Stralci & Spunti Epitome e raccolta antologica VOLUME II° 1
Indice degli Autori in calce: le parole sottolineate indicano l’opera da cui è tratta la citazione
Dietro l'avello Di Macchiavello Giace lo scheletro Di Stenterello Questi versi si potrebbero ancora maggiormente rendere significativi. E' tutta una caterva di Stenterelli, quella che circonda la persona di un solo Macchiavello. Stenterelli che urlano, braitano si lisciano con aria di gravità la pancetta accademica, esaltano le virtù della stirpe, l'alto sapere degli antenati, ma essi stessi non fanno nulla, non lavorano, non sono produttori di un'idea, di un fatto. Stenterello non è neppure un uomo, è una scimmia. Stenterello è il prototipo della borghesia italiana, chiacchierona, vanitosa, vuota, che non vuole adattarsi ad un lavoro modesto, ma fecondo, della collettività anonima, e si trastulla sempre a suonare il chitarrino per lodare i grandi fatti degli antenati, dei quali egli altro non è che il modesto pidocchio. Antonio Gramsci, Avanti!, 10 marzo 1917
Fesso, in Italia, è la parola chiave. Non c'è aggettivo che lasci tanto trasparire controluce, nella sua ascesa fra Otto e Novecento e nel suo attuale declino, la storia di una nazione. L'etimologia di fesso è debitamente oscena. Fessa, da fendere (cioè dividere, spaccare), era nei dialetti meridionali, l'organo genitale femminile. Per quel percorso mentale tipicamente umano e segnatamente italiano, che consiste nello svalorizzare ciò a cui si dà più valore, fesso, come minchione, è passato ad ingrossare la prolifica famiglia dei genitali che si aggirano, fra orgogliosi ed umiliati, nell'area semantica di stupido. Plebiscitario, ben oltre i limiti regionali, il successo di fare fesso, cioè ingannare, frodare, truffare. Attenzione, però. Fesso ha connotazioni complesse, non prive di nobiltà, tanto che Panzini, nel suo Dizionario Moderno del 1905, afferma che vale “stupido, di buona fede e poi gentiluomo”. Mi viene in mente il ma collocato dal Manzoni in un giudizio di Don Ferrante (“galantuomo sì, ma acuto”) che corregge mentre afferma e afferma correggendosi: salva il galantuomo, ma insidiandoci un dubbio letale. Una conferma la troviamo nel Grande Dizionario della lingua italiana del Battaglia, in corso di completamento presso la Utet, che alla consueta sequela di contumelie riservata al fesso, aggiunge “che non sa o non vuole approfittare delle facili e vantaggiose occasioni; che è incapace di farsi valere, spesso per mantenersi fedele ai propri ideali di giustizia e di onestà (per lo più usato come ingiuria)”. ...Giuseppe Prezzolini nel suo Codice della vita italiana, all'articolo 1 “I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi” ; all'articolo 4 puntualizza con astuta finezza: “Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente è spesso un fesso anche lui”. E all'articolo 10, nella sua brutale rusticitas, ricapitola un'esperienza sedimentata: “L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano e crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono”. Sulla possibilità di un riscatto, Prezzolini, non indulge alla speranza :”Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandare via i furbi. Ma non possono perché 1° sono fessi; 2° gli altri fessi sono stupidi ed incolti, e non li capiscono”. Gli articoli finali sono una summa dell'agire politico nell'ambito dell'economia: “Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione”. Ma solo all'ultimo spiega il successo di cui hanno goduto i politici più furbi, se
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vogliamo esercitare un charitas lessicale: “L'italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno”. Giuseppe Pontiggia, Il Sole 24 Ore, 5 ottobre 1997
Tutti i pensieri intelligenti sono già stati pensati; occorre solo ritrovarli. Goethe ascoltato su Radiomilano finanza il 27.12.2010
Non contraddire mai una donna: lasciala parlare per cinque minuti. Carola Barbero, insegna filosofia a Unito, radiorai2, 29.12.2010
Il diavolo è ben illuso se pensa di poter peggiorare gli uomini.
Radiorai3, metà dicembre 2010
Nell'amore non c'è mai pace e serenità perché ogni posizione conquistata implica nuovi traguardi. Marcel Proust, radiorai3, metà dicembre 2010
La parola esprime il pensiero, il tono le emozioni.
Erza Pound, Radioclassica MF, 7 genn 2011
Presta il tuo udito a molti e le tue parole a pochi.
W. Shakespeare
Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici ma quelle degli amici.
M.L. King
Nessuno vuole il bene pubblico, se non concorda con il suo.
J.J. Rousseau
Sono le parole e non le cose che rivoluzionano gli uomini.
Voltaire
Tutte le rivoluzioni hanno come corollario la morte di innocenti.
C. Baudelaire, Aforismi
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Il più ricco degli uomini è chi fa economia, il più povero l'avaro.
Nicolas de Chamfort
Gli uomini non esitano a rinunciare alla virtù per la ricchezza.
Adam Smith
E' meglio avere dei beni al sole che dei mali (?) all'ombra.
Auguste de Villiers
Il ridere è all'uomo come la pressione alla birra.
Alphonse Allais
Come il cuore e come il sesso, il ridere procede per erezione: niente lo soffia o lo eccita. Non si drizza per la volontà.
Jean Cocteau
Nelle rivoluzioni ci sono due tipi di persone: quelle che le fanno e quelle che ne approfittano. Napoleone I°
Le rivoluzioni non hanno mai alleggerito il peso della tirannia: l'hanno solo spostato sull'altra spalla. George Bernard Shaw
La risata, zucchero delle lacrime.
Robert Sabatier
Non c'è alcun re che non abbia avuto uno schiavo fra i suoi antenati e, per contro, nessun schiavo che non ne abbia avuto uno fra i suoi. (nota mia:già detto da Platone in Repubblica) K. Keller
Ci sono due cose che si contestano sovente ai re: la loro nascita e la loro morte. Non si vuole che una sia legittima e l'altra naturale. Alfred de Vigny
Avendo la prosa una lettera di troppo, la rosa sceglie la poesia.
Robert Sabatier
Senza l'invenzione della ruota, i corridori del Tour de France sarebbero condannati a portare le loro biciclette sulle spalle. Pierre Dac
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Il cervello dei russi (uomini) è umido, non brucia del fuoco dell'intelligenza e quando cade su di esso la fiammella del sapere, fuma e si spegne. Massimo Gorki, I nemici.
Gli uomini non vi riconoscono saggio se non quando condividete ed approvate la loro follia. Alphonse Karr
I saggi hanno più da imparare dai folli che non i folli dai saggi.
Michel de Montaigne, Saggi
Com'è che accogliete tanti sciocchi nel vostro ordine? Chiedetelo ad un gesuita: noi dobbiamo farne dei santi. Voltaire, Le Sottisier (raccolta di sciocchezze)
Ci vogliono quattro uomini per fare un'insalata: uno prodigo con l'olio uno avaro con l'aceto uno saggio per il sale uno folle con il pepe.
Francois Coppée
---------------------------------------Giuliana Cordero, Via Castelnuovo 13, Daniela Piazza ed. , 2001
Plus d'honneur que d'honneures motto degli Adhémar de Lantagnac
Nulla catena me tenet
motto degli Alberti della Briga
Post Tenebras Lux
motto dei Capponi Trenca Avant propòs
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Mi son sempre chiesta, con il regista Claude Lelouch, se le generazioni umane, al modo delle foglie di omerica memoria, nascano e muoiano in omaggio naturale ai cicli stagionali, riproducendo i volti con i volti e riportando in superficie le stigmate dei “geni” caratteriali, o se invece si nasconda un significato riposto e ben diversamente evolutivo dietro la meretta dei passaggi e dei moti generazionali. (incipit)
..La nostra epoca è priva di colori, e ama le tinte che li respingono del tutto (il nero) o che tutti li assorbono (il bianco) o li confondono (il grigio). Ma io li incorporavo allora , ne “consumavo” le vibrazioni energetiche, le facevo mie, come per farne provvista per tutte le epoche a venire. “verde che ti voglio verde!” declamava a Pragelato la mia amica Grazia armeggiando attorno alla macchina per il caffé,, ed io in risposta: “Giallo e turchese” invocavo masticando girasoli di Provenza e triturando papaveri di fiamma che la zia Fernanda alternava all'esplosione di mimose d'oro, con un pizzico di sapienza fiamminga. (Molto, molto bello questo libriccino che narra l'epopea familiare dell'Autrice, dai tempi d'oro dei nonni alle vicissitudini della guerra e degli sconvolgimenti conseguenti; molto bella la descrizione delle due o tre case abitate nella puerizia e giovinezza. Tace sull'epilogo ma di sicuro è ben scritto. Controllato su internet: costei è una grande grecista, Autrice di parecchi libri, quasi sempre di evocazione familiare, ma anche uno sulla Maria Maddalena ed un altro sull'ebraismo)
Serba un orecchio per l'accusato.
. Sofocle
L'amore piace più del matrimonio, per la stessa ragione per cui i romanzi sono più divertenti della storia. Chamfort, Massime e pensieri, VI, 344
-----------------------------------------------Giancarlo Roggero , Anima dell'uomo, Vol. III, ed. Estrella de Oriente, 2010
Le virtù sulle quali verte il Parzifal non sono quelle passive coltivate dal monachesimo -obbedienza, povertà, castitàma quelle attive della cavalleria, articolabili anch'esse in tre categorie principali, correlate ciascuna ad una funzione dell'anima: la veracità, tenuta in gran conto già dagli antichi Persiani, alla funzione della mente; il coraggio, o valore guerriero, a quella del cuore; la fedeltà, in quanto capacità di stringere e serbare vincoli duraturi nelle relazioni umane, a quella della vita.
… Se il dubbio -è detto riguardo al primo- si annida nel cuore, cosa amara è per l'anima: quando l'intrepido cuore di un uomo trova un simile compagno, onta e onore si appaiano in lui, proprio come fanno i due colori della gazza. Pure quegli può ancora andarne lieto, poiché a lui sono aperte entrambe le porte, del cielo e dell'inferno. Ma chi perde la saldezza interiore ha colore tutto nero e diviene scuro come la tenebra; così come serba il suo candore colui che ha saldi i pensieri. (Parzifal, I, 1)
…. Prego Dio per le donne virtuose che le accompagni in ogni cosa la giusta misura. Il pudore è suggello di tutte le virtù: nopn posso impetrare per loro fortuna maggiore. La donna falsa raccoglie soltanto lodi false. Quanto può durare un ghiaccio sottile sotto la calura del cielo di agosto? Allo stesso modo ben presto si liquefà il none di quella (…). La
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donna valente non debbo giudicarla dalla sua apparenza, né dal corpo che io vedo, e che solo è la casa del suo cuore; se ella il suo valore l'ha dentro il petto, allora non può venire intaccata la sua alta virtù. (Parzifal, I, 1)
… Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che alla sua giovanissima etade si convenia. In questo punto dico veracemente che lo spirito della vita, il quale dimora nella secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole: -Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi- (Ecco il dio più forte di me che viene a signoreggiarmi) In questo punto lo spirito animale, lo quale dimora nell'alta camera (il capo) ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente alli spiriti del viso (della vista) , si disse queste parole: -Apparuit iam beatitudo vestra- (E' apparsa la vostra beatitudine) In quello punto lo spirito naturale, il dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: -Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!- (Ahimé infelice, ché d'ora in poi sarò spesso impedito). D'allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtate (tutela) e tanta signoria per la virtù che gli dava la mia immaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. (Dante, Vita nuova, III).
… Con il siciliano Jacopo da Lentini, attivo nella prima metà del Duecento presso la corte di Federico II di Svevia, il motivo era stato accolto nella tradizione nascente della poesia italiana: Amore è un desio che vien dal core per abundanza di tanto plazimento e li occhi in prima generan l'amore e lo core li dà notricamento. (Amore è un desio che vien dal core, versi 1-4)
… Come la virtù d'Amore esplichi i suoi i suoi effetti nelle diverse funzioni dell'anima, si mostra ormai distintamente in un sonetto di Guido Cavalcanti, “primo amico” di Dante e cultore con lui del “Dolce stil novo”. Voi che per li occhi mi passaste 'l core e destate la mente che dormia, guardate all'angosciosa vita mia, che sospirando la distrugge Amore. (Guido Cavalcanti, Voi che li occhi mi passaste 'l core, vv. 1-4) (Questo Autore che conosco da parecchi anni vive in Langa e studia Rudolf Steiner, lo traduce e lo frequenta con insistenza : applica questi studi alla redazione di molteplici testi. In questa fase sta seguendo il ciclo dell' “anima” con molta acutezza e indubbio ingegno. A volte i testi sono difficili in quanto estremamente specifici e profondi, (questo testo per esempio l'ho sospeso qui con Dante, ma mi riprometto di continuare) e non sono certo destinati al grande pubblico: ha infatti una cerchia rarefatta di lettori con i quali si incontra in seminari e conferenze. Conduce vita celibataria, è strettamente vegetariano; incomincia a lavorare, tutti ma proprio tutti i santi giorni, alle 4 del mattino e prosegue fino alle 12; mangia un pezzo di pane nero tedesco con due olive, va a riposare fino alle 15,30 (inutile andarlo a cercare prima, non risponde) quindi esce per una passeggiata. E' un grande, grande personaggio che, bene
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vixit qui bene latuit, non cerca assolutamente la notorietà ma percorre un suo cammino evolutivo in modo integrale ed assoluto. Dispone di una biblioteca notevole ed è armato di forte cultura classica. E' un vero piacere l'averlo conosciuto e sporadicamente frequentato). Valentin Tomberg, Considerazioni dell'Apocalisse, Lettere alle sette Chiese, ed. Estrella de Oriente,2007
Prologo dell'Apocalisse di San Giovanni Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio, per istruire per istruire i suoi servi sulle cose che devono ben presto accadere, ha fatto conoscere per mezzo del suo Angelo al proprio servo Giovanni, il quale attesta quale parola di Dio e testimonianza di Gesù Cristo tutto quello che ha veduto. Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia, custodendo le cose scritte in essa, perché il tempo è vicino. Saluto alle sette Chiese e lode a Cristo. Giovanni, alle sette Chiese che sono nell'Asia: grazie a voi e pace da parte di Dio che è, che era e che viene, e da parte dei sette spiriti che stanno dinanzi al suo trono, e da parte di Gesù Cristo, il Testimone fedele, il primogenito fra i morti, il capo dei re sulla terra. A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati mediante il suo sangue, che ha fatti di noi un regno e sacerdoti di Dio, suo Padre: a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco che Egli viene fra le nubi! Ogni occhio lo vedrà, anche coloro che l'hanno trafitto, e gemeranno su di lui tutte le tribù della terra. Sì, amen” “Io sono l'Alfa e l'Omega”, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, il Creatore di tutto. (Questo testo, tradotto da Giancarlo Roggero, è stato dattiloscritto nel 1938-39 ma pubblicato solo nel 1991 quando il Tomberg era morto dal 1973. L'Autore è nato nel 1900 a Pietroburgo ed è vissuto in vari paesi europei scrivendo moltissime opere soprattutto in francese e in tedesco. Questo testo davvero difficile da comprendere si basa sulla interpretazione antroposofica delle scritture: ognuna delle sette lettere si riferisce a diverse epoche storiche dell'umanità, passate e future; manifestano il divenire della rivelazione dell'Apocalisse. Comunque di difficile comprensione. Non ho qui riportato alcun brano o passaggio in quanto l'estrazione dei passi significativi sarebbe risultata incomprensibile, avulsa dal contesto generale. Mi piace ricordare che questo Autore ha scritto in forma anonima , dimostrando quindi una umiltà encomiabile, “Mèditations sur les 22 arcanes majeurs du Tarot” che nel 1998 avevo ordinato per posta alla mitica casa editrice Flammarion di Parigi, con testo chiaramente in francese. Lo studio di questo corposo volume mi aveva assorbito davvero tanto (lo dimostra anche la fatica fisica subita dal testo) ; l' interpretazione mi aveva davvero fatto sudare. Non ricordo bene ma ritengo che nell'ambito di Chiosa ci siano molte annotazioni e riferimenti. Quando poi era uscita l'edizione tradotta in italiano avevo subìto una grande delusione, tant'è che avendolo imprestato a qualcuno non è mai più tornato a casa. Probabilmente i due diversi momenti di lettura sono stati influenzati da una mia evoluzione psichico-culturale).
… Ora sarebbe difficile sostenere che la conoscenza degli algoritmi numerici abbia la sua origine nei processi dialettici; anche perché la dialettica antica, che è comunque un'esperienza tipicamente greca, è storicamente posteriore alla loro scoperta, in Grecia e in altre tradizioni. Ma in che cosa consiste il nesso tra gli algoritmi e i ragionamenti di Socrate? Gli uni e gli altri hanno in comune la ricerca del medio, il calcolo delle misure, dei rapporti e delle proporzioni con cui si riesce a rappresentare qualcosa che i numeri, da soli, non riescono a quantificare in modo esatto. La logistiké, il calcolo di rapporti e proporzioni numeriche ha applicazioni nel Protagora (356a-357b), ove le idee di eccesso e difetto, usate regolarmente nel calcolo, servono a soppesare il piacere il piacere e il dolore; oppure nella Repubblica ( 546c4-6), ove un fugace accenno alla diagonale razionale di 5, distinta dalla diagonale irrazionale, si accompagna ad una osservazione generale sulla possibilità di
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stabilire reciproci tra le cose per mezzo dei rapporti numerici. Il carattere dei concetti di verità, bene, santità, temperamento o giustizia, dibattuti nei dialoghi platonici, trova una corrispondenza nella struttura dei processi di calcolo e nei concetti matematici di rapporto e di incommensurabilità. Infatti sia nella matematica, sia nell'ambito dei discorsi che mirano al bene o alla verità, si è costretti, di regola, a complesse strategie di approssimazione e di avvicinamento a un centro di equilibrio e di giustizia, di un logos alogos, che è il perno di una bilancia infinitamente oscillante, un numero irrazionale o un discorso che nessun dialogo riuscirebbe a concludere. Proprio in queste strategie si trovano alcune caratteristiche peculiari del logos, in particolare il concetto di relazione e i principi di simmetria e di reciprocità. Sia nel dialogo e sia nella matematica si calcolano approsimazioni per eccesso e per difetto, che si dispongono in modo simmetrico intorno ad un centro. Paolo Zellini, Numero e Logos, ed. Adelphi, 2011
… Ma buon per me che potei tirar fuori dalla valigia il tuo Joyce e mi svagai un poco e in certi punti era così preciso nel dire i personaggi che mi sembrava di essere in compagnia. E poi ti debbo anche dire, non so bene, ma buone poesie mi sembra di aver fatto, che ora ho per mano e non so ancora come mi son venute fuori, e debbo ringraziare il cielo di avermi fatto sbagliare treno. Queste poesie ti farò leggere quando ritorno. In quanto a Viareggio c'è sempre la stessa aria così buona a respirare, che se anche non ci fosse nulla, uno potrebbe dire: però c'è l'aria. Un'aria così leggera e sostanziosa che fa meravigliare come sia stato possibile respirarne tanta di bolognese fangosa e nebbiosa. Ma ora ti saluto affettuosamente e salutami gli amici e, se ne hai voglia,, manda qualche notizia al tuo Mario Tobino ( che bella questa lettera che Tobino scrisse nel 1934 all'amico Brandi: racconta che, essendosi sbagliato circa la direzione del treno, dacché era immerso nella scrittura, scende alla stazione di Porretta Terme e trascorre la notte nella sala d' aspetto di terza classe “con qualche cimice, credo. E c'era freddo, fino alle cinque e venti del mattino, uno stanzone con una lampadina elettrica che emetteva continuamente una luce che mi entrava dagli occhi nel cervello e, dentro il cervello, si stagnava come rancida acqua”. Nel bell'articolo di Eugenio Borgna apparso su Il Sole del 6 giugno 2010, viene spiegato quale fosse il rapporto di Tobino con i suoi pazienti del manicomio, della sua umanità, della sua chiaroveggenza che almeno quarant'anni dopo, portò alla riforma dell'intero sistema psichiatrico. Ma c'è anche una bella foto di Tobino al tavolo di lavoro nella sua stanza all'interno dell'ospedale con, sullo sfondo, un semplice letto, un comò, un appendi-abiti ed un lavandino: abitò e visse lì quaranta anni. Ecco la grandezza di un uomo mai abbastanza lodato.
Il male del nostro tempo è la solitudine, volto riverso della cosiddetta globalizzazione. E molti pensano e danno da pensare (specie ai giovani) che questa cagna che morde il cuore di tutti la si vinca con la comunicazione. E invece no, è l'amicizia che vince la solitudine, non la comunicazione. Eppure lo dicono, più o meno apertamente: si propaganda un uomo-monade un'isola, un singolo autodeterminato che comunica un sacco. Basta connettersi al mondo e non si è più soli. (…) Ma senza un'amicizia un uomo muore dentro, e anche una società muore dentro. Nel Vangelo si narra di un Dio che compie la sua rivoluzione chiamando i suoi fedeli “amici” e non più “servi”. Anche Dio dunque chiede di essere conosciuto per amicizia e non per sottomissione. I nostri ragazzi chiedono di conoscere l'amicizia. La vorrebbero comprendere, riconoscere. Ma possono vederla nel mondo degli adulti? Ma dove cercarla, se talvolta si rompe l' “amicizia” persino con i genitori, o sui media si parla tanto di strani “giri di amici”? Ci rimane solo l'amicizia per il tempo libero? Gli amici delle vacanze o quelli dell'aperitivo. Ma cosa è un'amicizia legata solo allo svago e non all'impegno con la durezza della vita? Non c'è bisogno di ricorrere alle pagine antiche di Cicerone. O alle frasi acute di Oscar Wilde sul tema. Ma occorre trovare risorse ancora per far vedere la forza dell'amicizia. Specie oggi quando la crisi tende a far sentire tutti più isolati, nonostante gli infiniti mezzi di comunicazione. Davide Rondoni, Il Sole, 6 giugno 2010
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Chiamiamo libero colui che esiste per se stesso, non per un altro.
Aristotele
Diagora di Melo, filosofo della seconda metà del V secolo, recatosi nel tempio di Samotracia, stava osservando gli ex voto che i marinai vi avevano depositato quando un amico gli chiese: “ Tu che pensi che gli dei non si occupino degli affari degli uomini, non vedi da questi dipinti quanti siano coloro che sono sfuggiti al furie della tempesta e sono giunti in porto sani e salvi?” La replica fu:”Da nessuna parte sono dipinti tutti quelli che hanno fatto naufragio e sono morti in mare”. In questo episodio, narrato da Cicerone nel De natura deorum, Diagora, detto l'Ateo, nega la Provvidenza, ma si pone il problema, marginale per i Greci, dell'esistenza o dell'inesistenza di dio, un tema che a lungo ha tormentato i Cristiani e generato prove e scommesse, da Tommaso ad Anselmo, da Pascal a Kant. Imposta però la questione, sinteticamente formulata da Epicureo, sulla presenza del male nel mondo in rapporto all'intervento, effettivo o mancato, della divinità. “Se Dio vuole togliere i mali e non può, è impotente. Se può e non vuole è invidioso . Se non vuole e non può è invidioso e impotente.” Remo Bodei, La ragionevolezza dell'ateo, Il Sole 24 Ore, 7 novembre 2010, recensendo di Giulio Giorello , Senza Dio, del buon uso dell'ateismo, ed. Longanesi, 2010 Io invito a costanti piaceri e non a virtù stolte e vuote che turbano con la speranza di premi.
Epicuro
Se Dio secondasse le preghiere degli uomini, assai presto tutti gli uomini morrebbero, perché essi di continuo invocano mali gli uni contro gli altri. Epicuro
La massima ricchezza é la autosufficienza.
Epicuro
Il saggio, come nei cibi cerca i migliori e non i più abbondanti, così non dal tempo più lungo ricava piacere, ma da quello più dolce. Epicuro
Gli uomini costruiscono e custodiscono le istituzioni nei momenti di forza, le trascurano e disprezzano nei momenti di debolezza. Gilbert Keith Chesterton 1874-1936
Sive ira et odio
ascoltato Radiorai2 il 12 marzo 2010
Orbene, mentre il mondo si avvia lentamente alla fine, mentre il sole si avvia lentamente a tramontare, perché non dedicarci a pensare un po' al giorno di domani, a quel famoso domani in cui saremo quasi tutti felicemente vivi? Invece di un certo numero di proposte temerariamente gratuite su e ad uso del terzo millennio che lui stesso ( Nicolas Ridoux, autore di Meno e più) molto probabilmente, si incaricherà di mandare immediatamente in fumo, perché non ci decidiamo a realizzare delle idee semplici e dei progetti che siano alla portata di qualsiasi comprensione?
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Questi, ad esempio, se di meglio non si trova: a) sviluppare partendo dalla retroguardia, e cioé far avvicinare alle prime file del benessere le masse crescenti di popolazione lasciate indietro dai modelli di sviluppo in uso; b) promuovere un significato nuovo dei doveri umani, rendendolo correlato all'esercizio pieno dei propri diritti; c) vivere come sopravvissuti, perché i beni, le ricchezze e i prodotti del pianeta non sono inesauribili; d) risolvere la contraddizione tra l'affermazione che siamo sempre più vicini gli uni agli altri e l'evidenza che ci troviamo sempre più isolati; e) ridurre la differenza, che aumenta giorno dopo giorno, tra coloro che sanno molto e coloro che sanno troppo poco. Credo sia dalle risposte che daremo a questioni come queste che dipenderanno il nostro domani ed il nostro dopodomani. E tutto il millennio. A proposito, torniamo alla Filosofia. José Saramago, blog del 25 marzo 2009
Leggo in un reportage sul terremoto degli Abruzzi che i sopravvissuti, disperati, impotenti, si domandano perché mai il destino abbia scelto loro e la loro terra come campo della tremenda catastrofe. E' una domanda cui non ci sarà mai risposta, ma che invariabilmente ci poniamo quando l'infelicità è venuta a bussarci alla porta, come se in qualche parte dell'universo esistesse un responsabile cui chiedere conto dei mali che ci capitano. Tante volte non c'è altro tempo che per vedersi la morte davanti, o magari neanche per questo, quando scoppia una bomba a dieci passi o il caicco va in pezzi con la costa proprio lì, a portata di mano, quando l'alluvione trascina via case e ponti quasi fossero ostacoli insignificanti, quando la valanga o lo smottamento di terra seppellisce interi abitati. Ci domandiamo perché a noi, perché a me, e non c'è risposta. Anche Jacques Bréil se l'era domandato: “Pourquoi moi? Pourquoi maintenant?” e morì. E' il destino, diciamo, e nel destino non c'è scritta la parola resurrezione. E' bene saperlo perché, in verità, il mondo non è fatto per le resurrezioni. Basta quello che c'è. José Saramago, blog del 13 aprile 2009
Anche in Portogallo abbiamo fondazioni che, fortunatamente per loro e per tutti noi, godono del favore del pubblico. Ma non mancano gli ultramontani incalliti o gli invidiosi compulsivi, come quel giornalista e opinionista che, interpellato su cosa pensasse della Fondazione José Saramago (chiedo scusa se devo autocitarmi), ha risposto che le fondazioni servirebbero solo per far soldi ed evadere le tasse, Dio lo perdoni, ché noi non possiamo. José Saramago, blog del 5 giugno 2009
E' sempre infuocata la questione del laicismo, a mio modo di vedere in termini non molto chiari, in quanto sembra volersi ignorare la questione fondamentale che soggiace al problema: credere o non credere all'esistenza di un dio che, non solo avrà creato l'universo e dunque la specie umana, ma sarà anche, alla fine dei tempi, il giudice del nostro operato sulla terra..... In tutto questo, il laicismo mi appare più come una posizione politica determinata, ma prudente, che come emanazione di una convinzione profonda della non esistenza di dio e dunque dell'impertinenza logica delle istituzioni e degli strumenti che pretendono di imporre il contrario alla coscienza della gente. Si discute di laicismo perché, in fondo, si teme di discutere di ateismo. La cosa interessante, però, è che la Chiesa Cattolica, nella sua vecchia tradizione di fare il male e il piagnisteo, se ne sta lì a lagnarsi di essere vittima di un ipotetico laicismo “aggressivo”, una nuova categoria che le permette di insorgere contro il tutto fingendo di attaccare solo una parte. La doppiezza è sempre stata inseparabile dalle tattiche e dalle strategie diplomatiche e dottrinarie della curia romana. Ci sarebbe da essere grati se la Chiesa Cattolica Apostolica Romana smettesse di intromettersi in quello che non la riguarda, cioé, la vita civile e la vita privata delle persone. Non dobbiamo però stupirci. Alla Chiesa Cattolica importa poco o niente il destino delle anime, il suo obiettivo è sempre stato di controllare i corpi, e il laicismo è la prima porta da cui cominciano a sfuggirle questi corpi, e via facendo gli spiriti, giacché gli uni non vanno senza gli altri. La questione del laicismo non è altro, dunque, che una prima scaramuccia. Il vero e proprio scontro arriverà quando infine si contrapporranno credenza e miscredenza, quest'ultima andando alla lotta con il suo vero nome: ateismo. Il resto sono giochi di parole.
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José Saramago, blog del 4 giugno 2009
Questo articolo, con lo stesso titolo (La cosa Berlusconi) , è stato pubblicato ieri sul giornale spagnolo El Pais, che espressamente me l'aveva commissionato. Considerando che in questo blog ho fatto alcuni commenti sulle prodezze del primo ministro italiano, sarebbe strano non accogliere qui questo testo. Altri ce ne saranno nel futuro, sicuramente, dato che Berlusconi non rinuncerà a quello che è e a ciò che fa. E io neanche. La cosa Berlusconi Non vedo che altro nome gli potrei dare. Una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che tiene feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un vomito profondo non riuscirà a sdradicarla dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene e spezzare il cuore di una delle più ricche culture europee. I valori basilari della convivenza umana sono calpestati tutti i giorni dalle zampe vischiose della cosa Berlusconi che, tra i suoi molteplici talenti, ha un'abilità funambolesca nell'abusare delle parole, corrompendone l'intenzione e il senso, come nel caso del Polo delle Libertà, che è proprio il nome del partito con cui ha dato l'assalto al potere. Ho chiamato delinquente questa cosa e non me ne pento. Per motivi di natura semantica e sociale che altri potranno spiegare meglio di me, il termine delinquente possiede in Italia una carica negativa assai più forte che in qualsiasi altra lingua parlata in Europa. E' stato per tradurre in modo chiaro e contundente ciò che penso della cosa Berlusconi che ho usato il termine nell'accezione che la lingua di Dante gli conferisce abitualmente, sebbene sia più che dubbioso che Dante lo abbia mai impiegato. Delinquenza, nel mio portoghese, significa, secondo i dizionari e la prassi corrente della comunicazione “ atto di commettere delitti, disobbedire a leggi o modelli sociali”. La definizione si adatta alla cosa Berlusconi senza una piega, senza una ruga, al punto di sembrare una seconda pelle più che un abito che si mette addosso. Sono anni che la cosa Berlusconi continua a commettere delitti di variabile ma sempre dimostrata gravità. Inoltre, non solo disobbedisce alle leggi, ma, peggio ancora, le fa fare a salvaguardia dei propri interessi pubblici e privati, di politico, imprenditore e accompagnatore di minori, e quanto agli standard morali, non vale neanche la pena parlare, non c'è in Italia e nel mondo nessuno che non sappia che la cosa Berlusconi è ormai caduta da tempo nella più totale abiezione. Questo è il primo ministro italiano, questa è la cosa che il popolo italiano ha eletto per ben tre volte a servirgli da modello, questo è il cammino della rovina verso cui si stanno trascinando i valori che di dignità e libertà impregnarono la musica di Verdi e l'azione politica di Garibaldi, quelli che fecero dell'Italia dell' Ottocento, durante la lotta per l'unificazione, una guida spirituale dell' Europa e degli europei. E' questo la cosa Berlusconi vuole gettare nel cassonetto dei rifiuti della Storia. E gli italiani, glielo permetteranno? José Saramago, blog dell' 8 giugno 2009
Il sangue in Ciapas Ogni sangue ha la sua storia. Scorre senza mai fermarsi all'interno labirintico del corpo e non perde mai l'orientamento e il senso, arrossa improvvisamente il volto o lo fa impallidire fuggendo via, irrompe improvvisamente da uno squarcio della pelle, si fa strato protettivo di una ferita, allaga campi di battaglia e luoghi di tortura,, si trasforma in fiumi sull'asfalto di una strada. Il sangue ci guida, il sangue ci risolleva, con il sangue dormiamo e con il sangue di svegliamo, con il sangue ci perdiamo e salviamo, con il sangue viviamo, con il sangue moriamo. Si fa latte ed alimenta i bambini in braccio alle mamme, si fa lacrime e piange per gli assassinati, si fa rivolta ed alza un pugno chiuso e un'arma. Il sangue si serve degli occhi per vedere, capire e giudicare, si serve delle mani per il lavoro e per la carezza, si serve dei piedi per andare dove il dovere lo ha mandato. Il sangue è uomo e donna, si copre di lutto o di festa, si mette un fiore alla vita, e quando assume un nome che non sono i suoi è perché quei nomi appartengono a tutti coloro che sono dello stesso sangue. Il sangue conosce tanto, il sangue conosce il sangue che ha. A volte il sangue monta a cavallo e fuma la pipa, a volte guarda con occhi asciutti perché il dolore li ha seccati, a volte sorride con una bocca da lontano e un sorriso da vicino, a volte nasconde il viso ma lascia trasparire l'anima, a volte implora la misericordia di un muro muto e cieco, a volte è un bambino sanguinante portato in braccio, a volte disegna figure vigili sulle pareti delle case, a volte è lo sguardo fisso di queste figure, a volte lo legano, a volte si slega, a volte si fa gigantesco per arrampicarsi sulle muraglie, a volte ribolle, a volte si calma, a volte è come un incendio che tutto infuoca, a volte è una luce quasi dolce, un sospiro, un sogno, un capo dolcemente reclinato sul sangue che gli sta accanto. Ci sono sangui che persino quando sono freddi bruciano. Questi sangui sono eterni come la speranza.
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José Saramago, blog del 19 agosto 2009 ----------------------------------------------------------------------------La nostra esistenza è la sommatoria di tutte le giornate che si chiamano oggi. … Una sola si chiamerà domani e noi non la conosceremo. Armand Salacrou, La Terra è rotonda
Lo spirito: il sorriso dell'intelligenza.
Jean Bonot
A tutte le età, in tutti i tempi, in ogni luogo, in qualsiasi situazione in cui ci si trovi, lo stomaco influenza prodigiosamente il cervello. Jean-Baptiste Louvet de Corvay
Il mio dramma si scrive in poche parole: non ho stima che per coloro che mi pongono resistenza, però non riesco a sopportarli. Charles de Gaulle, Lettera a P. T. Teitgen
Troppi uomini vengono al mondo: lo Stato è stato inventato per coloro che sono superflui. Friedrich Nietsche
Noi non sappiamo che farcene di questa vita troppo breve: perciò ne desideriamo un'altra che sia eterna Anatole France
L'alleanza della Francia con l'Inghilterra è una alleanza utile. Ma, se ne prenda ben guardia: anche l'alleanza dell'uomo con il cavallo è utile. Tanto più per quella delle due nazioni che farà il cavallo. Klemens von Metternich
L'Europa sarà belle che fatta se i Francesi resteranno un'ora al giorno di meno al bistrot e i Tedeschi un'ora in più a letto. Jean Mistler, Buon peso
Il mondo è di coloro che si svegliano presto. Il mezzo-mondo è di coloro che si coricano tardi. Willy
La democrazia, sai cos'é? E' il potere, per i polli, di mangiare i leoni.
Philippe Berthelot
Il demonio? E' un angelo che ha avuto dei problemi ed è emigrato.
Antoine de Rivarol, Massime
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In tutte le guerre l'Inghilterra vince una battaglia; l'ultima.
Elefthéros Venizélos
La democrazia è la metà dei coglioni, più uno.
Philippe Bouvard, Pensieri
La speranza: una delle poche cose che si ottengono a basso costo, sovente addirittura a gratis. Honoré de Balzac
FUGE—TASCE—QUIESCE Fuggi—taci—riposati.
scritta sul muro della Grande Certosa
Il diavolo è la quarta dimensione della Chiesa.
Malcom de Chazal
Il solo luogo dove successo precede lavoro (travail) è sul dizionario
Vidal Sassoon
Dio è per l'uomo, la religione per la donna.
Joseph Conrad, Ricordi
Non è perché le cose sono difficili che noi non osiamo, è perché noi non osiamo che esse sono difficili. Seneca
Non c'è più rettitudine nel carattere e nell'attività di un diplomatico, se non quando tira il cavaturaccioli. Jean-Paul Sartre, Essere là, nell'esistenza
La democrazia non è la legge della maggioranza, ma la protezione della minoranza. Albert Camus, Quaderni, III
Quando un economista vi risponde, non si capisce più cosa gli avevate chiesto.
Charles Gide
Bisogna ascoltare parecchio e parlare poco per ben operare nel governo di uno Stato.
Card. de Richelieu
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La scrittura sembra alla prostituzione. All'inizio si scrive per amore della cosa, poi per qualche amico, e, alla fine, per denaro. Molière
Spagna: paese ammirabile dove ci sono tre cose di troppo: le pulci, le piattole e gli Spagnoli.
Democrazia è il nome che noi diamo al popolo, quando abbiamo bisogno di lui.
Victor Hugo
Robert de Flers, L'abito verde
Cambiare agente letterario è come cambiare di sdraio sul ponte del Titanic.
Anonimo
Tutti i giorni la gente abbandona la Chiesa e ritorna a Dio.
Lenny Bruce
Vado a realizzare l'elettricità così a buon mercato che solo i ricchi potranno permettersi le candele. Thomas Edison
Sai qual'è il mezzo più sicuro per rendere tuo figlio miserabile? E' di abituarlo ad ottenere tutto. Jean Jacques Rousseau, Emile o dell'educazione
Dio ha regalato una sorella al Ricordo e l'ha chiamata Speranza.
Michelangelo
Alle pompe funebri interessano più la vanità dei sopravvissuti che la memoria del morto. Francois de la Rochefoucauld
Molti degli errori nascono da una verità di cui si abusa.
Voltaire
Negli alberghi spagnoli lo stesso olio serve per illuminare, per cucinare e per condire l'insalata. Algernon Charles Swinburne
Non si guida un popolo se non mostrandogli un avvenire: Un capo è un mercante di speranze. Napoleone
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Uomo, tu sei il padrone, la donna è la tua schiava ed è Dio che l'ha voluto. … , Si le vostre donne sono le vostre serventi e voi siete i padroni delle vostre donne. Sant' Agostino
Una donna che vota una legge in favore del divorzio sembra ad una tacchina che vota per il Natale. Alice Glynn Se non vuoi cadere in preda al dolore, vagli incontro. Lanza del Vasto, Principi e precetti (questo autore è dei nostri: quando intorno al 1000 si crearono le famiglie aleramiche, ai Vasto spettò la destra orografica del Tanaro, mentre ai (non ricordo) il Monferrato. I Vasto diedero poi origine al ramo dei futuri marchesi di Saluzzo. Penso di aver conosciuto personalmente l'ultimo dei Vasto: aveva la farmacia a Chiusa Pesio)
Io non sono né l'ala destra né l'ala sinistra, io sono l'uccello.
Proverbio indiano
Nec vivere carmina possunt quae scribuntur aquae potoribus Non possono sopravvivere i versi scritti da coloro che bevono acqua.
Orazio, Lettere
Democrazia è quando si suona alla vostra porta alle sei del mattino, ed è il lattaio.
La speranza è una memoria che desidera.
Honoré de Balzac
Le acque minerali fanno più cornuti di quanti non ne guariscano dalle malattie.
Adagio medico
In democrazia, la politica è l'arte di far credere al popolo che sia lui a comandare. Louis Latzarus, La politica
Quello dello scrittore è il solo mestiere, con l'arte di governare, che si osa fare senza averlo imparato. Alphonse Karre
Non mi resta che augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio (disprezzo) Albert Camus, Lo straniero (frase finale)
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L'esilio con tante ricchezze è una patria, la miseria a casa propria è un esilio.
Proverbio arabo
Ma se veramente l'esistenza precede l'essenza, l'uomo è responsabile di ciò che è: così la prima marca (segno) dell'esistenzialismo è di mettere tutti gli uomini nella consapevolezza di ciò che sono e di far cadere su di loro la responsabilità totale della loro esistenza. E quando noi diciamo che l'uomo è responsabile di se stesso, noi non vogliamo dire che l'uomo è strettamente responsabile della sua diretta individualità, ma che è responsabile di tutti gli uomini. Jean Paul Sartre, L'esistenzialismo è un umanesimo
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Onore alla Memoria del primo Martire dell’Arma “Dell’omicidio proditorio commesso la sera del 23 aprile 1815 in vicinanza dell’osteria esercita in Vernante da Antonio Barale, nella persona del Carabiniere Reale Giovanni Boccaccio di ValenzaMonferrato, mediante lo sparo di arma da fuoco carica a palla, per cui rilevò detto Carabiniere Reale Boccaccio una ferita nella schiena penetrante dall’una, all’altra parte del corpo, stata causa immediata della instantanca sua morte. Di una contusione sanabile fra 10 giorni con lo stesso sparo d’arma da fuoco a Germano Gadino, altro Carabiniere Reale mentre precedeva questi d’alcuni passi l’ucciso suo compagno” Il fatto esposto è stato oggetto di un bel testo a firma comm. Marco Viada edito dall’Amministrazione Provinciale di Cuneo nel 2006: oltre ad una ricca descrizione del contesto storico, alla precisazione della recente costituzione (luglio 1814) del Corpo dei Carabinieri Reali, il libro esamina il sacrificio del primo Carabiniere caduto in servizio con la dotta annotazione ricavata dai registri parrocchiali di Vernante. Individua anche l’assassino in Stefano Rosso detto “Fratin” e “Sardo” e cita alcuni editti emessi per favorirne la cattura. Poco altro ebbe a scrivere il comm. Viada in quanto i vari tentativi esperiti presso l’Archivio di Stato di Torino e presso i registri dell’Arma, produssero ben poco, fatta eccezione per il foglio matricolare (ma con una dubbia attribuzione del cognome). Del processo, della condanna e dell’esecuzione dell’assassino nulla era dato di sapere, semplicemente per mancanza di fonti.
Leggendo il libro “il Santuario di Monserrato” del Sac. Dott. Maurizio Ristorto pubblicato dalla Saste S.p.A. di Cuneo nel 1975, si ricava dalla cronaca stesa da Giovan Battista e D. Giovanni Battista Giordano, zio e nipote, di Valdieri negli anni 1792-1845 con queste parole: “Da Mondovì il 17 giugno (1816) è venuto il Re Vittorio Emanuele in Cuneo ed è entrato alle ore nove di Francia di mattina e non si è fermato e subito andò al Borgo di San Dalmazzo ed ha dato il disegno per fare il castello … Non se ne fece nulla e il disegno fu lasciato da parte. Un certo Paolino Dalmasso di Limone fece infatti notare a S. Maestà che, essendo il colle (di Monserrato) dominato da montagne più alte, sarebbe stato necessario fortificare anche queste. Pare infatti che il Re volesse salire fino alla Cappella perché i conti segnano le spese per il trasporto di un inginocchiatoio, tappezzerie e sedie … in occasione che si doveva portare collà il Sovrano Vittorio Emanuele”. Quanto al ricordato Paolino Dalmasso nella cronaca lasciata dal chirurgo Giovanni Gallo di Cuneo in forma di annali, sempre dal testo del Dott. Ristorto, trovo questa nota: 18
“25 settembre 1818 (no, era il 1817) un celebre assassino detto il Sardo già da otto e più mesi condannato alla forca col taglione, mentre nella baracca sul Colle di Tenda sedeva con lo scoppio in mezzo alle gambe, fu dall’ostessa moglie del Bellone, fatto sdrucciolare, in questa uno dei due figli del Bellone lo feriva con due colpi di coltello per fianco e di dietro. Questo atto valse al Bellone l’impunità ed il salvacondotto per l’omicidio commesso l’anno prima nella persona di Paolino Dalmasso, così avendo disposto il Marchese D’Yenne (governatore di Cuneo) che non poteva arrestare il “Sardo”. Questi, ferito al polmone si salvò alla Briga ove fu preso da 50 granatieri e 20 carabinieri venuti da Nizza. Medicato e condotto a Nizza fu impiccato nel 1818””.
Da questo spunto nacque la curiosità di scoprire nuovi dettagli sulla vicenda dacché il “Sardo” altri non era che Stefano Rosso, detto anche “Fratin”. Mi rivolsi con lettera agli Archivi Dipartimentali di Nizza ed ebbi così la fortuna di incontrare la dott.ssa Simonetta Tombaccini Villefranque che fu molto generosa nel disporre una documentazione davvero notevole, contenuta in due faldoni opportunamente catalogati.
Allora, chi era questo Stefano Rosso? E' chiamato il “Sardo” perché nato a Cagliari e il padre Filippo era di Vernante (forse era stato al servizio del Re riparato in Sardegna in seguito alle vicende napoleoniche) ma di Vernante era anche lo zio Bartolomeo con il quale rubò delle pecore (vedi oltre). Non si dice mai l’età del “Sardo” ma lo si definisce “diffamatissimo in genere di furti e grassazioni ed armigero”, molto agile e pericoloso. Costui prima dell’assassinio del Carabiniere Reale Boccaccio aveva dolosamente introdotto in Piemonte nel 1811 “”pezze false per conto di altre persone e previa pure intelligenza coi fabbricatori di tali pezze false”. Aveva rubato “sette emine e mezza di formento nella scuderia dell’osteria esercita in detto luogo di Vernante dalla Costanza Basso a pregiudizio di un mulattiere ivi alloggiato”. Con altro compagno “ aveva rubati dodici bacili di rame e tre rubi circa di butirro” nella grangia di Giacomo Vallauri spostando alcune pietre dalla porta. Nella notte del 30 settembre 1811 aveva rubato due otri di vino nella scuderia dell’oste Nicolao Dalmasso a pregiudizio di Francesco Spada di Valdieri e “trattenuto l’altro di guardia armato di carabina”. Con lo zio Bartolomeo Rosso aveva rubato otto pecore sulla montagna di Stenta a Entracque. Di tutti questi reati era stato condannato giacché era ospite del carcere di Cuneo da dove però fuggi con altri detenuti la notte del 26 settembre 1814, mediante “rottura”.
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Tutti gli elementi succitati sono tratti dalla sentenza; esaminiamo ora i documenti che hanno portato alla cattura, al processo ed alla esecuzione capitale del “Sardo”. Intanto si ignora com’è che il Paolino Dalmasso di Limone, persona tanto influente da interloquire con il Re e capace di fargli cambiare idea, fu ucciso dal Bellone. C’è però una supplica del 7 giugno 1817 del Senatore Bellino, Prefetto della Città e della Provincia di Cuneo, al Procuratore Collino in cui denuncia che al Colle di Tenda le grassazioni effettuate dal “Sardo” sono continue, ci si lamenta della gestione della “baracca” dove “ gli stessi spalleggiano e danno ricovero al dubbio Malvivente” ed invita ad interrogare certo Giacomo Gertosia di Castel Delfino onde provvedere al fermo degli abitanti della baracca per trascinarli dal giudice di Tenda. In data 25 giugno 1817 il Senato di Nizza pubblica un manifesto a stampa (cm.43x30) da affiggersi a tutti i “cantoni”; per la cattura di Stefano Rosso detto il “Sardo” o “Fratin” viene promessa una ricompensa straordinaria di lire 300 oltre a premio estensibile di lire 750 e “promettiamo pure l’impunità a qualunque bandito o inquisito di delitto meritevole di pena non maggiore ad anni dieci di galera, più altre 100 lire” Non si dimentichi che il Rosso era già stato condannato in contumacia e con il taglione: probabilmente sono stati aumentati i premi. In data 5 settembre supplica del Giudice Notajo Gaberg Sindaco (di Tenda?) al Procuratore Colino affinché si finanzi con lire 200 l’impiego dei “ Campieri” (guardie delle comunità locali che controllavano i transiti, i pascoli, la manutenzione delle strade e delle bealere: persone non armate ma molto presenti sul territorio) per “fare perquisizioni e per scoprire ove trattengasi il malvivente suddetto e promuoverne l’arresto perché non hanno risparmiato fatica i Carabinieri Reali e perché il Sardo si fa vedere da queste parti”. Pochi giorni dopo, il 25 settembre, il “Sardo” viene accoltellato dal figlio del Bellone: è evidente che la gestione della baracca è passata nelle mani dell’ostessa Bellone, essendo in carcere il marito. Sono troppe le coincidenze fra gli editti ed il cambio di gestione con pattuizione sulle modalità della cattura del malvivente. Non corrisponde invece al vero la narrazione riportata dalla succitata cronaca circa la cattura del “Sardo”; esiste infatti un verbale (con tanto di timbro del Com.te Divisione di Cuneo dei Reali Carabinieri) nel quale si ricostruisce la cattura nei pressi di Breglio da parte di due Regi Carabinieri con l’ausilio dei campari e di informatori segreti. L’interrogatorio nonché la relazione del medico saranno trasmessi al Comando di Cuneo. Tutti i reati contestati in questo verbale figureranno nello stesso ordine e con la stessa dicitura nella sentenza definitiva. L’anno della cattura è il 1817 e non il 1818. Il malvivente “Sardo” dopo l’uccisione del Reale Carabiniere Boccaccio era stato giudicato in contumacia e sulla sua testa era stato messo un grosso premio. Ma non era stato inoperoso anzi, come risulta dalla successiva sentenza con una attività frenetica; nell’estate 1817 aveva collezionato: “furto di dorerie, lingerie, vestimenta ed altri effetti nella notte del 18 ottobre 1815, sulle fini di Boves nella casa di abitazione di Antonio Campana mediante uso di chiave falsa e ammossione della serratura d’una guardaroba e nella circostanza che era stato in quella sera ricoverato dallo stesso Antonio Campana nel proprio fienile”. 20
A metà febbraio 1817 “del furto di tre borse contenenti cinquanta luigi d’oro, venti tre doppie e mezza savoja, sette di otto scudi francia a pregiudizio di Carlo Mangiarin servo del negoziante Giatton di Livorno, nell’osteria di Domerego situata nel territorio di Sospello regione di Coregno”. “Della grassazione commessa il 21 maggio 1817, circa le ore sette e mezzo di sera al Ponte dell’Arimonda, regione della Scalata vicino a Tenda, a danno di Vincenzo Ostano, impresario di ponti e strade, con avergli, previe minacce collo scoppio di cui era armato, depredato quindici pezze da franchi ventinove, un luigi d’oro, un orologio di valore … ed un anello d’oro del valore di franchi cinque e mezzo”. “Dell’omicidio commesso nella sera del dì 7 aprile 1817 in vicinanza del luogo di Rimplas, mediante sparo di arma da fuoco sulla persona di Gioachino Gioanna detto Lebré, soldato nel Reggimento provinciale di Cuneo, nella circostanza che egli inquisito portava del tabacco di contrabbando, e per timore di essere dal detto Gioanna arrestato, con avergli causato due ferite, una delle quali nella parte esteriore superiore media sotto la clavicola del lato sinistro del petto, e l’altra sotto lo stomaco, penetrante nel polmone e pericardio, stata causa immediata dell’instantanea di lui morte”. “della grassazione compiuta il dì 28 giugno 1817 sul colle di Demandolx, strada d’Entrevaux vicina Provenza, a pregiudizio di Giacomo Girolamo, … , ed avergli depredato due cento cinquanta grossi scudi Francia, un doppio luigi d’oro, ed un orologio pure d’oro”. “di altra grassazione a pregiudizio di Giacomo Giartosio di Castel Delfino, merciajo, cui nella sera del 6 di giugno 1817, essendo armato di spacciafosso, o carabina, tolse sul Colle di Tenda cinque luigi d’oro, una pezza da franchi 29, trenta di quaranta franchi in moneta, ed uno scudo di lire cinque e mezza” (par di capire che questa grassazione fu all’origine della reazione del Prefetto Bellino in quanto, forse, il rapinato ed il rapinatore si trovarono ad alloggiare nella stessa “baracca” del Colle di Tenda, dopo il fattaccio; da ciò partì la denuncia e la rimozione dell’oste ivi residente). “Di altra grassazione compiuta verso le sei di mattina del dì 31 maggio 1817, sulla sommità di detto Colle di Tenda, in pregiudizio del Negoziante Luigi Sulzer nativo di Gotha ed abitante in Monaco ….. “. “Di altra grassazione commessa l’istesso giorno 31 maggio 1817, e sulla sommità pure dell’istesso Colle ( si può dedurre da queste due ultime testimonianze che la “baracca” non fosse posta sulla sommità del Colle, bensì più in basso, forse dove ora sorge un ristoro per sciatori, anche perché da lì si dipartono tre itinerari diversi, per la Liguria da una parte, la Val Roja dall’altra e per Casterino) nella persona di Giovanni Battista Pellegrino del Borgo di San Dalmazzo, servo condottiere di buoi….”
La parcella del 18 ottobre 1817 liquida al Signor Giudice “per cibarie e vettura pendenti i giorni 13, 16 e 17 ottobre per totali lire antiche di Piemonte 34,10 di cui per il Giudice 18, per il Notajo Chianea 12 e per l'addetto 4,10”. Questo documento dice che il detenuto si trova nel carcere di Sospello ed il rimborso è dovuto per “cibarie e vettura” e non per il pernottamento e si evince anche che il detenuto non poteva essere tradotto a Tenda, sede del Tribunale; molto verosimilmente le due coltellate ricevute dal malvivente rendevano assai precarie le sue condizioni di salute e, come si vedrà più oltre, ciò escluderà anche la traduzione avanti il Senato di Torino. La distanza tra Tenda e Sospello non è di poco conto: bisogna scendere fino a Breil, risalire il colle del Brouis, il tutto per almeno 40 chilometri: quanto occorreva fra andata e ritorno in carrozza con relativi cambio dei cavalli? 21
Esistono poi due plichi (verbali delle udienze) di difficile lettura in quanto la carta usata è molto fine, onde fa trasparire sulla pagina la scrittura di quella opposta. Da notare che questa “minuta” è firmata in calce da tutti i soggetti verbalizzanti con grafia diversa escludendo con ciò che fosse una brutta copia successiva. Il tenore dei verbali è quello classico di domanda e risposta. La firma del detenuto è una bella croce. Il 27 ottobre 1817 (da notare l'incalzante succedersi degli avvenimenti: la lettera partita da Tenda dopo il 18 arriva a Torino e da qui riparte il 27 !) il Cav. Presidente Rayberti scrive da Torino al Procuratore Colino: “Giacchè scorgo dalla Sua lettera che il detenuto Stefano Rosso è confesso di tre grassazioni seguite nella giurisdizione del Senato di Nizza, parmi che, senza promuovere Sovrane provvidenze per l'avocatoria perché esigerebbe un notabile ritardo nella spedizione della causa...”. Di difficile interpretazione questo documento perchè il Senato di Torino parrebbe rinunciare ad un proprio processo: ma così non è stato perché l'esecuzione capitale è posteriore al 11 gennaio 1819, cioé dopo 14 mesi. Avendo questi precisi elementi ho interpellato l'Archivio di Stato di Torino: la risposta è stata negativa non avendo reperito riscontro alcuno. Il 28 gennaio 1818 ( a cento giorni dal processo) un interrogatorio scritto molto bene. Alcune cose interessanti: “detto inquisito dopo breve e segreto colloquio avuto con l'anzidetto Sig. Notajo Albini” non ha nulla da dichiarare “salvo quanto sarà proveduto (?) opportuno e di mia convenienza (?) dai Signori miei Difensori”. E' chiaro che si intendeva individuare i beni o i tesori da destinare (come scritto in sentenza), “indennizzazione verso gli eredi degli uccisi Boccaccio e Gioanna e verso i grassati...”. Per la prima volta appaiono i “Signori miei Difensori”: da nessuna parte c'è traccia o riferimento a costoro né firmeranno documenti. Altrettanto interessanti sono le sottoscrizioni in calce di evidente grafia diversa: “segno + di detto Stefano Rosso, notajo Albini, Spitalieri di Cessole ed altri”. Breve nota su Spitalieri di ( o de) Cessole: costui era il Presidente del Senato sedente in Nizza ed ho visto su un ottimo libro scritto dall'Archivista Signora Simonetta Tombaccini Villefranque sulla nobiltà nizzarda, un ritratto in cui vestiva la toga rossa ornata di candido ermellino. Un successore di costui, ottanta anni dopo, cioé nel 1898, certo Conte Victor Spitalieri de Cessole apre l'omonima via alla sud dell'Argentera (Promontoire) ed anche la via classica di salita al Corno; nel corso di 27 anni di frequentazione delle nostre montagne conquista 90 vette in prima assoluta e traccia 120 nuove vie: scrive un testo sul Corno Stella, e scrive anche testi di botanica e di geologia. Documento datato 9 gennatio 1819: il relatore è l'Ill.mo Sign. Senatore Conte Spitalieri de Cessole ed il titolo è “Atti criminali della causa del Regio Fisco contro Stefano Rosso detto il Sardo del luogo di Vernante ditenuto in queste carceri senatoriali inquisito di varie grassazioni ed altri delitti. -Sentenza di morte- Avanti l' Ecc.mo Reale Senato di Nizza”. Evidentemente si tratta della formale sentenza pronunziata dal Senato riunito: ma non è un documento frettoloso, elenca anzi tutti i fatti e le contestazioni.
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Manifesto di ottima stampa e di grandi dimensioni (cm. 42X78) datato 9 gennajo mille otto cento dieci nove il cui contenuto è stato più volte riportato in questa relazione. Si elencano i 16+1 capi di imputazione. Drastico il dispositivo della pena irrorata: “appiccato per la gola finché l'anima sia separata dal corpo, e fatto questo cadavere manda a ridursi in quarti da affiggersi ai luoghi e modi solidi, previo....”. La peggiore delle pene in quanto esclude evidentemente la sepoltura buttando i resti umani in pasto ai selvatici. Prevede infine: “indennizzazione verso gli eredi degli uccisi Boccaccio e Gioanna e verso i grassati...”. Il documento è firmato in nome del Reale Senato da Giuseppe Ruffi Seg. Sost.; questa firma compare in tutti i precedenti verbali con un ornamento grafico davvero strano. L'ultimo documento dei due copiosi fascicoli che sono depositati presso Archives Départimentales de Nice 06 ai numeri di faldone 1FS1277 e 2FS673 Senat. In questo scritto si identifica ancora una volta l'inquisito e la sistematica richiesta di conferma: ad esempio al Capo 4 afferma: “Debbo anche confessare che sono io che ho tirato il colpo da cui venne ucciso un Carabiniere nella sera delli 23 aprile 1815 nel luogo di Vernante ed in tale circostanza ero solo.” Nega solo la partecipazione al Capo 1 della sentenza (pezze false). Firma con la solita croce (il segno è quasi una macchia) e sottoscrivono Spitalieri di Cessole, l'avvocato Giacomo Antonio Malipiano e Giuseppe Ruffi.
La presente esposizione dovrà essere integrata da ulteriori ricerche quali, ad esempio, l'individuazione delle varie osterie elencate in Vernante in cui si sono svolti alcuni atti delittuosi, nozioni sulla “baracca” al Colle di Tenda con l'esatta ubicazione, dettagli sul delitto del Bellone a scapito di Paolino Dalmasso, un ulteriore documento sull'esecuzione capitale, l'avvenuto rinvenimento di “tesori” per soddisfare le parti lese: cosa per la quale sarebbe utile che qualche cultore di storia locale potesse fare luce su questi fatti ; per il resto sarò (volentieri) costretto a prendere il trenino per Nizza oltre ad attendere l'apertura degli Archivi di Stato di Cuneo. Le parole in corsivo sono la testuale trascrizione dei documenti; un dossier di fotografie e di fotocopie corredano il lavoro .
gigirevel@gmail.com
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-----------------------------------------------------------L'esperienza è una lanterna che portiamo sulla schiena e non rischiara mai altro che il percorso fatto.
L'esperienza ha l'utilità di un biglietto della lotteria dopo l'estrazione.
Confucio
Adolphe d' Houtetot
Un esperto rappresenta un'opinione, due esperti sono la contraddizione, tre esperti rappresentano la confusione. Vecchio adagio giudiziario
La facciata di una casa non appartiene al suo proprietario. Appartiene a colui che la guarda.
Proverbio cinese
Che un uomo possa prendere piacere a marciare al ritmo di una fanfara militare, me lo rende già spregevole. Albert Einstein
Cosa c'è di peggio di una donna? Due donne.
Jean Cocteau
Se la donna fosse utile, Dio ne avrebbe una.
Lucien Guitry
Le donne sono fatte per vivere sposate, mentre gli uomini per essere celibatari. Da lì viene tutto il male. Sacha Guitry, Mio padre aveva ragione
La donna è sovente il punto debole del marito.
James Joyce
L'uomo vero desidera due cose: il rischio ed il gioco. Ed è per questo che vuole la donna, il giocattolo più pericoloso. Friedrich Nietszche
Le donne assomigliano alle case spagnole che hanno molte porte e poche finestre. E' più facile penetrarvi che vederci chiaro. Jean-Paul Richter
Un gabinetto di sole donne? Perché non un casino?
Charles de Gaulle
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Chi vede correttamente la figura umana? Il fotografo, lo specchio o il pittore?
Paul Picasso
Questo giovane regista è molto stanco. Ha appena fatto due film insieme: il primo e l' ultimo.
Ettore Scola
Non è a te, figlio di puttana, che parlo. E' alla tua santa madre.
Anatole France
Ricordati che tuo figlio non è tuo figlio, ma è il figlio del suo tempo.
Confucio
Il fine giustifica i mezzi. Ma cos'è che giustifica il fine?
Albert Camus
I funzionari sono come i libri in una biblioteca: i meno utili sono sistemati più in alto.
Paul Masson
Questa non è la fine. Non è neppure l'inizio della fine. Ma può essere la fine dell'inizio. Winston Churchill, (discorso del 10 novembre 1942 dopo la vittoria britannica in Egitto e lo sbarco anglo-americano nell'Africa del Nord)
Se il finanziere sbaglia il suo colpo, i cortigiani dicono di lui: “E' un borghese, un uomo da niente, un malnutrito”; se invece azzecca il colpo gli chiedono la figlia in sposa. Jean de la Bruyère
La riforma fiscale è quando voi promettete di ridurre le imposte su quelle cose che erano tassate da parecchio tempo e che voi ne creerete delle nuove (imposte) sulle cose non ancora tassate. Edgard Faure
Comparare i fiori alle donne è un errore. Ci sarà sempre fra di loro la differenza che i fiori sono belli... ma non lo sanno. Alphonse Karr
Il flirt è il peccato delle donne oneste, e l'onestà delle peccatrici.
Paul Bourget
Fede: ventiquattro ore di dubbio... ma un istante di speranza.
Georges Bernanos
25
L'esempio della follia dei padri non serve assolutamente a correggere i bambini: ognuno vuol fare il folle, al proprio turno. Noel d'Argonne
Misce stultitiam consiliis brevem, dulce est despicere in loco. Mescola alla saggezza un grano di follia, è bene qualche volta dimenticare la saggezza.
La fede che non opera, è una fede sincera?
Orazio, Libro IV, XI
Jean Racine, Atalia, atto I, scena 1
I migliori mariti sono i funzionari: quando rientrano alla sera non sono affaticati ed hanno già letto i giornali. Georges Clemenceau
La Francia è un paese con una fecondità incredibile: se pianti dei funzionari crescono le imposte. Edmond et Jules de Goncourt, Il giornale
La forza per cambiare ciò che posso cambiare, la serenità per accettare ciò che non posso cambiare, la saggezza per distinguere uno dall'altro. Marco Aurelio
Il più forte non è mai abbastanza forte per essere sempre il padrone, se non trasforma la sua forza in diritti e l'obbedienza ai doveri. Jean-Jacque Rousseau, Il contratto sociale
La fortuna fornisce di mandorle coloro che non hanno più i denti.
Proverbio spagnolo
Fedor Dostoievski, Corrispondenze I Francesi, parola mia, sono un popolo che vi porta alla nausea... Il Francese è tranquillo, onesto, piacevole, ma falso, ed è avido solo di denaro: tutto. Non il minimo ideale; se non per quello là (il denaro). Non chiedetegli nemmeno di riflettere. Dostoievskj Fedor
Se altre parti del mondo hanno le scimmie, l'Europa ha i Francesi. Ciò compensa.
Arthur Schopenhauer
Il frutto maturo cade da solo: ma non cade nella tua bocca aperta.
Proverbio cinese
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Io ho per principio di non fumare mai durante il sonno.
Mark Twain
Non penso mai al futuro: arriva così presto.
Albert Einstein
Il futuro appartiene a chi la più lunga memoria.
Friedrich Nietzche
Chiunque guadagna bene si rompe la schiena; chiunque si sfianca non guadagna molto.
Proverbio cinese
Io non chiamo gaiezza ciò che eccita il riso; ma una qualche sottigliezza, un'aria piacevole che si può offrire a qualsiasi sorta di situazione, anche la più seria. Jean de la Fontaine, prefaz.a le Fiabe
La donna galante è quella che offre sovente ciò che lei ha mai avuto: il suo cuore.
Xavier Forneret
Un ragazzo è, di tutte le bestie selvagge, la più difficile da domare.
Platone
Quis custodiet custodes? Chi controlla il custode?
Giovenale, Satire
La storia non è che la geografia nel tempo, come la geografia non è che la storia nello spazio. Elisée Reclus, Nuova geografia universale
La sinistra era una vocazione: ora è diventata un mestiere.
Régis Devray
Non prevedere, è già un gemito.
Leonardo da Vinci
La genealogia è una scienza rigorosamente inesatta, per colpa dei bastardi.
Léo Campion
27
E' la sorte di quasi tutti gli uomini di ingegno: essi non sono alla portata del loro secolo; scrivono per la generazione successiva. Denis Diderot
Un vero genio quando appare in questo basso mondo, lo si può riconoscere da questo segno: tutti gli imbecilli si coalizzano contro lui. Jonathan Swift
Il vantaggio della gloria: avere il proprio nome che rimbalza sulla bocca di tutti gli stupidi. Jules Barbey d'Aurevilly
Il governo ha un braccio corto ed uno lungo; il lungo serve a prendere ed arriva dappertutto, il braccio corto serve a donare, ma arriva solamente a coloro che sono molto prossimi. Ignazio Silone
L'arte di governare consiste nel prendere il più possibile di soldi a una categoria di cittadini al fine di donarli ad un'altra. Voltaire
Una guerra non fa centomila morti, ma centomila volte un morto.
Ascoltata su RadioFranceCulture
Nessuno è tanto folle da preferire la guerra alla pace: durante la pace i figli seppelliscono i padri; nella guerra i padri seppelliscono i figli. Erodoto
L'azzardo lo si può definire come la firma di Dio, quando non vuole comparire.
Théophile Gautier
La Storia non è il luogo della felicità. I periodi fortunati sono pagine bianche.
Friedrich Hegel
La storia è una sequela di bugie sulle quali gli uomini non hanno trovato un accordo.
Napoleone
Un Olandese, una Chiesa, Due Olandesi, una setta, Tre Olandesi uno scisma
detto delle Terre Basse
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Celibe: un pavone; fidanzato: un leone; sposato: un asino.
Proverbio spagnolo
L'uomo è il solo animale che si fa amico delle vittime che si ripromette di mangiare.
Samuel Butler
L'uomo si vanta di essere sobrio quando non digerisce più; d'essere casto quando il suo sangue stagna ed il suo cuore è morto; di saper tacere quando non ha più niente da dire e chiama vizi i piaceri che gli sono sfuggiti e virtù gli accidenti che gli son venuti. Alphonse Karr
Non ci sono che tre eventi per l'uomo: nascere, vivere e morire. Non capisce di esser nato, soffre nel morire e si dimentica di vivere. Jean de la Bruyère, I caratteri
La principale difficoltà con le donne oneste non è il sedurle, ma di portarle in un vicolo cieco dacchè la loro virtù è chiusa da porte girevoli. Jean Giraudoux, Anfitrione 38
Chi è dotato di humour è già quasi un genio. Colui che non è che spirituale non ha generalmente lo spirito. Arthur solitudini
Schnitzler,
Relazioni
e
Ipocrita: colui che professando delle virtù di cui non ha nessun rispetto, trae il vantaggio di avere l'aria di chi disapprova. Ambroise Bierce, Il dizionario del diavolo
Chi non sa essere ipocrita, non sa governare.
Nicolò Macchiavelli, Il principe
Non servitevi quindi di questo termine elevato di ideale quando noi abbiamo per questo, nel linguaggio usuale, l'eccellente espressione della menzogna. Peter Ustinov
Egli era nato idiota e poi aveva avuto una ricaduta.
René Baer,
Un idiota povero è un idiota; un idiota ricco è un ricco.
Paul Laffitte
L'ignoranza vale più di un sapere affettato.
Nicolas Boileau
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Quel poco che so lo devo alla mia ignoranza.
Sacha Guitry
La seccatura di questo mondo, è che gli idioti sono consapevoli di se stessi e la gente sensata è piena di dubbi. Bertrand Russel
Nell'amore non c'è più cocente disastro che la morte dell'immaginazione.
Immaginare, è alzare la realtà di un tono.
George Meredith
Gaston Bachelard, L'aria e i sogni
Non si può essere ed esser stato: ma, sì! Si può essere stato un imbecille e continuare ad esserlo. Leon Bloy, Esegesi dei luoghi comuni
Immigrato: individuo mal informato che pensa che un paese sia migliore di un altro. Ambroise Bierce, Il dizionario del diavolo
Tutti gli imbecilli della Borghesia che pronunciano continuamente le parole “immorale, immoralità, moralità nell'arte” ed altre simili stupidaggini, mi fanno venire in mente Louise Villedieu, puttana da cinque franchi, che accompagnandomi una volta al Louvre, dove non era mai stata, diventò rossa, si coprì il viso e tirandomi ad ogni istante la manica della giacca, mi domandava, davanti alle statue e ai dipinti immortali, come si potesse mostrare pubblicamente simili indecenze. Charles Baudelaire, Il mio cuore a nudo.
Nei convivi degli uomini c'è la tendenza a parlare dell'immortalità dell'anima, Edmond et Jules de Goncourt
I bambini sono folli: credono che la loro mamma sia immortale.
Albert Cohen, Il libro di mia madre
Se io fossi immortale, inventerei la morte per il solo piacere di vivere. Louis Auguste Commerson
Siate realisti: chiedete l'impossibile
slogan del maggio 68
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Impossibile è una parola il cui significato è molto relativo. …..E' il fantasma degli umili ed il rifugio dei poltroni. In bocca al potere questa parola, credetemi, non è che una dichiarazione d'impotenza. Napoleone I° Lettera a Malè, ministro della giustizia
Chi dona ai poveri fa un dono a Dio, chi dona allo Stato fa un prestito per ridere.
Tristan Brernard
Le carte pubbliche ed i giornali sono infettati continuamente di espressioni improprie, il popolo (il pubblico) li assorbe, a forza di leggerli. Voltaire
La donna perdona tutto, ma mai l'indifferenza.
Proverbio inglese
Quando cesserò di indignarmi, avrà inizio la mia vecchiaia.
André Gide, Nuovi pretesti
L'indulgenza verso il lupo si chiama ingiustizia verso il montone.
Proverbio scandinavo
La Natura non ha letto la dichiarazione dei Diritti dell'uomo. Continua a far nascere ineguali.
Will Durant
La fanteria è la regina delle battaglie, il fante, il re dei coglioni.
detto popolare
Voi sarete sorpreso della mia ingratitudine......
Francesco Giuseppe, imperatore d' Austria
Nelle discussioni, le ingiurie sono di colui che ha torto.
Nicolas de Champfort
L'ingiustizia non si trova mai nei diritti ineguali; si trova nella pretesa a dei diritti uguali.
F. Nietzsche
Chi si istruisce senza agire, lavora senza seminare.
proverbio arabo
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Lasciate giocare un bambino e miscelate l'istruzione con il gioco; che la saggezza non gli sia mostrata che per piccoli intervalli e con il viso sorridente. Fénelon, Dell'educazione delle ragazze
Del resto, io detesto tutto ciò che non fa che istruirmi senza aumentare la mia attività, o che l'animi direttamente. Wolfang Goethe, lettera a Shiller
L'intellettuale è così sovente imbecille che noi dovremmo sempre ritenerlo tale fin quando non ci ha dimostrato il contrario. Georges Bernanos, La Francia contro i robot
L'intellettuale è qualcuno che si mescola con ciò che non lo riguarda.
Jean Paul Sartre
Un intellettuale è un uomo che usa più parole di quante ne servano, per dire più di quanto sappia. Adlai E. Stevenson
E' grazie alla sua intelligenza che l'intelligente capisce perchè l'imbecille ha successo.
Prov. Persiano
Ci sono tre tipi di intelligenza: l'intelligenza umana, l'intelligenza animale e quella militare. Aldous Huxley
I sistemi per sviluppare l'intelligenza hanno aumentato il numero degli imbecilli.
Francis Picabia, Scritti
Il popolo italiano è così avvezzo alla musica che invece di dire venti soldi, come da noi, dice una lira . Alphonse Allais, Il giornale
Gli Italiani sono dei Francesi, di buon umore.
Jean Cocteau, Maalesch
Se qualcosa mi dovesse mancare, non sarebbe più il vino, ma l'ebbrezza.
Michel Audiard
E' precisamente perché partiva verso un paese sconosciuto che Abramo sapeva di essere sulla strada giusta. Gregorio di Nissa
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Solo la gelosia m'ha fatto capire che ero innamorata.
M.me de la Fayette, Zaide
Nella gelosia c'è più amor proprio che amore.
Francois de la Rochefoucauld
La gelosia è una prova del cuore, come la gotta delle gambe.
Paul-Jean Toulet
Le gambe permettono all'uomo di marciare, e alle donne di fare la loro strada. Alphonse Allais
Perché Dio ha fatto l'uomo giardiniere? Perché sapeva che metà del lavoro si fa in ginocchio. Rudyard Kipling
Si dice che io corra dietro alla mia giovinezza. E' vero. E non solamente dietro alla mia.
André Gide
La giovinezza sembra a tutto ciò che s'accresce, la vecchiaia a tutto ciò che decresce.
Pitagora
La giovinezza è il tempo di studiare la saggezza, la vecchiaia è il tempo per praticarla. Jean Jacques Rousseau Dite a una donna che è graziosa, il diavolo glielo ripeterà dieci volte al giorno.
Proverbio francese
Da quando dite ad una donna che è graziosa, lei pensa (di esserlo) di spirito.
Jules Renard
I giornali, che dovrebbero essere gli educatori del pubblico, non sono che dei cortigiani, quando non sono delle cortigiane. Jules Barbey d'Aurevilly
Il libro è un uomo onesto, il giornale una ragazzina.
Edmond e Jules de Goncourt
Il giornale è una lunga lettera che l'autore scrive a se stesso, e la cosa più stupefacente è che egli regala a se stesso le proprie storie (notizie). Julien Green, Giornale
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Un redattore capo è una persona impiegata dal giornale e il cui ruolo consiste nel separare il buon grano dalla paglia per poi esser sicuro che sia la paglia ad essere pubblicata. Kin Hubbard
L'uomo che non legge proprio del tutto è meglio educato da colui che legge solo i giornali. Thomas Jefferson
I giornali sono incapaci, apparentemente, di fare la differenza tra un accidente di bicicletta ed il declino di una civiltà . George Bernard Shaw
Il giornalismo è il mestiere in cui si passa metà della propria vita a raccontare cose che non si sanno e l'altra metà a tacere ciò che si sa. Henri Béraud
Il giornalismo consiste nell'annunciare che Mr. Watson è morto, a milioni di persone che ignoravano che esistesse. Mark Twain
Quando un giornalista intervista un altro giornalista, è come quando si balla con la propria sorella. Art Buchwald
Una giornata ben realizzata dona un buon sonno. Una vita ben adempiuta regala una buona morte. Leonardo da Vinci
Noi siamo abituati a giudicare gli altri in funzione di noi, e se noi li assolviamo, compiaciamo i nostri errori, ma li condanniamo severamente di non avere le nostre qualità. Honoré de Balzac
Una giuria è un gruppo di dodici persone d'ignoranza media riunite per tirare a sorte e per decidere quale delle due parti avesse l'avvocato migliore. Herbert Spencer
Ci sono due tipi di uomini, gli uni, i giusti, che pensano di essere peccatori, gli altri, peccatori che si credono giusti. Blaise Pascal
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La giustizia senza la forza è impotenza; la forza senza la giustizia è tirannia.
Blaise Pascal
L'amata: del latte La fidanzata: del burro La sposa: il formaggio.
Ludwig Borne
Berrò del latte quando le vacche brucheranno grappoli.
Henri de Toulouse-Lautrec
Una ragazza laida è una ragazza che si scopa senza slancio.
Francis Veber
Non resterà di Lamartine che (realizzare) un mezzo volume di pezzi staccati: E' uno spirito eunuco, non ha le palle,non ha mai pisciato che acqua chiara. Gustave Flaubert
Ci sono tre tipi di persone dal linguaggio misterioso: i più facili da comprendere sono i Folli, poi vengono gli Ingegneri ed infine i Ragionieri. Auguste Detoeuf
Io non vedo affatto di più grande nel segreto nel linguaggio, che trovare dei sistemi per addolcire le cose spiacevoli. Antoine Gombaud, Discorsi
La lingua è la madre, non la figlia, dei pensieri.
Karl Kraus, Aforismi
Colui che si ridicolizza in tre lingue mi sembra tre volte più cretino di colui che si limita alla propria. John le Carré
Le donne si prendono come i conigli, per le orecchie.
Victor Hugo
Coloro che scrivono in modo chiaro hanno dei lettori, coloro che scrivono oscuramente hanno dei commentatori. Albert Camus, Actuelles
Non parlate di una cosa che voi l'indomani vorreste non aver detto.
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Proverbio arabo
I legami nascono nello champagne e finiscono nella camomilla.
Valery Larbaud
La libertà è il potere di fare tutto ciò che la legge permette. Charles de Montesquieu, Lo spirito della legge
Ego primam tollo, nominor quoniam Leo. Io prendo la prima parte, perché mi chiamo Leone. Fedro,La vacca, la capra e l'ariete in società con il leone
Considerate come crescono i gigli nel campo: non lavorano né filano: però io vi dico che lo stesso Salomone, in tutta la sua gloria, non è mai stato addobbato come loro. Vangelo di Matteo,VI, 28
Se gli scrittori non leggessero ed i lettori non scrivessero, le cose della letteratura andrebbero straordinariamente meglio. Giovanni Papini, Visages découverts
Edittando le leggi, bisogna essere severi; nell'applicarle, bisogna essere indulgenti.
Proverbio cinese
… le leggi sono state stabilite in quasi tutti gli Stati, nell'interesse del legislatore, per il bisogno contingente, per l'ignoranza, per la superstizioni: son state fatte a misura, all'azzardo.
Voltaire
Un sacco pieno è pesante da portare, ma un sacco svuotato (da cui si è sottratto) è più pesante ancora. proverbio cinese
Sono andato a Lourdes con mia moglie. Non c'è stato alcun miracolo. Son tornato con lei. Seymour Brussels
Davanti al Museo del Louvre un gendarme gridava:”Circolate, non c'è nulla da vedere”.
Quanti uomini si affrettano verso la luce, non già per veder meglio, ma per meglio brillare.
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Yvan Adouard.
Friedrich Nietzsche
Dov'è in cielo l'albero il cui frutto è la luna?
Proverbio del Mali
Buongiorno occhialini (lunettes), addio ragazze (fillettes).
vecchio proverbio francese
Un mal di denti vi fa dimenticare un mal di testa.
proverbio giudeo
E' la malattia che rende una salute accettabile; il male che genera il bene; la fame che fa desiderare la sazietà e la fatica il riposo. Eraclito (avendo a lungo frequentato questo Autore con plurimi testi di scuole diverse, mai ho letto ciò. Mah!)(ho finito di leggere di Fredrierich Nietzsche Verità e Menogna, un libro giovanile e con mia grande sorpresa riesce, partendo dai frammenti, a ricostruire tutto il pensiero del filosofo: sorprendente perché li ho sempre interpretati concetti frammentati ed estranei fra di loro: evidentemente c'è una grande differenza fra Lui ed il sottoscritto. Comunque questo frammento non era citato)
Una sola volta in quaranta anni sono uscito per rubare, ma la Luna ha brillato tutta la notte. Proverbio svedese
Il medico non è altro che un conforto dello spirito.
Petronio, Satiricon
In fatto di medici è come per gli avvocati. La sola differenza è che l'avvocato si accontenta di derubarvi, mentre il medico vi deruba ed uccide allo stesso tempo. Anton Cekov
Com'è ingrata la medicina. Quando vuole farsi onorare dai ricchi, assume l'aria del servitore; dai poveri con la cura di un ladro. Louis Ferdinand Céline
E' un'arte (la medicina) che si sviluppa in attesa che la si scopra .
Emile Déchamps
Guarire qualche volta. Confortare sovente. Ascoltare sempre.
Louis Pasteur
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Bisogna diffidare di quattro cose a questo mondo: -del viso di una donna -del didietro del mulo -da lato di una carretta -e di un monaco da tutti i lati.
Jean Baptiste Santeul
Non bisogna mai mescolare le cose: tu non lavorerai mai con un bue ed un asino.
Paul Claudel
Avevo quattro membra flessibile ed una rigida. Adesso ne ho quattro rigide ed una flessibile. Duc de Mornay
Il vantaggio della cattiva memoria è che si gioisce più volte per la stessa cosa, come per la priva volta. Fredrich Nietsche
Noi troviamo di tutto nella nostra memoria. Essa è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si metta per caso la mano tanto su una droga calmante, che su un veleno pericoloso. Marcel Proust, La prigioniera
Se un grande numero di mendicanti è oneroso per lo Stato, per quante altre professioni che si incoraggiano e che si tollerano si può dire la stessa cosa? Jean-Jacques Rousseau, Giulia ovvero la nuova Eloise
Ci sono due materie sulle quali i Francesi mentono: il numero dei libri letti ed il numero di scopate che essi fanno. I sondaggi sulla lettura e quelle sulla sessualità sono i meno attendibili di tutti. Jean-Claude Fasquelle
Io amo la verità. Credo che l'umanità ne abbia bisogno; ma ha molto più bisogno della menzogna che la blandisca, la consoli, le dia speranze infinite. Senza le bugie l'umanità perirebbe di dispiacere e di noia. Anatole France, La Vie en fleur
Bugiardo come un reggiseno.
Robert Chapatte
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La massa dei cattolici, che noi vediamo ogni domenica alla messa, non desidera, in fondo, sapere della religione più di quanto piuttosto circa la buona opinione che hanno di se stessi. Georges Bernanos
Ci sono due Midi (Mezzogiorni): il Midi borghese e quello paesano: uno è comico, l'altro splendido. Alphonse Daudet
Se la divinità non avesse creato il biondo miele, io esalterei molto il dolce sapore dei fichi. (in francese è di genere femminile cioè figues). Senofane
Basta aggiungere “militare” ad una parola qualsiasi per farle cambiare senso: così la giustizia militare non è giustizia, come la musica militare non è musica. Georges Clemenceau
Gli intellettuali sono come le donne: i militari li fanno svegliare.
André Malraux
Se vuoi guadagnare un milione di dollari, il metodo più sicuro è quello di fondare una religione. Ron Hubbard, fondatore di Scientology
Il Ministero delle Finanze dovrebbe chiamarsi della Miseria, poiché quello della Guerra non si chiama della Pace. Jacques Prévert, Storie
Un regime che scriva “dio” con la minuscola e “KGB” con la maiuscola, non merita il rispetto degli uomini. Alexandre Solzenitsyn
Si dice miracolo quando Dio batte i suoi record.
Jean Giradoux
Gli specchi e la copulazione sono abominabili, perché moltiplicano il numero degli uomini. Jorge Luis Borges, Finzioni
Ci sono specchi per il viso, ma ce ne sono anche per lo spirito.
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Baltazar Gracian
La moglie ideale è la donna coreana, quella del tempo andato, forte nella pena, che serve gli uomini a tavola senza sedersi con loro, non parla mai. Jacques Chirac, nel 1978
La mia modestia è grande. Quando si alza sulla punta dei piedi arriva appena all'ombelico del mio orgoglio.Paul Valéry
La morale costituisce i tre quarti della vita e il sesso la metà.
Matthew Arnold
La musicologia sta alla musica come la ginecologia all'amore.
Frédérich Lodéon
Gli uomini straordinari come Napoleone si collocano al di fuori della moralità. Essi finiscono per agire come dei fenomeni fisici primitivi, come il fuoco e l'acqua. Wolfang von Goethe, Conversazione con Rierner
Al momento attuale noi siamo imprigionati in un campo di concentramento chiamato Nazione. Siamo obbligati ad obbedire a delle leggi che non hanno avuto il nostro consenso e a pagare delle imposte smisurate per mantenere le prigioni nelle quali noi siamo costretti. William Burroughs, corr. con Daniel Odier
Quando ci sono sette timonieri su un equipaggio di otto, la nave viaggia nel buio.
proverbio Cinese
Quando gli uomini ingaggiano le guerre, cominciano da quello che avrebbero dovuto fare più tardi. Essi passano all'azione ed è solo quando passano a soffrire che cercano un negoziato. Tucidite, La guerra del Pelopponneso
Mio padre è talmente vanitoso che è capace di salire dietro, sulla macchina, per far credere di avere un negro. Alessandro Dumas figlio
I Negri nascono bianchi, ad eccezione delle parti genitali e di un anello attorno all'ombelico. Da queste sezioni il colore guadagna tutto il resto del corpo nel corso del primo mese di vita. Emmanuel Kant, Geografia
Vuol far seccare la neve nel forno per venderla come sale bianco.
Vecchia espressione francese
Come sarebbe monotona la neve se Dio non avesse creato i corvi.
Jules Rénard
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La neutralità consiste nell'avere lo stesso peso e misura per ciascuno; in politica, essa è un non senso: si ha sempre interesse al trionfo di qualcuno. Napoleone
Questa volontà incarnata (della Svizzera) a restare neutrali mi fa pensare ad una vergine che guadagna la vita in un bordello, ma vuol rimanere saggia. Fiedrich Durrenmat
Non si può mai essere neutrali: il silenzio è già un'opinione.
Henri Moret
Una frase celebre dice: -i Giudei posseggono New York, gli Irlandesi la amministrano e i Negri la usano- Paul Morand, New York
Ventre affamato non ha orecchie: ma ha un fiuto incredibile.
Alphonse Allais
Il naso di Cleopatra: se l'avesse avuto più corto, tutto il resto della terra avrebbe avuto un diverso destino. Blaise Pascal, Pensieri
Il naso è generalmente l'organo in cui si installa la stupidità.
Marcel Proust
La nobiltà, dicono i nobili, è intermediaria fra il re ed il popolo. Sì, come il cane da caccia è intermediario fra il cacciatore e la lepre. Nicholas de Chamfort, Massime e pensieri
Non c'è di più antica nobiltà che il coltivatore, il pescatore e lo scassatore di fossi: era il mestiere di Adamo. William Shakespeare, Amleto, atto V, scena 1°
-Assisterete alle Nozze di Figaro?- venne chiesto a Madame Ben Gurion. -No, ma manderò un regalo-
anonimo
Faccio un nodo al fazzoletto per ricordarmi che esisto.
Alexandre Arnoux, Piccoli poemi
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Nella notte nera, sulla pietra nera una formica nera. Dio la vede.
proverbio arabo
A San Lorenzo (10 agosto) la nocciola si rompe con i denti.
detto
Re e domestici sono chiamati solo con il proprio nome: ecco i due estremi della società.
Arthur Scopenhauer
Nel ventre materno si forma subito l'ombelico che è una specie di ancora contro il risucchio e le corse vagabonde, una sorta di stelo per il frutto che nasce e che maturerà. Democrito
La vendita comincia quando il cliente dice no.
Elmer Leterman
Notorietà è quando si vede la vostra presenza; celebrità è quando si nota la vostra assenza. Georges Wolinski, La morale
Vi sono quattro tipi ideali: il cretino, l'imbecille, lo stupido, il folle; la normalità è quando si fondono con equilibrio i quattro. Umberto Eco, Il pendolo di Foucauld
Bisogna nutrire il corpo quando il cuore muore di fame.
M.me de Maintenon
Gli scrittori non si nutrono di carne o di pollastri, ma esclusivamente di elogi.
Ogni madre al ballo è un notaio travestito.
Henri de Monhterland
Léon Gozlan
Le sole persone che hanno diritto di impiegare il “noi”, sono i presidenti, gli editori e le persone afflitte dal verme solitario. Mark Twain
Un mattino così grigio che gli uccelli si coricano.
Jules Renard
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-------------------------------------Claude Gagnière, Le bouquin des citations, ed. Robert Laffont, 1997 (gran bel libro questo, scoperto per caso su una bancarella. Ci sono diecimila citazioni (per di più in ambito francese) che vanno dal burlesque al serio, al molto serio. Stranamente richiama molti autori italiani e pochi americani. Ne ho attinto a piene mani, mi son riempito gli occhi e la testa. Ho verificato due volte le fonti circa citazioni che mi parevano incongrue: in effetti non erano corrette (libro Ecclesiaste in luogo a Siracide). Ho spudoratamente copiato giacché, a ben pensarci, qualsiasi manifestazione dell'intelligenza, trae origine da fonti esterne. Mi è proprio piaciuto.)
Stefano Benni, Ballate, ed. Feltrinelli, 2009 ( che belle queste poesie! Non sono proprio del mio genere preferito però son concise e concettualmente ben inquadrate)
Pietro Citati, Leopardi. ed. Mondadori, 2010 (Che bello quest'opera del Citati: con dovizia di particolari descrive la storia e le vicissitudini del Leopardi, con una particolare attenzione alla corrispondenza del Padre prima, e di Giacomo dopo con mezzo mondo. Particolarmente ben riuscita la prima parte relativa all'infanzia e giovinezza di Giacomo. Non ho potuto trascrivere alcunché in quanto avrei dovuto copiare tutto il ponderoso testo. Ricordavo che fosse bravo il Citati, ma da un po non lo leggevo).
-----------------------------------------------Terra aristocratica, nel nome e nel paesaggio, il Roero vanta una storia ricca di blasone ed un forte senso di coesione che affonda le sue radici nei secoli. L'identità storica e culturale dell'area, “ritrovata” in questi ultimi decenni attraverso un originale percorso di ricerca storica ha rappresentato uno dei maggiori impulsi allo sviluppo economico di queste colline della sinistra Tanaro albese. E' impossibile riassumere il Roero in una immagine. Così come non è possibile cogliere il Roero con una sola panoramica. Perché la caratteristica del Roero è proprio la varietà: di paesaggi, di colori, di geometrie, di sapori, di suggestioni. Il Roero è terra che conosce l'arte della seduzione: ammicca, incuriosisce, si fa scoprire, ma non si concede mai completamente. A differenza della Langa e del Monferrato, il Roero non si offre, infatti, con immagini univoche, bensì si presenta come un caleidoscopio di serrati flash. Dando quasi il senso dell'incongruenza: viaggi nella solare luce dei sori e d'improvviso ti trovi fra le ombre di un bosco vero e folto; lo sguardo si bea delle ordinate geometrie dei vigneti e, ad una svolta, ti ritrovi quasi sospeso su selvagge rocche; ti lasci affascinare dall'ocra delle sabbie di origine marina e, repentinamente, resti sbalordito dalle stupende tonalità delle terre rosse del quaternario; ti abbandoni alle suggestioni della civiltà della vite e del vino, poi, ti guardi intorno e ti sorprendono i giochi di luce di secolari castagni. E' il Roero: terra dai forti contrasti e dalle mille risorse. Perché la varietà è ricchezza, nonché stimolo alla imprenditorialità e alla genialità della gente. Perché la varietà è il segreto delle sette vite e dell'immagine sempre giovane dell'economia roerina. Luciano Bertello, Baldassarre Molino, Il Roero, un'identità ritrovata, Cuneo Provincia Granda,n.1, 2001
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(Davvero ghiotto questo saggio pubblicato dalla ottima rivista che arricchisce i concetti con ottime immagini: questa pregevole opera sviluppa la vicenda storica del vino, il territorio, la geologia, la storia, le fiabe, i castelli con relativi proprietari, con dovizia davvero notevole di particolari e curiosità. Ed apposta ho riportato l'elegante premessa, una volta tanto sviluppata così bene)
Non incolpare lo specchio se la tua faccia è storta incipit dell'Ispettore Generale di
--------------------------------------il
Nikolaj Gogol
CORANO----------------------------------
Sura II Al-Baqara = la Giovenca 215 Ti chiederanno: -Cosa dobbiamo dare in elemosina?- Dì: -I beni che erogate siano destinati ai genitori, ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai viandanti diseredati. E Allah conosce tutto il bene che fate-. 216 Vi è stato ordinato di combattere, anche se non lo gradite. Ebbene, è possibile che abbiate avversione per qualcosa che invece è un bene per voi, e può darsi che amiate una cosa che invece vi è nociva. Allah sa e voi non sapete. 222 Ti chiederanno dei rapporti (durante i) mestrui. Dì: -Sono un danno. Non accostatevi alle vostre donne durante i mestrui e non avvicinatele prima che si siano purificate. Quando poi si saranno purificate avvicinatele nel modo che Allah vi ha comandato-. Nota l'Islam considera contro natura il rapporto sessuale per via anale e lo proibisce, come del resto proibisce i rapporti omosessuali. 223 Le vostre spose per voi sono come un campo. Venite pure al vostro campo come volete, ma predisponetevi, temete Allah e sappiate che lo incontrerete. Danne la lieta novella ai credenti. 271 Se lasciate vedere le vostre elargizioni. È un bene; ma è ancora meglio per voi, se segretamente date ai bisognosi; (ciò) espierà una parte dei vostri peccati. Allah è bene informato su quello che fate.
Sura VIII Al-Anfal = il Bottino 24 O voi che credete, rispondete ad Allah e al suo Messaggero quando vi chiama a ciò che vi fa rivivere e sappiate che Allah si insinua tra l'uomo e il suo cuore e che sarete tutti radunati davanti a Lui. 28 Sappiate che i vostri beni e i vostri figli non sono altro che una tentazione. Presso Allah è la ricompensa immensa. 29 O voi che credete! Se temete Allah, vi concederà la possibilità di distinguere (il bene e il male), cancellerà le vostre colpe e vi perdonerà. 50 Se potessi vedere quando gli Angeli finiranno i miscredenti! Li colpiranno nel volto e tra le spalle e (diranno): -Assaggiate il castigo dell'Incendio-. Nota: il versetto accenna al supplizio della tomba, che per i musulmani è è una realtà incontrovertibile rivelata da Allah. E dal suo Inviato. Disse il Profeta: -Appena calato nella tomba, appena i suoi cari si sono allontanati, quando i loro passi risuonano ancora, l'uomo morto vede due Angeli presentarglisi davanti; lo fanno sedere e gli chiedono: -Cosa pensi di quest'Uomo?- (cioé del Profeta Muhammad). Il credente risponde: -Attesto che è il Servitore e il Messaggero di Allah-. -Guarda, gli dicono gli Angeli, ecco la residenza che ti era destinata all'Inferno, Allah te l'ha sostituita con quest'altra, cioé, il Paradiso-. Gli mostrano allora le due destinazioni. L'ipocrita ed il miscredente rispondono: -Io non so, dicevo quello che diceva la gente- . -Non hai saputo niente, non hai recitato niente- dicono gli Angeli e con barre di ferro gli assestano colpi che gli fanno lanciare urla che sentono tutti quelli che stanno intorno, a parte i jinn e gli uomini. Quando uno muore, la sua residenza futura gli sarà mostrata al mattino o alla sera. Se è destinato all'Inferno, la sua dimora infernale sarà davanti a lui. Se ha la grazia di essere destinato al Paradiso, nella tomba vedrà il suo futuro soggiorno. Ad ognuno di loro sarà detto: -Guarda la tua residenza futura aspettando il giorno del Giudizio!-.
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Sura IX At-Tawba = il Pentimento e la Disapprovazione 28 O voi che credete, i politeisti sono impurità: non si avvicinino più alla Santa Moschea dopo quest'anno. E non temete la miseria, ché Allah, se vuole, vi arricxchirà della Sua grazia. In verità Allah è sapiente e saggio. 31 Hanno preso i loro rabbini, i loro monaci e il Messia figlio di Maria, come signori al di fuori di Allah, quando non era stato loro ordinato se non di adorare un Dio unico. 52 Dì: -Cosa vi aspettate, se non le due cose migliori? (la vittoria e il martirio). Quello che invece ci aspettiamo per voi è che Allah vi colpisca con un castigo, da parte Sua o tramite nostro. Aspettate, e anche noi aspetteremo con voi-.
Sura XIV, Ibrahim = Abramo 24 Non hai visto a cosa Allah paragona la buona parola? Essa è come un buon albero, la cui radice è salda e i cui rami (sono) nel Cielo e continuamente dà frutti, con il permesso di Allah. Allah propone metafore agli uomini, affinché riflettano.
Sura XV, Al-Hijr = la roccia 70 Allah vi ha creato e poi vi farà morire, Qualcuno di voi sarà condotto sino all'età decrepita, tale che nulla sappia dopo aver saputo. Allah è sapiente e potente. Nota:La Scienza appartiene ad Allah, Egli ne concede una parte agli uomini, ma la loro conoscenza è caduca e, anche prima della morte, la senilità ci mette spesso in condizioni di totale oblio di quello che un tempo avevamo saputo. L'Inviato di Allah (pace e benedizione su di Lui) pronunciava spesso questa invocazione: -O Allah, preservami dai tre mali più grandi, l'avarizia, la senilità e la vigliaccheria74 Non paragonate nulla ad Allah. Allah sa e voi non sapete. 82 Se poi volteranno le spalle, (sappi) che a te incombe solo l'obbligo della comunicazione esplicita. 83 Conoscono la benevolenza di Allah e poi la rinnegano. La maggior parte di loro sono miscredenti. 84 Il Giorno in cui susciteremo un testimone da ogni comunità, ai miscredenti non sarà data la parola e non avranno nessuna scusa.
Sura XVII, Al-Isra = il Viaggio Notturno 11 L'uomo invoca il male come invoca il bene. In verità l'uomo è frettoloso. Nota: La fretta è una delle caratteristiche principali dell'uomo; Tabari racconta di quando Adamo ricevette la vita: -Allah ordinò all'anima di entrare nel suo corpo. Dalla gola l'anima scese nel petto e nel ventre e man mano che pervadeva quella forma l'argilla il fango si trasformavano in ossa, in nervi, vene, carne e pelle. Quando l'anima giunse alla testa Adamo starnutì e Allah gli ispiro le sue prime parole: - la lode appartiene ad Allah-, Gabriele allora gli disse: - Che Allah abbia misericordia di te o Adamo-. Adamo volse il capo e vide il Paradiso ed le meraviglie che conteneva. Sentì la sensazione della fame e volle mangiare, cercò di alzarsi ma tutta la parte inferiore del suo corpo era ancora argilla e non poté farlo. Gabriele gli disse: -Adamo, non avere fretta-. 14 (Gli sarà detto:) - Leggi il tuo scritto: oggi sarai il contabile di te stesso-. Nota: il registro che nel Giorno del Giudizio sarà consegnato ad ogni uomo e che conterrà la registrazione fedele di ogni sua azione.
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15 Chi segue la retta via, la segue a suo vantaggio; e chi si svia lo fa a suo danno; e nessuno porterà il peso di un altro. Non castigheremo alcun popolo senza prima inviar loro un messaggero. 23 Il vostro Signore ha decretato di non adorare altri che Lui e di trattare bene i vostri genitori. Se uno di loro, o entrambi, dovessero invecchiare presso di te, non dir loro -uff- e non li rimproverare: ma parla loro con rispetto. 24 e inclina con bontà verso loro, l'ala della tenerezza; e dì: -O Signore, sii misericordioso nei loro confronti, come loro sono stati con me, allevandomi quando ero piccolo-. 25 Il vostro Signore ben conosce quello che c'è nell'animo vostro. Se siete giusti Egli è Colui che Perdona coloro che tornano a Lui pentiti. 26 Rendi il loro diritto ai parenti, ai poveri e al viandante, senza (per questo) esser prodigo, 27 ché in verità i prodighi sono i fratelli dei diavoli e Satana è molto ingrato nei confronti del suo Signore. 28 Se volti loro le spalle (perché nulla hai da dare), pur sperando nella misericordia del tuo Signore, dì loro una parola di bontà. 34 Non toccare i beni dell'orfano se non a suo vantaggio e (solo) fino a quando non raggiunga la maggiore età. Rispettate il patto, ché in verità vi sarà chiesto di darne conto. 35 Rimpite la misura quando misurate e pesate con la bilancia più esatta. Questo è il bene che conduce al miglior esito. 36 Non seguire ciò di cui non hai conoscenza alcuna. Di tutto sarà chiesto conto: dell'udito, della vista, del cuore. 37 Non incedere sulla terra con alterigia, ché non potrai fenderla e giammai potrai essere alto come le montagne. 38 Tutto ciò è abominio detestato dal tuo Signore. 78 Esegui l'orazione, dal declino del sole sino alla caduta delle tenebre ( e fa) la Recitazione all'alba, ché la Recitazione dell'alba è testimoniata. 79 Veglia (in preghiera) parte della notte, sarà per te un'opera superogatoria Nota: si tratta della preghiera detta -Tahajjud- che veniva assolta dall'Inviato di Allah dopo aver dormito una parte della notte. La tradizione ci riferisce che Egli si svegliava, recitava alcuni versetti del Corano, si alzava, eseguiva l'abluzione e poi pregava. Prima di addormentarsi leggeva un'altra parte del Libro Santo, il più delle volte i primi dieci versetti della Sura della Famiglia (III, 190-200. Grazie a questa particolare devozione Allah (gloria a Lui, l'Altissimo) prometteva al suo Inviato (pace e benedizione su di lui) il più alto livello del Paradiso e la facoltà di intercedere per la sua comunità, presto il tuo Signore ti resusciterà ad una stazione lodata. 101 In verità abbiamo dato a Mosé nove segni evidenti nota: a proposito di questi segni ci sono due versioni classiche entrambe accettabili: la prima afferma trattarsi dei Comandamenti con l'esclusione del precetto sabbatico, l'altra ritiene che siano i prodigi che Allah diede a Mosé. La mano che divenne bianca, il bastone che si trasforma in serpe, il suo eloquio, che da stentato divenne fluente, il diluvio, le cavallette, le pulci, le rane e l'acqua del fiume mutata in sangue e, infine, la traversata del Mar Rosso. Chiedi ai figli di Israele di quando giunse a loro e Faraone gli disse: -O Mosé, io credo che tu sia stregato-. Sura XVIII, Al-Kahf = la Caverna 23 Non dire mai di nessuna cosa: -Sicuramente domani farò questo....24 senza dire -Se Allah vuole-. Ricordati del tuo Signore quando avrai dimenticato (di dirlo) e dì: -Spero che il mio Signore mi guidi in una direzione ancora migliore-. 49 E vi consegnerà il Registro. Nota: l'annotazione della vita dell'uomo: tutte le azioni diligentemente segnate dai due Angeli che Allah (gloria ed onore al suo Nome) ha destinato ad ognuno di noi. Allora vedrai gli empi, sconvolti da
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quello che contiene. Diranno: -Guai a noi! Cos'è questo Registro che non lascia passare azione piccola o grande senza computarla!- E vi troveranno segnato tutto quello che hanno fatto. Il tuo Signore non farà torto ad alcuno.
Sura XIX, Maryam = Maria Nota mia:molto bella questa Sura relativa a Maria
Sura XXI, Al-Anbiya = I Profeti 69 Dicemmo: -Fuoco, sii frescura e pace su Abramo Nota: riferisce la tradizione che Abramo (pace si di Lui) fu precipitato dal tetto di un edificio nel mezzo di un'enorme pira in fiamme e, gloria ad Allah l'Altissimo, ne uscì indenne. 78 Davide e Salomone Nota: Davide, re e giudice dei Figli di Israele, giudicava nella lite fra un agricoltore e un pastore. I montoni di quest'ultimo avevano distrutto una coltivazione. Davide decise che la proprietà del gregge passasse al dannegiato a titolo di indennizzo. Salomone, che aveva undici anni ed assisteva al giudizio, espresse parere contrario e suggerì che il contadino godesse dell'usufrutto del gregge (lana, latte, agnelli) fino alla copertura del danno subito e poi restituisse gli animali al pastore. Il parere fu ritenuto equo ed illuminato, divenne proverbiale della saggezza di giudizio di Salomone e fu in seguito acquisito dalla giurisprudenza islamica. Giudicarono a proposito di un campo coltivato che un gregge di montoni appartenente a certa gente aveva danneggiato pascolandolo di notte. Fummo testimoni del loro giudizio.
Sura XXII, Al-Hajj = il Pellegrinaggio 5 O uomini, se dubitate della Resurrezione, sappiate che vi creammo da polvere e poi da sperma e poi da una aderenza e quindi da un pezzetto di carne, formata e non formata -così Noi vi spieghiamo- e poniamo nell'utero quello che vogliamo fino ad un termine stabilito. Nota: la goccia (nutfah) formata dall'ovulo fecondato dallo spermatozoo si attacca all'utero come un seme e quindi si evolve per diventare (alaqa) la cui forma non è diversa da quella di una sanguisuga, che in arabo è appunto chiamata alaqa. In questa fase, l'embrione assomiglia a un pezzo di carne o di legno masticato (mudgha): osservandolo al microscopio, si ha appunto l'impressione di vedere le tracce dei denti che l'hanno masticato. Vi facciamo uscire lattanti per condurvi poi alla pubertà. Qualcuno di voi muore e qualcuno lo portiamo fino all'età decrepita, tanto che non sanno più nulla, dopo aver saputo. Vedrai (alla stessa maniera) la terra disseccata che freme e si gonfia quando vi facciamo scendere l'acqua e lascia spuntare ogni splendida specie di piante. 39 A coloro che sono stati aggrediti è data l'autorizzazione (di difendersi) perché certamente sono stati oppressi e, in verità, Allah ha la potenza di soccorrerli. 40 A coloro che senza colpa sono stati scacciati dalle loro case solo perché dicevano: -Allah è il nostro Signore-. Se Allah non respingesse gli uni per mezzo degli altri, sarebbero ora distrutti monasteri e chiese, sinagoghe e moschee nei quali il Nome di Allah è spesso invocato. Allah verrà in aiuto a coloro i quali sostengono (la sua religione). In verità Allah è forte e possente. 41 (Essi sono) coloro che quando diamo loro potere sulla terra, assolvono all'orazione, versano la decima, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è ripriovevole. Appartiene ad Allah l'esito di tutte le cose. 52 Non inviammo prima di te nessun messaggero e nessun profeta senza che Satana si intromettesse nella sua recitazione. Ma Allah abroga ciò che Satana suggerisce. Allah conferma i Suoi segni. Allah è sapiente, saggio. 78 Lottate per Allah come Egli ha diritto (che si lotti). Egli vi ha scelti e non ha posto nulla di gravoso nella religione, quella del vostro Padre Abramo e vi ha chiamati “musulmani”. Già allora e qui ancora, sì che il Messaggero testimoni nei vostri confronti e voi testimoniate nei confronti delle genti. Assolvete all'orazione e versate la decima e aggrappatevi ad Allah. Egli è il vostro patrono. Qual migliore pastore, qual miglior alleato.
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Sura XXIV, An-Nur = La Luce 2 Flagellate la fornicatrice ed il fornicatore, ciascuno con cento colpi di frusta e non vi impietosite (nell'applicazione) della Religione di Allah, se credete in Lui e nell'Ultimo Giorno, e che un gruppo di credenti sia presente alla punizione.
Sura XXX, Ar-Rum = i Romani 21 Fa parte dei Suoi segni l'aver creato da voi, per voi, delle spose, affinché riposiate presso di loro, e ha stabilito fra di voi amore e tenerezza. Nota: tenerezza si potrebbe anche tradurre con compassione. Abu Huray-ra disse: -Ho sentito l'Inviato di Allah (pace e benedizione su di lui) dire: -Allah Altissimo ha cento parti di misericordia, di cui una soltanto ha fatto scendere, distribuendola dra dèmoni, gli uomini, le bestie e i rettili: da essa nutrono vicendevolmente affetto; da essa traggono vicendevole compassione; per essa la fiera si volge tenera al suo piccolo. Allah Altissimo ha riservato le altre novantanove parti della misericordia per usare in favore dei Suoi Servi, nel Giorno della Resurrezione-. Ecco davvero dei segni per coloro che riflettono. 48 Allah è Colui che invia i venti che sollevano una nuvola; la distende poi nel cielo come vuole e la frantuma, e vedi allora le gocce uscire dai suoi recessi. Quando poi ha fatto sì che cadano su chi vuole tra i suoi Servitori, questi ne traggono lieta novella.
Sura XXXI, Luqman 16 -O figlio mio, anche se fosse come il peso di un granello di senape, nel profondo di una roccia o nei cieli o sulla terra, Allah lo porterà alla luce. Allah è dolce e ben informato. 17 O figlio mio assolvi all'orazione, raccomanda le buone consuetudini e proibisci il biasimevole e sopporta con pazienza quello che ti succede: questo il comportamento da tenere in ogni impresa. 18 Non voltare la tua guancia Nota: non esser sdegnoso quando guardi gli altri dagli uomini e non calpestare la terra con arroganza: in verità Allah non ama il superbo vanaglorioso. 19 Sii modesto nel camminare e abbassa la tua voce: invero la più sgradevole delle voci è quella dell'asino-.
Sura XXXII, As-DSajda = la Prosternazione 7 è Colui che ha perfezionato ogni cosa creata e dall'argilla ha dato inizio alla creazione dll'uomo, 8 quindi ha tratto la sua discendenza da una goccia d'acqua insignificante Nota: lo sperma 9 e quindi gli ha dato forma ed ha in lui insufflato il Suo Spirito. Via ha dato l'udito, gli occhi ed i cuori. Quanto poco siete riconoscenti! 17 Nessuno conosce la gioia immensa che li attende, ricompensa per quello che avranno fatto 18 Forse il credente è come l'empio? Non sono affatto uguali. 19 Coloro che credono e che fanno il bene saranno ospitati nei giardini del Rifugio, premio per quello che avranno fatto, 20 mentre coloro che saranno stati empi avranno per rifugio il fuoco: -Provate il rifugio del Fuoco che tacciavate di menzogna!-
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21Daremo loro un castigo immediato prima del castigo più grande, affinché ritornino. 23 Già demmo il Libro a Mosé (dicendogli): -Non dubitare circa il Suo incontro-. Ne facemmo una guida per i Figli di Israele. 24 E (finché) furono perseveranti e credettero con fermezza nei Nostri segni, scegliemmo tra loro i capi che li dirigessero seondo i nostri Comandi.
Sura XXXIII, Al-Ahzab = i Coalizzati 32 O mogli del Profeta, non siete simile ad alcuna altra donna. Se volete comportarvi devotamente, non siate accondiscendenti nel vostro eloquio, ché non vi desideri chi ha una malattia del cuore Nota: allusione a qualche pervertito o mitomane che cercava in qualche modo di avvicinarsi alle donne del Profeta. Parlate invece in modo conveniente. 33 Rimanete con dignità nelle vostre case e non mostratevi come era costume al tempo degli ignoranti. Eseguite l'orazione, pagate la decima ed obbedita ad Allah e al Suo Inviato. O gente della casa, Allah non vuole altro che allontanare da voi ogni sozzura e rendervi dl tutto puri. 35 In verità i musulmani e le musulmane, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, i leali e le leali, i perseveranti e le perseveranti, i timorati e le timorate, quelli che fanno l'elemosina e quelle che fanno l'elemosina, i digiunatori e le digiunatrici, i casti e le caste, quelli che spesso ricordano Allah e quelle che spesso ricordano Allah, sono coloro per i quali Allah ha disposto perdono ed immensa ricompensa. 41 O voi che credete, ricordate spesso il nome di Allah 42 e glorificateLo al mattino ed alla fine del giorno. 43 Egli è Colui che effonde le Sue benedizioni su di voi, assieme ai Suoi Angeli, per trarvi dalle tenebre alla luce. Egli è misericordioso per i credenti. 49O credenti! Quando sposate le credenti e poi divorziate da esse senza averle toccate, non saranno obbligarte a rispettare un periodo d'attesa. Nota: la “idda”, il ritiro legale della durata di tre cicli mestruali, che devono invece rispettare le donne il cui matrimonio sia stato consumato. Date loro qualcosa e date loro grazioso congedo. 52 D'ora in poi non ti è più concesso di prendere altre mogli (più di quattro) e neppure quello di cambiare quelle che hai con altre, anche se ti affascina la loro bellezza, eccetto le schiave che possiedi. Allah osserva ogni cosa. 59 O Profeta, dì alle tue spose, alle tue figlie ed alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate. Allah è perdonatore e misericordioso
Sura XXXIV, Sabato12 (Sottomettemmo) a Salomone il vento che percorre un mese (di marcia) il mattino e un mese alle sera e facemmo scorrere la fonte di rame. Lavoravano i dèmoni sotto di lui con il permesso del suo Signore Nota: Salomone (pace su di Lui) aveva avuto da Allah (gloria a Lui l'Altissimo) il dominio sui venti, sugli animali e sui dèmoni, vedi anche XXI 81-82. Se uno qualunque di loro si fosse allontanato dal Nostro ordine, gli avremmo fatto provare il castigo della Fiamma. 13 Costruivano per lui quello che voleva: templi e statue, vassoi grandi come abbeveratoi e caldaie ben stabili. -O famiglia di Davide, lavorate con gratitudine-. E invece sono bel pochi i Miei servi riconoscenti. 14 Quando poi decidemmo che morisse, fu solo “la bestia della terra” che li avvertì della sua morte, rosicchiando il suo bastone. Nota: la Tradizione riferisce che quando Salomone, sentendo avvicinarsi la sua morte, pregò Allah (gloria a Lui l'Altissimo) di far sì che i dèmoni che lavoravano ai suoi ordini non se ne accorgessero e continuassero le opere
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intraprese. Quando morì era in preghiera, in piedi, appoggiato al suo bastone. Allah lo conservò in questa postura e vi rimase sin quando furono completate le opere che i dèmoni stavano realizzando. A questo punto, rosicchiato nel suo interno da una termite, il bastone si ruppe ed i dèmoni si accorsero della sua morte e della limitatezza della loro conoscenza.. Poi, quando cadde, ebbero la prova i dèmoni che se avessero conosciuto l'invisibile, non sarebbero rimasti nel castigo avvilente.
Sura XXXVIII Sad 20 Consolidammo la sua sovranità e gli demmo saggezza e capacità di giudizio. 21 Ti è giunta la storia dei due litiganti che scalarono le mura del Tempio? Nota: Racconta la tradizione che Davide, pur avendo novantanove mogli nel suo gineceo, fu preso dalla passione per una donna promessa ad un suo ufficiale. Cercò di convincerla a lasciare il suo sposo agendo così in modo scorretto e attirando su di sé il rimprovero del suo Signore. Per dargli modo di capire il suo errore Allah (gloria a Lui, l'Altissimo) gi inviò due angeli che assunsero forma umana e gli chiesero di dirimere un loro contrasto. I termini della lite erano tali che Davide potesse comprendere l'errore del suo comportamento e così avvenne. Questa è la versione trasmessa dai primi esegeti musulmani che attinsero alle fonti israelitiche del loro tempo, non esistendo una tradizione autentica risalente all'Inviato di Allah (pace e benedizione su di lui) cui si può tenere con certezza un musulmano. Alcuni commentatori, tuttavia, rifiutano categoricamente che un profeta possa essere stato vittima di simile debolezza. Ben diversa la storia che racconta la Bibbia (II Samuele, 11- 12). Secondo questo testo Davide non solo avrebbe sedotto ed ingravidato la donna, ma addirittura avrebbe tramato la morte del suo rivale, ordinando al comandante delle sue armate di esporlo in combattimento in un luogo di grave pericolo. L'ufficiale morì e Davide si prese la donna. Come già in altri brani (vedi la storia di Giacobbe e Esaù, di Abramo e Sara, ecc), gli ebrei dimostrarono scarsissima stima e considerazione per i profeti di Allah (pace su tutti loro) facendoli compartecipi delle peggiori passioni umane. 22 Quando si pararono davanti a Davide, spaventandolo, dissero: -Non aver paura, siamo due in lite, uno di noi ha fatto torto all'altro; giudica tra di noi con giustizia, non essere iniquo e guidaci sulla retta via. 23 Questi è mio fratello, possiede novantanove pecore, mentre io non ne posseggo che una sola. Mi ha detto “affidamela” ed ebbe la meglio nella discussione-. 24 Disse: -Certamente ha mancato nei tuoi confronti, chiedendoti la tua pecora in aggiunta alle sue. In verità molti associati (in un affare) si fanno torto a vicenda, eccetto coloro che credono e compiono il bene, ma essi sono ben pochi!-. Davide capì che l'avevano messo alla prova, implorò il perdono del suo Signore, cadde in prosternazione e si pentì. 25 Allora lo perdonammo. Egli ha un posto vicino a Noi e buon luogo di ritorno. 26 -O Davide, abbiamo fatto di te un vicario sulla terra: giudica con equità tra gli uomini e non inclinare alle tue passioni, ché esse ti travieranno dalla strada di Allah!-. In verità coloro che si allontanano dal sentiero di Allah subiranno un severo castigo per aver dimenticato il Giorno del Rendiconto. 31 Una sera, dopo che gli furono esibiti alcuni magnifici cavalli, ritti su tre zampe, Nota: alcune pregiate razze di cavalli si contraddistinguono per il fatto che gli animali stanno ritti poggiando su tre zoccoli e tenendo graziosamente sollevata la quarta zampa, 32 Disse: -In verità ho amato i beni (terreni) più che il Ricordo del mio Signore, finchè non sparì (il sole) dietro al velo della notte. Nota: secondo la tradizione Salomone si lasciò distrarre dall'ammirazione per alcuni superbi cavalli che aveva comprato per destinarli alla guerra per la causa di Dio. Rimase a contemplarli sino all'ora del tramonto, trascurando la preghiera del pomeriggio. Quando se ne rese conto, pieno di ira contro se stesso e le sue passioni, ne uccise molti con le sue mani. Allah (gloria al Suo Nome) non ritenne che questa fosse espiazione sufficiente e permise ad uno dei jinn che vivevano alla sua corte, di impadronirsi del suo anello, di sostituirsi a lui e fargli provare così l'amarezza della sua colpa. 33 Riconduceteli a me-. E cominciò a tagliar loro i garretti e i colli.
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34 Mettemmo alla prova Salomone, mettendo un corpo sul suo trono, e se ne pentì. Nota: trattandosi di un dèmone che aveva preso il suo posto assumendone le sembianze, non era un'altra persona quella che era salita sul suo trono, ma appunto un “corpo”. Un'altra ipotesi di comprensione del testo trae spunto da un peccato di superbia che avrebbe commesso Salomone. Una sera disse: -Questa sera mi unirò con tutte le mie mogli e genererò cento figli che combatteranno per la gloria del Signore-. Presuntuoso o distratto, dimenticò di sottomettere all'Altissimo la sua decisione pronunciando la formula “inshallah” (se Allah vuole). Delle sue novantanove moglie ne rimase incinta solo una e partorì un figlio deforme e lo gettò sul suo trono. Poi si pentì. 35 e disse: -Signore perdonami e concedimi una sovranità che nessun altro avrà dopo di me. In verità Tu sei il Munifico-. 36 Gli assoggettammo il vento, soffiava al suo comando (fin) dove voleva inviarlo. 37 e (gli asservimmo) tutti i dèmoni, costruttori e nuotatori (nel senso di pescatori di perle) di ogni specie. 38 E altri ancora incatenati a coppie. 39 -Questo è il nostro dono, dispensa e tesaurizza, senza (doverne) renderne conto. 71 (Ricorda) quando il tuo Signore disse agli angeli: -Creerò un essere umano con l'argilla. 72 dopo che l'avrò ben formato e avrò soffiato in lui il mio Spirito, gettatevi in prosternazione davanti a lui-. 73 Tutti gli Angeli si prosternarono insieme. 74 eccetto Iblis, che si inorgoglì e divenne uno dei miscredenti 75 (Allah) disee: -O Iblis, cosa ti proibisce di prosternarti davanti a ciò che ho creato con le Mie mani? Ti gonfi di orgoglio? Ti ritiene forse uno dei più elevati?-. 76 Rispose: -Sono migliore di lui: mi creasti con il fuoco mentre lui l'hai creato con la creta-. 77 Allah disse: -Esci di qua, in verità sei maledetto; 78 e la mia maledizione sarà su di te fino al Giorno del Giudizio!-. 79 Disse: - Signore concedimi una dilazione sino al Giorno in cui saranno resuscitati-. 80 Rispose (Allah): -Tu sei tra coloro cui è concessa dilazione 81 sino al Giorno dell' istante noto-. 82 Disse: -Per la tua potenza tutti li travierò. 83 eccetto quelli, fra loro, che sono Tuoi servi protetti-. 84 (Allah) disse: -Questa è la Verità, Io dico la Verità, 85 che riempirò l'Inferno di te e di tutti quelli di loro che ti seguiranno-.
Sura XL, Al-Ghafir = il Perdonatore
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In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso. 1 Ha, Min 2 La Rivelazione del Libro (proviene) da Allah, l'Eccelso, il Sapiente. 3 Colui che perdona il peccato, che accoglie il pentimento, che è severo nel castigo, il Magnanimo. Non c'è altro Dio all'infuori di Lui. La meta è verso di Lui. 4 Solo i miscredenti polemizzano sui segni di Allah. Non ti lasciar suggestionare dal loro andirivieni in questa terra. 5 Prima di loro il popolo di Noé tacciò di menzogna e dopo di loro (lo fecero) i coalizzati. Ogni comunità tramò contro il suo messaggero, cercando di impadronirsene. Polemizzarono con falsi (argomenti) per respingere la verità. Li afferrai infine, e quale fu la Mia sanzione! 6 Si realizza così la Parola del Tuo Signore contro i miscredenti : -Saranno i compagni di Fuoco-. 7 Coloro che sostengono il Trono e coloro che lo circondano, glorificano e lodano il loro Signore, credono in lui ed invocano il perdono per i credenti: -Signore, la Tua Misericordia e la Tua Scienza, si estendono su tutte le cose: perdona a coloro che si pentono e seguono la Tua via, preservali dal castigo della Fornace. 8 Signore, falli entrare nel Giardino dell'Eden che hai promesso loro, e a quanti fra i nostri padri, le loro spose e i loro discendenti saranno stati virtuosi. Sì, Tu sei l'Eccelso, il Saggio 9 Preservali dalle cattive azioni, perché in quel giorno colui che avrai preservato dal male, beneficerà della tua Misericordia-. 18 Avvertili (o Muhammad) del Giorno che si avvicina, quando angosciati avranno il cuore in gola. Gli ingiusti non avranno né amici solleciti né intercessori ascoltati. 19 Egli conosce il tradimento degli occhi e quel che i petti nascondono. 20 Allah decide con equità, mentre coloro che essi invocano al di fuori di Lui, non decidono nulla. In verità Allah è colui che tutto ascolta e osserva.
Sura XLIX, Al-Hujrat 6 O credenti, se un malvagio vi reca una notizia, verificatela, affinché non portiate, per disinformazione, pregiudizio a qualcuno e abbiate poi a pentirvi di quel che avrete fatto.
Sura CXIV, An-Nas = gli Uomini (è l'ultima Sura) In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso 1 dì: -Mi rifugio nel Signore degli uomini, 2 Re degli uomini, 3 Dio degli uomini, 4 contro il male del sussurratore furtivo,
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5 che soffia il male nel cuore degli uomini, 6 che (venga) dai dèmoni o dagli uomini.-
Il Corano, a cura di Hamza Roberto Piccardo, ed. Al Hikma, 1994 (molto, molto bello questo testo tradotto e commentato dal Piccardo: alcune note sono davvero belle, esaurienti, esplicite, chiare e sorprendenti. Ed è stata molto utile la lettura a sfatare l'indotta opinione che questa opera sia blasfema e quindi da ributtare: niente di più falso. Che poi per motivi storici contingenti nel nome del Corano siano stati compiuti misfatti e carneficine.... non sarà mai nulla rispetto a quei crimini commessi con il Vangelo brandito come una spada). Ricca anche l' appendice, piena di notizie interessanti quali: l'orazione, la decima, il Ramadan, il pellegrinaggio, i nomi di Allah, la Jihad, l'usura. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Quando Cuneo e l'abate di Borgo decisero nel 1259 di sottomettersi alla signoria di Carlo d'Angiò conte di Provenza (Nota mia: costui era fratello cadetto del re di Francia Luigi IX) , anche la valle Gesso divenne angioina ma pretese ben presto di mantenere la propria autonomia da Cuneo riconoscendo la signoria feudale dell'abate di Borgo. Infatti in quella abbazia convennero il 10 agosto 1262, secondo un documento che si conserva all'Archivio vescovile di Mondovì, i capi famiglia della valle, ossia 19 uomini di Valdieri, 40 di Entracque, 27 per Andonno, e 25 per Roaschia, dichiarando di riconoscere come loro signore, di cui sempre erano stati sudditi i loro antenati, l'abbazia di Borgo di cui era allora rettore l'abate Tomaso.
…... Secondo un calcolo fatto da don Ristorto nel suo pregevole libro Entracque, Cuneo, 1978, nel 1415 pagavano ad Entracque l'imposta di focatico, ossia di famiglia, 101 persone per cui si può calcolare la popolazione di 500-600 persone (tenendo presente che i poveri ed i miserabili non pagavano quest'imposta) per cui Entracque doveva essere il paese più popoloso della valle, superando Borgo ove pagavano l'imposta solo 81 persone e Valdieri 59. Nel 1476 passava per Entracque Filippo di Savoia risalendo il colle delle Finestre onde scendere a Nizza. Di altro memorabile passaggio per Entracque dà notizia il cronista di Borgo, Dalmazzo Grasso, il quale dopo aver descritto il famoso terremoto del 1550: -Quest'anno 1550 circa l'hora del disnare venne un repentino e smesurato terremoto: il campanile parìa che la ponta voltasse in basso e poi tornava rizzarse, le acque saltavano fuori dalle riviere, cadian fornelli e mattoni- , ci parla dell'arrivo a Entracque nel 1564 di Emanuele Filiberto e del terremoto che scosse Entracque per vari mesi di quell'estate. Giorgio Beltrutti, Cuneo e le sue valli, L'artistica Savigliano, 1978 (davvero ghiotto questo piccolo libro: ritenevo di conoscere bene e tutto della storia di Cuneo e dei territori afferenti, ma è stato davvero utile leggere questo testo conciso e preciso. D'altronde l'Autore ha scritto parecchio di storia locale ed in particolare di Tenda e Briga. Ho riportato i due brani in quanto stupito della diffusione della popolazione nella valle Gesso e soprattutto il grande rilievo di Andonno che ora è una frazione di Valdieri, avendo perso nel 1620 Madonna Aradolo a favore di Borgo).
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In quei luoghi (Venezuela) la vita scorreva senza sobbalzi, frugale e prevedibile. Antiche erano pure le tradizioni e i ricordi del passato mescolati a religione e leggende indie, venivano espressi in linguaggio arcaico e aforismi che spiegavano senza insegnare nulla. A volte non bastva la conoscenza né del castigliano né della sintassi autoctona per comprenderli: --E' peccato mortale uccidere lo zamarro (l'avvoltoio). Un loro antenato, Achaua, ha imprigionato un fulmine con il becco, ed ha portato il fuoco sulla terra. --Attenti ai buchi scavati dal cacicamo (l'armadillo). E' stato lui ad aprire il grande foro che ha permesso agli indios di salire e di raggiungere la terra nella parte superiore, dove ci sono le piante, i fiori, gli animali. Prima essi vivevano nel buio, nel cielo “inferiore” dove c'erano solo radici e insetti. --In principio era il nulla, poi venne Puanà il serpente, che creò il mondo e tutte le cose, compresi il fondo dei laghi, e il corso dei fiumi. Dopo venne Icai, che creò l'acqua. --Il primo abitante della terra fu Cuma, che creò gli uomini.. --Cuma corre ogni notte nel cielo sulla sua curiara (canoa). --Il sole corre anche lui nel cielo con la sua curiara, ma solo di giorno. Alla sera va a riposare nel paese di Cuma. --Le stelle sono figlie di Cuma. --Dall'est venne l'India rosa che creò i Guahiho e gli Yaruro (gli indios). E la leggenda si fonde con la storia sacra dei “racionales”, i bianchi: --Quando gli uomini divennero cattivi, Cuma inviò la pioggia, un grande diluvio che coprì la terra. --La terra è figlia di Cuma. --La terra è il corpo del Signore che sta agonizzando sulla croce e chi, il venerdì santo, mangia carne di chi di erba si nutre, martirizza con il suo “proprio”corpo di Dio e non si lavora né in savana né nel “corral” , perché questa azione ti rovinerebbe per tutta la vita. Bisogna anche buttare il latte delle formaggere, perché il latte battuto nei giorni santi non caglia e si trasforma in sangue. --Vi sono le Anime in pena che tornano a raccogliere i passi sbagliati dai luoghi dove li commisero, e portano con sé chi si perde nella notte.
…. A loro i giornali non interessano, forse non li sanno leggere oppure non vi trovano nulla che li riguardi. Sono oggetto di aneddoti e barzellette, ciò non toglie che potrebbero essere i padroni del mondo se l'umanità non si evolvesse con la ragione dei furbi. Si accontentano di vivere nella savana purché ci sia un riachuelo (rigagnolo)di acqua.
…. La città (El Tigre), con il suo unico cinema e alcuni bordelli, a noi italiani non offriva molto, quindi questo rubare ore al lavoro per ritemprarci sognando o cogliendo il lato comico della vita diventava un momento importante, anche perché favoriva la nascita di amicizie e di gruppi omogenei a seconda dei gusti o della regione di provenienza..
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Felice Malgaroli, Transeuntes italiani emigranti a vita, ed. L'Arciere, 1995 (davvero bello e leggero questo testo: narra di un piemontese nato nel 1924, ospite di Mauthausen nel 1945, che ha scelto la via dell'emigrazione in Venezuela (ma poi in molti altri paesi quali il Pakistan, gli USA, la Cina, il Giappone e il Canada). L' Autore mi ha colpito perché è una persona pacata, concreta, pacifica e racconta tutte le sue vicissitudini nonché i ritratti di molti soggetti che ha conosciuto in termini assolutamente positivi: con i tempi che corrono non è poco).
Nell'ebbrezza dionisiaca, nell'impetuoso trascorrere di tutte le tonalità dell'anima nell'eccitazione narcotica o nello scatenamento degli impulsi primaverili, la natura si manifesta in tutta la sua forza: essa stringe di nuovo i singoli esseri e li fa sentire unificati, in modo che il principium individuationis appare quasi come uno stato durevole di debolezza della volontà. Quanto più la volontà è intristita, tanto più tutto si spezzetta nella singolarità; quanto più l'individuo si sviluppa in modo egoistico e arbitrario, tanto più è debole l'organismo che esso serve. In questi stati si manifesta quindi come un tratto sentimentale della volontà, un “sospiro della creatura” per quel che ha perduto; dal sommo del piacere risuona il grido di orrore, i lai struggenti per una perdita irreparabile. La natura lussureggiante celebra i suoi saturnali e insieme i suoi riti funebri.
… Feste simili sono antichissime e sono rintracciabili dappertutto, le più famose a Babilonia con il nome di Sacee. Qui, in feste che duravano cinque giorni, ogni vincolo statale e sociale veniva spezzato; ma il loro centro stava nella sfrenatezza sessuale, nell'annientamento di ogni freno famigliare in una dissolutezza senza limiti. L'antitesi a tutto ciò è offerta dal quadro delle feste greche di Dioniso, che Euripide abbozza nelle Baccanti. Da esso promana la stessa leggiadria, la stessa ebbrezza di trasfigurazione musicale, che Scopa e Prassitele hanno solidificato in statue. Un messaggero racconta di essere salito con le greggi, nella calura meridiana, sulle cime dei monti: è il momento giusto ed il luogo giusto per vedere quel che non si vede altrimenti: ora Pan dorme, ora il cielo è lo sfondo immoto di uno splendore glorioso, ora il giorno fiorisce. Su un pascolo montano il messaggero nota tre cori di donne, che giacciono qua e là nel prato in atteggiamenti pudici; molte sono appoggiate a tronchi di abete: tutte sonnecchiano. Improvvisamente la madre di Penteo comincia a esultare, il sonno è scacciato, tutte saltano su, un modello di nobili costumi; le ragazze e le donne sciolgono i capelli che cadono sulle spalle, la pelle di capriolo viene rimessa in ordine, se nel sonno si sono sciolti nastri e fiocchi. Ci si cinge di serpenti, che lambiscono familiarmente le gote, alcune donne prendono in braccio lupacchiotti e giovani caprioli e li allattano. Tutte si adornano con corone di edera e fiori di convolvoli, un colpo di tirso sulle rocce e ne spiccia l'acqua; un colpo di bastone sulla terra e si alza un zampillo di vino. Dolce miele gocciola dai rami, basta che qualcuno tocchi la terra con la punta delle dita e ne sgocciola latte bianco come la neve. E' tutto un mondo incantato, la natura celebra la sua festa di riconciliazione con l'uomo. Il mito dice che Apollo ha ricomposto Dioniso sbranato. Questa è l'immagine di Dioniso rigenerato da Apollo, salvato dalla sua lacerazione asiatica. Friedrich W. Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, RCS Quotidiani, 2010 -------------------------------------------------------------------
Degli uomini che sono lontani da noi ci basta conoscere i fini per approvarli o rifiutarli nel loro complesso. Per quelli che ci sono più vicini, giudichiamo in base ai mezzi con cui essi perseguono i loro fini; spesso disapproviamo i loro fini, però li amiamo per i loro mezzi e per il loro modo di volere. Orbene, i sistemi filosofici sono interamente veri solo per i loro fondatori; per tutti i filosofi posteriori ciascuno di essi è di solito un unico grande errore, e per le teste meno forti è una somma di errori e di verità; ma in ogni caso, nel suo fine supremo, è un errore e pertanto rigettabile. Perciò molti disapprovano qualunque filosofo, dato che il suo fine non è il loro: sono quelli che stanno più lontano. Chi invece prova gioia per i grandi uomini in genere, prova gioia parimenti per tali sistemi, anche se sono del tutto erronei, perché hanno comunque in sé un punto che è assolutamente inconfutabile, un pathos e un colore personale, che possono servire per ricavare l'immagine del filosofo, allo stesso modo che dalla vegetazione di un certo luogo si può capire la natura del terreno. Quel modo di vivere e di vedere le cose umane è comunque esistito una volta ed è dunque sempre possibile il “sistema” o anche solo una parte del sistema, è quello che cresce su quel terreno.
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… L'unico moralista serio del nostro saeculum ci affida nei Parerga vol. II pag. 327, una considerazione simile. “Il criterio giusto per giudicare qualunque uomo è che egli è propriamente un essere che non dovrebbe esistere affatto, e che sconta la sua esistenza con una multiforme sofferenza e con la morte. Che cosa ci si può aspettare da siffatto essere? Non siamo forse noi tutti peccatori condannati a morte? Noi scontiamo la nostra nascita prima con la vita e poi con la morte”.
…. In mezzo a questa notte mistica che avvolgeva il problema del divenire di Anassimandro, comparve Eraclito di Efeso e lo illuminò d'un lampo divino. “Io contemplo il divenire e nessuno ha mai guardato con più attenzione a questa eterna onda e a questo eterno ritorno delle cose. E che cosa ho visto? Imperio delle leggi, sicurezze infallibili, vie del diritto sempre uguali, Erinni giudicanti dietro tutte le trasgressioni delle leggi, il mondo intero come spettacolo di una giustizia imperante e di forze della natura demonicamente omnipresenti, poste al suo servizio. Non ho visto la punizione del divenuto, ma la giustificazione del divenire. Quando mai il sacrilegio e la defezione si sono manifestati in forme intangibili, in leggi osservate con sacro rispetto? Dove regna l'ingiustizia c'è arbitrio, disordine, sregolatezza, contraddizione; ma dove soltanto imperano la giustizia e Dike, figlia di Zeus, come in questo mondo, come può esserci la sfera della colpa, dell'espiazione, della condanna e, per così dire, il patibolo di tutti i dannati?”
…. Con forza maggiore di Anassimandro, Eraclito esclamò: “ Non vedo nient'altro che il divenire. Non fatevi ingannare! Dipende dalla brevità della nostra vita, non dall'essenza delle cose, che voi crediate di scorgere da qualche parte una terraferma nel mare del nascere e del perire. Voi date nomi alle cose come se esse durassero eternamente; ma anche il fiume in cui vi bagnate la seconda volta, non è lo stesso in cui vi siete bagnati la prima”. (nota mia: lo dice anche Leonardo, vedi all'inizio)
…. Gli spiriti volgari hanno infatti la brutta abilità di vedere nella sentenza più ricca e profonda nient'altro che la loro banale propria opinione. Del resto, e ciò non ostante, Eraclito non è sfuggito agli “spiriti gretti”; già gli stoici lo hanno interpretato in termini di piattezza, abbassando la sua fondamentale visione estetica del gioco cosmico a una volgare considerazione dei finalismi del mondo, e ciò a vantaggio dell'uomo, sicché la sua fisica si è trasformata in quelle menti in un grossolano ottimismo, con un continuo invito a Tizio e a Caio al plaudite amici. Friedrich W. Nietzsche, La filosofia nell'epoca tragica dei Greci, RCS Quotidiani, 2010
In un angolo remoto di un universo scintillante, diffuso in innumerevoli sistemi solari, c'era una volta un astro sul quale animali intelligenti inventarono la conoscenza. ….. Qualcuno potrebbe inventare una favola del genere, ma non riuscirebbe mai ad illustrare adeguatamente quanto lamentevole, quanto fugace e vago, quanto inane e capriccioso appaia nella natura l'intelletto umano. Ci furono eternità in cui esso non c'era, e quando di nuovo non ci sarà più non sarà successo niente. Giacché per questo intelletto non c'è alcuna missione ulteriore che porti al di là della vita umana. Esso è totalmente umano e solo chi lo possiede e lo produce ha un'idea così patetica, quasi che su di esso ruotassero i cardini del mondo. Ma se noi potessimo comunicare con la zanzara, apprenderemmo che anche essa svolazza nell'aria con questo pathos e si sente appunto il centro svolazzante del mondo. Nella natura non c'è niente di così spregevole e meschino che, con un piccolo soffio di questa forza del conoscere, non si gonfi subito come un otre; e come facchino vuole avere i suoi ammiratori, così il più superbo degli uomini, il filosofo, crede che da tutte le parti gli occhi dell'universo siano telescopicamente puntati sul suo agire e pensare. …. Questa superbia legata al conoscere e al sentire, che ricopre gli occhi e i sensi dell'uomo di una nebbia abbacinante, lo inganna dunque sul valore dell'esistenza, in quanto porta in sé il giudizio più lusinghiero sulla conoscenza. Il suo effetto più generale è l'inganno.
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L'intelletto, come mezzo per la conservazione dell'individuo, dispiega le sue forze principali nella finzione, giacché questa costituisce il mezzo che permette agli individui più deboli, meno robusti, di conservarsi, essendo loro negata la lotta per l'esistenza da combattersi con le corna e con le zanne aguzze degli animali feroci. Nell'uomo quest'arte della finzione giunge al culmine: qui l'illudere, l'adulare, il mentire e l'ingannare,il parlare dietro alle spalle, il presenziare, il vivere in uno splendore preso a prestito, il mascherarsi, il celarsi dietro le convenzioni, il recitare la commedia davanti agli altri e a se stessi, insomma il continuo svolazzare intorno all'unica fiamma della vanità, sono la regola e la legge, a tal punto che non c'è quasi niente di più incomprensibile del fatto che possa sorgere tra gli uomini un impulso onesto e puro verso la verità. Gli uomini sono profondamente immersi nelle illusioni e nelle immagini del sogno, il loro occhio non fa che scivolare sulla superficie delle cose e vedere “forme”, in nessun luogo il loro agire conduce alla verità, ma si accontenta di ricevere stimoli e di giocare per così dire un gioco tattile sul dorso delle cose.
…. Noi diciamo che un uomo è onesto. Perché oggi ha agito così onestamente? Ci domandiamo. La risposta suona di solito: per la sua onestà. L'onestà! Ciò significa di nuovo: la foglia è la causa delle foglie. Infatti non sappiamo assolutamente niente di una qualità essenziale che si chiami l'onestà, ma soltanto di numerose azioni individualizzate e pertanto diseguali, che noi equipariamo lasciando cadere le diseguaglianze, e che ora designiamo quali azioni oneste. Da ultimo formuliamo in base a esse una qualitas occulta con il nome: l'onestà.
…. Cos'è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state trasposte ed adornate poeticamente e retoricamente e che, dopo lungo uso, appaiono ad un popolo salde, canoniche e vincolanti. Le verità sono illusioni di cui si è dimenticato che sono illusioni, metafore che si sono logorate ed hanno perduto la loro presa sensibile, monete che hanno perduto la loro immagine e vengono ora prese in considerazione solamente come metallo, non più come monete. Continuiamo a non sapere da che cosa scaturisce l'impulso verso la verità. Giacché finora abbiamo sentito parlare solo dell'obbligo che la società impone, per esistere, di essere veritieri, ossia di servirsi delle metafore usuali, il che, espresso in termini morali, significa: dell'obbligo di mentire secondo una convenzione stabilita, di mentire tutti insieme in uno stile vincolante per tutti. Ora, certamente, l'uomo dimentica che così stanno le cose con lui; dunque nel modo suddetto inconsciamente e dopo un'assuefazione di secoli, giungendo al sentimento della verità attraverso questa incoscienza, proprio attraverso a questa dimenticanza. Il sentimento di essere obbligato a dire che una cosa è rossa, un'altra fredda e una terza muta, suscita un moto morale che si rapporta alla verità. …. Chi è ispirato da questa freddezza stenterà a credere che anche il concetto, osseo e fornito di otto angoli come un dado e spostabile come questo, non sussista se non come residuo di una metafora, e che l'illusione della trasposizione artistica di uno stimolo nervoso in immagini sia, se non la madre, la madre della madre di ogni concetto. Ma nell'ambito di questo gioco di dadi dei concetti si chiama “verità” il far uso di ogni dado in conformità della sua denominazione, il contare esattamente i punti segnati su ciascuna sua faccia, il formare rubriche giuste e il non infrangere giammai l'ordine delle caste e la successione gerarchica delle classi.
…. Il suo modo di procedere consiste nel considerare l'uomo la misura di tutte le cose; solo che nel fare ciò muove dall'errore di credere di avere queste cose immediatamente davanti a sé come oggetti puri. Dimentica quindi le metafore intuitive originali in quanto metafore e le prende per le cose stesse.
…. Alla costruzione dei concetti lavora originariamente, come abbiamo visto, il linguaggio e, in tempi più tardi la scienza. Come l'ape costruisce le celle e al tempo stesso le riempe di miele, così la scienza lavora incessantemente a quel grande colombario di concetti, cimitero delle intuizioni, costruendo sempre nuovi e più alti piani, consolidando, ripulendo e rinnovando le vecchie celle, e sforzandosi soprattutto di riempire quella costruzione a caselle innalzata sino alle stelle e di ordinarvi dentro tutto il mondo empirico, cioé il mondo antropomorfico. Se già l'uomo che agisce lega la sua vita alla ragione e ai concetti, per non essere trascinato via dalla corrente e per non perdersi egli stesso, il ricercatore costruisce la sua capanna a ridosso della torre della scienza, per poter contribuire alla sua edificazione e per trovare egli stesso riparo ai piedi del baluardo già costruito. E di riparo ha bisogno, perché ci sono potenze terribili che fanno
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continuamente pressione su di lui, contrapponendo alle verità scientifiche altre verità di tutt'altro genere, contrassegnate dagli stemmi più disparati.
…. L'uomo stesso ha una tendenza invincibile a lasciarsi ingannare ed è come incantato di felicità quando il rapsodo gli narra come vere della fiabe epiche, o l'attore del dramma fa il re più regalmente di come si veda nella realtà. Friedrich W. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, RCS Quotidiani, 2010 ----------------------------------
Artemij Filippovich (Sovrintendente delle Opere Pie = responsabile della sanità pubblica) Oh! Per quanto riguarda le cure, Christian Ivanovich ed io abbiamo i nostri sistemi; quanto più si segue la natura, tanto meglio; non usiamo medicine costose. L'uomo è un essere semplice: se deve morire, muore; se deve guarire, guarisce. E poi sarebbe difficile che Christian Ivanovich potesse spiegarsi con loro: non conosce una parola di russo. Atto primo, scena prima.
Chlestakov Ricordo, ricordo, c'erano i letti. E gli ammalati sono guariti? Mi sembra che ce ne fossero pochi. Artemij Filippovich Sono rimaste dieci persone, non di più; tutti gli altri sono guariti. Da noi si è stabilitp un sistema simile. Da quando ho assunto la direzione (forse Le sembrerà persino inverosimile) tutti guariscono, come mosche. L'ammalato non fa in tempo ad entrare nell'ospedale che è già sano: e non tanto per le medicine quanto per l'onestà e l'ordine. Atto terzo, scena quinta
Nicolaj Gogol, L'ispettore generale
Su, ci dicano le loro ragioni. Gli uomini che giudicano e che condannano proclamano la pena di morte necessaria, prima di tutto: perché è importante scindere dalla comunità sociale un membro che le ha già nuociuto e che potrebbe nuocere ancora. Si trattasse soltanto di questo, il carcere a vita basterebbe. Perché la morte? Voi mi obiettate che da una prigione si può scappare? Fate meglio la guardia; e, se non avete fiducia nella solidità delle sbarre di ferro, come osate tenere un serraglio? Niente carnefici dove bastano i carcerieri. Ma, mi si risponde, la società deve vendicarsi, la società deve punire. Né l'una né l'altra: vendicarsi e un atto dell'uomo, punire appartiene a Dio. La società sta tra i due. Il castigo è al di sopra di essa, la vendetta al di sotto: nulla di così grande e di così piccolo le si adatta. Non deve “punire per vendicarsi”, deve “correggere per migliorare”; trasformate in questo senso la formula dei criminalisti, allora essa avrà la nostra comprensione e la nostra adesione. Victor Hugo, Contro la pena di morte, 1829, ed. Corsera, 2011
-Smontate finalmente questa vecchia scala zeppa piena di delitti e di pene, e rifatela; rifate la vostra penalità, rifate i codici,rifate le prigioni, rifate i giudici: mettete la legge al passo con i costumi.
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Signori, si tagliano troppe teste in un anno in Francia. Poiché siete sulla strada di fare economia, fatene un po' in questo campo; poiché siete in vena di soppressioni, sopprimete il carnefice; con lo stipendio di ottanta carnefici pagherete seicento maestri. Victor Hugo, Claude Gueux, 1834, ed. Corsera, 2011
Nulla dies sine linea. Non passi giorno senza scrivere (pensare)
(Plinio, Storia Naturale, 35)
Fertilis assiduo si non renovetur aratro Nil, nisi cum spinis gramen, habebit ager (
Ovidio, Trist. , V)
Il campo fertile se non rinnovato assiduamente coll'aratro, non produrrà che gramigne e spine Superstite = super testis
Guy de Maupassant, Pierre e Jean, Einaudi,1971 (che gran bel libro! E' inutile cercare fra la letteratura contemporanea o recente qualcosa di scritto meglio) --------------------------------------
-Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato con il nostro sudore. Qualchecosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l'albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualchecosa da ciò che era prima in qualcos'altro che poi la nostra impronta. La differenza tra l'uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita.-
… Il nonno ha lasciato il suo tocco su di me, come ti ho già detto era scultore. -Detesto un senatore romano -diceva- che si chiama Status Quo-. E mi diceva anche: -Riempiti gli occhi di meraviglie, vivi come dovessi cadere morto fra dieci secondi! Guarda il mondo: è più fantastico di qualunque sogno studiato e prodotto dalle più potenti fabbriche. Non chiedere garanzia, non chiedere sicurezza economica, un siffatto animale non è mai esistito: e se ci fosse sarebbe, imparentato con il pesante bradipo che se sta attaccato alla rovescia al ramo di un albero per tutto il santo giorno, ogni giorno, passando l'intera vita a dormire. Al diavolo -diceva il nonno- squassa l'albero e fa che il pesante bradipo precipiti al suolo e batta per prima cosa il culo-.
… -Ora risaliamo il fiume- disse Granger. -E ficcati bene in testa una cosa: tu non sei importante. Tu non sei nulla. Un giorno, il fardello che ognuno di noi deve portare può riuscire utile a qualcuno. Ma anche quando avevamo libri a nostra disposizione, molto tempo fa, non abbiamo saputo trarre profitto da ciò che essi ci davano. Abbiamo continuato come se nulla fosse ad insultare i morti. Abbiamo continuato a sputare sulle tombe di tutti i poveri morti prima di noi.
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Conosceremo una gran quantità di persone sole e dolenti, nei prossimi giorni, nei mesi e negli anni a venire. E quando ci domanderanno cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro : Ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà un giorno in cui saremo in grado di ricordare una gran quantità di cose che potremo costruire la più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra. Vieni, ora. Per prima cosa provvederemo a costruire una fabbrica di specchi, perché dovremo produrre soltanto specchi per almeno un anno, tutti specchi, dove ci converrà guardare, lungamente-. Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Ed. Sanpaolo, 1998 (davvero strabiliante e profetico questo Autore di fantascienza (genere che non amo assolutamente) in quanto nel 1951 ha scritto quest'Opera, ripeto profetica, circa la fine della civiltà americana, e per converso, della nostra. 451 sono i gradi della scala Fahrenheit che determinano la autocombustione dell'oggetto libro. In una civiltà ipotizzata nel 1951 assolutamente moderna (ad un livello neanche oggi raggiunto) il governo ha deciso di distruggere tutti i libri, cioé tutto il sapere, ovunque essi si trovino. Ed allora quelli che prima erano stati i pompieri, cioé spegnitori di incendi, vengono dotati di attrezzature àtte a bruciare qualsiasi cosa che odori di cultura. Non mi è assolutamente piaciuto tutto l'evolversi del racconto, in quanto troppo trucido e crudele, ma ho voluto continuare la lettura per vederne il drammatico epilogo. Non a caso una gran bella trasmissione di RadioRai3 del pomeriggio porta questo titolo). --------------------------------
Il motore della Resistenza era l'indignazione. Noi, veterani dei movimenti di Resistenza e delle forze combattenti della Francia Libera, ci appelliamo alle nuove generazioni perché mantengano in vita e tramandino l'eredità e gli ideali della Resistenza. Diciamo loro: ora tocca a voi, indignatevi! I responsabili politici, economici, intellettuali e la società non devono abdicare, né lasciarsi intimidire dalla dittatura dei mercati finanziari che minaccia la pace e la democrazia. Il mio augurio a tutti voi, a ciascuno di voi, è che abbiate un motivo per indignarvi. E' fondamentale. Quando qualcosa ci indigna come a me ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati.
… Quando cerco di capire che cosa ha causato il fascismo, e che cosa ha fatto sì che venissimo travolti dal fascismo e da Vichy, mi dico che i possidenti, con il loro egoismo, hanno avuto una terribile paura della rivoluzione bolscevica. Si sono lasciati guidare dalle loro paure. Ma se, oggi come allora, una minoranza attiva reagisce, ciò sarà sufficiente, avremo il lievito necessario a far lievitare la pasta. Certo, l'esperienza di un vegliardo come me, nato nel 1917, è ben diversa da quella dei giovani di oggi.
… E' vero, oggi le ragioni per indignarsi possono sembrare meno nette, o il mondo troppo complesso. Chi comanda, chi decide? Non è sempre facile distinguere fra le tante correnti che ci governano. Non abbiamo più a che fare con una piccola élite della quale comprendiamo chiaramente gli intrighi..... viviamo in un contesto di di interconnettività senza precedenti. Ma in questo nostro mondo esistono cose intollerabili. Per accorgersene occore affinaro lo sguardo, scavare. Ai giovani io dico: cercate e troverete. Stéphane Hessel, Indignatevi!, add Editore, Torino, 2011 (bello questo testo: ma innanzitutto una critica. Un 93enne sarà costretto a scrivere un breve testo (al massimo un articolo!) ed aggiungerci allegati, prefazioni e amenità varie per vendere un libercolo di piccolo formato e di 60 pagine a 5 euro?
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Però costui ha un eccellente curriculum, ha collaborato alla redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ha bazzicato e conosciuto la diplomazia e vari organismi internazionale ed ha scritto un ottimo testo di sprone ai giovani e pare che in Francia abbia avuto un grande successo. Esprime succintamente le varie motivazione per le quali i giovani devono indignarsi, devono riappropiarsi del proprio futuro. Ed è stato forse l'antesignano delle recenti ribellioni giovanili in Spagna ed in Grecia: chissà quando i nostri mollaccioni si svegliano. Manca un qualche pensatore che a proprie spese diffonda questo testo in milioni di copie: ma già, come la mettiamo con i diritti di autore? In allegato c'è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo: anche questo testo è prezioso e misconosciuto)
Nicola Gratteri,La giustizia è una cosa seri, Conversazione con Antonio Nicaso, ed. Mondadori, 2011 (che gran bel libro! Il Gratteri è un magistrato del pool contro la 'drangheta che risponde a tutta una serie di domande molto pertinenti del Nicaso. Esprime un pensiero forte, una concezione ben radicata del senso dello Stato, una lucidità davvero sorprendente. Ed è una fortuna che vi siano ancora teste pensanti che non abbiano confuso il futuro). ---------------------------------------
Ma, osserva l'Inquisitore, che cosa è preferibile? Una concezione elitaria ed irresponsabile nei riguardi dei più deboli come quella di Cristo oppure questo lavoro di gestione e controllo del potere, che permette agli uomini di non aprire mai gli occhi, di rimanere bambini e che li fa vivere e morire cullati dalle menzogne, che gli presentano un quadro della vita terrena e di quella successiva tale da dar loro la pace? Il potere della Chiesa nasce quindi dalla scelta di aver colmato la distanza fra la predicazione di Cristo e la realtà concreta degli uomini. Alla base di quel potere sta una concezione spietata e pessimistica della natura degli uomini: essi vogliono essere liberati dalla loro libertà, vogliono essere rassicurati, e sottomessi alla forza dirompente del miracolo, del mistero e dell'autorità. Puntare su una fede forte e libera significa puntare su un'esigua minoranza lasciando tutti gli altri in balia di se stessi.
…..... Sta nel fatto che egli crede che la verità dell'uomo risieda soprattutto nella sua perenne ed insanabile immaturità.
…. E questo gli era apparso ripugnante. Certo, si potrebbe pensare che quella dell'Inquisitore sia un'abile menzogna che nasconde una scelta tutt'altro che nobile: meglio essere primo fra gli uomini che l'ultimo fra i Santi o soltanto uno di essi. Ma noi, come Montaigne, (M. de Montaigne, Saggi, I, XXXVII, Adelphi, 1992) non vogliamo essere tra quelli che abbassano i moventi delle azioni altrui per far tornare i conti del loro ragionamento, ben sapendo che il lato più interessante del discorso si rivela solo quando si rinunzia ad ogni stratagemma di liquidazione dei suoi aspetti più scomodi.
…. Molto più che di esempi irraggiungibili e alteri, essi hanno bisogno doi protezioni, di sottomissioni e di genuflessioni. Quanto più il potere saprà lavorare su queste debolezze, quanto più saprà usarle a suo favore, tanto più riuscirà ad interrompere le comunicazioni fra i migliori e tutti gli altri, tanto più riuscirà ad avvelenare i pozzi, lasciando gli eletti senza eserciti e arruolando la grande maggioranza degli uomini alle proprie dipendenze. Il segreto del Grande Inquisitore è tutto qui; è il segreto di una passione per il potere che non è fine a se stessa, ma nasce da una infinita, e realistica, sfiducia negli uomini, e da un fastidio per l'arroganza degli eletti, per tutti coloro che predicano una virtù che solo loro sono in gradi di praticare e quindi finiscono per disinteressarsi delle “vili” esigenze dei più. Il suo comportamento è qualcosa di più complesso di un tradimento o di un'abiura, è la percezione di un fianco del
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mondo che agli occhi dei migliori spesso diventa invisibile, un amore-complicità con la debolezza degli uomini, che permette di governarne dispoticamente la vita fino al punto di ritenere giusto mandarne a centinaia sul rogo.
…. Ci permettiamo quindi di concludere con una raccomandazione: sarebbe sbagliato demonizzare la figura del Grande Inquisitore, anche se è lui stesso, in un passaggio del suo discorso, a sollevare il sospetto di rappresentare lo strumento attraverso cui Satana è riuscito ad impadronirsi della Chiesa.
… (qui passa a parlar di I sommersi ed i salvati, di Primo Levi) Ma dove sta il carattere esemplare di quel “sistema”? In che senso la sua conoscenza e il suo studio possono aiutare a tenerci lontano dall'abisso? Levi lo ribadisce a più riprese: il carattere insieme singolare e paradigmatico del Lager sta nel fatto che al suo interno non era possibile alcuna forma di resistenza, che qualsiasi ostacolo all'esercizio totale del potere era liquidato preventivamente, in modo immediato e brutale. L'eliminazione di ogni forma di opposizione rende il sistema del Lager simile a quello degli Stati totalitari, quei regimi politici nei quali “tutto il potere viene investito dall'alto ed in cui il controllo dal basso è quasi impossibile”. Ma tra il Lager e lo Stato totalitario esiste anche una differenza, ed essa, sostiene Levi, sta tutta il quel “quasi”
… Per un uomo con la formazione culturale di Levi la metafora del laboratotio ha un significato preciso e non può certo essere casuale. Infatti nel Lager, proprio comme accade negli esperimenti di fisica, nei quali lo scienziato crea il vuoto, facendo scomparire ad esempio l'aria per osservare per osservare il comportamento dei corpi, l'oppressore, annullando tutte le fonti di disturbo e tutte le forme di resistenza, rende osservabili con grande nitore i meccanismi che governano la fisica del potere. La purezza sperimentale, il carattere paradigmatico ed esemplare del Lager, discende dal fatto che al suo interno non esiste la dignità, quel sentimento di rispetto per l'essere umano, che da ostacolo all'esercizio incontrollato del potere ed è all'origine dell'attrito di ogni resistenza. E' per questa ragione che Levi si sofferma con particolare attenzione sui rituali di ingresso, sul momento in cui il deportato entra all'interno del sistema del Lager. La brutalità di quei rituali ha una funzione precisa, mira a fare in modo che la dignità umana non penetri nel campo, che essa venga lasciata all'ingresso e rimossa dalla memoria dei deportati. “I calci e i pugni, spesso sul viso; l'orgia di ordini urlati con collera vera o simulata; la denudazione totale; il taglio dei capelli; la vestizione con stracci” La violenza fisica gratuita, l'aggressione verbale, la spogliazione, la perdita della propria identità, la separazione, la promiscuità e la tosatura hanno un solo fine, quello di umiliare in modo irrevocabile i nuovi arrivati, di abolire ogni attrito, di consentire al potere di esercitarsi pienamente ed illimitatamente.
… Il potere non sta fermo, ma contagia e corrompe, mira a coinvolgere nelle proprie trame anche chi in in primo tempo è estraneo ad esse: reclutando collaboratori tra le vittime, esso se non ne uccide l'anima, la ferisce a morte.
… I deportati, ricorda Levi, erano un campione dell'umanità media e non ci si poteva attendere da loro “il comportamento che ci si aspetta dai santi o dai filosofi stoici”.
… (si ritorna a Dostoevskij) A chi pretende di ricostruire, attraverso la Leggenda del Grande Inquisitore, la dinamica del rapporto tra il potere e la debolezza degli uomini, potrebbe essere obiettato che il quadro da essa offerto è troppo ricalcato su una società, come quella spagnola del Cinquecento, dominata dalla superstizione religiosa (il miracolo), dall'ignoranza (il mistero) e dalla sottomissione acritica e devota a chi comanda (l'autorità).
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All'uomo autonomo, capace di autogoverno e protagonista della sfera pubblica, si contrappone il circuito più semplice e lineare del consumatore, che si muove nella sfera limitata della comparazione tra le diverse merci e ha come unico programma quello dell'accrescimento del proprio benessere privato. E' una dinamica di cui già Tocqueville, aveva con profetica sagacia e chiarezza sottolineato i pericoli: “Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini uguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i propri desideri”.
