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editoriale
C’è sempre tempo per lo sport
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di Luigi Borgo
asolini diceva di contare gli anni a estati, a noi sportivi, invece, viene più spontaneo contarli ad autunni. Per chi fa sport, come per chi studia e per chi lavora il vero inizio dell’anno è il primo di settembre, quando tutto riparte e le ore lunghe delle vacanze diventano brevi e si ha la percezione di non avere più tempo per nulla al punto di sentir crescere dentro di noi l’angoscia e la frustrazione di dover rinunciare a qualcosa per non avere il tempo materiale di viverla. Studiando come si studia, lavorando come si lavora, ci si chiede come riusciremo a riprendere le nostre attività sportive, a trovare il tempo per allenarci, per fare le gare o le partite? C’è una curiosa storiella che risponde in parte a questa domanda. Un professore di filosofia americano per spiegare ai suoi allievi che cosa sia il tempo e come sia possibile usarlo bene, ha fatto questa semplice dimostrazione: ha preso un vaso da confettura vuoto abbastanza grande e l’ha riempito di palline da golf. Poi ha chiesto ai suoi studenti se per loro fosse pieno. Questi hanno di sì. Allora il professore ha preso una manciata di sassolini e li ha rovesciati nel vaso. I sassolini si sono infilati negli spazi vuoti tra le palline da golf. Ha chiesto allora se adesso il vaso fosse veramente pieno. I ragazzi risposero di sì più convinti di prima. Allora il professore prese della sabbia che, introdotta nel vaso, si è sparsa ovunque al suo interno. Ha chiesto nuovamente se fosse pieno. La risposta fu unanime, sì dissero, altro a questo punto non poteva davvero starci. Il professore prese allora due bicchieri di vino e li versò nel vaso. Ecco, disse il professore, c’era spazio anche per due grandi bicchieri di vino! Il vaso, spiegò, è il tempo che ciascuno di noi ha. Il vaso è la nostra vita che spesso scioccamente crediamo piena mentre non lo è affatto: c’è spazio per le palle da golf, che rappresentano le cose importanti senza le quali la nostra vita non sarebbe più la stessa: la famiglia, i figli, la salute, le passioni, gli amici, le cose che davvero rendono la nostra vita una vita unica; ma c’è spazio anche per i sassolini: il lavoro, lo studio, lo sport, la casa, l’auto, la moto; e per la sabbia che raffigura tutto il resto, le piccole cose della nostra esistenza quotidiana. Se si riesce a gestire bene le priorità, ovvero si fanno prima le cose più importanti per noi, conclude la sua lezione il professore, nella nostra vita c’è spazio per tutto… anche per il vino. Ma, chiede a questo punto il professore, cosa rappresenta il vino? I ragazzi allora hanno cominciato a dire un’infinità di cose, una diversa dall’altra… tutti davano la risposta esatta.
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Agente 747 sei una bomba
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di Nicole Rubbo
on tutti sono in grado di vivere all’altezza dei propri sogni.... Miky sì! Talento, passione, umiltà e tanta, tantissima fame di vittoria: questo è Michele Cervellin. Avevamo lasciato il pilota diciottenne l’anno scorso reduce dal titolo di campione italiano di motocross 250cc e campione europeo di supercross 250cc dopo una strepitosa gara nell’arena dell’EICMA di Milano e, a pochi mesi dai quei grandi successi, già fa parlare di sé. Infatti domenica 7 settembre 2014, in terra marchigiana a Cingoli, con ben una gara in anticipo dalla fine del campionato, ha conquistato il titolo di Campione Italiano Motocross 250cc 2014, dominando l’intera gara passando per primo al traguardo in entrambe le manche. Una stagione costellata di successi, figli sicuramente di un innegabile talento e di una moto, firmata Martin Racing Technology, preparata sempre in modo ineccepibile e performante come poche altre. Il team Martin, da anni, infatti crede, investe e supporta il piccolo talento come un figlio, e sicuramente vivere in un contesto tanto efficiente quanto fami-
Michele Cervellin, per gli amici, “agente 747”, ha vinto tutto: titolo italiano e trofeo delle nazioni europee a squadre: cronaca di un anno da incorniciare liare, è forse l’ingrediente speciale del fenomeno Cervellin. Se sul panorama italiano di motocross è già il protagonista indiscusso da anni, da questa stagione agonistica lo è anche in Europa: nel mese di agosto, a Pacov (Repubblica Ceca) infatti il pilota vicentino in squadra con Joakin Furbetta (125cc), Gianluca Facchetti (85cc) e Paolo Lugana (85cc) ha avuto l’onore di rappresentare l’Italia, e insieme hanno vinto il TROFEO DELLE NAZIONI EUROPEE.
Due manche durissime, in un percorso reso insidioso dai frequenti acquazzoni, e chi ama questo sport sa che nelle gare importanti si dà tutto e quando si dà tutto, la caduta è dietro l’angolo. E infatti, Cervellin, non ha avuto vita facile né in gara 1, chiusa al 3° posto, né in gara 2, dove è incappato in una brutta caduta che ha fatto mancare il fiato a tutti
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gli spettatori. Come niente fosse e forte dell’adrenalina che lo infuoca quando corre, è ripartito ed è “andato a prenderseli”, quasi tutti, chiudendo al 4° posto. Un’impresa storica per l’Italia e per i quattro piloti; le loro lacrime di gioia che scorrevano sulle guance infangate meglio di qualsiasi altra immagine rappresentano questa grande vittoria. Cervellin anche grazie questo ennesimo trionfo, è innegabilmente una delle più grandi promesse delle motocross. Non stupisce quindi che proprio di recente sia entrato nelle file delle Fiamme Oro della Polizia di Stato, che di certo non hanno voluto farsi scappare l’occasione di avere come rappresentante questa promessa delle due ruote. Ora il pilota, che quindi veste con orgoglio la maglia Fiamme
Oro, già battezzato AGENTE SETTEQUATTROSETTE, dal numero della sua Honda, siamo certi sta già pensando a riconfermare il titolo di campione europeo supercross 250cc. Cervellin , infatti, ha giusto il tempo di festeggiare il fresco titolo di Campione Italiano, perché poi sicuramente sarà impegnato nella preparazione dell’immancabile appuntamento milanese all’Eicma di Milano. Noi appassionati di motocross
saremo certamente là per vedere e emozionarci, nel frattempo possiamo andare a “gustarcelo” mentre si allena nel vicentino presso il crossodromo “Prè Davanti” dove è cresciuto e dove grazie anche al suo storico Motoclub Recoaro, che lo ha accompagnato fin poco fa e ha fatto sì che il piccolo Cervellin sia diventato il fenomeno che è. Facciamo tutti un grande in bocca al lupo al nostro pilota, “made in Chiuppano”, certi che sempre più persone cominceranno a seguire il suo percorso e ad appassionarsi di motocross.
Per concludere vi lascio con una domanda posta a Michele Cervellin nell’intervista fatta pochi giorni fa: A chi dedichi la vittoria al TROFEO DELLE NAZIONI EUROPEO Miky? “Alla mia famiglia, al team Martin Racing Technology, agli Sponsor e al mio preparatore Remo Longin ma soprattutto la dedico al mio piccolo angelo custode.”
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The iPump Team di Paolo Gasparella, photo courtesy Roberto Lanci ipumpteam official photographer
Soddisfazione per l’iPump Team, società che ha ideato e organizzato il Primo Campionato Provinciale di Pump Track
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on il tempo di 8”52 centesimi l’atleta maranese Riccardo De Franceschi, del team ipump si aggiudica il miglior tempo di giornata nell’ultima prova del campionato di Pump Track svoltasi il 07 settembre nella località di Malo (Vi). Il giovane atleta ha quindi tutte le possibilità di battere a breve il best time della “woodpump”, la pista modulare ideata e costruita dall’asd ipump. Sono stati poco meno di cento gli atleti che hanno partecipato al campionato, svolto su 5 tappe in 5 differenti località (Schio, Isola Vic, Castelgomberto, Marano, Malo ) all’interno della provincia di Vicenza. Una serie di gare sperimentali con un regolamento inedito ideato dall’associazione Vicentina che si pongono come obiettivo principale l’avvicinamento dei ragazzi più giovani alla disciplina del ciclismo, dato che gareggiare in pump track non è solo “fatica”, come nelle gare di xc o ciclismo su strada, ma soprattutto divertimento, concentrazione, equilibrio e stile. I migliori piazzamenti di categoria dell’intero campionato sono stati: Schenato Maya per la categoria PT1, Fontana Alessandro per la PT2, Sbalchiero Thomas su PT3, Cecchetto Luca in PT4, De Franceschi Riccardo per la PT5, Delcaro Paolo per la categoria Elite ed infine Gasparella Paolo per i Master. Assolutamente emozionante il format di gara ideato in cui si vanno a confrontare in pista contemporaneamente 3 atleti con tempi affini. I vincitori di giornata devono quindi avere non solo una buona tecnica, ma hanno bisogno di un di un ottimo livello di fluidità nei movimenti per minimizzare lo sforzo e un eccezionale resistenza. Il team ipump non esclude l’organizzazione di una serie di gare nel periodo invernale, in cui potrebbero confrontarsi un gran numero di atleti, provenienti da varie discipline ciclistiche, che potrebbero incrementare la propria abilità di guida nel periodo di preparazione in vista della successiva stagione agonistica. Nel frattempo invita ciclisti, enduristi e crossisti a frequentare la sua struttura permanente, per sessioni di allenamento post-stagionali, presso il BIKE PARK RIDE di Malo. Nei prossimi numeri vi descriveremo il park, com’è nato e come sono fatte tutte le sue strutture. Per informazioni sull’associazione: www.ipumpteam.com ipump.info@gmail.com
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Sull’Altopiano il grande orienteering
di Giulio Centomo foto Newspower EOS
rientisti di tutto il mondo unitevi! È stato proprio un concentrato di campioni e di spettacolo quello andato in scena dal 5 al 12 luglio scorsi tra Veneto e Trentino per i World Orienteering (WOC) e Trail Orienteering (WTOC) Championships 2014. Accanto alle invidiabili location di Venezia e Trento – così come le ha definite il presidente FISO, Mauro Gazzero – a fare da protagonisti sono stati anche i boschi vicentini dell’Altopiano dei 7 Comuni. Le affascinanti arene di gara hanno infatti trovato posto tra gli scenari di Gallio (Campomulo e Campomuletto), mentre ad Asiago si è tenuta l’Opening
Si sono disputati ad Asiago i MONDIALi di Orienteering WOC E WTOC 2014 Ceremony con la sfilata di ben 54 team per il WOC e 26 per il WTOC. A dare un po’ di numeri è stato l’event manager, Stefano Ravelli. Circa 2800 persone hanno soggiornato tra Veneto e Trentino in occasione delle gare iridate con 450 atleti iscritti per il WOC e circa 140 per il WTOC, assistiti da circa 500 volontari. Nelle
Il via della staffett
a maschile
stesse giornate si è tenuta anche l’Assemblea Generale dalla IOF, la federazione internazionale di orienteering. Alla resa dei conti, non deludendo i pronostici, ad accaparrarsi il maggior numero di titoli sono state le formazioni di Svizzera (3 ori, 4 argenti, 1 bronzo), Svezia (2 ori, 2 argenti, 2 bronzi) e Danimarca (1 oro e 3 argenti e 2 bronzi) per quanto riguarda il World Orienteering Championship, mentre in terra di Trail Orienteering (disciplina di pre-
cisione rivolta in particolare agli atleti disabili) è stata la Svezia (1 oro e 2 argenti) a troneggiare, davanti a Norvegia (1 oro e 1 bronzo) e Lettonia (1 oro). Per i colori italiani c’è stato poco da fare davanti ad atleti del calibro dei vari Hubmann e Kyburz (SUI), Lundanes (NOR), Gueorgiou (FRA) o delle ladies Bobach (DEN), Alexandersson e Billstam (SWE). Miglior piazzamento per il WOC è stato il 15° posto della staffetta maschile, mentre nel WTOC Michele Cera ha fatto registrare un buon 17° posto nella
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delle Il messaggio di pace S) atlete Mironova (RU e Volynska (UKR) gara Tempo. Ma scendiamo nel vivo delle due gare disputatesi sull’Altopiano. Prima a prendere il via, l’11 luglio, è stata la prova Middle Distance di Campomulo. La giornata di gare si è aperta con le ragazze e fin da subito si è capito che sarebbe stata un diatriba tutta nordeuropea. Danimarca in forze prima con Maja Alm
e poi con Ida Bobach, che al primo rilevamento radio non aveva rivali. Lo squadrone svedese rispondeva però colpo su colpo, lanterna su lanterna con Tove Alexandersson e Annika Billstam, mentre un’altra super favorita, la campionessa del mondo di specialità 2012 Minna Kauppi (FIN) non è mai riuscita a tenere il passo delle avversarie. Ida Bobach è rimasta a lungo in testa, fino a che l’esperta Billstam inseriva il turbo nell’ultimo frammento di percorso e faceva bottino pieno… d’oro ovviamente, con la sua prima medaglia di sempre in Middle. Dietro si attestavano a quel punto Bobach e Alexandersson. Nella prova maschile, la squalifica del francese Gueorgiou ha rivoluzionato il podio, assegnando l’oro al norvegese Olav Lundanes, il quale ha comunque corso una gara praticamente perfetta fino in fondo e senza mai mollare. La medaglia d’argento è anda-
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Arrivo della Svezia nella st
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Annika Biillstam (SWE) sul traguardo della Middle ta un po’ a sorpresa allo svizzero Fabian Hertner, partito con il freno a mano volutamente tirato, ma indiavolato negli ultimi chilometri, al punto da far segnare un distacco di soli 18” da Lundanes. Terzo ha chiuso l’ucraino Kratov, a lungo in testa nella prima parte
di gara. Gli azzurri non sono andati oltre la 26.a piazza di Michela Guizzardi e la 37.a di Marco Seppi. Il giorno successivo è spettato alla Staffetta il compito di sigillare le gare iridate, sempre in quel di Campomulo. Nella gara rosa, tutta decisa dalle ultime lanterne, la laurea di campione del mondo è andata alla Svizzera (Luescher,
Hauswirth, Wyder), mettendo in fila Danimarca (Klingenberg, Bobach, Alm) e Svezia (Jansson, Billstam, Alexandersson). La gara maschile è stata battezzata da una fitta pioggia e solo nella terza frazione ha visto giocarsi la mossa decisiva che ha messo l’oro al collo del team svedese (Leandersson, Johansson, Bergman), davanti a Svizzera (Hertner, Hubmann D., Kyburz M.) e Francia (Tranchand, Gonon, Gueorgiou). 15.a la formazione italiana al maschile, mentre le azzurre hanno completato la gara solamente al 23° posto. Dopo i festeggiamenti di rito tra il pub-
blico che ha affollato l’arena, il circo dell’orienteering mondiale si è trasferito a Lavarone (TN) per la cerimonia di chiusura e per dare l’arrivederci al 2015, quando le strade delle gare iridate porteranno il WOC nella scozzese Inverness, mentre il WTOC si ritroverà in terra croata a Zagabria. Certo è che i terreni vicentini, con i loro tracciati tecnici e gli affascinanti panorami, rimarranno indelebili nelle menti dei tanti campioni che solo pochi mesi fa li hanno calcati bussola alla mano.
