Sportivissimo Luglio

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SSIMO

Tre valori, poco noti ma sublimi, dello sport

editoriale

di Luigi Borgo

Sono tanti, molti più di tre i valori dello sport che arricchiscono la nostra vita, ma qui voglio soffermarmi su tre di cui non si parla spesso ma che sono assolutamente straordinari. Sono: l’etica del livello di gioco, la necessità della cura, il piacere del dopo. Il primo, l’etica del livello di gioco, è l’essenza dell’onestà dello sport. Non si tratta dell’onestà tra giocatori, il cosiddetto fair play, il rispetto delle regole che è certamente un altro valore dello sport ma dell’onestà nei confronti del pubblico che va a vedere una prestazione sportiva. Quest’onestà origina dalla suddivisione di tutti gli sport in “serie” di merito. Le “serie”, a differenze delle “categorie” che sono indici d’età, sono dei veri e propri misuratori di capacità: qualità tecnica e fisica ma anche qualità estetica ed emozionale di ogni singolo giocatore. Nel calcio per esempio c’è la serie A e c’è la Terza divisione; c’è chi gioca la Champions League e chi gioca il campionato interregionale. Come il calcio anche tutti gli altri sport sono suddivisi in livelli tanto che ogni sportivo sa riconoscerli come la più ovvia delle constatazioni. Non è pertanto possibile assistere a un evento sportivo senza conoscere a priori la natura qualitativa, tecnica, valoriale dello stesso. Le capacità degli atleti in campo sono chiare, dichiarate dalla serie a cui essi appartengono. Non si è mai verificato che un giocatore di serie D sia sceso in campo in una gara di serie A. Certo, qualsiasi giocatore può fare male, non essere in forma, commettere degli errori ma sicuramente se gioca una finale di Coppa dei Campioni, è perché ha dimostrato delle oggettive capacità che lo hanno portato a essere lì. Non è così invece nel mondo dell’arte o della cultura, dove, non esistendo una netta suddivisione in “serie” (inaccettabili nel mondo immodesto dei tutti geni) i grandi vengono riconosciuti postumi o non vengono riconosciuti affatto mentre chiunque può trovare la sua occasione di visibilità anche quando il prodotto che offre è decisamente scadente. Nel mondo dell’arte si è confusa la sacrosanta libertà d’espressione con l’impropria libertà di esibirsi, che ha reso quel mondo confuso, scriteriato, gratuito al suo stesso pubblico mentre nello sport la sacrosanta libertà di giocare è sempre vincolata al valore dei giocatori e questo ha fatto sì che la sensibilità del pubblico sportivo sia sempre rispettata. Nello sport nessuno oserebbe confondere una partita tra “scapoli e ammogliati” per qualcosa che essa non è, come invece accade con infinita leggerezza nel mondo non sportivo. Nello sport non c’è alcuna ambiguità, nessuna ipocrisia, nessuna finzione. E questo conta molto. Il secondo valore, la necessità della cura, è un altrettanto stupefacente insegnamento per la nostra vita di ogni giorno. Ogni sportivo conosce bene la propria debolezza, sa che è sempre mancante di qualcosa. Perfino un campione che ha vinto, è consapevole che la sua azione non può definirsi perfetta, perché lui, pur vincente, non è perfetto. La vittoria è sempre e solo un momento circoscritto, chiuso, irripetibile. L’atleta e il campione devono quindi combattere giornalmente contro i propri limiti. Entrambi tuttavia sanno che è la cura di sé la necessità “vitale” per continuare a essere ciò che sono; la necessità “etica” per fare ancora meglio. La cura è di più dell’allenamento. La cura è vivere da atleta: allenarsi, alimentarsi, gestire il riposo, approfondire la tecnica propria e altrui, studiare, riflettere, formarsi il carattere, la mentalità vincente. Tutto questo è la cura: una necessità dell’essere atleta che include sia il corpo sia l’anima, che non vanno separati ma “curati” in una profonda interconnessione affinché l’atleta possa dare il massimo di se stesso. In questo senso la cura significa tendere al proprio miglioramento, a diventare qualcosa di più di quello che si è, di quello che si riesce a fare. Il terzo valore, il piacere del dopo, è anch'esso un valore straordinario. La fatica che si fa durante l’azione sportiva a volte ha la forza di annullare il godimento della azione stessa. Tuttavia una volta terminata la pratica sportiva, la fatica prima patita si trasforma in un profondo stato di appagamento, d’intenso piacere. Non è il piacere semplice del coricarsi sul divano per riposare il corpo affaticato dallo sforzo ma quel piacere completo che viene dal corpo stanco che si riposa e dall’animo che, disintossicatosi e purificatosi da ogni pensiero, è sereno e appagato.

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thiene

Volo a Vela, la Formula Uno dell’aria!

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o chiamano Volo a Vela, spesso è confuso con il volo in deltaplano o parapendio, e può essere paragonato alla Formula uno dell’aria: le ricerche aerodinamiche più avanzate nascono da questo sport, che con il proprio mezzo (l’aliante appunto), mira ad utilizzare al meglio l’energia fornita dalla natura per percorrere distanze impensabili. Ter-

miche, dinamiche, volo in onda, sono i fenomeni più diffusi per trovare masse d’aria che salgono verticalmente anche a 3040 km/ora, e l’aliante volando in esse guadagnando quota ed energia che poi spende in lunghe planate alla ricerca di nuove zone di salita. Uno sport conosciuto da pochi ma che sa donare grandi soddisfazioni. Il pilota di aliante infatti deve conoscere

bene i fenomeni metereologici, l’orografia del terreno, i flussi d’aria che si generano in natura, deve sapere come affrontare in sicurezza le zone di volo ed il proprio mezzo… insomma, ad ogni volo sa che c’è sempre qualcosa da imparare e non si è mai finito di studiare, analizzare e sfruttare al meglio tutte le condizioni favorevoli. Ed ogni volo è diverso dal precedente...


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Si parla molto di energie rinnovabili e pensare di volare per 1200 Km senza consumare una goccia di benzina potrebbe sembrare impossibile… Chi vola in aliante sa bene che ciò è possibile e lo fa divertendosi!!

di Francesco Ziche e Giandomenico Benetti

A Thiene troviamo l’Aeroclub Prealpi Venete, Club di appassionati e veri campioni di Volo a Vela: qui si allenano tre dei cinque campioni italiani in carica; Davide Schiavotto di Bassano nella classe “18 metri” e “Unica”, Manuele Molinari di Padova nella “Standard”, Giuseppe Dal Grande di Vicenza nella “15 metri”. Il Club di circa 40 soci si è appena classificato secondo ai campionati italiani a squadre di Ferrara e si presenta come uno dei più attivi e propositivi d’Italia, riuscendo ad utilizzare al meglio una delle aree più conosciute a livello europeo per il volo libero. “Chi vuole avvicinarsi al nostro splendido sport” ci racconta il Presidente Francesco Ziche di Thiene, “da noi trova una scuola certificata per l’ottenimento del brevetto e Piloti competenti e disponibili a trasferire le proprie esperienze anche ai nuovi arrivati, creando occasioni di voli in biposti ed incontri di discussione a terra. Non mancano poi i mezzi per poterlo fare: tre alianti monoposto, tre alianti biposti e tre aerotraini. Ma ripeto, sono le persone che fanno la differenza!!” Il pilota infatti ha un ruolo dominante rispetto alle caratteristiche dell’aliante utilizzato, e capita sovente di vedere voli di quattro o cinquecento chilome-

tri fatti con alianti di 15-20 anni. “Il volo a vela” continua Ziche “può essere tranquillamente definito il modo più sicuro ed economico di volare; l’unica cosa che si può rompere è il pilota… per il resto le normative a cui sono sottoposti i mezzi non permettono errori. E poi nessuno può dire di aver finito la benzina o che si è rotta una candela!! Chi volesse provare l’emozione del volo planato, può contattarci per organizzare un Minicorso di introduzione al volo, che comprende una breve spiegazione di cos’è il volo a vela ed un volo in compagnia di un istruttore nazionale. Un’emozione impagabile!!” www.aeroclubprealpivenete.it


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grandi viaggi

La via della Seta (The Silk Road)

A Samarcanda sui passi di Tamerlano di Bepi Magrin

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ancava dunque solo la “nera signora” della celebre canzone di Roberto Vecchioni, per completare la scena ma di quella, posso assicurare, non v’era traccia a Samarcanda e.. per fortuna!!! Certamente sarà stata impegnata nei vicini campi di guerra dell’Afganistan (crogiolo di

conflitti senza fine) ma, come si constata facilmente, da quella parte la frontiera è ben chiusa, anzi sigillata e non passa una mosca perché gli uzbeki fanno buona guardia! È una giovane repubblica quella dell’Uzbekistan, che dal ’91, anno dell’indipendenza dai sovietici, rielegge lo stesso presidente (Karimov) perché pare, ne sia soddisfatta per la stabilità e la crescita che lo stesso,

a quanto si dice qui, promuove e garantisce. Ma siamo qui non per speculazioni politiche, bensì per un viaggio che ci riporti tra i nostri sogni, in città ricche di storia millenaria, sulle steppe già percorse da Gengis Khan, da Tamerlano e anche da mio padre Ferruccio che nel ‘42, vi passò con le tradotte dei prigionieri italiani e giapponesi che i sovietici portarono a Tashkent (la capitale) per sviluppare la città e lavorare quelle campagne per molti aspetti simili a quelle padane.

Uzbekistan


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Fiumi poi campi poi l’alba era viola Bianche le torri che infine toccò…..

il viaggio

Nukus - Kiwa - Bukara - Nurata - Samarcanda - Tashkent

Samarcanda

E allora iniziamo a volare dalla capitale fino a Nukus, perché non si può perdere l’opportunità di una visita al Museo di Igor Savitsky che oltre ad offrire una serie di reperti dell’Asia Centrale, custodisce le straordinarie opere di pittori anticonformisti

sia Centrale e tra le sue mura e sotto il gigantesco minareto si incrociarono infinite vicende di guerre, di commerci e di storia. Altri 480 km di strade non troppo agevoli e giungiamo a Bukara: la sacra, la nobile dentro le cui mura si nascondono 140

russi d’inizio del secolo scorso, che erano state bandite dal regime sovietico. Ora procediamo in auto verso Kiwa e lungo la strada saliamo sulla singolare collina detta “la torre del Silenzio” una fortezza d’argilla dominante le steppe e le terre saline dove si consumavano riti primitivi. A Kiwa città patrimonio dell’Unesco, siamo ospiti di una antica Madrasa (scuola coranica) trasformata in ottimo albergo. La città, che ha 2500 anni ed è perfettamente conservata anche per i restauri operati dai sovietici, a vederla oggi sembra congelata nel tempo delle carovane che percorrevano la via della seta. Qui vi era il maggior commercio degli schiavi dell’A-

monumenti protetti, specie del regno samanide (IX secolo). E’ la città espugnata nel 1220 da Gengis Khan il flagello di Dio, ai suoi massacri si aggiunsero quelli più recenti di Nasrullah Badaur (1826) detto –non a caso- il macellaio per la sua estrema crudeltà! Ora proseguiamo per la steppa dove si vedono i vasti scavi dovuti alla ricerca del minerale aurifero di cui è ricco il paese e tra i primi monti risaliamo a Nurata per vivere due giorni tra i pastori di quelle montagne: gente semplice e accogliente che vive da tempi immemorabili dei prodotti della terra. Nel viaggio per le steppe verso Samarcanda ci investe una terrificante bufera di vento, è il giorno


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del terremoto del Nepal, il vento che scende dal Pamir abbatte i pali in cemento della linea elettrica come fossero birilli e scoperchia una dopo l’altra le poche umili case dei pastori… la macchina sbanda paurosamente sotto le raffiche ma l’autista procede e…ci salva. E siamo a Samarcanda, la città tanto sognata, la città di Tamerlano, il re zoppo, il condottiero illuminato, il “Lorenzo de Medici” di qui, quello che portandovi i migliori artisti della regione, fece bella e grande la sua città e quella nativa dal nome impronunciabile (Shakhrisabz) che si trova verso il confine afgano e che pure visitiamo. Ma a propo-

sito di Samarcanda dice Alessandro Magno: “Tutto quello che ho udito di questa città è vero! Tranne il fatto che è più bella di quanto avessi potuto immaginare.” Lo splendore delle torri, delle Moschee, dei minareti, coperti di ceramiche di grande pregio artistico, è una cosa che si deve vedere almeno una volta nella vita. Il sorriso delle donne poi è dorato, perché per antica tradizione, qui le donne fanno vanto di ricoprirsi d’oro i denti. La leggenda dice che il fatto sia dovuto alla possibilità delle mogli del Khan – ne aveva 4- di essere ripudiate e sostituite da un’altra, quindi ridotte in miseria salvo a portarsi i gioielli che indossavano e…i denti d’oro! Vediamo il maestoso Registan uno degli edifici più belli del patrimonio architettonico mondiale e una quantità di Madrase, moschee, minareti così ricchi di storia e di leggenda che.. non basterebbe un libro!

