VIENNA FIN DE SIECLE LUOGO DELLA CRISI ATTRAVERSO I LIBRI DI DUE TRA I PIU’ ILLUSTRI ARCHITETTI D E L L ’ E P O C A
TONIATO STEFANO - 26697 Università IUAV di Venezia - Facoltà di Architettura Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura Anno Accademico 2012-2013
IUAV
Istituto Universitario di Architettura di Venezia Facolta’ di Architettura Vienna fin de siècle Tesi di studio del corso di Storia dell‘architettura contemporanea prof. M. Boniati corso di Laurea in Scienze dell’Architettura (ClaSa) D.M. n. 509/1999 autore
Stefano Toniato matr. 266972 contatti
stefano.toniato@alice.it
“ So lebten wir in Dämmerungdahin,/ Und unser Leben hätte keinen Sinn... ” [Consumeremo all’ombra del crepuscolo/ un’esistenza senza senso.]
H. Von Hofmannsthal
INDICE
1. INTRODUZIONE
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2. LA RINGSTRASSE
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e le principali trasformazioni urbane di Vienna 3. PLANIMETRIA DELLA ZONA DEL RING
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nella sua configurazione finale 4. IL DIBATTITO ARCHITETTONICO NELLA VIENNA FIN DE SIÈCLE
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Otto Wagner e Camillo Sitte a confronto 5. CONCLUSIONI
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INTRODUZIONE
Al termine della prima guerra mondiale, Maurice Ravel perpetuò ne La Valse la morte violenta del mondo ottocentesco. Il Valzer, simbolo della gaia Vienna, divenne nelle mani del compostore una frenetica danse macabre. Questo monumento in chiave grottesca fungerà da introduzione per affrontare il tema di una rilettura delle trasformazioni nella Vienna fin-de-siècle e in particolar modo del significato che ha avuto la realizzazione della rinstrasse. Ma per far questo non possiamo non soffermarci sulla situazione socio-politica che vigeva in quel periodo a Vienna o meglio ancora nei rapporti intercorrenti fra politica e psiche, ma soprattutto con la loro influenza nel plasmare il mondo. La parabola musicale raveliana della crisi culturale moderna, poneva il problema, come era esattamente percepito dall’intelligentsia viennese dell’epoca, del come mai il loro mondo era caduto in preda al caos. Questa crisi, come scrive Carl Schorske, poneva anche un altro problema. Che tipo di uomo era quello che si apprestava a vacare la porta del nuovo secolo? L’uomo del vecchio secolo doveva lasciare il passo ad un nuovo tipo di uomo, si doveva passare dall’uomo logico e razionale, che attraverso il dominio scientifico sulla natura e l’autocontrollo morale aveva il dovere di fondare una società giusta, all’uomo psicologico, creatura assai più completa, ma anche più pericolosa e fervida. Un uomo compenetrato di tutto. Il liberalismo austriaco aveva conosciuto la sua stagione eroica in coincidenza con la lotta all’aristocrazia e all’assolutismo dell’età barocca. Ma in effetti, a portare i liberali al potere non era stata la loro coesione interna, bensì la caduta dell’ancien règime ad opera dei nemici esterni e del fallimento interno. Si può quindi dire che i liberali si trovarono semplicemente il potere in mano. 1
E questa borghesia, ben diversa da quella francese o inglese, non affermandosi distruggendo o fondendosi con l’aristocrazia, dimostra tutta la sua debolezza come “classe” restando di fatto subordinata, e profondamente leale, all’imperatore. Visto come un remoto, quanto indispensabile, padre fondatore.
Veduta di Vienna verso nord, J.Hoefnagel, 1609 La borghesia austriaca, radicata a una cultura liberale poggiante sulla legge e sulla ragione, veniva così a confrontarsi con una cultura aristocratica di più antica data, fatta di grazia e di edonismo. E i due elementi non potevano che dar luogo ad un composto oltremodo instabile. Tutta questa instabilità viene inevitabilmente trasmessa all’architettura, di quel periodo. Per mezzo di un riassetto urbano che imita in proporzioni minori quello della Parigi di Napoleone III, i dirigenti liberali tentarono di tracciare la propria strada nella storia, cercarono di disegnarsi un pedigree innalzando edifici grandiosi ispirandosi al gotico, al rinascimento, al barocco del loro stesso passato.
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LA RINGSTRASSE e le principali trasformazioni urbane di Vienna
Dopo i moti rivoluzionari del 1848, come abbiamo visto, ascende al potere la borghesia liberale, introducendo l’inevitabile contrasto a seguito del passaggio dal regime assolutistico alla monarchia costituzionale. Ma nello stesso periodo assistiamo alla straordinaria crescita della città, vista come centro motore dell’impero asburgico. La popolazione infatti raddoppia nei trent’anni successivi al 1840, raggiungendo gli 850.000 abitanti nel 1870, e crescendo ancora fino ai 1.643.000 del 1900. I liberali che erano al governo accentrarono una parte dei loto sforzi più fruttuosi nella realizzazione di un’opera essenzialmente tecnica e antidrammatica, volta a far si che la città affrontasse in termini di relativa sicurezza l’impatto con la rapida crescita della popolazione. Il Danubio venne incanalato per proteggere la città dalle inondazioni che l ’avevano funestata per secoli. Negli anni sessanta un équipe di esperti dotò la capitale di un perfetto acquedotto. Un rigido sistema d’igiene pubblica valse a bandire le epidemie più gravi. Nella sua fase espansionistica si può comunque dire che Vienna sia rimasta fedele al culto degli spazi liberi, legato alla tradizione barocca. Parchi costruiti non solo in funzione di un rapporto geometrico rappresentativo, ma altresì in termini organico-psicologico. “I parchi,” diceva il borgomastro Kajetan Felder, “sono i polmoni della megalopoli.” Ma la peculiarità urbanistica per la quale Vienna divenna famosa, la creazione di unità abitative a basso costo e la pianificazione dello spazio urbano in chiave sociale, nell’era della ringstrasse era del tutto assente. Il piano regolatore della Ringstrasse fu sottoposto alla supervisione dei professionisti e degli abbienti, dal momento che la strada era stata concepita e disegnata essenzialmente a loro glorificazione, e con l’intento di dargli un’adeguata sistemazione logistica(magazzini depositi, laboratori…). La pianificazione pubblica era basata su un sistema ortogonale indifferenziato, con un criterio di controllo limitato all’altezza degli edifici e alla larghezza delle strade. Alla Ringstrasse non presiedeva un prinicpio utilitaristico, bens’ una proiezione auto culturale. Il termine usato
più spesso, infatti, per designare il grandioso
programma edilizio degli anni sessanta dell’800, non era “rinnovo” o “ristrutturazione” ma bensì Verschönerung des Stadtblides, ossia, “abbellimento dell’aspetto cittadino”. Il loro maestoso edificato
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lungo la ringstrasse di Vienna, con i suoi monumenti e i suoi palazzi privati, ci fornisce un indice iconografico della forma mentis del liberalismo austriaco nella sua fase ascendente.
