Sportvissimo Settembre 2015

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Gianni Maitan

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SSIMO

Aprite allo sport quella porta

editoriale di Luigi Borgo

L’hanno chiamata con un nome promettente, questa ennesima riforma della scuola che per l’ennesima volta lascia lo sport fuori dalla porta. “La buona scuola” è un nome che è una promessa! Ma potrà mai essere tale un ente di formazione giovanile, qual è la scuola, che non prende in nessuna considerazione l’insegnamento più formativo in assoluto per la crescita dei giovani, qual è lo sport? Tutti sappiamo quali sono i valori intellettuali e morali dello sport, quanto siano fondamentali i suoi insegnamenti per la formazione del carattere di un giovane eppure siamo sempre alle solite: nuova riforma e vecchio atteggiamento nei confronti dello sport, considerato ancora una volta una non-materia, un non-studio, ma becera attività muscolare, tutto corpo e niente testa. Chi ha seguito Sportivissimo in questi dieci anni sa invece che è vero il contrario: lo sport acuisce la mente, insegna a pensare, insegna a vivere. Lo sport è, come abbiamo più volte scritto, la più sana, positiva, umanistica, globale filosofia del presente. Un esempio? Un rabbino del ‘700 ha scritto che si dovrebbe vivere ogni momento della nostra vita come se fosse l’ultimo in un Pianeta in cui ci siamo solo noi. Era il modo attraverso il quale egli intendeva insegnare ai giovani il valore di fare le cose con concentrazione. Fare, pensando che ci sia rimasta una sola cosa da fare senza che nessuno ci possa aiutare a farla. Ebbene tutti gli sportivi sanno, perché lo hanno provato sulla loro pelle, che per realizzare una buona prestazione sportiva si cerca propriamente questo: essere un tutt’uno con la nostra azione; un tutt’uno di testa e corpo, di pensieri e gesto atletico. Lo sport è una palestra straordinaria per sviluppare le nostre capacità di concentrazione ed è appunto attraverso la sua pratica che è possibile insegnare ai giovani l’importanza della concentrazione nelle cose che si fanno. I giovani sanno che non si riesce a sciare, a giocare a pallone, a pedalare… se non si è concentrati. È facile quindi che quando qualcuno gli spiega che è altrettanto fondamentale studiare concentrati, leggere concentrati, ascoltare le lezioni degli insegnanti a scuola concentrati, essi sappiano cosa gli si sta dicendo di fare, ne possano capire i benefici futuri. Eppure lo sport continua a rimanere fuori dalla scuola. I suoi valori intellettuali e morali non contano, la sua storia millenaria non conta, non conta nemmeno tutto ciò che oggi lo sport è diventato: le società di calcio sono delle Spa quotate in borsa; le scuderie automobilistiche fanno più ricerca delle facoltà universitarie d’ingegneria; i biglietti venduti in una qualsiasi stagione per lo stadio sono di più di quelli dell’Expo; c’è più comunicazione sportiva di qualsiasi altra. Lo sport è economia, lo sport è ricerca, lo sport è spettacolo, è comunicazione, è cultura, ma per la scuola è ancora l’altra faccia del mondo giovanile, quella dello svago, del divertimento, del gioco, del perditempo. E così lo sport non è entrato nemmeno in quest’ultima riforma dal nome tanto accattivante di “Buona Scuola”. Certo, da qualche anno ci sono i licei sportivi (in questo numero Antonio Rosso ci fa un reportage sui licei sportivi della provincia) ma noi vorremmo di più. Sogniamo un modello scolastico come quello anglosassone, dove lo sport è posto al centro della formazione scolastica dei giovani; vorremmo che le nostre associazioni sportive dilettantistiche fossero riconosciute come veri e propri centri di formazione integrativi all’istituzione scolastica, che quindi la frequentazione pomeridiana o domenicale di un giovane alle loro attività fosse riconosciuta come un credito formativo ai fini scolastici, convinti, come siamo, che la scuola del futuro non potrà più lasciare lo sport fuori dalla porta.

visita il sito: www.luigiborgo.com

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nni Maitan, Abbiamo incontrato l’ingegnere Gia o nella uno dei massimi fotografi al mond fotografia naturalistica di Antonio Fabris foto di Gianni Maitan

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ncontrare Gianni Maitan e soprattutto avere a disposizione del tempo per una chiacchierata non è facile. Al telefono la segretaria risponde “è in Brasile, tornerà la settimana prossima” oppure “è partito per il Messico!”. Quando ci incontriamo il colloquio è sempre inframmezzato da una telefonata internazionale o un problema aziendale in sede. Stiamo parlando di un personaggio conosciutissimo nel settore delle macchine di conceria ma altrettanto noto nel mondo della fotografia naturalistica.

Un fotografo campione del mondo

Ha iniziato ad usare la macchina fotografica nel 1975 scattando immagini di paesaggi, fiori e insetti. Il passaggio alla caccia fotografica –termine che Gianni non condivide preferendo chiamare foto naturalistica- è stato progressivo. Fondamentale è stato fra gli anni ‘80 e ‘90 la frequentazione del “Gruppo ornitologico Nisoria” di Vicenza. A quel tempo lavoravamo al “Progetto Atlante degli uccelli nidificanti nel Vicentino”, coordinato dall’ornitologo Giancarlo Fracasso e concretizzatosi poi in una pregevole pubblicazione edita nel 1994 dall’editore Gilberto Padovan. Gianni era già allora un valente fotografo degli uccelli e molte delle foto di quella bellissima pubblicazione portano la sua firma. Da quell’esperienza molto tempo è trascorso e Gianni è diventato un professionista della fotografia naturalistica collezionando riconoscimenti e premi in prestigiosi concorsi nazionali ed internazionali. Con la squadra Italiana di Fotografia Naturalistica, dal 1999 al

2012 è stato vincitore di 8 Coppe del Mondo e 2 medaglie d’oro nei Campionati del Mondo “Biennali Natura FIAP”. È stato giudice in giurie di concorsi fotografici nazionali ed internazionali. Fra le foto che gli hanno dato più soddisfazione ricorda l’immagine di un pettirosso scattata prima dell’alba nel terrazzo di casa. Per molti questo soggetto potrebbe sembrare banale ma detto da uno che ha fotografato animali in tutti i continenti fa capire che spesso le soddisfazioni si possono trovare anche all’interno del proprio giardino. Il grande cambiamento avviene nel 1982: Gianni fa un viaggio naturalistico in Africa e ne rimane colpito, qualcuno lo chiamerebbe il “mal d’Africa”. Nei suoi appunti scrive: “Nonostante la quasi totalità delle giornate trascorse in camion su strade polverose, e le poche occasioni per fotografare, l’atmosfera quasi irreale che mi circondava, gli spazi senza fine, i tramonti che incendiavano il cielo, le popolazioni amichevoli e gli animali esotici incontrati, mi hanno fatto subito innamorare dell’Africa”. Nel 1993, dopo 11 anni ritorna in Africa con altri appassionati di natura e di fotografia. Questa volta le sensazioni e le emozioni sono ancora più intense: “Fu un fantastico viaggio vissuto in tenda nella savana, sotto cieli incredibilmente stellati, dove il contatto così stretto con


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la natura - con gli animali di giorno e con i rumori la notte - ha rafforzato il mio amore per queste meravigliose terre.” Dopo questa esperienza Gianni intraprende una serie di viaggi a cadenza annuale che lo portano a visitare i più importanti parchi africani, dal Kenia al Gabon, dall’Uganda al Sud Africa. Alterna viaggi spartani dove dorme nelle tende con le guide locali a viaggi più soft dove alloggia in accoglienti lodge o in suggestivi

campi tendati predisposti nelle savane. Ma l’Africa pur essendo il suo continente preferito rimane stretta rispetto alla incredibile natura che possiamo trovare anche negli altri continenti. Inizia quindi a viaggiare e a fotografare in Cina, in Sudafrica, in Centroamerica e negli Stati Uniti. Meravigliose sono le immagini che riporta da un viaggio in Alaska intrapreso per riprendere i grizzly mentre pescano i salmoni. Nonostante queste suggestive esperienze Gianni

scrive: “Il mio cuore è stato catturato dall’Africa. Un posto magico dove le sensazioni che si provano di fronte a paesaggi incontaminati o a tramonti spettacolari, in attesa di cogliere il movimento di qualche predatore o di percepire un fruscio che tradisce la presenza di una timida gazzella sono imparagonabili. Conservo nella memoria tutte le più belle immagini dei miei viaggi


9 in Africa, anche quelle che per qualche motivo non sono riuscito a fermare con la macchina fotografica. Nessuna delle mie foto mi potrà comunque mai far rivivere completamente l’emozione provata nell’attimo stesso in cui mi sono venuto a trovare di fronte agli animali nel loro ambiente. Ogni immagine scattata è sempre legata all’anima di chi l’ha pensata. Un’immagine è sempre legata al racconto, all’anima di chi l’ha eseguita e pensata nel bisogno innato di mostrare la realtà con i propri occhi. Per realizzare belle immagini di animali non basta disporre di un’adeguata attrezzatura fotografica, occorre una buona conoscenza degli stessi e del loro comportamento. In altre parole bisogna essere nel posto giusto al momento giusto”. Dopo ogni viaggio gli rimane la nostalgia di quei luoghi magici e sogna di trascorrere qualche mese all’anno nel continente africano e finalmente realizza un suo sogno avviando un’attività turistica a Malindi in Kenya dove apre un Bed and Breakfast. Da tutti questi viaggi Gianni porta a casa una serie di immagini che non rimangono nel cassetto dei suoi ricordi ma divengono qualcosa di vivo che tutti devono conoscere. Partecipa a mostre, pubblica su riviste e libri in Italia e all’estero. Nel 1984 con Giorgio Mondadori pubblica il libro fotografico “Parchi Africani”, nel 2009 con Sassi Editore “Meravigliosi Parchi Africani”. È coautore della “Guida per viaggiare: Kenya” pubblicato nel 2005 dalla casa Editrice Polaris. L’ultima sua fatica editoriale è “Moving” pubblicato quest’anno. Nel libro sono raccolte le immagini più significative di animali in movimento realizzate durante la sua pluridecennale esperienza fotografica. È un libro molto particolare, non è a colori; dice Gianni “Spero che la forza


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delle immagini in bianco e nero riesca a trasmettere to utilizzato per le riprese le forti emozioni provate e di un film in quanto veniva stimolare il lettore ad ap- ritenuto non aggressivo. profondire la conoscenza, Durante le riprese assalì il rispetto e l’amore per la un’attrice, la uccise e furono costretti ad abbatterlo. natura”. Chiedo a Gianni di raccon- La cosa mi colpì profondatarmi qualche situazione mente e mi resi conto del particolare vissuta a con- rischio che avevo corso”. tatto con la fauna africana che gli è rimasta partico- Con un curriculum fotolarmente impressa e mi grafico eccezionale si poracconta la storia di Indu- trebbe ritenere Maitan un na. Questo era il nome di fotografo professionista a un leopardo di proprietà di tempo pieno. Nonostante un veterinario in Namibia. gli innumerevoli succes“Induna era tenuto in re- si collezionati, Gianni si cinto di 4-5 ettari all’inter- occupa di fotografia partno della tenuta. Il leopar- time perché nella vita è di do si comportava come un professione ingegnere-imgattone e quando visitai la prenditore. Dirige GEMATA tenuta ebbi occasione di fa- una importante azienda miliarizzare con lui. Appro- che produce macchine per fittando del fatto che era- conceria, leader a livello vamo diventati “amici”, gli mondiale nelle macchine scattai diverse foto e altre per la rifinizione delle pelli vennero scattate assieme. e impegnata nella riduzioPoco tempo dopo venni a ne del consumo dei prosapere che Induna era sta- dotti chimici. Un succes-

so imprenditoriale veneto che esporta in tutti i paesi mondo. Dirigere un’azienda con queste caratteristiche lo porta a viaggiare moltissimo e ovviamente l’impegno è a tempo pieno. Nell’ambito del suo lavoro ha collezionato importanti riconoscimenti e ha al suo attivo 30 brevetti per invenzioni industriali. Maitan ha collegato l’immagine della GEMATA con la fauna mondiale, in particolare quella africana. Tutta la pubblicistica aziendale si richiama alla fauna del Kenia, della Tanzania, della Namibia e di altri paesi. Famosi e molto richiesti sono i grandi calendari da collezione che dal 1996 GEMATA stampa ogni anno con soggetti di animali e spedisce ai propri clienti di tutto il mondo.

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Giulia De Toni, new italian talent rally di Demitri Brunello

Il nostro Demitri Brunello, firma storica di Sportivissimo, ha incontrato il nuovo talento del rallysmo nazionale femminile, la giovane scledense Giulia De Toni.

