LA FAGLIA

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aloysio obito

La faglia

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Cap. 1

giro in motoretta

Partii una tarda mattinata di maggio con la motoretta dopo aver preso in casa una mela, una mozzarella ed un tozzo di formaggio, senza dimenticare la distribuzione della pappa alla cagnetta ed ai plurimi mici, in direzione valle Stura. Ricco caffè ed acquisto di due michette di pane e su, per il vallone Cant, così caro ed abituale. La strada incontra ai primi tornanti due campi di lavanda e poi percorre a mezza costa il versante solatio del vallone attraversando piccole borgate: Barcia, Genet, Fedio, Pourrech, Morier, Toumengh ma due di esse si chiamano Prafiuret e Fiorenset e mai nome fu più azzeccato, specie a metà maggio.

Dapprima frassini e betulle dacché i castagni insofferenti dell’altezza hanno rinunciato a crescere poi folti boschi di faggio all’ ubaye, sui versanti a mezzanotte ; prosperano però i noccioleti, gli ontani, i salici, i ciliegi selvatici ed i roveri mentre sono rare le conifere e sporadici i larici, inframmezzati a radure prative meravigliosamente fiorite ed arricchite da cespi di rose canine. Dopo diversi chilometri, alla centrale elettrica, cambia il paesaggio perché prevalgono le pietre affioranti nell’erba e da ogni dove sbuca un ruscelletto che scorre lungo la strada prima di inabissarsi nel rio principale. La valle disegna una figura tipo y con un valloncello laterale adducente a ricchi pascoli il cui contorno è delimitato dalle propaggini del

monte Nebius. Un lungo traversone con curve strette e pendenze notevoli, si arriva su una balza dove una vaccheria attende il quasi imminente arrivo delle mandrie; ci sono due fontane davvero abbondanti e tutto il contorno è lastricato d’ottimo concime, quasi un pavimento regolare, ricco di spinaci di montagna. Oltre a quel punto l’aspetto è davvero diverso: ampie pietraie consentono i pascoli, ruderi di casamenti bellici, muri in pietra, smilze marmotte appena risvegliate sfuggenti dopo il rapido fischio.

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Ciò che più colpisce sono i costoni prodighi di rododendri ancor verdi ma già profumati. Su una roccia attigua alla stretta strada è posta una targa con il calco di due scarponi ed incisa una mesta ode di Bep Rous dal Jouve en lengo d’oc celebrante la libertà dei vitelli che vagano come le brume, senza vincoli né confini, senza lasciare eredità dacché non si concede loro l’opportunità di generare, possono solo elargire il concime per i pascoli

delle future mandrie.1 Con un ultimo balzo si arriva ai 2416 metri del colle Valcavera. Pausa di riposo per il motore, con breve scollinamento si arriva, a piedi, a godere di un panorama davvero imponente; un ampio intreccio di strade militari, casermette e ricoveri, fortunatamente sfruttati oggi per malghe e pascoli. Su questo colletto è evidente uno sfasciume bianco (gesso?) che determina colatoi ad imbuto. Il freddo intenso e l’aria impetuosa mi indussero a cercar riparo dietro una roccia per godere il sole. Nel cielo incredibilmente terso una coppia di corvi offriva lezioni di volo ad un piccolo. Ripartii dunque per un breve tratto molto panoramico su una pietraia intagliata dalla strada e, come prevedibile, dovetti lasciare la motoretta perché nell’ultimo traversone, grazie ad una protuberanza rocciosa incombe un nevaio alimentato da una o più slavine. Chiusi il casco sotto la sella e mi incamminai sulla neve dura e rimpiansi di non aver calzato gli scarponi. Il colle dei Morti, altrimenti detto Fauniera, è a breve distanza. Prende il nome questo sito da uno sterminio di galloispani che risalendo da Sambuco per portar guerra nel 1744 ai savoiardi asserragliati nel forte di Demonte, furono sorpresi nello stretto imbuto e massacrati soprattutto dai massi e pietre che fecero rovinare loro addosso: strano e baro destino perché entrambi i contendenti ignoravano che nel frattempo era intervenuta una temporanea pace: demenzialità in allora, come oggi. Gli è che alcuni in buona fede ritengono opportuna la guerra, specie in caso di aggressione, e sono disposti ad offrire la propria vita per un ideale. Ma quanti sono coercitivamente indotti?

1 Noi capi accuditi di una splendida mandria baratri e convalli supereremo come nuvole fiori di latte nell’aria profumata, aggirato il displuvio un tremito di bruma ci sbriciolerà come cenere di rododendro fuoco di eredità per noi non acceso concime per l’erba di una prossima mandria 1

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Su uno spiazzo allargato artificialmente insiste un monumento lapideo molto pregevole eretto al ciclista Pantani per una grande prestazione in un giro d’ Italia di qualche anno prim a

L’obiettivo del mio viaggio era però un altro: durante l’inverno un anziano architetto mi aveva parlato dell’esistenza di una faglia importante e di una serie di altre minori o derivate che il Politecnico da alcuni decenni tiene sotto controllo misurando l’ampiezza delle fessurazioni: fenomeno assolutamente naturale in quanto la cima sovrastante determina il punto di contatto di tre valli abbastanza importanti; le spinte provocate dalle catene lì appoggiate creano attriti, fratture, spinte, scostamenti. Salii il ripido declivio ed appena raggiunto l’altro versante vidi il sornione Re di Pietra 2 : effettivamente erano evidenti questi massi spaccati, queste fessure fra l’erba. Con calma decisi di ispezionare un po’ tutta l ‘ area ormai priva di neve stante l’ottima insolazione; in pochi minuti consumai il piccolo pranzo che tenevo in tasca. Salii ancora un po’ contornando un enorme masso, per tagliare in basso, sulla destra onde verificare un qualche nesso logico nella distribuzione delle fessure. Ciò m’indusse a risalire verso un becco roccioso dietro al quale scoprii una buca abbastanza grande e decisi di scendere di piedi strisciando con il sedere a terra. Passato il primo orifizio, l’antro si allargava abbastanza perciò proseguii ma una lastra levigata ed ancora bagnata dal recente scioglimento nivale provocò una quasi caduta di una decina di metri. Planai sui piedi e con sorpresa non vidi più la luce proveniente dal buco dal quale mi ero immesso. Nessun problema perché la direzione d’uscita era più che evidente e decisi quindi di visitare il sito, così, per curiosità. Avanzai alquanto e rimasi allibito quando vidi in direzione opposta all’entrata un bagliore luminoso abbastanza evidente, pensai ad una cavità attraversante la non imponente montagna con sbocco verso il piccolo vallone, che ben conoscevo, del colle del Mulo. Decisi di proseguire.

Cap. 2

esperienza speleologica

Vedevo sempre la luce ma più avanzavo e più pareva allontanarsi e sempre più scendevo: quel bagliore a volte assumeva, stante la diversa disposizione degli scenari, la caratteristica di un faro, vale a dire di una luce concentrata che impediva l’esatta percezione degli ostacoli immediati: inciampavo, scivolavo e mi trovai più volte carponi o inginocchiato o sverso. Il silenzio era assoluto e totale. Ad un tratto ebbi di fronte una fessura molto stretta e mi sedetti per studiarla; da lì sbucava la luce ma la strettoia era insormontabile perciò mi coricai a terra per vedere se ci fosse uno spazio più ampio: niente da fare. 2

2 il Mon Viso nelle Cozie 4


Decisi di calarmi sulla placca verso destra e si prospettarono due quesiti: da lì sotto sarei ancora visto la luce, ma, ancor più grave, se fossi dovuto tornare indietro verso l’uscita, come avrei potuto fare? Mi ero allontanato parecchio e non avrei potuto ricostruire il lungo percorso effettuato. Con una spavalda noncuranza scesi considerando che nella vita avevo fatte tante scelte azzardate, ma ne ero pur sempre uscito, a volte con il fisico, ma anche con il morale, fiaccato. Nuova sorpresa: si prospettava un’ampia cengia quasi manufatta e a destra, essendo tornato un po’ indietro per ispezionare, si sentiva un flebile sussurro d’acqua. Bel enigma. Da una vita non fumavo e per questo mi rollai una sigaretta anche perché avrei potuto individuare la direzione della corrente d’aria: il fumo neanche saliva e sostava pigro intorno a me e pensai che almeno non avrei profanato il sito che incominciavo ad amare. Non pensai neanche alla opportunità di tornare indietro, presi però la precauzione di togliermi la giubba da moto, prendere tutto ciò che avevo nelle tasche, comprese le chiavi, e porla ben in evidenza sulla parete all’inizio della cengia in funzione di un eventuale ritorno. Peccato non avessi calzato gli scarponi che spesso mettevo anche per i brevi giri perché ci sono luoghi, generalmente cime o colli, che è opportuno visionare, per curiosità e per orientamento. Le mie scarpe da passeggio erano comode, ma non opportune. Decisi di percorrere la cengia alla ricerca della fonte di luce e, se del caso, retrocedere per tentare la via delle acque. Gli occhi intanto si erano assuefatti alle tenebre, le classiche pietre d’inciampo però c’erano, eccome. Dopo un bel po’ arrivai in un ambiente che supponevo ampio ed il fischio che emisi si spense flaccido vicino a me: e allora? Misi mano all’accendino per vedere l’orologio e scoprii che segnava esattamente l’ora di quando mi ero calato nella fessura: strano perché era sempre andato così bene. Rimpiansi anche la mancanza del bastone poiché avrei potuto toccare il cammino antistante, come fanno i ciechi per individuare gli ostacoli. I ciechi? Ma io ero cieco: mi si rattrappì la pelle ed un brivido mi corse giù, lungo la schiena. Decisi di procedere piegato in avanti e brancolare con le mani, la sinistra per valutare la parete che scorreva e l’altra per individuare gli ostacoli bassi. Nessuna nozione di geologia ma di certo non ero in ambiente calcareo costituito, penso, da pietre arrotondate e quasi uniformi; non ero in un’area gnessica (si dice così?) perché le pietre sono di spacco, a volte taglienti, ma generalmente lisce, senza appigli. Ma possibile? Mi ero addentrato in questa avventura sul presupposto di una fonte luminosa che era apparsa quasi subito e che mi aveva guidato per alcune ore e adesso brancolavo nel buio più assoluto, dove l’avevo persa? E se fossi tornato indietro fino a percepirla nuovamente? Sarà una trappola che qualcuno mi ha montato o, meglio, che io stesso ho armato? Pensai che avrebbe dovuto esserci una corrente d’aria, specie se da una parte arriva la luce e quindi l’aperto aere e dall’altra l’acqua, quindi un abisso: in compenso la temperatura era gradevole, non certo calda, ed il maglioncino che indossavo era più che soddisfacente. Soddisfacente a che? Ad essere in un buco cieco? Intanto se qualcuno avesse notato la motoretta ed allertato i soccorsi per cercare un disperso in montagna che invece era sceso in un buco… . Mai avevo sentito parlare di una qualche perlustrazione amatoriale o scientifica della faglia perché priva d’accessi praticabili. E se il cielo là fuori si fosse rapidamente coperto e con l’avanzare delle tenebre la mia fonte di luce fosse stata oscurata? E se là fuori fosse scoppiato un temporalazzo violento e da qui ad un po’fossi stato sommerso dalle acque? Questa ipotesi era da scartare perché la roccia era troppo ruvida ma sono noti rii e torrentelli che spariscono nel nulla, all’improvviso. Mistero, mistero secco. Avevo fame: per uno come me che da sempre segue rigidamente il comando del sole, che regola i propri tempi con un ciclo di sei ore, significava che era giunta l’ora di mangiare. Che cosa? Presi la risoluzione di fumarmi un’altra sigaretta per valutare il comportamento del fumo: mentre costatavo l’assoluta staticità ed inerzia decisi di proseguire nella direzione, valutata orientativamente giusta, e considerai che eventualmente avrei potuto dormire in assoluta tranquillità. Ripresi quindi carponi il cammino quando picchiai abbastanza secco sul lato sinistro della fronte. Sentii qualcosa colarmi a lato dell’occhio e con l’accendino vidi sul palmo della mano un liquido giallo-grigio, non certo sangue. Mi asciugai con il fazzoletto e decisi di proseguire più lentamente. Feci un bel tratto di percorso senza alcun riscontro luminoso finché decisi di fermarmi, magari per dormire, considerando che il sonno avrebbe portato consiglio. Trovai una plancia leggermente inclinata, adatta alla bisogna, posai il capo sul rude cuscino e mentalmente pensai che chiudendo gli occhi avrei agevolato il riposo e per non perdere tempo in ragionamenti oziosi decisi di farmi ancora una sigaretta ma avvertii la mancanza della radio che da sempre accendo prima di addormentarmi.

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Fumavo lungo e disteso con la mente vagante nel vuoto quando intravidi alto, sopra di me, una parvenza di luce. Feci un salto e guardai meglio, non ero sicuro. Decisi di sdraiarmi di nuovo ed obbligarmi a tenere per cinque minuti gli occhi chiusi per verifica: sembrava proprio una macchia di luce giallo-bruna. Tornai di una ventina di passi da dove ero arrivato, mi coricai e vidi l’oscurità più assoluta; avanzai dunque di cinquanta passi, sarebbe meglio dire incerti passetti, ed effettivamente rividi la macchia di tenue luce: valutai che non era luce diretta, ma riflessa su una placca, per questo la fonte avrebbe dovuto essere dal lato opposto. A parte la grande altezza, la parete era davvero ripida. Come sarei salito sin lassù con queste scarpette? Decisi di avventurarmi tastando molto attentamente con le mani gli esigui appigli senza vedere il punto di appoggio dei piedi e, stante la flessibilità della scarpetta, era molto difficile fare presa: mi ritrovai appeso per le mani ma dovetti lasciare l’esiguo appiglio e strisciai all’ingiù finché con la mano sinistra incappai in una bella maniglia, con i piedi sempre penzolanti. Con una torsione portai lì anche l’altra mano ed inarcando all’infuori il bacino, mettendo ciò le scarpette di piatto sulla parete, riuscii a far salire i piedi sin lì . E se fossi caduto? Ero salito abbastanza ed avrei preso una bella velocità prima di spiattellarmi sulla sottostante cengia, o chissà dove. Bisognava ballare: con ancor maggior prudenza e circospezione cercai di avanzare anche perché in alto, alle mie spalle, la macchia luminosa cresceva d’intensità. Dopo alcuni passaggi davvero scabrosi raggiunsi una bella fessura, un po’ inclinata ma comoda e dacché sentivo una certa stanchezza alle braccia ed i polpastrelli delle dita erano lisi ed irrigiditi, decisi di recitare, anzi cantare, i vespri. Nonostante tanti e tanti anni di esercizio di questa pratica non avevo mai mandato a memoria un solo salmo per cui mi limitai alle invocazioni introduttive, al magnificat ed al cantico di Simeone3; la lentezza della preghiera promosse la concentrazione e considerai che non avevo mai avuto nozione dell’inutilità del mio canto ma qui il percettore finale, cui rivolsi però la mia benedizione, in un simile buco non avrebbe certo prestato orecchio. La pausa era stata utile: notai che verso sinistra c’era una certa regolare serie di fessure ma io dovevo piegare dalla parte opposta a meno che salendo avessi trovato una cengia, o almeno un passaggio un po’ più agevole che mi avesse fatto guadagnare in altezza. Valutai attentamente la situazione sopra la mia verticale ma le mani proprio non avevano agganci: salii dunque a sinistra e ogni due avanzamenti tastavo avidamente in alto a destra. Incredibile: ad un certo punto capitai in una sorta di scala con gradini quasi regolari che piegavano notevolmente a destra mentre la verticalità della parete si era accentuata. Quanti metri avrei guadagnato? Davvero difficile valutare ma il bordo superiore della parete fiocamente illuminata era stato quasi raggiunto. Promisi di raddoppiare l’attenzione perché il rischio più grande si ha nel rilassare la tensione nella falsa convinzione di essere fuori pericolo. Sempre più attento e guardingo risalii la serie di fessure-gradini finché le braccia caddero finalmente in avanti e scoprii che le vedevo illuminate in altre parole distinguevo la mano, l’attacco della maglia per cui con un balzo mi adagiai sull’ampia plancia e piegando la testa vidi ad una certa distanza, venti metri?, un ampio foro che apriva la visione di una plaga molto illuminata ricca di mille colori degradanti dal bruno delle rocce al giallo-verdino dei pascoli, al verde intenso di una foresta molto lontana, al bianco di abbondanti nevai imprigionati nelle gole. Mi inginocchiai e quindi assunsi la posizione eretta. Che gioia, che panorama! Com’era prevedibile si trattava dell’ampio bacino inclinato che s’intravede dal colle di Valcavera (ma ero tornato indietro sin lì?), sulla destra una catena non molto rilevante ai cui piedi scorre una strada militare quasi in piano (ma non vedevo le casermette della Bandia né le strade, che strano!) con placidi pascoli degradanti verso la media valle Stura e tutta una serie di cime che ben conoscevo sul lato opposto. A ben pensarci qui parevano proporzioni più importanti, almeno dieci volte tanto: sarà stato l’effetto cannocchiale? Prima di reagire e di catapultarmi verso il buco illuminato decisi di fare una pausa riflessiva e funzionale: una ricca pisciatina sorridendo al pensiero delle precedenti cinque o sei sparse con dovizia d’irrorazione sulla maggior superficie possibile per una ricognizione olfattiva nel caso avessi dovuto ritornare al punto di partenza, al colle dei Morti. Cercai nella tasca posteriore sinistra dei calzoni il plico contenente il tabacco, ma era piatta, vuota. Palpai la tasca posteriore destra ma percepii solo il portafoglio, le altre due anteriori: niente, avevo l’accendino ma non il tabacco. Come fare? Ne avevo proprio voglia! Questo fatto mi angosciò alquanto. Tanto valeva andare,senza conforto all’agognata meta: ben rigido ed eretto m’incamminai sul terrazzo, pieni gli occhi della fulgida luce. Pochi passi e mi trovai con un piede sospeso nel vuoto. Con subitanea reazione inarcai le reni e con l’altro piede mi spinsi indietro, atterrando dolorosamente sui glutei. Abbassai lo sguardo e sotto di me vidi un canale molto lungo e largo circa tre metri. Mi rialzai ed osservai questa specie di piscina con acque apparentemente tranquille e di sicuro silenziose con un vortice sinistrorso centrale: dovetti abbassarmi a pancia a terra in quanto la luce diretta inibiva una corretta valutazione.

3 Nunc dimittis servum tuum Domine, secundum verbum tuum in pace… = Signore,ora lascia andare il tuo servo in pace, secondo la tua parola 3

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Sembravano tranquille acque; tornai con la memoria all’ultimo bagno fatto più di venti anni prima nel mare di Mentone con le mie figlie quasi implumi quando rischiai di annegare in un bacino miserrimo e fui costretto ad ancorarmi ad una boa sospesa insozzandomi di sepolcrale pece-nafta e impiegai venti giorni per nettarmi il petto, inorridii al fatto. Percorsi il facile piano a sinistra ed intravidi un restringimento della non- faglia, ma ancor più incredibile, quasi fosse stata eretta una muraglia in cristallo per contenere l’acqua, una voragine profondissima: le pareti dei due lati erano molto levigate ancorché non più distanti di due metri. Valutai a fondo la natura di questa spaccatura; non poteva essere una faglia perché era parallela alla presunta parete esterna e poi perpendicolare a quella di entrata; ed era anche strana quella diga in cristallo che permetteva di vedere fino a una certa profondità i riflessi della luce ed era anche misteriosa l’origine cioè l’immissione delle acque. Vagai a cercare una pietra, operazione non facile perché non c’erano sfasciumi e fui costretto a frantumare una cresta di roccia con un calcio e la lasciai cadere nel vuoto ; dopo parecchio tempo sentii un flebile rumore, sull’asciutto. Proprio adesso che ero arrivato alla meta dovevo fermarmi? Avessi avuto almeno una sigaretta! Valutai attentamente la distanza fra le due sponde: a parte il fatto che i frontespizi erano sfalsati di almeno un metro, a vantaggio di quello d’arrivo, in pratica più alto, non dovevano esserci più di tre metri. La pista di lancio, cioè la piattaforma sulla quale mi trovavo, era abbastanza lunga per una bella rincorsa, ma avrei dovuto affrontare il lancio a volo d’angelo, cioè planare di pancia. Considerai meglio la natura dell’acqua: quel vortice era lento e troppo regolare, sinistrorso cioè tipico senso rotatorio di acqua defluente, quindi mi misi carponi e ne attinsi nel cavo della mano una certa quantità e la annusai: non era nafta, ma era oleosa, le dita si sfregavano volentieri, con sollievo in quanto dolenti per lo sforzo di trazione a loro innaturale. Ma cos’era questa sostanza inodore? Era senz’altro acquosa, ma quale eggrediente la nutriva? Mi dissi che immergendomi nella sostanza , con una decisa azione sui calcagni avrei facilmente raggiunto la sponda opposta. Respingevo inconsciamente questa soluzione apparentemente molto, troppo logica. Rimaneva senza spiegazione quel cristallo contenente l’acqua. Che pressione doveva contrastare? Dovevo prendere una qualche risoluzione e percorsi a ritroso la piattaforma ed abbozzai una rincorsa calcolando bene il piede di battuta. Mi venne in mente il verde della mia età quando i competitori del salto in lungo ai campionati studenteschi misuravano a ritroso, piede su piede, la rincorsa e come in allora li irridevo ritenendo superflue e risibili tali misure: ma c’era il rischio di calpestare il muretto di sabbia umida della battuta ed invalidare o ridurre la prestazione. Rimuginai nella memoria la misura dei salti: invano, ma ad occhio, avrei potuto superare la prova. A somma precauzione lanciai al di là l’orologio, le chiavi, il portafogli con i documenti identificativi: almeno qualcuno avrebbe accertato che ero arrivato sin lì. Arretrai il più possibile e facendo quegli assurdi procedimenti di ventilazione e di concentrazione mentale, partii con un ritardo di quaranta anni sulle mie uniche prestazioni atletiche. Spiccai il volo finalizzato all’elevazione ma a metà percorso una violenta fiamma mi fece innalzare nel vuoto: una violenta botta in testa contro la volta rocciosa…

Cap. 3

Ovoidi

Mi trovo qui in piedi, immerso in un ambiente grandioso ed affascinante, nel più totale silenzio, gli occhi inondati in una luce incredibilmente calda e soffusa, con una sensazione gioiosa di pace e di benessere; la temperatura ideale per non avere né caldo né freddo. Guardo il lontano orizzonte e con stupore vedo almeno sei scenari di montagne fra loro abbastanza distanziati da far presumere ampie valli lì inframmezzate; il colore prevalente è il verde, pur con mille diverse sfumature. Mi volto e in effetti sono prossimo ad un’alta parete dal colore giallo-bruno. Sono quasi in piano e decido di esplorare il territorio: mi stupisce l’assoluta mancanza di opere o manufatti quali strade o sentieri, ruderi di fabbricati, abbozzi di malghe. L’erba che calpesto ha un qualcosa di strano ma è soffice e morbida; attraverso un piccolo rigagnolo poggiando il piede su una pietra posta esattamente al centro, quasi a facilitare il cammino e torno indietro per esaminare la corrente:

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l’acqua è limpida e cristallina ma ha un decorso poco fluido, sembra quasi frenata e mi abbasso per vederla meglio, sembra oleosa ed inodore. La cosa più strana è che non genera rumore. Alzo gli occhi e non vedo uccelli volare né rapaci dall’ alto dominare. Attenzione, manca il cielo: tutta la volta celeste è di un giallo intenso ed uniforme ed invano cerco il punto con maggior luminosità identificabile con il sole. Stupito per questa constatazione muovo lentamente i miei passi con gli occhi rivolti a terra per individuare una qualche formichina, un insetto alato o non, un bruco, una qualche farfalla, un moscone qualsiasi. Niente di tutto ciò. Proseguo meditabondo con una sensazione di sorprendente leggerezza: mi sento tranquillo e completamente rilassato. Procedo non in via retta ma bighellonando spontaneamente dove portano i passi. Siedo su un bel pietrone leggermente muschiato e non avverto stanchezza e mi stupisco di aver fatto tale scelta. Presto l’orecchio per percepire un qualsiasi rumore o parvenza di suono: niente da cercare e valuto anche che non ho nozione del tempo trascorso. Finalmente vedo alla mia destra un qualcosa che si muove; mi alzo e lentamente mi dirigo in quella direzione aguzzando la vista. Si tratta di un ovoide alto circa cinquanta centimetri che di primo acchito mi ricorda il monumento eretto sui baluardi di Gesso a Cuneo, esprimente nello spazio tridimensionale lo sviluppo di una formula matematica scoperta dal Peano.

Si tratta in altre parole di un grosso uovo appiattito avente diametri diversi nella parte più sviluppata; ha un indefinito colore strano e quando sono vicino rilevo che è una figura plasmatica, quasi flessuosa, morbida, ha alcune macchie nella parte superiore e queste macchie si muovono ma nulla induce a pensare a occhi, orecchi, bocca o naso; mi avvicino ancora e non vedo né tagli né orifizi. Si muove senza usare sorta di piede né c’è movimento nella parte inferiore. Siccome non riesco a capire se calca il terreno o se procede sopraelevato, mi chiedo se sia la pneumaticità a creare il movimento, mi avvicino ancor di più senza valutare una qualche pericolosità derivante da simile creatura certamente animata. Non riesco a decidere se aderisce all’erba. Provo a far un cenno con il braccio per verificare una qualche reazione ma procede imperterrito con indubbia grazia. Lo affianco per un po’ e decido di sopravanzarlo e di ostruire il cammino : arrivato a pochi centimetri dalle mie gambe realizza un semicerchio e prosegue. Sono esterrefatto. Mi fermo per osservare dove va e se ha qualche obiettivo da raggiungere. Tranquillo realizza il suo percorso non senza qualche variazione di direzione; ad un certo punto si addossa ad una pietra lasciando il busto eretto ed immobile. Lo raggiungo per verificare una qualche mobilità delle macchie, ma tutto è come prima, sembrano vagare sotto cute in modo casuale. Vorrei toccarlo ma decido che non è corretto né giusto. Ad una certa distanza vedo un altro ovoide ad una cinquantina di passi ed anche lui si addossa ad una pietra, quasi a sedersi; lo raggiungo per vedere se nel punto di contatto si è formata una qualche grinza o convessità: la sua epidermide sembra rigida come quella di una pallina di ping pong. Aspetto alquanto e noto che entrambi hanno lo stesso colore della roccia cui aderiscono: hanno cambiato colore o era quello il colore originario? Me ne vado ragionando di fare attenzione a non calpestarli o colpirli, visto il perfetto mimetismo. Questa duplice visione mi ha alquanto stupito poiché non riesco a dedurne una spiegazione: non avevo mai visto nulla di simile né avuto nozione dell’esistenza di simili creature.

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Girovago qua e là senza alcuna destinazione specifica, mi siedo e rialzo, provo a coricarmi per guardare con calma la volta celeste: non c’è un solo lacerto d’azzurro che la nitidezza e la profondità visuale implicherebbe, neanche è cambiata l’intensità luminosa, è sempre assolutamente come prima; di tempo ne è passato parecchio, anzi moltissimo. Non ho più visto ovoidi, ma ad esser sincero non ho più prestato attenzione. Cammino lungo un altro piccolo corso d’acqua e vedo che il flusso ha una velocità davvero esigua. Oltrepassando un pietrone vedo alla mia destra una bambina.

Cap. .4

la bambina e il vecchio

- Ciao.- le dico, ma non ho sentito la mia voce e fulmineamente mi chiedo se nella botta che ho preso attraversando quella specie di acqua ho battuto di testa così forte da perdere l’udito. Eppure non ho avvertito dolore, che strano! Mi avvicino di alcuni passi muovendo la mano in cenno di saluto. Niente, è ferma, è fissa. Avrà un dodici anni ed è molto slanciata ed abbastanza alta, i capelli di un biondo cinereo paiono quasi bianchi, il volto molto delicato e fine. Sto a guardarla, anzi mi sposto onde rientrare nel suo campo visivo e le sorrido. Rimane assolutamente immobile: dopo un bel po’ pare vedermi, solo per una frazione di secondo. Alza le mani e leva gli occhi in alto. Sta pregando ed io dacché sono qui non l’ho ancora fatto, bravo! Mi accingo a eseguire con l’intenzione di non occuparmi più della ragazzina anche perché se si muovesse lo percepirei. Implica parecchio tempo questo immobilismo totale ed assoluto: ad un certo punto parte, molto lentamente, senza volgermi lo sguardo ; decido di lasciarla andare ed osservo la direzione con l’intento, se del caso, di raggiungerla. Percorre la riva del ruscello senza fretta; dopo un po’ cerca un facile attraversamento e allora scendo anch’io, con una certa inclinazione angolare e decido di salire su un bel pietrone. Passa molto tempo e improvvisamente la vedo a lato, mi alzo e mi giro verso di lei. - E’ da tanto che sei qui?- dice con una voce esilissima.

