re indiscusso del Mugello, con un totale di 9 vittorie, l’ultima nel 2008. Dalla decima posizione in griglia, dopo qualifiche non certo brillanti, in quattro giri ha saputo recuperare e mettersi in caccia dei fuggitivi, regalando al suo popolo giallo il

187° podio, degna celebrazione del suo 300° GP in carriera. Lì sul terzo gradino a ricordare a tutti che, se da qualche anno noi italiani siamo meno competitivi nella velocità, c’era un tempo in cui eravamo i più forti in assoluto, i piloti più fini e tecnicamente preparati, professionali, lucidi e sempre alla ricerca del miglior feeling con la ruota anteriore. All’energia e al coraggio, aggiungiamo la conoscenza del mezzo meccanico, la sensibilità di guida, lo stile e l’arguzia nella visione della gara, freddezza e perfezionismo. Da Rossi in giù altri 20 piloti sfrecciano davanti agli spettatori su moto che non sono più metallo, non sono più tecnologia, non sono più pneumatici ma hanno un’anima e diventano strumento della loro passione, in un gioco a scacchi col pericolo e la morte. Razionalità e follia, velocità e precisione, gioie e lacrime, un crogiuolo di emozioni che lascia senza fiato l’immensa folla che circonda l’asfalto del circuito e che osanna e applaude i propri eroi, pronta a invadere racambolescamente la pista a fine gara per acclamarli sul podio e a tornare l’anno successivo in questo gigantesco Colosseo delle due ruote che è il Mugello.

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vicenza

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Il pilota ROBERTO MARIA CODA del team MC DUCATI VICENZA ottiene un eccellente secondo posto nella terza prova dell’Alpe Adria Championship

CODA-HONDA, BINOMIO VINCENTE di Emiliano Barban

S

abato 14 e domenica 15 giugno sul circuito di Fiume (Rijeka) in Croazia, si è svolta la 3^ prova dell’ Alpe Adria championship 2014, dove il pilota del moto club Ducati Vicenza, Roberto Maria CODA , ha esordito con la nuova moto, un’Honda 250 TWIN , conquistando con un ottimo secondo, che gli permesso di conquistare punti importantissimi per la classifica finale. Già dal mattino con il primo turno di prove cronometrate si è capito che il feeling con la nuova moto sarebbe stato immediato. Il crono, dopo appena un giro, ha registrato un buon tempo che ha visto alla fine delle prove il 2° tempo assoluto, valido per la partenza in griglia in prima fila. In

gara 1 dopo una partenza entusiasmante e veloce vedeva il pilota berico al comando per i primi 3 giri, in un’avvincente lotta gomito a gomito, carena contro carena ed a suon di staccate, sorpassi e controsorpassi, essere superato nel finale dal compagno di marca, Florio Salsi. Coda si è difeso strenuamente anche dagli attacchi della Suzuki dell’italiano Bonvicini e della MZ di Spendal , sloveno, dimostrando l’ottima forma e l’ottimo approccio con la nuova moto, tagliando il traguardo al 2° posto. Nella gara 2, vedeva R.M. Coda in griglia col miglior tempo assoluto, registrato nel warm up, ma sfortunatamente, la direzione gara ha ritenuto opportuno annullare la gara causa il forte vento;

delusione da parte del pilota e dei suoi numerosissimi tifosi accorsi sul circuito croato, in quanto con le prove e il Warm up della mattina, Coda aveva dimostrato di girare costantemente con un tempo importantissimo che l’avrebbe sicuramente portato alla conqui-

sta del gradino più alto del podio. Prossimo appuntamento ancora a FIUME (Rijeka) per la 4^ prova dell’Alpe Adria Championship , dal 4 al 6 luglio con il nuovo binomio Coda/Honda a caccia di un primo posto.

ORDINE DI ARRIVO E CLASSIFICA OLDTIMER 250 RIJEKA 15.06.14 1. SALSI FLORIO

ITA

SMF

HONDA

2. CODA ROBERTO MARIA

ITA

FMI

HONDA

3. BONVICINI NICHOLAS

ITA

SFM

SUZUKI

4. SPENDAL MILAN

SLO

AMSZ

MZ

5. SKIBIN DARKO

SLO

AMSZ

HONDA

6. HRNAL ZDENEK

CZE

ACCR

DUCATI

7. KLANNER RUDOLF

AUT

OAMTC

DUCATI


34

Martina, my book

Farsi male, fa parte del gioco!

P

er chi pratica certe tipologie di sport, il rischio infortunio è tra le variabili di ogni allenamento e gara, non mi riferisco solo a sport di contatto, come il rugby, ma penso anche a sport come il motocross. Altri sport, al contrario, sembrano a rischio zero, eppure molti tennisti devono fare i conti epicondilite radiale (nota come “gomito del tennista”) e molti nuotatori convivono con danni e dolori tremendi alle spalle. In altre parole, qualsiasi sport tu faccia, il rischio infortunio è sempre dietro l’angolo.

La nostra Martina Dogana firma un’importante opera per la casa editrice Hoepli di Milano: il manuale del Triathlon, la bibbia per chi ama misurarsi nei tre sport dell’Ironman

M

artina Dogana sua collana Outdoor, la più è una delle più prestigiosa per la manualiforti atlete di stica sportiva, di mettere su del carta tutta la sua decennale triathlon è uscito un mondo, con un palmares di esperienza. Ne nso e ricco inte i vittorie straordinario in tutt libro bello, e regole, sull ni thzio di informa i principali circuiti di tria tecniche e sull li, Tra sui materia lon sulla lunga distanza. ento nam alle di la e sui metodi le sue affermazioni spicca a rtiv spo na ipli za disc di questa vittoria all’Ironman di Niz nuo il rt: spo tre e diche contien del 2008 che l’ha posta di rMa sa. cor la o, te to, il ciclism ritto – sono solo due le atle un to vin no tina, che è una “fondatrice” han che e ian ital la della nostra rivista, avendoci Ironman – tra i grandi del prima ora, o storia della disciplina. Dop scritto fin dalla del Triath” bia tibib firma “la anni da triathleta di ver insegna che ura pli lon, una lett ce, la casa editrice Hoe fatica la e cer vin e di Milano, tra le più antich i segreti per e. anz dist la delle lunghe d’Italia, le ha chiesto, per

L’infortunio mette a dura prova ogni atleta: sia esso un top performer, sia esso uno sportivo amatoriale. Al di là del dolore fisico del trauma e del primo periodo di recupero, l’aspetto forse più micidiale è quello psicologico. Infatti oltre al dolore, alle restrizioni e alla fatica, si sommano sensazioni di perdita e angoscia rispetto al livello di performance futuro (tornerò ad essere quello di prima?); e ancor più pericolose subentrano alterazioni dell’immagine di Sé

(chi sono?), rivalutazioni degli obiettivi (cosa voglio fare?) e diminuzione di auto-efficacia (sono in grado di farcela?). Tutto questo vortice di cambiamenti e il distacco dalla routine sportiva, portano lo sportivo a sentirsi smarrito e solo. La psicologia dello sport, fin dai suoi albori, si è occupata di indagare ciò che va oltre l’aspetto puramente medico di un infortunio e si possono rintracciare due grandi filoni di ricerca. Il primo consiste in tutta una serie di studi che hanno avuto come oggetto d’indagine possibili cause psicologiche in relazione ad incidenti e infortuni. Rispetto a questo primo filone: è ad oggi assodato che, sebbene molte delle cause di incidenti siano di natura fisica (struttura corporea, livello di condizione, attrezzature insufficienti, o superfici di gioco inadeguate), anche i fattori psicologici hanno importanza: infatti persone con particolari caratteristiche personali di risposta allo stress e con poche risorse per affrontarlo, hanno più infortuni di altri. L’altro filone di ricerche non poteva che mirare agli aspetti psicologici del recupero da un infortunio.


