La presunta morte dello spazio pubblico americano

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la presunta morte dello spazio pubblico americano 02 La ‘presunta’ morte dello spazio pubblico in America

Lo spazio pubblico e ‘la su a fin e’ , per lo meno presunta, rappresentano da qualche anno un tema diffuso di aspro dibattito tra i critici e gli storici dell’architettura, alcuni dei quali hanno visto nella figura dei c ent r i co mmerc ia li un ‘nuovo pubblico’, basato sulla logica del consumo e del divertimento. Questo tipo di spazi diventa sempre più di carattere ‘pseu d o -p u b b lico’, proprio a causa della forte dipendenza dalle risorse di investimento private e dalla presenza di un e l evato g ra d o d i co nt ro llo e di s or ve g l i a n za, sempre più lontano dall’idea democratica di spazio pubblico che fin dai tempi antichi aveva caratterizzato i luoghi accessibili a tutti della città1. L’affermazione provocatoria che evoca la fine dello spazio pubblico mira forse ad una r i fl e s s i o n e circa le p rat ic h e p o lit iche e l e st rate gie gover n at ive attuali messe in atto al fine di esercitare un controllo materiale e sociale sugli spazi collettivi, ma apre anche un dibattito circa le d ifferenti ‘ vi s i o n i ’ riguardanti la natura e lo scopo di uno spazio pubblico, quotidianamente in conflitto nella società contemporanea. Gli ultimi tragici eventi legati al terrorismo globale hanno acuito l’importanza e l’urgenza di tale dissertazione, specialmente nel continente americano, a New York più ancora che in altre metropoli degli Stati Uniti. Sempre più scomodi sono i personaggi cosiddetti ‘ u n d esid erab les’ 2, la paura dei quali rappresenta un sintomo di un altro problema più profondo: la p a u ra d i c iò che no n s i co n o s c e, delle parti di città che non sono governate da enti di fiducia o che non appartengono alla routine quotidiana ritenuta sicura. Lo spazio pubblico diventa per queste figure un rifugio, un luogo senza costrizioni, un modo per rimanere invisibili agli occhi della società formale; per altri invece è molto

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“Going public today means going on air.” Paolo Carpignano

spesso un luogo di ricreazione e divertimento, talvolta accessibile a pochi o espressione di una determinata parte politica, che non è disposta a sopportare il rischio di ventuali disordini. Queste visioni di spazio pubblico, completamente agli antipodi, corrispondono molto da vicino alla distinzione di Lefebvre tra spazio rappresentativo - spazio vissuto, appropriato - e rappresentazion i di spazio - spazio pianificato, controllato, ordinato -. Spesso lo spazio pubblico prende orgine dal secondo tipo di spazio, ma non appena la cittadinanza comincia a prenderne possesso attraverso l’utilizzo, diventa del primo tipo. Inoltre gli spazi pubblici spesso sono anche spazi per la rappresentazione di se stessi o di categorie intere, dove movimenti culturali o politici possono prendere avvio. Tutto ciò spinge dunque ad affermare che gli spazi pubblici rappresentano senza dubbio luoghi essenziali per lo sviluppo d i una vita dem ocratica, al di là della mera politica istituzionale, verso una politica dei fatti. Dall’antica agorà ad oggi, lo spazio pubblico è sempre stato un ibrido tra politica e commercio, ma nell’età contemporanea i soggetti pianificatori, specie nella società americana, hanno via via creato spazi sempre più basati sulla volontà di una maggiore sicurezza rispetto invece all’interazione sociale, sempre più verso la spettacolarizzazion e e l’intrattenimento rispetto al confronto. Uno dei risultati di questo tipo di pianificazione è stato proprio quello di generare ‘sp a z i pubblici m orti ’ 3, capaci di incoraggiare il consumo attraverso spazi ‘spettacolari’ pensati per vendere e vendersi , ma incapaci d i gestire il bisogno di collettività se n za ricorrere a ordine, sor veglianza e controllo, nel nome di comfort e guadagno. L’obiettivo di tali strategie è proprio quello di

1 per un breve excursus sull’identità dello spazio pubblico dall’antichità a oggi si rimanda al capitolo successivo 2 Secondo gli

William

H.White,

‘undesiderables’

sono

rappresentati, dal punto di vista soprattutto dei privati gestori della plazas di New York, non solo da senzatetto, spacciatori e scippatori, ma talvolta anche da teenagers, anziani, ‘hippies’, musicisti e venditori di strada 3 La definizione è tratta dal testo di Richard Sennett ‘ The Consc ienc e of the Eye: The desig n and soc ial life of c ities’, pubblicato dalla Faber and Faber, nel 1991, al cui interno egli sottolinea lo scarso livello di socializzazione e socialità presente nella plazas di New York, spesso collocate frontalmente rispetto a molti famosi edifici per uffici


la presunta morte dello spazio 1

figura 1 La strada, uno dei spazi pubblici ancora tra i più vivi d’America

4 Per comprendere il nuovo mondo dei cosiddetti parchi tematici risulta utile la lettura del testo ‘ Va r i ati o n s on a T heme Par k : th e N ew A m e r i ca n C i ty an d th e e n d o f Pu b l i c Spa ce’, di Michael Sorkin, pubblicato dalla Hill and Wang, New York, nel 1992 5 Citazione da Margaret Crawford in ‘ Variat ions o n a T h eme Pa r k : the N ew A me r i ca n C i ty an d t h e end of P ub l i c Sp a c e ’, di Michael Sorkin, pubblicato dalla Hill and Wang, New York, nel 1992 6 Citazione tratta dal testo di Henry Lefebvre:

‘C r i ti q u e o f eve r yd ay

l i fe’, pubblicato da Verso, Londra, nel 1991

puntare ad una om ogeneizzazione del p u b b lico, degli spettatori, attraverso una progressiva ‘disneyficazione’ dei luoghi, volta alla creazione di spazi attentamente pianificati e pronti per essere venduti. A queste osservazioni si aggiugne la posizione di due critici americani, Michael Sorkin e Margaret Craw ford, entrambi convinti che il declino dello spazio pubblico sia stato provocato nel tempo da una privatizzazione selva g g ia e che il costituirsi di una nuova dimensione, ‘Cyburbia’, una nuova città costituita da uno spazio vasto, invisibile e concettuale in cui il classico concetto di prossimità svanisce, stia spazzando via il ruolo e l’esistenza dello spazio pubblico nella sua accezione più fisica e concreta. Gli sviluppi tecnologici hanno quindi trasformato la natura dello spazio pubblico, tramutandolo in uno sp azio elettronico e creando una ‘n azio n e c ibernetica’. I media oggi sono lo spazio pubblico per eccellenza, e questa è la ragione per cui lo spazio pubblico è destinato a sparire: i ta lk sh ows sono diventati le nuove p iazze d i discussione, comodamente accessibili dal proprio spazio privato. Uno spazio completamente a-georgrafico, in cui i luoghi tradizionali costituiti dalle strade, dalle piazze, dai cortili e dai parchi scompaiono, per fare spazio ad una città costruita come un ‘t h eme park’ 4, con l’intero mondo conosciuto al suo interno, simulando la vita reale e con essa i suoi rapporti sociali. ‘Il mo n d o d el centro commerciale - che n o n r isp etta alcun conf ine, non più limitato d a ll’ imperativo del consumo - è d iventato il mondo reale.’ 5 ‘L a co n seguenza universale delle c ro c iate ve rso la sicurezza totale n ella c ittà è la distruzione di qualsiasi

spazio verame nte d e m oc rat i co’ : questa citazione di Davis del 1992 spiega in poche semplici parole la preoccupazione di molti critici nel vedere la progressiva trasformazione delle città in fortezze sorvegliate. Ma al contrario dell’esito negativo dipinto all’interno del testo ‘ Va r i at i on s on a Them e Par k : t h e New Am e r i ca n City and the e n d of Pu b l i c Sp a c e ’, la ricerca che Margaret Crawford intraprende successivamente tenta di ripensare i concetti di ‘spazio’, di ‘pubblico’ e di ‘identità’, alla ricerca di una risposta c h e p rove n ga d a g l i sp a z i di tutti i gior n i. Lo spazio cosidetto di tutti i giorni si rivela quindi essere lo spazio della vita quotidiana del singolo e della collettività: rappresenta quindi ‘ l o scherm o attrave rs o i l q u a l e l a soc i età proietta le s u e l u c i e l e s u e om b re , l e sue voragini e l e su e s u p e r fi c i , i l s u o potere e la su a d e b ol ez za ’ 6. Una città da osservare attraverso le ‘rotte’ disegnate dai percorsi quotidiani dei cittadini, risultato dell’interazione tra l’uomo e la città; è quindi così che il concetto di ‘spazio’ si associa irreversibilmente a quello di ‘tempo’, imponendo l’inclusione, all’interno della ricerca del significato dello spazio pubblico, dei r i t m i urbani, dei ‘ p atte r n ’ generati dal tragitto casa-lavoro, dei riti del divertimento urbano e dei gesti ripet i t i vi l e gat i a l con s u m o e allo scambio. La nuova esortazione rimane quella di r i tor n o allo spazio p u b b l i co m ate r i a l e, ad un vivere urbano più autentico, basato appunto sulla prossimi tà fi si ca e sul movimento libero. La città in fon d o a l t ro n on è c h e l’espressione d e l n ost ro b i s og n o d i collettività.

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

pubblico americano

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la presunta morte dello spazio pubblico americano 02 Il problema dello spazio pubblico a Manhattan

“City is not so much as a landscape of open spaces.” Lawrence Halprin

Parlare di spazio pubblico a Manhattan può sembrare quasi un o ssimo ro, ma in fondo altro non è che discutere di ciò che compone il pa e s a g g i o d e g li sp a zi a p er t i. Con i loro v u ot i legano le parti di città: strade, passaggi, passeggiate, boulevards, mercati, piazze, centri commerciali sotterranei, parcheggi, gallerie, ‘triangoli’, parchi, parchi giochi, waterfront, sedi di binari, tetti, colline, valli, autostrade, ponti e punti di interscambio. Sono questi gli spazi che la gente comune utilizza e che permettono di socializzare gli uni con gli altri: gli spazi in cui la gente si in co nt ra, si di ve rte e p a r tec ip a ad una vita comune. In fondo la città altro non è che una ‘co re o g raf i a ’ d i sp azi, un ordine al movimento attraverso il quale noi ci spostiamo e viviamo le nostre vite urbane. La struttura del sistema degli spazi aperti ha un legame indelebile con la città e i suoi abitanti: griglie, diagonali, circoli, strade curve, ogni tipologia di strada ha la sua influenza sulla qualità dello spostamento della popolazione nella città, determinando anche ciò che esse stesse fanno e come agiscono. A questi s p a z i ar t ific ia li poi si aggiungono i l u o g h i n at urali, che ancora ricordano le origini del territorio su cui poi si è espansa la città nei secoli: ogni città è infatti nata dal suo stesso ambiente naturale, dal paesaggio che la circonda o che l’ha circondata in passato, elemento questo che più di qualsiasi altro fattore ha influenzato le sue caratteristiche, la sua essenza e la sua personalità 1. Analizzare tali spazi però significa però prima di tutto associarvi il termine ‘pubblico’ e compredere quali significati porta con sè e da dove deriva.

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É infatti nei primi decenni del XX secolo che New York sperimentò un nuovo genere di città, basata sulle necessità e sulla gratificazione della popolazione, che a sua volta cominciava a delinearsi con il termine di ‘massa’: un diverso concetto di ‘pubblico’ si faceva strada nella ‘città degli af fari ’ , in cui la realizzazione di spazi collettivi andava spostandosi verso la progettazione di nuovi piacevoli spazi per il tem po libero e p e r la prom ozione commerciale, grazie ad ambienti esteticamente seducenti ed efficienti. Due esempi fra tutti, quello di Central Par k , il parco pensato per lo svago e la circolazione libera del flusso di gente, e quello di Grand Cent ra l , la stazione più importante di Manhattan, una ‘mini-città autosuf f iciente’ per il cosiddetto popolo vaggiante 2, una struttura ‘maestosa’ e ‘sublime’. La campagna per lanciare un processo di costruzione di ‘luoghi di com odo’ in tutta la città fece leva anche sull’osservazione delle abitudini al consumo della popolazione; molti imprenditori, fra i quali uno dei più illustri fu F rank W. Woolworth, ‘portaro n o i negozi alla gente’ 3, nelle zone e negli incroci in cui più vi era flusso di passanti. Le strade si trasformarono quindi in un brulicare di attività commerciali e di servizi al pubblico, volti alla seduzione e all’acquisto della fiducia dei cittadini-compratori. Anche lo skyline diventa una ‘f inzione cosmetica ’, una silhouette fatta di grattacieli luminosi e ammalianti: la città trasforma definitivamente il suo linguaggio per convertire ogni strada e ogni spazio pubblico in un’immensa vetrin a. E ancora oggi osserviamo i riflessi di questo processo di costruzione di un vero e proprio ‘pubblico’.

1 Citazione tratta dal testo:

‘U rban

open spac es’, della Cooper Hewitt Museum, pubblicato da Rizzoli, New York, nel 1981 2 Così venne definita l’utenza della stazione da una delle riviste del tempo: nel 1904 un cronista del ‘Railroad G azette’ definisce la stazione di Grand Central come il luogo in cui ‘tutto è stato sac rificato alle

comodità

del

pubblico

v iag g iante’. 3 ‘Portare

il

negozio

alla

gente’ fu proprio il motto di Frank W.Woolworth in un intervista del 1913.



la presunta morte dello storia dello spazio pubblico spazio pubblico americano di mannahatta


storia dello spazio pubblico


la presunta morte dello spazio pubblico americano

di mannahatta 02.1 Storia dello spazio pubblico nello sviluppo di ‘Mannahatta’

Per poter parlare di spazio pubblico in qualsiasi sua accezione bisogna avere in mente il significato e la storia che questo termine porta con sè; al fine poi di poter dibattere di s pa z i o p u b b lico amer ican o è altrettanto necessario osservare l’evoluzione dello spazio pubblico europeo e la sua trasformazione oltre oceano. In una sintesi efficace è possibile ripercorrere le principale tappe attraverso le quali le diverse società nel tempo hanno costruito lo spazio aperto pubblico, il quale si è spesso manifestato come un vero e proprio sp ec c h io d ei tem pi.

La nascita e l’evoluzione dello spazio pubblico si fonda sulla pianificazione delle antiche città dell’Europa e, ripercorrendone la storia a ritroso, è possibile risalire fino all’epoca degli antichi greci, passando per il Barocco, il Rinascimento e l’Impero Romano, per rintracciare i primi luoghi collettivi. La culla della civiltà, la società delle p oleis gre ch e , ha dato origine a quello che può essere considerato il vero e proprio primo spazio pubblico della storia della civiltà umana: l ’a cro p o l i, uno spazio fortificato eretto sulla cima di una collina caratterizzato da funzioni religiose, politiche e legate all’attività commerciale. Durante l’evoluzione della società greca, lo spazio dedicato all’’incontro quotidiano e alle riunioni formali e informali’ 1 passa dall’acropoli all’a go rà : quest’ultima si rivela essere, oltre che collocazione per il mercato, anche uno dei luoghi accessibili a tutti, non solo a coloro che al tempo erano considerati cittadini. La società degli antichi romani, invece, costituì come nucleo cittadino il fo ro, spazio chiuso, semi-chiuso o aperto, con al suo interno funzioni

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“It is difficult to design a space that will not attract people. What is remarkable is how often this has been accomplished.” William H. Whyte

miste. La differenza tra queste due civiltà e i loro spazi pubblici è visibile grazie al differente approccio della popolazione latina, la quale introdusse una vera e propria pianificazione urbana basata sull’integrazione dello spazio pubblico all’interno delle città; questa fu inoltre capace di comprendere l’importanza della qualità dei luoghi per la collettività e della possibilità di fare da contenitore per elementi simbolici religiosi e civici, al fine di esercitare quasi un potere di controllo sulla cittadinanza. Nei tempi buii medioevali, si ebbe un calo di attenzione per tutto ciò che riguardava la vita pubblica e le strade divennero uno dei principali luoghi utilizzanti dalla popolazione delle città, seguendo però una logica utilitaristica e funzionale, senza alcuna cura per il dettaglio o l’abbellimento. Fu però proprio in questi anni che lo spazio delle strade assunse un aspetto positivo, quello cioè di essere davvero aperto a tutti, poichè ogni cittadino era uguale all’altro ed erano tutti uomini liberi. 2 Durante il Rinascimento, le città, specie quelle italiane, rifioriscono e spunta tra l’annovero degli spazi pubblici urbani la figura della piazza, come espressione urbana di qualità a imitazione dell’eleganza classica antica e come ‘organism o compiuto con criteri d i regolarità e decoro’ 3. Le funzioni relative al commercio e allo scambio vengono invece spostate verso l’esterno del centro storico. L’esigenza di un nuovo decoro urbano e di linee prospettiche per l’espansione delle città ebbero come conseguenza nuovi interventi di rettificazione dei reticoli medioevali e l’invenzione dei portici nelle principali città europee. L’avvento dell’assolutismo seicentesco porta con sè, oltre alle innumerevoli guerre, alcuni importanti processi di urbanizzazione

1 Citazione tratta dal testo: S pac e’,

‘Public

di Stephen Carr, Mark

Francis, leanne G.Rivlin, Andrew M. Stone, pubblicato dalla Cambridge University Press, Cambridge, nel 1992 2 Citazione tratta dal testo: ‘ The City in Histor y : Its O rig ins, Its Transformations, and Its Prospec ts’,

di

Lewis

Mumford

pubblicato da Harcourt, Brace & World, New York, nel 1961 3 Citazione dal testo ‘ S toria della c ittà. L’età moderna’, di Donatella Calabi, pubblicato da Marsilio, Venezia, nel 2001


storia dello spazio pubblico 1

figura 1 Mappa storica di Central Park del 1875 circa disegnata da Oscar Hinrichs 4 Citazione tratta dal testo: sp ace

:

th e

‘ Pu b l ic

ma n age m e nt

d i men sion ’, di Matthew Carmona, Claudio

de

Magalhäes

and

Leo

Hammond,pubblicato da Routledge, New York, nel 2008

5 Riferimento al testo: ‘ T h e c u l t u re s o f cit ies’, di Sharon Zukin , pubblicato da Blackwell Publishing, Oxford, nel 1995

6 Definizione

di

‘pacification

by

cappuccino’ data dallo studioso D av i d Har vey

nell’articolo intitolato ‘ I l

d i ritto a lla c i ttà ’, pubblicato sulla rivista ‘lettera nternazionale’: “Per descrivere la situazione attuale, la sociologa urbana Sharon Zukin ha coniato

l’espressione

«pacification

by cappuccino» che ben descrive

e molteplici interventi urbani, oltre ad amp lia menti, boulevards, ponti e n u ove ma estose piazze, fino ad arrivare agli ottocenteschi ‘passages’ e alle diagonali che in molte città europee tagliarono il tessuto storico compatto, per questioni igieniche e soprattutto economiche. E’ proprio in questi ultimi tre secoli che, oltreoceano, i nuovi conquistatori dalla Spagna, dall’Inghilterra e dalla Francia portano con sé la tradizione dei propri spazi pubblici e li ripropongono nel Nuovo Mondo: questi spazi però presto si evolvono in nuove t ip o lo g ie, seppur partendo dai prototipi della piazza centrale spagnola, della piazza d’armi francese e dal concetto di ‘common land’ inglese4. Ecco quindi che alcune città del sudovest, quali New Orleans, Los Angeles e Baltimore, progettano la loro forma urbana sulla base di piazze centrali, mentre le città del nordest si rivelano contaminate dalla tradizione inglese di introdurre nello spazio urbano ampie aree comuni, di origine militare. Alcune piazze coloniali ancora esistono, ma la maggiorparte sono state cancellate pian piano che le città americane si espandevano nel XIX secolo.

la tendenza recente che vorrebbe opporre alla monotonia, al grigiore e

all’incoerenza

suburbana,

che

dell’architettura domina

ancora

vasti tratti di territorio, una “nuova urbanistica”, ven d ita

p ro p o n en d o a

p rez z i

in

st ra c c i at i

va r i st ili d i vi ta comu nita r i e raffin at i, i n gra d o d i s o dd i sfa re i sog n i d i q u a lu n q u e c i tta d i n o.”

