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SSIMO
Proclama di un Patriota
N
di Luigi Borgo
ello sport gli italiani sono da sempre chiamati gli “Azzurri”. È una vecchia storia. Azzurro fu lo stendardo che Amedeo VI di Savoia fece issare sulle sue navi che salpavano alla volta della crociata. Era il 1365. L’azzurro era un omaggio alla Vergine, ma ricordava anche i mari, le vette e i cieli d’Italia, ovvero era il colore che più evocava la terra dei padri. L’azzurro, possiamo dire, è il colore della nostra Patria. Non solo, l’azzurro è il colore che richiama anche la dolcezza della nostra lingua, la lingua del sì, del dolce stile come l’ha chiamata Dante. È bello, e giusto, che gli sportivi siano gli Azzurri che è il colore della terra dei padri e della nostra madre lingua. C’è del senso e anche della poesia in tutto ciò. I campioni Azzurri sono i migliori tra chi fa sport; l’azzurro è il meglio che l’Italia sa offrire, paesaggi e cultura. Il Tricolore - il bianco, rosso e verde - ha un’altra storia. Più recente, nasce il 7 gennaio del 1797 come bandiera della repubblica Cisalpina e rappresenta la nazione italiana dal giorno (“nazione” viene da “nascita”) della firma della Costituzione comune. L’Azzurro è antico, il Tricolore è molto più recente; l’Azzurro sono i mari, le vette, i cieli e la cultura d’Italia, colore della Patria e della madre lingua; il Tricolore è Nazione e Costituzione e quindi è bandiera della politica. Negli ultimi anni questa distinzione è andata quasi scomparendo. Il Tricolore è diventato la bandiera unica a rappresentare l’italianità, malgrado, per le ragioni dette sopra e per altre che dirò qui sotto, avesse meno possibilità a imporsi rispetto a un’eventuale bandiera azzurra. Il tricolore italico è nato come copia del tricolore francese. Il verde al posto del blu, perché erano vestite di verde le guardie di Milano durante la breve repubblica Cisalpina. Simbolicamente non fu una grande ragione. Cromaticamente non fu una grande scelta. Sotto l’aspetto estetico, dobbiamo ammettere, si poteva fare meglio. Le belle bandiere sono quelle dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, dell’Australia… della Repubblica Veneta. Sono belle anche perché sono uniche e inimitabili, mentre il nostro Tricolore non è poi così diverso dal tricolore del Messico o di quello della Bulgaria, paesi che hanno altra cultura e altri paesaggi. Guardando la nostra bandiera, infatti, non si capisce che l’Italia è la terra con la più alta concentrazione di opere d’arte del mondo; che l’Italia è il “bel paese” (Dante), il “giardino d’Europa” (Goethe); il “paradiso terrestre” (Shelley) mentre guardando la bandiera della Repubblica Veneta, s’intravede Venezia e la sua straordinaria bellezza, pari solo alla “musica” (Nietzsche). A dirla tutta, nemmeno per chi s’intende di musica, l’Inno di Mameli è un granché; nemmeno per chi s’intende di architettura, l’Altare della Patria è un monumento riuscito. Avere fatto i simboli dell’Italia nell’Ottocento con quello che aveva prodotto il Cinquecento, è riconoscersi in Hayez anziché in Michelangelo, nello sdolcinato e languido “Bacio” anziché nella rigorosa grazia della “Pietà”. Il Tricolore, insomma, non era il meglio del meglio e con l’Azzurro che gli stava addosso poteva ben essere messo da parte. Dalla fine della Seconda guerra mondiale ai primi anni ’90, per esempio, durante la cosiddetta Prima Repubblica, solo un partito politico aveva nel proprio simbolo il tricolore, l’MSI. Tutti gli altri no. Oggi, grazie principalmente a quattro fattori, è il Tricolore la nostra bandiera, amata come devono essere tutte le bandiere che segnano un’appartenenza. Il primo fattore sono gli Alpini. Sono stati gli Alpini a dare gloria al Tricolore. Sono stati gli Alpini a insegnarci il rispetto per la nostra bandiera, ieri combattendo per la libertà e oggi ricordandoci con infinite imprese di solidarietà il senso di essere italiani. Il secondo, la piccola e media industria italiana, il famoso Made in Italy, garanzia di qualità ed efficienza e serietà. Il terzo, la moda. Con i suoi creativi e il loro innato, vorrei dire “patrio”, buon gusto, il mondo della moda è riuscito a rendere il Tricolore gradevole declinandolo in mille fogge e invenzioni, tanto che adesso sono i nostri cugini francesi a imitarci. Infine, le imprese dei nostri atleti con il Tricolore che si issa sopra tutti sui pennoni dei podi. Grazie a questi quattro fattori, oggi il Tricolore è riuscito a imporsi sull’azzurro. Però c’è un però. Il Tricolore adesso è tutto: Patria, Madre lingua, Nazione, cultura, arte, storia, industria, made in Italy, sport e… politica. Se la politica italiana, però, continua di questo passo – cialtrona e ladra – tutto quello che gli Alpini, il made in Italy, i nostri creativi, i nostri atleti sono riusciti a fare, svanirà nel nulla. O quindi si torna a togliere il Tricolore dai simboli e dai palazzi della politica corrotta oppure noi saremo costretti a ritornare a voler essere chiamati Azzurri.
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correre sopra le nuvole
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... Però in questo gruppo c’è un qualcosa in più del “solo” superare significativi dislivelli e attraversare itinerari mozzafiato: per capire meglio questa filosofia salgariana di vivere lo sport, ci siamo attivati per un’uscita assieme a Matteo e Alberto, pirati dalla provata esperienza.
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di Arturo Cuel
a a piedi che deono sempre più gli appassionati di cors i in salita lungo cidono di cambiare marcia e cimentarsda caso, La Fulgli stretti single track alpini. E, guar ati runner – ci minea è proprio una società di appassion anticipare i tempi sono anche i biker - che ha saputo tagna. E’ un grupmon e t miscelando un divertente coktail di sporari, veramente! Questo te po riconducibile ad una ciurma di corsispirarsi agli arrembaggi e lo fanno intuire fin da subito: amano piace essere conosciuti! Ad alle gesta da allegra brigata. Così gli temente nero, la gogliardica ulteriore conferma: un look prevalen competizioni con un ocabitudine di tagliare il traguardo delle (di plastica) e soprattutto il chio bendato, il pugnale fra i denti to alto proprio come i temitenu vessillo con impresso il teschio, rtono un mondo e il tutto ne bili bucanieri. Sta di fatto che si dive olari. Precisano: “Non solo sing o mod oltre tivi spor fa un club di ma anche tante, tante, occaperfomanti prestazioni agonistiche, varata nel 2008 – all’inione ciazi sioni per sghignazzare!”. Asso
thiene
zio un mountain lab - conta oggi più di un’ottantina di irriducibili soci. L’isola di Tortuga, cioè il covo, è Thiene e sul ponte di comando, saldo al timone, l’ispiratore presidente Lorenzo, nick name Bress. Con o senza uncino? Per ora non ci è dato sapere. Correre in montagna, sopra le nuvole o fare lo sky running - senza nulla togliere alle altre consuete forme - è un po’ differente: diverso dal farlo in spiaggia o nel parco della città con al guinzaglio il jack russell di famiglia. Però in questo gruppo c’è un qualcosa in più del “solo” superare significativi dislivelli e attraversare itinerari mozzafiato: per capire meglio questa filosofia salgariana di vivere lo sport, ci siamo attivati per un’uscita assieme a Matteo e Alberto, pirati dalla provata esperienza. Nascondiamo la pergamena del tesoro e tracciamo sulla mappa una nuova rotta che ci porterà fin
sui 2308 metri di cima Portule. Gettonatissima meta escursionistica, la si raggiunge seguendo un serpeggiante sentiero che parte poco oltre la confluenza della Val Renzola con la Val d’Assa, a qualche km da Asiago. Così, gli ammutinati d’oggi, simpatici, ma ahimè altrettanto ben allenati, per un puro atto di clemenza permettono la partenza un po’ sopra il comodo approdo di Malga Larici. Una tranquilla strada sterrata porta fin alla base dell’imponente parete occidentale del Portule. Saranno sì e no 700 metri totali di dislivello, di cui, però, gli ultimi 500 quasi verticali!!! Cosa vuoi che sia? La preparazione basata sulle 3 uscite settimanali, magari alternate alla gara domenicale, è già di per sé una garanzia di successo. Ovvio che per correre in salita bisogna, a poco a poco e con gradualità, abbandonare l’argine del fiume e dirigersi con carattere sull’altura più vicina.
Ma vuoi mettere la soddisfazione di riuscire a correre su dei tratti squisitamente alpini? Sorpassare chi, oltre ad un pesante zaino, si porta in vetta un’intera cambusa per il picnic? Scherzi a parte, andare svelti in salita è una filosofia alternativa che praticata in compagnia assume connotazioni uniche e tutte da scoprire. I raga qui presenti, mentre corrono, riescono pure a scherzare e parlare! Matteo ci racconta delle tante manifestazioni focalizzate su di un calendario che addirittura arriva fino a tarda stagione. Pensate che c’è una corsa di nome la “Strada Giaxa” che va proprio a cadere nella giornata di S. Stefano e dopo di altre organizzate nelle vicine montagne. Loro vi partecipano sempre con il gruppo, quasi un arrembaggio in pieno stile da tanta è l’euforia che si respira. Più o meno le sky races misurano dagli otto agli undici km e i dislivelli s’aggirano sui 1000 metri positivi. Poi ci sono quelle che durano
anche oltre un’intera giornata, ma tutto sommato ce n’è per tutti, basta solo iniziare. Al momento il trend è decisamente favorevole, motivato anche dalla tanta voglia di outdoor che ultimamente un po’ tutti sogniamo. Alberto intanto se la ridacchia sotto i baffi che non ha e l’espressione sembra confermare la speciale magia dell’istante, facilitata dalla libertà di spirito che una prestazione sportiva dà. Una volta giunti in vetta si è al cosiddetto giro di boa, finalmente si scende a rompicollo e da quassù sul Portule, l’itinerario del ritorno è straemozionante come la salita. Il fantastico panorama è da scoprire come il resto della storia! Presto fatto: se vi piace sgambettare o per rimanere in tema, essere “fulminei” e la cosa vi intriga parecchio, cosa aspettate? Prima che sia troppo tardi, prima ancora di far domanda d’ammissione alla casa di riposo della vostra città, contattate il numero: 3496612707
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di Giulio Centomo
apello ingellato, barba leggermente incolta, fisico scolpito e un'abbronzatura che farebbe invidia a molti, così ci accoglie da dietro il bancone del suo bar a Valdagno Francesco Galeano. Quando alla sera chiude le porte però si concede ai suoi hobby, la pallavolo ed i tuffi. Ed è proprio di questi ultimi che abbiamo chiacchierato di recente, dopo la sua partecipazione ai Mondiali Master di Riccione. Ecco allora cosa ne è venuto fuori! Ciao Francesco, innanzitutto è facile capire dal tuo accento che non sei di qui, ma quando sei arrivato a Valdagno e come nasce la tua passione per i tuffi? Ciao a tutti, sono arrivato a Valdagno nel 2007, ma la mia passione per i tuffi è nata molti anni prima, da piccolo, quando in Puglia, nella mia terra e precisamente a Taranto, mi tuffavo per divertimento dagli scogli. Poi quando è venuto il momento di frequentare l'università mi sono ritrovato a Rimini e lì ho scoperto che poco distante, a Riccione, esisteva una piscina dove organizzavano corsi di tuffi. Così, malgrado avessi già 24 anni, mi son detto che valeva la pena provare. Ho iniziato per scherzo, portando a casa comunque qualche medaglia, ma le cose si sono fatte via via più interessanti e alla fine sono arrivato ai Mondiali Master a San Francisco nel 2006. Dove ti sei allenato nella tua vita e con che società hai gareggiato? In questi anni ho sempre gareggiato con la Polisportiva
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Riccione sempre al fianco della mia allenatrice spagnola Alicia Carettero. Quale ritieni sia stato il tuo più grande successo sportivo? Di sicuro essere arrivato terzo ai mondiali di San Francisco, ma le soddisfazioni più grandi, medaglie a parte (quelle possono arrivare come no), mi vengono dal portare tuffi nuovi con coefficienti superiori che mi mettono sempre in gioco, gara dopo gara. E invece qual è la tua più grande delusione sportiva? La mia più grande delusione è stata agli Europei del 2009, a Jesenise in Slovenia, dove per pochissimi
centesimi di punto ho perso il secondo posto. Quest'anno sei tornato sul trampolino in occasione dei Mondiali di Riccione, raccontaci com'è andata. Questi Mondiali 2012 sono stati fantastici anche se non ho avuto la possibilità ed il tempo per allenarmi a sufficienza. Competere con 18 partecipanti nella mia categoria e arrivare al quinto posto mi ha reso comunque molto felice. Si, potevo dare di più, ma il risultato è stato per me sempre positivo. Voglio ringraziare i miei amici che mi hanno seguito in questa avventura, che mi hanno fotografato e soprattutto sostenuto psicologicamente e fisicamente. Non dimentico nemmeno le mie allenatrici Alicia e Jan che mi hanno coperto di raccomandazioni e che come sempre hanno fatto sentire la loro presenza al mio fianco. Quando conti di appendere il costume al chiodo, sempre che tu voglia farlo? Non penso proprio di appendere al chiodo il mio costume, mi sento ancora pronto a gareggiare e vincere altre medaglie...
