FXP Aprile 2014 Numero 6

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editoriale 4 Riprendiamoci i sentimenti affettività e adolescenza 8 Amore, valori ed educazione 10 L’affettività ai tempi del wi-fi 12 La verginità della mia amica vale 100 euro 14 Donne hot 16 Se ti abbraccio non aver paura 18 Spegnete il pc e accendete il cuore 20 Cosa intendiamo per affettività 22 Da Dante a Wathsapp 23 L’omosessualità nella musica 24 Per non dimenticare chi è già volato via il quadrato 25 “tutto quello che vorrei” 26 Gruppo di lettura giovani 27 Incontro con Farian Sabhai 30 Tappomondo krisis 32 Mes: Meccanismo Europeo di Schiavitù 36 La menzogna infinita medicina 38 Vannoni e il metodo Stamina 40 Metodo Stamina società 44 Il principio d’autorità psicologia 46 Le immagini che non vediamo cinema 48 Due sedie e tanto cinema 50 La grande contentezza 52 Rush, in nome della passione musica 54 Grammy Awards 2014 56 Mtv Video Music Award 2013 ipse dixit 57 Aforismi e dintorni svago 58 Sudoku e indovina indovinello 60 Una questione spinoza 62 Prof. si nasce chine 64 Effusioni l’oroscopo 65 Quanti cuori avrai?

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riprendiamoci i sentimenti

Non svendiamo la nostra vita nel mercato dell’iperconnettività

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nterno sera, spogliatoio di una palestra di Roma. Sono le 20 circa, l’orario in cui terminano i corsi di pump, macumba, aero-jazz e tutte quelle lezioni dai nomi strani che essenzialmente servono a farti sudare con musica a tutto volume. Chiara e Melinda sono due ragazze molto belle, sicure di se stesse, dei propri quindici anni, del guardaroba firmato esibito mentre ci si cambia tra mamme isteriche e bambini urlanti. Chiara è bionda, ha capelli lisci lunghissimi, una frangia che le copre mezzo viso. Il suo cruccio, racconta alla sua amica che è anche compagna di classe, è che Marco non ha la macchina. Questo è lo stralcio della loro conversazione. Abbinateci un accento romanesco molto marcato. - Cioè vuole che usciamo no? Ma come? Coi mezzi? - Vabbè Chia’, magari poi se la fa prestare. - Sai che catorcio che rimedia. - Che te frega? È il più figo di quelli del quinto. Poi dopo lo puoi dire a tutti che sei uscita con lui, guadagni punti na’ cifra. - Sì sai una cosa? Che se poi facciamo roba no? Perchè tanto la facciamo sennò la seconda volta manco me chiama. Ecco, a me per strada non me piace. - Ma figurati. Avrà la casa a disposizione. - Oh, i capelli corti nun te stanno bene. Melinda ha un taglio che invece le sta molto bene. Lei a differenza della sua amica ha i capelli ricci, li porta tutti scalati e il castano ramato dona alla sua carnagione un po’ olivastra. Chiara è alta e slanciata, Melinda un po’ più tonda, evita lo specchio, a differenza dell’altra che sembra stia facendo un servizio fotografico, ma sbaglia, perchè è molto carina. La guardo mentre l’amica la critica. C’è rimasta male,

si vede. - Eh lo so - risponde - ma mo’ finchè non crescono me li devo tenere. - Perché tu ti ostini ad andare da quella alla Storta (quartiere periferico di Roma, ndr). Io vado con mia madre a Flaminio (la centrale Piazza del Popolo, ndr) e lì sono i mostri a tagliare. - Sì ma devi pagare cento euro per un taglio. - E allora? Pare che ci vai tutte le settimane. Insomma gliela dò o non gliela dò a Marco? - Io aspetterei almeno la seconda uscita. - E se poi non ce sta la seconda uscita? A quel punto sono uscita io, dallo spogliatoio. Un po’ più triste, un po’ meno pentita dei miei quarant’anni, perché essere adolescenti oggi deve essere una gran fatica. Melinda e Chiara parlavano mentre si vestivano, senza neanche guardarsi, e mentre entrambe cercavano affannosamente di inviare messaggi di whatsapp con i loro telefonini, che non avevano linea, perché quello spogliatoio è una specie di bunker. Io ringrazio quelle pareti spesse, perché è rilassante rimanere isola-

ta dal mondo almeno una mezz’oretta. L’impressione dello sfilacciamento dei rapporti interpersonali era vivida da tempo ma quel giorno ho capito che la vittima numero uno è il presente. Il qui e ora. Chiara e Melinda discutevano di temi personali e anche intimi, in prima persona, mentre si vestivano, mentre conversavano con altri tramite il telefonino, senza prestare attenzione l’una all’altra. Se lo avessero fatto, forse Chiara si sarebbe accorta di avere offeso la sua amica. Ma tutto si è consumato in pochi secondi, apparentemente senza lasciare traccia. Ma dentro, cosa rimane? Ecco, a me è saltata agli occhi la mancanza di emozioni con cui tutto questo è stato accom-

pagnato. In quei pochi secondi di conversazione c’erano tanti sentimenti, lo si poteva leggere dai gesti, dalle espressioni del viso, ma erano sotto traccia, invisibili alle due ragazze, quasi come se non fossero importanti. Dove è finita la comunicazione tra di noi? Fagocitata nella velocità in cui, bulimici, divoriamo tutto, in un minestrone di esperienze che alla fine sembrano avere nessun valore. Ho letto alcuni degli articoli pubblicati su questo numero del giornalino, e condivido appieno l’analisi: i mali di cui leggiamo nelle pagine di cronaca, iniziano da un errato modo di impostare i rapporti, di gestirli. Ricominciamo a guardarci negli occhi. Il mio non è un elogio dei “bei tempi che furono”. È solo preoccupazione per il susseguirsi sempre più frenetico degli input che ci portano continuamente da un’altra parte. Schiavi di agende - affettive, relazionali, lavorative - dettate da altri, con altre regole, altri codici. Recuperiamoci, ritagliando tempo per noi, per le persone che per noi hanno valore, senza aver paura di parlare di emozioni, mettendole in mostra per quelle che sono. Senza paura di essere noi stessi e senza svendere la nostra vita nel mercatino della iperconnettività.

Stefania DIVERTITO (Drettore responsabile) s_divertito@hotmail.com



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Amore, valori ed educazione Solo desiderio di un rapporto intimo? a cura di Aaron SUSTA (IIIAs)

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i sono chiesto riflettendo sul tema della prima uscita di questo nostro giornalino, quale sia il valore che diamo noi giovani oggi all’amore, all’affetto, alla relazione tra due persone. Un tempo, due persone si conoscevano a fondo per capire se fossero compatibili, se si amassero veramente l’un l’altra prima di passare ad un legame più solido e duraturo (in cui naturalmente si instaurava in modo sano un rapporto di tipo fisico) ora invece quel rapporto è diventato il solo fine della relazione. Un ragazzo sta con una ragazza spinto quasi unicamente da un desiderio di un rapporto intimo, senza neanche considerare le sue emozioni, i suoi sentimenti, sono visti come una debolezza, un ostacolo fastidioso da superare per raggiungere lo scopo iniziale. Così si creano tutti i fenomeni che troviamo nelle prime pagine dei giornali, ragazze incinte giovanissime, donne assalite e violentate, prostituzione minorile nelle scuole... Gli uomini non si rendono conto del pote-

re che hanno, e di come vada utilizzato, poichè può essere implementato per fare bene, come può essere usato per fare del male. L’amore dovrebbe essere un legame profondo tra due perso-

ne che si capiscono, che si confrontano, un atto di altruismo profondo in cui si tiene più alla felicità dell’amato/a che alla propria. Solo in queste condizioni l’atto sessuale può diventare qualcosa di sano, qualcosa di buono, e di giusto. Questo genere di istinto è in qualche modo innato nell’uomo, e solo attraverso la ragione può essere dominato e incanalato per fare il bene. Secondo Platone l’amo-

re deve essere un modo di elevare lo spirito e completarlo (concetto illustrato perfettamente nel Simposio con il mito dell’Androgino), perciò un atto principalmente spirituale, ma che contempli anche il rapporto carnale, come parte integrante del processo, non certo importante come l’amore spirituale e sicuramente non il fine, non lo scopo. C’è nell’amore molto molto di più del solo sesso, che invece sembra essere l’idea dominante al giorno d’oggi, attraverso l’amore si dovrebbe ricercare il benessere, la felicità, la pace interiore. Ma possiamo per questa scomparsa di morale incolpare i ragazzi stessi? La risposta a questa domanda va cercata nell’educazione degli stessi. Come mai i giovani crescono senza porsi la questione del fatto se sia giusto o sbagliato un comportamento simile? Perchè questo è il comportamento che tutta la società sembra indicarci come giusto e corretto. Quando il bambino cresce e inizia ad avventurarsi nel mondo della sessualità i genitori non

sanno come rispondere e cercano (in molti casi) di evitare la famosa domanda: “Ma da dove vengono i bambini?” quando invece questo dovrebbe essere un momento di incontro, un’opportunità di discussione e di riflessione, per spiegare al bambino che non c’è nulla di strano o proibito nell’atto, solo ha certe conseguenze, se non fatto nelle condizioni appropriate, sia psicologiche che fisiche, per crescere il figlio con una visione sana e giusta dell’amore. Invece questo non succede e nemmeno la scuola, che dovrebbe avere la funzione educatrice e di formazione dell’individuo e del cittadino, non tratta minimamente questo tema, molte volte proprio per l’opposizione dei genitori. Questi lo fanno con la convinzione di proteggere i propri figli, ma non si rendono conto di fare proprio l’opposto, perchè in assenza di una figura, autorevole, sicura e corretta che dia loro un’educazione in questo ambito, quell’educazione, quel sapere viene dato loro dalla televisione, dalla pubblicità, che per fare audience punta proprio su quegli istinti innati dell’uomo, sul sesso, perchè vende e così i ragazzi imparano che sia solo quello che dovrebbero cercare

dall’altro sesso, che il modello da seguire è quello del giovane bello e muscoloso che conquista la bella ragazza per starci insieme per un po’, ottenere ciò che vuole, per poi passare ad un’altra. Si crea così un circolo vizioso di ignoranza attorno alla questione che ha come risultato proprio la condizione della nostra società. I ragazzi vedono tutto questo e senza avere nessuno che dice loro quale sia il giusto comportamento da tenere seguono i modelli che vengono proposti dalla televisione e dai social network. Le vere vittime sono i ragazzi, che crescono secondo questi ideali, crescono vuoti, senza utilizzare il cervello per rendersi conto che dev’esserci di più nell’amore. L’atto riproduttivo fine a se stesso è proprio solamente degli animali, l’uomo in quanto tale ha un’emotività molto più complessa che va soddisfatta prima di tutto per raggiungere il benessere vero e duraturo, in breve: l’atto sessuale in assenza di amore diventa qualcosa di puramente animalesco e brutale, non degno della nostra natura umana. Dovrebbe essere la scuola a mio avviso a spiegare tutto questo, a dare dei model-

li giusti di comportamento e rompere questo circolo vizioso, è suo dovere istruire gli studenti in ogni ambito della vita e a maggior ragione in uno così determinante e importante per l’uomo comune come l’amore. Internet e i social network non hanno fatto altro che accellerare questo processo di involuzione culturale. Prima non era sicuramente meglio, l’argomento era considerato tabù, in qualsiasi luogo e occasione veniva eccessivamente censurato da qualsiasi ambito della vita anche nella scuola. È stata giusto secondo me una liberalizzazione dei costumi, solo adesso che i tempi sono cambiati e l’argomento non è più tabù, anzi è persino abusato la scuola non può più permettersi di stare a guardare. L’arma più forte che abbiamo per contrastare queste tendenze non è altro che l’educazione. I tempi sono cambiati e con essi deve cambiare anche l’atteggiamento e la posizione della scuola altrimenti finirà per fallire proprio nello scopo per cui esiste: educare i ragazzi ad essere persone mature e responsabili, armati delle conoscenze necessarie per affrontare il mondo moderno e fare le scelte giuste.


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l’affettività ai tempi del wi-fi

L’impatto che la società ha sui rapporti ai giorni nostri a cura di Gianluca NEGRISOLI (ex studente)

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arlare di affettività al giorno d’oggi risulta particolarmente difficile. Viviamo infatti in una società che non pone la giusta attenzione alla sfera emotivadella persona, ritenendo il “progresso” e il funzionamento del sistema come obiettivi più importanti della realizzazione dell’individuo. Il paradosso è che non avendo più i problemi di sopravvivenza dei nostri antenati, vivendo in un mondo che bene o male ci dà tutto quello che ci serve, avremmo tutti gli strumenti e il tempo necessario per concentrarci maggiormente su noi stessi e sul rapporto che abbiamo con gli altri. Per accrescere il nostro benessere dovremmo riportare l’attenzione sulle persone piuttosto che sulle cose. Si tratterebbe veramente di un atto coraggioso, perchè muoversi al di fuori degli schemi è oggi qualcosa di piuttosto difficile e non sempre ben visto. Il dramma dell’uomo moderno è da ricercare nel cambiamento degli obiettivi a cui tende per

essere felice. Se infatti si vive basando esclusivamente le proprie azioni al fine di arricchirsi, di raggiungere un determinato status sociale, di possedere alcuni oggetti, si corre il rischio di trascorrere un’esistenza vuota. L’unica opportunità che abbiamo per sentirci veramente realizzati è quella di rapportarsi con gli altri; già Aristotele affermava “Anthropos zoon politikon”, ovvero “l’uo-

mo è un animale sociale”, ponendo l’attenzione su quella che è una delle nostre caratteristiche principali. Un ulteriore ostacolo da abbattere è la possibilità di sviluppare una relazione (d’amicizia o d’amore che sia) in modo consumistico, ovvero tendendo a considerare “l’altro” come un oggetto di nostra proprietà o viceversa. In un contesto in cui l’”avere” è spesso considerato come più importante dell’”essere”, può infatti succedere che l’affetto tra due persone cresca in modo non equilibrato. In sostanza questo accade quando si altera il rapporto tra “dare” e “ricevere”, ed è proprio in questo campo che i modelli sociali attuali non sono assolutamente da elevare ad esempio. Sicuramente negli ultimi anni il modo di rapportarsi con le altre persone è notevolmente cambiato, grazie ad una crescita tecnologica incredibile che vede nella nascita dei social network una delle sue massime rappresentazioni. Accan-

to agli aspetti positivi ed alle innegabili potenzialità che essi hanno portato, vi sono però alcuni elementi che dovrebbero far riflettere. Se non usati in modo corretto, infatti, possono raggiungere l’effetto esattamente opposto al loro scopo, ovvero renderci “persone che amano restare in contatto con molte altre, riuscendo però a tenerle sempre a distanza” (Sherry Turkle, Alone Together). È innegabile che in alcuni casi si sostituisca il contatto umano, che rimane

in ogni caso necessario, con interazioni solamente virtuali, tant’è vero che molti contatti che abbiamo sulla rete, nella vita reale rappresentano poco più che vaghe conoscenze.