Vienna 1844, prima dell’abbattimento delle mura dell’Altstadt La rivoluzione del 1848, se da un verso chiedeva a gran voce l’utilizzazione civile del Glacis , lo spazio tra le mura interne dell’Altstadt e la città “nuova”, la Vororte, dall’altro ne sottolineava con maggior forza l’importanza strategica. Per la vecchia classe dirigente, ancorata all’idea di nobiltà, era chiaro che il nemico in questione non era più un invasore straniero, ma un popolo in rivolta. Ma sul finire degli anni ’50 le esigenze d’ordine economico si rivelarono più forti delle preoccupazioni controrivoluzionarie. Il 20 dicembre 1857, l’imperatore Francesco Gius eppe annunciava formalmente il suo intento di adibire le aree militari del Glacis a uso civile, e istitui una commissione per l’espansione cittadina con l’incarico di pianificarne e realizzarne la trasformazione. In realtà, nel corso dei primi tre anni, (1857-1860) l’assegnazione delle aree, espresse ancora i valori di un neo assolutismo dinastico. La prima opera fu infatti una grande 4
chiesa, la Votivekirche (1856-1879); opera di Camillo Sitte, “un grande monumento al patriottismo e alla devozione del popolo austriaco alla Casa imperiale”. Ma l’esercito sebbene sconfitto nella difesa delle mura e delle aree militari ad esse annesse, godette di un trattamento di favore. Allo scopo di completare quella serie di “dispositivi antiinsurrezionali”. Vennero infatti costruiti, in vicinanza delle stazioni ferroviarie un arsenale e due caserme. Infine l’esercito lasciò la sua impronta sulla ringstrasse nella sua qualità di arteria di grande traffico. Fu così che considerazioni di natura militare, unite alle aspirazioni dei civili, confluirono nella realizzazione di un viale maestoso che conferì alla ringstrasse vuoi il suo tracciato circolare, vuoi il suo carattere monumentale. Tuttavia nel decennio successivo al decreto imperiale del 1857, l’esercito, sconfitto in Piemonte nel 1859 e in Prussia più duramente nel 1866, cessò di essere una voce decisiva nel consiglio di stato e i liberali si trovarono ad essere al timone. Di conseguenza anche il progetto della Ringstrasse si modificò nella sostanza e nel significato soprattutto, dovendo esprimere ora gli ideali e i valori di una Pax liberalis. Era quindi inevitabile che il contrasto con la vecchia Inner Stadt e l’area del Ring risultasse enfatizzato, in quanto luogo dell’espressione politica. Sotto il profilo architettonico infatti, la Inner Stadt era dominata dai simboli del primo e del secondo stato. La Hofburgh, residenza barocca dell’imperatore, gli eleganti palazzi dell’aristocrazia, la cattedrale gotica di Santo Stefano e uno stuolo di chiese più piccole disseminate lungo strade anguste. Nella Ringst rasse invece, il terzo stato celebrava architettonicamente il trionfo del Recht costituzionale sulla Macht imperiale. Sul ring non dovevano dominare palazzi imperiali, presidi e chiese, ma centri del potere costituzionale e cenacoli dell’alta cultura. Sebbene le proporzioni e la grandiosità del Ring suggeriscano il perdurare della concezione barocca, la concezione spaziale che ne ispirava il progetto era del tutto nuova e originale. Per gli urbanisti barocchi, infatti, lo spazio veniva inteso come l’alv eo ambientale destinato a esaltare gli edifici che in esso trovavano posto. Mentre gli urbanisti della Ringstrasse per contro invertirono praticamente il procedimento barocco, usando gli edifici a esaltazione dello spazio orizzontale. Organizzando ogni cosa in funzione di un largo viale centrale, senza rigore architettonico e senza destinazione apparente. Il piano regolatore del 1859, sopprimeva ogni visuale prospettica per porre l’accento al ritmo circolare. Di conseguenza il Ring staccava di netto il vecchio centro con i sobborghi
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esterni. Le strade che provenienti dai sobborghi, che s’inoltrano nel ring, confluiscono nella corrente circolare senza attraversarla. In pratica, ciò che era stata una fascia di isolamento militare si trasformò in una fascia di isolamento sociale. Il grande viale centrale e circolare, non mette affatto a fuoco i grandi edifici rappresentativi della borghesia, anzi le singole costruzioni risultano autonomamente orientate verso l’asse stradale, che funge da unico principio di coerenza organizzativa. Centri alterni di interesse spaziale si situano in reciproca correlazione, ma non direttamente, bens ì confrontandosi individualmente con la grande arteria circolare, che guida il passante da un edificio all’altro, come da un aspetto della vita all’altro.
Prospetto planimetrico del piano regolatore della Ringstrasse, 1860
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Il cosiddetto quartiere del Rathaus, composto da Rathaus, Università, Burgtheatre e Reichsrat , è un vero e proprio quadrilatero di Recht e di kultur. I quattro edifici pubblici che sorgono in quest’area incarnano, come una sorta di rosa dei venti, i valori del sistema liberale. Il governo parlamentare nel Reichsrat, l’autonomia municipale nel Rathaus, l’insegnamento superiore nell’Università e l’arte drammatica nel Burgtheatre. Ognuno di questi edifici fu costruito nello stile storico giudicato più acconcio alle sue funzioni. Aumentando drasticamente lo stridere della composizione finale.
Un tratto della Ringstrasse, da sinistra: Parlamento, Rathause, Università, Burgtheatre – 1888 La Vienna liberale innalzò il suo Rathaus in un glorioso stile gotico, allo scopo di evocare le sue lontane origini di libero comune medievale. Il Burgtheatre chiamato ad ospitare quella che nella tradizione austriaca era la regina delle arti, fu realizzato secondo i canoni stilistici del primo barocco, onde commemorare l’era in cui per la prima volta il teatro aveva unito l’ecclesiastico, il cortigiano e il cittadino nella comune passione per le arti estetiche. Venne appos itamente chiamato Gustav Klimt per abbellirne il soffitto. L’Università poi, in stile rinascimentale, ovviamente, emblema inequivocabile della cultura liberale. Nella sua qualità di cittadella del razionalismo laico, fu l’ultima a ottenere il riconoscimento dalle irriducibili forze conservatrici. Così come fu la prima a soffrire l’insorgere del nuovo diritto populistico e antisemita. Infatti per
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lungo tempo visse all’ombra del ruolo avuto durante i moti del ’48. Fu il borgomastro Kajetan Felder a uscire da quel punto morto istituendo una commissione composta da tre archietti, con l’incarico di disegnare la planimetria, e stabilire l’ubicazione sull’ex campo di marte, dell’università, del parlamento e del Rathaus, in questo modo nel 1870 con l’entusiasmante appoggio della giunta cittadina, Felder ottenne il benestare imperiale. Come già detto lo stile scelto per l’università fu appunto il rinascimentale, onde proclamare l’affilia zione tra la moderna cultura razionalista e la rinascita del pensiero laico, dopo la lunga notte di superstizione medievale. Il progetto venne affidato a Heinrich Ferstel, che si recò in Italia per studiare, dove nacquero, le grandi università. Si recò a Padova, a Genova, a Roma e a Bologna. E tornando in patria ebbe modo di appurare che: “Tutti stupiscono al cospetto dello stile delle università Italiane e di conseguenza non v’è dubbio che se riusciremo a superarle, ci acquisteremo gloria imperitura.” Fu così che il rinascimento ebbe partita vinta. Tuttavia, l’edificio più imponente nel quadrilatero è sicuramente il Reichsrat, il parlamento. Ad opera dell’architetto danese, Theophil Hansen che scelse come “stile di rivestimento” il greco classico. Hansen, era convinto che le nobili e classiche linee di quello stile, avrebbero prodotto con impeto irresistibile un effetto edificante e idealizzante. L’edificio prospetta sulla Ringstrasse in posizione primaria e non si badò certo a spese per procacciarsi i materiali più costosi. Hansen disegnò l’opera con l’intento di suscitare ogni possibile illusione di altezza, situando l’ingresso al secondo piano, dietro un grandioso pronao octastilo, e costruì una duplice rampa curva che dal piano stradale portava i veicoli davanti l’entrata. Ma nonostante tutto ciò, il tempio del Recht non assicurava quella posizione di dominio sull’ambiente circostante, troppo vasto, cui aveva aspirato il suo architetto.