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bassano
un ragazzo d'oro
Daniele Molmenti riporta la medaglia olimpica più preziosa in Valbrenta di Giulio Centomo Foto di Nina Jelenc e Brett Heyl (www.danielemolmenti.it) 1 agosto 2012, Daniele Molmenti vince la medaglia d’oro con il suo kayak nello slalom K1 alle Olimpiadi di Londra (con il tempo di 93:43, davanti al ceco Vavra Hradilek e al tedesco Hanes Aigner). Calimero, così lo chiamano gli amici, rompe iI guscio e dimostra a tutti che non è certo un maldestro pulcino che bisticcia con l’acqua, ma un campione
titolato che ha scelto proprio il giorno del suo ventottesimo compleanno per portare a casa la medaglia più preziosa della sua specialità, quella che mancava al suo palmares. Il suo infatti è un elenco di titoli che parla da solo: Campione del Mondo nel 2010, Campione Europeo nel 2005, 2009 e nel 2011, finalista alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, Campione Italiano dal
1999 al 2010. Tra un’intervista e l’altra, i festeggiamenti e un po’ di meritato riposo riesco a rintracciarlo a suon di post su Facebook e visite al suo sito ufficiale e lui, con grande pazienza e dimostrando la classe dei veri sportivi, ha risposto alle mie domande, a volte indelicate, per un risultato che giudicherete voi. Buona lettura!
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Ciao Daniele, per cominciare quando e dove nasce la tua passione per le acque bianche? Ciao a tutti, dunque, la passione per le onde è nata dalla prima discesa nel Soca in Slovenia. Navigarci sopra con il mio kayak mi ha dato sensazioni uniche e da li è stato amore a prima vista! Non tutti lo sanno ma nel vicentino hai trovato anche un buon terreno, anzi acqua buona, per allenarti tra le rapide del Brenta. Come mai ti alleni e pagai lì? Che cosa trovi di bello in quelle acque? A Carpanè, a 50 metri dal fiume Brenta c’è la caserma del Gruppo Sportivo Forestale, il mio corpo dal 2007. Oltre ad avere il miglior team d’Italia proprio in Valsugana, ho scoperto una valle piena di risorse per l’allenamento e la vita sana d’atleta. Inoltre il Brenta ha acqua sufficiente quasi tutto l’anno e ogni volta che arrivo in valle ho sempre la possibilità di allenarmi come si deve. Alcuni giornalisti ti hanno ribattezzato come “l’atleta che parla con il fiume”, qual è il tuo rapporto con l’acqua ed i fiumi in cui gareggi? L’acqua è forse la forza più potente del mondo, nel mio sport bisogna capirla e ascoltarla e farsela amica per farsi portare più velocemente. Il miglior modo di comprendere qualcosa è ascoltarla e quindi ho solo aperto le orecchie e l’anima alla voce della natura. Non sei di certo un atleta improvvisato, alle tue spalle hai diversi titoli a livello internazionale, tanto che a Londra in molti ti davano per favorito. Quanto hai tenuto in considerazione i pronostici? Come sei riuscito a non farti distrarre dai numeri facili delle previsioni? Le statistiche sono affari dei giornalisti e di chi non ha ben capito il mio sport. Noi del mestiere sappiamo che anche il più forte favorito non può rilassarsi perché basta che l’acqua faccia la cattivella e butti via tutto. Personalmente non ci ho mai pensato e anzi, quando me lo dicevano non facevano altro che rafforzare la mia sicurezza personale. Su alcuni giornali sono comparse alcune tue dichiarazioni velatamente critiche nei confronti degli atleti che “vanno in copertina, ma
non si allenano”, a Olimpiadi concluse ti senti di cambiare idea? Non ho mai criticato nessun atleta, anzi! Probabilmente finirò pure io in qualche copertina, ed è giusto così. A Londra mi è solo dispiaciuto che tanti atleti famosi non abbiano potuto portare risultati pari alla loro fama. Ancora una volta gli sport “minori” sono quelli che hanno dato maggiori soddisfazioni allo sport azzurro. Ora, a sipario calato, credi che ci saranno nuove opportunità e nuova visibilità per questi oppure dovremo attendere ancora quattro anni? I nostri risultati uniscono l’Italia più della politica ma non fanno “cassa”, quindi ahimè i media spingeranno solo per gli sport più popolari. La visibilità non viene data di certo per meritocrazia e quindi abbiamo poche illusioni che cambieranno le cose per queste medaglie. Certo è che chi ne sa di sport ha saputo valutare e pesare il nostro impegno rispetto a chi compra o vende partite. Arrivare sul podio olimpico cosa ha rappresentato per te? Un obiettivo raggiunto. Il traguardo cercato e voluto dopo tanto lavoro. Qual’è il tuo più bel ricordo di Londra 2012, medaglia d’oro a parte? Sicuramente dopo la medaglia c’è la cerimonia di chiusura dove sono stato scelto per rappresentare l’Italia come il portabandiera. Per me un simbolo importantissimo. Forse è stato un piccolo segno, però il tuo sforzo ed il tuo impegno hanno ricevuto un altro degno riconoscimento nominandoti porta bandiera alla cerimonia di chiusura. Come è stato per te questo momento e come ti è stato comunicato? L’ho saputo tramite un sms di un amico che era costantemente davanti lo schermo del sito web del CONI. È stata una fortissima emozione, sfilare con la bandiera ha un significato pazzesco per me, è stata la ciliegina su di un torta olimpica già ottima. E il tuo più brutto ricordo legato a questa Olimpiade? Dalla medaglia in poi tutti hanno cercato di salire sul mio carro e qualcuno ha provato a farlo anche in modo scorretto e prepotente. È il
classico risvolto della medaglia, ma sono stato fortunato a capirlo subito ed ho preso le dovute distanze. Una vittoria come la tua non arriva di certo lavorando poco. Quali sono stati i tuoi ritmi di allenamento per prepararti alle gare? La mia preparazione si aggira a grandi linee sulle 1000 ore di lavoro l’anno. Poi ci sono studi e test per la condizione fisica e tecnica, nonché gli studi sull’imbarcazione. Alla fine è un lavoro sottopagato, ma non tutti i lavori ti premiano con una medaglia d’oro. E adesso come ha festeggiato il campione olimpico del K1 al rientro a casa? La festa è stata nella piazza della mia città. Oltre 3000 persone sono venute alla presentazione della mia medaglia e ad un “racconto” dell’avventura olimpica. Ho chiamato le persone con me a Londra e altri atleti della città, è stata una splendida festa! Su Facebook il tuo profilo è stato preso d’assalto da centinaia di amici e sconosciuti, tra le tante congratulazioni ricevute quali sono state le più importanti per te? Le migliori sono state di alcuni ragazzini che si sono impegnati con delle letterine scrivendo le loro emozioni. Mi hanno commosso e manderò loro dei piccoli pensieri. Tra le tante congratulazioni anche quelle di Josefa Idem. Con Londra 2012 lei appende la pagaia al chiodo. Quando toccherà a Daniele Molmenti?
Io ho vinto tutto quello che potevo vincere. Al momento ho dei problemi fisici importanti e non voglio nemmeno concludere la mia vita essendo stato solo un grande atleta. Ma faccio il lavoro più bello del mondo, quindi sarà dura smettere così. Ci penserò stagione per stagione e vedremo se riuscirò ad arrivare fino a Rio. Dopo il meritato riposo cosa ti attende nei prossimi mesi? Al momento ho solo rappresentazioni, incontri, interviste, filmati, ecc. poi spero in qualche giorno di vacanza, anche se al momento l’agenda è fitta fino novembre! Andrò a sciare a Natale, forse… Per finire uno sguardo ai tuoi colleghi e al tuo lavoro. Quanto è stato importante gareggiare per il Corpo Forestale dello Stato? Diversi sportivi hanno accusato la mancanza di strutture e possibilità per allenarsi nei centri federali e spesso appartenere all’Esercito, alla Polizia o agli altri corpi sembra essere l’unica soluzione per poter crescere. Cosa ne pensi? Per noi atleti italiani i gruppi sportivi sono l’unico modo per potersi allenare da professionisti e avere il giusto sostegno in base alle necessità degli sport olimpici. Nel mio caso la Forestale ha creduto in me da subito ed ha creduto nel mio metodo e nelle mie scelte. Nella canoa ritengo si tratti della migliore società e il mio tecnico, Pierpaolo Ferrazzi, sotto lo stesso corpo ha conquistato ben due medaglie olimpiche... sono sicuramente nelle mani giuste!