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- Non lo so, direi parecchi giorni, se non fosse che qui il sole non è mai tramontato- queste mie parole non hanno prodotto suono però lei le ha percepite. - Da dove arrivi?- domanda. - Sono uscito da un buco, una caverna là dietro- rispondo. - Hai fame ? Hai sete?- mi chiede. - No- rispondo. Ma una rapida riflessione sul fatto che in tutto questo tempo non abbia fatto pipì mi lascia sbalordito. - Tu sai dove ti trovi?- domanda la ragazzina. Rispondo: -Sì, penso si tratti del bacino della Bandia, lì dietro c’è il colle del Mulo e più avanti, nascosto, il passo della Gardetta da cui si scende in valle Maira, a Canosio, e proprio di fronte c’è Marmora, con una chiesetta tardo gotica la cui chiave di volta è una croce templare ma più volte rimaneggiata dove officia un trappista che vive nella più assoluta povertà, ricco però di quarantamila libri mal alloggiati in una casa malandata, al freddo, con due carcerati ed un drogato.- Tu pensi d’essere vivo?- domanda dolcemente. - Penso proprio di sì- ma un dubbio atroce mi sconquassa. - Vedi, tu sei un essere eterico, un’ombra, anzi un’assenza d’ombra . Adesso devo andare perché avverto un richiamo. Può darsi che ci si riveda. Ciao.E si allontana. Ma allora sono morto, mi sono sfracellato in seguito all’esplosione o alla caduta. Infatti non ho fame né sete, non ho voglia di fumare, non ho gli occhiali e vedo molto bene, non ho gli occhialini e vedo vicino; tasto i calzoni ed il maglione che indossavo e sento che sono una parvenza, una sorta di velo impalpabile. Sono morto e non me ne sono accorto, incredibile. Però sono sereno e felice, sto bene. Quante domande vorrei fare alla ragazzina che purtroppo è scomparsa. Bisogna prendere atto della situazione: avuto contezza di questo nuovo mio stato devo assolutamente rendere lode e gloria a Dio. E così è. Dopo non so quanto altro tempo ritorno a ragionare: mi trovo in un posto fantastico, sto bene, non mi viene in mente neanche un pensiero negativo (erano veramente un tormento le troppe domande senza risposta), sono diverso. Perché mai porsi tanti problemi? Mi trovo in una situazione temporale e spaziale abissalmente diversa dall’altro ieri (?) non ho più nessuna ricerca o spiegazione d’enigmi da pormi, starò qui forse per sempre, sereno e beato, con l’unico obbligo, ma cosa dico, piacere, di rendere grazie a Dio. Non cercherò nessun contatto, non cercherò spiegazioni o motivazioni giacché del tutto inutili, oziose. Eseguirò il mio compito, ancorché non l’abbia capito ma a livello percettivo perfettamente individuato. Può darsi che in questo luogo dimorino milioni d’esseri eterei e se qualcuno di loro vorrà parlarmi della sua verità ben venga, lo ascolterò volentieri. Devo concentrarmi per capire a fondo se posso essere di una qualche utilità. L’unica cosa che ho assimilato adesso è che devo rendere lode e gloria a Dio. Dopo molto tempo decido di migrare, di andare liberamente dove i miei piedi (?) vorranno condurmi. Vago, sono assorto, assente e non mi chiedo più perché questi massi siano lì e come ci siano arrivati, se è acqua o qualcos’altro, se fa caldo o freddo , non ho l’assillo di nutrirmi. Quando vedo un luogo particolarmente piacevole mi fermo , possibilmente su una bella roccia. Incontro ora un congruo numero d’ovoidi raggruppati che vanno in una certa direzione: non mi sorge più il dubbio e l’ansia di sapere chi sono e cosa fanno. Nei miei spostamenti ogni tanto intravedo delle ombre umane e a volte faccio un cenno di saluto ma non mi perito di verificare se rispondono o se danno un segnale d’incontro, semplicemente procedo oltre. Ecco però che mi viene incontro un personaggio dall’aspetto molto, molto vecchio: si porta la mano alla bocca e poi allunga il braccio verso di me. Gli sorrido e dico : - Salve- Salve a te. E’ da poco che sei arrivato ed allora, se vuoi, posso illustrarti alcune caratteristiche del nostro essere qui.— mi dice- Ben volentieri, ti ringrazio.—rispondo. -- Vedi, la forza spirituale che hai incontrato ha detto che sei un essere eterico: non poteva dirti diversamente poiché ti aveva appena svelato a questa nuova vita. Ti darò solo gli elementi essenziali, i più semplici poiché autonomamente avrai la percezione della nuova realtà . Noi, tu compreso, siamo una forza spirituale e l’agglomerarsi di tante forze crea una notevole potenza.— Domando: -- Quanti siamo qui?— Risponde: -- Diverse migliaia di milioni: non tutti sono visibili in quanto alcuni hanno deciso di non palesarsi, cosa che volendo potresti fare anche tu.— -- Chi è il capo, ovvero c’è una qualche gerarchia?—domando.

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- Assolutamente no, siamo tutti uguali, con le stesse prerogative, direi gli stessi diritti. Tu hai alcune facoltà che adesso t’illustro e molte altre che scoprirai da solo. Intanto puoi comunicare con gli altri oppure no, dipende dalla tua volontà cioè dall’autorizzazione che offri , oltre alla disponibilità che essi dimostrino di accettare. Puoi anche udire a diversi livelli: quello che a te pare un silenzio assoluto puoi mutarlo in suono o più suoni. Pensa ad esempio che vuoi udire il primo livello.Dispongo così ed ascolto una melodia finissima che pare nascere da ogni pietra, da ogni filo d’erba, dal più vicino al più lontano. Penso di progredire nella ricezione ed avverto un canto monodico 4 meraviglioso con tonalità pura e armoniosa. Sento anche dei colpi, tipo tuono, ed allora domando al mio interlocutore: - Grazie per quello che mi stai spiegando: ho percepito due melodie diverse, poi anche colpi tipo tuono, cosa sono?— -- Sono- risponde – le lodi che l’insieme delle forze come te eleva a Dio e le seconde, di quelle figure non espresse, cioè emesse da quei soggetti che hanno deciso di non manifestarsi. I tuoni, sta bene li chiami così, sono i delitti perpetrati in questo momento sulla terra contro il mondo vegetale, quello minerale, quello animale ed ultimo contro l’umanità nel suo insieme ovvero contro ogni singolo uomo.— -- Incredibile, ma se lo dici ci credo.—affermo. -- Vedi -riprende lui- la stessa facoltà la possiedi per quell’ organo che chiamavi vista. Se vuoi disporre una visione diversa dall’attuale, vedrai in prima istanza dei lampi. Prova!— Ci provo ed in effetti vedo nell’immensa luminosità del cielo che ci sovrasta dei lampi sparsi, ma anche a grappoli -- Allora –dice il mio interlocutore- hai visto i lampi?— -- Sì, certo, singoli o raggruppati –rispondo- Cosa significa?— - Sono i singoli delitti, o gruppi in caso di delitti più gravi e multipli, di cui hai la percezione uditiva. Ma puoi fare di più: puoi disporti a visionare con il grado di precisione che vuoi , i singoli avvenimenti pertinenti il tuono o il lampo, prova!—mi dice. Allora fisso un lampo e mi dispongo a visionarlo: vedo due bambini piccoli, piccoli negri indifesi e nudi, pieni di lividi e grondanti sangue minacciati da una lama che qualcuno ben in alto brandisce. Distacco subito questa visione, non voglio e non posso sopportare simile crudeltà. -- Ma è incredibile—gli dico. -- Certo, ed hai fatto bene a scappare subito da quel posto.—risponde. -- Cosa possiamo fare?-- supplico. -- Nulla, noi siamo delle forze spirituali e quindi non abbiamo mezzo alcuno per intervenire. O meglio –continuapossiamo elevare lodi e suppliche a Dio affinché sia benigno.Domando: -- E tu come ti chiami?— - Non ho nessun nome, come tutti gli altri, del resto. – risponde e vedendo il mio stupore : – Come te e come tutti gli altri ho percorso la mia vita e non è opportuno ricordarla o riviverla : anzi ti suggerisco, ma di sicuro almeno una volta lo farai, di non andare a vedere casa tua o i tuoi parenti, è meglio estraniarsi del tutto e sperare che vivano in modo non empio.— -- Chiedevo il tuo nome –rispondo- solo per inquadrarti in un contesto fisico, territoriale, storico: scusami. Vorrei farti mille e mille domande ma preferisco prima assimilare e capire la mia natura e le facoltà di cui ho avuto conoscenza. Anzi, una domanda voglio fartela subito: dopo l’orrore che ho visto, non è che ci sia la facoltà di presenziare agli accadimenti non empi?— -- Certo –risponde- quando ti ho detto di provare l’ascolto, invece di fermarti al tuono, avresti potuto cambiare registro, diciamo così, ed avresti ascoltato altri tipi di manifestazioni oltre alle lodi che da qui dipartono e, conosciuti i segnali, visualizzare il contesto in cui si svolgono.— -- Grazie anche di questo -gli dico- proverò senz’altro. Adesso ritengo opportuno interrompere questo dialogo e credimi se ti dico il mio vero grazie. Pensi che ci vedremo ancora?— -- Certo –risponde- quando vorrai mi pensi e, se sono disponibile, c’incontriamo subito: avrai senz’altro capito che l’ambiente che visualizzi è solo frutto della tua immaginazione, frutto a sua volta delle tue precedenti esperienze terrene; qui tutto è immateriale, ma ben vivo. Adesso ti saluto e vedrai che la prossima volta sarà utile cercare di capire insieme il perché delle infamie ma anche delle gioie che hanno pervaso e stanno vivendo in questo istante i nostri fratelli sulla terra, ciao.-

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4 canto ad una voce eseguito da più soggetti 11


Cap. 5

la carnuta

Sono fermo a meditare quanto ho appena appreso: l’angoscia s’impadronisce di me quando penso a quei due piccoli bambini negri, ma che terribile crimine avranno commesso? Rivolgo allora lode a Dio innestando la voce: non la riconosco come mia ma il canto è bellissimo , non sapevo di conoscere un simile melodioso cantico. Insieme al mio avverto quello di tutti gli altri che in questo preciso momento svolgono la stessa funzione. E’ stato troppo grave il crimine che ho visto per interrompere la lode: qui non c’è nozione temporale, non ci sono impegni precisi da assolvere, orari o norme da rispettare. Decido di aprire il mio occhio su qualche accadimento e vedo un uomo che scopre su un albero addossato ad un muro un uccellino, un passerotto dal petto verde che esce da un rozzo nido; per tutto l’inverno quest’uomo con i suoi bambini ha raccolto le briciole sulla tovaglia della cucina ponendole sul davanzale della finestra. Dall’interno, al calduccio, osservavano l’andirivieni dei molti uccellini che visitavano il davanzale ed era parso loro che trascorresse un certo intervallo fra le varie specie. C’erano infatti i verdoni, ma anche i pettirossi, altri ancora con il pettorale di un bel giallo: avevano convenuto che il loro stomaco fosse talmente piccolo che poche becchettate fossero sufficienti a saziarli.

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Avevano notato che la prima comparsa era a ridosso dell’alba e l’ultima quasi a notte. I due bambini avevano cercato di dare loro un nome ma non li distinguevano affatto. Quest’uomo, spinto dalla curiosità, sale sull’albero, guarda dentro il nido e trova cinque uccellini ancora del tutto implumi: è sì primavera ma alcune giornate sono fredde e di sera lui accende ancora la stufa in cucina per l’ora di cena. Mentre scende dall’albero vede arrivare la passerotta che si apparta sospettosa nelle vicinanze. Decidono di portare tutti i giorni alcune briciole in un anfratto del muro ad evitarle lunghe assenze. Mentre si allontanano arriva una gazza sul ramo attiguo e cerca di prendere un piccolo quando la passerotta gli atterra sul groppo: la gazza gira la testa e becca l’uccelletto facendolo cadere fra le foglie secche, non riesce più a prendere il volo. A questa vista l’uomo corre e fa scappare la gazza, sale sull’albero, prende con le due mani l’intero nido, con un balzo scende e dice al figlio più grandicello di raccogliere con delicatezza la mamma passera e di seguirlo a casa. Grida alla moglie di portare una scatola delle scarpe, depone il nido e vi fa adagiare dal figlioletto tutto eccitato anche la passerotta: decidono di posare la scatola sulla trave sopra la porta d’accesso e s’impegnano di badare e di nutrire i loro nuovi amici, unendosi in un patto di complicità. Pongono un’assicella sul lato corto della scatola per posare il becchime e si impongono di trovare almeno due vermiciattoli al giorno. I bambini sprigionano vera gioia , entrano in casa ed inizia la discussione circa il nome da dare ai loro nuovi amici. - Senti, sono la carnuta, posso venire da te?Mi giro e non vedo nessuno, però rispondo: - Certo, mi farà senz’altro piacere.Appare accanto la ragazzina, quella del primo incontro, quella che mi aveva aperto gli occhi. - Ho visto ciò che osservavi e così ho deciso di parlare un po’ con te.- mi dice. - Hai fatto bene –rispondo- Ma hai detto di essere la carnuta, cosa vuol dire?-.- E’ il nome del mio popolo, quand’ero sulla terra –incomincia a spiegare- e se vuoi ti racconto un po’ di quei tempi.- Certo, mi farà piacere.- rispondo - Allora -riprende lei- vivevo in una terra acquitrinosa e fredda e nonostante i grandi gravami cui il mio popolo era soggetto, eravamo felici. C’erano tre tipi di persone: i servi, in altre parole quelli che lavoravano i campi e tagliavano i boschi, molto poveri non contavano nulla ed io ero una di quelli; poi i soldati cioè quelli cui incombeva l’ uso delle armi, che prendono i frutti della terra e poi c’erano i sacerdoti, detti druidi, quelli cui era demandato l’esercizio e gli uffici del culto, amministrare la giustizia, dirimere le frequenti controversie. Io ero al servizio dei druidi nel senso che lavoravo con mia madre a provvedere al loro nutrimento ma anche a fare quanto ci veniva ordinato: ero al servizio dello zio paterno che era una persona molto influente. Le dico: - Ho sentito parlare ed ho molti libri su di loro e mi interessa davvero conoscere da te la verità perché ho letto che costoro celebravano anche sacrifici umani.- No, sono solo fandonie messe in circolo dai nostri invasori- riprende lei- La mia terra è un posto particolarmente sacro ed una volta l’anno vi convenivano tutti i sacerdoti della regione, ma anche dal di là del mare, più di cinquecento persone al cui servizio badavamo. Il loro capo era una grande autorità che dialogava molto con i suoi sacerdoti: le uniche persone su cui esercitavano una grande pressione erano i discepoli vale a dire i giovani che intendevano diventare sacerdoti: costoro rimanevano oltre venti anni alla scuola, mandavano a memoria migliaia di versi, dovevano sottostare ad una rigida disciplina e se sbagliavano erano cacciati. A volte i sacerdoti scrivevano in un modo strano, ma ciò avveniva raramente perché pensavano che i cavalieri ed i servi non dovessero apprendere i segreti della dottrina; facevano delle cerimonie segrete ed anche molte pubbliche: il mio villaggio era, secondo loro, situato in un posto molto sacro, pieno di energia.- Interessante –la interrompo- mi sai descrivere i riti praticati?- Intanto adoravano e facevano adorare un Dio unico, eterno ed onnipotente: le cerimonie si svolgevano nei boschi di cui è ricca la mia terra o in una cavità o grotta molto ampia, sottostante all’unica altura e consisteva nel sacrificio delle vittime: animali svariati, dai colombi ai tori, ai cavalli, onde placare l’ira di Dio, ed anche altri tipi di offerte per piacere ai suoi occhi. Si venerava anche un legno raffigurante una figura femminile con gli occhi chiusi chiamata la vergine partoriente. Rappresentava la forza della natura con schemi e modalità che i sacerdoti studiavano, si rinnovava continuamente, partorendo, cioè facendo nascere nuovi frutti e creature. Era molto venerata.Mentre parla la osservo bene: avrà un dodici anni. Il suo viso è molto bello e delicato, con occhi mobili ed espressivi; improvvisamente si scatena una intensa serie di saette infuocate con altrettanti tuoni. - Chissà cosa sta succedendo –le dico- vuoi che verifichiamo insieme?- Sì, andiamo a vedere –acconsente- oh! Guarda che disastro! Che incredibile incendio. Guarda più attentamente, guarda quanti uccelli cercano la salvezza e giù nell’erba quanti animali piccoli e grandi tentano la fuga. I più piccoli sono condannati perché lenti, ma anche gli altri difficilmente sfuggiranno alla morte. Pensa quanti esseri piccoli o piccolissimi di cui si nutrono gli insetti, ché gli uomini non intendono perché non li vedono neppure, pensa alla terra che muta natura con il calore, pensa all’offesa arrecata alle pietre che soffrono il fuoco…- Sai individuare in quale parte della terra succede ciò?- le chiedo.

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- Sì, ingrandisci la visione e capirai anche tu: si tratta di quel paese chiamato ora Venezuela e temo che se non interviene una qualche forte pioggia, il fuoco si mangerà quel villaggio sulla riva del fiume. Che disastro! Intoniamo le nostre lodi a scongiurare il peggio.E così cantiamo insieme. Non so per quanto tempo e poi rivolgo la parola alla mia giovane amica: - Ascolta, ma quale lingua parli, ché io la intendo così bene? E come puoi avere nozione del Venezuela se sei vissuta , come penso, oltre duemila anni terrestri prima di adesso?Dice: - E’ molto semplice: mi esprimo nell’idioma mio natale ma tu l’intendi nella tua parlata: un ucraino, un lappone o un masai la capirebbe nella propria. Sono morta circa il settecentesimo anno di Roma ed ho sempre avuto la percezione di ciò che è successo alla mia terra, come di qualsiasi altro luogo, dalla mia venuta sino a questo istante, te lo dimostrerò.- E’ incredibile quello che dici.- rispondo e aggiungo: - Pensi che quell’incendio sia naturale o che qualche essere umano abbia responsabilità?- E’ molto difficile che si sviluppi da solo l’incendio; il più delle volte è causato dall’incuria e dalla leggerezza dell’uomo, ma spesso è da lui provocato: intanto stai sicuro che ognuno paga per il proprio comportamento.- Certo, sono d’accordo –dico- dunque eri arrivata al racconto dell’effige di questa donna vergine o, come dicono i miei testi, virgo paritura.- I sacerdoti druidi insegnavano molto di questa donna vergine usando linguaggi differenti a seconda ne parlassero ai bambini, alle donne, agli uomini e in modo particolare ai loro discepoli. Il nostro popolo ha molto rispetto e venerazione per i vecchi e non si assumeva decisione a livello famigliare o di villaggio senza ascoltare il loro parere. I sacerdoti esercitavano, in certi periodi dell’anno, singolarmente o collegialmente anche la funzione di giudici sulle più svariate materie: dal confine contestato degli appezzamenti di terra o dei boschi, alle mancanze nell’ambito dei singoli villaggi, alle percosse o ferite inferte dai superbi, ai furti e ladrocini, ai delitti più gravi cioè all’uccisione di bambini o adulti .- Come esprimevano le loro decisioni e da chi facevano eseguire le pene?- domando. - Secondo la gravità delle colpe era irrorata una specie d’interdizione, più o meno grave. Tutti, ma proprio tutti, rispettavano queste sentenze: al colpevole rimaneva davvero poco spazio ed era disprezzato dalla sua gente. Nei casi più gravi si sentenziava la morte per decapitazione ed il corpo era abbandonato ai selvatici: siccome noi diamo molta importanza al rituale della sepoltura affinché l’anima si liberi del corpo, ne conseguiva il ludibrio generale, ma anche terrore e paura.- Scusa se t’interrompo – dico – ma hai parlato di superbi riferendoti ai rei di colpa, come mai?- E’ evidente che all’origine di tutti i mali dell’uomo, oggi come allora, c’è solo e sempre la superbia: essa si evolve nei più svariati rivoli, dalla cupidigia all’invidia, dal desiderio smodato alla prevalenza esclusiva del proprio essere, dal voler il male altrui onde trarne profitto ed impadronirsi di ciò che possiede, siano terre, raccolti, donne, fanciulli, privilegi e soprattutto diritti ed anche la simonia, l’ipocrisia, la rapina, il sacrilegio, l’usura e soprattutto il più comune, la lussuria Pensaci bene, dalla superbia nasce tutto ciò che il malvagio può compiere. - Com’è –le chiedo- che per te cessò la permanenza terrestre?- Siamo morti in gran numero di freddo e di stenti – mi spiega la carnuta. -Circa quindici giorni dopo il solstizio d’inverno, sono arrivati in gran numero i soldati con i fasci. Da cinque o sei anni costoro ci infastidivano ed i nostri cavalieri, di solito così rissosi con i propri vicini, avevano intrapreso un’azione comune di ribellione, stanchi di ricevere dal nemico la civiltà del diritto. Scappammo nelle vicine zone paludose, il clima era particolarmente rigido e non avevamo niente da mangiare, tanto la terra era coperta di neve: morii addormentata nel gelo con parecchi famigliari e molti vicini. Mani pietose ci seppellirono.- Se ho ben interpretato il racconto, la tua terra era la Beauce- dico io. - Esatto, proprio dove adesso sorge la città di Chartres.- risponde. - Hai allora nozione della cattedrale di Fulbert? --insisto. - Certo: alle scuole druidiche sono succedute quelle gallo-romane e poi quelle cristiane. Siccome ognuno voleva imporre le proprie credenze, i luoghi sacri furono via via smantellati e nascosti ma la gente, il popolo, continuava a venire lì: sopravvissero, mascherati, i sacerdoti druidi e molta venerazione era tributata alla effige della vergine partoriente finché il cristianesimo le diede il nome di Notre Dame 5. La grotta era stata interrata ma ancor oggi esiste un pozzo chiamato puits des saints forts che opera guarigioni ed i malati venivano da ogni dove a cercare sollievo. Proprio sotto il vescovo Fulbert sorse in poco tempo una costruzione misteriosa, nel senso che mai nessuno aveva osato pensare a simili ardite e nuove concezioni e furono i druidi, che si erano mescolati al clero, a fornire i numeri, le cifre, le chiavi dell’arte di costruire istruendo i maestri muratori; pensa che in cinquanta anni, tanto è durata l’ opera, si sono succedute quaranta compagnie di muratori: qualcuno avrà avuto chiara la concezione complessiva del costrutto, qualcuno avrà ben disegnato le migliaia di immagini e simboli che sono scolpite all’esterno. Solo all’esterno perché 5

5 Mea Domina = Madonna = Ma Dame (Notre Dame) 14


dentro c’è il vuoto, l’assoluto, la mancanza del pieno. Solo la possibilità di costruire ampie vetrate ha consentito simile realizzazione; è minerale la componente del vetro per cui non si differenzia dalla natura strutturale lapidea; procedimenti alchemici rendono però il minerale diversamente colorabile ed è trasparente per cui l’azione della luce permette di osservare, dall’interno, le immagini illuminate. Una su tutte, orientata guarda caso a sud, è la Vergine, con i suoi blu irripetibili6.

Il nostro luogo sacro giace sotto la navata principale e per la precisione l’ara è sottostante al labirinto il quale a sua volta è ortogonale al rosone della facciata occidentale, affinché ne sia traccia e segno. La scuola dei canonici della cattedrale ebbe allora una fama enorme e vi convenivano studenti da tutti i popoli, dalle isole, dalla Spagna, dalla Provenza, dall’ Italia, da Roma. Vi si insegnava il trivium ed il quadrivium e l’impronta era assolutamente platonica. Il massimo fulgore durò circa un secolo e mezzo quando presero a diffondersi le teorie aristoteliche e quando la scuola cessò la funzione di coltivare il puro sapere: grazie ai domenicani ed ai francescani che estraevano i loro discepoli dalle città e non più dalle campagne, la materia più studiata era il diritto romano perché permetteva di svolgere il lavoro di notai, cancellieri, legulei, segretari dei nobili nonché le più variegate magistrature; fu la fine della concezione del sapere come dono di Dio e divenne una merce: ahi, i mercanti! Ci furono due concilii che condannarono gli aristotelici e tutte le nefande conseguenze che ancor oggi la terra sopporta, ma un erudito che insegnava a Parigi, lì ormai era la più famosa scuola, con un’opera grandiosa e geniale rese il cristianesimo compatibile con Aristotele: si chiamava Tommaso e veniva da Aquino.- qui si ferma la mia amica carnuta. - Sei stata molto gentile- intervengo- a dirmi tutto ciò. Quello fu il secondo dei grandi capitali errori della chiesa romana, troppo comoda ad adagiarsi lungo la via più facile: non era di per sé da condannare la scuola aristotelica, tanto che gli arabi da cui l’avevamo appresa non soggiacciono ancor oggi a simili nefandezze, salvo alcune esasperate e vergognose manifestazioni a carico di emiri e califfi, ma il criterio, il metodo d’interpretazione e per conseguenza, l’ applicazione dei principi. - Se sei d’accordo –mi dice lei- adesso vorrei assistere ad un importante fenomeno celeste che si sta verificando sulla terra: chiamami quando vuoi.- Grazie davvero- le dico e d’improvviso sparisce.

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Notre Dame de la Belle-Verrière 15


Cap. 6

i bambini

Decido di muovermi per andare presso un enorme masso quasi nero dalla forma cubica,laggiù basso nella valle. M’incammino molto lentamente ed attraverso due o tre ruscelli senza cessare il canto di lode. Procedo ad ampie svolte ed incontro alcune ombre che saluto alzando il braccio. Non li voglio vedere i lampi che improvvisi intensificano il colore del nostro cielo finché ad un certo punto la quantità e la varietà è troppo evidente: decido di ascoltare la melodia di tutti quelli che in quel mentre sono uniti alle mie lodi. Davvero grandioso! Mi siedo e decido di visionare una dolce armonia che promana dalla terra ed appare una verde campagna pianeggiante ricca di alberi e piantagioni; vedo un’automobile che si ferma al limitare del bosco, scendono due giovani, una ragazza ed un ragazzo, distendono una coperta, depositano alcuni contenitori ed incominciano la colazione; dall’auto vicina arriva una musica. Si guardano, si mangiano reciprocamente con gli occhi, ridono, scherzano, sono davvero felici. Si avvicinano e si accarezzano, parlano fitti, si promettono amore e felicità eterna, ma la ragazza incomincia a piangere: non voglio ascoltare le loro parole né vedere in quale regione si trovano. Aumentano le premure del giovane che la copre di baci, le sussurra parole all’orecchio: finalmente la ragazza si rasserena e sembra meglio disposta. In un attimo i due giovani corpi sono uniti, si muovono all’unisono, vedo chiaramente gli occhi della ragazza: due boccioli di peonia, pronti a fiorire. Che bello spettacolo! Vedo anche che il frutto di questa unione è il germoglio di una vita che nascerà ed allora gioisco. Riprendo il cammino verso il masso nero ormai vicino e vedo cinque o sei ovoidi che vanno in quella direzione; decido di cantare ancora le mie lodi. Non so perché, forse vedendo l’aggraziato incedere degli ovoidi, mi viene in mente che la danza era, ma da qualche parte lo sarà tuttora, una forma di preghiera, di lode: per chi conosce il significato dei segni è evidente che il compiere figure circolari fra loro intersecatesi, a seconda del verso di rotazione significa elevarsi verso l’alto o inabissarsi nelle tenebre; il contatto dei corpi serve a trasmettere o acquisire energia e le figure che si compiono, grazie ai suoni ed ai canti che altri eseguono, rafforzano tale energia. Siccome generalmente sono i giovani a compiere le danze rituali significa anche dono e offerta della propria vita; il ritmo dei suoni che accompagna la danza induce a ristabilire i rapporti fra cielo e terra sia che invochino la pioggia, cioè la vita, sia reclamino la vittoria, l’amore, la fertilità. Il movimento circolare non aiuta né corregge la circolazione degli astri e delle sfere planetarie ma è un appello alla discesa della grazia e del benvolere di Dio, in altre parole è una preghiera. Ormai si sono persi sulla terra questi valori: voglio vedere, quando mi tornerà questo desiderio, di controllare in Africa, ma anche in Giappone ed India qualche rappresentazione corale di danza, vorrei tanto assistere ad un’ apsara.7 Mi è venuto in mente di porre una domanda alla mia giovane amica carnuta e cerco il contatto: immediatamente mi appare di fronte. - Ciao cara –le dico- ho pensato a quanto mi hai detto e vorrei chiederti, conosco già la risposta ma vorrei fossi tu a confermarlo, qual è il nome del vostro Dio e dove impera.- E’ da poco –risponde lei- che ti trovi qui e sei ancora pieno di domande, dubbi, desideri di conoscenza, verifiche: ed è normale direi, perché con il tempo, quando avrai avuto una visione di tutto l’insieme sotto i più svariati aspetti, avrai la risposta unica e definitiva, composta con tre delle tue parole. Il Dio venerato dalla mia gente ha avuto molti e svariati appellativi ma in sostanza era ed è il Dio, senza nome.

