SPORTIVISSIMO DICEMBRE 2019

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Incontro con il Maes Dirett tro Marco Vigolo ore di Tecnic de Mixed o Na Ita lla Fe Ma zional lia de rtial na ra e Art FIK zio s BM ne S

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Hockey la Partita del Cuore

Dan Serblin show Quad acrobatico

Michele Cervellin Campione Italiano

Matteo Marzotto

Alberto Tomba incanta Valdagno

Tommaso Leoni

Nazionale Italiana Snowboard

Luca Zaia Veneto, terra di sport

Gran Fondo Valdagno

Campione e leader tra sport e impresa,

Omobono Tenni

a Italiano Il primo motociclist il Tourist a vincere, nel 1937, Trophy in sella ad una

Moto Guzzi 250

13 anni e 99 numeri gli Sportivissimi

verso quota 100 Franco Picco

protagonista alla Dakar 2017 sudamericana

Buon compleanno parapendio!

Luca Rigoldi

campione europeo

fotograf ia subacquea

Stefano Scortegagna ai vertici mondiali

Alberto Tomba

ricordi olimpici in una notte magica a Chiampo

Magica Norvegia MountainElks ski spirit

Luca Scortegagna Missione fotografica a Castelluccio di Norcia

numeri di sportivissima passione


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COSA FACCIAMO

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Siamo in servizio dal Lunedì al Sabato, per un totale di 42 or La programmazione annuale delle attività prevede la pianif eventi ricreativi e culturali centrali come ad esempio: F Festa di Natale, Festa dell’Anziano, Feste dei compleanni, p del calendario con protagonisti gli ospiti della Casa, m Olimpiadi dei nonni e Marcia della Famiglia (in collabora Fisioterapiste), gite. Tale programmazione è resa nota nel giornalino (l’Eco) CORNEDO VICENTINO www.lariplast.it Riposo che esce regolarmente ogni inizio mese. Settimanalmente si propongono diverse attività con obiettiv Riabilitazione cognitiva per la stimolazione dell’atte ento memoria e dell’orientamento spazio temporale. Abbigliam Laboratori di terapia occupazionale per stimolare strat che consentano al soggetto di portare a termine at quotidiana. Valdagno (VI) - via E.Fermi 53 - 36078 Attività ludiche per evitare la tel. tendenza 0445 40 17 55 all’isolame percepire al singolo di essere parte integrante di un insiem (ad es. tombola, bowling, tiro al bersaglio, tornei di carte). autofficina Laboratori di attività manuali ed artistiche. Musica e canto (ascolto e produzione). gommista - elettrauto carrozzeria - linea revisioni Gruppi di discussione a tema. Conferenze e cineforum. VALDAGNO - via dell’Artigianato Z.I. tel. 0445 406296 Ginnastica dolce (in collaborazione con le Fisioterapiste).

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Iscrizione al Tribunale di Vicenza il 21 dicembre 2005 n.1124

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portivissimo è arrivato a 100 numeri e potremmo definire questo traguardo una piccola grande impresa sportiva. Solo posando per terra, uno dopo l’altro, i fogli usati in questi 13 anni per realizzarlo, si potrebbe tracciare una ciclabile di carta da Testa Gemella nelle Alpi Aurine, la cima più a nord d’Italia, fino a Punta Pesce Spada nell’isola di Lampedusa, l’estremo sud della nostra penisola: 1300 chilometri di carta, su cui abbiamo raccontato la grande passione di Vicenza per lo sport. Campioni di livello mondiale e semplici amatori, donne e uomini, master e giovanissimi sono stati i protagonisti di questi 100 numeri. Sportivissimo ha parlato con passione della loro grande passione per lo sport. Senza escludere nessuno. Infatti tantissimi, se non addirittura tutti, sono gli sport, di cui ci siamo presi cura. Era il gennaio del 2006, quando abbiamo iniziato. La prima copertina ritraeva Cristina Castagna sulla vetta del Gasherbrum II, quota 8035. Da allora non abbiamo mai smesso di raccontare le piccole e le grandi imprese dei nostri atleti. Non saprei dire qual è stata la più esaltante, sicuramente tutte avevano quello speciale mix di tecnica e forza che è l’essenza di ogni disciplina sportiva. Tecnica, come capacità della mente di gestire il corpo; forza, come capacità del corpo di rispondere alla volontà della mente. Nessuna pratica umana è altrettanto completa come lo è lo sport, che unisce il sacrificio con il divertimento, l’impegno con il gioco, l’uguaglianza delle regole tra tutti i giocatori con la libertà del singolo di perseguire la vittoria, dimostrando tutto il suo talento. Rispetto e merito. Squadra e individualità. Il mondo è tutto di disuguaglianze: religiose, artistiche, sociali, politiche, economiche… Il mondo dello sport è ovunque uguale. Una gara di 100 metri è sempre una gara di 100 metri sia essa svolta in America, in Cina, in Europa, mentre, viceversa, un litro di benzina o un litro di latte ha prezzi differenti da paese a paese. Se l’uguaglianza dei parametri permette di decretare nello sport chi è il migliore del mondo, negli altri campi c’è sempre un gap che favorisce gli uni e svantaggia gli altri e la corsa verso l’eccellenza non è mai così cristallina come dovrebbe essere. I giovani percepiscono tutto questo. Imparano a rispettare le regole comprendendo la loro assoluta necessità per lo svolgimento stesso del gioco. Senza regole sanno che non può esserci confronto. Perciò la via primaria per l’educazione civica dei giovani è senza dubbio la via sportiva. I meno giovani, invece, hanno capito che lo sport è benessere, salute vera. Sono tantissimi quelli che lo praticano ogni giorno, facendo anche imprese di tutto rispetto. Gli sportivi di una certa età dimostrano almeno dieci anni in meno rispetto ai pari età che non fanno sport. Se oggi una persona di 50 anni sembra il figlio di un cinquantenne vissuto negli anni Sessanta, lo si deve principalmente alla diffusione dello stile di vita sportivo nella nostra società negli ultimi 6 decenni. Ecco, in cento numeri, di cosa abbiamo scritto; ecco, questi sono stati i nostri contenuti, sono i nostri valori. Abbiamo scritto di sport, raccontando le imprese sportive di grandi e piccoli atleti, per ribadire quello che lo sport è: la più alta scuola del miglioramento su cui ciascuno di noi possa contare. Lo sanno bene i nostri inserzionisti, i quali, prima di servirsi della rivista come mezzo per farsi conoscere, condividono la necessità sociale di sostenere e diffondere la cultura sportiva; lo sanno bene i nostri lettori, che amano lo sport quale via per essere tutti persone più forti e sane, cittadini più leali e corretti, per essere tutti migliori.

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di onde

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Il cacciatore

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di Cristian Massignani

Cristian Massignani ha compiuto il giro del mondo alla ricerca dell’onda perfetta, cronaca di un viaggio che cambia la vita

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i siete mai trovati a desiderare di vivere una esperienza strepitosa che lasci un segno profondo nella vostra vita? A me è capitato quando il desiderio di fare un viaggio a caccia di emozioni è diventato talmente prepotente che non riuscivo a pensare ad altro se non a quello!! Ma dovevo ancora capire dove, come e quando farlo! Durante una vacanza a Bali per imparare a surfare ho sentito l’adrenalina crescere e cavalcando quelle onde, è stato brivido! In quel momento tutto fu chiaro! Avrei surfato nel mondo. Al rientro la testa mi viaggiava a mille, vedevo ovunque mare sole e onde, avevo superato il punto di non ritorno, il viaggio era cominciato.

A questo punto dovevo decidere quale fosse la migliore destinazione e guardando la mappa del mondo mi resi conto che potevano essere anche più di una. Pensavo: “potrei andare verso est e tornare in Indonesia e quasi quasi lì vicino potrei scendere verso l’Australia! Poi ci sarebbero però anche le famose onde delle Hawaii e poi ci sarebbero quelle del Costarica e poi, e poi e poi…si…lo faccio! Farò il giro del mondo a caccia di onde!” Mentre pensavo e sognavo, comparse però l’esigenza di confrontarmi con la realtà! Avevo una vita tutt’altro che monotona: un bel lavoro con un sacco di viaggi, altrettante partenze per piacere, tanti amici veri, una famiglia che mi voleva bene e tante altre cose… Una domanda mi nasceva

quindi spontanea: “perché dovrei lasciare tutto questo?” “Per vivere quell’esperienza strepitosa che voglio lasci un segno indelebile nella mia vita” mi rispondevo subito. Iniziai quindi a riflettere, a parlarne con le persone più intime e mi resi sempre più conto che lo potevo fare, che dovevo lasciarmi guidare dal vero desiderio che mi avrebbe reso libero, ORA O MAI PIU’! Una scelta del genere non è però di certo semplice: l’entusiasmo è continuamente intervallato dalla paura che tutto quello che hai possa finire e forse per sempre. Questa idea, seppur forte, però non mi convinse, anzi mi dissi che tutto quello che avevo non lo stavo per buttare. Mi sentivo che alla


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fine del viaggio le cose per me importanti avrebbero avuto un valore ancora più grande. Il pensiero che sentivo sempre più forte dentro di me era: “l’esperienza che ho in programma di vivere non sarà certo una passeggiata, sarà costellata di giorni di sole, giorni grigi e di giorni neri, ma sarà un viaggio dentro me stesso senza eguali. Mi aspetto di incontrare persone abituate a vivere una quotidianità di altro tipo, di respirare un’aria nuova e volerla tenere dentro per non perdere quella sensazione, di nutrirmi di nuove culture ed osservare la vita di ogni giorno da punti di vista nuovi. L’oceano e le sue onde mi regaleranno dei grandissimi momenti che resteranno per sempre dentro di

me ad arricchire il piacere di vivere.” Vivere tutto questo poteva anche significare mettere a rischio la mia vita, ma sentivo che per le emozioni che mi avrebbe dato ne sarebbe sicuramente valsa la pena. Ciò che ancora oggi ricordo con piacere è che aver preso questa decisione per me non significava lasciare qualcosa che non andava, ma esclusivamente fare una nuova esperienza che ero sicuro mi avrebbe dato moltissimo. Vivere il viaggio di lunga durata, non è come fare una vacanza di due settimane per scoprire tutti i luoghi pianificati, ma significa osservare, respirare ed addentrarsi nelle culture degli altri paesi, facendole diventare parte di sé.

