Sportivissimo Marzo 2010

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editoriale

Lettera ai miei figli

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dopo una conferenza su Sergio Perin

per una societa di valori sportivi Cari Guidaldo e Lapo, qualche settimana fa vi ho portato a sentire una conferenza su Sergio Perin, lo zio di vostro nonno Guido e grande amico di Franco Meneguzzo, pittore tra i massimi del secondo ‘900 italiano, oltre che zio di vostra nonna Emanuela, che voi avete potuto conoscere e amare, e che a Guidaldo prima e a Lapo poi ha insegnato che anche nella testa di un bambino di 4 anni c’è una “centralina” da tener viva e ben funzionante. Ebbene, a beneficio della vostra “centralina” ci tenevo proprio che voi partecipaste a quella conferenza, perché, per quanto forse non potevate capire tutto di quel che si sarebbe detto, avreste comunque percepito quale bella persona era un membro della nostra famiglia, quale capacità di comprendere gli uomini e il loro futuro aveva Sergio Perin; e ci tenevo, a quella conferenza, anche per conto mio, dato che era la prima volta che mi si offriva la possibilità di avere sue notizie in modo ufficiale. Finora, infatti, quello che ero riuscito a sapere, lo avevo raccolto qua e là, chiedendo a parenti o a persone che l’avevano conosciuto. Insomma ci tenevo perché io sono cresciuto nel segno dei valori di Sergio Perin e su quei valori sto cercando di far crescere voi. Vi avevo anticipato l’evento, dicendovi che quell’incontro pubblico, per i 90 anni dalla nascita, aveva un grande significato già di per sé, perché dimostrava come il pensiero di Sergio Perin era entrato nella vita di tante persone e questo, ragazzi miei, è la virtù dei grandi uomini, dei classici che studierete, il cui pensiero è diventato parte di noi al punto che sentiamo la necessità di ricorrerne ogni qualvolta ci interroghiamo su noi stessi e sul nostro presente, malgrado loro non ci siano più da tanto tempo. E allora, poiché so che quella conferenza vi ha deluso, come d’altro canto ha deluso me, mostrando un Sergio Perin in cui ciascuno di noi si è riconosciuto solo a tratti, dopo averci pensato un po’, ho deciso di scrivervi questa lettera aperta, e l’ho fatto non solo perché è giusto che a un discorso pubblico si ribadisca con un intervento altrettanto pubblico, ma anche perché ho capito che è il genere letterario della lettera - della lettera familiare - quello più efficace per trattare questi argomenti. Quella sera in sala, infatti, oratori e pubblico erano tutti “figli” o “nipoti” di Sergio Perin. Figli naturali e figli culturali degli “azionisti”, come allora si chiamavano i membri del Partito d’Azione. E di ciò ho avuto riprova il lunedì successivo alla conferenza, quando il quotidiano La Repubblica pubblicava un pezzo di Beniamino Placido proprio su Giustizia e Libertà e proprio nella forma di lettera alla figlia Barbara. Verrebbe già da far notare come il pensiero politico degli “azionisti”, così pieno di alti ideali, abbia storicamente più funzionato nell’educazione di pochi uomini che nel guidare lo Stato, di cui raramente è stato il pensiero guida; e di rilevare non un limite in questo, ma un valore. Gli “azionisti”, e Sergio Perin in modo speciale, erano principalmente uomini di passione. Su tutto, prima c’era la passione, e poi da essa, ma come un casus, poteva venire anche il successo politico, l’affermazione individuale, il successo economico. Mai il contrario. In Sergio Perin la politica era passioLogo Sportivissimo

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ne, la cultura era passione, il suo mestiere d’insegnante di storia della filosofia al liceo cittadino era passione. Il suo non essere stato eletto al parlamento italiano, quindi, come d’altro canto lo scioglimento del Partito d’Azione a causa, come scrisse Palmiro Togliatti, di una visione troppo intellettuale e quindi astratta della politica, non fu tout court un insuccesso. La loro militanza appassionata non fu sterile, ma alimentò e continua con successo ad alimentare un certo modo di vivere la politica, la cultura, lo sport, il lavoro di tutti i giorni. E questo non è essere “astratti” ma l’esatto contrario, perché questo significa aver capito che per arrivare a una politica alta (concetto astratto) prima servono uomini degni (dato reale). Tra tutti i movimenti politici del secolo scorso, cari Guidaldo e Lapo, quello “azionista” è il solo di cui non si possa che dire bene, da sinistra quanto da destra. Ma c’è anche un’altra ragione sul perché vi ho scritto questa lettera. Nei giorni successivi alla conferenza è accaduta una cosa strana, quella che zio Franco avrebbe definito “un accidente”: mettendo a posto i miei libri, ho trovato una copia di Abolire la miseria di Ernesto Rossi, datata Milano 1946, con una dedica speciale: “A Gaetano Marzotto/ in omaggio./ E. Rossi,/ Roma, 17 dicembre 1950”. Francamente non ricordo come mi sono procurato questo libro; non so se l’ho trovato, come possibile, nella soffitta di mia nonna, in qualche scatola di libri che erano appartenuti a Sergio Perin oppure se l’ho trovato in qualche bancarella nel periodo in cui giravo per mercatini a caccia di libri interessanti. Nel primo caso non so spiegarmi come poteva essere appartenuto a Sergio Perin un libro dedicato a Gaetano Marzotto. Ma è da qui che voglio partire, da Ernesto Rossi, che per 13 anni è stato tenuto in carcere dai fascisti; da questo libro di questo economista geniale, grande ispiratore del pensiero di Giustizia e Libertà, si deve partire per comprendere l’azione politica di Sergio Perin e quella ormai celebre trattativa per il rientro a Valdagno di Gaetano Marzotto, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Marzotto era stato fascista, aveva ricevuto a Valdagno Mussolini. Mentre il regime stava cadendo, temendo per sé e per i suoi famigliari, Marzotto riparò in Svizzera. Sergio Perin, come esponente di spicco del Comitato di Liberazione Nazionale, ebbe l’incarico di incontrare Gaetano Marzotto a Portogruaro e avviare una trattativa per il suo rientro a Valdagno. Ebbene, Guidaldo e Lapo, quella sera è stato detto che da quell’incontro, pur senza una esplicita colpa di Sergio Perin, si raccolse pressoché nulla per la città e per i suoi residenti. E si citavano quelle due righe non meno celebri di Libera nos a malo di Luigi Meneghello, in cui si dice che Paolo il biondo (questo era il suo pseudonimo), cioè “l’impiccatore dei Marzotto, biondo, schivo e trasognato…”, per un giorno ebbe in mano il destino della città, ma già i giorni successivi “Marzotto avrebbe potuto impiccare loro”. Vedete, al tempo, c’era chi avrebbe fatto saltare in aria i Lanifici, come segno di spregio nei confronti del padrone fascista e traditore; chi li avrebbe occupati e autogestiti; chi avrebbe voluto farne una cooperativa operaia; chi li avrebbe statalizzati.

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Sergio Perin non fece nulla di tutto ciò: non temporeggiò, come scrive Meneghello; non fu inconcludente, come si disse; ovvero quell’incontro non generò un fallimento, come è stato detto quella sera. Sergio Perin aveva letto Ernesto Rossi: vedeva avanti. Così scriveva Rossi: “… durante l’ultimo secolo e mezzo, (scrive prima del 1945) esso (lo stimolo del profitto) è stato la molla propulsiva di un dinamismo economico che ha fatto aumentare i mezzi materiali disponibili per la soddisfazione dei bisogni umani con un ritmo senza precedenti” e li elenca: più possibilità di nutrimento, di alloggio, di vestiario, di comunicazione, di trasporto di persone e cose, di colonizzazione delle regioni più selvagge, di scambi commerciali e finanziari…; per concludere: “furono realizzate e diffuse invenzioni più meravigliose di quelle che aveva saputo immaginare la fantasia dei novellieri orientali”. E, dopo aver detto ciò, dichiarava: “l’eroe di questa grandiosa rivoluzione economica non è il “fedele servitore dello stato”, mosso dal senso del dovere. E’ l’imprenditore, che non ha lo stipendio sicuro alla fine del mese, comunque vadano le cose... E’ l’imprenditore che costruisce la sua baracca di pioniere sempre più avanti, se scopre una possibilità di maggior guadagno, dove neppure arriva la tutela della legge; che fa sua l’idea geniale dell’inventore nella speranza di trasformarla in tanti biglietti di banca, prima che esista un mercato di consumatori disposto a comprare i nuovi prodotti…”. E poi, “molti imprenditori hanno pagato con la rovina la loro audacia, ma i pochi che sono riusciti hanno segnato … le prime tracce di un cammino che ha permesso poi a tutta l’umanità di procedere sicura”. Seduti uno di fronte all’altro nella villa di Portogruaro, Sergio Perin non era il vincitore della guerra che chiedeva un bottino a Gaetano Marzotto, ma un valdagnese che aveva ben presente che cosa aveva significato per la città e i suoi residenti un’eccellenza industriale come quella che i Marzotto avevano intrapreso. Un’eccellenza industriale all’epoca rara nel nord Italia e rarissima nel Veneto. Sapeva che i Marzotto avevano temerariamente avviato un’industria in una terra di confine di là della quale c’era la nemica Austria. Avevano costruito la loro “baracca di pionieri… dove neppure arrivava la legge”. Per capire quali rischi comportava avere una fabbrica sul confine con una nazione nemica, sappiate che in quegli anni, a Padova, nella facoltà d’ingegneria, s’ideò il primo motore a scoppio da applicare a un veicolo a tre ruote del cui progetto s’innamorò un giovane ufficiale di cavalleria di stanza a Verona, Giovanni Agnelli. Quando si trattò, però, di avviare la fabbrica per la produzione di automobili, quella che poi sarà la Fiat, Agnelli preferì il Piemonte al Veneto, scegliendo la sicurezza dei confini, l’antica alleanza con la Francia, che la tecnologia dei dottori padovani. Sergio Perin sapeva cosa significava questo perché lo aveva letto da Ernesto Rossi, perché lo aveva vissuto di persona. Cioè sapeva che “quella baracca” temeraria di confine che era diventata una fabbrica internazionale aveva portato in città un teatro da 1860 posti, una scuola di musica, un intero quartiere di scuole, un ospedale, un poliambulatorio, un orfanatrofio, un asilo, un dopolavoro, una casa di riposo, grandi

centri sportivi, un albergo e soprattutto un migliaio di alloggi residenziali moderni e funzionali; insomma aveva fatto di una modesta città di una valle anonima una delle migliori città d’Italia. Sergio Perin aveva letto dal libro di Ernesto Rossi che il “regime individualistico”, quello imprenditoriale, rappresentato dai Marzotto, era in fondo il migliore, se regolato da buone leggi. Che l’alternativa, rappresentata dal “regime comunistico”, avrebbe portato l’intervento dello Stato su tutto, e questo significava la “burocratizzazione generale”. Ernesto Rossi, Sergio Perin non erano comunisti ma “azionisti”. Cioè, come scrive Placido, “volevano la Giustizia, ma volevano anche la Libertà”. Pochi al tempo lo capirono. Benedetto Croce, che all’epoca era considerato il massimo filosofo italiano, sosteneva che Giustizia e Libertà erano inconciliabili. Chi vuole la Giustizia, l’Uguaglianza - diceva - deve rinunciare alla Libertà, che è sinonimo di Diversità. E questo politicamente voleva dire fare la fine della Russia di Stalin. Scrive Placido: “gli “azionisti” erano fermamente avversi alla Russia di Stalin, che aveva impiccato abbondantemente, che continuava ad impiccare allegramente. Mai, neppure per un momento cedettero alle fiabesche sciocchezze che i comunisti italiani allora dicevano. E che si sono dimostrate sanguinosamente false”. Al mito della Russia, poi della Cina, quindi di Cuba gli “azionisti” non hanno mai creduto. Sergio Perin non si oppose a Mussolini; si oppose a Mussolini e a Stalin. Ovvero a tutte le tirannidi. Quel giorno a Portogruaro si oppose anche a Gaetano Marzotto, certamente. E con successo. Perché dopo la fine della guerra, a Valdagno cominciò a maturare un modo diverso di rapportarsi con Marzotto, il quale non era più il paròn ma un industriale; il quale non era più il padre dei valdagnesi dal fare paternalistico ma un moderno capitano d’industria. La fabbrica era diventata un’espressione della città, e non più viceversa. Il disegno di Sergio Perin per il futuro di Valdagno fu chiaro e vincente: si doveva realizzare una grande zona industriale per dare possibilità al sorgere di nuove realtà imprenditoriali; ci si doveva impegnare per collegare Valdagno, attraverso un’autostrada pedemontana che da Arzignano arrivasse a Treviso, alle maggiori città di quello che sarebbe diventato, da lì a poco tempo, il fenomeno Nordest; la città doveva dotarsi di una moderna e vivace biblioteca comunale con galleria civica come centro - agli “azionisti” sarebbe piaciuta l’espressione “come fiaccola” - della vita intellettuale comunale. Per l’Italia, invece, gli “azionisti” pensavano a un moderno stato federalista europeo. Provavano simpatia per gli Stati Uniti dell’era Kennedy. Sergio Perin aveva incontrato Bob Kennedy a Washington, in occasione di un incontro formale. Sebbene non ci fosse stato modo di approfondire la loro reciproca conoscenza, era rimasto colpito che alle pareti dello studio vi fossero appesi - quale presenza familiare, quale segno di futuro - i disegni dei figli piccoli di Bob. Gli “azionisti” erano uomini speciali perché sapevano guardare avanti, perché sognavano, perché il loro pensiero “volava sempre alto”, come scrive Beniamino Placido, come scrive Salvatore Fazia nel libro Passione e morte di Franco Meneguzzo,