… Il nostro punto di partenza è stato un altro: il Grande Inquisitore vince perchè è profondo conoscitore degli uomini. Alla ferocia, alla condanna al rogo degli eretici, egli accompagna una grande duttilità e sagacia: non va allo sontro diretto con i “santi”, ma lavora ad isolarli da tutti gli altri e, invece di combatterne le debolezze, le riconosce e le coltiva, consapevole che esse costituiscono la fonte vera e solida del suo potere.
… L'obiettivo è chiaro e costante: mantenere gli uomini in uno stato di perenne immaturità, come se fossero dei bambini. E i mezzi possono essere i più diversi: se nella Leggenda il Grande Inquisitore esalta il miracolo, il mistero e l'autorità, oggi offrirebbe anche e soprattutto i consumi, il piccolo divismo dei mediocri, il narcisismo amorale dei reality, ecc.
… Ad esempio: una volta premesso che il principio di rispettare le regole non è negoziabile in quanto costituisce la base di ogni convivenza civile, occorre riconoscere che alcune categorie di persone sono in grado di rispettarlo più facilmente e a costi minori di altre che invece vivono sull'orlo di esso. In altri termini: la virtù è direttamente proprorzionale alla tentazione che si deve combattere e respingere, e nella società esistono diverse gradazioni di esposizione alle tentazioni. Franco Cassano, L'umiltà del male, ed Anticorpi Laterza, 2011 (davvero bello e ben fatto questo libro, di estrema chiarezza ed incisione, scritto anche bene. Parte dall'esame e da una intelligente lettura de I fratelli Karamazow di Dostoevskij, innesta lo studio de I sommersi e i salvati di Primo Levi per poi integrarli in un ragionamento conclusivo davvero lucido. Intanto la prima cosa da fare è rileggere i due Autori e poi, magari, rileggere questo davvero prezioso testo. Grande anche il messaggio civile qui lanciato)
Carlo Cattaneo, con la sua tipica lucidità e sottigliezza, propose una risposta a questo interrogativo scrivendo, nel 1839, di quel “vizio tutto italiano di dir male del suo paese quasi per una escandescenza di amor patrio”. Ma è difficile accettare che sia il troppo amore per la patria il motivo della reazione all'unisono dei miei amici.
…“Le ricchezze sono un torto che deve essere riparato, e si dovrebbe dire: ”Scusatemi se sono così ricco”. (CharlesLouis de Montesquieu, Mes Pensées, VI)
…La “miseria” è la principale cagione, la sorgente inesauribile di tutti i mali della società; voragine spalancata che ne inghiottisce ogni virtù. La “miseria” aguzza il pugnale dell'assassino, prostituisce la donna, corrompe il cittadino, trova satelliti al dispotismo Giulio Bollati, L'italiano, Einaudi, 1983).
…Non mi sembra che sia quello che Cattaneo aveva in mente. Il suo era un progetto civico, come diceva, basato sulla diffusione del “valore sociale”. Quello della Lega è un progetto populista, basato sull'ineguaglianza e la discriminazione, elementi che finiranno per danneggiare sia i fautori sia le vittime.
…Nel febbraio 1937 ad Addis Abeba, capitale dell'Abissinia, due giovani eritrei tentarono di assassinare il maresciallo Rodolfo Graziani, comandante delle truppe italiane che avevano invaso il paese. Le bombe lanciate dagli attentatori uccisero sette persone ma Graziani, benché ferito, sopravvisse. Seguì una tragica rappresaglia che sfociò in un
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massacro, attuato non solo dalle forze armate, ma dai civili italiani, commercianti, autisti, ecc., residenti nella capitale. Abitazioni vennero date alle fiamme, la popolazione locale fu uccisa a colpi di baionetta, furono ordinate fucilazioni di massa. Come sempre accade, le stime dei morti sono assai discrepanti, fra il 1400 e i 6000 nella sola capitale. Si tratta di violazione dei diritti umani di cui nessuno fu mai chiamato a render conto. Fuori dalla capitale il clero cristiano-copto della città conventuale di Debrà Libanòs, risalente al XIII secolo, fu sospettato di aver dato asilo ai due giovani attentatori. Il 21 maggio 1937 i monaci, circa 297 in tutto, furono fucilati su ordine di Graziani. Cinque giorni dopo, non ancora soddisfatto, egli ordinò che fossero fucilati anche i 129 giovani diaconi del monastero. Tutto ciò con la piena approvazione di Mussolini che aveva già fissato le linee generali del comportamento italiano in Abissinia in un telegramma segreto dell'8 luglio 1936: “Autorizzo ancora una volta Vostra Eccellenza a iniziare a condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici”.
…In considerazione di ciò ho individuato quattro grandi pericoli da cui l'Italia moderna deve essere tutelata: una Chiesa troppo forte in uno stato troppo debole; l'ubiquità del clientelismo; la ricorrenza della forma dittatura; e infine la povertà delle sinistre. I primi due sono di carattere strutturale e di lungo termine, gli altri due più immediati, di carattere congiunturale, individuale e politico. Naturalmente non attribuisco a nessuno di essi valore di tara, non li tratto cioè come componenti irremovibili o permanenti.
….Come ha scritto l'antropologa Amalia Signorelli, la cultura del clientelismo è giunta a configurarsi come “una socializzazione di massa alla pratica dell'illegalità”.
…Questo regime è molto distante da quello di Mussolini nell'uso della forza fisica -poco manganello e niente olio di ricino- ma è piuttosto simile nella straordinaria manipolazione dell'opinione pubblica. Fino a pochissimi tempo fa qualunque tentativo di paragonare i due regimi -quello di Mussolini e quello di Berlusconi- veniva accolto in Italia, ma non all'estero, da cori di proteste, addirittura irriso, dagli accademici e dai giornalisti dell'establishment.... .
…E' encomiabile che il centrosinistra italiano voglia evitare di spaccare in due il paese con esiti pericolosi e potenzialmente violenti. Ma devono esserci dei limiti, e chiari, a questa apparentemente infinita arrendevolezza. L'ultimo interrogativo di questo libro è quindi: chi salverà l'Italia, ammesso che qualcuno voglia farlo, e con che mezzi? Paul Ginsborg, Salviamo l'Italia, ed. Einaudi, 2010 (gran bel libretto di questo Inglese che insegna Storia Risorgimentale a Firenze da 18 anni: Gli è stata conferita la cittadinanza italiana: i suoi amici si erano stupiti di ciò, evidentemente perché non si sentivano più tanto italiani. Traccia un parallelo fra il Risorgimento ed i tempi correnti citando a più riprese i vari Cattaneo, Foscolo, Leopardi, Simonde de Sismondi riuscendo a legare i concetti. Interessante l'analisi del “regime” berlusconiano intessuto sulla pubblicità e sulla manipolazione delle coscienze, senza alcun criterio di ordine morale In sintesi non è che alla fine proponga delle vere soluzioni, piuttosto lascia aperte le contraddizioni. Comunque molto interessante)
… a nome del Liceo Nacional e della società, dichiaro questo gruppo di giovani, con le parole di Cicerone, membri effettivi dell'accademia del dovere e cittadini dell'intelligenza (discorso tenuto nel 1944 in occasione dell'ottenuta licenza liceale ai suoi compagni più vecchi di un anno) Gabriel Garcia Marquez
La poesia in virtù della quale il noioso inventario delle navi enumerate nella sua Iliade dal vecchio Omero è visitato da un vento che le spinge a navigare con la loro rapidità atemporale e visionaria. La poesia che sostiene, con la delicata impalcatura delle terzine di Dante, tutto l'edificio denso e colossale del Medioevo. La poesia che con tanta miracolosa totalità riscatta la nostra America nelle Alture di Machu Picchu di Pablo Neruda, il grande, il più grande, e in cui distillano la loro millenaria tristezza i nostri migliori sogni senza uscita. La poesia, insomma, quell'energia segreta della vita quotidiana che fa cuocere i ceci in cucina e contagia l'amore e ripete le immagini negli specchi. In ogni riga che scrivo cerco sempre, con maggior o minore fortuna, di invocare gli spiriti schivi della poesia, e tento di lasciare in ogni parola la testimonianza della mia devozione per le sue virtù divinatorie e per la sua permanente vittoria contro i sordi poteri della morte. Il premio che ho appena ricevuto lo considero, in tutta umiltà, come la consolante rivelazione che il mio tentativo non è stato vano. E' per questo motivo che invito tutti voi a brindare a ciò che un grande poeta delle nostre Americhe, Luis Cardoza y Aragon, ha definito l'unica prova concreta dell'esistenza dell'uomo: la Poesia. Molte grazie.
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(discorso del 10 novembre 1982 al banchetto offerto dai re di Svezia in onore dei vincitori del premio Nobel)
Credo che le vite di tutti noi saranno migliori se ciascuno di voi portasse sempre nello zaino un libro. (discorso del 12 aprile 1996 all'Accademia militare di Santa Fé de Bogotà
A dodici anni fui sul punto di essere investito da una bicicletta. Un prete che stava passando mi salvò con un urlo: “Attento!”. Il ciclista cadde a terra. Il prete, senza fermarsi, mi disse: “Hai visto che cos'é il potere della parola?” Quel giorno lo imparai. Oggi sappiamo che anche i Maya lo conoscevano nei tempo di Cristo, e con tanto rigore da avere un dio speciale per le parole. (discorso del 7 aprile 1997 al primo Congresso internazionale della lingua spagnola).
Gabriel Garcìa Marquez, Non sono venuto a fare discorsi. ed. Mondadori, 2010
Storia degli amori di Camaralzaman principe dell'isola dei Figli di Khaledan e di BADURA, Principessa della Cina.
Sire, disse Sherazad il giorno dopo, a circa venti giorni di navigazione dalle coste persiane, sorge in mare aperto un'isola chiamata Isola dei Figli di Khaledan. Quest'isola è divisa in diverse grandi province, tutte considerevoli per città fiorenti e molto popolose, che formano un potentissimo regno. Un tempo era governata da un re di nome Shahzaman, che aveva quattro mogli legittime, tutte e quattro figlie di re, e sessanta concubine. Shahzaman si considerava il re più fortunato della terra, per la tranquillità e la prosperità del suo regno. Una sola cosa turbava la sua felicità: il fatto che era già in età avanzata e non aveva figli, nonostante un così grande numero di mogli. Non sapeva a che cosa attribuire questa sterilità; e, nella sua afflizione, considerava come la più grande disgrazia che gli potesse capitare quella di morire senza lasciare un successore del suo sangue. Dissimulò a lungo il cocente dolore che lo tormentava, e soffriva tanto più in quanto si faceva violenza per non dimostrarlo. Infine ruppe il silenzio: e un giorno, dopo essersi lamentato amaramente della sua disgrazia col suo gran visir al quale ne parlò in privato, gli chiese se conoscesse qualche mezzo per porvi rimedio. -Se quello che Vostra Maestà mi domanda -disse il gran visir- dipendesse dalle regole abituali della saggezza umana, ella avrebbe presto soddisfazione a ciò che desidera tanto ardentemente; ma confesso che la mia esperienza e le mie cognizioni sono inferiori a quanto mi viene sottoposto; c'é solo Dio al quale poter ricorrere in questo genere di bisogni; in mezzo alle nostre prosperità, che fanno sì che spesso lo dimentichiamo, egli si compiace di mortificarci in qualche cosa, affinché pensiamo a lui, riconosciamo la sua onnipotenza, e gli chiediamo ciò che non possiamo aspettarci da altri se non da lui. Voi avete dei sudditi che si fanno un dovere particolare di onorarlo, servirlo e vivere duramente per amore suo: il mio parere sarebbe che Vostra Maestà facesse loro delle elemosine e li esortasse ad unire le loro preghiere alle vostre. Forse tra tutti ci sarà qualcuno abbastanza puro e abbastanza amato da Dio, da ottenere che Egli esaudisca i vostri voti-.
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Il re Shahzaman approvò pienamente questo consiglio, e ne ringraziò il gran visir. Fece portare ricche elemosine in ogni comunità di quelle persone consacrate a Dio; ne fece anche venire i superiori; e, dopo aver offerto loro un frugale banchetto, dichiarò la sua intenzione e li pregò di comunicarla ai fedeli che dovevano a loro obbedienza. Shahzaman ottenne dal Cielo quanto desiderava; e ciò fu ben presto palese per la gravidanza di una delle sue mogli che dopo nove mesi gli diede un figlio. Per rendere grazie, inviò alla comunità dei musulmani devoti nuove elemosine, degne della sua grandezza e della sua potenza; e si celebrò la nascita del principe non soltanto nella sua capitale, ma anche in tutta l'estensione dei suoi territori, con pubblici festeggiamenti che durarono un'intera settimana. Appena il principe fu nato, glielo portarono, e gli sembrò così bello che gli diede il nome di Camaralzaman, “Luna del Secolo”. …....................
Antoine Galland, Le mille e una notte, ed. De Agostini, 1987 (L' Autore, nato nel 1646, rimasto orfano, fu chiamato dall'Ambasciatore a Costantinopoli, in forza degli studi che aveva compiuto in tutte le lingue orientali. Finirà la carriera al Collège de France. Recatosi dunque in missione cercò , raccolse e tradusse una enorme quantità di storie, favole, racconti, leggende che l'Islam aveva prodotto. Incernierò la raccolta sulla storia di Sherazad (sul cui nome e vicenda Ravel scrisse un'opera musicale davvero bella) in base alla quale, per aver salva la vita, avrebbe dovuto raccontare una storia al re, tutte le sere. Sono belle e davvero variegate: testimoniano una grande cultura di quei popoli, una concentrazione di interesse per il sesso, nonostante i noti accorgimenti per rendere inespugnabili gli harem. A volte sono prolisse e ripetitive ma la funzione era proprio quella educativa, un po' come avvenne per la Bibbia in ambito ebraico. Il brano riportato fa parte di un lungo racconto ricco di capovolgimenti, invenzioni, avvenimenti degni forse del miglior Pirandello. Belle, molte belle queste favole) ------------------------------------------
Luis Sepùlveda- Mario Delgado Aparaìn, I peggiori racconti dei fratelli Grimm, Guanda ed, 2005 (Squisito questo libro: paradossale, fantasioso, surreale, leggere divertente. Lo stile mi ricorda certi miei scritti all'epoca della scuola, ma la cosa non era gradita ai prof. , forse un po' troppo privi di fantasie)
coi ch’ël cheur a lo pòrto fòra, cumè gnente la Blëssa col cheur a fa pioré a quelli che hanno il cuore fuori, la BELLEZZA, come niente, quel cuore lo fa piangere il 4 agosto 2mila11 Bruno Pignata, nel corso di un pranzo a Roccabruna, si è ricordato di un detto che spesso udiva dal Papà: l'ho trascritto nel mio piemontese assolutamente improprio per cui, pentito, ho interpellato il dott. Giovanni Delfino (che per inciso ha fatto un bel sito su un poeta piemontese www.luigiolivero.altervista.org ) e vi ha profuso energie immense, il quale ha passato il compito al prof. Sergio Gilardino che di piemontese se ne intende, eccome.
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---------------------------------------In questo senso, pare decisamente più fondata una lettura della a-policità epicurea come un invito ad impegnarsi in rapporti veramente umani piuttosto che come esortazione a condurre un'esistenza eremitica e solitaria: come precisa Francesco Adorno, quello di Epicuro sarebbe non “un appello a vivere una vita individuale e monastica, ma a sfuggire a una vita politica che non è politica, che non è comprensione dell'uomo, di quello che dovrebbe essere il rapporto e la relazione umana”....... Rispetto all'amore o alla politica, che sconvolgono l'animo anziché confortarlo, l'amicizia sortisce un effetto del tutto tranquillizzante, in quanto essa, nella sua forma più alta, è -come aveva insegnato Aristotele- un rapporto fondamentalmente disinteressato, che instauriamo non in vista di secondi fini, ma per se stesso, per il piacere di coltivarlo. Il vero rapporto amicale, infatti, pur nascendo in vista di un utile, si trasforma poi in un rapporto fine a se stesso, intrattenuto in maniera pura e disinteressata: per questa via, l'amicizia, che per Platone era uno strumento per costruire uno Stato più solido, si riveste in Epicuro del valore di fine ultimo e di bene superiore ad ogni altro. ….. Si potrebbe tuttavia obiettare che nell'ottica di Epicuro si è in cerca di un amico al solo scopo di ottenere la propria felicità e che pertanto l'amicizia non è intesa come un fine in senso autentico, ma piuttosto come il più alto mezzo per raggiungere la felicità del singolo, il quale resta dunque al vertice del sistema epicureo, avvalorando le accise di individualismo. L'obiezione, ridotta all'osso, potrebbe suonare così: per Epicuro bisogna avere amici soltanto per essere felici noi stessi, in una sorta di egoismo camuffato. …. Aristotele in Etica Nicomachea scrive:
“ Del giusto in senso politico, poi, ci sono due specie, quella naturale e quella legale: è naturale il giusto che ha dovunque la stessa validità, e non dipende dal fatto che venga o non venga riconosciuto; legale, invece, è quello che originariamente è affatto indifferente che sia in un modo piuttosto che in un altro, ma che non è indifferente una volta che sia stato stabilito”. (Etica Nicomachea, V, 1134 B)
… Abbiamo dunque a che fare con una giustizia fatta ab hominem, convenzionale e suscettibile di sempre nuove modifiche che la migliorino e la rendano più funzionale al vero obiettivo che l'uomo ha su questa terra: essere felice. Quando Voltaire dirà che l'unico dovere dell'uomo è essere felice, non farà altro che recuperare, più o meno consapevolmente, l'etica epicurea. E le leggi, in questa prospettiva, non sono altro che vie istituzionalizzate per accostarsi alla felicità: promuovendo l'utile, esse non fanno che indicarci la via per essere il più felice possibile, ancorché la vera felicità sia raggiungibile esclusivamente all'interno di una piccola comunità di amici, intimi e sinceri, che non si lasciano distrarre da quell'inquietante ginepraio che è la politica. Il severo quanto sbrigativo giudizio che sull'individualismo di Epicuro esprime Lattanzio -non esiste alcuna società umana: ognuno bada a se stesso- che racchiude in sé lo spirito di una tradizione secolare, oltre a non trovare conferma nei testi epicurei, ne tradisce clamorosamente le intenzioni, facendo surrettiziamente dell'epicureismo una banale proposizione del modus vivendi cinico.
… Poiché la filosofia deve svolgere una funzione eminentemente “farmacologica”, cioé tale da somministrare all'animo umano la giusta dose di tranquillità, ponendolo al riparo dalle tempeste della vita,, essa deve annientare ogni possibilità di influenza dell'oggetto sul soggetto: e per fare ciò, non resta che supporre una realtà costituita ad hoc per l'individuo, fatta appositamente perché la sua imperturbabilità non possa essere scalfita. In questo senso, l'intera filosofia di Epicuro si configura come un grandioso tentativo di modellare il mondo esterno sulle esigenze del soggetto e della sua atarassia: ridotta all'osso, la sola domanda a cui si deve rispondere è: “come deve essere costituito il mondo affinché l'uomo possa condurre in esso un'esistenza felice”? Questo punto, in cui consiste quella che noi abbiamo qualificato come “rivoluzione copernicana” di Epicuro, è stato mirabilmente colto da Nietzsche, (Der Wanderer und sein Shatten , 1880 cioè Umano troppo umano, Adelphi, 1984) che l'ha declinato anche in riferimento alla situazione del suo tempo: “Epicuro, l'acquietatore di anime della tarda antichità, comprese meravigliosamente, come ancor oggi così raramente si comprende, che per tranquillizzare l'animo non è affatto necessario risolvere le ultime ed estreme questioni teoriche. Sicché a coloro che erano tormentati dalla “paura degli dei”, gli bastava dire: “se ci sono gli dèi, essi non si preoccupano di noi” invece di disputare sterilmente e da
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lontano sulla questione suprema, se ci siano in genere gli dèi. Questa posizione è molto più favorevole e forte: si danno all'altro alcuni passi di vantaggio, rendendolo così più pronto ad ascoltare e a ponderare. Ma non appena quegli si accinge a dimostrare il contrario, -che gli dèi si preoccupano di noi-, in quali errori e intrighi spinosi non dovrà cadere il misero, affatto da sé, senza astuzia da parte dell'interlocutore? Costi deve solo avere abbastanza umanità e finezza per nascondere la sua compassione per questo spettacolo. Da ultimo l'altro giunge alla nausea, l'argomento più forte contro quella proposizione, alla nausea per la sua stessa affermazione; si raffredda e va via con lo stesso stato d'animo che è anche dell'ateo puro: “cosa importa poi a me degli dèi? Che il diavolo se li porti”. In altri casi, specie quando un'ipotesi metà fisica e metà morale aveva offuscato l'animo, egli non confutava questa ipotesi, bensì ammetteva che poteva essere così, ma che per spiegare lo stesso fenomeno c'era ancora una seconda ipotesi: e che forse la cosa poteva stare ancora diversamente. (…) Chi dunque desidera largire conforto, a infelici, malfattori, ipocondriaci, morenti si ricordi delle due espressioni tranquillizzanti in Epicuro, che si possono applicare a moltissime questioni. Nella forma più semplice esse suonerebbero all'incirca così: primo: posto che la cosa stia così, non ce ne importa niente; secondo: può essere così, ma può anche essere diversamente”. Quello della felicità e dell'obiettivo etico è un problema che ritorna con incredibile frequenza nelle filosofie dell'età ellenistica: se lo pongono tanto gli Stoici, quanto gli Scettici e i Cinici, fornendo però risposte difformi tra loro. ….. Diego Fusaro. La farmacia di Epicuro, ed. Centotalleri, 2006 (interessante, davvero interessante questo piccolo libro che il Fusero, che insegna a Torino, ha scritto in termini forse un po' troppo accademici e da iniziati (in altri termini non è un buon comunicatore alla folla degli ignoranti come il sottoscritto); però nella sostanza sono riuscito a capirci parecchio. Intanto che Epicuro ha iniziato la Scuola del Giardino nel 306 a.C. in piena contrapposizione con il Liceo e l'Accademia e da costoro molto osteggiato ed addirittura falsificato. Quindi tutte le leggende sull'epicureismo sono solo tali. Infatti nega una qualsiasi visione trascendente, la funzione della politica, (a volte addirittura deleteria) ma propugna il culto dell'amicizia e dell'individualismo. Bene sintetizza Giovanni Reale nella presentazione quando scrive: “In effetti, il senso ultimo del filosofare epicureo si riassume nel celebre tetrafarrmaco, e cioé la medicina che cura tutti i mali dell'anima: 1-sono vani i timori e la paura degli dèi e dell'aldilà. 2-è assura la paura della morte, perché essa non è nulla. 3-il piacere, se inteso in modo corretto, è a disposizione di tutti. 4- i dolori o sono di breve durata o sono facilmente sopportabili. L'uomo che sa applicare questo quadruplice farmaco acquista pace dello spirito, serenità e dunque felicità).
Gabriel Garcia Marquez, Racconto di un naufrago, ed. A. Mondadori, 1983 /struggente e straziante la narrazione di questo naufragio occorso ad un militare della marina colombiana: molto ben scritto e partecipativo ha una certa analogia con “Il vecchio e il mare” di Heminguey. Ma questo scritto di un Marquez 27enne, cioè di un giornalista alle prime armi, non ha il voli fantasioni e pindarici del miglior autore che molto apprezzo ed amo.
Gabriel Garcia Marquez, L'autunno del patriarca, ed Feltrinelli, 1975 (ce l'ho messa tutta ma non son riuscito a leggere questo testo: ho capito dalla presentazione che qui l'autore ha lanciato una sfida al mondo letterario non usando la sintassi, la punteggiatura. Per fortuna non ha continuato su questa strada, perché si sarebbe fermato immediatamente e per sempre).
Andrea Camilleri, La mossa del cavallo, ed. Rizzoli, 1999 (deve essere un gran bel libro questo: peccato che sia scritto in siciliano stretto, davvero incomprensibile. La vicenda risale al 1877, è ambientata a Vigàta e narra di un prete che amava sollazzarsi con vedove e pie donne: ad un certo punto viene ucciso. Ma già dall'incipit si dice chiaramente che l'assassino è un suo cugino che, una dopo l'altra, perde
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delle cause relative ad una contesa eredità. Ma viene incolpato un integerrimo funzionario dello Stato fin troppo solerte nel suo lavoro cui si attribuisce una contesa con il prete circa la vedova che gli affitta una casa. Deve essere molto bello, ma non l'ho letto sino alla fine) (No, l'ho finito, davvero bello, ben congegnato: peccato che abbia perso la finezza dei dialoghoi e delle considerazioni in lingua sicula).
Andrea Camilleri – Carlo Lucarelli, Acqua in bocca, ed. Minimum Fax, 2010 (davvero bella questa leggera narrazione: per certi versi iperbolica perché non si capisce il motivo per cui il dinamico Commissario debba andare a cercare grane non sue, con il rischio di imputazione di omicidio. Comunque è scritto molto bene, una volta iniziato bisogna finirlo senza indugio)
Philip Roth, La controvita, ed. Einaudi, 2010, scritto nel 1986 quando non c'era ancora, forse, la emodinamica (Non l'ho letto tutto perché mi è bastato il primo capitolo per capire che la vicenda si sarebbe svolta nel torbido. Parla di un brillante dentista non ancora quarantenne che per problemi cardiaci deve assumere dei betabloccanti che inibiscono fortemente la sua attività sessuale. Ma costui è un sessuomane e incomincia a dar di testa. Peggio per lui e per l'Autore, tanto celebrato, che non ho voluto e potuto leggere).
-----------------------------------------------------------------------Severino Boezio, La consolazione di filosofia, ed Einaudi, 2010, traduzione di Barbara Chitussi Libro primo, III, 6 Pensi infatti che sia la prima volta che la sapienza corre pericolo fra i disonesti? Non è forse vero che anche nei tempi antichi, prima dell'epoca del nostro Platone, spesso combattemmo grandi battaglie contro l'impudenza della stoltezza e che il suo maestro Socrate, essendo lo stesso Platone testimone, ottenne grazie a me la vittoria su una ingiusta morte? Libro Primo, 4-V, 45 E in verità io, scacciato da tutti i beni, spogliato delle dignità, macchiato nell'onore, ho ottenuto la pena di morte per aver fatto del bene.
Libro Primo, VI,6, 1 “Innanzitutto, quindi, permetti che con brevi domande io sondi e metta alla prova la tua mente, per comprendere quale sia il metodo di cura che ti conviene?” “Come preferisci, dissi, domanda quel che vuoi e risponderò” Ed allora ella: “Ritieni tu che questo mondo sia mosso dal caso cieco e fortuito, oppure credi che vi sia in esso un qualche governo razionale?” “Ebbene -risposi- non potrei in alcun modo pensare che cose così certe siano mosse dal caso, so invece che Dio creatore presiede alla sua opera, e non verrà mai il giorno in cui mi allontanerò dalla verità di tale opinione”. “Così è -ella disse- infatti anche poco fa tu lo hai cantato e deplorasti che solo gli uomini fossero esclusi dalle cure divine; quanto alle altre cose, infatti, non dubitavi che fossero governate dalla ragione. Ma, caspita, sono molto stupita che tu sia ammalato, pur avendo una opinione tanto sana. Esaminiamo dunque più in profondità; presumo che manchi ancora qualcosa che non conosco. Dimmi però, giacché non dubito che il mondo sia retto da Dio, vedi anche quali siano gli strumenti del suo comando?” “Fatico -risposi- a comprendere il senso della tua domanda, tanto meno posso rispondere ai tuoi quesiti”. “Non mi ero quindi ingannata -ella rispose- credendo che vi fosse una mancanza, attraverso cui, come attraverso ad una breccia aperta in un robusto bastione, è penetrata nell'animo tuo la malattia del turbamento? Ma, dimmi, rammenti quale sia il fine delle cose e dove tenda il volere di tutta la natura?” “L'avevo udito -risposi- ma la tristezza ha offuscato la mia memoria”. ….....
Libro Secondo, I, 2-4 “Quando la natura ti trasse dal grembo materno, ti raccolsi nudo e sprovvisto di ogni cosa , ti tenni caldo con il mio aiuto e, cosa che adesso ti rende impaziente nei nostri riguardi, ti educai, favorevolmente
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disposta, con benevolenza persino eccessiva, ti circondai con l'abbondanza e lo splendore di tutto ciò che mi appartiene. Ora desidero ritrarre la mano: sii grato come chi ha usato beni altrui, non hai diritto di lamentarti come se avessi perduto ciò che è completamente tuo. Perché dunque ti lamenti? Non ti abbiamo fatto violenza alcuna. Le ricchezze, gli onori e gli altri beni di questo genere appartengono a me. Sono servi che riconoscono in me la padrona. Vengono con me e se ne vanno quando mi allontano” …... 9 “ Questa è la nostra forza, questo il gioco che continuamente conduciamo: facciamo girare la ruota in volubile cerchio, godiamo nel mutare le cose infime con quelle più elevate e le più elevate con le infime. Sali, se ti è gradito, ma a questo patto, che tu non ritenga offensivo di scendere quando la regola del gioco lo chiede” ….. Libro Secondo, II,3-4 Tuttavia, non volerti considerare un infelice: hai forse dimenticato la quantità e la misura della tua prosperità? ….. 6 Chi non ti proclamò felicissimo, sia per lo splendore così grande dei tuoi suoceri, sia per la pudicizia di tua moglie, sia anche per il fortunato evento di una prole maschile? Tralascio (infatti preferisco tralasciare le faccende pubbliche) le dignità che tu hai ottenuto in gioventù e che sono negate agli anziani: preferisco venire al culmine singolare della tua prosperità. Se il godimento delle cose mortali ha in sé qualche peso di beatitudine, potrà mai essere cancellato da una massa di mali incombenti, per quanto grande sia, il ricordo di quel giorno in cui vedesti i tuoi figli, entrambi consoli, uscire di casa tra una folla di senatori e l'entusiasmo della plebe; del giorno in cui, mentre essi sedevano nella Curia sulle sedie curuli, tu, oratore della lode al re, meritasti l'encomio per il tuo ingegno e la tua eloquenza; del giorno in cui nel Circo, in mezzo ai due consoli, soddisfacesti con una trionfale elargizione l'aspettativa della moltitudine che ti circondava? Riuscisti allora, come credo, a ingannare la Fortuna, mentre essa ti accarezzava, mentre ti blandiva come suo beniamino. Ne ricavasti un favore che non fu mai concesso a nessun privato cittadino. Vuoi fare dunque i conti con la Fortuna? …. 14 Cosa credi che cambi se se tu che morendo la lasci o se è lei a lasciarti fuggendo?
Libro Secondo, IV, 4-13 Costui possiede abbondanti ricchezze, ma si vergogna della sua umile origine; quello è celebre per i suoi nobili natali, ma, costretto dall'angustia del suo patrimonio, preferirebbe essere nato sconosciuto. Quell'altro possiede entrambi i beni in abbondanza ma lamenta la sua vita da celibe; quello ha un matrimonio felice ma è privo di figli, e alimenta un patrimonio per un erede a lui estraneo; un altro, lieto per la discendenza, piange afflitto sui delitti del figlio o della figlia. Per questa ragione nessuno concorda facilmente con la situazione della propria fortuna; in ognuno, infatti, esiste qualche cosa che resta ignorata se non la si prova, ma che viene detestata se la si prova. ….
Libro Secondo, V, 15 “Senza dubbio i frutti della terra devone essere l'alimento degli esseri animati; ma se vuoi soddisfare i tuoi bisogni, cosa che basta alla tua natura, non vi è nessuna ragione per cui ricerchi l'abbondanza della fortuna. La natura, infatti, si accontenta di poche e minime cose; e, se tu la vuoi gravare, lei che è già sazia, di cose superflue, quel che le inonderai sarà sgradevole e nocivo. Tu ritieni poi che sia bello sfavillare in vesti variopinte: ma se il loro aspetto è gradevole alla vista, ciò che ammirerò sarà la natura del materiale o l'ingegno dell'artefice. Oppure è una lunga fila di schiavi che ti rende felice? Ma se i loro costumi sono viziosi, costoro sono un peso funesto per la casa, e fortemente nocivo per il suo stesso padrone; se invece sono onesti, come si potrà annoverare tra le tue ricchezze l'onestà altrui?. Da tutto ciò appare chiaramente che nessuno di quelli che enumeri tra i tuoi beni è davvero tuo. E se non vi è in essi alcuna bellezza che tu debba desiderare, che ragione hai di dolerti se li perdi o di allietarti se li conservi”? ….. 32 Io nego, in verità, che esista qualche bene che nuoccia a chi lo possiede. Mi sbaglio, forse? Per nulla, rispondi. Eppure le ricchezze nocquero spessissimo a chi le possedeva, poiché ogni persona abietta, la più avida quindi delle cose altrui, ritiene di essere l'unica degna di possedere tutto l'oro e tutte le gemme del mondo. Tu, dunque, che ora temi angosciato la lancia e la spada, se fossi entrato nel cammino di questa vita come un povero viandante, canteresti in faccia ai briganti. O davvero magnifica la beatitudine dei beni terreni che, una volta raggiunta, ti priva della tua sicurezza!
Libro Secondo, VI, 3 Ma se talvolta, caso assai raro, le dignità e il potere vengono attribuiti a persone oneste, cos'altro piace in essi se non l'onestà di coloro che li detengono? Accade così che l'onore sia attribuito non alle virtù a causa della dignità, ma alla dignità a causa della virtù. Qual'è dunque questa vostra desiderabile e gloriosa potenza? Non considerate, o animali della terra, chi siete voi e chi sono coloro sui quali vi sembra di comandare? Ora, se tra i topi ne vedessi uno che rivendica per sé il diritto e l'autorità sugli altri, quanto sghignazzeresti! In verità, se osservi il corpo, cosa potresti di trovare più debole dell'uomo, per il quale è spesso letale la puntura di piccole mosche o l'insinuarsi di animaletti striscianti che penetrano all'interno del suo organismo? E poi, come potrebbe qualcuno esercitare il potere su
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altri, se non solo sul suo proprio corpo e su ciò che sta al disotto del corpo (cioé sulla fortuna)? Potrai mai comandare ad uno spirito libero? Potrai muovere dal proprio stato di quiete una mente equilibrata, ferma nella sua razionalità? …. 12 Ritiene dunque sia potere quello di colui che non può evitare che qualcun altro faccia a lui quello che lui stesso può fare ad un altro?
Libro Secondo, VIII, 3 Difatti io credo che agli uomini giovi di più la sorte avversa di quella favorevole; questa infatti, mostrandosi lusinghiera, mente sempre con l'apparenza della prosperità, quella, mostrandosi instabile con i suoi cambiamenti, è sempre vera. Una inganna, l'altra istruisce; una, con l'apparenza di beni menzogneri, blandisce le menti che ne godono, l'altra le libera rendendole consapevoli di quanto fragile sia la prosperità; vedrai dunque che una è volubile, insicura, sempre ignara di sé, l'altra sobria e pronta, prudente perché avvezza alle avversità. ….
Libro Terzo, III, 12 “Ebbene, ritengo inoltre che si debba considerare soprattutto che il denaro n on ha per sua natura nulla che non possa essere sottratto a coloro che lo possiedono, anche se non vogliono. Ogni giorno uno più forte dell'altro glielo strappa contro la sua volontà. Dove nascono, infatti, le querimonie giudiziarie, se non dal reclamare il denaro sottratto a chi non voleva, o con la forza o con l'inganno?” “E' così” dissi. “Per difendere il proprio denaro, quindi, chiunque avrà bisogno di una protezione che giunga dall'esterno. Eppure non ne avrebbe bisogno se non possedesse del denaro, che può perdere. Siamo arrivati allora alla conclusione opposta: le ricchezze che si credeva rendessero autosufficienti, infatti, rendono piuttosto bisognosi dell'altrui protezione”. ….. V, 8 “E tu credi potente colui che vedi volere quello che non può fare, credi potente colui che si circonda di guardie del corpo, che teme lui stesso maggiormente coloro a cui incute terrore, che per poter sembrare potente si mette nelle mani di coloro che lo servono? Cosa dirò infatti dei cortigiani del re, dato che dimostro che i regni stessi sono pieni di tanta debolezza? Costoro sono spesso distrutti dal potere regale, sia quando è intatto, sia quando cade”. ….
VI, 2 Molti infatti, si fecero spesso una grande reputazione per le false opinioni del volgo. Cosa si può immaginare di più turpe? Coloro, infatti, che vengono esaltati senza ragione è necessario che siano i primi ad arrossire delle lodi ricevute. …..
VI, 7 Chi non vede, poi, quanto sia vano, quanto futile il nome della nobiltà? Perché se essa è riferita alla notorietà, allora non ti appartiene; la nobiltà sembra infatti essere un elogio che proviene dai meriti degli antenati. E se l'esser nominati procura notorietà, è necessario che siano famosi coloro che vengono nominati; pertanto, l'altrui notorietà non ti rende illustre, se non ne hai una tua. Perché se vi è nella nobiltà qualcosa di buono, penso che sia solo questo, che ai nobili è imposta la necessità di non degenerare dalla virtù degli antenati.
VII, 8.3 Vuoi brillare di dignità? Dovrai supplicare chi te le concede, e tu che desideri precedere gli altri negli onori, ti svilirai nell'umiliazione del chiedere. Desideri la potenza? Esposto alle insidie dei sudditi, soggiacerai ai pericoli. Cerchi la gloria? Ma lacerato da asperità di ogni genere, smetti di essere sereno. Conduci una vita di piaceri? Ma chi non disprezzerebbe e scaccerebbe colui che è schiavo della cosa più vile e fragile, il corpo?
VIII, 11 Ma stimate pure eccessivamente i beni del corpo, sappiate però che qualsiasi cosa che ammiriate può dissolversi al debole calore di una febbre di tre giorni.
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(che gran bel libro, questo di Boezio. La mia curiosità era stata motivata dal ricordo degli studi che avevo fatto alcuni anni or sono sulla celebre Scuola di Chartres dell' XI° e XII° secolo laddove il Boezio, con Marziano Capella e poi Donato era il più letto e studiato nel quadrivium. Ma di Boezio erano molto apprezzate anche le traduzioni che lo stesso aveva fatto: di Aristotele (le Categorie, le Perihermeneine e relativi commentari) e di Cicerone (Topici), di Apuleio). La Chiesa ha sempre osteggiato questo Autore perché dialogando ininterrottamente con Filosofia circa l'entità di Dio, mai lo aveva identificato con quello predicato dai preti: ciò alla faccia che la Scuola della Cattedrale fosse cattolica, o no? Per quanto ricordo di quegli studi lo era davvero poco. Merito del Boezio in questo libro è quello di giustificare o perlomeno degnamente sopportare la condanna a morte (che peraltro nessuno, Teodorico compreso, aveva mai decretato) e darsi una giustificazione per una vita ben vissuta. E stiamo parlando dell'inizio del 500 laddove gli insegnamenti elaborati sono assolutamente attuali. Confesso che non sono arrivato alla fine perché.... è un gran bel mattone. Però bello).
XIII Sopolide L'autore di questo scritto ( Eunapio) ebbe modo di ascoltare spesso anche Sopolide. Era un uomo che si sforzava di riportare l'eloquenza al suo antico carattere, cercando di sfiorare la Musa perfetta. Ma, bensì bussasse abbastanza di frequente alla sua porta, questa si apriva non tanto spesso; e, se qualche volta emise qualche leggero cigolio, solo un sottile e debole soffio divino era solito scivolare via dal suo interno. Il pubblico era tuttavia entusiasta, non resistendo neppure alla goccia faticosamente attinta dalla fonte Castalia. Ebbe un figlio, che dicono abbia ottenuto la cattedra. Eunapio di Sardi, Vite di filosofi e sofisti,ed. Bompiani, 2007 Introduzione, traduzione, note e apparati di Maurizio Civiletti (davvero strano questo testo: intanto l'Autore, Eunapio 348- 414? d.C., mai visto né letto, né citato, a mia memoria; poi la struttura: se un sesto è il testo in greco, un sesto la traduzione italiana, quattro sesti sono di note (lunghe anche 5 o 6 pagine) scritte in parte in greco, in parte in latino, raramente l'italiano ma molto spesso il tedesco o l'inglese. Ma la cosa tragico-comica è che né l'Autore né il Civiletti dicono mai e poi mai che cosa sia il Sofismo né, nelle molteplici schede relative ai sofisti esaminati, mai una volta che si sviluppi un pensiero, una concezione, una filosofia qualsiasi. In estrema sintesi ho capito che costoro esercitassero l'arte oratoria, l'eloquenza, la retorica e facessero delle gare tra di loro senza mai esprimere una qualsiasi idea. Incidentalmente qualcuno di costoro faceva anche il medico o l'avvocato e per diversivo, si direbbe, anche il sofista. Per fortuna sto leggendo un altro testo sull'argomento e, senza tante note, dice qualcosa. Per inciso: questo fenomeno di (pensiero?) di dimostrazione di menar bene la lingua ha avuto la massima espressione intorno al terzo secolo, in concomitanza con l'instaurarsi del cristianesimo in Grecia. E pensare che di Autori ne cita parecchi: Plotino, Porfirio, Giamblico, Edesio, Massimo, Prisco, Giuliano, Proeresio, Epifanio, Diofanto, Sopolide, Imerio, Parnasio, Libanio, Acacio, Ninfidiano, Zenone, Magno, Oribasio, Ionico, Crisanzio, Epigono e Beroniciano. Possibile che il libro non manifesti un solo pensiero di costoro? Mistero. --------------------------------------------------Ecco la definizione di “sofista”. 1 un cacciatore prezzolato di giovani ricchi. 2 un venditore di virtù -dal momento che vende merce non sua- un mercante di sapere. 3 uno che vende il sapere al minuto, in piccole quantità. 4 un venditore di beni da lui stesso prodotti per i suoi acquirenti. 5 uno che alimenta controversie della specie denominata “eristica” allo scopo di far soldi dibattendo il giusto e l'ingiusto. Un aspetto o un genere speciale di sofistica viene quindi identificato 6 come una sorta di esame verbale detta “confutazione”, che educa purgando lo spirito della vanità della sapienza.
… Ciò che è immorale è il fatto che i sofisti vendono la sapienza a chiunque capiti, senza discriminazione: chiedendo un compenso si sono privati del diritto di distinguere e scegliere i propri allievi. Il che comporta il fatto di dare lezioni a “gente di tutti i tipi” (Platone, Ippia Maggiore 282d1), una frase carica di disprezzo in greco come in italiano e “di ricevere denaro da chiunque voglia farsi avanti” (Senofonte, Memoriali, I,2,6 I,5,6 I 6,5 I,6,13) Uno dei risultati è la perdita di libertà da parte del sofista, che diviene schiavo di chiunque venga a lui con del denaro. …. E' dunque probabile che a causare veramente il biasimo non fosse la preoccupazione di proteggere i sofisti dalla società con
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persone di ogni tipo, bensì il fatto che persone di ogni tipo potessero ottenere, semplicemente comperandolo, ciò che i sofisti avevano da offrire.
… Questo indica che la Sinagoghé era una raccolta di vari brani, racconti e informazioni riguardanti la storia delle religioni ed argomenti simili. La questione rimase in questi termini sino a quando nel 1944 Bruno Snell in un notevole articolo osservò come il passo citato riveli in Ippia il primo dossografo (ovvero raccoglitore di opinioni di diversi autori) sistematico di cui si abbia conoscenza.
George M. Kerferd, I sofisti, ed Il Mulino, 1988 (finalmente un libro interessante che spiega davvero cosa sarebbero stati i sofisti: una contrapposizione fra vero e falso, tra Logos e menzogna, tra giusto e iniquo. Non sono stato lì a riportare oltremodo i contenuti di questo davvero interessante testo, davvero degno di attenzione)
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Luigi Pirandello, Una Giornata, ed. La Repubblica, 2011 (una raccolta di dieci racconti, uno più bello dell'altro: senza parolacce, senza scene di violenza, con pudore ed incredibile fantasia nell'immaginare le situazioni raccontate, Pirandello ha molto da insegnare a certi autori contemporanei. Bellissimi “Fortuna d'esser cavallo” e “Una giornata”).
Conclusa questa parte del lavoro, Walker si dedicò al resto. C'era di tutto, una donna in cisi con il marito e un uomo che si lamentava che la moglie era scappata. --Baciati i gomiti-- disse Walker –è quello che sognano quasi tutti gli uomini-W. Somerset Maugham, Racconti orientali, Mackintosh e L'avamposto, ed Il Sole 24Ore, 2011 (non per nulla non leggo quasi mai autori inglesi (anche se costui è nato e morto in Francia). Spocchiosi, intimamente razzisti al cubo, senza alcuna considerazione dei terzi tutti, proprio contro i vermi)
-E allora, riprese Socrate, anche tu, se qualcuno di tua proprietà si uccidesse senza che gli avessi dato mai alcun segno che eri tu a volere che si uccidesse, non ti adireresti con costui, e, se avessi modo di punirlo, non lo puniresti?-Senza dubbio, rispose Cebète. -E dunque, posto questo principio, io non credo sia fuor di ragione che uno non debba uccidere se stesso, se prima Iddio non gli abbia mandata qualche necessità, come quella appunto che ora è sopra di me. II, 6
-Crediamo che la morte sia qualcosa? -Certamente, rispose Simmia. -E altra cosa crediamo che ella sia se non separazione dell'anima dal corpo? E che il morire sia questo, da un lato, un distaccarsi del corpo dall'anima, divenuto qualche cosa esso solo per se stesso; dall'altro, una distaccarsi dal corpo l'anima, seguitando a essere essa sola per se stessa? O altra cosa dobbiamo credere che sia morte, e non questo?
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-No, ma questo, disse. -E allora considera bene, o amico, se dunque anche tu hai la stessa opinione che ho io. Perché da quello che dirò, potremo farci, credo, un'idea più chiara di ciò che stiamo ricercando. Pare a te che sia di un vero filosofo darsi pensiero di quelle tali cose che si dicono abitualmente piaceri, come, per esempio, del mangiare e del bere? -No affatto, o Socrate, disse Simmia. -E dei piaceri d' amore? -Nemmeno. -E le altre cure del corpo credi tu che le reputi pregevoli il filosofo? Così, per esempio, acquisto di belle e speciali vesti, di belli e speciali calzari, e gli altri abbellimenti del corpo, credi tu che siano cose che il filosofo abbia in pregio o no, se non per quel tanto che stretta necessità lo costringa a usarne? -Mi pare che le abbia in dispregio, disse, chi sia filosofo veramente. -In generale dunque non pare a te, disse, che l'occupazione di tale uomo non sia rivolta al corpo, e anzi si tenga lontana da esso quanto è possibile, e sia invece rivolta all'anima? II, 9
-O mio buon Simmia, stiamo attenti dunque se proprio questo sia, di fronte all'idea della virtù, il giusto baratto, barattare fra loro piaceri con piaceri e dolori con dolori e paura con paura, il più con il meno, come fossero monete; e non piuttosto l'unica moneta di valore, quella per cui tutto ciò ha da essere barattato, sia il sapere, e soltanto le cose comperate e vendute al prezzo di questo ed insieme con questo siano veramente fortezza e temperanza e giustizia; e insomma non si abbia virtù vera se non è accompagnata dal sapere, ci siano o non ci siano piaceri e paure e tutte le altre passioni di questo genere. E quando queste passioni siano accompagnate dal sapere e barattate fra loro, badiamo che allora cotale virtù non sia come uno scenario dipinto, virtù veramente da schiavi, senza nulla di saldo né di reale; e non siano invece temperanza, giustizia e fortezza -e questa è la realtà vera- una specie di purificazione da tutto codesto, ed esso stesso il sapere un modo o un mezzo di purificazione. … Se poi io mi sia adoperato giustamente, e se io e gli altri si sia profittato alcunché dal nostro filosofare, questo sapremo con sicurezza appena giunti colà, se Dio voglia, e cioé tra poco, come pare. Eccovi dunque o Simmia e Cebète, la mia difesa, per dimostrarvi come io abbia ragione di non ritenere una sventura e di non attristarmi di dover abbandonare voi e i padroni di qui, reputando che anche là non meno di qui incontrerò buoni padroni e buoni compagni. Se dunque in questa mia difesa avanti a voi io sono riuscito più persuasivo che in quella davanti ai giudici ateniesi, tanto meglio così. II, 13
Ma alla natura degli dèi non è lecito giunga chi non abbia esercitato filosofia e non diparta dal corpo perfettamente puro: a nessuno è lecito, se non al filosofo. Appunto per questo, amici miei Simmia e Cebète, i filosofi veri si astengono da tutte le passioni dl corpo, e restano padroni di se medesimi e a quelle non si concedono. E non già perché temano perdita di beni o miseria, come fanno i più e particolarmente gli avari; e tanto meno per paura del disprezzo e del disonore che seguirebbero alle loro male azioni, come gli ambiziosi di potere e di onori; non per ciò essi si astengono da codeste passioni. II,32
-Sicuro, disse, è naturale. Ma non è questo il punto in cui io dico si possano assomigliare i ragionamenti agli uomini. Tu mi hai condotto or ora fuori strada e io ti son venuto dietro. Bensì è questo: e cioè che, quando uno ripone la sua fiducia in qualche ragionamento con la persuasione che sia vero, ma senza ch'egli abbia alcuna conoscenza dell'arte del ragionare; e poi, poco dopo, si metta in capo che tale ragionamento sia falso, -e talora è veramente falso, talora non è- ; e poi di nuovo gli sembra diverso da prima, e poi ancora diverso, e così via... -Ora tu sai bene che sono precisamente quei tali che pèrdono il loro tempo a ragionare pro e contro, i quali finiscono con il credere di essere essi solo divenuti sapientissimi e di aver capito essi soli che di tutte le cose di questo mondo non c'è nulla che sia sicura e salda; e così neanche dei ragionamenti e che insomma tutte quante, danno volta continuamente su e giù, e non c'è mai né un momento né un punto in cui esse rimangono ferme. II,39
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Per prima cosa, dunque, egli disse, dobbiamo stare attenti a questo, e non lasciare che si faccia strada nel nostro animo il pensiero che il male abbia a essere nei ragionamenti; ma pensiamo piuttosto che ammalati siamo noi, e bisogna comportarsi da uomini e procurare di esser sani: tu e gli altri, per tutta la vita che vi resta ancora da vivere, io … sì proprio per questa morte che mi è addosso. Perché anch'io, trattando di un problema come questo in questo momento, corro il rischio di non comportarmi da vero filosofo, bensì di voler ragione a tutti i costi, come quei tali che di educazione filosofica sono del tutto privi. Anche costoro, quando discutono intorno a qualche argomento, non si curano già di ricercare dove sia realmente la verità in ciò di cui stanno ragionando, bensì di far apparire vere a chi discute con loro le questioni che essi stessi pongono; di questo solo si preoccupano. II,40
_Anzi tutto dunque, o amico, egli riprese, dicono questo, che la vera terra, chi la guardi dall'alto ha l'aspetto delle nostre palle di cuoio a dodici pezzi (nota: è in questione, secondo alcuni la sfericità della terra, e si allude al dodecaedro , che risulta da dodici pentagoni regolari ed è la figura più prossima alla sfera; una realizzazione in materiale flessibile come il cuoio, dà infatti luogo alle palle di cui si parla. Nota mia: ? Platone conosceva la sfericità della Terra e dell'Universo, c0on buona pace di Galileo ma soprattutto di chi lo perseguitò), iridescente e come intarsiati di diversi colori; e di questi colori perfino quelli che
adoprano i pittori qui da noi sono immagini appena. II,59
E Critone: -Ma il sole, disse, o Socrate, è ancora, credo sui monti, non anche è tramontato. E io so che altri assai più tardi bevono dopo che ne hanno avuto l'annunzio; e dopo mangiato e bevuto a loro volontà, e taluni perfino dopo essere stati insieme a loro piacere con chi vogliono. Tu dunque, se non altro, non aver fretta, perché c'è tempo ancora. E Socrate: -E' naturale, disse, o Critone, che costoro, quelli che dici tu, facciano così, perché credono d'aver qualcosa da guadagnare facendo in codesto modo; ed è anche naturale che non faccia così io, perché credo di non avere alcunché da guadagnare, bevendo un poco più tardi, se non di rendermi ridicolo agli stessi miei occhi, attaccandomi alla vita e facendone risparmio quando non c'è più niente da risparmiare. Via, disse, dà retta e non fare diversamente. II, 65
E noi, ad udirlo, ci vergognammo e ci trattenemmo dal piangere. Ed egli girò un po per la stanza; e quando disse che le gambe gli si appesantivano, si mise a giacere supino; perché gli consigliava così l'uomo. E intanto costui, quello che gli aveva dato il farmaco, non cessava di toccarlo, e di tratto in tratto gli esaminava i piedi e le gambe; e, a un certo punto, premendogli forte un piede, gli domandò se sentiva. Ed egli rispose di no. E poi ancora gli premeva le gambe. E così, risalendo via via con la mano ci faceva vedere come egli si raffreddasse e si irrigidisse. E tuttavia non smetteva di toccarlo; e ci disse che quando il freddo fosse giunto al cuore, allora sarebbe morto. E ormai intorno al basso ventre era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì -perché si era coperto- e disse, e fu l'ultima volta che sentimmo la sua voce: -O Critone, disse, noi siamo debitori di un gallo ad Asclèpio: dateglielo e non vi dimenticate.-Sì, disse Critone, sarà fatto: ma vedi se hai altro da dire. A questa domanda egli non rispose più; passò un po di tempo, e fece un movimento; e l'uomo lo scoprì ed egli restò con gli occhi aperti e fissi. Critone, veduto ciò, gli chiuse le labbra e gli occhi. II, 66 Platone, Fedone, ed.Laterza, 2000 (che commento dovrei fare? Proprio nessuno in quanto indegno)
Flavio Barbiero, La Bibbia senza segreti, ed. magazzinidelcaos, 2008 (strano, davvero strano questo testo. Intanto non riporto alcun stralcio perché impossibile. L' Autore ha passato la vita negli uffici della Marina uscendone giovane con la qualifica di ammiraglio e si è quindi dedicato alla ricerca archeologica in funzione della quale ha incominciato a leggere la Bibbia. Questo testo è stato pubblicato nel 1988 presso Rusconi ma, visto il successo e soprattutto le reazioni dei mons. Galbiati e Ravasi, fu ritirato dalle librerie e l'Editore rinunciò ai diritti di futura ri-edizione.
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Con una analisi molto articolata e difficile da seguire l'Autore dimostra come Abramo uscendo da Ur dei Caldei, fosse un ostaggio del Faraone Tutmosi per una qualche guerra vinta contro i Mitanni di cui Abramo era il terzogenito del re, quindi un principe. Sarebbe stato un ariano, come pure sua moglie Sara e si portò appresso servi e schiavi nonché un numeroso ed articolato gregge di vacche, capre e pecore. Com'era usuale fu insediato in soggezione ad un principe della Palestina, vassallo del Faraone. Solo più tardi gli fu assegnata la titolarietà di un'area. Ad Isacco e Giacobbe fu scelta una sposa fra le principesse della Mesopotamia per cui mai si mescolarono con gli Apiru (nome trasformatosi poi in “ebrei”). Tutte le volte che nel Pentateuco si dice che Dio parlò ad Abramo si deve intendere che con l'epiteto Elohin, Javheh e similari si intende il Faraone in qualità di dio-signore. Quando narra dei sogni si deve intendere che sia un alto funzionario del Faraone ad interloquire. Dedica molto spazio alla cronologia dei fatti raccontati nel Genesi e nel Deuteronomio ed evidenziando le gravi contraddizioni, sostiene che i 175 anni di vita di Abramo, i 180 di Isacco e i 147 di Giacobbe devono intendersi come cicli, come generazioni di personaggi portanti sempre lo stesso nome. Dimostra che il dio della Bibbia incomincia non prima di Mosé, con molte incertezze e contraddizioni. In sostanza si tratta di un libro molto difficile da leggere e molto più difficile da condividere anche se l'Autore sostiene che in ambito Ebraico abbia avuto ed ha successo. Leggendo di tutte le nefandezze narrate nei primi cinque libri della Bibbia mi verrebbe voglia di estrarre e copiare i singoli passaggi in un unico file: ma sarebbe un lavoro troppo lungo e difficile).
...Non si può scordare che in campo religioso l'innovazione e la trasformazione, nell'ambito di una tradizione secolare, abbiano spesso assunto in passato un abito rivoluzionario ed hanno prodotto realtà istituzionali e forme radicalmente nuove di spiritualità e di pensiero: ciò è avvenuto, a opera di una o più figure carismatiche, nel distacco del cristianesimo delle origini dalla sua matrice tardo-giudaica, ma anche in forma lenta e quasi impersonale, nel passaggio dalla religiosità sacrificale dei Veda all'Induismo contemporaneo, nella sua straordinaria unità e al tempo stesso molteplicità di forme e manifestazioni, che vanno dalle devozione popolare alla speculazione.
….La nuova religiosità è in larga misura preesistente a questa rivoluzione. Si può far risalire almeno agli anni Sessanta e Settanta in un contesto di acuta contestazione dei frutti del moderno: rispetto alla rivoluzione “elettronica”, che è tuttora in corso ma che è databile agli inizi degli anni Novanta, emerge la condivisione, in misura significativa, di codici comunicativi, concezioni del mondo e di contraddittorie attese nei confronti del futuro, che oscillano tra palingenesi universali e apocalisse. Viviamo in un mondo in cui percepiamo, in misura ben maggiore che in passato, come la storia scorra ormai, su vari piani (familiare, lavorativo, spirituale) a velocità assai diverse. In essa i messaggi che ci raggiungono appaiono spesso semplificati, ridotti a schemi o a icone, per la decifrazione delle quali a ciascuno mancano tempo e competenze. ...E' sintomatico il fatto che molti bambini di oggi credano di poter comunicare con Babbo Natale o la Befana, servendosi di una e-mail, che possa raggiungere un mondo estraneo alla spazialità e alla temporalità quotidiane, ma nondimeno altrettanto vero e reale. Di fronte a tali sfide la teologia, ma anche la filosofia, e più in generale il mondo accademico, manifestano sintomi di insofferenza e non di rado una certa incapacità di ricezione delle novità presenti nel nostro contesto storico<. Un “deficit” ermeneutico che ha gravi conseguenze anche a livello “apologetico” o “controversistico”
Sergio Carletto, La sfida della nuova religiosità e la risposta cattolica , in La multimedialità del sacro, a cura di Fabrizio Pepino, ed L'arciere, 2002
Che il mondo si trovi in condizione di male è un lamento vecchio quanto la storia, vecchio anche quanto la poesia, più vecchia della storia, vecchio anzi quanto la più vecchia di tutte le leggende poetiche, la religione dei preti. Tutti, nondimeno, fanno incominciare il mondo dal bene: dall'età dell'oro, dalla vita nel paradiso, o da una vita ancor più felice nella comunanza con gli esseri celesti. Ma essi fanno ben presto svanire questa felicità come un sogno, e allora affrettano la caduta nel male ….Così adesso (ma questo adesso è vecchio come la storia) noi viviamo nel tempo estremo; l'ultimo giorno e la fine del mondo sono alla porta....
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Immanuel Kant, La religione entro i limiti della sola logica, 1793
I cieli e la terra sono inumani; trattano i diecimila esseri come cani di paglia. Lao-Tzu, Tao Té Ching, paragrafo V
Tiresia: Questo giorno medesimo ti darò la vita e la morte. Edipo: Come sempre tu parli enigmatico e buio. Sofocle, Edipo Re, 438-439
Rifiutando onore a questa creazione e a questa terra, essi ritengono che una nuova terra è stata fatta per loro, verso la quale intendono dirigersi partendo da qui. Plotino, Enneadi, II, 9,5
Dell'anima, propriamente, può parlarne solo un dio. L'uomo può solo accennarne per simboli ed immagini. Platone, Fedro, 246a
I beni più grandi ci vengono dalla follia, naturalmente data per dono divino. Platone, Fedro, 244a
--------Per un'Europa libera ed unita. Progetto di un Manifesto, di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, 1941------------------------
… In conseguenza di ciò, lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi tenuti a servizio, con tutte l facoltà per renderne massima l'efficienza bellica. Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai in molti paesi su quella dei ceti civili, rendendone sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi: la scuola, la scienza, la produzione, l'organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico: le madri vengono considerate quali fattrici di soldati,, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con le quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati sin dalla più tenera età al mestiere delle armi ed all'odio verso gli stranieri, le libertà individuali si riducono a nulla, dal momento in cui tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestare servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l'impiego, gli averi, ed a sacrificare la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore; in poche giornate vengono distrutti i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo.
… Di fatto poi i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione di tutti i dissidenti, ogni possibilità legale di ulteriore correzione dello stato delle cose vigenti. Così si è assicurata l'esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti e dei redditieri che
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contribuiscono alla produzione sociale solo nel tagliare le cedole dei loro titoli; dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori, e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori; dei plutocrati che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l'apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali.
… Un' Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era frà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza e i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l'attuazione saranno crollate o crollanti; e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione.
---------Gli Stati Uniti di Europa e le varie tendenze politiche , Altiero
Spinelli, 1942-------------
I poteri di cui l'autorità federale deve disporre, sono quelli che garantiscono la fine definitiva delle politiche nazionali esclusiviste. Perciò la federazione deve avere l'esclusivo diritto di reclutare e di impiegare le forze armate (le quali dovrebbero anche avere il compito di tutela dell'ordine pubblico interno); di condurre la politica estera; di determinare i limiti amministrativi dei vari stati associati, in modo da soddisfare alle fondamentali esigenze nazionali e di sorvegliare a che non abbiano luogo soprusi sulle minoranze etniche; di provvedere alla totale abolizione delle barriere protezionistiche ed impedire che si ricostituiscano; di emettere una moneta unica federale; di assicurare la piena libertà di movimento di tutti i cittadini entro i confini della federazione; di amministrare tutte le colonie, cioé di tutti i territori ancora incapaci di autonoma vita politica. Per assolvere in modo efficace a questi compiti, la Federazione deve disporre di una magistratura federale, di un apparato amministrativo indipendente da quello dei singoli stati, del diritto di riscuotere direttamente dai cittadini le imposte necessarie per il suo funzionamento, di organi di legislazione e di controllo fondati sulla partecipazione diretta dei cittadini e non su rappresentanze degli stati federati. Questa, in iscorcio, è l'organizzazione che si può chiamare l'organizzazione degli Stati Uniti d' Europa, e che costituisce la premessa indispensabile per l'eliminazione del militarismo imperialista. (sin qui alcuni brevi stralci del cosiddetto Manifesto di Ventotene: incredibile come questo Autore (in minima parte aiutato da Ernesto Rossi) abbia potuto concettualizzare, in un momento di oggettiva prigionia e coercizione, un simile pensiero. Grande, grande merito che purtroppo non gli è stato riconosciuto. Era un ex comunista e questo ha indotto le menti pensati reazionarie e cattoliche del primo dopoguerra ad emarginarlo: il risultato è che si è ricominciato a parlare di Europa almeno vent'anni dopo, senza tenere in alcun conto le cose intelligenti proposte dallo Spinelli. E così abbiamo un' Europa senza anima, senza effettiva incidenza sulle politiche dei singoli stati partecipanti, senza una guida per gli affari esteri, senza una politica comune per le vicende militari: è stata creata una vacca da mungere, non un'entità sovranazionale. Ne paghiamo e ne pagheremo tutte le conseguenze, non ultima, in ordine di tempo, in ambito finanziario). ----------------------------------------------------------------------------
Jorge Amado, Mar Morto, ed. Famiglia Cristiana, 1998 ( che sommo capolavoro questo breve scritto del grande Amado! Una triste ma estremamente poetica storia della miseria di chi vive sul mare. Grande, grande Poeta).
Pierre Allain: in piedi alle cinque del mattino, a letto alle otto della sera, pranzo alle dieci e trenta, cena alle diciassette e trenta. Dieta rigorosamente invariata: minestra, sgombri al vino bianco, formaggio e composta di mele, oltre ad un pezzettino di cioccolato (al latte) con un biscotto di pasta frolla.... Aggiungete ogni giorno una mezza compressa di aspirina e un cucchiaino di Normacol (contro l'intestino pigro) e avrete la ricetta della lunga vita. Novantaquattro anni, sicuro sulle gambe (due passeggiate al giorno, vista... così così, ma nel complessa la salute di un cinquantenne e uno spirito sempre vivace: è Pierre Allain, monumento dell'alpinismo francese per la storia l'uomo che ha conquistato la parete nord del Drus nel 1935.
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Yves Ballu, Due ritratti per i Drus in Il cinquantesimo Lichene, Vivalda Editore, 2001 (bello questo libriccino che riporta diversi brani di cose memorabili per la montagna. L'altro personaggio di questo breve scritto è Guido Magnone, francesissimo, che dopo aver fatto diverse specialità sportive, eccellendo in tutte, ai 46 anni, quando gli altri si ritirano, ha stupito il mondo con le sue imprese alpinistiche. Entrambi erano parigini, quindi non montagnini) --------------------------------------------------------
76 Ahi, serva Italia, di dolore ostello, Nave senza nocchiere in gran tempesta, Non donna di provincie, ma bordello!
91 Ahi, gente che dovresti essere devota, E lasciar sedere Cesare in la sella, Se bene intendi ciò che Dio ti nota, 94 Guarda com'esta fiera è fatta fella, Per non essere corretta dagli sproni, Poi che ponesti mano alla predella!
142 Verso di te, che fai tanto sottili Provvedimenti, ch'a mezzo novembre Non giugne quel che tu d'ottobre fili!
Dante, Purgatorio, Canto Sesto
Allora, mi viene in mente il grande Seneca che nelle lettere a Lucilio ( libro I) scriveva. " Comportati così Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino a oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro". E poi ancora: "Dunque Lucilio caro, fai quello che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l'altro la vita se ne va. Niente ci appartiene,Lucilio, solo il tempo è nostro. La natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile. chiunque voglia può privarcene”. mail di Paolo Beretta del 16 ottobre 2011
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Commiato (al libriccino) Cristo non è mai stato cristiano. Non si è mai proclamato Messia. Gesù era un profeta ebraico apocalittico itinerante, che annunciava nei villaggi della Galilea la prossima fine del mondo e l'incombente trionfo del Regno dove gli ultimi saranno i primi. Il suo evaggelion, proclamato infine anche a Gerusalemme, lo mette in contrasto con una parte dell' establishment. I romani lo giustiziano sulla croce insieme a due sovversivi. I suoi discepoli, che si sono dispersi, finiscono per convincersi che è ancora “in mezzo a loro”. Ebrei osservanti vogliono convincere i correligionari. La loro fede tutta ebraica fa però proseliti soprattutto tra i gentili. La distruzione di Gerusalemme e del tempio nel 70, pone fine all'epoca dell'ebraismo fondato sui sacerdoti e sui sacrifici, e inaugura quello del rabbinismo.. Le comunità che professano Gesù risorto, sempre più spesso “greche”, si moltiplicano lungo tre secoli adottando forme teologiche sempre più variegate e tra loro incompatibili, benché in comune abbiano una divinizzazione di Gesù che ne capovolge la figura reale. Solo l'intervento del potere imperiale, che impone il cristianesimo come religione di Stato, porterà ad unificare quel caleidoscopio di fedi, tra conflitti spesso sanguinosi. Questo per quanto riguarda la storia. Altra cosa è la fede, ovviamente, che orgogliosamente Paolo considera follia ed i cristiani dei primi secoli proclamavano altrettanto orgogliosamente nel ???? integrare Paolo Flores d'Arcais, Gesù l'invenzione del Dio cristiano, add editore, Torino, 2011 (che gran bel libriccino questo: per lo spessore, non certo per i contenuti. L' Autore parte dall'analisi e commento del recente libro del Papa su Gesù e sistematicamente cioè con inoppugnabili citazioni di storici e di Autori cristiani, i cosiddetti Padri della Chiesa, dimostra come tutta la vicenda sia stata artatamente costruita e montata su misura, a posteriori. Paolo (che personalmente valuto un gran egocentrista, per non dire altro) maledice Pietro, entra in violento contrasto con Giacomo il Giusto e sostanzialmente percorre una propria via stabilendo una personale religione nuova. L'Autore non oppugna, e ciò mi fa specie, che due o tre resurrezioni siano sfuggite all'occhio vigile dei romani presenti nell'area quando invece riportano fatti e comportamenti tanto meno appariscenti).
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Non c'è laicità né quando la religione, al singolare o al plurale, si ingeriscono nelle cose dello Stato, facendo dello Stato un affare della religione, né quando lo Stato si ingerisce nelle cose della religione, facendo della religione un affare di Stato. Laicità significa divieto di intromissioni, quale che ne sia il contenuto, essendo irrilevante se ostili o benevole. Quello che conta è la non ingerenza ….
….Jean Jacques Rousseau nel Contratto Sociale, 1, IV cap. VIII (de la réligion civile): “Occorre una lunga alterazione di sentimenti e idee perché ci si possa risolvere a prendere un proprio simile per padrone, e illudersi di trovarcisi bene” : ecco allora la religione a sacralizzare il padrone. Al contrario, ci vuole non poco coraggio a mettere la propria esistenza nelle mani dei preti che parlano di misteri: ed ecco la politica ad offrire la ragione più convincente “il braccio secolare” a sostegno della fede nel mistero, quando essa si sente insufficiente. …
… La “Ragion di Stato”, così espressa da Giovanni Botero, discepolo del Bellarmino: “Tra tutte le leggi non ve n'é più favorevole a Principi, che la Christiana; perché questa sottomette loro, non solamente i corpi, e le facoltà de' sudditi, dove conviene, ma gli animi ancora”. ..
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….La democrazia è infatti il regime dell'eguale libertà delle opinioni che si fanno forti del numero e, così, si affrancano dal vincolo a una qualunque verità a priori; la libertà e l'uguaglianza (con tutto ciò che esse presuppongono e implicano quanto a diritti e doveri fondamentali) sono le uniche “verità” indisponibili della democrazia. …...
….Mai la Chiesa si è esposta a dichiarare la propria incondizionata adesione di principio a una qualunque particolare forma di governo e meno che mai l'ha fatto con riguardo alla democrazia. Si è sempre mantenuta neutrale. Anzi, semmai, la naturale predilizione è andata ai regimi autocratici, non esposti alle fluttuazioni dal “basso”. In ogni caso la neutralità le ha consentito la massima elasticità nei rapporti con non importa quale potere, purché potere. …
...Non è stato così. Al contrario, la pretesa di pronunciare parole valide per tutti si è, se possibile, rafforzata, perché, soprattutto a partire dalla seconda parte del pontificato di Giovanni Paolo II, il magistero della Chiesa è venuto sempre più strettamente incardinandosi sul binomio verità-ragione, un binomio che ha ormai messo in ombra il binomio verità-fede. Si tratta di questo: mentre in passato si parlava delle verità proposte dalla religione cattolica nei termini di una adesione di fede, dunque si parlava di verità accessibili solo attraverso ad una capacità (la fede) che è degli eletti, e non di tutti, oggi se ne parla nei termini di conoscenza razionale, che deve essere di tutti, eletti e non eletti, in quanto esseri dotati di ragione. Si comprende la portata dello spostamento dalla fede alla ragione: la verità di fede non può essere riconosciuta da chi, per l'appunto, non ne è illuminato (non tutti sono rischiarati da questa luce, anche se, per la Chiesa, tutti dovrebbero esserne alla ricerca); la verità di ragione non può invece ammettere limiti o eccezioni. In questo modo, più o meno coscientemente, si crede di “uscire dalla morsa del pensiero laico”, che dell'esame di ragione fa il suo unico test di validità, e così si scende sul suo stesso terreno. …
...Il vero pretende assolutezza. Tra il vero e il falso non ci sono gradazioni. ….
….La polemica contro il “relativismo” non è che la forma attuale sotto la quale rispunta l'insofferenza che ogni monos-unico porta in sé nei confronti dell'altro da sé; monismo, monarchia, monocrazia e, per l'appunto, monoteismo. Sul piano pratico, la polemica nei confronti del “relativismo” è rivolta, in realtà, contro il contrario del monos, cioè contro la pluralità. In questo senso il relativismo sembra essere una forma riassuntiva che riunisce polemicamente molte cose, anche diverse: l'agnosticismo, lo scetticismo, l'indifferentismo, il nichilismo, il materialismo, il panteismo, l'eclettismo, lo storicismo, il pragmatismo, lo scientismo, tutti accomunati nella condanna in quanto posizioni anti-metafisiche, la metafisica essendo il “luogo” delle verità assolute, che tali sono indipendentemente dall'opera e dalla conoscenza degli esseri umani. La condanna del “relativismo” significa semplicemente la condanna del pluralismo delle concezioni etiche della vita e l'affermazione di un'unica concezione legittima, in quanto “vera”, di contro a tutte le altre, illegittime, in quanto “false”. ….
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….Naturalmente, per chiunque si proclami possessore della verità, ogni altra “verità” è relativistica. Così è per la dottrina attuale della verità del magistero cattolico. ….
….E' ciò che la situazione odierna dei rapporti fra le due parti ci mostra con evidenza: da una parte, un anticlericalismo crescente, alimentato per contrasto dallo stesso radicalismo della posizione della Chiesa; dall'altra, una subalternità che si manifesta opportunisticamente quando (e fino a quando) dal servilismo ci si può aspettare qualche interessato ritorno. Contestualmente, si riduce la possibilità di confronto, una possibilità cui tengono ancora i sempre più sparuti cattolici non clericali e i laici non anti-clericali. Diffidenza, chiusure, ostilità sono la naturale conseguenza. Principi fondamentali della convivenza, la cui accettazione poteva apparire comunemente, anche se non sempre pacificamente, acquisita, sono di nuovo messi in discussione. Il primo di tali principi è la laicità dello Stato e del vivere in comune, di cui lo Stato è l'espressione istituzionale. La laicità “principio supremo” dell'ordinamento giuridico italiano, prima ancora che irrinunciabile modo d'essere e di agire delle istituzioni civili, significa innanzitutto legittima auto-sufficienza della società civile a bastare a se stessa. In breve: significa il suo riconoscimento come societas perfecta, cioé capace di perseguire e realizzare i propri fini sovranamente, senza dipendere da altre legittimità. ….. E' quanto dice con chiarezza l'art. 7 primo comma, della Costituzione italiana: “Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. ….
…. “Rilevanza pubblica assoluta”: questa espressione contiene in nuce, però, altri non possumus: innanzi tutto, l'inaccettabilità dell'equiparazione alle altre confessioni religiose, e quindi il rigetto del principio di uguaglianza come criterio-base della disciplina statale dei culti. ….
…. le Chiese possano dissuadere i loro fedeli dal fare ricorso a rimedi predisposti da leggi permissive in senso proprio … nel senso del giurista Modestino secondo la formula riportata nel Digesto: “Legis virtus est imperare, vetare, permittere, punire”. E' vero che a queste leggi si è fatto ricorso in casi ovvi (divorzio, aborto, domani forse eutanasia). …..
Gustavo Zagrebelsky, Scambiarsi la veste, ed. Laterza, 2011 (che gran lucido scrittore che è l'Autore: parte, con dovizia di citazioni e riferimenti, dagli albori del cristianesimo e della sua continua influenza nella vita civile (il re è tale in funzione di una scelta divina, cioé dell'assenso della Chiesa) ed approda con estremo rigore al momento contingente. Chiara dimostrazione di una preparazione giuridica che in effetti nessuno nega al Zagrebelsky. Ulteriore dimostrazione della sua interpretazione sulla Chiesa: oggi, a leggere i giornali, gli stessi concetti sono stati espressi dal cardinale Bagnasco al conventuale incontro di Todi con i futuri fondatori del nuovo partito cattolico: ciò non sarebbe di certo successo nella laica Francia).
E se avesse ragione Euripide là dove dice: “Chi può sapere se il vivere non sia morire e il morire non sia vivere? Forse la nostra vita è in realtà una morte. Del resto ho già sentito dire, anche da uomini sapienti, che noi ora siamo morti e che il corpo per noi è una tomba”.
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Platone, Gorgia, 492e 493e
L'anima è in sommo grado simile a ciò che è divino, immortale, intelligibile, uniforme, indissolubile, sempre identico a se medesimo, mentre il corpo è in sommo grado simile a ciò che è umano, mortale, multiforme, intelligibile, dissolubile e mai identico a se medesimo. Platone Fedone, 80 b
Gli amanti che passano la vita insieme non sanno cosa vogliono uno dall'altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. E' allora evidente che ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vari presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio. Platone, Simposio, 192 c-d
E' una singolare debolezza dello spirito umano il fatto che la morte non gli sia mai presente, per quanto gli si metta in mostra da ogni parte e in mille modi. … I mortali si preoccupano di seppellire il pensiero della morte con la stessa cura con cui sotterrano i morti.
Jean Bossuet Discorso sulla morte, ed. Ouvres, 1961
Il corpo è l'oggetto psichico per eccellenza, il solo oggetto psichico. J.P. Sartre, L'essere e il nulla,Il Saggiatore, 1968
L'emozione, ordinariamente considerata come un disordine senza legge, possiede un significato proprio, e non può essere colta in se stessa senza la comprensione di questo significato. J.P. Sartre, Idee per una teoria delle emozioni, 1939
L'angoscia in fondo non è un sentimento né un affetto, ma l'espressione del rattrappirsi dell'umana presenza nel vuoto che si determina con la progressiva perdita del mondo, cui non si correla una perdita di sé.
Binswanger, Il caso di Lola Voss, Astrolabio, 1973
La femmina offre sempre la materia, il maschio l'agente del processo di trasformazione: queste noi diciamo che sono le rispettive facoltà, e in questo consiste nell'essere uno femmina , l'altro maschio.
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Aristotele, Riproduzione degli animali, Libro II, 4, 738 b
“La nostra condanna non è severa. Al condannato viene scritto sul corpo il comandamento che ha violato. A questo condannato, per esempio, -e l'ufficiale accennò ad un uomo- verrà scritto sul corpo: “Onora il tuo Superiore”. E al viaggiatore, stupito nell'apprendere che il condannato ignorasse la sentenza pronunziata contro di lui, l'ufficiale rispose: “Sarebbe inutile comunicargliela, tanto la conoscerà sul suo stesso corpo” F. Kafka, Nella colonia penale, ed. Mondadori, 1970
Ciò che si “adora” nel denaro è l'astrazione, l'artificialità totale del segno, la conclusa perfezione di un sistema che viene “feticizzato”, e non il “vitello d'oro” o il “tesoro”. J. Baudrillard, Per una critica dell'economia politica, ed. Mazzotta, 1974
La fame è la fame, ma la fame che si soddisfa con carne cotta mangiata con il coltello e la forchetta è una fame diversa da quella che divora carne cruda aiutandosi con le mani, con le unghie, i denti. La produzione non produce perciò solo l'oggetto del consumo, ma anche il modo di consumo, essa non produce solo oggettivamente ma anche soggettivamente. La produzione crea quindi il consumatore, perché non fornisce solo un materiale al bisogno, ma anche un bisogno al materiale. K. Marx, Per la critica dell'economia politica, ed. Riuniti, 1993
La moneta è sorta per convenzione come mezzo di scambio per i bisogni. E per questo la moneta è detta in greco cosa legale (nòmisma), perché sorge non per natura, ma per legge (nòmos) e sta in nostro potere il mutarla e il renderla fuori corso. Aristotele, Etica a Nicomaco, Libro V,1133
Doucement à la matin, pas trop vite l'après midi.
Proverbio corso
L’onorabilità di tutti i partiti si era corrotta per amore del denaro. In effetti l’Italia era sconvolta dalle rapine, dalla fuga dei cittadini, e dalle stragi. Soltanto pochi preferiscono la libertà: i più non cercano che padroni buoni. Crispo Sallustio, Historiae (frammenti lib.1°- 13.23.lib.IV – 69)”Ben si può dire di lui e della sua “genuria”:Simul stabunt, simul cadent -mail di Cocis del 09.11.2011 rispondendo ad una mia sul Berlusca
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----------------------------Meritava perciò l'invidia e l'odio. Enrico Gaia non gli risparmiava i sarcasmi e sapeva talvolta anche sopraffarlo parlandogli di affari e di posizione economica. Ma ciò non gli bastava, perché Mario stesso amava ridere del proprio stato. Gaia avrebbe voluto strappargli il sogno felice dagli occhi a costo di accecarlo. Quando lo vedeva entrare in caffé con questa sua aria di chi guarda le cose e le persone con l'eterna, viva, serena curiosità dello scrittore. ….... Diceva ai passeri: “Voi che non provvedete affatto per l'avvenire, dell'avvenire certo nulla sapete. E come fate ad esser lieti se nulla aspettate?” Infatti egli credeva di non saper dormire dalla troppa gioia. Ma gli eccelletti erano meglio informati: “Noi siamo il presente, dissero, e tu, che vivi per l'avvenire sei forse più lieto?” Mario confessò di aver sbagliato la domanda, e si propose di rifare in tempi migliori una favola che dimostrasse la superiorità degli uccellini. Con una favola si può arrivare dove si vuole quando si sa volere. …. L'organismo umano è capace di tutte le finzioni, ma non più di una per volta. …. Ma non tutta la notte egli passò in discussioni col fratello assente. Vide meglio che mai l'inutilità della sua vita. Ora capiva con piena chiarezza che, vivendo, egli non truffava la morte, ma la vita che non voleva saperne di ruderi come lui che non servivano a nulla. E ne fu profondamente accorato
Italo Svevo (alias Aron Hector Schmitz, 1861-1928), Una burla riuscita, ed. Repubblica 2011 (intanto è scritto molto bene, in un italiano corretto e piano; ho scoperto poi che lo Svevo era ebreo e nella vita faceva il commerciale. Il breve bellissimo testo narra le frustrazione di uno scrittore il cui valore era sconosciuto al mondo, però con una leggerezza e saggezza davvero encomiabili).
Egli non capì subito, ma dopo aver capito sorrise.
“Mi piacciono le vostre osservazioni. Riconosco in queste parole il mio vecchio amico di una volta, intelligente, entusiasta, e nello stesso tempo cinico; solo i russi possono riunire in se qualità così opposte. Realmente, l'uomo ama vedere il suo migliore amico nell'umiliazione davanti a sé, anzi, sull'umiliazione è fondata per lo più l'amicizia; e questa è una vecchia verità, nota a tutte le persone intelligenti. Ma nel caso presente, ve lo assicuro, sono sinceramente lieto che voi non vi lasciate abbattere. Ditemi, non avete intenzione di lasciare il gioco?”
“Al diavolo il gioco! Lo pianterò subito purché...” “Purché adesso vi possiate rifare? Pensavo proprio così; è inutile che continuiate, lo so, l'avete detto involontariamente, quindi avete detto la verità. Ditemi, all'infuori del gioco, non vi occupate di nient'altro?”
“No, di nient'altro” Egli cominciò ad esaminarmi. Non sapevo nulla, non avevo quasi visto i giornali, ed effetivamente in tutto questo tempo non avevo aperto un solo libro.
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“Vi siete fatto di legno -egli osservò- non solo avete rinunciato alla vita, agli interessi vostri e a quelli sociali, ai vostri doveri di uomo e di cittadino, ai vostri amici (eppure ne avevate), non solo avete rinunciato ad ogni altro scopo, tranne quello di vincere al gioco: avete rinunciato persino ai vostri ricordi. …..” Fedor Dostoevskij, Il giocatore, ed. Repubblica, 2011 (Sempre belli questi sempiterni autori russi, bravissimi nelle descrizioni e nelle introspezioni più acute. Questo testo narra di un ragazzo giovane e serio, della piccola nobiltà, che fa l'istitutore presso una nobile famiglia che, come destino vuole, va in rovina. Segretamente innamorato della figliastra del generale viene da costei indotto a vendere dei gioielli per poi giocarli al casinò onde tentare una rapida fortuna. Si immedesima troppo nel ruolo e la cosa diventa patologica. Tutto si sfascia e tutti i personaggi si dissolvono. Lui resta nella stazione termale a rovinarsi al gioco. Il brano riportato narra della visita di un amico della nobile famiglia originaria che l'ha cercato per verificare la sua tendenza al gioco: se mai si fosse riabilitato l'annuncio sarebbe stato che la Polina, l'altezzosa fanciulla che l'aveva rovinato, essendo ammalata ma avendo ereditato una grossa fortuna, l'avrebbe volentieri amato. Dunque patetico il finale. Annoto che l'Autore in tutte le sue opere evidenzia come i russi siano diversi da tutti gli altri, quasi rappresentassero un'isola dell'umanità).
Se vincono i comunisti ci mettono in prigione, se vincono i cattolici ci mettono all'indice, se vincono i liberali ci trattano da pazzi. Leo Valiani a Benedetto Croce a proposito del Partito d'Azione, 5 ottobre 1945
Di tanta inerzia ed inettitudine siamo noi i colpevoli, per non aver saputo scindere fino in fondo il bene dal male, per non aver saputo epurare... per non aver saputo preparare la generazione dei vostri padri. Di tanta colpa vorrei chiedere perdono. …... E' il vostro momento. Il momento dei valori più alti da contrapporre agli interessi meschini e di parte. Non tutti sono rassegnati. Molti vi seguiranno. … Provate a pensare il futuro a vostra immagine, non secondo quella dei vostri padri che sono incapaci di ansare oltre questo fango. …..Per essere ”partigiani”, per combattere l'indifferenza, voi giovani non avete bisogno di un simbolo, di una bandiera, di una ideologia, avete la Costituzione. …. E' solo l'azione che nasce spontanea dall'indignazione che muove la storia. E', per noi italiani, un riallacciare quel filo dei valori che dal Risorgimento porta a Gobetti, alla Resistenza, fino a coloro che sanno ancora indignarsi per il degrado in cui è caduto il nostro Paese.
Vi parlo con la sincerità che mi conoscete. Eravamo in pochi allora e forse ancor meno siamo di quanto credessimo. In pochi siamo rimasti. Non siamo un partito ma solo uomini di buona volontà. Ferruccio Parri
Il raffronto tra il presente ed il passato può rilevare analogie significative per capire, per cercare di non ricadere negli stessi errori, se possibile prevenirli.. Nei vent'anni di Mussolini, ad esempio, come nei sedici anni /sin'ora) di Berlusconi, non a caso per immaturità politica, per evidenti crisi della democrazia in Italia, si è fatto spazio un protagonismo anomalo che dispone di poteri eccezionali sino a sovvertire le regole istituzionali.
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Il primo nel 1925, calpestando lo Statuto, piegò la legge con la forza e la violenza, il secondo (tessera P2 n. 1816), invocando una “Costituzione di fatto” e nell'elogio permanente dell' illegalità, ha operato ed opera, in spregio alle leggi, ai diritti e alle istituzioni, inseguendo la difesa dei propri interessi. Entrambi per autoritarismo padronale hanno trasformato il Parlamento in Camera dei consensi asservita e manovrata: un “bivacco” dei delegati dei partiti, anziché un organo deliberante di rappresentanti scelti dagli elettori. …. Quanti reati ed illeciti fruiscono non solo di impunità, grazie a leggi speciali, ma diventano spesso titoli di merito per cariche o per seggi in Parlamento o addirittura in seno al governo, si è giunti al prevalere del malaffare, al trionfo dell' Antistato.
…. Quando è svanito il sogno della ricchezza facile per tutti e si affacciano disoccupazione, impoverimento, perdita di prestigio interno o addirittura internazionale, in un'Italia fallita si imponga la verità. Quando si nomina ministro un indagato per mafia, in contrasto con le riserve del Capo dello Stato, si degrada il prestigio del governo e la dignità delle istituzioni e dello Stato. Quando infine cade la maschera del miles boriosus, dello showman, occorre che qualcuno, di fronte alla shoah (in ebraico “rovina”) di diritti e valori ne chieda conto. ….. Per questo la cultura e la scuola sono invisi a chi comanda. L'ignoranza favorisce il potere. La capacità di capire, di giudicare è un pericolo per chi vuole dominare. …. La quota del PIL corrispondente agli investimenti per la cultura in Italia è del 0,28 per cento, in Francia del 3 per cento, in Svezia del 6 per cento! …. Voi giovani dovete isolare i bulli, i drogati, i malavitosi, aiutare i deboli e i figli degli immigrati che saranno i vostri più fattivi e fedeli fratelli. Massimo Ottolenghi, Ribellarsi è giusto, ed. Chiarelettere, 2011 (incredibile come un 95enne sia capace di tanta lucidità e chiarezza. Questo sommo libro dovrebbe essere distribuito gratis nelle scuole e nei luoghi di lavoro a tutti i giovani. Attacca con violenza i padri dei ventenni perchè non hanno saputo assolutamente reagire: ha perfettamente ragione. Fa il paio con il libro di Stephan Hessel, Indignatevi! Costui ha 92 anni, complimenti ad entrambi --------------------------------------------
L'amore non può dare l'idea della musica, la musica può dare l'idea dell'amore.
H. Berlioz
-Sapete, mio caro, -continuò Derville dopo una pausa- nella nostra società ci sono tre persone, il prete, il medico, l'avvocato, che non possono stimare gli uomini. Sono vestiti di nero, forse perché portano il lutto di tutte le virtù, di tutte le illusioni. Il più disgraziato dei tre è l'avvocato. Quando l'uomo va a trovare il prete, vi giunge spinto dal rimorso, da una fede che lo rende interessante, lo fa grande, e che consola l'anima del mediatore, il cui compito non è senza qualche diletto; egli purifica, ripara e riconcilia. Ma noialtri avvocati, noi vediamo ripetersi gli stessi malvagi sentimenti, niente li corregge, i nostri studi sono delle sentine che non si possono spurgare. Quante cose non ho imparato esercitando il mio ufficio! Ho visto morire un padre in una soffitta, senza il becco di un quattrino, abbandonato dalle due figlie a cui aveva donato quarantamila franchi di rendita! Ho veduto bruciare dei testamenti; ho visto madri spogliare i propri figli, mariti derubare le proprie mogli, mogli uccidere i propri mariti, servendosi dell'amore che ispiravano loro per renderli pazzi o idioti e per poter quindi vivere in pace con gli amanti. Ho veduto donne che favorivano di primo letto inclinazioni che avrebbero dovuto portarlo alla morte, per arricchire il figlio dell'amore. Non posso dirvi tutto quello che ho visto, perché ho veduto delitti contro i quali la giustizia non può nulla. Insomma, gli orrori che i romanzieri credono di inventare sono sempre ben poco, rispetto alla verità. Conoscerete queste belle cose, voi: io vado a vivere in campagna con mia moglie. Parigi mi fa orrore.Honoré de Balzac, Il colonnello Chabert, Gruppo editoriale l'Espresso, 2011 (romanzo breve ma molto bello che narra le miserabili vicende di una donna che non riconosce il ritorno del marito, eroe creduto morto in guerra: vicende davvero umilianti. Il
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brano riportato è la chiusura del libro dove l'avvocato Derville, non del tutto indegno professionalmente si commiata dal giovane cui ha ceduto lo studio)
Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita. Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori. Posso, però, ascoltarti e condividerli con te. Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro; però. Quando serve, sarò vicino a te. Non posso cancellare la tua sofferenza; Posso, però, piangere con te. Non sono gran cosa, però sono tutto quello che posso essere. Jorge Luis Borges
La felicità è come una farfalla: se la insegui non riesci mai a prenderla; ma se ti metti tranquillo, può anche posarsi su di te. Nathaniel Hawthorne
Un maestro indu mostrò un giorno ai sui discepoli un foglio di carta con un punto nero nel mezzo. “Che cosa vedete?” chiese. “Un punto nero” risposero. “nessuno di voi è stato capace di vedere il grande spazio bianco!” replicò il maestro. Apologo indiano
Una conferenza internazionale: una riunione per decidere quando si terrà la prossima riunione. Henry Ginsberg
Un comitato: dodici persone che fanno il lavoro di una.
Arthur Bloch
Possiamo perdonare ad un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce. Platone
La cortesia è per la natura umana quello che è il calore per la cera.
Arthur Schopenhauer
In ciascuno di noi ci sono tre persone: quella che vedono gli altri; quella che vediamo noi; quella che vede Dio Henry Thoreau
Il maggior pericolo non è tanto la tendenza della massa a comprimere la persona, ma la tendenza della persona a precipitarsi ad annegare nella massa. Simone Weil
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Se la vostra quotidianità vi sembra povera, non date ad edssa la colpa. Accusate invece voi stessi di non essere abbastanza poeti per scoprire tutte le sue ricchezze. Per il Creatore, infatti, niente è povero. Rainer Maria Rilke
Nel giorno del giudizio verranno pesate solo le lacrime.
Emile Cioran
La maggior parte delle persone non è in grado di parlare di nulla se non parla di sé o comunque della cerchia di cui è il centro. Antony Trollope
Credo che sia meglio educare i figli facendo leva sulla comprensione e sull'indulgenza piuttosto che sul timore del castigo. Il dovere di un padre è di abituare il figlio ad agire bene; spontaneamente, più che timore degli altri. In ciò differisce il padre dal padrone. Publio Terenzio
E' una delle grandi difficoltà della vita indovinare ciò che una donna vuole.
Italo Svevo
Se c'è un genere che mi è estraneo, è il genere maschile. Lo trovo troppo determinato, tradizionalista, triste fedele alle abitudini, perduto in automatismi, in credenze sulle quali non si interroga mai. Alice Ceresa
E' passata su di noi una serie di tempeste, ma noi siamo come allora, fanciulli senza legami con il mondo, con gli occhi in cerca di alberi fioriti e di allegrie gratuite. Sono passate le rabbie ed è rimasta la gioia, anche se velata dalla malinconia per le assenze, che si sono fatte così numerose, e per gli smarrimenti di alcuni amici che si sono fatti seri e paurosi, e magari ingrigiti dalla carriera che hanno dovuto pagare con troppa pochezza. Ernesto Balducci
Quando i selvaggi della Luisiana vogliono un frutto, tagliano alla base l'albero e raccolgono il frutto. Ecco il governo dispotico. Montesquieu
Ho perso tutto nell'avventura della mia vita, il mio onore però, grazie a Dio, è intatto. La mia colpa? Aver sempre detto la mia verità. Senza barare. Trovo indegno barare.... Come san Tommaso ho voluto vedere per credere. Ho visto. Peggio per me! Louis Férdinand Céline
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O privilegio del genio! Quando si è appena ascoltato un brano di Mozart, quel silenzio pieno di stupore, che per un attimo subentra, è stato scritto ancora da lui. Sacha Guitry
Il trono non è altro che un pezzo di legno rivestito di velluto.
Napoleone
Rendiamo necessarie mille cose superflue: esse generano un'infinità di miserie, una perdita di tempo e una vita difficile e tesa... Il superfluo dei ricchi dovrebbe servire al necessario dei poveri e, invece, il necessario dei poveri, serve al superfluo dei ricchi. Jean Domat
Si parla più volentieri di ciò che si ignora.
Paul Valéry
Spesso gli uomini parlano benissimo di cose che non conoscono.
Voltaire
Esser troppo scontenti di se stessi è debolezza. Essere troppo contenti di sé è stupidità.
Madeleine de Souvré
L'amore vuol sempre sentirsi dire le cose che già sa.
Victor Hugo
L'amore deve essere un'eterna confessione.
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Alfred de Vigny
L'unico consiglio che mi sento sempre di dare ai giovani è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che si ingaggia ogni mattina davanti allo specchio. Indro Montanelli
Si deve porre l'interesse dello Stato sopra quelli personali. Solo così lo Stato è ben governato. Non si devono cercare pretesti per violare l'equità, né tentare sopraffazioni contro il bene comune. Uno Stato ben governato è il più grande baluardo... perché, se esso è salvo, tutto si salva e se lo Stato perisce, tutto perisce. Democrito di Abdera
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Gli animali selvatici non uccidono mai per divertimento. L'uomo è la sola creatura per cui la tortura e la morte dei suoi simili possono essere in sé divertenti. James Froude
Quello che mi fa capire se uno è passato attraverso il fuoco dell'amore divino, non è il suo modo di parlare di Dio, è il suo modo di parlare delle cose terrene. Simone Weil
Buddha si è imbattuto in un criminale che voleva ucciderlo. Gli chiese solo di esaudire un suo ultimo desiderio: -Taglia un ramo di quell'albero!- Quello lo accontentò e disse: -E ora?-. -Riattaccalo!- ordinò Buddha. Il bandito sghignazzò : - Sei pazzo a volere questo!-. .No, lo sei tu: uccidere e far del male è una cosa da bambini e non un segno di potenza. Lo è invece creare e risanare!-. Tradiz. Buddista
Quando l'ombra cresce, è la fine della giornata. Quando il dubbio aumenta è il tramonto della religione. \
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Victor Hugo
La vita: uno squarcio di luce che la morte, come una chiusura lampo, fulmineamente richiude. Gesualdo Bufalino
Il continuo agitarsi di una vita tumultuosa non è segno di operosità ma di irrequietezza di mente. Seneca
La ragione può solo parlare, è l'amore che canta.
Joseph De Maistre
All'inizio i figli amano i genitori. Dopo un po li giudicano. Alla fine raramente, quasi mai, li perdonano. Oscar Wilde
Sono un uomo inquieto uscito da una famiglia quietissima. La quiete mi annoia, l'inquetitudine mi irrita. Cerco una vi di mezzo, ma la cerco dove son sicuro di non trovarla. Leo Longanesi
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Sognai il giorno della risurrezione. Vidi Malik e Mohammed, miei amici, in procinto di entrare in Paradiso: quale dei due avrebbe avuto la precedenza? Fu Mohammed. Chiesi all'angelo il perché. Mi rispose: -Lui aveva una sola tunica, Malik due-. Apologo arabo
Non potrai mai consumare oltre il tuo appetito. Metà del tuo pane appartiene ad un'altra persona e dovresti conservarne un pezzo per l'ospite inatteso. Kalil Gibran
Che fortuna possedere una grande intelligenza: non ti mancheranno mai le sciocchezze da dire! La sottigliezza non è ancora intelligenza. Anche gli sciocchi e i pazzi a volte sono straordinariamente sottili. Anton Cechov
L'unica gioia al mondo è cominciare. E' bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Cesare Pavese
Maestro: dopo quello di padre, è il più nobile, il più dolce nome che possa dare un uomo ad un altro uomo. Edmondo de Amicis
Tutto il mondo aspira alla libertà, e tuttavia ciascuna creatura è innamorata delle proprie catene. Tale è il primo paradosso e il velo inestricabile della nostra natura. Sri Aurobindo
Coloro che vincono, in qualunque modo vincano, mai non ne riportano vergogna. Niccolò Macchiavelli
Era un famoso rabbino polacco dell'Ottocento di nome Hofez Chaim. Un uomo venne da lontano a consultarlo e rimase stupito perché la casa del Rabbino conteneva solo libri, un tavolo e una seggiola. -Dove sono i tuoi mobili?- gli chiese. E il rabbino replicò: - E i tuoi dove sono?- -Ma io sono qui solo di passaggio-. -Anch'io-, concluse il rabbino. Apologo ebraico
Un discepolo si era macchiato di una grave colpa. Tutti gli altri reagirono duramente condannandolo. Il maestro invece, non reagì e non lo punì. Uno dei discepoli non seppe trattenersi e sbottò: -Non si può ignorare ciò che è accaduto: dopo tutto Dio ci ha dato gli occhi!-. -E' vero, ma anche le palpebre!-, replicò il maestro. Apologo indiano
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Per incontrare la speranza, bisogna travalicare al di là della disperazione. Quando si va sino alla fine della notte, si incontra una nuova aurora. Georges Bernanos
La guerra è un male perché crea più malvagi di quanti ne toglie di mezzo.
Immanuel Kant
Nella prosperità i nostri amici conoscono veramente noi, Nelle avversità siamo noi che conosciamo veramente i nostri amici. John Churston Collins
Colui che cerca non deve fermarsi fino a quando non avrà trovato; quando avrà trovato, resterà stupito, regnerà; quando avrà iniziato a regnare, troverà riposo. Vangelo apocrifo degli Ebrei
Caos: vocabolo con il quale indichiamo un ordine che non riusciamo a comprendere e a decifrare. Henry Miller
Il vantaggio degli intelligenti è che si può fare anche lo stupido, mentre è del tutto improbabile il contrario. Woody Allen
Leggere rende un uomo completo. Parlare lo rende pronto. Scrivere lo rende preciso.
Francis Bacon
Il coraggio autentico è fare senza nessun testimone quello che si farebbe di fronte agli altri soltanto per farsi ammirare. Francois de la Rochefoucauld
Ecco la regola degli affari: fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi.
Charles Dickens
Un grande classico è uno scrittore che si può lodare senza averlo letto.
Gilbert Chesterton
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Un classico è qualcosa che tutti vorrebbero aver letto e nessuno vuol leggere.
Mark Twain
I saggi non hanno bisogno di consigli, gli sciocchi non li accettano.
Benjamin Franklin
Un bigotto si rivolse a Giulia che camminava sulla riva del fiume: -Quando si fa un bagno in queste acque, quale direzione devo tenere? Verso la Mecca o voltarle le spalle?- Giulia rispose: -Devi guardare in direzione dei tuoi abiti, se non vuoi che te li rubino-. Apologo arabo
Se devo chiudere gli occhi senza sapere da dove vengo e dove vado, valeva la pena aprire gli occhi? Indro Montanelli
Le verità che contano, i grandi principi, alla fine restano sempre due o tre. Sono quelli che ti ha insegnato tua madre da bambino. Enzo Biagi
La nostra democrazia è minata: E i nostri rappresentanti mi fanno l'effetto di minatori incoscienti che si mettono ad accendere le sigarette in una miniera piena di grisou. Norberto Bobbio
Gli uomini non hanno più il tempo per conoscere alcunché. Comperano dai mercanti le cose già confezionate. Ma siccome non esistono mercanti di amicizia, gli uomini non hanno più amici. Antoine de Saint Exupéry
Amo molto parlare di niente. E' l'unico argomento di cui so tutto.
Oscar Wilde
Di molte persone si può affermare quanto vale per certi dipinti, cioé che la parte più preziosa è la cornice. Emile Cioran
In generale ho notato che il degrado è molto più rapido del progresso. E, per di più, se il progresso ha dei limiti, il degrado è illimitato. Sergej Dovlatov
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Lo specialismo eccessivo e separato dal corpo generale del sapere è lo specialismo di chi sa tutto su un frammento dell'universo ma ignora l'universo. Uberto Scarpelli
Non è il molto quello che si apprezza; è il buono. I libri sono come le anime, la cui grandezza non si misura dalla mole del testo, ma dalla nobiltà degli spiriti. Daniello Bartoli
L'amore è l'attesa di una gioia che, quando arriva, annoia.
Leo Longanesi
Chi sa non parla, chi non sa parla.
Lao-Tzu
I burocrati sono numerosi come i granelli di sabbia in riva al mare. Con la differenza che la sabbia non prende lo stipendio. Ephraim Kishon
Se voglio che la vita abbia un senso per me, bisogna abbia un senso per gli altri.
Georges Bataille
Due volte sciocco chi, svelando un segreto ad un altro, gli chiede calorosamente di non farne parola con nessuno. Miguel de Cervantes
C'è una strada che va dagli occhi al cuore senza passare per l'intelletto.
Gilbert Chesterton
Il dovere, il dovere terrestre, il dovere di risvegliare; non c'è altro dovere, e lo stesso impegno dell'uomo verso la divinità e della divinità verso l'uomo è il dovere di aiuto. Hermann Bloch
Se é vero che il sonno della ragione genera mostri, dobbiamo sempre pensare che anche il sonno della giustizia ci può, per piccoli gradi quasi inavvertiti, precipitare nella mostruosa vergogna delle camere a gas. Francois René de Chateaubriand
L'uomo non si deve accontentare di un Dio pensato perché così, quando il pensiero ci abbandona, ci abbandona anche Dio. Meister Eckhart
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La noia, come un ragno al centro di una tela, avvolge la realtà e le vicende umane di un velo grigio e diafano di indifferenza. Vladimir Jankélévitch
Non di rado le ragioni per cui ci si astiene dai delitti sono più vergognose e più segrete dei delitti stessi. Paul Valéry
Un re corrotto domandò ad un uomo pio: -Tra gli atti di culto che compio, qual'é il più gradito a Dio?L'uomo pio rispose: -La siesta che fai nel pomeriggio, perché è l'unico tempo in cui non tormenti nessuno! -. Sa'di
Dobbiamo essere liberi dalla paura. Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo da parte del potere corrompe chi ne è soggetto. Aung San Suu Kji
E' la malattia che rende piacevole e buona la salute, la fame l'appetito, la stanchezza il riposo. Eraclito
Capisco perché i dieci comandamenti sono tanto chiari e privi di ambiguità: non furono redatti da un'assemblea. Konrad Adenauer
Un vecchio non deve far dire di sé: senescit et se nescit, ossia che invecchi e non impari a conoscersi. Jean-Baptiste Karr
Ci riconciliamo con un nemico che ci é inferiore di cuore o di spirito: ma non perdoniamo mai a chi ci supera nell'anima e nel genio. Francois René de Chateaubriand
Quelle stesse cose che, per conoscerle, ci mettiamo in cammino e attraversiamo il mare, se sono poste sotto i nostri occhi, le ignoriamo. Plinio il giovane
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Per noi spesso è dove non siamo che stiamo bene. Così il passato, ove non siamo più, ci appare bellissimo. Anton Cechov
Per farsi un'idea della miseria dei nostri connazionali, basta dare un'occhiata a come si divertono. George Eliot
Se un uomo decide di occuparsi senza tregua solo di cose serie e non abbandona ogni tanto allo scherzo, senza accorgersene, diventa pazzo o idiota. Erodoto
Chi non ha uno scopo non prova quasi mai diletto in nessuna operazione.
Giacomo Leopardi
Quando al mondo appare un genio, potete riconoscerlo da un segno inequivocabile: i somari si coalizzano contro di lui. Jonathan Swift
Tutti amano i buoni ma li sfruttano; Tutti detestano i cattivi, ma li temono e li ubbidiscono. Vittorio Buttafava Nelle società del benessere non si fa più nessuna valida distinzione tra il lusso e la necessità. John Galbraith Se pensassimo a tutte le fortune che abbiamo avuto senza meritarle, non oseremmo lamentarci. Jules Renard Non sanno cosa dicono e parlano solo per mettere in moto l'aria e parlando alzano il viso e seguono con lo sguardo le parole pronunziate. Franz Kafka
Ammirazione: è la nostra cortese ammissione che un altro somiglia a noi.
Ambroise Bierce
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia mai la marcia, chi non osa mai rischiare o cambiare il colore dei suoi vestiti, chi non parla mai a chi non conosce. Pablo Neruda Avversario: essere deprecabile che osa avere le nostre stesse aspirazioni.
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Ambroise Bierce
Il guaio di ogni aforisma è che può facilmente diventare una mezza verità, oppure una bugia o un appassito luogo comune. Charles Bukowski
Carmina I, 9 Orazio Tu vedi come il Soratte si innalzi candido per l'alta neve e come ormai i boschi affaticati non sopportino il peso della neve ed i fiumi si siano congelati per il gelo pungente. Scaccia il freddo ponendo con abbondanza legna sul focolare e con maggior generosità versa, Taliarco, vino di quattro anni dall'anfora sabina: lascia il resto agli dei che, appena hanno abbattuto i venti che combattono sul mare ribollente, nè i cipressi nè i frassini secolari si muovono più. Non ti chiedere cosa accadrà domani e segna a tuo guadagno tutti i giorni che ti darà la sorte e non disprezzare, ragazzo, i dolci amori e le danze, finchè è lontana da te che sei nel fiore l'acida vecchiaia. Ora si ricerchino all'ora stabilita il Campo Marzio, le piazze ed i leggeri sussurri sul far della notte, ora si ricerchino il riso gradito che dall'angolo più riposto rivela la ragazza nascosta ed il pegno strappato da un braccio o da un dito che non fa resistenza.
Tu mira il tremolio sul Bianco e la neve turbinar a valle in fiocchi sfavillanti di luci lontane nel cielo notturno. Senti il vento freddo insinuarsi tra i tronchi della tua casa, smorzato dal caldo ceppo nel camino. nel quale si scalda un dolce vino e pensi che la vita ti ha reso felice pur nel passar inarrestabile delle stagioni dell'esser tuo. Godi dunque dell'attimo e,seppur con nostalgia, non ti angustiar più di tanto. (Giuseppe Rizzi, ode estemporanea ad un amico) 31.01.2012
La vita umana non è altro che una serie di note a pié di pagina, di un immenso, misterioso ed incompiuto capolavoro. Nabokov,Fuoco pallido (1962)
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Ogni uomo mente ma dategli una maschera e sarà sincero.
Oscar Wilde
Ho sognato che camminavo in riva al mare con il mio Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme, le mie e quelle del Signore. Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma, proprio nei giorni più difficili della mia vita. Allora ho detto: «Signore io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?». E Lui mi ha risposto: «Figlio, tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai: i giorni nei quali sei soltanto un’orma sulla sabbia sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio».
Phillips Jonathan In Asia Minore la morte del potente sultano selgiuchide Malikshah creò un vuoto di potere: la conseguenza fu che i crociati non dovettero affrontare una grande potenza internazionale, ma solo principati minori, più preoccuparti a combattersi l'un l'altro che a respingere i cristiani. Ben poco sostegno venne dai vertici dell'islam. Il califfo di Baghdad mostrò scarso interesse a quanto accadeva alla periferia occidentale del suo territorio, ignorando completamente la richiesta d'aiuto. Dati il carattere senza precedenti dell'invasione cristiana, non sorprende che la maggior parte dei musulmani non sia stat in grado di capire che quella in corso era una guerra di colonizzazione religiosa. La interpretò come una delle tante incursioni da parte di Bisanzio e non come una guerra di conquista e di insediamento, e questo equivoco contribuisce a spiegare la mancanza di una resistenza organizzata contro i crociati. Conoscendo le perdite umane cui andarono incontro i crociati, oggi è lecito dubitare che sarebbero riusciti anche solo ad attraversare l'Asia Minore se avessero dovuto affrontare un sovrano temibile come Malikshah.
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La città di Nicea (l'attuale IZNIK), a circa 190 chilometri dalle sponde dell'Asia Minore, fu il primo insediamento ad essere attaccato dai crociati nel giugno 1097...............
Usama fu uno scrittore prolifico e si guadagnò in vita una grande fama di poeta. …. In Le lezioni della vita scrive: “ Lode al Creatore e Artefice di tutte le cose. Se qualcuno deve informarsi su faccende relative ai Franchi, lodi Iddio e lo santifichi perché vede dinanzi a sé degli animali veri e propri che posseggono la virtù del coraggio e l'abilità in guerra: e niente altro. Proprio come gli animali hanno soltanto la forza e la capacità di trasportare pesi”.
Considerati i parametri di base delle crociate, questo tipo di intese sembra impensabile, per lo meno a livello superficiale, ma la realtà del vivere fianco a fianco giorno dopo giorno voleva dire che rapporti amichevoli, sia a livello personale, come nel caso di Usama, che sul piano politico, come in questo esempio, non erano impossibili. Il fervore dei primi crociati che aveva attraversato Gerusalemme a guado nel sangue dei nemici, si era stemperato dinanzi alla banale necessità pratica e all'esiguità numerica dei coloni. Siamo ora diventati orientali … Chi era di Reims o di Chartres è ora cittadino di Antiochia o di Tiro. Abbiamo dimenticato i luoghi in cui siamo nati; molti di noi non li conoscono neppure o non ne abbiamo mai sentito parlare. Alcuni possiedono già case e servi come per diritto naturale o ereditario. Altri hanno preso moglie non solo tra la propria gente, ma tra i siriani, gli armeni o persino tra i saraceni che hanno ricevuto la grazia del battesimo”
Negli ultimi anni pare che Usama venisse emarginato dalla vita di corte e confinato nella sua casa, ridotto a tornare con la memoria alla sua esaltante gioventù e a dolersi del proprio declino. Si rendeva conto che Dio lo aveva risparmiato in innumerevoli occasioni: ora era pronto ad affrontare il proprio destino... a Damasco nel novembre del 1188, infine Usama andò incontro alla propria morte.
A est della Germania c'erano aree abitate da tribù slave pagane genericamente note come Wenden (venedi), che adoravano una pletora di dei presso sorgenti e boschi sacri. Coerenti con i principi alla base della crociate (nota mia: la seconda, quella di Bernardo di Chiaravalle) -combattere contro i nemici della fede- i nobili della Germania settentrionale rifiutarono di partire per la Terra Santa “perché avevano come vicini delle tribù dedite alle oscenità dell'idolatria” (nota mia: nel frattempo in Spagna succedeva la stessa cosa con la Reconquista a danno degli islamici che ormai dominavano da quattro secoli. Si concretizzò la presa di Lisbona).
La seconda crociata nel Baltico. Era la roccaforte di Niklot, capo degli obodriti, ed era difesa da un complesso di
terrapieni e canali, oltre che dal territorio paludoso circostante. Niklot si rivelò un temibile avversario che inflisse seri danni alla flotta danese mentre questa si preparava ad attaccare. Si fece sentire la reciproca mancanza di fiducia tra le forze attaccanti: i sassoni insinuavano che i danesi fossero validi combattenti in patria, ma per nulla bellicosi in terra straniera, mentre i danesi affermavano sprezzanti che dalla Germania si ottenevano soltanto “autocompiacimento e salcicce”. In termini più seri, esisteva un divario tra il tema della “morte o conversione” caro a Bernardo e le aspirazioni degli stessi crociati. Questi ultimi si chiedevano se
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avesse senso uccidere i locali, perché in tal caso non ci sarebbe stato più nessuno da vessare con le tasse o da cui attingere i mezzi di sopravvivenza. La lotta fu senza convinzione e dopo un certo periodo gli slavi acconsentirono a convertirsi al cristianesimo e a liberare i prigionieri danesi. Come osserva uno scrittore locale, tuttavia, il loro fu un falso battesimo e in ogni caso si tennero i prigionieri più validi. Un secondo esercito crociato, di cui facevano parte molti vescovi e nobili della Germania settentrionale, nonché un nutrito contingente polacco, strinse d'assedio Stettino, a nord-est. L'evento si trasformò presto in una farsa quando i difensori esibirono le croci sopra la loro cittadella (erano stati convertiti al cristianesimo una ventina d'anni prima). L'attacco fu frutto di totale ignoranza da parte dei crociati oppure conseguenza del desiderio di conquistare una postazione strategicamente importante, indipendentemente dalla sua fede religiosa. Il clero era riuscito ad impedire che il conflitto divampasse: come precisa un membro della chiesa locale: “se fossero venuti per consolidare la fede cristiana nella Pomerania , avrebbero dovuto farlo con la predicazione dei vescovi, non con le armi”.
La seconda crociata in Spagna del 1147 . Nella Spagna orientale gli interessi del papato, dei genovesi e dei sovrani
locali si combinavano molto più agevolmente e questp fece della crociata iberica un punto di forte convergenza: i genovesi e re Alfonso VII di Castiglia e Leòn avevano stipulato un accordo ufficiale per attaccare la città di Almeria, nel profondo sud della Spagna musulmana. Nello stesso periodo Eugenio aveva promulgato una bolla che invitava alla corciata le popolazioni italiche, incoraggiando anche i genovesi a combattere ad Almeria. E' possibile che il papa fosse venuto a conoscenza della spedizione o che, avendo ricevuto pressioni da parte dei genovesi, decidesse di avallare l'iniziativa come parte di una più ampia campagna di espansione cristiana. Altre fonti riportano che tra i negoziatori inviati per assicurarsi la partecipazione del conte Raimondo Berengario IV di Barcellona c'era anche un vescovo; costui fece pressioni sul conte affinché si unisse agli alleati “per la redenzione delle loro anime”. I partecipanti contavano di poter ottenere i privilegi spirituali promessi a un crociato, come pure ricompense economiche e commerciali oppure proprietà ben distinte dai primi: i genovesi avrebbero ottenuto un terzo della città, il re i due terzi. Anche Raimondo stipulò accordi con gli italiani praticamente negli stessi termini per prendere d'assedio Tortosa l'anno successivo. I vescovi spagnoli esortarono il loro popolo ad unirsi alla crociata e “ad andare in battaglia con coraggio e fermezza”, per ottenere il perdono dei loro peccati e “con la vittoria, avere tutto l'oro che i musulmani possedevano. A Bernardo di Chiaravalle una promessa esplicita di guadagno economico sarebbe parsa ignominiosa, ma in questo contesto rappresentava un certo riconoscimento delle motivazioni da cui erano mossi i crociati iberici. Verso la fine dell'estate 1147 una flotta di sessantatre galere e 163 navi di altro tipo salparono da Genova e a ottobre incominciarono ad attaccare la città dal mare. ….............
E' probabile che nell'anno cui seguì la sua incoronazione la lebbra che affliggeva il re (Baldovino IV) sia divenuta manifesta, il che rendeva improrogabile la necessità di trovare un marito a Sibilla. Guglielmo Lungaspada, marchese del Monferrato, sembrava essere il candidato ideale. Era imparentato con le famiglie reali di Francia e di Germania e in teoria era in gradi di rappresentare gli interessi di Gerusalemme ai massimi livelli. Giunse in Levante nel novembre del 1176; nel giro di poche settimane Sibilla era già incinta, ma nel maggio del 1177, Guglielmo si ammalò e morì due mesi dopo, riaprendo la questione della reggenza (nota mia: intorno al Mille, in seguito alle varie e ripetute invasioni dei Saraceni l'Impero Romano che sedeva in Germania, affidò ai Vasto (poi ai vari Del Carretto, ect) tutto il territorio della destra orografica del fiume Tanaro mentre la riva opposta ai Monferrato. Un'altra parte , cioé il torinese, ma allora Torino non aveva rilievo alcuno agli Aleramici che però, per mancanza di eredi, conversero sul Monferrato. Questi Marchesi figureranno ancora nelle varie vicende del Levante ).
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Gli ultimi decenni del XII secolo videro l'emergere di nuove e attraenti forme di spiritualità in tutta l'Europa occidentale. La fiorente economia aveva consentito una diffusa urbanizzazione e la possibilità di un notevole arricchimento individuale, ma la prosperità finanziaria era in stridente contrasto con la crescente attrazione esercitata da forme di vita semplice e pura, forgiate sul modello della povertà apostolica. Nello stesso tempo un crescente numero di laici incominciava ad interrogarsi apertamente sia sulla ricchezza della Chiesa che sulla qualità morali di alcuni membri del clero. Personaggi come Valdo di Lione rinunciarono ad uno stile di vita agiato per seguire un approccio più spirituale. Il suo appello all'austerità fece molti proseliti. Malgrado le sue esplicite critiche alla Chiesa, Valdo era sostanzialmente vicino al cattolicesimo ortodosso, anche se le sue richieste di predicare in pubblico furono respinte dal papato, ansioso di mantenere l'esclusiva di quella che considerava l'interpretazione autentica dei Vangeli. Verso la metà del secolo cominciò tuttavia ad affiorare un'altra tendenza religiosa: il catarismo (dal greco chataros, puro), un complesso di idee radicali che costituì una serissima sfida al potere della chiesa cattolica. Per combattere contro questa minaccia, papa Innocenzo lanciò la crociata albigese, un conflitto che portò gli orrori della guerra santa nel cuore del cristianesimo e generò livelli di atrocità cui l'Europa non aveva più assistito dopo le invasioni barbariche. Come deplora un autore coevo, l'appello alla crociata fu “ una decisione che provocò tanto dolore, che lasciò sul terreno tanti cadaveri con le viscere esposte e tante grandi dame e graziose fanciulle nude e al freddo, private delle vesti e dei mantelli. Da oltre Montpellier fino a Bordeaux, tutti coloro che si ribellavano venivano annientati” Due sono i motivi alla base del pericolo rappresentato dall'eresia catara per la Chiesa: l'ampiezza e la diffusione dell'appello ed il fatto che non si basava su un unico capo carismatico, ma su una gerarchia consolidata. La professione di fede catara poggiava essenzialmente su una visione dualistica, secondo la quale un Dio buono aveva creato tutte le cose spirituali, compresa l'anima umana e un Dio cattivo (Satana) era responsabile dell'esistenza delle cose materiali e corporali. Cristo era venuto sulla terra, ma di umano aveva assunto la semplice sembianza, senza entrare realmente in un corpo fisico. Cristo aveva comunicato ai catari come raggiungere la salvezza attraverso il battesimo dello spirito, un rito noto come consolidamentum, che poteva essere amministrato soltanto da una élite spirituale, i perfecti. Questi uomini, ma anche donne, il che rappresentava una novità di cruciale importanza, rinunciavano ad ogni forma di proprietà, facevano voto di non uccidere né esseri umani né animali a sangue caldo,, di non consumare il frutto dei rapporti sessuali come la carne, il formaggio, le uova e il latte, di non mentire e di astenersi completamente dal sesso, che era lo strumento della procreazione fisica e rappresentava il male per definizione. La maggior parte dei catari si scontrava con il rigore e con l'impraticabilità di queste regole e seguiva piuttosto una vita il più possibile modesta e frugale. Rifiutavano l'Antico Testamento, l'eucarestia, il battesimo e, quando erano prossimi alla morte, accettavano solo il consolamentum, portatore della salvezza. Il concetto che una donna potesse essere ordinata sacerdote era inconcepibile per la Chiesa cattolica, ma proprio perché alla spiritualità femminile erano lasciati pochi sblocchi, costituì il punto di forza e l'attrattiva di nuova fede. I principi base del catarismo erano semplici: i perfecti conducevano una vita autenticamente pura, soprattutto se la si paragonava alla venalità della gerarchia ufficiale coeva. I signori locali fecero ben poco per allontanare i nuovi venuti ed alcuni accolsero con favore il rigore spirituale di cui si facevano portavoce (nota mia: nello stesso periodo nasceva e si sviluppava il fenomeno dei menestrelli e della canzone popolare che, contrariamente a quanto succede oggi, aveva ben altra valenza. Vedasi, uno per tutti, l'attrazione esercitata su Dante che per lungo tempo fu perplesso sull'uso della nuova lingua italiana contrapposta al provenzale). Il catarismo ebbe origine nell' Europa sud occidentale e comparve per la
prima volta in Occidente verso il 1140, a Colonia e nel sud della Francia, probabilmente attraverso i crociati che ritornavano in patria ed anche tramite i mercanti. Un altro gruppo fece la sua comparsa ad Oxford nel 1166, ma il re Enrico II ordinò tempestivamente l'incarcerazione dei tranta individui coinvolti. La punizione fu immediata e severa: vennero marchiati sulla fronte, denudati sino alla cintola, frustrati e condotti fuori cittò, dove vennero lasciati morire nel gel invernale: della setta non ci fu più traccia sul suolo inglese. Ma altrove comunità catare prosperarono ed il papato, in occasione del concilio Lateranense, si vide costretto ad emanare un editto formale, il canone 27, per poter metter fuori legge gli eretici: “poiché la ripugnante eresia di coloro che alcuni chiamano catari (…) si è sviluppata al punto che non praticano più le loro malvagità in segreto, come fanno altri, ma proclamano il loro errore pubblicamente e incoraggiano i deboli ed i semplici a unirsi a loro, dichiariamo che essi, i loro difensori e chiunque li accolga, sono sotto anatema (…) quindi per loro non sarà officiata la messa, e non
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riceveranno sepoltura fra i cristiani. (...) Concediamo ai cristiani che prenderanno le armi contro di essi una remissione di due anni della penitenza imposta loro”. …... La situazione precipitò con l'uccisione di un legato papale, Pietro di Castelnau, nel gennaio del 1208. Pietro aveva passato mesi a cercare di riportare gli eretici all'obbedienza e nel corso di uno di questi viaggi mentre aspettava il traghetto per attraversare il Rodano, fu mortalmente pugnalato alle spalle da uno dei vassalli del conte Raimondo (di Tolosa). Quando la notisia giunse a Roma, papa Innocenzo andò su tutte le furie; accese una candela e, a nome di san Pietro, la scaraventò a terra e maledisse l'assassino. ...Erano dolorosamente consci del fatto che i cattolici quelli sospettati di difendere gli infedeli, si mescolavano agli eretici. “Cosa dobbiamo fare, signore?” chiesero all'abate Arnaldo Amalrico. Forse alcuni dei catari fingevano di essere cattolici per evitare la morte e per continuare a diffondere il contagio dell'eresia una volta partiti i crociati? L'abate fu irremovibile; bisognava dare un esempio a tutti i nemici della Chiesa. Con calma pronunciò una delle frasi più raccapriccianti della storia dell' Europa medievale, parole che segnarono il destino di migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini innocenti: “Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi”. Con questo ordine categorico ebbe inizio il massacro. I ribauds e cavalieri si misero all'opera con un entusiasmo che parve agghiacciante agli occhi di un lettore moderno e ben presto le grida laceranti dei moribondi ferirono le orecchie di tutti coloro che si trovavano nella cattedrale. (ciò avvenne a Béziers).
...Per far convergere sulla crociata l'attenzione spirituale di tutta la Chiesa Cattolica, Innocenzo organizzò poi il IV Concilio Lateranense, un evento annunciato da anni, che gli fornì il palcoscenico dal quale rivolgersi alla più folta platea di governanti religiosi e laici di tutto il periodo medievale. La cerimonia pubblica più impressionante ebbe luogo per parecchi giorni di seguito nel novembre 1215: più di 400 vescovi, arcivescovi, patriarchi e cardinali numerosi rappresentanti dei capitoli delle cattedrali e dei monasteri, nonché le ambascerie dei sovrani di Francia, Germania, Ungheria, Gerusalemme, Cipro e Aragona, oltre al conte Raimondo IV di Tolosa (desiderosi di difendersi dall'accusa di eresia), si riunirono per ascoltare Innocenzo enunciare la sua concezione di fedele. Fu una stupefacente esposizione del potere papale e senza dubbio segnò l'apogeo del pontificato di Innocenzo, e forse di tutti i papi medievali. La nuova crociata fu la questione più dibattuta e Innocenzo aggiunse alla propaganda del Quia major il decreto che ingiungeva al clero di destinare alla campagna un ventesimo del proprio reddito annuale, una misura che fu molto impopolare tra i religiosi, ma un modo per dimostrare ai laici che la Chiesa (con le sue evidenti ricchezze) sosteneva realmente la spedizione. Il papa promise che egli stesso ed i cardinali avrebbero fatto una donazione ancora maggiore: un decimo del loro reddito; ordinò anche alle autorità secolari di proibire agli ebrei di gravare di interessi i prestiti ai crociati.
...Le divisioni religiose suscitarono un'altra notevole ondata di fervore crociato all'interno dell'Europa, a cui però si sovrappose l'ascesa dei nazionalismi. La prima grande crociata contro l'eresia, dopo quella contro gli Albigesi del 1209, fu diretta contro i sostenitori di Giovanni Hus, un docente radicale dell'Università di Praga. Hus criticava aspramente i vizi del clero, pretendendo che quest'ultimo seguisse l'esempio della Bibbia e nient'altro. Rifiutò anche diverse indulgenze papali ed affermò che i laici potevano ricevere pane e vino nell'Eucarestia e non il solo pane. La monarchia boema rinnegò la promessa di un salvacondotto, lasciando che Hus venisse messo al rogo il 6 luglio 1415. I suoi seguaci, molti dei quali erano membri della nobiltà (una analogia con la situazione in Languedoca 200 anni prima), scesero in guerra e ne seguì un periodo di diffuso malessere sociale. Il re di Boemia fu (temporaneamente) deposto ed il papato autorizzò una serie di crociate nel 1420-22, malgrado l'innegabile aspetto nazionalistico: gli hussiti rappresentavano l'identità ceca in conflitto con gli alleati prevalentemente tedeschi della corona.
Jonathan Phillips, Sacri guerrieri, ed. Laterza, 2011 (davvero bello questo testo. In primis perché l'Autore non appartiene alla “scuola” francese o italiana che se la canta e se la suona con intenti auto-celebrativi e poi perchè c'è una dovizia notevole di
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citazioni di testi e di documenti dell'area islamica. L'apparato delle note è davvero notevole. Nei nostri testi sono rare e lacunose le citazioni circa la crociata contro gli Albigesi, quelle contro i paesi baltici , contro l'islam in Spagna e contro Hus. Ma anche l'apparato è disposto in modo radicalmente diverso sfatando i molti luoghi comuni che sono stato abituato a leggere: l'inizio delle crociate è senz'altro da attribuire ad un notevole incremento demografico intorno all'anno Mille, alla necessità di togliersi dai piedi tutti quei sfaccendati signorotti che vivevano di oltraggi, rapine, dazi e vessazioni. Ma qui viene affermata la dovizia degli aspetti contestuali di carattere meramente economico rappresentato dalle repubbliche marinare italiane, spesso, anzi sempre conflittuali fra di loro, le enormi ricchezze acquisite o rapinate, l'inizio del rinascimento e, soprattutto, la fine delle crociate quando è intervenuta la scissione luterana. Davvero bello e lodevole).
La predizione è molto ardua, soprattutto se riguarda il futuro: così rispose il grande fisico Niel Bohr, Nobel 1922, al giornalista che lo interrogava sul grado di attendibilità delle previsioni scientifiche. Un'ironia che rivela una rara dote: l'umiltà e la serietà irreperibili in molti, non solo scienziati, che pontificano certi della verità oracolare del loro sapere. Galileo era convinto che i più intelligenti riuscissero solo a cogliere una particella della realtà e Newton si rappresentava come un bambino che gioca con le conchiglie sulla spiaggia davanti all'ignota immensità dell'oceano. E allora, che cosa dire del fatto che anche giornali paludati ospitino senza batter ciglio cialtronerie come gli oroscopi? Stando a Cicerone, Catone “si stupiva che un indovino, quando vedeva un collega, non scoppiasse a ridere” Gianfranco Ravasi, Breviario, Ilsole24ore 25 marzo 2012
Fabiola Gianotti, capo di Atlas, ha raccontato della sua scelta di vita (nel corso di un convegno a Palermo il 23 marzo 2012). Decise di studiare fisica quando scoprì di essere una persona curiosa che non si accontentava di risposte prefabbricate. “La differenza tra noi e altri -ha aggiunto Guido Tonelli- può essere questa: noi abbiamo una idea più precisa dell'immenso universo di ignoranza che ci sta davanti-.
Dovendo spiegare a un liceale un passo aristotelico, mi viene da pensare con gratitudine all'arabo Ibn Rushd, noto come Averroé, che Dante pone tra “gli spiriti magni” per il suo “gran comento”. Averroé è colui che con i suoi “Commentari” ha salvato e diffuso, e non solo, nella seconda metà del 1100 le opere di Aristotele; ha in altri termini fatto sì che la colonna portante del pensiero occidentale continuasse a svolgere la sua funzione. Pagando, oltretutto, un alto prezzo: il re Almansur, che prima l'aveva protetto, lo perseguitò e lo esiliò accusandolo di eterossia. Sarebbe utile che ogni tanto qualcuno facesse un pensierino su questa vicenda: soprattutto gli occidentali antiarabi e gli arabi antioccidentali. Andrea Camilleri, Posacenere, Ilsole24ore del 11 marzo 2012
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Mettere l'ordine al posto del caos; separare l'attività produttiva dall'attività speculativa; chiudere la bisca della finanza, in modo che siano i giocatori e non noi a pagare le perdite sulle puntate; ristabilire il primato delle regole; pensare a investimenti pubblici in beni di interesse collettivo. Solo così, mettendo la ragione al posto dello spread, l'uomo al posto del lupo, il pane al posto delle pietre, si può uscire da questo mostruoso videogame in cui siamo entrati senza capirlo e senza volerlo. In questo libro c'è la traccia per arrivare insieme all'uscita di sicurezza.
... Shimon Peres ha affermato: -Sapete come convive il lupo con l'agnello? Cambi l'agnello tutti i giorni-
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...Il nuovo mercato finanziario si presenta come il centro della vita umana..... Entità metafisica e oracolare, sacerdotale e misteriosa, autistica e matematica … è capace di giudicarci, salvarci, dannarci, popoli e persone insieme. Giulio Tremonti, Uscita di sicurezza, ed Rizzoli 2012 (che un becero personaggio come l'Autore possa pontificare e sparare belinate come quelle riportate dopo che per anni ha diretto e pervertito le sorti economiche del Paese, con una superbia, una saccenza, un ostinato mutismo che nascondeva il nulla; dopo aver tenuto il sacco al suo Dominus permettendogli di buttarci dentro ogni e qualsivoglia nequizia di carattere giuridico , puttanesco e mercantile con lo sprezzo più assoluto per l'etica e la comune morale... bisogna davvero essere dotati di una faccia tosta incredibile. E poi i Grillo raccolgono seguaci al loro progetto disfattistico... A Tremonti si addice quanto recentemente è stato detto per Eugenio Scalfari e cioé che porta alta la testa come il Santissimo alla processione del Corpus Domini. Poveri imbecilli privati del senso storico della realtà) (non vado oltre ad evitare di rovinarmi il fegato).
….Avevamo abbracciato una visione darwiniana allo stato puro, al massimo grado di integralismo: il più forte vince sul più debole e perpetua la specie. Migliorandola, com'è ovvio. “Fondamentalismo del mercato” l'ha chiamata un economista famoso, Joseph Stiglitz: un tipo curioso che dopo aver fatto capo economista alla Banca Mondiale dal 1977 al 99, mettendosi in tasca una barca di soldi, e aver visto da vicino come andava il mondo, aveva deciso di voltare le spalle al Sistema, e di diventare un liberal a 24carati, di quelli che, per l'appunto, piacciono ai fottuti no global. ...E poi non possiamo non dirci calvinisti, no? Gli americani sono o non sono figli di una cultura protestante? Ce lo ricordiamo o no quello spettacolare insegnamento di quel professore tedesco, tal Max Weber? Affermarsi nel lavoro e nella vita è un segno di predestinazione. La grazia di Dio è con voi, e con la vostra ricchezza. E se qualcuno rimane a terra e deve dormire sotto i cartoni, bé, vorrà dire che non era abbastanza capace e dovrà prenderne atto e pagarne le conseguenze. Perché nell'esistenza nulla è gratuito, non ci sono pasti gratis, e tutto si paga, e salato, laddove regnano le leggi del Grande Sistema basato sul capitalismo.
… La “strisciante” conquista del potere negli Stati Uniti, che ha dato il via ad una nuova stagione politica e culturale, si fonda su quelle che un intellettuale petulante, una vedette del no-global, l'insopportabile Susan George, chiama le 4M ….. comunque sia, per una volta la Signora George sembra averci azzeccato con le 4M : MONEY, MEDIA, MARKETING, MANAGEMENT sono stati gli architravi del colpo di Stato morbido attuato dalla destra. ...Noi siamo una grande democrazia e una grande nazione televisiva. Un dato di fatto che in buona parte, abbiamo creato ed alimentato, come previsto dal Piano esportando tale modello di regime televisivo agli altri Paesi dell'Occidente sottoposti alla nostra influenza. E, in definitiva, imponendolo al mondo intero. ...Schermo, schermo delle mie brame. La TV è stata fondamentale per il Piano, come è stato evidente anche nei nostri Paesi satellite, dall'Italia, dove a comandare direttamente è un tycoon televisivo (è una situazione un po' africana quella, ma del resto quello è un Paese con molte caratteristiche terzo-mondiali e non si può andare per il sottile con troppi distinguo da canoni del perfetto liberalismo), alla Francia, dove Sarkozy, il presidente più vicino al modello americano della storia di quel Paese, gode ottime entrature nel sistema mediatico. … L'opinione pubblica di orienta, dunque, in tanti modi. Il vincente ha ragione, è una legge di natura assolutamente evidente che il consesso umano ha per lungo tempo negletto e non compreso. Grazie al Piano questo concetto elementare è tornato in auge. La norma, ovviamente, si applica anche nel campo della cultura, alta o bassa, quella per le élite o quella per le masse. A dettar legge, a fare tendenza sono anche i libri più venduti, quelli che capeggiano le liste dei bestseller: il numero elevato di copie vendute ne certifica il successo e, di conseguenza, nel senso comune, la qualità. Ecco perché le fondazioni della destra, non appena esce qualche testo dei nostri, ne comprano alcune migliaia di copie per farlo entrare nelle classifiche pubblicate dai quotidiani. ...Il Piano, fondato su un'analisi rigorosa, aveva infine individuato un ulteriore ambito, molto promettente, di intervento. Nientemeno che IL POTERE DI DIO. Proprio così, la religione, la fede, il credo, la cristianità. Gli americani, sin dalle origini, sono una nazione di fedeli. Il credere fa parte del nostro background in maniera molto superiore e, anzi, incomparabile con le abitudini degli europei, sempre più marcatamente secolarizzati a partire dagli anni Sessanta..... Gente capitanata da predicatori ultrà come Jerry Falwell (portatore di un programma politico teocratico) o dai telepredicatori come Pat Robertson (quanto importante è la magica scatola televisiva per vincere l'egemonia culturale) e
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dai loro eredi che, stufatisi di vedere la propria fede dileggiuata e messa sotto continuo attacco, si è opportunamente articolata in lobby come la Moral Majority, la National Christian Action Coalition, Focus on the Family, Concerned Women of America. Vale a dire dei gruppi di pressione, come avviene normalmente nell'ambito nella vita economica e nelle dinamiche del mondo industriale, in grado di orientare il voto su candidati affini alle loro idee o pronti a difenderle al Congresso. ...Le acute conclusioni di quello studio (Samuel Huntington, Michel Crozier e Joii Watanuki), che i promotori del Piano analizzarono con attenzione, erano molto chiare. Ci voleva meno democrazia per governare le città dell'Occidente percorse da ingenti tensioni sociali, colpite a morte dalla stagflazione e prossime a trasformarsi in post-industriali. Nel 1976 assunse la presidenza David Rockfeller.... Il Gruppo Bildeberger non ha ovviamente natura pubblica ma organizza una conferenza annuale, non ufficiale, a inviti, dove la parte del leone la giocano chiaramente i componenti americani. Al Forum di Davos spetta poi il compito di divulgare ad uso delle masse alcune delle decisioni prese. ...L'ideologia del pensiero unico si è così diffusa a macchia d'olio, e negli anni Novanta era stata digerita e fatta integralmente propria da schiere di funzionari del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, della Banca Europea per lo Sviluppo e del WTO. Solo l' ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha continuato a rompere un po i coglioni con la sua difesa ad oltranza del salario minimo contrattuale per i lavoratori, ma nel frattempo accettava di buon grado l'idea della liberalizzazione degli scambi come sola opportunità di produzione di ricchezza. Se non si produce ricchezza come si fa a redistribuirla? E' un assunto talmente evidente che solo degli idioti utopisti o comunisti possono pensare di dire che non è così.
….Sono classe dirigente, per l'appunto élite, a cui la rivoluzione ideologica proposta dal Piano si confà perfettamente. E poi, diciamocelo, una settimana di hotel a cinque stelle nella capitale di uno degli Stati in cui intervenire per risollevarne l'economia, tra piscine, squillo d'alto bordo e agi di ogniu genere in cambio di qualche ora passata a revisionare u n po di bilanci e carte dei ministeri economici è uno sforzo ampiamente sostenibile, no? Anziché perdere tempo a proporre ricette “personalizzate” e ad hoc per l'economia locale, si squaderna una ricetta unica, v alida dal Burkina Faso alla Francia, dall'Islanda al Perù, e il gioco è fatto.. ...Nel 1990 l' OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) già guidava questa battaglia e i suoi esperti stilavano il Rapporto sul contenimento delle spese pubbliche e delle prestazioni sociali degli Stati membri, che conteneva le seguenti raccomandazioni: --soppressione del salario minimo garantito --diminuzione dei tempi di durata della cassa integrazione --sostituzione dei contratti collettivi con contratti individuali delle singole imprese --incremento delle fasce salariali a favore degli stipendi più elevati --ridimensionamento delle spese per le prestazioni sociali. ...LA GUERRA E' UNA MANNA perché gonfia il deficit di bilancio e consente di motivare tagli sempre più sostanziosi delle spese sociali. Lo Stato dev'essere minimo, come teorizzavano già i grandi liberali, illustri antenati delle idee del Piano e deve occuparsi esclusivamente di quanto non fanno i privati: amministrare la giustizia e reprimere, assicurare l'ordine interno e difendere il suolo nazionale
…Ogni rivoluzione ha una sua avanguardia, e la rivoluzione dei supply-side trovò la propria nei proprietari di case della California, il ceto affluente che ne aveva piene le palle della combinazioni delle imposte statali sul reddito e tasse fondiarie che gravano sulle abitazioni....i congiurati si avvalsero in modo strumentale delle classi medie e delle loro insicurezze scatenandole ed incitandole alla rivolta fiscale, e da loro arrivò la messe di voti che permise al Piano di portare “Ronnie” Reagan, con i suoi yuppies, alla Presidenza. ...Sarà stata l'ebbrezza della vittoria o l'eccesso di self confidence oppure anche la sensazione di totale e assoluta impunità. Abbiamo incominciato con la guerra in Iraq, che si è tradotta in un clamoroso insuccesso, un'infinità di morti nella popolazione locale e un pantano, stile Vietnam, per i nostro soldati. … Ma ancora più devastante per i nostri connazionali, perché tocca direttamente le loro tasche, è esplosa la bolla dei cosiddetti mutui subprime... Tutta questa
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disponibilità di denaro, doveva, quindi, venire indirizzata verso una destinazione redditizia. E così si sono formate le varie bolle, che hanno arricchito alla grande i possessori del denaro, fino all'esplosione finale. Prima il denaro è arrivato copioso sulle aziende high tech della new economy, anche se erano scatole vuote e non producevano nulla, tanto l'importante era far impennare il valore azionario e ridistribuire i dividendi. Dopo, conclusasi con un crack quella fase, il denaro è stato riversato su qualcosa di molto più tradizionale ed all'apparenza solido: il mattone e il mercato immobiliare. … Quella di concedere tonnellate di mutui per la casa anche a gente dalla scarsa solvibilità, che difficilmente poteva garantire la restituzione del prestito: abitanti dei ghetti, lavoratori poveri, gente che arrivò a pensare che le banche stessero regalando loro, a fondo perduto, case e carte di credito. Poveracci e sciocchi, insomma, un altro binomio tipico della classe inferiore. … Questi istituti, a loro volta, hanno spezzettato i “titoli tossici” ad altissimo rischio in una pletore di strumenti finanziari, nascondendoli in mezzo ad altri titoli sani. E poi li hanno venduti ad altri istituti ancora che, a loro volta, li hanno rivenduti. ...Io ero un Managing Director di Lehman Brothers, responsabile per il settore strategico dei mutui. … Il mio istituto ha chiuso ed è stato assorbito dalla Barclay, ed io e qualcun altro siamo stati sacrificati sull'altare dell'opinione pubblica e il procuratore generale ci ha spediti qua dentro.
Agente Americano, Il romanzo della crisi, Aliberti ed., 2010 (davvero strano questo piccolo libro: puzza di falso e di subdola montatura ma qualcosa di vero ci sarà pure. Parla con una sfrontatezza nuda ed orribile di come è organizzata la struttura monetaria ed economica a livello globale e specifica bene quali siano gli obiettivi prefissati ed i mezzi con i quali si cerca di destabilizzare l'Occidente , coinvolgendo, perché no? , anche le altre economie nuove e, quindi sprovvedute. Troppo duro e crudo per essere creduto, ma tant'è. Se mai fosse vero anche solo al dieci per cento la domanda che mi pongo è: cosa ci stiamo a fare noi qui? A pettinare le bambole?).
LETTERA A MENECEO. Epicuro saluta Meneceo. (122) Non aspetti il giovane a filosofare, né il vecchio di filosofare si stanchi: nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell'anima. Chi dice che non è ancora giunta di filosofare o che è già trascorsa, è come se dicesse che non è ancora o non è più l'età per essere felici. Cosicché devono filosofare sia il giovane, sia il vecchio: questo perché invecchiando rimanga giovane nei beni, per il ricordo gradito del passato; quello perché sia insieme giovane e vecchio, per l'assenza di timore di fronte al futuro: bisogna quindi esercitare ciò che procura la felicità, perché, se abbiamo questa, abbiamo tutto, ma, se manca, facciamo di tutto per averla. (123) I precetti che ti ho continuamente raccomandato mettili in pratica ed esercitali, ritenendoli il principio fondamentale di una vita felice. ...(125) Ma la gente ora fugge la morte come il più grande dei mali, ora la cerca, come la fine di tutti i mali. (il saggio invece, non rifiuta la vita). (126) né teme l'assenza di vita: perché non si oppone alla vita e non titiene male il non vivere più. E come cerca non il cibo più abbondante, ma quello più gradevole, così gode non del tempo più lungo, ma di quello più dolce. Chi invita il giovane a vivere bene e il vecchio a morire bene è stolto non soltanto per ciò che di piacevole v'è nella vita, ma anche perché l'esercizio del vivere bene e del morire bene è il medesimo. Ancor peggio chi dice: bello non esser nato, ma, una volta nato, presto varcare le soglie dell'Ade. (127) Se infatti è davvero convinto di quello che dice, perché non abbandona la vita? Giacché questo è nel suo pieno potere, se così salda è per lui questa opinione; ma se scherza, è stolto a farlo in questioni che non lo richiedono. Si deve poi ricordare che il futuro non è del tutto nostro, né del tutto non nostro, perché n on ci illudiamo come se assolutamente si dovesse avverare, né perdiamo la speranza, come non si dovesse avverare affatto. ...(131) L'abituarsi dunque ad un cibo semplice e non ricco da un canto dà salute, dall'altro rende l'uomo sollecito verso le esigenze necessarie della vita; e quando di tanto in tanto ci accostiamo a vita sontuosa, ci dispone meglio nei suoi confronti e ci rende privi di timore verso la sorte. Quando dunque diciamo che il piacere è un bene completo, non
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alludiamo ai piaceri dei dissoluti o a quelli dell'ebbrezza, come pensano alcuni che non conoscono o non condividono o interpretano male il nostro insegnamento, ma al non avere dolore nel corpo né turbamento nell'anima. (132) Perché non bevute o banchetti continui, né il godersi fanciulli, donne e pesci e quant'altro offre una lauta mensa genera una vita felice, ma un sobrio calcolo che esamini le motivazioni di ogni scelta e rifiuto e recisamente respinga le false opinioni, da cui deriva il maggior turbamento che prende le anime. Di tutte queste cose il principio ed il massimo bene è la prudenza. Per questo la prudenza è anche più pregevole della filosofia, e da essa hanno origine anche tutte le altre virtù, perché insegna come non è possibile una vita felice che non sia vita saggia, bella e giusta. Le virtù sono infatti connaturate alla vita felice e la vita felice è da essa inseparabile. Epicuro, Lettera a Meneceo, ed. BUR, 2012 (ho voluto riportare questi passi di Epicuro (341-270 a.C.) tanto così per smentire la cattiva stampa che si era fatto. Contemporaneo di Democrito ebbe una vita tormentata e fuggiasca).
URNA SEPOLCRALE
PREMESSE:
--per dare degna sepoltura alle Persone care si fa uso di una bara di legno che viene messa a dimora quasi-definitiva: a) sotto terra in appositi campi (durata di circa 30 anni) b) in un manufatto cementizio sottostante ad una piattaforma che costituisce una “tomba di famiglia” (durata della sistemazione non meno di 20 anni quando, alla bisogna, i resti vengono rimossi) c) spazi aerei comuni, previo zincatura integrale all'interno della bara lignea, in luoghi detti “colombari” costituiti da una struttura in laterizi o in c.a. , sigillati da una parete in mattoni e da lastra marmorea (durata della locazione non meno di 20 anni) 108
d) vaso in terracotta contenente le ceneri conseguenti alla “cremazione” del Defunto. --nelle prime tre fattispecie esaminate le Spoglie ad una certa scadenza vengono rimosse e riposte in “ossari”comuni contravvenendo al diritto naturale ed all'etica che prescrive rispetto per il Defunto. 1
--in tutti i casi il costo dell'Onoranza Funebre è davvero gravoso stante : e) il costo del manufatto ligneo cioè della bara
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f) costo della costruzione o dell'affitto del monumento funebre o della “colombaia”. PROPOSTA: URNA SEPOLCRALE: g) si predisponga un manufatto in c.a. precompresso di buona fattura architettonica costituito da un “sacello” di opportune dimensioni con una copertura prefabbricata a forte evidenza trapezoidale onde permettere una sigillazione definitiva e perpetua con malta cementizia e successivo strato di silicone per perfezionare la tenuta stagna. h) l' URNA sarà strutturalmente “portante” tale da permettere una impilazione senza ulteriori supporti tecnici. i) l' URNA avrà incisa in modo indelebile una sigla alfanumerica (su tutti i lati) onde permettere una individuazione inequivocabile. l) per la messa a dimora definitiva e perenne:l1) in una fossa scavata nella terra con possibilità di sovrapporre altre 3-4 URNE; a filo campagna saranno poste le lapidi-ricordo l2) sul piano campagna su una piattaforma costituente la “tomba di Famiglia” più URNE sovrapposte o allineate (la lapide marmorea sarà affissa sul frontespizio o sul lato lungo) l3) in un monumento collettivo basato su due travi stabilizzanti e conseguente posa delle URNE allineate e sovrapposte nei più svariati motivi architettonici.
MODALITA' della SEPOLTURA
1. la Salma dell'Estinto sarà sistemata nell'Obitorio in una bara di legno dentro un opportuno
sacco aperto (rinforzato alla base da una struttura rigida in materiale plastico o ligneo), il sacco sarà sigillato a norma delle disposizioni di legge. La bara sarà condotta in chiesa o nel luogo della commemorazione e quindi trasportata al Cimitero dove, alla presenza dell'Ufficiale di Polizia Mortuaria, il sacco sarà immesso nell' URNA che sarà opportunamente definitivamente chiusa . L' URNA sarà già sistemata nella collocazione definitiva ovvero ivi trasportata al termine del rito con opportuni mezzi meccanici. 3
VANTAGGI dell' URNA SEPOLCRALE 109
n) costo dell'intero ciclo sepolcrale ridotto a un decimo, o forse più. o) sistemazione perenne e definitiva delle Spoglie p) si evita la manomissione o la criminale rimozione delle Spoglie. q) conferisce DIGNITA' perenne e definitiva alle Spoglie r) in caso di disastri naturali o di forte morìa collettiva permette, previa identificazione del Defunto, una rapida e degna Sepoltura definitiva con sollievo anche degli aspetti sanitari connessi. s) per realizzare tutto ciò occorre lo studio di dispositivi “in deroga” al disposto della Legge e, soprattutto, indurre le Amministrazioni Comunali a cambiare l'approccio al problema: ma la dimostrazione dei benefici economici del privato cittadino e del Comune sarà vincente.
Ad integrazione storica del Progetto URNA SEPOLCRALE si visiti su internet: --St Denis, Paris ove giacciono i sarcofagi di 17 Re di Francia (con rispettive mogli e, in un caso, con il cagnolino) --Sacrestia del Duomo di Lucca, monumento funebre di Ilaria del Carretto. --Sepoltura del Re Hiram a Tiro. --Alcune centinaia di pubblicazioni concernenti la Sepoltura, in una cappella laterale della chiesa, di Spoglie immesse da una botola in un vano sottostante comune: ciò a tutto l' 800, nonostante il Codice Napoleonico in vigore dal 1803.
Borgo San Dalmazzo 3 aprile 2mila13
Cantares... Antonio Machado
Todo pasa y todo queda, pero lo nuestro es pasar, pasar haciendo caminos, caminos sobre el mar.
Tutto passa e tutto rimane però il nostro è passare, passerà facendo cammini cammini sopra il mare.
Nunca perseguí la gloria, ni dejar en la memoria de los hombres mi canción; yo amo los mundos sutiles, ingrávidos y gentiles, como pompas de jabón.
Mai ho cercato la gloria, né di lasciare il mio canto alla memoria degli uomini; io amo i mondi delicati, lievi e gentili come bolle di sapone.
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Me gusta verlos pintarse de sol y grana, volar bajo el cielo azul, temblar súbitamente y quebrarse.
Mi piace vederle quando si colorano di giallo e carminio, volare sotto il cielo azzurro, tremare d'improvviso e poi scoppiare.
Nunca perseguí la gloria.
Mai ho cercato la gloria.
Caminante son tus huellas el camino y nada más; caminante, no hay camino se hace camino al andar.
Viandante sono le tue impronte la via e nulla più: Viandante non c'e un cammino si fa il cammino camminando.
Al andar se hace camino y al volver la vista atrás se ve la senda que nunca se ha de volver a pisar.
Camminando si fa il cammino e voltando indietro lo sguardo si vede il sentiero che mai si tornerà a calcare.
Caminante no hay camino sino estelas en la mar...
Viandante non c'è una via ma scia sul mare ...
Hace algún tiempo en ese lugar donde hoy los bosques se visten de espinos se oyó la voz de un poeta gritar "Caminante no hay camino, se hace camino al andar..."
Qualche tempo fa in questo luogo dove oggi i boschi si vestono di spine si sentì la voce di un poeta gridare "Viandante non c'è cammino la via si fa con l'andare..."
Golpe a golpe, verso a verso...
Colpo dopo colpo, verso dopo verso
– 14 Luglio-- Festa della Repubblica. Ho passeggiato nelle strade. I petardi e le bandiere mi divertivano come un bambino. Eppure è decisamente stupido essere allegri, a date fisse, per decreto del governo. Il popolo è un branco di idioti, ora stupidamente paziente ora ferocemente ribelle. Gli viene detto: -Divertiti!- E si diverte. Gli viene detto: -Vai a combattere”. E va a combattere. Gli viene detto:-Vota per l'Imperatore-. E lui voto per l'Imperatore. Poi gli viene detto: -Vota per la Repubblica!- E lui vota per la Repubblica. Quelli che lo comandano non sono meno stupidi: solo che, invece di obbedire a uomini, obbediscono ai principii, che non possono che essere sciocchi, sterili e falsi, per il fatto stesso di essere dei principii, cioé idee giudicate certe e immutabili. Guy de Maupassant, Le Horia II, 1887 (ho letto tutti i racconti: come scrive e descrive bene costui (o forse è buona la traduzione di Tiziana Goruppi?)
QUIS QUID UBI QUIBUS AUXILIIS
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CUR QUOMODO QUANDO (la quintessenza di qualsiasi scritto intelligente e completo. L'origine sarà di una qualche Scuola medievale. Ma ho scoperto che è di Cicerone nel Rethoricorum ed è citato da San Tommaso nella Summa Teologica).
Ogni creatura bella ha l'orgoglio naturale della propria bellezza e il mondo oggi lascia stillare il suo orgoglio da ogni parte. Perché, davanti al mondo, negherei la gioia di vivere, se so di non poter limitare tutto alla gioia di vivere? Non c'è disonore ad essere felici. Ma ogni imbecille è re, e chiamo imbecille colui che ha paura di gioire. Ci hanno tanto parlato dell'orgoglio: sapete, è il peccato di Satana, diffidate, ci gridavano, perderete voi stessi e le vostre forze vive. Poi ho imparato infatti che un certo orgoglio... Ma in altri momenti non posso fare a meno di rivendicare l'orgoglio di vivere che tutto il mondo cospira a darmi.
… Pochi capiscono che esiste un rifiuto che non ha nulla in comune con la rinuncia. Che cosa significano qui le parole avvenire, posizione, benessere? Che significa il progresso del cuore? Se rifiuto ostinatamente tutti i “poi” del mondo, si tratta per sempre di non rinunciare alla mia ricchezza presente. Non mi piace credere che la morte dia accesso ad un'altra vita. Per me è una porta chiusa. Io non dico che sia un passo che bisogna superare: ma che è un'avventura orribile e sporca. Tutto ciò che mi viene proposto si sforza di scaricare l'uomo del peso della propria vita. E davanti al volo grave dei grandi uccelli nel ciclo di Djemila è appunto un certo peso della vita che reclamo ed ottengo. Essere intero in questa passione passiva e che il resto non mi appartenga più. Ho troppa giovinezza in me per poter parlarte della morte. Ma mi sembra che se dovessi, troverei qui la parola esatta per dire, fra l'orrore ed il silenzio, la certezza cosciente di una morte senza speranza.
Albert Camus, Opere complete, Classici Bompiani, 2000 (il brano qui riportato è tratto da Nozze. Davvero grande questo scrittore in quanto scrive molto bene, è discorsivo e descrittivo, ricco di concetti esistenziali. Se poi si compara e si studia tenendo presente le vicende della sua vita diventa davvero ghiotto. E' di sicuro valsa la pena di leggere l'opera completa (escludendo le opere teatrali) anche perché ottimamente corredata da studi preparatori e di note molto esplicite nonché di una elegante traduzione).
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Diceva di essere stupito che essi, che pure avevano combattuto tante e tali lotte, non ricordassero che dormono meglio coloro che si sono stancati che non quelli che sono stati resi fiacchi, e non vedessero, paragonando la loro vita a quella dei Persiani, che il vivere nelle mollezze è estremamente servile, mentre è da re l'operare. E aggiungeva: -E poi, come potrebbe uno da solo curare il cavallo o tenere in ordine la lancia e l'elmo se ha disabituato le sue mani a toccare il suo corpo? N on sapete che il massimo della nostra vittoria sta nel non fare ciò che fanno i vinti?- 40, 2 e 4
Gli altri sofisti e adulatori vedevano di malocchio Callistene perché era tenuto in gran conto dai giovani per la sua eloquenza, e allo stesso tempo piaceva ai vecchi per il suo modo di vivere, che era ordinato, serio, sobrio e dava conferma al motivo dichiarato del suo viaggio, e cioé che egli era venuto da Alessandro con l'intento di ricondurre in patria i concittadini e ivi farli abitare nella città riedificata. Invidiato per la sua fama, talora offriva motivi d'accusa contro se stesso, per lo più rigiutando gli inviti, e quando invece li accettava, dimostrando col silenzio e con
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atteggiamento severo di non lodare quanto avveniva né di compiacersene, cosicché anche Alessandro diceva di lui: Odio il saggio che non è saggio per sé-. Si dice che una volta in un banchetto affollato, invitato a celebrare con un brindisi i Macedoni, fu talmente di ispirazione felice nel trattare il tema che i presenti si alzarono per applaudirlo e a lanciargli corone, e Alessandro disse, citando Euripide, che per chi inizia a parlare: -non è difficile parlare bene se si hanno buoni soggetti- ; e poi aggiunse: -Dacci prova della tua abilità parlando male dei Macedoni, perché essi possano migliorare venendo a conoscenza dei propri difetti-. Allora Callistene si volse a fare un discorso del tutto diverso e parlò a lungo, con grande chiarezza, contro i Macedoni e dimostrò che la discordia dei Greci era la causa dell'accrescersi della potenza di Filippo, aggiungendo: -nella sedizione civile anche lo scellerato ottiene onore-. E di qui ne venne ai Macedoni un accentuato, acuto odio contro di lui, e Alessandro disse che Callistene aveva dato prova non di abilità oratoria, ma di malevolenza contro i Macedoni. 53
Dopo i trionfi (agosto 46 a.C.) Cesare distribuì grandi donativi ai soldati (nota: era costume che il trionfatore distribuisse donativi ai soldati; Cesare assegnò terre ai veterani, diede a ciascun soldato 5000 denari, il doppio ai centurioni, il quadruplo ai tribuni e ai prefetti della cavalleria ) e si conciliò il popolo con banchetti e spettacoli; ci fu un convito con ventiduemila
triclini in totale; inoltre organizzò spettacoli di gladiatori e naumachie in ricordo di sua figlia Giulia da tempo morta (nota: era morta otto anni prima dando alla luce un figlio a Pompeo, cui era andata sposa nel quadro degli accordi di Lucca. Questi giochi funebri hanno un chiaro significato politico).
Dopo le feste ci fu il censimento; in luogo dei precedenti trecentoventimila cittadini ne furono censiti centocinquantamila: tale rovina la guerra civile aveva prodotto e tanta parte dei cittadini aveva distrutto, a non calcolare le disgrazie che si erano abbattute sul resto dell'Italia e sulle province (nota: è verosimile che Plutarco abbia mal interpretato le sue fonti: in quanto non ci fu un censimento generale, ma si operò una riduzione degli aventi diritto a frumentazione, cioé degli aventi diritto alla distribuzione gratuita di grano. Dal 28 al 78 a.C. Non risultano esserci stati censimenti).