ognuno di noi. Certo ti devi adattare molto alle nuove situazioni, modificare le tue abitudini, devi saper vivere con l’incertezza di ciò che accadrà ed essere pronto ad affrontare le tue paure, ma è proprio questa la preziosità del viaggio a lunga durata. Ogni situazione, relazione o riflessione non sono più solo brevi parentesi, ma vanno a rimodellare l’identità della persona che finora sei stato, smussandola, arricchendola e magari riuNon è una fuga, ma la vo- scendo anche a migliorarla. glia di avventura con un costante interesse amiche- Sant’Agostino diceva: “Il vole verso tutte le persone mondo è un libro e chi non ed i luoghi che ti ritrovi a viaggia ne legge soltanto visitare. una pagina” Il fatto di viaggiare da solo e quindi in modo indipenden- Per viaggiare e scoprire vete mi ha spinto a incontrare ramente ciò che può dare, gente ed a vivere esperienze non bisogna programmarsi che normalmente non avrei troppo, ma pianificare solo cercato. È in realtà molto un’idea di dove si vuole ansemplice aggregarsi ad al- dare per poi lasciarsi metri viaggiatori per qualche ravigliare. giorno e riuscire ad allonta- Durante il viaggio la cosa narsi dalla solitudine che a migliore è lasciarsi guidare volte si fa sentire. da ciò che accade e dai deGrazie a tutti gli incontri sideri che sorgono. fatti e le nuove amicizie Non occorre un vero e proscoperte, mi sono reso prio buon motivo per andaconto che l’età non ha al- re da qualche parte, bisocun peso in un viaggio gna andare e quando si è come questo perché tutto là vedete un po’ quello che dipende da come ti senti e succede. quali sono le tue prospet- Questa è proprio la libertà tive sulle mille dinamiche che solo nel viaggio puoi che costituiscono la vita di assaporare.


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Tutto quello che accade deve essere vissuto con l’entusiasmo di un bambino, quel tipico entusiasmo che nasce quando tutto è da scoprire. Bisogna forzarsi di lasciar a casa le convinzioni che ci hanno sempre strutturato e tutelato nella vita di tutti i giorni per riuscire ad essere aperti verso quella moltitudine di dettagli, che seppur minimi costituiscono in sé la reale differenza con cui ci si va a confrontare. Questo è uno degli aspetti sicuramente più difficili da saper sostenere e valorizzare perché quando si parte spesso si sente l’esigenza di ritrovare quelle abitudini e familiarità che ti permettono di sentirti sicuro e protetto. I dettagli della diversità non hanno però nulla a che fare con quella che è definita la “Comfort zone”. E’ questo l’ostacolo più grande da dover superare, ma se si riesce a stringere i denti in tutti i quei momenti in cui si vorrebbe far ritorno alla propria sicurezza emotiva, beh, lì inizia il vero viaggio, con i suoi mille momenti di su e giù. Il viaggio che ora, dopo aver superato l’ostacolo della tristezza, malinconia e talvolta della solitudine ti conduce

alla vera metà, l’incontro con te stesso. Mi sono reso conto che ogni emozione che si vive durante la vita ha bisogno di un tempo per poter essere digerita e per poter ritrovare il giusto equilibrio. Nel mio caso ho vissuto delle esperienze molto forti e tutte in un periodo molto breve. Sto parlando di nove mesi vissuti ad una velocità impressionante con mille cose che mi sono capitate ogni giorno. Ho vissuto, sentito e sperimentato una moltitudine così grande di situazioni ed emozioni che non sono nemmeno riuscito a viverle tutte fino in fondo perché ogni giorno era l’inizio di

una nuova esperienza che mi costringeva a lasciare indietro quella che era iniziata appena il giorno precedente. Solo ora mi rendo conto che seppur sia considerato un viaggio a lunga durata, nove mesi in realtà sono ancora pochi per rielaborare tutta la ricchezza che da un viaggio così puoi riuscire a cogliere e far diventare tua.

tere, lasciando che tutto scorresse e ritrovasse un suo costruttivo equilibrio. Ho capito che non dovevo attanagliarmi con l’esigenza di fare senza mai fermarmi, ma che avrei dovuto concedermi il tempo di riprendermi fin tanto che l’ispirazione per un altro viaggio o un nuovo obiettivo nascesse in me con passione e senza costrizione.

Mi capita spesso di dire che mi sembra di aver vissuto in soli nove mesi tutto quello che potrebbe capitare in una vita intera tanto è stato intenso tutto quello che mi è accaduto.

Credo ora che il fatto di sentirmi poco ispirato e poco carico nel fare le cose sia il richiamo verso un salutare momento di stop, che mi permetta di ricordare che per vivere realmente non bisogna continuamente cambiare, ma bisogna imparare prima di tutto a stare.

Quando sono rientrato ho sentito un fortissimo bisogno di fermarmi e riflet-


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viaggi di Bepi Magrin

La traversata del Kayatad Deep Nepal- Dal lago Rara alla valle del Karnaly (regioni Mugu-Boldik)

P

er chi voglia conoscere il Nepal profondo, quello antico ancora incontaminato, dove non imperversano turisti e traffici connessi, allora rimane per voi la non difficile ma lunga e straordinariamente suggestiva calata dal Lago Rara q. 3000 mt. (il più grande lago del Nepal- Parco Nazionale) per la valle del Kayatad fino al suo sfocio nella valle del Karnali (più lungo fiume nepalese che discende dalle montagne del Tibet). Giungerete così fino a Kolty dove dopo una dozzina di giorni troverete strade carrabili, un piccolo aeroporto e altri segni di civiltà moderna. In questa full-immersion nel secolare e tradizionale

mondo rurale di un’antica civiltà contadina e montanara di una valle sperduta del lontano oriente, potrete aggiungere una ascensione come quella del Murma Top di 3700 metri la cui cima si apre ad uno sguardo larghissimo sulle montagne del vicino Tibet e fino al Dhaulagiri (il più occidentale degli Ottomila) comprendendo una stupenda corona di alte vette bianche tra il Dolpo e il Tibet ed una vista intera del lago Rara che appare come uno stupendo gioiello incastonato tra sconfinate foreste di pini. Appena fuori del tracciato di valle, la visita al villaggio di Murma, vi renderà l’immagine di un evo assai più remoto di quello Medio,

popolato da gente semplice e primitiva che vi sorride accogliente e vi invita ad entrare tra i complicati meandri del termitaio in cui vive, per offrire senza alcun secondo fine, il poco di cui dispone: ciapati (una piadina senza sale) e miele scuro dai favi naturali delle api. Il nostro gruppo, di 6 persone, si è dato per questo viaggio una appendice umanitaria, nata dalla conoscenza di un portatore: Ain Karki, durante un altro trekking. Ain, che abbiamo aiutato a conseguire il titolo di Guida, ci ha invitato al suo villaggio, rappresentandoci la situazione attuale di carenza di cibo. Così, preceduti di qualche giorno da una lunga teoria di muli,


11 abbiamo spedito a Ratapani, 60 quintali di riso acquistati a Nepalguny, riso che serviva ad integrare le perdite del raccolto che i mutamenti climatici (anche qui!) hanno prodotto, mettendo in crisi lo standard di sopravvivenza di quella comunità contadina. Ratapani ci accoglie con una festa memorabile: tutto il paese ci viene incontro preceduto da un tradizio-

Lungo il fiume indugiamo a qualche bagno ristoratore nel rapido torrente che scorre impetuoso, passiamo villaggi, lunghi ponti tibetani tra geometrie variabili di risaie che formano un vero mosaico costellato dalle figure colorate delle donne che lavorano alla raccolta. Scendiamo così dai 3mila metri del lago tra una vegetazione che cambia col diminuire della quota, da quella tipica dell’alta montagna ai banani e ai cactus della bassa valle. Di Ratapani e della sua bella gente, che nel terzo Millennio vive ancora senza conoscere

nale gruppo di danzatori con tamburi, innalzando cartelli che recano i nostri nomi ed un “Welcome!” Siamo accompagnati tra musiche e sorrisi nell’unico spiazzo del paese, dove avviene la cerimonia di benvenuto e dove verrà distribuito il riso a famiglie che vengono anche da villaggi distanti 20 km. Ma per giungere qui dal lago Rara abbiamo traversato su sentieri im-

strade, energia elettrica e moderne comodità, riportiamola frase di gratitudine del Capo villaggio a sintetizzare lo spirito del nostro incontro: “Siamo felici perché vuol dire che abbiamo lo stesso Dio!” Così, il nostro viaggio, rimane per molti e diversi motivi tra le esperienze più forti ed entusiasmanti che si possano fare, non mettendo conto di disagi, di notti in tenda accompagnate dall’ululare degli sciacalli, di cibo povero cui non siamo più abituati ecc. Tutte cose comunque di cui non si scoraggia un vero viaggiatore. Da Kolti poi,

pervi di montagna spesso a picco sul fiume, foreste primordiali e millenarie di pini, ippocastani, noci, con alberi pluricentenari mai toccati dall’uomo. La valle si snoda per molte decine di km e porta le sue acque al Karnali che a sua volta si getta nel Gange. Nelle case di Ain e di suo cugino Prem, siamo accolti come fratelli. Tutti si sprecano in premure e attenzioni che è impossibile ricambiare.


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un piccolo Cessna ci riporta non senza qualche nuova emozione a Nepalguny, di dove ripartiremo per visitare Lumbini, la città dove si dice sia nato il Buddha costellata di splendidi templi voluti dalle varie nazioni che ospitano seguaci della filosofia buddhista. Ancora la regione del Teray nel Nepal meridionale ci offre i suoi parchi naturali dove si possono incontrare tigri, elefanti, coccodrilli, cervi e quant’altro, ed è il completamento di un viaggio pensato nell’ambito del pro-

getto “Acqua e riso” del mio caro compagno di viaggio: il fotografo Oliviero Masseroli che dedica il suo impegno ad aiutare le popolazioni di qui e del Bangladesh, ripetendo viaggi umanitari che chi voglia può conoscere e apprezzare. Il prossimo viaggio diretto a Ratapani, porterà quaderni e materiale didattico partendo nel prossimo aprile. Oliviero Masseroli organizza anche belle mostre fotografiche, il suo contatto è 320-0768477.