Sono fermamente convinto che costruire rapporti solidi e veri con altre persone sia uno dei presupposti fondamentali per realizzarsi e che allo stesso tempo sia uno strumento formidabile per capire noi stessi. Alla luce di ciò è importante non farci guidare da paradigmi fortemente individualisti che pongono la loro base sull’egoismo, perchè in fin dei conti è vero che “la felicità è reale solo quando condivisa”. Non per forza su Facebook.


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la verginità della mia amica vale 100 euro Noi giovani possiamo e dobbiamo distinguerci a cura di Sara MONIZZA e Marianna RODELLA (IICri)

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el ventunesimo secolo vi sembra accettabile che delle nostre coetanee possano attribuire un valore “commerciale” alla propria verginità? Pensare che a soli 16 anni una ragazza è già considerata “un oggetto” fa rabbrividire. Quanta crudeltà e freddezza in un uomo che sfrutta una ragazza che, per l’età, potrebbe essere persino sua figlia. La domanda sorge spontanea: come è possibile che ogni mattina un uomo (se vogliamo considerarlo tale) si guardi allo specchio senza sentirsi “sporco” o provare vergogna verso se stesso?

Tutto inizia nell’ottobre del 2013 quando i carabinieri di Roma, in seguito ad alcune intercettazioni tra una cosiddetta baby squillo e un potenziale cliente e alla conferma di questo fenomeno sul web, aprono un inchiesta. Nelle squallide intercettazioni, al pudore veniva sostituito il denaro e non solo; durante gli interrogatori le ragazze hanno dichiarato: “Io le cose che ci facevo, detto proprio con tutta sincerità, era taxi, vestiti, shopping, tutto quello che volevo… vestiti, tanti vestiti, sigarette, la sera uscire, borse di marca. Cioè comprarmi quello che io ve-

devo nelle vetrine dei negozi, mi piaceva e me l’andavo a comprare, cioè senza nessun problema. Era questo il mio scopo”. In cambio i clienti offrivano droga e denaro, e non si fermavano davanti a nulla, nemmeno difronte all’innocenza di una ragazzina inconsapevole di ciò a cui sarebbe andata incontro, un circolo vizioso dal quale risulta difficile uscire. La ragazza dice al cliente: “La mia amica è vergine”. Il cliente ribatte: “Ci penso io” (in questo passaggio abbiamo adattato il contenuto ad un limite di decenza, ndr.). A quel punto la ragazzina si mette a contrat-

tare e chiede quanto l’uomo intenda pagare. Questi risponde: “Vi do quello che tu sai e 100 (euro)”. L’adolescente: “Però ci dovresti dare almeno 4 di quello che tu sai” (grammi di cocaina, ndr.). Questo accadde il 18 luglio 2013, successivamente la ragazzina è stata indagata per induzione alla prostituzione. Se pensiamo che sia grave che un’amica faccia questo, pensate a quanto sia vergognoso che una madre obblighi sua figlia a fare lo stesso, solo per potersi permettere ciò che normalmente non potrebbe avere. Questo è il caso di una ragazzina che, ricattata dalla madre, era costretta a saltare le lezioni a scuola per poter soddisfare i suoi capricci. Abbiamo quindi deciso di riportarvi alcune delle più

significative intercettazioni tra madre e figlia: La mamma chiede alla figlia di lavorare “perché io sto a corto, dobbiamo recupera”. La ragazza tenta di giustificarsi: “Sto male e già ho detto”. La madre le mette pressione e lei ribatte dicendo: “Mo' vedo che posso fà. Comunque pure se, eh... comincio tardi... cioè oggi ma veramente sto male.... domani dopo scuola si vede, dai” (…). “Mi ha chiamato la professoressa di latino. Voleva sapere perché non stai andando. Gli ho detto che non si sente bene. Mi ha detto: pensa che domani verrà a scuola? Cosa hai intenzione di fare? Dimmelo perché se no... ci prendiamo in giro. Andiamo dagli insegnanti e glielo diciamo". E la figlia: “Ma io voglio andarci a scuola. E' che non ci ho tempo per fare i compiti” (…).

Dopo aver fatto i compiti la ragazza dice alla madre di essere troppo stanca per incontrare il cliente di quel pomeriggio e la madre così risponde: “Allora devi fare una scelta: puoi alternare i giorni. Qui una soluzione bisogna trovarla, se no ti ritiro". E la ragazza: “Non mi puoi ritirare mamma non ci ho 16 anni. Ci voglio andare”. Non ci siano parole per descrivere questa indecenza. Lasciamo a voi il diritto di giudicare, noi abbiamo fatto il possibile per non influenzarvi con la nostra opinione, anche se crediamo che sia passata tra le righe di questo articolo. Speriamo dunque di aver suscitato in voi la voglia di riflettere su un problema che apparentemente non ci tocca ma che è più vicino a noi di quanto possa apparire. Anche se i mass-media hanno smesso di parlarne - o lo faranno presto - non significa che questa piaga sia stata guarita, anzi, forse sta peggiorando, perché il silenzio nasce nell’ignoranza, e come sempre il silenzio regna. Spetta a noi non dimenticare, e combattere contro questi fenomeni inquietanti che stanno segnando profondamente la nostra società. Noi giovani possiamo e dobbiamo distinguerci. Allora perché non iniziare a fare la differenza da qui?


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donne hot

È questo quello che gli uomini vogliono veramente? a cura di Paola PECORARI (IIIAs)

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a sempre le donne sono bisognose di emancipazione, fin dai tempi antichi gli uomini sono sempre stati descritti superiori rispetto alle donne; Perfino gli antichi greci, popolo di grande sapienza, consideravano la donna inferiore. Aristotele, uno dei massimi filosofi afferma che essa è: ”per natura difettosa e incompleta”. Con lo scorrere del tempo la condizione della donna è migliorata ma rimane comun-

que considerata di virtù inferiori rispetto all’uomo, solo nel 1791 le donne rivendicano con forza la prima forma di uguaglianza giuridica e legale in rapporto agli uomini nella Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Ma la lotta per l’uguaglianza dei sessi non è finita, nel 1944 le donne ottengono il diritto al voto in America, in Italia il diritto al voto delle donne avverrà 2 anni dopo. Le donne da sem-

pre lottano per la parità dei sessi e ora si può dire abbiano ottenuto ciò che volevano, cioè l’uguaglianza rispetto agli uomini in quanto dotate di stessi diritti, come il diritto allo studio, o il diritto al lavoro, quest’ultimo per contribuire al reddito famigliare e non essere costrette a stare a casa per badare ai figli. Ma la loro vittoria e determinazione di fatto ha cambiato la mentalità dell’uomo nei loro confronti? Pensate a tutte le pubblicità che ve-

diamo in giro ogni giorno, la strumentalizzazione del corpo femminile è ovunque. Se prima i giornali e la televisione nel XX secolo erano stati i principali mezzi di diffusione per favorire la nascita dell’opinione pubblica in favore dell’emancipazione, gli stessi adesso sfoggiano corpi nudi e perfetti di belle donne per aumentare gli ascolti. Varie sono le pubblicità che in questi anni hanno abusato della figura femminile, è il caso di uno spot che pubblicizzava un famoso marchio di auto con la frase: “Una BMW di seconda mano è come una bella donna. Tu sai che non sei il primo ma provi comunque piacere”. Uno spot “Menshealth” recitava invece “se lei fa dello sport, è solo per piacere a voi, uomini” come se la donna esistesse solo per soddisfare i bisogni dell’uomo e non fosse dotata di qualità se non legate al proprio fisico, che però sono destinate a svanire col passare del tempo. È per questo che la donna ha paura di invecchiare e trova conforto nella chirurgia plastica che deforma i suoi tratti sino a renderla grottesca e irriconoscibile. Dice Lorella Zanardo : “Ridotta e autoridottasi a oggetto sessua-

le, impegnata ad una gara contro il tempo che la costringe a deformazioni mostruose, costretta a cornice e assunta al ruolo di conduttrice in trasmissioni inutili dove mai è richiesta alcuna competenza”. Una realtà che vediamo ogni giorno, immagini talmente frequenti che il pubblico e i lettori sono abituati, infatti, a sfogliare le pagine di un quotidiano e trovare il “lato b” di una donna raffigurato per tutta la pagina; non desta scalpore, vedere delle donne dello spettacolo che hanno subito interventi chirurgici; è normale, anzi è raro vederne una che accetti il suo corpo e che non si sottoponga a interventi estetici di ingrandimento del seno o che accetti la vecchiaia e lasci che le rughe solchino il suo viso. Tutto ciò fa capire quanto la donna sia condizionata dall’ideale di bellezza dell’uomo moderno, cioè una donna giovane, magra, abbondante in seno e senza alcuna imperfezione. In televisione è quasi impossibile vedere una donna condurre programmi intelligenti, stranamente la figura femminile prevale in programmi di gossip, di parodia oppure in reality show. Dove ragazze molto avvenenti si distinguono solo per bellezza

e provocazione piuttosto che per intelligenza e osservazioni acute; la sessualità in questi programmi bombarda i giovani e i genitori nemmeno ne sono coscienti, ormai anche i social network non fanno che pubblicizzare la strumentalizzazione del corpo femminile, non per niente molti dicono che il “sesso paga”. Purtroppo le battaglie e le idee portate avanti dalle donne sono servite solo a cambiare la loro situazione materiale e giuridica, ed è una grande cosa, ma, aimè, hanno lasciato immutato il pensiero che la donna serva solo per accontentare i desideri dell’uomo.

In televisione le donne vengono selezionate in base a requisiti fisici, raramente in funzione della loro intelligenza o competenza


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se ti abbraccio non aver paura Vale la pena correre il rischio di un fraintendimento? a cura di Mireille GALLI (IIIBsa)

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are una carezza, prendere per mano, abbracciare, toccare i capelli, prendere sottobraccio, sono tutti modi con cui esprimere vicinanza e affetto per mezzo di un contatto corporeo. Molte popolazioni, in particolare quelle che vivono nel Sud del mondo, sono abituate a comunicare in questo modo, come se il calore del clima si riflettesse nel tipo di relazioni vissute, condizionandole e rendendole più calorose. Al contrario le popolazioni nordiche sono più riservate nell’esprimere queste forme di affettuosità riservandole probabilmente alla sfera più intima dei rapporti famigliari o di coppia. C’è inoltre una differenza legata al genere: le ra-

gazze, rispetto ai ragazzi, sono di solito più espansive, più inclini a gesti di affetto. Si salutano con due o tre baci, si abbracciano tra amiche, sono più portate alle “coccole”. Ognuno di noi, da piccolo, ha avuto esperienza di un contatto corporeo con la madre e il padre che tenendoci in braccio, baciandoci, accarezzandoci, ci ha comunicato affetto, cura, protezione. Attraverso questo primo contatto fisico abbiamo sperimentato l’amore, la tenerezza, la dolcezza. Ancora prima di conoscerne il significato attraverso le parole, abbiamo conosciuto una forma di linguaggio dell’amore che ha contribuito a formare in noi, nel nostro subconscio, una sorta di memoria affettiva molto

forte. “Se ti abbraccio non avere paura” è il titolo di un libro molto intenso che narra l’esperienza di un padre e del figlio autistico. Questi affrontano insieme un lungo viaggio in moto. Il ragazzo, nonostante la difficoltà a rapportarsi verbalmente con gli altri, spesso abbraccia le persone che incontra anche se sconosciute, come se avesse mantenuto questa forma di rapporto con gli altri e la privilegiasse. Un aspetto terapeutico dell’abbraccio quindi, che produce benefici all’organismo, riduce lo stress, funziona da antidepressivo. Due ricercatori svedesi stanno affrontando studi molto approfonditi in questo settore. Se i dati già in possesso saranno confermati l’abitudine

a scambiarsi abbracci non potrà che essere incoraggiata. Fondamentale quindi è il fatto che la comunicazione non avviene solo a parole ma è sostenuta anche da un linguaggio non verbale che, nell’espressione del viso, nel tono di voce e nel contatto corporeo, trova segni importantissimi per instaurare una relazione. Questo tipo di comunicazione si può imparare e perfezionare. Spesso ragazzi definiti un po’ “orsi” hanno saputo scoprire e sviluppare un’affettuosità nascosta grazie all’esempio e all’incoraggiamento di una ragazza con cui avevano una relazione prefe-

renziale. Questa tenerezza trattenuta è diventata così espressione di maggiore

spontaneità e libertà. Tutti, penso, hanno sperimentato in momenti particolari della propria vita, l’intensa e forte carica comunicativa di un abbraccio spontaneo, il calore, il conforto, l’accoglienza che possono offrire due braccia quando anche le parole sono superflue. Certo il rischio di essere fraintesi esiste e va sempre rispettata la sensibilità degli altri, ma di solito un affetto autentico risulta sempre chiaro e privo di ambiguità. D’altronde, piuttosto che privarsi di questo modo di esprimersi, credo valga la pena correre il rischio di un fraintendimento.