35

Dott.ssa Rubbo Nicole PSICOLOGO DELLO SPORT riceve a: Asiago (VI), Cassola (VI) & Vicenza Solo la psicologia, e in particolare la psicologia dello sport, può offrire gli strumenti adeguati per far fronte, ad esempio, a: • sensi di colpa per aver deluso le aspettative della squadra o di altre figure significative; improvvisi • cambiamenti d’umore o di comportamento nelle relazioni affettive; • preoccupazioni ossessive sul ritorno all’attività; • manifestazione di sentimenti di impotenza riguardanti il recupero. Alcune persone possono addirittura arrivare a negare la realtà dell’infortunio e a ritirarsi dalle relazione sociali abituali. Tutti questi fenomeni, spesso silenti e difficile da cogliere, possono verificarsi a seguito di un infortunio, e non tutte le persone hanno le risorse per affrontarli da soli. Non si pensi che il grande campione, magari dotato di grande carisma e che ostenta sempre sicurezza ne sia immune. Anzi: più si è ad alti livelli, più la posta in gioco è alta. Come aiutare l’atleta infortunato? Non esiste una ricetta valida per

Phone: 3494507987 mail: nicole.rubbo@libero.it coloro che hanno avuto modo tutti: i programmi di supporto di vederla applicata in contesti dovranno essere personalizzariabilitativi, “l’imagery” è poti e dovranno combinare più di tentissima. uno strumento della psicologia. In contesti riabilitativi, infatti, un Un’arma potentissima che il lavoro di rappresentazione professionista può (e deve) utimentale del movimento, è una lizzare nel percorso di recupero realtà assodata, applicata con è la Mental Imagery, che può pazienti affetti da gravi deficit essere tradotta come “visualizmotori ed emiparesi. zazione” o “rappresentazione Non pensiate ora che, se avete mentale”. una gamba fratturata, basti penPer “imagery” s’intende la risare di correre è ciò vi faccia produzione di contenuti cogniguarire; tivi non presenti alla percezione visualizzare mentalmente non bosensoriale attuale e la riela è un’ attività scontata. Lo psirazione e interpretazione origicologo dello sport che decide nale dei dati percepiti. di lavorare attraverso la mental In altri termini, visualizzare siimagery deve prima insegnare gnifica rappresentarsi qualche all’atleta come visualizzare, e cosa, senza viverla nella realtà, solo aver capito a fondo cos’è e ma “vivendola” mentalmente. come funziona, iniziare il vero Vi chiederete, visualizzare a lavoro di “imagery”. cosa serve all’atleta con una gamba fratturata? Per concludere e per chi avesE’ dimostrato che la rapprese ancora dubbi vi lancio una sentazione mentale degli evensfida: provate a fare un caneti motori coinvolge le stesse stro... e poi, provate a rifarlo aree corticali che sono attivate avendo prima visualizzato durante l’esecuzione dei movibene il gesto tecnico che dovementi. Per capirci se immagino te fare, visualizzando anche la di fare un tiro a canestro, attivo palla che entra nel canestro. le stesse aree celebrali che si Attraverso la Mental Imageattivano quando lo eseguo realry, la probabilità di successo, mente. è maggiore: potete verificarlo Attraverso questa attività di anche voi!!! pensiero, quindi, l’atleta che ha sospeso l’attività per infortunio, “Eseguivo i tuffi nella mia testa può comunque allenarsi nell’aftutto il tempo. La sera, prima finamento dei gesti tecnici (alledi dormire, effettuavo sempre i namento ideomotorio). miei tuffi. [...] Se sbagliavo il Ma cosa ancor più importante tuffo, tornavo indietro e ricoè che attraverso il “pensiero” minciavo. Questo per me era si vanno a rinforzare tutte quelmeglio di un allenamento. Mi le strutture nervose in cui sono servì molto tempo per imparalocalizzati gli schemi motori re a controllare le immagini e a necessari al movimento, faciliperfezionare le visualizzazioni, tando così il loro recupero. forse una anno, facendolo tut“L’imagery” non si riduce a ti i giorni. […] Continuando a questo: uno psicologo può, atlavorarci su, raggiunsi il punto traverso questo strumento, acin cui potevo davvero sentirmi compagnare l’atleta a rielaborasul trampolino, mentre eseguivo re l’incidente e prevenire paure un tuffo perfetto e la folla ure angosce future, e può anche lava alle olimpiadi. Ci lavorai aiutarlo nel gestire il dolore su così tanto da raggiungere qualora fosse cronico e, ancora, la consapevolezza di poter fare può essere utilizzato per traitutti i miei tuffi facilmente.” ning volti ad aumentare l’autoefficacia. Sylvie Bernier Forse chi conosce questa tecnipica 1984 olim o d’or medaglia ca in maniera superficiale può giudicarla banale o di dubbia efficacia, ma vi assicuro che, per


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In volo con i rapaci Un lunedi’ da record in parapendio in compagnia dei rapaci (umani e non) di Stefano Mazzoleni

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omenica 11 agosto, pomeriggio, sono a casa in pieno relax da ferie e rispondendo al cellulare Damiano, pilota di livello mondiale e istruttore di elevata esperienza della scuola Blue Phoenix di Thiene, super eccitato mi prospetta per l’indomani la giornata magica dell’anno a Sorica, una piccola e tranquilla zona di villeggiatura in Slovenia che potrebbe premiarci con un bel bottino di punti per il campionato nazionale e mondiale di parapendio www.xcontest. org. Il campionato di xcontest si sviluppa nell’arco di 12 mesi dal 1 di ottobre al 30 di settembre successivo, poiché in Brasile da ottobre a dicembre spira il vento eliseo che permette di percorrere le pianure sconfinate con voli di ben 470 km in 9 ore (record del mondo di andata a meta 2013).

più km possibili che saranno poi punteggiati in 3 modi: 1 - andata a meta: si riceve 1 punto ogni km percorso decollando da un punto e atterrando in un altro opposto al decollo. 2 - andata e ritorno: si riceve 1,20 punto per km percorso decollando da un punto e dopo aver aggirato un punto scelto si ritorna nelle vicinanze del decollo. 3 - triangolo Fai (Federazione Aeronautica Internazionale) si prende 1,4 punti per km percorso e si devono fare 2 boe che assieme al decollo formano un triangolo quasi equilatero. Un pilota può scaricare sul programma quanti voli desidera ma la classifica viene calcolata sommando i 3 migliori voli per la classifica Nazionale e i 6 migliori per la classifica mondiale. Le classifiche sono suddivise in varie categorie di parapendio, femminile e di club.

Per competere in questo campionato si deve effettuare dei voli muniti di apposito gps per scaricare le tracce sul sito www.xcontest.org partendo dove si vuole, quando si vuole e percorrendo

Chiusa la chiamata con Damiano e dopo aver avvisato il mio compagno del team Nova Italia Max Favaro di Caprino Veronese si parte verso sera per raggiungere assieme a Damiano Lino e Da-

rio, dopo 4 ore e mezza di macchina la partenza della seggiovia di Sorica verso l’una di notte. Preparati gli alloggi ci gustiamo le stelle cadenti da un cielo di una bellezza indescrivibile (si poteva bere la via lattea). La mattina successiva verso le 8,30 arriva il resto della comitiva, una quindicina di piloti di levatura mondiale tra cui la campionessa del mondo Nicole ed i due piloti ufficiali, della ditta Nova produttrice Austriaca di parapendio, Rinaldo e Raul.


38 Colazione e via in seggiovia per raggiungere alle dieci il decollo (nuovo per me, Max, Dario e Lino) che si presenta come un imbuto a strapiombo sopra una pineta dove apri a malapena 2/3 parapendio con raffiche di vento superiori ai 30 km orari. Arduino, detto “il bimbo”, reduce da un volo del giorno prima di 280 km apre subito e decolla da manuale seguito a ruota da Damiano, Raul, Nicole e Rinaldo, e poco dopo decolliamo anche noi.

Dopo qualche giro in termica (aria ascensionale che permette di salire verso l’ alto) ed un po’ di ambientamento raggiungiamo una quota che ci permette di raggiungere le creste delle montagne dietro a noi e quindi partire per il volo che ora dopo ora diventa sempre più bello con altezze sul livello del mare anche di 2700/2800 metri e termiche da + 8/10 m/s ( circa 30/35 km verso l’alto) in compagnia di vari rapaci.