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s p o rt & n u t r it i o n


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natura

Il tempo delle migrazioni Le migrazioni sono spostamenti periodici, generalmente ad andamento stagionale, compiute per varie ragioni: le più importanti sono la ricerca di cibo e la ricerca di condizioni climatiche favorevoli per trascorrere l’inverno. Estesi e ben noti sono gli spostamenti ciclici degli uccelli, che nella stagione fredda migrano nelle regioni temperate e calde, con successivo ritorno nella zona di partenza al sopraggiungere della nuova stagione, dove vi ritornano per la riproduzione. di Dorino Stocchero

N

elle sue forme più semplici la migrazione degli uccelli consiste in spostamenti periodici da un territorio dove essi si riproducono (aree di nidificazione) ad un territorio dove trascorrono la parte dell’anno successiva all’epoca della riproduzione (area di svernamento). Ciò determina due viaggi annuali: quello di andata o post-nuziale verso i quartieri di svernamento (migrazione autunnale o passo) e quello di ritorno o pre-nuziale verso i luoghi di nidificazione (migrazione primaverile o ripasso). Gli uccelli migratori, prima di partire passano giorni a nutrirsi, arrivando a raggiungere quasi il doppio del loro peso perché sanno che ci sono solo brevi soste durante il loro lungo viaggio. Le migrazioni si svolgono secondo delle direzioni determinate, che in Europa sono in linea generale rivolte da nord-est a sud-ovest durante il passo autunnale ed in senso inverso durante quello primaverile. Le vie di

migrazione estivo-autunnale, che interessano l’Italia, sono la prosecuzione di alcune delle più importanti direttrici transeuropee. Il ritorno in primavera verso i luoghi di nidificazione può essere effettuato seguendo le stesse vie del viaggio di andata, oppure percorrendo direzioni completamente diverse. Le correnti migratorie possono presentare linee secondarie di derivazione o anche di deviazione. Queste possono essere eccezionali quando sono determinate dall’ intervento di fatti metereologici imprevisti e hanno carattere del tutto transitorio, oppure stabilizzate quando sono normalmente seguite. Da osservazioni dirette e i dati ottenuti mediante l’inanellamento di alcuni uccelli hanno permesso di stabilire che le vie di migrazione sono relativamente costanti, in quanto la maggior parte dei rappresentanti di una specie si sposta dal luogo di nidificazione al luogo di svernamento e


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viceversa, seguendo una direzione pressoché identica. Le condizioni metereologiche influiscono sul passo nel senso che possono determinare la partenza dalle aree di riproduzione se sono favorevoli, o ritardarla di qualche tempo se sono sfavorevoli, tuttavia le condizioni metereologiche non cambiano sensibilmente le date di migrazione né le loro principali manifestazioni. I venti particolarmente violenti possono costringere gli uccelli a interrompere il volo e sostare quando ciò sia possibile, oppure a dirottare anche sensibilmente dalle normali direttrici di migrazione. Per contro, il vento a favore, purché non troppo violento viene opportunamente sfruttato per aumentare la velocità di crociera; gli uccelli che posseggono lunghe timoniere approfittano invece di venti frontali. Le durevoli e violente precipitazioni ostacolano sensibilmente il volo dei migratori, come pure le nebbie estese, che provocano il completo disorientamento. Un altro elemento meteorologico di grande ostacolo specialmente allo svolgimento della migrazione primaverile è la neve. Forti nevicate di fine inverno, quando la migrazione è in pieno corso, determinano brusche interruzioni del passo, provocando addirittura ritorni delle schiere migranti verso sud. La migrazione si svolge secondo determinate modalità di luogo, di tempo e di comportamento, caratteristiche nelle diverse specie. Il volo di migrazione

di certi uccelli è sorprendente e ha dello straordinario! La distanza media giornaliera oscilla tra i 150 e i 700 km, ma esistono uccelli che percorrono senza sosta anche distanze superiori (3000 km). In genere la velocità di migrazione, per i fringillidi, rondini e corvidi corrisponde ai circa 50 km/ora, mentre trampolieri, anatre e colombacci compiono spostamenti rapidi circa 90 km/ora. Pure l’altezza raggiunta durante il volo di migrazione varia nelle diverse specie (da sotto i 600 metri fino agli ottomila metri) ed è condizionata da particolari situazioni atmosferiche o dalle caratteristiche del territorio sorvolato. Molte specie migrano in prevalenza durante le prime ore successive al sorgere del sole (es. rondini), mentre altre preferiscono muoversi al crepuscolo (es. turdidi); quelle specie che sviluppano volo planato si spostano a giorno avanzato per poter cosi usufruire delle correnti ascensionali calde(es.falco pecchiaiolo); altre si accingono al volo soltanto di notte (es. beccaccia). Comunque molte specie si avviano al volo di migrazione indifferentemente durante il giorno e la notte. Ci sono uccelli che migrano solitari e altri in stormi; gli stormi nella maggior parte sono composti da esemplari della stessa specie. Diverse volte ci si chiede ciò che stimola gli uccelli a intraprendere lunghi e pericolosi viaggi. Alcuni ornitologhi ritiene che la sollecitazione alla base della migrazione sia determinata dal fotoperio-


16 do ossia dalla durata giornaliera dell’illuminazione. Il meccanismo ormonale dell’animale conseguentemente alla variazione della durata delle ore di luce determina la predisposizione alla partenza o istinto migratorio. L’orientamento degli uccelli durante la migrazione sicuramente si tratta di una capacità innata dovuta a fattori ereditari in altre parole si può parlare di orientamento di direzione primario, basato su indicazioni astronomiche, possono orientarsi seguendo le costellazioni e l’orientamento delle stelle anche è soprattutto la più vicina a noi: il sole. E di un orientamento secondario geografico, in alcune specie lo stesso esemplare può percorrere la stessa rotta migratoria decine di volte imparando a orientarsi seguendo la forma delle coste, i corsi d’acqua dei fiumi o il profilo delle montagne. In Italia è in particolare nel Vicentino per la sua conformazione geografica si presta al notevole passo di uccelli migratori che vi transitano durante il periodo autunnale. L’Associazione Federcaccia Vicenza da 6 anni ha organizzato e sta effettuando il monitoraggio degli uccelli migratori. Il progetto è stato istituito in collaborazione con la Regione Veneto attraverso Veneto Agricoltura, la Provincia di Vicenza tramite il suo personale della Polizia Provinciale, gli Agenti Volontari della Federcaccia Vicenza e alcuni cacciatori. I Valichi prealpini individuati interessati a questo fenomeno di rotta di migrazione si trovano sulla dorsale tra i comuni di Crespadoro e Recoaro Terme a quota 1600 metri/slm e precisamente nei valichi : Mesole, Catarin 1 e Catarin 2 (meglio conosciuta come bocca bassa). Il periodo interessato dal

progetto si concentra nel mese di Ottobre e parte del mese di Novembre. La stima degli uccelli migratori di passo vengono segnati da personale qualificato (minimo 2 persone per postazione che devono essere in grado di distinguere le specie oltre che dal canto anche dal volo e quantificarne il numero) su appositi schede predisposte. Nelle schede deve essere riportato: la data, le condizioni metereologiche, il numero e la specie. Il censimento ha inizio alle prime ore del mattino, con cambio della scheda ogni mezz’ora. Si può dedurre che in questi anni il nume-

ro degli uccelli che vi sono transitati vanno dalle 40/50 specie, con un numero complessivo totale su 10 uscite che va dalle 50 mila alle 60 mila uccelli migratori. Questo progetto molto ambito per il suo fenomeno migratorio ha attirato molte persone, le quali sono state affascinate da uno dei più straordinari spettacoli della natura soprattutto dalla concentrazione del numero di individui che transitano in questi luoghi. Nell’anno 2018 nel riconoscere la bontà del monitoraggio l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha inviato un tecnico per un

sopralluogo nei valichi e successivamente lo stesso ha tenuto un corso di aggiornamento e approfondimento al personale interessato. L’obiettivo di questo progetto è quello di tentare di comprendere se le popolazioni degli uccelli sono in aumento o in diminuzione osservando negli anni l’andamento del trend. Per concludere gli scienziati studiano le grandi migrazioni degli uccelli per capire il destino del nostro pianeta e per raccogliere importanti dati sui cambiamenti climatici e sull’inquinamento.


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schio

Il ritorno di Isotta the best of show


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di Girolamo Saccardo

Nel numero di febbraio, Sportivissimo ha pubblicato lo straordinaria storia dell’Isotta Fraschini Fenc10 del 1908, che dopo 50 anni di oblio è tornata a correre sulla strada in tutta la sua sconvolgente bellezza.

T

utti coloro che hanno potuto ammirarla e che non sono purtroppo fra noi, sapevano che di Isotta Fraschini FENC10 esistevano solamente due, quella in Australia e quella di mio padre Gian Luigi. Dopo 50 anni di oblio, ormai gli appassionati di automobili d’epoca avevano forse perso ogni speranza di rivederla o addirittura mettevano in dubbio la reale esistenza. Invece quest’auto straordinaria è ritornata a correre. Grazie all’invito dell’HISTORIC CLUB SCHIO è stata presentata per la prima volta al grande pubblico in occasione della mostra scambio d’autunno in Padova e da quel momento è stato un susseguirsi di emozionanti esposizioni dove “Monna Lisa”, è il suo nome d’arte, è apparsa in tutta la sua rara bellezza mandando letteralmente in visibilio tutti i visitatori presenti.

FIERA INTERNAZIONALE AUTO MOTO D’EPOCA DI PADOVA 2017:

…..e come sopra indicato, la presentazione di Monna Lisa è avvenuta puntualmente presso il bellissimo stand dell’Historic Club Schio che ha saputo ricreare con una originale coreografia la storia della vettura. Tantissimi i visitatori che ne hanno apprezzato la bellezza e la rarità ed inatteso l’interesse dei mezzi di comunicazione della carta stampata specializzata e non e televisivi in particolare, tant’è che la RAI le ha dedicato un servizio sul proprio TG1. Simpatica e divertente la video-clip

che abbiamo girato di seguito all’intervista in diretta con il conduttore Nino Carollo di Radio Padova, in occasione della quale ho avuto modo di esporre la carambolesca storia della Isotta Fraschini FENC .

PARTECIPAZIONE ALLA “VERNASCA SILVER FLAG” DI CASTELL’ ARQUATO 2018

La “Vernasca Silver Flag” è una manifestazione sportiva internazionale non competitiva che si svolge annualmente alla fine di giugno nella località medievale di Castell’Arquato in provincia di Piacenza. Si snoda su strade chiuse al traffico come rievocazione storica di un’antica gara di velocità in salita ed è aperta ad ogni tipo di vettura di qualsivoglia epoca. Quest’anno, era inserita anche una particolare tematica rivolta alle vetture sportive di costruzione francese intitolata “Vitesse en Bleue”. In occasione della Fiera di Padova, gli organizzatori mi avevano proposto di parteciparvi con Monna Lisa in considerazione del fatto che l’IF FENC era, secondo la loro opinione naturalmente condivisa da tutti, d’interesse storico e collezionistico e quindi sarebbe stata gradita la sua presenza. Naturalmente abbiamo accettato di buon grado e subito dopo il rientro da Padova sono iniziati i collaudi della meccanica, avviando per la prima volta il motore dell’Isotta nel maggio del 2018 e successivamente, ai primi di giugno, testandola su strada. Tra sbuffi, scoppiettii e fumate finalmente Monna Lisa era tornata a rivivere dopo 60 anni di sonno profondo.

