
5 minute read
I Assosport fa chiarezza sui materiali green
from Outdoor Mag 06 2021
by Sport Press
FACCIAMO CHIAREZZA
Il webinar di Assosport per aiutare a distinguere materiali bio, eco, compostabili e riciclati. Spazio anche a domande più concrete poste direttamente dai retailer
Advertisement
di Chiara Bellini
Rivolto a modellisti, product manager e designer delle aziende di abbigliamento sportivo, il webinar organizzato da Assosport (Associazione Nazionale fra i Produttori di Articoli Sportivi) lo scorso 27 maggio ha offerto una panoramica dei materiali presenti sul mercato e dei trend di sviluppo per prodotti più green. Il tema della sostenibilità è oggi di cruciale importanza in questo settore, non solo in relazione alla transizione ecologica prevista nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ma anche alla luce della crescente attenzione rivoltagli. La domanda di prodotti sostenibili ed eticamente fabbricati da parte dei consumatori sta crescendo negli ultimi anni, soprattutto tra i più giovani. Ecco dunque perché si è ritenuto necessario fare chiarezza sulla differenza tra materiali biodegradabili, eco, compostabili e riciclati.
SINTETICO VS NATURALE Tra i materiali da riciclo maggiormente presenti sul mercato d’oggi, bisogna innanzitutto fare una macro-divisione tra sintetici e naturali: dal riciclo dei primi si ottengono tessuti derivanti da pet, nylon e altri rifiuti industriali post-consumo; dei secondi invece ce ne sono diverse tipologie e, in tutti i casi, si tratta di prodotti già presenti in natura, solitamente di scarto o addirittura dannosi, per cui dunque la loro estrazione o raccolta è più che utile all’ambiente. Si tratta di: • fibre ecologiche e tecnologie dalla natura (come cotone organico, fibre di ortica, di latte, da alga marina, da soia), molto adatte per il contatto con la pelle grazie alle loro proprietà naturali, benefiche e intrinsecamente antibatteriche; • pelle vegetale da foglie delle piante; • tessuti e membrane da fondi di caffè; • inchiostro tessile e materiali espansi da alghe; • fibre 100% in PLA (polimeri bio, derivanti da mais e altre risorse rinnovabili); • fibre bio-based, cioè parzialmente derivanti da risorse naturali ma comunque con un approccio ecosostenibile molto più importante rispetto alle fibre tradizionali derivanti dal petrolio.
Qual è un esempio concreto di progettazione circolare nell’abbigliamento? Napapijri ha lanciato la giacca Skidoo Circular, sostituendo tutte le parti che tradizionalmente erano realizzate in materiali diversi e utilizzando il tessuto Econyl dove possibile. Insieme ha creato un progetto che parla direttamente ai propri consumatori che, non prima di due anni, possono restituire la giacca, in modo che possa essere riciclata a sua volta.
Come si giustifica il costo aggiuntivo rispetto alle materie vergini? Tutti i prodotti riciclati hanno un costo aggiuntivo rispetto ai tradizionali, perché da parte dei filatori c’è un impegno maggiore
QUESTION & ANSWER
su più aspetti. Inoltre in questo periodo il mercato delle fibre sta decisamente subendo delle oscillazioni di prezzi. E il fatto di pensare alla circolarità cambierà molto anche il costo delle materie prime, dato che possono essere impiegate in prodotti che poi hanno una seconda vita. È anche vero che oggi, con una buona strategia di marketing, quella somma aggiuntiva viene totalmente assorbita trattandosi di una delle tematiche di vendite più calde al momento.
Come posso verificare la garanzia di sostenibilità per una produzione extra UE? Bisogna sempre far riferimento alle certificazioni che i produttori devono allegare a quei prodotti. Non ci si può più affidare alla parola, ma deve esserci un ente esterno che lo assicuri. Ormai ce ne sono in tutto il mondo (europee, africane, asiatiche) e tutti si devono adeguare.
C’è una percentuale minima che un tessuto deve avere per essere dichiarato riciclato (secondo la normativa attuale)? Per dichiararlo riciclato no, dato che nella composizione bisogna scrivere quanta percentuale di materiale riciclato contiene. Dunque nessuno vieta di pubblicizzare un capo che al suo interno ha solo il 10% di materiale riciclato, purché ciò sia vero. Ma se si vuole usufruire della normativa GRS in questo caso serve un minimo del 50% in peso.


BIOPOLIMERI Parlando di risorse rinnovabili spesso il biopolimero crea confusione a causa della sua doppia definizione. Esso è infatti sia un polimero biodegradabile, status comprovato dalla normativa europea n. 13432 (che è quella di riferimento e sempre riportata sul prodotto), sia un polimero basato su materie prime rinnovabili (quindi bio-based o biopolimeri). Per questo motivo il biopolimero può essere o un polimero biodegradabile che deriva da risorse rinnovabili e non, oppure un polimero derivante da risorse rinnovabili che può essere biodegradabile e non.
BIODEGRADABILITÀ VS COMPOSTABILITÀ Sempre facendo riferimento alla normativa europea n. 13432, si scopre che un materiale compostabile deve avere determinate caratteristiche: essere biodegradabile e disintegrabile, avere bassi effetti di metalli presenti e non avere effetti negativi sul processo di riciclaggio. Non è quindi detto che un materiale biodegradabile sia anche compostabile, mentre è corretto il contrario, sbaragliando così la convinzione che biodegradabilità equivalga a compostabilità
COSA PUÒ FARE UN’AZIENDA?
Per comprendere qual è la miglior soluzione per sé rispetto un ampio ventaglio di possibilità messe a disposizione dal mercato in termini di materiale, tecnologie e sostenibilità, un’azienda può eseguire l’analisi dell’LCA, uno degli strumenti ufficialmente ritenuti più validi anche dalla certificazione UNI EN ISO 14040 (ente normatore).
L’LCA (Life Cycle Assessment, ovvero analisi del ciclo di vita di un prodotto) è infatti molto efficace per avere una fotografia del proprio impatto ambientale, attraverso l’analisi di ogni singolo step nella realizzazione di un prodotto. In questo modo identifica qual è il passaggio meno virtuoso al suo interno e, di conseguenza, su cosa ha senso concentrare la propria attenzione. Per esempio si può scoprire che la fase di produzione del cotone impatta moltissimo e dunque bisogna capire quale soluzione adottare per rimediare al consumo eccessivo.
L’LCA è quindi uno strumento nele mani dell’azienda per capire quale sia la strada migliore da precorrere, una risorsa per confrontarsi con la concorrenza, nonché un potente mezzo di comunicazione nei confronti dei clienti. Oggi infatti la parola d’ordine non è solo ecostenibilità ma anche (se non soprattutto) economia circolare.
Patagonia, da sempre devota alla causa green, è un esempio eclatante, arrivando addirittura a suggerire ai propri clienti la riparazione del prodotto anziché l’acquisto di uno nuovo, con il claim “Don’t buy this jacket”. Come il marchio statunitense, altri numerosi brand mirano a ottenere abbigliamento o attrezzature riparabili, assemblabili o persino riciclabili, sulla scia della sempre maggiore attenzione rivolta alla fonte e al fine vita dei manufatti.
WE ARE EXPLORERS
Sport Alliance International Spa – info@sportalliance.it ––43 43