Da questo momento in poi è un susseguirsi di costoni molto generosi ma anche moto insidiosi e non sapendo dove andare e che montagna prendere noi con i nostri Parapendio Nova Mentor 3 WHY SPORT siamo stati costretti ad aspettare in ogni traverso qualcuno che ci indichi la montagna giusta dove andare per evitare di perdersi in un percorso nuovo e lungo oltre 100 km. Traverso dopo traverso arriviamo a sorvolare Gemona del Friuli ed il lago di Cavazzo splendidamente incastrato tra il monte Simeone ed il monte Faèit talmente ostico che per risalirlo in termiche tutte rotte e turbolente ci siamo inventati l’ impossibile. Raggiunta la cima abbiamo avuto la conferma che le “favolette” raccontate riguardanti i voli di Sorica senza atterraggi, erano assolutamente vere e ci siamo resi conto con annesso brivido lungo la schiena, di aver davanti un tratto del percorso composto da varie montagne lungo almeno 15 km, pieno di pinete, poco generoso di termiche e senza assolutamente nessun atterraggio ma, determinati nel raggiungere il nostro obiettivo e grazie all’alta efficienza del mezzo (è il rapporto di tasso di caduta ed avanzamento per ogni km di discesa si percorrono circa 10 km in avanti) siamo riusciti a passare anche questa insidia e quasi senza accorgermene siamo arrivati ai 110 km di strada percorsa. Li ci siamo trovati davanti “l’ inferno dantesco”(chiaramente nessuno ci aveva resi edotti dell’esistenza di tale incubo) chiamato così perché devi attraversare un laghetto di una diga ed imbucarti dentro una valle da brividi tutta in ombra dove se riesci ad atterrare illeso ti aspettano 8 ore a piedi per uscirci con uno zaino di 20 kg circa (peso composto da tutta l’ attrezzatura per il volo). Sostiamo un attimo in un spigolo per capire e decidere cosa fare e vediamo uscire “dall’inferno dantesco”, raso terra il nostro amico Gerry che cerca disperatamente una termica per evitare di atterrare a lato del laghetto. Riuscendo nell’intento Gerry ci raggiunge in quota e dato l’orario e la nostra piena soddisfazione decidiamo di rientrare in compagnia per tentare di chiudere un percorso di andata e ritorno mitico.

Dopo 2/3 km di inferno a pelare le piante in un sottovento mostruoso che non permetteva di risalire le cime manco a pagarlo oro, la serata è diventata magica via 2/300 mt sopra le cime delle montagne fino a sorvolare il decollo dove magicamente alle 18,30 circa una termica di 1 km di diametro ci ha porta fino a quota 3100 m s.l.m. regalandoci, come la ciliegina sulla torta, una planata di 15 km verso Lubiana Conclusione della fantastica giornata: Il posto si è rivelato molto bello, molto tecnico, generoso come condizioni, dove si viaggia a medie molto alte, basta solamente non guardare in basso gli atterraggi che non ci sono e poi via sempre a tutta velocità. Il risultato strabiliante della giornata (erano almeno 5 anni che non c’era una giornata così perfetta per il volo in parapendio) è di aver fatto tutti noi piloti decollati un volo superiore ai 200/220/240 km di andata e ritorno volando 8/9 ore di seguito (record personale per quasi tutti) ed il mitico Arduino ha conquistato il record del mondo di andata e ritorno con un volo di ben 311 km. Splendida compagnia, splendido il posto anche senza volare ed un ringraziamento per la disponibilità a tutti i piloti presenti, alla WHY Sport di Santorso VI, azienda leader produttrice di integratori alimentari per il sostegno tecnico ed in fine alla Mitica Nova-wings azienda Leader a livello mondiale produttrice di parapendio per aver realizzato il Mentor 3 un gioiellino fantastico. Per informazioni sulla pratica del volo libero in parapendio e deltaplano nella zona di Valdagno e dintorni: A.S.D. Parapendio Monte Falcone Tel. Cristiano: 338.2288849 Stefano 3355483975 www.parapendio.info e-mail: posta@parapendio. info Scuola di Volo: Blue Phoenix Parapendio Montefalcone Tel. Riccardo: 348.6048730 www.bluephoenixparapendio.it


Il grande Boulder

schio

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Straordinaria affermazione al Campionato Europeo Giovanile Lead, svoltisi a Edimburgo, del giovane Giorgio Bendazzoli.

G

iorgio Bendazzoli ha conquistato nella categoria Under16 uno storico primo posto: il forte boulder vicentino de “El Maneton” di Schio è riuscito nell’impresa compiendo una gara perfetta, forte di un talento e di una preparazione eccellenti; bene anche Lisa De Martini che nella categoria Under18 si è piazzata all’ottavo posto. Anche nei Campionati Italiani di Arco del 7 e 8 giugno, gli atleti vicentini de “El Maneton” hanno ottenuto risultati di assoluto rilievo, tra i quali

spicca il secondo posto di Camilla Bendazzoli, sorella di Giorgio, fresco campione europeo. Il risultato di Arco è valso a Camilla la convocazione nella squadra nazionale. Bene anche Maria Tomiello, campionessa regionale di specialità, che conquista la 18 posizione nella gara di Arco valevole per il titolo tricolore. Campionato italiano 2014 5 Medaglie e ottimi risultati per gli atleti Under 20-18-16 dell’A.S.D. “El Maneton” di Schio (VI) al Campionato Italiano Govanile 2014 di Arco.

LA CLASSIFICA 2° classificata

Lead

U18F

Lisa De Martini

2° classificata

Boulder

U18F

Camilla Bendazzoli

2° classificato

Lead

U16M

Giorgio Bendazzoli

3° classificato

Boulder

U16M

Giorgio Bendazzoli

3° classificato

Combinata

U16M

Giorgio Bendazzoli

4° classificata

Lead

U18F

Camilla Bendazzoli

4° classificata

Combinata

U18F

Lisa De Martini

6° classificato

Lead

U20M

Luca Marzari

9° classificata

Boulder

U18F

Lisa De Martini

18° classificata

Boulder

U18F

Maria Tomiello

23° classificata

Boulder

U16F

Andrea Addondi

25° classificata

Lead

U16F

Andrea Addondi

31° classificata

Lead

U18F

Lisa Montanaro

32° classificata

Boulder

U18F

Lisa Montanaro

VALTERMO

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schio

Sci Cai Schio alè alè Buon bilancio di stagione per la squadra agonistica dello Sci Cai Schio nelle categorie superbaby, baby e cuccioli, ragazzi e allievi

S

icuramente la stagione 2013/2014 appena conclusa sarà ricordata per le bizzarrie del tempo. E’ stato un inverno caratterizzato da temperature oltre la media e ricco di piogge. Il fine stagione, invece, come ormai sta succedendo spesso negli ultimi anni, ci ha regalato le abbondanti nevicate mai arrivate durante i mesi più importanti per la nostra attività, tanto che gli impianti di risalita sono stati chiusi con le piste ancora perfettamente innevate. I corsi di sci e l’attività agonistica hanno risentito di queste condizioni meteo, alcune lezioni dei corsi sono state rinviate, alcune svolte sotto la pioggia e molte gare sono state rinviate o annullate. L’insieme di tutte queste situazioni, hanno costretto gli organizzatori dei corsi, maestri e allenatori a continui cambi di programma fino all’ultimo momento. Per quanto riguarda il bilancio conclusivo dell’attività agonistica e pre-agonistica, i corsi sono iniziati i primi di dicembre e terminati a fine marzo con una presenza complessiva di circa 50 ragazzini. Gli allenamenti si sono svolti come di consueto nel comprensorio di Folgaria per tutte le uscite prima di Natale, mentre per il prosieguo della stagione, ci siamo trasferiti sulle piste di Lavarone.

Le gare FISI sono iniziate il giorno della Befana e si sono concluse con i Regionali ai primi di marzo. Nelle categorie super baby maschili e femminili abbiamo guadagnato più volte il gradino più alto del podio con Sara Maggia e Stefano Rossi. Nelle restanti categorie abbiamo ottenuto ottimi risultati che hanno consentito l’accesso alle fasi Regionali, per gli atleti: Lapo Borgo, Luigi Lorenzoni, Matteo Lorenzoni, Luca Maggia e Filippo Rossi. Conquistando il quinto posto ai Campionati Regionali, Matteo Lorenzoni si è guadagnato la partecipazione al Criterium Nazionale cuccioli di Piancavallo. Alle gare FIE regionali, tutti i ragazzini del gruppo, chi più chi meno, si sono alternati sui gradini del podio, regalando allo Sci Cai Schio i vari trofei di giornata e conquistando alla fine il titolo di Società Campione Regionale 2013-14. I piccoli sciatori saranno a riposo solo per qualche mese perché già a luglio è prevista un’uscita in ghiacciaio alle Des Alpes,mentre a giugno, terminate le scuole, sarà riproposto il Lanny Summer Camp (un campo escursionistico estivo, vedi articolo qui pubblicato) per mantenere unito il gruppo e lo spirito di squadra. SCI CAI SCHIO ALE’ ALE’

di Guido Lanaro


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Da atleta ad allenatrice

Giulia Gianesini, dopo anni di militanza al vertice dello sci mondiale, lascia la Squadra Azzurra per diventare allenatrice del club che l’ha vista muovere i primi passi sugli sci

E

pensare che 15 anni fa entrambe al cancelletto di partenza eravamo rivali! L’ho vista crescere, vincere e con emozione entrare nella Squadra Azzurra: classe 1984 Giulia Gianesini ha esordito in Coppa del Mondo nel 2004 a Semmering in slalom gigante e dopo aver militato per ben dieci anni nella Nazionale azzurra di Sci Alpino, lo scorso 2 giugno ha annunciato il suo ritiro dallo sci agonistico. Nata ad Asiago, la porta colori delle Fiamme Oro ha sempre vissuto a Gallio anche se in questi anni ci ha vissuto gran poco, impegnata a girare il mondo assieme alla sua squadra.

