UNICUSANO FOCUS Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma
ALLEGATO AL NUMERO ODIERNO DEL
I.P. A CURA DELL’UNIVERSITà NICCOLò CUSANO e di SpoRTNETWORK
Settimanale di Scienza, Industria e Sport a cura della Cusano
Imprese e disabilità Ricominciare con una startup
G.S. Paralimpico Difesa La nuova “missione” di Giuseppe Spatola > A PAGINA IV
Calcio Per la Sambenedettese un tifoso d’eccezione
> A PAGINA VI
Dario fo
martedì 2 febbraio 2016 www.corrieredellosport.it
> A PAGINA VII > A PAGINA II
l’opinione
Ricerca e confronto il binomio è indissolubile
lo sport è dignità > Il premio Nobel dedica un libro a un pugile che sfidò i nazisti: «Il ring è come il palcoscenico»
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medicina
paralimpiadi
Il mondo si unisce per battere i tumori
De Vidi un simbolo dello sport tricolore
> A PAGINA III
> A PAGINA V
Caratteristica fondamentale della ricerca, in qualunque area e settore scientifico, è avere un punto di partenza costituito dai risultati già acquisiti e un obiettivo identificabile nell’ulteriore sviluppo della conoscenza attraverso l’utilizzazione e, spesso, il superamento dei risultati precedenti. Questa constatazione, pacifica e forse banale, spinge ad una ulteriore considerazione, e cioè che il ricercatore – salvo il caso in cui si muova in un ambito assolutamente nuovo e parta, come si dice, da zero ha bisogno di esaminare i risultati precedenti e, dunque, di interloquire con chi, in parallelo o in precedenza, sta operando nello stesso campo. Tutto ciò evidenzia una ulteriore caratteristica della ricerca, su cui è bene soffermarsi: il confronto. La ricerca è confronto di idee, di opinioni,di risultati. E’ un confronto che non ha, e non deve avere, limiti ideologici o territoriali, tant’è che si menziona la comunità scientifica per indicare un’aggregazione aperta e libera di individui competenti nello stesso settore, nella quale ciascuno si confronta con gli altri e mette a disposizione degli altri i risultati del proprio lavoro e i contenuti delle proprie idee. Naturalmente vi sono eccezioni, come la ricerca diretta a risultati che, in partenza, si intendono brevettare e quindi si mantengono segreti oppure la ricerca in determinati settori, come quello militare. Escluse le eccezioni, la caratteristica del confronto rimane però un dato comune, come è dimostrato dalla enorme diffusione in tutto il mondo dei convegni e degli incontri scientifici, in ambito sia nazionale che internazionale. Ed è bene che questo confronto esista, perché certamente serve ad arginare quella tendenza, peculiare di questi anni, agli atteggiamenti opposti e nei campi più disparati, come la politica, la cultura, il sociale, i media, vale a dire la tendenza allo scontro, alla sopraffazione, alla costante identificazione dell’interlocutore come un avversario da sconfiggere magari non con le idee ma con le parole, molto spesso inutili e ingiuriose. Ritornando alla ricerca e parlando di uno specifico settore come le scienze giuridiche, deve sottolinearsi che qui il confronto deve essere sicuramente condotto anche (e soprattutto) a livello internazionale e in tal caso deve assumere, per tutte le discipline del diritto positivo (cioè per i singoli settori della legislazione) la forma e il metodo della comparazione. La normativa giuridica non è altro che il sistema di disciplina dei rapporti dei privati tra loro e tra i privati e lo Stato:e dunque il verificare come tali rapporti siano disciplinati in Paesi diversi dal nostro appare essenziale per testare la validità delle nostre scelte ed eventualmente per creare modelli diversi dai nostri e utilizzati in altri Stati con risultati positivi. Proprio in considerazione della estrema rilevanza della comparazione l’ Università “Niccolò Cusano” ha realizzato una iniziativa scientifica di grande rilievo, gli “Itinerari di diritto comparato” articolata in numerose conferenze alle quali parteciperanno studiosi italiani e stranieri. La conferenza inaugurale degli Itinerari, già prevista per il prossimo 18 febbraio nell’Aula Magna, è dedicata ai temi della fiscalità in Italia in Spagna, e vedrà la presenza di tre professori spagnoli (Università di Madrid, Valencia e Malaga) e tre italiani (Luiss, Sapienza, Università di Bologna). Prof. Giovanni Puoti Preside Facoltà Giurisprudenza Presidente del Cda Università Niccolò Cusano
II unicusano focus CORRIERE DELLO SPORT / STADIO
martedì 2 febbraio 2016
sport e ricerca
il libro
letteratura
Ricostruzione di una vicenda dimenticata
Quanti “pugni” da Hemingway a Sepulveda
In “Razza di Zingaro” Dario Fo, grazie a una ricerca meticolosa di Paolo Cagna Ninchi, recupera una vicenda vera e dimenticata e la propone in una vibrante ricostruzione narrativa (Chiarelettere, pp. 176).
Ernest Hemingway, Osvaldo Soriano, Luis Sepulveda (nella foto): sono tanti i mostri sacri della letteratura che si sono occupati di boxe. Negli Usa “Il professionista” di W. C. Heinz è il romanzo sul pugilato più celebrato.
dario fo «dal palco al ring contano i valori» Il premio Nobel è autore di “Razza di Zingaro”, dedicato alla storia di un pugile perseguitato dal regime nazista «Johann Trollmann fu accusato di scarsa virilità: fu ucciso senza mai tradire la propria dignità» «Il teatro potrebbe essere paragonato alla boxe: stare in scena è una sfida con se stessi»
PROTAGONISTA. Razza di Zingaro, edito da Chiarelettere, l’ultimo libro scritto da Dario Fo, è dedicato a un atleta che ha fatto del pugilato uno stile di vita, una noble art da onorare dentro e fuori dal ring. E’ dedicato al pugile zingaro, Johann Trollmann, nato nel 1907, con un titolo di campione negato dalla Germania nazista, morto nel 1943 in un campo di concentramento. Si commuove, quasi, Dario Fo, quando racconta la
storia di Johann Trollmann, fuoriclasse nella vita e nella boxe, pugile gentiluomo, che voleva sconfiggere ogni avversario senza mai salire sul ring con l’obiettivo di annientare un nemico, che faceva impazzire le folle, che piaceva tantissimo alle donne e che ha cercato di raccontare la propria cultura prima che la follia del nazionalsocialismo dilagasse nella Germania
Hitleriana. «Quella di questo pugile è una storia vera e soprattutto ancora troppo attuale, anche se si manifesta sotto diverse forme», spiega Dario Fo. Che aggiunge: «Una delle cose che deve fare chi scrive è raccontare storie che smuovano le coscienze di un popolo, contrastare e distruggere i tanti
Sport e arte. Un binomio che quando riesce a essere davvero tale diventa magia, poesia, storia. Leggenda da raccontare, come ha scelto di fare il premio Nobel Dario Fo, intervenuto su Radio Cusano Campus, l’emittente dell’Università Niccolò Cusano, per raccontare come è nato il suo ultimo lavoro “Razza di Zingaro”, edito da Chiarelettere. Dario Fo sottolinea: «Fra teatro e boxe ci sono tantissime similitudini, c’è il palco, che è un po’ come il ring, c’è l’allenamento, il training di precisione, la dedizione, un pubblico e lo stare in scena, che metaforicamente parlando potrebbe essere paragonato a boxare con se stessi, contro la propria ombra».