Quando tutto ciò fu compiuto, nominato console per la quarta volta, portò la guerra in Spagna contro i figli di Pompeo, che erano ancora giovani, ma avevano raccolto un esercito di straordinaria grandezza e mettevano in mostra un'audacia degna del comando, tanto che posero Cesare in serio pericolo. La battaglia si svolse presso la città di Munda ( odierna Montilla, il 17 marzo 45) : qui Cesare vedendo i suoi malamente resistere e ripiegare, passando tra le schiere armate gridava se non si vergognavano nel darlo nelle mani di due ragazzini. Dopo che ebbe respinto a fatica, con grande coraggio, i nemici, ne uccise più di trentamila e dei suoi perse i mille migliori. Venendosene via dopo la battaglia, disse agli amici che spesso avevano lottato per la vittoria, ma ora, per la prima volta, per la vita. 55, 4 e 56 2,3,4
Comunque, piegatisi dinanzi alla fortuna di quell'uomo e accettandone il freno, ritenendo che la monarchia fosse un sollievo ai mali delle guerre civili, i Romani lo elessero dittatore a vita, ( nota:il titolo ufficiale fu dictator perpetuus e gli fu conferito nel febbraio 44. Nota mia: è durata ben poco questa carica!); ciò equivaleva, per comune consenso, in una tirannide perché a questo potere monarchico si aggiungeva la perpetuità nel tempo oltre allo svincolo di qualsiasi rendicontazione. ...per quanto gli amici lo invitassero a munirsi di una guardia del corpo e molti si offrissero per questo servizio, non lo volle, affermando che è meglio morire una volta sola che aspettare di morire sempre. 57,1 e 57,7
Poiché i molti successi non volgevano la sua naturale ambizione e l'ansia di grandi imprese a godere di quel che otteneva, ma come un incitamento e uno sprone verso il futuro gli suggerivano di ideare maggiori imprese e di aspirare a nuova gloria, quasi fosse ormai sazio di quel che godeva, il suo stato d'animo non era altro che invidia di sé, quasi fosse un altro, e tensione verso il da farsi per superare il già fatto. 57,4
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La riforma del calendario e la correzione dell'errore verificatosi nel computo del tempo, studiata ed effettuata con ingegnosità da lui, arrecò un'utilità pratica assai apprezzata. Infatti non solo nei tempi molto antichi per i Romani le coincidenze dei mesi con i tempi dell'anno erano fuori posto, cosicché feste religiose e sacrifici a poco a poco slittando erano venute a cadere in stagioni opposte al loro giusto tempo, ma anche in relazione alla stessa età contemporanea la gran massa era assolutamente all'oscuro del computo del tempo e solo i sacerdoti, essendone al corrente, all'improvviso e senza che nessuno ne fosse informato i nserivano il mese intercalare che chiamavano Marcedonio. Si dice che per primo il re Numa lo avesse introdotto, avendo inventato questo piccolo rimedio, che non era sufficiente, all'errore del ciclo periodico degli astri. 59, 1,2,3,4 Plutarco, Vite parallele, Alessandro e Cesare, ed. BUR, 2012 (bellissimo questo testo: da sempre ne conoscevo l'esistenza ed incappavo nelle citazioni. Plutarco era un bugiardo, come tutti gli storici, sempre. Però ha una forte carica espressiva e contrappone personalità diverse evidenziando i tratti salienti e più significativi. Mi è stato utile per aggiornare il mio ampio studio sul settimo anno di Cesare in Gallia: l'avevo fatto nel 2007 nella speranza di coinvolgere Paolo Rumiz in un viaggio per illustrare i percorsi strabilianti fatti nel 51 a.C. : non ha mai rifiutato tale ipotesi ma di certo non l'ha mai attivata)
La proposta in questione è semplice: dato che il gettito fiscale mondiale è un millesimo del volume globale delle transazioni finanziarie (fonte: bis.org) , perché non sostituire tutte le tasse oggi esistenti , dall'Iva alla tassa sul reddito, alle patrimoniali, con una semplicissima tassa sulle transazioni finanziarie? …. perché non adeguare i nostri mezzi di riscossione approfittando dell'elettronica? Perché lasciare che il Parlamento perda migliaia di ore a ritoccare le leggi sulle tasse -tipicamente al fine di esentare qualche categoria ben rappresentata- invece di dedicare il proprio tempo ad affrontare problemi veri? Perché nutrire categorie intere di Azzeccagarbugli (“ottimizzatori fiscali”) invece di finanziare la ricerca e l'arte?. Quale acquirente non sarebbe contento di veder sparire l'Iva? E quale evasore se la sentirebbe di raccontarci che lui evade perché è strangolato da un'unica tassa all' 1 per mille? Roberto Casati, Il Sole 24 Ore del 20 maggio 2012, presentazione del testo di Simon Thorpe, A flat rate financial Transaction tax to replace all taxes, Cnrs, Tolosa
Anche il più grande dei sapienti all'inizio dei suoi proverbi, per destare l'attenzione dei lettori dice: -Il sapiente che ascolta diventerà più sapiente, l'uomo intelligente prenderà la guida-. L'apostolo Giacomo aggiunge: -Sia ogni uomo veloce nell'ascoltare, lento nel prendere la parola-. Pietro Abelardo, Dialogo fra un filosofo, un giudeo e un cristiano, RCS Libri, 2009
Ecco la regola degli affari: fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi. Charles Dickens, Martin Chuzzlewit (esattamente il contrario del Vangelo di Matteo 7,12)
Tu non sei abile a parlare, ma incapace di tacere.
Epicarmo, V sec. a.C.
E' meglio imbattersi in un'orsa privata dei suoi piccoli che incontrare un chiacchierone in delirio di stupidità. Proverbi 17,22
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Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io, sia per la debolezza del mio linguaggio, sia per la debolezza della mia intelligenza. Montaigne
Dicesi ricco l'uomo che, all'anno, guadagna 100 euro in più del marito della sorella di sua moglie.
Sogno della notte fra il 15 e il 16 luglio. L'ho annotato perché non sogno mai.
Mi trovo a Roma in un magnifico ufficio, pieno di personaggi servili e servizievoli che mi accolgono con una deferenza eccessiva per i miei gusti. --Sia il benvenuto, Onorevole---Ma l' Onorevole sarei io? Non mi sono mai candidato, non mi son mai iscritto a nessun partito, non ho relazioni pubbliche---No, Lei è stato nominato, ecco qui il Decreto di nomina. Si accomodi prego--. Incominciano a portarmi dossier, cartelle piene di fogli e documenti, permessi agevolazioni, pass e con gran foga ed enfasi esaltano la gran massa di privilegi che mi piovono dal cielo; mi fanno firmare l'apertura di un conto corrente bancario non senza illustrare che ho un fido, non oneroso, di 500mila euro (cosa ne farò mai?). La mia mente intanto va a esaminare tutte le incombenze inerenti: udienza ai parroci, ai geometri postulanti una strada nuova, ai circoli vari che dovrei coltivare e favorire, i sorrisi falsi da elargire, le pacche sulle spalle ai colleghi (anche se banditi). Ma mi chiedo anche dove sarei andato a mangiare e a dormire, quanto tempo avrei dovuto trascorrere ad ascoltare le insulsaggini in aula, in che diavolo di commissione avrei prestato servizio: e poi dove diavolo è il mio tempo libero se non su un treno o un aereo. E poi ancora: il mio cane avrebbe capito tutto ciò? --Prego, Onorevole, firmi per cortesia il verbale di insediamento. Lo vuol forse leggere? Vuol aggiungere qualcosa?---Sì, vorrei aggiungere il calce : endeulu à pié 'n tel cul, tuti ensema---Prego? Non capiamo il piemontese--
Mi alzo dal tavolo, lascio lì tutte quelle carte e, senza neanche salutare me ne vado. E così mi sveglio, sereno e contento.
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Amare è soffrire. Se non si vuol soffrire, non bisogna amare, pertanto amare è soffrire, non amare è soffrire e soffrire è soffrire. Essere felici è amare, allora essere felici è soffrire, ma soffrire ci rende infelici, pertanto per essere infelici si deve amare o amare e soffrire o soffrire per troppa infelicità. …. Io spero tu stia prendendo appunti. Woody Allen, film: Amore è guerra. (non ho mai visto un film di costui: avrò perso qualcosa?)
Horae pulchrae vita brevis
Breve è la vita delle ore belle
(cartiglio (nuovo) su una vecchia meridiana a Madone des Fenetres: c'è qualcosa che non funziona perché sarebbe corretta la traduzione “breve è la vita dell'ora bella” cioè al singolare. Al ritorno son passato a Sant'Anna di Vinadio a cercare quel Prete che ha insegnato per una vita il latino al Liceo di Cuneo. Non avendolo trovato mi rivolgo a chi sa di latino, invocando una risposta).
Nel 1907, o forse già nell'autunno del 1906, don Giobbe Dalmazzo, per motivi di salute, lascia l'insegnamento di Sacra Scrittura e viene incaricato al suo posto il trentenne Riberi, di cui era ormai apprezzata in città l'ampia cultura delle cose bibliche. Ma non c'era momento peggiore per salire su quella cattedra. Il 1907 è infatti l'anno emblematico della condanna del modernismo da parte di papa San Pio X con l'enciclica “Pascendi” dell'8 settembre di quell'anno. In questo documento, in relazione alla lettura immanente che i modernisti facevano della Scrittura, ridotta ad esperienze spirituali con scarsa considerazione della Rivelazione , il Papa scrive: -Vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica, lasciando alle altre materie, compresa la Sacra Scrittura, il ruolo di servirla e prestarle mano come ancelle-. La “Pascendi” riprendeva in molti paragrafi successivi quanto già era stato condannato nelle 69 proposizioni del decreto “Lamentabili” emanato il 4 luglio 1907 dall'Inquisizione. Negli anni immediatamente precedenti questo intervento, Pio X aveva già messo a freno le intemperanze sociali e politiche del laicato italiano, sciogliendo l'Opera dei Congressi nel 1904 e soffocando le insorgenti proposte di democrazia autonoma in campo politico. L'enciclica “Pascendi” raccoglie nella condanna un quadro più ampio di aspetti, non solo del laicato cattolico, ma del clero, della teologia, del rapporto con la filosofia, con la storia, con le scienze riportando ogni aspetto della vita dei credenti sotto il vigile controllo dei vescovi pur tenendo conto che così: -siamo fatti passare come avversi alla scienza e al progresso della civiltà-. Proprio il distacco della Chiesa dalla cultura moderna, divenuta autonoma nell'Illuminismo, sfociata in vere e proprie persecuzioni nella rivoluzione giacobina e in vari regimi anticlericali dell' Ottocento, e cuminato nel tramonto dello Stato Pontificio nel 1870, pareva riaprirsi al dialogo con Leone XIII. Ma l'avvio di varie linee di confronto positivo e di presa di responsabilità nuova dei cristiani verso la società,, fece scoppiare in modo più forte il dilemma all'interno delle istituzioni ecclesiastiche. Emerse il problema di fondo: -Fin dove la Chiesa poteva riconciliarsi con la società moderna, senza dissolvere se stessa?-.
….. La rivista “Subalpina” nel dare ampio risalto alla fondazione della Società Studi Storici che al Congresso è tutta tesa ad enfatizzare l'utilità che ha lo studio storico ed artistico nell'illustrare le patrie glorie. … Si può aggiungere quindi che il Riberi oltre ad essere uno dei tessitori della collaborazione dei cultori di storia a Cuneo, già nel 1917, e dopo un periodo di minor evidenza, ritorna in piena luce nel clima di distensione che i Patti Lateranensi del 1929 portano anche tra la cultura cattolica e il regime fascista. Ed in questo settore si trova ampiamente in sintonia sia con la gerarchia e con molti confratelli, sia con buona parte dei dotti, al di là delle loro posizioni socio-politiche . Per il Riberi forse si tratto di un momento positivo di sintesi tra religione e patria, che appare ogni tanto nei suoi scritti. Tuttavia non va dimenticato che il 1929 fu anche per lui l'anno amaro del crollo del Piccolo Credito (normalmente definito la Banca dei Preti) , in cui non era estranea la politica del regime.
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AA.VV. Monsignor Alfonso Maria Riberi, uomo di chiesa, uomo di studio (1876-1952), ed. Bollettino della società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, 2003 (molto bello e dotto questo libro pubblicato in occasione del 50° della morte. Contiene 11 monografie trattanti temi diversi sull'opera di questo grande uomo. L'Autore dei due brani riportati è Gian Michele Gazzola, prete. Vorrei commentare brevemente il primo brano: da sempre e per definizione la chiesa è reazionaria e conservatrice e teme una qualsiasi apertura al nuovo. L'enciclica Pascendi ha bloccato ogni potenziale sviluppo innovativo ed ha tarpato lo studio della Bibbia nell'interno degli stessi seminari. I preti della mia generazione ignoravano il contenuto della Bibbia se non per settori frazionati e ben definiti. Se è vero che nel 1750 la Bibbia era all' Indice, nel 1907 ci andò molto vicina. Era meglio studiare i testi dei Padri della Chiesa, opportunamente selezionati ed edulcorati. Il Magistero della Chiesa faceva, e fa, che il prete deve leggere ed illustrare l'aspetto contenutistico e precettivo. La libera lettura del Testo Sacro tende a far capire il vero contenuto sostanziale del rapporto con gli ebrei e con l'Islam ovvero la comunione delle tre religioni con un unico Dio. Ma questo non va bene, salvo determinare la dissoluzione della chiesa, come detto in chiusura della Pascendi).
Peregrinus expectavi, pedes meos in cymbalis Prokoviev, Cantata Alexander Nevoky
Perché si sentì il bisogno di scrivere, nell'articolo 54 della Costituzione, le parole “ disciplina e onore” vincolando ad esse il comportamento dei “cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche”? Letta oggi, quella norma manifesta una volta di più la sensibilità dei costituenti per un ordine giuridico che si affidava non soltanto al rigore delle regole formali, ma alla costruzione di un ambiente civile all'interno del quale potessero essere esercitate le “virtù repubblicane”. Coglievano, come in altre norme della Costituzione, un limite del diritto, erano dunque consapevoli che, “il diritto non permette di economizzare l'etica”, come ha scritto Luigi Vallauri Lombardi. …... E' stato dunque la politica stessa ad affidarsi ai giudici come “decisori finali”, azzerando in questo modo per se stessa ogni vincolo di moralità e di responsabilità propriamente politica. …. La responsabilità politica riguarda il modo in cui la persona ha esercitato il potere che gli è stato attribuito. Può scattare, deve saltare, anche quando non vi sia una responsabilità penale, per il solo fatto di essersi comportati in maniera contrastante con la correttezza legata all'esercizio di una carica, alla gestione di un affare di Stato, al maneggio del pubblico denaro. E' per questo che l'articolo 54 parla di “disciplina” e, soprattutto di “onore” , dunque di etica pubblica, non di codice penale. Per questo è inaccettabile l'assoluzione fondata sulla formula “nulla di penalmente rilevante”. Stefano Rodotà, Elogio del Moralismo. ed. Laterza 1992
Le mosse di Berlusconi sono da tempo prevedibili, perché appartengono ad una logica che egli ha trasferito nel mondo della politica senza mai farsi contagiare dal “senso delle istituzioni”. Non può sorprendere, quindi, che abbai detto: “dobbiamo cambiare la composizione della Corte Costituzionale, dobbiamo cambiare i poteri del Presidente della Repubblica, e, come avviene in tutti i paesi occidentali, attribuire più poteri al governo della Presidenza del Consiglio”. Proprio le ultime parole sono rivelatrici. Scompare il “Governo della Repubblica” di cui parla l'art. 92 della Costituzione. Al suo posto viene insediato il “Governo del Presidente del Consiglio”, una formula che esprime la logica proprietaria dalla quale Berlusconi non ha mai voluto separarsi. L'imprenditore è fedele alle sue origini, e nel suo modo di agire si ritrova la vecchia e di nuovo vitale formula secondo la quale “la democrazia si ferma alle porte dell'impresa”. Governare è esercizio di potere assoluto. Chi si presenta come un intralcio lungo questo cammino deve essere eliminato. …. L'Italia sta diventando un perverso laboratorio dove elementi altrove controllabili si combinano e si corrompono in forme tali da infettare l'intero sistema. E il contagio si diffonde dalla politica all'intera società, dove ogni giorno
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vengono messi in scena il degrado del linguaggio, il disprezzo delle regole, l'esercizio brutale del potere, il tramonto della moralità pubblica, la rottura dei legami sociali, il rifiuto dell'altro. Stefano Rodotà, Un deserto istituzionale, La Repubblica, 20 novembre 2009
Nemo tenetur se detegere. Non imporre a nessuno, (neppure allo scellerato più infame), di rivelare il misfatto.
-------------------------------------------Poco prima dell'avvento di Shamshiadad I si devono essere consolidati autonomi organismi statali -se non addirittura creati centri di un rilevante potere politico- in una serie di importanti città della Siria settentrionale, da Khalab, l'odierna Aleppo, a Karkhemisch sull'alto corso dell'Eufrate e da Ugarit, sulla costa meditteranea presso l'ellenistica Laodicea ad mare, a Qatna a nord della romana Emesa. Oltre che nella maggior parte di questi centri, in parecchi altri della Siria come Alalakl nell'Antiochene, Biblo e Beirut sulla costa, Damasco a sud ed una serie di città palestinesi, tra le quali Gaza, Lakhisc, Sikem, Megiddo, sono stati rinvenuti oggetti egiziani di sovrani della XII dinastia (2040-1750 a.C.). Inoltre singolari testi magici egiziani contemporanei, i cosiddetti “testi di esecrazione” menzionano un ampio numero di città della Palestina e della Siria meridionale come potenziali nemici dell'Egitto. Da questi documenti e da rarissime attestazioni nelle iscrizioni ufficiali egiziane di spedizioni faraoniche in Palestina -rilevante e puntualmente precisata solo quella di Sesostris III (1887-1850) contro Sikem- si è dedotta l'esistenza di un sistema politico egiziano, difficilmente precisabile nei suoi caratteri, sulla Palestina, sul litorale sino oltre Biblo e sulla Siria meridionale.
… Nella divinazione babilonese che, come è stato osservato, offre un mezzo di comunicazione con il divino, i metodi impiegati sono svariati; in taluni casi l'uomo, e ovviamente un iniziato -il baru, come era chiamato a Babilonia- poteva interpellare la divinità ad esempio, mediante procedimenti libanomantici (valutazione del comportamento del fumo dell'incenso) oppure lecanomantici (considerazione della disposizione dell'olio versato nell'acqua), o ancora poteva limitarsi a osservare ed analizzare il volere divino manifestatosi magicamente, e indipendentemente da una formale interpellanza, nel moto degli astri, nei prodigi naturali, sia atmosferici sia zoologici (nascita di animali anormali), sia, infine, dall'esame delle interiora animali che sono il tramite più frequente in età paleo-babilonese. Paolo Matthiae, Il primo impero Babilonese, ed. Utet, 2004
La vita religiosa fu quindi un aspetto del mondo hittita nel quale il sovrano ebbe il proposito, e forse con successo, di essere il capo comune di tutte le genti che dipendevano dal suo potere, a qualsiasi livello della gerarchia sociale. Le divinità sono molto numerose e hanno carattere eterogeneo : quelle probabilmente originarie della tribù dominante e quelle dei popoli soggetti e resi tributari condividono uno sfondo comune naturalistico-animistico che rende possibili i fenomeni di sincretismo, in quanto presuppongono la presenza di forze divine individuate e dotate di volere e di veggenza nella manifestazione di fenomeni naturali. Come tutte le religioni delle popolazioni a carattere strettamente agrario e pastorale, le forze della natura, nei loro aspetti benefici e malefici sono altrettante epifanie di esseri divini, dai nomi e dai caratteri localmente variabili, ma comini per l'origine. Una posizione dominante è quella del “dio della tempesta”, la divinità temibile che può dare o togliere la pioggia, scatenare le forze distruttrici dalle quali vengono gonfiati i fiumi, devastati i raccolti dai fulmini e dalla grandine, rapiti gli armenti. Mario Attilio Levi, Gli Hittiti, ed. Utet, 2004
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Un testo letterario l' Insegnamento per Mericara, una sorta di testamento spirituale ma anche politico redatto da un re della X dinastia (2160-2137) : “ ...il vile asiatico, è inospitale il luogo in cui abita: povero d'acqua, impraticabile per gli alberi fitti, con strade cattive a causa dei monti. Non abita in un sol posto, ma camminano e vagano i suoi piedi. Combatte fin dal tempo di Horo, ma non vince e non è vinto. ...L'odio degli asiatici sarà in Egitto: non tene dar pensiero. L'asiatico è un coccodrillo sulla sua riva: assalta una strada deserta, non conquista un territorio di città popolate”. Eppure, per la civiltà egiziana, questo periodo è particolarmente felice: c'è una nuova presa in considerazione dell'egualitarismo sociale,, e c'è soprattutto un nuovo senso di giustizia, maat, intesa come giustizia morale superiore, una giustizia sociale, appunto.: si pensi al testo letterario tra i migliori di questo fertile periodo, l' Oasita eloquente: -La violenza è di chi è in strettezze, il furto di chi non ha niente. Il rubare da parte di chi è in strettezze E' un'azione cattiva da parte di chi non ha bisogno non gli si deve porre a biasimo l'averlo cercato Edda Bresciani, Tremila anni di storia, l'Antico Egitto, ed. Utet, 2004
… Per amministrare l'Egitto il re ricorreva all'aiuto dei suoi rappresentanti, con un ampio sistema di funzionari, dei quali il più elevato era il ciaty, il “visir” (come, con termine turco viene comunemente chiamato dagli studiosi moderni). Fino alla XVIII dinastia (1543-1483) vi fu un solo visir per tutto l'Egitto, ma nel regno di Tutmosi III la funzione si sdoppierà e vi fu un visir del sud che risiedeva a Tebe e un visir del nord con capitale Eliopoli. Il re pronunciava le Istruzioni quando insediava nella carica un nuovo visir, ma le iscrizione della stessa tomba tebana del visir Rekhmira ci hanno tramandato anche un lungo ed articolato testo che elenca e spiega tutte le attribuzioni del visir: a lui fanno capo tutte le branche amministrative dell'Egitto in quanto come “capo del tesoro” doveva riferire sulla situazione economica ed inoltre quello che noi oggi chiameremmo ministro della guerra, degli interni, dell'agricoltura, di grazia e giustizia. L'amministrazione dell'Egitto, un paese che ebbe una burocrazia sviluppatissima, comportava un gran numero di funzionari, superiori e subalterni, nei vari settori amministrativi: il tesoro, cioé la cassa dello stato era alimentata dalle imposte pagate dai cittadini, ed il sistema del fisco era capillare. Sappiamo che già a partire dalla II dinastia (2930-2700) esisteva un sistema di tassazione basato sul censimento “dei campi e dell'oro” ; i cittadini erano tassati in base alle loro rendite e le terre erano soggette ad essere misurate e registrate secondo la loro qualità e il tipo di coltivazione al quale erano adatte, con la conseguente formazione di un ufficio del catasto. Le terre di proprietà del Faraone erano amministrate a parte e il funzionario che ne era responsabile si chiamava “maggiordomo” o “intendente”. I cittadini, poi, erano tenuti a compiere lavori di interesse pubblico, del tipo, ma non solo, dei lavori di canalizzazione.
… Le prime differenziazioni tra le classi sociali si formano alla fine dell'Antico Regno, quando le cariche dei funzionari -come certi gradi di nobiltà concessi dal faraone ai funzionari più elevati- diventano ereditarie, e nel contempo la classe dei nobili , il cui tenore di vita è sempre più elevato e raffinato, ottiene vari privilegi, come l'esenzione dalle tasse, e si accaparra i benefici e le rendite connesse con certe cariche sacerdotali; anche la classe sacerdotale ottiene l'ereditarietà della carica, mentre i templi hanno l'immunità fiscale: si forma così un'oligarchia, mentre il potere centrale si indebolisce sempre di più.
….. Se la risposta normale alla paura è la cura per la propria sepoltura e ogni precauzione magica, la contropartita psicologica è l'impulso a godere la vita, è l'edonismo, il vivere alla giornata. L'esortazione a seguire “il proprio cuore” ricorre frequentemente e il Canto dell'arpista è trascritto in tombe tebane del Nuovo Regno: Segui il tuo cuore sinché esisti!
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Non amareggiare il tuo cuore: verrà per te il giorno del lamento, ma non ode chi ha il cuore stanco il loro lamento, le lamentazioni non salvano nessuno dalla tomba. Passa un giorno felice e non stancarti, guarda, non c'è nessuno che abbia portato le sue cose con sé, guarda, non c'è chi è tornato indietro.
Ecco poi un esempio di finezza psicologica, necessaria a ben comportarsi, più che di senso di giustizia sociale: “se sei un capo, sii tranquillo mentre ascolti le parole di un postulante, non respingerlo fin che non avrà vuotato il corpo di ciò che si era proposto di dire; un uomo colpito da dolore ama sfogarsi più che fare ciò per cui era venuto”. La prudenza deve ispirare il comportamento del saggio: Se vuoi conservare l'amicizia della dimora dove entri, come signore, come amico e dovunque tu entri, guardati dall'avvicinarti alle donne: non è buono il luogo dove ciò sarà fatto. La vista non è abbastanza attenta a scrutarle, migliaia di uomini son deviati da ciò ch'é loro utile un attimo breve come un sogno, ma si raggiunge la morte per averlo conosciuto.
Ci è giunto completo l'Insegnamento di Ptahhotep: La vecchiaia s'è prodotta, la senilità è calata, il deperimento è intervenuto, la debolezza s'é rinnovata, Sta coricato ogni giorno colui che è tornato bambino: gli occhi son deboli, sorde le orecchie. La forza deperisce essendo stanco il cuore; la bocca è silenziosa e non parla, il cuore assente non ricorda ciò che è intervenuto ieri, le ossa dolgono per la lunghezza (dell'età); quel che era buono è diventato cattivo, ogni gusto se ne è andato.....
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Di un altro insegnamento del Nuovo Regno possediamo solo l'inizio: Sentenze per il cammino della vita fatto dallo scriba Amennekket per Harmin, suo scolaro:
“Sii scriba: ti salva dalla fatica e ti protegge da ogni tipo di lavoro. Ti preserva dal portar zapp a e marra, e tu non porti un cesto. Ti preserva dal manovrare il remo e ti preserva dai tormenti, poiché tu non sei sotto numerosi padroni e numerosi superiori. L'uomo esce dal grembo di sua madre e corre incontro al padrone; il ragazzino è al servizio di un soldato; il giovanotto è un soldato che va in perlustrazione; l'anziano è messo a fare il contadino e l'adulto a esser soldato; lo zoppo è messo a fare il portinaio e il cieco a fare l'ingrassatore del bestiame. L'uccellatore va sulla piattaforma, il pescatore sta sprofondato; ….. il fornaio cuoce il pane e mettendolo nel fuoco, mentre la sua testa sta dentro al forno, suo figlio lo trattiene per i piedi. ….Ma lo scriba, egli è alla testa di ogni tipo di lavoro in questo mondo”.
…. Nel Papiro Ebers , che è il più ricco, ci sono diagnosi e ricette per un gran numero di malattie, ricette di bellezza e di igiene, formule per la formulazione di preparati e per la tecnica di inalazione. Uno dei papiri provenienti da Kahun, nel Fayum, è un trattato di veterinaria, diagnosi delle malattie degli uccelli, di pesci, di cani, di bovini. Un altro papiro della medesima provenienza, contiene un trattato delle malattie muliebri. Fra queste, sono due ricette che mostrano l'esistenza di una pratica di controllo delle nascite: una ricetta è a base di stereo di coccodrillo mentre l'altra di miele con salnitro. Anche tra le ricette del Papiro Ebers, sopra citato, una ricette prevede una compressa imbevuta di certe sostanze mescolate al miele ed ha titolo: “Fare che una donna cessi di essere incinta durante un anno, due anni o tre anni”.
Edda Bresciani, Società diritto ed economia dell'Antico Egitto, ed. Utet 2004
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… lui (Democrito) che non ha più in mente né moglie né figli, né genitori, né averi né alcunché, lui che si rinchiude giorno e notte in se stesso e vive soltanto in grotte, in siti deserti, sotto l'ombra degli alberi, sulle tenere erbe o lungo i torrenti. Accadono spesso ai malinconici cose di questo genere: talvolta sono taciturni, solitari, vaghi di luoghi isolati; si allontanano dal consorzio umano, considerano degli estranei i loro simili; ma non è raro neppure, in coloro che si consacrano alla conoscenza, che la loro predisposizione alla saggezza li spinga a dimenticare ogni altra cura. Quando servi e serve riempiono l casa con il frastuono dei loro litigi, basta che compaia improvvisamente la padrona perché prendano paura e stiano di nuovo buoni; pressapoco lo stesso accade con le passioni dell'anima, queste serve dei mali dell'uomo: appena compare la saggezza, gli altri sentimenti cedono il posto come schiavi. Non soltanto i pazzi cercano le grotte ed i luoghi tranquilli, ma anche coloro che, per ritrovare la pace dell'anima, giungono a disprezzare le umane vicende.
… Ma una donna ha sempre bisogno di qualcuno che la moderi, giacché ha in sé per natura una certa intemperanza ( nota: Democrito, citato da Strobeo (Florilegio IV, 22, 199) non la pensava diversamente: -La donna è portata alla malizia più dell'uomomentre Galeno la definisce “animale mutilo” ) che, se non viene corretta giorno dopo giorno si mette come gli alberi a
buttare una vegetazione matta. Per conto mio, stimo che un amico sia per la consorte un guardiano più scrupoloso dei genitori.... la saggezza aumenta sempre con l'impassibilità, non turbata dalla benevolenza (questo è il ragionamento di Ippocrate che si accinge al viaggio ad Abdera per guarire Democrito e si interrogava su chi dovesse “sorvegliare la consorte).
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-Ti saluto, forestiero- disse -Anch'io ti rivolgo mille saluti, Democrito, uomo saggio fra tutti. -Provando vergogna per non averti chiamato per nome, ti chiedo: come ti chiami?-Il mio nome- disse– è Ippocrate, il medico-. Rispose egli: - La nobiltà degli asclepiadi mi è ben nota, la tua gran fama di medico saggio è giunta fino a me. Ma quale faccenda, amico, ti ha condotto sin qui? Prima di tutto accomodati, questo sedile di foglie ancora verdi e tenere non è spiacevole-.
… -Democrito, migliore fra i saggi, ardo dal desiderio di sapere che cosa ti mette in questo stato, e perché ti sono parso risibile, io o quello che ho detto: é necessario che, debitamente informato, io elimina la causa dei tuoi dileggi, oppure che, convinto di aver torto, tu rinunci alle tue inopportune risate-. E lui: -Per Eracle, se riesci a convincermi che ho torto, Ippocrate, praticherei una cura curativa mai praticata su nessuno-. Continuai: -Carissimo, come non convincerti del tuo errore? Non pensi di sragionare quando ridi della morte di un uomo, della malattia, delle alterazioni della mente, della follia, della melanconia, dell'assassinio, e persino di cose anche peggiori? O, inversamente dei matrimoni, delle panegirie (le panegirie radunavano intorno ad un santuario comune il popolo di una città o di un gruppo di città; erano una via di mezzo tra una festa, una fiera, dei giochi. Così la Panatenee ad Atene, le Delie degli Ioni o i Giochi Olimpici, che attiravano tutta l'Ellade), dei parti, dei misteri, delle magistrature, degli onori, o di
qualsiasi altro bene? Giacché tu ridi di ciò che bisognerebbe deplorare, deplori ciò che dovrebbe rallegrare; sì che tra il bene ed il male non c'é un distinzione per te-. E lui allora: -Ben detto, Ippocrate, ma tu non sai perché rido; quando lo saprai, sono ben sicuro che con il mio riso porterai via nei tuoi bagagli, per il bene della tua patria e del tuo, una medicina più efficace della tua ambasceria e potrai dar lezioni di saggezza agli altri. In cambio, forse mi insegnerai a tua volta l'arte medica, quando saprai fino a che punto gli uomini si interessano a ciò che non ha alcun interesse, rivaleggiando in sforzi per ciò che merita fatica alcuna e sprecando tutta la vita a intraprendere cose risibili-. …. Tu attribuisci due cause al mio riso: i beni e i mali; ma io rido di un unico oggetto, l'uomo pieno di insensatezze, vuoto di opere rette, puerile in tutti i suoi progetti, che sopporta senza alcun beneficio prove senza fine, spinto dai suoi desideri smodati ad avventurarsi sino ai confini dlla terra e nelle sue immense cavità, fondendo l'oro e l'argento, non smettendo mai di accumularne, affannandosi sempre per possederne di più allo scopo di non decadere. E non sente alcun rimorso a dichiarasi felice, lui che fa scavare a piene mani le profondità della terra da schiavi in catene, di cui gli uni muoiono sotto i cedimenti di un terreno friabile, mentre che, interminabilmente sottomessi a quel giogo gli altri sopravvivono nel supplizio come in una patria. Si va a cercare l'oro e l'argento, si esaminano le tracce di polvere e le raschiature, si ammucchia qui la sabbia che era stata estratta di là, si aprono le vene della terra, si spaccano le zolle per arricchirsi; della nostra madre terra si fa una terra nemica; essa, che resta sempre la medesima, la ammiriamo e la calpestiamo. Che risate, quando questi innamorati di una terra estenuante e piena di segreti usano violenza a colei che hanno sotto gli occhi! Certuni comperano cani, altri cavalli; circoscrivendo un ampio territorio, gli impongono un marchio di proprietà; e volendo proprietari di grandi possedimenti, non riescono a padroneggiare se stessi. Hanno fretta di sposare donne che da lì a poco ripudiano; amano, e poi aborrono; hanno il desiderio di procreare, poi scacciano i figli fattisi adulti. Che cos'è questa vana ed irragionevole fretta, che non differisce in nulla dalla follia? Fanno la guerra ai loro, senza mai cercare di vivere in pace. Alle insidie dei re rispondono con contro insidie; sono omicidi ; scavano la terra, cercano argento; trovato l'argento vogliono una terra; acquistata la terra ne vendono i frutti; smerciati i frutti, rimettono mano all'argento. Quanto sono instabili, quanto sono cattivi! Se non sono ricchi, desiderano la ricchezza; venutine in possesso, la nascondono e la sottraggono agli sguardi. Io mi faccio beffe dei loro fallimenti, scoppio a ridere si loro insuccessi, perché trasgrediscono le leggi sulla verità; rivaleggiano in odio, danno battaglia ai loro fratelli, ai loro genitori, ai loro concittadini, tutto questo per beni di cui nessuno morendo rimane padrone; si massacrano a vicenda; incuranti delle leggi, guardano dall'alto i loro amici o la loro patria in difficoltà; attribuiscono valore a ciò che è indegno e inanimato; dilapidano tutte le loro ricchezze nell'acquisto di statue, col pretesto che l'opera scolpita sembra parlare, ma detestano chi parla davvero. Ciò che suscita la loro bramosia è ciò che sta fuori della loro portata; quando abitano sul continente vogliono il mare; insulari, devono vivere sul continente. Deviano tutto nella direzione del personale desiderio. In guerra
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sembrano lodare la virilità, ma giorno dopo giorno si abbandonano alla dissolutezza, all'amore per il denaro, a tutte le passioni che li rendono malati: sono tutti dei Tersiti (nota: “l'uomo più brutto che sia venuto sotto Troia” varo, zoppo e “con la testa a punta”, è un soldato acheo che, nell'Iliade, insulta Agamennone e che Ulisse punisce duramente (II, 212-277) della vita. Allora perché, Ippocrate, mi hai rimproverato di ridere? Non c'é uomo che rida della propria insensatezza, non c'é scherzo se non reciproco; chi ride degli ubriachi, credendosi sobrio, chi degli innamorati, mentre una malattia peggiore lo affligge; taluni si burlano dei navigatori, altri degli agricoltori, ché non sono d'accordo né sull'arte né sulle opere-. In quel momento intervenni: -Queste sì, Democrito, sono grandi verità. Non potrebbe esservi linguaggio più acconcio a descrivere le miserie dei mortali. …...-.
…. _Ecco quindi il bersaglio del mio riso: gli uomini insensati, che condanno ad espiare la loro malvagità, avarizia, insaziabilità, il loro odio, i loro trabocchetti, i loro complotti, la loro invidia (ardua impresa passare in rassegna tutto quello che inventa l'abilità del male, anche qui si trova una specie di infinito!). …. Se hanno ripudiato la consorte, ecco che ne prendono un'altra; i figli che hanno allevato, li sotterrano; dopo averli sotterrati, ne fanno degli altri e li tirano su; dopo aver desiderato la vecchiai, si lagnano quando la raggiungono, incapaci di costanza in qualsiasi situazione si trovino. …. Per quanto riguarda gli appetiti, che cosa hanno ancora da invidiare loro gli animali privi di ragione? E ancora, le bestie sanno accontentarsi di quel che dà loro soddisfazione. Giacché si è mai visto un leone che seppellisca sottoterra dell'oro? ….. Medita la lezione del tuo antenato Aslepio, folgorato in ringraziamento delle cure che dispensava agli uomini (Nota: fu folgorato da Zeus per aver osato resuscitare i morti, mettendo così in pericolo l'ordine del mondo). Non vedi che sono fuori strada anch'io, io che cerco la causa della follia uccidendo e sezionando animali? Era nell'uomo che bisognava cercarla. …..
Ippocrate, Sul riso e sulla follia, ed Sellerio, 1999 (Libriccino piccolo, piccolo ma davvero bello: intanto lo leggevo l'anno scorso negli ozi delle terme, a Lurisia, e lo imprestai ad una donna molto importante nella struttura: ci ha messo un anno a leggerlo e l'ha restituito senza alcun commento: il che a dimostrazione di quanto sopra ben espresso da Ippocrate. Seconda osservazione: Democrito viveva ad Abdera che, con Cuneo e con una città tedesca (forse Fudda?) gode di universale fama di patria degli stolti, o comunque dei sempliciotti semi-scemi. Davvero belle le due introduzioni che intanto dimostrano che questo testo è un falso clamoroso, anche se molto, molto antico, da sempre ritenuto tale: comunque lo si continua a leggere ed è inserito nelle opere complete di Ippocrate. Narra delle angosce degli abitanti di Abdera preoccupati del perenne riso sulle labbra del loro “pensatore, quindi saggio” Democrito; mandano ambascerie cariche di doni a Ippocrate (nato verso il 460 a.C.) perché corra a salvare lo scemo e rimbambito Democrito. Il grande medico spedisce ordini ai vari porti che dovrà raggiungere perché gli preparino le corrette erbe medicamentose facendo tutta una serie di osservazioni che potrebbero interessare un erborista moderno. La sintesi finale è che il grande medico non solo non guarisce il paziente, ma da lui è curato e guarito).
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Lapide a Tenda Non habemus hic civitatem permantementem sed futuram inquirimus Iscrizione sul linteaux di una modesta casa nel viottolo che dalla Cattedrale conduce alla porta nord di Tenda. La scritta è molto piccola ma è preceduta da una L con una piccola y ed è chiusa da una C e dalla data 1544: forse le iniziali del committente. Interessante, ancorché sbagliata) perché ho potuto visitare la vicina Collegiata dei Battuti Neri, eccezionalmente aperta perché la festa è vicina. Mi ha accolto un vecchietto molto gentile. L'interno non è bello perché di un falso barocco pieno di stucchi e di dorature. Interessanti i tabelloni indicanti i nomi dei consoci, tutti cognomi e nomi italiani
"Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus" (Hebr 13,14). Questa terra non è già la nostra patria, ella per noi è luogo di passaggio, per dove dobbiamo passare tra breve alla casa dell'eternità. "Ibit homo in domum aeternitatis suae". Dunque, la casa dove abiti, non è casa tua, è ospizio, dal quale, tra breve, e quando meno te
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l'immagini, dovrai sloggiare. Sappi che giunto che sarà il tempo di tua morte, i tuoi più cari saranno i primi a cacciartene. E quale sarà la tua vera casa? una fossa sarà la casa del tuo corpo sino al giorno del giudizio, e l'anima tua dovrà andare alla casa dell'eternità, o al paradiso, o all'inferno. Perciò ti avvisa S. Agostino: "Hospes es, transis et vides".
… e la sposa, che abbandona il letto ancora caldo del marito. Gli presi l mano, e lo feci adagiare sul morbido letto, e subito il corpo al contatto con il corpo, si scaldava, e i volti erano sempre più accesi, e sussurravano dolcemente, si fece proprio il massimo, e raggiungemmo entrambi il nostro piacere. E fino a ieri non ebbe a rimproverarmi alcunché, né io a lui. Ma è venuta oggi da me la madre di Filista, la nostra suonatrice di flauto, e di Melixò, nell'ora in cui correvano i cavalli verso il cielo, portando su dall'Oceano la rosea Aurora. Teocrito, Le incantatrici
(Batto) Dimmi, Coridone, il vecchietto si macina ancora quell'amore di ragazza dalle nere sopraccilia, di cui si era invaghito una volta? (Coridone) Eccome, caro mio! L'altro ieri l'ho sorpreso io stesso vicino alla stalla, che era in azione. (Batto) E bravo, libertino! Nella razza gareggi da vicino con i satirelli e con i fauni dalle gambe deformi. Teocrito, Idillio IV, I pastori
(Comata) Ma io sto calmo; però non sopporto che tu ardisca guardare diritto negli occhi me che una volta ti facevo da maestro, quando eri ancora un ragazzo. Dove va a finire la gratitudine! Alleva i lupicini, alleva i cani, perché ti sbranino! (Lacone) E quando mai posso ricordare di avere mai imparato o sentito qualcosa di buono da te? Omuncolo invidioso e miserabile! (Comata) Quando ti sbattevo, e tu provavi dolore; e queste capre belavano e il caprone le montava
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(Lacone) Va a farti seppellire, storpio, non più a fondo di quella fottuta. Ma fatti avanti, vieni qui, e canterai per l'ultima volta. Teocrito, Idillio V, Per via
----------------------------------E' noto che Costantino partì per la guerra senza il labaro e che assunse questo per strada, in seguito ad una apparizione che egli stesso narrò a Eusebio di Cesarea. Dove avvenne l'apparizione? (nota mia: anche Rivoli rivendica : non solo da ciò nacque il clamoroso falso storico della Donazione di Costantino secondo la quale l'Imperatore avrebbe fatto gradito dono (intanto non era suo) alla Chiesa dell'intera Valle Susa)) . Con tutta probabilità quando Costantino stava per
varcare le Alpi, benché non risulti con sicurezza dell'esatto luogo. Secondo la nostra tradizione locale l'apparizione avvenne a Demonte. Costantino per vedere il su0o esercito, si sarebbe recato sullo sperone roccioso della Madonna di Romwell, e di là guardando l'esercito attendato nel piano sottostante, avrebbe detto energicamente: “se Roman velle” (donde Romwell, secondo un manoscritto del 1700 fattomi vedere dall'arciprete di Demonte Mons. Cerato). Ed ecco che mentre egli pregava ed il sole declinava al tramonto, gli apparve il trofeo della croce formato da raggi luminosi e la scritta: “in hoc signo vinces” cioé “con questo segno vinci”. La tradizione un po' incerta pone ora l'apparizione sul colle presso la parrocchia di San Donato, ove il conte Bolleris avrebbe poi costruito il suo castello. …..
… Infatti da quanto siamo venuti dicendo è politicamente probabile che Agilulfo fra il 610 e il 625 abbia fatto qualche conquista verso le Alpi per avere una vedetta e un primo baluardo contro una futura pressione franca o bizantina; probabilissimo poi che, conforme all'uso longobardo, abbia fatto sorgere un monastero benedettino in questa zona di confine. In questo fatto più che un atto di religione è da ravvisare un fatto di previdenza politica; il re, dando alla chiesa qualche sua proprietà fondiaria, non danneggiava ma quasi avvantaggiava se stesso, perché provvedeva al miglior modo alla coltivazione delle terre medesime, le quali, per parlare il linguaggio giuridico del tempo, cessavano bensì di essere suo allodio, ma cominciavano a restare sotto il suo mundio o tutela diretta. … Quanto a Pedona la tradizione ci riporta, come abbiamo visto, a una donazione di Teodolinda come un regale praeceptum, che suppone già esistente il monastero, perché è fatta ai monaci. Donde si può inferire che il monastero, di cui non è traccia nelle Passioni e nei brevi scritto di Ennodio e Venanzio Fortunato, sia sorto fra il 610 e il 625. … La fondazione del monastero, che non tardò a diventare, secondo l'iscrizione del Borgo, numero, virtute, magnificentia praestantissimum che ebbe effetti e conseguenze, che noi, a distanza di secoli, mal possiamo valutare. … E' noto infatti che i Longobardi usurparono molte terre, uccidendone i nobili padroni; altre ridussero a loro mani, lasciandovi gli italiani quali aldii o fattori; solevano esigere come tributo il terzo dei frutti; tolsero agli italiano ogni ingerenza amministrativa e politica, ogni funzione direttiva e il mestiere delle armi. …. Per mezzo dei monaci il culto di san Dalmazzo si estende, le reliquie specialmente dei compagni di lui (Donato, Grato, Secondo, Chiaffredo, ect.) portate nei paesi vicini ottengono grande venerazione fra i popoli, per cui san Dalmazzo è salutato in verità sempre crescente quale Apostolo del Piemonte. Unicamente per lui Pedona, che ha perduto l'autonomia e il governo del proprio municipio, conserva ancora la basilica, il monastero, la tomba, la pieve, esercitando ecclesiasticamente quella giurisdizione che dal lato civile le è sfuggita di mano.
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… Dopo Liutprando la dominazione longobarda decadde rapidamente, mentre nella vicina Francia sorgeva fresca e forte la nuova casa dei Carolingi. Continuando gli ultimi re longobardi nelle discordie tra loro e nelle molestie continue contro gli italiani e il Papa, discese dalle Alpi Pipino, che rese tributario a sé il regno longobardo; poi discese Carlo che lo distrusse prese il nome di re dei Franchi e dei Longobardi. Il Papa ebbe uno stato temporale, gli italiani ebbero diritti di cittadini (nota mia: nasce qui l'invenzione di un documento attestante la
donazione di Costantino avente per oggetto l'intera valle Susa; sullo status di cittadini … ci sarebbe molto da discutere, ma di certo gli italiani vennero coinvolti nella gestione del potere). …. L'Italia venne divisa in cinque ducati, essendo scomparsi i
trentasei ducati longobardi; Italia- Austria (patriarcato di Aquileia), Italia Neustria (arcivescovado di Milano), Emilia (arcivescovado di Ravenna), Tuscia (arcivescovado di Lucca), Litoralia Maris ( antica Liguria Marittima con gli arcivescovadi di Embrun e di Aix; metropoli civile Embrun). Pedona rimase certamente all'Italia sia come dipendente dal vescovado di Torino e dal metropolita di Milano.
….La maggior parte delle narrazioni considerano i Saraceni come predoni e banditi per fanno scorrerie e razzie ….. Questo modo è molto inesatto e non corrisponde alla realtà storica. I Saraceni avrebbero tentato di annidarsi in Francia nel 730 e, secondo alcuni, avrebbero preso l'abbazia di Lerins nel 1731, ma nel 732 hanno subito da parte di Carlo Martello la sconfitta di Poitiers. Già nel 736-7 ritornano sulle coste provenzali. … La potenza di Carlo Magno attenuò per qualche decennio la pressione saracena; però nel 838 sono segnalate devastazioni a Marsiglia e nel 842 e 850 incursioni su Arles. ….. Verso l'889 edificarono il Frassineto ma si ignora in che anno avrebbero passato le Alpi. … La cronaca della Novalesa indica il 906 (sarebbero quindi scese dalla valle Susa) per poi arrivare nel 907 a Pedona (versi leonini) distruggendola con Auriate e Bredulo con tutte le città romane e franche delle nostre Alpi. … L'imperatore Ludovico III desiderava sbarrare la strada ai maomettani per cui incaricò Bernolfo (o Eilulfo?) , vescovo di Asti, di avanzare con un esercito: nella battaglia di Pogliola del 904, nei pressi del monastero, il vescovo morì e presto fu beatificato e molti luoghi ne accolsero il culto (nota mia: da noi rimane traccia in valle Stura con il lago e la frazione di San Bernolfo). …... Nel 950 Berengario II da un nuovo assetto alle Marche, riunendo la Liguria e l'antica Marca d'Italia (Ivrea): quella di Ivrea a Riccardo Conone, figlio del re stesso; quella di Torino data ad Arduino il Glabro, figlio di Ruggero che già era stato conte di Auriate; quella della Liguria Occidentale, capitale Savona, data a Aleramo; la quarta Liguria Orientale, capoluogo Genova, data a Oberto. La lotta a oltranza contro la Mezzaluna lasciò anche il vincitore spossato ed esaurito di forze; la desolazione lo spopolamento dei nostri monti furono tali, che molto tempo non si hanno manifestazione di vita. Si nomina ancora l'abbazia di Pedona come ricordo storico e si accenna al Comitato Auriatense come nome di regione, ma le città non risorgono più. Il Vescovo d'Asti raccoglie una parte delle magre spoglie dell'abazia deserta, perché a lui resta la Pieve di Santa Maria di Pedona con le sue dipendenze, cioé la valle Vermenagna e l'abazia con la valle Gesso, possessi di cui raccoglie più volte conferma. Il vescovo di Torino a sua volta cerca di ottenere altre spoglie e con un diploma del 1° settembre 998 ottiene dall'imperatore Ottone III la valle di Stura; siccome questa valle, come Pieve di San Giovanni Battista, dipendeva direttamente dall'arcidiacono torinese, così il vescovo sottopone la parte inferiore della valle (il Clusiastico) prima soggetta a Pedona, a una pieve di nuova creazione, Santa Maria di Belvedere o di Cervasca, direttamente dipendente dal vescovo.
….Abbiamo visto come al tempo dei Saraceni Ruggero sia diventato conte di Auriate e come la sua famiglia abbia poi avuto il titolo marchionale, unendo alla conte di Auriate quella di Torino, Alba, Albenga, Ventimiglia, ecc. Ultima erede di tanta fortuna era stata la contessa Adelaide, luminosa figura, madre di Berta imperatrice e parte cospicua della gigantesca lotta fra Gregorio VII e suo genero Enrico IV per le investiture, che, morendo il 19 dicembre 1091, lasciò tutto il Piemonte in fiamme per la contrastata successione. Essa aveva avuto dal vescovo d'Asti Girelmo anche l'abazia di Pedona, ma l'aveva poi restituita nel 1089. Fra tanti competitori riesce ad affermarsi Bonifacio del Vasto, figlio di Berta, sorella della gran contessa dormando uno stato che andava dal Po ( nota mia: da questa divisione spettò ai del Vasto tutto il Tanaro) alle coste liguri, stato di una compagine tutta medioevale.
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….... (nota mia: c'è un'ampia trattazione del 1100 e 1200 in cui si dimostra che la fondazione di Cuneo fu ampiamente favorita dall'abazia di Pedona. Dice chiaramente del rapporto di figlia-madre, con vari inserimenti e sottomissioni agli Angiò)
Non sappiano se e quanti Cuneesi e uomini dell'abate abbiano partecipato all'azione ( di penetrazione nel Sud degli Angiò con il culmine della battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto 1268, che segnò la fine di Corradino di Svevia) ma un episodio importante ci porta di nuovo in scena Alardo di Valdieri, che ancora non ha finita la sua carriera. La leggenda ricamò tosto sulla trama storica e già Sana Malaspina parla di Alardo come di un Ercole: “immani corpore miles, latos habens humeros et menbra nervis compacta fortissimis, caput in altum extulit”. Altri invece si fermano alle qualità morali, come Benvenuto di Imola che lo dice “senes bonus et prudens, mentre Dante ricorda il fatto di Tagliacozzo (Inf. XXVIII, 18) : ove senz'arme vinse il vecchio Alardo. Non trovo detto se Alardo sia tornato nei nostri paesi, o sia morto in Puglia, dove la grande vittoria l'aveva reso accetto a re Carlo.
…. Con la bolla del 14 maggio 1456, papa Callisto III conferma l'unione dell'abazia di Pedona con la mensa di Mondovì alla cura di mons. Segaudi che passò la vita a sopprimere monasteri, fu sempre oppresso da cure finanziarie, … e lasciò la mensa vescovile così ricca, che servirà poi di piatto cardinalizio al Ghisleri e al Lauro. Non giudichiamo perché l'ha giudicato Iddio. Riporta in nota 2 a pag. 312 : Disastrose furono le condizioni in cui i vescovi e soprattutto il De Camera ed il Pipero lasciarono la chiesa di Cuneo. Essi tennero la sede trentacinque anni (1523-1559) e pare non siano mai venuti a vederla; godevano in Roma i frutti della mensa e quella di numerose abazie che si erano fatti conferire. I maggiori benefici li davano ad indegni, onde si vide il grande scandalo di Baldassarre Picardo vicario vescovile di Cuneo, parroco al tempo stesso di Santa Maria del Bosco e della Pieve, procuratore, ecc, superiore dei monasteri di Santa Chiara e dell'Annunziata, pubblico concubinario con una suora, padre di numerosa famiglia, propagatore del calvinismo. … quando fu del tutto scoperto, si dichiarò protestante e si ritirò a Ginevra con alcuni fratelli e si fecero chiamare Liffordi, ora la progenie sono i conti Le Fort. ….... prosegue la nota citando un documento del celebre Mar. Brissac rivolto al Re di Francia in data 14 gennaio 1558 nella quale riferiva delle precarie situazione di salute del vescovo e pregava che la nomina venisse fatta a favore di un suo figlio legittimo, allora 14enne, poiché la rendita sommava a 13mila scudi all'anno. ...La chiesa e il fabbricato abbaziale si sfasciavano. La facoltà di tenere qualsiasi persona, purché idonea e sufficiente, come monaco a servizio di San Dalmazzo, è interpretata così male, che invece di monaci si tengono più d'una volta dei furfanti o degli imbecilli. Tra i primi metterei fr. Chiaffredo di Barge, che nel 1523, venendo di notte da una veglia danzante alla sua abazia, fu accoltellato per gelosia da Andreetta, moglie di Antonio Piacenza; fra i secondi, fr. Dalmazzo Belogli e fr. Benedetto Cerutti di Mondovì, che sono processati dall'inquisizione perché “soleno andar per le hostarie et de una in altra e giocano quanto hanno dinari a tavole, a tarocchi, a le carte, ad ogni gioco di grande scandalo et contro la regola monastica e per la puocha devocione e male costume danno scandalo al populo” Alfonso Maria Riberi, S. Dalmazzo di Pedona e la sua abazia, ed Biblioteca della Soc. Storica Subalpina, 1929
(veramente bello, ma quanto amaro, questo importante lavoro. Molto preciso, ricco di riferimenti, di citazioni, di fonti, rende giustamente famoso il suo Autore)
L'ouro passo, lou soleil se basso meridiana di Sancto Lucio,
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Coumboscuro
Un vecchio pesce chiede a due pesciolini: “Com'é l'acqua oggi?” I due non rispondono, ma una volta lontani, uno chiede perplesso all'altro: “Ma che cavolo è l'acqua?” David Foster Wallace
don Ernesto Buonaiuti 1881-1946 Fu però la Santa Sede la vera, instancabile persecutrice di Ernesto Buonaiuti, colpevole di giudicare passato e presente della Chiesa e di leggere i Vangeli secondo un'analisi critico-filologica e non secondo i dogmi che nel corso dei secoli si sono stratificati sui testi sacri. Con una determinazione, una costanza e una capacità di intrigo che non sarebbero credibili se non fossero documentate, il Vaticano ostacolò e tormentò il sacerdote romano, dalla genuina ed appassionata vocazione, come non fece con nessun altro nel corso del XX secolo. Per quarant'anni usò qualsiasi mezzo, a parte la violenza fisica, per mettere a tacere un prete che, se fosse stato più docile, avrebbe portato volentieri ai vertici della sua gerarchia: il controllo e le censure, fino a una moderna forma di rogo dei libri, cioé l'acquisto dell'intera tiratura di un'opera per farla sparire dal commercio; la diffamazione scientifica ed umana; le lusinghe e le promesse; lo spionaggio e la delazione; il ricatto e le minacce; i complotti e le trappole; le sospensioni e le scomuniche, fino alla più grave, la belluina scomunica vitando, del 1926, che proibiva ad ogni credente di accostarglisi, per qualunque motivo. Due articoli del Concordato del 1929 furono pensati da Vaticano con l'intento specifico di privare Buonaiuti dell'insegnamento e della tonaca che insisteva a portare per fedeltà al suo sacerdozio.
… E' cosa da piangere il vedere tanti poveri figlioli, prima innocenti e devoti, ma dopo essere stati in seminario divenuti una sentina di vizi. Per rimediare, il santo (Alfonso Maria Liguori) suggerisce maestri severi e sicuri, ma anche la delazione e lo spionaggio: “E' bene per ogni camerata (e questa è cosa utilissima) tenere due o tre esploratori, cioé due figlioli dell'istessa camerata, i più spirituali e fedeli, ma che i compagni non sappiano già quali sieno; e da questi il rettore o il vescovo andrà esigendo in ogni settimana, e semprecché bisogna, la notizia dei difetti altrui”
… Proprio a monsignor Umberto Benigni, accompagnandolo a casa dopo la lezione come fa l'allievo con il maestro, Buonaiuti confidò il proprio desiderio “di un sacerdozio che operasse all'innalzamento degli spiriti”. Monsignor Benigni rispose, sarcastico e sdegnato: “Mio buon amico, credete proprio voi che gli uomini siano capaci di qualcosa di buono al mondo? La storia è un continuo e disperato conato di vomito, e per questa umanità non ci vuole altro che l'Inquisizione!”. In seguito il Buonaiuti si chiese se non avrebbe dovuto decidere in quel momento di interrompere il cammino verso il sacerdozio.
… Per la Chiesa il modernismo fu un fenomeno di enorme gravità, che non a caso Pio X, nell'enciclica Pascendi dominici gregis, lo definì la “sintesi di tutte le eresie” ma anche “strada dell'ateismo”, locuzione ripetuta nel 1924 da Pio XI. Il Vaticano, per rispondere a una crisi impensata che minava il cuore della sua autorità, aveva riaffermato che le sue verità non sono legate al tempo, ma all'eternità, quindi sono indiscutibili. …. L'8 dicembre 1864 Pio IX, nell'enciclica Quanta cura, aveva affermato che i “valori moderni” potevano distruggere la giustizia e la ragione. Il papa aveva unito all'enciclica il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores, un elenco dei principali errori della modernità. Secondo il documento erano circa ottanta, fra cui il
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razionalismo, il socialismo, il liberismo, il matrimonio civile, la teoria che la Chiesa non deve avere uno Stato, insomma tutte le idee fondamentali che si erano affermate nell'Ottocento. Il Sillabo poteva sembrare l'ottusa reazione di un papa, ma nasceva da tre anni di lavoro di una apposita commissione di cardinali e teologi.
…. Per Buonaiuti la scolastica, presa come valore assoluto, è un sistema filosofico “tale da deformare inevitabilmente le intelligenze, un mostruoso edificio filosofico in cui la Chiesa del medio-evo ha voluto rinchiudere tutte le anime pensanti”. I sacerdoti italiani così costruiti sono, secondo lui, “un anacronismo insopportabile, un tipo d'uomo che è lontano da te di otto secoli; che non dubita di nulla, che ha la più incrollabile fiducia nelle proprie astrazioni”.
… Fu proprio il teologo luterano Adol von Harnack, uno dei più grandi storici del cristianesimo, che portò al culmine il dibattito modernista. Nel maggio del 1900 pubblicò sedici conferenze sull' Essenza del Cristianesimo pronunziate l'inverno precedente all' Università di Berlino, arrivando alla conclusione che il cattolicesimo romano è uno Stato fondato sul diritto e sulla forza e non ha nulla a che vedere con il Vangelo, del quale è una contraddizione manifesta.
… Il gesuita irlandese George Tyrrell esaltò, sotto pseudonimo, il primato della coscienza, della fede e della preghiera sui dogmi, espressioni mutevoli della religione. Scoperto, fu cacciato dalla Compagnia di Gesù nel 1906. Scrisse in quell'occasione: “Questa sola esperienza mi conferisce il diritto di considerare la Compagnia come una trappola di lupi,, o come un trabocchetto pericoloso in attesa delle giovani anime impegnate sul sentiero della vita, per consumare la rovina della loro felicità e della loro salute spirituale”. Fu scomunicato l'anno dopo. Nel 1908, in una lettera a Buonaiuti di cui era amico ed estimatore, fu ancora più duro:
“Roma insegna oggi l'infallibilità del papa: ciò non è che pura eresia. La violenza e l'aberrazione del Vaticano ci danno soddisfazione in questo senso, che esse costituiscono l'affermazione pubblica della sua decadenza. … Tutta la forza di Roma risiede nella massa di brave persone che ancora non dubitano dei suoi metodi e vi credono in buona fede”.
…. Ubi solitudine faciunt, pacem appellant … Plus periculi est in insidiatione occulto quam in hoste manifesto. Leone Magno … Nelle Lettere di un prete modernista il Buonaiuti afferma che nella predicazione autentica del Cristo non ha niente a che vedere con il paradiso cattolico: ma è invece un regno terrestre di beatitudine corporale e di gioia, che Gesù ha indicato come imminente per tutti, e che l'elaborazione successiva, specialmente con l'intervento di San Paolo, ha spostato invece ad una vita dopo la morte, trasformando l'attesa da individuale a collettiva: io penso sinceramente che se Gesù avesse incontrato da vivo e da vicino San Paolo, lo avrenne forse allontanato da sé, come uno spirito incapace di vivere l'aspettativa semplice e l'ingenuità di pensiero di cui si pasceva invece il suo spirito divino e quello dei suoi intimi e rozzi amici..... Il Vangelo, infatti, non assegna il Regno come un premio: la psicologia altruistica e sognatrice di Gesù non concepisce queste categorie di mezzo, di fine,di merito, di mercede. Esso si limita a inculcare la gioia nelle anime dei sofferenti: perché l'alba del trionfo è vicina; a chiamare le turbe ad una esistenza più nobile: non per guadagnare un salario, ma per accogliere con dignità l'evento che, per una volontà provvida, sta per
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attuarsi. Il risultato dei suggerimenti evangelici è il disinteresse completo dalle realtà mondane; una estimazione più serena ed ilare dei valori della vita, che sta per essere allietata da una felicità immensa e duratura. Sempre da Lettere di un prete modernista: L'Eucaristia ha preso il luogo del banchetto in cui i primi cristiani simboleggiavano la fratellanza che li attendeva nel Regno. Con il tempo si è venuta formando la dottrina della presenza reale, e più tardi quella della transustanziazione. Si è smarrito, attraverso questa trasformazione, il valore etico primitivo del rito.... Questo è il suo vero pensiero, ma ancora quasi mezzo secolo dopo, in Pellegrino di Roma, vorrà essere meno esplicito: Che cosa fu mai alle origini il rito eucaristico e in che modo si è venuto nei secoli cristallizzando la dottrina attuale della presenza concreta del Cristo nel sacramento? L'ortodossia ufficiale è esplicita e precisa in proposito. Nel momento della consacrazione, in virtù della formula pronunciata dal celebrante, il pane e il vino, , pur rimanendo nelle loro forme apparenti, cedono, nella loro intima sostanza, il posto a Cristo Uomo-Dio. ….
… Il Concilio di Trento, decretando che il peccato originale non turba l'uomo in maniera irreversibile, trasformò il cattolicesimo in “una compagnia di assicurazione sui rischi dell'oltretomba” : la Chiesa “possiede ormai un perfetto armamentario per assicurare ai suoi fedeli il tranquillo passaggio nel mondo in vista del raggiungimento della beatitudine infinita”. ...Mezzo millennio dopo la conversione di Costantino, la Chiesa “resuscitò” l'impero rendendolo cristiano. Il periodo medievale che va da Carlo Magno a Innocenzo III, è intriso di grande idealità, premessa delle altissime manifestazioni artistiche successive, ma anche un tempo di barbarie religiosa e corrompimento curiale. Il pensiero e la burocrazia sono gli strumenti di ogni istituzione che voglia diffondere la sua dottrina, e agirono sulla Chiesa medievale e nel suo messaggio come su una qualsiasi signoria. ...E' enorme la differenza tra una gerarchia ecclesiastica entusiasta della sua missione e una burocrazia per la quale l'amministrazione del carisma, sostiene Buonaiuti, “equivale ad una banale, stilizzata e mercenaria professione” Giordano Bruno Guerri, Eretico e profeta, Ernesto Buonaiuti un prete contro la Chiesa. Utet, 2007 (Com'è tragico e duro questo libro, frutto di una intensa ricerca che sottende però un certo livore di fondo. Di certo questo prete era tenacemente attaccato alle proprie convinzioni ed era duro nella contrapposizione con l'apparato burocratico del Vaticano, ma altrettanto certo è la durezza.
Ma quando i Cristiani fanno ed insegnano quanto loro piace in tutta segretezza, non lo fanno certo senza un motivo: essi cercano così di stornare la pena di morte che loro sovrasta. E invero il pericolo che essi corrono è simile a quelli cui sono incorsi i filosofi, Socrate per esempio. La dottrina cristiana non rappresenta novità alcuna, sia nella parte etica sia nel rifiuto del culto delle immagini. In essa gioca un grande ruolo la magia. La parte morale della dottrina non costituisce poi un insegnamento elevato e nuovo perché la si trova tale e quale anche presso altri pensatori (Socrate per mezzo di Platone e Seneca).
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Giustamente essi non credono negli dei foggiati dalle mani degli uomini, perché sarebbe assurdo fossero dei i prodotti degli artifici quanto mai vili e malvagi nell'indole, prodotti spesso confezionati anche da uomini ingiusti. Ma questa non è una novità, perché gia Eraclito disse: -Chi si rivolge a cose inanimate credendole divinità fa come chi parla ai muri delle case-. Questo è anche il pensiero dei Persiani, come narra Erodoto. I poteri che i Cristiani sembrano possedere si basano sulla conoscenza dei nomi di verti demoni e sugli incantesimi. Grazie alla magia (nota: l'accusa di magia era nata in ambiente ebraico e si basava su alcuni passi evangelici come Luca 10,17; 9,49; Mc 9,38; Atti 16,18 e 19,13) del resto, lo stesso Gesù fu in grado di operare quei miracoli che si ritenne operasse. E non solo. Egli previde che anche altri, in possesso degli stessi insegnamenti, avrebbero fatto altrettanto acquistando il vanto di operare grazie ad un potere divino. ...I Cristiani invece fanno proprio come quelli che, contro i principi della ragione, prestano fede ai sacerdoti questuanti di Cibele, agli indovini (nota: Plutarco, De Pythiae oraculis, 407 c: razza di ciarlatani e di imbroglioni che... attingendo a sorte da certi loro scritti, danno oracoli agli schiavi ed alle donnette.) ai vari Mitra e Sabadii e al primo venuto, comprese le apparizioni di Ecate o di altra dea o di altri demoni. Come infatti fra quelle persone spesso degli uomini scellerati trovano facile terreno nella dabbenaggine di chi si lascia facilmente ingannare e le portano dove vogliono, come succede tra i Cristiani. ...Gli Ebrei venerano inoltre gli angeli e si dedicano alla magia della quale Mosè fu loro maestro. Dimostrerò in seguito come gli Ebrei caddero in errore ingannati dalla loro ignoranza. ...La resurrezione: una favola. Da quale argomentazione, dunque, foste indotti a credere? Forse perché predisse che una volta morto sarebbe resuscitato? Ebbene, ammettiamo di credere con voi che ciò sia stato veramente detto. Quanti altri raccontano tal sorta di meraviglie al fine di persuadere la dabbenaggine degli ascoltatori mettendone a profitto l'inganno? Lo fecero, come si dice, Zamolski, lo schiavo di Pitagora, tra gli Sciti e Pitagora stesso in Italia e Rampsinito in Egitto. Costui addirittura giocò ai dadi con Demetra, nell'Ade, e se ne tornò con un drappo d'oro, dono della dea. Lo stesso fecero Orfeo tra gli Odrisi, Protesilao in Tessaglia, Eraclo al Tenato e Teseo (molto belle ed interessanti le note relative ai personaggi citati). Noi dobbiamo vedere questo: cioé se qualcuno, morto veramente, sia mai resuscitato in carne ed ossa! O credete che quelle degli altri siano o appaiono favole, mentre voi avete trovato in forma decorosa e credibile la soluzione del dramma: le sue parole dalla croce in punto di morte, il terremoto, le tenebre, ...? Da vivo non riuscì a soccorrere se stesso, da morto invece resuscitò e mostrò i segni della passione e le mani trafitte: ma questo chi lo vide? Una donna indemoniata (nota: Mc 16,9 “apparve a Maria Maddalena dalla quale aveva scacciato sette demoni”) come dite voi stessi, e qualcun altro compagno della stessa impostura o sognatore per una qualche disposizione psichica e visionario di propria volontà, nel delirio della mente. … Sarebbe stato invece necessario, se veramente Gesù avesse voluto dimostrare la sua divina potenza, che egli fosse visto da quegli stessi che lo avevano calunniato e da chi lo aveva condannato e, insomma, da tutti. Non aveva da temere più alcun uomo, una volta morto ed essendo, come voi dite, un dio; né fu certo inviato per restare nascosto.
… Altra loro stolta credenza è che, quando Dio, quasi fosse stato un cuoco, avrà acceso il fuoco, tutto il resto dell'umanità sarà abbrustolita e loro soli resteranno, e non solo i vivi, ma anche, risorti con quelle loro stesse carni della terra. Solo i vermi potrebbero nutrire tale speranza! Infatti quale anima umana potrebbe desiderare ancora un corpo putrefatto?
… I Cristiani sostengono che la sapienza umana è stoltezza davanti a Dio. Ne abbiamo già esposto il motivo: essi vogliono trarre dalla loro solo gli incolti e gli stolti. Di ciò ho già parlato sopra, ma ora voglio dimostrare che questa affermazione è stata dai Cristiani modellata e ripresa da quei sapienti della Grecia che affermarono che, altro è la sapienza umana, altro quella divina. Per esempio Eraclito dice: -L'umana natura non conosce sapienza, quella divina sì- e -L'uomo si sente dare dell'infante dalla divinità, così come il bimbo dall'uomo-.
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...Cristiani però espongono i contenuti della sapienza divina alla gente più incolta e più ignorante ed agli schiavi. Ma essi sono ciurmadori e davanti alle persone per bene, ben sapendo che non son disposte a lasciarsi ingannare, fuggono a rotta di collo, mentre fanno il richiamo ai più grossolani. ...Anche la condanna che Gesù fece contro i ricchi: -E' più facile che un cammello entri....- è ripresa direttamente da Platone; però Gesù guasta l'espressione platonica nella quale si dice che : -Eè impossibile essere particolarmente buoni ed eccezionalmente ricchi-. (Leggi 743a ). ...Se poi voleva inviare sulla terra uno spirito proveniente da sé, quale necessità c'era di inspirarlo nel ventre di una donna? Sapendo già plasmare gli uomini, avrebbe potuto modellargli un corpo intorno e di evitare così di gettare il proprio spirito in tanta lordura. E in tal modo, se fosse stato procreato direttamente dall'alto, non sarebbe nemmeno stato misconosciuto. Celso, Il discorso vero, Contro i cristiani, ed. Corsera, 2012 (trad. e note Salvatore Rizzo, pref. Armando Torno) (Davvero interessante questo testo: di Celso non si conosce nulla se non che avrebbe scritto questo testo nel 178 ed il contenuto, come é abbastanza ovvio, sarebbe stato distrutto e disperso; se non che Origene nel 248 avrebbe composto una confutazione rispondendo a tutte le osservazioni di Celso. A questo punto è opportuno che vada a cercare l'opera di Origene. La cosa strana è che possedevo questo libro sin dal 1987 nell'edizione Adelphi ma non ho riscontrato annotazioni né sottolineature: o non l'avevo capito o non l'avevo apprezzato, ma in allora ero quarantenne... Nelle note e soprattutto nella presentazione si evidenzia come nel II Secolo fossero state molte le opere contro il nascente e prorompente cristianesimo sia in ambito ebraico (ben se ne comprende la ragione) ma anche in settori romani o ellenistici. Di sicuro l'opinione di Celso era contemporanea a questa evoluzione e storicamente abbastanza vicina alla vicenda terrena di Gesù. Comunque davvero bello, forse anche perché esalta l'importanza del pensiero platonico a me tanto caro).
Rari sono i reperti aventi legami con gli edifici pubblici del centro romano, la statuaria e l'epigrafica. Ciò è dipeso con tutta probabilità, dalla presenza delle sede abbaziale e da motivi di ordine catechetico. Una indiretta conferma è data dal ritrovamento nella cripta della chiesa di un cospicuo numero di are votive e di titoli funerari, ivi sepolti per assopire nel rustico popolo le latenti superstizioni pagane. Gli abati dovevano conoscere la dura scorza dei montanari discendenti dai Liguri Montani, come altresì i canoni conciliari relativi al culto dei Betili (pietre conficcate nel terreno), ad esempio il numero 20 del concilio di Nantes del 658 che recita: “siano profondamente affossate quelle pietre che la gente, insidiate dalle mali arti del demonio venera nei luoghi in rovina e nelle foreste, sciogliendo voti o accendendone, oppure le si getti in luoghi tali che giammai i loro adoratori possano ritrovarli...” Gli sfregi sulle facciate contenenti contenenti le iscrizioni confermano tale supposizione. Mario Perotti, Repertorio dei monumenti artistici della provincia di Cuneo, Volume 2a, Uff Studi Prov. Cuneo (il brano riportato è relativo all'Abazia di Pedona: questo Autore davvero preparato e molto impegnato nella ricerca delle nostre radici , ancora vivente, non è mai stato accolto benevolmente dalla Accademia di storici locali. Invece ha compiuto studi importanti e dettagliati, corredati da schizzi a penna, arte in cui si è molto bene espresso).
Come fece notare molto tempo fa George Simmel, il valore delle cose si misura dai sacrifici necessari ad ottenerle. Oggi il numero di individui che possono “fare sesso”, e con maggior frequenza è aumentato ; contemporaneamente, però, anche gli individui che vivono da soli, soffrono di solitudine e provano un atroce senso di abbandono è sempre più alto. Tentano disperatamente di sottrarvisi, e nuove infusione di sesso via internet promettono loro una via di fuga; salvo poi scoprire che, lungi lungi dal lenire la loro sete di
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rapporti umani, questa particolare pietanza cotta e servita via internet non fa che acuirne la mancanza, lasciandoli addirittura più umiliati, soli e desiderosi del calore della vicinanza umana.
… Le farmacie tradizionali rivendite antiche e ormai obsolete, promettevano di mitigare il dolore e alleviare altri disagi fisici. Si andava dal farmacista per ottenere un rimedio contro il mal di gola, di raffreddore, di mal di schiena o di bruciore di stomaco: il dolore che ci spingeva a correre dal farmacista in cercava di consiglio e aiuto non aveva nulla di misterioso o vago. Ma se oggi le farmacie del consumo si basassero stupidamente soltanto sulle vittime di malori ben definibili, il numero dei loro clienti abituali sarebbe decimato. Per fortuna non commettono una tale sciocchezza e si assicurano che “il silenzioso e impercettibile “piede del tempo” citato da Shakespeare non avanzi impercettibilmente né il cielo non voglia, silenziosamente. Oggi il “piede del tempo” strepita da ogni televisione e ogni cuffia; da ogni pagina di ogni rivesta pattinata e da ogni conversazione dei sui mercenari- consapevoli o ignari, non retribuiti (ironicamente, sono loro a pagare!) ma audaci e agguerriti- e anche dei suoi agenti, nemmeno loro retribuiti e tuttavia agguerriti e solerti. A dispetto di Shakespeare il “piede del tempo” non è più inavvertito. Il rumore del suo arrancare o incedere rappresenta un segnale di allarme; ricordatevi che il tempo a piedi agili, lesti e veloci. Bisogna correre più veloci che si può (come ammonì profeticamente Lewis Carroll) solo per rimanere fermi nello stesso punto.... Il una società consumistica il rumore dei piedi del tempo che incede spedito a passi piccoli e veloci ribadisce pienamente questo messaggio: non è soltanto ciò di cui non siete sicuri che richiede la vostra immediata attenzione ma che ciò per cui ancora non sapete di provare incertezza. Questo si traduce in un inesorabile, irrevocabile e inequivocabile rintocco funebre per ciascuna delle nostre certezze. Poiché ogni certezza è arbitraria è, nel migliore dei casi, valida fino a nuovo avviso ogni fiducia in se stessi è il prodotto di una attrazione insufficiente o di ignoranza bella e buona, la più infida varietà di incertezza è quella che temiamo di meno, o non temiamo affatto, quella di cui non siamo ancora, pericolosamente, consapevoli.
… Come ha suggerito Marcia Angeli nella sua recensione di tre lunghi studi per la “New York Review of Books” in data 15 gennaio 2009, “negli ultimi anni le società farmaceutiche hanno messo a punto un metodo nuovo e assai efficace per espandere il proprio mercato. Anziché promuovere farmaci per curare disturbi, hanno iniziato a promuovere disturbi che si adattano ai loro farmaci”. La nuova strategia “è di convincere gli americani che esistono due soli tipi di persone: quelli che soffrono di patologie che richiedono una cura farmacologica e quelle che ancora non sono consapevoli di soffrine”. Lasciatemi aggiungere, però, che non sono state necessariamente le società farmaceutiche a inventare e sviluppare tale strategia. E' più probabile infatti che queste si siano semplicemente limitate a fare propria una pratica commerciale divenuta universale ai nostri giorni. L'offerta di nuovi beni non discende più da una domanda esistente, bensì è la domanda che bisogna creare per accogliere beni già presenti sul mercato, in ciò seguendo la logica delle imprese commerciali in cerca di profitto anziché quella di esigenze umane in cerca di soddisfazione.
… Oltre alle diseguaglianze che riguardano i beni materiali, le “risorse”, c'è quella che egli (Goran Therborn) definisce “disuguaglianza vitale”: l'aspettativa di vita e la probabilità di morire molto prima del raggiungimento dell'età adulta differiscono gravemente di Paese in Paese, e in base alla classe sociale di appartenenza. “In Gran Bretagna un impiegato di banca o un agente assicurativo in pensione hanno davanti a loro sette o otto anni di vita in più rispetto ad un ex dipendente della catena di supermercati Whitbread o Tesco”. Secondo le statistiche ufficiali britanniche, chi ha un reddito minimo ha una probabilità di raggiungere l'età pensionabile quattro volte inferiore rispetto a chi è ai vertici delle classifiche di reddito. A Calton, il quartiere più povero di Glasgow, l'aspettativa di vita è di 28 anni inferiore rispetto a Lenzie, la zona più privilegiata della stessa città. “Le gerarchie dello status sociale sono, letteralmente, letali” conclude
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Therborn. Il quale aggiunge che esiste anche un terzo aspetto della disuguaglianza: quella di tipo “esistenziale” che “ti colpisce in quanto persona” e “limita la libertà d'azione di talune categorie”. … L'aumento della disuguaglianza procura infine un ulteriore danno: la devastazione morale, la cecità e l'insensibilità etica, l'assuefazione alla vista della sofferenza umana e al male inflitto ogni giorno dall'uomo all'uomo: un'erosione lenta ma inesorabile, graduale e subdola al punto da passare inosservata e quindi da non incontrare resistenza, di quei valori che danno significato alla vita e rendono possibile la convivenza umana e plausibile il suo godimento. … Il nostro mondo assomiglia sempre più alla città invisibile di Leonia descritta da Italo Calvino, la cui opulenza “più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate … si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle cose nuove. Nel nostro mondo liquido-moderno, la vera passione nasce dalla gioia di “disfarsi”, di “eliminare”, scartare, buttare.
… Anno Nuovo? Cosa festeggiamo esattamente la vigilia, il primo giorno dell'anno nuovo e in maniera particolare di quel magico istante che li separa? Quella mezzanotte così diversa da ogni altra mezzanotte dell'anno che si è appena concluso (i cui ricordi sono ancora freschi) e (perlomeno è ciò che crediamo) da tutte quelle dell'anno che sta iniziando? La domanda, a pensarci bene, ci lascia sconcertati; dopotutto, quei due giorni di inverno, il 31 dicembre e il 1° gennaio, sono incredibilmente simili, a malapena distinguibili fra loro: 24 ore = 1440 minuti) ciascuno, e separati da una distanza esattamente eguale a quella che divide due giorni consecutivi qualsiasi. Né si tratta di un solstizio d'inverno, quando la notte inizia a retrocedere ed i giorni tornano di nuovo ad allungarsi.... Nell'anno nuovo celebriamo le nostre speranze. E tra tanti desideri, quello che ci auguriamo maggiormente, la “meta-speranza”, la “madre di tutte le speranze” è che questa volta, a differenza delle altre, le nostre speranze non siano frustrate e schiacciate, e l nostra determinazione ad esaudirle non si affievolisca anzitempo, non venga meno né perda vigore, come accaduto in passato. Capodanno è la ricorrenza che ogni anno annuncia la rinascita delle speranze. Balliamo, cantiamo e beviamo per salutare l'arrivo di una speranza che risorge, ancora intatta. Una speranza che ci auguriamo sia di una varietà nuova: immune al discredito ed alla diffamazione.... Solitamente, i proponimenti per l'Anno Nuovo indicano la volontà di diventare una persona migliore, migliore nei confronti degli altri e verso se stessi; la volontà di acquisire (e meritare) maggiore rispetto.
… Nel 1930 Antonio Gramsci annotò in uno dei tanti quaderni che riempì durante la sua lunga prigionia nel carcere di Turi, in provincia di Bari, : “La crisi consite appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. In origine il termine “interregno” denotava uno scarto temporale tra la morte di un sovrano e l'investitura del suo successore che per le generazioni del passato rappresentava la principale occasione per assistere a una rottura, solitamente attesa, nella continuità altrimenti ripetitiva e monotona del governo, della legge e dell'ordine sociale. (nota mia: la rottura e la speranza di un rinnovamento era rappresentata ed attesa dal ricambio di tutto l'entourage del vecchio sovrano, ovvero rappresentava una occasione unica di scalzare le cariatidi più continue e conservatrici). …. Gli Stati nazionali si
trovano in compagnia (conflittuale, litigiosa ed aggressiva) di effettivi soggetti quasi sovrani, pretendenti di fatto o aspiranti tali, ma sempre fortemente competitivi, entità capaci di sottrarsi all'applicazione del principio considerato sino ad oggi vincolante del cuius regio, eius potestas, lex et religio (che detiene il potere, crea le leggi e sceglie la religione) , e che troppo spesso ignorano apertamente o logorano o minacciano di soppiatto coloro che dovrebbero esserne gli oggetti. Il numero degli aspiranti alla sovranità è in continua crescita, e già supera per dimensioni, quantomeno se condiderati non singolarmente ma in diverse combinazioni,, il potere di tenuta e di vincolo di un normale Stato nazionale (secondo John Gray, le multinazionali finanziarie, industriali e commerciali oggi rappresentano “circa un terzo della produzione mondiale e due terzi del commercio mondiale). In ogni territorio e per quanto attiene qualunque ambito dell'esistenza, la sovranità -quel diritto a emanare leggi, sospenderle, stabilire qualsiasi deroga alla loro
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applicazione a piacere e la capacità di rendere simili decisioni obbligatorie ed effettive- è frammentaria, dissipata e disseminata in una molteplicità di centri. … Si direbbe anzi che l'intero pianeta stia vivendo in uno stadio di interregno. Le agenzie politiche ancora esistenti che ci sono state tramandate da epoche precedenti alla globalizzazione sono palesemente inadeguate a far fronte alle nuove realtà dell'interdipendenza planetaria, e quegli strumenti politici che avrebbero l'autorevolezza sufficiente a tener testa alle capacità in costante aumento di forze possenti -benché manifestamente e per propria ammissione non politiche- brillano soprattutto per la loro assenza. Le forze che sfuggono sistematicamente al controllo delle istituzioni politiche affermate, e riconoscibili come completamente e realmente globali (quali il capitale e la finanza, i mercati delle materie prime, l'informazione, le mafie, il traffico di droga, il terrorismo e il commercio di armi), sono tutte simili tra loro: per quanto varino il altri aspetti, infatti, tutte quante ignorano in maniera risoluta, con l'inganno e con l'astuzia, oppure violano apertamente i limiti territoriali, i confini interstatali attentamente sorvegliati e le leggi locali (approvate dallo Stato) senza incontrare alcun ostacolo (e men che mai ostacoli impossibili da aggirare, infiltrare e superare).
…. Pensate: negli Stati Uniti l'improvvisa scarsità di credito ha spinto molti americani a ridurre drasticamente i propri consumi (quantomeno temporalmente), con gravi ripercussioni sulle importazioni, che hanno subito una drastica frenata. La Cina, di cui la produzione industriale e le esportazioni di beni di consumo sono in rapida crescita, ha così perso il suo principale mercato; di conseguenza i magazzini cinesi traboccano di merci invendute, mentre numerose imprese sono costrette a dichiarare bancarotta o a sospendere la produzione, e soprattutto a rimandare a data imprecisata progetti di ulteriore espansione. Sino a ieri era la Cina stessa, in fase di grande espansione, ad assorbire la maggior percentuale dei prodotti tecnologici realizzati soprattutto in Giappone e in Germania. Ma in seguito all'indebolimento della domanda dei prodotti e servizi, anche questi due giganti industriali oggi versano in cattive acque. Il continuo aumento degli “esuberi” a livello mondiale determina l'ulteriore contrazione dei consumi, la quale causa a sua volta il rapido aumento dei disoccupati, dando vita ad un circolo veramente vizioso. … Un esempio per tutti: numerosi indizi fan no supporre che per una serie di motivi la riduzione dei posti di lavoro interesserà soprattutto quei settori dell'economia (in primo luogo le industrie “pesanti”) che tradizionalmente impiegano soprattutto maschi, I settori che si avvalgono invece di una forza lavoro prevalentemente femminile (come spesso è il caso dei servizi e della vendita al dettaglio) potrebbero risentire della crisi in misura minore. Se è davvero così che andranno le cose, a subirne più direttamente i contraccolpi sarà ancora una volta il ruolo di marito/padre, ovvero di colui che contribuisce maggiormente al mantenimento della famiglia, e la consueta suddivisione dei compiti e la tradizionale organizzazione della vita famigliare potrebbero essere messe completamente in discussione. …. Zigmund Bauman, Cose che abbiamo in comune, ed. Laterza 2012 (non mi è piaciuto questo testo: forse la traduzione o forse il fatto che sia una collazione di 44 pezzi o articoli diversi rendono l'eloquio frammentario e dispersivo. Incide anche il fatto che i pezzi non siano datati per cui è difficile inquadrarli nell'esatto contesto temporale. Comunque è il solito Bauman lucido e preciso ma soprattutto perspicace e, come al solito, non abbastanza ascoltato...)
“Ognuno afferrava quello che poteva, strappava, rubava. Tutto si divise in parti e quelli dilaniavano lo Stato che stava tra loro. Lo Stato veniva governato dall'arbitrio di pochi. Avevano in mano il tesoro, le provincie, le cariche, le glorie e i trionfi. Gli altri cittadini erano oppressi dalla povertà, oberati dal servizio nelle legioni. I capi spartivano le prede con pochi, mentre le persone venivano cacciate dalle loro terre se, per disgrazia, queste erano desiderate da un potente vicino.” Il quadro dipinto nelle Historiae da Sallustio, secondo marito di quella Terenzia che aveva dato a Cicerone due figli e lui stesso accusato di aver accumulato con la corruzione e il ladrocinio la montagna di sesterzi
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necessari a comperare una grande proprietà a Tivoli, già appartenuta a Cesare, e a farsi costruire la villa principesca tra il Pincio e il Quirinale, celeberrima per i giardini, riassume bene la situazione di Roma nel I secolo avanti Cristo. D'altronde, come avrebbe testimoniato più di un secolo dopo Giovenale, “ a Roma tutto si compra”. E ben prima, ricorda Carlo Alberto Brioschi in Il malaffare, perfino il “sedicente integerrimo custode dell'erario romano” Catone il Censore aveva sùbito “oltre quaranta processi per corruzione”. Gian Antonio Stella, prefazione a Cicerone, Processo a Verre, ed. Corsera 2012
Che faresti a favore di un innocente che fosse tuo parente, visto che a causa di un uomo corrotto e dissoluto che ti è del tutto estraneo vieni meno al dovere ed alla dignità, e ti comporti in modo tale che a chi non ti conosce sembra essere vero quanto egli va dicendo? Verre infatti, a quanto si asseriva, diceva che sei diventato console non per volere del fato, come gli altri della vostra famiglia, ma per opera sua. Dunque due consoli e il presidente del tribunale saranno dalla sua parte.
… Per gli dèi immortali, prendetevi cura di questa situazione, o giudici, e provvedete! Vi avverto e preannuncio il mio pensiero: per volere divino vi è data l'occasione di liberare l'intera classe senatoriale dall'odio e dall'ostilità, dal discredito e dalla vergogna. Nei processi non v'è serietà, non v'è coscienziosità, si pensa ormai che non esista più un'amministrazione della giustizia. Perciò siamo trascurati e disprezzati dal popolo romano: siamo ormai bruciati da cattiva reputazione, che è gravosa e dura da tempo. M.T. Cicerone ( 106 a.C. - 43 a.C.), Il processo di Verre, ed. Corsera 2012 (gran bel testo: avrei dovuto riportarlo quasi interamente. La forza logica di Cicerone nell'affrontare un processo molto difficile, stante i tempi, è stata coronata da successo. Peccato che lui, in quanto buon avvocato (i tempi erano esattamente quelli odierni) fece una brutta fine. Ottima la traduzione e l'apparato delle note a cura di Nino Marinone)
Ieri (sabato 29 sett. 2mila12) sono stato a Torino Spiritualità: il tema era LA SAPIENZA DEL SORRISO (inteso in senso non positivo, il sorriso può essere l'anticamera del riso cioè del dileggio) Sono ben felice di esserci andato perché l'ambiente ed il clima è davvero sano e piacevole (tutti vecchietti, of course) Al teatro Carignano ho ascoltato don Luigi Ciotti intervistato dalla Caramore ed in onda su Rai3: il ripercorrere della sua vita con tutte le ombre ed ostacoli che ha incontrato: sarà l'aria di Torino che ogni tanto fa nascere qualche santo "sociale"? Nella chiesa di san Filippo Moni Ovadia ha dimostrato di essere un gran giullare: afferma di essere un agnostico ma ci sono troppi riferimenti reali e concreti alla spiritualità che lo tradiscono. Ha dimostrato com'è che gli ebrei coltivano con successo l'ironia raccontando tutta una serie di barzellette o, meglio, detti sapienziali. Ha poi fatto un lungo giro concettuale per dimostrare che il sorriso porta al vero concetto di "dignità" Al teatro Carignano una sorprendente giovane donna (Michela Marzano, insegna filosofia morale a Parigi e il Nouvel Observateur la inserisce nei 50 intellettuali più influenti)
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partendo dal Qoélet (GRANDE SAPIENZA E' GRANDE TORMENTO) ha fatto una dissertazione che definirei micidiale, stringente, logica fino all'esasperazione, cruda e durissima. Si sentirà molto parlare di Costei (mi son chiesto, se mai ha o avrà un marito, quando lo lascia parlare?) Stamattina per radio ho ascoltato Gustavo Zagrebelsky in TUTTO IL MALE PERPETRATO SOTTO IL SOLE, sempre dal Qoélet: davvero bravo, suggerisco di scaricare da radio rai3 questo intervento.
--------------------------------------------------------------------Le merci sono cose e, di conseguenza, non oppongono all'uomo alcuna resistenza. Se mancano di buona volontà, l'uomo può impiegare la forza, in altri termini può impadronirsene. Karl Marx, Il Capitale, ed. Einaudi 1978
Venne infine il tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico e poteva essere alienato. E' il tempo in cui finanche le cose che fino allora potevano essere comunicate ma mai scambiate; date ma mai vendute; acquisite ma non acquistate -virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. - confluirono nel commercio. E' il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per esprimersi in termini di economia politica, il tempo in cui ogni cosa, morale o fisica, era diventata valore venale a portata di mercato. Karl Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti, 1986
Il fascismo in Italia è un segno di infantilismo perché rappresenta il trionfo della facilità, della fiducia e dell'entusiasmo. Si può discutere del governo di Mussolini come di un fatto di ordinaria amministrazione. Ma il fascismo fu molto più di questo: ha scritto l'autobiografia della nazione. Piero Gobetti, La rivoluzione liberale, 1924
Il fascismo offrì a numerosi intellettuali una realtà visibile in cui riporre le loro speranze di una rigenerazione culturale attraverso la politica. Niccolò Zapponi, I miti e le ideologie, 1981
Il fascismo non mirava tanto a governare l'Italia quanto a monopolizzare il controllo delle coscienze italiane. Non gli bastava possedere il potere: vuole possedere la coscienza privata di tutti i cittadini. Giovanni Amendola, La democrazia italiana contro il fascismo, 1950
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L'uomo non giunge a pieno godimento sessuale se non quando può abbandonarsi senza riserve alla soddisfazione, cosa che riesce a fare, per esempio, con la sua moglie pudica. Da questo deriva il suo bisogno di un oggetto sessuale svilito, di una donna moralmente inferiore che non metta in questione i suoi scrupoli estetici, che non conosca la sua vita e non possa giudicarlo. Sigmund Freud, La vita sessuale, 1907
Si deve tacere sui potenti: vi è quasi sempre adulazione nel dirne bene; è pericoloso dirne male mentre sono in vita, ed è vigliacco farlo quando sono morti. Jean de la Bruyère, I caratteri, 1688
Il privato e il pubblico sono due mondi diversi per essenza e il rispetto di questa differenza è la condicio sine qua non perché un uomo possa vivere da uomo libero. La cortina che separa questi due mondi è intoccabile e coloro che strappano le cortine sono criminali. …. Ne va della sopravvivenza e della sparizione dell'individuo. Milan Kundera, I testamenti traditi, 1993 Tutte queste citazioni sono tratte da Michela Marzano, Gli assassini del pensiero, ed. Erikson, 2012. Questo testo è uscito nel 2009 da Larousse ed intendeva spiegare ai francesi gli eventuali riferimenti al fascismo del fenomeno Berlusconi, ma ancor più ad analizzare eventuali contiguità con Sarkozy
Non mi parlate di diecimila o ventimila mercenari o di quelle armate che esistono solo sulla carta: dovrà essere un esercito che appartiene alla città e che, se voi eleggerete come stratego una o più persone, questa o qualunque altra, ubbidirà al comandante e lo seguirà. Ecco come vi esorto a mantenere quest'esercito.
… Non è possibile, mo, non è possibile che una persona sola sia in grado di attuare tutto quello che volete; è possibile però fare promesse, rilasciare dichiarazioni, accusare ora uno ora l'altro. Di conseguenza, tutto quanto va in rovina. Difatti, quando lo stratego comanda dei miseri nercenari malpagati, che qui davanti a voi possono mentire con facilità sul suo operato, e voi in base alle loro parole prendete decisioni a caso, che cosa si può aspettare?
… L'occasione favorevole insita in ogni circostanza, che spesso la sorte offre alle persone negligenti sfavorendo quelle impegnate e alle persone che non vogliono fare niente a svantaggio di quelle che adempiono il proprio dovere, non è possibile comprarla dagli oratori o dagli strateghi, e neppure la concordia interna, la diffidenza verso i tiranni e i barbari e, in breve, niente di simile. Ora invece tutti questi beni si vendono come si fa al mercato e al loro posto sono stati introdotti i germi della rovina e del malessere della Grecia. Quali sono? L'invidia, se qualcuno si lascia corrompere; il riso, se lo si ammette; l'indulgenza per i colpevoli dichiarati; l'odio per chi li rimprovera, e tutto quanto rappresenta connessioni con la corruzione. Eppure le triremi, il numero dei soldati, l'abbondanza del denaro e di altri mezzi, insomma le risorse in base a cjui si giudica la
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potenza di uno stato, adesso sono per tutti di gran lunga maggiori e più ragguardevoli che un tempo; tuttavia, queste risorse sono inutili e inefficaci a causa di quanti le mettono in vendita. Demostene, Filippiche, ed. Corsera, 2012 (non perdo tempo a tracciare analogie con le nostre miserie attuali)
Visto che la legge in Italia "ognuno se la legge" [l'ho sentita nelle stanze del Ministero dell'Interno in occasione di un corso...] Antonio Polosa
Aristide. 3 Per respingere i barbari più facilmente, nel caso in cui avessero provato a rinnovare la guerra, fu scelto Aristide per stabilire la somma che ciascuna città doveva versare per costruire le navi ed allestire gli eserciti e, per suo volere, ogni anno venivano raccolti a Delo quattrocentosessanta talenti: vollero che questa somma costituisse l'erario comune. In un secondo tempo tutto questo denaro venne trasferito ad Atene. Della sua integrità la prova più chiara è che pur avendo amministrato un tesoro così grande, morì così povero da lasciare appena i denari per il funerale. Perciò le sue figlie furono mantenute a spese pubbliche e furono maritate con doti attinte dall'erario comune. Morì circa quattro anni dopo la cacciata di Temistocle da Atene. Cornelio Nepote (100 ? a.C.) , Vite degli uomini illustri, ed. Newton, 1995 (non molto belle le 14 biografie raccolte in questo libro: d'altronde era il primo di ben più importanti serie di biografie. Di carattere negativo evidenzia solo gli aspetti davvero deleteri dei personaggi descritti (ma forse era proprio così già allora?). Fa forse eccezione la scheda relativa ad Aristide. Forse il testo letto era mal tradotto) Dopo la resurrezione, gli apostoli si incontrarono con Gesù sul Monte degli Ulivi in preghiera. Il Maestro
parla dei falsi profeti che insegnano dottrine ingannevoli; i discepoli domandano di poter vedere qual'è la sorte dei giusti nell'aldilà, e Gesù li accontenta mostrando loro una regione fuori da questo mondo, regione di splendori, di profumi, di fiori, di gioia. In seguito presenta ai loro occhi un luogo squallido, ove la gente indossa abiti scuri ed ha lo sguardo molto triste: questo è il luogo ove si trovano i puniti: però non tutti allo stesso modo, quindi vi sono diversi scomparti secondo i peccati; qui soffrono tormenti diversi i bestemmiatori, gli ingiusti, gli adulteri, gli assassini, i traditori, i ricchi che non ebbero pietà dei poveri, delle vedove, degli orfani, ecc.
….Abbiamo i testi diretti degli oppositori della Grande Chiesa come istituzione e come apportatrice di un certo pensiero, o dottrina, e conosciamo le loro parole che spesso sono di rimprovero, come le seguenti: “O voi ciechi, che non vedete la vostra cecità! Io, infatti, sono colui che non fu riconosciuto, né mai è riconosciuto e compreso.... Per voi io sono un ineffabile mistero”. (secondo discorso del grande Seth, 65, 2 e segg) E ancora: “Alcuni credono di entrare nella fede ricevendo il battesimo, che essi chiamano “sigillo”, ignorando che seguono la strada del mondo. Il vero battesimo è qualcosa di diverso: si trova nella rinuncia al mondo; ma quanti affermano di rinunciarvi soltanto con la lingua, sono bugiardi. ...Il Figlio dell'uomo non battezzò nessuno dei suoi discepoli” (Testimonium Veritatis, 69, 8-26).
…. L' Apocalisse di Pietro immette il lettore nel pensiero gnostico. Tre sono i temi centrali dii questo scritto, in cui la mitologia gnostica si vede solo marginalmente: 1) le contrastanti correnti di pensiero nel cristianesimo delle origini che, secondo la dottrina dell'autore, ne minacciano l'autentico sviluppo; 2) il modo
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di intendere la storia della Passione di Cristo; 3) per la sua importanza nella storia cristiana delle origini, l'antagonismo nei confronti della gerarchia ecclesiastica. Per ognuna di queste tematiche l'Apocalisse di Pietro è uno degli scritti più chiari giunti a noi dall'antichità. Dal punto di vista della Cristologia il punto più alto dell'Apocalisse si ha nella presentazione del Cristo che ride sulla croce; il punto di vista antigerarchico più eloquente è nelle chiare espressioni contro i vescovi e i diaconi.
… In un trattato di Nag Hammadi viene espressa molto chiaramente questa divisione dell'umanità in tre categorie: “L'umanità è infatti, divisa in tre specie in base alla natura di ognuna, cioé in pneumatica, psichica e ilica, mantenendo il tipo della triplice disposizione del Logos. Ognuna di queste tre stirpi si riconosce dal suo frutto. Esse tuttavia non erano riconosciute prima: fu l'avvento del Salvatore che illuminò i santi su se stessi e rivelò a ciascuno ciò che è”. E Clemente Alessandrino negli Excerpta scrive: “A partire da Adamo sono generate tre nature: la prima irrazionale alla quale appartiene Caino; la seconda razionale e giusta alla quale appartiene Abele; la terza pneumatica alla quale appartiene Seth.... Molti sono gli ilici, piccolo il numero degli ilici, rari sono i pneumatici”.
… Ancora sulle anime “morte”, sul filo di questo pensiero, il Vangelo di verità così si esprime: “Poiché ciò che non ha radice non ha frutto, ma dice a se stesso: “Ho avuto l'esistenza per essere di nuovo distrutto”. Sarà distrutto. Perciò quanto non è mai esistito (cioé non ha mai preso coscienza del proprio essere) non avrà mai l'esistenza”. ...E' con uguale forza che incontriamo questa specie di docetismo, ad esempio, nel trattato Protennoia trimorfe di Nag Hammadi, e nella già ricordata Interpretazione della gnosi: “Essi l'hanno crocefisso ed egli morì. Ma in realtà non morì. Egli infatti non era reo di morte... Essi lo tolsero per poterlo custodire nella Chiesa”. Ancora tipico della stessa concezione è un tratto della Lettera di Pietro a Filippo: “ Il nostro illuminatore, Gesù, discese, fu crocifisso, portò una corona di spine, vestì un abito di porpora, fu inchiodato su di un legno, fu inumato in una tomba e si resuscitò dai morti. Fratelli miei, Gesù è estraneo a questa passione, ma siamo noi che abbiamo sofferto per la trasgressione della Madre. E così egli compì ogni cosa in apparenza, per mezzo nostro”. La sofferenza degli apostoli assomiglia a quella del Maestro, ma questa era soltanto apparente. Seguono una identica linea di pensiero anche le due Apocalissi di Giacomo. Lo scontro con la Grande Chiesa non poteva non essere frontale. Ed è proprio per questo, tutto lo fa credere, che negli scritti gnostici il maestro dell'insegnamento sulla Passione e la Morte di Gesù è lo stesso Cristo Risorto o, come nel nostro testo, l'apostolo Pietro ed il “fratello” di Gesù, Giacomo, come nelle sue due Apocalissi e nella Lettera a lui intestate. Si tratta ciò delle due più autorevoli voci degli apostoli (escluso Paolo) ai quali si aggiunge anche Giovanni .... Quest'aria di scontro frontale traspare abbastanza chiaramente dai ripetuti inviti a bandire il timore e ad avere coraggio perché .”Tu... sei colui al quale fu dato di conoscere, senza velo, questi misteri” (82, 17). Al termine di questa particolare visione gnostica non desta meraviglia che ci sia anche stato qualche maestro, nel nostro caso Basilide, che giunse a proporre ai seguaci che la Passione e la morte di Gesù non sono da riferire a lui, ma a “Simone di Cirene che fu angariato a portare la croce al suo posto” (vedi Matteo 27, 32) dopo che Gesù lo aveva trasformato in se stesso mentre egli, con i tratti di Simone, se ne stava a guardare e a prendere in giro gli arconti. Gesù “essendo una potenza incorporea e l'Intelletto del Padre ingenerato, si trasformò a suo piacere, ed è così che salì verso Colui che l'aveva inviato … Coloro che “sanno” questo sono stati veramente liberati dal potere degli arconti , autori di questo mondo” (Ireneo, Adversus Haereses, I , 24,4). La conclusione di tutto ciò, confrontata con la predicazione della Chiesa, non può essere che la seguente, in piena armonia con l' Apocalisse di Pietro: “Non si deve riconoscere colui che fu crocifisso, ma colui che venne in forma umana, colui che fu creduto crocifisso, fu chiamato Gesù e inviato dal Padre secondo il suo disegno a distruggere le opre degli autori del mondo”
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Apocalisse di Pietro, a cura di Luigi Moraldi, ed Adelphi, 1987
Ritornando al nostro testo, la lettura seguita mi pare la più probabile. Gesù sarebbe stato allattato dalla cognata, “l'altra Maria”. E proprio dietro questa figura abbiamo la premessa della risposta alla nostra domanda: sua madre dov'era? In queste righe apparentemente oscure vi è, molto probabilmente (non si vede altra soluzione verosimile), una tacita confessione della nascita soprannaturale di Gesù, motivo per cui la madre, Maria, non aveva latte e quindi non poteva allattare e si comprende la familiarità di Gesù nella casa di Teuda. “Nipote” del padre di Giacomo poteva esserlo per diversi motivi che la lingua copta non specifica chiaramente, non distinguendo i gradi di parentela. Ad ogni modo nelle righe precedenti abbiamo una pennellata unica e singolare sull'infanzia dei due che per latro verso è in accordo cn quanto riferisce Epifanio e con una narrazione della letteratura apocrifa sulla loro infanzia e, a largo raggio, con la letteratura primitiva su Giacomo. Nel Vangelo dello pseudo Matteo (41, 1-2) e nel Vangelo arabo dell'Infanzia (43, 1-2) si legge: “Un giorno Giacomo, figlio di Giuseppe, fu mandato dal padre in campagna a raccogliere legna e a prendere ortaggi, e con lui si recò, di sua volontà, anche Gesù; mentre Giacomo lavorava fu morso da un serpente, ma subito accorse Gesù e lo risanò”.
…. Il “glorioso” è il Demiurgo che “ha la gloria di coloro che sono stati generati nelle tenebre” ( Protennoia Trimorfe, 39, 25 e seguenti). Il testo corrisponde parzialmente agli avvenimenti che si leggono nel Vangelo di Matteo, 24,9 : “Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno ed odieranno a vicenda”. Allorché si allontaneranno le parti luminose del creato, cioé gli gnostici, il Demiurgo apparirà come realmente è, ossia “un Nulla” rispetto al mondo degli eoni che il Demiurgo e i suoi arconti ignorano. Il testo non asserisce che il mondo di quaggiù sarà annientato, ma che apparirà come realmente è; vedi, ad esempio, il Vangelo di Verità, 17, 23. Sulla “fatica” del Demiurgo nella formazione del mondo e dell'uomo indugia, ad esempio, Autenticos Logos, 32, 24-32 e Apocrifo di Giovanni, 10,7 e 19,24 ...Con l'espressione “Egli era la vergine” si fa riferimento ad una mitica personalità celeste (come Sophia, Barbelo, ecc.) ma non è facilmente individuabile chi sia precisamente; non sarebbe strano se l'autore pensasse alla triade celeste Padre-Madre-Figlio, e, dopo la precedente identificazione con il Padre, avessimo qui l'identificazione con Madre. Nell'Apocrifo di Giovanni il Risorto afferma: “ Non essere timoroso. Io sono Colui che è con voi in ogni tempo. Io sono il Padre, io sono la Madre, io sono il Figlio” (2,13); è anche possibile pensare alla Vergine Luce della quale si parla nel trattato Pistis Sophia, La nudità della quale si parla nelle righe seguenti, designa evidentemente l'assenza del corpo: Giacomo fu favorito della visione di Gesù così come era in realtà, senza corporeità. Negli Atti di Giovanni leggiamo che l'apostolo dice di Gesù: “altre volte toccandolo mi imbattei con una sostanzia immateriale e incorporea, quasi fosse assolutamente inesistente” / 93,1); e Gesù rivolto all'apostolo afferma: “ ciò che sei tu lovedi, te l'ho indicato io; ma ciò che sono io lo so soltanto io e nessun altro. Permettimi di conservare ciò che è mio e vedi il tuo per mezzo mio; ma come ti dissi tu in realtà non vedi ciò che sono, bensì ciò che tu puoi conoscere come congiunto” (101, 1) Seconda Apocalisse di Giacomo, a cura di Luigi Moraldi, ed Adelphi, 1987 (questo libro è uno dei più vecchi della mia biblioteca; ci sono evidenti segni che l'avessi già letto, ma non compiutamente in quanto è davvero difficile. Il Moraldi, che insegnava a Pavia, è uno dei massimi studiosi della lingua copta (e di tutte quelle limitrofe e coetanee) ed attinge da testi assolutamente rovinati ed incompleti, suffragati però in parte dalla scoperta nel secondo dopoguerra dei testi di Nag Hammadi. La materia è molto complessa perchè oltre alle Apocalissi esistono molti Vangeli gnostici cui bisogna aggiungere quelli Apocrifi. Fa vari riferimenti alla Pistis Sophia, testo che posseggo e che dovrò pur rileggere e studiare. In buona ed estrema sintesi si afferma che il Demiurgo (cioé il Dio dell'Antico Testamento) non è un Dio, è un Dio incompleto e spurio e risiede fra il quarto ed il quinto cielo, attorniato dagli arconti che sono una sorta di demoni. E' infatti inconcepibile che un Dio si stanchi nel creare la terra e l'uomo, ma soprattutto un Dio che non ha vinto ed annullato il Demonio, cioè il Male. Il vero Dio, cioé il Logos, avrebbe mandato il Figlio Gesù sulla terra per riscattare, a favore dei soli eletti la possibile di accedere al sesto cielo. Gesù sarebbe stato un essere incorporeo cioé una sorta di fantasma assolutamente immateriale. Nella salita al Golgota sarebbe stato fisicamente sostituito dal Cireneo il quale effettivamente sarebbe morto, ma non risorto. Sarebbe apparsa poi l'entità
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astratta di Gesù. In questo contesto quella che questi scritti chiamano la Grande Chiesa avrebbe iniziato il suo cammino “imperialista” (nozione mia) ad opera soprattutto di Paolo e dei suoi seguaci che istituirono le figure dei vescovi e dei diaconi. La doppia esistenza di queste concezioni non fu assolutamente innocua e pacifica, anzi, durarono almeno cento-centocinquanta anni fino alle dogmatiche definizioni del Concilio di Nicea laddove gli gnostici furono apparentemente annientati. Davvero interessanti questi testi, ancorchè proprio difficili)
---------------------------Mollières era dunque una frazione del Comune di Valdieri, come Ufficio del Registro e, se non erro, anche come Pretura dipendeva da Borgo San Dalmazzo, da Cuneo per la Scuola e pure la parrocchia era sotto la diocesi di Cuneo. Geograficamente però il Vallone di Mollières appartiene alla Val Tinée affluente del Var, sul versante nizzardo delle Alpi Marittime. … Nel 1906 ha un ufficio di Posta, è unito telefonicamente con Valdieri e con Vinadio, ha una trattoria detta “Delle Alpi”. Sempre dal Dellepiane apprendiamo che “le case sono in muratura al piano terreno, in legno e tavole al piano superiore come pure in legno è il tetto. La popolazione parla il dialetto nizzardo” Le comunicazioni sono possibili sia con Vinadio e Valdieri solo nella bella stagione, mentre più facili, però in inverso soggette a frane e valanghe con St. Saveur, comune francese più vicino, o con Isola, un po' più distante. Per questo motivo il villaggio non è soggetto a dazi doganali, ed anche in periodo fascista, quando le nazioni europee, tra cui la Francia, posero le “sanzioni”, il villaggio di Mollières fu franco.. Il particolare regime di questo villaggio della Val Tinée fu dovuto lla Costituzione della Riserva di Caccia per Vittorio Emanuele II, il quale, quando cedette il Nizzardo alla Francia nel 1861, come compenso per l'aiuto francese nelle guerre di Indipendenza, si riservò le parti alte della Valle Roja, Val Vesubie ed alcuni valloni della Tinèe, esattamente St. Dalmas de Valdeblore (al cui Comune prima apparteneva Mollières), Mollières per tutto il vallone, Ciastiglione (l'attuale Isola 2000). Le “Reali Cacce” nascondevano un più attento obiettivo strategico, non lasciare a Napoleone III, lo sbocco diretto alla cresta di confine tra il col di Tenda, le Alpi Marittime tutte e il colle della Maddalena. Passato il Nizzardo alla Francia, Mollières divenne frazione del Comune di Valdieri, da cui capoluogo dista qualcosa come 43 km. Mentre ne occorrono 15 per arrivare a St. Saveur. Con il nuovo assetto del 1861, la Diocesi di Nizza concede alla Diocesi di Cuneo le parrocchie di Tenda, Brida, Morignolo, Realdo, Piaggia (presso Monesi), Upega, Carnino, Granile (sopra san Dalmazzo di Tenda) e Mollières. Beppe Rosso tra storia e tradizioni, ed. Pedo Dalmatia, 2005 (molto bello questo fascicolo stampato nel decennale della morte di Bep Rouss (1935-1995). Costui fu davvero un grande personaggio, molto amato e popolare, che nella vita faceva l'insegnante ma in realtà era pieno di interessi di carattere naturalistico, sociale, autore di ottime poesie, cultore della lingua provenzale, Sindaco, promotore dell'Avis a Borgo e mille altre sfaccettature. Questo fascicolo raccoglie una serie di articoli dello stesso pubblicati su La Guida, su Cuneo Provincia Granda oltre a testi di poesie. Ho ricopiato questo inciso perché in effetti non avevo mai capito bene quali fossero stati i territori che nel dopoguerra avevamo trasferito alla Francia. Per quanto riguarda il villaggio di Mollières mi piace riportare qui quanto la Buonanima di mio Padre mi aveva più volte raccontato: nel 1939 era stato richiamato alle armi, prima alla caserma di Dronero e poi a Terme di Valdieri (avendo già bottega di sera scappava in bicicletta fino a Cuneo per preparare la merce che mia Mamma, del tutto ignara del mestiere, avrebbe venduto il giorno dopo) e ricordava che un bel giorno giunse a Terme un Maestro siciliano, vincitore di concorso, che aveva una grossa valigia a mano, vestiva in bianco, comprese le scarpe e le ghette; chiese ai soldati di indicare la strada per Mollières. Poverino, non sapeva che oltre al Vallasco e alla valle dei Morti avrebbe dovuto scarpinare per sette e più ore).
Poliorcetica = arte di assediare le città (tratto da Le fortezze delle Alpi Occidentali di Dario Gariglio e Mauro Minola,l'Arciere, 1995)
Per il periodo immediatamente successivo al governo del Segaudi resta una viva testimonianza nella Cronaca di Dalmazzo Grasso, nativo del Borgo, che copre gli anni dal 1484 al 1570. A partire dal 1490 il neoeletto vescovo di Mondovì Girolamo Calagrano si stabilisce definitivamente nel monastero (di Pedona: nota mia) e il cronista ricorda in questi anni “la Badia piena di ogni sorte di robbe tanto da mangiare, quanto per altre faccende,
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cavalli e mule, cani, falconi e vacche in quantità” Tale florido aspetto dell'abbazia conferma l'idea di un restauro condotto con impegno dal Segaudi. La residenza del Calagrano resta comunque un fatto eccezionale, ricordato nostalgicamente dal Dalmazzo Grasso, mentre i vescovi di Mondovì mostravano di considerare l'abbazia soltanto come un'efficace fonte di reddito. Nel 1509 il vescovo Carlo Roero prende l'iniziativa di arricchire di preziosi oggetti liturgici la chiesa di San Dalmazzo, ma alla sua morte tutti questi doni vengono trafugati dai suoi fratelli. Carlo Tosco, San Dalmazzo di Pedona, ed. Soc. Studi Storici di Cuneo, 1996 ( molto bello questo testo scritto da un architetto ma anche da un fine storico: l'impostazione del lavoro è ben diversa da quella che mons. Riberi aveva scritto nel 1929. Molto meno agiografica e celebrativa l'Autore riesce a svolgere il tema in modo molto più distaccato ed evidenzia come il riscontro storico del martire non riportano mai il nome Dalmazzo per cui potrebbero essere state dei documenti celebrativi preconfezionati ed usate all'uopo. Molto bella anche la parte cartografica e la comparazione stilistica dei costrutti della chiesa abbaziale come dei pochi dipinti conservati. E' uno dei pochi che attinge a piene mani dall'opera del Perotti altrimenti ignorato: è un vero peccato perché apprezzo molto i suoi lavori).
Nel 1793 il complesso difensivo dell' Authion fu teatro di una importante serie di battaglie. …. La Testa o Butta dell'Authion fu sede di un importante ridotto formato da una piazzola per porre in batteria due obici, mentre la difesa di fanteria venne affidata al 9° Battaglione Granatieri. Le antistanti posizione di cima de Tueis, del Camp d'Argent e della Tete de Mantegas, erano presidiati da reparti di milizie e volontari, con compiti di osservazione e collegamento. I trinceramenti affacciati sul boscoso versante nord-ovest, che si prolungavano verso la Pointe de Trois Communes, furono guarniti da due battaglioni del reggimento provinciale di Casale, giunto in linea, nei giorni di vigilia della prima battaglia, a marce forzate da Tenda con quattro cannoni. Dalla Butta dell'Authion i trinceramenti proseguirono verso est, lungo la pianeggiante dorsale fino alla Ridotta della Forca, presidiata dal secondo battaglione mercenario svizzero del Régiment Suisse-Grison detto “Christ”, con due cannoni (il riferimento a questo reggimento mi incuriosisce perchè nel 1796, come
risulta da una incisione, era attestato esattamente dove insiste la mia casa a Borgo san Dalmazzo mentre a Cuneo era stabilito nel ex convento di via Barbaroux, poi sede delle Magistrali ed ora di un'altra scuola) (Da notare anche che il 29 settembre 1792 i Savoia evacuarono Nizza rinunciando a difenderla attestandosi al Forte di Saorge ed appunto sull'Authion: il Senato di Nizza fu trasferito a Borgo San Dalmazzo, probabilmente in Casa Grandis, ai piedi della collina di Monserrato). La posizione della sottostante
depressione e la piatta sommità delle Mille Fourches, coronata da un esteso trinceramento, erano affidate ai due Battaglioni del Reggimento Lombardia, con un cannone e con un posto avanzato nell'antistante scosceso pendio. In tutto quattromila uomini, che presidiavano l'ala destra e il centro dello schieramento al comando di due anziani ma validi generali, l'austriaco Colli e il piemontese Dellera. A difesa dell'ala sinistra, a causa della minor asprezza del territorio che favoriva l'attaccante, vennero concentrati 8500 uomini, direttamente agli ordine del generale Thaon di Revel di St. André, comandante in capo dell'Authion, mentre il comando nominale, secondo le consuetudini del tempo, era affidato ad un principe di sangue reale, il duca di Chiablese, fratello del re Vittorio Amedeo III. Il fulcro del settore sinistro era costituito dal Campo Trincerato del Colle Brouis, agli ordini del generale austriaco Pernigotti. Qui erano attestati nove battaglioni piemontesi appartenenti ai Reggimenti Saluzzo, Regina, Tortona, Oneglia, Nizza, Sardegna, con il 1° e l'8° Battaglione Granatieri. Dario Gariglio e Mauro Minola, Le fortezze delle Alpi Occidentali, 2 vol, Ed. L'Arciere, 1995 (davvero ghiotti ed affascinanti questi 2 volumi che espongono con rigore storico e con estrema ricchezza di particolati architettonici e geografico/morfologici le fortificazioni a partire dal Piccolo San Bernardo fino al mare di Nizza e, in appendice, tutta l'area del versante francese che era sempre stata di pertinenza savoiarda a partire dal 1240. Molto chiara l'evoluzione delle fortificazioni a partire dal famoso Vauban (evoluzione del castello medievale, sempre arroccato sulle sommità) alla serie di Sévré de La Rivière (per tutto l'Ottocento) e alle imponenti linee Maginot tutte sotterranee con ampio impiego del cemento armato e con le campane, o funghi, corazzate. Dettagliata, anche se esula dai miei interessi, la spiegazione degli armamenti utilizzati dalle bombarde ai cannoni lisci che sparavano palle di ghisa o di pietra (dopo la battaglia si andava in giro a raccattarle), ai cannoni rigati con una gittata di 5-6 volte superiore per cui faceva venir meno l'utilità delle precedenti fortificazioni. Tutto questo è finito con l'avvento dell'aviazione e, oggi, con i missili a lunghissima gittata.
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Considerazione generale: che beluinità ha espresso la nostra civiltà! Migliaia di vite spezzate, sforzi sovrumani per trasportare gli armamenti ed i materiali da costruzione, freddo e disagio di quei poveri diavoli utilizzati in queste mille battaglie. Pazzesco! Non solo: per costruire simili opere cresceva in modo smisurato il sistema fiscale (diretto ed indiretto, come l'aumento del prezzo del sale) L'unica vincitrice è solo e sempre stata la miseria. In merito poi al breve brano riportato, descrive una zona che ben conosco e che visito almeno due volte all'anno : le ampie targhe commemorative poste dai Francesi nei dintorni dell'Authion esaltano le ripetute vittorie da loro riportate: balle macroscopiche. E' proprio vero che la Storia ognuno se la scrive e poi se la canta. Davvero belli i due volumi arricchiti da molte fotografie e disegni: un grande stimolo a ri-visitare i luoghi noti ma anche quelli ignoti, non appena tirerò fuori lo scooter, a Dio piacendo)
1515. Alli 14 agosto sopravenendo il X° Francesco re di Franza con un bellissimo esercito di 50.000 combattenti passarono per la valle sturiana vennero a posarsi sopra il piano del Borgo, tenendo dal piano di quinto sino alla Castagnareta alla cassina di Belogli et solo la avantiguardia, la quale era per l'Ill.mo sig. Carlo duca di Borbone; l'indoman seguente passò la persona del re accompagnata con il magnifico signor Reynero Bastardo Savoia, i magnifici sig. di Lautrec, de lo Saito, Lantremoglia, la Palizza con conti, marchesi e baroni, quali era una mirabil cosa da vedere con cavalli imbardati, vesti d'oro che con il sol non si potevan mirar per il luzore, stendardi, insegne di nuovo fatte con mirabil fattura, fantasie di lanci con la loro foggia di calce, giupponi tutti ad una liurea gialda e rossa, ben armati e ben pagati, buon regimento di giustizia in detto esercito, mentre che passasse né a grandi né a piccoli né a donne portanti nel campo monition di qual sorta si voglia; non era fatto sforzo alcuno, ognuno hauia dinai di quel che chiedea secondo il precio; grande copia di denari si lassò al Piemonte, ma sopravenedo poi la caristia et penuria di tutte le cose bisognava comprare quello che dato avevano per un soldo per parer allora essere venduto la metà di più del solito da poi bisognava comprarlo quatro soldi, ne mai più sino al presente non avemo veduto le cose a così vil precio..... Otto giorni durò tal passaggio, il re Francesco passò di longo e andò a logiar in Conio nel palazzo del nobile Raffaello Louera, et bona lì for soa andata! … 1516. Questo anno le compagnie de Guasconi che appresso al campo del re Francesco in Italia erano restate al servicio di Papa Leone sopra il ducato di Urbino cassati tornando passarono per il Borgo facendo molti danni e spese assai alle pouere persone del Borgo di mangiere e beuere, robar bestiami e veste, ed altre gioje, andarono verso Limone. 1542. Nella vigilia de la natività de la Madona vene la grande multitudine de grilli grossi tantochè oscuravano l'aire, e ruinava li arbori donde se riposavano sopra, cose che non se ne crederia, et rosigava li seminati, li feni li ortaglie sino a la fine alle foglie de canne e megli, spuzavano tanto donde posavano che niuno pottia odorar né ughe né frutti. Andarono sopra li colli et là trovarono altre simile compagnie e combatendo insieme ne restò tanti morti che era un stupor; li vencitori ritornarono in qua spaventando tuti per il lor danificar, onde alcune persone esperte li meteva in fuga con il suonar, et con qualche strepito con sono di padelle e bacini, o falce, o con simili li spaventavano. 1550. Questo anno 1550 circa l'ora di disnare venne un repentino e smensurato terremoto; il campanile paria che la ponta voltasse al basso e poi ritornava rizzarse, le acque saltava fuori dalle riviere, cadian fornelli e sassi e mattoni, ogni persona pensava essere il fine del mondo et avea color di cenere. 1551. Il medesimo anno nel Robilanto sotto il portico di Consolini da certi nemici mortali Ghirardo Armello fo ferito e morto. Questo anno il mese di luglio li 15,16,17,18 dì non potean le genti far camino per il gran calor; grande abonda de boletti. 1564. Alli 30 di otobre arrivò Sua Altezza con la sua eccell.ma duchessa et tute luoro corte, quali havendo albergato alla abbadia di Borgo, la duchessa partite per andare a Centallo, et da qui a Bra, et il sig. duca dormite al Borgo partendo a meza notte al lume di torchie se ne enviò a Entracque al far de l’alba, et partite per San Martino a riconoscer le miniere di aramo et di argento, donde sentite un grosso teremoto de la sorte
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che quasi ogni giorno sia perseverato dalla salita di lulio sino al presente, non è alcuna sitimana che non ne facia una o doi volte strepito, cosa inaudita, oltre al ruinamento di case et morte di gente, la terra stesse con fessure tanto profonde, ha qualcosa di pronostica produrre grande congetura di peste, che Dio ne voglia preservar per la sua misericordia et bontà. 1568. Cade la tempesta doi volte cioè essendo le messe immature, et un'altra volta di poi colte le messi; tal pezzo di tempesta si trovava della grossezza di un ovo di oca et altri in modo che non rimase speranza di racoglier vino né quasi altro notrimento humano. 1570. L'anno presente essendo mandati per la nostra comunità Dalmacio Fenoglio et Biasio Pasquero a Turino per ambasciatori per il liticio contra Rocha Sparviera et Gagliola per causa di finagio, oltra la solicitude del negocio soprascritto, supplicando il ser.mo duca nostro Emanuel Filiberto ottennero da S.A. gratia speciale di tenir doi fere franche, cioè luna a san Giorgio con tre giorni sequenti, e laltra a san Dalmatio il quinto di decembre con altri tre dì feriali et sequenti perpetuamente. Grasso Dalmazzo, Cronaca di Borgo san Dalmazzo dal 1484 al 1570.Ed. Fotocopia (molto strano ma bello questo libercolo scritto in un italiano davvero stentato da un presunto notaio vivente all'epoca. Moltissimi i riferimenti a fatti storici, a fenomeni naturali, al viver quotidiano di quella gente. Costui afferma di esser stato a Roma per accompagnare un prete suo parente, si è sposato, non dice di aver figliato. Di lettura molto difficile ma certamente affascinante)
MANOVRA: parola rinfacciata dai politici a chi li accusa di furto, di peculato, di associazione a delinquere, di sottrazione di documenti, di menzogna, di spionaggio di clientelismo, di impudenza, di aggiotaggio. Quanto a loro, invocano il rispetto della scritta: “Non disturbare il guidatore durante la manovra” ...ONORARIO: Il compenso dei professionisti di lusso. All'origine si limitava all' onore del loro operato. Oggi è diventato una sovrattassa. Giuseppe Pontiggia, Cordate e servosterzi, A. Mondadori Ed, 2007 Paradiso del comico è un mondo in cui gli uomini si identificano con i ruoli. Nobili che son convinti di esserlo, intellettuali che si sentono delegati a pensare, genitori che costringono al dialogo i figli che aspirano al silenzio. L'assenza di distacco porta al cuore del comico.
… Ridere per non piangere. La radice tragica del comico. ...Tragico è l'individuo, comica la specie. Le rane che, nella immagine di Porfirio, si agitano nel pantano e gracidano che il mondo è stato fatto per loro. Giuseppe Pontiggia, Ridere per non piangere, A. Mondadori Ed, 200 ...ONESTAMENTE Più che un avverbio è una perorazione, un appello. Fa pensare immediatamente al suo contrario, come le donne che invocano il pudore quando stanno per perderlo. ...SINCERAMENTE Lo stesso che onestamente. Sono sinceramente contento per te. Come credergli? ...AEROMOBILE Termine usato dagli altoparlanti negli aeroporti italiani, quando l'aereo ritarda. Esprime tecnicità, efficienza, rinnovamento. Giuseppe Pontiggia, Sul pianeta in aeromobile, A. Mondadori Ed, 2007
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Non acquistare libri per leggerli stasera. Ma acquista solo quei libri che, anche questa sera, avresti avuto voglia di sfogliare. A volte ho acquistato libri pensando che in futuro mi avrebbero interessato. E me ne sono pentito. Da allora penso sempre alla ipotesi della sera. ...Fidati degli aspetti cosiddetti superficiali: le copertine, la grafica, l'impaginazione, il titolo. Parlano come certe etichette sobrie di nobili vini. Mi è accaduto, seguendo le apparenze, di scegliere al buio e di scoprire per questa via autori, libri, editori. Sono solo i superficiali, diceva Wilde, che non si fidano della prima impressione. ...Tra un libro di Einstein e un libro su Einstein scegli il primo. C'è più da imparare dall'oscurità di un maestro che dalla chiarezza di un discepolo: gli scopritori di continenti hanno disegnato contorni sempre imprecisi delle coste, che oggi qualsiasi agenzia turistica è in grado di correggere. Preferisco chi ha scoperto i continenti. ...Se un libro ti attira veramente, non badare al prezzo. E' il modo più sicuro di fare debiti, m anche per evitare le recriminazione di una vita. Il rammarico per un acquisto sbagliato è niente in confronto all'angoscia per un acquisto mancato. ...Non indugiare nell'acquistare i libri che ti interessano. Ogni bibliomane sa che proprio quei libri ti vengono sottratti, mentre guardi altrove, da mani occulte e rapaci, chè l'edizione nel frattempo si è esaurita e sarà difficile trovarne una copia anche in antiquariato. ...Quando il prezzo ti turba, pensa alla parola magica, alibi di tutti gli affari: investimento. Giuseppe Pontiggia, Sull'acquisto dei libri, A. Mondadori Ed, 2007
L'inverno è giallo dei limoni nella valle di Mentone e la pioggia gonfia nei colori che tocca e ogni goccia che cade sul mare è un gianchetto nato a nuotare. Nico Orengo
Simonetta Tombaccini, Storia dei fuorusciti italiani in Francia, ed. Mursia, 1988 (Gentile Signora,
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ho cercato su IBS Libri il riferimento ai suoi due testi presenti in catalogo, ma quello relativo alla nobiltà di Nizza, dopo una prima indicazione di tre mesi di attesa, fu dichiarato irreperibile. Feci allora una ricerca alla Biblioteca di Cuneo e trovai la Storia dei fuorusciti.L'ho letto quasi interamente ma non l'ho terminato per la piccolezza dei caratteri e ancor più per l'angoscia e la meschinità delle situazioni esposte: da tempo evito di guastarmi l'animo.... Devo esprimere un giudizio davvero positivo per la profondità della ricerca, per la facondia di fatti ed avvenimenti, per l'esatta contestualizzazione storica e per la bella e sciolta scrittura. Gli argomenti da Lei trattati li conoscevo superficialmente, frutto di disorganizzate e casuali letture. Dalla lettura del testo ho avuta l'esatta percezione della contrapposizione concettuale (direi genetica) fra i "liberali" e i "comunisti" (e in misura minore, gli "anarchici") ma anche l'esaltazione di alcuni soggetti di entrambi gli schieramenti che erano veramente dotati di spirito patriottico ed ideale; in mezzo, come sempre succede in qualsiasi contesto storico, le spie, i ruffiani, gli opportunisti ed approfittatori: povera natura umana! Molto coinvolgente la dinamica della trasmissione di dati, informazioni e comunicazioni fra i fuorusciti e coloro che operavano in Italia con un continuo e reciproco rischio di essere smascherati e gravemente puniti. Ma anche la gravità e la ferma convinzione di combattere, negli anni 1928-32, contro un regime immensamente più potente e radicato: il testo si esalta il forte patriottismo che animava questi veri eroi epici. Assolutamente non traggo paragoni o analogie con l'attuale classe politica nazionale in quanto assolutamente inconciliabile ed incomparabile ma al momento siamo davvero privi di una qualsiasi idealità: mancano o non sono coltivate tutte quelle virtù con desinenza "tà", tutti quei concetti astratti declinabili nel reale come dignità, libertà, felicità (oggetto di un libercolo filosofico allegato a La Repubblica di ieri).Sono contento di aver letto un gran bel libro.
Costei ha scritto alcuni testi davvero belli ed interessanti. Ho conosciuto questa Signora in funzione di due accessi agli Archivi Dipartimentali di Nizza per il lavoro che avevo svolto svolto sui Carabinieri. E’ davvero padrona della materia e rappresenta l’efficienza e la concretezza di un “vero” funzionario della capace struttura savoiarda.” -------------------------------------------
In data 12 novembre 2012, previo appuntamento, sono andato all'Ambulatorio di Chirurgia Toracica dell'Ospedale di Cuneo. Al dott. Viti ho mostrato il CD del torace relativo alle plurime radiografie effettuate dall' 11 maggio al 25 giugno ed ho chiesto se quelle immagini erano di un forte fumatore: la risposta è stata che le immagini erano di un fumatore, ma non strenuo. Ho rammostrato allora delle vecchie radiografie antecedenti al 2004 chiedendo se quelle immagini erano di un forte fumatore: la risposta è stata affermativa (tenendo presente che in otto anni di fumo e … di invecchiamento fisiologico!) forse la positiva incidenza è attribuibile al fumo di foglie di Tussilago alias Farfaraccio che da oltre due anni uso miscelata con un 25% di tabacco. Lasciato una busta contenente alcune foglie secche: ne parlerà con una sua cugina, botanica. Vedremo se la cosa sarà verosimile, magari a beneficio di quegli imbecilli che non riescono a smettere di fumare. Se poi si riuscisse a dimostrare che il fumo di questa Tussilago è una terapia, sarebbe un vero paradosso? Precisato al dott. Viti che rappresento una cavia, a titolo filantropico. -------------------------------------------------------------
Ab amico reconciliato cave. Guardati da chi ti è amico dopo una riconciliazione.
Proverbio medievale
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Amantium caeca iudicia sunt. Ciechi sono i giudizi degli amanti.
Amare et sapere vix deo conceditur. A stento la divinità concede di amare e di essere saggi.
Publilio Siro, Sententiae, A22
Amare iuveni fructus est, crimen seni. Amare è un frutto per il giovane, un delitto per il vecchio.
Publilio Siro, Sententiae, A29
Amici inest adulatio. L'adulazione è propria degli amici.
Tacito, Annales, 2,12
Amici vitia si feras, facias tua. Se sopporti i vizi degli amici ne sei responsabile.
Publilio Siro, Sententiae A10
Amicum secreto admone, palam lauda. Ammonisci segretamente l'amico e lodalo in pubblico.
Attribuito a Catone
Amicus certus in re incerta cernitur. L'amico sicuro si vede nelle cose incerte.
Cicerone, De amicitia, 64
Amicus diu quaeritur, vix invenitur, difficile servatur. L'amico si cerca a lungo, si trova a stento, si conserva difficilmente.
S. Girolamo, Epistolae, 3,6
Amicus Plato, sed magis amica veritas. Platone è mio amico, ma di più lo è la verità.
Attribuito ad Aristotele
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Amor amara dat. L'amore dà amarezze.
Plauto, Trinummus, 259
Arida pellente lascivos amores canitiae. La sterile vecchiaia respinge gli amori voluttuosi.
Orazio, Odi, 2,11
Cun ames non sapias aut cun sapias non ames. Se ami non hai senno, se hai senno non ami.
Publilio Siro, Sententiae, C32
Diligere parentes prima naturae lex. Amare i genitori è la prima legge naturale.
Valerio Massimo, Dictorum M. , IX, 5,4,7
Illud amicitiae sanctum ac venerabile nomen. Quel santo e venerabile nome che è amicizia.
Ovidio, Tristia, 1,8,15
Mulier cupido quod dicit amanti ...rapida scribere oportet aqua. Ciò che la donna dice al bramoso amante bisogna scriverlo sull'acqua corrente. Catullo, Carmina,70,3-4
Mutua qui dederat repetens sibi comparat hostem. Chi ha dato qualcosa in prestito richiedendolo si procura un nemico.
Nec sine te nec tecum vivere possum.
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Non posso vivere con te, né senza te.
Ovidio, Amores, 3, 11B
Nulla fides unquam miseros elegit amicos. Nessun ha mai scelto per amici color che sono in miseria.
Lucano Pharsalia, 8,535
Ad discendum quod opus est nulla mini aetas sera vederi potest. Nessuna età mi sembra troppo tarda per imparare ciò che è necessario.
Sant'Agostino, Epistoles
Amor ingenii neminem umquam divitem fecit. L'amore per la cultura non ha mai arricchito nessuno.
Petronio, Satyricon, 83,9
Timeo lectorem unius libri. Temo il lettore di un solo libro.
Tommaso d'Aquino
Adversarum impetus rerum, viri fortis non vertit animum. La forza delle avversità non cambia l'animo dell'uomo forte.
Seneca, De providentia, 2,1
Curae canitiem inducunt. Le preoccupazioni fanno venire i capelli bianchi.
Seneca, Phaedra, 607
Dies tribulationis et angustiae. Giorno di angoscia ed afflizione.
Antico Testamento, Sofonia,1,15
Barba non facit philosophum. La barba non fa il filosofo.
Plutarco, Quaestiones philos 709B
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Fere totus mundus exercet histrionem. Quasi tutto il mondo recita.
Formosa facies muta commendatio est. Una bella figura è una raccomandazione.
Publilio Siro, Sententiae, F81
Boni pastoris esse tondere pecus, non deglubere. Il buon pastore tosa le pecore, non le scortica.
Svetonio, Vita di Tiberio, 32
Corruptissima republica plurime leges. Numerose sono leggi in una repubblica corrottissima.
Tacito, Annales, 3,27,3
Auri caecus amor ducit in omne nefas. Il cieco amore dell'oro conduce a tutte le nefandezze.
Rutilio Namaziano, De reditu suo, 1, 358
Avarus animus nullo satiatur lucro. Nessun guadagno sazia l'avaro.
Seneca, Epist. Morales, 94,43
Avarus nimis cum moritur, nihil recte facit. L'avaro non fa nulla di buono se non morendo.
Publilio Siro, Sententiae, A23
Crescentem sequitur cura pecuniam. Gli affanni crescono all'aumentare le ricchezze.
Oratio, Odi, 3,16,17
Curia romana non petit ovem sine lana. La curia romana non vuole la pecora senza lana.
Attribuito a Santa Brigida.
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Desiunt inopiae multa, avaritia omnia. Al povero mancano molte cose, all'avaro tutto.
Seneca, Epist. Morales, 108,9
Dives aut iniquus est aut iniqui heres. Il ricco o è ingiusto o è l'erede di un ingiusto.
Erasmo, Adagia, 847
Felix qui didicit contentus vivere parco. L'uomo parco vive felice e contento.
Binder, Novus thesaurus,
Magna inter opes inops. Povero fra grandi ricchezze.
Orazio, Odi, 3,16,28
Mala parte, mala dilabuntur. Le cose male acquistate finiranno male.
Cicerone, Filippiche, 2,65
Neminem pecunia divitem fecit. Il denaro non ha mai fatto ricco nessuno.
Seneca, Epist. Morales, 119,9
Pauper et dives inimicum matrimonium. Tra povero e ricco è funesto il matrimonio.
Calpurnio Flacco, Declamationes, 29
Qui multum habet plus cupit. Chi più ha più desidera.
Seneca, Epist. Morales, 119,6
Radix enim omnium malorum et cupiditas.
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La cupidigia è la radice di tutti i mali.
San Paolo, 1° lettera e Timoteo , 6,10
Ad kalendas graecas solutorum. Si pagherà alle calende greche.
Svetonio, Vita di Augusto, 87
Aliena nobis, nostra plus aliis piacente. A noi piacciono di più le cose altrui, agli altri le nostre.
Publilio Siro, Sententiae, A28
Castigat ridendo mores. Scherzando sferza i costumi.
Jean de Santeuil
Dulcem rem fabas facit esuries tibi crudas. La fame trasforma le fave crude in una squisitezza.
Facies tua com putat annos. La tua faccia denuncia i tuoi anni.
Giovenale, Satire, 6, 198
Felix qui potuit rerum cognoscere causas. Beato chi potè conoscere la causa delle cose.
Virgilio, Georgiche, 2, 490
Ferrum natare doces. Insegni ad un pezzo di ferro a nuotare.
Flumine vicino stultus sitit. Lo schiocco soffre la sete vicino a un fiume.
Petronio, Fragmenta, 34
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Hic porcos coctos ambulare. Qui passeggiano i porci belli e cotti.
Petronio, Satyricon, 45,4
Melius nil caelibe vita. Niente è migliore della vita da celibe.
Orazio, Epistole, 1,1,88
Papa potest extra ius, super ius et contra ius. Il Papa può oltre il diritto, sopra il diritto e contro il diritto.
attr. al card. Bellarmino
Plenus venter facile de ieiuniis disputat. Un ventre pieno discute facilmente di digiuni.
S. Gerolamo
Quis custodiet ipsos custodes? Chi sorveglierà i sorveglianti?
Giovenale, Satire, 6, 347
Si carta cadit tota scientia vadit. Se ti cade la carta se ne va tutta la (tua) scienza.
Tranquillo (mare) quilibet gubernator est. Tutti sanno fare il timoniere con il mare calmo.
Seneca, Epist. Morales, 85,34
Annosa vulpes haud capitur laqueo. Una vecchia volpe non si fa prendere in trappola.
Apes … debemus imitari:
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Dobbiamo imparare dalle api.
Seneca, Epist. Morales, 84,3
Aquila muscas non captat. L'aquila non prende le mosche.
Intrasti ut vulpis, regnabis ut leo, morieris ut canis. Entrasti (nel papato) come volpe, regnerai come leone, morirai come cane. Papa Celestino V al suo successore Bonifacio VIII, morto di rabbia mordendosi le mani e picchiando la testa contro il muro.
Naturalia non sunt turpias. Le cose naturali non sono turpi.
Vulpinari cum vulpe. Con la volpe comportarsi da volpe.
Erasmo, Adagia, 1,2,28
Parva necat morsu spatiosum vipera taurum. Una piccola vipera uccide con un morso un maestoso bue.
Ovidio, Remedia amoris, 421
Ante mortem ne laudes hominem quemquam. Non lodare nessuno prima della sua morte.
Ant. Test. Siracide, 11,28
Credo ut intelligam, non intelligo ut credam. Credo per comprendere, non comprendo per credere
Sant'Anselmo, Proslogion, 1
Cuius regio, eius et religio. La religione del principe è quella del (suo) popolo.
Clausola della pace di Augusta, 1555
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(che terribili conseguenze ha prodotto una simile cazzata)
Non est bonum esse hominem solum. Non è bene che l'uomo sia solo.
Ant. Test. Genesi, 2,18
Mors et fugacem persequitur virum. La morte raggiunge anche l'uomo che fugge.
Orazio, Odi, 3,2,14
Nascimur uno modo, multis morimur. Nasciamo (tutti) in un sol modo ma moriamo in molti.
Seneca, Controversiae, 7,1,9
Nemo … est tam senex qui se annum non putet posse vivere. Nessuno è tanto vecchio da non pensare di poter vivere ancora un anno.
Cicerone, Cato Maior, 7,24
Nos quoque floruimus sed flos erat ille caducus. Anche noi fiorimmo un giorno, ma quel fiore era destinato ad appassire.
Ovidio Tristia, 5,8,19
Omnia … quae nunc vetustissima creduntur nova fuere. Tutte le cose che crediamo antichissime furono nuove.
Tacito, Annales, 11,24
Pallida mors equo pulsat pede pauperum taverna regumque turres. La pallida morte bussa allo stesso modo al tugurio del povero che a palazzo del re.
Orazio, Odi, 1,4,
Senectus enim insanabilis morbus est. La vecchiaia è malattia incurabile.
Seneca, Epist. Morales, 108,28
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Stat sua cuique dies. Per ciascuno è fissato il suo giorno.
Virgilio, Eneide, 10,467
Veritas filia temporis. Verità figlia del tempo.
Aulo Gellio, Noctes Atticae, 12,1
Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentm periculosum, iudicium difficilem. Breve è la vita, lunga l'arte, fuggevole l'occasione, pericoloso l'esperimento, difficile il giudizio. Ippocrate
Aut amat aut odit mulier; nil est tertium. La donna o ama o odia; non esiste una terza via.
Publilio Siro, Sententiae, a6
Didicere flere feminae in mendacium. Le donne hanno imparato a piangere per mentire.
Publilio Siro, Sententiae, D8
Femina mobilior ventis. La donna è più variabile del vento.
Calpurnio Siculo, Egloghe, 3,10
Intolerabilius nihil est quam femina dives. Nulla è più insopportabile di una donna ricca.
Giovenale, Satirae, 6,460
Mulierem ornat silentium. Bell'ornamento della donna è il silenzio.
Servio, Commento Eneide, 1,561
Mulier recte olet, ubi nihil olet. Profuma bene quella donna che non ha profumo.
Plauto, Mostellaria, 273
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Lupus est homo homini, non homo. L'uomo è per l'uomo lupo, non uomo.
Plauto, Asinaria, 495
Aut non rem temptes aut perfice. O una cosa non la inizi nemmeno o la porti a termine.
Ovidio, Ars amatoria, 1,389
Bis dat qui dat celiter. Dà due volte chi dà prontamente.
Publilio Siro, Sententiae
(conoscevo: “plus dat qui cito dat” che è quasi simile, anzi ben diverso)
Consuetudine levior est labor. Con l'abitudine il lavoro appare più leggero.
Crudelitas mater avaritia est, pater furor. L'avarizia è la madre della crudeltà, l'ira il padre.
Quintiliano, Institutiones, 9,3
Dulcis … quies. Dolce far nulla.
Seneca, Thyestes, 392
Ex vitio alius sapiens emendat suum. Il sapiente corregge il proprio vizio vedendo quello degli altri.
Publilio Siro, Sententiae, E4
Gubernatorem in tempestate …. intellegas. Il timoniere lo apprezzi nella tempesta.
Seneca, De providentia, 1,4,5
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Os habet in corde sapiens, cor stultus in ore. Il saggio ha la bocca nel cuore, lo stolto il cuore nella bocca.
Piger ipse sibi obstat. Il pigro ostacola se stesso.
Seneca, Epist. Morales, 94,26
Quasi stultus stultis persuadere conaris. Come uno sciocco cerchi di persuadere gli sciocchi.
S. Girolamo, Adversus Pelagianos, 3,14
Recte faciendo neminem timeas. Agendo rettamente non avrai da temere chicchessia.
Tarde velle nolentis est. Il volere con lentezza è tipico di chi non vuole.
Seneca, De beneficiis, 2,5,4
Virtus est medium vitiorum et utrimque reductum. La virtù è il punto medio equidistante tra due difetti.
Oratio, Epistulae, 1,18,9
Virtus sudore et sanguine colenda est. La virtù si coltiva con il sudore ed il sangue.
Oratio Epistulae, 10,3
Virtutem primam esse puto compescere linguam. La prima delle virtù è tenere a freno la lingua.
Distica Catonis, 1,3,1
Aequam memento rebus in arduis servare mentem.
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Ricordati , nelle avversità,di mantenere sereno l'animo
Orazio, Odi, 2,3, 1-2
Alium sidere quod voles, primus silere. Taci tu per primo ciò che vuoi sia taciuto dagli altri.
Seneca, Phaedra, 876
Auscultare disce si nescis loqui. Incomincia con l' ascoltare se non sai parlare.
Pomponio, 12R
Bene qui latuit bene vixit. Visse bene chi fu ben nascosto.
Ovidio, Tristia, 3,4,25
Cum sapiente loquens perpaucis utere verbis. Usa pochissime parole parlando con il saggio.
San Colombano, Carmen Monastichum,46
Dubium sapientiae initium. Il dubbio è all'origine della sapienza.
Cartesio
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. E' umano sbagliare, ma perseverare è diabolico.
Cicerone
Esse oportet ut vivas, non vivere ut edas. E' opportuno mangiare per vivere, non vivere per mangiare.
Rhetorica ad Herennium
Exiqua his tribuenda fides qui multa loquuntur. Abbi poca fiducia in chi chiacchiera molto.
Distica Catonis, 2,20,2
Fortuna vitrea est: tum cum splendet frangetur.
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La fortuna è di vetro: proprio quando splende si rompe.
Publilio Siro, Sententiae, F 24
Hoc unum scio, idest nihil scire. So una sola cosa, cioé di non sapere.
risposta di Socrate all'oracolo di Delfi
Hominis tota vita nihil aliud quam ad mortem iter est. Tutta la vita dell'uomo non è nient'altro che un percorso verso la morte.
Seneca, a Polibio, 11
Humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari sed intelligere. Non deridere, non compiangere, non disprezzare ma capisci le azioni umane. Spinoza, Tractatus Politicus, 1,4
Ibi semper est victoria ubi est concordia. Dove c'è concordia c'è sempre vittoria.
Publilio Siro, Sententiae, I 59
Imperare sibi maximum imperium est. Comandare a se stessi è la massima espressione di comando.
Seneca, ad Lucilium, 113, 30
In fuga foeda mors est, in victoria gloriosa. La morte è vergognosa (quando) fuggi, gloriosa nella vittoria.
Cicerone, Filippiche, 14,32
Legere enim et non intelligere neglegere est. Leggere e non capire è come non leggere.
Monostiha Catonis, prefazione
Nemo athleta sine sudoribus coronatur. Nessuna corona raggiunge l'atleta se non con il sudore.
San Girolamo, Epistolae, 14,10,3
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Nitimur in vetitum semper cupimusque negata. Desideriamo sempre le cose vietate e quelle che ci sono negate.
Ovidio, Amores, 3,14,17
Non metuit mortem qui scit conntemnere vitam. Non teme la morte colui che imparò a disprezzare la vita.
Disticha Catonis, 4,22,2
Nulla salus bello: pacem te poscimus omnes. Non c'è salvezza nella guerra: o pace, tutti ti invochiamo.
Virgilio, Eneide, 11,362
O beata solitudo, o solitudo beata. O beata solitudine, o sola beatitudine.
San Bernardo de Clairveaux
Quales in republica principes essent, tales reliquos solere esse cives. Quali sono i capi di stato, tali sono i restanti cittadini.
Cicerone, Epist. Familiares, 1,9
Tristis eris si solus eris. Sarai triste se sarai solo.
Ovidio, Remedia amoris, 583
Aurea mediocritas. Un giusto equilibrio.
Orazio, Odi, 2,10,5
Bis ad eundem (lapidem offendere) Inciampare due volte nello stesso sasso.
Cicerone, Epist. Familiares, 10,20,2
Epistula enim non erubescit. La lettera infatti non arrossisce.
Cicerone, Epist. Familiares, 5,12,1
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Etiam capillus unus habet umbram suam. Anche un solo capello ha la sua ombra.
Publilio Siro, Sententiae, E 13
Excusatio non petita, accusatio manifesta. Scusa non richiesta, accusa evidente.
Hic manebimus optime. Qui resteremo benissimo.
Livio, Ab urbe condita, 5,55
Hoc erat in votis. Ciò era negli auspici (desideri).
Orazio, Satire, 2,6,1
Malam herbam non perire. L'erba cattiva non muore mai.
Erasmo, Adagia, 4,2,99
Mutato nomine de te fabula narrantur. Con diverso nome la favola parla di te.
Orazio, Satire, 1,1,69
Nomen omen. Il nome è un presagio (presentazione)
Per aspera ad astra. Attraverso le asperitĂ sino alle stelle.
Qui parcit virgae odit filium suum. Chi risparmia il bastone odia suo figlio.
Ant. Test. Proverbi, 13,24
163
Sutor, ne ultra crepidam! Ciabattino, non (andare) oltre alle scarpe.
Plinio, Naturalis Hist. , 35,85
Autore ignoto, Carpe diem, ed. Giunti 2012 (ignoto l'Autore, ignoto chi ha scritto la prefazione, frutto evidente di in furto: mi sono adeguato ed ho tratto a piene mani. Manca tutta la serie di detti di natura giuridica come comunemente si studiano per un esame di diritto romano, ma tant'é è bello anche così) ------------------------------------------------------------------
Platone afferma che la felicità è la conoscenza di ciò che è bene, cioè la virtù (Dialoghi)
SOCRATE Siamo d'accordo che chi usa uno strumento è altra cosa dallo strumento? ALCIBIADE Evidentemente S E allora il calzolaio e il suonatore sono altra cosa dalle mani con cui lavorano? A Sì S E finalmente, l'uomo non si serve di tutto il corpo? S'era detto che chi si serve di uno strument e lo strumento sono diversi? A Sì S Allora l'uomo è diversa cosa dal suo corpo? A Credo S E cos'è dunque l'uomo? A Non lo so. S Però tu sai almeno che si serve del corpo? A Sì S Che altro mai si serve di questo se non l'anima? A Nient'altro
Platone, Alcibiade primo, 129d
Per Socrate ogni uomo deve prendersi cura dell'anima e, per essere felice, dovrà mantenerla pura dai mali che le derivano dall'unione con il corpo. Per la morale popolare la felicità non poteva essere completamente disgiunta dai piaceri corporei e perciò era assurdo pensare che un tiranno (cioè un usurpatore del trono), in grado com'era di procurarsi ogni piacere, non fosse felice per il solo fatto di averlo ottenuto a prezzo di ingiustizia. Lo spostamento operato da Socrate del centro della vita morale verso la dimensione interiore lo porta invece ad affermare, paradossalmente per i suoi contemporanei,, che un uomo del genere non potrà essere felice, perché la sua anima è danneggiata dall'ingiustizia. SOCRATE chi conserva la sua ingiustizia e non se ne libera vive peggio. POLO Sembra
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S E questi non è colui che, dopo aver commesso i massimi delitti e dopo aver praticato la massima ingiustizia, riesce a non essere castigato e punito e a non scontare la pena, come, secondo te, Archelao è riuscito a fare, come gli altri tiranni, retori e governanti? P Pare S Costoro, caro amico, si sono comportati pressapoco come uno che soffre le malattie più gravi e riesce a non pagare ai medici la pena degli errori che ha commesso sul suo corpo, evitando di essere curato, perché teme come un bambino le cauterizzazioni e le incisioni, in quanto sono dolorose. Non sei anche tu di questo avviso? P Sì S Egli ignora, a quanto pare, che cosa sia la salute e la virtù del corpo. Da quanto abbiamo ora ammesso è probabile che quelli che fuggono la giustizia si comportino a questo modo: essi, Polo, vedono il suo aspetto doloroso, ma restano ciechi di fronte alla sua utilità e ignorano quanto sia più infelice vivere con un'anima malata che con un corpo malato, cioé con un'anima corrotta ingiusta ed empia. Per questo fanno ogni tentativo per non scontare la pena e non essere liberati dal massimo male, si procurano ricchezze e amici e cercano di diventare il più persuasivi possibile nel parlare. Se è vero ciò che abbiamo ammesso, ti accorgi, Polo, delle conseguenze del nostro discorso? Platone, Gorgia, 479a-c
L'analogia con la medicina in questo punto non regge, perchè la medicina promette appunto il contrario, cioé la salvezza dalla morte.L'efficacia dell'argomentare di Socrate sta nel fatto che l'anima è considerata immortale. Solo in questo modo la morte corporale può essere vista come un male minore e non come il peggiore dei mali.... E come la medicina prescrive purganti capaci di far espellere al corpo le scorie che lo ammalano, così Socrate pensa di operare sull'anima con discorsi capaci di liberarla dalle idee sbagliate.
Il massimo sarebbe intrattenersi ad esaminare quelli là come ho fatto con questi qui, indagando chi di loro è sapiente e chi invece, pur presumendo di esserlo, non lo sia. Cosa non di darebbe, o giudici, per poter esaminare colui che ha condotto contro Troia quell'immenso esercito, oppure Odisseo, o Sisifo, o tantissimi altri che si potrebbero nominare, uomi e donne (…) che irresistibile beatitudine sarebbe potersene stare là a conversare con costoro, stare il loro compagnia facendo domande. Platone, Apologia di Socrate, 41b-d
Epicuro: ma non potrebbe esser invece che la felicità semplicemente si identifichi con il piacere? La dottrina secondo cui la felicità è il piacere si colloca nell'ormai consueto schema: la felicità è il fine supremo, e se la felicità è il piacere, quest'ultimo sarà il fine della nostra vita. Epicuro ricava questo principio dall'esperienza: egli dimostra che fine è il piacere dal fatto che gli esseri viventi appena nati trovano benessere nel piacere e invece avversano il dolore, naturalmente e senza alcun ragionamento. (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, X, 137) L'interpretazione che Epicuro da del piacere è però piuttosto sorprendente, perché egli si muova da una filosofia del piacere, ma giunge, attraverso un percorso argomentativo molto rigoroso, a una filofia della moderazione. Quando pone il piacere a fondamento della natura umana, Epicuro pensa ai piaceri del senso, ma non al tipo di piacere che consiste in una forte stimolazione di essi, quanto piuttosto a quel genere di piacere che si confà alla natura dell'organo su cui agisce (per esempio, se è vero che il bere può dare piacere all'organismo, non è però detto che bere molto intensifichi proporzionalmente il piacere). Il piacere è determinato allora, da una sorta di equilibrio ed è più corretto intenderlo come assenza di dolore che come attività. Il corpo ha le sue esigenze ed Epicuro le riconosce, ma sono esigenze di tutt'altro segno rispetto a quelle che ci immaginiamo quando pensiamo ai piaceri corporei o, come anche li chiamiamo, della carne:
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La voce della carne è: non aver fame, non aver sete, non aver freddo. Chi queste cose abbia o si aspetti di avere, può gareggiare in felicità anche con Zeus (Epicuro, Sentenze, 35)
Principio e bene massimo in tutte queste cose è la prudenza: la quale è perciò più pregevole della stessa filosofia, come quella da cui tutte le altre virtù traggono origine, e che insegna non essere possibile vivere nel piacere ove non si viva con prudenza, temperanza e giustizia. Epicuro, Lettera a Meneceo, 132
Il male che più fa rabbrividire ed è la morte, non è dunque nulla per noi, perché quando noi siamo non c'è la morte, e quando non c'è la morte noi allora non siamo. Epicuro, Lettera a Meneceo, 125
La sintesi di queste tesi si riduce a quattro brevissimi punti, il celebre “tetrafarmaco” o medicina quadripartita ovvero il talismano del filosofo epicureo: gli dei non fanno paura, non si deve temere la morte, è facile procurarsi il bene e altrettanto evitare il male.
L'esercizio della virtù è il rimedio sovrano contro le passioni.
Cartesio, Le passioni dell'anima, art.148
…. siccome una società, secondo Smith, non è felice dove la maggioranza soffre, e siccome lo stadio di maggior ricchezza della società conduce a questa sofferenza della maggioranza e l'economia politica (in generale la società fondata sull'interesse privato) conduce a questo stadio di maggior ricchezza, bisogna concludere che l'infelicità della società è lo scopo dell'economia politica. Karl Marx, Manoscritto economico-filosofici del 1844, Salario
Alcuni esperti di statistica hanno cercato di rappresentare la felicità con una formula matematica identificandola come una funzione calcolata in relazione alle entrate economiche e ai beni relazionali. Secondo questo criterio, la disponibilità in beni relazionali tende a diminuire quando il reddito aumenta. Oltre a un certo equilibrio la felicità tenderebbe a decrescere … In effetti, a guardarla più da vicino, la ricchezza ha un carattere ben più patologico della stessa povertà. L'estrema ricchezza rappresenta il flagello principale della società moderna. Invece di cercare di accrescere ulteriormente la ricchezza con la pretesa di risolvere il problema della povertà, bisognerebbe considerarla una perniciosa malattia mascherata dal pervadente immaginario della crescita.. ….. Lo studio approfondito delle reali cause della miseria potrebbe invece dimostrare chiaramente quanto questo aspetto sia proprio al cuore, se non il cuore stesso, della questione. La miseria morale dei ricchi sfarzosamente celata e dunque molto meno visibile all'esterno, è paradossalmente più dannosa di quella che colpisce gli indigenti; alla patologica ossessione di possedere di più, al desiderio incessante di accumulare per sé e di togliere agli altri per il solo piacere di esercitare un potere, si aggiungono la cultura del successo sociale, l'impietosa dinamica della competizione, l'irrinunciabile principio del profitto e la mercificazione di tutte le relazioni umane (Majid Rahnema) ...La felicità promessa ai vincenti si traduce in frenetica accumulazione dei beni di consumo, in aumento dello stress, dell'insonnia, delle turbe psico-somatiche, delle malattie di ogni tipo (tumori, crisi cardiache, allergie varie, obesità cirrosi epatica, diabete ecc.). “All'aumentare della crescita in tutti i settori sociali -scrive Jean Paul Besset- corrisponde un aumento del disagio individuale: stati depressivi, sintomi da fatica cronica, tentativi di suicidio, turbe psichiche, atti di demenza, internamenti, consumo di autidepressivi, tranquillanti, sonniferi, antipsicotici, stimolanti integratori di ogni tipo, assenteismo al lavoro, a scuola, ansia, comportamenti a rischio....”