L’ho incontrata per capire i motivi che l’hanno spinta a prendere questa decisione ma non solo, per celebrare i suoi successi e la sua grande forza di volontà che l’hanno resa una professionista tra i pali dello slalom gigante.

Ben 59 le gare che hai disputato in Coppa del Mondo. Quali sono stati i migliori risultati ottenuti? Certamente il risultato da incorniciare è il 9° posto sulle nevi di casa a Cortina, seguito dal 10° posto di Garmisch. Ben 8 volte mi sono classificata nelle prime 15 posizioni e nella stagione 2009/2010 mi sono guadagnata un ottimo 16° posto nella standing finale della Coppa del Mondo di slalom gigante. E in Europa? 9 volte sono salita sul podio e la stagione 2008/2009 l’ho conclusa ottenendo il terzo posto nella classifica finale di Coppa Europa in slalom gigante. Questa disciplina, lo slalom gigante, è sempre stata la tua specialità? Quando ero in Comitato Veneto e durate i primi anni nella squadra nazionale andavo abbastanza bene anche nelle altre discipline tanto che mi piazzavo nelle prime 100 posizioni al mondo con punteggio Fis in 4 discipline; poi dopo qualche caduta nelle discipline più veloci mi sono specializzata nello slalom gigante. Chi è stato il tuo più fedele tifoso? Mio papà senza alcun dubbio, con lui avevo un rapporto molto speciale: mi ha trasmesso la passione per questo sport malgrado lui lo praticasse solo per divertimento.

La tua carriera é stata purtroppo segnata da qualche infortunio. Che conseguenze hai avuto? Diciamo che ho avuto parecchi infortuni ma quello che mi ha procurato più conseguenze è stato il trauma cranico nel settembre 2011 in Argentina durante un allenamento. Quella caduta ha lasciato parecchio il segno nella mia carriera sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico. E’ vero che rendevi di più in allenamento che in gara? Sì, ero la “regina dell’allenamento”, peccato che quello che conta è vincere in gara: il giorno prima ero regolarmente davanti alle atlete top, il giorno dopo in gara non ero più la stessa atleta! Parliamo degli allenatori, che in dieci anni hai sicuramente cambiato. Che rapporto hai avuto con loro? E’ difficile generalizzare sul rapporto con gli allenatori perché con alcuni è stato molto buono, con altri più difficoltoso ma mi sento di dire che in entrambi i casi ho imparato qualcosa che mi è servito per la mia carriera e ne farò tesoro per il mio futuro. E le amicizie all’interno della squadra sono state importanti? Di amicizie con la A maiuscola ne ho avute poche ma il rapporto che si è creato con quelle persone è stato basato sulla fi-

di Chiara Guiotto ducia e sull’affetto. Un ambiente come il nostro è vero che viene visto come se fossimo tutte parte di una squadra ma in realtà è uno sport individuale e come tale le persone che ne fanno parte tendono ad essere un pò egoiste. Comunque le amicizie vere che ho costruito sono state molto importanti e lo sono anche oggi. Dopo tanti anni di agonismo cosa conserverai nel cassetto dei ricordi? Porterò con me due momenti in particolare. In primis la gara di Coppa del Mondo a Kranjska Gora: la prima manche era andata male, nella seconda invece ho recuperato 17 posizioni facendo il secondo tempo di manche. Quando sono arrivata a casa sono andata da mio papà e ci siamo abbracciati: ero contenta al pensiero di averlo reso felice e orgoglioso di me!! Il secondo momento più emozionante che conserverò nel cassetto dei ricordi è stato quando sono arrivata al parterre a Cortina e c’era tutto il mio fan club in festa. E’ stato un momento di grande gioia! Rifaresti tutto o cambieresti qualcosa della tua carriera? Non cambierei nulla, ogni cosa l’ho fatta con amore, passione e credendo fermamente in quello che facevo. Non voglio pensare alla mia carriera con dei rimorsi o rimpianti.


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Cosa ti ha insegnato lo sci? Lo sci mi ha insegnato ad accettare le sconfitte e gioire delle vittorie, mi ha insegnato che per ottenere risultati ci vuole sacrificio, passione e dedizione. Lo sci mi ha trasmesso la forza di non mollare mai e di provarci sempre.

Quanto importante è stata la tua famiglia in questi dieci anni? E’ stata fondamentale. Sempre presente e vicina alle mie esigenze. Non mi ha mai fatCome mai hai deciso di lascia- to mancare nulla e non smetterò E adesso cosa farai? Ho superare? Sentivo la serenità di farlo, mai di ringraziarla. to il Master Istruttori e sto partenon avevo più quella sana catticipando al corso per diventare alveria agonistica e quegli stimoli A questo proposito, chi altri lenatrice: la speranza è quella di per andare forte e quindi non vo- senti di ringraziare? In primis saper trasmettere la mia esperienlevo prendere in giro me stessa e e di nuovo i miei genitori, poi il za e la mia passione ai ragazzi e di gli altri che lavoravano con me mio fidanzato, il gruppo sporti- far capire a loro che lo sci è uno vo delle Fiamme Oro, il mio fan e per me. degli sport più belli che esista. club e la mia fedele compagna di stanza Camilla Alfieri.

Le parole di Giulia

Quando sei un atleta non pensi mai al momento in cui dovrai smettere..è una cosa talmente lontana che non prendi mai in considerazione, anche se tutti sanno che prima o poi dovrà accadere e per me è arrivato quel momento. Lo sci è sempre stato per me passione, coinvolgimento, dedizione e divertimento e ho sempre promesso a me stessa che qualora una di queste cose fosse venuta meno non avrebbe più avuto senso continuare su questa strada. Chiudo questa parentesi della mia vita portando con me tante cose, gioie e dolori, momenti di felicità e momenti difficili. Lo sci mi ha insegnato tanto come le persone che ne hanno fatto parte..sia quelle che hanno creduto in me sia quelle che non l’hanno fatto...mi hanno resa più forte e mi hanno dato modo di credere più in me stessa. Finisco questa esperienza con la speranza di saper trasmettere agli altri la passione infinita per questo sport che tanto mi ha dato e tanto mi ha tolto. Giulia Gianesini