Torneremo infine a Tashkent e valicando un alto passo del Pamir tra cime imbiancate di nevi, faremo una puntata nella valle di Fergana (un cuneo tra Tagikistan, Kazakistan ecc.) avendo in pratica solo evitata l’angoscia di una visita a ciò che resta del lago d’Aral ormai ridotto a pozzanghera: una delle più grandi tragedie ambientali del mondo. Si vedono immagini dei pescherecci che lo percorrevano, ridotti a rugginosi relitti abbandonati in piena steppa.

amitaba.net Moltissime altre sarebbero le cose da dire su questo splendida esperienza di viaggio (www.amitaba.net) che aggiunge nuovi sogni alle fantasie che ancora galoppano tra le bianche torri e le mura di Samarcanda la bella …oh oh cavallo ...oh oh!!!

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utto è pronto in Start line, lo speaker aizza “El Pueblo” del “Salomon City Trail Schio”, mani al cielo, e si parte. Il Primo km se ne va in scioltezza, i primi sono partiti #ComeNonCiFosseUnDomani. Al 2° km a Poleo, inizia la “Via Crucis” e tutti corrono. Tra il 3° e il 4° km, nel fresco del bosco, anche le gambe rispondono discretamente, l’andatura rimane eutanasia, perché so che al 6°km si scollina e il più è fatto. Km 5. “Contrà Formalaita”, primo ristoro “Cobras”, mi bevo di gusto un bicchiere d’acqua e mi sciroppo in scioltezza i due km di dolce salita e che mi separano dal “Contrà Quartiero” , punto punto più alto della giornata.

520 iscritti al Trail di Schio fortemente voluto da Paolo Franco, “Emme”, e Matteo Tizian, “Fulmine” Da lì, dopo un bel po' di Km, riparto in discesa in stile “Valanga azzurra anni 70” . Si torna nel bosco, sbaglio traiettoria sul tornantino nel guado e salto da un sasso all’altro tra le rocce. Intorno al 10° km passiamo accanto alla caratteristica fontana di “Contrà Reghellini”. Dopo 11,5 km torniamo per una decina di metri sulla strada. Ultima discesa utile per spolparsi del tutto le gambe e poi ” Scalette dell’arco” fortunatamente in discesa, cartello “1km alla Gloria eterna”, arriva la scalinata, curva a sinistra, curva a destra, scalette in discesa, 151m di rettilineo, duomo a sinistra, striscioni “Suunto, Salomon, Polidoro” come se piovesse, curva a destra. Arrivo e salto letteralmente al collo dei due Pilastri Cobras Ideatori di tutto, Paolo Mts Franco e Matteo Tizian.

Grazie a Salomon, a Puro Sport e a tutti gli sponsor che hanno creduto nel progetto “Schio City Trail” e a tutti i piccoli grandi volantari, grandi persone, grandi uomini.

Sul “Terzo Tempo”... Troverete un ampio reportage sui libri di storia dei vostri figli e i figli dei vostri figli… se ve lo siete persi… tranquilli, 365giorni e ci ritroverete là… in “Fabbrica Alta” a bere il prosecco a canna, ritirando il premio “NOI - IL FUTURO”… umili, come sempre… “ELEVATE YOUR RUN, RUN FAST, RUN COBRAS!!!!”


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Nordic Walking Mamma&bebè e TRALEBRACCIA Una simbiosi di emozioni di Marta Carradore

E

’ scientificamente dimostrato che l’attività fisica aerobica durante i nove mesi di gravidanza presuppone notevoli benefici sia per la mamma che per il nascituro in quanto aiuta la donna ad evitare un eccessivo aumento di peso , a mantenere la pressione sanguigna nei giusti paramenti, a ridurre la ritenzione idrica ed a mantenere costantemente allenate le fasce muscolari importanti per il parto; il bambino risulta mag-

gior sollecitato all’esplorazione e alla conoscenza della realtà al di fuori dell’utero materno e fisiologicamente viene maggiormente ossigenato grazie all’esercizio e ciò consente di sviluppare meglio il proprio sistema muscolare e nervoso. L’attività fisica diventa un’ottima alleata anche nel periodo del post parto per ritrovare gli equilibri psico fisici naturali ed imparare ad affrontare con energia ed entusiasmo la nuova vita. Da questi due magici momenti della vita della donna nasce il Nordic Walking Mamma&bebè! Questa attività aerobica altamente specializzata è composta da quattro elementi fondamentali: la mamma, il suo piccolo, la fascia e i bastoncini da nordic walking. La mamma, muovendosi, allena il proprio corpo mantenendolo tonico e forte ricavandone energia per far crescere il proprio bimbo, inoltre, facendo un esercizio insieme ad altre mamme, le permette di confrontarsi, di parlare dei propri dubbi e paure e di sentirsi avvolta da altre

persone che stanno vivendo le stesse emozioni. Il bimbo, nella pancia , inizia a percepire quello che è il mondo esterno, a sentire il movimento, ad esser cullato passo dopo passo; mentre, una volta nato, rivive tutta l’attività della mamma come se la stese svolgendo in prima persona stimolando, così, il suo sistema nervoso e muscolare. La fascia è l’elemento fondamentale per unire mamma e bebè. Esistono legature di mille tipi adattate allo sviluppo motorio e cognitivo del bambino e alla corporatura della mamma; esistono mille fasce diverse per ogni uso e tessuto ma, tutte le legature e tutti i modelli hanno un unico scopo: avvolgere in un abbraccio il bambo alla propria mamma riportandolo come dentro al ventre materno, permettendogli di riascoltare ogni singolo respiro e battito del cuore. La mamma si muove liberamente e il suo bimbo è sempre


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cornedo con lei creando una simbiosi davvero speciale ed unica. Esistono legature anche per le mamme in dolce attesa che aiutano a sorreggere il peso della pancia e a tenere il cucciolo bello avvolto. Infine, l’ultimo elemento sono i bastoncini da nordic walking che, grazie alla tecnica della camminata nordica accompagnata da specifici esercizi complementari, diventano degli allenati inseparabili per poter svolgere questa attività ed accompagnare le mamme con i propri bimbi a scoprire la natura ed ad allenarsi naturalmente!! Il corso Nordic Walking Mamma&bebè viene proposto con il supporto del nuovo centro TRALEBRACCIA situato ad Arzignano in via Pagani 21. TRALEBRACCIA è un’associazione di promozione sociale non a scopo di lucro che ha l’obiet-

tivo di organizzare incontri e attività per le mamme e future mamme dove possano offrire e ricevere solidarietà e sostegno, condividere esperienze e acquisire saperi e competenze che possano migliorare la loro qualità di vita, quella del proprio bimbo e di tutta la famiglia. Inoltre è possibile, grazie a Barbara ed Elisa, chiedere consulenza sull’uso della fascia imparando, così, ad utilizzarla nel modo più consono e sicuro per portare il proprio bebè con se’ e scoprire che, dietro ad un’pezzo di stoppa’ è racchiuso un modo di emozioni Mamma, bambino, fascia e bastoncini sono i pilastri del Nordic Walking mamma&bebè... un’attività che io porto nel cuore e, con il sostegno di Barbara ed Elisa, voglio trasmettervi per farvi sognare con i vostri piccoli.

La spiaggia è loro Battocchio Preto trionfano al campionato provinciale di Beach Volley

Anche quest’anno nella seconda metà di giugno si è svolto il campionato di Beach Volley conclusosi con l’assegnazione del titolo provinciale. Nel campionato, diviso in tre tappe (Cornedo, Vicenza e Bassano) si sono sfidate le migliori coppie del vicentino, tra le quali è spiccata la coppia “BattocchioPreto” nell’U17. I due ragazzi, avendo vinto tutte le tappe, si sono qualificati come testa di serie e sono arrivati imbattuti alla finalissima. Inoltre, Lorenzo e Francesco, hanno ottenuto un buon risultato anche nell’U19 a Casoni di Mussolente, ottenendo il 3° posto.

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La giornata piu’ fredda della mia vita di Stefano Mazzoleni

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iao a tutti scrivo questo articoletto per condividere, con tutti gli amanti della montagna, un’ esperienza di volo sopra le Alpi, splendida da un lato ma mostruosamente fredda dall’ altra. La stagione dei voli “seri” è alle porte e come ogni anno cominciamo a tenere d’ occhio le tracce GPS scaricate nel sito www. xcontest.org (l’ Xcontest è un campionato

Volando in Val Pusteria con il parapendio

mondiale di distanza percorsa in volo, dove scarichi le tracce da un GPS specifico, i voli fatti durante l’ anno e il programma sceglie i 3 voli migliori per la classifica nazionale e i 6 migliori per la classifica mondiale) e notiamo che il giorno 15 aprile Kurt e Alex ( due nostri amici che vivono in Val Pusteria) hanno fatto un volo splendido da Antolz in Valle Anterselva, dando il via alla stagione 2015. Subito comincia un tam tam di messaggi tra il nostro gruppetto di malati di voli di distanza e guardando le varie meteo ( alme-

no 5/7) decidiamo che domenica 19 aprile potrebbe essere una giornata belloccia per inaugurare la stagione 2015 nelle Alpi. Per vari motivi ci troviamo solo io, Max Favaro di Verona e Filippo Tessarotto di Vicenza liberi nel weekend e visto che il 19 aprile cade di domenica decidiamo di andare in Pusteria con calma la sera prima cosi’ da essere sul posto freschi e riposati la mattina seguente. Arriviamo sabato verso sera ad Anterselva nel nostro solito alberghetto con ristorante adiacente e dopo una bella ed abbondante cena decidiamo di andare a letto presto, fiduciosi delle rosee previsioni per la domenica,


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descritte nei vari siti meteo specifici per il volo libero che utilizziamo a pagamento, ma anche molto preoccupati per le temperature dichiarate (zero termico a 2000 mt) visto che normalmente si vola dai 2200 a 3400 ed oltre.

Saliti in macchina, notiamo subito che il termometro della stessa continua a scendere inesorabilmente fino a stabilizzarsi sui – 6 gradi quando arriviamo al parcheggio, che con nostra immensa felicita’ troviamo pieno di macchine di altri piloti.

La domenica mattina sveglia alle 6,30, scendiamo dove ci aspetta una splendida ed abbondante colazione, e fatti i bagagli ci avviamo al parcheggio dove lasciare la macchina per iniziare la lunga risalita a piedi di 900 mt di dislivello verso il decollo.

Non vi parlo della risalita di 2 ore abbondanti con 18 kg in schiena perchè il mio cervello (non ho piu’ 20 anni) non riesce a memorizzare certi sforzi inumani, ma come dice il Max “a chi ciammazza noi?” ed eccitati dalla voglia di effettuare il primo volo dell’ anno nelle alpi arriviamo in decollo poco dopo le ore 9,00 dove una bella aria dritta da est fa sperare in un decollo mattutina.

ed i piedi per evitare il congelamento ma, stringendo i denti riusciamo a percorrere senza poter bere e mangiare niente perchè era tutto ghiacciato, il nostro volo piu’ lungo degli ultimi ventanni. Il panorama, nonostante sia il quinto anno che andiamo in pusteria a volare, è qualcosa di magicamente surreale che ti blocca il fiato, con un susseguirsi di cime di 3000 mt ed oltre tutte inbiancate a perdita d’occhio e dove ti giri continui a scoprire una catena montuosa ancora piu’ bella ed ancora

Tempo di salutare un po di gente che non vedevamo dalla stagione scorsa e cominciare i preparativi, vediamo il team Austriaco iniziare i decolli dal punto piu’ alto del decollo, e da li a poco partiamo anche noi con le nostre vele per il primo volo di cross dell’ anno che si presenta gia’ dalle prime termiche, molto debole e con difficolta’ a salire di quota. Da subito capisco che il freddo mostruoso, nonostante due scaldine per manopola ed una in ogni scarpone e 5 strati di abbigliamento, sara’ il vero avversario da battere e devro’ continuamente sbattere le mani

piu’ immensa e questo mi rende conscio di quanto siamo fortunati “noi uomini che volano” nel poter praticare lo sport piu’ bello del mondo, a prescindere dalla lunghezza del volo.


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Morale della favola: chi la dura la vince; siamo andati in Pusteria con la speranza di un “voletto” tanto per iniziare la stagione ed invece siamo atterrati dopo 10 ore di volo tutte con una media di – 7/15 gradi con 3 voli fantastici: Max “solo” 191 km di triangolo equilatero perchè ha perso tempo nel regolarsi l’ attrezzatura nuova, Filippo 201 km di triangolo equilatero ed io 223 km sempre di triangolo equilatero, per me e Filippo record personali. Chissa che sia di buon auspicio per l’ anno 2015

Descrizione del volo: Siamo decollati da un campo sopra Malga Grente circa a 2200 mt slm, abbiamo sorvolato il passo Stalle seguendo la valle fino in Austria sopra il paese di Uben nella valle di Lienz, da li siano ritornati dalla stessa valle fino ad attraversare la valle di Campo Turres e via verso ovest sopra i monti della Val Pusteria fino a Vipiteno per continuare sorvolando la Valle stessa fino al ghiacciaio di Solden nuovamente in Austria, dove ci siamo girati per tornare fino a Rio Pusteria e sorvolando Luson verso sud siamo scesi fino al Falzarego, passando per il Sasso della Croce e vista l’ ora tarda siamo rientrati verso la Val Anterselva dove siamo atterrati alle ore 20 con il buio.