Partimmo quindi la data stabilita per Castell’Arquato ed il pomeriggio del venerdì era stato programmato dai giornalisti della rivista inglese di auto d’epoca “OCTANE” presenti alla manifestazione, un servizio fotografico dedicato alla FENC. Tutto si svolse regolarmente a vettura marciante e bellissimo era stato anche il risultato del lavoro svolto da giornalisti e fotografi. Il problema si presentò il sabato quando la manifestazione prevedeva un’ascesa di alcuni chilometri fino alla località collinare di Vernasca. Si era già dubbiosi di poter raggiungere la meta con una Signora di 110 anni ma questa volta Monna Lisa si rifiutò di percorrere poco più di alcune centinaia di metri dopo l’arco di partenza superato solamente per onore di presenza. Gli acciacchi dell’età si fecero evidenti, anche in considerazione del fatto che il suo motore non era mai stato revisionato con la celata speranza di non doverlo fare comunque. L’accoglienza e l’entusiasmo del pubblico presente furono calorosissimi e non mancarono comunque elogi per aver presentato Monna Lisa agli appassionati di ogni nazionalità convenuti ad ammirare rarissime e blasonate vetture di ogni marca e nazionalità e ciò fu certamente di consolazione per l’avaria subita dall’Isotta FENC. Inaspettato fu anche il riconoscimento della commissione di esperti che avrebbero dovuto premiare le più interessanti e belle automobili presenti alla manifestazione e che indicò proprio Monna Lisa quale “The Best of Show” fra le vettura anteguerra…mica poco però….che ne dite?


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Città di Valdagno Assessorato allo Sport

Trans d’Havet 2019 si veste di azzurro Assegnati a Valdagno gli Assoluti di trail lungo e corto

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apprima era solo una possibilità, poi era diventata una voce di corridoio, ma già a settembre le quotazioni erano salite: i ben informati ritenevano più che plausibile l’assegnazione del Campionato Italiano Trail 2019 a Valdagno, sul tracciato della Trans d’Havet. È servito però attendere fino a inizio novembre, quando il Consiglio Federale FIDAL ha tolto ogni riserbo ed ha pubblicato le sedi delle prove federali. Valdagno e Trans d’Havet ci sono! La notizia è stata accolta con soddisfazione sia in comune che tra le file dell’Ultrabericus Team, organizzatore già nel 2013 della tappa dello European Skyrunning Championship e delle edizioni che dal 2011 (edizione zero) si sono succedute ininterrottamente. “La soddisfazione è tanta indubbiamente – sono le parole del presidente di Ultrabericus Team, Denis Bagnara - e conferma definitivamente la qualità che il marchio Ultrabericus Team rappresenta oggi

sulla scena dell’offroad running italiano. L’assegnazione di tre prove su quattro del Campionato Italiano rappresenta un’occasione imperdibile per il territorio, ma anche per questa disciplina che sta inanellando importanti conquiste, anno dopo anno.” 
“Con la speranza di vedere la corsa in montagna nel novero delle gare a cinque cerchi – gli fa eco il direttore di gara, Enrico Pollini - ora ci concentriamo sull’organizzazione di Trans d’Havet. Dopo la prova dell’Europeo 2013 e con sei edizioni alle spalle la macchina organizzativa è perfettamente rodata, possiamo contare su volontari preparati e disponibili e sull’ottimo rapporto creatosi negli anni con amministrazioni, proprietari di rifugi, malghe e terreni. La Trans d’Havet che si veste di azzurro sarà anche merito loro.” Valdagno e Trans d’Havet 2019 si aggiudicano così i Campionati Assoluti e Master per le prove Trail Lungo e Trail Corto, sulle due distanze di 80 km

(5.500 mD+) e 40 km (2.500 mD+), già in calendario il 26 e 27 luglio. A pochi chilometri di distanza, a Recoaro Terme, va invece l’assegnazione per il 28 luglio 2019 della prima prova in salita valita per i Campionati Italiani Individuali e di Società Sen/Pro e Jun di Corsa in Montagna. Guardando al calendario completo, ad aprire le danze sarà il territorio cuneese con il Campionato Italiano di Staffette Allievi (11 maggio) e il Campionato Italiano di Staffette Assoluti, Juniores e Masters (12 maggio) per la specialità della Corsa in Montagna che faranno tappa a Saluzzo. Sempre l’11 maggio si disputerà anche la ara valida per il Trofeo Nazionale di Staffette Cadetti di Corsa in Montagna. Il 18 e 19 maggio ci si sposta a Casto (BS) nell’ordine per i la prova di Chilometro Verticale valida per i Campionati Italiani Individuali e di Società e la prova sulle Lunghe Distanze dei Campionati Italiani Individuali e di Società categorie Sen/Pro/ Mas. Il 2 giugno Limana Valpiana (BL) ospiterà i Campionati


di Giulio Centomo foto Marco Colleselli, Carlo Ceola, Riccardo Selvatico

Italiani individuali e di Società delle categorie Allievi e Cadettidi Corsa in Montagna, oltre ai Campionati per Regioni Cadetti di Corsa in Montagna. Ci si avvicina poi alle date vicentine con lo scalo di Pompegnino di Vobarno (BS) dove saranno di scena i Campionati Italiani Individuali e di Società Master di Corsa in Montagna (16 giugno). Infine, il 22 settembre ad Arco di Trento il calendario si chiuderà con la seconda prova salita e discesa valida per i Campionati Italiani Individuali e di Società Sen/Pro e Jun di Corsa in Montagna. “Trans d’Havet è forse l’appuntamento sportivo più atteso del 2019 tra gli eventi valdagnesi – conclude il Sindaco, Giancarlo Acerbi – e siamo orgogliosi che FIDAL abbia riconosciuto le prove in calendario al nostro territorio. Significa attestare la qualità organizzativa di Ultrabericus Team e delle centinaia di volontari che ogni anno supportano la buona riuscita della manifestazione, ma anche la valenza tecnica e agonistica dei tracciati che corrono sulle nostre montagne. Saremo anche noi al fianco dell’organizzazione per vivere insieme un nuovo grande weekend di sport in città.”


sportart

Enio Scorsin, Pale di San Martino

Freeride



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valdagno

Che ritmo quel Gruppo! La Valle Agno ASD, nata sotto l’egida del Valdagno Basket, è un’associazione di ginnastica ritmica che in breve tempo ha ottenuto un’eccezionale crescita di appassionati e risultati di primissimo livello: storia, valori e numeri di un gruppo a tutto ritmo.

L

a ginnastica ritmica fa capolino a Valdagno nel 2008 grazie a un primo corso organizzato all’interno degli spazi della piscina coperta dallo staff che aveva in gestione la struttura sportiva. Le atlete sono tante e aumentano di anno in anno al punto che nel 2014 la piscina non riesce più a contenere l’alto numero di iscritte. E in più c’è anche la richiesta di partecipare a tornei e gare, per i quali è necessario affiliarsi all’AICS, al PGS o alla Federazione. Serve un’associazione ed è così che su iniziativa dei genitori delle allieve, assieme al Valdagno Basket, viene fondata la ASD Valle Agno. È il 2014 e finalmente la ginnastica ritmica può scendere in pedana ufficialmente come “Valdagno”. Il lavoro fatto negli anni si vede subito: nel 2017 le atlete sono 107, dai 4 ai 17/18 anni. Divise per età in sette categorie, si allenano due o tre volte la settimana con un impegno che anche nel 2018 si è tradotto in tanti risultati positivi: solo alle ultime nazionali di Lignano sono stati ben 25 i podi ottenuti dalla Valle Agno. Non si tratta di uno sport facile. Le difficoltà derivano soprattutto dal fatto che gli esercizi che, in fase di allenamento, richiedono centinaia di ripetizioni, in gara si esauriscono nel breve arco di tempo di un minuto o di un minuto e mezzo. Questo porta tanta tensione ma anche un rafforzamento del carattere perché si impara ad affrontare la situazione, a trovare il coraggio di scendere in pedana e completare la propria esecuzione. I miglioramenti si vedono, nelle atlete più giovani come in quelle che si allenano da più tempo ed è una soddisfazione

per le ginnaste, le allenatrici e la società. Se le atlete sono tante – al punto che quest’anno sono partiti altri due corsi a Castelgomberto – numeroso è anche lo staff che le segue: attualmente sono 8 le allenatrici e 3 le aiuto allenatrici alle quali si aggiunge un gruppo di mamme volontarie che dà il suo contributo nell’organizzare gare e trasferte. Un gruppo che si è rivelato fondamentale quando l’ASD Valle Agno ha organizzato per la prima volta a Valdagno una gara regionale. Un traguardo a lungo inseguito e reso possibile grazie alla caparbietà e alla costanza di una società che ha così dimostrato di possedere gli stessi valori che insegna alle tante giovani atlete che con orgoglio indossano il body del

Valle Agno. La Società ha ottenuto il plauso delle famiglie delle 250 atlete partecipanti e della PGS (Polisportive Giovanili Salesiani) per la qualità dell’organizzazione. Chi crede che sia uno sport tutto al femminile sbaglia.

Grandi protagonisti sono anche i maschietti con i papà che sugli spalti anche quest’anno hanno dato il massimo, vincendo per il secondo anno il premio per il miglior tifo ai campionati nazionali di Lignano.


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“Eravamo quattro amici al bar” È nato un nuovo club sportivo, la Roller Sport Cornedo: amicizia e tanta passione per pattini e stecche.

