Bernardino Luini e i suoi figli

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Bernardino Luini e i suoi figli


Copertina Bernardino Luini, Madonna con il Bambino (Madonna del roseto), 1516-1517 circa, Milano, Pinacoteca di Brera (particolare) Progetto grafico di copertina Francesco Dondina - Dondina Associati

Progetto grafico e impaginazione Paola Gallerani

Bernardino Luini e i suoi figli

Redazione Giovanni Agosti Patrizio Aiello Paola Gallerani Marco Jellinek Jacopo Stoppa Indice dei nomi Patrizio Aiello Giovanni Renzi Massimo Romeri Segreteria di redazione e ricerca iconografica Serena Solla Fotolito Eurofotolit, Cernusco sul Naviglio (Milano) Stampa Petruzzi Stampa, Città di Castello (Perugia) Ufficio stampa My Com Factory, Luana Solla luana.solla@mycomfactory.com Officina Libraria srl Via Romussi 4 20125 Milano, Italia www.officinalibraria.com Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. © 2014 Officina Libraria, Milano ISBN 978-88-97737-35-3 Printed in Italy

a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa


Bernardino Luini e i suoi figli 10 aprile 13 luglio 2014 Milano, Palazzo Reale

Sindaco Giuliano Pisapia

Direttore Domenico Piraina

Presidente Alfonso Dell’Erario

Assessore alla Cultura Filippo Del Corno

Coordinamento Mostra Giulia Sonnante

Amministratore Delegato Natalina Costa

Direttore Centrale Cultura Giulia Amato

Responsabili Organizzazione e Amministrazione Giovanni Bernardi Simone Percacciolo

Responsabile Ufficio Mostre Francesca Biagioli

Partner istituzionali

Conservatore Diego Sileo Organizzazione Giuliana Allievi Luisella Angiari Filomena Della Torre Christina Schenk Roberta Ziglioli Amministrazione Roberta Crucitti Laura Piermattei Sonia Santagostino Luisa Vitiello Coordinamento Eventi Anna Appratti Responsabile Coordinamento Tecnico Paolo Arduini Coordinamento Tecnico Luciano Madeo Lorenzo Monorchio Andrea Passoni Responsabile Comunicazione e Promozione Luciano Cantarutti Comunicazione e Promozione Francesca La Placa Antonietta Bucci Ufficio Stampa Comune di Milano Elena Conenna Comunicazione visiva Dalia Gallico Art Lab

Palazzo Reale è stato restaurato grazie a

partner istituzionale

RINGRAZIAMENTI

MOSTRA

Assistenza Operativa Palma Di Giacomo Giuseppe Premoli Luciana Sacchi Servizio Custodia Corpo di guardia Palazzo Reale

Ufficio Mostre Francesca Calabretta Alberta Crestani Sara Lombardini Roberta Proserpio Elena Stella con il contributo di Greta Bortolotti Francesca Rinaldi Responsabile Ufficio Fund Raising, Eventi ed Iniziative speciali Chiara Giudice Ufficio Fund Raising, Eventi ed Iniziative speciali Francesca Belli con il contributo di Giulia Mordivoglia Matilde Pelucchi Letizia Rossi Ufficio Sviluppo Paola Cappitelli Ufficio Stampa e Social Media Elisa Lissoni con il contributo di Michela Beretta Stefania Coltro Responsabile Operations Alessandro Volpi Ufficio Operations Elena Colombini con il contributo di Andrea Baraldi

Presidente e Amministratore Delegato Iole Siena

Mostra e catalogo a cura di Giovanni Agosti Jacopo Stoppa

Rapporti Internazionali e Prestiti Katy Spurrell

Progetto espositivo Piero Lissoni Lissoni Associati con Gianni Fiore Francesco Canesi Lissoni Miguel Ribeiro e Elena Calvi Davide Cerini Marco Guerini Alberto Massi Mauri Alessandro Massi Mauri Lorenzo Volpato

Produzione e Comunicazione Simona Serini Ufficio Mostre Allegra Getzel Tiziana Parente con Francesca Longo Registrar Ghislaine Pardo Marketing e Comunicazione Giulia Moricca Marzia Rainone Ufficio Stampa Adele Della Sala con Anastasia Marsella Fund Raising Gaia Franceschi Sviluppo e Area Contemporary Nicolas Ballario con Francesco Barbuto Controllo di Gestione Lorenzo Losi Amministrazione Mara Targhetta Segreteria Generale Federica Sancisi

Progetto di illuminazione Flos Realizzazione allestimento Ci.Ti.Effe Prodotti Cassina Cleaf Flos Glas Italia MPS Modern Promotion Service Pilkington NSG Group Sacchi Giuseppe S.p.a. Immagine coordinata e grafica di allestimento Francesco Dondina Dondina Associati con Giulia Semprini Diana Quarti Giacomo Drudi Ufficio Stampa Comune di Milano, Elena Conenna Cosmit, Raffaella Pollini Lissoni Associati, Donatella Brun Officina Libraria, Luana Solla Paolo Landi 24 Ore Cultura, Elisa Lissoni Conservazione Opere Giovanni Rossi Ilaria Perticucci Marianna Cappellina Restauro e Conservazione di Beni Culturali

Restauri Carlotta Beccaria, Milano Luigi Parma, Milano Michela Piccolo e Maurizio Michelozzi, Opificio delle Pietre Dure, Firenze; direzione lavori Cecilia Frosinini, Francesca Rossi (per il cat. 82, sul nuovo telaio è applicata una lastra protettiva Optium Museum Acrylic, offerta dalla ditta Tru Vue tramite il distributore italiano EOT) Stefano Scarpelli, Opificio delle Pietre Dure di Firenze Centro Conservazione e Restauro la Venaria Reale Isabella Villafranca Soissons, Open Care Milano (le foto dei cat. 5; 13; 16; 24; xliv; 86; 90; 93 sono in corso di restauro o prima dell’intervento) Assicurazioni Lloyd’s Trasporti Liguigli Fine Arts Service Arteria srl Accrochage Liguigli Fine Arts Service Arteria srl Visite guidate Ad Artem Audioguide Antenna International Sistema di biglietteria e circuito di prevendita MostraMi Catalogo Officina Libraria