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una Furia evergreen Gli ottimi risultati agonistici della stagione 2012 di Riccardo Furiassi, “Furia”, campione master dello Schio Nuoto Nonostante un impegno agonistico meno intenso rispetto al 2011, il nuotatore master dello Schio Nuoto SSD, Riccardo Furiassi, ha centrato quest’anno diversi obiettivi agonistici. Nel corso dell’anno passato, l’insegnante di educazione fisica del “Pasini” (Schio), aveva riportato la vittoria di categoria ai Campionati Italiani di Ostia nei 50 delfino e un secondo posto nella doppia distanza. Ancora nel 2011, dopo la vittoria nei “master 55” nella traversata dello Stretto di Messina... controcorrente, e numerose altre vittorie in altre competizioni nazionali in mare/lago, Furiassi si era ben classificato nelle graduatorie nazionali in acque libere: quarto assoluto nel mezzofondo (2-4 km) e quinto nel fondo (5-10km). Nel 2012, con una preparazione volutamente transitoria rispetto al 2011, il nuotatore valdagnese ha centrato anco-
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ra una volta il titolo regionale nei 50 delfino, per poi tuffarsi nell’avventura del “14°mondiale” di Riccione. Nella cittadina balneare romagnola, che per l’occasione ospitava oltre 12mila atleti provenienti da tutto il mondo, Furiassi, soprannominato bonariamente “Furia”, ha piazzato un dignitoso 41° posto assoluto nei 50 delfino (33”38) ed un prestigioso 21° posto nei 3000 metri in mare su un lotto di 120 concorrenti. Nonostante Furiassi si dichiari un atleta velocista, possiede una forte e anomala predisposizione per i kilometri in acque libere dove ottiene risultati sorprendenti, visto la struttura fisica. Quest’anno nella sua categoria (master 55) si è aggiudicato due gare di mezzofondo (Caorle, Bracciano), più tre secondi posti, solo dietro al campione nazionale Rosario Cucè. Questi risultati gli hanno permesso di piazzarsi terzo
nella graduatoria nazionale di mezzofondo (ufficiosamente secondo) e settimo nel fondo (ufficiosamente quinto); in quest’ultima distanza ha vinto ben due gare sui dieci kilometri nuotando in meno di tre ore (Bracciano-Caldonazzo), gara che solo in pochi osano sfidare competitivamente...ad una certa età!. Non pago di questi buoni risultati, il portacolori scledense ha piazzato “la manata vincente” anche nel circuito sardo di acque libere: primo di categoria e 17° assoluto a Tancau-Arbatax (Km.4.5), primo ancora e 28° assoluto a Portoscuso (km.6) con l’attraversamento in mare aperto di buona parte del canale che separa l’isola di San Pietro alla terraferma sarda. A Portoscuso il portacolori scledense ha potuto constatare con mano anche le difficoltà sociali ed umane riguardo l’adiacente e famosa fabbrica d’allumino in liquidazione
dell’Alcoa. Nel 2012 il nuotatore “evergreen” ha avuto il tempo di pubblicare anche il suo quarto libro dedicato questa volta ad una ricerca storica inedita riguardo i nuotatori-sommozzatori del Reparto Gamma, appartenuti alla Decima Flottiglia Mas di stanza a Valdagno nel 1943/45: titolo, “Assaltatori Gamma”. Visti i vari impegni lavorativi e familiari ci ha dato appuntamento per la stagione agonistica 2014 dove conta di arrivare sportivamente ancora più in alto. Glielo auguriamo per la passione e l’impegno con cui affronta i sacrifici di un allenamento professionale di alto profilo parallelamente agli anni che avanzano. Da sottolineare che già da alcuni anni il folto gruppo di masters appartenenti allo Schio Nuoto SSD è allenato proficuamente dal giovane ex agonista scledense Davide Borga”.
spinale cronica (info su: www. marinaromolionlus.org e sui principali social network). Prima della partenza era arrivato anche un messaggio sulla sicurezza inviato da Alfredo Martini. Presenti anche Fioravante Puppin e consorte a rappresentare i sette ciclisti travolti a Lamezia Terme, e ancora l’ex professionista Andrea Ferrigato e il neo professionista Marco Canola, la giovane campionessa altoatesina Anna Zita Stricker medaglia ai Campionati Mondiali Junior 2012 oltre alle autorità locali, l’Assessore allo Sport del Comune di Schio Gabriele Terragin e il vice presidente del CONI provinciale Emiliano Barban.
Gli organizzatori sono stati molto soddisfatti della seconda edizione del Memorial Thomas Casarotto e tramite il portale www.ciclismosicuro.it hanno voluto sottolineare che essa si è potuta disputare grazie all’impegno di tante persone e tante associazioni che ci hanno messo il cuore dimostrando una tangibile vicinanza alla famiglia di Thomas. Inoltre, ora che anche Schio ha conosciuto l’impegno di Marina Romoli, il messaggio di ciclismosicuro.it diventa anche quello di non lasciarla sola e per questo c’è bisogno dell’aiuto e dell’impegno di tutti, soprattutto degli amanti delle due ruote.
gara più bella
2° memorial Thomas Casarotto, ciclismo nel segno della sicurezza
S
chio, più precisamente Poleo, domenica 30 settembre ha ospitato la 2^ edizione del Memorial Thomas Casarotto, una gara riservata alle categorie Elite e Under 23 che vuole ricordare lo sfortunato ciclista diciannovenne scledense vittima di un incidente in gara che gli è costato la vita nel corso della penultima tappa del Giro dei Friuli del 2010, mentre la carovana transitava per Pesaris a pochi chilometri dalla mitica salita dello Zoncolan. Io ero stata invitata da uno dei miei sponsor a seguire la gara. Era la prima volta che assistevo a una gara di ciclismo dall’interno, dalla preparazione delle squadre prima della partenza, al pranzo, al via e i primi passaggi sul traguardo volante, fino ai passaggi sul GPM e all’arrivo. È stata proprio una bella esperienza anche perché io mi alleno su queste strade a so bene quanta fatica si fa, a quelle velocità poi non oso immaginare. Ma quello che ha contraddistinto questa manifestazione è stato il messaggio che la famiglia Casarotto e gli organizzatori hanno voluto lanciare: più sicurezza per il ciclismo! L’organizzazione della manifestazione è stata curata dall’Asd Arcobaleno Generali Ballan Doping Free di Mestre
di Martina Dogana
di Martina Dogana
del presidente Mauro Flora (squadra dello sfortunato Thomas) che con il contributo della famiglia Casarotto ha coinvolto 16 squadre con un totale di 137 giovani ciclisti. La logistica è stata curata dal portale ciclismosicuro.it che si è avvalso della collaborazione di numerose società ciclistiche vicentine, di gruppi di Protezione civile e dei moto club della zona. In questa gara ha fatto il suo esordio ufficiale un gruppo di motostaffette con la denominazione “ciclismosicuro” coordinate da Stefano Tronca, Mario Simonato e da Luca Terrin. La gara prevedeva un totale di 139 km sviluppati su tre circuiti: il primo di 15.6 km interamente pianeggiante arricchito di 3 traguardi volanti da percorrere per tre volte, un secondo anello collinare di 13.4 km con la salita di Monterosso-Gentilata direzione Monte di Malo da ripetere 4 volte, infine, dopo il rientro a Schio, la kermesse sui 5.2 km del circuito di Poleo da ripetere tre volte prima di tagliare la linea del traguardo. Insomma, una gara davvero impegnativa che ha visto imporsi Nicola Boem (Zalf Desirée) che ha preceduto il suo compagno di squadra Andrea Tonetti e il colombiano Artunduaga Quintero (Team Delio Gallina ) a completare il podio.
Il memorial Thomas Casarotto è una corsa speciale perché unisce sport a solidarietà e progetti concreti per migliorare le condizioni di chi pratica il ciclismo. Alla gara erano presenti le famiglie dei ragazzi a cui è dedicato il sito ciclismosicuro.it (oltre a Thomas Casarotto anche Nicola Pirolo e Tommaso Cavorso), ma anche Iulian, il bambino di Como a cui è stato trapiantato il fegato di Thomas, e Marina Romoli, una giovane ciclista professionista vittima della strada che ha perso l’uso delle gambe e che ha fondato una sua onlus in favore delle vittime della strada con incidenti in bici e che vuole sensibilizzare e sostenere la ricerca per la lesione
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valdagno La Supercoppa è del Valdagno
supercampioni
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a Supercoppa italiana per il terzo anno consecutivo resta in città. L’Hockey Valdagno comincia la stagione agonistica 20122013 come meglio non potrebbe: vincendo. La squadra di Vanzo alza al cielo l’ennesimo trofeo. Dopo i successi contro Follonica, 2010, e Viareggio, 2011, quest’anno a dover issare bandiera bianca è stato il Lodi. Un Valdagno cinico ha avuto ragione della compagine lombarda al termine di una partita molto combattuta. La squadra ha avuto il merito, a differenza degli avversari, di saper sfruttare le occasioni che gli sono capitate. Un finale esaltante, ricco di emozioni ha consegnato la coppa nelle mani di capitan Rigo. Per il Valdagno sono andati a segno Nicolia, freddissimo nel trasformare due punizioni di prima, quella che ha portato il Valdagno sull’1 a 0 e quella, praticamente a tempo scaduto, del definitivo 4 a 2. Nel mezzo un colpo da campione di Gil che con un diagonale dalla distanza preciso e potente non ha lasciato scampo al portiere avversario e il capolavoro di Dario Rigo, autore della marcatura che ha in sostanza deciso il match. Il capitano si è presentato a 7 secondi dalla sirena sul dischetto del rigore. Tiro respinto ma sulla ribattuta pezzo di classe, esperienza e freddezza allo stato puro nel riuscire ad insaccare una pallina divenuta incandescente. Il Palalido ha potuto così trascorrere un’altra notte da leggenda, l’ennesima impresa di una squadra che sta facendo vivere a tutti i tifosi una bellissima favola. Prima della finale gloria meritatissima per mister Franco Vanzo. Il presidente della Lega Nazionale Hockey Leo Siegel gli ha consegnato il premio “Raul Micheli” quale miglior allenatore della passata stagione della serie A1. Momento da “libro Cuore” anche per Massimo Tataranni, una vera e propria ovazione per il bomber che ha trascorso tre stagioni in biancoazzurro al quale è stata donata una targa celebrativa.
