PENNY BLACK

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Sir Rowlan Hill

Penny Black

6 maggio 1840


Filatelia La filatelia è l’attività rivolta allo studio dei valori postali e alla loro collezione. Il termine filatelia deriva dal greco philos (amante) ed ateleia (franchigia). Per definire un soggetto amante della filatelia, lo si chiama filatelista (sost.), mentre filatelico (agg.) è tutto ciò che ha a che vedere con la filatelia.

Breve storia del francobollo I primi francobolli furono ideati da Sir Rowland Hill in Gran Bretagna ed emessi nel 1840. Si tratta del famosissimo Penny Black e di un altro francobollo da due pence. Già nel 1818, tuttavia, nel Regno Sardo era stata emessa una particolare carta da lettere che riportava impresso un bollo raffigurante un cavallo al galoppo cavalcato da un genietto con il corno di posta. Nel mondo della filatelia questi esemplari vengono comunemente chiamati “Cavallini sardi”.


Le origini I primi francobolli del mondo nacquero il 6 Maggio del 1840 nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. La gente iniziò da subito a raccoglierli perchè erano oggetti nuovi e curiosi e praticamente non costavano nulla perchè venivano staccati dalle buste. Quando anche gli altri paesi del mondo iniziarono ad adottare i francobolli si potette dar luogo a collezioni più ricche e varie... nasce così la filatelia. Il merito dell’invenzione è di Sir Rowland Hill che attuò la riforma postale fondata sull’unificazione delle tariffe e sul pagamento anticipato del porto dovuto e proprio per documentarne il pagamento fu ideata l’etichetta adesiva alla quale si diede il nome di francobollo. I francobolli emessi il 6 Maggio 1840 furono due, uno da 1 penny stampato in nero ed uno da 2 pence in azzurro. Il più diffuso e popolare fu certamente il “Penny Black” perchè corrispondeva al porto ordinario di una lettera per l’interno e proprio per questo motivo esso è considerato il simbolo della riforma postale ed il primo francobollo del mondo.


La storia Quando si parla di francobollo non bisogna dimenticare che dietro questo multicolore pezzettino di carta vi è una lunga e avventurosa storia, quella della Posta. Il dotto Cujacio fa derivare la parola “Posta” da “Apostolis”, cioè dall’abitudine di inoltrare “lettere apostoliche” da parte della Curia Romana e del Papato. Questo termine appare per la prima volta nei Capitolari di Carlo Magno, e poi nel terzo libro delle leggi dei Longobardi. Sta di fatto che la Chiesa ha sempre usufruito di messaggeri, detti “cursores” per comunicare con ogni parte del mondo, fin dai tempi più remoti. Le più importanti Abbazie ed i conventi avevano un servizio postale proprio con messaggeri a cavallo, o si servivano di propri frati a piedi o a cavallo. Dei frati questuanti si servivano anche i privati per l’inoltro delle loro missive. Anche se non bisogna dimenticare che in quel periodo pochissime persone sapevano leggere e scrivere e inoltre molto raramente si facevano viaggi e quindi non vi era una reale necessità di scrivere. Soltanto con il fiorire dei commerci e delle arti e la conseguente nascita di una classe sociale ricca e potente, la borghesia, aumentò il bisogno di comunicazione a distanza. Nacquero allora le cosiddette Poste universitarie e Poste dei mercanti. Alcuni ambasciatori chiesero al Papa ed ottennero di poter ricevere la


corrispondenza diplomatica mediante propri corrieri. Si diede così il via all’istituzione in Roma di uffici di “Poste Nazionali”. La prima fu istituita dalla Spagna, su autorizzazione di Papa Alessandro VI nel 1499, subito seguita da quella di Napoli e di Milano. La Posta a Roma e a Firenze fu istituita nel 1536 da Paolo 3°. In Gran Bretagna un educatore di nome Rowland Hill, per ovviare il problema delle tariffe postali, molto costose, propose di pagare, con un’affrancatura anticipata, una tariffa uniforme, calcolata in base al peso della missiva, valida per tutte le destinazioni. Per favorire il prepagamento Hill propose di utilizzare “un pezzo di carta grande abbastanza da contenere un bollo e coperto al retro da una cera vischiosa, che con un po’ di umidità il mittente poteva attaccare al retro della lettera”. Il “bollo”, cioè l’impronta postale indicante la tassa pagata, era così utilizzato non solo per affrancare, ma anche come sigillo al posto della ceralacca molto usata a quei tempi. Quest’idea ancora un po’ vaga del francobollo, venne nei mesi seguenti perfezionata e il 1 maggio 1840 si attuò la riforma postale che prevedeva due diverse soluzioni: una erano i cosiddetti interi postali, cioè buste e fogli da lettera già affrancati e pronti per l’uso; l’altra era rappresentata da una “etichetta” gommata, che poteva essere incollata facilmente su qualsiasi lettera, giornale o pacchetto da inoltrare per posta. Il successo della riforma inglese varcò subito i confini del Regno Unito: la tariffa uniforme in base al peso e il francobollo furono