Mariangela Agliati Ruggia, Silvio Alberio, Mauro Alberti, monsignor Giuseppe Angelini, Camilla Anselmi, Gianni Antonini, Rosellina Archinto, Alessandra Arosio, Lorenzo Arosio, Alberto Artioli, Elena Asero, Francesca Baiardi, Sandro Ballarin, Sandrina Bandera, Marco Bascapè, Maurizio Baseggio, Aldo Bassetti, Laura Basso, Anna Maria Bava, Carlotta Beccaria, Alberto Bentoglio, Simone Bertelli, ing. G. Bianchi, prof. Luigi Bianchi, Luigi Bianchi, Adele Bianchi Robbiati, Paolo Biscottini, Davide Biscuola, Antonio Bocola, Cini Boeri, Stefano Boeri, Caterina Bon, Adina Bonelli, Davide Bonfatti, Giulio Bora, Bona e Vitaliano Borromeo, Lucia Borromeo, don Tarcisio Bove, Alessandra Brambilla, Marta Brivio Sforza, David Alan Brown, Ugo Bruschi, don Piero Bulla, Giampaolo Cagnin, Giorgio Canesin, Franco Capardoni, Fabio Caporizzi, Carlo Capponi, Andrea Carandini, Patrizia Caretto, Alessandro Carraro, Marco Carraro, Nadia Carrisi, Luciano Caspani, Daniele Cassinelli, Giorgio Cavaciuti, Federico Cavalieri, Carlo Cavalleri, Alice Chimenti, Antonella Chiodo, Mario Cicogna, Elena Ciuti, Anna Coccioli Mastroviti, Giulia Cogoli, Silvia Conte, Maria Chiara Corazza, Dominique Cordellier, Francesca Costaperaria e Ivano, Giulia Maria Crespi, Federico Crimi, Antonella Crippa, Elisa Curti, Paolo Daffara, Emanuela Daffra, Luca d’Agostino, Andrea Daninos, Silvia Davoli, Vincent Delieuvin, Vannozza della Seta, Roberta Delmoro, Andrea Di Lorenzo, Serena D’Italia, famiglia Enrico, Simone Facchinetti, Carla Falcone, padre Dimitri Fantini, Marco Fasulo, Carlo Feltrinelli, Ghitta Feltrinelli, Gianfranco Fiaccadori, Roberto Fighetti, Gabrio Figini, Isabella Fiorentini, Giorgio Fiorese, Elena Fontana, Vincenzo Fontana, Francesco Frangi, Giovanni Frangi, Giuseppe Frangi, Fiorella Frisoni, Arturo Galansino, madre Anna Galimberti, Gabriella Gallerani, Lavinia Galli, Corinna Tania Gallori, Piero Gandini, Nicole Garnier, Guido Gentile, Giorgio Giacomoni, Claudio Giorgione, Vittorio Giulini, Francesca Gobbo, Silvia Gorlini, Tiziano Grassi, Valter Guidetti, Paolo Inghilleri, Carla Iurilli, Stefano Jacini, Franco Jellinek, Matteo Lampertico,

SPONSOR

Valentina Lapierre, Barbara Lehmann, Gloria Levoni, Silvio Leydi, Stefano L’Occaso, Angelo Loda, Letizia Lodi, Rachele Loffredo, Laura Lora, Claudio Luti, Mauro Maffeis, Rodolfo Maffeis, don Aldo Maggi, Mauro Magliani, Marco Magnifico, Alessandro Malinverni, Federica Manoli, Pietro Cesare Marani, Massimo Marelli, Paola Marini, Marcella Marongiu, Claudia Masala, Enzo Mastrandrea, Stefano Mazzotti, Enrica Melossi, Emmanuel Michel, Donata Minonzio, Ruben Modigliani, Monica Molinai, Marco Morandi, Alessandro Morandotti, Annalisa Morelli, Giovanna Mori, Cristina Moro, Milena Motta, Ettore Napione, Antonio Natali, Pietro Nocita, Sara Nosrati, don Claudio Nora, Ivana Novani, Carlo Orsi, Francesco Orsi, Amalia Pacia, Silvia Paoli, Luigi Parma, Alessandra Pattanaro, Annalisa Perissa, Fabio Perosa, Italo Petriccione, Alessandra Pfister, Nadia Piccirillo, Chiara Pidatella, Lucia Pini, Isabella Pirola, don Mario Poggi, mons. Gianfranco Poma, Marzia Pontone, Andrea Porro, Cesare Porro, Chiara Prevosti, Maria Cristina Quagliotti, Domenico Quartieri, Cristina Quattrini, Elena Rame, Daniele Rancilio, Sergio Rebora, Federica Remondini, Mario Remogna, Niccolò Reverdini, Federica Ridella, Nadia Righi, Maria Luisa Rizzini, Cristina Rodeschini, Vittoria Romani, Gianni Romano, Walter Rosa, Mario Rossetto, Doriana Riboni, Chiara Rizzarda, Sara Rizzo, Cristina Rodeschini, Vittoria Romani, Francesco Rossi, Francesca e Guido Rossi, Wanda Rotelli, Francis Russel, Marco Sabetta, Rossana Sacchi, Giovanni Saibene, Toia Saibene, Xavier Salomon, Claudio Salsi, Aurora Scotti, Paolo Secchi, Lorenza Segato, Nicoletta Serio, Giuseppina Simmi, Serena Sogno, Valentina Sommariva, Giulia Sonnante, Giuliana Spinelli, Paola Strada, Carl Strehlke, Marco Tanzi, Francesca Tasso, Francesco Tettamanti, Dominique Thiébaut, Claudia Torriani, Silvia Tosatti, Luisa Turati, Piero Turati, Alessandro Uccelli, Maria Utili, Luca Vago, Giovanni Valagussa, Alberto Vanelli, Edoardo Vedani, Giorgina Venosta, Carmela Vilardo, Isabella Villafranca, Paolo Volpato, Fulvio Zaliani, Tiziana Zanetti, Annalisa Zanni, padre Stefano Zanolini, Chiara Zerbi, Fabio Ziccardi, Anna Rita Ziveri.

Con il sostegno di

Con il contributo di

Sponsor tecnici


Bernardino Luini, tanto amato dal cardinale Federico Borromeo e da Stendhal, è stato poi sottovalutato a lungo: solo nel corso del Novecento la letteratura critica ha riacceso le luci su di lui e su tutta l’arte lombarda. Luini è la spiritualità del Cinquecento tradotta in arte: uno strumento potente di educazione dell’anima, ma anche di iniziazione alla bellezza per tanta gente il cui accesso alla cultura era possibile solo attraverso le immagini. Questo autentico Maestro è stato in grado di costruire un canone entrato nell’immaginario collettivo, a partire dalle inquietudini di Leonardo. Milano è la casa di Luini: le grandi pinacoteche storiche e le chiese della nostra Città ne ospitano da sempre i capolavori. Una tradizione che continua, con la rassegna di Palazzo Reale: un percorso che valorizza i beni culturali di tutta la comunità, e anche la capacità del Comune di produrre eventi che li valorizzano. Bernardino Luini è l’arte lombarda che ci ha accompagnato per secoli, e che oggi ci restituisce la passione per quello che siamo, e per quello che vogliamo essere.