FRATELLANZE. Da sempre Fo
aveva il desiderio di approfondire il rapporto fra lo sport e l’arte, e la storia del giovane campione lo ha stregato, lo ha colpito, lo ha afferrato, regalandogli l’occasione per scoprire le “fratellanze” fra i due mondi. «Trollmann - racconta il premio Nobel venne accusato di poca virilità sul ring, ma tale giudizio dei giudici tedeschi era reso miope, offuscato, dalle direttive del governo tedesco che voleva dagli atleti rigidità,
staticità, inespressione nei tecnicismi della boxe: il governo tedesco voleva sul ring esemplari di razza tedesca pura, uniformati dalla razza ariana. La loro era ovviamente una follia». La descrizione di Dario Fo prosegue: «Lui era un pugile sui generis, sul ring cercava di divertirsi, di esibirsi, nel massimo rispetto delle regole del gioco della boxe, senza odio, senza cattiveria, senza voler andare allo scontro. A lui interessava lo sport, nel vero senso del termine. Per questo il pubblico impazziva per lui. Incantava attraverso la gestualità, la ritmica, la danza. E avendo capito che la sua danza era un modo per sconvolgere e prendere di sorpresa l’avversario, gliel’hanno vietata». Insomma, spiega Dario Fo, i gerarchi nazisti, «non cercavano dei campioni, ma degli automi. Trollmann, invece, sul ring danzava. Aveva un’eleganza e una mobilità che solo Alì, anni dopo, riuscì a riproporre nel pugilato. La boxe di quegli anni, in Germania, come tutto il resto, veniva macchiata dalla follia nazista». lmann morirà da
Una tecnica per il trapianto di cornea riduce il rischio di rigetto nei bambini
Professore, in cosa consi-
messaggi truffaldini, i falsi, le menzogne, le cose inventate».
l’ultimo match. Trol-
salute, la parola all’esperto
Una nuova tecnica laser per il trapianto parziale di cornea consente ai bambini di recuperare la vista rapidamente, riducendo il rischio di rigetto. E’ questo il risultato che è stato ottenuto dall’équipe del professor Luca Buzzonetti, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Ed è stato lo stesso Buzzonetti a parlarne ai microfoni di Radio Cusano Campus la radio dell’Università Niccolò Cusano, durante la diretta della trasmissione “Genetica Oggi”.
Dario Fo, premio Nobel per la Letteratura nel 1997
L’innovazione spiegata dal prof. Luca Buzzonetti del Bambin Gesù di Roma «Il recupero può avvenire in tempi relativamente brevi, che vanno dai 6 ai 12 mesi»
ste questa nuova tecnica? «Questa tecnica si basa appunto sull’utilizzo della tecnologia più avanzata che esiste oggi per la chirurgia della cornea e che si chiama “Laser a Femtosecondi”. Questa tecnica ci permette di creare delle lamelle di cornea che è una “lente” che ha un suo spessore. Siamo in grado di sostituirne una piccola parte, utilizzando questa macchina, con una precisione che nessuna mano umana può avere. Il fatto di eseguire un trapianto parziale riduce enormemente il rischio di rigetto». Quando è indicato questo
trattamento? «La tecnica che abbiamo proposto è utilizzabile prevalentemente quando è presente un cheratocono, ossia una patologia che deforma la curvatura della cornea, oppure quando ci sono delle opacità superficiali ossia quando la cornea, che è una lente praticamente trasparente, diventa invece opaca e non consente una visione soddisfacente». I tempi di recupero sono ridotti? «Sono ridotti ma parliamo comunque di mesi, ossia di un periodo che va dai sei ai dodici mesi dall’intervento.
E’ un tempo relativamente breve. Bisogna dire che questa tecnica ha nel minor rischio di rigetto la sua forza maggiore. Si passa da un rischio del circa 30% nel trapianto tradizionale ad un rischio del 6-7% con questo trapianto lamellare». Alcuni suoi colleghi hanno denunciato la mancanza di tessuto corneale. La situazione è davvero questa professore? «Questo purtroppo è un problema enorme perché c’è un numero di donazioni che a malapena riescono a coprire le richieste che noi chirurghi facciamo alle
campione, Dario Fo lo celebra come meglio non si potrebbe. Racconta il premio Nobel: «Per proteggere la propria dignità, il proprio modo di essere diverso, nella vita come nel pugilato. Rinchiuso in un campo di prigionia, vessato, schernito e provato giorno e notte dai suoi carcerieri, decise di vincere l’ultimo match. Contro uno dei direttori del campo di concentramento in cui era rinchiuso. Tutti i suoi compagni gli avevano consigliato di lasciarsi battere. Di perdere. Perché se avesse vinto contro quell’ufficiale, gliel’avrebbero fatta pagare. Lui lo sapeva benissimo. Ma scelse comunque di andare incontro al proprio destino anche a scapito di se stesso. Vincendo e tornando a essere libero, almeno nell’animo, per qualche minuto. Pensò che era meglio essere morto che essere indegno. Venne ammazzato poche ore dopo, a bastonate». Nell’indifferenza e nel silenzio generale di una Germania che umiliò così uno dei propri talenti più fulgidi per poi chiedergli scusa anni dopo al fine di onorarne almeno la memoria. © Copyright Università Niccolò Cusano
strutture che si chiamano “Banche degli Occhi” (ogni regione ne ha una) e che distribuiscono le cornee. In Italia la cultura della donazione non è così diffusa anche se l’argomento non è semplice. La comunicazione in questo può fare la differenza. Anche in questo settore ci sono disponibilità diverse in funzione del territorio e delle regioni. Sarebbe importante fare un lavoro di informazione e sensibilizzazione». L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è attualmente un’eccellenza internazionale per il trapianto corneale. Si tratta di un risultato particolarmente importante. «L’oculistica, come altre specializzazioni, ormai impone quella che possiamo definire una “ultraspecializzazione”. Questo permette un lavoro sinergico con altri settori della medicina e ad oggi si rivolgono a noi pazienti da tutta Italia e non solo». © Copyright Università Niccolò Cusano
Per segnalazioni, commenti, informazioni, domande alla redazione dei contenuti del settimanale Unicusano Focus – Sport & Ricerca, potete scrivere all’indirizzo: ufficiostampa@unicusano.it
martedì 2 febbraio 2016
ricerca e cultura
capire il dna per battere il cancro
l’intervento
Giovedì prossimo la giornata mondiale contro i tumori Dal Cnr arriva la scoperta di un nuovo gene “riparatore”
Antonio Musio, coordinatore della ricerca, spiega i possibili sviluppi futuri
Dottor Musio, un gene coinvolto nella riparazione del DNA: ci aiuti a capirne di più.
La sospensione di Schengen mina l’idea di Europa unita Quello che noi oggi comunemente indichiamo come “trattato di Schengen”, in origine – siamo nel 1985 – era una cosiddetta “cooperazione rafforzata” tra alcuni Paesi membri delle Comunità europee, la Germania Ovest, la Francia e gli Stati del Benelux. Il sogno di un’Europa senza frontiere interne era ancora tutto da costruire e l’accordo concluso a Schengen rappresentava solo un esperimento sul piano giuridico e una scommessa su quello politico.
Ogni giorno la patologia colpisce in media mille italiani, 363 mila nel solo 2015
Il 4 febbraio si celebrerà la Giornata mondiale contro il cancro. Un momento di riflessione e sensibilizzazione nei confronti di una patologia “dai mille volti” che sta segnando il nostro tempo. Secondo gli ultimi dati ogni giorno in media mille italiani si ammalano di tumore, circa 363.000 nel solo 2015. La ricerca però non si arresta e prosegue la sua corsa verso nuovi e moderni trattamenti. Recentemente, per esempio, i ricercatori dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) hanno identificato un nuovo gene coinvolto nella riparazione del DNA, capace inoltre di preservare la stabilità del genoma umano. Di questa ricerca ha parlato il suo coordinatore, il dottor Antonio Musio, ricercatore presso il CNR, intervenuto ai microfoni di Radio Cusano Campus, la radio dell’Università Niccolò Cusano, durante la diretta del programma “Genetica Oggi”.
UNICUSANO FOCUS III CORRIERE DELLO SPORT / STADIO
VIA LE FRONTIERE. Progressivamente, nel corso degli anni ’90 del secolo scorso, si convinsero dell’importanza di quella scommessa (convincendo allo stesso tempo gli Stati promotori della serietà e della sostenibilità del loro impegno), anche i Paesi posti ai “confini” dell’Europa, come l’Italia (che aderì nel 1990), la Spagna e il Portogallo (1991), la Grecia (1992), fino alla Danimarca, la Finlandia e la Svezia (1996). L’anno successivo, il Trattato di Amsterdam, che modificava e integrava i Trattati europei (CE e UE) conclusi nel 1992, stabilì l’incorporazione dell’acquis di Schengen all’interno del diritto comunitario. L’eliminazione delle frontiere interne divenne così, a tutti gli effetti, uno dei fondamenti costitutivi – oltre che uno dei segni più tangibili – dell’integrazione europea.
