Infinite Broadway. The long square.

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infinite broadway



p o l i t e c n i c o d i t o r i no i fa c o l t Ă d i a r c h i t e t t u ra

corso d i l a u r e a i n a r c h i t e t t u r a [progettaz i o n e u r b a n a e t e r r i t o r i a l e ]

tesi d i l a u r e a s p e c i a l i s t ic a dicembre 2010

infinite broadway la lunga piazza

r elator e_ A ndrea Boschetti

c orrela tore_ P ierre Alain Cros e t

_candidata Stefania Toso



ai miei nonni


infinite broadway infinite broadway La lunga piazza

INDICE

7

Manhatta n: ci ttà vel oce VS ci ttà l enta

9

La città americana _01.1

19 Mannahatta e il ‘gridiron plan’ 33 La griglia veloce: il traffico 41 La griglia lenta: i neighborhoods 51

59

_01.2 _01.3 _01.4

Broadway: dalle origini alla pedonalizzazione _01.5

L a presunta morte del l o spa z i o pubbl i co a meri ca no

67 Storia dello spazio pubblico nello sviluppo di ‘Mannahatta’ 75 La ‘res publica’ contemporanea della Grande Mela 79 Public Space Map 81 83 87

_01

_02 _02.1 _02.2 _02.3

Pocket Spaces _02.4

Vest Pocket Parks [Paley Park] _02.4.1

Community Gardens [6th Street and B Avenue Garden] _02.4.2

91 Atrii e gallerie [IBM Atrium] 95 Mercati [Zuccotti Market Park] 99

_02.4.3 _02.4.4

Neihborhood Spaces _02.5

101 Piazze aziendali [Seagram Plaza] 105 Parchi di quartiere [High Line] 109 Parchi giochi [Sara Roosvelt Park] 113

_02.5.1 _02.5.2 _02.5.3

Urban Spaces _02.6

115 Piazze urbane [Union Square] _02.6.1 119 Parchi urbani [Bryant Park] _02.6.2 123

Territorial Spaces _02.7

125 Piazze a scala territoriale [Times Square] 129 Parchi a scala territoriale [Central Park]

_02.7.1 _02.7.2


infinite b r o a d w a y broadway infinite

La lunga piazza

133 03.1_ L’utopia della griglia 137 03.2_ Un’isola di isole 145 03_ Inf i ni te Broa dway

03.3_ Spazio pubblico puntiforme VS spazio pubblico continuo 03.4_ Una città pubblica orizzontale 173 03.5_ Immagini dalla Broadway

205

04_ I sta nta nee da ll a G ra nde Mel a 05_ Ri ngra z i a ment i 217 06_ Ri feri ment i bi bli ograf i ci

221

213

153



01 Manhattan: cittĂ veloce VS cittĂ lenta



manhattan: la cittĂ cittĂ veloce VS americana cittĂ lenta


la cittĂ


Manhattan: città veloce VS città lenta

americana 01.1 La città americana

“New York era il luogo più grandioso dell’Occidente, il cuore, il cervello, il punto focale, la sorgente principale, il pinnacolo, l’estremità, il meglio del Nuovo Mondo” Walt Whitman

Nell’approccio al progetto in territorio americano è innegabile la necessità di una conoscenza approfondita e scevra da giudizi e schieramenti circa la cultura della pianificazione propria del continente americano, così lontana da quella europea. La vera America, quella costruita a partire dai miraggi di una democrazia totalizzante, nasce dopo la fine del dominio inglese, la cui rottura aprì le porte alla t rasfo r ma zione del te rri to ri o amer ican o d a messa i n s ce n a d e lle vo lo ntà eu ro p ee a l a b o rato ri o p er la co st r u zio n e d i una nu ova s o ci età. La griglia che venne applicata al territorio americato, quella basata sulla teoria di Thomas Jefferson sull’ideale del quadrato di un miglio di lato, frutto della Land Ordinance del 1785, divenne la base per la crescita delle più grandi megalopoli d ‘America. Questa griglia, essenzialmente rurale, diventò anche urbana nel momento in cui avvenivano al suo interno suddivisioni tali da renderla un tessuto più fitto e complesso. Nei decenni molte città nacquero inoltre dal ripensamento e della rimodificazione del modello originale, attravreso mutazioni e traslazioni che fanno parte di u n p ro c esso d i r isc r itt u ra della gr i g l i a ste s s a a n cora sen za fin e. Il salto di scala di queste grandi città americane avenne nel momento in cui dalla città pianificata sulla base della griglia bidimensionale si compì il salto in altezza, ovvero quando la sezione della città divenne indipendente dalla sua pianta: nacque l a ci ttà d ei g rattac ieli. Questa mutazione, resa possibile dall’introduzione nel mondo architettonico delle strutture in acciaio e dall’invenzione dell’ascensore, diede vita a ed ific i come s og gett i i n dip en d ent i, sp ec ie nella c i ttà d i N ew Yo r k , p ro nt i a d ive nire

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tra di loro antagonisti, in un’anarch i a dell’ individualismo, logica ben lontana dai principi europei degli edifici inseriti nei contesti degli isolati e dei tessuti esistenti. La struttura urbana del grattacielo a d ogni modo non coinvolse solam e nte la città e il contesto circostante, m a inf luenzò anche i sobborghi de l l a middle class, che all’improvviso si riempì di tutte quelle funzioni e quegli spazi che non potevano coesistere con la città dei grattacieli. La città americana è molto cambiata rispetto alla situazione precedente la Seconda Guerra Mondiale e, mentre solo cinquant’anni fa era molto più vicina al modello europeo, oggi se ne distacca completamente. Furono le città dell’est a trascinare anche le città della costa ovest in un turbine di grattacieli, abbandonando gli isolati compatti in stile europeo. Il cambiamento avvenuto nella configurazione urbana, causato dal processo di suburubanizzazione avvenuto dopo la guerra, stabilì un nuovo tipo di tessuto, più casuale e disperso, come una vera e propria regola e non come un’eccezione. New York è in fondo la città che più manifesta questo atteggiamento: gli edifici costruiti negli ultimi anni, infatti, riflettono la tenden za verso una progettazione consolator i a rispetto a ragionamenti di carattere sociale e di rapporto con il contesto e il marciapiede. Inoltre, le strade, al contrario del ruolo secondario che possiedono all’interno della città europea rispetto alla piazza, divengono in America gli spazi pubblici dominanti. In Europa, le strade tendono a diventare degli spazi, mentre in America esse divengon o sem plicem ente i vuoti di separazio n e tra gli edif ici, i pieni cioè della città.


la città 1

figura 1 Pianta storica della città di Detroit

La maggiore differenza riscontrabile tra la città americana e quella europea è costituita dalla d istan za c he si stabilisce tra il piano p er la c ittà e gli edif ici e nella relazione tra gli edifici stessi. Nella città americana infatti gli edifici non sono quasi mai legati al piano della città e sono spesso indipendenti tra di loro. La c ittà suburbana, nel tentativo di esprimere un attaccamento alla dimensione orizzontale della pianificazione, tipico della tradizione europea, rappresenta il tentativo p iù efficac e di proposta di un nuovo a ssetto p er la città am ericana stessa. Essa fu dunque l’ultimo capitolo nella ricerca americana di un’identità urbana; il confronto con la città europea fu da sempre stimolo per il fluire di idee, tra di loro anche contrastanti, co me q u elle di m imesi con il modello eu ro p eo o di radicale distacco da esso, attraverso l’invenzione di nuovi piani urbani o nuove tipologie, nel tentativo di produrre una nuova identità urbana. L’identificazione dell’America con l’Europa definisce l’altra parte di una relazione asimmet r ica: le città diventano costruzioni tridimensionali, che materializzano tali fantasie. L’America, la terra vergine, come l’ambientazione per scenari futuri, e l’Europa come una terra già costruita, riferimento culturale e custode della memoria del passato. Questo atteggiamento fatto di contraddizioni e imitazioni si riflette negli edifici costruiti nelle maggiori colonie americane, pensati a somiglianza dei modelli europei, ma continuamente stravolti da elementi innovatori. É nei v uoti urbani europei che l’architettura ha trovato un sito idoneo alle p rat ic h e u rbane, dalle piazze pubbliche alle singole strade; mentre il piano europeo è il

risultato di una pura contingenza con il contesto e di uno scambio di relazioni tra forze politiche ed economiche, al contrario il caso americano parte da una vera e propria ta b u l a ra s a per il piano della città. Dopo l’indipendenza americana dal dominio inglese la ricerca di un’identità divenne un tema più urgente; nonostante tutto, l ’a rc h i tett u ra in Am erica n on fu i l ge n e ratore d i nuove fanta si e ra d i ca l i u r b a n e e queste ultime n on ve n n e ro p rod otte dalla f igura d i a rc h i tett i , m a d a q u e l l a di politici coi nvol t i e i nfor m at i e d i imprenditor i . Il tentativo di stabilire un determinato ordine nella costruzione delle città americane ebbe luogo in differenti passi successivi: l’insistenza della proposta di p i a n i b a s at i su d i u n a griglia può essere riportata indietro ad una comunanza con i piani dei coloni, ma i l tentativo ame r i ca n o vi d i ffe r i s c e p e r scala. L’invenzione di questa nuova scala viene fatta risalire ad un documento del 1765 in cui si citava per la prima volta la regola della griglia formata da quadrati di un miglio. Tale La n d Ordinance, applicata a cominciare dal 1785, venne estesa non solo al territorio vuoto delle aree rurali ma venne utilizzata anche come modello per la costruzione delle nuove città. In sostanza la storia della pianificazione urbana si trova di fronte all’i m p l e m e nta z i on e americana d i u n m od e l l o b a s ato su ideali f ilosofi c i e u rop e i . Tale modello a griglia si concretizza in d u e ‘geom etrie’: una quella vera e propria dell’ordine imposto a livello della planimetria; l’altra quella relativa all’immagine della città che ne consegue.

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Manhattan: città veloce VS città lenta

americana 2

Quindi contemporaneamente tale griglia agisce sia come layer appoggiato al suolo e sia come layer che sta sotto tutta la nuova città e che ceca quindi di influenzarla anche nella sua architettura. La città fisica prodotta dalla griglia americana si rivela molto lontana dall’esempio e dal risultato delle griglie utilizzate nelle città europee: queste ultime, infatti, si evolvono tramite trasformazioni e mutazioni che hanno a che fare con la città in termini di contrasto tra gli isolati compatti e le strade e le piazze, i vuoti della città. L a città a m e rican a, invec e, si man ife sta con u n a s i ntassi d i o g gett i co llocati s u d i u n p i a n o : gli edifici e la loro solidità divengono il passo verso la densificazione della griglia. La città dei grattacieli, poi, a queste strategia sul piano bidimensionale, ne applicò un’altra, sul piano della sezione. Quello che varia dunque è non tanto la forma della città nella sua applicazione di una griglia di base, q u a nto l’ immag in e c h e ne de ri va , co st it u ita d a ll’ inven zio n e di un a n u ova co nfig u razio n e u r b a n a, che dal XX secolo in poi ebbe come protagonisti i grattacieli. Il g ratta ci e lo p o r tò n el p iano vert i ca l e ci ò c h e la g r ig lia aveva po rtato n e l p ia n o o r izzo ntale: la po s s i b i l i tà d i infinte esten sio n i che s on o m etafo r icamente p resent i della pa ro l a ste s s a d i ‘g rattac ielo ’. Mentre l a g ri g l i a p o r tò o rd in e e r it mo nella di m e n s i o n e o r izzo ntale d ella c ittà, il gratta ci e l o po r tò lib er tà e p o ssib ilità ne l l a d i m e n s io n e ver t icale, ro mp e ndo l a v i s io n e cl assica d eg li ed ific i le gati a l l’e l e m e nto sca la.

13

La città americana non si fonda sulla tipologia, ma sulle trasformazioni rigurdanti la sua morfologia e tipologia. Il grattacielo obbliga l’architettu ra a conf rontarsi con l’ im possibi l i tà di articolarsi con la città a livello d i singolo edif icio: la griglia diventa urbana e architettonica quando la sua identità di neutralità viene persa, quando il suo ordine cioè viene sovvertito. Il vuoto creato dall’assenza della città americana nel discorso architettonico venne riempito dal concetto di griglia, come opposto alla contingenza percepita che caratterizza l’elevazione dello skyline di alcune città americane, come New York. Nonostante la resistenza alla città americana sia diminuita nel corso del ventesimo secolo, il modo di vedere la città am erican a com e un fatto non architettonico si è conser vato ed è stato ribadito e sottolineato non solo dai suoi critici, ma anche da alcuni apparenti sostenitori, come ad esempio Camilo Sitte, critico circa i moderni piani a griglia, o le Corbusier che bollò la città americana come un ‘disordi n e di grattacieli e strade corridoio co m e produttori di catastrof i ’ e che affermò la reale non neutralità del piano a griglia. Il disordine della città americana apre la possibilità alla costruzione libera e slegata da ogni vincolo. A tale proposito Mario Galdenson a s propone una lettura delle differenti griglie che si sovrappongono nella città di New York, al fine di comprendere il rapporto tra il tessuto reale della città e il substrato teorico che l’ha generata.

figura 2 Vista a volo d’uccello della città di Philadelphia, che mette in risalto la struttura a griglia 1 Citazioni tratte dal testo di Mario Galdensonas,‘ X - u r b a n i s m : arc hitec ture and the A merican c ity ’,

pubblicato

da

princeton

Architectural Press,New York, nel 1999


la città 3

figura 3 Vista a volo d’uccello della città di Chicago, guardando verso ovest, del 1892 figura 4 Disegni

elaborati

da

Mario

Galdensonas nel testo ‘X-u r b a n i sm : a rchitect u re a n d th e A m e r i ca n ci ty ’,

pubblicato

da

princeton

Architectural Press,New York, nel 1999

I disegni elaborati da Galdensonas nel suo testo sono focalizzati sui settori a griglia della città di New York, che organizzano la parte meridionale della città, appena al di sotto della griglia imposta nel 1811. La frammentazione di griglie differenti permette di cogliere sovrapposizioni, d efo r ma zio ni e cancellazioni com e effett i multipli della collisione di g r ig lie d ifferenti che rappresentano tutti i successivi sviluppi del piano. L’obiettività dell’opposizione tra figura e suolo è stata sovvertita dalla rappresentazione delle continuità lineari implicate, il completamento dei frammenti di griglia e la simultanea rappresentazione in due e tre dimensioni. La contrapposizione tra isolati e edifici/oggetti si fa sfocata con la scoperta dell’isolato che agisce esso stesso come oggetto. I disegni esaminano diverse rappresentazioni di N ew Yo r k, antecedenti al gridiron d el 1811, mostrando lo sviluppo dei vari piani sotto all’applicazione del gridiron stesso. Il piano della città concentrica del p r imo n u c le o urbano di Manhattan è organizzato attraverso una strada nord- sud, l’att u ale Broadway, che separa due st r u tt u re morfologiche dif ferenti: una struttura radiale di isolati con un centro focale situato nel nord-est e un lungo isolato, organizzato come una struttura ortogonale, identificato dalle linee di proprietà e da una piazza aperta nel lato ovest. La Broadway, tale asse portante appunto, si allarga sul finire del nucleo per fare spazio al forte, nel suo tratto finale.

La sottrazione del gridiron post-rivoluzionario rivela le principali e significative situazioni urbane che articolano la struttura formale di

Manhattan, le cui caratteristiche dominanti sono rappresentate da: - l’open spa c e d i C e nt ra l Pa r k, in contrapposizione con il resto della città costruita nel caso dell’assenza del gridiron; - le collisi on i d e l l e g r i g l i e p re rivoluzionar i e nella punta sud dell’isola; - il sistem a d i st ra d e n ord -su d determinate seguendo le linee non ortogonali della topografia dell’isola, nell’area nord- ovest, che culminano nella griglia a diamante della punta nord; - la Broadway, che agisce come collegamento tra tutte queste differenti situazione urbane e le cui intersezioni con le larghe strade est-ovest producono una ‘corona’ di spazi pubblici, come Union Square, Herald Square, Times Square e Columbus Circle; - ponti e tun n e l, che collegano l’isola con gli altri borough e che si ammorsano nel tessuto costruito in maniera casuale. Lunghi e stretti isolati caratterizzano l’assetto del gridiron plan, con d u e p r i n c i p a l i eccezioni: la prima è costituita da una striscia a est della Fifth Avenue fino alla Third Avenue, dove la madison Avenue e la Lexington Avenue dividono i lunghi isolati in altrettanti isolati quadrati; la seconda è invece rappresentata da Upper Manhattan, dove le irregolarità topografiche si sono imposte sul sistema di strade frammetando il gridiron stesso. Altre eccezioni sono rappresentate ad esempio dai punti d i atte r ra g g i o d e i p ont i : nel caso del ponte di Brooklyn, il tessuto si trasforma inun campo disseminato da oggetti sparsi. Nuovamente, la linea di resistenza che ferma la forza contraria all’ordine della griglia è costituita dalla Broa d way, ve ra e p rop r i a ossatura di tu tta l a c i ttà.

14


Manhattan: cittĂ veloce VS cittĂ lenta

americana 4

15


la cittĂ

16


Manhattan: cittĂ veloce VS cittĂ lenta

americana

17



manhattan: mannahatta cittĂ veloce VS e il gridiron cittĂ lenta plan


Mannahatta e il gridiron


Manhattan: città veloce VS città lenta

plan 01.2

Mannahatta e il ‘gridiron’ plan “Manhattan is an accumulation of disasters that never happen.” Rem Koolhaas

Discutere del tema della griglia a Manhattan è un po’ come tentare di definire la sua impronta e assaporare la sua essenza: non solo accompagna la città quasi fin dalla sua nascita, ma è stata, nel tempo, la fonte di gi u d i z i cri t i ci - Le Corbusier e la sua critica alla ‘scala’ inadeguata degli edifici - e vere e proprie te o ri e filo so fic h e - Rem Koolhaas e il suo ‘Manhattanismo’ - . L’elemento chiave che permette di leggere la città e di giudicarne l’assetto è quindi quello della scala, esplicitata proprio dal rapporto tra gli edifici, i pieni, e la griglia, il reticolo dei vuoti. La nascita della griglia non risale ai primi anni di vita della metropoli, che per un secolo rimase un p i ccolo v illa g g io d alle scarse pro s p ett i ve fu t u re, dal commercio difficoltoso e dal governo mutevole e precario; dopo l’approdo nel 1524 da parte dell’esploratore Giovanni da Verrazzano e in seguito alla fondazione del piccolo insediamento fortificato, il tracciato delle strade si modificò spontaneamente, seguendo il modello pressochè tortuoso dei centri storici delle principali città europee. Nel 1621 la Compagnia delle Indie Occidentali ottenne l’esclusiva dei diritti di transazione commerciale, e quindi il monopolio degli scambi commerciali nelle acque dell’Hudson, e consegnò ai nuovi coloni dell’isola p rec ise rego le p er la pi a n i f i ca z i o n e d ella c ittà, u n mo d e llo, ricalcato su quello europeo, che rimase tuttavia sulla carta, per la scarsa realizzabilità, conseguenza delle dimensioni titaniche del progetto, troppo lontano rispetto alle risorse presenti. Vennero avviati i lavori per la costruzione del forte, anche se di molto ridimensionato rispetto al disegno olandese, e l’espansione

21

del resto del villaggio si avviò spontaneamente, seguendo i sentieri indiani preesistent i 1; la costruzione del Fort Amsterdam, dunque, segna l’inizio della fondazione vera e propria della città di Nieuw Amsterdam e l’area attorno ad esso rappresentò un rifugio sicuro e protetto, al di sotto del quale i terreni divennero presto sovraffollati e dal valore piuttosto alto. Rimane ancora oggi molto evidente il tracciato originale delle prima espansione del nucleo storico nella Downtown Manhattan odierna: molte delle strade esistenti infatti ricalcano quasi alla perfezione i primi tracciati, prima fra tutte la Broadway. Questo lungo asse, infatti, venne mantenuto nei secoli sulla base di una prima via legata ai sentieri degli indiani, considerata importante fin dai primi secoli di vita della città grazie alla sua direzione rivolta verso le cam pagne in passato presenti fuori dalle prime fortificazioni, diretta verso i possedimenti agricoli e le tenute dell’entroterra, importanti risorse per la prima colonia. L’importanza storica della Broadway è poi testimoniata implicitamente dalla sua permanenza all’ interno del retico l o, anche successivamente al Commissioners’ Plan del 1811, a dimostrazione di come questa via rappresentasse un asse di fondamentale importanza e di frequente utilizzo per tutta la popolazione. Un’altra importante strada appartenente al reticolo iniziale è Wall Street, che intersecando la Broadway divideva la prima colonia dal resto dell’isola ancora libero e incontaminato, muovendosi fino alla sponda dell’East River. Quando al dominio olandese seguì quello inglese, a partire dal 1664, furono subito chiare le intenzioni di espansione oltre le mura da

1 Della

‘Mannahatta’

dei

nativi

d’America rimangono poche tracce, ma

alcune

strade

sono

ancora

chiaramente riconducibili ai primi sentieri utilizzati per spostarsi nell’isola e nelle terre che la circondano: prima fra tutte la Broadway, accompagnata dalla Bowery.

1

figura 1 Mappa

dei

sentieri

dei

nativi

americani di Manhattan e dintorni tratta da R.P.Bolton, ‘Indian Paths in the g reat metropolis’, Heye Foundation, New York, 1922


Mannahatta e il gridiron 4

2

3

figura 2 Mappa di New Amsterdam del 1660 di John Wolcott Adams e I.N. Phelps Stokes, con le prime fortificazioni e le mura costruite lungo l’attuale Wall Street figura 3 Mappa di New York del 1775 di John Montresor prima dei grandi incendi del 1776 e del 1778 figura 4 Mappa

raffigurante

una

prima

proposta del Commissioners’ Plan del 1807

parte della colonia stessa, ormai passata al titolo di città di New York; il Dongan Charter del 1696 sanciva il portere da parte del governo inglese di ampliarsi ed estendere la giurisdizione municipale oltre i confini originari e poneva quindi le basi per un controllo assoluto degli spazi ancora non urbanizzati dell’isola, assicurandosi le terre non lottizzate e gli spazi pubblici di tutta Manhattan. La p o sizio ne strategica di New York in breve tempo sancì la sua supremazia rispetto agli altri insediamenti già presenti dei territori circostanti e pose le basi per un’espansione estesa e veloce, accelerata dal ruolo della città stessa nell’economia di scambi commerciali; le prime terre vuote oltre le mura vennero quindi suddivise in lotti regolari e vendute t ramite a ste pubbliche, senza ancora alc u n p iano predef inito che potesse fornire linee guida per uno sviluppo ordinato della città, facendosi divorare dalla popolazione in rapida crescita e trascurando la necessità di preservare alcuni ‘angoli’ di città per la costituzione di spazi aperti pubblici. Nella mappa del Ratzen Plan del 1767 è facilmente intuibile come l’operazione di suddivisione in lotti regolari fosse già in atto, specie attorno ai terreni che circondavano la Trinity Church, già esistente, attraverso progetti di parcellizzazione e distribuzione interna del lotto molto simili. In questi anni comparve anche il prim o progetto per u n o sp a zio pubblico di dim ensioni q u ad rate all’interno del tessuto, chiamato appunto ‘Gre at Square’, di proprietà di un certo James DeLancey: tale iniziativa però non soppravvisse alle forti pressioni legate alla necessità di nuove entrate fiscali da parte della municipalità e venne quasi subito accantonato e dimenticato.

Dopo il 1797, anno della fine della Rivoluzione per l’indipendenza dal dominio inglese, in cui la città subì un p e rd i ta con si d e revol e d i popolazione e una innumerevole serie di danni causat i p e r l o p i ù d a i n c e n d i, l’assetto di New York si presentava pressochè invariato, fatta eccezione per alcuni nuovi spazi verdi, tra cui H u d s on Sq u a re, dislocato lungo l’omonimo fiume. Dalla Rivoluzione in avanti, inoltre, venne stabilito che tutte le terre non ancora urbanizzate e tutti i possedimenti di coloro che erano rimasti fedeli al vecchio governo venissero a ss e g n at i d i diritto come p rop r i età d e l gove r n o cittadino; cominciò quindi un periodo di successivi f raz i on a m e nt i di terreni, con una regolarità sempre maggiore, stabilendo regole e dimensioni anche e soprattutto per il reticolo stradale, ponendo le basi per il successivo Piano del 1811. Agli inizi del XIX secolo l’espansione della città era ancora affidata alla frammentazione casuale e conseguente vendita a privati della proprietà pubblica e solo la necessità di strade maggiormente agevoli e adatte ai commerci, su imitazione della Broadway, spinse il sindaco della città a ripensare le strategie di lottizzazione, al fine di garantire m a g g i ore ef f icienza e ‘ b e l l ez za ’ ai quartieri che venivano formandosi. La situazione appariva già chiaramente drammatica nel 1806, quando la Commissione della giunta comunale decise di ripensare un nuovo assetto p e r l a c i ttà i nte ra , al posto di una semplice revisione dell’assetto viario preesistente: l’obiettivo era dunque quello di definire una volta per tutte, attraverso un gruppo di tecnici ed esperti, un piano per la città al di sopra della linea fino alla quale si

22


Manhattan: città veloce VS città lenta

plan 5

era costruito fino ad allora, l’asse est-ovest che correva sopra Washington Square, senza tem e re u n confro nto -sco nt ro co n gli i nte re s s i d e i p ro p r ieta r i p r ivat i. Il piano venne quindi definitivamente presentato al pubblico nel 1811 dalla Commissione, consapevole delle rimostranze che avrebbe sollevato nei proprietari delle aree coinvolte: la griglia estesa a tutta l’isola ancora non urbanizzata rappresentava una delle poche scelte possibili e idonee da intraprendere nell’intento di fornire alla città una b ase solida e f u n z i o n a nte p er u n a lo tt izzazione vol ta a l l a co st r u zio n e d i edif ici res i d e n z i a l i p r ivat i, abbandonando ogni schema di riferimento europeo, più legato a considerazioni di abbellimento della città che alla perfetta funzionalità della stessa. Quest’ultima considerazione, insieme a quella di muoversi in un reticolo più veloce e in cui le merci potessero spostarsi agevolmente, portarono quindi alla progettazione di una gr ig l i a d i st rad e p er p en d icolari e rett i l i n e e , cost it u ita d a 12 avenues, l a rg h e 1 0 0 pied i, e d a 155 st reets, a m p i e ci rca 60 p ied i c ia sc una, gen e ra n d o 2 0 28 isolat i. Tali nuove strade vennero battezzate attraverso numeri piuttosto che nomi proprio in virtù di quella ca ri ca eg u a lita r ia jefferso n iana 2 che portava con sé la griglia stessa. L’isolato che si venne a formare, dunque, tipicamente di 250 per 600 piedi3, si presentava idoneo allo sfruttamento massiccio della lottizzazione a f i n i s p e cu l at iv i, secondo una caratteristica ben radicata nella mentalità commerciale della popolazione di Manhattan. Ma il tratto più stupefacente dell’intera operazione rimane la grande lungimiranza del piano, che oltre un secolo prima aveva già

23

previsto una forte espansione della città fino al congiungimento con il villaggio di Harlem: la Commissione, infatti, non ebbe difficoltà a ignorare i tratti topografici marcati della città, quali la differenza di livello sul mare, la presenza di piccoli rilievi interni e il contorno frastagliato stesso dell’isola, così come non esitò a ritenere la città destinata ad accogliere immigrati da tutte le parti del mondo fino a moltiplicare la sua popolazione. L’unica strada che venne ‘risparmiata ’ dal Piano del 1811 f u la Broadway, unico sentiero che portava fino ai confini nord dell’isola e unica diagonale che venne compresa all’interno del Piano, a cui venne quindi concesso di spezzare la rigida griglia proposta. Inoltre, fin dal 1807, era previsto che nel futuro piano adottato venissero inserite numeros e aree a verde pubblico, di cui la città era già allora particolarmente carente: il nuovo Piano prevedeva quindi la tutela di 500 acri di spazio verde, da destinare alla progettazione di parchi sparsi per l’intera isola. Il maggiore di questi spazi sarebbe stato destinato a esercitazioni militari e mantenuto come possibile punto per il raduno dell’esercito in caso di necessità: tale larga piazza, denominata ‘Parade’, avrebbe occupato l’area tra la 14th e la 34th Street e tra la Third e la Seventh Avenue. Al di là di tali poche eccezioni, il Piano non prevedeva alcuna indicazione circa i contenuti della griglia stessa, a partire da quelli funzionali per arrivare a quelli volumetrici, compleetamente privo di eventuali indicatori di altezze e destinazioni degli edifici da realizzare. Chiaramente, giudicando con occhi contemporanei il Piano del 1811, scaturiscono molteplici osservazioni circa gli aspetti negativi che esso ha portato con sé e generato in seguito:

2 ‘Riteniamo che alcune verità siano di per sé evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che dal loro Creatore sono stati dotati di alcuni diritti inalienabili; che fra questi ci siano la vita, la libertà e la ricerca della felicità.’ Jefferson ( 1743 - 1826 ) , protagonista

della

stesura

della

Dichiarazione d’Indipendenza e terzo presidente degli Stati Uniti d’America, fu

sostenitore

dell’applicazione

del principio della g rig lia a scala territoriale, come possibile principio di colonizzaione di suolo: una griglia di quadrati del lato di un miglio poteva infatti cosentire di distribuire uniformemente

popolazione

e risorse su tutto il territorio americano, secondo una logica di egulitarismo pervaso da una simbolia carica utopica 3 Le dimensioni dell’isolato standard newyorkese, tradotte in metri, sono di circa 80 m per 180 m, per un’area totale 14.400 m2

figura 5 Mappa del Commissioner’s Plan del 1811 per la città di New York.


Mannahatta e il gridiron 6

7

8

figura 6-7-8 Mappa cioè

di

di

Mannahatta,

Manhattan

dell’isola

prima

sua colonizzazione e

della

successiva

urbanizzazione. Le immagini sono state sviluppate dai curatori del progetto ‘Mannahatta Project’_ www.

tralasciando l’aspetto puramente speculativo che ha portato alla definizione del piano stesso, oggi la città soffre di diverse problematiche legate alle scelte effettuate dalla Commissione, prima fra tutte la congestione del traf f ico stradale legata alle insufficienze del sistema a griglia. Inoltre le dimensioni della maggiorparte degli isolati portarono alla suddivisione in lo tt izzazio ni molto strette e lunghe, con edifici il più delle volte privi di corti interne sufficientemente ampie da consentire un doppio affaccio e quindi una corretta ventilazione. Il risultato concreto si è tradotto in una città attanagliata dalle difficoltà di movimento in superficie, legate al flusso automobilistico, e afflitta da un mercato immobiliare alla continua ricerca dello sfruttamento massimo dei lotti. Non era però prevedibile al tempo capire con anticipo quanto la città si sarebbe davvero espansa e che sarebbe diventata una delle città più importanti al mondo. Una delle conseguenze peggiori di tale modello fu però la c ieca r ip etizione dello stesso in molte altre città americane, che, senza porsi troppi interrogativi, applicarono lo stesso piano quasi senza variazioni in località del tutto lontane dalle caratteristiche dell’isola di Manhattan.

themannahattaproject.com

4 Il ‘Mannahatta project’ è il frutto del lavoro, durato 8 anni, di ricerca del team guidato da Eric Sanderson, un ecologista della Wildlife Conservation Society del Bronx e rappresenta una ricostruzione in digitale della primitiva Manhattan, mettendo insieme dati ambientali e storici con l’obiettivo di far conoscere ai newyorchesi l’ambiente originario della loro città, ma soprattutto promuovere l’impegno a preservare ciò che resta

Il piano che quindi appariva di estrema perfezione e precisione sulla carta, nella realtà non teneva minimamente conto della geografia e topografia dell’isola, a quel momento ancora ricca di elementi naturali, rilievi, paludi e fiumi. Per comprendere oggi lo scenario davanti al quale si erano trovati i primi esploratori e che ancora persisteva nella parte a nord dell’isola ai tempi del Commissioner’s Plan si può oggi fare riferimento agli studi portati avanti dal ‘Ma n n ah atta Project ’ 4, che mostrano un’isola fatta di boschi, paludi, spiagge, prati e colline, tutti elementi progressivamente

scomparsi e distrutti dall’espansione della città, ancora più in contrasto con la successiva crescita della città stessa in verticale. Si può quindi facilmente immaginare come il piano del 1811 avesse ben ricompensato le tasche dei proprietari terrieri i cui terreni vennero confiscati dai commissari del piano stesso: questi ultimi, una volta ottenuti tali terreni, avviarono una m a ss i va operazione d i s p i a n a m e nto delle zone collinari e di r i e m p i m e nto di intere valli e scaricarono tutti gli s ca r t i s u l l l a l i n e a d e l perimetro d e l l ’ isol a , r i d i se g n a n d o com pletame nte i contor n i di Manhattan, trasformata in questo modo in una vera e propria ta b u l a ra sa. Mentre il piano si faceva lentamente realtà con il tracciamento dei lotti e la vendita speculativa delle proprietà, tra il 1832 e il 1833 nascevano le prim e gra n d i a r te r i e d e l l a c i ttà , Lex ington Ave n u e e Ma d i s on Ave n u e; inoltre, nella foga della costruzione di ogni singolo spazio disponibile, vennero edificate anche alcune aree che erano state dal piano stesso destinate a spazio pubblico, decretando così la conda n n a p e r l a c i ttà a d u n a scarsità e, in a l c u n i ca s i , q u a si a ss e n za di spazio ape r to e col l ett i vo. Vennero poi tracciate nuove strade, che potessero a loro volta servire nuovi isolati o quartieri, per lo più residenziali: divenne infatti sempre più evidente che ogni macro quartiere della città stava assumendo caratteristiche legate a dest i n a z i on i fu n z i on a l i m ol to precise e s ettor i a l i. Così, mentre la Downtown Manhattan si trasformava nel quartiere commerciale, legato agli affari, popolato da banche e da uffici, della città, contemporaneamente le aree più interne cominciarono a popolarsi di immigrati da ogni parte del mondo, dividendosi principalmente per provenienza e per ceto.

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Manhattan: città veloce VS città lenta

plan 9

La parte di popolazione più ricca si spostava progressivamente verso le zone meno urbanizzate e congestionate della città, verso le campagne di quella che poi diventerà l’odierna Harlem, lontana dai disagi e dalle difficoltà dell’altra parte di popolazione più povera e meno abbiente, ‘accolta’, quasi stipata, negli edifici in legno a quattro o cinque piani nella fascia di terreni al di sopra di Wall Street. Fu proprio a causa di una spaventosa e rapida crescita degli abitanti che la città non fu in grado di prevedere la gravità della situazione circa l’assenza di spazi destinati alla collettività, sia come valvole di sfogo per la popolazione stessa che come elementi di interruzione della monotonia della griglia. Al tempo dell’elaborazione del piano del 1811, infatti, i commissari avevano ritenuto sufficienti le poche aree interne previste in virtù della presenza delle coste lungo il perimetro dell’isola, consì lunga e sottile da possedere un doppio affaccio, rispettivamente sull’East River e sull’Hudson, già di per sè indice di salubrità; tale ingenuità si rivelò fatale, poichè in brevissimo tempo anche le aree costiere vennero densamente costruite per supportare e alimentare un mercato di scambi commerciali assai florido. Un esempio fra tutti può essere fatto con la nascita di U n i on S q u a re: già nel 1832 essa infatti si ritrovò ad essere delle dimensioni attuali, partendo però da un piano che sulla carta aveva stabilito un enorme spazio vuoto centrale di riferimento per l’intera isola. Allo stesso modo anche il famoso spiazzo dedicato alle parate militari denominato ‘Parade’ venne ben presto ridimensionate fino a coincidere con l’attuale M a d i s o n S q u are già all’inizio del 1840. La griglia si estendeva virtualmente già su tutta l’isola, ma intorno alla metà del XIX secolo la città vera e propria non si estendeva molto oltre

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della 42nd Street, al di là della quale si potevano scorgere solo tenute e ag glom erati spars i e poco num erosi, im m ersi una rea l tà ancora prettamente agricola . La preoccupazione comune al governo cittadino e ai cittadini stessi cominciò quindi ad essere quella di vedere il poco territorio ancora non urbanizzato rimasto sfumare in poco tempo sotto le pressioni speculative del mercato immobiliare: per questo motivo cominciare a farsi avanti alcune proposte d salvaguardia di piccoli appezzamenti di aree naturali, da mantenere e conservare come vere e proprie riserve naturali nel mezzo della futura città. Tali considerazioni però, oltre che poco risolutive, si rivelarono anche poco lungimiranti e deboli per poter essere realmente attuate. Proprio in quegli anni cominciava a farsi strada sul territorio americano una nuova corrente di pensiero 5 e prese sempre più piede l’idea di un atto dimostrativo e significativo non solo verso la città di New York, ma per tutto il Paese.

figura 9 Mappa di Manhattan del 1880, in cui viene messa in rilievo la topografia dell’isola

5 Il Movimento ‘City

Beautiful’

nacque verso la fine del XIX secolo nell’America del Nord con l’obiettivo di

diffondere

una

progettazione

urbana secondo i canoni del ‘bello’, anche attraverso atti di monumentale grandezza, nella convinzione che ciò potesse portare ad un maggiore senso civico e ad una moralità più sentita 6 Ecco le parole che William Cullen Br yant scriveva circa new York nel 1845: ‘The population of your city, increasing

with

such

prodigiuos

rapidity, your sultry summers, and the corrupt atmosphere generated in hot and crowded streets, make it a cause

Nel 1844 il giornalista William Cull e n Br yant scrive un articolo sul New York Evening Post, lanciando l’idea di un grande parco, panacea di tutti i m ali de l l a città, nelle vicinanze dell’East River, al centro della città; qualche tempo dopo lo stesso Bryant, dall’Inghilterra, commenta la situazione sgradevole all’interno della città, dovuta all’aumento continuo e smisurato della popolazione e alla conformazione della città, non pianif icata e lasciata alle regol e del m ercato, senza alcuna preoccupazione per la reale condizione di vita di cittadini e forestieri. Egli, in poche parole, sollecita la città, finchè è ancora in tempo, ad attivarsi per una più corretta pianificazione di se stessa e per una progettazione più attenta agli spazi ‘di respiro’, come parchi e giardini 6.

of regret that in laying out New York, no preparation was made, while it was yet practicable, for a range of parks and public gardens..’ Citazioni e nozioni storiche tratte dal testo di Katia Piccinni, ‘Labirinto Manhattan’,

pubblicato

Cartman, Torino, nel 2008

da


Mannahatta e il gridiron 10

11

figura 10 Vista dell’isola di Manhattan nel XIX sec figura 11 Progetto per Central Park, 1857 7 La definizione è tratta dal testo di Mario Maffi, ‘So tto l e tor r i d i Man h attan ’, edito dalla Rizzoli, Milano, nel 1998

In seguito alle dichiarazioni di Bryant, molti artisti e scrittori sostennero l’idea del parco e portarono avanti un dibattito accesso, che nel 1853 arrivò fino al Parlamento dello Stato di New York: quest’ultimo autorizzò, spinto da tali pressioni, autorizzò l’acquisto di circa 760 acri di terreno non ancora edificato, dalla Fifth alla Eight Avenue e dalla 59th alla 110th Street.

estremamente regolato, rettangolo circondati da altri rettangoli di ben diversa natura, rapprensenti una vera e propria ribellione al Commissioner’s Plan. Il piano definitivo per la realizzazione del parco venne concluso nel 1871 e i lavori veri e propri vennero conclusi nel 1912, a cinquant’anni dall’intuizione di Bryant.