dove dice che al Garibaldi di Valdagno, il bar della piazza, ci s’incontrava per parlare d’idee, di letture, d’interpretazioni del mondo, ed erano sempre discorsi alti, “un punto di vista alto sulle cose e … solo di cose alte si parlava…”. Una volta chiesi a Franco Meneguzzo che cosa volesse dire tutto questo e lui, sapendo che a me piaceva sciare, mi disse: “chi è il migliore nello sci; bene, impara da lui”. Voleva dirmi che era importante leggere chi ti fa pensare, e che pensare era il modo di vivere più bello. Tu, Guidaldo, cominci ad avere l’età per affrontare le prime decisioni sulla tua vita. Una volta Francesco Disconzi, che era un bel personaggio di Valdagno che amava l’arte e gli piaceva vivere da gentiluomo qual era, mi raccontò che molte persone si rivolgevano a Sergio Perin per avere un consiglio su una data scelta che loro stavano per fare. Gli chiedevano se era bene o male quella determinata cosa, e lui - così diceva Francesco - era sempre pronto a incoraggiarli a farla. Mi sono chiesto le ragioni di questo suo agire e mi sono convinto che egli lo facesse perché sapeva che nella formulazione della domanda, la scelta era già intimamente fatta. Si rifaceva, credo, a San Agostino che nel De Magistro scrive: “in interiore homine habitat veritas”, dentro di noi c’è la verità delle nostre scelte. Quelle persone cercavano da Sergio Perin semplicemente un po’ di forza, un supporto psicologico, una benedizione laica e lui gliela dava; generosamente, senza invidia li aiutava ad aprire la porta, non a chiuderla. Adesso tu, Guidaldo, che devi scegliere la scuola per il tuo futuro, ascolta, sì, tutti quelli che possono darti un suggerimento, ma poi scegli liberamente tu, e io sarò dalla tua parte e nei tuoi progetti, e il nostro motto sarà quello che avevano coniato gli “azionisti”: non molleremo. Voglio concludere con un ricordo personale. Avevo 6 anni, quando Sergio Perin è morto. Ho due flash di lui che mi tiene sulle ginocchia. In uno siamo sul sedile anteriore del Maggiolone bianco della zia Gina, nella curva, dopo il ponte della filanda a Recoaro, in direzione Valdagno. Lui mi recita la storia de l’ocarela, che la xe curta ma bela, con el capeleto in crò, vuto che te la conta sì o no? Io dicevo di sì. Non te devi dir di sì, perché la storia dell’ocarella la xe curta ma bela, con el capeleto in crò, vuto che te la conta sì o no? E allora io dicevo di no. Non te devi mai dir de no, perché la storia dell’ocarella… e così, credo, abbiamo continuato fino a Valdagno. E’ stata la mia prima lezione di filosofia, una versione nostrana del celebre paradosso: “la frase sul retro di questo foglio è vera”; giri il foglio e leggi: “la frase sul retro di questo foglio è falsa”; era per dire che al di là del gioco di logica, (se dici di ‘sì’ alla storia de l’ocarella, allora non è più curta; se dici di ‘no’, allora non puoi sapere che è bela), la verità va cercata in continuazione, senza fermarsi mai; che le stesse leggi dello Stato devono continuamente essere riviste da un paziente e saggio lavoro di miglioramento. Gli “azionisti” furono i migliori di tutti nello scrivere le leggi; avevano quasi un’idea sportiva della società: siamo tutti uguali nel campo di competizione, dove per tutti valgono le stesse regole, poi, però, ciascuno di noi dev’essere libero di mettere alla prova i propri talenti. Ecco, ragazzi, ci tenevo a dirvi questo, papà.


tre amici

arrampicata 7

on the rocks

I

l paesino di Recoaro Terme offre agli appassionati di scalate,oltre che le note arrampicate nelle Piccole Dolomiti, anche la possibilità di scalate su ghiaccio. Nel tentativo di far conoscere queste piccole meraviglie, tre amici: Alfredo, Gianni e Luca si sono recati in località Ronchi armati di corde chiodi piccozze e ramponi,e non per ultima di una buona macchina fotografica che messa nelle mani di Luca Giovannini, detto Ciri, fotografo di professione, produce buone foto. La cascata in questione porta il nome di “Zio Paje” datogli si presume dai primi salitori che corrispondono al nome di An-

di Gianni Bisson Foto di Luca Giovannini

tonio Cailotto ex Guida Alpina e dall’indistruttibile amico Giuseppe Visonà, meglio conosciuti in valle con il nome di Toni Roccia e Beppo Giassa. La data della prima salita penso che risalga agli anni ‘80, poi in seguito la cascata di ghiaccio è stata riscoperta dalla Guida Alpina Franco Spanevello che con il trapano ha piantato i primi fix con annesso cordino per facilitarne la scalata in sicurezza. Negli ultimi anni la Guida Alpina Gianni Bisson con l’amico Giuliano Dani e la fidanzata Susanna Fantini e l’inseparabile cane huscki Criss, ha portato una


8 piccola innovazione nella cascata di zio Paje, infatti sulla sinistra è nato un simpatico dry tooling “forse il primo in valle” un piccolo tiro di corda con 4 fix che supera con prepotenza i due tetti a strapiombo dove non si forma il ghiaccio. Il tiro chiamato con il nome “Sisco” presenta forse una difficoltà di M7(?),dico forse, perchè non avendo tanta esperienza in merito saranno le future ripetizioni a confermarne la difficoltà e quindi il grado. Mentre la cascata che spesso e volentieri non si forma molto bene può presentare difficoltà fino al 5° grado. Per raggiungere la cascata ci si inoltra in una stradina che, da prima passa una piccola valle dove si raccoglie l’acqua per dare da bere alla contrada Ronchi e, appena ci si inoltra nel sentiero qui si incontra un cartello che parla chiaro:

Divieto di scarico ....... (probabilmente immondizie non ci stava!). Da qui si sale tenendo la sinistra per il sentiero in un suggestivo bosco fino al raggiungimento della valle, dove più in alto si forma la cascata.


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Salendo per pochi minuti si raggiunge un piccolo salto dove raramente si forma una piccola cascata ghiacciata di 2 o 3 metri, che si può aggirare per il bosco, oppure se il ghiaccio è abbastanza formato salire con piccozza e ramponi,e proseguendo nella valle si arriva alla cascata “Zio Paje”. Se la cascata non si presenta in buone condizioni la si può aggirare, non senza difficoltà, e si può mettere la corda dall’alto in modo da poterla salire in sicurezza facendo più di qualche giro. Quasi sempre la cascata di ghiaccio si forma a canne di organo e così rende difficile la messa in posizione dei chiodi e la tenuta delle piccozze, quindi è molto importante valutare bene le condizioni del ghiaccio e le proprie capacità di arrampicata su ghiaccio. Buone scalate e buon divertimento. Gianni Bisson Istruttore delle Guide Alpine 335.6842320

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escursionismo 10

La cresta del

“Bocchese”

Un altro itinerario dimenticato ma estremamente affascinante di F. S. foto di Riccardo Corà

sta c re

e d e l B o cch

se

L

a cresta di cui parliamo in questo articolo si sviluppa nei pressi di Cima Bocchese (924 m.s.m.) dove è posta una croce. Oltre che per la sua naturale bellezza, questa cima vale la pena di essere raggiunta per lo straordinario panorama che da essa si vede e quindi consigliamo di evitare di servirsi del sentiero sottostante ma di raggiungerla attraverso la cresta, proprio sul filo (saliscendi) del suo sviluppo. Questo itinerario, infatti, permette di avere un’ampia veduta sulle valli sottostanti e sui monti attorno in ogni momento della camminata. Il panorama è davvero mozzafiato. A seconda da dove si proviene, si può percorrere la Cresta del “Bocchese” in un senso oppure nell’altro. Ecco i vari modi per raggiungerla: 1. dalla contrada Castagna (sopra il paese di San Quirico) raggiungibile in auto 2. dalla contrada Busati (dopo la contrada Pellicchero) raggiungibile in auto. 3. da Recoaro 1000 passando nei pressi di località Gioccole. 4. attraverso il “sentiero del partigiano e della Resistenza” che inizia nei pressi della località Facchini (Recoaro Terme).

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Super

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ei giorni 26-27-28 febbraio si sono svolti a Lama Mocogno, in provincia di Modena, i Campionati Italiani Allievi, ultima gara stagionale per gli atleti di categoria e sicuramente l’evento più importante ed il più atteso dell’anno. E proprio come dice il detto “quando il gioco si fa duro, i duri cominiciano a giocare”, qui sulle nevi dell’appenino emiliano la nostra Debora Rosa ha fatto il gran colpaccio portando a casa ben due medaglie, dopo una stagione fatta un po’ di luci e ombre e con qualche alto e basso. Due medaglie, un bronzo nella 5 km in classico e un oro nella staffetta femminile, che significano, essere la terza migliore in Italia della sua categoria e la campionessa italiana assieme alle sue altre due compagne(Erika Antoniol e Giada Valentini) nella staffetta, anche vista la numerosa e agguerrita concorrenza. Entusiasmo alle stelle in casa dell’U.S.Asiago Sci per questa trasferta veramente da incorniciare in cui Debora è stata molto brava nel riuscire a fare due gare stupende, segno di un ottimo stato di forma, ed è stata molto soddisfatta come ci ha lei stesso confermato nell’intervista che riportiamo in breve qui sotto:

Debora

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Debora Rosa è campionessa italiana nella staffetta e bronzo tricolore nella 5 km individuale


12 Debora ci puoi dare una tua breve descrizione? Mi chiamo Debora, sono del 1995 e ho quindi 15 anni. Abito a Lugo di Vicenza ma ho comunque origini altopianesi in quanto mia mamma è asiaghese e quindi posso dire di sentirmi parte di questo mondo dato che conosco molto bene Asiago da quando sono piccola dove venivo per trascorrere un po’ di tempo con i miei nonni; adesso mi fermo ad Asiago due mesi in estate e durante le vacanze di Natale ma comunque in quasi tutti i weekend. Vado a scuola a Thiene e frequento il primo anno del Liceo Scientifico-Bilinguismo. In famiglia siamo in quattro, mio papà Marino, mia mamma Giuliana e mio fratello Fabio che ha nove anni e pratica anche lui sci di fondo. I miei hobby sono di stare all’aria aperta, andare in bicicletta, camminare in montagna, ascoltare musica e ovviamente andare fuori e divertirmi con i miei amicio Debora, esattamente da quanto pratichi questo sport? La prima volta che ho messo gli sci è stata per gioco all’età di quattro anni, perchè entrambi i miei genitori erano molto appassionati dello sci di fondo. Agonisticamente ho iniziato invece all’età di otto anni. Cosa ti ha spinto a scegliere questo sport, che come sappiamo tutti chiede molto impegno e molto sacrificio? Ho scelto di dedicarmi esclusivamente a questo sport dopo avere praticato pattinaggio a rotelle, pallavolo e ciclismo perché le sensazione di stare a contatto con la neve, con i boschi e con la natura mi affascinavano. Come è quanto ti alleni? Mi alleno molto, di solito cinque o sei volte a settimana, mediamente restando sugli sci per circa un ora ed un quarto seguendo un programma prestabilito da miei allenatori. Il fatto di abitare in pianura ti penalizza? Sì, sicuramente. Ogni giorno impiego più di mezz’ora per raggiungere le piste da sci e di certa abitare anche durante la settimana ad Asiago sarebbe molto più comodo. Com’è stata e cos’hai imparato da questa esperienza ai Campionati Italiani? Beh, è stata un’esperienza assolutamente positiva anche se devo dire che inizialmente ero molto preoccupata e un po’ giù di morale perchè venivo da una stagione in un certo senso sfortunata e con risultati non molto brillanti dovuti a qualche problema fisico, ma invece nelle due settima-

ne antecedenti ai Campionati Italiani a Lama Mocogno, sono riuscita a recuperare molto bene, entrando in ottime condizioni giusto in tempo per la gara più importante della stagione ottenendo degli ottimi risultati. Ho imparato che oltre alla forma fisica è importante in ugual misura il credere in quello che si fa e impegnarsi sempre al massimo. Dopo aver vinto le due medaglie quali sono state le tue emozioni? Beh, è stata una grande rivincita per me stessa, e questa grandissima soddisfazione mi ha fatto dimenticare l’amarezza di qualche risultato. Cosa ne pensi della tua società e come ti sei trovata? Questa è la prima stagione in cui sono iscritta con l’U.S. Asiago sci e devo dire che mi sono trovata molto bene in quanto è una società ben strutturata e con un presidente, Sergio Vellar, molto vicino alla squadra. Posso dire che mi sono inserita alla grande in questo gruppo e ho avuto l’opportunità di far nuove conoscenze e trovare dei buoni amici. Vuoi fare qualche considerazione su questo sport? Sì, sicuramente è uno sport che come altri richiede impegno, costanza e determinazione negli allenamenti, ma pochi sport ti insegnano, come lo sci di fondo, la capacità di soffrire durante la gara, e credo che questa sia una cosa molto importante. Vuoi ringraziare qualcuno in particolare? Sì, innanzitutto la mia famiglia che mi supporta sempre e in particolar modo il mio papà che dedica molto del suo tempo per seguirmi nello sci. Un ringraziamento di cuore va anche ai miei due allenatori, Carlo Dal Pozzo e Alberto Pertile per la pazienza che portano sempre con me, per gli ottimi insegnamenti che mi danno e per la preparazione a dir poco eccellente degli sci. Beh, che dire...ti ringraziamo veramente per aver tenuto alto il nome dell’altopiano e di Asiago in questi Campionati Italiani Allievi. Un ringraziamento particolare dalla società U.S.Asiago Sci che può ritenersi soddisfatta di questa eccellente prestazione in chiusura di stagione.


pugilato

cuori da ring

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“Il pugilato funziona al contrario della vita. Sul ring vai incontro al dolore, e vai incontro con tutta la forza che puoi per incassare il meglio possibile senza mai indietreggiare, con la consapevolezza che tutto quello che potrebbe farti male ce l’hai davanti, che niente ti colpirà alla nuca approfittando di una distrazione momentanea, che nessuno giocherà alle tue spalle. Non ci sono traditori sul ring, nessuna bugia in quel quadrato, perché il pugilato è onore, il pugilato insegna a crescere, insegna ad essere uomini… il pugilato è la follia di rischiare tutto per un sogno che nessuno vede, tranne te”.