7 danza eseguita dalle messaggere di Kalì, invitano gli uomini all’amore per la divinità. Nascono dallo scuotimento del mare, dalla leggerezza della sua schiuma. 7

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Certo che domina qui perché è quello dell’ islam, del cristianesimo, dei semiti, dei bantù, del buddha: l’esigenza del divino sorge dalla medesima necessità che ogni popolo primitivo ha di identificare in una realtà mitologica, proveniente cioè dalla tradizione raccontata da padre in figlio l'Ente che ha creato il mondo, la natura, l’uomo stesso. Riconosce cioè spontaneamente che ci deve essere un’autorità, un qualcuno così potente da essere onnipotente, da aver comando su tutto e tutti. Da lui trae origine la legge ovvero la norma comportamentale che esclude l’arbitrio e rende tollerabile la necessità del vivere in gruppo famigliare, parentale, di tribù, di etnia, di nazione. Sta all’uomo rivelare tale principio motore che la fantasia mitica ha chiamato Logos,Verbo, Parola, Soffio. Questo infatti è l’oggetto di ogni mito. Tramite i miti gli uomini rivelano alla creazione ciò che nel profondo la anima. Questa proiezione dello spirito umano nella natura nasce dalla certezza che il Verbo nascosto nella materia è lo stesso che si trova nell’intimo dell’essere umano; così ogni rivelazione sull’energia segreta della natura diventa il nucleo della nostra stessa essenza. Il Dio è sempre e solo lo stesso: alcune genti ritengono di aver raggiunto tutto il sapere mediante la scienza e la tecnologia e disconoscono ciò. Sono le religioni in quanto impongono una dottrina che hanno rovinato e rovinano questo perfetto equilibrio: spaccano il capello in due, poi in quattro, poi in otto con l’intento, per chi formula queste astruse e complicate speculazioni, di aumentare il proprio prestigio e di conseguenza indurre i fedeli soggiacenti ad invadere la sfera degli altrui interessi religiosi onde imporre i propri. Sono due le religioni che non fanno proseliti: l’ebraismo e l’induismo; tuttavia esse ma anche tutte le altre si ergono ad unici detentori del vero sapere, guarda caso la superbia, ritenendosi superiori, perdono di vista la vera essenza spirituale giustificando, sul piano terreno e materiale, qualsiasi scellerata azione compiuta dai propri membri, anche se a volte fingono di condannare ciò. Gli altri colorano il proprio espansionismo sostenendo che hanno necessità di beni materiali, di moneta per capirci, per agevolare la diffusione del credo: attingono queste risorse possibilmente dai più poveri e semplici, tesaurizzano e fingono di smuovere le altrui montagne della fede facendo , se del caso, ricorso alla forza. Ancora una volta la superbia. Pensa ai cristiani: sono molto più di mille i diversi risvolti di un’unica fede, eppure cozzano fra loro, si odiano di vero odio, si intralciano ed ostacolano reciprocamente. Pensa alla riforma luterana nata per l’eccesso di risorse profuse per costruire la basilica petrina, per la libertà di leggere i sacri testi e di accedere alla preghiera senza l’intermediazione del prete; pensa alla controriforma che doveva tutto azzerare e drasticamente cambiare: ed è come prima, peggio di prima e continuano ad accumulare ricchezze ignorando e contraddicendo quei vangeli di cui tutti insieme si riempiono la bocca sostenendo essere alla base della dottrina. O non sanno leggere i testi o fingono di non capire. Pensa all’islam, nato come stupenda manifestazione di pensiero non violento ed eticamente sublime, ha subito trasformazioni, dovute ad interpretazioni faziose, che hanno creato almeno duecento sette o correnti di pensiero: riescono a giustificare le guerre intestine e fratricide leggendo un unico testo. Non è superbia?- Indubbiamente è così- intervengo. - Se vuoi possiamo interpellare un mio amico che non incontro da molto tempo: si tratta di un pope della chiesa ortodossa che è qui da almeno quattro secoli- mi suggerisce lei. - Ben volentieri, quando sei comoda andiamo da lui.In quel momento però appaiono due bambini molto piccoli che festosamente saltellano. - Non avevo mai visto dei bambini- affermo. Risponde: -E come no, qui è pieno di bambini: gli è che stanno appartati e vivono in gruppi dacché sono le uniche entità che, fino ad un certo punto, non acquisiscono tutte le conoscenze a disposizione degli adulti. Sono qui sereni e beati.- Mi farebbe piacere stare un po’ con loro- dichiaro. - E fai bene, vai pure, ti cercherò io- risponde la ragazza. Raggiungo i due piccoli, li chiamo e saluto agitando entrambe le braccia. - Ciao, piccoli, dove andate?Risponde il più piccino: - Andiamo dai nostri amici, a giocare.- Posso unirmi a voi?- Vieni pure così ci racconti qualche fiaba- rispondono. Prendo in braccio il piccolo e per mano l’altro e mi lascio condurre pianamente: non dobbiamo fare molta strada perché in una conca verdeggiante ci sono trenta e più bambini. Mi accolgono festosi e siedo in mezzo a loro: belli i bambini, di tutte le razze, etnie e colore, sono sui tre o quattro anni. Alcuni fanno la lotta, in modo buffo perché essendo incorporei non prevalgono; le piccole saltellano su un mosaico costituito da pietre collocate sul verde prato. A colpo d’occhio si vede che uno è più sveglio, prevalente sull’altro, e con questo non vedo soggezione, anzi capisco che il vincere o il perdere costituisce una crescita, aguzza l’ingegno. D’improvviso da dietro mi piombano addosso e ne viene un groviglio aereo molto complicato perché a successive ondate arrivano altri assalti: fingo di spaventarmi e loro

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scoppiano in risate fragorose. Che bello vedere tanti sorrisi e tanti bambini sereni. Mi candido a raccontar loro una fiaba ma dopo un po’ percepisco che non tutti afferrano il concetto, per esempio, di carrozza. Dico allora di non ricordare più il racconto e mi invento su due piedi un episodio avente come protagonisti piccoli animali e fiori e frutti animati: mi seguono attenti e di fronte al gran finale, davvero paradossale, gridano di gioia. Li invito a piegarsi in avanti e farsi saltare dall’amico che segue in modo da creare un bel cerchio: è partito bene ma alcuni incespicano ed altri sono troppo piccini e rotolano con il compagno, ne viene fuori un groviglio. Mi siedo e vedo che spontaneamente si formano gruppi diversi: si parlano, manifestano un qualche giocattolo o strumento che non hanno, ma riescono a crearlo con la fantasia e l’immaginazione ed allora ecco che la spada batte contro lo scudo, ma anche sulla testa, che qualcuno vince ed altri soccombono. Le bambine scimmiottano di avere un piccolo fra le braccia e lo imboccano, lo vezzeggiano. Chiamo un bambino che in questo momento è solo, vicino a me; lo accarezzo e avverto il piacere che prova al solo gesto. Infatti mi sorride contento e poi si arrampica sulle ginocchia e mi regala un bel bacio. Ogni tanto la loro vitalità scema e siedono a gruppi parlando intensamente fra loro fin quando qualcuno non propone un’idea bizzarra e allora corrono verso un altro crocchio e riprende la gioiosa festa.

Cap. 7

il pope

Sento una voce che chiede il consenso per andare dal prete ortodosso: confermo il mio desiderio di conoscerlo ed all’improvviso mi trovo, con la carnuta, di fronte all’ombra di un grande uomo con una enorme barba bianca. Riesco ad inquadrarlo in un attimo ma la mia attenzione è attratta dal paesaggio che ci accoglie: siamo al mare, siamo su un promontorio roccioso che si protende sull’acqua verde e trasparente che ci avvolge sui tre lati. Il nostro promontorio s’innesta quasi in piano con la terraferma creando con ciò due muraglioni scoscesi di roccia rosso-ferro molto belli a vedersi: si estende una pianura verde con alberi non troppo alti. Qui la luminosità è diversa dalla nostra, forse ancor più intensa, per il riflesso delle acque, penso. Guardo estasiato il superbo panorama e poi mi volgo verso il nostro ospite: ha sì l’aspetto di un gigante ma ha uno sguardo così dolce e pacifico da indurre grande compiacenza. - Grazie che ci hai accolto –dico - Qualche tempo fa ragionavo con la mia amica carnuta sulla religione e lei mi ha proposto di conoscerti.- E’ proprio così- interviene la ragazza. - Anch’io sono lieto di conoscerti –prende a parlare lui- Sono perfettamente al corrente di ciò che vi siete detti e confermo l’esattezza dell’analisi. Cosa volete discutere con me?- Vedi, il problema non ci tocca assolutamente , ma mi chiedo quale potrebbe essere l’evoluzione. Possiamo ascoltare il tuo parere?- chiedo io. Paziente e ben disposto risponde: - Volentieri. Vedete ognuno di noi ha alle spalle il proprio vissuto terreno, le esperienze acquisite, il sapere raggiunto ma anche gli errori compiuti: per nostra fortuna qui riusciamo a capire e perdoniamo tutto anche perché abbiamo una visione veramente totale e riusciamo a tollerare anche le azioni di chi in allora ebbe a farci dei torti, o meglio, azioni che noi così interpretammo e che comunque ora riteniamo irrilevanti, prove di nessun valore. Non sto a dirvi che raggiunsi un elevato grado gerarchico in quella terra che i romani chiamavano Thracia e che conoscevo molto bene tutto il mio popolo perché per motivi funzionali ho coperto diversi ruoli un po’ dappertutto; andai più volte a Costantinopoli, a Roma ma anche in quasi tutti i paesi di lingua slava. Neanche sto a dirvi che in funzione del mio ufficio ebbi rapporti con i cosiddetti potenti, con coloro che esercitavano il potere, né che a volte dovetti acconsentire e tollerare, ma la cosa più grave, a favorire i loro disegni più che discutibili, anzi empi, che con impudenza imponevano alla nostra religione gratificandola con benefici. Due volte addirittura dovetti favorire i progetti, e poi l’esecuzione, di piani di guerra contro gli infedeli, vale a dire i nostri amici e fratelli musulmani. Un bel giorno dissi basta: in un frangente favorevole raggiunsi il vertice della nostra gerarchia ma preferii ritirarmi in una piccola comunità nascosta fra i boschi presentandomi come l’anziano pope di una piccola e povera comunità rurale.- La tua storia –interviene la mia giovane amica- è molto simile a quella di Celestino quinto, il papa del gran rifiuto. L’hai incontrato?- Sì, l’ho fortuitamente conosciuto ma non ci siamo parlati: un forte abbraccio e, guardandoci a lungo negli occhi, un grande affetto.-

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- Ma –dico io- hai nozione della permanenza qui di altri pontefici romani?- Non mi sono mai posto il problema -risponde il pope- ma ne ho incrociati alcuni: ci sono state grandi comunanze di giudizi, ricordo bene e non escludo che ce ne siano altri. Non tocca a me ricordare quale sia la nostra funzione in questo luogo.In quel mentre una grande scarica di fulmini si sparge nel cielo: mi astengo e mi rifiuto dal visionare l’accaduto e levo le parvenze di braccia immergendomi nelle lodi. Dopo alquanto tempo abbasso lo sguardo e vedo il terrore negli occhi della mia giovane amica; il nostro maestoso ospite si è invece inginocchiato, con lo sguardo assente, sopito, estasiato. Si erge quindi nella sua maestosa grandezza e rivolto a me dice: - Non sto a chiederti del tuo vissuto perché mi è molto chiaro. Rispondo, se volete, al vostro interrogativo ma preferite parta dal basso o che inizi dal momento attuale?- Come vuoi tu –rispondo- perché sono curioso di entrambi i versanti.- Bene, parto dal basso –interviene lui- e confermo che l’origine di tutte le calamità e disgrazie dell’umanità è stata la superbia e uno degli strumenti usati per misurare e valutare questo enorme limite è stata la concezione di moneta. I nostri antenati ne facevano volentieri a meno accontentandosi di rammostrare la loro potenza con il possesso di capi di bestiame, di donne, di figli, di ampiezza di coltivi. In origine la moneta fu espressa da piccoli tondini di pelle da cui il termine pecunia cioè pecus, poi pietre rare, poi minerali lavorati o no, come l’oro e l’argento ma non serviva per la conduzione della vita quotidiana, a quella bastavano le normali risorse, ma per il vezzo, il desiderio, la cupidigia di possedere beni e strumenti inesistenti nel luogo di residenza e soprattutto per realizzare la tesaurizzazione: ancora una volta la superbia, la voglia di apparire più grandi e potenti degli altri. Ancora oggi alcune sagge popolazioni dell’Oceania, ma anche della foresta amazzonica, non ancora folgorate dalla presunta civiltà, vivono ignare e felici senza conoscere la funzione della moneta: spero e mi auguro che nessuno scovi queste grandi itineranti civiltà onde far balenare i benefici della stessa . Qui ci sono moltissimi membri di quelle etnie: quando, grazie alla possibilità di conoscenza del nostro essere, vedono i risultati della nostra presunta civiltà, inorridiscono e compiangono alquanto la nostra progenie. La vera funzione, l’esigenza di possedere la moneta è stata provocata dal fatto di dover pagare tributi al re, al potente di turno, onde permettergli di portar guerra al confinante, per consentirgli di mantenere un manipolo di ufficiali, cioè comandanti di truppe, di condurre una vita assolutamente sproporzionata al livello dei singoli preposti o sudditi. Pari, ma cosa dico pari?, di gran lunga superiore è la responsabilità da attribuire ai sacerdoti, agli intermediari con il divino, a coloro che avallano, benedicono, proteggono, incoraggiano e giustificano il potere del re. Anche a loro era dovuto, da sempre, un tributo. Il fatto concettualmente corretto dacché dovendo studiare, interpretare e tradurre la divina volontà, non si occupavano della pastorizia né dei coltivi ed era giusto che gli altri, in pratica il popolo tutto, provvedesse alle loro necessità materiali. Questo è il punto, la pietra di confine, il limite dell’abisso. Era ed è molto più comodo fungere da tramite con il divino, peggio ancora fingere di fare ciò, che sobbarcarsi le fatiche del lavoro manuale: in ciò confortati dal fatto che il loro assenso avrebbe permesso a qualcun altro di governare, reggere, vessare il popolo; questa discrezionale scelta avrebbe conseguito successivi benefici risultati di ordine materiale. Il tutto aggravato dal fatto di avere al proprio fianco una donna che, rosa dall’invidia, figlia della superbia, instillava ripicche e aspirazioni del tutto avulse dall’interpretazione del divino indirizzo a vantaggio dei figli. Sarei sciocco se enumerassi i terribili delitti che sono stati compiuti per l’assolvimento di questi disegni. Sarei folle se vi inducessi a visionare tutto ciò: l’eternità vi sarebbe insufficiente, ma certo noi abbiamo altre incombenze cui assolvere.Molto mi ha dato da pensare questa chiara esposizione: ritenevo, infatti, che la moneta fosse stato uno strumento d’evoluzione, d’emancipazione, pensavo fosse stata di indubbia utilità e fonte di apparente benessere. Allora dico: - Mi hai aperto gli occhi, caro amico. Non avevo valutato gli aspetti perversi della cosiddetta moneta. Ma cosa dire allora dell’età dei comuni ?Riprende lui: - All’esasperazione ed al castigo del vostro impropriamente detto buio ed oscuro medio evo sono sorti i liberi comuni: vedi il discorso è molto più ampio e sfaccettato. La nostra amica carnuta è vissuta in un momento d’apparente semplicità e sottomissione: non già che fossero degli stupidi, ben inteso, ma ebbero a subire l’invasione di una civiltà del tutto nuova basata sul diritto, sulla giustizia, ma in realtà, come sempre, sulla sopraffazione. Gli insulsi romani cercavano solo e semplicemente nuove fonti di reddito, di ricchezza, di supremazia, di vincoli coercitivi, di braccia da arruolare, di popoli da sottomettere a tributo. Ma sai qual è l’origine? Ancora una volta la superbia. Quando uno arma un esercito deve trovare alimentarlo con la guerra. Non dimenticare che guerra significa combattere, vincere, sconfiggere, sottomettere. Quando uno ha armato un esercito non può mandarlo a casa e dire “è stato un momento, un diversivo, uno scherzo, adesso torniamo alle nostre occupazioni originarie” . E no, non può. L’ha alimentato di saccheggi, di soprusi, di bottino, di donne e giovani succubi ai più depravati desideri, di sottomissione mentale. Eh no, un centurione dell’epoca della nostra amica carnuta non poteva tornare a casa a fare il maniscalco o il pecoraio: lui aveva vissuto molte esperienze di prevaricazione, di violenza, di manifestazione di potere. Non poteva tornare al villaggio e trovare suo fratello con la casa piena di figli: lui aveva speso la gioventù a camminare, a combattere correndo tanti rischi. Logico volesse esercitare lo stesso potere nei confronti dei propri fratelli, dei suoi compagni d’infanzia. Ad evitare ciò

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generalmente lo si lasciava ormai anziano a presidiare una terra conquistata, raccordato con i suoi pari grado. Questo vale per i vincitori. Per i vinti il problema non si pone, non sono tornati, per i feriti nemmeno, sono morti d’inedia. Ma tu mi hai chiesto dei liberi comuni. Sono passati i secoli, la fase espansiva si è azzoppata, sono venuti i barbari, molto più semplicemente altri che hanno subito lo stesso processo espansionistico ed hanno trovato una situazione morbida, facilitata, agevole, grazie anche ai laidi costumi; hanno occupato gli spazi vuoti, senza comprendere la civiltà che calpestavano, il giogo della sottomissione e della schiavitù non si è certo ridotto: mille i diritti che pochi, molto pochi, esercitavano su una moltitudine di schiavi, prede dei più abietti desideri e intemperanze. Scusatemi, sono andato troppo avanti, ho ragionato emozionalmente, stante il mio retaggio terreno, ma tu, cara amica carnuta, cosa vuoi aggiungere del tuo vissuto?-Ho ascoltato con attenzione- risponde la giovane amica- ed ho rivisto quello che più volte ho ripercorso mentalmente. Quel gran bastardo, come lo chiamava la mia gente, pronto a tutti i soprusi affini al potere, non ultimo la sodomia più sfrenata, se n’è tornato non senza vicissitudini a casa sua. Passarono diversi anni ricchi di conquiste e di guerre fratricide quando, ròso dall’epilessia, escogitò un suicidio mascherato dal sacrificio consumato con le celebri coltellate nel plenum del senato. Prima però ho visto con terrore e con angoscia il trionfo che il suo popolo gli ha tributato: ha fatto sfilare davanti ai suoi festanti amici e corresponsabili cittadini il ricco bottino che otto anni di prevaricazione sui popoli galli sottomessi aveva accresciuto con la superbia. In catene vidi sfilare mio padre, provato e sfiancato dalla faticosa prigionia e poi decapitato nel tripudio di gioia di quell’ infame popolo. E questi non sono sacrifici umani immolati sull’altare del dio superbia?- mi guarda come a rimproverare l’accusa che rivolsi ai druidi circa le loro pratiche cultuali. - Uccidendolo pensavano di celebrare ancora la potenza e la supremazia; i miei due fratelli sono stati anche loro condotti in catene davanti al popolo romano in visibilio e furono venduti come schiavi: un doppio destino li divise siccome il più anziano e bello e arrogante morì di stenti e di sevizie; il più giovane, il mio amato, si adattò alla schiavitù e la rese meno coercitiva facendo buon viso a cattivo gioco mettendo incinta la figlia del suo spietato padrone, dacché il marito era impotente, e fu lui a dare un seguito alla stirpe, ancorché misconosciuto e anonimo. I miei discendenti, se così posso dire, sono stati generalmente dei grandi farabutti, non ultimo un papa. - L’epoca dei liberi comuni –riprende il barbuto pope- ha costituito un apparente affrancamento dalla schiavitù in quanto chi accedeva alla nuova città aveva la possibilità di alzare la testa, Stadt Luft macht frei cioè l’aria della città rende liberi: molto pochi, per la verità perché nacquero le caste, una nuova nobiltà, le confraternite dei mestieri, ma soprattutto la nobiltà del censo, cioè della ricchezza. Incrementarono i commerci, la mercanzia, si acquistavano le derrate alimentari onde rivenderle a chi operava all’interno della città; occorrevano molti altri servizi oltre alla produzione dei manufatti eseguita dai singoli lavoratori: giudici, guardie, esercito, preti, esecutori degli ordini. Ebbe breve vita la manifestazione ideale dei fondatori di queste città: prevalsero, come sempre, il sopruso, l’arroganza e per ciò era indispensabile la corruzione, la manipolazione di chi formava le leggi e di chi le doveva applicare. Il commercio è come la guerra, deve sempre trovare nuova linfa per crescere, sviluppare, progredire ed ingordire. Il tutto basato sulla moneta, ancora una volta. L’originaria funzione dei banchieri era stata senz’altro lodevole. Ben presto si piegò ai più biechi sotterfugi e manipolazioni per arrivare alla pazzia dei tempi correnti laddove la moneta rappresenta un bene autonomo, svincolato da ogni realtà effettiva. A tutto c’è un limite, eccome. Vedete cari amici, a grandi balzi siamo arrivati al momento contingente attuale e, se volete parliamo allora della religione, senza esaminarne la lunga evoluzione storica.- Certo, va bene –dice la ragazza carnuta-anche perché, se del caso, possiamo sempre tornare indietro per approfondire.- Esatto –prosegue il barbuto pope.- La situazione attuale è che tutte le religioni hanno perso aderenza con il mondo circostante ed il popolo progressivamente le abbandona: solo l’abitudinarietà, la tradizione, il desiderio di non cambiare radicalmente il contesto sociale fa apparire una qualche parvenza di vitalità. Non solo: quei pochi frequentatori dei templi, delle chiese, dei minareti, delle sinagoghe non vedono di buon occhio la funzione di intermediario dei sacerdoti o iman o rabbi o dastur con il divino, vedono, o pensano di vedere, che non interpretano bene le scritture: il singolo che disponga di una testa pensante ha una sua opinione del fatto religioso, gli altri sono neutri e altri ancora sono del tutto estranei ed avulsi. Nel caso specifico del cristianesimo –dice rivolgendosi a me- il sorprendente ed innovativo messaggio evangelico è del tutto disatteso in modo plateale per quanto riguarda la povertà, l’amore fraterno, la finalità non terrena. Attenzione: ci sono le debite eccezioni, ci sono persone e comunità intere che conducono una vita pia e lodevole, ma sono emarginate, sono timorose del confronto con la gerarchia, con i presunti fratelli di fede. C’è ancora altro: il nostro eccessivo culto per le Icone e per quanto vi riguarda delle troppe Madonne nonché la sovrabbondanza dei Santi, rappresenta il reale rischio di trasformare il monoteismo in politeismo: questo è molto grave.Prosegue il pope: -Solo azzerando tutto si risolve il problema: noi chiaramente non abbiamo potere alcuno, per fortuna, perché potremmo cadere nel loro stesso errore. Ma i tempi sono maturi, si stanno evolvendo. Devono essere dismessi i

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palazzi, le sontuose chiese, i tesori. Essi devono spogliarsi di tutti i beni materiali, la moneta così ingordamente ammucchiata deve defluire ai poveri, devono cacciare tutta la progenie dei teologi (rei di protervie e reiterate manipolazioni storiche e concettuali), dei falsi pensatori, dei manipolatori d’idee: distribuire tutto ai poveri e condurre una vita modesta, rivolta a Dio e solo a lui, senza più praticare il proselitismo. Prima hai citato Celestino –dice rivolgendosi alla ragazza- Sai cosa voleva fare costui? Voleva celebrare di nuovo il giubileo consistente nella liberazione dal vincolo di schiavitù, nella restituzione all’originario proprietario dei beni acquistati o sottratti nei cinquanta anni precedenti, voleva fossero rimessi i debiti, giusto il dettato del Padre Nostro e molte altre disposizioni della tradizione ebraica; l’hanno indotto a rinunciare al soglio pontificio e per non correre rischi l’hanno rinchiuso in una torre, dove morì. La celebrazione del giubileo del 1300 fu l’inizio di una lucrosa occasione per racimolare moneta, per fare cioè esattamente il contrario. Ed incominciarono anche le vili vendite delle indulgenze e dei perdoni. Nel nome di chi? E’ opportuno capiscano che Dio è uno, uno solo, e solo a lui è dovuta la lode e, come ha detto la tua amica parlando di solo tre parole: Dio è Amore. Punto e basta. E allora il popolo, i fedeli, i non fedeli liberamente accederanno ai culti religiosi, spinti dal richiamo del sacro che è insito naturalmente in ogni uomo ricorrendo se del caso alla figura del presbitero , con un approccio diametralmente opposto cioè non indotto, inculcato, imposto. Più spiritualità, ecco cosa occorre. Capiranno così che le guerre sono la cosa più assurda e pazzesca da compiere, che inviare i propri cappellani militari è un insulto per i fratelli avversari, che uccidere un proprio simile è una bestemmia agli occhi di Dio, che lasciar morire di stenti e di fame un bambino ne provoca l’ira, scopriranno, cosa assolutamente misconosciuta, la carità, il precetto divino di praticare l’elemosina, il piacere di essere utili, di mostrare il proprio affetto ai poveri, ai diseredati, ai folli, agli ammalati, ai vecchi… senza nulla trattenere per sé. Tutto questo succederà e sarà accompagnato da una parallela evoluzione sul piano politico e sociale. I tempi sono maturi perché la conoscenza si è diffusa, non è più come ai tempi della nostra amica carnuta in cui le notizie e le nozioni arrivavano solo dalle più immediate vicinanze e quindi annacquate dalle troppe interpretazioni. E’ inconcepibile che al momento attuale sulla terra un uomo, un uomo solo a capo di un ricco e potente paese, ancorché mosso da micidiali interessi sotterranei vertenti solo e sempre sulla moneta, possa muovere guerra e distruggere un intero popolo per imporre il proprio credo, per esportare la democrazia, per rubare quanto gli occorre per mantenere i più smodati sprechi della sua corte.Così ha detto il gran barbuto. Nel silenzio che segue sto pensando a come confermare il disegno delineato e aggiungo: - In effetti, tutto collima. Se permettete vorrei valutare quanto convenuto con la giovane carnuta nel nostro precedente incontro circa la deleteria influenza dell’aristotelismo, contro l’arbitraria interpretazione di questa dottrina, perché il gran filosofo inorridirebbe oggi a vedere il perverso utilizzo del suo disegno ideologico e concettuale anche perché, vi ricordo, fu il precettore di Alessandro. Lo avevamo definito il secondo grande errore storico: il voler tutto dimostrare con un assunto basato sulla silloge, sbagliando i presupposti iniziali. Pensate che da lì nacque la teologia cioè una arida scienza subentrata all’ ars divina, e la differenza è abissale. In effetti, andava ad esaurimento la funzione dei monaci guerrieri rappresentati dai templari e dai troppi ordini cavallereschi vale a dire l’idea di impadronirsi della Terra Santa compiendo stragi infami, ruberie, prevaricazioni inaudite. Sorse l’esatto contrario cioè la celebrazione della povertà, l’aderenza ed il rispetto assoluto per la natura, la semplicità dei criteri senza troppi fronzoli letterari o teologici; il tutto grazie alla fulgida e immensa figura di Francesco. Tutti erano entusiasti delle sue espressioni: compì una sua crociata, del tutto disarmato e andò anche a Fès, il cuore dell’islamismo, per conoscerne la intima essenza religiosa. Il concetto di mercante cioè aristotelico prevalse ed i suoi stessi primi discepoli, lui ancora vivente, lo emarginarono ed affrontarono spavaldi il mondo cavalcando falsamente la nuova dottrina dando corso alla costruzione della basilica, lui morente sulla nuda terra. Nacquero i frati minori e poi addirittura i minimi, incredibile. Come si fa a sbagliare così clamorosamente? Confondendo la natura delle questue e delle elemosine destinate ai poveri, per celebrare i propri onori. Vi dico dell’Italia perché sono di quella etnia e ricordo i fasti e la magnificenza di Firenze, celebre in tutto il mondo però vergognosamente iniqua verso la pluralità degli schiavi e servi che mai emendarono. Qualche po’ dopo, un certo Savonarola cercò di porre rimedio a tanti iniqui comportamenti sostituendosi all’estinto potere mediceo con un ferreo ed esasperante zelo religioso tendente a riformare quella società: ma vi è noto che finì bruciato quale eretico.- Ben detto, con tanto di sentenza papale –interrompe il gran barbuto- ma adesso suggerisco di sciogliere questo incontro perché ognuno di noi ha delle incombenze da assolvere. - Certo –rispondo- potremo esaminare il terzo grande errore della civiltà e le conseguenze davvero nefaste che ne discendono-. - Farò intervenire una mia amica che come te –dice rivolgendomi lo sguardo la ragazza carnuta- è da poco con noi e proviene da quel paese che è chiamato Stati Uniti.- A presto- diciamo tutti, quasi all’unisono.

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Cap. 8

l’ aquila

Dopo un intervallo di tempo che non riesco a valutare riappare la visione delle montagne: di colpo mi oriento e senza pensarci un attimo mi dirigo verso la grande roccia nera, sicuro di incontrare i miei amici. Non corro, non mi affretto perché voglio gustare per bene il piacere di rivederli. Nel mio lento cammino ascolto il sublime canto che quest’immensa conca produce: mi stupisco di non percepire il mio suono, mi rendo conto di cantare, sento che il mio erogare la voce è all’unisono con quelli di una moltitudine che non vedo, con la quale e della quale però mi sento intimamente partecipe. Sono quasi giunto al limite del piccolo cratere nel quale sono certo di trovare i miei amici e restringo il cerchio di udibilità: percepisco perfettamente le loro piccole voci e le inquadro nel complesso globale di lode e sono pronto ad emettere un fragoroso saluto ma la loro percezione è più rapida ed è un festoso correre verso me. Mi accuccio a terra per riceverli tutti in un unico abbraccio e sono travolto dalla loro irruenza: che indicibile gioia, sono proprio desideroso di vederli, di bearmi della loro presenza; mi travolgono, mi saltano addosso, mi subissano senza ritegno. In tutto questo marasma avverto un segno particolarmente intenso e guardo sotto la caterva di quelle confuse ombre, vedo il più piccolo di tutti, quello che avevo accarezzato e lo sgarbuglio , non senza fatica, lo stringo forte fra le braccia. Istantaneo il bacio che percepisco sulla guancia. Mi sorge il dubbio di fare delle preferenze , non mi pare bello: ad uno ad uno estraggo fra i corpicini ingarbugliati i miei amici, li accarezzo e me li pongo davanti . Operazione lunga ma molto gradevole: abbiamo realizzato una vera comunanza più che metafisica. Li vedo attenti e desiderosi di qualcosa, vedo che hanno una, cento, mille aspettative e percepisco anche il mio desiderio di non deluderli. - Cari amici- grido per zittire il loro ridere- sono proprio felice di vedervi, è tanto che avevo questo desiderio. Mi chiedo anche se avete imparato qualcosa di nuovo. Prima però vorrei capire se sapete cos’è un’aquila.- Sì, sì, sì- rispondono tutti insieme. - Qui però io non vedo l’aquila- affermo. - C’è ma non c’è- mi dice una bambina appendendosi al mio naso, nel timore di non essere sentita. - Come sarebbe a dire c’è ma non c’è- domando io. - Senti – mi dice un’altra bambina dagli occhi a mandorla davvero graziosi che si è arrampicata sul ginocchio –Io l’aquila non l’ho mai vista, so però che vola molto in alto, che non teme il sole negli occhi, che osa affrontare i malvagi, che, che…, che è molto bella, questo sì, è molto bella.- L’aquila è bella perché dall’alto controlla tutto il mondo- mi dice un moccioso dallo sguardo simpatico- e può tutto, sì può fare tutto.- Ascoltami, l’aquila vede tutto perché vola molto in alto e capisce chi è buono e chi è cattivo- dice un altro piccolo che avevo notato in precedenza essere molto volitivo. Sento qualcuno che si è attaccato ai miei capelli e avvicinatosi all’orecchio dice: - L’aquila è il mio papà.Mi giro e vedo un bel musetto nero con due enormi occhi pieni di luce: la prendo fra le braccia, le sorrido e la bacio; faccio però un rumore insolito, molto forte e tutti i piccoli ridono. - L’aquila è un angelo, è l’angelo che è venuto a prendermi- mi giro e vedo una bella bambina molto bionda, con due occhini simili a fiori di campo appena sbocciati.

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Rimango stupito da questa serie di chiare e univoche affermazioni: allargo lo sguardo e vedo sul fondo un piccolo che pare in disparte. Lo chiamo con un cenno della mano e lo siedo sulle mie ginocchia ben esposto verso gli altri e pongo la domanda: - Per te, mio amico, chi è l’aquila?- E’ un sogno- risponde. Lo innalzo sulle braccia. - E’ un sogno?- dico- ed allora seguiamolo tutti insieme. Adesso faccio una rete, voi saltate dentro e via, voliamo in alto, superiamo quelle montagne così lontane e andiamo a vedere cosa c’è al di là.Un grido unico si alza al cielo, sono con gli occhi ansiosi tutti rivolti a me, sono felici, ma cosa dico, sono esaltati all’idea di volare oltre le montagne. - Adesso state un attimo fermi- dico scendendo un po’ per volta quei bambini che avevo sulle braccia, sulle spalle, sulla testa. Vado verso il centro del catino e distendo una rete finissima. -Venite qua, con calma- dico loro: come non detto si ammassano freneticamente uno sull’altro. Dispongo allora quattro assi, messe a coltello con due diagonali di congiungimento, chiaramente ideali. Raccolgo i quattro capi della rete e, assumendo la parvenza di un’enorme aquila, mi alzo sopra di loro. - Pronti?- grido. - Sì, sì.- rispondono tutti. Metto in tensione i quattro capi della rete e lentamente sollevo il mio dolce fardello. Sento un unico grande grido; mi alzo velocemente sino a raggiungere una certa altezza. - Come state là sotto?- grido. - Che bello, che bello!- rispondono. - Qualcuno ha paura?- No, no, vai ancora più in alto.- A voi fa paura l’aquila?- Noo, è bellissima, veloce- sento rispondere. A questo punto sono in crisi perché la mia percezione terrena della valle Stura suggerisce di piegare a sud per raggiungere i Gelas e da lì dovrei vedere un breve entroterra e poi il mare. Sarà così?