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spegnete il pc e accendete il cuore Come i social network hanno rovinato l’amore a cura di Andrea MUSSINI (IIIAs)

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os’è per noi, ragazzi e ragazze del XXI secolo, l’amore? Come lo si trova? E soprattutto come si costruisce un rapporto d’amicizia o di amore? Si può dare la risposta alle ultime due domande semplicemente usando una parola: Internet. E in special modo i social network o le applicazioni per i cellulari che consentono di scriversi gratuitamente usando internet (come per esempio whatsapp). Oggi basta cercare su un social network il nome di una persona, o meglio il suo nickname, per visualizzare il suo profilo (come su facebook). Poi se la persona appare interessante le si scrive e si comincia a conoscerla. Questo, espresso in poche parole, è il metodo oggi più diffuso per conoscere nuove persone; un po’triste in effetti se ci si pensa: scrivere per ore a una persona appena conosciuta, dietro a uno schermo e non poter vedere le reazioni di quella persona durante il discorso. Poi, arrivati a un certo punto ci si scambia i numeri di cellulare e, grazie a whatsapp o altre applicazioni simili, ci si scrive sempre di più, arrivando a confidarsi con perfetti sconosciuti riguardo a stuazioni intime che a una

persona in carne ed ossa non si direbbero mai. Può sembrare un vantaggio, finalmente una via di sfogo: parlare con una persona, confidarsi e ricevere dalla stessa consigli su come agire. Da tale prospettiva questi siti possono sembare utili, se non addirittura necessari, per certe persone timide che, per loro natura, faticherebbero a relazionarsi con una persona in carne ed ossa, ma se usati troppo o male, come ormai ogni adolescente fa, possono risultare alla fine dannosi. Non ci credete? Allora vi porto un esempio: a quanti di voi dopo aver scritto per intere giornate ad una persona, averne consciuto i maggiori segreti e aver rivelato i propri è capitato di ritrovarsi a ripetere sempre le stesse frasi perchè non si ha più niente di cui parlare? La frase più usata è “che stai facendo?” alla quale si spera la persona dall’altra parte risponda dicendo qualcosa di ineressante e cominciando così una nuova con-

versazione, fatta magari di cose inutili, ma comunque una nuova conversazione. Non si pensa mai che in realtà la risposta più comune è “niente, te?”. Questi siti sono utili per fare conoscenze nuove, ma solo se utilizzati con criterio. Non rovinano solamente l’amicizia con altre persone, ma spesso anche l’amore. Ecco la risposta alla prima domanda che mi sono posto per scrivere questo articolo: per noi l’amore sembra quasi diventato una gara a chi si scrive più cuori su whatsapp, su chi dice le cose più tenere o dimostra di essere con la persona che “ama” taggandola su facebook, quando la si ha a un metro di distanza. È proprio per questo motivo che molte coppie dopo essersi parlate per giorni interi dietro ad uno schermo quando si incontrano non hanno più niente da dirsi. E cosa rimane quindi da fare? Ormai ci si è già detti quasi tutto, non si hanno argomenti di cui parlare. Ed è per questo che ragazzine, quasi bambine di 13, 14 o 15 anni perdono la verginità con il primo con cui si impegnano in una relazione “seria”: d’altronde quando non c’è più niente da dirsi l’unica cosa che rimane è farlo. Io vorrei sfi-

dare una di queste coppie a vivere per un mese senza potersi scrivere, come d’altronde vivevano i genitori di molti di noi: non c’erano i social network e l’unico modo di parlare era usare il telefono, fisso, e solo per un periodo limitato di tempo. Allora sì, ne avrebbero di cose da dirsi, dimostrazioni d’affetto da scambiarsi e solo dopo molto più tempo si arriverebbe al sesso. Molte coppie si sfalderebbero,perchè parlarsi implica avere differenti visioni delle cose, e avere differenti visioni delle cose implica litigare più o meno gravemente su quelle cose,

cosa che molto spesso si evita su whatsapp magari semplicemente non rispondendo a una domanda. Invece quando si fa sesso sono rare le volte in cui si è discordi su qualcosa, visto che in molti casi il piacere di uno dei due implica anche quello dell’altra persona, e se si litiga si litiga comunque per cose inutili e riguardanti prevalentemente il sesso in sè. Si sono allora forse persi completamente i valori di amore e amicizia come un tempo erano intesi? Se si pensa ad essi come idee immutabili allora sì, sono quasi completamente persi e le coppie che

vengono additate come le più belle sono quelle dove questa idea trova ancora una realizzazione pratica, se invece si pensa a esse come idee che possono cambiare nel tempo allora no. Sono ancora presenti nella nostra coscienza comune, solo che mutate grazie (o per colpa) di questi strumenti di comunicazione. Ma è meglio il mondo di oggi, con i nostri valori, o quello che c’era prima di facebook e whatsapp? Con questa domanda vi lascio sperando che queste poche righe possano essere lo spunto per utili riflessioni.


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cosa intendiamo per affettività? “amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta” (Jim Morrison) a cura di Elisabetta MALCISI e Ida SCUDIERO (IIICri)

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he cosa intendiamo per affettività? Ci sono tanti modi per classificare questa espressione e altrettanti per intenderla. Noi vogliamo analizzarla dal punto di vista della relazione tra due persone in età adolescenziale. Perché ad un certo punto della nostra vita si sente il bisogno di trovare qualcuno col quale condividere nuove emozioni? Non bastano amici e famiglia? Noi pensiamo che qualcosa cambi, o meglio, che qualcuno abbia la capacità di cambiarci. Fin da piccoli noi sogniamo l’amore che siamo abituati a vedere nei film, a leggere nei racconti e per realizzarlo cerchiamo qualcuno che ci stia accanto, che ci sostenga e con il quale trascorreremo i momenti migliori. Giunti quindi ad un certo punto della nostra vita sentiamo il bisogno di legarci strettamente a un’altra persona. È in questo momento che avviene la manifestazione più evidente dell’affettività, durante il periodo dell’adolescenza quando

scopriamo nuove emozioni e proviamo quello che si definisce un vero e proprio sentimento verso l’altro. Un arco di tempo molto complicato ma significativo per la nostra crescita che ci aiuta lungo il nostro percorso per poter essere ciò che “da grandi” vogliamo diventare. Le persone adulte molte volte faticano a comprendere i nostri stati d’animo e le nostre preoccupazioni perché accade che essi, dimenticandosi di aver vissuto, come noi, questi momenti, si trovino in difficoltà a capire ciò che proviamo. È così che si crea un rapporto distaccato che ci porta a isolarci, ci ritroviamo da soli, smarriti e abbiamo bisogno di qualcuno che ci comprenda come fanno

gli amici, la parte fondamentale di questo nostro percorso, ma vorremmo anche trovare una persona diversa da un semplice amico, che pensiamo possa aiutarci e con la quale vogliamo condividere sia momenti positivi che momenti negativi. È in questa circostanza che entra in gioco l’affettività intesa come il legame forte che manteniamo nei confronti dell’altro e che ci sembra essere al di sopra di tutto il resto che ci circonda. È questo che noi intendiamo per affettività, ciò che ci trasmette emozioni significative per la nostra età e che condizioneranno il nostro futuro. Crediamo quindi che una persona non smetterà mai di provare emozioni ma anzi, con il passare del tempo aumenteranno d’intensità fino a diventare sempre più forti e nascerà la consapevolezza che anche nell’incertezza del futuro ci sarà sempre qualcuno su cui contare fra coloro a cui siamo legati da affetto.


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da dante a whatsapp...

l’omosessualità nella musica

...esiste ancora l’amore?

La musica come strumento per combattere la discriminazione

a cura di Elena APOLLONIO (IIICsa)

a cura di Emma MAZZEI (ICri)

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l tempo di Dante, secondo la concezione stilnovistica, l’amore trovava la sua sede naturale soltanto in un animo nobile e non era un sentimento legato all’eros, ma un sentimento che portava alla perfezione e all’elevazione spirituale. La donna era infatti vista come un angelo, come un tramite dell’avvicinamento a Dio e, anche soltanto il suo saluto, portava salvezza all’amante. Gli occhi della donna erano la fonte dell’innamoramento e l’idea che lo sguardo avesse una carica, non solo fisica, ma quasi sovrannaturale è un’idea antichissima che sopravvive ancora nei nostri modi di dire e di comportarci. Ci si innamora attraverso lo sguardo e l’amore è sempre stato visto come una sorta di sortilegio che passa per gli occhi. Il concetto di “Amore” è diverso nelle diverse culture e religioni e ha seguito vari cambiamenti a seconda dell’epoca storica di riferimento. Per noi occidentali cristiani l’amore è fondamentale per vivere. Si desidera la felicità dell’altro, si spera, si gioisce e si soffre insieme. Però la nostra concezione dell’amore è oggi molto influenzata dai mass media che tutti i giorni parlano di stupri, di femminicidi, di ragazzine che si prostitui-

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ‘l mondo ancor m’offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte che, come vedi, ancor non m’abbandona. scono per poter comprare vestiti firmati. Noi giovani abbiamo conosciuto un breve periodo dove nell’amore erano presenti le “serenate rap” cantate da Jovanotti, le dediche alla radio, le lettere e le cartoline. Ma velocemente siamo passati ad usare sempre di più Internet. In poco tempo i social network e whatsapp hanno trasformato il nostro approccio all’amore. Questi nuovi mezzi di comunicazione, nati per semplificarci la vita sotto l’aspetto tecnico-scientifico, ce la stanno complicando sotto il profilo relazionale e sentimentale. Sono cambiati i metodi di conoscere e frequentare gli altri, cosi come è cambiato il modo di amare. Oggi infatti “co-

nosciamo” molte persone e dialoghiamo con loro, anche di cose personali, a volte senza mai vederle “in carne ed ossa”. Spesso viviamo l’amore in gran parte attraverso un schermo gelido che trasmette banalmente un’infinità di messaggi ed autoscatti. Succede magari che per un online su whatsapp mentre cerchi di comunicare, nascono dei dubbi e delle ansie che compromettono la fiducia reciproca prima ancora di parlarsi. A mio parere, non ci si può innamorare e non si può amare attraverso lo schermo di un cellulare o di un computer. Spesso nascono degli amori fragili e privi di qualunque fondamenta, quasi fosse un gioco. Mancano le basi essenziali, mancano le parole e il tono della voce, mancano i gesti, mancano gli sguardi, manca l’espressione dell’altro e manca essenzialmente l’emozione. Ci stiamo lasciando prendere la mano dalla tecnologia. L’amore secondo me deve essere vissuto senza l’ipocrisia che, con questi nuovi mezzi, è facile da nascondere. Pertanto la soluzione migliore è quella di non lasciarsi illudere da uno schermo, ma di tornare in un mondo vero e cercare di vivere l’amore in una realtà più concreta.

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omosessualità, come la musica, era già conosciuta nell’Antica Grecia e spesso questi due mondi si univano. Questa unione è continuata fino ai giorni nostri, lasciando segni indelebili nella storia. Nominare personaggi come Freddie Mercury o Ricky Martin è doveroso in tal senso. Infatti, i Queen (band di cui Mercury era il cantante) hanno completamente rivoluzionato il mondo della musica con il loro “Pop usa e getta”. Chiunque almeno una volta nella vita ha cantato “We are the Champions” quando vinceva la squadra del cuore, oppure battuto le mani al ritmo di “We will rock you” per fare baccano nelle ore buche a scuola. Ma questo non basta per fare di Freddy Mercury una leggenda; i suoi ideali, il suo stile, il suo orientamento sessuale e la sua voce hanno conquistato il mondo musicale. Nonostante egli fosse omosessuale e di origini indiane, riuscì ugualmente ad avere successo in un ambito così chiuso verso le diversità, come spesso accade in tanti ambienti, anche lavorativi. Ma l’omosessualità non era diffusa solo negli artisti degli anni ’80, anche Mika,

artista pop contemporaneo, è gay dichiarato, e ciò non gli ha impedito di far ascoltare la sua musica a livello mondiale. Altri artisti contemporanei a cui interessa quest’argomento sono MeckLemore e Ryan Lewis, di cui citiamo la famosa, quanto recente, canzone: "Same Love" in cui possiamo riconoscere un testo che tratta d'amore, ma anche di ribellione contro l'omofobia. Il brano è uscito in contemporanea con la sentenza della Corte Suprema americana che ha finalmente stabilito uguali diritti tra coppie eterosessuali e omosessuali negli Stati dell’Unione dove sono approvati i matrimoni gay. "Same love" parla dell'uguaglianza nell'amore tra le persone, indipendentemente dall'orien-

tamento sessuale. Ma a colpire di più, è sicuramente la schiettezza con cui viene descritto l'amore per il proprio stesso sesso, il disprezzo per gli omofobi e la discriminazione per gli omosessuali. Il lungo periodo di emarginazione nel quale le persone di diverso orientamento sessuale sono state confinate, ha acuito la loro sensibilità ed il loro senso artistico, ed è per questo che nell’arte come nella musica, si sono avuti molti personaggi a dir poco geniali. L’isolamento, del quale sono stati vittima molti musicisti, ha permesso loro di studiare nuove forme di espressione musicale che poi hanno fatto tendenza. Purtroppo lo stato di sofferenza psichica, se da un lato ha aumentato la sensibilità poetica e musicale, dall’altro lato ha portato a prostrazioni fisiche terminate poi in gravi malattie oppure nello sconsiderato uso di sostanze stupefacenti. Nonostante ci troviamo nel secondo decennio del ventunesimo secolo, l'omofobia è ancora molto diffusa e sembra destinata ad aumentare di giorno in giorno. Ma dopotutto cosa cambia se si ama un uomo o una donna? Non è ugualmente amore?


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per non dimenticare chi è già volato via!

“tutto quello che vorrei” L’amore oltre la diversità

Un giorno nel reparto di Cure palliative

a cura di Eleonora ANGELONI, Elena GALETTI, Chiara ZANELLA (VAss)

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essuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta” è questo il motivo per cui è stata istituita “LA GIORNATA DEL RICORDO” presso il reparto delle cure palliative dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova. Lo scopo della giornata, oltre a ricordare chi non c’è più a causa di una ma-

lattia terminale, era ringraziare coloro che li hanno assistiti durante questo cammino. L’evento ha visto la partecipazione di varie scuole che hanno contribuito alla realizzazione della giornata attraverso varie forme di espressione artistica: rappresentazione teatrale, intrattenimento mu-

sicale e lettura di alcuni passi del libro “La notte può attendere” di Elena Miglioli a cura della classe ex IV A del liceo delle Scienze Sociali, attuale V A. Un ringraziamento particolare a chi ci ha permesso di vivere questa esperienza, soprattutto ai professori e allo staff dell’hospice.

a cura di Greta MAESTRI e Eleonora ZILIA (IIICri)

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ell’ambito della manifestazione “Librarsi” e in occasione dell’avvio del nuovo progetto “Gruppo di lettura”, il 30 novembre 2013 la scrittrice e sceneggiatrice Anna Pavignano ha incontrato nel quadrato del nostro Istituto gli studenti che hanno aderito a questa iniziativa. L’autrice ha parlato della propria attività di sceneggiatrice, in particolare del rapporto con l’attore e regista Massimo Troisi, rimpianto compagno di vita e di lavoro. Con lui ha firmato la sceneggiatura di film come “Ricomincio da tre”, “Scusate il ritardo” e “Il postino”. Anna Pavignano, con molta emozione, ha parlato di questa fase della sua vita e ha presentato ai ragazzi il suo primo romanzo, “Da domani mi alzo tardi”, scritto proprio dopo la morte di Troisi. Ha voluto raccontare loro le proprie esperienze di vita, ricche di momenti intensi, ed ha spiegato come è riuscita, scrivendo il romanzo “Tutto quello che vorrei”, ad avvicinarsi al mondo degli adolescenti, un mondo che lei conosce molto bene gra-

zie ai racconti di suo figlio, coetaneo dei protagonisti. “Tutto quello che vorrei” narra la storia d’amore nata tra Fabio, un ragazzo portatore di handicap e Michela, sua ex compagna di classe che per motivi economici e famigliari ha dovuto abbandonare la scuola; narra soprattutto degli ostacoli che insieme dovranno superare per continuare a vivere la loro relazione partendo dall’incomprensione dei genitori fino ad arrivare alla fuga, il tutto con l’appoggio del professore di italiano e l’immancabile aiuto degli amici. Nel romanzo la scrittrice ha voluto soffermarsi in modo particolare sul carattere e sui comportamenti di Fabio, ragazzo

sempre allegro, spiritoso, con poca voglia di studiare, ma allo stesso tempo con una grande passione nello scoprire il mondo e ciò che la vita gli può offrire. Shakespeare ha detto che il problema è <<essere o non essere>>. Ma si è sbagliato. Se fosse stato handicappato, pensa Fabio, avrebbe capito che il vero problema è <<essere ma non essere>>. Cosi Anna Pavignano vuole trasmettere il pensiero di Fabio, che non si considera un ragazzo diverso dagli altri, ma uno come loro, indipendentemente dal fatto che possieda un deambulatore a causa delle sue difficoltà motorie. Nella figura di Fabio si trova una grande determinazione, tanta forza e molto coraggio; egli infatti rifiuta ogni forma di aiuto perché ritiene di avere tutte le possibilità per poter superare autonomamente ogni prova che la vita gli pone. Tutto questo per farvi capire la bellezza della speranza concessa agli adolescenti di poter provare tutto ciò che desiderano senza tralasciare alcun particolare.