adottati già nel 1843 dai cantoni svizzeri di Zurigo e di Ginevra e dal Brasile, nel 1845 da Basilea e poi via via e sempre più velocemente da tutti gli altri Paesi. In Italia quasi tutti gli staterelli che allora si dividevano la penisola introdussero francobolli e tariffe uniformi tra il 1850 e il 1852. Lo Stato Pontificio li introdusse il 1 gennaio 1852. Nello Stato Pontificio il servizio postale era considerato della massima importanza ed era efficientissimo: dipendeva dal cardinale camerario di Santa Romana Chiesa che promulgava le leggi relative ai servizi mediante appositi editti e fissava le relative tariffe. Pio IX, in un periodo in cui si discuteva molto intorno al potere temporale del papa, non volle mai che la sua effigie comparisse sui francobolli, ma che vi figurasse solo il simbolo del potere del papato, cioè le chiavi decussate sormontate dal triregno. Per questo le serie pontificie sono forse un po’ monotone nel loro disegno, pur variato nella composizione della cornice. La stampa della prima emissione fu effettuata nella Tipografia della Reverenda Camera Apostolica, mediante stereotipi uniti in quattro blocchi da 25. La prima serie fu poi sostituita da un’altra con valori in centesimi, nel 1867, dopo la riforma monetaria. L’anno dopo fu emessa la terza serie, analoga alla precedente, ma dentellata, stampata su carta lucida e colorata al recto, e bianca al verso. Un grosso problema restava però insoluto: il traffico postale con l’estero. La


soluzione venne trovata nel 1874 con la creazione dell’Unione Generale delle Poste: in pratica una convenzione unica firmata da 21 paesi (quasi tutta l’Europa, l’Egitto, Turchia e Stati Uniti) i quali formavano “un solo territorio” per quanto riguardava il traffico postale, consentendo così di fissare regole e tariffe uniformi per tutti i paesi aderenti, qualunque fosse il percorso o il mezzo utilizzato. Anche in questo caso il successo fu immediato; il numero dei Paesi che chiesero di aderire al trattato fu tale che già nel 1878 si decise di adottare una nuova e più calzante denominazione: Unione Postale Universale. Nel 1870 esplose anche la rivoluzione della cartolina postale, il nuovo mezzo di comunicazione che, in cambio di una tariffa ridotta, chiedeva di rinunciare all’antica sicurezza del segreto epistolare. Nel 900 furono introdotte anche le cartoline illustrate che ebbero un notevole successo grazie anche al diffondersi della stampa a più colori. In base all’art.2 dei Patti lateranensi del 2 giugno 1929, l’I talia riconobbe alla Santa Sede “la sovranità nel campo internazionale, come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione, ed alle esigenze della sua missione nel mondo”. Di conseguenza furono riconosciuti i diritti del nuovo Stato sotto ogni profilo, ivi compreso quello di poter avere servizi postali propri. Lo Stato della Città del Vaticano fu ammesso all’U.P.U. a partire dal 1 giugno 1929, mentre il Governo italiano si impegnò a procurare personale e materiale per l’istituzione dei servizi.