- Sapete che cosa è il mare?- grido rivolgendomi in basso.

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- No, sì, no, no, sì, sì- le risposte confuse. - Allora andiamo a cercarlo!- grido ancora. Alzo il livello di quota avendo come riferimento il gruppo dei Gelas, aumento la velocità e controllo la rete ben distesa, vedo occhi esultanti di bimbi stupefatti ed esaltati di un così immenso panorama. Faccio ancora due giri per guadagnare quota fin che vedo la caratteristica montagna come un nonnulla sotto di me e… supero la catena e con stupore vedo davvero il mare ed allora grido: - Bambini, ecco il mare, adesso scendiamo quasi a toccarlo.Con una lenta planata, superba siccome prodotta dal velivolo aquila, con un angolo perfetto, con una velocità crescente ma controllata, ci avviciniamo sempre più allo splendente sottostante mare. - Amici miei, vi piace questo posto?- grido verso il basso. -Bello, bello, incredibile- sento rispondere a più voci. Alla mia destra vedo una figura, è la mia amica carnuta, ma diversa, come fosse più anziana. - Bravo, hai fatto bene a portare i bimbi- mi dice. - L’ho fatto senza sapere di poterlo fare, per farli felici- rispondo. - No, tu hai assolto un compito molto importante. Quello di aprire loro gli occhi, di farli partecipi della realtà terrenadice la carnuta. - Ne ero inconsapevole –rispondo- ma rifiuto di far vedere loro le inique condizioni terrestri. Se è così viro indietro e li riporto nel quieto catino.- Troppo tardi, amico mio, ma sono qui per aiutarti e per compiere con te il lavoro.- dice lei. - No, no, mi rifiuto- grido Una nebbia mi avvolge le idee: ma come, per un puerile gioco, per una sorta di giostra, imbarco degli innocenti bambini di tre o quattro anni che per loro fortuna non hanno forse percepito l’iniqua condotta del mondo terrestre e adesso dovrei essere io a metterli di fronte a tale realtà? - Amica mia carnuta, ti prego, demanda ad altri questo compito, ti scongiuro!- grido verso lei. Un sussulto mi prende, per la mia solita ignavia e leggerezza sto rischiando l’essenza spirituale di queste creature ed allora grido verso il basso: - Amici miei, tutto bene? Vi piace questo viaggio?- Certo, è fantastico, facci toccare il mare!- Amica mia –imploro – cosa posso fare adesso?- Se viri a destra andiamo verso la Francia, se giri a sinistra andiamo in Italia. Io sono vicina a te- risponde. - Bambini miei, tenetevi forte perché adesso facciamo una grossa planata, tocchiamo terra, tenetevi forte alla rete- grido. - Avete capito bene?- Certo, è bellissimo, scendi più forte- rispondono. Mi sorge un interrogativo: ma cosa devo temere? Non ho forse superato mille difficoltà? Ho mai mollato il timone e sono forse caduto in azioni inique? Se ho avuto accesso a questo luogo meraviglioso devo forse temere il compito improvviso di condurre una schiera di bambini? Dai, molla gli ormeggi terrestri, terranei, lascia i retaggi già materiali e approda ancora una volta sulla terra: quello che ha da essere sia. Sei un altro, sveglia! Quello che ti occorre ti sarà dato. - Attenzione bambini –grido verso il basso- adesso vi faccio sfiorare il mare e poi approdiamo là- dicendo questo con una curva maestosa scendo lentamente sull’acqua, scendo quel tanto da far sfiorare la rete ai bianchi flutti di spuma, sento un insieme di grida gioiose e in quel preciso istante, come se una enorme lente si fosse trasposta, una violenta fiamma di luce ci avvolge ed inarco quindi le ali in un impeto di forza per atterrare dolcemente alle spalle di una spiaggia inabitata, in un’area ricca di viti. Cesso le mie sembianze d’aquila e sciolgo il nodo della rete. - Fuori, bimbi, siamo arrivati- dico festoso. - Che bello, che bel viaggio ci hai fatto fare, grazie- rispondono in coro. - Adesso venite qua, amici vi presento la vostra zia, la ragazza carnuta- dico facendo avanzare la mia amica. Di un balzo le volano addosso tutti insieme, meno il più piccolo di tutti, che trova rifugio nelle mie braccia. Lo bacio sulla fronte e mi dispongo seduto, come tutti i bambini, ad ascoltare la carnuta. Mi accorgo solo ora che la ragazzina che avevo conosciuto tempo fa appare come una donna sui trentasei anni molto dolce e coinvolgente, sicura, affidabile, materna, ma ancor più bella. - Ciao bambini- inizia dolcemente la donna carnuta- siete arrivati sin qui perché un’aquila vi ha prelevato nel vostro incantato nido ed obbedendo ad un ordine, vi ha portati sulla terra: è opportuno che voi la conosciate frequentando i vostri piccoli amici che qui vivono, vedendo come giocano, come imparano pian pianino le cose della vita. Vi piace l’idea?- Certo, sì è bellissimo, possiamo giocare con loro?- gridano alcuni subissando le voci degli altri.

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- Sì e no –risponde la carnuta- sì perché voi vivrete con loro e no perché i vostri nuovi amici non vi sentono, non vi vedono perché voi, anzi noi, qui sulla terra siamo, adesso vi dico una parola difficile, siamo immateriali vale a dire senza corpo.- Ecco –intervengo io- vedete questi due uomini che vengono verso di noi? – Indico due vignaioli che procedono carichi di materiali quali fasci di cordicelle, forbici, grossi coltelli, zappa, badile ed un secchio pieno di una polvere fine e bianca. - Voi li vedete –proseguo- ma loro no: facciamo una prova?- Invito con un gesto il bambino più prossimo e gli dico di andare loro incontro, senza fermarsi; l’uomo più anziano che ha un gran cappello di paglia sulla testa non vede il bambino, gli passa attraverso lasciandolo indenne. - Che bel gioco!- grida costui tornando da noi. - Allora –interviene la carnuta- voi non correte alcun pericolo, a differenza dei vostri nuovi amici che presto incontrerete: dovrete però adattarvi alle loro abitudini perché, forse ricordate lontanamente di quando voi eravate sulla terra, i bambini hanno i loro orari, mangiano quattro o cinque volte il giorno, e voi no, dormono quando il sole tramonta fino al nuovo sorgere, e voi no, dopo mezzogiorno che sarebbe alla metà del corso del sole vanno a riposare, e voi no, il mattino vanno all’asilo o a scuola, e voi con loro, vanno a passeggio o vanno a trovare qualcuno, e voi con loro, giocano e si divertono, e voi con loro. E’ tutto chiaro miei piccoli amici?- Sì, sì, che bello- rispondono in coro. - Allora potete andare in quella direzione- ed indica con la mano l’entroterra- e troverete delle case sparse e poco oltre un villaggio e più in là ancora una piccola città: vedrete mille cose e ne imparerete il nome e le funzioni come, per esempio molte specie d’animali, gli uccelli, i fiori, i frutti e molte altre sorprese, compresi i bambini. Allora andate e sappiate che in qualunque momento potrete chiamare il vostro amico: basta che pensiate queste semplici parole ti voglio qui e lui arriva. Per un bel po’ non ci vedremo ma quando avvertirete il richiamo correte tutti in questo posto, così ritorneremo da dove siamo venuti. Ciao a tutti e buon lavoro.Fa una pausa e poi riprende: - No, attenzione, se qualcuno non è d’accordo faccia un passo avanti.Felici e contenti corrono tutti nelle direzioni più disparate, da soli o in piccoli gruppi. - Cara la mia carnuta, adesso devo farti mille domande e spero tu voglia rispondermi- esordisco guardandola fisso. - Lo so che questa vicenda ti ha alquanto stupito- risponde lei. - Sono preoccupato possa succedere loro qualcosa, mi sentirei responsabile.- espongo. - Non preoccuparti: l’iniziativa di trasformarti in aquila e di venire sin qui non è stata tua. Qualcuno l’ha prescritto e voluto ed ha incaricato te, forse perché eri ben disposto verso i bambini.- risponde. - Perché hai detto forse?- ribatto. - Per il semplice fatto che a te ed a me non è dato sapere; prima che tu me lo chieda, ti dico che ero all’oscuro di questa incombenza, anche se in epoche passate ero venuta tre volte sulla terra- risponde la carnuta. - La seconda persona con cui ho parlato, dopo te, mi aveva detto che nel nostro mondo nessuno comanda, dispone, che non abbiamo vincoli né doveri.- insisto. - Questa forza spirituale semplicemente non era a conoscenza di ciò oppure tu non hai capito bene.- risponde lei. - Bella questa: allora io potrò venire sulla terra quando e dove voglio?- interrogo. - No, non è proprio così: tu potrai esprimere tale auspicio e se ne riceverai facoltà verrai qui. Quello che potrai sempre fare, e non a tutti è dato, è di vedere, di udire qualsiasi cosa vorrai- mi dice la carnuta facendo crescere il mio stupore. - Non voglio farti altre domande, per non tediarti –dico io- ma vorrei solo sapere perché ai bambini sei apparsa con fattezze di donna e anche una ulteriore conferma che non corrono rischi qui.Paziente e sorridente mi dice: -Vedi, non avevo mai incontrato quei bambini e quindi non mi conoscevano: è stato disposto che cambiassi fattezze per dare loro nozione di una mamma, di una zia, come in effetti stanno per incontrare. Stai tranquillo, non corrono proprio pericolo, è un’esperienza importante la loro, vedranno realtà ignote, vedranno situazioni anche negative ma ciò servirà alla loro crescita spirituale. Torneranno molto cambiati non in modo uniforme, alcuni avranno il corrispondente dei quattordici anni sulla terra, alcune bambine anche diciotto anni. Alcuni assumeranno le fattezze caratteristiche della nuova età, altri no, appariranno uguali. Anche le cose cattive ed empie che vedranno hanno uno o più ruoli importanti: cambierà il loro modo di appartenere e determinerà forse, e ripeto il forse, un’ulteriore evoluzione. Di certo avranno acquisito la nozione di bene e di male. Sei soddisfatto di quello che ti ho detto?-. - Certo, grazie, sei stata gentile: per gli altri novecentonovantasei dubbi o interrogativi cercherò di darmi una risposta, ovvero li lascerò irrisolti, non c’è nulla di male- rispondo.

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Cap. 9

i Parsi

Dopo uno sguardo di commiato ritorno improvvisamente sulle mie montagne, precisamente sulla roccia nera. Dopo un bel po’ mi accorgo di un intenso movimento d’esseri-ombra che dalla grande vallata sale il dolce pendio: i più sono soli, ma anche a gruppi di tre, cinque, fino a dieci ombre e tutti indossano una tunica scura, lunga fino ai piedi con in testa turbanti, veli o altri strani copricapo. Senza scompormi e senza distrarmi più di tanto decido di osservarli; partecipo ad un bellissimo canto corale che proviene da ogni dove e sembra del tutto uniforme e ben modulato ed ho l’impressione che quello più vicino sia di minor intensità di quello lontano: decido di applicare una diversa modalità visiva e verifico, con stupore, che in questo momento nella landa altrimenti deserta c’è un’animazione di migliaia d’esseri-ombra, ivi compresi molti ragazzi. Vorrei chiedere a qualcuno che passa accanto al roccione una motivazione di ciò ma rinuncio all’idea. Questa moltitudine si addensa a ridosso della parete rocciosa dalla quale ero forse pervenuto ed attende l’arrivo dei più lenti: ad un certo punto si prostrano tutti a terra ed iniziano un loro canto autonomo che riesco ad isolare dal restante coro. Percepisco un suono molto melodioso ed annoto con stupore che la vocale predominante è la u. Buon per loro, m’immergo nelle mie meditazioni isolandomi acusticamente. Quando tutta questa moltitudine defluisce dal luogo d’incontro alzo alcune volte il braccio in segno di saluto. - Sii benigno con noi – dice una voce toccandomi la spalla ed allora mi volto e vedo due giovani donne affiancate. - Siatene certe –rispondo sorridendo e alzandomi in piedi.- Posso fare qualcosa per voi?- C’erano qui i nostri due bambini ma non riusciamo a trovarli: sappiamo che sono venuti con te- dice la donna più alta - Sì, li ho accompagnati con una trentina di piccoli sulla terra per fare esperienza, mi è stato detto.- Hai idea di quando torneranno?- mi chiede l’altra donna. - Non ho proprio idea anche perché qui la nozione temporale è assente, come ben sapete. Non per i vostri figli perché per loro questo è un momento di crescita. Ditemi chi siete e cosa siete andati a fare lassù in gruppo.- domando. Parla la più alta: -Noi apparteniamo a due etnie che abitano la stessa terra da almeno ottomila anni e che non hanno mai smesso di combattersi, salvo rare pause.Domando: -Da che regione venite?Risponde la stessa donna: -Una volta si chiamava terra dei Parsi e adesso forse Iran, dico forse perché i confini sono labili. Io appartengo alla schiatta dei sunniti e la mia amica a quella degli sciiti.Interviene l’altra donna: -Molti millenni or sono arrivammo dalle fredde regioni artiche, fuggiaschi di uno straordinario fenomeno naturale che improvvisamente fece crescere il livello delle acque. I pochi di noi che si trovavano sulle alture decisero di scappare perché la stagione invernale era alle porte e c’incamminammo verso il mezzogiorno e verso ponente alla ricerca di una regione da abitare: ci siamo fermati nella terra che ha indicato la mia amica ma con loro ci siamo dispersi in molte altre aree vicine come lo Yemen e molti sono finiti in India. Fin dall’inizio non ci siamo capiti né

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mescolati e quindi scaramucce continue, ogni tanto guerre molto cruente, esili, ritorni. Quando poi arrivò il Profeta, sembrava che la comune fede potesse cancellare le divergenze dei nostri popoli: non fu così perché presto iniziarono dispute su chi fosse il legittimo erede della dottrina. Discussioni furibonde d’ordine religioso con conseguenze pratiche, politiche, di potere: ancora emigrazioni, vessazioni, prevaricazioni… .- Senti amico mio, mi sento tanto solo, vieni a trovarmi, ti prego- questa voce é diretta a me ed immediatamente vedo il piccino, proprio il più piccolo, quello del primo bacio. - Arrivo subito, proprio subito- lo tranquillizzo. Mi commiato dalle due donne pregandole di aspettarmi e chiedo loro come potrò riconoscere i loro figli. - Chiedi se sono iraniani e se la mamma è qui- raccomanda la più alta delle due. - Ciao, eccomi qui, c’è qualcosa che non va?- chiedo con un cordiale sorriso rivolto al mio piccolo amico. - No, ma è che adesso è notte e sono solo ed allora ho pensato a te.- Grazie –rispondo- Raccontami qualcosa di quello che fai qui, se ti fa piacere.Tutto ringalluzzito: - Di mattino i miei due amici, sono fratello e sorella, si svegliano sempre tardi ed allora fanno colazione in fretta e furia, a volte dimenticano di lavarsi persino le mani. La loro mamma che è molto buona deve correre perché lavora in una grossa tenda, che loro chiamano capannone, e li lascia alla porta della scuola. Ed io sono sempre con loro, anzi, siccome si dividono, giro da un’aula all’altra per vedere cosa fanno.- Cosa imparano di bello a scuola?- lo interrogo. - Disegnano con mille colori –continua il piccolo- su dei grandi fogli bianchi che io non avevo mai visto, perché al massimo disegnavo sulla sabbia o sulla neve. Poi cambiano maestra, qui si chiama così, ed allora leggono da un libro e poi scrivono quello che hanno capito. C’è molta allegria perché scherzano sempre. A pranzo tutti i bambini vanno in una grande sala piena di tanti tavolini e minuscole sedie e fanno la gara a chi finisce prima. Poi andiamo a giocare sotto gli alberi e poi di nuovo nell’aula a disegnare, ma i più piccoli dormono un po’, a tagliare, incollare: un gioco molto bello che ho presto imparato e che eseguo con i miei colori e carte immaginarie. Arriva poi il babbo a prenderli: loro hanno un po’ paura di lui perché è molto brusco, sempre di corsa, sempre di cattivo umore e di sera beve molto vino e a volte li picchia: scappano, vanno a letto e si stringono vicino perché sentono la mamma gridare e poi piangere.- Senti una cosa –lo interrogo- qual è la tua terra d’origine e, poi, la tua mamma è con noi? - Sono nato sulla punta fredda delle Americhe ma non ricordo il nome, anzi si chiama Taitao e la mia mamma non l’ho mai vista da noi- dice. - Adesso ti chiedo altre due cose, vediamo se sai rispondere: hai contato le notti trascorse qui sulla terra e, secondo, hai più visto i tuoi amici di gioco?- domando. - No, non ho più visto alcun amichetto e poi posso dirti che non ho contato le notti, ma sono tante, tante, tante.- Va bene: vedrai che tornerai presto con noi –lo conforto- e mi viene in mente adesso, quando sei solo di notte, vai fuori e guarda bene le stelle, anzi, vieni con me, le guardiamo insieme. Osservale bene e cerca di capire se in quel gran numero ce ne sono due, tre o più che si assomigliano, che sembrano stare bene insieme, che formano un qualche disegno che ti piace. Quando verrai via da qui ne parleremo così mi spiegherai il segreto delle stelle. D’accordo?- Sì, mi piace, è un bel gioco- acconsente lui. - Vuoi che mi fermi o posso andare?- chiedo. - No, vai pure, ma stai attento se ti chiamo, vieni subito.- mi sorride. - Sta pure certo, è una gran piacere abbracciarti e adesso vieni qui che voglio darti un bacio grosso così.- Eccomi qua, sono tornato- mi rivolgo alle due donne che trovo sedute sul roccione nero- Il piccolo non era vostro figlio perché arriva dalla Terra del Fuoco. Vedrete che molto presto torneranno entrambi e saranno cambiati.- Grazie- risponde la donna più alta- non è un problema perché tu sai meglio di noi che qui non esistono sentimenti né positivi né negativi, per fortuna, è solo un fatto di simpatia o meglio, di empatia dacché il nostro compito è ben altro. Li cercheremo la prossima volta.- Certo, è proprio così – intervengo- ma mi stavate parlando delle vicissitudini dei vostri lontani padri. Aggiornatemi per cortesia dello stato attuale.- Va bene –prende la parola la donna più piccina- la situazione è sempre di contrasto ideale e religioso ma ancor più d’ordine politico, di potere. Nella terra vicina c’è la guerra. Da alcuni anni, è arrivato un popolo, anzi molti popoli invasori: hanno armi micidiali, dal cielo bombardano, da terra sparano in continuazione, compiono massacri inauditi, imprigionano e poi seviziano, un vero inferno. Vorrebbero portare a noi la democrazia, in due popoli che concepiscono l’origine del potere di natura religiosa cioè divina gli uni, gli altri esattamente il contrario. Cercano in realtà il nostro petrolio e molte altre risorse naturali cui noi non attribuiamo valore , si arrabattano per mettere al potere un’etnia che dovrà prevaricare l’altra, l’unico criterio seguito è quello di scegliere fra chi li asseconda meglio, veramente una situazione spaventosa.- Scusa -la interrompo – hai detto bombardano ma voi non siete del paese contiguo?-.

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- Politicamente sì –risponde lei- ma non conosciamo i confini nazionali, noi abbiamo parenti di qua e di là, siamo una cosa sola, divisa in due dalla concezione religiosa. Qui è diverso: le due etnie non conoscono differenze, dialogano e si rispettano reciprocamente, anzi si amano.- Non avete risposto a ciò che avevo chiesto prima –intervengo- perché vi siete assembrati sotto la parete dell’alta montagna?Riprende la donna più alta, con orgoglio: -Noi siamo qui per rendere lode al tuo Dio, a quello del bambino di Taitao, a quello dello jainismo, al nostro perché ascolti le suppliche e ponga rimedio alla grande ingiustizia sulla terra: siccome in questo momento i nostri paesi sono particolarmente martoriati abbiamo deciso di incontrarci periodicamente perché pregando insieme gli giunga il nostro appello. Speriamo voglia intervenire prontamente e sanare i troppi delitti, prima di tutto la cessazione delle caste sacerdotali e dei califfati che rappresentano il nervo scoperto delle nostre disgrazie.- Certo è lodevole -replico- ed in effetti una concentrazione di forze spirituali è più efficace. Mi unirò nelle lodi al vostro unico popolo.Le due donne vanno verso il pianoro sottostante mescolandosi con la schiera che ancora defluisce, lodo Dio unendomi al melodioso canto corale ma vedo anche continui lampi, gragnuòle di luci, sulla volta luminosa. - Ascolta –mi dice una voce che immediatamente riconosco- andiamo dal barbuto pope?- Sì, d’accordo –acconsento- Lo faccio immediatamente.-

Cap. 10

la bostoniana

- Ciao amico pope, ciao carnuta e ciao a te nuova amica- dico rivolto a tutti. L’ambiente è quello dell’altra volta, il promontorio roccioso che s’inoltra nel magnifico mare e confermo l’impressione di una luce diversa. - Ciao a tutti- rispondono. - Scusate -dico rivolto ai due nuovi amici- ma voglio solo riferire alla carnuta che sono stato chiamato dal più piccolo dei nostri bambini: era solo ed aveva voglia di vedermi perché era notte. Gli ho raccomandato di guardare bene le stelle, poi ho scoperto che è nato nell’altro emisfero e le stelle che vede non sono le sue.- Bene.- mi risponde. - Hai idea di quando andiamo a prenderli?- domando. - No, nessuna nozione, ma sai che non tocca a noi decidere il quando ed il come- risponde lei. - Amico pope, eravamo rimasti a quello che si chiama rinascimento, se non sbaglio- esordisco rivolgendomi al gigante buono. - Esatto –risponde- ma vorrei coinvolgere la nostra nuova amica alla quale ho già esposto il contenuto dei nostri discorsi.- Sono felice di partecipare a questo incontro in quanto rappresenta una piccola pausa al grande compito che abbiamo. Mi presento dicendovi che sono nata in un villaggio prossimo a Topeka, nel centro degli Stati Uniti; sono ebrea e mio padre scappò ragazzo in Sud Africa ma i miei nonni e tutti gli zii, che erano in Varsavia, resero l’anima attraverso i camini dei lager nazisti; ancor giovane sono andata a studiare a Boston e poi mi sono fermata lì per insegnare in quella università.- Interessante –la interrompo- e cosa insegnavi?- Mi occupavo di reni nella grande clinica universitaria ma i miei interessi vertevano sugli aspetti spirituali dell’essere uomo , finché un bel giorno fui cacciata perché più e più volte avevo manifestato la mia contrarietà ad intervenire solo sui pazienti che potevano pagare le onerose cure: e gli altri dovevano morire perché privi di risorse?E’ interrotta dal pope : -Ancora una volta e sempre più, c’è di mezzo la moneta.— - Proprio così –dice la bostoniana e prosegue: -sono andata allora in una piccola comunità di tossici ma non facevo più il medico, cercavo solo di portar loro conforto, diciamo esistenziale. M’infettai del loro male e…. allora eccomi qua.- Ci è servito di orientamento questo racconto, grazie- dice la carnuta. - Volevo aggiungere –riprende la bostoniana- che nella nostra civiltà cosiddetta moderna si insegna male ed ancor peggio siamo indotti ad insegnare: l’uomo è una macchinetta che a volte si guasta e noi che abbiamo analizzato così

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bene i congegni più minuscoli e reconditi di questo complesso organismo, andiamo a tentare un rimedio: il processo di sviluppo tecnico e scientifico è stato davvero incredibile ma in senso oggettivo l’utilizzo di questa conoscenza, cioè l’uso delle scoperte e lo scopo cui si tende spesso, molto spesso, è contraddittorio. Allargando la visuale ciò a dire su un piano più generale, la contraddizione non è tanto costituita dal pericolo, non del tutto improbabile, di suicidio nucleare o comunque tecnologico, bensì dalla decadenza civile e dalla soppressione di ogni forma di umanesimo. Il genere umano riuscirà forse a salvarsi dall’estinzione per inquinamento, sovrappopolazione, radioattività e via discorrendo, ma può darsi che per salvarsi crei, come di fatto è già in essere, una struttura statale o sovranazionale rigidissima che blocchi l’evoluzione dell’umanità stessa, la cacci cioé su una pista discendente. Le imprese industriali sono tanto più stabili quanto maggiori sono le loro dimensioni e quanto più è diffuso il loro mercato. E’ perfettamente possibile che le multinazionali di tutti i paesi si uniscano e diano vita ad un unico potere economico mondiale; un simile processo annienterebbe definitivamente la società aperta dalla cui esistenza dipendono le possibilità di conservare la qualità di uomini. Una società chiusa è per definizione una società disumana. Grandi masse di uomini sono costretti da una ferrea organizzazione a vendere la propria dignità, ad inibirsi dal praticare libere ed autonome scelte, a chinare la testa ad una divisione del lavoro coatta e programmata fino all’esasperazione. Questo sistema si basa su un immane tesoro di nozioni scientifiche, ma il singolo ha accesso solo a una minima parte di queste conoscenze. Il singolo è felice e soddisfatto (ancor più se sente d’essere l’artefice di ciò e se esercita un potere sugli altri) perché è condizionato sin dalla culla da un indottrinamento coatto ben collaudato ed efficiente, e la contentezza gli è messa a portata di mano, se del caso, dagli psicofarmaci. Infatti la tecnocrazia esercita sugli individui una radicale spersonalizzazione usando anche banali criteri di informazione, specie televisiva, anche pellicole, anche autorevoli ma spregiudicati indottrinamenti per mezzo di giornali, riviste, e soprattutto con la pubblicità più perversa che crea le false esigenze, necessità quasi irrinunciabili. Il risultato è l’accrescimento delle nevrosi, le quali sono rivelate non soltanto dai suicidi, omicidi e violenze d’ogni genere, ma dal consumo di apparenti tranquillanti antidepressivi e dal proliferare di innumeri tecniche di psicoterapia. Tutto ciò vuol dire crisi dell’ essere uomo e dell’umanesimo in quanto negazione d’ogni metafisica. 8 Non basta: sapete quante persone sono in questo momento in carcere nel mio paese? Sono due milioni ed esse hanno perso la minima nozione di dignità umana. Sapete quante sono al cosiddetto arresto domiciliare cioè che non possono uscire di casa, raramente hanno un’attività lavorativa, sono la vergogna dei figli e anche dei genitori, sono indicati al pubblico disprezzo? Sono quattro milioni di persone. E sapete quanti sono gli addetti al controllo diretto ed indiretto di costoro, quanti percepiscono una retribuzione per questo non commendevole lavoro? Non vi dico il numero perché vedreste che gli uomini liberi sono davvero pochi. Non basta: l’uomo che in questo momento vive sulla terra è stato indottrinato a misconoscere la morte, a temerla, ad averne paura. Il concetto di paura della morte è alimentato da tutti quei fallimenti o minorazioni cui la natura sottopone tutti gli esseri: la paura di invecchiare, la paura della malattia, il timore di soffrire, la paura di non essere stimati, l’incapacità di affrontare un tipo di vita sempre più convulso e caotico. Per contrastare ciò si sottrae un grosso margine all’energia vitale del singolo individuo dando origine ad una nuova paura, quella d’essere incapaci ed impotenti nell’affrontare la paura stessa, in altre parole l’angoscia. La verità della morte non è solo quella della morte biologica, ma è l’angoscia insorgente dal timore di essere annientato con la morte. Manca una qualsiasi visione trascendente. La paura della morte ha l’innata tendenza all’aggressività che si rivolge all’esterno distruggendo gli altri oppure si indirizza nel suo intimo essere, in pratica volersi male o, per esempio, nella liceità di acquistare il rene di un bambino indiano… Non basta: l’insegnamento moderno è molto diffuso e specializzato, i bambini ancorché molto piccoli usano incredibili tecnologie informatiche, giochi elettronici sofisticati, conoscono ed usano gli strumenti musicali e nessuno insegna loro e tanto meno agli adulti il concetto di morte: è davvero strano ciò perché esistono corsi per il parto, altri di preparazione alla maternità, esistono stuoli di ginecologi, levatrici, pediatri e poi maestre d’asilo, maestre, professori, specializzati post universitari, corsi di aggiornamento. Nessuno di questi soggetti insegna il morire.- 9 -Cara amica –intervengo io- nella tua analisi hai citato le imprese industriali. Sarei grato al nostro gigante buono se ci parlasse del sorgere dell’industria: lui era già qui quando si è verificato questo fenomeno, motivo per il quale ha una visione meno convenzionale o celebrativa di quella che abbiamo tu ed io. Vi ricordo anche che questo è stato il terzo grande errore compiuto dalla nostra presunta civiltà e maggiormente cointeressati sono coloro che in allora non hanno reagito, o hanno solo finto di reagire.-Vi parlo ben volentieri di ciò –prende la parola il pope- Il fenomeno dei liberi comuni si era in parte esaurito ed erano tornate le grandi potenze all’eterna caccia espansionistica territoriale. Avvennero anche importanti scoperte geografiche, fra le altre le terre della nostra nuova amica, per cui pervennero ai soliti pochi potenti enormi ricchezze, non solo immediate cioè frutto di rapina, ma anche di sfruttamento di terre ubertose e fertili, con prodotti vegetali addirittura 8 9