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In Francia, secondo Patrick Viveret, “l'angoscia, la paura di vivere, e non solo quella di morire, ha un impatto che corrisponde a 315 miliardi di euro (…) che i francesi consacrano ogni anno alla loro sicurezza sociale. I costi generati dal male di vivere potrebbero invece rappresentare una straordinaria fonte per avviare preziosi programmi di educazione all'arte di vivere. Il tempo sottratto alla frenesia e alla logica della guerra economica, il tempo sottratto al lavoro, è tempo prezioso da dedicare alla partecipazione civica e al mestiere migliore che possa esistere, quello di costruire la propria esistenza”. I più ricchi sono condannati a morire ”di una incredibile tristezza d'animo” e a soffrire di grandissime forme di solitudine. Negli Stati Uniti, la quota di persone che vivono da sole è passata dal 17 per cento dell'insieme delle famiglie al 26 per cento. La miseria psichica e spirituale dei ricchi produce, sul fronte opposto, la miseria materiale degli esclusi poiché in una società che fa della vita una guerra e della morte un fallimento, il rimedio alla depressione psichica è l'eccitazione, di cui la speculazione in borsa è un buon esempio. La depressione culturale annunciata da Keynes produce questa doppia miseria, alimentata ed aggravata dalla pubblicità (un mezzo per rendervi scontenti di ciò che avete e a farvi desiderare ciò che non avete). In questa condizione sarebbe urgente recuperare la saggezza della lumaca (…) In effetti la lumaca non ci insegna solo la necessità della lentezza. “Una lumaca – spiegava Ivan Illich- dopo aver raggiunto un numero di spire sempre più grandi alla delicata struttura del suo guscio, interrompe all'improvviso questa sua attività costruttiva ed incomincia a “riavvolgersi” in modo decrescente. Una sola spira in più aumenterebbe di sedici volte le dimensioni del guscio. Anziché contribuire al benessere della lumaca, la graverebbe di un tale eccesso di peso … mentre le capacità biologiche della lumaca, nella migli0ore delle ipotesi, non possono che aumentare in proporzione aritmetica”. Serge Latouche, La scommessa della decrescita, ed. Feltrinelli, 2007
… Ci sono vari gradi della fisionomia melensa: il primato ce l'ha il turista giapponese. Vederli mi costerna, mi dà voglie di suicidio, di sparire da un mondo che estrae dai materni travagli automi così perdutamente felici di usare una Leica. Dopo ci sono gli olandesi, alti, altissimi, impenetrabili alla luce come le loro palle di formaggio, ben nutriti fino all'abbruttimento. E' così, pressapoco, priva di qualsiasi luce di sguardo, quasi tutta gente nordica, vecchia e giovane, salvo gli inglesi, qualche francese dei dipartimenti meno fradici. Oh Dio, che Europa! E' fatta per le catene, altro che libertà! Solo le scogliere di Dover non dono in vendita (forse), tutto il resto è comprabile... Queste donne del Nord! Draghi biondi emersi da un'acqua sozza, inodori eppure sudici, di una sudiceria invisibile, innocente, prodotta dall'inesorabile secrezione dell'inerzia morale, dalla mancanza completa dell'uso del dubbio morale. L'alimentazione a base di patata, cavolo, maiale e zuccheri, di cibi inscatolati, di frutta esotica maturata nei frigoriferi, di latte munto sal chimico, è come una fucilazione continua dei centri immateriali, dei luoghi vitali della coscienza. Pudore, in malora! Stanno sui gradini a ginocchia divaricate, userebbero le mutande come posacenere, se non ci fossero le pietre corrose, le concavità spirituali della pietra che ha spremuto tutto intero il suo canto. …. Perché Venezia li attira? Perché vivono, e non lo sanno, in città invivibili o in campagne mortificate. Vengono a vedere il prodigio dei prodigi: l'assenza di automobili. Camminanop e ridono... Incredibile è l'industria del ventre. Venezia vende nutrimento quasi senza interruzione, a gente cui dovrebbe bastare, almeno per qualche ora, girare a vuoto, che è già un modo di riempirsi. Non c'è spazio per la digestione. Normalmente mangiano in albergo alle nove,: alle dodici e mezza sono al ristorante; alle quattro prendono gelato, caffé, torte, paste salatini ed altre porcherie di bar; alle sette e mezza i ristoranti strepitano di nuovo alle loro voci di masticanti, riprende la grande Polca delle Mandibole; alle dieci rieccoli al caffé, trincano alcolici, mangiano frutta, dolci, arachidi tostate, noce di cocco e ancora altro gelato, comprato ai chioschetti. Anche questo è strano. Forse la vacanza svuota più in fretta lo stomaco? Lo stomaco vuole essere riempito di più per ricompensa della frenetica diarrea mentale? A mezzanotte li vedi ancora a mangiare.... Stremati, in attesa dei treni della notte, tirano fuori i panini dagli zaini, fanno galleggiare le lattine di birra nei canali. Si mangia dappertutto a Venezia, e malissimo. Forse solo un paio di ristoranti resistono alla piena, a malapena restando di qualità; gli altri sono squallori. La stupidità turistica è rivelata subito, infallibilmente, dall'omnivorismo acritico, di cui approfitta con crudeltà il trafficante di piatto pieno. …. Guido Ceronetti, Albergo Italia, ed. Einaudi 1985, cap. Venezia (mi è sempre piaciuto ed ho molto amato questo Autore : forse perché non capisco tutto quello scrive o forse per la cruda e brutale espressione di scrittura. A volte esagera e di certo è un infelice. Intanto scopro che è del 1927, cosa che lui tenacemente aveva sempre taciuto. Ricordo quella volta che partecipai allo spettacolo ai Cappuccini di Caraglio: teneva una spada di cartone in mano.... A parte aveva allestito una serie di coreografie del suo teatro delle marionette che, se non sbaglio, ha regalato alla città di Lugano. In un altro capitolo, il 21, si scaglia contro don Bosco accusandolo di varie nefandezze (eccessivo interesse morboso per i fanciulli) e per presunta eresia. Strano ma molto bello questo Autore, mio malgrado lo amo, anche quando ha dichiarato che per trenta anni aveva giornalmente redatto su Il Messaggero l’ Oroscopo. Non seppe mai farsi pagare tant’è che dal 2008 percepiva la r cosiddetta rendita “Bacchelli”)
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L'uomo è un cieco che sogna di vedere.
Christian Friedrich Ebbel (1813-1863)
--------------------------------------pag. 124 Una legge di natura (lex naturalis) è un precetto o una regola generale scoperta dalla ragione che vieta ad un uomo di fare ciò che è lesivo alla sua vita o che gli toglie i mezzi per preservarla, o di omettere ciò con cui egli pensa possa essere meglio preservata.
… Il diritto di natura è la libertà che ogni uomo ha di usare il suo potere, come egli vuole, per la preservazione della propria natura, vale a dire della propria vita, e per conseguenza, di fare qualunque cosa nel suo giudizio e nella sua ragione egli concepirà essere il mezzo più atto a ciò.
…pag. 260 Legge civile è, per ogni suddito, quelle regole che lo Stato gli ha comandato, con la parola, gli scritti o altro sufficiente segno di volontà, di usare ciò per distinguere ciò che è cosa retta da ciò che è torto, vale a dire, ciò che è contrario da ciò che non è contrario alla regola. Hobbes, Leviatano, ed. Nuova Italia, Firenze 1976
Definisco il potere politico come diritto di formulare leggi che contemplino la pena di morte e, di conseguenza tutte le pene minori, in vista di una regolamentazione e conservazione della proprietà; di usare la forza della comunità per rendere esecutive tali leggi e per difendere lo Stato da attacchi esterni: tutto questo soltanto ai fini del bene pubblico. Locke, Secondo trattato sul governo civile.
Il primo che, cintato un terreno, pensò di affermare questo è mio, e trovò persone abbastanza ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti crimini, guerre, omicidi, miserie, orrori avrebbe risparmiato alla società civile colui che, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: “Guardatevi dall'ascoltare questo impostore; siete perduti se scordate che i frutti sono di tutti e che la terra non appartiene a nessuno”. Ma è molto verosimile che allora le cose fossero già arrivate al punto da non poter durare così come erano; perché questa idea di proprietà, dipendente da molte idee precedenti, non nacque all'improvviso nell'animo umano. … Il primo sentimento dell'uomo, fu quello della sua esistenza, la sua prima preoccupazione la sua conservazione. La produzione della terra gli forniva tutti i sostegni necessari, l'istinto lo condusse a farne uso. …. J.J. Rousseau, Discorso delle origini e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini, Laterza, Bari, 1971
Chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto dall'intero corpo: ciò significa solo che sarà costretto a essere libero; tale infatti è la condizione che, dando ogni cittadino alla patria, lo garantisce da ogni dipendenza personale; condizione a cui si riduce il meccanismo e il gioco della macchina politica e che sola rende legittimi gli obblighi civili. J.J. Rousseau, Il contratto sociale, Laterza, Bari, 2000
Considero empia e detestabile la massima che in politica la maggioranza di un popolo ha il diritto di fare tutto; e tuttavia ritengo che l'origine del potere sia da porre nella volontà della maggioranza. V'é forse contraddizione in queste due
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posizioni? V'è una legge generale che è stata fatta o almeno adottata non solo dalla maggioranza di questo o quel popolo, ma dalla maggioranza del genere umano: la giustizia. Questo è l'autentico limite dei diritti di ogni popolo. Alexis Tocqueville, La democrazia in America, pubbl. nel 1836
Usami la cortesia di considerare che costui, che chiami tuo schiavo, è nato dalla stessa umana semenza, gode dello stesso cielo, respira esattamente come te, vive né più né meno che come te, muore allo stesso modo! Puoi vederlo uomo libero come egli ti può vedere servo. Al tempo del sanguinoso disastro di Varo (nel 9 d.C. Publio Quintilio Varo e le sue legioni subirono una rovinosa disfatta in Germania, nella foresta di Teutoburgo) la Fortuna umiliò molti personaggi di splendidissimi natali, uomini che miravano di entrare in Senato attraverso la carriera militare; ridusse alcuni di loro alla condizione di pastori, altri a quella di guardiani di capanna. Ora disprezza pure un uomo per la condizione assegnatagli dalla sorte, una condizione alla quale tu stesso puoi passare, mentre lo disprezzi. Non intendo impegnarmi in un tela di vasta portata e discutere del trattamento che riserviamo agli schiavi, verso i quali siamo estremamente superbi, crudeli, oltraggiosi. Questo è tuttavia il succo del mio insegnamento: vivi con il tuo inferiore come vorresti che il tuo superiore vivesse con te. Ogni qual volta ti verrà in mente quanto grande è il potere che ti è consentito di esercitare contro il tuo schiavo, pensa che anche il tuo padrone può fare altrettanto nei tuoi confronti. … Seneca, Lettere morali a Lucilio, Mondadori, Milano, 2011
Tutti gli uomini sarebbero necessariamente uguali se fossero senza bisogni. La miseria connessa alla nostra specie subordina un uomo ad un altro uomo; la vera disgrazia non è la diseguaglianza ma la dipendenza. Poco importa che un uomo si chiami Sua Altezza e un altro Sua Santità; è arduo scrivere l'uno e l'altro.Una famiglia numerosa ha coltivato una buona terra; due famiglie vicine hanno campi ingrati e ribelli: le due famiglie povere debbono servire la famiglia opulenta, oppure sgozzarla, questo va da sé. Una delle due famiglie indigenti offrirà le proprie braccia a quella ricca per avere in cambio il pane; l'altra l'aggredirà e verrà sconfitta. Dalla famiglia soggiogata hanno origine i domestici e i manovali; da quella sconfitta hanno origine gli schiavi. Ciascun uomo nasce con una propensione piuttosto forte per il predominio, la ricchezza e i piaceri, e con un certo gusto per la pigrizia: ne consegue che ciascun uomo vorrebbe possedere il denaro e le donne o le figlie degli altri, essere il loro padrone, piegarli ai propri capricci e non fare nulla, o quantomeno solo cose molto piacevoli. Vedete bene che con così belle premesse è tanto improbabile che gli uomini siano uguali, quanto lo è il fatto che due predicatori o due professori di teologia non siano gelosi uno dell'altro. Voltaire, Dizionario filosofico (1764)
Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul muro. Non vi era più scritto nulla, salvo un unico comandamento che diceva:Tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. George Orwell, La fattoria degli animali, (1945)
Se io voglio definirmi, sono obbligata anzitutto a dichiarare: “Sono una donna”; questa verità costituisce il fondo sul quale si ancorerà ogni altra affermazione. Un uomo non comincia mai con il classificarsi come un individuo di un certo sesso; che sia uomo, è sottinteso. E' pura formalità che le rubriche: maschile, femminile appaiono simmetriche nei registri dei municipi e negli attestati di identità. Il rapporto dei due sessi non è quello di due elettricità, di due poli: l'uomo rappresenta insieme il positivo e il negativo al punto che diciamo “gli uomini” per indicare gli esseri umani, il senso singolare della parola vir essendosi assimilato al senso generale della parola homo. La donna appare invece come il polo negativo, al punto che ogni determinazione le è imputata in guisa di limitazione, senza reciprocità. Mi sono
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irritata talvolta, durante qualche discussione, nel sentirmi obiettare dagli interlocutori maschili: “voi pensate la tal cosa perché siete una donna”; ma io sapevo che la unica difesa consisteva nel rispondere: “la penso perché è vera”, eliminando con ciò la mia soggettività, ma non era il caso di replicare: “e voi pensate il contrario perché siete un uomo”; perché è sottinteso che il fatto di essere un uomo non ha nulla di eccezionale. Un uomo è nel suo diritto essendo tale; è la donna in torto. Simone de Beauvoir, Il secondo sesso (1949)
Caro Giulio, mi hai veramente stupito: la probabilità che tu scrivessi una così bella testimonianza era inferiore ad un ipotetico successo del prof. Monti in una gara di ballo latino-americano nel Dopolavoro di Scarnafigi. Anche a distanza di settant'anni è stato molto utile che tu rendessi evidente la iper-bestialità dell'esperienza sùbìta nella più verde età. Ho detto iper-bestialità perché i selvatici della stessa specie non si uccidono né tanto meno si sterminano. Eppure, storicamente ciò è successo, con una pervicacia e con un orrore che in nessun modo trova una pur abietta giustificazione. Ed è per questo che bisogna fare memoria, tenere accesa la fiamma, imprimerla indelebilmente. Sto leggendo per la prima volta i Promessi Sposi (la lettura scolastica è priva di valore, stante l'età): un piciurlet come Renzo si lascia invischiare in una demenza collettiva, è convinto che il pane ci sia, basta andarlo a prendere liberamente ai forni. La massa subisce strane e incontrollate reazioni, sempre irrazionali ed amorali. Ed è per questo che noi vecchietti dobbiamo vegliare. Ed hai fatto bene a coinvolgere Tuo nipote Tommaso, implicitamente gli hai somministrato la benedizione del Patriarca, gli hai messo fra le mani la tradizione. Bravo, hai fatto bene, ho molto apprezzato ciò. Caro Giulio, mi hai profondamente stupito, proprio tanto. Mi permetto un suggerimento: hai fatto 30, fai 31. Compatibilmente con i programmi editoriali, fai recapitare alle Scuole Medie del saluzzese un congruo numero di copie del testo perché i ragazzi possano leggerlo e poi scambiarselo; offri poi la tua disponibilità a incontrarli. Se ciò avvenisse abbi cura di farti accompagnare da Tommaso, in qualità di medium. Perderà mattinate di scuola ma, come insegna suo Nonno, ciò non implica che diventi un asino, anzi. Abbiti un grande abbraccio Giulio, con i miei più vivi e sinceri complimenti. gigi revel
Caro buon "fratello" Gigi Permettimi di chiamarti ancora cosi' perche' mi sei molto caro e devo dire che, in tante cose belle dell'altra sera, il reincontrarti e' stato proprio un gran bel piacere. Ti ringrazio molto delle parole affettuose e di elogio che tu mi scrivi, non credo di meritare tanto ne' di essere uno scrittore, ma hai ragione a dire che queste poche righe andavano scritte, avrei dovuto farlo gia' molto tempo fa. Ora e' merito di mia figlia che ha voluto che lasciassi qualcosa di tangibile, e devo dire che ora sono contento, perche' credo con questo di avere avuto un pensiero per i Miei che non ci sono piu'. Adesso che ti ho rivisto, non ti lascero' piu' scappare e magari ogni tanto combiniamo un boccone con Aldo. Grazie di tutto, della mail, dei complimenti, ma sopratutto dell'amicizia Ti abbraccio. Giulio
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Giulio Segre, Don Cirillo e il nipotino, ed. Fusta, dic. 2012 (grande e bella sorpresa da parte di questo amico di vecchia data Vive a Saluzzo e dopo 70 anni, ha scritto la storia di lui bambino di 8 anni che, essendo ebreo, il primo dicembre 1943 fuggì verso Cormaiore (Courmayeur) nella vana speranza di fuggire in Svizzera: la cosa era impossibile per via della neve. I suoi genitori l'hanno affidato al parroco del paese, don Cirillo, che con mille sotterfugi lo tenne con sé in canonica. Bella l'esposizione ed avvincente il raccono, pieno di umanità e, soprattutto scevro da rancori. Davvero bello, lo farò leggere ai miei nipotini, ne vale davvero la pena. Doverose lodi).
Un'idea che non trova posto a tavola diventa una rivoluzione.
Leo Longanesi
Agisci solo secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi vedere che divenga una legge universale. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, ed Laterza 1993
Adduceva la mia infamia e insieme le difficoltà del matrimonio, quelle difficoltà che l'Apostolo (Paolo, 1 Corinzi 7,27) ci esorta ad evitare dicendo: “Non sei legato ad una moglie? Non la cercare. Ma se hai preso moglie non hai peccato, e se una vergine si sposerà non peccherà: però essi sperimenteranno così le tribolazioni della carne, ed io vorrei risparmiavele ecc” e ancora “Ma voglio che voi siate senza preoccupazioni, ecc” Diceva che, se a proposito del giogo gravoso del matrimonio non volevo ascoltare né il consiglio dell'Apostolo né le esortazioni dei santi padri, almeno consultassi i filosofi e ponessi mente a ciò che su questo argomento è stato scritto da loro e su di loro, come fanno spesso con diligenza anche i santi padri quando ci rimproverano; così fa san Gerolamo quando nel primo libro del Contro Gioviniano, dove ricorda che Teofrasto, dopo aver accuratamente esposto gran parte delle intollerabili molestie e delle continue preoccupazioni che il matrimonio comporta, dimostra con argomenti evidentissimi che il saggio non deve prender moglie; edove, concludendo le argomentazioni dell'esortazione del filosofo, egli stesso dice: “Così esprimendomi su questo argomento, quale cristiano non coprirebbe di vergogna Teofrasto? Ecc” e sullo stesso argomento dice ancora: “A Irzio che gli chiedeva di prendere in moglie la sorella, dopo aver ripudiato Terenzia, Cicerone oppose un rifiuto totale, affermando che non poteva dedicarsi ugualmente a una moglie e alla filosofia”.
…. Perciò profondamente indignati ordirono un complotto contro di me e, una notte, mentre mi riposavo in una stanza appartata della mia casa, dopo aver corrotto con denaro uno dei miei servitori, mi colpirono con una vendetta estremamente crudele e vergognosa, e che il mondo apprese con immenso stupore: mi tagliarono cioè quella parte del corpo con la quale avevo commesso ciò che loro piangevano. Subito dopo fuggirono, ma si riuscì a catturarne due che vennero privati degli occhi e dei genitaloi; uno di essi era il servo di cui avevo parlato che, pur stando al mio servizio, venne spinto al tradimento dalla cupidigia. Abelardo e Eloisa, Epistolario, ed. Utet, Torino 2008
Tutte la passioni hanno un tempo in cui sono soltanto funeste, e con il peso della stupidità trascinano in basso la loro vittima, e un tempo più tardo, in cui si sposano con lo spirito, si “ spiritualizzano”. Una volta, a causa della stipidità insita nella passione, si faceva guerra alla passione stessa: si congiurava per annientarla; tutti i vecchi mostri della morale sono unanimi sul fatto che “il faut tuer les passions” La formula più famosa di questo è nel Nuovo Testamento, in quel Discorso della Montagna in cui, detto fra parentesi, le cose non vengono affatto considerate dall'alto. Per esempio vi si dice, riferendosi alla sessualità “se il tuo occhio ti molesta, strappalo”: fortunatamente nessun cristiano agisce secondo questo precetto. Annientare le passioni e i desideri unicamente per prevenire la loro stupidità e le spiacevoli conseguenze della loro stupidità, oggi ci appare soltanto come forma acuta della stupidità. Non ammiriamo più i dentisti che strappano i denti affinché non dolgano più... Si ammetta d'altra parte, con un po' di equità, che sul terreno sul quale è cresciuto il cristianesimo non poteva affatto venir concepita l'idea di spiritualizzazione delle passioni. Anzi, come è noto, la prima Chiesa combatté contro gli intelligenti a favore dei poveri di spirito: come ci si potrebbe aspettare da essa una guerra intelligente contro le passioni? La Chiesa combatte la passione mediante
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l'eliminazione di ogni senso: la sua pratica, la sua cura è la castrazione. Essa non domanda mai: ”come si spiritualizza, si abbellisce, si divinizza un desiderio?”; in ogni tempo essa ha messo il vigore della disciplina nell'estirpazione (della sensualità, dell'orgoglio, della sete di dominio, della sete di possesso, della sete di vendetta). Ma aggredire le passioni alla radice significa aggredire alla radice la vita: la prassi della Chiesa è nemica della vita... Friedrich Nietzche, Crepuscolo degli idoli, 1889
2 Malgrado tutto, le passioni non si riducono però soltanto a conflitto e a mera passività. Esse tingono il mondo di vivaci colori soggettivi, accompagnano il dipanarsi degli eventi, scuotono l'esperienza dall'inerzia e dalla monotonia, rendono sapida l'esistenza nonostante disagi e dolori. Varrebbe la pena vivere se non provassimo alcuna passione, se tenaci, invisibili fili non si avvincessero a quanto -a diverso titolo- ci sta a cuore, e di cui temiamo la perdita? La totale apatia, la mancanza di sentimenti e di ri-sentimenti, l'incapacità di gioire e di rattristarsi, di essere pieni di amore, di collera o di desiderio, la stessa scomparsa della passività intesa quale spazio virtuale e accogliente per il presenytarsi all'altro, non equivarrebbero forse alla morte? Remo Bodei, Geometria delle passioni, 1991
Non è questo il luogo per digressioni sull'autenticità delle famose lettere di Abelardo ed Eloisa, spesso ritenute un'invenzione letteraria, forse a opera degli stessi firmatari, oggi considerate autentiche dalla maggioranza degli studiosi. A noi interessa poco, poiché si tratta comunque di di grande sincerità emotiva, e quindi non importa se furono scritte da loro, quando e per quale scopo. Lì si viene a con oscenza di una lettera pro consolatione scritta da Abelardo ad un amico, capitata tra le mani della ormai badessa Eloisa. La lettura della storia delle mie disgrazie, ovvero il resoconto della loro vicenda, spinge Eloisa a scrivere come ancella, anzi figlia,, sua moglie, anzi sua sorella al suo signore anzi padre, a suo marito anzi fratello, al suo unico espresso con un bellissimo vocabolo, unice. (Epistolario ii,1). Mio unico amore, come parlare di penitenza dei peccati “se, per quanto grande sia l'afflizione del corpo, la mente con-serva ancora la volontà di peccare, e arde ancora dei desideri di prima?”
“Mentre dovrei piangere su ciò che ho commesso, sospiro piuttosto su ciò che ho perso” perché “quella voluttà d'amanti che provammo insieme mi furono così dolci che non possono né dispiacermi né quasi cancellarsi dalla mia memoria. Ovunque io mi volgo, sempre mi son davanti agli occhi con tutto il desiderio che le accompagna” (IV, 8,9) “Tu sei certo il solo che può rendermi triste, che può farmi lieta e consolarmi” e me lo devi, perché solo per obbedirti ho accettato di perdere me stessa”. Le parole che seguono questa affermazione, nella seconda lettera sono ferme : “L'amore si è spinto a un tale livello di follia da strapparsi lui stesso, tu sei l'unico vero possessore sia del mio corpo sia del mio animo”. Maria Bettetini, Quattro modi dell'amore, 2012
La mia è una terra di mare, di rocce, di vento. E' un luogo che vivo come campo base, più che come città. Trieste è un luogo rifugio aggrappato alla costa nord del Mediterraneo, un luogo che Dio ogni tanto si compiace di rivoltare col suo mestolo, in una tempesta di aria e di acqua che si chiama bora. Trieste, con il suo furioso vento di terraferma è il mio nascondiglio. Tra un viaggio e l'altro sono alla ricerca di anfratti per non esser visto. Osterie, penombre, fantasmi, vecchie librerie, angiporti, non locali griffati e nemmeno piazze. Spazzerei via tutti gli ostacoli che mi separano dal mare. Via, via una vela e via; una città da usare come imbarco, punto di partenza. Un affaccio, una balaustra verso altri orizzonti.
… Dico che preferisco la fisarmonica: ho capito che Volodia muore dalla voglia di riprenderla. Sono due anni che più nessuno gli chiede di suonare. Lo esorto, e lui non si tira indietro. Si alza, prende la custodia. Lo strumento è pesantissimo. Posa le dita sulla tastiera, la commozione è forte e le dita sono irrigidite dalla malattia. Compie uno sforzo tremendo, prova con Torna a Surriento, lotta con corpo arrugginito, il volto è teso, le dita cercano le note, ma lentamente va, il mantice si gonfia e cerca note più difficili, ci riesce. Volodia si rilassa e sorride. La gioia ha ripreso il possesso della casa degli spiriti. “Dai Volodia, canta per noi”. Ma Volodia fa di no con la testa e continua a suonare.
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Insistiamo e lui, con l'occhio furbo: “Datemi cento grammi e canterò”. Cento grammi è il modo russo per dire “un bicchierino” e un bicchierino non si nega mai in presenza di un ospite. Così Rita porta la caraffa, brandy di orzo fermentato detto “samogon”, cioé “fatto in casa”....
… Vedo un'architettura di potenza e di rappresentanza, una macchina turistica con poca anima, con strani preti atletici, strane automobili nere, strani alberghi e camping perfettamente vuoti fra gli alberi. Ci avviciniamo alla terra di Wojtyla, la Polonia, e il Vaticano già appare una mega agenzia di viaggi, una multinazionale dei pellegrinaggi con filiali in tutto il mondo. Forse faccio troppo in fretta a giudicare; il mio è un viaggio senza approfondimenti. Ma ho imparato a fidarmi dell'istinto e della prima impressione. Raramente sbagliano. Non ho mai amato le religioni trionfanti, preferisco quelle minoritarie e perdenti, le catacombe, le periferie o gli avamposti dove le gerarchie non ficcano il naso e le lotte di potere sono assenti. Forse è per questo che ho sentito più Dio in una sinagoga abbandonata di Ludza che davanti ai marmi vagamente tombali di Aglona. Allo stesso modo il cattolicesimo brilla più intensamente sugli altipiani del Perù che a Roma o nella Baviera di Ratzinger. …
… Il giorno dopo, ci portano in una chiesa in legno verso le sorgenti del Dnestr. La navata respira, scricchiola, sfiata, risuona come la carena di una barca. Il Pope canta il Padre Nostro con due note soltanto, ripete all'infinito la parola “Gosposi”, Signore, e le donne rispondono in coro. Ceri intorno alle icone, bimbi serissimi come soldati, in camicia bianca. E un misto di Austria barocca e Russia ortodossa, Roma e Bisanzio, il tutto profumato di resina e decorata di lumini come a Natale. Monika viaggia da vent'anni nel Centro Europa e sa che Dio abita nei popoli minori, lontani dal potere e dai deliri delle ideologie. In luoghi come i Carpazi capisci nitidamente che in chiesa non si celebra altro che la Comunità, e il senso del Limite che la sovrasta. Per strada una nonna con il fazzoletto rosso e una bambina, sua nipote, abbigliata come una sposa. Si è vestita così per il compleanno della mamma, ma la mamma ha nove figli e non ce la fa a tenerla in casa. Così abita con la vecchia Osipa. Giuseppina. “Mi chiamano così perché sono nata a Natale”, spiega e racconta di essere stata telefonista e poi postina del paese. …
… Kamenec-Podol'skij è un luogo unico al mondo (nota mia:visto su internet, è davvero così), una città-fortezza naturale. La città alta è un mondo a sé dove il Sei e il Settecento non hanno quasi subito mutazioni al tempo dei regimi. Accanto alla chiesa barocca del monastero domenicano i turchi hanno costruito un minareto, trasformando l'edificio in moschea. Quando i cristiani tornarono, invece di abbattere la torre di preghiera eretta dagli infedeli vi misero sopra una sfolgorante statua della Madonna, che ancora oggi si può vedere da lontano come un faro nel mare di grano dell'Ucraina. Né turchi né polacchi abbatterono i simboli religiosi del predecessore. Si limitarono ad abitarli, riconoscendo saggiamente che il Dio degli uni era il Dio degli altri. Paolo Rumiz, Trans Europa Express, ed. Feltrinelli, 2012 ( come amo questo scrittore: prima di tutto perché è spontaneo, intelligente, curioso, modesto ma molto profondo. In questo testo narra di un viaggio da Rovaniemi in Finlandia arriva a Odessa in Ucraina percorrendo e attraversando ripetutamente tutti i confini possibili ed immaginabili con seimila chilometri in treno, in corriera, a volte in autostop, sempre alla caccia di luoghi nascosti, agli incontri con le persone più umili e defilate aborrendo hotel ma cercando osterie e locande semplici. Ha una straordinaria capacità di contatto con gli sconosciuti, ne ottiene subito la fiducia e le conseguenti confidenze. In questo viaggio trova tutte le testimonianze di permanenza e di vita degli ebrei che nel frattempo sono stati sterminati e, dopo il 1956, emigrati massivamente in Israele. Veramente bello, ho trovato molto piacere nel leggerlo ed ho dovuto fare uso di una carta geografica per capire dove diavolo andava a cacciarsi)
Traditore lo sei comunque. Qualunque cosa tu faccia tradisci o la tua arte o il tuo senso di dovere civile. Ebbene, la mia in proposito è una risposta che vale per molte cose: compromesso. Sono un gran fautore del compromesso. So che questa parola gode di pessima reputazione nei circoli idealistici d' Europa, in particolare fra i giovani. Il compromesso è considerato come una mancanza di integrità, di dirittura morale, di consistenza, di onestà. Il compromesso puzza, è disonesto. Non nel mio vocabolario. Nel mio mondo la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c'è vita ci sono compromessi. Il contratto di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte. Sono sposato con la stessa donna da quarantadue anni : rivendico un briciolo di competenza, in fatto di compromessi. Permettetemi allora di aggiungere che quando dico compromesso non dico capitolazione, non intendo porgere l'altra guancia a un avversario, un nemico, una sposa. Intendo incontrare l'altro, più o meno a metà strada. Comunque non esistono compromessi felici: un compromesso felice è una contraddizione.
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… In verità, dopo aver detto che il conformismo e l'uniformità sono forme lievi ma diffuse di fanatismo, debbo aggiungere che spessissimo il culto della personalità, l'idealizzazione di capi politici o religiosi, la venerazione di individui particolarmente brillanti, lo sono non di meno. E il XX secolo è stato generoso per quanto riguarda entrambe le forme. I regimi totalitari, le ideologie mortifere, lo sciovinismo aggressivo, le forme violente di fondamentalismo religioso per un verso, e l'idolatria universale per Madonna o per Maradona dall'altro. L'aspetto probabilmente peggiore della globalizzazione è questa regressione infantile del genere umano: “L'asilo globale”, ridondante di ninnoli e balocchi, dolcetti e leccalecca. Fino al XIX secolo, più o meno a metà del XIX secolo, grosso modo a seconda del paese o del continente, quasi tutti, in gran parte del mondo, avevano almeno tre certezze: dove avrebbero trascorso la vita, che cosa avrebbero fatto per vivere e quello che sarebbe successo dopo la morte. …. Il secolo XX ha eroso, spesso distrutto, queste ed altre certezze. Più o meno intorno al 1950, tale convincimento è stato sostituito da quello della felicità istantanea, non tanto il famoso diritto di lottare per la felicità, piuttosto quell'illusione così diffusa oggigiorno di trovare la felicità in bella mostra sui banchi, per cui non c'è nient'altro da fare che diventare ricchi abbastanza da potersi permettere la felicità, a colpi di portafoglio. La nozione di “felicemente per l'eternità”, l'illusione di una felicità durevole, è in realtà un ossimoro. O calma piatta o vetta. La felicità eterna non è tale, proprio come un orgasmo perenne non è affatto un orgasmo. Ritengo che l'essenza del fanatismo stia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare. Quell'inclinazione comune a rendere migliore il tuo vicino, educare il tuo coniuge, programmare tuo figlio, piuttosto che lasciarli vivere. Il fanatico è la creatura più disinteressata che ci sia. Il fanatico è un grande altruista. Il fanatico è più interessato a te che a sé stesso, di solito. Vuole salvarti l'anima, vuole redimerti, vuole affrancarti dal peccato, dall'orrore, dal fumo, dalla tua fede e dalla tua incredulità, vuole migliorare le tue abitudini alimentari, vuole impedirti di bere o di votare nel modo sbagliato. Il fanatico si occupa assai di te.
… Tutto ciò sostiene il fondamentalismo islamico, è molto, molto dannoso per la vostra salute. Tanto che il primo obiettivo di Bin Laden non è stato l'America, è stato invece quello di trasformare i musulmani moderati e pragmatici in gente come lui. Per Bin Laden, infatti, l'islam è stato infiacchito dal “valori americani”, ma per difendere l'islam bisogna non solo colpire l'Occidente, e colpire duro, bisogna in fin dei conti convertire l'Occidente. E la pace prevarrà solo quando il mondo sarà convertito non tanto all'islam, quanto alla forma più fondamentalista e cruenta e rigida dell'islam. Sarà un bene per voi. Bin Laden fondamentalmente vi ama. L'11 settembre è stato un travaglio d'amore. L'ha fatto per il vostro bene, vuole cambiarvi, vuole redimervi. Il più delle volte tutto questo comincia in famiglia. Il fanatismo, credo, prende le mosse in casa. Si inizia con l'impulso alquanto comune di cambiare una persona amata, per il suo stesso bene, o l'impulso di sacrificare se stessi per la salvezza di un amato. ...Così, in una certa misura, (precedentemente cita Shakespeare, Gogol, Katka, Wuilliam Faulkner) alcune opere letterarie possono servire, ma non tutte. E se promettete di prendere quanto segue cum grano salis, posso dirvi, almeno in linea di principio, che credo di aver inventato la cura per il fanatismo. Il senso dell'umorismo è un'ottima terapia. In vita mia non ho ancora visto un fanatico dotato di senso dell'umorismo, e non nemmeno mai visto una persona dotata di senso dell'umorismo diventare un fanatico, a meno di non perdere il senso dell'umorismo. I fanatici sono spessissimo sarcastici. Alcuni di loro hanno un profondo denso del sarcasmo, ma niente spirito. L'umorismo implica la capacità di ridere di se stessi. L'umorismo è relativismo, è la facoltà di vedersi così come potrebbe vederti il prossimo, è il rendersi conto che, a prescindere da quanto tu sia retto e da che torti tremendi tu abbia subito, esiste immancabilmente un risvolto che è un poco buffo. E che più sei integerrimo, più buffo diventi.
… Ho esordito dicendo che il fanatismo prende sovente le mosse in casa. Permettetemi di concludere dicendovi che anche l'antidoto è reperibile in casa, letteralmente a portata di mano. Nessun uomo è un'isola, dice John Donne in questa meravigliosa frase cui umilmente oso aggiungere: nessu uomo e nessuna donna è un'isola, siamo invece tutti penisole, per metà attaccate alla terraferma e per metà di fronte all'oceano, per metà legati alla famiglia e agli amici e alla cultura e alla tradizione e al paese e alla nazione e al sesso e alla lingua e a molte altre cose. Mentre l'altra metà chiede di essere lasciata sola, di fronte all'oceano. Credo che ci si debba lasciare il diritto di restare penisole. Ogni sistema sociale e politico che trasforma noi in una isola darwiniana e il resto del mondo in un nemico o un rivale, è un mostro.. Ma la tempo stesso ogni sistema sociale, politico e ideologico che ambisce a fare di noi null'altro che una molecola di terraferma, non è meno aberrante. La condizione di penisola è quella congeniale al genere umano.
… Queste iniziative si fondano su un'idea tanto diffusa quanto tipicamente europea, secondo cu9i i conflitti non sono altro che dei malintesi. Una modica terapia di gruppo, un tocco di consulto famigliare, e tutti vivranno felici e contenti. Purtroppo ho delle cattive notizie: alcuni conflitti sono molto reali, sono ben peggio di un malinteso. Ma ho anche delle notizie sensazionali, per voi; temo che non ci sia alcun malinteso di base, fra arabi palestinesi e israeliani ebrei. I palestinesi vogliono la terra che chiamano Palestina. La vogliono per delle ragioni stringenti. Gli ebrei israeliani vogliono esattamente la stessa terra esattamente per le stesse ragioni, il che garantisce una perfetta comprensione fra le
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parti, e dà misura di una terribile tragedia. Fiumi di caffè insieme non potranno mai cancellare la tragedia di due popoli che rivendicano, e ritengo con ragione, lo stesso piccolo paese quale loro unica patria e nazione. Pertanto un caffè conviviale è cosa meravigliosa, ci sto soprattutto se si tratta di caffè arabo, che è infinitamente migliore di quello israeliano.
… Una delle cose che rendono il conflitto israelo-palestinese particolarmente grave, è il fatto che esso sia essenzialmente un conflitto fra due vittime. Due vittime dello stesso oppressore. L'Europa, che ha colonizzato il mondo arabo, l'ha sfruttato, umiliato, ne ha calpestato la cultura, che l'ha controllato ed usato come base dell'imperialismo, è la stessa Europa che ha discriminato, perseguitato, dato la caccia ed infine sterminato in massa gli ebrei perpetrando un genocidio senza precedenti. A rigore, due vittime dovrebbero manifestare d'istinto un senso di solidarietà fra di loro.
… Come scrive il poeta Robert Frost: “Una buona palizzata è ciò che crea un buon vicinato”. … Se qualcosa mi aspetto è un divorzio equo, è un divorzio equo fra la Palestina ed Israele. I divorzi non sono mai felici, anche quando sono più o meno equi. Fanno ancora e sempre male. Specialmente in un caso bizzarro come questo in cui le due parti, divorziando, finirebbero per stare sempre nello stesso alloggio.. Perché nessuno farà i bagagli. E dato che l'alloggio è molto angusto, si dovrà decidere chi prenderà la camera da letto A e chi la camera B, e che fare del salotto, e date le misure si dovrà trovare un accordo sul bagno e sulla cucina. Piuttosto scomodo. Ma meglio così, piuttosto che quella specie di inferno in cui tutti vivono ora in questo benamato paese. I palestinesi quotidianamente oppressi, braccati, umiliati, spodestati dalla crudele amministrazione militare israeliana. Il popolo israeliano quotidianamente straziato da attacchi terroristici indiscriminati contro civili -uomini, donne, bambini, studenti, adolescenti- . Qualunque cosa è preferibile a ciò! Sì, divorzio equo. E chissà che alla fine, dopo aver portato avanti questo doloroso, equo divorzio, creando due stati, creati grosso modo sulla bade di realtà demografiche, con alcune modifiche approvate da entrambe le parti e accordi speciali per quanto riguarda i luoghi santi di Gerusalemme, questa è più o meno la formula; una volta completato questo divorzio e stabilita la spartizione, credo che gli israeliani e i palestinesi non avranno difficoltà a scavalcare il confine per una tazza di caffè insieme. Presumo inoltre che, poco dopo aver sancito la soluzione della spartizione, ci ritroveremo insieme nel cucinino a preparare da mangiare: intendo parlare di un sistema economico comune. Una specie di mercato comune mediorientale. Amos Oz, Contro il fanatismo, ed. Feltrinelli, 2004 (questo piccolo libriccino traspone alcune lezioni che l'autore tenne all'Università Ben Gurion del Negev nel gennaio 2001: dovrò recuperare altri testi posteriori perché gli argomenti sono davvero interessanti. Va da sé che egli è molto inviso all'apparato israeliano che notoriamente preferisce l'uso della forza e della violenza. Bisogna anche considerare che questi due popoli hanno mentalità e costumi precipui che non ignoriamo e non possiamo giudicare: è da 4-5mila anni che si contrastano cruentemente. Una modesta soluzione all'angusto spazio che si contendono, sarebbe, idea mia vecchia, quasi da sempre, che noi cedessimo la Sicilia contro pagamento del dovuto: gli spazi larghi non contrasterebbero la popolazione residente, debellerebbero una volta per tutte la mafia, porterebbero vantaggi economici in una realtà in cui subiamo solo dei costi esorbitanti. Un ponte aereo con Istraele li farebbe andare avanti e indietro con somma facilità).
I promessi sposi L'uomo che vuole offendere, o che teme, ogni momento, d'esser offeso, cerca naturalmente alleati e compagni. Quindi era, in quei tempi, portata al massimo punto la tendenza degl individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, e a procurar ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva. Il clero vegliava a sostenere e ad estendere la sua immunità, la nobiltà i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arruolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oligarghie aveva una sua forza specile e propria; in ognuna l'individuo trovava vantaggio d'impiegar per sé, a proporzione della sua autorità e della su destrezza, le forze riunite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie alle quali i loro mezzi personali non sarebbero bastati, e per assicurarsene l'impunità … Don Abbondio, assorbito continuamente nei pensieri della propria quiete, non si curava di quei vantaggi per ottenere i quali facesse bisogno d'adoprarsi molto, o d'arrischiare un poco. Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui, dalle contese allora frequentissime, tra il clero e le potestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni fra due contadini, nate da una parola, e decise con i pugni, o con le coltellate. Se si trovava assolutamente costretto a prender parte fra due contendenti, stava con il più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all'altro che egli non gli era volontariamente nemico... Cap I
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….-Ma mi spieghi una volta cos'è questa formalità che s'ha a fare, come dice, e sarà subito fatta.-Sapete voi quanti siano gli impedimenti dirimenti? -Cosa vuol ch'io sappia d'impedimenti? -Error, conditio, votum, cognatio, crimen, cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, sisis affinis... comincia don Abbondio contando sulla punta delle dita. -Si piglia gioco di me? -interruppe il giovane- che vuol ch'io sappia del suo latinorum? -Dunque se non sapete le cose , abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa Cap. II
..Il Padre Cristoforo arrivava nell'attitudine d'un buon capitano che, perduta, senza sua colpa, una battaglia importante, afflitto ma non scoraggiato, sopra pensiero ma non sbalordito, di corsa e non di fuga, si porta dove il bisogno lo chiede, a premunire i luoghi minacciati, a raccoglier le truppe, a dare nuovi ordini. Cap. VII
…Non mancava altro che una occasione, una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti; e, non tardò molto. Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portare alle solite case. Il primo comparire di uno di que' malcapitati ragazzi dov'era un crocchio di gente, fu come il cadere di un salterello acceso in una polveriera. -Ecco, c'è il pane!- gridarono cento voci insieme -Sì, per i tiranni che notano nell'abbondanza, e voglion far morire noi di fame - dice uno; s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all'orlo della gerla, dà una stratta e dice: -lascia vedere-. Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare.; ma la parola gli muore in bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle cigne. -Giù quella gerla- si grida intanto. Molte mani l'afferrano a un tempo; è in terra; si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida flagranza si diffonde all'intorno. -Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiare pane anche noi,- dice il primo: prende un pan tondo, l'alza, facendolo vedere alla folla, l'addenta; mani alla gerla, pani per l'aria; in men che non si dice, fu sparecchiato. Coloro cui non era toccato nulla, irritati alla vista el guadagno altrui, e animati dalla facilità dell'impresa, si mossero a branchi, in cerca d'altre gerle; quante incontrate, tante svaligiate. E non c'era neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori; quelli che, per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata, posavano volontariamente il carico, e via a gambe. Con ciò, coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più; anche \i conquistatori non erano soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati di poi gli uni con gli altri, c'erano coloro che avevano fatto disegno sopra un disordine più coi fiocchi. _al forno, al forno- si gridava.... ...-Ora è scoperta, -gridava uno- l'impostura infame di que' birboni, che dicevano che non c'era né pane, né farina, n'é grano, ora si vide la cosa chiara e lampante; e non ce la potranno più dare ad intendere. Viva l'abbondanza! -Vi dico io che tutto questo non serve a nulla -diceva un altro: -è un buco nell'acqua; anzi, sarà peggio, se non si fa una buona giustizia. Il pane verrà a buon mercato, ma ci metteranno il veleno, per far morire la povera gente, come mosche. Già lo dicono che siam troppi; l'hanno detto nella giunta; e lo so di certo, per averlo sentito dire io, con quest'orecchi, da una mia comare, che è amica d'un parente dello sguattero d'uno di que' signori. Parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla bocca, un altro, che teneva con una mano un cencio di fazzoletto su capelli arruffati ed insanguinati. E qualche vicino, come per consolarlo, gli faceva eco . Cap. XII
…...Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un canto, pallida e senza raggio, pure spiccava nel campo immenso d'un bigio ceruleo, che, giù giù vero l'oriente, s'andava sfumando leggermente in un giallo roseo. Più giù, all'orizzonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali, poche nuvole, fra l'azzurro ed il bruno, le più basse orlate al di sotto di una striscia quasi di fuoco, che di mano in mano si faceva più viva e tagliente; dal mezzogiorno, altre nuvole raccolte insieme, leggieri e soffici, per dir così, si andavano lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quand'è bello, così splendido, così in pace. Se Renzo si fosse trovato lì andando a spasso, certo avrebbe guardato in su, e ammirato quell'albeggiare così diverso da quello che era solito vedere pe' suoi monti. Ma badava alla sua strada, e camminava a passi lunghi, per riscaldarsi, e per arrivare presto. Cap. XVII
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...Un po meglio informati che fra Galdino, noi possiamo dire come andò veramente la cosa. Attilio, appena arrivato a Milano, andò, come aveva promesso a don Rodrigo, a far visita al loro comune zio del Consiglio segreto. (Era una consulta, composta allora di tredici personaggi di toga e di spada, da cui il governatore prendeva parere, e che, morendo uno di questi, o venendo mutato, assumeva temporaneamente il governo). Il conte zio, togato, e uno degli anziani del consiglio, vi godeva di un certo credito; ma nel farlo valere, e nel farlo rendere con gli altri, non c'era il suo compagno. Un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d'occhi che esprimeva: non posso parlare: un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia: tutto era diretto a quel fine: e tutto, più o meno, tornava in pro. A segno che fin a un: io non posso niente in questo affare: detto talvolta per la pura verità, ma detto in modo che non gli era creduto, serviva ad accrescere il concetto, e quindi la realtà del suo potere: come quelle scatole che si vedono talvolta in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c'è nulla: ma servono a mantenere il credito della bottega. Quello del conte zio,che, da gran tempo, era sempre andato crescendo a piccolissimi gradi, ultimamente aveva fatto in un solo passo, come si dice, di gigante, per un'occasione straordinaria, un viaggio a Madrid, con una missione alla corte: dove, che accoglienza gli fosse fatta, bisognava sentirlo raccontare da lui. Per non dir altro, il conte l'aveva trattato con un'attenzione particolare, e ammesso alla sua confidenza, a segno di avergli una volta domandato, in presenza, si può dire, di mezza la corte come gli piacesse Madrid; ed avergli detto un'altra volta a quattr'occhi, nel vano di una finestra, che il duomo di Milano era il tempio più grande che fosse negli stati del re. Cap. XVIII
….Chi, vedendo in un campo mal coltivato, un'erbaccia, per esempio un bel lapazio, volesse proprio sapere sia venuto da un seme maturato nel campo stesso, portatovi dal vento, o lasciatovi cadere da un uccello, per quanto ci pensasse, non ne verrebbe mai a una conclusione. Così neanche noi non sapremmo dire se dal fondo naturale del suo cervello, o dall'insinuazione di Attilio, venisse al conte zio la risoluzione di servirsi del padre provinciale per troncare nella miglior maniera quel nodo imbrogliato. Certo è che Attilio non aveva detto a caso quella parola; e quantunque dovesse aspettarsi che, a un suggerimento così scoperto, la boria ombrosa del conte zio avrebbe ricalcitrato, a ogni modo volle fargli balenar dinanzi l'idea di quel ripiego, e metterlo sulla strada, dove desiderava che andasse. Dall'altra parte, il ripiego era talmente adatto all'umore del conte zio, talmente indicato dalle circostanze, che, senza suggerimento di chi si sia, si può scommettere che l'avrebbe trovato da sé. … Ora tra il padre provinciale e il conte zio passava un'antica conoscenza: s'eran veduti di rado, ma sempre con grande dimostrazione di amicizia, e con esibizioni sperticate di servizi. … Tutto ben ponderato, il conte zio invitò un giorno a pranzo il padre provinciale, e gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente dei più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e a rinfrescar, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza; e alcuni clienti legati alla casa per una dipendenza ereditaria e al personaggio per una servitù di tutta la vita; … Il conte zio dovette anche lui lasciar parlare un poco, e stare a sentire, e ricordarsi che finalmente, in questo mondo, non c'era soltanto i personaggi che facevan per lui. Poco dopo alzati da tavola, pregò il padre provinciale di passar con lui in un'altra stanza. Due potestà, due canizie, due esperienze consumate si trovavano a fronte. Il magnifico signore fece accomodare il padre molto reverendo, sedette anche lui, e cominciò : -stante l'amicizia che passa tra di noi, ho creduto di far parola a vostra paternità di un affare di comune interesse, da concludere tra di noi,, senza andare per altre strade, che potrebbero... E perciò, alla buona,col cuore in mano, le dirò di che si tratta.: e in due parole son certo che andremo d'accordo. Mi dica: nel loro convento di Pescarenico c'è un padre Cristoforo da...?- Il provinciale fece cenno di sì. -Mi dica un poco, vostra paternità, schiettamente, da buon amico... questo soggetto.... questo padre... di persona io non lo conosco; e sì che de' padri cappuccini ne conosco parecchi: uomini d'oro, zelanti, prudenti, umili: sono stato amico dell'ordine sin da ragazzo... Ma in tutte le famiglie un po' numerose... c'è sempre qualche individuo, qualche testa... E questo padre Cristoforo, so da certi ragguagli che è uomo... Scommetterei che ha dovuto dar più di una volta da pensare a vostra paternità-. Cap. XIX
….Due occhioni poi, che a donna Prassede non piacevan punto. Teneva essa per certo, come se lo sapesse di buon luogo, che tutte le sciagure di Lucia erano una punizione del cielo per la sua amicizia con quel poco di buono, e un avviso per far che se ne staccasse affatto; e stante questo, si proponeva di cooperare a un sì buon fine, Giacché, come diceva spesso agli altri e a se stessa, tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo; ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch'era di prender per cielo il suo cervello.... Don Abbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava fra quegli argomenti, come un pulcino negli artigli di un falco, che lo tengon sollevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una certa sottomissione sforzata:
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-Monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma quando s'ha a che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che non vuol sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci si potesse guadagnare. E' un signore quello, con cui non si può vincere né impattarla-. -E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere? E, se non sapete questo, che cosa predicate? Di che siete maestro? Qual'è la buona nuova che annunziate ai poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti; che a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprato i mezzi ch'erano in vostra mano per fare ciò che v'era prescritto, anche quando avessero la temerarietà di impedirvelo. “Anche questi santi son curiosi -pensava intanto don Abbondio- in sostanza a spremere il sugo, gli stanno più a cuore l'amore di due giovani, che la vita di un poveo sacerdote” E, quanto a lui, si sarebbe volentieri contentato che il discorso finisse lì; ma vedeva il cardinale, a ogni pausa, restare in atto di chi aspetti una risposta: una confessione o una apologia, qualcosa, insomma. -Torno a dire, monsignore -rispose dunque- che avrò torto io...Il coraggio, uno non se lo può dare-. …. -Conoscendo la vostra debolezza e i vostri doveri, avete voi pensato a prepararvi ai passi difficili a cui potevate trovarvi, a cui vi siete trovato in effetti? Ah! Se per tant'anni di ufuzio pastorale, avete (e come avreste?) amato il vostro gregge, se avete riposto in esso il vostro cuore, le vostre cure, le vostre delizie, il coraggio non doveva mancarvi al bisogno: l'amore è intrepido. Ebbene, se voi li amavate, quelli che sono affidati alle vostre cure spirituali, quelli che chiamate figlioli: quando vedete due di loro minacciati insieme con voi, ahi certo! Come la debolezza della carne v'ha fatto tremare per voi, cos' la carità avrà fatto tremar per loro. Vi sarete umiliato di quel primo timore, perché era un effetto della vostra miseria; avrete implorato la forza per vincerlo, per discacciarlo, perché era una tentazione: ma il timore santo e nobile per gli altri, per i vostri figlioli, quello l'avrete ascoltato, quello non v'avrà dato pace, quello v'avrà eccitato, costretto a pensare, a fare ciò che si potesse, per riparar al pericolo che loro sovrastava. Cosa v'ha ispirato il timore, l'amore? Cosa avete fatto per loro? Cosa avete pensato?- E tacque in atto di chi aspetta. Cap. XXV
…. E stette lì alquanto aspettando di nuovo una risposta. “Anche questa gli hanno rapportato le chiacchierone” pensava don Abbondio; ma non dava segno d'aver nulla da dire; onde il cardinale riprese: -se è vero, che abbiate detto a que' poverini ciò che non era, per tenerli nell'ignoranza, nell'oscurità, in cui l'iniquità li voleva... Dunque lo devo credere: dunque non mi resta d'arrossirne con voi, e di sperare che voi ne piangerete con me. Vedete a che v'ha condotto (Dio buono! E pur ora voi la adducevate per iscusa quella premura per la vita che deve finire. V' ha condotto... ribattete liberamente queste parole, se vi paiono ingiuste, prendetele in umiliazione salutare, se non lo sono... v'ha condotto ad ingannare i deboli, a mentire ai vostri figlioli.... “Ecco come vanno le cose-diceva ancora tra sé don Abbondio- a quel satanasso -e pensava all'innominato- le braccia al collo; e con me, per una mezza bugia, detta a solo fine di salvar la pelle, tanto chiasso. Ma sono superiori: hanno sempre ragione. E' il mio pianeta, che tutti m'abbiano a dare addosso; anche i santi”. E a lata voce, disse: -ho mancato, capisco che ho mancato; ma cosa dovevo fare, in un frangente di quella sorte?-. _E ancora lo dimandate? E non ve l'ho detto? E dovevo dirvelo? Amare, figliolo, amare e pregare...... Cap. XXVI
….A ogni passo botteghe chiuse: le fabbriche in gran parte deserte; le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante di miserie, un soggiorno perpetuo di patimenti. Gli accattoni di mestiere, diventati ora il minor numero, confusi e perduti in una nuova moltitudine, ridotti a litigar l'elemosina con quelli talvolta da cui altri giorni l'avevan ricevuta, Garzoni e giovani licenziati da' padroni di bottega,che, scemato o mancato affatto il guadagno giornaliero, vivevano stentatamente degli avanzi e del capitale; de' padroni stessi, per cui il cessar delle faccende era stato fallimento e rovina,; operai, e anche maestri d'ogni manifattura e d'ogni arte, delle più comuni e delle più raffinate, delle più necessarie e di quelle di lusso, vaganti di porta in porta, di strada in istrada, appoggiati alle cantonate, accovacciati sulle lastre, lungo le case e le chiese, chiedendo pietosamente l'elemosina, o i tanti tra il bisogno e la vergogna non ancora domata, smunti, spossati, rabbrividiti dal freddo e dalla fame ne' panni logori e scarsi, ma che in molti serbavano ancora il segno d'una antica agiatezza; come nell'inerzia e nell'avvilimento, compariva non so quali indizio d'abitudini operose e franche. Mescolati fra la deplorabile turba, e non piccola parte di essa,, servitori licenziati da padroni caduti allora dalla mediocrità nella strettezza, o che quantunque facoltissimi si trovavano inabili, in una tal annata, a mantenere quella solita pompa di seguito. E a tutti questi diversi indigenti si aggiunga un numero d'altri, avvezzi in parte a vivere del guadagno di essi: bambini, donne, vecchi, aggruppati co' loro antichi sostenitori, o dispersi in altre parti all'accatto. C'eran pure, e si distinguevasi ai ciuffi arruffati, ai cenci sfarzosi, o anche a un certo non so che nel portamento e nel gesto, a quel marchio che le consuetudini stampano su' visi, tanto più rilevato e chiaro, quanto più sono strane, molti di quella genia de' bravi che, perduto, per la condizione comune, quel loro pane scellerato, ne andavan chiedendo per carità. Domati dalla fame, non gareggiando con gli altri che di preghiere, spauriti, incantati, si strascicavan per le strade che avevano per tanto tempo passeggiate a testa alta, con isguardo sospettoso e feroce, vestiti di livree ricche e bizzarre, con gran penne, guarniti di ricche armi, attillati, profumati; e paravano umilmente la mano, che tante volte avevano alzata insolente a minacciare, o traditrice a ferire. Cap. XXVIII
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… Nella città, quello che già era stato disseminato da costoro, da' loro panni, da' loro mobili trafugati dai parenti, da pigionali, dal personale di servizio, alle ricerche e al fuoco prescritto da' tribunali, e in più quello che c'entrava di nuovo, per l'imperfezion degli editti, per la trascuranza nell'eseguirli, per la destrezza nell'eluderli, andò covando e serpendo lentamente, tutto il restante dell'anno, e ne' primi mesi del seguente 1630. Di quando in quando, ora in questo, ora in quel quartiere, a qualcheduno s'attaccava, qualcheduno ne moriva: e la radezza stessa de' casi allontanava il sospetto della verità, confermava sempre più il pubblico in quella stupida e micidiale fiducia che non ci fosse peste, né ci fosse stata neppure un momento. Molti medici ancora, facendo eco alla voce del popolo (era, anche in questo caso, voce di Dio?), derivavan gli augùri sinistri, gli a avvertimenti minacciosi de' pochi; e avean pronti nomi di malattie comuni, per qualificare ogni caso di peste che fossero chiamati a curare; con qualche sintomo, con qualunque segno fosse comparso. Cap. XXXI
… Un veleno squisito, istantaneo, penetrantissimo, eran parole più che bastanti per spiegare la violenza, e tutti gli accidenti più oscuri e disordinati del morbo. Si diceva composto, quel veleno, di rispi, di serpenti, di bava e di materia d'appestati, di peggio di tutto ciò che selvagge e stravolte fantasie sapessero di trovare di sozzo e d'atroce: vi si aggiunsero di poi le malìe, per le quali ogni effetto diveniva possibile, ogni obiezione perdeva la forza, si scioglieva ogni difficoltà. Se gli effetti non s'eran veduti subito dopo quella prima unzione, se ne capiva il perché; era stato un tentativo sbagliato di venefici ancor novizi: ora l'arte era perfezionata, e le volontà più accanite nell'infernale proposito. … D'egual valore, se non in tutto d'egual natura, erano i sogni de' dotti: come disastrosi del pari n'eran gli effetti. Vedevano, la più parte di loro, l'ann8unzio e la ragione insieme de' guai in una cometa apparsa nell'anno 1628, e in una congiunzione di Saturno con Giove, “inclinando -scrive il Tadino- la congionzone soddetta sopra questo anno 1630, tanto chiara, che ciascuno la poteva intendere. Mortales parat morbos, miranda videntur” Questa predizione, cavata, dicevano, da un libro intitolato Specchio degli almanacchi perfetti, stampato in Torino, 1623, correva per le bocche di tutti. Un'altra cometa, apparsa nel giugno dell'anno stesso della peste, si prese per un nuovo avviso; anzi, per una prova manifesta delle unzioni, Pescavan ne' libri, e pur troppo ne trovavano in quantità, esempi di peste, come dicevano, manufatta: citavano Livio, Tacito, Dione, che dico? Omero e Ovidio, i molti altri antichi che hanno raccontati o accennati fatti somiglianti: di moderni ne avevano più che in abbondanza. … Da' trovati del olgo, la gente istruita prendeva ciò che si poteva accomodare con le loro idee: da' trovati della gente istruita, il volgo prendeva ciò che poteva intendere, e come lo poteva: e di tutto di formava una massa enorme e confusa di pubblica follia. Ma ciò che reca maggior maraviglia, è il vedere i medici, dico i medici che fin da principio avevan creduto la peste, dico in ispecie il Tadino, il quale l'aveva pronosticata, vista entrare, tenuta d'occhio, per così dire, nel suo progresso il quale aveva detto e predicato che l'era peste, e s'attaccava col contatto, che non mettendovi riparo, ne sarebbe infettato tutto il paese, vederlo poi, da questi effetti medesimi cavare argomento certo dell'unzioni venefiche e malefiche...
… Tra le carte del tempo della peste, che si conservano nell'archivio nominato di sopra, c'è una lettera (senza alcun altro documento relativo) in cui il gran cancelliere informa, sul serio e con gran premura, il governatore di aver ricevuto un avviso che, in una casa di campagna de' fratelli Girolamo e Giulio Monti, gentiluomini milanesi, si componeva veleno in gran quantità, che quaranta uomini erano occupati en esto exercicio, con l'assistenza di quattro cavalieri bresciani, i quali facevano venire i materiali dal veneziano, para la fabrica del veleno. Soggiunge che lui aveva preso, in gran segreto, i concerti necessari per mandar là il podestà di Milano e l'auditore della Sanità, con trenta soldati di cavalleria, che pur troppo uno dei fratelli era stato avvertito a tempo per poter trafugare gl' indizi del delitto, e probabilmente dall'auditore medesimo, suo amico..... Cap. XXXII
… Ora mentre Renzo guarda quello strumento, pensando perché possa essere alzato in quel luogo, sente avvicinarsi sempre più il rumore, e vede spuntar dalla cantonata della chiesa un uomo che scoteva un campanello: era un apparitore; e dietro a lui, due cavalli che, allungando il collo, e puntando le zampe, venivano avanti a fatica; e strascinato da quelli, un carro di morti, e dopo quello un altro e poi un altro, un altro; e di qua e di là monatti alle costole de' cavalli, spingendoli, a frustate, a punzoni, a bestemmie. Eran que' cadaveri, la più parte ignudi,, alcuni mal involtati in qualche cencio, ammonticchiati, o intrecciati insieme, come un gruppo di serpi che lentamente si svolgono al tepor de la primavera; ché, a ogni intoppo, a ogni scossa, si vedevan que' gruppi funesti tremolare e scompaginarsi bruttamente, e ciondolar di teste, e chiome verginali arrovesciarsi, e braccia svincolarsi, e batter su le rote, mostrando all'occhio già inorridito come un tale spettacolo poteva divenire più doloroso e più sconcio. Cap. XXXIV ...E se voi mi chiedete ch'io vi dichiari sciolta da codesto voto, io non esiterò a farlo; e desidero anzi che me lo chiediate. - Allora...! Allora...! Io chiedo;- disse Lucia con un volto non più turbato che di pudore. Il frate chiamò con un
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cenno il giovine, il quale se ne stava nel cantuccio più lontano, guardando (giacché non poteva far altro) fisso fisso al dialogo in cui era tanto interessato; e, quando quello fu lì, disse a voce più alta, a Lucia: -Con l'autorità che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta dal voto di verginità, annullando ciò che ci poté essere di inconsiderato, e liberandovi da ogni obbligazione che poteste averne contratta.- Pensi il lettore che suono facessero alle orecchie di Renzo tali parole. Ringraziò vivamente con gli occhi colui che le aveva proferite; e cercò subito, invano, quelli di Lucia. _Tornate con sicurezza e con pace, ai pensieri di una volta, seguì a dirle il cappuccino -chiedete di nuovo al Signore le grazie che Gli chiedevate, per essere una moglie santa, e confidate che ve le concederà più abbondanti, dopo tanti guai. E tu, -disse voltandosi a Renzo, -ricordati figliolo, che se la Chiesa ti rende questa compagna, non lo fa per procurarti una consolazione temporanea e mondana, la quale, se anche potesse essere intera, e senza mistura d'alcun dispiacere, dovrebbe finire in un gran dolore, al momento di lasciarvi; ma lo fa per avviarvi tutt'e due sulla strada della consolazione che non avrà fine. Amatevi come compagni di viaggio, con questo pensiero d'avervi a lasciarvi e con la speranza di trovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che vi ha condotti a questo stato, non per mezzo d'allegrezze turbolente e passeggere, ma co' travagli e tra miserie, per disporvi a una allegrezza raccolta e tranquilla. Se Dio vi concede figlioli, abbiate di mira d'allevarli per Lui, d'istillare loro l'amore per Lui e di tutti gli uomini ed allora li guiderete bene in tutto il resto. Lucia, vi ha detto -e accennava a Renzo- chi ha visto qui?- -Oh! Padre m'ha detto!- -Voi pregherete per lui! Non ve ne stancate. E anche per me pregherete! Figlioli! Voglio che abbiate un ricordo del povero frate-. E qui levò dalla sporta una scatola d'un legno ordinario, ma tornita e lustrata con una certa finezza cappuccinesca; e proseguì: -Qui dentro c'è il resto di quel pane... il primo che ho chiesto per carità; quel pane, di cui avete snetito parlare! Lo lascio a voi altri: serbatelo; fatelo vedere ai vostri figlioli. Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a' superbi e a' provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! Tutto! Tutto! E che preghino anche loro per il povero frate! Cap. XXXVI Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Canguro Editore, Pavia, 2011 (grande, grande questo libro: non lo rileggevo dai tempi della scuola, ed allora era un gran fastidio. Davvero fondamentale. Non aggiungo altro perché sarei imbarazzato nel dimenticare qualche verità)
Soltanto pochi preferiscono la libertà: i più non cercano che padroni buoni. Crispo Sallustio, Historiae (frammenti lib.1°- 13.23.lib.IV – 69)
Dopo la morte di Leone X (1 dicembre 1521), il nuovo papa Adriano VI (l'olandese Adrian Boeyens, ultimo papa non italiano prima dell'elezione di Giovanni Paolo II nel 1978) riconobbe che la Chiesa Cattolica aveva bisogno di un'urgente e profonda riforma disciplinare e morale, a cominciare dalla stessa gerarchia. Infatti, nelle istruzioni consegnate al al Nunzio papale Francesco Chieregati, che partecipò alla Dieta di Norimberga (riunione parlamentare organizzata dall'imperatore CarloV) nel dicembre 1522, scrisse che : “Noi sappiamo bene che anche in questa Santa Sede, fino ad alcuni anni or sono, sono accadute cose abominevolissime. Non è dunque a fare alcuna meraviglia che la malattia si sia trapiantata dal capo alle membra, dai laici ai prelati. Noi intendiamo usare ogni diligenza perché sia emendata innanzitutto la corte romana dalla quale, forse, tutti questi mali hanno preso l'avvio”. Purtroppo i propositi di riforma di Adriano VI non si realizzarono, anche perché il papa morì pochi mesi dopo, il 14 settembre 1523. Per la riforma della Chiesa Cattolica occorrerà attendere l'applicazione dei decreti del Concilio di Trento (1545-1563).
… Il 3 settembre 1525 papa Clemente VII inviò una bolla ai vescovi di Ginevra, Losanna, Aosta, Vercelli, Ivrea e Mondovì (diocesi della quale Cuneo faceva parte) mettendoli in guardia contro i predicatori delle nuove dottrine luterane, definiti eretici: “Si deve anzitutto ammonirli e citarli in giudizio, affiggere in pubblico i decreti emanati conto di essi e comunicarli loro di viva voce, affinché non possano in alcun caso addurre ignoranza a discolpa del loro delitto. Se ammoniti, persistono nel loro errore, siano essi laici o ecclesiastici, di qualsiasi grado e ordine, si proceda contro di loro senza indugio, servendosi del braccio secolare, chiudendoli in carcere e forzandoli all'abiura. Se la loro ostinazione trionfa anche dal carcere e dalla tortura, siano separati e divisi, come membra putride, dalla comunità dei fedeli e precipitati nell'eterna dannazione con Satana e gli angeli suoi; i loro beni siano confiscati e distribuiti ai devoti, le loro persone rimangano in perpetua servitù, i loro cadaveri senza sepoltura ecclesiastica. Ma se danno segni
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di sincera penitenza, desiderando tornare all'antica fede, siano riammessi, purché non relapsi”. Nel 1528 anche Cuneo e Caraglio furono meta della predicazione itinerante di due celebri frati apostati: il carmelitano bolognese Giovanni Battista Pallavicino e l'agostiniano Agostino Mainardi, nato a Caraglio nel 1482. Giovanni Cerutti, Storia di Cuneo avvenimenti e personaggi, ed. Primalpe, 2010
IGNORAMUS ATQUE IGNORABIMUS 1 l'essenza della materia e della forza 2 l'origine del movimento 3 l'origine della vita 4 la finalità degli esseri viventi 5 l'origine della sensazione 6 l'origine del pensiero e della lingua 7 il libero arbitrio Emile Du Bois Reymond, Limiti della conoscenza della natura (citato in Meditations sur les 22 arcanes majeures du Taroc, di anonimo ben noto, ed. Aubier, 1998) (di questo ultimo libro citato non so se ho ricopiato gli stralci: sarebbe molto, molto numerosi: libro fondamentale)
Anche ora, d'altronde, non sono gli occhi a farci distinguere ciò che vediamo: non c'è infatti nel corpo alcuna facoltà di percepire, ma come insegnano sia i naturalisti, sia soprattutto i medici, che conoscono bene questi organi per averli visti, sezionati e messi in evidenza, esistono nel nostro corpo quasi delle “condutture” che dalla sede dell'anima portano agli occhi, agli orecchi, alle narici. Questo è il motivo per cui spesso, se siamo immersi in qualche pensiero o siamo colpiti da qualche grave malattia, ci capita di non vedere né di udire alcunché, pur avendo gli occhi e gli orecchi aperti e in piena efficienza; da ciò si può facilmente arguire che a vedere e a udire è l'anima, non quelle parti che potremmo considerare sì come finestre dell'anima, ma che non darebbero mai alla mente la capacità di percepire, se non ci fosse da parte sua viva attenzione e impegno. E che dire del fatto che una stessa mente ci permette di percepire cose tanto diverse come il colore, il sapore, l'odore, il suono? M.T. Cicerone, Tusculanae Disputationes, liber I, XX, 46 Ma innanzitutto, l'anima possiede una memoria, una memoria infinita di un numero illimitato di cose. Per Platone, questa memoria si spiega solo con il ricordo di una vita precedente. Nel dialogo intitolato Menone, infatti, Socrate pone ad un ragazzino alcune domande di geometria sulla dimensione del quadrato. Le sue risposte sono quelle di un ragazzo, tuttavia le domande sono così facili che egli, rispondendo ad ognuna di seguito, arriva alle stesse conclusioni cui sarebbe giunto se avesse studiato la geometria. Secondo Socrate, questo dimostra che imparare altro non è che ricordare. Su questo punto poi egli torna -con una trattazione molto più accurata- nel discorso che tenne proprio il giorno della sua morte: ogni persona, egli insegna, anche quella che dia l'impressione di essere davvero ignorante in ogni campo, se interrogata correttamente, dimostra con le sue risposte che quello che dice non lo sta imparando in quel momento, ma lo riconosce attraverso la memoria, e d'altronde sarebbe del tutto impossibile la presenza nelle nostre anime, sin da bambini, di nozioni innate, quasi impresse con un sigillo, su tante cose così importanti, se l'anima, già prima di entrare nel corpo, non si fosse irrobustita nella conoscenza della realtà M.T. Cicerone, Tusclanae Disputationes, liber I, XXXXIV, 57
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L'intera vita dei filosofi, infatti, dice Platone è una preparazione alla morte. Infatti, che altro facciamo quando cerchiamo di allontanare l'anima dal piacere, cioè dal corpo, dal patrimonio, che è a sostegno e servizio del corpo, dalla politica, da ogni altro impegno, che facciamo -dico- se non richiamare l'anima a se stessa, costringendola a stare da sola, e soprattutto staccarla dal corpo? Ma separare l'anima dal corpo non è altro che questo: imparare a morire. Perciò, dammi ascolto, prepariamoci a questo, e allontaniamoci dal corpo; abituiamoci a morire. In questo modo da un lato vivremo, già durante la nostra permanenza sulla terra, una vita simile a quella che avremo in cielo, dall'altro, quando, liberati da questi legami, arriveremo lassù, sarà meno ritardata la corsa dell'anima. Infatti le anime che hanno sempre subito le pastoie del corpo, anche quando se ne sono liberate, camminano a passi lenti, come chi ha trascorso molti anni in catene. M.T. Cicerone, Tusculanae Disputationes, liber I, XXI, 75 Queste tue parole mi ricordano che sarebbe opportuno dire qualcosa a proposito dell'inumazione e della sepoltura, argomento non difficile, soprattutto alla luce di quanto si è detto poco fa sulla totale mancanza di sensibilità. Quale fosse l'opinione di Socrate a questo proposito, si vede chiaramente sul libro (il Fedone) della sua morte, di cui abbiamo già tanto parlato. Infatti dopo aver discusso sull'immortalità dell'anima, quando ormai il momento della morte incombeva, a Critone che gli chiedevo come avrebbe voluto essere seppellito, disse: “E' davvero molta, amici, la fatica che ho speso invano, visto che non ho saputo persuadere il nostro Critone che io me ne volerò via da qui e che nulla di me rimarrà. Ciononostante, Critone, se riuscirai a raggiungermi o se mi troverai da qualche parte, seppelliscimi come ti sembra meglio. Ma credimi, nessuno di voi mi raggiungerà, quando io me ne sarò andato da qui”. Parole davvero mirabili, con le quali Socrate, da un lato assecondò l'amico, dall'altro dimostrò il suo assoluto distacco nei confronti di tutto questo problema. Più rigido Diogene, le cui opinioni per altro erano le stesse; ma, più bruscamente, da cinico, ordinò che lo si lasciasse senza sepoltura. Allora gli amici: “Esposto agli uccelli e alle fiere?”. “No davvero, rispose, mettete piuttosto vicino a me un bastone per scacciarli”. E quelli: “Come potrai, se non avrai sensibilità?”. “Che danno mi procurerà allora il morso delle fiere, se non sentirò nulla?”. Mirabili anche le parole di Anassagora che a Lampsaco, in punto di morte, agli amici che gli chiedevano se volesse essere trasportato a Clazomene, la sua patria, nel caso fosse successo qualcosa, rispose: “Non c'è bisogno: qualunque sia il punto di partenza, la lunghezza della strada per gli Inferi, non cambia”. L'unico punto da tenere ben fermo circa l'inumazione è che essa riguarda il corpo, sia che l'anima muoia, sia che l'anima viva. Nel corpo invece, indipendentemente dal fatto che l'anima si estingua o voli via, è evidente che non rimane sensibilità alcuna. M.T. Cicerone, Tusculanae Disputationes, liber I, XVIII, 102
“Nelle scuole i retori citano di solito i giudizi degli dèi immortali sulla morte, e non si tratta di giudizi inventati da loro, ma ricavati dalle testimonianze di Erodoto e di parecchi altri. Il primo esempio che si dà è quello di Cleobe e Bitone, figli di una sacerdotessa argiva. La storia è nota: secondo la consuetudine, nella ricorrenza periodica di un sacrificio solenne, ella doveva essere condotta su un carro dalla città al tempio, che era piuttosto distante; ma siccome le bestie erano in ritardo, i due giovani che ho appena citato, dopo essersi tolti gli abiti, si unsero di olio e si misero sotto il giogo. Asllora la sacerdotessa -racconta la leggenda- giunta al tempio sul carro trainato dai figli, pregò la dea di premiarli per la loro devozione col dono più grande che la divinità possa dare ad un uomo; poi, dopo aver partecipato al banchetto con la madre, i giovani andarono a dormire, e il mattino successivo furono trovati morti. Simile fu, a quanto si dice, la preghiera di Trofonio e Agamede. Essi, dopo aver completato la costruzione del tempio di Apollo a Delfi, supplicando il dio, gli chiesero un compenso che non fosse inadeguato al loro faticoso lavoro: non indicavano nulla di preciso, ma chiedevano ciò che di meglio ci fosse per l'uomo. Apollo lasciò loro intendere che l'avrebbe concesso due giorni dopo; all'alba di quel giorno furono trovati morti. Qui il dio -dicono- espresse il suo giudizio, proprio quel dio al quale gli altri dèi avevano concesso come speciale prerogativa la facoltà di predire il futuro. Anche a proposito di Sileno si racconta una storiella: sta scritto che, quando fu catturato da Mida, il dono che egli fece al re in cambio della sua liberazione fu questo: gli insegnò che per l'uomo la condizione dui gran lunga migliore è il non nascere, poi, subito dopo, viene il morire quanto prima possibile. Lo stesso concetto è espresso da Euripide nel Cresfonte: Bene sarebbe che noi, riunendoci numerosi in casa piangessimo quando qualcuno viene alla luce, pensando ai vari mali della vita umana; ma chi con la morte ha posto fine a gravi travagli, gli amici con lodi e con gioia dovrebbero dar sepoltura.
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Ma innanzitutto, l'anima possiede una memoria, una memoria infinita di un numero illimitato di cose. Per Platone, questa memoria si spiega solo con il ricordo di una vita precedente. Nel dialogo intitolato Menone, infatti, Socrate pone ad un ragazzino alcune domande di geometria sulla dimensione del quadrato. Le sue risposte sono quelle di un ragazzo, tuttavia le domande sono così facili che egli, rispondendo ad ognuna di seguito, arriva alle stesse conclusioni cui sarebbe giunto se avesse studiato la geometria. Secondo Socrate, questo dimostra che imparare altro non è che ricordare. Su questo punto poi egli torna -con una trattazione molto più accurata- nel discorso che tenne proprio il giorno della sua morte: ogni persona, egli insegna, anche quella che dia l'impressione di essere davvero ignorante in ogni campo, se interrogata correttamente, dimostra con le sue risposte che quello che dice non lo sta imparando in quel momento, ma lo riconosce attraverso la memoria, e d'altronde sarebbe del tutto impossibile la presenza nelle nostre anime, sin da bambini, di nozioni innate, quasi impresse con un sigillo, su tante cose così importanti, se l'anima, già prima di entrare nel corpo, non si fosse irrobustita nella conoscenza della realtà M.T. Cicerone, Tusculanae Disputationes, liber I, XXXXIV, 57 L'intera vita dei filosofi, infatti, dice Platone è una preparazione alla morte. Infatti, che altro facciamo quando cerchiamo di allontanare l'anima dal piacere, cioè dal corpo, dal patrimonio, che è a sostegno e servizio del corpo, dalla politica, da ogni altro impegno, che facciamo -dico- se non richiamare l'anima a se stessa, costringendola a stare da sola, e soprattutto staccarla dal corpo? Ma separare l'anima dal corpo non è altro che questo: imparare a morire. Perciò, dammi ascolto, prepariamoci a questo, e allontaniamoci dal corpo; abituiamoci a morire. In questo modo da un lato vivremo, già durante la nostra permanenza sulla terra, una vita simile a quella che avremo in cielo, dall'altro, quando, liberati da questi legami, arriveremo lassù, sarà meno ritardata la corsa dell'anima. Infatti le anime che hanno sempre subito le pastoie del corpo, anche quando se ne sono liberate, camminano a passi lenti, come chi ha trascorso molti anni in catene. M.T. Cicerone, Tusculanae Disputationes, liber I, XLVIII, 112
Ora, nel caso dell'anima, la coltivazione è la filosofia; Essa estirpa i vizi fin dalle radici, e preparare le anime a raccogliere le sementi, e affida a loro, per così dire, vi semina semi tali che, una volta sviluppati, daranno frutti rigogliosissimi. Continuiamo quindi come abbiamo cominciato. Dimmi, per favore, di che cosa vuoi che si discuta”.
“considero il dolore il più grande di tutti i mali” “Più grande anche del disonore?” “Non oso certo dire questo, e mi vergogno di essere stato scalzato così presto dalla mia opinione” “Ti dovresti vergognare di più se insistessi nel conservarla. Che cosa c'è infatti di più indegno di questa tua idea che esista qualcosa di peggiore del disonore, della vergogna, dell'infamia? E per evitare questi mali, qual è il dolore, non dico da rifiutare, ma da non ricercare, subire, affrontare di propria iniziativa?”
“Sì, anch'io la penso così. Ciononostante, pur ammettendo che il dolore non sai il sommo male, è certamente una male” “Vedi dunque come una semplice ammonizione abbia diminuito il tuo terrore del dolore?” “Lo vedo bene, ma chiedo di più” “Cercherò di accontentarti; ma si tratta di un'impresa ardua, e ho bisogno che mi ascolti senza oppormi resistenza. … Epicuro, e dopo di lui Ieronimo di Rodi disse ch il sommo bene consiste nell'assenza di dolore. Tutti gli altri, salvo Zenone, Aristone e Pirrone, sostengono più o meno la tua opinione di poco fa, cioé che il dolore è certamente un male, ma ne esistono altri maggiori. … Quale ignominia inoltre, quale turpitudine uno non sopporterà, pur di evitare il dolore, se avrà stabilito che esso è il sommo male? Chi poi non sarà infelice, non solo nel momento in cui sarà colpito da dolori atroci, se in essi consiste il sommo male, ma anche quando saprà che ciò gli può accadere?. E chi c'è a cui non potrà accadere? Echi c'è, cui non potrà accadere? Ne consegue che al mondo nessuno può essere felice. …. Dal momento che non c'è nessun bene se non nell'onestà, nessun male se non nella disonestà, allora è migliore e più giusta l'affermazione
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che tutto ciò che la natura disprezza è male, ciò che accetta è bene. Ciò posto ed eliminata ogni contesa verbale, si segnalerà tuttavia quel principio cui gli Stoici giustamente attribuiscono grande valore, e che noi chiamiamo onestà, giustizia, decoro, oppure a volte, riassumendo, “virtù”; e si segnalerà al punto che tutto il resto, cioè i cosidetti beni del corpo e della fortuna, appariranno di ben poco conto e di minimo valore; dunque, di certo, né alcun male singolo, né tutti imali, anche se riuniti tutti insieme, saranno da paragonare col male del disonore. Perciò, se come hai riconosciuto all'inizio, il disonore è male peggiore del dolore, il dolore indubbiamente non è più nulla. … Infatti o non esiste la virtù, o ogni dolore va disprezzato. Ammetti che esista la prudenza, senza la quale non si può avere la minima nozione di virtù,: essa ti permetterà di compiere alcunché senza alcun vantaggio e affannandoti invano? E la temperanza ti lascerà fare qualcosa senza misura? E la giustizia potrà essere onorata da un uomo che sotto il dolore della tortura svela i segreti, tradisce gli amici, viene meno a molti doveri? E ancora, che risposta darai alla fortezza e alle sue compagne, la magnanimità, la serietà, la pazienza, il disprezzo delle cose umane? M.T. Cicerone, Tusculanae Disputationes, liber II, XIII e XIV Tu devi essere autonomo nel tjuo giudizio; se nello scegliere il giusto piacerai a te stesso, allora non solo avrai sapute vincere te, cosa che poco fa ti invitavo a fare, ma tutto e tutti. Perciò tieni presente questo principio: la grandezza dell'anima e, se così si può dire, quella specie di iperbolica elevazione dell'anima, che si segnala soprattutto nella capacità di disprezzare e trascurare il dolore, è di gran lunga la più bella di tutte le qualità; ed è tanto più bella se si tiene lontana dalla gente e, senza andare in cerca di applausi, trova diletto in se stessa. M.T. Cicerone, Tusculanae Disputationes, liber II, XXVI, 64 Spesso infatti molti, che pure avevano ricevuto con coraggio le ferite e ne hanno sopportato il dolore, o perché spinti dal desiderio di vittoria o per quello della gloria, o anche per salvaguardare il proprio diritto e la propria libertà, se appena si allenta la tensione non sanno sopportare ikl dolore di una malattia; il fatto è che quel dolore che avevano sopportato con facilità, non lo avevano sopportato in virtù della ragione e della saggezza, ma spinti dalla passione e dalla gloria. Ecco perché certi barbari selvaggi sanno combattere con straordinario coraggio, ma poi non son capaci di affrontare virilmente la malattia. I Greci invece, non abbastanza coraggiosi, ma sufficientemente saggi, almeno nei limiti delle capacità aumane, non sono in grado di guardare in faccia il nemico, mentre sopportano con pazienza e dignità la malattia. Al contrario, i Cembri e i Celtiberi, nei combattimenti sono pieni di baldanza, nella malattia si lamentano. … Se infatti, se a un navigante inseguito dai pirati, un dio dicesse: “Buttati dalla nave; c'è chi ti può raccogliere: o un delfino, come per Arione di Metimna, oppure quei famosi cavalli di Pelope, caro a Nettuno, dei quali si dice che trascinarono il carro sul fiore delle onde, ti raccolglieranno e ti porteranno dove vorrai” egli operderebbe ogni paura; e allo stesso modo tu, trovandoti in preda a dolori forti e terribili, qualora siano acuti al punto da essere insopportaboili, dove ti devi rifugiare lo vedi da te. M.T. Cicerone, Tusculanae Disputationes, liber II, XXIV, 65 e segg.
Gentile Augias, secondo la Chiesa i cardinali non sono elettori del pontefice, ma solo gli strumenti che realizzano la volontà di Dio. Ma se è lo Spirito Santo che ispira i cardinali, questi dovrebbero essere tutti concordi nella designazione del papa. Invece non lo sono. Se è Dio che sceglie il proprio vicario come si spiega che nella Chiesa non siano mancati papi indegni e, a volte, criminali? Sostenere che Dio possa sbagliarsi sarebbe blasfemo, Mi domando come fior di intellettuali e milioni di fedeli possano ancora credere a cose del genere. Ezio Pelino, Pescara
Egregio Augias, apprendo da Repubblica le difficoltà con cui i cristiani celiaci si accostano alla comunione, contenendo le ostie la proteina del glutine. Gesù ha istituto l'eucarestia con pane e vino, senza porsi il problema dei celiaci. Per la Chiesa l'unico pane da utilizzare nel sacramento è quello che contenga, anche se in minima quantità, glutine. Questa irremovibilità mi fa riflettere sul dogma della trasformazione del pane e del vino nella carne e nel sangue di Gesù. Chiedo: se il pane, glutinato o no, diventa il corpo di Cristo, il problema dei celiaci non dovrebbe sparire? Osvaldo Vangi, Bisceglie, (BT) Leggo queste due lettere, cosa che non faccio mai, su Repubblica del 12 marzo 2013: la risposta di Corrado Augias è stata molto curiale, cioè non ha risposto affatto. Però i due interrogativi sono razionali e sensati chissà quale sarà la risposta giusta. La sola Fede?
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---------------------------------------------------------------------PARTE SECONDA Memorie storico-politiche della Castellata. Cap I La valle di Varaita nei tempi anteriori all'Era volgare e i suoi primi abitatori. Il fatto degli odierni emigranti europei che, costretti dalla necessità o avidi di niglior fortuna, abbandonano il suolo nativo per riversarsi sul Continente Americano, e farsi padroni di un palmo di terra incolta ed abbandonata per dissodarla e renderla fruttifera, onde poi campare onestamente la vita, ci dà un'idea del modo con cui l'Italia nei tempi primitivi fu invasa ed occupata dai suoi primi abitatori. Sebbene in tanta lontananza di tempi e in tanta scarsezza e confusione di memorie non si possa nulla affermare di certo, si sa però che duecento e più anni ante la fondazione di Roma i Tirreni, che presero poi nome di Etruschi o Toscani, dai lidi della Grecia o da altri lidi dell'Oriente, ove abitavano, emigrarono sul suolo italiano e lo occuparono sollevandosi con il tempo a sì tanta padronanza da averne una buona metà sommessa al loro dominio. Confinavano con i Toscani i Liguri, che dalle sponde del mare Mediterraneo nella parte occidentale d'Italia, ove signereggiavano, si riversarono sulla pianura piemontese se ne resero padroni in un colle valli a questa adiacenti. Racconta Dionigi d'Alicarnasso, uno dei più antichi raccoglitori di cose storiche italiane, che era invalso l'uso fra le genti primitive, quando nelle città o nei borghi loro, il prodotto del luogo non bastava più per alimentare il già troppo accresciuto numero delle persone, di mandare una parte della gioventù a procacciarsi ventura in altri paesi, dove con le armi in mano o amichevolmente si accomunava con quella gente, se il territorio richiedeva o sopportava un maggior numero di braccia di lavoro, oppure cercava luoghi disabitati e stabilivasi su quel terreno incolto per dissodarlo e ricavarne il frutto necessario alla loro esistenza. Così i Liguri, cresciuti in numero e molto attivi e intraprendenti, dalla loro terra, che spalleggiata a borea dalle Alpi e dagli Appennini, si specchia a sud nel mare e ad ovest si estende dal confine della Provenza alle foci del Varo, o provenienti già da altri lidi, si sparsero sull'agro Saluzzes e lo occuparono nelle intere valli del Po, della Varaita, della Macra e della Grana fondando in vicinanza dell'attuale Benevagienna una città che dal nome che q uesta colonna assunse di Bagienni o di Vagienni, chiamarono Augusta Vagennorum. L'epoca di una tale migrazione non è precisamente conosciuta, ma risale probabilmente a cinque secoli prima dell'era volgare. Plinio nel libro terso della sua Storia Naturale dice che i Vagienni trassero la loro origine dai Caturigi, che erano una delle diverse tribù, in cui si era divisa nei tempi primitivi la nazione Ligure. Questi Caturigi, il cui nome si conserva tuttora in quello della piccola città di Chorges (Caturigae) in Delfinato, posta tra Embrun e Gap, erano passati al di là dei monti ed avevano preso stanza nelle vicinanze di Embrun, occupando poscia anche il cantone di Queyras, Di là si riversarono in una seconda migrazione sulla pianura Saluzzese lungo le valli della Varaita, del Po, della Macra e della Grana, che popolarono della loro gente. Quei che occuparono il piano presero il nome di Liguri Vagienni, e quei che si stanziarono sui monti si dissero Liguri Montani. Distinzione già fatta dallo stesso Plinio nell'indicare la loro comune origine colle seguenti parole: Ex Caturigibus orti Vagienni Liguri et qui Montani vocantur. ...Vittorio Amedeo, divenuto pacifico possessore di nuovi Stati, passò in Sicilia, ove fu solennemente incoronato Re a Palermo il 14 dicembre 1714, e ove riordinò il governo, ridonò la quiete a quell'isola e le accrebbe le forze di terra e di mare, come afferma il Muratori. Ritornato dopo un anno a Torino, pensò al miglioramento dell'amministrazione interna dello Stato, promosse e regolò l'istruzione primaria, fece rifiorire l'università reale, istituì le congregazioni di carità in ciascuna provincia, ordinò al senatore Borelli ( nota mia: Signore di Demonte, Roccasparvera e Centallo, la cui dinastia finì nel 1950 circa quando morì l'ultimo rampollo, privo di palle. C'è in una giornaleria di Borgo un testo sul sen. Borelli, proprio quale legislatore) di raccogliere e riunire in un solo corpo di leggi civili e criminali, sparse senza ordine negli antichi Statuti del
regno, che fece poi pubblicare sotto il titolo Costituzioni Generali, e strinse un concordato con la Santa Sede. Questo sovrano tanto commendevole pel suo valore militare e per molti provvedimenti politici, fu il primo di Casa Savoia a portare il titolo di Re. Ma per nuove turbolenze insorte cedette egli il regno di Sicilia all'imperatore di Germania ed ebbe in sua vece l'isola di Sardegna. D'allora in poi (1720) i duchi di Savoia furono sempre qualificati col nome di re di Sardegna.
… Cap. XVIII Le prime colonne dell'armata franco-spagnola si portarono sulle testata delle valli di Stura e di Maira e le tre ultime, si presentarono alla sommità della valle di Varaita. La settima colonna, composta di sei battaglioni, comandati dal luogotenente generale don Luigi Gandiga, partì da Guillestre e passando per Saint Paul e Maurin si presentò alla testa del colle dell'Agnello (nota mia: ha fatto un po di confusione: per andare a saint Paul avrebbe dovuto ascendere il colle dell'Izoard e poi quello del Var e, una volta arrivato a saint Paul avrebbe dovuto passare dal colle di Sautron: ciò non è avvenuto perché Guillestre è proprio allo sbocco della valle adducente al colle dell'Agnello e, in alternativa, a quello di San Veran) per minacciare la valle di Casteldelfino, indi retrocesse per portarsi ad Acceglio, in val di Maira, traversando il
colle di Maria (?) (devo controllare qual'è il colle) allo scopo di sostenere la sesta colonna, comandata dal Luogotenente generale conte di Lautrec, che aveva l'ordine di portarsi al Preit (di Canosio?) per minacciare la valle Maira. Il marchese di Camposanto (che nome lugubre). Luogotenente generale con cinque battaglioni che formavano l'ottava colonna,, staccati dal campo di Pontcernieres vicino a Briancon, passò per Seillac e il lago di Praira per portarsi alle Traversieres di Bellino (questo percorso non l'ho ricostruito, perché incongruo) , a cavalcioni delle valli di Varaita e di Maira, e riversarsi
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in questa o quella a seconda delle convenienze o alla bisogna. Il balio di Givrì, luogotenente generale, alla testa di dieci battaglioni che formavano la nona colonna, partì da Barcellonetta e si portò al di là del Monginevra dalla parte della valle di Cesana per ingannare il nostro re e gfargli attrarre colà le proprie forze (anche questo percorso è incongruo, assolutamente disagevole, tutto lungo la Durance, mah!) fingendo un'irruzione nelle valli di Susa e di Pragelato; indi ripassando d'un tratto la montagna venne a presentarsi in faccia alla Gardetta (assurda anche questa ipotesi) nella vallata di Bellino e sulla sommità di Boindormir che domina la valle di Casteldelfino. Il brigadiere Crevret comandava un corpo di mille cinquecento uomini, tratti da diversi reggimenti, e quattro compagnie di granatieri di Poitu per facilitare a preparare gli attacchi del balio di Givrì e concertare le sue operazioni con lui. Queste nove colonne si trovarono la sera del 17 luglio (1744)ciascuna al posto assegnatole dal principe di Contì, dopo aver molto sofferto nella marcia forzata della notte precedente, in cui la pioggia non cessò di cadere per dieci ore di seguito. Il principe di Contì e l'infante di Spagna, scendendo alla testa della loro colonna il colle dell'Argentiera, e preceduti dal marchese Lasmina e dal luogotenente generale d'Aramburu, arrivarono a Bersezio nella valle di Stura in faccia alle Barricate. Il nostro luogotenente generale Pallavicini, informato dalle sue numerose spie che tre corpi d'armata nemica s'avvicinavano per colpirlo ai fianchi ed alla coda, e credendo che tutte le forze del nemico si fossero riversate contro di lui, per non far perire e prendere prigionieri i suoi otto battaglioni, abbandono l'alta e la bassa val Lobiera ed il campo della Montagnetta, posti che avrebbero fatto rabbrividire l'esercito più agguerrito per espugnarli, al nemico e si ripiegò con le sue truppe a Demonte, facendo saltare nella ritirata i ponti e distruggendo si fattamente il cammino della velle di Stura da rendere assolutamente impraticabile il passaggio dalle Barricate. (tralascio qui la bella descrizione e sunteggio: i francesi all'altezza di Bersezio salirono sul versante orografico sinistro e, passando sotto il colle del Mulo, arrivarono al colle dei Morti (si chiama così perchè caddero in un agguato, schiacciati dalle pietre che rotolarono loro addosso, alcune centinaia di soldati) e poi discesero per Castelmagno e Pradleves nella pianura. Ma la parte più grande dell'esercito francese forzò il passaggio di Casteldelfino e, non senza grande resistenza, arrivò a depredare Saluzzo. Questa grande battaglia si arenò poi nella pianura e, per la colonna proveniente dalla valle Stura, ebbe luogo la battaglia di Madonna dell'Olmo. In sostanza non ci furono né vincitori né vinti e lentamente l'esercito si spostò su Torino. Ma questa è un'altra storia...)
…. Cap. XXXV Nel secondo anno del suo sacro ministero (fra Paolo da Torino, 1645), mentre era tutto intento a conservare la pace e la concordia componendo liti, togliendo dissidi ed estinguendo ire e ri, sse, perché fiorisse la religione e la pietà, e il popolo si occupasse di opere buone e virtuose, ecco saltar fuori l' inimicus homo a seminare importunamente la zizzania nel campo evangelico. Nel comune di Bellino viveva un certo Antonio R... nativo del luogo, che urtava fortemente con la popolazione per la sua prepotenza e crudeltà. L'inimicizia era già giunta al colmo ed il Missionario s'era posto intermediario per ristabilire la pace, ma tutto inutilmente. In bel giorno quell'individuo con i suoi aderenti da una parte e il resto della popolazione dall'altra vennero tra loro alle mani e nella mischia sette persone caddero morte al suolo. Il Missionario tentò la seconda violta di conciliare gli animi esacerbati, ma gli fu impossibile per le pretese esorbitanti che si sollevarono dall'una e dall'altre parte. ...Una notte tre merciai del luogo, quando men se l'aspettavano, furono sorpresi dal detto individuo e dai suoi complici e furono barbaramente trucidati. La popolazione all'apprendere la notizia si sollevò indignata per prenderne vendetta. In quel frangente lo stesso associò una banda di cinquanta e più vagabondi e proscritti, che fè venire da tutte le parti, e si diè con questi a scorazzar la Castellata, saccheggiando le case e depredando i viandanti, quindi l'aumentò del doppio per piombare sul suo luogo nativo e flagellarlo. La Castellata, conosciuto il suo disegno, s'armò di tutto punto, lo inseguì, lo raggiunse e, fattolo prigioniero, lo tradusse in carcere. Sottoposto a processo, fu convinto reo di tutti i misfatti commessi e fu condannato a morte dal tribunale competente (Embrun) Siccome la sentenza portava che venisse giustiziato in patria, così, legato mani e piedi, fu ivi posto l'anno 1646 sotto una grossa mola in pietra. Messa in giro dall'acqua, che gli sfracellò orribilmente le membra. Sac. Claudio Allais, Storia dell'alta valle di Varaita, Saluzzo, Tip. Frat. Lobetti-Bodoni, 1891 ( questo libro è una copia anastatica del testo; è preceduto da una bella prefazione di Giorgio Beltrutti: è stata scritta dal parroco di san Pietro in Vincoli di Casteldelfino (1838- 1913) ed è divisa in quattro parti: Nozioni topografiche, statistiche della Castellata ; Memorie storico-politiche (dall'origine del mondo al 1600 circa); Memorie storico-militari, cioè tutto il turbinio del Sei e Settecento; Memorie storicoreligiose. E' un bel libro, scritto in perfetta buona fede e con cognizione di causa e celebra la regione della Castellata che comprende Casteldelfino, Pontechianale (frazione Pont, Chianale,) e Bellino. Da sempre e per sempre quest'area era avulsa dai marchesi di Saluzzo prima e dai Savoia poi, ma apparteneva al Delfinato con capitale Vienne (salvo la parentesi angioina), sub capitale Grenoble e poi Embrun. Non si fa cenno, se non indiretto, al concetto di di autonomia giuridica della struttura Escartoun comprendente le valli contrapposte di Pragelato/Briancon, Po/Queyras; Varaita/Guillestre; Maira/Barcelonnette. Di certo è stato luogo di continue guerre, invasioni, saccheggi e devastazioni. Sotto l'aspetto religioso evidenzia la mancanza di cultura dei preti locali cui succedevano dei giovani che si erano impratichiti nell'esercitare i riti e le celebrazioni; infatti, quando a fine Cinquecento arrivano, sospinti dalla Francia e dal Delfinato i protestanti la situazione precipita e bisogna far ricorso alle Missioni dei Frati Cappuccini che qui, come in valle Maira, svolgono una vera e propria evangelizzazione contrastando sul piano teologico gli eretici, contrastandoli a suon di ricorsi davanti all'autorità civile di Embrun, di Grenoble e, in un caso, addirittura presso la Corte di Parigi. I Cappuccini istituiscono scuole per i ragazzi, istruiscono anche i più grandicelli che verranno poi sottoposti al vaglio del Vescovo di Torino per diventare poi sacerdoti o notaj (il Concilio di Trento aveva istituito i seminari, ma non certo il val Varaita). In sostanza molto bello questo testo, con tutti i limiti del caso, però un'opera generosa.
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Io ve lo sbatterò in bocca e di dietro, Aurelio culo rotto e checca Furio, che reputaste che coi miei versetti Languidetti fossi io poco pudico. Il poeta pio dev'essere casto Per sé, non è necessario ai versetti, che hanno oltretutto sale e lepidezza, per languidetti e pur poco pudichi e tali da eccitar qualche prurito. Ai fanciulli non dico, ma ai pelosi, che i duri fianchi non possono muovere. Voi, letti i mille e mille baci miei, mi reputaste un maschio in male arnese? Io ve lo sbatterò in bocca e di dietro.
Catullo, carme XVI
Ti prego, mia dolce Ipsitilla, tu mia delizia, tu mia tenerezza, fa ch'io venga da te nel pomeriggio se lo farai, aggiungi che nessuno chiuda la porta con il chiavistello, e non ti salti in mente di uscir fuori, ma resta in casa e prepara per noi nove fottute l'una in fila all'altra. Ma se hai da fare, fa ch'io venga subito; pranzato, giaccio e satollo supino perforo sia la tunica che il pallio.
Catullo carme XXXIII
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Che cosa buffa, divertente e degna, Catone, del tuo orecchio e dei tuoi scherzi! Ridi, Catone, se ami un po' Catullo: la cosa è buffa e troppo divertente! Sorpresi or ora uno sbarbo a infilzare una ragazza: io, piacendo a Diona, gli piombai dietro con la mia asta rigida.
Catullo carme LVI (Diona, madre di Venere)
Gli occhi di miele tuoi, Giovenzio, se uno mi desse di baciarli senza posa, bacerei di trecentomila baci, e non mi sembrerei sazio giammai, se la messe dei nostri baciamenti non fosse fitta più che spighe riarse.
Catullo carme XLVIII (Giovenzio, antica gens de Giovenzi)
Marco Tullio, che superi nel dire i nipoti di Romolo che sono, che furono e che saranno in avvenire, ti rende grazie massime Catullo di tutti quanti il peggior poeta, tanto poeta peggiore di tutti, quanto avvocato tu migliore di tutti.
Catullo carme XLIX (Marco Tullio è Cicerone)
Celio, la nostra Lesbia, quella Lesbia., Lesbia, quella che amò solo Catullo più di se stesso e di tutti i suoi amici, in quadrivi e angiporti ora ai nipoti magnanimi di Remo lo scappella.
Catullo carme LVIII (Lesbia pseudonimo di Clodia)
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Dice la donna mia di non volere tranne me sposo, fosse anche Giove. Dice; ciò che all'amante la donna dice, scrivilo su acqua rapida e vento.
Catullo carme LXX
Lesbia sparla sempre di me e non tace mai su di me; mi prenda un accidente. Se Lesbia non mi ama. “Qual é il segno?” Perché son tutti segni che ho pure io; io la stramaledico senza fine: mi prenda un accidente se non l'amo.
Catullo carme XCII
SOGNO nella notte dal 4 al 5 aprile 2013 ero in casa e dalla finestra vedo una persona (maschio,? femmina?) che viene a cercarmi e scendo al cancello per ricevere l'ospite. Il giardino non era il mio. Entro in casa da un altro ingresso (la casa non era la mia) e trovo sul pavimento della biancheria buttata lì a casaccio. Arriva mia Mamma (morta da sei anni) vecchia ma arzilla ed operativa. La saluto con stupore e con calore e lei mi dice che le canottiere vecchie e malandate bisogna buttarle via. Rispondo che sto ancora utilizzando la sua biancheria da cucina e mi dice: “quella va bene, era ancora dei miei vecchi”. Sparisce
Il bosco precede l'uomo, il deserto lo segue.
Chateaubriand
Complessivamente “il patrimonio combinato delle 100 persone più ricche del mondo e quasi il doppio di quello dei 2,5 miliardi di persone più povere”. Secondo l'Istituto mondiale per l'economia dello Sviluppo con sede a Helsinki, le persone che costituiscono l' 1% della popolazione mondiale più ricco sono ora quasi 2000 volte più ricche del 50% della popolazione che si trova in basso. Danilo Zolo che ha recentemente confrontato le stime disponibili sulla disuguaglianza globale concludeva che “bastano pochi dati statistici per confermare drammaticamente il tramonto dell'“età dei diritti” nell'era della globalizzazione. L'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha calcolato che tre miliardi di persone oggi vivono sotto il livello della povertà, fissato in due dollari di reddito al giorno” … Oggi, a quasi quindici anni di distanza, queste cifre sono andate, purtroppo di male in peggio: il 20 per cento più ricco della popolazione consuma il 90 per cento dei beni prodotti, mentre il 20 per cento più povero consuma l' 1 per cento. Si stima inoltre che il 40 percento della ricchezza mondiale è posseduto dall' 1 per cento della popolazione totale del mondo, mentre le 20 persone più ricche del mondo hanno risorse pari a quelle del miliardo di persone più povere. Fra questi altri “dogmi dell'ingiustizia” Dorling elenca le credenze che: 1) l'elitismo è efficiente (perchè il bene
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di molti può essere migliorato soltanto promuovendo le abilità di cui solo pochi individui, per definizione, dispongono in maniera esclusiva); 2)l'esclusione è insieme normale e necessaria per la salute della società, e l'avidità è un bene per il miglioramento della vita); 3) la disperazione che ne risulta è ineluttabile e non può essere evitata. E' questa collezione di false credenze che sta alla base della nostra miseria collettiva, causata dalla nostra volontaria (quasi irriflessiva e meccanica) sottomissione all'ineguaglianza sociale che fa sì che essa continui e, anzi, si autoperpetui :”Per un bel po di tempo gli uomini hanno fatto la loro storia, anche se più volte hanno avuto a che lamentarsi e si sono trovati in circostanze da loro non scelte. E le storie sono fatte collettivamente: ci assepiamo oggi per andare in giro a far compere e a seguire la soap opera. La paranoia dello status è rinforzata dal fatto che la nostra gente vede ormai le cose sotto l'influenza di ciò che guarda in televisione e navigando su internet. L'avidità come modo di essere ci viene propinata collettivamente attraverso la pubblicità, che funziona come un'esca per farci desiderare sempre qualcosa di più” (D.Zolo, I diritti umani, la democrazie e la pace nell'era della globalizzazione, Jura Gentium). ….La “realtà”, in fin dei conti, è il nome che diamo alla resistenza esterna ai nostri desideri interni: quanto più è forte la resistenza, tanto più “reali” si sentono gli ostacoli.
….John Maxwell Coetzee, formidabile filosofo e squisito conferenziere, oltre che acuto rilevatore dei peccati, dei grossolani errori e delle vacuità del nostro mondo, osserva che : l'affermazione secondo cui il nostro mondo dev'essere diviso in entità economiche in competizione perché questo è ciò che la natura richiede, è astrusa. Le economie competitive esistono perché noi abbiamo deciso di dare loro questa forma. La competizione è un surrogato sublimato della guerra. La guerra non è affatto inevitabile. Se vogliamo la guerra, possiamo scegliere la guerra: ma se vogliamo la pace, possiamo ugualmente scegliere la pace. Se vogliamo la rivalità, possiamo scegliere la rivalità; ma possiamo anche decidere per un'amichevole cooperazione. (J.M. Coetzee, Diary of a Bad Year, Vintage book, London 2008). ….Alcuni degli assunti comunemente accettati come “ovvi” (cioé che non hanno bisogno di prove), che ci soffermeremo qui ad esaminare più da vicino sono: 1. La crescita economica è il solo modo di affrontare le sfide e possibilmente risolvere tutti i singoli problemi che la coabitazione umana inevitabilmente crea. 2. Il consumo in perpetuo aumento, o più semplicemente la rotazione sempre più veloce di nuovi oggetti di consumo, è forse il solo, o comunque il principale modo di soddisfare la ricerca umana della felicità. 3 La disuguaglianza tra gli uomini è naturale, e acconciare la possibilità della vita umana alla sua inevitabilità ci avvantaggia tutti, mentre la manomissione dei suoi precetti non può che portare danno a tutti. 4. La rivalità ( con i suoi due versanti: l'elevazione delle persone degne e l'esclusione/degradazione di quelle indegne) è insieme una condizione necessaria e sufficiente della giustizia sociale nonché della riproduzione dell'ordine sociale. ...doxa = l'insieme di credenze abitualmente utilizzate dal pubblico dei profani come strumenti del loro pensiero, ma su cui raramente o forse mai si riflette, e che tanto meno vengono analizzate e sottoposte a verifica. …. Mentre fino al secolo scorso, come possiamo anche leggere in Wikipedia, John Maynard Keynes, uno dei più autorevoli economisti del XX secolo, aspettava ancora l'immancabile avvento del giorno in cui la società potrà concentrarsi sui fini (Felicità e Benessere, per esempio), anziché come fino ad ora, sui mezzi (Crescita economica e Ricerca individuale del profitto). Egli scriveva che l' “avarizia è un vizio, la riscossione dell'usura è una colpa, l'amore per il denaro è spregevole …. Torneremo ad apprezzare di nuovo i fini sui mezzi e preferiremo il bello all'utile” E insisteva che “non è lontano il giorno in cui il problema economico passerà in secondo piano, che è quello che gli compete, e l'arena del cuore e della testa sarà occupata, o rioccupata, dai nostri problemi reali, i problemi della vita e delle relazioni umane, della creazione e del comportamento e della religione” : in altre parole quei problemi che non sono “reali” , ma sono immensamente più nobili ed attraenti.
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… Il messaggio difficilmente potrebbe essere più chiaro: la strada per la felicità passa attraverso lo shopping; la somma totale dell'attività degli acquisti della nazione è il metro principale e meno fallibile della felicità della società. … Le vittime della competizione sono soggette al pubblico biasimo per la disuguaglianza sociale che ne risulta; e tuttavia, e questa è la cosa più importante, esse tendono a concordare con il verdetto pubblico e biasimano se stessi, a spese della loro autostima e delle fiducia in se stessi. Così a insulto si aggiunge insulto; il sale della riprovazione è sparso sulla ferita aperta della miseria. … Noi ora siamo consumatori, consumatori prima di tutto e sopra tutto, consumatori per diritto e per dovere. All'indomani dell'attentato terroristico dell' 11 settembre Geoge W. Bush, invitando gli americani a superare il trauma e a ritornare alla normalità, non trovò di meglio da dire che “ritornate a fare shopping”. E' il livello della nostra attività di fare acquisti e la facilità con cui ci liberiamo di un oggetto di consumo per sostituirlo con “uno nuovo e migliorato” che noi impieghiamo come metro principale della nostra posizione sociale e come punteggio nella competizione per il nostro successo nella vita. A tutti i problemi che incontriamo sulla strada che ci allontana dai dispiaceri e ci porta verso la soddisfazione cerchiamo soluzioni nei negozi. Dalla culla alla bara siamo educati e addestrati a trattare i negozi come farmacie piene di medicine per curare o almeno mitigare tutte le malattie e afflizioni della nostra vita e della vita in generale. … E' con l'atto del dubitare e del pensare che noi, gli uomini, ci distinguiamo dal resto nonpenante del creato. In poche parole: secondo Descartes, noi, gli esseri pensanti, siamo soggetti. Gli altri esseri sono cose, oggetti del nostro pensiero.. C'è perciò una differenza essenziale e una distanza incolmabile fra soggetto ed oggetto, fra l'ego che pensa, e ciò che viene pensato dall'ego; il primo è il lato attivo, creativo, nella loro relazione, mentre il secondo è condannato a rimanere sul lato ricevente delle azioni del soggetto. Dotato di consapevolezza, il soggetto “significa” e “intende” (cioè ha motivazioni; ed ha “volontà” di agire in base a quelle motivazioni, Gli oggetti, al contrario, mancano di tutto ciò. In forte opposizione con i soggetti, gli agenti attivi, gli oggetti, le “cose”, sono senza vita, inattivi, acquiescenti, apatici, tolleranti, compiacenti, docili, passivi e pronti a subire: sono collocati stabilmente sul lato ricevente dell'azione. Il “soggetto” è colui che agisce; l'”oggetto” è quello su cui si agisce. Zygmund Bauman, La ricchezza di tutti avvantaggia tutti: FALSO, ed. Laterza, 2013 (molto, molto bello questo piccolo libriccino: descrive e circostanzia la trasformazione sociologica innescata con la globalizzazione, esamina con attenzione tutti i risvolti psicologici messi in atto, loda molto Slow Food di Carlin Petrini, ma la realtà è quella che è. L'unica lacuna che ho rilevato è che la globalizzazione si è fortemente specializzata nella “finanza, e le varie teorie di “mercato” qui descritte sono delle sobordinate. Alcuni anni fa avevo già riportato su Chiosa un altro bellissimo testo di Bauman avente per titolo Lo Sciame: dimostrava come sono riusciti ad indurre tutti noi a un pensiero comune, a una azione guidata e, per loro, razionale affinché abdicassimo molto semplicemente a pensare).
Socrate: Sì, appunto. Dimmi: l'agricoltore che ha senno, i semi che egli ha a cuore e dai quali vuol frutto, farà sul serio a piantarli d'estate nei “giardini di Adone”, per poi godere a vederli venire su belli, in otto giorni, o farà per gioco e in grazia della festa, quando pure lo farà? Mentre i semi dei quali si preoccupa davvero , li seminerà dove ha da seminarli, con tutte le regole dell'arte agricola, contento che essi giungano al termine loro in otto mesi? Fedro: Così farà, o Socrate, nell'un caso sul serio e nell'altro no, come tu dici. Socrate: E chi ha la scienza del giusto e del bello e del buono, vorremo dire che per le sue sementi ha meno intelletto d'un agricoltore?-. Fedro: No, davvero.
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Socrate: E dunque, se vorrà fare sul serio, non le andrà a “scrivere sull'acqua” nera, seminandole, per mezzo di una cannuccia, con parole che non han la capacità di dar ragione di sé e di difendersi, e neppure di insegnare in modo sufficiente il vero.
… Socrate: Così è di fatto, caro Fedro. Ma modo assai più bello di occuparsene sul serio s'ha, credo, quando ci si serve dell'arte dialettica e per essa, con consapevolezza di scienza, si piantano e si seminano entro l'anima, che s'é presa adatta discorsi i quali siano in grado di venire in aiuto a sé e a chi li ha piantati, che non restino senza frutto, ma portino seme, onde altri ne nascano in altre anime, attea rendere questi semi immortali, discorsi che diano a chi li possiede la beatitudine massima che a uomo è possibile ottenere. Platone, Fedro, Laterza, Bari, 1946
Supponiamo dunque che la mente sia quello che si chiama foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo arriverà essa a ricevere delle idee? Donde e come ne acquista quella quantità prodigiosa che l'immaginazione dell'uomo, sempre all'opera e senza limiti, le offre con una varietà quasi infinita? Donde ha tratto tutti questi materiali della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall'esperienza. E' questo il fondamento di tutte le nostre conoscenze; da qui esse traggono la loro la loro prima origine. Le osservazioni che facciamo sia intorno agli oggetti esteriori e sensibili, sia intorno alle operazioni interiori della nostra mente, che percepiamo e sulle quali noi stessi riflettiamo, forniscono la nostra intelligenza di tutti i materiali del pensiero. Sono queste le due sorgenti da cui discendono tutte le idee che abbiamo, o che possiamo avere naturalmente. John Locke, Saggio sull'intelligenza umana, Laterza, Bari, 1994
Filatete: I nostri amici che suppongono che all'inizio l'anima è una tabula rasa, vuota di ogni carattere, e senza alcuna idea domandano come essa pervenga a ricevere delle idee, e per qual mezzo ne acquisisca questa prodigiosa quantità. A ciò essi rispondono con una parola: dall'esperienza. Teofilo: Questa tabula rasa di cui si parla tanto non è, a mio avviso, che una finzione che la natura non tollera, fondata nelle nozioni incomplete dei filosofi come il vuoto, gli atomi e la quite (Assoluta o relativa di due parti d'un tutto), o come la materia prima che si concepisce senza nessuna forma. Le cose uniformi e che non racchiudono alcuna varietà, non sono mai altro che astrazioni, come il tempo, lo spazio e gli altri esseri della matematiche pure. Non vi è corpo le cui parti siano in quiete e non vi è sostanza che non abbia qualcosa in cui distinguersi in un'altra. (…) Per non dire che coloro che parlano tanto di questa tabula rasa, non saprebbero indicare ciò che le rimane dopo averle tolto le idee, come i filosofi della Scuola che non lasciano nulla alla loro materia prima. Mi si risponderà forse che questa tabula rasa dei filosofi vuol dire che l'anima non ha naturalmente e originariamente che delle facoltà nude (…) L'esperienza è necessaria, lo ammetto, affinché l'anima sia determinata o tali o a tal'altri pensieri, e affinché presti attenzione alle idee che sono in noi: ma qual'è il mezzo per cui l'esperienza e i sensi possano darci delle idee? L'anima ha forse delle finestre? Rassomiglia a delle tavolette? È come della cera?. E' chiaro che tutti coloro che pensano ciò dell'anima, la rendono corporea, in fondo. Mi si opporrà questo assioma accettato dai filosofi, secondo il quale nulla è nell'anima che non venga dai sensi. Ma bisogna fare eccezione per l'anima stessa e per le sue affezioni. Nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu,excipe: nisi ipse intellectus. Ora, l'anima racchiude l'essere, la sostanza l'uno, il medesimo, la causa, la percezione, il ragionamento e molte altre nozioni che i sensi non saprebbero dare. (…) Credo che le bestie abbiano anime immortali e che le anime umane e tutte le altre non siano mai senza qualche corpo; e ritengo anche che Dio soltanto, in quanto è un puro atto, ne sia interamente esente. Gottfried Wilhelm Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano, 1705
Aequam memento rebus in arduis servare mentem.
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Ricordati , nelle avversità,di mantenere sereno l'animo
Orazio, Odi, 2,3, 1-2
Alium sidere quod voles, primus silere. Taci tu per primo ciò che vuoi sia taciuto dagli altri.
Seneca, Phaedra, 876
Auscultare disce si nescis loqui. Incomincia con l' ascoltare se non sai parlare.
Pomponio, 12R
Bene qui latuit bene vixit. Visse bene chi fu ben nascosto.
Ovidio, Tristia, 3,4,25
Cur sapiente loquens perpaucis utere verbis. Usa pochissime parole parlando con il saggio.
San Colombano, Carmen Monastichum,46
Dubium sapientiae initium. Il dubbio è all'origine della sapienza.
Cartesio
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. E' umano sbagliare, ma perseverare è diabolico.
Cicerone
Esse oportet ut vivas, non vivere ut edas. E' opportuno mangiare per vivere, non vivere per mangiare.
Rhetorica ad Herennium
Exiqua his tribuenda fides qui multa loquuntur. Abbi poca fiducia in chi chiacchiera molto.
Distica Catonis, 2,20,2
Fortuna vitrea est: tum cum splendet frangetur.
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La fortuna è di vetro: proprio quando splende si rompe.
Publilio Siro, Sententiae, F 24
Hominis tota vita nihil aliud quam ad mortem iter est. Tutta la vita dell'uomo non è nient'altro che un percorso verso la morte.
Seneca, a Polibio, 11
Imperare sibi maximum imperium est. Comandare a se stessi è la massima espressione di comando.
Seneca, ad Lucilium, 113, 30
In fuga foeda mors est, in victoria gloriosa. La morte è vergognosa (quando) fuggi, gloriosa nella vittoria.
QUESTIONI
Cicerone, Filippiche, 14,32
15 maggio 2mila13
Caro Amico/a, ho messo mano a questo piccolo documento per sollecitarti a focalizzare alcune questioni, vecchie come il mondo, che forse è opportuno aggiornare. Infatti il futuro è tuo. Ti porrò una serie di domande alle quali, forse, tu vorrai rispondere: attenzione, solo a te stesso (ci mancherebbe venissi a dirlo proprio a me, ché non ho titolo, né diritto, né, men che meno, l'intenzione di fare un sondaggio: già è triste il fatto che tu abbia trovato o troverai il lavoro o abbraccerai una professione o attività grazie alla scelta fatta da uno stupido quiz. Invece dovrai rispondere solo a te stesso, senza nessun vincolo o remora sempre che tu lo voglia. Ti immagino un ragazzo sveglio, pronto, attento e responsabile, fra i 16 ed i 23 anni, uno che cerca di capire cos'é la vita, ma soprattutto uno che sta disegnando il proprio futuro avendo come obiettivo la felicità. Se invece sei una ragazzina sveglia (ai 16 anni) o una donna perfettamente consapevole e presente ai 23, tanto meglio: è noto che siete molto più preparate, concrete, responsabili, avete una vera visione del futuro, una grande determinazione verso l'obiettivo. 194
Mi presento: sono un vecchietto di quasi 70 anni cui le camole (sai bene cosa sono le camole!) hanno assalito la memoria ma stanno lavorando anche sul piano degli organi interni, della pompa, della distribuzione, della rubinetteria. Però sono curioso e non passa giorno che non mi crei un nuovo problema da risolvere o un nuovo arcano da scoprire. Non sto a dirti che sono preoccupato e pentito per come la mia generazione ha lasciato un mondo pieno di difficoltà, debiti ed incertezze: ma tu, con la forza vitale che hai dentro, la vis che porta la linfa su tra i rami, sarai più preparato e forte per crescere in armonia e in perfetta dignità, per creare un futuro migliore, com'é giusto, per realizzare un tuo sogno di felicità.
Alle domande che seguono dovrai, sempre che tu lo voglia, trovare una risposta tua, strettamente personale. Se vuoi puoi confrontarti con un amico o compagno, per approfondire meglio il tema. Le domande sono in ordine casuale ed accidentale: rispondi un po' per volta, quando vorrai dedicare un po' del tuo tempo.
--qual'è la tua idea di “lavoro”? Pensi di essere preparato ad affrontarlo, ma soprattutto, quali sono le tue aspettative?
-- Il tuo lavoro dovrà assolvere alle tue esigenze personali o dovrà essere inserito in un contesto sociale più ampio?
--hai mai avuto nei tuoi giochi, a scuola, nelle attività sportive un amico dalla pelle diversa dalla tua? Ma era proprio di un altro mondo o aveva gli stessi obiettivi, soddisfazioni e sogni che provavi tu, faceva la pipì come la fai tu?
--quale importanza dai all'amicizia? Per un vero amico, cosa saresti disposto a fare?
--sei d'accordo sul fatto che se coltivi il tuo cuore con il rancore, il raccolto sarà molto amaro? 195
–il
vecchietto che ti scrive è nato alla fine della seconda (deprecabilissima) guerra mondiale. Sono passati 68 anni di pace nella nostra Europa: non sono però troppi i 70-80 conflitti che vagano per il mondo? Cosa ne pensi? In concreto: qual'è il tuo concetto di pace?
--hai mai avuto un amico il cui papà (o mamma) fosse in carcere? Hai pensato che lui non aveva colpa alcuna ed hai cercato di stargli più vicino o lo hai evitato?
--hai provato ad esaminare i criteri con qui formuli i tuoi giudizi? Hai calcolato l'incidenza dei tuoi pre-giudizi?
--se un qualche tuo amico si è ammalato e magari è stato ricoverato per lungo tempo in ospedale, cosa hai pensato di lui? Hai cercato di capire la natura della sua malattia o hai preferito ignorare il problema? Hai fatto qualcosa di concreto per aiutarlo a vivere normalmente?
--Se venissi a sapere che stai per diventare papà (o mamma) quale sarebbe la tua prima reazione? Ma, pensandoci bene, potrebbe cambiare il tuo giudizio sul fatto?
--adesso una domanda apparentemente grossa, cui però hai già pensato mille volte: cos'è la vita? E' uno scherzo, un accidente, un caso? Pensaci un po', bravo.
--se tu dovessi disegnare o descrivere la figura del vincitore quali termini ed attribuzioni useresti?
--se tu dovessi disegnare un leone partiresti forse dall'artiglio?
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--sei mai stato innamorato? E' davvero una sensazione strana e forte. Come mai il tuo cuore a un certo punto batte fuori tempo per una persona a te del tutto estranea? Forse vorresti con-dividere qualcosa con questa persona? Che cosa? Perché mai? Scusa se insisto: è una fortuna o una disgrazia?
--“l'acqua che tocchi dei fiumi, è la prima di quella che viene e l'ultima di quella che andò, così il tempo presente”. Sei d'accordo con Leonardo?
--qual'è la tua opinione circa la gratuità? Per te è meglio quando la offri o quando la ricevi?
---la droga è di sicuro una piaga perché azzera l'uomo, la sua essenza. Se tu avessi nozione che stimati chirùrgi, professionisti di ogni genere (compresi gli sportivi), insegnanti ed altri ne fanno corrente uso, che reazione avresti?
--la miseria è davvero un grosso problema, di profonda disuguaglianza. Dice Giulio Bollati in Italiano, ed. Einaudi 1983: “aguzza il pugnale dell'assassino, prostituisce la donna, corrompe il cittadino, trova satelliti al dispotismo”. Hai qualche idea di come combattere la miseria? Bisognerebbe forse disegnare qualcosa di diverso?
--sei convinto che il passo successivo a quello che metti sulla vetta sarà per scendere? Per tua fortuna hai molte vette da scalare!
Caro Amico/a , mentre formulavo queste domande (cui cercavo ovviamente di dare una risposta) mi sono reso conto che tutti gli argomenti giravano intorno a un concetto a me molto caro : DIGNITA' Non voglio assolutamente fornirtene la definizione per il semplice fatto che ci arriverai da solo; dirò che la Dignità è incomprimibile, non negoziabile, 197
assolutamente specifica alla tua persona, la pietra dura del tuo esistere, oserei dire il DNA (parola grossa di cui ignoro il vero significato). Ultima domanda: non pensi che con un grosso lavoro intorno alla Dignità, tutti gli altri valori in un contesto sociale e civile, ma anche più semplicemente nella tua vita potrebbe fare a meno dei concetti astratti (Giustizia, Libertà, Verità, ecc.) (nel senso che tutti li ingloba, naturalmente) che millenni di civiltà hanno affastellato, arricchito e, spesso, appesantito? Il criterio innovativo sarebbe che tu, con un solo concetto auto-costruito ed elaborato in perfetta Libertà, potresti essere il vero autore della tua vita: lasceresti da parte tutte le cose convenzionalmente imposte, ma anche i troppi luoghi comuni, ma anche le infinite banalità. L'unico limite è di NON barare; saresti proprio folle ed imbecille a fregarti da solo. Tanto così, per cambiare tono e per non prenderci troppo sul serio, “imbecille” deriva da “sine baculus” cioé (camminare) senza bastone, senza una meta.
Buona Vita, Amico e Amica, e …. buona Dignità.
aloysio -------------------------------------------------------------
Sii prudente: pensa come venti anni dopo. (Scritta in apice di un affresco sul muro esterno meridionale della chiesa di Chiappera raffigurante un saggio (un po' goffo) in cattedra con libro aperto sulle ginocchia. La chiesa molto bella e raccolta, un po' tetra, è stata violata dallo scasso del pavimento per il riscaldamento (con orrido tubo in luccicante acciaio sul fianco esterno) e l'impianto di amplificazione laddove nell'unica aula l'acustica è perfetta tale da percepire un sussurro). Ma il problema è ben diverso: per chi come il sottoscritto non ha assolutamente una prospettiva di 20 anni cosa fa, si spara un colpo? Gnanca à parlene, pensu, cuma sempre, sensa prudensa e chi resta dirà lon che vol.
L'uomo è una macchina composta in maniera tale che è impossibile farsene subito un'idea chiara, e di conseguenza definirla: per questo motivo tutte le indagini condotte a priori dai più grandi filosofi, i quali hanno voluto in qualche modo servirsi delle ali dello spirito, sono state vane (…) L'uomo non è altro che un animale, o un complesso di energie, che si caricano le una mediante le altre, senza che sia possibile dire a quale punto del circolo la natura abbia cominciato.
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Se queste energie differiscono tra di loro, è soltanto per la loro sede e per il grado della loro forza, e mai per la loro natura. Di conseguenza l'anima non è altro che un principio di movimento, o una parte materiale sensibile del cervello, che si può considerare senza timore come l'energia principale di tutta la macchina, la quale esercita su tutte le altre un'influenza visibile, e sembra anzi essere stata prodotta per prima, di modo che tutte le altre sarebbero un'emanazione da essa. Julien Offray de la Mettrie, L'uomo macchina, ed. Laoescher, 1983
( le gesta e le avventure di Gualtieri, marchese di Saluzzo mi erano ben note ed in particolare ricordavo il testo che “mentre andava ad uccellare” dalle parti di Villanovetta si fosse imbattuto in Griselda, figlia di Giannone, porcaro e porcara lei stessa e che fini per sposarla: avendo avuto da lei due figli... se ne stancò; il finale è troppo bello per rivelarlo. Ignoravo però che il Petrarca avesse ripreso questo racconto in Opere Latine, ma anche Geoffrey Chaucer (1343-1400) padre della letteratura inglese lo avesse trasposto in i Racconti di Canterbury. Tutto questo l'ho scoperto in)
Renzo Marinone, Griselda e Gualtieri fra Boccaccio, Petrarca e Chaucer,, Cuneo Provincia Granda n. 1 aprile 1981
Re Umberto I, più giovane di 25 anni di Crispi cui era legato da vero affetto, erano entrambi di temperamento autoritario ed amavano entrambi la Germania. Re Umberto rimase impressionato dal non ancora trentenne Guglielmo II, suo ospite a Roma, per la spregiudicatezza con cui il sire tedesco esprimeva le proprie opinioni. Disse: -detesto in primo luogo i francesi, poi i deputati, poi i diplomatici, degli imbecilli che per i tempi che corrono sono diventati completamente inutili. Io non amo il governo parlamentare. Ho ereditato le Camere e occorre che le conservi, ma i deputati occorre tenerli molto giù e molto lontani, così essi vi mangeranno nella mano. Presso la mia corte essi sono al settimo rango. E' gente che va trattata a calci... Per me al mondo ci sono persone che portano l'uniforme e poi, molto lontani, quelli che portano un abito nero-. Umberto allibì quando il Kaiser, durante la parata militare nel golfo di Napoli, chiese all'ammiraglio Acton: -Non avete per avventura un siluro carico? Noi lo lanceremmo contro la barca che conduce i senatori e i deputati e ci saremmi sbarazzati di tutta questa gente in un sol colpo-. Miche Berra, Il 1888 fra cronaca e storia, Cuneo Provincia Granda, n. 1 aprile 1988
Cras mea, tua nunquam. La mia (ombra, anche se passata, tornerà) domani, la tua (ombra, se passata) giammai. Cartiglio di meridiana citato in una poesia di Maurizio Fusina su Cuneo Provincia Granda n.2, 1982; (non è propriamente corretta la traduzione in quanto l'ombra del sole passerà nello stesso luogo tra 365 giorni, la mia “giammai” davvero). .
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Uno tantum gradu ego morsa dividi. io e la morte siamo divisi soltanto da un grado Cartiglio su meridiana a Madonna dei Boschi di Peveragno: la traduzione è della prof. Marina di Trieste, ma non mi convince molto. Sul cartiglio è aggiunto Re I, cap. 9,3 ma non corrisponde: dovrò controllare.
Nec spe né con speranza nec metu né con timore Incipit di Giustizia&Libertà (che strano motto, estremamente negativo e distruttivo: va bene che è difficile avere la speranza nel cambiamento, nella capacità di realizzarlo, possibilmente senza timore. Sarebbe più giusto il motto Cum spe, sine timore. Era anche il motto di un reggimento di artiglieria da montagna).
Ascanio Celestini, Pro Patria, ed. Einaudi 2012 (mi sono alquanto impegnato per leggere una simile schifezza, illetterata, senza senso, senza scopo. Ma all'Einaudi sono caduti così in basso?).
Bertrand Russel, Elogio dell'ozio, ed. Tea, 2012 (gran bella testa pensante questa: nel 1935 è uscito questo testo dove dimostrava che erano sufficienti quattro ore di lavoro al giorno in quanto è inutile arrabattarsi troppo per guadagnare oltre misura se poi devi provvedere, tramite il welfare, a mantenere chi è senza lavoro ovvero non vuole lavorare. L'unica citazione che voglio riportare è): l'etica del lavoro è l'etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi.
Ignoravo che Edmondo De Amicis tre anni dopo la pubblicazione di Cuore avesse edito Il Vino: una dissertazione molto dotta coronata da disegni e vignette. Analizza le varie categorie di bevitori ed anche le conseguenze che l'assunzione comporta; dal in vino veritas al pudore del vino per arrivare ai bibliomani della bottiglia, raccoglitori e assaggiatori più che bevitori. Scomoda Goethe che definì la gioventù un'ebbrezza senza vino e Seneca che chiamò l'ebbrezza una volontaria pazzia. Cita Edgard Poe, Teniers, Vand'Ostade, Stanley, Montaigne, De Sanctis, Shiller, Balzac, Rabelais, Musset, Zola Rousseau, ma anche Piero Camporesi che definì il vino: sole imbottigliato, continua a vivere e respirare nelle tenebre, assorto in un misterioso, muto dialogo con la luce. Ebbene questo libro è stato ripubblicato nel 1989 dalla Fondazione Einaudi di Dogliani; prendo tutte queste notizie da Giuseppe Martino, Cuneo Provincia Granda n.1 aprile 1990
Vita cotidie tota: vulnerant omnes, ultima necat, nemini indulget tempus. Seneca, citato da Cocis
Obiettivo Mont Ventoux. Lunedi 19 agosto avevo deciso di fare un gran bel giro in scooter avendo predisposto a che il cane fosse sfamato e il kiwi annaffiato. Alle ore 6 collegamento a Meteo Fr. Evidenziava temporalazzi al mattino sul nizzardo e spostamento meridiano sul marsigliese. Decisione rapida di prendere l'auto ad evitare troppa acqua. In realtà in Francia tirava un forte vento ma nessuna avvisaglia di temporali: stante la smart cabrio mi son goduto il viaggio come se fosse stata una
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moto con alcune differenze rilevanti: ho potuto utilizzare il navigatore satellitare che è stato provvido per le strade strane che avrei percorso; è venuto meno il fastidio del giaccone e del casco che a ogni fermata bisogna nascondere nel sottosella; possibilità di maggiori percorsi ovvero ho percorso in due giorni 826 chilometri mentre con lo scooter sarebbero occorsi tre giorni. Fatto il tunnel di Tenda a Breil ho girato per il col Brouis, Sospel, col Braus, Nizza. Salito in autostrada il traffico era veramente intensissimo sino a Cannes. Percorsi 120 km. Sono uscito a Brignoles e, per strada normale sino a St. Maximin la Sainte Baume. Parcheggio facile e visitato l'imponente, massiccia e pesante cattedrale: molto ricca di decorazioni, affreschi, tele ha di notevole il Coeur ed il retrostante coro con degli scanni lignei notevoli. A metà della navata una scala adduce ad un cripta dove alcune parti marmoree sarebbero recuperi dei sarcofagi di St. Maximin e di altri martiri. Una grossa grata ferrea ed un spesso vetro nasconde (nel senso che non si vede niente) la teca che conterrebbe le spoglie della Santa Maddalena. Sul sagrato della basilica una grossa placca a pavimento dice che Charles II de Anjou nel 1254 avrebbe scoperto i resti delle sepolture e avrebbe predisposto la costruzione della cripta atta al contenimento. Come avrà mai fatto 1200 anni dopo la morte dei suddetti ad essere certo della loro identificazione? Sarà stata una operazione di marketing religioso? Certo è che questo Carlo II è l'iniziatore della conquista del nizzardo e di gran parte del Piemonte: forse aveva avuto bisogno di una promozione commerciale delle sue imprese. Partito da lì, grazie al navigatore ho evitato Aix en Provence e sono arrivato a Cadernet per visitare l'Abbazia di Silvacane: molto bella ed interessante con un bel chiostro, l'aula della piccola biblioteca in cui si ricoverano i manoscritti; il dormitorio freddo e nudo, la sala capitolare, il refettorio ed il laboratorio molto ampio in cui i monaci copiavano i testi ed era l'unico ambiente riscaldato da un grande camino: ma a dieci metri di distanza faceva freddo per cui erano in eterno movimento per cercare il calore e per liquefare l'inchiostro). Bello ed interessante ma troppo freddo, gestito da laici efficienti ma antipatici, privi di qualsiasi pathos (saranno le scarse paghe?). Passato davanti ad Apt sono arrivato, sempre per vie traverse, senza camion e con un traffico quasi nullo, a Fontaine de Vaucluse e raggiunto l'Abbazia di Senanque: bella ma stessa sensazione di glacialità della precedente. A questo punto avevo già attraversato tre volte le Canal de Provence: opera faraonica con riempimenti enormi, terrazzamenti, deviazione di strade: una enorme massa di acqua azzurra per una larghezza di circa 15 metri, tra sponde di cemento molto razionali. Attraverserò almeno altre dieci volte il Canale ed ho visto a posteriori che ha una lunghezza di 5000 chilometri in gran parte in galleria ed inizia, guarda caso, a Serre Ponchon, ed è prima sfruttato per la produzione di energia elettrica e poi per irrigamento delle terre più pianeggianti. Sarà immesso anche il fiume Verdon. Arrivato a Carpentras, Malaucéne e finalmente a Vaison la Romaine (km. 426 da Borgo) ho cercato alloggio in una casa privata denominata l'éveché nella parte alta e medievale della città. Fatto ampio giro al Castello, alle mura e poi nel paese : molto turismo e bella gente: cenato sulla passeggiata (un mezzo litro di pessimo vino sfuso costa la metà delle vivande). Andato a cuccia sono rimasto stupito dall'assoluto silenzio dovuto alla mancanza delle auto e al tacitamento notturno delle campane. Martedì 20 agosto alla prima colazione nella casa di Mr. Vernier, amante dei libri, di cocci, di dischi vengo sull'argomento delle sede vescovile ospitata in quella casa e gli dico che il vescovo di Sisteron prediligeva Vaison e da lì dirigeva il traffico ecclesiale. Ad un riferimento agli Angioini in Italia mi dice che non aveva capito che non ero francese.... (ma costui non era un'aquila!) Ritorno su Malaucene e fantastica salita al Mont Ventoux: pensavo di incontrare più ciclisti. La strada è un'opera d'arte perchè non c'è nessun ostacolo orografico, quindi una pendenza perfetta; la prima parte si sviluppa in una bella abetaia sin quando, arrivato ad un finto colle, incomincia il ciapé di piccoli ciottoli. Si arriva così in punta a 1911 metri. Il panorama è semplicemente fantastico, veramente a 360°, dalle nostre montagne vicine, al Viso, al Bianco, alla costa nizzarda, al mare (non vista la Corsica per caligine) alla Camargue, al corso del Rodano, a... dice il Petrarca, a dei monti che potrebbero essere i Pirenei. Due o tre ciclisti, nessuna moto, poche auto. Iniziata la discesa dal versante opposto, in direzione Sault. Quando inizia la vegetazione si entra in un'abetaia non molto folta, in un ambiente montagnino ma con grandi mammelloni. Zona, la Lure, votata all'allevamento delle pecore ma ho letto che sono state eradicate una decina di specie botaniche per cui è stato inibito il pascolo per almeno dieci anni. Subito più in basso incominciano le distese ondulate della lavanda; per la più parte è stata raccolta, alcuni appezzamenti, rari, sono da tagliare; altri invece sono lasciati incolti e subito sono nate piante infestanti. Intanto la lavanda era stata introdotta solo nel 1920 con un grande successo economico in lande che non offrirebbero alternative (perché non il noccioleto?). Sta di fatto però che da quindici anni un batterio sta rovinando tutto: è stato individuato ma non sono riusciti a trovare il sistema di eliminarlo. L'altro problema, e centinaia di cartelli lo denunciano, è la lavanda da sintesi.
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Sault è un grazioso villaggio posto su una cresta con vista imperdibile sul Ventoux e su tutte le collinette verso sud. Su una grande tavola c'è tutta la storia, a partire dai liguri, ai romani che chiamarono l'area Albion per via del popolo che l'abitava (gli Albici) , varie vicissitudini dell'età di mezzo per arrivare all'ultimo Signore che era un Ladisguières: subito si drizzano le antenne in quanto costui era il comandante dell'esercito gallo-ispano che nel 1743 valicò il colle dell'Agnello (lo dice la lapide posta sul pietrone a valle che lo cita , oltre ad Annibale?). Subì un disastro nella fuga ai primi di ottobre in quanto l'esercito fu colto da una tempesta di neve: i morti furono moltissimi ed altrettanto il bottino di cannoni ed armi varie, oltre ad alcune migliaia di muli. (quest'estate ho visitato attentamente la Val Varaita documentato da una serie di testi (in primis Giorgio Beltrutti) che evidenziava il sistema difensivo attuato dai Savoia. Il Ladisguières l'anno successivo guidò (devo accertare il fatto) l'esercito che discese la valle Stura, assediò Cuneo e compì la battaglia di Madonna dell'Olmo. Cosa strana per un documento pubblico, dopo il nome dell'ultimo Ladisguiéres che sarebbe stato ghigliottinato a Parigi nel 1794, c'erano due punti e la scritta bien fait! Continua la discesa su una strada molto bella ma assolutamente priva di traffico (mai visto un camion) verso Révest, Banon, Limans e finalmente Forcalquier: un paese qualsiasi con cattedrale imponente ma goffa, una cittadella arroccata con le solite magnifiche costruzioni provenzali. In realtà questa era la capitale della Provenza (per via di un abile matrimonio con gli Anjou) ed aveva giurisdizione dalle origini della Durance alla metà di Avignone inglobando Embrun, Gap, Sisteron, Manosque, Pertuis, Apt, Sault. Nel 1480 fu conquistata (con le bombe) da Louis XI. Discendendo ormai lungo il fiume c'é Lurs e poi un piccolo villaggio, Ganagobie, da cui, risalendo sulla cresta si ammirano gli imponenti resti di un monastero del X secolo: davvero bello, anche il panorama. Attraversando la Durance si arriva a Les Mées e a destra si prende la Route Napoléon (non senza vedere a sinistra Chateau Arnoux) e si arriva quindi a Digne les Bains: i piccioni viaggiatori con i quali di solito vado in moto, essendo dei cottimisti dei chilometri, vanno sempre a palla senza mai alzare gli occhi; è sfuggito loro che questa città è dai tempi dei liguri una città termale e mai mi hanno permesso di cercare le terme: ebbene si trovano nell'interno a circa tre chilometri di distanza in una verdissima valle. Ci sono due grandi complessi del secolo scorso e nel salone in cui mi sono introdotto alla ricerca di un caffé (servitami la solita brodaglia schifosa da una calabrotta piccola, brutta e antipatica) facevano bella mostra una schiera di vecchiaccie sderenate e male in arnese, alla spasmodica ricerca dell'eterna giovinezza: la speranza è davvero l'ultima a morire. Visitato Digne: gran bella cittadina sede del Dipartimento, con tanto di prefettura mignon: la cattedrale è tutta impacchettata e, stante l'ora, chiusa. Imboccata la salita nella grandiosa valle che porta al Col de Maure e poi a Seyne les Alpes: molto verdeggiante ed ampia, giustifica quanto affermato da Paolo Rumiz e cioé che da lì sarebbe passato Annibale, si scollina e si arriva sopra al lago di Serre Ponchon e quindi a Barcellonette e a Jausier; siccome era metà pomeriggio, la luminosità eccezionale la scelta è stata quella di salire al colle della Bonnete. La Smart è andata come una palla di fucile, ho superato tutte le auto e le prestazioni sono state quelle di una moto. A proposito di moto: dalla partenza sino a Digne ne ho incontrate una quindicina (e neanche una pattuglia di gendarmi) ma lì ce n'erano in quantità. Discesa a St. Etienne e quindi a Isola e quindi ultima galoppata al colle della Lombarda. Arrivato a casa alle 18 dopo aver percorso 393 chilometri (e così totali 819) molto soddisfatto del giro, con un'auto perfetta. Unico regretto? Non essere salito al Mont Ventoux dopo la cena del lunedì (plenilunio clamoroso) per attendere l'alba lassù: chissà se avrò una terza opportunità.
Vi stupirò di più proponendo, al punto a cui siamo arrivati, di riunire in un unico pacchetto il monoteismo e il politeismo. Seguitemi bene con fede ingenua. Considerate la religione cristiana cattolica, e prendo questo esempio come avrei potuto scegliere qualunque altro, tanto è vasta la mia cultura in materia. Non soltanto Dio non è l'unico oggetto di adorazione, ma c'è suo figlio, e poi lo Spirito Santo., più la Madonna che si aggiunge al resto. Siamo a quattro e per un monoteismo non è un bell'inizio, non lo nascondo, nonostante gli arzigogoli accampati dai teologi medievali per sfiancarsi a risolvere questa contraddizione, arzigogoli che conosco a fondo ma non voglio tediarvi con il mio spirito delle Lettere. A questi quattro aggiungete i trecetosessantacinque santi del calendario, più tutti i piccoli santi locali di estrazione proletaria che non hanno avuto il diritto di entrare nel calendarioa, come mia sorella, mio fratello e io, per esempio, ma sono certissima che anche noi abbiamo una cappelletta da qualche parte. Il che fa, a dir poco, circa seicento santi (sono molti, molti di più) da aggiungere ai quattro personaggi iniziali. Non sto scherzando, in questo trattato ho ben altro da fare che divertirmi. Entrate in qualunque chiesa, qualunque cappella, percorrete qualunque strada di campagna, avvicinatevi a qualunque fontana, e cosa trovate? Il culto di Dio? Niente affatto. Ikl culto di un santo, primo luogo. Vuol dire centinaia e centinaia di piccoli dei moltiplicate nelle campagne cristiane ricoperte dal loro manto di
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chiese. Il che significa un monoteismo con seicentoquattro teste, come minimo. Sappiamo peraltro che questi santi, e il fervore popolare che li onorava, hanno dato alla Chiesa parecchio filo da torcere. Dove c'è fumo c'è arrosto, la Chiesa vedeva perfettamente l'inghippo. E non a torto: quando si contano a dir poco seicentoquattro divinità, con i loro culti, le loro statue, i loro ex voto,i loro pellegrinaggi e le loro processioni, non si può parlare di monoteismo, per favore. …..
Fred Varglas, Piccolo trattato sulle verità dell'esistenza, Einaudi, 2013 ( L'Autrice che nella vita farebbe l'archeologa e la medievista è una donna relativamente giovane che si è ampiamente cimentata in romanzi noir. In questo testo del tutto scherzoso vorrebbe spiegare a tutto il mondo alcune semplici verità, per esempio cos'è la vita, perchè i filosofi sono dei pasticcioni e si parlano addosso. Ha scritto una vera cazzata, però leggera, ironica e tutto sommato leggibile in una calda estate. Com'è caduto in basso l'Einaudi, ma si sa, le cazzate fanno parte del mercato, degli imbecilli).
Sandro Veronesi, Viaggi e viaggetti, ed. Bompiani, 2013 (questo Autore ha scritto parecchio ma non lo avevo mai affrontato: si tratta di un architetto relativamente giovane, con cinque figli, che avendo vinto il Premio Flaiano nel 2011 è assurto all'olimpo. Questo testo è una serie di raccontini di viaggi dallo stesso compiuti, spesso con la famiglia, per partecipare a manifestazioni pseudoculturali in tutta Europa, ma anche nelle Americhe, in Giappone e dintorni: ospite di ambasciate, falsi raduni e lectio magistrali, è la lampante dimostrazione come la commercializzazione e la banalizzazione della cultura produca il vuoto, il vacuum assoluto. Scrive bene, in modo leggero ma di certo non ha creato in me il desiderio di visitare nessuna delle venti località descritte dacchè dal grand hotel non conosci e non vivi certo il mondo. E questa sarebbe la cultura?)
------------------L'Europa è un concetto che non ha la propria origine in se stesso, ma nella sua costitutiva opposizione all'Asia. I Greci hanno probabilmente ripreso dai Fenici la distinzione tra Europa ed Asia, e sui monumenti assiri è stata rinvenuta la coppia concettuale:”ereb” il paese dell'oscurità o del sole canate e “asu”, il paese del sole nascente. Secondo la sua origine, e finchè resta fedele a se stessa, l'Europa è quindi una potenza politicamente e spiritualmente anti-asiatica. La parola tedesca Abendland ne rende pienamente il senso. Essa indica infatti, in contrapposizione con Morgenland, un movimento verso la fine, che comincia in Oriente, ma che si compie in Occidente. -La storia del mondo va da oriente ad occidente: l'Europa è infatti assolutamente la fine della storia del mondo, così come l'Asia ne è il principio (…) Qui nasce il sole esteriore, fisico, che tramonta d occidente: ma qui nasce anche il sole interiore dell'autocoscienza, che diffonde il più alto splendore- (G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, vol. I p.273), ossia lo splendore dello spirito assolutamente libero e quindi critico, di cui l'Oriente non ha finora conosciuto pericoli e grandezza. Hegel afferma che all'epoca della giovinezza dell'Europa le individualità più belle e più libere sono state quelle di due giovani: Achille e Alessandro Magno. -Achille, quale personaggio principale della spedizione nazionale contro Troia (…) e Alessandro che, imitandolo si pone alle testa dei Greci e compie la vendetta giurta contro l'Asia- (come sopra, pag. 232). All'impresa giovanile di Alessandro seguì quella matura di Cesare, che con la conquista della Gallia rese accessibile il centro dell'Europa. I suoi successori fondarono l'impero romano, che da allora costituì il terreno storico su cui andò affermando l'Europa. L'eredità di Roma fu raccolta dalla Chiesa cattolico-romana e dal Sacro Impero gallogemanico che si concluse ufficialmente solo nel 1806. La prima decisiva rottura dell'unità spirituale europea si verificò tuttavia già molto tempo prima, con la protesta tedesca di Lutero contro l'autorità universale del papato romano. Essa mise in dubbio, sia dal punto di vista religioso che da quello politico, l'unità spirituale dell'Europa realizzata dalla Chiesa una ed universale, ossia dalla Chiesa cattolica e dalla sua tradizione romana. La cristianità ovvero l'Europa, che nel 1799 Novalis ancora celebrava, non corrispondeva più, a partire dalla Riforma, a una realtà effettiva, ma, -come la Grecità di Holderlin- era soltanto espressione di una nostalgia che nasce dall'assenza. …. La distruzione dell'unità religiosa e morale dell'Occidente cristiano ha avuto inizio con la Riforma tedesca, quella della sua tradizione politica con la Rivoluzione francese, la cui prosecuzione è la Rivoluzione russa, poiché il bolscevismo è a casa propria nell'Europa Occidentale con i giacobini, e gli eventi del 1789, del 1848 e del 1917 appartengono ad un unico movimento storico. (…) Lo storico tedesco Niebuhr nel 1830 vide dinanzi a sé l'irrompere di una distruzione simile a quella che il mondo aveva co nosciuto intorno al III secolo: annientamento del benessere, della libertà, della cultura e
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della scienza. Goethe gli diede ragione quando profetizz0 una futura barbarie, affermando che essa era addirittura già presente, e che -noi ci siamo già dentro- (…) Nel 1910 -l'ultimo anno della sua vita- Tolstoj scrisse la seguente critica della civiltà europea, la cui corruzione aveva investito ormai anche i Neri, gli Indiani, i Cinesi, i Giapponesi: --La teologia medievale o la corruzione dei costumi ai tempi di Roma avvelenarono soltanto i propri popoli e dunque una piccola parte dell'umanità; oggi invece l'elettricità, le ferrovie e il telegrafo, avvelenano il mondo intero. Tutti si servono di queste cose, non possono fare a meno di appropiarsene, e tutti soffrono allo stesso modo, e sono costretti nella stessa misura a cambiare il loro modo di vita. Tutti sono portati a tradire la cosa più importante della loro vita, la comprensione della vita stessa, la religione. Macchine: ma per produrre he cosa? Telegrafi: per comunicare che cosa? Scuole, università, accademie: per insegnare che cosa? Libri, giornali: per diffondere quali notizie? Ferrovie: per andare da chi, e dove? Milioni di uomini radunati in branco e sottomessi ad un potere supremo: per fare che cosa? Ospedali, medici, farmacie per prolungare la vita: ma a quale scopo? (…) Come si impadroniscono facilmente i singoli individui, non meno degli interi popoli, di ciò che si chiama civiltà! Portare a termine l' università, tenersi le unghie pulite, servirsi del sarto e del barbiere, viaggiare all'estero: è questo ciò a cui si riduce l'uomo altamente civilizzato. E i popoli? Il maggior numero di ferrovie, di accademie, di fabbriche, di navi da guerra, di fortezze, di libri, di giornali, di partiti, di parlamenti: a questo si riduce il popolo altamente civilizzato. ...-- (…) Contemporaneamente a Marx e Kierkegaard, anche tutti gli altri successori radicali di Hegel hanno fatto della negazione della realtà esistente il principio del loro pensiero. Marx distrugge il mondo capitalistico, mentre Kierkegaard innalza la “negatività assoluta” dell'ironia romantica sino al salto disperato della fede; Stirner si è fondato sil “nulla” e Feuerbach afferma che si dovrebbe essere “assolutamente negativi” per poter creare qualcosa di nuovo, mentre Bauer esige “azioni eroiche” del nulla” come presupposti di nuovi mondi: --Le tre svolte più significative della storia si sono avute: quando Socrate si è vantato davanti alla teocrazia del suo non-sapere; quando il cristianesimo, opponendosi all'Impero , pose al primo posto la cura della propria anima, e quando Descartes ha voluto che si dubitasse di tutto. Proprio queste azioni eroiche del nulla portarono per altro alla creazione di nuovi mondi. Allo stesso modo, ora sarà l'ultimo e più difficile proposito che resta da realizzare, quello di non volere nulla -diquanto ciò è antico- a dare all'uomo per la prima volta il dominio e la padronanza completi sul mondo-. (B.Bauer, La Russia e il germanesimo, 1853). (…) Ciò che Nietzsche ha raccontato come “primo nichilista compiuto d' Europa” in premessa alla Volontà di potenza è in realtà, come egli aveva auspicato, la storia del futuro, che ora è il nostro pèresente: -Descrivo ciò che avverrà, ciò che non potrà più avvenire diversamente: l'avvento del nichilismo. Questa storia può essere raccontata già oggi, perché qui è all'opera la necessità stessa-. Parte seconda. (…) Il cristianesimo, e questo è il suo più notevole merito, ha in certo modo addolcito la brutale smania di combattere dei germani, ma non riuscì a distruggerla, e se mai un giorno andrà in pezzi quel talismano addomesticatore che è la croce, allora si sentirà di nuovo quella folle rabbia bellicosa di cui tanto parlano e cantano i poeti nordici. Il talismano è marcio, e verrà il giorno in cui andrà miseramente in pezzi. … State in guardia voi, Francesi, nostri vicini, e non immischiatevi in ciò che noi facciamo in casa nostra, in Germania. Potreste avere brutte sorprese. Guardatevi dll'attizzare il fuoco e guardatevi dallo spegnerlo. (…) Karl Lowith, Il nichilismo europeo, ed. Laterza, 1999 (davvero notevole questo Autore: scrisse la prima parte di quest'opera nel 1939 e la pubblicò su una rivista giapponese dacché, essendo per metà ebreo, si recò là per cercare una cattedra. La seconda parte è una integrazione del 1983. Nella puntuale, precisa e documentata prefazione di Carlo Galli, si inquadra perfettamente il contesto generale di quest'opera. Personalmente devo riconoscere che tra le due guerre in Germania ci fu un'esplosione di “pensiero”, in tutti gli ambiti e dottrine: non furono colpevoli costoro di pensare di essere un popolo superiore; certo era vero ma una grande componente dell'intellighenzia era, guarda caso di ebrei) .
Charles de Bovelles, Liber de sapiente, ed. Einaudi, 1987 (davvero bello ed interessante ancorchè illeggibile questo testo: bello per il contesto storico e per le correnti di pensiero che si agitavano agli inizi del 500 in Europa: come ben detto nella prefazione di Eugenio Garin, si stava rivalutando l'opera del Chiusano e la ripresa del Lullo nell'ambito del circolo gravitante attorno a Lefèvres d'Etaples in cui si commentavano le opere del Ficino, in particolare la differenza fra Aristotele filosofo della fisica e Platone metafiso, filosofo del divino. Nasce così il neo-platonismo e l'ermetismo. Per non dire di Giovanni Pico che almeno due volte andò in Francia e di Faber che restituì entrambe le volte le visite a Firenze. Non a caso contemporaneo a questo testo è Stulticiae Laus.. Bovelles andò in Spagna nel 1506 e nel 1509 ma poi trascorse la vita nell'insegnamento pur sempre ben inserito nelle diatribe filosofico letterarie. Tutto questo ribollire di idee e concetti nuovi portò a Giordano Bruno ma anche, a mio parere, alla nascita dei vari movimenti dei Rosa Croce. Illeggibile perchè troppo sapienziale con schemi, disegni, allegorie sul nascere e sviluppo, per esempio, del pensiero, con troppe differenziazioni tra il sapiente e lo stolto, con troppi dogmatismi. Però, ripeto, bello).
Margherita Hack, Qualcosa di inaspettato, ed. Laterza, 2009 (semplice, bello, interessante questa autobiografia della Hack. In secondo piano sono le figure maschili, del padre prima (un protestante, disoccupato nel periodo bellico) e del marito che non si è
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ben capito cosa facesse: però dedica molto rispetto a questi personaggi. Di certo ha una gran intelligenza ma soprattutto si è sempre resa disponibile ad intraprendere una qualsiasi sentiero che la conducesse al sapere scientifico: viaggi prima in Italia, poi in Europa e più tardi più volte in America con soggiorni a volte lunghi. Però è sempre modesta e pacata. Gran donna davvero).
Andrea Camilleri, Come la penso, ed. Chiareletere, 2013 (si tratta di una antologia di articoli, pezzi sparsi, interventi, presentazione libri che rende idea del carattere e della versatilità di Camilleri. Un po' troppo di sinistra però corretto e coerente, pieno di interessi anche estranei al suo lavoro di sceneggiatore; improvvisa poi nasce la fiamma del narratore del tutto innovativo (il dialetto siculo) di sicura e giusta fama. Bravo davvero e disponibile ma anche modesto.