Il 29 luglio 1929 fu conclusa tra lo Stato della Città del Vaticano e lo Stato Italiano una convenzione per l’esecuzione dei servizi postali, in base agli accordi di Stoccolma del 28 agosto 1924, ed alla Legge Fondamentale dello Stato del Vaticano e quella sulle Fonti del Diritto, rispettivamente n.1 e n.2 del 7 giugno 1929, di emanazione pontificia. L’attivazione del servizio postale vaticano fu stabilita dall’ordinanza 8° del 30 luglio 1929 ed ebbe inizio a partire dal successivo 1 agosto. Tutte le emissioni vaticane sono sancite da “Ordinanze”, pubblicate sulle Acta Apostolicae Sedis, una sorta di “gazzetta ufficiale” della Santa Sede. Sia le ordinanze che le Acta, opportunamente affrancati e bollati 1° giorno, costituiscono anche oggetto di collezionismo e sono di particolare interesse filatelico. In un secondo tempo nello stesso modo furono autorizzate anche le emissioni di interi postali, sia cartoline postali che aerogrammi. L’avventura della lettera continua anche oggi nell’era dei computers e dell’elettronica. Gli scritti restano, anche per raccontarci la meravigliosa storia delle comunicazioni umane nell’arco di quasi un millennio: una storia fatta di lettere e cartoline, di francobolli e di bolli postali, di segni grafici e di etichette, una storia che ognuno di noi può rielaborare, ricostruire, reinventare o usare a suo piacere entrando nell’immenso, appassionato, multiforme mondo del collezionismo filatelico. Un mondo senza confini di spazio, di tempo, di idee.


Il primo francobollo La nascita del francobollo ha origini del tutto casuali. Si narra che sir Rowland Hill, uomo di indubbie doti pratiche e dotato di eccellenti capacità di analisi, durante un viaggio in Irlanda assistette ad una scena che lo indusse ad un attenta riflessione. Durante una sosta della corriera venne consegnata una lettera ad una ragazza di un villaggio; ella guardò a lungo la lettera, la soppesò e poi la riconsegnò la portalettere dicendo di non avere lo scellino per il pagamento del “porto”. Sir Rowland Hill mosso a compassione pagò la tassa e consegnò la lettera alla giovane: con enorme sorpresa, la ragazza non parve per nulla contenta del gesto di generosità ricevuto. Rowland Hill dovette insistere non poco per venire a conoscenza della verità; alla fine la ragazza gli confessò che si era accordata col fidanzato che viveva a Londra: questi apponeva sulle buste dei segni convenzionali e alla destinataria bastava dare un’occhiata alla busta per sapere esattamente le notizie in essa contenute, senza dover pagare la tassa. La situazione andava ormai avanti in questo modo da parecchio tempo. In quel tempo spedire delle lettere costava caro, non vi era un importo fisso ma esso variava in base a molti fattori, tra i quali la distanza e il peso della lettera. E, particolare ancora più importante, il pagamento della tassa era a carico del destinatario che, sovente, quindi, si rifiutava di ritirare la lettera al


momento della consegna da parte del postino. Sir Hill si interessò al problema, e nel 1837 pubblicò un opuscolo intitolato “Post Office Reform: Its Importance and Practicability” (La riforma delle Poste: importanza e fattibilità). Il progetto di riforma in esso esposto si basava su alcuni punti fondamentali: - riduzione delle tariffe - porto unico (1 penny per lettere fino a 7 grammi e mezzo di peso) - vendita di etichette gommate da apporre sulla corrispondenza Hill pubblicizzò in tutta la nazione la sua proposta: dodici uomini d’affari londinesi organizzarono una raccolta di firme a favore del progetto e riuscirono a raccoglierne più di 4 milioni. La gente comune accolse subito di buon grado la proposta di riforma, mentre gli organi ufficiali la bocciarono, temendo che la riduzione del porto da pagare avrebbe aumentato il già pesante deficit delle Poste. La proposta arrivò comunque alla Camera e venne approvata, nonostante un gran numero di voti contrari; a Rowland Hill fu assegnata una carica provvisoria al Tesoro in qualità di supervisore. Fu decretata la nascita del francobollo, ossia di un pezzo di carta adesivo da applicare sulla