8 Bernardo Boldini, L’uomo oggi fra cultura e cristianesimo. Ed. FDA Eurostampa, 1993 9 Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra. Ed. Longanesi, 2004 29


sconosciuti. Ma come fare? I locali, cioè i pacifici leciti proprietari, erano inetti, fannulloni, sfaccendati, incapaci: sempre a loro modo di vedere. Facile: la fortuna del mercante era prosperata spostando i prodotti da un posto all’altro, con ottimo lucro. Perché non prendere altrettanti inetti in quella sprovveduta Africa e venderli dall’altra parte dell’oceano? Avete la percezione di cosa significhi privare una popolazione dei giovani migliori costringendoli a suon di frustate, sangue e terrore a produrre quei beni che altri avrebbero venduto con guadagni empi? Quei pochi potenti, dico pochi poiché erano veramente pochi ancorché serviti da una moltitudine di succubi e preposti che in funzione dell’efficacia dei risultati partecipavano al vergognoso banchetto, direi banchetto cannibalesco perché in realtà era la vita degli altri, cioè dei propri simili, l’origine del guadagno. Con alcune scoperte scientifiche e tecnologiche si riuscì a produrre forza, in pratica energia, avulsa da quella animale o umana. Fantastiche scoperte: peccato che gli aspetti negativi quali lo sfruttamento dei bambini, l’uso delle donne per i lavori pesanti, orari bestiali per i maschi, distruzione del concetto di famiglia, di solidarietà ne svilissero i risultati; peccato perché lì si originò una grave frattura con la Terra utilizzando risorse fossili del tutto naturali in modo indiscriminato ed aggressivo con l’immissione forzata di calore, dopo averne sfruttato la forza. Industrializzazione? Peste l’ incolga. Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più miseri, rapporti umani inesistenti, ecco sorgere l’embrione dell’odio di classe basato sul semplice ed elementare criterio della comparazione. Qui noi parliamo di Amore. Chiaramente i mercanti smerciavano le derrate, chiaramente occorreva tutto un apparato per gestire il vorticoso cambiamento; a parte i soldati, ché quelli ci sono sempre stati, le varie magistrature, gli esecutori di ordini, i repressori di coloro che non condividevano questa strategia. Da cosa nasce cosa, ogni forzatura crea uno strappo o una rottura, l’odio cova piano sotto la cenere finché esplode: per farla breve, dacché voi ben conoscete l’evolversi storico delle vicende, dopo un effimero e transitorio effetto della rivoluzione francese, ben presto corretto dai tre o quattro soliti potenti con l’appoggio entusiasta del clero che dal piccolo còrso era stato annientato, denudato ed azzerato, covava ben altro fatto eversivo nelle terre vicine a quelle che ben conosco. Stanchi di subire angherie e vessazioni la moltitudine indottrinata da chi aveva ben capito gli effetti perversi prodotti dal capitalismo, rompe gli argini e spazza tutto quanto incontra facendo un errore più grave di quello che intendeva evitare cadendo nel più bieco collettivismo altrimenti detto comunismo: poveri per poveri divennero più miseri di prima, in preda ai delatori, ai soliti furbastri che in nome di una presunta seria valutazione politica di fatto esercitavano un giogo sempre più pesante ed oneroso. L’unica religione insegnata era quella dell’odio, dell’odio di classe, dell’odio contro i ricchi non per criterio morale ma per pura invidia e cupidigia. I sentimenti e gli umani discernimenti furono banditi, a tutto doveva pensare e provvedere la struttura concettualmente gerarchica: timori, paure, terrori del più infimo delatore come del più disumano funzionario investito del potere di decidere, quindi giudicare tutto e tutti. Odio, solo odio. Pensate che l’assunto dei due originari fondatori di questa dottrina era che dove c’è povertà non esiste giustizia, per cui essendo tutti poveri la giustizia era stata addormentata, con buona pace degli intendimenti iniziali. Come corollario, come naturale conseguenza di contrapposizione si fecero atei, si inebriarono dell’ oppio degli intellettuali, scientificamente atei, irridendo una qualunque presenza del divino. Bella responsabilità delle nostre chiese orientali ed occidentali! Avete nozione dei milioni di morti, delle decine e decine di milioni di vessati, umiliati, ridotti al rango sub umano?-Hai ragione barbuto pope – interviene la carnuta- e la naturale conseguenza deve essere, come abbiamo già detto, lo scioglimento d’ogni gerarchia e lo spontaneo sviluppo della morale naturale. Ogni uomo ha il diritto di seguire la propria inclinazione alla devozione di Dio e, se lo desidera, cercare la mediazione del sacerdote, del pope, del rabbi, dell’iman, del califfo, del muezzin, del lama, o di chi valuta essere in grado di compiere un atto liturgico.-Ciò non basta –interviene la bostoniana- perché se concettualmente l’umanità sta camminando in quella direzione, c’è pur sempre di mezzo la moneta e quella struttura che vi avevo disegnato ha il caposaldo del potere proprio nella moneta, e quelli non sono facili da rimuovere, anzi.-Tu hai ragione- intervengo - ma ci sono già sufficienti segnali indicanti un evolversi ideale, in altre parole di pensiero: sono sempre di più quelli che amano ciò che non si può comperare, sono silenti ma importanti quelli che prestano la loro opera disinteressatamente a favore dei meno fortunati o dei sofferenti, sono sempre di più quelli che hanno maturato la consapevolezza che i tanti generi di governo siano obsoleti e stracotti, in coma profondo, sono sempre di più quelli che hanno maturato la convinzione che la guerra ha mai risolto nulla. La soluzione o, meglio, la corretta e fortunatamente non violenta rivoluzione è data da un’idea semplice, apparentemente addirittura banale : la gratuità. Questo piccolo seme è in grado di sconvolgere tutti i complicati meccanismi che surrettiziamente tengono insieme questo gran coacervo di leggi, leggine, istituzioni, gerarchie, atti convenevoli e formali regole.-Scusa se t’interrompo –dice la carnuta rivolgendosi a me- e scusate anche voi cari amici, ma noi dobbiamo immediatamente partire per assolvere un impegno. Ci incontreremo quanto prima per ragionare di questa gratuità.-

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Cap. 11

terra di Provenza

- Buongiorno a tutti voi, ragazzi- dice la carnuta che ha di nuovo assunto le fattezze di una trentenne. - Ciao, amici- dico a mia volta. Siamo sempre nel vigneto e i tralci sono radi e privi di foglie: saranno passati pochi giorni terrestri o un anno o forse più? I ragazzi sono cambiati, eccome: avevamo lasciato dei bambini di tre o quattro anni, ancora impacciati a volte nell’incedere, ancora con lo sguardo puerile ed adesso vediamo dei ragazzetti già ben squadrati, di molto cresciuti; delle ragazzine già quasi donne con dei seni, chi piccoli, chi grandi già ben delineati. Siamo al tramonto, il cielo è di un bel rosso fuoco e l’orizzonte è terso ma sulle nostre teste alcuni nuvoloni arricchiscono la gamma dei rossi contrapposti ai grigi chiari fino ai più nerastri delle parti in ombra. - Ma allora –dico io- nemmeno un bacio da questi ragazzi?- Finalmente siete arrivati –dice quello di Taitao che immediatamente riconosco dalle fattezze del viso, non certo dalle armoniose ed ampie spalle. Mi viene incontro correndo e con un certo imbarazzo mi abbraccia e bacia, ma arrivano anche gli altri, frammisti ragazzi e ragazze con atteggiamento festoso. - Allora, cari amici –dice la carnuta- Dobbiamo fare ritorno sulle nostre apparenti montagne. Partiamo subito perché qui sta per sopraggiungere la notte: vi dico innanzitutto che vi sono state concesse alcune facoltà. La prima è che potrete, anzi potete da adesso, vedere le persone che avete conosciuto, i luoghi che avete frequentato, ed è semplice. Dovete pensare di volere, provate pure.Tutti i ragazzi si concentrano ed alla visione sono contenti, pare esprimano sentimenti e sensazioni. -Non potete però comunicare o parlare con questi vostri amici o i loro parenti, genitori, amici. L’altra facoltà che vi era stata concessa al vostro arrivo qui, solo uno di voi l’ha esercitata chiamando il suo amico (indicandomi con il braccio). Potete cioè comunicare, parlare e vedere tutti gli abitanti delle nostre montagne vale a dire le forze spirituali; prima potevate comunicare solo nelle immediate vicinanze. Ci sono poi altre due facoltà ma ve le diremo all’ arrivo. Allora, siamo pronti ad andar via da qui?- Sì, sì, subito, che gioia!- dicono tutti insieme. La donna carnuta sparisce e compare un enorme, grandissimo cigno di un candore stupefacente con il becco di un bel rosso fiamma; ai suoi piedi giace un grande corno con due lacci alle estremità.

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- Allora –si sente dire dall’alto, e sì dall’alto perché il cigno è davvero imponente – entrate nel corno e rimanete con la testa fuori ma, siccome siete molto numerosi, i restanti saliranno cavalcioni. D’accordo?- Sì, certo, subito- è la risposta. Con gioia si sistemano chi fuori chi dentro il corno. - Pronti? Partiamo- dice la carnuta- certo non è più il volo dell’aquila, questo nostro volo è più calmo, più regolare, più maestoso. Ragazzi salutate la terra che vi ha ospitato.Con la luce rossa di traverso il cigno si alza dolcemente e subito vira verso il mare e sembra voler planare sull’acqua, anzi la sfiora quel tanto da adagiarvi dolcemente il corno e poi guadagna quota, si alza sempre più in alto, in modo che la spiaggia appare sempre più piccina. Non ci sono montagne nella direzione in cui è diretto. - Tutto a posto, ragazzi?- chiede il cigno. - Certo, è proprio bello, bello davvero- rispondono tutti. - Allora andiamo ancora più in alto, d’accordo?- e con lenti giri guadagna in altezza: -Ecco adesso c’è una grande nube di fronte a noi, alquanto scura perché il sole è tramontato e ne illumina solo la parte più estrema. Ragazzi andiamo a far visita a quella bella nuvola, avete paura?- domanda il cigno. - No, no, vai più forte.- gridano da sotto. Il cigno si immerge nella soffice nebbia, manca ogni riferimento esterno e sembra di essere fermi. L’oscurità cresce ed anche gli ultimi bagliori rossastri scompaiono in alto. Sono a cavallo del corno e posso agevolmente vedere tutti i miei ex bambini e mi chiedo se continuerà il nostro vecchio amichevole rapporto. Dopo aver raggiunto la totale oscurità incomincia ad avvertirsi nella direzione indicata dal rosso becco del cigno un chiarore dapprima soffuso e via via crescente. - Stiamo arrivando, ragazzi! –dice il cigno- siete contenti di arrivare?- Certo, perché dobbiamo raccontarci mille cose!- rispondono. - Va bene, prestate attenzione a come sta aumentando la luce.- dice il cigno. Sembra di essere in un batuffolo di cotone bianchissimo e soffice, senza alcuna percezione di movimento e senza la visione del cigno così bianco: si vede solo il rosso becco, quasi una freccia di direzione. D’improvviso la luce cresce ed andiamo a cozzare contro una muraglia di fiamme che veloci attraversiamo ed appare nel suo immenso fulgore la nostra volta illuminata, il nostro cielo. Di colpo appare il roccione nero e siamo già al suolo; il cigno è sparito con il suo corno. - Felici ragazzi? –chiede la carnuta- adesso potete anche salutarvi , perché ho notato che prima della partenza non vi siete neanche guardati.Allora queste forze spirituali si abbracciano, scherzano, ridono, dimostrano di essere felici del ritorno. - Ragazzi, domando- fra voi ci sono un sunnita ed uno sciita le cui mamme sono qui. Chi siete?Dal gruppo escono due ragazzi dal residuo di carnagione scura, con occhi molto penetranti, sorpresi della mia affermazione. - Durante la vostra assenza sono passate qui le vostre mamme e hanno chiesto di voi: adesso potete, come vi ha detto prima della partenza la carnuta, mettervi in contatto semplicemente pensando alla vostra mamma e dicendo che siete arrivati. D’accordo?Essi cercano e trovano il contatto, si arguisce dagli sguardi. Chiedo alla carnuta se possono anche manifestarsi a distanza. Risponde: - Penso proprio di sì, suggeriscilo loro.Attendo che la presentazione finisca scrutandoli attentamente negli occhi e dico: - Dice la nostra amica carnuta che potete presentarvi davanti alle vostre mamme, voi come tutti gli altri pensando al desiderio di vederle e dicendo lo voglio. Provate ragazzi con le vostre mamme, i vostri papà, i vostri fratelli, i vostri amici, purché, ben inteso, si trovino qui.Allora una gaia agitazione prende la compagnia e si vedono atteggiamenti e comportamenti fra i più disparati: chi saltella, chi balla… Finita questa fase non certo breve riprende la parola la carnuta: - Adesso che avete capito questa nuova facoltà, vorrei dirvi il perché della vostra permanenza sulla terra. Voi eravate molto piccoli e l’unica incombenza era quella di giocare, poi giocare ed ancora giocare. E' stato disposto un vostro accrescimento, cosa non obbligatoria e non a tutti i bimbi che sono qui capita. A voi è toccato. Avete vissuto un tempo sulla terra, avete frequentato, visto, capito cosa facevano i bambini ma avete anche percepito mille altre cose come i loro genitori, le loro case, gli animali domestici, le loro abitudini, il loro andare a scuola per imparare, i loro umori del cuore, le loro emozioni. Tutto questo è stato utile per crescere, per diventare più grandi, più consapevoli. Chiaro sin qui?- Certo, è così.- rispondono. - Le molte cose che voi avete visto ed imparato –continua la carnuta- se volete confrontarle fra voi, siccome siete in trentatre, diventeranno trentadue volte mille. Vi pare?

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Ed allora con tutta calma scambiatevi liberamente le vostre rispettive opinioni ed esperienze : se volete, noi possiamo assistere, ma forse è meglio misceliate da soli. Da qui a qualche tempo io ed il vostro amico parleremo con voi delle esperienze e vi metteremo a conoscenza delle altre facoltà che vi sono state riservate.Intervengo dicendo: - Sì, forse è meglio che vi confrontiate da soli perché se è vero che siete cresciuti, eccome, è anche vero che ciò non è avvenuto per tutti allo stesso modo. Questo lavoro che andate a compiere rappresenta un nuovo accrescimento.- Allora ciao ragazzi, noi ce ne andiamo: non dimenticate che se volete parlarci o vederci, sapete come fare.- conclude la carnuta. Ci spostiamo di non molto, esattamente nel luogo in cui ci eravamo incontrati la seconda volta e ci disponiamo a celebrare le lodi: l’armonia che mi pervade crea delle forti emozioni. Mi domando se il criterio di preghiera che mi era stato insegnato da piccolo sulla terra, in pratica la partecipazione a determinate funzioni, la recita di formule magari reiterate ed altre manifestazioni fosse stato corretto; mi risolvo nel ritenerle tali solo in forma molto parziale perché la preghiera è solo lode a Dio, non è non deve essere accattonaggio spirituale per ottenere benefici, non è implorare un qualche vantaggio personale immediato o futuro, non è una supplica. La preghiera è un innalzarsi, è un emergere dal profondo fino a sfiorare e lambire la grandezza divina. 10

Cap. 12

la camerata

Sono qui tutto preso dalle melodie che giungono e mi sforzo di pensare come sarebbe bello se esistessero anche gli strumenti musicali o anche solo ritmanti tamburi per accompagnare questi inni. Mi piacerebbe tanto incontrare un poeta e scrutare in lui il senso della vita: provo a manifestare questo auspicio e d’improvviso mi trovo in una grande camerata: lungo le pareti , con una certa regolarità, ci sono alcune finestre sbarrate da pesanti griglie di ferro e sono disposti dei letti metallici molto rustici. Sui due lati corti della camerata vedo le porte d’accesso anche esse dotate d’inferriata e attigue a queste porte delle rientranze in muratura a mezz’altezza: vado a vedere e scopro che sono delle latrine affiancate, senza divisori e la parete terminale, sommariamente piastrellata, con parecchie vistose carenze ed una lunga serie di docce al di sotto delle quali una stretta vasca funge da lavatoio. Nel locale contrapposto, una specie di cucina davvero sporca e malandata e vedo scodelle ammucchiate su lerci ripiani di marmo nonché una lunga vasca sospesa. Al centro della camerata, fra le due file di letti, uno spazio abbastanza ampio è occupato da alcuni tavoli e molte sedie ma ciò che attrae la mia attenzione è una grande stufa, davvero strana, composta da un cubo attiguo al quale c’è un armonioso parallelepipedo più alto, con una proporzione piacevole a vedersi. Arguisco che faccia molto freddo perché intorno alla stufa sono assembrati quasi tutti gli uomini in circolazione, essendo gli altri, un po’ meno della metà, a letto. A letto, ma guardo meglio, legati con fasce fissate ai longheroni e serrati alle braccia e ai piedi dei poveri disgraziati: ciò impedisce alle coperte di coprire bene la parte inferiore del corpo creando non pochi disagi agli occupanti che evidentemente devono patire il freddo. Mi aggiro fra i letti ed osservo i visi: davvero strani, direi imbruttiti, dai capelli lunghi e sporchi, dalle barbe mal rasate, sviliti da ghigni sberciati, da occhi torvi e disperati. Guardo fuori da una finestra e vedo un prato irregolare coperto da chiazze di neve, pochi alberi di bassa struttura salvo uno imponente, ancorché le nude braccia paiono disperate, forse una quercia; di là del prato c’è un enorme basso fabbricato di un solo piano che potrebbe esser l’omologo e simmetrico di quello da cui osservo; anche gli altri due lati sono occupati dagli stessi fabbricati, alquanto mal ridotti. Intravedo oltre gli spazi liberi la prosecuzione del prato ed al limite un alto muro sulla sommità del quale insiste un camminamento: vedo un soldato con un pesante copricapo e un fucile a tracolla. 10

10 Guido Ceronetti, La pace di Abelardo e l’inferno di Eloisa, ed. Adelphi, 1988 33


Ritengo che sia una tarda mattinata di un freddo inverno perché si vede non molto alto sull’orizzonte un pallido sole. Ma dove sono finito? Provo ad andare nella costruzione di fronte e vedo la stessa struttura di letti, di latrine, di tavoli e la solita enorme stufa ma gli occupanti sono donne. La più giovane potrebbe avere venti anni ma è totalmente scapigliata e con lo sguardo contorto da far paura, mentre la più vecchia sembra decrepita davvero. Anche qui alcune ospiti, circa la metà, sono legate al letto. Mi sposto di padiglione e scopro che la struttura è identica, solo che le due pareti lunghe sono arredate da una doppia fila di gabbie per accedere alle quali insiste uno stretto corridoio, in corrispondenza delle finestre. Le celle sono arredate con due pagliericci , un tavolo e due sedie ma alcune ospitano un solo soggetto. Nella parte centrale del corridoio la solita stufa, con tavoli e sedie in numero molto ridotto. Qui ci sono solo uomini, perlopiù anziani e molto male in arnese: almeno due stanno facendo i loro bisogni in un lercio cesso abbinato ad un lavandino all’interno della gabbia. Torno alla camerata originaria mentre si apre la inferriata; entra un carrello tirato da due uomini vestiti di un pesante giaccone seguiti da un soldato armato di frusta e di uno strano aggeggio che mi fa venire in mente il bastone con laccio che da noi si usa per accalappiare i cani furiosi. Non capisco che divisa indossi ma di certo sul pesante copricapo in pelo è evidente una patacca metallica con segni rosso – argento. Sul carrello ci sono due pentoloni e sul ripiano sottostante alcune ciotole con caraffe e boccali ed una cesta con piccoli pani. I due inservienti posano sul tavolo quattro ciotole, quattro boccali di latta, una caraffa d’acqua ed un’altra più grande con birra (lo arguisco dalla schiuma giallognola) alcune pagnotte e usando un mestolo mettono un brodo spesso di rozze verdure; nella stessa ciotola lasciano cadere un pezzo di carne che infilzano dall’altro paiolo. Percorso il corridoio centrale tornano indietro servendo con le stesse modalità, su un tavolino posto accanto al letto occupato. Ma come faranno mai a mangiare costoro, legati come sono? Semplice: sono liberati con una chiave dai lacci del braccio destro ed anche dei piedi onde consentire loro di sedersi sul bordo del letto, non senza che il soldato li minacci a volte con il frustino. Quelli che si sono accomodati ai tavoli, sembra con un certo criterio, mangiano in silenzio mentre i reclusi seduti sul letto sembrano abbastanza furiosi e gridano, imprecano. Uno che ha gettato a terra la ciotola bestemmiando, è raggiunto da una serie di frustate sulle spalle e sulle gambe e brutalmente immobilizzato dai due inservienti prontamente accorsi che non senza schiaffoni e manate sulla testa lo immobilizzano , senza curarsi di coprirlo. Incomincia subito il ritiro delle ciotole e dei bicchieri, penso che tutta l’operazione sia durata meno di quindici minuti. Quando l’altro soldato apre con pesanti chiavi l’inferriata onde far uscire il carrello, lascia entrare una piccola donna, molto rotonda, quasi ben vestita, con lo sguardo buono e dolce, chiudendola dentro. Guardo meglio questa donna: avrà quarantacinque anni, infila un camice azzurro che aveva sul braccio, si ravviva i capelli che in origine dovevano essere biondi e con lo sguardo individua i due letti i cui fruitori non si sono alzati per mangiare. Percorre il corridoio centrale fra l’indifferenza degli uomini che nel frattempo hanno appoggiato la testa sul tavolo per sonnecchiare e si avvicina al primo letto. Vi giace un ragazzo con gli occhi febbricitanti ; la donna domanda: - Com’è che non hai mangiato, oggi?- Ho tanto mal di testa, proprio tanto- risponde. - Dai, forza, qualcosa devi mangiare altrimenti mi spieghi come fai a guarire?- gli dice la donna avvicinandosi ancor più e sollevando prima la testa e poi il cuscino – guarda, prosegue - c’è un bel minestrone di verdura con un pezzo di carne grosso così.- No, non ho fame –dice il ragazzo- piuttosto chiedi perché non è venuto il medico, sono sette giorni che lo aspetto.- Comincia a mangiare qualcosa –dice la donna- e poi ti assicuro che rinnoverò la richiesta . Dai forza, apri la bocca che adesso ti imbocco. D’accordo?Apre il cassetto del tavolino ed estrae un cucchiaio ed un coltello talmente arrotondato che sembra una di quelle palette utilizzate per servire il dolce. Spappola il tozzo di carne, ne prende una metà con il cucchiaio e lo porge al ragazzo che finalmente apre la bocca. - Come è che hai così mal di testa?- chiede. - Non lo so, l’ho sempre avuto, ma adesso il dolore è forte, molto più forte. Se poi sono qui ci sarà pure qualche motivo, no?- dice con sgrazia il ragazzo. - Non so perché, ma se non mangi da qui uscirai su un carrello, non con i piedi- dice sorridendo la donna. Finalmente ha mangiato quasi tutto. - Hai voglia di far pipì?- chiede la donna. - Sì, ma non c’è nessuno a liberarmi- risponde lui. - Aspetta, guardo se c’è qualche inserviente. Comunque adesso vado a lavarti le stoviglie, faccio una visita al letto di fronte e poi chiamo qualcuno.Lascia il letto e và verso la finta cucina, ritorna per porre nel cassetto del comodino le stoviglie; affronta quindi il corridoio quando uno sui trenta anni le butta la mano sul seno e con l’altra le stringe i fianchi. Con uno strattone fa cadere la mano e dice: - Fai attenzione ragazzo, non vorrei dover chiamare la guardia perché sai cosa ti aspetta. Chiaro?-

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- Un corno, io voglio fare l’amore con te, ti penso sempre.- dice l’uomo. - Scordatelo e lasciami andare- risponde lei- Capisco tu abbia delle necessità corporali, capisco anche tu abbia bisogno di una carezza, di un sorriso, di qualcuno che ti pensi, ma credimi, non posso assolutamente rivestire queste funzioni, è purtroppo questa misera condizione che ti tarpa della primordiale funzione di un affetto e credimi ancora, non posso aiutarti, se vuoi ne parliamo uno dei prossimi giorni.Si avvicina così dicendo all’altro letto dove giace uno veramente malandato, smagrito all’inverosimile, i capelli lunghi e sporchi gli coprono parte del viso, gli occhi sbarrati, una mano stretta alla gola avendo spostato la testa verso l’estremità del letto. - Ciao, vuoi mangiare oggi?- chiede la donna. - No, non voglio più mangiare questo schifo, voglio lasciarmi morire, non ne voglio più sapere.- dice lui. La donna sposta i capelli e tocca la fronte: visto che non è legato alza le coperte dal suo lato, prende le due smilze gambe e le fa roteare tirando su il braccio opposto. Dopo averlo coperto dice: - Cosa mai vai dicendo: pensi che a qualcuno interessino i tuoi dispetti? Anzi, ascoltami, mangia apposta per fare loro dispetto. Ti prego mangia, io ti aiuto.- No, non voglio più mangiare- risponde. - Almeno un sorso di birra lo vuoi?- chiede lei cambiando voce. - Ma quella sarà mai birra! Tu sei donna e non capisci cosa vuol dire birra: è tutta altra cosa.- bofonchia. - Allora comincia ad aprire la bocca- così dicendo mette il cucchiaio colmo di minestra vicino alle labbra –Dai apri, altrimenti… .- Tu mi devi spiegare chi ti fa fare questo, sei pagata?- dice ingerendo la minestra. - No, non sono pagata, vengo qua per essere utile a qualcuno, visto che mio marito è scappato ed i miei figli non ne vogliono più sapere di me. Chissà che qui non incassi un qualche grazie, ogni tanto!- risponde la donna. - Io potrei ringraziarti, ma come faccio visto che odio la vita e tu mi costringi a mantenerla?- dice stridulo lui. Mentre i cucchiai un po’ per volta si dirigono nella giusta direzione e sono accettati, lei dice: - Non ho capito se mi hai ringraziato, perché l’hai detto ma non l’hai detto.- Ti ho ringraziato, come vivente. Come morituro mi stai rovinando i piani.- risponde l’uomo. - Adesso mi dici quanti anni devi restare qui- domanda la donna. - Di anni ne ho trentaquattro, mal spesi, e qui devo stare ancora otto anni. Troppi, è meglio crepare prima.- dice lui. - Non dire sciocchezze –replica la donna- Peserai sì e no trenta chili, cerca di reagire perché quando uscirai, la vita comincia appena.Si allontana con un sorriso e gli accomoda le coperte sulle spalle in modo che gli coprano anche il petto e la parte superiore delle gambe, si avvia quindi verso le inferriate dell’uscita e dice all’inserviente che dietro alla scalcinata scrivania sta leggendo una rivista: - Guarda che il numero ventuno deve scendere a fare pipì e… poi volevo ricordarti di chiamare il medico perché ha un forte dolore alla testa.- Senti bene, non mi rompere –risponde l’inserviente senza alzar la testa dal giornaletto- Sono solo e non posso abbandonare il posto. Ha solo da pisciarsi addosso, intanto non senti la puzza? D’estate ci vuole la maschera a gas! Dimmi solo se vuoi uscire e buon viaggio.- Non esco ancora- risponde indispettita la donna –Non mi hai detto niente del medico.Secco l’inserviente si alza e grida: -Adesso basta, mi hai rotto. Il medico dovrebbe essere sempre presente. Viene invece un mattino ogni quindici giorni, li bomba a dovere e scappa. Fatti furba, cosa vieni a perdere il tempo qui dentro, vai a cercare un amichetto e falla finita.La donna si gira risentita e va verso il primo assistito, vede una pozza d’acqua sotto il letto: ha gli occhi sbarrati, persi nel vuoto, totalmente assente. Gli si avvicina e risistema le coperte anche perché la stufa da un bel po’ ha smesso di scaldare. Va quindi verso la corsia principale e vede stravaccato su una sedia un uomo di oltre settanta anni, molto grasso, anzi, solo flaccido. Sta lì tutto solo con gli occhi rivolti alla lontana finestra ma con lampi di curiosità ad inseguire il breve volo di un uccelletto. Gli si avvicina prendendo una sedia e dice: - Buon pomeriggio a te.- Grazie, sei gentile, ma non sospettando alternative non capisco come potrebbe prospettarsi buono questo pomeriggio. Fra l’altro fa un freddo cane qui.- Indicami il tuo letto e vado a prendere una coperta- dice sorridendo la donna. - Non mi sembra vero; è proprio questo qui davanti, ma dacché vuoi essere gentile, prendi due coperte, perché ho freddo ai piedi- dice il flaccido con uno stentato sorriso. - Ecco qui –dice la donna- se vuoi ti metto una sedia davanti così ti avvolgo le gambe- Non posso alzare le gambe –risponde- ma fammi girare la coperta sotto i piedi, per cortesia.- Certo, ecco fatto –dice lei dopo aver eseguito l’operazione- Se hai voglia mi dici da quanti anni sei qui.-