Nacque così Central Park, un’autentica ‘A rca d ia d e ntro la Metropoli ’ 7: ancora oggi l’unico luogo della città in cui il tempo e lo spazio restano sospesi, l’unico vero baricentro e grande vuoto dell’isola. Al tempo dell’acquisto del terreno l’area si presentava pressochè scarna, senza una vegetazione particolarmente rigogliosa, occupata talvolta da pastori coi propri greggi, che utilizzavano abusivamente il suolo per l’allevamento. Vi erano inoltre alcune prime fabbriche e discariche a cielo aperto di ogni sorta; l’area necessitava quindi di un ingente imp eg n o d i bonif ica e di risistem azione prima di poter diventare il grande parco tanto agognato dai newyorkesi. Vista la mole di lavoro necessaria, la città decise di indire un concorso per la progettazione del parco stesso: nel 1858 fu quindi presentato il progetto vincitore, chiamato Greensward P lan. I progettisti, F rederick Law Olmsted e Ca lver t Vaux , proponevano una vera e propria oasi nella città, rigogliosa e florida, con sent ier i e tracciati interni quasi co mp letame nte slegati dalla rigida g r ig lia prevista per lo sviluppo della città tutt’attorno, fatta eccezione per alcune arterie di collegamento est-ovest.

L’azione che la realizzazione di Central Park costituiva, soprattutto relativamente alla frattura con la griglia e il suo potere imposto dall’alto, rappresenta quasi un equivalente dal basso, racchiudendo cioè in sè g l i u l t i m i tratti caratte r i st i c i d i q u e l l o c h e era l’aspetto e l ’a n i m a or i g i n a r i a dell’ isola: non è però corretto pensare che la progettazione del parco implicasse questi ragionamenti al momento della sua nascita. La griglia infatti era ancora in larga parte in via di realizzazione e riempiento e non era quindi facile cogliere il netto contrasto e l’mportanza che Central Park riveste oggi nella storia della pianificazione a livello mondiale. C’è inoltre da ricordare che l’aspetto apparentemente estremamente naturalistico del Parco non è in realtà altro che il frutto di una sapiente modellazione del suolo, verso una ricostruzione artificiale di quel gusto romantico per la natura e la sua imprevedibilità.

É evidente che la progettazione di Central Park, morbida distesa fatta di percorsi fluidi e aree dall’andamento naturale e apparentemente senza costrizioni, rispetto al suo intorno rigido ed

Per riprendere le parole di Re m Kool h a a s in ‘Delirious New Yor k ’, Central Park è anche la struttura per il tempo libero più grande di Manhattan, ma è soprattutto l’elemento tangibile del d ra m m a che stava accadendo: la città stava per prendere definitivamente le distanze da ogni elemento naturale precedentemente presente per diventare la metropli più artificiale del secolo. Ma forse proprio per la sua stessa artificialità, dagli alberi trapiantati agli episodi interni

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Manhattan: città veloce VS città lenta

plan 12

abilmente connessi, Central Park altro non è che un nuovo ‘atto di fede’, dopo la griglia, nei confronti del potere dell’uomo e della sua immaginazione, in fondo proprio un ‘tappeto Arcadico sintetico’ 8. La ri p e rcu s s i o n e che la realizzazione del parco ebbe sulla città fu però largamente positiva: non solo per quanto riguarda il risultato stesso che ne scaturì, ma soprattutto perchè diede vita ad altri parchi di notevole importanza, come il Cit y Ha ll Pa r k, sulla scia di una rinnovata attenzione per il verde della città. Nel corso dell’Ottocento la griglia del Commissioner’s Plan riscuote il previsto successo e viene quasi completamente riempita da edifici di ogni genere; la città da questo momento in poi subirà un secondo e nuovo fenomeno, volto allo sfruttamento massimo delle aree a disposizione. Con il crescere della città, comincia a crescere anche la sua importanza e il suo ruolo nell’economia e nell’ambito culturale mondiale, tale da attirare ondate dopo ondate di immagrazione, soprattutto dall’Europa ma non solo. La griglia, quindi, d a elemento pretta m e nte b id imen sion ale a ssum e per l a p ri m a vo lta u n o sp esso re, frutto di straficazioni intense e ripetute: n asc e la c i ttà ve rt i ca le. Questa nuova città viene resa possibile grazie ad alcune innovazioni tecnologiche che resero New York una delle città più all’avanguardia del XIX secolo: dall’illuminazione a gas al servizio di trasporto urbano con vetture a cavalli, dalla rete di approvvigionamento idrico alla costruzione di numerosi servizi pubblici come bagni e scuole, ospedali, teatri e reti per le comunicazioni. Ma l’innovazione più poderosa e senza la

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quale New York non sarebbe giunta così in alto è senza dubbio quella dell’ascenso re : il primo venne installato nel 1870 all’interno dell’Equitable Building. Ad accompagnare questo successo, attraverso il quale i lim i t i dettati dall’altezza degli edf ici venne ro ridotti notevolm ente, vi fu l’invenzione della struttura in acciaio, grazie alla quale tali limiti vennero praticamente eliminati. Ormai New York aveva la possibilità di espandersi non solo più in orizzontale ma anche in verticale, con il notevole vantaggio di ottenere così un’espansione sempre vicina alle aree di maggior sviluppo delle attività commerciali e degli scambi, la punta e il centro dell’isola appunto. Ma per poter sostenere le grandi masse di lavoratori e di abitanti che ogni giorno la città verticale attirava, Manhattan dovette rimodellare i proprio quartieri introducendo nuovi modelli costruttivi, basati sulla Tenem e nt Law del 1879, dalla quale nacquero i pri m i slums della città. La densità sempre più elevata delle costruzioni sui piccoli lotti della griglia - larghi 7,5 metri circa e lunghi 30 - generava ambienti malsani, poco illuminati e non sufficientemente aerati, il tutto aggravato da strade prive di manutenzione e pulizia. Mentre i grandi quartieri direzionali crescevano in altezza e cambiavano la loro veste attraverso facciate monumentali e prospettive sceniche, i quartieri centrali si popolavano di edifici residenziali di alto livello, occupando i lotti antistanti la Madison Avenue, la Pa r k Avenue e la F if th Avenue. Agli slums quindi toccava una posizione stretta tra i due, rimanendo compressi tra le aree più ricche di tutta la città. Fu così che i fenomeni di industrializzazione, immigrazione e urbanizzazione di fine

figura 12 Vista dell’isola di Manhattan del 1879 di Galt e Hoy Chamber 8 La deifnizione è tratta dal testo di Rem Koolhaas, ‘D elirious New York’, edito dalla Thames and Hudson, Londra nel 1978


Mannahatta e il gridiron 13

figura 13 Schizzi Hugh

a

carboncini

Ferris,

tratti

da

‘M etro p o l i s

of

To morrow ’, edito da Ives Washburn, New York, nel 1929 9 La città di New York è suddivisa, amministrativamente

parlando,

in

5 borough che corrispondono alle storiche contee della città: t h e Bronx ,

corrisponde

alla

contea

del Bronx; Bro o k l yn, corrisponde alla contea di Kings; M a n h atta n, corrisponde alla contea di New York; Qu een s, corrisponde alla contea di Queens; S tate n Is l a n d, corrisponde alla contea di Richmond. Ogni borough ha un governo composto da un presidente e alcuni membri della giunta della città, che rappresentano il borough stesso, i cui poteri sono però inferiori a quelli del consiglio cittadino. 10 Citazione tratta dal testo di Katia Piccinni, ‘La b i r i nto M a n h atta n ’, pubblicato da Cartman, Torino, nel 2008 11 La Zoning Resolution del 1916 si rivelò una misura adottata principalmente per consentire agli edifici di notevoli dimensioni,

come

la

costruzione

Equitable Building, di ottenere più luce e aria. 12 Il fenomeno dell’arretramento è detto di ‘set b a ck ’

Ottocento plasmarono per sempre la forma urbana della città e costrinsero alla rottura dei limiti geografici imposti dall’isola, per dare sfogo ad una maggiore estensione sulle rive degli altri attuali Boroughs 9 della città di New York, grazie soprattutto alla costruzione di ponti e mezzi di collegamento adeguati. Proprio in seguito alla nascita degli altri boroughs, il distretto di Manhattan ebbe per così dire modo di concentrarsi prevalentemente sulla sua maggiore vocazione, quella appunto del commercio: diventò il centro degli affar i, simbolo di potere e benessere, il tutto pienamente riflesso e leggibile nelle principali arterie di spostamento. Ogni strada cominciò ad assumere un ruolo e una posizione precisi all’interno della città del business: la Madison vetrina del mondo pubblicitario, la Seventh Avenue icona della moda, la Fifth Avenue la strada dei negozi più eleganti e chic della città, Wall Street l’alcova del cuore degli affari e degli scambi. La città intera, dunque, diventò essa stessa una sorta di Ma in Street 10 dell’intera nazione, esempio del successo e vetrina di imprenditoria per tutti gli Stati Uniti. Nel tempo vennero proposti piano alternativi che prevedevano tagli del tessuto molto fitto a cui la griglia stava portando, ma nessuno di questi riuscì a convincere della propria forza così come nel 1811 aveva fatto la griglia stessa: nel 1911, a distanza di un secolo, rimanevano quindi due u n ic h e d iagonali, la Broadway e la Bowery, sentieri indiani stranamente risparmiati e sopravvissuti. Nei primi decenni della Novecento la città rimaneva quindi senza alcuna def inizione di u n a st rateg ia di sviluppo com plessiva e agiva p er p a rti, per singoli progetti, con l’unica prerogativa di collocarsi nel disegno della

griglia. In aggiunta, la crescita in verticale della città stava gettando letteralmente nell’ombra gran parte degli edifici più bassi, obbligando il mercato immobiliare a ripensare lo sviluppo di intere aree per far fronte alla presenza imposta dei nuovi colossi. Nel 1916 un nuovo dispositivo di organizzazione del territorio prese vita: venne cioè emanato il codice edilizio, detto Zon i n g Re s ol u t i on 11, costituito sostanzialmente da un mero elenco di norme al fine di regolare l’altezza, l’allineamento e le attività di diverse aree urbane. L’effetto pratico che questa nuova regolamentazione sulla densità edilizia ebbe fu quella di trasformare molti grattacieli in veri e propri zig gu rat 12, obbligando una sorta di arretramento ai piani superiori per concedere migliori prestazioni interne agli edifici stessi. In sintesi, la nuova legge disponeva una sorta di volume immaginario, per ogni lotto, tollerabile, il mas s i m o vol u m e e d i fi ca b i l e, il cui involucro e la cui forma doveva essere appositamente studiata al fine di permettere alla luce di raggiungere le strade, al tempo davvero molto buie e dall’igiene molto carente. Le torri, dunque, dovevano essere costruite sulla base di arretramento, risultato dall’inclinazione di piano di un certo angolo rispetto al piano perpendicolare alla strada: solo quando tale inclinazione consentiva di r i d u r re l a tor re al 25% del lotto oc c u p ato a te r ra, allora la torre stessa poteva innalzarsi in verticale. Per quanto tale indicazione possa sembrare volta alla riduzione della densità e della presenza delle torri, al contrario venne principalmente introdotta al fine di impedire la realizzazione di magazzini e bassi fabbricati industriali che stava al tempo pericolosamente assediando l’elegante Fifth Avenue. Al contrario, la Zoning Resolution, stabilendo

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Manhattan: città veloce VS città lenta

plan 14

con preciso i districts destinati ad accogliere attività commerciali e residenziali, promosse un’intensificazione dell’attività edilizia in determinate aree. Negli anni Venti del Novecento l’immagine dello skyline di Manhattan, che ormai si ergeva sicura e fiera anche oltre oceano, influenzava sempre più l’immaginario collettivo di intellettuali e architetti, aprendo molti scenari futuristici e alimentando nuove fantasie e nuovi progetti visionari. Fra tutte, le immagini più evocative di questo fermento e quelle che dettero più spunti alla realtà in continua evoluzione furono quelle elaborate da Hu g h Fer r is, giovane disegnatore, che nel 1929 pubblica la raccolta di schizzi ‘ M et ro p o lis o f To mo r row ’ 13. É proprio attraverso i suoi schizzi a carboncino che Hugh Ferris esplora le nuove possibilità tracciate dalla Zoning Resolution del 1916, ipotizzando superfici e volumi, scolpendo in maniera plastica i parallelepipedi di partenza, dai lati inclinati secondo le suggestioni della normativa. In un certo senso il suo lavoro rappresenta la raffigurazione della legge stessa e mette in risalto i possibili risultati, spesso cupi ed inquietanti, della nuova città che si stava formando. Ed è a partire dal suo lavoro che un secolo dopo Rem Koolhaas definirà il ‘Man h attan ism o’ come la delirante teoria urbana che regola la realtà estremamente artificiale newyorkesi, sempre tesa a superare i suoi limiti in un immaginario delirante e patologico. Le innumerevoli variabili modificarono all’occorenza le normative precedentemente elencate nei decenni successivi, fino a quando nel 1 9 6 0 vennero adottati altri emendamenti che consentirono agli edifici di non arretrare a patto di occupare il 40% del lotto di partenza.

Nel 1969 vi fu un’importante svolta che portò la Regional Planning Association of New York a pubblicare il Piano Regionale, piano che portò alla modifica della conformazione dell’assetto viario della città, prevedendone la completa ristrutturazione. Il Piano Regionale conteneva inoltre alcuni piani più particolareggiati relativi ad alcune precise zone della città, quali il Lower Manhatta n Plan 14, commissionato nel 1966 da William F.R. Ballard, presidente della City Planning Commission. Quest’ultimo piano in particolare propose un ripensamento completo della punta dell’isola, attraverso la progettazione di una zona pedonale a sud di Canal Street, attrezzata con bus elettrici ed ecologici, contorniata da un’area residenziale intervallata da piazze e terrazze sul mare. Con qualche modifica nacque quindi il nuovo quartiere di Battery Park City e del World Trade Center, con l’aggiunta di un ulteriore skyline fatto di edifici alti, ma strade maggiormente a scala umana. Fu inoltre in questi anni che nacquero le aree a P.O.P.S. - Privately Owned Publ i c Spaces -, aree cioè possedute da privati, ma aperte al pubblico, che consentivano ai privati, i proprietari stessi del lotto, di aumentare di una determinata percentuale il volume dell’edificio da costruire sul lotto stesso; ispirata alle suggestioni delle ‘torri nel verde’ tanto proclamate da Le Corbusier in quegli anni, questa modifica aveva come scopo quello di accrescere gli spazi aperti al pubblico ai piani terra, cercando di porre rim e d i o ai risultati della logica speculat i va legata alla griglia, che si era imposta da ormai un secolo. Anche

29

quest’ultima

modifica

non

ebbe

figura 14 Vista di Downtown Manhattan dopo la costruzione dell’Empire State Building, 1932 13 Hugh

Ferris,

‘Metropolis

of

Tomorrow ’, edito da Ives Washburn, New York, nel 1929 14 Per un’analisi più approfondita si può fare riferimento al testo, ‘Lower Manhattan v ision

for

Plan.

The

1966

downtown

New

York’, di Ann L. Buttenwieser,Paul Willen, Carol Willis, James S. Rossant, edito da Princeton Architectural Press, New York nel 2002


Mannahatta e il gridiron 15

figura 15 Una vista a volo d’uccello di Lower Manhattan del 1942

come risultato l’effetto sperato e contribuì alla costruzione senza sosta di grattacieli maggiormente alti, con piccoli spazi pubblici ai loro piedi, il più delle volte insufficienti e mal progettati. Il documento comunque rimase in vigore fino al 2000, sempre subendo variazioni e modifiche. Nel maggio del 2000 viene introdotto uno strumento maggiormente innovativo chiamato Un ified Bulk Program - Program m a Vo lu met r ico Unif icato -, con al suo interno imposizioni sui limiti di altezza di tutto il tessuto urbano, vincoli sui trasferimenti dei diritti edificatori da un’area ad un’altra e alcune forme di controllo quantitative e qualitative.

In definitiva il modello della griglia, che nel caso di Manhattan ebbe un tale successo, racconta come spesso, di fronte ad un territorio inesplorato o da colonizzare e urbanizzare, risulti molto pià facile il tracciamento di linee parallele e perpendicolari, in modo da organizzare in maniera semplice ed efficace le basi per una nuova città. La griglia, infatti, ha origini ben più antiche della fondazione di New Amsterdam e può essere rintracciata nella città di fondazione greca e romana e nelle prime città colonizzate da francesi e spagnoli. Mentre, quindi, in questi ultimi casi le città utilizzavano la griglia come strum ento di p ian ifica zione, nel caso americano essa venne utilizzata al fine di organizzare la d ist r ib u zio ne delle terre ai coloni, i quali avrebbero edificano i loro lotti soltanto nel momento da loro ritenuto maggiormente opportuno. Tutto ciò coincide con la grandiosità dei piani in territorio americano, pensati quindi in un momento precedente rispetto alla realizzazione e alla progettazione degli edifici, volti alla

vendita di più terreni possibili. Nell’ottica poi di una c re sc i ta potenzialme nte e te or i ca m e nte inf inita, il modello a scacchiera presenta notevoli vantaggi: senza imporre limiti all’espansione, n on p rod u c e ge ra rc h i e e consente la costruzione di nuovi isolati ogni volta che se ne presenti la necessità, grazie soprattutto alla sua formazione per m od u l i. Per quanto riguarda il caso di New York, ben presto la pre su nta te r ra i l l i m i tata s i rivelò al co nt ra r i o cost retta e nt ro i suoi conf ini n at u ra l i d i i sol a e il modello della griglia dovette quindi oltrepassare la linea delle coste per approdare sulle terre limitrofe. Ad ogni modo, le potenzialità della griglia, da sempre evidenti alla popolazione americana, servirono per tracciare indifferentemente città, lottizzazioni e perfino p e r d i se g n a re i conf ini di un o stato: nel 1785, Th om a s J ef ferson stabilì, infatti, un reticolo da impiegare come modello di colonizzazione per le terre dell’Ovest. Ognuna delle maglie pensate da Jefferson conteneva 16 m i g l i a q u a d rate, a loro volta divisibili in 2, 4, 8, 16, 32, 64 parti minori. Jefferson sottolinea fin da subito il valore etico e morale di tale operazione: la griglia infatti rappresenta non soltanto ord i n e e rettitudine, ma anche e g u a g l i a n za, specie fra tutti i territori d’America. Tale convinzione è confermata dal La n d Ordinance Ac t , emanato nel 1785 dal Continental C on g re s s, che stabilisce che ogni territorio americano venga concettualmente suddiviso da un’u n i ca scacchiera: la d e m oc ra z i a su cui tutti gli stati d’America si reggeranno d’ora in

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Manhattan: città veloce VS città lenta

plan 16

poi diventa manifesta anche nel suo assetto territoriale. Proprio secondo lo schema modulare di Jefferson, le città del Nuovo Mondo non saranno più basate sul vecchio modello europeo fondato su di un nucleo centrale pressochè autoritario, ma bensì su di una griglia indifferenziata e dalle possibilità illimitate. Al contrario della sua apparente rigidità, il mo d e l l o j ef ferson ia n o, il cosiddetto ‘gr i d i ro n ’, darà vita ad un modello espansionistico estremamente elastico, pronto a sopportare su di sè le grandi trasformazioni, anche sociali, in atto. Questo potente mezzo di controllo del territorio conquistò quindi le classi di governo grazie alla sua semplicità, efficacia e capacità di adattamento. La grande contraddizione insita in quanto appena affermato nascerà però nel momento in cui tale griglia verrà applicata alla città di Manhattan: qui, l’o b iett ivo d el co nt rollo sfo ci a n e l r isu ltato d ella totale ma n ca n za d i co nt ro llo stesso. La griglia, lontana dall’essere neutrale, si presenta come schema puramente concettuale, l’adozione del quale conduce alla n a scita de l l a m et ro po li; ogni isolato si sviluppa nel tempo in maniera completamente autonoma rispetto al resto della città, confinato nelle sue dimensioni prestabilite, unico in un ‘sistem a di 2 0 2 8 s o l i t u d in i ’ 15. Ogni lotto contiene in sè infinite possibilità relative alla sua costruzione e non può di per sè contenere alcuna indicazione circa l’edificio - o il vuoto - che accoglierà. Le uniche operazioni che la griglia porta con sè e che non essa stessa per natura non può negare sono la d i v i s i o ne - di se stessa in altre parti - e

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la m oltiplicazione - la riproduzione in altezza di tali frammenti della griglia -, le quali possono essere impedite solamente dall’esaurirsi d e l capitale. Ecco che quindi risulta quasi matematico affermare che il grattacielo altro non è che la conseguenza di una delle operazioni fondamentali della griglia stessa, in un territorio come quello dell’isola di Manhattan, di cui il perimetro rappresenta una sorta di alibi. Rimane allora comprensibile il termine ‘delirious’ affiancato dallo stesso Koolhaas alla città di New York: l’enorme sforzo di imposizione della griglia come tentativo estremo di organizzazione del suolo, fino all’ultimo isolato, viene contraddetto dall’irriverente estrusione verso l’alto, gesto irraziona l e che renderà però New York la città p i ù famosa e originale al mondo.

figura 16 Mappa di Chicago del 1857

15 La definizione è tratta dal testo di Rem Koolhaas, ‘D elirious New York’, edito dalla Electa, Milano nel 2001



manhattan: la griglia cittĂ veloce VS veloce: cittĂ lenta il traffico


la griglia veloce:


Manhattan: città veloce VS città lenta

il traffico 01.3 La griglia veloce: il traffico

“Thomas Jefferson never imagined the rush hour” Michael Sorkin

Negli anni successivi alla Zo n in g Reso lu tion de l 1 9 1 6, il potenziamento infinito della capienza della città che ne derivò, grazie all’elevazione in altezza delle attività, si riversò interamente sulla st r u tt u ra v iaria, obbligando nuove riflessioni e avviando una ricerca sui possibili metodi di differenziazione dei flussi veicolari e pedonali e sulla gestione delle tratte degli utenti. Nei suggestivi schizzi di Hu g h Fer r is del 1929 erano già presenti alcune riflessioni circa il tema della gestione dei flussi della circolazione dei cittadini: non era infatti già allora difficile prevedere i successivi livelli di congestione che la città avrebbe raggiunto, superiori a quelli già visibili negli anni Trenta del Novecento. Lo stesso Ferris, dopo aver rilevato la questione, propone come soluzione lo spostamento delle pr in ci p a l i a rter ie d i t raffico a livelli di ve rs i , ‘staccandole’ per così dire dal suolo, appese alle costruzioni sui lati delle stesse. Il 1929, anno della grande crisi che portò con sé una devastante depressione economica, generò una serie di riflessioni, soprattutto da parte dei membri della Reg ion al P la n ning A s s o ci at i o n of N ew Yo r k, circa le linee guida da adottare per tenere sotto controllo lo sviluppo della città, nell’intento di disporre nuove direzioni, in un certo senso più sostenibili. In realtà, nonostante le molte contraddizioni che nutriva in sé, la ‘Cu lt u ra della C o n ge st i o n e ’ che si stava configurando sempre più prepotentemente affascinava e comunicava, in tutta la sua novità, una città futuristica, piena e vitale, in cui anche la figura del grattacielo, che in un primo momento rappresentava il ‘mostro ‘del nuovo secolo, veniva redenta e anzi elevata a possibile elemento di abbellimento della città stessa.

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Per una proposta più specifica e dettagliata bisogna però aspettare il pensiero di Har vey Wiley Corbett, intellettuale e professore presso la Columbia University, che ripropone l’idea di spostare i flussi su più livelli, dividendo in aggiunta le diverse tipologie di traffico. Lui stesso definisce il suo modello una sorta di Venezia rivisitata, in cui le strade si rivelano essere veri e propri canali, fatti anzichè d’acqua di flussi di traffico. In questa sua visione, gli isolati diventavano in sostanza l’equivalente di vere e proprie isole; in questo modo, però, Corbett trova l’escamotage tale da poter aumentare in maniera maggiore la capacità delle arterie veicolari, non curante della situazione già abbastanza difficile per i pedoni e gli altri mezzi di trasporto lento. Complessivamente il quadro delle ricerche dei primi decenni del Novecento rivela come l’intenzione di risolvere la questione della congestione del traffico fosse in realtà alquanto debole. Un ulteriore protagonista del dibattito si rivela essere il noto progettista Raymond Hood, il quale propose, attraverso la sua visione di ‘Manhattan 1950’, una New York futuristica basata su megastrutture m etropolitan e che avrebbero consentito la gestione del traffico senza il minimo ripensamento del sistema della griglia, ormai considerato non solo consolidato, ma anche pienamente condiviso. Tali strutture si manifestano in coloss a l i og getti dalle dim ensioni titanich e, grazie alle quali gli stessi riescono a neutralizzare il traffico cittadino al loro interno, che scorre quindi frenetico nelle torri da cui è interamente circondato. Per ogni incrocio si scorgono strutture simili a vere e proprie montagne, che lentamente degradano fino a terra, per confondersi nuovamente con l’ambiente urbano delle strade di New York.


la griglia veloce: 1

figura 1 ‘ L ooking Dow n a F u tu re New Yo r k

S t re et

in

1975 ’:

una

Manhattan serena, simile ad una rivisitazione di Venezia, dopo la metamorfosi proposta da Corbett per la gestione del traffico 1 La citazione è tratta dal testo di Rem Koolhaas, ‘D e l i r i o u s N ew Yor k ’, edito dalla Electa, Milano nel 2001 2 Neg li

an n i

Novecento

Trenta Ro b er t

d el Mos e s

divenne

sov rinte n d ente

per

il

e

d ei

parco

co o rd in atore

progetti d i co st ru zio n e p er l a c ittà di New Yo rk e p ro m o s s e innumerevo li te mpo

e

p ro gett i ,

al

su cce ssiva m ente

molto discu ssi, in p art i co l a re dal movime nto cap ita n ato d a l l a s o ciologa J a n e J aco bs

La sua proposta sembra apparentemente risolvere il problema della congestione, ma è facile intuire come questo risulti in realtà un nascondiglio ben escogitato per isolare il problema del traffico in un mondo quasi distaccato, parallelo, da quello reale. Il costruito quindi interviene in soccorso alle strade caotiche e ricolme, attraverso edifici imperturbabili e potenzialmente eterni; ‘... questa città è permanente; non vi è motivo per cui questi edifici debbano essere sostituiti. La st ran a ca lm a che aleg gia all’esterno è assic u rata dalla Grande Lobotomia’ 1. Dopo gli anni Trenta, la costruzione di un sistema di au to st ra de a scorrimento veloce t u tt ’atto r n o all’ isola tenta di risolvere parzialmente il problema della congestione: anche in questo caso risulta evidente la su p remazia della griglia stessa che, intoccabile, rimane intatta all’interno dei confini di Manhattan, senza essere minimam ente scalfita. A conferma di questa osservazione, occorre citare gli sforzi compiuti da Robert Moses 2 , che divenne appunto famoso per la sua politica di imp lementazione delle cosiddette ‘exp ressway ’ al fine di favorire un miglior collegamento dell’isola con il resto della città e per una più facile gestione del traffico, specie nelle ore di punta. A lui si deve la costruzione di alcuni ponti di collegamento e di tutto il sistema di parkways della città, nonché della costruzione del Brooklyn Battery Tunnel: grazie al potere acquisito lungo la sua presenza all’interno del governo della città, New York diventò sempre più una città basata sull’automobile, una vera e propria ‘ca r culture’. La griglia, infatti, che fino ad allora aveva funzionato più o meno bene, non era più in grado di reggere il peso della trasformazione

della città, che in pochi decenni aveva visto più che raddoppiata la presenza di ampi quartieri residenziali e commerciali, sempre più legati agli spostamenti tramite veicoli motorizzati. Le strade, che nel secolo precedente erano risultate davvero molto efficienti nel trasporto e spostamento di merci e persone tramite carri e carrozze, ora si mostravano del tutto inadeguate alla società del XX secolo. La griglia ha iniziato a lavorare meno bene durante la prima metà del secolo scorso con l’avvento delle auto a benzina e dei camion: i ponti e i tunnel, che forniscono l’accesso di massa per l’isola, cominciarono a modificare l’orientamento principale del traffico dell’isola da est-ovest a nord-sud. Le connessioni tra “quartieri alti” e “Midtown” cominciarono a intasarsi, e le vie laterali con loro. Le autostrade di Moses tentarono di risollevare il traffico da nord e sud, ma, in ultima analisi, hanno solamente aggiunto maggior congestione ad una griglia di st ra d e , n on cost r u i ta p e r il movim ento l on g it u d i n a l e. In seguito, poi, alla bocciatura dei due progetti di expressway in senso trasversale di Moses - la Lower Manhattan Expressway e la Mid Manhattan Expressway -, che avrebbero tagliato l’isola da sponda a sponda, Manhattan rimane ancora oggi pervasa da notevoli difficoltà di spostamento in superficie. Si può quindi dedurre che, come lo stesso Peter Marcu s e afferma, dal punto di vista della gestione del traffico, New York City si rivela essere “one of the worst city plans of any major city in the developed countries of the world.” In maniera controversa le ultime amministrazioni di governo della città hanno cercato di fronteggiare questo tema, con soluzioni talvolta alquanto contrastanti, consapevoli dell’importanza di questa

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Manhattan: città veloce VS città lenta

il traffico 2

problematica all’interno del funzionamento dell’organismo vitale della città. Il sindaco Gi ulia n i, in carica dal 1994 al 2001, ad esempio, come atto dimostrativo per mostrare il suo impegno nella ‘lo tta alla co n ge st i o n e ’, chiuse il passaggio pedonale tra la 50th street e la Fifth e Madison Avenue, per concedere agli autoveicoli una maggiore libertà di scorrimento. Tale libertà infatti , secondo Giuliani, implicava un risparmio notevole di tempo, tale da renderlo una delle possibili priorità; la sep a ra zio n e d ei flussi i noltre è storicamente stata una decisione considerata razionale, legata in un certo senso al concetto di ‘zoning by use’. Secondo lo studioso Mic h a el S o r k in 3, però, spesso questa fo r ma d i ra llenta mento e di i nte rfe re n za t ra i d iversi sistemi di m ov i m e nto genera le coordinate per un equilibrio di base del sistema urbana, senza le quali perderebbe di fascino. Oggi la ve l o c ità d ei med ia e delle i nfo rm a z i o n i è considerata la priorità della società tutta, determinata dalla scala economica mondiale e dall’ordine politico, getta n d o n e ll’o b lio la velo c ità della v i ta re a l e , quella appunto del traffico, delle automobili e dei pedoni. Potenzialmente, sostiene sempre Sorkin, vi è un l ega m e et i co t ra velo c ità e sco p o, un sistema di diritti che premia o meno attraverso la velocità in maniera sempre differente. La caratteristica essenziale della città è quella di produrre ‘p ro p in q u it y ’, p ro ssimità, di generare una relazione continua tra abitanti ed ambiente urbano e per questo il tema del traffico non concerne solamente una questione di tempistiche e mobilità, ma mette in gioco l’assetto sociale della città stessa.

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Purtroppo però oggi il tema del traffico è visto esclusivamente dal punto di vista di proble m a tecnologico: l’attenzione degli esperti è focalizzata sull’invenzione di nuovi sistemi di trasporto e sulla gestione di incroci e corsie. Lo spazio della città viene ‘affittato’ e invaso da ogni sorta di infrastruttura per poter concedere l’innegabile diritto di libertà di movimento in tutta la città; ma proprio Sorkin reclama il diritto di disassociarsi da tale libe r tà di essere all’ interno della logica de l l a velocità. La risoluzione del problema del traffico infatti potrebbe essere portata avanti attraverso l’elim inazione delle ragioni che portano al m ovimento: da una parte rinchiudersi nell’immobilità totale, dall’altra fare in modo che ogni quartiere contenga al suo interno tutto il necessario per una vita sociale ed economica di successo. E in fondo in questo momento storico l’America si sta popolando di tutta una serie di nodi c h e attirano il f lusso: dai centri commerciali alle strip fino ai suburbs, ognuno di questi luoghi è pensato per essere un nodo di questo flusso, esplicitamente fatto di spostamenti veicolari. Essi, nel loro complesso, costituiscono quasi un ‘landscape’, un paesaggio, componibile e percepibile solo attraverso l’auto, idealizzata ad oggetto di identità personale e non più di lusso. Ogni misura presa per facilitare lo scorrimento e lo spostamento in automobile si basa su di una politica della separazione dei flussi, poiché lo spazio dell’auto predomina su tutti ed entra obbligatoriamente in conflitto con gli altri. La griglia jef fersoniana, sulla quale è basata la pianificazione del suolo americano, infatti, non genera solamente una distesa infinita di quadrati pronti per essere ‘riempiti’, ma produce inoltre innumerevoli intersezio n i, che, per essere risolte dal punto di vista del

3

figura 2-3 Ray mond

Hood,

schizzi

per

‘Manhattan 1950’ 3 Dal saggio scritto da Michael Sorkin tratto dal testo ‘G iv ing G round. The politic s of propinquity ’, edito da Verso, New York nel 1999


la griglia veloce: 6

figura 6 Di ag rammi circa la p ercent u a l e di spostam e nt i in a u to e q u el l a in mezzo p u b b lico in re la z i o n e al t ipo di att iv ità d a svol ge re, prodotti d a Fa b io C a sirol i

4 Fabio

C asiro li,

C i ttà

‘K h ró nop oli s.

a c c es s i b i l e,

c ittà

possibile-Khrónopolis. Accessib le c i ty, fe a s i b le c i t y ’, edito da I d ea B o o ks, M i l a n o, nel 2008

traffico, necessita di molteplici negoziazioni, che in numero elevato diventano veri e propri impedimenti. La co n gest ione dopotutto altro non è che un malfunzionamento di organismo vitale chiamato città, che fin dalla sua nascita porta con sé una malformazione genetica, la griglia stessa: nel momento in cui la domanda supera l’offerta, ecco che nasce la necessità di attraversare la città da parte a parte più velocemente, utilizzando i vuoti stessi che la città possiede - 12 avenue e 155 streets -. La forma stessa degli isolati, alquanto allu n gata, ha portato alla definizione di un numero di strade longitudinali rispetto all’isola assai scarso: gli spostamenti, legati alle attività p r in c ip a li della città da rag giungere, risultano quindi difficoltosi e la durata degli stessi si allunga notevolmente. La griglia dunque chiama in campo non più solo la terza dimensione -l’altezza degli edifici- ma una q u ar ta, il tempo. Secondo la ricerca di Fabio Casiroli, esposta nel testo ‘Khronopolis: città a c c essib ile, città possibile’ 4, la griglia necessita di una nuova lettura e di nuove fo r me d i o rganizzazione spaziale del mov imento capaci di potenziare al massimo l’efficacia del sistema. Casiroli suddivide la città di New York, tenendo quindi in considerazione tutta la metropoli e non sono l’isola di Manhattan, in 4 città differenti, a seconda dei 4 macro gruppi di attività che la città nella sua totalità svolge maggiormente: la c ittà d el lavoro; la città della cultura; la c ittà d ello sport ; inf ine, la città d ello sva go. La c ittà d el lavoro si presenta essere al primo posto nella scala dei valori dei newyorkesi e pertanto rappresenta un tassello importante,

specie durante le famose rush hours -le ore di punta, quelle del lavoro d’ufficio -, del traffico globale nella città, attirando utenti da tutta l’area metropolitana. Le percentuali indicano che il 30% di tali utenti preferisce giungere a lavoro in automobile, mentre un buon 54% predilige i mezzi pubblici. Una situazione inversa è invece quella rappresentata dal diagramma relativo alla città dello sport e dello svago, mentre quella della cultura presenta una situazione non lontana dalla parità. Il modello proposto da Casiroli cerca di delineare i contorni di una città nella quale la localizzazione delle funzioni e l’offerta di trasporto siano tali da garantire tempi di spostamento brevi, urbani appunto, entro i 45 minuti. Funzioni e connessioni rappresentano i due layer fondamentali attraverso i quali r i p e n s a re i f lussi urban i , alla scala del quartiere, alla scala urbana e a quella metropolitana. Il modello studiato da Casiroli si pone come obiettivo quello di poter essere applicato in qualunque città e tra queste vi è anche New York, che, con la sua maglia ortogonale molto particolare, più estesa in senso longitudinale che in senso latitudinale, richieda una soluzione ad hoc. L’esercizio che viene da lui compiuto impone che la situazione del traffico venga verificata isolato per isolato, con se nte n d o a i m ez z i pubblici una c i rcol a z i on e b i d i rez i on a l e e riser vando a i ve i col i p r i vat i u n a circolazione a s e n si u n i c i a l te r n at i, ormai molto usuale a Manhattan. Questa dunque la soluzione per i movimenti relativi alla gestione del traffico nel quartiere, mentre gli spostamenti a scala urbana sarebbe rimandati al mezzo della metropolitana e quello a scala territoriale risulterebbero infine di

38


Manhattan: città veloce VS città lenta

il traffico 7

8

competenza dei mezzi ferroviari, più rivolti alla regione. La viabilità est-ovest si concentrerebbe inoltre su tre linee principali che vanno da fiume a fiume, attraversandoli, da qui poi si diparte una viabilità di carattere minore che facilita la distribuzione dei microflussi all’interno del quartiere; dall’altro lato invece la mobilità nordsud più importante verrebbe rimandata alle arterie autostradali già presenti lungo le sponde dei due fiumi stessi. Le riflessioni finali che scaturiscono da tale modello sono essenzialmente rappresentate dall’importanza rivestita dai modelli di trasporto urbano nell’ottica della diminuzione della congestione del traffico stradale. Il problema di tali modelli è che essi risultano essere il più delle volte modelli statici e monodimensionali, che non tengono conto della complessità legata alla vita urbana e agli spostamenti ad essa connessi. Chiaramente il modello proposto da Casiroli necessiterebbe di una ver ifica p ratica per comprovarne la validità, ma quello che vi è di positivo da osservare è proprio il suo tentat i vo d i fo to g rafa re u n a re altà est re m a m e nte d in a mica come quella di New York e allo stesso tempo di sintetizzarla in spostamenti veloci e congruenti con le attività presenti, sfruttando le p o ssib ilità o fferte da l l a g ri g l i a stessa. Ad oggi, una delle soluzioni più intraprese, accarezzata dall’amministrazione newyorkese del sindaco Michael Bloomberg, ma anche da quelle delle maggiori città del mondo, è quella della famosa ‘co n gest io n c h a rg ing ’, ovvero la tassazione di alcune strade al fine di scoraggiarne l’utilizzo; tale tecnica in alcuni casi ha portato alla riduzione anche del 20% del traffico, ma ha acceso un dibattito circa la

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legittimità di tale azione da parte del governo, considerando soprattutto la valenza e la proprietà pubblica delle strade in questione. Tale strumento è già stato utilizzato dalla città di Londra, ma New York al momento preferisce adottare altre tecniche, quali quella di implementazione di sistemi di trasporto esistenti, pubblici e non, o di utilizzo di sistemi alternativo di spostamento.

figura 7 Diagrammi circa la modali tà di

spostamento

della del

gr iglia

La politica americana in fondo altro non è che ‘fondata non sulla fantasia generata dalla collettività, ma sul diritto d i essere lasciati soli ’ 6: ecco perchè permane nelle più grandi città d’America una logica del trasporto molto individualista. In un certo senso Manhattan ha il privilegio, a causa della sua forma urbana - una griglia su di un’isola molto ristretta - , di avere la necessità di ripensare completamente il suo sistema di trasporti, di gestione del traffico e di interconnessione degli spazi urbani della città, a partire da quelli pubblici. Una nuova sf ida per il XXI secolo, a cui la città stessa non rinuncerà.

new yor kese

quar tiere

di

Midtow n

Manhattan, prodotti da Fabio Casiroli figura 8 Diagramma tipologia

Per questo, negli ultimi anni, nell’ottica soprattutto di raggiungere gli obiettivi per il piano proposto per il 2030 di una ‘GreeNYC ’ 5, sono state incentivate nuove forme di spostamento come l’utilizzo della bicicletta - incentivato da un numero sempre maggiore di piste ciclabili, di aree verdi e di pezzi di strada chiusi al traffico veicolare - o come l’introduzione di una nuova forma di tax i-sharing - la condivisione cioè dello stesso taxi per alcuni tratti di strada, con la possibilità di divisione del prezzo del servizio -, quest’ultimo però visto ancora con sguardo scettico dalla maggiorparte dei cittadini newyorkesi che sostengono di utilizzare il taxi proprio per la rapidità e libertà di spostamento che consente.

all’ inter no

che di

mostra

mez z i

le

utliz zati

nelle pincipali città amer icane per

gli

spostamenti

ur bani,

r intracciabile sul sito http:// w w w.infrastruc turist.com/

5 Per

mag gior i

infor maz ioni

consultare il sito http://w w w. nyc.gov/html/greenyc/html/ home/home.shtml 6 Citaz ione tradotta tratta dal testo di Michael Sorkin, ‘G iv ing G round.