Per vedere questo volo copiate a questo link. h t t p : / / w w w. xco n te st . o rg / world/en/flights/daily-score-pg/?filter[date]=201504-19&filter[catg]= felici giorni in Montagna a tutti. “Chi ha provato il volo, camminerà guardando il cielo, perché li è stato e lì vorrà tornare” (Leonardo da Vinci) . Se vuoi provare l’ ebrezza di un volo in Tandem con il parapendio telefona al 3355483975


vicenza

Stefano Scortegagna sul podio Terzo posto assoluto al 15° contest mondiale Scubashooters.net di maggio di quest’anno per Stefano Scortegagna, fotografo subacqueo, collaboratore di Sportivissimo da anni. Il concorso è patrocinato dal sito omonimo ed ogni mese viene indetto un concorso a tema. A maggio il tema era: “il rosso”. Si partecipa con un massimo di quattro foto subacquee, rigorosamente di carattere biologico. Lo scopo finale è, infatti, di creare un grande archivio di organismi marini, organizzato per specie e per fotografi. La selezione degli scatti è stata eseguita da una giuria internazionale di cui fanno parte lo svizzero Henry Jager, Roland Bach, tedesco che vive a Minorca e Davide Lopresti, italiano. Stefano ha ricevuto il premio con una macrofotografia di Squat Lobster, un piccolo crostaceo simile ad una aragosta, ma più appiattito, per una specie particolare detta Bug-eyed, dagli occhi sporgenti. L’inquadratura ha colto proprio questa peculiarità, mettendo a fuoco da una distanza di pochi centimetri, solo i due occhi. La foto è stata scattata quest’anno ad Anilao nelle Filippine Si è voluto pubblicare anche le foto che hanno vinto il 1° e 2° per un giusto confronto in quanto non sono stati pochi quelli che hanno dato a Stefano un gradimento maggiore. Per soddisfare, poi, la curiosi-

tà degli amici subacquei, circa l’attrezzatura usata, questa era composta da una fotocamera Nikon D800 con obiettivo 105 VR II Micro f 2,8. Custodia SUBAL, Flap e porta lente SAGA. Lenti: Inon UCL 165 + 5, SubSea + 10, Nauticam SMC-1 + 15 diottrie. Flash: due Inon Z-240 con due cavi a Fibre Ottiche, Focus Light Pro 3. L’intervento in postproduzione è stato ridotto al minimo, in quanto Stefano è un convinto sostenitore all’idea che la foto nasce durante lo scatto. Non resta ora, che attendere nuovi ulteriori successi. Ad maiora!

INDICE DELLE FOTO

In basso: la foto vincitrice del 3° premio A destra: la videata sul sito Scubashooters.net con l’annuncio del terzo premio; le foto premiate 1°, 2°, 3° posto e l’ attrezzatura fotografica usata per le riprese subacquee

di Antonio Rosso foto di Stefano Scortegagna

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20 Città di Valdagno Assessorato allo Sport

A valdagno le avventure verticali dei vigli del fuoco

di Giulio Centomo

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orna a Valdagno il Campionato Italiano di Arrampicata Sportiva dei Vigili del Fuoco. Dopo le prime due edizioni del 2009 e 2010, che si sono tenute in città e la terza edizione disputatasi a San Giustino Umbro (PG), era qualche anno che la manifestazione mancava dalla scena. Per il 2015, quindi, si tornerà in parete e il PalaSoldà con la sua struttura per l’arrampicata indoor tornerà protagonista delle imprese infuocate degli atleti in gara il prossimo 3 ottobre. Mentre si sta definendo il programma della giornata di competizioni, accanto ai Vigili del Fuoco, con il comando di Vicenza ed il distaccamento di Schio a dirigere i preparativi, si sono schierati uomini e donne della sezione CAI di Valdagno, del Gruppo Rocciatori “I Sogati”, della Scuola di Montagna intersezionale “Gino Soldà” e della ProValdagno che cureranno ogni minimo dettaglio per garantire un weekend di sport e divertimento. Dieci saranno le vie di diversa difficoltà che verranno approntate per la fase di qualificazione, mentre tre saranno i percorsi delle finali. A deciderne lo sviluppo sarà un volto ben noto nel panorama dei tracciatori di caratura internazionale, Leonardo Di Marino. Di Marino ha posto la propria firma su alcune delle vie ai principali eventi agonistici del pianeta arrampicata sportiva, tra tutte quelle di

numerose edizioni del Rock Master di Arco (TN), appuntamento clou per gli appassionati della disciplina. Sarà lui a studiare gli divertente, sempre assistiti dal atleti per metterli alla personale dei Vigili del Fuoco. Per prova sul terreno veri più curiosi saranno inoltre espoticale del PalaSoldà, sti alcuni mezzi e attrezzature come sempre con che contraddistinguono il lavoro grande attenzione nelquotidiano del Corpo Nazionale la ricerca dei passaggi dei Vigili del Fuoco. che meglio riescano a “Aver potuto ospitare a Valdagno mettere in luce le quaben due delle tre precedenti lità e le abilità dei conedizioni di questi Campionati correnti. Nazionali di Arrampicata SporA margine delle gare, tiva - ha commentato il Sindaco non mancherà l’ormai di Valdagno, Giancarlo Acerbi – consueto spazio dedicato è per noi un onore e un grande ai più piccoli con l’allepiacere. Nell’imstimento di Pompieromaginario di molti poli, il percorso dedicato i Vigili del Fuoco ai giovanissimi pompieri sono rappresentain erba che così potranti come delle figuno mettersi alla prova tra re eroiche ed afostacoli da superare e infascinano grandi cendi da spegnere in modo

e piccini. Sono molto contento che anche queste manifestazioni possano dare ulteriore vetrina al loro prezioso lavoro di servizio a tutta la comunità. Quella di ottobre poi sarà una giornata speciale, all’insegna dello sport e, come Sindaco, ancora una volta sono davvero orgoglioso che le nostre strutture siano all’altezza di simili eventi.”


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Isola Vicentina

“In serca de le raixe venete” di Diego Pesavento

Giro ciclistico in Brasile del Gruppo Bici “EL LEON” di Isola Vicentina

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a prima esperienza di un giro ciclistico in Brasile fu fatta nel 2010 quando ciclisti italiani amatori, coordinati dall’allora sindaco di Schiavon Antonio Bianchi, volle così dare forza al gemellaggio tra la sua città e Monte Belo nel Rio Grande do Sul, regione più a sud del Brasile.

La voglia di pedalare assieme per sviluppare i contatti umani in modo speciale con le comunità italiane in terra brasiliana portò ad una intensa collaborazione tra associazioni culturali italiane e brasiliane per organizzare il primo evento denominato “Giro Ciclistico del Brasile Talian” con un gruppo di 19 ciclisti. A seguito del successo del primo, un altro ne fu organizzato due anni dopo nel 2012 in “Serra Gaúcha”,18 giorni intensi di intensa attività ciclo turistica con un gruppo di 23 ciclisti e un altro nel gennaio 2014 chiamato il “Giro Ciclistico da Pri-meira à Quarta Colônia” che interessò molte città del Rio Grande do Sul e occupò 18 giorni di attività con 25 ciclisti ita-liani e alcuni accompagnatori locali. Proprio sulla traccia di quest’ultimo ed inizialmente quasi per scherzo, è nata per noi ciclisti del gruppo “El Leon” l’idea di

rafforzare il gemellaggio istituito nel 2013 tra la città di Isola Vicentina e Marau nel Rio Grande do Sul, idea che mai si sarebbe realizzata senza l’impegno, la determinazione e la tenacia del capogruppo Giampietro Zattra. Ecco dunque, forti dell’esperienza fatta dagli amici di Schiavon e con l’aiuto indispensabile dei nostri contatti brasiliani nelle persone di Zenesio e Rogerio Trevisan, Moasir Dal Castel e Ildo Busnello, che furono così messe le basi per la programmazione del nostro giro cliclistico denominato “In serca de le Raixe Venete”. Nel titolo tutta la nostra intenzione. Noi del gruppo bici “El Leon”, soci dell’associazione “Tuttinbici Fiab” di Vicenza, abbiamo fatto di questo slogan il nostro biglietto da visita. Volevamo così, oltre che portare a Marau i saluti del nostro sindaco Francesco Enrico Gonzo, conoscere anche realtà a noi così lontane geograficamente ma così vicine nel cuore, piene di gente calorosa e ospitale caratterizzate da un forte


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senso di patria e attaccamento alla terra natìa dei loro padri emigrati molti anni prima e che parlano ancora la “lengua veneta”, il loro “Talian”.

Il ns. gruppo composto da Giampietro Zattra, Attilio Belloro, Daniele Calgaro, Davide Dal Balcon, Antonio Dal Soglio, Marco Lovato, Marco Grotto, Giuseppe Marchioro, Giuseppe Rabito, Diego Pesavento, Matteo Zattra ed Andrea Zattra è quindi partito da Isola Vicentina il giorno 1 gennaio 2015, pronti per vivere in 15 giorni in terra brasiliana quella si ri-velerà un’esperienza a dir poco indimenticabile. Con i nostri bagagli ed imballate le nostre bici da corsa su apposite in casse in legno, il giorno dopo, a 12000 km di di-stanza, atterrammo a Porto Allegre dove abbiamo ricevuto un accoglienza incredibile. Ci aspettavano i nostri amici brasiliani a braccia aperte per accompagnarci a Marau dove siamo stati ospitati in casa di alcune famiglie del posto le quali, per nostra generale sorpresa, ringraziava-

no noi per il fatto di essere lì da loro ospiti. Dopo i primi giorni trascorsi in città visitando enti locali, musei, sedi di associazioni e luoghi caratteristici, e non prima di una celebrazione in nostro onore per la benedizione dei ciclisti, abbiamo lasciato Marau in partenza per il giro ciclistico di 8 tappe, con a seguito pullman di assistenza e rifornimento, per toccare nei giorni successivi i paesi della Quarta Colonia veneta quali Passo Fundo, Linha Vitória, Almirante Tamandaré, Victor Graeff, Campos Borges, Sobradinho, Faxinal do Soturno, Dona Francisca, São João do Polesine, Nova Palma, Ivorá, Silveira Martins, Vale Veneto. Santa Cruz do Sul e Carazinho dove in ognuno di essi famiglie locali hanno gentilmente offerto noi vitto e alloggio. In totale sono stati percorsi in bicicletta circa 700 km e circa 8000 m di dislivello positivo attraverso gli stupendi panorami brasiliani, non sempre però attraversati da strade adatte all’uso della bici, tantomeno da corsa, grandi e molto trafficate e spesso senza adatti spazi ciclabili. Essere però in bici a migliaia di chilometri da casa in terra straniera, spesso sotto il sole cocente con un forte grado di umidità, a percorrere lingue d’asfalto in continuo saliscendi e con pendenze non sempre leggere, che attraversano verdi mari di natura incontaminata fatti da immensi campi di soia, grano e altre coltivazioni, vedere allevamenti allo stato brado di bovini e cavalli a pochi metri dalla strada, frutteti e quant’altro, pena ogni tanto risvegliarsi dal sogno nel sentire il ru-more di un enorme camion che ti sfreccia accanto… non ha prezzo. Ad ogni modo tutto è andato bene, nessun malore ne inci-

dente lungo il percorso e questo è quello che più conta. Molta strada poi è stata percorsa in pullman, anche di notte per ottimizzare il tempo, per visitare il Paraguai nella sua città dell’Est al di là del confine segnato dal fiume Paranà, le imponenti cascate di Foz De Iguazù e la centrale idroelet-trica di Itaipù. E’ riduttivo descrivere così in poche righe le sensazioni provate nell’attraversare quei paesaggi e nel conoscere così tan-ta gente piena di rispetto e gioia di vivere. Ma grande è la soddisfazione di essere riusciti in quanto abbiamo fortemente creduto. Abbiamo abbracciato fratelli e stretto mani grosse e callose di gente che ha saputo tirarsi su le maniche, come sa fare la gente veneta, gente che ha trovato nello stare uniti la forza di andare avanti anche nei momenti difficili e creare così be-nessere, progresso e pace per tutti. Resterà questa un’esperienza di vita molto forte e spero che quello che abbiamo sentito e vissuto serva nel futuro come collante nel saper aiutarsi a vicenda per raggiungere la vetta del vivere sereni in un mondo più libero e giusto. Insomma, come riportato anche nelle divise da ciclismo create per l’occasione, anche i sogni si possono avverare se si ha: “El corajo de credarghe”.


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walking

Volevo percorrere il mio paese a piedi

V

Dopo Valdagno – Sasso Marconi e dopo l’attraversata dell’Appennino fino a Roma, ora è la volta di Roma – arance di Calabria.