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Il talento di Cristina
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Cristina Tosetto la punta di diamante del pattinaggio artistico a rotelle valdagnese na certezza, l’atleta Cristina Tosetto classe 1999 è la conferma che Stefania Intelvi allenatrice della società Valdagno-Castelgomberto si aspettava da tempo. Lunghi capelli biondi, fisico atletico, velocità da paura e il forte temperamento sono le caratteristiche che contraddistinguono la nostra atleta. Conosciamo tutti questo duro sport, fatto sì di stupendi e raffinati vestiti, di pettinature e maquillage, da sfilate d’alta moda, che insegna che dopo una caduta non è tutto finito, non c’è tempo per piangere o consolarsi ci si rialza e si continua magari con ancora più impegno , e di impegno la nostra atleta ne ha messo molto, tanto da arrivare Terza al campionato regionale veneto categoria effettiva cadetti. Mai nessuna atleta valdagnese prima di Cristina era salita sul podio ad un campionato regionale di categoria effettiva. Per i non addetti ai lavori spieghiamo: un atleta agonista può decidere di mettersi in gioco in 2 distinte categorie, una decisamente molto agonistica che come obiettivo finale prevede la convocazione in Nazionale e la conseguente partecipazione a campionati e trofei internazionali con la squadra azzurra. Atleti con un’attività di preparazione molto sostenuta e alte difficoltà nelle evoluzioni. Decisamente meno agonistica e con minori difficoltà ma comunque molto agguerrita, vista
l’alta partecipazione di atleti, è la categoria promozionale. Cristina si è presentata ai campionati italiani svoltisi a Roccaraso (L’Aquila) con un book rispettabilissimo: esercizi obbligatori febbraio AICS a Castelgomberto prima classificata, come pure a marzo ai campionati provinciali, a Treviso campionati regionali seconda su 35 partecipanti. Esercizi di libero che prevedono due gare short e lungo prima classificata a Caste-
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gomberto e Trissino mentre ai regionali Terza. A Roccaraso Cristina si classifica quindicesima nel libero e quinta nell’obbligatorio ottimo risultato se consideriamo l’altissimo livello tecnico della competizione, la tensione emotiva altissima per partecipare per la prima volta a gare così importante. Quando partecipi a questi campionati dice Cristina la tensione, l’adrenalina è alle stelle , non ricordi niente.. panico, morsi allo stomaco. Appena entro in pista, due pattinate mi fermo, attendo partano le prime note, quest’anno un tango, come per magia tutto scompare, immediatamente ti senti grandissima, nella tua mente tutto si incasella correttamente, Axel trottole, catene, trottole a tacco, salti doppi flip salchow toeloop non importa se cadi o com-
metti qualche sbavatura per 4 minuti sei la regina della pista. L’abbraccio con Stefania l’allenatrice che vive le stesse emozioni a bordo pista, tutto un anno di lavoro concentrato in quei quattro minuti. Ci pensano poi i giudici a riportarti alla realtà, cosa importa, ci ho provato ho fatto del mio meglio. Quindicesima è un risultato di tutto rispetto; bravissima! Questi risultati saranno sicuramente uno stimolo per tutti gli atleti della società per gli allenatori e per Cristina, l’articolo è il primo della stagione preagonistica, nei prossimi vi parleremo della nostra scuola e di tutti i nostri agonisti che con tanti sacrifici e tantissima passione valorizzano rappresentano la nostra città.
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kurdistan
Sull’Aratat il Monte dell’arca di Bepi Magrin L’Ararat il mitico monte dell’Arca di Noè, si trova parte in Turchia e parte in Armenia.
Meglio sarebbe dire che si trova nel Kurdistan perché tutta la regione circostante è
abitata da Curdi e come sappiamo, il Kurdistan è diviso tra Turchia, Iran, Iraq, Siria
e Armenia. Soprattutto in quest’ultimo stato, aleggia ancora quel fatto di morte che risale al 1915, e che va sotto il nome di “Genocidio
degli Armeni”. Molti testimoni raccontano che in vaste zone di quel territorio ai piedi
dell’Ararat si vedono qua e la affiorare dalle sabbie vulcaniche le ossa biancheggianti di quei poveri morti.
I
l suo nome in curdo è Agirì ed è il monte più alto della Turchia. Si trova nella Turchia orientale al confine delle regioni di Agri e Agdir. In territorio che storicamente apparteneva all’Armenia, il suo nome significa “Luogo creato da Dio” mentre in turco significa “Monte del dolore”. E’ uno stratovulcano e le ultime eruzioni risalgono all’età del bronzo. La sua cima è sempre innevata e circondata da ghiacciai. In sostanza si tratta di un vulcano nato dallo scontro delle placche
50 km Le spettacolari cascate a l monte Ararat da Van, viste al ritorno da
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Il monte Ararat visto da S.E tettoniche africana e asiatica, secondo la Bibbia, Noè approdò sulla cima affiorante dalle acque dopo il diluvio universale scatenato da Dio per punire gli uomini della loro dissolutezza. Il diluvio terminò dopo 150 giorni e la leggenda vuole che l’Arca di Noè sia ancora sulle nevi dell’Ararat. Lo riferì anche Marco Polo. Poi a partire dal 19° Secolo alcuni viaggiatori si avventurarono sul monte per cercare l’arca. Tra essi anche l’ing. Angelo Palego e l’astronauta James Irwin. In effetti su alcune foto aeree dei ghiacci è presente uno strano oggetto non identificato e di forma quadrata che secondo alcuni sarebbe il relitto dell’Arca. L’oggetto è anche conosciuto come “Anomalia dell’Ararat”. Il nostro viaggio (spedizione sarebbe troppo ridondante) si è svolto ai primi di luglio organizzato in modo ineccepibile da AMITABA di Milano. Posso anticipare che se vi sono adesioni il viaggio si ripeterà anche il prossimo anno, con guide del luogo che hanno già salito molte volte la montagna, più alcuni giovani turchi per la cucina, per la conduzione dei cavalli e per la organizzazione diciamo così: logistica. Si vola a Instambul, la vecchia Costantinopoli, che è un mix di Asia e di Europa, una grande e
Il campo uno a 3200 metri
stupefacente città coi suoi ponti a cavallo del Bosforo le sue vie piene di animazione, di commerci, come nel Gran Bazar, di antiche culture e di vita. Un buon albergo in centro consente facili visite alle parti più belle della città come Santa Sofia o al Gran Bazar. Dopo la visita della incantevole Moschea Blu e di altre mete turistiche ineludibili, siamo partiti il giorno dopo con un altro volo. Eravamo diretti a Van una bella città che si trova dall’altro lato della Turchia, qui tra l’altro passa l’Orient Express e tra interessanti resti archeologici e il maestoso castello ci si affaccia sul grande lago di Van (quasi un piccolo mare interno). Da Van partiamo con un pulmino alla volta di Dogubajazit. Si corre lungo il confine con l’Iran e sulla cima dei colli si scorgono le robuste torri militari per la vigilanza di questo delicato confine. Dogubajazit è una cittadina di 8mila abitanti, con mercati negozi e qualche albergo. Ci passano molti camion diretti o provenienti dall’Iran. Ancor prima di arrivarci scorgiamo da un valico il
di quota
nostro monte soffuso di nebbie leggere altissimo e fiancheggiato dal fratello minore detto anche Piccolo Ararat. Sistematici all’albergo e mentre Ylgrim prepara le tende e il materiale tecnico facendo acquisti di viveri, verdure, acqua in bottiglia e quant’altro, ci disperdiamo allegramente per la città, per qualche acquisto o per sorbire il tipico the, la birra o il caffè turco. Ceniamo e ci ritiriamo in albergo, godendoci la comodità prima delle prossime notti di sacco a pelo e tenda. L’indomani il furgoncino ci porta per una pista dopo una quarantina di kilometri in parte di sterrati fin sulle pendici della montagna, e giungiamo a 2200 metri in un luogo che si chiama Eli e da cui si vede l’Ararat e la sua vetta da vicino. Da Eli non si può più proseguire in auto, troviamo i cavalli che ci aspettano per caricare bagagli e materiali. Da qui si comincia a salire a piedi, lungo una strada rovinata da acque torrenziali e tra prati di montagna simili a quelli dei nostri alpeggi.
Salita graduale e non faticosa per prati e pascoli con un panorama che si fa sempre più vasto e splendente. I cavalli prendono le loro accorciatoie mentre noi raccogliamo genepì a fianco del sentiero (ce n’è in abbondanza!) Passiamo accanto ad un villaggio di pastori vigilato da grossi cani alla catena mentre le mandrie pascolano pacificamente nei dintorni. Il piccolo villaggio di tende e capanne corrisponde al nostro alpeggio estivo, i pastori e le loro famiglie vivono qui durante l’estate e alcuni bambini si appostano lungo il sentiero con piccoli simpatici oggetti di artigianato locale di cui compriamo qualche esemplare. Si sale sempre per bei pascoli fino a quota 3200metri circa. Anche a questa altezza pascolano gli animali e ci sono prati fioriti e bei ruscelletti. Collaboriamo con Ylgrim e i suoi a piantare il campo, e dopo sistemate le tende e i bagagli ci accomodiamo nella tenda collettiva dove la cena è presto pronta. Ottime e varie pietanze sistemano lo stomaco, altre comitive sopraggiungono e si sistemano nelle vicinanze, si può fare qualche conoscenza, ci sono francesi e tedeschi olandesi, inglesi e prima di notte si possono contare una ventina di tende. Lontano nella
dendo dall’Ararat
Vista sul campo due scen
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pianura semideserta si accendono le luci dei villaggi. Il cielo è striato di fasce colorate… La sera scorre tra foto ricordo e cellulari…facciamo conoscenza coi nostri uomini del seguito, uno ha la faccia butterata…veniamo a sapere che aveva partecipato alle rivolte promosse da Ochalan e si era dato fuoco durante una manifestazione contro il governo turco… Il dramma di queste minoranze e i conflitti sociali dei curdi coi turchi ci sono poco noti, scopriamo però che questi pastori non vogliono saperne di essere chiamati turchi, loro sono orgogliosamente Curdi! Questa è la fase di acclimatamento, perché la montagna sulla quale già siamo è molto alta e occorre abituare il corpo alla rarefazione dell’ossigeno. Il giorno dopo infatti saliamo ancora fino a quota 4200 metri dove tra i massi lavici, sistemeremo il campo due, si sale molto lentamente perché gli sforzi si pagherebbero prima o poi, e con tutte le soste necessarie giungiamo tutti alla quota prevista. Consumiamo una colazione prendendo già le foto della parte
I componenti del gruppo tutti in vetta all’Ararat sommitale della montagna, e poi lentamente ridiscendiamo al primo campo. E’ una specie di collaudo delle proprie forze e delle condizioni fisiche che ci serve per sapere se potremo salire ancora o se convenga fermarsi allo step intermedio… Ma tutti salgono abbastanza bene sia pure con velocità diverse. Tornati alle tende possiamo cenare e rilassarci in attesa della salita vera e propria al campo due.. L’indomani si spiantano le tende e si sale tutti a 4200 metri seguiti dai bravi cavalli con tutto l’armamentario dei bagagli e delle attrezzature. A quella quota il terreno è piuttosto scabroso e si deve sistemarsi tra i massi di basalto negli spazi che precedenti spedizioni hanno ricavato per le tende. Ma qui si resterà solo per alcune ore per-
ché, come su tutti i grandi vulcani la partenza si effettua dopo mezzanotte o comunque prima dell’alba. Intanto il tempo si mette al brutto e in poche ore tutto si ricopre di neve, Con queste condizioni solo i piu forti e determinati hanno ancora voglia di salire. La difficoltà maggiore sta nella grande altezza da raggiungere e quindi nel salire in carenza di ossigeno. A questo si supplisce con un buon allenamento e con il camminare a passi corti e ritmati. Si tratta in ogni caso di una esperienza davvero ricca di emozioni e, tutto sommato alla portata di chiunque sia in buona salute e sia disposto a camminare. Il nostro gruppo si divide in tre nuclei e saliamo a velocità di-
verse nella nebbia. La pista si inerpica ripida per le pendici della montagna ancora molto innevate, ma saliamo a passo regolare e solo molto in alto sono necessari i ramponi per superare il pendio ghiacciato. Intanto viene giorno e la nebbia si dirada a tratti. Croste di ghiaccio lavorato dal vento formano suggestivi arabeschi. Un ultimo tratto ove la fatica degli oltre 5mila metri di quota si fa sentire e siamo in vetta. Una gioia indescrivibile si impossessa dei miei compagni che piangono commossi per lo sforzo e la soddisfazione… Non ci saranno cerimonie, bastano i fraterni abbracci a suggellare il prezioso momento. Siamo sopra le nebbie e ogni fatica è già dimenticata. Vetta mt. 5157 una nuova conquista da tenere tra i più cari ricordi!
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20 di Martina Faccin di foto Marco Chierico
D+running
“D+”ovvero “di più” è la sigla del gruppo sanguigno
di Maistrack
“P
rendi un’idea, apparentemente folle, insana. Buttala sul bancone della realtà, analizzandola con domande del tutto superflue ed altre più serie. Le risposte saranno quasi sempre istintive, tanto la mente ha già deciso!” Cit. E’ questo l’incipit della nostra storia, la storia della Maistrack, partorita dalla folle mente di Fulmine della Notte. E’ bastato un attimo, perché la scintilla si accendesse, e diventasse fuoco, mentre l’intero piano aveva già preso forma. Follia e genialità sono caratteristiche che vanno a braccetto, e quando più menti folli si trovano a collaborare c’è da aspettarsi di tutto e di più. Anzi, D+!!! Maistrack è una sfida alla legge di gravità, un vortice di vertigine e sudore. E’ concepita per chi osa sfidare i propri limiti, per chi non è MAI STRACK (mai stanco, n.d.r.) di far fatica, per chi vuole andare in alto, sempre più su, perché da lassù hai la pianura ai tuoi piedi. Da lassù ti puoi sentire anche tu un po’ eroe, anzi… SUPEREROE! Il richiamo del D+ è stato assordante, oggi, 31 Agosto 2014, tanto da attirare sulla start-line ben oltre centocinquanta atleti, tra cui il campione Marco De Gasperi e molti volti noti della nostra adolescenza: Capitan America, Flash, Batman, Spiderman, e…William Wallace, alias Braveheart!! Nessuno è riuscito a resistere, sono tutti agguerriti più che mai. Oggi c’è da conquistare Cima Summano, a quota 1.296 slm, dopo 1.050 mt D+ in soli 3,2 km. Il fresco dell’alba Santorsiana, lascia presto spazio a un sole che coi suoi potenti raggi, illuminerà la via dei nostri atleti, fino alla vetta. Al ritiro pettorali si respira un’aria di trepidante attesa. C’è chi tenta di reperire informazioni riguardanti il percorso, chi fa già riscaldamento (sapendo che sarà senzarespiro fin dal primo metro D+), chi invece cerca di rabbuonirsi lo staff Maistrack. Ma qui non ci sono sconti, c’è solo da risalire la cima. Con le gambe, con le unghie, con il cuore.
santorso ultimo sguardo all’insù, lungo quella linea verticale tracciata da tanti paletti colorati. Dalla piazza sembra veramente di doversi arrampicare su un muro. Sensazione che a breve diverrà realtà. Count-down, e via. La Maistrack 2014 è partita. Due partenze, la prima per la categoria maschile, la seconda per la categoria femminile assieme a quella dei… SUPEREROI!!! Tanto per loro, cosa vuoi che sia fare 1.000 mt D+ in poco più di 3 km?? Li vediamo pian piano risalire. Una lunga serpentina colorata che letteralmente si arrampica lungo il crinale del monte Summano, tanto amato dai runners locali, e probabilmente tanto imprecato da quelli odierni. Maistrack fa capire fin dai primi metri di D+ che oggi non si scherza. L’importante è avere gambe, fiato e soprattutto…..non soffrire di vertigini!! Sì, perché nei primi 300 mt di D+, ti sembra davvero di prendere il volo, diretto, verso il cielo!! Corde fisse, passaggi ai limiti dell’arrampicata, una scarica di energia che ti fa drizzare i capelli. E come una droga, vuoi andare sempre più su, anche se il cuore va fuori giri e i muscoli bruciano. Ma tu sei lì, con la faccia che sfiora il terreno, e con gli occhi vedi la cima. Quella famosa croce, tanto “selfizzata”, oggi deve essere anche un po’ tua. Il primo a giungere in vetta è lo strepitoso Marco De Gasperi (Forestale), che riesce a bruciare il tempo dello scorso anno, rimanendo per 1” sotto il muro dei 40’, davanti a un grande Davide Pierantoni (Terzo Tempo) che chiude in 42’08”, seguito ad una manciata di secondi da Marco Dalle Molle (Atl. Vicentina) che ferma il cronometro a 42’22”. In campo femminile non c’è storia. La regina del Summano è Anna Zilio (Running Team Zanè), che sbaraglia le avversarie chiudendo in 52’04”, davanti a Maria Elisa Venco (59’38”) e Serena Schievenin (1h4’38”).