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cornedo

Dove crescono i talenti Di stagione in stagione crescono i risultati dello Squash Club Pegaso Cornedo, diretto dal maestro Diego Bertoldo: un’autentica fucina di campioni. di Giannino Danieli Fra le leve giovanili spicca in già le idee chiare sul suo futu- ro. Ovvero frequentare il Liceo ne valdagnese Geremia Bicego laureatosi di recente campione a Schio. Su di lui c’è già una particolare attenzione di un camRende (Cosenza). Geremia ha pione internazionale che festisce inoltre contribuito non poco alla una affermata scuola di squash vittoria della squadra della Scuo- nazionale. la media di Novale (ne facevano “Geremia? Ha delle buone doti parte, oltre a Geremia Bicego, tecniche –conferma il maeDavide Parlato, Maria Beatrice stro Diego Bertoldo-. Ha avuto Caselli e Serena Urbani) nella un buon approccio con questo - sport perché l’ha affrontato didenteschi italiani. vertendosi per poi arrivare a Fin da piccolino il papà “Billy” gareggiare. E’ nella prima fase lo portava con se per vedere vari di formazione agonistica. Dalla tornei. E all’età di 2/3 anni Gere- prossima stagione sosterrà un mia era così preso che cominciò aumento graduale di tornei per con una racchetta da ping pong valutare meglio le sue attitudini. spallettando fra le mura di casa. Non c’è nessuna forzatura, sta a “Ne ho consumate non so quan- lui mettere un ulteriore impegno te -rammenta con un sorriso-. per crescere progressivamente”. Poi ho cominciato a prendere Il maestro Bertoldo è particolarmente orgoglioso del Club perché quello sport mi aveva let- che segue. “Il Pegaso è uno dei teralmente incantato e non l’ho principali punti di riferimento più lasciata!”. per tutta la Penisola –af-ferma-. Geremia Bicego ha cominciato a La squadra senior ad esempio è giocare circa sei anni fa, seguito stata promossa in Serie A. Ma dal maestro Diego Bertoldo dello puntiamo molto anche sull’at-ti“Squash Club Pegaso Cornedo”. vità giovanile. Da 15 anni stiamo Un ragazzino, Gere-mia, che ha registrando un costante crescencapito già quali sono i requisiti do. L’anno che sta per chiudersi per poter emergere in questa disciplina. “Dipende tutto da come economiche, ma a livello di rici si muove in campo –sottoli- sultati sportivi è stato una delle nea-, dal coordinamento braccia- più belle stagioni di sempre”. gambe e dalla tecnica più appro- Tre i podi in Campionato (due priata di portare il colpo”. argenti e un bronzo), due bronzi Geremia ha da poco ultimato nei Campionati italiani giovanili gli esami di terza media, ma ha allievi, un secondo posto in Cop-

pa Italia a squadre che è valso la promozione in A, un secondo posto nel Campionato Under 17 a squadre, un terzo posto nel Campionato Italiano di 1.a Categoria. “Resta anche la grande soddisfazione di avere cresciuto qui Elisabetta Priante –rammen-

ta Bertoldo- laureatasi cam-pionessa italiana assoluta”. ro di praticanti di questo sport. Sono invece 50, fra junior e senior, i tesserati che fanno agonismo.


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vicenza

Ecce Proteo

Proteo è un piccolo drago che vive nelle grotte dell’Oliero

I

di Antonio Rosso foto di Manfred Bortoli, per gentile concessione di Alberto Cavedon

l 21 maggio a cura del Gruppo Speleologico Trevisiol del Cai di Vicenza si è tenuta una serata di speleologia subacquea con Alberto Cavedon e le sue esplorazioni nelle sorgenti dell’Oliero. E’ stata così un’occasione di parlare di questo singolare animale il cui nome è anche l’appellativo con cui gli speleosub chiamano Alberto: Proteo. Il nome Olm, piccolo drago, è stato dato al proteo dagli abitanti della Slovenia, quando notarono questo strano animaletto quasi bianco, simile ad un serpente, con le zampe e dotato di due ciuffi rossi ai lati del collo che veniva trasportato all’esterno delle grotte dalle acque in piena. Più propriamente a dargli questo nome fu lo sloveno Janez Vajkard Valvasor che nel 1689 lo descrive nel suo scritto di storie popolari “La Gloria del Ducato di Carniola” situato nei pressi di Lubiana, come un piccolo di drago, secondo la credenza che i grandi draghi vivessero sotto la crosta terrestre. Dovette passare circa un secolo prima che la scienza di interessasse di questo animale chiamato ufficialmente nel 1768 col nome di “Proteus anguinus” Ma perché interessarci di questo animale, sia pur particolare, come di una specie di casa nostra? Presto detto. Perché nel 1850 Alberto Parolini, naturalista di Bassano del Grappa, ne ha importato da Adelsberg (Postumia) alcuni esemplari immettendoli nel parco che la sua famiglia aveva in Valstagna e che comprendeva le sorgenti dell’Oliero con quel piccolo laghetto interno che ancor oggi si può visitare in barca. Proprio qui il Parolini introdusse i suoi esemplari. Dell’esperimento, poi, non si seppe più nulla. Il giorno 18 aprile 1965, invece, alla profondità di 14 metri, nel Covol dei Siori alcuni subacquei del Circolo Speleologico Idrologico Friulano, avvistano

tre esemplari di un anfibio cieco. Ne catturano uno il quale, con sorpresa, viene classificato come appartenente alla specie di “Proteus anguinus”: poteva essere solo uno dei discendenti degli esemplari introdotti dal Parolini Da quel giorno, ne sono stati ritrovati moltissimi altri, anche nel Covol dei Veci e a profondità ben più elevate per cui è certo, che l’esperimento ha avuto pieno successo e che il proteo ha trovato nelle grotte dell’Oliero un habitat ideale per vivere e riprodursi. La cosa è eccezionale, perché a parte il nostro caso e, forse, un secondo, in Germania, tutti gli altri tentativi sono falliti e le aree del proteo restano le cavità del Carso Triestino, le Alpi dinariche, la Slovenia, la Croazia e la Bosnia Erzegovina. E’ un anfibio, ma, contrariamente ai suoi fratelli è del tutto acquatico ed è l’unico vertebrato europeo a vivere all’interno delle grotte. Raggiunge la lunghezza di 2030 centimetri. Ha branchie laterali, quei curiosi ciuffi rossi che gli sporgono alla base del collo e che gli rimangono per tutta la vita. Possiede anche dei rudimentali polmoni che gli consentono di vivere periodi fuori dall’acqua. Per sopravvivere in un ambiente così ostile ha dovuto modificare sia il proprio corpo che il suo comportamento. L’adulto ha occhi regressi, in quanto i piccoli nascono con gli occhi ma che subito regrediscono, pur conservando la sensibilità alla luce. La coda è breve, gli arti anteriori hanno tre dita e due quelli posteriori. Il corpo è coperto da un sottile strato di pelle decolorata ed è sensibile alla luce ed alle vibrazioni. Sembra abbia anche la capacità di registrare deboli campi elettrici. Particolarmente sviluppati sono gli organi dell’olfatto e dell’udito. Per quanto riguarda la riproduzione è oviparo, ma in cattività può di-

ventare viviparo. Ha un metabolismo eccezionale. In laboratorio è vissuto per oltre 8 anni senza nessun tipo di nutrimento. E’ predatore e normalmente si ciba di piccoli crostacei ciechi, lunghi pochi millimetri o di lumache, raramente di insetti. Vive mediamente per 60-70 anni ma può raggiunge anche i cento. Può consumare grandi quantità di cibo in una sola volta, e conserva le sostanze nutritive nel fegato. Quando il cibo è scarso, riduce la sua attività e può, in casi gravi, anche riassorbire propri tessuti. Si muove con agilità nel buio tra anfratti e fessure di ridottisime dimensioni grazie alla conoscenza dei luoghi, ma anche perché, pare, sia in grado di utilizzare il campo magnetico terrestre per orientarsi. Se disturbati dalla luce hanno l’abitudine di nascondere il capo all’interno di una fessura credendosi invisibili e se sentono la presenza di un subacqueo si fingono privi di vita lasciandosi

cadere verso il fondo. Per chi volesse vedere un interessante fimato, un indirizzo utile è: http://www.ideavideo.it/Video/ ShowReel/documentari/proteo/ proteo.html Le ricerche scientifiche stanno procedono con nuovi ritrovamenti. Il più interessante caso è quello del Proteo nero rinvenuto nel 1986 in una piccolo area della Slovenia che, a parte il colore, ha caratteristiche che suggeriscono una sua colonizzazione degli ambienti ipogei più recente in quanto conserva ancora alcune caratteristiche non troglomorfiche. Specie protetta oggi è soggetto al rischio dell’inquinamento delle acque sotterranee e oggetto di commercio illegale per collezionisti. Il Proteo, infine, è un simbolo della Croazia e della Slovenia che gli hanno dedicato rispettivamente un francobollo ed una moneta. Ed il vicentino?