una vita su otto rotelle C
di Luca “Luke” Urbani
Racconto sentimentale di una grande passione per l’hockey: vita e glorie hockeistiche di Giuseppe De Franceschi
osa sono 75 anni di storia se non un insieme di avventure sportive ed umane raccolte sotto un nome, una bandiera e a dei colori: nel nostro caso biancocelesti. All’inizio fu Cral Marzotto poi e tutt’ora Hockey Marzotto Valdagno. Una chiacchierata amichevole con una persona che ha dato più di 25 anni della sua vita a questo sport ci illumina sugli albori e più di quella che è la storia rotellistica Valdagnese. Giuseppe De Franceschi, classe 1932: forse ai più ricorda un nome nel tempo divenuto famigliare come giornalaio, libri e libri per la scuola, giochi ed articoli da regalo.... ma questo è l’aspetto della persona che si è scelta una professione per mantenere se stesso e la sua famiglia; ma a noi interessa un altro lato della persona: quello sportivo. (Mi preme dire che durante la conversazione con Mr. De Franceschi quello che traspare dalle sue parole è: affetto ed amore, a tratti commozione nel recuperare ricordi di una disciplina sportiva che deve aver chiesto grandi sacrifici ma che ha dato anche molte soddisfazioni a chi in quei tempi la praticava.) Per De Franceschi i primi approcci con i pattini iniziano nel 1940, nel sotterraneo dell’allora teatro Impero adesso meglio conosciuto come Teatro Rivoli (ora chiuso ma che con i suoi 1500 posti a sedere all’epoca della sua costruzione e forse tutt’oggi il teatro più grande del Veneto); nella mitica pista della “Cavalchina” dove si poteva noleggiare i pattini a rotelle e seppur in tempi non felici distrarsi e familiarizzare con questo nuovo sport. La Cavalchina: una pista di metri 15x30 di piastrelle circondata da una piccola scalinata dove poter sbizzarrirsi in evoluzioni anche temerarie per i più bravi, probabilmente un posto che farebbe andare in visibilio anche gli skaters odierni. In questo luogo mossero le prime pattinate e disputarono i primi campionati ad iniziare dal 1938 i pattinatori valdagnesi: Siro, Poletti, Marchetto, Scavazza - allenati da Giovanni Piazzon, quello che potremmo definire il padre dell’hockey valdagnese; una persona buona, tenace e grintosa sempre pronto a dispensare consigli ed indicazioni sui fondamentali hockeystici e, ad
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intravedere come nel caso di De Franceschi.. giovani promettenti ed appassionati in questa disciplina. Purtroppo gli eventi storici lasciano il segno inevitabilmente anche in questa avventura sportiva e con l’inizio della seconda guerra mondiale va a scomparire la prima generazione hockeystica valdagnese.. ( non va trascurato nel frattempo però l’apporto di esperienza portato dai Germanici prima e dagli Americani ed Inglesi poi nella tecnica/ pratica di questo sport in città). La seconda generazione se ne va con la fine della guerra e con la ricostruzione, portando uomini e giocatori lontano da Valdagno. Arriviamo quindi alla terza generazione, quella in cui si affaccia come riserva a 15 anni il giovane De Franceschi; è il 1947 e Mister Piazzon è ancora li.. saldo nel perseguire la pratica e l’insegnamento dell’hockey su pista; una stagione in serie B poi la veloce risalita in seria A. Anni frenetici per questo sport, (come del resto il periodo che va attraversando l’Italia: ricostruzione, rinascita e sviluppo.. .) anni in cui si trovano i segni di città e società hockeystiche praticamente scomparse: Schio, Venezia, Mestre, Genova Bolzaneto, Oderzo, Frecce Azzurre, Diavoli Rossi Vicenza; negli anni 1950/1960 poi troviamo altri nomi di luoghi che hanno dato molto allo sport rotellistico: Trieste, che con 3 squadre nel suo picco massimo ha scritto innumerevoli pagine sportive sia come dominatrice di campionati sia come scuola hockeystica; passando poi per Pistoia, altra città teatro di sfide sportive anche molto fisiche (come lo era l’hockey a quei tempi ).. .fino ad arrivare alla Capitale Roma, città dove negli anni 1950/1960 l’hockey fu letteralmente “calato dall’alto” insediandovi 8/9 decimi delle formazioni triestine nella SS Lazio - alzando il livello di attenzione su questo sport ma finendo poi, non avendo radici nelle giovanili.. inesorabilmente nell’oblio. Sono anni tosti i Cinquanta/Sessanta, anni di sperimentazione e di sopravvivenza, lunghe trasferte in auto sempre con i minuti contati perché come per gli allenamenti la precedenza è data al lavoro... (prima il dovere e poi il piacere - recita un vecchio adagio ) e si va, provando anche pattini tedeschi in acciaio… talmente pesanti che durano sì una vita ma ti fanno fare il triplo di fatica a pattinare; i parastinchi e paracolpi non si sapeva cosa fossero e le stecche…dovevano avere vita lunga…!! I tre tempi da venti minuti giocati a quel tempo, magari dopo una giornata di lavoro sono tutt’altra cosa rispetto alle gare dei nostri giorni, già questo dovrebbe far capire i passi da gigante fatti da questo sport. Una grande passione spinge questi ragazzi a praticare l’hockey, dare sempre senza ricevere o chiedere nulla in più di quello che ai giorni nostri potremmo valutare in una “mancia”. Una piccola nota di merito credo sia da aggiungere all’hockey Valdagno: il fatto di essere stata nella stagione 1951/1952 la prima formazione di un qualsiasi sport della parte dell’allora blocco Occidentale ad essere invitata e a giocare un torneo amichevole nella allora Jugoslavia del Generale Tito. Vengono poi negli anni altri inviti ricambiati con amichevoli giocate a Valdagno da più parti: Knokke-Heist - Belgio, in Olanda o Dusseldorf in Germania. Piccole-grandi soddisfazioni che fanno crescere ed apprezzare la formazione Valdagnese fino a portare in Naziona-
le un giocatore di Valdagno… quel Diego Marchetto Campione del Mondo nel 1953 a cui è dedicata una targa posta all’interno del PalaLido di Valdagno, e senza dimenticare il precursore della indiscussa scuola di portieri Valdagnese: Angelo Noro, titolare in porta ai Mondiali nel 1958, 1960 e vicecampione Mondiale nel 1962 con la Nazionale Italiana. Arriviamo quindi alla fine della terza generazione; con l’inizio degli anni 1970 anche sul gruppo in cui prima giocava e che in fine allenava Mister De Franceschi cala lentamente il sipario, è con la scomparsa di questa classe di giocatori che l’hockey su pista a Valdagno comincia a prendere un altra forma, a cambiare pelle si potrebbe dire. Il gioco dell’hockey fino a qui è stato sempre improvvisato quasi istintivo: prendi la pallina e vai verso l’altra porta, tiri e se entra va bene altrimenti il gioco riparte al contrario... e così fino alla fine. Negli anni 1970 si comincia a parlare di preparazione fisica, schemi di gioco ed azioni ragionate. Il ritiro di questi giocatori chiude quasi definitivamente il modo dilettantistico in cui si è giocato l’hockey a Valdagno; scompare quell’aspetto romantico che ha accompagnato lo sport rotellistico in città; è questo forse il periodo più delicato attraversato dall’hockey Valdagno; la mancanza di valide alternative nell’immediato e giocatori non facilmente sostituibili fanno tremare le fondamenta societarie ma, le radici ben piantate di questo sport quando serve danno la resistenza necessaria a superare ogni momento critico. Grandi nomi lasciano la scena, volti nuovi fanno la loro comparsa… nella vecchia pista Lido (che nel frattempo ha trovato un tetto che la ricopra e delle pareti che la racchiudano) gli anni 1970 portano aria e miti nuovi… fanno la loro comparsa i primi gruppi organizzati di tifosi che supporteranno la squadra: entrandone assieme nella storia. Un’epoca si chiude ed un altra fa capolino... quella che, con una dirigenza oculata e lungimirante saprà lentamente costruire formazioni di rispetto ed indubbio successo: 2 Supercoppe Italiane, 2 Titoli Nazionali più diversi piazzamenti lo stanno a sottolineare. Infinito rispetto per chi ha saputo in tutti questi anni supportare e sostenere questo sport e rendere Valdagno: la Capitale morale dell’hockey su pista Italiano. Un grazie doveroso per la collaborazione prestata nello stendere queste poche righe di ricordi a Giuseppe De Franceschi, non è mai semplice racchiudere storie ed emozioni in un racconto, per me è stato un onore poterlo fare.. grazie Mister.
il buon calcio
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valdagno
Inaugurata lo scorso 21 settembre la nuova Stagione 2012/2013 per l’USD Ponte dei Nori di Valdagno; 145 tesserati suddivisi in 7 categorie: Primi Calci, Pulcini, Esordienti, Giovanissimi, Allievi, Juniores e Prima Squadra, che milita in 3a categoria: tutti giovani cresciuti in casa nel segno del buon calcio.
prima squadra
juniores
allievi
esordienti di Elisa Reniero
I
giovani al centro” questo è il motto della società nata oramai 45 anni fa e presieduta da Enzo Gnomo, coadiuvato da uno degli storici fondatori, Mario De Gerone detto “Mario Mola”; l’unica società
giovanisimi
pulcini di vallata che vanta l’intero “filone” di giocatori tutti nati e cresciuti in casa. Niente acquisti e niente retribuzioni, perché tutti, dall’organico amministrativo allo staff tecnico sono volontari. Così la ricerca del continuo miglioramento e dei risultati, qui, ha una valenza ancor maggiore, visto che il “volontariato” in questo settore è cosa rara; inoltre il conseguente contenimento dei costi di gestione consente di non gravare sulle famiglie con rette di iscrizione troppo esose. La mancanza di compensi però, non significa che lo staff non sia di livello e di rilievo, serietà e professionalità non mancano, infatti alcuni allenatori hanno avuto un passato calcistico di rilevanza notevole come ad esempio la militanza in serie B. I campi di
primi calci allenamento attualmente sono: per quanto riguarda le quattro categorie minori il Campo Comunale “Valdagno Sud” con relativa piastra in sintetico; mentre dagli Allievi alla Prima Squadra il Campo Belvedere di Piana di Valdagno. La società vuol essere punto di riferimento non solo sportivo, ma anche sociale ed educativo; nel quartiere di Ponte dei Nori infatti le diversità culturali ed etniche sono varie, ma collaborare, in questo ambito, non risulta impossibile, perché l’identità comune, ossia l’essere parte della stessa squadra, rende tutti uguali ed uniti. Dare il buon esempio è quindi lo spirito di tutti, ponendo conoscenze agonistiche e di vita a disposizione dei giovani. Per tutti i ragazzi che volessero provare quest’esperienza tardi non è e chiunque sarà bene accetto. Annate tesserate: 2004-2005-2006-2007 per i Primi Calci; 2002-2003 per i Pulcini; 2001-2000 per gli Esordienti, 1998-1999 per i Giovanissimi; 1996-1997 per gli Allievi; 1992 (fuori quota)-1993-1994-1995 per gli Juniores. Inoltre se qualcuno volesse mettere la propria esperienza al servizio dei ragazzi, contatti liberamente la segreteria. SEGRETERIA APERTA il lunedì e il giovedì dalle ore 17.00 alle ore 19.00 Tel: 348.9754512 sito internet: usdpontedeinori.altervista.org
RITMI è il nuovo marchio con il quale la Cooperativa Studio Progetto presenta alle società agonistico/sportive, alle scuole di danza, ai privati ed al pubblico il laboratorio produttivo e creativo che da quattro anni realizza costumi di scena artistici e sportivi per diverse discipline: • Pattinaggio artistico • Danza classica, moderna,
jazz, contemporanea
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Mission
Lo scopo di questo “laboratorio produttivo” è permettere alle persone svantaggiate, in inserimento lavorativo, di crescere sotto tutti i punti di vista: migliorando le abilità manuali, estetiche e di concentrazione, aumentando l’autostima e la fiducia in sé stessi e nell’ambiente, acquisendo la consapevolezza che, nonostante la disabilità, lavorare bene è possibile.
cell. 335.329669
ritmi@studioprogetto.org
photo Simone Padovani • grafica studio progetto
RITMI c/o Studio Progetto Via Monte Ortigara, 115/B 36073 Cornedo Vicentino (VI) tel. 0445.404629
ufficio servizi
Tutti i proventi delle vendite e dei servizi dell’area vengono investiti in progetti educativi.
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vicenza
I nudibranchi, lumache di mare di Antonio Rosso Foto di Stefano Scortegagna
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olpi, seppie, cozze, patelle, murici ed ostriche, pur così diversi, sono tutti molluschi. Tra questi fanno parte anche i nudibranchi che sono dei gasteropodi senza conchiglia. Il loro nome significa “con le branchie nude” e sono praticamente sconosciuti a chi non è subacqueo. Sono, invece, ben noti agli amanti dell’immersione e sono sempre stati uno dei soggetti preferiti dei fotografi subacquei. Sono facilmente reperibili, vivono su ogni fondale, hanno bellissimi
colori e non si allontanano anche se hanno un obiettivo a pochi centimetri di distanza. Per riprendere al meglio gli esemplari è necessario fotografarli a distanza ravvicinata ma, in molti casi, si può rendere necessario eseguire riprese anche in macrofotografia. A basse profondità si può usare la luce ambiente, ma è meglio fare largo uso di luci artificiali per sfruttare diaframmi ristretti ed avere una maggiore profondità di campo eliminando nel contempo tutte le ombre indesiderate.