Si va alla volta dei Castelli Romani dove l’acqua delle fontane è naturalmente frizzante e si assapora nuovamente il gusto dei piccoli paesini dopo un paio di giorni nella capitale. Passo nel mezzo dell’ex centro ippico del CONI che, ora chiuso, è un

enorme parco attrezzato. Poi costeggio il lago vulcanico di Nemi. Una grande curiosità era conoscere l’Agro-pontino! Così, tutto emozionato, prendo la direzione di Latina e, quando sull’insegna di una casa leggo un cognome a me noto suono e chiedo se arrivano dal Veneto: Sì! -risponde la signora- tanti anni fa, dalla provincia di Rovigo. Si prosegue e la terra appare come una zona già incontrata molti chilometri prima; qui sono immigrati preva-

olevo arrivare a piedi e raccogliere arance in Calabria, questo è stato il motivo della partenza. Con l’idea delle portate, quelle che si servono a tavola, Carlo e io abbiamo suddiviso l’Italia: antipasto fino a Sasso Marconi, bis di primi per arrivare a Cortona. Sorbetto e secondo piatto con contorno ed eccoci qui a Roma, insomma una bella abbuffata in compagnia. Ma per il dolce che conduce alla frutta della Calabria riparto solo. Con lo zaino in spalla attraverso i fori imperiali ed il Circo Massimo, esco da Roma verso sud lungo la via Appia Antica. È l’unico pezzo di strada romana che ancora può fregiarsi del nome “antica”, la via costeggiata ancora da numerose rovine ti immergono per un lungo tratto nel passato fino all’aeroporto di Ciampino.

lentemente veneti ed emiliani, hanno così trasformato questo territorio ad immagine e somiglianza della Pianura Padana. Al bar sento parlar di polenta. L’antica terra di foresta paludosa è ora una distesa di terra e serre. Le case sparse o i vari borghi sono collegati da una rete di strade a quadri dette Migliare. Dopo un paio di giorni passati a casa di parenti che non avevo ancora conosciuto passo per il parco del Circeo e mi dirigo verso Terracina, è una


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Terza e ultima tappa del cammino attraverso l’Italia di Giorgio Albiero

giornata di sole e metto in ammollo i piedi nel mare. Il giorno dopo riparto e procedo lungo la spiaggia valutando la situazione. Ho bisogno di riorganizzare meglio le varie tappe per salvaguardare i miei ultimi risparmi e così ad un certo punto prendo una decisione! Più precisamente prendo i mezzi pubblici ed in un attimo mi ritrovo a Mondragone dove sono ospitato. Siamo in Campania, nella zona della terra dei fuochi e per i più sensibili non è certo semplice vivere qui. Alla sera piatto tipico: mozzarella di bufala e broccoli di rapa (friarilli). L’accoglienza del popolo campano si manifesta in vari modi e cammino fra persone curiose del mio zaino. Dopo Caserta entro nella Valle dei Maddaloni e passo sotto il grande ponte dell’acquedotto Carolino che porta l’acqua alla Reggia. Qui inoltre c’è il Sacrario dei soldati garibaldini caduti dopo la battaglia del Volturno. Risalgo in un

all’interno della città GrecoRomana-Lucana. Si risale sui primi colli verso l’entroterra del Cilento. Capaccio e Trentinara aprono lo scenario. I ragazzi che mi ospitano mi rifocillano, mi fanno conoscere le varie aziende e realtà locali e mi preparano per il giorno seguente. Quel giorno percorro 50 Km, è un percorso asfaltato ma l’ambiente mano a mano, passo dopo passo diviene più selvaggio; superato il valico di montagna attorno ai 1000 metri trovo l’accoglienza prima della civiltà. Riparto con un passaggio in macchina fino al paese, volevo percorrere tutta l’Italia a piedi ma è stato veramente bello accompagnare i ragazzi a scuola cantando canzoni di Nino D’ Angelo. Poi nei boschi un bel incontro con alcuni cinghiali e ci scappa pure un giro in trattore. Giungo così a Caselle in Pittari. Da qualche anno, in questo paese i giovani hanno creato il “Palio del Grano”, una gara a festa

ambiente collinare ben coltivato e tenuto. Provincia e poi città di Benevento dove in una grande rotatoria hanno proposto una nuova versione di Padre Pio. Ora mi concedo il lusso di prendere il treno locale, un’unica carrozza a motore fino ad Avellino (1.20euri). Incontro poi cavalli e cavalieri, ancora fra colline arrivo nella provincia di Salerno ed eccomi a Paestum. Dopo un ampio giro sono nuovamente in costa del mare

che coinvolge i paesi limitrofi sfidandosi nel taglio del grano. Qui ho percepito un buon rapporto generazionale dove anche gli anziani prestano attenzione alle idee dei giovani. Attraverso le grandiose risorgive carsiche e mi dirigo verso il mare per raggiungere la meta: Sapri, poi Maratea e Praia Mare, 56 km, tre regioni. Con Sapri, ultimo paese campano lungo la strada costiera alta sopra il mare blu si entra in Basilicata, passo sotto alla grande

statua del cristo con le sembianze del beneficiario dell’opera. Poi un po’ di caratteristico entroterra che ti fa perdere la percezione del vicino mare, ed ecco! La Calabria è appena al di la del fiume Noce. Sono emozionato per due motivi: il fatto di raggiungere la meta e inoltre per entrare in questa regione così tanto menzionata ma mai conosciuta. Per prima cosa vado ad acquistare dei fichi calabresi: dopo un mese e mezzo che son partito da casa il mio italiano con l’accento credevo fosse migliorato almeno un po’. Invece non mi chiedono semplicemente se arrivo dal Veneto, ma addirittura se sono di Schio, colpito e affondato. Saluto e raccolgo con le mie mani un’arancia dall’albero delle arance, la sbuccio e la assaporo: Buona!


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Dolomiti Vicentine, ovest photo: Roberto Bertozzo

CATENA


DELLE TRE CROCI


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GRUPPO DEL CAREGA

Champions league photo: Silvano Chiappin Etiopia, gennaio 2009,

CATENA DEI SENGIO ALTO


GRUPPO DEL PASUBIO

sportart

t s e , e n ti n e ic V i it m lo o D photo: Roberto Bertozzo


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storia

La tragedia dell’incrociatore Amalf i La Grande Guerra in Alto Adriatico: 2° parte di Antonio Rosso, Riccardo Bottazzo, Luigi Zannini foto di Stefano De Min

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’Italia è in guerra da meno di due mesi. A Venezia sono operative numerose unità navali con il compito di mantenere, attraverso frequenti uscite, il controllo dei golfi di Venezia e Trieste per impedire alla flotta austriaca di uscire dal porto di Pola. Gli austriaci affidano la loro difesa alla forza aerea, ai campi minati e soprattutto alle unità sottomarine, con ottimi risultati avendo già affondato il sommergibile Medusa e la torpediniera 5PN. Per contrastare tale tendenza il 6 luglio il Comandante della IV divisione ordina un’uscita in mare sotto la costa istriana di cacciatorpediniere appoggiate, in caso di scontro, da una forte e veloce unità. Per tale impiego viene scelto l’incrociatore corazzato Amalfi inviato a Venezia proprio per poter meglio contrastare eventuali attacchi di unità austroungariche. L’Amalfi, varato nel 1908 dai cantieri Odero di Genova, era lungo 140 metri, largo 21 e pesava a pieno carico 10.600 tonnellate. Come armamento era dotato di quattro pezzi da 254/45, otto da 190/45, sedici da 76/40, due mitragliatrici, tre tubi lanciasiluri da 450 mm. Come apparato motore aveva 22 caldaie a carbone per due motrici alternative verticali che gli permettevano una velocità di 23 nodi. Era definito corazzato, perché aveva una protezione di acciaio spessa fino a venti centimetri purtroppo solo nella parte esposta ai colpi di artiglieria, in quanto, pur essendo il sommergibile ormai sviluppato, lo si riteneva ancora limitato nelle sue potenzialità, ragione per cui le navi erano ben corazzate nell’opera morta (la parte emersa dello scafo) mentre si lasciava debole e sostanzialmente priva di protezione l’opera viva (la


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parte immersa). Solo i tedeschi avevano pensato di ridurre il peso dell’armamento dell’artiglieria, per trasformarlo in analogo rinforzo strutturale della carena, risolvendo in tal modo la nuova situazione creata dallo sviluppo del sommergibile di cui ne avevano subito intuito il potenziale bellico. Alle tre di notte del 7 luglio 1915 l’Amalfi salpò, dunque, da Venezia, scortato da due torpediniere (Calipso e Procione), uscì dal canale di Malamocco e si diresse ad una trentina di miglia a levante di Chioggia, dove avrebbe dovuto incontrare le squadriglie di cacciatorpediniere «Bersagliere» ed «Impavido». Cediamo ora la parola al comandante, il Capitano di Vascello Giacomo Riaudo, con la lettura del suo rapporto conservato presso l’Archivio Storico della Marina Militare. ...”Prima dell’alba erano armati i soli pezzi antisiluranti, e verso le 3:00 avevo ordinato personalmente al Comandante in 2^ di chiamare tutta la gente a posto di combattimento..... Alle 4:05 mi recai nel casotto di rotta... Qualche minuto dopo, in lat. 45° 12’ N e long. 12° 53’ 5 E avviene sulla sinistra, verso il centro della nave, una forte esplosione seguita da proiezione altissima colonna d’acqua commista a frammenti di carbone. Distinsi perfettamente la scia di un siluro, facente un angolo di circa 30° da poppa colla rotta della nave; la scia non aveva più di 200 metri di lunghezza, il che mi fa supporre che il sommergibile nemico abbia lanciato passando fra la torpediniera “Calipso” e l’Amalfi. Ho mosso tutta la barra a dritta per evitare un secondo siluramento. Le macchine erano in azione, il timone funzionava perfettamente, lo sbandamento della

nave non superava i 20° ed io ho ordinato di verificare l’entità dell’avaria nella speranza di poter raggiungere Venezia. Poco dopo però lo sbandamento aumentava, quantunque non rapidamente, e l’equipaggio si poneva sul latto dritto di coperta. Intuendo io che la nave si sarebbe capovolta diedi l’ordine di fermare le macchine; ordine trasmesso coi telegrafi al Tenente di Vascello Cambi, ed ho avvertito la gente di attendere ordine per gettarsi in mare essendo elevata la velocità della nave..... Alle mie parole l’equipaggio proruppe in grida di “Viva il Re!!” “Viva l’Italia!”. Poco dopo aumentando rapidamente lo sbandamento sulla sinistra la velocità d’avanzo diminuiva sensibilmente. Diedi allora l’ordine “si salvi chi può” e l’equipaggio sorvegliato per gruppi da parecchi Ufficiali si gettò in mare al grido di “Viva il Re!!” “Viva l’Italia!”. La nave accostando a dritta (ciò che fortunatamente ha impedito la perdita di gente scostandola dall’elica emersa) completava in pochi minuti l’abbattuta sul fianco sinistro, emergendo completamente l’elica di dritta che era in moto. In questa posizione la prora era poco più immersa che la poppa, quando già alberi, fumaioli e ponte erano immersi ...... L’affondamento completo ebbe luogo in tal assetto, con poco risucchio. Alla scomparsa della bandiera sorse unanime il grido di “Viva il Re!!” “Viva l’Italia!”. “I naufraghi con grida di “Viva il Re!” attendevano tranquilli di essere recuperati .......” l’Amalfi, dunque, si appruò, si capovolse, con le eliche ancora in movimento e s’inabissò nel giro di dieci minuti: sei per capovolgersi completamente ed appena quattro per affondare.

I naufraghi vennero recuperati dalle torpediniere Calipso e Procione ed altre unità accorse sul luogo della tragedia. Nonostante la rapidità dell’affondamento le perdite furono relativamente limitate: a fronte della morte di un ufficiale e 66 marinai, fu possibile, sui 719 che si trovavano a bordo salvare 682 uomini. Di questi 255 andarono poi a costituire un gruppo di Artiglieria, affiancato all’11° Corpo d’Armata che fu inviato a combattere sul Carso. Il sommergibile doveva aver avvistato da tempo l’incrociatore perchè aveva potuto lanciare indisturbato e con estrema precisione un siluro tipo «G» (da 450 mm, con testata di 140 kg, molto più potente dei siluri standard) tanto che neppure i compartimenti stagni poterono fare molto. In meno di un minuto dall’avvistamento il siluro aveva colpito la nave: dopo dieci minuti tutto era finito con il sottomarino che si era potuto allontanare indisturbato. A silurare l’Amalfi era stato il sommergibile tedesco UB14, che batteva bandiera austriaca, in quanto ufficialmente Italia e Germania non erano ancora entrate in guerra, ed aveva preso la sigla U26. L’unità, salpata da Pola, era uscita per un’esercitazione sotto il comando del capitano Heino von Heimburg, lo stesso che al comando del sommergibile tedesco UB14, sempre con bandiera austriaca e sigla U11, aveva silurato il nostro Medusa. L’affondamento avvenne, dunque, a 22 miglia dalla costa e, prima di lasciare il luogo del disastro, vennero lasciati dei segnali nel luogo dell’affondamento. Nel 1919 e nel 1921 si tentò di localizzare il relitto, ma il punto stimato e i limitati sistemi di ricerca, resero l’operazione alquanto difficile. Il