Ad accogliere gli atleti in vetta non poteva mancare lo special L’ora X si avvicina, e l’adrena- guest di giornata, l’ormai brand lina sale ai massimi livelli. Un della manifestazione, Batman,
giunto direttamente da Gotham City col Bat-elicottero, per l’ultimo urlo di incitamento ai nostri coraggiosi combattenti di giornata. Ma alla Maistrack le sorprese non sono finite. Cambia lo scenario, ma la folle creatività degli organizzatori non lascia dubbio alcuno. Una Villa Rossi completamente trasformata, diventa oggi palcoscenico di una grande festa di sport e divertimento. Nessun dettaglio viene lasciato al caso. T-shirts personalizzabili stampate al momento su richiesta degli atleti, adesivi brandizzati Maistrack, perfino tatuaggi sulle braccia di persone di qualsiasi età. Tutti si fanno coinvolgere in questo vortice di elettrizzante festa. Batman viene raggiunto dalla sua compagna Cat Woman per premiare gli atleti vincitori. Ingresso trionfale per la coppia, a bordo della Bat-mobile che si fa largo tra la folla. Un mix tra curiosità e stupore, mentre dall’altro lato del parco di Villa Rossi, il tanto atteso pasta party ha finalmente inizio. Cibo e bibite a volontà per tutti, e non poteva mancare un sottofondo musicale per dare il ritmo giusto alla giornata. Anche in questa occasione, l’impeccabile organizzazione ha lasciato il segno. Due, tre, quattro ore all’insegna della voglia di divertirsi e di stare assieme, senza mai volersi fermare, come se non ci fosse un domani, perché dopo una gara come la Maistrack, ti senti anche tu un po’ invincibile, ammettilo!! Maistrack è un’avventura, e lo è stata per tutti e centocinquanta atleti. Che oggi si sono sentiti abbracciare dalla passione per la montagna, che si respirava lungo tutto il tracciato, metro dopo metro. Che sono stati travolti dalla voglia di divertirsi e di ironizzare. Oggi cala il sipario sulla Maistrack, ma da domani si ricomincia. Perché i supereroi non vanno in vacanza. I supereroi stanno già studiando il tracciato 2015, sempre senzarespiro, ancora più vertical. La sfida è lanciata. Noi ci siamo. E voi?
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cornedo
L’arte di riscoprirsi
Yoga
o Yoga Integrale ovvero l’arte di riscoprirsi, ecco il pensiero di chi lo pratica:
il sentiero del benessere
S
di Giovanni Asta
ono molto felice di essere su Sportivissimo, rivista che per varie ragioni seguo con interesse, ma in particolare perché tratta con attenzione l’attività fisica, ed è ampiamente dimostrato quale e quanta sia la sua importanza per il mantenimento del nostro benessere. Già, benessere, perché è proprio di questo che voglio parlarvi oggi, dato che la pratica che svolgo, se ne occupa nell’accezione più ampia del termine. Mi chiamo Giovanni Asta sono nato a Ravenna e da 16 anni vivo nella splendida valle dell’Agno. Quando nel 1989 cominciai a praticare yoga, il mio primo insegnante, vedendomi entusiasta, desideroso di imparare e sempre con molte domande, mi disse: “Tranquillo e senza fretta, pratica e vedrai che tra venti anni comincerai a capirci qualcosa”. Spronato da quest’affermazione, oggi posso testimoniarne la veridicità e quanto lo Yoga sia uno stimolante ed efficace mezzo per crescere e conoscere. Ho capito presto che questa sarebbe stato il mio sentiero e l’insegnamento sarebbe divenuto un po’ una missione, spinto dall’entusiasmo di condividere quanto apprendevo e a tutt’oggi comprendo da quest’antica scienza. Yoga significa UNIONE e il termine in se evidenzia l’enorme portata del messaggio. Non vo-
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di Daniela Sassaro
glio spingermi oltre al momento nelle spiegazioni perché l’argomento è assai complesso da descrivere a parole, il consiglio che mi sento di dare è: PRATICARE! Così ho coinvolto mia moglie Paola e da allora, insieme seguiamo il nostro percorso, con gli anni abbiamo cominciato ad insegnare e creato una scuola, Vidya Yoga, di cui siamo orgogliosi. Siamo cresciuti con lei e con tutte le persone che partecipano ai nostri corsi, abbiamo visto allievi appassionarsi e, alcuni di loro, divenire insegnanti. Altri docenti si sono avvicinati alla nostra realtà, tanto che oggi, lo staff Vidya Yoga si compone di sei validissimi insegnanti ed è in grado di proporre a chi desidera avvicinarsi a questo mondo, differenti tipi di pratica affinché ognuno, possa trovare la via a se più congeniale. In questo piccolo viaggio in due tappe nelle pratiche yoga con Sportivissimo, lascerò che siano gli insegnanti responsabili dei singoli corsi ad esporne le caratteristiche salienti, mentre io vi do appuntamento per il mese prossimo per descrivervi le altre pratiche rinnovando a tutti i lettori l’invito a provare questo antico, meraviglioso percorso che ci conduce verso la conoscenza di noi stessi.
Molte sono le occasioni in cui ognuno di noi ha respirato l’infinito: lo sguardo che segue lo scorrere di un fiume, una musica dolce che inonda le viscere, il tocco di una carezza… Ma sono istanti fugaci. Nella maggioranza dei casi noi, che invece vorremmo la permanenza di queste condizioni inafferrabili, invochiamo allora l’Assoluto (che si chiami Dio, Buddha o Maometto) nella speranza di vederci riconosciuto questo “diritto alla felicità”. Capita poi che un giorno, mentre si è ancora in attesa di una risposta definitiva, stanchi di dogmi, di un certo ben pensare, di parole altisonanti ma vacue, diffidenti di fronte alle panacee universali, ai movimenti, ai partiti, alle teorie, si decida di partire da se stessi. Può succedere allora come una sorta di magia: trovarsi fra le mani uno strumento sconosciuto, antico ma senza tempo, in grado di farci riscoprire le nostre potenzialità, umane, sovrumane e divine. Guardarsi con occhi nuovi, attraverso lo Yoga, integralmente… E praticamente? E’ un corso che propone una sintesi armoniosa delle principali forme di yoga tradizionale, dallo yoga delle posture fisiche (hatha yoga) a quello più medi-
tativo (laya yoga e raja yoga), allo yoga dell’azione (karma yoga), a quello del risveglio del nostro potenziale latente (kundalini yoga) e dello studio del Sé (jnana yoga), fino alla via capace di integrare il nostro quotidiano, ogni evento ed ogni situazione orientandolo in modo benefico per la piena espansione della nostra coscienza (tantra yoga).”
L’essenza del Kundalini Yoga di Flavia Visonà Da anni insegnante di Kundalini Yoga, dalle sue parole l’arte della consapevolezza
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undalini e’ consapevolezza. Significa che siamo una cosa finita e individuale con un’identità potenzialmente infinita. Il Kundalini yoga e’ una tecnologia per risvegliare la propria consapevolezza. A mano che si pratica lo yoga Kundalini, si cresce. Si impara a mettere da parte vecchi comportamenti, atteggiamenti e abitudini, guadagnando nuove prospettive, capacità che sostengono la nuova e continua evoluzione. La vita e’ come un’onda. Man mano che la si cavalca, si va giù e si va su, ma per non rimanerne travolti occorre rimanere in equilibrio nella propria identità. Lo yoga ci aiuta a stare in equilibrio. Lo yoga sostiene il nostro stato di salute. Il sistema immunitario si rafforza, le ghiandole, il sistema nervoso, la circolazione e sopratutto la consapevolezza di come le abitudini hanno un effetto sul corpo, così possiamo scegliere se mantenere le abitudini salutari e lasciare le dannose. Equilibra le nostre energie vitali. Lo yoga tende a calmarci. Aiuta a rilassare la mente e il corpo conducendoci sulla via della pace.
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Lo yoga dinamico di Gian Pietro Scuccato uesta pratica è, particolarmente indicata per persone attive, sportive, essa si fonda su due punti cardi-
ne: 1. la sincronizzazione del movimento del corpo al respiro: grazie a questa alleanza, il corpo si apre e, assumendo la posizione, rende più fluido il respiro stesso. Da questo reciproco gioco nasce la sequenza che conferisce una nuova e grande energia 2. la presa di coscienza e la precisione nell’esecuzione di ogni movimento, crea un’artistica e dinamica espressione di bellezza ed equilibrio mantenendo l’efficacia dello yoga classico . Lo scopo di questo approccio è di risvegliare il potenziale dell’allievo a tutti i livelli: fisico, mentale e spirituale. L’allievo, con il tempo, impara a vivere le sequenze di posizioni in modo concentrato, senza sforzo e, ”catturato” dalla bellezza della pratica, in un’armonica danza, rinnova tutte le sue energie.
Nuova Stagione Corsi L’Associazione Vidya Yoga propone corsi di Yoga di diversi livelli e per ogni età.La pratica si pone molti obiettivi, in particolare lo Yoga (unione) vuole aiutarci ad esprimere al meglio le nostre potenzialità, prendere coscienza del corpo, disciplinarlo, osservare e calmare la mente, ottenere benessere ristabilendo il contatto profondo con l’anima. Durante l’anno si svolgono seminari a tema su tecnica e filosofia dello yoga. Inoltre concerti, filmati e conferenze. A.C.S.D. VIDYA YOGA via A. Gramsci, 5 36073 Spagnago di Cornedo Vic.no (VI) info: 347 4338699 - 347 8599377 e-mail: info@vidyayoga.it - www.vidyayoga.it
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valdagno
Tutti in Vespa di Nereo Zattera e Giuliano Benetti
Conosciamo il Vespa Club Valdagno
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ondato nel 2001, il Vespa Club Valdagno si è subito distinto per le numerose e vivaci attività di cui si è fatto promotore nel segno della passione per la Vespa. Il programma stagionale da oltre 14 anni prevede dei Vespa Giri organizzati dal club dove le mete sono le più varie: lago, montagna, mare…ma anche la partecipazione ai tantissimi raduni sia nazionali che internazionali a cui il club e i suoi soci sono sempre invitati, una proposta di viaggi in Vespa che può soddisfare qualsiasi appassionato. Tantissimi i giri che il Club ha promosso. Tra i più belli ricordiamo quello al Passo Gavia – Stelvio e i giri sul Lago di Garda. Ma alcuni nostri soci hanno compiuto anche veri e propri gran tour. Davide Sartori e Tommaso Pettinà hanno partecipato al Vespa Word Londra 2013 e Belgio2014, mentre il più, diciamo, race del Club, Tomas Pozza si è laureato Campione Italiano nel campionato Vespa Pista Italia nella stagione 2011. Oltre a questi giri di grande fascino, il Club organizza anche Giri locali che sono diventati oramai parte della tradizione del Club e a cui i soci partecipano sempre numerosi. Tra questi,
e altri i figli. Alle 10 il via con la sfilata per il centro di Brogliano e poi su verso Quargnenta, Selva, Nogarole, Alvese, Altissimo e poi alla Campanella dove si è fatto tappa con rinfresco. Da qui si è proseguiti per Castelvecchio, Valdagno e poi ritorno a Brogliano per i saluti. Questa è stata la nostra quarta partecipazione e si è svolta in modo impeccabile grazie all’assistenza di una macchina che ha seguito la comitiva e a un’eccellente organizzazione. Un ringraziamento a tutti i soci, anche a coloro che partecipano di tanto in tanto perché mantengono in vita il Club e l’amicizia.
tappa d’obbligo, c’è il Giro organizzato in occasione della sagra dell’Assunta a Brogliano. Anche quest’anno, domenica 17 agosto, i soci del Club sono saliti sulle loro Vespe per fare un giro con partenza e ritorno a Brogliano. Il Giro dell’Assunta è aperto a tutti coloro che posseggono una Vespa e, come detto, è un giro “attorno a casa” ma vissuto sem-
pre con il grande entusiasmo di chi vive la passione per la Vespa. Le strade delle nostre colline costituiscono un percorso ideale per apprezzare il piacere di guidare una Vespa. Il ritrovo era fissato per le 9.30. Una quarantina le Vespe che si sono presentate al via. E tutte straordinariamente ben tenute. Alcuni soci hanno portato le mogli
sportart
magica miramare photo: Stefano Scortegagna
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miramare
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ell’alto Adriatico due sono le aree marine protette: la prima nella zona antistante Chioggia, la seconda in Friuli davanti alla Villa di Miramare, in provincia di Trieste. Un’immersione nelle acque di questa seconda Riserva Naturale consente l’osservazione di un ambiente protetto e quindi ad elevata biodiversità. Le particolari caratteristiche geomorfologiche del promontorio di Miramare, che si ripercuotono sulla flora e sulla fauna, fanno di Miramare un ambiente particolarmente interessante e che riunisce le caratteristiche peculiari del golfo di Trieste. In quest’area non è possibile eseguire immersioni libere: i subacquei che si immergono a Miramare beneficiano di un’auto-
Magica miramare di Antonio Rosso foto di Stefano Scortegagna
rizzazione particolare che viene rilasciata per motivi didattici o scientifici e sempre in presenza di guide. Nella politica di conservazione dell’area protetta rientrano, infatti, solo quelle attività che permettono una migliore conoscenza dell’ambiente marino dal punto di vista naturalistico. In ogni caso la riserva marina di Miramare organizza da diversi anni attività di visite subacquee e di snorkeling
La Riserva Naturale Marina di Miramare
per singoli, gruppi o diving-club in aree non sottoposte a vincolo totale. Stefano Scortegagna, fotografo subacqueo vicentino che conduce da anni riprese sui nudibranchi, ha avuto la possibilità di effettuarvi una interessante ricerca fotografica. Dalla sua disponibilità di condividere alcuni degli scatti più interessanti sono nate queste righe, nella speranza che possano interessare altri sportive. La riserva è nata nel 1973 ed è stata il primo parco marino ad essere istituito in Italia.
E’ composta da due zone: la zona a protezione integrale di 30 ettari che si estende lungo 1,8 km di costa per una distanza di 200 metri al largo e da una seconda area a protezione parziale, ove è vietata la pesca professionale, che la circonda e si protende per altri 400 metri. Ha una profondità massima di 18 metri e la parte rocciosa, così come la costa, è formata da calcare del Carso triestino, lo stesso del promontorio di Miramare. Nella riserva si trovano vari ambienti: l’ambiente di marea, i fondali sabbiosi e le aree rocciose. Relativamente alla flora sono presenti: l’ombrellino di mare (Acetabularia acetabulum), la quercia marina (Fucus Vesiculosus), e alghe come la coda di pavone (Padina pavonia) e la lattuga di mare (Ulva lactuca). Ricca e variegata anche la fauna, composta da poriferi, celentera-
a Dentro la natur terra unica per natura
nosy be
A Nosy Be per scoprire una
e bellezza, assolutamente preservata
ti, anellidi, molluschi, crostacei, echinodermi e pesci ossei. Nella fascia intertidale (posta tra l’alta e la bassa marea) troviamo le bavose pavone dal corpo privo di scaglie ma ricoperto da muco viscido che consente loro di sopravvivere fuori dall’acqua durante la bassa marea. Nelle aree sabbiose e fangose vi sono le oloturie, chiamate anche citrioli di mare, le stelle marine e le ofiure. Numerosi i paguri e gli spirografi. Nelle aree più riparate è ancora possibile trovare la “pinna nobilis” che con i suoi 50-80 centimetri di conchiglia è il mollusco più grande del Mediterraneo, associata a telline, vongole, tartufi di mare. Tra i pesci sono presenti la mormora, le seppie, ed i pesci piatti quali sogliole e passere. Attenzione ai prati di erba marina che spesso si incontrano: non sono formati da alghe ma dalla Posidonia, vera e propria pianta, dotata di radici e frutti, che contribuisce a consolidare i sedimenti del fondo. I fondali rocciosi sono, naturalmente i più ricchi di specie animali. Sulle rocce si trovano spugne, anemoni di mare ed un corallo duro: la “cladocora cespitosa”. Frequenti i crostacei: la grancevola, il granciporo o favollo, le “schie”. Tra i pesci: i ghiozzi, le salpe, lo sciarrano, le occhiate i saraghi, le orate ed i cefali; a maggiore profondità si trovano corvine, scorfani, castagnole e le spigole o branzini. Ovviamente assai numerosi anche i nudibranchi, oggetto della ricerca di Stefano. Il parco possiede un centro visite situato nell’edificio noto come il Castelletto, che è la sede operativa della riserva. Merita, infine, visitare la piccola stazione ferroviaria di Miramare. E’ stata definita come un piccolo gioiello di sobria eleganza. Costruita dagli Asburgo, la stazione era anche il punto di partenza delle carrozze che conducevano al Castello.