busta, recante l’indicazione del prezzo che il mittente doveva pagare per spedire la lettera. Il francobollo sarebbe stato annullato mediante un timbro indelebile per evitare che venisse riutilizzato. Fu bandito un concorso per trovare il disegno più adatto ad essere riprodotto sul francobollo. Venne scelta l’idea (ma non il bozzetto) di uno dei partecipanti: la vignetta avrebbe rappresentato il ritratto della Regina Vittoria. Seguirono ulteriori ricerche e furono risolti molti problemi in fase di realizzazione dei calchi per la stampa; la ditta prescelta, la Perkins, Bacon & Petch se la cavò piuttosto bene, considerando che, banconote a parte, non era solita stampare fogli contenenti pezzi di carta piccoli, in grandi quantitativi. Il 6 maggio 1840 nacque il primo francobollo, il famosissimo Penny Black con l’effigie della Regina Vittoria; in realtà furono due i valori emessi contemporaneamente: c’era anche il 2 pence azzurro, che non raggiunse mai la fama del “Penny Black”. L’anno successivo il colore del valore da 1 penny fu cambiato da nero in rosso per rendere maggiormente visibile l’inchiostro nero del timbro postale. Il successo del francobollo fu clamoroso e Rowland Hill fu fatto baronetto e nominato direttore generale delle Poste del Regno Unito. Le statistiche dicono che nel 1839 nel Regno Unito erano state spedite 76 milioni di lettere; con l’avvento del francobollo salirono a 168 milioni nel 1840 e raggiunsero i 347 milioni nel 1850.


Il primo francobollo nasce in Inghilterra e la Regina Vittoria vale solo un penny Oggi, quando si parla di francobolli, si pensa a una cosa comune; un quadratino di carta multicolore che si trova su tutte le lettere e che piace tanto, chissà perché, ai collezionisti di tutto il mondo. Ma dietro quel pezzetto di carta c’è una lunga e avventurosa storia, quella della posta. Una storia che comincia sei o sette secoli fa, quando una delle case più difficili da trovare era proprio una lettera. AI giorno d’oggi forse può sembrare strano, ma allora era proprio così. Infatti devono verificarsi quattro importanti circostanze perché la lettera possa esistere. Primo, devono essere in molti a saper leggere e scrivere e agli inizi del ‘900 gli analfabeti erano moltissimi, tanto che uno dei mestieri del tempo era quello della scrivano che per strada, armato di tavolino, sedie, carta, penna e calamaio, per pochi centesimi scriveva sotto dettatura o leggeva lettere. Secondo, occorre che la gente abbia occasione di allontanarsi da casa, altrimenti non c’è bisogno di scrivere lettere; invece, ancora agli inizi di


questo secolo, la maggior parte della gente nasceva, viveva e moriva senza allontanarsi più di tanto dal suo paesello. Terzo, occorre un materiale comodo per scrivere e non troppo costoso, come purtroppo erano i fogli di papiro o di pergamena. Solo la diffusione in Europa della carta, nel tardo Medioevo, diede una soluzione al problema. Quarto, occorre qualcuno che porti la lettera da un posto all’altro. Fino al 1500 (e anche dopo) vi furono non pochi problemi in proposito. Le tanto declamate poste dell’antica Roma, dei Persiani o degli imperatori Cinesi erano infatti ben organizzate, rapide, sicure, ma potevano essere utilizzate solo dalle autorità della Stato e solo per I’ invio di corrispondenze ufficiali. Tutti gli altri, se proprio dovevano inviare un messaggio, non potevano fare altro che arrangiarsi: i ricchi mandavamo un loro servo o uno schiavo, gli altri approfittavano di qualche viandante, cui affidavano la missiva insieme a un’offerta o con la promessa di una ricompensa da parte del destinatario. Ma era un problema che si poneva di rado, almeno fino all’anno 1000 e anche dopo. Solo ai tempi di Dante e di Giotto infatti, il rifiorire dei commerci e delle arti e la conseguente nascita di una nuova classe sociale sempre più ricca e potente, la borghesia (cioè gli abitanti dei “borghi”, le città), fecero aumentare i bisogni di comunicazioni a distanza. Nacquero allora le cosiddette Poste universitarie e Poste dei mercanti, ossia tanti diversi servizi di trasporto di lettere e plichi, ciascuno organizzato da una singola università o da una corporazione (dei