Lassù, sotto le cenge della Sisilla

recoaro

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Andrea Calza in 38’ e 34” si aggiudica la 3° COPPA ALPEBIKE

È

andata in scena sabato 21 giugno la terza edizione della ormai classica Recoaro –Alpe di Campogrosso gara in salita per cicloamatori tesserati valida quale 3° COPPA ALPEBIKE , patrocinata dal Comune di Recoaro Terme e da Acsi settore ciclismo di Vicenza. Una sessantina gli scalatori provenienti da tutto il nord Italia che si sono contesi l’ambito trofeo di acciaio inox raffigurante il ciclista e la Sisilla, messo in palio da ALPEBIKE RACING grazie all’impegno e alla passione per il ciclismo dei fratelli Andrea e Lucio Pellichero . Alle 14,30 il plotone si muoveva dalla Pizzeria da Franco in località Facchini alla volta del centro termale di Recoaro dove, sotto l’arco allestito per l’occasione da Comune e Guide Alpine , veniva dato inizio al tratto competitivo cronometrato, regolato dai giudici ufficiali Acsi Vicenza. Decisamente più accettabili le condizioni meteo rispetto alla seconda edizione svolta il luglio scorso quando si gareggiò con temperature attorno ai 38/40 gradi centigradi . Un pallido sole in partenza e nubi basse in quota lasciavano presagire ad una grande battaglia a suon di scatti e pedalate a full gas. Anche quest’anno grande lo spiegamento di mezzi da parte degli organizzatori. Auto di scorta Autovisper, moto staffette accreditate fci, mezzi di assistenza medica al seguito e non da ultimo un ineccepibile servizio Radiocorsa garantito da Flaviano speaker ufficiale della manifestazione. Ponti, via. Il gruppo lanciato a forte andatura attaccava le arcigne rampe dei quasi 14 km che collegano Recoaro Terme all’Alpe di Campogrosso. La prima parte sale a scale con pendenze

di Andrea Pellichero sempre più aspre che toccano anche il 18% in località Merendaore ed una seconda costantemente al 10-12 % con solo due piccoli tratti di respiro a Mezzo Cason e al Rifugio alla Guardia. Dopo un concitato avvio ricco di scatti e controscatti si delineava ben presto quella che sarebbe poi divenuta la classifica finale della 3° Coppa ALPEBIKE con in testa il forte grimpeur pordenonese Calza Andrea Junior del Bike Shop Racing con circa due minuti sul Comasco Cairoli Emanuele Veterano del Team Carimate . Subito dopo pedalava a manetta l’atleta di casa Zini Daniel Junior dello Schio Bike che distaccava De Cesero Luigi di Castelfranco, Vicari Moreno e il Ferrarese Sessa Tommaso appaiato dal Bolognese Lodi Andrea. Così il seguito della scalata fino al traguardo posto davanti al Rifugio di Campogrosso sotto l’arco ALPEBIKE RESPIRA MEMBRANE con servizio di acqua fresca garantito da Davide Ferro noto gestore del Rifugio. 38 minuti e 34 secondi, il tempo impiegato da Calza Andrea per coprire i quasi 14 km di scalata. Resiste pertanto il tempo record di Pontato Andrea che in occasione della 1° COPPA due anni fa impiegò 37’ e 43”. Prima donna per il terzo anno consecutivo Agosti Miriam del Restena Bike con il tempo di 55’ 34”. Junior 1° Calza Andrea 2° Zini Daniel Schio Bike 41.51 3° Carraro Matteo Colli Berici 44.20. Senior 1° Dal Bianco Cicli De Rossi 44.46 2° Buratto Velo C. Biban 45.33 3° Sottoriva Colli Berici 46.55 Veterani 1° Cairoli E. Team Ca-

rimate 40.38 2° Vicari Moreno D.T. Mainetti 42.48 3° Lodi A. Max Team 43.26 Gentleman 1° De Cesero Due Ruote Sport 42.44 2° Zilio L. Sant’Anna 44.58 3° Cecchetto R. Geko Bike 45.06 S.GentlemanA 1° Sessa Tommaso TeamBorghi 42.56 2° Stegagno U. BeniniAuto 49.27 3° RudatisG Turnover 51.08 S.GentlemanB 1° Magagnin N. Vimotor Sport 50.28 2°Famanelli L. Molvena 53.31 3° Zanini L. S. Ambrogio 54.26 Si sono aggiudicati pertanto la 3° Coppa Alpebike , Andrea Calza e Miriam Agosti. Ringraziamo tutti coloro che hanno collaborato per la bella riuscita di questa manifestazione ed in particolare : Despar Recoaro Terme , Rifugio Campogrosso , Mini Bar

Recoaro , DF Sport Evolution , Silvano Fioreria Pompe Funebri Recoaro , Autovisper Valdagno , Sportivissimo la rivista dello sport Vicentino , Redoro Frantoi VR , Mondovino Spagnago , Farmacia Borgo Recoaro , CLM Lavorazioni Meccaniche che ha realizzato le due coppe in acciaio inox , FIZIK selle , Alicom , DERSUT caffè , Pizzeria da Franco , Rifugio Piccole Dolomiti alla Guardia , Orsato Family Restaurant , Sci Club Marzotto . Vi diamo appuntamento all’anno prossimo con la 4° COPPA ALPEBIKE. La sfida continua...


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valdagno

Q

uella maglia è stata ritirata e non sarà più assegnata a nessun altro giocatore dell’hockey biancoceleste. Riporta il numero “5” e apparteneva al mitico ‘Ca-

parte di Nico Cracco presidente del Valdagno 1938 è arrivato nel corso del Nicolia-Day celebrato al PalaLido. Mai nell’ultradecennale storia del club biancoceleste era successa una cosa simile. E mai era successo un tributo del genere come quello riservato all’asso argentino. Aggiungiamoci pure che nemmeno per avvenimenti importanti di altro genere il PalaLido è stato da sold out. Una conferma, quindi, che quello instauratosi tra Carlos Nicolia e la città, nei nove anni di permanenza del Campione, è stato un legame raro e assai profondo. laLido testimoniavano un affetto unico. Lungo tutta la Curva Nord era comparso uno striscione che riportava “Saranno per sempre la tua maglia e i tuoi colori. Grazie capitano, eterno guerriero”. Sotto la Sud invece “Carlos ottava meraviglia del Mondo”. Per celebrare Carlos erano state invitate a con-fronto la squadra del Valdagno 1938 e una di All Stars. Sul davanti delle magliette la scritta ‘Oltre al Campione… Sempre nei nostri cuori. Arrivederci Cabéza’. Sul retro invece ‘Nicolia-Day’.

Il n° 5 sarà sempre il Cabezòn A Carlos Nicolia, l’asso argentino dell’hockey Valdagno, il grazie della tifoseria e della città tutta per il suo impegno di sportivo e di uomo di Giannino Danieli glia con il numero “5” e la scritta Nicolia. Persone tutte in piedi a spellarsi le mani dagli applausi, in un mix di gioia e commozione, quando in pista s’è presentato Lui. Con un dito, rivolto verso la Nord, ha fatto sul braccio: VALDAGNO. Chi mai prima di lui aveva fatto una cosa del genere? Poi Carlos ha ricordato il suo arrivo in città nel lontano 2005 e i tanti successi nazionali e internazionali conquistati con la maglia biancoceleste. Lacrime agli occhi per tutti e un’autentica ovazione quando in pista s’è presentata la dolce consorte Celina e il piccolo Cristiano. Un rappresentante della Curva Nord ha consegnato a Carlos una targa, a Celina un mazzo di

assieme a tutta la città questo grande Campione. Tutti conoscono le sue qualità sportive, ma anche quelle di uomo. Ha nel cuore Valdagno e noi nel cuore abbiamo lui”. Visibilmente emozionato anche il presidente del Valdagno 1938. “Confesso che sono molto agitato –ha detto Nico Cracco-. Anglia numero 5 non sarà mai più assegnata. Questo vuole essere un momento di festa, ma ho la tristezza nel cuore. Ci lascia non solo un Campione, ma un grande amico. Il cuore però mi dice che questo non è un addio, ma un arrivederci”. A ruota ecco Lui. “Mi risulta

banda tricolore anche il neo sindaco Giancarlo Acerbi. Ha consegnato a Nicolia una targa. “È un onore per me essere qui oggi –ha detto Acerbi- e poter da apertura dei Giochi Olimpici salutare, è cominciata con una passerella dei giovani dell’Under 10 che ne sostenendo una potevo fare a meno di dire graenorme mazie a tutti ed in particolare a chi mi è stato sempre vicino in tanti modi. Valdagno resterà sempre la

di ricordi. Proprio qui è nato e ho fatto crescere Cristiano e avuto una possibilità di aiutare mia moglie!”. In seguito spazio alla parte agonistica del Nico-lia-Day, il confronto fra Valdagno 1938 e All Stars. Tanto vicini erano gli echi dei match dei play off scudetto condizionati da un clima spesso elettrico, ma nello stesso tempo lontani anni luce perché più che una partita di hockey su pista si è trasformata in un divertissement globale. Sì,

certo punto si è giocato all’insegna comunque di una pura allegria condita da numeri circensi spettacolari. Poi si sono susseguite delle autentiche ‘zingarate’ che hanno fatto sbellicare dalle risa il mare di gente che affollava il PalaLido. A partire da un Pedro Gil che ogni tanto si inginocchiava e faceva gesti strani, poi entrambe schierate con cinque uomini di movimento, ancora due portieri in una sola porta. Numeri da ‘mai dire hockey’ pure fra gli estremi stranissime o a un Cunegatti partito a tutta birra dalla sua porta per andare a battere un rigore dalla parte opposta. Sul parquet poi improvvisati cumuli di giocatori distesi e festanti. Fosse stata una partita come altre correva l’obbli-go di citare tempi e marcatori. Ci limitiamo a dire offerto sedici autentiche ‘pillole’ anche di pregevole fattura accompagnate da scroscianti applausi. Nessuna acredine nei confronti di tanti ex che militavano la sommersa da ovazioni. Impossibile dimenticare una giornata come il “Nicolia-Day” così assolutamente unica. Tanto per il magico Carlos quanto per la città di Valdagno.