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di Marco Rossato

orrei raccontarvi la giornata di un ragazzo comune che, come me, pratica quotidianamente il pugilato... Fissato il giorno per il match (o no) mi alzo alla mattina presto e mi preparo come di consuetudine alla mia corsa di fondo mattutina...ore 05.00 a.m.... tutto tace attorno a me, ma dopo essere uscito dalla porta di casa, il mio ipod comincia a battere... la musica è tassativamente quella di Rocky... mi scalda, mi rende vigoroso, nonostante l’ora ed il sonno... da qui inizia la mia giornata... la giornata di un pugile... Dopo un’ora di corsa precisamente calcolata in 8/9 Km mi preparo una colazione energetica... uova, pane tostato, caffè, una spremuta d’arancia e un paio di banane... ora posso andare a lavorare… nel corso della mattinata e, per tutto il giorno, ripeto mentalmente tutti gli esercizi e le figure da ripetere nell’ imminente allenamento serale, focalizzando i difetti più evidenti... a pranzo, se ho il tempo, mangio secondo tabella, quindi: carne rossa o bianca non ha importanza - purché sia di manzo, vitello, tacchino o pollo; tanta verdura e un pò di frutta - altrimenti salto la carne e mangio il resto... arriva sera, sono le 18.30…m i dirigo in palestra e qui inizio il mio allenamento che potrà variare a seconda del program-

ma preparato... l’unica certezza sarà che per tre ore dovrò dare il massimo di me stesso... addominali… piegamenti… trazioni... circuiti... sacco... peretta... pesetti... figure allo specchio... sparring… e molto altro ancora mi farà compagnia assieme ai miei fratelli, così li definisco, perché per me il pugilato è uno stile di vita dove la palestra è la mia casa e gli amici sono la mia famiglia... Questo non è che un giorno normale per chi, come me, ha scelto di vivere uno sport anziché praticarlo semplicemente. La palestra di pugilato dove


14 ci si allena si trova a Trissino, è da lì che inizia la storia di molti atleti che come me si possono chiamare pugili... Andrea Fracca, Enrico Marchi e Nicola Bevilacqua sono gli atleti che hanno partecipato agli ultimi campionati italiani di 1° e 2° serie arrivando tra i primi posti... Nicola Antoniazzi, una giovane promessa del pugilato che frequenta la nostra palestra saltuariamente... Marco Rossato, una personalità marcata da un’incredibile e instancabile determinazione, sacrificio, costanza… Giovanni Coriele, Davide Framarin, Sandro Chiarello, Mattia Andriollo, Mattia Piacentini, Enrico Fasolo, pugili agonistici che periodicamente disputano match... e tutti gli altri ragazzi amatori o ai primi pugni che frequentano assiduamente la palestra. Gli iscritti attualmente sono circa una quarantina... diversi tra età (dai 15 ai 45) tra sesso (sono presenti alcune ragazze, molto preparate) e obiettivi...ci sono persone che scelgono di venire ad allenarsi semplicemente per mantenersi in forma.... Le parole non servono in questo sport... la vera essenza è nell’odore, nella concentrazione, nell’impegno, che si può assaporare solamente entrando fisicamente in una scuola di pugilato. Nel pugilato viene ravvisata una certa somiglianza con la scherma per il particolare tipo di studio preparatorio fra i contendenti in funzione del successivo scambio di colpi. Fondamentalmente questo sport si basa su tre colpi: “Diretto” è il colpo più importante per il pugile tecnico. A seconda dell’uso può essere un colpo di disturbo, di arresto, di preparazione al diretto successivo, oppure un colpo potente, portato mediante una rotazione


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“I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione… devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità…” [C. Clay]

del corpo. Si attua avanzando leggermente e si colpisce con la mano che sta davanti nella guardia, oppure facendo ruotare tutto il corpo nel senso del pugno, facendo un movimento col piede posteriore, simile allo spegnimento di una sigaretta sul terreno. “Gancio” è il colpo potente e demolitore, che basa la sua potenza sulla leva fornita dalla spalla e dalla posizione ad angolo retto del braccio, è il colpo di chiusura per eccellenza. Il gancio per essere efficace deve essere eseguito a corta distanza. “Montante” è il colpo dato dal basso verso l’alto, di solito si usa nel corpo a corpo. Si attua ruotando la spalla in modo da imprimere potenza al pugno. Questi colpi, portati in rapida sequenza e con varietà, generano le “serie” o “combinazioni”. Anche se la fase offensiva ha un ruolo decisivo, due sono le tecniche per evitare di prendere colpi: schivare e parare, ovvio il fatto che per ogni tipo di colpo vi siano differenti tipi di schivate e di parate. Dai tre aspetti offensivi e dai due difensivi può nascere un complesso incontro, che vede sul “quadrato” due uomini che si affrontano lealmente secondo regole codificate e che alla fine del match li vedrà abbracciarsi. Il pugilato è uno sport impegnativo e completo, le doti fisiche richieste sono infatti velocità, agilità, forza e resistenza. Il pugilato richiede sia sforzi aerobici che anaerobici, pertanto l’allenamento mira sia al miglioramento della resistenza, ovvero alla durata dello sforzo fisico nel tempo, tramite corsa, salto della corda, allenamento a corpo libero, sia al miglioramento della forza e allo sviluppo della massa muscolare. Il pugilato richiede soprattutto una notevole forza di sopportazione e carattere per poter affrontare gli sforzi durante l’allenamento e il quasi inevitabile dolore fisico durante gli incontri, come del resto capita in tantissimi altri sport, anche non da combattimento. Contrariamente alla maggior parte degli altri sport, la sconfitta nel pugilato è accompagnata da dolore fisico: ciò richiede una ferrea volontà a non darsi per vinto davanti alla fatica del match.

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È

risaputo che il periodo invernale è utilizzato dagli atleti per “staccare la spina” con l’obiettivo del recupero e della rigenerazione a livello psicofisico, utile per affrontare la prossima stagione ciclistica. Interpellati i Direttori Sportivi del Sandrigosport: Ilario Contessa e Gianni Zanin, di buon mattino ci siamo recati in auto fino ad Arsiero per seguire i preparativi del Team; la giornata prevedeva la scalata a piedi del Monte Caviojo quota mt.1111. Alle ore 9,00 tutta la comitiva iniziava la salita del monte con presenti tutti gli atleti che compongono la formazione Juniores 2010 che dovrà difendere i colori vicentini a livello nazionale. La respirazione si accorcia, i battiti cardiaci fulmineamente salgono, le gambe iniziano a stridere, dopo alcune centinaia di metri di salita, la comitiva si zittisce. Più si sale e più si apre il sipario sotto i nostri piedi: la valle dell’Astico da una parte e la Val Leogra dall’altra, e giù a sud la pianura Padana. Purtroppo le divise giallo-rosse degli atleti osservate alla partenza non si scorgono più, a causa dell’alto ritmo da loro imposto e non ci resta quindi che salire con il nostro passo conveniente per mantenere un ritmo costante. La grande guerra combattuta tra il 1916/18 su tutta la zona, lascia ancora tracce evidenti sull’area circostante, e più si sale e più le cicatrici sul terreno si fanno profonde: caverne, ricoveri, trincee, sentieri, mulattiere, tutt’intorno sono un susseguirsi di ricordi e sofferenze che i soldati italiani hanno dovuto sopportare in onore della Patria. L’ultima parte della scalata viene affrontata con la corda fissa e i pioli, e ci regala un

Non solo bici

Abbiamo trascorso una giornata al seguito della formazione vicentina Sandrigosport per scoprire come ci si allena nei mesi più freddi: a piedi per andare forte in bici. di Massimo Cerato panorama straordinario con a nord il Monte Cimone, ad est il Monte Cengio, a sud la pianura Padana con il Monte Summano e Novegno e ad ovest il Monte Pasubio. Dopo la pausa, la discesa permette il recupero con dei momenti utili per affrontare alcune considerazioni con gli allenatori del Team che concordano sul fatto che le attività alternative alla bicicletta praticate durante il periodo invernale, oltre alla ripresa psicofisica degli atleti, favoriscono soprattutto l’aggregazione tra i compagni, indispensabile durante le gare. Infatti, nonostante il ciclismo sia uno sport individuale, il gioco di squadra è spesso determinante in particolari fasi della corsa.

È risaputo che un ambiente rilassante (montagna, collina ecc.) è sicuramente il modo migliore per ritrovare la forma abbinando il recupero con attività sportive più affini al ciclismo come il trekking in montagna, lo sci di fondo, il pattinaggio. Le attività meno affini come nuoto, calcio, canottaggio, corsa ecc. andrebbero praticate esclusivamente nel periodo di riposo e nelle prime fasi del ciclo preparatorio invernale.

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ciclismo 17

Il super gruppo ciclistico di Caldogno ha un nuovo nome: Ads Calcestruzzi Mascotto. Sulla maglia anche il logo della Città della Speranza.

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l 31 gennaio dell’anno in corso ad Ancignano presso la Villa Mascotto si è celebrato “il battesimo” del gruppo ciclistico Caledognense. Alle redini della nuova Società Ciclistica, che per molti anni ha portato con onore il nome di ASD Rowan Elettronica, si siede la Famiglia Mascotto di Ancignano. Denominato ASD Calcestruzzi Mascotto, il gruppo ciclistico composto da circa 180 componenti continuerà a mostrarsi sul territorio Provinciale, Regionale, Italico ed oltre, là dove l’instancabile condottiero Modesto Boesso con il suo staff inventerà di andare. La giornata che si è aperta sotto una coltre di fresca neve caduta nella notte, ci ha visti raccolti nella mattinata domenicale in Villa Mascotto per la consegna della divisa, per realizzare le stupende foto di circostanza nel parco antistante, per la rituale immancabile benedizione del Prelato locale e per suggellare il tutto con un suntuoso rinfresco predisposto nella grande sala dalla Famiglia Mascotto. L’attività sociale, seguendo l’ormai collaudato modulo (trentennale!), si aprirà domenica 7 marzo e vivrà di una stagione ciclistica importante con impegni a 360 gradi. Nell’assemblea del 22 febbraio sarà distribuito il calendario delle uscite festive e di tutte le manifestazioni alle quali parteciperemo con la nuova divisa;

di Mariano Stefani

anticipiamo solamente due delle prestigiose occasioni di grande sport nelle quali saremo protagonisti: La Granfondo Vicenza con partenza ed arrivo a Caldogno, ed il Tour Caldogno - Praga e ritorno per la fine di agosto. ASD Calcestruzzi Mascotto, per tre anni sarà sostenuta oltre che dall’ azienda omonima, dal Comune di Caldogno e da un ambizioso grappolo di sostenitori entusiasti e fiduciosi nella potenzialità di immagine che il gruppo sarà in grado di assicurare sotto la guida di un Direttivo che annovera accanto al già citato Presidente Boesso, il vice Mariano Stefani, il segretario Graziano Fogliato, i consiglieri Attilio Carta, Fidenzio Nardello, Giuseppe Casarotto, Federico e Fabrizio Mascotto con il papà Mario nella veste di Presidente onorario. Mi piace ricordare che in bella evidenza sulle maglie sociali campeggia il logo della “città della speranza” che porteremo con gioia pensando alla solidarietà ed agli aiuti nei confronti di tanti bambini sfortunati, sostenendo così la ricerca in campo oncoematologico. Ricordo che il nostro sodalizio si impegnerà come sempre ha fatto, nel promuovere la giusta filosofia del fare sport, puntando soprattutto agli aspetti che si riferiscono a prudenza sempre ovunque,

Da sin a dex Bortolozzo, Boesso, Mascotto, Carta, Mascotto, Casarotto, Papà Mascotto, Fogliato, Stefani, Nardello.

uso costante del caschetto protettivo, rispetto del codice della strada, comportamenti ed atteggiamenti all’insegna della massima educazione, cordialità e sana rivalità sportiva. Prendiamo spunto da questa presentazione per augurare a tutti i ciclisti della Provincia, ai loro Dirigenti, a tutti coloro che si adoperano per il ciclismo cominciando dai coniugi Milena e Bepi Calearo, un grosso augurio di Buon 2010.

A.S.D. CALCESTRUZZI MASCOTTO


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il grande ciclismoper due

Mtb Race a r g o e ll a V e do fi’zi:k n o f n a r G : ” hio “Vivinbici Sc mo, tradizione e cultura. s giorni di cicli

V

alleogra Mtb Race e fi’zi:k granfondo si fondono per un unico evento della città scledense, Vivinbici Schio. “Vivinbici” sarà infatti il weekend vicentino dell’1 e 2 Maggio, dove strada e Mountain bike si uniranno per un evento unico nel suo genere. Due giorni di bici e divertimento per tutti, appassionati e non, a Schio che ha accolto le due gare con entusiasmo e senso di responsabilità verso l’ambiente e lo sport. Seimila persone tra accompagnatori, corridori e tutto il loro seguito “invaderanno” pacificamente Schio che è pronta ad ospitarli nel migliore dei modi, garantendo massima professionalità e accoglienza. Insomma, un coinvolgimento a tutto tondo della comunità per far capire che un po’ di disagio, a fronte di questi eventi coinvolgenti e spettacolari, passa del tutto in secondo piano. Le due gare saranno davvero interessanti, e non mancheranno di impegnare ma anche divertire gli atleti. La Valleogra, corsa di mountain bike, propone infatti due percorsi: Marathon 62 km con un dislivello di 2130 metri e Classic 44,5 km con un dislivello di 1.380 metri (che si differenzia dal Marathon per la mancanza della salita al Monte Novegno). La Granfondo fi’zi:k, che si corre su strada, con i suoi già 1500 iscritti, offre due tracciati: il percorso della Granfondo, misura 141,5 km ed ha un dislivello di 2.800 m, non tra i più semplici, proprio per la morfologia del territorio, con a Nord le montagne e a Sud la pianura. Per chi invece preferisce una distanza meno proibitiva ci sarà anche la Mediofondo di 83 km con 1.765 m di dislivello. Schio e la sua amministrazione hanno reagito in modo propositivo a quest’evento, e non mancano le attività collaterali per tutti, in via di definizione. Si partirà sabato pomeriggio con “Bimbi in bici”, riservata a tutti i bambini che vorranno passare una giornata diversa all’insegna del divertimento sulle due ruote, fino ad eventi di notevole spessore culturale come la visita guidata per scoprire l’archeologia industriale di Schio e al giardino Jaquard e la visita a Palazzo Fogazzaro dove saranno esposti i quadri di Alfredo Ortelli, famoso pittore locale. Non solo cultura ma anche tradizione gastronomica al centro dell’attenzione di Vivinbici, con stand espositivi di prodotti a km zero (prodotti locali) nel centro di Schio per tutti coloro che vorranno gustare le prelibatezze naturali venete. Due giorni dedicati a tutti, agli agonisti, a chi vuole trascorrere un week end all’aria aperta, a chi ama divertirsi ma, soprattutto, scoprire le bellezze artistiche e gastronomiche di Schio, vero e proprio cibo per la mente e il corpo.


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motostaffetta service

L

di Massimo Cerato

a motocicletta è un generatore di passioni e gratificazioni che non si ferma solamente alle forti emozioni che si ottengono durante un viaggio o semplice scampagnata, ma è anche servizio di sicurezza stradale durante il transito degli atleti ciclisti limitatamente tra la macchina INIZIO GARA CICLISTICA e la macchina FINE GARA CICLISTICA. Non impartisce ordini, ma agisce per quanto possibile per segnalare l’arrivo della carovana ciclistica con fischietto sempre pronto e bandierina color arancio e gialla. Ed ecco, sotto la spinta di molti ex corridori e appassionati di ciclismo, che nel 1985 nasce la prima squadra di motostaffete in provincia di Vicenza grazie ad Orlando Lucca che promosse il servizio denominato “Motostaffette TREEMME”. Negli anni successivi, a proseguire l’attività con grande fervore arriva Ferdinando Cappellotto e la squadra assume una nuova denominazione “Team Cappellotto Jarno SMS”. Ex dipendente della famosa e storica ditta Laverda di Breganze, Ferdinando Cappellotto dal 1961 al 1969 fu collaudatore della mitica “Laverda 1000 tre cilindri” la più potente moto esistente al mondo in quel periodo, e ancora della “Laverda SFC 750” e “Laverda 1000 V6 - 24 valvole, percorrendo ininterrottamente circa 600 km al giorno per testare motori e assetto delle moto.