32 relitto fu individuato nel 1921: capovolto su un fondale di 30 metri, con la chiglia a 14 metri dalla superficie, le eliche a 18 ed armamento, fumaioli e sovrastrutture schiacciati sotto il peso dello scafo. Dal 1924 iniziò un sistematico smantellamento col recupero del rivestimento corazzato e delle due eliche di bronzo. La demolizione, ottenuta attraverso il brillamento di una grande quantità di cariche esplosive, risparmiò poco e si recuperò quanto fu possibile fino ad arrivare al piano di coperta. Il nome, che stava sulla poppa della nave ora si trova nel Museo Storico Navale di Venezia. Poi, se ne persero nuovamente le tracce. Ritrovato da vari subacquei a distanza di tempo, senza che mai ne fosse divulgata la posizione, la riscoperta venne uficialmente resa nota in occasione della sua commemorazione organizzata dal Club Subacqueo San Marco di Venezia, svoltasi il 7 luglio del 1991, settantasei anni dopo l’affondamento. La Marina Militare, per l’occasione, si mobilitò in forze con una nave da guerra, la Ponza ed una motonave per giornalisti e civili. Alla cerimonia parteciparono anche tre motovedette della Guardia Costiera e altri mezzi di Carabinieri e Guardia di Finanza. I subacquei veneziani scesero sul relitto che avevano contribuito a riscoprire e vi posarono la targa “Cui pro idea cecidit, maxima cum pietate” (Massimo rispetto, per chi morì per un ideale). Un bel gesto d’altri tempi, commenteranno i giornali. Il relitto dell’Amalfi si presenta oggi come una distesa di rottami contorti che affiorano dalla sabbia. Le sovrastrutture della nave sono in parte coperte dal fango e scardinate dalle esplosioni. Il segnale dato dall’ecoscandaglio evidenzia sul fondo una depressione con ostacoli alti non più di un metro. Tuttavia, chi volesse vedere com’era l’Amalfi può recarsi in Grecia, sul lungomare del Pireo, ad Atene dove è ormeggiato il Georgios Averof. Cosa c’è di interessante? Il fatto che l’Averof sia stato costruito in Italia e appartenga alla stessa classe dell’Amalfi e del Pisa. Perché è in Grecia? Perchè l’Italia non

potendo completare questa terza unità, già in cantiere, l’aveva offerta alla Grecia, che si era offerta, sì, di acquisirla, ma essendo anche lei in ristrettezze economiche chiese aiuto ad un famoso uomo d’affari: Georgios Averof che accettò di acquistarla per il suo paese. Le modifiche rispetto all’Amalfi sono minime. L’Averof, pur essendo sempre rimasto operativo ed avendo anche combattuto non è stato mai trasformato: nel 1983 con un restauro è stato riportato all’aspetto del 1925 e trasformato in una nave museo, ancorché ancora in servizio. BOX Un atto di eroismo (tratto da:

E. Mercatali e G Vicenzoni “La guerra italiana” – cronistoria illustrata degli avvenimenti, periodico settomanale 1° serie 11 luglio 2015 – Sanzogno Ed. Milano) Numerosi sono gli episodi di abnegazione e di sacrificio avvenuti durante l’affondamento dell’Amalfi; ma uno sopra di tutti basta a provare l’elevatezza d’animo e il valore dei nostri uomini di mare, Allorchè, squarciata a babordo la carena, la nave si inclinò rapidamente per arrovesciarsi all’improvviso, gli ufficiali, che ultimi balzarono in mare, i trovarono a lottare con l’irresistibile gorgo che si andava formando e che minacciava di travolgerli. Il capo macchinista nuotava anch’egli vigorosamente per allontanarsi, ma un’onda lo ricacciò presso la nave da poppa; le eliche turbinavano a fior d’acqua e, preso nel vortice, una pala gli troncò un braccio. L’urlo dell’infelice si confuse col clamore di altre grida e con lo sfiatare assordante delle caldaie: il capo macchinista già si abbandonava svenuto alle correnti, allorchè emerse vicino a lui il capitano medico Gallina che, pieno di coraggio e assai robusto, non dimenticò neppure in quell’estrema contigenza la propria missione umanitaria; riuscito a togliersi la cinghia che stringeva ai fianchi, con enormi sforzi che hanno del prodigioso, egli ne strinse il moncherino del collega, frenando l’emorragia, mentre teneva a galla il ferito. Entrambi furono raccolti poco dopo esausti.

INDICE DELLE FOTO Pagina 30 = l’incrociatore corazzato Amalfi e la targa di poppa dell’Amalfi conservata al Museo Storico Navale di Venezia Pagina 31 = planimetria dell’incrociatore e il comandante tedesco del sottomarino U26, Heino von Heimburg Pagina 32 = immersione sul relitto dell’Amalfi: ciò che rimane sul fondale.



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brenta

Come si sposano i canoisti?

N

on sono molti quelli che praticano la canoa d’acqua viva. Ci si conosce quasi tutti e in occasione dei raduni ci si ritrova e si consolidano amicizie che durano nel tempo. La maggior parte dei canoisti sono maschi ma esiste una agguerrita componente femminile. Ma come possono sposarsi due canoisti? Una coppia singolare di appassionati frequentatori dei nostri corsi d’acqua, lei valdagnese nativa di Recoaro e lui ormai naturalizzato valdagnese proveniente da Arzignano, hanno deciso di ufficializzare la propria convivenza. I canoisti hanno qualcosa di diverso nel loro DNA e anche in questa occasione hanno voluto dimostrare che si può sempre fare qualcosa di originale senza eccedere nella stravaganza. Nadia è insegnante di nuoto, Claudio gira il nord-Italia sul camion; entrambi appassionati di cani, vivono con due labrador, Teo e Paco, con cui sono in perfetta sintonia e, anche se questi non parlano, fra loro c’è un’intesa incredibile, si capiscono perfettamente. Quando hanno deciso di uffi-

di Antonio Fabris

cializzare la loro situazione, Nadia e Claudio hanno pensato di scindere quella che è la giornata cosiddetta istituzionale legata al matrimonio da quella da condividere con gli amici sportivi. Sabato mattina 27 aprile 2013, comune di Valdagno, presenti parenti e amici canoisti provenienti da tutto il Nord-Italia, i due vengono uniti in matrimonio da chi scrive. Un rapido rinfresco e poi su al rifugio alla Guardia per il pranzo. Gli amici canoisti potranno vedere le

nostre meravigliose Piccole Dolomiti. Peccato che è una giornata estremamente piovosa e gli amici arrivati da Milano, Parma, Padova, non potranno vedere niente: una fitta nebbia copre le montagne e la stufa del rifugio brucia a pieno ritmo. Peccato, l’occasione per rifarsi sarà la domenica successiva. Nel frattempo, per tutta la settimana, la pioggia cade ininterrotta portando tutti i fiumi in piena. La domenica successiva finalmente c’è la schiarita. Il ritrovo è allo scivolo di San Gaetano a Valstagna sul Brenta. Ci sono tutti gli amanti dell’acqua viva


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ed è la giornata giusta per divertirsi. Sono presenti Fabio, Gaetano, Laura, Michele, Dario, Andrea, Davide, Antonio, Daniele, Riccardo, Federico, Elisa, Leonardo e altri. Sono tutti qui per festeggiare gli sposi e vivere insieme un’esperienza unica. Il Brenta è in piena come lo si vede raramente. L’enorme mole d’acqua viene giù rapida livellando le pendenze. Il gruppo oggi ha deciso di scendere. Nadia e Claudio per l’occasione hanno noleggiato un kayak doppio. Indossiamo mute e caschi, Nadia sul casco mette un tulle bianco che la rende riconoscibile a distanza, i kayak vengono addobbati con dei palloncini gonfiabili colorati. Mettiamo le imbarcazioni in acqua e ci raggruppiamo per partire, siamo circa una ventina. Quando gli sposi decidono, si parte, ci immettiamo in corrente in una lunga fila colorata

e rapidamente si scende verso Valstagna. E’ un susseguirsi di onde che ti sollevano e ti sbattono lanciandoti grandi spruzzi d’acqua: è una doccia continua. Sembra di essere a un rodeo ma in questo caso non cavalchi il toro ma le impetuose onde. Qualcuno, immedesimandosi nella parte, lancia continue urla mentre governa il kayak. In un attimo arriviamo al campo slalom che con questa massa d’acqua scompare appiattito. Superiamo fra enormi onde il ponte di Valstagna e ci fermiamo per una pausa sulla sinistra dopo l’ex centrale idroelettrica. Dopo un po’ si riparte; è uno spettacolo vedere sfilare nel fiume questo corteo nuziale dai mille colori delle imbarcazioni, delle giacche, dei caschi, delle pagaie, dei palloncini. Superiamo il punto dove il torrente Oliero confluisce nel Brenta e rapidamente arriviamo a Contarini. La discesa è terminata e in una stupenda giornata di sole con un cielo azzurro sbarchiamo e ci congratuliamo con

gli sposi. Ma non è finita: in un impeto goliardico gli sposi vengono sollevati da più mani, Laura recita la formula di rito e gli sposi vengono lanciati nel Brenta in piena. In un attimo la corrente li porta via, pochi metri più in basso un gruppo lancia le corde di salvataggio in acqua e i due vengono recuperati. La goliardata prosegue poi con qualche altra vittima del gruppo. Mi chiedo cosa avrà pensato il gruppo di stranieri che stava cucinando poco lontano quando ha visto sbarcare questi alieni e hanno assistito al lancio di persone nel fiume che con la sua portata incuteva paura? A questo punto, sistemate le canoe, ci siamo recati al ristorante Contarini dove la festa è proseguita in un contesto di allegria e scherzi che ha suggellato questo matrimonio fluviale.


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valdagno Primo e secondo posto nelle gare a “Coppie Open” e primo e secondo posto nelle gare a “Squadre Open”: la Ginnastica Ritmica Valdagno ha vinto tutto ai “Campionati Italiani P.G.S. Cat. Promo” di Sestriere, del 6 e 7 giugno scorsi, ricevendo anche i complimenti da parte della Giuria.

Q

uest’anno le 54 atlete della Ginnastica Ritmica Valdagno hanno vissuto un anno ricco di emozioni e di risultati importanti: il gruppo delle Mini ha partecipato per la prima volta al Trofeo Pgs di Cornedo, il gruppo Propaganda, oltre che alle nazionali di Sestriere, si è distinto anche ai “Campionati Nazionali a squadre Serie D” a Lignano. La Ginnastica Ritmica Valdagno fa parte della Società Valdagno Basket. Ma cosa accomuna i ragazzi del Basket e le ragazze della Ritmica? Sicuramente l’amore per lo sport, la capacità di impegnarsi e fare fatica, la capacità di vivere in una squadra ed in una società, l’importante

Ginnastica ritmica Valdagno: un sogno che diventa realtà di Ezio Lorenzi, presidente Società

Valdagno Basket

figura di riferimento dell’allenatore, la gioia dello stare insieme, il sogno di diventare bravi come i loro idoli. Per conoscere le ragazze della Ginnastica Ritmica appuntamento giovedì 11 giugno alle ore 20,30 al Palasoldà con il: PRIMO GALA’ DELLA GINNASTICA RITMICA VALDAGNO. Con questa serata si apre una quattro giorni di sport e amicizia per la società Valdagno Basket, che all’Oratorio Don Bosco di Valdagno dal 12 al 14 giugno organizza tornei di Basket, Mini basket e Pallavolo oltre che esibizioni di Ginnastica ritmica, il tutto allietato da buona musica e tanta allegria!

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piccole dolomiti

Mettiamo le ali!

P

ossibile? Io, guida alpina, in bici a Cologna veneta? e invece si! mi ritrovo qui in pianura, lontano dalle montagne, per conto della Neox ( produttrice di bici elettriche) a eseguire uno dei vari test di chilometraggio conclusosi poi positivamente con oltre 100 km di percorrenza con una sola batteria! Tutto inizia una mattina dello scorso marzo, quando il mio amico Mario viene a trovarmi in ditta con la sua crosser elettrica e me la fa provare. Finora, nella mia vita, mai avevo pensato a questo sport che, in seguito, scoprirò magnifico. Dopo tre giorni sono già in sella della mia nuova E-MTB deciso a chiudere anticipatamente la stagione sciistica per dedicarmi totalmente al mio nuovo amore che, ora chiamo “Cleta”. È stato come avere accanto, da sempre, una bellissima donna e scoprire, solo ora, l’intensità del suo sguardo. Si sa, l’uomo è cacciatore, per cui, nello stesso periodo ho portato a casa anche una moto d’alpinismo che chiamo “Beta”. Quest’ultima però si è rivelata essere solo un’amica e

di F. S.

niente più. Raramente esco con denze la potenza massima, Beta, infatti a oggi con lei ho perquasi sempre, ci aiuta a non corso solo 200 km, mentre con dover scendere dalla bici e Cleta sono uscito per più di 2.000 spingerla km con la convinzione che la no- 8. Possibilità di allenarsi dustra strada sarà ancora molto ramente come una bici lunga. tradizionale: con il solo aiuLasciamo ora la metafora moroto minimo in pianura e in sa per alcune più serie considesalita, andare più veloci di razioni sulle bici elettriche: come si andrebbe con una bici senza pedalata assistita 1. Possibilità di muoversi ageoppure, in pianura, togliere volmente e senza fatica in “l’assistenza” città anche per persone a cui lo sport proprio non interessa 2. Indicata a persone che, per ragioni di salute, non possono praticare sport intensi 3. Adatta a persone che non si allenano metodicamente 4. Possibilità di uscite in coppia con lui allenatissimo e bici tradizionale e lei, più sedentaria, con bici elettrica 5. A parità di allenamento, possibilità di percorrere tragitti più lunghi e più velocemente. 6. Possibilità di compiere giri con poca fatica e quindi possibilità di “uscire” tutti i giorni 7. Su sterrato con forti pen-