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iulia De Toni, nata l’8 maggio del 1985 a Schio, è una delle più grandi promesse del rallysmo femminile italiano. Al suo attivo ha già importanti partecipazioni e la passione e la grinta non le mancano di certo. Giulia, raccontaci come hai iniziato questo sport non propriamente femminile? Il mio primo approccio col mondo dei motori è stato alla tenera età di 8 anni quando, per emulare mio fratello, iniziai a correre con le mini moto. Poiché due ruote mi sembravano poche decisi, a 13 anni, di provare con i kart, e fu subito amore. Il passaggio alle auto è avvenuto grazie all’opportunità datami da Rally Italia Talent, che ho vinto nella categoria femminile riservata ai piloti. Il vero debutto in una gara rallystica è stato invece al Rally di Bassano 2014. Sono sempre stata attratta dai rally, poiché credo incarnino l’essenza dell’automobilismo, in quanto uniscono le abilità della guida a delle condizioni che sono sem-


13 nali di Rally Italia Talent ed è stato subito feeling. Abbiamo iniziato con il Team Gliese con una Peugeot 208 R2, dal Rally Alpi Orientali, dovevamo correre con il Team Power Car Munaretto di Schio, purtroppo un incidente prima della gara ha compromesso la nostra partecipazione: sono ancoCome ci si prepara ai ra in convalescenza. rally? Dimmi il tuo idolo Mi considero un’amante come pilota italiano, stradello sport in generale, mi niero e del passato. piace sia praticarlo, che seguirlo. Per passione mi I piloti che stimo di più sono piace sciare, fare lunghe Alex Zanardi, Sebastian passeggiate con i miei cani Loeb e ovviamente il nostro e andare in bicicletta, tut- grande Miki Biasion, 2 volte to ciò mi serve per essere campione del mondo Rally al massimo fisicamente com’è richiesto a ogni piCon i lavori di casa lota, poi, però, faccio anche come andiamo, un pilota degli allenarmi con il kart sa cucinare? finalizzati alla tecnica di Detesto le faccende di casa, guida. ma purtroppo bisogna trovare il tempo anche per Essere una rallista, la quelle. Cucinare, invece, tua famiglia cosa ne penessendo io una buongusa? staia, mi piace molto e mi La mia famiglia condivide dà grandi soddisfazioni, e e appoggia la mia passio- a detta di chi ha provato le ne per i rally, seguendomi mie leccornie, me la cavo e supportandomi ad ogni piuttosto bene. gara. Che cibo e bevanda Lavoro e attività ago- preferisci? nistica, come riesci a conSono amante del cibo in cigliarli? generale, ma soprattutto Sono impiegata presso il del sushi, che accompagno comune di Valli del Pasubio con del buon vino. e siccome tutti miei colleghi sono entusiasti di questa Il tuo sogno nel casmia passione, ho il totale setto? supporto ogni qualvolta io Adesso mi sto godendo la debba assentarmi dal lavorealizzazione di uno dei ro per andare a correre e per miei più grandi sogni nel questo li ringrazio di cuore. cassetto, ovvero quello di poter partecipare al CamChi è la tua navigatripionato Italiano di rally. ce e con che auto hai corso quest’anno? Che fondo preferisci, Sofia Peruzzi, figlia d’arte terra o asfalto? di Mauro Peruzzi, noto naCredo non ci siano paragoni vigatore vicentino, è molto rispetto alle emozioni magiovane, ha 20 anni ed è di giche che solo una prova su Montecchio Maggiore. Ci terra può dare. siamo conosciute alle fipre diverse, permettendo così di esaltare le caratteristiche e le abilità dei piloti. Inoltre mi affascina molto il fatto che non si è soli in macchina, ma il navigatore è una parte fondamentale dei risultati del pilota, trasformando così i rally in uno sport di squadra.


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Persone e sponsor da Come sei in classifica e Le tue prossime gare ? la tua avversaria di- ringraziare 2015? Ti piacerebbe corre chi è nel campionato? Un ruolo fondamentale nel qualche gara fuori Italia? retta nto dei risultae l’arco di tutto il raggiungime Purtroppo l’incidente stra- Durant nno, lo ha avuto pionato la mia diretta ti di quest’a dale nel quale sono rimasta cam uro Peruzè stata la brava sicuramente Ma aria ers avv fetras il e ant dur a coinvolt ha sempre crepatica Corinne Fede- zi, il quale rimento delle ricognizioni e sim ed assieme alla i, che si è aggiudicata duto in me righ del a lian friu pa tap la del ha racpionessa ita- Scuderia Palladio cam di lo tito il y rall o ian ital Campionato l di sponsor neproprio al Rally Alpi colto il poo a Udine, non mi permette liana la mia stagioli a Udine. E’ stata cessari per nta Orie e zion ifica pian una di fare importanti mi complimenti a lei e ne. Tra i più a breve termine, sulle mie brava, sento di nominare Hankosua navigatrice. prossime gare... Non vedo alla ok, Gruppo Vinicolo Santa lirisa er pot di a però l’or Margherita, Zorzetto, Net Programmi futuri? re in macchina. La sfida di 1e New Ecology, Rally Italia sicu di è 6 ro 201 ste il all’e a per gar uro una Mi aug Talent, e anche voi di Spormi che fan a sta lcos que qua ramente poter ripetere tivissimo, per questa interpiacerebbe intraprendere, tastica esperienza nel vista. Se volete seguici sulpreferirei però accumulare Campionato Italiano Rally, la nostra pagina Fb: Giulia un po’ più di esperienza in cercando di mettere a frut- De Toni – Sofia Peruzzi. Italia prima di espatriare. to il bagaglio di esperienza maturato quest’anno.


viaggi

Volevo percorrere il mio paese a piedi

di Giorgio Albiero

il ritorno

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ià dai primi giorni di cammino e più mi allontanavo da casa il pensiero di impiegare molto tempo e fatica nel scendere l’Italia, non corrispondeva con il fatto di risalirla poi in un solo giorno con il treno. Durante il ritorno da un viaggio è molto bello ricordare quello che si è fatto ma però si ha la sensazione di una cosa che sta per finire. In questo caso ho cercato invece di continuare il viaggio, le idee erano diverse, questo è quello che ne è uscito. Il ritorno parte da Praia mare, il primo paese della Calabria. Reggio Calabria con i suoi bronzi di Riace distano ancora molti Km, ma per me era sufficiente arrivare fin qui. Ora con il treno scendo lungo la costa fino a Diamante e poi in corriera arrivo a Cosenza. Questo giro mi serve per agevolare le incredibili montagne di Calabria ed arrivare a Morano Calabro, paese posto alle pendici del monte Pollino, al di la si ritorna in Basilicata. Qui incontro un ragazzo che mi ospita e ci resto un paio di giorni, siamo a 800 metri e le coltivazioni di agrumi sono più sotto. Non posso quindi aiutarlo nella raccolta delle arance ma ci dedichiamo al bosco e alle capre. Al mattino presto, il paese di Morano è tinto di rosso e il camion con le palle di pa-

glia è già arrivato e pronto per lo scarico, volevo aiutare ancora ma ha insistito che partissi altrimenti veniva tardi e le previsioni per il giorno seguente prevedevano un cambiamento che potevano ostacolare il mio passaggio sul Pollino. Saluto e mi avvio in piano verso le montagne e poi si comincia a salire. Il paesaggio sottostante è piacevole e fra cascate d’acqua e faggi giungo al passo. 1700 metri con un po’ di neve, Il monte Pollino a destra a 2220. Da salire! Comincio invece a scendere e lungo un crinale tappezzato a pietre e pascolo arrivo a Viggianello, Basilicata. Al mattino la direzione è Avellino, autostop. Lungo la mitica Reggio-Salerno, poi un po’ di ferrovia abbandonata arrivo a Salerno. E qui il grande passo, Terminal Bus e in 8 ore arrivo a Pescara. Da qui ho provato a passare per l’Aquila, ma dopo ore di cammino senza possibilità di veloce avanzata e la Majella fra nubi e neve ho dovuto far ritorno in stazione e eccomi a Bologna, cambio e Padova. Degli amici mi ospitano un paio di giorni. Ora finalmente mi sposto a piedi. Esco dalla città e per due giorni seguo tutte le numerose ed ampie anse

Dopo aver percorso l’Italia da nord a sud, ecco il cammino inverso: brevi appunti sul viaggio di ritorno

del Bacchiglione. Attraversare l’Italia da nord a sud è stata una grande scoperta di persone-luoghi, ma non so, sarà per l’amore che nutro verso quello che conoscevo poco vicino a me. Ma come per i giorni trascorsi ad attraversare la Grande Pianura Padana, anche qui le emozioni per un fiume a cui sono legato per vicinanza geografica sono forti. Lo osservo, in mezzo alla terra lui fa ampi giri, con le sue piene pulisce le sponde terrose e cerco di farmi capire. Lui in silenzio scorre contro di me. Ora verso Valli di Castelgomberto ritorno nella mia

Valle. Ritrovo chi ha reso possibile ciò, il mio compagno di avventure fino a Roma. E risaliamo sul crinale orografico destro e per i Meggiara arrivo alle ex serre di cibo di zio Gaetano e aperitivo. Concludo con parole di altri: Eugenio Bennato; Quanto ci vuole da Cosenza alla luna, il vento della sera; Quanto ci vuole da Cosenza a Milano un giorno di corriera; Quanto ci vuole da Cosenza all’Europa una vita intera, una vita intera.

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grandi viaggi

Seven Summit La salita all’ELBRUS mt. 5642, il monte più alto d'Europa: una delle sette cime più alte dei sette continenti.

E

cco la cima più alta d’Europa, una cima che rientra a pieno titolo nelle famose Seven Summit ossia le cime più alte dei sette continenti, la cui collezione (parziale o totale) costituisce un titolo d’onore per qualsiasi alpinista. Certo, l’alpinismo non è più come una volta, è chi lo pratica anche ai massimi livelli non è più considerato come ai tempi in cui p.e. Bonatti aveva scalato il Cervino, o i nostri avevano vinto il K2: un idolo nazionale. Il mito si diluisce e si annacqua: merito dei mangiatori di miti alla Messner, e… dei troppi conquistatori dell’inutile, gli stessi che si allineano in fila a centinaia per salire l’Everest anche se magari non hanno mai indossato prima di allora i ramponi! Comunque per un gruppo di stagionati salitori di vette, la salita dell’Elbrus è pur sempre un bell’impegno. Occorre faticare, sudare e rischiare. L’Elbrus si trova nel Caucaso russo, ed essendo ben al di qua (nella

parte europea) della catena montuosa il cui spartiacque divide Asia da Europa, è da considerarsi a pieno titolo “la più alta vetta europea” ragione per la quale chi voglia entrare nel novero dei salitori (fin qui meno di 150) delle celebri Seven Summit deve passare di qui. Hanno un bel dire certi geografi che insistono nel considerare il Monte Bianco come il tetto d’Europa, quello è alto 800 metri di meno dunque letteralmente scompare di fronte a sua maestà l’Elbrus. Per salirlo si deve giungere a Azau, una piccola località montana ( frazione di Terskol) dove si arriva in auto da Mineralnye Vody in Russia. Chi conosce la montagna, sa che si tratta di una sfida particolare perché il freddo e soprattutto il vento non risparmiano mai questa cima. Dunque occorre attrezzarsi a dovere e non compiere errori come quello che io stesso ho compiuto, indossando male

di Bepi Magrin

un doppio guanto, cosa che mi ha provocato un congelamento (per fortuna leggero) di tre dita della mano destra. Il vento della vetta non perdona… e a stento ti lascia respirare, comunque, una volta in vetta, ti induce a scendere al più presto per non incorrere in guai che si possono immaginare. L’avvicinamento e l’acclimatazione avvengono con salite da Azau alla stazione Mir, quindi proseguendo magari fino alle Pastukow Rocks (4200 metri) oltre il rifugio Priut.. ecc. Una volta acclimatati il campo base si pone di solito alle cosiddette Barrels: una serie di lunghi tubi metallici adibiti a bivacco e per la verità sporchi e trascurati come tutti i dintorni della stazione Mir dove regnano rottami metallici, baracche rotte, e piu in basso persino i resti di un carroarmato tedesco retaggio dell’ultima guerra. La cima poi, con le due ca-


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18 ratteristiche punte, ha un aspetto mite e tondeggiante, in realtà per salire la parte terminale della Ovest mt. 5642 (la est è più bassa mt. 5621), occorre servirsi di alcune malsicure e sfilacciate corde fisse, sperando che il vento ti permetta di procedere e non ti costringa a sdraiarti in attesa che cessino le raffiche. Noi siamo saliti in 6 con la solita organizzazione AMITABA (www.amitaba.net) che il prossimo anno ci porterà probabilmente a salire la cima più alta dell’Iran (Demavan) e a tornare con altri amici sul classico Ararat di cui ormai abbiamo imparato

a conoscere i pastori curdi e finanche i sassi tra cui vivono con le loro greggi. Nuove cime, nuove avventure, questo alpinismo se deve morire, morirà con noi!!!

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arzignano

Rancan da record di chiara Guiotto

Michele Rancan firma il record italiano sui 300 metri dello: Michele infatti è eccellente anche sui banchi di scuola dell’Istituto Tecnico Ceccato dove frequenta la quarta Superiore e a testimoniarlo la media dell’8,2 a dir poco superlativa, considerato che gli allenamenti pomeridiani lo impegnano 6 giorni su 7.