I nudibranchi sono diffusi in tutti i mari e ad ogni profondità, anche se il maggior numero di specie si trova in acque calde e poco profonde. Sono dotati di un corpo morbido e flessibile e gli adulti non hanno conchiglia, né interna come le seppie, né esterna come i murici ed hanno dimensioni comprese tra uno e sessanta centimetri. Le forme ed i colori possono, poi, variare in modo estremamente differenziato sfruttando ogni tonalità e sfumatura di tinte. Per quanto riguarda la riproduzione sono animali ermafroditi, cioè possiedono allo stesso tempo organi sessuali maschili e femminili, ma non hanno la possibilità di autofecondarsi. L’accoppiamento avviene tramite il contatto tra i rispettivi lati
destri dove sono posti gli organi sessuali. Una volta fecondate, le uova vengono disposte in nastri o spirali. Alla schiusa nasce una larva che vive per un certo periodo come plancton prima di scendere sul fondo e trasformarsi in un giovane adulto. Il ciclo di vita varia da poche settimane a più di un anno. Sono carnivori e si nutrono di spugne, briozoi, coralli, gorgonie, meduse, anemoni, pesci morti, crostacei, ma sono pure cannibali cibandosi di altri nudibranchi, anche della stessa specie. Non avendo una conchiglia di protezione hanno sviluppato come difesa l’arte del mimetismo, ma, essendo anche in grado di produrre a livello cutaneo sostanze tossiche, comunicano con i loro vivaci colori a tutti i possibili predatori che non sono commestibili ma velenosi, scoraggiando così ogni appetito nei propri confronti. Per quanto riguarda l’uso dei nudibranchi in cucina, i casi documentati sono rarissimi, sicuramente ciò avviene nelle isole Aleutine in Alaska.
autunno, si vola
Le migrazione degli uccelli
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na delle caratteristiche fondamentali degli animali sta nella loro mobilità. Benché questo carattere assuma aspetti diversi nei vari gruppi zoologici, si può dire che nessun animale è immutabilmente legato al proprio ambiente: ogni animale infatti, si sposta quanto meno nel corso di uno degli stadi del suo sviluppo. Queste facoltà sono costantemente utilizzate per cercare le migliori condizioni di vita. Gli spostamenti sono peraltro di due tipi molto diversi. Alcuni non sono periodici, e si hanno quando individui separati o intere popolazioni percorrono distanze spesso molto grandi, ma senza mai tornare ai luoghi d’origine; altri sono viceversa molto più regolari, intervenendo periodicamente nella vita di un animale e comportano sempre un ritor-
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no al punto di partenza. Molti autori hanno ritenuto opportuno fare questa distinzione, confondendo i due tipi di spostamenti sotto il medesimo nome di migrazioni: questo termine è così applicato indifferentemente agli spostamenti ciclici di certe specie animali, per esempio gli uccelli, e agli spostamenti a senso unico. Si parla anche di migrazione umane per designare le peregrinazioni degli uomini che si spostano per colonizzare in ondate successive diverse parti della terra senza speranza né desiderio di ritorno alla loro patria d’origine, e cosi accade anche per gli spostamenti di numerosi animali. Dal punto di vista etimologico, il termine migrazione, dal latino migrare, passare da un luogo a un altro, si può applicare indistintamente a tutti i tipi di spostamento. Le migrazioni sembrano aver attirato
l’attenzione dell’uomo fin dall’antichità più remota; gli assembramenti di uccelli, la loro scomparsa in autunno e il loro ritorno nella bella stagione, fanno parte di questo ciclo annuale che impressionò l’uomo primitivo al punto che in questo vide un segno degli dèi. Così troviamo testimonianze antichissime relative agli uccelli migratori. Si rilevò presto la direzione di questi spostamenti stagionali, che sembrava andare verso paesi più caldi durante i nostri inverni, e il ritorno in primavera quando si annunciava la bella stagione. Ma gli uomini avevano rilevato che numerosi animali sono intorpiditi durante l’inverno; le rane si riuniscono in gruppi nascondendosi all’interno di buchi o nella melma delle paludi e hanno una vita molto rallentata “ibernano” veramente. Lo stesso accade per tutti i rettili e alcuni
VALTERMO
mammiferi come per esempio i ghiri e le marmotte. Queste due teorie “migrazionismo” e “ibernazione” si opporranno l’una all’altra per circa 23 secoli, prima che si concordi sulle migrazioni come sola spiegazione possibile della sparizione dei nostri uccelli in autunno. La Bibbia contiene passi che dimostrano come in questi tempi lontani gli spostamenti stagionali non passavano inosservati. I metodi di studio delle migrazioni sono analisi relativamente semplici, che si fondano anzitutto sull’osservazione attenta degli uccelli nella natura e nell’inanellamento. Alcune ricerche soltanto esigono tecniche un po’ particolari. I due metodi principali, osservazione e inanellamento, sono complementari. La prima permette di avere un’idea generale sulla migrazione in una determinata regione e sulle incidenze dei diversi fattori
climatici e geografici nei confronti del comportamento migratorio. L’inanellamento, invece, informa su due momenti precisi della vita di un uccello: quello in cui è inanellato e quello in cui viene ripreso. E’ attraverso l’accumulazione di questi dati singoli che si arriva ad ottenere ragguagli generali sui movimenti di una popolazione o di una specie di uccelli. Mentre l’osservazione interessa una popolazione nel suo complesso , l’inanellamento isola un individuo. Gli studi di quella che si chiama migrazione visibile, cioè dei migratori durante i loro spostamenti, hanno preso in questi ultimi anni uno sviluppo considerevole e hanno permesso scoperte che non si poteva sperare di ottenere con altri metodi. L’osservatore situato in un determinato punto, annota accuratamente l’entità degli uccelli visti, al pari del loro numero
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20 approssimativo. La direzione di volo e il loro comportamento. L’altezza del volo è spesso assai difficile da valutarsi. Il momento del giorno influisce spesso sui risultati, numerosi uccelli non si spostano che in certe ore della giornata, variabili secondo le specie. Le migrazioni notturne sono le più difficili da osservare; e sono peraltro estremamente generalizzate tra gli uccelli insettivori che migrano quasi sempre di notte. Gli spostamenti migratori avvengono in direzione primaria che è ovviamente determinata dalle posizioni geografiche rispettive delle aree di riproduzione e di svernamento. Così, per molti dei nostri uccelli migratori europei, questa direzione primaria è grosso modo Sud e Sud-Ovest per la migrazione autunnale. Accade anche talvolta che gli uccelli seguano localmente una direzione diametralmente opposta alla loro direzione generale. Tale insieme delle strade percorse si qualifica come Vie di Migrazione. Alcuni movimenti però non hanno la regolarità delle migrazioni vere e proprie. Talvolta compare in una Regione una specie di uccelli in gran numero, per sostarvi per un periodo più o meno lungo; quindi scompare completamente. Prima di una sua riapparizione con variazione quantitative talvolta rilevanti, possono trascorrere anche molti anni. A questo tipo di spostamenti senza regolarità nel tempo e nello spazio, si dà il nome di invasioni; una di queste specie interessate è il beccofrusone. Questi uccelli vegetariani presentano dunque delle invasioni periodiche, talvolta regolari, talvolta disordinate, il cui motivo fondamentale è di ordine alimentare. L’abbondanza o la scarsità di nutrimento li costringono a spostamenti più o meno grandi a seconda delle annate, senza speranza di ritorno. Diverse sono state le teorie formulate per spiegare ciò che stimola gli uccelli a intraprendere lunghi e pericolosi viaggi. Molti ornitologi ritengono che la più importante sollecitazione alla base della migrazione degli uccelli sia determinata dal fotoperiodo, ovvero dalle variazioni della durata giornaliera dell’illuminazione. Il meccanismo ormonale che si avvia nell’organismo dell’animale conseguentemente alla durata delle ore di luce determina la predisposizione della partenza o “istinto migratorio”, il quale si manifesta concretamente sotto l’influsso delle condizioni atmosferiche. La capacità invece di orientarsi degli uccelli durante le migrazioni si ritiene sia una capacità innata dovuta a fattori ereditari.
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valdagno
sei vicentini al via
Domenica 23 settembre si è svolta la seconda edizione dell’Ironman 70.3 Pays d’Aix ad Aix en Provence in Francia.
S
i trattava di un Mezzo Ironman: 70.3 è una marchio depositato da WTC (la società americana che è proprietaria del marchio Ironman che organizza ogni anno la finale mondiale del circuito Ironman alle Hawaii). 70.3 sono le miglia totali che compongono questo tipo di gare di triathlon: 1,2 miglia (1900m) di nuoto, 56 miglia (90km) di ciclismo e 13,1 miglia (21,1km) di podismo. Tra i circa 1300 partecipanti all’evento c’erano anche 6 vicentini: oltre alla sottoscritta c’erano i già
esperti Luca Fantinato e Cesare Bonotto entrambi Bassanesi e gli esordienti Matteo Penzo di Valdagno, Giordano Novello e Nicola Gonzato di Cornedo Vicentino. Per me è stato davvero emozionante condividere la trasferta con questi amici: dopo 18 anni in giro per l’Italia e il mondo a gareggiare, finalmente un pezzetto della Valle dell’Agno mi ha seguito in questo sport così strano! Anzi, a dire il vero, questo 70.3 non era nel mio programma gare, ma quando ad inizio estate Matteo, Giordano e Nicola mi hanno detto che si erano
iscritti ho pensato che non potevo lasciarli andare da soli e così mi sono iscritta pure io! É stata davvero un’emozione nuova e molto forte condividere la loro eccitazione crescente, aiutarli a dissipare tutti i dubbi della vigilia, poter dare qualche consiglio pratico, ma soprattutto abbracciarli all’arrivo, tutti quanti stanchi morti, ma con quel sorriso sulle labbra che solo chi taglia la Finish-Line di un triathlon lungo può capire! Purtroppo la mia gara non è andata come avrei voluto perché ho avuto forti problemi respiratori a causa di
Pizzeria - Ristorante
un inizio di bronchite e non sono riuscita a spingere come avrei voluto. Non ho voluto esagerare per non peggiorare il mio stato di salute, ma ho comunque concluso questa gara durissima sia per i percorsi molti selettivi, sia per il livello delle mie avversarie. Ho portato a casa un onesto settimo posto che sicuramente rispecchia il mio valore non al top. Per la cronaca la vittoria è andata in campo femminili a MaryBeth Ellis (USA) e al francese Cyril Viennot. Gli altri ragazzi vicentini hanno fatto del loro meglio. Cesare Bonotto (Triathlon Tribù)
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di Martina Dogana ha portato a termine la sua fatica in 5h07m12s, inizialmente non era soddisfatto della sua prestazione in termini cronometrici, ma considerando che i percorsi erano davvero impegnativi poi si è ricreduto. Giordano Novello (Triathlon Cremona Stradivari) è arrivato a solo un secondo da Bonotto concludendo il suo primo Mezzo Ironman con un’ottima progressione evidenziando il suo passato da maratoneta. Luca Fantinato al suo secondo 70.3 stagionale e lottando contro un forte mal di schiena è arrivato dopo 5h36m55s.