Giuliano Pisapia Sindaco di Milano

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Sono molte le ragioni di questa mostra che, intrecciandosi, formano ordito e trama del grande progetto che Milano dedica a Bernardino Luini e ai suoi figli. Attraverso la storia di un’intera famiglia di artisti, nelle sale di Palazzo Reale viene narrato un secolo d’arte, il Cinquecento, che rappresenta il tempo migliore del Rinascimento milanese e lombardo. Frutto di un rigoroso lavoro scientifico nato nel cuore dell’Università Statale di Milano, grazie alla passione e all’impegno di Giovanni Agosti, di Jacopo Stoppa e dei loro allievi, questo progetto prende forma con un allestimento inedito, spiazzante ma al tempo stesso coerente con l’impostazione scientifica della mostra, realizzato dall’architetto Piero Lissoni. L’esposizione travalica poi le mura di Palazzo Reale, per accompagnarci nei territori in cui Bernardino Luini e i suoi figli hanno lavorato e condurci così alla scoperta di luoghi più o meno noti della regione lombarda, scrigni a volte inaspettati di opere che sono tesori preziosi del patrimonio artistico del nostro Paese. Bernardino Luini assume quindi a pieno titolo il ruolo di protagonista della «Primavera di Milano», il palinsesto di appuntamenti, mostre, concerti, spettacoli e iniziative che Milano dedica quest’anno a tutti gli artisti che hanno fatto grande la nostra città, perché qui hanno trovato il terreno più fertile per la genesi e lo sviluppo del loro pensiero creativo.

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Filippo Del Corno Assessore alla Cultura del Comune di Milano

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Bernardino Luini ritorna a Palazzo Reale. La sua arte aveva abitato le austere e nobili sale di questo Palazzo a partire almeno dal 1859, quando vi si trovava una parte degli affreschi staccati nel 1821-1822 dalle pareti della Pelucca, la villa del ricchissimo Gerolamo Rabia costruita nelle campagne tra Monza e Milano. Vi sarebbero rimasti fino al 1906, quando, su determinazione del re Vittorio Emanuele III, vennero trasferiti presso la Pinacoteca di Brera al fine di ricomporre, almeno in parte, il ciclo degli affreschi della Pelucca. Palazzo Reale ha dunque con Bernardino Luini un legame «affettivo» che abbiamo voluto pubblicamente testimoniare realizzando questa intensa e ambiziosa mostra che restituirà a questo nostro Maestro – troppo spesso «malinteso», come affermava, con la solita lucidità, Roberto Longhi – un ruolo di primissima grandezza tra i ranghi del Rinascimento italiano. L’affetto e il sentimento, però, non sono gli unici motivi che ci hanno spinto a profondere tanto impegno in questa impresa. Ci ha guidato l’alta responsabilità di adempiere a una missione iscritta nell’identità di Palazzo Reale: indirizzare le nostre forze nello scrivere un altro capitolo della cultura e della civiltà della nostra Città. Un compito che perseguiamo – con passione sincera e studio – da anni e che ha prodotto in più di mezzo secolo di attività molte memorabili esposizioni: dall’Arte lombarda dai Visconti agli Sforza del 1958 al Giuseppe Arcimboldo del 2011. La mostra su Luini se, da un lato, è figlia di questa nobile tradizione civile di Palazzo Reale, dall’altro si configura come l’avvio al grande programma espositivo che l’Amministrazione Comunale e Palazzo Reale hanno progettato per l’Expo del 2015 e che sarà quasi interamente dedicato al racconto della straordinaria arte della nostra Città. Bentornato, dunque, Bernardino Luini «delicatissimo, vago et onesto nelle figure sue».

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Domenico Piraina Direttore di Palazzo Reale

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Sommario

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Il malinteso Luini Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa

29 31 41 65 101 145 159 185 203 223 255 283 295

Catalogo 1. Da ragazzo, a Milano 2. Gli anni di vagabondaggio nel Veneto 3. Ritorno a Milano 4. La Pelucca 5. Le occasioni di Bernardino 6. L’invenzione di una formula 7. Santa Marta 8. Volti 9. Dopo Roma 10. Invecchiare con successo 11. La Casa degli Atellani 12. Una complicata ereditĂ

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Regesto dei documenti Carlo Cairati

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Bibliografia

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Indice dei nomi


Il malinteso Luini Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa

Era l’estate di due anni fa, era ancora aperto il Bramantino a Milano al Castello Sforzesco (sembra passato un secolo), quando il direttore di Palazzo Reale, Domenico Piraina, ci ha chiesto se eravamo interessati a una mostra su Bernardino Luini: un pittore lombardo del Rinascimento, il cui nome non è ancora del tutto estraneo al pubblico, un lontano ricordo di Madonne venerate, persino in riproduzione, a capo di un letto, di preghiere nei santuari, di polittici che brillano nel buio delle chiese, una strada nel centro di Milano, San Maurizio trafficata dal via vai di corso Magenta… Ma non un’immagine precisa e definita nei suoi contorni. O meglio: non più. Era evidente da subito, prima ancora di accettare la proposta, che non si poteva ripetere lo schema del Bramantino: la riunione cioè, che era stata pur così difficoltosa, della maggior parte delle opere mobili dell’artista presenti a Milano in un unico luogo, la sala del Tesoro, nella Rocchetta, vegliata per di più da un gigante favoloso come l’Argo. Per la fantasia anticanonica, la bizzarria espressiva, la sorpresa annidata in ogni angolo dell’invenzione le tavole del Bramantino erano una garanzia a priori. Non lo stesso si poteva dire per Bernardino Luini, per cui andava immaginato un congegno espositivo diverso, a partire dall’esperienza precedente ma ripensato ad hoc. Che il rospo del Bramantino abbia incontrato curiosità e ammirazione da parte dei pubblici più vari e interclassisti è stata una soddisfazione (figg. 6 e 7), ma era in un certo senso prevedibile: tutto il Novecento aveva cooperato a quel risultato. Affrontare Luini su una scala ampia da un punto di vista espositivo e in un luogo così connotato da esperienze di altro genere, come Palazzo Reale, non era, non è la stessa cosa. Abbiamo accettato l’offerta, tanto caldamente sostenuta da Stefano Boeri, allora assessore alla Cultura, dichiarando subito che per presentare Luini era necessario ricorrere a prestiti esterni: non limitarsi cioè alla pur amplissima campionatura di opere dell’artista conservate a Milano. Per questo ci voleva un investimento economico non da devolvere a noi e a chi avrebbe lavorato con noi – disponibili a farlo per senso civico e fiducia nella pubblica amministrazione – ma per affrontare le ingenti spese relative allo spostamento dei dipinti, talvolta da molto lontano, e ai prevedibili restauri che sarebbero stati necessari. Il bilancio comunale, in questo difficile frangente, non poteva sostenerne i costi: e Filippo Del Corno, subentrato a Boeri come assessore, si è trovato ad affrontare il problema, dimostrando convinzione e condivisione del significato, anche politico, di una mostra del genere, anomala per le forme di pensiero, di produzione e di organizzazione. Il ricorso ai privati, ai sostenitori esterni di quest’impresa è stato condotto con la massima trasparenza: il Sole 24 Ore, insieme ad Arthemisia Group, si è affiancato al Comune per sostenere molte delle spese necessarie, mettendo inoltre a disposizione la propria esperienza e la