Veterano delle due ruote con un notevole bagaglio di esperienza alle spalle, Ferdinando ha percorso negli anni più di due milioni di chilometri in moto. L’emozione lo coglie di sorpresa, quando gli viene chiesto quale fosse il ricordo più bello vissuto tra le sue esperienze in moto: “Conservo una foto sulla Domenica del Corriere che mi ritrae a cavallo della mitica moto Laverda 1000”. Oggi il “Team Cappellotto Jarno SMS” raggruppa oltre 30 volontari tra motostaffette e scorte tecniche, tutti abilitati con appositi corsi. La passione e la professionalità di tutti i

componenti del “Team Cappellotto”, ha permesso all’RCS che dispone di tutta l’organizzazione del Giro d’Italia, di commissionare il servizio di motostaffetta alle recenti tappe di Sestri di Lavante e dei Campionati Italiani di Imola. Naturalmente la prossima stagione sarà piena di impegni per le motostaffette che dovranno superarsi per confermarsi al top in quanto li attendono ben tre tappe al Giro d’Italia: la cronoscalata di Plan de Corones, la Tappa di Monte Zoncolan e la crono di Verona; il Giro del Veneto, e infine tutte le più importanti corse dilettantistiche del vicentino.


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L

a Vicenza di Antonio Rosso

unedì sera, 25 febbraio, al teatro civico di Vicenza si è tenuto il tradizionale Galà dello sport organizzato dall’omonimo assessorato per rendere omaggio ai protagonisti dello sport vicentino. La serata è stata presentata da Elisa Santucci. Tra una serie di premiazioni e l’altra hanno intrattenuto i presenti Stefano Ferrio e la Jazz Ambassadors. I premi sono stati consegnati dal deputato Massimo Calearo, dal consigliere provinciale Roberto Cattaneo, dal sindaco Achille Variati, dall’assessore allo sport Umberto Nicolai e da altri esponenti del consiglio comunale. Per primi sono stati premiati, uno per ogni circoscrizione, i personaggi dello sport cittadino che dedicano la loro vita all’avvio dei giovani alla pratica sportive:un premio a Paolo Marinello, Jacopo Bonato, Renato Conte, Alfredo Schiavotto, Silvio Marchetto, Pietro Balestra e Bruno Munaretto. Pre-

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La premiazione delle società. In primo piano la ASD Nuoto Pinnato, campione Italiano di pesca con la mosca a squadre e il Centro Subacqueo Nord Italia campioni Italiani di tiro al bersaglio staffetta a squadre

Coordinamento lavori idraulici ed elettrici Lavori muratura - falegnameria tinteggiatura La Jazz Ambassadors mentre intrattiene il pubblico

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La premiazione degli atleti individuali


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Elisa Santucci, l’assessore allo sport Umberto Nicolai, il consigliere provinciale Roberto Cattaneo e il deputato Massimo Calearo

Il deputato Massimo Calearo premia i personaggi dello sport cittadino che dedicano lo loro vita all’avvio dei giovani alla pratica sportiva

mi speciali sono stati consegnati ai giornalisti sportivi Mauro Dalla Pozza, Guido Meneghetti e Fabio Noaro, ai professori Antonella Armilletti e Massimo Monfardini dell’Istituto comprensivo 11 e al medico, specialista di medicina sportiva, Ernesto Gallo. Successivamente un riconoscimento alle aziende vicentine che hanno collaborato alla riuscita delle manifestazioni in città: AIM, AIM Acque Vicentine, Ferrotranvie, Amcps Vicenza e la Centrale del latte. Per aver organizzato manifestazioni importanti per Vicenza sono state premiate le seguenti società: Palladio baseball, organizzatrice dei Mondiali di baseball; Atletica Vicentina per la Stra Vicenza; Scuderia Palladio per il rally Città del Palladio; Vicenza Press per la corsa benefica “Corri babbo Natale corri”; ASD Granfondo per il trofeo di ciclismo “Gran Fondo Città di Vicenza”; Associazione sportiva 98, per il

il pubblico

torneo internazionale di tennis. Sono stati quindi premiati per i risultati conseguiti individualmente gli atleti che nelle rispettive discipline hanno vinto il titolo di campione italiano o si sono posizionati ai vertici italiani; un premio a Maria Novella Pontalti (ginnastica artistica PGS); Angela Dal Santo, Caterina Drago, Elisa Vicentini, Valentina Billò, Silvia Fanton, Sofia Marin, Lorenza Prospero, Elena Corà, Eleonora Zanetti del Famila basket, under 15; Caterina Pozzan (fioretto femminile); Ottavia Cestonaro (salto in lungo e salto triplo); Dario Rappo (primatista over 60 nei 1500 m per Master Atletica); Carlo Tescaro e Bruno Martini (nuoto pinnato, specialità mezzofondo 2000m e fondo 4000m); Alessandra Boifava (nuoto pinnato, specialità granfondo 12km); Davide Spagnolo (lancio tecnico under 18), Laura Gnocchi (tiro con l’arco); Francesco Turatello (salto in lungo); Luca

Fabris, Lorenzo Muraro, Massimiliano Cattani, Francesco Palma (staffetta 4x400m MM4O), Luca Sartori (campione veneto volteggio), Diego Gennaro (football americano). Sono state premiate, infine, le società che nelle rispettive discipline hanno vinto il titolo di campione italiano o si sono posizionati ai vertici italiani: sono state premiate: Csi Fiamm atletica; Circolo della spada; Centro Subacqueo Nord Italia; Jigoro Kano Judo; River club; Asd nuoto pinnato; Caoduro diavoli; Scuderia Palladio; Caoduro Lucernari Piscine Vicenza; Geoplast Piscine Vicenza, Compagnia arcieri; San Bortolo Fiamma; Leodari Sole; Atletica Vicentina; Nuoto Vicenza Libertas ASD; New Acquabike; Master Atletica; Moto club Ducati; Associazione Lotta Pesi Umberto I -1875; Canoa club; Queens Berry Boxe; Joy volley.

La premiazione dei giovani atleti della Caoduro Diavoli e le ragazze della Geoplast Piscine Vicenza

Momenti della premiazione delle squadre

Elisa Santucci, l’assessore allo sport Umberto Nicolai e Stefano Ferrio

La consegna dei riconoscimenti alle aziende vicentine che hanno collaborato alla riuscita delle manifestazioni in città Elisa Santucci. con il sindaco Achille Variati in una fase della premiazione in cui il sindaco illustrava interventi e prospettive per la città.

La consegna dei premi speciali

La consegna dei riconoscimenti alle aziende vicentine che hanno collaborato alla riuscita delle manifestazioni in città


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Maine

Tre stagioni nei boschi

3505 chilometri a piedi da nord a sud dei monti Appalachi, vivendo a diretto contatto con la natura più selvaggia. Lino Dani ci racconta in tre puntate il suo straordinario cammino. And so I did it!

AT

L’Appalachian National Shenic Trail si estende per 2178 miglia, equivalenti a 3505 chilometri, e segue da nord a sud la costa est degli Stati Uniti. Il suo percorso si articola lungo la più antica catena montuosa del globo, quella dei Monti Appalachi formatasi ben 220 milioni di anni fa a causa dello sconto fra l’Europa e l’America del nord quando ancora i continenti formavano la Pangea. Il termine nord del sentiero si trova sul monte Katahdin nello stato del Maine a pochi passi dal Quebec, il termine sud sul monte Springer nello stato della Georgia, appena a nord della penisola della Florida. In gergo chiamato AT, il sentiero attraversa ben 14 stati dei 50 stati confederati, che sono, da nord a sud: Maine, New Hampshire,Vermont, Massachusetts, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Maryland, West Virginia,Virginia, Tennessee, North Carolina, Georgia. L’idea di realizzare il sentiero fu proposta nel 1921 da Benton MacKaye allora responsabile per il servizio parchi degli Stati Uniti, ma il progetto fu completato solo nel 1937 dal Corpo Civile di Conservazione. Il primo uomo ad aver percorso ufficialmente e ininterrottamente il sentiero fu EarlV. Shaffer all’età di 24 anni, partendo sul monte Oglethorpe in Georgia (l’ allora termine sud) il 4 aprile del 1948 e concludendo a

New Hampshire Vermont

Massachusetts Connecticut New York

New Jersey Pennsylvania

Maryland

West Virginia Virginia

North Carolina

Tennessee

Georgia


Appalachian National Shenic Trail 27

Katahdin in Maine, il 5 agosto successivo. Migliaia di persone percorrono il sentiero in tutte le stagioni dell’anno. C’è chi va per una camminata giornaliera, chi ne percorre una sezione per qualche giorno, chi invece trova il tempo per qualche settimana, c’è chi ne percorre un pezzo ogni anno fino a completarlo nel’ arco di anni. Per chi si determina di percorrere l’intero sentiero in una sola volta l’appellativo è di “Thru Hiker”, nome che si dà a chi lo completa interamente e onestamente, miglio dopo miglio, mese per mese di ininterrotto cammino, fino alla fine. Ogni primavera si contano centinaia di questi avventurieri che provengono da tutte le parti del mondo, che tentano la gran-

Appalachian National Shenic Trail Sentiero naturalistico che percorre la più antica catena montuosa del globo: gli Appalachi dove? Costa Est Stati Uniti d’America come si percorre? Solo a piedi quanto tempo da 4 a 6 mesi ci si impiega? Maine, New Hampshire, Vermont, Massachusetts, stati Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Maryland, West Virginia, Virginia, Tennessee, North attraversati Carolina, Georgia. km totali 3.505

cos’è?

de avventura. Uomini ma anche donne. La maggior parte sono Americani, ma ci sono anche Europei ed Asiatici. Di solito è il termine sud del sentiero il luogo di partenza. Sono pochi, tuttavia, quelli che riescono a portare a termine l’impresa, salendo il monte Katahdin nel Maine per inchinarsi sotto al cartello che segna la fine del sentiero. Pochi sono anche coloro che partono da nord in direzione sud, essendo considerato percorso assai più arduo. Quello degli Appalachi è un trekking fantastico ma estremamente difficile. Si vive per mesi e mesi nella natura più selvaggia; si cammina per centinaia, migliaia di chilometri in compagnia solo del proprio zaino. E’ un’esperienza unica, fisica, spirituale, mistica che mette a dura prova chi la fa. Circa il 20 % dei partenti riesce ad arrivare alla fine, meno del 50% arriva a metà percorso. In questi mesi di cammino si vivono esperienze di tutti i tipi. Si devono affrontare le situazioni meteorologiche più disparate ed avverse, dal freddo intenso al caldo umido, dalla pioggia che dura per giorni e giorni, anche una settimana e più. Ma si deve sempre camminare. Un paio, due paia di scarpe non bastano. Al nord nei grandi boschi ci sono animali anche feroci. Si incontra lo schivo


28 ma possente Alce. C’ è l’Orso bruno che nottetempo si aggira vicino alla tenda, col suo acutissimo olfatto. Non bisogna mai lasciare resti di cibo, ma di cibo non c’è ne mai abbastanza. Per mesi si mangia poco, o comunque mai a compensare lo sforzo. Con le vesciche ai piedi, l’infiammazione alle ginocchia e il mal di schiena, le punture delle zecche sono le principali cause di abbandono alleate alle distorsioni e alla disidratazione. Il pensiero di non farcela non ti abbandona mai, nemmeno dopo aver superato la metà del percorso. Ma l’esperienza di vivere per mesi nella natura selvaggia, nella solitudine più completa, incontrando compagni di cammino sempre interessanti, spinti all’impresa dalle motivazioni più varie è una cosa unica, grandiosa che ti coinvolge totalmente. E così, quando mi sono trovato per varie ragioni a vivere a Monticello, un piccolo paese sperduto nello stato di New York, ho cominciato ad andare alla scoperta dei monti circostanti. Le dimensioni erano immense, la morfologia così diversa da quella delle Piccole Dolomiti in cui sono cresciuto. E poi il mio amore per la Natura, la mia vocazione a stare a contatto di essa, mi ha portato sempre più a inoltrarmi in quei boschi infiniti. Prima, certo, con timore e cautela, poi sempre più con agio e confidenza. All’inizio ho cominciato a trascorrervi qualche notte, poi qualche settimana. Ho imparato ad orientarmi. A vivere in quegli spazi infiniti, nel silenzio della grande natura. Un sentimento nuovo stava impossessandosi di me. Più tempo passavo in quell’ambiente e più ne ero attratto. Questo mi ha portato a conoscere il Backpaching che altro non è che il munirsi del materiale necessario per vivere giorni e notti all’aria aperta,

lontano da tutto e da tutti. Le mie uscite in questo ambiente mi assorbivano sempre più. Al punto che passavo tutto il mio tempo libero sotto le stelle. Con gli anni l’ esperienza mi ha portato a scoprire sempre nuovi territori. Le mie sempre più lunghe uscite necessitavano di sempre più lunghi sentieri. Ed ad un certo punto il mio occhio è cascato sul sentiero più lungo al mondo. Un trekking dalla durata di mesi. Ho comiciato a studiarlo, a percorrerne dei tratti, a capire come avrei potuto avere il tempo necessario per farlo dall’inizio alla fine. Un chiodo fisso. Un tarlo dentro di me che ogni giorno mi faceva pensare all’Appalachian Trial. Il mio sogno di sempre! Ce la farò? Sarò in grado di affrontare tutte quelle difficoltà meteorologiche? E mangiare, dato che sono vegetariano? Ma la vera domanda che dentro di me, bisbigliando, sorgeva era: come sarei vissuto immerso totalmente nella natura per tutto quel tempo? E questa esperienza come sarebbe riuscita a cambiarmi? C’era solo un modo per saperlo...partire! ...and so I did it!