«La comunicazione è fondamentale: solo così possiamo avvicinare il nostro lavoro alla gente» «Analizzeremo tumori specifici per cercare un nesso causale tra il gene e la malattia» «Il nostro DNA è sottoposto a una serie di danni continui, dovuti sia ad azioni esterne, sia al nostro metabolismo. All’interno della cellula ci sono dei meccanismi che impediscono che questi dan-
ni vengano fissati e riparano dunque il DNA. Questo processo è fondamentale per la sopravvivenza della cellula e per impedire lo sviluppo di patologie molto gravi come i tumori. Noi abbiamo studiato un particolare gene chiamato “Smc1b”. Abbiamo dimostrato che questo gene svolge una funzione finora ignota, ossia quella di riparare il DNA». Possiamo immaginare un percorso terapeutico futuro, che prenda le mosse proprio da questo vostro studio? «Possiamo dire che il nostro lavoro ha portato un “pezzetto” di conoscenza in più sul perché le cellule si trasformino in cellule tumorali».
Quali sono le forme tumorali coinvolte da questa mutazione? «Le mutazioni riportate sono le più varie. Ci sono le mutazioni del colon o della vescica, tanto per fare un esempio». Da chi è stata finanziata la ricerca? «Grazie al generoso contributo dell’AIRC e anche attraverso il finanziamento della ricerca da parte dell’istituto Toscano dei tumori, che finanzia gruppi di ricerca che operano in Toscana. Aggiungo che la ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Scientific Reports». C’è bisogno di comunica-
re la ricerca medica, oggi più che mai? «Certo, è fondamentale perché attraverso la comunicazione dei nostri risultati possiamo rendere più chiaro come vengano spesi i finanziamenti che noi riceviamo e rendere così più vicina la ricerca alle persone». Cosa si augura per il futuro della ricerca sul cancro e riguardo la sua professione? «Riuscire a portare nuove conoscenze sui meccanismi alla base della formazione dei tumori. In questo caso, ciò che noi faremo sarà analizzare tumori specifici come quello della vescica per cercare un nesso causale fra il gene e il cancro». © Copyright Università Niccolò Cusano
LA SITUAZIONE. Oggi aderiscono agli accordi di Schengen ventisei Paesi in tutto, dei quali ventidue fanno parte dell’Unione europea (ne rimangono fuori, per motivi diversi, la Gran Bretagna e l’Irlanda, la Bulgaria, la Croazia, la Romania e Cipro), mentre i rimanenti quattro (l’Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia e la Svizzera) figurano come Stati aderenti non membri dell’UE. Com’è noto, a fronte dell’eliminazione dei controlli di frontiera nello spazio intra-comunitario, gli accordi di Schengen prevedono un deciso rafforzamento della vigilanza alle frontiere esterne dell’Unione, obiettivo che insieme rappresenta una garanzia essenziale per il corretto funzionamento dell’intero sistema (al punto che le polizie nazionali possono inseguire un sospetto, segnalato in tutto lo spazio giuridico europeo tramite il sistema di informazione condiviso Schengen - SIS, anche fuori dai confini del proprio Stato) e un onere per lo più gravante sulle autorità nazionali dei sopra citati Paesi europei “di confine”, geograficamente responsabili – loro
malgrado – della rigorosa osservanza degli accordi e, in ultima analisi, delle condizioni effettive di applicazione del principio di libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione. I CONTROLLI. Nei mesi scorsi, per via dell’eccezionale e prolungata pressione migratoria, essenzialmente legata all’afflusso di profughi provenienti dalla Siria, alcuni Stati membri (Germania, Austria, Paesi Bassi e Slovacchia) hanno reintrodotto i controlli alle proprie frontiere nazionali. Si tratta di una possibilità formalmente prevista dalla normativa europea – e non, quindi, di un’iniziativa unilaterale in deroga alla medesima – purché temporalmente limitata e giustificata da ragioni di minaccia grave all’ordine pubblico o alla sicurezza nazionale o da gravi lacune riscontrate nei controlli alle frontiere esterne, tali da mettere in pericolo il funzionamento dell’intero “spazio Schengen”. In precedenza, misure simili erano state già assunte in un buon numero di casi (oltre venticinque dal 1995), ma è la prima volta che ciò accade per far fronte a un’emergenza legata al fenomeno immigratorio. IL FUTURO. E’ lecito, dunque, domandarsi se si tratti di iniziative eccezionali destinate a ridimensionarsi (ma è molto improbabile che l’afflusso di profughi e richiedenti asilo si riduca sensibilmente nei prossimi mesi) o se piuttosto “l’esperimento” iniziato oltre trent’anni fa non sia giunto alla fine e con esso una certa idea di Europa – l’unica, peraltro, che vale la pena di sostenere: libera, pacifica e solidale – da taluni considerata un lusso non più sostenibile, per via delle continue minacce (terrorismo, ripetute crisi economiche, flussi migratori) che la società odierna deve affrontare. Alla comprensibile diffidenza sul futuro dell’Europa che si fa strada tra le nostre coscienze si possono dare risposte diverse, tutte astrattamente valide. Una cosa, però, va tenuta presente: Schengen è un simbolo, tra i più importanti e significativi dell’Europa unita. Se lo cancelleremo, sarà molto difficile immaginarlo e riproporlo in futuro: dal passato non si torna mai indietro. Prof. Nicola Colacino Professore associato di Diritto internazionale Università Niccolò Cusano
l’analisi
Lingua, i limiti (e l’utilità) del politicamente corretto È importante esprimersi in modo appropriato? Indubbiamente sì. Si può rispondere con tale nettezza al quesito posto per (almeno) due ordini di ragioni: a) far sì che venga correttamente inteso quanto affermiamo; b) evitare di offendere chiunque, anche involontariamente. Insomma, la forma può anche avere solide basi di sostanza. Si pensi, ad esempio, alle regole del cerimoniale diplomatico che a volte ci appaiono espressione di una superfetazione davvero eccessiva; ebbene giova ricordare come esse siano dettate a presidio del rispetto della persona. la sentenza. Ma vorrei qui
Usare “persona con disabilità” si rivela più aderente alla realtà: l’handicap c’è e si deve vedere far riferimento ad una ipotesi emblematica di scelta terminologica nella direzione del politicamente corretto: l’espressione «soggetto diversamente abile». Tale locuzione viene utilizzata per la prima volta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 233/2005, decisione a me particolarmente cara perché concerne la posizione delle sorelle e dei fratelli delle perso-
ne con disabilità. Questa sentenza va apprezzata oltre che per il merito della questione decisa anche per via, appunto, della locuzione prescelta per indicare le persone con disabilità, in linea, anzi, con la terminologia allora preferita dalle stesse associazioni attive sulle questioni legate alla disabilità. Va sottolineato come la Consulta si sia sforzata di «esprimersi bene», di usare una formula espressiva corretta e comprensibile; anche con questo tipo di scelte si dà giustizia costituzionale e si dà prova di concorrere in concreto a quell’impegno collettivo necessario per realizzare la piena inclusione sociale delle persone con
disabilità, obiettivo che chiaramente non può prescindere dal coinvolgimento di queste ultime. la convenzione. Oggi l’espressione ritenuta più corretta è «persona con disabilità», peraltro “consacrata” nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 3 marzo 2009, n. 18). Personalmente anche a me pare la più convincente: è più aderente alla realtà ed al contempo sottolinea la pienezza dell’essere persona di chi appunto ha una disabilità. Voglio dire: se non ho le gambe, non la faccio la corsa ad ostacoli, non è che la faccio
diversamente; se ho un serio ritardo mentale, non le calcolo le radici quadrate, non è che le calcolo diversamente. Ora, se non faccio la corsa ad ostacoli o non calcolo le radici quadrate, perché ho una disabilità, sono forse meno persona di chi invece è in grado di fare queste cose? Certamente no. L’handicap (sì, un handicap: adoperiamo qui questo termine) c’è e si vede: si deve vedere. Una parte del genere umano ha delle obiettive difficoltà fisiche o intellettive, delle disabilità: chi si trova in questa condizione è forse meno umano o meno persona degli altri? Certamente no. L’impegno collettivo di cui s’è detto sopra è volto, in ultima anali-
si, a costruire appunto una società «più umana» (per usare la terminologia degli studi sociologici più avanzati) ovverosia più autentica, più fedele a se stessa. concretezza. Quel che serve è spirito di concretezza: quella concretezza, scevra da semplificazioni che risulterebbero inutili, che anima, ad esempio, l’azione di sostegno reciproco fra sorelle e fratelli di persone con disabilità, posta in essere da quasi vent’anni dal Comitato Siblings che ho l’onore di presiedere. Allora diamoci da fare, cerchiamo tutti di avere un ruolo in questo importante processo di “umanizzazione” della nostra società. Sul
piano normativo si prospettano due appuntamenti importanti: ieri alla Camera dei Deputati si è svolta la discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge recanti “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare” (c.d. legge sul Dopo di Noi); il Governo nei prossimi mesi è chiamato a dare attuazione alla delega in tema di sostegno scolastico contenuta nella legge n. 107/2015 (c.d. Buona Scuola). La realtà dei fatti reclama uno sforzo operativo: si pensi a quelle famiglie ove vivono persone con disabilità in condizione di particolare gravità. Ognuno, per
quello che può, per quanto di competenza, cerchi di attivarsi con serietà, con competenza: le parole giuste seguiranno. Con ciò non si vuole certo sminuire l’importanza di un eloquio appropriato, specie in una materia così delicata, che tocca al cuore la vita di tante persone: tutt’altro. Quel che intendo dire è che serve un impegno concreto, fondato sulla preparazione, sulla conoscenza di ciò di cui ci occupiamo: solo a queste condizioni sapremo anche come meglio esprimerci. Prof. Federico Girelli Docente di Diritto Costituzionale Università Niccolò Cusano www.siblings.it
IV UNICUSANO FOCUS CORRIERE DELLO SPORT / STADIO
martedì 2 febbraio 2016
industria, disabilità e cultura
re start up l’impresa abbatte le barriere Tra i progetti di inserimento sostenuti da Irfa-Anmil ed E-Olo anche l’avviamento di una società sportiva voro sono poco più di 19mila nel 2012 e ancora meno, circa 18mila nel corso del 2013. Se il paragone viene fatto con tutti gli iscritti al collocamento, il calcolo è impietoso: un avviamento al lavoro ogni 36 persone.