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osy be, (Madagascar) in malgascio “isola grande”, è chiamata anche isola dei profumi ed è sufficiente scendere dall’aereo per essere avvolti dall’essenza dell’ylangylang, della vaniglia, della cannella, del caffè e da una natura ancora primordiale con fiori profumatissimi e specie endemiche ancora non classificate. Nosy Be è solo paragonabile alle altre località tropicali, influenze africane, asiatiche, europee si mescolano in un fascino in cui tutte queste culture convivono armoniosamente nel rispetto delle tradizioni. Forti contrasti sono visibili in una terra in grande crescita turistica, ma che mantiene le proprie radici, i propri culti e le proprie tradizioni originarie. Nosy Be fa parte di un arcipelago formato da altre isole minori di incontaminata bellezza, Nosy Sakatia detta “isola delle orchidee”, Nosy Tanikely “isola piccola”’ che emerge come una perla smeraldo in un mare turchese, Nosy Komba, isola dei lemuri e della vaniglia e Nosy Iranja, spettacolo mozzafiato di due isole collegate da una lingua di sabbia bianchissima in un mare cristallino, definita come una delle bellezze naturali più visitate al mondo. Vi si incontrano migliaia di pesci colorati che nuotano fra sgargianti coralli, tartarughe marine che vengono a deporre le uova, delfini, piccoli squali, carangidi, pesci spada, tonni, marlin e non è difficile assistere al passaggio di balene e di squali balena. Ma il fascino di Nosy
Be non si deve solamente al mare, ma anche ad un un interno rigoglioso con lati di foresta primaria ancora intatta dove si incontrano serpenti (nessuno tuttavia velenoso), farfalle colorate, camaleonti e i famosi lemuri che verranno a mangiare la frutta dalle vostre mani, villaggi rurali dove la presenza dell’uomo bianco sembra non essere mai arrivata, laghi dove placidamente riposano i coccodrilli, guardiani di luoghi considerati sacri. La popolazione a Nosy Be è molto accogliente, solare come la loro terra ed ospitale, molto dignitosa e rispettosa dei vazha, cioè i turisti; i bambini sono molto giocosi e per niente intimiditi strapperanno di sicuro un sorriso a chiunque. Una buon numero di nostri cittadini italiani vivono a Nosy Be creando una importante comunità in loco la quale è molto attiva sia socialmente che culturalmente. I prodotti di artigianato locale sono sapientemente lavorati a mano, legno intarsiato, tovaglie e molto altro troveranno sicu-
ramente posto nella valigia dei visitatori. La musica con il suo ritmo incessante e coinvolgente è sempre presente ed assistere alle danze e alle movenze malgasce è uno spettacolo a cui spesso vi capiterà di assistere e magari di esserne partecipi. L’aspetto culinario a Nosy Be è sicuramente un qualcosa che non ci si aspetta, molto legato al pesce, sempre fresco e di qualità inimmaginabile, cucinato in modo semplice ma molto abile, e poi frutta e verdura dai sapori concentrati fanno da contorno e per non parlare di dolci e gelati fatti con l’ingrediente principe di Nosy Be: la vaniglia, e per finire un goccio di rhum locale, distillato della canna da zucchero, un tempo coltivazione regina dell’isola, magari sorseggiato di fronte a uno dei tramonti più caldi dell’oceano indiano.
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Che bello risentirci dopo un lungo e, purtroppo, “umido” periodo di ferie estive. Vi riporto di seguito quanto mi ha inviato un allievo della Scuola di Taijiquan e KungFu del Maestro Giuseppe Bon al rientro dal suo primo viaggio in Cina come praticante di Arti Marziali Cinesi… Una gran bella esperienza per un atleta! Vivere a contatto con la realtà dei praticanti cinesi e vedere anche un po’ della grande Cina.
Escursioni in mare, a terra con quad e moto, in piroga per raggiungere foreste incontaminate faranno scoprire dei tratti di vita unica nel suo genere. Molto altro ci sarebbe da scrivere su Nosy Be e la sua gente, ma solo visitando questa terra si potranno vivere le emozioni che altri posti al mondo non possono pareggiare. Lo sport è di sicuro uno dei più potenti veicoli di unione, di scambio e conoscenza culturale. Lo spirito di ogni sportivo sa abbattere molto più velocemente le barriere sociali, religiose, linguistiche e culturali. Nosy Be è un isola perfetta per gli sportivi, per la sua conformazione, posizione e clima: golf, sub, pesca, trekking e rumining, tennis, kayak, tutto può essere fatto in estrema sicurezza, per la presenza di veri professionisti e strutture di appoggio.
Nosy Sport promoter è stato creato da due Vicentini che hanno forti legami sul territorio, organizza e promuove manifestazioni sportive e culturali sull’isola di Nosy Be, seguendo anche le escursioni via terra e mare. Inoltre può organizzare meeting, clinics sportive, ma anche semplicemente la vacanza a Nosy Be in base alle aspettative della clientela,
appoggiandola alle strutture più adeguate a quanto ci si aspetta, una parte del ricavato verrà destinato allo sviluppo e all’educazione sportiva giovanile a Nosy Be. In collaborazione con il recentissimo Pearls International golf club de Nosy Be ha dato vita al primo Trofeo Internazionale di golf per il 23 novembre 2014, rivolto a tutti i golfisti che intendono visitare l’isola, emozionarsi, sentirsi parte di questa terra meravigliosa seguendo la propria passione sportiva in uno scenario unico al mondo. Un campo con percorso a 18 buche, un club con tennis, piscina, club house, palestra sarà teatro delle gesta sportive a Nosy Be. Per fine aprile e maggio sarà organizzato un concorso fotografico subacqueo le cui foto vincitrici saranno pubblicate da un’importante rivista del settore. Seguiranno altri eventi sportivi a cui Nosy Sport promoter sta lavorando. Informazioni, brochure degli eventi, iscrizioni potranno trovarsi sul sito web www.nosysport.com.
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ina, che sorpresa! Aeroporto Marco Polo, 24 luglio 2014… il gruppo della Scuola Italia Poon Ze Team, insieme al suo Maestro Giuseppe Bon, è pronto a imbracarsi destinazione Pechino. 16 ore di viaggio ci attendono; percepisco l’entusiasmo di chi il piede in Cina non ce l’ha mai messo e di chi è al suo primo viaggio in assoluto in aereo, destinazione un Paese così lontano e diverso sotto molti aspetti: la lingua, la cucina, la cultura. Ne ho già avuto un assaggio l’anno scorso quando mi recai a Shanghai per un viaggio di lavoro: difficoltà comunicative (non è vero che con l’inglese si va dappertutto!), spirito di adattamento (lo capirete proseguendo nella lettura!), ma questa volta non c’è una “semplice” visita a una città, Pechino; c’è ben altro ed è il motivo conduttore del nostro viaggio: ci sono Shaolin e il Daqingshan…in poche parole c’è il Kung Fu. La prima settimana la viviamo da turisti a tutti gli effetti: Pechino e dintorni offrono la Città Proibita, il Tempio del Cielo, il Palazzo
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Vivere nel grande Taijiquan di Massimo Neresini e Alberto Rumignani
d’Estate, la Grande Muraglia. Gli spazi infiniti nella cornice di parchi e laghi del Palazzo d’Estate m’incantano, l’imponenza della Grande Muraglia, un serpente enorme nel verde della boscaglia, ha un fascino senza tempo. E non possiamo non regalarci un servizio fotografico in una cornice così affascinante! Pechino ci regala delle belle giornate, afose al punto giusto, ci dà modo di vivere la nostra settimana di vacanza e ci offre il modo di conoscerci meglio, attraverso momenti di condivisione, in fila aspettando la metro o attorno alle tavole rotonde dei ristoranti dove arrivano piatti fumanti di “chissacosa” o lungo le vie di Pechino dove si vendono specialità che i
più coraggiosi non disdegnano di provare: tarantole e scorpioni sono stati “molto” apprezzati… più sono brutti e più fanno paura, e più sono buoni! Lasciamo la capitale cinese e ci mettiamo in viaggio verso Xi’an, dove il famoso esercito di terracotta ci attende… o mi attende… quanto mi affascinava vederlo sul libro di storia dell’arte delle superiori. Mai avrei pensato un giorno di farci una foto con l’esercito sullo sfondo… incredibile!
Ma ecco che ci siamo… Shaolin eccoci! Shaolin, provincia di Henan, dove tutto ebbe inizio… tappa obbligatoria per un praticante di Kung Fu? La risposta è personale, sta dentro di noi, ma credo che nel momento in cui qualcuno è catturato da un’arte, vuole capirne e scoprirne le origini, e quando libri e video non bastano più… bè, avete capito la mia risposta, dato che ho risposto “eccomi” a questo viaggio. Basta vacanza quindi, al lavoro… eh sì, lavoro, che poi è il significato della parola Kung. “Kung Fu” infatti significa “risultato di duro lavoro”. La scuola EPO WUSHU COL-
LEGE ci ospita per una settimana; è qui che si forgiano i “monaci” in divisa arancione che ammiriamo negli spettacoli in televisione. Capaci di acrobazie straordinarie, dotati di un’elasticità ed esplosività invidiabile. “Come faranno mai? si chiedono tutti. La risposta è: Kung Fu, risultato di duro lavoro! Sono ragazzi che dall’età di 5 anni si svegliano alle 5 di mattina, si allenano 8 ore al giorno, inframmezzate da qualche ora di lezione sui banchi. E via così per più di dieci anni. Il trattamento per noi “ospiti” è più umano. Sveglia alle 7, inizio allenamenti alle 9, pranzo alle 12, pennichella (fondamentale!) e ripresa allenamenti alle 15.30. Cena presto alle 19.00 e… a nanna presto? No! Non si può non fare un giro nei dintorni di Shaolin: che bello l’arte del contrattare per comprarsi una divisa della famosa Scuola, la maglietta o la tal
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arma, oppure fermarsi in una di quelle bancarelle per strada a mangiarsi un’anguria per reintegrare i sali persi o al nostro baretto/tavola calda di fiducia, dove bere una Tsingtao e completare l’introito calorico con un piatto di noodles preparati al momento! La settimana, scandita dal ritmo regolare degli allenamenti, scorre via veloce… mi trovo a mio agio tra le regole e la disciplina. Sì, i muscoli accusano la fatica, ma c’è la giornata di sosta a metà settimana per la visita al tempio di Shaolin e alla grotta di Ta Mo o Bodhidharma, ovvero colui che secondo la leggenda meditò per nove anni in una grotta in cima a una montagna, prima di scendere e sistemarsi a Shaolin dove avrebbe insegnato ai monaci il Kung Fu. Altro che giornata di sosta! La scalata alla cima della montagna per vedere la grotta di Ta Mo si è rivelata un’altra giornata di “duro lavoro” per le nostre gambe… insomma “giornata di pausa”
all’insegna del Kung Fu! Ultimo giorno a Shaolin: ci aspetta l’esame in cui ciascuno di noi è chiamato ad eseguire la forma appresa durante la settimana. E’ infatti attraverso delle “forme”, ovvero una sequenza di movimenti, che si concretizza l’apprendimento delle tecniche di combattimento, molto spesso tratte dall’osservazione della natura, in particolare dalle movenze degli animali. Io e Alessio ci siamo cimentati in una forma Shaolin tradizionale, Alice e Valentina hanno appreso la forma del serpente, Luca e Fabio quella del leopardo, Giorgio la forma della scimmia, Silvana, Cristiana e Chiara la forma 42 di Taijiquan. Tutti promossi! Al di là di quella che può essere stata la prestazione di ognuno, in cui hanno pesato l’acido lattico nelle gambe e il poco tempo a disposizione per apprendere forme nuove, mi sento di autolodare l’impegno e la costanza di tutti noi in questa settimana in quello che è il centro per eccellenza delle arti marziali cinesi. Da un centro all’altro… passando per le grotte di Longmen, sempre nella provincia di Henan, in cui nei secoli sono stati scolpiti nella roccia soggetti buddisti in una cornice suggestiva, 14 ore di treno ci attendono per la nostra ultima destinazione: Daqingshan, la culla del Taijiquan stile Chen metodo pratico Hong diretta dal Maestro Chen Zhonghua, che co-
nosciamo da alcuni anni. Lo spazio nelle cuccette del treno è il minimo indispensabile, noi siamo già provati da una settimana di allenamenti faticosi, il viaggio già lungo sembra ancora più lungo. Ma stanchezza a parte, forse finora abbiamo vissuto il meglio della nostra esperienza cinese: nel Daqingshan la sveglia suona anche per noi all’alba. Il primo allenamento è alle 5.30! Quindi colazione alle 7.30, secondo allenamento alle 10, pranzo ore 12.00, terzo allenamento ore 16.00, cena 18.30… infine buonanotte! Gli standard sono più a livello della “Cina” così come mi era stato raccontato prima di partire: niente pane e marmellata a colazione, ma solo specialità 100% cinesi, acqua della doccia fredda, pulizia rivedibile, orari degli allenamenti “variabili”. Presto capisco che il “vero” allenamento è quello mattutino delle 5.30: inizia puntuale, c’è la presenza del Maestro Chen Zhonghua, insomma la levataccia vale il “prezzo del biglietto”. Poco importa se all’allenamento delle 10.00 nessuno si presenta o quello delle 16 è condizionato dal caldo umido e si trascina a fatica alla sua conclusione… nel Daqingshan, che significa “grande montagna verde”, il verde circonda il centro marziale e ci si può concedere una passeggiata alla scoperta dei dintorni, ancora inediti. Giorno dopo giorno comincia ad aleggiare nostalgia di casa. “Brioche e cappuccino”, “ pizza” sono parole che spuntano fuori dalle nostre bocche, ormai stanche di specialità cinesi, e noi, ormai provati e giunti alla coda del nostro soggiorno, accogliamo con altrettanta gioia il viaggio di ritorno a casa, memori però di un’esperienza unica! Un grazie al Maestro Bon per aver offerto ai suoi allievi quest’opportunità, motivo di crescita nella pratica dell’arte oltre che di un’esperienza di vita che
resterà per sempre nella nostra memoria; un grazie a Valentina per aver organizzato il viaggio che è filato via liscio senza inconvenienti; un grazie al Maestro Huang Shaosong per averci accompagnato durante la settimana a Shaolin, supporto tecnico e linguistico fondamentale; un grazie al mio istruttore Massimo Neresini per avermi dato la possibilità di prendere parte al viaggio. E per concludere, quello che porto a casa, oltre all’esperienza marziale: da laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari l’esperienza culinaria cinese “sul campo”, tra insetti e i frutti più strani (buono il mangostano ragazzi!); momenti spassosi con Luca e Giorgio tra musica di qualità e scene a la “Non aprite quella porta”; l’amicizia di Ida, ragazza cinese studente di francese conosciuta sul micidiale treno delle 14 ore, ora diventata mia pen-friend francese, ehm pardon, ma correspondante; il sorriso e la gentilezza della bella Xulin nel Daqinshang. Alla fine vedete, sono anche le piccole cose che rendono i viaggi speciali e memorabili>> Grazie Alberto per avere raccontato con parole vere e nuove un viaggio tra i templi e i luoghi “sacri” e “marziali” della Arte Marziale Cinese, culla di moltissime tra le Arti Marziali oggi conosciute. Per chi volesse intraprendere un gran bel percorso sia interiore che fisico ed energetico può contattare la Scuola ASD Italia Poon Zè Team del Maestro Bon Giuseppe sia per il Taijiquan e Qigong che per il Kung Fu: Ci puoi trovare su facebook “Bon Giuseppe”; cell. 328-7304862; e-mail: giuseppebon56@htomail.com Palestre: Axel di Vicenza, New Gym di Schio e Progetto Musica di Valdagno. L’imparare non finirà mai perché l’Arte non ha limiti.