The

politic s

of

propinquity ’, edito da Verso, New York nel 1999



manhattan: la griglia cittĂ veloce VS lenta: cittĂ lenta i neighborhoods


la griglia lenta:


Manhattan: città veloce VS città lenta

i neighborhoods 01.4 La griglia lenta: i neighborhoods

Le mappe che potrebbero essere elaborate per la città di Manhattan sono infinite, a causa o grazie alla natura variabile e dinamica della città stessa, e r isu lta q u in d i co mp le sso e a rd i to d a re u n a d efin izio n e u n ivoca del l a co m p o sizio n e d ei q u a r tieri della città e incasellarli in una mappa turistica costruita con rigore. Proprio tale complessità d’altra parte costringe ad una sintesi del luogo e a mappe forzate, che variano di anno in anno, di versione in versione. Una delle suddivisioni più popolari delle aree della città deriva dalla classificazione geografica dow ntow n , mid town , u ptow n, ormai classica tra le città americane, radicalmente opposta a quella europea, basata sulla formazione della città circolare rispetto ad un nucelo storico centrale. Le città americane infatti basate su di uno svi l u p p o l i n e a re lu n go u n a sse, che coincide solitamente con la ‘Main S t reet ’, si presentano come c ittà a p er te , contro quelle chiuse europee, i cui assi diventano vie di scorrimento interno, contrapposti agli assi radiali della maggiorparte delle città europee. Ecco quindi da qui la spiegazione della suddivisione della città in tre fasce successive, che nel caso di Manhattan sono rese più sfaccettate dalla conformazione a isola della città. Semplificando, downtown può essere considerata la parte meridionale dell’isola fino alla 14th Street; midtown il brano di città che va dalla 14th Street al lembo inferiore di Central Park; uptown tutta la fetta di città che si trova al di sopra della 59th Street 1. Per Manhattan inoltre downtown rappresenta il nucleo originario, midtown una fascia centrale di ‘trapasso’, mentre uptown l’ultima fascia

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“Nel perimetro di un solo isolato intorno a casa mia stava tutta l’avventura del mondo, nell’arco di un miglio tutti i paesi stranieri” John Reed

in senso cronologico di completamento del tessuto. Questa suddivisione operata a grandi linee su tutta l’isola non tiene però conto delle diverse realtà compresenti delle tre fasce, che possono dunque a loro volta essere suddivise in vere e proprie comunità, ‘unità di vicinato’ - i cosiddetti neighborhoods appunto-, costituiti da ritagli nel tessuto de l l a città, pressochè netti, dai confini chiari che però subiscono variazioni con il passare del tempo e delle politiche sociali e culturali. New York, città di individui, città dura, aspramente individualista, si rivela essere una città fatta anche di gruppi, d i villag gi, di com unità riunite assie m e da tradizioni, origini, lingua e cultura dopo la fuga oltreoceano degli anni dell’immigrazione. Questi quartieri, nati storicamente nella maggiorparte dei casi come veri e propri ghetti, si sono trasformati in insiemi di vie, scorci, viste e densità specifiche, insostituibili e altamente riconoscibili di tutta l’isola: Little Italy come Chinatown, Harlem come il Civic Center, l’Upper West Side come l’Upper East Side rappresentano tutti delle piccole iso l e 2 a se stanti, ben marcate da confini davvero percepibili. All’improvviso infatti le strade ‘di conf in e ’ si spaccano in due per appartenere a due universi paralleli, che coesistono il più delle volte pacificamente, in un confronto evidente che senza negazioni o scuse si manifesta anche sotto gli occhi del più ignaro turista. Alcuni di queste strade non raramente ospitarono anche scontri e ribellioni, disordini urbani frutto di quelle tensioni fra comunità che oggi sembrano meno evidenti ma che tuttora esistono: una storia, quella di Manhattan, fatta

1 Discussione

tratta

dal

testo

di

Mario Maffi, ‘S otto le torri di Manhattan’, Rizzoli, Milano, 1998 2 Si fa riferimento

ai

contenuti del

Capitolo 3 di progetto della tesi


la griglia lenta: 1

figura 1 Mappa stampata e prodotta dalla tipografia Oak Posters, della designer Jenny Beorkrem, con l’obiettivo di far scaturire un maggior senso di appartenenza culturale figura 2 Mappa elaborata con tecnica astratta e confini non corrispondenti a quelli reali

di contrasti, talvolta anche violenti, che sono però oggi tratto caratteristico di una metropoli sempre in movimento e sempre diverse, dalle mille sfa c c ettature. Queste facce diversificate della città non si riflettono solo nella suddivisione dei diversi quartieri - suddivisione che negli anni n o n solo è diventata uf f iciale, m a an c h e for male , poiché ha determinato la nascita di molteplici associazioni e istituzioni di tutela e progettazione di interi distretti - , ma si percepiscono anche attraverso i suoni che si d iffo n d o n o nelle strade. Il suono della città tutta si compone di diverse voci, caratterizzate da molteplici slang in continua mutazione, derivati dalle decine di lingue parlate: irlandese, tedesco, italiano, yiddish, cantonese, arabo, spagnolo e tutte le derivazioni ancora interne a queste stesse lingue. Passeggiando per la metropoli risuonano suoni ibridi e mescolanze linguistiche che riflettono la varietà di razze e culture compresenti ormai da secoli. Le carte diffuse in sostanza non possono essere considerate definitive e i conf ini, seppur d i an n o in anno ben marcati, sono lab ili e p rov visori e cam biano anche

in virtù di mot i va z i on i e con om i c h e e dem ograf ich e . Proprio in virtù dell’assialità verticale predominante le suddivisioni applicate ai quartieri seguono nella maggiorparte dei casi strade trasversali intermedie che si estendono da est a ovest, che quindi cambiano carattere man mano che attraversano neighborhoods differenti. Alcuni di questi villaggi vivono ancora oggi del mito che di loro si è diffuso nei decenni passati ed è da evidenziare una progressiva omogeneizzaz i on e d e g l i i nte r ve nt i d i riqualif icazi on e, che ormai riguardano non solo l’isola di Manhattan, ma anche i rimanenti quattro boroughs. Ma è proprio nei quartieri in cui si colgono le contraddizioni più forti che è possibile riscontrare maggiori indizi circa le differenze culturali che popolano la città: anche e soprattutto le architetture dei quartieri parlano del passato di questi fazzoletti di terra, tra murales e caseggiati in ristrutturazione, grattacieli e nuovi cantieri, case popolari e infrastrutture, residenze di lusso e uffici multipiano. Spesso inoltre alcuni di questi quartieri

2

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Manhattan: città veloce VS città lenta

i neighborhoods 3

nascondono, anche nel loro sottosuolo, una s e ri e d i ab ita nt i co n sid e rati ‘ un d e s i d e ra bles’ per la città, che restano quindi invisibili, chiusi nei recinti non necessariamenti protetti di quartieri come il Lower East Side o Harlem. Altrettanto s p esso q u est i q u ar tieri ven go n o co n s id erat i n o n fac ent i parte de l l a ci ttà stessa o da rimuovere o da concepire come ‘errori’ della città stessa: ed è invece porprio qui che si concentra l’anima della città, è qui che si avvertono rad ic i, sto ria e i de nt i tà. Identità: il riconoscere se stessi e parte di una determinata civiltà nella vita dei marciapiedi, delle strade, nella mescolanza delle culture e in quel senso di comunità che si coglie anche nella metropoli della solitudine - quella dei 2028 isolati -, in cui tutto sembra disgregarsi. Il Lower East Side, ad esempio, divenne il quartiere immigrato per eccellenza, il cancello d’ingresso nell’epoca in cui New York era considerato il punto di approdo verso il paese dei miraggi. Le condizioni del quartiere a inizio secolo erano sotto i minimi accettabili, ma l’ambiente fervido e frizzante del quartiere divenne presto il laboratorio in cui vanno ricercati gli inizi del cinema e dello spettacolo 4

45

popolare, del teatro, della pittura realista americana e le prime sperimentazioni della letteratura del modernismo, il giornalismo politico e la fotografia sociale. Tutte queste forze non rimasero confinate nel quartiere ma anzi si diffusero rapidamente oltre i confini dello stesso per arrivare ad influenzare tutta la città di New York e l’America stessa, e formare così il ‘900 conosciuto. Un esempio fra tanti, da confrontare con l’Harlem af ro-am ericana di colore , Chinatown e Little Italy e il Villa ge, anch’esso caratterizzato da tensioni e storie sociali, che fu testimone di esperienze come i beats, il folk revival, e il jazz. Non rimane quindi che indugiare tra le vie di questi luoghi per comprenderne appieno l’essenza ed arrendersi al fatto che ogni strada di New York non possa essere intrappolata in una definizione permanente delle sue caratteristiche e dei suoi abitanti.

figura 3 Mappa elaborata con tecnica astratta e confini non corrispondenti a quelli reali, con indicazione delle maggiori strade di confine tra i quartieri stessi figura 4 Mappa elaborata con tecnica astratta e confini non corrispondenti a quelli reali, con individuazione dei diversi quartieri tramine una nominazione più dettagliata


financial district

Il distretto finanziario, che comprende gli u ffi c i e se d e d i molte delle più im porta nt i i st i t u z i on i fi n a n z i a r ie della città, tra cui il New York Stock Exchange e il Federal Reserve Bank di New York, ha una popolazione residente di circa 56.000 ab. Durante il giorno, la popolazione si dilata sino a circa 300.000 ab e i residenti sono in continua crescita, così come alcuni edifici si stanno trasformando da uffici in residenze. Le caratteristiche del distretto sono quelle proprie dei quartieri d’affari, con una presenza alta di sedi e uffici di società: lo spazio pubbl i co i nfatt i sca rse g g i a e l e attività presenti rigua rd a n o p r i n c ip a l m e nte l a ristorazione a servizio degli impiegati. La via simbolo dell’area è Wall Street, antico confine della città prima dell’espansione oltre le mura. La densità caratteristica è quella propria dei distretti d’affari, con edifici alti e torri monofunzionali.

civic center

Il quartiere, cuore dell’attività politica dell’intera isola, vista la presenza di City Hall, l a s e d e m u n i c i p a l e d i New York, rappresenta il fulcro delle proteste e rimostranze di tutti i gruppi e le comunità dell’isola. L’intera area si concentra attorno al City H a l l Pa r k , che rappresenta anche l’unica strada di imbocco del ponte di Brooklyn, nella sua via pedonale. Anche se non molto ampio, il quartiere rappresenta un punto di riferimento, anche per ciò che riguarda la mobilità in tutta l’isola, rappresentandone un po’ il capolinea prima che il sistema metropolitano si estenda al di fuori dei confini dell’isola. Tutte le f unzioni giuridi c h e si addensano nel quartiere e ne determinano la vocazione, rendendolo estremamente connesso al quartiere del Financial District. In questo brano di città la Broadway rappresenta la spina dorsale del tessuto urbano.

tribeca

la griglia lenta:

Risultato delle iniziali delle parole “ Tr i a n g l e b e l ow C a n a l Street ”, questo quartiere è caratterizzato dalla presenza di numerosi studi di vario ge n e re alternati a residenze di alto livello. L’antica ani m a i n d u st r i a l e della zona si è velocemente convertita in edifici di pregio architettonico mano a mano che i valori degli immobili si innalzavano ed ora un’area ordinata e ripulita, la cui immagine riflette la tipologia di abitanti presenti, per la maggiorparte bianchi e americani. L’intera area è ormai divenuta distretto storico, con una gran moltitudine di edifici dichiarati ufficialmente landmarks dalla città. Il tessuto si fa sempre più simile alla griglia del resto della città, ma presenta alcune commistioni con la rete viaria del Financial District e una differente inclinazione derivata dalla vicinanza alla costa, da cui è distanziata tramite la parte finale dell’highway che proviene dal nord dell’isola.

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Manhattan: città veloce VS città lenta

i neighborhoods

chinatown

Come la maggiorparte dei quartieri popolati da cinesi nel mondo, anche questa Chinatown è in parte costituita da elementi residenziali e in parte a destinazione commerciale. Le unità residenziali sono rappresentate da edifici vari, alcuni dei quali anche di cento anni fa, nei quali non è difficile trovare co n d i z io n i d i v ita d i b asso livello, con bagni in comune e stanze prive di luce. La maggiorparte della popolazione è di origine cinese, proveniente della reg ion e d el Gu a n d ong e da Hong Kong, e in una fase iniziale dello sviluppo del quartiere fu principalmente popolato da gangsters e gruppi violenti. L’unico parco presente è Co lu mb u s Park, nato proprio sopra la piccola piazza dei Five Points, luogo di leggende e storie truci e di violenza della Manhattan di inizio Ottocento.

Nella prima metà dell’Ottocento, Soho, letteralmente ‘a sud de l l a H o u sto n ’, era popolato da numerosi bar e locali, frequentati soprattutto da uomini a partire dal sabato sera al lunedì mattina. A fine del Ventesimo secolo l’area venne invece p o p o l ata d a ar t ist i che qui potevano trovare numerosi e ampi spazi di lavoro, ma nel tempo il processo di gentrificazione e riqualificazione di tutta downtown Manhattan portò ad uno sviluppo dell’area ormai lontano dall’anima artistica originale. Per un certo periodo il governo della città stessa decise di sostenere l’immagine del quartiere consentendo la residenza effettiva solo agli artisti e alle loro famiglie, ma non fu comunque sufficiente. Oggi infatti l’intero quartiere, specie nel suo affaccio sulla Broadway, ma anche nelle vie interne, è letteralmente preso d’assalto dai negozi e ristoranti delle migliori marche, rappresentando il q u ar t iere p iù a lla m oda e dello s ho p p in g.

soho

Noho, il quartiere ‘a n o rd d i Ho u ston’, è il villaggio della città più composto da edifici convertiti e trasformati in splendidi loft, ad oggi tra i più cari e desiderabili di Midtown Manhattan e che contribuisce così al mantenimento dei prezzi molto alti del mercato immobilire della zona. Gli edifici dell’area ricordano il p assato commerciale de l q u a rt i e re e il loro pregio è altamente riconosciuto dalla Commissione per i beni storici della città: oggi quindi il paesaggio visibile al suo interno è quello di un’alternanza di facciate in marmo, mattoni a vista, ferro e terracotta. Al suo interno si trovano alcune università di prestigio e nella parte più a sud include anche ciò che è rimasto dell’antico quartiere di Little Italy, ormai ridotto a poche strade, ben ripulite e turiste che sconfinano ormai in pure vetrine. Per proteggere l’identità del quartiere, o ciò che ne è rimasto, anche in questo caso è nata un’associazione spontanea per la sua difesa e salvaguardia.

noho

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chelsea

greenwich village

gramercy

la griglia lenta: Popolato da artisti, oggi molto lontani da quelli che forgiarono il quartiere di Soho, ogni strada di Chelsea si affolla di curiosi e appassionati alla ricerca dell’ultima opera d’arte o dell’artista all’ultima moda, tra i capannoni finemente e costosamente recuperati, sotto l’ombra di uno dei pochi spazi pubblici rimasti, l’h i g h l i n e. Nella sua parte più vicina alla costa, s i t ra sfor m a n e l l a città dello sport, in cui tutti i pontili e i piers sul fiume sono stati recuperati e convertiti in immensi edifici adibiti a campi al coperto e sale e palestre di allenamento. Il tutto contornato da una l i n e a ve rd e , att rez zata anch’essa per lo sport e i l p a s s e g g i o su l l u n go f iume, che si estende quasi ininterrottamente a partire da Battery Park City fino a qui.

‘Il Village’, così come viene chiamato questo neighborhood, si presenta come un quartiere soprattutto residenziale, per lo più abitato oggi da fami g l i e d e l l a u p p e r m i d d le class, ma un tempo capitale bohemien dell’isola e culla del movimento della Beat Ge n e rat i on . Come per gli altri quartieri della città, i lati caratteristici e folkloristici dello stesso diventarono presto la sua condanna a morte, verso la gentrificazione. La piazza più rinomata e famosa dell’intera area è Washington Square, recentemente risistemata, e fino a pochi anni fa devastata dallo spaccio e dal crimine. Ancora oggi conosciuto per i suoi numerosi locali di jazz, molto animato di notte, si trasforma in una tranquilla oasi residenziale di giorno, caratterizzata da edifici a cinque o sei piani.

Conosciuto fin dal Ventesimo secolo come centro delle attività manifatturiere e della moda, condensa in meno di un miglio quadrato la m ag gior p a r te d e g l i s h owroom s della City e ospita i più no t i b ra n d d e l m on d o d e l l a moda, nel famoso tratto della Fifth Avenue che termina nell’inizio di Central Park. Inizialmente occupato anche dalle sedi di produzione di tali prodotti manifatturieri, venne in breve tempo riconosciuto come il quartiere adatto ad ospitare edifici lussuosi ad alto rendimento immobiliare e presto gli ultimi residui industriali vennero rimpiazzati con edifici appariscenti e firmati ad hoc dai brand che rappresentano. Molto vicino alle principali stazioni della città, Pe n n sy l va n i a Station e Grand Centra l Te r m i n a l , è il quartiere che più spesso ospita i primi sguardi dei visitatori stranieri e dei viaggiatori più in generale e rappresenta l a p i ù g ra n d e e lussuosa vetrina della c i ttà .

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Manhattan: città veloce VS città lenta

i neighborhoods

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inwood

Inwood è il neighborhood più a nord dell’isola di Manhattan, circondato dall’acqua su tre lati e mo r fologicamente col l i n o s o, co n p o c h e co n n essio n i con il tessuto stra d a l e d e l resto d i Ma n h attan. L’ Inwood Hill Park contiene l’ultima foresta naturale dell’isola ed è gettonatissima meta nei fine settimana. Confina a sud con Washington Heights, quartiere prevalentemente abitato da ispanici di Santo Domingo. In Washington Heights si trova il punto naturale più alto di Manhattan, già sede di Fort Washington, una fortificazione costruita per difendersi dagli Inglesi durante la Rivoluzione Americana. La popolazione di Hamilton Heights, invece, ancora più a sud, è composta da professionisti neri benestanti. Nel quartiere si trovano il Cit y College di NY, il Dance T he at re o f H ar lem e Th e Har lem S chool of Arts.

upper west side

Oggi allo stesso livello dell’Upper East Side, il quartiere nasce come ghetto per spagnoli provenienti dall’America Latina e nel tempo si è trasformato nell’area più residenziale per la classe media americana. R i g i d a m e nte a n co rato a lla g r ig lia, si trova lambito sul lato del fiume dal Riversid e Pa r k, tra i parchi lineari più ampi dell’isola, che attrezza con uno spazio pubblico molto utilizzato l’intera comunità. Gli elementi di maggior spicco sono costituiti dal complesso del L i n co l n Center e d al Mu se o di Scienze nat u ra l i, attrazioni turistiche e non dell’intera area. Al confine nord invece si colloca una delle maggiori università dell’isola, la C o lu mb ia Un iversit y, che con il suo campus e le sue proprietà immobiliare possiede gran parte degli edifici dell’area nord del quartiere, popolandolo di studenti universitari.

theater district

Collocato nella Midtown Manhattan, il Theater District rappresenta il simb o lo p iù co n o sc iuto della Grande Mela: nato come q u ar t iere ma lfa mato costellato da l oca l i a l u c i rosse e d imo ra d elle prostitute, è stato progressivamente risistemato, piano piano che l’immagine di icona si faceva strada. Attraverso gli ultimi interventi di p edonalizzazione de l t ratto d i Bro ad way che attraversa il quartiere, quest’ultimo si sta progressivamente trasformando in un’area di accoglienza e intrattenimento dei turisti, sia di giorno che di notte. Motivo per cui l’area è quasi completamente priva di edifici prettamente residenziali, anche a causa dell’alta densità della stessa.



manhattan: broadway: cittĂ veloce VS dalle origini alla cittĂ lenta pedonalizzazione


la broadway: dalle origini


Manhattan: città veloce VS città lenta

alla pedonalizzazione 01.5 La Broadway: dalle origini alla pedonalizzazione

Broadway, come suggerisce il nome, è senza dubbio i l p i ù a mp io v ia le d i t u tta la c i ttà d i N ew Yo r k: esso infatti si sviluppa non solo per tutta la lunghezza di Manhattan, ma prosegue per un certo tratto anche nel Borough del Bronx. É inoltre, senza dubbio, u n a d elle ar terie pi ù a nt i ch e d ella c ittà, poiché non solo risale ad una via appartenente ai tracciati del primo insediamento di New Amsterdam, ma deriva anche da un sentiero tra quelli già presenti, spontaneamente derivati dai tracciati indiani. Il nome di Broadway è la traduzione letterale in inglese del nome olandese ‘weg Bree de’, a pp u nto ‘st rad a c h e p o r ta a l d i fuori ’. Quella che oggi tra i sui tratti possiede quello che ospita i teatri più famosi al mondo, era in origine il ‘Tra i l W i ckqu asgec k ’: questo percorso originariamente serpeggiava attraverso paludi e rocce lungo tutta la lunghezza di Manhattan, ma con l’arrivo degli olandesi, il sentiero divenne ben presto la strada principale che attraversava l’isola, dall’estrema punta meridionale all’estrema punta settentrionale. Nella metà del XVIII secolo, parte della Broadway, nel tratto situato nella parte bassa di Manhattan, era nota come Great George Street. Nel XVIII secolo, la Broadway arrivava fino alle mura di Wall Street, ed assume il nome di Post Road proseguendo verso est e di Bloomingdale Road dirigendosi sul lato ovest dell’isola. Nel tardo diciannovesimo secolo la parte ampliata e pavimentata di Bloomingdale Road a nord di Columbus Circle venne chiamata ‘ The Bo u l eva rd ’, ma il 14 feb b ra io 189 9 il no m e d i “ Broa d way ” ven n e esteso a tutta l a st ra d a vec c h ia e n u ova . Da quel giorno Broadway divenne l’arteria fondamentale della città, che attraversa tutta la

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lunghezza dell’isola di Manhattan, da Bowli n g Green , estrema punta sud, fino all’ Inwo od Park, punta settentrionale dell’isola. La sua peculiarità attuale è inoltre quella di prediligere una determ inata direzion e all’ interno della rete viaria de l l a città: essa, infatti, a sud di Columbus Circle, è una strada a senso unico in direzione sud, mentre a nord dello stesso diventa a più corsie per entrambi i sensi di marcia. A partire dal 2009, per volere del sindaco della città Michael Bloomberg, il traffico veicolare è stato vietato a Times Square, tra la 47th e 42nd Street, e in Herald Square tra la 35th e la 33th Streets, all’interno di un programma di pedonalizzazione di alcuni tratti delle vie di Manhattan, nell’ottica di salvaguardare la sicurezza dei cittadini, siano essi pedoni o ciclisti. Broadway è quindi un vero e proprio percorso nord-sud, che corre parallelo al fiume Hudson e precede la griglia che il Commissioner’s Plan del 1811 aveva imposto a tutta l’isola; Broadway, invece, attraversa diagonalm ente tutta Manhattan, e le sue intersezioni con le strade trasversali diventano talvolta contrassegnate da ‘piazze’, in alcuni casi semplici ritagli e fazzoletti di terreno -come il caso stesso di Times Square-, che però hanno prodotto alcune interessanti e ardite architetture, come il F latiron Building. La prima parte della Broadway, se si parte dalla punta meridionale, quella che ha origine in Bowling Green e che giunge fino a City Hall Park, è da sempre considerata il luogo storico per le ‘ticker-tape parade’ della città, ed è spesso chiamata il ‘Canyon degli Eroi ’, proprio durante tali eventi.


la broadway: dalle origini 1

figura 1 Vista della Broadway verso nord , da Cortlandt e Maiden Lane, New York City, 1885–87, pubblicata da James J. Fogerty

Fino al 1825 l’area residenziale della zona corrispondente all’attuale Tribeca era considerata come una delle più belle e appetibili e così anche gli spazi commerciali sulla Broadway; in seguito però il riempimento delle aree della costa con gli scarti di terra prodotti triplicarono l’area, con il risultato che ora la riva dell’Hudson si viene a trovare molto più a ovest, al di là di Tr iBeCa e Batter y Park City. Broadway, oggi con maggiore consapevolezza di un centinaio di anni fa, segna anche, ad esempio, il confine tra il Greenwich Village e l’East Villa ge, p assando per Astor Place. Allo stesso modo molti altri quartieri la vedono come una vera e propria linea di confine: si trova a pochi passi da lì la New York University, vicino a Washington Square Park, che a sua volta si accosta alla Grace Church, considerata un vero e proprio ‘turning point’ del boulvard. Da qui in poi infatti la Broadway comincia il suo p erco rso inclinato, determinando u n a fo r ma urbana caratteristica e p ar t ico lare, che si rif letterà anche n ella su d d ivisione dei nieghborhoods. Dove la Broadway incrocia la 14th Street nasce Un io n S q u are, la piazza centrale dell’isola, l’ombelico di molte delle linee metropolitane che giungono da fuori isola; essa continua il suo corso diagonale uptown dalla piazza stessa, ma dal suo lato a nord-ovest. Per questo, formalmente, Union Square è l’unica p o sizio n e in cui la Broadway prosegue d isco nt in u amente il suo percorso verso la co nquista dell’ isola. Nella Mad ison Square, sulla quale si affaccia il volto longilineo del Flatiron Building, la Broadway incrocia longitudinalmente la Fifth Avenue e trasversalmente la 23rd Street. Alla successiva Herald Square, Broadway

incrocia invece la Sixth Avenue -la cosiddetta Avenue of the Americas-. É qui che si trova il Ma c y ’s D e p a r t m e nt S tore , situato all’angolo occidentale di Herald Square appunto, è uno dei famosi magazzini più grandi al mondo, simbolo di un’era fatta di consumismo e capitalismo di cui tutta la città è figlia. Il famoso tratto vicino a Times Square, rappresenta la Broadway più conosciuta e famosa -e inflazionata-; nel punto in cui la strada incrocia la Settima Avenue è la sede preferenziale di molti teatri di Broadway, e tutta l’area in generale è un crogiuolo di attività commerciali, rivolti alla larga scala e ad un vasto pubblico, cost i t u i te t u tt ’attor n o al business d e l te at ro, d e l c i n e m a e dell’ intratte n i m e nto p i ù i n ge n e ra l e . Questa zona di Manhattan è spesso chiamata per questo motivo appunto il quartiere dei teatri o la Great W h i te Way , un soprannome originario proveniente da uno dei primi film che vennero proiettati nella zona. Proprio a ca u sa d e l l a su a voca z i on e tutta l’area è ta p p ez zata d i ca r te l l on i e insegne p u b b l i c i ta r i e c h e n e dim ostrano l ’a n i m a d e d i cata al turismo e a l d i ve r t i m e nto d i m a s s a , vetrina succulenta per i grandi colossi e le grandi marche, sempre disposte ad avere una base di appoggio nella piazza - o nello spiazzo più famoso al mondo. Nato come quartiere a luci rosse vero e proprio, a fine degli anni Novanta Times Square è emersa come un centro turistico per famiglie, secondo un p roc e s s o cosid d etto d i disney f icazion e c h e h a ca ratte r i z zato la mag giorpa r te d e g l i sp a z i p u b b l i c i americani , trasformandoli in spazi omogenei e piatti.

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Manhattan: città veloce VS città lenta

alla pedonalizzazione 2

A sud-ovest di Central Park, la Broadway attraversa la Eigth Avenue e sul limite sud occidentale del parco vede la nascita di un grande centro commerciale proprio nella rotonda del Columbus Circle. A nord dello stesso, da questo punto in poi l a B ro a d way mant ien e u n a sezione costa nte ca ratter izzata d a u n ‘m all’ c ent ra l e -sono nate in seguito specifiche associazioni per la salvaguardia di tali spazi e per la loro progettazione-: tali spazi, apparentemente con la sola funzione di spartitraffico, rappresentano invece non solo un contributo al verde dell’area, abbastanza scarso, ma anche utili spazi dotati di poche ma presenti panchine per la sosta. All’incrocio di Columbus Avenue e la West 65th Street, Broadway ospita la famo sa Ju illiard Sc h o o l e i l L i n co ln Center, entrambi punti di riferimento per il mondo delle arti e dello spettacolo raffinato, che ogni week end vede una folla fatta dalla popolazione benestante della città accalcarsi davanti all’entrata dello stesso. Nel corso della sua intersezione con la 78th Street, la Broadway che continua il suo viaggio verso il Bronx d iv ien e la d iago n a le che ta g l i a i l te s s u to co mp atto d ella g r iglia ottoce nte s ca e si snoda tra gli edifici lussuosi delle nuove residenze per la u p p er middle c l a s s a m e ri can a. Più ancora a nord, la Broadway segue la vecchia Bloomingdale Road e rappresenta la spina dorsale principale della Upper West Side, passando per il campus della Columbia University posizionato sulla 116th Street e costeggiando il parco di Morningside Heights. A pochi passi comincia il quartiere di Harlem e di Spanish Harlem e anche in questo caso

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la Broadway si colloca in prossimità di teatri e scuole di arte, danza e musica -soprattutto jazz, tra edifici tradizionali in brownstone e nuovi palazzi residenziali di poco pregio. La Broadway si conclude quindi n e l verde dei quartieri più residenzial i e a bassa densità del nord dell’ iso l a , dopo essere partita da quelli più de n si e costruito della parte settentrion a l e della stessa: eclettica nel suo rapporto con il contesto, la strada però rimane pressoché uguale nelle sue dimensioni e nel suo ruolo, con l’unica differenza della variazione a metà percorso del senso di marcia. Broadway era una volta infatti una strada a doppio senso di marcia per tutta la sua lunghezza, fatto che la elevava ad arteria portante del traffico della città in direzione nord-sud. Lo stato attuale, invece, che vede una direzione verso sud prevalente a partire da Columbus Circle, a partire dalla 59th Street, è frutto di un processo per steps, cominciato il 6 giugno 1954. Negli anni, infatti, alcune restrizioni legate al traffico delle strade adiacenti la Broadway nel tratto di Midtown hanno implicato un rimodellamento della sezione della stessa, che quindi è diventata a senso unico da sud a Columbus Circle Herald Square (34th Street) il 10 marzo 1957. Il 3 giugno 1962, poi, la Broadway è diventata a senso unico a partire dal tratto a sud di Canal Street. Nel 14 gennaio 1966, diventa a sen so unico anche il tratto da Union Squ a re a m adison Square, completando l a sua conversione a sud a partire d a Columbus Circle f ino all’estrem a pu nta dell’ isola. Nel mese di agosto 2008, due corsie di

figura 2 Disegno del 1868 tratto da Eric Homberger, “The Historical Atlas of New York City: A Visual Celebration of Nearly 400 Years of New York City’s History”, proposta per il ‘arcade railway’


la broadway: dalle origini 3

figura 3 Foto della situazione antecedente e posteriore al progetto ‘Gre e n l i g ht s fo r Mid tow n ’, all’inizio del tratto della Broadway compreso tra Madison Square ed Herald Square

figura 4 In ordine dall’alto in basso, da sinistra a destra, alcuni brani della Broadway: 01_ Bowling Green 02_ City Hall Park 03_ Broadway in Soho 04_ Grace Church 05_ NYU on Broadway 06_ Madison Square 07_ Herald Square 08_ Lincoln Center

traffico dalla 42th alla 35th Streets sono state prese interrotte e convertite in piazze pubbliche dall’amministrazione Bloomberg per sp er imenta re una nuova condizione d i ap er t u ra al pubblico e di mag gior sic u rezza p er pedoni e ciclisti, specie nei punti più frequentato della Broadway stessa. Da maggio 2009, le porzioni di Broadway att raverso Duf f y Square, Times Square e d a Hera ld Square sono state quindi c h iu se co m pletamente al traf f ico d elle au to mobili, ad eccezione del traffico necessario all’ attraversamento delle strade e dei viali, secondo i criteri dell’ esperimento di blocco del traffico e pedonalizzazione. I marciapiedi sono stati popolati con sedute movibili e tavolini a disposizione di tutti i frequentatori della strada e di coloro che vogliono concedersi un momento di pausa nella city frenetica e sempre in movimento, per la maggiorparte turisti ma non solo. Il Comune in seguito ha valutato tale esperimento positivamente e in seguito ai successi riscossi dall’opinione pubblica si è deciso di ren d ere perm anente la modif ica nel feb b raio d e l 2010. Il progetto complessivo, chiamato ‘Green light fo r Mid town’, dopo essere stato realizzato provvisoriamente come progetto pilota già nel 2009, è stato quindi infine dichiarato proprio questa mattina come permanente, in seguito ai risultati positivi ottenuti rispetto alla migliorata scorrevolezza del traffico in Midtown Manhattan, alla riduzione degli incidenti per pedoni, ciclisti e motociclisti e come conseguenza di una forte volontà da parte di turisti e popolazione locale di ottenere maggiori spazi pubblici nella città. Il tratto della Broadway, così come è stato realizzato, è rappresentato da due corsie p er il flu sso ciclabile e da un percorso

pedonale che s i a p re i n d i ve rs i p u nt i e si trasform a i n p i a z ze , o ‘ p l a za s’ -termine che richiama gli spazi che già affollano la città, meglio conosciuti come POPS - privately owned public spaces - -, in cui l’arredo pubblico colorito ed eterogeneo fa da padrone. Dopo un anno di monitoraggio, si è quindi deciso di investire maggiore energia sul progetto e questo porterà a breve ad una maggiore qualità con un nuovo design degli spazi fino ad oggi considerati temporanei. Molti degli abitanti ritengono la scelta di carattere prevalentemente turistico e assai poco in direzione del miglioramento delle condizioni di vita vere e proprie dei newyorkesi: ciò dipende sia dal tratto prescelto -meta quasi esclusiva dei turisti che affluiscono a orde barbariche tutti i giorni a tutte le ore del giorno-, sia dalla conseguente sottrazione di alcuni privilegi -primo fra tutti il fatto di non poter essere caricati da alcun taxi davanti all’uscita di Macy’s, una della catene più grandi di abbigliamento ed accessori della città-. D’altra parte dai sondaggi effettuati dal Dipartimento dei Trasporti il 74% della popolazione si dice favorevole a questo tipo di interventi, al fi n e d i re st i t u i re la c i ttà alle persone .