Eravamo quattro amici al bar” si potrebbe dire, parafrasando il testo di una nota canzone: iniziava da lì, come molto spesso è accaduto e tuttora accade nel Veneto, dove le idee escono e si concretizzano seduti a un tavolino allietati da un buon calice di vino. Forte era il desiderio di tornare a giocare ad hockey assieme agli amici di un tempo e contemporaneamente dare la possibilità a dei giovani che per un motivo o per un altro avevano smesso di giocare e praticare questo splendido sport, ingiustamente relegato tra i minori. Non solo. Si sarebbe potuto mettere a frutto le competenze di tanti anni di esperienza vissuti tra pattini e stecche, iniziando un percorso sportivo che necessariamente vedeva come fruitori prima i giovani di Cornedo e, perché no?, anche quelli della alta e bassa valle dell’Agno, che avrebbero trovato un ulteriore opportunità di fare sport, oltre a quelle già presenti in vallata. Detto fatto. Così nasceva la ROLLER SPORT CORNEDO. Ma mancava, però, la struttura dover allenarsi. Con un pizzico di faccia tosta, unita alla solita sana follia che accompagna le passioni autentiche, esponemmo all’Amministrazio-

di Guido Scomparin foto di Jacopo Zenere

In alto a destra: Pelizzari Filippo, Rossetto Leonardo, Cunegatti Stefano, Zarantonello Matteo, Bernardi Alberto, Paulini Davide. In basso a destra:Storti Giorgio, Pozza Marco, Cavedon Maicol, Vison` Renato


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ne comunale di Cornedo il nostro progetto, che, fortuna volle, coincideva con le esigenze dell’Amministrazione stessa e dei numerosi già praticanti cornedesi di sport rotellistici, che da tempo sentivano l’esigenza di avere una loro struttura. A distanza di solo un anno dalla ideazione, tempi incredibili per un opera pubblica, il roller park a giorni verrà inaugurato. Un grazie particolare al sindaco Montagna ed all’assessore Lanaro, alla Federazione nella persona del Sig. Grigolato Giorgio, per aver creduto e realizzato questa opera così sentita e necessaria. Da parte nostra, iniziano quest’anno con la serie B, che grazie agli sponsor può già partire. Per i risultati

ci vorrà del tempo, ma la voglia di fare non manca certo. Già dal prossimo anno si comincerà con l’avviamento e le varie squadre che via, via si potranno formare ed iscrivere al campionato. Inutile dire che per aiutare i ragazzi a praticare gli sport, c’è sempre bisogno di tanta passione, tanto volontariato e di qualche generoso sponsor. Gradito è quindi l’aiuto che potrà venire dalla sensibilità degli imprenditori e commercianti del territorio. Lo sport aiuta a crescere e tiene distanti dai pericoli, non dimentichiamocelo mai. Grazie a tutti, serene feste e buoni pattini a tutti.

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sandrigo

un ottavo di miglio di pura adrenalina Un ottavo di miglio = 201,168 metri! Per la maggior parte di noi questa distanza non dice nulla, ma c’è un ristretto numero di persone alle quali vengono i brividi al solo pensiero, e i brividi non sono di paura ma sono brividi di pura adrenalina! di Sandro Faccin

U

na di quelle persone che conoscono bene l’adrenalina dell’ottavo di miglio, vive a Sandrigo, si chiama Alex Cacco, ha 26 anni, pesa 60 kg, fa il meccanico auto e ha ben due fidanzate: Alessia e la Vespa (se così la si può ancora definire). Con la seconda ha vinto qualcosa come un Campionato Sperimentale Accelerazione Vespa, un titolo di Campione Italiano Accelerazione Vespa FMI e 6 Titoli di Campione Italiano all’I.D.C. (Italian Dragster Cup). Si tratta di un campionato di 5/6 appuntamenti, dove in diverse categorie si sfidano i migliori “Riders Sprinter” d’Italia, ed al quale Alex partecipa con il suo missile terra-aria su base Vespa 50 special. Personalmente conosco Alex da poco tempo, anche se di lui ho sempre sentito parlare, frequentando, come socio, il Vespa club 2% di Sandrigo, all’interno del quale ho avuto il piacere di conoscere il papà Vanni, il quale da sempre ha avuto la passione per il mitico “insetto di Pontedera”, tanto da essere uno dei soci fondatori dello stesso Vespa club. Padre e figlio si nutrono della stessa passione che è la Vespa e i due formano un connubio perfetto, perché Vanni oltre ad essere un buon conoscitore del motore Vespa, è soprattutto un ottimo carrozziere, mentre Alex è diventato un tecnico esperto del motore, in particolar modo del cambio, componente questa che con la sua precisione e velocità d’innesto marcia, può essere determinante per guadagnare qualche cente-

simo se non addirittura qualche decimo. Comunque, vedremo in seguito la parte tecnica, ora provo a raccontarvi un po’ la storia di questo ragazzo tutto “sprint”. Come molti altri ragazzini Alex è affascinato dal mondo dei motori e sin dalla tenera età comincia a gironzolare nel cortile di casa o nei prati con una minicross che gli regala il papà Vanni, e sempre con lui inizia a “giocherellare” in garage mentre Vanni sistema o elabora i motori delle vespe sue e degli amici. Arrivato all’età del patentino, manco a dirlo, al contrario dei suoi amici tutti motorizzati con scooter automatici, lui sceglie la Vespa 50 special e verso i 16 anni prepara il suo primo motore, sapientemente elaborato sotto la supervisione del papà e col quale in compagnia degli amici comincia a scorrazzare in giro per le strade, partecipando a molteplici raduni di scooter nelle zone del Marosticense e del basso Bassanese. Una domenica del 2009 ad uno di questi incontri a Rossano Veneto, viene organizzata una dimostrazione di accelerazione aperta a chiunque voglia provare, e visto che Alex già da tempo seguiva questa disciplina su internet, non si fa scappare l’occasione. Si iscrive immediatamente e come disse Cesare: ”il dado è tratto”! Per Alex è folgorazione totale, nemmeno 10 secondi, ma dieci secondi di adrenalina allo stato puro! Il suo interesse cresce al punto da preparare una vespa esclusivamente per le gare di accelerazione e da li il passo è breve.

Nel frattempo comincia anche a fare motocross a livello amatoriale senza grandi pretese, giusto per tenersi allenato. Con grandi sacrifici di impegno fisico ed economico, nel 2010 comincia, seguito dal papà, a partecipare all’allora Campionato Veneto accelerazione Vespa gestito dalla FMI e composto da 6 appuntamenti corsi sulla distanza dei 150 mt (dal 2012 diventerà Campionato Italiano associazione Vespa). Alex comincia a gareggiare nella categoria Vespa C4* e diciamo che come prima esperienza non va per niente male, visto che conclude il campionato classificandosi 5° su circa 10 partecipanti . Nel 2011 sempre nella stessa categoria, Alex comincia ad acquisire i segreti perché un motore da 130 cc possa sparare il massimo della potenza nei primi 8/9 secondi di lancio. Serve un’attenzione maniacale per ogni piccolo dettaglio tecnico e quindi questi primi anni diventano basilari per accumulare una conoscenza tecnica indispensabile, su quello che è “il mondo” delle elaborazioni di questo ristretto gruppetto di “folli maniaci”. Serve cura e molta attenzione nella scelta e lavorazione del gruppo termico, dei travasi, del rapporto di compressione fra testa e cilindro e la tolleranza pistone cilindro, per poi passare al settore alimentazione, dove si apre un altro infinito “mondo” di componenti come carburatori, getti, spilli conici ecc. Tutti questi componenti, vengono poi rivisti personalmente, compresa la lavorazione mediante barenatura con raccordatura dei travasi dei

carter Vespa originali. Sì perché nel motore Vespa, per chi non lo sapesse, l’alimentazione avviene dai carter motore e non come la maggior parte degli altri motori 2 tempi, dal passaggio diretto dal carburatore al cilindro. Nel motore Vespa la miscela passa dal carburatore all’interno dei carter motore, per poi risalire tramite aspirazione attraverso i travasi all’interno del cilindro dove avviene la fase di scoppio e scarico. E anche per la fase di scarico c’è bisogno di un’attenzione non indifferente, perché un componente come la marmitta espansione, su un motore a due tempi ha il potere di rendere gloria o vanificare tutto il lavoro dedicato al resto del motore. Quasi sempre essa viene costruita artigianalmente con assemblaggio tramite saldatura di vari coni e curve preformati (di lamiera in acciaio dello spessore di 0,8 mm circa), fino ad arrivare ad avere quello che da ragazzini chiamavamo, sognando di possederlo, un “serpentone”. Lucente e ricco di cicatrici anche questo deve essere accordato come un qualsiasi strumento musicale, tramite eventuali modifiche con allungamenti, cambi curva, cambio coni ecc. In tutto questo lavoro di preparazione, assume un’importanza rilevante la componente cambio, perché come dicevo prima, il cambio deve avere velocità d’innesto, fluidità e soprattutto precisione. In una gara di pochi secondi non ci si può permettere la minima esitazione da questo componente, e in questo si è specializzato Alex in modo particolare, dedicando cura


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certosina allo stato di usura, agli spessori, alla fluidità di scorrimento degli ingranaggi e delle forche di spostamento. In tutto ciò il suo grande Maestro, dopo l’iniziazione di papà è stato Lauro Caforio. Questi altri non è che, titolare della Falc Racing, uno dei marchi più prestigiosi nel mondo delle elaborazioni per motori Vespa e motori 2 tempi. La loro amicizia nasce sui campi gara, perché oltre ad essere un quasi 50enne super appassionato di tecnica motoristica, da sempre partecipa alle gare come avversario di Alex. Spesso e volentieri quest’ultimo passa qualche giorno a casa di Lauro in quel di Reggio Emilia, per lavorare assieme a lui, per mettere a punto e sperimentare modifiche, per migliorare le prestazioni anche solo di qualche centesimo di secondo. Nel 2012 Alex e papà Vanni cominciano ad essere dei veterani della catg.C4 e di conseguenza comincia ad arrivare anche una certa continuità di buoni risultati, che permette ad Alex di vincere il 1° Campionato Sperimentale Accelerazione Vespa. Da allora il ragazzo c’ha proprio preso gusto a vincere, e nel 2013 si concede il bis, sbaragliando la concorrenza e vincendo il titolo di Campione Italiano Accelerazione Vespa FMI. Nel 2014 invece cambiano un po’ di cose a cominciare dal Campionato che non si chiamerà più Campionato Italiano accelerazione Vespa, ma prenderà il nome di Italian Dragster Cup e non sarà più gestito dalla FMI