Fig. 1 Bernardino Luini, Compianto su Cristo, 15151516 circa, Milano, San Giorgio al Palazzo (particolare) Fig. 2 Bernardino Luini, Adorazione dei Magi, 1525, Saronno, santuario della Beata Vergine dei Miracoli (particolare) Fig. 3 Bernardino Luini, Sposalizio della Vergine, 1525-1527 circa, Saronno, santuario della Beata Vergine dei Miracoli (particolare) Fig. 4 Cat. 27 (particolare) Fig. 5 Bernardino Luini, Angelo reggiceri, 1525-1530 circa, Milano, San Maurizio al Monastero Maggiore

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Fig. 6. Il teaser della mostra Bramantino a Milano (2012) di Francesco Dondina

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propria grande capacità in questo settore (sul fronte della promozione, soprattutto). Altri costi sono stati coperti grazie alla disponibilità di diversi sponsor (come si chiamavano negli anni Ottanta), tra cui la Fondazione Banca del Monte di Lombardia, che si è fatta carico di alcuni restauri, la Ford e il Cosmit, il cui impegno si concretizza nell’abbinamento tra l’inaugurazione del Salone del Mobile 2014 e una sorta di prova generale dell’esposizione aperta ai propri ospiti, ma priva ancora del montaggio della scena finale: forse la più impegnativa, se non altro per le dimensioni dello spazio coinvolto, la sfortunata sala delle Cariatidi. Proprio il Cosmit – una realtà sempre più significativa per l’immagine esterna di Milano – è buono a introdurre un protagonista della mostra: Piero Lissoni, voluto fin dall’origine da Stefano Boeri come ideatore dell’allestimento. A lui si deve non solo il dono della sua prestazione professionale (e di molti segmenti del suo studio, tra cui in particolare il figlio Francesco e il fedelissimo Gianni Fiore), ma anche l’impegno nel reperimento di una parte di quelle risorse esterne che si sono rivelate cruciali per fare giungere in porto un’impresa tanto complessa in un frangente tanto precario. Quanto questo tentativo, adulto, di mediazioni e concorsi di forze, pubbliche e private, sia riuscito non sta a noi dirlo. Di certo dobbiamo esprimere pubblica riconoscenza. Molti altri elementi dell’équipe del Bramantino – fuori e dentro il Comune – sono rimasti gli stessi: da Francesco Dondina, che ha gratuitamente progettato l’immagine coordinata della mostra, individuando nel Bambino che ci guarda, occhi negli occhi, il motivo conduttore della comunicazione, a Paolo Landi, che «con comprensione ed affetto», e gratis, ha affiancato Elena Conenna e Luana Solla nei rapporti con la stampa, fino a Simone Percacciolo, che ha tra l’altro tenuto le fila della complessissima campagna fotografica, realizzata da Mauro Magliani e in parte sostenuta con i fondi dell’Università Statale. Chi si è spesa quotidianamente, per mesi, per la buona riuscita del progetto – a fianco di Domenico Piraina – è stata soprattutto Giulia Sonnante, all’interno di Palazzo Reale. Innumerevoli sono le persone che ci sono venute in aiuto: basta a dirlo l’elenco – quasi una pagina di una vecchia guida del telefono – dei ringraziamenti sia sul fronte organizzativo sia su quello scientifico, talvolta inestricabilmente connessi; non è detto che qualcuno ci sia sfuggito e non va taciuto che c’è stato anche chi si è adoperato, con impegno, ad aumentarci le difficoltà, fino a farci provare l’impressione – a tratti – di essere dentro un videogioco, con schermate di progressiva complessità. E in quei casi non restava che fare ricorso a Lory Dall’Ombra, che dalla segreteria dell’Assessorato si è prodigata quanto e come ha potuto. Era da subito chiaro, al momento di accettare la sfida di dare vita a una mostra su Bernardino Luini, che – anche a fronte della massima generosità dei prestatori – mai le sale di Palazzo Reale avrebbero potuto dare conto integralmente della qualità di questo artista, il cui talento si esplica per larga parte in imprese ad affresco o in complessi inamovibili (o movibili solo a rischio della conservazione, quindi per noi inamovibili): luoghi, da Legnano a Saronno a Lugano, che per l’Europa di Stendhal, Balzac, Ruskin, Proust e finanche per il giovane Berenson, prima che la mannaia del Novecento cambiasse le carte in tavola, significavano – dal punto vista figurativo – soprattutto Bernardino Luini. Non si poteva e non si può intendere una mostra di Luini a Milano senza immaginare tappe e soste in San Giorgio al Palazzo o in San Maurizio o all’abbazia di Chiaravalle; c’era quindi da mettere a