L’immigrazione e la rapida urbanizzazione, nonostante l’abbondanza di terreno disponibile per l’espansione, comportano la cessione delle aree pubbliche e i piani basati sulla griglia portano ad un processo specultativo veloce e facile. In questo contesto assume particolare rilevanza la strada, che diventa uno spazio pubblico privilegiato e che comincia ad intergire con il contesto che ha attorno, fino al momento in cui, intorno ai primi del Novecento, subentra l’auto; l’attenzione quindi si sposta su quello che diventerà l’elemento paesag gistico d ’ec c elleza per New York e non solo,

il parco. Nasce quindi un ‘ p a r k m ove m e nt ’ , analogo a quello inglese, con l’obiettivo di ‘moralizzare’ i cittadini newyorkesi e con la conseguenza non detta di aumentare i valori fondiari delle real estate. Al fine di portare a compimento il primo grande spazio pubblico americano, C e nt ra l Park, furono demoliti dal 1850 in poi molti isolati, dalla 59esima alla 110ma strada e dalla quinta all’ottava avenue, come da progetto di Law Olmstead e Calvert Vaux, dando così inizio alla progettazione di una serie di parchi sparsi per la città. Uno di questi è l’attuale Br ya nt Pa r k , situato nella Midtown Manhattan, che nasce come nucleo verde circondato da sedute, al fine di ospitare l’esposizione del 1853, e diventa dopo la Seconda Guerra Civile, un vero e proprio parco pubblico, ospitando su di un lato la sede principale della New York Public Library. La storia di questo spazio rappresenta molto chiaramente e sinteticamente la storia degli spazi pubblici di Manhattan: dopo i tagli negli anni sessanta dovuti alla crisi post-industriale, Bryant Park venne invaso da i cosiddetti ‘undesirable s’, i senzatetto e gli spacciatori della città, e venne salvato dalla ‘ Br ya nt Pa r k Restoration C or p orat i on ’, un’associazione di carattere pri vato che cominciò ad occuparsi dei tempi di ‘bonifica’ e della gestione del parco stesso. Come la sociologa Sh a ron Z u k i n afferma5, la strategia che venne messa in atto fu quella della cosiddetta ‘ p a c i fi cat i on by cappuccino’ 6, tramite la quale gli impiegati della zona reclamarono l’utilizzo del parco in libertà e sicurezza, sulla base di un processo di controllo della diversità, che a sua volta ha le sue fondamenta su di una determinata visione di consumo della società. Questa tattica porta alla creazione di uno sp a z i o e s c l u si vo,

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senza una chiusura fisica tramite recinzioni, ma attraverso un d isp osit iv i d i cont rollo s oci a l e e l’utilizzo di prestabiliti simboli culturali, quali ristoranti e attività di alto livello o la presenza di maxischermi molto costosi per la proiezione di film all’aperto. O ancora la presenza di reti wireless sponsorizzate e il design studiato appositamente per evitare che le panchine presenti diventino luogo di bivacco e riposo prolungato.

Il coraggioso piano basato su di una rigida griglia proposto nel 1807 e approvato nel 1811 - i l C o m m i s s i on ers’ P lan - ha avuto quindi come conseguenza quello di massimizzare le rendite derivate dalla vendita dei terreni e di concedere ben pochi respiri per la costruzione di spazi pubblici e parchi, fatta eccezione per un primo progetto di un ‘p a ra d e g ro u n d ’ tra la 23esima e la 24esima strada e per uno spazio per il mercato, poi sostituiti nel 1853 dall’idea della realizzazione di Central Park. Nel frattempo però la parte più commerciale della città, quella di origine colonica, nel sud dell’isola, evolve e rimpiazza i pochi spazi collettivi esistenti al tempo con luoghi legati al commercio e agli affari, quali banche e compagnie assicurative. Le aree mercatali vengono spinte verso l’esterno e le st rade si trasformano dei principali spazi pubblici, ospitando vetrine, negozi, insegne e stores, destinati in alcuni casi a diventare famosi - è il caso del grande magazzino Macy’s nato nel 1857 -. Più a nord, invece, la Midtown Manhattan si stava trasformando nel d ist retto de l l ’ i nt ratte nimento e del di ve rt i m e nto , legando la sua immagine indissolubilmente ai teatri e alle promenade commerciali: sempre più lo spazio pubblico

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newyorkese si stava identificando con uno spazio di carattere meramente com m ercia l e . Nel 1916 la ‘Com m ission on Buildi n g Districts and Restrictions’ adotta la ‘New York Building Ordinance’ con l’obiettivo di riscattare proprie le strade di Manhattan che, con l’espandersi della città in verticale, ormai rappresentavano vicoli bui, privi di luce e aria e zone a rischio per la popolazione. Tale provvedimento tentava di proteggere gli investimenti dei grandi imprenditori, ma allo stesso tempo voleva dimostrarsi come strumento a favore della salute della cittadinanza: il pri m o vero zoning d’Am erica. Lo scarso successo dell’iniziativa però costringe ad un altro piano di zoning, che introduce un nuovo strumento operativo, quello legato ai cosiddetti P.O.P.S. - i ‘privately owne d public spaces’ - , spazi aperti al pubblico creati da investitori privati in cambio di un indice di edificabilità maggiorato. Inizialmente di qualità insufficiente, proprio a causa del poco interesse del privato nella gestione e manutenzione di un luogo pubblico non remunerativo, questi spazi sono catalogati in determinate tipologie - quali ad esempio l’ ‘arcade’, la ‘plaza’, il ‘covere d pedestrian space’ o il ‘through bl oc k galleria’ 7 - e, grazie al lavoro di Willia m H.Why te 8 , vengono via via implementati attraverso un design sempre più attento, dettato da alcune linee guida circa gli elementi di design, quali le alberature, le sedute, i cafè, le sculture e le fontane, proibendo l’utilizzo di questi spazi come lotti per parcheggi o per lo scarico/carico merci.

figura 2 Bryant Park prima del recupero da parte della ‘Bryant Park Restoration Corporation’ w w w.br yantpark.org figura 3 Bryant Park dopo il recupero da parte della ‘Bryant Park Restoration Corporation’ w w w.br yantpark.org figura 4

Contemporaneamente agli inizi del Novecento, nelle Midtown Manhattan, si andava sviluppando

‘Commissioner ’s G rid plan for Manhattan’ del 1807, qualche anno prima della sua adozione nel 1811


storia dello spazio pubblico 5

figura 5 Garden Plaza dentro all’IBM Building al n. 590 di Madison Avenue figura 6 Times Square e le sue insegne accese a tutte le ore del giorno e della notte

7 Per una conoscenza approfondita e un elenco esaustivo degli spazi che fanno parte dei P.O.P.S. realizzati fino ad oggi consultare il sito: htt p:/ / w w w.nyc . gov/htm l / d cp/ ht ml/p r i v/p r i v.s htm l 8 W illiam H.W hy te (1917-1999) è considerato il mentore del programma ‘Project for Public Spaces’, grazie ai suoi studi sul comportamento umano in ambito urbano. Durante il suo lavoro per la New York City Planning Commission si incuriosì su come potessero funzionare i nuovi spazi della città e cominciò a studiare le dinamiche dei flussi pedonali. Il suo testo di riferimento è: ‘ T h e s oc i a l l i fe of sm a l l u r b a n s p a c e s’, Porject for public spaces, New York, 1980 9 Sito di riferimento: http://www.timessquarenyc.org/

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un quartiere dedicato al divertimento e all’intrattenimento, dapprima ospitando teatri e attività ludiche, evolvendosi poi in un centro commerciale all’aria aperta: è il caso di Times S q u a re, semplice incrocio dalle potenzialità legate alla presenza della metropolitana, che in poco tempo diventa il sito tra i più visitati dai turisti e non solo. Il piano di zoning del 1916 permette che lo slargo venga sommerso letteralmente di in seg n e p ubblicitarie, cambiando per sempre l’immagine della ‘piazza’, che diviene così il simb olo del m ercato dinamico amer ican o; Times Square diventa così una commistione di spazio pubblico e privato allo stesso tempo, uno spazio civico e commerciale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’intera area subisce però un declino e perde la sua reputazione, diventando il rifugio di prostitute e spacciatori; dopo diversi tentativi di ‘rigenerazione urbana’ negli Sessanta e Settanta, finalmente nel 1992 nasce il ‘ Tim es S q u a re Bu siness Im proem ent District ’ - BID- 9 che ha come obiettivo la riqualificazione e l’inserimento di nuove funzioni e nuove fonti di guadagno. Vi si trasferiscono il Planet Hollywood restaurant, il Madam Tussaud’s museum, il Warner Bross studio tour, l’MTV store e tante altre catene che vogliono ottenere la massima visibilità in città. Questo successo che Times Square riscuote oggi giorno è stato raggiunto passando attraverso un alto costo sociale: il controllo costante del comportamento e dell’utilizzo dello spazio pubblico, anche e soprattutto attraverso simboli e oggetti, ha fatto sì che oggi sia ritenuto il luogo peggiore in cui un vero newyorkese possa trovarsi durante ogni ora del giorno e della notte.

La crisi delle istituzioni pubbliche e la difficoltà di agire di fronte ad una realtà complessa e vasta come quella newyorkese hanno costretto le autorità a ricorrere a p a r t n e rs h i p p u b b li coprivato per sopperire alle mancanze statali. Progressivamente gli attori protagonisti delle trasformazioni legate allo spazio pubblico sono quindi cambiati e aumentati: dalle organizzazioni no-profit e dagli assistence providers ai co-manager e ai distretti creati ad hoc - i cosiddetti BID, dei quali fanno parte impreditori e proprietari d’aree commerciali che si autotassano col fine di migliorare le aree pubbliche limitrofe di cui però assumono poi il controllo -, il bisogno di spazio pubblico è ormai quasi completamente affidato a tali compagnie private o semi-private, senza l’esistenza delle quali però la quasi totalità dei neighborhoods cittadini si ritroverebbe oggi in avanzato stato di degrado sociale e anche economico. E’ chiaro però che la proprietà privata della aree pubbliche e in generale di carattere collettivo porta con sè problematiche legate al cont rol l o sociale, alla necessità di d i s p os i t i vi d i sicurezza e ha come conseguenza una certa omogeneità n e l d e si g n d e g l i e le m e nt i che ne fanno parte, il tutto costruendo quindi un paradosso evidente che da adito ad accesi dibattiti internazionali.

Il paragone tra l’epoca contemporanea e quella in cui l’Impero Rom a n o vide una crisi profonda della sua società dopo la morte di Augusto non è poi del tutto così azzardata: il nodo chiave risiede nel progressivo sbilanciamento tra vita pubblica e privata. Così come nell’Età Augustea la società romana si riempiva di riti legati alla res publica, che via via si facevano sempre più obblighi e sempre meno venivano recepiti dalla popolazione

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come rituali spontanei, allo stesso modo la vita pubblica dei nostri tempi sembra sempre più fatta di fo rm a lità e rego le e sono sempre più labili i confini tra la vita comunitaria e quella intima. Questa sensazione comune sembra essere molto marcata soprattutto nella so cietà a m e ri ca n a, in cui la posizione e il valore assegnato all’aspetto della vita individuale influenza la percezione delle aree pubbliche. L’americano medio, infatti, per motivazioni di natura religiosa e legate al contesto lavorativo, sembra molto più attirato dalla ‘r ic erca de l l a p ro p ri a p erso n a lità ’ 10 che alla vita collettiva: questa visione è legata in proporzione all’abbandono degli spazi vuoti pubblici ed entrambi questi aspetti hanno portato a far sì che questi ultimi siano ormai per la maggior parte privi di significato.

Nella Grande Mela i professionisti che più sono costretti ad avere a che fare con la riflessione sullo spazio pubblico sono proprio gli architetti protagonisti della progettazione della città densa: un esempio fra tutti fu la costruzione della L eve r H ou se da parte dell’architetto G o rd o n Bu n sh aft sulla Park Avenue, il cui piano terra è organizzato come uno spazio pubblico aperto con le stesse peculiarità di una piazza e di un cortile allo stesso tempo, sul cui lato nord si erige una torre. Seppur risultando quindi uno spazio permeabile per i cittadini, di fatto costituisce meramente un luogo di passaggio, u n o sp a zio p u b blico ‘ m o rto ’, u n lu ogo p r ivo d i u t ilizzo effett i vo, senza attività differenti e mix culturale, caratteristiche invece di uno spazio collettivo di successo.

Il paragone con lo spazio pubblico europeo, in particolare quello pre-moderno, ricco di attività, mix funzionale, significati e simboli, mette in risalto come lo spazio collettivo a New York abbia subito un progressivo declino, che ha costretto la città stessa a volgere verso una privatizzazione sempre più diffusa dello stesso, anche attraverso legislazioni ad hoc. Questo però viene anche spiegato dalla storica mancanza di finanziamenti da parte delle autorità statali, rispetto invece ai fondi messi a disposizione dalle iniziative private. Sempre di più questi luoghi, nella metropoli considerata l’ombelico del mondo, si allacciano al commercio e alla rete del divertimento e dell’intrattenimento globali, con l’obiettivo di massimizzare rendite e soddisfazione dell’utenza.

figura 7 Immagine del cortile interno della Lever House di Gordon Bunshaft al numero 390 di Park Avenue figura 8 Design del porticato della hall della Lever House di Gordon Bunshaft al numero 390 di Park Avenue

figura 9 Design del porticato della hall della Lever House di Gordon Bunshaft al numero 390 di Park Avenue

Questo paradigma della vita contemporanea a New York rappresenta il f iltro attraverso il quale analizzare, osservare e comprendere la Grande Mela e i suoi spazi pubblici.

10 Il pensiero qui espresso è tartto dal testo di Richard Sennett, ‘The fall of public man’, pubblicato dalla W.W.Norton, New York, nel 1992

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la presunta morte dello la res pubblica spazio pubblico della grande americano mela


la res publica contemporanea


la presunta morte dello spazio pubblico americano

della grande mela 02.2

La ‘res publica’ “You can measure the health of a city by the vitality and energy of its streets and public open spaces.” della Grande Mela William H. Whyte

E’ comune pensare che lo spazio pubblico abbia d ete rm in ate caratter ist iche : solitamente è una p ro p r ietà p u b b lica, non privata, ed è aperta e a c c essib ile a tutt i, spazio all’interno del quale nessuno può essere escluso. Spesso, inoltre, viene associato a qualche i m p o r tante evento c ivico , dove una gran parte della popolazione può convergere al fine di celebrare o di protestare, a seconda delle esigenze del sentire comune1. Un luogo, infine, in cui poter potersi fare sentire e allo stesso tempo un luogo in cui essere ascoltati. In una città poliedrica come N ew Yo r k City, la maggiorparte di queste caratteristiche può venire a mancare, senza per questo negare la certezza di trovarsi di fronte ad un luogo pubblico; gli spazi pubblici si rivelano il più delle volte p o co ‘sp o ntan ei ’, poichè caratterizzati da un codice di comportamento assai poco flessibile e da p rec ise regole , anche non dette. Uno degli esempi più evidenti che riguarda questa categoria di spazi è quello di C i t y H a l l, lo spazio centrale sia a livello geografico che politico della città, rec intato da un’alta cancellata per motivi di sicurezza, il cui accesso è limitato; mentre Times S q uare, al contrario, è invaso da turisti e passanti, anche se altro non è che un in c ro c io d i v ie, per giunta non esclusivamente pedonali. Vi è poi un’altra categoria di spazi pubblici che mette in discussione l’affermazione secondo la quale questi ultimi debbano essere di proprietà di un organo pubblico al fine di essere accessibili e collettivi: è quella dei P.O.P.S - i ‘p r ivately own e d p u b l i c sp a c es’ -, una serie di spazi, figli della ‘New York City Zoning Resolution’ del 1961, più o meno ristretti, appartenenti a privati che, in cambio di un aumento di volumetria sullo stesso lotto, forniscono uno

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spazio pubblico all’interno o di fronte all’edificio da essi stessi costruito2. Questi pochi esempi dimostrano come il concetto di spazio pubblico sia f lessibile e come i suoi limiti possano dimostrarsi in fondo labili. La condizione fisica che caratterizza gli spazi pubblici quindi racconta assai poco circa la loro identità rispetto a quanto possono fare le ‘costellazione di idee, l e azioni e l’ambiente circostante’ 3. Il ruolo dello spazio pubblico all’interno della vita della comunità risulta quindi fondamentale, a prescindere dalla sua forma fisica. Le sue caratteristiche rimangono attaccate al senso più profondo che il termine porta con sè: l’obiettivo dello spazio pubblico è costituire una ‘risposta dem ocratica e signif icati va ai bisogni umani ’ 4. Ne deriva un’osservazione della città complessa e fatta di dettagli: New York come insiem e d i m icrocittà, riconoscibili e separate le une dalle altre da confini e limiti sociali, economici e fisici. Lo spazio pubblico progettato, un esempio per tutti quello di Central Park, contro uno spazio pubblico informale, che si sviluppa sulle strade, nei lotti -pochi- vacanti e al di fuori di file interminabili di negozi: una pratica, quella che si appropria dei ‘sidewalks’, che rende differente ogni neighborhood, che si contamina continuamente con i basamenti degli edifici e che in fondo è il simbolo di una genuina espressione di ciò che è pubblico e democratico. Quest’ultima definizione è la chiave che può guidare l’analisi di tutti quegli spazi della City che contribuiscono a fornire un supporto e uno sfogo per la collettività, luoghi spesso n on canonici e comunque distanti dalla cultura europea, attraverso i quali però è possibile leggere l’identità, o meglio le ident i tà , dell’eterogenea popolazione di questa città.