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dolomiti di Giulio Centomo foto di Luca Formiga
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pesso e volentieri si è portati a pensare che organizzare un evento sportivo sia impegnativo, ma che poi si tratti di un gran divertimento, una di quelle cose che vanno a finire con tanti sorrisi, qualche birra e una grande mangiata. Quello che invece si perde per strada è il carico di responsabilità che la gestione dell’intera macchina organizzativa comporta. Ecco, proprio questo fattore è stato ben chiaro al vicentino Enrico Pollini, direttore di gara della Trans d’Havet anche nella stagione 2014. Quello che segue è un racconto dell’edizione disputatasi – ahimè – solo parzialmente lo scorso 26 luglio. L’eredità che consegnava il 2013 all’affascinante trail delle Piccole Dolomiti era di quelle importanti, dopo il successo dell’UltraSkyMarathon® European Championship. Enrico Pollini e i suoi non avevano dunque tralasciato nulla e fin dal via ognuno si era piazzato al proprio posto. Alle 17.00 del 25 luglio da Piovene Rocchette prendeva il via il debuttante Gran Raid con i suoi 115 km e 10.000 mD+ e poche ore più tardi, allo scoccare della mezzanotte, lo sparo d’inizio spettava anche alla variante Ultra con 80 km e 5.500 mD+. Il tempo di un breve breafing con fotografi e volontari e subito gli occhi si fissavano su quei due schermi che in tempo reale davano tutte le informazioni necessarie a valutare l’evoluzione del meteo. Le ben auguranti stelle che campeggiava-
Trans d’Havet 2014: il coraggio di dare lo stop
no sul cielo di Piovene Rocchette venivano ben presto velate e con il passare delle ore e dei chilometri la temperatura si abbassava e le nubi si addensavano sui contrafforti di Pasubio, Sengio Alto e Carega. Le prime gocce di pioggia facevano la comparsa a notte inoltrata e in men che non si dica fiumi d’acqua si scaricavano sui concorrenti. Alle prime luci dell’alba, con il meteo che non dava alcun segnale di miglioramento, ci si approntava per il piano B. Via quindi ai tracciatori per controllare i tagli al percorso e metter giù qualche fettuccia in più. Nessun segno di temporale e se va bene con uno sfogo di qualche ora poi le cose si sistemano. Si valutano tutte le opzioni e si decide. Si va avanti. A Campogrosso, attorno alle 6 e ormai a nuoto, sfrecciavano i primi concorrenti e già i distacchi con le retrovie si facevano considerevoli. Poco prima delle 8 erano però le radio dal Pasubio a comunicare i primi colpi di temporale. In Carega, dove la testa della corsa si stava arrampicando, i primi piccoli segnali di smottamenti. Era il segnale che non si voleva. Pollini si attacca alla radio e le sue poche parole rimbalzano da un angolo all’altro del tracciato. È lo stop definitivo. Tutti a casa. «Il soccorso ti dice “Adesso è pericoloso”, ma non ti dice “Ferma la gara”. Quella è una decisione che spetta solo a te – così testimonierà solo alla sera lo stesso Pollini – e solo molto dopo mi accorgerò che con estrema lucidità non ho pensa-
to minimamente al dispiacere per sei mesi di lavoro andati in fumo, all’incazzatura, alla morte del sogno di un viaggio, alle eventuali polemiche. No. In quegli istanti in testa hai solo una complicata scacchiera e devi uscirne senza farti mettere in scacco matto.» Sospensione ed evacuazione generale non potevano essere programmati, perché potevano avvenire in momenti e posizioni della gara diversi. Di programmato c’era la disponibilità di uomini e mezzi, e giunti a quel punto bisognava muoverli con il massimo rendimento e la massima efficienza. D’altro canto non capita tutti i giorni di dover recuperare circa 350 concorrenti sparsi lungo 80 km di tracciato tra gallerie, valloni e ghiaioni montuosi. Priorità: prima la massa, poi la testa e senza perdere un solo concorrente per strada. Ci sono i bus a Pian delle Fugazze, i pulmini e la piccola corriera FTV a Campogrosso. La testa che ha scollinato al Fraccaroli troverà due rifugi. La prima sgrezzata al sistema è fatta. Il resto è un susseguirsi di tasselli che con un po’ di fortuna e ingranaggi ben oliati manda tutto a posto e alle 11.00 il Palalido di Valdagno è già gremito di concorrenti infreddoliti e tristi. A dare l’ultima scossa ci pensa via radio il Soccorso Alpino. In Pasubio è caduto un fulmine e ci sono tre feriti. Sono attimi di paura e tensione, ma non appena le informazioni si fanno più chiare la situazione si rivela per quello che è. I tre stanno bene, pur se sotto
shock. In men che non si dica i soccorritori li porteranno all’ospedale di Santorso per i controlli di routine e, dopo qualche ora di osservazione, verranno dimessi. Non è ancora finita: c’è la conta dei partecipanti da verificare. “Normalmente alla fine di una gara ci sono giusto quattro o cinque pettorali che non risultano spuntati. Succede – spiega Pollini – ma solo chiamandoli uno ad uno possiamo escludere ogni evenienza. Vista la situazione mi aspettavo almeno 40-50 assenti, invece l’amico William mi passa una lista di soli 16 pettorali mancanti. Realizzo allora quanto avesse funzionato tutta la macchina. Alcuni li becco subito al bar, il grosso viene spuntato alla prima telefonata, mentre sentirò l’ultimo, single e profondamente addormentato, solo alle due del pomeriggio. Chiuso quel breve contatto telefonico ho potuto finalmente dichiarare conclusa l’emergenza, in tempo per capire che tutto era filato nel migliore dei modi grazie ad un team a dir poco rodato. Non posso che ringraziare quindi i fidi Claudio, Massi, Leo, Lorenza, Raffa, Denis, Niki e Carlo, ai quali vanno aggiunti i più di 300 volontari impegnati a vario titolo e tutti i trail runners che, fino all’ultimo, ci hanno creduto.” Parlare di vincitori a quel punto era cosa inutile. Una classifica virtuale alla fine ci sarà per assegnare i punti validi ai fini delle graduatorie nazionali e internazionali, ma per molti l’appuntamento è solo rimandato. Arrivederci allora al 2015.
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Andare a caccia in Italia oggi di Dorino Stocchero
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utte le indagini sull’argomento affermano concordemente che il numero dei cacciatori italiani è in forte diminuzione. I motivi, di cui parleremo a fondo in seguito, si possono riassumere per ora in uno solo: andare a caccia oggi in Italia è diventata un’attività piuttosto difficile. Il permesso (porto d’armi, tasse, tesserino regionale, assicurazione) l’acquisto del fucile si aggira complessivamente sui 1500 euro circa che non sono molte, ma neppure poche in tempi di crisi economica come questa. La Legge Quadro e le leggi regionali, con buona pace della Lega contro la caccia, di quella per la difesa degli uccelli e del fondo mondiale per la natura, è tra le più restrittive del mondo, certo d’Europa per l’adesione del nostro paese a tutte le convenzioni internazionali e le direttive comunitarie per la protezione degli ambienti (ZPS zona prote-
zione speciale e SIC siti importanza Comunitaria) rete natura 2000 e della fauna per i vari decreti. La selvaggina è scarsa: abbattuti i fagiani, le starne e le lepri di ripopolamento nella prima settimana dopo l’apertura della caccia, non resta al cacciatore con il cane, che aspettare le beccacce a Novembre, poi eventualmente dedicarsi agli animali palustri, anche questi in rapida diminuzione per la scomparsa degli ambienti adatti. Per il cacciatore senza cane la caccia comincia con l’arrivo dei tordi e delle allodole, cioè a Ottobre e Novembre; continua tuttavia più a lungo, ma da appostamento
fino al 31 gennaio. Non c’è da stupirsi se in queste condizioni aumenti ad ogni stagione il numero dei cacciatori che appendono il fucile al classico chiodo e non ci pensano più. Cominciamo con il chiederci: perché la selvaggina è scarsa in Italia? La risposta, non facile si articola in due direzioni: una geografica, l’altra storico-sociale. Per quanto riguarda la direzione geografica, appare chiaro a tutti al primo sguardo che l’Italia è una specie di ponte fra l’Europa continentale e l’Africa settentrionale. Si pensi agli ambienti alpini di tipica montagna di centro-Europeo e alle colline pietrose e aride della Sicilia e della Sardegna, già preludio d’Africa. Ora in linea generale questo tipo di “ponti” geografici sono ricchi di selvaggina, se non altro migratoria. Così era anche per l’Italia, almeno fino a qualche anno fa, prima che una situazione sociale e storica portasse il nostro paese
a uno strato di degrado ambientale che non ha riscontro in altri paesi d’Europa, pur altamente industrializzati e antropizzati. Fra le cause di tale degrado, ricorderemo i disboscamenti romani e medievali, le bonifiche delle paludi e delle aree lacustri, iniziate assai prima dell’epoca fascista, ma dal fascismo portate a compimento, i fenomeni di urbanesimo e di abbandono delle campagne, il decollo industriale caotico e discontinuo, gli inquinamenti dell’industria nelle aree fortemente antropizzate e quelli agricoli nelle zone a colture intensive. Se questo è vero per la selvaggina migratoria, lo è a maggior ragione per quella stanziale, essendo persino impreparate alla semplice lotta per l’esistenza, poiché proviene quasi tutta dagli allevamenti, spesso situati in nazioni estere dove le condizioni ambientali sono completamente diverse. Il viaggio, lo shock per la liberazione in territori sconosciuti, le difficoltà dell’ambientazione fanno sì che di questi “ripopolamenti” ben poco resti all’apertura della caccia. Il grande periodo della caccia in Italia fu il Medioevo e il Rinascimento, quando re, aristocratici e papi
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affrontavano a lancia e spada i grandi animali della foresta europea: cervi, cinghiali, caprioli, orsi e lupi e intanto prendevano accordi per spartizioni di feudi e di stati, per matrimoni e congiure. Al popolo, cioè ai contadini, veniva permessa la caccia alla piccola selvaggina con trappole e lacci, purché non ne diminuisse il rendimento lavorativo. La caccia con il falco ovviamente era riservata ai nobili: ce lo testimonia il “De arte venandi cum avibus” di Federico II e molti poemetti rinascimentali, cominciando con quelli del Poliziano e di Lorenzo dei Medici. La Rivoluzione Francese impresse una decisa svolta al diritto di caccia (divisa tra lo jus prohibendi degli anglosassoni e la res nullius dei latini, per i quali la selvaggina uccisa apparteneva non al proprietario del terreno ma chi la catturava) abolendo i privilegi feudali in materia. Anche in Italia si affermavano infatti gli stessi concetti, il diritto di caccia dipendeva da quello di proprietà, e non si poteva cacciare nei terreni altrui senza il consenso del proprietario (qualche volta scritto); facevano eccezione solo gli stati pontefici e il regno delle due Sicilie, nei quali la caccia era permessa a tutti e dovunque, purché si fosse ottenuta l’autorizzazione delle autorità di polizia e fatta eccezione per i fondi chiusi, per le campagne dove vi fossero “frutti” pendenti e nelle bandite reali e papali. Nel 1923 veniva varata la prima legge venatoria nazionale, con essa il diritto di caccia veniva staccato da quello di proprietà in cambio del diritto concesso, sulle stesse
linee si mosse il famoso Testo Unico del 1939. Nel secondo dopoguerra si è giunti alla Legge Quadro n°968/1977 che prevedeva il superamento dell’ultimo privilegio legato al censo, la riserva privata, equiparando così tutti i cacciatori di fronte alla legge “per la protezione della fauna e la disciplina della caccia”. La stessa legge, riconosceva che il suo oggetto , cioè la protezione della fauna era condizionato dalla varietà degli ambienti, delegando alle regioni, la creazione di strutture adeguate per il ripopolamento della selvaggina stanziale, e per la sosta della selvaggina migratoria, nonché la programmazione, a seconda delle risorse faunistiche, dell’attività venatoria. La Legge Quadro n°968 /77 e la successiva Legge n°157/92 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), contempla infatti la tutela completa della fauna non più nell’interesse di pochi (i cacciatori) essendo la fauna selvatica un patrimonio indisponibile dello stato, ma dell’intera comunità nazionale e internazionale, consentendo tuttavia una caccia controllata con una gestione programmata, imponendo limitazione all’esercizio della caccia (di epoca di giorni di carniere di specie e di mezzi), ulteriori limiti vengono dall’adesione dell’Italia alle varie convenzioni internazionali. Si fa anche rilevare che la legge 968/77 ha portato il numero delle specie di mammiferi e di uccelli cacciabili da 400 permesse dal testo unico del 1939 a circa 50. La caccia in Italia aveva raggiunto negli anni 70-80 circa 1.800.000 cacciatori, ora sono circa 700.000. Quindi, per le operazioni di ripopolamento, bisognerebbe ricorrere ad animali in grado di resistere alle avversità naturali e di riprodursi a sufficienza. Pertanto bisogna muoversi in due direzioni. Da una parte creare aziende agrituristico - venatorie per gli “sparatori”, dall’altra immettere in terreno libero solo selvatici idonei che si riprodurranno e che sapranno anche meglio difendersi. Per arrivare alle conclusioni la caccia in Italia ha un futuro? A mio parere i cacciatori dovranno trovare un accordo con altre categorie di cittadini (in primo luogo gli agricoltori) e impegnarsi personalmente alla gestione, alla difesa e alla ricostruzione degli ambienti naturali.
grisignano
Rombi d’epoca Sfilata di
auto e moto storiche
alla fiera del Soco di Grisignano
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ue storie affascinanti che si sono incrociate. Quella centenaria della Fiera del Soco e quella di tante auto e moto d’epoca. L’edizione 2014 della rassegna a Grisignano di Zocco ha vissuto così un momento indimenticabile con “Le Storiche al Soco”, un raduno di auto e moto storiche con percorso pianeggiante collinare nei paesi contermini. La manifestazione ha visto coinvolti circa 60 equipaggi con auto e moto di varie marche e modelli che andavano dalle più storiche alle più recenti con notevole partecipazione delle Fiat 500. A seguito del grande entusiasmo avuto dalla kermesse il Comitato Organizzatori sottolinea l’apporto di tutti i partecipanti che hanno mantenuto una guida corretta nel rispetto delle norme del codice della strada ed un comportamento volto all’entusiasmo nel trascorrere una giornata in allegria e fra persone che condividono le stesse passioni. Centro pieno e grande soddisfazione quindi per tutto lo staff di “Volanti e Manubri”. Un supporto determinante
di Giannino Danieli all’organizzazione lo ha fornito il gruppo “Creazzo in Quad”. Il controllo della sicurezza della viabilità del percorso è stato svolto dalle “Moto staffetta di Costozza” mentre il servizio di soccorso stradale è stato assicurato dalla Carrozzeria Pagoda di Longare. Una collaborazione significativa è arrivata dal maresciallo Vincenzo D’Anna Comandante della stazione Carabinieri di Longare e dall’appuntato scelto Salvatore Lalia del Comando Provinciale dei Carabinieri di Padova per l’auto Alfa Romeo Giulia dell’Arma dei Carabinieri che ha accompagnato la manifestazione per tutta la sua durata. E’ stato un coinvolgimento totale a cui hanno aderito Il Comitato Ente Fiera del Soco, la Polizia Locale, la Protezione Civile e tante persone che si sono dedicate per la viabilità all’entrata e all’ uscita dei mezzi dalla manifestazione. Il Vecchio Mulino di S. Maria di Veggiano ha messo a disposizione ospitalità e accoglienza per il breck unitamente al gruppo “mogli/mamme” mentre la Polisportiva di Grisignano di Zocco s’è adoperata per il pranzo conviviale per i partecipanti con finale a sorpresa del “Dolce delle auto storiche “.