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gruppo di lettura giovani

incontro con farian sabhai

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come avvicinare i ragazzi alla lettura

Per sfatare tanti luoghi comuni sulle donne iraniane

a cura di Sara BRUNELLO e Maria Letizia FIAMMINGHI (IICri)

a cura di Eleonora BELLUZZI (V Erica)

a nostra scuola, durante la manifestazione Librarsi, ha colto l’occasione per presentare e proporre ai ragazzi il progetto del Gruppo di Lettura. La proposta è nata dalla collaborazione già consolidata dell’Istituto con Simonetta Bitasi, esperta di narrativa per ragazzi e giovani adulti e ha trovato piena disponibilità da parte della biblioteca di Asola, in particolare di Barbara Puttini e Raffaella Salvalai. Scopo dell’iniziativa è quello di avvicinare i ragazzi alla lettura attraverso la proposta di libri per lo più recenti, di varie case editrici, che affronta-

no tematiche di particolare interesse per la fascia d’età dai 14 ai 18 anni. Il primo incontro, durante il quale è stato presentato il progetto, si è tenuto venerdì 29 novembre 2013 e vi hanno partecipato, contro tutte le aspettative, moltissimi ragazzi di tutte le classi. Simonetta ha proposto alcuni libri adatti a loro, che avrebbero potuto trovare interessati non solo i lettori accaniti, ma anche coloro che normalmente non sono appassionati di lettura. Nel quadrato del piano terra del nostro Istituto è stato allestito un bookshop nel quale i ragazzi potevano sfogliare e scegliere molti di

questi libri. Alcuni sono stati presentati direttamente da Simonetta: romanzi come Speak, Parole avvelenate, Sei come sei, Ultraviolet, X, Player one, Monoceros, Io sbaglio da sola; graphic novel come Fermo di Sualzo, Dodici di Zero Calcare; autori come Aidan Chambers e Anna Pavignano, che è stata ospite della nostra scuola il giorno seguente. Si è tenuto un secondo incontro del Gruppo lunedì 16 dicembre, alla biblioteca comunale di Asola, durante il quale alcuni ragazzi hanno parlato dei romanzi che hanno letto e hanno proposto una lista di libri da segnalare ai docenti. A questo primo incontro in biblioteca hanno partecipato circa settanta ragazzi! Un successo inaspettato e strepitoso che fa capire quanto interesse ci sia nei confronti della lettura. Altri incontri sono programmati per i prossimi mesi, sempre in biblioteca, dove altri ragazzi parleranno e discuteranno dei libri letti, sperando che ci siano ancora tante presenze.

re che anche lei si identifizia il suo libro, alcune rica nelle vesti di donna iraghe che ci fanno capiniana. re all’istante l’idea che lei Farian ha fatto leggere a ha del suo paese, perché dei ragazzi, chiamati sul è così che definisce l’Iran. palco, dei pezzi del pamUn paese essenzialmente phlet scelti da loro stessi, e ospitale, con persone dal poi li ha commentati uno cuore grande e non solo ad uno spaziando anche li- “pronte a fare la guerra”. beramente per il testo e «Teheran è la capitale coinvolgendoli. Le classi dell’Iran, un paese grande potevano intervenire twitcinque volte e mezza l’Italia. tando durante la conferen- Al crocevia di tante vie caza per facilitare l’attenziorovaniere: la via della seta, ne e la comprensione e Uno studente del Falcone per presentare delle do- durante un momento di lettura mande in maniera La locandina dell’evento più veloce. C’è stata la possibilità di effettuare una videl giorno 30 novemoconferenza con una donbre 2013 al teatro San na iraniana, amica del prof. Carlo di Asola si è teGrassetto e docente di itanuto l’incontro con Farian liano presso l’università di la via delle spezie, la via delSabahi, docente, giornaliTeheran, Antonia Shorale pietre preziose. […] Testa professionista e storica ka, per avere conferma o heran è una città lontana, italiana. risposta su alcune idee che ma nemmeno troppo. È sul Il “protagonista” della conriguardano la figura della trentacinquesimo paralleferenza organizzata dal donna in Iran. lo nord, come l’isola di LamProf. Simone Grassetto, «A Teheran sono sempre arpedusa. » docente di geografia gerivata di notte. In nessun po- Farian procede descrivennerale e antropica del nosto al mondo famiglie intere do minuziosamente l’Iran e stro Istituto, in quanto ha si mettono in moto per acle sue bellezze, e questo laavuto il piacere di conocogliere i parenti che tornascia trasparire quanto ami scere l’ Iran durante uno il paese “d’origine”. dei suoi numerosi viaggi in no da luoghi lontani. A Teheran invece succede, e così Il nucleo centrale del suo giro per il mondo, è stato libro, e di quello che quel un piccolo libro da lei scrit- all’aeroporto c’è un sacco di to recentemente e finito di gente. […] Sono loro, i fami- giorno voleva portare ad Asola e far conoscere agli stampare precisamente nel liari, a strapparti di mano il carrello con il tuo carico di studenti, però, è la condisettembre 2013. Il titolo è valigie.» zione della donna iraniana “Noi donne di Teheran”, in anche ai giorni nostri. cui è subito possibile nota- È così che la scrittrice ini-

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«A Teheran, non sempre le donne stanno ai fornelli. Fanno tante cose diverse. Studiano, lavorano, giocano. Due estati fa con gli amici siamo andati al parco Laleh con le pistole ad acqua. Ci divertivamo, come bambini. Alla fine eravamo fradici. Faceva caldo. Ma a qualcuno non è piaciuto, abbiamo dovuto smettere. […] Noi donne di Teheran, amiamo fare sport. Ci piace andare in bicicletta, anche se possiamo pedalare soltanto in alcuni parchi, non per le vie della nostra città. Perché non è facile inforcare la due ruote rispettando i codici di abbigliamento della Repubblica islamica. E troppo spesso siamo biasimate per il malcostume della società in cui viviamo. Come tante altre donne, anche noi siamo state contagiate dalla febbre del calcio. Dal 1997 abbiamo una federazione nazionale di calcio femminile. Giochiamo senza velo, ma i nostri padri non possono entrare allo stadio e fare il tifo per noi.» In questi pezzi di libro e di storia della società iraniana, la condizione della donna è veramente descritta in una maniera straordinariamente semplice e decisamente migliore di quanto noi siamo abituati ad immaginare. È un luogo comune pensare che le donne iraniane siano trattate come zerbini, siano considerate soltanto oggetti e vengano loro

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Farian è nata in Italia da padre iraniano e madre italiana. Ha insegnato all’Università di Torino (dove ora vive), Roma e Siena. Dal 2011, insegna a Torino e all’Università di Ginevra. Scrive regolarmente per alcuni quotidiani, tra cui “Il Corriere della Sera” e “Il Sole24Ore” e per le riviste “Io Donna”, “Vanity Fair”, “East” e “Ventiquattro”. Collabora con Radio Popolare, Radio24 e Radio Svizzera. Interviene spesso a varie trasmissioni televisive e ha realizzato per SkyTG24 un reportage e un documentario sul difficile rapporto tra Iran e Israele. Ha realizzato due cortometraggi e scritto la sceneggiatura di alcuni spettacoli teatrali. Nel 2011 ha vinto il premio Amalfi nella sezione Mediterraneo e nel 2012 il premio Torino Libera intitolato a Valdo Fusi.

riconosciuti pochissimi diritti. Quello che ci vuole testimoniare Farian Sabahi è quanto la visione che l’Italia e i paesi occidentali hanno della cultura iraniana sia distorta. Le donne non sono sacrificate, le donne vivono in una cultura in cui sono nate e alla quale sono abituate; come in ogni religione ci sono fondamentalismi, ma nella normalità delle cose le donne in Iran possono essere “libere di fare ciò che vogliono entro determinati limiti”. In questo senso sono stati fatti passi da gigante. E il quesito essenziale che ci poniamo noi “non-musulmani” è: “come fanno le ragazze musulmane a portare il velo? Deve essere una vera e propria scocciatura!” Differenziamo il chador dal burqa, intanto. Il primo è un normale velo, simile a quello che hanno sempre portato anche le donne qui in Italia per entrare in chiesa, e non crea nessun tipo di problema. Mentre il secondo sì, costituisce un problema in termini di pelle e anche di “riconoscimento” perché non permette di vedere la persona sottostante. Ma poi, in ogni caso, c’è una risposta alquanto intelligente alla domanda che spesso ci poniamo noi Italiani … Chi ha detto che alle donne iraniane non piaccia portare il velo sul capo?


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tappomondo

Progetto del WWF per un green job a cura di Luca VENERONI (IVCSa)

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erché impiegare le nostre energie nel raccogliere i tappi? A molti sarà sicuramente capitato di ricevere la proposta di raccogliere i tappi da associazioni senza fini di lucro per acquistare una carrozzina per disabili. Ma sapete quanti tappi ci vogliono? Un tappo pesa all’incirca 2g e per raccogliere 1000 € servono la bellezza di 5,5 tonnellate di tappi, se pensiamo che una famiglia produce 21 tappi alla settimana, servirebbero 2060 famiglie per raccogliere questa quantità in un anno. Il ritorno economico sarebbe ridicolo se pensiamo che chiedendo un centesimo a famiglia otterremmo il doppio del guadagno. Tuttavia, alla luce di buone abitudini e stili di vita da trasmettere, la rac-

colta dei tappi ci dà l’opportunità come abitanti del pianeta Terra di ridurre l’impatto ambientale causato da questo piccolo rifiuto colorato fatto di PE (Polietilene). I tappi, infatti, seguono una via di riciclo diversa dalle bottiglie (PET, Polietilenetereftalato), pertanto è giusto differenziare questi due rifiuti. Chi vi scrive è la classe 4^Csa che vorrebbe attivare all’interno dell’Istituto la campagna “Tap-

pomondo” così come è stata illustrata al concorso “Green Job” indetto dal WWF. Ogni classe potrà contribuire liberamente all’iniziativa raccogliendo e stoccando i tappi. A fronte di una cospicua quantità di materiale raccolto la ditta Riplast di Brescia provvederà al ritiro e a riconoscere il corrispettivo dei tappi raccolti in denaro. Non si tratterà di grosse somme, o forse sì? L’unico cosa certa è che l’intero ricavato servirà ad incrementare il fondo studentesco finalizzato al finanziamento di iniziative e progetti scolastici. Noi crediamo ne valga la pena e per questo chiediamo la vostra collaborazione, ma ricordate che il mondo sarà più bello e più pulito se ciascuno di noi farà la sua parte.


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mes: meccanismo europeo di schiavitù

Si tratta di un vero e proprio totalitarismo finanziario a cura di Andrea PIAZZA (VAs)

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on capita spesso di leggere sui giornali italiani articoli riguardanti il MES (conosciuto anche come Fondo Salva-Stati), nonostante l’argomento sia estremamente dibattuto nel resto d’Europa. Il MES (acronimo di Meccanismo Europeo di Stabilità) è un organismo, attivo dal luglio 2012, istituito allo scopo di proteggere l’Unione Europea da una possibile crisi del debito sovrano. Questa istituzione è formata da 17 super-governatori, che rappresentano i ministri dell’economia dei paesi membri (quindi anche il nostro ministro Padoan), e

nel caso in cui uno Stato si trovi in difficoltà economiche essa agisce prestandogli denaro. Questi prestiti però non vengono elargiti tanto per solidarietà, anzi, oltre ad essere richiesti tassi di interesse elevatissimi, portano con loro pesanti condizionalità. Sul web si può facilmente trovare il testo integrale del Trattato istitutivo del MES e, leggendo attentamente alcuni articoli, ci si può rendere conto di quanto la situazione sia preoccupante. Innanzitutto l’Italia, come stato membro si impegna a pagare la sua quota di partecipazione, che corrisponde al 17,9

% di 700 miliardi, ovvero circa 125 miliardi di euro in 5 anni (di cui 40 già pagati a nostre spese). Secondo l’articolo 9 però, la richiesta di tale capitale può essere effettuata per intero in qualsiasi momento, e lo Stato membro è quindi obbligato ad effettuare il pagamento incondizionatamente e irrevocabilmente entro 7 giorni dalla richiesta. Inoltre il MES può adeguare a piacere il capitale autorizzato secondo le proprie esigenze (articolo 10). In pratica siamo di fronte ad una ricapitalizzazione all’infinito, un progressivo indebitamento di cui si conosce

l’inizio ma non la fine. Ora, se uno Stato membro per qualsiasi motivo non paga o non può ripagare il proprio debito il MES ha il potere di acquisire o alienare i suoi beni mobili e immobili (articolo 32). È già avvenuto con la Grecia, che ha dovuto piegarsi alle richieste ed è stata costretta a cedere parti della propria sovranità e ad avviare il più grande piano di privatizzazioni del mondo. Ma non è finita, perché l’articolo 32 sancisce anche che tutti i beni e le proprietà del MES godono di totale immunità, e non possono essere per questo oggetto di perquisizione, confisca o sequestro, e i locali e gli archivi e tutti i documenti sono inviolabili. Questo vuol dire che se un domani dovesse scoppiare uno scandalo nazionale in cui è coinvolto il ministro dell’economia, e si volesse controllare il computer di quest’ultimo, basta che egli dica che all’interno vi sono dei documenti inerenti al MES per far sì che rimanga impunito. Mentre noi continuiamo a farci prendere in giro nel resto d’Europa esplode il dibattito. Nel maggio 2012 alcune personalità austriache si accorgono dei problemi che l’approvazione di un trattato del genere comporterebbe, e decidono così di scrivere una lettera a tutte le istituzioni di Vienna. Nella missiva essi definiscono il MES come “un’oligarchia finan-

ziaria anonima priva di legittimazione democratica […] è insomma la delega ad instaurare una schiavitù finanziaria sotto il pretesto della solidarietà”. Questi intellettuali continuano poi dicendo che “l’indifferenza rispetto alle preoccupazioni e ai problemi dei cittadini e l’Austerity minacciano di portare a una resistenza pubblica, all’abbattimento dei governi e perfino a guerre civili”. Essi hanno poi voluto precisare come l’avviso sia arrivato per tempo ai politici, ma ovviamente questi li hanno respinti e liquidati come profeti di sventura. Anche in Germania l’argomento crea parecchio scalpore, tanto che sono arrivati ben 37.000 ricorsi alla Corte Costituzionale contro il MES. Essa, dopo un’attenta analisi, ha dichiarato incostituzionale la parte del trattato che autorizza all’aumento del capitale, ed ha deciso che se ciò accadesse, andrebbe prima approvato in Parlamento. Non è finita, perché la Corte ha inoltre sancito che in una democrazia la trasparenza è il principio più importante e che quindi tutte le operazioni del MES devono avvenire “a cielo aperto”. Ciò vuol dire che il governo tedesco, al contrario di quello italiano, può richiedere le minute, i verbali e tutti i documenti stilati durante le riunioni tra i super-governatori. In Italia invece sembra non interessare questo gene-

re di notizie, basti pensare che per trovare un articolo a riguardo sul “Corriere della Sera” all’indomani dell’approvazione bisogna arrivare in fondo a pagina 7 dove vi sono dedicate 5 righe e mezzo. Inoltre, al contrario di quanto successo in Austria e in Germania, da noi nessuno ha rivendicato quei diritti, e non c’è stato un solo movimento politico che abbia anche solo manifestato la volontà di discutere alcuni punti del trattato. Alla luce di quanto detto come definireste un organismo che gode di totale immunità, che possiede gli stessi poteri di una banca e di uno stato sovrano e che per giunta è in grado di imporre il proprio volere su altri stati sovrani? Esaminando bene la situazione l’UE più che un’unione di stati sembra assomigliare sempre più ad un vero e proprio totalitarismo finanziario. Quello per cui ci battiamo è quindi informare i cittadini, perché la realtà è che viviamo in un paese in cui i media e i politici ci raccontano una verità fasulla e tentano invece di offuscare o distogliere lo sguardo da eventi di elevata gravità e di fondamentale importanza nello scenario politico internazionale e interno; vi invitiamo dunque ad informarvi continuamente, anche attraverso FXP, tramite fonti di controinformazione, per non ritrovarsi un domani succubi degli eventi.