L’obiettivo finale è la reintegrazione nel mondo del lavoro di persone con disabilità La legge 68/99 ha come finalità la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. La VII Relazione del Parlamento sull’attuazione della norma nel biennio 2012-13 spiegava però che su quattro nuove persone con disabilità che si iscrivevano alla lista del collocamento obbligatorio, solamente una trovava effettivamente lavoro. Di fronte all’evidenza di questi numeri, l’Irfa (l’Istituto di riabilitazione e formazione dell’Anmil) in collaborazione con E-olo S.r.l., società attiva nei settori della formazione e consulenza organizzativa, hanno lanciato lo scorso giugno il Progetto Re-Start Up, che mira appunto al reinserimento lavorativo delle vittime del lavoro e delle persone con disabilità. Premio del bando, un percorso formativo di 40 ore teoriche e 80 di affiancamento con tutor, con consulenza e assistenza organizzativa e fiscale per la durata di un anno per le proposte
I VINCITORI. «L’autoimprendito-
Secondo Anmil, tra pubblico e privato, nel 2013 risultavano 186 mila posti riservati ai disabili
vincitrici, che grazie all’expertise di specialisti saranno accompagnate nella creazione dell’impresa. I DATI. E’ necessario andare a
fondo con l’analisi della Relazione per inquadrare bene lo scenario. Anche quando i posti di lavoro riservati ai di-
sabili sono disponibili, questi continuano a non essere assunti. In Italia, tra pubblico e privato, al 31 dicembre del 2013 risultavano infatti circa 186mila posti di lavoro riservati a soggetti con disabilità, dei quali 41mila scoperti. Si tratta del 22 per cento. Oltre 26 mila, su 117mila complessivi,
provengono dal settore privato. Sono invece 76mila i posti riservati nel pubblico, di cui 13mila non sfruttati. Alla fine del 2013, gli iscritti agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio erano scesi a 676 mila ma, di fronte a questo potenziale di lavoratori, gli avviamenti al la-
rialità può creare nuove e importanti opportunità di accesso al mondo del lavoro», aveva dichiarato l’anno scorso, al momento dell’annuncio del bando Franco Bettoni, presidente nazionale Anmil. Il progetto Re Start Up, inizialmente con scadenza 15 luglio, era stato poi prorogato fino al 4 settembre per garantirgli una maggiore diffusione. Le proposte giunte sono state cinque, e quattro di queste sono state approvate dalla commissione di esperti. Tra i progetti vincenti, uno riguarda direttamente il mondo dello sport. È stato proposto da una atleta ipovedente di Monza, che avvierà una società sportiva che punta ad avviare allo sport persone con la sua stessa disabilità; a Bergamo arriverà invece un’azienda di produzione di sedie in materiale plastico; a Fiesole nascerà un’agenzia di viaggi destinata a persone con disabilità, con particolare attenzione agli atleti paralimpici; quindi a Bologna nascerà un centro di produzione stampa e cartolibreria. © Copyright Università Niccolò Cusano
La battaglia delle arance a Ivrea, un evento clou del Carmevale italiano
videogiochi
La battaglia delle arance di Ivrea diventa un’app Con Orange Battle si simula l’appuntamento storico del Carnevale della città piemontese E’ uno degli appuntamenti più suggestivi del Carnevale nel nostro Paese e ora c’è anche la possibilità di riviverlo in un videogioco. Si chiama Orange battle ed è il videogioco ispirato alla battaglia delle arance più famosa del mondo, quella del carnevale di Ivrea. A realizzarla è Marco Cocchi, titolare dello studio di grafica C3studio, insieme a due colleghi. «L’idea nasce dalla nostra voglia di entrare nel mondo dei videogiochi, un mercato in forte crescita, e soprattutto dalla nostra passione per la battaglia delle arance. Siamo tutti aranceri» ha spiegato Cocchi ai microfoni di Radio Cusano Campus, nel corso del format Giochi a Fumetti. LA STORIA. La battaglia delle arance riproduce
un episodio di affrancamento dalla tirannia che si fa risalire al Medioevo: leggenda vuole che un barone che affamava la città venne scacciato grazie alla ribellione della figlia di
un mugnaio che, promessa sposa, non volle sottostare allo ius primae noctis imposto dal tiranno a tutte le spose. Salita al castello, decapitò il barone e accese la rivolta popolare, che si concluse con la distruzione dell’edificio e con la l’istituzione del libero Comune. IL GIOCO. La Battaglia delle
arance rievoca questa ribellione: «E’ tutto molto simile alla realtà, abbiamo chiesto le autorizzazioni alle squadre per usare i nomi e i simboli - ha spiegato Cocchi - Il videogioco riproduce esattamente la battaglia delle arance, a seconda della squadra che si sceglie ci sarà lo sfondo della piazza di appartenenza e le regole sono sempre le stesse della realtà, ad esempio non bisogna tirare al cavallo o al cavallante ma colpire solo i carristi». Il gioco Orange Battle si può scaricare gratuitamente dall’Apple Store e dal Google Play Store. © Copyright Università Niccolò Cusano
la ricerca
Ma quale doping, il segreto è la musica Una quantità crescente di riscontri scientifici dimostra che la musica può avere un enorme impatto sulla preparazione e le prestazioni atletiche. Il lavoro di Karageorghis, della School of Sport & Education presso la Brunel University di Londra, indica che, ponendo attenzione alla relazione tra battito cardiaco e musica, è possibile potenziare le prestazioni sportive fino al 15 per cento. I suoi studi aiutano a spiegare il clamore suscitato quando gli iPod sono stati banditi dalla Maratona di New York per motivi di “sicurezza”. Karageorghis evidenzia che il potere della musica si esplica in molti modi e l’effetto di base è la distrazione: distoglie la mente dalla fatica e può es-
sere associata con la “positività”, ma aiuta anche la sincronizzazione del corpo. STIMOLI. Lo stesso studioso sot-
tolinea altresì che la musica deve essere selezionata con molta attenzione, in base alla specifica situazione: i corridori dovrebbero sperimentare su di sé, abbinando il ritmo e il messaggio contenuto nella musica. Ciò che attualmente è poco conosciuto è se gli effetti generati dalla musica nell’uomo nel caso “sincrono” siano diversi da quelli generati dalla musica nel caso “asincrono”, anche se evidenze recenti indicano che gli schemi di movimento sincrono - in relazione a uno stimolo ritmico uditivo esterno (“RAS Rhythmic
Auditory Stimulis”) come la musica - possono portare benefici sia al battito cardiaco sia al fabbisogno metabolico. SINCRONIE. Le persone manife-
stano anche un sorta di frequenza “di comodo” in merito ai movimenti ciclici che sono in grado di regolare il battito cardiaco e il metabolismo in armonia con il movimento. Nelle ricerche effettuate si è visto che questo meccanismo di sincronizzazione è abbastanza “personale” e specifico, ovvero varia non solo tra individui, ma anche nell’individuo stesso a seconda del tipo ci ciclicità. Così, se il periodo di movimento di un individuo varia da una fase ripetitiva ad un’altra è altamente probabile che si ab-
biano delle variazioni simili a livello cinematico. In questo senso, l’utilizzo di particolari Bpm (battiti per minuto) di musica ha dimostrato la capacità di migliorare la riabilitazione dei pazienti in numerosi disturbi neuromotori rispetto alla terapia convenzionale. L’osservazione di questo fenomeno suggerisce che la sincronizzazione “musica-movimento” può facilitare tutti gli schemi di movimento, sia quelli semplici sia quelli complessi. LA SCELTA. E’ necessario a questo
punto indagare “quale musica”, e quindi quale playlist, scegliere per avere un beneficio cardiaco e metabolico. Karageorghis, nelle sue ricerche, ha verificato che una playlist accuratamente