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Manhattan: cittĂ veloce VS cittĂ lenta

alla pedonalizzazione

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02 la presunta morte dello spazio pubblico americano



la presunta morte dello spazio pubblico americano 02 La ‘presunta’ morte dello spazio pubblico in America

Lo spazio pubblico e ‘la su a fin e’ , per lo meno presunta, rappresentano da qualche anno un tema diffuso di aspro dibattito tra i critici e gli storici dell’architettura, alcuni dei quali hanno visto nella figura dei c ent r i co mmerc ia li un ‘nuovo pubblico’, basato sulla logica del consumo e del divertimento. Questo tipo di spazi diventa sempre più di carattere ‘pseu d o -p u b b lico’, proprio a causa della forte dipendenza dalle risorse di investimento private e dalla presenza di un e l evato g ra d o d i co nt ro llo e di s or ve g l i a n za, sempre più lontano dall’idea democratica di spazio pubblico che fin dai tempi antichi aveva caratterizzato i luoghi accessibili a tutti della città1. L’affermazione provocatoria che evoca la fine dello spazio pubblico mira forse ad una r i fl e s s i o n e circa le p rat ic h e p o lit iche e l e st rate gie gover n at ive attuali messe in atto al fine di esercitare un controllo materiale e sociale sugli spazi collettivi, ma apre anche un dibattito circa le d ifferenti ‘ vi s i o n i ’ riguardanti la natura e lo scopo di uno spazio pubblico, quotidianamente in conflitto nella società contemporanea. Gli ultimi tragici eventi legati al terrorismo globale hanno acuito l’importanza e l’urgenza di tale dissertazione, specialmente nel continente americano, a New York più ancora che in altre metropoli degli Stati Uniti. Sempre più scomodi sono i personaggi cosiddetti ‘ u n d esid erab les’ 2, la paura dei quali rappresenta un sintomo di un altro problema più profondo: la p a u ra d i c iò che no n s i co n o s c e, delle parti di città che non sono governate da enti di fiducia o che non appartengono alla routine quotidiana ritenuta sicura. Lo spazio pubblico diventa per queste figure un rifugio, un luogo senza costrizioni, un modo per rimanere invisibili agli occhi della società formale; per altri invece è molto

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“Going public today means going on air.” Paolo Carpignano

spesso un luogo di ricreazione e divertimento, talvolta accessibile a pochi o espressione di una determinata parte politica, che non è disposta a sopportare il rischio di ventuali disordini. Queste visioni di spazio pubblico, completamente agli antipodi, corrispondono molto da vicino alla distinzione di Lefebvre tra spazio rappresentativo - spazio vissuto, appropriato - e rappresentazion i di spazio - spazio pianificato, controllato, ordinato -. Spesso lo spazio pubblico prende orgine dal secondo tipo di spazio, ma non appena la cittadinanza comincia a prenderne possesso attraverso l’utilizzo, diventa del primo tipo. Inoltre gli spazi pubblici spesso sono anche spazi per la rappresentazione di se stessi o di categorie intere, dove movimenti culturali o politici possono prendere avvio. Tutto ciò spinge dunque ad affermare che gli spazi pubblici rappresentano senza dubbio luoghi essenziali per lo sviluppo d i una vita dem ocratica, al di là della mera politica istituzionale, verso una politica dei fatti. Dall’antica agorà ad oggi, lo spazio pubblico è sempre stato un ibrido tra politica e commercio, ma nell’età contemporanea i soggetti pianificatori, specie nella società americana, hanno via via creato spazi sempre più basati sulla volontà di una maggiore sicurezza rispetto invece all’interazione sociale, sempre più verso la spettacolarizzazion e e l’intrattenimento rispetto al confronto. Uno dei risultati di questo tipo di pianificazione è stato proprio quello di generare ‘sp a z i pubblici m orti ’ 3, capaci di incoraggiare il consumo attraverso spazi ‘spettacolari’ pensati per vendere e vendersi , ma incapaci d i gestire il bisogno di collettività se n za ricorrere a ordine, sor veglianza e controllo, nel nome di comfort e guadagno. L’obiettivo di tali strategie è proprio quello di

1 per un breve excursus sull’identità dello spazio pubblico dall’antichità a oggi si rimanda al capitolo successivo 2 Secondo gli

William

H.White,

‘undesiderables’

sono

rappresentati, dal punto di vista soprattutto dei privati gestori della plazas di New York, non solo da senzatetto, spacciatori e scippatori, ma talvolta anche da teenagers, anziani, ‘hippies’, musicisti e venditori di strada 3 La definizione è tratta dal testo di Richard Sennett ‘ The Consc ienc e of the Eye: The desig n and soc ial life of c ities’, pubblicato dalla Faber and Faber, nel 1991, al cui interno egli sottolinea lo scarso livello di socializzazione e socialità presente nella plazas di New York, spesso collocate frontalmente rispetto a molti famosi edifici per uffici


la presunta morte dello spazio 1

figura 1 La strada, uno dei spazi pubblici ancora tra i più vivi d’America

4 Per comprendere il nuovo mondo dei cosiddetti parchi tematici risulta utile la lettura del testo ‘ Va r i ati o n s on a T heme Par k : th e N ew A m e r i ca n C i ty an d th e e n d o f Pu b l i c Spa ce’, di Michael Sorkin, pubblicato dalla Hill and Wang, New York, nel 1992 5 Citazione da Margaret Crawford in ‘ Variat ions o n a T h eme Pa r k : the N ew A me r i ca n C i ty an d t h e end of P ub l i c Sp a c e ’, di Michael Sorkin, pubblicato dalla Hill and Wang, New York, nel 1992 6 Citazione tratta dal testo di Henry Lefebvre:

‘C r i ti q u e o f eve r yd ay

l i fe’, pubblicato da Verso, Londra, nel 1991

puntare ad una om ogeneizzazione del p u b b lico, degli spettatori, attraverso una progressiva ‘disneyficazione’ dei luoghi, volta alla creazione di spazi attentamente pianificati e pronti per essere venduti. A queste osservazioni si aggiugne la posizione di due critici americani, Michael Sorkin e Margaret Craw ford, entrambi convinti che il declino dello spazio pubblico sia stato provocato nel tempo da una privatizzazione selva g g ia e che il costituirsi di una nuova dimensione, ‘Cyburbia’, una nuova città costituita da uno spazio vasto, invisibile e concettuale in cui il classico concetto di prossimità svanisce, stia spazzando via il ruolo e l’esistenza dello spazio pubblico nella sua accezione più fisica e concreta. Gli sviluppi tecnologici hanno quindi trasformato la natura dello spazio pubblico, tramutandolo in uno sp a zio elettronico e creando una ‘n a zio n e c ibernetica’. I media oggi sono lo spazio pubblico per eccellenza, e questa è la ragione per cui lo spazio pubblico è destinato a sparire: i ta lk sh ows sono diventati le nuove p iazze d i discussione, comodamente accessibili dal proprio spazio privato. Uno spazio completamente a-georgrafico, in cui i luoghi tradizionali costituiti dalle strade, dalle piazze, dai cortili e dai parchi scompaiono, per fare spazio ad una città costruita come un ‘t h eme park’ 4, con l’intero mondo conosciuto al suo interno, simulando la vita reale e con essa i suoi rapporti sociali. ‘Il mo n d o d el centro commerciale - che n o n r isp etta alcun conf ine, non più limitato d a ll’ imperativo del consumo - è d iventato il mondo reale.’ 5 ‘L a co n seguenza universale delle c ro c iate ve rso la sicurezza totale n ella c ittà è la distruzione di qualsiasi

spazio verame nte d e m oc rat i co’ : questa citazione di Davis del 1992 spiega in poche semplici parole la preoccupazione di molti critici nel vedere la progressiva trasformazione delle città in fortezze sorvegliate. Ma al contrario dell’esito negativo dipinto all’interno del testo ‘ Va r i at i on s on a Them e Par k : t h e New Am e r i ca n City and the e n d of Pu b l i c Sp a c e ’, la ricerca che Margaret Crawford intraprende successivamente tenta di ripensare i concetti di ‘spazio’, di ‘pubblico’ e di ‘identità’, alla ricerca di una risposta c h e p rove n ga d a g l i sp a z i di tutti i gior n i. Lo spazio cosidetto di tutti i giorni si rivela quindi essere lo spazio della vita quotidiana del singolo e della collettività: rappresenta quindi ‘ l o scherm o attrave rs o i l q u a l e l a soc i età proietta le s u e l u c i e l e s u e om b re , l e sue voragini e l e su e s u p e r fi c i , i l s u o potere e la su a d e b ol ez za ’ 6. Una città da osservare attraverso le ‘rotte’ disegnate dai percorsi quotidiani dei cittadini, risultato dell’interazione tra l’uomo e la città; è quindi così che il concetto di ‘spazio’ si associa irreversibilmente a quello di ‘tempo’, imponendo l’inclusione, all’interno della ricerca del significato dello spazio pubblico, dei r i t m i urbani, dei ‘ p atte r n ’ generati dal tragitto casa-lavoro, dei riti del divertimento urbano e dei gesti ripet i t i vi l e gat i a l con s u m o e allo scambio. La nuova esortazione rimane quella di r i tor n o allo spazio p u b b l i co m ate r i a l e, ad un vivere urbano più autentico, basato appunto sulla prossimi tà fi si ca e sul movimento libero. La città in fon d o a l t ro n on è c h e l’espressione d e l n ost ro b i s og n o d i collettività.

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

pubblico americano

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la presunta morte dello spazio pubblico americano 02 Il problema dello spazio pubblico a Manhattan

“City is not so much as a landscape of open spaces.” Lawrence Halprin

Parlare di spazio pubblico a Manhattan può sembrare quasi un o ssimo ro, ma in fondo altro non è che discutere di ciò che compone il pa e s a g g i o d e g li sp a zi a p er t i. Con i loro v u ot i legano le parti di città: strade, passaggi, passeggiate, boulevards, mercati, piazze, centri commerciali sotterranei, parcheggi, gallerie, ‘triangoli’, parchi, parchi giochi, waterfront, sedi di binari, tetti, colline, valli, autostrade, ponti e punti di interscambio. Sono questi gli spazi che la gente comune utilizza e che permettono di socializzare gli uni con gli altri: gli spazi in cui la gente si in co nt ra, si di ve rte e p a r tec ip a ad una vita comune. In fondo la città altro non è che una ‘co re o g raf i a ’ d i sp azi, un ordine al movimento attraverso il quale noi ci spostiamo e viviamo le nostre vite urbane. La struttura del sistema degli spazi aperti ha un legame indelebile con la città e i suoi abitanti: griglie, diagonali, circoli, strade curve, ogni tipologia di strada ha la sua influenza sulla qualità dello spostamento della popolazione nella città, determinando anche ciò che esse stesse fanno e come agiscono. A questi s p a z i ar t ific ia li poi si aggiungono i l u o g h i n at urali, che ancora ricordano le origini del territorio su cui poi si è espansa la città nei secoli: ogni città è infatti nata dal suo stesso ambiente naturale, dal paesaggio che la circonda o che l’ha circondata in passato, elemento questo che più di qualsiasi altro fattore ha influenzato le sue caratteristiche, la sua essenza e la sua personalità 1. Analizzare tali spazi però significa però prima di tutto associarvi il termine ‘pubblico’ e compredere quali significati porta con sè e da dove deriva.

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É infatti nei primi decenni del XX secolo che New York sperimentò un nuovo genere di città, basata sulle necessità e sulla gratificazione della popolazione, che a sua volta cominciava a delinearsi con il termine di ‘massa’: un diverso concetto di ‘pubblico’ si faceva strada nella ‘città degli af fari ’ , in cui la realizzazione di spazi collettivi andava spostandosi verso la progettazione di nuovi piacevoli spazi per il tem po libero e p e r la prom ozione commerciale, grazie ad ambienti esteticamente seducenti ed efficienti. Due esempi fra tutti, quello di Central Par k , il parco pensato per lo svago e la circolazione libera del flusso di gente, e quello di Grand Cent ra l , la stazione più importante di Manhattan, una ‘mini-città autosuf f iciente’ per il cosiddetto popolo vaggiante 2, una struttura ‘maestosa’ e ‘sublime’. La campagna per lanciare un processo di costruzione di ‘luoghi di com odo’ in tutta la città fece leva anche sull’osservazione delle abitudini al consumo della popolazione; molti imprenditori, fra i quali uno dei più illustri fu F rank W. Woolworth, ‘portaro n o i negozi alla gente’ 3, nelle zone e negli incroci in cui più vi era flusso di passanti. Le strade si trasformarono quindi in un brulicare di attività commerciali e di servizi al pubblico, volti alla seduzione e all’acquisto della fiducia dei cittadini-compratori. Anche lo skyline diventa una ‘f inzione cosmetica ’, una silhouette fatta di grattacieli luminosi e ammalianti: la città trasforma definitivamente il suo linguaggio per convertire ogni strada e ogni spazio pubblico in un’immensa vetrin a. E ancora oggi osserviamo i riflessi di questo processo di costruzione di un vero e proprio ‘pubblico’.

1 Citazione tratta dal testo:

‘U rban

open spac es’, della Cooper Hewitt Museum, pubblicato da Rizzoli, New York, nel 1981 2 Così venne definita l’utenza della stazione da una delle riviste del tempo: nel 1904 un cronista del ‘Railroad G azette’ definisce la stazione di Grand Central come il luogo in cui ‘tutto è stato sac rificato alle

comodità

del

pubblico

v iag g iante’. 3 ‘Portare

il

negozio

alla

gente’ fu proprio il motto di Frank W.Woolworth in un intervista del 1913.



la presunta morte dello storia dello spazio pubblico spazio pubblico americano di mannahatta


storia dello spazio pubblico


la presunta morte dello spazio pubblico americano

di mannahatta 02.1 Storia dello spazio pubblico nello sviluppo di ‘Mannahatta’

Per poter parlare di spazio pubblico in qualsiasi sua accezione bisogna avere in mente il significato e la storia che questo termine porta con sè; al fine poi di poter dibattere di s pa z i o p u b b lico amer ican o è altrettanto necessario osservare l’evoluzione dello spazio pubblico europeo e la sua trasformazione oltre oceano. In una sintesi efficace è possibile ripercorrere le principale tappe attraverso le quali le diverse società nel tempo hanno costruito lo spazio aperto pubblico, il quale si è spesso manifestato come un vero e proprio sp ec c h io d ei tem pi.

La nascita e l’evoluzione dello spazio pubblico si fonda sulla pianificazione delle antiche città dell’Europa e, ripercorrendone la storia a ritroso, è possibile risalire fino all’epoca degli antichi greci, passando per il Barocco, il Rinascimento e l’Impero Romano, per rintracciare i primi luoghi collettivi. La culla della civiltà, la società delle p oleis gre ch e , ha dato origine a quello che può essere considerato il vero e proprio primo spazio pubblico della storia della civiltà umana: l ’a cro p o l i, uno spazio fortificato eretto sulla cima di una collina caratterizzato da funzioni religiose, politiche e legate all’attività commerciale. Durante l’evoluzione della società greca, lo spazio dedicato all’’incontro quotidiano e alle riunioni formali e informali’ 1 passa dall’acropoli all’a go rà : quest’ultima si rivela essere, oltre che collocazione per il mercato, anche uno dei luoghi accessibili a tutti, non solo a coloro che al tempo erano considerati cittadini. La società degli antichi romani, invece, costituì come nucleo cittadino il fo ro, spazio chiuso, semi-chiuso o aperto, con al suo interno funzioni

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“It is difficult to design a space that will not attract people. What is remarkable is how often this has been accomplished.” William H. Whyte

miste. La differenza tra queste due civiltà e i loro spazi pubblici è visibile grazie al differente approccio della popolazione latina, la quale introdusse una vera e propria pianificazione urbana basata sull’integrazione dello spazio pubblico all’interno delle città; questa fu inoltre capace di comprendere l’importanza della qualità dei luoghi per la collettività e della possibilità di fare da contenitore per elementi simbolici religiosi e civici, al fine di esercitare quasi un potere di controllo sulla cittadinanza. Nei tempi buii medioevali, si ebbe un calo di attenzione per tutto ciò che riguardava la vita pubblica e le strade divennero uno dei principali luoghi utilizzanti dalla popolazione delle città, seguendo però una logica utilitaristica e funzionale, senza alcuna cura per il dettaglio o l’abbellimento. Fu però proprio in questi anni che lo spazio delle strade assunse un aspetto positivo, quello cioè di essere davvero aperto a tutti, poichè ogni cittadino era uguale all’altro ed erano tutti uomini liberi. 2 Durante il Rinascimento, le città, specie quelle italiane, rifioriscono e spunta tra l’annovero degli spazi pubblici urbani la figura della piazza, come espressione urbana di qualità a imitazione dell’eleganza classica antica e come ‘organism o compiuto con criteri d i regolarità e decoro’ 3. Le funzioni relative al commercio e allo scambio vengono invece spostate verso l’esterno del centro storico. L’esigenza di un nuovo decoro urbano e di linee prospettiche per l’espansione delle città ebbero come conseguenza nuovi interventi di rettificazione dei reticoli medioevali e l’invenzione dei portici nelle principali città europee. L’avvento dell’assolutismo seicentesco porta con sè, oltre alle innumerevoli guerre, alcuni importanti processi di urbanizzazione

1 Citazione tratta dal testo: S pac e’,

‘Public

di Stephen Carr, Mark

Francis, leanne G.Rivlin, Andrew M. Stone, pubblicato dalla Cambridge University Press, Cambridge, nel 1992 2 Citazione tratta dal testo: ‘ The City in Histor y : Its O rig ins, Its Transformations, and Its Prospec ts’,

di

Lewis

Mumford

pubblicato da Harcourt, Brace & World, New York, nel 1961 3 Citazione dal testo ‘ S toria della c ittà. L’età moderna’, di Donatella Calabi, pubblicato da Marsilio, Venezia, nel 2001


storia dello spazio pubblico 1

figura 1 Mappa storica di Central Park del 1875 circa disegnata da Oscar Hinrichs 4 Citazione tratta dal testo: sp ace

:

th e

‘ Pu b l ic

ma n age m e nt

d i men sion ’, di Matthew Carmona, Claudio

de

Magalhäes

and

Leo

Hammond,pubblicato da Routledge, New York, nel 2008

5 Riferimento al testo: ‘ T h e c u l t u re s o f cit ies’, di Sharon Zukin , pubblicato da Blackwell Publishing, Oxford, nel 1995

6 Definizione

di

‘pacification

by

cappuccino’ data dallo studioso D av i d Har vey

nell’articolo intitolato ‘ I l

d i ritto a lla c i ttà ’, pubblicato sulla rivista ‘lettera nternazionale’: “Per descrivere la situazione attuale, la sociologa urbana Sharon Zukin ha coniato

l’espressione

«pacification

by cappuccino» che ben descrive

e molteplici interventi urbani, oltre ad amp lia menti, boulevards, ponti e n u ove ma estose piazze, fino ad arrivare agli ottocenteschi ‘passages’ e alle diagonali che in molte città europee tagliarono il tessuto storico compatto, per questioni igieniche e soprattutto economiche. E’ proprio in questi ultimi tre secoli che, oltreoceano, i nuovi conquistatori dalla Spagna, dall’Inghilterra e dalla Francia portano con sé la tradizione dei propri spazi pubblici e li ripropongono nel Nuovo Mondo: questi spazi però presto si evolvono in nuove t ip o lo g ie, seppur partendo dai prototipi della piazza centrale spagnola, della piazza d’armi francese e dal concetto di ‘common land’ inglese4. Ecco quindi che alcune città del sudovest, quali New Orleans, Los Angeles e Baltimore, progettano la loro forma urbana sulla base di piazze centrali, mentre le città del nordest si rivelano contaminate dalla tradizione inglese di introdurre nello spazio urbano ampie aree comuni, di origine militare. Alcune piazze coloniali ancora esistono, ma la maggiorparte sono state cancellate pian piano che le città americane si espandevano nel XIX secolo.

la tendenza recente che vorrebbe opporre alla monotonia, al grigiore e

all’incoerenza

suburbana,

che

dell’architettura domina

ancora

vasti tratti di territorio, una “nuova urbanistica”, ven d ita

p ro p o n en d o a

p rez z i

in

st ra c c i at i

va r i st ili d i vi ta comu nita r i e raffin at i, i n gra d o d i s o dd i sfa re i sog n i d i q u a lu n q u e c i tta d i n o.”

L’immigrazione e la rapida urbanizzazione, nonostante l’abbondanza di terreno disponibile per l’espansione, comportano la cessione delle aree pubbliche e i piani basati sulla griglia portano ad un processo specultativo veloce e facile. In questo contesto assume particolare rilevanza la strada, che diventa uno spazio pubblico privilegiato e che comincia ad intergire con il contesto che ha attorno, fino al momento in cui, intorno ai primi del Novecento, subentra l’auto; l’attenzione quindi si sposta su quello che diventerà l’elemento paesag gistico d ’ec c elleza per New York e non solo,

il parco. Nasce quindi un ‘ p a r k m ove m e nt ’ , analogo a quello inglese, con l’obiettivo di ‘moralizzare’ i cittadini newyorkesi e con la conseguenza non detta di aumentare i valori fondiari delle real estate. Al fine di portare a compimento il primo grande spazio pubblico americano, C e nt ra l Park, furono demoliti dal 1850 in poi molti isolati, dalla 59esima alla 110ma strada e dalla quinta all’ottava avenue, come da progetto di Law Olmstead e Calvert Vaux, dando così inizio alla progettazione di una serie di parchi sparsi per la città. Uno di questi è l’attuale Br ya nt Pa r k , situato nella Midtown Manhattan, che nasce come nucleo verde circondato da sedute, al fine di ospitare l’esposizione del 1853, e diventa dopo la Seconda Guerra Civile, un vero e proprio parco pubblico, ospitando su di un lato la sede principale della New York Public Library. La storia di questo spazio rappresenta molto chiaramente e sinteticamente la storia degli spazi pubblici di Manhattan: dopo i tagli negli anni sessanta dovuti alla crisi post-industriale, Bryant Park venne invaso da i cosiddetti ‘undesirable s’, i senzatetto e gli spacciatori della città, e venne salvato dalla ‘ Br ya nt Pa r k Restoration C or p orat i on ’, un’associazione di carattere pri vato che cominciò ad occuparsi dei tempi di ‘bonifica’ e della gestione del parco stesso. Come la sociologa Sh a ron Z u k i n afferma5, la strategia che venne messa in atto fu quella della cosiddetta ‘ p a c i fi cat i on by cappuccino’ 6, tramite la quale gli impiegati della zona reclamarono l’utilizzo del parco in libertà e sicurezza, sulla base di un processo di controllo della diversità, che a sua volta ha le sue fondamenta su di una determinata visione di consumo della società. Questa tattica porta alla creazione di uno sp a z i o e s c l u si vo,

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

di mannahatta 2

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senza una chiusura fisica tramite recinzioni, ma attraverso un d isp osit iv i d i cont rollo s oci a l e e l’utilizzo di prestabiliti simboli culturali, quali ristoranti e attività di alto livello o la presenza di maxischermi molto costosi per la proiezione di film all’aperto. O ancora la presenza di reti wireless sponsorizzate e il design studiato appositamente per evitare che le panchine presenti diventino luogo di bivacco e riposo prolungato.

Il coraggioso piano basato su di una rigida griglia proposto nel 1807 e approvato nel 1811 - i l C o m m i s s i on ers’ P lan - ha avuto quindi come conseguenza quello di massimizzare le rendite derivate dalla vendita dei terreni e di concedere ben pochi respiri per la costruzione di spazi pubblici e parchi, fatta eccezione per un primo progetto di un ‘p a ra d e g ro u n d ’ tra la 23esima e la 24esima strada e per uno spazio per il mercato, poi sostituiti nel 1853 dall’idea della realizzazione di Central Park. Nel frattempo però la parte più commerciale della città, quella di origine colonica, nel sud dell’isola, evolve e rimpiazza i pochi spazi collettivi esistenti al tempo con luoghi legati al commercio e agli affari, quali banche e compagnie assicurative. Le aree mercatali vengono spinte verso l’esterno e le st rade si trasformano dei principali spazi pubblici, ospitando vetrine, negozi, insegne e stores, destinati in alcuni casi a diventare famosi - è il caso del grande magazzino Macy’s nato nel 1857 -. Più a nord, invece, la Midtown Manhattan si stava trasformando nel d ist retto de l l ’ i nt ratte nimento e del di ve rt i m e nto , legando la sua immagine indissolubilmente ai teatri e alle promenade commerciali: sempre più lo spazio pubblico

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newyorkese si stava identificando con uno spazio di carattere meramente com m ercia l e . Nel 1916 la ‘Com m ission on Buildi n g Districts and Restrictions’ adotta la ‘New York Building Ordinance’ con l’obiettivo di riscattare proprie le strade di Manhattan che, con l’espandersi della città in verticale, ormai rappresentavano vicoli bui, privi di luce e aria e zone a rischio per la popolazione. Tale provvedimento tentava di proteggere gli investimenti dei grandi imprenditori, ma allo stesso tempo voleva dimostrarsi come strumento a favore della salute della cittadinanza: il pri m o vero zoning d’Am erica. Lo scarso successo dell’iniziativa però costringe ad un altro piano di zoning, che introduce un nuovo strumento operativo, quello legato ai cosiddetti P.O.P.S. - i ‘privately owne d public spaces’ - , spazi aperti al pubblico creati da investitori privati in cambio di un indice di edificabilità maggiorato. Inizialmente di qualità insufficiente, proprio a causa del poco interesse del privato nella gestione e manutenzione di un luogo pubblico non remunerativo, questi spazi sono catalogati in determinate tipologie - quali ad esempio l’ ‘arcade’, la ‘plaza’, il ‘covere d pedestrian space’ o il ‘through bl oc k galleria’ 7 - e, grazie al lavoro di Willia m H.Why te 8 , vengono via via implementati attraverso un design sempre più attento, dettato da alcune linee guida circa gli elementi di design, quali le alberature, le sedute, i cafè, le sculture e le fontane, proibendo l’utilizzo di questi spazi come lotti per parcheggi o per lo scarico/carico merci.

figura 2 Bryant Park prima del recupero da parte della ‘Bryant Park Restoration Corporation’ w w w.br yantpark.org figura 3 Bryant Park dopo il recupero da parte della ‘Bryant Park Restoration Corporation’ w w w.br yantpark.org figura 4

Contemporaneamente agli inizi del Novecento, nelle Midtown Manhattan, si andava sviluppando

‘Commissioner ’s G rid plan for Manhattan’ del 1807, qualche anno prima della sua adozione nel 1811


storia dello spazio pubblico 5

figura 5 Garden Plaza dentro all’IBM Building al n. 590 di Madison Avenue figura 6 Times Square e le sue insegne accese a tutte le ore del giorno e della notte

7 Per una conoscenza approfondita e un elenco esaustivo degli spazi che fanno parte dei P.O.P.S. realizzati fino ad oggi consultare il sito: htt p:/ / w w w.nyc . gov/htm l / d cp/ ht ml/p r i v/p r i v.s htm l 8 W illiam H.W hy te (1917-1999) è considerato il mentore del programma ‘Project for Public Spaces’, grazie ai suoi studi sul comportamento umano in ambito urbano. Durante il suo lavoro per la New York City Planning Commission si incuriosì su come potessero funzionare i nuovi spazi della città e cominciò a studiare le dinamiche dei flussi pedonali. Il suo testo di riferimento è: ‘ T h e s oc i a l l i fe of sm a l l u r b a n s p a c e s’, Porject for public spaces, New York, 1980 9 Sito di riferimento: http://www.timessquarenyc.org/

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un quartiere dedicato al divertimento e all’intrattenimento, dapprima ospitando teatri e attività ludiche, evolvendosi poi in un centro commerciale all’aria aperta: è il caso di Times S q u a re, semplice incrocio dalle potenzialità legate alla presenza della metropolitana, che in poco tempo diventa il sito tra i più visitati dai turisti e non solo. Il piano di zoning del 1916 permette che lo slargo venga sommerso letteralmente di in seg n e p ubblicitarie, cambiando per sempre l’immagine della ‘piazza’, che diviene così il simb olo del m ercato dinamico amer ican o; Times Square diventa così una commistione di spazio pubblico e privato allo stesso tempo, uno spazio civico e commerciale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’intera area subisce però un declino e perde la sua reputazione, diventando il rifugio di prostitute e spacciatori; dopo diversi tentativi di ‘rigenerazione urbana’ negli Sessanta e Settanta, finalmente nel 1992 nasce il ‘ Tim es S q u a re Bu siness Im proem ent District ’ - BID- 9 che ha come obiettivo la riqualificazione e l’inserimento di nuove funzioni e nuove fonti di guadagno. Vi si trasferiscono il Planet Hollywood restaurant, il Madam Tussaud’s museum, il Warner Bross studio tour, l’MTV store e tante altre catene che vogliono ottenere la massima visibilità in città. Questo successo che Times Square riscuote oggi giorno è stato raggiunto passando attraverso un alto costo sociale: il controllo costante del comportamento e dell’utilizzo dello spazio pubblico, anche e soprattutto attraverso simboli e oggetti, ha fatto sì che oggi sia ritenuto il luogo peggiore in cui un vero newyorkese possa trovarsi durante ogni ora del giorno e della notte.

La crisi delle istituzioni pubbliche e la difficoltà di agire di fronte ad una realtà complessa e vasta come quella newyorkese hanno costretto le autorità a ricorrere a p a r t n e rs h i p p u b b li coprivato per sopperire alle mancanze statali. Progressivamente gli attori protagonisti delle trasformazioni legate allo spazio pubblico sono quindi cambiati e aumentati: dalle organizzazioni no-profit e dagli assistence providers ai co-manager e ai distretti creati ad hoc - i cosiddetti BID, dei quali fanno parte impreditori e proprietari d’aree commerciali che si autotassano col fine di migliorare le aree pubbliche limitrofe di cui però assumono poi il controllo -, il bisogno di spazio pubblico è ormai quasi completamente affidato a tali compagnie private o semi-private, senza l’esistenza delle quali però la quasi totalità dei neighborhoods cittadini si ritroverebbe oggi in avanzato stato di degrado sociale e anche economico. E’ chiaro però che la proprietà privata della aree pubbliche e in generale di carattere collettivo porta con sè problematiche legate al cont rol l o sociale, alla necessità di d i s p os i t i vi d i sicurezza e ha come conseguenza una certa omogeneità n e l d e si g n d e g l i e le m e nt i che ne fanno parte, il tutto costruendo quindi un paradosso evidente che da adito ad accesi dibattiti internazionali.

Il paragone tra l’epoca contemporanea e quella in cui l’Impero Rom a n o vide una crisi profonda della sua società dopo la morte di Augusto non è poi del tutto così azzardata: il nodo chiave risiede nel progressivo sbilanciamento tra vita pubblica e privata. Così come nell’Età Augustea la società romana si riempiva di riti legati alla res publica, che via via si facevano sempre più obblighi e sempre meno venivano recepiti dalla popolazione

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

di mannahatta 7

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come rituali spontanei, allo stesso modo la vita pubblica dei nostri tempi sembra sempre più fatta di fo rm a lità e rego le e sono sempre più labili i confini tra la vita comunitaria e quella intima. Questa sensazione comune sembra essere molto marcata soprattutto nella so cietà a m e ri ca n a, in cui la posizione e il valore assegnato all’aspetto della vita individuale influenza la percezione delle aree pubbliche. L’americano medio, infatti, per motivazioni di natura religiosa e legate al contesto lavorativo, sembra molto più attirato dalla ‘r ic erca de l l a p ro p ri a p erso n a lità ’ 10 che alla vita collettiva: questa visione è legata in proporzione all’abbandono degli spazi vuoti pubblici ed entrambi questi aspetti hanno portato a far sì che questi ultimi siano ormai per la maggior parte privi di significato.

Nella Grande Mela i professionisti che più sono costretti ad avere a che fare con la riflessione sullo spazio pubblico sono proprio gli architetti protagonisti della progettazione della città densa: un esempio fra tutti fu la costruzione della L eve r H ou se da parte dell’architetto G o rd o n Bu n sh aft sulla Park Avenue, il cui piano terra è organizzato come uno spazio pubblico aperto con le stesse peculiarità di una piazza e di un cortile allo stesso tempo, sul cui lato nord si erige una torre. Seppur risultando quindi uno spazio permeabile per i cittadini, di fatto costituisce meramente un luogo di passaggio, u n o sp a zio p u b blico ‘ m o rto ’, u n lu ogo p r ivo d i u t ilizzo effett i vo, senza attività differenti e mix culturale, caratteristiche invece di uno spazio collettivo di successo.

Il paragone con lo spazio pubblico europeo, in particolare quello pre-moderno, ricco di attività, mix funzionale, significati e simboli, mette in risalto come lo spazio collettivo a New York abbia subito un progressivo declino, che ha costretto la città stessa a volgere verso una privatizzazione sempre più diffusa dello stesso, anche attraverso legislazioni ad hoc. Questo però viene anche spiegato dalla storica mancanza di finanziamenti da parte delle autorità statali, rispetto invece ai fondi messi a disposizione dalle iniziative private. Sempre di più questi luoghi, nella metropoli considerata l’ombelico del mondo, si allacciano al commercio e alla rete del divertimento e dell’intrattenimento globali, con l’obiettivo di massimizzare rendite e soddisfazione dell’utenza.

figura 7 Immagine del cortile interno della Lever House di Gordon Bunshaft al numero 390 di Park Avenue figura 8 Design del porticato della hall della Lever House di Gordon Bunshaft al numero 390 di Park Avenue

figura 9 Design del porticato della hall della Lever House di Gordon Bunshaft al numero 390 di Park Avenue

Questo paradigma della vita contemporanea a New York rappresenta il f iltro attraverso il quale analizzare, osservare e comprendere la Grande Mela e i suoi spazi pubblici.

10 Il pensiero qui espresso è tartto dal testo di Richard Sennett, ‘The fall of public man’, pubblicato dalla W.W.Norton, New York, nel 1992

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la presunta morte dello la res pubblica spazio pubblico della grande americano mela


la res publica contemporanea


la presunta morte dello spazio pubblico americano

della grande mela 02.2 La ‘res publica’ della Grande Mela

“You can measure the health of a city by the vitality and energy of its streets and public open spaces.” William H. Whyte

E’ comune pensare che lo spazio pubblico abbia d ete rm in ate caratter ist iche : solitamente è una p ro p r ietà p u b b lica, non privata, ed è aperta e a c c essib ile a tutt i, spazio all’interno del quale nessuno può essere escluso. Spesso, inoltre, viene associato a qualche i m p o r tante evento c ivico , dove una gran parte della popolazione può convergere al fine di celebrare o di protestare, a seconda delle esigenze del sentire comune1. Un luogo, infine, in cui poter potersi fare sentire e allo stesso tempo un luogo in cui essere ascoltati. In una città poliedrica come N ew Yo r k City, la maggiorparte di queste caratteristiche può venire a mancare, senza per questo negare la certezza di trovarsi di fronte ad un luogo pubblico; gli spazi pubblici si rivelano il più delle volte p o co ‘sp o ntan ei ’, poichè caratterizzati da un codice di comportamento assai poco flessibile e da p rec ise regole , anche non dette. Uno degli esempi più evidenti che riguarda questa categoria di spazi è quello di C i t y H a l l, lo spazio centrale sia a livello geografico che politico della città, rec i ntato da un’alta cancellata per motivi di sicurezza, il cui accesso è limitato; mentre Times S q uare, al contrario, è invaso da turisti e passanti, anche se altro non è che un in c ro c io d i v ie, per giunta non esclusivamente pedonali. Vi è poi un’altra categoria di spazi pubblici che mette in discussione l’affermazione secondo la quale questi ultimi debbano essere di proprietà di un organo pubblico al fine di essere accessibili e collettivi: è quella dei P.O.P.S - i ‘p r ivately own e d p u b l i c sp a c es’ -, una serie di spazi, figli della ‘New York City Zoning Resolution’ del 1961, più o meno ristretti, appartenenti a privati che, in cambio di un aumento di volumetria sullo stesso lotto, forniscono uno

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spazio pubblico all’interno o di fronte all’edificio da essi stessi costruito2. Questi pochi esempi dimostrano come il concetto di spazio pubblico sia f lessibile e come i suoi limiti possano dimostrarsi in fondo labili. La condizione fisica che caratterizza gli spazi pubblici quindi racconta assai poco circa la loro identità rispetto a quanto possono fare le ‘costellazione di idee, l e azioni e l’ambiente circostante’ 3. Il ruolo dello spazio pubblico all’interno della vita della comunità risulta quindi fondamentale, a prescindere dalla sua forma fisica. Le sue caratteristiche rimangono attaccate al senso più profondo che il termine porta con sè: l’obiettivo dello spazio pubblico è costituire una ‘risposta dem ocratica e signif icati va ai bisogni umani ’ 4. Ne deriva un’osservazione della città complessa e fatta di dettagli: New York come insieme d i m icrocittà, riconoscibili e separate le une dalle altre da confini e limiti sociali, economici e fisici. Lo spazio pubblico progettato, un esempio per tutti quello di Central Park, contro uno spazio pubblico inform ale, che si sviluppa sulle strade, nei lotti -pochi- vacanti e al di fuori di file interminabili di negozi: una pratica, quella che si appropria dei ‘sidewalks’, che rende differente ogni neighborhood, che si contamina continuamente con i basamenti degli edifici e che in fondo è il simbolo di una genuina espressione di ciò che è pubblico e democratico. Quest’ultima definizione è la chiave che può guidare l’analisi di tutti quegli spazi della City che contribuiscono a fornire un supporto e uno sfogo per la collettività, luoghi spesso non canonici e comunque distanti dalla cultura europea, attraverso i quali però è possibile leggere l’identità, o meglio le identi tà , dell’eterogenea popolazione di questa città.

1 Tale definizione di spazio pubblico è tratta dall’introduzione al testo: ‘D esig ns on the Public : The Private Lives of New York’s Public S pac es’ di Kristine F. Miller, pubblicato dalla University of Minnesota Press, Minneapolis, nel 2007. 2 Per la comprensione del meccanismo e della storia della costruzione dei P.O.P.S. si rimanda al testo ‘Privately O wned Public S pac e: The New York City Experienc e’, pubblicato dal New York City Department, alla consultazione del sito ufficiale h t t p : / / w w w. n y c . g o v / h t m l / dc p/html/priv /priv.shtml. 3 Citazione dal testo: ‘D esig ns on the Public : The Private Lives of New York’s Public S pac es’ di Kristine F. Miller, pubblicato dalla University of Minnesota Press, Minneapolis, nel 2007 4 Citazione tratta dal testo: ‘Public S pac e’, di Stephen Carr, Mark Francis, leanne G.Rivlin, Andrew M. Stone, pubblicato dalla Cambridge University Press, Cambridge, nel 1992


la res publica contemporanea 02.3

natural VS artificial

Public Space Map

Una possibile classificazione_ Spazi Pubblici Naturali 01_ Parchi a scala territoriale 02_ Parchi a scala urbana 03_ Parchi a scala di quartiere 04_ Parchi da ‘taschino’ 05_ Giardini collettivi Spazi Pubblici Artificiali 01_ Centri commerciali 02_ Piazze 03_ Piazze aziendali 04_ Atrii e gallerie 05_ Parchi giochi 06_ Mercati 07_ Marciapiedi

Natural Public Space 01_ Territorial parks 02_ Urban parks 03_ Neighborhoods parks 04_ Vest pocket parks 05_ Community gardens Artificial Public Space 01_ Shopping malls 02_ Squares 03_ Plazas 04_ Atrium and arcades 05_ Playgrounds 06_ Markets 07_ Sidewalks 5 Citazione tratta dal testo: ‘ F UN ! Leis u re and the L an d scap e’, d i Tra c y Met z , pub b licato d a N A I P u bl ish e rs, Rotterd a m , n e l 2002

All’interno delle città contemporanee, sempre più dense e affollate, gli spazi pubblici sono diventati componenti essenziali, la cui principale funzione è quella di rappresentare utili elementi al fine di costituire ambienti urbani salutari e sostenibili. Con l’aumento delle ore lavorative e la riduzione delle pause dall’attività che si svolge tutti i giorni, il bisogno di aree di sfo go p u b b lico aumenta continuamente e la presenza sul territorio di spazi dedicati al tempo libero aumenta notevolmente la qualità delle aree urbane. Come Trac y Metz sottolinea, all’interno del suo testo ‘F UN! Leisure and the L an d scap e’ 5, la nostra identità sociale deriva

forse più dalle attività che svolgiamo nel nostro tempo libero che dal nostro lavoro. Riuscire quindi a proporre una classificazione esauriente del sistema complesso di spazio pubblico presente a New York, passando attraverso l’identità dei differenti neighborhoods ch ela compongono, rischia in qualsiasi modo di risultare inappropriato o parziale o comunque assai poco esauriente. Una delle classificazioni possibili potrebbe quindi essere legata all’a sp etto fu n z i on a l e, o meglio relativo alla destinazione d’uso, degli spazi, tenendo quindi in considerazione la miriade di attività che connotano le vite quotidiane dei cittadini newyorkesi.