punto una mappa di itinerari in città, ma anche in Lombardia, in Piemonte e in Canton Ticino. Era facile prevedere filmati nelle sale che dessero conto di questi cicli affrescati: meno facile realizzarli: e qui – un altro ringraziamento, visto che siamo ancora sulla soglia – ci ha soccorso, complice e auspice il rettore Luca Vago, il CTU dell’Università Statale. Nell’idea però che una mostra non si esaurisca in sé stessa ma dia vita a un’esperienza e muova curiosità emotive e intellettuali, e nella considerazione che il visitatore non sia un consumatore né il numero di un biglietto (vecchi discorsi moralisti direbbe l’amministratore delegato), ci è subito parso come i filmati fossero un viatico ma non la soluzione del problema. Desideriamo infatti che chi visita questa mostra non consideri completo il giro se prima o dopo (forse meglio dopo che prima) non si è recato a vedere o rivedere alcuni dei luoghi dove Bernardino Luini ha dato il meglio di sé. Perché questo avvenga con occhi nuovi e con la prospettiva critica che sta dietro all’esposizione abbiamo approntato – con la rilevante collaborazione di Rossana Sacchi – un volume apposito, con schede per ciascuna delle località: e sono ben trenta. Il FAI, il Touring e gli Amici di Brera sono stati della partita e hanno messo a disposizione risorse e persone perché durante il periodo della mostra – i mesi della primavera – i luoghi con le opere in questione siano aperti o più aperti del solito. Quando a tempi serrati abbiamo realizzato, nel 2012, il Bramantino l’onere scientifico dell’impresa ce lo siamo caricati sulle spalle noi due, insieme a Marco Tanzi, con l’aiuto di un piccolissimo gruppo di allievi: l’impresa del Luini ha richiesto il coinvolgimento di un numero di persone molto più grande, oltre una trentina. Si va da ragazzi che stanno sulla soglia dei vent’anni a giovani studiosi che si sono formati con noi, dentro l’Università Statale; non manca, a contraddire la regola, un esterno: un allievo siciliano della Scuola Normale, ma per il resto l’équipe è milanese. Queste persone si sono calate nel progetto, con una totale disponibilità, lavorando senza compensi materiali: siamo loro grati, non solo come insegnanti. Tra le soddisfazioni: il senso di una collaborazione reciproca, il gioco di squadra, la condivisione dei risultati… Tutto quanto compare in questo volume e in quello gemello degli Itinerari è stato riletto, integrato, a tratti riscritto con «la più totale libertà di utilizzazione: non soltanto per coordinare, ma per rifare puntualmente le operazioni mentali degli autori, di solito col sussidio della loro documentazione, ma in moltissimi casi tornando a verificare le fonti o loro parti» (per citare, si parva licet, l’Avvertenza ai Poeti del Duecento). E tutto questo alla ricerca della chiarezza e nella convinzione che la cura di una manifestazione o di un libro non coincida con un nome sul frontespizio e buonanotte al secchio. Proprio lo scarso senso di responsabilità da parte di chi avrebbe avuto il dovere di averne ha portato la situazione al punto di oggi: e vani sono i lamenti sul latte versato. A sé – con la funzione vera di maestro – sta Gianni Romano, che pure questa volta non si è sottratto alle nostre richieste: non solo fornendo pareri e consigli con generosità pari all’esperienza, ma anche stendendo la scheda numero 1 del catalogo. Con tutte le difficoltà del caso ci pare sia da spezzare una lancia in difesa della forma della mostra, rispetto ad altri costumi dell’industria culturale (ma sarebbe meglio dire accademica): i convegni in particolare. Questi ultimi, in tempi di crisi economica, proliferano sempre più, soprattutto con la bella stagione. Viene in mente l’espressione francese «film du printemps», con cui si indicavano certe produzioni a basso

Fig. 7 Il manifesto della mostra Bramantino a Milano (2012) di Francesco Dondina

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Fig. 8 Una sala della Mostra di Bernardino Luini (1953), a Como, in una fotografia di Antonio Mandelli

costo, grazie alla luce naturale, per cui registi e attori avevano scarse aspettative, ma che servivano loro ad allungare il curriculum. La pratica si è evidentemente diffusa ad altri campi, ha perso di grazia e sta intasando le bibliografie e le vite. Questa non è la prima mostra che si sia fatta su Bernardino Luini. Il Novecento ne aveva viste già due, dal taglio molto diverso, per quanto sorte all’interno della Soprintendenza milanese ed entrambe di dimensioni ridotte: la prima a Como, nel 1953, all’esordio dell’attività espositiva di Villa Olmo, nel momento in cui le fortune del pittore erano al nadir (fig. 8, recuperata da Dario Maccari), la seconda a Luino, nel 1975, all’avvio dell’attività del neonato Ministero per i Beni Culturali (fig. 9, recuperata da Federico Crimi e Tiziana Zanetti). L’inaugurava infatti Giovanni Spadolini. Né l’una né l’altra furono un successo di pubblico; tra i tanti meriti della seconda, più d’uno ripercorso nelle pagine che seguono, stanno la grinta dell’impianto grafico che la caratterizzava, fatica di Roberto Sambonet (fig. 10), in quel momento impegnato a fianco di Franco Russoli nell’impresa della Grande Brera, l’innovativo contributo scientifico di Maria Teresa Binaghi e l’avere dato origine alla recensione di Giovanni Testori, che il 10 settembre 1975, proprio con quel pezzo, Luini sul Lago, avviava la sua collaborazione con il «Corriere della Sera» (fig. 11). Pier Paolo Pasolini sarebbe stato assassinato neanche due mesi dopo. A quarant’anni di distanza queste due occasioni espositive – Como 1953 e Luino 1975 – non potevano essere un modello, prima ancora che critico, organizzativo; troppa acqua è passata sotto i ponti; troppo diverso è il rapporto tra Soprintendenze e territorio, dove le funzionarie adesso si spartiscono le competenze «sopra o sotto l’autostrada». Anche se, pure questa volta, i vertici delle Soprintendenze milanesi non hanno fatto mancare il loro appoggio: la mostra è infatti possibile solo grazie al generosissimo prestito di tante opere della Pinacoteca di Brera e alla disponibilità umana di Sandrina Bandera. Il modello territoriale di tutela ha purtroppo perso i colpi ed è realistico, nell’Italia di oggi, che l’Università soccorra, fin dove è possibile 18 – Il malinteso Luini