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cornedo

codice mma Per poter migliorare la propria vita

I

n questo articolo vi riporto quanto scritto dal Dott. Davide Stocchero, laureato in psicologia sperimentale e perfezionato in antropologia culturale a Padova. Psicologo abilitato (OdP Veneto), socio dell’Associazione Italiana di Psicologia dello Sport (AIPS) e della Society of Coaching Psychology (SCP), si occupa di crescita personale e di allenamento per il benessere e il miglioramento degli stili di vita. ni e adulti in percorsi di crescita e cambiamento. In ambito sportivo svolge ricerche per lo sviluppo ste (MMA). Quanto scritto nell’articolo che segue mi trova pienamente d’accordo con quanto viene riportato e, conoscendo e frequentando ormai da anni il Maestro Marco Vigolo che mi ha inoltrato direttamente questo scritto e che insegna da anni anche proprio questa tipologia di combattimento, posso rico-

agonistica plasmata da un continuo allenamento atletico, tecnico e psicologico. Osservando e parlando con questi atleti è evidente quanto la pratica di questi sport da combattimento non sia una semplice attività nel tempo libero ma una percorso di crescita e di evoluzione personale a cui viene dato un valore che supera l’ambito della palestra, diventando una questione di iden-

di Massimo Neresini noscere che la maggior parte degli allievi di queste discipline sono tra quelli che più si dimostrano equilibrati e coscientemente attivi nelle diverse e più inaspettate situazioni che accadono nella realtà, sia lavorativa che ricreativa. Gli sport da combattimento stanno avendo uno sviluppo importante. Un numero crescente di praticanti sceglie discipline ibride come le Arti Marziali Miste: i più giovani iniziano da queste come prima esperienza marziale, molti ci arrivano dopo qualche anno di pratica di altre discipline. Gli atleti di Codice MMA cercano un’esperienza sportiva e formativa più completa, che impegna al massimo tutto il corpo

all’interno di un combattimento reale dove i colpi si portano e si ricevono, in un sistema stimolati dal combattimento a di regole che consente contatto pieno. piena espressione della Sentono di mettersi in gioco propria sana aggressività

ne atletica, tecnica, psicologica e agonistica. Esprime una rete di palestre e di istruttori federali (FIKBMS/CONI) che lavorano per sviluppare le Arti Marziali Miste in Italia avendo come modello e riferimento i migliori esempi internazionali del settore. Allenarsi in un corso di Arti Marpercorso esperienziale che può portare alla scoperta di parti di sé che nella normale vita di tutti i giorni rimangono nascoste. Al

limiti. Codice MMA è un progetto di sviluppo degli sport da combatti- si lavora in maniera crescente anmento intesi nella loro dimensio- che sugli aspetti emotivi e di con-

sapevolezza. Nella nostra società il cambiamento culturale e degli stili di vita ci portano a sviluppare dei condizionamenti che rendono spesso stato di benessere globale, cioè corporeo, mentale e di relazione con gli altri. Siamo travolti da un’informazione confusa e spesso inutile, angosciati dal tempo che non basta mai, da immagini che ci bombardano, da rischi che sentiamo incombere ma che spesso non sappiamo come affrontare, da molti effetti dannosi del “virtuale”.

Il corpo è dimenticato, i sensi come addormentati, a favore di uno spostamento delle esperienze a livello cerebrale e esclusivamente visivo. Le emozioni sono spesso represse, le energie bloccate o carenti, la lucidità e la capacità di concentrazione declinano. L’uomo si forma in società, ma se questa gli mette a disposizione situazioni precarie e di scarsa qualità formativa, lo sviluppo umano non si compie nel migliore dei modi. Numerosi studiosi di evoluzione del comportamento ricordano che il cervello dell’uomo è rimasto invariato nelle sue strutture di base


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di fatto un cervello primitivo e dobbiamo usarlo per vivere in una società iper-complessa. Molti nuovi iscritti in palestra ci dicono che nelle MMA stanno cercando qualcosa di completo e impegnativo per “scrollarsi di dosso” rigidità, pigrizia e tensioni accumulate. Ogni atleta lo dice con parole proprie, ma il cuore della questione è la ricerca di mettersi in gioco, di trovare nuove vie per evolvere e migliorarsi attraverso uno sport da combattimento. mento e le sessioni di sparring fanno “risvegliare”. Questo è quello che dicono molti praticanti. Il lavoro di striking unito al grappling fa sperimentare una nuova completezza, la possibilità di colpire e di lottare pare “risvegliare” quel cervello primitivo schiacciato da computer, incertezze e confusione. Durante le sessioni di allenamento l’istruttore non guida solo il marziale, ma, con la preparazione e l’esperienza è anche un allenamento mentale che favorisce quindi l’integrazione di mente e corpo, di movimento ed emozioni, di forza e concentrazione. Si tratta quindi di un risveglio bioenergetico, che porta l’atleta a un nuovo livello di funzionamento globale. Ciò che è successo è stata un’evoluzione del cervello primitivo. Negli atleti principianti, infatti, le prime esperienze di combattimento sono plasmate dal cervello primitivo. Sentendosi in una situazione nuova di potenziale pericolo la reazione tipica segue la cosiddetta “via bassa” di elaborazione degli stimoli, ossia la “via emotiva”. Il cervello primitivo automaticamente prepara tutto il corpo a due reazioni possibili, l’attacco o la fuga. La frequenza cardiaca

aumenta, l’adrenalina entra in circolo e i muscoli si contraggono, la vigilanza aumenta, si è pronti a reagire. E’ la cosiddetta reazione di sopravvivenza. Sperimentarla per la prima volta ci lascia stupiti, si conosce una nuova parte di sé che prima dell’evento era ignota. E che insegna molto su chi siamo e cosa siamo, sul nostro substrato animale. La nostra società, zeppa di sedie, divani, monitor e informazioni, non ha un bel rapporto con queste reazioni. Più il corpo viene sadell’intelletto, più le sue reazioni diventano sconosciute e incomprensibili all’uomo, che si trova a subirle anziché governarle. Il training negli sport da combattimento aiuta a rientrare in contatto con le parti più profonde di sé attraverso il contatto con i compagni di allenamento, e ad integrarle con le altre funzionalità superiori, ci aiuta quindi a diventare consapevoli laddove c’era solo reazione primitiva attacco-fuga. Il praticante di MMA impara cioè a trasformare un impulso di sopravvivenza in uno spazio di confronto sportivo e agonistico. Attraverso una pratica costante, si replicano situazioni di combattimento reale, di azione e reazione, di carico e scarico dell’adrenalina e della tensione, l’atleta mette consapevolezza laddove c’era paura e buio. Fornisce al cervello nuove sensazioni, calibra forza in ra concentrazione laddove prima c’era solo tensione. L’atleta diventa più consapevole del modo in cui gestisce il confronto con i compagni/avversari, visti in un doppio ruolo. Da una parte l’avversario è lo specchio dell’atleta stesso, ne rappresenta i limiti e le debolezze da superare per esprimersi al massimo; dall’al-

combattimento, cioè la componente sconosciuta e imprevedibile da affrontare. Per questo motivo combattere è conoscere se stessi. La psicologia riconosce questa evoluzione personale come un processo bioenergetico, di caricautilizzo-scarica dell’energia psicosazioni di “sblocco” e “lucidità” in seguito a sessioni di sparring o eventi agonistici particolarmente riusciti, nei quali hanno raggiunto