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

della grande mela a matter of scale

Classificazione proposta_ Pocket spaces Spazi a piccola scala 01_ Parchi tascabili 02_ Giardini collettivi 03_ Atrii e gallerie 04_ Mercati 01_ Vest pocket parks 02_ Community gardens 03_ Atrium and arcades 04_ Markets

Neighborhood spaces Spazi a media scala 01_ Piazze aziendali 02_ Parchi a scala di quartiere 03_ Parchi giochi 01_ Plazas 02_ Neighborhoods parks 03_ Playgrounds

Un’altra via per la suddivisione in categorie potrebbe invece essere rappresentata dal fatto re ‘n at ura lità ’: in una città in cui la parola densità si rivela essere la caratteristica preponderante, la p resen za d i elem enti nat u ra l i e d i su o lo n o n min era lizzato rappresenta oggi una grande risorsa per il governo del territorio newyorkese e rappresenta inoltre per i cittadini un elemento qualificante il contesto in cui vivono. Una terza, ma non ultima, via infine, qui proposta, può essere rappresentata da un’analisi secondo il principio della scala: la dimensione e l’importanza esercitata dai luoghi determinano la loro stessa identità e li

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Urban spaces Spazi a grande scala 01_ Piazze urbane 02_ Parchi urbani 01_ Urban Squares 02_ Urban Parks

inseriscono all’ interno del territor i o in scale dif ferenti, a seconda del tipo e del livello urbano che essi influenzano e da cui sono influenzati. Non vi sono, secondo questa visione, grandi differenze tra spazi pubblici naturali e artificiali, poichè entrambi possono agire in maniera efficace per la comunità e rappresentare nodi chiave del percorso quotidiano. Le sottocategorie rimangono immutate, ma rientrano in una visione d’ insie m e strategica volta all’individuazione del bacino di utenza e dell’importanza della co-esiste n za di dif ferenti livelli di spazio pubbl i co allo stesso tempo.

Territorial spaces Spazi a grandissima scala 01_ Parchi a scala territoriale 02_ Piazze a scala territoriale 01_ Territorial Parks 02_ Territorial Squares



la presunta morte dello spazio pubblico pocket spaces americano


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la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces 02.4.1 Vest Pocket Parks

“The midtown park may be defined as a small park - yet big enough in essence to reaffirm the dignity of the human being.” Robert L. Zion

I ‘ Ve st Po cket Pa r ks’, anche noti come miniparks, sono spazi urbani aperti connotati da dimensioni molto ridotte, che spesso coincidono con un lotto vacante o più in generale con s pa z i ra cch i usi su t re lat i d a ed if ici; essi hanno come obiettivo quello di coprire il fabbisogno di verde e di spazio pubblico nelle immediate vicinanze e sono rivolti soprattutto alla popolazione dell’isolato di cui fanno parte.

Il nome trae origine non solo dalle dimensioni ridotte di questi inserimenti, ma anche dal fatto che si presentano come ‘infilati a po ste ri o ri ’ all’interno di un blocco urbano e direttamente affacciati sul nastro costituito dai marciapiedi. Essi costituiscono un utile rifugio dalla confusione circostante della città e offrono spazi per il riposo, per possibili eventi e talvolta anche piccole aree gioco. Molte di queste aree sono il risultato del lavoro di g r u p pi e a s so ci a z i o n i d i q u ar t iere, d i ist it u z ioni pr ivate o d i fo n d a zio n i che tentano di riappropriarsi di spazi inutilizzati ai fini del miglioramento della comunità. Inoltre tali spazi spesso risultano molto più facili da realizzare che da gestire, anche a causa del successivo cattivo design, dell’inutilizzo o della mancanza di manutenzione. La possibile valenza ecologica dei parchi da taschino è ridotta a causa delle dimensioni, ma la presenza puntuale di questi ultimi all’interno della griglia di Manhattan consente a ciascun abitante di avere a poca distanza dalla propria abitazione uno spazio di sfogo che evita loro di spostarsi in auto o tramite mezzi. La principale caratteristica di questi spazi è quella di n o n essere stat i p ro g ra mmati a l l’ i nte rn o d el p ia n o d ella c ittà e

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di risultare quindi atti spontan e i letteralmente ‘infilati’ nelle rimanenze: la figura dei ‘giardini tascabili’ rimanda quindi a quella di piccoli vuoti che sostengono la città densa e le pratiche sociali urbane.

Nati a New York nel 1964, e descritti nel libro curato dal primo presidente della New York Park Association Inc., Whitney North Seymour, Jr.1, i primi tre giardini tascabili furono realizzati tra il 1964 e il 1965; due sono ancora esistenti e ad essi ne vennero aggiunti altri tre tra il 1994 e il 1996, ‘infilati’ nel blocco della 128th Street di Harlem e risultavano tra loro collegati dal nastro del marciapiede che circonda l’isolato. Proprio Harlem , come molte altre città nordamericane, negli anni ’60 fu teatro di molteplici lotte, i cui protagonisti erano gli afroamericani del quartiere alla conquista dei propri diritti, che esprimevano la propria ribellione contro il dominio dei bianchi e i sopprusi della polizia attraverso aspre rivolte, talvolta anche di massa. In particolare a New York il lungo periodo di governo da parte Robert Moses, peraltro in un primo tempo privo di cariche elettive, aveva determinato situazioni esplosive in alcuni quartieri della città; Moses, sostenendo e facendosi diretto promotore attraverso agenzie create a questo scopo, del gigantesco sviluppo del sistema ponti e di autostrade (highway, parkway, expressway) che attraversano il territorio della City e dello Stato di New York, aveva inoltre contribuito alla costruzione speculativa dei più grandi quartieri popolari della città. Il capitolo all’interno del testo prima citato scritto da Julian Peterson sui ‘ Vest-Pocket Parks in Harlem’ 2 racconta in maniera dettagliata la storia di questi primi e nuovi spazi

1 Whitney North Seymour, Jr., ’S mall U rban S pac es:The Philosophy, D esig n, S oc iolog y and Politic s of Vest-Poc ket Parks and O ther S mall U rban S pac es’, New York University Press, New York, 1969 2 I dati sono tratti dall’articolo del 14 maggio 2010 pubblicato sul sito http://mall.lampnet. org / di Julian R . Peterson e di G iampiero S pinelli, intitolato ‘G iardini tascabili - Harlem 1965: i primi poc ket-park’


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figura 1 Una delle prime aree riservate a ‘Vest Pocket Park’ nel quartiere di Harlem.

3 Dati e citazioni tratti dal testo ‘ Th e America n C i ty: w h at wor ks , w hat does n ’t ’, di Alexander Garvin, pubblicato da McGraw Hill, New York, nel 2002

figura 2 - 3 Green a cre Pa r k - foto dal sito http://www.pps.org/

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di progettazione appoggiato alle comunità locali, Lindsay assunse nuovi designers sia per il progetto dei nuovi parchi che per la sistemazione degli spazi esistenti, devastati dal vandalismo.

pubblici utilizzati come luoghi di ricreazione per bambini - come il ‘tot park’ oggi non più esistente - , per teen-ager e per adulti: il racconto appassionato cita anche tutto l’impegno necessario alla realizzazione dei piccoli parchi, supervisionati dal comitato di volontari presieduto da Mr. Seymour e con l’impegno della Rev. Linette Williamson, della Christ Community Church di Harlem, da parte dei singoli cittadini della comunità, volontari costruttori e organizzatori dei lavori.

Lindsay decise poi di utilizzare i giardini tascabili per accogliere eventi pubblici, manifestazioni e celebrazioni, che lui stesso chiamò ‘happenings’, e ciò diede il via negli anni ad altre pratiche quali lo svolgimento di picnic festivi, celebrazioni di matrimoni, concerti e proiezione di film: tali eventi proseguono tuttora ed ebbero nel tempo però come conseguenza un progressivo deterioramento di tali spazi, per i quali non furono e non sono a disposizione grandi finanziamenti da parte dell’ente pubblico3. Rimane comunque indubbia la valenza sociale di questi piccoli spazi, che vantano inoltre alcuni esempi di notevole qualità e che richiedono investimenti privati ingenti per la loro manutenzione, quali ad esempio Paley Park o Greenacre Park.

Ormai la popolazione da tempo era consapevole del fatto che i parchi non erano più in grado di rappresentare gli unici strumenti con i quali combattere il crimine, la delinquenza e le malattie contagiose e con l’elezione del sindaco di New York, nel 1966, J ohn Lindsay e del suo commissario per i parchi Thomas P.F. Hov in g, viene intrapreso un nuovo programma verso la creazione dei ‘parchi tascabili’ appunto. Come lo stesso Hoving ebbe modo di spiegare, era ormai tempo di liberarsi delle prigioni d ’asfa lto p rodotte f ino a qualche anno p r ima d a Moses: basandosi su di un lavoro 3

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total area: 3.780 feet2

Paley Park

Architetto/Designers_ Zion and Breen 90 feet

Collocazione_ 5 East 53rd Street in New York City Datazione_ 1967 Dimensioni_ 13 m x 31 m Superficie_ 400 m2 Cliente_ William S. Paley Foundation

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Paley Park rappresenta uno dei più famosi e di successo ‘vest p o c ket p a r k ’ di Ma n h atta n, a due passi dalla Midtown ricca di negozi e musei e dalla vita commerciale frenetica e inarrestabile della Grande Mela. Ciò nonostante questo piccolo fazzoletto riesce a fornire alla popolazione, agli impiegati, ai lavoratori, ai turisti e ai passanti in genere un luogo di tranquillità e sp ezza la ro u t ine di s uo n i e i m mag in i d ella v ita u r bana new yo rke s e , soprattutto grazie alla famosa cascata. Quest’ultima risulta essere la vera e propria protagonista dell’area, circondata da 17 piantumazioni e da una moltitudine di sedie e tavolini, che vengono continuamente spostati proprio per godere in misura maggiore della fonte di acqua, profumi e respiro del piccolo parco. Il suono dello scroscio dell’acqua della piccola ca s cata , d i circa 9 met r i, separa questo piccolo paradiso dal resto del frastuono della città senza che però si renda necessario

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l’inserimento di alcuna barriera visiva o fisica tra esso e il marciapiede4. Il parco fu commissionato da William Paley, che fu anche il curatore dell’intero processo di progettazione dello stesso, e completato nel 1967: i designers Zion and Bree n e Associates si occuparono del progetto dei quasi 400 metri quadrati di spaz i o of ferto dalla S.Paley Foundation, dimostrando la facilità con pochi elementi di rendere un luogo nel cuore della città una sorta di oasi di relax e pace. Spesso inoltre il parco diventa luogo per artisti di strada e musicisti, che si esibiscono di fronte all’ingresso, rendendo l’atmosfera ancora più accogliente e romantica. In alcune interviste e all’interno dei video realizzato da William H.White risulta che questo piccolo parco rappresenta ormai un punto fermo per la popolazione, in cui parlare, discutere, rilassarsi, trascorrere le pause pranzo e fare conoscenze nuove, cosa che lo rende ormai indispensabile5.

4 Dati e citazioni tratti dall’articolo ‘In Midtown Manhattan a S mall Park Located Where the People A re’, di Walter F. Wagner Jr., pubblicato su Architectural Record, agosto 1967, Vol 142 n.9, p117. 5 Riferimenti alla tesi ‘A lla ric erca delle piazze nella capitale del g rattac ielo. Manhattan: un’analisi deg li spazi public i contemporanei ’, di Elisa Ravazzoli, rel. Silvia Gaddoni, a.a. 2005/2006, Università degli studi di Bologna.


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spaces 02.4.2 Giardini collettivi

“It’s My Park and I Want to Make It Better.”

Dennis Duggan

di tali spazi, quali ad esempio la riduzione della tendenza al crimine, l’abbellimento del territorio e la pulizia delle strade, procurano benefici anche al governo stesso, che vede un aumento della qualità della vita, e quindi della soddisfazione civica,senza alcun dispendio di energia e finanziamenti. Pertanto l’esistenza di tali spazi consente alla città di New York di fornire un’ulteriore tipologia di spa z i o pubblico aperto, risorsa ormai scars a; in altre città americane la consapevolezza di tali carenze ha portato i governi locali all apresa di coscienza e di responsabilità verso le gestione e la manutenzione, come nei casi di Boston, Chicago o Seattle.

Nell’autunno del 1998 New York City annuncia un piano di vendita di parte di tutti quei terreni non ancora costruiti che nel tempo la città aveva trasformato nei cosiddetti ‘co mmunity ga rd e n s ’, giardini collettivi, mantenuti e gestiti dai cittadini volontari con lo scopo di ripristinare un contatto con la natura e di dotare la città di nuovi spazi verdi e di nuove oasi di relax. Tale operazione avrebbe cancellato 114 dei 700 giardini esistenti, permettendo a eventuali compratori di trasformarli in appartamenti, parcheggi o negozi multipiano, o semplicemente facendoli ritornare ad un stato di abbandono e noncuranza. ‘ T h e Tr u st fo r P u b lic L and’ 1, diverse associazioni non p rofit, gruppi spontanei e semplici amanti dei giardini si oppongono al piano di vendita di tali spazi, non solo per impedirne la distruzione ma anche per rendere manifesta l’esistenza di tali oasi cittadine: la risonanza mediatica della vicenda permise quindi alle associazioni di raccogliere fondi e di acquisire parte di questi terreni vacanti, molto importanti per le comunità di cui fanno parte, sfogo e sostegno per la vita quotidiana dei cittadini locali. Ma i rimanenti lotti, ancora parte del patrimonio del governo, sono co nt in u amente in bi b l i co t ra l a ven d ita e la c essione, soprattutto a causa dell’assenza di un vero e proprio piano volto alla loro tutela e come atti spontanei non vi sono linee guida statali che stabiliscano regole.

I ‘community gardens’ nascono negli anni Settanta quando i cittadini cominciano a sentire il desiderio di sbarazzarsi dei lotti vacanti rimasti, completamente sommersi dai rifiuti della città, di proprietà della città stessa; le prime rivolte per l’appropriazione di tali spazi nascono nei quartieri più degradati della città, come quelli del Lower East Side o dell’area di Bedford-Stuy vesant in Brooklyn. Molti di questi lotti vennero nel tempo ceduti alla città in seguito alla mancata retribuzione delle tasse da parte dei proprietari stessi. Le cifre che riguardano questo fenomeno di lotti vacanti sfiorano le 10.000 unità e ad oggi solo mille di queste sono state convertite in 700 giardini dalle associazioni di volontari2.

Il contributo che questi giardini offrono alla città di New York è ormai diventato di notevole importanza e rappresenta l’eq u ivalente dei ‘p a rch i ta scab ili ’, gest ito però da vo l o nta ri e semp lic i c ittadini, talvolta anche inesperti: le ricadute positive

Molte associazione negli anni si sono occupate del supporto ai volontari dei community gardens: tra queste una delle più importanti è la GreenThumb, che dal 1978 fornisce un valido aiuto attraverso la costituzione di gruppi finalizzati all’insegnamento delle tecniche di

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1 Il ‘ Trust for Public Land’ è un’organizzazione nazionale, nonprofit e per la conservazione del paesaggio che ha come obiettivo quello di preservare il territorio, al fine di permettere alla popolazione di godere di parchi, giardini, aree rurali, siti storici e spazi naturali in genere 2 I dati sono tratti dalla pubblicazione da parte della ‘ Trust for Public Land’ relativa ai community gardens e alla loro gestione, accessibile sul sito dell’associazione http://w w w.tpl. o rg /


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figura 1 - 2 Alcuni ‘community gardens’ in Harlem e nel Lower East Side

3 Il riferimento implicito è verso la riqualificazione del quartiere del Village e di Chelsea, nella parte ovest dell’isola, riqualificato e convertito a spazio per artisti, i quali però con l’aumento dei costi legati agli alloggi si sono poi conseguentemente trasferiti a Long Island City, a est dell’isola di Manhattan.

giardinaggio e di design del verde, così come quelle di costruzione vera e propria delle strutture all’interno di tali giardini. L’esempio che più di tutti ha fornito negli anni un valido orizzonte di successo è quello della trasform azione d i Br ya nt Park: allo stesso modo infatti i sostenitori dei community gardens affermano di poter ravvivare e risanare le aree attorno ad essi proprio grazie alla loro esistenza e buona manutenzione. Una delle teorie fondanti l’esistenza di tali giardini consiste nell’affermare la necessità da parte dell’uomo, anche quello cittadino, di vivere circandato dalle piante, dalla natura, in un spazio particolarmente consono allo stabilirsi di nuove relazioni, una nuova so c ia lità t ra vicini di casa, f ino a quel mo mento r itenuti semplici passanti. I giardini inoltre sono uno sfondo idoneo per molteplici attività legate all’identità di quartiere: dalla semplice pachina che diventa spazio per la conversazione agli oggetti necessari all’organizzazione di matrimoni, feste, turni di sorveglianza notturna, corsi di musica, esibizioni e spazi per le attività del dopo-scuola, anche

gli elementi presenti all’interno dei giardini lasciano trasparire i diversi usi e le differenti attività che vengono svolte quotidianamente. Non è quindi un caso osservare che il proliferare di tali giardini riguardi soprattutto q u a r t i e r i della città tra i p i ù p op ol a r i e p op ol os i , spesso urbanizzati densamente attraverso alti condomini -come nel caso dell’area del Lower East Side di Manhattan- o aree di degrado e segregazione razziale -come è stata fino a poco tempo fa l’esteso quartiere di Harlem, ancora oggi tutto da riqualificare e pressochè distaccato dal resto dei servizi della città-. Qui più che in altri quartieri, in cui la logica della speculazione ha preso il sopravvento e la riqualificazione ha spesso portato ad interventi volti allo sfruttamento terriero per un maggiore rendimento economico dei lotti3, la necessità manifestata dai cittadini è proprio quella di sentirsi padroni di alcune aree, anche se ridotte, che consentano loro di vivero uno spazio aper to a l te r n at i vo a q u e l l o della strada.

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total area: 15.300 feet2

6th and B garden

Architetto/Designers_ volontari e giardinieri - Trust for Public Land 0 17 et fe

Collocazione_ 6th Street & B Avenue in New York City Datazione_ 1982 Dimensioni_ 30 m x 50 m Superficie_ 1500 m2 Cliente_ 6th Street A-B Block Association

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Fino al periodo coloniale, il sito era occupato da una palude di sale, fornendo riparo a diverse varietà di uccelli acquatici. Dopo essere stata oppotunamente risata, l’area, attorno al 1845, vide la comparsa dei primi edifici ad alloggi per commercianti. Con il 1890, infatti, il Lower East Side era diventato la casa di centinaia di migliaia di immigrati, densamente concentrati in umidi appartamenti senza luce nè aria o spazio verde. Nel 1960 il movimento verso le aree esterne alla città dei nuclei famigliari ha iniziato a modificare il quartiere, convertendo le abitazioni in alloggi per studenti, persone a basso reddito di lavoro, e immagrati di orgine latina4. Alla fine degli anni ‘70 e primi ‘80, l’angolo tra la Sixth Street e l’Avenue B si deteriorò progressivamente, lasciando edifici vuoti, usati come tiro a segno da tossicodipendenti. Vennero quindi rimossi gli edifici da sei dei lotti presenti per motivi di sicurezza, estetica e inutilità del terreno pieno di detriti. Vedendo i lotti vacanti come un’importante opportunità di ripristinare possibili aree a verde per una comunità del tutto sovradimensionata, nel

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1982 una commissione dell’associazione ‘6th Street and A-B blocks’ presentò una petizione al comune attraverso l’associazione ‘Green Thumb’ per ottenre un contratto di locazione. Davanti alla minaccia di trasformazione dei lotti in parcheggi, i membri ‘amici’ del giardino elaborarono un piano vero e proprio di disegno del suolo. Entro l’aprile del 1984, Green Thumb aveva emesso un contratto di locazione di un anno e i membri del Giardino cominciarono a piantare arbusti ornamentali e alberi. Negli anni il Giardino dovette affrontare diverse peripezie, contro la volontà da parte del Comune di venedere il lotto a privati, intenzionati alla realizzazione di alloggi. Al suo interno oggi contiene un’area di attività dei bambini, progettata dal Children’s Research Group e del ‘University Center of The City University of New York’: attualmente duecento bambini utilizzano il giardino settimanalmente. Il contributo che questo giardino offre alla comunità locale è insostituibile e rappresenta inoltre una forma di espressione popolare spontanea e genuina.

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4 Tutte le informazioni qui contenute sono tratte dal sito della comunità stessa, che si è occupata tra le altre cose di rintracciare i dati storici relativi al lotto, http:// w w w.6bgarden.org /


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spaces 02.4.3 Atrii e Gallerie

In secondo piano anche rispetto ai piccoli spazi pubblici che appartengono alla categoria dei ‘pocket public spaces’, la tipologia degli atrii e delle gallerie si presenta come curiosa e peculiare: una categoria di sp a zio c h iuso, ma aperto al pubblico, ancora poco noto, nato con la Zoning Resolution del 1961 che diede vita ai P.O.P.S. - Privetely Owned Public Spaces -. Molti di questi spazi sono ancora poco noti, ma da anni ormai costellano la città e offrono un riparo, assai gradito nei giorni di pioggia, anche se d e l i mitato sp esso d a o rari e rest ri z i o n i, a passanti, impiegati e turisti, fornendo sedute e tavolini al coperto. Alcuni di questi spazi però, associati al nome di importanti aziende sul territorio, sono divenuti popolari e per essi sono stati investiti e vengono tuttora ingenti fondi privati, sia per il design iniziale che per la successiva manutenzione. Alcuni importanti esempi sono costituiti da: l ’at ri o d e l l a Tr u mp Tower, la Sony Pl a za , i l L i n coln Center At r iu m e l’ IBM At ri u m . Il primo è situato al di sotto dell’alto edificio della Tru m p Tower e si presenta rivestito in marmo rosa e adornato da elementi in ottone e da specchi: composto da una hall che si affaccia direttamente sulla Fifth Avenue e da un atrio a cinque piani, l’elemento più spettacolare che lo compone è costituito da una cascata, attorniata da cafè e negozi e arricchita da un piccolo ponte pedonale che ne attraversa la piscina. La seconda invece, la S o ny P la za, situata a sua volta a pochi passi dall’IBM Building, si trova ai piedi del famoso edificio degli ex headquarters della AT&T, progettato da Philip Johnson, dalla forma chiaramente riconoscibile: dopo un primo

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progetto di spazio pubblico più all’aperto, si optò invece per una grande hall chiusa, riparata e soprattutto attrezzata di servizi igienici e negozi. La grande hall, alta circa sette piani contro i trentasette dell’intero edificio, ospita, dopo non poche controversie, una statua chiamata ‘Spirit of Communications’, la quale sembra racchiusa forzatamente all’interno dello spazio stesso. Nel progetto originale Johnson si trova costretto dai regolamenti edilizi della Zoning Resolution ad attrezzare la hall al piano terra, in vista della trasformazione della stessa in spazio pubblico; di conseguenza propone di allargare la hall, sottraendo spazio aperto pubblico al lotto, trasformandolo in una maggior cubatura interna, al fine di ospitare anche una galleria per negozi. L’ingresso venne inoltre concepito come un’enorme arcata alta 116 piedi, fiancheggiata da aperture laterali al fine di ricreare la sensazione di un porticato1. Successivamente vennero apportate ulteriori modifiche, passando attraverso il consenso della pubblica amministrazione come previsto dalla Zoning Resolution, che ridussero lo spazio dedicato ai pedoni e implementarono quello relativo ai negozi,sostenendo l’importanza per il pubblico di usufruire di uno spazio pubblico di maggior qualità, seppur di dimensioni notevolmente ridotte. Il nuovo David R ubenstein Atrium presso il Lincoln Center è uno spazio arioso ricco di luce e di musica soffusa, che comprende al suo interno anche le biglietterie per l’ingresso al grande complesso culturale; la varietà di attività, la presenza di tavolini, di una connessione internet e di servizi igienici arricchisce l’area con l’intento di favorire una maggiore socialità. La struttura è stata così chiamata in onore del finanziere filantropo, e vice presidente

1 Citazione tratta dal testo ‘Philip Johnson, Life and Work’, di Franz Schulze, pubblicato dalla University of Chicago Press, nel 1994


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figura 1 - 2 David Rubenstein Atrium nei pressi del Lincoln Center figura 3 Trump Tower Atrium

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del Lincoln Center, David Rubenstein, in riconoscimento dei suoi 7,16 milioni di euro investiti. Il design riflette il resto dei materiali utilizzati in tutto il Lincoln Center e fornisce un ambiente aperto, accessibile e invitante. L’Atrium è inoltre il primo certificato LEED, porprio per essere una costruzione ‘verde’ nel campus di Lincoln Center. Esso dispone infatti di due giardini verticali, una fontana che va da pavimento a soffitto, un muro ricoperto di schermi con le informazioni sulle prestazioni, utilizzato anche per presentazioni video, un’installazione artistica olandese e sedici corpi illuminanti che portano la luce naturale all’interno dell’atrio. Infine, l’ultimo, l’IBM Atrium , che si trova accanto alla Sony Plaza e allo spazio legato alla Trump Tower, è uno spazio chiuso, dalla vicenda travagliata, costituito da elementi comuni agli atrii con l’aggiunta però della presenza di una modesta quantità di verde. L’esperienza dei P.O.P.S. ha innegabilmente contribuito alla creazione di spazi che possono

ormai oggi essere annoverati tra gli spazi pubblici di maggior qualità, ma sorge spontanea la questione etica del considerare spazi sottoposti a regole di comportamento, a orari prestabiliti e a un severo controllo di sicurezza come spazi pubblici genuini.

Certo è che l’intervento privato in molti casi ha salvato alcuni quartieri della città dall’essere completamente privi di ritagli urbani dedicati al riposo, alla sosta e alla socializzazione. La prerplessità ancora molto evidente, soprattutto dal punto di vista della cultura degli spazi pubblici europei, è quella di a s s oc i a re orm ai quasi ob b l i gator i a m e nte l ’ i d e a di collettivi tà e d i vi ta l i tà u r b a n a a quella della l og i ca d e l com m e rc i o e del negozio, ‘e d u ca n d o’ e r ron a m e nte la folla di ute nt i a l con s u m o o, p e r lo m eno, al l ’a s s oc i a z i on e d e l l ’ id e a del consum o a q u e l l a d e l l o sta re i n luogo pubbl i co, q u a s i com e se q u e sto potesse cost i t u i re i l p e d a g g i o d a pagare per il s u o u t i li z zo.

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IBM Atrium

Architetto/Designers_ Edward Larrabee Barnes - Zion and Breen landscape architects Collocazione_ angolo fra 57th Street e madison Avenue Datazione_ 1983 Dimensioni_ 20 m x 40 m Superficie_ 1200 m2 Cliente_ The International Business Machines Corporation

La vicenda che coinvolge la costruzione dell’atrio è emblematica circa le problematiche che spesso si sono dovute affrontare proprio al fine di applicare la regolamentazione della Zoning Resolution del 1961 e ben evidenzia come diversi fattori possano influire notevolmente sulla relazione tra la città e il suo governo e l’iniziativa privata, sottolineando come i P.O.P.S. consentano alla cittadinanza un accesso fisico allo spazio, ma non politico2. Quando negli anni ‘90 l’IBM cedette la torre degli uffici, assieme a questi dovette vendere anche lo spaizo pubblico sottostante; Mr. Minskoff, l’acquirente, poco dopo decise di trasformare l’atrio in uno spazio espositivo per opere d’arte contemporanea. Questa fu una delle discussioni più accese circa tale tipologia di spazio pubblico, poichè tale decisione comportò il cambiamento di quello che era considerato fino a quel momento uno degli spazi di maggior successo della città, grazie soprattutto alla presenza di diverse piante di bambù, di notevole altezza, elementi esotici e per questo altamente caratterizzanti di questa ‘oasi in una giungla di grattacieli’. Furono gli

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stessi designers che si occuparono del progetto di Paley Park, Zion e Breen, a ideare una selva in uno spazio interno, composta da venti cespugli di piante di bambù e largamente apprezzata ed utilizzata proprio per il suo aspetto riflessivo e selvaggio; il risultato particolarmente felice deriva anche dal fatto che i progettisti si appoggiarono alla consulenza del ‘public space guru of Manhattan’ William H.White3. In seguito ad un compromesso, il complesso delle piante di bambù venne notevolmente diradato e ciò modificò per sempre l’atmosfera. Le conseguenze di questo evento resero note al pubblico come in fondo l’IBM Atrium non potesse essere considerato un vero e proprio spazio pubblico: la legislazione che doveva proteggerlo non fu in grado di garantire ai cittadini l’esistenza di uno spazio perfettamente funzionante, di fronte alle pressioni dei proprietari privati. Com e può un programma di creazion e di spazio pubblico non comprede re nel proprio iter il coinvolgim ento d e i cittadini - o per lo m eno del loro punto di vista- ?

2-3 Dati e racconto storico tratti dal testo ‘D esig ns on the Public : The Private Lives of New York’s Public S pac es’ di Kristine F. Miller, pubblicato dalla University of Minnesota Press, Minneapolis, nel 2007


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spaces 02.4.4 Mercati

Uno spazio a l ter n at ivo ma che racchiude un’interessante carica di condivisione e di interazione tra i cittadini newyorkesi è rappresentata dai mercat i: a volte itineranti, altre volte localizzati in luoghi ben definiti e riconoscibili della città, questi ultimi rappresentano un lu o go info r male di i nco nt ro e s o c ializzazio n e e offrono la loro attività a favore della r iv ita lizzazio ne di a l c u n e a re e , specie quelle che si collocano a nord dell’isola o nei quartieri del Bronx, del Queens e di Brooklyn. Settimanalmente forniscono uno spazio aperto a tutti, sep p u r legato a lla lo gica de l co m m e rcio , in grado di raccogliere utenti provenienti da diverse aree della città e facilitando l’interazione. Spesso infatti i mercati vengono organizzati in spazi attrezzati della città, piazze che durante l’assenza di questi rimangono comunque spazio pubblico a disposizione di tutti; altre volte invece vengono convertiti vasti parcheggi in mercati del fine settimana, al cui interno si stabilisce un vero e proprio universo di scambi e baratti stimolanti e dinamici. Le due principali tipologie di mercati presenti in Manhattan sono costituite dai cosiddetti ‘ Fl e a M a rket s’ e dai ‘Green Mar kets’: entrambe le categorie in un primo tempo poco istituzionalizzate godono oggi di riconoscimenti ufficiali, soprattutto grazie alla costituzione di vere e proprie a sso c iazio n i a gara nzia de l l a l oro e sisten za e in p ro mozione e d i f f u s i o n e d ella co n o sc en za degli ste s s i . I primi, i ‘F l e a Mar ket s’, rappresentano veri e propri m e rcat in i d elle p u lc i, lu oghi ca ratte ri st i ci sov raffo llat i d i o g getti

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e curiosi, in cerca di rarità o semplicemente di ottimi affari; uno dei più famosi tra questi, il ‘Hell’s Kitchen F lea Market ’ 1, si colloca al 112 West della 25th Street (tra la 6a e la 7a Avenue) e rimane aperto per tutto il week end, all’interno di un antico garage, costuituendo una piazza, in cui migliaia di aspiranti acquirenti passeggiano sorseggiando caffè, aspettando di incontrare anime affini o semplicemente di condividere qualche storia metropolitana con i veterani del mercato. Nel secondo caso, invece, i ‘Green Market s’ sono veri mercati all’aperto principalmente ortof rutticoli, che si collocano però nei punti più strategici della città, connotandoli e fornendo loro un ulteriore forte elemento identitario. L’associazione ‘Green Markets’ è stata fondata nel 1976 con la duplice missione di promuovere l’agricoltura regionale, privilegiando la formazione di aziende d i piccole dimensioni prevalentemente a gestione fam iliare, e contemporaneamente quella di assicurare ai cittadini newyorkesi l’accesso diretto a cibi più freschi e genuini, alimentando proprio lo sviluppo e l’agricoltura della regione e non quella estera. Ciò consente dunque ai produttori di ortaggi e agli allevatori di proporre i loro prodotti giornalieri agli abitanti della City; i principali acquirenti che quotidianamente visitano tali mercati sono proprio alcuni dei più famosi chef della città, che si recano appositamente nei punti selezionati in cui tali mercati si svolgono, al fine di assicurare ai loro clienti prodotti di miglior qualità. Il tutto ebbe inizio con 12 contadini appostati in un parcheggio all’angolo tra la 59th Street

1 Tutte le informazioni relative all’associazione del Flea Market sono presenti sul sito http://w w w. hellskitc henfleamarket.com/


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figura 1 Foto scattata nel famoso Green Market di Union Square figura 2 Mappa dei principali Green Markets della città

2 Il sito in questione è http : / / w w w. g rownyc.o rg /o u r m a r ket s. Più in generale l’associazione GrowNYC è un’associazione no-profit che si occupa di generare programmi ambientali al fine di trasformare le comunità, isolato per isolato, migliorandone la qualità della vita e con l’obiettivo di garantire un ambiente più sano e pulito per le generazioni future

e la 2nd Avenue; oggi invece la rete si è notevolmente espansa ed è diventata la rete p iù co mp lessa e vasta del Paese, grazie ai su o i 51 mercati, forniti da oltre 200 azien d e, che a loro volta coltivano ben 30 mila ettari di terreni. Il lato positivo di tale tendenza si trova dunque nell’asp etto educativo e salutare d ell’esp er ienza: da un lato dunque i più giovani e i meno giovani allo stesso tempo comprendono l’importanza e la ricchezza di risorse che il resto della regione fuori dalla Grande Mela possiede e dall’altro si cerca di migliorare la qualità culinaria dei cibi americani.

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Ogni mercato poi possiede caratteristiche e prodotti differenti, a partire dalle dimensioni dello stesso: vi sono mercati presenti un solo giorno alla settimana e altri ormai quasi stabili come quello ormai famosissimo di Union S q u a re, presente quattro giorni alla settimana, con ben 80 p roduttori presenti. A prescindere dalla dimensione comunque, ogni mercato cerca di rappresentare un ta ssello importante per la comunità e u n p u nto di riferim ento, anche dal p u nto d i v ista sociale: tali mercati infatti rappresentano ormai un punto di ritrovo tra vicini di casa e non, i cui scambiare due chiacchiere, scambiarsi ricette e consigli, assistere a dimostrazioni di cucina, parlare con chef o apprendere dagli agricoltori locali. Inoltre nuove associazioni si sono sviluppate attorno a queste attività proprio con l’obiettivo, in vero spirito newyorkese, di migliorarne le prestazioni e i servizi, trasformandolo in un vero e proprio business. Ogni ‘green market’ risulta quindi schedato e l’elenco dei mercati presenti e degli agricoltori è accessibile al pubblico tramite il sito relativo all’associazione GrowNYC2 .

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total area: 33.000 feet2

Zuccotti Market Park

Architetto/Designers_ Cooper, Robertson & Partners Collocazione_ angolo fra Broadway e Liberty Street

270 feet

Datazione_ 1960 - rinnovo design: 2006 83 fe et

Dimensioni_ 35 m x 90 m Superficie_ 3100 m2 Cliente_ Brookfield Properties

Zuccotti Park, in precedenza chiamata L ib erty Pl a za Pa rk, è una piccola piazza di circa 33.000 piedi quadrati (3.100 m2), nella Lower Manhattan a New York City. Situata tra Broadway e la Liberty Street, che conduce direttamente a Ground Zero, è di proprietà della Bro o k field P ro p er t ies; il parco è stato realizzato alla fine del 1960. In breve tempo comunque è diventato popolare, grazie alla sua posizione in mezzo ai grattacieli, come rifugio e uno dei p o c h i sp a zi p u b blici de l l a D ow ntown Ma n h attan. In seguito agli attacchi dell’11 settembre, il parco/piazza ha subito un intervento di riqualificazione, visti i danni riportati dai detriti. L’1 giugno 2006, il parco ha riaperto dopo una completa ristrutturazione costata ben 5,78 milioni di euro, su progetto della Co o per, Ro b e rt s o n & Pa r t n ers. In seguito è stato ribattezzato Zuccotti Park in onore di John Zuccotti, il presidente di Brookfield Properties, che ha quindi investito r iso rse p r ivate per l a ri q u a l i f i ca zio n e dello spazio pubblico in questione.

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Attualmente, il parco è caratterizzato da una grande varietà di alberi, da marciapiedi in granito, tavoli e posti a sedere, ed illuminato da luci lineari posizionate diagonalmente, dall’effetto particolare. Il parco ospita anche due sculture: una denominata ‘Joie de Vivre’ in acciaio rosso di Mark di Suvero e un’altra chiamata ‘Double Check’, che rappresenta un uomo d’affari di bronzo, seduto su una panchina, opera di John Seward Johnson. Una volta posto sotto il World Trade Center, dopo un trasferimento, il Green Market d i Liberty Plaza continua a servire famiglie, pendolari e visitatori che si trovano nel distretto finanziario. ‘Red Jacket Orchards’ offre frutti di bosco, succhi di frutta e prodotti di sidro di specialità, Meredith’s Bread invece pane fresco, crostate, marmellate e torte salate, mentre vi è una grande scelta di prodotti presso le aziende agricole Migliorelli.