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la menzogna infinita

Le bugie della politica, il conformismo dei giornali e il disastro europeo a cura di Alessandro RONCHETTI (IIIAs)

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a circa quattro anni, benché si siano succeduti alla guida del Paese ben tre governi, di cui gli ultimi eletti non democraticamente, l’Italia è impantanata in quel circolo vizioso di disoccupazione, calo dei consumi e speculazione finanziaria internazionale che siamo da tempo soliti definire come “crisi”. Nonostante questo dato, evidente agli occhi di tutti, la Banca Centrale Europea, i politici e,

per loro, i più importanti giornali nazionali, affermano ogni anno, dal 2010 a questa parte, che l’Italia sta vivendo la fase più acuta della crisi e il sistema economico ha toccato il picco negativo, ma che comunque la ripresa è a portata di mano e la luce in fondo al tunnel inizia ad intravedersi. Ci hanno raccontato questo nel 2010 per il 2011. Nel 2011 avete notato il minimo accenno di sviluppo? Ci hanno detto questo nel

2011 per il 2012. Nel 2012 il debito “pubblico” è forse sceso? Ce lo hanno detto anche nel 2012 per il 2013. Nel 2013 il numero di imprenditori e padri di famiglia suicidi è forse diminuito rispetto all’anno precedente? Ci hanno preso in giro pure nel 2013, per il 2014. Ed ora, seppur da pochi mesi, siamo nel 2014. L’economia sta forse crescendo? No. Il debito pubblico, che grava sul popolo italiano ma che dal popolo italiano non è generato, sta forse diminuendo? No. È chiaro che il maggior responsabile di questa situazione sia il sistema politico, gestito da individui ignari di se stessi, del ruolo che ricoprono e delle responsabilità che hanno assunto, ben consapevoli del momento storico corrente ma incapaci, o per mancanza di volontà o per convenienza personale, di porre rimedio al danno che loro stessi hanno creato, essendo al potere da vent’anni. È però scorretto affermare che la Politica sia l’unica responsabile, dal momento che il sistema politi-

co, in ogni apparato democratico, prende vita e si rinnova a partire dalla volontà popolare. Si può quindi dedurre che un popolo ben informato, responsabile e consapevole, sia sempre in grado di esprimere la propria volontà elettorale secondo i reali bisogni della comunità e della nazione, traendone conseguentemente beneficio. Un popolo male informato, controllato da una classe politica inadatta e reso “consapevole” da un sistema d’informazione disorganizzato, colluso o addirittura facente parte del sistema politico, non potrà far altro che esprimere la propria volontà politica secondo le convenienze personali e, al di là di questo fatto, sarà sempre, perennemente, costantemente in balia del populismo. E il caso del popolo italiano è tanto lampante quanto esemplare, dal momento che le sciagure che affliggono la nazione, che si concatenano alla perfezione, permangono all’interno di un sistema paese caratterizzato dalla totale assenza di un sistema d’informazione vero, dato che quello attuale, colpevole insieme alla politica, tace sui problemi di fondo e si esprime poco duramente sugli scandali politici. Si tace perennemente, per esempio, sulla questione europea e quando se ne

parla si tende spesso a descrivere l’Unione con una accozzaglia di frasi fatte, senza scendere nel merito di alcune faccende estremamente contraddittorie. Una di queste per esempio è la questione del MES, il meccanismo europeo di stabilità a cui l’Italia ha contribuito con una quota di 125 miliardi (si, avete letto bene, 125 MILIARDI) di euro per salvare l’Europa da un possibile “contagio finanziario”, che, badate bene, può avvenire solo attraverso le manovre speculative di quegli istituti di credito privati che detengono le quote della Banca Centrale Europea. Come è possibile che il Governo Berlusconi e il Governo Monti, eletto grazie ad un vero e proprio colpo di stato finanziario, abbiano trovato questa enorme quantità di denaro quando poi, se si tratta di Imu o Cassa Integrazione per i nostri operai, ci fanno credere che i conti possano quadrare solo con nuove tasse e che un miliardo in più o in meno faccia la differenza tra la sopravvivenza e il fallimento? Perché questi 125 miliardi sono usciti dalle casse con estrema facilità se, all’epoca del governo Monti, ci hanno fatto credere che l’IMU, per un valore di 4 miliardi, avrebbe fatto la differenza tra la catastrofe e la stabilità e avrebbe

diminuito lo spread, stabilito anch’esso dai mercati privati? E ancora: come è possibile che questo denaro da noi regalato possa eventualmente rientrare in nostro possesso solo tramite prestito con tassi d’interesse decisi proprio da quei mercati e da quelle banche che detengono le quote della BCE e hanno il potere di far fallire gli stati sovrani a loro piacimento mettendoli nelle condizioni di dover ottenere proprio quel denaro a interesse? Come è possibile che il nostro debito pubblico continui a salire nonostante, rispetto all’epoca dei governi Berlusconi, le tasse siano aumentate? Perché, quando l’Italia era padrona della propria moneta, questo non avveniva? Perché, durante il governo Monti, il debito è, in percentuale, salito ,maggiormente rispetto ai governi di Berlusconi? Sarebbe difficile trovare una risposta a questa sfilza di domande se ci affidassimo ai giornali e alle televisioni italiane. E proprio per questo motivo la disinformazione del popolo nuoce al popolo stesso, poiché le scelte europee, votate dai partiti che il popolo disinformato elegge, sono quelle che più di tutte le altre danneggiano l’economia e il tessuto sociale, col serio rischio di mettere in pericolo la democrazia.


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vannoni e il metodo stamina Un caso tutto Italiano di cui (non) andare fieri a cura di Francesco ALFIERI (IIIAs)

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l metodo Stamina è oggi famoso grazie all’importanza attribuitagli da diversi canali mediatici, e ci si riferisce soprattutto a telegiornali e programmi televisivi come “Le Iene”, che si sono sempre posti a difesa della “cura” fino a poco fa. Il caso fa parte degli argomenti che sentiamo trattare in questo periodo dai media, dai genitori o a scuola, ma la sua storia inizia nel 2007, quando il dottor (no, non è laureato in medicina, ma economia, qui dottore non significa medico) Davide Vannoni incomincia a pubblicizzare il suo metodo, parlando di migliaia di casi trattati e promettendo la cura per svariate malattie neurodegenerative, tra cui il morbo di Parkinson, SMA e SLA, attraverso dépliant e video divulgativi. Ma è dal 2009 che s’inizia a diffondere la notizia: “Il Corriere della Sera”, “La Stampa” e “La Repubblica” pubblicano articoli in cui si leggeva di come Vannoni offrisse cure miracolose, che si rivela-

vano spesso inutili e addirittura pericolose per i pazienti, per cifre che galleggiavano tra i 20000 e i 50000 euro in una clinica di San Marino. Probabilmente chi ha sentito parlare del metodo lo ricorderà come una cura compassionevole che non dovrebbe procurare profitto al luminare. Di fatto, è solo da 2011 che il titolo di cura compassionevole è stato addossato al metodo, ma a quel punto si calcola che Vannoni possa aver già racimolato una cifra che si aggira sui 2 milioni di euro dai soli pazienti. Questo però non impedì il fatto che nel 2012 la

procura rinviasse a giudizio Vannoni per i reati di somministrazione di farmaci imperfetti e pericolosi per la salute pubblica, truffa e associazione per delinquere. La “protesta popolare”, che vede coinvolti in primis gli ammalati delle malattie che Vannoni dichiara di poter guarire e in seguito anche diverse altre persone, inizia dai servizi che “Le Iene” propongono schierandosi nettamente a favore del dottor Vannoni. La risposta della totalità della comunità scientifica è chiara: il metodo Stamina non è un metodo scientifico, non ci sono evidenze della sua validità e, al contrario, è stato più volte dimostrato essere pericoloso o inutile per la salute dei pazienti. Non si creda però che per “comunità scientifica” s’intenda “gruppi di persone che per interesse rifiutano il metodo”: infatti, oltre all’Accademia dei Lincei, e altri importanti esponenti del sapere scientifico (la prestigiosa rivista Nature su tutti), si è schierato contro il me-

todo anche il premio Nobel per la medicina 2012 Shinya Yamanaka, presidente della Società Internazionale per la Ricerca sulle Cellule Staminali, che aveva ottenuto il premio proprio grazie ad uno straordinario studio a proposito della riprogrammazione delle cellule mature. Secondo i sostenitori del metodo Stamina, questo sarebbe ostacolato dalle più potenti case farmaceutiche che, senza scrupoli, ricaverebbero profitti maggiori dalla vendita di cure per ma-

lattie croniche e durature (per esempio carrozzelle e farmaci da somministrare regolarmente) rispetto alla vendita di una cura definitiva che elimini le malattie. L’ipotesi è verosimile ma nessun elemento ci dà a oggi indicazioni che la sostengano. Quello che non tutti sanno, che al contrario delle speculazioni precedenti è certezza, è che se esiste una casa farmaceutica in gioco, questa è in favore del Vannoni. Si tratta della Medestea, società interessata

nello sviluppo di nuove cure per diverse malattie, tra cui l’AIDS e le malattie neurodegenerative citate sopra, che si serve abbondantemente, tra le altre cose, di cellule staminali per i suoi trattamenti. La Medestea, infatti, essendo fortemente interessata alla vendita e alla deregolazione per l’uso delle cellule staminali, si è rivelata essere finanziatrice “non ufficiale” di Davide Vannoni per una cifra che si aggira sul mezzo milione di euro.


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metodo stamina Il motivo di una speranza

a cura di Andrea PIAZZA e Stefano SOLAZZI (VAs)

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rmai da tempo si sente discutere del dottor Davide Vannoni e del suo famoso metodo Stamina. Il caso è diventato di dominio pubblico, grazie all’impatto mediatico che è riuscito ad avere tramite i telegiornali e i vari programmi televisivi. Che il metodo proposto sia controverso è fuori dubbio, forse però il dibattito costruitogli attorno è eccessivo, a volte addirittura fuorviante, soprattutto perché spesso vengono diffuse notizie non corrispondenti a verità, come il fatto che sia dannoso e che abbia provocato numerosi morti. Una delle accuse maggiormente mosse nei confronti di Vannoni è quella che in effetti egli non sia laureato in medi-

cina. I risultati però sono tangibili, si vedono, non c’è bisogno di un medico; allora perché c’è tutta questa ritrosia? Egli risponde “Perché è una rivoluzione che cambierà tutta la medicina”. La comunità scientifica è infatti tuttora ostile verso il trattamento con cellule staminali mesenchimanli, che sarebbe però efficace contro 60 patologie attualmente incurabili. Non sembra giusto inoltre che per valutare la sperimentazione non siano state analizzate le cartelle cliniche dei pazienti trattati con il metodo. In aggiunta Vannoni sostiene che il metodo Stamina dovrebbe essere reso disponibile come cura compassionevole, in quanto esiste una legge dello Stato italiano che lo

consente; il decreto Turco del maggio 2006, rende infatti consentito l’impiego di medicinali non ancora approvati, in mancanza di un’alternativa terapeutica e in pericolo di vita per il paziente. In molti sostengono inoltre che la battaglia portata avanti da Vannoni abbia fini puramente personali, in realtà i trattamenti eseguiti a Brescia, in un ospedale pubblico, sono assolutamente gratuiti per il paziente. La burocrazia e i numerosi dibattiti stanno però rendendo lungo e difficile il lavoro degli scienziati, che non sono nelle condizioni di lavorare serenamente. Negli Stati Uniti, dove invece di discutere si lavora, un team di ricercatori ha trattato su modelli animali la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) con infusioni di cellule staminali neurali umane, ottenendo risultati promettenti, tali da incoraggiare a sperimentare questo tipo di trattamenti sull’uomo, in futuri trial clinici. I risultati dello studio saranno presentati nel dettaglio durante la prossima riunione annuale dell’Accademia di Neurologia, prevista per il 23 marzo a San Diego, in California; è già stato mostrato comun-

que che le staminali infuse sono state in grado di aumentare considerevolmente la vita dei topi malati e di migliorare le funzione neuromuscolari nel 15% dei casi. Sarebbe opportuno associarsi al pensiero del Professor Vannoni quando definisce il metodo da lui efficacemente sperimentato come “Terapia”; in sostanza sono dei trapianti. Purtroppo la Comunità Europea non la pensa così, infatti ha deciso di catalogarlo come farmaco, come cura definitiva, e quindi deve essere, inevitabilmente, sottoposto ad un iter lungo e burocratico. Una catalogazione che forse in questo caso non è molto appropriata, perchè non si tratta di molecole prodotte in laboratorio ma di cellule vive e che hanno quindi bisogno di molta attenzione per essere mantenute in vita. Noi di FXP non abbiamo né le competenze né tantomeno ci permettiamo di sbilanciarci sul fatto che il metodo funzioni, però vogliamo aggiungere che tutti hanno il diritto di vivere; come si può negare un’ opportunità, anche se piccola, di una vita migliore? Lo stato dovrebbe fornire tutti gli strumenti e le competenze possibili per garantirla e tutelarla perché non c’è nulla di più brutto nella vita che perdere la speranza.