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Hockey subacqueo

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di Antonio Rosso foto di Simone Zaniolo (Nuoto Pinnato Vicenza), e Parmasub, H2BO Bologna

hi avrebbe mai pensato che a Vicenza si gioca l’hockey subacqueo, eppure è così. Bisogna contattare Marco Faggion, allenatore della squadra “Nuoto Pinnato Vicenza Moretti”. E’ questa l’unica realtà vicentina per l’hockey subacqueo: una squadra di sei, sette giovani atleti, dai 14 ai 18 anni che dal 2008 partecipa al torneo esordienti di Bologna. Nel 2009, su otto partecipanti, è arrivata sesta. L’hockey subacqueo è uno sport di squadra, di recente introduzione, che si pratica in apnea. Nasce in Inghilterra nel 1954 con lo scopo di tenere in esercizio i marines subacquei nei mesi invernali e si diffonde rapidamente in Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda, per arrivare, negli anni 80 e 90, in Europa e nel continente americano. In Italia viene introdotto a Bologna nel 1998, all’interno della FIPSAS, Federazione Italiana Pesca Sportiva ed Attività Subacquee. L’Italia maschile negli ultimi campionati del Mondo, organizzati in Slovenia, si è classificata al 7° posto. Incontriamo Marco alle Piscine di Vicenza dove la squadra si allena. Appena si entra nel vivo dell’argomento, ci tiene a dire che l’hockey subacqueo è un gioco che necessità di buona acquaticità ed allenamento ma che per divertirsi queste qualità non sono indispensabili essendo questo sport alla portata di ogni subacqueo. Ci spiega che l’obiettivo del gioco è infilare un disco nella porta avversaria, come nell’hockey su ghiaccio, aiutandosi con una piccola mazzetta e solo con quella. Si pratica con squadre da sei giocatori più quattro riserve (facoltative) in acqua. I cambi possono essere effettuati in qualsiasi momento ed in numero illimitato. Non ci sono portieri, ma tutti i giocatori, pur avendo dei ruoli, sono attaccanti o difensori in relazione a chi ha il possesso del disco I giocatori restano in apnea mediamente 15-20 secondi per volta con brevi pause superficiali. Il maggior movimento viene effettuato sulla superficie per conquistare una posizione utile in campo. Contano rapidità e gioco di squadra: non è necessario resistere a lungo sott’acqua. Le donne giocano allo stesso livello degli uomini perché peso e forza sono fattori secondari. I giocatori indossano pinne, maschera, boccaglio, calottina tipo pallanuoto ed impugnano una mazza lunga una trentina di centimetri con la quale spingono un disco di piombo arrotondato e rivestito di materiale plastico, di 80 mm di diametro e dal peso di circa 1,3 kg. La mano che impugna la mazzetta va protetta con un guanto di cuoio o gomma,

(Parma sub) Fasi di gioco agonistico

Fasi di gioco agonistico (H2 BO

Bologna)

(Parma sub) Fasi di gioco agonistico

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30 Le mazze possono essere in legno o in plastica galleggiante. Di forme ne esistono tante, ognuno è libero di scegliere quella che preferisce. Generalmente, le mazze degli attaccanti sono più sottili per consentire un veloce spostamento nell’acqua mentre le mazze dei difensori sono più grandi, per meglio intercettare i tiri avversari e per avere più potenza nei contrasti. L’hockey si pratica in una piscina con fondo piatto o con pendenza massima del 5%. La dimensione del campo può variare tra 20-25 m di lunghezza per 12-15 di larghezza, con una profondità compresa generalmente tra 1,80 e 3 metri circa. Il bordo campo può essere un muro della vasca, una barriera rigida, o una linea continua creata sul fondo Le linee o strutture che delimitano le porte devono essere solide, non galleggianti, con tutti gli spigoli arrotondati e protetti, larghe 3 metri, adagiate sul fondo e poste in mezzo ad ogni linea di fondo campo. L’area di porta misura 3 m di raggio: un fallo in quest’area è punito con un rigore (situazione di due contro uno). L’area di rigore misura 6 metri di raggio ed è la zona entro la quale si svolge l’azione del rigore. Le partite durano 30 minuti, divise in due tempi, con un intervallo di tre minuti. Gli arbitri sono tre: un capo arbitro, posizionato fuori dall’acqua con un interruttore che aziona un segnale sonoro ed altri due in acqua. Quando un arbitro rileva una infrazione, la indica al capo arbitro che interrompe il gioco. Completano lo staff, un cronometrista e/o un segnapunti. L’hockey subacqueo, ora, non ha più segreti e Marco mi lascia augurando a tutti i lettori subacquei di Sportivissimo di provare questa nuova disciplina.

Allenamen to in piscin a della squa dra Nuoto Pinnato Vic enza Moret ti

Per informazioni: Associazione Nuoto Pinnato Vicenza, 0444 572671, presidente Matteo Anaclerio, info@nuotopinnatovicenza.it, Marco Faggion (allenatore) 339 6753188. Per conoscere meglio le tecniche di questo sport e la nazionale italiana: www.hockeysubologna.com/index. php?option=com_frontpage&Itemid=1 Un grazie a Michele Cavalieri del Parmasub, a Stefania dell’H2BO di Bologna e a Giacomo Pallotti, giocatore/allenatore della nazionale italiana per le foto e la collaborazione.

o r t e m o z z e m l a a z z i p Novità Trattoria Pizzeria Capri via S.Cristoforo, 10 - 36078 VALDAGNO (VI) - tel. 0445/404771 - CHIUSO IL GIOVEDì


trekking 31

Querido Peru di Sabina Bollori

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Il trekking Los Cedros Alpamayo nel nord della Cordillera Blanca

aro Perù. E’ il titolo che abbiamo scelto per raccontare, in numerose serate nel vicentino, l’esperienza di un viaggio che ci ha fatto conoscere da vicino un paese e una realtà che ci è rimasta nel cuore. Non solo il trekking, con i suoi paesaggi severi e magnifici, ma anche i piccoli villaggi delle valli più abitate, l’ambiente rurale, il ritmo di vita, la pace che si respira. Quasi dispiaceva lasciare le strade silenziose di Marcarà per partire con il trekking. Il nostro gruppo, dopo essere stato presente all’inaugurazione del Centro di Andinismo il 18 luglio 2009, ha effettuato un trekking d’alta quota nel nord della Cordillera Blanca, dove si trovano cime famose come l’Alpamayo, 5947 m, considerata la montagna più bella del mondo. L’intero viaggio è stato organizzato dalla Sezione del Club Alpino Italiano di Recoaro Terme in collaborazione con le Guide Don Bosco. Il nostro era un gruppo di dieci persone, provenienti da tre diverse Sezioni del CAI: Bruno Bruni (Presidente della Sezione), Sabina Bollori, Marisa Marchi e Luciano Covolo del CAI di Recoaro Terme; Giorgio Romio (Vice Presidente della Sezione), Andrea Tonin, Eliseo Fioraso, Luisa Batzella e Armando Ferri del CAI di Valdagno; Tony Folco del CAI di Montecchio Maggiore. La stagione migliore per praticare il trekking è da maggio a settembre e corrisponde al secco inverno andino. Il resto dell’anno la regione è coperta da locali annuvolamenti e forti piogge. Il nostro itinerario si chiama Los Cedros – Alpamayo, uno dei trekking meno frequen frequentati, ma tra i piu’ belli della Cordillera Blan Blanca settentrionale. E’ una lunga traversata attorno a cime e massicci compresi tra 5800 e 6050 m: Alpamayo, Santa Cruz, Pucajirca. Il nostro itinerario è iniziato a Hualcayan, un villaggio circondato da campi coltivati a 3140 m. Occorrono otto giorni per compie compiere l’intero percorso. Lungo l’itinerario solo un paio di villaggi molto isolati, a giorni di cammino da centri abitati o strade, dove po poche famiglie e molti bambini vivono di un po’ di agricoltura e pastorizia. Nell’itinerario

non ci sono rifugi o altri punti di appoggio. Abbiamo potuto contare solo sul campo tendato e soprattutto sull’ottima organizzazione delle nostre guide. Il nostro gruppo di dieci persone ha avuto al seguito due guide, due cuochi, tre arrieros, gli addetti ai muli che

lagune verdi azzurre, pampas sconfinate. La quota e i lunghi attraversamenti rendono questo trekking escursionistico esigente, ma le condizioni dei sentieri sono buone e non ci sono difficolta’ tecniche. Si cammina volentieri e si arriva volentieri ai campi, ogni

trasportano tutta l’attrezzatura da campo. Ogni pomeriggio venivano allestite nelle vicinanze di corsi d’acqua la tenda cucina, la tenda mensa, e le tendine per il pernottamento. Tutto il materiale e l’attrezzatura sono state fornite dall’organizzazione, che per il trasporto ha impiegato sedici muli. Avevamo inoltre un cavallo in caso di difficoltà e una camera iperbarica per eventuali situazioni d’emergenza, che fortunatamente non si sono verificate. L’assistenza organizzata dalle Guide Don Bosco durante il trekking è stata molto professionale. Piu’ impegnativi i primi giorni del trekking, sia per l’acclimatamento, sia per il superamento dei passi piu’ alti, Osoruri, 4860 m, e Gara Gara, 4830 m. Ma il paesaggio ripaga ampiamente dalle fatiche: ghiacciai come citta’ sospese,

giorno piazzati in posti via via piu’ belli e sorprendenti. In tutti noi l’esperienza di un viaggio così speciale ha lasciato un segno. Un segno che viene dai contatti umani, dal rapporto con la gente, dalla conoscenza diretta di un progetto di cui fino a quel momento avevamo solo sentito parlare e che da allora ha volti precisi, persone e ambienti divenuti familiari. Chi volesse contattare le guide e conoscere le opportunità di trekking e ascensioni nell’area può rivolgersi ai seguenti recapiti: ANDINISMO DON BOSCO 6000 www.rifugi-omg.org guidedonbosco@hotmail.com


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il diritto di non

essere campioni Venerdì 19 marzo, il prof. Pietro Trabucchi ha tenuto a Valdagno il terzo e ultimo incontro del fortunato ciclo “Lo sport è per tutti, idee per costruire un nuovo modo di pensare”, voluto e organizzato dall’Assessorato allo sport del Comune di Valdagno.

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l 19 marzo scorso nella sala delle conferenze di Palazzo Festari a Valdagno si è tenuto il terzo e ultimo appuntamento del ciclo di incontri pubblici “Lo sport è per tutti”, organizzato a cura dell’assessorato allo sport, in collaborazione con il Lions Club Valle dell’Agno. Il titolo dato alla relazione dal professor Trabucchi era estremamente interessante: “Il diritto di non essere campioni” e la conferenza non ha deluso le attese del numerosissimo pubblico. Si è parlato del rapporto tra famiglie, giovani atleti e società sportiva, con l’obiettivo di sensibilizzare i genitori al corretto approccio con l’attività sportiva dei figli, il rischio del doping, dell’abbandono sportivo, della gestione dell’ansia nello sport e del diritto dei giovanissimi a non diventare per forza un campione. Il prof. Pietro Trabucchi, uno dei più importanti psicologi dello sport italiani, autore del libro “Resisto dunque sono,” docente di coaching presso l’Università degli Studi di Verona e tecnico per la preparazione mentale della nazionale di ultramaratona è riuscito a coinvolgere i presenti con argomentazioni efficaci, facendo riflettere sui limiti e sui rischi di un certo modo esasperato di affrontare il difficile, spietato mondo dell’agonismo; quanto ribadendo la necessità per un giovane di crescere nel segno dello sport, dei suoi valori formativi del carattere, dei suoi benefici per una vita in salute. “Ringrazio il Lions e il suo presidente, il professor Giorgio Trivelli – è il commento dell’assessore allo sport Alessandro Grai-

ner – per la collaborazione, che mi auguro possa essere il primo passo di una sinergia anche futura, in un progetto comune per la promozione degli stili di vita attivi. Siamo nati per muoverci. Il movimento fisico ci è indispensabile quanto il cibo, il respiro, il bisogno di sole e di luce. Senza movimento riceviamo dal nostro corpo segnali di malattia che si esprimono attraverso il sovrappeso, il rallentamento metabolico, la depressione. Sfortunatamente, però, conduciamo una vita sempre più sedentaria e sempre meno caratterizzata da attività libere e spontanee. Questa sera abbiamo capito come i genitori debbano motivare i propri figli al movimento attraverso poche regole fondamentali. In questo modo lo sport potrà diventare parte integrante del loro futuro stile di vita in età adulta”. Con questa serata, si è concluso questo primo ciclo di conferenze, voluto dall’assessorato e che ha riscosso un notevole successo di pubblico, coinvolgendo sportivi, appartenenti alle società sportive, ma anche semplici cittadini e genitori. “Si tratta di una formula – ha commentato Grainer - senz’altro da ripetere e anzi da sviluppare ulteriormente. Rappresenta un segno che anche a Valdagno sta crescendo sempre più la sensibilità verso lo sport, inteso non solo come pratica agonistica ma come stile di vita diffuso.”

Chi è Pietro Trabucchi?

Pietro Trabucchi è uno psicologo che si occupa da sempre di prestazione sportiva, in particolare di discipline di resistenza. Ha seguito la Squadra nazionale di Sci nordico Torino 2006 e attualmente lavora con le Squadre nazionali di Ultramaratona (24h e 100km). Per molti anni ha operato con le Squadre nazionali di Triathlon. Collabora da anni con la rivista “Correre”. Autore di diversi libri, è professore incaricato presso l’Università di Verona, collabora con il Centro di Ricerca in Bioingegneria e Scienze Motorie dell’Università di Trento e con l’Istituto di Scienze dello Sport di Roma. Si è occupato di formazione in varie aziende sul tema della gestione dello stress. Appassionato di sport di resistenza e di alpinismo, per dimostrare la validità concreta delle sue teorie ha ultimato due volte l’Ultra Trail del Monte Bianco, ha scalato l’Everest dal versante Nord in occasione della spedizione “Everest Vitesse” e ha corso non-stop i 205 chilometri della Nove Colli Running. È autore di numerose pubblicazioni, fra cui “Preparazione mentale agli sport di resistenza”, “Mente e maratona”, “Ripensare lo sport”, “Resisto dunque sono”, Lo zen e l’arte di far muovere i nostri figli”.


fondo

In ricordo

di Franco

Franco Zamperetti, un uomo generoso, uno sportivo appassionato è stato ricordato dagli amici a cinque mesi dalla sua prematura scomparsa con una gara di fondo in notturna e un ricco buffet di prodotti della nostra terra, cui era molto legato

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ono passati poco più di cinque mesi dalla scomparsa del nostro amico Franco, un uomo dal cuore grande, sensibile e altruista. Nessuno mai potrà dimenticare ciò che Franco ha fatto, quante emozioni ci ha trasmesso e a quanti ricordi rimarremo tutti legati: sì, perché oltre ad essere un grande uomo, un fantastico marito e padre, era anche un ottimo amico. Franco amava praticare molti sport in compagnia degli amici di sempre: il ciclismo e lo sci di fondo erano i suoi sport preferiti, uno più estivo, l’altro per i periodi più freddi. Nonostante non abbia mai avuto un fisico snello, neanche i chili di troppo frenavano la sua voglia di uscire all’aria aperta e farsi una sciata in tranquillità a pochi chilometri da casa. Recoaro Mille è sempre stata la sua seconda abitazione e proprio qui dopo cinque mesi dalla sua scomparsa i suoi amici più cari hanno deciso di ricordarlo. Una serata, quella organizzata il 27 febbraio scorso, all’insegna dello sport e dello stare insieme, due aspetti della vita che Franco amava moltissimo. Ben 43 sono stati gli amici e conoscenti che hanno partecipato ad una sciata notturna non competitiva presso la pista “Le Montagnole” di Recoaro Mille: un percorso di circa 10 chilometri fino a Malga Morando

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di Chiara Guiotto al quale hanno partecipato giovani, meno giovani, amici e puri semplici conoscenti. Lo sport è stato il protagonista di questo primo memorial, un unione imprescindibile tra chi durante la propria vita ha conosciuto Franco, l’ha amato e ha condiviso con lui gioie, traguardi ma anche fatiche e delusioni. Un buffet organizzato presso il ristorante Castiglieri ha celebrato un’altra delle passioni sfrenate di Franco: degustare ciò che la nostra cucina vicentina da sempre ci offre è sempre stato uno dei suoi più grandi piaceri: una tavola imbandita, un ottima bottiglia di vino e una schiera di amici con cui festeggiare la pedalata della giornata o la sana competizione che si scatenava tra loro era il massimo della vita. Godersi anche le piccole cose, i gesti più semplici: questo era Franco Zamperetti. La sua è stata una vita che l’ha visto protagonista in vari ambiti della vita sociale del suo paese natale, Cornedo: è stato il Presidente della Cooperativa di consumo, consigliere della confcooperative e consigliere della Cassa Rurale di Brendola. Impegni sociali che lui amava molto e ai quali dedicava tutto se stesso. Noi tutti lo ricordiamo così: un amico per sempre.


nuoto

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Il nuoto

fa bene

e nata l atletica

Schio Nuoto Famila: il progetto diversamente abili è diventato realtà.