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spaces 02.5.1 Piazze aziendali

“A network of urban places that one day has an impact on the city as dramatic as Central Park.” Jerold Kayden

Dopo il n u ovo p ia n o d i zo n in g d el 19 61, la città di New York tentò di incrementare il numero dei suoi spazi pubblici, attraverso la concessione di 10 piedi quadrati di superficie commerciale in cambio di un solo metro quadro di spazio pubblico, costruito e gestito dall’investitore privato stesso: nascono i cosiddetti P.O.P.S . - P r ivate O wned Pu b l i c S p a ce s -, fazzoletti di terra che legalmente sono di proprietà privata, ma che risultano gratuitamente accessibili al pubblico. In totale, dal 1972, vengono construiti secondo questo meccanismo 82 a c r i d i suolo de st i n ato a s p azio p u b b lico, tra i più cari al mondo, ma tuttora ad essere effettivamente utilizzati restano in pochi; alcuni di questi spazi, infatti, vedono nel tempo un successo rilevante, legato soprattutto all’utilizzo degli stessi da parte di impiegati e lavoratori in genere, che affollano i pochi piedi quadrati specialmente nelle ore della breve pausa pranzo americana. Altri invece subiscono rapidamente un d eclino e diventano semplicemente luoghi attraverso i quali camminare, diretti verso un’altra meta. Wi ll ia m H .W h ite 1, nei suoi studi circa la vita sociale presente per le strade newyorkesi, analizza il ruolo e i meccanismi sociali presenti all’interno delle cosiddette ‘p lazas’, studiando non solo i movimenti dei flussi di fruitori delle stesse, grazie a registrazioni e postazioni privilegiate per l’osservazione, ma anche indagando in prima persona attraverso dialoghi e questionari diretti. Ciò che risulta dalle sue rivoluzionarie indagini è l’emergere di determinate caratteristiche proprie di questi spazi, capaci di attirare l’attenzione e l’utilizzo quotidiano dei cittadini, verso la costituzione di un d esig n d i su c c esso; dalle sedute alle diagonali più battute, dalla forma agli elementi di ombreggiamento, dal numero

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di gradini presenti alla possibilità di organizzarsi in gruppi o di rimanere in disparte o a presenza di sedie non fisse. E ancora la presenza di altri preziosi elementi quali l’illuminazione, la ventilazione, le alberature e i giochi d’acqua e la posizione di venditori di strada legati alla distribuzione di cibarie e bevande. Gli studi condotti da White riportano le carenze degli spazi costruiti fino ad allora e divengono così in breve tempo utili linee guida per l a New York City Planning Com m ission, fornendo ai progettisti dello spazio pubblico dei P.O.P.S. riferimenti e dati, sintetizzati spesso in diagrammi, al fine di applicare alla realtà le osservazioni relative alle soluzioni più efficaci fino a quel momento progettate e realizzate in New York. Recentemente, inoltre, la ricerca portata avanti dal professore J erold Hayden 2 ha tentato di definire e valutare i successi e gli insuccessi ottenuti dalle 503 aree a P.O.P.S. della città, situate in 320 edifici, al fine di raggiungere una conclusione circa le conseguenze di tale operazione, che dura ormai da cinquant’anni. Queste aree nacquero infatti come ‘piccol e stanze’ il cui obiettivo era proprio quello di fornire luce, aria e verde a quartieri residenziali e commerciali ad altà densità della città. I P.O.P.S. sono costituiti da differenti tipologie di spazio, ma tra tutte le categorie sono senza dubbio predominanti le piazze, dette ‘aziendali ’ proprio per il loro collegamento con la presenza di edifici destinati ad uffici. Una delle osservazioni che derivano dal lavoro di Hayden è proprio quella di cominciare a considerare questi spazi non com e singoli punti dispersi nella grigl i a di Manhattan, ma com e una vera e propria rete, catalogata in un database, anch’esso accessibile al pubblico, al fine di poter

1 Riferimento al testo di William H. Whyte, ‘The S oc ial life of S mall U rban U rban S pac es’, pubblicato dalla Project for Public Spaces, New York, nel 1980 2 Jerold Hayden, professore associato di pianificazione urbana ad Harvard, del New York’s Department of City Planning e della Municipal Art Society, autore del testo ‘Privately owned public spac e: the New York City experienc e’, pubblicato dalla New York City Department of City Planning, the Municipal Art Society of New York, New York, nel 2000


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figura 1 Intervento di riqualificazione di un lotto adibito a parcheggio in Dumbo figura 2 Lincoln Plaza, uno tra i P.O.P.S. più apprezzati della città figura 3 Simbolo della rete dei P.O.P.S., affisso all’entrata e all’uscita degli spazi pubblici della città

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facilmente individuare lo spazio pubblico più vicino. La definizione di una plaza standard riportata da Hayden stesso recita così: deve essere un’area aperta, continua, di almeno 230 o 250 metri quadrati di ampiezza, con profondità non inferiore ai 3 metri ed estesa per almeno 15 metri. Il 70% degli edifici costruiti dal 1966 al 1975 e che usufruirono del bonus si dotarono di plazas: il costo di realizzazione al tempo infatti era modesto e in cambio si otteneva un ritorno d’immagine ed economico, legato al bonus appunto, notevole. Tali plazas vengono in un secondo tempo differenziate in base alla destinazione di utenza a cui sono rivolte: nascono quindi le categorie di plazas, u r b a n p la zas e residential plazas. Le prime non richiedono particolari dettagli nel design delle stesse, mentre le seconde devono rispecchiare canoni più elevati, quali ad esempio l’orientamento, le sedute e le alberature. Le ultime invece, le residential plaza, hanno come finalità quella di invogliare un numero maggiore della popolazione, proponendosi come ‘belle stanze all’aperto’ e pretendono dunque il posizionamento di un arredo urbano di qualità e legato alla funzione residenziale.

Ad oggi la maggiorparte dell’opinione pubblica continua a ritenere che questi spazi non siano stati capaci di donare alla città un apporto significativo, se non in alcuni casi, come quello ad esempio di Lincoln Plaza - in figura -. Ed è proprio l’attenzione al design riposta dal progettista M.Paul Friedberg a salvare la reputazione di questa piaaza: come lo stesso New York Times afferma, infatti, in un articolo del settembre 2007, l’identità del luogo coincide con la presenza di determinati oggetti di arredo urbano, quali l’inserimento di una

piccola cascata d’acqua e il trattamento delle superfici a mattone a vista. Senza questi ultimi la plaza non avrebbe più lo stesso significato ormai ‘storico’ attribuitogli dalla popolazione che quotidianamente vi fa visita. Si può quindi affermare che la presenza di queste piccole porzioni di spazio pubblico disseminate in Manhattan abbia nel tempo migliorato la qualità dello spazio pubblico complessivo, costituendo ormai una memoria storica del secolo appena trascorso e fornendo soprattutto concretamente l u og h i d i s osta e p e r i l riposo gratu i t i, alquanto scarseggianti in città: certo è che spesso le plazas sono state associate alla commercializzazione sia di merci vere e proprie e sia dell’immagine del privato costruttore, quasi una sorta di p u b b l i c i tà im plicita dello stesso.

Infine, molti di coloro che svilupparono tali spazi grazie al bonus plaza applicarono nel tempo a tali spazi d i s p os i t i vi d i e sc l u sion e sociale, attraverso la disposizione e il controllo della sicurezza dell’area; quest’ultimo aspetto, quello cioè della sicurezza in ambito pubblico, si è particolarmente acuito in seguito agli eventi legati all 9/11 e ha causato e causa tuttora una sorta di ‘grande fratello urbano’ generalizzato e diffuso, presente quindi anche all’interno delle plazas, gestite e sotto la responsabilità di privati.

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Seagram Plaza

Architetto/Designers_ Ludwig Mies van der Rohe Collocazione_ 375 Park Avenue Datazione_ 1958 Dimensioni_ 30 m x 60 m Superficie_ 1800 m2 Cliente_ Seagram Company

Il Seagram Building, e la Lever House che lo precede di sei anni e si erge in fronte ad esso, si colloca sulla Park Avenue ed è forse il progetto che impostò maggiormente lo stile architettonico per i successivi grattacieli di New York. La sagoma del Seagram si staglia proprio su quella Park Avenue considerata poco adatta al passeggio3 e vista come ‘la compiuta realizzazione della città die grattacieli preconizzata da Le Corbusier’4. Mies van der Rohe decise fin da subito di definire uno spazio urbano aperto di fronte all’edificio e affrontò il problema del dislivello tra la Lexington e la Park Avenue tramite l’inserimento di alcuni gradini, che staccano quindi la piazza dal resto del contesto in maniera pacata ed elegante. Nei suoi schizzi datati al 1955 infatti le idee circa la piazza sono già molto chiare: pavimentazione a lastroni, alberi disposti lateralmente, bassi muri perpendicolari alla Avenue che separano la plaza dalle strade e alcune sculture. I muri laterali in particolare divennero nel tempo le

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sedute informali della piazza, che altrimenti sarebbe rimasta sprovvista di qualunque arredo. Ad ogni modo la decisione di progettare una plaza da parte di Mies van der Rohe segue la scia intrapresa dagli esperim e nt i del Rockefeller Center e della Leve r House stessa, ma rappresenta comunque un prototipo di spazio che fu poi nei decenni successivi largamente motivo di ispirazione. Il Seagram Building è stato anche il sito di un complesso studio da parte di William H . Why te , il sociologo americano che analizzò i risultati delle conseguenze della Zoning Resolution, di cui il Seagram approfittò. Il film, prodotto in collaborazione con la Municipal Art Society di New York, registra i modelli di socializzazione quotidiana delle persone intorno alla piazza e mostra l’effettivo utilizzo dello spazio, forse anche più vario di quello originariamente pensato dall’architetto. La plaza del Seagram rimane comunque uno degli spazi pubblici di m ag gior succe ss o di Manhattan.

3 La stessa Jane Jacobs sostiene in un articolo intitolato ‘Downtown is for people’ del 1958: ‘La gente non parcheggia per Park Avenue.. Gli impiegati degli uffici e i visitatori che continuamente affollano questi edifici preferiscono, di solito, passare per Lexington o Madison. Dando per scontato che il cliente ha sempre ragione, è chiaro che Lexington e Madison devono avere qualcosa che Park Avenue non ha.’ 4 Tratto da Vincent Scully, ‘ The death of the street ’ in ‘Perspecta’ del 1963


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spaces 02.5.2 Parchi di quartiere

‘Parks are the outward visible symbol of democracy.’ Robert Moses

Ai cosiddetti ‘parchi di quartiere’, che generalmente variano in dimensioni fino a 30 ettari, appartengono tutti quegli spazi verdi all’interno della City che dal punto di vista sociale si pongono come riferimento alla scala del quartiere, sostenendone lo sviluppo e costituendone un’area di sfogo naturalistica di notevole importanza. I parchi a scala di quartiere più estesi dal punto di vista puramente dimensionale vennero inoltre realizzati nei quartieri di Manhattan in cui, a partire dagli anni ‘60, si concentrarono i maggiori sforzi di recupero e riqualificazione, quali ad esempio Harlem e il Lower East Side1. Essi possono offrire una va sta gamma di stru tt u re ri creat ive, che spesso rispondono alle caratteristiche demografiche e culturali dei quartieri in cui sono inseriti, con possibilità di interazione con la natura. Nella maggiorparte dei casi tali parchi possiedono infatti un’a rea g io co abbastanza estesa, protetta da apposite recinzioni, capace spesso di costituire un’isola felice a sé stante. Un altro tratto peculiare dei parchi di quartiere è quello di possedere un’area più o meno vasta per la ricreazione, costituita da un m a nto e rb o s o lisc io che, nelle giornate di sole, accoglie la totalità della popolazione del quartiere, quasi a trasformarlo in un este n s i o n e d ell’ab ita zio n e. Inoltre una delle maggiori attività preferite dai newyorkesi è proprio quella di poter praticare attività sportive nel proprio parco di quartiere, contando soprattutto su lla sic u rezza e s ull a s o r ve g l ian za ga ra nt ita d al b acino di u te n za d i ‘v ic in i d i casa’, fattore non trascurabile in una città estesa e multiculturale come New York.

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Molti di questi parchi subiscono i disagi e le difficoltà dovute alla scarsità di investimenti da parte degli enti pubblici, ma possono contare su num erose e attive associazioni d i quartiere, sempre pronte a schierarsi in difesa del proprio rifugio verde. Molti di questi gruppi si uniscono in vere e proprie ampie coalizioni per sostenere la manutenzione del verde e per contribuire alla gestione, in compartecipazione con il governo cittadino. Spesso circondato su quattro lati dalle strade di maggior servizio al quartiere, il sito di tale categoria di parco si presenta largamente accessibile per mezzo di percorsi, mezzi di trasporto pubblici e ampi marciapiedi. I residenti, i gruppi comunitari e i giovani locali immaginano il parco come meta vibrante, cuore e anima del loro quartiere, in cui trovare ispirazione quotidiana attraverso la cultura e la storia della loro comunità2. Vi sono diversi esempi esplicativi della posizione e della rilevanza di tale categoria e molti aiutano a comprendere la distanza dimensionale che vi è rispetto ai ‘parchi tascabili’ e la distanza d’azione rispetto invece ai parchi urbani. É il caso del Tompkins Square Park, un tassello importante che mostra tutte le facce di una metropoli che si è formata in pochi secoli accavallando popoli provenienti da tutto il mondo. Inserito in un quartiere multietnico, in parte devastato dagli interventi di edilizia popolare massicci, il sito venne originariamente donato dalla famiglia degli Stuyvesant alla città, con la promessa che sarebbe divenuto uno spazio pubblico. Ci vollero numerosi investimenti prima che l’area venisse bonificata e riqualificata, ma nel 1834 aprì le sue porte per la prima volta e l’anno successivo dotò

1 Il riferimento è diretto ai parchi rispettivamente di Marcus Garvey Park -Harlem- e di Tompkins Square Park -Lower East Side2 Tratto dal sito w w w.pps.org


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figura 1 Gramercy Pa r k visto dai cancelli che lo delimitano

2 Tratto dall’articolo ‘ T h e U l t i m ate Ne ig h b orho o d Pa r k ’ pubblicato dal New York Times di Seth Kugel del luglio 2006

figura 2 - 3 To mp kins Sq u a re Pa r k

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un altro parco, più a nord, il G ra m e rc y Pa r k , rispecchia le tematiche del quartiere di cui fa parte, Midtown Manhattan. Circondato da edifici adibiti ad abitazioni di lusso, ristoranti, alberghi, il piccolo parco rimane confinato nella sua ‘prigione metallica’, mantenendo tutto ciò che è estraneo al di fuori e consentendo solo ai residenti in zona di accedervi2. Il Parco, in co-proprietà dei residenti che abitano all’interno dei confini del distretto storico, è uno degli unici due parchi privati della città, poichè di fatto preclude ad una larga fetta della popolazione l’utilizzo della sua area e rimane un gesto di abbellimento in uno dei quartieri dal tenore di vita più alto della città.

il perimetro di una recinzione in ghisa. Fu in seguito teatro di diverse m anifestazioni e punto di riferimento per le proteste dei cittadini appartenenti alle classi più povere e disagiate e ancora in tempi recenti è stato lo sfondo per d im ostrazioni e situazioni di co nflitto t ra polizia e m anifestanti in p a r t ico lare nelle rimostranze degli an n i ‘60 contro la guerra in Vietnam-. Il parco a quel tempo era una zona ad alta criminalità, che conteneva accampamenti di sen zatetto e luoghi per lo spaccio di droga illegale e per l’uso di eroina. Negli ultimi anni l’intero quartiere ha subito un processo d i ‘gent r ifi cation’ e anche il parco si è progressivamente sbarazzato dei cosiddetti ‘undesiderables’ e oggi, con i suoi parchi giochi e campi da basket, campi da pallamano e scacchi all’aperto, il parco attrae giovani famiglie, studenti, anziani e cani - vista la notevole area a loro riservata - da tutto il quartiere.

Ecco quindi che il parco di quartiere altro non è che uno spazio naturale a tale scala, che riflette la comunità del quartiere stesso, ne subisce l’influenza e tenta di dare una risposta alle esigenze, senza però per questo riuscire nell’intento di costituire un spazio realmente pubblico.

Se nel caso di Tompkins Square Park, il pubblico nel senso più ampio del termine diventa protagonista della storia e della vita dello stesso, 3

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High Line

Architetto/Designers_ James Corner Field Operations + Diller Scofidio + Renfro Collocazione_ MeatPacking district Datazione_ 2004 Dimensioni_ 15 m x 1.8 Km Superficie_ 27.000 m2 Cliente_ Friends of the High Line and the City of New York

La High Line è stata costruita nel 1930, come parte di un imponente p ro getto di i nf ra st rutt u re p u b b lico -p r ivato denominato ‘West Side Improvement’, che aveva come obiettivo quello di trasferire il flusso delle merci a 10 metri di altezza al di sopra del traffico stradale. ‘ Frie n d s o f t h e Hig h L in e’, un’associazione senza scopo di lucro, nasce nel 1999, nel momento in cui la struttura minacciava di essere demolita; in collaborazione con la Città di New York l’associazione lavorò molto al fine di preservare e mantenere la struttura come un parco pubblico elevato. Il progetto di recupero e riqualificazione ha ottenuto il sostegno del Comune nel 2002: la parte sud dell’infrastruttura è stato donata al Comune dalla CSX Transportation Inc. nel 2005. Il team di progettazione di paesaggisti, Ja m e s C orn er Field O p erat io n s, con gl i a rch i tett i Diller S co fid io + Renf ro, ha studiato la ri-creazione di un ambiente dai caratteri naturalistici insieme ad un team di

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esperti in orticoltura, ingegneria, sicurezza, manutenzione, arte pubblica e altre discipline. La costruzione del parco iniziò nel 2006. Gran parte della prima sezione della High Line è situata nel Meatpacking District, l’antico quartiere dei macelli e dei laboratori di lavorazione della carne che usufruivano della presenza dei treni merci sopraelevati per gestire materie prime e prodotti finiti. Negli ultimi decenni, il Meatpack i n g District ha visto una trasformazione fortuna di tutta l’area in un quartiere per il divertimento, con numerosi ristoranti, discoteche, studi di design e fotografia, e boutique di moda. L’High Line, vero e proprio oggetto lineare dal design accattivante, si inserisce nella logica del quartiere in maniera un po’ distaccata, attirando spesso e volentieri curiosi. Lo spazio è stato predisposto per la sosta e per il riposo, ma il percorso nel complesso, con poche stazioni per giungere a livello del terreno, rimane un evento isolato nel bel mezzo di un quartiere occupa in faccendo mondane e festaiole3.

3 Tratto dal sito dell’associazione http://w w w.thehig hline.org /


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spaces 02.5.3 Parchi giochi

‘If we would have our citizens contented and law-abiding, we must not sow the seeds of discontent in childhood by denying children their birthright of play.’ Theodore Roosevelt, Playground Association of America

Nonostante il New York City Department of Parks and Recreation abbia fin dal diciannovesimo secolo fornito la più ampia gamma possibile di opportunità ricreative per la città, il primo playground entrò ufficialmente a fare parte di un’area all’interno di un parco solamente nel 1 9 0 3 con l’apertura di S eward Park, il primo parco comunale del paese attrezzato con un’area giochi permanente. Attraverso i significativi cambiamenti in oltre un secolo, nelle attrezzature e nell’aspetto dei campi da gioco di New York City, i progetti di palyground si sono evoluti in maniera costante, mantenendo il ruolo essenziale che i parchi gioco possiedono nella vitalità dei quartieri urbani e continuando ad esercitare un influenza particolare sullo sviluppo fisico e la socializzazione dei bambini della città. Dai primi del Novecento ,dunque, il Dipartimento ha lavorato sodo per fornire spazi di gioco che potessero corrispondere a lle esigen ze di sv i l u p p o e a lle d ifferent i r ic h ie ste di re s i d e nt i e v isitato r i, anche della più piccola porzione di Manhattan. Oggi il ‘Parks Department’ si occupa della manutenzione di circa mille campi da gioco in tutta la città, nei pressi delle scuole, nei parchi di grandi dimensioni o situati in modo indipendente, che variano nel formato e aspetto. Durante il mandato di Ro b er t Mo ses il numero di campi da gioco in città crebbe da 1 1 9 a 7 7 7 e molti di questi impianti vennero costruiti durante la Depressione attraverso programmi di assistenza federale. Fu proprio in questi anni che si inserirono gli elementi che nel tempo divennero i t ratt i ca ratter istici de i p a rch i d a g io co, quali le panchine

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in calcestruzzo e legno, le distese di asfalto adornata con sabbiere e perfino i semplici cestini della spazzatura1. Le azioni intraprese da Moses subirono comunque una dura critica, poichè, nonostante l’aumento del numero dei playgrounds stessi, la qualità delle realizzazioni e la localizzazione degli stessi rifletteva pienamente le priorità politiche di Moses e con esse la mancanza di interesse nello sviluppo qualitativo di aree pubbliche non remunerative2. Negli anni ‘60 un’importante innovazione venne adattata ai parchi giochi, riprendendo una tipologia tipicamente inglese e scandinava, in cui i bambini vengono lasciati liberi di giocare in lotti vacanti, depositi a cielo aperto, spesso con materiale da costruzione in eccesso. A New York tale esempio viene tradotto in progetti per nuove strutture di arrampicata, passerelle, corde o pneumatici come altalene. L’architetto autore di questi nuovi elemtni è R ichard Dattne r, progettista di numerosi parchi giochi, come alcuni presenti in Central Park e nel Manhattan Highbridge Park. Tali parchi giochi presero il nome di ‘adventure playgrounds’. Successivamente dal 1980, molti dei progettisti di parchi giochi del Parks Department hanno tentato di dare una risposta alla cultura locale, alla geografia e alla storia dei quartieri in cui i playgrounds veniveno inseriti, spesso includendo elementi in relazione con il nome o la posizione: ad esempio il J. Wright Hood Park a Manhattan, le attrezzature da gioco sono state progettate per assomigliare al George Washington Bridge, che è visibile dal punto di vista più elevato del parco lungo il fiume Hudson.

1 Riferimento al testo ‘Robert Moses and the modern c ity : the transformation of New York’, di Hilary Ballon, pubblicato dalla Norton & Company, New York, nel 2007 2 La maggior fonte di letteratura critica circa l’opera di Moses può essere rintracciata nel lavoro della sociologa Jane Jacobs.


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2

figura 1 Giochi d’acqua nella torrida estate newyorkese,

dove

i

playgrounds

diventano luoghi di relax e riposo figura 2 Crack Is Wack Playground, al cui interno di trova due murales di Keith

Recentemente i parchi giochi sono diventati uno dei punti cardine delle ‘battaglie’ di quartiere circa la difesa dello spazio pubblico e la garanzia, soprattutto per i più piccoli e nelle aree più disagiate, di un luogo di sfogo, che possa incanalare energie verso la pratica di sport o l’educazione alla socialità.

Haring 3 Fonte: http://w w w.nycgovparks. o rg / faciliti es /p l aygro u nd s /

Sono inoltre nate nuove e molteplici iniziative volte alla st imolazione della fantasia dei più piccoli, attente alla qualità del divertimento, e basate sull’organizzazione di eventi estivi e non, fondamentali per il buon funzionamento del fattore ricreazione di un quartiere. Una di queste nuove iniziative, ad esempio, è quella dell’ideazione di un ‘Im m agination P layg ro u n d’, basato su di uno spazio ideato e progettato dall’architetto David Rockwell e finanziato dal Dipartimento: l’idea consiste nella progettazione di spazi flessibili e dedicati al ‘gioco libero’, ritenuto uno degli elementi essenziali per la creazioni di menti brillanti e capaci di risolvere futuri problemi. Accessibili a tutti, ma spesso frequentati dai cittadini del quartiere in cui si trovano, nella maggiorparte dei casi i playgrounds si trovano costretti alla re cinzione, sia per motivi tecnici legati al pericolo delle strade che li circondano e sia per questioni di sicurezza e controllo da parte degli adulti. L’esistenza di questi spazi pubblici a scala di quartiere consente anche ad una città di dimensioni notevoli e densa come Manhattan di adottare atteg giam enti educativi t ip ic i d ei piccoli sobborghi, senza dover rinunciare alla vita metropolitana e anzi godendo della m escolanza etnica e c u lt u ra le caratteristica.

A tale proposito, nel 1967 venne lanciato un esperimento nel parco della famosa Union Square, chiamato “C h e c k – a – C h i l d ” playground, progettato da R i c h a rd Dattner, della durata di qualche giorno, a riprova del fatto anche nel baricentro di Manhattan fosse possibile lasciare i propri figli, sotto sorveglianza di addetti, per andare a fare qualche ora di shopping in Midtown3. Negli ultimi anni, infine, i playgrounds sono diventati veicolo di messaggi sempre più importanti dal punto di vista educativo, arrivando anche ad ospitare opere d’arte significative: è il caso del ‘Crack i s Wa c k Pl ayg rou n d ’ , che prende appunto il nome dai murales presenti al suo interno del celebre artista Keith Haring, dai toni accessi e giovanili, prodotti nel tentativo di mandare un messaggio serio contro la droga verso le nuove generazioni. Così, mentre New York continua a crescere e ad espandersi, la progettazione dei parchi giochi continua nella sua evoluzione: il sindaco Bloomberg ha infatti recentemente promesso l’apertura di 29 0 cor t i l i d e l l e s c u ol e nei quartieri meno abbienti, attraverso l’impiego di 79 milioni di euro di fondi cittadini, proprio al fine di fornire una maggiore dotazione di playground pubblici.

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Sara Roosevelt Playgrounds

Architetto/Designers_ volontari e membri dell’associazione Collocazione_ Lower East Side, da Houston Street a Canal street Datazione_ 1934 Dimensioni_ 60 m x 900 m Superficie_ 54.000 m2 Cliente_ City of New York

Sara Delano Roosevelt Park è un parco di circa 7,8 acri -32.000 m2- situato nel Lower East Side; intitolato a Sara Roosevelt, la madre del presidente Franklin Delano Roosevelt, si estende per una lunghezza di quasi un chilometro, andando a lambire il quartiere di Chinatown. Attualmente il parco è gestito e mantenuto dal New York City Department of Parks and Recreation. Aperto nel 1 9 34, venne originariamente acquisito dal Comune nel 1929 allo scopo di ampliare l’area tra Chrystie e Streets Forsythe attraverso la costruzione di alloggi a basso costo, ma l’idea fu poi accantonata e si fece largo l’i p o te s i d e l l a co st r u zio n e d i ‘ca mpi da gi o co e l u o g hi d i r ip o so p er mamme e bam b i n i ’. Nel 1934 tale progetto costituiva il più grande parco mai realizzato nel Lower East Side, fatta eccezione per Tompkins Square Park. Quattro strade vennero chiuse parzialmente -Hester, Broome, Rivington e Stanton Streetper ospitare sette distinte aree di gioco con gi o ch i s e p a rat i p er masc h i e femmine, oltre a due piscine per bambini, una pista di

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pattinaggio e un perimetro di panchine e alberi ombreggianti. Il parco stesso è un manifesto alla multiculturalità e alla presenza di molteplici etnie nel quartiere e fornisce uno spazio pubblico dinamico ad uno dei quartieri più ricchi di immagrati di tutta Manhattan. Nel discorso di apertura del parco stesso, Harry H. Schlacht, fondatore della ‘East Side Home News’, proclamò ‘la nascita di u n nuovo Lower East Side’. Recentemente definito dal New York Department of Parks and Recreation ‘un tratto scintillante di verde nel mare di cemento, asfalto, ed edifici’, il Sara Roosevelt è davvero uno spazio ricco di attività e il suo design ha subito nel tempo le modifiche delle attivi tà quotidiane spontanee proprie de l l a cultura d’origine degli im m igrati d e l posto. Si pensi ad esempio che la domenica mattina quasi tutti i playgrounds si riempiono di praticanti di tai chi, riuniti in folti gruppi di vicini di casa.



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spaces 02.6.1 Piazze urbane

‘The southern part of the square has become the equivalent of the Spanish steps in Rome, where people just gather together. There is no better place for people-watching.’ Mitchell Moss

Alla voce piazza corrisponde un immaginario comune legato alle culture di tutto il mondo: è senza dubbio uno tra gli elementi che più hanno modificato le città europee e non e nell’ultimo secolo è stato riscoperto come uno strumento efficace per accendere l’innescarsi di pratiche di socializzazione. Spazio pubblico d’eccellenza, la piazza americana assume per certi versi alcune delle caratteristiche storiche europee, quali la presenza di un disegno interno di dettaglio e di landmark, ma si modifica soprattutto nelle sue relazioni con il contesto, non più aulico e non necessariamente chiuso da edifici. Le principali piazze newyokesi degne di questo nome sono rappresentate da quegli spazi pubblici che costituiscono essi stessi i nodi di una rete a scala urbana ormai storica e immodificabile; luoghi dunque che ‘parlano’ a tutta l’isola, che attirano turisti, visitatori e passanti da tutti i punti della città e che implicano una rete di servizi e di trasporti in costante aggiornamento. La posizione strategica in cui le piazze urbane newyorkesi si collano consente loro di non necessitare di attività specifiche al loro interno, poichè spesso possono godere di un contesto ricco e dinamico, di cui esse costituiscono il pe rn o ‘ v u o to ’. É il caso di Union Square, Madison Square, Washington Square, City Hall Square e di piazze ridotte ma pur sempre a scala urbana come Herald Square o Federal Plaza, che devono la loro fama alla loro collocazione e soprattutto alle attività che hanno visto fiorire sui loro bordi. Wa s h i n gto n S q u a re porta con sè alcune reminescenze europee, a partire dalla presenza dell’Arco, dalla forma della piazza stessa fino alla grande fontana centrale: prima terreno

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agricolo, poi cimitero, nel 1826 la Città acquista il terreno e lo trasformò in uno spazio per parate militari. Le strade attorno divennero quindi tra le più desiderate zone residenziali della città e, quando qualche decennio dopo, il campo venne convertito in parco, l’area acquisto maggior pregio e valore. Nel 1889 venne costruito l’arco , il parco si espanse, si costruì la fontana e tutta l’area acquistò maggior fascino e decoro urbano. Quando però Robert Moses nel 1934 tenta di proporre un completo rimodellamento dell’area che comprendeva però un’arteria di scorrimento nel mezzo come prosecuzione della Fifth Avenue, si avviò una protesta durata sette anni capitanata da J ane J acobs e da Shir l ey Hayes 1. La controproposta di questi ultimi finalizzata alla creazione di un’ampia piazza pavimentata centrale ebbe la meglio e dal 1959 Washington Square Park è rimasta chiusa al traffico, spezzando la circolazione de l l a griglia. Sempre all’attenzione del governo cittadino, oggi la piazza è sempre sotto continua manutenzione e curata da diversi progetti di abbellimento; completamente circondata dagli edifici della NYU - New York University - , è ormai parte integrante della vita studentesca di allievi da tutto il mondo. Tale vicenda mette in luce come le grandi piazze urbane di New York siano state spesso il frutto di un’ardua conquista da parte di tutti i cittadini di uno spazio pubblico dalle dimensioni maggiori e di come siano poi servite da sfondo per le principali manifestazioni, come cassa di risonanza urbana. Una storia analoga appartiene invece a Madison Square, anch’essa in un primo

1 La vicenda è narrata all’interno del famoso testo ‘ The D eath and Life of G reat A merican Cities’ di Jane Jacobs


urban 1

figura 1 M ad ison Sq u a re

2 Secono

la

classifica

stilata

dall’organizzazione non -profit PPS Project for Public Spaces, cone sede e New York

figura 2 - 3 H e rald S q u a re nella sua nuova risistemazione

grazie

al

progetto

di pedonalizzazione di un tratto della Broadway, chimato ‘Broadway Boulevard’ 2

Herald Square è sotto la gestione della 3 4 t h Street Partn e rsh i p, uno dei tanti Bu s i n e ss Im provem ent D ist r i c t (B I D ) sparsi per la città, che opera in circa 31 isolati circostanti. Quest’ultima si occupa della gestione relativa alla sicurezza, della pulizia -dopo essere perfino riuscita a dotare la piazza di servizi pubblici, una rarità in Manhattan-, della manutenzione del verde e organizza eventi. Questa forma di finanziamento delle piazze è ormai divenuta l’unica sostenibile in grado di mantenere questi spazi utilizzabli e in perfetta sicurezza; per Madison Square allo stesso modo si parla della M a d i son Sq u a re Pa r k Conser vancy , una partnership tra pubblicoprivato costituita per occuparsi di tutelare ogni modifica o accadimento nella piazza stessa e lo stesso può essere detto di Union Square, gestita dalla Union Sq u a re Pa r t n e rsh i p, a sua volta composta dal BID - Business Improvement District- e dall’ LDC -Local Development Corporation-. Tali sforzi però consentono a queste proprietà pubbliche di sopravvivere e non solo: consentono loro di rappresentare alcune tra le migliori piazze d’America2.

tempo campo per parate, poi convertito a piazza, accostata alla grande arteria di scorrimento che è la Broadway; nel 1847 apre anche il parco e l’intervento successivo di riqualificazione viene progettato da William Grant e da Ignatz Pilat, allievi di Frederick Law Olmstead. Gli elementi chiave che compongono le piazze urbane sono costituiti quindi dalla presenza di elementi di decoro e dalla compresenza di una pavimentazione e un parco che insieme mirano a creare un luogo tra il naturale e l’artificiale; ma una nuova generazione di spazi, fatta di ritagli e di intersezioni, scompagina le regole sopra descritte e genera piazze a scala urbana a partire da p iccoli fazzoletti di terreno, con la sola fortuna di appartenere a distretti vitali e dinamici, ricchi di attrattive. É il caso di Herald Square, situata all’intersezione tra la Broadway e la Sixth Avenue, è costituita da un triangolo sul quale si è formata una piccola piazza, arricchita da uno storico orologio e da una serie di alberature. Insieme alla Greely Square, la piazza speculare anch’essa derivata dal ritaglio dell’intersezione delle due strade, dal 1992 3

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces

Union Square

Architetto/Designers_ progetto iniziale di Frederick Law Olmsted and Calvert Vaux Michael Van Valkenburgh Associates + Architecture Research Office Collocazione_ 14th Street e 17th Street Datazione_ 1815 Dimensioni_ 110 m x 225 m Superficie_ 25.000 m2 Cliente_ City of New York

Union Square rappresenta una delle piazze urbane più conosciute di New York, proprio per il suo definirsi d i n a mica e att iva , nel trambusto della vita metropolitana, e non un rifugio dalla City. Si colloca, infatti, in uno degli incroci fondamentali dell’isola, rappresentandone quasi un b a ri cent ro : oggi giorno circa 35 mi l i o n i d i p e rson e 3 passano per la sua fermata della metropolitana, facendone uno dei punti della rete più congestionati e quindi più sorvegliati. Fin dal Commissioners’ Plan del 1811 lo slargo fu ritenuto strategico e quindi venne subito convertito in ‘co mmo n la n d’, di proprietà quindi della città, e nel tempo venne abbellito attraverso la costruzione di una fontana e l’inserimento di un parco. Nel 1872 vennero chiamati i progettisti di Central Park Fred erick Law O l m ste d e Ca lver t Va u x per la risistemazione del verde. Come e forse più delle altre piazze urbane, Union Square ha rappresentato nell’ultimo secolo il principale punto di incontro dei cittadini per manifestazioni e dimostrazioni, o anche solo per permettere

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a gruppi e associazioni di potersi ritrovare pubblicamente. Nel 2008 Michael Van Valkenbu rg h Associates e l’Architecture Resea rc h Of f ice completano la risistemazione dell’area nord della piazza, che include un parco giochi, una piccola piazza e alcuni padiglioni esistenti da riqualificare, tenendo anche conto del Green Market che nel frattempo si è stabilito proprio nella parte nord di Union Square. Dopo essere stata dichiarata ‘Natio n a l Historic Landmark’ nel 1997, la piazza è divenuto per alcuni mesi, in seguito all’attacco del 9/11, luogo di sfogo per i cittadini, che ne hanno fatto un vero e proprio mausoleo temporaneo in ricordo delle vittime. Il futuro della piazza è costantemente monitorato e pianificato da due importanti associazioni, la Union Square Partnership, promotrice dello sviluppo econimico della stessa, e l a Union Square Com m unity Coalition , che invece si occupa di preservare le volontà originali relative alla progettazione della piazza e del parco4.

3 Dati tratti dall’articolo ‘Union Square Park: Developing Public Gathering Spaces’, di Heather Ruszczyk e Emily Grigg-Salto 4 Informazioni prese dai siti ufficiali della Union Square Partnership www. unionsquarenyc.org e dal New York Department for Parks and Recreation


urban


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spaces 02.6.2 Parchi urbani

Il sistema di quelli che possono essere considerati parchi a scala urbana, la cui influenza cioè è risentita in tutta l’isola e i cui usufruitori provengono da ogni angolo di Manhattan, risulta essere un sistema fatto di poche grandi aree verdi, collocate però nei punti più strategici della città e sparsi da nord a sud in tutta Manhattan. Alcune di queste, in gran parte collocate nella Downtown per motivi storici, risalgono al XVII secolo e sono sopravvisute nei secoli grazie alla loro peculiarità di grandi aree di svago e di incontro; man mano che il concetto di l a n d s ca p e si faceva sempre più forte, specie dopo la realizzazione di Central Park, molte energie vennero impiegate nell’abbellimento, nella decorazione e nella progettazione dell’impianto di questi spazi e questo li rende ancora oggi punti di riferimento per i flussi degli spostamenti urbani. Ognuno di tali parchi esercita quindi una forte attrattiva per turisti e non, grazie anche ad una sp ec ifica id entità che li differenzia marcatamente. La grande importanza che questi spazi hanno ottenuto negli ultimi decenni li ha trasformati profondamente, anche attraverso mo d i f i ca z i o n i a p p arentemente non mate ri a l i , come l’installazione di reti wire l e s s per la connessione internet e per la comunicazione istantanea; tali dispositivi infatti hanno reso i parchi urbani delle vere e proprie estensioni dell’ambiente casalingo, fornendo soprattutto nei mesi estivi, delle stan ze a c i e l o a p e rto , in cui non solo rilassarsi e svolgere attività sportive, ma anche studiare, incontrarsi, trascorrere il tempo dopo una giornata di lavoro o organizzare un evento. Oltre ai parchi che si accostano alle piazze più famose dell’isola, quali Union Square, Madison

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Square, Washington Square e City Hall, vi sono altri parchi a scala urbana che contribuiscono a stabilire una rete da nord a sud, se non continua per lo meno connessa dal servizio metropolitano e dalle relazioni tra i diversi neighborhood. A riprova di ciò, due sono i parchi urbani che occupano la testa e la coda dell’isola: Batter y Park e Inwood Hill Park, il primo estramamente turistico ed il secondo estramamente più selvaggio. Entrambi racchiudono in se stessi le caratteristiche dei parchi urbani rispettivamente del sud e del nord dell’isola. Il primo, infatti, si presenta come uno spazio aperto dal des ign ricco e dettagliato da molti elementi di decoro e arricchito dalla presenza di edifici: nato come promenade nel XVII secolo, divenne un parco pubblico vero e proprio due secoli più tardi, ospitando non solo edifici storici, tra cui il Castle Clinton, ma anche plurimi monumenti e lapidi. Con i suoi 25 acri rappresenta il parco più ampio de lla Downtown M anhattan e, con i suoi prati e le sue stazioni di collegamento con le isole, attira più di quattro milioni di persone all’anno. Per far sì che non vada perduta la ricchessa del paesaggio di Battery Park, ritenuto come il più antico della città, è nata anche in questo caso un’associazione non-profit, la Battery Conservancy, che ogni anno non solo si preoccupa della manutenzione e della pulizia, ma riprogetta anche nuovi utilizzi dell’area e dei edifici e attività che contiene. Proprio la presenza di Battery Park, in concomitanza con il progressivo degrado dell’area dei piers1 a ovest dello stesso, ha fornito

1 Il sistema dei Piers è costituito da una serie di pontili, ormai quasi tutti in disuso, un tempo legati al commercio via mare e oggi in fase di riqualificazione, per lo più attravreso interventi puntuali. I Piers costituiscono la maggiorparte del waterfront di Manhattan e, una volta riconvertiti, possono ospitare nuovi spazi pubblici, nuove attività - Chelsea Piers- o nuovi quartieri residenziali -come nel caso del Battery City Park-


urban 1

figura 1 Batter y Par k figura 2 I nwood Hi l l Pa r k

2

l’elemento propulsore per la riqualifica del waterfront sud-occidentale, dando vita ad un lembo artificiale di residenze nel parco, sotto la guida e tutela del paesaggio della Batter y Park Cit y Co n ser vancy , l’ennesima associazione senza scopo di lucro, principalmente composta da residenti e commercianti della zona.

distanti anche più di qualche chilometro, di tutti coloro disposti a muoversi pur di godere del paesaggio e delle attività di queste aree verdi, essenza vitale della metropoli, anche se non ancora in grado di competere completamente con la scala della città, fatta di uno skyline verticale denso e inafferabile.