PER UN APPROFONDIMENTO SERENO E OGGETTIVO

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ltimamente il dibattito sulle cellule staminali è sempre presente nei principali mezzi d’informazione, questo approfondimento vuole essere un’oggettiva analisi delle diverse posizioni tenute attualmente da chi è a favore e chi contrario al Metodo Stamina. Cosa si intende per cellula staminale? Per cellula staminale si intende una cellula primitiva non specializzata, essa si può trasformare in altri tipi di cellula del corpo mediante un processo chiamato “differenziamento cellulare”. Per potere essere definita tale, una cellula deve soddisfare due proprietà fondamentali: l’autorinnovamento e la pluripotenza. L’autorinnovamento rappresenta la capacità di una cellula di compiere un numero illimitato di cicli replicativi (riproduzione cellulare), mantenendo il medesimo stato differenziativo (processo che porta alla differenziazione cellulare). La pluripotenza è la capacità di dare origine a una o più linee o tipi cellulari mediante differenziamento. Da dove si ricavano le cellule staminali? Le cellule staminali vengono prelevate da diversi organi: cordone ombelicale, sacco amniotico, sangue, midollo osseo, placenta, tessuti adiposi. Vengono classificate in base all’origine, vengono conservate in banche di conservazione apposite. È importante sottolineare che le cellule staminali prese a livello dell’embrione, o al massimo del feto, rappresentano le cellule con la maggior potenzialità differenziativa. Cos’è il Metodo Stamina? Il Metodo Stamina è un trattamento medico inventato da Davide Vannoni, esso è principalmente rivolto alle malattie neurodegenerative. Il metodo proposto prevede la conversione di cellule mesenchimali, cioè cellule solitamente destinate alla generazione di tessuti ossei e adiposi, in neuroni. In particolare la terapia di Vannoni prevedrebbe il prelievo di cellule dal midollo spinale che, dopo un processo di incubazione, verranno propinate nei pazienti stessi. Chi si oppone al metodo e con quali affermazioni? Alcuni ricercatori scientifici ritengono il metodo non efficace, infatti, attualmente il metodo risulta privo di una validazione scientifica che ne attesti la validità terapeu-


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tica. Inoltre, le domande di brevetto che l’ideatore del metodo ha sottoposto al vaglio hanno avuto esito negativo. La domanda di brevetto presentata all’Ufficio Brevetti Statunitense fu respinta perché la commissione riteneva che la domanda aveva dettagli insufficienti riguardo alla metodologia, sostenendo che è improbabile che la differenziazione cellulare si verifichi in un tempo

Cellule staminali di incubazione così breve e che la comparsa di cellule nervose nella coltura rischierebbe di essere frutto di cambiamenti citotossici (cambiamenti in grado di indurre danno ad una cellula). La rivista scientifica Nature ha bocciato il metodo perché ci sarebbero seri e fondati motivi non solo sull’inefficacia, ma anche sulla pericolosità dello stesso metodo, poiché emergerebbero imperfezioni ed errori concettuali nell’applicazione di tale metodo. Qual è la situazione in Italia?

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Il 15 maggio 2013 la Commissione affari sociali della Camera dei deputati decise l’avvio della sperimentazione. Vannoni, nonostante lo stanziamento di 3 milioni di Euro per la ricerca sul metodo da parte del Parlamento, rimanda più volte la consegna della documentazione scientifica del metodo. A fine giugno 2013 il ministro della salute Beatrice Lorenzin nomina i membri del comitato che dovrà seguire la ricerca e scegliere se ritenerla efficace o respingerla. Con una semplice ricerca è possibile osservare che i membri della commissione hanno dei legami con case farmaceutiche che propongono metodi alternativi alla terapia di Vannoni (come lo stesso Vannoni ha evidenziato). Il problema fondamentale ora è se continuare o bloccare la sperimentazione. Studiando i fatti, osservando le vicende legate al “Metodo Di Bella”, si può forse vedere nell’iter del “Metodo Stamina” una sorta di bocciatura cautelativa che vada a favorire case farmaceutiche che propongono metodi alternativi al “Metodo Stamina”? Sicuramente non bisogna continuare ad ascoltare conduttori e giornalisti che prendono posizione e commentano informazioni tecniche che non sono in grado di pa-

droneggiare. Personalmente penso che ogni metodo che può aiutare delle persone sia da sperimentare con scrupolo. Esistono testimonianze completamente divergenti, Carmine Vona afferma di essere stato truffato da Vannoni poiché non solo il metodo sia stato inutile, ma ha anche aggravato la sua situazione salutare ed economica; testimonianze positive provengono dai genitori di alcuni bambini curati con il “Metodo Stamina” negli Spedali Civili di Brescia, testimoniando un miglioramento nella malattia (Sma1).

Ognuno è libero di credere a quello che vede o che sente. Sicuramente non si possono nascondere i miglioramenti che sono stati osservati in alcuni pazienti in cura con il “Metodo Stamina”. Molti blog e anche la trasmissione di Italia1 “Le Iene” hanno portato numerose prove a favore del suddetto metodo. Ma le cellule staminali sono totipotenti? No, e secondo gli studi non è possibile riprogrammare una cellula differenziata in un breve tempo di incubazione, cioè quello che dichiara Vannoni, quindi come è possibile che cellule destinate a generare tessuti ossei e adiposi diventino cellule nervose? Il dibattito è ancora aperto.


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il principio d’autorita! Riflessioni sulla giornata della memoria a cura di Stefano SOLAZZI (VAs)

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a giornata della memoria è una ricorrenza internazionale istituita nel 2005 nel giorno 27 gennaio dall’ONU, che commemora la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz avvenuta il 27 gennaio del 1945 ad opera delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa. È importane sottolineare che l’Italia istituì tale giornata alcuni anni prima delle Nazioni Unite. La giornata della memoria rappresenta il ricordo del meccanismo brutale e perfetto che ha portato allo sterminio di circa 15 milioni di persone ritenute “indesiderabili” (ebrei, andicappati, omosessuali, testimoni di Geova, dissidenti politici, ecc..) ad opera della Germania Nazista e dei suoi alleati. La giornata della memoria ricorda l’Olocausto che è conosciuto più correttamente con il termine Shoah (in ebraico “distruzione”) in quanto ha portato

al genocidio degli ebrei: per genocidio si intendono tutti gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Ora, avendo chiari i concetti fondamentali che caratterizzano questo brutale evento, voglio esprimere il mio parere sulle cause della Shoah, ma soprattutto sulla commemorazione attuale della giornata della memoria. Attualmente penso che la giornata della memoria sia fondamentale ed ineliminabile, deve ricordare i milioni di persone morte per la follia nazista, deve ricordare chi ha dato la vita per difenderli (i cosiddetti “Giusti tra le Nazioni”), deve ricordare il culmine brutale dove l’umanità è giunta solo 60 anni fa. Ma come è possibile che nel secolo scorso la nazione più avanzata del mondo, patria di intellettuali, scienziati e filosofi tra i più illustri della storia, culla dell’Idealismo, sia arrivata a creare un meccanismo perfetto per sterminare individui “indesiderabili”? Il Nazionalismo, unitamente ai suoi ideali (tra cui quello di razza superiore) che dopo la prima guerra mondiale si sono diffusi in Germania sono stati

uno stimolo incredibile per la nascita dei campi di concentramento e per la nascita dei campi di sterminio. Oltre a questo va tenuto presente uno strumento fondamentale per l’effettivo compimento dello sterminio, il principio di Autorità: infatti, se voi fosse stati negli operatori che aprivano sette chili di “Zyklon B” nelle docce piene di “indesiderabili” vi sareste opposti venendo fucilati, insieme alla vostra famiglia, o avreste rispettato gli ordini che l’Autorità imponeva? Nel 1961 il sociologo Stanley Milgram diede vita ad un esperimento di psicologia sociale: lo scopo era quello di studiare il comportamento di soggetti a cui un’autorità ordina di eseguire delle azioni che vanno a scontrarsi con i valori etici e morali (umani) dei soggetti stessi. Un gruppo di sottoposti, che credeva di partecipare ad un esperimento sulla memoria, doveva leggere delle domande ad un interfono; dall’altra parte dello stesso era situato un attore che rispondeva erroneamente ad alcune domande: ad ogni risposta sbagliata il sottoposto doveva imprimere, grazie ad un bottone, una scossa elettrica sempre maggio-

re; l’attore a quel punto simulava un gemito di dolore e ogni tanto richieste di smettere l’esperimento. Una percentuale considerevole di sottoposti continuarono, scossa dopo scossa, l’esperimento, dato che l’autorità, impersonata da uno scienziato, chiedeva di continuare a leggere le domande. Questo stupefacente grado di obbedienza, che ha indotto i partecipanti a violare i propri principi etici e morali, è stato spiegato in rapporto ad alcuni elementi: l’obbedienza indotta da una figura autoritaria considerata legittima, il cui potere induce uno stato ete-

ronomico, caratterizzato dal fatto che il sottoposto non si considera più libero di intraprendere decisioni autonome, ma strumento dedito a eseguire ordini; l’adesione al sistema dell’autorità cioè l’educazione all’obbedienza; le pressioni sociali, disubbidire all’autorità avrebbe significato metterne in discussione le qualità. Se si tengono presenti i risultati ottenuti da questo esperimento facilmente si può comprendere come lo sterminio nazista ha avuto modo di progredire nel corso del tempo, senza un numero troppo elevato di obbiettori.

Dopo questa importante riflessione sottolineo ancora una volta l’importanza della giornata della memoria, bisogna ricordare e onorare i morti della Shoah. Bisogna però stare attenti poiché l’opinione pubblica gioca su questa giornata, sminuendo altre brutalità che sono state commesse nel Novecento e, ahimé, vengono perpetuate tuttora. I Tedeschi sono notoriamente “i cattivi”, gli Statunitensi sono celebrati come i salvatori dell’Europa, “i buoni” esportatori di pace: ma quale è stata l’unica Nazione a sganciare due bombe atomiche su città inermi e densamente popolate?


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le immagini che non vediamo

Messaggi subliminali e inconscio, ma anche la Disney? a cura di Laura BELUFFI (IIIBsa)

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os’è un messaggio subliminale? Per subliminale si intende l’arte di creare immagini che contengono delle illusioni ottiche, visibili solo quando le si evidenzia. In che modo influenzano le persone? Ce lo siamo mai chiesti? Ci siamo mai chiesti cosa c’è sotto quello che guardiamo? Cosa ci inculca la televisione inconsciamente? Perché è proprio questa la parola chiave: inconscio, dal vocabolario “ciò che non affiora allo stato di coscienza e pertanto non è soggetto al controllo della ragione e della volon-

tà”. L’inconscio è una risorsa che ci ha dato la natura, ma quello che essa ha sviluppato come tale è però oggi terreno interessante per pubblicitari e artisti desiderosi di comunicarci qualcosa andando a toccare la parte più intima della nostra percezione. L’inconscio, però, non ha come il conscio la capacità di analizzare un messaggio e di accettarlo o rifiutarlo; esso può solo vederlo o ascoltarlo e memorizzarlo. Tantissimi sono i messaggi subliminali che possiamo trovare al cinema e davanti alla televisione, mentre guardando un film le in-

formazioni vengono assorbite. Per esempio nella locandina del film “il silenzio degli innocenti” si vede il volto di una donna con una falena sulle labbra, guardandola attentamente però si distingue, sul dorso dell’insetto, un teschio formato dai corpi di sette donne nude, messaggio con un chiaro sfondo sessuale. Altri famosi possono essere quelli che troviamo nei cartoni della Disney, proprio in quei leggendari film che i bambini di ogni paese guardano fino allo sfinimento, possono esserci importanti contenuti subliminali, derivanti spesso dalla mente psicolabile del leggendario Walt Disney. La famosa società nel 2004, ha infatti dovuto pagare settanta milioni di dollari per chiudere una causa che li accusava di inserire in film per bambini messaggi a sfondo sessuale, satanico e con istigazioni alla cocaina. Alcuni esempi, forse quelli più famosi sono la parola “sex” che compare nella polvere alzata dal Re Leone, o ancora nel tanto adorato “Bianca e Bernie”, mentre i due roditori planano su grat-

tacieli, in una delle finestre appare la fotografia di una donna crocifissa e nuda con il viso da demonio. Questo tipo di messaggio, quindi sessuale, serve ad attrarre e ha lo scopo di imprimerti un’azione. Certo, nessun problema se questo sentimento fosse costruttivo, mentre il problema nasce quando i messaggi sono di tipo commerciale, sessuale o satanico. E c’è anche un altro problema; un conto se il messaggio arriva nella testa di un adulto, un conto se è un bambino la vittima; fino ai 13/14 anni il bambino è

come un spugna, assorbe tutto quello che gli viene detto o insegnato; questi messaggi lo colpiscono nel profondo e gli imprimono determinate emozioni a vita. Anche la cosa che ci sembra più pura e fedele, la nostra migliore amica: la musica, spesso contiene messaggi subliminali, e per quanto non rinuncerei mai ad essa, voglio solo farmi e farvi rendere conto di quanto c’è dietro l’apparenza. Siamo davvero in una società libera? Vogliamo davvero che la nostra mente e quella dei nostri figli venga im-

pressa da messaggi negativi? Personalmente trovo che sia altamente squallido compromettere la psiche del bambino, ma non solo del bambino, deviare anche i nostri pensieri, si prendono gioco delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti e deviano le nostre scelte come fa loro comodo, ci manovrano senza che noi lo sappiamo: inconsciamente. Oltretutto l’inserimento di questi fotogrammi è proibito in tutto il mondo, ma se è così difficile captarli, pretendiamo che l’inconscio sporga denuncia?