ma dall’AICS (Associazione Italiana Cultura e Sport). A questo punto, visto che ormai Alex è diventato il figlio adottivo di Lauro, gli viene proposto di correre come pilota ufficiale per il suo marchio, Falc Racing nella catg. C5** il top di gamma dei motori. Alex accetta senza pensarci, e decide però di continuare lo stesso con la catg.C4. Il ragazzo è talmente carico che quell’anno nonostante sia all’esordio nella catg.C5, fa suo il titolo Italiano di catg.C5 e contemporaneamente si concede il lusso di vincere anche quello della catg.C4. La categoria C5 è la massima espressione del motore Vespa e come potete vedere da qualche foto, della Vespa, di originale rimane ben poco. Qui i carter motore possono essere lavorati e modificati a piacere, ma si deve comunque partire dalla base di carter originali Vespa, e dato l’elevato livello di elaborazione, diventa indispensabile il raffreddamento a liquido. La Vespa di Alex è stata modificata in modo da raffreddare anche i carter motore con la creazione di vari passaggi di liquido refrigerante all’interno di questi, con tanto di radiatore di raffreddamento ed una pompa comandata manualmente tramite un interruttore. La potenza sale a 48 Cv, e credetemi che per una Vespa non sono pochi. Anche in questa categoria si deve contenere il peso, pilota/ Vespa, entro il limite dei 145 kg dovendo addirittura aggiungere della zavorra, laddove il pilota o la Vespa risultino troppo leggeri. Inoltre negli ultimi anni si è avu-

to un tale sviluppo tecnico che alcuni costruttori di pneumatici, hanno cominciato a produrre delle gomme posteriori slick di varie mescole specifiche per questa disciplina, che vengono scelte in base alla Vespa, al tipo ed alla temperatura di asfalto. Molti usano delle termocoperte identiche a quelle che vengono usate nei vari campionati di velocità, anche se la cosa più importante, rimane sempre il burnout*** un attimo prima dello schieramento. Prima della gara viene effettuata la punzonatura del motore (in tutte le sue parti) e del telaio, e viene anche verificato il funzionamento dei freni e dello “stacca massa” (cordino collegato al pilota, che in caso di caduta aziona un interruttore che spegne il motore). La gara si disputa in quattro prove, chiamate lanci, di questi quattro si considera solo il tempo migliore per la classifica. Dopo ogni lancio considerato valido, vengono pesati pilota/Vespa per convalidare il tempo e come scritto sopra, se si è sotto i 145 kg viene annullato il lancio. Per la partenza, si posiziona la Vespa all’interno di una “gabbia” virtuale, creata con quattro fotocellule sulla linea dello start. Quando la ruota anteriore è al limite della linea di start e la prima fotocellula la individua, si accende una coppia di luci sulla colonna semafori, e quando la seconda fotocellula individua la ruota posteriore, si accende una seconda coppia di luci accanto alle prime due. A quel punto la

Vespa non può avere il ben che minimo spostamento fino allo spegnimento dei semafori di start, pena annullamento del lancio. A questo punto si accendono in sequenza 3 lampade arancioni e poi all’accensione della luce verde, un prolungato urlo del motore, spara Alex alla velocità di 153,47 km/h in 7,3627 secondi sui 201,68 metri di gara. Impressionante ! Per evitare l’impennamento della Vespa i piloti assumono le posizioni più improbabili, da chi prolunga la sella fino al manubrio, a quello che si incastra con il corpo tra l’esiguo spazio fra sella e manubrio, per caricare il più possibile l’avantreno con il proprio peso. A fine gara i primi 3 di ogni categoria vengono sottoposti a verifica tecnica, sia del motore, sia del telaio, e tutto deve essere come da specifiche di regolamento. Oltre a Lauro ed al papà, Alex trova un grande sostegno dalla sorella Siria 8 anni più giovane, che quando può, non si fa scappare l’occasione per accompagnarlo alle gare. Ripeto, quando può, perché Siria è anche lei una Campionessa di Danza Moderna (Campionessa Italiana nel 2015) e tra gare ed allenamenti non sempre riesce a seguirlo. Quando c’è, si occupa di registrare i tempi, delle pratiche per iscrizione e del supporto morale cercando di aiutarlo nella concentrazione pre-gara. Proprio parlandomi di questo, Alex ricorda un aneddoto della gara sul circuito di Franciacor-


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ta 2014 in catg.C4, quando dopo aver fatto un lancio nullo e due lanci che lui considerava scarsi, si innervosì al punto tale, che al quarto e decisivo lancio arrivato quasi alla fine del rettilineo, vedendo che aveva sbagliato anche questo, indietreggiò leggermente con il peso per un gesto di stizza, e questo bastò per fare impennare la vespa. Per evitare di ribaltarsi completamente finì a ruzzoloni sul ghiaino della via di fuga. Altro aneddoto è quando nel 2016, assieme a Lauro ed al papà decisero di cambiare Vespa. La nuova creatura era a casa di Lauro a Reggio Emilia, di conseguenza si accordarono per trovarsi direttamente in circuito sempre a Franciacorta, il sabato per la gara in

notturna, con inizio alle 20,15 fino alle 24. Lauro partì da casa alle 17 ed arrivò in circuito con la vespa alle 19,30. Alex aveva dovuto saltare tutte le prove libere e stava quasi per saltare anche la gara. Dovette rinunciare al primo turno di lancio, prese parte al secondo e fece un nullo, al terzo lancio fece il miglior tempo ma al controllo del peso risultò più leggero di 5 kg. Alla fine tutto filò liscio, perché dopo aver raggiunto il peso necessario aggiungendo zavorra e rilassato i nervi a sufficienza, Alex salvando il salvabile, riuscì a classificarsi 7° portando a casa una manciata di punti utili. Tornando alle gare, per il 2015 e 2016 le cose non cambiano, Alex rimane il mattatore del Campio-

nato vincendo il titolo in maniera continuativa. Dal 2017 si spostano in avanti i limiti e viene creata una nuova categoria che è la catg. C5-Gp che si differenzia dalla C5 perché questa non ha nessun limite sul tipo di alimentazione (prima solo lamellare). Naturalmente Alex passa alla nuova e massima catg. C5Gp, ma anche qui nonostante sia cambiata la categoria, non cambia la musica per quanto riguarda i risultati. Il ragazzo oramai è diventato un cannibale sempre più affamato di vittorie e con questa smania insaziabile fa suoi anche i campionati 2017/18. Con il 2018 siamo a quota 8 Titoli tra Italiani e Campionato Sperimentale e Italiano FMI Accelera-

zione Vespa , ma Alex non sembra avere voglia di smettere né di gareggiare, ne tantomeno di vincere. Continuerà la sua “sconosciuta” carriera in compagnia dell’ amico e mentore Lauro, ma soprattutto con papà Vanni, che nonostante tutto ciò comporti un importante dispendio di energie fisiche ed economiche, non ci pensa nemmeno un’istante di lasciare solo il figlio. Si, perché noi genitori sappiamo che nel preciso istante in cui vediamo gli occhi dei nostri figli, nel nostro subconscio comincia a farsi strada il sogno di poter condividere con loro la nostra passione. Quindi: Complimenti Alex, e Grandeeee… Vanni !

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Pesci abissali di Antonio Rosso Foto ed immagini: www.ilgiornaledeimarinai.it/pesci-abissali

S

e, fino a qualche decennio fa, la possibilità di trovare creature provenienti dal fondo del mare avveniva attraverso il raccolto delle reti da pesca o con resti di animali spiaggiati, oggi non è più così. La tecnologia ha messo a disposizione dei ricercatori strumenti e macchine che consentono di raggiungere i punti più profondi degli oceani e di andare alla ricerca di forme di vita mai scoperte. Infatti, il mare, pur occupando il 70% della superficie terrestre, è l’ambiente meno studiato per le evidenti difficoltà dovute alla pressione idrostatica a cui si va incontro ed alla mancanza di luce. Le radiazioni luminose arrivano al massimo fino a 200 metri ed il 75% degli oceani è sempre al buio. Per tali ragioni, nel 1800 lo scienziato marino John Forbes affermava che dopo i primi 100 metri la vita marina cessava. Una teoria che iniziò ad essere messa in dubbio già nel 1868 per i ritrovamenti effettuati dal prof. Thomson con reti profonde e, successiva-

Gli abissi marini ed i loro abitanti sono sempre stati avvolti da un fascino di mistero e paura alimentato da leggende di mostri e strane creature marine.

mente, fu definitivamente accantonata dai risultati della spedizione intorno al mondo della nave Challenger (1872-76), in cui furono raccolti campioni fino a 4000 metri di profondità. Il primo ricercatore a superare la soglia dei 900 metri è William Beebe, un naturalista americano, che nel 1930 con un batiscafo in acciaio, nelle Bermuda, arriva a 923 metri di profondità. Trent’anni dopo Jacques Piccard a bordo del batiscafo Trieste con la spedizione nella fossa delle Marianne registra -11.521 metri. Entrambi raccontano di un mondo tutt’altro che privo di vita: Beebe scrive di

guizzi di luce, bagliori e scintille emessi da pesci abissali e Picard, racconta di aver visto, alla luce dei fari, un gambero e una specie di sogliola. Nel 2011 è il regista canadese Cameron a raggiungere la massima profondità, filmando l’ambiente per circa due ore. Ai giorni nostri la tecnologia ci consente l’esame diretto di tale ambiente e non c’è giorno che non vengano scoperte nuove specie grazie ai R.O.V., veicoli robotizzati filoguidati, in grado di filmare a grandi profondità e di far vedere ai ricercatori, sui monitor dell’imbarcazione madre, i fondali ed i suoi abitanti. In molti casi vengo-

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no effettuate vere e proprie esplorazioni con piccoli batiscafi e mini sommergibili che hanno la possibilità di ospitare i ricercatori davanti ad oblò panoramici ed avere la visione diretta dell’ambiente circostante. Sono attrezzature costose ma ormai dotazioni standard di molti centri di ricerca e fondazioni scientifiche. Vivere in condizioni estreme ha portato i pesci abissali ad evolversi riducendo l’ossatura, i muscoli e portando al minimo il metabolismo e le attività vitali. La mancanza di luce ha influito sull’avere occhi piccoli e in grado di assorbire solo la luce

blu. Molti pesci, infine, hanno sviluppato organi fotofori che emettono una luce bioluminescente come quella delle lucciole. Per contro hanno aumentato lo stomaco, le mascelle ed i denti che sono spesso divenuti enormi in proporzione al resto del corpo, dando loro l’aspetto di veri e propri mostri. Il pesce abissale non va, tuttavia, pensato come un animale enorme, ce ne sono alcuni di grandi dimensioni, ma la maggior parte hanno

Prima pagina del volume di W. Beebe: Mille metri sott’acqua

taglie dell’ordine dei centimetri, non dei metri. Adattamento che si è evoluto in conseguenza alla scarsità di cibo in quanto, con l’aumentare della profondità, diminuisce l’abbondanza e la dimensione delle specie animali che si possono incontrare. Per tale ragione alcuni pesci fanno penzolare un’esca bioluminescente di fronte a loro, in modo da attrarre altri pesci,


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molluschi e crostacei. Tale apparato può essere prodotto da loro stessi o con l’utilizzo di batteri luminosi che vivono in simbiosi, e che, a comando, possono essere accesi o spenti. A volte è meglio non farsi vedere. Una difficoltà comune oltre alla ricerca di cibo è la scarsità di partner sessuali: i pesci abissali, soprattutto dopo i mille metri, si trovano raramente in gruppo ed il numero di femmine è minimo. L’evoluzione della bioluminescenza in molte specie ha aiutato

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gli individui a risaltare in mezzo al buio e a mandare dei segnali nei confronti di un eventuale partner, ma, forse non è sufficiente, se molte femmine sfruttano scie odorose per attrarre i maschi, molti dei quali hanno sviluppato speciali organi olfattivi. Per concludere va citata una particolare simbiosi: “Nel caso di ceratias holbolli e di edriolynchus schmidtii, ... il maschio è molto piccolo e la femmina invece ha dimensioni mastodontiche. Non appena il maschio trova la fem-

mina comincia a pizzicarla sotto la pelle, si crea una piccola ferita e li il maschio si salda alla femmina diventando quasi un unico esemplare. Il canale alimentare del maschio si atrofizza e cadono tutti i denti. I canali alimentari e alcuni vasi sanguigni dei due individui entrano in collegamento e da quel momento sarà la femmina a nutrire il maschio” (M. Guadagnino https://www.ilgiornaledeimarinai.it/pesci-abissali/).