Planimetria del quadrilatero con evidenziato il largo viale della R ingstrasse.
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1 – Università, Heinrich Ferstel – 1884
2 – Burgtheater, Gottfried Semper e Carl Hasenauer – 1888 9
3 – Parlamento, Reichsrat, Theophil Hansen – 1883
4 – Burgtheater, Gottfried Semper e Carl Hasenauer – 1888 10
Lo spettacolare dispiegamento di edifici monumentali lungo la ringstrasse nasconde facilmente il fatto che buona parte dell’area edificata è occupata da grandi case d’abitazione. L’ingenuità della commissione per l’espansione cittadina consistette appunto nel favorire il settore privato per creare la base finanziaria indispensabile alla costruzione degli edifici pubblici. La struttura residenziale di base era ala casa ad appartamenti. Alto da quattro a sei piano, raramente l’immobile-tipo risultava composto da più di sedici unità abitative. Il modello formale per questo genere di costruzioni era offerto dall’Adelspalais (palazzo aristocratico) dell’età barocca, tanto da diventare nel linguaggio comune un Mietpalast (palazzo d’affitto). Nel corso dell’ottocento, gradatamente la vita urbana andò separando la casa dal lavoro, l’abitazione dal negozio o dall’ufficio, come era stato da sempre. Per cui se da un lato quello pseudo palazzo che era il Mietpalast, vedeva ancora associati gli spazi ad uso commerciale con le abitazioni, per contro raramente gli inquilini erano i gestori di quegli spazi commerciali. Quando i pianificatori della Ringstrasse si dedicarono al problema delle strutture residenziali, più d’uno vi colse l’occasione per porre rimedio al problema della dispersione urbana, cercando di far vivere i residenti in spazi superconcentrati. Un opuscolo circolante al tempo poneva il quesito, Come bisogna costruire Vienna? Nel quale veniva supportata la causa della costruzione unifamiliare. Autori di tale opuscolo erano Rudolf Von Eitel berger e Heinrich Ferstel. Entrambi imbevuti di storicismo romantico, e come molti liberali dell’epoca, anglofili, si prodigarono per la causa della semi-detached house inglese, proponendo che quel modello venisse adottato per lo sviluppo edilizio della Ringstrasse. Ma sebbene in contraddizione con la cuasa inglese essi proponevano una casa-tipo, provvista di ufficio o magazzino al pian terreno, l’abitazione per la famiglia a primo piano e gli alloggi della servitù o i laboratori ai piani superiori. In più per le famiglie borghesi più moderne, con i laboratori o negozi ben distanti da casa, Eitelberger e Ferstel, proponevano una casa composta da singoli appartamenti, opgn uno dei quali avrebbe occupato un piano. La cosiddetta Beamtenhaus. Nelle decisioni operative dei pianificatori tuttavia, la casa d’impronta inglese o di tipo nobiliare non prevalse. Non soddisfaceva né la volontà di occupare al massimo le aree edificabi li, né il desiderio di esternare i simboli dello status aristocratico. Il borghese di nuovo conio infatti, aspirava a essere non tanto un patrizio, bensì un “nobiluomo”, se non nei suoi valori intrinseci, perlomeno esteriormente.
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La decisione di cedere il terreno a lotti, rispecchiava la non volontà di minuta frantumazione delle aree, e gran parte degli stabili furono concepiti come strutture abitative plurifamiliari, il cui carattere “aristocratico” era affidato esclusivamente alle facciate. Mentre il pianterreno, a grosse bugne, era destinato alle attività commerciali, il secondo piano denominato Nobelstock (piano nobile) ospitava uno o due spaziosi appartamenti, il terzo piano a volte riproduceva la pianta del piano inferiore, altre volte veniva fraziona to in appartamenti più piccoli. La differenziazione in facciata era affidata all’altezza delle finestre, alla profusione di lesene o paraste e alle modanature.
Kärneter Ring, - 1905 Nella prima fase della Ringstrasse, 1861 – 1865, la grande richiesta di abitazioni destinate a famiglie di ceto a medio reddito, alimentò la tendenza a realizzare appartamenti piuttosto piccoli e uniformi, ai quali corrispondeva una certa classicità monocorde delle facciate, come si può notare nel Kärneter Ring. Nella seconda fase edilizia, 1868 – 1873, la differenziazione prevalse sia all’esterno che all’interno. Nella Reichsratsstrasse, gli architetti realizzarono le planimetrie dei singoli piani, ingegnandosi di collocare il maggior numero di appartamenti in modo perpendicol are alla strada, 12
in modo da posizionare il maggior numero possibile delle ambite finestre in facciata, alzando in questo modo il reddito. Scaloni imponenti e grandiosi vestiboli divennero peculiarità favorite. Ma nelle case d’abitazione che presentavano marcate differenziazioni verticali poteva accadere che lo scalone si fermasse al piano nobile, mentre il resto dei piani era servito da scale più modeste. Non mancarono comunque soluzioni degne di nota come il Gruppenzinshaus disegnato da Hansen, che ideando una specie di condominio, coprì l’intero lotto edificabile con un edificato architettonicamente omogeneo. Ma che, concepito come otto unità ben distinte permetteva l’alienazione separata, quindi alti guadagni, ma avendo ogni unità abitativa ingressi ident ici, garantiva una grandeur ad ogni singolo proprietario.
Gruppenzinshaus – 1870 Nell’ambito della media borghesia residente nella Ringstrasse, gli industriali tessili costituivano la comunità più numerosa di proprietari residenti, che occupassero un’area definita. Infatti se le manifatture avevano sede prevalentemente in provincia, gli organi direttivi e i piccoli artigiani restavano accentrati nella capitale. L’antico quartiere dei fabbricanti di tessuti rinchiuso
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nella inner stadt si riversò quasi interamente nel settore nord-orientale della Ringstrasse, che diventò il nuovo quartiere dei “tessili”. Qui gli industriali senza badare a qualsiasi i ndicazione architettonica, costruirono case nelle quali accentrarono abitazione e sede di lavoro, in conformità all’uso tradizionale. Al piano terra erano disposti i locali dell’azienda, mentre al piano nobile risiedeva la famiglia del proprietario mentre i piani superiori quando non erano utilizzati per ulteriori uffici o come magazzini, venivano dati in affitto. Nel 1912, la Ringstrasse poteva dirsi virtualmente completa e il predominarvi del Mietpalast a destinazione residenziale era del pari un fatto compiuto. Dei 478 edifici privati della Ringstrasse soltanto 72 erano nelle mani di proprietari consociati, e di questi solamente 27 esercitavano le loro attività lavorative nelle case di loro proprietà. Anche sotto questo aspetto, lo sviluppo urbanistico del Ring si rivelava per un’espressione dell’era individualistica. Gran parte della Ringstrasse esprimeva una fluida commistione di ceto aristocratico e di alta borghesia. Percorrendo la strada in senso orario infatti, dalla Scharzenbergplatz, simbolo dell’aristocrazia, on direzione del teatro dell’opera, subentrava il “secondo stato”, quel miscuglio di aristocrazia della cultura, di rendita e di élite burocratico-commerciale. Procedendo poi verso la zona dei musei e dell’università, il quartiere del Rathaus, si era di fronte ai più solidi pilastri sociali dell’ascendente liberalismo. Superando poi la zona della Votivkirche, si raggiungeva la zona dei “tessili” come detto prima, in cui trovava luogo la borsa valori. Particolare attenzione merita la Reichsratstrasse che corre alle spalle del parlamento di Hansen e conduce al Reichsrat, sembra quasi essere una risposta borghese all’antica, aristocratica Herrengasse che sboccava nella piazza antistante l’Hofburg. La Reichsratstrasse offre un’immagine compatta di strada prettamente residenziale. In contrasto quasi con la Ringstrasse, che sminuisce gli edifici. Qui gli architetti dando prova del loro valore hanno dissimulato la funzione commerciale delle case situando negozi e uffici al pianterreno, ma con estrema discrezione, dando luogo ad un effetto di rara eleganza. Il quartiere del Rathaus quindi, esprimeva il senso di dignità opulenta cui aspirava l’élite dell’era lioberale. I suoi edifici residenziali offrivano una degna cornice ai grandiosi edifici pubblici che, con la loro fiduciosa dogmaticità dimostrativa, costituivano i gioielli del liberale Ring viennese.
