Una oiccola Bisanzio immersa in un giallo frumento

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Stefano Graziani Manuel Orazi

Una piccola Bisanzio immersa nel giallo frumento












Gesuiti e magagne La villa suburbana di Emilio Mazzoli Manuel Orazi La villa extra moenia di Emilio Mazzoli è come una villa romana d’epoca imperiale: alla maniera di Villa Adriana non è solo un luogo di soggiorno ben attrezzato, bensì la disposizione controllata dei molti amori del padrone di casa. Maestro elementare, mercante d’arte, gallerista, bibliofilo (ma non bibliomane), bon vivant cosmopolita travestito da burbero signorotto di campagna: Mazzoli è uno, nessuno e centomila, ma certo non è un collezionista. Gli edifici che circondano la sua residenza di campagna sono trascurabili in quanto architetture, ma sono anche degli scrigni meravigliosamente logori, consumati dall’uso quotidiano, da una consultazione vorace spesso condivisa con i suoi innumerevoli amici e visitatori più o meno accreditati. Tutti gli edifici sparsi nel parco sono accomunati da un’eleganza trasandata che si adagia in una sorta di indifferenza verso i dettagli, generando quel che si definisce shabby chic. Questo chic trascurato fatto di oggetti squisiti ma anche di divani sdruciti, di fodere lavate troppe volte, di paralumi macchiati o scoloriti dal tempo, di una naturalezza frutto dell’uso e dell’abuso dell’artificio. Va da sé che questo preciso tipo di eleganza riflette quella personale di Mazzoli, uno capace di falciare l’erba con una cravatta di seta gialla e la camicia su misura con le iniziali. E quando lamenta la freddezza della sua città, Modena (piena solo di gesuiti e magagne, come annotava un altro burbero di città come Antonio Delfini) non è tanto per ingratitudine quanto perché non vede nel borgo natio passioni tanto brucianti come le sue. Del resto la sua nomea di arcigno si basa in realtà su una troppo franca onestà intellettuale: Mazzoli non ha opinioni, ma solo giudizi nettissimi a la Karl Kraus, che certo non aiutano a farsi degli amici. Eppure Mazzoli ne ha molti, sebbene selezionati, perché sa riconoscere il valore degli uomini: per esempio, fu lui a finanziare il primo viaggio di Alighiero Boetti in Afghanistan nel 1970, quello in cui l’artista torinese scoprì la poetica del tappeto orientale che non è solo tessuto decorato, ma – come ci ha insegnato Sergio Bettini - opera d’arte che rende intuibile nella sua struttura l’interrelazione tra le dimensioni fondamentali della vita: lo spazio che è il tappeto stesso, con la sua cornice e la sua trama; ed il tempo, che è


scandito dai disegni, i quali sono appunto anche segni del tempo. E Mazzoli è a suo modo un maestro dell’arte del tappeto che canta i suoi colori, colui che come ogni artista, annoda esistenza e immagine nella presenza di una forma che è la sua misura dello spazio e la sua misura del tempo 1. Nella casa gialla a tre livelli vicina all’ingresso stanno l’acetaia in alto, il magazzino delle opere più grandi (Katz, Anastasi, Ontani, Crewdson, Martegani, Prini, Benvenuto, Dellavedova, Cucchi, Cabiati, De Dominicis, Salle, Bleckner) e nel freschissimo seminterrato la sua raccolta di vini, grappe, champagne, liquori – che a differenza dei collezionisti, subito stappa per i suoi visitatori e la migliore grappa del mondo è ovviamente quella di Picolit del 1983, non si discute, e comunque Melita sta già affettando il prosciutto e il pane di Pesaro, quello del forno di via Castelfidardo - cosa c’è di più buono al mondo, del resto? Poi c’è la biblioteca, davvero unica e del tutto personale che mescola rare prime edizioni novecentesche (stupende quelle delle avanguardie russe) a edizioni tascabili con le pagine arricciate perché troppo lette, ai fumetti d’anteguerra, per non parlare dell’insostenibile mole di libri d’artista che senza dubbio nessuna biblioteca italiana può vantare (alzi la mano chi ha mai sfogliato l’edizione originale di Twentysix Gasoline Stations di Ed Ruscha del 1963). C’è ovviamente anche la casa per gli ospiti con una bottiglia d’acqua e un cavatappi sul comodino di ogni stanza, perché non si sa mai quando possono arrivare gli amici. Poi c’è il parco tutto intorno, che non ha niente di estetizzante e anzi quasi subito tocca gli alberi da frutto, le vigne e i campi di grano, ma è verde e ombroso con panchine e molte belle galline che gironzolano insieme a due cagnolini, però qui e là ospita sculture-fontana in bronzo di Cucchi, Paladino, Chia. In fin dei conti Mazzoli non vive a Modena, ma nella città argentata dell’infanzia sognata da Delfini: “una piccola Bisanzio immersa nel giallo frumento”.