1 Tale definizione di spazio pubblico è tratta dall’introduzione al testo: ‘D esig ns on the Public : The Private Lives of New York’s Public S pac es’ di Kristine F. Miller, pubblicato dalla University of Minnesota Press, Minneapolis, nel 2007. 2 Per la comprensione del meccanismo e della storia della costruzione dei P.O.P.S. si rimanda al testo ‘Privately O wned Public S pac e: The New York City Experienc e’, pubblicato dal New York City Department, alla consultazione del sito ufficiale h t t p : / / w w w. n y c . g o v / h t m l / dc p/html/priv /priv.shtml. 3 Citazione dal testo: ‘D esig ns on the Public : The Private Lives of New York’s Public S pac es’ di Kristine F. Miller, pubblicato dalla University of Minnesota Press, Minneapolis, nel 2007 4 Citazione tratta dal testo: ‘Public S pac e’, di Stephen Carr, Mark Francis, leanne G.Rivlin, Andrew M. Stone, pubblicato dalla Cambridge University Press, Cambridge, nel 1992


la res publica contemporanea 02.3

natural VS artificial

Public Space Map

Una possibile classificazione_ Spazi Pubblici Naturali 01_ Parchi a scala territoriale 02_ Parchi a scala urbana 03_ Parchi a scala di quartiere 04_ Parchi da ‘taschino’ 05_ Giardini collettivi Spazi Pubblici Artificiali 01_ Centri commerciali 02_ Piazze 03_ Piazze aziendali 04_ Atrii e gallerie 05_ Parchi giochi 06_ Mercati 07_ Marciapiedi

Natural Public Space 01_ Territorial parks 02_ Urban parks 03_ Neighborhoods parks 04_ Vest pocket parks 05_ Community gardens Artificial Public Space 01_ Shopping malls 02_ Squares 03_ Plazas 04_ Atrium and arcades 05_ Playgrounds 06_ Markets 07_ Sidewalks 5 Citazione tratta dal testo: ‘ F UN ! Leis u re and the L an d scap e’, d i Tra c y Met z , pub b licato d a N A I P u bl ish e rs, Rotterd a m , n e l 2002

All’interno delle città contemporanee, sempre più dense e affollate, gli spazi pubblici sono diventati componenti essenziali, la cui principale funzione è quella di rappresentare utili elementi al fine di costituire ambienti urbani salutari e sostenibili. Con l’aumento delle ore lavorative e la riduzione delle pause dall’attività che si svolge tutti i giorni, il bisogno di aree di sfo go p u b b lico aumenta continuamente e la presenza sul territorio di spazi dedicati al tempo libero aumenta notevolmente la qualità delle aree urbane. Come Trac y Metz sottolinea, all’interno del suo testo ‘F UN! Leisure and the L an d scap e’ 5, la nostra identità sociale deriva

forse più dalle attività che svolgiamo nel nostro tempo libero che dal nostro lavoro. Riuscire quindi a proporre una classificazione esauriente del sistema complesso di spazio pubblico presente a New York, passando attraverso l’identità dei differenti neighborhoods ch ela compongono, rischia in qualsiasi modo di risultare inappropriato o parziale o comunque assai poco esauriente. Una delle classificazioni possibili potrebbe quindi essere legata all’a sp etto fu n z i on a l e, o meglio relativo alla destinazione d’uso, degli spazi, tenendo quindi in considerazione la miriade di attività che connotano le vite quotidiane dei cittadini newyorkesi.

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

della grande mela a matter of scale

Classificazione proposta_ Pocket spaces Spazi a piccola scala 01_ Parchi tascabili 02_ Giardini collettivi 03_ Atrii e gallerie 04_ Mercati 01_ Vest pocket parks 02_ Community gardens 03_ Atrium and arcades 04_ Markets

Neighborhood spaces Spazi a media scala 01_ Piazze aziendali 02_ Parchi a scala di quartiere 03_ Parchi giochi 01_ Plazas 02_ Neighborhoods parks 03_ Playgrounds

Un’altra via per la suddivisione in categorie potrebbe invece essere rappresentata dal fatto re ‘n at ura lità ’: in una città in cui la parola densità si rivela essere la caratteristica preponderante, la p resen za d i elem enti nat u ra l i e d i su o lo n o n min era lizzato rappresenta oggi una grande risorsa per il governo del territorio newyorkese e rappresenta inoltre per i cittadini un elemento qualificante il contesto in cui vivono. Una terza, ma non ultima, via infine, qui proposta, può essere rappresentata da un’analisi secondo il principio della scala: la dimensione e l’importanza esercitata dai luoghi determinano la loro stessa identità e li

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Urban spaces Spazi a grande scala 01_ Piazze urbane 02_ Parchi urbani 01_ Urban Squares 02_ Urban Parks

inseriscono all’ interno del territo r i o in scale dif ferenti, a seconda del tipo e del livello urbano che essi influenzano e da cui sono influenzati. Non vi sono, secondo questa visione, grandi differenze tra spazi pubblici naturali e artificiali, poichè entrambi possono agire in maniera efficace per la comunità e rappresentare nodi chiave del percorso quotidiano. Le sottocategorie rimangono immutate, ma rientrano in una visione d’ insie m e strategica volta all’individuazione del bacino di utenza e dell’importanza della co-esiste n za di dif ferenti livelli di spazio pubbl i co allo stesso tempo.

Territorial spaces Spazi a grandissima scala 01_ Parchi a scala territoriale 02_ Piazze a scala territoriale 01_ Territorial Parks 02_ Territorial Squares



la presunta morte dello spazio pubblico pocket spaces americano


pocket


la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces 02.4.1 Vest Pocket Parks

“The midtown park may be defined as a small park - yet big enough in essence to reaffirm the dignity of the human being.” Robert L. Zion

I ‘ Ve st Po cket Pa r ks’, anche noti come miniparks, sono spazi urbani aperti connotati da dimensioni molto ridotte, che spesso coincidono con un lotto vacante o più in generale con s pa z i ra cch i usi su t re lat i d a ed if ici; essi hanno come obiettivo quello di coprire il fabbisogno di verde e di spazio pubblico nelle immediate vicinanze e sono rivolti soprattutto alla popolazione dell’isolato di cui fanno parte.

Il nome trae origine non solo dalle dimensioni ridotte di questi inserimenti, ma anche dal fatto che si presentano come ‘infilati a po ste ri o ri ’ all’interno di un blocco urbano e direttamente affacciati sul nastro costituito dai marciapiedi. Essi costituiscono un utile rifugio dalla confusione circostante della città e offrono spazi per il riposo, per possibili eventi e talvolta anche piccole aree gioco. Molte di queste aree sono il risultato del lavoro di g r u p pi e a s so ci a z i o n i d i q u ar t iere, d i ist it u z ioni pr ivate o d i fo n d a zio n i che tentano di riappropriarsi di spazi inutilizzati ai fini del miglioramento della comunità. Inoltre tali spazi spesso risultano molto più facili da realizzare che da gestire, anche a causa del successivo cattivo design, dell’inutilizzo o della mancanza di manutenzione. La possibile valenza ecologica dei parchi da taschino è ridotta a causa delle dimensioni, ma la presenza puntuale di questi ultimi all’interno della griglia di Manhattan consente a ciascun abitante di avere a poca distanza dalla propria abitazione uno spazio di sfogo che evita loro di spostarsi in auto o tramite mezzi. La principale caratteristica di questi spazi è quella di n o n e ssere stat i p ro g ra mmati a l l’ i nte rn o d el p ia n o d ella c ittà e

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di risultare quindi atti spontan e i letteralmente ‘infilati’ nelle rimanenze: la figura dei ‘giardini tascabili’ rimanda quindi a quella di piccoli vuoti che sostengono la città densa e le pratiche sociali urbane.

Nati a New York nel 1964, e descritti nel libro curato dal primo presidente della New York Park Association Inc., Whitney North Seymour, Jr.1, i primi tre giardini tascabili furono realizzati tra il 1964 e il 1965; due sono ancora esistenti e ad essi ne vennero aggiunti altri tre tra il 1994 e il 1996, ‘infilati’ nel blocco della 128th Street di Harlem e risultavano tra loro collegati dal nastro del marciapiede che circonda l’isolato. Proprio Harlem , come molte altre città nordamericane, negli anni ’60 fu teatro di molteplici lotte, i cui protagonisti erano gli afroamericani del quartiere alla conquista dei propri diritti, che esprimevano la propria ribellione contro il dominio dei bianchi e i sopprusi della polizia attraverso aspre rivolte, talvolta anche di massa. In particolare a New York il lungo periodo di governo da parte Robert Moses, peraltro in un primo tempo privo di cariche elettive, aveva determinato situazioni esplosive in alcuni quartieri della città; Moses, sostenendo e facendosi diretto promotore attraverso agenzie create a questo scopo, del gigantesco sviluppo del sistema ponti e di autostrade (highway, parkway, expressway) che attraversano il territorio della City e dello Stato di New York, aveva inoltre contribuito alla costruzione speculativa dei più grandi quartieri popolari della città. Il capitolo all’interno del testo prima citato scritto da Julian Peterson sui ‘ Vest-Pocket Parks in Harlem’ 2 racconta in maniera dettagliata la storia di questi primi e nuovi spazi

1 Whitney North Seymour, Jr., ’S mall U rban S pac es:The Philosophy, D esig n, S oc iolog y and Politic s of Vest-Poc ket Parks and O ther S mall U rban S pac es’, New York University Press, New York, 1969 2 I dati sono tratti dall’articolo del 14 maggio 2010 pubblicato sul sito http://mall.lampnet. org / di Julian R . Peterson e di G iampiero S pinelli, intitolato ‘G iardini tascabili - Harlem 1965: i primi poc ket-park’


pocket 1

figura 1 Una delle prime aree riservate a ‘Vest Pocket Park’ nel quartiere di Harlem.

3 Dati e citazioni tratti dal testo ‘ Th e America n C i ty: w h at wor ks , w hat does n ’t ’, di Alexander Garvin, pubblicato da McGraw Hill, New York, nel 2002

figura 2 - 3 Green a cre Pa r k - foto dal sito http://www.pps.org/

2

di progettazione appoggiato alle comunità locali, Lindsay assunse nuovi designers sia per il progetto dei nuovi parchi che per la sistemazione degli spazi esistenti, devastati dal vandalismo.

pubblici utilizzati come luoghi di ricreazione per bambini - come il ‘tot park’ oggi non più esistente - , per teen-ager e per adulti: il racconto appassionato cita anche tutto l’impegno necessario alla realizzazione dei piccoli parchi, supervisionati dal comitato di volontari presieduto da Mr. Seymour e con l’impegno della Rev. Linette Williamson, della Christ Community Church di Harlem, da parte dei singoli cittadini della comunità, volontari costruttori e organizzatori dei lavori.

Lindsay decise poi di utilizzare i giardini tascabili per accogliere eventi pubblici, manifestazioni e celebrazioni, che lui stesso chiamò ‘happenings’, e ciò diede il via negli anni ad altre pratiche quali lo svolgimento di picnic festivi, celebrazioni di matrimoni, concerti e proiezione di film: tali eventi proseguono tuttora ed ebbero nel tempo però come conseguenza un progressivo deterioramento di tali spazi, per i quali non furono e non sono a disposizione grandi finanziamenti da parte dell’ente pubblico3. Rimane comunque indubbia la valenza sociale di questi piccoli spazi, che vantano inoltre alcuni esempi di notevole qualità e che richiedono investimenti privati ingenti per la loro manutenzione, quali ad esempio Paley Park o Greenacre Park.

Ormai la popolazione da tempo era consapevole del fatto che i parchi non erano più in grado di rappresentare gli unici strumenti con i quali combattere il crimine, la delinquenza e le malattie contagiose e con l’elezione del sindaco di New York, nel 1966, J ohn Lindsay e del suo commissario per i parchi Thomas P.F. Hov in g, viene intrapreso un nuovo programma verso la creazione dei ‘parchi tascabili’ appunto. Come lo stesso Hoving ebbe modo di spiegare, era ormai tempo di liberarsi delle prigioni d ’asfa lto p rodotte f ino a qualche anno p r ima d a Moses: basandosi su di un lavoro 3

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces

total area: 3.780 feet2

Paley Park

Architetto/Designers_ Zion and Breen 90 feet

Collocazione_ 5 East 53rd Street in New York City Datazione_ 1967 Dimensioni_ 13 m x 31 m Superficie_ 400 m2 Cliente_ William S. Paley Foundation

42 feet

Paley Park rappresenta uno dei più famosi e di successo ‘vest p o c ket p a r k ’ di Ma n h atta n, a due passi dalla Midtown ricca di negozi e musei e dalla vita commerciale frenetica e inarrestabile della Grande Mela. Ciò nonostante questo piccolo fazzoletto riesce a fornire alla popolazione, agli impiegati, ai lavoratori, ai turisti e ai passanti in genere un luogo di tranquillità e sp ezza la ro u t ine di s uo n i e i m mag in i d ella v ita u r bana new yo rke s e , soprattutto grazie alla famosa cascata. Quest’ultima risulta essere la vera e propria protagonista dell’area, circondata da 17 piantumazioni e da una moltitudine di sedie e tavolini, che vengono continuamente spostati proprio per godere in misura maggiore della fonte di acqua, profumi e respiro del piccolo parco. Il suono dello scroscio dell’acqua della piccola ca s cata , d i circa 9 met r i, separa questo piccolo paradiso dal resto del frastuono della città senza che però si renda necessario

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l’inserimento di alcuna barriera visiva o fisica tra esso e il marciapiede4. Il parco fu commissionato da William Paley, che fu anche il curatore dell’intero processo di progettazione dello stesso, e completato nel 1967: i designers Zion and Bree n e Associates si occuparono del progetto dei quasi 400 metri quadrati di spaz i o of ferto dalla S.Paley Foundation, dimostrando la facilità con pochi elementi di rendere un luogo nel cuore della città una sorta di oasi di relax e pace. Spesso inoltre il parco diventa luogo per artisti di strada e musicisti, che si esibiscono di fronte all’ingresso, rendendo l’atmosfera ancora più accogliente e romantica. In alcune interviste e all’interno dei video realizzato da William H.White risulta che questo piccolo parco rappresenta ormai un punto fermo per la popolazione, in cui parlare, discutere, rilassarsi, trascorrere le pause pranzo e fare conoscenze nuove, cosa che lo rende ormai indispensabile5.

4 Dati e citazioni tratti dall’articolo ‘In Midtown Manhattan a S mall Park Located Where the People A re’, di Walter F. Wagner Jr., pubblicato su Architectural Record, agosto 1967, Vol 142 n.9, p117. 5 Riferimenti alla tesi ‘A lla ric erca delle piazze nella capitale del g rattac ielo. Manhattan: un’analisi deg li spazi public i contemporanei ’, di Elisa Ravazzoli, rel. Silvia Gaddoni, a.a. 2005/2006, Università degli studi di Bologna.


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la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces 02.4.2 Giardini collettivi

“It’s My Park and I Want to Make It Better.”

Dennis Duggan

di tali spazi, quali ad esempio la riduzione della tendenza al crimine, l’abbellimento del territorio e la pulizia delle strade, procurano benefici anche al governo stesso, che vede un aumento della qualità della vita, e quindi della soddisfazione civica,senza alcun dispendio di energia e finanziamenti. Pertanto l’esistenza di tali spazi consente alla città di New York di fornire un’ulteriore tipologia di spa z i o pubblico aperto, risorsa ormai scars a; in altre città americane la consapevolezza di tali carenze ha portato i governi locali all apresa di coscienza e di responsabilità verso le gestione e la manutenzione, come nei casi di Boston, Chicago o Seattle.