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Reichsratstrasse – primi del ‘900
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PLANIMETRIA DELLA ZONA DEL RING nella sua configurazione finale
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DONA
LEGENDA
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QUARTIERE DEI "TESSILI"
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VOTIVKIRCHE
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PLANIMETRIA DELLA ZONA DEL RING
NELLA SUA CONFIGURAZIONE FINALE
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PARLAMENT
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NATURHISTORISCHE MUSEUM
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KUNSTHISTORISCHES MUSEUM
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NEUE BURG
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STAATSOPER
IL DIBATTITO ARCHITETTONICO NELLA VIENNA FIN-DE-SIÈCLE Otto Wagner e Camillo Sitte a confronto
PREFAZIONE Il dibattito architettonico viennese di fine ottocento vide apparire numerosi scritti dei più famosi professionisti del settore, di storici dell‟arte e di ingegneri sanitari dediti alla pianificazione urbanistica. In un momento di grandi trasformazioni, nel passaggio da città a metropoli, Vienna divenne il caso simbolo della problematicità che le nuove esigenze sociali ed economiche ponevano nei confronti della conservazione urbana e della tradizione stilistica. Andiamo quindi a fare un confronto tra tre dei libri più illustri pubblicati in quel periodo. Der städtebau nach seinen künstlerischen Grunds.ätzen di Camillo Sitte, nella sua terza edizione del 1901,
Moderne
Architekture, nella prima edizione del 1897 e Die Groszstad del 1910, entrambi di Otto Wagner. Se Camillo Sitte, nel suo libro, sottolineava l‟importanza del fattore estetico nella progettazione urbana e invitava gli architetti a creare città a misura d‟uomo, Otto Wagner, pochi anni dopo, in Moderne Architektur, accentuava il carattere funzionale, proclamando la necessità di uno “stile utile” per la vita moderna delle grandi masse. Analizziamo i testi nelle loro più recenti versioni Italiane. Una volta descritta la genesi di queste due opere, si darà conto dei loro contenuti confrontando le posizioni dei due autori sui grandi temi intorno ai quali si incentrava all‟epoca la riflessione, quali il ruolo dell‟architetto, il rapporto tra architettura ed ingegneria, il giudizio sulle trasformazioni urbanistiche della zona della Ringstrasse e l‟elaborazione di nuove proposte per la città di Vienna.
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DER STÄDTEBAU NACH SEINEN KÜNSTLERISCHEN GRUNDS.ÄTZEN – terza ed. 1901 I motivi che hanno portato Sitte ad occuparsi di urbanistica e comporre un‟opera come Der städtebau nach seinen künstlerischen Grunds.ätzen sono molteplici. Innanzi tutto si deve prestare attenzione alla sua formazione, avvenuta seguendo gli insegnamenti di Eitelberger e Von Ferstel. Di Heinrich von Ferstel si ricorda in particolare uno scritto del 1877, Memorandum sullo sviluppo futuro di Vienna nel quale si sottolineava l‟importanza della progettazione di piazze e spazi pubblici, deplorando l‟indifferenza contemporanea alla monumentalità e alla bellezza. Caratteri peculiari, secondo egli, della città medievale. Il tema della bellezza, intrinseca alla città medievale, viene ampiamente trattato nel libro di Sitte. Tuttavia fino ad allora Sitte non aveva dedicato grande attenzione all‟urbanistica, distinguendosi come progettista in campo ecclesiastico invece. Il periodo tra il 1875 e il 1883 lo vede distante da Vienna per impegni lavorativi, tenendolo conseguentemente distante anche dal dibattito sull‟espansione cittadina che in quegli anni, grazie all‟abbattimento delle mura, si teneva. Al rientro, Sitte si interessò delle nuove realizzazioni e delle teorie elaborate in materia di pianificazione, prima curando nel 1885 una mostra sull‟urbanistica secondo Gottfried Semper, poi pubblicando una serie di articoli su singoli problemi viennesi, in particolare sulla collocazione dei monumenti. Seguendo, forse il discorso iniziato circa 30 anni prima dal barone von Czoernig, primo presidente della commissione centrale per lo studio e la conservazione delle costruzioni monumentali, il quale affermava appunto che “i monumenti formano con il luogo dove sono stati edificati un insieme indissociabile e non possono essere strappati da essi senza che questo comporti la loro distruzione parziale o completa.” Sitte aveva sicuramente letto il trattato di Baumeister del 1866 che considera la città soprattutto come prodotto della cività industriale, competenza di economisti ed ingegneri. Tuttavia mentre l‟opera di Baumeister, dal tono prettamente da manuale e adottato dai politecnici tedeschi viene ricordato come uno scritto prettamente tecnico, il libro di Sitte si pone a svolgere una funzione instauratrice piochè non si occupa tanto di trasformare la città esistente, quanto di creare quella nuova, tenendo conto dei valori funzionali ed estetici. È dall‟esperienza dell‟osservazione diretta di pizze, castelli e altre architetture italiane e tedesche che nasce la scelta delle immagini presentate in Der städtebau nach seinen künstlerischen Grunds.ätzen, raffiguranti
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per la maggior parte vedute prospettiche di famose strade e spazi urbani dall‟antichità al periodoo barocco, oppure planimetrie di piazze. Sitte inoltre si richiama esplicitamente al De architettura di Vitruvio riguardo la conformazione delle città greche e romane, l‟esposizione ai venti, il concetto di simmetria. Infine, senza mai nominarlo, fa riferimento al De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, condividendone le idee in materia dei caratteri determinanti la bellezza di una città, dettata dalla disposizione di strade, piazze e edifici e dalla proporzione tra edifici e loro piazze antistanti. Per Sitte gli argomenti desunti da fonti classiche non servono a dare solo una dignità umanistica alle teorie urbanistiche, ma forniscono supporto per la soluzione dei problemi attuali. La città moderna, secondo Sitte, può e deve nascere da una riflessione sui fondamenti estetici rintracciabili nella storia e riproducibili se non nelle forme ornamentali, nei ben più rilevanti principi della pianificazione. La sfida principale del suo tempo era la sintesi tra arte e tecnica, tra bellezza e funzionalità, e Sitte si impegna a richiamare l‟attenzione dei suoi contemporanei e dei posteri proprio su questi temi attraverso il suo libro, dove esprime una ferma condanna al tecnicizzarsi dell‟urbanistica, richiamando una pari considerazione tra problemi artistici e funzionali. Oppone alla dittatura dell‟urbanistica amministrativa la possibilità di una creazione