banchieri, dei mercanti di lana, dei macellai ecc.) e naturalmente riservato ai suoi appartenenti. Erano servizi efficienti, specie considerando che erano svolti o per nave o a piedi (per usare i cavalli occorre un’organizzazione con frequenti cambi); e costosi, poiché sovente per poche lettere si doveva pagare un messo disposto a percorrere mezza Europa. Lo si può notare da vari quadri di Hans Holbein, in cui le lettere sono ostentate come un evidente status symbol. Finché qualcuno non si rese conto che il mestiere di corriere poteva essere anche più redditizio se lo si trasformava in un servizio stabile, ben organizzato e aperto a tutti coloro che avevano bisogno di spedire lettere e merci. Tra i primi a capirlo ci furono i Corrieri bergamaschi, poi divenuti Corrieri Veneti, da cui provenne la stirpe dei Tasso, o Taxis, che fornì Mastri di posta a tutta Europa fino alla fine dell’Ottocento. Ma a quel punto, visto che c’era da guadagnare, imperatori e re, papi e duchi ci misero le mani sopra, inventandosi il cosiddetto ius postale, il diritto di posta. A quei tempi infatti anche le strade e i fiumi erano proprietà reale, era dovuto un pedaggio e di conseguenza solo al re spettava il diritto di utilizzarli per il trasporto di lettere e merci. Di qui sorse l’abitudine di dare in appalto l’organizzazione del servizio postale, in cambio di una cospicua rendita e del trasporto gratuito delle corrispondenze di stato e di quelle di nobili, ecclesiastici, dignitari e tutti coloro che Sua Maestà avrebbe “graziosamente” onorato del privilegio della franchigia postale. Anche per questo fino a tutto il ‘700 il servizio postate rimase molto costoso, oltre che limitato alle località


più importanti o situate lungo le rotte postali, scarsamente sicuro, come tutte le strade e i mari di quel tempo. L’unica garanzia di consegna era data dall’abitudine di lasciar pagare la tassa al destinatario, il quale aveva la possibilità di rifiutare la lettera e non pagare (poteva quindi anche contrattare sul prezzo minacciando di rifiutarla). Soltanto con la Rivoluzione francese iniziarono i primi miglioramenti, in nome del diritto dei cittadini a servizi più comodi e disponibili per tutti. Si cominciò ad aprire uffici postali anche nei centri minori, chiamando i comuni a collaborare alle spese. Si fissarono tariffe più modiche e non contrattabili e si stabilirono norme precise che limitassero la franchigia. Divennero di largo uso i bolli postali, per controllare località e data dì partenza e d’arrivo e se la tariffa era stata pagata dal mittente (P.P.= Porto pagato). E fu inventata la raccomandazione per offrire maggiori garanzie nella spedizione di titoli, oggetti di valore e anche soldi, visto che le “riconoscenze” o vaglia sarebbero entrati in uso solo più tardi. Malgrado queste migliorie, la posta restava però costosa e complicata. Le tariffe, catalogate in base alla distanza e al numero dei fogli che componevano la lettera, costringevano a recarsi all’ufficio di posta per conoscere l’importo dovuto, se per caso si voleva pagare in anticipo; di qui l’abitudine di gettare le lettere in buca senza affrancarle, tanto più che la tariffa era la stessa, anche pagando alla consegna. In più, troppe lettere viaggiavano gratis (qualche nobile si faceva persino assumere da banche o grandi ditte


col solo compito di apporre sulle lettere la sua riverita firma, che le faceva viaggiare in franchigia) e delle rimanenti non poche venivano rifiutate dal destinatario senza possibilità di rivalersi sul mittente, se non indicato, così che le Poste lavoravano a vuoto. Tariffe ancor più care si avevano nei rapporti con l’estero, visto che ogni Stato interessato e ogni mezzo di trasporto voleva la sua parte e che le lettere erano considerate una merce qualsiasi, si cui si poteva lucrare. Si racconta che quando il poeta inglese Percy Shelley annegò nel golfo di La Spezia la moglie Mary, scrisse una lettera disperata e anche un po’ prolissa a un amico di Londra, il quale per poterla leggere fu costretto a sborsare 4 sterline e 15 scellini, che per un operaio a quell’epoca corrispondeva a quasi un terzo dello stipendio di un intero anno. Le proteste naturalmente non mancavano, specie nei paesi più avanzati dove il progresso industriale aumentava la richiesta di comunicare anche nei ceti medi. E fu proprio in Gran Bretagna che un educatore dì nome Rowland Hill, dopo aver ascoltato le veementi accuse del parlamentare Robert Wallace contro gli abusi postali ed essersi attentamente documentato insieme ai fratelli Edvin, Frederic e Matthew, giunse a una sconcertante e semplicissima conclusione: visto che una lettera da Londra a Edimburgo, per cui si pagava più di uno scellino, in realtà costava alle Poste un trentaseiesimo di penny, se tutti avessero pagato (e pagato possibilmente in anticipo), una tassa di un penny sarebbe stata più che sufficiente per coprire le spese di una lettera diretta in qualunque