V

i presento Michele Rancan: a 17 anni detiene il record italiano allievi nei 300 metri. Da piccolo aspirava a diventare un calciatore, poi i genitori l’hanno un pò alla volta avvicinato all’atletica e dalle elementari non ha più smesso di correre! Grande festa a San Pietro Mussolino, il paese in cui è nato e cresciuto Michele, in cui ha iniziato ad appassionarsi a questa disciplina e dalla quale non si è più staccato. É lui il più veloce in Italia: ad annunciarlo il display a bordo pista, che tanto fa sospirare chi assiste alla gara dalle tribune. Il 9 settembre 2015 resterà nella storia: presso il campo di atletica Dal Molin di Arzignano, con il tempo di 33”86 Michele Rancan ha battuto il record siglato il 24 aprile del 2010 da Marco Lorenzi. Dopo 5 anni è arrivato lui, vicentino

Come lo vedi il tuo futuro? In veste di Ingegnere o come erede di Usain Bolt? “Sarebbe bello diventare entrambi -ha risposto sorridoc, a cambiare le carte in dendo Michele- Ma la cartavola: incontenibili da tan- riera di atleta rimarrà semta felicità i suoi compagni di pre il mio obiettivo fisso!” squadra dell’Atletica Vicentina Despar capitanati dal Prossime gare? suo allenatore Diego Zocca. “Coppa Europa in PortogalIl successo italiano è arri- lo e il Campionato Itavato a coronamento di una liano di Società” stagione a dir poco perfetta durante la quale Michele ha Dove ti alleni? conquistato importanti ri- “Due volte alla settisultati a partire dal 12° po- mana alla pista Dal sto ai Mondiali in Colombia. Molin di Arzignano, tre Anche il 2014 è stato un ot- volte a San Pietro Mustimo anno se pensiamo a 7° posto ai Campionati Italiani nei 200 metri e al 1° posto nella Staffetta 4x400. Se dovessimo elencare tutte le sue vittorie in ambito regionale una pagina non sarebbe sufficiente!! Prima di essere un forte atleta Michele è soprattutto un ragazzo umile, molto legato alla sua famiglia e dedito al sociale. Ma non è finita qui: qualche mese fa è stato premiato non solo come Atleta modello ma anche come studente mo-

solino e una volta a Vicenza” Chi è il tuo più grande tifoso? “Senza dubbio mio papà Sergio che mi segue sempre” Abbiamo anche incontrato una persona che Michele l’ha visto crescere notando fin da piccolo doti speciali che andavano coltivate. Si chiama Mario Zanconato ed è colui che organizzava per i bambini piccoli il Gioco Atletica a San Pietro Mussolino, un’attività propedeutica all’atletica vera e propria. “Ho visto subito da come si muoveva e dalla sua propensione all’attività motoria che Michele avrebbe fatto strada nell’atletica. L’ho visto crescere, migliorarsi e diventare sempre più forte, fino ad oggi in cui non posso che gioire con lui ed esserne orgoglioso”.


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arzignano

di Marta Carradore

Scuola Italiana Wrap Walking: un cammino insieme per crescere sani e forti

C

erti che il posto migliore dove possa stare un bimbo appena venuto al mondo sia vicino al cuore della sua mamma…. Certi che per crescere in serenità e sicurezza la vicinanza di una madre o di un padre pronti a filtrare la realtà per renderla adatta al piccolo sia fondamentale… Certi che il mantenimento di uno spazio prossimale tra adulto e piccino sia la base per lo sviluppo neuronale corretto… Certi che l’abbraccio dato al piccolo con il passare del tempo si debba allargare e restringere al bisogno , segnando confini e regalando autonomie…. Certi che la conoscenza del proprio corpo e del sapersi muovere nello spazio sia una garanzia per poter acquisire destrezza abilità e sicurezza… Certi che l’aria aperta, il movimento dolce, l’incontro

sociale, la condivisione siano ossigeno per le future e neomamme… Utilizziamo le fasce porta bebè come strumento per facilitare l’accudimento prossimale del piccolo nei primi tempi, per accompagnarlo nella sua crescita, per fargli sperimentare i primi movimenti e schemi motori di base in totale sicurezza e con divertimento. Le utilizziamo anche come abbraccio di sostegno per le future mamme, come strumento di rilassamento facilitante il movimento dolce. Utilizziamo i bastoncini e la pratica del Nordic Walking per far muovere in modo lento, graduale ma completo tutte le parti del corpo, facendo guadagnare uno spazio di divertimento, di attività fisica, di recupero post-parto senza separare la mamma dal suo piccolo. Nell’ottica che ogni mamma sa ciò che è bene per il proprio figlio ed è l’unica persona in grado di intraprendere le scelte migliori. WRAP WALKING

Da tutto ciò nasce la Scuola Italiana Wrap Walking con l’obiettivo di far vivere gravidanza e puerperio come un momento magico e speciale per ogni mamma ed il suo bambino.

te specializzato sulle attività da proporre dalla gravidanza ai 5 anni dei bambini. Le attività iniziano da quando il piccolo è ancora in pancia, per migliorare il suo sviluppo motorio, cognitivo ed artistico e renderlo consapevole del movimento del corpo grazie, in primo luogo, all’attività svolta a stretto contatto con la propria mamma insieme alla fascia e, successivamente, diventando gradualmente autonomo trasformando la fascia in mille diverse attività. Nello stesso tempo, il personale sarà pienamente consapevole dell’importanza e del supporto per la donna in dolce attesa e nel periodo del post-parto, conoscendo l’importanza dell’allattamento, come stimolarlo e renderlo più naturale e potrà insegnare ai La Scuola Italiana Wrap genitori a portare i propri Walking sta sviluppando, bimbi in modo consapevole, per la primavera 2016, la sua sicuro e divertente. formazione indirizzata agli operatori in ambito medico- sanitario quali pediatri, TRALEBRACCIA ostetriche, ginecologi; agli Tutti i corsi proposti deloperatori in ambito educala Scuola Italiana Wrap tivo quali inseganti d’asilo e Walking sono attivi presscuola d’infanzia, agli opeso il centro TRALEBRACratori dei centri privati, ai CIA in via Pagani 21 ad consulenti del portare e agli Arzignano. istruttori di nordic walking. Per tutte le informazioIl percorso formativo, costini è possibile contattare tuito da tre rami specifici per Marta e Barbara tramite ogni settore operativo, MOM, siwrapwalking@ mail: BABY, e MAMMA&BEBE’ gmail.com oppure alla daranno l’opportunità di disegreteria 338.7050360 ventare personale altamenLa Scuola Italiana Wrap Walking è una scuola creata per le donne in gravidanza, nel post parto e per il proprio bambino fino al compimento del quinto anno di età. Essa è formata da diverse attività di rilassamento e fisiche studiate e create specificamente per le varie fasi della vita del bambino: dalla pancia all’età prescolare. Come dice il nome Wrap Walking, ovvero cammino fasciato, la Scuola unisce tutte le sue attività utilizzando la fascia come linea conduttrice, come cammino di sviluppo e crescita per imparare, giorno dopo giorno, a scoprire il mondo, ad imparare il movimento e diventare grandi consapevoli delle proprie capacità ed abilità.


PISCINA DI VALDAGNO

Il programma della Scuola prevede i seguenti corsi: WRAP WALKING: attività di cammino con l’utilizzo dei bastoncini e la fascia adattata allo sviluppo ponderale, motorio e cognitivo del bambino; questa attività aiuta il ritorno della forma psicofisica della neomamma, l’interazione e la possibilità di supporto, confronto nel gruppo omogeneo e permette di trasmettere passivamente al piccolo le basi del movimento indispensabili per la sua crescita. NEWBORN MASSAGE: massaggio in fascia per i neonati per la stimolazione del sistema nervoso e muscolare svolto dalla propria mamma. MOM MASSAGE: massaggio in fascia per le neomamme per il rilassamento articolare e la stimolazione dell’allattamento GYMNASTICS WRAP: ginnastica articolare per imparare ad eseguire con facilità e sicurezza i movimenti specifici del portare WRAP SOUND: il fasciare a rito di musica ed insegnare ,con il suono, il movimento a chi ancora non sa parlare WRAP MOVE & UP: un’attività per i bambini dai 6 mesi ai 5 anni svolta con specifiche fasce per lo sviluppo motorio, cognitivo, percettivo. WRAP MOVE & ART: un’attività per i bambini dai 3 ai 5 anni svolta con specifiche fasce per liberare la mente e dare spazio alla fantasia ed alla creatività.

NUOTO LIBERO (ampia fascia oraria)

ATTIVITÀ PISCINA CORSO BABY - CORSO RAGAZZI SUPERCORSO RAGAZZI AQUAGYM - CORSO ADULTI SUPERCORSO ADULTI TURNISTI - GESTANTI MASTER - ARGENTO VIVO (over 60) CORSO NUOTO E AQUAGYM

ATTIVITÀ IN PALESTRA DAM Tai Chi Chuan (giovedì sera) Qi Gong Terapeutico (giovedì sera) Aerobica Ton Up e Pilates (venerdì sera)

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grandi viaggi

ITALIA

Senza orario, senza bandiera Testi e foto di Mariano Storti

Da Fiume a Dubrovnik, un viaggio minimale a filo dell’acqua a bordo di un sea kayak

U

omo libero, avrai sempre caro il mare (Charles Baudelaire) Nel centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale ho scelto di salpare dal porto di Bakar, (Fiume) famoso un tempo per La beffa di Buccari, celebrata con patriottica retorica dal D’Annunzio. I 600 km di solitario trekking nautico mi hanno impegnato 16 giorni, da martedì 21 luglio a mercoledì 5 agosto. Raggiunta però Dubrovnik ho vissuto un’ odissea terrestre: con la costruzione dell’autostrada i traghetti per Fiume sono stati soppressi. Depositato con fatica il kayak in un magazzino grazie ad un bevitore locale, in quanto nei vari uffici di competenza nessuno mi aiutava e la burocrazia li rendeva ciechi, intuendo che il kayak con ruote poteva dormire tranquillo in un garage, in compagnia di qualche auto, ho raggiunto, in 14 ore di pullman, Fiume e la macchina. Ripresa l’autovettura sono ridisceso all’antiche mura di Ragusa. Visitata la bellissima città, la Coppa America della mia

fatica, ho risalito con calma la frastagliatissima costa croata. IL KAYAK TRIP: molte meraviglie sfuggono ai ricchi sui ferri da stiro: non si vedono dagli yacht grotte incantate, mosaici di roccia, baie da sogno. I 600 km di trekking nautico si possono suddividere in due parti: le isole esterne, solitarie e spesso spopolate e la costa, più antropizzata. Interessantissima la selvaggia scogliera orientale di Cherso, dove ho avvistato moltissimi grifoni, tra i più grandi rapaci europei. La tappa più impegnativa è stata sicuramente Osor Premuda, 51km, compresi i 15 di traversata di mare aperto Ilovik- Premuda: in mezzo al mare c’è solo un’isola grande come un cortile con un faro. Un leggero vento da nord mi ha aiutato e alle 9 di sera sono approdato in una solitaria caletta giusto in tempo per godermi il tramonto. L’ esperienza forse più bella e strana è stata l’approdo nell’isola di

Skarda ormai spopolata: nel villaggio abbandonato d’estate vivono due famiglie di turisti, una tedesca e l’altra slovena, moderni Robinson Crusoe, senza luce e connessione internet. Tutti gli isolani sono emigrati, molti negli Stati Uniti. Una sirena tedesca, in perfetto italiano, mi ha detto che nella vicina Ist, invece, era in programma per la notte una festa Rave. Evitata Ist ed i “ fuori di testa”, la sera ho raggiunto l’isola di Molat, dove la bora mi ha bloccato un giorno. Ho costeggiato l’Isola Lunga e dopo due giorni sono entrato alle Incoronate, le Isole della Luna. Brulle e prive di vegetazione, le 152 isole Kornati ricordano davvero i paesaggi lunari. D’estate, due volte alla settimana, una barca dipinta di rosso fa il giro dell’arcipelago delle Incoronate. Quando la vedono arrivare le donne delle case (poche), racchiuse nelle baie protette dal vento prendono le borse e si avvicinano al molo. E i turisti ( pochi anche a ferragosto! ) corrono sul molo. Questa barca è il


23 supermercato delle Kornati. Nella stiva ci sono pane fresco, uova, pomodori... Giornali di due giorni prima per chi ha voglia di sapere come va il mondo. Dura la vita dei vacanzieri emuli di Robinson su queste isole spazzate dalla bora o dal maestrale. Poca acqua dolce di origine piovana, raccolta in enormi terrazzi, da prendere al pozzo, luce elettrica prodotta dai pannelli solari, la connessione al cellulare ed ad internet instabile o inesistente. Alla fine delle Incoronate un blogger di Trento mi ha invitato a cena nella sua casetta presa in affitto. Raggiunto l’Arcipelago