o gestione dello spazio qualitativamente elevate. Proponendo nel concreto l‟istituzione di concorsi specifici e l‟affidamento della progettazione agli architetti. Grazie anche all‟osservazione degli interventi di Haussmann a Parigi, alla lettura del trattato di Baumeister dove si suggeriva l‟isolamento degli antichi edifici e in ultima le realizzazioni della Ringstrasse con la collocazione enfatica dei monumenti nelle grandi piazze, Sitte può meditare sulla relazione tra pieni e vuoti nella piante della città. Egli individua la sorgente della bellezza delle antiche città nel loro essere un organismo unitario. Non dalla rigidità geometrica, ma dall‟empirica coordinazione degli interventi architettonici ed urbanistici successivi a perseverare la compiutezza dello spazio. Alla mancanza di forma della città contemporanea Sitte oppone una progettazione improntata ai principi della composizione. Tra i motivi portanti delle teorie di Sitte si deve sottolineare proprio la dimensione visiva della città. Rilevando in esse un‟influenza degli studi di Hermann Märtens (Optischen maas für den städtebau 1890 ) sulla relazione tra costruzione e spazio circostante a seconda del tipo di percezione che si vuole indurre nell‟osservatore. È molto probabile che Sitte sia rimasto colpito dalla loro lettura, deducendo dai meccanismi della visione, comuni agli antichi ed ai moderni, le leggi estetiche della progettazione 20
urbana. Le più importanti conseguenze del tributo alla percezione ambientale saranno nell‟opera di Sitte la preferenza per gli spazi chiusi, abbracciabili dallo spettatore con un unico sguardo, ammira strade strette e piazze chiuse, definendo tutto ciò “pittoresco”. Inteso però non come attributo romantico, ma come qualità emergente nell‟insieme armonico di architetture. Attraverso la presentazione di alcuni esempi storici, Sitte suggerisce agli urbanisti contemporanei di ricavare regole compositive per il presente, richiamando l‟attenzione sulla “Stadtgestaltung”, il progetto urbano, per una progettazione tridimensionale in base ai principi visivi. Ricordiamo però, che il discorso di Sitte è sia estetico che etico: egli si oppone alla perdita di forma della città, ma anche alla disgregazione sociale e culturale della comunità cittadina. Sitte registra i cambiamenti nella mentalità e nei comportamenti degli abitanti dettati dal mutare dell‟ambiente umano e coglie anche la dimensione temporale del rapporto cittadino/spazio nelle diverse impressioni suscitate in lui dal percorso giornaliero in un centro. Sitte compie continui passaggi dall‟analisi razionale alla valutazione estetica e concede largo spazio all‟apprezzamento della bellezza delle città del passato condannando la trascuratezza dei nuovio interventi urbanistici. Le due immagini, la città presente e quella antica, si scontrano nel testo con una corrispondenza di uno a molti. Se nella prima parte di Der städtebau, alle dozzine di realtà antiche la città moderna vi si oppone come referente unico, inversamente, nella seconda parte, la città moderna è a sua volta dispersa in una molteplicità di esempi mentre la città antica diventa un‟entità unica. Nei primi capitoli quindi si presenta uno studio sulle antiche sistemazioni, poi si parla dell‟urbanistica contemporanea e nell‟ultima parte si propone l‟applicazione dei principi etico – spaziali antichi alla città moderna. Der städtebau nach seinen künstlerischen Grunds.ätzen conobbe un successo insperato dallo stesso autore ed ebbe una seconda edizione, in verità una ristampa, nel giugno 1889, a distanza di un mese dalla prima edizione del maggio 1889. Tra il 1900 e il 1901 apparve la terza edizione e nel 1909, postuma, la quarta, ristampata dai figli nel 1921 – 1922. Il testo fu tradotto in varie lingue, a volte con notevoli cambiamenti e tagli: in francese nel 1092, in russo nel 1925, in spagnolo nel 1926, in inglese nel 1945 e in italiano solo nel 1953.
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MODERNE ARCHITEKTUR – Prima ed. 1895 Moderne Architektur viene presentato da Wagner come un libro di testo per i suoi allievi. Trovandosi infatti in una posizione di rilievo , come quella di professore ordinario, egli ebbe il coraggio di andare contro la tradizione dell‟Accademia e di proclamare, in un testo didattico, nuovi principi su cui fondare l‟architettura. Anche per questo la critica ha considerato Moderne Architektur quasi un manifesto dell‟architettura del XX secolo. La prima edizione del libro, la cui prefazione è firmata nell‟ottobre 1895, venne pubblicata pochi mesi dopo, dopo che Wagner si era già confrontato con la stesura del piano regolatore di Vienna e stava attendendo la costruzione delle stazioni della metropolitana. Il testo rispecchia un‟attenzione complessiva all‟architettura e all‟urbanistica, individuando nell‟intera città il campo d‟intervento del progettista moderno. Non si pensa solo alla costruzione dei singoli edifici in sé, ma ad una nuova sfida a scala urbana, la traduzione in forme archiettoniche di quella nuova realtà sociale ed economica che è la grande città in espansione. Wagner scrive che la metropoli è in assoluto la più moderna delle creazioni e vive l‟impegno di rispondere ai suoi nuovi problemi con fedeltà allo spirito del tempo. Tra i precursori o comunque tra i riferimenti delle idee di Wagner possiamo certamente individuare Gottfried Semper, per il riconoscimento di caratteristiche di funzionalità all‟arte e di espressività artistica propria dei materiali e delle tecniche costruttive, e Alois Riegl per la teoria della creazione artistica come volontà espressiva degli ideali di un‟epoca. Riguardo poi alla relazione con la dottrina di Semper, da questi espressa in Der Stil, si rileva una sicura attenzione da parte di Wagner, testimoniata dalle sue stesse parole, ed un superamento di tali teorie. Wagner valorizzava fortemente l‟idea della forma edilizia come base della forma artistica, dello stile co,e risultato dei nuovi materiali e delle necessità nate dai mutamenti sociali. Dell‟architettura come creazione indipendente dall‟imitazione della natura e legata alla capacità demiurgica, ossia la potenza creatrice e l‟intelligenza ordinatrice, del progettista nel rispondere alle esigenze della vita moderna. All‟architetto viennese si deve inoltre riconoscere il merito di aver aperto la strada la strada verso l‟unità di ideale e reale, di arte e tecnica, di bellezza e funzionalità. Tentando di instaurare una relazione tra la concezione del mondo, la Weltanschauung tedesca, di una determinata epoca ed il volere artistico che sottende le inevitabili mutazioni stilistiche. Che sono viste alternativamente come il prodotto di un “ideale di bellezza” differente (Riegl) oppure come un “progresso” coincidente con l‟avanzamento tecnologico (Semper).