selezionata può ridurre la percezione della fatica fino al 12%, migliorando gli effetti benefici di un esercizio fino al 15%, l’efficienza del movimento fino al 7% ed estendendo la resistenza volontaria di ben il 15%. A questo punto per migliorare le proprie prestazionI non servirà doping ma la giusta melodia. Prof. Francesco Peluso Cassese Professore Associato Direttore Laboratorio di Ricerca H.E.R.A.C.L.E - Health Education Research Area Università Niccolò Cusano Prof. Luigi Piceci Laureato in Psicologia Università Niccolò Cusano
martedì 2 febbraio 2016
Unicusano FOCUS V CORRIERE DELLO SPORT / STADIO
sport e disabilità
alvise de Vidi un uomo chiamato “legGenda” Con 14 medaglie olimpiche in bacheca, insegue il traguardo della settima Paralimpiade: «In Italia il nostro movimento ha fatto passi da gigante» dell’opinione pubblica, poi per il lato organizzativo, per l’entusiasmo che ci ha circondati, per la competenza del pubblico, per l’interesse dei media e anche per la posizione del Villaggio Olimpico, che era al centro della città: si respirava l’Olimpiade ovunque».
«A Londra abbiamo vissuto un’edizione storica: l’atmosfera olimpica si poteva respirare ovunque» «La mia vittoria più importante? L’oro ad Atene nella maratona: fu indescrivibile» Parlare con Alvise De Vidi significa avere di fronte un monumento dello sport paralimpico italiano. A 17 anni si fratturò due vertebre cervicali a causa di un tuffo e da allora è in sedia a rotelle: negli ultimi 30 anni ha scritto alcune delle imprese più importanti dello sport per disabili, conquistando – solo per quanto riguarda gli eventi olimpici – 14 medaglie in diverse discipline, dal nuoto (oro a Seul 1988, 25 metri farfalla) alla corsa (400 e 800 metri ad Atlanta, sempre oro), alla maratona (Atene nel 2004) per arrivare all’argento di Londra, quattro anni fa, nei 100 metri T51. Oltre alle Paralimpiadi, tra Mondiali ed Europei, di medaglie nella ba-
De Vidi, qui premiato dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, dopo Atene 2004
checa di Alvise se ne contano altre 34. A quarantanove anni, insegue ora il traguardo della settima partecipazione a una Paralimpiade. Alvise, parliamo subito di Rio: c’è ancora tempo per qualificarsi, che sensazioni hai? «L’anno scorso i Mondiali non sono andati benissimo, quindi dovrò fare una buona stagione e dei tempi che mi portino su nel ranking. Tra maggio e giugno verranno as-
segnati i posti alle varie nazioni: dovrò dimostrare la mia competitività al settore tecnico della Fispes, la mia federazione, e sperare di essere selezionato». Gli Europei di Grosseto sono un grande appuntamento per l’Italia e anche l’ultima chance per conquistare il Brasile. Che evento sarà? «Ci sono diversi aspetti importanti, perché l’Italia ospita il campionato europeo di una delle principali discipline de-
gli sport per disabili. Abbiamo la fortuna di avere un’organizzazione rodata sia dal punto di vista logistico che tecnico. E dal punto di vista sportivo sarà l’occasione più importante per dimostrare il proprio valore, in un evento che sarà la prova generale di Rio de Janeiro». Pensando alle Paralimpiadi, Londra 2012 è stata davvero un’edizione spartiacque? «Sì e sotto tanti aspetti. Innanzitutto dal punto di vista
Hai vissuto la crescita del movimento paralimpico italiano da protagonista sia sul campo che da dirigente. «Sono testimone di un cammino lungo trent’anni e devo dire che con la dirigenza di Pancalli si sono fatti passi da gigante. C’è stato un riconoscimento enorme del paralimpismo, della struttura del Cip e di tutte le federazioni olimpiche: dieci anni fa tutto questo sarebbe stato un’utopia. E’ stato un cammino lungo e difficile, fatto di tanti sacrifici e di risultati, raggiunti sempre con dignità e onore». Qual è il tuo ricordo più speciale di una medaglia? «L’oro ad Atene 2004 nella maratona, perché rappresenta qualcosa che va oltre lo sport, entra nella mitologia di quei luoghi. La vittoria di Baldini in quell’anno rese il tutto ancor più emozionante:
Sulle giovani promesse: «Abbiamo un gruppo fatto di talenti, una nuova generazione» «La mentalità dei ragazzi disabili è cambiata in positivo, anche grazie allo sport» è la gara simbolo delle Olimpiadi, vincere lì ha significato per me qualcosa che rimane unico, raro e prezioso» Da osservatore, chi ti sta impressionando di più tra i giovani? «E’ una considerazione che abbiamo fatto di recente nella riunione della Commissione Atleti: abbiamo una nazionale fatta di tanti giovani di valore in tante discipline diverse. Degli emergenti che stanno cambiando una generazione di atleti, da Morlacchi a Bebe Vio fino alla Caironi. Abbiamo diverse discipline in cui possiamo sperare in grandi risultati, dal nuoto alla scherma, dall’atletica
L’azzurro Alvise De Vidi in azione
all’arco, per non parlare del ciclismo». Manchiamo forse negli sport di squadra. «Potevamo qualificarci nel basket, ma siamo stati sfortunati. L’auspicio è di ritrovare la Nazionale a Tokyo 2020. Rugby, sitting volley e calcio a sette sono ancora molto giovani: tra qualche anno sapremo essere protagonisti». Imprese come le tue o quelle di Martina Caironi o Bebe Vio nella scherma sono uno stimolo per chi vuole reagire alla disabilità. E’ questo il senso della tua esperienza? «Credo che il sentimento di rivalsa fosse più sentito anni fa. Nei ragazzi di oggi che si trovano ad affrontare la disabilità trovo invece una reazione diversa, frutto di un atteggiamento più positivo. Un tempo lo sport era uno strumento di riscatto verso il proprio destino. Oggi lo sport è una scelta:
lo si fa per passione, per agonismo o più semplicemente per divertimento e per fare attività. Come dicevo, è cambiata in positivo l’opinione pubblica ma è cambiata in positivo anche la mentalità dei ragazzi con disabilità». Quanto è importante il ruolo di una federazione nell’avviamento allo sport? «Le federazioni stanno facendo molto in questo senso. Ma possono e devono crescere. Gestiscono al meglio le attività nazionali e internazionali. Nell’avviamento, una parte fondamentale sono le società che operano sul territorio, e anche i comitati regionali svolgono un ruolo molto importante. Alcune federazioni stanno lavorando a progetti mirati e si stanno avvicinandosi ai centri di riabilitazione. E’ un processo di crescita che negli anni darà ottimi risultati». © Copyright Università Niccolò Cusano
l’impegno della fispes
Il gotha dell’atletica a Grosseto Grosseto capitale dell’atletica leggera paralimpica: nei prossimi mesi la città toscana sarà teatro di due appuntamenti clou, il Grand Prix 2016 (dall’8 al 10 aprile) e degli Europei, dal 10 al 16 giugno. Due eventi fondamentali anche per assicurarsi il pass per le Paralimpiadi di Rio de Janeiro che, ricordiamo, si terranno dal 7 al 18 settembre. GRAND PRIX. Il Grand Prix debutterà a Can-
berra, in Australia il 5-7 febbraio, si sposterà nei primi sei mesi dell’anno in tutti e cinque i continenti, toccando anche la sede delle prossime Paralimpiadi estive di Rio De Janeiro a maggio e si concluderà a Londra con la finale del 23-24 luglio. Nel 2015 la tappa italiana del Grand Prix era stata un’edizione da record con la partecipazione di 475 tra corridori, saltatori e lanciatori di 38 nazioni, i tre primati mondiali realizzati (32.29 secondi nei 200 T42 da parte dell’Azzurra Martina Caironi, 6,53 metri nel lungo T42 ad opera del dane-
L’azzurra Martina Caironi
se Daniel Jorgensen e 29,54 nel giavellotto F54 per merito del greco Manolis Stefanoudakis), e le quattro migliori prestazioni continentali. Nove invece i record tricolori. EUROPEI. Dal 10 al 16 giugno allo Stadio