Nell’autunno del 1998 New York City annuncia un piano di vendita di parte di tutti quei terreni non ancora costruiti che nel tempo la città aveva trasformato nei cosiddetti ‘co mmunity ga rd e n s ’, giardini collettivi, mantenuti e gestiti dai cittadini volontari con lo scopo di ripristinare un contatto con la natura e di dotare la città di nuovi spazi verdi e di nuove oasi di relax. Tale operazione avrebbe cancellato 114 dei 700 giardini esistenti, permettendo a eventuali compratori di trasformarli in appartamenti, parcheggi o negozi multipiano, o semplicemente facendoli ritornare ad un stato di abbandono e noncuranza. ‘ T h e Tr u st fo r P u b lic L and’ 1, diverse associazioni non p rofit, gruppi spontanei e semplici amanti dei giardini si oppongono al piano di vendita di tali spazi, non solo per impedirne la distruzione ma anche per rendere manifesta l’esistenza di tali oasi cittadine: la risonanza mediatica della vicenda permise quindi alle associazioni di raccogliere fondi e di acquisire parte di questi terreni vacanti, molto importanti per le comunità di cui fanno parte, sfogo e sostegno per la vita quotidiana dei cittadini locali. Ma i rimanenti lotti, ancora parte del patrimonio del governo, sono co nt in u amente in bi b l i co t ra l a ven d ita e la c essione, soprattutto a causa dell’assenza di un vero e proprio piano volto alla loro tutela e come atti spontanei non vi sono linee guida statali che stabiliscano regole.

I ‘community gardens’ nascono negli anni Settanta quando i cittadini cominciano a sentire il desiderio di sbarazzarsi dei lotti vacanti rimasti, completamente sommersi dai rifiuti della città, di proprietà della città stessa; le prime rivolte per l’appropriazione di tali spazi nascono nei quartieri più degradati della città, come quelli del Lower East Side o dell’area di Bedford-Stuy vesant in Brooklyn. Molti di questi lotti vennero nel tempo ceduti alla città in seguito alla mancata retribuzione delle tasse da parte dei proprietari stessi. Le cifre che riguardano questo fenomeno di lotti vacanti sfiorano le 10.000 unità e ad oggi solo mille di queste sono state convertite in 700 giardini dalle associazioni di volontari2.

Il contributo che questi giardini offrono alla città di New York è ormai diventato di notevole importanza e rappresenta l’eq u ivalente dei ‘p a rch i ta scab ili ’, gest ito però da vo l o nta ri e semp lic i c ittadini, talvolta anche inesperti: le ricadute positive

Molte associazione negli anni si sono occupate del supporto ai volontari dei community gardens: tra queste una delle più importanti è la GreenThumb, che dal 1978 fornisce un valido aiuto attraverso la costituzione di gruppi finalizzati all’insegnamento delle tecniche di

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1 Il ‘ Trust for Public Land’ è un’organizzazione nazionale, nonprofit e per la conservazione del paesaggio che ha come obiettivo quello di preservare il territorio, al fine di permettere alla popolazione di godere di parchi, giardini, aree rurali, siti storici e spazi naturali in genere 2 I dati sono tratti dalla pubblicazione da parte della ‘ Trust for Public Land’ relativa ai community gardens e alla loro gestione, accessibile sul sito dell’associazione http://w w w.tpl. org /


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figura 1 - 2 Alcuni ‘community gardens’ in Harlem e nel Lower East Side

3 Il riferimento implicito è verso la riqualificazione del quartiere del Village e di Chelsea, nella parte ovest dell’isola, riqualificato e convertito a spazio per artisti, i quali però con l’aumento dei costi legati agli alloggi si sono poi conseguentemente trasferiti a Long Island City, a est dell’isola di Manhattan.

giardinaggio e di design del verde, così come quelle di costruzione vera e propria delle strutture all’interno di tali giardini. L’esempio che più di tutti ha fornito negli anni un valido orizzonte di successo è quello della trasform azione d i Br ya nt Park: allo stesso modo infatti i sostenitori dei community gardens affermano di poter ravvivare e risanare le aree attorno ad essi proprio grazie alla loro esistenza e buona manutenzione. Una delle teorie fondanti l’esistenza di tali giardini consiste nell’affermare la necessità da parte dell’uomo, anche quello cittadino, di vivere circandato dalle piante, dalla natura, in un spazio particolarmente consono allo stabilirsi di nuove relazioni, una nuova so c ia lità t ra vicini di casa, f ino a quel mo mento r itenuti semplici passanti. I giardini inoltre sono uno sfondo idoneo per molteplici attività legate all’identità di quartiere: dalla semplice pachina che diventa spazio per la conversazione agli oggetti necessari all’organizzazione di matrimoni, feste, turni di sorveglianza notturna, corsi di musica, esibizioni e spazi per le attività del dopo-scuola, anche

gli elementi presenti all’interno dei giardini lasciano trasparire i diversi usi e le differenti attività che vengono svolte quotidianamente. Non è quindi un caso osservare che il proliferare di tali giardini riguardi soprattutto q u a r t i e r i della città tra i p i ù p op ol a r i e p op ol os i , spesso urbanizzati densamente attraverso alti condomini -come nel caso dell’area del Lower East Side di Manhattan- o aree di degrado e segregazione razziale -come è stata fino a poco tempo fa l’esteso quartiere di Harlem, ancora oggi tutto da riqualificare e pressochè distaccato dal resto dei servizi della città-. Qui più che in altri quartieri, in cui la logica della speculazione ha preso il sopravvento e la riqualificazione ha spesso portato ad interventi volti allo sfruttamento terriero per un maggiore rendimento economico dei lotti3, la necessità manifestata dai cittadini è proprio quella di sentirsi padroni di alcune aree, anche se ridotte, che consentano loro di vivero uno spazio aper to a l te r n at i vo a q u e l l o della strada.

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces

total area: 15.300 feet2

6th and B garden

Architetto/Designers_ volontari e giardinieri - Trust for Public Land 0 17 et fe

Collocazione_ 6th Street & B Avenue in New York City Datazione_ 1982 Dimensioni_ 30 m x 50 m Superficie_ 1500 m2 Cliente_ 6th Street A-B Block Association

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Fino al periodo coloniale, il sito era occupato da una palude di sale, fornendo riparo a diverse varietà di uccelli acquatici. Dopo essere stata oppotunamente risata, l’area, attorno al 1845, vide la comparsa dei primi edifici ad alloggi per commercianti. Con il 1890, infatti, il Lower East Side era diventato la casa di centinaia di migliaia di immigrati, densamente concentrati in umidi appartamenti senza luce nè aria o spazio verde. Nel 1960 il movimento verso le aree esterne alla città dei nuclei famigliari ha iniziato a modificare il quartiere, convertendo le abitazioni in alloggi per studenti, persone a basso reddito di lavoro, e immagrati di orgine latina4. Alla fine degli anni ‘70 e primi ‘80, l’angolo tra la Sixth Street e l’Avenue B si deteriorò progressivamente, lasciando edifici vuoti, usati come tiro a segno da tossicodipendenti. Vennero quindi rimossi gli edifici da sei dei lotti presenti per motivi di sicurezza, estetica e inutilità del terreno pieno di detriti. Vedendo i lotti vacanti come un’importante opportunità di ripristinare possibili aree a verde per una comunità del tutto sovradimensionata, nel

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1982 una commissione dell’associazione ‘6th Street and A-B blocks’ presentò una petizione al comune attraverso l’associazione ‘Green Thumb’ per ottenre un contratto di locazione. Davanti alla minaccia di trasformazione dei lotti in parcheggi, i membri ‘amici’ del giardino elaborarono un piano vero e proprio di disegno del suolo. Entro l’aprile del 1984, Green Thumb aveva emesso un contratto di locazione di un anno e i membri del Giardino cominciarono a piantare arbusti ornamentali e alberi. Negli anni il Giardino dovette affrontare diverse peripezie, contro la volontà da parte del Comune di venedere il lotto a privati, intenzionati alla realizzazione di alloggi. Al suo interno oggi contiene un’area di attività dei bambini, progettata dal Children’s Research Group e del ‘University Center of The City University of New York’: attualmente duecento bambini utilizzano il giardino settimanalmente. Il contributo che questo giardino offre alla comunità locale è insostituibile e rappresenta inoltre una forma di espressione popolare spontanea e genuina.

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fee

4 Tutte le informazioni qui contenute sono tratte dal sito della comunità stessa, che si è occupata tra le altre cose di rintracciare i dati storici relativi al lotto, http:// w w w.6bgarden.org /


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la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces 02.4.3 Atrii e Gallerie

In secondo piano anche rispetto ai piccoli spazi pubblici che appartengono alla categoria dei ‘pocket public spaces’, la tipologia degli atrii e delle gallerie si presenta come curiosa e peculiare: una categoria di sp a zio c h iuso, ma aperto al pubblico, ancora poco noto, nato con la Zoning Resolution del 1961 che diede vita ai P.O.P.S. - Privetely Owned Public Spaces -. Molti di questi spazi sono ancora poco noti, ma da anni ormai costellano la città e offrono un riparo, assai gradito nei giorni di pioggia, anche se d e l i m itato sp esso d a o rari e rest ri z i o n i, a passanti, impiegati e turisti, fornendo sedute e tavolini al coperto. Alcuni di questi spazi però, associati al nome di importanti aziende sul territorio, sono divenuti popolari e per essi sono stati investiti e vengono tuttora ingenti fondi privati, sia per il design iniziale che per la successiva manutenzione. Alcuni importanti esempi sono costituiti da: l ’at ri o d e l l a Tr u mp Tower, la Sony Pl a za , i l L i n coln Center At r iu m e l’ IBM At ri u m . Il primo è situato al di sotto dell’alto edificio della Tru m p Tower e si presenta rivestito in marmo rosa e adornato da elementi in ottone e da specchi: composto da una hall che si affaccia direttamente sulla Fifth Avenue e da un atrio a cinque piani, l’elemento più spettacolare che lo compone è costituito da una cascata, attorniata da cafè e negozi e arricchita da un piccolo ponte pedonale che ne attraversa la piscina. La seconda invece, la S o ny P la za, situata a sua volta a pochi passi dall’IBM Building, si trova ai piedi del famoso edificio degli ex headquarters della AT&T, progettato da Philip Johnson, dalla forma chiaramente riconoscibile: dopo un primo

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progetto di spazio pubblico più all’aperto, si optò invece per una grande hall chiusa, riparata e soprattutto attrezzata di servizi igienici e negozi. La grande hall, alta circa sette piani contro i trentasette dell’intero edificio, ospita, dopo non poche controversie, una statua chiamata ‘Spirit of Communications’, la quale sembra racchiusa forzatamente all’interno dello spazio stesso. Nel progetto originale Johnson si trova costretto dai regolamenti edilizi della Zoning Resolution ad attrezzare la hall al piano terra, in vista della trasformazione della stessa in spazio pubblico; di conseguenza propone di allargare la hall, sottraendo spazio aperto pubblico al lotto, trasformandolo in una maggior cubatura interna, al fine di ospitare anche una galleria per negozi. L’ingresso venne inoltre concepito come un’enorme arcata alta 116 piedi, fiancheggiata da aperture laterali al fine di ricreare la sensazione di un porticato1. Successivamente vennero apportate ulteriori modifiche, passando attraverso il consenso della pubblica amministrazione come previsto dalla Zoning Resolution, che ridussero lo spazio dedicato ai pedoni e implementarono quello relativo ai negozi,sostenendo l’importanza per il pubblico di usufruire di uno spazio pubblico di maggior qualità, seppur di dimensioni notevolmente ridotte. Il nuovo David R ubenstein Atrium presso il Lincoln Center è uno spazio arioso ricco di luce e di musica soffusa, che comprende al suo interno anche le biglietterie per l’ingresso al grande complesso culturale; la varietà di attività, la presenza di tavolini, di una connessione internet e di servizi igienici arricchisce l’area con l’intento di favorire una maggiore socialità. La struttura è stata così chiamata in onore del finanziere filantropo, e vice presidente

1 Citazione tratta dal testo ‘Philip Johnson, Life and Work’, di Franz Schulze, pubblicato dalla University of Chicago Press, nel 1994


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figura 1 - 2 David Rubenstein Atrium nei pressi del Lincoln Center figura 3 Trump Tower Atrium

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del Lincoln Center, David Rubenstein, in riconoscimento dei suoi 7,16 milioni di euro investiti. Il design riflette il resto dei materiali utilizzati in tutto il Lincoln Center e fornisce un ambiente aperto, accessibile e invitante. L’Atrium è inoltre il primo certificato LEED, porprio per essere una costruzione ‘verde’ nel campus di Lincoln Center. Esso dispone infatti di due giardini verticali, una fontana che va da pavimento a soffitto, un muro ricoperto di schermi con le informazioni sulle prestazioni, utilizzato anche per presentazioni video, un’installazione artistica olandese e sedici corpi illuminanti che portano la luce naturale all’interno dell’atrio. Infine, l’ultimo, l’IBM Atrium , che si trova accanto alla Sony Plaza e allo spazio legato alla Trump Tower, è uno spazio chiuso, dalla vicenda travagliata, costituito da elementi comuni agli atrii con l’aggiunta però della presenza di una modesta quantità di verde. L’esperienza dei P.O.P.S. ha innegabilmente contribuito alla creazione di spazi che possono

ormai oggi essere annoverati tra gli spazi pubblici di maggior qualità, ma sorge spontanea la questione etica del considerare spazi sottoposti a regole di comportamento, a orari prestabiliti e a un severo controllo di sicurezza come spazi pubblici genuini.

Certo è che l’intervento privato in molti casi ha salvato alcuni quartieri della città dall’essere completamente privi di ritagli urbani dedicati al riposo, alla sosta e alla socializzazione. La prerplessità ancora molto evidente, soprattutto dal punto di vista della cultura degli spazi pubblici europei, è quella di a s s oc i a re orm ai quasi ob b l i gator i a m e nte l ’ i d e a di collettivi tà e d i vi ta l i tà u r b a n a a quella della l og i ca d e l com m e rc i o e del negozio, ‘e d u ca n d o’ e r ron a m e nte la folla di ute nt i a l con s u m o o, p e r lo m eno, al l ’a s s oc i a z i on e d e l l ’ id e a del consum o a q u e l l a d e l l o sta re i n luogo pubbl i co, q u a s i com e se q u e sto potesse cost i t u i re i l p e d a g g i o d a pagare per il s u o u t i li z zo.

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IBM Atrium

Architetto/Designers_ Edward Larrabee Barnes - Zion and Breen landscape architects Collocazione_ angolo fra 57th Street e madison Avenue Datazione_ 1983 Dimensioni_ 20 m x 40 m Superficie_ 1200 m2 Cliente_ The International Business Machines Corporation

La vicenda che coinvolge la costruzione dell’atrio è emblematica circa le problematiche che spesso si sono dovute affrontare proprio al fine di applicare la regolamentazione della Zoning Resolution del 1961 e ben evidenzia come diversi fattori possano influire notevolmente sulla relazione tra la città e il suo governo e l’iniziativa privata, sottolineando come i P.O.P.S. consentano alla cittadinanza un accesso fisico allo spazio, ma non politico2. Quando negli anni ‘90 l’IBM cedette la torre degli uffici, assieme a questi dovette vendere anche lo spaizo pubblico sottostante; Mr. Minskoff, l’acquirente, poco dopo decise di trasformare l’atrio in uno spazio espositivo per opere d’arte contemporanea. Questa fu una delle discussioni più accese circa tale tipologia di spazio pubblico, poichè tale decisione comportò il cambiamento di quello che era considerato fino a quel momento uno degli spazi di maggior successo della città, grazie soprattutto alla presenza di diverse piante di bambù, di notevole altezza, elementi esotici e per questo altamente caratterizzanti di questa ‘oasi in una giungla di grattacieli’. Furono gli

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stessi designers che si occuparono del progetto di Paley Park, Zion e Breen, a ideare una selva in uno spazio interno, composta da venti cespugli di piante di bambù e largamente apprezzata ed utilizzata proprio per il suo aspetto riflessivo e selvaggio; il risultato particolarmente felice deriva anche dal fatto che i progettisti si appoggiarono alla consulenza del ‘public space guru of Manhattan’ William H.White3. In seguito ad un compromesso, il complesso delle piante di bambù venne notevolmente diradato e ciò modificò per sempre l’atmosfera. Le conseguenze di questo evento resero note al pubblico come in fondo l’IBM Atrium non potesse essere considerato un vero e proprio spazio pubblico: la legislazione che doveva proteggerlo non fu in grado di garantire ai cittadini l’esistenza di uno spazio perfettamente funzionante, di fronte alle pressioni dei proprietari privati. Com e può un programma di creazion e di spazio pubblico non comprede re nel proprio iter il coinvolgim ento d e i cittadini - o per lo m eno del loro punto di vista- ?