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RACCOMANDAZIONE: quando Peserico compagni di entusiatronico sequenziale incontriamo ciclisti “tradizionali” smanti escursioni e, che Dio ci Cambio rotativo elet ic gear box sequential electron ng olvi Rev non facciamo gli sbruffoni inne- assista nella vita, nella pedalata PIN EOX ifurto N stano l’aiuto massimo e, seAntce la ci pensa Neox!!! Antitheft NEOX PIN facciamo, sorpassarli. cerchiamo di restare sempre consapevoli che il merito non sarebbe nostro ma della batteria. NOTA: La particolarità eccezionale delle Neox (crosser, sporter, urban) è che sono le uniche nel mercato ad avere la catena gruppo cambio Motore integrato nel fissa e cioè una sola corona e the gear group in ed Engine integrat un solo pignone. Le varie marce, KEY EOX o N Antifurt come le varie potenze, vengono Antitheft NEOX KEY comandate da pulsanti (non ci sono leve!) in quanto funzionano E INTEGRATO. per mezzo di un albero interno E-bIKE SEqUENzIAL L’UNIcO cAmbIO PER O ANTIcO! ETT Nc cO IONE DI UN con vari ingranaggi. LA VERA INNOVAz LA bIcIcLETTA. Un’ultima mia considerazione S. ARbOx FOR E-bIkE TED SEquENTIAL GE che non credo banale è che in ! EpT NC CO THE ONLY INTEGRA NT CIE ON OF AN AN THE REAL INNOvATI integrata tutte le altre bici elettriche la THE bICYCLE. Elettronica laterale ma di facile accesso batteria è situata all’esterno del SIRAL SRL electronics Laterally integrated . with easy access telaio. Nelle Neox invece, la batLocalità Fornace 13 z.a Vi Italy un’unica scatola e prodotta in Italia teria è integrata dentro telaio, grato e protetto in pensata, progettata 36076 Recoaro Terme Tuttoilinte one box 0445 780290 d and protected in only +39 rate / integ 795 ely 780 plet 5 Com per cui, con dei semplici elastici Tel +39 044 da bagagli di può fissare esterFax +39 0445 792508 al.it namente sul telaio una seconda www.siral.it - info@sir batteria raddoppiando così l’autonomia di chilometraggio senza dover ricorrere all’uso di uno zaino che, se pesante, dà fastidio o addirittura provocare mal di schiena. A proposito, un grazie a Mario Fanton, Lucio Lovato e a Diego mENTO TEcNOLOGIA IN mOVI N TECHNOLOGY IN MOTIO

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laghi

di Dorino Stocchero

XIV festa del cacciatore di montagna gara di tiro con la carabina “Circuito armi e tiro TROFEO DEERHUNTER ”

D

opo tredici edizioni l’associazione Faunambiente in collaborazione con il circolo uncza montagne vicentine ha organizzato quest’anno la quattordicesima Festa del Cacciatore di Montagna – Gara di Tiro riservata ai cacciatori che utilizzano fucili a canna rigata e che rientra nel circuito armi e tiro. La gara si è svolta nei giorni 13 e 14 Giugno 2015 in località Lunardelli nello splendido comune di Laghi in un luogo con due suggestivi laghetti e con uno scenario dalle magnifiche montagne che circondano. Potevano partecipare alla gara tutti i cacciatori muniti di idoneo porto di fucile con tassa concessione governativa e assicurazione validi, ogni cacciatore doveva prendere visione e al rispetto del regolamento esposto sul campo dall’organizzazione. Il regolamento era adottato in sintonia alle direttive fissate da

armi e tiro. Le categorie erano suddivise in: cacciatori, libera, open, ex ordinanza, faunambiente-unczacacciatori di selezione. Nella categoria armi e tiro Cacciatori, Libera, FaunambienteUncza-cacciatori di selezione e Open erano ammesse le armi standard a canna rigata e le caratteristiche tecniche delle armi dovevano essere le medesime con le quali i fucili e le carabine avevano ottenuto l’inserimento nel Catalogo Nazionale delle Armi. Nella categoria Ex Ordinanza erano ammesse tutte le armi antecedenti all’anno 1945 prive di ottica purchè di serie, con l’obbligo di essere esclusivamente in configurazione originale come erano in dotazione agli eserciti regolari nazionali ed esteri (erano escluse quelle impiegate da forze speciali e/o di polizia) con scatto in due tempi non inferiore a Kg 1,5. I calibri ammessi erano quelli consentiti dall’attuale legislazione sulla detenzione e il porto d’armi (carabine, combinati e

basculanti). Le ottiche dovevano avere al massimo otto ingrandimenti con bloccaggio obbligatorio a tale valore per i cannocchiali con ingrandimenti variabili . A tutti i partecipanti della categoria Ex Ordinanza era consentito sparare dieci colpi su unico barilotto mentre a tutti i partecipanti delle altre categorie era consentito sparare cinque colpi su barilotti numerati dal n°1 al n°5, più i tiri di prova su apposito barilotto contrassegnato con la lettera “P”; il tempo massimo a disposizione di tutti i tiratori era di otto minuti e i bersagli erano posti a circa 150 metri dal punto di tiro. Le piazzole di tiro, numerate e coperte, erano costituite da


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tavoli e tutte le categorie sparavano appoggiandosi su sacchetti di sabbia forniti dall’organizzazione. Il risultato dei centri era misurato a punti. La gara si è svolta in due giornate con condizioni atmosferiche non favorevoli però ha avuto un grande successo lo stesso anche per la numerosa partecipazione dei tiratori provenienti, oltre che dalla Provincia di Vicenza, anche e sopratutto da altre Province e Regioni. L’edizione ha avuto una perfet-

ta realizzazione grazie all’ottima organizzazione della gara, promossa dai collaboratori di Faunambiente e tutte quelle persone che collaborano e ci sostengono nel mantenere viva una passione che ha ragione di esistere solo se guidata dalla responsabilità e da una grande attenzione alla gestione dell’ambiente e della fauna selvatica. Sul campo gara è stato predisposto un ricco stand gastronomico gestito dalla pro loco di Posina.

Le classifiche sono risultate come di seguito elencato:

categoria Cacciatori

categoria Libera

categoria Faunambiente

categoria Ex ordinanza

Categoria Open

1. FORLAI MAURO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

2. DA PIAN ROBERTO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

3. LONGHI FABIO

PUNTI 50 CON 1 MOUCHE

1. DE TITO FRANCESCO

PUNTI 50 CON 4 MOUCHE

2. VINELLI FRANCESCO

PUNTI TOTALI 50 CON 4 MOUCHE

3. MOREA MATTIA

PUNTI TOTALI 50 CON 4 MOUCHE

1. PIAZZA VIRGILIO

PUNTI TOTALI 50 CON 1 MOUCHE

2. LONGHI CLAUDIO

PUNTI TOTALI 50 CON 1 MOUCHE

3. VERONESE ATTILIO

PUNTI TOTALI 47 CON 0 MOUCHE

1 TAMIAZZO DARIO

PUNTI TOTALI 80 CON 6 MOUCHE

2. CAVEDON GIOVANNI

PUNTI TOTALI 80 CON 3 MOUCHE

3. BISACCO NATALINO

PUNTI TOTALI 80 CON 3 MOUCHE

1. DRAGONI MATTEO

PUNTI TOTALI 50 CON 4 MOUCHE

2. REVETRIA DINO

PUNTI TOTALI 50 CON 4 MOUCHE

3. VANZELLA FRANCESCO

PUNTI TOTALI 50 CON 3 MOUCHE

Con il numero di mouche uguali, 5° e 4°tiro misurati in millimetri a parità di punti differenziano la classifica. A fine manifestazione i primi sette tiratori classificati in ogni singola categoria sono stati premiati con ricchi premi.


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valdagno

A valdagno il 6° workshop con il Maestro Chen ZhonghuaTaiji Quan stile Chen metodo pratico hong di Massimo Neresini

F

inalmente è arrivato il momento anche quest’anno dell’incontro, ormai giunto alla sesta edizione, con il Maestro Chen Zhonghua. Sempre a Valdagno il fantastico Workshop di Taijiquan stile Chen Metodo Pratico Hong promosso dalla Scuola Italia Poon-Zè Team diretta dal Maestro Giuseppe Bon con la presenza di altri Istruttori della sua stessa Scuola ed il Maestro Pavel Codl di Praga, ormai da anni legato alla nostra Scuola sia da un legame personale di amicizia che dalla stima reciproca che si stringe attorno al Taijiquan. Come già ho detto diverse volte ormai il desiderio della nostra Scuola è quello di trasmettere, anche solamente a qualcuno di voi, scusate ma vorrei sottolineare come questa Arte Marziale sia effettivamente aperta a tutti ma diventi poi una grande sfida che molti non sanno affrontare, questa grande passione, emozione, conoscenza delle possibilità energetiche del nostro corpo e percorso di vita, il Taijiquan; così questo incontro tra Maestri, Istruttori e Allievi e l’emozione di incontrare nuovamente uno dei Grandi Maestri di questa Arte, forse, e non sapete quanto mi spiaccia dirlo, “unico” ad insegnare la vera essenza dell’Arte antica, diventa un qualcosa di indescrivibile anche per coloro che non hanno mai né pensato né affrontato il vero “cuore” di questa Arte Marziale. Questo anno poi abbiamo potuto affrontare le prime lezioni di uso della spada secondo la tradizio-

ne dello stile Chen. La “spada”, un’arma senza dubbio “principe”, che oggi trova il suo insegnamento esclusivamente per due aspetti fondamentali: il primo legato esclusivamente alla cultura del Taijiquan ed il secondo, altrettanto importante, legato all’equilibrio, alla postura, all’armonia di movimenti ossia ad una serie di azioni che in qualche modo rafforzano il nostro sperimentare questa arte suprema. Anche se molti di noi hanno già avuto nel passato esperienze anche decennali con l’uso di questa arma nel Taijiquan, sperimentare con il Maestro Chen, quasi da principianti, nuovamente i principi dell’uso dell’arma è stato senza dubbio di grandissima importanza. Come molto spesso, forse sempre, accade, nel Taijiquan (io lo chiamo “spaesato” o per non troppo calcare la mano “occidentalizzato”), anche per l’uso della spada si sono persi negli anni i fondamenti, i motivi, le sensazioni; peraltro anche questi non vengono insegnati chiaramente e sono improntati più allo “show”, alla armonia dell’uso di un arma quasi danzando, che non al vero e proprio spirito ed atteggiamento di quello che era un vero e proprio combattere. Ora è vero che nessuno di noi penserebbe di uscire di casa con una spada sia per offendere che per difesa personale, poi le spade moderne che si utilizzano non sono sicuramente fatte per questo scopo, ma non avere il corretto

ed attento addestramento all’uso di questo attrezzo e non capire perché e come correttamente fare alcuni movimenti mi sembra sia una enorme perdita di cultura. Esercizi per fare sì che questa arma diventi “amica” di chi la sta usando, capirne i segreti dall’impugnatura alla esecuzione corretta di movimenti sia di parata che di attacco, porta alla scoperta di una “nuova spada”, sicuramente non quella da show o da taijiquan di modesto livello, bensì ad un concreto assaporare quello che poteva avvicinarsi all’addestramento dei guerrieri di un tempo. Non solo, vorrei sottolineare come la vera azione ed il movimento corretto ti porti poi ad affrontare anche il momento dello show in maniera più consapevole; purtroppo solamente lo show o il movimento “aggraziato” è considerato ormai anche nelle gare come vera “forma di spada del taijiquan”… questo “virus” ha ormai infettato definitivamente non solo il nostro mondo occidentale ma anche in gran parte quello cinese, che si è adeguato a quanto gli occidentali vogliono. Va beh… non voglio che i lettori pensino che solo noi oggi abbiamo la vera conoscenza dell’Arte cosiddetta “suprema”, però che abbiamo realizzato coscientemente il significato e assaporato un po’ del vero Taijiquan, beh… questo sì! Abbiamo imparato nel corso degli anni a capire quanto formidabile sia questo stile sia dal punto di vista della salute che della difesa personale tanto da riuscire a capire o meglio a percepire che il Taijiquan, conosciuto più nel mondo occidentale come una serie di movimenti solo coreografici, sia invece una vera e propria Arte Marziale di una energia talmente

grande che raramente ho potuto vedere e assaporare marzialità più forte. Posso capire che ai non esperti questo metodo possa apparire come una distorsione del Taijiquan, purtroppo per loro (quelli che non vogliono capire) invece è proprio il sistema che si avvicina di più alla tradizione di Arte Marziale Cinese, niente altro che uno stile molto energetico e potente di combattimento che impiega, con forte vantaggio, la meccanica interna del corpo per portare colpi sfruttando tutte le parti del corpo stesso, in particolare le mani, i piedi, i gomiti, le spalle, le ginocchia e le anche. D’altro canto sta proprio anche nella tradizionale storia della nascita mitologica del Taijiquan l’essenza della lotta: la sfida tra una gru, equilibrio e velocità, e un serpente, energia interna e direzione. Ecco come togliendo i fiocchi colorati da una catena si riesce effettivamente a riconoscere la “vera catena” cioè quella che dà ragione alla sua struttura. Molte volte ci sembra di avere a che fare con una Arte Marziale che non sia stata disegnata per l’uomo ma che venga da “chissà dove”… in effetti anche questo fa parte del mistero di questa Arte; si racconta che il luogo di nascita di questa Arte Marziale, molte centinaia di anni fa, ossia il paese di Chenjiagou in Cina, fosse esclusivamente un paesotto di poveri contadini che, senza nessuna cultura, mai avrebbero potuto “disegnare” o “creare” un tipo di Arte Suprema come il Taijiquan, basato esclusivamente sull’azione dell’allineamento energetico, su meccanismi di conoscenza della fisica, della meccanica del corpo. Sono altresì rimasti dei testi che, pur lasciandomi senza parole,


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mostrino come questa Arte sia il frutto di un insegnamento extraterrestre… anche voi lettori penso rimaniate a questo punto molto, a dir poco, perplessi, però come può effettivamente essere che pochissimi sanno o conoscano effettivamente la complicata sequenza di movimenti che apparentemente sembrano facilissimi ma che nella realtà ti portino ad effettuare delle cose che non sono il frutto del nostro tipico atteggiamento. Stare “fermi nel movimento”, agire sempre con i “gomiti verso l’interno”, non “muovere le mani”, nella lotta non “prendere”, non “calciare” e così potrei andare avanti molto ancora, non è quello che facciamo tutti i giorni, anzi noi facciamo assolutamente il contrario! E’ un’Arte molto complicata ed i meccanismi sono difficili da imparare… però quello a cui si può arrivare è fantastico! Inviterei tutti a provare, ma non per poche ore o per poche lezioni: questo è un insegnamento profondo che cambia il modo di fare, di interpretare e di agire, per questo può essere incredibile il risultato al quale si può arrivare; non usare la forza ma esclusivamente una tecnica raffinata.