L'antica Ragusa

Le Incoronate, le isole della luna

di Sebenico con una serie di grandi traversate sono infine approdato sulla costa, sul continente. Qui ho vissuto la seconda parte del viaggio a filo dell’acqua, la parte più antropizzata. Ora dovevo badare di più agli uomini che alla natura selvaggia. Raggiunta Spalato ho avuto l’unico guaio fisico : una fastidiosa congiuntivite ad un occhio, per fortuna il collirio fa miracoli. Superate le folle di Makarska sono giunto alle foci della Neretva, un’oasi di verde in un universo di roccia calcarea. Entrato nel canale di Mali Ston ho aggirato lo sbocco al mare della Bosnia di Neum: rischiavo di bagnare la carta di identità! A Mali Ston il “fiordo“ finisce: caricato il kayak sul carrello, ho percorso un paio di km su terra. Dopo le saline di Ston ho rimesso la barca in acqua e , sempre lungo la costa, ho raggiunto il porto di Dubrovnik, la città murata. E’ fantastico arrivare in kayak, nei porti in mezzo ai giganti del mare e alle navi da crociera. Un vec-

chio marinaio mi ha stretto la mano, quando gli ho detto che venivo da Rijeka, poi mi aspettavano Ragusa e le sue mura, il premio finale di un indimenticabile viaggio minimale. I 600 km di isole e costa della Croazia non saranno più per me una semplice espressione geografica. Infatti quando sono in mare, prima ancora che me ne renda conto, la serenità arriva. Porta via le preoccupazioni - quelle autentiche e anche le piccole cose quotidiane senza importanza che ci fanno perdere la pazienza. Grazie al mare, se ne vanno tutte via da me - via, con le onde. In riva al mare esistono solo la tenacia che è stata necessaria per arrivare lì e la gratitudine di esserci arrivato. Lì ho imparato per la prima volta nella mia vita a sentirmi in pace, completamente concentrato e disteso. È il mio momento Zen. Concludo con un aforisma di Joseph Conrad “Il mare non è mai stato amico dell’uomo. Tutt’al più è

stato complice della sua irrequietezza”: infatti nell’estate 2016 ho in programma il kayak trip Dubrovnik-Itaca, lungo le coste di Montenegro, Albania, Grecia Ionica. Voglio così rendere omaggio ad Ulisse, il navigatore più grande di tutti i secoli. SCHEDA: viaggiare in kayak da mare... Per secoli il kayak ha consentito ai popoli inuit di spostarsi e cacciare, contribuendo alla loro sopravvivenza in condizioni climatiche estremamente difficili... Io non ho piu’ bisogno di utilizzarlo per cacciare e mi e’ rimasto unicamente l’aspetto “ludico” legato al suo utilizzo come mezzo di spostamento... E’ proprio questo aspetto - il viaggio minimale in autosufficienza e totale compenetrazione con la natura - che tanto mi affascina nell’utilizzare il kayak per viaggiare...

Le mura imprendibili di Dubrovnik


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“Into the Wild” PERCHÉ IL KAYAK Il kayak ha doti marine straordinarie che abbinate a un’adeguata preparazione permettono di navigare velocemente in molte condizioni di mare. La navigazione in kayak è profondamente diversa da quella a bordo di qualsiasi altra barca: • solo con un kayak si naviga con le mani sempre a contatto con l’acqua: qualsiasi cambiamento, anche minimo, delle condizioni del mare viene percepito immediatamente e molto distintamente. • con un kayak si può navigare anche a un solo metro dalla costa, infilandosi tra gli scogli e la terraferma dove nessun’altra barca può passare. • Il mio Kayak, un viking lv è largo 57 cm, lungo 527 cm e pesca solo 8 cm • Con un kayak si naviga nel silenzio più assoluto. Si possono sentire i rumori più delicati come il rotolare subacqueo di un grosso sasso nella risacca di una piccola spiaggia o il fruscio generato dalle migliaia di tuffi ripetuti di un piccolo banco di acciughe. • con un kayak non si inquina. Queste sono solo le caratteristiche più evidenti ma la navigazione in kayak regala anche altre emozioni forti apprezzabili solamente da chi abbia avuto occasione di partecipare a una navigazione costiera anche breve: • l’intimità dell’esperienza - il kayak permette un’esperienza molto intima con il paesaggio marino. Nessun altro vi può accedere.

• la libertà di rotta - il kayak permette di scegliere davvero una rotta: passo tra questi scogli o passo tra questi altri? Attraverso la baia al tramonto scivolando sopra le reti già posate o sfioro il bagnasciuga osservando i sassolini della spiaggia passare nell’acqua cristallina sotto di me? Nessun altro mezzo può davvero permettersi di scegliere simili rotte. • scenari memorabili - il kayak ci porta a contatto con luoghi, cieli, piante e animali, ricordandoci ogni istante la biodiversità della terra che abitiamo. SCHEDA 2 IL KAYAK: QAJAQ Wiking Lv, lunghezza m.5,27, larghezza 0 ,57 Il WIKING è un kayak con grandi capacità di carico, stabile e confortevole per trascorrere molte ore sull’acqua. Nello stesso tempo è un’imbarcazione performante con una elevata direzionalità ed una buona velocità di crociera. Dotato di quattro gavoni e di deriva a scomparsa offre anche una facilità di manovra e di una buona percezione sull’acqua. La versione LV (BASSO VOLUME) ha un volume di carico inferiore rispetto al modello hd ( alto volume) ma presenta il vantaggio di offrire , in quanto quasi completamente sommerso, meno presa al vento. Rappresenta quindi un valido compromesso tra prestazioni, capacità di carico. e stabilità soprattutto nelle condizioni di mare più impegnative.

La pagaia: Kajner WING, misura media Negli ultimi kayak trip, 1800 km, ho utilizzato una pagaia wing in carbonio e mi sono trovato molto bene: il peso ridotto, meno di 800 g., lo stile di pagaiata basso e la spinta, mi hanno permesso di aumentare la percorrenza giornaliera di 8/ 10 KM. a parità di sforzo, rispetto alla pagaia tradizionale. La pagaia Kajner WING, misura media, ha l’angolo regolabile ed io l’ho posizionato sui 60 gradi per ruotare poco il polso ed evitare fastidiose tendiniti.

Bunker marino, costruito da Tito

Grande traversata Ilovik Premuda


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caccia

I custodi della natura Una vita come Guardia Provinciale, un lavoro che è stato principalmente una missione per la salvaguardia del territorio: pensieri e valori di Dorino Stocchero nell’anno del suo congedo

di Dorino Stocchero

S

ono un poliziotto provinciale, ho sognato questo lavoro sin da bambino, immaginandomelo persino la sera, prima di andare a dormire. L’ho inseguito come la foglia che vola in cielo, spinta dal vento sempre più in alto, per poi sparire non appena stai per raggiungerla. Il mio lavoro è stata la mia vita. Ora, però, con la nuova riforma per l’abolizione delle Provincie, sono stato posto a riposo per sovrannumero, tecnicamente per “esubero”. Tutto prima o poi finisce, ma in questi mesi di pre-congedo ho avuto l’impressione di non vivere semplicemente la fine di un ciclo lavorativo ma la fine di un’idea di professione non più sentita o forse mai sentita nella sua reale importanza. Chi sono

le Guardie Provinciali? Che cosa fanno per la comunità? Perché è importante tutelare il territorio, la sua fauna, la sua flora? Perché vigilare sulla caccia, sulla pesca, sulla raccolta dei funghi? Domande apparentemente semplici a cui, però, pare non si riesca più a trovare risposte sensate, motivate, credibili. Tutti parlano di ecologismo, di rispetto dell’ecosistema ma poi ben pochi conoscono il lavoro delle Guardie Provinciali, di chi con tanta passione e tanta dedizione si è dedicato ogni giorno alla salvaguardia del nostro disastrato territorio e della sua sempre più fragile fauna e flora. A noi, Guardie Provinciali, sembra assurdo che non si comprenda la necessità del nostro ruolo, la centralità delle nostre mansioni per la tutela dell’ambiente. Che non


29 si riesca a capire che l’ideale, da cui siamo sempre stati ispirati, è quello di garantire la bellezza naturale della Terra a chi verrà dopo di noi. Una missione enorme, che non ha prezzo. Eppure sono molti quelli che non capiscono che costa meno un Corpo di Guardie Provinciali di un territorio da bonificare, di una fauna estinta da reintrodurre per ristabilire il corretto equilibrio naturale. Oggi chi sostiene la logica del risparmio a ogni costo non può comprendere l’importanza di salvare un’aquila ferita, quando noi siamo sempre stati disposti di rischiare di cadere in un crepaccio per portarla al più presto dal veterinario dove potesse essere curata. I mesi, a volte gli anni che sono serviti per stanare il bracconiere solitario, non sono tempo perso, soldi pubblici gettati

al vento ma sono la sola via praticabile per salvaguardare uno dei beni più preziosi che abbiamo: il nostro patrimonio naturale. Nessun organo dello Stato conosce, come le Guardie Provinciali, il territorio. Sin da quel lontano 1907 (anno di costituzione delle Guardie delle Province) esse si sono specializzate nella conoscenza e nella tutela soprattutto della fauna selvatica. Sono miliardi gli uccelli salvati dalle grinfie dei bracconieri, migliaia gli ungulati feriti recuperati e curati, centinaia le specie in via di estinzione reintrodotte e monitorate. Ma l’attività delle Guardie Provinciali non si limita alla fauna. Essa copre anche la pesca, la flora, i boschi, il territorio naturale. Dal piccolo pettirosso all’aquila, dallo scoiattolo al lupo, dal rospo alla lumaca, dal

grande albero all’arbusto, dal fiume ai laghi alpestri o di pianura la loro competenza e dedizione non è mai venuta meno. Anzi, il loro impegno è sempre stato massimo, di giorno come di notte, senza mai guardare le ore di turno, perché ciascuna guardia sapeva perché lo stava facendo. 2700 persone, nate come “guardie caccia”, poi diventate “vigili provinciali” e poi “poliziotti”, tutte consapevoli dell’importanza della propria missione lavorativa, che è quella di essere “custodi della natura”, della sua vita e della sua infinita bellezza. Mi auguro con tutto me stesso che qualcuno possa capire il valore del servizio delle Guardie Provinciali per il nostro Paese, per il suo unico, splendido territorio, per la gente onesta che lo vive.


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storia La Grande Guerra in Alto Adriatico: 3a parte

La tragedia del sottomarino tedesco U12 ed il relitto della Torpediniera 88S di Antonio Rosso, foto subacquee Giovanni Alban (Diving nord Adriatico, Jesolo)

Egon Lerch il comandante austriaco del sottomarino U12

Il sottomarino U12

Il comandante Egon Lerch 8 agosto 1915. Siamo ad alcune miglia, davanti a Punta Sabbioni, Venezìa. Alcune unità italiane in servizio di vigilanza stanno rientrando. Alle ore 16.30 si ode un’esplosione subacquea ad alcune miglia di distanza e viene vista alzarsi un’alta colonna d’acqua. Sul posto si reca un rimorchiatore, che osserva sulla superfìcie del mare una larga macchia di benzina ed olio. Qualche giorno dopo alcuni palombari rintracciano sul fondo

lo scafo di un sommergibile con la prora completamente squarciata. La torretta, sotto la recente vernice, porta ancora il numero 12. Si conclude che si tratta del relitto del sommergibile austroungarico U12. E’ il primo sottomarino austro-ungarico che viene affondato. Il battello, costruito dalla ditta Whitehead & Co. di Fiume, varato il 14 marzo 1911, fu acquistato dalla Marina austroungarica nell’agosto del 1914 che gli diede la sigla U-12 e lo affidò al comando del tenente di vascello Egon Lerch. Lerch non tardò a mettersi in mostra. Nel dicembre dello stesso anno a Cattaro danneggiò seriamente la corazzata francese Jean Bart da 23.470 t, operazione che gli valse la croce di cavaliere dell’ordine di Leopoldo. L’anno successivo, dopo aver catturato sette piccole unità montenegrine, compì un’azione molto sleale affondando a Pirano senza controllare il carico e senza preavvisare l’equipaggio, il piroscafo greco Virginia causando 22 morti. La Grecia non era un paese belligerante.