2-3 Dati e racconto storico tratti dal testo ‘D esig ns on the Public : The Private Lives of New York’s Public S pac es’ di Kristine F. Miller, pubblicato dalla University of Minnesota Press, Minneapolis, nel 2007


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spaces 02.4.4 Mercati

Uno spazio a l ter n at ivo ma che racchiude un’interessante carica di condivisione e di interazione tra i cittadini newyorkesi è rappresentata dai mercat i: a volte itineranti, altre volte localizzati in luoghi ben definiti e riconoscibili della città, questi ultimi rappresentano un lu o go info r male di i nco nt ro e s o c ia lizzazio n e e offrono la loro attività a favore della r iv ita lizzazio ne di a l cu n e a re e , specie quelle che si collocano a nord dell’isola o nei quartieri del Bronx, del Queens e di Brooklyn. Settimanalmente forniscono uno spazio aperto a tutti, sep p u r legato a lla lo gica del co m m e rcio , in grado di raccogliere utenti provenienti da diverse aree della città e facilitando l’interazione. Spesso infatti i mercati vengono organizzati in spazi attrezzati della città, piazze che durante l’assenza di questi rimangono comunque spazio pubblico a disposizione di tutti; altre volte invece vengono convertiti vasti parcheggi in mercati del fine settimana, al cui interno si stabilisce un vero e proprio universo di scambi e baratti stimolanti e dinamici. Le due principali tipologie di mercati presenti in Manhattan sono costituite dai cosiddetti ‘ Fle a M a rket s’ e dai ‘Green Mar kets’: entrambe le categorie in un primo tempo poco istituzionalizzate godono oggi di riconoscimenti ufficiali, soprattutto grazie alla costituzione di vere e proprie asso c iazio n i a gara nzia de l l a l oro e sisten za e in p ro mozione e d i f f u s i o n e d ella co n o sc en za degli ste s s i . I primi, i ‘F l e a Ma r ket s’, rappresentano veri e propri m e rcat in i d elle p u lc i, lu oghi ca ratte ri st i ci sov raffo llat i d i o g getti

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e curiosi, in cerca di rarità o semplicemente di ottimi affari; uno dei più famosi tra questi, il ‘Hell’s Kitchen F lea Market ’ 1, si colloca al 112 West della 25th Street (tra la 6a e la 7a Avenue) e rimane aperto per tutto il week end, all’interno di un antico garage, costuituendo una piazza, in cui migliaia di aspiranti acquirenti passeggiano sorseggiando caffè, aspettando di incontrare anime affini o semplicemente di condividere qualche storia metropolitana con i veterani del mercato. Nel secondo caso, invece, i ‘Green Market s’ sono veri mercati all’aperto principalmente ortof rutticoli, che si collocano però nei punti più strategici della città, connotandoli e fornendo loro un ulteriore forte elemento identitario. L’associazione ‘Green Markets’ è stata fondata nel 1976 con la duplice missione di promuovere l’agricoltura regionale, privilegiando la formazione di aziende d i piccole dimensioni prevalentemente a gestione fam iliare, e contemporaneamente quella di assicurare ai cittadini newyorkesi l’accesso diretto a cibi più freschi e genuini, alimentando proprio lo sviluppo e l’agricoltura della regione e non quella estera. Ciò consente dunque ai produttori di ortaggi e agli allevatori di proporre i loro prodotti giornalieri agli abitanti della City; i principali acquirenti che quotidianamente visitano tali mercati sono proprio alcuni dei più famosi chef della città, che si recano appositamente nei punti selezionati in cui tali mercati si svolgono, al fine di assicurare ai loro clienti prodotti di miglior qualità. Il tutto ebbe inizio con 12 contadini appostati in un parcheggio all’angolo tra la 59th Street

1 Tutte le informazioni relative all’associazione del Flea Market sono presenti sul sito http://w w w. hellskitc henfleamarket.com/


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figura 1 Foto scattata nel famoso Green Market di Union Square figura 2 Mappa dei principali Green Markets della città

2 Il sito in questione è http : / / w w w. g rownyc.o rg /o u r m a r ket s. Più in generale l’associazione GrowNYC è un’associazione no-profit che si occupa di generare programmi ambientali al fine di trasformare le comunità, isolato per isolato, migliorandone la qualità della vita e con l’obiettivo di garantire un ambiente più sano e pulito per le generazioni future

e la 2nd Avenue; oggi invece la rete si è notevolmente espansa ed è diventata la rete p iù co mp lessa e vasta del Paese, grazie ai su o i 51 mercati, forniti da oltre 200 azien d e, che a loro volta coltivano ben 30 mila ettari di terreni. Il lato positivo di tale tendenza si trova dunque nell’asp etto educativo e salutare d ell’esp er ienza: da un lato dunque i più giovani e i meno giovani allo stesso tempo comprendono l’importanza e la ricchezza di risorse che il resto della regione fuori dalla Grande Mela possiede e dall’altro si cerca di migliorare la qualità culinaria dei cibi americani.

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Ogni mercato poi possiede caratteristiche e prodotti differenti, a partire dalle dimensioni dello stesso: vi sono mercati presenti un solo giorno alla settimana e altri ormai quasi stabili come quello ormai famosissimo di Union S q u a re, presente quattro giorni alla settimana, con ben 80 p roduttori presenti. A prescindere dalla dimensione comunque, ogni mercato cerca di rappresentare un ta ssello importante per la comunità e u n p u nto di riferim ento, anche dal p u nto d i v ista sociale: tali mercati infatti rappresentano ormai un punto di ritrovo tra vicini di casa e non, i cui scambiare due chiacchiere, scambiarsi ricette e consigli, assistere a dimostrazioni di cucina, parlare con chef o apprendere dagli agricoltori locali. Inoltre nuove associazioni si sono sviluppate attorno a queste attività proprio con l’obiettivo, in vero spirito newyorkese, di migliorarne le prestazioni e i servizi, trasformandolo in un vero e proprio business. Ogni ‘green market’ risulta quindi schedato e l’elenco dei mercati presenti e degli agricoltori è accessibile al pubblico tramite il sito relativo all’associazione GrowNYC2 .

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total area: 33.000 feet2

Zuccotti Market Park

Architetto/Designers_ Cooper, Robertson & Partners Collocazione_ angolo fra Broadway e Liberty Street

270 feet

Datazione_ 1960 - rinnovo design: 2006 83 fe et

Dimensioni_ 35 m x 90 m Superficie_ 3100 m2 Cliente_ Brookfield Properties

Zuccotti Park, in precedenza chiamata L ib erty Pl a za Pa rk, è una piccola piazza di circa 33.000 piedi quadrati (3.100 m2), nella Lower Manhattan a New York City. Situata tra Broadway e la Liberty Street, che conduce direttamente a Ground Zero, è di proprietà della Bro o k field P ro p er t ies; il parco è stato realizzato alla fine del 1960. In breve tempo comunque è diventato popolare, grazie alla sua posizione in mezzo ai grattacieli, come rifugio e uno dei p o c h i sp a zi p u b blici de l l a D ow ntown Ma n h attan. In seguito agli attacchi dell’11 settembre, il parco/piazza ha subito un intervento di riqualificazione, visti i danni riportati dai detriti. L’1 giugno 2006, il parco ha riaperto dopo una completa ristrutturazione costata ben 5,78 milioni di euro, su progetto della Co o per, Ro b e rt s o n & Pa r t n ers. In seguito è stato ribattezzato Zuccotti Park in onore di John Zuccotti, il presidente di Brookfield Properties, che ha quindi investito r iso rse p r ivate per l a ri q u a l i f i ca zio n e dello spazio pubblico in questione.

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Attualmente, il parco è caratterizzato da una grande varietà di alberi, da marciapiedi in granito, tavoli e posti a sedere, ed illuminato da luci lineari posizionate diagonalmente, dall’effetto particolare. Il parco ospita anche due sculture: una denominata ‘Joie de Vivre’ in acciaio rosso di Mark di Suvero e un’altra chiamata ‘Double Check’, che rappresenta un uomo d’affari di bronzo, seduto su una panchina, opera di John Seward Johnson. Una volta posto sotto il World Trade Center, dopo un trasferimento, il Green Market d i Liberty Plaza continua a servire famiglie, pendolari e visitatori che si trovano nel distretto finanziario. ‘Red Jacket Orchards’ offre frutti di bosco, succhi di frutta e prodotti di sidro di specialità, Meredith’s Bread invece pane fresco, crostate, marmellate e torte salate, mentre vi è una grande scelta di prodotti presso le aziende agricole Migliorelli.



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spaces 02.5.1 Piazze aziendali

“A network of urban places that one day has an impact on the city as dramatic as Central Park.” Jerold Kayden

Dopo il n u ovo p ian o d i zo n in g d el 19 61, la città di New York tentò di incrementare il numero dei suoi spazi pubblici, attraverso la concessione di 10 piedi quadrati di superficie commerciale in cambio di un solo metro quadro di spazio pubblico, costruito e gestito dall’investitore privato stesso: nascono i cosiddetti P.O.P.S . - P r ivate O wned Pu b l i c S p a ce s -, fazzoletti di terra che legalmente sono di proprietà privata, ma che risultano gratuitamente accessibili al pubblico. In totale, dal 1972, vengono construiti secondo questo meccanismo 82 a c r i d i suolo de st i n ato a s p azio p u b b lico, tra i più cari al mondo, ma tuttora ad essere effettivamente utilizzati restano in pochi; alcuni di questi spazi, infatti, vedono nel tempo un successo rilevante, legato soprattutto all’utilizzo degli stessi da parte di impiegati e lavoratori in genere, che affollano i pochi piedi quadrati specialmente nelle ore della breve pausa pranzo americana. Altri invece subiscono rapidamente un d eclino e diventano semplicemente luoghi attraverso i quali camminare, diretti verso un’altra meta. Wi ll ia m H .W h ite 1, nei suoi studi circa la vita sociale presente per le strade newyorkesi, analizza il ruolo e i meccanismi sociali presenti all’interno delle cosiddette ‘p lazas’, studiando non solo i movimenti dei flussi di fruitori delle stesse, grazie a registrazioni e postazioni privilegiate per l’osservazione, ma anche indagando in prima persona attraverso dialoghi e questionari diretti. Ciò che risulta dalle sue rivoluzionarie indagini è l’emergere di determinate caratteristiche proprie di questi spazi, capaci di attirare l’attenzione e l’utilizzo quotidiano dei cittadini, verso la costituzione di un d esig n d i su c c esso; dalle sedute alle diagonali più battute, dalla forma agli elementi di ombreggiamento, dal numero

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di gradini presenti alla possibilità di organizzarsi in gruppi o di rimanere in disparte o a presenza di sedie non fisse. E ancora la presenza di altri preziosi elementi quali l’illuminazione, la ventilazione, le alberature e i giochi d’acqua e la posizione di venditori di strada legati alla distribuzione di cibarie e bevande. Gli studi condotti da White riportano le carenze degli spazi costruiti fino ad allora e divengono così in breve tempo utili linee guida per l a New York City Planning Com m ission, fornendo ai progettisti dello spazio pubblico dei P.O.P.S. riferimenti e dati, sintetizzati spesso in diagrammi, al fine di applicare alla realtà le osservazioni relative alle soluzioni più efficaci fino a quel momento progettate e realizzate in New York. Recentemente, inoltre, la ricerca portata avanti dal professore J erold Hayden 2 ha tentato di definire e valutare i successi e gli insuccessi ottenuti dalle 503 aree a P.O.P.S. della città, situate in 320 edifici, al fine di raggiungere una conclusione circa le conseguenze di tale operazione, che dura ormai da cinquant’anni. Queste aree nacquero infatti come ‘piccol e stanze’ il cui obiettivo era proprio quello di fornire luce, aria e verde a quartieri residenziali e commerciali ad altà densità della città. I P.O.P.S. sono costituiti da differenti tipologie di spazio, ma tra tutte le categorie sono senza dubbio predominanti le piazze, dette ‘aziendali ’ proprio per il loro collegamento con la presenza di edifici destinati ad uffici. Una delle osservazioni che derivano dal lavoro di Hayden è proprio quella di cominciare a considerare questi spazi non com e singoli punti dispersi nella grigl i a di Manhattan, ma com e una vera e propria rete, catalogata in un database, anch’esso accessibile al pubblico, al fine di poter

1 Riferimento al testo di William H. Whyte, ‘The S oc ial life of S mall U rban U rban S pac es’, pubblicato dalla Project for Public Spaces, New York, nel 1980 2 Jerold Hayden, professore associato di pianificazione urbana ad Harvard, del New York’s Department of City Planning e della Municipal Art Society, autore del testo ‘Privately owned public spac e: the New York City experienc e’, pubblicato dalla New York City Department of City Planning, the Municipal Art Society of New York, New York, nel 2000


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figura 1 Intervento di riqualificazione di un lotto adibito a parcheggio in Dumbo figura 2 Lincoln Plaza, uno tra i P.O.P.S. più apprezzati della città figura 3 Simbolo della rete dei P.O.P.S., affisso all’entrata e all’uscita degli spazi pubblici della città

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facilmente individuare lo spazio pubblico più vicino. La definizione di una plaza standard riportata da Hayden stesso recita così: deve essere un’area aperta, continua, di almeno 230 o 250 metri quadrati di ampiezza, con profondità non inferiore ai 3 metri ed estesa per almeno 15 metri. Il 70% degli edifici costruiti dal 1966 al 1975 e che usufruirono del bonus si dotarono di plazas: il costo di realizzazione al tempo infatti era modesto e in cambio si otteneva un ritorno d’immagine ed economico, legato al bonus appunto, notevole. Tali plazas vengono in un secondo tempo differenziate in base alla destinazione di utenza a cui sono rivolte: nascono quindi le categorie di plazas, u r b a n p la zas e residential plazas. Le prime non richiedono particolari dettagli nel design delle stesse, mentre le seconde devono rispecchiare canoni più elevati, quali ad esempio l’orientamento, le sedute e le alberature. Le ultime invece, le residential plaza, hanno come finalità quella di invogliare un numero maggiore della popolazione, proponendosi come ‘belle stanze all’aperto’ e pretendono dunque il posizionamento di un arredo urbano di qualità e legato alla funzione residenziale.

Ad oggi la maggiorparte dell’opinione pubblica continua a ritenere che questi spazi non siano stati capaci di donare alla città un apporto significativo, se non in alcuni casi, come quello ad esempio di Lincoln Plaza - in figura -. Ed è proprio l’attenzione al design riposta dal progettista M.Paul Friedberg a salvare la reputazione di questa piaaza: come lo stesso New York Times afferma, infatti, in un articolo del settembre 2007, l’identità del luogo coincide con la presenza di determinati oggetti di arredo urbano, quali l’inserimento di una

piccola cascata d’acqua e il trattamento delle superfici a mattone a vista. Senza questi ultimi la plaza non avrebbe più lo stesso significato ormai ‘storico’ attribuitogli dalla popolazione che quotidianamente vi fa visita. Si può quindi affermare che la presenza di queste piccole porzioni di spazio pubblico disseminate in Manhattan abbia nel tempo migliorato la qualità dello spazio pubblico complessivo, costituendo ormai una memoria storica del secolo appena trascorso e fornendo soprattutto concretamente l u og h i d i s osta e p e r i l riposo gratu i t i, alquanto scarseggianti in città: certo è che spesso le plazas sono state associate alla commercializzazione sia di merci vere e proprie e sia dell’immagine del privato costruttore, quasi una sorta di p u b b l i c i tà im plicita dello stesso.

Infine, molti di coloro che svilupparono tali spazi grazie al bonus plaza applicarono nel tempo a tali spazi d i s p os i t i vi d i e sc l u sion e sociale, attraverso la disposizione e il controllo della sicurezza dell’area; quest’ultimo aspetto, quello cioè della sicurezza in ambito pubblico, si è particolarmente acuito in seguito agli eventi legati all 9/11 e ha causato e causa tuttora una sorta di ‘grande fratello urbano’ generalizzato e diffuso, presente quindi anche all’interno delle plazas, gestite e sotto la responsabilità di privati.

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Seagram Plaza

Architetto/Designers_ Ludwig Mies van der Rohe Collocazione_ 375 Park Avenue Datazione_ 1958 Dimensioni_ 30 m x 60 m Superficie_ 1800 m2 Cliente_ Seagram Company

Il Seagram Building, e la Lever House che lo precede di sei anni e si erge in fronte ad esso, si colloca sulla Park Avenue ed è forse il progetto che impostò maggiormente lo stile architettonico per i successivi grattacieli di New York. La sagoma del Seagram si staglia proprio su quella Park Avenue considerata poco adatta al passeggio3 e vista come ‘la compiuta realizzazione della città die grattacieli preconizzata da Le Corbusier’4. Mies van der Rohe decise fin da subito di definire uno spazio urbano aperto di fronte all’edificio e affrontò il problema del dislivello tra la Lexington e la Park Avenue tramite l’inserimento di alcuni gradini, che staccano quindi la piazza dal resto del contesto in maniera pacata ed elegante. Nei suoi schizzi datati al 1955 infatti le idee circa la piazza sono già molto chiare: pavimentazione a lastroni, alberi disposti lateralmente, bassi muri perpendicolari alla Avenue che separano la plaza dalle strade e alcune sculture. I muri laterali in particolare divennero nel tempo le

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sedute informali della piazza, che altrimenti sarebbe rimasta sprovvista di qualunque arredo. Ad ogni modo la decisione di progettare una plaza da parte di Mies van der Rohe segue la scia intrapresa dagli esperim e nt i del Rockefeller Center e della Leve r House stessa, ma rappresenta comunque un prototipo di spazio che fu poi nei decenni successivi largamente motivo di ispirazione. Il Seagram Building è stato anche il sito di un complesso studio da parte di William H . Why te , il sociologo americano che analizzò i risultati delle conseguenze della Zoning Resolution, di cui il Seagram approfittò. Il film, prodotto in collaborazione con la Municipal Art Society di New York, registra i modelli di socializzazione quotidiana delle persone intorno alla piazza e mostra l’effettivo utilizzo dello spazio, forse anche più vario di quello originariamente pensato dall’architetto. La plaza del Seagram rimane comunque uno degli spazi pubblici di mag gior succe ss o di Manhattan.

3 La stessa Jane Jacobs sostiene in un articolo intitolato ‘Downtown is for people’ del 1958: ‘La gente non parcheggia per Park Avenue.. Gli impiegati degli uffici e i visitatori che continuamente affollano questi edifici preferiscono, di solito, passare per Lexington o Madison. Dando per scontato che il cliente ha sempre ragione, è chiaro che Lexington e Madison devono avere qualcosa che Park Avenue non ha.’ 4 Tratto da Vincent Scully, ‘ The death of the street ’ in ‘Perspecta’ del 1963


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spaces 02.5.2 Parchi di quartiere

‘Parks are the outward visible symbol of democracy.’ Robert Moses

Ai cosiddetti ‘parchi di quartiere’, che generalmente variano in dimensioni fino a 30 ettari, appartengono tutti quegli spazi verdi all’interno della City che dal punto di vista sociale si pongono come riferimento alla scala del quartiere, sostenendone lo sviluppo e costituendone un’area di sfogo naturalistica di notevole importanza. I parchi a scala di quartiere più estesi dal punto di vista puramente dimensionale vennero inoltre realizzati nei quartieri di Manhattan in cui, a partire dagli anni ‘60, si concentrarono i maggiori sforzi di recupero e riqualificazione, quali ad esempio Harlem e il Lower East Side1. Essi possono offrire una va sta gamma di stru tt u re ri creat ive, che spesso rispondono alle caratteristiche demografiche e culturali dei quartieri in cui sono inseriti, con possibilità di interazione con la natura. Nella maggiorparte dei casi tali parchi possiedono infatti un’a rea g io co abbastanza estesa, protetta da apposite recinzioni, capace spesso di costituire un’isola felice a sé stante. Un altro tratto peculiare dei parchi di quartiere è quello di possedere un’area più o meno vasta per la ricreazione, costituita da un m a nto e rb o s o lisc io che, nelle giornate di sole, accoglie la totalità della popolazione del quartiere, quasi a trasformarlo in un este n s i o n e d ell’ab ita zio n e. Inoltre una delle maggiori attività preferite dai newyorkesi è proprio quella di poter praticare attività sportive nel proprio parco di quartiere, contando soprattutto su lla sic u rezza e s ull a s o r ve g l ian za ga ra nt ita d al b acino di u te n za d i ‘v ic in i d i casa’, fattore non trascurabile in una città estesa e multiculturale come New York.