La religione dell'Israele antico era davvero monoteista fin dalle origini? Alcuni passi antichi della Bibbia autorizzano a dubitarne e sembrano negarlo, supponendo o persino riconoscendo esplicitamente l'esistenza di altri dei. La religione israelita delle origini sarebbe stata politeista e il “monoteismo ebraico” sarebbe un errore storico, un pregiudizio, veicolato da secoli ma oggi spazzato via, con altri aspetti leggendari della tradizione biblica, dalla critica storica? (…) Proprio a Ugarit , dal 1929 gli scavi hanno portato alla luce circa 2000 tavolette in scrittura cuneiforme alfabetica, risalente per lo più al XIII secolo a.C. e utilizzata sino alla distruzione della città verso il 1185 a.C. Il nome della dea Athirat compare in questi testi ugarici 74 volte, 55 in miti o leggende, 17 in rituali, una volta nella corrispondenza e una volta in un frammento di difficile interpretazione. La funzione di questa divinità risulta dalle espressioni in cui essa compare: è “la Signora Athirat del mare (rbt.atrt.jm)” ed ha un santuario a Tiro; è “creatrice/progenitrice degli dei ( qnjt.ilm)” e questi sono suoi figli. Sebbene non venga mai chiamata sposa del grande dio Ilu/El, i commentatori unanimi la riconoscono come la sua paredra, la quale fa le funzioni della regina madre che mette i figli sul trono. (…) Non ti pianterai 'aserah, un albero qualsiasi, vicino all'altare di Jhwh tuo Dio che ti farai; non ti erigerai stele (massebah) alcuna che Jhwh tuo Dio odia (Deut. 16,21) L'eliminazione dell'albero sacro e della stele dal culto jahivista condurrà ad accettare soltanto un aniconismo “vuoto”, espresso dall'architettura e dall'arredo del tempio di Gerusalemme, dove la presenza divina è simboleggiata unicamente dai suoi guardiani/protettori, i cherubini. (…) Paradossalmente il fenomeno è abbastanza ben conosciuto e molto ben attestato. Come sopra si è visto, il carattere plurinazionale dell'impero persiano e la preoccupazione di essere capiti dalle diverse autorità di questo immenso impero condusse naturalmente a un certo obnubilamento della personalità propria del Dio di Israele, concretamente a un uso meno frequente del teonimo “Jhwh/Jhw”, sostituito abbastanza spesso, in particolar modo in aramaico, dall'espressione “Dio dei Cieli / 'elah s majja” Questa descrizione dell'uso del nome proprio del Dio di Israele si comprende facilmente nel contesto dei rapporti, in aramaico, con le autorità persiane. Pare tuttavia che questa tendenza si sia diffusa abbastanza rapidamente anche negli scritti di lingua ebraica. (…) Quali che siano i motivi precisi, certo è che quantomeno alla fine dell'era ellenistica e in età romana i Giudei, in particolare nella diaspora ma probabilmente anche in Giudea, evitano di pronunciare il nome di Jhwh per sostituirlo spesso nella lettura ufficiale dei testi religiosi antichi che formeranno poi la Bibbia, con un titolo reverenziale ebraico: adonaj, reso in greco con kyrios cioè “mio Padrone/Signore” (…) Il racconto biblico della rivelazione del nome divino associa il tetragramma al verbo “essere”, in ebraico hawah/hajah. Quando per la prima volta Mosè chiede alla divinità di rivelare il proprio nome, questa risponde con il duplice impiego del verbo essere: 'ehjeh 'aser'ehjeh “sono chi sono” (Es. 3,14) Questa risposta è stata interpretata talvolta come rifiuto di dire il proprio nome, talaltra come indicazione che il Dio di Israele è quegli che “esiste”, mentre gli altri dei non esistono, o anche come annuncio del soccorso divino: “sono chi sarò”, ossia “mi rivelerò con l'azione, stando al vostro fianco”. Queste tre interpretazioni concordano bene con una vocalizzazione del tetragramma Jahweh, che potrebbe essere “egli fa essere” e una tale vocalizzazione può anche poggiare sulla trascrizione greca del tetragramma: Iaoue/ai in Clemente Alessandrino, Iabe in Epifanio e Iabe/ai presso i samaritani, a detta di Teodoreto di Ciro nel V sec. d.C. (…) Tutto fa pensare che che in origine il teonimo Jhwh dovette essere pronunciato Jahwoh, anche se la pronuncia Jahweh si diffuse poi abbastanza facilmente perchè
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consentiva di fornire una spiegazione teologica di questo nome antico, la cui etimologia originaria non si lascia afferrare, tanto più se, com'è possibile, era in origine un toponimo. André Lemaire, La nascita del monoteismo, Paideia, 2005. (questo Autore insegna all'Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi nella sezione di studi filologici, ha scritto parecchi altri saggi su questo tema. E' un lavoro altamente specialistico che esamina davvero a fondo l'origine della religiosità di Israele con tutte le contaminazioni, soprattutto in ambito persiano ed egiziano, ed infine con la propria caratterizzazione. E' molto bello, anche se difficile, questo lavoro: è bello ogni tanto tuffarsi in ambienti difficili ed ostici con connotazioni estranee alla mia cultura in materia).
-Rabbi, mi sai spiegare cos'è il Talmud-? -Non è facile, ma ci provo con una novella: due uomini escono da un camino ; uno è tutto sporco e l'altro è assolutamente pulito: chi dei due va a lavarsi?-Quello sporco!-No, va a lavarsi quello pulito perchè, vedendo l'altro, pensa di essere sporco e quindi va a lavarsi-Ti faccio un altro esempio: due uomini escono da un camino ed uno è sporco e l'altro del tutto pulito. Chi è che va a lavarsi?-Me lo hai appena detto, ci va quello pulito-No, ci va quello sporco perchè vedendo che l'altro si è lavato , va anche lui a lavarsi-Ti faccio ancora un altro esempio: due uomini escono dal camino e uno è sporco e l'altro è pulito: chi è che va a lavarsi?-Facile la risposta, me l'hai appena detta: ci vanno tutti e due perchè il primo ha visto l'altro tutto sporco ed il secondo ha visto che il primo si era appena lavato e si lava anche lui!-No, la risposta è sbagliata perchè il presupposto è talmente stupido e assurdo che nessuno dei due va a lavarsiRadiorai3, Uomini e Profeti del 6 ottobre 2013, colloquio con Marc-Alain Quaknin sul tema Scuola di Talmud (costui è Rabbino a Parigi e sostiene di essere ateo: giustifica tale assurdità con un ragionamento apparentemente assurdo, appunto talmudico; 2 Re,21,3-6 rimprovera il ritorno ai culti antichi (“alti luoghi” in cui c'era un recinto, un altare, una stele e un albero sacro), ma anche il ricorso a pratiche magiche, a indovini e negromanti; soprattutto l'adorazione degli astri. Fu il re Giosia intorno al 622 a.c. A contrastare molto duramente queste pratiche e indurre al monoteismo).
Umberto Galimberti, Cristianesimo la religione dal cielo vuoto Georges Bataille (1897-1962) legge il rapporto tra sacro e profano in connessione al rapporto che esiste tra divieti e trasgressioni: “Il mondo profano è quello dei divieti. Il mondo sacro si apre a trasgressioni limitate. Il mondo della festa, dei sovrani, degli dèi. Per questo le feste sono tutte “comandate”. Il termine sacro ha due significati dialetticamente contrari. Fondamentalmente sacro è tutto ciò che è fatto oggetto di divieto , ma il divieto che designa negativamente la cosa sacra non ha soltanto il potere di impartirci, in senso religioso,, un sentimento di paura, di tremore. Al proprio
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limite tale sentimento si tramuta in devozione, addirittura di trasporto. Gli dèi, che incarnano il sacro, inducono al tremore coloro che, li venerano, e tuttavia costoro li venerano. Gli uomini sono in pari tempo sottoposti a due movimenti: uno di terrore che respinge, l'altro di attrazione che induce rispetto. Il divieto e la trasgressione rispondono a questi due movimenti contraddittori: il primo respinge, ma la attrazione induce alla trasgressione. La proibizione, il divieto, si oppone al divino soltanto in un senso, ma il divino è lì, aspetto affascinante del divieto: è il divieto trasfigurato. La mitologia compone e, a volte, intreccia i suoi temi sulla base di questi dati, e ciò non toglie che il divino inizi dalla proibizione per approdare al superamento e alla sublimazione. (…) Il mondo è pieno di dèi.
Platone, Leggi, 899b
Chi senza la follia delle Muse si avvicina alla poesia, convinto di diventare poeta per averne acquisito la tecnica, inutile è lui e la sua arte, perchè, di fronte alla poesia dei folli, la poesia del saggio ottenebrata scompare. Platone, Fedro, 245 Chi è poeta per “tecnica” e non per “possessione” non dispone infatti di quella visione che i Greci chiamavano epopteia. Questa parola significa letteralmente “guardare al di sopra”, e non “indietro” per ricostruire il proprio passato o per rintracciare la propria identità. Anzi, con l'epopteia è proprio l'io del poeta a cedere, a lasciare il posto a una visione dei propri ricordi e del proprio tempo. Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo e un orientamento a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il Tutto e per la felice condizione dell'universa armonia, Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica. Platone, Leggi, Libro X, 90 Qui si dividono, in apparenza, coloro che credono e coloro che non credono agli oroscopi. Dico “in apparenza” perchè in realtà in nulla si distinguono, dal momento che quelli che credono, in realtà, desiderano conoscere qualcosa circa il loro futuro, e quelli che non credono non sono esenti da questo desiderio. E allora il vero problema è l' angoscia del futuro, perché, a differenza del passato e del presente, il futuro é imprevedibile. E, come tutto ciò che è imprevedibile, è ingovernabile, perchè sfugge al nostro controllo, alla nostra previsione, alla nostra progettazione, mettendo in chiara evidenza la precarietà della nostra esistenza, e, con la precarietà, il nostro bisogno di rassicurazioni. (…) Ce ne dà conferma Goethe, in una riflessione del 1911: “venni al mondo a Francoforte sul Meno il 28 agosto 1749, al dodicesimo tocco di mezzogiorno. La costellazione era propizia. Il Sole si trovava nel segno della Vergine; Giove e Venere erano in buon aspetto con il Sole; Mercurio non era sfavorevole, Saturno e Marte neutri; solamente la Luna, piena quel giorno, esercitava la propria forza di riverbero, tanto più potente giacchè la sua ora planetaria era iniziata. Si oppose dunque alla mia nascita fino a quando quest'ora non fu trascorsa. Questi buoni aspetti, molto apprezzati dagli astrologi, rappresenteranno senza dubbio il motivo per il quale sono rimasto in vita. Infatti, per l'inettitudine della ostetrica, pensarono che fossi morto venendo al mondo e fu solo dopo enormi sforzi che vidi la luce.” (…) La medicina antica nasce come gesto dell'empietà, perchè pensa a se stessa come evento contro l'arbitrio degli dèi e quindi come atto fondativo dell'umano nel suo progressivo emanciparsi dal divino. La collera di Zeus, di cui Eschilo nel Prometeo Incatenato ha dato ampia rappresentazione, nasce dal timore che l'uomo possa divenire autosufficiente e ottenere con le tecniche ciò che un tempo poteva sperare di ottenere solo pregando gli dèi. La caduta degli dèi già lampeggia nel primo gesto della tecnica medica, e questa luce improvvisa riconfigura il tempo e quell'ultima sua scansione, la morte, che l'uomo ha sempre pensato nelle mani degli dèi. La prima tecnica a emanciparsi dal sacro è la medicina ippocratica che si propone di evitare la morte evitabile, che è poi la morte dovuta a ignoranza, le cui radici affondano nell'attribuire al divino le cause degli eventi. Per Ippocrate, allontanarsi dal divino equivale a allontanarsi dall'ignoranza, e l'empietà, prima che una rivolta contro gli dèi, è la condizione per il reperimento di conoscenze. Aprendo infatti la trattazione sul “male sacro” con cui nell'antichità di nominava l'epilessia. (…) Questi due ultimi caratteri innescano in campo medico quella dura polemica contro la filosofia che caratterizza il primo testo della tradizione ippocratica: L'antina medicina. E qui, per una sorta di paradosso, come la nozione di organismo non nasce in ambito medico ma filosofico, così la parola filosofia compare per la prima volta nei trattati di medicina, con riferimento alla filosofia della natura su cui, a parere dei medici della scuola di Cos, ha competenza non il filosofo, ma il medico. (…) Siamo un segno che non indica nulla, siamo senza dolore, e abbiamo quasi perso il linguaggio in terra straniera.
F. Holderlin, Mnemosyne
Per questo non sappiamo più nulla di Dio e degli dèi e restiamo indecisi nei loro confronti, non sappiamo morire perchè più non intendiamo la nostra condizione di mortali, non conosciamo il dolore se non nella forma di impedimento e della disperazione, non sappiamo parlare se non in modo sempre più tecnico e utilitaristico, abitando il chiuso di un mondo
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dove, anche se abbiamo perso il linguaggio, continuiamo a dare titoli ai nostri discorsi e regole alle nostre azioni che, divenute ormai sorde al richiamo del sacro, presiedono solo al recinto della sicurezza, dove tutti si danno da fare perchè si possa progredire lungo la strada maestra, lastricata di quei valori che poi altro non sono se non le valutazioni collettive, impianti di sicurezza della nostra civiltà. Tali sono la cultura, la politica, l'economia la scienza, la tecnica, la religione, e anche la filosofia sotto le forme rinnovate di etica pubblica, di bioetica e di epistemologia. Nulla di male in tutto questo. Il sacro si concede e si ritrae in tanti modi e, dinanzi ad esso, non hanno senso accettazione o rifiuti. (…) Dov'eri tu quando mettevo le basi della terra? Dimmelo, se hai tanta scienza.
Giobbe, 38,4
Non essendo il male conseguenza di una colpa, non c'è redenzione che liberi dal male. Il male va sopportato come tutto ciò che è per natura, e perciò Nietsche parla della grecità come quella cultura percorsa dal pessimismo della forza, in contrapposizione al pessimismo come segno di declino, di decadenza, di fallimento, di istinti stanchi e indeboliti, come lo fu per gli Indiani, come, secondo ogni apparenza, lo è per noi uomini moderni ed europei. La forza, sempre per Nietsche, sta nella capacità di guardare in faccia il dolore come a qualcosa di assolutamente naturale, non essendo concepibile la natura senza dolore, una generaione senza corruzione, di una vita che possa vivere senza sacrificio di altre. In quanto evento della natura, in quanto intima dinamica della sua vita, per il dolore non c'è redenzione, se non ipotizzando un'altra natura e con essa un'altra vita. (…) La nascita della scienza moderna nell'orizzonte dischiuso della teologia cristiana: Rompere gli schemi con cui siamo soliti leggere la storia appoggiandoci alle facili contrapposizioni è compito del pensiero, e a questo compito si è dedicato con competenza ed intelligenza Remo Guidi, secondo il quale l'umanesimo non nasce in contrapposizione al mondo cristiano, ma grazie a questo mondo e ad opera di questo mondo. Innanzitutto perchè il patrimonio librario aveva nei conventi il luogo della sua custodia, e in secondo luogo perchè da un millennio i conventi erano gli unici laboratori della cultura non solo teologica, ma anche umanistica e scientifica. (…) Ma se l'uomo ha la capacità di conoscere come Dio , la coscienza umana, il cogito, come dice Cartesio, ha la possibilità di porsi come criterio del vero e del falso e, così ponendosi, l'uomo ha la possibilità di adeguare la realtà a se stesso e renderla a se stesso disponibile,, come già aveva annunciato Bacone, scientia est potentia (nota: F. Bacon in La grande instaurazione, parte seconda: La scienza e la potenza umana coincidono, perchè l'ignoranza della causa fa mancare l'effetto. La natura infatti non si vince se non obbedendo ad essa, e ciò che nella teoria ha valore di causa, nell'operazione pratica ha valore di regola). A questo punto la scienza di Dio passa all'uomo e con la scienza la sua onnipotenza che, se ancora non trova
compiuta attuazione, promuove comunque la ricerca come sua ideazione, che è quanto basta perchè l'uomo possa intraprendere la sua avventura di creazione di una nuova terra, su imitazione di Dio, anche senza Dio. In questo modo al Regno di Dio subentra quello che Bacone chiama il Regno dell'Uomo, dove si cerca di realizzare quello che con la fede in Dio ci si limitava ad attendere. Dopo Bacone, Cartesio costituisce l più interessante conferma della tesi che vede l'essenza del pensiero moderno radicarsi in quella tradizione giudaico-cristiana che, pensando l'uomo come imago Dei, fonda quella metafisica della soggettività che troverà la sua conclusione nel superuomo nietscheseano che proclamerà la morte di Dio. Cartesio è il punto nodale di questa parabola. Il suo cogito, separato dal mondo naturale e dalla comunità umana, privilegia la soggettività pensante, ciò in cui l'uomo è simile a Dio.(...) Dio è amore. Questa, è la proposizione più sublime del cristianesimo, esprime solo la certezza che il cuore ha di se stesso, della sua potenza come della sola potenza legittima, perchè cioè divina Dio è amore significa che il cuore è il Dio dell'uomo, l'essere assoluto. Dio è l'ottativo del cuore cambiato in un presente felice. (Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo). L'”ottativo” è la forma verbale greca che esprime il desiderio nella forma “Volesse il cielo che...” Come ottativo del cuore umano, cambiato in un presente felice, Dio è il desiderio umano di vedere abolita la distanza tra il volere e il potere, tra il desiderio e l'appagamento, tra l'intenzione e la realizzazione; in termini freudiani, tra il principio del piacere e il principio della realtà. (…) ma come è possibile recuperare questa dimensione religiosa che concilia Dio con l'amore e l'amore con il “sollievo del cuore”? La via ce la indica Christos Yannaras, da molti ritenuto il maggiore dei teologi greco-ortodossi della seconda metà del Novecento, secondo il quale per secoli abbiamo conosciuto lo spirito come antitesi della carne, e su questa antitesi la morale della Chiesa romana, l'etica dei calvinisti, il pietismo dei luterani, il puritanesimo dei metodisti, il moralismo degli anabattisti hanno diffuso quella spiritualità asfittica che, guardata da vicino, sembra custodire come suo malcelato segreto null'altro che la delimitazione del desiderio. Fu così che milioni di uomini hanno vissuto la loro vita sulla terra in un inferno di desideri rimossi, di angosce profonde, di colpe immaginarie, di mutilazioni di vite senza eros, per avere identificato l'eros con la carne, la carne con il peccato, lo spirito con la purezza e l'innocenza. Ma, scrive Yannaras: “Separato dalla carne lo spirito divenne esangue, quasi una morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima” (Christos Yannaras, Variazioni sul Cantico dei Cantici, ed. Interlogos, 1992). (…) Poniamo che uno ci veda così poco che il suo sguardo riesca a percepire in un pavimento a mosaico solo una tessera per volta. Egli rimprovererebbe all'artista di essere incapace di ordinare e comporre le tessere e penserebbe che le diverse pietre sono disposte in modo disordinato, perchè da lui quelle immagini non potrebbero essere ammirate con
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coerenza di unitaria bellezza. Proprio questo accade agli uomini colti, che per la loro mente debole non sono capaci di comprendere e considerare l'ordine e l'armonia dell'universo. Se qualcosa li urta, perchè è troppo grande per la loro intelligenza, pensano che nelle cose sia presente una grande perversione (Agostino di Ippona, L'ordine). (…) Il Cristianesimo e la conquista dell'occidente: (…) Questa mentalità, nel mondo cristiano, non si estinse con il Medioevo, ma inaugurò l'era moderna con Cristoforo Colombo, che nel suo Diario di bordo si presenta, da un lato, come un missionario della cristianità medievale che vuole riscattare gli indigeni dalla loro idolatria e portarli alla fede attraverso il battesimo e, dall'altro, come un interprete dell'età moderna che, secolarizzata, identificava il bene con la ricchezza: “Il Signore, nella sia bontà, mi faccia trovare questo oro”. Costo dell'operazione: quella “moltitudine di ignudi e indifesi”, come li chiamava Colombo nel suo Diario di Bordo, erano sette milioni al suo arrivo e saranno appena quindicimila sedici anni dopo. A parere di Ernesto Balducci, “esportare battesimi e importare ricchezza è stato il senso di questa guerra santa, e insieme, pur nel mitare dei nomi e delle forme, il senso della modernità” ( E. Balducci, La terra del tramonto, ed. Cultura della Pace, 1992), avanzata a colpi di colonialismo prima territoriale e oggi economico. (…) E così, dopo aver perso la cristianità d'Oriente nell' VIII secolo d.C. Per effetto dell'alleanza del papato con i Franchi, dopo aver perso il nord Europa /e in seguito e per conseguenza il nord America) nel XVI secolo con la rivolta di Lutero contro Roma, la cristianità d'Occidente ha finito con l'esser circoscritta alla geografia della latinità meditteranea, estesa al Sudamerica cristianizzato nel Cinquecento con i metodi violenti che l'agiografia di Cristoforo Colombo ha nascosto e messo in sordina. (…) (Autore citato in calce) Ci sono ormai due Chiese: una Chiesa popolare che rimane cattolica e una Chiesa intellettuale che in parte è già neoprotestante. E proprio la doppia beatificazione di Pio IX e di Giovanni XXIII da parte di Giovanni Paolo II indica l'ambiguità in cui si trova la Chiesa. Non si può dire, infatti, che la Chiesa dei Pio sia quella dei Giovanni e dei Paolo. (…) Prima del Concilio non c'era crisi nella Chiesa: è il Concilio che ha determinato la crisi, perchè ha distrutto un ordine cattolico che non voleva distruggere e ha prodotto una crisi dottrinale che prima non c'era.. Il Concilio avrebbe potuto condannare gli errori che circolavano nella cultura cattolica e che manifestavano soggezione al marxismo e al comunismo, nel medesimo momento in cui il comunismo si instaurava come grande corpo anticristico, che assumeva come suo compito la distruzione della fede cristiana. (…) Cominciare ad annunciare il Vangelo partendo da Gesù Cristo è peggio di un errore pedagogico, è iniziare un cristiano all'ateismo, perchè per capire che cosa vuol dire che Gesù è Dio occorre prima capire che chi è Dio. Se non vi è prima la nozione di Dio, la figura di Gesù viene compresa solo in termini umani. (…) Solo l'Islam annuncia al mondo la verità del Dio trascendente che deve essere adorato, il Dio compassione, il Dio ecclesiastico di oggi pensato in funzione dell'uomo che non richiede adorazione. Non si sente più nemmeno la parola, meno che mai la cosa. (...)Dio non è il bene dell'uomo, non è in funzione dell'uomo, non è il suo senso, la sua giustificazione: è la sua origine. Questa è l'adorazione. Dio va pensato prima in funzione di Dio che in funzione dell'uomo. (…) Prima di essere Padre, Dio è Dio. (…) Se il cattolicesimo non ritorna nella Chiesa Cattolica, il fascino dell'Islam, quale unico luogo della tradizione religiosa monoteista, diventa irresistibile. L' Occidente è nato dalla Chiesa Cattolica; è inevitabile che la crisi del cattolicesimo nel mondo ecclesiastico, unito alla fine del comunismo, non possa non avere conseguenze. E l'Islam è il candidato che sta alla porta e sa che oggi le porte dell'Europa sono aperte, e non con le armi. (G. Baget Bozzo, L'anticristo, 2001) (…) Ciò risulta evidente anche sul piano liturgico con la sostituzione dell'altare con la mensa, dove centrale non è più il sacrificio di Cristo sulla croce, ma il banchetto dei partecipanti al dono di Dio. La religione dell'anima, della persona e della divinità viene sostituita dalla religione dell'amore fraterno, della non violenza e dell'assistenza. Qualcosa di compatibile con il mondo della dimenticanza della trascendenza di Dio. La dissacrazione della messa ha comportato la dissacrazione del prete. Non più alter Christus chiamato a esprimere la differenza tra Cristo e il popolo, che è poi l'essenza del sacro che introduce al mistero della divinità, ma semplice funzionario della comunità, con conseguente protestantizzazione della Chiesa. In questo modo, prosegue Baget Bozzo, la Chiesa Cattolica si è alleata con il pensiero rivoluzionario moderno che ha messo il noi al posto dell'io, quindi al comunismo che è un'eresia cristiana. (…) Fin qui Baget Bozzo. La posizione di Benedetto Calati, che da molti è ritenuto il “monaco camaldolese più importante del Novecento e tra i più importanti che il millennio dell'Ordine di San Romualdo annoveri nelle sue file” (R. Luise, La visione di un monaco) è specularmente opposta a quella di Gianni Baget Bozzo e quindi facilmente deducibile per contrapposizione. Tornare al Vangelo significa per Calati rinunciare al primato di Pietro che è il vero ostacolo del dialogo ecumenico, abolire il celibato ecclesiastico introdotto nel Medioevo con l'imposizione al clero diocesano delle leggi del monachesimo, introdurre il sacerdozio femminile, prefigurato dal Cristo risorto apparso alle donne che assistono alla crocefissione del Signore quando i discepoli fuggono tutti ed anche Giovanni scappa. Quindi le donne sono le prime, le privilegiate, le uniche annunciatrici della Pasqua. E infine avviare nella Chiesa il cammino democratico che è il cammino della civiltà. E la Chiesa, se vuol servire questo mondo, deve essere non democratica, ma superdemocratica. Ma per questo bisogna superare quello che per Benedetto Calati è :” La paura di Pio X, di Pio XI, Pio XII avevano della laicità, la paura che avevano del mondo. Il mondo, non la Chiesa soltanto. E invece, nella
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Chiesa cattolica, c'era paura del mondo. Anche se questo poi non impediva ai cardinali e ai vescovi di fare i loro giocarelli del mondo” (…) Se la Chiesa è il popolo di Dio, allora, dice Benedetto Calati, la parola clericale deve essere scomunicata. La laicità, al riguardo, è la vera parola evangelica. Gesù è laico, e pure la sua Chiesa deve esserlo. E la teologia? “Vanno favorite le varie teologie della liberazione, per le quali tanti uomini hanno dato la vita. Oggi, invece, si privilegiano solo le teologia dell' Opus Dei e di Comunione e Liberazione” E la dogmatica? L'inferno esiste o è vuoto come riteneva il teologo Hans von Balthasar? “Sono problemi da accantonare. Non ci sono nel Vangelo, non li conosce la Chiesa Apostolica” E i principi etici? “Il Vangelo non è etica né bioetica. E' amare Dio e il prossimo come se stessi. Questo è l'unico precetto”. (…) Eros sta in mezzo tra sapienza e ignoranza. Ed ecco come avviene questo. Nessuno degli dèe fa filosofia, né desidera diventare sapiente, dal momento che lo è già. E chiunque altro sia sapiente non filosofa. Ma neppure gli ignoranti fanno filosofia, né desiderano diventare sapienti. Infatti l'ignoranza ha proprio questo di penoso. Chi sono allora quelli che filosofano, se non lo sono i sapienti e neppure gli ignoranti? Sono quelli che stanno in mezzo agli uni e agli altri. E uno di questi è appunto Eros a causa della sua nascita. Infatti ha il padre Poros sapiente e pieno di risorse e la madre Penia non sapiente e priva di risorse (…). Povero sempre, Eros non è affatto delicato né bello, come per lo più si crede; bensì duro, ispido, scalzo, senza tetto; giace per terra sempre, e nulla possiede per coprirsi; riposa dormendo sotto l'aperto cielo, nelle vie e presso le porte. Insomma riferisce chiara la natura di sua madre, dimorando sempre insieme a povertà. (Platone, Simposio, 203d- 204d). (…) L'obiezione illuministica di Paolo Flores d'Arcais: se la filosofia è amore per il sapere accertabile e quindi “critica di ogni superstizione, di ogni pensiero magico, di ogni religione tramandata” se è un'ininterrotta attività di disincanto, la filosofia, scrive Flores d'Arcais, non può che essere atea. Accade però che non tutte le filosofie lo sono, anzi oggi si assiste a un significativo contributo della filosofia a sostegno delle tesi fideistiche della religione, con conseguente egemonia di correnti filosofiche che rifiutano il disincanto e, in sintonia con le religioni, non escludono una destinazione ultraterrena alla condizione umana. E questo anche se tutti i misteri e gli interrogativi, che un tempo trovavano la loro soluzione in Dio, oggi sono stati sufficientemente chiariti dal progresso scientifico che ha dato esaurienti risposte “alle famose grandi domande tradizionali: chi siamo?, da dove veniamo?, dove andiamo?” Infatti scrive: “Sappiamo chi siamo: delle scimmie appena modificate. Sappiamo da dove veniamo: da un inizio che chiamiamo Big Bang e da uno svolgersi di universi ricostruito con sempre maggior precisione dalla scienza, senza dover far intervenire l'ipotesi-creazione da parte di un'ipotesi-Dio. E sappiamo do vendiamo: da nessuna parte, poiché nessun destino è inscritto nel nostro futuro. Il futuro umano è tale perchè è in-prevedibile, in-certo, in-determinato. (…) I primi Padri della Chiesa avrebbero distinto la danza in due categorie rigorosamente contrapposte: la danza sacra che congiunge l'uomo a Dio, e quella profana associata all'idolatria, l'ebrezza, l'orgia, gli spettacoli lascivi. In essi è costante la contrapposizione fra danza sacra, quella di David, intesa come lode e venerazione a Dio, e quella erotica e malvagia di Salomè. Ma questa distinzione non ebbe seguito, se è vero che Giovanni Crisostomo già nel IV secolo scriveva: “ Ubi saltatio, ibi diabolus”, mentre Ambrogio indica nella “saltationem” la via più prossima all'impudicizia. Se poi la danza dovesse essere il modo per celebrare la festa, allora Agostino non ha dubbi: “melius est arare quam saltare”. (…) Il sistema razionale non è sufficiente. Dietro l'ordine razionale si nascondono le insoddisfazioni degli uomini che sono alla ri cerca di qualcosa di più. Le insoddisfazioni dell'uomo moderno hanno molto a che fare con il senso di alienazione indotto dall'ordine razionale (B. Wilson, La religione nel mondo contemporaneo, 1982) (…) I beni più grandi ci vengono dalla follia, naturalmente data per dono divino. (Platone, Fedro, 244a). (…) A questa antica sapienza si rifà anche Platone, che alla fine della sua vita sconfessa tutte le sue opere scritte, perchè la vera sapienza non si può trasmettere se non per comunicazione orale, come, secondo la tradizione, aveva egli stesso appreso in Egitto dal suo maestro di iniziazione Sechenuf. E perciò a questo proposito scrive: “ Tutti coloro che affermano di sapere quelle cose di cui mo do pensiero, sia per averle udite da me, sia per averle udite da altri, sia per averle scoperte da solo: ebbene, non è possibile, a mio parere, che costoro abbiano capito alcunchè di questo oggetto. Su queste cose non c'è un mio scritto, né ci sarà mai” (Platone, Lettera VII, 341 b-c). (…) La “divina follia” descritta nel Fedro da Socrate, che a sua volta filosofava a partire da quello che il demone dentro gli dettava in condizioni di atapia -che non è epilessia, già nota ai tempi di Ippocrate, ma propriamente “dis-locazione” rispetto al modo normale di pensare- trova il suo spazio scenico nella Gnosi e nel Neoplatonismo, per quanto conflittuali siano state queste due forme di pensiero, e poi venne sepolta da Agostino di Ippona che saldò il cristianesimo all'impostazione logico-metafisica della filosofia greca. (…) E si dice appunto che chi ha conoscenza sicura di questo (Eros) è un uomo in rapporto con forze superiori, un uomo demonico. Invece chi sa cose d'altro genere non è che un uomo comune. (Platone, Simposio, 203a). Socrate non è un uomo comune perchè, disponendo di un epistéme a proposito delle cose d'amore, non le riduce a vicende tra uomini, ma a quel rapporto inquietante che gli uomini hanno sempre avvertito tra loro e gli dèi. Ma gli dèi sono dentro di noi e la loro follia ci abita. Sapere le cose d'amore significa allora sapere che con le cose d'amore siamo in rapporto con l'altra parte di noi stessi, con la follia da cui un giorno ci siamo emancipati, senza però lasciarla alle spalle come il ricordo di un passato. Ogni volta infatti, che abbiamo a che fare con le cose d'amore, se non siamo uomini comuni, sappiamo di avere a che fare con questa follia. Socrate, che è uomo demonico, assicura di averne epistéme. (…)
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Sono amputate radici che germogliano, sono così antique che rivegnono, sono veritadi occolte che si scuoprono: è un nuovo lume che dopo lunga notte spunta all'orizzonte et emisfero della nostra cognizione, et a poco a poci s'avvicina al meridiano della nostra intelligenza. (Giordano Bruno, De l'infinito, universo e mondi, 1584). (…) Non più impiegata come utensile, la mano, che due secoli dopo Giordano Bruno Kant definirà il cervello esterno dell'uomo, è capace di gesti espressivi che sono negati agli animali; perchè questi, non disponendo di una mano libera, si trovano nell'ompossibilità di esplorare il mondo, con tutte le conseguenze comportamentali e cognitive che, una volta acquisite grazie all'utilizzo della mano, verranno messe in conto all'anima. Se non disponesse di una mano libera, infatti, scrive Bruno, l'uomo invece di camminare serperebbe, in luogo di edificarsi palaggio si caverebbe un pertugio, e non gli converrebbe la stanza ma la buca. Di qui la condanna del Bruno contro la spedizione di Cristoforo Colombo, contro una conquista mascherata da scoperta. Le popolazioni ameroinde, scive Bruno, avevano una loro cultura, una loro lingua, una loro religione. Avevano, insomma, il diritto di vivere in pace secondo le loro leggi e i loro costumi, Ma la brama spregiudicata del profitto ha trasformato presunti marinai animati dal desiderio di conoscenza in veri pirati assetati di oro e di argento, che sulle loro navi imbarcarono l'abominevole Avarizia, con la vile e precipitosa mercatura, col desperato Piratismo, Predazione, Inganno, Usura ed altre scelerate serve, ministre e circostanti di costoro. (…) La new age e il ritorno della Gnosi nell'era dell'Acquario: (…) “La new age è trascrivile per intero su un pentagramma dove la nota dominante è l'intuizione, l'esperienza, lo spontaneismo naturale e un romanticismo dove Dio e mondo si uniscono e si confondono. Il secondo criterio, sta nel riconoscere che vi è un parametro standard che permette di riconoscere il tutto: si tratta di quell'orizzonte aperto in cui il linmite è il non limite della coscienza stessa. In pratica questa nuova sensibilità religiosa si configurerebbe tramite una dinamica di superamento di tutti i limiti sino a raggiungere l' òlon , la totalità, la pienezza”. (A.N. Terrin, New Age. La religiosità del posto moderno, ed Dehoniane, 1992). A partire dalle esperienze più elementari come la droga che espande i confini della coscienza, le sedute esoteriche che hanno in vista l'uscita da questo mondo, la meditazione zen per raggiungere quella sovranità dove si assapora l'assoluto come vuoto e l'esistenza come totalità che esprime l'anima del mondo, lo yoga che vuol far comprendere il rapporto del proprio corpo e della propria mente in armonia con il cosmo, le tecniche psicosomatiche che coniugano salute, benessere e armonia, l'omeopatia per la quale malattia è lo squilibrio d'energia tra fenomeni fisici, emotivi e mentali, la bioenergetica che rifiuta nella spiegazione delle malattie il modello meccanicistico, il metodo feldenkrais che lavora sulle immagini che ci facciamo del nostro corpo, l'agopuntura, lo sciatzu, la pranoterapia, la meditazione sui colori, sui centri del corpo energetici, sulle potenzialità nascoste in ciascuno di noi, a cui possiamo aggiungere la cartomanzia, la grafologia, l'astrologia e, da ultimo Scientology, costituitasi come chiesa che assicura agli adepti la salute mentale, ciò che si cerca è una comprensione superiore raggiungibile con un superamento intuitivo e immediato del mondo fisico attraverso l'astrale e lo spirituale. Tutto ciò è New Age, è tentativo di superare le barriere del mondo di qua e del mondo di là, in vista di quell'Uno-Tutto, espressione di quel Dio da cui la singola esistenza è separata e tenuta separata dalla ragione, la quale disegna quel mondo quotidiano divenuto troppo asfittico e ristretto per le possibilità dello spirito che per questo si ammala: per atrofia, per mancanza d'orizzonte al di là di quello tracciato dalla ragione. Questo motivo trova conferma anche nel mondo cattolico come nel caso del padre gesuita Ugo MakibiEnomya-Lasslle, missionario in Giappone e maestro zen.(...) A differenza dell'Islam, nel cristianesimo non c'è più traccia né del sacro né del sacrificio: Ma in questa insincerità, noi cristiani della religione “conciliante” rischiamo di non entrare in contatto neppure con la nostra angoscia che, da che mondo è mondo, ha sempre trovato nel recinto del “saceo, debitamente custoodito dai “sacerdoti”, il luogo in cui trovare rifugio. E qui siamo alla seconda questione. E' ancora il cristianesimo una religione all'alteza del “sacro”? Al recinto del sacro non appartengono solo Dio e gli dèi, ma anche la natura per quel tanto che è estranea alla morale, come testimoniano tutti i cataclismi naturali, dai terremoti ai tsumani, dalle alluvioni alle eruzioni vulcaniche, dove è inutile chiedere spiegazione a Dio, o tentare, con argomenti che non convincono, di conciliare la sua bontà con i mali che accadono sulla terra. Il sacro infatti è caratterizzato da una incredibile ambivalenza, dove la maledizione si intreccia con la benedizione, la luce del giorno con il buoio della notte e da questa temibile indistinzione non c'è “astuzia della ragione” in grado di difenderci, perchè la ragione è nata dopo che l'umanità è fuoruscita dal sacro, e resta impotente quando il sacro fa di nuovo la sua comparsa nella comunità degli uomini.. Per questo, per proteggere l'umanità dal sacro, sono nate le religioni che, in ogni luogo e in ogni tempo, hanno invitato a offrire a Dio e agli dèi sacrifici, non tanto per ottenere le “graie” come si crede, ma per tenerli lontani. Appartiene infatti alla sapienza religiosa la consapevolezza che il sacro no n può essere rimosso se non accetta lui stesso ritirarsi, consentendo alla comunità umana di ritrovare il proprio ordine, “Deo concedente”. Il significato unitario dell'Occidente è il nichilismo: il cristianesimo è un grande specchio del nichilismo. Umberto Galimberti, Cristianesimo la religione dal cielo vuoto, ed. Feltrinelli, 2012 (questo libro di cui avevo ascoltato una recensione alla radio, è davvero importante ed imponente. L' Autore, davvero prolifico, ha forse compiuta la summa del suo sapere compilando questo testo; ricchissimo di citazioni e di riferimenti ha però forse tradito l'assunto del titolo
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nel senso che non arriva ad una conclusione coerente. Di certo mi ha messo in difficoltà nel senso che ha umiliato la scarsezza del mio sapere però nello stesso tempo ha confortato la mia decennale ricerca e coltivazione del pensiero di Platone, di certo il soggetto più importante di questa opera. Oltre a tutti gli autori riportati qui, ho tralasciato di citare Ernst Bloch, Pierangelo Sequeri, Soren Kierkegaard, Gianni Vattimo, Michel Onfray, Vito Mancuso ed altri per il semplice fatto che, in buona sostanza, Platone basta e avanza, non certo però per dire che il cielo del cristianesimo è vuoto.) Ci ho messo l'intera estate a leggere questo testo: però è stato tempo ben speso).
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Emanuele Severino, Pensieri sul cristianesimo, 1995 Questa è la ragione per cui “non bisogna provocare gli dèi”. I Greci non credevano agli dèi ma li hanno inventati come esseri non soggetti alla morte, solo per dire quello che l'uomo non è e non può essere, quindi per indicare una misura in doppio senso: l'uomo non può diventare immortale come un dio, ma con il modello immortale del dio deve restare in tensione, per conseguire, come dice Dante, riprendendo il mito greco di Ulisse, virtù e conoscenza: Considerate la vostra semenza fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguire virtute et canoscenza. Dante, Inferno XXVI, 118-120 Qui Dante coglie l'essenza della grecità che, per uscire dallo sfondo tragico, non escogita speranze di immortalità perchè sarebbe tracotanza, ma virtù e conoscenza per alleviare il dolore e procrastinare la morte. E questo in omaggio alla vita che, nel suo limite, per i Greci non è “valle di lacrime”, ma bellezza. (…) Tutte le esperienze fondamentali dell'uomo, una volta cristiane, non sono più tragiche. Il peccato si trasforma in felix culpa che rende possibile la redenzione. Il tradimento di Giuda favorisce la morte salvifica del Cristo, causa di etrna felicità per tutti i credenti. Se Cristo è il più profondo simbolo del fallimento nel mondo, lo è in senso tutt'altro che tragico, perchè il suo fallimento è una luce, una vittoria portata a compimento. (K. Jaspers, Del tragico, 1959). (…) Un'ostilità alla vita, una rabbiosa vendicativa avversione alla vita stessa (...) Il cristianesimo fu sin dall'inizio, essenzialmente e fondamentalmente, nausea e sazietà che la vita ha della vita, nausea soltanto travestita, soltanto nascosta, soltanto mascherata con la fede di un'”altra e Migliore” vita. L'odio contro il “mondo”, la maledizione delle passioni la paura della bellezza e della sensualità un aldilà inventato per meglio poter meglio calunniare l'aldiquà, in fondo una aspirazione al nulla, alla fine, al riposo, fino al “sabato dei sabati”; tutto ciò come pure l'assoluta volontà del cristianesimo per far valere soltanto valori “morali” , mi parve sempre la forma più pericolosa e sinistra di tutte forme possibili di una “volontà di morte”, o almeno un segno di profondissima malattia, stanchezza, di malessere, esaurimento, impoverimento della vita (F. Nietzche, Tentativo di autocrica in La nascita della tragedia) (…) La dottrina cristiana, la sola vera filosofia, è tutta stabilita su questi principi: l'abnegazione di sé che è molto superiore all'astenersi dai piaceri; portare la croce, che è cosa assai più sublime che il sopportarla; seguire il Signore, non soltanto nella rinuncia di sé o nel portare la propria croce, ma anche per la pratica di ogni opera buona. Tuttavia il vero amore, più che con il rinnegamento di sé e con l'azione, si dimostra nel patire. ( Francesco di Sales, Trattato dell'amore di Dio, ed. Paoline, 2008) Ecco l'odore di mio figlio, come l'odore di un campo. Genesi, 27-27 Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli, per prima cosa vorrei il ritorno di mio padre. Omero, Odissea, XVI Massimo Recalcati, Il complesso di Telemaco, ed. Feltrinelli, 2013 (ho assistito ad una conferenza di costui nell'ambito di Torino Spiritualità il 27 settembre scorso ed ho poi ascoltato un intervento in Uomini e Profeti di Radiorai3 per cui ho preso il libro. Premessa la mia più grande perplessità circa la psicologia in genere in quanto “americanata” e strumento di potere per domare la gran schiatta di persone a disagio con la vita, devo ammettere che costui è bravo. Appartiene alla Scuola Lacaniana e tutto il lavoro si svolge a sostituire il Complesso di Edipo introdotto da Freud con quello di Telemaco; il primo uccide il padre ed
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esercita una forte propensione erotica verso la propria madre (o questo concetto è assolutamente falso o sono stato ben fortunato nei rapporti con mia Madre); il secondo cerca disperatamente il padre e mette a repentaglio la propria vita, insidiata dai Proci. La sintesi di tutto il testo è incentrato sulla eredità e con una citazione autobiografica dell'ultima pagina dell'epilogo dice: “Cosa ho ereditato? Non un regno, non una discendenza illustre, non geni né beni, ma una testimonianza silenziosa del desiderio” Tutto sommato è un bel testo, per chi ama questo genere: personalmente preferisco la filosofia. Ignora di dire che il molto lodato Ulisse ha impiegato dieci anni per tornare a casa per abbracciare il figlio e la verginale moglie Penelope; tace che per un anno è stato tra le braccia di Circe, che la passione per Calipso è stata travolgente, che tante occasioni ha trovato, senza un filo di dubbio, le ha lodevolmente esercitate. Non dice qual'è stata la fine di Ulisse né che il figlio avuto da Circe l'ha ucciso per sposare poi Penelope, né che Telemaco ha sposato Circe ed è divenuto per ciò immortale. Accertato che si tratta di un mito e non Storia, la lettura mia personale di Ulisse è che è stato un gran farabutto scaltro e banditesco: tutta la sua epopea è basata sull'esaltazione della sua vis erotica).
Epater les bourgeois. Sbalordire ( più propriamente rompere il piede di un bicchiere a calice) i borghesi (che notoriamente erano conservatori e convenzionali) (titolo a effetto di in sito scandalistico che con ciò commentava l'uscita dell'ex-noto matematico cuneese Odifredi circa l'inesistenza dell'Olocausto, Costui per lungo tempo si è esercitato in disquisizioni teologiche circa l'inesistenza di Dio dacché, secondo la “logica matematica”, effettivamente è difficile sostenere il contrario. Aveva avuto un notevole exploit iniziale ma temo si stia arenando nelle secche del nulla: almeno tacesse (eviterebbe di pestare tante cacche)).
Oggi ho reso onore ad un grande, grande Uomo: i Suoi versi saranno perenni ma ancor più in alto voleranno i sentimenti. (messaggio lasciato al Figlio di Sergio Arneodo a Sancto Lucio di Coumboscuro. 31 ottobre 2013) Quasi stultus stultis persuadere conaris. Come uno sciocco cerchi di persuadere gli sciocchi. S. Girolamo, Adversus Pelagianos, 3,14 Recte faciendo neminem timeas. Agendo rettamente non avrai da temere chicchessia. Tarde velle nolentis est. Il volere con lentezza è tipico di chi non vuole.
Seneca, De beneficiis, 2,5,4
Virtus est medium vitiorum et utrimque reductum. La virtù è il punto medio equidistante tra due difetti.
Oratio, Epistulae, 1,18,9
Virtus sudore et sanguine colenda est. La virtù si coltiva con il sudore ed il sangue.
Oratio Epistulae, 10,3
Virtutem primam esse puto compescere linguam. La prima delle virtù è tenere a freno la lingua.
Distica Catonis, 1,3,1
Aequam memento rebus in arduis servare mentem. Ricordati , nelle avversità,di mantenere sereno l'animo Orazio, Odi, 2,3, 1-2
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Alium sidere quod voles, primus silere. Taci tu per primo ciò che vuoi sia taciuto dagli altri.
Seneca, Phaedra, 876
Auscultare disce si nescis loqui. Incomincia con l' ascoltare se non sai parlare.
Pomponio, 12R
Bene qui latuit bene vixit. Visse bene chi fu ben nascosto.
Ovidio, Tristia, 3,4,25
Object 1
Dubium sapientiae initium. Il dubbio è all'origine della sapienza.
Cartesio
Exiqua his tribuenda fides qui multa loquuntur. Abbi poca fiducia in chi chiacchiera molto.
Distica Catonis, 2,20,2
Hoc unum scio, idest nihil scire. So una sola cosa, cioé di non sapere.
risposta di Socrate all'oracolo di Delfi
Hominis tota vita nihil aliud quam ad mortem iter est. Tutta la vita dell'uomo non è nient'altro che un percorso verso la morte. Seneca, a Polibio, 11 Legere enim et non intelligere neglegere est. Leggere e non capire è come non leggere.
Monostiha Catonis, prefazione
Nemo athleta sine sudoribus coronatur. Nessuna corona raggiunge l'atleta se non con il sudore. San Girolamo, Epistolae, 14,10,3 Nitimur in vetitum semper cupimusque negata. Desideriamo sempre le cose vietate e quelle che ci sono negate. Ovidio, Amores, 3,14,17 Non metuit mortem qui scit conntemnere vitam. Non teme la morte colui che imparò a disprezzare la vita.
Disticha Catonis, 4,22,2
Nulla salus bello: pacem te poscimus omnes. Non c'è salvezza nella guerra: o pace, tutti ti invochiamo.
Virgilio, Eneide, 11,362
O beata solitudo, o solitudo beata. O beata solitudine, o sola beatitudine.
San Bernardo de Clairveaux
Quales in republica principes essent, tales reliquos solere esse cives.
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Quali sono i capi di stato, tali sono i restanti cittadini. Cicerone, Epist. Familiares, 1,9 Tristis eris si solus eris. Sarai triste se sarai solo.
Ovidio, Remedia amoris, 583
Aurea mediocritas. Un giusto equilibrio.
Orazio, Odi, 2,10,5
Bis ad eundem (lapidem offendere) Inciampare due volte nello stesso sasso.
Cicerone, Epist. Familiares, 10,20,2
Epistula enim non erubescit. La lettera infatti non arrossisce.
Cicerone, Epist. Familiares, 5,12,1
Excusatio non petita, accusatio manifesta. Scusa non richiesta, accusa evidente. Hic manebimus optime. Qui resteremo benissimo.
Livio, Ab urbe condita, 5,55
Hoc erat in votis. Ciò era negli auspici (desideri).
Orazio, Satire, 2,6,1
Malam herbam non perire. L'erba cattiva non muore mai.
Erasmo, Adagia, 4,2,99
Mutato nomine de te fabula narrantur. Con diverso nome la favola parla di te.
Orazio, Satire, 1,1,69
Qui parcit virgae odit filium suum. Chi risparmia il bastone odia suo figlio.
Ant. Test. Proverbi, 13,24
Sutor,ne ultra crepidam! Ciabattino, non (andare) oltre alle scarpe.
Plinio, Naturalis Hist. , 35,85
Platone afferma che la felicità è la conoscenza di ciò che è bene, cioè la virtù (Dialoghi) SOCRATE Siamo d'accordo che chi usa uno strumento è altra cosa dallo strumento? ALCIBIADE Evidentemente
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S E allora il calzolaio e il suonatore sono altra cosa dalle mani con cui lavorano? A Sì S E finalmente, l'uomo non si serve di tutto il corpo? S'era detto che chi si serve di uno strument e lo strumento sono diversi? A Sì S Allora l'uomo è diversa cosa dal suo corpo? A Credo S E cos'è dunque l'uomo? A Non lo so. S Però tu sai almeno che si serve del corpo? A Sì S Che altro mai si serve di questo se non l'anima? A Nient'altro Platone, Alcibiade primo, 129d Per Socrate ogni uomo deve prendersi cura dell'anima e, per essere felice, dovrà mantenerla pura daimali che le derivano dall'unione con il corpo. Per la morale popolare la felicità non poteva esserecompletamente disgiunta dai piaceri corporei e perciò era assurdo pensare che un tiranno (cioè unusurpatore del trono), in grado com'era di procurarsi ogni piacere, non fosse felice per il solo fatto diaverlo ottenuto a prezzo di ingiustizia. Lo spostamento operato da Socrate del centro della vita moraleverso la dimensione interiore lo porta invece ad affermare, paradossalmente per i suoi contemporanei,,che un uomo del genere non potrà essere felice, perché la sua anima è danneggiata dall'ingiustizia. SOCRATE chi conserva la sua ingiustizia e non se ne libera vive peggio. POLO Sembra S E questi non è colui che, dopo aver commesso i massimi delitti e dopo aver praticato la massima ingiustizia, riesce a non essere castigato e punito e a non scontare la pena, come, secondo te, Archelao è riuscito a fare, come gli altri tiranni, retori e governanti? P Pare S Costoro, caro amico, si sono comportati pressapoco come uno che soffre le malattie più gravi eriesce a non pagare ai medici la pena degli errori che ha commesso sul suo corpo, evitando di esserecurato, perché teme come un bambino le cauterizzazioni e le incisioni, in quanto sono dolorose. Non seianche tu di questo avviso?
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P Sì S Egli ignora, a quanto pare, che cosa sia la salute e la virtù del corpo. Da quanto abbiamo ora ammesso è probabile che quelli che fuggono la giustizia si comportino a questo modo: essi, Polo, vedono il suo aspetto doloroso, ma restano ciechi di fronte alla sua utilità e ignorano quanto sia piùinfelice vivere con un'anima malata che con un corpo malato, cioé con un'anima corrotta ingiusta edempia. Per questo fanno ogni tentativo per non scontare la pena e non essere liberati dal massimo male,si procurano ricchezze e amici e cercano di diventare il più persuasivi possibile nel parlare. Se è vero ciòche abbiamo ammesso, ti accorgi, Polo, delle conseguenze del nostro discorso? Platone, Gorgia, 479a-c L'analogia con la medicina in questo punto non regge, perchè la medicina promette appunto ilcontrario, cioé la salvezza dalla morte.L'efficacia dell'argomentare di Socrate sta nel fatto che l'anima èconsiderata immortale. Solo in questo modo la morte corporale può essere vista come un male minore enon come il peggiore dei mali.... E come la medicina prescrive purganti capaci di far espellere al corpole scorie che lo ammalano, così Socrate pensa di operare sull'anima con discorsi capaci di liberarla dalle idee sbagliate.Il massimo sarebbe intrattenersi ad esaminare quelli là come ho fatto con questi qui, indagando chi di loro è sapiente e chi invece, pur presumendo di esserlo, non lo sia. Cosa non di darebbe, o giudici, perpoter esaminare colui che ha condotto contro Troia quell'immenso esercito, oppure Odisseo, o Sisifo, o tantissimi altri che si potrebbero nominare, uomi e donne (…) che irresistibile beatitudine sarebbe potersene stare là a conversare con costoro, stare il loro compagnia facendo domande. Platone Apologia di Socrate, 41b-d Epicuro: ma non potrebbe esser invece che la felicità semplicemente si identifichi con il piacere? La dottrina secondo cui la felicità è il piacere si colloca nell'ormai consueto schema: la felicità è il fine supremo, e se la felicità è il piacere, quest'ultimo sarà il fine della nostra vita. Epicuro ricava questo principio dall'esperienza: egli dimostra che fine è il piacere dal fatto che gli esseri viventi appena nati trovanobenessere nel piacere e invece avversano il dolore, naturalmente e senza alcun ragionamento. (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, X, 137) L'interpretazione che Epicuro da del piacere è però piuttosto sorprendente, perché egli si muova da una filosofia del piacere, ma giunge, attraverso un percorso argomentativo molto rigoroso, a una filofia della moderazione. Quando pone il piacere a fondamento della natura umana, Epicuro pensa ai piaceri del senso, ma non al tipo di piacere che consiste in una forte stimolazione di essi, quanto piuttosto a quel genere di piacere che si confà alla natura dell'organo su cui agisce (per esempio, se è vero che il bere può dare piacere all'organismo, non è però detto che bere molto intensifichi proporzionalmente il piacere). Il piacere è determinato allora, da una sorta di equilibrio ed è più corretto intenderlo come assenza di dolore che come attività. Il corpo ha le sue esigenze ed Epicuro le riconosce, ma sono esigenze di tutt'altro segno rispetto a quelle che ci immaginiamo quando pensoiamo ai piaceri corporei o, come anche li chiamiamo, della carne:
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La voce della carne è: non aver fame, non aver sete, non aver freddo. Chi queste cose abbia o si aspetti di avere, può gareggiare infelicità anche con Zeus (Epicuro, Sentenze, 35) Principio e bene massimo in tutte queste cose è la prudenza: la quale è perciò più pregevole della stessa filosofia, come quella da cui tutte le altre virtù traggono origine, e che insegna non essere possibile vivere nel piacere ove non si viva con prudenza, temperanza e giustizia. Epicuro, Lettera a Meneceo, 132 Il male che più fa rabbrividire ed è la morte, non è dunque nulla per noi, perché quando noi siamo non c'è la morte, e quando non c'è la morte noi allora non siamo. Epicuro, Lettera a Meneceo, 125 La sintesi di queste tesi si riduce a quattro brevissimi punti, il celebre “tetrafarmaco” o medicina quadripartita ovvero il talismano del filosofo epicureo: gli dei non fanno paura, non si deve temere lamorte, è facile procurarsi il bene e altrettanto evitare il male. L'esercizio della virtù è il rimedio sovrano contro le passioni.Cartesio, Le passioni dell'anima, art.148
…. siccome una società, secondo Smith, non è felice dove la maggioranza soffre, e siccome lo stadio di maggior ricchezza della società conduce a questa sofferenza della maggioranza e l'economia politica (in generale la società fondata sull'interesse privato) conduce a questo stadio di maggior ricchezza, bisogna concludere che l'infelicità della società è lo scopo dell'economia politica. Karl Marx, Manoscritto economico-filosofici del 1844, Salario
M’inoltro nel futuro E sono già il passato Di quelli che verranno.
Valentino Zeichen, Aforismi d’autunno, Fazi, 2010
Ci sono adolescenze Che si innescano A novant’anni.
Alda Merini, Aforismi e magie, Rizzoli , 2003
Non c’è nulla al mondo Che l’entusiasmo dell’imbecille 218
Non riesca a degradare.
Nicolàs Gòmez Dàvile, Adelphi 2009
------------------------------------------------------Giovedì 28 marzo2007 (...) Esco dal Dipartimento non proprio deluso, perchè sapevo della sua trasformazione in atto. Devo tener conto che sono superato e o i miei interessi non sono più quelli dei miei successori. A partire dall'ultimo anno di ruolo non si conta più niente ed appena fuori quelli che rimangono si affannano a dimenticare il depassé, a cancellarne le tracce e, con queste, anche il relativo ambito culturale. E' un fatto generale e lo confermano tutti i colleghi che sono usciti dall'Università prima di me o con me. E' l'avvicendamento dei ruoli e delle culture specifiche che, nella nostra Università, assume però aspetti particolari per la sua inadeguatezza alla realtà del paese. Mercoledì, 4 aprile 2007...Stamattina mi sveglio di buon'ora e sorprendo i gatti. Non dormo più bene come una volta, ormai da tempo. Il famoso sonno dei giusti , come lo definivo, è ormai un ricordo. Ho però trovato il rimedio ed è una pila di libri sul tavolino accanto al letto. Non vado certo a buttare via ore preziose cercando di contare le pecore o rigirandomi nel letto come un matto, o, tamnto peggio, prendendo qualche medicina. I gatti mi hanno guardato con gli occhi spalancati per la sorpresa e si strusciano contro le mie gambe con la coda alta e dritta. (…) In realtà non fu così. Mi iscrissi a medicina in base ad altre considerazioni, ma la spinta emotiva fu quella. Ma chissà cosa girava in testa al vecchio professore mentre assisteva, commosso, al passaggio di tanta gioventù studiosa. Gioie, rimpianti, frustrazioni o forse si rivedeva matricola all'inizio del secolo, in quello stesso Istituto, pieno di sogni e di ardenti speranze. In fondo la vita tradisce tutti, perchè alla fine siamo tutti dei vinti. Il vecchio professore aveva suscitato in me sentimenti di tenerezza e avrei voluto parlargli e solidarizzare con lui. Che cosa potevamo dirgli o che cosa poteva dirci lui: di stare attenti a non diventare vecchi? L'aria era ancora fresca, ma piena del profumo indescrivibile della primavera. Lunedì, 7 maggio 2007 … Ma chi gliel'ha fatto fare al Padreterno di creare l'uomo, per mandarlo poi all'Inferno? Distribuisce le anime ai nascituri perchè le fa di volta in volta o ne ha uno stock da parte oppure utilizza quelle dei morti? C'è poi la storia del Limbo che è stata creata dopo, nel corso dello sviluppo della dottrina cristiana, che poi papa Ratzinger ha poi abolito. Ma che razza di religione è rivelata si i dogmi vengono aggiunti o tolti nel corso dei secoli? Franco Cordero era mio compagno di liceo. Molto intelligente e colto, sapeva tutto sugli ormoni. Era cattedratico alla Cattolica, ma poi se ne andò, perchè dissentiva dai preti.. Bello il libretto (Lettera a Monsignore, De Donato ed. Bari, 1970) Cjhe ha scritto a sostegno della sua indipendenza intellettuale, acuto, mordace e implacabile. Se loro si accorgono che tu cerchi il loro riconoscimento, ti fanno strisciare. Proprio così. Volevano che strisciasse, ma lui se ne andò. ( narra poi di un ricordo della loro adolescenza circa la caccia). (…) Già la lettura arricchisce. Più si legge e meglio è. Ma che cosa ne sarà, quando morirò, di tutti i libri che ho accumulato in casa nel corso della vita? Non potrò portarmeli dietro, purtroppo. Ma che fine faranno? Andranno alle figlie che però dovranno preoccuparsi di aggiungerli a quelli che già posseggono e quindi dovranno scegliere quali tenere e quali eliminare. Me lo hanno già detto. Ahimè, eliminare i libri è una pugnalata al cuore. Dentro i libri mi pare impossibile che non rimanga qualcosa della persona che li ha letti, o no? E' la fantasia di un desiderio, purtroppo, ma comunque non è questo che mi preoccupa, come neppure non mi preoccupa la fine che farà tutto quello che ho introitato con la lettura, anche se questa dovrebbe essere la maggiore delle mie preoccupazioni. (come ha interpretato bene il mio pensiero in merito ai libri!). Mercoledì, 16 maggio 2007. (…) Sul giornale niente di interessante: qualche scippo, una donna ammazzata, un cane che morde, i soliti pedofili e giovani che si fanno le canne, l'ennesima scoperta di mazzette e i soliti politici che parlano per dritto e per traverso, logorroici perchè nel nostro ambiente si parla di incontinenza verbale. (…) Allora avevo l'impressione di vivere un eterno presente per la grande quantità di tempo che avevo ancora davanti. Eppure tutto ciò è decorso e per riviverlo non posso farlo che nel mio pensiero E' depositato in me e durerà quanto la mia coscienza. E poi? Non ci sarà più. A meno che non avesse ragione zio Giuseppe quando diceva che i raggi del sole, che si sono riflessi sulla terra e sfuggiti poi verso l'Universo, 219
non abbiano portato con loro le immagini del nostro vissuto, cosi che, disponendo di un grande sintetizzatore universale, si potrebbero riassemblare. Va bene, ma in questo modo potrò vedere Napoleone e perchè no Giulio Cesare? Ma in fondo non conosciamo del tutto l'Universo e chissà che, riflesse su qualche altra superficie siderale, le immagini non possano tornare sulla terra sincretizzate. Certo, posso ripensare queste immagini, ma sono sicuro che esse siano in me o piuttosto le sto captando dall'Universo quando voglio rievocarle? Solo la coscienza/memoria consente all'uomo di andare avanti e indietro nel tempo. Ma non sappiamo esattamente cos'è la coscienza e non sappiamo nemmeno definirla. (…) Penso ai miei colleghi in pensione: qualcuno soffre terribilmente l'esclusione da posizioni di preminenza all'Università, altri si sono dovuti occupare della propria salute: il cuore, la prostata, i polmoni. Qualcuno è rimasto impegnato e scrive libri, si occupa di cucina ed altro. I più soddisfatti sono quelli, pochi, che sono riusciti ad essere attivi nella propria specialità. Non è facile invecchiare, specie quando si ha la percezione di non essere più all'altezza o quando sono gli altri a pensarla così. Lunedì, 21 maggio 2007 (…) Ti ricordi di Rilke e delle discussioni con Nino sul nostro rapporto intellettivo con la natura? Lui era più dannunziano e orientato a confondersi con la natura ed era portato all'azione. Io vivevo la mia vita soprattutto come spettatore Avrà ragione moltissimi anni dopo il prof, Bovero nel dire che ero un idealista, che risolvevo la realtà nell'idea di essa, come faceva il giovane Heghel. Ma che complimento, perbacco! Ma mi domando però come facevo a entusiasmarmi per l ' Après midi d'un faune di Mallarmé, con il suo simbolismo cristallizzato. Dai, non fare tanto il furbo, dall'altezza della tua vecchiaia. Se lo rileggi o se ci pensi, un po ti piace anche adesso. Lunedì, 4 giugno 2007 (…) Sicuramente mi avessero predetto quello che poi è stato, sarei rimasto profondamente deluso. Non avrei certamente immaginato che il raggiungimento di quello che tutti definiscono il massimo della carriera o l'apice di una condizione umana sarebbe poi consistito nel classico pugno di mosche in mano. Che avrebbe comportato mordere la vita boccone per boccone, con lotte, contrasti, delusioni amare vittorie e tristi ambasce. Che con il crescere del mio sapere sarebbe anche cresciuta la rabbia per non saper fare di più. Che alla fine della carriera, con il fisico che si fa sentire, avrei scorrazzato su e giù fra Torino, Vercelli e Milano per fare quello che prima del pensionamento facevo per compito istituzionale e che adesso faccio per rincorrere l'idea di poterlo ancora fare e di essere utile e produttivo come un uomo normale. No, di certo. Non era così che avrei immaginato il mio futuro, se fossi stato obbligato a immaginarlo. Alla mia età non sono più autorizzato ad avere certi pensieri e a propormi in un normale ruolo di uomo. Ma come faccio se questi pensieri li ho e mi sento di poter ancora avere un ruolo? Professionalmente ho definito la vecchiaia come il momento del restringimento degli interessi, della loro focalizzazione sulla propria persona e sulla impossibilità di progettare. Questo comporta il sottrarsi alla dialettica e cioè di propormi nella transazione con il prossimo su temi generali che tutti discutono, cosa succede? Non te lo lasciano fare. Ti aiutano a scendere dal tram , se ne hai bisogno, ti cedono il posto a sedere, raramente ti aiutano se cadi, ma non chiedere di discutere alla pari un argomento per il quale la tua condizione fisica dimostra che non hai più i mezzi e le caratteristiche adeguate. Venerdì, 29 giugno 2007 (…) No, è troppo intensa l'emozione. Interrompo. (parla la poesia Après-midi d'un faune di Mallarmé e del preludio che Debussy aveva composto sull'argomento). Ma è possibile che debba sempre tornare indietro con il pensiero; non posso qualche volta sognare ancora e scrutare l'avvenire? Già, e cosa credi di trovare? Non sai nemmeno per quanto tempo potrei averne uno. Dì piuttosto che forse oggi ti commuovi più facilmente. Ma questo è organico e fa parte della incontinenza emotiva propria del vecchio. Non ricordi quante cose quante cose rientrano nella sindrome da disconnessione? Pensa ad altro, leggi il giornale che è meglio. (…) Da un po di tempo è così: verso sera mi immalinconisco: i pensieri si fanno più tristi e non vedo più soluzioni operative. Questo succede specialmente la domenica, non so perchè. Divento depresso, non ho più voglia di niente, nemmeno di bere un bicchiere di vino. Per esperienza so che basterebbero due dita di Dolcetto per risollevare lo spirito. Fa parte della mia conoscenza ed esperienza professionale: questo è il meccanismo con cui il bevitore ha bisogno dell'alcol e perpetua la sua dipendenza. Ed è per questo che in quelle condizioni non mi concedo due dita di vino.. Lunedì, 16 luglio 2007 (…) Poi ci sarà l'aggiornamento rimandato e non devo dimenticare che, due volte la settimana, ricevo i pazienti in studio. E poi finalmente potrò leggere, quasi a mio piacimento quel lungo elenco di libri che mi son fatto.. Lunedì, 17 dicembre 2007 (…) Appena salgo in treno tiro fuori dalla borsa il libro di Daniel Barenhoim, il famoso musicista e direttore d'orchestra. Devo finire di leggerlo e sono al discorso tenuto alla Knesser, quando propugna ufficialmente l'accordo fra istraeliani e palestinesi, sulla falsariga di quello che ha fatto lui. Ha creato un'orchestra mista israelo-palestinese, con altri musicisti ancora che ha superato nella musica le 220
rivalità oggi così deleterie: è la famosa West.eastern Divan Orchestra. Mi impressionano ancora le parole con cui inizia il libro, quando dice che “è impossibile parlare della musica” se non riferendo la reazione soggettiva che si ha a essa. Quando avevo definito, per mio uso e consumo, la musica come ineffabile, credevo di essere stato originale, ma temevo nel dirlo di fare la figura del saputello che, con una modesta cultura musicale, pretende di fare delle scoperte. Adesso se l'ha detto lui, questo mi conferma nella convinzione. Dice anche che la musica esiste sin che dura e cioè fin che è suonata: quando il suono finisce, la musica scompare. E' lo stesso rapporto che c'è tra la vita e la morte. Dice anche che non vi è rapporto fra i sentimenti del musicista mentre compone e quelli che suscita nell'ascoltatore; Ovviamente, perchè nell'ascoltatore c'è tutto il peso del suo vissuto. Giovedì, 20 dicembre 2007 (…) Adesso l'alberello di plastica sembra una mostruosa imitazione. E' lì perchè ci deve essere. Ma chi lo guarda? Beh! I gatti. Mi fa l'impressione di una festa finita. E' come trovare per terra i coriandoli variopinti del martedì grasso precedente. Non hanno più significato per il futuro e stanno ad indicare un tempo che non sarà mai più. (…) Il bosco di Villa Cristina -dove lavoravo come medico di guardia- con la sua schiera di gufi, civette e barbagianni. Il bosco nelle sue varie accezioni esistenziali. Il bosco che protegge. Il bosco delle favole, quello classico greco-latino con le driadi e ninfe dei boschi che vivevano nei pressi degli alberi e morivano con gli alberi, le amadriadi che vivevano negli alberi come Euridice che sposò Orfeo, le ninfe delle sorgenti; il mondo nordico con gli elfi, le fate, gli gnomi, i trols. La leggenda dei Nibelunghi, Sigfrido, la morte di Sigfrido nella monumentale opera di Wagner. Il bosco del mistero, dell'inconoscibile, il regno dei gufi e dell'arcano che custodiscono, il bosco di note affascinante e terrifico. Poveri boschetti: avete un nobile passato e siete il prodotto di una poesia immensa e totalizzante, Mi fate un po pena, così ridotti. Ma ci siete ancora e vi auguro lunga vita. (…) Come fa una ragazza a prevedere il comportamento anomale di un partner apparentemente normale? Non può. Lo deve esperire. Mi viene in mente la modalità di accoppiamento in diverse specie animali. Mi ha colpito quello delle lepri: al momento degli amori alcuni maschi seguono la femmina. Questa corre all'impazzata sino a esaurire gli inseguitori, e quando l'ultimo di questi cede e si ferma, allora la lepre si concede. Perchè fa questo? Perchè se si concedesse subito il furore e l'impeto amoroso del maschio la ucciderebbe. La donna come fa? La donna tergiversa, la tira per le lunghe, vuole garanzie, cerca di capire che tipo di uomo le sta di fronte. O almeno faceva così: adesso corre i suoi rischi. E sono tanti. Lunedì, 7 gennaio 2008 (…) Stamattina sono già sveglio molto prima ancora che la sveglia emetta quel verso tremendo. I gatti stanno ancora dormendo, ma si sono spostati dal divano, su cui passano la notte, alla soglia della porta della cucina dove di solito ricevono la pappa. Sono incredibilmente abitudinari e imparano in fretta, ma, certo, non possiamo pretendere che imparino a scrivere; non hanno le mani, e non le hanno perchè non hanno nella corteccia motoria le aree della mano. Se anche avessero le mani non potrebbero usarle come mani, ma sarebbero di ingombro. Quando parlo loro guardandoli negli occhi li vedo attenti alle mie parole p forse ai movimenti che compio con il volto. Sembra che si sforzino di capire quello che vorrei loro dire, ma in realtà aspettano di carpire un segnale; quel segnale che in quelo momento dice loro che mangeranno. E' inutile che mi sforzi di far loro capire che fuori piove. Lo capiranno solo se andranno sul terrazzo e non potranno passeggiare sul bordo per via della pioggia, ma ma anche così capiranno che è bagnato il pavimento e che l'acqua viene dall'alto. E' una questione semiotica. Eppure hanno una loro personalità, preferenze, ripulse; sicuramente vale anche per loro l'assunto: fenotipo= genotipo + l'esperienza. Possono fare esperienza, chiusi però nella loro gattità. L'unico modo di superarla è che la loro specie evolva. Singolarmente non possono, come non può l'uomo. (…) Esco di casa pensando all'umanità chiusa nei suoi limiti invalicabili e all'uomo, anche lui chiuso nei suoi limiti, poiché, varcandoli, non sarebbe più lui. All'interno tutto può fluttuare e c'è chi, attraverso le più intense esperienze -e le maggiori avvengono all'interno del suo pensiero- si arricchisce, ma non può andare al di là e tutto si esaurisce nel fugace spazio di una vita. Prendo l'autobus rincorrendolo e mi viene in mente la bellissima poesia di Salvatore Quasimodo: -Ognuno sta solo sul cuore della terra/ Trafitto da un raggio di solo: / ed è subito sera.- (…) Qui ci avviciniamo alla definizione di scienza, ma non posso pensare adesso a tutta quella massa sterminata di idee che sono state prodotte sull'argomento, anche perchè tutto quello che è stato detto, tanto più è scientifico, quanto più cade nel fallibilismo. Oltre a tutto, la scienza che studia la scienza, e cioè l'epistemologia, sia che la si intenda “come quella branchia della filosofia che tratta del come si può avere conoscenza scientifica e dei suoi metodi”, o come teoria della conoscenza, è sempre una branca della filosofia e allora la filosofia è una scienza? Se per scienza intendiamo “quel complesso organico di conoscenze derivato da una loro acquisizione sistematica per descrivere esattamente la realtà fattuale”, stabilire cosa sia scienza dipende soltanto dal fatto di considerare le idee come realtà fattuali, o no. E qui il discorso diventa infinito, almeno 221
per i miei mezzi. Se invece poniamo l'accento sul metodo di acquisizione sistematica delle conoscenze, il cosiddetto metodo scientifico, fatto di rigore logico e di obiettività, dobbiamo affermare che la filosofia è scienza. Giovedì, 10 gennaio 2008 (…) Non so perchè ma ho sempre fretta e non ho cinque minuti liberi. E meno male, perchè altrimenti cosa faresti in quei cinque minuti? Potrei forse pensare di più, anche se il pensiero è già un cemento che riempie ogni spazio temporale vuoto. Ho sempre mille cose da fare e mille impegni. E pensare che, prima di andare in pensione, ero convinto che dopo avrei fatto le cose con calma e solo quelle piacevoli. Perchè tanta fretta? Forse perchè so che non mi rimane che poco tempo. Bene, ma visto che non puoi fare tutto, che differenza c'è tra il fare un po' di più o un po di meno? E poi, una volta morto, cesserà tutto di colpo e non farai più niente e tutto quello che hai fatto non conterà più niente. Se già adesso sai che la società degli uomini non ti riconosce più un ruolo, figurati dopo morto. Lo so, lo so, non posso farci niente e non riesco a vivere diversamente, anche se sono perfettamente cosciente di quello che faccio può avere un valore infinitesimale e un fine lontanissimo solo in modo molto mediato. Forse non ho alternative, perchè molte cose non posso più farle: le corse sfrenate, le grandi nuotate per attraversare i fiumi, il windsurf quando tira il vento, l'amore, le grandi abbuffate e le grandi bevute, le nottate a discutere e tante altre cose.. Ma non le farei più, anche ne avessi la capacità. Ogni stagione ha i suoi frutti. All'anima dei frutti! Avevo letto che in una civiltà polinesiana un uomo, quando si sentiva prossimo alla morte, saliva su una montagna sacra con i suoi ammennicoli vari, si sedeva rivolto verso un certo punto dell'orizzonte e aspettava che la morte venisse. Oppure saliva su una canoa, puntava la prua verso un'isola lontana apposita e scompariva per sempre. Ma come potrei fare. E una vita che mi alleno a vivere e adesso non posso che farlo come so. Lunedì, 28 gennaio 2008 (…) La decrepitezza corrispondeva agli ottanta anni. Povero me! Eppure non mi sembra vero di avere ottanta anni. Cammino senza bastone, corro, gioco a tennis, faccio i tuffi quando sono al mare, lavoro, studio, parlo le lingue, leggo la sera e non mi accorgo di avere disturbi alla memoria. …. Venerdì, 30 maggio 2008 (…) Siamo tutti in attesa, per qualcuno presumibilmente più lunga, per altri più breve; ma non voglio viverla come un periodo della mia vita diverso da come è stata finora, anche se il mio ruolo è scaduto o diverso da prima. Penso anche di essere fortunato rispetto a chi trascorre l'attesa in condizioni psichiche o fisiche menomate. In fondo faccio l'esperienza della vecchiaia sapendolo e potendola analizzare. Il tornaconto sta nel poterlo fare e non nella gioia che dà. Chi dice che la vecchiaia è bella? Non lo è. Lo può essere solo nella misura in cui uno invecchia mantenendo caratteristiche del non vecchio. Quindi la non-vecchiaia è bella. Mi sento adesso in un momento di pensiero libero, non vincolato a qualcosa che devo fare, dire, pensare, risolvere, affrontare e altro: Ma come è diverso da simili momenti del passato.
Davide Schiffer, Il crepuscolo degli idoli, golem edizioni, 2003 (costui è semplicemente un genio: fingendo di raccontare alcune giornate della sua vita di 80enne (nel 2008) in realtà redige la propria biografia. E' prof. emerito di neurologia a Torino, 500 pubblicazioni, viaggi e permanenze all'estero in Germania e negli States, grande esperienza di clinico e di ricercatore, riesce in questo testo a raccontare circa 40 giornate a partire dal 15 gennaio 2007 al 30 maggio 2008 in cui doveva recarsi a Vercelli per l'impianto e l'avviamento di un nuovo laboratorio di ricerca finanziato da una clinica privata. L'impegno era di un giorno per settimana, ma faceva anche due giornate di visite, giocava a tennis e, soprattutto leggeva e leggeva creandosi un bagaglio culturale fuori dalla norma, a partire dai classici latini a quelli francesi, Proust invece di Sartre. Tutte le brevi schede sono simili e partono dalla sveglia mattutina alla cura dei gatti, dalla doccia ai brevi esercizi fisici, dal percorso in tram alla stazione, dalla percorrenza in treno all'arrivo al laboratorio. Conseguente ritorno, Ma il bello è l'inserimento di mille osservazioni e di altrettante considerazioni della più varia natura e specie: ha lasciato con ciò una storicizzazione del proprio percorso scientifico, uno sfoggio di assoluto sapere e, in aggiunta ma somministrato a piccole dosi, il racconto della propria vita fino al 2013. Un punto costante è poi il commenti della Shoà. Una delle poche immagini “umane” è quando dice, alla fine della giornata, che si farà un bel bicchiere di dolcetto. Davvero geniale. Ha presentato questo libro nell'ambito della Scuola Lattes di Cuneo il 27 marzo scorso illustrando a tratti il testo e rispondendo alle domande: intanto una lucidità incredibile sorretta da una memoria davvero notevole. Il testo appalesa un grande Uomo che ha patito la fame e la miseria nell'infanzia a Cuneo, la frequenza del locale liceo, la fuga, ancora liceale, in valle Maira con i partigiani, la fine degli studi e la vincita di una borsa di studio a Milano, il soggiorno in Germania, la cattedra a Torino, l'esperienza americana oltre alla frequentazione di congressi ed assise. Ha però una tristezza di fondo, parla incidentalmente due volte della moglie, afferma di avere due figlie e dei nipoti ma non esprime mai 222
sentimenti né meno ancora amore. Nessun riferimento al compagno del tennis né a colleghi, assistenti o studenti. Non ha mai avuto frequentazioni sociali , è intimamente taccagno, è assolutamente ateo e in buona sostanza un infelice. Preziose le considerazioni sulla vecchiaia che costituiscono il fulcro e l'oggetto di questo lavoro che non fatico a definire filosofico. Bello, davvero bello e ricco).
---------------------------1 Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerarietà. 2 Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3 La letteratura esaltò sino a oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno. 4 Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Una automobile da corsa con il suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo.... un atutomobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. 5 Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali. 7 Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo. 8 Noi siamo sul promontorio estremi dei secoli! Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente. 9 Noi vogliamo glorificare la guerra -sola igiene del mondo- il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. 10 Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria. 11 Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa, canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne, canteremo il vibrante furore notturno degli arsenali e dei cantieri … E' dall'Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria con il quale fondiamo oggi il FUTURISMO, perchè vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, di archeologi, di ciceroni e di antiquari. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri. Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, Le Figaro, 20 febbraio 1909 Così, per dipartirsi dal nome di Gallia, vediamo che ella, considerate le Alpi, le quali la dividevano, e con essa la Francia dall'Italia, venne detta Gallia Transalpina ossia al di là dei monti, e che propriamente Gallia si dice, e Cisalpina, la quale è al di qua de medesimi, e che non solo il Piemonte conteneva, ma la Lombardia ancora; venne ancora essa divisa in Gallia Inalpina, comprendendo in questa que' popoli, li quali abitano nelle Alpi nelle quali dimoravano gli Galli: così, dalla chioma la quale con attenzione alcuni Galli nodrivano venne chiamato il paese da questi occupato Gallia Comata, e dalle lunghe vesti, le quali alcuni tra essi erano portate, venne detto il loro paese Gallia Togata. E finalmente dal colle di Sobron, ossia di Sotron, il quale è poco lontano da' termini che ora dividono la Francia dal Piemonte al di là del colle dell'Argentiera, vogliono alcuni eruditi ( Bouche “Jstoire de Provence” t.1 lib.1, pag 119 e Bouchet “Rerum Gallicarum Scriptores” t.1 pag. 84) avere preso il nome gli 223
antichi abitatori della Valle di Stura noti ai Romani sotto il nome di Suetri, de' quali parlasi, in ultimo luogo,, nell'arco eretto a Cesare dal Senato e Popolo Romano per la solenne vittoria da lui e generali suoi rapportata sopra gli popoli alpini tutti, gli quali stendevansi dal Mare Superiore all'Inferiore, e la cui iscrizione ci fu riservata da Plinio (“Historia Naturalis” Lib III, cap. X) Dissertazione del teologo Mairanesio sopra i popoli auriatesi e l'antico contado auriatese, a cui si unisce qualche notizia del contado di Bredulo il quale era de' popoli bagienni. Testo contenuto nella tesi di laurea di Roberta Bono e pubblicata sul fascicolo 125 del secondo semestre 2001 del Bollettino della società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo (molto bello e ricco questo numero perchè oltre al citato lavoro del Meyranesio, è nato nel 1729 a Pietraporzio si addottorò in teologia ed ordinato sacerdote e dal 1768 resse la parrocchia di Sambuco sino alla morte nel 1793. Costui fu un noto falsario che incideva lapidi per poi citarle a suffragio delle proprie tesi e compose un lavoro a nome Berardengo sostenendo di aver rinvenuto il manoscritto (senza mai mostrarlo) ed attingendovi ogni sorta di notizia falsa e pretestuosa. Oltre a questo lavoro è rimarchevole la fatica di Augusta Lange circa “Le tre carte topografiche della Val Varaita del 1421-1422” ed anche, di Bruno Ciliento “Il ciclo di Tommaso Biazaci nella parrocchiale di Casteldelfino) -----------
Pierre Allain: in piedi alle cinque del mattino, a letto alle otto della sera, pranzo alle dieci e trenta, cena alle diciassette e trenta. Dieta rigorosamente invariata: minestra, sgombri al vino bianco, formaggio e composta di mele, oltre ad un pezzettino di cioccolato (al latte) con un biscotto di pasta frolla.... Aggiungete ogni giorno una mezza compressa di aspirina e un cucchiaino di Normacol (contro l'intestino pigro) e avrete la ricetta della lunga vita. Novantaquattro anni, sicuro sulle gambe (due passeggiate al giorno, vista... così così, ma nel complessa la salute di un cinquantenne e uno spirito sempre vivace: è Pierre Allain, monumento dell'alpinismo francese per la storia l'uomo che ha conquistato la parete nord del Drus nel 1935.
Yves Ballu, Due ritratti per i Drus in Il cinquantesimo Lichene, Vivalda Editore, 2001 . (bello questo libriccino che riporta diversi brani di cose memorabili per la montagna. L'altro personaggio di questo breve scritto è Guido Magnone, francesissimo, che dopo aver fatto diverse specialità sportive, eccellendo in tutte, ai 46 anni, quando gli altri si ritirano, ha stupito il mondo con le sue imprese alpinistiche. Entrambi erano parigini, quindi non montagnini). --------------
Ma se l'uomo ha la capacità di conoscere come Dio , la coscienza umana, il cogito, come dice Cartesio, ha la possibilità di porsi come criterio del vero e del falso e, così ponendosi, l'uomo ha la possibilità di adeguare la realtà a se stesso e renderla a se stesso disponibile,, come già aveva annunciato Bacone, scientia est potentia (nota: F. Bacon in La grande instaurazione, parte seconda: La scienza e la potenza umana coincidono, perchè l'ignoranza della causa fa mancare l'effetto. La natura infatti non si vince se non obbedendo ad essa, e ciò che nella teoria ha valore di causa, nell'operazione pratica ha valore di regola). A questo punto la scienza di Dio passa all'uomo e con la scienza la sua onnipotenza che, se ancora non trova compiuta attuazione, promuove comunque la ricerca come sua ideazione, che è quanto basta perchè l'uomo possa intraprendere la sua avventura di creazione di una nuova terra, su imitazione di Dio, anche senza Dio. In questo modo al Regno di Dio subentra quello che Bacone chiama il Regno dell'Uomo, dove si cerca di realizzare quello che con la fede in Dio ci si limitava ad attendere. Dopo Bacone, Cartesio costituisce l più interessante conferma della tesi che vede l'essenza del pensiero moderno radicarsi in 224
quella tradizione giudaico-cristiana che, pensando l'uomo come imago Dei, fonda quella metafisica della soggettività che troverà la sua conclusione nel superuomo nietschesiano che proclamerà la morte di Dio. Cartesio è il punto nodale di questa parabola. Il suo cogito, separato dal mondo naturale e dalla comunità umana, privilegia la soggettività pensante, ciò in cui l'uomo è simile a Dio.(...) Dio è amore. Questa, è la proposizione più sublime del cristianesimo, esprime solo la certezza che il cuore ha di se stesso, della sua potenza come della sola potenza legittima, perchè cioè divina Dio è amore significa che il cuore è il Dio dell'uomo, l'essere assoluto. Dio è l'ottativo del cuore cambiato in un presente felice. (Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo).
L'”ottativo” è la forma verbale greca che esprime il desiderio nella forma “Volesse il cielo che...” Come ottativo del cuore umano, cambiato in un presente felice, Dio è il desiderio umano di vedere abolit la distanza tra il volere e il potere, tra il desiderio e l'appagamento, tra l'intenzione e la realizzazione; in termini freudiani, tra il principio del piacere e il principio della realtà. (…) ma come è possibile recuperare questa dimensione religiosa che concilia Dio con l'amore e l'amore con il “sollievo del cuore”? La via ce la indica Christos Yannaras, da molti ritenuto il maggiore dei teologi grecoortodossi della seconda metà del Novecento, secondo il quale per secoli abbiamo conosciuto lo spirito come antitesi della carne, e su questa antitesi la morale della Chiesa romana, l'etica dei calvinisti, il pietismo dei luterani, il puritanesimo dei metodisti, il moralismo degli anabattisti hanno diffuso quella spiritualità asfittica che, guardata da vicino, sembra custodire come suo malcelato segreto null'altro che la delimitazione del desiderio. Fu così che milioni di uomini hanno vissuto la loro vita sulla terra in un inferno di desideri rimossi, di angosce profonde, di colpe immaginarie, di mutilazioni di vite senza eros, per avere identificato l'eros con la carne, la carne con il peccato, lo spirito con la purezza e l'innocenza. Ma, scrive Yannaras: “Separato dalla carne lo spirito divenne esangue, quasi una morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima” (Christos Yannaras, Variazioni sul Cantico dei Cantici, ed. Interlogos, 1992).
-------------------------Gli arrivisti sono agili come le scimmie: durante la scalata si ammira la loro destrezza. Una volta arrivati in cima, non se ne vedono che le parti vergognose. Honoré de Balzac, Il giglio nella valle
Et toutes les ames des poétes sont amies et s'appellent les une les autres. Proust Les mots du poéte conservent du sens meme lors-qu'il sont détachés des autres et plaisent isolés, comme de beaux sons. On dirait des paroles lumineuses, de l'or, des perles, des diamants et des fleurs. Joubert
Dès ma première enfance, la poésie a eu cela de me transpercer et transporter. Montaigne 225
La parole, Ronsard, est la seule magie.
Ronsard
Le vrai trésor de l'homme est la verte jeunesse, le reste de nos ans ne son que des hivers. Ronsard
Ah! Jeunesse! … jeiunesse!. Passe-moi la bouteille.
Conrad
Je m'éveille le matin avec une joie secrète, je vois la lumière avec une espèce de ravissement. Tout le reste du jour, je suis content. Montesquieu
Tout le bonheur des jours est dans leurs matinées.
Malherbes
LE MATIN L'aurore sur le front du jour / Sème l'azur, l'or et l'ivoire, / Et le soleil, laissé de boire, / Commence son oblique tour... / La lune fuit devant non yeux; / La nuit a retiré ses voiles; / Peu à peu, le front des ètoiles / S'unit à les couleur des cieux... / Une confuse violence / Trouble la calme de la nuit /Et la lumière avec le bruit / Dissipe l'ombre et le silence.../ Il est jour: levons-nous Philis: / Allons à notre jardinage / Voir s'il est, comme ton visage, / Semé de roses et de lis. Viau
Oh ma fiancée à travers les branches en fleur, salut!
Claudel
Le parler que j' aime c'est un parler simple et naif, tel sur le papier qu'à la bouche, un parler succulent et nerveux, court et serré, non tant délicat et peigné comme véhément et brusque. Montaigne
MA BOHEME. Moi m'en allais, les poings dans mes poches crevéès; / Mon paletot aussi devenait idéal; / J'allais sous le ciel, Muse! Et j'étais ton féal; / Oh! Là! Là! que d'amours splendides j'ai revées! Rimbaud
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Nous allons devant nous, les mains le long de poches, / Sans aucun appareil, sans fatras, sans discours, / D'un pas toujours égal, sans hate ni recours,/ Des champs les plus présents vers les champs les plus proches. Peguy
L'innocente beauté des jardins et des jours / La Fontaine
Allait faire le charme de ma vie.
Ouvrez-moi cette porte où je frappe en pleurant.
Apollinaire
LETTRE A' GEORGE SAND. Mon cher George, / j'ai quelque chose de bete et de ridicule / à vous dire: je suis amoureux de vous. Musset
J'ai connu toutes les formes de déchéance, y compris le succès.
Cioran
Mais moi, Narcisse aimé, je suis curieux / Que de ma prope essence; / Tout autre n'a pour moi qu'un coeur mystérieux. / Tout autre n'est qu'absence. Verlaine Bussy, notre printemps s'en va presque expiré.
Racan
MOESTA ET ERRABUNDA Comme vous etes loin, paradis parfumé / Où sous un clair azur tout n'est qu'amour et joie, / Où tout ce l'on aime est digne d'etre aimé, / Où dans la volupté pure le coeur se noie! /Comme vous etes loin, paradis parfumé. / Mais le vert paradis des amours enfantines, / Les courses, les chansons, les baisers, les bouquets, / Les violonsvibrant derrière les collines, / Avec les brocs de vin, le soir, dans les bosquets / Mais le vert paradis des amours enfantines, / L'innocent paradis, plein de plaisirs furtifs, / Est-il dejà plus loin que l'Inde, que la Chine? / Peut-on le rappeler avec des cris plaintifs / Et l'anime encore d'une voix argentine, / L'innocent paradis plein de plaisirs furtifs? Baudelaire
Qu'on me ne dise pas que j'ai rien dit de nouveu: la disposition des matières est nouvelle; quand on joue à la paume, c'est une meme balle dont joue l'un et l'autre, mais un la place mieux. Pascal
Elle défit sa ceinture, / Elle défit son corset / …... / Puis, troublée a mes tendresses, / Rougissante à mes transports, / Dénouant ses blondes tresses, / Elle me dit: Viens! Alors... / O Dieu! Joie, extase, ivresse / Exquise beauté du corp! / J'inondais de mes caresses / Tout ce purs et doux trésor/ D'où jaillissent tant de flammes, / Trésor! Au divin séjour / Si vous manquez à nos ames, / Le ciel ne vaut pas l'amour. Hugo 227
BONNE PENSE'E DU MATIN. A' quatre heures du matin, l'été, / Le sommeil d'amour dure encore. / Sous les bosquets l'aube évapore / L'odeur du soir feté. Rimbaud
Je suis plein du silence assourdissant d'aimer.
Aragon
Tant de choses ne valent pas la peine d'etre dites; en tant de gens ne valent pas que les autres choses leur soient dites. Cela fait beaucoup de silence. Montherland
J'appelle ici amour une torture réciproque.
Un je ne sais quel charme encore vers vous m'emporte.
L'amour, c'est le espace et le temps rendus sensible au coeur.
Proust
Corneille
Proust
Calypso ne pouvait consoler du départ d'Ulysse. Dans sa doleur, elle ne trouvait malheureusement d'etre immortelle. Fénelon
---------------------La religione dell'Israele antico era davvero monoteista fin dalle origini? Alcuni passi antichi della Bibbia autorizzano a dubitarne e sembrano negarlo, supponendo o persino riconoscendo esplicitamente l'esistenza di altri dei. La religione israelita delle origini sarebbe stata politeista e il “monoteismo ebraico” sarebbe un errore storico, un pregiudizio, veicolato da secoli ma oggi spazzato via, con altri aspetti leggendari della tradizione biblica, dalla critica storica? (…) Proprio a Ugarit , dal 1929 gli scavi hanno portato alla luce circa 2000 tavolette in scrittura cuneiforme alfabetica, risalente per lo più al XIII secolo a.C. e utilizzata sino alla distruzione della città verso il 1185 a.C. Il nome della dea Athirat compare in questi testi ugarici 74 volte, 55 in miti o leggende, 17 in rituali, una volta nella corrispondenza e una volta in un frammento di difficile interpretazione. La funzione di questa divinità risulta dalle espressioni in cui essa compare: è “la Signora Athirat del mare (rbt.atrt.jm)” ed ha un santuario a Tiro; è “creatrice/progenitrice degli dei ( qnjtilm)” e questi sono suoi figli. Sebbene non venga mai chiamata sposa del grande dio Ilu/El, i commentatori unanimi la riconoscono come la sua paredra, la quale fa le funzioni della regina madre che mette i figli sul trono. (…) Non ti pianterai 'aserah, un albero qualsiasi, 228
vicino all'altare di Jhwh tuo Dio che ti farai; non ti erigerai stele (massebah) alcuna che Jhwh tuo Dio odia (Deut. 16,21) L'eliminazione dell'albero sacro e della stele dal culto jahivista condurrà ad accettare soltanto un aniconismo “vuoto”, espresso dall'architettura e dall'arredo del tempio di Gerusalemme, dove la presenza divina è simboleggiata unicamente dai suoi guardiani/protettori, i cherubini. (…) Paradossalmente il fenomeno è abbastanza ben conosciuto e molto ben attestato. Come sopra si è visto, il carattere plurinazionale dell'impero persiano e la preoccupazione di essere capiti dalle diverse autorità di questo immenso impero condusse naturalmente a un certo obnubilamento della personalità propria del Dio di Israele, concretamente a un uso meno frequente del teonimo “Jhwh/Jhw”, sostituito abbastanza spesso, in particolar modo in aramaico, dall'espressione “Dio dei Cieli / 'elah s majja” Questa descrizione dell'uso del nome proprio del Dio di Israele si comprende facilmente nel contesto dei rapporti, in aramaico, con le autorità persiane. Pare tuttavia che questa tendenza si sia diffusa abbastanza rapidamente anche negli scritti di lingua ebraica. (…) Quali che siano i motivi precisi, certo è che quantomeno alla fine dell'era ellenistica e in età romana i Giudei, in particolare nella diaspora ma probabilmente anche in Giudea, evitano di pronunciare il nome di Jhwh per sostituirlo spesso nella lettura ufficiale dei testi religiosi antichi che formeranno poi la Bibbia, con un titolo reverenziale ebraico: adonaj, reso in greco con kyrios cioè “mio Padrone/Signore” (…) Il racconto biblico della rivelazione del nome divino associa il tetragramma al verbo “essere”, in ebraico hawah/hajah. Quando per la prima volta Mosè chiede alla divinità di rivelare il proprio nome, questa risponde con il duplice impiego del verbo essere: 'ehjeh 'aser'ehjeh “sono chi sono” (Es. 3,14) Questa risposta è stata interpretata talvolta come rifiuto di dire il proprio nome, talaltra come indicazione che il Dio di Israele è quegli che “esiste”, mentre gli altri dei non esistono, o anche come annuncio del soccorso divino: “sono chi sarò”, ossia “mi rivelerò con l'azione, stando al vostro fianco”. Queste tre interpretazioni concordano bene con una vocalizzazione del tetragramma Jahweh, che potrebbe essere “egli fa essere” e una tale vocalizzazione può anche poggiare sulla trascrizione greca del tetragramma: Iaoue/ai in Clemente Alessandrino, Iabe in Epifanio e Iabe/ai presso i samaritani, a detta di Teodoreto di Ciro nel V sec. d.C. (…) Tutto fa pensare che in origine il teonimo Jhwh dovette essere pronunciato Jahwoh, anche se la pronuncia Jahweh.
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Forma l'embrione nel seno materno e lo rende capace di uscirne come essere vivente (Esodo14) 229
La parola usata nella letteratura rabbinica per designare la Divinità è :” Il Santo è il luogo del Suo Universo, ma il Suo Universo non è il Suo luogo” (Genesi, 68,9)
Rifletti sopra tre cose e non cadrai mai in potere del peccato: sappi ciò che sta sopra di te -un occhio che vede, un orecchio che sente e che tutte le tue azioni sono scritte in un libro-. R. Jeudad, redattore della Mishnah
Sposarsi e allevare una famiglia era prescrizione religiosa; è, invero, il primo di tutt i i comandamenti dati da Dio all'uomo (Genesi 1,28) ed il Talmud vi insiste: “Chi non si sposa vive senza gioia, senza benedizione, senza bene” e “Il celibe non è uomo nel vero senso della parola, come è detto: “maschio e femmina li creò, li benedisse li chiamò con il nome di uomo” (Genesi 5,2) Moglie significa casa donde il detto: “La casa di un uomo è sua moglie” (Joma 1,1)
“Esita nello scegliere una moglie dacchè è proibito all'uomo di sposare una donna senza prima averla vista, per timore che non scopra poi in essa qualche cosa di reprensibile e non gli divenga ripugnante” (Kid, 41a)
“Scendi un gradino nello scegliere la moglie” (Jeb 63 a) poiché, chi sposa una donna di condizione sociale più elevata, corre il rischio di essere guardato dall'alto in basso dsa lei e dai suoi parenti.
“Tra coloro la cui vita non è vita, c'è l'uomo dominato da sua moglie” (Betzah, 32b)
“Una moglie cattiva è come lebbra per il marito. Come rimediarvi? La ripudi e guarirai dalla lebbra” ed anche “Se uno ha una cattiva moglie, ha l'obbligo religioso di ripudiarla” (Jeb, 63b)
Queste solo le circostanze che lo obbligano a lasciar libera la moglie: se egli è colpito da lebbra o afflitto da polipi o se raccoglie per mestiere escrementi di cane (in nota si dice che servivano per la concia delle pelli) o fa il fonditore di rame o il conciapelli, tanto se tali condizioni sono anteriori al matrimonio quanto posteriori ad esso.
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In certe circostanze la donna poteva essere autorizzata a non seguire il marito nelle sue migrazioni: “se il marito desidera andare in Palestina, ed ella non vuole, la costringeranno a seguirlo e, se rifiuta, viene ripudiata senza ricevere la sua Kethubah. Se ella desidera andare in Palestina e il marito non vuole,, lo costringono ad andare e, se rifiuta, deve divorziare e pagare la Kethubah. Se ella desidera lasciare la Palestina, ed egli non vuole, la costringono a rimanere e, se rifiuta, viene ripudiata senza ricevere la sua Kethubah. Se egli desidera lasciare la Palestina, ed ella non vuole, lo costringono a rimanere e, se rifiuta, deve divorziare e pagarle la sua Kethubah” (Keth, 110b) (ho riportato questo passo perchè si evince che il soggiorno in Palestina poteva, anche allora, essere problematico: mi piacerebbe saperne di più).
La patetica storia di R. Meir e dei suoi due figli mostra come si considerassero i figli. “Accadde mentre il Rabbi leggeva nella Casa di Studio nel pomeriggio di una Shabbath, in casa gli morirono due figli. La madre li distese su un letto e li coprì con un lenzuolo. Finito il Shabbath R. Meir tornò a casa e chiese dove erano i figli. Sua moglie gli rispose: Ti voglio fare una domanda. Qualche tempo fa venne qui un tale e mi affidò un oggetto di valore, e ora me lo richiede. Devo restituirlo o no?” “Certamente -rispose- un deposito deve essere restituito al suo proprietario” Ed essa allora: “Senza chiedere il tuo consenso gliel'ho restituito”. Lo prese quindi per mano, lo condusse nella camera di sopra, e tolse il lenzuolo dai loro corpi. Quando li vide, egli pianse amaramente. Sua moglie gli chiese: “Non mi dicesti che quanto ti è stato affidato in custodia deve essere restituito quando venga richiesto? “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore (Job 1,21)” (Jalkut prov. 964).
Date le sue dimensioni, l'uovo è l'alimento più nutriente di tutti li altri cibi, esclusa la carne. “Come nutrimento l'uovo è l'alimento più nutriente di ogni altro cibo, presi in quantità non superiore all'uovo. E' meglio un uovo poco cotto, di sei misure di fior di farina, e un uovo sodo, di quattro. Troppe uova possono essere dannose perchè è detto:”Chiunque mangia quaranta uova, o quaranta nocciole o un quarto di miele, il suo cuore sarà strappato”. (Shallah).
“Sei cose guariscono il malato dalla sua malattia: il cavolo, la bietola, il decotto di semi secchi di peucedano (?), il caglio, l'utero e il lobo maggiore del fegato. Alcuni aggiungono: anche i piccoli pesci. Dieci cose portano l'ammalato ad una ricaduta e aggravano la malattia: mangiare carne di bue, carne grassa, carne arrostita, pollame, uova arrostite, ed anche radersi e mangiare crescione, latte e formaggio, e bagnarsi. Altri aggiungono: mangiare noci e cocomeri” (Ber., 57 a). “Per il mal di denti prenda una pianta d'aglio provvista di una sola testa, la strofini in olio e sale e lo metta sull'unghia del pollice dalla parte in cui dolgono i denti, lo circondi con un cerchio di pasta, facendo attenzione che l'aglio non tocchi la carne, per timore che produca la lebbra” (Ghir, 69a). “Per l'angina prenda menta in quantità equivalente a tre uova, quanto un uovo di comino e quanto un uovo di sesamo, e mangi. Per l'indigestione prenda trecento granelli di pepe lungo e ogni giorno ne beva cento nel vino, Per il verme solitario prenda un quarto di log di vino con una foglia di lauro”
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“Per tre ragioni non si deve entrare nelle rovine: per il sospetto (che si vada là per compiere azioni immorali), per il crollo della fabbrica e per gli spiriti maligni.
Il principale demone femminile era Lilith, che si pensava fosse una creatura provvista di lunghi capelli (Erub,. 100b). Di lei si dice: “Nessun uomo uò dormire solo in una casa: chiunque dorma da solo in una casa sarà preso da Lilith” (Shab., 151b). Poco si parla di lei nel Talmud: nel tardo folklore ebraico occupa al contrario un posto importante, specialmente per i danni che si dice procuri alle puerpere e per i ratti degli infanti.
Le gelosia e l'invidia creano sentimenti di malevolenza verso l'individuo che suscita tali passioni e fanno nascere il desiderio di vederlo oppresso dalla sventura. Tale inimica speranza di concentra abitualmente in uno sguardo d'odio. Di qui l'espressione “mal'occhio” tanto temuta per la credenza che attraverso lo sguardo maligno la disgrazia cada a colpire la vittima che ne è oggetto. Il Talmud asserisce formalmente che il lampo dell'occhio può avere effetti funesti. Tale potere si attribuiva in special modo ai Rabbini. “Dovunque i saggi volsero gli occhi sopraggiunse la morte o qualche calamità” (Chag., 5b). Si narra di molti Dottori che il loro sguardo era capace di convertire in un “mucchio di pietre” l'individuo che li offendeva (Shab., 34 a e B.B., 75a) ivi compreso R. Sheshet, che esercitava tale potere era anche cieco ( Shab., 34a). La principale salvaguardia contro tale pericolo sta nell'evitare di suscitare la gelosia. Non fate pompa dei vostri beni, altrimenti sarà eccitata l'invidia del vostro vicino che vi guarderà con mal'occhio. “La benedizione non si trova altro che su cosa celata all'occhio (del vicino) come è detto: “Il Signore comanderà la benedizione su di te nei tuoi granai” (Deut.., 28,8).
Il Talmud rivela chiaramente il conflitto sorto tra le dottrine pure e razionali della Bibbia e le credenze basse e le superstizioni che pervadevano il mondo nel quale gli Ebrei vivevano. Le Scritture denunciavano con veemenza ogni specie di pratica magica ed ogni tentativo di sollevare il velo che cela l'avvenire al volto umano, valendosi dei processi divinatori. Vediamo Dottori in gran numero, particolarmente nel periodo più antico, impegnare una lotta coraggiosa per arginare la marea dei sortilegi che andava sommergendo la loro comunità. Gli sforzi furono vani. Nel periodo più tardo i Dottori stessi caddero e la credulità prevalse sulla fede.
dr.A. Cohen, Il Talmud, Laterza Editore, Bari, 1935, trad. Alfredo Toaff. (Incredibilmente bello questo testo: nella Introduzione specifica quale fu l'origine di questi scritti sapienziali e quale valore possedessero. Esamina poi le varie fattispecie: la dottrina di Dio, esistenza, unità, incorporeità, onnipotenza, onnipresenza, eternità, giustizia e misericordia, paternità, santità e perfezione, il nome ineffabile. Dio e l'universo: cosmologia, trascendenza e immanenza, angeologia, Israel e le nazioni. Dottrina dell'uomo: l'essere umano, l'anima, fede e preghiera, le due inclinazioni, il libero arbitrio, il peccato, pentimento ed espiazione, il premio e la pena. La Rivelazione: la profezia, la Torah, lo studio della Torah, la legge scritta, la legge orale, la pratica della Torah. La vita domestica: la donna, il matrimonio e il divorzio, i figli, l'educazione,la pietà filiale. La vita sociale: l'individuo e la comunità, il lavoro, il padrone e l'operaio, pace e giustizia. La vita morale: l'imitazione di Dio, l'amore fraterno, l'umiltà, la carità, l'onestà, il perdono, la temperanza, i doveri verso gli
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animali. La vita fisica: la cura del corpo, norme igieniche, l'alimentazione, trattamento delle malattie. il folklore: demonologia, il mal'occhio, magia e divinazione, i sogni, superstizioni. La giurisprudenza: diritto penale, i tribunali, giudici e testimoni, il processo, le pene,i danni, gli oggetti reperiti, deposito e prestito, la locazione, vendita e consegna, la prescrizione, la successione. L'aldilà: il Messia, la resurrezione dei morti, il mondo a venire, il giudizio finale, Ghehinnom, Gan Eden. Meriterebbe di essere ricopiato integralmente questo testo: a parte alcune affermazioni surreali e storicamente superate, trasuda di una saggezza antica (il Talmud è detto anche “babilonese” perchè ebbe inizio dopo la distruzione del Tempio nel 586 a.C.) ma si sviluppò soprattutto tra il secondo secolo avanti l'era volgare ed il secondo secolo successivo. Figure centrali sono i Rabbi detti anche Dottori che esercitavano una grande influenza morale e sociale sull'intera comunità. Bello, davvero bello). Biblioteca Cuneo 296 1 Coh
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(a cura di) Sofia Cavalletti, Talmud babilonese, il Trattato delle Benedizioni, UTET, 1968, (Biblioteca Cuneo, 22 d 109) (ricca esposizione del pensiero, delle tradizioni, del sapere, della teologia ebraica, illustra il significato delle diciotto Benedizioni ( ho fotocopiato i testi) Molto, molto interessante)
Afflictis lentae, celeres gaudentibus horae meridiana a Peveragno, la prima casa a sinistra salendo alla Madonna.
Sine sole sileo.
meridiana a San Biagio, Mondovì
Il tempo passa, la morte viene, fortunato chi avrà fatto bene.
Meridiana a San Biagio, Mondovì
Nostrae symbolu umbra vitae. Meridiana a San Biagio, Mondovì Sic nostra labitur aetas.
Meridiana a San Biagio, Mondovì
Il tempo che ti fugge, un'eternità che ti attende. Meridiana a San Biagio, Mondovì
Io vado e vengo ogni giorno,il tuo andar è senza ritorno . Meridiana a Saint Etienne de Tinèè. (paese totalmente italiano con chiunque lo parli tranquillamente e sei capito. Fatto una fotografia alla grande lapide marmorea sul lato meridionale della gran bella chiesa (pavimento ligneo) dove il lungo elenco dei Caduti della Grande Guerra riporta per almeno il 65-70% nomi e cognomi italiani). -------
Chiara Bedini e Alberto Bigarelli, Il viaggio di Giona -Targum, Midrash e commento di Rashi, ed. Città Nuova, 1999, Biblioteca Cuneo 296.1 VIA (testo davvero interessante di esegesi biblica: A cura di
riporta, del Libro di Giona il testo ebraico (tradotto), la versione in Targum, quella in Midrash e la interpretazione di Rashi. Il Targum è la “traduzione” aramaica del testo biblico ebraico, che, in modo corrispondente a tutta la letteratura targumica, è in realtà molto di più di una semplice versione. Le poche aggiunte che il Targum inserisce sono infatti estremamente significative dal punto di vista esegetico e teologico. Il Midrash è un genere che esula dagli schemi letterari consueti e che non è facile ricondurre entro i canoni più comuni dell'esegesi e dell'ermeneutica biblica:
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non è semplice commento, né una vera omelia, non è un trattato teologico né una serie di elevazioni spirituali. E' forse però l'insieme di tutte queste cose e di altre ancora, che si fondono armoniosamente nella “ricerca” : è questo infatti il significato primo del termine Midrash. Ultimo il commento di Rashi: costui era una rabbino medievale, spesso celebrato come il massimo commentatore ebraico di ogni tempo. Ricorre con ampiezza alle interpretazioni midraschiche . Da Sempre il Libro di Giona viene proclamato in sinagoga nella festa importantissima del giorno dell'Espiazione. Questo testo sta a dimostrare come da sempre gli ebrei siano attenti e profondissimi studiosi del proprio testo sacro. Questa pratica ha fatto sì che eccellessero in quasi tutte le discipline, avendo acquisito sin dall'infanzia la pratica della lettura e dell'approfondimento. Questo in tutti gli ambiti territoriali e culturali e antropologici in cui hanno, da sempre, vissuto. Interessante davvero.
Sergio Luzzatto, La radice dell'antisemitismo, Il Sole 24 Ore, 25 maggio 2014 (articolo interessante che ha attratto la mia attenzione e il cui mio primo commento scritto a margine è stato “il semitismo”. L' Autore fa una ampia analisi di quella che sarebbe stata l'origine e la radice dell'antisemitismo esaminando i rapporti storici con la Chiesa di Roma e tutte le implicazioni derivanti. Da più di mille anni il programma liturgico della settimana pasquale comprendeva l'orazione “pro perfidis judaeis” finchè nella seconda metà del Novecento sono riusciti a farla abolire. Chiosa poi l'Autore su una corretta traduzione del termine Perfidus che starebbe per “infedele”, senza alcuna altra implicazione oltraggiosa. Dal Trattato delle Benedizioni del Talmud babilonese estraggo dal testo delle 18 benedizioni che l'ebreo pio recita due volte al giorno questa invocazione composta su sollecitazione di Rabban Gamlel nel 100 a.C. Recita: “Eretici. Per i calunniatori e per gli eretici non ci sia speranza, e tutti in un istante periscano; tutti i Tuoi nemici siano prontamente distrutti, e Tu umiliali prontamente, ai nostri giorni. Benedetto Tu, Signore, che spezzi i nemici e umilii i superbi”. Ci sono altre due preghiere la cui recita è quotidiana. La prima che si chiama “Vero e Stabile = geulah “: “ Ci hai redento dall'Egitto, Signore Iddio nostro, e dalla casa di schiavitù ci hai liberato. Tutti i loro primogeniti hai fatto morire e il Tuo primogenito hai redento. Hai diviso il Mar Rosso e vi hai sommerso gli orgogliosi, ….”. E la seconda, che si chiama”Verità e Veracità = Emeth we-emunah” dice: “ Egli è Iddio che compie prodigi per noi e vendetta sul Faraone, … egli ha colpito nella Sua ira tutti i primogeniti d'Egitto, … ha sprofondato negli abissi coloro che li inseguivano e che li odiavano....” Ma di questo tenore sono moltissimi salmi.Ho realizzando una lettura analitica e critica sui numerosissimi salmi in cui si individuano le vessazioni ricevute e si suggerisce, al Santo, Benedetto sia il Suo nome, le maledizioni e le punizioni con le quali investire i nemici. (Salmo 54,14 : Ma tu uomo di un solo spirito con me: mia guida e mio familiare … 54,16 :Venga sopra di essi la morte, e scendano vivi nell’inferno. Salmo 57,3 : Ma voi nel cuore operate iniquità, sulla terra le vostre mani ordiscono inganni (si riferisce ai giudici); 57,7 Dio stritolerà loro i denti in bocca; ,8 Si ridurranno al nulla come acqua che scorre; 9: Come cera che si fonde saranno distrutti, cadde sopra di essi il fuoco, e non videro più il sole. Salmo 88,20 Tu conosci il mio obbrobrio, la mia confusione la mia ignominia, 11 sotto i tuoi occhi sono tutti coloro che mi tormentano: il mio cuore si aspettò obbrobri e miserie; 23 La loro mensa diventi per loro un laccio, un giusto castigo, una pietra d’inciampo. 24 Si offuschino i loro occhi, sicchè non vedano, fa sempre incurvare il loro dorso, 25 versa su di loro la tua ira e li colga il furore della tua collera; 26 La loro abitazione diventi deserta, e non vi sia chi abiti nelle loro tende. Salmo 78,4 Siam divenuti obbrobrio per i nostri vicini, derisione e scherno per quei che ci stanno intorno; 5 Fino a quando o Signore sarai sempre sdegnato, e avvamperà come fuoco il tuo zelo? 6 Riversa il tuo sdegno sopra le genti che non ti conoscono . Salmo 79,7 Ci hai resi oggetto di contraddizione ai nostri vicini, i nostri nemici si fanno beffe di noi; Salmo 82, 4 Han formato malvagi disegni contro il tuo popolo e hanno macchinato contro i tuoi santi 5 han detto: venite sterminiamoli di tra le nazioni e non sia più ricordato il nome di Israele. 14 Dio mio, rendili come una ruota e come la paglia al soffiare del vento, come un fuoco che incendia una selva e come una fiamma che abbrucia i monti. Salmo 108,4 Invece di amarmi, parlavano male contro di me ma io pregavo. Mi hanno reso male per bene e odio per il mio amore; 6 Costituisci sopra di lui un peccatore e il diavolo sia alla su destra, 7 Quando è chiamato in giudizio esca condannato e la sua preghiera diventi un peccato. 8 Siano pochi i suoi giorni e prenda un altro il suo ufficio, diventino orfani i suoi figli e vedova sua moglie 10 Errino raminghi i suoi figli e mendichino e siano scacciati dalle loro abitazioni. Salmo 136, 7 Ricordati Signore dei figli di Edom, che nel giorni di Gerusalemme dicevano: distruggete,
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distruggete essa fin dalle fondamenta. 9 Beato colui che afferrerà e sbatterà i tuoi bambini contro la pietra. Lo schema è: individuare i presunti torti subiti, suggerire il castigo da irrorare. Però la questione di fondo è un'altra: gli Ebrei da sempre sono perseguitati a partire dalla cacciata dall'Egitto alla cattività babilonese (586 a.C.) , la cacciata dalla Spagna nel 1492 e poi in tutti i contesti in cui sono vissuti, fino alla criminale distruzione operata dal nazismo e, non ultimo oggi, la situazione in Israele e nei paesi limitrofi. Zigmund Bauman, in un pesante articolo del 5 agosto 2014 pubblicato su La Repubblica avente titolo “Gaza è diventata un ghetto. Israele con l' apartheid non costruirà mai la pace” si dichiara apertamente antisionista e paventa l'enorme rischio di una reazione spropositata da parte degli Arabi tutti, se pericolosamente si coalizzassero. Non ho mai trovato nessun Autore ebreo che abbia analizzato i comportamenti e gli atteggiamenti degli ebrei (fatto salvo, in parte, uno scritto del 1933 di Joseph Roth i cui stralci riporterò più avanti), che hanno indotto ad una reazione, spesso violenta da parte delle popolazioni ospitanti. In primis l'essere proprio dell'ebreo di avere una doppia nazionalità, e mai si capisce quale sia la prevalente e più importante (l'affaire Dreyfus insegna tant'è che da allora è loro inibita, in Francia, la carriera militare e quella giudiziaria ). Poi la loro supposta (e spesso reale) superiorità intellettuale con conseguente spocchioso atteggiamento verso i terzi. Poi il loro attaccamento al denaro per la conquista del quale non hanno mai avuto remore o valutazioni di opportunità sociale. Poi per il loro intrinseco “odio” e “disprezzo” verso i terzi tutti.. Una valutazione finale sui Salmi è duplice: il salmista chiede sempre, ripetutamente ed insistentemente benefici, eredità, diritti, vantaggi; quando non chiede ciò invoca maledizioni, castighi, disgrazie sugli altri. Il tutto sempre a livello individuale cioè mai a nome del popolo ebraico: progenie davvero rara. ---------------------
Zoar Quando l'uomo lascia questo mondo, giunge a lui Adamo, il Primo Uomo, e gli domanda come mai se ne stia andando e in quale modo esalerà l'anima. Il morente allora gli risponde: “Guai a te, chè è per colpa tua se debbo lasciare questo mondo”. Allora il Primo Uomo gli risponde: “ Figlio mio, per parte mia ho trasgredito un solo comandamento e perciò sono stato punito. Pensa invece a quanti tra i precetti positivi e negativi che fossero, hai violato tu”: … Ha detto Rabbi Jesa: “Quando un uomo sta per lasciare questo mondo Adamo non manca mai di presentarsi a lui, per dimostrargli che egli muore a causa dei propri peccati e non di quell'unico da lui commesso, come ben sappiamo, non c'è morte senza peccato”. Abbiamo anche appreso che quando l'anima dell'uomo lo abbandona, tutti i suoi cari e amici che già si trovano nell'altro mondo, le vengono incontro per mostrarle il luogo delle delizie quando non quello del castigo. Se l'uomo in questione è un giusto, vede il luogo, sale e va prendere posto per godere delle delizie supreme dell'altro mondo. In caso contrario, la sua anima rimane in questo mondo sinché il corpo non viene sepolto sotto terra. Allora gli esecutori di giustizia la prendono e portano giù da Dumah, principe della Geenna, che gli assegna un posto laggiù. Ha detto Rabbi Yehudad: per tutti i sette giorni del cordoglio l'anima vaga per la casa e la tomba piangendo il proprio corpo, come sta scritto: “Ma la sua carne soffre per lui, la sua anima piange per lui” (Giobbe 14,22), e quando sta in casa vede tutti affranti e soffre con loro. Abbiamo anche appreso che alla fine dei sette giorni il corpo diventa quello che diventa, mentre l'anima va per la sua sede. Dapprima entra nella grotta di Macpela, dove le è concesso vedere e penetrare a seconda dei suoi meriti. In seguito arriva al Giardino dell'Eden, dove incontra i cherubini e la spada fiammeggiante che si trova nel grado più basso del Giardino: qui, se è degna di entrare, entra. 235
Commento Rabbi Sim'on: “El'azar, stavi contemplando dunque l'amore supremo e il vincolo di affetto”. Poi il maestro tacque per un certo tempo, trascorso il quale disse: “Il silenzio si addice ad ogni luogo salvo che alla Torah. Per parte mia, possiedo un tesoro segreto che mi è massimamente prezioso. E' un pensiero supremo che ho trovato nel libro di Rabbi Hammuna l'Anziano. Ecco: Di norma è il maschio che corteggia la femmina per stimolare il suo amore, ma qui trovo che è il femminile a corteggiare ed inseguire il maschile, cosa a dire il vero davvero insolita. Ma ciò contiene in sé un significato occulto, una gemma negli scrigni del Sovrano. Dunque, vi sono tre anime a diversi gradi di ascensione. In realtà non sono tre ma quattro, una delle quali è “ nesamah”, la spiritualità superiore e inafferrabile persino dal tesoriere del mondo di sopra, e a maggior ragione da quello del mondo di sotto.. Si tratta dell'anima di tutte le anime, nascosta ed imperscrutabile nonché inconoscibile. Tutto dipende da essa. E' avvolta in un manto abbagliante, il cui splendore stilla gocce perlacee che formano una unica trama, come le membra giuntate per formare un unico corpo ...” Quando il Santo, Benedetto Egli sia, ebbe in animo di creare il mondo, Gli piacque di formare tutte le anime che nei giorni futuri sarebbero state assegnate ai figli dell'uomo, ognuna delle quali fu tratteggiata al Suo cospetto secondo le umane fattezze fisiche che avrebbero assunto in seguito. Il Signore le passò tutte in rassegna, riconobbe quelle che nel mondo avrebbero seguito le vie del male, e man mano che si presentavano, ordinava a tutte: “Su, scendi al tale luogo, dentro il tal corpo”. Capitava allora che al Suo cospetto l'anima replicasse: “Sovrano del mondo, mi basta certo questo mondo in cui risiedo, non desidero scendere in nessun altro, dove sarei resa schiava e insudiciata”. Il Santo, Eglia sia Benedetto, cos' rispondeva: “Sin dal giorno in cui fosti creata, il tuo destino è quello di andare in quel mondo”. Rassegnata, l'anima scendeva, suo malgrado, in questo mondo. Ha detto Rabbi Sim'on: Sventurato colui che legge la Torah come fosse un libro di semplici storie e di vicende quotidiane! Una Torah così banale potremmo farla anche noi, ai nostri giorni, e verrebbe magari anche bene, Inoltre, coloro che governano il mondo dispongono di libri assai utili, che potremmo all'occorrenza emulare per scrivere una Torah di tale tenore... Se non che, tutto ciò che contiene la Torah verri e propria è verità suprema e supremo segreto. Considera intanto il preciso equilibrio fra mondo di sopra e mondo di sotto. Israele in terra e gli angeli in cielo, come sta scritto: “fa suoi angeli nei venti” (Salmo 104,4). Infatti, quando gli angeli scendono sulla terra, indossano fattezze di questo mondo, perchè altrimenti non potrebbero soggiornare qui, e per altro verso questo mondo non li reggerebbe. Quindi, se per scendere il questo mondo la Torah non avesse adottato non ne avesse adottato le fattezze che ha adottato, il mondo non potrebbe reggerla. E così le storia della Torah sono come un abito, e guai a chi è convinto che quell'abito esteriore sia la Torah stessa. … Essa ha un corpo che è l' insieme dei precetti, chiamato “gufe Torah”: questo corpo si riveste di abiti, vale a dire le narrazioni intorno a questo mondo. Gli ignoranti di questo mondo non vedono altro che quell'abito esteriore costituito dalle storie. Chi sa un po di più non guarda all'abito bensì al corpo che si nasconde sotto di esso. I veri sapienti, invece, servi del Re supremo, coloro che si trovavano con l'anima lassù sul Sinai, vanno dritti all'anima della Torah vera e propria.
Gershom Scholem, Zoar il libro dello splendore, Einaudi tascabili, 1998; Bibliot Cuneo 296 1 ZOH (piccolo libriccino che sarebbe una sintesi di un'opera assai vasta, dicono maggiore, per dimensione al Talmud, la Zohar sarebbe stata scritta nel 1305 dal cabbalista spagnolo Moseh de' Leon come commentario alla Qabbalah.. Secondo altri Maimonide una trentina di anni prima avrebbe pubblicato qualcosa di simile. Fu, a seconda dei tempi, considerata come la summa della sapienza, ma anche della somma menzogna. Di sicuro, sotto l'aspetto filologico, è un
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grande esercizio. Si tratta in sintesi di una speculazione della mistica ebraica. In passato avevo letto parecchi libri su la Qabbalah (uno dei quali, che ancora ho, di questo Autore) ma non ho mai capito granchè, anzi devo ritenerli di massima confusione)
-----------------------A Sandro l'aigo d'akesto funt es tujur fresco kumo tun recort A Sandro, l'acqua di questa fontana è sempre fresca, come il tuo ricordo. (incisione sul lato levigato di una fontana di Chianale (frazione di Pontechianale chè è stata l'ultimo luogo abitato dai Barbet). Fatto rapida indagine al bar per sapere di questo Sandro: alla Signora si sono inumiditi gli occhi. Costui era un dipendente del Comune, factotum della frazione, uno dei pochi e rari quarantenni ancora presenti in valle, è morto schiacciato dalla pala meccanica che manovrava nei pressi del Colle dell'Agnello. Ricordo di aver letto il fatto).
Non ho conosciuto spagnolo, di qualsiasi classe o condizione sociale esso sia, che accetti di essere superato in cortesia, da un'altra persona e per uno spagnolo popolano il regalo di in sigaro puro è una cosa irresistibile. Per questo, bisogna sempre tener ben presente di non offrirgli mai niente con aria di superiorità e di condiscendenza: egli è troppo caballero per ricevere favori a discapito della sua dignità. … Un belvedere, con un balcone che dà sulla valle del Darro, lascia passare la fresca brezza pomeridiana, e qui è dove consumo la mia cena di frutta e latte e dove partecipo alle conversazioni della famiglia. Gli spagnoli posseggono un naturale talento o ingegno congenito, così è denominato, che li rende compagni intelligenti e gradevoli, qualsiasi sia la loro condizione di vita, o per incompleta sia la loro educazione. Ci sono due tipi di genti per le quali la vita è una lunga festa: i veri ricchi ed i veri poveri, gli uni perchè non hanno bisogno di niente, gli altri perchè non hanno nulla da fare. Non esiste nessuno però che interpreti l'arte di vivere senza far niente, meglio delle classi ppvere della Spagna. Il clima influisce per metà, il resto lo fa il temperamento. Date ad uno spagnolo l'ombra di estate e il sole in inverno, un piccolo pane, aglio, olio e garbanzos, una vecchia cappa bruna ed una chitarra ed il mondo girerà a loro piacere. Whashinton Irving, Racconti dell' Alhambra, Editorial Escudo de Oro, 1998. (questo testo che mi è stato portato in dono di viaggio da mio nipote, narra di un viaggio da Siviglia a Granata nell'anno 1829 compiuto dall'Autore con un amico, chiaramente con i mezzi dell'epoca. Apparentemente interessante ma alla fine vuoto narra, per inciso, le bellezze lasciate dalla dominazione araba a la Alhambra ed altrove. Per fortuna ci sono ottime foto. Non so cosa mi ha fatto andare così avanti nella lettura). Joseph Roth 237
Si può dire che sin dal 1900 questo “livello superiore” di ebrei tedeschi abbia in gran parte determinato, quando non dominato, la vita artistica della Germania. … Per quanto riguarda gli “Junker” prussiani, il mondo civilizzato è al corrente che sanno appena leggere e scrivere; uno dei loro rappresentanti, il Presidente del Reich Hinderburg, ha dichiarato pubblicamente di non aver mai letto un libro in vita sua. Tra l'altro, era proprio questa figura ingessata, già cecchissima sin da tempi della sua prima giovinezza, che i lavoratori, i socialdemocratici, i giornalisti, gli artisti, gli ebrei, idolatravano durante la guerra e che il popolo tedesco per ben due volte elesse a presidente del Reich. Un popolo che a capo dello Stato elegge un monumento prussiano che non ha mai letto un libro può essere molto lontano da bruciare egli stesso i libri? E i giornalisti ebrei, gli eruditi e i filosofi che elessero costui hanno veramente il diritto di lamentarsi per il rogo su cui ora ardono i nostri pensieri? … Solo gli ebrei tedeschi (medici, avvocati, piccoli imprenditori, proprietari di grandi magazzini, artigiano o fabbricanti) si interessavano di libri, teatro, musei, musica. Anche se talvolta cadevano in uno snobismo di cattivo gusto, sta di fatto che in tutta la Germania non si trovava nessuno in grado di correggerli o di aggiustare i loro errori. Riviste e giornali venivano editi da ebrei, pagati da ebrei e letti da ebrei! Un intero sciame di di critici e di interpreti intellettuali ebrei scopriva ed incoraggiava numerosi poeti, scrittori, attori “puramente ariani” … Per la prima volta dall'emancipazione, gli ebrei tedeschi sono oggetto di una persecuzione assassina, al cui confronto le persecuzioni del Medioevo si possono definire innocue, e al cui confronto i pogrom della Russia zarista e le manifestazioni antisemitiche della Polonia sono quasi prove di simpatia verso gli ebrei. Gli ebrei stabilitisi in Germania avevano concesso troppo credito morale ai tedeschi. Gli ebrei tendono a giudicare un popolo dai suoi rappresentanti più geniali. Gli ebrei, infatti, leggono volentieri. Sono il popolo dei libri. … E' commovente con quale fiducia spassionata questo popolo antico e scettico, che non aveva fiducia nel proprio profeta e che derise Gesù Cristo, senza approfondire, abbia dettato l'assioma: i tedeschi sono il popolo di Goethe, punto e basta. Persino gli stessi comandanti di armata, di limitata intelligenza nel vero senso della parola, che mai avevano letto un libro, acquisirono agli occhi degli ebrei il fulgore goethiano. Questa è la Germania. Gli ebrei non lo videro. Continuano a non vederlo. Incatenati da generazioni ai classici tedeschi, negli ultimi trent'anni anche al commercio tedesco, abili al guadagno e leali nel pagamento delle tasse, sicuramente speravano di poter passare con il tempo da marescialli a tenenti; il nobile spirito germanico non poteva di certo reprimere a lungo il riconoscimento. Folli ottimisti questi ebrei tedeschi! … Non è colpa loro. Il Messia si fa attendere a lungo, e come popolo bisogna assimilarsi alle forme nazionali degli altri. L'enorme tragedia degli ebrei non consiste solo nel fatto che vengono perseguitati, ma anche per il fatto che per il momento vedono solo una via di salvezza: diventare miseri come gli altri. Erano stati sparpagliati nel mondo per diffondere il nome di Dio. Invece hanno dimenticato Dio, e ora devono ritirarsi di nuovo in una nazionalità geograficamente limitata. In questo “ritorno” degli ebrei sta probabilmente una tragedia ancora più grande della loro dispersione. Hanno dimenticato che le nazioni moderne sono una moda di appena cento anni, conseguenza immediata dell'Illuminismo e delle scienze naturali, e altrettanto caduca come tutte le mode. … Non si può negare che gli ultimi roghi delle streghe siano avvenuti in Germania. Il ghetto degli ebrei tedeschi è stato soppresso dall'imperatore francese Napoleone. E non è un caso che l'unico elefante della storia nel negozio delle porcellane, cioè Martin Lutero, fosse un tedesco. Il suo successore o, per meglio dire, uno dei successori nel negozio delle porcellane, è Adolf Hitler. Non sono gli ebrei -come dice un motto spiritoso- da essere difficili da battezzare, ma i tedeschi. Non si chieda il perchè. Sembra essere un mistero di Dio (ne esistono tanti!). Gli ebrei tedeschi non ottennero la loro eguaglianza civile e umana dai tedeschi, ma dai francesi. Nonostante ciò gli ebrei hanno sempre difeso la Germania 238
contro il mondo cristiano-europeo rinnegando, in effetti, se stessi e lo hanno fatto con ogni mezzo: con la spada, il pennello, la penna e perfino con la chimica. In Germania gli ebrei erano ingegneri, piloti, scienziati, poeti, registi, attori, editori, giornalisti. In Germania gli ebrei hanno incoraggiato geni e talenti non ebrei. Gli ebrei hanno reso popolare Wagner. Gli ebrei hanno eletto Goethe a genio della nazione. Gli ebrei hanno reso comprensibile il romanticismo al resto d'Europa. … Gli ebrei sono folli se ora si presentano umilmente come vittime anziché come creditori. Nessun ebreo ceco, polacco o russo può paragonarsi ad uno tedesco. Nessuna nazione europea ha ottenuto tanto dagli ebrei; sì, ottenuto! Da sessant'anni gli ebrei tedeschi rappresentano il nome tedesco nel mondo. Certo che ci sono state delle eccezioni. Niente è più caratteristico del fatto che quasi ogni artista “ariano” importante della Germania era sospettato era sospettato di ebraismo.. Perchè, in questo paese di barbari chimici, chiunque si distinguesse nel regno dello spirito dava nell'occhio. … Sono ben lontano dall'essere un nemico dell'idea sionista. La definii tragica semplicemente perchè soffro al pensiero che un popolo, dal cui grembo è nato il “pensiero cosmopolita”, sia ora costretto a diventare una “misera” nazione con una “patria”. Capisco questa necessità. Ma la compiango. La compiango esattamente come compiango le altre nazioni, le altre patrie, le altre “zolle”. Desidererei che non ci fossero affatto patrie. Vorrei vedere su questo mondo nient'altro che un'unica patria, il Paese di Dio, padre di tutti noi, in cui ognuno possa, senza passaporto, senza nome, spostarsi o fermarsi come più desidera e come più corrisponde alla sua natura. … Ma è poi sufficiente per tutti gli ebrei? Questa patria non è forse sufficiente che per tre milioni di persone, secondo calcoli ottimistici. E non solo ce ne sono sedici al mondo, ma di questi sedici milioni , i due terzi non mira certo a una patria palestinese, bensì ad una “assimilazione” (limitata) nei paesi in cui vivono! In queste circostanze il sionismo è una reale soluzione al problema ebraico? … Non credo che Dio faccia vivere un popolo per 6.000 anni perchè alla fine ridiventi dopo aver ricevuto la Legge sul Sinai, una “nazione” che riceva leggi da un apprezzato professore universitario di giurisprudenza. La storia degli ebrei è così particolare che anche a un uomo che non fosse come me incline a creder al miracolo, dovrebbe apparire evidente il compito peculiare di questo popolo. … Agli occhi degli hitleriani pagani non solo gli ebrei, ma anche i cristiani sono figli di Israele, e ad ogni occhio lungimirante appare evidente che l'antisemitismo era un pretesto e che in realtà si tratta di anticristianesimo. Nel Terzo Reich si è cominciato con il boicottare i negozi ebraici semplicemente per procedere al boicottaggio delle chiese cristiane. Si è sputato sulla stella di Davide per attaccare la croce. C'era del sistema in questo metodo: era la teoria di Alfred Rosenberg, dall'autore del Ventesimo secolo, che sa bene -e lo dice anche- che la stella di David e la croce di Cristo sono imparentati tra loro, ma non la croce e la svastica. … Essi sono così! In Germania gli affari andavano bene, all'estero va peggio o meno bene, e quindi il senso per gli affari si mescola in modo singolare col patriottismo e lo spirito del commercio ha nostalgia di casa. Ogni emigrazione ha le sue manifestazioni ripugnanti. Ma qualcosa di più ripugnate di questi commercianti tedeschi. Nonostante tutta la loro nostalgia di casa comperano passaporti cubani, cittadinanze peruviane, e, mentre si preparano già a sottrarre le tasse alle nuove patrie, piangono lacrime tedesche sui nuovi passaporti e sulle carte di identità. Sono la feccia dell'emigrazione. Nuotano sulla superficie e dato che promettono ai Paesi che li ospitano di introdurre denaro, essi sono meno scomodi di proletari, dotti, artisti e scrittori. Joseph Roth, Das Autodafè des Geistes, Cahiers juifs, Parigi, settembre 1933 ed. Castelvecchi, 2013 (alla prima lettura mi era parso di cogliere una acuta analisi sull'atteggiamento degli ebrei in Germania ed una sorta di critica al loro comportamento, tale da provocare una reazione. In realtà non dice questo però sintetizza il quadro sociale ed economico della Germania a partire dal 1900. Amo molto questo Autore ma ignoravo che fosse riparato in Francia ed ivi avesse scritto in tedesco “La cripta dei
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cappuccini” e “Giobbe”. Così come ignoravo la morte avvenuta all'Ospedale dei Poveri nel 1939 all'età di 44 anni dopo soli 4 giorni di ricovero).
“Credo che il laicismo non sia che il rovescio di un eccesso di rispetto per la Chiesa, una specie di aspirazione perfezionistica, standone comodamente fuori” . Leonardo Sciascia, Toto modo Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Georges Orwell, La fattoria degli animali E, fantasticando su cosa lo attende dopo la morte conclude: “Non esiste nulla, nulla di certo, tranne la vanità di tutto ciò che io posso comprendere, e la grandezza di qualcosa che mi è incomprensibile, ed è più importante di tutto!” Lev Tolstoj, Guerra e pace Fra gente senza dignità, senza morale, senza ambizione, senza signorilità e senza rigore, fra gente sciatta, scortese e trasandata, non mi posso ambientare! Thomas Mann, I Buddenbrook Di lui Clarisse dice: “Ulrich fa sempre con la massima energia solo le cose che ritiene non necessarie”. Robert Musil, L'uomo senza qualità Sono sincera, ma non per questo devi credere che dica la verità.
Maria Luisa Spaziani
Quando di un lontano passato non rimane più nulla, dopo la morte delle creature, dopo la distruzione delle cose, soli e più fragili ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore rimangono ancora a lungo come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare -loro, goccioline quasi impalpabili- l'immenso edificio del ricordo. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Il Buce, il Bucio, il Somaro, lo Smargiasso mimpestato, la Testa di Moro in bombetta, l'Emiro con il fez, la Testa di Morto in stiffelius, il Merda. Le mandibole da sterratore analfabete del rachitoide acromegalico riempivano già l'Italia Illustrata; le dame già si strangullavano ne' su' singhiozzi venerei al''indirizzo der potenziatore d'Italia. Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (descrizione del Duce). Per me un uomo che abbia mai avuto un collaudo negativo non è un uomo, è come se fosse rimasto alla prima comunione. Primo Levi, La chiave a stella. Al mondo non c'è che una cosa peggiore del far parlare di sé: il non far parlare di sé / Nessuno può soffrire quelli fra i suoi simili che hanno gli stessi difetti. / Il valore di un'idea non ha nulla a che fare con la sincerità di chi la enuncia. E' probabile che meno l'individuo è sincero, tanto più pura sia la sua idea. / Sorridere è un buon sistema per iniziare un'amicizia, ed è certo il migliore per troncarla. / La sola differenza tra un capriccio e una passione eterna è questa: che il capriccio dura un po' più a lungo. / Oggi troppe persone muoiono per una infiltrazione progressiva di buon senso, e si accorgono troppo tardi che le sole cose che non si rimpiangono mai sono le 240
proprie pazzie. / E' doloroso pensarlo, ma il genio dura senz'altro più a lungo della bellezza / Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray Tutte le famiglie felici si assomigliano tra di loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Lev Tolstoj, Anna Karenina, incipit
Il viaggio perfetto è circolare. La gioia della partenza, la gioia del ritorno.
Dino Basili
-----------------------------Dunque, la giustizia altro non è che mercanzia a tutti vendibile e il cavaliere che siede sul seggio dà il suo voto a sentenze comprate. Nota 40 a pag. 152: Quartilla allude qui alla pratica della incubatio, che consisteva nel dormire all’interno del tempio di una divinità, in modo da conoscerne i responsi; in particolare, i malati dormivano nel tempio di Esculapio per conoscere, in sogno, i suggerimenti del dio atti a guarire la loro malattia (cfr. Plauto, Curc. 61-62) Nota mia: questa pratica è ancora presente, ad esempio, al Santuario di Notre Dame des Fontaines a Briga dove so per certo, per aver assistito alla trattativa, che nel 2004 ciò avveniva, nella fattispecie per favorire la fertilità di una ragazza. Comunque ha avuto un bel funerale, col suo letto mortuario addobbato con belle coperte. Ha avuto un compianto di prim’ordine –ne aveva messi in libertà un gran bel numero- anche se la moglie è stata avara di lacrime. Figuriamoci poi se non l’avesse trattata coi guanti bianchi! Ma una donna veramente donna è genia di avvoltoi. Non bisognerebbe mai fare del bene a nessuno; è come se tu, questo bene, lo buttassi nel pozzo. Ma l’amore, a lungo andare, è un cancro che consuma.
… è venuto su dalle due lire che aveva e sarebbe stato disposto a raccattare coi denti un centesimo dal letamaio. E così crebbe quel che crebbe, come un favo. Credo, per Ercole, che ne abbia lasciati centomila tondi tondi, e tutto in contanti. E tuttavia dirò le cose come stanno, perché ho mangiato la lingua di cane: fu un muso tosto, una mala lingua, la discordia in persona, non un uomo. Suo fratello sì che era forte, amico con gli amici, di mano pronta a dare, di tavola ricca. Petronio Arbitro, Satyricon, introd., traduz. e note di Andrea Aragosti, BUR Classici, 2009. ( ho letto con vero interesse la dotta introduzione al tema trattato, in particolare l’aspetto del contesto storico. Oltre a mangiate davvero pantagrueliche allestite con una fantasia straordinaria (un maiale arrosto servito a tavola senza che fosse stato eviscerato, convocato il cuoco e, denudatolo, percosso a nerbate: aprendo il ventre saltano fuori sanguinacci e salcicce in abbondanza) tutto l’insieme è davvero fastidioso, tanto è volgare. Petronio era al servizio di Nerone fin quando costui gli suggerì di suicidarsi: cosa che fece, lasciando però un libello contro l’imperatore. Evidenzia il testo la depravazione dei costumi, dei saperi, dei comportamenti di quella civiltà che ormai era compromessa e votata allo sfacelo. Sono arrivato al capoverso 89, davvero disgustato).
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Gli arrivisti sono agili come le scimmie: durante la scalata si ammira la loro destrezza. Una volta arrivati in cima, non se ne vedono che le parti vergognose. Honoré de Balzac, Il giglio nella valle
L’ignoranza è l’unica malattia dalla quale si può guarire.
Nei paesi la vita è sotto la cenere.
Piero Chiara, il piatto piange.
L’inchiostro dei sapienti è più prezioso del sangue dei martiri.
Ahimé, niente è perfetto…. Neppure le bugie.
Maometto
Multatuli, Pensieri, 1997
Se non sorge una nuova lode, si perde anche quella vecchia. Publilio Siro
Arrivando presso i Carnuti di cui Cesare ha dimostrato nei precedenti commentari che la guerra era incominciata presso di loro e segnalando che la loro inquietitudine era ancora viva perché avevano coscienza di quanto avevano compiuto, Cesare, al fine di liberare al più presto la città dal timore, invia al supplizio il principale colpevole e responsabile della guerra, Gutuater. … G. Cesare De bello gallico, VIII,38
LES DRUIDES, Christian J. Guyonvarc’h e Francoise Le Roux, ed. OuestFrance,1986 (in assoluto il libro più bello e documentato che abbia mai letto su questo tema: indubbiamente testo universitario non strettamente divulgativo. Parte da una analisi di tutti gli Autori che si sono occupati di questi sacerdoti: Giulio Cesare nel De bello Gallico VI,13 e in molte altre riprese; Diodoro Siculo, Histories V, 31, 2-5; Strabone, Géographie IV, 4; Pomponius Mela, De Corographia, III, 2,18; Lucano De bello civili, I, 454-462; Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, XVI, 249 e XXX,13; Ammiano Marcellino, XV,) ; oltre naturalmente Aristotele a più riprese. Analizza, tra le varie descrizioni, quali fossero le differenze o gli attributi tra Druido, Vate e Bardo. Il significato della parola Druido e la sua origine, la funzione del Druido nella società e come venisse reclutato ed istruito, il sacerdozio con tutte le sottospecificità, i sacrifici, la funzione di giudice, di ambasciatore, il medico, l’architetto, la guerra (in qualità di consigliere decisionista), i rapporti con il re (mai subordinato ma indispensabile, di fatto determinava la scelta del nuovo re), le tecniche rituali e magiche, il battesimo druidico, gli interdetti, i presagi e la divinazione, il giuramento, la medicina magica, il vischio, le piante medicinali, la fontana di sanità (ho annotato che esiste a monte di Elva in direzione del colle di Sampeyre un luogo così denominato ), le
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piante magiche (quercia, sorbo, nocciolo, melo e tasso), il potere del Druido sull’acqua, sul fuoco, sul vento, la terra, le tempeste, la pratica dei funerali. Prosegue il testo con l’analisi della predizione e della satira (intesa nel senso di composizioni poetiche apparentemente scherzose che avvertivano di un imminente condanna o esclusione sociale), le evocazioni dei morti, le foreste sacre, l’elencazione delle feste (sostanzialmente quattro, quasi solstiziali anticipate di circa 40 giorni e cioè: Imbolc il 1° febbraio; Beltaine il 1° maggio; Lugnasad, il 1° agosto, la festa del re, mezza estate con fiere, gare e giochi e soprattutto infinite bevute; Samain, il 1° novembre, la festa militare e di inizio ciclo-anno. Ma anche la scrittura ogamica con trascurabili e rare testimonianze, specie su lapidi mortuarie, e finalmente il discorso sulla metempsycosi e l’immortalità dell’anima che pare di origine avestica o comunque medio orientale, l’altro mondo cioé il Sid che immaginavano in lontane isole ad occidente se non addirittura in aree glaciali raggiungibile però unicamente in barca). Opera notevole, notevolissima che si basa sulle testimonianze degli Autori antichi citati e poi su testi irlandesi medievali che riportano miti e leggende. Anche il cristianesimo non è riuscito a coprire del tutto le credenze ad opera soprattutto di san Patrick e del suo successore san Colombano (morto nel 615 dopo aver fondato l’abazia di Bobbio). I testi letterari riportati in gran quantità sono davvero belli ed interessanti ma rappresentano senz’altro solo una parziale verosimile verità. Di certo i Druidi sono molto antichi avendo avuto rapporti di ambascerie con Alessandro Magno, avendo realizzato la il saccheggio del Tempio di Deli (più volte successivamente si pentono di questa azione), avendo saccheggiato Roma. In realtà non erano conquistatori nel comune intendimento del termine, cioè non volevano imporre il loro potere. La resa nei confronti di Roma è stata determinata, ad esempio, da un vaticinio di certo Diviziano che li ha indotti a farsi conquistare, dopo l’episodio di Alesia, difesa da Vercingetorice. La loro espansione andava dalla Gallia all’Irlanda, alla Gran Bretagna a tutta Germania renana, alla Svizzera (la famosa civiltà di Tene). Fin che un bel giorno, pacificamente e tutti d’accordo i quattro stati indipendenti ma strettamente vincolati tra di loro dalla forza dei Druidi, decisero di espandersi oltre alle Alpi dove fondarono Mediolanum ed occuparono tutta l’area cisalpina spingendosi sino a Bologna dove in età romana, il popolo era quello dei Boi. La cosa alquanto strana di questo bel testo è che non cita mai il concetto di bene/male, pio/empio, gioia/castigo ma ancor più strano non esiste riferimento alla moneta, al mercato mentre buoi, cavalli, materie prime e lavorate (soprattutto il ferro di cui erano veri maestri) e schiavi circolavano intensamente. Comunque molto, molto bello.
Bermann Roland
VIERGES NOIRES
Per meglio comprendere il perché delle Vergini Nere nel contesto umano dei tempi focalizziamo qualche istante il piano storico. Bisogna ricordare che nel VII° secolo, l’Europa era sommersa nelle invasioni barbare e solo gli ordini monastici mantennero i nostri usi e restarono depositari dei saperi e delle conoscenze accumulate. Gli ordini monastici erano divenuti praticamente i soli depositari e guardiani delle tradizioni e dei segreti dei costruttori ed era solo nei loro monasteri che aveva trovato rifugio la fiamma delle arti e delle scienze. Il periodo che va dal X° al XIII° secolo rappresenta una qualche sorta di nuova civilizzazione che nacque poco dopo la notte frusta e brutale dell’alto Medio Evo così sconvolto per la distruzione di tutta la natura. E’ l’epoca in cui la Francia incomincia a ricoprirsi dei meravigliosi gioielli di pietra delle cattedrali, è l’epoca in cui le confraternite dei maestri muratori, dei tagliatori di pietre, di scultori e di operai molto qualificati, giocano pienamente il loro ruolo dispensando nel loro seno un insegnamento che era a tutti gli effetti un mestiere, di tradizione e 243
spirituale. Queste confraternite si stabilirono in franchigia sulle terre della chiesa e godettero di grande libertà ed autonomia. .. Delle incisioni e delle pitture li mostrano, muniti dei cinque utensili tradizionali, mettersi nelle mani del Grande Maestro degli Ospedalieri a Rodi. … L’arte sacra non è quindi a nessun titolo espressione della psicologia individuale dell’artista e delle sue fantasie più o meno patologiche. Le statue delle Vergini Nere appartengono senza ombra di dubbio a questa arte. Questa è una prima risposta al “perché” di queste statue. … Senza dettagliare all’estremo le somiglianze e le similitudini delle statue, noi possiamo facilmente distinguere un minimo di dodici punti comuni essenziali, a partire, ben certo, dal colore nero. … 1 il primo punto, di certo il più evidente e dettaglieremo nei capitoli seguenti, è che tutte le statue, con rarissime eccezioni, rispondono al tipo di Vergine in Maestà. … 2 tutte le statue autentiche compaiono tra il x° e il XIII° secolo. E’ una durata relativamente corta che corrisponde al momento della frattura della società medievale. … Le nostre statue appartengono al periodo medievale tipico di una vita spirituale grande ed intensa. 3 nelle statue l’accento è posto sulla Vergine, il Cristo sulle sue ginocchia appare in secondo piano, meno curato nei dettagli e nelle finiture. 4 sono tutte in legno, mai in pietra, possibilmente in legno di quercia. La pittura è applicata con la tecnica della incollatura. 5 i colori usati sono sempre gli stessi: nero per il viso e le mani, rosso, blu e verde sui vestimenti ed accessori. 6 le statue sono pressocchè sempre delle stesse dimensioni (cm.70 di altezza e 30x30 il piedistallo) (qui fa un’ampia disquisizione sul rapporto 7 : 3). 7 l’impressione di fecondità nella postura del bambino su/sulle ginocchio/ia e non come nella statuaria classica dove è tenuto su un braccio (nota: le mani della Vergine non toccano quasi mai il bambino). 8 sulle statue più antiche e quindi più verosimilmente autentiche, il Cristo insegna, cioè la postura delle mani è quella di chi declama. Lo sguardo della Vergine e del Cristo è fisso e guarda lontano, in avanti. 9 tutti i santuari sono piazzati in luoghi di culto precristiani, sono sempre in vicinanza di una pietra ritta, di una sorgente o di un pozzo sacro frequentato da molte generazioni. Verosimilmente c’è una successione del culto della Vergine al culto estremamente antichi della Terra Madre ovvero di divinità femminili. 10 il loro posto originale era sempre nella cripta in una situazione di penombra. La cripta o la caverna richiamano anche l’utero ( della terra). 11 le leggende sulla istituzione della Vergine Nera fanno sempre riferimento ad una origine orientale del culto: o lo sfuggire ad un sovrano arabo o il voto di un crociato 244
scampato da un grave pericolo o il fatto che la statua non sia opera delle mani di un uomo. Questa origine orientale si apprende dall’espressione del volto della Vergine, dal taglio degli occhi della, a volte, perenne magrezza del corpo. L’analisi dei miracoli (ricostruiti dai registri parrocchiali) sono di triplice natura. I primi sono relativi alla resurrezione temporanea di bambini ; i secondi narrano di liberazione ovvero riscatto di prigionieri, di persone nascoste in grave pericolo e comunque di fuga dall’angoscia se non dalla disperazione implicanti improvvise conversioni. Il terzo gruppo corrisponde a naviganti sorpresi da immani tragedie atmosferiche: si trovano salvi in un porto o trasportati in luoghi sopraelevati. 12 sono sempre presenti dei benedettini, dei cistercensi, degli ospitalieri o dei templari e comunque tutti i santuari sono allocati su vie di grande comunicazione da e verso i luoghi sacri.
Non è senza ragione che Dante prende come guida per la parte terminale del suo viaggio celeste San Bernardo (paradiso XXX) che aveva redatto la regola dei Templari e ciò ad indicare che solo suo tramite, stante la condizione propria dell’epoca, avrebbe potuto accedere al supremo grado della gerarchia spirituale.
Il Cristo è generalmente meno finemente scolpito, meno fine, quasi a sottolineare che bisogna, nel santuario passare dapprima dalla Vergine per accedere a lui. Sulle statue più antiche il viso esprime nettamente l’impressione di una età nettamente più avanzata di quella di un bambino. Ciò tende ad accostarsi alla tradizione ortodossa orientale. … in tutte le statue della Vergine che rappresentano questa tradizione, l’infante non è un ponpom (fantaccino) che la mamma trastulla o vezzeggia o accarezza o tiene contro il suo seno. Il Cristo è certo un bambino (anche per la proporzione con la madre) ma un bambino dotato di una personalità ben precisa ed autonoma … La sfera della Creazione alla quale è dedicato il colore verde, la sfera della Saggezza il cui colore è il blu e la sfera d’ Amore il cui colore è il rosso. … Ma per i Padri della Chiesa il verde è attribuito alla virtù teologale della Speranza …. Il blu è sovente collegato nelle Scritture con lo Zaffiro, una delle pietre utilizzata nella fondazione della Gerusalemme celeste ed è attribuito al trono della Gloria divina e al trono della Saggezza. …. Il fuoco e il rosso sono, nelle Scritture, rapportati all’Amore divino.
… (una lunga dissertazione sul rapporto 7:3 svolta soprattutto sulla Kabbala. Libro della Sapienza, 11,21 : tu hai disposto tutto con misura, calcolo, peso). Il tutto si ricollega all’Albero della Vita che, secondo l’Autore sarebbe meglio definire con “ Albero dei Viventi”.
… In merito alla nascita o all’inizio del culto della Vergine Nera si possono distinguere diversi cicli: il primo: di origine angelica per cui la statua è stata portata miracolosamente nel suo oratorio ed è il caso di Ferrières e di Boulogne sur Mer dove è stata una barca miracolosa che ha portato la statua scolpita da san Luca. Il secondo 245
ciclo è quello pre-cristiano in cui la statua è stata scolpita da entità non note come profezia su quello che diventerà quel sito; è il caso di una delle tante leggende di Chartres mentre quella di Nostra Signora di Le Puy sarebbe stata scolpita dal profeta Geremia e portata in occidente dai Crociati. Il terzo ciclo è quello apostolico e le statue sarebbero state scolpite da apostoli o comunque loro contemporanei; per esempio a Rocamadour sarebbe stato Zaccheo. Il quarto ciclo è quello carolingio in quanto lo stesso re ha costruito molte chiese e monasteri che ornava di reliquie e di statue. Il quinto ciclo è strettamente legato alle crociate ed al Protettorato Franco sui luoghi santi. Le prime Vergini Nere di cui si ha nozione sono state trovate nelle città di provenienza dei capi militari impegnati nella conquista della Terrasanta.
… Cantico dei Cantici: è su questo testo che si basa la maggior forza ed attendibilità dell’origine delle Vergini Nere. Infatti in I, 5-6 : “Io sono nera e pertanto bella, figlie di Gerusalemme, come le tende di Qedar, come i padiglioni di Salma. Non diffidate della mia tinta abbronzata: è il sole che mi ha bruciata”.
Réalités et mystrères des VIERGES NOIRES, 2000
Roland Bermann, ed. Derby,
( Gran bel libro che mi ha molto coinvolto: intanto il fenomeno nasce intorno al X secolo quando si intensificarono i contatti con il vicino Oriente, come ben illustrato nel testo, così come è bel definito chi sarebbe stato il promotore di questo culto. Nelle aree di pertinenza, tutte a forte presenza di Templari, grosso modo la Francia centrale e soprattutto quella meridionale con sfasature in Spagna e in Italia è avvenuta la maggior diffusione. Dice il testo che nel 1880 si contavano in Francia 180 Madonne Nere. Forse non è rimasta neanche una statua originaria o perché dispersa o perché i fatti posteriori alla Rivoluzione ne hanno fatto strage. Si ricorda che della Madonna Nera di Le Puy esiste una precisa relazione sulle forme e fattezza tale da permettere, dopo il 1794, la attendibile ricostruzione. Si dice anche che l’originale fu bruciata nel forno di un fornaio e che dalla schiena esplose un corpo estraneo: infatti le Madonne Nere erano dei reliquari. La Madonna di Monserrat venne manomessa sostituendo l’immagine del Bambino. Ho visitato le più famose e cioè quella di Chartres e quella di Le Puy. Mi manca quella di Rocamadour ma, a Dio piacendo, ci andrò la prossima estate in moto. Quella più vicina noi è a Madonne de Fenetre cioè a monte di St. Martin Vesubie. Si narra che nel 1500 un gruppo di ragazzi di Entracque la sottrassero portandola nella propria chiesa. Dopo non poche vicissitudini e con l’intervento delle rispettive nunziature, fu ri- portata in processione alla dimora originaria attraverso il colle delle Finestre. Notevole anche quella (copia) di Becetto, Sampeyre. (vedi scheda più avanti). Ricordo che molti anni fa in una chiesa della Francia centrale, penso in Auvergne, avevo visto e fotografato una magnifica statua della Vergine Nera (evidentemente una copia perchè era su un altare laterale senza alcuna protezione) il cui infante delle proporzioni esatte di un bebè, aveva la testa grossa, i capelli neri ben tagliati da una riga laterale, una barba ispida e dei baffi folti e molto evidenti).
Cattedrale di Chartres
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…Maurice Erwin Guignard ha raccontato nel n. 320 della rivista Atlantis di maggiogiugno 1982, che era penetrato con difficoltà in un sotterraneo dimenticato, partendo dal sottosuolo del vecchio immobile delle imposte dirette. A suo dire questo sotterraneo l’ha condotto direttamente in una sala , dove dodidi menhir sono incastrati. Precisa inoltre che questo accesso gli era stato segnalato dalla propria madre che già vi si era persa nel condotto adducente alla cripta nell’anno 1897. Nel 1957 l’accesso fu definitivamente occluso. …Altro fatto strabiliante: al di fuori dello jubè e la Vergine Bianca del XVIII° secolo, (Vierge du Pilier)non esiste alcuna scultura all’interno della cattedrale. Tutto l’insegnamento storico e simbolico si trova all’esterno, più particolarmente, nei portici e nei portali. … Dunque noi abbiamo un labirinto che potrebbe essere paragonato ad una bobina fatta di una serie di spire conduttrici. L’energia elettromagnetica è generata dal sistema Cosmo-Tellurico.
LE GRAND LIVRE ALCHIMIQUE ET ESOTERIQUE DE LA CATHEDRAL DE CHARTRES, Cristine Dechartres. Groupe CCEE, 2012. ( libro davvero straordinario scritto sotto forma di dialogo tra discente ed allieva nel corso di una visita all’interno ed all’esterno della Cattedrale. Ed è per questo che non ho potuto qui riportare i concetti espressi. Parte da una considerazione sull’ Asino che suona la Lyra, tratto dalla favola di Fedro e si chiede: “Sarò io l’asino con la lira, così stupida ed incapace di capire l’opera del grande sapere rappresentato da questa cattedrale?” Fa un breve excursus storico per illustrare la differenza dei due campanili rappresentanti l’aspetto maschile e femminile con i due emblemi sulla guglia estrema. Esamina ed illustra tutti i portali specificando il segno palese ed occulto delle singole rappresentazioni. Per illustrare le sette arti liberali indica un verso mnemonico che dice: “Grammatica parla, Dialettica insegna le parole, Retorica colora le parole, Musica canta, Aritmetica numera, Geometria soppesa, Astronomia illustra gli astri”; alle sette arti sono abbinati i personaggi di Donato, Aristotele, Cicerone, Pitagora, Boezio, Euclide e Tolomeo. Si addentra poi nei segni zodiacali e i lavori stagionali ad essi collegati. Dimostra come la Detractys sia rappresentata nel timpano del portale dell’Ascensione sulla verticale del quale sta il segno del Kether= Corona cabalistica. Finito l’esame dell’esterno si introduce nella cattedrale e visualizza il fiume sotterraneo ma anche le molteplici correnti telluriche ed astrali. Dimostra come la disposizione dei pilastri disegnino il simbolo cabalistico dell’albero della Vita con riferimento ai vari “sentieri” di collegamento, ai colori ed ai pianeti di riferimento. Si passa ad illustrare in modo sorprendente il significato recondito del Labirinto. Conclude il ragionamento iniziatico con il concetto di costruire il nostro Tempio interiore. E racconta succintamente il contenuto del Libro di Giobbe (il Diavolo colloquiando con Dio dice che sulla terra non esiste un solo uomo a Lui assolutamente fedele. Dio menziona Giobbe ma il Diavolo dice che è troppo facile avendo egli una moglie fedele , una molteplicità di figli, armenti e beni in abbondanza e lo sfida a metterlo alla prova. Com’è noto cade in disgrazia e in malattia, la pelle si desquama, i suoi amici lo inducono a bestemmiare il nome di Dio. Ma ciò non succede) Tutto ciò dicendo esce dalla cattedrale e al portale occidentale indica un cul-de-lampe, cioè il basamento che sorregge una statua che rammostra uno strano soggetto che pone mattoni per la costruzione del proprio tempio interiore al di sopra del quale sta Giobbe su un “tas de fumier” (bella espressione che indica un mucchio di letame che per l’appunto fuma) e il libro termina con questo dialogo maestra-allieva : -Cos’è che tu sei disposta a perdere?-. -come Giobbe sono disposta a tutto perdere-. –Ricordi cosa dicemmo commentando la statua della Grammatica cioè che indicava il nostro passaggio al mondo della Luna? : noi dobbiamo spogliarci di tutto ai piedi dell’Albero della Vita, allo scopo di avere uno sguardo nuovo sulle cose-).