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Due sedie e tanto cinema

Parlando con chi ha trasformato la passione in lavoro a cura di Giulia TONINELLI(IIIAs)

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intervista con Matteo Molinari, esperto di storia e critica del cinema, è stata una lunga chiacchierata sull’arte e la passione che gli hanno cambiato la vita, tra un’osservazione sui migliori film italiani e un commento sull’influenza che il mondo del cinema ha nell’immaginario collettivo. “Partendo da questa passione, mi sono inventato un lavoro”, così parla della sua professione, il preparatissimo docente, mentre seduti su due sedie nella scuola ormai deserta mi affascina con la storia di un amore semplice e intenso, quello per il cinema. Può spiegare brevemente in cosa consiste il suo lavoro e quali studi ha compiuto? Mi sono diplomato al liceo classico Virgilio di Mantova e inizialmente ho scelto di dedicare i miei studi universitari a “lettere e storia dell’arte” ma in seguito ho preferito l’indirizzo di “storia e critica del cinema” dove ancora oggi torno occasionalmente per tenere alcuni esami. Ho iniziato a tenere corsi per arricchire la formazione degli studenti presso il mio liceo e

in seguito, attraverso altri insegnati, ho cominciato a insegnare in diverse scuole, biblioteche ed enti pubblici e privati. In questa scuola sono arrivato per mezzo della Professoressa Portioli che da ormai parecchi anni segue i corsi e successivamente anche la maggior parte degli insegnanti di materie umanistiche si sono aggregati. Preferisce lavorare con ragazzi o adulti? Va seguito un approccio metodologico diverso tra studenti ed adulti, ma non ho preferenza, posso parlare dello stesso argomento e variare discorso anche

da istituto professionale a liceo. Quest’anno per la prima volta comincerò anche un corso con le scuole medie, con cui ovviamente l’approccio dovrà variare nuovamente Da dove nasce la sua passione per il cinema? Sinceramente non lo so. Forse è innata, nel senso che mi è sempre piaciuto il cinema, con una sorta di ammirazione e terrore. Ho avuto un periodo della mia vita, intorno ai dieci anni, in cui non volevo più entrare in un cinema perché a Torino una sala aveva preso fuoco e per la paura mi ero rifiutato di entrare in

una sala cinematografica. Forse ho davvero cominciato ad appassionarmi da quando, in terza media, ho iniziato a registrare videocassette, che poi sono diventati dvd e adesso ne ho una collezione di circa 5000. E da qui mi sono inventato questa professione, incerta, da libero professionista. Come sceglie i temi da affrontare nei corsi? Il mio presupposto critico è quello di scegliere film di grandi autori, non di grandi registi, che quindi lavorano sull’aspetto poetico dell’opera e ne inventano o perfezionano uno stile. Mi può anche capitare di fare tagli trasversali di tipo tematico, come quello su Stanley Kubrik di quest’anno o Tim Burton dell’anno precedente. Pensa che il cinema dovrebbe essere più importante nell’ambito scolastico? Assolutamente sì! Anche perché spesso alcuni docenti usano i film ma con un approccio poco giustificato perché non decodificato. Bisogna sapere che è il regista a descrivere la storia, anche se si tratta di un documento storico in sé, come quando parlo di “Il trionfo della volontà” di Leni Riefenstahl; sì film di propaganda nazista del tempo e quindi interpretabile come documento storico, ma creato con l’intento di educare al nazismo.

Il tema di questo numero del giornalino è quello dell’“Affettività”, esistono film che non parlano di affetto e amore? Non so se ci siano dei film in cui la dimensione affettiva è completamente eliminata, perché essendo un aspetto fondamentale dell’uomo non è possibile toglierlo completamente. Per cui o lo si tiene come argomento centrale o si elimina del tutto, ma rimane comunque presente, come la dimensione della sessualità che non è come la violenza, da cui ci si può allontanare. Che sia il gangster, il pirata o il gladiatore il tema di fondo penso che questo argomento resti fondamentale. Cinema italiano, meglio ieri od oggi e perché? Ieri! Oggi probabilmente non esiste. C’è stato un periodo in cui abbiamo avuto grandi talenti, nomi come Rossellini, Pasolini, Antonioni, Fellini; poi però va anche detto che i talenti crescono se attorno a loro c’è un terreno produttivo particolarmente fertile, cosa che in Italia si è spenta dopo il grande periodo Neorealista che abbiamo avuto. Ora la cultura televisiva più volgare, tipica dei Cinepanettoni, ha preso il sopravvento su quello che un tempo era un grande orgoglio italiano e che non trovo praticamente più in

nessun segno di arte. Non amo particolarmente Sorrentino, pur essendo molto premiato, sembra che voglia riprendere lo stile felliniano anni Sessanta ma con scarsi risultati e resta da dire che ieri si poteva andare al cinema per il nuovo film di Sergio Leone oggi c’è Checco Zalone che sbanca il botteghino.” Quali sono i film che, secondo lei, hanno segnato il 2013 e segneranno il 2014? Nell’anno appena concluso penso che siano stati due: Django Unchained di Quentin Tarantino e Lincoln di Steven Spielberg. Cito questi per l’impegno politico evidente e la ricostruzione storica di un’America del passato, passando dalla difficoltà di concretizzare le leggi al razzismo della seconda metà del 1800, ma in un modo nuovo che va a stravolgere ogni genere. Per quest’anno penso che il nuovo film di Scorsese, The wolf of wall street, sia molto interessante e con il suo tipico genere, quello dell’eroe che si scontra per affermare la sua identità, lavorando molto sul mito del denaro e su una tecnica cinematografica che rende Leonardo di Caprio il protagonista di un lungo videoclip. Grazie per la piacevole discussione. Grazie a voi di FXP.


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la grande contentezza Sorrentino regala un’Oscar a quell’Italia che oggi lo ama ma ieri lo disprezzava a cura di Giulia TONINELLI (IIIAs)

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aolo Sorrentino. Ecco il nome dell’uomo che in questi giorni sentiamo sulla bocca di tutti, il grande eroe della settima arte italiana, l’enigmatico ideatore di un film che ci ha riportati alle vette del cinema straniero in America. La notte del 2 Marzo 2014 infatti, abbiamo ammirato Sorrentino salire le scale del palco più acclamato del cinema e ritirare la tanto attesa statuetta dorata vinta grazie al suo ultimo film: “La grande bellezza” . Lì in piedi, dopo 15 anni dal nostro ultimo successo, c’è questo simpatico regista napoletano che per i grandi successi ringrazia Fellini, Scorsese, i Talking Heads e Maradona, c’è un italiano che parla un inglese impacciato e sorride emozionato, c’è la gioia dell’Italia intera, c’è il suo film e c’è lo stereotipo dell’italiano. Lì in piedi, dal momento in cui è stato urlato il suo nome, c’è il nuovo “regista più bravo del nostro paese”, premiato per il “miglior film del nostro paese” interpretato dai “migliori attori del nostro paese”. In poche ore ne arriva la conferma, tutti si congratulano, da politici a personaggi famosi di ogni ge-

nere; l’Italia, sta ancora dormendo ma appena si alza gioisce per la vittoria: “grande Sorrentino, viva il nostro cinema, siamo degli artisti”. Poi tutto si amplifica, il suo viso è sui giornali, le televisioni, i social network, addirittura lo vediamo guidare una 500 nella pubblicità fiat. Come dicevo, ormai Paolo Sorrentino è il regista migliore che l’Italia deve ringraziare. E già, perché le cose funzionano così, avendo vinto un Oscar deve per forza essere bravo e il suo film deve essere molto bello, quindi va guardato, ammirato, elogiato. Mediaset trasmette il film in prima tv assoluta due giorni dopo la vittoria e si

riscontrano subito le prime prove dell’ipotesi fatta sul “boom Sorrentino”: oltre il 36% dello share, quasi nove milioni di spettatori sintonizzati sul nuovo “capolavoro”. Più italiani di quelli che hanno guardato Sanremo, o la Champions League o che guardano ogni giorno il telegiornale erano davanti al televisore ad elogiare “la grande bellezza”. Dato bellissimo assicurano i media, ma perché così tante persone? Perché ora è il fenomeno del momento e nel giugno 2013 quando è uscito nei cinema di tutta Italia è stato snobbato, recepito con freddezza, messo da parte? Perché il film più visto del 2013 è “Sole a catinelle” di Checco Zalone e Sorrentino viene apprezzato da tutti solo ora che ha vinto? La risposta può essere riassunta nello scintillio di gloria e splendore che porta con sé quella statuetta poco più alta di 30 cm, dapprima inesistente, quando fu snobbato a Cannes ma poi, con il passare dei mesi, sempre più apprezzato e conosciuto per esplodere ora in quel 36 % di share. Esultiamo tutti, certo, ma con moderazione. Si sa da anni che Sorrenti-

no ama Fellini, ama i suoi film ed ama ispirarsi a questi, e se quest’opera sembra strana e innovativa significa che l’ombra di una vera bellezza è nascosta con attenzione, quella della “dolce vita” e in certi tratti del film sembra addirittura che la desolata vita di Jep Gambar sia il residuo di una vera dolce vita, in una Roma diversa, fatta di rimembranze artistiche e letterarie tra palazzi aperti ai pochi e noia mondana dell’italiano medio. Servillo qui si fa cicerone della nostra capitale, negli occhi di un personaggio quasi surreale che interagisce confusamente con l’Italia grottesca con cui a che fare. Sorrentino vince perché l’America ama Fellini in modo sconfinato, forse di più di quello che l’Italia provava per lui, e ora per proprietà transitiva ama Sorrentino che si impegna per imitarne la bellezza, non grande come quella del suo maestro purtroppo. Ovviamente Fellini viene ringraziato dal regista vincitore insieme, però, a personaggi strani e quasi contraddittori: un re del neorealismo posto accan-

to a uno del post moderno, Scorsese, alternati da una rock band, i Talking Heads, e un calciatore, Maradona. Tutti hanno sorriso sentendo quelle parole ma lette in modo più profondo lasciano presagire quel senso di Italia che sembra non bastarci mai, anche quando si parla proprio di questa: su quattro eroi a cui si ispira, uno solo è italiano, due americani e uno argentino (tra l’altro evasore fiscale in Italia). Noi lo acclamiamo perché ha fatto vincere l’Italia dopo 15 anni, lui ci acclama perché siamo la sua patria, la sua scenografia, la sua idea di noia di vivere. “La grande bellezza” ci ha dunque donato una grande gioia e contentezza, ci ha riportati nel regno dello splendore hollywoodiano, ci ha convinti che ora il miglior regista si chiama Sorrentino e il miglior film lo ha girato lui, insomma ci ha regalato una storia fatta di vuoto e paura a cui aggrapparci e applaudire non curanti del fatto che il regista ha voluto rappresentare l’Italia d’oggi nella sua desolazione artistica e sociale. Quarant’anni fa con un ci-

nema particolare e complicato i grandi registi ci avevano abituato a portare a casa una statuetta ben più importante quasi ogni anno e oggi ci emozioniamo per aver bevuto dopo 15 anni di digiuno. Quindi ripeto: esultiamo, certo, ma non troppo, ricordando che due anni fa il film francese The Artist ha vinto cinque oscar di rilevanza ben diversa, tra cui miglior film assoluto, regia e attore protagonista per un film emozionante commovente, capolavoro di lenta bellezza e straordinaria gioco di immagini. Grande bellezza per me è il segreto dei palazzi di Roma che Sorrentino ci mostra, è la desolazione e rovina di un italiano di fronte alla tragedia della nave Concordia, è la bambina sul fondo della cripta che urla “non sei nessuno”, scena particolare e interessante pur ricordando molto “Giulietta degli spiriti” di Fellini. Grande bellezza è vederlo su quel palco pur non amandolo, è sapere che 9 milioni di persone non hanno visto un cinepanettone quella sera, è essere tornati lì, davanti agli altri. Per il futuro però, non basterà giocare sulla maestria di capovolgere la bellezza neorealista, bisognerà capovolgere il cinema e tornare a conquistare quel premio, o magari quello più importante, per tornare a sedersi in platea, dove si sedeva Fellini.


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rush, in nome della passione

ADESSO AL CINEMA: Her, i limiti dell’amore

Due piloti, una corsa, un film che ha incantato l’America. a cura di Giulia TONINELLI (IIIAs)

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ush letteralmente significa “eccitazione”, “corsa”, “trambusto, rush è l’odore della benzina, la carrozzeria bollente, i motori che ruggiscono, è Niki Lauda sulla Ferrari, la più rossa del mondo, è James Hunt , il ribelle senza paure. Rush non è un film, non può essere qualcosa che Ron Howard ha creato, girato e montato, è una storia che vive di vita propria, è la rivalità tra due piloti, è un incidente che cambiò ogni cosa, Rush è la verità. Questo ha realizzato il Ricky Cunningham di Happy Days, oggi registra premio Oscar, ha preso ciò che nel 1976 riempiva i giornali e gli ha restituito il colore, trasformandolo in un viaggio sotto la pioggia, una gara tragica, un lavoro, una malattia. Howard ha strappato le emozioni che i piloti nascondono gelosamente nelle loro monoposto e ha mostrato al cinema la miglior Formula 1, la paura, la vittoria. Niki, interpretato egregiamente da Daniel Bruhl, cade ma non molla, nel vero senso della parola. Se la domanda dell’intero film è “quanto ci si può spingere in là, quanto si può rischiare, per tagliare il traguardo?”, il viso di Lauda né da una risposta piuttosto soddisfacente: nel gran premio di Nurburing del 1 Agosto 1976 il metodico ferrarista non vo-

leva correre mentre Hunt, quello che della paura aveva solo sentito parlare, era pronto a sfidare la pioggia in una giornata troppo pericolosa per salire sulle loro macchine mortali. James vinse la sfida, Niki rimase intrappolato nell’auto in fiamme per più di un minuto mentre la pioggia batteva sulla sua pelle bruciata. La storia si può leggere ovunque, su un vecchio giornale o sul viso del pilota, sfigurato dal fuoco della sua passione, ma Rush non racconta solo questo, racconta il trambusto, i pistoni che pompano e le gomme che stridono sull’asfalto. Per due ore non ci sono attori, non c’è Daniel Bruhl e non c’è Chris Hemsworth, il belloccio che il grande pubblico ricorda per “Thor” ma torna in vita il vero James Hunt, con il talento natura-

le, il carattere ribelle, il rombo del motore che batte nel cuore. Si torna negli anni 70, gli anni in cui la Formula 1 era per i folli, non c’erano lo sfarzo e le regole di sicurezza, ma c’era la vera paura di morire e l’adrenalina, i pazzi che morivano ogni anno, ce l’avevano scritta in faccia, perché i piloti, oggi come ieri, sfidando la morte a 300 km/h trovano la loro normalità. Rush esiste ancora oggi, è la corsa di ogni domenica, su piste bollenti che un giorno qualcuno descriverà come storia, la folle storia di altri campioni, per ora Lauda si può trovare in piedi ad attendere la partenza di un gran premio, osserva, commenta, parla poco e ascolta molto, con un cappello in testa per nascondere il viso scottato e i segni che la sua passione gli ha lasciato addosso. Ecco cos’è questo film, non è una biografia, un documentario, un film sportivo, è un omaggio viscerale e sentito alla Formula 1. Uscendo dal cinema ho ascoltato persone parlare di “colpo di fulmine”, “amore”, “emozione pura”; io seduta al buio di quella sala sentivo l’odore della benzina nelle narici, mentre con gli occhi lucidi ascoltavo il rombo di Rush, la corsa più bella del cinema.