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Molti di questi parchi subiscono i disagi e le difficoltà dovute alla scarsità di investimenti da parte degli enti pubblici, ma possono contare su num erose e attive associazioni d i quartiere, sempre pronte a schierarsi in difesa del proprio rifugio verde. Molti di questi gruppi si uniscono in vere e proprie ampie coalizioni per sostenere la manutenzione del verde e per contribuire alla gestione, in compartecipazione con il governo cittadino. Spesso circondato su quattro lati dalle strade di maggior servizio al quartiere, il sito di tale categoria di parco si presenta largamente accessibile per mezzo di percorsi, mezzi di trasporto pubblici e ampi marciapiedi. I residenti, i gruppi comunitari e i giovani locali immaginano il parco come meta vibrante, cuore e anima del loro quartiere, in cui trovare ispirazione quotidiana attraverso la cultura e la storia della loro comunità2. Vi sono diversi esempi esplicativi della posizione e della rilevanza di tale categoria e molti aiutano a comprendere la distanza dimensionale che vi è rispetto ai ‘parchi tascabili’ e la distanza d’azione rispetto invece ai parchi urbani. É il caso del Tompkins Square Park, un tassello importante che mostra tutte le facce di una metropoli che si è formata in pochi secoli accavallando popoli provenienti da tutto il mondo. Inserito in un quartiere multietnico, in parte devastato dagli interventi di edilizia popolare massicci, il sito venne originariamente donato dalla famiglia degli Stuyvesant alla città, con la promessa che sarebbe divenuto uno spazio pubblico. Ci vollero numerosi investimenti prima che l’area venisse bonificata e riqualificata, ma nel 1834 aprì le sue porte per la prima volta e l’anno successivo dotò

1 Il riferimento è diretto ai parchi rispettivamente di Marcus Garvey Park -Harlem- e di Tompkins Square Park -Lower East Side2 Tratto dal sito w w w.pps.org


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figura 1 Gramercy Pa r k visto dai cancelli che lo delimitano

2 Tratto dall’articolo ‘ T h e U l t i m ate Ne ig h b orho o d Pa r k ’ pubblicato dal New York Times di Seth Kugel del luglio 2006

figura 2 - 3 To mp kins Sq u a re Pa r k

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un altro parco, più a nord, il G ra m e rc y Pa r k , rispecchia le tematiche del quartiere di cui fa parte, Midtown Manhattan. Circondato da edifici adibiti ad abitazioni di lusso, ristoranti, alberghi, il piccolo parco rimane confinato nella sua ‘prigione metallica’, mantenendo tutto ciò che è estraneo al di fuori e consentendo solo ai residenti in zona di accedervi2. Il Parco, in co-proprietà dei residenti che abitano all’interno dei confini del distretto storico, è uno degli unici due parchi privati della città, poichè di fatto preclude ad una larga fetta della popolazione l’utilizzo della sua area e rimane un gesto di abbellimento in uno dei quartieri dal tenore di vita più alto della città.

il perimetro di una recinzione in ghisa. Fu in seguito teatro di diverse m anifestazioni e punto di riferimento per le proteste dei cittadini appartenenti alle classi più povere e disagiate e ancora in tempi recenti è stato lo sfondo per d i mostrazioni e situazioni di co nflitto t ra polizia e m anifestanti in p a r t ico lare nelle rimostranze degli an n i ‘60 contro la guerra in Vietnam-. Il parco a quel tempo era una zona ad alta criminalità, che conteneva accampamenti di sen zatetto e luoghi per lo spaccio di droga illegale e per l’uso di eroina. Negli ultimi anni l’intero quartiere ha subito un processo d i ‘gent r ifi cation’ e anche il parco si è progressivamente sbarazzato dei cosiddetti ‘undesiderables’ e oggi, con i suoi parchi giochi e campi da basket, campi da pallamano e scacchi all’aperto, il parco attrae giovani famiglie, studenti, anziani e cani - vista la notevole area a loro riservata - da tutto il quartiere.

Ecco quindi che il parco di quartiere altro non è che uno spazio naturale a tale scala, che riflette la comunità del quartiere stesso, ne subisce l’influenza e tenta di dare una risposta alle esigenze, senza però per questo riuscire nell’intento di costituire un spazio realmente pubblico.

Se nel caso di Tompkins Square Park, il pubblico nel senso più ampio del termine diventa protagonista della storia e della vita dello stesso, 3

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High Line

Architetto/Designers_ James Corner Field Operations + Diller Scofidio + Renfro Collocazione_ MeatPacking district Datazione_ 2004 Dimensioni_ 15 m x 1.8 Km Superficie_ 27.000 m2 Cliente_ Friends of the High Line and the City of New York

La High Line è stata costruita nel 1930, come parte di un imponente p ro getto di i nf ra st rutt u re p u b b lico -p r ivato denominato ‘West Side Improvement’, che aveva come obiettivo quello di trasferire il flusso delle merci a 10 metri di altezza al di sopra del traffico stradale. ‘ Frie n d s o f t h e Hig h L in e’, un’associazione senza scopo di lucro, nasce nel 1999, nel momento in cui la struttura minacciava di essere demolita; in collaborazione con la Città di New York l’associazione lavorò molto al fine di preservare e mantenere la struttura come un parco pubblico elevato. Il progetto di recupero e riqualificazione ha ottenuto il sostegno del Comune nel 2002: la parte sud dell’infrastruttura è stato donata al Comune dalla CSX Transportation Inc. nel 2005. Il team di progettazione di paesaggisti, Ja m e s C orn er Field O p erat io n s, con gl i a rch i tett i Diller S co fid io + Renf ro, ha studiato la ri-creazione di un ambiente dai caratteri naturalistici insieme ad un team di

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esperti in orticoltura, ingegneria, sicurezza, manutenzione, arte pubblica e altre discipline. La costruzione del parco iniziò nel 2006. Gran parte della prima sezione della High Line è situata nel Meatpacking District, l’antico quartiere dei macelli e dei laboratori di lavorazione della carne che usufruivano della presenza dei treni merci sopraelevati per gestire materie prime e prodotti finiti. Negli ultimi decenni, il Meatpack i n g District ha visto una trasformazione fortuna di tutta l’area in un quartiere per il divertimento, con numerosi ristoranti, discoteche, studi di design e fotografia, e boutique di moda. L’High Line, vero e proprio oggetto lineare dal design accattivante, si inserisce nella logica del quartiere in maniera un po’ distaccata, attirando spesso e volentieri curiosi. Lo spazio è stato predisposto per la sosta e per il riposo, ma il percorso nel complesso, con poche stazioni per giungere a livello del terreno, rimane un evento isolato nel bel mezzo di un quartiere occupa in faccendo mondane e festaiole3.

3 Tratto dal sito dell’associazione http://w w w.thehig hline.org /


neighborhood


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spaces 02.5.3 Parchi giochi

‘If we would have our citizens contented and law-abiding, we must not sow the seeds of discontent in childhood by denying children their birthright of play.’ Theodore Roosevelt, Playground Association of America

Nonostante il New York City Department of Parks and Recreation abbia fin dal diciannovesimo secolo fornito la più ampia gamma possibile di opportunità ricreative per la città, il primo playground entrò ufficialmente a fare parte di un’area all’interno di un parco solamente nel 1 9 0 3 con l’apertura di S eward Park, il primo parco comunale del paese attrezzato con un’area giochi permanente. Attraverso i significativi cambiamenti in oltre un secolo, nelle attrezzature e nell’aspetto dei campi da gioco di New York City, i progetti di palyground si sono evoluti in maniera costante, mantenendo il ruolo essenziale che i parchi gioco possiedono nella vitalità dei quartieri urbani e continuando ad esercitare un influenza particolare sullo sviluppo fisico e la socializzazione dei bambini della città. Dai primi del Novecento ,dunque, il Dipartimento ha lavorato sodo per fornire spazi di gioco che potessero corrispondere alle esigen ze di sv i l u p p o e a lle d ifferent i r ic h ie ste di re s i d e nt i e v isitato r i, anche della più piccola porzione di Manhattan. Oggi il ‘Parks Department’ si occupa della manutenzione di circa mille campi da gioco in tutta la città, nei pressi delle scuole, nei parchi di grandi dimensioni o situati in modo indipendente, che variano nel formato e aspetto. Durante il mandato di Ro b er t Mo ses il numero di campi da gioco in città crebbe da 1 1 9 a 7 7 7 e molti di questi impianti vennero costruiti durante la Depressione attraverso programmi di assistenza federale. Fu proprio in questi anni che si inserirono gli elementi che nel tempo divennero i t ratt i ca ratter istici de i p a rch i d a g io co, quali le panchine

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in calcestruzzo e legno, le distese di asfalto adornata con sabbiere e perfino i semplici cestini della spazzatura1. Le azioni intraprese da Moses subirono comunque una dura critica, poichè, nonostante l’aumento del numero dei playgrounds stessi, la qualità delle realizzazioni e la localizzazione degli stessi rifletteva pienamente le priorità politiche di Moses e con esse la mancanza di interesse nello sviluppo qualitativo di aree pubbliche non remunerative2. Negli anni ‘60 un’importante innovazione venne adattata ai parchi giochi, riprendendo una tipologia tipicamente inglese e scandinava, in cui i bambini vengono lasciati liberi di giocare in lotti vacanti, depositi a cielo aperto, spesso con materiale da costruzione in eccesso. A New York tale esempio viene tradotto in progetti per nuove strutture di arrampicata, passerelle, corde o pneumatici come altalene. L’architetto autore di questi nuovi elemtni è R ichard Dattne r, progettista di numerosi parchi giochi, come alcuni presenti in Central Park e nel Manhattan Highbridge Park. Tali parchi giochi presero il nome di ‘adventure playgrounds’. Successivamente dal 1980, molti dei progettisti di parchi giochi del Parks Department hanno tentato di dare una risposta alla cultura locale, alla geografia e alla storia dei quartieri in cui i playgrounds veniveno inseriti, spesso includendo elementi in relazione con il nome o la posizione: ad esempio il J. Wright Hood Park a Manhattan, le attrezzature da gioco sono state progettate per assomigliare al George Washington Bridge, che è visibile dal punto di vista più elevato del parco lungo il fiume Hudson.

1 Riferimento al testo ‘Robert Moses and the modern c ity : the transformation of New York’, di Hilary Ballon, pubblicato dalla Norton & Company, New York, nel 2007 2 La maggior fonte di letteratura critica circa l’opera di Moses può essere rintracciata nel lavoro della sociologa Jane Jacobs.


neighborhood 1

2

figura 1 Giochi d’acqua nella torrida estate newyorkese,

dove

i

playgrounds

diventano luoghi di relax e riposo figura 2 Crack Is Wack Playground, al cui interno di trova due murales di Keith

Recentemente i parchi giochi sono diventati uno dei punti cardine delle ‘battaglie’ di quartiere circa la difesa dello spazio pubblico e la garanzia, soprattutto per i più piccoli e nelle aree più disagiate, di un luogo di sfogo, che possa incanalare energie verso la pratica di sport o l’educazione alla socialità.

Haring 3 Fonte: http://w w w.nycgovparks. o rg / fa ciliti e s /p l aygro u nd s/

Sono inoltre nate nuove e molteplici iniziative volte alla st imolazione della fantasia dei più piccoli, attente alla qualità del divertimento, e basate sull’organizzazione di eventi estivi e non, fondamentali per il buon funzionamento del fattore ricreazione di un quartiere. Una di queste nuove iniziative, ad esempio, è quella dell’ideazione di un ‘Immagination P layg ro u n d’, basato su di uno spazio ideato e progettato dall’architetto David Rockwell e finanziato dal Dipartimento: l’idea consiste nella progettazione di spazi flessibili e dedicati al ‘gioco libero’, ritenuto uno degli elementi essenziali per la creazioni di menti brillanti e capaci di risolvere futuri problemi. Accessibili a tutti, ma spesso frequentati dai cittadini del quartiere in cui si trovano, nella maggiorparte dei casi i playgrounds si trovano costretti alla re cinzione, sia per motivi tecnici legati al pericolo delle strade che li circondano e sia per questioni di sicurezza e controllo da parte degli adulti. L’esistenza di questi spazi pubblici a scala di quartiere consente anche ad una città di dimensioni notevoli e densa come Manhattan di adottare atteg giam enti educativi t ip ic i d ei piccoli sobborghi, senza dover rinunciare alla vita metropolitana e anzi godendo della m escolanza etnica e c u lt u ra le caratteristica.

A tale proposito, nel 1967 venne lanciato un esperimento nel parco della famosa Union Square, chiamato “C h e c k – a – C h i l d ” playground, progettato da R i c h a rd Dattner, della durata di qualche giorno, a riprova del fatto anche nel baricentro di Manhattan fosse possibile lasciare i propri figli, sotto sorveglianza di addetti, per andare a fare qualche ora di shopping in Midtown3. Negli ultimi anni, infine, i playgrounds sono diventati veicolo di messaggi sempre più importanti dal punto di vista educativo, arrivando anche ad ospitare opere d’arte significative: è il caso del ‘Crack i s Wa c k Pl ayg rou n d ’ , che prende appunto il nome dai murales presenti al suo interno del celebre artista Keith Haring, dai toni accessi e giovanili, prodotti nel tentativo di mandare un messaggio serio contro la droga verso le nuove generazioni. Così, mentre New York continua a crescere e ad espandersi, la progettazione dei parchi giochi continua nella sua evoluzione: il sindaco Bloomberg ha infatti recentemente promesso l’apertura di 29 0 cor t i l i d e l l e s c u ol e nei quartieri meno abbienti, attraverso l’impiego di 79 milioni di euro di fondi cittadini, proprio al fine di fornire una maggiore dotazione di playground pubblici.

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Sara Roosevelt Playgrounds

Architetto/Designers_ volontari e membri dell’associazione Collocazione_ Lower East Side, da Houston Street a Canal street Datazione_ 1934 Dimensioni_ 60 m x 900 m Superficie_ 54.000 m2 Cliente_ City of New York

Sara Delano Roosevelt Park è un parco di circa 7,8 acri -32.000 m2- situato nel Lower East Side; intitolato a Sara Roosevelt, la madre del presidente Franklin Delano Roosevelt, si estende per una lunghezza di quasi un chilometro, andando a lambire il quartiere di Chinatown. Attualmente il parco è gestito e mantenuto dal New York City Department of Parks and Recreation. Aperto nel 1 9 34, venne originariamente acquisito dal Comune nel 1929 allo scopo di ampliare l’area tra Chrystie e Streets Forsythe attraverso la costruzione di alloggi a basso costo, ma l’idea fu poi accantonata e si fece largo l’i p o te s i d e l l a co st r u zio n e d i ‘ca mpi da gi o co e l u o g hi d i r ip o so p er mamme e bam b i n i ’. Nel 1934 tale progetto costituiva il più grande parco mai realizzato nel Lower East Side, fatta eccezione per Tompkins Square Park. Quattro strade vennero chiuse parzialmente -Hester, Broome, Rivington e Stanton Streetper ospitare sette distinte aree di gioco con gi o ch i s e p a rat i p er masc h i e femmine, oltre a due piscine per bambini, una pista di

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pattinaggio e un perimetro di panchine e alberi ombreggianti. Il parco stesso è un manifesto alla multiculturalità e alla presenza di molteplici etnie nel quartiere e fornisce uno spazio pubblico dinamico ad uno dei quartieri più ricchi di immagrati di tutta Manhattan. Nel discorso di apertura del parco stesso, Harry H. Schlacht, fondatore della ‘East Side Home News’, proclamò ‘la nascita di u n nuovo Lower East Side’. Recentemente definito dal New York Department of Parks and Recreation ‘un tratto scintillante di verde nel mare di cemento, asfalto, ed edifici’, il Sara Roosevelt è davvero uno spazio ricco di attività e il suo design ha subito nel tempo le modifiche delle attivi tà quotidiane spontanee proprie de l l a cultura d’origine degli im m igrati d e l posto. Si pensi ad esempio che la domenica mattina quasi tutti i playgrounds si riempiono di praticanti di tai chi, riuniti in folti gruppi di vicini di casa.