Carlo Zecchini sono attesi 700 atleti provenienti da 40 paesi del vecchio continen-
te. Per ognuno di loro la posta in palio non sarà solo la conquista dei 193 titoli europei nelle diverse specialità di corsa, salti e lanci, ma anche del pass per Rio. Grosseto sarà infatti l’ultima opportunità disponibile per ottenere i minimi di qualificazione alla rassegna paralimpica e fornirà indicazioni certe sulla composizione delle squadre che saranno chiamate a rappresentare le proprie nazioni in Brasile. Il Comitato Organizzatore, composto dalla Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali (FISPES), dalla Federazione Italiana di Atletica Leggera (FIDAL), dal Comitato Italiano Paralimpico e dalla società locale dell’Atletica Grosseto Banca della Maremma con il supporto del Comune di Grosseto, è già al lavoro in perfetta sintonia con il Comitato Paralimpico Internazionale (IPC Athletics) per organizzare una manifestazione da ricordare: «Sarà un orgoglio per l’Italia ospitare per la prima volta nella storia un evento paralimpico di così ampia portata» ha commentato il presidente della FISPES Sandrino Porru. © Copyright Università Niccolò Cusano
riconoscimenti
E Bebe Vio fa incetta di premi Dominatrice della stagione 2015 della scherma paralimpica e sicura protagonista di Rio de Janeiro 2016: Bebe Vio continua a fare incetta di premi. La 18enne veneta è infatti la vincitrice della terza edizione del Premio Internazionale Edoardo Mangiarotti: è stata scelta fra le 44 candidature pervenute, in rappresentanza di 20 discipline sportive. Bebe Vio, che succede nell’albo d’oro alla campionessa paralimpica Martina Caironi e al campione di nuoto Gregorio Paltrinieri, ha vinto nel 2015 il titolo mondiale (più un bronzo a squadre) oltre alla sua secon-
da coppa del Mondo, coronando così a livello assoluto una carriera che già le aveva dato molti allori nel settore giovanile. IL RICONOSCIMENTO. Il Premio internazionale Edoardo Mangiarotti, patrocinato dal Coni, dalla Federazione Italiana Scherma, dal Comune di Milano, dal Cus Milano e supportato dalla Fondazione Cariplo, intende ricordare il grande campione della scherma, vincitore di 6 medaglie d’oro, 5 d’argento e 2 di bronzo alle Olimpiadi fra il 1936 (Berlino) e il 1960 (Roma) con il corollario di 13 titoli mon-
Bebe Vio Foto Augusto Bizzi
diali. Mangiarotti è scomparso a 93 anni nel 2012, la moglie Camilla e la figlia Carola, unitamente all’Associazione delle Medaglie d’Oro al Valore Atletico, l’Unione Nazionale Veterani dello sport, l’Associazione Benemeriti del Comune e della Provincia di Milano, il Panathlon International Club Milano, il Premio Emilio e Aldo De Martino e la Gazzetta dello Sport, hanno varato questo premio, riservato ai giovani tra i 18 e i 30 anni, che consiste in una borsa di studio di 5000 euro per il vincitore e di 1000 euro ciascuna per le 4 Menzioni d’ Onore. © Copyright Università Niccolò Cusano
VI UNICUSANO FOCUS CORRIERE DELLO SPORT / STADIO
martedì 2 febbraio 2016
sport e disabilità
IL futuro è possibile grazie allo sport
Dopo un grave incidente stradale, Giuseppe Spatola è stato costretto a lasciare l’Esercito. Con nuoto e tiro con l’arco ha ritrovato la speranza «Il Gruppo sportivo paralimpico della Difesa mi ha aiutato molto nel ritorno alla vita da civile» «La famiglia mi ha sostenuto nel cercare una nuova dimensione: ora mi sento più forte» «Prima del 13 luglio 2013 ero uno sportivo, un fondista, praticavo l’arrampicata, ma ero soprattutto un volontario dell’Esercito, in servizio all’undicesimo Reggimento trasmissioni di Civitavecchia: prendevo parte alle missioni all’estero, ero un Caporal Maggiore Scelto». Così si presenta Giuseppe Spatola, parlando al passato di quell’uniforme che oggi, a differenza dei suoi colleghi vittime di incidenti in servizio, ha dovuto lasciare. Lui viaggiava in auto, tornava a casa dopo un addestramento, quando è stato investito da un uomo sotto effetto di stupefacenti : «Lasciare le forze armate è stata la cosa che mi ha dato più dispiacere, mi ero arruolato con un grande desiderio
di far parte dell’Esercito ed essere riformato è stata una cosa dura da accettare». la scoperta dello sport. I
danni riportati agli arti inferiori, gravissimi, lo hanno costretto a lottare un anno in ospedale: dapprima l’amputazione della gamba destra e poi, dopo molti interventi volti a tentare di salvare la sinistra, anche l’altra. Un momento drammatico in cui, oltre al grande dolore per aver perduto l’abilità fisica, si aggiunge quello per la professione: «Proprio nel momento in cui ho dovuto accettare il transito nei ruoli civili continua Spatola – ho avuto la fortuna di incontrare alcuni membri del Gruppo sportivo paralimpico della Difesa che mi hanno introdotto alle loro attività».
Sopra, Giuseppe Spatola. Sotto, impegnato in una gara in vasca
vato in loro dei punti di riferimento. In quella fase della mia vita, quando ancora non avevo metabolizzato il trauma, non mi sono sentito un alieno, ho potuto constatare che questi drammi capitano a tanti, e che tutti li superano. Lo sport si può davvero eliminare ogni ostacolo».
riferimento. Giuseppe era
sulla sedia a rotelle, ancora aveva l’arto sinistro, quando gli hanno fatto scoprire il tiro con l’arco, dandogli l’opportunità di misurarsi con uno sport ma soprattutto permettendogli di confrontarsi con persone che erano passate prima di lui per lo stesso trauma e che grazie allo sport erano riuscite a superare tanti problemi. «Mi sono stati vicino – racconta - mi hanno consigliato e ho tro-
il gruppo. Solidarietà, com-
prensione, senso di appartenenza sono le caratteristiche del Gruppo sportivo paralimpico della Difesa, in cui oltre alle barriere strutturali si superano anche quelle di grado e provenienza. Militari dell’Esercito, dell’Aeronautica, della Marina, Carabinieri, personale in congedo o civi-
le: tutti lavorano e si allenano insieme per partecipare alle grandi competizioni nazionali e internazionali. Oggi Giuseppe Spatola è un atleta del nuoto paralimpico, disciplina che ha iniziato all’Istituto di riabilitazione Santa Lucia dopo la seconda amputazione e che continua a praticare con passione nel Gruppo sportivo paralimpico della Difesa. «Di cambiamenti – spiega - ce ne sono stati tanti: perdere gli arti, abbandonare l’Esercito, iniziare lo sport in carrozzina; ho dovuto stringere i denti, ma il bilancio è sicuramente positivo, anche psicologicamente perché con umiltà ho dovuto reinventarmi in una dimensione nuova e questo mi ha aiutato a essere più forte». Una grande trasformazione ottenuta, come racconta Giuseppe, grazie soprattutto alla presenza della famiglia e della compagna, che non lo ha lasciato mai solo. «Nel letto dell’ospedale, al risveglio dall’incidente – conclude - pensavo “adesso un futuro non sarà più possibile”. Il primo gennaio di quest’anno è nata mia figlia e questa è la dimostrazione che il futuro ci aspetta e che un cambiamento è sempre possibile, grazie agli affetti, grazie allo sport». © Copyright Università Niccolò Cusano
special olympics
Giochi nazionali invernali a Bormio vince l’integrazione Si è appena conclusa la XXVII edizione della manifestazione Deborah Compagnoni e Giorgio Rocca testimonial d’eccezione Si è conclusa la XXVII edizione dei Giochi nazionali invernali, l’evento d’apertura di Special Olympics Italia del 2016. Dal 24 al 31 gennaio, Bormio ha ospitato oltre 460 Atleti con e senza disabilità intellettiva che hanno gareggiato nelle discipline di sci alpino, snowboard, sci nordico e corsa con le racchette da neve.