Nicola Gonzato ha nuotato, pedalato e corso per un totale di 5h57m03s sempre con il sorriso sulle labbra nel più puro stile Ironman. Matteo Penzo ha chiuso in 6h01m43s, mezz’ora sotto le sue previsioni, con un arrivo spettacolare e soprattutto con l’onere di pagare la birra a tutti! Che dire, è stato un weekend unico, faticoso ma molto divertente e sicuramente da ripetere...sperando che la famiglia dei triathleti continui ad allargarsi...
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la via per l’Armonia dell’Energia vitale di Matteo Mistè
bbiamo incontrato il maestro Aldo Gonzato, 6° Dan , personalità tra le più esperte di Aikido in Italia e in Europa, direttore tecnico e fondatore della scuola “Aiwakan Aikido Ryu”. E’ stato allievo diretto del maestro Hirokazu Kobayashi, a sua volta allievo diretto del maestro Morihei Ueshiba, fondatore dell’Aikido.
Il fascino dell’Aikido nella ricerca del benessere interiore mentre le tecniche a mani nude e la pratica con le armi risalgono al Medioevo giapponese popolato dalle figure dei Samurai. Le radici si possono trovare nel Ken “spada” ,nel Jujitsu e nell’AikiJutsu che rappresentano la genesi delle arti marziali. Queste verranno sviluppate in chiave moderna all’inizio del 20° secolo da “O’Sensei” Morihei Ueshiba, fondatore dell’Aikido.
il maestro ci si doveva alzare tutti !) poi un’ora di relax per noi ospiti stranieri, mentre gli allievi giapponesi provvedevano alle varie attività. Al pomeriggio, due ore di pratica di Aikido, poi un’ora di Jo (bastone) , infine la discussione serale , in cui il maestro era disponibile a rispondere alle domande degli allievi. In quei seminari molto intensi dove vigeva il rispetto ferreo della disciplina mi sentivo veramente al pari dei giapponesi e comprendo perché il maestro Kobayashi abbia voluto invitare solo pochi praticanti europei a partecipare a questi seminari. Come è nata la sua scuola, l’ Ai-wa-kan Aikido Ryu? La scuola è nata per volere proprio del maestro Hirokazu Kobayashi nel 1992, a cui ha voluto dare anche il nome: Ai “amore” , Wa “ armonia” , Kan “ dojio” (scuola della ricerca dell’amore, dell’armonia e della libertà). È una scuola in stile giapponese dove si pratica l’Aikido nel rispetto della tradizione, della cultura orientale, nello spirito del maestro Kobayashi, il quale mi ha affidato il compito di portarla avanti.
Maestro, quali sono le caratteristiche principali di questa arte marziale? E’ difficile riassumere in poche parole la complessità dell’Aikido, anche per chi come me lo pratica oramai da quarant’anni. Semplicisticamente viene descritto come l’applicazione di tecniche e leve articolari che permettono di controllare il presunto “avversario”, basate sul principio della rotazione sferica e atemì (colpi di controllo). Ma ridurre il tutto a una semplice attività fisica è riduttivo, non si tratta solo di effettuare proiezioni e cadute libere: l’aikido è la ricerca di una coscienza fisica e mentale del proprio io, della disciplina , dell’etica e della consapevolezza di sé stessi. Ciò si traduce in effetti nell’applicazione di alcuni principi del “budo” (arte marziale). Qual è il significato del termine Aikido ? I tre ideogrammi che formano la parola Aikido sono: Ai: armonia; Ki: energia; il Do giapponese è l’equivalente del “Tao” cinese e rappresenta la via, il percorso per raggiungere il “SATORI” (illuminazione). Possiamo dire che c’è qualcosa di spirituale in tutto questo… “Spirituale” è un termine che non scomoderei, certo è che l’Aikido può essere comunque una pratica che aiuta la persona a compiere un percorso interiore di ricerca spirituale. Qual è la storia dell’ Aikido? Da chi e come è stato ideato? Le origini, soprattutto quelle cerimoniali e rituali, sono antiche
Ci parli un po’ della pratica delle armi. Nella pratica dell’Aikido si usa il jo (bastone), il bokken (spada di legno) che sostituisce la KATANA (la spada dei samurai), ritenuta sacra nella cultura giapponese in quanto oggetto di culto nella mitologia del paese. Quali sono le differenze con le altre arti marziali? Per volere di ”O’Sensei” Ueshiba, data la complessità, la numerosità e la pericolosità di esecuzione delle tecniche, non è stato permessa la pratica in competizioni: questa può essere considerata la differenza principale. Ciò rimarca lo spirito non violento intrinseco in questa disciplina. Sappiamo che è stato varie volte in Giappone, ci può parlare di queste particolari esperienze? Come si è trovato da “italiano” in un ambiente così diverso dal nostro? A partire dagli anni ’80 ho avuto la fortuna di essere ospitato più volte dal maestro Hirokazu Kobayashi, allievo diretto di “O-Sensei” Ueshiba. Ho potuto così seguirlo in numerosi seminari dediti alla pratica dell’Aikido, AikiKen (spada) e AikiJo (bastone), che veniva preceduta da sedute di meditazione ZA ZEN. Si iniziava al lunedì e si finiva al sabato: si andava in posti isolati in montagna o su una piccola isola dove si rimaneva in solitudine. Le giornate cominciavano alla mattina all’alba con un’ora di meditazione, un’ora di bokken (spada) e due di Aikido, poi un pranzo frugale molto breve (sempre in “seiza”, cioè inginocchiati, e quando si alzava
Tornando ad un argomento di attualità molto dibattuto, qual è la sua opinione sull’accostamento delle arti marziali e la difesa personale? Come ho già detto, ormai pratico arti marziali da quasi 40 anni e quello che posso dire è che la conoscenza e la padronanza delle tecniche permette sì di difendersi all’occorrenza, però il concetto fondamentale è che la pratica di un’arte marziale consente di costruire una sicurezza interiore, la quale può essere percepita all’esterno dalle altre persone prima di arrivare allo scontro fisico. Lei è conosciuto anche nell’ambiente dell’alpinismo: è vero che
l’Aikido le è stato di aiuto in questa attività? In alcune occasioni, l’Aikido mi ha permesso, attraverso una respirazione adeguata, di trovare la calma e la determinazione necessarie a superare momenti di difficoltà. L’Aikido è particolarmente indicato per lo sviluppo psico-fisico dei bambini e degli adolescenti. Dal punto di vista motorio la pratica dell’Aikido rispetta la fisiologia dell’età pediatrica , favorendo il contatto fisico attraverso la stabilità e lo studio della centralità. Si impara quindi il controllo e la conoscenza del proprio corpo, superando le rigidità con l’armonia del movimento. Per queste ragioni alcuni pediatri consigliano l’aikido per i bambini, anche per favorire l’autostima nei soggetti più timidi o mitigare l’aggressività in quelli più irruenti, imparando il rispetto di sé e dei propri compagni. Per finire, a chi può essere consigliata la pratica dell’ Aikido? Bisogna avere delle qualità fisiche particolari? Tutte le persone possono praticare l’Aikido, donne, uomini e bambini indipendentemente dalla prestanza fisica. Anche chi ha praticato solo per una stagione, ha comunque riscontrato dei vantaggi in termini di benessere psico-fisico. La non competitività caratteristica dell’aikido favorisce la capacità di interagire con chiunque senza il timore di confronti. Dove è possibile seguire i suoi corsi in provincia di Vicenza? A Spagnago di Cornedo, Chiampo, Nogarole, Cavazzale, Velo D’Astico, Valdagno, Piovene Rocchette e Asiago. INFO: Aiwakan Aikido Ryu tel. 347-6401861 Stefano Laforini
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prien 2012 - missione compiuta!
E
h sì…! Nell’anno in corso la Città di Valdagno e la città bavarese di Prien am Chiemsee festeggiano il 25°anno del gemellaggio che le lega sotto il punto di vista culturale e sportivo. Anche il VELO CLUB PIANA, guidati dall’indomito Presidente Giuliano Grigolato e dal Vice Flavio Zerbato, ha così voluto festeggiare con gli amici nonché gemelli del pedale RADFAHRVEREIN 1893 PRIEN. Ci è parso doveroso ricambiare le visite che gli amici tedeschi ci avevano fatto nel 2004 e 2010 e, ripetendo l’esperienza che il VELO CLUB PIANA aveva già provato nel 2008, ci siamo organizzati con le nostre biciclette ed avviati verso la Baviera con ammiraglia ufficiale al seguito. Il ritrovo dei 20 arditi (tra cui 3 agguerrite ragazze: Sonia Baldo, Franca Peretti, Michela Randon) è fissato il 4 luglio al mattino presto per evitare la calura estiva ed i primi km scorrono velocemente sotto le ruote fino a Bassano dove è fissato il coffee break alle pendici del Monte Grappa. La strada prosegue lungo le pendici del massiccio fino
a Pederobba dove incrociamo la statale Feltrina in direzione Belluno, la strada ampia e pianeggiante non crea particolari problemi ai ciclisti e senza intoppi arriviamo a Ponte nelle Alpi giusti, giusti per un piatto di spaghetti al volo. Finalmente si comincia a salire verso Pieve di Cadore, obiettivo della 1^tappa. Alle 15, dopo 170km, siamo già in Hotel e, non ancora appagati dalle sfide su 2 ruote, ci lanciamo in improbabili gare natatorie e partite di pallanuoto nell’adiacente piscina. Tanto per rilassare le gambe…! Segue solarium, spritz e cena rinforzata in previsione della tappa più impegnativa del giorno successivo. Il secondo giorno le gambe sono un po’ legnose ma fortunatamente si scaldano in fretta perché, da Auronzo, ci aspetta il passo Zovo (non quello nostro…) e i 9 km più impegnativi al 10-13%; scolliniamo ed in discesa si passa per Padola e quindi si risale fino a passo M.Croce Comelico. All’orizzonte si addensano minacciose nubi temporalesche con relativi lampi ma lassù qualcuno ci ama e, come per miracolo, le nuvole prendono un’altra direzione e la di-
scesa verso la Val Pusteria è “quasi asciutta”. La strada da S.Candido a Lienz è un po’ trafficata ma preferiamo evitare la ciclabile perché percorsa da cicloturisti e famiglie con bambini quindi troppo “tranquilli” per il nostro standard. Entriamo in Austria e, arrivati a Lienz, si svolta a nord lungo la Felbertauernstrasse. Sembra che questa volta la buona stella ci abbandoni ma il temporale no e dopo 30km di pioggia passiamo per Matrei con i piedi a mollo nelle scarpe e con il dubbio –come farò ad asciugarmi?-. Gli ultimi 15km, fino al tunnel stradale dei Tauri, sono in salita al 6-8% ma procediamo regolari anche se i più freschi scattano in fuga ma senza grandi risultati. La sosta di circa un’ora al Felbertauerntunnel ci consente di rifiatare anche se siamo impegnati a traghettare ciclisti e bici dall’altra parte della galleria lunga 5280mt. Dall’altra parte dei Tauri ci attende il sole ed una veloce discesa di 15km a 80km/h su una strada che sembra un biliardo con rettilinei e curve da pennellare alla perfezione. Alla fine della discesa, ormai asciutti, finalmente l’arrivo a
Mittersill dopo 60km, destinazione della 2^tappa. La serata nella meravigliosa cittadina austriaca è dedicata a depredare il ricco grill buffet ed il chiosco che distribuisce birra della casa in quantità industriali, la famiglia Gassner ,titolare dell’hotel nonché birreria, ringrazia. La 3^giornata del nostro viaggio è la meno impegnativa con circa 100km da percorrere perciò la sveglia è posticipata e la partenza, dopo la foto di rito di fronte all’hotel, è tranquilla lungo la leggera salita che porta al Thurnpass, valico che divide la valle del Salzach dalla zona di Kitzbuhel. Una sosta è d’obbligo nella nota località sciistica anche se il caffè non è proprio dei più economici. Viste le condizioni meteo non molto favorevoli ,anzi pessime, decidiamo di accelerare i tempi e di scendere fino a S.Johann appena in tempo per trovare riparo, ospiti di un falegname austriaco che ci presta gentilmente la tettoia del suo negozio con annesse panche. Approfittiamo dello stop dovuto al meteo per un panino ed una birra che, nel frattempo, il nostro driver Guido va
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valdagno
a procurare al market. Ormai siamo a 20km dal confine tedesco che raggiungiamo percorrendo una strada secondaria in un paesaggio da favola praticamente senza traffico tra boschi, fattorie e torrenti attraversando Griesenau e Schwendt. L’appuntamento con gli amici di Prien è alle 16 ma noi arriviamo con un’ora di anticipo, giusto il tempo di un brindisi con una magnum di fresco Cartizze chissà come mai finita nell’ammiraglia. Con puntualità teutonica arrivano i Radfahrer di Prien e, dopo i convenevoli, partiamo in gruppo verso la nostra meta finale che si trova a circa 30km. Arriviamo al Rathaus di Prien, imbandierato con i tricolori Italiano e Tedesco, scortati da un’auto della Polizei , accolti dal Sindaco Herr Jurgen Seifert, da una vera banda musicale bavarese e da una piccola folla incuriosita. Breve discorso del Sindaco con richiamo alla casa comune europea e con traduzione a cura del caro amico Lothar, foto di gruppo per il giornale locale e, naturalmente, rinfresco a base di birra, limonata e cibarie tipiche.