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L‟arte nasce dalla creatività individuale, dall‟ideale di bellezza che l‟architetto esprime a nome della collettività. Mentre Riegl derivava con sicurezza il Kunstgeist, lo spirito artistico, dai valori nazionali, Wagner, negando il rapporto deterministico nazione-forma, afferma che è il tempo, più che il luogo, a indicare all‟artista le modalità di espressione. Wagner condanna l‟eccletismo del XIX secolo poiché lo sviluppo sociale e la frenetica evoluzione della città tra ottocento e novecento impongono una frattura con gli stili del passato. L‟architettura di Wagner vuole essere espressione della modernità. Un concetto di “modernità” che si riassume in un‟identificazione tra arte e funzione, tra stile e utilità e tra bellezza e adesione alle necessità contemporanee. Nella prefazione alla seconda edizione, datata 1898, Wagner parla dell‟incomprensione da parte di molti colleghi e della consolazione datagli dal sorgere del movimento della Sezession. Nel 1902 esce la terza edizione e nel 1914 appare la terza, dal titolo Die Baukunst unserer Zeit, nella quale al posto di “architettura” si sostituisce il termine “arte del costruire”.
DIE GROSZSTADT – 1910 Quando nel 1894 pubblicò la sua relazione sul proprio progetto di piano regolatore per Vienna, che trovò ulteriori sviluppi tra il 1910 e il 1911, Wagner decise di stendere un nuovo scritto sulla città, dal titolo Die Groszstadt: eine Studie über diese. nel 1911. Anche se Wagner sostiene di non riferirsi ad una città in particolare, è sottinteso che il modello esposto possa andare a costituire una soluzione per l‟espansione di Vienna. Egli infatti non formula proposte relative ai centri cittadini, ma si sofferma soprattutto sugli ampliamenti, i nuovi quartieri, i sobborghi. Tuttavia non manca di riservare alcune critiche ad Haussmann, agli storicisti che avevano realizzato gli edifici sull‟area della Ringstrasse e forse anche a Sitte, affermando che “Il vero architetto sa distinguere e giudicare fra ciò che è bello, ciò che è vecchio e ciò che è soltanto vecchio, e non pensa né a una avventata distruzione del bello, né a copiare ciò che già esiste, e neanche al purtroppo tanto di moda “addobbo” di una città: gli è estranea qualsiasi sfrenatezza architettonica.” Il testo di Wagner è diviso in tre paragrafi, L’immagine urbana, il piano regolatore e gli aspetti economici. Inoltre aggiunge una pianta del XXII distretto di Vienna con una prospettiva del suo centro. L‟architettura del XX secolo è per Wagner indissolubilmente legata all‟urbanistica. Ogni progetto deve essere correlato ad un‟idea di città complessiva, la metropoli può essere l‟opera d‟arte totale, in cui si 23
incarna la modernità. Wagner immagina una “Vienna metropoli” dai grandi numeri e delle grandi masse. Respinge l‟ipotesi della città-giardino a favore di una pianificazione rigorosa di distretti dotati di tutti i comfort e servizi. In cui ogni distretto è collegato da strade e metropolitane al centro città e accogliendo un massimo di 150.000 abitanti e formando di conseguenza “un gruppo di piccole città disposte attorno al centro”. Grande attenzione è riservata anche ai tempi di spostamento e alla gestione del traffico, Wagner propone strade multilivello e “assicurando un traffico veloce e facendo in modo che si possa svolgere un costante traffico zonale e un costante traffico pendolare nelle strade radiali, in modo che un punto qualsiasi della città possa essere raggiunto cambiando mezzo una sola volta.” La Groszstadt dal punto di vista economico non è una città utopica, ma il frutto dell‟osservazione obiettiva dei meccanismi della rendita immobiliare ed il tentativo positivamente con chiare e precise indicazioni agli amministratori locali. Wagner infine conclude Die Groszstadt con qualche cenno alle nuove tipologie edilizie, privilegiando l‟abitazione multipiano e i grandi blocchi edilizi, dichiarando superate le villette e le unifamiliari. La metropoli di Wagner, nega un rapporto con la tradizione definendosi come momento di una nuova nascita dell‟arte, in opposizione alla ri-nascita storicistica. Per Wagner la “grande città” ha in sé i valori estetici che la rendono la forma ideale in cui la cultura XX secolo saprà esprimere il meglio. Ma la Groszstadt non è soltanto l‟espressione della conciliazione di esigenze sociali e aspetti economici, ma assurge a simbolo dell‟architettura del nuovo secolo, condensando progresso tecnologico, bellezza, razionalità e arte. Con Die Groszstadt Wagner fornisce forti stimoli alle generazioni future di architetti, ponendo definitivamente l‟idea di metropoli al centro dell‟attività teorica e progettuale, con echi che si rintracciano nei testi e nei manifesti redatti dai più importanti esponenti dell‟architettura del novecento.
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CAMILLO SITTE E OTTO WAGNER: UN CONFRONTO SULLA RINGSTRASSE La lettura di Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen, di Moderne architekture e di Die Groszstadt permette un confronto tra le idee dei due autori riguardo ai grandi temi del dibattito architettonico di fine ottocento. Sia Sitte che Wagner esprimono nei loro scritti una valutazione sull‟operato dei progettisti della Ringstrasse e degli edifici che vi si affacciano, offrendo il loro contributo alla definizione di un‟urbanistica di qualità auspicando un ruolo primario per gli architetti nella creazione della città moderna, spesso affidata solo ad amministratori e tecnici. Un impulso determinante alla redazione dei libri di Sitte e Wagner è stato certamente l‟assistere dei due architetti alle grandi trasformazioni della città di Vienna. Le critiche espresse in Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen sono mirate all‟immagine complessiva della Ringstrasse e degli interventi i alcuni quartieri del centro di Vienna, mentre quelle esposte in Moderne architekture sono rivolte allo “stile” dei singoli edifici. Sitte si scaglia contro la creazione di spazi vuoti davanti ai palazzi più importanti e contro l‟apertura di enormi viali, per ragioni estetiche, psicologiche e pratiche. Egli afferma infatti che il cittadino che si trovi a percorrere questi spazi percepisce sensazioni spicevoli, mancanza di legami e proporzioni tra se e ciò che lo circonda. Inoltre strade troppo larghe e piazze aperte con l‟unione di molte vie, risultano pericolose da attraversare. Sitte invoca l‟adozione di criteri prospettici e proporzionali nel determinare le dimensioni di una piazza e la disposizione di edifici e strade d‟accesso. Un centro storico non deccve essere alterato nei suoi equilibri e gli ampliamenti moderni devono tener conto di criteri estetici, oltre che funzionali. Per questo Sitte propone un proprio progetto per la sistemazione di tre piazze, attorno alla Votivekirche, di quelle tra Burgtheater e Rathause, dell‟università e del palazzo di giustizia. Inserendovi logge, colonnati e aiuole, inquadrando gli edifici in visuali determinate e gradevoli. Questo piano merita particolare apprezzamento perché avrebbe avuto il pregio di dare ad ogni edificio un‟area definitivamente controllata da esso, rafforzando la sua personalità. Queste sono invero istanze comuni a Wagner, per quanto riguarda il desiderio di unità nello stile architettonico, da raggiungere con nuove forme adeguate alla nuova era. Ma l‟architettura dei palazzi sulla Rinstrasse era un‟architettura “in stile”, creata da progettisti che spesso concepivano forti discrepanze tra struttura ed aspetto della costruzione, l‟una affidata ai nuovi materiali, l‟atro scelto tra forme ed ornamenti di tutte le epoche.
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Wagner rifiuta il decorativismo, l‟imitazione di motivi collezionati dai giovani architetti nei loro taccuini di viaggio. Il rapporto di Wagner con lo storicismo del Ring è bene espresso da Hermann Bahr: “Otto Wagner è l‟antitesi della Rinstrasse di Vienna.”