A margine dell’evento sono stati annunciati i 34 convocati per i Mondiali, dal 14 al 25 L’APERTURA. Martedì 26 gennaio, in Piazza Cavour, si era marzo in Austria svolta la cerimonia di apertura, secondo il protocollo olimpico, con la partecipazione di due grandi campioni dello sci italiano, Giorgio Rocca e Deborah Compagnoni. «Ognuno di noi ha differenti abilità – aveva dichiarato Rocca – e mettendole in mostra e valorizzandole abbiamo l’opportunità di abbattere ogni pregiudizio. Date sempre il meglio di voi stessi. Ringrazio le famiglie degli Atleti che, con impegno e sacrificio, li hanno incoraggiati a praticare sport
e a fare di questo la loro ragione di vita. Ringrazio i gli abitanti di Bormio perché hanno sensibilizzato le scuole del territorio e reso possibile un coinvolgimento all’evento e in piazza ci sono molti giovani. L’educazione, l’inclusione, la cultura e il rispetto devono partire proprio dalle generazioni future». A quelle di Rocca, si erano aggiunte le parole di Deborah Compagnoni: «Sono felice di esse-
Deborah Compagni e Giorgio Rocca alla cerimonia di apertura
re qui oggi come testimonial di questo evento. Voi siete il nostro orgoglio più grande. Mettetecela tutta». I GIOCHI. La località sciistica di Bormio vanta un’antica tradizione di ospitalità e ha superato di gran lunga le aspettative dei volontari, familiari e tecnici arrivati da tutta Italia. Inoltre per sensibilizzare il territorio verso il tema della disabilità intellettiva è
stato creato un gemellaggio tra i team Special Olympics e le classi delle scuole della comunità montana, portando gli alunni a bordo pista a sostenere gli Atleti durante le gare e quindi conoscerli. Solo sensibilizzando i giovanissimi, infatti, si abbattono i pregiudizi culturali verso la disabilità e si riesce a costruire una società davvero inclusiva. I Giochi sono stati un importante momen-
L’attività fisica favorisce l’uguaglianza Nel campo della disabilità e dello sport si può far riferimento a tre tipi di pratiche: sport tradizionale, sport adattato ai diversamente abili, sport inclusivo dei disabili. CONVENZIONALE. Con sport
convenzionale si definisce la pratica sportiva praticata da persone non disabili. Per alcuni questa definizione non sarebbe corretta perché a loro avviso lo sport convenzionale è sinonimo di sport, cioè è lo sport comunemente praticato. Tuttavia questa punto di vista si situa piuttosto sul piano di quello che dovrebbe essere che della realtà quale noi la conosciamo. La realtà è che ci sono sport, e sono la maggioranza, che non possono essere praticati da persone con disabilità, non già perché non potrebbero per via delle loro condizioni specifiche, ma solo perché le regole degli sport di cui parliamo non lo permettono. ADATTATO. Lo sport adattato
Anche lo snowboard tra le discipline di gara a Bormio
to d’incontro e confronto per tutto il movimento e durante la Cerimonia di chiusura sono stati annunciati i nomi degli Atleti che parteciperanno ai prossimi Giochi mondiali invernali, che si terranno in Austria dal 14 al 25 marzo 2017. L’Italia sarà rappresentata da 34 Atleti.
L’azzurra, bormiese e tre volte oro olimpico: «Questi Atleti sono il nostro orgoglio più grande»
l’opinione
INCLUSIONE. Questa è una delle tante testimonianze raccolte durante i Giochi. «Ho una sorella, Federica, con la sindrome di Down. Da piccola facevo fatica ad accettarlo, non capivo. Poi d’un tratto mi sono accorta che il suo mondo non è poi tanto diverso dal mio. Federica é sempre stata solare, non le è mai piaciuto stare da sola, lei vive con gli altri e non fa differenze, basta che stia fra la gente». IL VALORE DELLO SPORT.
«Quando pensavo che la sua vita potesse essere monotona - prosegue la testimonianza - ecco arrivare Special Olym-
pics. Prima Rieti con l’atletica, ora Bormio con i Nazionali invernali. Che esperienza e che emozione sia per lei sia per me. Federica è una “tosta”, ma non pensavo davvero che potesse gareggiare, arrivare al traguardo con quella grinta e vincere. Mi sono emozionata tanto a vederla con quelle medaglie al collo. Ma mi ha dato emozione anche vederla esultare per i suoi compagni, rimanere lì al traguardo ad aspettare che arrivassero e festeggiare con loro qualunque fosse il risultato. Mi ha fatto capire che Fede è parte integrante di una bellissima squadra. Grazie a Special Olympics che contribuisce ogni giorno a regalare un sorriso in più a mia sorella, grazie per farla sentire importante e ancora più autonoma. Da tempo non ho più timore, tutti lo sanno che ho una sorella con la sindrome di Down che mi insegna ogni giorno di più ad affrontare la vita». © Copyright Università Niccolò Cusano
può definirsi come la pratica sportiva realizzata per le persone con disabilità. Abitualmente si riferisce a modalità di fare sport identiche allo sport convenzionale, che si differenziano solo per le persone che lo praticano e, talvolta, per i tipi di strumenti e di impianti che utilizzano. A volte le regole sono modificate per accogliere persone con disabilità. In questi casi siamo in presenza di una pratica sportiva diversa, cioè singolare. Ad esempio, la pallacanestro su sedie a rotelle è diversa dal basket convenzionale. A volte la modalità dello sport adattato è creata a uso esclusivo di persone disabili, come nel caso del club madrileno di basket del Boccia. INCLUSIVO. Con l’espressione
sport inclusivo si definiscono quei tipi di pratica sportiva che si rivolgono a tutti,
che abbiano o meno delle disabilità, anche se lo sport inclusivo va al di là delle situazioni in cui si vivono le disabilità. Questa pratica sportiva può essere molto differenziata, anche se spesso prende lo spunto da pratiche sportive adattate o particolari. Per fare un esempio, nel campo del basket, possono esserci partite su sedie a rotelle alle quali partecipano persone con e senza disabilità, ma anche altre dove alcuni partecipanti gareggiano sulle sedie a rotelle e altri in stand, appunto in quanto si configura come una modalità differente, particolare, di fare sport. CONSIDERAZIONI. Non vi è alcun dubbio che dal punto di vista sociale lo sport più conosciuto sia quello convenzionale, seguito a una certa distanza da quello adattato ai diversamente abili. Lo sport inclusivo, in generale, è sconosciuto e alcune persone non lo considerano neanche una pratica sportiva in senso stretto. Queste pratiche sportive, prese singolarmente e nel loro insieme , servono ad avvicinare allo sport persone con disabilità e di conseguenza non sono utili solo a migliorare la salute di chi le pratica, ma pure per soddisfare un loro legittimo diritto. Inoltre promuovono i valori che sono propri dello sport e, per quanto riguarda le persone con disabilità, rappresentano anche strumenti di lotta contro la discriminazione. Se consideriamo queste due prospettive, quella che favorisce l’uguaglianza e l’altra che contrasta la discriminazione, possiamo stabilire le peculiarità e le differenze tra le tre tipologie e le loro variabili.