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- Non ho molta voglia perché sono ricordi dolorosi- risponde lui- Ma sei simpatica, almeno rompo il mio isolamento fra questa banda di pazzi. Sono qui da otto anni; prima avevo già girato due istituti per, per… , per ventisette anni.- Tanto così? Cosa avresti fatto di talmente grave?- domanda la donna incuriosita. - Ad essere sincero non lo so: sono nato e cresciuto in un piccolo villaggio di proprietà di un principe del sacro romano impero, mai visto il principe, neanche in fotografia. Ho frequentato le piccole scuole e sarei dovuto andare ad Opisex per il ginnasio perché le maestre dicevano un gran bene di me, ma il babbo si ammalò e dovetti sostituirlo nel lavoro. Ero felice perché ero un ragazzetto ma scoppiò la guerra ed il nostro villaggio fu privato dei giovani più forti, quelli che svolgevano il grosso del lavoro. Il babbo morì e dopo due anni anche la mamma si ammalò e morì in breve tempo. Mi trovai ai quindici anni a provvedere ai due fratelli più piccoli; la guerra ci passò vicino, ma il gran parlare che se ne faceva era terrorizzante. Finalmente finì e la grande proprietà del principe passò nelle mani del partito , le chiamavano kulaks le nostra comunità. Ci ho messo poco a capire che eravamo caduti nella brace: giovani tecnocrati venivano a comandarci, sempre alle calcagna, non capivano niente delle nostre coltivazioni ma pontificavano e facevano eseguire lavori che il buon senso vivamente sconsigliava. Intanto nel tempo libero andavo nella casa dell’ex fattore, diciamo così padronale, a leggermi i molti libri che erano stati buttati in una cantina raggiungibile dall’esterno. Mi innamorai di una bella ragazza di tre anni più piccola e la sposai anche perché avevo bisogno di qualcuno che accudisse la casa ed i fratelli più piccoli. Siamo stati felici per alcuni anni, abbiamo generato due gemelli maschi e, dopo tre anni, una bambina. Mi piaceva scrivere, comporre poesie. Roba da poco, tanto così per declamare alle feste del villaggio. Ma continuavo a leggere di nascosto i libri della cantina. Le mie poesie crescevano d’intensità e fui mandato ad un concorso a Pilsen e, qualche anno dopo ad una manifestazione letteraria nella magnifica Praga, che non avevo mai vista. Evitai il servizio militare perché orfano e perché avevo già due bambini ed anche perché lì lavoravo duro, eccome. I comandanti del nostro kulaks cambiavano ogni due o tre anni ed era sempre più difficile soddisfarli. D’estate facevo le mie dieci ore al giorno, trovavo il tempo per l’orto e per la provvista della legna, ero felice, anche perché sempre mi girava per la testa qualche verso il cui suono mi piaceva, riuscivo a collegarlo con altri versi, riuscivo a disegnare e poi scrivere qualche poesia che mi riempiva di gioia. Incominciai a trovarmi negli spacci della ricreazione, raramente a giocare a carte, raramente a declamare le mie poesie, soprattutto a bere. Si sa come va a finire dopo la quarta birra… , volano parole grosse, salta fuori l’invidia, vengono fuori i sensi più nascosti, si menano le mani, a volte. L’amore per mia moglie era finito, ci sopportavamo a malapena, i bambini crescevano con un certo disagio, ma crescevano. Successe d’improvviso: la sera prima dell’antica festa del ringraziamento venne di nascosto il nostro pope che ormai faceva il contadino nel villaggio vicino, celebrò di nascosto l’ufficio, invocò su di noi la benedizione ma appena uscì dalla tettoia fu arrestato. Ci disperdemmo in fretta ed il mattino dopo, vestiti alla festa, andammo alla riunione generale della nostra comunità. Furono celebrati i più rigorosi discorsi di circostanza con i capi venuti da lontano e furono premiati i migliori, c’ero anch’io in quel gruppo; fu disposto un solenne brindisi e mentre le donne si assentavano per finire di preparare il pranzo ed i bambini avevano ormai rotto il protocollo saltando come grilli, fui solennemente chiamato sul palco per la dizione di una delle mie poesie: ero preparato al fatto. Estrassi dalla tasca il foglio con un lungo testo sul lavoro dei campi, sul miracolo della natura, sulla gioia del comune vivere, sul domani sereno. Mi ricordai però di un altro foglio, di uno scritto concepito nella notte e lessi quello. Il titolo era Libertà. Tutti ma proprio tutti mi applaudirono festosi : finì la cerimonia ed andammo alla enorme tavolata preparata lungo la strada, in mezzo alla doppia fila di case. Gran baldoria, gran mangiate, gran bevute fin quando incominciò la musica con le più belle arie della nostra antica terra. Giochi per i ragazzi ed i bambini, mosca cieca per le ragazze da marito, grande festa insomma. Il mattino dopo mi presentai al furgone che ci portava ad una piantagione lontana quando il capo villaggio mi ferma e mi ordina di seguirlo: gran brutta faccia aveva, ma eravamo amici, la sera prima avevamo a lungo scherzato e soprattutto bevuto insieme. Mi ordinò di salire su una macchina grigia dove due funzionari dal cappello rigido mi attendevano: via di corsa alla stazione e imbarco immediato su un vagone con sbarre ai finestrini, con quattro soldati armati. Inutile chiedere, nessuno sapeva niente. Arrivai a Praga, nel frattempo erano stati fatti salire a calcioni altre sei disgraziati raccolti sul tragitto; fui gettato in una cantina umida e scura e per tre giorni non vidi anima viva né mangiai un tozzo di pane. Fui poi fatto emergere alla luce in uno squallido ufficio pieno di fumo, con cinque o sei persone in borghese che per saluto mi presero a calci e pugni. Invano chiesi spiegazioni; dopo un bel po’ arrivò un tipo molto serio e ben vestito, con una cartella arancione. - Sei tu Jans Kroskyi ? –mi chiese. - Sì, certo sono io, non vi sarete sbagliati?- dissi. - Silenzio, qui le domande le faccio io. Sei tu che durante i lavori nei campi inciti i tuoi compagni a rimirare le albe e a lodare Dio per la sua potenza?-

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Rimasi allibito e risposi: - Puoi esserne certo, chiunque ben pensante di fronte a certi spettacoli della natura…- Allora è vero, lo stai ammettendo –riprende il funzionario- Ma sei tu che avevi i rapporti con Anselm, quella specie di pope?- No –risposi-Tutti noi andiamo a cercarlo quando bisogna.- Sei tu che sapevi sempre quando e dove trovarlo e dirigevi gli incontri dei tuoi compagni?- dice secco. - No, io lo vedevo con una certa frequenza e se qualcuno mi interrogava rispondevo.- dissi. - La fai facile tu –riprende il funzionario- ma ignoravi forse che ogni forma di religione, qualunque essa sia, è rigorosamente vietata? Non solo, ma sapevi, come sai, che il tuo obbligo era quello di denunciare simili espressioni religiose?Capii subito che le cose stavano prendendo una brutta piega, che qualche ruffiano mi aveva denunciato, ma chi? , che la nostra falsa amicizia e comunanza di fatiche mascherava un qualche furfante pronto a vendermi per due soldi e dissi: - Non penso, non pensiamo di aver fatto nulla di male a consultare, a parlare con un amico che conosciamo da sempre, dai tempi della scuola quando lui era il nostro maestro.- Questo lo pensi tu, disgraziato –alzò la voce il funzionario- adesso fuori i nomi, fuori tutti i nomi di quelli che come te vanno a pietire le loro miserie presso un nemico del popolo. Chiaro? E tu –disse rivolgendosi ad uno che era alla scrivania sistemata alle mie spalle- prendi nota dei nomi.- Io non ho nessun nome da fare, proprio nessuno. Tutti o quasi tutti andavamo a trovare il pope. L’unico nome che vorrei fare è quello della spia che mi ha venduto.- Spia? – mi diede una sberla da farmi cadere a lato, a terra –Ruffiano a chi ha adempiuto il suo dovere?Da dietro mi arrivarono due calci nella schiena, uno dei quali colpì in pieno un rene, tale da farmi rotolare in contorsione sull’assito. - Alzatelo questo furbastro- ordinò il funzionario- e prendetelo a calci fin quando non saltano fuori i nomi. Adesso mi assento, ma dateci dentro.A quel punto mi caricarono di botte, anche con tubi di gomma, con manganelli, con calci nei genitali finché venni meno per il dolore. Quando aprii gli occhi la luce dalla finestra si era molto attenuata e mi trovai disteso carponi a terra. Provai ad alzarmi contro il muro ma un dolore terribile al fianco destro me lo impediva: c’erano solo due sbirri che fumavano, seduti ad una certa distanza. Si aprì la porta ed entrò il funzionario con la solita cartellina arancione, seguito da tre sbirri uno dei quali in uniforme, ma senza cappello. Accese la luce e rivolgendosi ai due che nel frattempo si erano alzati, quasi sugli attenti, chiese: - Sono venuti fuori questi nomi?- Signor no.- la risposta. - Peggio per lui: stasera lo portate alla sezione F così gli danno una svegliata. Mettetelo in piedi!Mi alzarono di brutto ma dovettero sorreggermi. Dissi: -Ho fame, ho molta sete.-Ah! Il signorino ha fame ed anche sete. Certo noi siamo qui per ingraziarci i traditori, questa è nuova- fu la gelida risposta. - Tu –disse rivolto allo sbirro che era sempre rimasto nella stanza –hai verbalizzato tutto per il signor giudice?- Signor sì – rispose quello. - Ed allora scrivi questa domanda –si girò verso di me avvicinandosi fino a farmi sentire il suo odore. --E questa specie di ode intitolata Libertà l’hai scritta tu o ti è arrivata da chi so io?-L’ho scritta io, la notte precedente.- risposi. - Sei sicuro? E allora dimmela, se hai il coraggio- mi sfidò. - Non la ricordo – risposi - nei termini esatti.- Ah! , non la ricordi? Strano, davvero strano e pensare che il giudice che l’ha letta l’ha ritenuta molto interessante; per sistemarti a dovere, però. Non la ricordi? –chiese ancora. - No, non la ricordo bene- risposi. - Va bene, portatelo alla sezione F , la memoria ritornerà.- Ma che storia mi racconti, amico mio?- lo interroga la donna che non aveva perso un solo fiato del discorso –Adesso devo scappare, perché altrimenti non mi fanno più uscire, ma ritornerò domani, per il pranzo, d’accordo? Ciao, a domani- e quasi scusandosi scappa verso l’inferriata volgendosi più volte indietro.

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Cap. 13

il manicomio

Non so come comportarmi ma decido di aspettare in questo luogo il mezzogiorno successivo per assistere ancora al colloquio. Giro in lungo e largo per i quattro reparti e vedo sommarie pulizie corporali, vedo violenze del tutto gratuite distribuite a chi capita, mi aggiro nella palazzina degli uffici e nello stanzone del comando dove soldati e personale infermieristico gozzovigliano, si ubriacano, si scambiano alcune grossolane smancerie , del tutto indifferenti alle grida ed ai lamenti provenienti da ogni dove. La cena è ancor più sbrigativa del pranzo, termina con un pieno di segatura nella stufa e con un rapido scambio di monete di alcuni pazienti con la guardia, infine con lo spegnimento dell’unica luce. Verso mezzanotte due sbirri eseguendo le ispezioni, prelevano una donna anzianotta alquanto mal ridotta dal reparto femminile e mettendole una coperta sulle spalle la accompagnano in quello maschile, quello con i letti senza sbarre e sembrano indicare dei nomi o numeri. La lasciano lì e prelevano un ragazzo molto giovane con lo sguardo inebetito e lo portano, utilizzando la stessa coperta, al capannone femminile. Non ci vuol tanto a capire che entrambi hanno l’incombenza di esprimersi sessualmente e tutto sommato è il male minore ad evitare pratiche meno ortodosse. Non voglio controllare se costoro si attengono scrupolosamente alle indicazioni ricevute. Spunta l’alba, si accende la luce, cambiano i turni, si fanno sommarie pulizie, si alimentano le stufe e riprende una giornata qualsiasi. A mezzogiorno si ripetono le stesse procedure e finalmente arriva la donna grassoccia del giorno prima e va a salutare il poeta. Svolge tre incombenze verso gli ammalati, se n’è aggiunto uno, e poi si avvicina al vecchio. - Eccomi qui –dice- ho pensato molto a quello che mi hai detto ieri, sai?- Sì, te l’ho fatta un po’ lunga, ma sono pronto a stringere i tempi, se vuoi.- risponde lui. - No dimmi pure, ti ascolto con interesse.- dice la donna. - La storia degli interrogatori è stata lunga e piena di botte, sevizie, prolungati digiuni. Finalmente arriva il giorno del processo, penso sei o sette mesi dopo. Il mio avvocato, cioè un bieco funzionario, colui che avrebbe dovuto difendermi,

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mi aggiorna sul fatto che mia moglie ed i bambini erano stati cacciati dal villaggio perché io non lavoravo più per cui non avevano il diritto di occupare la casa; però mia moglie con grida, implorazioni, pianti e non so cos’altro, avrebbe ottenuto di occuparsi della mensa scolastica e delle pulizie nella villa del comando purché, e questi erano gli accordi, non si opponesse a che io fossi dichiarato pazzo e rinchiuso in manicomio, a vita. L’udienza fu breve ed il giudice che interrogò mia moglie, dopo avermi venduto neanche aveva girato gli occhi verso me, si fece raccontare e confermare i miei strani atteggiamenti quali le sbronze, il cospirare occulto, il ricorrere sovente al pope, i fastidi che arrecavo sul lavoro ai compagni facendo strani discorsi ed altre meschinità. Fui condannato al manicomio perenne.- Ti sei difeso?- interviene la donna. - Non aprii bocca, primo perché le botte mi avevano fiaccato il corpo e poi perché avevo capito che tutto era stato concordato, pattuito, pagato.- I tuoi figli li hai ancora visti?- chiede lei. - Ho visto uno dei gemelli, penso quindici anni fa: disse che sarebbe emigrato clandestinamente con il fratello a Monaco, in Baviera, perché la loro mamma si era messa con uno che aveva aperto un moderno spaccio al villaggio- mi riferisce sconsolato. - E tua figlia?- chiede la donna. - Sparita –risponde triste- non ho idea chi sia.- Lo sai che il regime è crollato, che c’è aria nuova là fuori? I tuoi vecchi compagni si sono fatti vivi?- domanda lei. - Spariti –risponde- tutti spariti come neve al sole. Ma succede sempre così: prima ti applaudono, ti chiedono consiglio, ti coinvolgono in idee, solo idee, di cambiare il mondo, di fare la rivoluzione, di proporti come loro capo, di un bel niente di niente.- Tu hai ancora scritto poesie?- lo interroga incuriosita la donna. - All’ inizio ero ospite, si fa per dire, di sezioni a stretto regime perché pensavano fossi pazzo con l’aggravante sovversiva. Poi ho potuto scrivere qualcosa ma in concomitanza del cambio di un direttore sanitario tutti i miei fogli furono sequestrati …per controlli. Non scrivo più, non ci vedo, sono immerso in un mondo di pazzi perciò mi adeguo all’ambiente, cosa vuoi!- risponde rassegnato con un mesto sorriso. - No, tu sei un poeta. Cosa vuol dire poesia per te?- Lo incalza interessata la donna avvicinando la sedia. - Mah! La poesia è proprio l’espressione dei pazzi, di chi vede di là dell’apparente, di chi crea nuovi concetti, di chi interpreta i segni della natura, di chi soffre, sì soffre perché la poesia è manifestazione di dolore, di sofferenza se non fisica, almeno intellettuale. Il poeta è un incompreso, a volte è fastidioso, di sicuro è scomodo perché denuncia i limiti dell’umana avventura, è un emarginato, è uno cui raramente si presta ascolto, anzi da sempre si seguono i criteri opposti a quelli enunciati.- Ricordi il testo di Libertà ?- chiede lei. - Certo, lo ricordo perfettamente ma non lo ripeterò mai perché è stata la pietra dello scandalo, l’indice del mio fallimento umano, il mio azzeramento fisico ed espressivo- risponde triste. - Scusami Maestro –dice lei- posso chiamarti così?- Maestro di che cosa? Degli imbecilli? No, neanche di quelli, come vedi, sto al loro gioco- risponde Jans. - Scusami, non sono d’accordo, potresti però dirmi cos’è la vita secondo te- domanda lei avvicinandosi ancor di più al poeta, quasi temesse di perdere le parole. - Bella domanda –dice lui sorridendo con gli occhi- e tu vieni a chiedere ad uno come me che da trentasei anni è immerso in queste miserie umane, e tu vieni a chiederlo a me? Ma voglio risponderti lo stesso proprio adesso che potrei andarmene, ma non so dove andare, in base alle loro carte, così mi è stato detto, non sono pazzo, non lo sono mai stato. Voglio che tu vada a denunciarmi di pazzia così mi lasciano in pace, finalmente. Cos’ è la vita, mi hai chiesto? La vita è un soffio, un soffio metafisico, anzi un soffio originario, fondante, creativo. La vita è misericordia. Ti vedo molto perplessa, vuoi che vada avanti … o mi fermo?- Mi stupisci sì, ma prosegui, ti prego!- dice lei. - Misericordia significa per definizione Amore. La vita presuppone sempre due elementi che si ammalano sentimentalmente e ciò si appalesa, grandioso regalo della natura, con l’attrattiva ed il piacere fisico finalizzati a donare una nuova vita. Quindi la vita è dono. Arriva la vita e per un bambino si gioisce, si fa gran festa. Bisognerebbe compiangerlo, per le sue sventure, eccome. Tutti conoscono le sventure, tutti sanno del proprio affanno, della perenne insoddisfazione, dell’ansia per ogni scoglio sul cammino. Al bambino che cresce non si dicono queste cose, no, gli si insegna a diventare forte nella corsa, ed anche a cogliere le opportunità aiutandolo con i molti giochi a ciò finalizzati.

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Ci si dimentica di insegnare la pace interiore, il gusto del bello, la gioia delle cose giuste, l’assurdità di praticare e coltivare l’avidità, dell’evitare di correre con il ladro. Tutte le cose periscono, le ricchezze non si portano via, le grida d’onore dei correi svaniscono. Solo la giustizia ha valore e peso. Il desiderio nasce con la vita. Quale è il bambino che non fai felice quando gli tasti i muscoli? Bene: si dovrebbe insegnare loro che i desideri sono naturali, umani, leciti ma che il vero esercizio da assimilare è quello di non esser schiavi dei desideri, anzi il vero valore sta nel saperli dominare. La vita è salute: quello che dovrà accadere al nostro corpo non è dato di sapere perché è un dono, invece bisogna conoscere ciò che è nocivo in senso materiale ma soprattutto spirituale; la salute è nel silenzio degli organi e lo stato di salute corrisponde ad una sorta di inconsapevolezza. La vita è Amore ma solo dall’armonia dei tre amori nasce, si rafforza e si sostanzia. La vita è lavoro, quello occorrente al sopravvivere, nulla più, ma lavoro è anche nutrire lo spirito. La vita è giustizia e solo il filo a piombo indica l’esatta direzione perché solo la rettitudine evita danni alla natura, ai terzi, alla spiritualità. La vita è consapevolezza di avere la pari dignità di un insetto, un fiore, un filo d’erba, una capretta. La vita è elemosina che si dispensa ai meno fortunati senza chiedere nulla in cambio. La vita è carità cioè vive, agisce sulle coscienze, conosce ogni uomo come unico ed inconfondibile, induce al ben operare, se del caso, contro le regole convenzionali. La vita è un mistero… insondabile.Il vecchio tira un lungo sospiro: - Adesso basta, abbi pazienza, sono stanco. Voglio solo più dirti cos’è che rovina la vita: è la noia che spesso sposa la solitudine, il ripetere costante le stesse cose, il non pensare ad alternative, il rifiutare un controllo periodico della direzione di marcia, il lassismo che spalanca la porta agli istinti più biechi e bassi, sub bestiali, perché gli animali rispettano le regole. Tutto questo lo dico a prescindere dalla coatta situazione che da oltre trenta anni mi vede vegetare e languire qui. E’ tutto. - Dovrò pensare parecchio a quello che mi hai detto. Comunque grazie. Per qualche giorno non potrò venire perché ho una grana con mio marito, vuol andarsene di casa, è stanco di me, di tutti noi. Cerco di opporre resistenza ma … tu cosa mi puoi suggerire?- implora la donna. - Lascialo andare –risponde Jans- Intanto non lo fermi. Avrà trovato una donna più fresca di te e pensa di rinnovare i piaceri della vostra giovinezza. Lascialo andare perché intanto ritorna presto, deluso. Se puoi aspettalo.Tace prendendosi la testa con entrambe le mani e ad occhi chiusi conclude: - Sai qual è il colmo di tutto quello che ti ho detto? E’ che tutti, ma proprio tutti, compresi i pazzi qui dentro, condividono questi concetti perché per poco che abbiano riflettuto sono esattamente i loro pensieri. Però è più facile e comodo demandare ad altri l’incombenza di pensare in nostra vece perché chi ci rappresenta, quelli cui andiamo a chiedere consiglio dicono e ci propinano talmente tante stupidaggini, che ognuno si sente giustificato ed appagato nello sbagliare, vale a dire nel seguire la via più comoda. Il criterio più rovinoso ma più diffuso è quello di fare ciò che fanno tutti gli altri. Tutto è in noi, non vogliamo solo cercarlo.La donna si alza e sistema meglio le coperte: lo guarda con occhi pieni di gratitudine, lo bacia sulla fronte e si allontana facendo ripetuti saluti con la mano. -Ah! –dice ancora Jans- sappi che tutti questi disgraziati, presi uno per uno, sono delle grandi personalità, …. anche se forse hanno sbagliato una volta. Addio.-

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Cap. 14

i quaranta anni

Sono solo ed appartato sulla roccia nera, penso sia diventata la mia casa, o forse sono stato incaricato di presidiarla e mi domando: ho incontrato bambini, ragazzi, ragazze, la carnuta, giovani donne, anziani e vecchi, giammai degli uomini adulti, la manifestazione della forza, della maturità. Sarà la morfologia mentale che li esclude dai miei interessi o sarà che sono rari i quarantenni, o sarà che dimorano in un luogo appartato? E’ davvero improba la soluzione di questo dilemma e chiedo la facoltà di incontrarli. Mi trovo immediatamente in una vasta pianura arida e sempre eguale, senza un albero, con rare macchie di cespugli, priva di acqua. Concentro la capacità visiva e scorgo lontano una serie di figure solitarie sparpagliate nell’immensa landa. Sviluppo la capacità uditiva e percepisco un’intensità di lodi forti, risolute, decise. Ah! Allora ci sono: procedo verso il più vicino essere-ombra ma é troppo assorto nel celebrare le lodi per cui lo supero. Vedo sulla sinistra, un po’ lontano, una parvenza certamente virile, un Aiace per intenderci, che sta seduto su una pietra affiorante, chinato in avanti, con la testa fra le mani. - Salve- gli dico. - Benvenuto a te- risponde. - Cercavo un contatto con uno della tua età ed ho dovuto espressamente chiedere di venire qua, dacché non vi si vede in giro –gli dichiaro con molta semplicità. Si alza in piedi e l’ ombra proferisce: - Non mi sono mai posto il problema, forse è come dici tu! Sarà che la moltitudine di noi è morta di causa violenta e brutale, sarà che alcuni sono giunti al termine dei propri giorni per cause accidentali, di certo è che siamo un popolo di falliti, ed è per questo che ci isoliamo volentieri.-

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- Cosa dici –rispondo prontamente- Voi rappresentate la forza, la gioventù sulla via della saggezza, il nerbo di tutta l’umanità procreatrice, i trasmettitori dei valori sociali, la vis11 del genere umano.Risponde l’Aiace: - Questa è l’immagine che ti sei fatto materializzando: tutti quelli che si trovano qui non amano raggrupparsi, hanno vinto una qualche battaglia ideale, ma di fatto, sono stati incapaci di realizzare i progetti, hanno vanificato la forza, sono stati traditi da qualcuno geloso e, nel caso specifico, per motivi dinastici, ma si può pensare qualcosa di più folle? , sono stato eliminato con una banale ascia.- Ciò suona stonato- commento. - Infatti –continua lui- appare del tutto fuori della realtà. La fantasia più sfrenata, l’assurdità della più insulsa letteratura non avrebbe potuto immaginare ciò. Ero in buona fede, in perfetta buona fede e sincerità di cuore, conducevo pacatamente la mia vita in modo non empio, cercavo la felicità dei miei cari e degli operai, ma il tarlo dell’invidia e della superbia sconvolsero le menti delle persone a me più prossime. Ero il cadetto di una famiglia quasi nobile d’origine irlandese, si diceva discendessimo dai celti e mio nonno in epoca vittoriana si avventurò nella conquista della terra ora chiamata Canada, al seguito del colonialismo allora imperante, avevamo una grande proprietà i cui coltivi erano adibiti a scarsi cereali ma soprattutto una foresta grande come un regno e gli alberi più ricchi ed opulenti che si possano immaginare. Mi occupavo fattivamente della coltivazione della foresta, nel senso che con dieci capisquadra indigeni risalivo in primavera il fiume con i battelli dei mercanti e provvedevamo al taglio degli alberi per ricavare dei fusti, utilizzando molta manodopera locale. Mi spostavo a cavallo fra le varie squadre e vivevo felice per sette mesi l’anno; prima del gelo trascinavamo i fusti nella corrente guidandoli con agili barche. Mio fratello viveva nella città-porto e si occupava delle segherie finalmente azionate da una derivazione delle acque del grande fiume utilizzando un rotore. Si occupava del commercio del legname. Avevo una deliziosa moglie che aveva generato due bambine e al ritorno dalla campagna si faceva una grande festa di ringraziamento. Mio fratello nel tempo che gli restava frequentava i circoli mercantili ed i concerti, ascoltava le voci ed i rumori riferiti dai viaggiatori circa la grande rivoluzione che il vecchio mondo aveva realizzato con l’uso delle macchine. Disgraziatamente non aveva figli e sua moglie, di acclarata nobiltà bretone, era una persona insulsa, priva di sentimenti e disegni. Le mie lunghe assenze, la vanità di mia moglie, la prospettiva di generare un figlio maschio, compirono un disegno perverso; mia cognata morì di un improvviso mal di pancia. La notorietà della nostra famiglia fece sorvolare sulla vera natura del malessere. Restavo io e proprio in quella campagna di disboscamento all’est fui aggredito a colpi d’ascia dal mio capo operaio, la sera in cui festeggiavamo con una lauta cena a base di cacciagione il mio compleanno. I colpi non furono mortali per cui i miei rantoli indussero costui a confessare, con le lacrime agli occhi, l’incombenza che gli era stata affidata dietro la promessa dell’autonomia per i futuri disboscamenti. Perdonai il suo atto e crepai, sulla riva del grande fiume. Non avevo, penso, colpa alcuna come non ne addebito al mio assassino, salvo la cupidigia, non so né voglio sapere se mia moglie fosse connivente, spero e mi auguro che le mie figlie siano state all’oscuro della trama fratricida. Sostanzialmente sono colpevole per aver trascurato la mia famiglia, avrei potuto demandare ad altri le campagne annuali, ma tant‘ é, é successo ed è inutile recriminare sul fallimento della vita.- Che strana vicenda –commento io- ma chi sono i tuoi compagni in questa landa?- Sono delle più disparate razze, etnie, popoli, sono sostanzialmente dei vinti, ma anche dei vincitori perché la loro buona fede li ha fatti approdare qui. Ci sono molti militari costretti a quel mestiere infame, ci sono figure di conquistatori della scienza, c’è, l’ho incontrato poco fa, un magistrato ucciso dai compari di un condannato, c’è la gente più comune. Cosa vuoi, in questa fascia d’età si è al massimo della forza e si è già acquisita una certa buona esperienza: la troppa sicurezza di sé fa però compiere delle leggerezze, delle sottovalutazioni oggettive.- E’ vero, molto vero quello che dici –intervengo - Ma cosa pensi, cosa pensate del momento attuale?- Quando raramente ci incontriamo ragioniamo di queste cose –risponde lui- e generalmente conveniamo, per quanto ci consta della terra, che sono sì forti e ricchi d’esperienza, ma privi di quella avvedutezza e perspicacia che gli smaliziati maggiori d’età sanno esprimere. Sono in pratica messi in quarantena, in coltivazione, nell’attesa di poter manifestare le loro qualità: non tutti però perché i furbastri ed i privi di scrupoli non esitano a utilizzare manovre più sbrigative. Questo per i parametri terrestri, non qui naturalmente.- Sei tornato amico mio –gli chiedo- sulla terra a vedere la tua casa, i tuoi discendenti, l’evoluzione della tua vicenda?- No, non ci ho mai pensato –risponde placido - sono qui a celebrare l’amore, non le recriminazioni, solo le tue domande mi hanno indotto a rivangare nel mio passato terrestre.- Hai ragione –mi scuso- ma non so perché ti ho fatto simili domande. Invece saresti interessato a partecipare, ad assistere alla evoluzione di alcuni bambini che hanno avuto un’esperienza terrestre per crescere, per formarsi?- Ben volentieri – risponde pronto. - Perfetto, quando giungerà l’ora ti chiamo- concludo ringraziandolo per la disponibilità. 11

11 forza, potenza, energia. Orazio, Ars 39 42


Mi allontano lentamente verso una macchia verde poco lontana, mi unisco nella celebrazione delle lodi e non posso evitare una serie ripetuta di fulmini che devastano il cielo. Ci saranno gravi motivazioni per questo intensificarsi del fenomeno? Apparentemente no perché il corso del sole sulla terra lascia a turno al riposo una parte degli uomini, almeno dormissero.