LA CITTÀ MODERNA – Due visioni a confronto Dall‟analisi degli scritti di Sitte e Wagner si rileva che sul tema centrale di queste opere, la città, si riscontrano significativi elementi di concordia tra i due autori così come altrettanto forti contrapposizioni su alcuni aspetti. Non si può estremizzare artificiosamente il confronto tra un‟immagine reazionaria di Sitte ed una rivoluzionaria di Wagner, tra una città esteticamente gradevole ed una funzionale. Il testo di Sitte è interamene dedito a proporre, nella formulazione dei piani regolatori delle città moderne, l‟adozione di soluzioni artistiche derivabili dai principi sottintesi alla formazione dei centri storici e delle città più antiche. Sottolineando al contempo, la necessità che la città sia contemporaneamente dotata delle positive conquiste in campo sanitario, ambientale e pratico nonché di una bellezza compositiva. È necessario comprendere che il richiamo alla città antica non prevede effetti pittoreschi attificiosi ed irregolarità forzate e sterili. Si tratta essenzialmente di cogliere i principi estetici fondamentali di quest‟ultima e di saper riconoscere simili potenzialità nella pianificazione contemporanea. Sitte infatti scriveva: “Le esemplari creazioni dei maestri d‟altri tempi devono restare vive, ma non attraverso un‟imitazione senz‟anima. Occorre esaminare quello che c‟è d‟essenziale in quelle opere e adattarlo, in modo significativo, alle condizioni moderne.” Anche secondo Wagner si deve vigilare sulle scelte meramente burocratiche degli amministratori e sulla mediocrità delle proposte degli uffici tecnici, proponendo un piano regolatore per l‟espansione che irreggimenti il trascurato mondo delle periferie con razionalità e validità tecnica ed estetica. Wagner accetta con realismo le tendenze economiche in atto e in un certo modo riprende Sitte invitandolo a tenerne conto. Entrambi gli architetti si interessano al tema della percezione della città, sia sotto il profilo visivo, sia sotto quello psicologico. Sitte e Wagner lamentano una perdita di riferimenti e una difficoltà ad identificarsi con lo spazio cittadino come conseguenza delle moderne trasformazioni. Sitte accusa coloro che hanno creato viali e piazze sovradimensionati a causa della loro incapacità di gestire il
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rapporto tra pieni e vuoti, conducendo a una disgregazione sociale e alla rinuncia della missione educatrice e patriottica dell‟arte urbana. Wagner, invece, è un sostenitore della grandiosità come nuova monumentalità in cui si esprime la società moderna. Ma anche lui mette in guardia dall‟anonimato in cui rischiano di cadere le periferie e i quartieri di recente costruzione, dove mancavano completamente i segni della vita pubblica e della cultura. Tra le riflessioni sulla sociologia urbana e sulla psicologia dei contemporanei il giudizio di Sitte è negativo, in quanto percepisce che la tendenza all‟isolamento e all‟individualismo sta prendendo purtroppo il soppravvento nella vita moderna. Wagner invece, distante da tali ragionamenti etici, ritiene semplicemente naturale che tale tendenza sia assecondata dall‟architettura. Perciò Sitte si richiama a modelli comunitari quali la polis greca o il comune medievale, mentre Wagner auspica una città totalmente nuova e rispondente ai desideri della società contemporanea. Entrambi gli architetti partono da un rifiuto dell‟urbanistica senza anima, ma tengono in diversa considerazione alcuni aspetti ed esprimono proposte basate su riferimenti opposti. Si nota infatti una predilezione di Sitte per i problemi della piazza mentre per Wagner quelli della strada. L‟uno strenuo difensore della strada curva e dei tracciati irregolari, mentre l‟altro sostenitore della linea retta
e degli incroci perpendicolari. Entrambi concordano nel deplorare i grandi viali alberati (i
Buolevards di Haussmann), ma Sitte perché essi offuscano i monumenti, mentre per Wagner perché isolano un quartiere dall‟altro. Il primo inoltre sostiene una distribuzione del verde in piccoli girdini condominiali o in parti delle piazze, il secondo invece è per i grandi parchi pubblici. Sitte difende l‟asimmetria e la varietà di costruzioni e tracciati viari, Wagner ha il culto della simmetria. Entrambi gli architetti concordano comunque nel proteggere la disposizione dei centri storici. Sitte scrive: “Il cattivo gusto del nostro tempo maltratta anche le opere degli antichi maestri non tenendo conto che esse furono concepite per essere inserite in un certo contesto e non sopportano quindi di essere isolate poiché perderebbero tutta la loro efficacia.” Wagner gli fa eco dal suo libro: “L‟isolamento delle cattedrali, riproposto con tanto zelo negli ultimi tempi, è assolutamente da evitare. Tutti i tentativi del genere svolti sinora si sono risolti in un fiasco.” Sitte e Wagner, in sostanza, concordano sia sul rispetto dei centri storici, sia sull‟utilità di unire bellezza e utilità nelle aree costruite ex novo. Per Sitte, la bellezza nasce dalla varietà e dall‟attenzione al dettaglio, dall‟armonia tra piccoli spazi chiusi ed edifici proporzionati, da canoni sempiterni rilevabili in esempi storici e riproponibili in forme nuove. Per Wagner la bellezza di un nuovo quartiere sorge 27
dall‟uniformità, dalla regolarità, da una moderna monumentalità di grandi spazi e edifici, dall‟intimo legame tra architettura e cultura contemporanea. I due grandi architetti, uniti nel preservare l‟arte del passato, cercando uno sviluppo per l‟architettura, che rispetti i principi di esteticità e funzionalità, manifestano il volto di una società in crisi. Una società che, alla fine del XIX secolo, di fronte a forti cambiamenti politici ed economici, si poneva di fronte alle scelte del presente cercando rifugio nei valori del passato o accettando senza indugi la sfida della novità del futuro. Sitte ne incarna la prima tendenza, Wagner la seconda. La loro città ideale esprime in un caso la continuità, nell‟altro la frattura con la storia.