e fin dove le compete, a certe esigenze: d’altronde i modelli migliori per quello che riguarda la politica delle esposizioni, nell’Italia dell’altro ieri, sono appunto costituiti dai casi di integrazione tra le forze in campo: e tornano alla memoria in particolare le mostre tenute a Siena nell’arco di un trentennio, fortemente segnato dalla lezione di Giovanni Previtali e di Luciano Bellosi, dove i funzionari di Soprintendenza hanno lavorato gomito a gomito con gli insegnanti e gli studenti; da qui la sequenza impressionante che si avvia con Jacopo della Quercia nell’arte del suo tempo (1975) e si chiude (speriamo non per sempre) con Duccio (2003): tutte tappe attraverso le quali le fasi cruciali di una storia figurativa sono state ripercorse, bonificandole alla radice tramite un contatto diretto con le opere, restaurate, censite, amate. Fosse successo così, nello stesso intervallo di tempo, a Milano: e sì che le cose non erano cominciate male tra gli splendori del Seicento lombardo (1973) e l’esperienza, non priva di contatti con quella di oggi, dell’Omaggio a Tiziano. La cultura artistica milanese nell’età di Carlo V (1977), che aveva visto in prima fila l’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università Statale, ancora illuminato dalla lezione civile di Anna Maria Brizio e non confinato nella periferia della città. La comprensione di Luini è un vero nodo critico: non a caso il più grande storico dell’arte del Novecento, Roberto Longhi, nel momento in cui – 1940 – compiva una salutare potatura tra i seguaci milanesi di Leonardo, su cui si erano baloccati i critici e i mercanti dell’Ottocento, tra purismi e decadentismi, escludeva dalla condanna Giovanni Antonio Boltraffio, Andrea Solario e il «malinteso Luini»: tutti e tre ben degni di rientrare «ma, per altre vie, nella reale storia dell’arte». Nessun pittore lombardo è stato mai amato quanto Luini, nessuno così conosciuto e apprezzato, qui e all’estero: la diaspora delle sue opere – persino degli affreschi – ne è il migliore indicatore. Dal momento della produzione fino alla metà del Novecento, le Madonne di Luini sono state oggetto di venerazione; quante generazioni hanno pregato davanti a quelle immagini, si sono sentite rassicurate da quell’equilibrio espressivo, apparentemente naturale ma in realtà conseguito attraverso un «lungo studio». Non si può fare a meno che tutto questo sia esistito, non ci si può porre – se non consapevolmente accecandosi – davanti ai dipinti di Luini come se non fossero esistiti i suoi ammiratori, il cardinale Federico Borromeo in testa: bisognava dare conto di questo spessore della storia, senza che sopraffacesse il percorso principale della mostra. Qui le prescrizioni di Lissoni sono state categoriche; qualche accenno qua e là nelle sale (incisioni e smalti di riproduzione, antiche fotografie, persino trivializzazioni e un omaggio – quasi nabis – di Milton Glaser: fig. 51) sta a ricordare proprio le tappe salienti di questa fortuna storica, che al visitatore avvertito non deve sfuggire. Starà a lui però cercare di rimontarla in maniera coerente, tra i tanti accenni seminati in queste pagine: meno selvose grazie all’indice dei nomi, fatica anche stavolta del generosissimo Patrizio Aiello, i cui meriti vanno però ben oltre questo. Abbiamo provato a impiantare la mostra secondo un punto di vista differente dal consueto, non considerando Bernardino Luini come una monade, ma calandolo nel suo tempo: e fin qui la novità sarebbe relativa: quasi tutte le mostre monografiche cercano infatti un dialogo tra il loro protagonista e il contesto. La forzatura di stavolta è stata quella di intendere Luini dentro una saga famigliare: ragionando concretamente sui parametri di un mestiere tramandato di generazione in generazione. Abbiamo allargato il compasso dei tempi, cercando di montare una storia

Fig. 9 L’ingresso della mostra Sacro e profano nella pittura di Bernardino Luini (1975), a Luino

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Fig. 10 La copertina del catalogo della mostra Sacro e profano nella pittura di Bernardino Luini (1975) di Roberto Sambonet

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che non si chiudesse con il 1532 quando l’artista muore, in una città che sta per perdere definitivamente la propria autonomia politica (già fortemente compromessa del resto dagli andirivieni dei francesi nel primo tratto del secolo), ma si estendesse fino a tutto il resto del Cinquecento, con il racconto – sia pure a un passo diverso – della parabola dei figli di Luini, Aurelio in testa, che scompare nel 1593. Da qui il titolo della mostra: Bernardino Luini e i suoi figli, sorvolato dai ricordi, si spera beneauguranti, di Rocco e i suoi fratelli e di Mutter Courage und ihre Kinder. Che la grafica di Dondina ricorra all’Helvetica impiegata dal Piccolo Teatro, dove a lungo Bertolt Brecht è stato di casa, è un omaggio involontario a una buona tradizione di questa città. Sarebbe stato più facile, e forse più apprezzato, un Bernardino Luini tra Leonardo e Raffaello oppure Luini, il Raffaello della Lombardia oppure Luini nell’ombra di Leonardo (e sì che un Leonardo c’è davvero in mostra): e chi più ne ha più ne metta. Ma non è quella la strada che abbiamo scelto. Raccontare anche la seconda generazione sul fronte dello stile – ma anche su quello, concediamocelo, della psicologia – ha significato spingere la ricerca in un segmento del Cinquecento dove ancora gli studi procedono un po’ a spanne; salta agli occhi a chi si occupa di questi soggetti come per i primi anni del secolo, segnati da una febbre sperimentale più intensa (erano in scena Leonardo e il Bramantino), ci si accanisca a circoscrivere la datazione delle opere nell’arco di cinque anni. Varcata la soglia del 1530, si assiste – e in mostra non mancano i casi – a salti cronologici di decenni, senza colpo ferire e senza sdegni. Questo vuole dire che c’è ancora tanto da fare, che manca un quadro di riferimento affidabile che dia conto del dare e dell’avere tra protagonisti, comprimari e comparse: ma talvolta persino la distribuzione dei ruoli è sub iudice. Le ante di San Nazaro di Giovanni da Monte, un apice del secolo, dovrebbero stare qui a dirlo meglio di ogni altra cosa (figg. 12-13). La mostra procede infatti sul filo della cronologia nella convinzione che lo spostamento delle opere d’arte dai loro luoghi abituali di conservazione, sempre traumatico in sé, trovi una giustificazione nella possibilità di fare progredire la Ricerca. E l’avanzamento più significativo – la vera base dell’interpretazione storica – è assegnare una data plausibile alle opere di un artista, cercando di ricostruirne la sequenza. Per altri tipi di spettacolo, originali o riproduzioni o copie possono andare bene ugualmente; per prendere decisioni in merito alla cronologia non si può procedere in corpore vili; di qui le tante battaglie per avere nelle sale di Palazzo Reale ciò che era necessario. Non il cartellino ma l’opera: di qui il dispiacere per l’inamovibilità, da Brera, della pala Busti: una tavola, datata 1515, a lungo creduta di Luini, che è stata restituita – su base documentaria – a Zenale: la prova migliore dell’interscambiabilità dei loro stili a metà del secondo decennio del Cinquecento (fig. 14). Quindi a un: «Se volete uno Zenale, pigliatevi la Madonna Lianazza», si è risposto: «No, grazie». L’ordine dei dipinti e dei disegni di Bernardino Luini è sottoposto a oscillazioni non indifferenti. In mostra va in scena una proposta, elaborata negli studi di questi ultimi anni; abbiamo cominciato infatti a interrogarci sul ruolo di Luini nella tradizione figurativa lombarda quando, ancora una volta insieme a Marco Tanzi, si è messa su una piccola esposizione – anche quella con i nostri allievi – nella Pinacoteca Züst di Rancate: Il Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini; era il 2010 (ma tra poco c’è chi la riproporrà) ed è l’incuna-