Perchè questa ricerca di risonanza a tutti i costi? Perchè Lerch, un ufficiale giovane e di origini borghesi aveva una relazione, del tutto corrisposta, con l’arciduchessa Elisabetta Maria, nipote dell’imperatore Francesco Giuseppe, ancora sposata per volere imperiale con il Principe Otto zu Windisch-Graetz. Lerch sapeva bene di avere un’unica speranza per arrivare ai circoli imperiali della nobiltà: aprirsi la strada con il suo coraggio; se avesse ottenuto l’onorificenza dell’Ordine Militare di Maria Teresa, avrebbe avuto l’elevazione a un rango nobiliare che gli avrebbe permesso un diverso rapporto con l’arciduchessa. Lerch ha bisogno di un successo importante, per cui, fatti aggiungere altri due tubi lanciasiluri in coperta, progetta una missione contro le navi italiane di base a Venezia. Decide di avvicinarsi alla bocca del porto di Lido nonostante sia stato avvertito della pericolosità di tale manovra, perchè, dopo il siluramento dell’Amalfí, i fondali erano stati disseminati di mine la cui disposizione


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il relitto dell’U12 nell’Arsenale di Venezia dopo il recupero

il relitto dell’U12 nell’Arsenale di Venezia dopo il recupero

non era nota. Ma Lerch ha i levamento. Il relitto con la suoi obiettivi e va incontro al cisterna ricade sul fondo e la cisterna stessa viene suo destino. fatta risalire svuotandola Il recupero del sottoma- dall’acqua. rino U12 e l’affondamen- Adesso un vento di tramonto della torpediniera 88S tane alza il mare: la torpeImmediatamente gli ita- diniera urta la cisterna o il liani capiscono di avere la pontone, le versioni discorpossibilità di recuperare un dano, producendosi una sommergibile quasi intatto falla. Si tenta di farla aree rinvenire l’archivio riser- nare sulla spiaggia, ma la vato con i codici segreti, le manovra non riesce: lo scarotte di sicurezza e la dislo- fo si riempie rapidamente cazione dei banchi di mine. d’acqua e affonda. Nessun La missione di recupero ferito, ma si perde la torpeviene preparata in assoluta diniera e le attrezzature. La situazione del mare peggiosegretezza. II 18 ottobre 1915, un gruppo ra. La cisterna, non può più di cinque rimorchiatori, due essere rifornita d’aria per il pontoni da recupero, una ci- sollevamento e le operaziosterna e la torpediniera 88S, ni vengono sospese. Per il salpano per il luogo dell’af- carattere di segretezza, non fondamento. Sulla torpedi- viene data notizia dell’affonniera, utilizzata come punto damento della torpediniera d’appoggio per i palombari, che risulta radiata in data 11 sono installati i mezzi pneu- dicembre 1915. matici ed i gruppi di bom- Si deve attendere fino a dibole di aria compressa. La cembre dell’anno succestecnica di recupero prevede sivo per un nuovo tentativo. l’affondamento della cister- Nei primi di gennaio del na, il suo aggancio al relitto 2017 l’operazione è complecon catene ed il successivo tata e l’U12 viene tirato in sollevamento dell’U12 con secco nell’arsenale di Veil pompaggio di aria com- nezia. L’operazione ha piepressa nella cisterna; i due no successo: l’archivio del pontoni avrebbero, poi, so- sommergibile è ancora in stenuto il relitto sollevato condizioni tali da consentidal fondo, mentre i rimor- re la decifrazione dei docuchiatori avrebbero provedu- menti e le informazioni contenute permetteranno alla to al rimorchio. Tutto procede per il meglio Marina Italiana di preparare e verso le 19.00 il relitto ini- le future offensive sulla cozia a staccarsi dal fondo. sta dalmata con i MAS. Purtroppo problemi alle Di queste operazioni non catene rendono necessario viene fatta alcuna propafermare il processo di sol- ganda, per cui pochi sanno

la torpediniera 86S, gemella della 88S

che all’interno dello scafo sono stati rinvenuti anche i resti di diciassette corpi, tumulati il 18 gennaio 1917, in gran segreto, nel cimitero di San Michele a Venezia. La scoperta del relitto Dalla data dell’affondamento non si è più avuta nessuna notizia del relitto fino all’estate del 2005. Il ritrovamento è avvenuto mentre erano in corso alcuni trasferimenti della troupe di “Linea Blu” della RAI, ospitata a bordo di una imbarcazione solitamente usata per ricerche idrografiche e mappatura dei fondali. In un’area priva di affioramenti rocciosi la strumentazione di bordo che si avvaleva anche di un Side Scan Sonar di ultima generazione, ha segnalato una traccia allungata di modeste dimensioni ma simile ad altre che appaiono quando si è in presenza di un relitto. Successive immersioni hanno confermato questa supposizione. La torpediniera 88S La posizione e le ricerche d’archivio hanno consentito di stabilire che il relitto apparteneva alla torpedi-

niera italiana 88S. Costruita dall’Ansaldo di Genova su licenza del cantiere tedesco Schichau, allora uno dei leader mondiali nella realizzazione di torpediniere, è stata varata il 17 luglio 1888 ed assegnata a Venezia nel 1907 come stazione di rifornimento per sommergibili. Ad oggi è l’unica nave di tipo Schichau di cui si è a conoscenza. Queste torpediniere sono state acquisite fra il 1886 e il 1895. All’inizio ordinate al cantiere tedesco, poi riprodotte, su licenza, da diversi cantieri nazionali, sono state dislocate lungo tutta la costa italiana. Dotate di buone doti nautiche (il difetto maggiore era quello di infìlarsi troppo nelle onde con mare formato di prua), risultavano veloci, con buona autonomia e potentemente armate. All’epoca della loro entrata in servizio erano classificate come torpediniere d’alto mare ma nel corso degli anni sono state declassate a torpediniere costiere. Dal 1890 in poi, sono state cambiate le caldaie, tanto che si è reso necessario un secondo fumaiolo che ne ha modificato sensibilmen-


32 te la linea. L’attività della classe “S” è stata intensa e prolungata nel tempo perché, anche dopo la radiazione, sono state adattate a lavori portuali o di dragaggio; alcune, dopo l’asportazione di caldaie e macchine, sono state impiegate anche come bersagli per le esercitazioni di tiro. Immersione sul relitto Il relitto giace ad una profondità di 18 metri e dista 6 miglia da Jesolo. Partendo dal Diving nord Adriatico di Jesolo, che gentilmente ha fornito la documentazione fotografica subacquea, si impiega una ventina di minuti per giungere sul posto. L’immersione è relativamente semplice. Come brevetto è sufficiente un intermediate, un advance o altri equivalenti. Anche se a volte si trova una visibilità assai ridotta, normalmente questa si aggira sui 5-6 metri L’area è del tutto priva di affìoramenti rocciosi. Il relitto sporge poco dalla sabbia, che lo ha ricoperto in gran parte. Ne è visibile solo la parte centrale per circa venti metri di lunghezza. Non ci sono variazioni di quota: il profondimetro indica una profondità massima di 19 ed una minima di 17 metri. La caratteristica principale sono le cataste di bombole, diventate tane per numerose specie animali e, al centro, l’apparato di propulsione mentre dello scafo resta visibile ben poco. La vita marina è abbondante e le superfici sono ricoperte da spugne. Numerosi gronghi fanno compagnia e si possono incontrare astici e pesce di tana assieme a seppie e calamari. Oltre all’aspetto storico è una immersione interessante per chi predilige la fotografia a distanza ravvicinata.

i resti visibili del relitto della torpediniera 88S (foto Giovanni Alban)

torpediniere del cantiere Schichau - disegni originali

Caratteristiche del sommergibile U12 Classe Cantiere Lunghezza Larghezza Pescaggio Dislocamento Apparato motore Velocità in superficie Velocità in immersione Autonomia in superficie Autonomia subacquea Equipaggio Armamento

U 5 Tipo Holland Whitehead & Co. Fiume 32,09 m 4,23 m 3,90 m 240/273 tonn 2 motori a benzina a 6 cilindri, pot. 500 HP, 2 motori elettrici, pot. 330 HP 10,75 nodi 8,5 nodi 800 miglia a 8,5 nodi 48 miglia a 6 nodi 15 uomini, 4 ufficiali 1 cannone SKK da 37 mm, 2 tubi lanciasiluri a prua da 450 mm. 2 tubi lanciasiluri esterni da 350 mm,

Caratteristiche della torpediniera 88S Classe Cantiere Lunghezza Larghezza Pescaggio medio Dislocamento Apparato motore

Potenza Eliche Velocità Autonomia Equipaggio Armamento

Schichau da 79 T Ansaldo - Genova 39.00 m 4,80 m 1.0 m 240/273 t una caldaia tipo locomotiva Macchina: una motrice alternativa verticale a duplice espansione 1.000 hp (736 kW) 1 20 nodi 300 miglia a 15 nodi 1.000 miglia a 10 nodi 15 uomini, 4 ufficiali 2 tubi lanciasiluri fissi; 2 cannoni revolver Nordenfelt o Hotchkiss

la tomba la targa ( a fianco) dei membri dell’equipaggio dell’U12 al cimitero San Michele di Venezia (foto Antonio Rosso)


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chiampo

Da Parigi a Parigi Ciclismo Valchiampo, pedalando sulla famosa randonnée ParigiBrest-Parigi di Annalisa Marchesini

Q

uest’ estate una decina di persone dell’assoIl tempo massimo ciazione ciclismo Valdi percorrenza è chiampo ha partecipato alla fondamentale, anParigi - Brest - Parigi, la più che per permettere famosa randonnée che si il corretto svolgisvolge in Europa. mento della maniLa Randonnée è una filosofia festazione, ma non diversa di divertirsi in bici. In è la cosa “più imfrancese, randonnée signiportante”. fica passeggiata/escursioLa bicicletta può ne: si tratta quindi di prove essere di qualsiasi senza classifica su distanze tipo. Questi audaci lunghissime, ma alla poratleti della valle del tata di tutti o “quasi”. In alChiampo domenica cuni di questi tragitti viene sera del 16 agosto cronometrato il tempo, ma 2015 sono partiti dalla solo per dare una gratificaperiferia di Parigi per zione al ciclista che vuole percorrere 1230 km sapere il tempo impiegato per toccare la punsu un determinato perta ovest della Francia corso, ma in realtà non sull’oceano Atlantico esiste un vincitore. Il rea Brest e poi ritornare golamento prevede che al punto di partenza. Il il ciclista debba viaggiatempo massimo è di 90 re in completa autonoore e pertanto è necesmia. Il percorso non è sario ritornare a Parigi segnalato, perciò viene entro mezzogiorno di consegnato ad ogni pargiovedì. Con loro ci sono tecipante un road book altri 6000 atleti qualcuno (un libro che indica nel con l’hand bike -come il dettaglio la strada da nostro amico Mirko di seguire). Esistono natuTreviso- qualcuno con il ralmente punti di contandem doppio, qualcuno trollo e il mancato pascon il triplo tandem, altri saggio da un punto di con l’elliptigo, bici piecontrollo esclude defighevoli, bici reclinate e nitivamente il ciclista bici siluro. Insomma una dalla manifestazione.

vera e propria festa di ciclisti che provengono da tutte le parti del mondo: indiani, giapponesi, americani, ecc. poiché erano più di 50 le nazioni partecipanti. Si parte con la nostra divisa Italia e siamo molto riconoscibili nel gruppo, gli italiani partecipanti sono circa 400. Pedaliamo tutta la notte, la velocità di questo primo tratto di strada è molto sostenuta e senza accorgerci del tempo siamo al primo ristoro a Montagne au Perche a 140 km dalla partenza. Nel cuore della notte mangiamo e poi di nuovo in marcia per Villaines la Juhel a 220 km dove abbiamo il primo controllo. Il percorso è un sali e scendi di valli e la stanchezza si fa sentire anche perché questo tipo di percorso su e giù non lo abbiamo trovato spesso nei nostri allenamenti e pertanto ci spiazza un po’. Arriviamo al primo punto di riposo la notte tra lunedì e martedì a Carhaix Ploguer a 526 km. Alla mattina alle cinque ci si sveglia per un altra giornata tosta di bici. Arriviamo a mezzogiorno a Brest,


piccole dolomiti

facciamo nostro giro di boa ed iniziamo il rientro. Per strada troviamo tantissima gente che ci incoraggia: chi applaude, chi ci dice Bravo chi bonne courage, qualcuno improvvisa un banchetto ristoro sotto casa con acqua, the, caffè. Questi

nostri tifosi sono una delle cose più caratteristiche di questa esperienza, li troviamo a tutte le ore del giorno, qualcuno è sveglio come noi durante la notte. Tra martedì e mercoledì dormiamo a Tinteniac e 865 km sono fatti. Le solite quattro ore di sonno scarse e si riparte. Mercoledì la stanchezza si sente nelle gambe ma il morale è alto anche perché il tempo per ora è stato bello ed il sole ci ha accompagnato. Per strada si scambia qualche battuta in inglese con compagni di avventura stranieri e così il pedalare diventa più leggero, i panorami francesi della Bretagna sono campi sconfinati di frumento ed allevamenti di bovini. Ormai ci siamo! Alle tre di notte tra mercoledì e giovedì raggiungiamo Dreux e siamo a 1166 km. Dormiamo per terra qualche ora e poi all’alba una scia di luci rosse e giubbetti catarifrangenti ci precede e ci guida fino all’arrivo, nel frattempo inizia anche a piovere. Qualche foratura rallenta la nostra andatura e alle ore 11 passiamo il sudato traguardo di Parigi: brevetto conquistato. Questo giro in bici è stata una bellissima esperienza che ha messo a nudo i nostri limiti e ci ha spinto ad innalzare il nostro livello di sopportazione della fatica. Abbiamo così sperimentato il motto dei randagi: né forte né piano, ma lontano.

Il grifone

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foto di Enrico Bauce

avvistato a malga Rove

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Sereno 342 8439142 Simone 338 3861435


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vicenza

Moto, auto, quad: sempre Franco Picco

2015 Franco Picco (Can-Am) Italian Baja rt ospo Phot P Ph.A

Franco Picco parteciperà alla Dakar 2016 in sella ad un quad Can-Am

L

’iscrizione per la Dakar del suo sessantesimo compleanno è partita e Franco Picco ha iniziato già da qualche tempo la sua preparazione per prendere il via per la prima volta su un quad alla maratona motoristica più famosa al mondo.