Cap. 15

la coscienza civile

Mi sento chiamare da una voce che m’invita ad incontrare il pope e di nuovo mi trovo sul bel promontorio immerso fra le verdi acque; vedo il pope con la bostoniana ed appare anche la carnuta. - Ciao a tutti- dico e le loro risposte non tardano ad arrivare. - Dunque –esordisce il pope- eravamo arrivati al concetto di gratuità, da non confondere con l’elemosina perché questa ultima presuppone quasi sempre il credere in Dio, quindi un atto d’amore verso i più poveri , i bisognosi: qualcuno sulla terra dice che l’elemosina è un prestito fatto a Dio. Come sappiamo non tutti hanno però il dono della fede. La gratuità invece è aperta a tutti.- Certo –interviene la carnuta- è come se una mamma facesse pagare al proprio infante l’ingrata operazione di pulirlo dalla cacca, vi pare?- Quasi esatto, è una disponibilità, un offrire i propri servigi ad uno sconosciuto, ad uno non individuabile, senza alcun tornaconto, salvo l’attesa, non perentoria che qualcun altro usi la stessa cortesia- dice la bostoniana. Il barbuto pope si rivolge a me: - Tu avevi fatto qualcosa in quel senso sulla terra, vuoi parlarcene?Rispondo: -In effetti ci ho lavorato parecchi anni: si trattava di utilizzare un telefonino, avete visto come sulla terra tutti siano dotati di questo quasi sempre utile strumento, per effettuare ogni sorta di pagamento trasferendo il proprio credito alla persona che ha prestato un servizio o ceduto una merce. Ma sarebbe anche servito a pagare tutte quelle utenze relative a forniture e prestazione di servizi che si regolano tramite banca, con dei costi di per sé minimi ma, moltiplicati per miliardi di transazioni, arricchiscono le banche, eccome . Ciò che avevo ideato era e doveva essere

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gratuito e nel caso di pagamento utenze avrebbe comportato uno sconto motivato dal minor costo bancario a carico delle aziende fornitrici. Ne parlai a decine, forse centinaia di operatori economici, compresa una banca fregiantesi dell’attributo etico, ma appena capivano che non ci avrebbero ricavato alcun beneficio, la solita moneta, lasciavano perdere la cosa. E’ stato uno dei miei tanti fallimenti, pazienza.La bostoniana dimostrando vivo interesse, forse perché conosce concretamente il concetto e l’uso di un telefonino, di un’utenza, dice: -Davvero stimolante perché i piccoli costi che avresti fatto risparmiare ai tanti, sono una delle piaghe che impoveriscono la moltitudine. Da una parte si distribuisce lo stipendio, il salario, dall’ altra lo si prosciuga.Intervengo ancora: -Ma prima ancora avevo ideato uno strumento finanziario basato sulla gratuità che con leggerezza offrii ad una banca che lo carpì snaturandolo: li trascinai in tribunale ma la sentenza dopo cinque lunghi e sofferti anni sanzionò il mio essere un imbecille millantatore.Dice la carnuta: -Per le frequentazioni che ogni tanto realizzo sulla terra ho notato l’enorme differenza nella distribuzione della ricchezza e come questa sia in realtà concentrata in poche mani: la più parte degli uomini vive in ristrettezze, è costretta a svolgere più lavori, se riesce a rubacchiare qualcosa non ci pensa due volte, il tutto per far fronte a bisogni reali ma anche a quelli indotti o addirittura imposti. E' possibile che gli uomini non reagiscano, non facciano niente, continuino a subire?Risponde la bostoniana: -Qualcosa sta muovendo, la coscienza civile sta lavorando, ma sono i pilastri, i presupposti concettuali e reali che frenano l’evoluzione verso una più equa distribuzione dei valori: è come smuovere un’acqua torbida, lascia pur sempre il fondo limaccioso. Adesso vi faccio alcuni esempi. Ci sono aziende nelle quali il salario dell’ultimo arrivato è mille volte inferiore a quello del capo. Sarà che costui lavora mille volte tanto? Se decidessero gli uomini che il rapporto uno a cinque è adeguato, la distribuzione della moneta sarebbe ben diversa, non vi pare? Ci sono pensionati in pratica persone che hanno cessato l’attività lavorativa che in base al criterio sopra accennato percepiscono delle rendite vitalizie con le stesse proporzioni: quelli che hanno poco guadagnato nella vita finiscono la stessa in miseria, fra gli stenti e gli altri, ugualmente impotenti, languono con buona pace delle succulente rendite vanificate dalla decrepitézza. A monte ci sono però ben altre incongruenze , a livello politico generale: chi si occupa della cosa pubblica dovrebbe farlo a titolo gratuito, potrebbe al massimo essere aiutato volontariamente da chi l’ha incaricato dell’incombenza e dovrebbe non aver superato i quarantacinque anni assolvendo quel compito una sola volta. Al termine dovrebbe dimostrare di non aver rubato, pena la sottrazione del maltolto ed il pubblico disprezzo, per tornare alla attività originaria. Le assemblee legislative dovrebbero essere inibite a chi ha compiuto sessanta anni, già i romani non convocavano al senato tali soggetti, perché occorrono prestazioni intellettuali e prestazioni fisiche, lucidità, rapidità di giudizio. Ci sono grossi freni, eccome, prima di tutto da parte di chi dovrebbe fare largo ai giovani. I capitali, questa maledetta moneta, sono di un’entità folle, inimmaginabile e sono fermi, oziosi, sono sanguisughe che assorbono il poco dei miseri, sono, voi avete fatto l’analisi dei patrimoni delle gerarchie religiose, delle bestemmie agli occhi di Dio.- Cara bostoniana –intervengo- sono gli uomini che devono acconciarsi e disporsi a fare ciò: la diffusione del concetto di gratuità è senz’altro un cuneo infilato in quella mostruosa massa di ricchezze inoperose. Pensate, cari amici, che nel paese in cui vivevo esistono delle istituzioni denominate fondazioni che distribuiscono parte dei propri utili con criteri assolutamente clientelari e faziosi. Ora tutte quelle fondazioni che hanno accumulato ricchezze spropositate praticando condizioni sfavorevoli, nel senso che avrebbero potuto applicarle migliori comprimendo cioè gli utili, e nei cui statuti fondanti è prevista la solidarietà, la socialità, il bene della comunità, dovrebbero essere private dell’empio patrimonio a favore delle realtà pubbliche locali con l’obiettivo di ridurne l’indebitamento liberando con ciò risorse per la comunità intera. Proposi ciò ma mi risero in faccia. Pazienza, anche in questo caso.- Certo –esprime il barbuto pope- alcuni lottano strenuamente per non essere estromessi dalla festa, dal prestigio e dall’autorevolezza di cui impropriamente godono. In effetti ciò che stupisce , con l’istruzione abbastanza diffusa e con la facilità con cui si trasmettono le pur manipolate idee, quello che stupisce, dicevo, è l’inerzia dei giovani, il loro subire passivamente, il loro essere soggetti al blaterare di chi li comanda senza convincimento, anzi con perversione.Chiedo la parola: - Sono stato recentemente in contatto con un quarantenne: si riteneva, lui come gli altri coetanei, un fallito, un non realizzato, pensava di non aver potuto esprimere la propria potenzialità. E’ davvero uno spreco di risorse: ci sono state epoche storiche in cui a quell’età si moriva di vecchiaia ed adesso per quelli operativi sulla terra mancano gli spazi d’espressività. L’altra svolta temporalmente abbastanza vicina sarà la scoperta ed il conseguente utilizzo di una nuova fonte di energia derivata dall’ idrogeno spremuto con il magnetismo, assolutamente naturale e gratuita che sostituirà le odierne onerose e nefaste forze.E’ da un po’ che vedo la carnuta pensierosa e leggermente alterata ed allora chiedo spiegazioni. Risponde:

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- Ho l’impressione amici che siamo scappati dal seminato nel senso che facciamo tante parole su una materia circa la quale il nostro potere è nullo. Scusate se ve lo dico ma paiono esercizi oziosi, vale a dire solo chiacchiere, accentuazione delle troppe negatività.Ci guardiamo bene ed il pope dice: -Hai ragione giovane carnuta, hai detto una cosa saggia ma sai i nostri amici sono ancora troppo intrisi dei recenti ricordi terrestri e fremono per porre rimedio alle eccessive ingiustizie. Noi però dobbiamo comprenderli, non emendarli. Ti dirò anche che abbiamo forse compiuto una speculazione verbosa ma c’è un passaggio fondamentale, sostanziale che per lunga pratica è celebrato senza pensare né tanto meno assimilare il significato reale ed effettivo là dove si canta Ha dispiegato la forza del suo braccio e confuso i pensieri dei superbi. Egli ha sversato dal trono i potenti ed ha innalzato gli umili. Ha riempito di beni coloro che erano affamati e rinviato con le mani vuote coloro che erano nell’abbondanza .12- Non intendevo dire ciò –risponde la carnuta- Ma gli è che qui noi abbiamo altre incombenze e per nostra fortuna non possediamo moneta alcuna e di certo non ne avvertiamo la mancanza.- Hai ragione –ammette la bostoniana- e allora, se siamo concordi, perché non celebriamo insieme le lodi?Formiamo così un ideale cerchio, dandoci di spalle.

Cap. 16

le esperienze

- Vieni –mi dice una voce- andiamo a trovare i nostri amici, i bambini cresciuti!- Certo, ben volentieri –rispondo- ma vorrei, se sei d’accordo, far venire anche un mio amico, il canadese.- Chiamalo pure, ci vediamo là.- dice. - Ciao a tutti , ragazzi- dico appena arrivato. Sono sparsi nel verde catino e subito convergono verso noi. - Allora tutto bene? – aggiungo –ecco qui un nostro nuovo amico, l’Aiace che viene dal Canada.- Ciao, ciao a tutti, avete fatto bene a venire.- rispondono entusiasti i ragazzi. - Vorrei incominciare con il domandare al nostro amico di Taitao, ecco adesso lo vedo –dico - cosa pensa delle stelle che insieme abbiamo visto nella notte in cui c’incontrammo.- Con piacere ti rispondo –dice l’ormai bambino- ed era stato molto utile il tuo suggerimento perché ho rimirato la volta celeste mille volte. All’inizio non capivo niente, mi piacevano e basta, ma a forza di guardarle ho scoperto che non si muovono tutte alla stessa velocità. Il sole anche lui è una stella, è, sembra, la più veloce di tutte perché ogni giorno arriva e sparisce. Siccome la cosa mi interessava sono andato a vedere sui libri dei miei amici la spiegazione di tutto ciò. Una volta abbiamo fatto quella che si chiama gita scolastica e siamo andati con un grosso torpedone in una città abbastanza vicina a visitare un planetario, cioè la ricostruzione meccanica della volta celeste. Abbiamo scoperto così che i gruppi di stelle che paiono formare delle figure, in realtà sono molto, molto lontane fra loro ma dalla terra si vedono così da sempre. La cosa che ha più stupito i miei amici è che il sole non è veloce come sembra, è la terra a 12

12 Magnificat. 45


girarsi una volta il dì. In una sala apposita ci hanno fatto vedere e spiegato perché sulla terra cambiano le stagioni ovvero il perché ogni tanto hanno così freddo e sei mesi dopo molto caldo. A parte queste spiegazioni scientifiche è un vero piacere guardare le stelle, ma anche la luna che fa un altro movimento anche perché, quando è piena, è davvero grandiosa. - Sono contento che ti sia piaciuto tanto- rispondo- ma dovresti dirmi qual è la stella cui più ti sei affezionato.- Era quella del mattino, l’ultima che spariva con la luce –risponde lui- aveva una luminosità particolare, sulla terra le hanno dato il nome Sirio ma altri la chiamano Lucifero, Venere, Stella del mattino. C’era anche una costellazione, cioè un insieme di stelle, che chiamano Orione, che mi attraeva particolarmente e quella centrale delle sette mi lasciava imbambolato davvero.- E cosa mi dici dei tuoi due amici?- lo interrogo. - Sono cresciuti con me –risponde- e li ho molto amati, ancora adesso li penso sovente. Il loro babbo una sera, dopo una lite furibonda, è partito da casa e non è più tornato, mai più. La loro mamma piangeva sempre ed anche i miei amici. Non avevano più i soldini per vivere in quella casa, in quella città, ed allora si sono spostati nel paese natale della mamma. I loro nonni però erano ammalati, non stavano bene e la loro mamma non trovava un lavoro. E’ stato un periodo molto brutto ed i miei amici non avevano voglia di giocare, poverini, avevano cambiato compagni , scuola, abitudini, agi. Un bel giorno la mamma tornò felice e contenta e disse che aveva trovato un bel lavoro, ma aveva anche trovato un amico che le voleva bene. Costui venne a trovarci una sera e sembrava davvero una persona piacevole. Con il tempo si dimostrò intollerante verso i miei amici, diceva che erano viziati, che frignavano e piangevano sempre, che non poteva sopportarli. Finirono entrambi, io con loro, in un collegio cioè in un istituto dove mangiavano, dormivano, frequentavano la scuola, giocavano, crescevano. Molto spesso piangevano abbracciati, volevano vedere la mamma, i nonni, il loro papà. Passò parecchio tempo e la mamma tornò felice e più bella che mai e disse loro che i nonni erano morti entrambi e lei aveva venduto la casa e si era trasferita in una città del nord, nella banlieu, che sarebbero di nuovo stati insieme. Quella sera stessa partirono su un macchinone pieno della loro roba ed il mattino dopo si svegliarono davanti alla nuova casa. Loro erano già cresciuti, specie Aurore che lavorava nel laboratorio della mamma in cui producevano quei dolcetti che i francesi amano mangiare freschi al mattino, con il latte. Aurore si era fatta un ragazzo che il sabato pomeriggio veniva a prenderla per andare a ballare. Molte volte li accompagnavo. Facevano tanti chilometri con l’automobile, si fermavano a fare sesso, poi mangiavano un panino, poi si spostavano ancora più lontano, ed altro sesso, poi finivano in un capannone nel quale il rumore e le luci erano veramente fastidiosi, in mezzo a migliaia d’altri ragazzi. Lì bevevano parecchio e prendevano anche certe strane pasticche che inducono euforia ed esaltazione ma subito li lascia inebetiti. Una sera, anzi una mattina tornavano a casa e l’automobile a folle velocità andò a schiantarsi contro un muro. Un baccano terribile e subito le fiamme li avvolse: così vidi morire nel fuoco Aurore ed il suo ragazzo.- Deve essere stato davvero brutto- dice la carnuta. - Certo –risponde il ragazzo –terrificante.- Grazie amico per questo racconto –dice l’Aiace canadese- E adesso ascoltiamo qualche altra esperienza. Chi vuole raccontarcela?- Io- si alza in piedi una bella ragazza dall’incarnato scuro. - Bene, ma dì prima da dove vieni- domanda la carnuta. - Il mio paese è la Costa d’Avorio –risponde la ragazza- Sono stata in una gran bella famiglia molto armoniosa ed attenta: c’erano cinque bambini, i genitori, un’anziana zia un po’ picchiatella ma anche il nonno, alquanto eclettico e con idee bizzarre e misteriose: per questo era bonariamente irriso. Per intanto era lui che tagliava loro i capelli in funzione delle fasi lunari e poi li bruciava, se la stufa era accesa, ovvero li interrava. Coltivava l’orto con strane regole che solo lui conosceva ma di certo tutti amavano i frutti prodotti, anche perché erano vegetariani. Li costringeva a fare pipì nel lavandino o nella vaschetta , convogliava il liquido mescolandolo con l’acqua piovana utilizzando il tutto per irrigare l’orto ed il prato verde. Aveva anche scoperto un sistema per essiccare le feci usando una metodologia assai semplice: con una schiumarola raccoglieva la parte solida dalla fossa biologica, la metteva in cassette traforate che lasciava al sole per alcuni giorni; la componente liquida la pompava in un’altra vasca e vi poneva a macerare per sette giorni lo sfalcio dell’erba e tutti i residui vegetali ed anche la carta, i giornali, la pubblicità. Poneva al sole nelle solite cassette avendole spremute con i piedi e quindi ricoverava il tutto sotto una tettoia. Nella stagione fredda bruciava nella caldaia questi prodotti con ottimi risultati in ordine al riscaldamento della casa. Inoltre recuperava la cenere, la setacciava, la metteva a bollire e quindi la versava in piccoli contenitori affinché si asciugasse: era un ottimo detersivo per il bucato e per le stoviglie. Tutti erano sorpresi ma godevano dei risultati di così stravaganti abitudini. Il nonno era molto riservato, anzi era assente, non lo si vedeva mai, viveva all’aperto nel suo orto e produceva una pluralità di fiori che sempre ingentilivano la casa, inverno compreso; spesso andavo a cercarlo con i ragazzi e lo trovavamo magari assorto in preghiera ma sempre disponibile e cordiale e ci cantilenava una frase che ricorderò sempre : “Con buona pace di coloro che più volte al giorno si sciacquano la bocca con la parola ecologia”.

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Facevamo tutte quelle cose che ho sentito raccontare dai miei amici in pratica la scuola il mattino, un riposino, ancora in classe a fare i compiti e molte gite scolastiche, sì proprio tante. Il nostro paese era all’interno e si sentiva l’aria di mare e certe sere d’estate andavamo a prendere il fresco su un’altura da cui lo si vedeva. Belle le uscite del pomeriggio perché saltavamo tutti in macchina; ci si fermava sull’altura vicino ad una fontana ed i bambini erano davvero tanti. Quello che volevo raccontare, e noi eravamo già ben cresciuti, è un fatto che mi ha colpito. Al mattino della domenica eravamo andati tutti in chiesa per la funzione ed il prete aveva letto un brano, se ricordo bene tratto da Luca, in cui si diceva: ne portez ni sac, ni bourse, ni chaussures… car l’ouvrier mèrite son salaire… guérrisez les malades qui s’y trouvent 13 ed il prete aveva detto che da quel brano traeva origine il sacerdozio e che i fedeli dovevano provvedere al sostentamento dei preti. Avevo notato che la gente andava in chiesa per pura pratica abitudinaria, alcuni per farsi vedere, altri per non sembrare emarginati, ma di sicuro tutti con grande indifferenza. Ebbene quella sera stessa ci trovammo in gran numero a cenare sulla collina , giocavamo con i compagni di scuola , ma fra i grandi sorse una discussione circa le parole ascoltate in chiesa: ne parlavano infervorati e noi ragazzi eravamo curiosi di capire, finché una mamma propose di andare ad ascoltare il parere del perfetto che abitava in un capanno dall’altra parte della collina. L’idea piacque anche se non tutti vi aderirono ed il bel gruppo si incamminò alla sua ricerca portando dei pani, delle focacce, una torta, del vino ed un vassoio di carne già cucinata. Trovammo quest’uomo al calar del sole fuori del capanno, assorto in preghiera: salutò tutti cordialmente come si salutano gli amici di vecchia data. Accettò una piccola parte dei doni ma rifiutò la carne dicendo alla donna che la offriva: “Tu hai mai guardato gli occhi di un agnello? E quelli di una mucca? Come fai a mangiarne la carne?” La donna disse che le rincresceva farne uso, ma il medico raccomandava l’assunzione di proteine , specie per i ragazzi. Il perfetto rispose calmo e risoluto che quelle erano solo storie, fantasie distribuite per far ingrassare i mercanti del tempio. Gli chiesero poi un parere sul brano ascoltato in chiesa e lui tranquillo disse che il testo latino diceva curate infirmos 14 e non guérrisez les malades e che fra curare e guarire c’è una bella differenza. Le frasi precedenti parlavano degli apostoli inviati senza sacco né borsa, addirittura scalzi per guadagnare un salaire ed il che significa ricevere la remunerazione per un lavoro eseguito; ma ancor più preciso è il testo latino dignus est enim operàrius mercède sua15. Terminò dicendo che in nessuno dei testi sacri si parla dell’istituzione del sacerdozio, ma solo molto più tardi nacque questa funzione. Raccomandò a tutti di seguire la via della perfezione, se volevano un giorno essere ammessi nel regno. Durante il ritorno alle automobili, era già notte, continuarono le discussioni fra gli uomini mentre le donne erano state convinte. - Vedi cara amica ivoriana –prese a parlare l’Aiace - quello che tu hai riferito è vero. Non sto adesso a dirti per filo e per segno come sono andate veramente le cose, ma solo il concilio della controriforma stabilì per la chiesa di Roma il sacerdozio come oggi è interpretato. Vi dirò che nella regione che avete per un po’ abitato c’è una antica e forte tradizione religiosa: la chiesa condusse una guerra contro costoro chiamandola crociata albigese e compì un genocidio. Da allora, e ne sono passati di secoli, il popolo si è adattato alla nuova religione ma in realtà continua a venerare i perfetti ed a seguire i loro insegnamenti. Adesso la carnuta vi deve dire quali sono le nuove facoltà di cui disponete, ascoltiamola.Si alza la carnuta con le fattezze di donna e dice: - Amici, cari amici. Avete stazionato per un certo tempo sulla terra per conoscere i costumi, i modi di vivere, il sistema di pensiero, le abitudini: certo non avete solo visto cose edificanti e belle, ma anche le azioni empie devono essere conosciute, non fosse altro, per gli uomini, per rifuggirle visto che voi non correte questi rischi. Quando siete partiti da questa conca con la grande aquila eravate dei bambini molto piccoli, l’unica vostra incombenza era quella di giocare. Qualcuno ha stabilito questa vostra evoluzione perché diventaste dei ragazzi maturi, consci della vita che avete lasciato sulla terra. Ed allora ecco qual è la vostra nuova facoltà: è quella di poter rendere lode a Dio, di benedirlo in continuazione affinché i vostri canti, uniti a quelli di tutti coloro che qui dimorano, possano giungere al suo cospetto, possano renderlo benigno verso tutti gli abitanti della terra, siano uomini o animali o specie vegetali o minerali, affinché perdoni tutte le nefande azioni che i primi compiono. Avete inoltre la facoltà di udire unendovi a tutte le lodi che da qui e dalla terra vengono a lui dirette.- Guarda che noi abbiamo sempre pregato ed elevato lodi a Dio.- dicono parecchi di loro. - Certo, ma non eravate consapevoli, non era un vostro fatto volontario ed intenzionale. Adesso invece lo è –dico io. - Allora se siete d’accordo ci riuniamo in circolo –dice il canadese allargando le braccia- e celebriamo le lodi.-

13 non portate né sacco né borsa né calzatura… perché l’operaio merita il suo salario… guarite gli ammalati che vi si trovano. 14 14 Curate gli infermi 15 15 Infatti l’operaio è degno della sua paga. 13

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Cap. 17

la mosca

Sono contento perché riesco sempre di più e meglio a concentrarmi e sul roccione nero rimango per lungo tempo con le braccia alzate e gli occhi chiusi per non vedere i troppi lampi: molto raramente esercito l’audizione del canto corale. Con sempre minor frequenza mi sposto per non incontrare troppe ombre: certo penso sovente ai ragazzi ma il fatto che siano così improvvisamente cresciuti mi lascia una qualche nostalgia di quando erano piccini. Non farei fatica a trovare un altro gruppo di bambini, ma gli è che sta cambiando qualcosa in me. Dopo una lunga fase di concentrazione apro gli occhi e vedo uno dei ragazzi e dico: -Ciao amico, mi fa piacere vederti.- E’ da parecchio tempo che sono qui ma non ho voluto disturbarti perché eri troppo assorto.- esordisce lui. Mi sovvengo di questo ragazzo perché l’avevo notato taciturno ed appartato, non certo ostico verso i compagni, ma calmo e riflessivo. - Sei stato gentile –rispondo- ma se il motivo della tua visita manifesta carattere d’urgenza, non devi farti scrupolo a chiamarmi.- Non è assolutamente urgente, è solo una curiosità che vorrei discutere con te, quando sei comodo.- dice lui. - Subito, naturalmente- e gli sorrido. Rinfrancato e soddisfatto dice:

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- Vedi, io sono nato in un villaggio sulle falde del monte Cerski nella Siberia orientale e amavo osservare i piccoli insetti, giocavo con loro ma il periodo era breve per via del clima davvero rigido e mi stupivo di come potessero cambiare non dico da un giorno all’altro, ma certo con una velocità sbalorditiva. Nella recente permanenza nella terra di Provenza ho avuto modo di osservare cento, mille volte tanto e la lezione che seguivo con maggior attenzione, quando accompagnavo i miei amici a scuola, era proprio quella di scienze naturali, così la chiamano loro. Vorrei tu mi spiegassi alcune cose.- Davvero interessante quello che mi dici: è un vero peccato che nella mia esperienza terrena non abbia mai studiato e frequentato tali discipline, anche se ne ero molto incuriosito. Ho paura, caro amico siberiano, che tu non abbia trovato il soggetto giusto. Però, c’è sempre un però, potremmo affrontare insieme la ricerca, anche questo è un modo per lodare Dio, celebrando le meraviglie del creato. Possiamo seguire due vie: la prima è quella di visionare insieme la terra che hai abitato e cercare noi di dare una o molte spiegazioni; la seconda è quella di trovare qui un’entità spirituale che conosca bene questi aspetti della natura.- Ho detto al mio amico. Lui risponde: - Sarebbe bello fare entrambe le cose cioè trovare una guida che ci insegni a vedere, conoscere e capire questo mondo meraviglioso.- Hai ragione –rispondo- ed allora vediamo come agire: dobbiamo chiedere il contatto con un entomologo oppure con un amante degli insetti?- Non conosco bene la differenza –risponde lui- ma forse è meglio il secondo.Rispondo: - La differenza è che l’entomologo è uno scienziato, uno studioso, uno che razionalmente scruta gli insetti ed usa criteri scientifici mentre il secondo è uno che per grossa pratica li ha esaminati attentamente e conosce forse meglio la natura ed i comportamenti di queste piccole creature.- Allora è meglio il secondo – dice il ragazzo. - Bene allora cercalo e chiamalo tu- lo incito. L’amico siberiano si concentra e mentalmente invita chi vuole illustrarci il miracolo della natura. Ci appare innanzi un uomo né giovane né vecchio, molto rinsecchito e con la parvenza del volto pieno di rughe dovute, penso, alla esposizione solare; ha uno sguardo molto dolce, pacato, assolutamente bonario. Mi avete chiamato ed eccomi qua- dice il nuovo arrivato- Ho capito bene quali sono i vostri intendimenti.E’ opportuno dica qualcosa di me: sono nato e cresciuto nella penisola calcidica nel periodo in cui i cosiddetti turchi andavano e venivano a loro piacimento seminando il terrore. Eravamo consci che quando passavano la prima volta erano veloci e si accontentavano di razziare quanto occorreva loro per sfamarsi ma restavamo in trepida attesa del loro ritorno perché erano lenti, tanto si erano appesantiti di bottino, di schiavi, di mercanzie e la facevano proprio da padroni: la violenza era il loro credo. Mi pare banale la considerazione che è assurdo accumulare troppe ricchezze in quanto attirano le falene come la luce splendente nella notte. Ero sempre in fuga per evitare la leva che veniva continuamente indetta ed anche perché non mi prendessero come schiavo e siccome non avevo trovato una ragazza da sposare, o meglio l’avevo trovata ma era stata rapita per soddisfare i porci comodi dei turchi, finii per diventare eremita, per necessità e poi per virtù. I miei giorni finirono nell’inedia abbarbicato in un meteore, sapete cos’è?- propone lui. -No – risponde il ragazzo- il nome meteore mi fa venire in mente quei frammenti di stelle, o ammassi di polvere di stelle, che avvicinandosi alla terra prendono fuoco ma penso proprio che non sia la definizione giusta.-Parzialmente è giusta –risponde l’eremita- nel senso che si toccano, solo a terra. Si tratta di alte pareti di roccia levigata che si innalzano all’improvviso e che hanno dei pertugi, delle cavità, delle celle dentro le quali prendono dimora gli eremiti e che molto più tardi sono state occupate dai monaci. Ebbene morii lì perché più nessuno veniva a portarmi una manciata di grano, un po’ di olive, una brocca d’acqua. Gli unici amici erano gli insetti e con loro ebbi grandi intese.-Grazie, grazie che sei venuto –gli rispondo- e grazie anche per quello che ci hai detto. Con il mio amico vorremmo conoscere meglio questo mondo, hai voglia di aiutarci? – -Ben volentieri. – dice l’eremita. -Se non ti rincresce –interviene il giovane siberiano- vorrei esaminare la terra in cui ho soggiornato.-Certo –risponde l’eremita- disponiamoci ad avere una unica visione.Scrutiamo così un terreno incolto ai limiti di una breve pianura ricca di erba, con un bosco che si erge non molto ripido sui fianchi di una collina; potrebbe essere mezzogiorno perché il sole è molto luminoso ed anche nella prima fase dell’estate perché la vegetazione è davvero rigogliosa. -Che bel posto- dice l’eremita- cerchiamo un po’ qualcosa di interessante; direi che dobbiamo concentrarci su una superficie molto piccola. Ecco guardate su questo filo d’erba quel minuscolo insetto neanche tanto grazioso: si tratta di una lucciola femmina perché quelle sono false ali, non vola. Quel sacco scuro vicino alla coda è quello che di sera emette la luce. Si nutre di vegetali ed è innocua ma deve stare molto attenta perché gli uccelli, anche i ragni e alcuni tipi di vespe, ne sono molto ghiotti. Quando scende la sera i maschi volano alto ed hanno l’occhio molto sviluppato perché scrutano in basso emettendo dei segnali luminosi. La femmina vede il segnale, risponde appendendosi ad una foglia o a

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un ramo in modo da volgere il proprio ventre verso l’alto per poter inviare la propria emissione luminosa. Questi segnali sono intermittenti ed hanno una frequenza cioè un linguaggio che non conosco, ma il maschio scende e copula la lucciola. La luce emessa è fredda, lo so perché nel mio antro ero circondato da mille insetti e molte volte prendevo in mano le lucciole ed è facile accertare che la luce é fredda, senz’altro di origine misteriosa paragonabile forse al fosforo. E’ difficile che tu –dice rivolgendosi al ragazzo siberiano- abbia conosciuto questo insetto.- D’accordo, non lo avevo mai visto ma durante il mio soggiorno in questa terra correvo sempre dietro alle lucciole; avevo notato però che si vedevano solo nella prima parte della notte forse perché finiva la riserva di sole incamerato.- E’ esatto quello che dici, ma guarda qui sta passando un’ape, ne parliamo dopo perché ho visto una cosa interessante, però prima devo dirvi che quasi tutti gli insetti hanno sei zampe aventi funzioni diverse da specie a specie, compresi i millepiedi che hanno solo sei zampe trainanti, il resto è il corpo, l’addome che si contrae e contorce. Guardate che bella la cavalletta; le ultime paia di zampe ripiegate servono a spiccare dei salti mentre le altre due paia servono per camminare, anzi correre veloci, ma volano anche, eccome volano perché se il vento è forte riescono ad emigrare dall’Africa e giungere fino alla penisola calcidica e forse sin qui. Volano quando sono troppe sullo stesso territorio e poiché sono formidabili divoratrici di tutte le erbe e dei piccoli arbusti, quando viene loro meno il cibo diventano gregarie cioè si assembrano, prendono il volo sottomettendosi ad un comandante e cercano nuove aree per il pascolo. Molte volte cambia il vento, cambiano altri fattori ed allora soccombono in mare interi sciami a beneficio dei pesci che traggono un pasto imprevisto e gradito. Guardatela bene questa cavalletta: ha due potenti mandibole in grado di spaccare anche i legni ed ha due ordini di ali; si accoppia con molti maschi e poi depone sotto terra le uova usando uno strumento straordinario che perfora il terreno più duro , si chiama ovodepositore e si allunga sino a tre volte lo sviluppo normale, per deporre le uova avvolte in una schiuma protettiva contro il freddo ed anche contro le cimici. Quando le larve sono cresciute spingono in alto con la testa e con grande forza escono tutte essendo ancora avvolte in una specie di tunica.- Quello che mi piacerebbe capire –dice il ragazzo siberiano- è quando nasce la vita.- E’ molto semplice –risponde l’eremita- nasce quando un uovo è fecondato . Non sempre ciò corrisponde a quando i due corpi si congiungono perché in alcune specie la femmina ha un serbatoio speciale in cui raccoglie il liquido seminale. Mi hai chiesto quando nasce la vita: è il fatto che la cavalletta esiste, ha la nozione di essere, ha un pensiero di ciò. Ogni essere vivente ha una sua unicità, fa parte di un disegno incredibilmente immenso; pensa caro amico siberiano se la tua mamma il giorno in cui ti ha concepito fosse stata distratta in qualche altro impegno, pensa se invece di unirsi con il tuo babbo l’avesse fatto con un altro. Tu, come la cavalletta, non saresti mai nato né, per conseguenza, esistito ovvero saresti un altro ben diverso, in sostanza non saresti tu. Per assurdo direi che la cavalletta non è necessaria, non è eterna e tanto meno infinita: tutti gli attributi sono di chi ha disegnato il suo esistere, in quel momento esatto, in quel preciso luogo.16 Gli insetti hanno procedure diverse per far maturare l’uovo e quasi tutti questi animaletti si disinteressano della nascita della prole ma sono costretti a produrre uova in misura apparentemente scriteriata perché le variabili sono davvero molte: dalle condizioni climatiche, all’azione di predatori di uova, alla nutrizione degli insetti che vivono sul suolo e si cibano di larve, all’azione dei predatori che mangiano gli adulti.- Sì, ma cos’è che spinge tutte le specie a procreare? –chiedo io.- Bella domanda –dice l’eremita- è il comando di donare la vita nonostante tutte le difficoltà. Infatti la vita è un dono e qualsiasi essere è grato a chi gli ha donato la vita e perciò si impegna a farla proseguire nella discendenza a titolo di amore.Fa una pausa e poi prosegue: -Questo è un obbligo generale ed assoluto: intervengono poi altri fattori che correggono le carenze come le eccedenze in un contesto di armonioso equilibrio. Cioè possono aumentare o diminuire i predatori, può l’andamento climatico correggere e modificare le disfunzioni, può l’azione umana compiere atti che fortemente pregiudicano la sopravvivenza usando per esempio prodotti di sintesi chimica. L’armonia è la concordanza delle vibrazioni e dei ritmi, l’accordo fra le componenti del tutto, la proporzione, la bellezza, la stabilità, l’equilibrio, l’ordine, l’unità nel cui ambito è la legge. 17- Spiegami per cortesia –interviene il ragazzo- com’è che un insetto si nutre di un altro e perché ciò succede.- Perché –spiega paziente l’eremita- c’è tutta una scala di valori vitali dal più minuscolo addirittura per noi invisibile al più progredito essere vivente che è l’uomo. Gli insetti traggono sostentamento per la più parte dal mondo vegetale ed a questo è utile e porta giovamento, pensate solo alla funzione dell’impollinazione dei fiori o alla potatura delle eccedenze vegetali; altri insetti invece sono carnivori, si cibano cioè di altri insetti, ma fatte pochissime debite eccezioni, mai della stessa specie. Non così fa l’uomo che spesso e volentieri uccide il proprio simile per i più abietti motivi, non ultimo, forse il primo, con la guerra.- Hai detto, caro eremita- intervengo io- che ci avresti parlato delle api: io vedo però una mosca e a guardarla bene è proprio uguale a quella che abita la mia terra, hai voglia di dirci qualcosa di essa?16 17