bolo dell’occasione odierna. Non è da escludere che quanto ci è parso possibile ragionando tra fotografie e sopralluoghi si infranga alla verifica de visu. Pazienza: le mostre servono anche a questo; non abbiamo costruito un castello ne varietur, ma un’approssimazione – rivedibile – di come immaginiamo siano andate le cose. «Quanti quadri privati in questa mostra»: pare già di sentirla l’obiezione. Meglio rispondere per tempo. A Palazzo Reale ci sono parecchie opere di collezione privata: fanno tutte parte di raccolte storiche o di recente costituzione; nessuna è in vendita. Un’affermazione purtroppo necessaria ricordando quanto si è visto, in anni non troppo lontani, in queste sale. Sarebbe quindi meglio dire «quanti quadri si vedono per la prima volta in pubblico», esprimendo riconoscenza per chi ha capito il senso del progetto e si è privato, per alcuni mesi, dei propri beni. Da Casa Borromeo, per fare solo un esempio, sono ben sette i dipinti prestati. Su tutti è intervenuta Carlotta Beccaria, che rischia di aggiudicarsi il titolo di «restauratrice della mostra»: per noi l’ha già conseguito. Anche a uno sguardo superficiale, a volo d’uccello, per le sale salta agli occhi il grande spazio concesso al tratto iniziale della storia di Luini, prima che il suo stile si assesti intorno alla metà del secondo decennio del Cinquecento. Qui si avverte uno dei più forti cambi interpretativi rispetto alle passate letture dell’artista che facevano perno su un’altra fase del pittore. Oggi ci interessa particolarmente il modo con cui il provinciale Luini, sceso a Milano dalla sponda magra del Lago Maggiore intorno all’anno 1500, è riuscito a elaborare, per tentativi, quella formula che, nel garantirgli il successo, ne allenta inevitabilmente lo sperimentalismo creativo. Un’affermazione del genere proietta sul passato parametri di giudizio del presente: ne siamo perfettamente consapevoli ma, anche ridotto ad adagio, vale pur sempre «ogni storia è storia contemporanea». Luini da un certo momento in poi liquida le inquietudini espressive che ne hanno caratterizzato gli esordi: la cristallizzazione dello stile, con esiti talvolta altissimi, rende particolarmente difficile la messa a punto di una cronologia affidabile, visto che il pittore molto raramente inserisce le date nelle proprie opere, via via più simili. Di fronte a questa omogeneità bisogna sapere tarare gli strumenti per auscultare i dipinti, magari appoggiandosi sui cicli ad affresco, provvisti di puntelli cronologici un po’ meno incerti. La scommessa della mostra è quella di non rendere noiosa una storia che potrebbe presentare tratti di ripetizione, significativi solo all’occhio dello specialista. Abbiamo voluto invece percorrere la strada dell’accessibilità, correndo il rischio, calcolato, del romanzo popolare. Il parametro della qualità, così difficilmente esprimibile a parole e tanto di rado avvertito dal pubblico, in particolare quello di oggi (fortunatamente più ampio di quello di una volta, ma non più educato), non è stato l’unico elemento che ci ha guidato nella scelta delle opere da esporre; si è voluto infatti dare conto di come da subito, fin dalla giovinezza, Luini gestisca in maniera imprenditoriale la propria attività, avendo al suo fianco collaboratori in grado di divulgarne le invenzioni. La penetrazione di uno stile avviene attraverso l’insistenza della ripetizione: e in questo Luini è maestro, visto che la sua lingua espressiva attraversa la Lombardia, soprattutto quella «ariosa» a nord di Milano, tramite autografi, prodotti di bottega, riproposte più o meno impacciate; non esiste un fenomeno omologante analogo, in queste zone, fino all’avvento del Morazzone, ormai oltre i confini cronologici della mostra e dopo che Aurelio ha chiuso definitivamente gli occhi.

Fig. 11 Manoscritto di Giovanni Testori della recensione Luini sul Lago (1975), Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori

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Fig. 12 Giovanni da Monte, Conversione di Saulo, 1568-1570 circa, Milano, San Nazaro (particolare)

Fig. 13 Giovanni da Monte, San Celso, 1568-1570 circa, Milano, San Nazaro

In questa prospettiva non siamo perciò andati alla ricerca dei quadri «più belli» di Luini, ma di quelli che fossero utili a raccontare la storia che avevamo in testa: di qui anche il ricorso a pezzi seriali, che dicono bene – nella loro iterazione – dell’abilità divulgativa del pittore e della sua bottega. Si è voluto insistere su quanto Luini sia stato importante nella progettazione decorativa di palazzi e ville lombarde, dando il risalto dovuto all’esperienza della Pelucca, la residenza dei Rabia nel territorio dell’odierno Comune di Sesto San Giovanni, o a Palazzo Landriani a Milano, da cui proviene il monumentale Ercole e Atlante. Non si è ecceduto nel genere delle Madonne: il tema privilegiato da Luini; la scelta è stata orientata in direzione di esemplari rappresentativi, sia per ragioni di qualità che per ragioni di vicende collezioni22 – Il malinteso Luini

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Fig. 14 Bernardo Zenale, Madonna con il Bambino tra i Santi Giacomo e Filippo e tre offerenti della famiglia Busti, 1515, Milano, Pinacoteca di Brera

stiche, avendo sempre un occhio al tema, di cui già qualcosa s’è detto, della fortuna storica: per Luini si tratta – non è un paradosso – di un fatto non meno importante della produzione. Per esempio troppo spesso oggi si dimentica che per John Ruskin Luini non era inferiore a Leonardo, con tutti i corollari del caso. Non abbiamo voluto spiegare Bernardino Luini con Bernardino Luini né Aurelio Luini con Aurelio Luini: ci siamo sforzati di accostare alle opere degli artisti intorno a cui ruota la mostra delle prove dei loro contemporanei in grado di fare ca24 – Il malinteso Luini