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Vita da Pro a 20 anni
arco Tecchio, che lo scorso 31 agosto ha compiuto vent’anni, vive a Cornedo Vicentino assieme alla mamma Monica e alle due sorelle più giovani, le sue più grandi sostenitrici. Il sangue dello sportivo correva già nelle sue vene quando da piccolo praticava il nuoto e le arti marziali. Ha frequentato l’Istituto Superiore Agrario di Feltre e da quando la bici iniziava ad essere seriamente la sua inseparabile compagna di vita, tutte le settimane se la caricava in corriera per avere la possibilità anche a Feltre di allenarsi. Tornava nel weekend, si allenava il sabato mattina, la sera lavorava in pizzeria e il giorno dopo affrontava una gara. Fino a che lo scorso giugno 2013 è arrivato il regalo più grande, il frutto dei suoi sacrifici: qualche mese dopo aver conseguito il diploma superiore è diventato un’atleta “Pro”. Il risultato più importante, che l’ha promosso a livello locale e non solo, tanto da fare il salto di categoria, è giunto con la vittoria alla Noventa-Enego l’11 agosto 2013. Il suo attuale preparatore atletico, Paolo
Santello, quel giorno era presente, ha osservato Marco durante la gara e ha potuto constatare con i suoi occhi quanto Marco valesse e che fosse un corridore promettente. Detto fatto, perché qualche mese dopo Marco firmò un contratto con il nuovo team “Pro” appartenente alla categoria Continental “Area Zero D’Amico” di Ancona di cui Santello ne è il preparatore atletico. Tutti la conoscono come una squadra con un vivaio di giovani talentuosi seguiti da uno staff molto professionale a partire da un Direttore Sportivo di tutto rispetto, Massimo Codol, ex Professionista e pedina importante del team Acqua e Sapone fino al 2012, 2 Team Manager Andrea Tonti e Ivan De Paolis, 2 meccanici, 2 massaggiatori e l’Addetto Stampa Luca Ivessa. La squadra è composta da 11 corridori di età compresa tra i 19 e i 30 anni, provenienti dal Veneto e da altre regioni d’Italia. “Con tutti mi trovo molto bene -ha commentato Marco Tecchio- Il team è affiatato e per me è un onore correre per una squadra Pro perché ho un sacco da imparare, in particolare dai miei compagni del calibro di Pasqualon”. Con la sua prima squadra, la GS Guadense di San Pietro in Gu, di risultati ne ha fatti tanti nonostante siano stati due anni duri perché Marco non era assolutamente abituato a ritmi così sostenuti: durante il primo anno ha conquistato 3 piazzamenti nei primi 10 classificati della categoria Juniores; il secondo anno è stato segnato da numerosi risultati nei primi 10 ma anche nei primi 5, ma sopratutto dalla
di Chiara Guiotto
Fino a 5 anni fa della bici non voleva sapere e preferiva fare trekking in montagna. Poi un bel giorno si è avvicinato al gruppo sportivo Velo Club Piana di Valdagno e qualche molla in lui è scattata, in particolare quando ha abbandonato la mountain bike per la bici da strada. Possiamo dire che è stato amore a prima vista! Dopo due anni di pedalate amatoriali, gli amici del team valdagnese l’hanno spinto ad iscriversi a qualche competizione perché vedevano in Marco un talento. Da quel giorno, dalla prima gara, nessuno l’ha più fermato e ha iniziato a conquistare numerosi successi fino a che dalla categoria Juniores nel 2013 è diventato un Professionista senza passare per i Dilettanti.
favolosa vittoria della NoventaEnego. Com’è la vita da Pro? “Le corse sono più lunghe, i carichi di lavoro più pesanti e gli allenamenti si aggirano intorno alle 6 ore giornaliere, tutti i giorni della settimana, sabato e domenica compresi. Capita a volte che di ore sulla bici ne facciamo solo tre perché il percorso risulta essere più faticoso e con pendenze maggiori”. É vero che ogni giorno fai 70 Km in più dei tuoi compagni? Parlaci della tua giornata tipo. “La sveglia suona alle 7:30, alle 9:00 salgo in bici e raggiungo i miei compagni a Marostica, ritrovo di partenza per gli allenamenti. Sì, i chilometri in più sono parecchi ma questo non è solo il mio lavoro ma la mia passione e lo faccio molto volentieri. Pedalo dalle 3 alle 6 ore, poi il pomeriggio lo dedico al riposo e alla mia famiglia. Nel periodo invernale alterno la bici con la palestra e la corsa a piedi”. É un ragazzo umile, modesto e determinato Marco, il ragazzo della porta accanto che vorrebbe seguire le orme di Vincenzo Nibali dedicandosi con serietà e professionalità ad uno sport che ha scoperto così per caso ma che ora gli sta regalando enormi soddisfazioni. “Sono solo all’inizio di questa bellissima avventura nel mondo del professionismo -ha proseguito Marco Tecchio- Voglio crescere, cercare di migliorare giorno dopo giorno, poi si vedrà perché ho poca esperienza e ancora molto da imparare”. Il tuo sogno nel cassetto? “Vincere una tappa al Giro d’Italia”. Ma a proposito di gare, il calendario di Marco è fittissimo di impegni importanti sia in Italia che
all’estero. Secondo il programma correrà tra le più conosciute il Trittico Lombardo, la Coppa Bernocchi, la Coppa Agostoni, la Tre Valli Varesine, il Memorial Pantani, la settimana Coppa e Bartali e i Campionati Italiani. Per quanto riguarda invece il calendario europeo ed extra europeo, Marco parteciperà solo per citarne alcune al Castilla Leon in Spagna, al Giro di Slovenia e alla Vuelta a Columbia. In sella alla sua inseparabile Bottecchia, Marco, 63 Kg per 1,77 m, si definisce uno scalatore con spunto veloce, preferendo percorsi con un paio di salite importanti e che quindi scremano il gruppo. Gli infortuni sono purtroppo molto spesso presenti nella carriera dei ciclisti e anche Marco in questi pochi anni può dire di essere stato sfortunato sotto questo aspetto: “Ho avuto un problema di infiammazione alla cartilagine del ginocchio sinistro che mi ha costretto a restare fermo per un mese a fine febbraio -afferma Tecchio- Purtroppo però, rientrato alle corse a fine marzo, dopo soli 20 giorni sono stato costretto a fermarmi un’altra volta, avevo talmente male che mi era impossibile pedalare. Dopo altre terapie riabilitative, a maggio sono rientrato definitivamente”. Una stagione che ormai volge al termine, ma subito un’altra è pronta a prendere il via perché ai livelli di Marco Tecchio il riposo effettivo forse non esiste. Infatti se la stagione termina a fine ottobre, dal mese di novembre Marco frequenta la palestra per un paio di mesi, a dicembre alterna la bici con la corsa a piedi e da gennaio.....di nuovo solo in bici!! In bocca al lupo al giovanissimo ciclista vicentino!
In bici con il ct
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vicenza
Domenica 7 settembre Sportivissimo ha compiuto il “Giro dei Sessanta” con il Ct della nazionale di ciclismo, Davide Cassani: parole poche e fatica tanta di una pedalata indimenticabile.
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i piace quando lo sport fa riflettere il mondo non sportivo. E mi è piaciuta la scelta del presidente della Fiera di Vicenza, Matteo Marzotto, che ha chiamato Davide Cassani, il ct della nazionale di ciclismo, per inaugurare l’edizione 2014 della Fiera Internazionale dell’Oro. Uno sportivo tra gli imprenditori del lusso, ottimo. E Cassani ha fatto un intervento strepitoso sul valore (il contesto era quello giusto) non dei campioni ma dei gregari nel ciclismo: senza squadra, ha detto, non c’è modo di vincere un mondiale e il gran lavoro di un commissario tecnico non è nel decidere chi dovrà lottare per la vittoria ma chi dovrà costruirla. Bisogna capire chi sarà disposto a dare tutto se stesso per far entrare un altro nella storia del ciclismo. Cercare chi si sacrifica non è una cosa da poco, ma è una cosa necessaria. Tutti coloro che hanno vinto un mondiale, hanno vinto grazie a una squadra affiatata che ha pedalato nel nome della propria nazione. Ci vuole gente che pedali per l’Italia, ha concluso il nostro Ct. Come a suggerire che anche per l’altra Italia, quella del lavoro, dell’industria, della politica bisogna trovare gente che sappia fare squadra, se si vuole tornare a vincere. È stato il più applaudito di tutti. Questo l’antefatto. Poi, durante la serata, Matteo Marzotto ha proposto di fare per l’indomani un giro in bici con il ct per le nostre strade: coinvolge Giuliano Prebianca, l’amico che da quasi vent’anni lo accompagna nei giri in bici quando Matteo è qui, e Giuliano chiama me. Appuntamento per il giorno dopo, ore 8 e 30 a Valdagno. Cassani, che alloggia alla Locanda Perinella, sale da Brogliano. Ci incontriamo a Cornedo e decidiamo di fare subito la foto ricordo, perché dopo, da cotti, viene peggio. Matteo non ha tanto tempo a disposizione, deve tornare in Fiera entro le 11 e questa non è una
Giuliano Prebianca, Luigi Borgo, Matteo Marzotto, Davide Cassani
grande notizia per quella che sarà l’andatura del giro. Sulla strada di Priabona giriamo per Cereda e da qui per i Campipiani e come sale la strada, sale anche il ritmo. Cassani e Marzotto vanno forte, mi dicono che riescono a fare circa 10.000 chilometri all’anno e che hanno in programma di partecipare a fine ottobre al Crocodile Trophy, la gara di mountain bike più dura del mondo che si svolge in Australia. Allora Giuliano e io abbiamo capito subito di esser finiti nel bel mezzo di una seduta di allenamento. Abbiamo poche occasioni per parlare di ciclismo se non per farci dire che la squadra Azzurra per i Mondiali c’è e che sicuramente “farà la sua parte”. Per strada, tutti riconoscono Cassani, che pedala con il casco ma senza occhiali. Curiose le reazioni di chi incrociavamo: alcuni, riconoscendo il Ct Azzurro, acceleravano, altri gridavano un saluto, quando ormai era già passato, altri facevano l’espressione stupita di chi si stava chiedendo se veramente era Cassani o se aveva avuto una visione dal “cotto” che era… tranquilli, era proprio Cassani.
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Il presidentissimo
Abbiamo incontrato Rino Dalle Rive, il presidente dell’Alto Vicentino Calcio, l’uomo che sta trasformando l’idea di calcio della valle.
di Luigi Borgo
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ino Dalle Rive è un imprenditore di successo e un grande appassionato di calcio. Come imprenditore ha un gruppo di 5 aziende leader nel mondo delle costruzioni con 250 dipendenti; come sportivo è stato in gioventù un giocatore nel grande Lanerossi Vicenza degli anni Sessanta e oggi è il presidente dell’Alto Vicentino, che non è solo una squadra iscritta al campionato di serie D ma è soprattutto un grande progetto di calcio giovanile con ben 22 squadre, 650 ragazzi, di cui una cinquantina, giovani talentuosi provenienti da tutta Italia, ospitati nella “foresteria” del club a Valdagno.
E com’è messa con il software? Quando c’è una grande storia sportiva, ci sono sempre società e dirigenti sportivi eccellenti. A partire dal sindaco di Valdagno, il dottor Acerbi, che ha capito subito il nostro progetto, ho trovato dirigenti capaci e volitivi. L’avvocato Enzo Urbani, Gianluca Cavion, Stefano Lora, Gianluigi Battistin, detto Tita, con altri dirigenti che mi hanno seguito dall’esperienza di Marano, stanno facendo un ottimo lavoro.
Il campionato è iniziato alla grande? Sì, la prima squadra c’è: siamo a punteggio pieno.
Un progetto ambizioso, presidente! È un progetto e un sogno iniziato qualche anno fa a Marano, dove sono nato e dove ho raccolto grandi soddisfazioni sportive, che continua qui, a Valdagno. Perché Valdagno? Valdagno ha un campo da calcio che in provincia di Vicenza ha solo Vicenza e Bassano. Per giocare in serie D ci voleva un campo importante e lo Stadio dei Fiori è perfetto. Valdagno inoltre ha una grande tradizione sportiva e quindi ha tutta una serie di strutture ottimali. Con la trasformazione dell’ex hotel Pasubio in foresteria per l’alloggio dei giocatori si è creato con il vicino Palalido, il campo d’atletica e il Palazzetto dello Sport Gino Soldà un vero e proprio quartiere dello sport. Valdagno, lo dicevo prima, ha straordinarie strutture, un hardware sportivo degno di una grande città.
Ha una cinquantina di giocatori ospiti qui nella foresteria... Sono ragazzi che sanno giocare a calcio ma che devono crescere. Noi gli diamo la possibilità di vivere in pieno la loro passione. La mattina vanno a scuola e poi al pomeriggio si allenano e studiano. Vitto e alloggio sono gratuiti, ovvero li paga la società. Siamo ben organizzati: abbiamo una cuoca, un aiuto cuoca, personale per le pulizie, uno staff di tutor per aiutare i ragazzi con i loro impegni scolastici e poi tanti tecnici per la nostra scuola di calcio.
Dove andrà l’Alto Vicentino? Chissà! Noi vogliamo fare bene e ce la stiamo mettendo tutta.
E lei come fa a seguire tutte le sue attività, perché l’Alto Vicentino più che una squadra di calcio è un’azienda vera e propria? Ho 5 figli che hanno età comprese tra 16 e i 45 anni. I figli più grandi lavorano con me e seguono le varie attività del gruppo, i più giovani studiano alla Bocconi e al liceo. Il calcio è la mia passione. Mi fa sentire vivo e giovane. Mi piace dare un’opportunità ai giovani: abbiamo 22 squadre e 650 ragazzi. È un investimento? È un amore.
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quelli che...
allenano!!!
a bambino facevi sport??? Scommetto che quasi tutti voi risponderete affermativamente a questa domanda. Verosimilmente alcuni di voi erano anche “bravi”: facevate gare o partite e sicuramente come me, avete fantasticato su un futuro da campioni, magari da campioni del mondo. Quanti di voi ora praticano ancora quello sport che tanto vi ha dato, e sul quale tanto avete fantasticato e investito da bambini? Beh, sarebbe proprio bello avere sottomano i numeri di un sondaggio di questo tipo, perché ad oggi gli adulti sportivi sono veramente rari. Cessare l’attività agonistica è per certi versi fisiologico: ad un certo punto della vita per impegni scolastici o per cambiamenti di interessi, una persona smette di fare competizioni e purtroppo la maggior parte delle volte smette di praticare “in toto” quello sport. Se smettere di fare sport è per certi versi “normale”; smettere troppo presto è invece dannoso: il fenomeno per cui molti cessano di far sport precocemente è chiamato DROPOUT. L’età di abbandono della pratica sportiva è in diminuzione; studi recenti affermano che, sempre più sono i bambini a lasciare la pratica sportiva intorno ai 10 o 12 anni, o anche prima. Ciò è allarmante! Non starò qui a spiegare quanto ogni persona necessiti di fare attività sportiva, anche da adulti, a fini di salute, benessere e prevenzione da patologie cardiovascolari e non solo. Basti pensare che tutti i medici e l’Oms in primis, cercano di sensibilizzare tutti a fare più sport o attività fisica. Eppure, nella società odierna, fare sport è considerato sempre più un accessorio nella vita. Questa superficialità nei confronti dell’attività sportiva e il collegato fenomeno del DROPOUT sono da combattere e ora vediamo da vicino il perché. Lo sport, sia esso individuale o di squadra, deve essere considerato come la strada privilegiata con cui un bambino acquisisce tutta una serie di competenze che gli servono, e gli serviranno prima ancora che come sportivo come adulto di domani. Un elenco completo di abilità e strumenti che la pratica sportiva e
Dott.ssa Rubbo Nicole PSICOLOGO DELLO SPORT riceve a: Asiago (VI), Cassola (VI) & Vicenza
l’agonismo trasmettono sarebbe qui impossibile e noioso da analizzare, tuttavia mi preme sottolineare come attraverso lo sport (e più qui che in altri contesti) il bambino cresce a livello fisico, psicologico e sociale e sviluppa capacità come quella: -di conoscere meglio se stessi (autoconsapevolezza e autoefficacia), -di relazionarsi col prossimo -di sperimentarsi in un gruppo di pari. Elementi indispensabili alla crescita, infatti, sono: il divertimento, la socializzazione, l’agonismo, il senso di responsabilità, l’autonomia e l’auto-espressione. A 10 anni è presto per interrompere un’attività sportiva perché, in altre parole, precludiamo al bimbo delle occasioni per crescere e sviluppare strumenti importanti per affrontare la vita. A pensarci bene poi, proprio lo sport è la più grande metafora della vita: cosa significa vivere se non faticare per raggiungere i propri obiettivi ? ...siano essi vincere una medaglia, far carriera o avere una famiglia. Fare sport insegna “a stare a ‘sto mondo” dicono dalle mie parti, e infatti impari che solo il duro lavoro porta alla realizzazione dei propri sogni, impari a star con gli altri, impari ad accettare le sconfitte e a goderti le vittorie, impari a gestire le ingiustizie, impari a vivere... ...insomma. Eppure nonostante tanti professionisti che gravitano attorno al mondo dell’attività fisica lavorino e cerchino di sensibilizzare più persone possibili sull’importanza di fare sport, si smette sempre prima. Le cause del drop out sono molteplici e i colpevoli più di uno. Gli studi condotti ci dicono che i fattori principali sono tre: mancanza di divertimento, eccessiva competizione e stress legato alla pressione percepita. Se parliamo di bambini, ed è il nostro caso, dobbiamo “metterci tutti nella zucca” che per loro lo sport è gioco. Tale deve essere fino all’adolescenza ma anche oltre! Dato che sappiamo tutti che nessuno si realizzerà mai nel fare un qualcosa che non gli piace, dovranno essere le società, ma ancor più gli allenatori che dovranno uscire
Phone: 3494507987 mail: nicole.rubbo@libero.it
da una “logica adulta” solo orientata a risultati e performance ed adattarsi allo sportivo che hanno di fronte. E l’allenatore bravo sarà colui che si adatterà a bambini di 8 anni in maniera diversa da quelli di 12, allenandoli trasmettendo la tecnica e la tattica, ma facendoli soprattutto divertire e trasmettendo l’amore per quello sport. Direte.. ovvio! Beh, non crediate sia così semplice e posso dirlo con fermezza, non tanto in quanto psicologo dello sport ma come exallenatrice, e soprattutto ex-atleta, quale sono. Tutti noi allenatori pensiamo di essere “bravi” perché ci mettiamo il cuore, perché ci affezioniamo ai ragazzi, o perché eravamo “i migliori” una volta, ma tutto questo a quanto pare non basta... E’ fondamentale avere più conoscenze sui comportamenti di bambini e dei ragazzi, studiare di più la psicologia che sta alla base del rapporto allievo-allenatore e sapere cosa ci suggerisce la pedagogia. E’ necessario avere le idee chiare, ad esempio, su come combinare divertimento e gioco a pretese agonistiche oppure sapere come incide su un bambino il divorzio dei genitori, ad esempio, oppure il bullo a scuola o ancora la nascita di un fratellino. Ora non pensiate che servi una laurea in psicologia o in pedagogia per allenare i primi calci o minibasket, ma se vogliamo essere bravi allenatori è necessario pensare che ogni allenamento e ogni stagione deve insegnarmi qualcosa. Siate curiosi, umili e onesti con voi stessi, così sarete grandi coach e solo questa sarà la strada per invertire la rotta del fenomeno del dropout. A onor del vero, per concludere, noi allenatori non siamo gli unici colpevoli, infatti come detto prima i colpevoli sono più di uno. Sotto la lente di ingrandimento dovremo mettere anche le famiglie, in particolare mamme e papà ma di questo parleremo sul prossimo numero! “L’allenatore deve avere la qualità morale per sapere che i maestri sono i giocatori, non il contrario.” Silvano Prandi (allenatore nazionale italiana pallavolo-bronzo olimpico Los Angeles 1984)
30° ANNIVERSARIO CICLO CLUB NOVALE: storia di un club e dei suoi valori, perché la vita è come andare in bicicletta: per mantenerti in equilibrio devi muoverti.