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valdagno

Il talento di Pietro per il tennis

F

in da piccolo Pietro Romeo Scomparin ha sentito una forte attrazione per lo sport. Per tutti gli sport, senza distinzioni. La passione con cui si avvicinava a un pallone, agli sci, alla bicicletta era sempre massima. Dotato di una predisposizione naturale, fare lo sport lo divertiva, lo coinvolgeva. Che fosse il gioco del calcio o lo sci o lo snowboard, per Pietro non c’era differenza: quello che contava era muoversi, saltare, sentire la gioia di un tiro ben fatto, di una curva con gli sci o con lo snowboard ben carvata. Lo sport gli è sempre stato con-

Pietro Romeo Scomparin ha solo 17 anni ma ha già fatto scelte di vita importanti in nome della sua passione per il tennis

geniale. E infatti gli riusciva tutto con facilità, senza apparente fatica. Crescendo però, Pietro ha messo a fuoco la sua disciplina sportiva. Tantoché, a un certo punto, un solo sport contava su tutti. Un richiamo, forte, irrefrenabile, autentico al punto che tutte le altre discipline sportive passarono in un baleno in secondo piano, anzi scomparvero. Si era scoperto tennista. E per il tennis Pietro ha fatto scelte di vita assolutamente non comuni. La prima fu a soli 11 anni. Sebbene i genitori non fossero proprio d’accordo che iniziasse a concentrarsi

Pietro Romeo con Albert Ramos attualmente numero 25 al mondo, già numero 17

in un solo sport, lui insistette così tanto che alla fine dovettero concedergli di dedicarsi solo al tennis. Non ci vollero tante partite per capire che tra Pietro e il tennis c’era qualcosa di speciale. A 11 anni Pietro inizia il suo percorso al Centro Tennis Unificato di Valdagno sotto la guida degli istruttori Daniele Danzo e Luca Antoniazzi. Sono i suoi primi passi nell’agonismo. Ma già arrivano le prime vittorie, le prime soddisfazioni. A 14 anni, ecco la seconda scelta di Pietro, quella che da sola fa capire cosa questo ragazzo senta per il suo sport. Anziché iscriversi alla scuola superiore


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del proprio paese, Pietro decide di andare a studiare a Tenerife, nelle isole Canarie, perché laggiù, in mezzo all’Atlantico, c’è un bravissimo maestro di tennis, Arturo San Luis, disposto a prenderselo sottobraccio per avviarlo al grande tennis, quello professionistico. Pietro vola a Tenerife per amore del tennis e qui, anche con il generoso aiuto di nonno Giuseppe e nonna Daniela, si divide tra studio e tennis. Passa solo un anno, però, che Pietro vive la sua terza scelta. Grazie all’intermediazione del presidente del club nautico di Tenerife, viene a conoscere che a Barcellona sta crescendo una nuova scuola di tennis, quella di BARDOU SAEZ. Pietro non ha dubbi e vola già quall’anno nella sua nuova città. Qui inizia la sua storia di giocatore di altissimo livello. Sotto la direzione tecnica del suo maestro Antonio Saez inizia il suo nuovo percorso. Allenamenti durissimi in campo e in palestra con ritmi giornalieri dalle 2 alle 4 ore. Dopo il primo anno la sua posizione nel ranking spagnolo si migliora di 1200 posizioni, dal numero 1500 assoluto della Federazione Tennis di Spagna scende al numero 305. Inoltre è tra gli otto selezionati al Master della Catalogna, occupando la 7° posizione, su oltre 500 candidati. Grazie al sua posizione nel ranking Pietro è entrato di diritto nel Campionato Catalano che si disputa in questi giorni nella fantastica arena delle olimpiadi. Ha anche partecipato ai Futures che si sono giocati a Creta. Esperienza, questa, stra-

ordinaria perché ha segnato il suo ingresso nel grande tennis professionistico dove l’ha visto confrontarsi con i migliori talenti del tennis mondiale. Il calendario del 2019 è già fittissimo di impegni con iscrizioni di merito ai principali tornei Futures europei. Fin qui la sua storia tennistica. Ma è quella umana che merita ancora più attenzione e un sincero plauso. Le scelte di Pietro per la sua grande passione fanno riflettere. A differenza di tanti giovani un po’ disorientati, Pietro non ha avuto dubbi, né remore e per coltivare il grande sogno di affermarsi nel tennis professionistico è andato a vivere dove questa sua ambizione poteva essere coltivata fino in fondo. Per essa ha vissuto lontano dai suoi genitori, che con un pizzico di “follia” lo hanno assecondato nei suoi sogni, ha vissuto in famiglie estranee, ha frequentato lezioni a scuola tenute con una lingua diversa dalla sua, ha letto libri, scritto composizioni in una lingua che ha dovuto imparare da zero. Ha frequentato giovani che non conosceva e che un po’ alla volta sono diventati suoi amici. Fatica, tristezza, sconforto, solitudine sono sentimenti che sicuramente conosce e che gli hanno fatto passare qualche notte insonne… Di certo, oggi Pietro è cresciuto, non solo tennisticamente, ma nel carattere, nella personalità. Altri ragazzi possono seguire il suo esempio: se ami il tuo sport, devi saperti sacrificare per esso. Auguriamo a Pietro un grande futuro nei campi da tennis del mondo, se lo merita tutto.

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storia

Quando gli azzurri erano i veneti di Antonio Rosso Foto ed immagini: Mario De Biasi (Il gonfalone di San Marco, 1981), Luisa Franchi dell’orto (Roma antica,1981), raixevenete.com, veneto-tradizioni-storia.blogspot.it

L

’origine dell’uso del colore azzurro (blu Savoia) risale al 20 giugno 1366, quando Amedeo VI di Savoia, partendo per la crociata in aiuto dell’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo, vuole che sulla sua galea veneziana sventoli accanto allo stendardo rosso-crociato in argento dei Savoia, uno scialle azzurro “del colore di cielo e consacrato a Maria” (Carlo Alberto Gerbaix De Sonnaz, 1911) Da allora gli ufficiali portano annodata in vita una fascia o sciarpa azzurra, uso che diviene obbligatorio nel 1572 e, ancora oggi, è simbolo distintivo degli ufficiali delle Forze armate italiane. La definizione di “azzurri” che oggi viene associata alle squadre sportive nazionali italiane, è nata in occasione della prima Olimpiade dell’era moderna (Atene 1896), quando si dovette scegliere il colore da adottare per le divise sportive ed il re Umberto I di Savoia assegnò alle squadre nazionali il colore azzurro. Questa è storia recente, in realtà, gli “azzurri” sono sempre stati i Veneti probabilmente dall’uso che facevano dalle vesti di colore azzurro. Ma facciamo un passo indietro. I veneti erano celebri in tutto il mondo antico per l’allevamento dei cavalli i quali sono sempre stati molto rinomati oltre che vincenti: erano le Ferrari dell’epoca. Possederli dava prestigio oltre che qualità. Dalle fonti scritte sappiamo, ad esempio, che nell’anno 440 a.C. Leone Spartano vince l’Olimpiade con “bianche cavalle venete” e Strabone racconta che i cavalli veneti erano ammirati anche da Dionisio, il

Le nazionali sportive italiane ed i veneti

Console romano Giunio Basso tra le fazioni del circo

tiranno di Siracusa, che li acquistava per migliorare i suoi allevamenti. Nulla di più naturale che, in epoca romana, i Veneti decidessero di partecipare alle gare dei carri al circo Massimo con una loro squadra e che si identificassero con il colore azzurro. Per tale ragione a Roma, prima, e a Costantinopoli, poi, veneto significava azzurro. Per comprendere tale uguaglianza basta leggere un qualsiasi dizionario latino italiano (es. Calonghi, 1964) per trovare alla voce venetus: 1) verde marino, azzurro, colore; factio venetus: la fazione degli Azzurri, una delle quattro fazioni (albata, russata, veneta, prasina) che gareggiavano nelle corse dei carri nel circo. 2) auriga della fazione degli Azzurri. Nel vocabolario di L. Castiglioni - Scevola Mariotti del 2006, è interessante la voce Venetiani, orum, m. pl.: gli Azzurri, una delle quattro fazioni nelle corse circensi. Lampidrio (IV sec. d.C.) dice

che venetus era il colore “marinis fluctibus similis”, mentre Cassiodoro (VI sec. d.C.) dice che il sole era detto veneto, quando era velato d’azzurro. Di colore veneto erano, pure, dipinte le navi da ricognizione, al fine di mimetizzarle con il mare. Anche la Repubblica Veneta adottò l’uso dell’azzurro come colore nazionale, tanto che le bandiere più antiche erano d’oro in campo azzurro: allora non c’era il Leone ma solo una croce come si può vedere in un riquadro che illustra l’arrivo del corpo di San Marco, posto nella Pala d’Oro in Basilica, dove una delle bandiere mostra, appunto, una croce d’oro su campo azzurro. Sorta la Repubblica di Venezia, dopo il 1204, quando diviene erede della potenza bizantina, nasce un’iconografia imperiale con oro e porpora che viene riportata nei documenti e nelle bandiere, il Triumphale vexillum con il leone alato di San Marco. Nel 1703

quando vengono prese scelte precise intorno ai colori delle uniformi militari e delle bandiere il Proveditor Xeneral de Tera N.H. Alessandro Molin scrive: «ho deciso che le Truppe della Serenissima Repubblica portassero qualche segno distintivo ... ho creduto comandare che li Veneti portino il Turchino ch’è il colore ed il campo del quale devono essere le bandiere della Serenissima Repubblica». Colori azzurro ed oro che troviamo anche nell’architettura: nella torre dell’orologio e nella facciata della basilica. Oppure negli stemmi dei Dominii della Serenissima: lo scudo della Dalmazia, del Marchesato d’Istria, della Patria del Friuli, del Comune di Verona ... (Raixe Venete). I veneti non hanno mai dimenticato il loro colore, gli smalti d’azzurro e d’oro dominano le armi gentilizie di varie famiglie patrizie e, all’arrivo di Napoleone, nel 1797, i difensori della Repubblica di San Marco, si appuntatano sul