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Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi, Salani Editore, 2010 (testo brevissimo Che non rappresenta neanche un racconto breve, piuttosto un pensiero. Però bello ed intenso, etereo e poetico. Conosco Manosque dove nacque e mori l’Autore: un posto talmente bello e paradisiaco della Provenza che ci si annoia. Bella la nota di Leopoldo Carra)
Abiura di Galileo Galilei Io Galileo, fu Vincenzo Galilei, fiorentino, di anni 70, personalmente costituito in giudizio e inginocchiato davanti a voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali Inquisitori generali in tutta la Repubblica Cristiana contro la malvagità eretica; avendo davanti agli occhi i santi Vangeli, su cui poso le mani, giuro che ho sempre creduto, credo e con l'aiuto divino crederò per l'avvenire tutto ciò che accoglie, predica e insegna la Santa Chiesa Cattolica e Apostolica. Ma poiché questo Sant'Uffizio, per avere io, dopo essermi stato formalmente intimato con un precetto dello stesso di abbandonare completamente la falsa teoria che il Sole è centro del mondo e non si muove e la Terra non è centro del mondo e si muove, e di non mantenere, difendere ne insegnare in qualunque modo, ne a parole ne per iscritto, la suddetta falsa dottrina, e dopo essermi stato notificato che tale dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro in cui ne parlo pur essendo già stata condannata e porto argomenti efficaci a suo favore, senza prendere netta posizione, mi ha giudicato veramente sospetto di eresia, cioè di aver tenuto fermo e creduto che il Sole è centro del mondo e immobile e la Terra non ne è il centro e si muove, volendo cancellare dalla mente delle Vostre Eminenze e da quella di ogni cristiano questo grave sospetto, giustamente concepito contro di me, con cuore sincero e autentica fede abiuro, maledico e detesto i suddetti errori ed eresie e in generale ogni qualunque altro errore, eresia o setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più ne asserirò, ne a parole ne per iscritto, cose tali per cui possa rinascere su di me un tale sospetto, ma se m'imbatterò in qualche eretico o sospetto d'eresia, lo denuncerò a questo Sant'Uffizio, ovvero all'Inquisitore o Ordinario del luogo dove dovessi trovarmi. Giuro altresì e prometto di adempiere e osservare interamente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno inflitte da questo Sant'Uffizio e che se, Dio non voglia, dovessi contravvenire in qualche modo alle mie promesse o ai miei giuramenti, mi sottometterò a tutte le pene e castighi previsti dal diritto canonico e dalle altre disposizioni generali e particolari previste e promulgate contro questi reati. Mi possano in ciò aiutare Dio e i suoi santi Vangeli, su cui poso le mani. Io, suddetto Galileo Galilei, ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obbligato come sopra; e in fede della verità ho firmato di mio pugno il presente documento d'abiura e l'ho recitato parola per parola, a Roma, nel convento di S. Maria sopra Minerva, oggi, 22 giugno 1633.
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Io, Galileo Galilei, ho sottoscritto la suddetta abiura, di mio pugno. I pronomi sono i pidocchi del pensiero. C. Emilio Gadda, La cognizione del dolore. Mi piaci quando taci (testo magnifico)
Pablo Neruda
Jacques Rolland, Des Templiers à la Franc-Maconnerie, Enquete sur une filiation, Ed. TrajectoirE, 2011 (testo interessante ma, tutto sommato, superficiale, nel senso che non dice nulla di nuovo. Alcuni riferimenti, se veri, sono interessanti come, ad esmpio, che nel 1140 i Cistercensi erano sessantamila, sparsi in 350 conventi; che i Templari gestissero duemila ettari di terra in Francia e seisette mila in Oriente; che le persone gravitanti intorno ai Templeri erano trentamila. Con un certo sforzo cerca di dimostrare la successione dai Templari alla Massoneria inserendo i Rosa +Croce ma c’è pur sempre un buco di due secoli. Bello ma non eccelso questo testo).
O figlie di Jerusalèm / come le tende di Qedàr io sono scura/ eppure desiderabile / come i tappeti di Salomone / Non mi guardate male così annerita / il sole mi ha bruciata . (Cantico dei Cantici, I, 5,6) … Per la volontà dell’insieme della Scrittura, che è un potere divino, di emanazione divina, il Cantico una volta introdotto nel canone è stato incaricato di significare tutto l’amore possibile, assunti come segni una coppia umana. Non si aspettava, ameno che non l’avessero informato indovini, un simile triregno. Era come la regina Ester, lentamente dal sottoscala di un ghetto fatta per simpati di un capo eunuco imperatrice di Persia. La sua origine era modesta, due pietre ostetriche nella polvere di Canaan, trombette di zingari semiti, una pianola di Ugarit, qualche tamburello di Sulamite vaganti, per il piacere di un cerchio di occhi brillanti e di un palanchino satrapico fermo: così nacque il santo dei santi, il testo contaminatore di mani, in un rigagnolo d’Oriente, dove l’esaurimento mentale del tempo vorrebbe ricacciarlo per punirlo del suo destino strano di messianica gloria. Ma la Scrittura è potente, la sua frustata magica trasforma il Cantico in una specie di onnipotenza. Che cosa diventa la donna del Cantico dopo giorni, giorni, giorni di maquillage palingenetico nelle stanze delle concubine del re di Persia? … Una sola parola, tàar,
indica rasoio e vagina, che in linguaggio biblico non ha valore
anatomico ma contiene quello essenziale (che rende molto pregnante il nostro traslato) di ricettacolo di spade. Il rasoio e il suo astucci sono indicati dalla stessa parola, come per dire che il quel scatolino tranquillo si nasconde una presenza tagliente (questo è il sacro: un vuoto tagliente). Il Cantico, nella sua forma ideale, è la figura di quel vuoto anatomico da lodare e da trafiggere e di quell’astuccio tagliente, che sono figure del luogo santissimo del Tempio, una stanza vuota come la più vuota delle stanze vuote; il suo retrobottega invisibile è
la nudità
innominata, il rasoio silenzioso della carne (la qinàh è rasoio delle ossa), figura della Presenza divina, che si rivela nella distruzione. Il Cantico e il Tempio sono due santità parallele, identiche nel vuoto e nella Presenza invisibile.
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…A un re dell’ Oriente, quando aveva desiderio di una nuova concubina, erano mandate alla corte da ogni suo dipartimento sei Sulamite di sedici anni. Ciascuna vestiva
un pesante
tessuto di cotone. Poi tutte danzavano sotto un sole feroce. I vestiti, impregnati di sudore, erano portati al re che faceva la sua scelta con i soli occhi del suo odorato. La simpatia nasce e si sviluppa nell’umidità. Senza Libano di acque, niente amore del re. Mentre nel suo Divano è il re / Il mio nardo manda il suo odore / e il mio sacchetto di mirra l’amico mio /pernotta tra i miei seni.
Cantico, I 12,13.
… E tuttavia è per avere alluso alla nudità come a segno e a strumento di rivelazione che il Cantico è stato assunto in gloria dai Ketubim e il mondo intero non vale il giorno in cui il Cantico fu dato a Israele. Ala di là delle rose di Astarte del Cantico si modulano all’infinito altri roseti, perché la verità erotica è emanazione della verità infinita, e il suo grande momento gnostico è la visione del niente che è la nudità rivelata, in cui consiste tutta la rivelazione del Cantico. Un testo erotico che non ha per fine di guidare al piacere, tolto al Bet-hammishtèh per essere dichiarato santissimo, non si ferma alla nudità formale nel suo movimento allusivo: poiché è santissimo alla sua scoperta della stanza vuota deve seguire una moltiplicazione infinita di stanze vuote, fino al vuoto del trono di Dio, poiché l’allusione positiva alla nudità umana è l’allusione negativa all’infinità divina. … Manca il male nel Cantico. Il Male come principio positivo, demiurgo oscuro, contrario, contesa, pericolo, mescolanza, perdizione, avversario, tenebra, morte.
Guido Ceronetti (a cura di) Il Cantico dei Cantici, traduzione e commenti. Ed. Adelphi, 1975 (da più di quarant’anni seguo, ammiro,apprezzo ed amo questo Autore. Da sempre mi si pone il problema se l’imbecille sono io che non capisco
o lui che scrive cose impossibili a decifrare: i
brevi brani che precedono lo dimostrano. Avevo questo testo da sempre ma, non avendolo più trovato l’ho comperato e scopro che dal 1975 a giugno 2011 sono state fatte 11 edizioni: vuol dire che sono in buona compagnia. Mi interessava la traduzione del passo relativo alla Sulamita (I, 5,6) da confrontare con il testo letto recentemente sulle Vierges Noires: sono sostanzialmente identiche. Manca però un commento dell’Autore. L’ho riletto con piacere ed entusiasmo ma alla fine devo ammettere la mia somma ignoranza: evviva). --------
Non siamo teologi ma economisti
e studiosi di scienze economiche e sociali, e così
sperimentiamo la sofferenza di dover entrare in ambiti disciplinari e culturali che possediamo solo con fatica e sempre come ospiti e passeggeri (ma non turisti). Impervia poi perché parlare di spiritualità, o persino di teologia, nel contesto culturale e distratto dell’oggi, rischia di far collocare questo piccolo libro nello scaffale delle opere dei buoni sentimenti, delle utopie inutili, delle parole senza significato serio, del carino e dell’innocuo. Uno dei guai più seri della nostra civiltà consiste, infatti, nell’aver deciso che la vita spirituale fosse una faccenda per “addetti ai lavori” (quali sarebbero poi questi addetti? I preti le suore o chi?).
Luigino Bruni , Alessandra Smerilli, Gratuità e mercati, ed. Città Nuova, 2014 (libriccino del tutto inutile ed incomprensibile: il brano succitato era stato da me annotato a margina con
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la scritta “proprio così”. Il Bruni lo conosco e lo frequento da molto tempo e ho quasi sempre condiviso le sue proposizioni vertenti sulla gratuità. Insegnava un tempo alla Bicocca ed ero entrato in corrispondenza, intorno al 2002. Adesso scrive sovente su L’Avvenire ed ha preso come co-Autrice la Smerilli che è una suora che insegna presso un pontificia facoltà. Analizza il concetto di carisma soprattutto sotto il profilo teologico (o curiale- pretesco) ed arriva ad affermare che Francesco aveva un carisma mentre Michelangelo solo un grande intuito o dono naturale. Acqua fresca, avessero evitato di pubblicarlo….)
Marco Aime, Stefano Allovio, Pier Paolo Viazzo, Sapersi muovere, pastori transumanti di Roaschia, ed. Melteni, 2001 (Libro davvero interessante di cui avevo già sentito parlare. Conoscevo anche la materia ma questo testo, redatto in modo scientifico da etnografi e sociologi, è stato illuminante. Parla della vicenda davvero straordinaria ed eccezionale di Roaschia dove ci si sposava sempre tra gli stessi (interessante una tesi di laurea in biologia di tale Donatella Revello degli anni 80 che aveva dimostrato come la “razza” non fosse stata contaminata da agenti esterni con un assolutamente raro isolamento genetico) dove la differenza sociale più importante era tra Pastori = gratta e Contadini = uvernenc con proporzioni dal 33% al 41% peri censimenti del 1911 e del 1951 per i primi e del 56% e 46% per i secondi. I cognomi sono sempre gli stessi (Barale, Fantino, Ghibaudo, Giraudo e Viale come appare in un giuramento del 1284 prestato al Marchese di Saluzzo, sono rimasti tali sino ad oggi) tale da implicare sempre l’uso di uno stranome. Interessante l’analisi dei periodi delle nozze (con scarsissimo interscambio tra le due categorie) e quindi delle nascite dei bambini, delle risse alle feste patronali del 20 agosto periodo in cui le due fattispecie abitavano la villa e mille altre argute osservazioni di carattere demografico, culturale e sociale. In estrema sintesi la vita dei pastori era questa: nel mese di settembre, celebrati i matrimoni, ogni famiglia partiva con il proprio armento di 100-130 animali e, costeggiando la Stura, arrivavano sino a Tortona da dove ancora si dividevano verso il Monferrato o la Lomellina o l’Emilia: con l’aiuto di molti cani percorrevano strade minori “rubando” da cui il soprannome gratta fieno, erbe, pali delle vigne etc. I contadini correvano loro dietro e per consuetudine non potevano fermarsi nello stesso luogo per più di una notte, salvo l’intervento dei carabinieri. Avevano un carro chiamato cartoun sul quale viaggiavano le donne, spesso puerpere in quel periodo, le masserizie, gli attrezzi di lavoro per il formaggio, gli agnellini nati nel frattempo. Girovagavano sino a San Martino quando approdavano nei poderi frequentati da tempo immemore dove venivano ospitati in stalle dotate di paglia e da un tavolato per i cristiani. L’unico alimento era la polenta con il latte. La merce di scambio era il letame che le bestie producevano ed il fieno che il contadino dava loro a credito sino alla partenza primaverile laddove con la vendita della lana (poco pregiata) e degli agnellini, realizzavano i ricavi monetari. In qualunque posto si trovassero erano sempre in contatto tra loro ed i luoghi di ritrovo (osterie) ricevevano dai comuni montani i tilet cioè i manifesti per il bando dei pascoli estivi.. Quel poco formaggio prodotto in questo periodo veniva venduto dalle ragazze che accedevano ai villaggi vicini oppure ceduto a commercianti (sempre roaschini) che lo ricevevano o per corriere o per ferrovia ed il cui pagamento avveniva all’inizio dell’estate. Durante il soggiorno in cascina i bambini andavano , qualche volta, a scuola nei villaggi viciniori: ma la vera scuola era estiva nella villa di Roaschia. ( per inciso, Roaschia aveva 42 frazioni e se ad inizio ‘900 contava quasi 3mila abitanti adesso
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ne ha 80, tutti vecchi). Il ritorno primaverile era più veloce: ma solo due famiglie potevano sfruttare i pascoli di Roaschia (poca erba e non buona per le pecore) mentre tutte le altre famiglie si sparpagliavano su tutto l’arco alpino. (tornando una volta in macchina dal colle del Moncenisio il mio compagno di viaggio ebbe a dirmi che per molti anni aveva frequentato una vallata collaterale). Però le donne ed i bambini andavano alla villa: questo era il periodo più brutto della famiglia in quanto di fatto era separata. Gli uomini all’alpeggio in totale solitudine salvo il trovarsi a Roaschia alla festa patronale di San Bernardo dove avvenivano delle epiche bevute: il governo delle bestie era affidato ai “garzoni” o alle “servente” (molto interessante una tabella che dimostra la frequenza, per età, di questa mansione subordinata che andava dai 10-15 anni ai 55-59) Altra interessante e curiosa annotazione è quella relativa all’apertura di “latterie” a Torino, Alessandria, Pavia, Milano, Savona, Nizza da parte di donne roaschine che anche in questo caso si sposavano con uomini della medesima origine: qualche volta succedeva, in questo caso, che le categorie di gratta o di uvernenc si mescolassero. Questo disegno si è rotto negli anni 60 quando la “chimica” fece venir meno l’utilità del letame delle pecore e l’apertura della Michelin a Cuneo attrasse molti uomini ad un lavoro stanziale e stabile. Comunque il giudizio finale su questo testo è ottimo).
Jean Jacques Rousseau, Confessioni … Ma per quanto il signor De Pontverre fosse un brav’uomo, non era certamente un uomo virtuoso. Anzie era un devoto che non conosceva altra virtù se non quella di adorare le immagini e recitare il rosario; una specie di missionario che non immaginava nulla di meglio per il bene della fede che scriver libelli contro i ministri di Ginevra. Lungi dal pensare di rimandarmi a casa,
approfittò del mio desiderio di di allontanarmene per mettermi
nell’impossibilità di ritornarvi quand’anche me ne fosse venuta la voglia. C’era tutto da scommettere che mi avrebbe mandato a morir di miseria o a diventare un fannullone. Ma non era questo che vedeva lui: vedeva un’anima strappata all’eresia e ricondotta alla Chiesa. Onest’ uomo o fannullone, che importava pur che andassi a messa? Non bisogna credere, del resto, che questo modo di pensare sia particolare dei cattolici; è quello di ogni religione dogmatica il cui l’essenziale non consiste nel fare , ma nel credere. (1728) … Questa condotta di mio padre di cui ho conosciuto così bene la tenerezza e la virtù mi ha spinto a riflessioni su me stesso, che non hanno poco contribuito a mantenermi sano di cuore. Ne ho ricavato questa grande massima di morale, la sola forse applicabile in pratica: di evitare le situazioni che mettono i nostri doveri in contrasto con i nostri interessi, e che ci mostrano il nostro bene nel male altrui, certo che, in tali situazioni, per quanto sia sincero l’amore che si ha per la virtù, presto o tardi ci si indebolisce senza accorgersene e si diventa ingiusti e cattivi nel fatto, senza aver cessato di essere giusti e buoni nell’anima. ... … Non trovarono dunque in me tutta la facilità che si aspettavano, né dal lato del lume della fede né dal lato della volontà. I protestanti sono in genere più istruiti dei cattolici; così deve essere: la dottrina degli uni esige
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la discussione, quella degli altri la sottomissione. Il cattolico deve adottare la risoluzione che gli si pone, il protestante deve imparare a risolversi. (qui Rousseau mente in quanto dopo questo lungo tirocinio di istruzione al cattolicesimo viene condotto in solenne processione al Duomo di Torino in data 23 aprile 1728, all’età di 16 anni, e ricevette il battesimo, come risulta dai registri. Gli diedero poi una piccola dotazione di denaro e cacciato fuori, al suo destino) ….Essendo venuto il tempo delle ordinazioni, il signor Gatier se ne tornò come diacono nella sua provincia. Portò con sé i primi rimpianti, i primi affetti e la mia riconoscenza. Formulai per lui auguri che non sono stati esauditi più di quelli che ho fatto a mio stesso.. Alcuni anni dopo appresi che, essendo vicario di una parrocchia, avendo avuto un figlio da una ragazza, la sola della quale, nel suo cuore tenerissimo, fosse mai stato innamorato. Fu uno scandalo spaventoso in una diocesi amministrata con molta severità. I preti, per buona regola, debbono fare figli solo con donne sposate. Per essere venuto meno a questa legge di convenienza, fu messo in prigione, infamato e scacciato. Non so se poi egli abbia potuto sistemare i suoi affari; ma il sentimento del suo infortunio, profondamente impresso nel mio cuore, mi tornò in mente quando scrissi l’Emilio, e riunendo il signor Gatier e il signor Gaime , feci di questi due degni preti l’originale del Vicario Savoiardo. Mi lusingo che l’imitazione non abbia disonorato i suoi modelli. … (1748) Mi ci applicai risolutamente, senza il minimo scrupolo ed il solo che dovetti vincere fu quello di Thérèse con la quale dovetti faticare all’estremo per farle adottare quell’unico mezzo di salvare il suo onore. Poiché sua madre, che temeva perdipiù un nuovo fastidio di marmaglia, era venuta al miuo coccorso, ella si lasciò prudente e fidata,
vincere. Fu scelta una levatrice
la signorina Gouin, che abitava alla punta Sant’Eustache, per affidarle il
compito del deposito e, venuto il tempo, Thérèse fu condotta da sua madre presso la Gouin per partorirvi. Andai a trovarla più volte le portai una cifra che avevo disegnato in doppio su due fogli uno dei quali fu messo nelle fasce del bimbo,
che fu deposto dalla levatrice all’ufficio
dell’Ospizio dei Trovatelli nella forma consueta. L’anno seguente vi fu lo stesso inconveniente e lo stesso espediente, ad eccezione della cifra che fu trascurata. Non ci fu maggior riflessione da parte mia, né maggior approvazione da parte della madre; ella obbedì piangendo. Si vedranno successivamente tutte le vicissitudini che questa fatale condotta ha prodotto nel mio modo di pensare come nel mio destino. (ecco qui il valore morale di questo altrimenti grande uomo: nelle pagine successive mai un riferimento ad un qualsiasi sentimento paterno o dubbio sull’esistenza dei figli. Generò altri tre figli che subirono la stessa sorte. Ma anche della Thérèse non esprime mai sentimento: la tiene come una governante con la quale di sera sviluppare certe esigenze. Non si pone problemi quando, almeno due volte, ebbe delle mezzeamanti con le quali passò non poco tempo. Sposò la Thérèse vent’anni dopo, al ritorno in Francia: anche in quel caso non si sbilancia sul problema affettivo).
… (1751) Mentre
filosofeggiavo intorno ai doveri dell’uomo, sopraggiunse un avvenimento che mi fece riflettere meglio sui miei. Thérèse rimase incinta per la terza volta. Troppo sincero con me stesso, troppo orgoglioso nel mio intimo da voler smentire i miei principi con le mie azioni, mi misi a
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esaminare il destino dei miei figli e i miei rapporti con la loro madre secondo le leggi della natura, della giustizia e della ragione e secondo quelle della religione pura, santa ed eterna come il suo Autore, che gli uomini hanno contaminata fingendo di volerla purificare, e di cui altro non hanno fatto con le loro formule se non una religione di parole, visto che costa poco prescrivere l’impossibile quando ci si dispensa dal praticarlo.. Se mi sbagliai nei miei risultati, nulla è più straordinario della sicurezza d’animo con la quale mi ci abbandonai. … Volevo teneramente bene a Diderot, lo stimavo sinceramente, e con piena fiducia contavo sugli stessi sentimenti da parte sua. Ma esasperato dalla sua infaticabile ostinazione a contrariarmi eternamente sui miei gusti, sulle mie tendenze, sul mio modo di vivere, su tutto ciò che interessava solo me; indignato nel vedere un uomo più giovane di me volermi guidare ad ogni costo come un bambino; disgustato dalla sue leggerezza nel promettere e della sua negligenza nel mantenere; annoiato di tanti appuntamenti dati e non mantenuti da parte sue , e del suo capriccio di darne sempre di nuovi per non mantenerli daccapo; infastidito di doverlo aspettare inutilmente tre o quattro volte al mese nei giorni indicati da lui stesso e di pranzar da solo la sera dopo essergli andato incontro sino a Saint-Denis e averlo aspettato tutta la giornata, avevo già il cuore pieno dei suoi molteplici torti. Quest’ultimo mi parve più grave e mi ferì maggiormente. Gli scrissi per lamentarmene, ma con una dolcezza ed un intenerimento che mi fece inondare la carta di lacrime, e la mia lettera era abbastanza commovente da averne dovuto strappare a lui. Nessuno potrebbe indovinare quale fu la sua risposta su questo argomento, eccola, parola per parola …. (struggente sbattimento di b.). … Per farla breve, come avevo già fatto varie volte con Diderot, con il barone d’ Holbach, un po’ volente, un po’ per debolezza feci tutti quei passi che sarei stato io a dover pretendere: andai dal signor Grimm come un nuovo Geoge Dandin a presentargli le scuse per le offese che egli mi aveva fatto, sempre nella falsa convinzione, che nella mia vita mi ha fatto commettere mille bassezze con i miei finti amici, che non c’è odio che venga disarmato a forza di dolcezza e di buone azioni: laddove al contrario l’odio dei malvagi altro non fa se non animarsi maggiormente per l’impossibilità di trovare su che cosa basarlo, e il sentimento della propria ingiustizia è soltanto un motivo di rimprovero in più contro colui che ne è l’oggetto. Senza uscire dalla mia storia, ho una prova validissima di questa massima in Grimm e in Tronchin, divenuti i due miei più implacabili nemici, per piacere, per capriccio, senza poter addurre il pretesto di alcun torto ….. … Ma l’indolenza, la negligenza e gli indugi nei piccoli doveri da compiere mi hanno fatto più danno dei grandi vizi. Le mie peggiori colpe sono state di omissione: ho fatto raramente ciò che non bisognava fare e, purtroppo, ho fatto ancor più raramente ciò che bisognava fare. … Il signor de Joinville era certamente onesto e galantuomo, persino piacevole sotto certi aspetti, ma aveva poco spirito, era bello, un tantino narciso e passabilmente noioso. Aveva una raccolta singolare e forse unica al mondo, di cui si occupava molto e di cui occupava anche i suoi ospiti che a volte se ne divertivano meno di lui. Si trattava di una collezione completissima di tutti i vaudevilles della corte e di Parigi da oltre cinquant’anni, nella quale si trovavano molti
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aneddoti che si sarebbero invano cercato altrove. Queste sono memorie per la storia di Francia cui non si penserebbe affatto in nessun’altra nazione. … (1758) C’era un posto vacante al Journal des Savants. … Si trattava soltanto di fare due estratti al mese, per i quali mi avrebbero portato i libri, senza essere mai costretto a nessun viaggio a Parigi, neppure per farvi una visita di ringraziamento al magistrato. … Infine, per un lavoro così poco faticoso e che potevo fare così comodamente, c’era un onorario di di ottocento franchi connesso a quel posto. Ponderai qualche ora prima di determinarmi, e posso giurare che la sola cosa che mi fece esitare fu il timore di offendere Margency e di dispiacere al signor des Malherbes. Ma finalmente, la noia insopportabile del tempo, e più ancora la certezza di adempiere male le funzione di cui dovevo assumermi l’incarico ebbero il sopravvento su ogni cosa, e mi risolsero a rifiutare il posto per il quale non ero adatto. … La mia indifferenza per la cosa avrebbero agghiacciato la mia penna e abbruttito il mio spirito. … Sentivo più che mai e per una costante esperienza che ogni associazione ineguale è sempre svantaggiosa per l parte più debole. Vivendo con gente facoltosa e di condizione diversa da quella che avevo scelto, senza avere una casa come loro, ero costretto ad imitarle in molte cose. … ma io, solo, senza domestico,, ero alla mercè di quelli della casa, dei quali bisognava necessariamente accattivarsi le buone grazie per non avere molto a soffrire ….. … Il parco o giardino di Montmorency non è in pianura come quello della Chevrette. E’ ineguale, montuoso, misto di colline ed avallamenti, da cui l’abile artista ha tratto profitto per variare i boschetti, gli ornamenti, le acque, le prospettive e moltiplicare per così dire a furia di arte e di genio uno spazio in se stesso piuttosto ristretto. In alto, il terrazzo ed il
castello
fanno corona a questo parco, il quale in basso forma una gola che si apre e si allarga verso la vallata e il cui angolo è riempito da un vasto specchio d’acqua (molto bella questa descrizione del luogo in cui dimorava utilizzando una piccola dépendance) Quod vult perdere Jupiter dementat
Euripide: Giove toglie la ragione a coloro che vuole
rovinare Ego vericulo feci, tulit alter honores
Virgilio: io composi i versi, un altro ne ha goduto gli
onori … A proposito della sera, mi ricordo di aver detto che non cenavo al castello, e ciò era vero al principio della conoscenza; ma poiché il signor de Luxembourg non pranzava affatto e non si sedeva neanche a tavola, ne discese che dopo parecchi mesi e già assai familiare in casa non avevo ancora mai mangiato con lui. Egli ebbe la bontà di farlo notare. Questo mi determinò di andarvi a cena qualche volta quando c’era poca gente, e me ne trovavo benissimo visto che si pranzava quasi volando, e, come si dice, sull’orlo della panca.; la cena era invece lunghissima perché ci si riposa con delizia al ritorno da una lunga passeggiata; ottima, perché il signor de Luxembourg era ghiotto; e piacevolissima perché la signora de Luxembourg ne faceva gli onori in maniera incantevole. Senza questa spiegazione si capirebbe difficilmente la fine di una lettera del signor de Luxembourg (Fascicolo C n.36), in cui mi dice di ricordare con delizia le nostre passeggiate: “soprattutto quando ritornando alla sera in cortile, non vii trovavamo
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tracce di ruote di carrozze”. Questo perché, questo perché, siccome ogni mattina passavano il rastrello sulla sabbia del cortile per cancellarvi i solchi delle ruote, giudicavo dal numero di quelle tracce il numero delle visite avvenute nel pomeriggio. Quell’anno 1761 portò al colmo i continui lutti che subì quel gran signore da quando avevo l’onore di conoscerlo, come se i mali che mi preparava il destino avessero dovuto cominciare dall’uomo cui portavo il massimo affetto e che ne era il più degno. Il primo anno perse la sorella, la duchessa di Villeroy; il secondo perse la figlia, la principessa de Robeck; il terzo perse nel duca de Montomorecy, suo unico figlio, e nel conte de Luxembourg, suo nipote, i soli ed ultimi sostegni del suo ramo e del suo nome…. … (giugno 1762) qui ha inizio l’opera di tenebre nella quale mi trovo sepolto da otto anni, senza che, comunque io mi sia potuto operare, , mi sia stato possibile squarciare la spaventosa oscurità. Nell’abisso di mali in cui sono sommerso sento l’urlo dei colpi che mi vengono vibrati, ne scogo il numero immediato, ma non riesco a vedere né la mano che lo dirige né i mezzi ch’essa mette in opera. L’obbrobrio e le disgrazie cadono su di me, come da sé soli e senza che ciò sia palese. Quando il mio cuore straziato lascia sfuggire qualche gemito, ho l’aria di un uomo che si lamenti senza motivo, e gli autori della mia rovina hanno scoperto l’arte inconcepibile di rendere il pubblico complice della loro congiura, senza che esso ne dubiti e ne scorga l’effetto. Narrando quindi gli avvenimenti che mi riguardano, i trattamenti subiti e tutto quello che mi è accaduto, non sono in grado di risalire alla mano motrice e di assegnarne le cause le cause esponendo i fatti. … …Riempirono il loro Mercurio (giornale-foglio di Neuchatel) di inezie e delle più sciocche e ipocrite calunnie le quali, pur facendo ridere le persone sensate,
non mancavano di
infiammare il popolo e di eccitarlo contro di me. Tutto ciò non impediva che, a sentirli, io non dovessi essere molto riconoscente per l’estrema grazia che mi facevano di lasciarmi vivere a Motiers ove non avevano alcuna autorità. Mi avrebbero volentieri misurato l’aria a pinte, a condizione che l’avessi pagata carissima. …
Jean Jacques Rousseau, Le confessioni
Oscar Mondadori 1990 (Libro davvero
notevole, scritto molto bene, grazie anche alla traduzione di Valentina Valente. Narra le vicende della sua vita a partire dalla morte della madre quand’era davvero piccolo, alla scomparsa del fratello che è scappato e sparito di casa molto presto, alla leggerezza del padre che si è risposato e , a tutti gli effetti lo ha abbandonato. Vive di piccoli servigi prestati a dame o piccoli borghesi in cambio del mantenimento. Non ha frequentato scuole ma si è sempre
arrabattato ad imparare qualcosa di botanica invece che di
musica trascinato dai frequentatori delle case in cui era ospite. Soffre fin dall’adolescenza di problemi urinari, tali da costringerlo molto sovente alla introduzione di cateteri.Fu per breve tempo addetto all’ambasciata di Francia a Venezia e narra molti aspetti curiosi. Diventò anche musicista componendo la sezione a ciò dedicata nell’Enciclopedia di Diderot, compose opere liriche rappresentate a Parigi in importanti teatri e persino a corte. Compose una musica su
testo di Voltaire (di costui ebbe sempre
grande soggezione in quanto era già famoso e prestigioso, essendo più anziano) . Prestò servizio in case
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importanti soprattutto a Torino, all’epoca della conversione al cattolicesimo e poi in Francia. L’impressione che ho avuto del soggetto è che fosse estremamente timido, soccombente alla varie sue negative vicissitudini, passivo e scarsamente propositivo, con un atteggiamento vittimale. Eppure scrisse quello che scrisse in assoluto
anticipo storico sui tempi senza però rendersi conto della gravità (per
l’epoca e per il contesto) della sua rivoluzione. Le stesse Confessioni che hanno termine nell’ottobre 1765, quando scappò o, meglio, fu cacciato dalla Svizzera, ebbe l’ardire di leggerle in pubblico nel 1770 , al rientro a Parigi, suscitando il risentimento dei personaggi citati, ancora viventi. Ma dalla fuga dalla Svizzera riparò in Inghilterra presso Hume: ma l’accordo durò poco e sfociò in un litigio clamoroso e, nonostante il Re Giorgio III gli offrì una ricca pensione, riparò in Francia (1767) dove visse sotto falso nome , ospite, come al solito, di ricchi e nobili suoi protettori.. Nel 1770 ritorna a Parigi e riprende il lavoro che dai vent’anni in poi gli aveva permesso di vivere: copiare testi musicali. Grande, davvero grande pensatore, ma, sul piano umano, un piccolo e sprovveduto approfittatore. Gloria a lui). -------------------------------------
Cossiensa sensa sciensa a l’è mej che siensa sensa cossiensa ….. I “fiori di san Giovanni” erano utilizzati per fumigare le stalle e allontanare la negatività quando si pensava che gli animali fossero vittima degli effetti maligni di folletti cattivi e streghe
Massimo Centini , Magia medicina superstizione e credenze – nella tradizione popolare piemontese- Priuli & Verlucca, 2001. (Questo testo tratta di varie tematiche come: nascere vivere morire , credere non credere, masche e masconi, superstizioni, santi e diavoli, medicina popolare, riti, ect. Il tutto però in modo troppo generico e superficiale, saltando da tradizioni del novarese invece che del vercellese o del sud del Piemonte. Meglio sarebbe stato uno studio approfondito e specifico di una valle qualsiasi. Mi sembra una raccolta di appunti invece che uno studio. Conosco e leggo questo Autore da alcuni decenni e devo ammettere che ha fatto di meglio).
Minctio imperiosa
= pisciata irrefrenabile tipica della prostata
Cocis 28 genn 2mila15
Maria Piera Costa Pirovano, Pruney – Prunetto, ed comune, 1986 ( Testo monografico sul paese natale: molto pulito, essenziale. Sviluppa tutti i settori dalla storia alle tradizioni agli usi ai detti. Molto dignitoso). ---------------------------------
Che cos’è “Strapaese” se non la Provincia di Cuneo diventata modello di vita nazionale? E’ “l’italia dei rurali” di cui parlano Mussolini e i gerarchi, che cos’è se non una grande, una enorme “provincia di Cuneo”, una provincia di Cuneo standardizzata, dove il sindaco deficiente e canaglia è diventato potestà per decreto reale, il commendatore giolittiano porta all’occhiello lo stemma del fascio, il prete fa il sornione, mentre li benedice tutti e due, e chi lavora crepa di fame? Palmiro Togliatti, pref. a Memorie di un Barbiere di Giovanni Germanetto, Parigi 1931 (fonte: Notiziario Ist. Storico Resistenza in Cuneo e provincia, n. 29, giugno 1986)
Germanetto Giovanni, Memorie di un Barbiere, Parigi 1931.
(stessa fonte di cui sopra. Non ho letto questo lbro
ma conosco chi me lo impresterà. Il Germanetto, leggo dalle note, è nato a Fossano nel 1885 ed era un noto esponente del Partito Comunista. Coinvolto dal Tribunale Speciale nel celebre “processone” fu stralciato in quanto latitante ma si legge nella sentenza istruttoria n. 59 del 20-2-1928 : “ Germanetto giovanni, noto
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con lo pseudonimo –barba di rame- … nel 1924 fu sottoposto a procedimento penale per avere, quale esponente del partito Comunista Itliano concertato e stabilito di commettere a mezzo del cosidetto esercito rivoluzionario …. Fatti diretti a far insorgere in armi gli abitanti del Regno contro i poteri dello Stato per instaurare violentemente la Repubblica Italiana dei Sovieti. … Accentra in sé diverse cariche del Partito. Esperto organizzatore, antico segretario della Camera del Lavoro, egli, piemontese e amico fedele del Terracini e del Gramsci, riceve l’incarico di membro centrale del Comitato sindacale nazionale Comunista e di redattore del giornale “l’Unità”. … Le cariche che ricopriva e le sue capacità lo additano come uno dei maggiori responsabili dell’azione che ebbe a svolgere il Partito nel 1926”
Jules Renard, Diario 1 gennaio 1896 – Voglio che questa sia un’annata eccezionale e, tanto per cominciare, mi alzo tardi, mangio troppo e dormo in poltrona sino alle tre. 31 dicembre 1902 – Un anno è finito. Si è tagliata via una fetta al tempo, e il tempo resta intero.
Esser profondi per insincerità.
Albert Camus, Taccuini, ed. Bompiani 1963
Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis. La storia è veramente testimone dei tempi, luce della verità, messaggera dell’antichità. Cicerone, De oratore.
vita della memoria, maestra di vita,
… come accadde ai papi medicei Leone X e Clemente VII, che solo grazie alla tiara riuscirono a controllare Firenze , o ancora per costituire qualche staterello destinato a perpetuare le fortune della famiglia, come non riuscì a fare Alessandro VI Borgia, mentre riuscì a Paolo III Farnese, utilizzando feudi della Chiesa per creare il Ducato di Parma e Piacenza e insignirne suo figlio Pier Luigi, un brutale soldataccio. “Il buon vecchierello si sguazza il mondo felicissimo” commentò furioso il cardinale Ercole Gonzaga, cui parve “una strana cosa il veder fare un duca di due simili città in una sola notte, come nasce un fungo”. ….. (la necessità di utilizzare linguaggi criptici e cifrati nella corrispondenza: ) Carlo Quinto è Sansone, Paolo III Cerbero, Cacco o Polifemo, l’allenza antifarnesiana l’impero anticacchico, i cardinali sono ciclopi mentre Roma è il ciclopico antro o la spelonca, e andare a Roma è speloncare, cosa che i cardinali antifarnesiani devono guardarsi bene dal fare (mai, mai e poi mai , dico mai speloncare mentre che vi è l’Orco). E poi gli aspri libelli polemici contro Papa Farnese, “razza sgualdrina”, “in giustissimo ed iniquosissimo patre ed indebitamente detto pastore universale”, “questo Antichristo, questo mostro horrendo”, “pontefice malvagio e ignorante”, “inimicissimo di Dio”. La durezza dello scontro e i sentimenti di rabbia e di indignazione che si manifestano in questi scritti risaltano con durezza nelle parole con cui nel 1544 il cardinal Gonzaga si rallegrava di poter dire che il papa “non solo sei fritto, ma mangiato et caccato senza reverenza et ridotto già in polvere”. Nelle illusorie speranze e negli inestinguibili odi che vi traspaiono, essi consentono di capire in presa diretta l’incalzare di uno scontro politico denso di valenze religiose e di passioni ideali. Uno scontro destinato ad 258
esaurirsi dopo il conclave del 1549-1550, con il fallimento delle candidature imperiali alla tiara a causa delle divisioni interne del partito filo-asburgico e con il rapido delinearsi negli anni seguenti del primo tracollo finanziario della corona spagnola, ciò che avrebbe indotto Carlo V a rinunciare ad una politica duramente antipapale, a dividere i suoi domini, ad inserire l’Italia tutta nell’orbita spagnola e infine ad abdicare. E’ anche negli esiti di queste vicende che affondano le radici nel lungo predominio cattolico e papale nella penisola italiana, dove l’imperatore a lungo invocato e atteso, come ai tempi di Dante Alighieri, alla fin fine non sarebbe mai arrivato. Elena Bonora, Aspettando l’imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V., Ed. Einaudi, 2014
Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo. Ma poiché sei tiepido, non sei né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Apocalisse 3, 15
Cultura è ciò che caratterizza l’uomo di fronte agli altri esseri viventi nella realtà oggettiva del mondo. E’ l’insieme di tutte quelle manifestazioni oggettivamente e socialmente apprezzabili che rendono peculiare la vita umana. … La distinzione così posta si trova, sotto diverse nomenclature, in eminenti studiosi moderni come Alfred Weber e Nicolai Hartmann e può vantare persino ascendenze hegeliane. In fatti lo spirito oggettivo di cui parla Hegel è niente altro che la cultura epocale comunque di raggio storico-sociale limitato. Questo aspetto della cultura è il tema centrale di ogni sociologia, il che basta a giustificare il grande risalto che la sociologia americana gli ha dato. Gli si contrappone l’aspetto trans epocale della cultura universalmente umana, la quale a sua volta si distingue in sé la cultura tecnica detta anche materiale e la cultura simbolica dove il simbolismo, nella forma semantica del linguaggio o nella forma iconica della pittura e della scultura o infine nella forma mista del teatro e del cinematografo, rende oggettiva la soggettività e interiorità dello spirito. La cultura simbolica ammette ulteriori suddivisioni che definiscono campi ben noti: scienza, arte, matematica e logica, filosofia. Qui le denominazioni parlano da sole, senza bisogno di commento. Rodolfo De Stefano, L’etica sociale della cultura, in Atti del convegno su D.A. Cardone, Palmi ,1986.
Vorrei riportare un episodio ricordato da Aristotele e, con diversa versione, da Eraclito, che riprendo dal bel volume di Rocco Brienza dedicato a La vita delle ragioni: “ seduto, per volere dell’oracolo, su uno scoglio dell’isola di Io, Omero domanda, ignaro, a pescatori reduci da pesca del tutto infruttuosa cosa, rientrando, portino seco. E i pescatori che, non avendo altro da fare tornano a riva spidocchiandosi, alludendo proprio ai pidocchi, gli rispondono: -Quanto abbiamo preso lo abbiamo lasciato, quanto non abbiamo preso lo portiamo-. Sconcertato dall’impenetrabile oscurità della risposta, Omero ne muore, perchè il sapiente sconfitto in una sfida all’intelligenza cessa di essere sapiente.” Luigi Maria Lombardi Satriani, relazione d’apertura degli Atti del convegno su D.A. Cardone, Palmi, 1986
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La campana della chiesina ricominciava a suonare con il rintocco debole di una campana povera che saliva al cielo per sparire con una voce troppo flebile, subito annegata nell’immensità azzurra. I comunicandi uscivano dalle porte per dirigersi verso l’edificio comunale, dove c’erano le due scuole ed il comune, situato alla fine del paese, mentre la “casa di Dio” era all’estremità opposta. I genitori, con l’abito della festa, con una fisionomia goffa e quei movimenti disagiati dei corpi sempre chini sul lavoro, seguivano i loro marmocchi. Le femmine sparivano in una nuvola di tulle innevata, simile alla panna montata, mentre i maschi, simili a embrioni di garzoni di caffè, con la testa impomatata, camminavano a gambe larghe per non macchiarsi i pantaloni neri. (La casa Tellier, 1881) Era conosciuto nel giro di dieci leghe compare Toine, il grasso Toine, Toine-ma-Fine, Antoine Macheblé, detto Acquavite, il padrone del caffè di Tournevent. Aveva reso famoso il villaggio, infilato in una strettoia del vallone che scendeva al mare, un povero paese contadino di dieci case normanne circondate da fossati ed alberi. Quelle case erano là, rannicchiate in quella gola coperta di erba e di ginestre, dietro alla curva che aveva fatto chiamare quel luogo Tournavent. Sembravano aver cercato riparo in quel buco come gli uccelli che nei giorni di tempesta si nascondono nei solchi, un riparo dal forte vento di mare, il vento rigido e salato, che corrode e brucia come il fuoco, secca e distrugge come le gelate invernali. (Toine, 1885) Guy de Maupassant, Racconti, ed. l’Espresso, 2004 (che superbo scrittore! Scrive davvero bene, in modo conciso ma affilato, con una capacità incredibile di dipingere la scena con due colpi di pennello ben assestati. Ho preso in mano questo volume dalla libreria e a metà di ogni racconto incominciavo a capire che avevo già letto questo episodio: infatti ogni tanto c’erano dei segni o delle sottolineature. Ebbene l’ho riletto con vero piacere. Merito senz’altro anche della traduttrice Tiziana Goruppi che ha compilato una ricca introduzione: ho appreso così che Costui era allievo-pupillo di Flaubert (qualcuno aveva adombrato una paternità naturale) , che a ventisei anni era già luetico e che ai quarantatre se ne è andato. Conoscevo e posseggo Bel Ami, Pierre et Jean, Sur l’eau, La vie errante: dovrò rileggerli ed approfittare di leggere anche qualcos’altro della ricca produzione di questo Autore).
Agisci in modo da considerare l’umanità , sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre come scopo, mai come semplice mezzo. Immanuel Kant, Critica della ragion pratica.
Sono un ragazzo di 15 anni e vengo dall’Afganistan dove avevo due mamme. Qui neanche una però al mattino vado a scuola e al pomeriggio gioco al pallone. Grazie come tre sacchi di farina. (Radiorai3 Uomini e Profeti 21 marzo 2015 ore 9.45. Intervista ad un ospite di un centro di accoglienza a Roma per ragazzi soli di 12-18 anni: meglio ignorare o fingere di ignorare cosa hanno subito prima in termini di sfruttamento e maltrattamenti ).
Ma quanto è grande la provincia di Cuneo! Io credo essa si estenda dai villaggi miserabili delle Alpi sino alle contrade più lontane e squallide della Sicilia e della Sardegna. “Provincia di Cuneo” è tutta la provincia italiana, semifeudale, piccolo-borghese, scettica e bigotta, pettegola ed ipocrita, piena di gente che è servile con i potenti, arrogante, ingiusta, crudele con i poveretti. Questa provincia è stata idealizzata; ne hanno fatto il serbatoio delle virtù borghesi, il vivaio dei forti caratteri: La letteratura fascista ha ancora forzato questo ideale, sino al ridicolo e al grottesco.
Palmiro Togliatti, pref. a Memorie di un Barbiere di Giovanni
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Germanetto, Parigi 1931.
Parte iniziale dell’intervento riportato più sopra a pag. 752 (fonte:
Notiziario Ist. Storico Resistenza in Cuneo e provincia, n. 29, giugno 1986).(ho letto l’intero testo: davvero molto bello e ben congetturato: il barbiere Germanetto, detto Barbadirame, aveva un difetto fisico (piede equino) ed era estremamente ardito, testone e combattivo. Fronteggiava apertamente commissari, questori, carabinieri che sistematicamente lo mettevano al fresco. Il testo da me consultato è stato pubblicato nel 1978 da Editori Riuniti e nella prefazione si afferma che sono state tirate 45 edizioni in 23 lingue per oltre un milione di copie: strabiliante perché adesso è del tutto ignorato.) -----Piero Camilla- Cuneo storielle e storia-----
Durante il duro assedio che Cuneo subì nel 1557, il cui esito vittorioso salvò praticamente lo stato ad Emanuele Filiberto impegnato a San Quintino, le donne cuneesi si copersero di gloria. Nella fase finale diedero prova di alta valentia strategica. Il 26 giugno, era di luna,
si
radunarono sui bastioni, alzarono le gonne e facendo un inchino alla rovescia mostrarono al nemico, nuda, l’altra faccia. Notando visi sì prosperosi pur dopo cinquanta sei giorni di duro assedio, i nemici capirono l’inutilità dei loro sforzi e perdettero, avviliti, ogni baldanza. Il 26 giugno, commenta il cronista, “si videro li nemici molto tristi; et dove prima non cessavano di dire ingiurie, allora chiamavano gli assediati signori e cavalieri”. Il 27 giugno, verso mezzogiorno, le truppe francesi abbandonarono l’assedio di Cuneo. … Per illustrare i suoi stati il Duca di Savoia (allora non ancora re) aveva concordato con gli editori olandesi, i Bleau, l’edizione del magnifico “ Theatrum Sabaudiae”. Anche Cuneo, città dalla gloriosa tradizione sabauda, vi doveva essere illustrata, oltre che da una veduta prospettica, da una bella pianta, minuta, precisa, efficace, del centro abitato, chiuso dalle sue ferree mura. Al Comune, cui il Duca si era rivolto, decisero unanimemente di inviare la più bella pianta della città in loro possesso. Tre giorni dopo, alla corte di Torino, una squadra di 106 robusti manovali, scortati dai pompieri, consegno ufficialmente al Duca, la più “bella pianta” di Cuneo, tolta dal viale Angeli. Fu per questo che la “pianta” di Cuneo, inserita nel “Theatrum Sabaudiae” venne successivamente eseguita dall’incisore fossanese Giovenale Boetto. … Nei giorni precedenti alla visita del Re la città aveva portato a termine, a tempo di primato, il nuovo impianto elettrico di illuminazione, destinato a sostituire quello tradizionale a gas. Lo si volle provare per non correre il rischio di fare brutta figura con Sua Maestà. Dopo lunghe ed animate discussioni in Consiglio comunale i pareri restavano divisi. Si interpellò allora il locale osservatorio meteorologico che dichiarò che l’ora più propizia alla luce era quella del mezzogiorno. Così fu fatto. L’impianto sperimentato alle 12 in punto, mentre il campanile di città dava i dodici rintocchi e il sole sfavillante si infrangeva attraverso i vetri dei lampioni, diede una somma di luce altissima. Con tranquillità e con legittimo orgoglio, potevano attendere l’inaugurazione ufficiale da parte del Re. (più tardi si narrerà che siccome i ragazzini amavano spaccare le lampadine a colpi di fionda, si provvide, sentito il parere del Consiglio, a saldare delle “tole” ai quattro lati di ogni singolo lampione).
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… Alla stazione Gesso, dal marciapiede n. 1, dal punto in cui sarebbe sceso il Re, sino all’atrio coperto, ove avrebbe ricevuto il benvenuto della città dei sette assedi, era stato steso un fiammante tappeto rosso. Il Sindaco aveva notato però, con preoccupazione, che era troppo corto per portare i passi del Re al posto giusto per la cerimonia. Il capo cerimoniere comunale lo aveva rassicurato, ci avrebbe pensato lui. Infatti, non appena il Re, affiancato dal Sindaco, ebbe messo piede sul tappeto, uno strattone, dato con una precisione invidiabile, portò il tappeto in avanti, sino all’atrio. Ma il Re, con il Sindaco a fianco, era andato a gambe all’aria. … Dopo l’ottima prova data dall’impianto di illuminazione i Cuneesi non ebbero più dubbi per l’ora migliore circa simili esperimenti. Così, non appena il Re giunse, sul fare di mezzogiorno, al limitare della città lo pregarono di guardare verso la piazza d’armi, sita più a sud, oltre la cinta daziaria. Immediatamente diedero inizio ad una serie lunghissima di fuochi d’artificio, micidiali per le orecchie delicate del Re. “Maestà, c’a guarda
‘n su”. Accecato e stordito il Re dovette
convenire che mai aveva avuto modo di assistere a sì potenti e meravigliosi fuochi d’artificio. … Per volere del Sindaco tutti i possessori di gozzi sono stati messi in cantina e rimpiazzati da balda gioventù straniera, fatta venire di notte da contrade lontane. In via Roma (nota mia: errore non si poteva chiamare via Roma, ben lontana dall’essere la nuova capitale, forse si chiamava semplicemente “piasa”) mentre il Re ammirato ha parole di lode per la progenie cuneese un coro potente si alza dal basso, attraverso le grate delle cantine: “Suma nùi cùi ‘d Cuni”. … Tra le chiese di Cuneo la cattedrale, dedicata a Maria Assunta, … intorno al 1650 dopo il rifacimento del Boetto, il Comune volle lasciare imperituro ricordo della propria partecipazione ai lavori. Sulla facciata spiccava la sritta:”a Maria Assunta in Cielo a spese del Comune”. … In una piena di primavera la Stura raggiunse livelli mai conosciuti prima. … Il Comune fece apporre un marmo, murato al livello raggiunto dall’acqua, su un pilastro del ponte con la scritta: “L’acqua giunse sino qui”.
Un giorno il Sindaco passando da lì vide che il marmo era
davvero bello ed allora chiamò l’ingegnere e gli disse: “Bele sì à l’è sgeirà, venta butelu bin ‘n vista; c’a lu ciapa e ca lu buta sel ciuchè ‘d sità”. … In occasione della visita del Duce a Cuneo fu coniata una medaglia a solennizzare l’evento Sul retto campeggiava il possente busto del capo del fascismo, circondato dalla scritta:”IL DUCE CI GUIDA”; SUL VERSO ERA L’IMMAGINE DI Maria Vergine con la scritta: “LA MADONNA CI PROTEGGA”. … LO AVRAI CAMERATA KESSERLING IL MONIUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRA’ DECIDERLO TOCCA A NOI. NON CON I SASSI AFFUMICATI DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO NON CON
LA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI RIPOSANO IN SERENITA’ NON CON LA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI CHE TI VIDERO FUGGIRE MA SOLTANTO CON IL SILENZIO DEI TORTURATI PIU’ DURO DI OGNI MACIGNO SOLTANTO COLLA ROCCIA DI QUESTO PATTO GIURATO FRA UOMINI LIBERI CHE VOLONTARI SI ADUNARONO PER DIGNITA’ NON PER ODIO DECISI A
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RISCATTARE LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO. SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI MORTI E VIVI CON LO STESSO IMPEGNO POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO CHE SI CHIAMA ORA E SEMPRE RESISTENZA. (lapide dettata da Piero Calamandrei e murata sullo scalone del Municipio di Cuneo) Piero Camilla, Cuneo Storielle e Storia , ed. SASTE, Cuneo ristampa del 1970 (davvero bello questo libretto che dimostra come i Cuneesi siano capaci a auto beffeggiarsi. Infatti come la Abdera greca e la Schilda tedesca, gli abitanti di queste città hanno nome di stolti)
Vintila Horia, Dieu est né en exil, Libraire Artheme Fayard, Paris, 1960 (bellissimo questo romanzo: narra di Ovidio che fu cacciato da Augusto “per licenziosità contro i giovani” ed esiliato a Tomes in Dacia, l’attuale Romania; scrisse moltissime suppliche ma dovette far buon viso a cattivo gioco. Fece un breve viaggio nella enorme foce del Danubio ed incontrò un sacerdote Geto che, con una sola frase, lo fulminò. Successive ricerche lo indussero ad aderire alla religione di Zamolxis ed insieme al medico greco Théodore appurarono che i sacerdoti di questa regione si erano recati, guidati dalla stella, ad adorare il Cristo alla sua nascita. Erano perfettamente consapevoli della venuta del Messia ma ignoravano dove si trovasse. Ovidio morì a Tomes nel 18 d.C. La vicenda dell’Autore che ben conoscevo leggendo negli anni ‘80 su Metapolitica degli ottimi saggi, era entrato in giovane età in diplomazia quale addetto stampa per il suo paese, la Romania, a Roma nel 1940. Nel 1942 fu internato dai tedeschi e, a guerra finita, rifiutò di rientrare nel suo paese e di fatto fu sempre esule; andò a Buenos Aires dove si mantenne facendo lo scritturale in banca, poi in Spagna dove lavorò in un hotel ma iniziò a fare il corrierista letterario. A Madrid scrisse questo libro in francese vincendo il Premio Goncourt che però rifiutò. Autore davvero eclettico e plurilingue con grande anelito alle esperienze spirituali. Davvero superbo questo testo: non è solamente un romanzetto, anzi).
Commentarii Belli Gallici
Disposizioni finali del Libro VII e dislocamento delle Legioni:
--Labieno con 2 legioni e la cavalleria per la terra dei Sequani. --Gaio Fabio e Lucio Basilio con 2 legioni fra i Remi per timore dei Bellovaci --Gaio Anstizio Regino con 1 legione fra gli Ambivareti --Tito Sestio con 1 legione fra i Biturigi
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--Gaio Caninio Rebilo con 1 legione fra i Ruteni --Quinto Tullio Cicerone con 1 legione a Cavillono (Chalon sur Saone) --Publio Sulpicio con 1 legione a Matisco (Macon)
--Cesare si ferma a Bibracte (Autun)
Sintesi del Libro VIII (51 a.C.)
1.
Cesare viene a conoscenza che parecchi popoli studiavano nuovi piani di guerra.
2.
Lascia il Questore Marco Antonio a Bibracte (Autun) ed il 31 dicembre del 52 a.C. parte con una scorta di cavalieri verso la 13° Legione nel territorio dei Biturigi cioè verso Avarico (Bourges) facendo convergere la 11° Legione e si addentra nei paesi dei Biturigi lasciando 2 coorti a difesa dei bagagli
3.
Proibisce di bruciare le città ad evitare che il fumo allerti i confinanti (strano: dice che la popolazione era addetta alla lavorazione dei campi ! Primi di gennaio?) I Biturigi invocano amicizia
4.
Promette un grosso premio ai soldati e rientra a Bibracte (Autun). I Biturigi gli comunicano che i Carnuti hanno mosso guerra. La precedente spedizione era durata 40 giorni e si era fermato a Bibracte 18 giorni per cui a fine febbraio parte verso i Carnuti richiamando le Legioni 14° e 6° che stazionavano nell’ Arar e marcia contro i Carnuti
5.
Arriva a Cenabo (Orlèeans) e la popolazione scappa e si sbanda fra i popoli vicini.
6.
Lascia Gaio Trebonio con 2 Legioni a Cenabo e trae dagli accampamenti invernali l’ 11° Legione e invia una lettera a Gaio Fabio (che era fra i Remi) con 2 legioni e a Tito Labieno (che era fra i Biturigi ordinando di inviargli 1 legione.
7.
Dopo aver riunito queste legioni muove contro i Bellovaci (Beauvais) ma trova la regione deserta; manda cavalieri per assumere informazioni e sa che con gli Ambiani, gli Aulirci, i Caleti, i Veliocassi e gli Atrebati si erano accorpati su una altura boschiva contornata da paludi (dove sarà mai?) sotto il comando di Correo; l’atrebate Commio era andato a reclutare i Germani
8.
Aveva le Legioni 7°, 8° e 9° di eccezionale valore e la 11° (con anzianità di 8 anni) e muove contro i nemici
9.
Si schierano a battaglia (dove?) e fortifica gli accampamenti
10. Scaramucce 11. Cesare invia lettera a Trebonio perché mandi la 13° Legione dal territorio dei Biturigi e con altre 2 legioni (prese dove?) venisse a lui a tappe forzate
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12. I Bellovaci preparano un agguato e sgominano i Remi che quel giorno cercavano foraggio e uccidono Ventisco, loro giovane capo. 13. Cesare invia i propri Germani che combattevano a piedi mescolati nella cavalleria 14. I Bellovaci spaventati mandano via nella notte gli anziani e gli inabili; Cesare rinuncia a inseguirli ma fa pavimentare con pontoni la palude e raggiunge l’estremità delle alture di fronte ai nemici 15. I Bellovaci radunano fascine ed alla sera le infiammano e scappano coperti dal fumo 16. Cesare lancia l’inseguimento ma temendo agguati permette che si attestino a 10 miglia (Monte Ganelosa, fra Aisne e Oise) 17. Da un prigioniero apprende che Correo vuole fare un agguato ai foraggiatori e allora invia più legioni con la cavalleria e le segue personalmente 18. Correo predispone una trappola su una spianata di non più di 1000 passi (700 metri di lato, non sarà un po’ piccola?) circondata da selve impenetrabili e da un fiume molto profondo: attacca alcuni squadroni 19. Si combatte mentre arrivano le legioni e Commio cerca di fuggire ma è stato impedito dalla natura dei luoghi 20. lunga battaglia ma non si arrendono e indietreggiano verso il loro campo (8 miglia) e mandano ambasciatori ed ostaggi. 21. Commio fugge dai propri Germani e i Bellovaci invocano clemenza anche perché Correo era morto 22. Ammonimento di Cesare sulla pace dell’anno prima. 23. Tutti inviano ambasciatori e ostaggi eccetto Commio che l’anno prima era stato tradito da Tito Labieno. 24. Ritenuta non più pericolosa la situazione Cesare prende con sé il Questore M.Antonio con la 12° Legione e chiama Tito Labieno. Manda la 15° Legione nella Gallia Togata (detta anche Bracata per via delle braghe, Provincia= Midi con capitale Narbona) e parte contro Ambiorige (re di una tribù barbara stanziale a Liegi. 25. A Liegi devasta con stragi, incendi e rapine e manda Labieno con 2 legioni contro i Treviri (a est del Lussemburgo nella Renania-Palatinato sulla Mosella). 26. Il Legato C. Caninio, va nel territorio dei Pittoni (capitale Lemono cioè Poitiers) che era assediata da Dumnaco, capo degli Andi ed è attaccato in forze, senza cedere. 27. Il Legato Gaio Fabio venuto a conoscenza di ciò, muove verso Poitiers ma Dumnaco scappa verso il ponte sul fiume Liger: Gaio Fabio converge sul ponte e fa strage della retroguardia con molto bottino 28. Gaio Fabio nella notte manda avanti la cavalleria ed ingaggia battaglia 29. Continua il combattimento in attesa della Legione di Fabio: a tale vista il nemico si disperde e lascia 12.000 caduti e gran bottino.
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30. Il senone Drappete con il caduco Lutterio si mette a rapinare i convogli romani (in Provincia?) 31. Gaio Fabio muove contro i Carnuti (Chartres) (ma non era a Poitiers?) e sottomette tutte le popolazioni da lì all’oceano (caspita, che colpo!) 32. Drappete e Lutterio vanno verso la terra dei Caderci (???) e occupa la città di Usellouno (Cahors) 33. La città è molto ben protetta su una rocca ma pone tre campi e inizia un vallo attorno alla città 34. Lutterio temendo la ripetizione dello smacco di Alesia cui aveva partecipato, manda fuori di notte 2.000 cavalieri per gli approvvigionamenti 35. Di ritorno ammassano il grano a 10 miglia dalla città ed incomincia la colonna notturna dei cavalli per percorsi impervi ma Caninio li assale all’alba mettendoli in fuga. 36. Caninio muove allora contro Drappete con 3 legioni, conquista il campo e lo fa prigioniero 37. Fa ritorno alla città assediata mentre nel frattempo era arrivato Gaio Fabio 38. Cesare lascia i Bellovaci e procede verso i Carnuti e si fa consegnare Gutruatro (molto discussa l’identificazione. Potrebbe trattarsi del Sommo Sacerdote dei Druidi), capo della precedente rivolta e lo decapita dopo lunghe sferzate. 39. Cesare viene informato per lettera della resistenza di Drappete e Lutterio e valutando che i Galli sanno che quella era l’ultima estate di permanenza opta per una dura lezione. Il Legato Quinto Caleno è incaricato di condurre 2 legioni verso i Pirenei e lui parte con la cavalleria. 40. Quando arriva a Uselloduno (Cahors) ( o Puy d’Issolud, o Uzerche, o Lacoste presso Clermond l’Herault) sorprende tutti; valuta imprendibile la rocca e siccome non può deviare il fiume pone dei frombolieri lungo i sentieri per inibire l’accesso degli assediati alle fonti. 41. Poco sotto le mura della città c’è una grande e comoda sorgente; fa scavare delle gallerie nonché dei cunicoli in direzione delle falde acquifere. Innalza un terrapieno di 60 piedi sul quale colloca una torre di 10 piani onde superare il livello della fonte e da lì ne impedisce l’accesso con macchine da guerra. 42. Gli assediati lanciano contro loro delle botti incendiate di pece e ingaggiano una dura battaglia 43. Molti erano i colpiti per cui Cesare ordina alle coorti di scalare il colle da ogni parte onde permettere di spegnere gli incendi alla torre ed alle altre opere di offesa: attraverso i cunicoli asciuga la fonte: si arrendono 44. Cesare decide di incutere terrore con un esemplare castigo: fa tagliare le mani a tutti quelli che avevano combattuto. Drappete, già prigioniero di Cominio si lascia morire di fame e Lutterio gli viene consegnato in catene dagli Averni (Clermond Ferrand) 45. Intanto Labieno nel territorio di Treviri vince su tutti i fronti 46. Cesare vede che tutta la Gallia è domata e decide di partire per l’ Aquitania (non c’era mai stato). Publio Licinio Crasso nel 56 l’aveva in parte conquistata; parte con 2 legioni e tutti i popoli gli si sottomettono. Parte per Narbona con la sola cavalleria. Dispone 4 legioni per il Belgio, 2 nel territorio
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degli Edui, 2 nel territorio dei Turoni alle frontiere dei Carnuti, 2 nel paese dei Lemovici. Amministra la giustizia a Narbona e dispensa molte ricompense; raggiunge quindi il Belgio e sverna a Nemetocenna (Arras) 47. Scopre che Commio si è scontrato con la sua cavalleria. 48. Antonio (Prefetto della Cavalleria) manda Gaio Voluseno Quadrato contro la cavalleria nemica (che infesta di ladrocinii tutta l’area) e mette in fuga Commio che però aveva ferito Voluseno; ma avendo perso la battaglia manda ambasciatori ed ostaggi ad Antonio 49. Cesare passa l’inverno in Belgio e si fa amici tutti i popoli
Fine dell’anno 51 a.C.
ALTRI RIFERIMENTI o CONCORDANZE
Allobrogi: fra il Rodano, l’ Iser ed il lago di Ginevra. Curaro=Grenoble; Vienna=Vienne; Genava=Ginevra. Verso il 360 d.C. riceve il nome di Sapaudia =Savoia
Alterni: Aufustonemetum = Clermond F. Verso la metà del II sec. D.C. avevano esteso il loro dominio su tutta la Gallia centrale e sud occidentale ma il loro capo Bituito, avendo prestato soccorso agli Allobrogi fu battuto dai Romani nel 121 d.C.
Suessoni: a nord est di Parigi con capitale Noviodurum = Laon ? e Durocortorum = Reims Aballo = Avallon Tolosa (Tectosagi) = Toulouse Argentoratum = Strasburgo Autricum = Rambouillet Andematunum (Lingones)= Langres Anderitum (gabali) =:Rodez Agendicum (Senones-Tricasses) = Sens Senomagis = Orange Carpentorate (Vulgientes) = Avignone
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Arelate (Salluvi) =Arles Namansus (Volcae-Arecomici) =: Nimes Dinai (Bodionici) =Digne Vaffincus (Vocontii) = Gap Bacacum =Valencienne Dibio (Lingones) =:Digione Bante (Allobroges) = Annecy Albina (Allobroges) = Aix les Bains Suindinum (Aulerci-Cenomanni) = Le Mans Augustobona (Tricasses)= Troyes Uselludinum = Cahors ???
Ambivareti provenivano dalla Loira e, un altro gruppo, dalla Gallia Belgica Remi = uno dei più potenti popoli belgi. Erano nella Marna, Aisne, Ardenne, Mosa, Belgio, principato di Lussemburgo
Durocortorem = Reims Bibrax = Beaurieux ? sulla riva dx dell’Aisne, 11 km. A ovest di Berry au Lac
Ruteni= piccoli russi di Kiev a ovest della linea Dvina/Basso Depnez ? in origine designava tutti gli Ucraini
(Mio: nel 2005 avevo conosciuto Paolo Rumiz a Vinadio e continuai a seguirne il lavoro nel corso delle varie evoluzioni; con grande maestria illustra un viaggio che compie in estate e pubblica giornalmente su Repubblica una relazione salvo poi redigere un testo compiuto nell’autunno; si tratta sempre di viaggi, uno più bello dell’altro e descritto con rara perspicacia in quanto centra in poche righe la complessità umana e psicologica delle molte persone che incontra. Non dorme mai in albergo ma cerca ospitalità in piccole strutture dove riesce ad instaurare un rapporto davvero interpersonale. Da anni leggevo a voce alta, in latino, il De Bello Gallico e soprattutto il Libro Ottavo, l’ultimo trascorso da Cesare in Gallia in quanto davvero dinamico e brillante. Ne parlai a Paolo Rumiz e gli promisi uno studio preliminare per inquadrare il problema; recuperai una cartina da un atlante storico, ridussi la scala e lo stampai su lucido onde sovrapporre la cartina ad un atlante politico attuale. Molteplici gli errori e l’unica attestazione valida da osservare era il corso dei fiumi. Ad esempio: il sito di Alesia (teatro della furibonda battaglia che sgominò Vercingetorige) potrebbe essere Alise cioè Sainte Rheine in Borgogna: luogo che ho visitato ma la
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rupe e la fonte che determinarono le sorti dello scontro non collimano. Per comodità hanno ricostruito il sito sul bordo dell’autostrada, ma è falso. Comunque con buona approssimazione tracciai il potenziale itinerario e proposi al Rumiz di percorrerlo l’estate successiva in scooter: chiaramente avrei guidato lo scooter. Non se ne fece nulla, come molto spesso mi è successo ma è bello il ricordo di questo, per me, entusiasmante studio. Traggo dalla presentazione del testo di Caio Giulio Cesare, Commentarii Belli Gallici, ed. Bompiani, 1988 le poche parole scritte da Sossio Giametta: “…. Ma poiché la specie umana fu sempre molteplicemente frazionata, ed ancora oggi è divisa in molte organizzazioni (stati o federazioni di Stati), di cui ciascuna si pone come assolutamente sovrana; e poiché all’interno di ciascuna organizzazione il potere, il comando e la direzione, n on furono mai affidati ai filosofi, ai profeti, agli indagatori delle verità superiori e a tutti quelli che sono posseduti dallo spirito di libertà; l’umanità ebbe sempre, e sempre rischia di avere, ciò che è di questo l’inevitabile conseguenza: l’urto e la guerra, sia tra le varie unità sedicenti sovrane, sia, all’interno di esse, tra le masse, che pongono come finale ciò che è strumentale, in tal modo implicitamente sostenendo una scala di valori difforme da quella autentica, e quei membri che, più son capaci di verità e di purezza, più diventano incapaci di falsità e di adattabilità a ciò che non è genuino, e he pertanto sono automaticamente minacciati di oppressione da quegli altri. …) -------------------------------------------
GLI AUTORI DELLE 78 PAGINE CHE SEGUONO NON SONO INSERITI NEI DUE INDICI IN CALCE (non è stata neanche fatta una accurata revisione perché di entrambe le cose non ho avuto voglia)
Se attingerai con le tue mani il sangue Che si rapprende agli orli della piaga, dove fondo s’immerse il dardo, nero di fiele d’Idra, avrai l’incantamento, sai, per il cuore d’Eracle, che mai egli, vedendo un’altra donna, t’ami più di te sola. Poiché tutti gli uomini eccezionali, nell’attività filosofica o politica, artistica o letteraria, hanno un temperamento “melanconico” –ovvero atrabiliare- alcuni a tal punto da essere persino affetti dagli stati patologici che ne derivano. Esemplare, in tal senso, tra le storie eroiche, è quella di Eracle. La prova della sua appartenenza a detta natura –per cui gli antichi derivarono da lui il nome di “malattia sacra” dato ai disturbi degli epilettici- è fornita dall’episodio in cui diede in escandescenze massacrando i figli, così pure dall’insorgere delle piaghe prima della sua morte sull’Eta. Aristotele, Problemata 30,1 trad. Giuseppina Lombardo Radice
Una volta essendo io Porfirio entrato in pensiero di levarmi la vita, Plotino se ne avvide: e venutomi innanzi improvvisamente, che io era in casa; e dettomi, non procedere sì fatto pensiero da discorso di mente sana, ma da
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qualche indisposizione malinconica; mi strinse che io mutassi parere. Leopardi, dialogo di Plotino e Porfirio
Giacomo
Posterior … rea illa reperta, perdit et immutat sensus ad pristina quaeque.= Ciò che noi veniamo a scoprire, abolisce, ai nostri occhi, tutto ciò che lo precede. Lucrezio, De natura rerum, V, 1413
Mi si offrono delle passioni ma io non ho che delle opinioni. O piuttosto non ho che una passione: l’amore della libertà e della dignità umana, la santa e legittima passione dell’uomo. Toqueville, lettera a Henri Reeve, marzo 1837
Ho preso, come ebbi a dire prima, ben semplicemente e crudamente per mia regola questo antico precetto: che non certo sbagliamo a seguire la natura e che l’ordine sovrano, è di conformarsi ad essa. Non ho corretto, come Socrate, con la forza della ragione le mie inclinazioni naturali e non ho assolutamente combinato con arte le mie inclinazioni. Io mi lascio andare, come sono venuto, non combatto niente, e i miei due principi assoluti (la mia inclinazione naturale e la mia ragione) vivono di loro grazia in pace e buon accordo. Ma il latte che mi ha nutrito è stato, grazie a Dio, mediocremente sano e temperato. Dirò, tra le righe, che li voglio tenere ad un prezzo maggiore di quello che valgono poiché è quasi una abitudine tra di noi, certe immagini (o idee) di virtù scolastica, soggetti ai precetti, asserviti alla speranza e al timore di sanzioni. Michel de Montaigne (1533- 1592) Essais III,12 Mia traduz. Insani sapiens nomen ferat, aequus iniqui, ultra quan satis est virtutem si petat ipsam. = La perfetta virtù rifugge da tutte le estremità e vuol che si sia saggi con sobrietà. Orazio, Epistole, I,4
Non siate più saggi di quanto occorra, ma siate sobriamente saggi. Paolo ai Romani, XII, 3
Stulti vita ingrata est, tota in futurum fertur = L’insensato ignora la dolcezza del vivere, la sua esistenza è inquieta, tutta proiettata verso l’avvenire. Seneca, lettera a Lucilio, 15
Omnia quae secundum naturam sunt, aestimatione digna sunt. = Tutto ciò che è secondo natura deve esserci prezioso. Cicerone, De finibus, III, 6
Vita regit fortuna, non sapientia. = E’ la fortuna, non la nostra saggezza, che governa la vita. Cicerone, Tusculanae, V, 9.
Avevo l’estremo desiderio di imparare a distinguere il vero dal falso, per vedere chiaro nelle mie azioni e marciare con sicurezza in questa vita. Réné Descartes (1596- 1650)
E’ indispensabile sapere cos’è vivere beate, per dirla in francese heuresement dacchè c’è una differenza tra felicità e beatitudine in quanto la buona sorte dipende dalle cose che sono al di fuori di noi, donde viene che coloro che sono considerati più felici che saggi, ai quali è arrivato un qualche bene che di certo non si sono procurati, al posto che la
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beatitudine consiste, mi sembra, in una perfetta contezza di spirito ed una soddisfazione interiore che non è ordinaria (normale) in coloro che sono più favoriti dalla fortuna, e che i saggi acquisiscono senza essa (fortuna). … Così vivere beate, vivere in beatitudine, non è altro che avere lo spirito perfettamente contento e soddisfatto. Considerando dopo tale annotazione ciò che è quod beatam vitam efficiat, ciò a dire quali sono le cose che ci possono offrire questa sovrana soddisfazione, rimarco che ce ne sono di due nature, ciò a dire quelle che dipendono da noi, come la virtù e la saggezza, e quelle che non dipendono affatto da noi, come gli onori, le ricchezze e la salute; poiché è certo che un uomo ben nato, che non è affatto malato, che non manca di niente e oltre a ciò sia saggio e virtuoso a differenza di un altro che sia povero, malsano e contratto. … Réné Descartes, lettera a Elisabeth, 4 agosto 1645
Ora, ciascuno di noi contemplando la propria storia, non si ricorda che è stato successivamente, quanto alla sue nozioni più importanti, teologo nell’infanzia, metafisico nella giovinezza e fisico nella maturità? Questa verifica è facile oggi, per tutti gli uomini a livello del proprio secolo. Auguste Comte, corso di filosofia positiva, prima lezione
La scienza non è una collezione di leggi, un catalogo di fatti non connessi tra di loro. Essa è la creazione dello spirito umano a mezzo di idee e di concetti liberamente inventati. Le teorie fisiche ambiscono di creare un’immagine della realtà e di inserirla al vasto mondo delle espressioni sensibili. Così, le nostre costruzioni mentali si giustificano solamente se, e in che maniera, le nostre teorie formano un tale nesso. Albert Einstein e Léopold Infeld, L’evoluzione delle idee in fisica.
Bruno de Finet (1906-1985) grande matematico e statistico con innovative ricerche nel campo della probabilità, inserito nel CNR ed in altre importanti istituzioni definì: “dissennata disfunzione dell’inqualificabile pseudo apparato dello Stato” “imbecillocrazia, giuridicolaggine, burofrenia, burosadismo”.
Più un uomo è sciocco, più è alla pari con il mondo.
Stendhal , Diario
Il piccolo fiore /ricordo, /nato, cresciuto /sull’orlo del burrone /nel precipizio immenso./Come noi, / tremava oscillando / tra l’azzurro infinito e il terribile abisso. Ernesto Francotto (1883- 1968) per cinquant’anni medico a Busca. Riferita da Bruno Pignata
Tutta l’Introduzione alla Parte Prima della Stella della Redenzione, infatti, è posta sotto il segno della morte, il cui carattere di inesorabilità viene continuamente esperito dall’uomo. La vita è un lungo viaggio verso l’oblio; per questo essa è impastata di angoscia e di dolore. Vivere è essere condannati a morire: “Tutto quanto è mortale vive in questa paura della morte, ogni nuova nascita aggiunge nuovo motivo di paura perché accresci il numero di ciò che deve morire. Senza posa il grembo instancabile della terra partorisce il nuovo e ciascuno è in defettibilmente votato alla morte, ciascuno attende con timore e tremore il giorno del suo viaggio nelle tenebre. (…) L’uomo si appiattisca pure come un verme nelle fenditure della nuda terra davanti al sibilare dei colpi della cieca morte implacabile, e poi senta violentemente, inevitabilmente senta quanto altrimenti non avrebbe mai percepito: che se mai morisse, il suo io
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sarebbe soltanto un illud e perciò, con tutta la voce che gli resta in gola urli, urli ancora il suo io in faccia all’implacabile che lo minaccia di un così inconcepibile annientamento”. Inoltre, in una sorta di crescendo emotivo, quasi non bastasse il timore della morte, l’uomo è chiamato secondo Rosenzweig a confrontarsi anche con il suicidio: “è necessario che almeno una volta nella vita un uomo si spinga fuori; egli deve accostare a sé almeno una volta in trepida meditazione la fiala preziosa, egli deve essersi sentito almeno una volta in tutta la propria terribile povertà, solitudine e lacerante separazione dal mondo intero ed essere rimasto un’intera notte faccia a faccia con il nulla”. …. Nel suo giudizio non è in grado di dire alcunché all’uomo attanagliato dal timore della morte: questi “non vuol affatto sottrarsi a chissà quali catene, vuol rimanere, vuole “vivere”. La filosofia che davanti a lui esalta la morte come la propria prediletta e come la nobile occasione per sottrarsi alle angustie della vita, sembra soltanto prendersi gioco di lui”. Simili considerazioni valgono a maggior ragione rispetto all’invito filosofico al suicidio: “l’uomo sente fin troppo bene di essere condannato a morire, ma non al suicidio (…) il suicidio non è la morte naturale, bensì quella assolutamente contro natura. La raccapricciante capacità di suicidarsi distingue l’uomo da tutti gli esseri che conosciamo e che non conosciamo. Essa designa addirittura l’atto di uscire dall’ambito complessivo della natura”. Luca Bertolino, Il nulla e la filosofia –idealismo critico e esperienza religiosa in Franz Rosenzweig- , Trauben, Torino, 2005 (testo difficile perché tecnico e perché usa termini specifici della critica filosofica: però traccia molto bene il pensiero di Rosenzweig in Stella della Redenzione. E’ davvero affascinante vedere la potenza e la estrema superiorità intellettuale di tutto il mondo pan germanico negli anni 20-30 del secolo scorso: questa superiorità, insieme ad altri elementi così ben delineati dal prof. Bosi nel corso delle sue lezioni, ha indotto il popolo tedesco, nella sua globalità, a sentirsi superiore: da lì discendono azioni criminose quali l’eliminazione di quanti non sono ariani e la marcata e violenta azione bellica a sottomettere tutta l’Europa onde illuminarla. Conosciamo bene le conseguenze).
Oggi, senza dubbio, ben pochi si ricordano di Sesso e Carattere. Eppure al suo apparire, nel 1903, quel libro divenne immediatamente un vero e proprio best-seller, forse il primo grande successo editoriale del secolo. Continuamente ristampato, più volte nello stesso anno, il poderoso volume fu presto tradotto in inglese, in italiano, in danese, in russo. Al successo straordinario contribuì notevolmente la drammatica fine del suo autore, morto suicida nell’ottobre 1903, nel momento di massima espansione della sua fama. Nonostante la dilagante moda per la finis Austriae, oggi riesce semplicemente difficile spiegare quel successo e quelle altissime tirature; altrettanto inspiegabile può sembrare il fatto che un testo come Sesso e Carattere sia potuto diventare l’inseparabile manuale di etica sessuale di una intera generazione. Contro il positivismo, Weininguer volle per un’ultima volta instaurare i canoni dell’idealismo classico, trasformando la dialettica tra essere e non essere in dialettica tra Uomo e Donna. (…) Basti qui ricordare che, restii di9 fronte alle più compromettenti tesi sessuologiche di Freud –sempre ostinatamente censurato, prima dalla Chiesa cattolica, poi dal fascismo- gli intellettuali nostrani preferirono riparare tra le braccia accoglienti ed accomodanti dell’ideologia antifemminile di Weininger. Non occorre infatti molta fantasia per comprendere con quale entusiasmo un personaggio come Giovanni Papini potesse rimanere abbagliato dalla misoginia di Sesso e Carattere. Nelle crudeli pagine di questo libro, Papini (e molti altri con lui,, specie negli ambienti scientifici degli anni T renta, per esempio nelle annate della “Rassegna di studi sessuali e di Eugenetica” di Aldo Mieli) rinvenì una sorta di legittimazione filosofica al mito che più gli era caro: la Maschilità, la virilità del popolo mediterraneo. (…) Al polo opposto della Genialità maschile, nella caratteriologia weiningeriana, c’è la Donna, ma anche l’ ebreo e l’inglese, altre due figurazioni di materialismo e di empirismo. Donne, ebrei e inglesi: nella triade negativa di Weininger ritroviamo tre colonne portanti della politica culturale ed internazionale del fascismo. Il fatto che, per esempio, Weininger fosse al tempo stesso ebreo e antisemita divenne un ghiotto particolare, subito fatto proprio dai propagandisti e dai giornalisti da terza pagina. Alberto Cavaglion, Vecchia destra e “nuova destra”: il caso Otto Weininger, Notiziario dell’Ist. Storico della Resistenza in Cuneo e Provincia, 1982 (tratto dalla tesi di laurea di Alberto Cavaglion la descrizione analitica e dettagliata di questo Autore austriaco evidenzia l’importanza del pensiero tedesco all’inizio del 900).
Jurgis Baltrusaitis, Il Medioevo fantastico, gli Adelphi, 1993 (davvero formidabile questo testo, giustamente famoso. Con rara perizia e dettagliata analisi esanima il fenomeno del “gotico” in Europa e dimostra come quasi sempre l’origine sia cinese, mediata dalla cultura persiana ed utilizzata prima nell’antico Egitto e poi in modo sorprendente e puntuale dall’architettura islamica. Non dice mai
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come materialmente sia avvenuto questo travaso: di certo tramite viaggiatori, mercanti o sapienti che avevano memorizzato le forme e gli stili. Testo molto dotto e dettagliato –le innumerevoli note rappresentato un quinto del testo- e molti disegni e schizzi in punta di matita dello stesso autore illustrano molto bene il contesto descritto. Sinteticamente illustro il contenuto: i grilli gotici che appaiono sui capitelli oppure nei capilettera dei testi sacri; Divinità senza testa e grappoli di teste di origine persiana e sciita; divinità acefale o multicefale; bizzarrie dei sigilli e delle monete antiche; l’ornamento islamico con intrecci di poligoni o trecce floreali e non; Cornici e medaglioni, tessuti, arabeschi; l’intreccio vivente di animali di animali senza testa; il rumi gotico e la flora nei manoscritti del Due-Trecento; le piante zoomorfe e le piante parlanti, l’Albero della Vita, del Male, di Jesse, alchemico; facce lunari, composizioni di parte di lepri, pesci, cavalli, uomini, scimmie; ali di pipistrello e demoni cinesi, teste di drago; il secolo francescano in Cina; il cappello a corna o piramidale; divinità a molte braccia, aureole; montagne e rocce zoomorfe; geomanzia cinese; le macchie dei muri interpretate da Leonardo; tentazioni buddiste ed occidentali;le danze macabre e cadaveri decomposti, la scultura funeraria, i morti in piedi; scheletri parlanti negli affreschi italiani; i mandala; la contro-curva nel gotico derivante dalla Cina attraverso l’arte islamica; il carenato nei festoni; gli archi carenati nell’architettura gotica-fiammeggiante. L’unica affermazione che manifesta l’Autore è che il gotico arrivò in Francia intorno al 1130 tramite i Templari. Bello, davvero bello anche se un po’ difficile)
Nel 1930 vi erano quasi 60mila kolchozy, a cui più di 4milioni di famiglie contadine erano state costrette ad aderire. Un mese dopo i kolchozy erano 110mila, con più di 14 milioni di famiglie. Contemporaneamente, mentre centinaia di migliaia di contadini venivano arrestati e condannati a gravi pene detentive, o più semplicemente fucilati, cominciava tra suicidi collettivi e atti di ferocia, il processo di deportazione che avrebbe alla fine riguardato 2milioni di famiglie di “kulaki” –dieci milioni di persone per un terzo circa morte di stenti durante il viaggio nei nuovi territori ( nota mia: non è nello stesso periodo e con modalità molto più civili che la popolazione veneta venne trasferita nelle risanate paludi pontine?) (…) Pochi giorni dopo a Mosca, a testimoniare della gravità della crisi in cui si dibatteva il paese e delle sue ripercussioni sulla vita personale dei dirigenti –la tensione di cui avevano parlato Churchill e Stalin- la moglie di quest’ultimo, una giovane comunista di estrazione operaia, si suicidava subito dopo una violenta lite con il marito al banchetto tenuto per celebrare il XV° anniversario della Rivoluzione. Pare, tra l’altro, che lasciasse “una terribile lettera, piena di rimproveri e di accuse”, al marito di cui non condivideva le scelte.. La cosa, comunque, se scosse Stalin, che cambiò casa e stile di vita, non provocò alcun mutamento nella politica che, anzi, si indurì ulteriormente. Andrea Graziosi, Lettere da Kharkov, Einaudi, 1991 (questo straordinario documento è frutto di una ricerca che l’Autore terminò nel 1989 consultando gli archivi del Ministero degli Esteri. L’ambasciatore a Mosca, certo B. Attolico, ma molto più frequentemente il Vice Console a Kharkov, tale Sergio Gradenigo, triestino, redigevano dei rapporti sulla situazione del paese in cui operavano attingendo anche ad altre fonti, specie austriache. Da notare che solo noi e l’Austria e la Germania avevamo una sede diplomatica: in Francia e in Inghilterra avevano nozione indiretta delle atrocità commesse contro gli ucraini ed i cosacchi. Di seguito riporto stralci dei rapporti contestualizzando storicamente che negli anni 1930-32 ci fu una grave carestia, soprattutto indotta ad arte con l’intento di sterminare il popolo ucraino colpevole di nazionalismo onde rendere abitabili le loro pingui terre da altre popolazioni russe. Sono anche gli anni della grande crisi mondiale del 1929 che solo indirettamente tocca l?unione Sovietica: era però tutta protesa all’industrializzazione con l’acquisto di macchinari e tecnologie soprattutto tedesche).
Documento 7 del Vice-Consolato di Kharkov in data 30 agosto 1930 (non firmato). Le attuali condizioni sanitarie delle città e dei villaggi in Ucraina sono peggiorate in questi ultimi tempi. Questo non dipende soltanto dalla mancanza di acqua, canalizzazioni, ecc., ma anche dal fatto che non si presta nessuna attenzione all’igiene nelle abitazioni, fabbriche, luoghi pubblici come anche negli uffici. Quali conseguenze di tali condizioni: si constata un notevole aumento della malattia del tifo che costringe le autorità ad energiche misure ad evitare un’ulteriore diffusione di questa epidemia. Durante il 1929 furono registrati 51.845 casi infettivi contro 30.544 del 1928 e già nella prima metà del 1930 sono stati constatati 12.410 casi di tifo esantematico. L’aumento suddetto è stato constatato specialmente nel Donbass ove la percentuale di infetti di tifo esantematico è cresciuta continuamente dal 1925 e lo scorso anno ha raggiunto 40,4 su 10.000 abitanti mentre la cifra media per tutta l’Ucraina è 16,8 su 10.000 abitanti.
Documento 7 dell’Ambasciata di Mosca , telespresso n. 965 del 23 febbraio 1932(non firmato). Il R. Console a Kharkov (mia: è stato promosso il cav. Gradenigo ) mi ha rimesso un pezzetto del pane correntemente consumato in Ucraina, pezzetto che qui accludo. E’ difficile pensare che un elemento così essenziale per un regime alimentare quale quello che vige attualmente nell’ Urss, sarebbe cos’ scadente, come mostra questo pezzetto di pane, se la produzione
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granaria di quest’anno non solo fosse stata semplicemente mediocre, ma soprattutto avesse potuto essere razionalmente distribuita.
Documento 11 della R. Ambasciata di Mosca del 26 marzo 1932, firmato B. Attolico. Due giovani figli di contadini espropriati, venuti a Mosca in cerca di lavoro, hanno narrato ad un funzionario di questa R. Ambasciata le tristissime condizioni della loro esistenza, condizioni identiche a quelle di centinaia e di migliaia di contadini che, per varie ragioni cacciati dalla campagna, invadono ora le vie di Mosca. I due interrogati, uno di 22 e l’altro di 16 anni, in seguito alla collettivizzazione delle terre dei loro padri, hanno dovuto abbandonare il villaggio perché, non essendo ammessi al servizio militare, alle scuole, al lavoro dei campi, veniva praticamente ad essi tolta ogni possibilità di esistenza. Si misero quindi in cammino verso Mosca dove giunsero dopo due mesi di cammino e qui finalmente riuscirono a trovar lavoro nel trust statale dei telefoni, dove lavoravano ora con la qualifica di montatori con salario rispettivamente di 9 ed 8 rubli al mese, paga che secondo le affermazioni dei due permetteva di “mangiare qualche volta”. Non potendo infatti neanche entrare nelle Stolovye, i famigerati ristoranti collettivi per mancanza di mezzi, essi “insieme a moltissimi altri contadino che si trovavano a Mosca nelle stesse condizioni”, sono costretti a cercare il cibo nei rifiuti, procurandosi talvolta una qualche pagnotta. Per dormire essi scelgono di preferenza gli atri delle stazioni e, quando vengono cacciati di là, i portoni, i cantieri e gli archi dei ponti. E’ caratteristico che questi contadini divenuti lavoratori, parlano degli operai come di una classe superiore privilegiata, ad essi nemica o per lo meno ostile.
Documento 15 del Vice-Consolato di Kharkov del 19 maggio 1932 a firma Gradenigo. E’ noto che per ogni gallina, che i contadini tengono, devono pagare ancora R. 3,50 il mese di tasse al Governo, oppure fornire numero 30 uova. Ho chiesto come si possa pretendere che una gallina faccia puntualmente un uovo al giorno e quale margine di utile resta al contadino, se deve dare tutto il provento allo Stato. Mi è stato risposto che per ogni gallina denunciata se ne devono intendere altre due n on denunciate. Nei ristoranti di Kharkov da più di un mese non si dà più il pane assieme al pranzo a prezzo fisso. Bisogna pagare a parte per ogni fetta , o panino, R. 1,60. Sul mercato libero non si vende più pane di sorta, neppure i tozzi di pane, rimasugli di mense private et similia, che si potevano scegliere dai canestri per 15 copechi al pezzo, neppure le fette di pane nerastro a 50 copechi l’una.
Documento n. 19 della R. Ambasciata di Mosca del 1° novembre 1932, firma illeggibile. Ho qui l’onore di inviare qui unito alla E.V. un campione di pane, unico cibo degli artigiani e dei contadini liberi della Siberia. Il campione è stato portato alla R. Ambasciata da un connazionale, ex suddito austro-ungarico stabilito da molti anni nella regione orientale dell’ Urss, al confine con la Mongolia: è composto dalla corteccia di betulle, di crusca e di licheni, costa al mercato libero 25 rubli al chilogrammo. L’ingestione di questo pane sembra provocare gravi disturbi di stomaco seguiti a volte dalla morte per peritonite.
Documento n. 23 del R. Consolato di kharkov in data 6 dicembre 1932 a firma Gradenigo con la qualifica di Reggente. Quanto ai cavalli, di 120 ereditati, sono vivi attualmente 20. Gli altri sono morti di fame e di cattivo trattamento. La biada e il fieno sono scomparsi e scomparvero anche tutti i finimenti. Una bella mattina, dice il mio informatore non si trovò neppura una cinghia. Non sapevamo più cosa fare di loro. “D’altronde, continua il mio informatore, che interesse può prendere uno per una bestia che non gli appartiene? La si prende al mattino; dopo dieci ore di lavoro la si porta alla stalla e la si pianta lì. Le danno poi da mangiare? La abbeverano? La strigliano? Le levano i finimenti? Chi lo sa? E’ cosa che non ci riguarda. Se domani la bestia è sporca, affamata, che diritto ha di protestare? Con chi? E perché si dovrebbe fare ciò? Risponderebbero: forse che il cavallo è tuo? Tu hai da lavorare la terra e non di guardare i cavalli: così i cavalli sono oggi soltanto 20”.
Documento n. 24 del R. Consolato di Kharkov del 16 dicem,bre 1932, firmato da Gradenigo. Giungono notizie concordanti, da varie parti dei dintorni di Kharkov, che nelle campagne è in atto l’inasprimento dei metodi, che devono condurre alla collettivizzazione totalitaria della terra. Il metodo seguito questa volta è il seguente: alla casa del contadino indipendente si presenta una commissione composta da tre persone,; due sono armate di grossi randelli o pali di ferro; la terza è un rappresentante del GPU. Viene chiesto al contadino se è in regola col pagamento delle tasse. Viene chiesta la quietanza o altro documento comprovante che ha pagato e versato ciò che è tenuto a dare. Quindi gli viene notificato che tali contributi in denaro e prodotti sono stati quintuplicati e che quindi egli deve dare subito
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quattro volte tanto di ciò che ha già dato, a meno che non preferisca entrare a far parte del Kolchoz del villaggio. Se rifiuta entrano in azione i due compari: a randellate a colpi di leva di ferro, cominciano col fracassare la stufa e il focolaio, quindi le finestre, le porte, i mobili, tutto ciò che possono. Segue il sequestro di quanto è sequestrabile ancora e cioè la vacca e il cavallo.
Documento n, 25 del R. Consolato di Kharkov del 6 gennaio 1933, firmato da Gradenigo. La miseria ha generato in Kharkov e campagne vicine vere e proprie forme di banditismo. Già qualche settimana fa il Console polacco di Kiev, aveva trovato su alcuni giornaletti di campagna, la denuncia di sette casi di infanticidio, determinati dalla fame. Pari addirittura che si sia trattato di cannibalismo; così almeno quel Console fece rapporto dell’avvenimento. A Kharkov attualmente è pericoloso frequentare rioni eccentrici di notte e i casi di gente spogliata di ogni indumento sono all’ordine del giorno (nota mia: siamo ai primi di gennaio!) La ventura adamitica è capitata pure al vecchio medico del Consolato di Germania, dottor Rose. Ma i casi di persone che si precipitano seminudi di notte ai posti di polizia pare siano abbastanza frequenti. Questi episodi sono tuttavia di un ordine più comico che tragico, sebbene col freddo che fa, abbia spesso conseguenze molto serie. Ma sono minoranza. Il più delle volte i banditi non si accontentano di spogliare ma uccidono. Al mattino non è raro che al bazar si trovino cadaveri nudi assassinati la notte e qualcuno ne ostenta tutti i giorni il greto ghiacciato della Kharkrova. Più selvaggia è la vicenda che questi banditi fanno subire ai bambini. Oltre 300 bambini sono spariti in queste ultime 6 settimane a Kharkov. Il numero è stato confermato da cento parti e su di esso non vi è dubbio. Questa tragica formula di delinquenza è segnalata in tutta l?ucraina. (…) I piccoli sarebbero ridotti in carne da salcicce, i grandi da bestia da macello, perché due casi di questo genere sarebbero stati ufficialmente controllati fino ad ora: ad Odessa un medico, amico del dottor Rose, messo a sospetto della carne comperatagli sul mercato dai famigliari, chiamò un veterinario, che escluse trattarsi di carne di qualsiasi animale, per cui più facile fu la determinazione che si trattava di carne umana. Qui a Kharkov il cuoco della fabbrica di Apparecchi Elettrici, fu arrestato in seguito alla scoperta e constatazione che serviva carne umana. Si scolpò affermando di averla comprata al Bazar, ma è ancora in prigione.
Documento n. 28 del R. Consolato di Kharov del 24 febbraio 1933, firmato Granedigo. Dal connazionale Della Bosca, che vive nell’ambiente universitario locale apprendo quanto segue: A Kharkov c’erano tra scolari e studenti una popolazione di 120.000 individui, in parte viventi in famiglia (minima) in parte negli acquartieramenti predisposti dal governo, acquartieramenti che concordemente mi vennero e mi vengono descritti come ambienti di vita materialmente e moralmente inferiori a quella del più immondo postribolo. Il sudiciume che vi regna è fantastico, la pulizia essendo assegnata ai pensionanti. La promiscuità è ripugnante. Questa massa di studenti è stata assottigliata d’improvviso un paio di mesi fa, col sistema di esami improvvisi ai quali tutti furono sottoposti. Esami veri, e per la prima volta, fatti sul serio in base al programma di studio scientifico e non solamente di leninismo e di marxismo. Un buon terzo sono stati rimandati e immediatamente sospesi dallo stipendio e dall’uso dei locali di abitazione, nelle case degli studenti.
Documento n.32 della R. Ambasciata dI Mosca in data 27 maggio 1933 firma illeggibile. (…) La concessione di Armavir ha una estensione di 11.000 ettari: è diretta da iun tecnico tedesco coadiuvato da una sessantina di suoi connazionali: viene coltivato grano ed allevato bestiame. Le condizioni all’interno di essa sono molto buone e vi lavorano almeno 4mila russi: di più non ne può accogliere. Gli orrori iniziano non appena ci si allontana dalla concessione. L’agronomo sostato davanti alla rovina. Interrogati, i pochi superstiti hanno risposto che i loro vicini erano tutti morti di fame, ed essi attendevano rassegnati la stessa sorte. “Tra qualche giorno finiremo noi pure, hanno detto, come sono finiti gli altri”. Lungo la strada di campagna si vede sovente gente che muore di fame e cadaveri insepolti. La gente vi passa accanto senza badarvi. I primi a perire sono gli uomini, i quali generalmente presentano minor resistenza delle donne; le madri, obbligate a nutrire i propri figli, muoiono prima di quelle che non ne hanno. Nei villaggi quindi non si incontrano che donne e bambini: questi hanno le membra scheletrite e la testa, in contrasto con il corpo, sembra gonfiata. Il nutrimento consiste in erba e radici. Il pane è diventato una cosa sconosciuta: al massimo si trova un po’ di farina di granoturco. Si parla di casi di cannibalismo, ma l’informatore nulla ha potuto apprendere di esatto a questo riguardo. Un russo di origine tedesca, persona degna di fede, ha però asserito di aver visto dei cadaveri, dai quali erano stati staccati pezzi di carne. Ciò lascia supporre che in effetti qualche caso di cannibalismo ci sia stato. (…) Le autorità non prendono misura alcuna per alleviare le condizioni della popolazione.
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Negano infatti che esista il problema della fame e dicono che il grano si trova: basta cercarlo intorno alle case dei contadini dove è stato sepolto.
Documento n. 33 R.Consolato di Kharkov del 31 maggio 1933 a firma Gradenigo. (…)Il tovarisc Frenkel membro del “Kollegium” della GPU ha confidato a persona da noi conosciuta, che ogni notte vengono raccolto in Kharkov circa 250 cadaveri di morti per fame nelle strade. Per parte mia posso testimoniare di aver visto dopo la mezzanotte passare davanti al Consolato dei camions, conb un carico di 10-15 cadaveri. Poiché accanto al R. Consolato vi sono tre grandi caseggiati in costruzione, il camion ha sostato accanto alle staccionate e due incaricati, muniti di forconi da fieno sono entrati a cercare i morti. Ho visto raccogliere da terra, con i forconi, 7 cadaveri e cioè due uomini, una donna e quattro bambini. (…)
Documento n. 35 R. Consolato di Kharkov del 22 giugno 1933 a firma Gradenigo. (…) Rappresentanti del Governo hanno ammesso una perdita di vite umane, per la sola Ucraina, di 9 milioni di persone. Nei circoli universitari si parla del 40/50 per cento del totale della popolazione ucraina, cifra questa che stimo la più esatta (15/16 milioni). P.S. Concordemente mi viene affermato da più sanitari che le gravidanze nelle campagne sono cessate del tutto; che non si trova un solo lattante. (nota mia: prima di arrivare ai numeri succitati il Console elenca le singole regioni e, ad es., il Kolchoz n.47 dove ci sono poche decine di persone).
Documento n. 38 del R. Consolato di Kharkov in data 10 luglio 1933 a firma Gradenigo. Il quadro che presenta oggi l’Ucraina è dei più tristi. Salve le regioni immediatamente vicine alle città. In un raggio di una cinquantina di chilometri e le città maggiori stesse, il paese è in preda alla fame, al tifo, alla dissenteria, dicono anche al colera e persino della peste, che avrebbe fatto la sua comparsa sporadicamente per ora. (…) Quelli che non hanno potuto avere che del pane ( di quello nerissimo, composto di ingredienti i più disparati), dimagriscono progressivamente ed uniformemente e vengono colpiti da paralisi cardiaca, senza prodromi di alcun genere. Quelli invece che hanno avuto solo legumi e un po’ di latte, gonfiano lentamente nelle articolazioni, ai piedi e muoiono pure per paralisi cardiaca. Frequenti sono i fenomeni di allucinazioni, per cui vedono nei figli null’altro che animali, li ammazzano e li mangiano. Alcuni, potuti recuperare con il cibo adatto, non ricordavano poi di aver voluto mangiare i propri figli e negavano che ciò avrebbero potuto pensare. Si tratta di fenomeni dovuti a devitaminizzazione, che sarebbero molto interessanti a studiarsi ma che oggi è proibito considerare dal punto di vista scientifico.
Documento 47 R. Consolato di Kharkov in data 30 ottobre 1933 a firma Gradenigo. (…) A Soci, nel nord Caucaso, due mesi fa 1200 persone furono ad un tratto colte da spasmi e vomito che ben preso si mutò in emorragia. Coi furono alcune centinaia di morti. La causa fu scoperta nell’abbondantissima quantità di segala cornuta, frammista alle farine da pane di segala. Furono operati 116 arresti. La presenza della segale cornuta fu avvertita l’altr’anno a Kiev, ma con conseguenze meno vaste. Naturalmente l’incuria, che genera la diffusione del pericoloso parassita, è generale e la situazione della terra peggiora in questo riguardo di anno in anno. A Dnepropetrovsk, circa un mese fa 2 mila persone sono morte di intossicazione per ptomaine (infezione cadaverica). La cosa che era venuta a mia conoscenza, mi è stata poi confermata dai medici di questa Università, che mi hanno precisato il numero dei morti. Si tratta di 5 vagoni di barili di legumi in conserva (pomodori e tritume di carni varie), inviati a Dnepropetrovsk dalla Fabbrica Statale di Conserve Alimentari di Odessa. I primi casi si rivelarono durante la notte e andarono diffondendosi sempre più nella giornata. La gente veniva colta da dolori epigastrici, quindi da febbre, perdeva conoscenza e moriva in poche ore. Alla dissezione non si potè notare nulla di a normale. Solo alle analisi si scoprirono le ptomaine. Allora fu dato l’allarme attraverso la radio ed anche dei banditori. L’infezione era dovuta al fatto che in mancanza di recipienti di metallo piccoli, la conserva di legumi e carne era stata messa in barili di legno, nei quali avevano soggiornato le carni fresche, con le quali la fabbrica preparava le sue conserve. I barili destinati a questo imballaggio, invece di essere sottoposti ad un radicale pulitura e disinfezione erano stati riempiti alcuni giorni dopo con le conserve. La sporcizia e la trascuratezza, con la quale tutto viene eseguito da gente stanca, disilluso, disinteressata e non sorvegliata, trova qui un esempio tragico; ma chi non sa oggi, che le bottiglie di acque minerali non vengono mai rilavate avanti di essere riempite? Su tre bottiglie che si acquistano, due bisogna buttarle perché o puzzano di petrolio, o perché sono piene di piccoli galleggianti neri.
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Documento n. 48 del R. Consolato di Kharkov in data 12 dicembre 1933 a firma Gradenigo. (…) Invece alla fine di novembre, con i primi freddi e la conseguente ripresa delle pellicce invernali, specialmente nella campagna il tifo si è subitamente diffuso su scala anche più grave dell’anno scorso. A Kharkov ci sono circa 300 casi nuovi ogni giorno con una mortalità del 15-20 per cento, fino al 40 percento.. Il 4 dicembre è stata convocata una riunione di tutto il personale sanitario della città, per combattere questa epidemia che ormai può definirsi endemia. Furono istituite commissioni e sottocommissioni, in gran numero. Tutte le botteghe di barbiere vengono visitate accuratamente, la visita si estende anche agli addetti ed ai clienti. Altre commissioni visitano le stanze delle case. Vengono comminate multe su multe, dovunque la sporcizia è scandalosa. Vengono soppressi anche gli allevamenti di polli e conigli nelle stanze, dato che questo sistema si è largamente diffuso: è solo più tollerato negli stanzini del bagno. Ma uno dei flagelli, dei quali sempre poco si è parlato, si è rivelato improvvisamente con caratteri di grande diffusione gravità: è la malaria. L’estte umido, piovosa in sommo grado, ha sviluppato in modo gravissimo la diffusione del male. Si calcola un malarico per ogni casa o capanna. Il paese era completamente sprovvisto di chinino: attualmente si vende solo agli spacci del Torgsin (negozi in cui si compera solo con valuta) (…) Tutti gli ospedali di Kharkov hanno avuto l’avvertimento che l’unica fabbrica dell’Unione, esistente a Mosca, per la produzione di etere, rimarrà chiusa per 6 mesi per ristrutturazione e che per le operazioni dovranno perciò ricorrere al vecchio cloroformio. -------------------------------------------------La “Signorina” di buona famiglia, fascinosa, di alto sentire però asessuata e solita andare in sposa ad altri. (…) “Donna uterina, istintiva, tipicamente centro gravitazionale sugli ovari” (…) Vanesia, letterata, troja (…) vagabonda negli spazi sconfinati della vedovanza (…) bertucce alle prese con la meccanica pratica dello sculettamento (…) Lucilla
Sergiacomo, Gadda spregiator delle donne. Sublimazione, misoginia, femminicidio e ginofobia, ed. Noubs, 2014.
Non c’è maschera che possa a lungo nascondere l’amore. Quando c’è, è evidente; quando non c’è inutile fingerlo.
Robert Burton
La più profonda libertà proviene dall’estinzione delle paure.
Cesare Viviani
Pace: quello per cui tutti combattono. Eric Jarosinski, Nein, ed. Marsilio, 2015
E’ assodato che la regione alpina venne raggiunta dal messaggio evangelico, con notevole ritardo, ad es. nei confronti della Gallia transalpina (ove Fotino e Ireneo crearono verso il 150 una delle prime “Chiese” d’ occidente, quella di Lione) e nei confronti di Milano, che divenne sede vescovile verso il 200. Base di partenza per fissare una data alla penetrazione del cristianesimo nell’Alta Valle del Tanaro e delle Langhe sono dunque le sedi vescovili.. E’ certo infatti che la fondazione delle chiese rurali fu opera dei vescovi; tale fondazione avvenne lentamente e progressivamente. Anche se è lecito pensare che assai presto anche nelle campagne vi fossero dei cristiani, è pur sempre necessario ricordare che dovette trattarsi di “singoli” cristiani e di casi isolati. Delle sedi vescovili fu certo Vercelli la prima della regione subalpina, e fu “chiesa madre”, nel senso che “generò” alla fede –come afferma san Massimo- la chiesa di Torino e poi tutte le altre. Il processo di penetrazione e di cristianizzazione delle nostre terre ricalcò, nelle grandi linee, l’andamento della penetrazione romana, per cui raggiunta Tortona, prese ad espandersi verso la plaga sud occidentale, attraverso appunto la rete delle strade romane, e, risalendo i fiumi, il Tanaro e le Bormide (e assai più tardi il Belbo) per le plaghe in questione, si portò sino alla “sommità delle Alpi”. Secondo il Savio appunto, avvenne che, dopo Vercelli e Tortona, la penetrazione irradiandosi raggiunse quasi contemporaneamente le altre sedi vescovili e cioè
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Novara, Torino, Ivrea, Aosta, Alba, Asti ed Acqui, e ciò verso l’anno 397. La diffusione del verbo cristiano –che in Oriente aveva assunto un tono accelerato, e talvolta esplosivo,-, ebbe nell’area subalpina un ritardo notevole, dovuto a cause disparate, tra le quali, non ultima, la presenza di culti celtici. Per l’Oriente, infatti la celebre lettera di Plinio ( Epistola X, 96), scritta tra il 111 e il 113, già ci informa che alla fine del primo secolo ed all’inizio del secondo, il “nuovo verbo” aveva raggiunto non solo città e borghi, ma addirittura le più remote campagne (neque civitates tantum, sed vicos atque agros superstitionis istius pervagata est); era dunque, al dire dello scrittore latino l’inarrestabile forza di penetrazione del “contagio superstizioso” a raggiungere anche le campagne; quelle campagne invece che nell’area celtica dovevano opporre una ben diversa resistenza al “nuovo verbo” e ne abbiamo una palese testimonianza, per la Gallia transalpina, , nella “Vita sancti Martini” di Sulpizio Severo scritta verso la metà del secolo IV; e per la regione pedemontana una testimonianza parallela è quella di san Massimo di Torino ( oc, XXX, XLI, sull’eclissi di luna e sugli idoli delle campagne), il quale lamenta la persistenza, nel secolo IV, del culto dei “dianatici” e di altri culti pagani. E’ possibile dunque asserire che anche nel Piemonte l’organizzazione delle chiese vescovili giunse a compimento verso la fine del secolo IV, cosicchè, dopo il 397, quasi tutte le città della regione ebbero il loro vescovo. Fu in tal modo, opera dei vescovi di Alba, Asti ed Acqui la penetrazione cristiana della valle del Tanaro e delle Langhe con la progressiva fondazione delle chiese rurali, susseguentesi lungo il percorso delle grandi strade romane e risalendo i fiumi sino alla loro sorgente. Giovanni Conterno, Pievi e chiese dell’antica diocesi di Alba, Bollettino della Soc. Studi Storici, archeologi ed artistici Provincia di Cuneo, n. 80, I semestre 1979 (lavoro davvero bello ed approfondito, ricco di note e riferimenti).
Il più grande rischio di un viaggio, l’unico veramente irreparabile è il non partire. Come ci insegna la prima legge della dinamica, la partenza è infatti la cosa più difficile, bisogna vincere un attrito, una resistenza. Non lo si può fare senza impiegare una forza. Secondo i libri di fisica, invece, continuare a muoversi è uno scherzo, non occorre alcuna forza applicata. Partire richiede sempre una manifestazione di volontà, uno sforzo, un distacco: significa lasciare qualcosa o qualcuno. Significa lasciare abitudini e certezze. Significa soprattutto volerlo. (…) Citazione: la sapienza possiamo apprenderla dagli altri, la saggezza dobbiamo ricercarla in noi stessi. Axel Munthe. (…) Citazione: … sono diversi il ritmo di vita e la personalità della gente, gente che non sta andando da nessuna parte e non è troppo indaffarata per essere cortese. Gente che sa tutto sul “qui” e sull’ “ora” delle cose. Robert M. Pirsing. (…) –Hai sempre fretta tu- mi risponde lui sedendosi su una panchina e rispondendo al mio sorriso- ma alla fine guadagni mica tempo. Il tempo non si risparmia e non si perde, lo si può solo vivere. Sai cosa dice Marquez? –Il tempo è la grande perversione … La gente corre dietro agli attimi e non si accorge che è la sua vita che se ne va-. (…) Citazione: L’eclisse del principio di autorità è da contarsi tra i pochi elementi positivi del nostro tempo. Primo Levi. (…) Citazione: tuez-les tous, Dieu reconnaitrà les siens. Ordine impartito ai soldati di uccidere tutti coloro che si trovavano nella cattedrale di Albi, nel 1200. (…) -Non vale la pena di vivere senza una fede, ti auguro di trovare prima o poi la tua fede. Ma attento alla religione, a tutte le religioni. Hanno la stessa radice etimologica del verbo “legare”. La fede ti libera, la religione ti lega- (…) E mi racconta la sua vita, come parlando a se stesso. E’ la storia di un ragazzo molto studioso e testardo, già miope da bambino, di famiglia modesta, che era riuscito con un impegno quasi disperato a salire tutti i gradini della vita sociale e della professione. Che aveva potuto avere dalla vita molto denaro, una posizione solida, una famiglia quasi felice. E che un giorno si era reso conto, durante una cena di ex-compagni del liceo, guardando le pancette prominenti e i visi arrossati di questi vecchi ragazzi diventati grassi borghesi, che stavano vivendo tutti la propria sconfitta. Erano diventati quello che da studenti odiavano di più, quello che sarebbero mai stati, uguali o peggiori dei loro professori, dei parenti. Le stesse frasi, le stesse espressioni, le stesse pance a tendere abiti lussuosi, gli stessi cappelli ridicoli a coprire calvizie incipienti e stempiature. Ora erano arrivati, erano “ricchi”, rispettati, a volte temuti, proprio come allora erano “loro”. Ma proprio per questo, erano degli sconfitti: erano diventati esattamente come loro, ed affogavano la loro sconfitta nel lusso vuoto, quello che non dà piacere, ma nasconde il niente e la disperazione. Avevano faticato e studiato, rinunciando a mille piaceri e compagnie per scalare una montagna; per poi accorgersi che era quella sbagliata, non era ciò che aveva voluto.(il narratore è un notaio di Arles) (…) E poi ha una maglietta con una scritta che me lo rende subito simpatico: “Se è vero che il tempo è denaro, allora perché chi ha tanto tempo non ha mai denaro e chi ha tanto denaro non ha mai tempo?” (…) Poi noto un piccolo cartello scritto a mano con una grafia ordinata ed elegante. Cita un passo della Regola di san Benedetto: “Accoglierai il forestiero ed il viandante come se fosse Cristo stesso” e, sotto, più piccolo,
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la stessa grafia aveva aggiunto: “ed il pellegrino ancora meglio”. (…) Citazione: je l’honneur de ne pas te demander ta main. Ne gravons pas non noms au bas d’un parchemin. Georges Brassens. (…) La mia vena di anarchia latente, la mia rabbia iconoclasta rinasce sempre quando vedo gli effetti di questa idiozia pianificatrice. Burocrati strapagati che tra un cappuccino ed una brioches pontificano e legiferano di mucche e di formaggio, e di vigne e di frumento; agronomi che non hanno mai potato un melo, veterinari che non saprebbero mungere una capra, architetti che sanno tutto su Wright ma non saprebbero impastare un secchio di malta. Tutta gente che per esorcizzare la propria incapacità professionale deve imporre la propria mentalità razionalizzatrice, un mondo sterile, senza rischi, senza batteri, senza vita. Tutti asettici, disinfettati ben impachettati, confezionati. Appena nati ci metteranno il marchio CE, il visto di conformità, il casco e il preservativo obbligatorio. Ogni due a nni revisione presso un centro abilitato, obbligo scolastico dai 6 mesi ai 33 anni, rottamazione a 90 anni. Riesco sempre ad incavolarmi quando vedo un mondo fatto di uomini e donne, cani, mucche, prati, parole, libri, travolto travolto da questo rigurgito di efficientismo burocratico. Uomini che non sanno vivere la propria vita e pretendono di imporre agli altri le loro visioni totalizzatrici. (…) Citazione: Sembra che tutti abbiano l’idea esatta di come dobbiamo vivere la nostra vita. E non sanno mai come vivere la loro. Paulo Coelho. (…) Citazione: “sono un uomo fortunato. Avevo un sogno e si è avverato; e questo è una cosa che non capita spesso agli uomini” Tensing, il primo sherpa a salire sull’Everest. (…) Ho capito tutto: che sciocco sono stato ieri ad essere deluso. Cosa mai mi aspettavo?. Non è Santiago l’importante, è il Camino; non è la mèta, è il percorso. Non è importante arrivare, importante è partire e poi continuare, giorno per giorno, verso una destinazione, con la pioggia e con il sole, il freddo ed il caldo, la promiscuità dei rifugi e la solitudine del sentiero. Quello che resta dentro, alla fine, sono solo le mille impressioni vissute nel viaggio, i paesaggi, le architetture, gli incontri: ma tutto questo non ci sarebbe senza una mèta. Santiago non è importante, ma senza Santiago non ci sarebbe il Camino, senza una mèta da raggiungere si vaga sperduti, non si viaggia. (…) “Perdere tempo”, con la consapevolezza che il tempo non si può né perdere né ritrovare, lo si può solo vivere. E che il modo migliore di viverlo appieno non è certo quello di passarlo in fretta, con lo sguardo preoccupato all’orologio e alla tabella di marcia. Nella vita di ogni giorno sovente il tempo è il nostro padrone. Il viaggio, e ancor più il pellegrinaggio, è l’occasione di invertire i ruoli e ridivenire padroni del proprio tempo. Pedalare con calma ci permette di vedere e di conoscere tesori artistici e meraviglie naturali che la fretta impedisce di gustare. Lele Viola, Pellegrino a pedali, Primalpe 2002, Biblio di Cuneo N 30 361 (magnifico questo resoconto di un pellegrinaggio in bici a Santiago effettuato nel 1999. Grande narratore ma soprattutto gran bella testa che sa vedere le cose nel modo giusto. Nelle note finali stravolge tutto il racconto rendendolo ancora più appetitoso. Sono onorato di essergli amico. Avevo già letto questo testo: l’ho gustato ancora una volta, ne valeva la pena).
----------------------Antoine de Sait-Exupery, Volo di notte e l’aviatore, Newton Compton ed., 2015 ( gran bel libretto di avventura di un pioniere dell’aviazione quale è stato, come noto, il Saint-Exupery. Contrapposto all’entusiasmo del pilota è il pragmatismo del Direttore che però, sotto sotto, ha anche tanta umanità. Il finale sarebbe stato più bello se fosse stato un altro, ma tant’è).
Ci voleva il nostro migliore scrittore nazionale (il maggiore del ‘900 , come sostenne Augias sul finire di quel secolo) per orientarci nella disputa tra Elton John e Dolce&Gabbana sul ricorso alla maternità surrogata per le coppie gay. In un lungo articolo sul “Corriere”, in cui dimostra autorevolmente di non sapere nulla di fecondazione assistita e di altri disdegnati progressi tecnico-scientifici, in sostenza ci trasmette il seguente messaggio: “Se si vive bene ed anche male con dei figli, si vive altrettanto male e anche bene senza”. Grazie Busi, non lo sapevamo. Il Sole 24ore, Il Graffio del 22 marzo 2015 Una normalità che può trovarsi nel cuore di qualsiasi uomo, anche in quello di chi ci sta accanto, e forse anche nel nostro. Ma la normalità può trasformarsi in conformismo, e il conformismo, a sua volta in stupidità.: la stoltezza di chi accetta acriticamente, ritenendo erroneamente di averne un tornaconto, le forme e i modi del potere.”La stupidità – scrive Bonhoeffer- è un nemico del bene assai più pericoloso della malvagità. Contro il male si può protestare, si può smascherarlo, se necessario ci si può opporre con la forza; ma il male porta sempre con sé il germe della auto dissoluzione e lascia sempre un senso di malessere nell’uomo. Ma contro la stupidità siamo disarmati”. Armando Massarenti, il Sole24ore del 22 marzo 2015
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L’età della pietra non è finita perché sono venute meno le pietre.
La vita, per l’uomo, è una esperienza più difficile della morte. Sant’Agostino
-------------------------------Voltaire-------------------------------Dalla prefazione: questo libro può essere letto solo da persone illuminate; il volgo non è fatto per simili cognizioni; la filosofia non sarà mai a suo retaggio. Chi sostiene che ci sono verità che devono essere nascoste al popolo non ha motivo di allarmarsi; il popolo non legge; lavora sei giorni alla settimana e il settimo lo passa all’osteria. In breve, le opere di filosofia sono fatte solo per i filosofi, e ogni uomo dabbene deve cercare di essere filosofo, senza piccarsi di esserlo. ABRAMO è uno di quei nomi celebri in Asia Minore e in Arabia, come Thot tra gli Egizi, il primo Zoroastro in Persia, Ercole in Grecia, Orfeo in Tracia, Odino tra i popoli nordici e tanti altri noti più per la loro fama che per una storia realmente accertata. Parlo beninteso della storia profana; infatti nei confronti di quella degli Ebrei, nostri maestri e nemici, cui crediamo e che detestiamo, giacchè la storia di questo popolo è stata scritta dallo stesso Spirito Santo, nutriamo i sentimenti che gli sono dovuti. In questa sede ci rivolgiamo solo agli arabi; essi vantano una discendenza da Abramo tramite Ismaele; credono che questo patriarca abbia fondato la Mecca e che sia morto in quella città. Il fatto è che la stirpe di Ismaele è stata immensamente più favorita da Dio della stirpe di Giacobbe. Una e l’altra hanno prodotto, a dire il vero, dei ladroni; ma i ladrono arabi sono stati enormemente più superiori ai ladroni ebrei. I discendenti di Giacobbe si limitarono a conquistare un piccolissimo paese, che hanno perduto; i discendenti di Ismaele hanno conquistato una parte dell’Asia, dell’Europa e dell’Africa, hanno fondato un impero più vasto di quello dei Romani e hanno cacciato gli Ebrei dalle loro caverne che essi chiamavano terra promessa. (qui fa un ampio inciso sulla storia di Abramo narrata in Genesi: come abbia attraversato molti deserti per andare nella pietrosa e arida Sichem, come sia fuggito in Egitto a causa della carestia e qui abbia indotto la giovanissima Sara a fingersi figlia affinchè il re d’Egitto, prendendosela, offra molti capi di bestiame, servi e beni ad Abramo. Siccome gli piaceva viaggiare attraversò il deserto di Cades con la moglie incinta. Il re del paese si prese Sara in quanto era stata presentata come sorella di Abramo: ne ricevette molti beni e benefici. Sarcasticamente di ce che Abramo divenne ricco e potente alla faccia della moglie ) Ma quello che appare assai ragionevole a molti studiosi, è
che questo Abramo fosse caldeo o persiano: gli Ebrei, in seguito, si vantarono di essere i discendenti, come i Franchi discendono da Ettore. AMORE. Amor omnibus idem (Virgilio, Georgiche,III, 244). Bisogna qui ricorrere al fisico. L’immaginazione ha ricamato la stoffa della natura. Vuoi avere un’idea dell’amore? Osserva i passeri del tuo giardino; guarda i piccioni; contempla il toro che portano alla tua giovenca; ammira quel fiero cavallo che due domestici portano alla tranquilla cavalla che scosta la coda per riceverlo; guarda come scintillano i suoi occhi, senti i suoi nitriti, contempla quei salti, quelle corvette con le orecchie tese, quella bocca che si apre con piccole convulsioni, quelle froge che si dilatano, quel soffio caldo che ne esce, quel crine che si drizza e che danza, quel moto imperioso con cui si lancia sull’oggetto che la natura gli ha destinato. Ma non esserne geloso, e pensa ai vantaggi della specie umana: essi compensano in amore tutti quelli che la natura ha dato agli animali, forza, bellezza, leggerezza, rapidità. Ci sono addirittura animali che non conoscono il piacere. I pesci squamati sono privi di questa dolcezza; la femmina deposita sil limo milioni di uova e il maschio che le trova passa su di loro e le feconda con il proprio seme, senza prendersi la briga di sapere a quale femmina appartengono. La maggior parte degli animali che si accoppiano provano piacere con un solo senso e, non appena questo appetito è soddisfatto, tutto si esaurisce. Nessun animale, fuorchè te, conosce gli amplessi; tutto il tuo corpo è sensibile; le tue labbra soprattutto assaporano una voluttà che nulla può stancare, e questo piacere appartiene soltanto alla tua specie; infine, tu puoi dedicarti all’amore in ogni istante, mentre gli animali hanno un periodo definito. Se rifletti su queste superiorità, dirai con il conte di Rochester: “L’amore, in un paese di atei,farebbe adorare la divinità”. (…) Nam facit ipsa suis interdum foemina factis, morigerisque modis, et mundo corpore culto, ut facile insuescat secun degere vitam = Poiché, talvolta, la donna stessa, con i suoi atti e con i suoi modi gradevoli, e con la cura aggraziata del corpo, fa sì che volentieri (l’uomo) si avvezzi a trascorrere la vita con lei. ( Lucrezio liber V, 1280-1282).
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L’amor proprio soprattutto rafforza tutti questi legami. Si plaude alla propria scelta, e una folla di illusioni sono gli ornamenti di quest’opera di cui la natura ha gettato le fondamenta. AMORE COSIDETTO SOCRATICO. (…) L’attrazione dei due sessi uno per l’altro si manifesta presto; ma, checché si dica per le africane e per le donne dell’Asia meridionale, questa attrazione è generalmente molto più forte nell’uomo che nella donna; è una legge che la natura ha stabilito per tutti gli animali. E’ sempre il maschio che attacca la donna. I giovani maschi della nostra specie, allevati insieme, sentendo questa forza che la natura inizia a manifestare in loro, e non trovando l’oggetto naturale del loro istinto, ripiegano su qualche cosa che gli assomigli. Spesso un fanciullo, per la freschezza della carnagione, lo splendore del colorito e la dolcezza degli occhi, per due o tre anni assomiglia a una bella ragazza; se lo si ama, è perché la natura si inganna: si rende omaggio al sesso, subendo il fascino di chi ne ha le bellezze,e, quando l’età ha fatto svanire tale rassomiglianza, l’equivoco cessa: Citraque juventam aetatis breve vere et primos carpere flores =e prima della gioventù, cogliere la breve primavera dell’età e i primi fiori. (Ovidio, Met., X 84-85) Si cita il legislatore Solone perché in due pessimi versi ha detto: Amerai un bel ragazzo / Finchè il suo mento non abbia barba. AMOR PROPRIO Uno straccione dei dintorni di Madrid chiedeva dignitosamente l’elemosina; un passante gli disse: “non vi vergognate di fare questo mestiere infame, quando potreste lavorare?” “Signore –rispose il mendicante- vi chiedo del denaro non dei consigli”. ANGELO (…) L’antica tradizione ebraica, secondo Ben Maimon, contempla dieci gradi, dieci ordini di angeli: 1 i chaios acodesch, puri, santi; 2 gli ofamin, rapidi; 3 gli oralim, i forti; 4 i chasmalim, le fiamme; 5 i seraphim, scintille; 6 i malakim, angeli, messaggeri, deputati; 7gli eloim, dèi o giudici ; 8 i ben eloim, figli degli dèi ; 9 cherubim, immagini; 10 ychim, gli animati ANTITRINITARI (…) Che sostenere, come fanno i loro avversari, che vi sono più persone distinte nell’essenza divina, e che l’Eterno non solo il vero ed unico Dio, ma bisogna aggiungervi il Figlio e lo Spirito Santo, equivale a introdurre nella Chiesa di Gesù Cristo l’errore più grossolano e più pericoloso, poiché significa introdurre apertamente il politeismo. Che è contradditorio sostenere che c’è un solo Dio e che nondimeno ci sono tre persone, né meno persone che essenze. Che tale distinzione, uno nell’essenza e trino nelle persone, non c’è mai stata nelle sacre Scritture. ARIO (…) L’imperatore Costantino era uno scellerato, lo ammetto, un parricida che aveva soffocato sua moglie nel bagno, sgozzato il figlio, assassinato il suocero, il cognato e il nipote, non lo nego; un uomo tronfio di orgoglio, e immerso nei suoi piaceri, ne convengo; un detestabile tiranno, come i suoi figli, transeat; ma aveva buon senso. Non si arriva all’Impero non si soggiogano tutti i rivali senza aver fatto bene i propri conti. Quando si avvide della guerra civile accesa dai cervelli scolastici, mandò il celebre vescovo Osio con lettere esortative alle due parti belligeranti. “Siete dei pazzi –disse loro espressamente nella sua lettera- a litigare per cose che nemmeno capite. E’ indegno della gravità dei vostri ministeri fare tanto chiasso per un problema così secondario”. Per problema secondario Costantino non intendeva ciò che riguarda la Divinità, ma il modo incomprensibile con cui ci si sforzava per spiegarne la natura. (…) Osio parlava a degli ostinati. Si riunì il Concilio di Nicea, e nell’impero romano vi fu una guerra che durò trecento anni. Questa guerra ne scatenò altre, e di secolo in secolo ci si è perseguitati a vicenda fino ai giorni nostri. BATTESIMO (…) Giovanni battezzò nel Giordano e battezzò anche Gesù, che però non battezzo mai nessuno, mai si degnò di consacrare quell’antica cerimonia. (…) Tuttavia i primi quindici vescovi di Gerusalemme erano dei circoncisi e verosimilmente non battezzati. (…) Nei primi secoli del cristianesimo si abusò di questo sacramento; niente era più comune che attendere il momento dell’agonia per ricevere il battesimo. L’esempio dell’imperatore Costantino ne è prova lampante. Ecco come ragionava: il battesimo purifica tutto; posso quindi uccidere mia moglie, mio figlio e tutti i parenti che voglio; dopodiché mi faro battezzare e andrò in cielo. (…) E’ evidente, per chiunque voglia ragionare senza pregiudizi, che il battesimo non è un segno di grazia conferita, né un sigillo di alleanza, ma un semplice segno di professione. Che non è stato istituito da Gesù Cristo, e che il cristiano ne può fare a meno, senza che possa scaturirne per lui alcun inconveniente. (…) Strana questa idea, mutuata dal bucato, che un catino d’acqua lavi tutti i crimini! Oggi che si battezzano tutti i bambini, perché un’idea alquanto assurda li accomuna a dei criminale, eccoli tutti salvi sin che
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non avranno l’età della ragione e potranno diventare colpevoli. Sgozzateli dunque al più presto onde possano meritare il Paradiso. BENE (TUTTO E’ BENE) (…) I Siriani immaginarono che l’uomo e la donna, creati nel quarto cielo, si azzardarono a mangiare una focaccia invece dell’ambrosia che era il loro pasto naturale. L’ambrosia esalava dai pori; ma dopo aver mangiato la focaccia, bisognava andare di corpo; L’uomo e la donna pregarono un angelo di indicare loro dove c’era il gabinetto. “Vedete –disse l’angelo- quel piccolo pianeta, piccolo così, a circa sessanta milioni di leghe da qui? E’ quello il gabinetto dell’universo; andateci subito” Partirono e furono lasciati lì; da allora il nostro mondo è quello che è. CONCILI (…) Il primo fu quello di Nicea. Fu riunito nel 325 dell’era volgare, dopo che Costantino ebbe scritto e inviato tramite il vescovo Osio quella bella lettera al clero un po’ turbolento di Alessandria: “Litigate per una quisquilia. Simili sottigliezze sono indegne di persone ragionevoli”. Si trattava di sapere se Gesù fosse stato creato o increato. Ciò non coinvolgeva affatto la morale, che è l’essenziale. Che Gesù sia stato nel tempo, o prima del tempo, nondimeno bisogna essere uomini dabbene. Dopo molti alterchi si decise finalmente che il Figlio era antico almeno quanto il Padre, e consustanziale al Padre. Questa decisione è quasi incomprensibile, ma perciò è tanto più sublime. Diciassette vescovi protestarono contro la sentenza, e un’antica cronaca di Alessandria, conservata a Oxford, dice anche che duemila preti protestarono; ma i prelati non tengono in gran conto i semplici preti, che solitamente sono poveri. Comunque sia non si discusse mai della Trinità in quel primo concilio. La formula recita: “Noi crediamo Gesù consustanziale al Padre, Dio da Dio, luce da luce, generato e non fatto; noi crediamo anche allo Spirito Santo”. (…) Dopo il primo concilio di Nicea, composto da trecentodiciassette vescovi infallibili, se ne tenne un altro a Rimini; e il numero degli infallibili questa volta era di quattrocento, senza contare un grosso distaccamento di circa duecento a Seleucia. Questi seicento vescovi, dopo quattro mesi di discussioni e dispute, tolsero unanimemente a Gesù la consustanzialità. In seguito gli è stata restituita, tranne che dai sociniani (due fratelli senesi Lelio e Fausto Socini che rifiutarono la Trinità. Tale dottrina si diffuse in Polonia e in Transilvania me quindi in Olanda ed Inghilterra e , poi, nelle colonie oltre atlantico) , così tutto si è sistemato. Uno dei grandi concili è quello di Efeso, del 431; il vescovo di Costantinopoli, Nestorio, grande persecutore di eretici, fu lui stesso condannato come eretico, per aver sostenuto che in realtà Gesù era Dio, ma che sua madre non era assolutamente madre di Dio, ma solo madre di Gesù. Fu san Cirillo a far condannare Nestorio; ma nello stesso concilio i partigiani di Nestorio fecero deporre anche san Cirillo, che così imbarazzò molto lo Spirito Santo. Prendi cura di notare, caro lettore, che il Vangelo non ha mai detto una parola, né sulla consustanzialità del Verbo, né sull’onore di Maria di essere la Madre di Dio, nonché sulle altre dispute che hanno fatto convocare plurimi concili infallibili. Eutiche era un monaco che aveva molto inveito contro Nestorio, la cui eresia arrivava addirittura a supporre due persone in Gesù, il che è spaventoso. Il monaco, per meglio contraddire iul suo avversario, assicura che Gesù aveva una sola natura. Un certo Flaiano, vescovo di Costantinopoli, gli ribattè che dovevano assolutamente esserci due nature in Gesù. Si riunisce un numeroso concilio a Efeso nel 449; questo si tenne a suon di legnate, come il piccolo concilio di Cirta, nel 355, ed altra conferenza a Cartagine. (…) La legge mosaica aveva proibito le immagini. I pittori e gli scultori non avevano mai fatto fortuna presso gli Ebrei. Non risulta che Gesù abbia mai avuto quadri, tranne forse quello di Maria dipinto da Luca: di certo Gesù non dichiara in nessun punto di adorare le immagini. (…) L’imperatrice Irene, la stessa che farà cavare gli occhi a suo figlio, convocò il secondo concilio di Nicea nel 787: l’adorazione delle immagini fu contemplata. Carlo Magno nel 794 fece tenere a Francoforte un altro concilio che bollò di idolatria il secondo concilio di Nicea. Il papa Adriano I vi inviò due delegati, ma non lo convocò. Il primo grande concilio convocato da un papa fu il Laterano I nel 1139; vi presenziarono circa mille vescovi, ma non vi si concluse quasi nulla, se non anatemizzare coloro che dichiaravano che la Chiesa fosse troppo ricca. Altro concilio lateranense nel 1179, tenuto da papa Alessandro III, dove i cardinali, per la prima volta, presero il sopravvento sui vescovi; non si parlò d’altro che di disciplina. Nel 1245, concilio ecumenico di Lione, allora città imperiale, nel quale papa Innocenzo IV scomunicò l’imperatore Federico II e di conseguenza lo depose, e gli interdisse il fuoco e l’acqua: in quel concilio si diede ai cardinali un cappello rosso, per rammentare loro che è necessario bagnarsi nel sangue dei partigiani dell’imperatore. Quel concilio fu la causa della distruzione della cada di Svevia, e di trent’anni di anarchia in Italia e in Germania. Concilio ecumenico di Vienne, nel delfinato, nel 1311, dove fu abolito l’ordine dei Templari, i cui principali membri erano stati condannati ai più orrendi supplizi, sulla base di accuse meno provate. Infine abbiamo il grande concilio di Trento, non accettato in Francia, in materia disciplinare: ma il suo dogma è incontestabile poiché lo Spirito Santo arrivava da Roma a Trento ogni settimana, per corrispondenza, a quanto dice frà Paolo Sarpi. Ma frà Paolo Sarpi puzzava un po’ di eresia.
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CONFESSIONE (…) La confessione segreta che un uomo fa ad un altro uomo fu ammessa nel nostro Occidente solo nel VII secolo. Gli abati cominciarono ad esigere che i loro monaci andassero a confessarsi due volte l’anno, Furono gli abati che inventarono la formula: “Io ti assolvo per quanto è in mio potere e secondo i tuoi bisogni”. CRISTIANESIMO – RICERCHE STORICHE Parecchi studiosi non hanno nascosto la loro sorpresa nel non trovare nello storico Giuseppe alcuna traccia di Gesù: tutti infatti oggi convengono che il breve passo in cui vi si accenna nella sua Storia, è interpolato. Il padre di Giuseppe doveva pur tuttavia essere stato uno dei testimoni dei miracoli di Gesù. Giuseppe era di famiglia sacerdotale ed entra nei minimi dettagli della vita e delle vicende di corte, ma tuttavia non accenna al magistero di Gesù ma neanche n on fa il minimo cenno al massacro ordinato da Erode dopo aver saputo dalla comparsa della stella che era nato un nuovo re: eppure quattordicimila bambini assassinati avrebbero dovuto lasciare un segno nella storia locale, ma anche a quella di Roma. Ma neanche nessun accenno al fatto prodigioso dell’eclissi durata ben tre ore che, di certo, si era verificata anche a Roma. Dio non ha voluto che queste cose divine fossero scritte da mani profane. (…) In primo luogo Gesù nacque sotto la legge mosaica, fu circonciso secondo quella legge, ne adempì tutti precetti, ne celebrò tutte le feste e predicò soltanto la morale: non rivelò affatto il mistero della sua incarnazione; non disse mai agli Ebrei che era nato da una vergine; non battezzò mai nessuno; non istituì mai i sette sacramenti, non regolamentò alcuna gerarchia ecclesiastica. Nascose ai suoi contemporanei che era figlio di Dio, eternamente generato, consustanziale a Dio, e che lo Spirito procedeva dal Padre al Figlio; Non disse che la sua natura era composta da due persone e da due volontà. Colui che più contribuì a fortificare quella nascente società fu quello stesso Paolo che l’aveva perseguitata con maggior crudeltà. Era nato a Tarso in Cilicia, e fu educato dal famoso dottore fariseo Gamaliel, discepolo di Hillel. Gli Ebrei sostennero che ruppe con Gamaliel perché rifiutò di dargli in sposa sua figlia. Qualche traccia di questo aneddoto si trova negli Atti di Santa Tecla. Questi atti riportano che egli aveva la fronte larga, la testa calva, le sopracciglia unite, il naso aquilino, una statura bassa e robusta e le gambe storte.. (…) è assai dubbio che fosse cittadino romano giacchè in quel tempo questo titolo non veniva concesso a nessun ebreo; Tarso divenne colonia romana solo un centinaio di anni dopo, sotto Caracalla. (…) I cristiani che adoravano anch’essi un solo Dio, ebbero perciò maggior facilità nel convertire parecchi gentili. Alcuni filosofi della setta di Platone aderirono al cristianesimo. Per questo i Padri della Chiesa dei primi tre secoli furono tutti platonici ( qui fa un’ampia dissertazione sulla credenza delle Sibille, dei Vangeli apocrifi, della diffusione del cristianesimo in tutto iol mondo allora conosciuto).
DAVID Che un giovane contadino, cercando delle asine, trovi un regno, non capita spesso; che un giovane contadino guarisca il suo re da un accesso di follia suonando l’arpa, è un caso altrettanto raro; ma che quel piccolo suonatore d’arpa divenga re perché ha incontrato in un posto un prete di villaggio che gli versa una bottiglia d’olio di oliva sulla testa, è ancora più stupefacente. (…) Ma son o irritato che il mio amico David cominci con il radunare una banda di ladri in numero di quattrocento, che alla testa di questa truppa di onest’uomini si accordi con Abilmelech il gran sacerdote, che lo arma con la spada di Golia e gli dà i pani consacrati (Samuele1, XXI, 10) (…) Frattanto l’altro unto del Signore, Saul, perde una battaglia contro i Filistei e si fa ammazzare. Un giudeo porta la notizia a David e, per ricompensa, viene ucciso. (Samuele ii, I, 10) Isboseth succede a suo padre Saul; David è abbastanza forte d fargli battaglia e lo uccide. David si impadronisce di tutto il regno; sorprende la cittadina di Rabbath, e fa morire tutti gli abitanti con supplizi alquanto straordinari; li segano in due, li straziano con erpici di ferro, li bruciano in fornaci da mattoni: un modo di fare la guerra davvero nobile e generoso. (Samuele II, XII). FANATISMO Il fanatismo sta alla superstizione come la convulsione alla febbre, la rabbia alla collera. Chi ha delle estasi, delle visioni, che scambia il sogno con la realtà, e le siue immaginazioni per profezia, è un entusiasta. Chi sostiene la propria follia con l’omicidio è un fanatico. (…) Una volta che il fanatismo ha incancrenito il cervello, la malattia è quasi incurabile. Ho visto dei convulsionari che, parlando di san Paris ( verso il 1729, nel pieno della lotta tra oil governo di Luigi XV e il Parlamento di Parigi, di tendenza giansenista, si sparse la voce che parecchi miracoli erano stati ottenuti da un semplice diacono, Francois de Paris, fervente giansenista morto nel 1727 e sepolto nel cimitero di Saint Médard. Tra la folla che vi si recava, alcuni, colti da improvvisi spasmi e da convulsioni, cadevano in preda di un delirio estatico e sostenevano di predire il futuro. Altri si credevano guariti dalle proprie malattie) a poco a poco si accaloravano loro malgrado: gli occhi si infiammavano, le
membra tremavano, il furore sfigurava loro il volto, e avrebbero ammazzato chiunque li avesse contraddetti.. (…) Di solito sono i furfanti a guidare i fanatici, e a metter loro il pugnale tra le mani; assomigliano a quel Vecchio della Montagna (nome dato dai crociati a Rashid al-Din Sinan (m1192) gran maestro della setta eretica ismaelita degli assassini = dediti all’hascisc, i quali professando in segreto un ascetismo affine al panteismo e sottoposti ad una rigida gerarchia, sconvolsero con
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plurimi omicidi politici l’Oriente) che, a quanto dicono, faceva assaporare le gioie del paradiso a degli imbecilli, e
prometteva loro l’eternità di quei piaceri di cui aveva dato loro un assaggio, a condizione che andassero ad assassinare quelli che lui avrebbe nominato. GIOBBE (…) Del resto, il libro di Giobbe, è uno dei più preziosi di tutta l’antichità. E’ evidente che questo libro è un arabo vivente prima del tempo in cui collochiamo storicamente Mosè. E’ detto che Elifaz, uno degli interlocutori, è di Teman, un’antica città d’Arabia. Bildad era di Suez, altra città d’Arabia e Zofar era di Naamat, contrada ancora più orientale dell’Arabia. Ma, cosa assai più notevole, e che dimostra che questa favola non può essere di un ebreo, visi parla di tre costellazioni che oggi noi chiamiamo l?orsa, Orione e le Iadi. Gli ebrei non hanno mai avuto la minima nozione di astronomia, non avevano neanche parole per esprimere questa scienza. Tutto ciò che riguarda le arti dello spirito era loro sconosciuto, perfino il termoine geometria. L’osservazione più importante è che in questo libro si parla di un solo Dio. E’ un errore assurdo aver immaginato che gli ebrei fossero i soli a riconoscere un Dio unico; era la dottrina di quasi tutto l’Oriente; e gli Ebrei in questo non furono che plagia tori, come lo furono in tutto il resto. GUERRA (…) Miserabili medici delle anime, per cinque quarti d’ora voi gridate su qualche puntura di spillo, e non dite nulla sulla malattia che ci dilania in mille pezzi! Filosofi moralisti, bruciate tutti i vostri libri. Finchè il capriccio di pochi uomini farà legalmente sgozzare migliaia di nostri fratelli, la parte del genere umano consacrata all’eroismo sarà quanto c’è di più spaventoso della natura umana. Che cosa sarà e che mi importa dell’umanità, della beneficienza, della modestia, della temperanza, della dolcezza, della saggezza, della pietà, quando una mezza libbra di piombo tirata da seicento passi mi fracassa il corpo, e io muoio a vent’anni in tormenti inesprimibili, in mezzo a cinque, sei mila moribondi, quando i miei occhi, che si aprono per l’ultima volta, vedono la città in cui sono nato distrutta dal ferro e dal fuoco, e gli ultimi suoni che odono le mie orecchie sono le grida delle donne e dei bambini che spirano tra le rovine, il tutto per i pretesi interessi di un uomo che non conosciamo? Quel che è peggio, è che la guerra è un flagello inevitabile. Se si presta un po’ di attenzione, tutti gli uomini hanno adorato il dio Marte: Sabaoth presso gli Ebrei significa dio delle armi; ma Minerva, in Omero, chiama Marte un dio furioso, insensato, infernale. IDEA Che cos’è un’idea? E’ una immagine che si dipinge nel mio cervello. Tutti i vostri pensieri sono dunque delle immagini? Certamente: perché le idee più astratte altro non sono che le figlie di tutti gli oggetti che ho percepito. Non pronuncio la parola essere in generale, solo perché ho conosciuto esseri particolari. Non pronuncio la parola infinito solo perché ho visto dei limiti, e respingo questi limiti nel mio intelletto per quanto posso; ho idee solo perché ho immagini nella testa. E qual è il pittore che fa questo quadro? Non sono io, non sono abbastanza buon disegnatore. Colui che ha fatto me, ha fatto le mie idee. Sareste dunque dell’avviso di Malebranche, il quale diceva che noi vediamo tutto in Dio? INQUISIZIONE. L’inquisizione, come è noto, è un’invenzione ammirevole e interamente cristiana per rendere più potenti il papa e i monaci e per rendere ipocrita tutto un regno. Di solito si considera san Domenico il primo cui si debba questa santa inquisizione. Effettivamente, ci è rimasta una patente data a questo sant’uomo, la quale è concepita con queste precise parole: “Io, frate Domenico, riconcilio alla Chiesa il nominato Ruggero, latore della presente, a condizione che si faccia frustare da un prete per tre domeniche successive dall’ingresso della città sino al portale della chiesa, che mangi di magro tutta la vita, che digiuni per tre quaresime all’anno, che non beva mai vino, che porti il saio con le croci, che reciti il breviario tutti i giorni, dieci pater durante il giorno e venti alla mezzanotte, che conservi d’ora innanzi la continenza, e che si presenti ogni mese al curato della sua parrocchia, ecc. tutto ciò sotto pena di essere trattato come eretico, spergiuro ed impenitente”. Benchè san Domenico sia il vero inventore dell’inquisizione, Luis de Paramo, uno dei più brillanti scrittori e dei più ragguardevoli luminari del Santo Uffizio, riferisce, al titolo terzo del suo secondo libro, che Dio fu il primo istitutore del Sant’Uffizio, e che esercitò il potere dei frati predicatori contro Adamo. Dapprima Adamo fu citato in tribunale: Adam, ubi es? e difatti, aggiunge, la mancanza di citazione avrebbe reso nulla la procedura di Dio. Gli abiti di pelle che Dio fece ad Adamo e ad Eva fu il modello del saio che il Sant’Uffizio fa portare agli eretici. E’ vero che questo argomento fa prova che Dio fu ul primo sarto, ma non è meno evidente che fu anche il primo inquisitore. Adamo fu privato di tutti i beni immobili che possedeva nel paradiso terrestre: perciò il Sant’Uffizio confisca i beni di tutti coloro che ha condannato. (nota mia: semplicemente geniale, così l’uomo titolare di un patrimonio invidiabile e considerevole, era oggetto di grande attenzione ed interesse). Luis de Paramo osserva che
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Gesù Cristo è il prino inquisitore della nuova legge; i papi furono inquisitori per diritto divino, e infine comunicarono la loro potenza a san Domenico. In seguito egli fa l’elenco di tutti coloro che furono oggetto di inquisizione terminata con la somministrazione della morte, e ne trova assai più di centomila. Il suo libro fu stampato nel 1589, a Madrid, con l’approvazione dei dottori della fede, gli elogi del vescovo, il privilegio del re. Oggi non concepiamo orrori così stravaganti e al tempo stesso così abominevoli; ma allora nulla appariva più naturale e più edificante. Tutti gli uomini assomigliano a Luis de Paramo quando sono fanatici. (…) Nel 1539 apparve a Lisbona un messo papale, (…) e il re sulle prime apparve sorpreso gli inviasse un legato a latere senza averlo avvisato. Il legato allora rispose fieramente che in una questione così urgente e grave come l’inquisizione, Sua Santità non poteva tollerare indugi e che il re doveva sentirsi onorato che il primo corriere che gliene portasse notizia fosse un legato del Santo Padre. Il re non osò replicare. Il legato, quel giorno stesso, nominò un grande inquisitore, mandò a raccogliere decime ovunque; e prima che la corte potesse avere risposte da Roma, aveva già fatto bruciare duecento persone e raccolto più di duecentomila scudi. Tuttavia il marchese di Villanova, signore spagnolo da cui il legato aveva preso a prestito una somma considerevolissima in cambio di falsi effetti; ritenne opportuno risarcirsi con le sue proprie mani, invece di andarsi a compromettere con quel furfante a Lisbona. Il legato compiva allora il giro delle frontiere con la Spagna. Il marchese vi marcia con cinquanta armati, lo cattura e lo porta a Madrid. La truffa fu ben presto scoperta a Lisbona, il consiglio di Madrid condannò il legato Saavedra alla frusta e a dieci anni di galera. Ma la cosa più straordinaria fu che il papa Paolo IV confermò in seguito tutto quello che aveva stabilito quel furfante; rettificò con la pienezza della sua potenza divina tutte le piccole irregolarità delle procedure, e rese sacro ciò che era stato meschinamente umano. “Qu’importe de quel bras Dieu daigne se servir?” Ecco come l’inquisizione divenne sedentaria a Lisbona, e tutto il regno ammirò la Provvidenza. Del resto sono ben note le procedure di quel tribunale: si sa quanto esse siano opposte alla falsa equità e alla cieca ragione di tutti gli altri tribunali dell’universo. Si è imprigionati su semplice denuncia delle persone più infami; un figlio può denunciare suo padre, una moglie suo marito; non si è mai messi a confronto con i propri accusatori; i beni sono confiscati a vantaggio dei giudici. … LEGGI CIVILI ED ECCLESIASTICHE. Che nessuna legge ecclesiastica abbia mai vigore se non quando sia espressamente sanzionata dal governo. Con questo sistema Atene e Roma non ebbero mai dispute di carattere religioso; …; Che il magistrato solo possa permettere o proibire il lavoro nei giorni di festa, perché non spetta ai preti proibire agli uomini di coltivare i loro campi; Che tutto ciò che è inerente al matrimonio dipenda unicamente dal magistrato e che i preti si attengano alla augusta funzione di benedirli; (…) Che nessun prete possa mai togliere ad alcuno la minima prerogativa col pretesto che quel cittadino è un peccatore, perché il prete, peccatore, deve pregare per i peccatori, non giudicarli; Che i magistrati, i contadini e i preti paghino ugualmente le tasse dello Stato, perché tutti appartengono allo Stato; Che ci sia un solo peso, una sola misura, una sola consuetudine giudiziaria; Che i supplizi dei criminali siano utili. Un uomo impiccato non serve a niente, mentre un uomo condannato a lavorare alle opere pubbliche serve ancora la patria ed è una lezione vivente;Che tutta la legge sia chiara, uniforme e precisa: interpretarla serve quasi sempre a corromperla; Che niente sia infame fuorchè il vizio; Che le imposte siano solo e sempre proporzionali; Che la legge non sia mai in contraddizione con l’usanza: giacchè se l’usanza è buona, la legge non serve a nulla. (…) LETTERE, UOMINI DI LETTERE E LETTERATI. Nella nostra epoca barbara, allorchè i Franchi, i Germani, i Bretoni, i Longobardi, i Mozarabi spagnoli non sapevano né leggere né scrivere, si istituirono scuole, università composte quasi tutte da ecclesiastici, i quali, non sapendo altro gergo che il loro, insegnarono quel gergo a coloro che volevano istruirsi; le accademie sono venute solo molto tempo dopo; esse hanno disprezzato le sciocchezze delle scuole, ma non hanno mai osato sollevarsi contro loro, perché ci sono sciocchezze che si rispettano, dal momento che hanno a che fare con cose rispettabili. Gli uomini di lettere che hanno reso i maggiori favori al piccolo numero di esseri pensanti sparsi per il mondo sono i letterati isolati, i veri sapienti chiusi nel loro studio, che non hanno né argomento sui banchi dell’università né detto le cose a metà nelle accademie; e quasi tutti costoro sono stati perseguitati. La nostra miserabile specie è siffatta che quelli che camminano sul sentiero battuto scagliano sempre pietre addosso a quelli che indicano una strada nuova. (…) LIMITI DELLO SPIRITO UMANO Sono dappertutto, mio povero dottore. Vuoi sapere come mai il tuo piede e il tuo braccio obbediscono alla tua volontà, e il tuo fegato no? Indaghi tu come si forma il pensiero nel tuo gracile intelletto, e questo bambino nell’utero di questa donna? Ti lascio un po di tempo per rispondermi. Che cos’è la materia? I tuoi
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simili hanno scritto diecimila volumi sull’argomento; hanno scoperto alcune qualità di questo elemento: i bambini la conoscono quanto te. Ma questa sostanza che cos’è in fondo? E cos’è quello che tu hai chiamato spirito, dalla parola latina che vuol dire respiro, non potendo far meglio, dal momento che non ne hai alcuna idea? Guarda questo chicco di grano che getto in terra, e dimmi come mai risorge per produrre uno stelo che sostiene una spiga. Spiegami come mai la stella terra produce una mela in cima a quest’albero, e una castagna nell’albero vicino. Potrei farti un in-folio di domande, alle quali potresti rispondere con sole quattro parole: Non ne so nulla. Eppure hai preso le tue lauree, e sei in cappa di ermellino, e lo è anche il tuo berretto, e ti chiamano maestro. E quest’altro impertinente che ha comprato una carica crede di aver comprato il diritto di giudicare e di condannare ciò che non comprende. Il motto di Montaigne era: che cosa so? E il tuo è: Che cosa non so? LUSSO Da duemila anni, in versi e in prosa, si declama contro il lusso, e lo si è sempre amato. Che cosa non si è detto dei primi Romani, quando questi briganti devastarono e saccheggiarono i raccolti dei loro vicini, quando, per accrescere il loro povero villaggio, distrussero i poveri villaggi dei Volsci e dei Sanniti: erano uomini disinteressati e virtuosi! Non avevano ancora potuto rubare né oro, né argento, né pietre preziose, perché non ce n’erano nei borghi che avevano saccheggiato. I loro boschi e le loro paludi non davano pernici né fagiani, e si loda la loro temperanza. Quando ebbero poco a poco saccheggiato tutto, rubato tutto, dal fondo del golfo Adriatico all’Eufrate, e furono così intelligenti da godere il frutto delle loro rapine per sette od ottocento anni; quando coltivarono tutte le arti, assaporarono tutti i piaceri, e li fece assaporare anche ai vinti, allora cessarono, si dice, di essere saggi e onesti. Tutte queste declamazioni si riducono a provare che un ladro non deve mai mangiare il pasto trafugato, né indossare l’abito depredato, né adornarsi con l’anello rubato. Bisognava, dicono, gettare tutto questo nel fiume per vivere onestamente; dite piuttosto che non bisogna rubare. Condannare i briganti quando saccheggiano, ma non considerateli da forsennati quando ne godono. In buona fede, quando un gran numero di marinai inglesi si sono arricchiti nella presa di Pondichéry e della Avana, hanno forse sbagliato a prendersi degli svaghi a Londra, come premio per quanto avevano patito nel fondo dell’Asia o delle Americhe? I declamatori vorrebbero forse che si sotterrassero le ricchezze accumulate con la sorte delle armi, con l’agricoltura, con il commercio, l’industria? (…) “Sappiate soprattutto che il lusso arricchisce una grande Stato, seppure ne perde uno piccolo” (Voltaire, La defense du Mondain) “ Est modus in rebus, sunt certi denique fines, quos ultras citraque equità consistere rectum = C’è una misura nelle cose, ci sono insomma limiti certi, oltre e prima dei quali non può stare il giusto” (Orazio, Satire I,1 106-107). MALVAGIO (…) Se ci sono un miliardo di uomini sulla terra, ed è molto, ciò significa circa cinquecento milioni di donne che cuciono, filano, nutrono i loro piccoli, governano la loro casa o la loro capanna, e sparlano un po delle loro vicine. Non vedo quale male facciano costoro sulla terra. In questo numero di abitanti del globo, ci sono almeno duecento milioni di bambini, che certamente non uccidono né saccheggiano, e altrettanti di vecchi o malati che non ne hanno il potere. Resteranno tutt’al più cento milioni di giovani robusti e capaci di delitti. Di questi cento milioni, novanta sono continuamente impegnati a costringere la terra, con un lavoro prodigioso, perché fornisca loro cibo e vestiti; costoro no hanno tempo a delinquere. Nei dieci milioni che restano saranno comprese le persone oziose e di buona compagnia, che vogliono godersi dolcemente la vita; gli uomini di talento, occupati nelle loro professioni: i magistrati, i preti, evidentemente interessati a condurre una vita pura, almeno in apparenza. Di veri malvagi non resteranno che pochi politici, vuoi secolari, vuoi regolari, che vogliono sempre turbare il mondo, e qualche migliaio di vagabondi che vendono i loro servigi a questi politici. Ora, queste bestie feroci impiegate, tutte assieme, non superano mai il milione; e, in questo numero, conto anche i briganti di strada. Abbiamo dunque tutt’al più sulla terra, nei empi più burrascosi, un uomo su mille che si possa chiamare malvagio, e che peraltro non è sempre tale. Sulla terra dunque c’è sempre infinitamente meno male di quanto non si dica e non si creda. Ce n’è ancora troppo, non c’è dubbio: si assiste a sciagure e a crimini orrendi; ma il piacere di lamentarsi e di esagerare è così grande che la minimo graffio gridate che la terra gronda di sangue. Siete stato ingannato? Tutti gli uomini sono spergiuri. Uno spirito melanconico che ha sofferto un’ingiustizia vede l’universo coperto di dannati, come un giovane gaudente che va a cena con la sua dama, uscendo dall’Opéra non immagina che esistano degli sventurati. MARTIRE (…) Diocleziano incontra un ragazzino chiamato san Romano che era balbuziente; vuol farlo bruciare perché cristiano; tre giudei presenti alla scena se la ridono che Gesù Cristo lasci p bruciare un ragazzino che gli appartiene; gridano che la loro religione è migliore di quella cristiana, poiché Dio ha liberato Sidrac, Misac e Abdenago dalla
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fornace ardente (Daniele, III); subito le fiamme che circondavano il giovane Romano, senza fargli male, si separano e vanno a bruciare i tre giudei. L’imperatore, stupefatto, dice che non vuole avere complicazioni con Dio; ma un giudice di villaggio, meno scrupoloso, condanna il piccolo balbuziente al taglio della lingua. Il primo medico dell’imperatore è abbastanza onesto da eseguire lui stesso l’operazione; non appena ha tagliato la lingua al piccolo Romano, il fanciullo si mette a chiacchierare con una volubilità che avvince di ammirazione tutta l’assemblea. Si trovano cento storie di questa specie nei martirologi. Si è creduto di rendere odiosi gli antichi Romani, e si è resi ridicoli se stessi. Volete buone barbarie ben accertate, buoni massacri bene appurati, torrenti di sangue effettivamente versati, padri, madri, mariti, poppanti realmente sgozzati e ammucchiate gli uni sugli altri? Mostri persecutori, limitatevi a cercare queste verità nei vostri annali: le troverete nelle crociate contro gli Albigesi, nei massacri di Mérindol, e di Cabrères, nella spaventosa notte di san Bartolomeo, nei massacri d’Irlanda, nelle valli dei Valdesi. Vi si addice davvero, barbari che non siete altro,, imputare ai migliori imperatori crudeltà stravaganti, voi che avete inondato l’Europa di sangue, che l’avete coperta di corpi agonizzanti, per provare che lo stesso corpo può essere contemporaneamente in mille posti, e che il papa può vendere indulgenze. Cessate di calunniare i Romani vostri legislatori, e chiedete perdono a Dio degli abomini dei vostri padri. MORALE (…) La morale non risiede nella superstizione, e nemmeno nelle cerimonie, non ha nulla in comune con i dogmi. Non si ripete mai abbastanza che i dogmi sono tutti diversi, e che la morale è la stessa presso tutti gli uomini che fanno uso della loro ragione. La morale viene quindi da Dio, come la Luce. Le nostre superstizioni sono soltanto tenebre. Rifletti, lettore: estendi questa verità; trai le tue conseguenze. MOSE’ (…) Alcuni contestatori aggiungono che nessun profeta ha mai citato i libri del Pentateuco, che non se ne parla né nei salmi, né nei libri attribuiti a Salomone, né in Geremia, né in Isaia, insomma in nessun libro canonico. Le parole che corrispondono a Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio, non si trovano in nessun altro scritto né dell’antico né del nuovo Testamento. Altri, più audaci hanno posto i seguenti interrogativi: 1 In che lingua Mosé avrebbe scritto in un deserto selvaggio? Non poteva che essere l’egiziano; infatti dal libro stesso su evince che Mosé e tutto il suo popolo erano nati in Egitto.E’ probabile che non parlassero altra lingua. Gli Egizi non si servivano ancora del papiro; incidevano geroglifici sul marmo o sul legno. E’ perfino scritto che le tavole della Legge furono scritte sulla pietra. Sarebbe quindi stato necessario incidere cinque volumi su pietre levigate, cosa che avrebbe richiesto sforzi e tempi prodigiosi. 2 E’ verosimile che, in un deserto dove il popolo ebraico non aveva né calzolai, né sarti e dove il Dio dell’universo era costretto a compiere un continuo miracolo per conservare i vecchi abiti e le vecchie calzature degli Ebrei, si siano trovati uomini tanto abili da incidere i cinque volumi del Pentateuco sul marmo e sul legno? Si dirà che si trovarono pure operai che fecero un vitello d’oro, e che poi ridussero l’oro in polvere, che costruirono il tabernacolo , che lo ornarono di trentaquattro colonne di bronzo con capitelli d’argento; che tesserono e ricamarono veli di lino, di giacinto, di porpore e di scarlatto; ma ciò non fa che rafforzare l’opinione dei contradditori. Costoro rispondevano che non è possibile che in un deserto dove si mancava di tutto, si sarebbero prodotte opere tanto ricercate; che prima si sarebbero dovute fare scarpe e abiti e tuniche; che chi non ha il necessario non si dà al lusso ; e che è un’evidente contraddizione dire che siano esistiti dei fonditori, incisori, scultori, tintori, ricamatori, quando non si possedevano né abiti né calzature, né pane. 3 Se Mpsé avesse scritto il primo capitolo del Genesi, si sarebbe forse proibito a tutti i giovani di leggere quel primo capitolo? Si sarebbe portato così poco rispetto al legislatore? Se Mosé avesse detto che Dio punisce l’iniquità dei padri sino alla quarta generazione, Ezechiele avrebbe osato dire il contrario? 4 Se Mosè avesse scritto il Levitico, avrebbe potuto contraddirsi nel Deuteronomio? Il Levitico proibisce di sposare la moglie del proprio fratello, il Deuteronomio lo ordina. 5 Avrebbe forse parlato nel suo libro di città che non esistevano al suo tempo? Avrebbe detto che certe città che per lui erano a oriente del Giordano invece erano ad occidente? 6 Avrebbe assegnato in un paese non ce n’erano mai state neanche dieci, in un deserto in cui aveva sempre errato, senza mai vedere una casa? 7 Avrebbe prescritto regole ai re ebrei quando non solo non c’erano re il quel popolo, ma essi erano in orrore?... 8 E’ mai possibile che abbia detto agli Ebrei: “Io vi ho fatti uscire in numero di seicentomila combattenti dalla terra d’Egitto dotto la protezione del vostro Dio”. Gli Ebrei avrebbero dovuto rispondergli :”Dovete essere davvero pavido per non guidarci contro il faraone d’Egitto …” (…) Queste, press’a poco, le obiezioni che fanno i dotti a coloro che pensano che Mosè sia l’autore del Pentateuco. Ma si risponde loro che le vie del Signore non sono quelle degli uomini. Che Dio ha messo alla prova, guidato ed abbandonato il suo popolo con una saggezza che ci è sconosciuta; che gli Ebrei stessi da più di duemila anni credono che Mosé sia l’autore di questi libri; che la Chiesa, che è
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succeduta alla Sinagoga, e che come lei è infallibile, ha risolto questo punto controverso, e che i dotti devono tacere quando la Chiesa parla. PAOLO, QUESTIONI SU PAOLO. Paolo era davvero un cittadino romano, come si vanta? Se era di Tarso, in Cilicia, Tarso divenne colonia romana solo cento anni dopo di lui; tutti gli storici dell’antichità sono d’accordo. Se era della cittadina o borgo di Giscala, come ha creduto san Girolamo, questa città era in Galilea e certamente i galilei non erano cittadini romani, E’ vero che Paolo entrò nella nascente società dei cristiani, che allora erano semi-ebrei, solo perché Gamaliel, di cui era stato discepolo, si rifiutò di dargli in sposa la sua figlia? Mi sembra che tale accusa si trovi solo negli Atti degli Apostoli accolti dagli Ebioniti (corrente o setta dei “poveri” il cui “Vangelo degli Ebioniti”, andato perduto ma molto citato, cercava di riconciliare l’ebraismo con il cristianesimo), atti riferiti e rifiutati dal vescovo Epifanio al capitolo trentesimo. (…) fece bene Paolo a far circoncidere il suo discepolo Timoteo, dopo aver scritto ai Galati: “Se vi fate circoncidere, Gesù non vi gioverà a nulla” ? Fece bene a scrivere ai Corinzi, capitolo IX :” Fece bene a scrivere ai Corinzi nella sua seconda Epistola: “Non perdonerò a nessuno di quelli che hanno peccato, né agli altri”? Cosa si penserebbe oggi di un uomo che pretendesse di vivere a nostre spese, lui e sua moglie, di giudicarci, di punirci, di confondere il colpevole con l’innocente? Che cosa si intende con il rapimento di Paolo al terzo Cielo? Che cos’è il terzo cielo? Che cos’è infine più verosimile, che Paolo fu fatto cristiano perché disarcionato dal suo cavallo in una grande luce in pieno giorno, mentre una voce celeste gli gridava: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” oppure che Paolo si mise in attrito con i farisei, vuoi per il rifiuto di Gamaliel di dargli sua figlia, vuoi per qualche altro motivi? In ogni altra storia, il rifiuto non sembrerebbe più naturale di una voce celeste, se d’altra parte non fossimo obbligati a credere a quel miracolo? Pongo tutte queste questioni al solo scopo di istruirmi, ed esigo, da chiunque voglia istruirmi, che parli in modo ragionevole. PAPISMO ( sul). Dialogo tra il papista e il tesoriere. Il papista:”Monsignore ha già nel suo principato dei luterani, dei calvinisti, dei quaccheri, degli anabattisti e persino degli ebrei: e voi vorreste ammettere anche gli unitari?” Il tesoriere: “Se questi unitari ci portano industria e denaro, che male ci possono fare? Voi stesso sareste di certo meglio pagato”. Il papista: “Confesso che la decurtazione delle mie rendite mi sarebbe più dolorosa dell’ammissione di questi signori; ma insomma, costoro non credono che Gesù Cristo sia figlio di Dio” Il tesoriere:” Che vi importa, purché a voi sia permesso di crederlo, e siate ben nutrito, vestito e alloggiato? Gli ebrei sono ben lungi dal credere che sia figlio di Dio, eppure siete felicissimo di trovare qui degli ebrei cui affidare il vostro denaro al sei per cento. San Paolo stesso non ha mai parlato della divinità di Gesù, lo chiama senza esitare un uomo. “la morte –dice- è regnata per il peccato di un solo uomo, i giusti regneranno per un solo uomo che è Gesù … Voi appartenete a Gesù, e Gesù appartiene a Dio” Tutti i vostri primi Padri della Chiesa hanno pensato come san Paolo: è evidente che per trecento anni Gesù si è accontentato della sua umanità; immaginate di essere un cristiano dei primi tre secoli.” PECCATO ORIGINALE. Qui sta il preteso trionfo dei sociniani o unitari. Essi chiamano questo fondamento della religione cristiana il suo peccato originale. E’ oltraggiare Dio, dicono, è accusarlo della barbarie più assurda e cioè osare dire che egli formò tutte le generazioni degli uomini per tormentarli con supplizi eterni, con il pretesto che il loro primo padre mangiò un frutto in un giardino. Questa sacrilega imputazione è tanto meno scusabile nei cristiani in quanto non c’è una sola parola riguardante questa invenzione del peccato originale, né nel Pentateuco, né nei Profeti, né nei Vangeli, siano apocrifi o canonici, né in alcuno di quegli scrittori che sono chiamati i primi Padri della Chiesa. Nemmeno nel Genesi si narra che Dio abbia condannato a morte Adamo per aver mangiato un pomo. ( mia sommessa nota: Adamo non aveva necessità di “mangiare” in quanto semplice spirito, come gli Angeli). Certo (Genesi II,17) gli disse: “Tu morirai per certo il giorno che ne mangerai”. Ma questo stesso Genesi fa vivere Adamo altri novecentotrent’anni dopo quel pasto criminale. Infine la punizione di Adamo non appariva in nessun modo nella legge ebraica. Adamo non è ebreo più di quanto non fosse persiano o caldeo. I primi capitoli del Genesi (in qualunque epoca fossero stati scritti) furono considerati da tutti i dotti ebrei una allegoria
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e talvolta una favola assai pericolosa, giacché ne fu proibita la
frequentazione prima dei venticinque anni. (…) Ammettiamo che sant’Agostino accreditò per primo questa bizzarra idea, degna della testa calda e romanzesca di un africano dissoluto e pentito, manicheo e cristiano, indulgente e persecutore, che passò la vita a contraddire se stesso. PIETRO. (…) Può darsi che Pietro abbia fatto quel viaggio a Roma; può anche darsi che sia stato crocefisso a testa in giù, quantunque non fosse questa l’usanza; ma non si ha alcuna prova di tutto questo. Abbiamo una lettera attribuita a lui,
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nella quale dice di essere a Babilonia: certi giudiziosi canonisti hanno preteso che Babilonia fosse da intendere Roma. Sicché, se per ipotesi avesse datato la lettera da Roma, si potrebbe concludere che sia stata scritta a Babilonia. Per molto tempo si sono tratte conseguenze simili, e così è stato governato il mondo. (…) Coringius (1606-1681 giurista ed erudito tedesco) si chiede perché Pietro, che ammazzava così quelli che gli avevano fatto l’elemosina, non andava piuttosto ad ammazzare i dottori che avevano fatto morire Gesù Cristo, e che fecero frustare più volte lui stesso? PREGIUDIZI. Il pregiudizio è un’opinione senza un giudizio. Così, su tutta la terra si ispirano nei bambini tutte le opinioni che si vuole, prima che essi possano giudicare. Vi sono pregiudizi universali, necessari e che rappresentano la virtù stessa. In qualsiasi paese si insegna ai bambini a riconoscere un Dio rimuneratore e vendicatore; a rispettare, ad mare i propri genitori; a considerare il furto un crimine; la menzogna interessata un vizio prima che possano intuire che cosa siano un vizio ed una virtù. Vi sono pertanto ottimi pregiudizi: sono quelli che il giudizio ratifica non appena si ragiona. (…) Ma per pregiudizio rispetterete un uomo vestito con certi abiti, che cammina gravemente, e parla allo stesso modo. I vostri genitori vi hanno detto che dovete inchinarvi davanti a quell’uomo: voi lo rispettate prima ancora di sapere se merita il vostro rispetto; crescete come età e come conoscenza; vi accorgete che quell’uomo è un ciarlatano impastato di orgoglio, d’interesse d’artifizio; disprezzate ora quello che veneravate, e il pregiudizio cede al giudizio. Per pregiudizio avete creduto nelle favole con cui hanno cullato la vostra infanzia: vi hanno detto che i Titani dichiararono guerra agli dèi e che Venere si innamorò di Adone; a dodici anni prendete quelle favole per verità, a venti le considerate ingegnose allegorie. (…) La maggior parte delle storie sono state credute senza una verifica, e questa credenza è un pregiudizio. Fabio Pittore (storico romano del III secolo scrisse una storia di Roma dallo sbarco di Enea alla seconda guerra punica) racconta che, parecchi secoli prima di lui, una vestale della città di Alba, mentre attingeva acqua ad una pozza con la sua brocca, fu violentata e partorì Romolo e Remo, che furono nutriti da una lupa, ecc. Il popolo romano credette a questa favola: non si preoccupò di verificare se in quel tempo vi fossero vestali nel Lazio, se fosse verosimile che la figlia di un re uscisse dal suo santuario con la sua brocca, se è probabile che una lupa allattasse sue pargoli invece di mangiarseli. Il pregiudizio attecchì. Un monaco scrive che Clodoveo, trovandosi in grande pericolo durante la battaglia di Tolbiac, fece voto di farsi cristiano se avesse salva la pelle. Ma è normale che ci si rivolga a un dio straniero in una simile circostanza? Non è proprio allora che la religione in cui si è nati agisce con maggior forza? Quale cristiano, in una battaglia contro i Turchi, non si rivolgerà piuttosto alla Santa Vergine invece che a Maometto? Si aggiunge che una colomba portò nel becco la sacra ampolla per ungere Clodoveo, e che un angelo portò l’orifiamma per guidarlo. Il pregiudizio prestò fede a tutte le storielle di questo genere. (segue un’ampia analisi dei pregiudizi religiosi). PRETE. I preti sono in uno stato press’a poco ciò che sono i precettori nelle case dei cittadini, fatti per insegnare, pregare, dare l’esempio; non possono avere alcuna autorità sui padroni di casa, a meno che non si dimostri che chi paga lo stipendio deve obbedire a chi lo riceve. Fra tutte le religioni, quella che esclude più esplicitamente i preti da ogni autorità civile è senza dubbio quella di Gesù: Date a Cesare quel che è di Cesare – non ci sarà tra di voi né il primo né l’ultimo – il mio regno non è di questo mondo. Le dispute tra impero e clero, che hanno insanguinato l’Europa per più di sei secoli, da parte dei preti non sono dunque state altro che delle ribellioni contro Dio e gli uomini, e un continuo peccato contro lo Spirito Santo. (…) Il magistrato deve sostenere e contenere il prete, come il padre di famiglia deve esprimere considerazione verso il precettore dei suoi figli e impedire che ne abusi. L’accordo tra clero e impero è il sistema più mostruoso, poiché dal momento che si cerca questo accordo, si presuppone necessariamente la divisione; bisogna dire la protezione data dall’impero al clero. (…) I Turchi in questo caso sono saggi. E’ vero che fanno il viaggio alla Mecca; ma non permettono allo sceriffo della Mecca di scomunicare il sultano. Non vanno a comprare alla Mecca il permesso di non osservare il Ramadam, e quello di sposare le loro cugine o le loro nipoti; non sono giudicati da iman delegati dallo sceriffo; non pagano allo sceriffo l’ultima annata della loro rendita. Quante cose da dire su tutto questo! Lettore, sta a voi stesso dirle. PROFETI. Il profeta Jurieu fu fischiato, i profeti delle Cevenne furono impiccati o arrotati, i profeti che vennero a Londra dalla Linguadoca e dal Delfinato furono messi alla gogna, i profeti anabattisti furono condannati a vari supplizi, il profeta Savonarola fu arso a Firenze, il profeta Giovanni il Battezzatore ebbe al testa tagliata. Si sostiene che Zaccaria fu assassinato ma fortunatamente non esistono le prove Il profeta Ieddo o Addo, che fu mandato a Betel a condizione che non avrebbe mangiato né bevuto, avendo disgraziatamente assunto un pezzo di pane, fu sbranato da un leone; Giona
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fu inghiottito da un pesce: è vero che restò nelle sue viscere solo tre giorni e tre notti, ma significa pur sempre passare settantadue ore davvero disagevoli. (…) Si ritiene che il re Amasia fece strappare i denti al profeta Amos per impedirgli di parlare; si sono viste vecchie sdentate ed alquanto chiacchierone; ma una profezia deve essere pronunciata distintamente, e un profeta sdentato non è ascoltato con il rispetto che gli è dovuto. Baruch soffrì molte persecuzioni. Ezechiele fu lapidato dai suoi compagni di schiavitù. Non si sa se Geremia fu lapidato, o se fu segato in due. Quanto a Isaia pare assodato che fu segato per ordine di Manasse, regolo di Giuda. Bisogna convenire che è un pessimo mestiere quello del profeta. Per uno che, come Elia, va a passeggio da pianeta a pianeta in una bella carrozza di luce, tirata da quattro cavalli bianchi, ce ne sono cento che vanno a piedi, e che sono costretti ad elemosinare la cena di porta in porta. Assomigliano abbastanza ad Omero che fu obbligato, a quanto dicono, a mendicare nelle sette città che in seguito si disputarono l’onore di avergli dato i natali. Quaresima. Questioni sulla quaresima. I primi che decisero di digiunare, s’imposero forse quella dieta dopo una prescrizione medica conseguente ad una indigestione? La mancanza di appetito che si avverte nella tristezza fu forse la prima origine dei giorni di digiuno prescritti nelle religioni tristi? Gli Ebrei presero l’abitudine di digiunare dagli Egizi, di cui imitarono tutti i riti, fino alla flagellazione ed al capro espiatorio? Perché Gesù digiunò quaranta giorni nel deserto dove fu trascinato dal diavolo, dal Knathbull? Matteo osserva che dopo quel digiuno ebbe fame: non aveva dunque fame durante quella quaresima? Perché nei giorni di astinenza la Chiesa Romana considera un delitto mangiare animali terrestri, e come buona norma farsi servire sogliole e salmoni? Il ricco papista che avrà avuto alla sua tavola pesce per cinquecento franchi sarà salvo; e il povero, quasi morto di fame, che avrà mangiato quattro soldi di carne secca, sarà dannato! Perché bisogna chiedere il permesso al proprio vescovo per mangiare delle uova. Se un re ordinasse al suo popolo di non mangiare mai uova, passerebbe per il più ridicolo dei tiranni? Quale strana avversione nutrono i vescovi per le frittate? Chi crederà che tra i papisti vi siano stati tribunali tanto imbecilli, vili e barbari da condannare a morte dei poveri cittadini che non avevano commesso altro delitto che l’aver mangiato carne di cavallo in quaresima? Preti idioti e crudeli! A chi prescrivete la quaresima? Ai ricchi? Costoro si guardano bene dall’osservarla. Ai poveri? Fanno quaresima tutto l’anno. Lo sciagurato contadino non mangia quasi mai carne e non ha di che per comperare il pesce. Pazzi che siete: quando correggerete le vostre leggi assurde? (nota mia: un qualche papa nel ‘500, essendo molto ghiotto di lumache, emise un decretale che sanzionò una volta per tutte, alla faccia della scienza, che la lumaca fosse di magro, cioè assimilabile al pesce. Potenza del poter emettere decreti!)