Dopo le leggendarie partecipazioni in motocicletta ed alcune positive edizioni alla guida di un’auto, Picco ha dunque deciso: quattro ruote ma con sella e manubrio per la Dakar 2016 che si svolgerà dal 3 al 16 gennaio toccando Perù, Bolivia ed Argentina. La preparazione è già iniziata: il vicentino ha già preso parte in sella ad un quad all’Italian Baja, prova mondiale Baja World Cup che si è svolta a fine giugno a Pordenone, mettendo a segno un secondo posto nella classe Q2. Ha utilizzato un Can-Am Renegade 800 affidatogli dal concessionario RF Moto, un mezzo simile a quello che guiderà nella prossima Dakar.

“Sono davvero soddisfatto di questo debutto – afferma Franco Picco – l’esperienza mi è servita per verificare in modo approfondito la differente tecnica di guida tra quad e moto, e per testare le mie potenzialità con questo mezzo che di fatto non avevo mai pilotato. Direi che il risultato è positivo,

e questo mi stimola nel portare avanti il mio programma a pieno regime. Ho già in previsione la partecipazione ad altre gare prima della Dakar, proprio per prendere assoluta confidenza con il mezzo. Ci sono manubrio e sella, ma cambia radicalmente la modalità di guida” In merito alla Dakar dice: “Mentre ero in gara nelle passate edizioni mi è capitato spesso di osservare la gara dei quad, rilevando vantaggi e svantaggi rispetto alla moto. In questi primi test ho avuto modo di verificare che le mie intuizioni erano corrette: il quad ti obbliga a velocità minore sui tratti più sassosi, ma ti stanca meno se riesci a tenere il ritmo giusto; concede qualcosina in più se commetti errori, e anche sulla sabbia può rappresentare un vantaggio se hai la perizia di non lascialo mai affondare … altrimenti ti troverai alle prese con la sua mole ed il suo peso! Di buono c’è anche il fatto che puoi caricare qualche ricambio ed eventualmente una ruota di scorta.” Picco parteciperà alla Dakar 2016 con un Can-Am Renegade 800 4x4 del Team argentino Mazzucco, che gli fornirà l’assistenza totale in gara. Daniel Mazzucco, manager e pilota, ha vinto tre Dakar nella categoria quad. “Penso di poter fare una bella Dakar – afferma Picco – e punto ad un buon risultato: sarebbe un bel regalo per i miei sessant’anni! Che dite?”

osport Franco Picco (Can-Am) - Ph.AP Phot

Franco Picco (Can-Am) Italian Baja Ph.AP Photosport

2015


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MIGLIORI RISULTATI ALLA DAKAR 1985 - moto Yamaha - posizione 3° 1986 - Yamaha - 10° 1987 - Yamaha - 4° 1988 - Yamaha - 2° 1989 - Yamaha - 2° 1990 - Yamaha - 5° Le edizioni recenti 2010 - Yamaha WR450F - 23° 2011 - Yamaha WR450F - 77° 2012 - Yamaha WR450F - 45° 2013 - Yamaha WR450F - ritirato ala 6^ tappa

ALTRE GARE 1986 - Vincitore del Rally dei Faraoni - Yamaha 1991 - Vincitore del Transpaña - Suzuki 1992 - Vincitore del Rally dei Faraoni - Gilera 2006 - Vincitore del Rally delle Piramidi - Yamaha 2007 - Vincitore del Rally delle Piramidi - Yamaha 2008 - Vincitore del Rally delle Piramidi - Yamaha

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schio

Schio nuota I master scledensi sono terzi nelle classifiche nazionali fin di Franco Decchino

S

ono partiti per i Campionati Italiani, che si sono svolti presso lo Stadio del Nuoto di Riccione dal 24 al 28 di Giugno, con l’obiettivo dichiarato di ottenere una posizione di prestigio nelle classifiche nazionali FIN master e quella sussurrata di portare a casa anche qualche medaglia individuale. Questo il programma dei Master di Schio Nuoto per la trasferta romagnola. Un progetto ambizioso che alla fine delle 5 giornate di gara è stato in buona parte centrato. Erano partiti con una precaria 3ª posizione nelle classifiche nazionali da difendere dalla Prosport Acqua di Monza, che inseguiva a pochi punti ed i Campionati Italiani potevano essere il sigillo di un risultato prestigioso o trasformarsi in una beffa. Alla fine questi campionati, che concludevano la stagione agonistica 2014/2015, non per fortuna ma per merito degli Atleti, Schio Nuoto ha confermato il 3° posto na-

zionale, tra le società con un max di 15 Atleti, riuscendo a tenere a distanza la diretta concorrente. Terzi su 374 squadre con Schio seconda solo a Torino, città che ospite le società ai primi 2 posti. Per il secondo obiettivo, pochi centesimi di secondo non hanno permesso di portare a casa anche medaglie individuali. Rimini è stata dunque il coronamento di una stagione che nelle 11 manifestazioni che l’hanno caratterizzata, ha visto il carnet scledense riempirsi di 37 ori, 27 argenti e 13 bronzi nelle 128 gare disputate dai ns. portacolori. Questo il gruppo dei 15 Atleti, allenato dal responsabile Davide Borga e da Alberto Recher, a punti nella stagione ed a cui va il merito di questo importante risultato: Borga Davide, Casara Devyd, Cortiana Roberto, Decchino Lorenzo, Decchino Roberto, Gennaro Alberto, Grendele Alberto, Grotto Anna, Lista Lorenzo, Marchesan Nadia, Mene-ghello Marco, Menegozzo Carlo, Mioni Giovanni, Mioni Matteo e Pietribiasi Michela a cui si vanno ad aggiungere Bottene Luisa, Spanevello Mirko, Prandina Giorgio, Zenere Nicola, Fontana Valentina ed Adriani Giovanna come rinforzo alle staffette.

Passando al lato puramente tecnico della manifestazione di Riccione, questi i risultati ottenuti: • 5° piazzamento per Giovanni Mioni nei 100 m rana M25 con 1’08”75 a 5 decimi dal bron-zo, Atleta che ha poi bissato il 5° posto nei 200 m rana M25 con 2’31”75 e giunto, infine, 10° nei 50 m rana M25 con 31”81. • Sempre 5° posto, ma più “indigesto” quello ottenuto da Lorenzo Decchino nei 50m rana M35 che con 31”86 si è visto sfumare il podio per un decimo ed il vincitore a soli 2 decimi di secondo. • 40ª, con il tempo di 26”80, la posizione ottenuta da Matteo Mioni nei 50 m stile libero M25 e 40ª, con il tempo di 58”28, quella nei 100 m stile libero M25. Una piccola delusione, quella dei 3 portacolori, mitigata dal prezioso alto punteggio comunque ottenuto e finalizzato a raggiungere l’obiettivo finale che gli scledensi si erano pre-posti. Preziosi anche i punti ottenuti dalle staffette: • 12ª la Staffetta 4x50 stile libero M100 con 1’46”95 composta da Carlo Menegozzo, Devyd Casara,

Giovanni Mioni e Matteo Mioni. • 19ª la Staffetta 4x50 misti maschile M 100 con 2’07”80 composta da Davide Borga, Devyd Casara, Giovanni Mioni e Nicola Zenere. • 24ª la Staffetta 4x50 misti maschile M120 con 2’04”15 composta da Mirko Spanevello, Lorenzo Decchino, Carlo Menegozzo e Matteo Mioni. • 29ª la Staffetta 4x50 misti femminile F120 con 2’38”91 composta da Nadia Marchesan, Maria Luisa Bottene, Michela Pietribiasi ed Anna Grotto. • Ed infine 66ª la Staffetta 4x50 stile libero M120 con 2’06”09 composta da Davide Borga, Alberto Grendele, Alberto Gennaro e Roberto Cortiana. Staffette che sono da sempre un punto di forza degli scledensi, basta ricordare il primato italiano ottenuto dalla staffetta mista nei 4x50 m misti M100-119 nel 2013 con Borga, Pie-tribiasi, L. Decchino e Tomiello. Una fantastica stagione, dunque, conclusasi più che positivamente e stimolo per maggiori successi nella prossima.


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Buona la prima di Giulio Centomo

VALDAGNO: GRANFONDO WHY SPORT CITTÀ DI te gara 106 km e 2.450 m dsl per l’esordien tteo laniera che ha visto al via anche Ma sani. Marzotto e il ct azzurro Davide Cas

È

stata una prima edizione che si potrebbe definire da pollice alzato quella disputata il 6 settembre a Valdagno nel segno della nuova Granfondo Why Sport Città di Valdagno. Parterre gremito con tre apri strada d’eccezione: Matteo Marzotto, il ct della nazionale di ciclismo, Davide Cassani, e il sindaco di Valdagno, Giancarlo Acerbi. La gara alla resa dei con-

Il trionfo di Enrico Zen

Braccia al cielo per Odette Bertolin

ti è andata ad un sicuro Enrico Zen, portacolori dell’ASD Team Beraldo Green Paper (3:06:29), davanti ad Andrea Pontalto (Team Alè Cipollini Galassia - 3:07:23) e al compagno di squadra Carlo Muraro (3:07:45). La competizione in rosa è stata vinta invece da Odette Bertolin, in forze al team Somec MG Kvis LGL (3:24:50), abile nell’infilare il traguardo finale davanti a Gloria Bee (ASD Pedale Feltrino – 3:35:40) ed Elisa Benedet (UISP Pordenone – 3:38:15). Anche lo stesso Cassani aveva pronosticato il successo di Zen aggiungendo il proprio apprezzamento rivolto al ciclismo veneto. «Correre nel vicentino e in Veneto è sempre bello – è stato il suo commento – perché si respira passione.» Al semaforo verde la carovana delle ruote fine si è lanciata in avanti alla volta di Recoaro Terme con fare compatto, allentando pian piano le maglie, mano a mano che i chilometri scivolavano via.


Le attese salite di Passo Xon e Monte di Malo, così come la salita al Passo dei Sette Roccoli non hanno fatto la selezione che in molti si aspettavano, soprattutto vista la varietà del parterre della giornata. La punta di diamante della Beraldo ha saputo mantenersi sempre nel gruppo di testa, controllato dai vari Pontalto, Decarli, Muraro e Spiazzi, e controllando a sua volta. Sull’ardua ascesa finale a Marana, lungo la cosiddetta “trappola” di Valbianca, Enrico Zen in gara

però, è stato Pontalto a provare la sgasata con un breve affondo che, grazie al buon lavoro di squadra della coppia del Team Beraldo, Zen-Muraro, veniva ben presto riportato entro i ranghi della testa della corsa. Allo scollinamento era a quel punto Zen a rimboccarsi le maniche e a lanciare il discesone verso il rientro a Valdagno. In breve tempo, mettendo sul tavolo tutte le sue doti di discesista, costruiva il distacco utile a consentirgli l’arrivo trionfale sul rettilineo finale con tanto di bici alzata al cielo. Il trionfo valdagnese va quindi ad aggiungersi a quelli già conquistati in questa sta-

gione alla Marcialonga Cycling e alla Leggendaria Charly Gaul, oltre ai due secondi posti messi a segno alla Granfondo Liotto e alla marosticana Granfondo fi’zi:k. Dietro di lui, staccati di pochi, ma preziosi secondi tagliavano il traguardo Pontalto e il compagno Muraro. «Solitamente prediligo tracciati più lunghi – è il commento a caldo di Enrico Zen – in questa gara ho cercato invece di gestire al meglio il ritmo. Di certo ci ha premiati il buon gioco di squadra fatto con Muraro che ci ha permesso di smorzare in fretta la piccola fuga di Pontalto. Poi in discesa ho trovato il giusto assetto e sono potuto volare via nei chilometri finali.» Sul fronte della gara rosa, le tre finisher si sono gettate in avanti fin dai primi chilometri. La veneziana Odette Bertolin e la bellunese Gloria Bee si sono alternate in una serie di bordate e tentativi di allungo, prima di veder prevalere

le poderose pedalate della Bertolin che così sfrecciava davanti a tutte sul traguardo. La Bee doveva accontentarsi di un comunque meritato secondo posto, mentre in terza piazza arrivava la pordenonese Elisa Benedet.

«In questo ultimo periodo - ha spiegato sul traguardi la Bertolin – ho fatto una pausa dalle gare per concedermi un po’ di riposo. Ho preparato questa gara in contemporanea alla ripresa degli allenamenti e solo nelle ultime settimane, quindi agguantare questo successo mi fa ancora più felice.» Tanti i commenti e gli apprezzamenti arrivati agli organizzatori dell’ASD Racing 2015 che a breve saranno nuovamente sul pezzo per fare le dovute migliorie con uno sguardo giù al 2016. La prima edizione della Granfondo Why Sport Città di Valdagno ha visto la sinergia Odette Bertolin in gara tra ASD Racing

Grande Fabio

O

2015 e Comune di Valdagno, oltre alla preziosa collaborazione dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Valchiampo e Schio, delle motostaffette del Team Ciclismo Sicuro, della S.O.G.IT., della sezione A.N.A. di Castello e ancora ProValdagno, Valdagno Basket, Free Sport e gli sponsor Why Sport, Powerbar, Biovita, Cipollini, DMT, Nine9 Bikes, Alè Cycling, Compressport, Df Sport Evolution, Rigoni di Asiago, Selle SMP e Mydas Travel.

ttima la gara del valdagnese Fabio Pace del Ciclo Club Valtermo Novale, settimo assoluto, a una manciata di minuti dal primo. Dopo una gara sempre condotta nel gruppo di testa, Pace riusciva a fare la differenza sulla difficile salita della Valbianca e passare nei dieci in località Marana fino a conquistare la settima posizione assoluta. Quello di Pace è un ritorno alle gare di ciclismo dopo che da giovane è stato ad un soffio dal diventare un ciclista professionista.