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atletica

di Enzo Casarotto

ella Schio nuoto Famila continuano i risultati d’alto livello nelle categorie giovanili ma da qualche mese a far notizia nella società di Luca Volpato è l’inserimento tra gli oltre 200 ragazzi iscritti un gruppo forte di 9 ragazzi diversamente abili che hanno iniziato a frequentare l’impianto e che proprio in occasione del Trofeo esordienti del 18 aprile si presenteranno al debutto con una dimostrazione. “Finalmente ci siamo riusciti – esordisce Franco Retis - il dirigente in primis che ha fortemente voluto questo settore nella Schio Nuoto, il sogno è divenuto realtà dopo anni di tentativi. La soddisfazione è tanta ed il progetto prevede il loro inserimento e quello delle loro famiglie in società”. – Quali sono le difficoltà che incontrate? “Nessuna perché la loro presenza in acqua non deve essere misurata sul numero di vasche completate, deve essere vista sotto l’aspetto umano e quello della solidarietà: lo stare vicino alle famiglie che di sofferenza ne hanno incontrata molte, ci riempie di gioia e credo che questo più di ogni altra cosa ci fa stare al passo con i tempi”. – Quali attività svolgono? “Andiamo dall’ambientamento al nuoto vero e proprio con l’obiettivo pian piano di salire ogni giorno di qualche gradino senza esasperazione e senza pretese. Ci sono quattro istruttori Elisa Alba,Barbara Lissa,Judith Lorenzo e Chiara Retis che si dedicano a loro con tanta passione ed entusiasmo. Questo progetto è importante per loro per dare una motivazione e un esempio di impegno, mentalità e sacrificio a tutto il nostro vivaio”. In bocca al lupo a Emanuele, Federico, Bruno, Valentina, Nicola, Matteo, Manola, Elisa e Nadir per questa nuova esperienza per un altro passo avanti, grazie allo sport e in particolare alla Schio Nuoto.

ovest vicentino

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di Ivanoe Simonelli

n data 5 dicembre 2009 nasce la società “Ovest Vicentino”, ideata dal presidente Giuliano Corallo, eletto dai presidenti delle società di Valdagno (Ivanoe Simonelli), Arzignano (Christian Belloni), Vlchiampo (Nreo Znconato). Questa nuova società a sede a Montecchio Maggiore presso il centro polisportivo via del Vigo n.11. e comprende l’ovest vicentino partendo da Valdagno, con Valchiampo, Arzignano e Montecchio Maggiore (come capofila). Qual’e’ lo scopo della nuova società? Curare il settore giovanile Fidal (Federazione Italiana di Atletica Leggera), pur mantenendo le realtà esistenti indipendenti per le attività del C.S.I. (Centro Sportivo Italiano). Si punta cioè a creare una società competitiva per le gare Fidal. Un obiettivo non secondario è quello di far conoscere il mondo dell’atletica, soprattutto a bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie ed aumentare così il bacino di utenza. A chi si rivolge? Nasce e si sviluppa per le categorie giovanili, cioè esordienti, ragazzi e cadetti fino ai 14/15 anni. Grazie alla unione delle 4 società gli iscritti sono già un centinaio. Come si svolgono gli allenamenti? Esattamente come prima. I ragazzi si allenano nei rispettivi impianti e con gli stessi tecnici. In più ci saranno periodicamente delle formazioni previste per allenatori ed atleti.

L’Ovest Vicentino, alle 2 prove Fidal di Vigardolo e Lonigo, inserite nel calendario delle gare di corsa campestre C.S.I., ha già conquistato il titolo provinciale. I primi passi di questa nuova società possono considerarsi positivi, ma per poter “iniziare a correre” il presidente Corallo è già alla ricerca di un grande sponsor. Attualmente, infatti, la società si autofinanzia, cioè ognuna delle 4 società partecipa con propri fondi alle spese di gestione. Con l’occasione il presidente Giuliano Corallo ringrazia chi ha aderito all’innovazione ed augura un buon proseguimento per le attività primaverili su pista, dove l’Ovest Vicentino tenterà di confermare ciò che di positivo si è visto finora.


basket

coppa Italia n.

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di Enzo Casarotto foto di Michele Gregolin (Legabasket femminile)

he dire! Il basket è anche questo! Un Famila Wuber convalescente e poco convincente dopo l’esclusione al primo turno della fase finale dell’Eurolega e che in più di un’occasione ha tentennato, ha fatto uscire dal cilindro due prestazioni da sconsigliare ai malati di cuore (…Remigio compreso), che gli hanno consentito, dopo la vittoria interna in campionato che ha interrotto alla 17^ gara italiana, l’imbattibilità della capolista Taranto, di vincere al suo nono tentativo per la quinta volta la Coppa Italia. Ciò consente alla formazione di Marcello Cestaro di preparare per tempo una stagione europea stavolta davvero importante con l’acqui-

sizione del diritto di partecipare all’Eurolega 2010-2011 (magari partendo, non me ne vogliano la capitana Betta… e Suaret da un play straniero si, ma giovane e veloce, come quelli visti e apprezzati spesso tra le nostre avversarie europee capaci di dettare ritmi e il gioco per tutti i 40’ di gara) . I risultati del primo week end di marzo nella final four di Coppa (che contemporaneamente ha visto in sei giorni due sconfitte della corazzata Taranto) hanno decretato che il Famila con l’ultimo l’innesto di Iccis Tillis, ha trovato la quadratura del cerchio e che in questo fine stagione ha le carte in regola per giocarsi alla pari di Venezia, Faenza e Taranto l’opportunità di scucire lo scudetto proprio a

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Per la quinta volta il Famila conquista la Coppa Italia e si assicura la partecipazione all’Eurolega 2010-2011


36 quest’ultima. La carta vincente di questa Coppa Italia è stata a mio avviso l’unione di squadra e dello spogliatoio che ha visto in due gare tirate, la formazione di Orlando, prevalere in rimonta in semifinale sul Faenza (che in verità ha gettato alle ortiche negli ultimi 10’ un patrimonio di ben 9 punti perdendo poi per 61-62) e anche contro la Reyer Venezia si è verificata la medesima situazione con le amaranto

avanti fino al 37’ di ben 8 punti (61-53). Dicevo il basket è anche questo perché a prevalere alla fine è stato un Famila (66-65) convinto dei propri mezzi in cui tutte le giocatrici hanno fatto la loro parte con la spesso poco citata Antibe, la new entry Tillis e la solita Super Macchi (24 punti) sugli scudi. Tutto il popolo arancione festeggia le loro beniamine e da qui alla fine questo Famila cinico e chirurgico chissà quante soddisfazioni potrà

ancora dare ai suoi affezionati sostenitori sempre che non si senta appagato da questo risultato importante ottenuto più col cuore e la testa che con la superiorità tecnico -tattica vera e propria. Prima di chiudere ancora un paio di note con la solita “Kicca” Macchi MVP della finale che il giorno seguente è volata (unica italiana) a Gdynia per l’All Star Game dell’Eurolega e per quanto riguarda i l

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37 gioco, la regolar season si chiude il 5 aprile (per il Famila scontro di vertice a Faenza e sette giorni prima la gara interna contro Venezia). I playoff iniziano il 10 aprile con i quarti di finale(si gioca il 13 e 17): le semifinali si giocheranno il 21, 24, 27, 29 aprile e il 2 Maggio e a seguire le due vincenti si affronteranno per lo scudetto con la speranza che anche il Famila sia tra queste. Prima

di chiudere è doverosa una mia precisazione che riguarda l’articolo sul Famila di Febbraio in cui ho erroneamente dedicato per un lapus il Memorial Cestaro ad altra persona anziché ad Antonio. Qualche volta è giusto umilmente riconoscere i propri errori e alla prima occasione ratificarli. Lo sport mi ha insegnato anche questo. E così deve essere!

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la 38

forza della

piovra “Quando invadi la mia area, entri nel mio mondo. Come nell’oceano io divento la piovra, mi adatto al tuo corpo, al tuo movimento e… molti non sanno nemmeno nuotare”. La forza avvolgente del Ju Jitsu della piovra

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a parola Octopus associata al Jujitsu assume un significato importantissimo, un marchio a fuoco impresso con forza e decisione nel modo di tradurre le tecniche e i principi dell’antica Arte Marziale Giapponese. Octopus “piovra” un abitante del mare e degli oceani, un animale non molle, come a tanti può sembrare, ma flessibile, sinuoso, a volte fortissimo ma sicuramente intelligente e furbo, in grado anche di sconfiggere una murena o, nel caso delle piovre giganti dell’Atlantico, di spezzare con la forza stritolante dei tentacoli uno squalo per poi divorarlo. Nella codificazione o reinterpretazione in chiave efficace del Ju Jitsu classico il Grande Maestro Patrizio Rizzoli, che già vi ho fatto conoscere nel settembre del 2006, decise con il termine “OCTOPUS” di distinguere il suo modo di praticare e insegnare Ju Jitsu. Pur restando la difesa personale lo scopo primario di questa antica Arte Marziale,

gli allievi di Rizzoli si confrontavano sui ring di tutto il mondo nelle più svariate discipline combattendo molte volte nella MuayThai a Bangkok in Thailandia o nella Boxe e Kickboxing negli USA e Unione Sovietica o ancora nel Valetudo e nelle Mixed Martial Arts (MMA) in tutta Europa, testando cosi l’efficacia delle tecniche imparate praticando e seguendo gli insegnamenti del loro Maestro e del loro Ju Jitsu. Cosi facendo il Maestro Rizzoli decise di codificare un programma tecnico internazionale che accompagnasse i praticanti dalla cintura bianca alla cintura nera all’interno di un percorso nel quale non esiste “approssimazione” bensì metodi e tecniche altamente testate nella loro efficacia e votate a preparare

di Massimo Neresini

una persona fortemente motivata. Così, la tradizione della forte e antica disciplina giapponese con le sue dure terminologie in lingua originale, amalgamata, come può fare solo il migliore dei cuochi, con le sperimentazioni eseguiti sul ring nei combattimenti più duri e massacranti ha plasmato le metodiche di combattimento in piedi con tecniche di calcio, pugni e poi ginocchiate e gomitate, leve articolari e proiezioni a terra dove il combattimento prosegue con ancora leve articolari, colpi e strangolamenti. In questo modo il giovane praticante verrà introdotto ed addestrato ad una visione globale del combattimento come anche dell’allenamento fisico e mentale cercando un costante equilibrio dentro e fuori dal “Dojo”. Come anche ricordano spesso tutti i Maestri di Arti Marziali si verrà così a sviluppare una specie di “vista” a 360 gradi; la percezione e l’attenzione a quello che

accade di fianco ma in particolare dietro diventa fondamentale nell’arte del combattimento e con l’Octopus Ju Jitsu, come una vera piovra, non esiste più un vero “davanti” e “dietro”. Insegnare “DIFESA PERSONALE” oggi è una grande, grandissima responsabilità. Nella maggior parte dei casi viene fornito al “praticante” e alcune volte solo momentaneo “cliente” un “pacchetto” di tecniche e figure da eseguire e ripetere moltissime volte con il compagno d’allenamento, dieci modi per parare un pugno e altri dieci per rompere un braccio o nel peggiore dei casi si insegna come colpire punti vitali, trascurando sempre e gravemente l’elemento più significativo, quello che realmente permette di difenderci in maniera efficace da un aggressione, la nostra “MENTE”. Scaturiscono allora una serie di domande fondamentali, domande che non sono banali nemmeno per il grande praticante che per ore al giorno si prepara in palestra. Come possiamo difenderci da un malintenzionato se ci siamo allenati per anni in schemi e tecniche “preconfezionate” con i soliti sei o sette acconsenzienti compagni di palestra? Com’è cresciuta la nostra esperienza? Come abbiamo sviluppato una forte e sicura autostima? Siamo realmente certi di rispondere in modo emotivamente efficace ad un aggressione? A queste domande risponde l’amico e Ma-