1.Vedi il fondamentale saggio di Sergio Bettini, Poetica del tappeto orientale ora in Alois Riegl, Antichi tappeti orientali, a cura di A. Manai, Macerata, Quodlibet 1997.


Jesuits and Flaws Emilio Mazzoli’s Suburban Villa Manuel Orazi Emilio Mazzoli’s extra-moenia residence is like an Imperial Roman villa. In the manner of Villa Hadriana, not only is it a well-equipped retreat, but rather the controlled arrangement of the many passions of the owner. Elementary school teacher, art dealer, gallerist, bibliophile (but not bibliomaniac), cosmopolitan in the guise of a gruff country gentleman, Mazzoli is one, no one and one hundred thousand, and he is definitely not a collector. The buildings surrounding his country house are negligible as far as architecture is concerned, yet they are wonderfully timeworn caskets consumed by daily use, by voracious sessions often shared with his innumerable, and more or less estimable, friends and visitors. All of the buildings spread throughout the park share an unkempt elegance that falls into an indifference to detail, generating what can be defined as shabby chic. This neglected chic is composed of exquisite objects, along with threadbare couches, overwashed linings, lampshades stained and discoloured over time - of a naturalness resulting from the use and abuse of the device. It thus follows that this specific kind of elegance reflects that of Mazzoli – a man likely to be found mowing the lawn in a yellow satin tie and a custom-made monogrammed shirt. And when he complains about the coldness of his city, Modena, full of Jesuits and flaws (as described by another gruff townsman, Antonio Delfini), it is not so much out of ingratitude as for the fact that there he finds there no passions as burning as his own. In any case, his surly reputation is in fact based on his overly frank intellectual honesty: Mazzoli does not have opinions, only extremely clear Karl Krauss-like judgments, which definitely do not make him friends. And yet, he has many - though selected - because he knows how to recognize value in men. For instance, it was he who financed Alighiero Boetti’s first trip to Afghanistan in 1970. This journey saw the Turinese artist discover the poetics of the Oriental rug, which is not just a decorated textile, but – as Sergio Bettini taught us – a work of art whose structure allows us to sense the interrelations between the fundamental dimensions of life: space - the carpet itself with its frame and its weave; and time - articulated through the designs, themselves signs of time. In his own way, Mazzoli is a master of


the art of the rug – that which sings of its own colours. Like every artist, he weaves existence and image in the presence of a form that is his measure of space and time 1. Near the entrance of the lot, sits the three-story yellow house, with the vinegar attic, the warehouse of the larger works (Katz, Anastasi, Ontani, Crewdson, Martegani, Prini, Benvenuto, Dellavedova, Cucchi, Cabiati, De Dominicis, Salle, Bleckner), and, in the cellar, the collection of wines, grappas, champagnes and liqueurs. Unlike any collector, he immediately uncorks these for his visitors - the best grappa in the world is obviously a 1983 Picolit, no if and or buts about it, and besides, Melita is already slicing the ham and the Pesaro bread, the one form the bakery on via Castelfidardo – tell me, really, is there anything better in this world? Then there is the library, truly unique and completely personal, combining rare twentieth century first editions (including incredible publications of the Russian avant-garde) with pocket issues wrinkled from overuse, as well as anti-war comics, not to mention the mass of artist’s books which, definitely, no Italian library can boast (raise your hand if you have flipped through Ed Ruscha’s original Twentysix Gasoline Stations, 1963). And obviously there is the guesthouse with a bottle of water and a bottle opener on the night table of each room, because one never knows when guests may show up. The surrounding park outside, bearing no aesthetizing elements, almost immediately transforms into fruit trees, vines, and wheat fields. But the green is shaded with benches and a number of excellent chickens amble about accompanied by two small dogs, while fountain-sculptures by Cucchi, Paladino and Chia sporadically sprout up here and there. At the end of the day, Mazzoli does not live in Modena, but in the silvered city of infancy dreamt of by Delfini: “a tiny Bizantium immersed in golden wheat”. 1. See Sergio Bettini’s fundamental text, Poetica del tappeto orientale now in Alois Riegl, Antichi tappeti orientali, curated by A. Manai, Macerata, Quodlibet 1997 (Ein orientalischer Teppich vom Jahre 1202, Berlin 1895).












Una piccola Bisanzio immersa nel giallo frumento fotografie Stefano Graziani testo Manuel Orazi traduzioni Giuliana Racco Š gli autori Edizioni del pappagallo Trieste / Macerata

stampato in cinquanta copie Trieste, marzo 2010


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