1984...
Una vita in bici
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ra un pomeriggio di giugno e mi decisi di andare in soffitta, per fare un po’ di ordine. Erano anni che non lo facevo e spostando alcuni scatoloni e altre cianfrusaglie ho visto spun-
Durante quel tragitto, fatto con la vecchia bici, mi vennero in mente alcuni episodi di gioventù, quando nei giri fatti con gli amici, ci si divertiva con scatti e volate e fughe varie, con gli immancabili sfottò. Dopo un po’ arrivai a Novale e andai verso la Chiesa. Mi fermai e seduti sugli scalini
di Vittorio la polvere e dalle ragnatele, Caneva improvvisamente ho udito una voce che mi diceva “perché non tare nella penombra una vecchia mi porti a fare un giro? Ho vobicicletta da corsa, una di quel- glia di fare una pedalata come ai le in acciaio, con i fili dei freni vecchi tempi”. esterni, con le leve dei cambi sul Rimasi sbalordito. Mi guardai triangolo del telaio e le gabbiette intorno per capire chi avesse che stringevano le scarpe fisse parlato, ma non c’era nessuno. sui pedali; una bici fine anni ‘70. Dopo un po’ udii di nuovo quella Mentre cercavo di ripulirla dal- voce e quelle parole e con estremo stupore notai che proveniva-
dell’Oratorio notai due persone che io non conoscevo. A quel punto la voce mi chiese se volessi sentire una bella storia che riguardava quelle due persone ed io acconsentii. “Correva l’anno domini 1978 quando in una serata d’autunno due amici Bruno Lovato e Lino Massignani si diedero appunta-
mento all’Oratorio di Novale e visto lo stato di degrado in cui lo stesso si trovava, si chiesero cosa potevano fare per dare nuovi stimoli di crescita e di sviluppo ai ragazzi che frequentavano l’Oratorio . Vista la comune passione per la biciletta a loro venne in mente di creare un gruppo che fosse un punto di aggrega-
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no dalla bici stessa. Feci finta di niente, ma tra me e me mi convinsi che forse non era sbagliato assecondare quella richiesta e dopo un breve ingrassaggio delle parti meccaniche e una gonfiatina alle gomme partii. Mentre pedalavo sentii di nuovo quella voce che mi diceva. “Ti indico io la strada. Vai verso Novale”.
zione in ambito sportivo, culturale, ludico e ricreativo. Bisognava creare cioè un gruppo ciclistico che facesse da punto di incontro tra giovani e meno giovani e che potesse essere educativo e nel contempo tenesse lontana la gioventù dalle brutte compagnie. E pensarono che la migliore scuola, sia per i giovani che per i meno giovani,
...2014 fosse il ciclismo, che rappresenta nella sua essenza la vita. Infatti senza il sudore e la fatica e la preparazione non si possono ottenere risultati. Le scorciatoie non esistono. Bisogna impegnarsi se si vuole ottenere qualche cosa. I due amici decisero allora di far partecipe del loro progetto anche Don Francesco, un prete lavoratore che si dimostrò subito una buona spalla e che affidò
a Bruno e Lino un locale come sede del nuovo gruppo. Il primo passo era stato fatto. Ora bisognava, con il passa parola creare un movimento per cominciare a pedalare. Si organizzarono le uscite alla domenica mattina e Don Francesco, che celebrava sempre la Messa alle otto, teneva sotto il saio il completo da ciclista con le scarpette, per essere pronto a partire assieme agli altri. In poche domeniche il gruppo
cominciò ad aumentare fino a raggiungere i 25 / 30 ciclisti. L’entusiasmo era alle stelle. Nella vallata esistevano già dei gruppi storici ben organizzati quali: Cornale , Marzotto, Ospedalieri e Lumache e il desiderio a questo punto era di costituire un vero Gruppo ciclistico sportivo con una identità ben definita. I nostri due promotori, assieme ad altri che si erano appassionati all’idea, riuscirono a coinvol-
gere anche Giuliano Prebianca, dal quale venne la svolta decisiva, con la sponsorizzare del Club al quale venne aggiunto il nome Valtermo. Finalmente si ebbero anche le divise ufficiali del club di colore verde acqua con delle bande grigie. Infine il Ciclo Club si dotò anche di uno Statuto, di un Presidente, di un Consiglio e di un Segretario. Correva l’anno 1984”. A questo punto chiesi alla Voce
44 cosa avesse fatto di importante questo Club negli anni successivi e Lei rispose: “Innanzitutto i soci del Club organizzarono fin da subito delle Pedalate Novalesi, che non erano altro che delle manifestazioni aperte a tutti, grandi e piccoli e che avevano come scopo quello di far conoscere la bellezza dell’andare in bici in compagnia e di aggregare nella passione per le due ruote più persone possibili. Poi il Club ha contribuito a promuovere fin dal 1987 la
conoscenza e la pratica della Mountain Bike, non solo in vallata, ma anche a livello regionale. Questo mezzo di locomozione fu visto come un modo diverso, nuovo di praticare lo sport della bici, in quanto dava la possibilità di riscoprire luoghi e paesaggi che erano ai più sconosciuti. Il tutto si è poi trasformato in una passione agonistica tanto da indurre il Ciclo Club ad organizzare delle gare a livello nazionale in quel di Rovegliana. Molti poi dei suoi soci si sono fatti notare negli anni successivi
anche in gare molto importanti. Ma non solo di sport si è occupato il Club. Infatti è stato promotore, assieme ad altri gruppi, nel progettare una strada sugli argini dell’Agno, che permettesse a tutti, uomini, donne e bambini di riscoprire zone che erano state precluse ai cittadini. Molti furono gli incontri con i Comuni per discutere di questa iniziativa e parecchi anni dopo questo progetto divenne la Pista Ciclabile dell’Agno. Inoltre non tutti sanno che il Ciclo Club si è fortemente impegnato con proposte, dibattiti e
articoli sui giornali per eliminare alcune storture della Legge Regionale 14 del 31/3/92 che vietava alle due ruote di percorrere sentieri e strade montane. Come vedi uno sguardo agli iscritti ed uno alla comunità.” Rimasto meravigliato di quanto udito chiesi di avere qualche informazione in più sui Presidenti che hanno gestito questo Club e la voce mi risponde.“Dal 1984 al 1991 Presidente del Club è stato Bruno Lovato, persona equilibrata, sempre attenta ai giovani e alla loro crescita culturale e morale. Dal 1991 al 2004
Giuliano Prebianca, persona generosa, vulcanica , attiva, scattosa, sanguigna ma appassionata e che crede fortemente nell’amicizia. Dal 2004 al 2010 Lino Massignani, persona buona, precisa, meticolosa, sempre disponibile e che purtroppo una subdola malattia ha prematuramente portato via da noi. Infine dal 2011 Manuele Frapiume, giovane, eclettico, sempre disponibile, fortissimo discesista e anche organizzatore. Con la sua presidenza si è deciso, nel 2014, di festeggiare il 30° dalla costituzione ufficiale del Club ed assieme al Consiglio ha elaborato un programma che prevede varie uscite con la Luna Piena, La gita Riva del Garda- Lago di Tenno, La Valdagno- Gavia, la O’neil Extreme, il Giro di Levico e dintorni, la Gita sull’Altopiano di Asiago ed altre manifestazioni aperte a tutti.” Stavo ancora pensando a tutto quello che mi era stato detto quando un forte suono, forse quello delle campane della Chiesa mi fece sobbalzare e mi svegliai di soprassalto. Mi accorsi di essere ancora in soffitta e che tutto era come prima e la bici, tutta impolverata,
stava ancora là dove l’avevo vista. Allora mi chiesi stupito se fosse stato tutto un sogno, se tutto quello che avevo sentito era pura immaginazione e mi pareva impossibile perché era troppo importante, troppo perfetto quello che avevo sognato e quello che avevano fatto queste persone e questo Club. Bisognava che questo sogno diventasse realtà. Un Ciclo Club deve essere formato da persone che si impegnano non solo per se stesse ma anche per gli altri, che si entusiasmano e che condividono emozioni, passioni, progetti, sfide, tenendo sempre presenti i valori della amicizia e della lealtà reci-
proca. Un Ciclo Club così deve per forza esistere. Non mi rassegnavo. E allora decisi di partire con la mia nuova bicicletta e di dirigermi verso l’Oratorio di Novale, dove tutto ebbe inizio. Girai a lungo ma non incontrai nessuno e allora rassegnato ritornai a casa. Ero comunque felice e pensavo che sarebbe stato bello avere un Ciclo Club così, con persone che dedicano parte del loro tempo agli altri, cercando di trasmettere loro quello che provano. Alcune settimane dopo andai a Corvara per partecipare alla Maratona delle Dolomiti. Alle
cinque del mattino ero già in griglia a un centinaio di metri dalla prima fila. Al via partii di buona lena e superato di slancio il Campolongo cominciai la salita del Pordoi. Dopo alcuni chilometri a tutta alzai lo sguardo e in lontananza, alcuni tornanti sopra di me vidi un ciclista con una maglia verde acqua con delle bande grigie con su scritto “ 30° anniversario Ciclo Club Novale”. Ed esclamai, ma allora esiste questo club, non è un sogno! Era con il gruppo dei migliori e non riuscivo a raggiungerlo….Ma questa è un’altra storia.
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Piana corre forte
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di Orazio Zanatta
PIANA WILD TRAIL 2014 RUNNING & NORDIC WALKING
on solo ciclismo ma anche trail nelle molteplici attività organizzate da ASD VELO CLUB PIANA, domenica 27 aprile ha visto infatti la nascita della prima edizione del PIANA WILD TRAIL RUNNING & NORDIC WALKING, un evento sportivo che ha riscosso un notevole interesse ed una numerosa partecipazione di runners della zona ma anche da fuori provincia e fuori regione. Il percorso impegnativo di 18 km e 900mt d+ si snodava sui colli limitrofi alla frazione di Piana di Valdagno in un misto di strade sterrate e sentieri con passaggi tecnici e panorami spettacolari sulle colline che delimitano la Valle dell’Agno. Purtroppo non si è potuto godere in pieno della bellezza del percorso a causa di un temporale che ha funestato la partenza e della pioggia che ha accompagnato la manifestazione senza tuttavia condizionare più di tanto la performance degli atleti. Quasi 200 iscritti si sono sfidati con spirito battagliero e competitivo lungo il percorso dove erano presenti 2 punti di ristoro adeguatamente riforniti e dove tutti i concorrenti hanno avuto modo di recuperare le energie suffi-
cienti per arrivare al traguardo. Lo start é stato dato puntuale alle ore 9 dalla piazza di Piana e due sono state le categorie in competizione: running e nordic walking. Per il running maschile il vincitore assoluto è stato il forte atleta di casa Stefano Benincà Runners Team Zanè che, con il tempo di 1 ora e 20 minuti, è giunto in solitaria al traguardo. Alle sue spalle si sono dati battaglia Valerio Romare La Fulminea Running Team che ha avuto la meglio su Nicola Montecalvo GS Gabbi Team New Balance. Da segnalare anche una folta partecipazione di runners femminili che, incuranti delle avverse condizioni meteo, hanno dimostrato di poter competere alla pari con i
colleghi del “sesso forte”. Anna Zilio Runner Team Zanè, prima donna al traguardo, ne è stata la dimostrazione piazzandosi 1^tra le donne e al 24° posto assoluto; in seconda posizione, a pochi minuti, Sabrina Roncaglia La Fulminea Running Team. La specialità del nordic walking ha visto la partecipazione di 30 atleti su un percorso di 13km, in questa categoria il primo posto è andato al forte atleta di Santorso Vasco Greselin . A fine gara tutti i concorrenti hanno usufruito del ricco pasta party ed assistito con grande entusiasmo alle premiazioni che si sono svolte presso il centro giovanile di Piana, come sottofondo, musica live con Area 51. L’ASD VELO CLUB PIANA ha voluto anche premiare con un trofeo speciale i runners ,uomo e donna, che sono transitati per primi al gpm situato in prossimità del grande faggio secolare posto a circa 900slm. Un doveroso ringraziamento va a tutti coloro che si sono impegnati e prodigati per la riuscita della manifestazione fornendo supporto e disponibilità lungo il percorso e in zona partenza/ arrivo; non si possono inoltre dimenticare i numerosi sponsor che con il loro contributo hanno supportato il comitato organizzatore. L’ASD VELO CLUB PIANA non si ferma e, grazie alla mente vulcanica del presidente Giuliano Grigolato, ha già in in cantiere per il 2015, non solo la 2^edizione del Wild Trail, ma una nuova e affascinante iniziativa. Un grazie a tutti e vi aspettiamo il prossimo anno sempre più numerosi nello splendido panorama delle Prealpi Vicentine per rivivere assieme nuove emozioni! Ready to Run?