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estro di Octopus Ju Jitsu Marco Vigolo che è discepolo del Grande Maestro Patrizio Rizzoli e da anni pratica e insegna con determinazione ed esperienza questa efficace Arte Marziale. “…penso che si possa parlare di effetto “boomerang” ovvero il fornire movimenti di combattimento e tecniche di difesa a persone con “fisici” che in caso di reale bisogno non reggono ai contraccolpi delle tecniche insegnate, senza poi minimamente prepararli a situazioni di “alto stress” allenabili esclusivamente con corretti esercizi di sparring (combattimento libero contro uno o più avversari con protezioni) finalizzati realmente a comprendere, in piena consapevolezza, i propri limiti e i propri punti di debolezza e di forza, innalzando in questo modo la propria soglia di autostima e quindi di reale sicurezza”. E’ chiaro che stiamo cercando di analizzare a mente serena una situazione che serena assolutamente non sarà mai così il Maestro Vigolo continua: “…primo, immagina che l’aggressore è più grande e grosso di te; Secondo, l’aggressore è sicuro di sé, magari, grazie al gruppo che lo spalleggia o semplicemente perché è alticcio e pompato da una serata “particolare”; terzo, l’aggressore ha una buona esperienza di risse e “pestaggi”; quarto, l’aggressore è armato di coltello o peggio con una arma da fuoco; L’allenamento alla difesa personale dovrà dunque partire con questi quattro presupposti ben chiari che riguardano “chi ci aggredisce” ed in base ai quali per promuovere un buon allenamento dovremmo porci le seguenti domande: …primo, il mio fisico riuscirà a resistere ad uno scontro con una persona più grossa e grande di me? …secondo, come reagirò davanti ad un gruppo, il cosi detto “branco”, che vuole pestarmi? …terzo, ho l’adeguata esperienza e sicurezza nel difendermi di fronte ad un esperto rissoso? …quarto, cosa faccio se estrae un coltello o una pistola? Questi sono presupposti e questioni fondamentali che in qualche modo separati o addirittura tutti assieme si possono presentare ad un “malcapitato”… è logico quindi dire che il primo obiettivo è quello di fare il massimo per non trovarsi in una situazione così pericolosa.” Ma alla fine potrebbe anche succedere, allora come affrontare mentalmente e fisicamente un allenamento che mi dia una “chance”. “…benissimo, con questi quattro presupposti e queste quattro domande che ci siamo posti vediamo come condividere molto serenamente con voi, quello che ritengo possa essere il giusto percorso da seguire per riuscire a sopravvivere ad una vera aggressione. Innanzi tutto dovrò “allenarmi” e per allenamento intendo allenamento fisico e cardiovascolare, dovrò essere sicuro di poter correre, scattare, saltare, spingere, tirare con l’adeguata forza ed elasticità. Un buon allenamento cardiovascolare mi garantirà anche un più regolato flusso sanguigno responsabile del trasporto di

sostanze come adrenalina ed endorfine, fondamentali per aumentare le prestazioni in combattimento e innalzare la soglia del dolore. “Mens sana in corpore sano” saremo più fiduciosi di noi stessi e delle nostre capacità con un corpo ben allenato. La fase successiva riguarda il vero e proprio “addestramento” e per tale intendo il lavoro neuro-muscolare; preparo la mia “armeria” coinvolgendo il sistema nervoso centrale. L’obiettivo dell’addestramento è creare dei riflessi condizionati quindi, distribuzione del peso corporeo, posizionamento, come muovermi di fronte ad una minaccia, addestramento ai colpi più forti ed efficaci. Ognuno di questi esercizi va ripetuto centinaia, migliaia di volte in modo che diventi “automatico” un po’ come schiacciare il pedale del freno o cambiare marcia quando viaggiamo in auto, sono riflessi incondizionati, avvengono d’istinto senza coinvolgere la parte razionale del cervello”. Ehilà Maestro mi ritrovo perfettamente in queste tue ultime parole, sai che dico sempre che una tigre non pensa ma agisce… chiaro però che questo suo “istinto” proviene da una vita di allenamento, già da piccola con la madre e nel gioco… così si diventa una forza della natura ma con la consapevolezza del pericolo e delle proprie capacità. “…l’ultima fase sarà il lavoro “mentale” impossibile ed impensabile da eseguire senza un corretto allenamento ed addestramento precedente. Il lavoro mentale riguarda l’applicazione delle tecniche acquisite in una situazione di alto stress psicofisico. Solo con la sicurezza di un buon allenamento fisico e un buon bagaglio di tecniche apprese fino a diventare “un riflesso” (difese, prese, leve articolari ecc…), riusciremo a sperimentare in modo costruttivo “lo scontro” e riusciremo step by step ad applicare in modo imprevedibile e veloce le tecniche apprese e a capire quali sono i nostri punti di forza. Non possiamo costruire una casa senza solide fondamenta o su un terreno paludoso. Lo “scontro” all’interno della palestra è un esercizio chiamato “sparring” che si può eseguire in svariate modalità iniziando in modo molto soft, per incrementare gradualmente l’intensità, ben imbottiti con le dovute protezioni che si dovranno gradualmente ridurre man mano che la destrezza e l’esperienza del praticante cresce. Ricordiamo che troppe protezioni sono causa di “blocco” o “poca abilità nella difesa” (perché tanto ho la protezione). Lo sparring si esegue con l’utilizzo di soli colpi (calci, pugni, gomitate ginocchiate e spallate), di sola “lotta” spinte, tiri, proiezioni dell’avversario al suolo con continuazione di lotta a terra e di entrambe le cose assieme colpi più lotta, contro uno o contro più avversari. L’esercizio dello sparring serve per allenare il colpo d’occhio ad abituarsi a ricevere colpi e a tirare colpi nel giusto tempo e con precisione su un avversario mobile, aiutandoci a ricreare avvicinandoci un pochino ad uno scontro su strada o ad una situazione di difesa personale. La conoscenza non è potere, il potere è applicare la conoscenza.”

Grazie Maestro Vigolo e spero di poter continuare in un prossimo articolo a scrivere su questo argomento che attira molti lettori… molte volte ignari che una concreta preparazione alla “difesa personale” non può essere il frutto di qualche lezione ma di continuità, di duro allenamento fino a diventare come la “tigre”… gattone, tenerone ma implacabile se costretta. Grazie a tutti e… non mollare mai. Per chi fosse interessato il Maestro Marco Vigolo insegna presso il Moving Center di Cornedo il Martedì e Giovedì dalle 20.00 alle 22.00. tel 335 8451834


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welcome to Italy

Per la prima volta in Italia, il maestro Chen Zhonghua per uno stage con la scuola A.S.D. Italia Poon Zè Team del maestro Bon. Valdagno 24 e 25 aprile

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ehen Zhonghua è il presidente dell’Accademia Hunyuantaiji e Maestro di 19° generazione dello Stile Chen sotto la guida diretta del Grande Maestro Hong Junsheng e Maestro di 2° generazione di Hunyuantaiji sotto la guida diretta del Grande Maestro Feng Zhiqiang. Attualmente risiede in Canada dove insegna Taijiquan stile Chen e Hunyuantaiji, ottenendo splendidi risultati in tutto il mondo con i suoi allievi. Grazie all’insegnamento di due maestri di 18° generazione e a oltre venti anni di insegnamento e pratica di Taijiquan stile Chen, il Maestro Chen Zhonghua ha una profonda conoscenza dei contenuti delle forme, dell’energia interna, della teoria e delle applicazioni. Ha prodotto moltissimi lavori, sia in forma di libri che di video, quali ad esempio “The Way of Hunyuan”, “The Circles of Taijiquan”, la traduzione del libro sul Qigong del Grande Maestro Fen Zhiqiang “Hunyuan Qigong”e la traduzione del libro del Grande Maestro Hong Junsheng “Chen Style Taijiquan Practical Method”. Arriva in Italia per la prima volta lo scorso anno invitato

di Massimo Neresini direttamente dal Maestro Giuseppe Bon della Scuola di Kung Fu e Tai Chi Chuan A.S.D. Italia Poon Zè Team di Vicenza per una conferenza dal titolo “How to trasform internal Energy”, suscitando un grande interesse da parte degli appassionati di questa Arte Marziale. Dopo aver seguito uno Workshop in Canada nell’ottobre 2009, direttamente sotto la guida del Maestro Chen Zhaonghua, i rapporti tra i due Maestri si stringono fino alla organizzazione di questo primo Stage italiano composto da 3 giorni a Vicenza presso la Palestra Axel per Maestri ed Istruttori per poi concludersi con lo Stage

di Valdagno presso la Palestra DAM con la partecipazione di più di 60 iscritti e discepoli del Maestro Bon Giuseppe e delle sue Scuole. E’ un evento importante per gli amanti di questa disciplina che si raccolgono intorno a questo grande Maestro e rappresentante della vera parte Marziale del Tai Chi Chuan. Si deve ricordare che il 25 Aprile è anche una data importante per tutti gli appassionati perché si festeggia in tutto il Mondo la Giornata del Tai Chi Chuan, in memoria del suo fondatore il leggendario Chan San Feng.


Il grande sogno continua

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di Giannino Danieli foto di Federico Pedron

on ci sono avversari deboli, ma solo avversari tutti degni del massimo rispetto. Non ci si può as-solutamente permettersi di sottovalutare nessuno!”. Questo il Valverde-pensiero negli istanti che hanno preceduto il match al PalaLido contro i tedeschi di ERG Iserlohn per il penultimo turno della fase a gironi di EuroLega. La pista, almeno per la prima parte della gara, ha dimostrato che l’assunto del tecnico biancoceleste era più che fondato. Poi, al-la distanza, è emerso il netto divario di potenzia-le fra le due squadre e la Isello Vernici s’è impo-sta con un punteggio netto. Nell’altro scontro del girone D il Porto fra le mura amiche ha vinto net-tamente contro il CGC Viareggio escludendo di fatto i toscani dalla possibilità di ambire a quel secondo posto che vale gli spareggi per la Final Six. Fuori dai giochi ERG Iserlohn e CGC Viareggio, quindi, la corsa per la fase finale di Eurolega è un affaire tra Porto e Isello. E l’ultimo atto del-la fase a gironi vedrà di fronte portoghesi e vicentini proprio al PalaLido per un match di altis-simi contenuti, che deciderà chi passerà di-rettamente alla Final Six e chi invece dovrà af-frontare la fase degli spareggi. Nella regular season della serie A1 la Isello Ver-nici conservava ancora il ruolo di capolista con cinque punti di vantaggio sul Follonica quando alla fine mancavano cinque giornate. Lo scontro diretto con i toscani era previsto alla quartultima

hockey 41


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giorna-ta. In quest’ultima parte di regular season il ca-lendario è sicuramente più agevole per i toscani, mentre per i biancocelesti prevedeva almeno tre in-contri insidiosissimi. Aggiudicarsi il primo posto alla fine della regular season sarebbe comunque im-portantissimo perché permetterebbe di usufruire nel corso dei play off di un numero maggiore di incon-tri fra le mura amiche (due su tre nei quarti e nelle semifinali, tre su cinque nella finale) con vantaggi indubbi. Gli impegni in Europa e quelli di Campionato (tre partite in sei giorni) stanno mettendo a dura prova soprattutto la tenuta mentale della squadra. Fin dall’inizio della stagione è in testa alla regular season e primeggia pure in Europa. Logico, quindi, il periodo di lieve flessione. Che sicuramente sarà superato a breve perché questa squadra ha fame di obiettivi concreti. Le possibilità non mancano per-ché Rigo&C hanno già dimostrato nei momenti delica-ti di avere potenzialità e cuore quanto basta.


gli acrobati del cielo

I

caccia 43

I rapaci diurni, il loro sviluppo, l’arte della caccia e il loro contributo all’equilibrio naturale

rapaci diurni sono un gruppo numeroso di specie che si è evoluto specializzandosi nel ruolo ecologico del predatore. Considerando l’enorme varietà di prede a loro disposizione, come rettili, mammiferi, insetti e uccelli, essi hanno seguito un’evoluzione che li ha portati a differenziarsi in numerose specie, distinte prevalentemente a seconda delle dimensioni dell’esemplare. Il peso dei rapaci diurni varia dai 130 grammi circa di un maschio di sparviere ai 9400 grammi circa della femmina di grifone ed ogni classe di peso sono ben rappresentati. I rapporti dimensionali si ripercuotono direttamente sulla tecnica di caccia e sulle prede prescelte, inoltre le diverse specie di predatori possono coesistere nello stesso ambiente poiché ognuna di esse ricopre una differente nicchia ecologica, cacciando varie tipologie di preda secondo varie modalità, riducendo in tal modo la competizione tra le varie specie. Spesso però accade che i rapaci di dimensione minore, come il gheppio e lo sparviere, entrino a far parte della catena alimentare delle specie di dimensione maggiore, come l’aquila reale, l’astore e il falco pellegrino. Per queste ragioni i gheppi e gli sparvieri si dimostrano molto aggressivi nei confronti dei rapaci più grandi, tanto che è comune osservarli mentre attaccano l’aquila reale o la poiana. Nei predatori la competizione territoriale diventa il problema principale nel caso di carenza di prede, infatti il cibo è la cosiddetta risorsa limitante che può innescare competizioni tra specie diverse o tra

esemplari della stessa specie. Per evitare quest’ultimo fenomeno di concorrenza alimentare fra maschi e femmine della stessa specie, che in alcuni casi compromette anche l’ottimale svolgimento della stagione riproduttiva, alcune specie, come l’aquila reale, il falco pellegrino, l’astore e lo sparviere, si sono evolute differenziando la dimensione degli individui dei due sessi (dimorfismo sessuale). Per questo motivo, a differenza dei mammiferi e degli altri uccelli, nei rapaci la femmina è normalmente di dimensioni maggiori rispetto al maschio, arrivando addirittura ad essere grande quasi il doppio, come nel caso dello sparviere la cui femmina cattura prede molto più grosse rispetto a quelle catturate dal maschio. In questo modo tra i soggetti dei due sessi vi è una minima competizione alimentare e nell’insieme entrambi riescono a sfruttare una più vasta gamma di prede, inoltre questa diversità nelle dimensioni è da mettere in relazione alla necessità di inibire, durante i rapporti tra i sessi, la carica di aggressività innata nella specie: i maschi si trovano in questo modo nell’impossibilità di nuocere alla compagna per uno stato di continua sottomissione nei confronti di essa, anche durante l’accoppiamento. Il grado di aggressività di una specie è correlato all’aspetto generale della zampa, in particolar modo del piede, infatti nelle specie più aggressive quest’ultimo è più grande e presenta artigli più sviluppati, inoltre la morfologia del piede varia anche

testo e foto di Dorino Stocchero in rapporto al tipo di alimentazione propria di ogni specie. I rapaci che si nutrono prevalentemente di uccelli presentano zampe con dita lunghe e sottili mentre i rapaci che catturano principalmente mammiferi hanno le zampe con dita corte e robuste. Il senso maggiormente utilizzato per la localizzazione delle prede è la vista, la risolvenza degli occhi di questi uccelli è superiore a quella di ogni altra creatura vivente ed è basata sia sulla grandezza dell’immagine che si forma sulla retina, sia sulla grande densità di cellula fotorecettrici (coni retinici e bastoncelli retinici) capaci di trasformare gli stimoli luminosi in impulsi nervosi presenti nella fovea, zona della retina nella quale l’immagine è più nitida, pertanto viene determinato un potere risolutivo doppio di quello dell’occhio umano. Inoltre gli occhi dei rapaci sono posti in posizione più frontale rispetto a quelli degli atri uccelli per consentire un’accurata visione binoculare, utile per l’esatta perce-


44 zione della distanza e della prospettiva. Anche l’udito è notevolmente sviluppato tuttavia i rapaci diurni individuano la preda, come detto, usando principalmente la vista, anche se cambiano molto da uccello a uccello le tecniche con le quali vengono effettuate le catture. Vi sono specie di rapaci che perlustrano attivamente il territorio alla ricerca delle prede, sulle quali piombano all’improvviso e vi sono specie di rapaci che aspettano la comparsa o il passaggio di una preda restando appollaiati in punti dominanti: la poiana, per esempio, una volta individuata la preda, la cattura piombandole sopra sfruttando il “fattore sorpresa”. Il falco pecchiaiolo, invece, è un rapace che caccia localizzando i nidi degli imenotteri (vespe e bombi) osservando gli spostamenti degli insetti. Dopo la localizzazione questo rapace procede alla perlustrazione del terreno camminando sulle zampe finché non scopre il nido sotterraneo degli insetti che provvede a