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asiago

Come non salire sul podio…

P

artenza da Asiago e non da Passo Vezzena, uno sviluppo di 58 km, qualcosa in più rispetto all’anno scorso. Questa seconda edizione proponeva una novità: un tracciato “marathon” di 40 km. Bene, causa periodo stressante sotto il profilo professionale, mi presento al ritiro pettorali con il dubbio se non sia più ragionevole correre con “leggerezza” il tracciato “marathon” anziché la lunga da 58 km. Sabato mattina passo da Puro Sport e incrocio Raffaella al tavolo pettorali: “Senti, le dico, ho il pettorale dei 58 Km, quando mi troverò al bivio potrei anche girare sul tracciato dei 40 perché non mi sento tranquillo per la lunga distanza. Casomai ver-

di Francesco Carmignan

STRAFEXPEDITION 2015, il tracciato quest’anno era diverso.

rò squalificato! Pazienza, quest’anno va così!”. Raffaella mi sorride: “Se vuoi te lo posso cambiare adesso il pettorale, è possibile, così corri direttamente la 40 km senza crucci.” Ci rifletto un minuto e decido: cambio pettorale. Correrò la 40 Km! Un po’ mi spiace ma so d’aver fatto la scelta giusta. E arriviamo alla partenza: i minuti che la precedono sono gioia pura: incroci “amici” che non rivedi dal trail precedente ed è tutto un: “Come stai? Cosa stai preparando? La tua famiglia? Davvero!! Potremmo correre quella gara o la quell’altra! In bocca al lupo, Crepi!” Poi ti dai una pacca sulla spalla e ti rendi conto che non ricordi nemmeno il nome del “compare” col quale hai appena

conversato. Nel trail e nella corsa in genere funziona così. Mancano due minuti, un runner sale sul palco e suona il Silenzio. Esplode l’applauso. L’emozione è alta, la si respira, così la gioia mista a un filo di timore; è uno start pieno di sorpresa: nel cielo chiaro delle 6.00 del mattino i fuochi d’artificio scuotono noi e certamente svegliano i tanti asiaghesi e turisti che ancora riposano nel caldo dei loro letti. Stiamo già correndo, lasciamo Asiago e l’asfalto, il sentiero comincia a frazionare il gruppo, siamo un unico serpente spezzato che sale verso Forte Interrotto. Ed ecco Marco lo speaker e Giulio il giornalista, che piacere vederli e sentire un loro incitamen-

to, ma è subito discesa che ci muove veloci, la corsa si fa volo dentro se stessi, leggera estasi dinamica e meditazione in-movimento, il respiro regolare accompagna un mantra naturale. E’ la gioia vera, pura e pulita, linda e sana che si gode dopo aver superato certe distanze e non conta niente altro che correre, salire e scendere, bere e mangiare, tenere la posizione e andare a prendere quello che ti sta davanti, cercare di resistere dai passi che ti senti arrivare da dietro. Ritrovi te stesso, l’io più profondo, la radice antichissima e arcaica, sei il cacciatore, il primitivo della savana che correva per giorni e per notti inseguendo la preda, il cibo per sé e per il proprio clan. Così la corsa è risanatrice: perché corriamo? Oltre certe distanze dove conta solo andare e andare ci si ristora alla sorgente delle proprie origini e la corsa non è altro che sopravvivenza. Finalmente facciamo qualcosa di sano e direttamente legato alla sopravvivenza: correre. Ma i chilometri vanno assieme a nuovi incontri, a nuovi compagni di viaggio: lungo un sentiero in salita sono tra due bolzanini, forti ed esperti si parla di gare, della Val Sarentino, li invito alla Trans D’Havet, loro mi suggeriscono altre gare nel loro territorio. Allungo e me li lascio dietro. Ecco il secondo ristoro: c’è il bivio; io vado a destra verso i 40 Km, verso la discesa, gli altri a sinistra verso la direttissima del Portule. Adesso sono solo, il territorio è bellissimo, non lo conosco è molto mosso e


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44 tutto corribile. Incrocio una ragazza del controllo: “Quanto sono?”, le chiedo, “Intorno ai venti”, mi risponde. Ecco una salita, stacco un pezzo di cioccolata e prendo un tiro al camelbak vedo

quello con la barba nera e la canotta azzurra a circa 100 mt, “Adesso vengo a prenderti!”, penso. Mi sento leggero, sto bene, ho voglia di spingere. Ma barba nera non molla e non gli prendo un metro. Raggiungo un runner che sta consultando l’orologio. Sono le 9.00, corriamo da

tre ore e penso di aver dietro le spalle almeno metà del tracciato. “Sai a che distanza siamo?”, gli chiedo, “Ventisei km fatti”, “Già qui?Sei sicuro?”, “Sicuro!” La notizia mi carica, a questo punto non ha senso risparmiarsi. Arrivo all’ultimo ristoro, mancano 10 km. C’è barba nera che sta bevendo. Conversiamo, ma io ho fretta: “Mi spiace ma stavolta non mi prendi più”, gli dico scherzando e lascio il ristoro. Lui sorride e si prende ancora da bere. Siamo runner! Malga Zebio, le trincee austriache, la discesa verso le trincee italiane, i luoghi di Lussu e dei Granatieri di Sardegna, il bosco, lo sterrato regolare. Sono lanciato e so che manca poco, sono sopra l’aeroporto, Asiago oramai è vicina. Avviso mia moglie di andare oramai al traguardo. Le avevo pronosticato mezzogiorno, non sono ancora le

10.30. Nella discesa ho trovato alcuni runner stanchi, li supero. So che posso chiudere con soddisfazione. Ecco l’asfalto, devo scollinare, vedo l’Ossario, il campanile del Duomo, è la stessa parte finale dell’anno scorso, la conosco; è l’ultimo km, il più bello. La gente comincia ad applaudire,”Manca poco”, “Sei arrivato”, “Bravo”, “Duecento metri e ci sei”, imbocco la via, uno del controllo mi indica verso sinistra, giro l’angolo. Asiago è invasa di persone, aumento il passo e mi sento chiamare: Lisa e le bambine sono dietro una transenna, mi scatta una foto. E’ il traguardo: il tempo si ferma a 4.35 eiseconditelilascio. C’è Marco, lo speaker che parla al microfono, incrocio Giulio e gli chiedo “come sono arrivato?” “Sei undicesimo”. Che corsa! Non sono affatto stanco. Felice, solo felice. Mi raggiunge Lisa, le bambine. Dopo qualche minuto eccolo: barba nera taglia il traguardo. Ci abbracciamo, conversiamo un po’: un nuovo amico per un prossimo trail: il suo nome? Non me lo ha detto! Doccia, mi cambio, mangio un po’, facciamo una cam-

minata lungo il corso affollatissimo di Asiago; decidiamo di partire, andiamo a Lavarone per un paio di giorni. Ma è qui che arriva la parte tragicomica! Lunedì mattina trovo una chiamata al cellulare: è di Filippo, runner fortissimo (quarto assoluto nel tracciato dei 58 km) forse voleva chiedermi come era andata. Lo chiamo: “Ciao Filippo, vedo ora che ieri pomeriggio mi hai cercato.” “Certo che ti chiamavo! Eri sul podio!” “Come sul podio? Sono arrivato undicesimo.” “Sei arrivato secondo di categoria!” C’era il premio di categoria e io non lo sapevo… Secondo nella categoria over 45… Resto zitto. Ed ecco che lo vedo. Vedo il podio, vedo la Piazza di Asiago, vedo un mare di gente che applaude, vedo il cielo azzurro, vedo ancora tante corse davanti dopo le tante che ho già dietro le spalle. E poi eccolo, lo vedo, vedo il secondo gradino del podio. Vuoto. Datemi la macchina del tempo, vi prego. Non ho salito l’unico podio della mia vita. Ma chissà… forse no. Forse no. No.

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asiago

il: STRAFEXPEDITION tra EGRINI E ANDREY SUCCESSO 2015 A PELL hon la coppia De Vince nella nuova Marat Bortoli-Frizzo

Sui sentieri della Grande Guerra

I

primi segnali dell’autunno sull’Altopiano ci sono proprio tutti. Non ne è stata esentata nemmeno la 2a edizione della Strafexpedition, trail tutto vicentino sui sentieri della Grande Guerra. Il via alle ore 6.00 dal centro di Asiago avveniva infatti ad appena 5° C, ma la temperatura saliva subito per i ritmi alti impostati fin dai primi chilometri dai concorrenti. In 356 si sono presentati alle primissime ore del mattino pronti per lanciarsi lungo la duplice proposta di tracciati messa in campo dagli uomini della Sportiva 7 Comuni e sotto la guida di Franco Morello. E mentre nelle parti più alte del percorso comparivano anche i primi fiocchi di neve, a testimoniare un clima alquanto rigido in quota, la testa della corsa prendeva forma già al primo transito a Forte Interrotto, dove il bolzanino Jimmy

di Giulio Centomo ph Andreas Gad

Pellegrini dava prova di voler far bene in questa domenica asiaghese. Dietro di lui si erano già gettati Massimo Adolfato e il vincitore 2014, Fabio Pergher, seguiti anche da Alberto Merlo. Poco prima della Bocchetta di Portule i tracciati si biforcavano e allora tutto era chiaro. Pellegrini sgasava e Pergher, cercando di tenergli testa sbagliava qualcosa. Forse un paio di balise non viste e la sua gara finiva fuori strada costringendolo ben presto ad ammainare la bandiera. Non si dava per vinto però Adolfato, che sapeva amministrare le energie e procedeva spedito all’inseguimento, accompagnato inizialmente proprio da Merlo. Negli ultimi chilometri i distacchi si sfilacciavano e con Pellegrini ormai proiettato in solitaria verso la vittoria, Adolfato metteva tra sé e Merlo quei minuti necessari ad assicurargli il secondo gradino del podio. Sotto l’arco trionfale di Piazza II° Risorgimento ad Asiago, Pellegrini stoppava il cronometro a 6:38:43. Passava quasi mezz’ora prima di vedere sbucare anche Adolfato (7:01:12)

L'arrivo per Jimmy Pellegrini

Sophie Andrey in gara

L'arrivo di Ricky De Bortoli

Irene Frizzo in gara


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e, solo pochi minuti più arretrato, Merlo (7:07:15). «Oggi sono salito qui per vincere e ci sono riuscito – ha spiegato un felice Pellegrini - la corsa è stata bellissima e la leggera nevicata caduta in quota non ha fatto che aggiungere divertimento. Belle le pendenze e l’intero tracciato.» Nella gara dalle tinte rosa Sophie Andrey, svizzera con un dna predisposto per le lunghe corse in montagna faceva gara a sé e liquidava uno dopo l’altro tutti i chilometri della giornata tagliando la finish line con un tempo di 8:08:11. A circa 26’ dalla vincitrice, la seconda posizione andava a Ivonne Scrinzi (8:34:36), mentre a completare la triade femminile era Maria Catena Pizzino, già sul podio nel 2014 con il tempo di 8:57:18. Non è mancata la competizione nemmeno sul nuovissimo tracciato Marathon che per il suo esordio ha proposto 40 km e 1.540 mD+. Il parà berico, Riccardo De Bortoli ha fatto suo il

percorso. Una scelta strategica del ritmo, conservato con una certa costanza, gli ha tuttavia permesso di non lasciare troppe speranze a chi inseguiva. Il suo tempo finale era di 4:02:39 e metteva in riga nell’ordine Luciano Meneghel (4:03:12) e Christian Maltauro (4:11:53). Tra le donne ad imporsi è stata Irene Frizzo con un tempo finale di 4:49:12. La sua è stata una gara senza tanti pensieri, soprattutto dopo aver visto che le poche atlete che le stavano davanti sceglievano di proseguire sul più lungo tracciato integrale, fattore che le spianava la strada per la vittoria. Alle sue spalle, a 5:09:15 si classificava in seconda piazza Silvia Dalla Costa e più in là, in 5:32:40 completava il podio Barbara Bertola. Sulla finish line erano presenti anche il sindaco di Asiago, Roberto Rigoni Stern, in compagnia degli assessori Chiara Stefani e Franco Sella, che hanno ribadito l’importanza di simili manifestazioni per la pro-

mozione dell’Altopiano in ogni sua sfaccettatura. La 2a Strafexpedition è stata organizzata in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Asiago, con l’Unione Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni e con il contributo degli sponsor Saucony, Puro Sport, Cassa Rurale ed Artigiana di Roana, Consorzio di Tutela Asiago D.O.P., Caseificio Pennar, Zuccato, UnipolSai Asiago, Warsteiner, Powerbar, Biovita, Rigoni di Asiago, Fonte Posina Acqua Lissa, Centro Medico Bios e Pastificio Sgambaro.