E’ questo che porta poi alla salute al rafforzamento della nostra energia interna che può servire tanto per la difesa personale quanto per stimolare il nostro corpo e così avere un miglioramento nella salute! Molto bello vedere i praticanti di Taiji, ho escluso appositamente il “quan”, cioè la lotta, perché effettivamente nel mondo occidentale c’è ormai quasi esclusivamente show, può essere veramente affascinante, ma dal punto di vista energetico e quindi della propria salute con poco valore. Noi vogliamo proprio vedere e studiare gli anelli di quella catena, a cui facevo riferimento prima, che smontati uno alla volta posso-

no essere assorbiti per poi poter costruire la “nostra” catena ancora più resistente. Il Maestro Chen Zhonghua, allievo diretto della grande ed ormai unica Scuola di stile Chen, Maestro di 19ma generazione dello Stile Chen sotto la guida diretta del Grande Maestro Hong Junsheng ci raccoglie spesso attorno ad una lavagna dove cerca di spiegare, in un modo semplice le applicazioni del Metodo e l’essenza del Taijiquan come se fossero, come effettivamente sono, l’estratto di un libro di fisica e meccanica del corpo. Continuo ad essere impressionato nel vedere in azione il Maestro Chen che ti atterra o ti respinge con una facilità che ti fa sembrare ridicolo. Anzi, non voglio più neppure mostrare dei video, perché i più li ritengono fasulli o costruiti appositamente da allievi già preparati al “falso”… non è così e qualcuno, che ha provato, anche persone preparate da anni di KungFu e di notevoli dimensioni e forza fisica, spostati come fuscelli… sanno! Usare l’energia dell’avversario in un modo così semplice e seguire degli insegnamenti così essenziali ma così potenti ci entusiasma sempre di più, poi sapere che siamo in pochi a perseguire questo obiettivo e non essere parte di una grande “ruota commerciale” ma di una “élite” dell’Arte Marziale ci da uno stimolo sempre più grande. “L’agire è il non agire”, uno dei principi del Taoismo viene così ad essere dimostrato in pratica ed il Maestro Chen Zhonghua sembra essere assolutamente fermo mentre la sua energia travolge e respinge chiunque gli si oppone. Il Maestro Chen Zhonghua, con l’aiuto della sua semplicità e chiarezza, riesce a trasmettere, ad insegnare e a guidare gli allievi verso mete che sembrano impossibili, attraverso percorsi duri, a volte, difficili da capire.

“Imparare non si finirà mai perché l’Arte non ha limiti” diceva il Grande Maestro Chen Fake e non c’è messaggio migliore da portare con sé in “saccoccia”. Chi fosse interessato a vedere e parlare con la Scuola e con il Maestro Chen Zhonghua, lo può contattare direttamente su Facebook o sul suo sito “practical method”, o può parlare direttamente con la sua rappresentanza in Italia, la Scuola del Maestro Bon Giuseppe.

Ci puoi trovare su facebook “Bon Giuseppe”; cell. 3287304862; e-mail: giuseppe.bon56@gmail. com Palestre: Axel di Vicenza, New Gym di Schio e Progetto Musica di Valdagno.

Prima di lasciarvi lasciatemi la possibilità di ringraziare ancora una volta il negozio di frutta e verdura VERLATO di Valdagno e Schio che ci ha da sempre dato un grande supporto nella organizzazione del WORKSHOP ITALIANO. L’imparare non finirà mai perché l’Arte non ha limiti. BUONE VACANZE.


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montecchio

di Manuele Frappiume

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Nuvola Azzurra

a sempre, sono hanno contraddistinguono l’imporgli sport in se- tate manifestazione; In questo 2015 condo piano, sono state: la Maglia Rossa–Algida, quelli collocati leader degli sprinter (dal 2010, fino lontano dai riflettori prin- ad allora era stata di colore ciclamicipali a creare divertimen- no); la Maglia Bianca–Eurospin, per to, spirito di gruppo e di il migliore nella classifica dei giovani affiatamento. Sono pro- e ultima (ma non per importanza la prio quelle discipline con- Maglia Azzurra – Banca Mediolasiderate di serie “B” che num, per il miglior scalatore nelaggregano tifosi di tutte le la classifica del gran premio della squadre in una immensa ed montagna (che ha sostituito la stoallegra festa di piazza.. rica maglia verde dal 2012) Accade questo anche nel La Maglia Azzurra: simbolo di italiaciclismo ed in particolare nità! Il Gran Premio della Montagna nel Giro d’Italia, detto an- rappresenta la fatica, la forza del che la Corsa Rosa, che nata singolo, ma anche il lavoro di squanel 1909, ha sempre donato dra, la sinergia, la sapiente distri(salvo che per le interruzio- buzione delle forze. ni dovute alla prima e alla Anni fatti di traguardi e di successi seconda guerra mondiale) tra campioni, e a far compagnia a grandissime emozioni nel questo prestigioso premio, in queperiodo di maggio a tut- ste ultime edizioni, dei testimoti i fans ed ammiratori che nial d’eccezione come Francesco pazientemente attendono Moser, Gianni Motta, Maurizio anche per diverse ore la par- Fondriest e l’ex Ct della Nazionale tenza, il passaggio o l’arrivo Italiana Paolo Bettini che accomdella “Carovana” ed i loro at- pagnano gruppi di ciclisti di tutta leti campioni. Italia per un piacevole allenamenIl primo Giro partì il 13 mag- to sulle due ruote. gio 1909, alle ore 2.53, da Accade allora che nella 13^ tappa Milano e, dopo 8 tappe per Montecchio – Jesolo un gruppo di complessivi 2.448 chilometri, 12 appassionati ciclisti appartesi concluse con la vittoria di nenti a gruppi di Valdagno, MonLuigi Ganna sempre a Mila- tecchio e Schio si ritrovano alle no. Ai giornalisti che gli chie- 10:30 sotto un cielo grigio e un devano come fosse andata, clima freddo per pedalare in quelui rispose schietto in dialetto sta sfilata. Paolo Bettini e Gianni Varesotto: «Me brüsa tant el Motta ad annunciare al gruppetto cü». il “Via”. Un Gianni Motta in gran 98 edizioni dove il leader del- forma che conosce ed apprezza la classifica generale indossa le bellissime colline della Vallata ogni giorno la maglia rosa, lo dell’Agno e che invece di seguistesso colore del quotidiano re come da copione i primi chiche da sempre ha organizza- lometri della tappa, desidera e to la corsa: La Gazzetta dello chiede ai 12 ospiti, di arrivare a Sport (e quest’anno affiancato Valdagno per salutare il caro cianche dallo sponsor Balocco); clista-meccanico Lino Cornale. Ma altre sono le maglie che Visto il tempo particolarmente

instabile una deviazione per tentar di evitare la pioggia. E’così che in località Ghisa si svolta a sinistra per le Tezze di Arzignano; si prosegue per Restena lungo la strada interna che porta a Trissino ascoltando con curiosità la simpatia Toscana con i racconti del Campione Olimpico e pluricampione del Mondo Paolo Bettini. Proprio dallo stesso la richiesta necessaria del caffè in una gelateria Trissinese. Ma la pausa è breve. Gianni è ansioso di ritrovare l’amico di Valdagno. Con lo sguardo rivolto al cielo si sale nuovamente in sella sempre scortati da un ammiraglia del gruppo Banca Mediolanum. Il gruppo sale lungo la vallata; Brogliano, Cornedo.. ed i ricordi di Gianni emergono: Racconta di quella famosissima squadra che negli anni 60 era ai vertici del professionismo Italiano: La Mainetti. Racconta del Velodromo e poi.. della nota azienda di abbigliamento li vicino. Gocce di pioggia cominciano a bagnare l’asfalto; ma anche Valdagno viene conquistata da NUVOLA AZZURRA con i suoi due Campionissimi. Una stretta di mano a Lino, la rituale ma dovuta foto ricordo e via, direzione Montecchio sotto una battente pioggia fredda per vedere la partenza dei professionisti in un’ennesima straordinaria tappa del Giro. “VIA!” Alle ore 14:00 di quel venerdì 22, in una piazza Italiana invasa da migliaia di puri ma semplici tifosi, esplose un fortissimo applauso. Lo spettacolo del fumo rilasciato dai Castelli

soprastanti e i tantissimi palloncini rilasciati con il colore ufficiale del Giro fecero si che il cielo grigio virasse in un rosa luminescente. I corridori sono partiti..per un’altra fatica.. per un’altra emozione da offrire in altri luoghi. Emozione! questo è cosa avviene quando lo sport è sano: sportivi di squadre differenti, tifosi di campioni differenti, di paesi differenti.. che per passione hanno la capacità e la voglia di indossare una maglia identica.

«La follia di una discesa che è un muro verso il centro della terra. L’inferno di una salita che punta al cielo. La solitudine della strada e la festa del traguardo. L’abbraccio della gente che ti spinge con le mani e col cuore. La guerra contro il tempo che è con te e contro di te. La fatica, che non finisce mai, nemmeno quando è finita. E poi la pioggia, il vento, la neve, le lacrime, la felicità. Questo è il Giro. La corsa più dura del mondo»

Il Giro d’Italia


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schio

Triathlon mania

ca alle spalle, è stata la triatleta azzurra Martina Dogana detentrice di numerosissimi successi italiani ed europei, nonché auna ndi Pra di o trice del libro “Triathlon”. Allo Trionf lon start ben 102 atleti, tra cui 16 e Corrà al Triath donne, provenienti dalla provincittà di Schio cia di Vicenza e alcuni anche da Verona; la maggior parte amadi Chiara Guiotto tori e alla prima esperienza. Foto di 2.8 Photo L’obiettivo che si erano prefissati gli organizzatori era quelcinare a questo sport empo di triathlon anche lo di avvi assionati delle tre app gli i nel vicentino. Questo tutt rtive e non solo, spo e iplin sport multidisciplina- disc un’atmosfera all’inre individuale che sta creando divertimento e della del na appassionando sempre di più seg . “L’obiettivo -ha ione divis atleti professionisti e anche con Presidente dello il to iara semplici amatori, è arriva- dich Luca Volpato- è vo Nuo io to pure a Schio. Organizzatori Sch raggiunto!” nte ame pien o della manifestazione Triathlon stat sopra Schio nte nde sple sole Città di Schio lo Schio Nuoto in Il gersi della svol lo esso perm collaborazione con Puro Sport, ha in maniera eccellente, in Triathlon Tribù e Veloce Club gara are la prima frazione icol part Schio 1902. in vasca esterna luntoria L’evento sportivo promozionale nata ri. 25 i gradi dell’acmet 350 si è svolto domenica 17 mag- ga per dare lo sprint li idea , gio presso l’area sportiva della qua i gli atleti! Il nuoto tutt a to Campagnola a Schio. Madrina gius dalla frazione uito seg o stat dell’evento e disegnatrice delle è ecipanti si part i cui in a istic tre frazioni (nuoto, bici e corsa), cicl o cimentati in un percorso con 20 anni di attività agonisti- son

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lungo 10 Km quasi tutto pianeg- la perform ance di un simpatico giante, interamente chiuso al gruppo di Valdagno composto traffico e in completa sicurez- da 5 ami ci con lo sport nel sanza, grazie all’Amministrazione gue: 12° posto per l’osteopata Comunale di Schio che ha chiu- Lorenzo Pieropan! so le strade. La terza ed ultima Durante la mattinata, divertenspecialità ha previsto 3 Km di te il Trio baby gimkana nell’area corsa con arrivo a bordo pisci- concert i del Palacampagnona. A tagliare il traguardo per la orga nizzato dal Veloce Club primo Giorgio Prandina con il Schio 1902 : si è trattato di un tempo di 31 minuti e 10 secondi; mini triat hlon per i più piccoli in campo femminile è salita sul che si sono cimentati con bici, gradino più alto del podio Elisa corsa e un percorso di destrezCorrà, classe 1981 di Zanè, con za sost itutivo al nuoto. Addirit36:04. Tra i partecipanti, anche tura 50 i bambini dai 6 ai 16 anni giovani promesse: il sedicen- che han no partecipato. ne Fabio Rossi, il più giovane A gara terminata e prima delin gara, si è classificato all’8° le prem iazioni di rito, l’Osteria posto assoluto mentre Ales- dal Soc io di Schio ha offerto sandra Abbenite, classe 1996 e un rige nerante e ricostituente nuotatrice dello Schio Nuovo, “pasta party” per tutti i parteè arrivata al traguardo solo 8 cipanti. minuti dopo Prandina. Ma non “Un graz ie speciale a tutti coci dimentichiamo dei meno loro che hanno contribuito giovani: un plauso ad Antonio all’ottim a riuscita della maniPupa, 71 anni di Vicenza e Car- festazio ne -ha commentato la la Vitella classe 1957 che hanno madrina Martina Dogana- ai dimostrato come lo sport di fa- numeros i sponsor e all’Assestica non ha età. Diversi i gruppi sore allo Sport Aldo Munarini, di amici che hanno partecipato, primo gran de tifoso! Arrivederper la prima volta a Schio, ad ci al pros simo anno”. un triathlon; oltre le aspettative