RELIGIONE (…) Tuttavia la ragione deve pur perfezionarsi; il tempo produce finalmente filosofi i quali si accorgono che né le cipolle, né i gatti e neppure gli astri hanno parte nell’ordine della natura. Tutti quei filosofi babilonesi, persiani, egizi, sciti, greci e romani ammettono un dio supremo, rimuneratore e vendicatore. Sulle prime nopn lo dicono ai popoli; infatti chiunque avesse parlato male delle cipolle e dei gatti in presenza di vecchie beghine o di sacerdoti sarebbe stato lapidato; chiunque avesse rimproverato agli Egizi di mangiare i loro dèi sarebbe stato lui stesso mangiato, come effettivamente riferisce Giovenale, a proposito di un egiziano che fu ammazzato e mangiato crudo in una disputa di controversia. Che cosa fecero? Orfeo e altri istituirono dei misteri, che gli iniziati giurano, con esecrabili giuramenti, di non rivelare mai, e il principale di questi misteri è l’adorazione di un solo Dio. Questa grande verità penetra in metà della terra; il numero degli iniziati divenne immenso. E’ vero che l’antica religione continua ad esistere; ma, poiché non è contraria al dogma dell’unità di Dio, la si lascia sussistere. Perché mai abolirla? I Romani riconoscono il Deus optimus maximus; i Greci hanno il loro Zeus, il loro dio supremo. Tutte le altre divinità sono solo delle entità intermediarie; si situano eroi ed imperatori con il rango di dèi, vale a dire di beati; ma è certo che Claudio, Ottaviano, Tiberio e Caligola non sono considerati i creatori del cielo e della terra. In breve, sembra provato, che dal tempo di Augusto, tutti coloro che avevano una religione riconoscevano un Dio superiore, eterno e parecchi ordini di dèi subalterni, e il culto fu poi chiamato idolatria. Gli Ebrei n on erano mai stati idolatri; infatti, benché ammettessero dei malakim, degli angeli, esseri celesti di un ordine inferiore, la loro legge non comandava affatto che tali divinità secondarie fossero degne di un culto. Adoravano gli angeli, è vero, ossia si prosternavano quando li vedevano; poiché però ciò accadeva di rado, non c’era né un cerimoniale, né un culto legale. I cherubini dell’arca non ricevevano omaggio. E’ appurato che gli Ebrei adorassero apertamente un solo Dio, come la moltitudine innumerevole degli iniziati lo adoravano segretamente nei loro misteri. (Terza questione) Proprio nel tempo in cui il culto di un Dio supremo era universalmente istituito fra tutti i saggi, in Asia, in Europa, in Africa nacque la religione cristiana. Il platonismo contribuì molto all’intelligenza dei suoi dogmi. Il Logos, che secondo Platone, significava la saggezza, la ragione dell’Essere supremo, divenne presso di noi il
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Verbo, e una seconda persona di Dio. Una metafisica profonda e al di sopra dell’intelligenza umana fu il santuario inaccessibile in cui la religione fu avvolta. Non ripeteremo qui come in seguito Maria divenne Madre di Dio, come si stabilì la consustanzi abilità del Padre e del Verbo, e la processione del Pneuma, organo divino del divino Logos, due nature e dua verità risultanti dall’ipostasi, e infine la manducazione superiore, l’anima nutrita come il corpo dalle membra e dal sangue dell’Uomo-Dio adorato mangiato sotto forma di pane, presente agli occhi, sensibile al gusto, e tuttavia annientato. Tutti i misteri sono stati sublimi. (…) Origene, parlando così, non esprime la sua personale opinione, non fa che riferire quella universale; tutte le religioni allora note ammettevano una specie di magia; e si distingueva la magia celeste da quella infernale, la negromanzia dalla teurgia: tutto era prodigio, divinazione, miracolo e oracolo. I Persiani non negavano i miracoli degli Egizi, né gli Egizi quelli dei Persiani: Dio permetteva che i primi cristiani fossero persuasi dagli oracoli espressi dalle Sibille, e concedeva loro qualche altro errore di scarsa importanza, che non corrompeva la sostanza della religione. Un’altra cosa assai notevole, è che i cristiani dei primi due secoli aborrivano i templi, gli altari, i simulacri: tant’è che officiavano nelle catacombe o in luoghi segreti. Lo confessa Origene , al n. 374. In seguito tutto cambiò con la disciplina, quando la Chiesa ricevette una forma duratura e soprattutto quando fu consolidata da parte dell’Impero. (…) (Quinta questione) Dopo la nostra santa religione, che senza dubbio è la sola buona, quale sarebbe la meno cattiva? Non dovrebbe essere la più semplice? Non dovrebbe essere quella che insegnasse molta morale e pochi dogmi? Quella che tendesse a rendere gli uomini giusti senza renderli assurdi? Quella che non ordinasse di credere a cose assurde, impossibili, contraddittorie, ingiuriose per la Divinità e perniciose al genere umano, e non osasse minacciare di pene eterne qualunque persona dotata di un comune buonsenso? Non dovrebbe essere quella che non sostenesse la sua credenza grazie ai boia, e che non inondasse la terra di sangue per dei sofismi inintelligibili? Quella in cui un equivoco, un gioco di parole o due o tre documenti apocrifi non facessero un sovrano e un dio di un prete spesso incestuoso, omicida e avvelenatore? Quella che non sottomettesse il re a questo prete? Quella che insegnasse soltanto l’adorazione di un Dio, la giustizia, la tolleranza, l’umanità? (…) (Sesta questione (ne seguono altri tre)) (…) Rimproveriamo agli antichi i loro oracoli, i loro prodigi; se essi tornassero al mondo, e si potessero contare i miracoli di Nostra Signora di Loreto o quelli di Nostra Signora di Efeso, da quale delle due parti penderebbe la bilancia? SALOMONE. Il nome di Salomone è sempre stato riverito in Oriente. Le opere che si credono sue, gli annali degli Ebrei, le favole degli Arabi, hanno esteso la sua fama sino alle Indie. Il suo regno è la grande era degli Ebrei. Era il terzo re della Palestina Nel libro Re1 si dice che sua madre Betsabea ottenne da David di fare incoronare suo figlio Salomone invece del primogenito di lui Adonia. Non si stupisca se una donna complice della morte del suo primo marito sia stata tanto abile da far ottenere l’eredità al frutto del suo adulterio, e da far diseredare il figlio legittimo, ancorchè fosse il primogenito.. E’ assai notevole che il profeta Nathan che era andato a rimproverare a David il suo adulterio, l’assassinio di Uria, il successivo matrimonio (…) Adonia, escluso dal trono da Salomone, per tutta grazia gli chiese di poter sposare Abiseg, la fanciulla data a David per scaldarlo nella sua vecchiaia. La Scrittura non dice se Salomone contendesse a Adonia la stessa concubina del padre, dice però che Salomone, per questa sola domanda lo fece assassinare. (…) Saul che aveva in tutto il suo regno due sole spade, ebbe presto un esercito di trecentomila uomini. Mai il sultano dei Turchi ebbe un simile esercito. Queste belle contraddizioni sembrano escludere un qualsiasi razionale ragionamento (…) Le ricchezze che David lasciò a Salomone sono ancora più incredibili (Cronache XXII, 14): in contanti 130.000 talenti d’‘oro e 1.013.000.000 talenti di argento, senza contare le pietre preziose (Voltaire attualizza al 1765 tali somme pari a 25miliardi648milioni di scudi francesi e dice che ai tempi di Salomone non c’era così tanta moneta circolante in tutto il mondo). (…) Ancor meno si capisce come mai quel potente monarca non avesse nei suoi vasti Stati un solo uomo che sapesse tagliare la legna: fu costretto a pregare Hiram, re di Tiro, di prestargli dei taglialegna e degli operai. Bisogna confessare che simili contraddizioni mettono a dura prova i commentatori. Ogni giorno si servivano, per il pranzo e per la cena della sua casa, cinquanta buoi e cento pecore e pollame e cacciagione in proporzione (Re1, V, 6). Si aggiunge che c’erano quarantamila scuderie e altrettante rimesse per i suoi carri da battaglia, ma solo dodicimila scuderia per la sua cavalleria. Un bel po’ di carri per un paese di montagna e un gran bell’apparato per un re il cui predecessore aveva soltanto una mula il giorno della sua incoronazione, e per un territorio che nutre solo asini. Non sia mai detto che un principe con così tanti carri si limitasse ad un piccolo numero di mogli: gliene attribuiscono settecento, che portavano il nome di regine; e, cosa strana, aveva solo trecento concubine (…) Se queste storie sono state ispirate dallo Spirito Santo bisogna convenire che ama il meraviglioso. (…) La prima opera che gli si attribuisce sono i Proverbi. E’ una raccolta di massime triviali, basse, incoerenti, prive di gusto e di scelta. Possiamo capacitarci che un re illuminato abbia
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composto una raccolta di sentenze tra le quali non se ne trova una sola che riguardi il modo di governare, la politica, i costumi dei cortigiani, gli usi di corte? Vi si trovano interi capitoli in cui non si parla d’altro che di prostitute che in invitano i passanti ad andare a letto con loro (qui cita Proverbi XXX, 15-16; 18-19; 24-28) (cita inoltre le altre opere attribuite a Salomone e cioè Ecclesiaste, Il Cantico dei Cantici, la Saggezza: i commenti che fa sono troppo sensati, coerenti e consequenziali e totalmente distruttivi). SETTA. Ogni sètta, a qualunque genere appartenga, è l’unione del dubbio e dell’errore. Scotisti, tomisti realisti, nominalisti, papisti, calvinisti, molinisti, giansenisti sono soltanto nomi di battaglia. Non ci sono sètte di geometria; non si dice di un euclideo, un archimedeo. Quando la verità è evidente, è impossibile che nascano partiti e fazioni. Non si è mai disputato se c’è il sole a mezzogiorno. Una volta accertata da parte dell’astronomia che determina il corso degli astri e il ripetersi delle eclissi, non ci sono più state dispute tra gli astronomi. SOGNI Somnia quae ludunt animos volitantibus umbris- Non delubra deum nec ab aethere numina mittunt, sed sua quisque facit = I sogni, che illudono con ombre ondeggianti gli animi, non mandano gli dèi dai santuari, né i numi dall’etere, ma ciascuno agisce per sé. (Petronio, Satyricon, XXX) (…) Si tiene conto solo dei sogni che si sono avverati; gli altri si dimenticano. I sogni costituiscono gran parte della storia antica, come gli oracoli. La Vulgata traduce così la fine del versetto 26 del capitolo XIX del Levitico: “Non osserverete i sogni”. Ma la parola sogno non esiste in ebraico, e sarebbe davvero strano che si disapprovasse la considerazione dei sogni nello stesso libro in cui è detto che Giuseppe divenne il benefattore dell’Egitto e della sua famiglia avendo spiegato tre sogni. SUPERSTIZIONE. Quasi tutto ciò che va al di là dell’adorazione di un Essere supremo e della sottomissione del cuore ai suoi ordini eterni è superstizione.: quella particolarmente pericolosa è il perdono dei crimini collegato ad alcune cerimonie. Et nigra mactant pecules et manibus divis – Inferias mittunt = E sgozzano le pecore nere, ed offrono agli dèi Mani le vittime espiatorie (Lucrezio, De rerum natura, III, 52-53). Oh! Faciles nimium qui tristia crimina caedis – Fluminea tolli posse putatis aqua = O troppo faciloni, che credete potersi cancellare i tristi crimini di sangue con acqua di fiume (Ovidio, Fasti, II, 45-56). Voi pensate che Dio dimentichi il vostro omicidio se vi immergete in un fiume, se immolate una pecora nera, e se su di voi si pronunciano certe formule. Un secondo omicidio vi sarà dunque perdonato allo stesso modo e prezzo, e così un terzo, e cento omicidi vi costeranno soltanto cento pecore nere e cento abluzioni! Fate di meglio, miserabili umani: niente omicidi e niente pecore nere. (…) Il superstizioso sta al furfante come lo schiavo sta al tiranno. C’è di più: il superstizioso è governato dal fanatico e finisce per diventarlo. La superstizione nata nel paganesimo, protratta nell’ebraismo, infettò la Chiesa cristiana sin dai primi tempi. Tutti i Padri della Chiesa, senza eccezione, cedettero al potere della magia. La Chiesa condannò sempre la magia, ma sempre vi credette: non scomunicò gli stregoni in quanto pazzi che erano ingannati, ma come uomini che avevano realmente commercio con il diavolo. Oggi metà dell’Europa crede che l’altra metà sia stata a lungo e sia ancora superstiziosa. I protestanti considerano le reiquie, le indulgenze, le flagellazioni, le preghiere per i morti, l’acqua benedetta e quasi tutti i riti della Chiesa di Roma forme di demenza superstiziosa. La superstizione, secondo loro, consiste nello scambio di pratiche inutili per pratiche necessarie. Tra i cattolici romani ve ne sono alcuni, più illuminati dei loro antenati, che hanno rinunciato a molte di queste usanze un tempo sacre; e quanto alle altre che hanno conservato, si giustificano dicendo: “Sono indifferenti, e ciò che è indifferente non può essere male”. (…) Per esempio, nell’Europa cristiana c’è stato un tempo in cui non era permesso ai novelli spossi di godere dei diritti del matrimonio prima di aver comprato quel diritto dal vescovo o dal parroco. Chiunque non avesse destinato nel sjuo testamento una parte dei suoi beni alla Chiesa era scomunicato e privato della sepoltura. Questo si chiamava morire non confessi, vale a dire non confessando la religione cristiana. E quando un cristiano moriva intestato, la Chiesa liberava il morto da quella scomunica facendo testamento per lui, stipulando e facendosi pagare i pii lasciti che il defunto avrebbe dovuto fare. Per questo papa Gregorio IX e san Luigi ordinarono, dopo il concilio di Narbona del 1235, che ogni testamento cui non fosse chiamato un prete sarebbe stato nullo; e il papa dispose che il testatore e il notaio sarebbero stati scomunicati. La tassa sui peccati fu, se possibile, ancor più scandalosa. La forza sosteneva tutte queste leggi cui si sottoponeva la superstizione dei popoli: e solo con il tempo la ragione fece abolire queste vergognose vessazioni, allorchè ne lasciò sopravvivere però tante altre. TOLLERANZA. Che cosa è la tolleranza? E’ l’appannaggio dell’umanità. Siamo tutti impastati di debolezze e di errori; perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze, è la prima legge della natura. (…) Costantino cominciò
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promulgando un editto che permetteva tutte le religioni: terminò perseguitando. (…) Tra loro erano nemici gli uni con gli altri su tutti i punti della religione: per cominciare, bisogna considerare Gesù Cristo come Dio: coloro che lo negano sono anatemizzati sotto il nome di ebioniti, che anatemizzano gli adoratori di Gesù. Alcuni di loro vogliono che tutti i beni siano comuni, come si sostiene fosse al tempo degli Apostoli? I loro avversari li chiamano nicolaiti, e li accusano dei più infamanti delitti. Altri aspirano a una devozione mistica? Sono chiamati gnostici, e ci si solleva contro di loro con furore. Marcione disputa sulla Trinità? Lo si tratta da idolatra. Tertulliano, Praxea, Origene, Novato, Novaziano, Sabelio, Donato sono tutti perseguitati dai loro fratelli prima di Costantino: e Costantino ha appena fatto trionfare la religione cristiana, che gli atanasiani e gli eusebiani si fanno a pezzi. Da quel tempo la Chiesa cristiana è inondata di sangue fino ai nostri giorni. (…) Gesù, degnandosi di nascere nella povertà e nella bassezza, come i suoi fratelli, non si degnò mai di praticare l’arte dello scrivere. Gli Ebrei avevano una legge scritta sin nei minimi dettagli, e non abbiamo una sola riga di pugno di Gesù. Gli apostoli si divisero su diverse questioni. San Pietro e san Babila mangiavano carni proibite con i nuovi cristiani stranieri, e se ne astenevano con i cristiani già ebrei. San Paolo rimproverava loro questa condotta, eppure quello stesso san Paolo fariseo, discepolo del fariseo Gamaliel, quello stesso san Paolo che aveva perseguitato i cristiani con furore, andò in seguito a compiere sacrificio nel tempio di Gerusalemme essendosi lui stesso fatto cristiano. Per otto giorni osservò pubblicamente tutte le cerimonie della legge giudaica, alla quale aveva rinunciato; vi aggiunse anzi devozioni e purificazioni superflue; giudaizzò completamente. Teuda e Giuda si erano dichiarati messia prima di Gesù; Dositeo, Menandro e Simone lo fecero dopo.. Nel primo secolo della Chiesa, e prima ancora che fosse conosciuto il nome di cristiano, vi furono una ventina di sètte nella giudea. Gli gnostici contemplativi, i dositeani, i cerintiani esistevano prima che i discepoli di Gesù avessero preso il nome di cristiani; Vi furono presto trenta Vangeli, ciascuno dei quali apparteneva a una comunità diversa; a partire dalla fine del primo secolo si possono contare trenta sèette di cristiani in Asia Minore, in Siria, ad Alessandria, e perfino a Roma. Tutte queste sètte, disprezzate dal governo Romano, e nascoste nella loro oscurità, si perseguitavano tuttavia a vicenda nei sotterranei in cui strisciavano; ossia si lanciavano ingiurie; è tutto quello che potevano fare nella loro abiezione: erano composte quasi esclusivamente dalla feccia del popolo. Quando infine alcuni cristiani ebbero abbracciato i dogmi di Platone, e mescolato un po’ di filosofia nella loro religione, che distaccarono da quella ebraica, divennero progressivamente più stimabili, ma sempre divisi in diversi indirizzi e sètte, senza che vi sia mai stato un solo istante in cui la Chiesa cristiana fu unita. Essa è nata in mezzo alle divisioni ebraiche: dei samaritani, dei farisei, dei sadducei, degli esseni, dei giudaiti, dei discepoli di Giovanni, dei terapeuti. E’ stata divisa già nella culla, lo è stata nelle stesse persecuzioni che dovette talvolta subire sotto i primi imperatori. Gesù non ha mai dato al papa la marca di Ancona, né il ducato di Spoleto; eppure il papa le possiede per diritto divino. Gesù non ha istituito un sacramento né per il matrimonio né per il diaconato: ma per noi il matrimonio e il diaconato sono sacramenti. Se si presta bene attenzione, la religione cattolica apostolica romana è, in tutte le sue cerimonie e in tutti i suoi dogmi, l’opposto della religione di Gesù. Ma come! Dovremmo giudaizzare tutti perché Gesù ha giudaizzato tutta la vita? Se fosse permesso ragionare coerentemente in fatto di religione, è chiaro che dovremmo farci tutti ebrei, perché Gesù Cristo, nostro Salvatore, è nato ebreo, è morto ebreo e ha detto espressamente che rispettava ed osservava la religione ebraica. Ma è ancor più chiaro che dobbiamo tollerarci reciprocamente perché siamo tutti deboli, incoerenti, volubili, soggetti all’errore. Una canna piegata dal vento nel fango dice forse alla canna vicina, piegata in senso contrario: “Prostati come me, miserabile, o presenterò istanza perché ti strappino e ti brucino”? TORTURA (…) Eppure non l’hanno inventata degli uomini bizzarri: tutto fa pensare che questa parte della nostra legislazione debba la sua origine a qualche brigante di strada. La maggior parte di questi signori serbano la tradizione di rompere i pollici, bruciare i piedi e interrogare con altri supplizi quelli che rifiutano di dire loro dove tengono nascosto il denaro. I conquistatori, venuti dopo questi briganti, trovarono l’invenzione molto interessante per i loro interessi: la misero in pratica quando sospettarono che qualche sinistro piano fosse ordito a loro danno, come, per esempio, quello di avere la libertà; era un crimine di lesa maestà divina e umana. Bisognava conoscere i complici e per conoscerli si facevano patire mille morti ai sospettati perché, secondo la giurisprudenza di questi primi eroi, chiunque fosse sospettato di aver ordito contro di loro il più pur minimo pensiero poco rispettoso era degno di morte. Dal momento che si merita la morte, poco importa che vi aggiungano tormenti spaventosi per parecchi giorni, e perfino per alcune settimane, anzi, tutto ciò ha un che di divino. La Provvidenza ci mette a volte alla tortura impiegando il mal della pietra, la renella, la gotta, lo scorbuto, la lebbra, la sifilide, il vaiolo, lo strazio delle viscere, le convulsione dei
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nervi, ed altri esecutori della divina Provvidenza. Francois-Marie Arouet, detto
Voltaire, Dizionario filosofico,
Newton Saggi, 2008 (che spessore questo libro! Intanto di filosofico c’è solo il titolo perché in realtà si tratta di un saggio, redatto in versione definitiva nel 1765, di inaudita lucidità, chiarezza e razionalità. Costui è il vero fondatore del pensiero moderno: ha il coraggio di dimostrare la assoluta infondatezza del vecchio e del nuovo Testamento avendone trattato, con rara lucidità, lo studio davvero improbo dovuto alla frammentarietà delle narrazioni: spesso e volentieri sono anche contraddittorie. La demolizione del contesto globale della Chiesa, a partire da Paolo sino ad oggi, è assolutamente incontestabile. Oltre alle approfondite conoscenze in ambito religioso ebraico-cristiano, dimostra ampi e articolati approfondimenti del pensiero islamico, induista, vediano. Dal 1743 al 1750 approda alla corte di Versailles allora dominata dalla Pompadour ma ne fuggì, approdando, per tre anni in Prussia. Dopo varie disavventure e vicissitudini si nasconde nell’abbazia benedettina di Senones alla cui ricca biblioteca attinge a piene mani circa i testi sacri. E’ troppo caustico ma spesso e volentieri riesce ad essere anche ironico. Ritornando da un viaggio in scooter in Francia, al termine dell’interminabile Giura, alle porte di Ginevra, ho incontrato un grazioso paese che porta il suo nome. E’ da mettere in relazione con Rousseau che era sottomesso e soggiogato della forza del poco più anziano pensatore (aveva musicato un suo lavoro ma il Voltaire, essendone stato informato, non si è degnato dl minimo cenno di riscontro)(ebbero anche contradditori polemici “di penna”); Voltaire era stato intimo del re di Prussia Federico II che molto lo considerava ed apprezzava. In sintesi: un lavoro così intenso e preciso ha fatto sì che la Chiesa molto ebbe a risentirsene: scomunicò la sua opera ma riuscì anche a tenerne celato il contenuto. La mia opinione è che se uno studente di teologia, terminata l’abilitazione, fosse indotto a studiare questo dizionario onde dimostrare l’inesattezza di una sola delle mille proposizioni lì elencate, rinuncerebbe di certo a prendere i vòti. Napoleone di certo ne fu condizionato e realizzò, nel 1798, di abolire tutti gli ordini ecclesiastici: dopo duecentocinquanta anni noi siamo ancora indecisi, anzi, non ci poniamo neppure il problema).
Armando Massarenti su Il Sole 24 ore del 5 aprile 2015 ricorda Montanelli citando alcune sue affermazioni circa l’eutanasia “ciarpame teologico e moralistico che discetta sulla sacralità della vita come dono del Signore, pertanto intoccabile”; circa l’aborto : “Se a partorire fossero gli uomini da un bel pezzo non sarebbe reato”; circa il divorzio:”Tempo fa scrissi che coloro che l’avevano promosso erano dei mentecatti e adesso debbo riconoscere di essermi sbagliato. Non sono dei mentecatti, sono dei criminali”. Dispose inoltre che la sua morte fosse annunciata sul Corriere con il seguente epitaffio: “Le sue cremate ceneri siano raccolte in un’urna fissata alla base, ma non murata, sopra il loculo di sua madre Maddalena nella modesta cappella di Fucecchio. Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili”
Renzo Amedeo, Gennaio-giugno 1577 – una viaggio da Garessio a Roma, Bollettino della Soc. Studi storici e archeologici ed artistici Prov. Cuneo, n. 82, 1980. (Breve saggio tratto dall’ archivio comunale di Garessio circa le molte cause e litigi con le città e/o i finitimi. Nella fattispecie si tratta di una controversia con Zuccarello contro il Signor Scipione Del Carretto per una nuova gabella che lo stesso voleva imporre alla Comunità di Garessio. La descrizione è molto interessante perché dimostra come certe vertenze fossero risolvibili solo presso il papato, perché elenca tutte le vicissitudini e le traversie di un viaggio a Roma, perché dettaglia i vari mezzi di pagamento utilizzati, i prestiti ricevuti, perché dimostra come fosse sufficiente andare a pietire a Roma, pagando i relativi esosi balzelli per averla vinta. La partenza avviene il 25 gennaio 1577 da parte del Delegato, assistito da due inservienti: già a Carcare un cavallo perde tre ferri ed il maltempo costringe la comitiva a lì pernottare. A Savona la permanenza è di cinque giorni per aspettare il capomissione e per svolgere alcune incombenze con la curia e con noti vari che rilasciarono copie di atti e di delibere: per adempiere bene ciò, oltre alle parcelle bel elencate, occorse una “bustarella” consistente in cinque chilogrammi di tartufi. Da Savona a Genova si affittano quattro cavalli e da lì altri quattro per andare a Sestri Levante e poi a Martarana e poi a Sarzana: dettaglio dei costi per attraversare un’acqua (vara) e poi l’altra acqua La Mara. Da Sarzana in poi si paga in giuli. Tralascio l’interessante versione del viaggio sino a Roma per sintetizzare che il soggiorno durò sino al 22 maggio e che le spese sostenute furono: L.5209,10 per diarie dei tre componenti la missione; L. 2911,15 per spese di giustizia; L.225,2 per vitto; L. 172 per pranzi gratulatori e mace; L.99 per alloggio; L. 64 per cavalli e cocchi, ed altre piccole incombenze. Qui riporto alcuni stralci del testo: “17 febbraio: ho pagato a Roma al magnifico signor Bernardo Bissia dottore degnissimo per caparra che ne avocasse in favore: scudi 4 d’oro,giuli 46; ea die: ho pagato a Roma al magnifico signor Orazio Geruzio, nostro avvocato, per vedere le nostre ragioni scudi 2; ea die: ho dato al signor Coronato, altro nostro avvocato, per caparra perché il signor Decano stava in casa sua per intendere qualche
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cosa: scudi 2. … Alli 5 marzo ho pagato al signor Coronato per informare il signor Decano sopra la causa a vedere se Monsignore gli avea dubbio alcuno. (seguono altre vicissitudini sino al) 14 maggio si pagano per le trecce attaccate alle sentenze con le lame bianche e la seta rossa per attaccare il sigillo del signor Decano e si paga la propina della sentenza con 100 scudi d’oro. Risolte tutte queste dolorose incombenze il 23 maggio si parte da Roma per arrivare in 14 giorni a Garessio, non senza una fermata a Savona dal vescovo per consegnare copia della sentenza affinchè fosse notificata al signor Scipione Del Carretto. Sintesi finale: Roma da duemila anni è ricettacolo di meretricio, di faccendieri e ruffiani, di corti corruttibili, di malaffari d’ogni sorta. Ci tocca tenerla! ------------------------------------------------
(…) Solo negli occhi di alcuni studenti ebrei brillava un’intelligente, astuta o anche folle afflizione. Ma era la tristezza del sangue, di tutt’un popolo trasmessa in eredità all’individuo e da questi acquisita senza rischio. Allo stesso modo gli altri avevano ereditato la loro gaiezza. Solo i gruppi si distinguevano l’uno dall’altro per fasce, colori, idee. Si preparavano a una vita in caserma, e ciascuno portava già la propria arma, la chiamavano “ideale”. (…) “Non state a pensarci!” disse R. “io credo solo al disinteresse dei morti, noi tutti vogliamo vivere un momento di benessere e una dolce vendetta”. “Tutti meno Savelli” disse Friedrich. “Voi vi ingannate “replicò R. non senza animosità, come allora mi parve “ Voi non conoscete Savelli. Un giorno si capirà chi è, ma sarà troppo tardi. Fa la parte di un uomo a cui il proprio cuore non appartiene più, l’ha regalato all’umanità. Ma ci si inganna: non ce l’ha. Io preferisco un egoista. L’egoismo è sintomo di umanità. Il nostro amico invece è disumano. Ha il temperamento di un coccodrillo all’asciutto, la fantasia di uno stalliere, l’idealismo di un izvozcik” (= cocchiere) (…) Un enorme calamaio posava sulla scrivania. Era di metallo, un cavaliere di bronzo armato di tutto punto teneva il suo scudo orizzontale come una tavoletta, così che sopra si potevano posare i pennini d’acciaio. Ai lati due bariletti con piccole cupole di chiesa sui coperchi di ferro contenevano l’inchiostro, uno il rosso, l’altro il blu. Il tagliacarte di bronzo era posato accanto. Aveva la forma di una sciabola. Era un brav’uomo che si era fatto strada con diligenza, principi, e una meritoria assenza di idee originali. Dall’età di ventun anni conduceva una felice vita coniugale con la stessa donna, parzialmente seguendo le prescrizioni di un popolare medico naturista. Era un brav’uomo con leggera tendenza alla pancia e con lineamenti semplici, che un bambino avrebbe potuto disegnare. Ai suoi ospiti offrì dei sigari da una scatola sul cui coperchio l’imperatore tedesco e quello austriaco, con le guvace rubiconde, guardavano allegri il mondo da un piccolo ovale bordato d’oro. (…) Il treno im piegò più di diciotto ore a percorrere il piccolo tratto da Kursk a Voronez. Era un freddo e limpido giorno d’inverno. Per un paio d’ore appena il sole splendette così gagliardo da un cielo turchino, quasi meridionale, che gli uomini, a causa delle frequenti fermate, balzavano fuori dai vagoni gelidi e bui, si toglievano la giacca come per un lavoro pesante d’estate, si lavavano con la neve scricchiolante e si facevano asciugare dall’aria e dal sole. Nel corso di questa breve giornata tutti si erano abbronzati la faccia come quelli che fanno gli sport invernali sulle montagne della Svizzera. Ma il crepuscolo venne d’improvviso e un vento pungente, cristallino, uniforme, cantilenante, inasprì il freddo tenebroso della lunga notte e pareva affilare senza requie il gelo perché divenisse ancora più aguzzo e tagliente. Ai finestrini dei vagoni mancavano i vetri. Al loro posto avevano fissato delle assi, fogli di giornale e pezzi di stoffa. Qua e là vacillava la luce di uno sperduto mozzicone di candela appiccicato su una qualche accidentale sporgenza metallica di una parete o di una porta, di cui nessuno avrebbe più saputo spiegare lo scopo e che, per misera che apparisse, solo in grazia della sua inutilità ricordava il lusso, da tempo scomparso, dei treni e dei viaggi. Erano state messe insieme come capitava carrozze di prima e di terza classe, ma tutti i passeggeri gelavano. Ogni momento c’era qualcuno che si alzava, si sfilava gli stivali, ci alitava dentro, si stropicciava i piedi con le mani e si rifilava accuratamente gli stivali come se nel corso di quella notte non avesse più bisogno di toglierli. Altri pensavano fosse meglio sollevarsi ogni poco sulla punta dei piedi e mettersi a saltellare. L’uno invidiava l’altro. Ciascuno pensava che il vicino se la passasse meglio e su tutto il treno si sentivano solo discorsi sulla presunta qualità e calore di questo cappotto o di questo cappello di pelliccia. Sotto le maniche di un soldato, un camerata aveva scoperto dei polsini di lana grigia a strisce rosse di cui il possessore stesso non sapeva spiegarsi la provenienza. Giurava che non servivano proprio a nulla, uno, un uomo sulla quarantina, con una barba rossa incolta, che faceva pensare a un boia, a un folletto della foresta e a un fabbro insieme, ma che ancora due anni prima aveva esercitato un pacifico commercio di generi alimentari, volva assolutamente vedere i polsini di lana, Dall’inizio della rivoluzione, in cui aveva perso tutto, aveva vagato da un esercito all’altro finchè era
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definitivamente con i rossi. Si dava arie di uomo dalle molte esperienze e di profeta che poteva prevedere tutto. (…) Dopo tre mesi, che gli erano sembrati lunghi come anni, a Kursk s’incontrò di nuovo con Berzejev. “Ogni volta che ti vedo mi sembri diverso –disse Berzejev- Era già allora, quando durante la fuga dovemmo separarci di continuo. Si direbbe che tu cambi la faccia persino più in svelta del nome” Dal suo ritorno in Russia Freidrich portava lo pseudonimo con il quale aveva pubblicato alcuni articoli nei giornali. Nemmeno a Berzejev confessò che in segreto amava il suo nuovo nome, quasi fosse un grado conferito a se stesso. Amava il vestito che ora indossava, le frasi che aveva nel cervello e sulla lingua che pronunciava e scriveva senza stancarsi mai: appunto nel ripeterle provava voluttà. Già cento volte aveva detto ai soldati le stesse cose. Già cento volte aveva scritto le stesse cose sui volantini . Joseph
Roth, Il profeta muto, Adelphi, 1988 (come mi piace sempre più quest’Autore: in primis perché racconta di cose intelligenti e poi perché scrive davvero bene.)
Mi si attribuiscono delle passioni ed io non ho che delle opinioni. O piuttosto non ho che una passione: l’amore della libertà e della dignità umana, la sana e legittima passione umana. Montaigne 1533-1592 lettera a Henry Reeve, marzo 1837 … velut minuta magno / Deprensa navis in mari, vesaniente vento = Come una fragile barca sorpresa in aperto mare da un vento furioso. Catullo XXV, 12
Insani sapiens nomen ferat, aequus iniqui / Ultra quam satis est virtutem si petat ipsam = La perfetta virtù rifugge tutti estremi / E vuole che si sia saggi con sobrietà. Orazio, Lettere I,4 Non siate più saggi di quanto serve, ma siate sobriamente saggi. san Paolo, Romani, XII, 3 Non ipse pro caris amicis /Aut patria timidus perire. = Per gli amici cari e per la mia patria / son pronto a donare la mia vita. Orazio, Odi, IV, 9 Stulti vita ingrata est, trepida est, tota in futurum fertur = L’insensato ignora la dolcezza del vivere, la sua esistenza è inquieta, tutta tesa all’avvenire. Seneca, Lettera a Lucilio, 15 Omnia quae secundun naturam sunt, aestimatione digna sunt. = Tutto ciò che è secondo natura deve esserci prezioso. Cicerone, De finibus, III,6 Vitam regit fortuna, non sapientia = E’ la fortuna, non la nostra sapienza, che governa la vita. V, 9
Cicerone, Tusculanes,
Impius haec tam culta novalia miles habebit = Un soldato sacrilego possederà questi campi così ben coltivati. Virgilio, Bucoliche, I
Davide Shiffer, Memoria e oblio, Golem ediz., 2014 (libro molto tecnico come si evince già dal sottotitolo “un’analisi fenomenologica degli anni bui del secolo breve” non mi è piaciuto particolarmente. Questo grande personaggio con meriti immani in campo scientifico si è scoperto in tarda età anche scrittore: questo libro ha il sapore di qualcosa che è opportuno aggiungere, senza troppa convinzione. Ho assistito alla presentazione nella Sinagoga di Cuneo e ad una mi domanda circa il concetto di “perdono” mi ha guardato stralunato, quasi avessi bestemmiato. Comunque è lodevole lo sforzo che costui fa per lasciare traccia del proprio vissuto, suo e del suo popolo).
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(…) Siamo dunque ancora al tempo dei feudalesimo carolingio che, com’è noto, crollò dopo la morte della famosa contessa Adelaide (+1091), in seguito alla quale si scatenarono guerre tra i vari pretendenti alla successione dei suoi immensi dominii. Sorsero così in Piemonte più o meno indipendenti, sempre in guerra tra di loro, e alcuni liberi comuni dalla vita sempre travagliata. Tra i pretendenti vi fu Bonifacio del Vasto, di famiglia aleramica, signore di Savona e di alcune terre della Liguria e del Piemonte sud-orientale, il quale, in qualità di figlio di Berta, sorella di Adelaide, si lanciò con sette dei suoi otto figli (il primogenito lo aveva cacciato di casa in quanto ribelle) e in breve tempo conquistò tutto il Piemonte meridionale, compresa Saluzzo e sbocconcellando anche qualcosa del Comitato di Torino, toccato a Oddone di Savoia, terzo marito di Adelaide. Morto Bonifacio, il padre, e morti senza figli tre dei sette fratelli, gli altri quattro si divisero Savona e le conquiste fatte: a Mangfredi I toccò il Comitato di Auriate e Saluzzo, che fece capitale del suo marchesato. Ma cos’era Saluzzo prima della conquista dei Del Vasto? Era certamente un centro feudale, dipendente forse dal Comitato di Auriate (ma non è accertato) ed era di dimensione modesta. Lo storico Carlo E. Patrucco (ne la storia della leggenda di Griselda, del 1901), dopo una dotta ricerca intorno alle molte famiglie che tennero feudi nei secoli X, XI, XII, afferma di aver trovato nel cartario di Staffarda ed in altri documenti molti “ de Salutiis” e “de Salutiis et Busca” , e tra questi ben cinque con il nome Walterius tra il 1150 e il 1175. Ma dobbiamo notare che non poteva trattarsi che di titolo nobiliari senza signoria, poiché tra il 1142 e il 1175 signoreggiava in Saluzzo Manfredo I, che aveva mutato il predicato del Vasto in quello di Saluzzo. (…) Il Petrarca ed il Boccaccio avevano udito insieme a narrare la storia di Griselda. Quando? Molti anni addietro narra il Petrarca. Ma quando mai i due amici ebbero agio di stare assieme ad ascoltare una leggenda popolare, se non in una di quelle famose ultime settimane della quaresima del 1351, mentre il Boccaccio era ospite del Petrarca? E dove? Sono in tre, uno che racconta e i due ascoltatori: dunque nella pace domestica della canonica del Petrarca. Ai due ascoltatori la leggenda apparve moilto bella, molto diversa da tutte le altre. E il Boccaccio la scrisse prima della fine di quell’anno a Certaldo. Ma chi era il narratore? Il Petrarca non lo nomina. Forse dopo ventidue anni ne aveva dimenticato il nome? Ne dubitiamo, tanto più che si trattava, come pensiamo, di quel priore certosino che gli aveva recato l’esaltante notizia dell’eroismo di suo fratello Gherardo. Crediamo più probabile che non lo abbia nominato, perché si tratta di una traduzione del Boccaccio, cioè di un testo letterariamente pregevole e accurato, con dialoghi, descrizione degli stati d’animo di Griselda e di Gualtieri, ecc. Mentre il priore certosino aveva certamente narrato la leggenda alla svelta, senza alcuna pretesa letteraria; aveva cioè semplicemente offerto la materia per scrivere una bella novella. Inoltre è questa una lettera affettuosa e personale diretta al Boccaccio, che certo ben sapeva quando, dove e da chi aveva ascoltato il racconto. Infine, chi mai poteva aver raccontato una leggenda così diversa dalle altre, così piemontese, se non il piemontese priore della Certosa di Bologna, capitato per caso nella casa del vescovo, proprio il giorno in cui era ospite il Petrarca? E che aveva acquistato un po di merito per ottenere di fargli visita? Ma il Petrarca non lo nomina e perciò ci viene a mancare la prova certa. E però, se lo avesse nominato, non ci sarebbe stato alcun bisogno di fare indagini per scoprirlo. Questa novella , ora nota solo più agli studiosi, ebbe, grazie alla traduzione latina del Petrarca, indipendentemente dal resto del Decameron, una fortuna strepitosa. In breve tempo fu tradotta in quasi tutte le lingue europee, e fatta oggetto di infinite discussioni. Per questo motivo metteva conto che, gtra tutte quelle che il Boccaccio scrisse per averle udite, di questa almeno, che ebbe tanta diffusione, si tentasse di scoprire chi gliel’avesse narrata. Vincenzo
Fea, La tradizione orale della novella Griselda di Giovanni Boccaccio, Bollettino della Soc. per gli studi storici, archeologici ed artistici della prov. Di Cuneo, n.80/1979 (molto bella e dotta questa trattazione di una vicenda, quella della Griselda, che nessuno di quelli che conosco hanno centrato fosse ambientata a Saluzzo)
Prefazione. Se gli uomini potessero dirigere tutte le loro cose con sagge e certe decisioni, oppure se la fortuna fosse sempre loro favorevole, non sarebbero soggetti ad alcuna superstizione. Ma, poiché si trovano spesso in difficoltà tali che non sanno prendere decisione alcuna, e poiché di solito, a causa degli incerti beni della fortuna che essi desiderano smoderatamente, fluttuano miseramente tra la speranza e la paura, il loro animo è quanto mai incline a credere a qualsiasi cosa: quando è preso dal dubbio, esso è facilmente sospinto or qua or là, e tanto più quando esita agitato dalla speranza e dalla paura, mentre nei momenti di fiducia è pieno di vanità e presunzione. Credo che nessuno ignori queste cose, benché io sia convinto che la maggior parte degli uomini non conoscono se stessi. Chiunque sia vissuto tra gli uomini, infatti, non può non aver osservato che la maggior parte di loro, nelle circostanze favorevoli, ancorchè ignorantissimi, sono così tronfi di sapienza da ritenersi offesi se qualcuno voglia dar loro consigli; mentre
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nelle difficoltà non sanno da che parte voltarsi e implorano consiglio al primo che capita, e non c’è consiglio così insulso, così assurdo ed inutile ch’essi non seguano …. Baruc Spinoza, Trattato teologico-politico, Rusconi ed.,
1999
Marie Josè, La maison de Savoie, ed. Allemandi ristampa 1969 (L’Autrice, in esilio nel castello Ripaille, in Savoia, ha redatto questo corposo testo ricco di citazioni, di alberi genealogici, di immagini e disegni: l’unico difetto è che è di parte, come era facilmente intuibile. Però ha fatto un gran bel lavoro ed ha ottenuto una prefazione di Benedetto Croce del 1952)
Amare è stancarsi di essere soli: è quindi una viltà, e un tradimento verso noi stessi. Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietitudine, Einaudi, 2012 (che anima triste Costui: vede solo merda e se la gusta anche: la sua morte insegna)
Il massimo della diseguaglianza è fare parti uguali tra i diseguali. Don Lorenzo Milani
Giacomina Caligaris, Vita e lavoro in una comunità rurale piemontese: Pancalieri nei secoli XVII-XVIII, Bollettino Società Studi Storici, Archeologici, Artistici Prov. Di Cuneo, 1984 ( monografia che valse all’ Autrice la cattedra di prof. Associato ad Economia e Commercio di Torino: lavoro davvero bello ed articolato reso possibile dall’esistenza di un buon archivio comunale e parrocchiale. A prescindere dalle ricorrenti epidemie indotte anche dal frequente passaggio delle più variegate truppe assoldate o meno è molto interessante vedere come il dramma più grave era il soggiacere alle reiterate imposizioni da parte del Duca, soprattutto per sostenere le ingenti spese di guerra. Sul finire del Cinquecento ma ancor più nel Seicento erano frequenti imposizioni straordinarie che bisognava fronteggiare dall’oggi al domani: i sindaci che andavano a parlamentare era spesso trattenuti come ostaggi fino all’assolvimento delle obbligazioni. Si ricorreva a prestiti da privati e addirittura, in un caso, all’acquisto di merci da vendere subito sottocosto solo per ottenere il contante, salvo poi saldare il debito. Il tutto a prescindere dalle imposizioni ordinarie. Interessante l’esame delle regole onde mantenere i soldati che si stabilivano per alcuni giorni ma anche per mesi. La comunità doveva fornirli di alloggi comuni, di una razione di 1 kg. di pane (quasi bianco) e di un litro e mezzo di vino al dì per ogni soggetto: bisognava poi vegliare sulle ruberie di animali, foraggi e beni commestibili ma ancor più sulle molestie che la soldataglia esercitava sulle ragazze e sulle donne. Frequenti erano gli obblighi di fornitura di foraggi alla cavalleria stanziale nel paese o anche lontana, il vincolo di mandare carri con buoi (ma anche vache tiroire) per il trasporto di armi o munizioni nonché le corvée di centinaia di uomini validi (dai 18 ai 65 anni) per incombenze particolari: il tutto a prescindere dalla normale leva. Molto ben realizzata l’analisi demografica correlata ai periodi di guerra, alle carestie ed alle conseguenti epidemie. C’è poi tutta una sezione di studio prettamente “economica” con l’analisi delle produzioni agraria (di sussistenza alimentare e abbastanza raramente per il commercio) e la produzione agraria. A parte i frumenti ed i barbarià, il vino ed i foraggi, era notevole la coltivazione e la successiva lavorazione della canapa: il tutto illustrato con mappe dell’epoca. Pesante ma molto interessante).
L’uomo non sa che cosa è Dio. Come un uomo che ha vino nella sua cantina e se non ne avesse bevuto né assaggiato, egli non sa che è buono. Così è per le persone che vivono nel non sapere: non sanno che cosa è Dio e credono e sono convinte di vivere. (…) Certa gente vuole amare Dio come ama una mucca che si ama per il latte e per il formaggio e per il proprio vantaggio (…) Fanno le loro buone azioni in onore a Dio, come digiunare, vegliare, pregare e lo fanno però con lo scopo che nostro Signore dia loro, per questo, qualcosa, o che loro Dio faccia, per questo, qualcosa che a loro piace: tutti questi sono commercianti. (…) tre cose impediscono di ascoltare la parola eterna. La prima è la corporeità, la seconda è la molteplicità, la terza è la temporalità. Se l’uomo trascendesse queste tre cose abiterebbe nell’eternità. Meister Eckhart, Le 64 prediche del tempo liturgico, Bompiani, 2015 (Costui è nato prima del 1260 ed era un domenicano che compilò 55 sermoni per le domeniche del tempo ordinario ed altre 55 per le feste dei santi e visse prevalentemente in Turingia ma anche a Parigi dove ricoprì la carica di Maestro reggente. Ma nel 1326 alcuni suoi confratelli ravvisando alcune inesattezze al
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limite dell’eresia, lo denunciarono. Egli interpose appello alla Sede apostolica in allora sedente ad Avignone e presentò alcune memorie: Meister Eckhart morì il 28 gennaio 1328 non senza varie dolorose vicissitudini; un anno dopo papa Giovanni XXII condannò con una bolla 17 proposizioni come eretiche e 11 come sospette. Triste destino di chi intende acquisire qualcosa di innovativo in materia di fede o di scienza, però il suo pensiero resta ed incide nel futuro). ------------------------------
^ Tutti abbiamo forza sufficiente per sopportare i mali altrui. ^ L’amor proprio è il più grande di tutti gli adulatori ^ Non si può guardare fisso né il sole né la morte. ^ Ci sono dei buoni matrimoni, non ce ne sono di deliziosi. ^ Gli uomini non vivrebbero a lungo in società se non si ingannassero a vicenda. ^ Nelle nostre relazioni piacciamo più spesso per i nostri difetti che per le nostre virtù. ^ Non si dà nulla con tanta liberalità quanto i consigli. ^ Il proposito di non ingannare mai ci espone ad essere ingannati sovente. ^ Le nostre virtù non sono altro che vizi travestiti. ^ Le virtù di perdono nell’interesse, come i fiumi nel mare. Francois de La Rochefoucauld, Massime. Introduzione di una nuova edizione italiana uscita nei Millenni di Einaudi a cura di Jean d’Ormesson (accademico di Francia, scrittore fecondo di cui ho almeno due testi; di destra ma con aperture sinistroidi è nato nel 1925 e qui descrive molto bene il contesto storico in cui visse il Rochefoucauld (1613- 1680): intanto fu ferito da una fucilata al viso in una azione contro il Richelieu e da allora, quasi cieco, si ritirò dalla vita politica occupandosi soprattutto di salotti. Nel 1662 pubblicò le Memorie e due anni dopo le 504 Massime che gli diedero grande fama. Fu coevo di di Racine, Molière, Bossuet, La Fontaine, Poussin. Il nerbo di questo lavoro “è che tutto parte dall’egoismo ed approda all’egoismo. I giansenisti applaudivano, ritrovavano in questa analisi impietosa, in cui il cristianesimo non ha parte alcuna, la corruzione della natura priva della grazia”. Dice ancora l’Ormesson: “Una discendenza del pessimismo di La Rochefoucauld percorre i secoli e le culture. Egli conduce a Candido che conduce a Chamfort che conduce a Stendhal che conduce a Schopenhauer. Ripetute, saccheggiate, copiate all’infinito le sue Massime costituiscono i “proverbi delle persone brillanti”, deluse di tutto, che tramutàno in formule l’intera sciagura del mondo e tutte le bassezze dell’animo” Aggiungo: arriva sino a Pessoa)
----------------------Vasi di vetro e vasi di argilla sono fabbricati con il fuoco. Ma se si spezzano, i vasi di vetro sono rimodellati, perché furono prodotti tramite un soffio; se invece si spezzano i vasi di argilla, vanno distrutti, perché furono fabbricati senza soffio (10) Girando intorno a una mola un asino fece cento miglia; quando fu sciolto, si trovò ancora nello stesso posto. Certi uomini camminano molto, ma non arrivano mai da nessuna parte; quando per loro giunge la sera non vedono né città né villaggio né creazione né natura né forza né angelo. Miserabili, hanno sofferto invano (20) Vi sono spiriti impuri maschili e spiriti impuri femminili: i maschili si associano alle anime che hanno preso domicilio il corpi di femmine, e i femminili sono associati a quelli a quelle dei corpi degli uomini, a motivo di colui che disobbedì; e non sfugge loro alcuno –poiché essi lo trattengono-, a meno che uno riceva una forza maschile e una forza femminile e cioè quello del fidanzata e del fidanzato. Questo, poi, si riceve nella camera nuziale. Quando donne sciocche vedono un uomo che se ne sta tutto solo, lo assalgono, folleggiano e lo contaminano. Allo stesso modo, quando uomini sciocchi vedono una bella donna tutta sola, la persuadono e le usano violenza perché vogliono contaminarla, ma se vedono un uomo e una donna insieme, le donne non possono avvicinarsi all’uomo, e gli uomini non possono
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avvicinarsi alla donna. La stessa cosa avviene quando l’immagine e l’angelo si uniscono: nessuno osa andare incontro. (…) Non avere paura della carne, e non amarla. Se tu ne hai paura essa ti dominerà. Se tu l’ami, essa ti divorerà e ti inghiottirà. (65, 10, 20. 66). A cura di Luigi Moraldi, Il Vangelo di Filippo in “Vangeli gnostici di Tomaso, Maria, Verità e Filippo”, Biblioteca Adelphi 139, 1984. (possedevo già un altro testo dei Vangeli gnostici, ma questo è davvero ben commentato ed ha un apparato di note davvero notevole. Ciò non di meno continuano ad essere avvolti nel mistero, ciò a dire di difficile comprensione).
La diplomazia è l’arte di esporre l’ostilità con cortesia.
L’esistenza è una linea fatta di nodi.
Francois Mauriac +1967
Friedrich Hebbel, Giudizio Universale con pause
Gli uomini hanno, per natura, più paura della verità che della morte. Kierkegaard, Diario
Un calice rotto in mille pezzi, con un bel rumore secco, e più fa fracasso, miglior fortuna porta. Del rito matrimoniale ebraico, antico e arcano, la rottura del bicchiere da parte dello sposo è il simbolo più enigmatico. E’ forse in memoria della distruzione di Gerusalemme, lutto portato sempre, anche nella festa più gioiosa? Oppure il cristallo che si spezza ricorda la frattura dei vasi cosmici, che per i cabalisti ha dato origine al nostro mondo, rabberciato e tutto da riparare? Qualcuno pensa che quel gesto sia la rottura dell’imene, una deflorazione in vetro. A cercare tra le schegge, spunta però un ospite che nessuno vuole, un demone, o molti brutti ceffi suoi pari che portano male, e chi li ha invitati? Sofia Locatelli e Mauro Perani, La kettubot italiane della collezione Fornasa, Giuntina Firenze, 2015
Giorgio Bocca, Le mie montagne gli anni della neve e del fuoco, Feltrinelli, 2006 (si tratta di una serie di brevi racconti e spezzoni che partono dai ricordi di quando l’Autore era studente e praticava lo sci di fondo, per passare agli anni del partigianato per poi spaziare a vari episodi connessi con la montagna. Indubbiamente scrive davvero bene però, a mio sommesso parere, ha scritto troppo: si fosse risparmiato la descrizione di tante stanche vicende politiche che ha egregiamente illustrato …. Ma già faceva il cronista – giornalista, ed anche bene).
In particolare, dovette apparirgli congeniale, oiltrechè autorevole l’opera di un confratello, fra Angelo Carletti da Chivasso, pubblicata nel 1486 e nata da quella stessa esperienza religiosa e predicatoria che egli stava compiendo. Lo zoccolante subalpino individua con forza una sola connotazione determinante dell’usura: l’esercizio palese del credito con interesse prefissato; è solo in questa situazione che il mutuante afferma il suo animus di voler trarre profitto dal danaro. Il tasso d’interesse, però, non costituisce di per sé usura, poiché spesso copre la remunerazione per un servizio prestato; e diviene quindi giusto e lecito guadagno, condizione irrinunciabile di qualsiasi attività economica. E Bernardino svilupperà questo tema, incitando gli uomini a operare e produrre con fervore per acquistarsi la vita futura. Renata Segre, Bernardino da Feltre i monti di pietà e i banchi ebraici, Rivista Storica Italiana, Napoli, 1978 (Uno studio interessante dell’Autrice per cercar di giustificare l’attività usuraia degli ebrei: in effetti trova alcune giustificazioni del tutto valide ed economicamente sostenibili: gli eccessi però vennero corretti dall’opera del Carletti e poi del Berrnardino da Feltre che istituirono i Monti di Pietà per mitigarne le conseguenze ).
Djuna Barnes, La passione, Adelphi, 1979 ( Davvero elegante e sofisticata questa raccolta di brevi racconti: in poche righe descrive ed esprime quadri paesaggistici ma anche introspettivi notevolissimi. Scrisse abbastanza questa Autrice americana, nata
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nel 1892, visse a Parigi nella giovinezza e nella prima maturità imbevendosi dello spirito davvero eccentrico ed elettricizzante che ivi albergava. Scrisse anche poche ma intense poesie con un soffuso significato di diversità sessuale).
La verità è la tomba del filosofo (Radio Radicale del 9 ottobre 2015 affermazione di un commentatore del convegno Comunione e Liberazione tenutosi recentemente a Rimini).
Io volentieri a coloro che sano parlo, a coloro che non sanno mi nascondo. Eschilo, Agamennone 38s (biglietto manoscritto trovato accidentalmente sulla scrivania. Firmato da Sergio Bianco con degli auguri. Mi ha alquanto stupito questo scritto perché in assoluto non lo avevo mai visto: probabilmente era inserito in qualche fascicolo o libro che gli avevo imprestato. L’unico rammarico è di non averlo ringraziato ma provvedo ora).
La strada “che dal Piemonte tende a Savona” favorisce Montezemolo: l’aria buona “gli abitanti scaltri e robusti” si dedicano al “negozio della Riviera di Genova in Piemonte, ove sogliono commerciare agrumi, fidelli, pesci, cauli fiori, ed altre consimili ortaglie”. Drammatica appare invece all’intendente la vita della comunità di Perlo: nonostante il “ragionevole passaggio” portato dalla strada “tuttavia li particolari non sono avvezzi ad alcun genere di commercio, sendo comunemente tutti poveri e miserabili; e la massima parte mendicanti, a motivo non solo della mancanza del commercio, ma a causa massime della sterilità del territorio, qual’è dei più sterili della provincia, non solo per la mala qualità del terreno, ma a causa del clima molto freddo, della gran copia delle nevi che ivi sogliono cadere, delle frequenti gragnole e brine che quasi ogni anno esportano li frutti, di modo che li particolari, massime in tempo di inverno, quasi tutti abbandonano le loro case, e nella primavera ed estate portano a vendere terra griggia nel Piemonte, quale in quei contorni in molta copia se ne trova. Anche a Nucetto, dove vi è “il gran passaggio che tende a Garessio, non vi è negozio di sorte alcuna” e gli abitanti preferiscono dedicarsi ai lavori di campagna. Nel caso di Saliceto, l’intendente trova una implicita giustificazione per lo scarso interesse mostrato nei confronti del commercio; manca infatti un ponte che, oltre a impedire l’isolamento del quartiere “oltre Bormida”, favorisca anche il passaggio delle merci che provengono dalla Riviera di Genova; ordina così la costruzione di un ponte murato, la cui spesa dovrebbe aggirarsi sulle 1.500 lire, alle quali la comunità può far fronte con le proprie forze, avendo “denari di scorta, che si ritrovano infruttuosi a mani dell’esattore”. (…) La natura del suolo, solo in minima parte coltivabile, e senza l’ausilio dei buoi, ma con la zappa, ha spinto gli abitanti di Frabosa Soprana, “forti e laboriosi, e di vita molto lunga” a dedicarsi al commercio “ particolarmente di tele Indienne, sirizia, lini ed altre consimili lingerie da camicia, mossoline, tarlatane, batisse, e simili, di quali tutti i generi fanno un ben forte commercio; altri poi sogliono commerciare lingerie usitate, quali dal Piemonte trasportano nel genovesato, e finalmente moltissimi altri attendono all’arte di carbonaro. Negli scambi aventi per oggetto le tele, Pamparato gioca un ruolo insostituibile, in quanto il valore del prodotto esportato verso la riviera di Genova è di 200.000 lire all’anno. La canapa affluisce sul mercato di Dronero, dove si recano gli abitanti della valle Maira e Varaita a rifornirsi; essi la lavorano e poi vendono la tela ai negozianti di Pamparato, i quali impiegano molti loro compaesani “chi nell’imbianchimento di deytte tele, chi a lisciarle, e chi nel porto delle medesime da dette due valli nel suddetto luogo di Pamparato, e da ivi nel genovesato”. Giancarlo Comino, Commercio e manifatture nella provincia di Mondovì durante la seconda metà del Settecento dalla relazione di un intendente sabaudo. Bollettino della Società Sturi Storici, …. Della Provincia di Cuneo, n. 116 dicembre 1997
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Mentre stavano preparandogli la cicuta, Socrate si esercitava sul flauto per imparare una melodia. “A cosa ti serve?” gli domandarono. E il filosofo: “ a conoscere quest’aria prima di morire!” Emile Cioran, Squartamento, 1979
Non è possibile essere stupidi più di due volte nello stesso modo . Edgardo Abbozzo, Aforismi e Pensieri, 2015
Con la consueta attenta disanima delle fonti, A.A. Settia affronta uno dei temi più “popolari” della nostra storiografia locale: la presenza dei Saraceni sulle Alpi Occidentali. E’ un tema che ha sempre interessato, a vario livello, e che negli ultimi tempi ha subito radicali rovesciamenti di impostazione, tali, ad esempio, da portare a’’ “ipotesi che costoro non fossero che avanzi di popolazioni celtoliguri sfuggite alla romanizzazione e, quindi, alla successiva cristianizzazione del mondo romanizzato” (cfr M. Ferrari, ipotesi sui “sarazin”, in Archivio storico delle Province Parmensi, 1979) (…) Le devastazioni sembrano una motivazione di comodo usata anche da altri contemporanei; nel 967 l’Imperatore Ottone I dona ad Aleramo “omnes illas cortes in deseris locis consistens a flumine Tanard usque ad flumen urbam”, nella fascia dell’hinterland savonese. Anche in questo caso notiamo che è interessata la diocesi albese nella parte più meridionale. Ridimensiona anche i “pravi christiani” : “sono in genere, semplicemente gli avversari politici della parte che noi vediamo esprimersi attraverso i documenti scritti”: Agli occhi dei religiosi contribuivano alla disgregazione del patrimonio degli enti ecclesiastici ed erano usurpatori sia Arduino il Glabro, sia, probabilmente, aggiungiamo, Eremberto di Morozzo , condannato a Savigliano nel 981 perché “malo ordine et contra lege detjnet” beni della chiesa astense. E’ anche vero che i “cattivi cristiani” trovarono nei Saraceni una comoda pedina da usare spregiudicatamente nel gioco della lotta politica, stringendo con essi alleanze non troppo ortodosse. Una sorta di damnatio memoriae pare aver coperto con l’espressione “pravi cristiani” la reale portata delle collusioni, ben chiara ai contemporanei e ancora presente nella memoria delle prime generazioni successive. Dalla rilettura critica non si salvano né il Plantus super Pedona né i “versi leonini della caduta di Pedona”. Sono, infatti, messi in forse i testi che il Riberi trascrisse dai fogli mai più ritrovati. Ma se i dubbi sulla autenticità sono legittimi, Alfonso Maria Riberi può forse essere considerato in questo caso un imprudente editore di testi spurii, ma non certamente un falsario alla stregua di un Malabaila o di un Meiranesio. Le osservazioni e le conclusione dei Settia, in parte nuove in parte già anticipate in precedenti studi, devono essere un’occasione stimolante per rileggere un momento della storia “locale”, senza ricadere in una nuova comoda “pigrizia mentale”. Giovanni Coccoluto (Bollettino della Soc. Studi Storici, archeologici e artistici provincia Cuneo n. 100 del 1989) presentando il testo di A.A. Seta, i Saraceni sulle Alpi: una storia da riscrivere, in Studi Storici 28/1 del 1987
….Sembra che il mio caso sia proprio questo. Quando Avevo ventun anni, mi svegliai una mattina completamente cambiato. Tutto quello che mi aveva interessato sino ad allora mi apparve tutt’a un tratto privo di valore. La vita mi sembrò incolore come una storia già raccontata, e senza alcun rapporto con la realtà. I sogni erano diventati realtà, una realtà tangibile che poteva essere provata, e la vita quotidiana che avevo condotto fino allora era relegata alla condizione di sogno. Ogni uomo sulla terra dovrebbe fare lo stesso se ne possedesse la chiave. E la chiave consiste semplicemente in questo: che un uomo, nel sonno, prenda coscienza della sua personalità, e di quell’infinitesima incrinatura attraverso la quale la sua coscienza può filtrare nello stato di transizione che sta tra il sonno profondo e la veglia. (…) Lo so, lei vorrebbe chiedermi come mai io, malgrado sia riuscito a liberarmi della ragnatela della vita, abbia potuto 302
essere trasformato in una notte nel peggior genere di assassino? Glielo dirò. Gli esseri umani sono come tubi di vetro, nei quali scorrono molte palle colorate. Quelle di alcuni uomini sono di un colore solo. Se le palle sono rosse, l’uomo è marchiato come “cattivo”, se sono gialle, è “buono”. Se due palle scorrono nello stesso tubo, una gialla e l’altra rossa, l’uomo è “instabile”. Ma noi dell’Ordine del Morso del Serpente assommiamo òe secolari esperienze di tutta una razza. Palle di tutti i colori scorrono velocemente nel nostro tubo di vetro e quando la corsa è finita, noi siamo Profeti, e lo specchio stesso di Dio. Gustav Meyrink, Il Golem Newton ed., 1994 (uno dei libri più belli che abbia mai letto: è un semplice racconto ma in realtà è un gran saggio, pieno di doppi sensi e di chiavi di lettura tra loro contrastanti e contraddittorie. Si riferisce alle vicende vissute dalla comunità ebraica nel ghetto di Praga ed è tutto permeato dalla simbologia oscura collegata alla Kabalah. Molto bella ed interessante l’introduzione al testo a cura di Gianni Pilo e di Sebastiano Fusco che trasmette alcune nozioni di questa misteriosa scienza che avevo a fondo studiato ed approfondito intorno agli anni 90).
L’umiltà è quella virtù che, quando si ha, si crede di non averla . detto rabbinico
Non potendo fare di noi degli umili, Dio fa di noi degli umiliati .
Colpevole: trattasi sempre di altra persona.
Julien Green
Ambroise Bierce
Si vivi vicissent qui morte vicerunt (Cicerone) se nella vita avessero vinto coloro che hanno vinto nella morte.*
Ad gloriam non est satis unius opinio (Seneca) alla fama non è sufficiente la fama di uno solo*
*tratto da
Hannah Arendt, Il pescatore di perle, Walter Benjamin 1892-1940. Ed Mondadori, 1983. (Sostiene l’Autrice, tra le tanto intelligenti osservazioni, che Beanjamin riteneva un libro di sole citazioni il più utile ed intrigante: mi fa coraggio.)
Tu mi ami. Mi ami forte. Ignori i miei errori Le debolezze indolenti. Mandami, ti prego, il santo Angelo, sbaglierò di meno. Grazie.
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“Camus non è un esistenzialista. Benchè faccia riferimento a Kirkegaard, a Jaspers e a Heiddeger, i sui veri maestri sono i moralisti del XVII secolo. E’ un classico, un mediterraneo. Direi del suo pessimismo che è solare, pensando a quanto di nero vi è nel sole. La filosofia di Camus è la filosofia dell’assurdo, e l’assurdo nasce in lui dal rapporto tra l’uomo e il mondo, tra le esigenze ragionevoli dell’uomo e l’irrazionalità del mondo. I temi che ne trae sono quelli del pessimismo classico. Non esite per me un assurdo nel senso di scandalo e di delusione in cui lo intende Camus. Quello che io chiamo assurdo è qualcosa di assolutamente diverso: è la contingenza universale dell’essere, che è, ma non è il fondamento del suo essere.; e ciò che esiste nell’essere di ingiustificabile, di dato, di sempre originario”. J.P. Sartre parlando di Camus.
La morale porta all’astrazione e all’ingiustizia. Essa è madre di fanatismo e di cecità. Chi è virtuoso deve tagliare le teste. (…) La morale taglia in due, separa, scarnifica. Bisogna fuggirla, accettare di essere giudicati senza più giudicare, dire di sì, creare l’unità e, nell’attesa, agonizzare. Albert Camus, I taccuini, giugno 1959
Và, mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto.
Quoèlet 9: 7-10
Tenere gli occhi aperti sulla bellezza della vita quotidiana. Esser contenti di vivere, qui e ora. Sono queste le nostre prime e più frequenti possibilità di felicità. Così la sensazione di una vita felice consiste in una succession di piccoli istanti di felicità, più che in poche grandi giuoie eccezionali: se la felicità assomiglia all’oro, la troveremo più spesso sotto forma di paglizz che di pepite. Christophe André Giulia Anders, L’intestino felice, ed. Sonzogno, 2015 Biblio Cn 612 END ( testo davvero bello ed intrigante di questa ragazza neo laureata in medicina che segue un corso di specializzazione in microbiologia. La materia è trattata da migliaia di testi micragnosi e specialistici ma costei con una leggerezza solo apparente segue il percorso del cibo dalla bocca all’eliminazione fecale. Il tutto corredato da disegni della sorella. Evita di dare consigli nei vari frangenti negativi (ad esempio se le feci appaiono grigie) ma suggerisce di andare dal proprio medico. In pochi mesi è stato tradotto in moltissime lingue determinando un successo notevole: a mio parere ben riposto e meritato).
Ah, come si diventa preziosi in Italia, dopo la morte! Non vedo l’ora di estinguermi, per essere commemorato, descritto, lodato, eccetera: per sapere finalmente chi ero. Giuseppe Marotta, Coraggio guardiamo, 1953 Stulti vita ingrata est, tota in futurum fertur. = lo stolto ignora la dolcezza della vita, la sua esistenza è inquieta, tutta protesa al futuro. (Seneca, Lettere a Lucilio,15) Omnia quae secundum naturam sunt, aestimatione digna sunt = tutto ciò che è secondo natura è degno di apprezzamento. (Cicerone, De finibus, III,6) De mortuis nil nisi bene = dei morti non si deve dire altro che bene. In una sola parola insegnate al vostro allievo ad amare tutti gli uomini, anche quelli che lo disprezzano, fate in maniera che non si collochino in nessuna classe (sociale), ma che si ritrovi in tutte; parlate dinanzi a lui del genere umano con accortezza, anche con pietà, ma mai con disprezzo. L’uomo non disonori mai l’uomo. J.J. Rousseau, Emile, libre IV
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Ogni legge che il popolo direttamente non abbia ratificato, è nulla; non è affatto una legge. Il popolo inglese pensa di essere libero: lo è solo durante le elezioni dei membri del Parlamento; dopo che essi sono eletti, il popolo è schiavo, non è nulla. J.J Rousseau, Contrat , III,15 I dogmi della Religione civile devono essere semplici, in piccol numero, enunciati con precisione, senza spiegazioni né commenti. L’esistenza della Divinità potente, intelligente, ben facente, previdente e provvidente; la vita a venire, la fortuna dei giusti, la punizione dei meschini (mèchants), la concretezza del Contratto sociale delle Leggi, ecco i dogmi positivi. Quanto ai dogmi negativi, li raggruppo in uno solo, a dire, l’intolleranza. J.J. Rousseau, Contrat IV,8 Lo scopo della società è la felicità comune. Art 1 Dichiarazione Diritti dell’uomo. Integrazione intervenuta nel 1793 rispetto all’orinale formulazione del 1789 Il vanitoso è come un gallo convinto che il sole sorge per sentirlo cantare.
George Eliot, Adam Bede
Questa legge consiste in ciò che è in ciascuna delle nostre concezioni principali, che qualsiasi branchia delle nostre conoscenze, passa successivamente per stati teoricamente differenti: lo stato teologico o irreale e immaginario, lo stato metafisico o astratto, lo stato scientifico o positivo (…) Ora, ciascuno di noi, esaminando la propria storia, non si ricorda che è stato successivamente, quanto alle nozioni più importanti, teologo nell’infanzia, metafisico nella giovinezza e fisico (razionale, logico, matematico, scientifico (mia traduzione))nella virilità? Questa verifica è facile oggi per tutti gli uomini a livello del proprio secolo. Auguste Comte, 1798-1857, Corso di filosofia positiva, prima lezione La scienza non è una collezione di leggi, un catalogo dei fatti collegabili tra di loro. Essa è una creazione dello spirito umano per mezzo di idee e di concetti liberamente inventati, Le teorie fisiche si impegnano a formare un’immagine della realtà e di e di collocarla nel vasto mondo delle impressioni sensibili . Così le nostre costruzioni mentali si giustificano solamente se, e in quale misura, le nostre teorie formano un tale legame. Noi abbiamo visto delle nuove realtà crate con la fisica. Ma si può far risalire questa catena dell’attività creatrice ben al di là del punto di partenza della fisica. (…) Nuovamente la ricca varietà dei fatti nel dominio atomico ci costringe ad inventare dei nuovi concetti fisici. La materia ha una struttura granulare: essa è composta di particolari elementi, i quanta elementari della materia. Così, la carica elettrica ha una struttura granulare e –ciò che è particolarmente importante dal punto di vista della teoria dei quanta- è lo stesso nell’energia. I fotoni sono i quanta d’energia di cui la luce è composta. Albert Einstein e Léopold Infeld, L’evoluzione delle idee in fisica, Payot
Accanto al nucleo femminile esisteva una nutrita schiera di conversi, devoti, renduti e fratres, che si accollavano le incombenze più gravose, come maneggiare l’aratro, tagliare la legna e raggiungere i mercati con i prodotti agricoli e tessili. Menytre i i conversi, pur non potendo indossare l’abito monacale, erano tenuti a rispettare i voti e a fornire la manodopera per la lavorazione dei campi, la condizione di devoti, renduti e fratres era più elastica, consentendo loro di continuare, talvolta, a condurre una vita privata e a dimorare nelle loro abitazioni. (…) Compiti particolari svolgevano i vari masnenghi, vachari, boverii, porchari, e axinari, che, oltre che a fornire opera di manovalanza agricola e di custodia degli animali, si occupavano anche di condurre il bestiame alle fiere, onde venderlo. Una schiera di iudices, sindici, nuncii e procuratores era preposta all’amministrazione finanziaria del monastero, tutelandone i diritti e i privilegi; 305
infine, alcuni atti erano stipulati da rappresentanti del tutto estranei alla vita monastica, ma legati ad essa da interessi tanto economici quanto affettivi e spirituali. Non abbiamo notizia della presenza di officianti specifici del monastero ed è, quindi, probabile che alcuni dei prepositi delle parrocchie vicine si occupasse anche degli offici religiosi in Pogliola. (…) Tuttavia, il fenomeno più interessante e complesso dal punto di vista di interpretazione storica è sicuramente quello della devotatio: con questo gesto spontaneo persone singole, ma più frequentemente coppie sposate, donavano se stesse al monastero, venendone accolte in qualità di conversi o devoti. L’ingresso era coronato dall’oblazione dei beni mobili ed immobili, dei quali, tuttavia, i legittimi ex proprietari potevano conservare l’usufrutto: è ciò che si può desumere da un documento del 1263, con il quale una certa Beatrice Ghisleberta e suo figlio Guglielmo, renduti e devoti di Pogliola, approvavano la cessione a Guglielmo Magliano di beni che il monastero era venuto a detenere al momento della loro oblazione. Per quanto questa scelta non appaia limpidamente dettata dalla sola spinta spirituale –infatti in qualche caso l’autodedizione ad una chiesa serviva a sottrarsi agli oneri pubblici imposti da una città o da un dominatus, oltre ad essere motivata dalla ricerca di protezione- è, comunque, innegabile che il cenobio di Pogliola fosse venuto a rappresentare un luogo di “rifugio” in questo settore del Piemonte meridionale. Daniela Bacino, Il monastero di Pogliola e le sue proprietà fondiarie dal 1180 al 1289, Bollettino S.S.A.A. prov Cuneo n. 105, 1991 ( questo studio è uno dei tanti sui monasteri che in quell’epoca fiorirono numerosi nel sud del Piemonte. Caratteristica di questo caso è che il Monastero di Santa Maria era femminile. Esiste ora in loco solo più un affresco sull’esterno di un fabbricato rurale. La cosa più notevole è l’affermazione finale circa la donazione ai monasteri: è descritta in quasi tutti gli altri lavori sul tema e consiste sull’eccessiva onerosità e fiscalità dell’epoca che rendeva quasi impossibile la conduzione di un fondo. Cedendo la proprietà ad un ente religioso erano franche tutte le forme di tassazione ma anche di vessazione da parte dei Signori del luogo ma anche da banditi o malviventi in quanto la violazione di questi beni comportava la scomunica: in allora questo era il vero deterrente).
Le lettere ammontano a numero 22. Sono scritte tutte dall’ Ancina e sono dirette o al card. Aldobrandini, segretario di stato o al Papa Clemente VIII. Si potrebbe distinguerle in due gruppi: il primo da ottobre al dicembre 1602 e appartiene al periodo della forzata attesa, che obbligò l’Ancina a ritardare l’accesso a Saluzzo per una complicazione di carattere giurisdizionale: il duca che era appena entrato in possesso del marchesato, aspirava agli stessi diritti che erano stati dei re di Francia e richiedeva perciò che il primo vescovo del territorio da paoco appartenente al suo stato, gli rendesse “giuramento dell’assicurazione”. Il secondo gruppo che abbraccia l’arco di tempo compreso tra il 9 marzo 1603 e il 22 giugno 1604, comprende sedici lettere. L’ Ancina è ormai stabile nella sua sede e impegnato a fondo nella sua non facile opera. L’ultimo degli scritti conservati cade circa due mesi prima della morte e nulla ci può dire per sollevare il dubbio sulle cause della sua fine, che alcuni sospettarono provocate dal veleno.. Un elemento comune ritorna quasi invariato, seppure con sfumature diverse, in tutte le sue lettere: il senso del peso morale e materiale che comportò per l’Ancina la “gloria” dell’episcopato, che –com’è noto- cercò di scansare con ogni mezzo. (…) I pochi accenni a persone o a fatti danno modo di scoprirlo attento all’essenzialità più che alle apparenze, insofferente per le immancabili deformazioni a cui va soggetta la verità da parte di quanti sono interessati ad alterarla, arrivando per vie traverse a Roma, prudente nel vaglio delle persone e delle circostanze. Altro motivo ricorrente nelle lettere è quello sociale. La chiesa a cui era stato inviato vescovo, poteva davvero chiamarsi chiesa povera. L’ Ancina denuncia “la povertà e la miseria de beneficii”, la “carestia del pane, non che d’altro” che grava sul clero, sicchè “molti zappano la terra a quest’effetto la più parte del temòpo contro il decoro del grado che tengono, costringendoli un estremo bisogno” o, come rileva nella lettera XVI, “in questi poveri paesi, dove altro non abbonda maggiormente che miserie in ogni genere”, che è in sostanza la conferma della documentazione ora riportata dal Segretario di Stato al nunzio 306
di Savoia per quanto riguarda le gravi insufficienze da cui era afflitto il ducato. (…) Dalla lettera I del G.G. Ancina al card. Aldobrandini del 20 ottobre 1602 (Arch. Vatic. Fondo Borghese, III, 97 D f. 269) “Pretende il Serenissimo Duca che vi sia consuetudine in Francia di prestare giuramento dell’eassicurazione e perciò sia obbligato a prestarglielo, per essere S.A. succeduto nel possesso del Marchesato con le ragioni di Francia: però prego V.S. Ill.ma si degni ordinarmi quanto debba fare in questo caso, et quanto prima perché altrimenti non puotrà ottenersi il placet: ed io intanto, privo di aiuto, et di soccorso sono costretto a ritirarmi in Fossano, mia patria con dispendio mio grandissimo et d’altri”. Maria Franca Mellano, Alcuni documenti sull’episcopato di G.G. Ancina, vescovo di Saluzzo 1602-1604. Bollettino S.S.S.A.A. prov. Cuneo, 2° sem. 1975 (molto bello ed articolato questo lavoro: intanto si scopre che questo Ancina era un semplice sacerdote nativo di Fossano che faceva il semplice prete a Roma con San Filippo Neri: a tutto aspirava fuorchè alla dignità vescovile e nel breve impegno avevo annotato da altri testi la precisione delle disposizioni impartite in funzione delle sue visite pastorali nella diocesi, specie in valle Maira. Si evince anche, ancorchè non si dimostri, che sia stato avvelenato in quanto fastidioso e troppo innovativo in una comunità clericale da tempo immemorabile soggetta alla Diocesi di Torino ed opportunamente retta e regolamentata da un qualche compiacente Vicario ) (nello stesso fascicolo c’è una molto interessante corrispondenza di un giovane ufficiale savoiardo, tale Gallaman, con la madre. Costui, originario di Cherasco, partecipò nel corso della terza guerra di indipendenza alla spedizione in Crimea del 1855. Parla di luoghi ancora cari oggi alla memoria dei torinesi (Balaclava, Sebastopoli) ed esprime molta stima per il contingente inglese che con molta eleganza e bon ton offriva cene agli altri ufficiali servendo ottimi vini. Manifesta invece fastidio o sufficienza per i contingenti francesi e tedeschi. Questo era il parere molto elegantemente espresso da un sottotenente di 22 anni devotissimo al Lamarmora).
Era un ateo malinconico: ciechi, ed Skira, 2015
stava perdendo la fede dell’inesistenza di Dio. Mario Botta, Guida ai vicoli
Il carnefice strangolò il Cardinale Carafa con una corda di seta che si spezzo: si dovette cominciare una seconda volta. Il Cardinale guardò il carnefice senza degnarsi di dire una parola. Stendhal, La duchessa di Palliano.
La cultura dell’epoca e l’impiego della parola “assurdo” hanno fatto sì che Camus venisse –a torto- inglobato nel movimento esistenzialista. Sartre l’ha spiegato molto bene: --Camus non è un esistenzialista. Benchè faccia riferimento a Kierkegaard, a Jaspers e a Heiddeger, i suoi veri maestri sono i moralisti francesi del XVII secolo. E’ un classico, un mediterraneo. Direi del suo pessimismo che è solare, pensando a quanto di nero vi è nel sole. La filosofia di Camus è la filosofia dell’assurdo, e l’assurdo nasce per lui dal rapporto tra l’uomo e il mondo, tra le esigenze ragionevoli dell’uomo e l’irrazionalità del mondo. I temi che ne trae sono quelli del pessimismo classico. Non esiste per me un assurdo nel senso di scandalo e di delusione in cui lo intende Camus. Quello che io chiamo assurdo è qualcosa di molto diverso: è la contingenza universale dell’essere, che è, ma non è il fondamento del suo essere; è ciò che esiste nell’essere di ingiustificabile, di dato, di sempre originario. Camus tuttavia non ha, come sostiene Sartre, -una ragione secca, contemplativa, alla francese-. Egli si distingue, invece, per la diffidenza nei confronti del razionalismo. Ciò è evidente soprattutto nell’ Uomo in rivolta, in cui mostra come l’eccesso di logica abbia fatto deviare i pensieri più generosi per giungere a sistemi politici mostruosi, a quello che si chiama nichilismo. Ma non dimentichiamo che egli non vuole essere un filosofo. Dichiara di essere un artista. Del resto, come ogni vero scrittore, , ogni pagina, ogni frase rivelano ben di più del senso letterale che esse ci propongono. Sotto, vi è il respiro dell’aurore, il suo ritmo e la sua musica individuale, il gusto per certe parole che egli non può fare a meno di chiamare a sé, quasi fossero numi tutelati. Camus ha peraltro annotato su un foglio queste parole che, più delle altre, parlano alla sua sensibilità: --Il mondo, il dolore, la terra, la madre, gli uomini, il 307
deserto l’onore, la miseria, l’estate, il mare--. Sono proprio quelle che emergono dalla maggior parte delle sue opere. Roger Grenier, introd. Opere di Albert Camus, Classici Bompiani, 1988, Biblio cn 843-9 cam.
-----------------------------------… Il merito di questa felice immunità non viene a me. La debbo prima di tutto ai miei, che mancavano quasi di tutto e non invidiavano quasi nulla.. Solo con il silenzio, col riserbo, con la naturale e sobria fierezza, questa famiglia, che non sapeva nemmeno leggere, m’ha dato allora le lezioni più alte, che durano sempre. E poi io stesso ero troppo inteso a sentire per pensare ad altro. Anche adesso, come vedo come vive a Parigi chi ha grandi ricchezze, c’è della compassione nell’indifferenza che spesso quella vita mi suscita. Si trovano nel mondo tante ingiustizie, ma c’è n’è una di cui non si parla mai, ed è quella del clima. Di quella ingiustizia sono stato a lungo, senza saperlo, uno dei profittatori. Sento di qui le accuse dei nostri feroci filantropi, se mi leggessero, . Io voglio far passare gli operai per ricchi e i borghesi per poveri al fine di conservare più a lungo il felice servaggio degli uni e il potere degli altri. No, non è così. Anzi, quando la povertà va unita a quella vita senza cielo né speranza che giunto in età virile ho scoperto negli orribili sobborghi delle nostre città, allra viene consumata l’ultima e più rivoltante delle ingiustizie: bisogna veramente fare di tutto perché questi uomini scampino alla duplice umiliazione della miseria e della bruttezza. Nato povero, in un quartiere operaio, però io non sapevo quale fosse la vera sventura prima di conoscere le nostre fredde periferie. Nemmeno l’estrema miseria araba è paragonabile, sotto cieli diversi. Ma una volta conosciuti i sobborghi industriali, ci si sente, credo, insozzati per sempre, e responsabili della loro esistenza. (…) Talvolta a quelle “prime” teatrali che sono l’unico luogo in cui incontro quel che con insolenza viene chiamato Tout-Paris, ho l’impressione che la sala stia per sparire, che quella gente, così come appare, non esista. Mi sembrano reali gli altri, le grandi figure che gridano sulla scena. Allora, per non fuggire, bisogna ricordare che ciascuno di quegli spettatori ha anche un appuntamento con se stesso; che lo sa e che certamente vi si recherà fra poco. Eccolo subito di nuovo fraterno: le solitudini riuniscono quelli che la società separa. Sapendo questo, come è possibile adulare questo mondo, brigare i suoi derisori privilegi, consentire a congratularsi con tutti gli autori di tutti i libri, ringraziare ostentatamente il critico favorevole: perché cercare di lusingare l’avversario; con che faccia soprattutto accogliere quei complimenti e quell’ammirazione di cui la società francese (in presenza dell’autore, almeno, perché alle sue spalle …) fa altrettanto uso che del Pernod e dei periodici sentimentali? Io non riesco a niente di simile, è un fatto. Forse c’entra molto di quel brutto orgoglio di cui conosco l’ampiezza e il potere in me. Ma non fosse altro che questo, se fosse in gioco solo la mia vanità, mi sembra invece che godrei dei complimenti, superficialmente, invece di provare un malessere reiterato. No, sento che la vanità, che ho in comune con le persone del mio stato, reagisce soprattutto a certe critiche che comportano una gran parte di verità. Di fronte ai complimenti, non è la fierezza a darmi quest’aria indolente ed ingrata che ben conosco, ma (insieme a quella profonda indifferenza che è in me come una infermità naturale) uno strano sentimento che allora mi nasce. “no, non è questo …” No, non è questo, e perciò la fama, come suol dirsi, è a volte così difficile da accettare che si prova una specie di gioia maligna a fare quanto occorre a perderla. Invece, rileggendo dopo tanti anni, Il rovescio e il diritto, per questa edizione, istintivamente, davanti a certe pagine, e nonostante le goffaggini, so che è questo. Questo, cioè quella vecchia, una madre silenziosa, la povertà la luce sugli olivi italiani, l’amore solitario e popolato, tutto ciò che ai miei occhi attesta la verità. (…)Sì, so tutto questo e ho anche imparato, o press’ a poco, che cosa costi l’amore. Ma sulla vita, non non ne so più di quanto detto, goffamente, ne Il rovescio e il diritto. “non c’è amore nel vivere senza disperazione di vivere”, ho scritto, non senza enfasi, in queste pagine. Allora non sapevo fino a che punto fossi nel vero: non ero ancora passato attraverso i tempi della vera disperazione. Quei tempi sono venuti ed hanno potuto distruggere tutto in me, 308
appunto, il disordinato appetito. Io soffro ancora di questa passione, al tempo stesso feconda e distruttiva, che risplende persino nelle pagine più cupe de Il rovescio e il diritto. E’ stato detto che noi viviamo veramente solo alcune ore della vita. La cosa è vera in un senso, falsa nell’altro. Perché l’ardore affamato che si sentirà nei saggi che seguono non mi ha mai abbandonato, e, per concludere, esso è la vita in ciò che la vita ha di meglio e di peggio. Certo, ho cercato di rettificare quel che di peggio la vita produceva in me. Come tutti, bene o male ho cercato di correggere la natura con la morale. Ahimé! È quel che m’è costato più caro. Con dell’energia, e io ne ho, uno arriva a volte a condursi secondo la morale, non a essere. E fantasticare di morale quando si è fatti di passione, significa votarsi all’ingiustizia, nello stesso istante in cui si parla di giustizia. A volte l’uomo mi appare come un’ingiustizia in cammino: penso a me. Se in questo momento ho l’impressione di essermi ingannato o di aver mentito in quello che a volte scrivevo, è perché non so come far conoscere onestamente la mia ingiustizia. Certamente non ho mai detto di esser giusto. Mi è soltanto capitato di dire che a volte bisognava tentare di esserlo, e anche che era una fatica e una disgrazia. Ma la differenza è poi così grande? E può veramente predicare la giustizia chi non riesce nemmeno a farla regnare nella propria vita? Se almeno si potesse vivere secondo l’onore, questa virtù degli ingiusti! Ma il nostro mondo considera oscena quella parola: aristocratico fa parte delle ingiuire letterarie e filosofiche. Io non sono aristocratico: la mia risposta sta in questo libro: qui sono i miei, i miei maestri, il mio linguaggio; ecco, per mezzo loro, quel che mi unisce a tutti. Eppure, sì, ho bisogno di onore, perché non sono abbastanza grande da farne a meno! Non importa. Volevo soltanto sottolineare che, se ho fatto molta strada dopo questo libro, non ho però molto progredito. Spesso, credendo di andare avanti, indietreggiamo. Ma, alla fine, errori, ignoranze e fedeltà m’hanno sempre ricondotto su quella vecchia strada che ho cominciato a percorrere con Il rovescio e il diritto, le cui tracce si vedono in tutto ciò che ho fatto in seguito e per la quale, in certe mattine algerine, cammino sempre con la stessa leggera ebbrezza. (…..) Nel sogno della vita, ecco l’uomo che trova le proprie verità e le perde, sulla terra della morte, per tornare attraverso le guerre, le grida, la follia di giustizia e d’amore, e finalmente attraverso il dolore, verso quella patria tranquilla in cui anche la morte è un silenzio felice. Ecco ancora … Sì, nulla impedisce di sognare, anche nel tempo dell’esilio, perché questo almeno so, di scienza certa, che un’opera umana non è altro che questo lungo cammino per ritrovare, con i sotterfugi dell’arte, le due o tre immagini semplici e grandi sulle quali una prima volta il cuore si è aperto. Ecco perché, forse, dopo vent’anni di lavoro e attività, io continuo a vivere con l’idea che la mia opera non sia nemmeno cominciata. E’ stato quello che ho avuto voglia di fissare qui prima di tutto, sin dall’istante in cui, in occasione di questa riedizione, ho riguardato queste mie prime pagine. Albert Camus, prefazione a Il Rovescio e il diritto, Classici Bompiani, 1988, Biblio Cn 843-9 cam. ( Il Rovescio e il diritto è stata la prima opera pubblicata dall’autore nel 1937 quando aveva 24 anni. Si tratta di cinque brevi racconti apparentemente slegati ed autonomi. Nel 1958 esce una nuova edizione del breve lavoro e Camus vi dedica questa prefazione: è un po’ la summa del proprio pensiero e del proprio agire. Dopo un anno muore, non senza aver ricevuto nel 1957 il premio Nobel per la Letteratura. Ma in questa prefazione dice alcune verità davvero interessanti che ho cercato di riportare e non ultima, quello che modestamente sostengo da sempre, che è l’opera prima la più ricca di “veri” contenuti, dove si cerca di trasfondere tutto quello che si ha dentro: poi si cincischia, si pittura, si perfeziona, si gira intorno) (comunque davvero grande questo autore! Considerazione del c. : e se fosse vissuto almeno altri 20 o 30 anni cosa sarebbe stato in grado di produrre ?).
… Per più di vent’anni di storia folle,, perdiuto e privo di soccorso, come tutti gli uomini della mia età, nelle convulsioni del tempo, sono stato sorretto dal sentimento oscuro che scrivere era oggi un onore, perché questo atto impegnava a scrivere soltanto. Mi obbligava in particolare a portare, come potevo e secondo le mie forze, con tutti quelli che vivevano la stessa storia, la sventura e la speranza di cui eravamo partecipi. Questi uomini, nati all’inizio della prima guerra mondiale, che hanno avuto vent’anni quando si 309
installavano ad un tempo il potere hitleriano e i primi processi rivoluzionari e che sono stati successivamente messi alla prova, per completare la loro educazione, nella guerra di Spagna, nella seconda guerra mondiale, nell’universo “ concentrazionario” nell’Europa della tortura e della prigione, debbono oggi allevare i loro figli e le loro opere in un mondo minacciato dalla distruzione nucleare. Nessuno, suppongo, può chieder loro di essere ottimisti. E sono convinto che dobbiamo comprendere, pur senza abbandonare la lotta contro di loro, l’errore di quelli che, per troppa disperazione, hanno rivendicato il diritto al disonore e si sono gettati a capofitto nel nichilismo del nostro tempo. Ma è anche vero che la maggior parte di noi, nel mio paese e in Europa, hanno rifiutato questo nichilismo e si sono messi alla ricerca di una legittimità; hanno dovuto costruirsi un’arte per vivere nei tempi calamitosi, per nascere una seconda volta e lottare poi a viso scoperto contro l’istinto di morte sempre presente nella nostra storia. Ogni generazione, senza dubbio, si sente destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande e consiste nell’impedire che il mondo in cui mediocri poteri, privi ormai di ogni forza di convincimento, sono in grado oggi di distruggere tutto, in cui l’intelligenza si è prostituita fino a farsi serva dell’odio e dell’oppressione, questa generazione ha dovuto restaurare, per se stessa e per gli altri, fondandosi sulle sole negazioni di ciò che fa la dignità di vivere o di morire. si distrugga. (…) Chi, dopo tutto ciò, potrebbe attendere da lui soluzioni bell’e fatte e belle morali? La verità è misteriosa, sfuggente sempre da conquistare. La libertà è pericolosa, dura da vivere quantunque esaltante. Dobbiamo marciare verso questi due obiettivi, con fatica ma decisi, ben consci dei nostri errori in un così lungo cammino. Quale scrittore dunque oserebbe, in buona coscienza, farsi predicatore di virtù? Quanto a me devo dire una volta di più che non sono niente di tutto questo. Non ho mai rinunciato alla luce, alla felicità di esistere, alla vita libera in cui sono cresciuto. ….. Albert Camus, Discorso di accettazione del premio Nobel del 10 dicembre 1957
---------------------------------VOLTAIRE--Micromegas Cap. 7 “ O atomi intelligenti, in cui l’Essere eterno si è compiaciuto di manifestare la sua abilità e la sua potenza, voi dovete, godere gioie purissime nel vostro globo, poiché avendo così poca materia e apparendo tutto spirito, dovete passare la vostra vita ad amare e a pensare: è la vera vita degli spiriti. Non ho visto in nessun luogo la vera felicità, ma certamente è qui” A queste parole tutti i filosofi scossero la testa, e uno di loro, più sincero degli altri, confessò in buona fede che tranne un piccolo numero di abitanti pochissimo considerati, tutto il resto è un insieme di pazzi, di cattivi e di infelici. “Abbiamo più materia di quanta ce ne occorra, disse, per fare molto male, se il male proviene dalla materia, e troppo spirito, se il male viene dallo spirito. Sapete, per esempio, che nel momento in cui vi parlo ci sono centomila pazzi della nostra specie, coperti di cappelli, i quali uccidono altri centomila animali coperti di turbanti, o sono massacrati da loro (allude alla guerra dei Russi ed Austriaci contro i Turchi, 1735-1739); e che, in quasi tutta la terra, si agisce così da tempo immemorabile?” Il siriano fremette e chiese quale potesse essere il motivo di tali orribili questioni tra animali tanto deboli. “Si tratta, disse il filosofo, di qualche mucchio di fango grande come il vostro tallone (Crimea). Non che qualcuno dei milioni di uomini i quali si fanno sgozzare pretenda una sola festuca di questo mucchio di fango. Si tratta solo di sapere se apparterrà a un certo uomo chiamato Sultano, o a un altro chiamato, non so perché, Cesare. Né uno né l’altro ha visto o vedrà mai l’angolino di terra di cui si tratta, e quasi nessuno di questi animali, che si sgozzano a vicenda ha mai visto l’animale per il quale si sgozza. “Ah! Infelici, gridò il siriano con indignazione è possibile concepire un eccesso di rabbia così forsennata? Mi vien voglia di fare tre passi e di schiacciare con tre calci tutto questo formicaio di ridicoli assassini”. “Non datevene la pena, lavorano abbastanza da soli alla propria rovina. Sappiate che da qui a dieci anni non rimarrà neanche la centesima parte di questi miserabili, sappiate che, anche se non 310
estraessero la spada, la fame, la fatica e la intemperanza li ucciderebbero quasi tutti. D’altra parte non sono loro da punire, ma quei barbari sedentari che dal fondo del loro gabinetto privato, ordinano, durante la digestione, il massacro di milioni di uomini, facendo poi ringraziare solennemente Dio”. Il viaggiatore si sentiva mosso da pietà per la piccola razza umana nella quale scopriva contrasti così stupefacenti. “Poiché voi appartenete al piccolo numero dei saggi, disse a quei signori, e secondo ogni apparenza non uccidete nessun per denaro, ditemi, vi prego, di che cosa vi occupate”. “ Sezioniamo mosche, disse il filosofo, misuriamo linee, sommiamo numeri, siamo d’accordo su due o tre punti che comprendiamo, e litighiamo sui due o tremila che non comprendiamo”. Al siriano e al saturnino venne il capriccio di interrogare quegli atomi pensanti per sapere le cose su cui convenivano. “Quanto contate, disse quest’ultimo dalla stella di Canicola alla grande stella dei Gemelli?”. Risposero tutti insieme: “Trentadue gradi e mezzo”. “Quanto contate da qui alla Luna?”. “Sessanta semidiametri terrestri in cifra tonda”. “Quanto pesa la vostra aria?”. Credeva di coglierli in fallo, ma tutti dissero che l’aria pesa circa novecento volte meno di ugual volume dell’acqua più leggera, e diciannovemila volte meno dell’oro di ducato. Il nanetto di Saturno, stupito dalle loro risposte, fu tentato di credere stregoni quegli stessi ai quali un quarto d’ora prima aveva negato un’anima. Finalmente Micromegas disse loro: “Poiché sapete così bene quel che è fuori di voi, saprete certamente ancora meglio quel che è dentro. Ditemi cosa è la vostra anima e come vi formate le idee.” I filosofi parlarono tutti insieme come prima, ma furono tutti di pareri opposti. Il più vecchio citava Aristotele, un altro pronunciava il nome di Cartesio, un terzo quello di Malebranche, quest’altro di Leibniz quest’altro ancora di Locke. Un vecchio peripatetico disse forte con aria fiduciosa: “L’anima è una entelechia, e una ragione attraverso la quale ha la potenza d’esser quel che è. Lo dichiara espressamente Aristotele, pagina 633 dell’edizione del Louvre”. “Non capisco molto bene il greco” disse il gigante. “neanch’io”, disse il vermiciattolo. “Allora perché, riprese il siriano, citate un certo Aristotele in greco?” “Perché, replicò il saggio, bisogna pur citare quello che non si capisce affatto nella lingua che si conosce di meno”. (…) Allora il signor Migromegas, rivolta la parola ad un altro saggio che teneva sul pollice, gli chiese cosa fosse la sua anima e che cosa facesse. “ Nulla, rispose il filosofo malebranchista , Dio ha fatto tutto per me, vedo tutto in lui, faccio tutto in lui è lui che ha fatto tutto senza che io me ne immischi”. “Tanto varrebbe non esistere, disse il saggio di Sirio. E tu amico, disse a un leibniziano che stava lì, che cos’è l’anima?”. “E’, rispose, una lancetta che mostra le ore mentre il mio corpo le suona, oppure, se volete, è lei che le suona mentre il mio corpo mostra l’ora, oppure la mia anima è lo specchio dell’universo e il mio corpo la cornice dello specchio, è chiaro”. Voltaire, Micromegas, ed Newton, 1995 Zadig. Cap. 3 Zadig capì che il primo mese di matrimonio, come sta scritto nel libro dello Zend, è la luna di miele e il secondo è il mese dell’assenzio. Qualche tempo dopo fu costretto a ripudiare Azora, divenuta troppo difficile da sopportare, e cercò la felicità nello studio della natura. “Nessuno è ouù felice, diceva, di un filosofo che legge nel gran libro che Dio ci ha messo sotto gli occhi. Le verità scoperte sono sue: egli nutre ed innalza la sua anima, vive tranquillo; non teme nulla dagli uomini e la sua tenera sposa non gli vuole tagliare il naso” (…) Tutti i giudici ammirarono il profondo e sottile discernimento di Zadig: la notizia arrivò fino al re e alla regina. Non si parlava che di lui nelle anticamere, nel gabinetto e alla camera; benché molti maghi pensavano che bisognerebbe bruciarlo come stregone, il re ordinò che gli si rendesse l’ammenda di quattrocento once d’oro a cui era stato condannato. Il cancelliere, gli uscieri e il procuratore vennero da lui in gran pompa a riportargli le quattrocento once: ne trattennero solo trecentonovantotto per le spese, e i loro valletti chiesero gli onorari. (…) Cap. 6 – E meglio rischiare di salvare un colpevole, che condannare un innocente. (…) Cap. 18 – L’abito da eremita scomparve, quattro belle ali coprivano un corpo maestoso e splendente di luce. “O inviato dal Cielo, o angelo divino!” esclamò Zadig prosternandosi, sei dunque sceso dall’empireo per insegnare a un debole mortale a sottomettersi agli ordini eterni?”. “Gli uomini, disse l’angelo Jesrad, giudicano ogni cosa senza conoscere nulla, e tu eri fra quelli che più meritava 311
di essere illuminato”. Zadig gli domandò il permesso di parlare. “ Non mi fido di me stesso, ma potrei chiederti di schiarimi un dubbio: non sarebbe stato meglio aver corretto quel ragazzo e averlo reso virtyuoso, invece di annegarlo?”. Jesrad riprese: “Se fosse stato virtuoso e se avesse vissuto, il suo destino era quello di essere assassinato con la donna che doveva sposare e con il figlio che gli sarebbe nato”. “Ma come, disse Zadig, è dunque che vi siano delitti e disgrazie? E le disgrazie succedono alle persone dabbene”. “I malvagi, rispose Jesrad, sono sempre infelici: servono a mettere a prova un piccol numero di giusti sparsi sulla terra, e non esiste male da cui non nasca un bene”. “Ma, disse Zadig” se ci fosse solo il bene, e nessun male?”. “Allora, riprese l’angelo, questa terra sarebbe un’altra terra la concatenazione degli avvenimenti sarebbe un altro ordine di saggezza; e quest’ordine, che sarebbe perfetto, può esistere solo nella dimora eterna dell’Essere supremo, al quale il male non si può avvicinare. Egli ha creato milioni di mondi, di cui nessuno può assomigliare ad un altro. Questa immensa vastità è l’attributo della sua immensa potenza. Non esistono due foglie d’albero sulla terra, né due globi nei campi infiniti del cielo, che si assomiglino e tutto ciò che vedi sul piccolo atomo dove sei nato doveva essere al suo posto e nel suo tempo stabilito, secondo gli ordini immutabili di colui che tutto abbraccia. Gli uomini pensano che il ragazzo morto poco fa sia caduto nell’acqua per caso, che sia un caso anche l’incendio della casa: ma non esiste il caso, tutto è prova o punizione o ricompensa o previdenza. Ricorda di quel pescatore che riteneva essere il più disgraziato degli uomini. Orosmade ti ha inviato per cambiare il suo destino. Debole mortale, non discutere più contro quello che bisogna adorare”. “Ma, disse Zadig” …. . Mentre diceva ma, l’angelo già spiccava il volo verso la decima sfera. Zadig, in ginocchio, adorò la Provvidenza, e si sottomise. L’angelo gli gridò dall’alto dei cieli: “Incamminati verso Babilonia”. Voltaire, Zadig où la destinée, ed. Newton, 1995 (troppo bello questo racconto, bisognerebbe trascriverlo per intero. Dimostra certo una gran bella fantasia ma anche una profonda conoscenza della mitologia e della storia dell’Oriente).
Pot-pourri, cap. 4- Il fu signor Du Marsais sosteneva che non c’è maggior abuso della venalità delle cariche. “E’ una gran disgrazia per lo stato, diceva, che un uomo di merito senza beni non possa arrivare a nulla. Quanti ingegni sepolti, e quindi sciocchi altolocati. Che detestabile politica l’aver spento l’emulazione!”. Il signor Du Marsais, senza pensarci, difendeva la sua causa. Egli infatti fu ridotto ad insegnare il latino, mentre, se lo avessero impiegato, avrebbe potuto rendere grandi servigi allo Stato. Certi imbrattacarte di mia conoscenza avrebbero arricchito una provincia, se fossero stati al posto di quelle che l’hanno depredata. Ma per aver un posto bisogna essere figlio di un ricco, il quale vi lasci di che poter comprare una carica, un ufficio o una cosidetta dignità. Pot-pourri, cap. 6 - ….. “Credete forse di piacere a Dio quando cantate i suoi comandamenti sull’aria Svegliati, bella addormentata e quando dite con gli ebrei, parlando di un popolo vicino: -Felice chi dovrà distruggerti per sempre /Chi, strappandoti i figli dal petto / Schiaccerà le loro teste infedeli- (salmo CXXXVI, 9). Dio vuole davvero che si schiaccino i cervelli dei bambini? E’ una cosa umana? Inoltre, piacciono forse a Dio i cattivi versi e la cattiva musica?”. Il signor De Boucacous mi interruppe per chiedermi se il latino da cucina dei nostri salmi valesse di più. “No, certamente, ammetto anzi che è segno di fantasia sterile soltanto in una corrottivissima traduzione di vecchi cantici di un popolo da noi odiato. Siamo tutti ebrei ai vespri, come siamo tutti pagani all’Opera. Mi dispiace solo che le Metamorfosi di Ovidio siano, per malizia del demonio, scritte assai meglio, e siano più piacevoli dei cantici ebraici. Bisogna infatti confessare che quella montagna di Sion e quelle fauci di basilisco, e quelle colline che saltano come arieti, e tutte quelle fastidiose ripetizioni, non valgono né la poesia greca, né la latina, né la francese. Il freddo, piccolo Racine ha un bel da fare, questo figlio snaturato non potrà impedire (per parlar da profani) che suo padre non sia miglior poeta di David. (…) “Ho creduto ( è J.J. Rousseau che parla) che ingiuriando i filosofi il mio teismo sarebbe passato, 312
ma mi sono sbagliato”. “Che cos’è il teismo?”. “E’, mi disse, l’adorazione di un dio, in attesa di essere meglio istruito”:. “Ah, è tutto qui il vostro delitto? Consolatevi. Ma perché ingiuriare i filosofi?”. “Ho torto”. “Ma, signor Gian Giacomo come vi siete fatto teista? Che cerimonia occorre?”. “Nessuna, disse Gian Giacomo, sono nato protestante: ho tolto tutto quanto i protestanti condannano nella religione romana, ho poi tolto tutto quello che le altre religioni condannano nel protestantesimo, e mi è rimasto solo Dio. L’ho adorato, e mastro Joly de Fleury ha presentato una requisitoria contro di me.”. Allora parlammo a fondo del teismo con Gian Giacomo, il quale ci insegnò che mentre a Londra c’erano trecentomila teisti, a Parigi ce n’erano soltanto cinquantamila circa, poiché i parigini non riescono mai a far nulla se non molto tempo dopo gli inglesi: esempi ne sono l’inoculazione, la gravitazione, il seminatoio, ecc. ecc. Aggiunse che la Germania del Nord pullulava di teisti e di persone che si comportano bene. Il signor di Boucacous l’ascoltò attentamente e promise di farsi teista. Quanto a me, rimasi sulle mie posizioni. Non so comunque se questo piccolo scritto verrà bruciato, come un’opera di Gian Giacomo, o come un’ordinanza vescovile: ma un male che ci minaccia non sempre ci impedisce di essere sensibili al male altrui, e poiché ho buon cuore, compiansi le tribolazioni di Gian Giacomo. ( nota mia: che strano e che bello questo elogio di Voltaire! Questo scritto è del 1765 ed essendo Rousseau morto nel 1778, era vivente. Il Rousseau, ne Le Confessioni, parla diverse volte di Voltaire con una chiara soggezione: si vede che il successo di Voltaire creava in lui molto imbarazzo; narra che aveva musicato (Rousseau era soprattutto musicista e campava copiando partiture di musica) una piccola tragedia di Voltaire e di avergli consegnato il pezzo senza mai ricevere riscontro. Questo scritto dimostra invece che Voltaire nutriva stima per il Ginevrino e ciò mi stupisce alquanto. Aggiungo che le molte biografie che ho consultato ignorano assolutamente questo sentimento di benevola valutazione: ciò sta a significare che i biografi non avevano letto le opere “minori” come questa appare loro )
Voltaire, Pot-pourri del 1765, ed Newton, 1995 ( anche quest’opera è molto bella e merita di esser letta).
Cap. 4 (…) La fenice ordinò immediatamente una carrozza a sei liocorni. La madre fornì duecento cavalieri e fece dono alla principessa, sua nipote, di qualche migliaio dei più bei diamanti del paese. La fenice, in collera per male procurato dall’indiscrezione del merlo, fece dar ordine a tutti i merli di sloggiare dal paese e da allora non se ne trovano più sulle rive del Gange. (…) Era il monarca più giusto sulla terra, il più educato, il più saggio. Fu lui che, per primo, coltivò un campicello con le sue mani imperiali, per rendere l’agricoltura degna di rispetto al suo popolo e per primo istituì premi alla virtù mentre in qualsiasi altro luogo le leggi erano vergognosamente limitate a punire i delitti. L’imperatore aveva da poco cacciato dai suoi Stati una schiera di bonzi stranieri venuti dal fondo dell’Occidente, nell’insensata speranza di obbligare tutta la Cina a pensare come loro. Col pretesto di annunciare delle verità, si erano già appropriati di ricchezze e di onori. Egli aveva detto loro, scacciandoli, queste testuali parole, registrate negli annali dell’Impero: “Potreste far qui tanto male quanto ne avete fatto altrove: siete venuti a precicare dogmi di intolleranza nella nazione più tollerante. Vi mando indietro per non essere costretto a punirvi. Sarete condotti con onore alle mie frontiere e sarete forniti di tutto l’occorrente per tornare ai confini dell’Emisfero da cui siete partiti. Andate in pace se potete essere in pace, e non tornate più”. La principessa di Babilonia apprese con gioia quel giudizio e quelle parole, che le davano la sicurezza di essere ben ricevuta a corte, lontana com’era dall’avere dogmi intolleranti. (…) Cap. 9. (…) Amazan volle vedere il palazzo del principe: vi fu condotto. Vide uomini vestiti di viola che contavano il denaro delle rendite dello Stato: tanto da una terra sul Danubio, tanto da un’altra sulla Loira, o sul Guadalquivir, o sulla Vistola. “Oh! Oh! Disse Amazan dopo aver consultato la sua carta geografica, il vostro padrone possiede dunque tutta l’Europa come gli antichi eroi delle sette montagne?”. “Deve possedere l’universo intero per diritto divino –gli rispose uno in viola- e c’è stata pesino un’epoca in cui i suoi predecessori erano vicini alla monarchia universale; ma oggi hanno la bontà di accontentarsi di un po’ di denaro che i re sudditi pagano in forma di tributo”. “Allora il vostro padrone è proprio il re dei re? E’ questo il suo titolo?” chiese Amazan? “ No, eccellenza, il suo titolo è servo dei servi. In origine era 313
pescivendolo e portinaio, e perciò gli emblemi della sua dignità sono chiavi e reti, ma dà sempre ordini a tutti i re. Non molto tempo fa mandò cento e un ordini a un re del paese dei celti, e il re ubbidì”. “Il vostro re pescivendolo –disse Amazan- mandò dunque cinque o seicentomila uomini armati per far eseguire le sue cento e una volontà?”. “Niente affatto, eccellenza, il nosytro santo padrone non ha ricchezze bastanti per assoldare diecimila fanti, ma ha circa quattro o cinquecentomila profeti divini distribuiti nei singoli altri paesi. Questi profeti di ogni colore sono nutriti, com’è giusto, a spese del popolo, e annunciano da parte del cielo che il loro signore con le sue chiavi può aprire e chiudere tutte le serrature, e soprattutto quelle delle casseforti. Un prete normanno, confidente dei pensieri del re di cui vi parlo, lo convinse di dover ubbidire senza replicare ai cento e un voleri del mio padrone, poiché dovete sapere che una delle prerogative del Vecchio delle sette montagne è di aver sempre ragione, sia che si degni parlare che di scrivere”. “Perbacco – disse Amazan- che strano uomo, sarei curioso di pranzare con lui”. “Eccellenza, anche se foste re non potreste pranzare alla sua tavola; potrebbe, al massimo, farvene preparare una vicino, più bassa e più piccola; ma se volete aver l’onore di parlargli, gli chiederò udienza per voi, mediante la buona mancia che avrete la bontà di darmi”. “Molto volentieri” disse il gangaride. “Vi introdurrò domani –disse- farete tre genuflessioni e bacerete la pantofola del Vecchio delle sette montagne “. A queste parole Amazon scoppiò in risate così fragorose che quasi soffocò e uscì tenendosi i fianchi e rise fino alle lacrime per tutta la strada sin che giunse alla sua locanda. Voltaire, La principessa di Babilonia (di tutti i racconti questo è il più iperbolico e fantasioso, forse più del Candide. Narra di vicende davvero strane ed esilaranti, con risvolti di maternità nascosta, di descrizioni pazzesche di tutte le terre che Amazan visita fuggendo per aver violato un giuramento: è inseguito a berve distanza dalla principessa che follemente si è innamorata di lui ma che è anche sua sorella ).
Cap. 1 L’uomo dai quaranta scudi. Un vecciho, che sempre si duole del presente e loda il passato ( versi di Boileau, Art Poétique), mi diceva :”Amico mio, la Francia non è più così ricca come ai tempi di Enrico IV. Perché? Perché le terre non sono coltivate bene come allora, perché gli uomini disertano la terra e perché, rincarato il lavoro dei braccianti, molti coloni lasciano i loro poderi incolti”. “Da che cosa dipende questa penuria di lavoranti?”. “Dal fatto che ogni persona provvista da un minimo di abilità ha abbracciato il mestiere di ricamatore, del cesellatore, dell’orologiaio, del setaiolo, del procuratore o del teologo. La revoca dell’Editto di Nantes ha lasciato un gran vuoto nel regno, le religiose e i mendicanti si sono moltiplicati, e insomma ognuno si è allontanato, per quanto ha potuto, dal penoso lavoro della coltivazione, per il quale Dio ci ha fatti nascere e che noi, con tutto il nostro buonsenso, abbiamo reso ignominiosa. (…) L’uomo dai quaranta scudi :”Quaranta scudi e tre anni di vita. Quale rimedio potreste consigliare contro queste due Maledizioni?” Il Geometra: “Per la vita, bisognerebbe rendere più pura l’aria di Parigi, gli uomini dovrebbero mangiare di meno e fare più moto, le madri dovrebbero allattare i loro bambini, non bisognerebbe più essere tanto sciocchi da temere l’inoculazione: è quel che ho sempre detto. Quanto al denaro non c’è che sposarsi e fare molti figli”. L’Uomo dai quaranta scudi: “Come? Il modo per vivere comodamente sarebbe associare la mia miseria a quella degli altri?” Voltaire, L’uomo dai quaranta scudi. ( bello anche questo racconto. Parla di molte cose sagge tipo la miseria, la sifilide, del clero e dell’economia. Il brano citato dimostra come nel 1768 i problemi erano esattamente quelli di oggi, compreso l’ inquinamento…)
(…)Hugin e Muninn / volano ogni giorno /Sopra la vasta terra; / io temo che Huginn / non torni indietro / sebbene io tema di più per Muninn. Se a Pensiero e Memoria si aggiunge Immaginazione, loro figlia naturale, si può anche venire a conoscenza della fine dei due corvi, di poco precedente di quella collettiva di tutti gli Dei nordici, il Ragnarok cui sono ricorsi poeti e mitologici come una etichetta per sigillare definitivamente le 314
gesta delle divinità in uno scompartimenti epico a tenuta intellettualmente stagna rispetto alla realtà. E’ raccontabile dunque che, nel giorno più freddo di una stagione assai fredda, partiti come sempre allo spuntare del sole dalle spalle del dio, Huginn e Muninn abbiano volato a lungo sulla terra seguendo acuti gli eventi. Stanchi del viaggio, con un pallido sole già alto, si sono disposti a cercare un luogo dove potersi fermare per riposare e scaldarsi un poco, fino a quando non sono giunti in una qualsiasi città degli uomini. La coppia di corvi si è posata sulla testa metallica e lucida di una statua disposta al centro della piazza del mercato, un monumento dedicabile a scelta di chi legge alla dea Ragione –come, del resto, risulta sia effettivamente avvenuto nel corso di una storica rivoluzione transalpina- o della Giustizia. Mentre il freddo aumentava ancora, i saggi uccelli hanno osservato i cittadini correre tra i banchi del sottostante mercato, piangere e urlare per commerci di spirito e di corpi, lottare uno contro l’altro per sopraffarsi: tutto questo, illuminati dalla ragione o dalla giustizia che, dall’alto del loro piedistallo, riflettevano fredde i deboli raggi del sole riversandoli sulla massa informe di corpi in movimento. Sotto gli occhi dei due corvi si sono consumati omicidi e furti, stupri e spergiuri, amori anche, senza che nessuno accennasse mai a smettere. Pensiero e Memoria hanno osservato attenti per riportare ogni impressione raccolta in quella piazza a Odino, preparando un racconto di disperata verità. Stavano discutendo tra loro sulla versione da rendere quando, verso sera, nel mezzo di una rissa iniziata proprio sotto la statua un ragazzo ha sparato con una balestra in aria, colpendo a morte Muninn. Huginn ha vegliato a lungo la sua compagna, infine ha preso il volo verso il Walhalla. Distolto lo sguardo dal corpo amato di Muninn, Pensiero ha così viaggiato a lungo fino a ritrovare la spalla del dio dove si è infine posato, senza più Memoria, in definitivo silenzio. (…) Più tardi, di nuovo seduti davanti a un caffè in un piccolo bar del porto di Bodo, e poi ancora sul ponte assai instabile di un traghetto diretto alle isole, Abu mi abrebbe partecipato di molte sue varie considerazioni, comprese alcune idee intorno al pensiero macroeconomico contemporaneo e strane teorie riguardo agli effetti della forma piramidale sulle forme di vita (il che spiegherebbe a suo dire, come mai nelle tombe dei faraoni, non si trovino certi batteri che il buon senso scientifico si aspetterebbe, o perché a dormire dentro ad una tenda indiana passi più in fretta il mal di testa. (…) Luca Arnaudo, Atelier Nord, ed. Nerosubianco, 2005 ( strano, davvero strano questo piccolo testo indeciso tra la poesia e la prosa, sgrammaticato, senza apparente senso. Si tratta dell’opera di un genio o di un pazzo. Narra di una permanenza di alcuni mesi ad Oslo per motivi di studio dove, tra le molte birre ed una serie di incontri più o meno accidentali, svolge un nebuloso pensiero. Sarebbe bello sapere cosa fa oggi questo quarantenne cuneese, avendo scritto il testo ai trent’anni )
E’ chiaro che le bevute abituali implicavano una qualche precisa operazione di controllo dell’immaginazione, che consentiva di impadronirsi delle forze psichiche liberate dalla pericolosa bevanda. In questo senso si deve intendere l’equiparazione della bevuta alla “cavalcata” rischiosa, all’impiccagione rituale, alla battaglia. Dare idromele è dar battaglia nel repertorie delle metafore nordiche e russe, così come bere sino in fondo significa morire, il combattimento è un festino. Elemire Zolla, Le parole e la cosmogonia, in Conoscenza religiosa.
Metti in un recinto una volpe e un pollo: a priori sono entrambi liberi…..
Franco Dini
Il liberalismo come metodo, ossia come procedura . L’idea liberale si traduce dunque, nel campo politico, nella propugnazione di un sistema costituzionale che sia il più idoneo possibile a garantire nel modo praticamente migliore la libertà di ciascuno: sia nel senso negativo ed egoistico che la personalità di 315
ciascuno si possa svolgere liberamente nel limite segnato dal rispetto alla personalità altrui, sia nel senso positivo ed altruistico che la vita morale di ciascuno possa far sentire il proprio contributo pratico nella elevazione e nel miglioramento della vita sociale. Questo ha infatti sempre fatto il partito liberale: il quale, èprima di tutto, ha ritenuto giustamente che l’azione politica dei liberali si debba soprattutto esplicare nella lotta per la istituzione e la conservazione del meccanismo giuridico attraverso il quale si formano le leggi. Il partito liberale non può, a priori, precisare un programma organico e completo di riforme economiche, perché ciò vorrebbe dire vincolare a priori e quindi negare la libertà mentre il coerente rispetto di questa esige che i provvedimenti siano di volta in volta deliberati “dal corso degli eventi che è sempre pieno di sorprese ”. (Croce) (…) Partecipazione dei cittadini alla formazione delle leggi. Libertà di
partecipazione alla lotta politica come condizione della legalità . I cosiddetti diritti di libertà costituiscono una garanzia della personalità individuale considerata in se stessa: il rispetto della dignità umana non è garantito, se non si garantiscono quelle libertà minime attraverso le qiuali la persona può affermarsi e svilupparsi. Ma questi diritti di libertà, oltre che come affermazione dell’autonomia individuale (libertà civile) , devono essere considerati in funzione della legge (libertà politica). Sono diritti che mirano a garantire a ogni uomo la libera partecipazione alla lotta politica e quindi alla formazione del diritto. Qui all’idea di libertà si accompagna quella di democrazia. Non saprei concepire un sistema che sia liberale senza essere democratico. La libertà, intesa come insopprimibile dignità di ogni persona in sé considerata come uguale alle altre, significa necessariamente diritto di partecipare alla formazione delle legg in regime di libertà: libertà di ogni cittadino di contribuire colla propria libera personalità a quella determinazione della libertà che è la legge. Piero Calamandrei, Non c’è libertà senza legalità, ed. Laterza, 2014 (lucido, tagliente, didascalico questo breve testo che la figlia Silvia ha tratto da una serie di appunti del 1943-44: è molto bello ma non ha quella coordinazione che l’Autore avrebbe dato se mai l’avesse edito ).
Miguel Léon-Portilla, Il rovescio della conquista, Adelphi 1979 (piccolo libro che ha raccolto e riporta le poche testimoniante scritte dei popoli Aztechi, Maya e Inca circa la conquista da parte dei civilissimi popoli dell’Occidente, preti inclusi. Dapprima stupore nel veder arrivare queste vele dall’infinito mare, poi cortesia e urbanità nell’offrire loro doni di benvenuto e poi , soprattutto, disgusto e sorpresa nel vedersi così atrocemente traditi e sterminati…) .
Buona parte dei dubbi nelle menti dei perfetti concernono la ricerca del fine di questa esistenza, per stabilire quale esso sia. Moisè Maimonide, La guida dei perplessi, III, 13 Se hai cuore e cervello, usali uno alla volta. Se li usi entrambi insieme ti dannano. Friedrich Holderlin ( ma Aristotele cervello e cuore li avrebbe chiamati intelletto e passioni. Sfronda ed esanima te stesso, togli ciò che è superfluo (…) non smettere di scolpire la tua propria statua. Plotino, Enneadi. Occorre esser buoni ed imitare i buoni. / Occorre essere veritieri, non loquaci / Non per paura, ma per virtù astieniti dalle colpe / Chi commette ingiustizie è più infelice di chi subisce ingiustizia/ Meglio biasimare le proprie colpe che quelle altrui / Bello ostacolare chi commette ingiustizia; se no, non associarsi a chi commette ingiustizia /Molti, pur non apprendendo cosa sia ragione, vivono secondo ragione / Ricchezza di pensieri, non erudizione, bisogna coltivare /Molti eruditi non posseggono intelligenza / Non con il corpo né con le ricchezze sono felici gli uomini, ma con la rettitudine e l’avvediutezza / La perfezione dell’anima corregge la debolezza del corpo, mentre la forza del corpo senza il raziocinio, non rende affatto migliore l’anima. Democrito. Eppure Democrito è pensato, a partire da un racconto di Luciano, come il filosofo che ride. Se tutto è una danza di atomi nel vuoto, allora ogni vicenda umana deve rinunciare alla sua pretesa di senso e risibili debbono apparire le preoccupazioni e le cure degli uomini che non sanno adeguare le proprie passioni a ciò che la ragione del mondo ci insegna. Di contro Eraclito è il filosofo che piange, perché non può distogliere gli occhi dalla caducità degli eventi, e che nel tempo che travolge tutte le cose avverte la tragicità di un mondo in cui il senso trapassa nel non senso, il valore nel disvalore, ciò che è grande e suscita ammirazione e 316
rispetto in ciò che è infimo e deprecabile. Democrito ed Eraclito, i due filosofi che si allontanano dalla polis, guadagnando così uno sguardo disincantato sulle passioni che la travolgono, l’uno ridendo e l’altro piangendo. Armando Massarenti, Istruzioni per rendersi felici, Guanda ed., 2014 (molto interessante questa piccola opera sulla felicità incentrato tutto sulla filosofia antica, in primis Platone - Socrate. E’ tutto uno spulciare sulle varie definizioni di un davvero grande numero di Autori. L’incipit è di Agostino di Ippona : Signore, fammi casto, ma non subito) .
La leggenda islamica del teschio redivivo. Molto più diffusa nel mondo islamico è però la leggenda nota come “Il racconto del teschio e di che cosa gli capitò con Nostro Signore Gesù, su di Lui sia la pace”. Uno spoglio dei cataloghi dei manoscritti arabi presenti in Europa e in Oriente dimostra che tale racconto è contenuto in miscellanee manoscritte provenienti da tutto il territorio arabo, dal Marocco sino all’ Iraq. Nle 1917 Asin Palacios lo pubblicò e li tradusse in latino sulla base di un codice madrileno e nel 1923 Levi della Vida lo volse in italiano servendosi di un manoscritto del Cairo. Le parti più significative della leggenda si ritrovano peraltro nelle opere di vari scrittori religiosi arabi posteriori al Mille. Eccone in breve il contenuto. Un giorno Gesù, in una delle sue peregrinazioni insieme ai discepoli, avrebbe notato non lontano dalla strada un grande teschio umano calcinato dal sole. Desiderando che i suoi discepoli imparassero qualcosa su ciò che avviene nell’oltretomba, Cristo decise di restituire al teschio la favella ed ecco che per incanto, questo si riveste di carne e di pelle e si presenta come il cranio di un potente re dei tempi passati. In seguito alle insistenti e precise domande di Gesù, il teschio racconta della sua vita terrena e della sua penosa condizione nell’aldilà. Era stato un re pagano molto temuto, viveva in un sontuoso palazzo circondato da innumerevoli servitori e cortigiani e disponeva di un esercito sterminato ed agguerrito. Nel suo racconto il tesschio si compiace non solo della ricchezza e della potenza di cui aveva goduto, ma anche della generosità dimostrata verso i suoi sudditi. Non tarda però a confessare le sue colpe. Un giorno, durante una partita di caccia, egli contrasse una grave malattia, e, nonostante i sacrifici cruenti offerti al suo idolo, alla fine morì. Gli venne allora incontro l’Angelo della Morte, che gli strappò via l’anima affidandola a due angeli inquisitori. Dopo un periodo trascorso insieme al corpo nella solitudine della tomba l’anima venne gettata in uno speciale girone dell’inferno dove l’attendevano atroci dolori, tormenti e sofferenze. Richiesto da Gesù, descrisse brevente, uno per uno, i sette gironi in cui si articola l’inferno e il tipo di peccatori che vi sono destinati. Alla fine del racconto il teschio chiede al Cristo di avere pietà di lui e di salvarlo. Cristo, commosso, prega Dio e lo risuscita interamente. Il teschio si trasforma così in un uomo imponente, prestante e vigoroso che professa subito la propria fede nell’unico Dio, in Abramo, Mosè e Gesù e del venturo profeto Muhammad. Egli sale quindi su un alto monte dove condurrà vita ascetica sino alla morte. Fabrizio A. Pennacchietti, Il parallelo islamico di un singolare episodio della Passione di San Giorgio, BSSSSA prov. Cn, 1992 (davvero bello en interessante questo articolo: partendo dall’episodio sopra trascritto di origine araba, passa poi a vederne le implicazioni nei testi ebraici nonché in quelli cristiani della regione caucasica. Sembra che non esista traccia documentale o pittorica di questo fatto salvo che nella Cappella di Villar San Costanzo, nel ciclo dell’affresco quattrocentesco di San Giorgio).
Siano benedetti quelli che non hanno niente da dire e, malgrado ciò, stanno zitti. Oscar Wilde Niente genera più errori della ricerca della verità assoluta. Samuel Butler, Dizionario dei luoghi comuni. Ed. Guanda Dio mette a profitto dei buoni anche i peccati degli altri. Guido Piovene
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La storia dei principi e delle caste, intessuta continuamente di guerre e di rivoluzioni, finisce col dare, a chi ne cerca le turbinose vicende, un senso di stanchezza e quasi di oppressione, come un ambiente chiuso in cui l’afa e i rumori d’ogni specie sembran mozzare il respiro: il folk-lore, cioè lo studio della culrura e delle tradizioni popolari, dove l’anima delle masse si rivela schiettamente, semplice serena e libera, ricrea lo spirito stanco e gli dà un senso di refrigerio, come un angolo di campagna fresco e ombroso nei giorni canicolari. Euclide Milano, Dalla culla alla bara, Ist. Grafico Bertello, 1973 (intanto bisogna premettere che questo testo è uscito nel 1905 quando l’Autore 25enne era fresco di laurea. Il testo, come si evince dal breve brano riportato, è davvero datato. Il contenuto poi se era davvero innovativo all’epoca risulta, ad oggi, di comune conoscenza e diffusione. Comunque davvero bello e lodevole. Le foto e le immagine inserite nella ristampa non esistevano nella edizione originaria).
Elie Wiesel, Golem, Giuntina, 2009 (si tratta di un libero racconto ambientato a Praga circa la comunità ebraica avente per oggetto le vicende terrene. Sorge però ad u certo punto il Golem senza che ne sia tracciata l’origine ed il significato. Impreca e maledice più volte Thadeusz, cardinale di Praga mentre elogia il re Rodolfo. Ben tre volte narra della scoperta dell’intrigo architettato a loro danno con l’ invenimento di un cadavere di bambino nelle loro cantine e dell’abilità del Golem (che poteva anche diventare invisibile e cioè cercare liberamente le prove a discolpa. Però mai accenna a quali torti o ladrocinii compiuti dagli ebrei avessero determinato la rabbia ed il livore di chi si abbassava all’abominio di nascondere il puerile cadavere. Tant’è, loro non hanno mai colpa). Se c’è una cosa per cui nel giorno del Giudizio Universale dovranno “condannarti” è che hai avuto l’amore in casa e non hai saputo riconoscerlo. Gabriel Garcia Màrquez, lettera al card. Ravasi che l’aveva invitato a Roma: rifiutò per motivi di salute. L’immaginazione non accresce la realtà. Wallace Stevens Il silenzio, non la critica, uccide l’uomo di talento. Leonida Donskis EN QUELLE PATRIE? / à Jean/ En quelle Patrie vais-je m’ètendre / au travers de la mort? / (Si près passe-telle / que s’éteignent les fleurs…) / Me dannerai-on à la mer? /Dans la barque glisserai-je sous le Pont-Neuf? / Serai-je li éau soleil en chute / que Phaetòn ne mantient plus? / En quelle Patrie puis-je me clore / si mes ancetres ne parlent plus? / si en eux se perd ma parole / sans retrouver la voie de l’arbre? / En quelle Patrie chanterais-je, / feuillant parmi tout ce qui se defeuille, / dand l’immensité du floral / dans la lumière qui afflue? INQUALE PATRIA / a Jean / In quale patria mi distenderò / con la morte? / (Così vicina passa / che si spengono i fiori…) / Sarei forse offerto al mare? / Nella barca scivolerei sotto i Pont Neuf?/ Sarei legato al sole cadente / che Fetonte non sorregge più? / In quale Patria posso chiudermi / si i miei antenati non parlano più? / se in essi si perde la mia parola/ senza trovare la via dell’albero? / In quale Patria canterei, / mettendo foglie in tutto ciò che si sfoglia, / nell’immensità del floreale / nella luce che affluisce?
VENUS / Dévetue sous tac ape tu fulgurais, / émergeant de l’immensité humide / Te spoils frisonnaient avec l’air, / déjà murmures à mon Oreille / toi pulpeuse au giron et si vivace, / mangeuse d’éclair éclatant aux entrailles. / Me possèdas en t’enroulent comme une liane. / Et toujours plus douce et lascive / tu devins ma lampe dans les antres / la fontaine finement fauve de mon oeil / le silo de ma faim ò vénéneuse/ la clandestine soudantr l’etre à ses plis bistres, /bienveillante, infatigable et faste. 318
VENERE / Svestita sotto la cappa folgoravi, / emergendo umida dall’immensità. / I peli fremevano con l’aria, / già momorii alle mie orecchie / tu polposa nel grembo e così vivace, / mangiatrice di lampi divampanti nelle viscere. / Mi possedesti avvolgendoti come una liana. / E sempre più dolce e lasciva /diventasti la mia lampada negli antri, / la fontana astutamente selvaggia del mio occhio/ il silo della mia fame oh velenosa / la clandestina che salda l’essere alle sue pieghe brune, / benevolente, infaticabile e fasta. Fernand Ouellette, nella notte il mare, Bulzoni editore, 1986, trad. Antonella Emina Martinetto. (carino questo testo di poesie con traduzione a fronte . L’Autore è un canadese francofono e negli anni 50 aderì a varie scuole (Refus Global, Exagone ed altri). E’ davvero improbo il mestiere di traduttore perché davvero difficile; ho scelto due testi a dimostrare come uno sia bello in francese e l’altro migliore nella traduzione italiana. La poesia è davvero intraducibile? Penso seriamente di sì.)
Paolo Flores d’Arcais, Gesù, L’invenzione del Dio cristiano, Add Editore, 2011 (non ho riportato alcun brano perché il libriccino è talmente piccolo e minuto che avrei dovuto copiarlo tutto. Si tratta in prima istanza di dimostrare la falsità e la voluta erroneità del testo di Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret per cui passo su passo lo contesta e dimostra, Vangeli alla mano, l’inganno perpetrato nell’intera esposizione del Papa. In buona sintesi la ricostruzione storica che l’Autore fa della vicenda terrena di Gesù è la seguente: figlio di donna, con due fratelli ed almeno tre sorelle, era sposato con la Maria Maddalena ed all’età di trent’anni incomincia a deambulare per la Galilea , evitando sempre Gerusalemme, predicando una evoluzione del pensiero e della religione ebraica improntando il discorso sull’amore. Come tutti i disturbatori della quiete fu inviso ai Romani i quali utilizzarono il Sinedrio per condannarlo a morte tramite l’infamante crocifissione. Ciò lasciò sconcertati i suoi seguaci che infatti si dispersero. Dopo parecchio tempo, nella paura e in gran segreto, incominciarono ad unirsi in ricordo di Gesù evocandone gli insegnamenti. Capo di questo manipolo era Giacomo, il fratello maggiore di Gesù che era sempre stato estraneo agli ultimi tre anni di vita di Gesù. In ciò era coadiuvato da Pietro e da Lazzaro, che secondo l’Autore, era il discepolo amato e prediletto. Giacomo e i suoi accoliti erano e continuavano ad essere rigidamente ebrei e frequentavano il tempio e l’ortodossia del culto. Si inserì inaspettatamente Paolo che era stato colpito dalla portata dell’insegnamento di Gesù: prese alla lettera l’indicazione di promuovere il nuovo corso anche agli infedeli per cui si recò ripetutamente in Grecia, in Siria e nei paese limitrofi insegnando una nuova religione, perché nel frattempo era diventata una religione, trascurando, lui non ebreo, i dettati della legge: la circoncisione, il divieto di assumere certi cibi ed altri particolari rituali. Giacomo ebbe notizia di ciò e mandò Barnaba e altri discepoli a tentar di correggere l’insegnamento di Paolo. Intanto nasceva il mito di Gesù, il racconto della pluralità dei miracoli, la resurrezione, il suo essere persona divina, l’esser nato da una vergine, la figura messianica: solo e sempre per tradizione orale perché il primo vangelo sarebbe del 70. Il tutto proiettato in tempi brevissimi, non oltre la generazione in allora vivente in quanto entro quel termine doveva adempiersi quanto predicato da Gesù. Con il passar del tempo e con l’allargarsi del mito si arrivò a circa trecento dottrine del tutto discordi tra esse e, soprattutto, reciprocamente odiantesi . I Vangeli vennero redatti dall’ 70 d.C. a circa l’anno 120, quello di Giovanni. Ma le versioni erano multiple ed innumerevoli: a dimostrazione di ciò la scoperta nel secondo dopo guerra nei siti di Nag Hammadi e Qmram che misero in evidenza nuovi testi di Vangeli e di detti. In sintesi la cosa si trascinò fino al 300 quando l’Impero ormai in dissoluzione assunse il Cristianesimo quale religione di Stato: per fare ciò dovette uniformare in tutte le diocesi un’unica dottrina e per mezzo di plurimi Concili raggiunse l’obiettivo: non erano assolutamente ammesse deroghe e per ottenere ciò i dissenzienti furono brutalmente sterminati. Nota anche che tutti i concili dal 300 all’anno 1000 sono sempre stati indetti e pilotati dal potere politico sia in occidente che in oriente. Molto articolata è anche l’analisi che compie di tutte le sette che si sono succedute e per fare ciò attinge agli scritti dei Padri della Chiesa (Egesippo, Giustino, Dionigi, Teofilo, Filippo di Gortina, Modesto, Ireneo, Clemente di Alessandria, Rodone, Tertulliano Epharaem, Epifanio, Teodoreto, Eznik de Kolb ed altri). Tratta anche della grande considerazione che l’Islamismo ebbe della figura di Gesù e di Maria asserendo che il fratello della prima moglie del Profeta fosse un maronita. Afferma infine che la distruzione di Gerusalemme e del Tempio del 70 pose fine all’epoca dell’ebraismo fondato sui sacerdoti e sui sacrifici, e inaugura quello del rabbinismo e del Talmud. Le comunità ebraiche che professano Gesù risorto, sempre più spesso “greche”, si moltiplicano lungo tre secoli adottando forme teologiche sempre più variegate e tra loro incompatibili, benché in comune abbiano una divinizzazione di Gesù che ne travolge la figura e la portata reale. Sotto l’intervento del potere imperiale, che pone il cristianesimo come religione di stato, porterà ad unificare quel caleidoscopio di fedi, tra conflitti spesso sanguinari.. Questo per quanto riguarda la storia. Altra cosa è la fede,
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ovviamente, che orgogliosamente Paolo considerava follia e i cristiani dei primi secoli proclamavano altrettanto orgogliosamente nel “credo quia absurdum”. In buona sostanza il giudizio complessivo su questo piccolo testo è positivo). Annoto invece personalmente un’idea che detengo da sempre: l’unione della Chiesa (perché con il concilio di Nicea era stata costituita tale) ed il potere politico ha fatto sì che nei successivi 1700 anni la vera entità vincitrice è stata la Chiesa, del tutto indifferente alle diverse formulazioni politiche che nel frattempo si sono, tutte, estinte. Ho appreso da questo testo un concetto per me nuovo:”pericope” che, secondo la Treccani, stà per “tagliare intorno” cioè breve passo, estratto, quasi ritagliato, da un testo; il passo si usa citando un singolo breve detto per inserirlo inun discorso più ampio. Questo mio lavoro potrebbe quindi chiamarsi “Starli, spunti e pericope, ma non mi piace. (Biblioteca Cuneo 232 9 FLO) Giancarlo Gaeta, Gesù moderno, ed. Einaudi 2009, Biblio Cn NA.232.9. GAE ((opera assolutamente inutile in quanto puro esercizio accademico di chi usa un linguaggio da iniziati, tipico di chi non sa cosa vuol dire, però vuol dire. Per pura combinazione ho qui ricopiato Micromegas, il racconto di Voltaire laddove mette in bocca al soggetto una serie di domande che ha posto ai filosofi incontrati nel suo viaggio. Riporto qui il passo : “L’anima è una entelechia, e una
ragione attraverso la quale ha la potenza d’esser quel che è. Lo dichiara espressamente Aristotele, pagina 633 dell’edizione del Louvre”. “Non capisco molto bene il greco” disse il gigante. “neanch’io”, disse il vermiciattolo. “Allora perché, riprese il siriano, citate un certo Aristotele in greco?” “Perché, replicò il saggio, bisogna pur citare quello che non si capisce affatto nella lingua che si conosce di meno”. Come chi descrive un quadro o, in forma minore e meno ricercata, chi parla di un vino. In sostanza si tratta della storia del pensiero storico e teologico intorno alla figura di Gesù a partire dall’800 fino ai giorni nostri. Cita una infinità di Autori (Eisenman, Robinson, Pagels, King, Sweitzer, Ratzinger, Pesce ,Ksemann, Wrede, Bultan, Dupont ed almeno un’altra trentina)( di Albert Schweitzer che davvero deve essere stato un grande prestigioso ed autorevole studioso riporta : “… questi autori vollero rappresentarlo come un uomo semplice, strappargli gli abiti sfarzosi di cui era stato vestito e gettargli nuovamente sulle spalle gli stracci con i quali aveva camminato per la Galilea”; riconosce l’autorità di Pesce ma sorride della collaborazione con Augias, mentre per il Flores d’Arcais afferma: “ … che si improvvisa biblista e storico del cristianesimo antico per demolire, con argomentazioni inevitabilmente prese a prestito, il libro del papa Ratzinger, e questo nel contesto di una –riscossa laica- promossa a tutto campo dalla sua rivista –Micromega- contro la deriva integralista del cattolicesimo contemporaneo”. Certo che se c’è uno che ha preso a prestito è proprio lui in quanto non son riuscito a capire quale sia la sua personale opinione in merito al Gesù storico o astorico, mistico o no, escatologico o meno, teologico o casuale. Basti leggere le conclusioni di questo breve testo per aver conferma di non aver capito niente).
Gianluigi Nuzzi, Via Crucis, ed Chiarelettere, 2015; Biblio Cn 2329 DON (davvero interessante questo libro, privo di acrimonia e di giudizi negativi, molto documentato. Espone del grave imbarazzo di papa Francesco quando fu messo a conoscenza delle anomalie a livello economico-finanziario nella gestione della Segreteria e degli altri organismi di indirizzo della santa Sede. La rimozione di importanti cardinali alla testa dei settori nevralgici determinò una prima reazione giustificabile per altro per un normale avvicendamento ad inizio di un nuovo pontificato. Ma seguirono altre rimozioni molto importanti allorchè le più importanti società di revisione contabile del mondo palesarono l’assoluta mancanza dei più elementari criteri nella gestione. Eliminò un collegio di cardinali sostituendolo con un organismo arricchito di qualificati laici: nessuna reazione o, meglio, muro di gomma da parte dei più importanti dicasteri che di fatto non presentarono mai documentazione idonea. Ma misteriosi furti di documenti, altri documenti risalenti al caso Sindona che sbucarono all’improvviso, l’arresto del brillante monsignore spagnolo che di fatto era il fulcro, con una pierre, cioè una donna tuttofare, che di fatto avrebbero dovuto essere i primi custodi dell’imponente lavoro intrapreso. Il testo è molto scorrevole e ricco di documenti ma induce ad una assolutamente pessimistica conclusione: non c’è un solo elemento positivo dietro le mura vaticane e, men che meno, sul piano spirituale). --------------------------------------------------------
Ai laici non è consentito il possesso né dei libri dell’Antico Testamento né di quelli del Nuovo. Disposizioni del Sinodo di Tolosa del 1229.