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L’alta via
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ttraversare le Prealpi vicentine è un’avventura alla portata di tutti, i percorsi segnalati e le cartine dei sentieri, edite dalle Sezioni Vicentine del Club Alpino Italiano permettono ad un escursionista mediamente allenato di rivivere in sette tappe giornaliere, da Recoaro al Grappa, le atmosfere incantate di un rinnovato rapporto di equilibrio con la natura…. a pochi chilometri da casa. L’Alta Via delle Prealpi Vicentine è percorribile anche utilizzando tre week-end. Alla fine di ogni tappa per il pernottamento ci si può servire dei numerosi rifugi, oppure di due bivacchi, uno al Passo della Borcola, l’altro nei pressi di Cima Dodici. Lasciarsi sorprendere dai giochi di luce nel bosco, riscoprire i ritmi della natura, immergersi nelle storia , vuoi di Confine, come suggerisce Tarcisio Bellò, nel suo bel libro Alta Via delle Alpi
Trekking delle Prealpi Vicentine: l’alta via, da Recoaro Terme al Grappa di Mariano Storti
Vicentine, Storie di Confine, accompagnati dal Serenissimo Provveditore ai Confini, Conte Francesco Caldogno è una grande occasione di arricchimento culturale. Ma le “orme, le tracce storiche” possono essere anche altre: la Prima Guerra Mondiale, come ci indicò ì il nostro maestro Gianni Pieropan con i suoi libri e con una frase : “leggere e camminare”, oppure la Resistenza, come mi suggerisce mio padre. A malga Campetto, nei pressi di Montefalcone è nata la formazione partigiana Garemi. Campogrosso è la montagna di Toni Giuriolo, lassù fuggiva “dall’angoscia della Città …” Malga Zonta, malga Manazzo
sono altri luoghi legati alla resistenza che l’escursionista vede nel corso della traversata. Infine al trekker, a chi “viaggia lento” il silenzio delle nostre piccole grandi montagne potrà suggerire altri temi: le Prealpi Vicentine come oasi di natura su una pianura-città sempre più globalizzata, la montagna come luogo e riscoperta delle proprie radici. Anche qui ci si potrà inventare un itinerario sulle tracce di un altro grande scrittore vicentino, Mario Rigoni Stern: “Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su una slitta tirata da un generoso cavallo per la piana di Marchesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero, come sarebbe triste il mondo.”
Marchesina 2001 gli itinerari: un percorso aperto Chi scrive per la traversata delle Prealpi Vicentine è partito a piedi da casa, da Recoaro Terme e lungo il Sentiero Italo Soldà ha raggiunto Recoaro Mille, poi Montefalcone e proseguendo lungo la Catena delle Tre Croci ha il Passo della Lora, poi il Rifugio Scalorbi, Bocchetta dei Fondi, Rifugio Campogrosso. Chi abita a Valdagno può salire a Cima Marana e proseguire sempre lungo la Catena delle Tre Croci. Dalla Valle del Chiampo si può raggiungere il Rifugio La Piatta ed innestarsi nel percorso precedente attraverso il Passo della Scagina. L’intera traversata può essere fatta, in senso inverso, cioè da Est ad Ovest partendo da Bassano Del Grappa. Ora per brevità elenco le cime principali e le principali direttive di marcia: Recoaro, Montefalcone, Passo della Lora, Fumante quota 2010., Rifugio Campogrosso, Pian Delle Fugazze, Pasubio, quota 2232 ., Passo della Borcola, Monte Maggio quota 1853, Lavarone, Monterovere, Passo Vezzena, Rifugio Larici, Portule quota 2308, Cima Dodici quota 2336, Monte Ortigara quota 2106 , Caldiera quota 2124 metri, Castelloni di San Marco, Marcesina, Enego, Cismon del Grappa, Cima Grappa quota 1775 metri. Chiudo queste note con una proposta, sarebbe bello inserire la
Hockey a scuola
di Giannino Danieli
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valdagno
Un progetto rivoluzionario per fare decollare il settore giovanile biancoceleste di Giannino Danieli
I
Catia Ferretti , Nico Cracco , Roberto Danieli,
grande traversata delle Prealpi Vicentine nell’edizione 2015 della Trans d’Havet, sul modello de La Petite Trotte à Leon, gara di ultra resistenza a squadre, senza classifica, in autonomia totale ed in squadre indissociabili composte da 2 o 3 partecipanti. La Petite Trotte si corre all’interno della manifestazione internazionale Ultra Trail del Monte Bianco, ma vista la lunghezza i concorrenti partono alcuni giorni prima. Buona montagna
n questo concetto si racchiude “Hockey: una scuola” presentato in una Sala Marzottini gremitissima, non solo di addetti del settore, a dimostrazione che i presenti non solo sono stati attirati dalla curiosità ma anche dalla sensazione che tirasse veramente aria nuova. Mai in 76 anni di vita del club laniero s’era prospettata una simile soluzione. Ad aprire gli interventi è stato Roberto Danieli, referente di fiducia del sindaco Acerbi per la Consulta dello Sport con delega per i rapporti con Provincia e Regione. “Il progetto è un’iniziativa che avrà un seguito –ha sottolineato Danieli-. Per i ragazzi si prospetta anche una crescita culturale e sociale”.
Flaviano Rigoni
Il testimone è quindi passato al presidente del Valdagno 1938. “Una società che si rispetti –ha detto Nico Cracco- non può esimersi dall’avere un settore giovanile all’altezza. Ed è nostra ferma intenzione attingervi sempre di più. Il progetto non ha lo scopo di creare campioni, ma formare prima di tutto bravi ragazzi e uomini. L’auspicio è che i genitori comprendano il cambiamento e che accettino di mettersi a disposizione. Per consentire ai giovani dalla categoria under 13 alla under 17 di potersi confrontare in un campionato importante verrà formata anche una squadra per la A2”. La parte più complessa della serata è toccata a Catia Ferretti,
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dg del Valdagno 1938 e ideatrice del progetto ‘Hockey: una scuola’. “Contiene un rilancio della disciplina in una Valdagno dove c’è una tradizione molto radicata. Stiamo gettando le basi per il futuro, coinvolgendo atleti dirigenti e tecnici”. Per la prima volta entrano concetti come programmazione e metodologia di lavoro oltre a punti fermi come obiettivi, finalità e strategie. “Un iter che è fatto di piccoli passi –ha continuato Ferretti-. Sono necessarie non soltanto risorse umane ed economiche, ma anche la collaborazione con le istituzioni. Il gruppo che opererà nell’ambito del progetto sarà chiamato a fare vera formazione a partire dai piccoli atleti. Si dovrà iniziare con un ottimo livello di base e con un diverso e più razionale utilizzo degli impianti. La nostra intenzione è di dare l’opportunità a tutti di giocare. Le priorità sono rivolte alle risorse umane”. Novità di rilievo, in tema di coinvolgimento, le sinergie già in atto con altre realtà sportive quali l’Alto Vicentino Calcio e la Polisportiva.
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rappresentativa
di Giannino Danieli
I MAGNIFICI DIECI UNDER 17 PORTIERI Alessio Perroni Bruno Sgaria ESTERNI Nicolas Barbieri e Davide Gavioli Alessandro Faccin e Alberto Greco Francesco Compagno Giacomo Maremmani Alex Raffaelli Giacomo Tumellero
1999 Sarzana 1998 Breganze 1998 1998 1999 1998 1998 1998
UVP Mirandola-Modena Trissino Breganze Forte dei Marmi AS Viareggio Bassano
Soltanto Gavioli e Maremmani facevano parte della spedizione azzurra dello scorso anno ad Alcobendas che chiuse al quarto posto. Per tutti gli altri si è trattato dell’esordio assoluto in maglia azzurra.
CAMPIONATI EUROPEI UNDER 17 HOCKEY PISTA Ventidue anni d’attesa per un sogno d’oro
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ujan Mestras come Il Alcobendas. 2014 s’è consacrato anno d’oro per i colori azzurri. Lo aveva iniziato a sorpresa la Nazionale Senior del ct Massimo Mariotti conquistando ad Alcobendas un oro che mancava dal palmares da ben 24 anni. E proprio nello scorso agosto i nazionali Under 17 hanno imitato quelli della maggiore a Gujan Mestras, un paese ad alcune decine di chilometri da Bordeaux. Per il titolo continentale, va detto, non erano favoriti né i Senior e nemmeno gli Under 17, ma il gioco che entrambi hanno saputo
esprimere in pista ha davvero incantato tutti. Due ori, quindi, strameritatissimi. Dopo due edizioni con la medaglia di legno (quarto posto), l’Italia è quindi tornata sullo scalino più alto del podio europeo under 17, migliorando il terzo posto di Ginevra (2011). Per l’argento l’ultima traccia risaliva all’edizione di Bassano del 2008. Quanto all’oro l’ultimo risaliva all’edizione di Viareggio del 1992.
R 17 DE UN A ST PI EY CK HO O PE RO EU O AT CAMPION degli azzurrini oro Italia Campione d’Europa Il match-capolav
E
un Barbieri fece lo scalpo alla Spagna. Agli Europei di Francia, disputati a Gujan Mestras, l’Ita-lia confeziona un’autentica impresa vincendo contro gli iberici con un golden gol nel primo supplementare. Un oro strameritatissimo, che arriva dopo 22 anni ovvero dall’edizione del 1992 disputata a Viareggio. E così a Gujan Nestras gli azzurrini bissano l’impresa della Senior ad Alcobendas. In Francia i magnifici dieci di Tommi Colamaria ed Enrico Mariotti hanno sorpreso tutti innestando una marcia trionfale, fermati sull-1 soltanto da Andorra. L’avvio della finalissima con la Spagna è all’inse-gna dell’equilibrio. Entrambe le squadre adottano una marcatura alta e l’Italia copre bene nelle retrovie e va di rimessa. Fra i pali Sgaria è un estremo monstre. Ma gli azzurrini ribattono, Zapater si deve superare per ribattere un tiro insidiosissimo di Maremmani. Primo brivido al 4’53” quando Greco si becca il blu. Batte la punizione di prima Maideu, ma Sgaria è un drago. L’Italia supera senza danni l’inferiorità numerica e nei minuti seguenti resta molto compatta, ma fatica a costruire e incidere contro una Spagna quadratissima in difesa. Al 9’43” altro brivido quando il portoghese Leao assegna un rigore molto dubbio alla Spagna. Va al tiro Bars, para alla grande Sgaria e pure la ribattuta. La Spagna fa qualcosa in più sotto il profilo della manovra, ma l’Italia è concentratissima e a 27” dal ter-
mine Gavioli è fermato dal palo. Si va al riposo sullo 0-0, 53% di possesso palla per la Spagna e 47% per l’Italia. Ripresa. Le squadre difendono altissime. E Sgaria continua nella sua eccezionale serata. La Spagna entra in area con più frequenza degli azzurrini, ma è un match che sembra destinato a decidersi sugli episodi. Il secondo tempo regolamentare, nonostante una serie di occasioni anche pericolose nessuna delle due riesce a passare. 54% di possesso palla per la Spagna, 46% per l’Italia. Tutto rimandato quindi ai supplementari. Che iniziano con un botta-e-risposta. Ma all’1’28” dalla balaustra Gavioli mette in area piccola, Barbieri è marcato stretto, ma riesce a toccare quel tanto che basta per ingannare il pur bravo Zapater. E’ apoteosi azzurra!
SPAGNA-ITALIA 0-1
LA MARCIA trionfale degli UNDER 17
(pt: 0-0, st: 0-0) Rete 1° supp.: 1’28” Barbieri SPAGNA: Arcas, Bars, Roman, Fernandez, Maideu, Ballart, Bigas, Ricard, Najera, Zapater. All: Sanz. ITALIA: Sgaria, Greco, Barbieri, Raffaelli, Compagno, Tumellero, Gavioli, Faccin, Maremmani, Perroni. All: Colamaria Arbitri: R.Leão (Por), X.Bleuzen (Fra). Espulso ( 2’): 4’53” pt Greco
I
l debutto degli azzurrini Under 17 ai Campionati Europei è stato fatto con la Svizzera. Un match a senso unico quello contro gli elvetici chiuso con un eloquente 5-1 (doppiette di Gavioli e Greco, gol di Compagno). Un inizio davvero beneaugurante che ha trovato immediata conferma nella seconda partita disputata contro l’Austria suggellata da un travolgente 10-0 firmato da Greco (3), Compagno (2), Gavioli (2), Faccin, Barbieri e Raffaelli. La partenza esplosiva è stata raffreddata nel terzo match contro un’Andorra dal dna catalano. Dopo il gol in apertura di Greco gli azzurrini riuscirono a complicarsi la vita
e rimediarono il gol del pari a metà ripresa senza più riuscire a ribaltarlo. Fu solamente una buccia di banana perché gli azzurrini nel quarto terribile match contro i Campioni uscenti del Portogallo offrirono una prestazione stratosferica imponendosi con un netto 3-0: Greco e Gavioli nella prima frazione, ancora Gavioli nella ripresa. Una vittoria che consentì agli azzurrini di classificarsi primi nel proprio girone. Via quindi alla semifinale contro la Francia padrona di casa. Nonostante un match tiratissimo dove i transalpini non hanno lesinato in grinta e rabbia, i ragazzi di Colamaria e Mariotti si sono imposti per 3-1: dopo il 2-0 azzurro della prima frazione (Gavioli e Compagno), nella ripresa è arrivato il gol della Francia, ma a 2’11” dalla fine il gol di Greco ha spento del tutto le velleità avversarie. E’ stato il match che ha proiettato gli azzurrini alla finalissima contro la Spagna.
Foto di Giampaolo Calzà
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lettere
Sacrif ici o talento
Potete scrivere al Senatore Alberto Filippi inviando le vostre e-mail a: sportivissimo@mediafactorynet.it Le vostre lettere possono essere lette anche nel sito: albertofilippi.it
Caro Senatore, non voglio esagerare dicendo quello che sto per dire, però, sono un giovane che non riesce quasi mai a essere pienamente soddisfatto di quello che fa e di quello che è!!!! Vorrei fare meglio nello sport ma anche nella scuola, in famiglia, con gli amici. Recentemente ho letto un libro in cui il protagonista era un uomo di circa 30 anni che si bocciava almeno tre volte nel corso di una giornata. Non commetteva particolari errori nelle cose che faceva: lavoro, sport e famiglia, soltanto, a suo giudizio, non le faceva mai sufficientemente bene. Io un po’ mi identifico in questo personaggio che vuole sempre dare il meglio di sé ma che, a suo stesso giudizio, non ci riesce mai. E quindi si boccia “almeno 3 volte al giorno”. Mio padre al riguardo dice, e io condivido il suo pensiero, che è positivo questo spirito perché così ci si migliora. Ogni bocciatura non va letta come una sconfitta ma come un momento di riflessione per poter realizzare un passo in avanti lungo la via del nostro miglioramento. Perché, dice, il vero segreto per diventare sempre più bravi sta proprio in questo: lavorare, capire dove si sbaglia, correggersi; lavorare, capire dove si sbaglia, correggersi e così via per sempre. Filosofia del sacrificio, quindi. Però nel mondo dello sport, del calcio soprattutto, pare ci sia un’altra scuola di pensiero, quella del talento, delle doti naturali, dei nati “cristianoronaldo”. Le chiedo, allora, se nella sua esperienza di vita, che l’ha vista conseguire la ragguardevole carica di Senatore, sia stato più determinante il sacrificio o il talento? Attendo una sua risposta, cordiali saluti, Davide.
Carissimo Davide, riflettere sui propri errori è fondamentale per crescere. Tutti commettiamo errori (e anche più di 3 al giorno) ma sono pochi quelli che se ne accorgono. E sono pochissimi quelli che nel proprio errore vedono uno stimolo per migliorarsi. I più o non si accorgono nemmeno degli errori che fanno (nemmeno quando qualcuno glieli fa notare!) o vedono nei propri errori un motivo per deprimersi, per abbattersi, per piangersi addosso. Ci vuole talento per vedere con lucidità quello che si fa e quello che si è; ci vuole un super talento per cogliere nel proprio errore uno stimolo a dare di più, a migliorarsi. Se tu, come scrivi, ci riesci, vuole dire che hai quella sensibilità e quell’intelligenza che ti porterà sicuramente a crescere nello sport come nello studio, nel lavoro, nelle relazioni di tutti i giorni. Non c’è opposizione tra talento e sacrificio ma completamento. Nessun grande uomo, sportivo o artista o scienziato, è arrivato a conseguire il proprio successo senza sacrificio e senza talento. Cristiano Ronaldo è nato con talento certamente ma ha anche consumato centinaia di scarpette da calcio sui campi di Funchal dov’è nato. Nella mia esperienza, come tu mi chiedi, è stato fondamentale capire quanto il duro lavoro possa ripagare. Poi, certo, c’è voluto, come sempre nella vita, anche una certa combinazione di momenti favorevoli (un po’ di fortuna) ma, credimi, il lavoro è sempre stato tanto. Con simpatia, Alberto
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