pire scelte stilistiche, dirottamenti di progetti, ricorrenze iconografiche, analogie e antitesi. Ragioni di costi ci hanno spronato, nella scelta dei confronti, a privilegiare pezzi facilmente accessibili; nel libro dei sogni ci sono certo presenze più adatte o più pertinenti, ma ci è sembrato giusto concentrare le risorse nel fare venire da lontano i dipinti di Luini perché è su di lui che si gioca la scommessa della mostra. Questa modalità aveva bisogno di una dimostrazione visiva, immediatamente percepibile: Piero Lissoni ha compreso al volo la nostra esigenza disponendo le opere di Luini e dei suoi figli su fondi bianchi, quelle dei contemporanei su fondi grigi. Un’opposizione binaria, elementare, del tutto consona al linguaggio con cui Piero ha inventato l’allestimento. Non ci sono elementi decorativi; nulla è appeso alle pareti del palazzo: una luce diffusa avvolge gli ambienti dove totem bianchi e grigi, illuminati ad hoc dalle luci appositamente progettate dalla Flos, si dispongono paralleli o a novanta gradi, rifuggendo le più facili simmetrie e le esigenze dell’arredo. Qualche ricordo di esperienze artistiche contemporanee, care agli anni delle nostre gioventù, non è detto che non riemerga: ma non c’è alcuna brutale attualizzazione. Le scene e la regia procedono nella medesima direzione, cercando di dare voce alle opere, rispettandole, ma dentro un disegno interpretativo. A queste regole di base si impronta l’allestimento delle dodici sezioni in cui si articola la mostra: anche quando nel finale si assiste al pauroso cambio dimensionale. In uscita dalla sala dei Ministri (dove l’allestimento ha cercato di tamponare recenti e indimenticati scivoloni nel restauro) il percorso termina dentro la sala delle Cariatidi, di dimensioni ben diverse da tutti gli ambienti che l’hanno preceduta. Da subito abbiamo avuto chiaro che lì doveva finire la mostra di Luini: quello spazio era drammaturgicamente adatto a segnare la discontinuità di generazione tra Bernardino Luini e i suoi figli. In quel passaggio muta non solo lo stile ma anche l’impianto dimensionale delle pale d’altare in un’Italia che si è fatta diversa: e lì si consuma la parabola di Aurelio. Una scommessa per Piero Lissoni misurarsi con quel luogo, cercando di stare all’altezza di chi è venuto prima, dando vita a scene madri nella storia degli allestimenti del dopoguerra. E qui il ricordo corre non tanto alla presentazione di Guernica nel 1953, di recente rivisitata, ma alle cascate di velluto rosso su cui Ignazio Gardella aveva disposto i quadroni con le storie e i miracoli di San Carlo tra i pulpiti del Duomo ricomposti: l’immagine indimenticabile, anche per chi l’ha vista da bambino, con cui si chiudeva il Seicento lombardo. Per tre mesi in queste sale, spesso disgraziate, è ricostruito un mondo, con un proprio alfabeto; c’è chi giura che sarà poco visitato, anzi ci scommette sopra. Non disponiamo di sfere di cristallo, ma di un po’ di fiducia nella qualità artigianale del lavoro. Passata la mostra, resterà – insieme agli Itinerari, curati con Rossana Sacchi – questo «oggetto rettangolare di 440 pagine rilegate». Prima di chiudere, due parole su come è stato impostato. Innanzitutto non si tratta di un’«opera completa», con il catalogue raisonné di Luini, magari con l’elenco delle copie; peraltro se ne annuncia l’uscita presso un diverso editore. La ricerca su Bernardino Luini e i suoi famigliari ha per fondamento una massa di documenti finora mai riuniti insieme: è un reticolo a maglie strette, dove la parola famiglia indica parentele allargate, con la messa a fuoco di personaggi finora solo intravisti. Commissioni di quadri stanno accanto a registrazioni di affitti, retrovendite e doti, «quelle 8000 lire che ballano»; le firme delle opere prendono

Fig. 15 B. B. (Battista Balduini?), Madonna con il Bambino e angeli, 1509, Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie

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Fig. 16 Bernardino Luini, Presentazione della Vergine al Tempio, 1514-1515 circa, Milano, Pinacoteca di Brera, Cappella di San Giuseppe (particolare)

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posto vicino agli scarsi ricorsi letterari, Cesariano in testa. Luini non è solo: c’è il cognato, ancora imprendibile, il lecchese Battista Balduini (fig. 15); c’è il cugino della moglie, Giovanni Lomazzo, che ha invece assunto un’identità figurativa definita; c’è il socio di Aurelio Luini, il modesto Giovanni Pietro Gnocchi. Tra questi trecento documenti circa, che riguardano quasi un secolo, si agita una folla di comparse. Le strategie parentali, le agnazioni, i rapporti di vicinato non sono ripercorsi in maniera fine a sé stessa, ma dentro un’architettura interpretativa che cerca di non confondere, nel passato come nel presente, la cronaca con la storia. Per questa fatica, in cui confluiscono ricerche di più persone, la storia dell’arte in Lombardia deve essere riconoscente a Carlo Cairati. Un altro elemento caratterizzante è il rinnovamento delle immagini che riguardano molte delle opere di Luini: siamo convinti infatti che l’omogeneità delle campagne fotografiche sia di aiuto alla ricerca; troppo spesso il ricorso ai photoservice dell’editoria specializzata riduce la fatica ma diminuisce la qualità del prodotto. Mauro Magliani è stato, anche stavolta, il nostro compagno in quest’impresa: del suo lavoro le pagine di questo libro danno però conto solo in maniera parziale (fa la parte del leone invece negli Itinerari). Su queste fondamenta è costruito il catalogo, ancora una volta generosa fatica di Paola Gallerani e Marco Jellinek validamente affiancati da Serena Solla. È articolato in dodici sezioni, che corrispondono a tappe o aspetti della carriera di Luini e famiglia: 1. Da ragazzo, a Milano; 2. Gli anni di vagabondaggio nel Veneto; 3. Ritorno a Milano; 4. La Pelucca; 5. Le occasioni di Bernardino; 6. L’invenzione di una formula; 7. Santa Marta; 8. Volti; 9. Dopo Roma; 10. Invecchiare con successo; 11. La Casa degli Atellani; 12. Una complicata eredità. In ogni titolo è racchiusa in pillole la morale del segmento. Ciascuna sezione si apre con un testo estremamente elementare, che coincide con il pannello della sala relativa, in cui si dà conto delle emergenze e dei legami tra le opere, volti a creare un campo di forze in cui il visitatore si trova a girare. Segue – in alcuni casi – una trattazione un po’ più complessa, quasi una specie di agenda, destinata a chi ha voglia di capire qualcosa di più, di approfondire certi temi, di trovare le ragioni di alcune presenze, in particolare di quelle di confronto: testi un po’ sporchi, semilavorati e mandati in macchina nell’incalzare del conto alla rovescia che porta all’inaugurazione. Vengono poi, nell’ambito di ogni sezione, le schede relative alle opere di Bernardino Luini e dei suoi figli. Sono affondi analitici, che mettono a dura prova il lettore, anche quello specialista. Alcuni sono lunghissimi, quasi dei romanzi nel romanzo (ma anche tra le sale c’è una mostra nella mostra): per esempio la Pelucca. Questi esercizi di lettura li abbiamo ritenuti necessari perché le catalogazioni, persino quelle più recenti, del patrimonio artistico milanese hanno spesso perduto per strada pezzi significativi della storia critica o materiale di dipinti e disegni dei Luini. Uno sforzo di anamnesi che arriva fino a un certo punto della scheda, la base – oggi bistrattata – della storia dell’arte: poi una crescita nel corpo dei caratteri indica un cambio di passo in direzione di una maggiore leggibilità. Il libro è quindi pensato a strati, per scopi diversi, per pubblici diversi, che possono passare però da un piano all’altro. E magari da riaprire a distanza di anni: un’ipotesi di probabilità non disaggradevole.

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