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vicenza

t or sp lo e ar gn se in di o od m o ov nu Un Il Liceo Scientifico Sportivo

di Antonio Rosso foto per gentile concessione dell’Istituto Cardinal C. Baronio

Da circa due anni, a seguito del D.lgs n.52 del 5 marzo 2013 è stato istituito nell’ordinamento scolastico delle scuole di secondo grado, il liceo scientifico sportivo. Il nuovo liceo è un liceo scientifico dove non si studia più latino, storia dell’arte e disegno ma si approfondiscono le materie scientifiche, in particolare matematica e fisica senza abbandonare le materie più tradizionali. Dal terzo anno si studia una disciplina specifica: diritto ed economia dello sport. L’insegnamento della filosofia sarà ridotto mentre verranno ampliate le ore dedicate alle attività motorie e la scuola dovrà rapporterà con il Coni, coinvolgendo gli studenti in corsi, tornei ed attività sportive aggiuntive. Infine tutti i docenti dovranno in parte orientare anche i programmi delle loro materie verso tematiche sportive. Saranno presi in considerazione, in particolare, i casi di quegli allievi che praticano lo sport agonistico e che si sottopongono ad allenamenti costanti e intensivi partecipando a campionati nazionali e internazionali. Tuttavia, se in passato per molti ragazzi continuare a praticare l’attività sportiva significava dire addio agli studi, adesso si cercherà di conciliare le due attività per non negare ai giovani atleti la possibilità di formarsi senza compromettere la carriera scolastica. Lo studio e lo sport seguiranno binari paralleli. Lo sbocco lavorativo punta a professioni legate al mondo dello

sport come cronista, medico, fisioterapista, professioni che comunque necessitano di un proseguimento degli studi in ambito universitario. In ogni caso, alla fine del percorso scolastico, oltre alla maturità scientifica, gli studenti potranno ottenere un brevetto di istruttore, tecnico e manager di 1° grado per un immediato inserimento nel mondo del lavoro come allenatore, manager, giudice ed arbitro o impiegato nei settori sport, salute e benessere, sicurezza e prevenzione. Nella provincia di Vicenza troviamo licei sportivi ad Asiago, Schio, Vicenza e Bassano del Grappa Liceo sportivo paritario “Istituto Farina”, Vicenza E’ rivolto a ragazzi/e che fanno sport a livello agonistico, a chi lo pratica per gioco e a coloro che ambiscono inserirsi nell’ambito sportive o a diventare dei manager sportivi. Approfondisce le scienze motorie individuali e di squadra, in palestra e all’aperto per sviluppare una efficace cultura dello sport ed assicurare una solida preparazione culturale. Dal terzo anno, in collaborazione con società sportive ed enti di promozione sportivi saranno disponibili crediti formativi, per le attività che gli studenti saranno coinvolti come parte attiva nelle manifestazioni sportive. Quest’anno con altre realtà vicentine gli allievi hanno partecipato al Campionato Europeo di scherma Under 23 come servizio di staff. Gli ambienti scolastici sono usufruibili anche al pomeriggio per gruppi di studio.

E’ attiva sia la prima che la Dal terzo anno, in collaborazione con società sportive ed seconda classe. enti di promozione sportive Liceo sportivo paritario C. saranno disponibili, per gli studenti coinvolti come parBaronio, Vicenza E’ un corso di studi nuovo ed te attiva nelle manifestazioni appassionante che coltiva la sportive, dei crediti formativi. passione e la pratica delle E’ attiva sia la prima che la attività sportive principal- seconda classe. mente per una preparazione di base alla laurea in scienze Liceo sportivo Tron, Schio motorie o ad altri titoli uni- Ha attivato dal 2013 il liceo versitari collegati alla cultu- scientifico, opzione scienra del corpo e dello sport e ze applicate, orientato allo per un primo avvio al com- sport ed ora, nell’anno scopito di allenatore, promotore lastico 2015/16 vi sono: una di attività sportive, manager prima liceo con 30 alunni , di società sportive, funziona- due classi seconde con 53 rio sportivo presso enti pub- alunni e due classi terze con blici (assessorati allo sport, 47 alunni. al turimo, altempo libero, Da quest’anno è attivo anche il Liceo Scientifico Sportivo ecc...) L’Istituto collabora con gli con una prima classe di 30 enti sportivi che operano nel alunni. Viene mantenuto il territorio, con l’ufficio scola- liceo con orientamento allo stico provinciale di educazio- sport in quanto il ministero ne fisica, con l’assessorato concede una sola sezione allo sport, con il C.O.N.I. e di liceo scientifico e non si con le società sportive grazie sarebbero potute soddisfare tutte le richieste. ai grandi spazi presenti. Organizza per gli allievi Pur con alcune differensettimane azzure, settima- ze ambedue i licei hanno ne bianche, manifestazioni l’obiettivo di approfondire le sportive, incontri culturali a scienze motorie e sportive e le discipline sportive in un tematica sportive. L’orario prevede la settima- quadro culturale che favorisna corta e per chi lo desidera ca l’acquisizione delle conoscenze e dei metodi propri lo studio guidato. Disponibile il servizio di delle scienze matematiche, mensa e il convitto interno. fisiche e naturali per guidare


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lo studente a sviluppare le conoscenze e a maturare le competenze necessarie per individuare le interazioni tra le diverse forme del sapere, l’attività motoria e la cultura dello sport. Il corso prevede l’acquisizione della patente europea informatica ECDL. Liceo sportivo J. Da Ponte, Bassano del Grappa E’ attivo dal 2014-2015 con il programma dell’autonomia scolastica e dal 2015-2016 con il programma ministeriale. Il percorso approfondisce le scienze motorie e spor-

tive e le discipline sportive in un quadro culturale che favorisce l’acquisizione delle conoscenze e dei metodi propri delle scienze matematiche, fisiche in equilibrio con l’ambito umanistico. Vengono privilegiati oltre agli sport tradizionali, l’hokey e il rafting che viene sviluppato sul fiume Brenta assieme alla canoa. Gli studenti partecipano a manifestazioni sportive, incontri culturali con tematiche sportive e, dal 4°-5° anno, a settimane bianche Il profilo in uscita è sovrapponibile a quello del Liceo

Scientifico delle Scienze Applicate con curvatura verso l’ambito sportivo. Lo studente acquisirà conoscenze, abilità e competenze per il proseguimento degli studi universitari presso tutte le facoltà anche se il percorso consentirà anche un eventuale inserimento nel mondo del lavoro legato allo sport e al tempo libero, nei settori tecnici delle federazioni e delle associazioni sportive, attraverso il conseguimento di brevetti e patentini, che la scuola provvederà a promuovere. Liceo Sportivo “Mario Rigoni Stern”, Asiago Il nuovo indirizzo è improntato soprattutto sugli sport invernali come discipline “pratiche”, ma gli iscritti dovranno studiare anche le regole e i concetti base di tutti gli sport perchè come spiega il preside Mario Porto: “Se è vero che abbiamo tutte le strutture necessarie

per la pratica degli sport invernali, tra cui due palaghiacci, un trampolino per il salto, piste da fondo e da discesa velocemente raggiungibili, è anche vero che l’Altopiano è ricco di tutte le alter strutture sportive, palasport, campi da tennis e anche un aeroporto per il volo a vela e i boschi per la pratica dell’orienteering e del nordic walking”.
 Nello scorso anno scolastico, ad esempio, nell’ambito delle “Discipline sportive” sono state organizzate, con esperti esterni alla scuola, sei lezioni per ognuno dei corsi di atletica leggera, nuoto, pattinaggio artistico/hockey, orienteering. Inoltre, nelle uscite didattiche, è stata inclusa la pratica del rafting presso il centro di Valstagna Il liceo è stato attivato nel 2014. Quest’anno scolastico 2015-2016, non è stato raggiunto il numero minimo di iscrizioni per cui è attiva solo la classe del secondo anno.

LICEI SCIENTIFICI SPORTIVI IN PROVINCIA DI VICENZA LS “N. Tron” Sperimentale Istituto d’Istruzione Superiore “Mario Rigoni Stern” Istituto Omnicomprensivo Paritario “G. A. Farina”

Schio, via Luzio, 4 Tel. 0445 21715 ASIAGO, via Matteotti, 155 Tel. 0424 63875 Vicenza, via IV Novembre, 4 Tel. 0444 513561

info@tron.vi.it www.tron.gov.it/it/ viis006006@istruzione.it www.istitutosuperioreasiago.it segreteria@istitutofarinavicenza.it www.istitutofarinavicenza.it

Istituti Scolastici Paritari “Card. Vicenza, viale Trento, 139 C. Baronio” Tel. 0444 963233

info@baronio.vi.it www.baronio.vicenza.it

Liceo scientifico statale “Jacopo Bassano del Grappa, via S. Tommaso da Ponte” d’Aquino, 12 Tel. 0424 522280

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Meeting Club Valdagno Anche quest'anno l'Associazione tennis Meeting club Valdagno riprende con la scuola tennis. Il 5 ottobre i corsi di Minitennis, corso base, avviamento, corso avanzato, pre agonistica ed agonistica inizieranno sui campi di via cornetto 3. La scuola del Meeting, certificata dalla Federazione Italiana Tennis, è inquadrata nel Sistema Italia e si avvarrà di maestri ed istruttori federali per preparare un lavoro specifico mirato alla crescita dell'atleta sotto tutti gli aspetti fondamentali, tecnico, fisico, mentali per guidarlo fin dalle primissime esperienze.

Per informazioni rivolgersi a: 0445 410535 - Cristina Mascella 3319186874


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lettere

Potete scrivere al Senatore Alberto Filippi inviando le vostre e-mail a: sportivissimo@mediafactorynet.it Le vostre lettere possono essere lette anche nel sito: albertofilippi.it

Alla scoperta delle nostre montagne e del loro rispetto Gentile senatore, per il fatto che in casa di questi tempi i soldi sono sempre meno, tante sono le spese che una famiglia con 2 ragazzi all’università deve sostenere, mio marito e io non siamo andati in vacanza quest’estate ma abbiamo trascorso le nostre ferie a casa. A dire la verità abbiamo vissuto giorni bellissimi come da tempo non ne passavamo. Abbiamo camminato su e giù per le nostre splendide montagne, dove c’è stata utilissima quella grande foto pubblicata sull’ultimo numero di Sportivissimo con i nomi di tutte le cime delle Piccole Dolomiti. Abbiamo conosciuto posti che non avevamo mai visto, abbiamo percorso sentieri immersi in una vegetazione incantevole, abbiamo mangiato in rifugi deliziosi, siamo stati bene, ci siamo rilassati e rigenerati. Abbiamo sco-

perto che le nostre montagne come le nostre colline in estate sono piene di vita, d’iniziative con gare sportive e sagre alpestri un po’ ovunque. La nostalgia per quei giorni estivi ci ha portato nei week end scorsi a ritornare a camminare sulle nostre colline. C’era meno gente, si percepiva che l’estate e le sue feste erano ormai alle porte, ma le nostre colline sono belle in tutte le stagioni. Però quell’aria da fine estate, da fine festa non era percepibile solo dalle prime foglie cadute dagli alberi, da un po’ di silenzio in più lungo i sentieri ma anche, ed è un vero peccato, dai resti di chi aveva vissuto l’estate in quei posti. Possibile che non si riesca a capire che vivere la montagna, la collina non ci dà il diritto di sporcarle con i nostri rifiuti?

Grazie, Giada

Cara Giada, anche a me piace camminare sui nostri monti che trovo unici e bellissimi. Abbiamo un valore paesaggistico straordinario che dobbiamo difendere a ogni costo. Possiamo farlo educando i giovani fin da piccoli nel non sporcare la montagna e sensibilizzando le persone più mature a riflettere sulla fondamentale importanza di rispettare la natura. Anch’io, come tu dici, ho visto alla fine dell’estate le nostre montagne e le nostre colline più sporche, segno del grande flusso di escursionisti assai poco educati, che le hanno frequentate. Ma sono rimasto colpito anche da altri “rifiuti”, meno convenzionali ma pur sempre deturpanti, che ho visto, quali le tante segnaletiche "faidate" di gare ciclistiche o podistiche, sagre o feste, abbandonate un po’ ovunque. Infatti quando si organizza una gara di bici o di corsa oppure si fa una sagra o anche qualcuno si sposa in una chiesetta in

collina, si è soliti mettere qualche segnale per indicare la strada da percorrere. Nelle gare di bici o di corsa si usa attaccare ai rami degli alberi strisce di fettucce di nailon colorato per indicare ai concorrenti il percorso. Legittimo, ma a gara finita, chi le ha messe, dovrebbe anche andare a toglierle. Così quando si fa una sagra o una festa o un matrimonio si mettono agli incroci delle strade fogli inseriti in buste di plastica trasparente che a fine sagra, festa o matrimonio nessuno va più a togliere. Anche questo è sporcare il nostro paesaggio, anche questo non si dovrebbe fare. Auspico che chi ha usato quella segnaletica non perda altro a tempo per andare a rimuoverla, perché vale sempre un principio: è più difficile buttare una carta per terra dove non ce ne sono altre, rispetto a dove già ce ne sono. Chi sporca, incita a farlo. Quindi è doppiamente responsabile.

Un caro saluto, Alberto.

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