Diametralmente opposto, invece, l’Inwood Hill Par k si trova nella punta più a nord dell’isola ed è un parco pubblico a tutti g li effett i: di proprietà e sotto la gestione e manutezione della municipalità di New York, il parco rimane l’ultima foresta e palude salata della città. Prima del 1916, anno della sua acquisizione da parte del Dipartimento per i Parchi, l’area era occupata da case di campagna e istituzioni filantropiche; in seguito, dopo la cessione delle aree, gli edifici vennero demoliti per esaltare maggiormente la natura sevaggia del luogo, da quel momento in poi a disposizione di tutti i cittadini di Manhattan, a testimonianza storica di un paesaggio newyorkese ormai completamente scomparso. Così oggi, insieme ad una fitta rete di sentieri e p erco rsi , la foresta possiede anche una folta schiera di specie animali selvatici ed uccelli, della cui tutela si occupano i cosiddetti Park Rangers, cosa che rende Inwood Hill il luogo ideale in cui praticare uno degli sport preferiti dai newyokesi, il ‘bird watching’. Dall’altro lato però anche l’Inwood Hill Park non rinuncia alle com odità del relax più co mu n i e si fanno spazio tra gli arbusti le aree per picnic, per barbecue, i parchi giochi per bambini e le aree riservate ai cani: le stesse attività si inseguono lungo i parchi della città, ma attirano bacini di utenza a scale differenti. Ecco che il parco urbano diventa il parco della domenica, il parco dei turisti e dei cittadini

Quest’ultima tipologia di parco rappresenta, infine, un modello di parco urbano assai diffuso nell’area nord dell’isola, le cui trasformazione tardive hanno permesso la conservazione di spazi aperti d i m a g g i or i d i m e n s i on i , quali il Fort Tr yon Pa r k , l ’ H i g h b r i d ge Park, f ino a l S. Ni c h ol a s Pa r k e a l Morningside Pa r k , poco al di sopra del quartiere di Harlem. Tale situazione è spiegata non solo da fattori di carattere temporale rispetto alle trasformazioni urbane della città, ma tengono conto anche dell’aspetto sociale delle stesse: i quartieri popolari più vasti infatti si trovano nell’area a nord di Central Park e il parco urbano di notevoli dimensioni è storicamente sempre stato ritenuto un’ottima valvola di sfogo per la popolazione, spesso poco soddisfatta della sistemazione nel proprio quartiere. La logica del consumo e del commercio poco ha toccato queste aree, che rimangono quindi incontaminate e che proprio per questa loro peculiarità attirano visitatori da tutta la città, con il solo scopo di conoscere una realtà meno artificiale o di staccare completamente la spina.

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Bryant Park

Architetto/Designers_ progetto sotto la guida di Robert Moses successiva ridisegno di Lynden Miller Collocazione_ 40th Street e 42nd Street Datazione_ 1847 Dimensioni_ 150 m x 130 m Superficie_ 19.500 m² Cliente_ City of New York

Il Parco nasce nel 1847 sotto il nome di Re s e r vo i r S qu a re, per la presenza di serbatoio di dimensioni notevoli, in seguito sostituito dal Crystal Palace in occasione di una mostra inernazionale di architettura. Dopo la costruzione della N ew Yo r k P u b lic L ib rar y nel 1911 si decise di accostarvi un parco vero proprio: Bryant Park. Fin da subito poco curato e infestato da prostitute, spacciatori di droga e senzatetto, il parco situato in uno dei quartieri più importanti della città divenne una vera e propria piaga2. Tutti intuivano che il parco con il progetto giusto si sarebbe trasformato “da una discarica sterile in uno dei luoghi più attraenti e di respiro della città”3. Ad aggravare la già instabile situazione subentrò l’intervento di riqualificazione portato avanti nel 1934 da Ro b er t Mo ses: l’idea di Moses, valida in generale anche per gli altri parchi della città, era quella di trasformare Bryant Park in un ‘s a nt u ar io d el r ip oso’, facendo però un luogo di esclusione e inaccessibile, erigendo alti muri di confine e recinzioni di ferro. L’intervento fu un totale insuccesso e le violenze e gli omicidi aumentarono. Il Parco venne così chiuso e riaperto solamente

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dopo l’intervento di definitiva riqualificazione portato avanti dalla Rockefeller Broth e rs F undation, sostenuto dalle ricerche del sociologo W.H.White: il parco riconquistò i cittadini, aprendo molteplici nuovi accessi e inserendo centinaia di sedie e tavolini movibili. Per intraprendere i lavori fu necessario costituire diverse associazioni in grado di raccogliere i fondi necessari, quali ad esempio la BPRC - Bryant Park Restoration Corporation- e il cosiddetto BID - il Bryant Park Improvement District-. Bryant Park risulta appartenere, ma ancora oggi rimane interamente gestito da un’associazione non-profit privata, la Br yant Pa r k Corporation. Questo tipo di atteggiamento da parte del governo della città è stato a lungo criticato -Zukin, Fainstein, Carr- secondo prospettive spesso ideologiche, quali la mancanza di eterogeneità tra gli utenti dovuta all’immagine voluta dal privato che si occupa della gestione o la presenza di attività private a ridosso della piazza, attività non spontanee e legate alla logica del consumo. Viene da chiedersi però quanto New York sia basata su valori di proprietà pubblica e qua nto su quelli della proprietà privata.

2 Citazione tratta dal testo ‘Bryant Park, an out-of-town experience’, di Goldberg, pubblicato sul New York Times nel 1992 3 Citazione tratta da ciò che scrisse il New York Times nel 1928 circa Bryant Park.



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territorial


la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces 02.7.1

Piazze a scala territoriale ‘Times Square quickly became New York’s agora, a place to gather to await great tidings and to celebrate them, whether a World Series or a presidential election’ James Traub

Di tutte le piazze viste fino ad ora, quelle che qui vengono considerate a scala territoriale rappresentano proprio quegli spazi che costituiscono i co n e e u n ver i e p ropri l a n d m a rk , riconosciuti in tutto il mondo. La categoria delle piazze territoriali, ad ogni modo, non è stilata in base ad aspetti dimensionali delle stesse, ma piuttosto è legata a considerazioni circa l’influenza che questi spazi esercitano sulla società che li circonda: non si tratta nemmeno quindi di affermare dunque che le piazze a scala territoriale attirano utilizzatori da tutti i quartieri dell’isola e da molte altre località dello stato di New York - e degli altri stati nel mondo-. Si fa infatti riferimento all’influ enza c ul t u ra l e e immag in ifica che questi luoghi hanno posseduto e possiedono tuttora: tali piazze hanno contribuito a diffondere per il globo intero un’idea di quello che la grande metropoli americana poteva rappresentare, tentando non solo di fornire un’identità a se stessi, ma anche di costruirne una per la città di New York. Sono i luoghi delle cartoline, i punti nevralgici della metropoli, quelli di maggiore affollamento in gran parte turistico: sono proprio quegli spazi in cui il vero newyorkese non vorrebbe mai ritrovarsi nelle cosiddette rush hours! Non è quindi difficile da intuire come queste piazze a scala territoriale siano per lo più formate da i n cro ci o semp lic i sp iazzi o an cora pi c co l i ri ta g li all’ inter n o d ella fitta gr i g l i a n ew yor kese : gli esempi più eclatanti sono rappresentati dal frequentatissima Times S q u a re , presa letteralmente d’assalto ogni giorno da migliaia di turisti da tutto il mondo, quasi come fosse una meta di pellegrinaggio;

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il tratto di strada di fronte al Federall H a l l , il santuario della borsa, all’interno del quale si può seguire in diretta il collasso o il decollo dell’economia mondiale, e anche luogo perennemente sotto stretta sorveglianza; e infine la Rockfeller Plaza, che da semplice piazza di quartiere quale potrebbe essere, viste le sue esigue dimensioni, è stata eletta ad un livello superiore, sempre tenendo in considerazione l’enorme successo riscosso da tale spazio e la ripercussione mediatica che ha in tutto il mondo, acuita soprattutto sotto il periodo natalizio. Le piazze territoriali partono quindi dall’essere ritenute frutto di espressioni peculiari e locali della cultura newyorkese, ma è forse doveroso cominciare a considerarle invece come gli spazi che più hanno subito l’influenza delle trasformazioni profonde che hanno investito l’America -e che quindi ne hanno modificato la cultura-, m anifesti della cult u ra popolare am ericana m aterializzat i si nella città più conosciuta e forse m e n o rappresentativa di tutti gli States .


territorial Times Square

Architetto/Designers_ Collocazione_ 42nd Street e 47th Street Datazione_ 1904 Dimensioni_ 25 m x 490 m Superficie_ 12.250 m² Cliente_ City of New York

1 Citazione tratta dal testo ‘N ew Yor k . L e origini d i u n m i to ’, di William R. Taylor, pubblicato da Marsilio, Milano, nel 1994

Quello che all’apparenza, dal punto di vista formale, altro non è che un ritaglio f ra un in c ro c io d i strade , si è nel tempo tramutato nell’epicentro della città e del mondo intero: Times Square, il cui nome d’origine era Long Acre Square, altro non è che l’ incarnazione d ei mu ta me nti av venuti nella società amer ican a , e non solo, nell’ultimo secolo e proprio per questo non può non essere considerata una piazza influenzata e che influenza tutto il territorio dello stato di New York. Contrariamente a quanto comunemente si ritiene, Times Square non accadde per caso come conseguenza della costruzione di alcuni importanti edifici, tra cui la sede del New York Times , da cui prende il nome, nel 1905; essa fu letteralmente inventata 1: le circostanze e l’ambiente che favorirono la sua nascita possono essere rintracciate nella prima cultura consumistica degli anni ‘20 e ‘30, in quel fervore derivato dall’accelerazione della produzione standardizzata e dallo sviluppo frenetico di u n ’ in d u stria pubblicitaria, dello

spettacolo e d e l l ’ i nt ratte n i m e nto. In aggiunta, già dalla fine dell’Ottocento, New York era divenuta il fulcro del mercato nazionale e un nodo importante di quello internazionale: importante centro per gli scambi e gli affari, Manhattan nel 1904 si dota presto di una rete ferroviaria e m et rop ol i ta n a efficiente, che passa proprio attraverso Times Square, così vicina all’allora nuova stazione ferroviaria di Gran Central, anch’essa sulla 42th Street.

Così come Herald Square si stava specializzando nei grandi magazzini al dettaglio, prendendo anch’essa il nome dalla sede del giornale ‘New York Herald’, così Times Square si trova n e l cuore del qu a r t i e re d e l l o sp etta col o , che a fine Ottocento si era spostato dalla vicina Union Square in cerca di maggiori spazi a prezzi inferiori. Specchio dunque di un quartiere nuovo, una ragnatela che si diramava in tutte le direzioni a partire dall’incrocio tra la Broadway e la 42th Street appunto. Nei primi anni del Novecento infatti il teatro si dimostrò essere un vero e proprio sistema economico molto redditizio e trovò in quegli

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anni imprenditori pronti ad investirvi, non senza una buona percentuale di rischio: ben presto, infatti, la cri s i d el 1929 svuota 4 teatri su 5 e costringe tutti coloro che avevano puntato tutto sul quartiere dei teatri -chiamato al tempo appunto ‘Broadway’- a ricercare una soluzione capace di costruire una ‘città della città’, una realtà parallela remunerativa, legata al piacere e al divertimento. Comincia quindi il d eg rado del l ’ i nte ro q uar t iere , che converte i teatri in cinema legati all’ambito pornografico, che costruisce nuovi e appariscenti bordelli e che permette una prostituzione quasi legalizzata sui marciapiedi attorno a Times Square, trasformandosi in un q u a r t iere a lu c i rosse . Questa ‘economia semipubblica del vizio e del divertimento’ venne tollerata, pur non senza passare inosservata, proprio perchè parte integrante dei finanziamenti degli apparati di controllo e politici della città, che ricevevano parte dei profitti. Quandò però i primi segni della nascita del buon costume e dell’int ro d u zio n e d ella d onna nel l a s o ci età , a partire dal suo ingresso nei centri commerciali fino alla sua comparsa negli spazi pubblici, apparvero le convenzioni sociali vennero messe in crisi e fu necessaria una riqualificazione dell’intero quartiere. La svolta però si ebbe solamente all’inizio degli anni ‘80 quando alcuni sindaci decisero di ‘ripulire’ il quartiere, più che altro spinti dalla pressione del nuovo boom economico ed edilizio della città: R u d o lp h Giu lia n i 2 aumentò la sicurezza, impose la chiusura dei cinema e dei teatri pornografici, scacciò gli spacciatori e optò per una vocazione maggiormente turistica per tutta l’area, favorendo l’apertura di grandi magazzini, la diffuzione di n eon, i nse g n e d a l le d imen sio n i t ita n iche

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e m ax ischermi , quasi a mettere la piazza stessa in rete e in comunicazione con il resto del mondo. Il più grande miglioramento è senza dubbio dovuto all’investimento da parte della Walt Disney Corporation di circa otto milioni di dollari; tale coinvolgimento, unito ai risultati oggi visibili, portò al soprannome che alcuni critici - Zukin, 1995 - affibiarono alla piazza, considerata la nuova ‘Disneyland’ .

Dal 1992 in avanti subentra la gestione del quartiere da parte della Tim es Squ a re Alliance , precedentemente chiamata ‘Times Square Business Improvement District’ - i BID, associazioni non profit coivolte in tutte le grandi trasformazioni e gestioni dei maggiori spazi pubblici di new York, come visto finora -: essa rappresenta una coalizione formata tra il governo cittadino e gli imprenditori locali, volta al miglioramento della qualità del commercio e della pulizia del quartiere. Senza leggere fra le righe, non è difficile intuire come questa trasformazione abbia attirato investimenti notevoli da parti di grosse aziende multinazionali e come abbia definitivamente trasformato lo slargo in un grande cartello pubblicitario. Il 26 febbraio del 2009, il sindaco Mich a e l Bloom berg con un grande annuncio dichiara di voler costituire una nuova plaza temporanea completamente dedicata ai pedoni sia in Times Square che in Herald Square, collegate le une alle altre da un percorso pedonale e ciclabile, affiancato alle corsie di traffico, a sua volta notevolmente ridotto. Il progetto, chiamato ‘Green lights for Midtown’ ha riscosso un enorme successo3, non senza qualche polemica.

2 Rudolph Giuliani fu sindaco di New York dal 1994 fino al 2002 3 Il successo riscosso è comunque accompagnato da diverse critiche, che vedono la mossa strategica di

Bloomberg

demagogica

e

come che

un’azione considerano

la pedonalizzazione del tratto un pagliativo non sufficiente alla riduzione della congestione di cui è afflitta la città. Alcuni residenti inoltre ritengono l’intervento un ulteriore modo per attirare turisti e non percepiscono un reale contributo allo spazio pubblico della città


territorial


la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces 02.7.2

Parchi a scala territoriale

Negli ultimi anni il bisogno impellente da parte della città di New York di adottare nuove misure ed escogitare nuove strategie per una New Yo rk ‘p iù verd e’ - secondo il motto del piano strategico per lo sviluppo della città da attuare entro il 2030 annunciato dal sindaco Bloomberg - ha reso evidente la necessità di un r i p e n s a m e nto d elle r iso rse d isp o nibili e così ha avviato una ri-progettazione del sistema dei waterfront: il porposito è cioè quello di creare un sistema fatto di grandi parchi a scala territoriale capace di fornire alla città una risposta al fabbisogno di aree verdi e di respiro, anche in senso ecologico. Ecco che a Central Park, lo storico progetto che rivoluzionò e rafforzò allo stesso tempo la griglia, si unisce un filo unico attorno alla linea delle spiagge, che , senza interruzioni, avvolge l’isola grazie a nuovi collegamenti tra i parchi che attualmente si affacciano sul fiume. La linea continua dei water fro nt , non ancora completamente realizzata, prevede soprattutto nella parte sud-orientale dell’isola una serie di nuovi progetti per la r iq u alifica zio n e del s i ste m a d e i P iers ; tali progetti puntano sulla possibilità di ricavare nuovi spazi pubblici, attraverso la costituzione di piattaforme artificiali e di aree per la pratica sportiva e il tempo libero, sull’esempio di quelle realizzate sulla sponda occidentale, lungo i Chelsea Piers. Risulta evidente quindi la costituzione di un sistema principalmente composto da due grandi parchi a scala territoriale: Central Park, il vasto manto erboso di Manhattan, considerato il grande giardino della città, contrapposto e allo stesso tempo affiancato da u n lungo s paz i o li n e a re , formato a sua volta da parchi minori, talvolta a scala urbana, altre a scala del quartiere.

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L’idea complessiva rimane quella di un insieme di parchi a scala territoriale, che diventano spazi complessi , sia nella comprensione della loro organizzazione che nella gestione pratica e sociale ad essi interna: ecco perchè negli ultimi decenni si è dovuto assistere ad una ‘rimodellazione’ dell’ideale originale che i parchi a grande scala portavano con sé. L’utopia di una democrazia totale , di un liberalismo incondizionato, concretizzata dal progetto di Olmsted e Vaux, è diventata oggi assai scomoda e inconciliabile con la società, anch’essa apparentemente democratica: lo spazio, una volta aperto e accessibile a tutti, è ai nostri giorni regolamentato e suddiv i s o di ‘stanze’ , più facilmente controllabili, arricchito da numerosi campi da gioco per disporre di attività pre-organizzate1. Ciò che gli organi di controllo vedono con sempre maggior frequenza è l’immagine di un parco da dover difendere dal pubblico, piuttosto che un elemento costituito proprio dal suo coincidere con la gente, fatto per divenire il simbolo della collettività per eccellenza. Di fronte alle sempre più pesanti minacce derivate dall’inquinamento e dal vandalismo, la scelta quasi obbligata è stata dunque quella di inserire all’interno di questi sistemi verdi complessi una ferrea regolamentazione, diverse barriere e di opporvi un pianificazione del paesaggio scrupolosa e dettagliata, lasciando sempre meno respiro allo spazio non progettato2. Nell’idea originale del progetto pensato da Olmsted e Vaux per Central Park, infatti, coloro in pericolo e in fuga dalle malattie della città - inquinamento, abitazioni malsane, sovraffollamento e malattie - erano proprio i newyorkesi che avrebbero dovuto trovare nel vasto parco un rifugio e più ancora un antidoto, una cura.

1 É sempre più frequente oggi aggirarsi per Central Park e trovarsi circondati da cartelli ‘Keep off the grass’ o da messaggi di divieto 2 Per assaporare una teoria affine all’idea di una progettazione che segua le esigenze dell’ecosistema si rimanda agli scritti di Gilles Clèment figura 1 Sistema dei parchi a scala territoriale formato dall’unione di Central Park e della riqualificazione dei waterfront


territorial Central Park

Architetto/Designers_ Frederick Law Olmsted and Calvert Vaux Collocazione_ 59th Street e 110th Street Datazione_ 1857 Dimensioni_ 850 m x 4000 m Superficie_ 3.100.000 m² Cliente_ City of New York

3 ‘There was no place within the city limits in which it was pleasant to walk, or ride, or drive, or stroll’ , Clarence Cook, 1869 4 Era stato infatti proposta qualche anno prima la realizzazione di un parco lungo l’East River, su di un tratto di terreno di proprietà di John Jones, ma venne giudicato troppo esteso e troppo costoso 5 Il termine sta ad indicare un manto erboso 6 In fondo quest’idea non è poi così lontana dalla teoria proposta un secolo dopo da William H.White attraverso lo studio del design degli spazi pubblici di Manhattan

Prima della realizzazione di Central Park, la città possedeva solamente piccoli spazi verdi con al loro interno banali attraversamenti pedonali, senza che questi solleticassero l’immaginazione dei cittadini3: non si parlava certamente dei benefici legati alle aree naturali della città, poichè nessuna era grande abbastanza da stimolare la sensazione che la città ne avesse un reale vantaggio. Con i suoi 340 acri , Central Park stabilì dunque una nuova scala, quella ter r ito r iale , che venne battuta due anni più tardi solo dal Fairmount Park di Filadelfia. Dopo aver bocciato altre precedenti proposte4, finalmente il governo della città accetta l’idea di costruire un ampio spazio aperto a nord dell 59th Street affidando i lavori al sopraintendente frederick Law Olmsted, fino ad allora coltivatore, giornalista ed editore; quest’ultimo non solo ebbe il merito del progetto del parco, ma fece anche in modo da svincolare l’iter della realizzazione dalla morsa dei politici della città, abituati fino a quel momento a mettere le mani su tutti gli interventi della New York ottocentesca. Il progetto di Olm sted e Vaux , intitolato

‘Greensward’5, vedeva il parco come un’op e ra d’arte totale , che doveva essere veicolo di concetti legati alla virtuosità della natura. Nella mente di Olmsted, infatti, esso non doveva essere ricolmo di dettagli, monumenti e statue, non doveva anzi contenere alcun elemento che ricordasse valori culturali prestabiliti. Il parco doveva offire ai cittadini appartenenti a qualsiasi classe e condizione una visione elevata della civiltà, slegata all’idea semplicistica americana fino ad allora legata agli elementi naturali: un parco capace di correggere gli atteggiamenti causa di disordine sociale, con la convinzione che un’adegua proettazione degli spazi in cui l’uomo vive potessero influenzarne le azioni sociali6. Quando Olmsted elaborò la sua prima pianta, solamente il 10% degli abitanti della popolazione di New York viveva al di sopra della 40th Street: il parco quindi altro non era che un’are a ve rd e su b u r b a n a i n u n territorio an cora q u a si r u ra l e e risultava così molto lontano da quelli che allora erano i quartieri più poveri della città, i primi che avrebbero dovuto beneficiare degli influssi

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la presunta morte dello spazio pubblico americano

spaces

positivi del parco stesso. Central Park venne comunque realizzato e aperto del 1858, non senza polemiche; i riformisti, che in quel momento andavano proclamando l’importanza dei parchi giochi, soprattutto nelle vicinanze di aree povere e degradate, obbligarono la città ad inserire del progretto anche alcuni playgrounds. Quando il progetto venne realizzato non ci si era ancora resi conto dello sforzo m o n eta ri o che la città avrebbe dovuto sostenere e nei primi decenni del Novecento il parco ritrovava già in stato di abbandono. Fino agli anni ‘60 Central Park, e con esso tutti i parchi del sistema del verde sotto la proprietà del gove rn o cittad in o p r ivo d i fondi , rimase una distesa verde, ricolma di rifiuti ad ogni angolo, dall’arredo urbano danneggiato e privo di un’adeguata manutenzione. Grazie alla fondazione della Cent ra l Park C o n s e r va n cy nel 1980 da parte di Elizabeth Barlow Rogers7, il parco ricevette 150 milioni di dollari da enti, privati e famiglie altolocate della città e venne trattato come un’istituzione culturale vera e propria.

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Questa vicenda rappresentò la prima vera riflessione relativa ai finanziamenti della città e stabilì il successo della prima partnership pubblico - privato, che da questo momento in avanti diventò la forma di finanziamento, gestione e manutenzione prediletta dello spazio pubblico newyorkese. Ancora oggi la Central Park Conservancy è stata incaricata di occuparsi della manutenzione del parco, viste le gravi difficoltà economiche del Parks Department, e lo spettro di una possibile privatizzazione spinge molti critici ad affermare con vigore la necessità da parte della città - e più in generale di tutte le città americane - di togliere la proprietà degli spazi aperti pubblici dalla mani del governo cittadino, lontano dai sicuri retaggi di una democrazia ormai in bilico. Quello che è certo, però, è che nel momento in cui tali spazi a scala territoriale cadono facilmente nel degrado, i primi abitanti a farne la spesa sono quelli appartenenti alle fasce sociali più basse, disperate poi a tal punto da rappresentare un problema di cui la società intera non può altrettanto facilmente disfarsi.

7 Il commissario del Dipartimento dei Parchi, Henry J.Stern, definì Elizabeth B.Rogers ‘the woman who saved Central Park in the 20th Century’



03 infinite broadway


infinite


infinite broadway

broadway 03 Infinite Broadway

La Broadway, il sentiero indiano che portava fuori Mannahatta già prima della nascita della stessa colonia olandese, è rimasta nei secoli l’unico s e g n o tan g ib ile d ell’o ro g raf ia de l l ’ i s o l a prima che venisse completamente appiattita dal Commissioner’s Plan del 1811. E proprio per questo rimane l’unico elemento autentico, e ancora oggi visibile, che rimanda alla sto ri a p re- mo d er n a d ella città e d e ll ’Am e rica t u tta: anche se ormai quasi tutta l’architettura e l’urbanistica dell’isola possono essere considerate storiche, nonostante la maggiorparte dei lotti siano in continua trasformazione, la via diagonale può essere davvero considerata la spina dorsale che, anche se non influenzò in modo particolare il piano del 1811, rimase per lo meno inva riata fi n o a i g i o rn i n o st r i. L’i mp o rta n za che essa riveste dunque nella forma e nell’identità della città è indiscutibile e proprio per questo proporre un p ro getto di r i n n ovo e ri qu alifica zio n e u r b a n a che l a ri g u a rd i s ig n ifica d over fa re i conti con l a sto ri a d ella c ittà, fin dalle sue origini, comprese quelle scarsamente note. Le trasformazioni che stanno investendo alcuni brevi ‘brani’ della stessa negli ultimi anni, però, non sono la rivelazione della comprensione del r uo l o fo n d a mentale d ella Bro a dway ne l te s s u to d ella g r ig lia, quanto l’emergere di un’esigenza evidente di nuovi spazi di respiro e di carattere pubblico della città, ormai congestionata non solo dal traffico automobilistico ma anche e soprattutto da quello pedonale. New York, invasa ogni anno da nuovi residenti e da orde di turisti sente la necessita di riportare alcuni spazi alla città: ecco perché una della ultime iniziative del governo del sindaco Bloomberg ha riguardato proprio la

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pedonalizzazione di un tratto de l l a Broadway, nel Theater District, includendo anche la famosissima Times Square, che da semplice incrocio di strade trafficatissime è diventata oggi una piccola piazza, colonizzata da turisti da ogni parte del mondo e accuratamente esclusa dai percorsi dei residenti newyorkesi. Il progetto per una nuova Broadway si inserisce dunque in un panorama già attivo e sensibile al tema dello spazio pubblico: proporre quindi una lunga piazza che attraversi tu tta Manhattan significa in primo luogo progettare uno spazio pubblico accessibile a tutt i a scala urbana, che metta in relazione e forse anche in conflitto tutte le molteplici anime della città. La caratteristica infatti che più interessa e rende il progetto innovativo è quella di proporre uno spazio pubblico continuo lineare che metta in connessione le differenti culture dei quartieri che attraversa: Manhattan è infatt i un’ isola di isole, di tradizioni diverse e di spazio collettivi molto differenti, legati ai singoli neighborhoods. Un’idea dunque di città lenta, in forte contrasto con la velocità attuale dei ritmi quotidiani percepiti proprio a partire dalle strade, che riporti un’attenzione, forse anche tutta europea, sul tem a dello spaz i o pubblico, che negli ultimi anni in America è stato da più autori dichiarato come ‘morto’. La convinzione che il progetto vuole esprimere è proprio quella dell’importanza, specie nelle metropoli, di rif lettere circa la m ag g i or esigenza dell’essere um ano: lo ‘stare in società’ e il recupero di uno stile d i vita lento, in un certo senso più naturale e sostenibile, che combatta lo spazio virtuale e privo di contenuti che sembra oggi colonizzare la nostra civiltà.



infinite l’utopia della broadway griglia


l’utopia


infinite broadway

della griglia

03.1 L’utopia della griglia

Quando T h o m as Jefferso n enumerava le caratteristiche positive che uno schema a griglia poteva avere, specie per la colonizzazione e l’urbanizzazione del Nuovo Mondo, non aveva certo in mente un’applicazione così alla regola e così estesa come quella che poi è avvenuta nei secoli successivi: certo è che l’applicazione di tale modello implicava la fede incondizionata in quello che si era trasformato in un vero e proprio credo. A partire quindi dalla filo sof ia del l ’e g u a l i ta rismo, la griglia era ritenuta il metodo migliore per l’organizzazione del Paese intero, cercando di p o r re su llo stesso p iano l a co st ru z i o n e d i c ittà e camp a g na, di nuclei urbani e nuclei rurali; l’obiettivo infatti era quello di enfatizzare, attraverso la ripetizione della figura geometrica del quadrato per un numero infinito di volte, come città e campagna potessero equivalersi ed essere progettate e pensate allo stesso modo. In particolare, però, per Manhattan fu ben diverso: la città dello stupore e delle meraviglie si concretizza ben oltre le rigide programmazioni territoriali e intraprende una scalata verso il cielo, che, come dirà Rem Koolhaas, corrisponde al delirio di New York. “La s u a m olt ip licazio n e all’ infi nito de l l a C u l t u ra d ella Co n gest ione Tota l e”, il motore a scoppio di New York, l’ingranaggio che fa muovere ogni giorno la macchina spettacolare di Manhattan, ha trascinato gli ideali della griglia verso i suoi stessi antipodi: la città che sale e predomina sulla campagna e sulla bassa densità, portando all’eccesso la moltiplicazione dei volumi sull’asse verticale. New York si ribella, assume un proprio carattere e si fa beffe persino del celeberrimo Le Corbusier: New York è mossa da una forza intrinseca, dal suo presuntuoso fascino che la

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rende improgettabile, ma creatrice di se stessa. La griglia che all’inizio era, nella concezione del suo promulgatore, una macchina di uguaglianza sociale e formale, a Manhattan si trasforma e si converte in una macchina per la costruzione inf inita. Ma, del resto, questo non può stupire: fin dai primi scritti legati al Commisioner’s Plan del 1811 le intenzioni dei progettisti della griglia sono chiari nel far coincidere i principali scopi della stessa con quelli di natura econom i ca e speculativa, nell’ottica di garantire alla città una dinam icità economica senza precedenti. Quello che non era stato previsto dai pensatori del piano fu però la capacità di Manhattan di attrarre masse di immigranti da tutte le parti del mondo e di accoglierle diventando n e tem poraneam ente la nuova patr i a : il risultato fu nel tempo una miscellanea di identità differenti a stretto contatto, compresse in poche vie, che col tempo divennero veri e propri quartieri pressoché indipendenti ma capaci di fare parte di un tutto. Ogni quartiere si trasforma in un clone della patria lontana e con sé porta le tracce di una cultura lontana da quella che poi sarà la cultura americana, ma che invece oggi sono le origini multirazziali e multietniche della Grande Mela. Paradossalmente l’omogeneità prodotta dalla griglia, il tentativo di rendere uguali i diversi punti ad essa appartenenti e l’ ‘appiattimento’ forzato dell’isola per ottenerla e realizzarla hanno prodotto una vera e propria degenerazione che ha portato la città a fondarsi su di una terza dimensione, l’altezza, e sulla diversità culturale. Da qui l’importanza, nel contesto attuale, di un progetto che ripercorra interamente la diagonale


l’utopia 1

figura 1 Ap p licazion e

a stratta

della

g riglia all ’att u ale su d d i vi s i o n e ‘a tavolin o ’ d ei co nfini d eg l i Stati Uniti d ’A me rica

e che attraversi tutti i ‘neighborhoods’ della città, riscoprendoli come in un racconto. Uno spazio pubblico progettato a partire d alla g r ig lia: non da quella astratta imposta nel tempo a tutti gli Stati d’America, quasi a tavolino, ma quella reale, quella che ha determinato la città stessa , le cui strade sono veri e propri confini per i quartieri all’interno dell’isola. La particolarità della Broadway è quindi quella di interrompere costantemente la griglia, generando non solo nuove e dif ferenti v iste e scorci, solitamente monotoni nel resto delle intersezioni di strade perpendicolari, ma consente anche una diversa mobilità tra i quartieri e nella città, collegando nord e sud in un’unica soluzione. Quest’ultima peculiarità mette in gioco il confronto tra quartieri non solo molto d iversi t ra loro, ma con storie e caratter ist iche sociali ed economiche mo lto d iffe renti tra loro. Infatti la stessa sezione della strada presenta minime variazioni da chilometro a chilometro: lunga 21 c hilometri circa, essa ospita nella parte più alta della città uno spartitraffico verde, unico elemento che la contraddistingue dal tratto sud della stessa. La Broadway offre quindi pressoché la stessa faccia a tutti i neighborhoods, dal Financial District al Parco di Inwood, attraversando att iv ità d if ferenti e densità a volte an c h e mo lto contrastanti: l’operazione che rappresenta un progetto per la Broadway è prima di tutto sociale e culturale, un’azione consapevole che punta ad una riqualificazione dell’intera isola. In questo senso il concetto utopico originario insito nel sistema della griglia non solo viene rispettato, ma am plif icato e

portato all’e c c e ss o, in piena logica del ‘Manhattanismo’, imponendo attraverso il progetto una rie q u i l i b ra z i on e d e l l e for ze sociali ed econ om i c h e d e l l ’ i sol a. Tale trasformazione è già in atto ed è possibile affermare che l’aumento dei valori immobiliari rappresenti un passaggio obbligato per tutti i quartieri dell’isola, tenendo in considerazione l’aumento di popolazione e di appetibilità di tutti i quartieri, che stanno progressivamente subendo una riqualificazione diffusa e un abbellimento puntuale degli spazi aperti e dell’aspetto esteriore degli edifici. In quest’ottica proporre un progetto che coordini tale processo inevitabile consente un controllo m a i u t i l i z zato n e l l a pianificazione della città,voltounicamente ad assicurare la presenza di un numero di spazi pubblici sufficienti, u n ’ i nfra st r u tt u ra pubblica cont i n u a ca p a c e d i for n i re il fabbisogn o d i s p a z i o col l ett i vo, la carenza o la progettazione povera ed errata dei quali rappresenta la principale piaga di alcuni dei neighborhoods più disagiati. Non bisogna comunque dimenticare che l’applicazione d e l l a g r i g l i a s u t u tto il suolo dell ’ i sol a op e rata d a l p i a n o del 1811 no n è i n a l c u n m od o l e gata agli ideali c h e l a g r i g l i a a st ratta proposta dal quarto presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson appunto, portava con sé: dalla mag l i a q u a d rata i nfatt i s i passò una ma g l i a retta n gol a re vol ta alla massimi z za z i on e d e l re n d i m e nto possibile, ricavabile dalla vendita di interi isolati, successivamente divisi in una quantità di lotti interni talvolta irragionevole.

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infinite broadway

della griglia

2

3

4

figura 2 L’ isola

e

il

Manhattan, ricorperta

B orough

di

simbolicamente da

una

g rig lia

a

mag lia quadrata come quella proposta Jefferson Jefferson,

dal

presidente

attraversata

dalla

B roadway figura 3 L’ isola e la gr iglia reale ad essa applicata con il piano del 1811 figura 4 La Contea di New Yor k, che comprende al suo inter no i 5 boroughs: Bronx, Queens, Brookly n, Manhattan

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S taten

Island

e


l’utopia 5

figura 5 Evolu zion e

d el l a

co str u z i on e

d ella Broa d way in rel a z i o n e all’espans io n e d e lla città figura 6 Individuazione dei 13 n e i gh b or h ood s ch e

la

Bro a d way

att raversa

lu n go

ta g l i a i

su o i

e 21

c hilometri

1 Citazione tratta dal testo di Mario Maffi, ‘ Sotto le to r r i d i M a n h atta n ’,

La storia della Broadway, così intrecciata con l’evoluzione della città stessa, dimostra come la scelta di questa diagonale come principale strada pubblica della città sia non solo giustificata, ma voluta e ricca di significato: da grande ar ter ia d i scorrimento si trasforma in u n a sp in a dorsale di spazio pubblico capace di contenere non solo tutte le prerogative già proprie dei grandi sistemi continui presenti nell’isola - come Central Park, ad esempio -, ma anche di presentare nuove caratteristiche legate ai singoli neighborhoods, alle realtà locali che attraversa.

Rizzoli, Milano, 1998

I piccoli spazi oggi presenti in maniera diffusa nella Grande Mela non verranno per questo sostituiti o messi in ombra dal grande b o u leva rd della Broadway, ma al contrario quest’ultimo rapprenta una sorta di vetrina dei quartieri stessi, una porta di inv ito all’esplorazione del mondo che pulsa e si muove tra le vie della fitta maglia della griglia. Ogni quartiere porta con sé un’anima differente; nell’analisi della città condotta per capire come i diversi tratti della Broadway dovessero caratterizzarsi in base ai differenti

neighbohoods, proprio questi ultimi sono stati suddivisi in gruppi principali in modo tale da poter stabilire una sorta di mappatura delle 13 miglia di cui è costituita la Broadway stessa. In questo modo, si tenta di riportare attraverso il progetto una sorta di p a r i tà d ’atte n z i on e f ra quartie r i ‘ r i c c h i ’ e q u a r t i e r i ‘poveri ’, producendo una vision che ben si adatti sia ai quartieri a bassa densità del nord dell’isola, per la maggiorparte caratterizzati da edifici bassi e grandi spazi aperti vuoti, sia che ben si amalgami con i quartieri del sud o del centro dell’isola, formati per lo più da isolati ad elevata densità e composti da edifici alti, centro delle attività più redditizie e relative al commercio di tutta Manhattan. In fondo Manhattan altro non è che una c i ttà d i villag gi e la via preferenziale per evidenziarlo è proprio costituita dalla Broadway, attraverso la quale diverrà sempre più facile muoversi al fine di ‘to go s l u m m i g ’ 1 - ‘a n d a re p e r villag gi ’ - , se la politica di abbellimento e omogeneizzazione culturale attualmente in atto subirà una battuta di arresto.