località del Regno Unito! E per semplificare ulteriormente le cose favorendo l’affrancatura anticipata, questa tariffa uniforme si sarebbe calcolata solamente in base al peso, Le idee di Rowland Hill, pubblicate privatamente nel 1837 in un opuscolo intitolato «La Riforma postale, sua Importanza e Fattibilità», naturalmente non piacquero né alle autorità postali né ai nobili e politici, timorosi di perdere la loro franchigia sulle corrispondenze. Ma ebbero subito il consenso e il pieno appoggio dell’opinione pubblica britannica, in particolare di due importanti gruppi sociali: mercanti e uomini d’affari, per il cui lavoro la posta era fondamentale, e riformatori religiosi, soprattutto protestanti evangelici, per i quali la conoscenza è un modo di avvicinarsi alla santità, quindi la facilità di comunicare è indispensabile per diffondere la conoscenza. Ci vollero due anni di campagne giornalistiche, di battaglie parlamentari e persino di pubblici sberleffi; come quando, sotto gli occhi della stampa furono spedite a eminenti personaggi due lettere: una di un solo enorme foglio che pagava ovviamente la tariffa semplice e una piccolissima ma composta di due fogli, che perciò pagava il doppio! Alla fine la grande Riforma postale passò integralmente, anche se per gradi: la prima tariffa uniforme per tutto il Regno, in vigore dal 5 dicembre 1839 fu di 4 pence ogni mezza oncia (15 grammi). Il successo fu tale che già il 10 gennaio 1840 fu ridotta a un penny, come volevano ormai tutti. Restava un problema:


quello del pagamento anticipato della tariffa. Per affrancare occorreva infatti recarsi, come prima della riforma, all’ufficio postale per l’apposizione del bollo di avvenuto pagamento; in tal modo il sistema di gettare le lettere in buca senza affrancarle restava sempre il più comodo. Se si voleva invogliare il pubblico a pagare in anticipo bisognava inventare un nuovo sistema più semplice e pratico. Già nel 1837 nel suo opuscolo Rowland Hill aveva proposto di utilizzare «un pezzo di carta grande abbastanza da contenere il bollo e coperto al retro da una cera vischiosa, che con un po’ di umidità il mittente può attaccare al retro della lettera». Il bollo, cioè l’impronta postale indicante la tassa pagata, veniva così usato non solo per affrancare, ma anche come sigillo, al posto della ceralacca o dell’ostia gommata in uso a quei tempi. Era un’idea ancora vaga del francobollo; molto più precisa fu invece quella sottoposta lo stesso anno da un libraio scozzese, James Chalmers, con tanto di saggi e anche sul modo di annullarli mediante il bollo a date; ma Hill non volle mai prenderla in considerazione, neppure in seguito. A caccia di idee, venne perciò bandito un pubblico concorso, che fruttò 2600 fra disegni, saggi e semplici suggerimenti alcuni dei quali decisamente strampalati come quello (che però piacque molto a Hill) di un francobollo doppio, recante da una parte un buco attraverso il quale applicare la ceralacca del suggello mentre l’altra parte, con il bollo, doveva essere strappata via dagli operatori postali. Alla fine si adottarono due diverse soluzioni: una erano i


cosiddetti interi postali, cioè buste e fogli da lettera già affrancati e pronti per l’uso; l’altra era rappresentata da una etichetta gommata, che poteva essere incollata facilmente su qualsiasi lettera, giornale o pacchetto da inoltrare per posta. Francobolli e interi apparvero sei mesi dopo la grande Riforma, il 10 maggio 1840, ma dovevano essere usati solo a partire dal 6 maggio seguente: occorreva infatti lasciare un po’ di tempo alla gente per abituarsi alla novità. Il primo francobollo del mondo è di colore seppia scuro, ha un valore nominale da un penny, reca il profilo della regina Vittoria ed è universalmente conosciuto come “Penny black” (nell’immagine di apertura) Qualcuno fece subito dell’ironia sui francobolli, illustrati con l’effigie della Regina Vittoria: per incollarli occorreva infatti leccare Sua Maestà sul di dietro! Ma andò molto peggio per buste e fogli bollati, che Rowland Hill aveva voluto illustrare con un’allegoria della Posta affidata al pittore William Mulready: l’affollato disegno divenne subito bersaglio dei caricaturisti, che portarono al suo ritiro dopo nemmeno un anno. E a sostituirlo sulle nuove buste postali fu un’impronta a rilievo molto simile a un francobollo. Il successo della Riforma inglese varcò subito i confini del Regno Unito: la tariffa uniforme in base al peso e il francobollo furono adottati già nel 1843 dai cantoni svizzeri di Zurigo e di Ginevra e dal Brasile, nel 1845 da Basilea, nel 1847 da Mauritius e poi via via e sempre più velocemente da tutti gli altri Paesi. Anche se agli inizi con qualche titubanza: qualcuno, come l’Impero