16 Blaise Pascal, Pensieri (n. 443 con integrazione) ed. Bompiani, 2002 17 Louis Gros, Formes et nombres sacrés, ed. Université R.C. , 2004 50


- Ben volentieri –risponde lui- la mosca che vediamo è quella cosiddetta domestica perché vive con l’uomo, da sempre. La sua presenza sta ad indicare una qualche abitazione umana nelle vicinanze. Ci sono decine di altri tipi di mosche alcune delle quali altamente specializzate. La mosca è quasi sempre vista in termini negativi e ciò è condivisibile solo in parte. E’ domestica perché non teme l’uomo, anzi convive con lui incominciando a nutrirsi delle sue feci, delle piaghe, delle espettorazioni e nelle sue zampe a forma di pelose spatole trattiene e poi distribuisce parte di queste sostanze; ha una proboscide che usa per emettere un liquido in grado di sciogliere le sostanze zuccherine e poi defeca in continuazione lasciando traccia dell’ingerito ovunque. La sua evoluzione è a quattro stadi: la femmina ama accoppiarsi sui letamai o sui vegetali in decomposizione, tale da indurre in errore persino Aristotele il quale pensava che le mosche nascessero dai letamai: la verità è che la femmina depone fino a duemila uova per volta prevalentemente nel letame poiché la fermentazione produce calore ed è per questo che le depone lì affinché maturino in fretta e meglio. La larva può manifestarsi già in giornata, senza zampe, nel giro di una settimana si è trascinata in un luogo più asciutto e si interra trasformandosi in una corazza grazie all’indurimento della pelle e, finita questa maturazione riesce a rompere con la testa il contenitore abbandonandolo. Quando fa molto caldo tutti questi cicli durano dieci – dodici giorni ma la loro vita è molto breve, pari a cinque settimane circa e nella mia regione si succedono anche dieci generazioni in un ciclo annuale.- 18 - Com’è allora che non siamo invasi dalle mosche? – domando. - Le mosche sono un ottimo nutrimento per moltissimi insetti e per quasi tutti gli uccelli: pensa solo al volo serale delle rondini e alla grande quantità di mosche che ingeriscono.- risponde lui. - Perdona la mia curiosità –lo interrompo- ma della vita degli insetti, di tutti gli insetti esiste una traccia, una memoria?Guardandomi fisso risponde pazientemente: - Sta certo, di tutti gli esseri viventi cioè gli animali, dall’uomo fino alla più infima e piccola pulce, delle multiple essenze vegetali cioè dal più imponente cedro al più modesto muschio, ma anche dei minerali, tutto è visionato, ricordato.- Sì, ma dove esiste traccia di ciò?- interrogo. - Allora non hai ancora assimilato bene il concetto di infinito –risponde lui sorridendo- Non sai che le carezze che facevi ai tuoi cani ma anche l’annientamento che tentasti il mattino di un tardo inverno delle processionarie, tutto è memorizzato, è reale, è manifesto?- Caro eremita –chiede il ragazzo- da quello che dici la natura è tutta una violenza, un uccidersi reciproco e sfrenato.- Hai apparentemente ragione -risponde lui, calmo – tutto questo rientra in un ampio disegno di varietà delle diverse forme di vita in un contesto ancora più ampio e generale che è la natura.- Infatti nelle api –intervengo io- la funzione del maschio è solo quella di generare: poi è mal tollerato ed infine ucciso, non prima che siano nati altri maschi, non è violenza ciò?- Mi hai detto caro eremita –si intromette il ragazzo- della vita molto breve della mosca. Passato l’autunno e l’inverno da dove sbucano le nuove mosche?- Dalle uova, mio giovane amico –risponde il calcidico- perché le ultime uova dell’autunno possono diventare larve, ma muoiono subito se non riescono ad interrarsi in modo corretto ed attendere l’efficacia dei primi raggi del sole primaverile per uscire dalla corazza. Pensa che la larva di una cicala particolare vive la bellezza di diciassette anni sotto terra succhiando la linfa dalle radici. Anche interrate rappresentano un gradito cibo per tutti gli esseri ipogei e sono tanti, dalla talpa ai molti vermi, ai pidocchi. Apparentemente questi esseri non potrebbero esistere se fosse vero che il sole con la luce e con l’acqua generano la vita: a meno che le loro prede non siano stati generati dal sole, dall’acqua, dall’aria. Per rispondere alle tue osservazioni –dice rivolgendosi a me- devo confermarti che la natura è apparentemente violenta, si manifesta in modo biasimevole, ma tutto rientra, come ti ho detto prima, in un disegno generale di armonia. Ma già Marco Aurelio aveva scritto un brano molto significativo al riguardo.- Sei stato molto esauriente –dice il ragazzo- e ti siamo molto grati. Cosa ci dici dei nomi degli insetti?- Gli insetti prendono il nome dalle osservazioni che gli uomini attribuiscono alle loro caratteristiche o comportamenti: voglio dire cioè che la mosca sostanzialmente è una sola, con decine di sottospecie, ma vive su tutta la terra ed ha altri nomi o denominazioni. Però vedete, a differenza del mio rapporto con gli insetti che era di solo amore, anche di utilità perché sono grato alle api che nidificavano all’apertura della mia cella in quanto al sopraggiungere della notte sottraevo loro il prezioso alimento, vi sono molte altre persone e mi viene in mente il solito Aristotele che chiamò Psyché la farfalla abbinandola all’anima, che hanno studiato tutto ciò.--E’ vero, hai ragione –intervengo io – e mi viene in mente che in un breve, anzi l’ultimo soggiorno che feci a Bologna, quando ero ancora sulla terra, ero passato decine di volte davanti ad un edificio sul quale era inciso su pietra “istituto di entomologia” , volete che andiamo a vedere?-. -Ottima idea- risponde entusiasta il ragazzo- però prima adempiamo ai doveri del nostro ufficio, d’accordo?-

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18 Enrico Stella, Elogio dell’insetto, ed. La Stampa 1992 51


Cap. 18

Bologna

E’ stata attribuita a noi la facoltà di essere presenti sul prato antistante l’ istituto di entomologia e ci introduciamo in un vasto complesso di sale adibite a esposizione. Incredibile il numero di barattoli di vetro il cui contenuto è adagiato sul fondo, annegato in un liquido di color fucsia; ogni barattolo reca incollata un piccola scheda con il nome latino dell’insetto, l’ordine, la famiglia, la specie, la sottospecie, la data di ritrovamento, il luogo, il nome e la firma del catalogatore. Il nostro amico calcidico sembra galvanizzato, gira da una bacheca all’altra, riconosce un gran numero degli insetti e ad ognuno di essi attribuisce il nome comune, quello che usava lui. E’ davvero eccitato e felice. In un altro ampio ambiente vediamo una quadruplice fila di armadi allineati con i lati lunghi vetrati e con multipli ripiani: vi sono cartoncini o placche di legno che sostengono soprattutto farfalle ma anche coleotteri, imenotteri, ortotteri ed ognuno ha il suo bel foglio con tutte le indicazioni viste sui barattoli vitrei con l’ulteriore indicazione, pensiamo noi, della sigla alfanumerica delle specie di erbe o fiori o insetti di cui si cibava il soggetto mummificato. Perché mummificato? Qual è il mistero che inibisce loro di dissolversi in polvere? Anche il ragazzo siberiano riconosce molte specie. Prendo atto di essere il più ignorante dei tre: non è un problema perché l’occasione è ottima per sanare parzialmente la lacuna. Si accendono tutte le luci della sala ed entra un corpulento individuo vestito di un camice bianco con le tasche piene di strani strumenti; è seguito da una quarantina di ragazzi, oltre la metà sono fanciulle; spintonandosi e scherzando percorrono il secondo corridoio centrale diretti ad una specifica teca. Segue con calma una bidella leggermente claudicante che porta quattro cerchi con centinaia di chiavi.

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E’ evidente che si tratta di una lezione. Il professore fa aprire una vetrina ed estrae un pannello sul quale è infisso un grande insetto e girandosi verso gli allievi incomincia a spiegare la funzionalità delle zampe anteriori utilizzando un tubicino scuro dal quale fuoriesce un sottile raggio luminoso rosso. Chiama la bidella, si fa aprire un’ altra teca ed estrae un pannello. Esordisce con una qualche pompa: -Queste due zampe straordinariamente sviluppate si chiamano raptatorie e non servono per spostare il corpo, cioè a camminare, ma sono fatte per catturare la preda e serrarla. La tibia ed il femore si piegano uno sull’altro con scatto fulmineo ed hanno spine che immobilizzano il malcapitato ed in più c’è questo uncino, vedete bene come è fatto ad arpione? La differenza (mostra l’altro pannello) che la distingue dalle libellule è il torace lungo e sottile distinto da quello robusto e più massiccio, come ben vedete. Quello che qui non si percepisce bene è la posizione di questo primo ordine di zampe che al vivo, sono proiettate in alto tanto che la mantide è detta religiosa proprio per la somiglianza con una orante . Ma di religioso ha assai poco perché si tratta di una uxoricida.Spiega la differenza fra queste due zampe e quelle della libellula ed è incredibile quanti impensabili caratteristiche rendano diversi i due insetti nonostante siano facilmente confondibili. I ragazzi prendono appunti su fogli pinzati su un supporto rigido. -Va bene –dice il professore- avete scritto le cose dette e adesso disegnate il particolare, forza!I ragazzi si addossano spingendosi verso il reperto e copiano il particolare della zampa. - Mi viene voglia di ….. –dice il professore rivolto ad una ragazza dai lunghi capelli dopo aver osservato lo schizzo – ma non posso perché sei donna. Sarà un disegno quello? E le proporzioni dove sono?- Ma è così importante questo particolare? –risponde lei arrossendo. - Certo –dice il professore- perché quando sarai in campo aperto, nella penombra della sera, a compiere una ricerca sulla diffusione della mantide in una determinata area o la catturi, ma è vietato e non è bene, o immediatamente disegni questo particolare per confrontarlo in studio con le schede. E’ importante –dice rivolgendosi a tutti ed alzando il tono della voce- e non mi stancherò mai di ripeterlo che bisogna essere precisi, addirittura pignoli, perché confondendo questi due insetti, come qualsiasi altra specie, si compiono enormi errori. Se voi dovete studiare un’area per la diffusione delle specie animali onde trarre conclusioni sullo specifico habitat per qualificarlo e per redigere un indicatore biologico, se mi confondete queste due specie così simili, sbagliate tutto ed indirizzate male chi dovrà prendere delle decisioni operative.Il professore deambula in mezzo agli studenti per vedere il tipo di schizzo effettuato e dopo un po’ dice: - E’ inutile rubacchiare i fogli da tutte le stampanti della facoltà perché dovete usare carta millimetrata in modo da essere più precisi nelle proporzioni. Ed è inutile che mi guardiate con quell’aria di sufficienza perché voi pensate di andare a spasso e scattare foto con le vostre macchinette digitali: i programmi di lettura delle fotografie cambiano con la velocità del fulmine e da qui a cinque anni le vostre immagini sono sparite come cera al fuoco. Non così gli schizzi di Leonardo, per nostra fortuna.Rivolgendosi alla ragazza di prima sibila: - Chiaro? E allora voglio vedere dei disegni corretti. E’ sempre più chiaro?Guardo il ragazzo siberiano e con un solo guizzo degli occhi decidiamo di estraniarci richiamando l’attenzione dell’eremita. Ci troviamo in un’ aula dall’altra parte dell’edificio. - A proposito della mantide –esordisce l’eremita rivolgendosi a me – mi riferisco alla precedente tua domanda sul perché tutte le specie hanno come scopo il generare discendenti, ebbene, sai qual è l’ atto finale della mantide?- Non ho idea, non ho timore a dire che non so- rispondo incuriosito. - Ebbene, si fa copulare dal suo maschio che è molto più piccolino di lei, se lo divora partendo dalla testa mentre lui prosegue per almeno quindici minuti nello spargimento spermatico. Cerca quindi un anfratto o un tronco secco ed emette dal genitale un liquido vischioso, lo sbatte ed amalgama con un movimento specifico e vi depone le uova: abbandona questa sacca impermeabile alle intemperie, ottimamente protetta dal freddo. Poi muore, semplicemente muore. Se le va male incontra un imenottero molto piccolo che le inietta con un pungiglione un liquido paralizzante e la trascina al proprio nido per sfamare i suoi piccoli che amano cibarsi di prodotti vivi. Certo che il metodo scientifico è ben diverso rispetto all’approccio alla natura da parte di un povero eremita- continua sconsolato il calcidico- Cambia il punto di contatto, io li amo gli insetti, non li studio, io guardo cosa fanno e non mi importa il perché , gioisco quando vedo che hanno trovato qualcosa da mangiare, trepido quando vedo avvicinarsi un predatore.- E’ vero quello che dici- cerca di consolarlo il ragazzo della gelida Siberia- ma anche questo lavoro può essere utile. Certo sarebbe meglio se invece di guardare solo le caratteristiche quantitative fossero celebrate quelle qualitative. Mi viene però in mente un altro nesso che non riesco a decifrare: qual’ é il rapporto che lega il mondo vegetale a quello minerale?-

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- Vedi amico mio –interloquisce l’eremita- prendi in considerazione il seme che la betulla affida al vento: il quale seme se dopo una infinita serie di combinazioni riesce a nascere, dopo esser marcito, dà la vita alla piccola pianta. Ben presto cresce sottraendo alla terra, quindi al mondo minerale, le sostanze nutrienti che permettono il suo rapido accrescimento: quando la pianta muore , marcisce e si degrada fino ad essere nuovamente assimilata alla terra. La betulla é sacra e cara agli uomini perché con la sua gaia ed intermittente ombra impedisce al germoglio della quercia di essere bruciato dagli ardenti raggi del sole estivo, senza togliere però luce e calore: ma una volta cresciuta la quercia soffoca con la sua rigogliosa ombra la betulla e tu sai quanto sia sacra la quercia… La serie delle combinazioni non è finita perché è noto che la quercia attira i fulmini e capisci quindi come casuale ed accidentale sia il vivere quasi in simbiosi di queste due piante.- E’ vero –aggiungo io- ma vorrei rimarcare che se metti a bollire la cenere della betulla scoprirai che quando l’acqua si è del tutto consumata troverai solo della sabbia quindi il ciclo si è concluso nel mondo minerale. Venite, voglio trovare la biblioteca.- aggiungo. Non è difficile ed appena entrato mi beo alla vista degli scaffali strabocchevoli di libri, di album, di raccolte, di cartelle. Le scalette utilizzate per accedere ai ripiani più alti sono sempre state la mia passione. -Vedete amici –esordisco mentre ancora mi giro a rimirare l’insieme- qui c’è una parte del sapere umano relativo ai nostri cari insetti. Pensate a quanto lavoro hanno fatto centinaia e migliaia di studiosi per incasellare concettualmente tutta questa scienza. Di certo è bello ed utile. Rendiamo alla loro memoria un affettuoso ringraziamento.- Sono perfettamente d’accordo –risponde l’eremita- e spero che molti possano accedere a questo sapere e lo sappiano anche utilizzare nel reale.- Esiste purtroppo una differenza – soggiungo - fra tutto questo sapere e l’attuazione pratica, come dici tu caro eremita. Gli è che lo studioso suggerisce, avverte, segnala ma chi deve prendere le decisioni è un altro, anzi è la somma degli altri che con un coacervo di pareri, interessi, opportunità, valutazioni soggettive assumono decisioni talvolta all’estremo opposto.Dice il ragazzo che attento non ha lasciato sfuggire una sola parola: - La permanenza di tutti i viventi sulla terra denota, denuncia, avverte della salubrità e dei malesseri della stessa. Il punto nodale è evitare l’eccesso, lo spreco, la sopraffazione. La scienza è bella ed importante e dà origine al progresso tecnologico, la scoperta di nuove utilizzazioni: il rischio è il debordare, il troppo fare, lo storcere i parametri dell’equilibrio, supporre di essere in grado di creare la vita. E’ stata scoperta l’automobile, per esempio. E’ indubbiamente utile, permette rapidi spostamenti, consente immediati interventi e quindi concettualmente è molto bella; la stessa funzione di sfoltimento degli uccelli che si nutrono di insetti sono gli incidenti stradali che mietono vittime in abbondanza ed è pur sempre una questione di circolazione. Ma vogliamo uscire di qui e percorrere le strade adiacenti?Così andiamo all’aperto ed assistiamo allo scempio di interminabili colonne di auto ferme, strombazzanti, con un’unica persona a bordo, perlopiù con lo sguardo allucinato, non certo sereno. - Per usare un paradosso –dico io- a quando una mamma partorirà il bambino calzato e vestito con l’auto?- L’assurdo –riprende il ragazzo venuto dal freddo, con un sorriso – è che sprecano preziose energie sottratte alla natura, non solo, producono a iosa veleni inauditi e di certo qui non potrebbero sopravvivere i nostri insetti, ma anche loro, gli uomini, non scherzano in fatto di salute. Quando realizzeranno l’idea che se i trasporti collettivi fossero gratuiti potrebbero inibire questa caotica circolazione?- Caro amico –dico rivolgendomi all’eremita- Vieni con noi, andiamo tutti insieme in una di quelle case di là del corso.Così dicendo accediamo al secondo piano di una bella costruzione mentre la luce è del tutto sparita. Ci troviamo in una accogliente sala molto ben arredata le cui pareti sono ricoperte di quadri, entriamo in una camera contigua, forse uno studiolo, e poi nel corridoio sfociante in due camere da letto; ripercorriamo a ritroso il corridoio e troviamo una ricca sala da pranzo attigua ad un piccolo locale adibito a cucina. Finalmente vediamo una donna giovanile, sommariamente vestita, seduta ad un tavolo, sta cenando tranquilla avendo a portata di mano i fornelli sui quali una pentola borbotta, il televisore acceso. - Vedi caro eremita –riprendo il discorso- cosa ti fa venire in mente una casa così grande per un sola persona ?- Di certo non il mio angusto antro –risponde lui- anche perché non esistevano i mobili e dormivo sulla terra. Neanche le case della mia infanzia perché in allora simili spazi avrebbero ospitato non meno di cinquanta persone.- Pensa –aggiungo io- che d’inverno questa abitazione è pure riscaldata…tutta riscaldata. Ma l’assurdo dell’assurdo , guardate attraverso la finestra quella enorme massa di luce; deve trattarsi di un ufficio costruito in acciaio e vetro per cui d’inverno richiede uno sforzo enorme di energie per rendere caldo l’interno ed adesso altrettanta energia per raffreddarlo perché quei materiali assorbono e moltiplicano l’irradiazione solare. Quello che devono scoprire gli uomini oggi non è tanto lo sforzo di scoprire cosa sono, in questo l’esasperata tecnocrazia tende proprio a confonderli, ma immaginare invece come potrebbero diventare se un retto giudizio li guidasse: per fortuna ci sono molti segnali positivi.

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Il nostro è un ragionare utopico ma l’utopia non è altro che una verità prematura. 19 - Vedete – dice il ragazzo- ho capito questo nella mia esperienza in Provenza: tutti gli uomini, ma proprio tutti, tendono, cercano di essere felici. Impiegano mezzi e percorsi diversi ma tutti vanno in quella direzione alla ricerca cioè del miraggio della felicità che l’ambiente, le circostanze, la consuetudine con messaggi opportunamente inculcati fa apparire vicina e raggiungibile. Tutti, compreso chi deliberatamente si droga o giace schiavo dell’alcol o che va ad impiccarsi. 20 Perché? Per il semplice fatto che seguono l’ambizione che cozza contro la bontà ma si sposa volentieri con l’orgoglio, l’astuzia, il desiderio del possesso, la superbia di mettere in mostra. Perché? La bocca di chi si erge a creatore di opinioni e costumi, ricordo perfettamente le eterne ore che tutti trascorrevano inebetiti davanti al televisore, è piena di livore, di inganno, perfidia e sotto la loro lingua c’è menzogna ed iniquità e tende insidie all’innocente, sta in agguato con i potenti in luoghi nascosti per piombare sul povero traendolo nella rete, convinto che Dio non ricorda, ha volto altrove la faccia per non vedere mai nulla.- 21 - Hai ragione –dico io- e la cosa grave è che per inseguire la felicità si acconciano a consultare maghi, redigono oroscopi natali, fanno assurdi viaggi in aereo per svernare nell’emisfero opposto, sprecano quantità inaudite di energia. Povera ed afflitta umanità facile esca della depressione: ha perso ogni credo, eliminato il più semplice ma importante rituale, nella presunta onniscienza tecnocratica irride il mistero e la trascendenza.- Allora è del tutto inutile –dice il ragazzo- studiare gli insetti, non serve a nulla.- E’ quasi sempre così –rispondo- quelli che si occupano dello studio gli insetti sovente lo fanno solo per avere una occupazione, per ricoprire un ruolo appagante, per soddisfare la propria ambizione. Sono davvero pochi quelli che, come il nostro amico eremita, li amano sul serio, che riconoscono in essi la grandezza di chi li ha creati.Nello squallore di queste analisi l’eremita ci indica due giovani che nella semiombra di una macchia di cespugli sul ciglio della strada si baciano ed accarezzano teneramente. - Voglia Iddio illuminarli- dice pieno di fiducia.

Cap. 19

il S

(Documento molto lungo, illeggibile, pieno di strani segni e simboli grafici)

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epilogo Dalla roccia nera volgo lo sguardo verso la parete rocciosa dalla quale presumibilmente sono arrivato e decido di risalire lentamente la china senza smettere il canto, anzi unendomi al coro generale. Attraverso i due o tre rivi, incrocio di nuovo questi strani ovoidi e mi stupisco del non aver mai chiesto ragguagli sulla loro natura e funzione. Quando alzo gli occhi mi trovo di fronte al grande vecchio che era stato così ricco di spiegazioni e consigli appena ero pervenuto qui. - Ti rivedo con vero piacere- gli dico. - Anche io sono felice di incontrarti –risponde- e vorrei ragionare con te sul percorso che hai compiuto .- E’ stato molto variegato ed oserei dire movimentato.- Forse persino un po’ troppo –interloquisce- Comunque ho assistito a tutti gli incontri ed alle esperienze che hai affrontato.- Se è così chiedo allora a te un giudizio.- domando abbastanza stupefatto. Risponde: - Avete, dico avete, perché hai coinvolto altri esseri spirituali, compiuto delle analisi ed espresso pareri. Forse avete esercitato anche voi la superbia nel senso che avete avuto la presunzione di conoscere la verità, quella esatta. Perché vedi, la verità intesa in senso umano cioè terrestre, è la sommatoria di regole, credenze, impressioni, testi da non porre in discussione cioè tutte quelle astrazioni oggettive che l’uso cataloga in canoni, in corpus, in decreti, in protocolli, 22in imposizioni forse opinabili perché è sufficiente cambiare i parametri ovvero variare i criteri originali e tutto si ribalta e vanifica: è un po’ come la sovversione del pensiero di Aristotele che voi avete esaminato. Qui il concetto di verità è sostanzialmente diverso, cioè assoluto e definitivo. Mi riferisco all’analisi sui romani: suvvia, è stata una grande civiltà, ha generato un indubbio progresso nella concezione dell’uomo nel più ampio apparato sociale di quell’ epoca storica con risvolti ancora perduranti. Mi riferisco alla moneta: è indispensabile ed insostituibile a meno che si pretenda che tutti i rapporti si regolino con il baratto, però è opportuno sia ridimensionata nelle manifestazioni esasperate. Mi riferisco alle religioni: costituiscono una indubbia spinta spirituale verso la trascendenza e la dottrina è stata elaborata da milioni di persone in perfetta buona fede anche se l’eccessivo zelo ha fatto pericolosamente sbandare l’intero costrutto. Mi riferisco al comunismo: ha avuto una indubbia funzione correttiva di eccessi platealmente inconcepibili, ha prodotto una civiltà ed ha permesso ad intere generazioni di vivere in condizioni migliori di quelle che altrimenti sarebbero spettate loro; il fatto originario ed iniziale fu determinato da una legittima umana resistenza ai soprusi ed alle prevaricazioni generanti purtroppo l’odio. Tutto questo per dire che avete espresso giudizi sostanzialmente validi e condivisibili ma eccessivamente netti, tranchants, privi del necessario equilibrio: avete cercato la verità utilizzando una misura ancora troppo terrestre ed anche il criterio del male minore da voi troppe volte utilizzato non è scevro da rischi interpretativi. Così come hai voluto attribuire un appellativo esornativo a tutti gli esseri che hai incontrato violando la loro essenza eterica… .Si ferma quasi ad attendere una mia reazione ed aspetto parecchio per valutare la risposta: - Hai ragione, concordo. Gli è che il nostro concettualizzare è stato una sintesi dei rispettivi pensieri, una sublimazione forse eccessiva, un’essenza cioè un estratto dell’ebollizione di sostanze naturali cioè terrestri, una elaborazione della umana storia. Non dico che avessimo fretta nel senso che ci rendevamo conto di sottrarre tempo e risorse spirituali alla primaria funzione di lode, ma è quasi così. Abbiamo forse commesso l’errore di lasciarci prendere dalla discussione 22

Gustavo Zagrebelsky, La Repubblica 57


speculativa, di attingere all’ultima affermazione per sviluppare il ragionamento conseguente, ci siamo lasciati forse travolgere dalla verbosità per cui abbiamo discettato di varie discipline in modo episodico cioè non compiuto.Riprende lui in termini bonari, non certo inquisitori: - Vedi che hai parzialmente corretto il tiro? E’ giusto e corretto quello che avete formulato ed espresso ma avete compiuto un esercizio ozioso, privo di significato in questo nostro contesto, avete assolto una funzione non pertinente e, non per polemizzare, nella vostra presunta analisi globale avete ignorato tutto ciò che sta al di sotto dell’orizzonte terrestre cioè il sottosuolo e gli abissi marini, ed anche al di sopra, l’aere intero…. Qui mi fermo perché corro il rischio di cadere nella traccia da voi indicata.Taccio per lungo tempo e concludo: - Concordo perfettamente. Non voglio chiosare oltre però ricordo che alla mia domanda circa l’esistenza di un capo, di una gerarchia avevi risposto con un secco no.Risponde l’essere spirituale: - Confermo quanto in allora espresso e mi stupisce la riformulazione dello stesso quesito: trae origine questa curiosità da un intimo interesse terrestre e vorrei ribadire che il nostro contesto è assolutamente immateriale, avulso, esclusivamente spirituale. Non ti rispondo perché ci arriverai da solo, in modo autonomo, esercitando consoni criteri.Rimaniamo fermi così, meditabondi sul colloquio intercorso; da tempo avverto l’esigenza di appartarmi, di non essere distratto dagli ovoidi né dall’apparizione di ombre né dal fluire di parole vane, senza conseguenze. Sento che è finito il continuo desiderio di sapere, di scavare, di motivare ed avrei desiderio di sparire per accedere ad un grado diverso, per essere libero di celebrare in continuazione e senza interruzione le lodi. Mi induco quindi a chiedere l’esaudimento di ciò però mi piacerebbe lasciare una traccia di questa mia incredibile e straordinaria esperienza: so che la realizzazione è impossibile dacché, giustamente, mai a nessuno è stato consentito. Formulo dunque solo la prima istanza. All’improvviso mi trovo in un moderno ufficio e noto subito che il palazzo nel quale sono stato immesso deve essere molto antico perché le volte sono alte e le finestre sono incassate in spessi muri. La sala è grande ed ospita una decina di persone ognuna delle quali ha una ampia scrivania al centro della quale campeggia lo schermo di un calcolatore: i più sono giovani ed abbigliati in modo decisamente spigliato; ogni tanto alzano gli occhi dalla tastiera ed esprimono opinioni e riferimenti. Mi accorgo di essere approdato nella redazione di una casa editrice perché i discorsi vertono su libri, bozze, recensioni. Il commento che sento fare è di un ragazzo sveglio, con gli occhiali, molto alto, di una magrezza sconsiderata, dallo sguardo vivo e sagace: informa i suoi compagni circa la recensione redatta da uno che definisce grande critico su un lavoro da lui selezionato e pubblicato recentemente. - Anche i grandi a volte sbagliano: o non ha letto bene il testo, ma mi pare strano, o non ha capito niente.- Valli a capire –risponde una ragazza- gli è che loro hanno anche altri interessi per soddisfare i quali sono disposti a travisare. Non preoccuparti, anzi prendilo in positivo: chissà che non sia più utile una stroncatura famosa… Suona il telefono, il ragazzo risponde ed avverte i colleghi di essere stato convocato dal capo; esce. Sono fermo di fronte allo schermo del calcolatore e spontaneamente mi concentro per trasfondere il racconto della mia esperienza. Chissà se l’operazione è riuscita. Chissà lo stupore del ragazzo nel leggere il contenuto. Chissà … . Basta con questi pensieri:

la cosa è del tutto indifferente.

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(proprietà letteraria riservata come da deposito dell’ 11 ottobre 2006.

E’ consentita la riproduzione ma non l’alienazione lucrosa)

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