Professor Rafael de Asís, Università Carlo III di Madrid Traduzione dal castigliano del professor Enrico Ferri Università Niccolò Cusano
martedì 2 febbraio 2016
unicusano focus VII CORRIERE DELLO SPORT / STADIO
La cusano racconta la serie d
un pareggio compagnoni, cuore Virtus, per continuare la fuga a ritmo di samb Il Francavilla insegue il punto sul girone h
La passione rossoblù dell’inconfondibile voce di Sky Sport: «Finalmente c’è una società solida per puntare in alto» «Ho iniziato a seguire la squadra allo stadio fin da bambino Che gioie con Sonetti e Colantuono» «La Sambenedettese, insieme a Venezia, Parma e Piacenza sta facendo grande questa Serie D» Il suo «rete, rete» è inconfondibile. È uno dei telecronisti più imitati, abituato ai campi della Champions League ma con il cuore sulle rive dell’Adriatico. Maurizio Compagnoni, telecronista di punta di Sky Sport, non ha mai nascosto la sua grande passione per la Sambenedettese. Nel cuore delle Marche, c’è San Benedetto del Tronto, che per quanto riguarda il calcio ricorda, in tutto e per tutto, una città sudamericana. «Ho cominciato ad andare allo stadio da bambino – racconta Compagnoni, nato proprio a San Benedetto – erano gli anni ’80, il vecchio stadio “Ballarin” era sempre tutto pieno. Ricordo bene la promozione con Sonetti in panchina. Dovevo arrivare allo stadio molto prima, essendo basso, armato di lupini e semetti. Dovevo trovare posto vicino alla rete». Compagnoni viaggia con i ricordi:
«Nella storia recente, ricordo bene la promozione in serie C1 del 2002 con Colantuono, in finale play off col Brescello al Tardini di Parma. Lì fu partita secca e arrivarono 8mila spettatori da San Benedetto. Ricordo anche la vittoria della B con Sonetti, conquistata con grande anticipo. Purtroppo ci fu l’incendio che causò la morte di due tifosi: un dramma che rovinò la festa». LA NUOVA SAMB. Questa esta-
te la società rossoblù è finita nelle mani dell’imprenditore Franco Fedeli, che ha subito allestito una rosa formidabile e la squadra ora è prima nel girone F e punta alla Lega Pro. «Quest’anno ho visto un paio di partite. La grande svolta è arrivata dopo il 1989, l’ultimo anno di serie B. A parte il periodo con Gaucci alla presidenza, la “Samba” ha attraversato quattro fallimenti. Con Fedeli è arrivata la solidità economica, sembrava una rivoluzione copernicana. Il nuovo presidente ha acquistato il club in due giorni, ha rimesso tutto in ordine e dato stabilità all’ambiente». La Sambenedettese merita questo e altro: «È una piazza dalle potenzialità enormi. In Serie D fa in media 4mila persone, con punte di 7mila. Non è una città di persone normali, dal punto di vista calcistico. Bisognerebbe fare dei paragoni con piazze analoghe del calcio inglese».
OBIETTIVO PRO. Il risultato minimo, quindi, sembra arrivare in Lega Pro. «Il presidente mi è stato presentato ma ci ho parlato pochissimo – riprende Compagnoni - Leggendo le sue interviste, vuole mettere qui le radici e non si accontenta solo del passaggio in Lega Pro. L’importante è non avere fretta, perché altrimenti si commettono errori. Abbiamo già fatto grandi passi in avanti visto che ora abbiamo una proprietà solida e che sta facendo una sana programmazione».
A sinistra, Maurizio Compagnoni. Sopra, l’UnicusanoFondi in casa della Virtus Francavilla
SERIE D da BIG. Quest’anno in Serie D ci sono realtà che hanno assaporato i campi della Serie A, alcune anche l’Europa. La crisi, purtroppo, ha colpito anche i giganti: «Da dieci anni a questa parte i fallimenti sono all’ordine del giorno. Negli ultimi anni c’è stata una carneficina che ha investito anche la Samb. Saltano squadre una dopo l’altra. La Serie D ne ha tratto beneficio perché ora c’è un’attenzione che prima non c’era. La poule scudetto, ad esempio, non appassiona molto ma trovi squadre come Parma, Venezia e Piacenza. Sembra – conclude Compagnoni – di essere tornati alla Serie B degli anni ’80».
I lucani superano l’UnicusanoFondi grazie a due rigori e accorciano sulla capolista pugliese Con il passo della formica, la Virtus Francavilla conserva il primato del girone H della Serie D. Dalla sua parte anche un timido pareggio in casa del Potenza, che aveva appena sostituito per l’ennesima volta il proprio allenatore. A quattro lunghezze di distanza c’è il sorprendente Francavilla. I lucani hanno superato l’UnicusanoFondi in
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unicusanofondi
Juniores nazionali
Giovanili, prosegue la corsa degli Allievi
Pareggio casalingo con l’Ostia Mare per la Juniores nazionale
Un successo e tre pareggi. Bilancio settimanale positivo in questo fine settimana per il settore giovanile dell’UnicusanoFondi. Successo larghissimo degli Allievi (dodicesima vittoria su altrettante partite) che hanno superato l’Insieme Ausonia con otto reti, con la tripletta di Andrea Ghiraldo. La Juniores nazionale non è andata oltre il pareggio
casalingo contro l’Ostia Mare, lasciando così al Trastevere il primo posto della classifica. Pari a reti bianche dei Giovanissimi regionali – con gara chiusa in doppia inferiorità numerica - che infilano il sesto risultato utile di fila. Nell’anticipo di sabato, pareggio anche per i Giovanissimi provinciali contro il Monte San Biagio.
CLASSIFICA Pt Trastevere 34 UnicusanoFondi 33 San Cesareo 30 30 Ostia Mare Rieti 27 Albalonga 27 Aprilia 25 Viterbese 23 Astrea 21 Cynthia 17 Serpentara Bellegra 11 Flaminia 6 Isola Liri ( - 1 ) 2 Lupa Castelli Romani -
allievi provinciali CLASSIFICA Pt UnicusanoFondi 36 29 Formia 1905 Ss. Cosma e Damiano 28 23 Don bosco Gaeta 23 Monte San Biagio Mondo Calcio Formia 22 16 Vigor Gaeta Don Bosco Formia 11 6 Insieme Ausonia Virtus Lenola 5 4 Briganti Itri A.V. Scauri 3
una gara caratterizzata dalle polemiche e si godono la seconda piazza. Gli “universitari”, invece, perdono posizioni a causa del doppio sorpasso di Taranto e Nardò, accomunate dal ritorno al successo e dalle tre reti rifilate all’avversario di turno. I rossoblù, con il ritorno in panchina di mister Cazzarò (salutato con grande favore anche dalla tifoseria), hanno ottenuto un successo largo a spese del Picerno, sempre più ultimo e davvero lontano dalla zona salvezza, mentre i neretini hanno liquidato il Torrecuso ritrovando una vittoria che mancava dalla prima giornata di ritorno. LOTTA SALVEZZA. Nella
scia delle prime si infila la Turris, al terzo successo nel girone di
giovanissimi regionali CLASSIFICA Pt La Selcetta 41 Aprilia 37 Sermoneta 37 Albalonga 34 UnicusanoFondi 26 Pomezia 25 25 Virtus Nettuno Borgo Podgora 21 Agora 15 Calcio Sezze 17 Anzio 16 Pontinia 15 Sabotino 11 Unipomezia 7 Don Bosco Gaeta 7 Priverno Calcio -
ritorno, mentre rallenta il Pomigliano, fermato da un Gallipoli che non molla nella lotta per ottenere un posto nei play out. Nel zona bassa della classifica, continua la corsa del Serpentara, che nel girone di ritorno è riuscito a ottenere tre vittorie e due pareggi. Virtualmente fuori dalla zona calda il Marcianise, che grazie al successo sul Bisceglie trova la prima posizione utile per conservare direttamente la categoria. Tiene il passosalvezza l’Aprilia con il pareggio nel derby contro l’Isola, che le permette di contenere il distacco dalla sestultima sotto la soglia degli otto punti, oltre il quale non si disputeranno i play out. Ma per fare questi ragionamenti c’è ancora molto tempo. © Copyright Università Niccolò Cusano
giovanissimi provinciali CLASSIFICA Pt Borgo Faiti 2004 32 UnicusanoFondi 26 Monte San Biagio 26 23 Nuova Circe 20 Borgo Hermada Città di Sonnino 19 19 Palluzzi Priverno Vodice 13 Real Sabaudia 3 Bassiano 3