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valdagno

Le Piccole Dolomiti, la Grande Guerra e la grande... Corsa di Giulio Centomo

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ioriscono anche nel vicentino i trail e le corse in montagna. Ce ne sono per tutti i gusti, ma tra le certezze dell’estate 2015 un nome spicca su tutti: è quello della Trans d’Havet. L’Ultrabericus Team, grazie ad un folto gruppo di partner, sponsor e volontari il prossimo 25 luglio tornerà a calcare le Piccole Dolomiti per l’edizione numero 4. Archiviata la gara 2014, sospesa nel suo clou per il maltempo, quest’anno il fronte sicurezza è stato ulteriormente potenziato. All’opera ci saranno Protezione Civile, Soccorso Alpino e Croce Rossa Italiana a tenere sotto controllo gli 80 km di tracciato. Ai concorrenti rimarrà tutto il divertimento. E allora via, si parte. Anche quest’anno si conferma la duplice proposta di percorsi, con l’ardua Ultra di 80 km e 5.500 m D+ a fare da regina e una non meno impegnativa Marathon di 40 km e 2.500 m D+ a completare l’accoppiata. Due anche i premi speciali che saranno assegnati lungo il percorso, con il Trofeo Oriano Dal Molin che andrà ai primi concorrenti maschile e femminile che transiteranno al ristoro di Busa Novegno. Sul Gruppo del Carega, invece, sarà il passaggio al Rifugio Fraccaroli a consegnare alla prima concorrente ed al primo concorrente che transiteranno il Trofeo Cristina Castagna. I percorsi sono quelli già proposti nelle scorse edizioni, lungo i fronti della Grande Guerra con le salite notturne sui Monti Summano e Novegno e l’arrivo

Trans d’Havet pronta per l’edizione numero 4 il prossimo 25 luglio

all’alba all’imbocco della strada delle 52 Gallerie. Qui nelle scorse settimane, grazie all’instancabile lavoro della sezione CAI e degli Alpini di Schio, è stato possibile “tirare a lucido” il sentiero, interessato da alcuni consistenti movimenti franosi che lo avevano di fatto reso impraticabile. Raggiunto il Rifugio Achille Papa, si lancia la discesa lungo la Strada degli Eroi alla volta di Pian delle Fugazze, da cui si rimontano le ridotte e ci si arrampica fino a Campogrosso e quindi sulle pietraie del Carega fino alla “cima Coppi” rappresentata dal Rifugio Fraccaroli. Raggiunta la sommità si inizia poi a calare di quota con un po’ di saliscendi per frollare ulteriormente le gambe. Quando i chilometri di percorrenza saranno già 66,5, almeno per i tenaci ultra maratoneti, si arriverà all’ultimo rifugio posto sul lungo percorso made in Trans d’Havet. Il Bertagnoli di loc. Piatta saluterà i passaggi e indicherà la strada che punterà tutta su Campodavanti e Cima Marana, da dove inizierà la dura picchiata finale sul traguardo di Valdagno. E mentre fioccano ancora le iscrizioni, ci si prepara all’appuntamento senza tralascia-

re alcun particolare. La Trans d’Havet 2015 sarà ancora una volta tappa Sky Runner Series Italy ed evento che assegnerà preziosi punti ISF validi per scalare il ranking internazionale di specialità. Le operazioni prenderanno il via nel pomeriggio di venerdì 24 luglio al PalaLido di Valdagno, anche quest’anno quartier generale della manifestazione. Dopo il briefing con gli atleti atteso in serata, attorno alle 22.30 scatterà l’imbarco degli atleti sui bus diretti alla starting line di Piovene Rocchette. Qui, allo scoccare della mezzanotte partirà da Piazzale Vittoria la gara Ultra Trail. Stessa procedura alle prime luci di sabato 25, con imbarco previsto da Valdagno alle 7.30, direzione Pian delle Fugazze per la partenza alle 9.00 della Marathon. Chi volesse potrà seguire la gara nell’affascinante contesto in cui sarà

immersa, con diversi punti che potranno essere raggiunti anche con brevi passeggiate, mentre i primi arrivi alla bandiera a scacchi di Piazza del Comune a Valdagno sono previsti dalle ore 10 di sabato 25 luglio.

Maggiori informazioni sono disponibili all’indirizzo www. transdhavet.it e sulla pagina Facebook della manifestazione.


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valdagno

È nata Roller Roller Sport Valdagno dove cresceranno i talenti di domani

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’Hockey a Valdagno è come il calcio a Rio: sembra che sia nato lì e che solo lì lo si viva e lo si giochi in modo speciale. Da più di 70 anni l’hockey è lo sport della città, capace di suscitare grande partecipazione e infinito entusiasmo. Nei primi mesi di quest’anno è nata una nuova società hockeistica, la Roller Sport Valdagno. Abbiamo incontrato il suo presidente, Guido Scomparin, imprenditore e uomo di sport con una grande esperienza di dirigenza sportiva: è stato presidente del Centro Tennis unificato Valle dell’Agno che univa i due club cittadini, che subito ci precisa: “questa non è una nuova società hockeistica ma un modo nuovo di vivere la passione e la cultura dell’hockey e del pattinaggio artistico a Valdagno”. In che senso? La Roller Sport Valdagno è nata con lo scopo preciso di insegnare ai giovani la passione per l’hockey, come un capitolo importante della storia sportiva della nostra città. Noi non puntiamo a vincere il campionato con la prima squadra. Non avremo nemmeno una prima squadra. Noi puntiamo sui giovanissimi. Noi vorremmo fare l’avviamento, le squadre del mini hockey, poi l' under 11, l’under 13 e l’under 15. E ci fermiamo qui. Vogliamo insegnare la passione per il gioco dell’hockey, poi se nel nostro vivaio cresceranno dei campioni, per noi sarà una gioia inserirli in qualche top team nazionale o internazionale che sia. Vorrebbe dire che abbiamo fatto un ottimo lavoro, raggiungendo ciò che ci eravamo prefissati. Perché questa scelta? Nello sport e quindi anche nell’hockey il livello è così alto che è necessaria la specializzazione. Per fare bene, bisogna concentrarsi in un settore e in quello essere i migliori. Noi vo-

gliamo diventare un punto di riferimento per i ragazzi che si avvicinano a questo meraviglioso sport. Roller è solo hockey? No, abbiamo anche un settore della nostra associazione che si dedicherà al pattinaggio artistico. Roller è sinonimo di tutte le attività che si fanno con i pattini a rotelle. Quel è il tuo team dirigenziale? Damiano Corrà e Maurizio Cocco sono i due vice presidenti, poi c’è un consiglio di presidenza e un consiglio allargato. C’è grande sintonia tra noi. Condividiamo il progetto, ciascuno ha compiti precisi e una grande autonomia nel perseguirli. E il tuo staff tecnico? Abbiamo i migliori allenatori, persone speciali che hanno da subito aderito al progetto anche diminuendo i loro rimborsi pur di far crescere il vivaio del Roller Valdagno. Juan Oviedo, mitico portiere di fama mondiale, sarà allenatore degli hockeisti, mentre Marta Savegnago, pluricampionessa di pattinaggio artistico, sarà la guida del team di pattinaggio artistico. Dove e quanto vi allenate? Abbiamo due ottime strutture, il Palalido di Valdagno e il centro polifunzionale di Recoaro. Di supporto il Lido: gli allenamenti partiranno a settembre e si terranno 3 volte alla settimana.

È una bella sfida… Vogliamo diventare un centro di aggregazione per tutti i ragazzi e i loro genitori che amano i pattini a rotelle. Vogliamo trasmettere ai nostri ragazzi la passione, i valori, la gioia dell’hockey e del pattinaggio artistico, sport che appartengono alla nostra storia. Il consiglio direttivo dell’Associazione: • • • • • •

Scomparin Guido Romeo, presidente Cocco Maurizio, vice presidente Corrà Damiano, vice presidente Pasquale Fabio, consigliere Revrenna Damiano, consigliere Gaiarsa Silverio, consigliere Seguici su Facebook! Roller Sport Valdagno


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lettere

Storie di sport, insegnamenti di vita Caro senatore,

Potete scrivere al Senatore Alberto Filippi inviando le vostre e-mail a: sportivissimo@mediafactorynet.it Le vostre lettere possono essere lette anche nel sito: albertofilippi.it

matissimo Conte, lo celebrano con striscioni inneggianti alle sue vittorie. Dopo Roma, Luis Enrique ha dovuto prendersi un anno di pausa. Era sprofondato in un mezzo esaurimento nervoso per lo stress che ha dovuto sopportare. Ha rischiato di dover lasciare il calcio. Poi si è ripreso. È uscito dal buio della sua depressione, ha cominciato a ricredere in se stesso, a riamare il calcio e ha accettato la chiamata dalla corte del Barcellona. La sfida era enorme. La squadra più forte del mondo che non può perdere, si affidava a lui che arrivava da un sonante fallimento. Luis Enrique ha vinto la sua sfida, ha portato il suo Barcellona a vincere tutto: il Campionato spagnolo, la Coppa del Re e il trofeo più importante d’Europa, la Champions League. Prima di aver dimostrato al mondo di essere grandissimi allenatori, Luis Enrique e Massimiliano Allegri hanno dimostrato di essere dei veri uomini, con carattere, forza, volontà; uomini che accettano le sconfitte, che si rimboccano le maniche, che credono nell’impegno, nel lavoro; senza paura del ripetersi del passato o della minaccia di un futuro incerto. Perché oggi Enrique e Allegri non sanno se il prossimo anno sarà altrettanto bello, altrettanto ricco di successi come quello appena trascorso ma nonostante questo loro s’impegnano al massimo vivendo giorno per giorno la loro nuova sfida.

Luis Enrique 2012: esonerato dalla asRoma. Luis Enrique 2015: “triplete” (Liga, Coppa del Re, Champions League) con il Barcellona. Massimiliano Allegri 2014: esonerato dal acMilan. Massimiliano Allegri 2015: in finale di Champions con la Juventus a Berlino e in “tasca” già la serie A e la Coppa Italia vinta contro la Lazio di Pioli che arrivava alla finale in gran forma. Insomma “dalle stalle alle stelle” in un baleno. Non c’è che dire, tanto di cappello a due uomini di sport che hanno saputo soffrire nei momenti più difficili ma che soprattutto hanno saputo reagire e senza mollare mai adesso si concedono meritatamente il “lusso” di andare in giro a testa alta, di essere osannati dalla folla e di firmare a ripetizione autografi… orgogliosi di aver scritto un capitolo importante nel Grande Libro del calcio! Di queste belle storie ce ne sono molte, non solo nel calcio ma anche negli altri sport però questa di Luis Enrique e di Allegri, a me sembra molto significativa perché prima di essere sport, è una bella storia di vita. Nessuno, dopo l’esperienza con la Roma, parlava più di Luis Enrique in Italia; nessuno, dopo gli anni del Milan, pensava ad Allegri come un allenatore da top team e quando è arrivato alla Juve la tifoseria l’ha accolto con un secco coro: <<noi Allegri non lo vogliamo!>>. Oggi quegli stessi tifosi parlano di lui come Un cordiale saluto, Maurizio. di un dio. Lo preferiscono all’a-

Caro Maurizio, hai toccato un punto centrale dell’essenza dello sport, il quale sa raccontarci non solo le grandi imprese di gioco ma anche le grandi storie di vita. Vittorie e trofei: il campionato, la Champions… ma anche le sfide con se stessi e le vitali rivince personali, come quelle che racconti tu di due allenatori prima esonerati e poi sul tetto del mondo! Lo sport è questo: racconta i campioni che giocano e gli uomini che hanno saputo soffrire e rinascere. È questa la sua essenza, che molti tuttavia ancora non comprendono, ritenendo che lo sport sia solo attività fisica, questione di muscoli e di sudore mentre lo sport è prima di tutto passione, sofferenza, anima. C’è più umanità nelle storie vissute da Luis Enrique e da Allegri che in quelle raccontate in tanti libri che oggi si pubblicano. S’impara molto riflettendo su come anche i campioni blasonati, i super allenatori possano arrivare a sentire l’odore della polvere da cui sembra non ci si possa più rialzare e invece poi riescano incredibilmente a riprendersi, a diventare più forti e vincenti di quanto non fossero prima. Grazie, Maurizio, di averci ricordato che nelle storie di sport prima dei campioni che osanniamo, ci sono gli uomini che stimiamo.

Buone vacanze, Alberto

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