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gni film romantico ha a che fare con i limiti che il sogno di “un lieto fine” comporta, si è partiti dai confini razziali e quelli religiosi, passando per l’omofobia e la cultura radicale senza dimenticare i problemi famigliari, le stirpi rivali, i chilometri che separano il protagonista e ovviamente le età troppo diverse. Il registra Spike Jonze, piccolo cinematograficamente parlando ma grande nelle idee, ha completato il confine dell’amore trasformando il suo piccolo capolavoro in qualcosa che va oltre la solita commedia dolce-amara o il drammatico film primaverile strappalacrime, Her sfiora l’as-

surdo e la pazzia, cresce di intensità ad ogni scena, inquietante quanto complesso, semplice nella sua irrealtà non così fantasiosa. In un futuro non troppo lontano Joaquin Phoenix è Theodore, uno scrittore cinico e asociale, stanco della società in cui vive e depresso dopo la separazione con la moglie. La sua vita fatta di silenzi e libri viene riempita dall’arrivo di Samantha, qualcosa di più intelligente e spontaneo della tipica biondina, qualcosa di cui Theodore non può che innamorarsi. Qui arriva il solito limite, il problema, che per quando ci si può impegnare non ha soluzione, infatti la sinuosa voce di Samantha, interpretata dalla bella Scarlett Johansson, è l’unica cosa che lo scrittore conosce e conoscerà mai di lei, non ha cuore o viso o cervello, è una macchina, un avanzato sistema operativo creato per risolvere ogni problema,

per abbattere i limiti della tecnologia moderna. Strano parlare proprio di limiti che finiscono e cominciano, è questo il soggetto del film, amato dalla critica americana ed elogiato al festival del cinema di Roma, l’ossessione che la tecnologia moderna genera sulle giovani menti e il bisogno di riempire spazi che le imperfezioni umane non colmano. L’idea ricorda una versione amplificata di “Io e Caterina”, un film di Alberto Sordi del 1980, in cui un robot-cameriera perdeva la testa per un affascinante uomo d’affari. Ma Her è l’essenza di una società in cui anche l’amore si può sostituire, e a bassa voce si parla di Oscar, si mormora il film più intrigante dell’anno, si elogiano attori e produttori. A voi l’opinione, come sempre, e se Her ha riempito il vostro cuore di una malinconia ansiosa e preoccupata ringraziate il piccolo grande Spike Jonze.

Una scena tratta dal film del 1980 con Alberto sordi dal titolo Io e Caterina


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Grammy Awards 2014 Gli esordi dei nuovi giovani artisti

a cura di Sofia LEONI e Alessia PANTALEO (IIIAs)

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l 25 Gennaio Los Angeles si è popolata dei più influenti artisti musicali del 2013 in attesa degli ambitissimi Grammy Awards 2014. In questa edizione sono stati protagonisti i Daft Punk: infatti il duetto francese formatosi negli anni ’90 e autore di musica elettronica si è guadagnato ben quattro premi, tra cui Record e Album of the Year. Tra gli altri vincitori spicca la giovanissima diciassettenne neozelandese Lorde, che ha debuttato nel 2013 e si è aggiudicata il premio Song of the Year con il brano “Royals”. Riconfermano il loro successo anche alcune delle

Imagine Dragons

più celebri rock band di sempre: Paul McCartney si è guadagnato il grammy Best Rock Song insieme a Dave Grohl e Krist Novoselic (ex membri dei Nirvana) e Pat Smear, attuale componente insieme a Grohl dei Foo Fighters; la storica band dei Black Sabbath ha ottenuto il premio Best Metal Performance e il gruppo senza tempo dei Led Zeppelin ha vinto nella categoria il premio Best Rock Album. Ha primeggiato inoltre in diverse categorie, tra le quali Best New Artist e Best Rap Album, il rapper Macklemore (precedentemente conosciuto come Professor Mackle-

more) che ha trionfato con il brano “Thrift Shop” in collaborazione con Ryan Lewis. E infine il grammy Best Rock Performance è andato agli Imagine Dragons, nuova band statunitense, per il brano “Radioactive” tratto dall’album “Night Visions”. A differenza dei Grammy precedenti questi ultimi sono stati quelli più imprevedibili, specialmente per quanto riguarda Macklemore in quanto ha inaspettatamente superato rapper ormai celebri come Eminem o Jay-Z. Ci auguriamo altre sorprese e nuovi artisti per il prossimo anno.


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mtv video music awards 2013

aforismi e dintorni

I vincitori e la svolta della ormai ex Hannah Montana a cura di Sofia LEONI e Alessia PANTALEO (IIIAs)

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li MTV Video Music Awards, uno degli eventi più significativi dello spettacolo e della musica, sono stati segnati dall’esibizione da molti giudicata volgare e di cattivo gusto dell’ex beniamina della Disney Miley Cyrus, che si è messa in mostra sul palco con una serie di movenze scandalose e decisamente inadeguate. L’evento, che si è tenuto il 25 Agosto 2013 al Barclays Center di Brooklyn, ha premiato alcuni dei più noti artisti musicali, tra cui Justin Timberlake (Miglior Video dell’anno e Miglior Regia) con l’estratto dell’album The 20/20 Experience Mirrors, la band statunitense 30 Seconds to Mars (nella categoria

Best Rock Video per il video di Up in the Air uscito a marzo 2013), Macklemore e Ryan Lewis (nella categoria Best Hip Hop Video per Same Love). Ma la vera protagonista della serata si è dimostrata appunto la giovane cantante ventunenne che ha suscitato parecchie polemiche a causa della sua esibizione con il cantante Robin Thicke (autore del tormentone estivo Blurred Lines). La cantante si è presentata sul palco vestita in modo indecente e inappropriato, e ha accompagnato la sua esibizione con movimenti provocanti e con forti allusioni a sfondo sessuale. Il pubblico, tra cui alcune importanti celebrità ospiti della serata, si è

mostrato sorpreso e alquanto imbarazzato da quell’inaspettato risvolto dello show, ma non solo la platea presente al Barclays Center ha biasimato la scandalosa esibizione: infatti il pubblico che ha seguito lo spettacolo da casa non ha risparmiato le critiche; e in America lo show è stato censurato e vietato ai minori di quattordici anni. Il messaggio che ha mandato questa ragazza, idolo di milioni di giovanissime, è veramente diseducativo, specialmente se si pensa che la fascia d’età coinvolta parte dai 10-12 anni. A questo punto c’è da chiedersi: è veramente necessario avere questi atteggiamenti per far parlare di sé?

Le citazioni più belle ed eloquenti scelte per voi da FXP a cura della Redazione La cosa più dura di tutte è imparare ad essere un pozzo di affetto, e non una fontana, dimostrare che amiamo, non quando ne abbiamo voglia, ma quando gli altri lo vogliono. Nan Fairbrother

L’affetto disapprova, ma non denuncia. Mason Cooley

Vero e unico creatore di bene è l’affetto, l’affetto naturale che scorre quieto ma inesauribile, a portare i freschi ruscelli della vita; mentre la passione o è fiamma che dissecca o è un tormentaccio rovinoso, che assorda, trascina, devasta. Emilio De Marchi

Non aver paura di mostrare affetto. Sii caldo e tenero, assennato e affezionato. Gli uomini sono aiutati più dalla simpatia che dal servizio. L’amore è più che il denaro, e una parola gentile darà più piacere di un regalo. John Lubbock

Gli affetti profondi somigliano alla donne oneste; hanno paura di essere scoperti, e passano nella vita con gli occhi bassi. Gustave Flaubert Si vorrebbe poter abbracciare ed accarezzare gli esseri umani, ma uno ha paura di farlo, perché mordono. Vladimir Lenin In amore ci sono cose che costringono ad amare di più, ma portano a voler bene di meno. Gaio Valerio Catullo Se ti affezioni ad una pentola, pur sapendo che è di terracotta, non ti lamentare se si rompe. Nello stesso modo, quando baci tua moglie o tuo figlio, dì sempre a te stesso “sto baciando un mortale”, affinché, se poi muoiono, tu non abbia a turbarti. Epitteto

Miley Cyrus durante la sua discussa esibizione

Bene, la gente si affeziona. Una volta che tagli il cordone ombelicale, si attacca ad altre cose. Vista, suoni, sesso, soldi, miraggi, madri, omicidio, e mal di testa da sbornia della sera precedente. Charles Bukowski

Quello che conta tra amici non è ciò che si dice, ma quello che non occorre dire. Albert Camus

Non parlare di affetto sprecato! Un affetto non fu mai sprecato. Henry Wadsworth Longfellow Gli affetti umani sono tanto vari quanto sono diverse nel mondo le forme delle cose. Ovidio L’apprezzamento è bene, il complimento è bene, ma l’affetto - quello è l’ultima e la più preziosa ricompensa che ogni uomo possa conquistarsi, sia col carattere che coi risultati. Mark Twain Le amicizie vere sono quelle che si fondano sul sentimento; l’amico non giudica, comprende. Richard Adams Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna. Ugo Foscolo La carità del povero è di voler bene al ricco. Diane De Beausacq Se giudichi le persone, non avrai tempo per amarle. Madre Teresa Di Calcutta


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sudoku e indovina indovinello

Per un momento di svago tra una verifica e un’interrogazione a cura di Giulia BELLINI e Giuditta LANZI (VAs)

?? Se mi ascolti ti senti meglio. Se sei triste, ti faccio male. Non puoi fare a meno di me. Se ti feriscono mi chiudi. Ho una chiave immaginaria. Ho posto per tante persone. Mi apri alle persone che ami. Se mi fermo hai un problema.

Ci sono dieci pesci in un acquario, ne annegano cinque. Quanti ne rimangono?

C’è una casa con quattro pareti, tutte rivolte a sud, e un orso gira intorno alla casa. Di che colore è l’orso? Come finisce questa serie? Gfmamglason

Nomina due giorni che cominciano con la lettera “d”, oltre la domenica. Cos’è che perde la testa la mattina ma la riprende la sera?

Qual è la cosa che, chiamandola, svanisce?

Se ce l’ho non lo dico a nessuno. Se lo dico a qualcuno, non ce l’ho più.

La vedi una volta in un giorno, una volta in una settimana, due volte in un anno, mai in un mese. Cos’è?

Cos’è che gita tutto il mondo ma sta attaccato in un posto solo?

Cos’è che ha una coda che diventa sempre più corta? Quale albero puoi tenere nella mano?

È leggero come una piuma ma anche il più forte degli uomini non lo può trattenere per più di un minuto o due. Cos’è?

Da giovane sono alta e da vecchia sono bassa. Cosa sono? È tuo ma lo usano gli altri. Cos’è?

Cos’è che comincia con la “u” e finisce con la “e” e ha più di mille lettere?

Le soluzioni nel prossimo numero


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una questione spinoza! Citazioni improbabili dal mondo di Sophia

a cura di Tunazzina ISHRAT e Sharanka CHELVANAYAGAM (VAs)

T

utti i grandi filosofi si caratterizzano per frasi emblematiche o concetti chiave. Giocando su tali caratteristiche Ishrat e Sharanka hanno raccolto le citazioni piÚ improbabili e divertenti. Provate anche voi a formularne qualcuna e inviatecela: se ci piace la pubblicheremo. Non è necessario conoscere i filosofi, anche gli scrittori e i letterati possono essere utili e divertenti a tal fine.


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prof si nasce

profsi nasce Le soluzioni dello scorso numero

metti alla prova il tuo spirito d’osservazione

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a cura di Cristina AGAZZI (Matematica e Fisica)

ontinua la nostra rubrica che ha riscosso tanto succeso tra gli alunni, ha messo in moto la curiosità indagatrice dei lettori e mostrato l’autoironia e la disponibilità al gioco dei nostri prof! Ma vogliamo renderla ancora più difficile e stimolante per chi ritiene di avere spirito di osservazione e capacità di riconoscere le fisionomie. Così nello scorso numero abbiamo volutamente inserito due foto dello stesso insegnante, per vedere se i lettori più attenti, indagando i tratti somatici con precisione, se ne sarebbero accorti. Chi ci è riuscito? E in questo numero per ampliare ancor più la rosa dei papabili abbiamo pensato bene di mischiare alle foto dei docenti anche quelle di qualche carissimo ATA: a voi trovarne l’identità! Buon divertimento e alla prossima sfida!

prof.ssa Gianna Di Re Dirigente scolastico

prof. Ilario BONANDI Scienze Motorie

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prof.ssa Elena CAVAZZINI Sostegno

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prof.Michele ZANONI Fisica


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effusioni Parwinder KAUR (ex studentessa)

quanti cuori avrai?

L’oroscopo per il 2014 in modo rapido e intuitivo a cura di Elisa MILANI e Noemi VOLPI (VAs)

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nno nuovo, vita nuova?!? Se vi siete chiesti o vi state ancora chiedendo come sarà il vostro 2014, dovete assolutamente leggere il nostro Oroscopo!! Questa tabella riassume l’andamento del nuovo anno in poche e semplici figure… 3 simboli significa ACCETTABILE (es. ) 4 simboli significa MOLTO POSITIVO (es. 5 simboli significa ECCELLENTE (es. )

)

Ora non vi resta che scoprire cosa vi aspetta!!!!!

Iman ZAIKOUR (IVCri)


FXP - Falcone express

anno VI - numero 6 - aprile 2014 Organo di stampa ufficiale dell’Istituto “Giovanni FALCONE” via Saccole Pignole, 3 - 46041 Asola (Mn) tel. 0376.710423 - 710318 / fax 0376.710425 e-mail: redazionefxp@iisfalcone.gov.it Reg. Trib: di Mantova n. 2292/07 del 17/05/2007 Dirigente scolastico: Gianna DI RE

Direttore responsabile Stefania DIVERTITO Vicedirettore Fabrizio COPERTINO Direttrici editoriali Vera GERVASIO Alice GHIROLDI Federica SCAGLIONI Giulia TONINELLI Direttore marketing Nicola MORÈ Vicedirettore marketing Alessandro RONCHETTI Redazione Agnese BOLZONI Fabrizio COPERTINO Stefania DIVERTITO Vera GERVASIO Alice GHIROLDI Alessandro RONCHETTI Federica SCAGLIONI Giulia TONINELLI Grafica Benedetta BARBIERI Alessandro CAUZZI Federico CAVALLARI Rachele RECH DAL DOSSO Hind OUDADES Matteo SOLAZZI

Giulio VALENTI Letizia VIOLA Aurora ZALTIERI Niccolò ZANELLA Web Designer Stefano SOLAZZI Fotografia Francesca GRISAFI Firme Cristina AGAZZI Francesco ALFIERI Eleonora ANGELONI Elena APOLLONIO Giulia BELLINI Eleonora BELLUZZI Laura BELUFFI Sara BRUNELLO Sharanka CHELVANAYAGAM M. Letizia FIAMMENGHI Elena GALETTI Mireille GALLI Tunazzina ISHRAT Parwinder KAUR Giuditta LANZI Sofia LEONI Greta MAESTRI Elisabetta MALCISI Emma MAZZEI Elisa MILANI Sara MONIZZA Andrea MUSSINI Gianluca NEGRISOLI

Alessia PANTALEO Paola PECORARI Andrea PIAZZA Marianna RODELLA Alessandro RONCHETTI Ida SCUDIERO Aaron SUSTA Stefano SOLAZZI Giulia TONINELLI Luca VERONESI Noemi VOLPI Chiara ZANELLA Iman ZAIKOUR Eleonora ZILIA Hanno contribuito alla realizzazione e alla promozione di FXP Dirigenza Segreteria Personale ATA Provincia di Mantova Associazione ALBOSCUOLE

Stampe Arti Grafiche Chiribella SAS Bozzolo (Mn)



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