45 dissotterrare, non curandosi degli attacchi dei medesimi, fino a mettere allo scoperto il favo. I rapaci sono monogami e la loro vita si svolge in un ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di due tipologie di territorio: il territorio di caccia e il territorio di nidificazione. Tipici del periodo riproduttivo sono i voli nuziali che consistono in spettacolari evoluzioni aeree durante le quali i due membri della coppia si afferrano in volo con gli artigli favorendo l’unione della coppia stessa. Generalmente l’opinione comune considera i rapaci dannosi e per questo motivo meritevoli di persecuzione e distruzione sistematica. L’indagine scientifica ha invece dimostrato che il ruolo svolto da questi uccelli in natura è ben diverso e significativo dal punto di vista biologico. Il danno da essi arrecato alle specie di importanza venatoria ed economica è infatti trascurabile, mentre molto importante è l’azione che svolgono, attraverso la predazione, nel controllare e selezionare le popolazioni di quegli animali che costituiscono la loro preda. Occorre precisare che i rapaci non sterminano mai le loro prede ma tendono a catturare il surplus della popolazione, che sarebbe comunque destinato a morire per altre cause, prelevando di norma gli esemplari più deboli, inesperti e ammalati contribuendo a rendere le popolazioni di queste specie meno soggette alle malattie epizootiche. I rapaci inoltre controllano ed impediscono l’espansione numerica di molte specie invadenti che spesso arrecano danni ingenti all’agricoltura. Dobbiamo constatare amaramente che ancora oggi, pur essendo considerate specie particolarmente protette, durante la stagione venatoria vengono rinvenuti esemplari di rapaci morti o feriti da arma da fuoco. Inoltre le uova dei rapaci sono molto richieste dai collezionisti e i loro piccoli sono spesso catturati per essere impiegati in falconeria.


nuoto

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una vita per il basket

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di Enzo Casarotto

el mondo dello sport gli atleti e le società la fanno da padrone ma in questo settore per ottenere i risultati che le società si auspicano, siano essi di carattere prettamente sportivo o con finalità di crescita ed educative, lo sport si avvale dei vari tecnici ed esperti che si dedicano con passione per ottenere il massimo dai loro atleti. Tra questi, abbiamo scovato tra i molti in circolazione, un tecnico di basket: il quarantenne Andrea Santacatterina che più di altri esprime con il suo modo di stare in palestra, uno spirito ed una filosofia votata ad interpretare al meglio il connubio sport-crescita per i suoi atleti sia sotto il profilo sportivo sia sotto l’aspetto educativo. Abita a Villaverla con la moglie Roberta e il figlio Giacomo di 1 anno. Da tre anni lavora in uno dei vivai da sempre più interessanti del veneto baskettaro: la Patavium Petrarca di Padova del presidente Benini. La sua attività inizia nel 1999 a Schio con le giovanili della Juvenilia Schio, società nella quale è cresciuto come giocatore per un decennio e che ha lasciato nel 2007. A Schio ha lavorato per 4 anni con i giovani e contemporaneamente nei campionati di categoria in serie D, C2, C1 nel maschile. Agli esordi ha allenato anche la femminile di Sarcedo in serie C fino al 2001 e le giovanili del Famila basket fino al 2004. Nel 2007 è stato chiamato alla corte del Patavium Petrarca dove ha concretizzato quel salto di qualità che lo ha portato oltre a gestire il vivaio padovano ad assumersi gli oneri e l’onore del capo allenatore della C2 del Petrarca con brillanti risultati visto che in questa stagione la squadra ha raggiunto i playoff e che l’under 19 nel campionato eccellenza è risultata la seconda squadra del Veneto. “Per me l’allenare significa andare in palestra e lavorare per contribuire alla crescita tecnica degli atleti – sostiene Andrea – non dimenticando che bisogna dare grande importanza alla loro maturazione personale. Soprattutto quando si allenano dei giovani non si deve mai trascurare questo aspetto, dobbiamo pensare non solo al giocatore di basket che formiamo, ma ai valori che bisogna trasmettere ai ragazzi”. - Come mai la scelta della Patavium è caduta proprio su di lei? “Ho conosciuto il responsabile tecnico della società padovana durante il corso allenatore di Bormio, appena ha saputo che non avrei proseguito la mia esperienza a Schio mi ha chiamato, proponendomi di collaborare con il Petrarca, non ho avuto dubbi a quel punto, tra tutte le società con le quali avevo avuto contatti era quella che mi offriva l’opportunità più stimolante. Dopo tre stagioni posso affermare di aver fatto la scelta giusta e spero che

Abbiamo incontrato Andrea Santacatterina, uno dei più preparati tecnici della palla arancione SQUADRA UNDER 15 PETRARCA PADOVA STAGIONE 2007/2008

IN ALTO A SINISTRA: All. Andrea SANTACATTERINA, Matteo FRANZOLIN, Marco TOGNON, Francesco MILLEVOI, Riccardo ZANCAN, Michele BASSAN, Vice All. Enrico BARZON. SOTTO: Federico LORENZON, Tommaso GALLO, Marco PAGLIARI, Filippo SGUOTTI, Jacopo TREVISAN, Niccolò GOBBO. anche loro possano dire la stessa cosa”.Quanto la impegna il basket in termini di tempo? “Gran parte del pomeriggio e la sera, questo per cinque sei giorni a settimana tra allenamenti e partite. Poi ci sono clinic, lezioni e riunioni tecniche alle quali partecipare. Quest’anno poi il secondo posto in Veneto con l’under 19 eccellenza ci ha dato l’accesso alla fase nazionale, fase che prevede trasferte in tutto il nord Italia”. - Qual è stata fin qui la sua maggior soddisfazione sportiva? “Difficile fare una classifica, ma se devo scegliere metto ai primi posti la salvezza raggiunta il primo anno da capo allenatore in C1 a Schio e la fase nazionale under 15 eccellenza, il primo anno a Padova. Stagione nella quale ho avuto la fortuna di allenare un gruppo di ragazzi che, lavorando con grande impegno, hanno sopperito a quelle che potevano sembrare carenze fisiche e tecniche, giocando sempre alla pari contro avversari che tutti consideravano molto più forti”. - Qual è il sogno nel cassetto? “Quello che ogni allenatore di settore giovanile ha: partecipare con la propria squadra ad una finale nazionale; per due stagioni sono arrivato tra le prime 32 in Italia, sarebbe stupendo arrivare nelle prime 16”.


snow board

Cronaca dallo snowpark

È

di Arturo Cuel

vero che ho poco tempo a disposizione per tirare quattro curve, ma oggi non va proprio. Al posto degli sci mi sembra di avere dei cingoli. Lo stile è idraulico come quello di un caterpillar. Nemmeno in seggiovia me ne sto seduto decentemente, sono sdraiato con uno sci in aria che oscillo a mò di tergicristallo e l’altro sotto a penzoloni. L’ora è scaduta, meglio! Così invece di buttare un’altra discesa alla ca-doppia-zeta-più-vocale-tonda, vado nel park a fare le fotografie . Keep out! Il cartello invita a starsene alla larga se non muniti di casco. Entro e per mettere da subito le cose in chiaro, al posto delle necessarie protezioni, estraggo la reflex dallo zaino come passaporto. Raga! Sono qui per fare degli scatti e abilmente nascondo il timore del contrario. Lo snowpark è una specie di riserva indiana e una volta dentro corri il rischio di passarci l’intera giornata. E’ una zona idealmente delimitata, non ci sono transenne è semplicemente una filosofia alternativa di vivere la neve e la montagna. Gli ostacoli sono puramente mentali, il che non è da poco. Qui si gioca, proprio come in un parco del divertimento, sport e caos sembrano andare più che d’accordo. Nel frattempo qualcuno ha avuto l’illuminazione di accendere l’impianto stereo a manetta e la cosa è un po’ come dar fuoco alle polveri! Lo

Un fotografo tra i snowboarders: cronaca di una giornata di ordinaria follia dallo snowpark dei Fiorentini

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skilift comincia ad espellere un rider dopo l’altro. Si gira e ai più il come è indifferente. C’è chi si contorce in un tail grab cork dopo aver infilato un kicker che a guardarlo spaventa. Oppure un indy! Chi, invece, grabba talmente alto da riuscire a staccare l’ombra da terra. Nel park l’aria che tira è diversa da fuori, dalle piste intendo. E’ una civiltà urbana prestata alla quota. Casco, occhialoni e una fashion sgargiante rigorosamente XXL! Tavole da snow che possono essere battute all’asta come opere d’arte. Grafica, gestualità e terminologia hanno del tribale: accattivanti segni di un mondo giovane che scappa di mano. Musica rap, metal o anni 80. Nato quasi per scherzo dai primi tentativi di Jack Burchett

che, mosso dall’impossibilità di surfare sulle onde dell’oceano nella fredda stagione, ha trasportato la sua tavola sui pendii innevati della California, attualmente nei park la si usa al posto dello skate. Il tam tam tamburella nei canali del web e l’appuntamento clou è il contest. Possiamo chiamarle come vogliamo, ma di certo queste manifestazioni non hanno connotazioni prettamente competitive, il divertimento è un must! La birra (qui in lattina) scorre come all’Oktoberfest di Monaco e il frastuono supera il casino di un’impresa edile. Alto livello e spettacolarità sono comunque garantiti. Tolgo gli sci che sono d’impaccio e mi posiziono sotto un grande kicker - il dente o come cavolo lo si vuole

chiamare - alla ricerca di una prospettiva originale. Dall’alto vengo adocchiato e i raga alzano il pollice all’insù; intuisco che essere lì a scattare foto li svalvola oltre misura. Dopo sarà intesa a prima vista. Un tipo vestito di verde ramarro parte, mi passa sopra con un drop impressionante per poi scomparire sotto, oltre la visuale. Tutto è fulmineo, forse meno di 3 secondi. Un salto che buca l’intenso azzurro della bella giornata. Mi concentro per beccare il secondo dalla livrea di un evidenziatore Stabilo, cerco di posizionarlo dove lo voglio nell’inquadratura e sparo una raffica di fotogrammi: colpito! Con una mano faccio ombra sul display e rivedo la scena, congelata, pietrificata nell’istante

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della magia. Un front side 7 fantastico! Così un altro e poi ancora. Questi ci sanno fare! I vari colori che si alternano nel cielo corrispondono ad altrettanti stili e modi d’interpretare i tricks. Alzo lo sguardo e mi ritrovo accerchiato da un piccola ciurma - in gergo crew - che si è formata dopo il volo. Sono risaliti a piedi con la tavola sotto il braccio (non sempre si prende l’impianto). Assieme guardiamo alcuni shoot e pianifichiamo - parola grossa nuove riprese. Altri riders aggirano come squali i grossi jump mantenendosi ad una certa distanza, quasi vi fosse il pericolo di scottarsi. Preferiscono tentare cose più umane come i fun box o i jibbing (dove fai di tutto molto easy). Al Jurassik Park di Fiorentini, vicino a Tonezza, ci sono tante strutture dove ognuno si può esprimere in quella più adatta alle propria indole. Anche in questa disciplina si va per step, ci si può sempre buttare, ma conviene prenderla progressivamente e quando non lo fai puoi digitare il 118. Lo skilift sgancia nuovi frequentatori insieme ai tipi del gruppetto di prima. Fra loro Fulmine (demo rider), Riccardo e Stefano. Si siedono con le spalle rivolte a monte e la tavola a valle. Una pausa prima della run? Credo sia un ripasso mentale per eseguire una tal figura o per smanettare alla ricerca del pezzo giusto sull’Mp3, boh! Magari non bastasse il sound pompato dagli altoparlanti. Adesso mi pare che il brano sia di Eminem...or not?

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Potete scrivere al Senatore Alberto Filippi inviando le vostre e-mail a: sportivissimo@mediafactorynet.it

Veneto olimpico Caro Senatore, sono un ‘vecchio’ sportivo. Da giovane ero un ciclista anche abbastanza forte, adesso sono uno di quelli che fa un sacco di chilometri – un diesel! – che si diverte su e giù per i nostri fantastici Colli Berici. L’altro giorno, pedalando con un amico su per Perarolo, ci siamo detti: pensa che bello se ci fossero le Olimpiadi nel Veneto e se la gara di ciclismo su strada passasse proprio per i nostri colli. Il Veneto e Vicenza meriterebbero proprio una vetrina come quella Olimpica. Seconde lei, abbiamo qualche possibilità o, come dice il mio amico, di olimpico dobbiamo accontentarci del nome del teatro che già abbiamo. Perché, sa, se continuo a pedalare così, fra 10 anni potrei essere ancora qui e mi piacerebbe vedere i campioni del ciclismo di domani fare fatica dove oggi la facciamo noi. Con simpatia per lei e per Sportivissimo, Corrado Dal Prato.

Carissimo Corrado, bella la tua lettera di sport e simpatia. Credo proprio che dobbiamo partire da qui, dalla nostra cultura sportiva e dal nostro essere terra di persone simpatiche per vincere la grande scommessa di portare le Olimpiadi del 2020 nel Veneto. Come Nordest abbiamo sempre avuto grandi campioni, frutto di una cultura e una passione sportiva non inferiore a quelle di nessuno, ma non abbiamo mai avuto un grande evento sportivo. Sarebbe giusto che la prossima volta toccasse a noi. Abbiamo tutte le carte in regola per fare la più bella Olimpiade di sempre. Pensa che cosa significherebbero per il Veneto, per le nostre città, per la nostra economia i Giochi del 2020 qui. Dopo le Olimpiadi invernali del 2006 Torino è diventata un’altra città. Dobbiamo darci da fare tutti affinché questo grande sogno si avveri, iniziando proprio con il volerlo, con il parlarne tra sportivi, come hai fatto tu. Bravo Corrado. Buone pedalate, Alberto Filippi.

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Le vostre lettere possono essere lette anche nel sito: albertofilippi.it

DA 5 ANNI LA NOSTRA RIVISTA HA TRE GIORNALISTI E QUATTRO INSERZIONISTI PUBBLICITARI SEMPRE PRESENTI IN TUTTI I NUMERI FINORA PUBBLICATI. I PRIMI TRE LETTORI CHE CI INVIERANNO UNA E-MAIL CON I TRE NOMI DEI GIORNALISTI E I QUATTRO NOMI DELLE AZIENDE SUPER FEDELI, RICEVERANNO UNA E-MAIL CON CUI POTRANNO ANDARE DA SAMPDORIA VINI A RITIRARE UNA BOTTIGLIA DI PROSECCO MAGNUM DA BERE ALLA LORO E ALLA NOSTRA SALUTE.


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