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Auriga veneto Pala d’oro nella basilica di San Marco a Venezia e il particolare con la bandiera azzurra

Bandiera sec. XVIII secolo

petto coccarde azzurro e oro. Ancor oggi lo stemma della città di Venezia è uno scudo con il leone alato d’oro su campo azzurro Ma da dove deriva questo colore che non era comune presso i greci e romani? L’uso del colore azzurro trova testimonianza in reperti tessili risalenti al V secolo a.C. e negli scritti di Cesare (I secolo a.C.) che ne descrive l’impiego dei Bretoni per tingersi i corpi prima delle battaglie. I veneti erano molto legati, grazie ai commerci, al nord europa e sembra che si abbigliassero come i celti dove il colore azzurro era molto usato. L’azzurro era prodotto da pigmenti organici in quan-

to veniva usata una pianta colorante, il guado (dal celtico weid = erba selvatica) che era particolarmente apprezzato per il colore azzurro ed era adoperata per tingere i filati. Viene chiamato anche Indaco europeo ed è stato per diversi secoli l’unica specie vegetale europea in grado di fornire colorazioni estese dall’azzurro al blu, prima di essere sostituito dall’indaco indiano, anch’esso di origine vegetale. Da quanto esposto è evidente che l’azzurro è un colore veneto e gli azzurri sono i veneti. Per tali ragioni, forza azzurri, sempre!

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storia dello sci

Affinità elettive

di Luigi Borgo

Anticipiamo l’articolo che sarà pubblicato in “Montagne 360, la rivista del Club alpino italiano”, gennaio 2019

S

i dice che sciare sia un po’ un modo di scrivere e che, viceversa, scrivere sia un po’ come sciare. La similitudine verte su alcuni elementi oggettivi di affinità: il campo bianco su cui si agisce, la traccia che si lascia, che racconta sempre un divenire dall’alto delle grandi attese del nostro inizio, foglio o pista, al fondo della nostra fine corsa, vissuto come un’immortale Alice nel paese delle meraviglie in cui ci chiediamo se ogni frase scritta, ogni curva fatta non potevano essere decisamente migliori di come in effetti sono venute. LA POETICA ROMANTICA Tutti i pionieri dello sci hanno scritto almeno un libro e tanti tra i maggiori scrittori del Novecento sono stati affascianti dall’argomento sci. Tuttavia se i primi, da Nansen a Lunn, sono stati autori di testi prevalentemente di storia, di tecnica e d’imprese sciistiche, i secondi sono stati esclusivamente autori di racconti. Nessuno nel Ventesimo secolo ha scritto un romanzo che avesse per argomento o contesto lo sci, quasi il tema si prestasse soltanto al genere breve del narrare e non a quello ampio, proprio del romanzo. La ragione non dipende dallo sci che ha in sé tutti gli argomenti umani per introdurci nel mistero dell’esistenza attraverso una narrazione a grande respiro, ma da una sorta di limite estetico del contesto sci, che i letterati del Novecento hanno sentito

Sciare è come scrivere, si agisce sul campo bianco e si lascia una traccia: similitudini che avvicinano due attività che, durante la loro storia, si sono compenetrate, grazie per esempio a Conan Doyl e a Hermann Hesse

come condizionante al punto di evitare di cimentarsi nel “romanzo sciistico”. Lo sci, nato 6500 anni fa e nominato dagli antichi greci, Senofonte e Strabone, e da colti ecclesiasti del Cinque-Seicento, Magnus e Negri, si è diffuso tra gli uomini di lettere solo con la pubblicazione del libro di Nansen alla fine dell’Ottocento. Fu Arthur Conan Doyle il primo scrittore che si avvicinò allo sci; Hermann Hesse, il secondo. Doyle scrisse un articolo, pubblicato sullo Strand Magazine, dedicato all’im-

presa del superamento del passo Furka (2245 m) che separa Davos da Arosa; Hesse, una serie di lettere agli amici in cui raccontava con parole d’entusiasmo la sua nuova passione per lo sci. Non è evidentemente ancora letteratura. Sono solo testi composti da scrittori, ma senza quel carattere di finzione narrativa e d’invenzione stilistica proprio della scrittura letteraria. Il primo a fare letteratura ricorrendo all’argomento sci è stato Guido Gozzano con il racconto “Le gemelle” del 1919. Poi lo seguiranno Nabokov, Mann, Hemingway fino ad arrivare a Calvino, Parise, Rigoni Stern e pochi altri ancora. In tutti i casi si tratta di racconti. Non c’è un ro-

manzo che abbia per contesto lo sci e questo perché il romanzo del Novecento, come d’altro canto la poesia del Novecento, ma anche l’arte, la musica, il teatro, il cinema, è romanzo di cultura. Ovvero la cultura è il vero contenuto della narrazione, quando nel secolo precedente, l’Ottocento, il contenuto dell’arte era la natura. Lo sci era una “scoperta” dell’ultimo scorcio dell’Ottocento. Era sentito come una propaggine della letteratura di montagna. Era, soprattutto, “natura” per l’azione sciistica, che poteva svolgersi ed essere raccontata solo in un contesto fortemente naturale. Questi tre elementi, la nascita ottocentesca, l’essere appendice alla letteratura di montagna, la dominanza dell’elemento naturale, fecero sì che lo sci fosse percepito come un tema affine a una



42 ca, tra un’ardita discesa e l’altra, di se stesso. In questo senso nessun autore del Novecento scrisse un romanzo sullo sci. (Il primo tentativo di “romanzo sciistico” è del 2009).

poetica romantica, la più lontana dalla sensibilità degli scrittori del Novecento. I quali non poterono che limitarsi al “racconto sciistico”, al respiro breve della narrazione dello sci, più controllabile perché più sorvegliabile dalle insidie delle tentazioni romantiche che l’argomento in sé conteneva, quali, su tutte, un certo descrizionismo stereotipato del villaggio alpino immerso nella neve, con le slitte trainate da robusti cavalli, su cui floride ragazze dalle gote inevitabilmente rosse e lentigginose lanciavano furtivi sguardi allo sciatore foresto che era salito dalla città in montagna alla ricer-

UNA NUOVA CONFIDENZA CON L’AMBIENTE Eppure lo sci ha avuto un inizio, nella notte dei tempi, assolutamente identico all’inizio della nostra civiltà del fuoco e della conoscenza, trasmessa attraverso la narrazione. Quattromila e cinquecento anni prima della nascita di Cristo un coraggioso abitatore del nord per attraversare una palude ghiacciata che verosimilmente si stava sciogliendo, si mise in piedi su una canoa, come oggi fanno i gondolieri di Venezia. Qualcuno dallo spirito ingegneristico lo vide, intuendo che si poteva realizzare qualcosa di specifico per scivolare sull’acqua quando questa fosse ghiacciata. Poi un artista, colpito dalla meraviglia di scivolare veloci sulla neve, scolpì sulla roccia la geniale invenzione, facendola così bene e così bella

che gli abitanti dei villaggi vicini si recarono prima ad ammirarla e poi a studiarla per comprendere quali benefici avesse l’uomo con due enormi calzari ai piedi. Fu subito chiaro che con gli sci sarebbe stato più facile spostarsi sulla tundra ghiacciata e così cacciare d’inverno come prima non era possibile. L’uomo del nord capì che gli sci gli avrebbero dato una nuova confidenza con l’ambiente innevato che per lunghi mesi ne limitava l’azione. La nostra civiltà del fuoco ha lo stesso schema d’origine. Un coraggioso prende uno stizzone acceso da un fulmine caduto dal cielo sulla prateria insecchita e lo porta all’interno della caverna, in cui vive; uno spirito ingegnoso capisce che a differenza della terra, dell’acqua e dell’aria, beni di prima necessità che l’uomo non può produrre da sé, il fuoco, caduto misteriosamente dal cielo, è da lui riproducibile. Quindi un artista disegna sulle pareti della caverna la prodigiosa scoperta. Chi ammirò quei graffiti ricevette un vitale dono di conoscenza: il fuoco posto sull’uscio della caverna teneva lontano le bestie feroci, salvando la vita dei primitivi che si rifugiavano al suo interno e garantendo a noi la discendenza. Senza fuoco, senza l’intelligenza tecnica, senza l’emozione artistica e la possibilità di trasmettere conoscenza, cioè scrivere e leggere,

nessuno di noi sarebbe oggi qui. Così, senza sci, senza tecnica, senza arte e la possibilità di trasmettere e acquisire conoscenza, la vita al nord sarebbe stata dura al limite della stessa sopravvivenza. PIEDE E PAROLA, CURVA E FRASE Scrivere di sci, quindi, è condizione primigenia e salvifica; di sci scrissero tutti i pionieri di questo sport per farlo conoscere, per trasmettere il prodigio e le emozioni di sciare; di sci scrissero i maggiori scrittori del Novecento dedicando a esso racconti degni della migliore letteratura. Se oggettivamente sciare è un po’ come scrivere e scrivere è un po’ come sciare, soggettivamente crediamo che lo sia anche sotto l’aspetto stilistico, così importante per entrambi a pari modo. Sciare bene e scrivere bene è avere il piede solido e preciso nell’appoggio sulla neve, è avere la parola solida e precisa su quanto si vuole esprimere; è chiudere la curva nella completa gestione delle forze e della velocità, è chiudere la frase nella completa gestione del senso e del ritmo; è legare tra loro le curve perché la discesa sia collegata e compiuta; è legare tra loro i pensieri perché il testo sia collegato e compiuto. Piede e parola; curva e frase; discesa e testo: i tre momenti di sciare, i tre momenti dello scrivere.

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