automatismi in palestra e trasferirli nella vita di tutti i giorni è un grande risultato per l’atleta, ed è proprio in questo momento che gli sport da combattimento diventano uno “stile di vita”. Sono pertanto molto utili anche nei corsi di difesa personale e per una formazione integrale della persona. La pratica degli sport da combattimento riprende quindi la via marziale alla conoscenza di sé incrementando le componenti emotive, di confronto e di gestione della paura del combattimento, della ricerca di un nuovo equilibrio personale e della messa in discussione dei condizionamenti sociali e culturali che ci vorrebbero solo animati da abitudini su-

svolta per performance eccellenti. Un costante allenamento, che coinvolga sia gli aspetti atletici, tecnici e psicologici degli sport da combattimento possono portare in un tempo ragionevole, comunque dipendente dalle differenze indi- riguardo a noi stessi e alle forze viduali, allo sviluppo di un livello che ci muovono. più integrato di funzionamento Codice MMA favorisce la diffusione degli sport da combatblocchi energetici generati da timento come via sportiva alla paure, insicurezze e possibilità re- conoscenza e al miglioramento di presse che generano disagio. sé stessi, un antidoto all’appiattiGli sport da combattimento sono mento e alla passività di una parte, ancora oggi stigmatizzati dai mass crescente, della società contempomedia e accusati di incrementare ranea. l’aggressività. Si tratta di accuse Per chi fosse interessato a seinfondate in quanto innumerevoli guire dei corsi di MMA si può studi di psicologia e antropolo- rivolgere direttamente alla Pagia dimostrano che l’aggressività lestra HELLOFIT a Spagnago umana è distruttiva quanto frutto di Cornedo. Per avere informadi paura e di zone d’ombra della zioni più dirette vi riporto mail e consapevolezza che conduce a re- cell. Del Maestro Marco Vigolo: azioni improvvise che il soggetto, teamvigolo@gmail.com colto impreparato, non sa gestire. cell 3358451834 L’aggressività non va repressa, va Per chi volesse scrivere direttagestita per favorire la vita. mente al Dott. Stocchero di seGli automatismi che si appren- guito vi indico la sua mail: dono dopo un percorso di allena- stocc@libero.it mento continuativo agli sport da combattimento permettono alla persone di gestire le situazioni pro- Auguro a tutti i lettori di SPORTIVISSIMO delle sane - e rilassanti Vacanze Estive… pevole, affrontando con maggior senza dimenticare un sano distacco e freddezza situazioni che esercizio per ritornare a in precedenza avrebbero mandato Settembre pronti per un nuovo in “tilt” la psiche. Acquisire questi anno di ARTI MARZIALI.



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lettere

Potete scrivere al Senatore Alberto Filippi inviando le vostre e-mail a: sportivissimo@mediafactorynet.it Le vostre lettere possono essere lette anche nel sito: albertofilippi.it

Sfogo mondiale Ciao Alberto, sono un italiano e come tutti gli italiani sono deluso e sotto sotto anche contento della disfatta italiana in terra brasiliana. Deluso, perché in quanto italiano avrei sperato in un esito diverso da parte della un progetto serio, degno della nostra tradizione calcistica, coordinato da un allenatore davvero capace perché, mi dispiace ammetterlo, Prandelli, che è una bravissima persona, educata, dagli alti valori sportivi, in questi anni non è riuscito mai a dare un’identità di gioco né di spogliatoio alla Squadra Azzurra, oltre a non esser riuscito a valorizzare i giocatori emergenti dal nostro Campionato, puntando sempre sui soliti noti, che nel corso della stagione si sono dimostrati discontinui e più propensi al “gossip” che ai gol, più propensi a far parlare di sé che a vincere le partite. Mi sto riferendo ovviamente a Balotelli (gossibaro incallito) Cassano (eterno ribelle) allo stesso Buffon (leader troppo divetto). La colpa quindi è tutta del signor Prandelli che non si sa come, visto che lo aveva capito tutta l’Italia oltre che tutto il mondo, non è riuscito a capire che è da stupidi puntare tutto su giocatori così, che a vent’anni e più pensano a tutto fuorché a quello per cui sono strapagati… Forse Prandelli non ha preso in seria considerazione i dati delle analisi (che sono dati computerizzati, quindi oggettivi e veri) sul rendimento di questi giocatori, sul loro possesso palla, sulla velocità di corsa, sulla percorrenza nei 90 minuti di gioco, sui dribbling vinti, sui passaggi effettuati, sui tiri in porta, sui gol fatti nel corso dell’ultimo Campionato, perché i dati che riguardano Balotelli & C. sono assolutamente impietosi rispetto ai dati dei vari campioni che giocano la Champions e che, fatalità, sono anche quelli che partecipano ai Mondiali. Il nostro C.T. evidentemente non li ha considerati, credendo che l’orgoglio di giocare un Mondiale potesse risvegliare capacità e stati di forma che in tutto il Campionato non si sono mai visti. Così non ha utilizzato,

o solo scarsamente, giocatori come Cerci, Isigne, Florenzi facendoli giocare poco e mal posizionati oltre che mal serviti in questi anni di preparazione al Mondiale; giocatori giovani, emergenti, pronti a dare tutto pur di lasciare un segno nel Mondiale e quindi nella loro carriera; giocatori che sicuramente avrebbero portato più freschezza e vivacità alla manovra difensiva e soprattutto offensiva. Invece, a questi si sono preferiti giocatori più “cotti” come i tanto utilizzati Gilardino, Osvaldo, Giaccherini quando in panca c’erano molti altri veri talenti. Bene quindi le dimissioni di mister Prandelli. Non voglio dilungarmi ancora molto anche se il pretesto ci sarebbe, ma sono stupito e rabbrividito dai nomi che sento vociferare per il futuro della panchina della nazionale: nomi come quello di Allegri, che oggettivamente ha fatto fatica a vincere il Campionato con il Milan nella cui rosa spiccavano super giocatori come Ibraimovic e Thiago Silva, che non c’erano nelle altre squadre, e che poi, negli anni successivi, hanno sempre fallito!!! Non è più possibile puntare su allenatori che hanno dimostrato di avere poco carattere, che non hanno mai vinto nulla di davvero importante meritandoselo pienamente con gioco, grinta, fantasia tattica, personalità da condottiero. Quindi, mi chiedo, visto che la panchina della nazionale in Italia è quella più importante e visto che non ci sono tanti soldi da mettere a straniero magari non tanto conosciuto ma che si è contraddistinto per il buon gioco in questo Mondiale? Io ho apprezzato, per esempio, l’allenatore del Messico o quello della Colombia che, ok, non hanno vinto nulla o poco, ma costano il minimo e hanno dimostrato carattere e grinta al massimo! Il contrario dei nostri! Attendo una sua risposta. Guidaldo

Caro Guidaldo, bella la tua analisi che condivido nel suo assunto generale: la nostra nazionale ci costa troppo per le poche gioie che ci dà. In questi Mondiali ci è mancata soprattutto la corsa, esattamente come ci è mancata in tutte le disastrose amichevoli di preparazione. Se nel calcio non c’è corsa, si fa un altro sport ed è quello che hanno fatto gli Azzurri in Brasile: non giocavano a calcio ma a palla da fermi, compiendo, tra l’altro, un’enormità di passaggi sbagliati. Come dici tu, questi giocatori sono più bravi a twittare che a calciare; sono più bravi ad andare in televisione a rilasciare una dichiarazione, che a stare in campo e giocare come si deve. La Nazionale è la squadra più importante di tutte: ci dà spirito e orgoglio di patria; mostra il carattere e le capacità dell’italianità nel mondo. Una sua vittoria è la vittoria di ciascuno cia non della Nazionale ma della Nazione. È noto che in Europa i governi del nord, in specie quello tedesco, ci vedono come un popolo siamo la seconda realtà manufatturiera del continente; abbiamo dato, negli ultimi anni, oltre 100 miliardi di euro in tasse per evitare il che non ha corso, che non ha pressato, che non è stata capace di conquistare nemmeno un misero pareggio, quando serviva; una squadra senza orgoglio e senza anima, in cui i giocatori hanno litigato tra loro, scaricandosi la colpa gli uni sugli altri… Ecco il danno che questa anch’essa, in fondo, vale soldi. Nostri! Buona estate, Alberto


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