L‟ARCHITETTO Secondo Carl Schorske, Sitte è “pervenuto alla sua posizione di teorico della città moderna non in veste di “pianificatore” urbano, ma come assertore entusiastico delle arti applicate derivate da attività artigianali. Il suo trattato è intitolato in effetti La costruzione urbana (Der Städtebau) anziché la pianificazione urbana, ponendo l‟accento sull‟azione concreta del “costruire” dando risalto alla sua formazione artigianale.” La figura dell‟architetto, secondo Sitte, è quella di un creatore partecipe ed appassionato alla sua opera che pratici, un artista che sa riversare la sua umanità e spiritualità nello spazio urbano. Anche Wagner, adottando il titolo Die Baukunst unser Zeit, per la quarta edizione del suo libro, pone l‟accento proprio su L’arte del costruire, e una concezione dell‟architetto come colui che dà forma e bellezza all‟edificio. Sia Sitte che Wagner deplorano una progettazione semplicemente utilitaristica che sia priva di criteri estetici. Lo “stile utile” proposto da Wagner è un impulso a “rivitalizzare la funzione estetica dell‟architetto ponendo quest‟ultimo a sevizio dell‟utilità concepita come un bene”, ben distinto da un uso passivo e meccanico della tecnica. La figura dell‟architetto è un tema molto caro a Wagner, una professione da valorizzare per la sua particolarità di riunire in sé idealismo e realismo, di avere gli strumenti per la realizzazione delll‟opera d‟arte totale del XX secolo, la metropoli moderna. Sitte e Wagner come molti loro colleghi contemporanei, affrontano con preoccupazione il tema dell‟industrializzazione dell‟edilizia. Il bersaglio delle critiche più accese da parte dei due autori è l‟avere ridotto l‟urbanistica ad una questione esclusivamente tecnica e la polemica si dirige sia contro gli 28
amministratori cittadini che contro la categoria degli ingegneri. Scrive infatti Wagner: “Noi architettiartisti siamo tra gli ultimi a voler togliere qualcosa all‟ingegnere o a sprezzarne il valore, ma da quando esiste il mondo e finchè esisterà, soltanto l‟archietto-artista ha potuto e potrà costruire come non l‟ha mai potuto fare né mai potrà farlo il non-artista, cioè l‟ingegnere.” Sitte gli fa eco: “La verità è che nessuno si occupa più dell‟urbanistica in quanto arte e che la si considera unicamente come un problema tecnico.” Sitte e Wagner tentano di sanare la frattura fra arte e costruzione della città, riconducendo la guida delle trasformazioni urbane all‟architetto, che per adempiere con competenza a queste nuove sfide, deve possedere una solida formazione. Entrambi formulano suggerimenti in proposito, sia invocando criteri selettivi per l‟accesso alla professione, proponendo esempi concreti a cui ispirarsi. Su questo punto però, le divergenze tra i due si fanno incolmabili: Sitte mostra un fortissimo interesse per i viaggi in Italia e nelle città storiche di tutta Europa. Wagner, in Moderne Architektur, condanna il Grand Tour come raccolta di motivi ornamentali da riproporre e piuttosto consiglia al giovane architetto di “visitare le grandi città e i luoghi dove il lusso moderno è di casa, affinando in tal modo la conoscenza delle esigenze dell‟uomo moderno.” Lo stato o il comune infine non dovranno lasciare le decisioni in mano ad un gruppo di tecnici ed amministratori, ma inserire degli architetti nelle commissioni che giudicheranno i lavori presentati dai progettisti. Concludendo, l‟Architetto e l‟Urbanista secondo Sitte e Wagner coniuga in sé arte e tecnica e definisce la sua identità in opposizione all‟ingegnere, dotato soltanto di pragmatismo esecutivo. Questa questione è tuttora della massima importanza. Poiché, quando si sospetta l‟inconciliabilità in una sola figura delle competenze necessarie, mettendo in dubbio la possibilità per l‟architetto contemporaneo di poter svolgere al meglio il compito di esteta e tecnico, si rinuncia ad includere l‟attività costruttiva nel novero delle arti.
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CONCLUSIONI
Al termine di questo confronto tra i due grandi maestri dell‟urbanistica del secolo passato, attraverso la rilettura dei loro più significativi scritti, emerge l‟importanza del loro contributo teorico alla definizione dell‟urbanistica come arte e all‟interpretazione del ruolo dell‟architetto nella società moderna. Sitte tenta di fondare l‟urbanistica su principi artistici in un periodo in cui essa è relegata a disciplina tecnica e riesce con il suo libro a stimolare una profonda riflessione sulla progettazione urbana. A lui va il merito di aver impedito demolizioni e trasformazioni incontrollate nei centri storici europei, rivalutando l‟eredità culturale e materiale delle città del passato. Sitte insegna agli urbanisti il valore della storia e propone di ricavare da esempi antichi, medievali o barocchi le linee guida per una progettazione che unisca bellezza e senso di appartenenza alla comunità. Si dovrà riconoscere a Sitte il merito del conferimento di una dimensione estetica all‟intervento urbano. La fortuna di Der städtebau nach seinen künstlerischen Grunds.ätzen dimostra l‟importanza dei problemi, ancora attualissimi, affrontati da Sitte. Anche Wagner in Moderne architektur affronta questa riflessione, giungendo alla conclusione che, essa non può sorgere né sull‟imitazione degli stili del passato, né su principi di mero soddisfacimento dei bisogni abitativi, rinunciando ad un suo essere arte. Gli scritti di Wagner definiscono la nascita di uno “stile utile” in cui funzione, struttura e materiali da costruzione, determinino naturalmente le apparenze degli edifici e la forma della città, in un‟integrazione tra tecnica ed arte. Wagner affida all‟architetto il ruolo di creatore di un‟opera d‟arte totale, la città moderna, poiché l‟incremento rapidissimo della popolazione nelle grandi capitali e nei centri industriali pone la sfida della pianificazione e della costruzione di interi nuovi quartieri ed il connesso problema dei collegamenti. Questa nuova progettazione a scala urbana impone un‟attenzione alle relazioni tra le nuove aree edificate ed il centro. Wagner, progettando la metropolitana di Vienna, si spinge oltre e nei suoi scritti, propone soluzioni avveniristiche in merito ai mezzi di trasporto e alle comunicazioni. Tali idee troveranno sviluppo nel Manifesto dell’architettura futurista elaborato nel 1914 da Antonio Sant‟Elia, individuando come caratteristica della metropoli moderna il suo essere uno spazio della circolazione. Il Futurismo italiano ed altre correnti architettoniche di inizio Novecento infatti, saranno debitrici a Wagner anche del forte sostegno all‟impiego dei nuovi materiali da costruzione e alla liberalizzazione dell‟architettura moderna dai retaggi e dagli omaggi stilistici.
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Parafrasando Carl Schorke nessun luogo come Vienna esprime meglio quella crisi latente che strisciava in tutta Europa in quel periodo. Ed è sulle note de La Valse che vogliamo concludere questo breve saggio. Una composizione del musicista Maurice Ravel, che al termine della prima guerra mondiale, volle perpetuare la morte violenta del mondo ottocentesco. Il Valzer, simbolo quasi ancestrale della gaia Vienna, divenne nelle mani del compositore una frenetica danse macabre. Cogliamo quindi l‟occasione per affrontare una riflessione su quel periodo così drammatico. Drammatico in quel senso di dramma che esprime Gordon Cullen nel suo libro Townscape, una drammaticità percepibile nell‟osservate un paesaggio cittadino. Una drammatica spinta verso un cambiamento. Riflettiamo dunque su quei primi anni del „900, in cui in Europa sembrava stesse nascendo uno “stile nuovo”, che avrebbe superato in audacia ed innovazione il grande Rinascimento. Un vero linguaggio umano. Un nuovo futuro, così ci viene presentato da Paul Scheerbart nel suo libro L’Architettura di vetro, pubblicato nel 1914. Ma le barbarie delle due guerre mondiali costrinsero questa “visione” dapprima a essere accantonata, e poi del tutto dimenticata. Come le intere generazioni (di soldati) gettate via ad ammazzarsi a vicenda. A confrontarsi, se non a riconoscersi, in quella bestialità umana che si impegnò così tanto nell‟impedire a questo nuovo stile di evolvere, se non rinnovare l‟architettura europea! Architettura che, ormai era evidente, sarebbe di sicuro diventata mondiale! Mondiale, nel senso sano del termine. Forse sarebbe riuscita a rimanere arte e non svendersi ad una follia di uniformità chiamata “globalizzazione”. I primi anni di guerra, 1915-18 riuscirono quasi da subito a disilludere le menti che credevano possibile una pace eternamente durevole. Che le buone maniere della società bastassero a garantire una qualche morale o l‟ancora più ridicola convinzione che l‟educazione militare forgiasse persone pacifiche! Tale perdita di fiducia ha forzato una nuova architettura. Stroncando di fatto su nascere “L’ultimo stile”.
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