E’ ormai l’ora di prendere possesso dell’ostello e di una doccia prima della serata lungo il lago offerta dai ciclisti del luogo a base di Steckelfisch (trota “impalata” e cotta sulla brace)e ovviamente …birra a volontà! Chiusura della serata con snaps e cante varie poi …tutti a letto! Il mattino successivo il meteo non è dei migliori e quasi quasi non ci dispiace l’eventualità di evitare il giretto in bici in programma ma, si sa, i tedeschi sono uomini duri ed alle 9 si presentano vestiti di tutto punto pronti per il “giro dei 7 laghi” itinerario natura/cultura. Effettivamente ci dobbiamo ricredere, il giro di una cinquantina di km è proprio interessante, ad andatura cicloturistica con sosta caffè sul lago ed è anche, nel frattempo, uscito il sole! Al nostro rientro a Prien, il pulman proveniente da Valdagno con alcuni amici e familiari è già arrivato ed il pranzo in compagnia è particolarmente allegro. Il pomeriggio è dedicato alla visita turistica delle bellezze del lago Chiemsee e dell’”isola degli uomini” con annesso palazzo ad imitazione Versailles fatto co-
struire da Ludwig 2° di Baviera con tanto di giardini all’Italiana e salone degli specchi. A Prien è in programma una grande serata, tutto il centro città è chiuso al traffico automobilistico e si contano 7 palchi sparsi dove varie band fanno musica di tutti i generi, è la “Swinging Prien”. Cena tipica bavarese ai vari stands in piazza e ballo fino a tarda ora. Devo dire che la tipica voglia di far festa di noi italiani è stata trainante anche per i tedeschi che, solitamente, sono un po’ più posati. E’ proprio il caso di dire che -ci siamo fatti riconoscere!E’ ormai arrivata la domenica, ultimo giorno ma, per certi versi, il più problematico. Nel pomeriggio ci attende infatti la partecipazione al prologo di apertura del Kriterium. Si tratta di una gara ciclistica annuale simile alle nostre gare per amatori organizzata dai Radfahrer di Prien a cui partecipano agonisti bavaresi. Fin qui tutto normale, se non fosse che il percorso di gara è un circuito di 600mt che si snoda attorno alla Chiesa e che alcune categorie devono ripetere 120 volte! In qualità
di ospiti siamo destinati a fare da apripista alla manifestazione ma, viste le nostre condizioni fisiche, ci è concesso di gareggiare sulla distanza calmierata di 10 giri. Lo start è dato dal Sindaco e, dopo 8 minuti di apnea ed una caduta del ns.Maurizio Tecchio (el Tecia per gli amici) all’ultimo giro, arriviamo al traguardo conquistando la 2^ e 3^ posizione. Per la cronaca la vittoria se la aggiudica Bernt, vicepresidente del Club di Prien. Dopo la premiazione con tanto di podio ci lanciamo verso lo stand gastronomico per l’ultimo pranzo a base di wurstel e patatine mentre tutto intorno, lungo il percorso, girano ciclisti a 40km/h. Non manca la musica con le hits di Toto Cotugno per fare quattro salti in piazza prima di salutare tutti e salire sul pulman con destinazione Valdagno. Un grazie particolare a Walter Freitag, a Lothar Rechtberger a Margherita Diquigiovanni Reuter ed a tutti gli Amici ciclisti di Prien! AUF WIEDERSEHEN IN VALDAGNO!
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valdagno
un nuovo anno di Polisportiva
R
iaprono le iscrizioni alla Polisportiva Valdagno che anche quest’anno dovrebbe raggiungere i quasi mille tesserati, suddivisi in ben quattordici diverse sezioni. Si va dal pattinaggio artistico, alla ginnastica artistica e poi atletica leggera, pallacanestro, karate, pallavolo e mini volley, calcio per amatori, ginnastica di mantenimento, muay-thai e kick boxing, taekwondo, rugby, balli di gruppo, ginnastica ritmica. E poi c’è una sezione tutta speciale, dedicata alla pratica sportiva in generale e rivolta a ragazzi e ragazze disabili. Non ci sono limiti di età, ma un unico grande obiettivo: avvicinare questi atleti alle discipline sportive per poterli poi inserire nelle rispettive sezioni della Polisportiva. In questo modo questi ragazzi possono testare diversi sport e capire quale fa più per
di Giulio Centomo
loro, superando lo scoglio che spesso è rappresentato dall’inserimento diretto nelle società sportive dove non sempre sono disponibili istruttori in grado di seguirli. La stagione 2012-2013 sarà la terza per questa sezione che conta circa una decina di ragazzi ogni anno, grazie anche alla collaborazione con la Cooperativa Insieme per Voi e con l’insegnante Cristina Grimalda, che da anni segue e promuove l’attività motoria per ragazzi disabili. Due le sedi degli allenamenti: la pista di atletica del Palalido con tutte le attrezzature necessarie per la corsa, il salto in lungo, il salto in alto e le altre discipline, e la palestra della scuola di Borne per le giornate invernali e di maltempo. Appuntamento tutti i giovedì dalle 16 alle 17 al Palalido,; per le lezioni che si terranno in palestra l’orario cambia invece leggermente e si sposta dalle 16.30 alle 17.30. Al coperto sarà possibile cimentarsi, di
volta in volta, nei tiri a canestro piuttosto che nelle alzate della pallavolo o in alcuni esercizi di ginnastica artistica e ritmica. Con tutte queste attività, ci conferma l’insegnante, si impara a lavorare principalmente sul ritmo e sulla mobilità articolare mantenendo le abilità
dei ragazzi e cercando di migliorarle. Come per tutte le altre sezioni è possibile provare per qualche settimana informandosi presso la sede della Polisportiva stessa per eventuali cambiamenti di programma o di orari.
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COMUNE RECOARO
CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI RECOARO
COMUNE VALDAGNO
CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI VALDAGNO
Incontri di montagna INCONTRI:
FILM:
venerdì 16 novembre
giovedì 8 novembre
inizio ore 20:45 sala COOP di Recoaro
Matteo Piccardi,
guida alpina del Gruppo Ragni di Lecco presenta
foto di Franco Michieli
“La carne dell’orso” giovedì 22 novembre
inizio ore 20:45 sede del CAI di Valdagno proiezione del film
“Linea Continua”
di M. E. Barmasse, 2010 proiezione del film “Cold” di Cory Richards, 2011
venerdì 30 novembre
sala Soster, Palazzo Festari
sala COOP di Recoaro proiezione del film
Paola Favero,
“Asgard Project”
funzionario forestale e scrittrice presenta
“Dentro la montagna” con la partecipazione del
Gruppo musicale Al Tei e del prof. Gianni Frigo
di Alastairs Lee, con Leo Houlding, 2011
giovedì 6 dicembre
sede del CAI di Valdagno proiezione del film
“Everest Sea To Summit”
di Michael Dillon. con T. Macartney-Snape, 1990
venerdì 14 dicembre sala COOP di Recoaro proiezione del film
“La Voie Bonatti”
di B. Peyronnet, con C. Dumarest e Y. Borgnet, 2010
giovedì 20 dicembre
sede del CAI di Valdagno proiezione del film
“King Lines”
di C. Rich, con B. Lovel e Chris Sharma.
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cornedo
che new entry!
Lino Cornale ci racconta il suo nuovo sodalizio con lo staff West Cicli; un’unione nata nel segno della grande passione per la bicicletta.