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della griglia

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infinite un’isola di broadway isole


un’isola


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di isole 03.2

1

Un’isola di isole

E’ ormai noto che l’intera isola di Manhattan sia costituita da una mo lt it u d in e d i id entità c u l t u ra l i , so c ia li ed eco n imiche di f fe re nt i , capace di interagire e convivere, ma p e rfetta mente iso late le une dalle altre. Ma ciò che forse accentua maggiormente l’idea e la percezione fisica di queste mic ro realtà é la presenza di quartieri ad alto contenuto problematico, che storicamente hanno costituito un rifugio per le fasce meno abbienti di immigrati soprattutto provenienti da Africa e Cina: sono infatti proprio le realtà presenti in quartieri come il Lower East Side, il Greenwich Village o Harlem con le loro ‘ten s ioni com u n i ta ri e ’ a rappresentare ancora di più l’idea di New York cosmopolita, più ancora che la Fifth Avenue o Times Square. Questi cosiddetti villaggi dentro la metropoli non furono solo -e alcuni continuano ad esserlo- l u o g hi d i ab b r u t imento e de g ra d o f i s i co e mo rale, ma col tempo rappresentarono anche n u c lei d in ami ci e veri e p ro p ri lab orato r i so c ia li . Proprio questa effervescenza, dai tratti spesso forti e violenti, ha prodotto mo lte fo r m e di s pa z i o e d i var ia zio n i u r b a n e, a partire dalla rielaborazione dell’utilizzo degli spazi pubblici ufficiali pensati dal governo, fino alla produzione di s p azio p u b b lico r itag l iato s u m i s u ra p er la co mu n ità - ad esempio nel Lower East Side sono recentemente nati i community gardens e in Harlem alcuni tetti degli edifici sono stati trasformati in veri e propri orti per la popolazione -. Il progetto di una Broadway pensata come uno spazio pubblico lineare continuo porterebbe dunque ad arricchire soprattutto lo scenario di questi quartieri, da sempre abituati a combattere le carenze della progettazione

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figura 1 Manhattan, un’isola di isole collegate da una Broadway astratta e rettilinea


un’isola 2

da parte del governo di spazi idonei per le comunità. L’aspetto culturale dell’intero progetto emerge in maniera ancora più forte poichè la Broadway viene pensata come una st r i p completam e nte p e d on a l e - che consente in alcuni punti, ogni 5 isolati, l’attraversamento carrabile ai veicoli provenienti dalle vie della griglia - : un bra n o d i c i ttà l e nta i n for te contrapposi z i on e con l a c i ttà ve l oc e, quella conosciuta da tutti, sempre più virtuale e tecnologica. La città velo c e si fonda su spazi pubblici legati ad una circolazione veloce, agli spostamenti rapidi che avvengono sotto la superficie urbana, ed è arrichita ogni giorno di più dalle innovazioni tecnologiche, come i punti wi-fi distribuiti a spot nello spazio aperto. Questi sono solo alcuni elementi che la caratterizzano, ma sono rappresentativi della città che non si ferma, che non ha bisogno di spazi pubblici di ampio respiro, che si appoggia ai servizi efficienti che la metropoli sa offrire: essa si trova concentrata soprattutto nella parte sud e in quella centrale dell’isola, proprio nei quartieri più abbienti e più noti di tutta Manhattan.

figura 2 Manhattan, un’isola di isole composta da istituzioni culturali, spazi aperti e area d’influenza della metropolitana figura 3 La città veloce figura 4 La città lenta

La città lenta , invece, è quella che emerge dagli spazi aperti pubblici - parchi, giardini e altri spazi legati alle attività più ‘naturali’ dell’isola - e da quelli invece a scala di quartiere, pronti ad accogliere le pause quotidiane dei cittadini frenetici, addobbate il più delle volte con tavolini e sedie movibili; il tutto arricchito da un ulteriore elemento contrastante con la cultura americana e di derivazione appunto europea, il mercato, che sempre più sta prendendo piede anche nella Grande Mela, quasi a riprova della necessità di un ritorno ai ritmi lenti e al

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di isole 3

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un’isola 5

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di isole 7

contatto con le risorse della terra. La Bro a d way p ed o n a le e lenta si inserisce quindi in una città prettamente veloce, dai ritmi inarrestabili, e trova l’occasione per potenziarne gli ambiti lenti, gen eran d o un vero e p ro pr io sistema lento della c i t y. Infatti insieme a Cent ra l Par k , il luogo per eccellenza concepito per il riposo e lo svago di tutti i cittadini di qualsiasi categoria sociale, e all’anello delle cosiddette ‘sh o relines’, ovvero della costa, il sistema dello spazio aperto continuo di grandi dimensione si chiude: insieme questi tre elementi costituiscono progettualmente il fabbisogno della città di aree aperte di sfogo e disegnano un paesaggio fatto di elementi naturali e di piazze, tutte volte alla determinazione di un n u ovo r itm o, un te m p o l ento d i v ivere lo spazio ur b a n o. Tale sistema, la cui complessità sta soprattutto nella relazione tra i suoi elementi, influ e nza i nev i ta b i l m e nte i n eig h b o r h oods c h e att rave rsa : così come Central Park, pur rappresentando uno spazio aperto riconosciuto e utilizzato a scala territoriale, esercita un’area di influenza sui principali quartieri limitrofi Upper East Side, Upper West Side, Harlem e Midtown Manhattan - , allo stesso modo la linea costiera, fatta di parchi lineari solitamente ad un livello inferiore rispetto alla città, tiene assieme anche i quartieri più periferici mettendoli in connessione con i quartieri più lussuosi, come il Financial District. In questa visione di progetto, la Bro adway trova i l s u o p u nto d i in izio e d i f ine

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proprio nel sistema delle coste e u n suo perno centrale in Central Park: la sua influenza si estende al resto dei neighborhoods solo parzialmente toccati dagli altri due elementi e garantisce una connessione tra nord e sud e dei tre sistemi contemporaneamente.

figura 5

Gli effetti che l’introduzione di una diagonale pedonale e attrezzata a spazio pubblico può avere sono innanzitutto sociali e cultura l i, poichè permetterebbe anche ai quartieri che fino ad oggi hanno vissuto nell’ombra di proporre una loro ‘vetrina’ sulla Broadway stessa e partire dallo spazio lì proposto per garantire una riqualificazione capillare.

influenzano

Ma non sono da escludere anche ricadu te di tipo economico, che sarebbero capaci di permettere anche ai quartieri attualmente in svantaggio, il più delle volte periferici, di entrare a far parte di una logica economica più favore; in aggiunta il progetto di una Broadway molto radicata nel locale e che propone uno spazio pubblico legato al quartiere porta con sé inevitabilmente un ‘revival’ de l l e regolam entazioni che consentono lo sviluppo dei P.O.P.S. a Manhattan. Tale disposizione degli anni Settanta concesse una maggiorazione di diritti edificatori in cambio di costruzione e gestione di nuovi spazi pubblici, meccanismo che oggi, specie nei quartieri depressi, consentirebbe, a f ronte d i un aum ento di volum etria comunqu e destinata ad av venire, di attrezzatu re gli stessi con nuovi spazi urbani p e r la collettività, capaci di migliorare la qualità urbana, verso una visione di città più sostenibile, anche dal punto di vista umano.

Il sistema dei tre grandi spazi aperti continui: Il sistema delle coste, quello di Central Park e quello progettuale della Broadway figura 6 I tre sistemi e i neighborhoods che

figura 7 Gli effetti che il progetto di una Broadway lenta e pedonale potrebbero apportare alla città di Manhattan



infinite spazio pubblico broadway puntiforme vs spazio pubblico continuo


spazio pubblico puntiforme


infinite broadway

VS spazio pubblico continuo 03.3 Spazio pubblico puntiforme VS spazio pubblico continuo

Lo sviluppo urbanistico dell’isola, improntato al massimo rendimento possibile grazie alla vendita degli isolati della griglia, n o n h a p er me sso ne i s e co l i u n a p ro getta zio n e d el suolo i m p ro ntata a lla co n ser vazion e d i spazi vu ot i n e l l a città. Tale mancanza ha oggi delle r ip erc u ssioni mo l to ev i d e nt i e gravi: la mancanza di spazi pubblici aperti e non di dimensioni importanti e uno skyline molto denso. Queste sono però, ormai da decenni, le vere caratteristiche della metropoli di New York e come tali la configurano e la rendono per questo u n a d elle c ittà p iù co n osc iu te e r i co n o s ci u te a l mon d o.

è sempre più forte, non solo tra le autorità cittadine, ma soprattutto tra le comunità, a tal punto da aver generato e contribuito alla form azione di vere e prop r i e associazioni di tutela dei parchi, dei giardini, delle piazze e via dicendo. Queste ultime possono essere sia di natura ufficiale e chiaramente riconosciute dagli enti appartenenti alla municipalità, con alcuni poteri decisionali di quartiere in quartiere, ma si possono anche configurare come associazioni spontanee dal bas s o, senza particolari strumenti di attuazione, ma con un potere di intermediazione notevole tra cittadino e classe politica.

Proprio tale mancanza, tuttavia, ha fatto sì che i pochi spazi collettivi aperti distribuiti per tutta l’isola assumessero nel tempo delle caratteristiche e un’importanza all’interno della routine quotidiana dei cittadini enorme e sono oggi u n vero esemp io d i lu o g hi di a g g re ga z i o n e so c iali e d i sp azi u r bani fun z i o n a nt i e r ico n o sc iu t i att rave rso pre ci s e i d e ntità . Escludendo dunque i sistemi di Central Park e quello dell’anello formato dalle coste, ormai quasi completamente riqualificate o in via di ‘ristrutturazione’, q u est i mic ro spazi di s s e m i n at i per la c ittà so n o il p unto di ri fe ri m e nto p er la c itta d in anza, non solo per i nuclei familiari, ma anche e soprattutto per i businessmen, i giovani e gli ‘undesiderable’ della società.

Il progetto di una Broadway pedonale e completamente pubblica, intrisa di spazi dedicati alla collettività, deve perciò tenere conto della moltitudine di piccoli spaz i , per lo più interstiziali, se si escludono le maggiori piazze della città, a cui la Broadway stessa non intende andare a sostituirsi. É invece fondamentale cogliere la com plementarietà del progetto, che necessariamente non solo dovrà possedere contenuti nuovi rispetto a ciò che è già presente all’interno dei neighborhoods, ma che dovrà anche interagire con la struttura urba n a formata da tali spazi puntiformi, in modo tale da organizzare una rete sul territorio di spazi attivi e dinamici per la collettività.

Ogni neighborhood, inoltre, esprime esplicitamente attraverso la progettazione governativa o quella dal basso l’a n ima del qu a rt i e re , sia attraverso le attrezzature contenute in tali spazi, sia attraverso l’uso che di essi viene fatto: oggi la consepevolezza dell’importanza della presenza di tali spazi

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La Broadway dunque si presenterà come una spina dorsale pubblica e lenta , pronta al collegamento e al contatto con tutti gli altri spazi dei quarti e r i: la sua diagonalità infatti consente un facile spostamento trasversale alla stessa strada e sul suo cammino incrocia già differenti spazi pubblici importanti, quali Union Square,


spazio pubblico puntiforme

Madison Square e Times Square, solo per citare i più famosi. Dal punto di vista quantitativo, lo spazio pubblico esistente, quello più rappresentativo della città, costituisce circa una cifra pari a 373 mila metri quadrati rispetto ai circa 3 milioni di metri quadrati di spazio pubblico totale esistente. La Broadway andrebbe ad aggiungere circa la stessa quantità di spazio pubblico a quello già esistente, provvedendo quindi ad un raddoppio dello stesso e fornendo alla città un notevole strumento di supporto ai quartieri soprattutto dal punto di vista sociale. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, l’aspetto dimensionale non è in questo caso relativo: il contrasto infatti tra i grandi spazi pubblici di cui è fornita o sarebbe fornita in futuro la città - attraverso lo spazio della Broadway, di Central Park e delle coste - e i piccoli spazi interstiziali è fondamentale per cogliere l’appo r to i n n ovat i vo del progetto. La Broadway e la sua pedonalizzazione consentirebbero infatti un p e rcors o continuo l u n go 21 c h i l om et r i attraverso una su c c e ss i on e di dif ferenti sp a z i p u b b l i c i g l i u n i l e gat i agli altri di differente entità rispetto allo stesso tipo di spazi dissemintai per l’isola. Una catalogazione dei maggiori spazi di successo e un’analisi di tutte le loro caratteristiche, da quelle dimensionali a quelle socio-culturali del neighborhood di riferimento, risulta fondamentale al fine di p rop or re u n progetto che l oca l m e nte p oss a e ss e re non solo co m p re s o e con d i vi s o, m a anche e sopratt u tto fu n z i on a nte d a l punto di vista u r b a n o e u m a n o.

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VS spazio pubblico continuo

quality of life number of trees

number of murders 2006

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0

0

0

0

average price for an apartment

$ 3.178.200

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spazio pubblico puntiforme

quality of life number of trees

number of murders 2006

2007

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$ 1.535.000

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infinite broadway

VS spazio pubblico continuo

quality of life number of trees

number of murders 2006

2007

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1

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$ 3.372.800

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spazio pubblico puntiforme

quality of life number of trees

number of murders 2006

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$ 4.473.000

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infinite broadway

VS spazio pubblico continuo

quality of life number of trees

number of murders 2006

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2

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$ 3.062.000

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spazio pubblico puntiforme

quality of life number of trees

number of murders 2006

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average price for an apartment

$ 2.458.000

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VS spazio pubblico continuo

quality of life number of trees

number of murders 2006

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1

1

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average price for an apartment

$ 3.158.800

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spazio pubblico puntiforme

quality of life number of trees

number of murders 2006

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2

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1

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average price for an apartment

$ 1.885.000

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VS spazio pubblico continuo

quality of life number of trees

number of murders 2006

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1

1

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average price for an apartment

$1.525.000

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spazio pubblico puntiforme

quality of life number of trees

number of murders 2006

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average price for an apartment

$ 1.847.000

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infinite broadway

VS spazio pubblico continuo

quality of life number of trees

number of murders 2006

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9

7

2

average price for an apartment

$ 599.000

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spazio pubblico puntiforme

quality of life number of trees

number of murders 2006

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6

7

3

average price for an apartment

$ 520.000

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infinite broadway

VS spazio pubblico continuo

171



infinite una cittĂ broadway pubblica orizzontale


una cittĂ pubblica


infinite broadway

orizzontale 03.4 Una città pubblica orizzontale

L’idea di una Broadway pedonale e lenta, pensata come uno spazio pubblico lineare continuo, rimanda ad una v ision che vede lo spazio occupato dalla stessa come u n vo lume v u oto : considerare quindi lo spazio aperto come un vero e proprio volume da utilizzare consente di portare avanti la convinzione che lo spazio aperto, in particolar modo quello pubblico, necessiti di un progetto e di un’idea ispiratrice tanto quanto quello chiuso, costruito. Il vo l u m e o c c u p ato d a lla Bro ad way, infatti, non interagisce unicamente con le direzioni sul piano bidimensionale della griglia, ma p o s s i e d e u n a vera e p ro p r ia altezza che le consente di relazionarsi con gli edifici e le densità dei quartieri che la circondano. Ecco quindi appropriata l’immagine di un vol u m e ‘s d raiato ’ su lle t ra c c ia della 1

175

Broadway stessa, il cui disegno esterno ed interno dipende dalla griglia che lo circonda, quasi come a riflettere i quartieri tutt’attorno. Pensare quindi ad un volume, e alle relat i ve ‘stanze’ in esso contenute , sdraiato su se stesso significa lavorare per sezioni, per viste e per ambienti tridimensionali, riportando lo spazio pubblico ad un progetto più accurato, definito e ispirato. É in fondo una logica, quella di ragionare per volumi, che rimanda subito allo stesso criterio che ispirò il piano del 1811, anche se quest’ultimo ebbe esiti di natura maggiormente speculativa ed economica: in questo caso invece lo stesso principio viene considerato un modo per assicurare allo spazio pubblico un progetto attento ai rapporti con le identità c h e lo circondano e un modo per riporta re

figura 1 U na ‘v ision’ per la Broadway: un volume sdraiato sulla traccia della stessa, disegnato dalla griglia reale della città


una città pubblica 2

figura 2 Ge n esi

del l a

vi s i o n

per

la

Broa d way : il volume coricato viene modellato su tutti i lati, sia dalla griglia reale della città che dai basamenti degli edifici laterali esistenti, secondo un

l’atten zio n e verso uno spazio concreto e ta n g ib ile, non abbandonato a se stesso, come spesso accadde per molti spazi periferici pubblici della città, senza per questo imporre una progettazione dall’alto.

processo che richiama da vicino gli schizzi di Hugh Ferris per la concretizzazione dei propositi delle nuove leggi sugli edifici degli anni Venti

L’idea di ‘sco lpire’ il volum e immaginario sistemato sulla Broadway, scolpendo quindi il volume del progetto stesso, deriva dalla suggestione provocata dagli schizzi illustrativi di Hu g h Fer r is, prodotti in seguito alle nuove leggi sugli edifici della Zoning Resolution d el 1916, la quale prevedeva edifici la cui forma esteriore appariva simile a ziggurat. Ecco che le sue rappresentazioni mostrano come la superficie di un edificio potesse essere p last ica mente scolpita in modo tale da poter ottenere il volume desiderato e una sagoma adatta alle nuove normative allo stesso tempo. L’ispirazione giunge quindi da un tipo di mo d ella zio ne dello spazio in base a c iò c h e lo circonda e si fa particolarmente adatto per la ‘scultura’ della Broadway, spazio pubblico che deve inserirsi a livello locale in un contesto già ricco e definito, grazie ad una capcità di modellarsi attraverso ciò che la circonda.

La Broadway risulterà quindi scolpita, per così dire, e influenzata dalla g r i g l i a re a l e , sul piano d e l l a p la n i m et r i a e della suddivisione degli spazi, e dai b a sa m e nt i degli edif ic i s u l p i a n o d e l l e s u e facciate late ra l i , quelle cioè di quel volume immaginario che è possibile disegnare sulla traccia della strada stessa. Mentre i disegni di Hugh Ferris si ispiravano all’idea di una città veloce, frenetica e sempre in movimento alla conquista anche del cielo, la Broadway così scolpita tenta la costruzione di uno spazio l e nto, lo s p a z i o d e l l a c i ttà collettiva. Tale operazione, proprio per la sua n at u ra diagram m ati ca , si ntet i ca e i d e a l e, è applicabile a tutto l’assetto della Broadway e anzi proprio da tale proporzione e lunghezza trae la sua forza maggiore: tramite l’idea della scultura dello spazio infatti è possibile cogliere l’ i nfi n i ta va r i a z i on e d e l l a Broadway lun go i su oi 2 1 c h i l om et r i, grazie alla quantità e alla varietà di neighborhoods attraversati e alle diverse densità che si ritrovano ad accumularsi ai suoi margini laterali. Pur quindi sostenendo l’applicabilità del concept iniziale a tutta la lunghezza della

176


infinite broadway

orizzontale 3

Broadway e dichiarando che la forza del progetto è insita proprio in tale applicazione continua e lineare, è necessario lo st u d io ap p ro fon dito di u n o d e i 13 b ra n i precedentemente individuati, al fine di rappresentare nel concreto il progetto degli spazi che andranno a definire questo nuovo spazio pubblico lento e continuo. Tale approfondimento è stato effettuato per il primo dei neighborhoods attraversati dalla broadway stessa, il Fin a n c ial Dist rict, per una serie di motivazioni; in primis, per la sua p o s i z i o n e d i ‘testa ’ r isp etto alla s pi n a d e l l a Bro a d way, poichè rappresenta il p ri m o n u cl eo sto r ico fondato nel 1613 dalla compagnia olandese da cui l’arteria stessa prese vita; in secondo luogo per il ruolo che riveste ancora oggi di n u c leo d eg li affari e del l ’ i m m a g i ne ra p p resentat iva della c i ttà . Il Financial District è infatti la sede della Borsa di New York ed è qui nacque in fondo la vocazione della città per gli affari, dai primi scambi fino alle ultime transazioni mondiali. Tutto questo inoltre è stato messo in crisi ormai quasi un decennio fa con l’attacco terro ri st i co dell’11 settemb re 2001, che ha fatto vacillare le fondamenta non solo

177

delle torri gemelle che ha colpito, ma anche della cultura americana stessa e in particolare della città di New York; ecco quindi che l’attacco subito proprio in prima linea da questo quartiere pone delle questioni anche d i natura sociale ed etica, specie ne l l a ricostruzione dell’ intera area, che dopo la sua distruzione è stata vista come l’unica possibilità di ottenere una piccola area a spazio aperto pubblico, così carente in questo primo tratto dell’isola. Il Financial District si presenta come un tessuto fitto e dominato dai grattacieli, prettamente a destinazione commerciale e terziaria, con vocazione dirigenziale rispetto alle attività di tutta l’isola: è però uno d e i pochi quartieri della città che n on venne com pletamente rigidame nte organizzato secondo la griglia d e l 1811 poichè portava con sé già all ora il reticolo del prim o nucleo sull’ isol a. Il reticolo stradale si presenta quindi organizzato secondo una trama più diversificata e complessa rispetto alla griglia successiva, anche se molte strade furono nel tempo rettificate. La Broadway, in questo caso, costituisce realmente la spina dorsale del quartiere e serve

figura 3 Il

quartiere

del

Financ ial

D istric t: posizionamento all’interno dell’isola; pieni, griglia della rete stradale, rete dei vuoti più importanti; tessuto e dimensioni; rapporti tra il vuoto della Broadway e gli elementi di maggior rilievo presenti nell’area


una città pubblica 4

figura 4 Mod ello d i stu d i o : la Broadway viene rappresentata come un spazio tridimensionale con il suo spessore, come un vero e proprio volume che si snoda in mezzo agli edifici del Financial District. Lo spazio della stessa è disegnato dalla griglia reale formata della rete viaria e dal filo degli edifici stessi

da punto di orientamento per gli spostamenti al suo interno: essa connette inoltre i punti più importanti dell’intera area, dalla Trinity Church alla S.Paul’s Church, con i rispettivi churchyard, dalla brosa al World Trade Center, da Bowling Green al parco della City Hall. Tutti questi elementi caratteristici dell’area e i fili stessi degli edifici rappresentano elementi p o r tant i per la def inizione dello sp azio t r id imensionale costituito dal v u oto d ella Broadway : quest’ultimo infatti

risulta letteralmente disegnato dalla griglia formata dai fili dei basamenti degli edifici e dal reticolo stradale presente, che ritaglia vere e proprie ‘sta n ze ’ d i p rogetto, n on solo a partire d a l p i a n o d e l su ol o, m a anche esten d e n d osi a d a l c u n i s p a z i sopraelevati, pensati per essere collocati nella parte alta degli edifici di maggiore importanza presenti nell’area. Il

vuoto

qu i n d i

178

vi e n e

con s i d e rato


infinite broadway

orizzontale

a l la st re g u a d i u n vero e p roprio pi e n o, la cui progettazione non è dunque rimandata ad un semplice allestimento delle attrezzature finalizzate al disegno dello spazio pubblico, come solitamente avviene negli spazi contemporanei, ma si fonda su uno studio accurato delle prospettive e degli spazi percepiti. L’operazione inoltre viene radicalmente adottata per tutti gli edifici e gli spazi aperti facenti parte del contorno della Broadway,

179

senza esclusione, anche se vengono tenuti in considerazione maggiore gli edifici che ormai possono essere classificati come edifici storici e per questo ad essi è riservato un trattamento meno invasivo, di tutela e di potenziamento del paesaggio e delle viste già presenti oggi. La griglia quindi qui proposta non è ancora la griglia reale e netta, quella cioè del Commisioner’s Plan del 1811, che si ritrova invece dalla Houston Street in poi, ma è la


una città pubblica 5

figura 5 Mod ello d i stu d i o : la Broadway viene rappresentata come un spazio tridimensionale con il suo spessore, come un vero e proprio volume che si

griglia dei fili degli edifici che si affacciano direttamente sulla Broadway e delle maggiori arterie che portano ai nuclei degli affari del quartiere, come Wall Street o Fulton Street.

snoda in mezzo agli edifici del Financial District. Lo spazio della stessa è disegnato dalla griglia reale formata della rete viaria e dal filo degli edifici stessi figura 6 L ayer di p ro getto : schema del rapporto tra pieni e vuoti nel tratto di Broadway del Financial District; diagramma

rappresentativo

del

In tale modo quindi si viene a determinare una c ittà a lter nativa a quella verticale, quella conosciuta a livello mondiale, quella cioè dei grattacieli: una città fatta di basamenti, di attività brulicanti al piano del suolo, di marciapiedi e di commercio informale, di street vendors e di collegamenti con la rete metropolitana della città.

coinvolgimento delle attività dei piani terra nel progetto; schema della griglia generata dai fili dei basamenti degli edifici

Un a vera e propria città orizzontale, contenuta nella città verticale, delineata a partire dalla città esistente, dalle sue attività e dal sua dinamicità: un progetto quindi che non vuole negare tutto quello che ad oggi rende New York un simbolo di fertilità e di dinamismo lavorativo e non, e che anzi desidera accogliere tali caratteristiche e potenziarle, affiancandovi un’attrezzatura lineare per uno spazio più lento, più a misura d’uomo, proprio sull’unica ar ter ia lenta rim asta invariata n ell’a ssetto urbano di Manhattan. Immaginare la città verticale fluttuante, quasi staccata, rispetto a quella orizzontale è un’operazione radicale che ha come obiettivo quello di p rendere in considerazione so lo la v ita dei marciapiedi, quella dei piani terra cioè, visibile dal passante, dal turista e dall’abitante: i basamenti diventano quindi il principale elemento identificativo del carattere che ciascun brano della Broadway assumerà nelle sue tredici miglia.

Il quartiere oggetto dello studio è un quartiere di carattere dirigenziale e presenta quindi edifici molto alti, a tal punto da contenere al suo interno alcune strade definite vere e propri ‘canyon’. Si tratta per lo più di cost r u z i on i a d i b i te ad uf f ici ed att i vi tà d i r i ge n z i a l i , quali sedi di banche o di società importanti, specie nell’area attorno alla borsa. Gli spazi aperti dell’area limitrofa alla sede stradale della Broadway non sono di grandi dimensioni, ma rappresentano alcuni punti di riferimento per tutto il quartiere: uno di questi è proprio il punto iniziale della Broadway stessa, Bowlin g G re e n , situato poco prima di Battey Par k . Quest’ultimo altro non è che l’antico punto di appordo di tutte le imbarcazioni che giungevano finalmente nel Nuovo Mondo e fu in un primo tempo occupato da un forte a difesa della nuova città che stava sorgendo: oggi Fort Washington altro non è che una attrazioni turistiche del parco che è stato costruito proprio sulla punta dell’isola. Bowling Green, invece, è una piccola area verde di forma circolare, anche questa dalle origini antiche e considerata la ve ra c u l l a d e l l a città, situata all’imbocco della Broadway, e molto fotografata per via di una scultura raffiguarante un toro ‘che carica’ dell’artista italiano Arturo Di Modica. Punto ricco di storia, rappresenta anche una delle poche aree verdi del quartiere, unita ai cimiteri della Trinity Church e della S. Paul’s Church, aperti al pubblico ma davvero poco frequentati.

180


infinite broadway

orizzontale

Al termine invece del tratto della Broadway nel quartiere del Financial District si trova invece un’altra area verde molto importante, il parco della C i t y H a l l, la sede della municipalità di New York. Il parco da sempre costituisce un luogo di rappresentanza e di denuncia dei problemi e dei dibattiti principali della città, proprio per il suo legame con la sede del municipio ed è anche un punto strategico della rete metropolitana del quartiere. Se si escludono gli spazi delle coste, come la Battery Park City Esplanade o l’area del South Street Seaport, gli altri spazi pubblici dell’intera area si riducono a due piccole piazze l’una di fronte all’altra: la piccola piazza di Z u c cotti Pa rk, popolata da qualche filare di alberi e da un mercato ortofrutticolo, e la piccola piazza ad essa antistante. La scarsità di spazio pubblico di questa parte di città è dovuta principalmente alla concetrazione di molte attività slegate da quella residenziale e alle sue origine più antiche, che la portano a presentarsi come il nucleo storico di tutta Manhattan. L’introduzione di una griglia dettata dai fili dei basements vuole significare non solo un ritorno agli id e a l i d ella g r ig lia jefferso n iana, ma anche l’applicazione di un sistem a or to go n a l e che possa dare vita ad una serie di stanze direttamente rapportate con il contesto e con la sua trama già così fitta e consolidata.

181

6


una città pubblica 7

figura 7 Ba sements

co m e

n u ove

l and scap e : le altezze dei basamenti rappresentano

una

nuova

linea

d’orizzonte per il progetto, che si relaziona soprattutto con le attività dei piani terra

La linea dei basamenti, tracciata secondo la co mp o sizio ne architettonica degli ed ific i stessi, che spesso a sua volta rispecchia la funzione da essi ospitata aulica o meno, costruisce quasi un nuovo paesag gio, u n ‘lan d scape’ articolato tra le altezze d ei p ia n i terra e dei mezzanini, in una corsa lineare e nel tentativo di una definizione dei basamenti stessi. Questo paesaggio di una nuova città orizzontale si lascia interrompere dagli scorci delle vie limitrofe, dai pochi vuoti che si affacciano sulla

Broadway quasi ad interromperla, in modo tale che gli stessi vuoti possano agganciarsi per così dire al boulevard lento della Broadway stessa. Questo tipo d i a p p roc c i o a l p rogetto dello spazio p u b b l i co con s e nte c h e esso venga a p p l i cato a d og n i t i p o di quartiere, che sia esso composto esclusivamente da edifici alti di pregio o che sia invece costituito da bassi caseggiati di poco valore, poichè si sofferma ed utilizza esclusivamente le attività o meno presenti nei baamenti degli stessi.

182


infinite broadway

orizzontale

Il vuoto si articola quindi muovendosi sul piano ed entrando o ‘facendo uscire’ i diversi elementi dei basements che incontra sul suo cammino. Il progetto considera quindi le att ività att u a l m e nte p resent i n el q u ar t iere ma sulla base di una fo r ma d ei b asam enti che invece appartiene alle architetture già consolidate degli stessi: il progetto dunque dovrà essere flessib ile abbastanza da considerare eventuali cambiamenti di funzione degli stessi basements in modo tale da sapersi adattare alla realtà estremamente dinamica della città di New York.

183

Le attività presenti spaziano da quelle legate alla ristorazione a quelle destinate ad uffici e sedi di importanti banche o istituzioni; a queste si affiancano le sedi dei principali gestori di catene di ristorazione per fornire alla quantità innumerevole di impiegati che quotidianamente affolla il quartiere un adeguato servizio di ristoro. La sequenza quasi ininterrotta e alternata di tali attività presenta solo in un due casi due eccezioni: quelle cioè legate alle attività religiose delle due chiese presenti.

figura 8 Attiv ità

dei

basements:

le

attività presenti nei basamenti degli edifici variano tra attività legate a sedi istituzionali, bancarie o uffici e attività di restorazione solo raramente interrotte da alcune eccezioni e da alcuni negozi di abbigliamento


una cittĂ pubblica 8

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infinite broadway

orizzontale

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una città pubblica 9

figura 9 U n nu ovo p a e s a g gi o : il suolo della Broadway si muove sui diversi livelli, ognuno dei quali è associato a diverse ‘stanze’ dello spazio pubblico

Il boulevard Broadway diventa quindi una striscia lunga 21 chilometri e larga circa 20 metri che si insinua tra i basamenti degli edifici e ne viene influenzata. Allo stesso tempo, la possibilità di influenzare e farsi influenzare dai basements produce un mo to del suolo della stessa che, per accogliere le nuove attività e le nuove caratteristiche previste per lo spazio pubblico di progetto, si sposta talvolta verso l’alto talvolta verso il basso, suggerendo nuovi spazi e nuove modalità di utilizzo degli stessi. Il nuovo ‘landscape’ è dunque formato non solo dai tratti della Broadway a livello 0, ma a n c h e d a n uovi spazi a livello +1 e -1, che, assieme ai basements e alle loro attività, producono uno spazio nuovo e sempre in va r ia zio n e, che a ciascun movimento del suolo propone nuove atmosfere e destinazioni differenti, quasi sottopaesag gi. Lo spazio pubblico continuo che si viene a creare in questo nuovo paesaggio dovrà rispecchiare una città lenta, in contrasto con quella frenetica e veloce oggi presenta: per fare questo vengono adottati c in que materiali, in forma di c in q u e d ifferenti layer , che rimandano agli spazi pubblici già presenti sul suolo di Manhattan. Da uno studio approfondito delle tipologie di spazio pubblico attualmente presenti nella città

emergono alcu n e t i p ol og i e i n n ovat i ve , che rappres e nta n o d e l l e i con e d e l lo spazio collett i vo d i New Yor k e che per questo possono essere implementate e portate all’eccesso proprio nella loro trasposizione nella Broadway. Queste tipologie sono rappresentate da: p i a z ze [ plazas] , pa rc h i [ p a rc h i ] , m e rcat i [ m arkets] , p a ss a g g i cop e r t i [ a rca d e s] e tetti [ rooftops]. Questi elementi, in parte già presenti nel tessuto, vengono qui rielaborati e ridisegnati e soprattutto vengono pensati per essere trattati consecutivamente, in una sequenza di ‘stanze’ appunto, su livelli differenti, associati ai rispettivi materiali. Tali layer sono stati selezionati sulla base di un’analisi a scala territoriale e per questo vengono proposti in maniera estesa a tutto il sistema della Broadway: proprio per questo in ogni quartiere ta li t i p ol og i e ca m b i e ra n n o e si connote ra n n o d iffe re nte m e nte con attrezzat u re , e l e m e nt i e ra p p or t i con i basam e nt i d iffe re nt i , se n za m ai cambia re p e rò l a l oro id e nt i tà sociale e s op ratt u tto i l l i ve l l o a cui apparte n gon o e a c u i ve n gon o associati.

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infinite broadway

orizzontale figura 10

10

Mate r i a l i d el n u ovo p a e sa g g i o p e r u n o sp a z i o p u b b l i co l e nto: i diversi layer del progetto vengono caratterizzati da una destinazione funzionale, che porta con sé una precisa identità. P iaz ze [ p l a za s ] Stanze ribassate adibite a piccole piazze non solo per risaltare spazi aulici antistanti, ma anche per ampliare spiazzi già esistenti e amplificarli o per connettere da un lato all’altro la strada Parc h i [ p a rc h i ] Aree verdi di piccole o medie dimensioni a livello del suolo collocate in prossimità di edifici simbolici o come pause/stacchi di suolo mineralizzato tra una stanza e l’altra della strada Mercati [ m a r kets ] Piattaforme rialzate che accolgono mercati quotidiani o settimanali, caratterizzati da prodotti freschi provenienti da tutti i distretti di New York, sollevata dal livello del suolo come a richiamare l’antica agorà Pas s a g gi co p e r ti [a rca d e s ] ‘Stanze’ coperte, poste solitamente in prossimità delle stazioni metropolitane o dei luoghi di interscambio, che facilitano il collegamento dalla strada lenta ai mezzi di trasporto veloce, tavolta con volumi a più piani Tetti [ ro o f to ps ] Spazi pubblici inseriti agli ultimi piani degli edifici privati, accessibili al pubblico a partire dalla strada sottostante, legati o meno alle attività contenute nell’edificio stesso

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una cittĂ pubblica 11

12

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infinite broadway

orizzontale 13

Ai cinque layer di progetto viene quindi a s s o ci ato u n mov imento d el suolo del l a B ro a d way stessa: le piazze sono pensate per essere leggermente scavate; i mercati si trovano rialzati rispetto al camminamento continuo; i parchi seguono la topografia del suolo attuale; i passaggi coperti si collocano ad altezze differenti da terra e si concretizzano in terrazze o in semplici gallerie; gli spazi pubblici collocati agli ultimi livelli degli edifici sono invece connessi a distanza con la Broadway sottostante.

Broadway, in aggiunta e in supporto del movimento veloce già esistente reso possibile dal sistema di metropolitana. Q ueste due operazioni unite assie m e rappresentano il processo di generazione dello spazio collett i vo che la Broadway ospita: la flessibilità che queste due azioni di progetto implica grazie alla loro astrazione e solidità concettuale porta ad affermare che il modello proposto può facilmente adattarsi ad ogni tratto della Broadway.

A sua volta, ognuno di questi materiali di progetto affronta in maniera differente il ra p p o rto co n il co ntesto, quello dei basamenti appunto, che lo circonda. Tre sono le possibili reazioni che esso genera: _ una situazione di co nt ig u ità, che vede lo spazio pubblico lambire gli edifici circostanti in un rapporto di continuità e confronto diretto; _ una situazione di so tt razio n e, in cui ai volumi dei piani terra vengono detratti alcuni spazi che si aprono allo spazio collettivo della Broadway o che semplicemente ne ospitano alcune funzioni; _un’ultima situazione di ad d izio n e di spazi e/o volumi, in aggiunta a quelli degli edifici, sia a livello del piano terra che ai livelli soprastanti

Ogni ‘brano’ della Broadway, infatti, possiede caratteristiche molto differenti e per questo motivo le logiche che generano i s u oi stessi spazi variano da neighborhood a neighborhood: è possibile dire dunque che non tutti i quartieri possono necessitare degli stessi materiali di progetto e della stessa quantità di questi ultimi e che le tecniche attraverso le quali tali layer si ‘attaccano’ al contesto sono scelte in base alle caratteristiche degli edifici e delle attività presenti, anche questi variabili secondo la densità del quartiere stesso.

figura 11 Proc esso

In aggiunta a questi processi di formazione dei volumi dello spazio della Broadway, si aggiungono considerazioni circa i m ezzi di t ra s p o rto c h e co n sent iran n o un mov i m e nto lento al d i so p ra della

189

generazione

dello spazio della Broadway : ragionamenti spaziali del rapporto tra materiali e contesto figura 12 Proc esso

di

generazione

dello spazio della Broadway : ragionamenti spaziali del rapporto tra materiali e mezzi di spostamento lento e veloce figura 13 Proc esso

Q uesta f lessibilità conduce inol t re alla produzione di uno spazio line a re complessivo estrem amente vario e d originale, che ben si amalgama col tessuto sul quale va ad agire, pur nella radicalità dettata dalla lunghezza della Broadway stessa. Solo per questioni di tempo, viene qui affrontato il progetto dettagliato di un unico quartiere, il Financial District appunto.

di

di

generazione

dello spazio della Broadway : diagramma rappresentante la logica di individuazione degli spazi a seconda dei differenti neighborhoods figura 14 Lo spazio della Broadway nel tratto del Financ ial D istric t: vista assonometrica della Broadway e degli spazi pubblici ad essa appartenenti suddivisi per layer


una cittĂ pubblica 14

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infinite broadway

orizzontale

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una cittĂ pubblica

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infinite broadway

orizzontale

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una cittĂ pubblica

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infinite broadway

orizzontale

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una cittĂ pubblica

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infinite broadway

orizzontale

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una cittĂ pubblica

198


infinite broadway

orizzontale Le sezioni della Broadway dimostrano come l’alternanza di spazi non solo adibiti a funzioni differenti, ma strutturati secondo forme urbane diverse, generi una continua variazione del tema dello spazio pubblico, con l’obiettivo però di mantenerlo lento e scorrevole allo stesso tempo. A tal fine sono stati predisposti camminamenti continui per tutta la lunghezza del quartiere, che evitano e aggirano i dislivelli, e sono stati ridotti al minimo gli ostacoli tra un elemento e l’altro e sono state preferite visuali di ampio

15

199

respiro. Questo tratto di Broadway richiama l’immagine del ‘canyon’ - nelle vicinanze di Wall Street si trova appunto la strada denominata ‘canyon of heroes’ - : il progetto, quasi divorato dalle dimensioni degli edifici che lo circondano, risulta più chiaro nelle visuali ad altezza uomo, così come percepito dal suolo, poichè estremamente radicato ad esso.

figura 15 Lo spazio della Broadway nel tratto del Financ ial D istric t: vista a volo d’uccello del ‘canyon’ del Financial District, con gli edifici soprastanti i basements in trasparenza figura 16 Lo spazio della Broadway nel tratto del Financ ial D istric t:

Le altezze dunque quasi spariscono, si velano di una trasparenza concettuale che sostiene la nuova città orizzontale pubblica che si viene a delineare.

spaccati

longitudinali

e

trasversali

del tratto del Financial District, con particolare attenzione alla connessione con il sistema di metropolitana


una cittĂ pubblica 16

200


infinite broadway

orizzontale

201


una cittĂ pubblica plazas contiguity

addition

spazio scavato piattaforme d’affaccio

volumi aggiunti scalinate acqua piattaforme

rampe

subtraction

markets passaggi

scalinate di collegamento piattaforme rialzate

contiguity

rampe ampie di collegamento con altri layer

rampe

202


infinite broadway

orizzontale parks contiguity

addition

subtraction

pendii

aree a prato

sentieri in pendenza

volumi aggiunti viali alberati

arcades aggetti

livelli sovrapposti

coperture leggere

terrazze volumi scavati

spazi a galleria

addition

contiguity

203

subtraction



infinite immagini dalla broadway broadway


immagini dalla


broadway


immagini dalla


broadway



istantanee della grande mela


214


istantanee dalla grande mela

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riferimenti bibliografici


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