Austro-ungarico, mantenne tariffe differenziate in base alle distanze, anche se ridotte a soli due o tre raggi per evitare le complicazioni del vecchio sistema. Gli Stati Uniti, prima di emettere francobolli, fecero qualche test a livello locale, con le emissioni spesso molto artigianali di alcuni Postmaster. In Italia quasi tutti gli staterelli che allora si dividevano la penisola introdussero francobolli e tariffe uniformi tra il 1850 e il 1852: il 1º giugno 1850 il Regno Lombardo-Veneto, in contemporanea con l’Austria-Ungheria, il 1º gennaio 1851 il Regno di Sardegna e il 1º aprile seguente il Granducato di Toscana, il 1º gennaio 1852 lo Stato della Chiesa e il 1º giugno dello stesso anno i ducati di Parma e di Modena. Nel Regno delle due Sicilie le novità postali arrivarono solo molto più tardi; il 1º gennaio 1858 nei domini «di qua dal faro» (Campania, Abruzzo, Puglie, Calabria e Basilicata) e un anno dopo, in Sicilia. Ma con ogni precauzione si pensò bene a quali colori scegliere per le emissioni, in modo che in nessuna affrancatura si potesse, con i francobolli, comporre l’odiato tricolore. Altra attenzione venne posta nell’allestimento dei timbri per l’annullamento dei francobolli: ne venne ideato uno speciale «a ferro di cavallo» in modo che la timbratura non insozzasse la sacra effigie di Sua Maestà riprodotta nel francobollo.


Il francobollo nacque per amore Il Penny Black della Regina Vittoria Prima del 1840 i francobolli non esistevano. La tassa postale non veniva pagata da chi spediva la lettera ma da chi la riceveva ed il costo variava in funzione del peso e della distanza che doveva percorrere il corriere per il recapito. Il servizio postale era dunque costoso, soggetto a numerosi errori e a complicazioni dovute ai conteggi da effettuare alle frontiere per compensare le partite dei diversi Corrieri nelle diverse Valute. Non era raro che i cittadini eludessero la tassa affidando le corrispondenze a corrieri occasionali o di frodo, costume molto diffuso in Europa e in particolare in Gran Bretagna. Per motivi politici, militari e strategici, fin dal X V Secolo, la maggior parte degli Stati dichiararono loro monopolio il servizio postale, per conferirlo in concessione a privati con l’obbligo per questi di esercitarlo secondo particolari regole, tra le quali quella del trasporto gratuito delle corrispondenze


amministrative, militari e di Stato in senso lato. Risulta evidente che un sistema molto complesso e farraginoso, come quello sopra delineato, non era adeguato alla nuova situazione determinatasi nel XIX Secolo in Europa e nel Nuovo Mondo. Infatti l’enorme sviluppo economico e commerciale registratosi, aveva indotto un incredibile incremento delle corrispondenze, poiché il servizio postale rappresentava l’unico mezzo di comunicazione ed era quindi divenuto esso stesso parte integrante della ragnatela mondiale di rapporti commerciali (il sistema di comunicazioni era integrato da una rete telegrafica, molto limitata e costosa). Ma come nacque l’idea del francobollo? Si narra che un giorno nel Regno Unito una diligenza postale si fermò in una borgata. Fra le persone che accorsero per ritirare la corrispondenza dal postiglione vi era anche una fanciulla che, presa tra le mani una lettera a lei indirizzata, la guardò ben bene rigirandola tra le mani con gli occhi che brillavano di gioia …. e poi la riconsegnò al postino: “purtroppo non ho i soldi per pagarla” disse sorridendo ancora. Sir Rowland hill che viaggiava sulla diligenza si impietosì e pagò di tasca sua il porto dovuto, consegnando la missiva nelle mani della fanciulla. Naturalmente si aspettava di essere ringraziato. Invece la fanciulla gli disse che la sua generosità … era stata inutile! Rimase esterrefatto e insistette non poco con la giovane perché spiegasse il suo strano comportamento. Questa confessò che la lettera era completamente bianca