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urban


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spaces 02.6.1 Piazze urbane

‘The southern part of the square has become the equivalent of the Spanish steps in Rome, where people just gather together. There is no better place for people-watching.’ Mitchell Moss

Alla voce piazza corrisponde un immaginario comune legato alle culture di tutto il mondo: è senza dubbio uno tra gli elementi che più hanno modificato le città europee e non e nell’ultimo secolo è stato riscoperto come uno strumento efficace per accendere l’innescarsi di pratiche di socializzazione. Spazio pubblico d’eccellenza, la piazza americana assume per certi versi alcune delle caratteristiche storiche europee, quali la presenza di un disegno interno di dettaglio e di landmark, ma si modifica soprattutto nelle sue relazioni con il contesto, non più aulico e non necessariamente chiuso da edifici. Le principali piazze newyokesi degne di questo nome sono rappresentate da quegli spazi pubblici che costituiscono essi stessi i nodi di una rete a scala urbana ormai storica e immodificabile; luoghi dunque che ‘parlano’ a tutta l’isola, che attirano turisti, visitatori e passanti da tutti i punti della città e che implicano una rete di servizi e di trasporti in costante aggiornamento. La posizione strategica in cui le piazze urbane newyorkesi si collano consente loro di non necessitare di attività specifiche al loro interno, poichè spesso possono godere di un contesto ricco e dinamico, di cui esse costituiscono il pe rn o ‘ v u o to ’. É il caso di Union Square, Madison Square, Washington Square, City Hall Square e di piazze ridotte ma pur sempre a scala urbana come Herald Square o Federal Plaza, che devono la loro fama alla loro collocazione e soprattutto alle attività che hanno visto fiorire sui loro bordi. Wa s h i n gto n S q u a re porta con sè alcune reminescenze europee, a partire dalla presenza dell’Arco, dalla forma della piazza stessa fino alla grande fontana centrale: prima terreno

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agricolo, poi cimitero, nel 1826 la Città acquista il terreno e lo trasformò in uno spazio per parate militari. Le strade attorno divennero quindi tra le più desiderate zone residenziali della città e, quando qualche decennio dopo, il campo venne convertito in parco, l’area acquisto maggior pregio e valore. Nel 1889 venne costruito l’arco , il parco si espanse, si costruì la fontana e tutta l’area acquistò maggior fascino e decoro urbano. Quando però Robert Moses nel 1934 tenta di proporre un completo rimodellamento dell’area che comprendeva però un’arteria di scorrimento nel mezzo come prosecuzione della Fifth Avenue, si avviò una protesta durata sette anni capitanata da J ane J acobs e da Shir l ey Hayes 1. La controproposta di questi ultimi finalizzata alla creazione di un’ampia piazza pavimentata centrale ebbe la meglio e dal 1959 Washington Square Park è rimasta chiusa al traffico, spezzando la circolazione de l l a griglia. Sempre all’attenzione del governo cittadino, oggi la piazza è sempre sotto continua manutenzione e curata da diversi progetti di abbellimento; completamente circondata dagli edifici della NYU - New York University - , è ormai parte integrante della vita studentesca di allievi da tutto il mondo. Tale vicenda mette in luce come le grandi piazze urbane di New York siano state spesso il frutto di un’ardua conquista da parte di tutti i cittadini di uno spazio pubblico dalle dimensioni maggiori e di come siano poi servite da sfondo per le principali manifestazioni, come cassa di risonanza urbana. Una storia analoga appartiene invece a Madison Square, anch’essa in un primo

1 La vicenda è narrata all’interno del famoso testo ‘ The D eath and Life of G reat A merican Cities’ di Jane Jacobs


urban 1

figura 1 Mad ison Sq u a re

2 Secono

la

classifica

stilata

dall’organizzazione non -profit PPS Project for Public Spaces, cone sede e New York

figura 2 - 3 H erald S q u a re nella sua nuova risistemazione

grazie

al

progetto

di pedonalizzazione di un tratto della Broadway, chimato ‘Broadway Boulevard’ 2

Herald Square è sotto la gestione della 3 4 t h Street Partn e rsh i p, uno dei tanti Bu s i n e ss Im provem ent D ist r i c t (B I D ) sparsi per la città, che opera in circa 31 isolati circostanti. Quest’ultima si occupa della gestione relativa alla sicurezza, della pulizia -dopo essere perfino riuscita a dotare la piazza di servizi pubblici, una rarità in Manhattan-, della manutenzione del verde e organizza eventi. Questa forma di finanziamento delle piazze è ormai divenuta l’unica sostenibile in grado di mantenere questi spazi utilizzabli e in perfetta sicurezza; per Madison Square allo stesso modo si parla della Ma d i s on Sq u a re Pa r k Conser vancy , una partnership tra pubblicoprivato costituita per occuparsi di tutelare ogni modifica o accadimento nella piazza stessa e lo stesso può essere detto di Union Square, gestita dalla Union Sq u a re Pa r t n e rsh i p, a sua volta composta dal BID - Business Improvement District- e dall’ LDC -Local Development Corporation-. Tali sforzi però consentono a queste proprietà pubbliche di sopravvivere e non solo: consentono loro di rappresentare alcune tra le migliori piazze d’America2.

tempo campo per parate, poi convertito a piazza, accostata alla grande arteria di scorrimento che è la Broadway; nel 1847 apre anche il parco e l’intervento successivo di riqualificazione viene progettato da William Grant e da Ignatz Pilat, allievi di Frederick Law Olmstead. Gli elementi chiave che compongono le piazze urbane sono costituiti quindi dalla presenza di elementi di decoro e dalla compresenza di una pavimentazione e un parco che insieme mirano a creare un luogo tra il naturale e l’artificiale; ma una nuova generazione di spazi, fatta di ritagli e di intersezioni, scompagina le regole sopra descritte e genera piazze a scala urbana a partire da p iccoli fazzoletti di terreno, con la sola fortuna di appartenere a distretti vitali e dinamici, ricchi di attrattive. É il caso di Herald Square, situata all’intersezione tra la Broadway e la Sixth Avenue, è costituita da un triangolo sul quale si è formata una piccola piazza, arricchita da uno storico orologio e da una serie di alberature. Insieme alla Greely Square, la piazza speculare anch’essa derivata dal ritaglio dell’intersezione delle due strade, dal 1992 3

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Union Square

Architetto/Designers_ progetto iniziale di Frederick Law Olmsted and Calvert Vaux Michael Van Valkenburgh Associates + Architecture Research Office Collocazione_ 14th Street e 17th Street Datazione_ 1815 Dimensioni_ 110 m x 225 m Superficie_ 25.000 m2 Cliente_ City of New York

Union Square rappresenta una delle piazze urbane più conosciute di New York, proprio per il suo definirsi d i n a mica e att iva , nel trambusto della vita metropolitana, e non un rifugio dalla City. Si colloca, infatti, in uno degli incroci fondamentali dell’isola, rappresentandone quasi un b a ri cent ro : oggi giorno circa 35 mi l i o n i d i p e rson e 3 passano per la sua fermata della metropolitana, facendone uno dei punti della rete più congestionati e quindi più sorvegliati. Fin dal Commissioners’ Plan del 1811 lo slargo fu ritenuto strategico e quindi venne subito convertito in ‘co mmo n la n d’, di proprietà quindi della città, e nel tempo venne abbellito attraverso la costruzione di una fontana e l’inserimento di un parco. Nel 1872 vennero chiamati i progettisti di Central Park Fred erick Law O l m ste d e Ca lver t Va u x per la risistemazione del verde. Come e forse più delle altre piazze urbane, Union Square ha rappresentato nell’ultimo secolo il principale punto di incontro dei cittadini per manifestazioni e dimostrazioni, o anche solo per permettere

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a gruppi e associazioni di potersi ritrovare pubblicamente. Nel 2008 Michael Van Valkenbu rg h Associates e l’Architecture Resea rc h Of f ice completano la risistemazione dell’area nord della piazza, che include un parco giochi, una piccola piazza e alcuni padiglioni esistenti da riqualificare, tenendo anche conto del Green Market che nel frattempo si è stabilito proprio nella parte nord di Union Square. Dopo essere stata dichiarata ‘Natio n a l Historic Landmark’ nel 1997, la piazza è divenuto per alcuni mesi, in seguito all’attacco del 9/11, luogo di sfogo per i cittadini, che ne hanno fatto un vero e proprio mausoleo temporaneo in ricordo delle vittime. Il futuro della piazza è costantemente monitorato e pianificato da due importanti associazioni, la Union Square Partnership, promotrice dello sviluppo econimico della stessa, e l a Union Square Com m unity Coalition , che invece si occupa di preservare le volontà originali relative alla progettazione della piazza e del parco4.

3 Dati tratti dall’articolo ‘Union Square Park: Developing Public Gathering Spaces’, di Heather Ruszczyk e Emily Grigg-Salto 4 Informazioni prese dai siti ufficiali della Union Square Partnership www. unionsquarenyc.org e dal New York Department for Parks and Recreation


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spaces 02.6.2 Parchi urbani

Il sistema di quelli che possono essere considerati parchi a scala urbana, la cui influenza cioè è risentita in tutta l’isola e i cui usufruitori provengono da ogni angolo di Manhattan, risulta essere un sistema fatto di poche grandi aree verdi, collocate però nei punti più strategici della città e sparsi da nord a sud in tutta Manhattan. Alcune di queste, in gran parte collocate nella Downtown per motivi storici, risalgono al XVII secolo e sono sopravvisute nei secoli grazie alla loro peculiarità di grandi aree di svago e di incontro; man mano che il concetto di l a n d s ca p e si faceva sempre più forte, specie dopo la realizzazione di Central Park, molte energie vennero impiegate nell’abbellimento, nella decorazione e nella progettazione dell’impianto di questi spazi e questo li rende ancora oggi punti di riferimento per i flussi degli spostamenti urbani. Ognuno di tali parchi esercita quindi una forte attrattiva per turisti e non, grazie anche ad una sp ec ifica id entità che li differenzia marcatamente. La grande importanza che questi spazi hanno ottenuto negli ultimi decenni li ha trasformati profondamente, anche attraverso mo d i f i ca z i o n i a p p arentemente non mate ri a l i , come l’installazione di reti wire l e s s per la connessione internet e per la comunicazione istantanea; tali dispositivi infatti hanno reso i parchi urbani delle vere e proprie estensioni dell’ambiente casalingo, fornendo soprattutto nei mesi estivi, delle stan ze a c i e l o a p e rto , in cui non solo rilassarsi e svolgere attività sportive, ma anche studiare, incontrarsi, trascorrere il tempo dopo una giornata di lavoro o organizzare un evento. Oltre ai parchi che si accostano alle piazze più famose dell’isola, quali Union Square, Madison

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Square, Washington Square e City Hall, vi sono altri parchi a scala urbana che contribuiscono a stabilire una rete da nord a sud, se non continua per lo meno connessa dal servizio metropolitano e dalle relazioni tra i diversi neighborhood. A riprova di ciò, due sono i parchi urbani che occupano la testa e la coda dell’isola: Batter y Park e Inwood Hill Park, il primo estramamente turistico ed il secondo estramamente più selvaggio. Entrambi racchiudono in se stessi le caratteristiche dei parchi urbani rispettivamente del sud e del nord dell’isola. Il primo, infatti, si presenta come uno spazio aperto dal des ign ricco e dettagliato da molti elementi di decoro e arricchito dalla presenza di edifici: nato come promenade nel XVII secolo, divenne un parco pubblico vero e proprio due secoli più tardi, ospitando non solo edifici storici, tra cui il Castle Clinton, ma anche plurimi monumenti e lapidi. Con i suoi 25 acri rappresenta il parco più ampio de lla Downtown M anhattan e, con i suoi prati e le sue stazioni di collegamento con le isole, attira più di quattro milioni di persone all’anno. Per far sì che non vada perduta la ricchessa del paesaggio di Battery Park, ritenuto come il più antico della città, è nata anche in questo caso un’associazione non-profit, la Battery Conservancy, che ogni anno non solo si preoccupa della manutenzione e della pulizia, ma riprogetta anche nuovi utilizzi dell’area e dei edifici e attività che contiene. Proprio la presenza di Battery Park, in concomitanza con il progressivo degrado dell’area dei piers1 a ovest dello stesso, ha fornito

1 Il sistema dei Piers è costituito da una serie di pontili, ormai quasi tutti in disuso, un tempo legati al commercio via mare e oggi in fase di riqualificazione, per lo più attravreso interventi puntuali. I Piers costituiscono la maggiorparte del waterfront di Manhattan e, una volta riconvertiti, possono ospitare nuovi spazi pubblici, nuove attività - Chelsea Piers- o nuovi quartieri residenziali -come nel caso del Battery City Park-


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figura 1 Batter y Par k figura 2 I nwood Hi l l Pa r k

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l’elemento propulsore per la riqualifica del waterfront sud-occidentale, dando vita ad un lembo artificiale di residenze nel parco, sotto la guida e tutela del paesaggio della Batter y Park Cit y Co n ser vancy , l’ennesima associazione senza scopo di lucro, principalmente composta da residenti e commercianti della zona.

distanti anche più di qualche chilometro, di tutti coloro disposti a muoversi pur di godere del paesaggio e delle attività di queste aree verdi, essenza vitale della metropoli, anche se non ancora in grado di competere completamente con la scala della città, fatta di uno skyline verticale denso e inafferabile.

Diametralmente opposto, invece, l’Inwood Hill Par k si trova nella punta più a nord dell’isola ed è un parco pubblico a tutti g li effett i: di proprietà e sotto la gestione e manutezione della municipalità di New York, il parco rimane l’ultima foresta e palude salata della città. Prima del 1916, anno della sua acquisizione da parte del Dipartimento per i Parchi, l’area era occupata da case di campagna e istituzioni filantropiche; in seguito, dopo la cessione delle aree, gli edifici vennero demoliti per esaltare maggiormente la natura sevaggia del luogo, da quel momento in poi a disposizione di tutti i cittadini di Manhattan, a testimonianza storica di un paesaggio newyorkese ormai completamente scomparso. Così oggi, insieme ad una fitta rete di sentieri e p erco rsi , la foresta possiede anche una folta schiera di specie animali selvatici ed uccelli, della cui tutela si occupano i cosiddetti Park Rangers, cosa che rende Inwood Hill il luogo ideale in cui praticare uno degli sport preferiti dai newyokesi, il ‘bird watching’. Dall’altro lato però anche l’Inwood Hill Park non rinuncia alle com odità del relax più co mu n i e si fanno spazio tra gli arbusti le aree per picnic, per barbecue, i parchi giochi per bambini e le aree riservate ai cani: le stesse attività si inseguono lungo i parchi della città, ma attirano bacini di utenza a scale differenti. Ecco che il parco urbano diventa il parco della domenica, il parco dei turisti e dei cittadini

Quest’ultima tipologia di parco rappresenta, infine, un modello di parco urbano assai diffuso nell’area nord dell’isola, le cui trasformazione tardive hanno permesso la conservazione di spazi aperti d i m a g g i or i d i m e n s i on i , quali il Fort Tr yon Pa r k , l ’ H i g h b r i d ge Park, f ino a l S. Ni c h ol a s Pa r k e a l Morningside Pa r k , poco al di sopra del quartiere di Harlem. Tale situazione è spiegata non solo da fattori di carattere temporale rispetto alle trasformazioni urbane della città, ma tengono conto anche dell’aspetto sociale delle stesse: i quartieri popolari più vasti infatti si trovano nell’area a nord di Central Park e il parco urbano di notevoli dimensioni è storicamente sempre stato ritenuto un’ottima valvola di sfogo per la popolazione, spesso poco soddisfatta della sistemazione nel proprio quartiere. La logica del consumo e del commercio poco ha toccato queste aree, che rimangono quindi incontaminate e che proprio per questa loro peculiarità attirano visitatori da tutta la città, con il solo scopo di conoscere una realtà meno artificiale o di staccare completamente la spina.

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Bryant Park

Architetto/Designers_ progetto sotto la guida di Robert Moses successiva ridisegno di Lynden Miller Collocazione_ 40th Street e 42nd Street Datazione_ 1847 Dimensioni_ 150 m x 130 m Superficie_ 19.500 m² Cliente_ City of New York

Il Parco nasce nel 1847 sotto il nome di Re s e r vo i r S qu a re, per la presenza di serbatoio di dimensioni notevoli, in seguito sostituito dal Crystal Palace in occasione di una mostra inernazionale di architettura. Dopo la costruzione della N ew Yo r k P u b lic L ib rar y nel 1911 si decise di accostarvi un parco vero proprio: Bryant Park. Fin da subito poco curato e infestato da prostitute, spacciatori di droga e senzatetto, il parco situato in uno dei quartieri più importanti della città divenne una vera e propria piaga2. Tutti intuivano che il parco con il progetto giusto si sarebbe trasformato “da una discarica sterile in uno dei luoghi più attraenti e di respiro della città”3. Ad aggravare la già instabile situazione subentrò l’intervento di riqualificazione portato avanti nel 1934 da Ro b er t Mo ses: l’idea di Moses, valida in generale anche per gli altri parchi della città, era quella di trasformare Bryant Park in un ‘s a nt u ar io d el r ip oso’, facendo però un luogo di esclusione e inaccessibile, erigendo alti muri di confine e recinzioni di ferro. L’intervento fu un totale insuccesso e le violenze e gli omicidi aumentarono. Il Parco venne così chiuso e riaperto solamente

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dopo l’intervento di definitiva riqualificazione portato avanti dalla Rockefeller Broth e rs F undation, sostenuto dalle ricerche del sociologo W.H.White: il parco riconquistò i cittadini, aprendo molteplici nuovi accessi e inserendo centinaia di sedie e tavolini movibili. Per intraprendere i lavori fu necessario costituire diverse associazioni in grado di raccogliere i fondi necessari, quali ad esempio la BPRC - Bryant Park Restoration Corporation- e il cosiddetto BID - il Bryant Park Improvement District-. Bryant Park risulta appartenere, ma ancora oggi rimane interamente gestito da un’associazione non-profit privata, la Br yant Pa r k Corporation. Questo tipo di atteggiamento da parte del governo della città è stato a lungo criticato -Zukin, Fainstein, Carr- secondo prospettive spesso ideologiche, quali la mancanza di eterogeneità tra gli utenti dovuta all’immagine voluta dal privato che si occupa della gestione o la presenza di attività private a ridosso della piazza, attività non spontanee e legate alla logica del consumo. Viene da chiedersi però quanto New York sia basata su valori di proprietà pubblica e qua nto su quelli della proprietà privata.

2 Citazione tratta dal testo ‘Bryant Park, an out-of-town experience’, di Goldberg, pubblicato sul New York Times nel 1992 3 Citazione tratta da ciò che scrisse il New York Times nel 1928 circa Bryant Park.



