William Eggleston - Banalità a Colori

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William Eggleston BanalitĂ a colori


Premessa Il titolo da me utilizzato per descrivere in breve la mia ricerca contiene la parola “banalità”, la quale non va intesa nell’accezione moderna di scontato, mediocre, poco originale, che ne ha completamente stravolto il vero significato. In origine qualcosa di banale, come un luogo, un edificio o un oggetto, era qualcosa il cui uso era concesso all’intera comunità, ciò che oggi potremmo definire pubblico o comune. Nello specifico, il termine deriva dal francese “ban” (da cui l’aggettivo “banal”), che indicava il proclama del signore attraverso cui una proprietà privata diventava disponibile a tutti


Politecnico di Milano Design della Comunicazione A.A. 2017/2018 Storia dell’Arte Contemporanea e Linguaggi della Comunicazione Visiva Tesina Fotografia William Eggleston - Banalità a Colori Stefano Iaquinta/848542


Banalità William Eggleston è da molti considerato colui che riuscì a portare il colore nella fotografia artistica, una scelta che fu criticata aspramente, poiché a quel tempo veniva considerata volgare, e commerciale. Fino alla fine degli anni ’60 i colori nelle immagini appartenevano ad un repertorio pubblicitario, mentre in ambito autoriale i fotografi suoi contemporanei confermavano il bianco e nero come unico stile ammissibile e degno di considerazione.


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Nato a Memphis, Tennessee nel 1939, si iscrisse a diversi corsi di studio senza mai portarli a termine. Inizia ad appassionarsi di fotografia intorno ai 18 anni, quando un suo amico gli regala una Leica, ma solo molti anni dopo inizia a sperimentare la fotografia a colori. In un piccolo laboratorio di Chicago apprende la tecnica del dye-transfert, che renderà singolari le sue opere. Si tratta di un processo di stampa che permette di sviluppare un’ampia gamma di rossi, gialli e blu a partire da negativi in bianco e nero. Nella pratica le immagini che ne risultano hanno una profondità quasi tangibile e una straordinaria intensità cromatica.




Ma non è solo il colore che restituisce la particolarità dei suoi scatti. Nonostante Eggleston abbia letto Il momento decisivo di Henri Cartier-Bresson, sembra proprio che in certi casi abbia voluto ribaltare completamente il suo insegnamento, o meglio, reinterpretarlo. In questo celebre libro, il fotografo francese descrive la sua teoria del “momento decisivo”, ovvero l’istante in cui il fotografo riconosce un evento irripetibile e di eccezionale perfezione e lo imprime per sempre nella pellicola.




In molte foto di Eggleston l’attimo nel quale avviene lo scatto è apparentemente banale, ordinario, una semplice registrazione di ciò che lo circondava. Quando nel 1976, grazie a John Szarkowski, realizzò - per la prima volta nella storia - una mostra di foto a colori al MoMa di New York, i sostenitori della teoria del “momento decisivo” e della fotografia documentaristica in bianco e nero – ciò che allora era considerato di tendenza - rimasero sconcertati dalla banalità delle sue opere iper-sature, additandole come noiose e insignificanti, nonché pacchiane ed eccentriche.




Eggleston ha definito il suo sguardo “democratico”, i soggetti sono tutti anonimi e non si rintracciano azioni di rilievo. Per la maggior parte è gente comune “paparazzata” in situazioni quotidiane, in macchina, al supermercato, per strada, oppure sono stazioni di servizio, insegne, automobili, cartelli stradali, … Hanno tutti la stessa importanza davanti all’obiettivo, che siano persone famose o meno, familiari o estranei, parcheggi o ritratti. Riserva a tutti lo stesso rispetto e la stessa attenzione, ribadisce la neutralità e la democrazia del suo approccio e rifiuta la pretesa di rappresentare l’essenza di una vita umana in una immagine.





Non si lascia mai coinvolgere, rimane un osservatore distaccato, riuscendo in questo modo a riconoscere la bellezza nella complessità dell’ordinario, dell’attimo presente. Sono infatti scene di tutti i giorni quelle che lui rendere straordinarie, avvincenti e suggestive, forse perché il vero protagonista è il colore, assieme alla luce e alla composizione degli elementi.





Ad oggi Eggleson è celebrato per aver elevato la fotografia a colori al rango di arte, le sue scale cromatiche, i suoi motivi ricorrenti e le sue architetture compositive hanno ispirato fotografi come Stephen Shore, Martin Parr e Nan Goldin, ma anche registi come David Lynch, Sofia Coppola, Wim Wenders e Gus Van San. Questi artisti hanno soprattutto saputo cogliere il suo “sguardo democratico”, l’attenzione verso gli oggetti marginali, che si è successivamente sedimentata nella cultura visiva generale.






Sitografia: http://www.grandi-fotografi.com http://www.egglestontrust.com http://www.ilsole24ore.com https://www.internazionale.it https://it.wikipedia.org/wiki/William_Eggleston



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