al suo interno e che il vero messaggio inviatole dal fidanzato era costituito da alcuni segni convenzionali posti al di fuori di essa, in precedenza concordati tra i due innamorati, con i quali ora Lui le comunicava di stare bene e di amarla come prima e più di prima! Rowland Hill realizzò immediatamente quale enorme danno avrebbero subito le poste della Corona, se altre persone avessero usato lo stesso…. economico stratagemma. Bisognava dunque trovare un sistema semplice per far pagare la tassa postale in partenza, ma anche delle tariffe semplici ed economiche che incentivassero l’utilizzo della rete di comunicazioni postali, in modo tale da abbattere i costi attraverso l’economia di scala determinata dall’aumento del volume della corrispondenza trasportata. Presentò quindi alle autorità competenti un opuscolo dal titolo “post office reform” nel quale espose il suo progetto di riforma. La proposta consisteva nel far pagare la tassa postale a chi spediva la lettera e non a chi la riceveva. Per dimostrare che la modesta tassa era stata pagata si doveva applicare sulla lettera, prima di spedirla, un bollo di carta stampata e adesiva riportante il relativo importo: il francobollo appunto. La tariffa di primo porto sarebbe stata abbassata addirittura da 6 ad 1 Penny! Il progetto, dopo non poche né brevi polemiche e traversie, che coinvolsero


anche il Parlamento chiamato a deliberare in merito, fu approvato e all’inizio di Maggio del 1840 nel Regno Unito venne emesso il primo francobollo, oggi noto come “Penny black”, nel quale era riprodotta l’effigie della regnante regina Vittoria. Visto il successo e la praticità del francobollo, anche le altre nazioni riorganizzarono i loro servizi postali. Al Regno Unito seguirono: il Brasile nel 1843 (con l’emissione detta “occhi di bue”), il Cantone di Ginevra nel 1845, il Cantone di Basilea (la colomba di Basilea) e la Finlandia nel 1847, e poi l’isola di Maurizio, gli Stati Uniti e via via tutti gli altri Stati. Nella penisola italiana il primo Stato ad emettere francobolli fu il Lombardo Veneto, il primo Giugno del 1850, seguito dal Regno di Sardegna il primo Gennaio del 1851. Ritornando al Regno Unito, risulta da documenti ufficiali che l’incisione realizzata per riprodurre la sua effigie sul Penny black piacque moltissimo alla regina Vittoria, tanto che quella impostazione grafica venne usata per molti anni, non solo nella madre patria, ma anche nelle numerose colonie inglesi. Abbiamo evidenziato prima come in effetti il francobollo non rappresenti altro che la comprova dell’avvenuto pagamento di una tassa. Sotto questo aspetto il francobollo non aveva nulla di originale. Infatti le marche da bollo fiscali, definibili “mobili” ovvero non connaturate ad un foglio di carta ove formare l’atto tassabile, erano state adottate nel Regno Unito fin dal 1694.


Queste curiose marche impresse a secco, talvolta su carta colorata, venivano attaccate al foglio per il tramite di una linguella metallica già conficcata in modo passante nella marca! Risale ad epoca ancora precedente l’utilizzo di “carta bollata” fiscale. Nel 1760, sempre nel Regno Unito, venne emessa una marca fiscale da uno Scellino di colore nero, in tutto simile a quelli che sarebbero stati in seguito i francobolli. E’ forse poco noto che lo studio e il collezionismo delle marche fiscali, detto filatelia fiscale, ha avuto grande sviluppo e rinomanza nell’ottocento e ancora fino agli anni cinquanta del Novecento, con la pubblicazione di diverse importanti opere sistematiche e cataloghi, in Europa e negli Stati Uniti. Oggi il settore della “fiscalistica”, ingiustamente trascurato, può contare purtroppo su un ridottissimo numero di appassionati cultori.


Fonti: Introduzione - Album Marini srl Le Origini - Giovanni Piccione (Approfondimenti di Filatelia e Francobolli) La storia del francobollo - Ufficio Filatelico e Numismatico CittĂ del Vaticano Il primo francobollo - Fabrizio Ameduri Il primo francobollo nasce in Inghilterra - Federico Luperi (cronologia Leonardo.it) Il francobollo nacque per amore - Giuseppe Di Bella (SiciliaInformazioni)


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