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spaces 02.7.1

Piazze a scala territoriale ‘Times Square quickly became New York’s agora, a place to gather to await great tidings and to celebrate them, whether a World Series or a presidential election’ James Traub

Di tutte le piazze viste fino ad ora, quelle che qui vengono considerate a scala territoriale rappresentano proprio quegli spazi che costituiscono i co n e e u n ver i e p ropri l a n d m a rk , riconosciuti in tutto il mondo. La categoria delle piazze territoriali, ad ogni modo, non è stilata in base ad aspetti dimensionali delle stesse, ma piuttosto è legata a considerazioni circa l’influenza che questi spazi esercitano sulla società che li circonda: non si tratta nemmeno quindi di affermare dunque che le piazze a scala territoriale attirano utilizzatori da tutti i quartieri dell’isola e da molte altre località dello stato di New York - e degli altri stati nel mondo-. Si fa infatti riferimento all’influ enza c ul t u ra l e e immag in ifica che questi luoghi hanno posseduto e possiedono tuttora: tali piazze hanno contribuito a diffondere per il globo intero un’idea di quello che la grande metropoli americana poteva rappresentare, tentando non solo di fornire un’identità a se stessi, ma anche di costruirne una per la città di New York. Sono i luoghi delle cartoline, i punti nevralgici della metropoli, quelli di maggiore affollamento in gran parte turistico: sono proprio quegli spazi in cui il vero newyorkese non vorrebbe mai ritrovarsi nelle cosiddette rush hours! Non è quindi difficile da intuire come queste piazze a scala territoriale siano per lo più formate da i n cro ci o semp lic i sp iazzi o an cora pi c co l i ri ta g li all’ inter n o d ella fitta gr i g l i a n ew yor kese : gli esempi più eclatanti sono rappresentati dal frequentatissima Times S q u a re , presa letteralmente d’assalto ogni giorno da migliaia di turisti da tutto il mondo, quasi come fosse una meta di pellegrinaggio;

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il tratto di strada di fronte al Federall H a l l , il santuario della borsa, all’interno del quale si può seguire in diretta il collasso o il decollo dell’economia mondiale, e anche luogo perennemente sotto stretta sorveglianza; e infine la Rockfeller Plaza, che da semplice piazza di quartiere quale potrebbe essere, viste le sue esigue dimensioni, è stata eletta ad un livello superiore, sempre tenendo in considerazione l’enorme successo riscosso da tale spazio e la ripercussione mediatica che ha in tutto il mondo, acuita soprattutto sotto il periodo natalizio. Le piazze territoriali partono quindi dall’essere ritenute frutto di espressioni peculiari e locali della cultura newyorkese, ma è forse doveroso cominciare a considerarle invece come gli spazi che più hanno subito l’influenza delle trasformazioni profonde che hanno investito l’America -e che quindi ne hanno modificato la cultura-, m anifesti della cult u ra popolare am ericana m aterializzat i si nella città più conosciuta e forse m e n o rappresentativa di tutti gli States .


territorial Times Square

Architetto/Designers_ Collocazione_ 42nd Street e 47th Street Datazione_ 1904 Dimensioni_ 25 m x 490 m Superficie_ 12.250 m² Cliente_ City of New York

1 Citazione tratta dal testo ‘N ew Yor k . L e origini d i u n m i to ’, di William R. Taylor, pubblicato da Marsilio, Milano, nel 1994

Quello che all’apparenza, dal punto di vista formale, altro non è che un ritaglio f ra un in c ro c io d i strade , si è nel tempo tramutato nell’epicentro della città e del mondo intero: Times Square, il cui nome d’origine era Long Acre Square, altro non è che l’ incarnazione d ei mu ta me nti av venuti nella società amer ican a , e non solo, nell’ultimo secolo e proprio per questo non può non essere considerata una piazza influenzata e che influenza tutto il territorio dello stato di New York. Contrariamente a quanto comunemente si ritiene, Times Square non accadde per caso come conseguenza della costruzione di alcuni importanti edifici, tra cui la sede del New York Times , da cui prende il nome, nel 1905; essa fu letteralmente inventata 1: le circostanze e l’ambiente che favorirono la sua nascita possono essere rintracciate nella prima cultura consumistica degli anni ‘20 e ‘30, in quel fervore derivato dall’accelerazione della produzione standardizzata e dallo sviluppo frenetico di u n ’ in d u stria pubblicitaria, dello

spettacolo e d e l l ’ i nt ratte n i m e nto. In aggiunta, già dalla fine dell’Ottocento, New York era divenuta il fulcro del mercato nazionale e un nodo importante di quello internazionale: importante centro per gli scambi e gli affari, Manhattan nel 1904 si dota presto di una rete ferroviaria e m et rop ol i ta n a efficiente, che passa proprio attraverso Times Square, così vicina all’allora nuova stazione ferroviaria di Gran Central, anch’essa sulla 42th Street.

Così come Herald Square si stava specializzando nei grandi magazzini al dettaglio, prendendo anch’essa il nome dalla sede del giornale ‘New York Herald’, così Times Square si trova n e l cuore del qu a r t i e re d e l l o sp etta col o , che a fine Ottocento si era spostato dalla vicina Union Square in cerca di maggiori spazi a prezzi inferiori. Specchio dunque di un quartiere nuovo, una ragnatela che si diramava in tutte le direzioni a partire dall’incrocio tra la Broadway e la 42th Street appunto. Nei primi anni del Novecento infatti il teatro si dimostrò essere un vero e proprio sistema economico molto redditizio e trovò in quegli

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anni imprenditori pronti ad investirvi, non senza una buona percentuale di rischio: ben presto, infatti, la cri s i d el 1929 svuota 4 teatri su 5 e costringe tutti coloro che avevano puntato tutto sul quartiere dei teatri -chiamato al tempo appunto ‘Broadway’- a ricercare una soluzione capace di costruire una ‘città della città’, una realtà parallela remunerativa, legata al piacere e al divertimento. Comincia quindi il d eg rado del l ’ i nte ro q uar t iere , che converte i teatri in cinema legati all’ambito pornografico, che costruisce nuovi e appariscenti bordelli e che permette una prostituzione quasi legalizzata sui marciapiedi attorno a Times Square, trasformandosi in un q u a r t iere a lu c i rosse . Questa ‘economia semipubblica del vizio e del divertimento’ venne tollerata, pur non senza passare inosservata, proprio perchè parte integrante dei finanziamenti degli apparati di controllo e politici della città, che ricevevano parte dei profitti. Quandò però i primi segni della nascita del buon costume e dell’int ro d u zio n e d ella d onna nel l a s o ci età , a partire dal suo ingresso nei centri commerciali fino alla sua comparsa negli spazi pubblici, apparvero le convenzioni sociali vennero messe in crisi e fu necessaria una riqualificazione dell’intero quartiere. La svolta però si ebbe solamente all’inizio degli anni ‘80 quando alcuni sindaci decisero di ‘ripulire’ il quartiere, più che altro spinti dalla pressione del nuovo boom economico ed edilizio della città: R u d o lp h Giu lia n i 2 aumentò la sicurezza, impose la chiusura dei cinema e dei teatri pornografici, scacciò gli spacciatori e optò per una vocazione maggiormente turistica per tutta l’area, favorendo l’apertura di grandi magazzini, la diffuzione di n eon, i nse g n e d a l le d imen sio n i t ita n iche

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e m ax ischermi , quasi a mettere la piazza stessa in rete e in comunicazione con il resto del mondo. Il più grande miglioramento è senza dubbio dovuto all’investimento da parte della Walt Disney Corporation di circa otto milioni di dollari; tale coinvolgimento, unito ai risultati oggi visibili, portò al soprannome che alcuni critici - Zukin, 1995 - affibiarono alla piazza, considerata la nuova ‘Disneyland’ .

Dal 1992 in avanti subentra la gestione del quartiere da parte della Tim es Squ a re Alliance , precedentemente chiamata ‘Times Square Business Improvement District’ - i BID, associazioni non profit coivolte in tutte le grandi trasformazioni e gestioni dei maggiori spazi pubblici di new York, come visto finora -: essa rappresenta una coalizione formata tra il governo cittadino e gli imprenditori locali, volta al miglioramento della qualità del commercio e della pulizia del quartiere. Senza leggere fra le righe, non è difficile intuire come questa trasformazione abbia attirato investimenti notevoli da parti di grosse aziende multinazionali e come abbia definitivamente trasformato lo slargo in un grande cartello pubblicitario. Il 26 febbraio del 2009, il sindaco Mich a e l Bloom berg con un grande annuncio dichiara di voler costituire una nuova plaza temporanea completamente dedicata ai pedoni sia in Times Square che in Herald Square, collegate le une alle altre da un percorso pedonale e ciclabile, affiancato alle corsie di traffico, a sua volta notevolmente ridotto. Il progetto, chiamato ‘Green lights for Midtown’ ha riscosso un enorme successo3, non senza qualche polemica.

2 Rudolph Giuliani fu sindaco di New York dal 1994 fino al 2002 3 Il successo riscosso è comunque accompagnato da diverse critiche, che vedono la mossa strategica di

Bloomberg

demagogica

e

come che

un’azione considerano

la pedonalizzazione del tratto un pagliativo non sufficiente alla riduzione della congestione di cui è afflitta la città. Alcuni residenti inoltre ritengono l’intervento un ulteriore modo per attirare turisti e non percepiscono un reale contributo allo spazio pubblico della città


territorial


la presunta morte dello spazio pubblico americano

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Parchi a scala territoriale

Negli ultimi anni il bisogno impellente da parte della città di New York di adottare nuove misure ed escogitare nuove strategie per una New Yo rk ‘p iù verd e’ - secondo il motto del piano strategico per lo sviluppo della città da attuare entro il 2030 annunciato dal sindaco Bloomberg - ha reso evidente la necessità di un r i p e n s a m e nto d elle r iso rse d isp o nibili e così ha avviato una ri-progettazione del sistema dei waterfront: il porposito è cioè quello di creare un sistema fatto di grandi parchi a scala territoriale capace di fornire alla città una risposta al fabbisogno di aree verdi e di respiro, anche in senso ecologico. Ecco che a Central Park, lo storico progetto che rivoluzionò e rafforzò allo stesso tempo la griglia, si unisce un filo unico attorno alla linea delle spiagge, che , senza interruzioni, avvolge l’isola grazie a nuovi collegamenti tra i parchi che attualmente si affacciano sul fiume. La linea continua dei water fro nt , non ancora completamente realizzata, prevede soprattutto nella parte sud-orientale dell’isola una serie di nuovi progetti per la r iq u alifica zio n e del s i ste m a d e i P iers ; tali progetti puntano sulla possibilità di ricavare nuovi spazi pubblici, attraverso la costituzione di piattaforme artificiali e di aree per la pratica sportiva e il tempo libero, sull’esempio di quelle realizzate sulla sponda occidentale, lungo i Chelsea Piers. Risulta evidente quindi la costituzione di un sistema principalmente composto da due grandi parchi a scala territoriale: Central Park, il vasto manto erboso di Manhattan, considerato il grande giardino della città, contrapposto e allo stesso tempo affiancato da u n lungo s paz i o li n e a re , formato a sua volta da parchi minori, talvolta a scala urbana, altre a scala del quartiere.

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L’idea complessiva rimane quella di un insieme di parchi a scala territoriale, che diventano spazi complessi , sia nella comprensione della loro organizzazione che nella gestione pratica e sociale ad essi interna: ecco perchè negli ultimi decenni si è dovuto assistere ad una ‘rimodellazione’ dell’ideale originale che i parchi a grande scala portavano con sé. L’utopia di una democrazia totale , di un liberalismo incondizionato, concretizzata dal progetto di Olmsted e Vaux, è diventata oggi assai scomoda e inconciliabile con la società, anch’essa apparentemente democratica: lo spazio, una volta aperto e accessibile a tutti, è ai nostri giorni regolamentato e suddiv i s o di ‘stanze’ , più facilmente controllabili, arricchito da numerosi campi da gioco per disporre di attività pre-organizzate1. Ciò che gli organi di controllo vedono con sempre maggior frequenza è l’immagine di un parco da dover difendere dal pubblico, piuttosto che un elemento costituito proprio dal suo coincidere con la gente, fatto per divenire il simbolo della collettività per eccellenza. Di fronte alle sempre più pesanti minacce derivate dall’inquinamento e dal vandalismo, la scelta quasi obbligata è stata dunque quella di inserire all’interno di questi sistemi verdi complessi una ferrea regolamentazione, diverse barriere e di opporvi un pianificazione del paesaggio scrupolosa e dettagliata, lasciando sempre meno respiro allo spazio non progettato2. Nell’idea originale del progetto pensato da Olmsted e Vaux per Central Park, infatti, coloro in pericolo e in fuga dalle malattie della città - inquinamento, abitazioni malsane, sovraffollamento e malattie - erano proprio i newyorkesi che avrebbero dovuto trovare nel vasto parco un rifugio e più ancora un antidoto, una cura.

1 É sempre più frequente oggi aggirarsi per Central Park e trovarsi circondati da cartelli ‘Keep off the grass’ o da messaggi di divieto 2 Per assaporare una teoria affine all’idea di una progettazione che segua le esigenze dell’ecosistema si rimanda agli scritti di Gilles Clèment figura 1 Sistema dei parchi a scala territoriale formato dall’unione di Central Park e della riqualificazione dei waterfront


territorial Central Park

Architetto/Designers_ Frederick Law Olmsted and Calvert Vaux Collocazione_ 59th Street e 110th Street Datazione_ 1857 Dimensioni_ 850 m x 4000 m Superficie_ 3.100.000 m² Cliente_ City of New York

3 ‘There was no place within the city limits in which it was pleasant to walk, or ride, or drive, or stroll’ , Clarence Cook, 1869 4 Era stato infatti proposta qualche anno prima la realizzazione di un parco lungo l’East River, su di un tratto di terreno di proprietà di John Jones, ma venne giudicato troppo esteso e troppo costoso 5 Il termine sta ad indicare un manto erboso 6 In fondo quest’idea non è poi così lontana dalla teoria proposta un secolo dopo da William H.White attraverso lo studio del design degli spazi pubblici di Manhattan

Prima della realizzazione di Central Park, la città possedeva solamente piccoli spazi verdi con al loro interno banali attraversamenti pedonali, senza che questi solleticassero l’immaginazione dei cittadini3: non si parlava certamente dei benefici legati alle aree naturali della città, poichè nessuna era grande abbastanza da stimolare la sensazione che la città ne avesse un reale vantaggio. Con i suoi 340 acri , Central Park stabilì dunque una nuova scala, quella ter r ito r iale , che venne battuta due anni più tardi solo dal Fairmount Park di Filadelfia. Dopo aver bocciato altre precedenti proposte4, finalmente il governo della città accetta l’idea di costruire un ampio spazio aperto a nord dell 59th Street affidando i lavori al sopraintendente frederick Law Olmsted, fino ad allora coltivatore, giornalista ed editore; quest’ultimo non solo ebbe il merito del progetto del parco, ma fece anche in modo da svincolare l’iter della realizzazione dalla morsa dei politici della città, abituati fino a quel momento a mettere le mani su tutti gli interventi della New York ottocentesca. Il progetto di Olm sted e Vaux , intitolato

‘Greensward’5, vedeva il parco come un’op e ra d’arte totale , che doveva essere veicolo di concetti legati alla virtuosità della natura. Nella mente di Olmsted, infatti, esso non doveva essere ricolmo di dettagli, monumenti e statue, non doveva anzi contenere alcun elemento che ricordasse valori culturali prestabiliti. Il parco doveva offire ai cittadini appartenenti a qualsiasi classe e condizione una visione elevata della civiltà, slegata all’idea semplicistica americana fino ad allora legata agli elementi naturali: un parco capace di correggere gli atteggiamenti causa di disordine sociale, con la convinzione che un’adegua proettazione degli spazi in cui l’uomo vive potessero influenzarne le azioni sociali6. Quando Olmsted elaborò la sua prima pianta, solamente il 10% degli abitanti della popolazione di New York viveva al di sopra della 40th Street: il parco quindi altro non era che un’are a ve rd e su b u r b a n a i n u n territorio an cora q u a si r u ra l e e risultava così molto lontano da quelli che allora erano i quartieri più poveri della città, i primi che avrebbero dovuto beneficiare degli influssi

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positivi del parco stesso. Central Park venne comunque realizzato e aperto del 1858, non senza polemiche; i riformisti, che in quel momento andavano proclamando l’importanza dei parchi giochi, soprattutto nelle vicinanze di aree povere e degradate, obbligarono la città ad inserire del progretto anche alcuni playgrounds. Quando il progetto venne realizzato non ci si era ancora resi conto dello sforzo m o n eta ri o che la città avrebbe dovuto sostenere e nei primi decenni del Novecento il parco ritrovava già in stato di abbandono. Fino agli anni ‘60 Central Park, e con esso tutti i parchi del sistema del verde sotto la proprietà del gove rn o cittad in o p r ivo d i fondi , rimase una distesa verde, ricolma di rifiuti ad ogni angolo, dall’arredo urbano danneggiato e privo di un’adeguata manutenzione. Grazie alla fondazione della Cent ra l Park C o n s e r va n cy nel 1980 da parte di Elizabeth Barlow Rogers7, il parco ricevette 150 milioni di dollari da enti, privati e famiglie altolocate della città e venne trattato come un’istituzione culturale vera e propria.

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Questa vicenda rappresentò la prima vera riflessione relativa ai finanziamenti della città e stabilì il successo della prima partnership pubblico - privato, che da questo momento in avanti diventò la forma di finanziamento, gestione e manutenzione prediletta dello spazio pubblico newyorkese. Ancora oggi la Central Park Conservancy è stata incaricata di occuparsi della manutenzione del parco, viste le gravi difficoltà economiche del Parks Department, e lo spettro di una possibile privatizzazione spinge molti critici ad affermare con vigore la necessità da parte della città - e più in generale di tutte le città americane - di togliere la proprietà degli spazi aperti pubblici dalla mani del governo cittadino, lontano dai sicuri retaggi di una democrazia ormai in bilico. Quello che è certo, però, è che nel momento in cui tali spazi a scala territoriale cadono facilmente nel degrado, i primi abitanti a farne la spesa sono quelli appartenenti alle fasce sociali più basse, disperate poi a tal punto da rappresentare un problema di cui la società intera non può altrettanto facilmente disfarsi.

7 Il commissario del Dipartimento dei Parchi, Henry J.Stern, definì Elizabeth B.Rogers ‘the woman who saved Central Park in the 20th Century’


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