N
uovo acquisto in casa West Cicli: il negozio, che dallo scorso marzo si è spostato lungo la statale a Cornedo Vicentino, da qualche mese ha una risorsa nuova, importante che si occupa in particolare della manutenzione e della riparazione delle bici da strada. E’ proprio lui, Lino Cornale, uno degli storici meccanici della vallata dell’Agno: da giovane forte ciclista, poi per 35 anni ha intrapreso un’attività propria; oggi ha 62 anni ed è ancora un corridore anche se con qualche capello in meno, ma è sempre un grande meccanico con la stoffa e l’esperienza che tutti conosciamo. Ottima la scelta del titolare Marco Cracco che affiancato da Lino Cornale e dal padre Giuseppe rappresentano uno staff molto preparato e professionale: offrono alla propria clientela non solo la vendita ma anche e soprattutto l’assistenza su tutti i tipi di bici, mountain bike, bici da strada, city bike e anche biciclette per bambini. Abbiamo incontrato Lino Cornale per tentare di scavare nel suo passato di atleta e meccanico. Nonostante la sua disinvoltura che traspare quando ripara una bicicletta, seduto ad un tavolo e sottoposto a qualche divertente domanda Lino ha svelato la sua parte più emotiva e modesta: una persona davvero semplice che della bici ha fatto una ragione di vita. In 40 anni di esperienza Lino ha viste passare molte di bici e senza
dubbio è testimone dell’evoluzione che hanno subìto nel corso degli anni. “La bici è cambiata nella tecnologia, certamente, basti pensare che oggi si parla di freni a disco e cambi elettronici, aspetti impensabili anche solo una decina di anni fa; ma nel modo di pedalare la bici non ha età. La bici leggera di oggi aiuta molto il corridore che fa sicuramente meno fatica, ma ricordiamoci che troppo leggera può dare più problemi -ha proseguito Cornale- Ciò che si sta perdendo di vista in questi ultimi tempi è la passione per la bicicletta: se questa lascia il posto alla dipendenza tralasciando tutto quello che la vita offre, la famiglia e il lavoro, allora la bici stessa perde il valore più importante che è il divertimento e lo sport sano.” Lo sa bene Lino visto che ha lavorato con il team professionistico Selle Royal nel 1977 partecipando anche al Giro d’Italia e ad alcune classiche in Germania, a stretto contatto con professionisti del calibro di Marino Basso. Cosa ha rappresentato la bici nella tua carriera? “La bici -ha esordito Cornale- è stato ed è ancora oggi tutto per me: mi ha dato la possibilità di costruirmi una vita e un futuro, di sposarmi e dare l’opportunità alle mie figlie di studiare.” Oggi meccanico della West Cicli, ma nel passato anche atleta. “Sì, ho iniziato a correre a 18 anni ma a 23 ho smesso a causa di due infortuni, la rottura del femore e della spalla. La bici era la mia passione e ho deciso di trasformarla in una pro-
di Chiara Guiotto
fessione. Nessuna titubanza, anzi un lavoro che tutt’oggi svolgo con gioia e serenità e che non cambierei per nulla al mondo.” Le sue soddisfazioni in sella alla bici le ha comunque ricevute: Cornale in passato ha corso per il team Tamara delle Alte e per la Glicot di Castelgomberto; citando alcuni successi, nel ‘72 ha vinto la “Piccola San Remo”, ha conquistato la “Como-Ghisallo” e anche il “Trofeo Liberazione Trento” per la categoria Dilettanti. Risale a qualche mese fa il sodalizio ufficiale con la West Cicli: il bagaglio di esperienze di Lino Cornale va ad aggiungersi a quello che già Marco Cracco possiede e che ora rappresenta un importante valore aggiunto che loro cercano di trasmettere ai loro clienti. “Da quest’anno -ha esordito Cracco- ab-
biamo rinnovato tutto il settore strada in particolare con i brand Orbea e Bottecchia. Accessori e componenti sono assolutamente validi e le prestazioni sono evidenti, ma la differenza la fa la regolazione e il montaggio e qui entra in gioco il mio lo staff che offre non solo il prodotto “bici” bensì anche assistenza e affidabilità. A tal proposito -conclude Cracco- ricordo a tutti gli sportivi che è questo il momento giusto per fare manutenzione alla propria bici da strada e metterla a nuovo per la prossima stagione”. PROSSIMI APPUNTAMENTI: dal 19 al 25 novembre TEST BIKE 27.5, la novità del 2013. Il negozio West Cicli (Bottecchia point), metterà a disposizione 7 mountain bike per chiunque volesse testare le nuove bici con ruote di diametro 27,5 pollici.
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festa dello sport 2012 Tre giorni a tutto sport
di Giulio Centomo
A
rchiviata anche l’edizione 2012 della Festa dello Sport “Valdagno si muove”, tenutasi gli scorsi 21,22 e 23 settembre. L’iniziativa è stata promossa dal Comune di Valdagno con la collaborazione di Coop e del Comitato Provinciale di Vicenza del Coni e si è tenuta presso l’area sportiva del PalaLido e PalaSoldà. «La Festa dello Sport - ha commentato l’assessore allo sport, Alessandro Grainer – è frutto dell’impegno e dell’importante lavoro delle realtà sportive coinvolte, dei volontari e degli uffici, che anche quest’anno hanno reso possibile la realizzazione di tre giorni di grande sport. Valdagno si muove con e per la festa dello sport: occasione di incontro e socializzazione nel nome dell’attività fisica, della salute e del piacere di stare all’aria aperta. In questa edizione abbiamo riportato in città con grande piacere una corsa podistica non competitiva in versione serale, il pugilato, che da tanti anni mancava a Valdagno assieme al kick boxing, ma abbiamo anche riproposto il Memorial “Dario Savi” che lo scorso anno ha riscosso un grande successo di pubblico.» Il programma ha visto un fitto calendario di appuntamenti, dalla corsa
alla boxe ed al kick boxing, dai tornei di calcio, basket e pallavolo, ad un percorso didattico per mountain bike. Brividi e adrenalina poi lungo la strada che scende da località Poggio Miravalle, dove si è tenuta una dimostrazione di mezzi sportivi da discesa all’insegna della velocità e dello spettacolo. Anche quest’anno hanno preso parte alla manifestazione gli amici della Scuola Italiana Nordic Walking di Recoaro e del Centro Servizi Le Guide che hanno proposto rispettivamente delle escursioni guidate e l’arrampicata per i più piccoli sulla parete allestita appositamente nel parcheggio del PalaLido. Buona è stata anche la partecipazione al II° Memorial “Dario Savi” e alle lezioni gratuite di spinning con ben 50 bici messe a disposizione sotto la tensostruttura montata per l’evento. Chiusura infine con i giochi popolari e le premiazioni di rito. A contornare il tutto non sono mancati la buona musica e la cucina tipica.
di roccia allestita nell’area del PalaLido. La manifestazione ha radunato circa 3.000 partecipanti, oltre ad aver avuto una grande partecipazione della comunità indiana, presente anche con uno stand di cucina tipica. E proprio grazie alla collaborazione, nata lo scorso anno, con l’Associazione Culturale Navchintan di Arzignano quest’anno il vice-console indiano, inviato dal console generale Sanjay Kumar Verma, ha fatto visita a Valdagno. Il rappresentante del Governo indiano ha assistito ad un match dimostrativo di cricket ed è poi sceso sul campo per salutare gli atleti. Si è trattato di un importante momento di incontro tra la città di Valdagno e la folta comunità indiana locale e dell’intera vallata, da diversi anni attiva nella promozione di eventi anche di carattere sportivo. Infine non va dimenticato il prezioso apporto del personale e dei tecnici comunali, ma anche dei numerosi volontari, che hanno permesso la riuscita dell’intera stagione ed una gestione impeccabile di tutte le manifestazioni L’edizione 2012 ha richiamato più Arrivederci al 2013 per un nuovo di 200 atleti. Circa 100 sono stati i anno a tutto sport! partecipanti alla prima edizione della corsa podistica notturna “Night run”, mentre più di 100 bambini hanno preso parte alla scuola di mountain bike e oltre 150 climbers in erba si sono cimentati sulla parete
i r o t u b i r t s i Veneto D
a, tutta la vallata nz ce Vi di a ci in ov Pr lla e ci riamo in gran parte de pe O . ni an rmatici e logistici ch 20 fo e in i tr ol em st da si e di or tt ti se ta l do Siamo ne tebello,‌‌ Siamo e le operazioni inon tt M tu , e po ch m ia an , Ch no , zi no az na ag m e dell’agno, Arzig distributore e relativo o ol ng si in base alle normativ al e, e in tr ch ol ac e m ir st lle ge de di e on no cazi permetto preventiva e la sanifi e on zi en ut an m la r diversificati. e i ut ol ev no dispensabili pe so i at zz gamento da noi utili HACCP. I sistemi di pa distributore. il e ar ov pr di tà ili ib Poss
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lettere
Potete scrivere al Senatore Alberto Filippi inviando le vostre e-mail a: sportivissimo@mediafactorynet.it
Poteva essere una delle più belle storie di sempre
Le vostre lettere possono essere lette anche nel sito: albertofilippi.it
Caro Senatore,
Caro Ludovico,
tutti attaccano Armstrong, dopo che l’UCI, l’International Cycling Union, il massimo organo del ciclismo internazionale, ha annullato le sue 7 vittorie al Tour de France per averle vinte da dopato. Dicono che è un imbroglione; che da giovane non è mai stato un campione e che il suo talento è esploso improvvisamente e solo grazie all’Epo. Sono stati i suoi stessi compagni di squadra a denunciarlo. A questo punto sicuramente è vero che Amstrong era un corridore dopato, che le sue vittorie sono venute più dalla chimica che aveva in corpo che dalla forza naturale dei suoi muscoli. Qualcuno l’ha accusato di aver avuto anche un atteggiamento sprezzante di fronte al giudizio della Suprema Corte dell’UCI che non solo lo squalificava a vita ma lo cancellava addirittura dalla storia del ciclismo per iscriverlo nella storia criminale dello sport. Pantani ebbe la vita distrutta, dopo la squalifica, e fece la fine che sappiamo. Armstrong, pare, non gliene abbia importato granché. E questo a molti non è piaciuto e con gli attacchi sono andati giù duro. Armstrong sicuramente ha sbagliato. E personalmente mi ha deluso, ma la sua storia di atleta è bellissima e per me resta tale malgrado l’Epo. Armstrong era un corridore come tanti. Poi un giorno ha cominciato a vincere. Ok, qui presumibilmente inizia anche la storia dell’Epo. Ma gli altri? Gli altri, no? Ne siamo certi? Dall’Australia il presidente dell’Agenzia mondiale antidoping (Ama), John Fahey, ha dichiarato: «Ai tempi di Lance Armstrong tutti si dopavano. Era un periodo in cui il doping faceva parte della cultura dominante del ciclismo. Basta ascoltare le testimonianze dei compagni di squadra di Armstrong, che sono concordi nel sostenere che non si poteva essere competitivi senza l’uso di sostanze proibite». Comunque sia, Amstrong da atleta mediocre comincia a vincere e nel più bello che la bici finalmente gli dà, quella stessa bici gli causa un grave tumore ai testicoli. Si ammala. Fa la chemioterapia. Passa un anno dentro e fuori dagli ospedali. Ritorna in sella e ritorna a vincere. A vincere il massimo, il Tour de France, la gara più prestigiosa. Il Gran Giurì, adesso, l’ha squalificato. Gli ha tolto i titoli e Amstrong, pare, non gliene importi molto. Certo! La sua vera sfida era un’altra: ritornare a correre dopo il cancro e questo l’ha fatto e nessuno glielo potrà togliere. Oggi Amstrong è vivo. Per me questa è la vera storia di questo campione ed è una bella storia, che un po’ di Epo non può cancellare.
Sarebbe stata una storia bellissima, quella di Armstrong, se non ci fosse stato quel maledetto Epo. Il campione che si ammala e che poi ritorna e vince, è un supremo messaggio di positività. Di vita! Tu dici: può essere l’Epo più forte del ritornare a vivere? Tu chiedi: e gli altri? Gli altri, quelli che arrivavano a soli cinque, dieci minuti dal vincitore in una gara che dura tre settimane, quasi 90 ore di bici, circa 3500 km, sono stati controllati? Gli altri non erano dopati per riuscire stare a ruota a uno come Armstrong superdopato? E io aggiungo: com’è possibile tutto questo tempo per fare i controlli? Non lo si poteva fermare al primo Tour? Ce ne sono voluti 7 e più – il primo Tour vinto è del 1999 e siamo alla fine del 2012: 13 anni! - per dire che Armstrong vinceva grazie al doping! È vero: i tempi di verifica sono una cosa assurda; è vero, non tutti sono stati controllati com’è stato controllato Armstrong e forse molti altri avevano anche loro preso qualcosa… Possiamo porre tutte le domande che vogliamo, avere ciascuno di noi il proprio parere su questa faccenda, ma resta il fatto che il ciclismo deve uscire dal tunnel della chimica e tornare a essere quel mondo pulito, fatto di fatica e sacrificio e valori e integrità che è sempre stato. Perché se il ciclismo non fa questo, ne va di mezzo tutto lo sport, ovvero una parte fondamentale della nostra civiltà. E per salvare lo sport, è giusto che anche Armstrong con la sua bella storia di atleta vittorioso sul cancro venga giudicato per quello che ha fatto, un colossale imbroglio. E’ un peccato, certo: la storia di Armstrong fino a oggi era una delle più belle storie di sport di sempre, ma è giusto così. Ciao e grazie, Alberto.
Grazie, Ludovico Bardin
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