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… darsi da fare in tutti i modi e con tutte le forze, affinchè a nessuno venga consentito né oggi né in futuro, la lettura, anche solo frammentaria, del Vangelo . Regolam. Ecclesiastico di papa Giulio III 1550-1555. Ecco alcuni casi di madri vergini che partorirono un figlio: Devaki, madre di Krishna; Ceres, madre di Osiride; Maia, madre di Sakia; Celestina, madre di Zunis; Chimalman, madre di Quexalcote; Minerva, madre del Bacco greco; Semele, madre del Bacco egiziano; Nana, madre di Attis; Prudence, madre di Hercules; Alcmene, madre di Alcides; Shing-Mon, madre di Yu; Mayance, madre di Hesus; Maria, madre di Gesù. Ora noi abbiamo molti motivi per credere che Paolo, nella sua città di origine, Tarso, in Cilicia, abbia avuto contatti molto ravvicinati con le culture religiose ellenistiche e orientali; anzi, proprio con i culti cosiddetti misterosofici, in cui si celebravano complicati riti iniziatici. Di questi possiamo avere una bellissima descrizione nell’opera di James G. Fraze, Il Ramo d’Oro (Newton Compton 1992) dalla cui lettura possiamo arrivare a capire che certi elementi teologici della figura di Gesù Cristo devono essere stati mutuati dai culti extra giudaici come quelli di Attis, Adonis, Osiride, Dioniso, Mitra. Mi riferisco alla nascita verginale, alla resurrezione dopo tre giorni di discesa agli inferi, all’innesto del concetto teofagico (cibarsi della carne e del sangue del Dio), sui contenuti del rito eucaristico esseno. (…) Insomma, quando noi leggiamo i Vangeli (quelli del canone ecclesiastico, naturalmente, non la letteratura primitiva dle giudeo-cristianesimo che, del resto, è stata opportunamente tolta di mezzo), noi non abbiamo davanti agli occhi l’immagine storica di Gesù Cristo, neszì l’immagine costruita artificialmente dalla revisione paolina come base della catechesi neocristiana. I Vangeli sono il manifesto antimessianistica (e quindi anti Cristo) che ci mnostra non le idee di Gesù ma le idee di Paolo e dei suoi seguaci, ovverosia di colui che è stato fra i nemici più accaniti del Cristo e che non si è affatto convertito ma che, in un secondo tempo, ha convertito l’ideale di Cristo, appartenente al pensiero giudaico più radicale, in una filosofia anti giudaica. Una conversione che è stata ripetuta in modo assai simile, tre secoli dopo, dallo stesso imperatore Costantino, che non si è mai convertito al cristianesimo di Gesù (nota mia: compresa la tanto pia Madre che scoprì i chiodi della croce: fantastico!), ma che ha trovato convenienti motivi per convertire ulteriormente la teologia cristiana e renderla sempre più compatibile con le religioni già in voga nell’impero romano (fu lui a volere energicamente il concilio di Nicea e a dare inizio ad un’epoca plurisecolare di caccia all’eresia). David Donnini, Gesù e i manoscritti del mar Morto, Coniglio editore, 2006 (testo alquanto interessante, molto ben scritto e documentato; inizia con una acuta analisi storica del momento in cui appare Gesù citando i testi romani per poi passare all’esame del rinvenimento nel 1947 dei manoscritti delle grotte di Qumran e della combattuta battaglia di nascondimenti e di silenzi effettuate dalle due equipe che li esaminarono. Fa poi una acuta ricognizione circa i quattro Vangeli con varie ipotesi sulle date delle edizioni, sulle evidenti incongruità letterali rispetto alle successive e canoniche versioni. Sostiene che Gesù sarebbe stato un esseno e che la vera dottrina risiederebbe in quella setta o scuola) .
Danilo di Gangi, Siberia (in)contaminata, Camponotto ed, 2010 ( davvero gradevole questo breve testo di un prof. Di Cuneo che occupa utilmente le vacanze estive per conoscere Paesi nuovi. Questa volta tocca alla Siberia: personalmente avevo poche e maldestre idee, in primis il freddo. Invece è una regione immensa e di variegate culture ed origini, snodo di congiunzione dell’Asia russa e la Mongolia e la Cina. Comprendeva anche l’Alaska se non fosse che improvvidamente nel 1857 fu venduta per un piatto di lenticchie (8milioni di dollari). Interessante ed a me ignoto il tentativo di Stalin nel 1934-5 di creare ex novo un insediamento di ebrei (evidentemente già allora erano fastidiosi) prolungando la ferrovia fino a lande desolatamente vuote nell’estremo Est. Lì arrivarono a migliaia dalla Russia, dall’Europa e dal Canada e dovettero costruire ex novo una città. Ci riuscirono evitando così le persecuzioni naziste del 1938. Questo insediamento fu antecedente di una quindicina d’anni di Israele (1947). La parte finale del libro tratta del lago Bajkal: dalla plurisecolare persecuzione del popolo dei Buriati originari della zona, alla nozione che contiene un quinto di tutte le acque dolci della Terra, delle plurime specie vegetali ed animali, della rinata pratica dello sciamanesimo dopo settanta anni di feroce repressione. Davvero bello ed interessante ).
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Hos ego versiculos feci, tulit alter honorem Questi versi io feci, ed altri s’ebbe gli onori. Virgilio: quattro versi per rivendicare la paternità di un lavoro che il poetastro Batillo si attribuiva ed avendo ricevuto le lodi di Augusto il sommo Virgilio reagì.
Giovanni Coccoluto, San Pietro di Varatella: appunti per una storia della viabilità tra basso Piemonte e Liguria, Bollettino SSSAAPCn N.87, 1992 (davvero preziose queste poche pagine che dimostrano, in base a ritrovamenti epigrafici, quali sono stati gli irradiamenti di influenza di alcuni centri religiosi, dall’antichità al medioevo. Chiaramente questi rapporti e colleganze necessitavano di strade. I centri sono : a) San Pietro di Varatella (immediato entroterra di Loano) le cui tracce sono a: Garessio, Massimino, Bagnasco, Nucetto, Malpoptreno, Camerana. B) Albenga con tracce a: Clavesana, Marsaglia, Castellino Tanaro, Roascio, Paroldo, Sale, Camerana, Mombasiglio, Vico, Torre Mondovì, Montalto, Garessio. Tutte queste iscrizioni sono della tribù Publilia. Sono invece della tribù Camilia di Augusta Bagennorum : Alba, Mondovì Breolungi, Mondovì, Vico, Bastia, Carrù, Piozzo, Farigliano, Dogliani, Somano, Monbarcaro, Gorzegno, Monesiglio, Scaletta Uzzone, Millesimo. Il tutto è documentato da una bella scheda geografica.
Geronimo Raineri, Arte cristiana medievale sui due versanti delle Alpi , stesso n. 87 di cui sopra. (Anche queste poche pagine sono davvero illuminanti: parla di cicli pittorici nel XIV secolo e li distingue in Sacri o ecclesiastici, Scolastici e Cavallereschi. Ci fu una grande fioritura di questi affreschi anche perché molti pittori itineranti raggiungevano e partivano da Avignone e, strada facendo, dovevano pur mangiare. Illustra molto bene le caratteristiche di questo genere di pittura ed i modelli di figure, costumi e scene di vita. Indica, con un’utile cartina, le località in cui rimane traccia di ciò ed utilizza uno schema molto semplice ed efficace indicando i fiumi e le relative valli. Parte dal Rodano per finire con la Dora Baltea. Scelgo qui solo alcune valli a noi contigue. Tinèe: Latour, Clans, Roure, Roubion, Saint Etienne, Auron; Vèsubie: Venanson, Saint Dalmas Valdeblore; Peillon: Luceram, Peillon, Coaraze, La Roquette; Roia: Ventimiglia,, Airole, Saorgio, La Briga, Tenda; Bormida: Bardineto, Calizzano, Murialdo, Millesimo, Saliceto, Monesiglio, Prunetto; Belbo: Arbi, Mombarcaro, Murazzano, Marsaglia, Belvedere Langhe; Tanaro: Ormea, Garessio, Priola, Bagnasco, Ceva, Sale San Giovanni, Lesegno, Castellino Tanaro, Roccacigliè, Cigliè, Niella Tanaro, San Dalmazzo ai Peroni, Basta, Carrù, Piozzo, FarigliANO, Benevagienna, Cherasco; Corsaglia: Montaldo,San Michele Mondovì, Vicofortre, Fiamenga; Pesio: Breolungi Mondovì, Rocca de Baldi, San Biagio, Pogliola, Chiusa Pesio, Certosa di Pesio; Stura di Demonte: Bra, Fossano, Montanera, StuAisone, Vinadio Sambuco, Pietraporzio, Argentera; Gransa: Centallo, Tarantasca, Cervasca, Bernezzo, Caraglio, Valgrana, Monterosso, Pradleves, Castelmagno Castelletto Stura Aisone, Vinadio Sambuco, Pietraporzio, Argentera; Gransa: Centallo, Tarantasca, Cervasca, Bernezzo, Caraglio, Valgrana, Monterosso, Pradleves, Castelmagno;ra, Vignolo, Roccasparvera, Moiola, Festiona, Demonte, Aisone, Vinadio Sambuco, Pietraporzio, Argentera; Maira (dieci località); Varaita (quindici località); Po (sedici località) Cominque davvero utile e ben espresso).
… In tempi più recenti il Formentini e il Luppi hanno ulteriormente sottolineato l’apporto di elementi
indigeni alle scorrerie saracene, vedendo anzi la presenza saracena come una sorte di catalizzatore capace di suscitare un “movimento rivoluzionario in senso antiecclesiastico in cui la spinta a devastare monasteri, chiese e grandi latifondi proveniva soprattutto dai pravi homines associati ai Saraceni” Anche se questa interpretazione dei fatti insiste forse troppo in senso antiecclesiastico delle incursioni, mentre è possibile che venissero presi di mira i beni delle chiese non tanto perchè “ecclesiastici” quanto piuttosto perché erano i soli a portata di mano o i più appetibili, non è forse del tutto arrischiato inserire certi accordi tra pravi homines e saraceni in quella sorta di filone che accomuna nei secoli i bagaudi, questi praves homines, i briganti tardo-medievali e gli insorgenti antifrancesi del 1799 in un disperato quanto inutile tentativo di 322
rivolta della campagna contro la città, dell’umile contro il potente, del povero contro il ricco. Ci fu anche una lunga usurpazioni di beni da parte della feudalità locale a danno di chi non poteva o voleva difendere tali beni, in un periodo di anarchia e di debolezza del potere centrale. Le razzie e le violenze saracene erano più sistematiche, radicali e dirette non solo contro i beni ma anche contro le popolazioni. Il risultato fu così la depauperazione e lo spopolamento di tutta una vasta zona fra le Alpi Marittime, gli Appennini e la pianura, ridotta a poche cortis in desertis locis, con tante cortes absas et ruinas, insediamenti bruciati e in rovina: così vengono ricordati questi luoghi nel documento della donazione di Ottone I a Aleramo nel 967. E lo stesso imperatore, di passaggio tra questi monti, ne ricorda il desolato squallore : “transivimus per deserta Langarum et reliquimus ea sine tributo” (…) Particolarmente colpita fu la Chiesa, l’unica presenza allora capillarmente diffusa sul territorio con il suo fitto reticolo di diocesi, pievi e cappelle. Ad essere particolarmente svantaggiate furono le diocesi a ridosso delle Alpi, là dove sboccavano le vallate discendenti dai monti infestati di Saraceni. Colpita fu la diocesi di Acqui: sulle sue condizioni nel corso del X secolo non abbiamo in verità moltissimi dati, ma alcuni documenti ci permettono di arguire che i danni dovettero essere gravi. Il 17 aprile del 978 l’imperatore Ottone III, confermando alcuni possessi al vescovo Benedetto, ricorda di fare ciò: “in remedio nostrae animae et subvenientes sua inopia”. Ancora più grave risulta però la situazione della diocesi di Alba, i cui territori ricalcano in parte quelli del precedente municipium romano, erano i primi ad essere colpiti dalle scorrerie saracene. Essa fu infatti talmente saccheggiata da non poter più mantenere decorosamente il vescovo: fu necessario abolirla e fonderne il territorio con quello di Asti. Leonello Oliveri, Saraceni, vescovi, pravi homines nelle Langhe medievali, Bollettino SSSAA di Cuneo , I° semestre 1987. (davvero bello ed articolato questo studio: intanto dimostra che non furono i soli Saraceni a distruggere almeno due generazioni, ma concorsero signorotti locali. A partita chiusa fu convocato a Susa dalla regina Adelaide il signorotto di Morozzo che si era macchiato di particolari nefandezze. La verità era che tutta la fascia alpina sub alpina era, ai primi del 900, del tutto priva di amministrazione politica o giuridica, salvo la Chiesa alla quale, tutto sommato tale situazione andava bene).
Visita a Cherasco del 20 marzo 2016: nel palazzo Salmatoris, superbamente restaurato, mostra di quattro pittori: uno di questi, tale Roberto Andreoli (nato nel 1955) espone degli acquerelli assolutamente belli. Tra i vari ambienti il Gabinetto del Silenzio che è stato affrescato dal Taricco rappresenta un piccolo tempio sulle cui pareti sono rappresentati vari personaggi a mo di statue immesse in una nicchia. Interessanti i cartigli. Xinocrates: dixisse me ??? paesitus ??? numquam. Iudith: vos autem nolo ut scrutemini actum meum; Epanimundas: (Thebanorum dux) ex audiendo doctrina et loquacitate paenitentia; Salomon: os lubricum operatur ruinas; Pithagoras: aut sile aut affer melior silentio. Sulla superba torre di città insistono due meridiane i cui testi sono: “je dis a tous, meme si je ne les connais pas” e “Ad ora incerta”. Avevo mai trovato aperta una deliziosa cappella fuori le mura: è sorta intorno ad un pilone raffigurante un bell’ affresco di Madonna. Per non parlare dell’antica chiesa di San Pietro: bella fuori con lacerti di antiche pietre romane e ricca e ben docorata all’interno Per non farmi mancare nulla al ritorno sono andato a visitare il grazioso museo di antichità romane di Benevagienna. --------------------------------Un asino raglia anche il giacca e cravatta. Stephen King Discutere con una donna è come leggere il contratto di licenza di un software. Alla fine si ignora tutto e si fa clic su “accetto” A volte cerchi la felicità dappertutto e poi la trovi in frigo: fredda e da 66 cc. 323
Ci sono amici che nemmeno ti salutano e perfetti sconosciuti che addirittura ti fermano (i carabinieri) Tutti siamo stati giovani e un po’ pirla, ma non devi credere che rimanendo pirla rimani anche giovane. Il reggiseno è come il governo: separa la destra dalla sinistra … sostiene la massa … attira il popolo. Sapete perché agli uomini maturi cresce la pancia? Per dare un tetto ad un disoccupato. Quando pensavi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia tutte le domande. Charles Brown. E’ il miglior motore del mondo. Può essere fatto partire con un dito, si sutolubrifica, si adatta alla grandezza di qualsiasi pistone e ogni 4 settimane si cambia l’olio da solo. L’unica pecca è che il sistema che lo gestisce è veramente instabile. Prima di fare l’amore uno aiuta l’altro a spogliarsi. Curiosamente, finito di far l’amore, ognuno si veste da solo. Morale: nella vita nessuno ti aiuta una volta che ti ha fottuto. Ho letto che bere fa male. Ho smesso di leggere A. Cerrone Arrivare ai 40 anni ha i suoi vantaggi e svantaggi. Non vedi le lettere da vicino ma riconosci i coglioni da lontano. Il gatto con gli stivali non l’ho mai visto; ma ho visto tante vacche con i tacchi. Vai ancora a lezione di bon ton? Certo, che domanda del cazzo. Un medico saggio disse: “la miglior medicina è l’amore e le attenzioni”. Qualcuno gli domandò: “e se non funziona?” Lui sorrise rispose: “aumenta le dosi”
Non c’è unanimità più perfetta della unanimità del silenzio. Italo Svevo, Senilità. Quando l’Autore 37enne pubblicò quest’opera il cui titolo avrebbe dovuto essere Il Carnevale di Emilio ricevette un’unica recensione, peraltro negativa. Del tutto sconsolato decise di rinunciare a scrivere. Nella bella introduzione Giuseppe Pontiggia commenta così questa frase: “Esiste anche un silenzio attivo: il silenzio delle corporazioni. Secondo Schopenhauer, l’accoglienza riservata ad un’opera rivoluzionaria dagli addetti ai lavori (patetica immagine, tra laboriosa e burocratica) si articola in tre fasi: prima la congiura del silenzio, poi l’aggressione ed in infine il “superamento ”.
ARIO DIDIMO 5 57,13 Dottrine di Zenone e degli altri stoici intorno alla parte etica della filosofia. Intorno alle dottrine etiche, procederò nella trattazione in modo sistematico, riassumendo i punti essenziali delle dottrine indispensabili. Comincerò da qui: 5a Zenone dice che esistono quelle cose che partecipano della sostanza. E delle cose che sono, alcune sono beni, altre mali, altre indifferenti. Sono beni le cose come queste: saggezza, temperanza, giustizia, coraggio e tutto ciò che è virtù o partecipa alla virtù. Sono mali cose come queste: stoltezza, intemperanza ingiustizia, viltà, e tutto ciò che è vizio o che partecipa al vizio. Sono indifferenti cose come queste: vita- morte. fama-oscurità, piacere-dolore, ricchezza-povertà, salutemalattia, e le cose simili a queste. 5b Dicono che dei beni alcuni sono virtù, altri no. Quindi saggezza, temperanza, giustizia, coraggio, magnanimità, forza, vigore dell’anima, sono virtù. Mentre: gioia, letizia, fiducia in sé, desiderio razionale e cose analoghe non so no virtù. Delle virtù, alcune sono scienze e arti di certe cose, altre no. Quindi saggezza, temperanza, giustizia e coraggio sono scienze e arti di certe cos; 324
magnanimità, forza, vigore dell’anima non sono né scienze né arti di certe cose. In modo analogo anche tra i mali alcuni sono vizi, altri no. Dunque stoltezza, ingiustizia, viltà, meschinità, incapacità, sono vizi; invece dolore, paura e altre cose analoghe non sono vizi. Dei vizi alcuni sono ignoranza e mancanza di arte di certe cose, altri no. Dunque stoltezza, intemperanza, ingiustizia, viltà sono ignoranza e mancanza di arte di certe cose; meschinità, incapacità, debolezza, non sono ignoranza né mancanza di certe cose. 5b1 Dicono che la saggezza è scienza di ciò che si deve fare, di ciò che non si deve fare, e di ciò che non rientra in nessuno dei due casi, o scienza di ciò che è bene, di ciò che è male, e di ciò che è nessuno dei due, propria dell’essere vivente razionale, per natura politico (e anche circa le altre virtù affermano di intendere allo stesso modo) La temperanza è scienza delle cose da scegliere o da fuggire, o che non rientrano in nessuno dei due casi; la giustizia è scienza che attribuisce a ciascuno il suo valore; il coraggio è scienza delle cose temibili e non temibili; la stoltezza è ignoranza del bene e del male oppure ignoranza di ciò che si deve fare ovvero evitare; intemperanza, ignoranza di ciò che è da scegliere o fuggire; la viltà è ignoranza delle cose temibili o non temibili; l’ingiustizia è ignoranza nell’attribuire a ciascuno il suo valore. In modo simile definiscono le altre virtù e gli altri vizi, seguendo ciò che è stato già detto. In modo più generale dicono che la virtù è una disposizione dell’anima in armonia con se stessa, riguardo all’intera vita. 5b2 Delle virtù alcune sono prime e altre sono subordinate alle prime.. Le prime sono quattro: saggezza, temperanza, coraggio,giustizia. E la saggezza riguarda i doveri; la temperanza gli impulsi degli uomini; il coraggio i casi in cui bisogna sopportare; la giustizia i casi dell’attribuzione. Tra le virtù subordinate a queste, alcune sono subordinate alla saggezza, altre alla temperanza, altre al coraggio, altre ancora alla giustizia. Alla saggezza sono subordinate: il buon consiglio, il buon calcolo, la perspicacia l’assennatezza,, destrezza,l’abilità; alla temperanza: la tempestività, la compostezza, il pudore, il dominio di sé; al coraggio: la costanza, la fiducia in sé, la magnanimità, la risolutezza, la laboriosità; al,la giustizia: la pietà, l’onestà, la socievolezza, l’affabilità. Dicono che il buon consiglio è sapere quali cose fare e come farle per operare utilmente; il buon calcolo è sapere esaminare e riassumere le cose avvenute e già compiute; la perspicacia è saper trovare quale sia il do vere da compiere nel momento presente; l’assennatezza è sapere ciò che è migliore e peggiore; la destrezza è saper raggiungere lo scopo in ogni cosa; l’abilità è saper trovare la via d’uscita secondo le circostanze; la tempestività è sapere quando e come agire, e quale sia la successione delle azioni e, in generale, il loro ordine; la compostezza è saper distinguere i movimenti convenienti e quelli sconvenienti; il pudore è sapersi guardare da un giusto biasimo; ol dominio di sé è saper non trasgredire i limiti di ciò che appare secondo la retta ragione; la costanza è saper rimanere saldi in ciò che si è giudicato rettamente; la fiducia in sé è sapere che nulla di terribile potrà mai accaderci; la magnanimità è sapersi porre al di sopra di ciò che accade per natura tra i saggi e tra gli stolti; la risolutezza è la scienza dell’anima che pone se stessa come invincibile; la laboriosità è sper eseguire ciò che si è prefissato, senza farsi distogliere dalla fatica; la pietà è la scienza del culto degli dèi; l’onestà è saper operare correttamente; la socievolezza è la scienza dell’uguaglianza nella società umana; l’affabilità è sapersi comportare in maniera irreprensibile nei confronti del prossimo. 5b5 Tutte quelle virtù, che sono scienze e arti, hanno principi in comune e lo stesso fine, e per questo sono inseparabili. Infatti chi possiede una sola virtù, le possiede tutte, e colui che agisce secondo un sola virtù, agisce secondo tutte. Differiscono le une dalle altre nell’essenziale.. L’essenziale della saggezza è infatti, in primo luogo, , a riflettere a ciò che si deve, e, in secondo luogo, riflettere su ciò che si deve attribuire, ciò che si deve scegliere e ciò che bisogna sopportare, per compiere senza errore ciò che si deve fare. L’essenziale della temperanza è, in primo luogo, il rendere gli impulsi equilibrati e riflettere su di essi e, in secondo luogo, riflettere su ciò che ricade sotto le altre virtù, per potersi muovere senza errore tra gli impulsi. E allo stesso modo il coraggio è, in primo luogo, riflettere su ciò che si deve sopportare e, in secondo luogo, le cose che ricadono sotto le altre virtù. (etc.) 5b7 Dicono che le virtù sono molteplici e inseparabili le une dalle altre, e che le virtù sono identiche nella loro sostanza alla parte direttiva dell’anima. In base a ciò ogni virtù è, e si dice essere un corpo, e infatti sono corpo l’anima e il pensiero. Ritengono 325
infatti che anima sia il soffio caldo in noi connaturato. Pretendono anche che l’anima che è in noi è un essere vivente; infatti vive e sente, e soprattutto la sua parte direttiva, che è chiamata pensiero. Perciò anche ogni virtù è un essere vivente, giacchè nella sua essenza essa si identifica con il pensiero. Per questo dicono anche che la saggezza giudica rettamente: è infatti per essi consequenziale parlare così . 5b8 Non vi è nulla di intermedio tra virtù e vizio. Tutti gli uomini hanno delle tendenze naturali alla virtù e, secondo Cleante, seguono quasi la stessa regola dei versi semigiambi: se sono incompiuti sono cattivi, mentre se sono portati a compimento, sono pregevoli. Dicono anche che il saggio fa tutto secondo tutte le virtù. Ogni sua azione è completa, dato che non manca di nessuna virtù. Conseguentemente a ciò infatti, sostengono anche che il saggio agisce con assennatezza e con capacità dialettica, e che sa comportarsi correttamente nei simposi e che abbia un retto approccio all’amore. Quanto a essere inclini all’amore, si dice in due modi diversi. L’uno segue la virtù, ed è onesto, l’altro segue invece il vizio e cade nel biasimo, come quando si dice di qualcuno che è erotomane. E l’amore, quello buono, proprio dell’amicizia, chi è degno di essere amato è ugualmente degno di amicizia, e non di essere solo oggetto di godimento. Chi infatti è degno di amore onesto, costui è degno di essere amato. 5b12 Dicono che colo il saggio è buon indovino, poeta, retore, dialettico e adatto a giudicare, e non ogni uomo, per il fatto che alcune di queste cose necessitano dell’acquisizione di certi principi.. Dicono che la mantica è la scienza che esanima i segni di dèi o demoni diretti alla vita umana; similmente si può dire per i generi della mantica. Dicono che solo il saggio è anche sacerdote, e nessuno stolto lo è. Infatti chi è sacerdote deve essere esperto delle leggi sui sacrifici, delle preghiere, delle purificazioni, della costruzione dei templi e di tutte le cose di questo genere. Oltre a ciò egli deve a vere santità e pietà ed esperienza nel culto degli dèi e saper penetrare profondo della natura divina. Nulla di tutto questo appartiene allo stolto, perciò tutti gli stolti sono anche empi. L’empietà, che infatti è un vizio, è ignoranza del culto divino; mentre la pietà, come abbiamo detto, è scienza del culto degli dèi. 5d Dicono che tutti i beni sono vantaggiosi, utili, convenienti, profittevoli, onesti, decorosi belli e affini per natura; al contrario, tutti i mali sono dannosi, incomodi, senza alcuna convenienza, svantaggiosi, disdicevoli, brutti ed estranei per natura. Dicono che il bene si può definire in più modi. Nel primo, stando quasi in luogo di fonte, viene appunto così espresso: “ciò da cui o ciò a causa di cui risulta l’utile” (del resto esso è in primo luogo causa). Nel secondo modo: “ciò secondo cui risulta l’utile”. Più in generale, e comprendendo anche le due definizioni suddette,: “ciò che è tale da essere utile”. Allo stesso modo anche il male viene da loro descritto per analogia rispetto al bene. 5e Dei beni alcuni sono dell’anima, altri sono esterni, altri non sono né dell’anima né esterni. Sono beni dell’anima le virtù. Gli abiti onesti, e, in generale le azioni degne di lode. Sono beni esterni gli amici, i conoscenti e le cose simili. 5g Dei beni alcuni sono finali altri efficienti, altri ancora sono entrambe le cose. L’uomo saggio e l’amico sono solo e sempre beni efficienti; la gioia, la letizia, la fiducia in sé, un saggio passeggiare sono esclusivamente beni finali; infatti producono la felicità e la completano, essendo parti di essa. Analogamente, anche dei mali, alcuni sono produttivi di infelicità, altri finali altri l’una e l’altra cosa. L’uomo stolto e il nemico sono solo mali efficienti; invece il dolore, la paura, il furto, una domanda insensata e cose simili sono mali finali; I vizi invece sono allo stesso tempo mali efficienti e finali in quanto producono infelicità e la completano essendone essi stessi parte. 5k73,1 Inoltre dei beni alcuni sono in moto, altri in quiete. Sono in moto cose come la gioia, la letizia, una saggia compagnia; sono in quiete cose come una vita tranquilla ben organizzata, una stabilità indisturbata, una virile concentrazione. Dei beni che sono in quiete, alcuni sono anche abiti, come le virtù che sono in quiete, Sono abiti non solo le virtù , ma anche le arti che nell’uomo saggio, sotto l’azione della virtù, subiscono una trasformazione e diventano stabili, come se fossero virtù. Dicono pure che tra i beni ch sono che sono come un abito vi sono anche le cosiddette occupazioni, come l’amore per la musica, l’amore per la letteratura, per la geometria e cose simili. Vi è infatti una certa via che sceglie, in queste arti, gli elementi apparentati con la virtù, riconducibili al fine della vita. Inoltre dei beni alcuni sono assoluti e altri relativi. Sono assoluti, la scienza, l’agire giustamente e cose simili. Sono relativi l’onore, la benevolenza, l’amicizia, l’armonia,. La 326
scienza è una apprensione calda che non può essere scossa dalla ragione. 5l L’amicizia è comunanza di vita; l’armonia è conformità di opinioni su ciò che riguarda la vita. Rientra nell’amicizia la familiarità, che è amicizia tra conoscenti; la consuetudine, che è amicizia tra persone abituate le une alle altre; la compagnia, che è amicizia per scelta, come tra coetanei; l’ospitalità che è amicizia per gli stranieri. Vi è anche un’amicizia ereditaria, quella tra parenti e quella amorosa. Immunità dal dolore e tempestività di identificano con la temperanza; intelletto e senno con la saggezza; generosità e liberalità con l’onestà. E per questo tali cose si dicono modi di essere relativi, il che conviene osservare attentamente anche rispetto alle altre virtù. Inoltre dei beni dicono che alcuni sono puri, come la scienza, altri misti,, come ad esempio la felicità nei figli, una vecchiaia e una vita felici. La felicità nei figli è il saggio possesso dei figli secondo natura; la vecchiaia felice è il saggio uso di una vecchiaia che sia secondo natura, e così allo stesso modo la vita felice. 6a Dato che l’uomo è aniumale razionale e mortale, per natura politico, dicono anche che tutta la virtù che riguarda l’uomo e la felicità si identifica con una vita conforme e coerente con la natura. Così Zenone ha definito il fine: “vivere coerentemente”. E cioè vivere secondo un principio razionale ed armonico, poiché sono infelici quelli che vivono in stato di conflitto. Cleante, il primo successore, aggiunse “con la natura”, e così ha definito: “il fine è vivere coerentemente con la natura”. Crisippo, volendo rendere ciò più chiaro, lo espresse in questo modo: “Vivere secondo l’esperienza delle cose che accadono per natura”. Diogene invece:”calcolare correttamente la scelta e il rifiuto delle cose secondo natura”. E Archedemo:”vivere compiendo tutti i doveri”. E Antipatro:”vivere scegliendo le cose secondo natura e respingendo costantemente le cose contro natura”. Egli si esprime spesso anche in questo modo:”fare tutto ciò che dipende da noi, costantemente ed invariabilmente, per ottenere le cose primarie secondo natura”. 6e Dicono che essere felici è il fine in vista di cui si compie ogni cosa, mentre esso non è in vista di altro. E ciò consiste nel vivere secondo virtù cioè nel vivere coerentemente o, e il che è lo stesso, nel vivere secondo natura. Zenone definiva la felicità in questo modo:”la felicità è un corso armonioso di vita”. Anche Cleante si vale di tale definizione nei suoi scritti, e così Crisippo e tutti i suoi seguaci, dicendo che la felicità non è altra cosa che la vita felice, seppur precisando che, se la felicità è da porsi quale scopo, il fine è ottenere la felicità, che è lo stesso che esser felici. 7a Dicono anche che alcune cose indifferenti sono secondo natura, altre contro nature, altre ancora indifferenti. Secondo natura sono cose come la salute, ls forza, l’integrità degli organi di senso e altre analoghe a queste. Contro natura sono cose come la malattia, la debolezza, la mutilazione e altre analoghe. Non sono contro natura né secondo natura, cose come la costituzione dell’anima e del corpo tale che l’una possa accogliere in sé rappresentazioni false e l’altro ferite e mutilazioni, e altre cose del genere. 8i Tra le cose preferibili, alcune riguardano l’anima, altre il corpo, altre ancora le cose esterne. Riguardano l’anima cose come la buona natura, la capacità di progredire, la memoria, l’acume della mente, l’abito per cui si rimane fermi nel compiere i doveri, e le arti che possono contribuire in alto grado al vivere secondo natura,. Preferibili rispetto al corpo sono la salute, l’integrità dei sensi e cose analoghe a queste; preferibili rispetto al mondo esterni sono l’aver genitori, figli, un possesso misurato, buona accoglienza presso gli uomini. 10 Dicono che la passione è un umpulso eccessivo e che non obbedisce alle scelte della ragione, o un movimento dell’anima contro natura. Perciò ogni agitazione è anche passione e ogni volta la passione è anche agitazione. 10e Dicono che un’inclinazione negativa è una tendenza alla passione, o a qualcuno degli atti contro natura, come depressione, predisposizione all’ira, invidia, irritabilità e simili. Le inclinazioni negative si verificano anche relativamente ad altri atti che sono contro natura, come furto, adulterio, violenza per cui si è chiamati ladri, adulteri e violenti. Infermità è un’opinione del desiderio irrazionale che è trapassata in abito e si è sclerotizzata, tale che in base a essa riteniamo che siano assolutamente da scegliere cose che invece sono da rifiutare, come la passione per le donne, il vino e il denaro, ma vi sono anche infermità opposte a quelle che derivano dalla repulsione, come l’odio per le donne o il vino, o la m misantropia. Le infermità che si accompagnano a debolezza sono dette malattie dell’anima. 108i Dicono che usare l’ironia è proprio degli stolti: nessuno infatti che sia libero e 327
saggio fa dell’ironia; e similmente si può dire del sarcasmo, che è fare ironia con un certo scherno. Lasciano sussistere l’amicizia solo tra i saggi, poiché solo tra questi c’è consenso circa le cose che riguardano la vita. DIOGENE LAERZIO, ETICA STOICA. 114 L’escandescenza è un’ira al primo suo sorgere. Il piacere è un’irrazionale esaltazione per ciò che venga creduto degno di essere scelto. Ad esso sono subordinati l’incanto, il godimento malevolo, la delizia, l’effusione. L’incanto è un piacere che giunge attraverso le orecchie; il godimento malevolo è il piacere per gli altrui mali; la delizia è quasi un rivolgimento, cioè un impulso dell’anima verso il rilassamento; l’effusione è la dissoluzione della virtù. Come si parla di alcune infermità del corpo, come la gotta o l’artritismo, così pure ci sono infermità dell’anima, come l’amore della gloria e la ricerca del piacere e simili; L’infermità è una malattia legata con la debolezza, la malattia è l’immaginare che una cosa sia fortemente desiderabile, mentre in realtà tale non è. E come si parla di indisposizioni in cui cade facilmente il corpo, come il catarro o la diarrea, così facilmente l’anima è corriva all’invidia, alla misericordia, alle contese e simili. 119 I virtuosi venerano la divinità, chè sono esperti di tutto ciò che per tradizione è dovuto agli dèi. E la pietà è la scienza del culto degli dèi. E perciò essi offriranno sacrifici agli dèi e saranno mondi dal peccato; essi infatti aborrono le offese fatte agli dèi. E poiché sono santi e giusti per tutto ciò che riguarda la divinità, godono l’amore e il favore degli dèi. Secondo gli Stoici si devono onorare i genitori e i fratelli al secondo posto, subito dopo gli dèi. Essi affermano anche che l’amore premuroso verso i figli è naturale nei virtuosi, ma non si trova nei cattivi. Ario Didimo - Diogene Laerzio, Etica stoica. Ed. Laterza, 1999 Biblio Cn 171 DID ( ottimo lavoro di questi due Autori che hanno fatto un’antologia e un sunto del pensiero e della filosofia stoica nell’ordine temporale di cui al punto 6 che precede. Molto importante questa Scuola che ha avuto importante manifestazione con Sececa (in modo particolare con Lettere a Lucilio qui ampiamente riportate) ed il massimo fulgore con Marco Aurelio: Autori che ammiro ed amo molto tant’è che non fatico a ritenermi (indegnamente) stoico. Superba la prefazione di Carlo Natali e l’introduzione di Julia Annas ).
Albert Einstein Mileva, queste sono le mie condizioni: A. Ti assicurerai che: 1. i miei vestiti e il mio bucato siano sempre tenuti in buon ordine. 2. che riceverò i miei tre pasti regolarmente e nella mia stanza. 3. che la mia stanza e il mio studio siano sempre puliti, e specialmente che il mio tavolo sia riservato al mio esclusivo utilizzo. B. Rinuncerai a tutte le relazioni personali con me, a meno che non siano strettamente necessarie per ragioni di etichetta e di vita sociale. In particolare ti asterrai: 1. dal sederti accanto a me in casa; 2. dall'uscire o viaggiare con me. C. Ti atterrai ai seguenti punti per regolare le relazioni personali con me: 1. Non ti aspetterai alcuna intimità da me, e non mi rimprovererai in alcun modo per questa mancanza. 2. Smetterai di parlare, se io ne farò richiesta; 3. Lascerai immediatamente la mia stanza da letto o il mio studio, senza protestare, quando io ne farò richiesta. Se la formula “giusto e peccatore insieme” si dimostra valida per capire la personalità di Lutero, lo è anche nel senso dell’accostamento tra gioia e tristezza. “un cristiano dovrebbe essere una persona allegra. Se non 328
lo è vuol dire che è tentato dal demonio”. E lo è in effetti continuamente, Perciò Lutero, solo apparentemente in contraddizione con se stesso, può dire :” Nel cuore dei credenti c0’è più tristezza per i peccati e paura della morte che gioia per la vita e l’indescrivibile grazia che ci sono donate da Cristo. E’ vero che i credenti lottano contro questa mancanza di fiducia e la vincono con la fede. Eppure questo spirito di tristezza ritorna. Perciò in essi continua a persistere la penitenza, sino alla morte”. Questa è l’esperienza personale di Lutero. Egli ha iniziato la via della penitenza, come monaco mendicante davanti ad un pericolo di morte, e l’ha conclusa nell’imminenza della propria morte von la confessione: “Siamo dei mendicanti. E’ proprio vero!”. Gerhard Ebeling, Martin Lutero l’itinerario e il messaggio, presentazione di Paolo Ricca, ed. Claudiana, 1988 ( mi è stato offerto di leggere questo piccolo testo di introduzione di una davvero imponente collana di scritti della Claudiana: peccato che dimentichi di citare la data di nascita ma narra con molta lucidità i primi 25-30 anni di vita per poi scivolare con non chalance su fatti oggettivi molto importanti quali delicate questioni di scelte teologiche che sono note persino ai sassi. Sottace il fatto che avesse una moglie e un numero imprecisato di figli né spiega il percorso che l’ha indotto a tale decisione. Mah!, una delusione perché non mi ha assolutamente arricchito ).
Se Dio può togliere il male e non lo fa è malvagio, se vuole e non può è impotente. Se non vuole e non può è entrambe le cose. Se vuole e può, allora come mai esiste il male? Epicuro. Fu così che il dottore si prestò alla scommessa. L’uomo aprì la bocca e il dentista fece di nuovo il conto. Erano quindici denti, e quando glielo disse lo sfidante mise in fila sul tappetino cardinalizio delle protesi quindici pepite d’oro. Una per dente. E gli altri scommettitori, a favore o contro, coprirono le puntate con altre pepite gialle. Il numero aumentò considerevolmente a partire dalla quinta. Il montuvio si lasciò togliere i primi sette denti senza battere ciglio. Non si sentiva volare una mosca, ma all’ottavo fu colpito da una emoraggia che in pochi secondi gli riempì la bocca di sangue. L’uomo non riusciva a parlare, ma con un cenno chiese una pausa. Sputò varie volte, lasciando dei grumi sulla pedana, poi mandò giù un lungo sorso di acquavite che lo fece contorcere di dolore sulla poltrona, ma non si lamentò, e dopo aver sputato di nuovo, con un altro cenno, gli ordinò di continuare. Alla fine della carneficina, sdentato e con la faccia gonfia fino alle orecchie, il montuvio divise la vincita col dentista, mostrando una orripilante espressione di trionfo. (venalità dei dentisti, di qua e di là dell’oceano ). (….) Antonio Josè Bolivar Proano sapeva di non poter tornare al villaggio sulla sierra. I poveri perdonano tutto, ma non il fallimento. (…) Fu invitato al generoso festino offerto dai vecchi quando decidevano che era arrivata l’ora di “andarsene”, e dopo che si erano addormentati sotto gli effetti allucinogeni della chicha e della natema, in mezzo a visioni felici che aprivano loro la porta di esistenze future già delineate, aiutò a portarli fino a una capanna lontana e a coprire i loro corpi con un dolcissimo miele di palma. Il giorno successivo, intonando anents di saluto a quelle nuove vite, ora sotto forma di pesci, farfalle o animali saggi, prese parte alla raccolta delle ossa bianche, perfettamente pulite, i resti inutili degli anziani trasportati verso le altre vite dalle mandibole implacabili delle formiche anango. Durante la sua vita con gli shuar non ebbe bisogno dei romanzi per conoscere l’amore. Non era uno di loro e pertanto non poteva avere mogli. Ma era uno di loro, e quindi lo shuar anfitrione, durante la stagione delle piogge, lo pregava di accettare una delle sue spose per maggiore orgoglio della sua casta e della sua casa. Luis Sepulveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, ed. Ugo Guanda, 1993 (grandioso questo piccolo libro di uno degli autori sudamericani che amo di più: in primis per la semplicità del linguaggio, quasi tacitiano, e poi per la spontaneità dei sentimenti e, non ultimo, per l’originalità dei racconti, sempre stupefacenti. In questi tre brevi stralci illustra l’utilizzo del dentista che arrivava sulla barca che semestralmente approdava al porto del piccolo villaggio sul fiume. Il secondo spunto è la descrizione della “morte felice” ed il terzo il concetto di ospitalità di questi selvaggi nativi. Evviva noi avremmo portato loro la Civiltà: dovremmo percorrerla in senso contrario, o no?)
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Il Signore sorride quando noi facciamo progetti per il futuro.
Proverbio ucraino
Francesco Negri, Viaggio Settentrionale, gesuita (Ravenna 1623-1698). Fece un viaggio di tre anni raggiungendo forse il Polo e narra diverse cose interessanti: “Purtroppo il gelo è tale che i maschi svezzesi sono costretti a legarsi il sesso rattrappito oltre ogni dire dal rigore polare con uno spago onde poter poi usare quell’indispensabile appendice”. Riferisce poi che i cacciatori corrono via veloci su due tavolette sottili, che non eccedono in larghezza un piede, ma lunghe otto o nove palmi con la punta alquanto rilevata per non intaccar la neve, nel mezzo di esse vi sono alcune funicelle, con le quali le assettano bene una ad un piede e l’altra all’altro, tenendo poi un bastone alla mano conficcato in una rotella affinchè non affondi nella neve. Per non scivolare indietro sulle salite li foderano sotto con pelle di alce che li frenerà nella discesa se c’è troppo ghiaccio. Mentre loro, per scendere “si accomodano come statua” E se vogliono fermarsi “basta piegar il corso destramente verso uno dei due lati, formando una linea curva”. Intanto l’ideale del saggio non ammette alcuna via di mezzo. O si è saggi o si è stolti e tertium non datur. E tra gli stolti non esiste una gradazione gerarchica. Si annega in uno spanno d’acqua come nelle profondità dell’oceano: la profondità dell’acqua non conta, perché si annega comunque; così non conta che chi è stolto sia poco stolto o molto stolto …. Crisippo Gli studi sono stati la mia salvezza: è merito della filosofia se mi sono alzato dal letto, se sono guarito. A lei sono debitore della vita, anche se questo è il debito minore che ho con lei. Seneca Al mattino, quando ti svegli pigramente, abbi sottomano questo pensiero: “mi sveglio per la mia opera di uomo”. Marco Aurelio L’ingiustizia dovrebbe essere uguale per tutti.
Dino Risi
Ducunt volentem fata, nolentem trahunt. Il fato guida chi (lo) segue, trascina chi recalcitra verso di Cleante riportato da Seneca Riguardo a me, stai sicuro,: non trepiderò nell’istante supremo, sono ormai preparato, non faccio programmi per un’intera giornata. Approva e imita colui al quale non rincresce morire, sebbene gli faccia piacere viver: infatti, che coraggio c’è ad uscire dalla vita quando ne sei cacciato via?. Tuttavia, anche in questa situazione può esserci coraggio: sono cacciato via, certo, ma è come se me ne andassi via spontaneamente. Perciò il saggio non è mai cacciato via, perché essere cacciato via significa essere espilso da un luogo dal quale ci si allontana proprio malgrado. Seneca Delle cose, le une sono in nostro potre, le altre non sono in nostro potere. Sono in nostro potere l’opinione, l’impulso, il desiderio, l’avversione e, in una parola, tutte quelle cose che sono nostre proprie azioni. Non sono in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche e, in una parola, tutte quelle cose che non sono nostre proprie azioni. Le cose in nostro potere sono per natura libere, incoercibili e prive di 330
impedimenti, quelle che non sono in nostro potere sono deboli, schiave, coercibili ed estranee. Ricorda, dunque, che se riterrai libere quelle che sono per natura schiave, e tue proprie quelle estranee, sari impedito, ti affliggerai, sarai turbato e ti lamenterai degli Dei e degli uomini; mentre, se riterrai tuo proprio solo quello che è tuo, ed estraneo, com’è realmente, quel che è estraneo, nessuno ti costringerà mai, nessuno ti impedirà, non ti lamenterai di nessuno, non accuserai nessuno, non farai niente controvoglia, non avrai alcun nemico, nessuno ti farà dan no, e neppure, in effetti, potrai soffrire alcun danno. Arriano di Nicomedia Qualora tu ti senta forzato dalle realtà che ti attorniano quasi a provare turbamento e dissidio, torna velocemente in te stesso e non uscire dal ritmo oltre il necessario, Perché, col ritornare di continuo all’armonia, sempre di più ne avrai il controllo. (…) Ricorda che l’egemonico (parte al di fuori dell’anima, identificata con il nous, con l’intelletto) è invincibile, qualora rinserrato in se stesso, basti a sé non facendo ciò che non vuole, anche nel caso in cui si schieri contrariamente a ragione. Che dire, allora, qualora insieme alla ragione in attitudine circospetta esprima un giudizio? Perciò l’intelletto libero da passioni è una cittadella: infatti nessun baluardo il più munito possiede l’uomo, nel quale trovando rifugio possa, per il resto del suo tempo, essere imprendibile. Chi non ha visto questo rifugio è un ignorante: chi non l’ha visto e non vi ripari, è un infelice. (…) Se ti addolori per qualche oggetto esterno, non è questo a crearti afflizione, ma il tuo modo di giudicarlo. (…) Affliggono l’uomo non le cose, ma il loro giudizio sulle cose. (…) Nel caso in cui qualcosa ti dia inquietitudine, ebbene hai dimenticato che tutto accade secondo la natura universale, che l’errore che un altro commette ti è estraneo e , inoltre, che ogni avvenimento così è sempre avvenuto e avverrà e avviene ora ovunque. Hai dimenticato quanto è grande la parentela del singolo uomo con tutto il genere umano perché la comunanza non è di sangue o di seme, ma di mente; che la mente di ciascuno è Dio ed è derivata da là, che niente appartiene individualmente a nessuno, ma che il tuo figlioletto, il tuo povero corpo e la tua stessa anima sono venuti di là; che tutto è opinione, e infine, che il momento presente è il solo tempo che ciascuno vive e che è questo che solo perde. (…) C’è qualcuno che, qualora faccia un favore ad un altro, ha pronto sottomano il calcolo del favore recato. Un altro non l’ha pronto, peraltro considera da parte sua il beneficato come un debitore e sa bene l’azione che ha fatto. Un altro ancora, in un certo modo neppure sa l’azione che ha fatto, ma è simile alla vite che ha prodotto il grappolo e non v à in cerca di null’altro, una volta che abbia prodotto il proprio frutto. L’uomo che ha creato beneficio non lo grida, ma si volge ad un altro; come la vite a produrre un nuovo grappolo, quand’è stagione, o come un cavallo che ha corso, un segugio che ha seguito le tracce, un’apre che ha portato il miele. Bisogna dunque essere tra quelli che recano benefici in qualche modo senza saperlo. Marco Aurelio ( Giovanni Reali e Dario Antiseri, Storia della filosofia, ed Bompiani, 2008 Molto bella questa edizione molto dottamente commentata. In particolare esprime questo pensiero di un certo Hadot :” Nella letteratura universale troviamo molti predicatori, pensatori, molti dispensatori di lezioni, molti censori, che dispensano la morale agli altri con sufficienza, con ironia, con cinismo, con duretta, ma è estremamente raro vedere un uomo, mentre si sta esercitando a vivere e a pensare da uomo. Marco Aurelio ha scritto queste note solo come pro memoria finalizzata al proprio comportamento”) Fernando Antonio Nogueira Pessoa (1888-1935) dalla nota biografica di Orietta Abbati: “Anche il 1916 è un anno importante, segnato dalla morte dell’amico Mario de Sa-Carneiro, che si suicida in un hotel a Parigi. Sarà un grande dolore per Pessoa, che si fa carico del destino dell’opera del poeta che più di tutti sente in sintonia con se stesso. In questo anno Pessoa sperimenta la scrittura automatica a seguito di fenomeni medianici attraverso cui entra in comunicazione con Henry Moore (1614- 1687) ed altri spiriti astrali”.
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… 15 Considero la vita una locanda, dove devo fermarmi fino all’arrivo della diligenza dell’abisso. (…) 16 Se io avessi il mondo in mano, lo cambierei, ne sono certo, con un biglietto per Rua dos Douradores. Forse il mio destino è di essere eternamente aiuto contabile, e la poesia e la letteratura una farfalla che, posandosi sul mio capo, mi rende tanto più ridicolo quanto più è grande la sua stessa bellezza. (…) 20 Divenire sfingi anche se false, fino al punto di non sapere chi siamo. Perché, del resto, noi non siamo che sfingi false e non sappiamo chi siamo realmente. L’unico modo di andare d’accordo con la vita è essere in disaccordo con noi stessi. L’assurdo è il divino. (…) 26 Era un incerto giorno festivo, legale ma di scarsa osservanza. C’era riposo e lavoro allo stesso tempo, e io non avevo niente da fare. Mi ero alzato presto e mi ero attardato a prepararmi ad esistere. Passeggiavo da un lato all’altro della stanza, tutto immerso in sogni senza nesso e possibilità … (…) 27. Ah! E’ la nostalgia dell’altro che io avrei potuto essere che mi smarrisce e spaventa! Choi altri sarei io, se mi avessero dato quella tenerezza che, partendo dal grembo, giunge a ricoprire di baci il viso del bambino? (…) 46 “Le mie abitudini sono attinenti alla solitudine e non agli uomini”; non so se sia stato Rousseau o Senancour a dire questo. Ma certo è stato qualche grande spirito della mia specie, potrei quasi dire della mia razza. (…) Non so se questo accade solo a me, o a tutti quelli che la civiltà fa rinascere una seconda volta. Ma mi sembra che a me, o per quelli che hanno sensazioni pari alle mie, l’artificiale sia divenuto naturale, mentre è il naturale ad essere differente. Chiarisco:l’artificiale non è divenuto naturale ma è il naturale ad essere divenuto differente. Evito e detesto i veicoli, evito e detesto i prodotti della scienza –telefono, telegrafo- che facilitano la vita, o i sottoprotti della fantasia –grammofono, radio- che, a quelli che si divertono, la rendono divertente. (…) 56 Ogni volta che i miei propositi, per effetto dei miei sogni, si sono innalzati al di sopra della quotidianità della mia vita e per un momento mi son sentito alto, come un bambino su di una altalena, sempre, come lui al giardino municipale, sono dovuto scendere e riconoscere la mia sconfitta senza bandiere innalzate da portare in guerra né spada che avessi la forza di sguainare. (…) Miei poveri compagni che fate sogni sublimi, come vi invidio e come vi disprezzo! Con me restano gli altri –i più poveri, quelli che non hanno altri, se non se stessi, cui raccontare i propri sogni e comporre, se li scrivessero, una specie di versi-, i poveri diavoli senza letteratura al di fuori della propria anima, senza preoccuparsi della critica, che muoiono asfissiati dal fatto che esistono senza aver sostenuto quell’ignoto esame trascendente che abilita a vivere. (…) e tutti come anguile in un catino si avviluppano tra di loro e si attorcigliano gli uni agli altri senza poter uscire dal catino. A volte i giornali parlano di loro. I giornali parlano di alcuni più di una volta, ma la fama mai. Costoro sono i felici perché è stato dato loro il sogno incantato della stupidità. Ma coloro, come a me, che hanno sogni senza illusioni … (…) 57 Se mi domandate se sono felice, vi risponderei che non lo sono. (…) 62 La materia prima è sempre la stessa, ma la forma che l’arte le ha conferito, le impedisce effettivamente di rimanere sempre la stessa. Un tavolo di pino è tavolo, ma anche pino. Ci sediamo al tavolo e non al pino. Un amore è un istinto sessuale, però non amiamo con l’istinto sessuale, ma con la presupposizione di un altro sentimento. (…) 76 Quanta incongruenza nel volere bastare a me stesso. Quanta coscienza sarcastica di immaginare sensazioni! Quanti intrecci di anima e di sensazioni, di pensieri con l’aria e con il fiume, per dire che la vita mi duole nell’olfatto e nella coscienza, per non saper dire, come nella frase semplice ed ampia del Libro di Giobbe : “la mia anima è stanca della vita”. (…) 77 Tra la vita e me c’è un vetro sottile. Per quanto io veda più nitidamente e comprenda la vita, non la posso toccare. Raziocinare sulla mia tristezza? E perché, se il mio raziocinio è uno sforzo? E chi è triste non si può sforzare. Ma non abdico neanche a quei banali gesti della vita a cui vorrei tanto abdicare. Abdicare è uno sforzo, e io non possiedo la forza con cui sforzarmi. (…) 83 Mi chiedo se tutto nella vita non sarà la degenerazione di tutto. Se l’essere non sarà una approssimazione, una vigilia o una periferia. Come il Cristianesimo è stato solo una degenerazione bastarda del neoplatonismo decaduto, la giudaizzazione dell’ellenismo da parte dei romani, così la nostra epoca, senile e cancerogena, è la deviazione multipla di tutti i grandi propositi, opposti o confluenti, dal cui fallimento è sorta l’era con cui sono falliti. (…) 103 Agire, questa è la vera intelligenza. Sarò quello che vorrò. Ma devo volere quello che sarò. Il successo sta nell’aver successo e non nell’avere i requisiti per aver successo. Qualsiasi vasta terra 332
possiede le prerogative del palazzo, ma dove sarà il palazzo se lì non è stato fatto? Il mio orgoglio lapidato da ciechi e la mia disillusione calpestata da mendicanti. (…) 105 Che mi importa se nessuno legge quello che scrivo? Lo scrivo per distrarmi dal vivere e lo pubblico perché il gioco ha questa regola. Se domani si perdessero tutti i miei scritti, soffrirei,ma, sono convinto, non con un dolore violento e folle come si potrebbe supporre, visto che tutta la mia vita era lì. Sicuramente no, perché la madre poco dopo la morte del figlio, ride di nuovo e torna ad essere la stessa. Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, Newton Compton ed. , 2006 (drammaticamente bello ed inquietante (titolo azzeccato) però davvero pesante e troppo pessimista per i miei gusti. Non l’ho finito perché davvero misogino. Se poi è vero quanto riferito nella nota biografica circa la pratica della scrittura automatica mediante pratiche medianiche con l’aldilà… rinuncio ad andar oltre).
Marcello Sorgi, Colosseo vendesi, Bompiani 2016. (piccolo libriccino davvero piacevole: parla di un giornale romano in caduta libera in quanto a notorietà ed affidabilità che butta lì la notizia che il Colosseo sarebbe in vendita, stante le difficoltà finanziarie e l’entità del debito pubblico nazionale. La notizia fa scalpore e viene ripresa dai più importanti finanziari inglesi ed americani. Indipendentemente da ciò uno Sceicco soggiorna a Roma e da sempre vorrebbe comperare l’hotel in cui risiede. Nel corso di una visita al Colosseo edntra nella ferma intenzione di comperare il manufatto onde smontarlo onde trasferirlo al suo Paese. Temporalmente siamo nella primavera 2017 ed i Governo risiede in uno stabilimento del gaz e il Successore viaggia in bus ed ha solo 7 ministri. Il ministro alla Cultura, alla notizia giornalistica, si oppone fermamente per cui viene cacciato. La Chiesa insorge, invano. Il business si realizza alle 4 del mattino per la cifra cash di un miliardo di euro. Immediatamente arrivano cinquemila operai ed alcune decine di navi per provvedere alla bisogna. Ad operazione conclusa rimane una grande voragine che viene destinata a ripristinare il lago che Nerone aveva realizzato prima della costruzione dell’anfiteatro. Il finale è davvero bello).
INDICE ALFABETICO DEGLI AUTORI (individuato l’Autore e la relativa pagina, vai in alto a sinistra e digita il numero nel riquadro “pagina” )
Cognome
Nome
Pagina
Abbagnano
Nicola
23
Abelardo
Pietro
120
Abelardo
Pietro
609,666
Achard
Marcel
62
Addison
Joseph
81
Adenauer
Conrad
62,592
Adorno Adouard
149 Yvan
532
333
Agate
James
Agente
Americano Il romanzo della crisi 600
Agostino
sant'
Aime
Marco + altri Sapersi muovereâ&#x20AC;Ś 745 Roaschia
Al Komeini
lettera a Gorbaciov
Alain
80 302, 361, 490, 512, 645
243 298,301
Albrecht
Karl
374
Alcibiade
primo
659
Alcott
Amos B.
467
Alexakis
Vassilis
431
Alfieri
Vittorio
373,483
Allais
Alphonse
359, 369, 382, 500, 528, 529, 537,
Allais
sac. Claudio Storia dell'alta valle Varaita
679
Allen
Fred
461
Allen
Woody
34, 57, 373, 589, 611
Altan
31, 33, 35
Altifox
G.S.
433
Alvi
Geminello
108
Amado
Jorge
64,574
Amendola
Giovanni
633
Amicis
(de) Edmondo
587
Andorno Andreae
387 Johan Valentin
29
Ankh-Scheshonq
475
Annibale
57
anonimo
Le gratte cul de Chartres
99
anonimo
Via col vento in Vaticano
137 30, 32, 33, 34, 64, 99, 298, 302, 365, 387, 394, 408, 444, 448, 451, 475, 486, 490, 511, 537
anonimo anonimo
Il Kibalion
anonimo sincrono Anoulilh
241 224
Jean
431
Anselmo
650
Antistene
413
Antoni
Freack
Antonino Antonio
30 147
San
Apocalisse
431,433 444,755
Apolinnaire
Guillaume
206, 308, 461, 485, 721
apologo
arabo
587
334
apologo
arabo
589
apologo
giudeo
588
apologo
indiano
584
apologo
indiano
588
Aragon
Luis
298
Aragon
477,722
Arcais
(d') Paolo Flores
575
Aretino
Pietro
374
Argan
Giulio Carlo
406
Argonne
(d') Noel
522
Aristofane
394
Aristotele
28, 143, 149, 191, 308, 370, 385, 505, 579, 580
Arneodo
Sergio
708
Arnold
Mattheu
536
Arnoux
Alexandre
537
Arthur
José
298
Artico
Alfonso
223
Asimov
Isaac
387,402
Astori
Roberta Lo specchio della magia
411
Atienza
J.G.
89
Aubert
Nicole
215
Audiard
Michel
528
Audoiard
Michele Breviario Comico
431
Augias
Corrado
466,679
Augusta
pace
651
Augusto
2
Aulo
Gellio
652
Aung San
Suu Kji
591
Aurelio
Marco
144,147
Aurelly
(d') Jules Barbey
299, 524, 529
Austen
Jeanne
379
autori vari
Santa Maria di Casanova
495
Averroé
150
Avicenna
374
Aychbow
Alan
407
Aymé
Marcella
298
Azeglio
(d') Massimo
172
Bacchelli
Riccardo
189
Baccolo
Luigi 7 cit.
28
Bach
Robert
394
Bachelard
Gaston
526
Bacon
Francis
52, 146, 221, 360, 364, 373, 589
Baden-Powell
Robert
483
335
Baer
René
525
Baez
John
319
Baget Bozzo
Gianni
37
Bagnavino
22
Baigent
Michael
353
Bainville
Jacques
23,483
Balducci
Ernesto
585
Ballu
Yves
574
Balsz
Anatoli
34
Balthasar
card.
108
Balzac
(de) Honoré
19, 80, 206, 360, 381, 510, 512, 530, 583, 736
Barbero
Carola
499
Barbiero
Flavio
571
Baretti
Giuseppe
468
Barrés
Maurice
143
Barrymore
John
62
Bartoli
Daniello
590
Barzini
Luigi senior
444
Basili
Dino
735
Bataille
George
406,59
Baudelaire
Charles
37,305, 431, 499, 526, 722
Baudelaire
Charles Les fleurs du mal
366
Baudrillard
J.
579
Bauman
Sygmund
373
Bauman
Zigmund Lo sciame
216
Bauman
Zigmund Cose che abbiamo in comune
628
Bauman
Zigmund La ricchezza di tutti avvantaggia tutti: falso
684
Beaumarchais
Pierre Auguste
59
Beauvoir
(de) Simone
664
Beckett
Samuel
163
Becque
484
Bedini
Chiara con Bigarelli Alberto Il viaggio di Giona Midrasch
728
Behan
Brendan
475
Bellarmino
649
Bellay
(du)
480
Beltrutti
Giorgio
549
Benedetti
(de) Guido
445
Benedetti
Arrigo
444
Benni
Stefano
539
Benvenuto
da Imola
224
Berardo
Lino
310
336
Béraud
Henri
530
Bercher
Matthias Carlo Magno
481
Beretta
Gian Paolo
575
Bergen
Edgard
408
Bergonzoni
Alessandro
490
Bergson
Henri
381,457
Berlioz
H.
583
Bermann
Roland Vierges Noires
738
Bernanos
Georges
521, 307, 308, 528, 535, 588
Bernard
Tristan
97, 527
Bernardo
san
195,657
Bernardoni
Andrea
302
Bernardoni
Claude
455
Bernardoni
Tristan
444
Berra
Miche
694
Berselli
Edmondo
207
Bertello
Luciano
539
Berthelot
Philippe
491
Bertola
Romano
31
Besse
Georges
456
Besson-Girard
Jean-Claude
210
Bettenini
Maria
667
Bettinelli
Saverio
467
Bettiza
Enzo
436
Beux
Federica
376
Biagi
Enzo
4, 24, 48, 56, 444, 589
Bianchi
Enzo
462
Bierce
Ambroise
525, 526, 593
Bierce
Ambroise Dizionario
408
Binder Bini
647 Federico
Binswarger
33 17
Bisogno
Armando
296
Biswanger
l:
579
Blache
F.
432
Blake
William
299
Bloch
Arthur
584
Bloch
Ernst
457
Bloch
Ernst La servitù nella società medievale
472
Bloch
Hermann
591
Block
E.
150
Block
Ernest
120
Bloy
Léon
187, 403, 454, 526
337
Bobbio
Noberto
149,589
Bocca
Giorgio
24
Bocca
Giorgio Basso Impero
451
Boccaccio
Giovanni
183
Boch
Rchard
4
Bodei
Remo
143, 506, 666
Boden-Powell
Robert
366
Boezio
Severino La consolazione della filosofia
564
Bohr
Nils
203
Boileau
Nicolas
525
Bois (du)
Raymond
49
Bois-Raymond
(du) Emile
676
Boissard
Jeanine
365
Boll
Heinrich
180
Bollea
Giacinto
461
Bono
Roberta
717
Bonora
Elena
754
Bonot
Jean
509
Bonvissuto
Adriano
312
Borges
Jorge Luis
319, 535, 583
Borne
Ludwig
531
Bossuet
J.
579
Boswell
James
431
Bottoni
Luciano
303
Bouchet
Guillaume
456
Bougard
Francois Les Druides
175
Bourbon-Musset
(de) Jacques
447
Bourget
Paul
203,521
Bouvard
Philippe
444, 491
Bovelle
(de) Charles
699
Bradbury
Ray Fahrenheit 451
555
Brecht
Bertold
22, 148, 213
Brera
Gianni
31
Bresciani
Edda Società diritto economia antico Egitto
614
Brigida
santa
647
Brisson
Luc
199
Brodskj
Joseph
216
Brofferio
Angelo
223
Browe
Thomas
57
Bruce
Lenny
511
Brunacci Bruni Luigino
454 e Smerilli Alessandra Gratuità e mercati
745
338
Bruni
Luigino
202
Brussel
Seymour
532
Bruyère
(de la) Jean
299, 320, 521, 525, 633
Bubillard
Roland
308
Bucchi
Massimo
32
Buchwald
Art
530
Buckhard
T.
190
Bufalino
Gesualdo
410, 469, 586
Buffon
Georgii
182
Bukovsky
Charles
320,593
Burat
Tavo
224
Burbery
Muriel L'eleganza del riccio
361
Burke
Leo
364
Burroughs
William
536
Bussy-Raboutin
(de) Roger
444
Butler
Samuel
525
Buttafava
Vittorio
592
Byron
George
407
Byron
George Gordon
433
Cahen
Claude
439
Calcagno
Giorgio
219
Caliani
Leo
582
Callimaco Calpurnio
197 Siculo
Calpurnio
652 647
Calvino
Italo
387
Camilleri
Andrea
564, 596
Campanile
Achille
32,305
Campion
Léon
299, 432, 447, 523
Camus
Albert
28, 80, 358, 363, 521, 754, 408, 469, 510, 512, 531, 607
Canetti
Elias
59,188
Canetti
Elias La tortura delle mosche
84
Canfora
Luciano Esportare la libertà
242
Cantarella
Eva L'ambiguo malanno
342
Cantarella
Eva L'amore è un Dio
337
Cantarella
Glauco Maria
295
Cantarella
Glauco Maria I monaci di Cluny
225
Cantico dei Cantici
211
Cantù
Cesare
223
Cantù
Giorgio
437
Caproni
Giorgio
290
Cardini
Franco
291
Carlin
George
31
339
Carny
Lucine
94
Carrolo
Lewis
385
Cartesio
655, 661
Cartiglio
83
Casati
Roberto
609
Cassano
Franco L'umiltĂ del male
557
Castoriadis
Cornelius
210
Catone Cattabiani
374, 445, 643, 654, 655, 656, 657, 708 Alfredo Il Calendario
Catullo
17 378, 379, 644, 682
Cavalletti
Sofia Talmud babilonese
727
Cavallotti
Felice
4
Cavanna
Francois
301, 447, 455
Cechov
Anton
27, 60, 533, 587, 592,
Cederna
Camilla
394
Celestini
Ascanio
695
Celestino
Quinto
650
Celi
Lia
30
CĂŠline
Louis Ferdinand
480, 533, 585
Celso
Il discorso vero
625
Centini Massimo
752
Ceresa
Alice
585
Ceronetti
Guido
213, 358, 461, 662
Ceronetti
Guido Il Cantico dei cantici
745
Ceronetti
Guido vari testi
19
Cerutti
Giovanni
229,675
Cervantes
(de) Miguel
175, 360, 451, 591
Chamfort
(de) Nicolas
379, 454, 457, 499, 527, 537
Chapatte
Robert
534
Chaplin
Charlie
319
Chardonne
Jacques
97
Charpentier
Louis
94, 111, 177
Chateabriand
(de) Francois
21, 207, 297, 320, 463, 484, 591, 592, 684
Chatwin
Bruce
45,445
Chazal
(de) Malcolm
510
Chesterton
Gilbert
589, 591
Chiaberge
Riccardo
434
Chiara
Piero
736
Chirac
Jacques
536
Chirico
(de) Giorgio
320
Chuang-Tsu Churchill
189 Jenny Jerome
448
340
Churchill
Winston
57, 96, 121, 300, 360, 363, 521
Cicerone
Laelius de amicitia
172
Cicerone
Tullio Tusculanae Disputationes
676
Cicerone
149, 168, 321, 631, 643, 647, 651, 655, 656, 657, 688, 709
Cioran
Emil Mihail Confessioni e anatemi 287
Cioran
Emile Mihail
366, 454, 462, 475, 480, 584, 590
Cioran
Emile Mihail Sommario di decomposizione
270
Cipolla
Carlo Maria
473
Citati
Pietro
218, 539
Clark
Kenneth
406
Claudel
Paul
80, 534, 721
Clemenceau
George
96, 522, 535
Clemente
Alessandrino
188, 300
Clerval
Abate Ecoles de Chartres
152, 155
Cocis
212, 248, 695
Cocito
Pierluigi
61, 65
Cocteau
Jean
62, 96, 298, 500, 520, 528
Cohan
A. Zen
455
Cohen
Albert
526
Cohen
dr. A. Il Talmud
723
Collins
John
588
Colombano
san
655
Colouche
79, 98
Comix
34
Commerson
Louis Auguste
526
Conches (de)
Guillaume
54
Conforti
Maria
296
Confucio
60, 98, 241, 305, 381, 489, 520, 521
Congreve
49
Conrad
Joseph
466, 510
Contamine
P.
292
CoppĂŠe
Francois
501
Coraglia
Luca poesia
494
Corano Cordero
306 Luciana
Corneille
501 485, 722
Corona
Mauro
247
Correggia
Elena e Garnero Fabio Le parole del tempo
228
Cosell
Howard
32
341
Cotti
Andrea
Coumboscuro
484 65
Courier
Paul-Louis
454
Crateri
Marcello Vangelo di Filippo
207
Crescenzo
(de) Luciano Pantarei
252
Cristini
don
255
Croce
Benedetto
218, 305, 495
Crosby
Norm
29
Cuneo
Phil
57
Cuoco
Vincenzo
482
Cvetaeva
Marina
203
Czarnowskj
S.
199
d'Annunzio
Gabriele
484
Dac
Pierre
364, 365, 501
Daherenfort
Ralf
203
Dalì
Salvador
81
Dalì
Salvador
364, 489
Dalmazzo
Vasco Francesco
161
Dana
Bill
32
Danervois
Henri
447
Dangerf
Roadney
31
Dangerfiel
Rodney
358
Daninos
Pierre
98
Dante
126, 147, 148, 149, 151, 222, 376, 574
Darcheville
Patrick
175
Daudet
Alphonse
195, 473, 535
De Filippis
Renato
295
De Sica
Vittorio
382
De Stefano
Rodolfo
755
Deaglio
Enrico Patria
377
Debussy
Paul
301
Dechamps
Emile
533
Degeneris
33
Del Bino
Delfo
23
Delamartine
A.
151
Delgad
Mario
562
Delteil
Joseph
96
Democrito
97, 538, 586
Demostene
633
Derchain
Philippe
197
Descartes
Renati
182, 285
Deschartres
Cristine Le gran livre…Chartres
741
Destro
Adriana Ultima generazione
488
342
Detienne
Marcel
198
Detoeuf
Aiuguste
531
detto
buddista
586
Detto
37, 66, 359, 512, 519, 524, 526, 527, 538, 607
Devoto
Giacomo
366
Devray
RĂŠgis
523
Dickens
Charles
349, 610
Diderot
Denis
524
Diderot
486
Diogene
Laerzio
711
Dolent
Jean
309
Domat
Jean
585
Donne
37
Doquier
L.
31
Dostoevskij
Fedor Il giocatore
581
Dostoievskj
Fedor
522
Douglas
Norman
448
Dovlatov
Sergej
590
Drusiani
Eros
30
Duby
George L'Europa nel medioevo
395
Dumas
Alexandre jr.
536
Dumas
Alexandre p.
62, 299, 363
Durant
William
527
Durante
jimmy
31
Durenmat
Friedrich
537
Dusi
Elena
248
Dutourd
Jean
454
Dutto
Lidia
221
Duval
Paul-Marie
198
Eban
Abba
378
Ebbel
Christian
663
Ecclesiaste
3, 60
Eckart
Meister
591
Eco
Umberto
29, 200, 538
Eco
Umberto Baudolino
109
Edison
Thomas
511
Effel
Jean
456
Einaudi
Luigi
201
Einstein
Albert
50, 144, 150, 187,319, 376, 377, 387, 519, 523
Einstein
Albert detti
261
Eliot
George
302, 320, 412, 592
Ellen Emerson
33 Ralph Waldo
376
343
Engels Enriquez
148 Federico
Epicarmo Epicuro
119, 120 610
lettera a Meneceo
602
Epicuro
58, 144, 149, 295, 377, 378, 446, 506, 661, 711
Epitteto
144, 147, 191, 376, 378
Eraclito
Frammenti
248
Eraclito
Frammenti e testimonianze
370
Eraclito
107, 300, 376, 384, 387, 533, 591
Erasmo
647, 650, 658, 710
Erba
Marta Dalla luna alla terra
434
Erich
Fried
205
Erodoto
524, 592
Erodoto 16 cit.
24
Eschenbach
Parzival
82
Eschilo
1, 467
Esiodo
354, 378
Esopo
376
Espinoza
(d') Bento
211
Estienne
Henri
378
Eunapio
567
Euripide
201, 336
Ezenin
Sergej
361
Fabbroni
Giovanni
49
Fallières
Armand
431
Fasquelle
Jean-Claude
534
Faulkner
William
58
Faure
Edgard
521
Fauvet
Jacques
456
Fawer
Adam
120
Fayette
M.me (de la)
529
Fazio
Fabio
31
Fedro
3, 532
FĂŠnelon
20, 474, 528, 722
Fenquires
20
Feuerbach
Ludwig
187, 719
Ficat
Christian
159
Fields
Wicker Miurin
298
Filangeri
Gaetano
202
Fini
Massimo
374
Fioravanti
L.
53
Firmez Fisher
20 Franz
433
344
Flacco
647
Flaiano
Ennio
59, 495
Flanders
Michael
33
Flaubert
Gustave
32, 298, 299, 359, 480, 531
Flers
(de) Robert
511
Fleuré
358
Fontaine
(De La) Jean
21, 442, 485, 523, 721
Ford
Henry
307
Formaggio
Dino Goya
404
Forneret
Xavier
523
Foucault
M.
150
Fournier
Ferruccio Altrove
374
France
Anatole
109, 457, 509, 520, 534
Francesco
Giuseppe
527
Francesco
san
180
Frangella
Saverio
358
Franklin
Benjamin
309, 373, 589
Frate
indovino
190
Freud
Sigmund
366, 633
Frontisi
Francois
197
Frossard
André
4
Froude
James
586
Fulcanelli
178
Fuller
Thomas
58, 299
Fusaro
Diego La farmacia di Epicuro
562
Gabirol
Ibn
309
Gadda
Carlo Emilio
735, 743
Gagnère
Claude
538
Gainsbourg
Sergej
447
Galbraith
John
593
Galeno
150
Galilei
Galileo Abiura
742
Galilei
Galileo Saggiatore
434
Galimberti
Umberto Cristianesimo la religione del cielo vuoto
701
Galimberti
Umberto L'ospite inquietante
278
Gallan
Antoine La mille e una notte
561
Galli
Giancarlo
38
Gallifet
(de) gen.
320
Gallo
Piero
470
Gandhi
Mahatma
63, 149
Ganguilhem
Georges
147
Garboli
Cesare
495
Gariglio
Dario
637
345
Gatto
Tronchi
48
Gauguin
Paul
369
Gaulle
(de) Charles
81, 509, 519
Gautier
Théophile
28, 524
Genesi
651
Géraldy
Paul
301
Gerolamo
San
492, 649
Gervasio
Roberto
408
Gianetta
Sossio
136
Gianni
Francesco Maria
161
Gide
André
394, 408, 451, 527, 529
Gide
Charles
511
Gilbran
Kalil
587
Gino & Michele
22, 29, 31, 32
Ginsberg
Henry
584
Ginsborg
Paul
559
Giono
Jean Jacques
742
Gioriello
Giulio e Veronesi Umberto
212
Giovenale
3, 29, 174, 191, 374, 523, 648, 649, 652
Giradoux
Jean
491, 525, 535
Girolamo
da Siena
163
Girolamo
san
643, 654, 656
Giulio Giuramento pitagorico Giustizia&Libertà
Cesere
140
Glynn
Alice
512
Gobetti
Piero
632
Goethe
Wolfang
163, 231, 363, 364, 455, 499, 536
Goff
(le) Jacques
178, 259
Gogol
Nikolaj
539, 554
Gombaud
Antoine
531
Goncourt
(de) Edmond
526, 529
Goncourt
Edmond et Jules
301, 522
Gorkj
Massimo
501
Gourmond
(de) Rémy
301
Gozlan
Léon
538
Gracian
Balthasar
535
Graf
Arturo
364
Gramellini
Massimo
124
Gramsci
Antonio
497
Grande
Carlo Terre alte
477
Grasso
Dalmazzo Cronaca
639
21 694
346
Greco
Nicolas La giustizia è una cosa seria Nanni
Green
Graham
364
Green
Julien
81
Green
Russel
433
Green
Julien
529
Greene
Graham
474
Gregorio
di Cocita
247
Gregorio
di Nissa
188
Gregorio
san
528
Gregory
Dick
31
Grello
Jacques
97
Griff
Ewer
45
Grimal
Pierre
142
Grimaldi
Piero
221
Gross
Louis
111, 115
Grossi
Pietro
479
Guerri
Giordano Bruno Eretico e profeta 623
Guerri
Giordano Bruno Gli italiani sotto 312 la Chiesa
Guitry
Sacha
63
Guitry
Sacha
301, 308, 366, 431, 432, 455, 519, 526, 585
Guitton
Jean
143
Guttuso
Renato
353
Guyonvarc'h
Christian
737
Hack
Margherita
699
Gratteri
Hagakuré
556 33
301
Halek Heinz
Peter
57
Hampaté Ba
Amadou
96
Hamza
Corano
539
Hawthome
Nathaniel
583
Hazrat
Alì
461
Hegel
Friedrich
524
Hegel
24
Heminguay
Ernst
394, 413
Hendel
Paolo
30
Herbert
George
373
Herbert
382
Hermat
Abel
473
Hernot
Edouard
300, 492
Heschel
Habraham Joshua
35
Hesse
Hermann
166
Hessel
Stephane Indignatevi!
556
347
Heywood
John
358, 455
Hilcmet
Nazim
82
Hiundertwasser
Friedensreich
242
Hobbes
663
Holliday
32
Hoodhoi
Pervez
259
Horia
Vintila
88
Houtetot
(d') Alphonse
519
Hubbard
Kin
530
Hubbard
Ron
535
Hugo
Victor
20, 69, 358, 360, 366, 368, 387, 456, 471, 478, 479, 511, 531, 554, 586, 722
Humbolt
W.
52
Hume
David
27
Huxley
Aldous
363, 489
Huxley
Aldous
528
Ibsen
Henrich
28
Ippocrate
Sul sorriso e sulla follia
616
Ippocrate
652
Ippolito
Dario
291, 307
Irving
W. Racconti dell'Alhambra
732
Isidoro
98, 115
Jaccard
Roland
320
Jadok
Denise
365
Jaeauneau
Edoward
54, 176
Jaloux
Edmond
81
James
W.
221
Jankélévitch
Vladimir
591
Jefferson
Thomas
363, 530
Jerrold
Douglas
455
Johnson
Samuel
491
Jonesco
Eugène
474
Joubert
20, 720
Jousse
Marcel
64
Joyce
James
519
Jung
Carl Gustav
360, 469
Kafka
Franz
361, 579, 593
Kafka
Franz Lettera al padre
403
Kant
Emmanuel
536, 588, 665, 756
Karr
Alphonse
81, 96, 97, 448, 201, 513, 521, 525
Karr
Jean-Baptiste
592
Kaufmann
Max
300
Keller
K.
500
348
Kennedy
John F.
96
Kepler
Giovanni
162
Kerferd
George
567
Kierkegaard
Soren
147, 189, 451
Kierkegaard
Soren Aut-Aut
131
King
Chou
96
King
M.L.
499
King
Martin Luther
370, 386
Kipling
Rudiard
529
Kirkegaard
Soren
305, 361
Klapka
Jerome
320
Kraus
Karl
531
Kundera
Milan
37, 164, 633
Labriola
Antonio
223
Labriola
Arturo
149
Laffitte
Paul
525
Lagorio
Gina
35
Lamartine Lamennais
486 (de)
Lao-Tsei Lao-Tsukinston
431 433
Ephraim
590 49, 50, 52, 53, 55, 62, 63, 111, 122, 165, 174, 188, 190, 205, 311, 358, 359, 369, 510, 611, 618, 623, 693, 694, 731
lapide
Latouche
Serge La scommessa della decrescita
661
Latzarus
Louis
513
Le Roux
Francois Les Druides
737
Lec
Stanislaw
57
Legendre
Pierre
210
Leibniz
Wilheim
187, 687
Leinke
Robert
60
Lemaire
AndrĂŠ La nascita del semitismo
699
Leonardo 50 citaz.
11
Leonardo da Vinci
523, 530
Leopardi
Giacomo
363, 469, 592
Leterman
Elmar
538
Levi
Mario Attilio
613
Levi
Primo
735
Levi-Strauss
Claude
308
Levinston
L.L.
379
Lewis
Joe
359
Leys
Simon
309
Licciardello
Pierluigi
303
349
Lichtenberg
George
63, 431, 448
Lichtenberg
George Lo specchio dell'anima
442
Lincoln
Abraham
60
Livio
658, 710
Locke
John
687
Locke
Pier
30, 663
Lodéon
Frederich
536
Lombardi Satriani
Luigi Maria
755
Longanesi
Leo
34, 361, 449, 587, 590, 665
Longhi
Paolo
94
Longo
Davide Petrarca: ascesa al monte 482 Ventoso
Lorca
Garcia
59, 60
Lorenz
Konrad
35
Louvet
(de) Corvay Jean Baptiste
509
Lowith
Karl Il nichilismo europeo
698
Lucano
645
Lucilio
98
Lucrezio
95
Lutero
Martin
305
Luzzatto
Sergio
728
Mabire
21
Maccado
Antonio
353
Macchiavelli
Nanni
144
Macchiavelli
Niccolò
525, 588, 180, 182
Machado
Antonio
606
Maestri
Roberto Bonifacio di Monferrato 487
Maeterlinch
M.me
432
Magre
Maurice
307
Magris
Claudio
35, 38, 52, 208
Maintenon
(de)
538
Maistre
(de) Joseph
587
Makarescko
Boris
33, 53, 381
Malanima
Paolo Sorella acqua, fratello vento 459
Malaparte
Curzio
495
Malgaroli
Felice Transeuntes italiani emigranti a vita
549
Malherbe
465, 721
Malinot
Jacques
455
Mallorqui
josé
98
Malraux
André
382, 448, 535
Malraux
Francois
359
Malraux
299
Maltese
Curzio
430
Mancinelli
Laura
477
350
Mancuso
Vito
467
Mandel Khan
Gabriele Islam
256
Manilio
148
Mann
Thomas
735
Manzoni
Alessandro
174, 336
Manzoni
Alessandro I promessi sposi
670
Maometto Marai
736 Sando
Marc'Aurelio
265 45, 522
Marchesi
Marcello
31
Marchi
Cesare
22
Marconi
Luca
303
Marias
Xavier
247
Marinetti
Filippo Tommaso Il manifesto del 717 futurismo
Marinone
Renzo
694
Mario
Livio La sezione aurea
288
Marivaux
21
Mark
Karl
150
Markale
Jean
115, 120
Markale
Jean Il mistero dei Druidi
122
Markus
Stanley
57
Marquez
Gabriel Garcia
560, 564
Martino
Giuseppe
695
Marty
Mons.
81
Maruzzi
Pericle
17
Marx
Groucho
34, 300, 301
Marx
Karl
457, 580, 632, 713
Masselli
Domenico
223
Masson
Paul
473, 521
Massucco
Renato
161
Matthiae
Paolo
613
Maugham
Somerset
455, 568
Maupassant
(de) Guy
190, 298, 480, 555, 606, 755
Mauriac
Francois
97, 320, 353
Maurizio
Carmelina
486
Mazzuca
Giancarlo
38
Mc
Gee
57
Mea (della)
Ivan
33
MĂŠautis
George
81
Meredith
George
526
Merton
Thomas
108
Mess
D.
197
Metastasio
Pietro
407
351
Metternich
Klemens
509
Mettrie
(de la) Julien Offray
693
Michelangelo
Bonarotti
511
Michelis
Angela
161
Mikes
George
454
Miller
Henry
22, 588
Milton
352
Minola
Mauro
637
mio
Carabinieri
514
mio
Chartres 2004
116
mio
ComunitĂ Montana valle Susa
122
mio
defecatio
351
mio
FaciliTer
112
mio
Itinerari moto
423
mio
Lettera a Beppe
139
mio
Lettera a Chartres
155
mio
Lettera a Cuneo
130
mio
lettera a La Guida
393
mio
Lettera a Mauro
140
mio
lettera a Odifredi
259
mio
Lettera a Prodi
134
mio
Lettera a Torino
125
mio
Lettera Touring
133
mio
Lettera Trenitalia
126
mio
sogno
423, 610, 684
mio
spaventapasseri
255
mio
107, 160, 631, 642
mio
Epatta
222
mio
lettera
664
mio
Mont Ventoux
695
mio
poesie
184
mio
Questioni
689
mio
Pre-testamento
248
mio
Urna sepolcrale
603
mio
Viaggio a Chartres
100
mio
voto elettronico
208
Mio Dante
38
mio lett. A Luca
58
Mio Lett. Briga
50
Mio lettera
70
Mio Sette mio viaggio Chartres Misterl
5
Jean
80, 447, 509
Molière
(Jean Baptiste Poquelin), detto
305
65
352
Molière
511
Molino
Baldassarre
539
Momigliano
Flaminia
395
Momsen
Teodoro
445
Monnier
Henry
81, 433
Montaigne
(de) Michel
17, 24, 98, 385, 441, 462, 465, 501, 610, 720, 721
Montale
Eugenio
106, 183
Montanelli
Indro
444, 586, 589
Monteith
Henry
36
Monterland
(de) Henri
358
Montesquieu
(de) Charles
448, 532, 585, 721
Montherland
(de) Henri
432, 478, 485, 538, 722
Monti
Vincenti Diogenes
180
Moraldi
Luigi Apocalisse di Pietro e seconda di Giacomo
634
Morand
Paul
27, 444, 454, 537
Moret
Henri
537
Mornay Moser
534 Friedhelm
Motaigne Motu proprio
385 150
Pio IX
Multatuli
246 737
Musil
Robert
735
Musset
(de) Alfred
17, 364, 385, 462, 479, 721
Nabokov
594
Napoleone
20, 63, 95, 448, 490, 500, 512, 524, 527, 537, 585
Napoleone Aforismi
144
Napoleoni
Loretta Economia Canaglia
258
Nathan
George Jean
386
Nepote
Cornelio
60, 634
Neruda
Pablo
204, 376, 593, 743
Nietzsche
Friedrich
144, 147, 150, 191, 309, 369, 431, 433, 461, 474, 509, 519, 523, 527, 532, 666
Nietzsche
Friedrich detti
262, 386
Nietzsche
Friedrich La visione dionisiaca del 550 mondo + altri testi
Nohain
Franc
Novalis
432 161
Nuzzi
Gianluigi
360
O'Shea
Donald
247
Odifredi
Piergiorgio
203, 219, 303
Ojetti
Ugo
363
353
Olivero
Luigi
Omero Onfray
197 Michel Trattato di ateologia
283 2, 60, 124, 149, 198, 363, 413, 433, 512, 522, 593, 644, 646, 647, 649, 651, 654, 655, 657, 658, 687, 708, 710
Orazio Orenco
207, 209
Nico
Origene
640 36
Ormesson
(de) Jean
465
Orwell
George
63, 207, 319, 664, 734
Ottolenghi
Massimo Ribellarsi è giusto
582
Ovidio
Nasone
2, 299, 360, 445, 448, 467, 555, 644, 650, 651, 653, 655, 657, 688, 708, 709
Oz
Amos Contro il fanatismo
668
Paganini
Niccolò
33
Paglieri
Federica
310
Pagnol
Marcel
80
Pannuzio
Silvano
90
Paolo
san
648
Papini
Giovanni
532
Parise
Goffredo
37, 453
Parodi
Massimo
294
Parri
Ferruccio
582
Pascal
Balise
144, 309, 373, 385, 470, 485, 530, 537, 722
Pascal
Blaise Pensieri
72
Pasolini
Pierpaolo
178
Pasquino
189
Pasteur
Louis
533
Pastor
Ben
453
Patroni
Gino
32
Pavarotti
Luciano
33
Pavese
Cesere
58, 587
Pederali
Giuseppe
478
Peers
John
72
Peguy
Charles
441, 456, 721
Pelletan
Eugène
432
Pelt
Jean Marie
142
Pépin
Jean
198
Pericle
489
Perotti
Mario
627
Perrino
Vincenzo
292
Pessoa
Ferdinando
247
Petrarca
Francesco
195, 492
354
Petrini
Carlo
203
Petronio
Arbitro
164, 533, 645, 648, 736
Phillips
Jonathan Sacri guerrieri
595
Piantanida
Donato
35
Picabia
Francis
80, 433, 528
Picasso
Pablo
394, 520
Piccinelli
Franco
458
Pico
Giovanni
107
Pignata
Bruno
562
Pindaro
370
Pirandello
Luigi
567
Pirsig
Robert M. Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta
339
Pitagora
529
Placido
Beniamino
1
Plantard
Pierre
69
Platone
Fedone
568
Platone
Fedro
686
Platone
Georgia, Apologia di Socrate
660
Platone
Repubblica
321
Platone
142, 240, 467, 523, 573, 578, 584, 644, 659, 710, 711
Plauto
644, 653
Plinio
554, 592, 659, 710
Plotino
573
Plutarco
Vite parallele
Plutarco
608 28, 163, 300, 378, 645
Poincaré
Henri
308
Polosa
Antonio
634
Pompadour
30
Pomponio
655, 688
Pontiggia
Giuseppe
497, 640
Pope
Alexandre
363
Popper
Karl
211
Porcela
Enriquez Jardiel
62
Pound
Ezra
452, 499
Powell
William
34
Prévert
Jacques Templiers
30, 53, 165, 204, 300, 535
Prévot
André
309
Procopio
386
Prokoviev
612
Properzio
59
Proust
Marcel
359, 465, 478, 499, 534, 537, 722, 723, 735
proverbi
arabi
171
355
proverbi
21, 48, 62, 81, 376, 394, 610, 658, 710
proverbi Yddisch
50
proverbio
abruzzese
258
proverbio
africano
358
proverbio
africano
407, 408
proverbio
africano
81, 483
Proverbio
arabo
301
proverbio
arabo
64, 65, 513
proverbio
arabo
527,531, 537
proverbio
bambara
298
proverbio
bretone
491
proverbio
cinese
188
proverbio
cinese
381
proverbio
cinese
387
proverbio
cinese
80, 519, 522, 523, 532, 536
proverbio
corso
490, 580
proverbio
curdo
298
proverbio
francese
95, 448, 529, 533, 536
proverbio
gaelico
474
proverbio
giudeo
364
proverbio
giudeo
381
proverbio
giudeo
159, 533
proverbio
greco
299
proverbio
indiano
512
proverbio
inglese
96, 527
proverbio
keniano
387
proverbio
Mali
533
proverbio
medievale
642
proverbio
persiano
528
proverbio
provenzale
358
proverbio
russo
299
proverbio
scandinavo
62, 527
proverbio
spagnolo
522, 525
proverbio
svedese
533
proverbio
tedesco
300
proverbio
indiano
374
proverbio Abissino
59
proverbio Lionnese
97
proverbio Nigeriano
62
proverbio Russo
65
proverbio Turco
95
Ptah-Hotep
461
Publilio
Siro
146, 301, 387, 643, 644, 646, 648, 652, 656, 658, 688, 737
356
Puech
Henri-Charles
Qoélet Querido
446 121
René
177
Quintiliano
2, 144, 302, 387, 653
Racan
463, 722
Racine
Jean
485, 522
Radhabinon
B. Pal
219
Radiguet
Raymond
430
Radiofranceculture
524
Radiorai
60
Radiorai
70, 220
Radiorai1
107, 143
Radiorai2
165, 506
Radiorai3
184, 240, 499, 699
Raiola
Marcella
292
Rajnees Bagvan
Shree
35
Rampini
Francesco
240
Ranzini
Gianluca
434
Ravasi
Gianfranco
126, 596
Reagan
Ronald
491
Reale
108
Reclus
Albino Massimo Il complesso di Telemaco Elise
Reghini
Arturo
22
Renard
Jules
97, 359, 432, 474, 538, 593, 529, 536, 365
Renard
Jules diario
754
Reynière (de la)
Grimod
98
Rezvani
Serge
455
Rhodain
mons.
302
Riberi
Alfonso Maria su
611
Riberi
Alfonso Maria San Dalmazzo
618
Richelieu
(de) card.
511
Richter
Jean-Paul
519
Richter
Joah Friedrich
63
Rigaux
Jean
456
Rilke
Rainer Maria
584
Recalcati
Rimbaud
706 523
37, 441, 471, 721, 722
Ritter
Thelma
467
Rivarol
(de) Antoine
455, 456, 474, 475, 510
Rizzi
Giuseppe
594
Rochefoucauld
(de la) Francois
79, 95, 386, 452, 463, 511, 529, 589
Rodotà
Stefano
612
357
Rodotà
Stefano Perché laico
463
Rog
Paola
107
Roggero
Giancarlo Anima dell'uomo I
263
Roggero
Giancarlo Anima dell'uomo II
287
Roggero
Giancarlo Anima dell'Uomo III
501
Rojas (de)
Fernand
82
Rolland
Jacques Templiers
744
Rolland
Roman
359
Roman
Jules
308
Ronsard
466, 720
Rooselvet
Franklin Delano
457
Rooselvet
Theodore
373
Roqueplan
Nestor
491
Rosano
Bruno
461
Rosenkranz
Karl
78
Rosso
Beppe
636
Rostand
Jean
432
Roth
Joseph
171
Roth
Joseph Das Autodafé des Geistes 732
Roth
Philip
564
Rousseau
Jean jacques
20, 79, 149, 499, 511, 522, 529, 534, 663
Rousseau
Jean Jacques Confessioni
747
Rumiz
Paolo
207
Rumiz
Paolo Annibale
289
Rumiz
Paolo Trans Europe Express
667
Rumiz
Paolo E' oriente
436
Rumiz
Paolo L'Italia in seconda classe
349
Rumiz
Paolo La secessione leggera
489
Russel
Bernard
147
Russel
Bertrand
149, 483, 526, 695
Rutilio
Namanziano
646
Sa'di
591
Sabatier
Robert
500
Saint Exupery
(de) Antoine
11, 56, 359, 378, 590
Sainte-Beuve
Charles Augustine
97
Salacru
Armand
461, 509
Salcrou
A.
31
Salisbury (de)
Jean
53
Sallustio
Crispo
2, 166,297, 580, 675
Salmo
86, 111, 112, 119, 124, 151, 290
Salomone
360
Salvemini
Severino
57
358
San
Agostino
148
San
Clemente
36
San
Giustino
121
San
Ugo
149
San
Paolo
51
Sand
George
462
Sangalli
Maurizio
33
Sanguinetti
Alessandro
95
Santeuil
Jean Baptiste
534, 648
Sanyal
Dubay
21
Sapienza
121
Saramago
José blog vari
507
Sarpi
Paolo
452
Sartori
Giovanni
458
Sartre
Jean Paul
148
Sartre
Jean Paul
510
Sartre
Jean-Paul
528, 579
Sartre
Paul
513
Sasoon
Vidal
510
Sauteron
Jean
474
Sauvy
Alfred
302
Sbarbaro
Camillo
403
Scaraffa
Giuseppe
288
Scarpelli
Umberto
590
Schiffer
Davide Il crepuscolo degli idoli
714
Schiller
Arthur
182
Schiller
Federick
28
Schnitzler
Arthur
525
Scholem
Gershom Zoar il libro dello splendore
730
Scholl
Aurélien
95
Schopenhauer
Arthur
106, 191, 211, 262, 312, 365, 467, 522, 538, 584
Schweitzer
Albert
359
Sciascia
Leonardo
55, 433, 432
Sciascia
Leonardo Toto Modo
734
Sclavi
Tiziano
32
Scola
Ettore
520
Scoto
Eriugene
296
Sebaste
Beppe
460
Secret
Francois
199
Sede (de) Gerard
Templari
66
Segre
Giulio Don Cirillo e il nipotino
665
Ségur
(de) Louis-Philippe
491
Ségur (de)
Paul
23
359
Sella
Emanuele
223
Seneca
Lettera a Lucilio
191
Seneca
Lucio Anneo
263
Seneca
57, 58, 83, 96, 126, 128, 148, 150, 191, 336, 358, 364, 373, 386, 433, 452, 510, 587, 645, 646, 647, 649, 651, 653, 654, 655, 656, 664, 687, 688, 708
Senofane
535
Senofonte
detti memorabili di Socrate
Sentenze
169 1
Sepulveda
Luis Aparain
562
Sermonti
Vittorio
110
Serra
Michele Breviario Comico
368
Sertorio
Luigi
143
Servadio
Emilio
11
Servio
652
Severino
Emanuele
706
Seznec
J.
190
Shakespeare
William
63, 144, 167, 300, 373, 381, 384, 402, 499, 537
Shaw
George Bernard
81, 95, 109, 300, 319, 376, 379, 407, 447, 449, 455, 475, 500, 530
Shaw
George Bernard detti
306
Sheera par
Sadi
110
Shopenhauer
23
Silio
Italico
56
Silone
Ignazio
524
Sinigaglia
Sandro
206
Siracide Skabanech
62, 650 Petr
Slamo
96 203
Slicher
van Bath B.H. Storia agraria dell'Europa occidentale
476
Smilles
Samuel
370
Smith
Adam
500
Socrate Soffici
28, 656 Arturo
107
Sofocle
305, 407, 502
Sofonia
645
Soldini
Pier Angelo
490
Soljentisyne
AndrĂŠ
457
Solsenitsyn
Alexandre
535
Sopkurov
Aleksandr
354
Sordi
Alberto
408
360
Soseki
Narsume
460
Souvré
(de) Madeleine
586
Sparpinato
Roberto
307
Spaziani
Maria Luisa
735
Spencer
Herbert
530
Spinelli
Altiero (Rossi Ernesto) Manifesto 573
Spinosa
656
Sri
Aurobindo
588
Stael
(M.me)
21, 381
Staiano
Corrado
179
Stefano
di Alessandria
297
Steinsalz
Adin Parole semplici
233
Stella
Gian Antonio
631
Stendhal
189, 432
Stevenson
Adlai
528
Stout
Rex
319
Suarés
André
456
Svetonio
646, 648
Svevo
Italo
64, 580, 584
Swift
Jonathan
382, 456, 474, 524, 592
Swinburne
Algernon Charles
512
Tabucchi
Antonio L'oca al passo
388
Tacito
29, 643, 646, 651
Talmud
188, 449
Talvart
Hector
309
Tarantelli
Ezio
124
Tartaro
Achille
151
Tasso
Torquato
33
Tchaikovsky
Peter Ilic
319
Tenderini
Silvia
228
Teocrito
618
Terenzio
Publio
584
Teresa
d'Avila
312
Tertulliano
461
Terzani
Tiziano
134, 370
Terzani
Tiziano Un altro giro di giostra
160
Thierry
Chartres
151
Thoreau
Henry
584
Tinti
Bruno
460
Tinti
Bruno La questione morale
293
Tobia Tobino Todarov
119 Mario Tzvetan Lo spirito dell'illuminismo
505 232
361
Todoros
Tzevetan Lo spirito dell'illuminismo
276
Togliatti
Palmiro presentazione a Germanetto Giovanni
753
Tolstoj
Leone
58
Tolstoj
Lev
370, 734
Tombaccini
Simonetta Fuorusciti italiani
641
Tomberg
Valentin
49
Tomberg
Valentin Considerazioni sull'Apocalisse
504
Tommaso
san
3, 645
Tompknis
Peter
37
Took
Barny
308
Toqueville (de)
Alexis
80, 663
Toscanini
Arturo
58
Tosco
Carlo
637
Totò Toulet
452 Paul-Jean
456, 529
Toulouese-Lautrec (de) Henri
531
Touylet
486
Trasimaco
150
Tremblay
21
Tremonti
Giulio
Trilussa
600 78
Tristan
Bernard
55
Truman
Harry
457
Tucidite
98, 364, 536
Twain
Mark
56, 320, 387, 408, 490, 523, 538, 589
Ungaretti
Giuseppe
59
Ustinov
Peter
525
Vacca
Roberto Orologi
213
Vadislav
Oscar
211
Vaillard
Pierre-Jean
80
Valerio
Massimo
644
Valery
Paul
69, 308, 441, 455, 479, 485, 490, 536, 585, 591
ValĂŠry
Larbaud
532
Valiani
Leo
320
Van Gogh
Vincent
242
vangelo
ebreo
588
Vangelo
532
Vanvenargues
(de) Luc
379
Varglas
Fred
697
Vasoli
Cesare
195
362
Vasto
(del) Lanzo Giuseppe
512
Vauvenargues
(de) Luc
473
Veber
Francis
531
Vega (de)
Lope Felix
97
Venizélos
Elefthéros
510
Venturoli
Daniele
434
Verga
Giovanni
381
Vergassola
Dario
64
Verlaine Veronesi
722 Sandro
Vespasiano
698 456
Vialatte
Alexandre
Viano
Carlo Augusto Laici in ginocchio 380
Viau
298, 447 440, 721
Vico
Giambattista
461
Vigny
(de) Alfred
151, 500, 586
Viola
Beppe
56
Viola
Lele
220
Virgilio
Marone Eneide
414
Virgilio Vitale
4, 59, 147, 648, 651, 657 Marco
Vittore
45 149
Volpi
Franco
110
Voltaire
(Francois Marie Arouet) detto
3, 62, 110, 144, 191, 299, 302, 318, 442, 447, 474, 491, 499, 501, 511, 524, 527, 532, 664
Voltaire
Candido
261
Wachsmuth
G.
162
Wallac
David Forrester
623
Wallace
Edgard
469
Watterson
Bill
306
Weber
Max
352
Weil
Simone
584, 586
Welles
Orson
79, 97
Whichote
Benj
34
White
jr. Tecnica e società nel medioevo 475
White
Tine
454
Wilde
Oscar
58, 149, 587, 590, 594, 735
William Williers
49 (de) Auguste
Willy
500 491, 509
Wilson-Bareau
Jean
407
Wittgenstein
Ludwig
59, 312
Wolinskj
Georges
538
Yannaras
Christos
719
363
Yanne
Jean
299
Yehoshua
Abraham
460
Yougman
Henrich
30
Yourcenar
Marguerite
364, 376, 446, 480
Yourcenar
492
Zafon
Marguerite L'opera al nero Marguerite Le memorie di Adriano Carlos Ruiz
Zagrebelsky
Gustavo Scambiarsi la veste
576
Zagrelbesky
Gustavo Contro l'etica della verità 266
Zagrelbesky
Gustavo Decalogo contro l'apatia 382 politica
Zamacois
Miguel
358
Zappa
Frank
376
Zapponi
Niccolò
632
Zavattero
Irene
303
Zecca
Mario
32
Zefferino
P.
69
Zellini
Paolo
505
Zolo
Danilo
215, 219
Zucca
M.
34
Yourcenar
354 413
Integrazione Indice Mio
Radiorai3
755
Togliatti Palmiro
Germanetto
756
Camilla Piero
Cuneo, storie e storielle
756
Horia Vintila
Dieu est né en éxil
758
Mio
De bello gallico
758
… Nel decidere ogni nostra azione comportiamoci come quando andiamo da un commerciante.. Se desideriamo un oggetto chiediamone il prezzo. Spesso una cosa per cui non abbiamo pagato niente, in realtà ci è costata carissima. Ti potrei mostrare molti esempi di cose che, ricevute come vantaggiose e gratuite, ci hanno tolto la libertà. Saremmo ancora padroni di noi, se codeste cose non fossero diventate nostra. Queste considerazioni devi farle non solo per quanto riguarda gli acquisti, ma anche le perdite. “Perderò questo bene.” Sia pure ma è un bene che viene dal di fuori; potrai vivere senza di esso, come hai già vissuto. Se lo hai posseduto a lungo lo perdi dopo essertene saziato; se no, lo perdi prima che tu vi abbia fatto l’abitudine. “Avrai meno denaro” Sì, ma anche meno molestie. “Diminuirà il tuo prestigio” Sì,
364
ma anche l’invidia. Considera attentamente tutti codesti beni che ci fanno perdere la sanità mentale, e che tuttavia non sappiamo lasciare senza piangere: ti accorgerai che non ti affligge il danno in sé, ma la falsa opinione di soffrire un danno. Non si soffre, in effetti, per la mancanza di questi beni, ma per il pensiero della loro mancanza. Chi ha il possesso di sé non ha perso niente: ma quanti hanno la fortuna di possedere sé stessi? ADDIO. SENECA, Lettera 42 a Lucilio. PERDONO. Le parole contenute nella Sacra Bibbia sono (fonte: sito la Sacra Bibbia edizioni CEI) 33.000 di cui circa il 78% cioè 25.700 appartengono al Vecchio Testamento e circa 7.300 al Nuovo Testamento. Il termine “perdono” si trova 27 volte (16 nel VT e 11 nel NT) sommando però i vari sinonimi quali perdonato, perdonare, perdonate, perdonerà e perdonerò si arriva a totali 90 espressioni di cui 59 nel VT e 31 nel NT Ora 59 su 25.700 corrisponde ad una frequenza dello 0,229 per cento mentre nel NT la frequenza è quasi doppia cioè 0,424. Per quanto mi consta la richiesta di “perdono “ è sempre unilaterale cioè l’empio lo invoca dal Santo: unica eccezione mi pare sia in Giobbe. Più e più testi degli statuti dell’Ordine Diversa è la frequenza del termine “eredità”: 225 totali espressioni di cui 205 nel VT e 20 nel NT e, fatte le considerazioni di cui sopra appare lo 0,797 per cento cioè 3,5 volte tanto rispetto a “perdono” nel VT e 0,273 cioè quasi la metà nel NT. I Templari, Regolamento Delle Sorelle art.70 La compagnia delle donne è pericolosa, poiché il demonio, da sempre loro compagno, ha potuto distogliere molti dalla retta via del paradiso. D’ora in avanti le donne non saranno più accolte nella casa del Tempio in qualità di sorelle; carissimi fratelli, d’ora in avanti converrà abbandonare tale usanza, in modo che il fiore della castità rimanga sempre tra voi. Contro la frequenza delle donne. Art.71. Stimiamo pericoloso per qualunque uomo di religione guardare troppo a lungo il volto femminile. Pertanto nessuno di voi osi baciare una donna, sia essa vedova o fanciulla, sia essa madre, sorella, zia od altro; d’ora in avanti i Cavalieri di Gesù Cristo eviteranno ad ogni costo di baciare le donne, a causa delle quali sovente gli uomini si sono perduti, in modo da rimanere per sempre davanti al volto di Dio, con la coscienza pura e l’animo saldo. Jose Vincenzo Molle, I Templari, La regola e gli Statuti dell’Ordine, ed. Ecig, 1994, trad. Massimo Ortelio. ( Ignoravo esistessero più e più versioni degli Statuti, dei Regolamenti, delle Punizioni; esistono a Digione in francese antico, in Vaticano in latino e in versione tradotta in volgare. Estremamente rigida la regola che ricalca quella dei Benedettini anche perché fu Bernardo di Chiaravalle a dettarla. Estremamente selettiva (solo figli di Cavalieri, liberi, mai
365
sposati, nati da legittimi matrimoni, senza debiti che potessero pregiudicare il Convento) le varie regole sono davvero assolute circa la conduzione della giornata, dei rapporti con i sottoposti (sergenti, turcopoli, servi e schiavi), delle regole in battaglia. Molto analitica la descrizione delle punizioni la cui pena maggiore era la spogliazione dell’abito. Di certo, nei tempi dell’oltremare, hanno scritto pagine mirabili di sacrifici ed olocausti : battaglie disastrose con annientamento totale della guarnigione. Davvero interessante questa lettura).
OPERETTE MORALI: A PROPOSITO DI OROSCOPI, AUGURI, AUSPICI E SIMILI AMENITA'. Mia Ma… Nel decidere ogni nostra azione comportiamoci come quando andiamo da un
commerciante. Se desideriamo un oggetto chiediamone il prezzo. Spesso una cosa per cui non abbiamo pagato niente, in realtà ci è costata carissima. Ti potrei mostrare molti esempi di cose che, ricevute come vantaggiose e gratuite, ci hanno tolto la libertà. Saremmo ancora padroni di noi, se codeste cose non fossero diventate nostra. Queste considerazioni devi farle non solo per quanto riguarda gli acquisti, ma anche le perdite. “Perderò questo bene.” Sia pure ma è un bene che viene dal di fuori; potrai vivere senza di esso, come hai già vissuto. Se lo hai posseduto a lungo lo perdi dopo essertene saziato; se no, lo perdi prima che tu vi abbia fatto l’abitudine. “Avrai meno denaro” Sì, ma anche meno molestie. “Diminuirà il tuo prestigio” Sì, ma anche l’invidia. Considera attentamente tutti codesti beni che ci fanno perdere la sanità mentale, e che tuttavia non sappiamo lasciare senza piangere: ti accorgerai che non ti affligge il danno in sé, ma la falsa opinione di soffrire un danno. Non si soffre, in effetti, per la mancanza di questi beni, ma per il pensiero della loro mancanza. Chi ha il possesso di sé non ha perso niente: ma quanti hanno la fortuna di possedere sé stessi? ADDIO. SENECA, Lettera 42 a Lucilio.
Delle Sorelle art.70 La compagnia delle donne è pericolosa, poiché il demonio, da sempre loro compagno, ha potuto distogliere molti dalla retta via del paradiso. D’ora in avanti le donne non saranno più accolte nella casa del Tempio in qualità di sorelle; carissimi fratelli, d’ora in avanti converrà abbandonare tale usanza, in modo che il fiore della castità rimanga sempre tra voi.
Contro la frequenza delle donne. Art.71.
Stimiamo pericoloso per qualunque uomo di religione guardare troppo a lungo il volto femminile. Pertanto nessuno di voi osi baciare una donna, sia essa vedova o fanciulla, sia essa madre, sorella, zia od altro; d’ora in avanti i Cavalieri di Gesù Cristo eviteranno ad ogni costo di baciare le donne, a causa delle quali sovente gli uomini si sono perduti, in modo da rimanere per sempre davanti al volto di Dio, con la coscienza pura e l’animo saldo. Jose
Vincenzo Molle, I Templari, La regola e gli Statuti dell’Ordine, ed. Ecig, 1994, trad. Massimo Ortelio.
( Ignoravo esistessero più e più versioni degli Statuti, dei
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Regolamenti, delle Punizioni; esistono a Digione in francese antico, in Vaticano in latino e in versione tradotta inl volgare. Estremamente rigida la regola che ricalca quella dei Benedettini anche perché fu Bernardo di Chiaravalle a dettarla. Estremamente selettiva (solo figli di Cavalieri, liberi, mai sposati, nati da legittimi matrimoni, senza debiti che potessero pregiudicare il Convento) le varie regole sono davvero rigide circa la conduzione della giornata, dei rapporti con i sottoposti (sergenti, turcopoli, servi e schiavi), delle regole in battaglia. Molto analitica la descrizione delle punizioni la cui pena maggiore era la spogliazione dell’abito. Di certo, nei tempi dell’oltremare, hanno scritto pagine mirabili di sacrifici ed olocausti : battaglie disastrose con annientamento totale della guarnigione. Davvero interessante questa lettura).
… Nel decidere ogni nostra azione comportiamoci come quando andiamo da un commerciante. Se desideriamo un oggetto chiediamone il prezzo. Spesso una cosa per cui non abbiamo pagato niente, in realtà ci è costata carissima. Ti potrei mostrare molti esempi di cose che, ricevute come vantaggiose e gratuite, ci hanno tolto la libertà. Saremmo ancora padroni di noi, se codeste cose non fossero diventate nostre. Queste considerazioni devi farle non solo per quanto riguarda gli acquisti, ma anche le perdite. “Perderò questo bene.” Sia pure ma è un bene che viene dal di fuori; potrai vivere senza di esso, come hai già vissuto. Se lo hai posseduto a lungo lo perdi dopo essertene saziato; se no, lo perdi prima che tu vi abbia fatto l’abitudine. “Avrai meno denaro” Sì, ma anche meno molestie. “Diminuirà il tuo prestigio” Sì, ma anche l’invidia. Considera attentamente tutti codesti beni che ci fanno perdere la sanità mentale, e che tuttavia non sappiamo lasciare senza piangere: ti accorgerai che non ti affligge il danno in sé, ma la falsa opinione di soffrire un danno. Non si soffre, in effetti, per la mancanza di questi beni, ma per il pensiero della loro mancanza. Chi ha il possesso di sé non ha perso niente: ma quanti hanno la fortuna di possedere sé stessi? ADDIO. SENECA, Lettera 42 a Lucilio.
OPERETTE MORALI: A PROPOSITO DI OROSCOPI, AUGURI, AUSPICI E SIMILI AMENITA'. Mia Ma
23 - DIALOGO di un VENDITORE d’ALMANACCHI e di un PASSEGGERE Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi? Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo? Venditore. Si signore. Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo? Venditore. Oh illustrissimo si, certo. 367
Passeggere. Come quest'anno passato? Venditore. Più più assai. Passeggere. Come quello di là? Venditore. Più più, illustrissimo. Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi? Venditore. Signor no, non mi piacerebbe. Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi? Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo. Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo? Venditore. Io? non saprei. Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice? Venditore. No in verità, illustrissimo. Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero? Venditore. Cotesto si sa. Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste? Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse. Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati? Venditore. Cotesto non vorrei. Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro? Venditore. Lo credo cotesto. Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo? Venditore. Signor no davvero, non tornerei. Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque? Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti. Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo? Venditore. Appunto. Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero? Venditore. Speriamo. Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete. Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi. Passeggere. Ecco trenta soldi. 368
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. La risposta di Cocis del 30 gennaio 2017: Leopardi G. “pensieri”IV La morte non è un male: perché libera l’uomo da tutti i mali, ed insieme coi beni gli toglie i desideri. La vecchiezza è il male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogli gli appetiti; e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza . Stoici vero et Sapientem amaturum esse dicunt amorem ipsum “conatum amicitiae faciendae ex pulchritudinis specie” definunt. (72) Gli Stoici dicono che il Sapiente sarà amante e definiscono l’amore “Una tendenza a fare amicizia derivante (mia opinione: espressione) dalla forma ideale della bellezza”. Se è possibile che esista nella realtà della natura un amore senza preoccupazione, senza impazienza, senza affanno, senza sospiri, sta bene, lo ammetto, poiché è libero da ogni brama; Ma noi stiamo parlando della brama. Se invece esiste un amore -e c’è senza dubbio- che è molto o del tutto simile alla pazzia... Cicerone, Tusculanae Disputationes, Liber IV, XXXIV “Il vero uomo politico è colui che vuole render i cittadini persone dabbene e sottomessi alle leggi” (Aristotele :etica nicomachea ) ---------------------------PERDONO. Le parole contenute nella Sacra Bibbia sono (fonte: sito la Sacra Bibbia edizioni CEI) 33.000 di cui circa il 78% cioè 25.700 appartengono al Vecchio Testamento e circa 7.300 al Nuovo Testamento. Il termine “perdono” si trova 27 volte (16 nel VT e 11 nel NT) sommando però i vari sinonimi quali perdonato, perdonare, perdonate, perdonerà e perdonerò si arriva a totali 90 espressioni di cui 59 nel VT e 31 nel NT Ora 59 su 25.700 corrisponde ad una frequenza dello 0,229 per cento mentre nel NT la frequenza è quasi doppia cioè 0,424. Per quanto mi consta la richiesta di “perdono “ è sempre unilaterale cioè l’empio lo invoca dal Santo: unica eccezione mi pare sia in Giobbe. Più e più testi degli statuti dell’Ordine Diversa è la frequenza del termine “eredità”: 225 totali espressioni di cui 205 nel VT e 20 nel NT e, fatte le considerazioni di cui sopra appare lo 0,797 per cento cioè 3,5 volte tanto rispetto a “perdono” nel VT e 0,273 cioè quasi la metà nel NT.
Da Cocis E’ necessaria una religione civile ??
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Vorrei iniziare queste riflessioni citando un pensiero di Claudio Magris riportato a pagina 179 da Aldo Cazzullo nei “Ragazzi di via Po”……..” Laicità qualsiasi siano il soggetto o l’oggetto: significa libertà del pensiero da ogni condizionamento autoritario, e quindi non esclude e non implica la ricerca e la scoperta di una fede: significa distinzione tra le diverse sfere della vita, ad esempio tra sfera religiosa e politica. ( Occorre).. individuare il limite tra ragione e quello che non è verificabile, tra quel che è oggetto di dimostrazione e quel che è oggetto di fede…... Non c’è opposizione tra religiosità e laicità. L’opposto di laico non è religioso o cattolico, ma clericale. La laicità non ha nulla a che vedere con l’aver fede o non fede. Laicità significa saper mettere il soggetto al nominativo ed il complemento oggetto all’ accusativo” Il termine deriva dal latino che lo mutua dal greco “laikòs” ovvero “popolare, volgare” ma anche “profano” , rimandando a “laos” che sta per “popolo” ossia per chi è escluso dalla cerchia dei sacerdoti. ( Giulio Giorello “Di nessuna chiesa : la libertà del laico pp.45) “Il concetto di “laicità” conosce tre ambiti di applicazione: la politica, la coscienza individuale, l’organizzazione ecclesiastica. Prenderò in considerazione solamente l’accezione politica di laicità che fa riferimento alla distinzione tra sfera politica e religiosa, ed alla conseguente reciproca non-ingerenza nelle istituzioni che presiedono le due sfere: nel caso dell’Italia la non-ingerenza della Chiesa Cattolica con le competenze dello Stato repubblicano e dello Stato repubblicano nelle competenze della Chiesa Cattolica. La Costituzione della R.I. con nota della Corte Costituzionale n.° 203 del 1989 sancisce la LAICITA’ della Repubblica. (art.19: diritto a professare tutte le fedi. Art. 7 Chiesa e stato, ciascuno nel proprio ordine, sono sovrani ed indipendenti) Tale concetto di laicità suppone uno stato laico non confessionale, e si oppone ad uno Stato confessionale, cioè che ammette e professa una precisa religione ed emana leggi in conformità di essa. Come prototipo di stato laico si pensi alla Francia, come prototipo del suo contrario si pensi all’Arabia Saudita o all’Iran, o allo Stato Pontificio che per più di mille anni (728-1870) resse una buona parte dell’Italia……………….La distinzione tra religione e politica risale a Gesù di Nazareth, a quando i Farisei cercarono di metterlo in difficoltà sulla liceità delle tasse dovute ai romani. “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Matteo 22,21)………. Da qui la teoria delle due spade, che riprende in chiave allegorica il passo di Luca 22,38 (“Signore ecco due spade”) per sostenere l’esistenza di due poteri, quello religioso che gestisce il rapporto con il cielo e quello politico che gestisce i rapporti sulla terra, una visione poi consacrata da Agostino d’Ippona nel “de civitate Dei”. Il concetto di “religione civile” si trova espresso in maniera compiuta in Jan Jaques Rousseau nel “Contratto Sociale”(1762) che auspicava di elaborare una “Religione civile” a cui fosse affidato il compito di educare la cittadinanza, all’amor patrio, all’osservanza delle leggi. Il tema della religione civile è stato ampiamente trattato anche da Macchiavelli (con diverse sfaccettature) per solo citarne due fra tanti … J.J. Rousseau in particolare, nel suo “contratto sociale”, valutava di grande importanza la funzione svolta dalla religione specie nell’antichità in rapporto 370
alle leggi, in quanto garantiva, attraverso un’aura di sacralità , la possibilità di rafforzare nei cittadini il senso di appartenenza e quello del bene comune ed ipotizzò , per il suo sistema una serie di pochi dogmi di stampo generale e collettivo cui il popolo dovrebbe adeguarsi, tutti orientati alla crescita comune ed alla difesa dell’individuo, alla sua felicità ed alla punizione dei malvagi. Poneva in particolare evidenza tra gli aspetti negativi la sola intolleranza, sia essa sociale quanto religiosa. Il sociologo americano Robert Bellah, nel ’67 scrisse come la «religione civile» abbia avuto la funzione di elemento unificante della popolazione. Il popolo americano pur provenendo da terre diverse, pur appartenendo a razze diverse, pur professando religioni e riti estremamente diversi tra di loro, ha mantenuto quasi sempre la propria religione d’origine, ma ha adottato la “religione civile” con i suoi riti e simboli: l’inno, la bandiera, le feste nazionali, le parate, il mito del Presidente, non tanto per la sua appartenenza politica o per la sua figura, ma in quanto “Il Presidente”, è il rappresentante di tutto il popolo americano. Il grande potere della “religione civile” americana è stato ed è quello di aver evitato ed evitare conflitti da parte del potere politico con le religioni “religiose”, così come ha evitato e cerca di evitare scontri e conflitti tra le religioni stesse. Al già citato sociologo Bellah pare sia stato richiesto di approfondire l’argomento, trasferendo il suo concetto di “religione civile” all’Italia. Lo stesso ben presto si convinse come in Italia non esistesse una “religione civile” come quella americana. In Italia vi è una sorta di religione civile laica, rileva il Bellah, che ha avuto la propria diffusione con il pensiero massonico, sorta però in antitesi ed in contrapposizione al cattolicesimo. (Allo stesso modo naturalmente sussistono diversi altri movimenti od associazioni che propugnano il raggiungimento di nobili fini ed il bene comune, degli uomini e della nazione, non necessariamente legati alla massoneria). Ed in Italia qual è la situazione ? Esiste una religione civile o vi può esistere? Fatta questa premessa penso che in Italia manchi una “religione civile” capace di legare responsabilmente l’individuo alla società. I padri latini chiamarono “religio” il legame dei singoli che trasforma un “sistema causale” in un “sistema operativo”. Non esiste lingua al mondo che usi l’aggettivo della propria nazionalità per designare qualcosa di imperfetto, di furbesco, come invece facciamo noi dicendo “all’italiana”. Il problema ,in altri termini, è “religioso”, nel senso etimologico del termine “religio”: in Italia, a differenza di altri paesi occidentali, manca una religione civile, capace di legare responsabilmente l’individuo alla società. Di qui il male italiano che è la furbizia. Il furbo è l’intelligente che sbaglia mira…… I tentativi di creare una religione civile in Italia sono stati di due tipi: guelfo e ghibellino. Il primo intende l’etica civile come traduzione diretta del cattolicesimo, mentre il secondo ritiene al contrario che un etica civile potrà sorgere solo al superamento del cattolicesimo, ritenuto il responsabile principale della sua mancanza in Italia, soprattutto per la presenza del papato. Quindi la religione civile è la particolare disposizione della mente per cui un antico romano concepiva Roma più importante di sé, o per cui i politici 371
americani ripetono “God bless America”, sapendo che è l’America l’idea che tiene insieme gli americani. La religione civile è ciò che consente di rispondere alla seguente domanda: “perché devo essere giusto verso la società?, perche devo esserlo quando la mia convenienza mi porterebbe a non esserlo?” Senza questo legame di tipo “religioso” con la società, nessuno sacrifica il proprio “particolare”, nessuno sarà giusto quando non gli conviene esserlo e può permettersi di non esserlo. Per questo la formazione di una religione civile è d’importanza vitale . 3 Marzo 2017 Caro Pierlu, ieri, appena letto l'ottimo lavoro, ti avevo risposto di getto con una serie di considerazioni spontanee e tratte dal cuore. Purtroppo ho dei problemi con le mail per cui è sparito. Ti rispondo allora a freddo. Innanzitutto è davvero ottimo e assolutamente contingente il quesito da Te pòsto essendo, per esempio, le due massime cariche attuali la più pura espressione della DC. (il Governo è retto dal nipote di chi manipolò e redasse il Concordato del 1929) : ma queste sono miserie, alziamo il tiro. Cicerone rappresenta il vertice del pensiero romano laddove, sempre per esempio, (Tusculane, Libro II, V, 14) sfida il suo interlocutore ad indicare il "male" peggiore che possa succedergli: la morte prematura di un figlio, la cecità, la miseria, l'esilio, un morbo estremamente doloroso. Insiste perchè trovi altre cause del "male" ed alla fine gli indica il Disonore. (nota 1) Subito dopo con Giulio Cesare, Marco Antonio, Gneo Pompeo inizia lo sfaldamento concettuale ed ideale della romanità salvo un guizzo con l'età augustea e molto più tardi una fiammata, purtroppo inutile, di un Marco Aurelio. Molto opportunamente citi Jean Jacques Rousseau che nella meschinità e miseria di una vita trascorsa a copiare partiture musicali di altri ad un tot a pagina, ha però veramente aperto gli occhi alla borghesia contemporanea circa gli sviluppi che avrebbero determinato da lì a cinquanta anni la vera rivoluzione. Per fare ciò dovette però scappare in Gran Bretagna e poi in Svizzera per aver salva la pelle. Quasi contemporaneo ma molto più emancipato ed elegante Voltaire diede un ulteriore scrollone al pensiero sociale e politico. Entrambi furono campioni di laicità sgambettando la Chiesa ed il potere in allora esercitato in modo pervasivo e davvero opprimente. E chiudi auspicando il sorgere di una vera religione civile in Italia. Devo purtroppo dirti che sei un eterno Utopista, concettualmente onesto ma impotente. Tutto può succedere ma non la realizzazione del tuo Sogno. Bravo Cocis, mi sei alquanto piaciuto: sei di sicuro stimolo a quell'ambiente che sonnecchia e vivacchia con le gambe sotto la tavola. Prendi la frusta, senza pietà. Un grande fraterno abbraccio. 'l picabale 372
« Un homme ne se mêlant pas de politique mérite de passer, non pour un citoyen paisible, mais pour un citoyen inutile. » Tucidite (479-404 a.C.) La vita la scrivi in brutta copia; non riesci a corregge gli errori e a copiare in bella. (Umberto Saba citato da Mauro Corona) Prima ti ho fatto ridere con quella storia del rancio e delle latrine. Ma ora dovrei dirti un po’ di cose serie. Per esempio che la mia Europa sta perdendo l’anima. Che l’Unione che la rappresenta non è riuscita a dare una lettura sinfonica di quella tua Prima Guerra nel segno della pietà. Che ogni miserabile nazione rievoca quell’evento per conto suo: dovessi dirte che siemo pieni de ladri. Che voi ve mazavi per una trincea e oggi noi se maziemo per un parcheggio. Dovrei raccontarti che siamo più analfabeti, più cretini, nevrotici, arroganti, ridicoli, omologati di voi.. (...) Guardavo come un ebete le tue foto da soldato, senza capire che eri tu che guardavi me. Succede a volte con chi si ama: quando quella persona se ne va, tu pensi di soffrire e invece quella ti fa il nido dentro, e tu non senti più la mancanza. (...) Paolo Rumiz, Come cavalli che dormono in piedi, ed.Universale Economica Feltrinelli, 2016. (come amo questo Autore! Ha la davvero rara virtù e capacità di descrivere e narrare le cose vedendole da dentro e, con pochi tratti la descrive globalmente. Narra qui della vicenda dei Triestini che erano soggetti all’Impero Austriaco quando scoppiò in modo insensato la Prima Guerra, in funzione del delitto di Sarajevo. Ripercorre i vari campi di battaglia ed in particolare quelli della Galizia dove inizialmente si sviluppò, nel vano tentativo di acquisire la Russia. Visita le tombe, recita condiderazioni notevoli sulla stupidità ed insensatezza degli uomini; pone lumini indistintamente ad amici e nemici. Il tutto alla ricerca della tomba del nonno materno)
Inter copula
tra i bicchieri, bicchierata, brindisi
L ‘ uomo ha vita corta. Giobbe XIV, 1 La vita è breve, l’arte è lunga Ippocrate, Aforismi La vita è il sogno di un’ombra.
Pindaro, Pyth, VIII, 136
Labiter occulte, fallitque volubilis aetas. Vassene il tempo e l’uom non se ne avvede. Virgilio, Georgiche XXX,281 La vita fugge e non s’arresta un’ora
Ovidio, Amores, I, 8, 49
Dalla cuna alla tomba è un breve passo. Petrarca, In morte di Laura, 274 Fugge questo reo tempo. Vita fugit sicut umbra. della casa di Beguda
Foscolo, Alla sera cartiglio che avevo posto sotto una meridiana 373
Il pranzo fu, come tutti i pranzi, noioso e falso. Lev Tolstoj, La sonata a Kreutzer La vita è una cosa meravigliosa, ma si poteva fare di meglio. Augusto Frassinetti, Tutto sommato, 1985 L’homme est un misérable tas (mucchio) de petites sécrets André Malraux L’amour, c’est comme le potage: les premières cuillères sont trop chaudes, les dernières trop froides. (Jeanne Moreau deceduta a 89 anni il 31 luglio 2017) ----------------…Quanto a me sono stato indotto a tramandare questa diceria e a dimostrarla infondata per respingere con un esempio insigne le false voci, e per chiedere a coloro, nelle cui mani verrà questa mia fatica, che non antepongano notizie incredibili, avidamente accolte, a quelle vere e non alterate a scopo di destar meraviglia. (Tacito, Annali, Libro IV,11) …In quell’anno (51 d.C.) accaddero molti fatti prodigiosi. Uccelli del malaugurio si posarono sul Campidoglio, crollartono case per frequenti terremoti e nel propagarsi del panico i più deboli vennere schiacciati; anche la scarsezza del raccolto, e la conseguente fame, veniva interpretata come segno soprannaturale. Né vi furono soltanto mute lagnanze: i cittadini circondarono con grida minacciose Claudio, mentre rendeva giustizia, e spintolo al limite del Foro violentemente lo incalzavano, finchè un drappello di soldati gli aperse un varco tra i tumultuanti. (Tacito, Annales, libro XII, 44) …A quanto narra Cuvio, la smania di conservare il potere giunse a tanto in Agrippina, che a mezzo del giorno, quando Nerone era accalorato dal bere e dal mangiare, ripetutamente si offerse a lui già ebbro, adorna e pronta all’incesto. E poiché ormai tutta la corte si accorgeva di quei baci lascivi e di quelle carezze preannunziatrici dell’atto obbrobrioso, Seneca cercò aiuto in una femmina contro le lusinghe femminili e mandò a Nerone la liberta Atte, che, preoccupata a un tempo del proprio danno e del disonore di lui, gli riferisse come per le vanterie della madre l’incesto fosse ormai risaputo, e che i soldati non avrebbero tollerato il comando di un principe sacrilego. Fabio Rustico attribuisce la voglia infame non ad Agrippina, bensì a Nerone, che ne sarebbe stato distolto dall’astuzia della medesima liberta. Ma il racconto di Cluvio è identico a quello che anche gli altri scrittori hanno tramandato, e la voce pubblica è propensa ad accoglierlo; o che una simile mostruosità sia stata realmente concepita da Agrippina, o che il pensiero di quella libidine contro natura sia sembrato più verosimile da parte di colei, che giovanissima aveva commesso stupro conh Lepido (suo cognato) per sete di dominio che, spinta dalla stessa bramosia, era scesa sino ad appagare le voglie di Pallante, e che 374
dalle nozze con lo zio aveva acquistato esperienza di tutte le turpitudini. 3 Quindi Nerone evitava di rimaner solo con lei, e quando esse si recava ai suoi giardini oppure in campagna,sia a Tuscolo, sia a Anzio, lodava il suo proposito di prendere un po di svago. Infine giudicandola pericolosa ovunque si trovasse, decise di ucciderla, incerto solamente se con il veleno, col pugnale o con quale altra forma di violenza (nota mia: troppo bella la descrizione delle trovate e dei falliti tentativi per non leggerla per intero)
(Tacito, Libro XIV, 2 e 3) …Invece le consuetudini patrie, cadute a poco a poco in disuso, ormai rovinavano dalle fondamenta, a causa della corruzione importata; sì che quanto in ogni luogo potesse venir corrotto o corrompere, tutto si vedeva in Roma, e la gioventù degenerava con praticar mode straniere, col darsi alle palestre e all’ozio e ad amori disonesti, incoraggiata dal principe e dal senato, i quali non solo avevano lasciato libero corso ai vizi, ma forzavano i nobili a degradarsi sulla scena, sotto l’abito dell’eloquenza o della poesia. Che altro rimaneva, fuorchè denudarsi e calzare i guantoni e addestrarsi a quelle lotte, anziché alla milizia e al maneggio delle armi? (Tacito, Libro XIV, 20) (Lettura assolutamente bella, affascinante ed educativa questi sedici libri degli Annales. Intanto l’ineccepibile edizione della Utet del 1952, la traduzione affascinante di Azeglia Arici, il maestoso apparato di note. Intanto questo testo fu tratto dal Boccaccio nel 1362 dall’abbazia di Montecassino. Ma la cosa più importante è la sostanza dell’esposizione di Tacito con quel suo descrivere incisivo e preciso dei puri fatti ed accadimenti. E’ un valente sostenitore della civiltà nobile ed antica che deve purtroppo descrivere cose ignobili e di una gravità inaudita. Molto, molto bella lettura)
Armando Massarenti ha curato nel 2006 per l’edizione de Il Sole 24 ore un gran bel volume dedicato a SOCRATE: sono stati stralciati testi di Alessandro Ravera per “La vita, glossario, schede di approfondimento e la cronologia” di Francesco Adorno per “Il pensiero e la storia della critica” e di Gabriele Giannantoni per “Testimonianze da Aristofane e Senofonte ai padri della Chiesa. Opera assolutamente esaustiva e completa con molteplici riferimenti e robustissimo apparato di note. Davvero ricca l’edizione con immagini assolutamente classiche. Seguiranno alcune citazioni:
Ludwig Wittgenstein: Uno dei compiti della filosofia in fondo è appunto quello di sviluppare, per ogni aspetto della vita e della conoscenza, la capacità di fare le domande giuste, evitando di girare a vuoto intorno ai falsi problemi o a questioni mal poste… Bertrand Russel: la filosofia va studiata non per amore delle risposte precise alle domande che essa pone, perché nessuna risposta precisa si può, di regola, conoscere ma piuttosto per amore delle domande stesse; poiché esse ampliano la nostra concezione di ciò che è possibile, arricchiscono la nostra immaginazione e intaccano l’arroganza dogmatica che preclude la mente alla speculazione. Socrate disse ai giudici: “Sciocchi, ancora pochi anni e la natura vi avrebbe risparmiato il fastidio di uccidermi” Narra Plutarco che il quartiere dov’era nato Socrate è formato da un dedalo di viuzze, così strette che, prima di uscire di casa, si bussa alla porta, pevitare di aprirla all’improvviso e andare a sbattere contro un passante o un mulo. Clistene istituì l’istituto dell’ “ostracismo” che prevede che l’assemblea possa decretare l’esilio decennale di un qualunque cittadino, senza che questi abbia compiuto delitto alcuno. Si tratta di una misura preventiva, nata per 375
scoraggiare tentativi di tirannia: trascorsi i dieci anni l’ostracizzato può tornare ad Atene vedendosi riconosciuti appieno tutti i diritti. Nei Memorabili Senofonte mette in bocca a Socrate, dopo che era stato scelto a sorte per fare il reggitore della città “mentre nessuno, per la sua nave, si avvarrebbe di un nocchiero scelto in quel modo”. Platone nel Fedro (276 e 277) mette in bocca a Socrate: “Impegno molto più bello è quando uno, servendosi dell’arte dialettica, prendendo un’anima adatta, vi pianta e vi semina con scienza discorsi che sono capaci di divenire aiuto a se stessi e a chi li ha piantati, e che non sono infruttiferi, ma hanno in sé germi donde scaturiranno altri discorsi piantati in altre persone, discorsi di produrre tali effetti senza mai venir meno e di rendere felici chi ne possiede il dono, per quanto all’uomo è possibile”.Platone in Apologia (33 a-b) fa dire a Socrate ch’egli in realtà non ebbe alcun discepolo, ch’egli non insegno dottrina alcuna, che crcò solo di far pensare la gente con la propria testa :”Io, poi, non sono mai stato maestro di nessuno: solo che, se parlando o attendendo q uella che è la mia funzione, qualcuno mi vuole ascoltare, giovane o vecchio, non ho mai detto di no. Né è vero che io parli qualora ne ricavi guadagno e se non ne ricavi non parli; ugualmente anzi, io sono a disposizione del povero come del ricco, di chiunque mi voglia interrogare e abbia desiderio di ascoltare quello che rispondo. Se poi qualcuno, a causa di questi incontri, diventi uomo dabbene o no, non sarebbe giusto ricadesse su di me la responsabilità, chè a nessuno ho promesso di insegnare né mai ho insegnato una qualche dottrina: e se qualcuno ritiene di aver imparato o udito da me, in privato, cosa che non abbia appresa o ascoltata da tutti gli altri, siate sicuri che costui non dice la verità”. MIGMA Il termine Migma deriva dal verbo mignum, “mescolare”. In Anassagora indica il caos originario contenente i principi di tutte le cose, la cui organizzazione è opera del nous (“intelletto”) sostanza più leggera e sottile delle altre che, non appartenendo al Migma, lo governa. Porfirio (frammento XII Nauck): Per utto ciò che concerne le necessità della vita, egli aveva bisogno di poco per accontentarsi e di modesti mezzi per la vita quotidiana: Del tutto smodato era invece nel godimento dei piaceri venerei, anche se si tenne sempre lontano da ogni oltraggio: non cercò infatti altre donne che non fossero le sue mogli o le prostitute. Ebbe due mogli contemporaneamente: Santippe, ateniese, e con la quale in qualche misura, andava più d’accordo e Mirto, figlia di Aristide e nipote di Lisimaco. E Santippe la prese unendosi con lei e da lei ebbe Lamprocle. Mirto invece la sposò ed ebbe da lei Sofronisco e Menesseno. Epictet (dissertazione IV, I 159-169) e perché tu non creda che io ti presenti l’esempio di un uomo solitario, senza sposa né figli, senza patria né amici né parenti, dai quali poteva essere piegato e distolto dal suo proposito, prendi Socrate e considera che egli ebbe moglie e figli, ma li considerò come estranei: ebbe una patria, come e quando era necessario; ebbe amici e parenti. Ma tutto ciò era subordinato alla legge e alla spontanea obbedienza ad essa. Per questo, quando doveva combattere, partiva per primo e sul campo affrontava il pericolo con sommo sprezzo; ma, mandato dai tiranni ad uccidere Leonte poiché la ritenne una azione turpe, neppure si consigliò, pur sapendo che, nel caso, sarebbe dovuto morire. Che importanza aveva per lui? Altro era quello 376
che lui voleva salvare: non il suo povero corpo, ma la lealtà e il rispetto, cose intoccabile e non subordinate ad alcunchè. Seneca (epistola III, 7) Socrate disse: “Perché ti meravigli se i viaggi non ti giovano a nulla dal momento che porti in giro te stesso? Lo steso motivo che ti costringe a vagare, ti incalza ovunque vai”. Diogene Laerzio, “Vita di Socrate” (nota mia: molto breve e succinta questa biografia , perlopiù espressa in termini negativi). (faccio seguire le poche citazioni precedute dal segno / /Secondo alcuni fu uditore di Anassagora, ma anche di Damone, come afferma Alessandro nelle “Successione dei filosofi”. Dopo la condanna di Anassagora divenne uditore del naturalista Archelao, di cui, secondo Aristosseno fu anche l’ amasio (=amante). Durisio che qgli come servo lavorò in opere di pietra; alcuni affermano che egli scolpì le Cariti, vestite, che sono suòll’Acropoli. Per questo Timone nelle “Silli” scrisse: “E da questi deviò Socrate, lapicida, che di leggi sempre ciarlò, gli Elleni magicamente conquise, maestro nel sottile argomentare, naso fino, stroncatore dei fini dicitori, ironizzatore, attico a metà” /Diceva che per lui era strano che un uomo facilmente dice quanti capi di bestiame possiede, mentre non è disposto a nominare gli amici che possiede: tanto poco conto egli ne fa. /Secondo anche quanto afferma Senofonte nel “Simposio”, lodava l’ozio come il possesso più bello. Diceva che uno solo è il bene, la scienza e uno solo il male, l’ignoranza: ricchezza e nobiltà di natali non conferiscono dignità, piuttosto arrecano danni. /interrogato se bisognasse sposarsi o no, rispose: “In entrambi i casi ti pentirai”. Letteratura gnomologica (= discorso intessuto di sentenze) : Essendo stato chiesto a Socrate cosa fosse la scienza, rispose :”La cura dell’anima” Socrate rispondeva a chi gli chiedeva cosa fosse la felicità: “Un piacere senza rimorso” Socrate disse che la padronanza di sé consiste nel dominare le proprie passioni. Non bisogna ormeggiare la nave ad una sola ancora, né la vita a una sola speranza. Alla città le mura, all’anima l’intelligenza educata offrono ordine e sicurezza. Socrate, interrogati di quali persone fosse più forte il discorso, rispose: “Di quelli alle cui parole seguono i fatti”. Schernito per la nascita plebea da un tale di nobile origine, ma di indole vile, Socrate rispose: “A me è di oltraggio la stirpe, tu alla stirpe sei oltraggio”. Aprendo la bocca del saggio si vedono come statue le bellezze dell’anima, alla guisa dell’ingresso di un tempio. Il saggio raccoglie per il viaggio come per la vita non le provviste di molto valore bensì quelle più necessarie. La vita degli avari ricorda il banchetto funebre: avendo infatti tutto quanto apparecchiato, è priva di chi possa trarre godimento delle cose presenti. Non bisogna chiedere all’avaro la generosità, né a un morto la compagnia. 377
Le vesti lunghe sino ai piedi intralciano l’inceder, le ricchezze eccessive le anime. La ricchezza degli avari non allieta nessuno dei viventi, come il sole dopo il tramonto. Socrate, interrogato in che cosa differisse dagli altri uomini, disse: “Per il fatto che mentre gli altri vivono per mangiare, io mangio per vivere”. Di norma il consiglio di Socrate era tale per cui egli esortava a guardarsi da quante vivande spingono a mangiare senza aver fame, e da quante bevande spingono a bere senza aver sete. Socrate, dunque, alla vista di un tale che si tuffava in acqua e che si preoccupava di essere lodato dagli uomini, disse di meravigliava che non si vergognasse nel comportarsi come un delfino mentre non era capace di comportarsi da uomo. Socrate disse :” E’ bene convivere con una compagna dal carattere forte, al fine di essere temprati; del resto i cavalieri debbono abituarsi a domare i cavalli ribelli: una volta, infatti, soggiogati quelli, domineranno più facilmente anche gli altri”. Socrate, essendogli stato chieso quali fossero gli uomini che si pentono disse: “Coloro che si sposano”. Socrate disse che gli adulteri si comportano come coloro che non vogliono bere dalle acque sorgive ma dall’acqua peggiore e putrida che ne fuoriesce. Quando Socrate ateniese dagli Ateniesi fu condannato a morte, poiché Santippe lamentando si andava dicendo: “Socrate ingiustamente morirai”, egli rispose: “Tu dunque avresti voluto che morissi giustamente?” Socrate, essendogli stato annunziato, mentre discuteva che suo figlio era morto, dopo aver terminato la discussione disse: “Andiamo ad adempiere per Sofronisco ciò che è d’uso”. (segue tutta una sezione delle Epistole pseudo-socratiche) ------------------------------------------------------Michele Serra, Breviario comico, a perpetua memoria, Feltrinelli 2008. (posseggo questo libriccino da sempre ma non vi avevo mai posto mano: peccato perché se le arguzie sono sempre valide, il tempo passato ne allenta il ricordo. Probabilmente sono tratte dalla rubrica fissa che tiene su Repubblica)
2002 Riforma della scuola. Con il nuovo anno scolastico gli studenti italiani troveranno importanti novità, primi frutti della riforma Moratti. Che, come si sa, è un coraggioso esperimento che fonde elementi apparentemente in contrasto: tradizione cattolica italiana e atmosfera da campus americano (la messa sarà in inglese, la Comunione sarà servita con ostie McDonald’s), taglio dei costi e miglioramento del servizio, licenziamento degli insegnanti e loro aumento di numero.. Simbolo di questa riforma saranno i nuovi computer con schermo di lavagna, identici a quelli normali ma senza tastiera: si scrive con il gessetto. Pesano trentotto chili però sonno molto convenienti, la cava di ardesia che ha vinto l’appalto con il ministero si è impegnata a fornire anche il cancellino di pezza. Improbabile, in tempi stretti, l’introduzione dei più moderni computer a calamaio, più costosi e con il difetto di un fortissimo scricchiolio del pennino sullo schermo. Per ottimizzare il tempo, si comincerà a 378
studiare già sullo scuola-bus. La nuova figura dell’autista-tutor (due ruoli, un solo stipendio), reciterà l’Eneide scandendo la difficile metrica latina con il clacson. Cambia la vecchi figura del bidello: anziché con la tradizionale formula della scuola gentiliana, “ragazzi, non fate casino”, il bidello-tutor accoglierà le scolaresche sottolineando le istanze motivazionali della giornata e promuovendo un corretto planning delle attività didattiche. Per svolgere meglio questo difficile compito, il bidello-tutor sarà protetto in guardiole antiproiettile. Qualche polemica per le ore di inglese: sono state ridotte da cinque a una sola, ma il ministero garanrisce le altre quattro a pagamento, a bordo di uno scuolacharter che atterra a Londra e riparte dopo mezz’ora. Sullo stesso modello, saranno differenziati l’orario di base, gratuito, e quello executive, a pagamento. Nell’orario di base le lezioni prevedono banchi, sedie e una cartina geografica d’Europa che penzola lacera dalla parete. Per avere anche l’insegnante bisogna passare alla modalità executive. Con la golden card, ogni studente avrà diritto ad una merendina confezionata a San Patrignano e, durante le interrogazioni, una telefonata ad un numero verde…. (esilarante il seguito) 2004 Scandali sessuali. John Kerry è solo l’ultimo dei politici americani coinvolti in scandali sessuali. Il primo fu il rev. Joshua Moses, gettato dalla Mayflower e annegati a pochi metri dalla costa del New England perché aveva avuto una polluzione notturna sognando il profeta Ezechiele che lo frustava per i suoi peccati. Secondo una biografia non autorizzata, Moses fu giustiziato, in realtà, perché aveva scoperto nella stiva della nave un carico di stagiste clandestine. Era il XVII secolo, e quei severi fondatori, tutti verstiti di nero, con la carnagione cerea, lo sguardo spiritato e una copia della Bibbia in una mano e una torcia nell’altra, (per questo ebbero molte difficoltà nelle manovre di attracco), impressero il loro indelebile marchio nello Spirito Americano. Gli indiani algoncini, che li accolsero festosamente scambiandoli per comparse di un film su Halloween, dovettero ben presto adattarsi ai rigidi costumi sessuali della nuova classe dirigente…. Islam. E’ stato recentemente calcolato che le componenti religiosi e culturali in cui è diviso l’ Islam sono 174 (diventano 175 se si considera anche Franco Cardini). In totale disaccordo l’uno con l’altro, i diversi Islam si combattono da secoli vicendevolmente, e ciascuno ha come attività prediletta il tentativo di sterminare un nemico interno (da qui i numerosi studi che sostengono l’origine islamica della sinistra italiana). Ma una antica profezia araba del VIII secolo cpsì recita: “Verrà il grande Quqbar, e con un solo gesto saprà riunire l’Islam in un solo grande popolo”. L’etimologia Quqbar è controversa: secondo alcuni significa “presidente” e secondo altri “imbecille” e comunque entrambe le interpretazioni convergono sulla figura di George W. Bush. …
Chi è senza speranza, può far tutto, riesce in tutto, ma non lo fa. Alfonso Gatto
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Morire è legge di natura uguale per tutti, ma c’è differenza tra l’oblio e la gloria presso i posteri; e se la medesima fine attende il colpevole e l’innocente, è dell’uomo coraggioso morire per uno scopo. Tacito, Storie, Libro I, 21 Ma Otone accoglieva le predizioni come fondate su conoscenza e monito dei fati, per quell’avidità della natura umana, di credere volentieri a ciò che è oscuro (in nota: degli astrologi o matematici, che interpretavano i sogni e pretendevano di conoscere il destino altrui, desumendolo dall’osservazione delle stelle, Tacito parla anche in Annali II,27. Severe misure contro di esse erano già state prese sotto Augusto e sotto Tiberio; questi aveva però finito per tollerarli. Un grave provvedimento del Senato, sotto Claudio, non aveva avuto applicazione e vano doveva poi restare anche un editto di Vitellio, che a costoro era avversissimo. La piaga della credulità pubblica non fu mai guarita: e qualche imperatore diede il cattivo esempio, operando contrariamente ai divieti). Tacito, Storie, Libro I, 22 Miliario aureo: era una grande colonna, rivestita di piastre di bronzo dorato, che Augusto aveva fatto erigere nell’angolo nord-ovest del Foro Vi erano indicate tutte le vie che da Roma conducevano alle varie Regioni d’Italia, con le distanze in miglia, a partire dalle porte di Roma (in nota) Tra la Giudea e la Siria si trova il Carmelo: è il nome di un monte e di un dio (nota: porta il nome di Carmelo quel contrafforte dell’Antilibano che, prolungandosi in direzione nord-ovest verso il mare, vi forma il promontorio chiamato anch’esso Carmelo. Quanto alla natura del culto che vi si celebrava, si sono fatte diverse ipotesi tuttora discusse). Il dio non ha statua né tempio: solo un’ara e la devozione. In quel luogo, un giorno che Vespasiano faceva un sacrificio volgendo l’animo a segrete speranze, il sacerdote Basilide, dopo aver ripetutamente esaminato le viscere, gli disse: “A qualunque opere cui tu ti accinga, o Vespasiano, sia a costruire una casa, o ad ampiare i tuoi dominii, o ad aumentare il numero dei servi, ti si concede una sede grande, estesissimi confini ed un gran nimero di uomini”. Tacito, Storie, Libro II, 78 Discorso di Ceriale ai Galli: i comandanti e gli imperatori romani sono entrati nella vostra terra e in quella di altri Galli non per brama di conquista, ma perché li imploravano i vostri padri, travagliati dalle discordie fino quasi alla rovina; e i Germani, chiamati in aiuto, avevano imposto il servaggio di ad alleati e nemici, senza distinzione. Con quanti combattimenti contro i Cimbri e i Teutoni, con che gravi fatiche e con quale risultato noi abbiamo condotto le guerre in Germania, è cosa riconosciuta. E certo non per difendere l’Italia ci siamo stanziati sul Reno, ma perché un altro Ariovisto non si non di impadronisse del dominio delle Gallie. O forse credete che Civile e i Batavi e i popoli d’oltre Reno vi amino più di quanto i loro avi abbiano amato i vostri padri e i vostri antenati? Per i Germani, il motivo di passare nelle Gallie è sempre stato il medesimo: arbitrio, avidità e smania di mutar sede. Per farsi padroni di questo terreno fertilissimo e di voi stessi, essi lasciano le loro paludi e i loro deserti; pèrò accampano come pretesto la libertà, e tanti bei nomi. D’altra parte, non c’è mai stato nessuno che, mirando al servaggio degli altri e 380
al predominio per sé, non si servisse di quelle medesime parole. 74 Dispotismi e guerre vi furono sempre nelle Gallie, prima che vi sottoponeste alle nostre leggi. Noi, sebbene tante volte provocati, non abbiamo esercitato il diritto della vittoria se non per aggiungervi quel tanto di aggravio che è necessario ad assicurare la pace; perché non esiste tranquillità per le nazioni disarmate, e non si possono avere armi senza stipendi, né stipendi senza pagamento di tributi. Di ogni altra cosa vi abbiamo fatto partecipi: voi stessi molte volte comandate legioni nostre, voi stessi governate queste ed altre province; non c’è privilegio né esclusione. E quando l’imperatore è uomo degno di lode, ne deriva a voi lo stesso vantaggio che a noi, benchè viviate lontani; mentre i cattivi imperatori colpiscono che è vicino. Sopportate la dissolutezza e l’avidità dei dominatori, come la sterilità o le piogge eccessive, e tutti gli altri flagelli della natura. Finchè vi saranno uomini vi saranno vizi: ma il male non è senza tregua ed compensato dall’avvento di uomini migliori. … Tacito, Storie, Libro IV,73
Emmanuel Hirsch, Imparare a morire … La destituzione del malato non si limita all’ambito della stima di sé. Essa segna la separazione, l’esclusione dal mondo che i vivi abitano. Questa rinuncia obbligata è assimilabile ad una perdita di vita, a una ingiustificabile diminuzione della facoltà di pensare la sopravvivenza, di immaginare la guarigione. La fuga nella malattia prende allora la forma della perdita, del disordine, della dispersione, della rinuncia a se stessi. I malati trovano troppo spesso le discriminazioni sociali, le ingiustizie radicate nella loro vita, la disparità nell’accesso alle cure. L’equità non ha posto nel loro quotidiano. Tali circostanze sono vissute come una autentica condanna alla morte sociale. Queste ripetute squalificazioni accentuano i sentimenti di fragilità, di solitudine e di sofferenza morale. … … La presenza e l’intervento, accanto al malato in fase avanzata o terminale, si rivelano allora una esemplare realizzazione dei valori umani: non coinvolgersi solo con le circostanze immediate, ma trasformare l’atto di sollecitudine nell’impegno visibile che in ogni circostanza vince le tentazioni di desistere, per rendere possibile il superamento dei limiti. Eccoci allora coinvolti in un campo di insospettabili verità, in uno spazio di umanità nel quale si manifesta, con pudore, padronanza di sé, rispetto e onestà, ciò di cui ciascuno ha di più prezioso, di più profondo. Si tratta di dare testimonianza, foss’altro soltanto per ridare senso, valore, importanza, più che gravità, a quel passaggio attraverso la malattia che è meglio vivere insieme. Aprirsi reciprocamente, con completa fiducia e senza piangere inutilmente sulle ferite condivise delle nostre realtà, sulle paure della prospettiva di una scadenza che può rivelarsi fatale non ha abolito quello che siamo e restiamo, malgrado le circostanze: “Vivere è imparare a perdere” ( Rabbi Yossef Rozin, commento al Talmud, Ketouvot 13b). Questo commento al Talmud arricchisce profondamente la nostra comprensione del percorso nella malattia, sotto certi aspetti assimilabile a quello della vita, visto che la separazione o l’interruzione anticipate non 381
compromettono il valore e il senso di una relazione. (riporto una nota a piè di pagina per indicare lo stato dell’arte della legislazione francese: Henri Caivallet, Senato, proposta di legge n. 301 relativa al diritto di vivere la propria morte, unita alla relazione della seduta del 6 aprile 1978: “La mia proposta di legge mira essenzialmente alla presa di coscienza di ciascuno rispetto al suo essere e soprattutto al suo divenire. Essa intende risvegliare lo stoicismo e la lucidità di quanti possono, in ogni momento, cadere in coma e nella sofferenza e, in tal modo, subire ulteriori mali perché presi alla sprovvista. Si tratta di essere un domani in grado di affrontare il pericolo. (…) Non rovesciamo il proposito. La vita rimane la preoccupazione. Scivolare verso la morte, ripeto. I tempi primitivi sono evoluti. L’uomo è prima di tutto un essere dotato di intelligenza e non un essere di carne. Sostenere il contrario ridurrebbe l’uomo a poca cosa”). … La riflessione su quel che vivono le persone disabili resta spesso teorica, ideologica, oppure risente della descrizione mediatica di casi umani specifici, tragici, troppo personali, per non dire teatrali, che molto spesso vengono sfruttati per servire una causa che li riguarda solo indirettamente. Non sarebbe forse più opportuno meditare insieme su ciò che nel percorso di una malattia o nell’esperienza di un handicap spinge a considerare accettabile solamente la morte anticipata, invece di analizzare in profondità quel che rivelano e sollecitano questi avvenimenti manipolati in modo passionale e compassionevole? La morte preferibile a tutto. L’ultima possibilità di essere riconosciuti umani o di esprimere la propria umanità nella richiesta e nel dono della morte? (…) “Il problema è sapere se è meglio continuare a vivere, quali che siano i limiti della vita e le tappe necessarie, o se è meglio smettere di vivere, perché alcuni stati sono detti insopportabili”. (Claude Bruaire, Mèdecine et ethique - Le devoir d’humanitè). (…) Se c’è un diritto della persona in fin di vita, è quello di proseguire l’esistenza fino al limite che auspica, in un contesto favorevole alle esigenze che una simile intenzione sollecita. Si trascura ciò che rappresenta un’esistenza ostacolata e dipendente, duramente colpita dal decorso di una malattia che invade e devasta tutto. E’ opportuno rendere ancora possibile una speranza, un progetto che permetta alla persona di giungere, a seconda dei suoi desideri, al compimento del proprio cammino, della propria opera. Gli ultimi istanti di una esistenza sono una questione al contempo intima e cruciale. Come rispettare la libertà di una persona dipendente a tal punto da una malattia o da una alterazione da non riuscire più a gestirla? Come immaginare, con lei e per lei, quando non si esprime più, le condizioni di una libertà ancora degna di essere vissuta, anche quando in un dato momento l’evoluzione della malattia porterebbe, in modo ambiguo, sproporzionato ed ingiustificato, a non perseverare? (…) Che ne è tuttavia di una libertà umana colpita da una malattia degenerativa fisica o psichica, quando gli elementi di dipendenza diventano tali e tanti da mutare l’interdipendenza in una dipendenza totale, in cui l’espressione dell’alterità si diluisce sino a sparire? (…) Se si tratta di alterazioni psichiche, è importante essere attenti alle ultime fasi di lucidità che obbligano la persona a confrontarsi con la percezione di ciò che sta diventando, con l’angoscia profonda celata da questa esperienza di disapprovazione, di perdizione. Niente ci indica davvero il suo grado di coscienza, di lucidità o di autonomia, il che a volte spinge a 382
impegnarsi in strategie di fuga che gli risparmino un’insopportabile sofferenza. Nei Paesi Bassi, una legislazione favorevole all’eutanasia permette di dar seguito alla richiesta di un depresso o di una persona che desideri metter fine ai suoi giorni già nella fase iniziale del morbo di Alzheimer. (…) Al suo fianco si prova un sentimento ambiguo e paradossale: un’apparente onnipotenza nei confronti dell’altrui vulnerabilità, ma al tempo stesso la sensazione di un limite, di una debolezza, di un’incapacità di definire ed esprimere cosa possa costituire un autentico sostegno. Questo paradosso costituisce precisamente il fondamento di una relazione sempre possibile, quando fragilità e debolezza si scoprono, si sorprendono, si accordano e si uniscono in nome di una umanità e di un destino che cisi sforza di mantenere comune. … E’ un dolore senza voce e senza sbocco, quando la persona non trova nemmeno più le risorse per esprimersi, fare appello, testimoniare. Come raggiungere chi non riesce più a chiedere o esprimere una qualunque cosa? Come condividere ciò che prova e in che modo soccorrerlo? Bisogna rispettare la persona nella dignità della sua vita, ed essere in gradi di accogliere una richiesta forte che necessariamente fa cambiare sia i comportamenti individuali, sia le pratiche professionali. In che senso la persona sofferente ci costringe a prendere posizione nei suoi confronti in una vicinanza, in un’intimità che ci permetta di toccarla? Non c’è qualcun altro che può consolare quando le medicine falliscono? Non abbandonare –sino in fondo- l’altro al suo destino, alla sua morte?. Ultimo soccorso del medico. Emmanuel Levinas …Per non parlare poi della fatica del lutto o della rinascita personale di quanti espongono e giustificano pubblicamente l’omicidio di un congiunto. La loro disperata e dolorosa ricerca di una forma di perdono sociale attraverso una modifica legislativa che li esoneri dalla colpa di un atto trasgressivo dovrebbe perlomeno incitare a non giustificare e a non banalizzare una pratica che prostra infinitamente tutti coloro che ne sono coinvolti. (…) Competenza, rigore, autocontrollo, prudenza, considerazione, disponibilità, umiltà e discrezione condizionano un approccio ospedaliero alla fine di una vita, così come il legislatore ha del resto previsto: “I professionisti della salute mettano in atto tutti i mezzi a loro disposizione per assicurare a ciascuno una vita dignitosa sino alla morte” (legge 2002-303 del 4 marzo 2002 relativa ai diritti dei malati e alla qualità del sistema sanitario). (Fine della vita, interruzione della vita, eutanasia. Comitato etico consultivo nazionale, delibera n. 63 del 27 gennaio 2000 :” La morte assistita resta, quali che siano le giustificazioni, una trasgressione. Ma l’interruzione della rianimazione e l’interruzione della vita conducono a volte ad accettare il paradosso di una trasgressione di ciò che non potrebbe dover trasgredire…) (…) In nome di questa libertà e dei valori che essa porta con sé e tenta di difendere, ritengo che la battaglia meriti di essere combattuta. Non contro l’eutanasia, ma per una vita degna di essere vissuta fino in fondo, o meglio, fino ad un termine atteso senza troppo orrore. Contesto ai propagandisti della morte dignitosa i tentativi di sottometterci alle paure e ai tormenti di cui nutrono i loro discorsi ideologici. Costoro distolgono le energie dal riflettere sulla necessità di una vera cura: espressione al contempo di giustizia, correttezza, rispetto, decenza e fratellanza. Proprio là 383
dove si situano e sono investite le nostre vere responsabilità, al servizio della persona che ci precede –e a volte ci accompagna- nella malattia e nella morte. Emmanuel Hirsch, Imparare a morire, ed. Elliot, 2009, Biblioteca Cn 174 HIR (Intanto l’Autore è Direttore del Dipartimento di Etica Medica all’Università Paris-Sud 11 e dell’Espace éthique de l’Assistence Pubblique – Hospitaux de Paris. E’ inoltre autore di molte pubblicazioni. Ha scritto questo testo molto appassionato facendosi coinvolgere totalmente e si percepisce in modo netto e chiaro che crede fermamente in questo suo lavoro. La prima parte del testo è tradotta male cioè arruffata e non piana. Precisa due volte quale sia il suo approccio all’ “Eutanasia” sostituendo la locuzione con “Omicidio” e “Uccisione” ma poi si adegua, nel rispetto della Legge del 2005 che regolamenta la materia e che permette, previo esame di un Collegio, di sospendere l’erogazione della terapia. Ha esaminato la problematica, sotto tutti gli aspetti morali, etici, filosofici ignorando il risvolto religioso. Dimostra un totale attaccamento al malato e una sincera empatia cercando anche di superare l’impasse dell’impotenza medica a risolvere o giustificare il decorso della patologia. Davvero lodevole il suo impegno. Chiaramente rispetto ed apprezzo questo operare, ci mancherebbe. Quello che personalmente mi sfugge, nonostante trent’anni di studi , confronti e ricerche è il vero senso e significato cioè la definizione della “vita”: se manca concettualmente l’inizio diventa molto relativo il suo ultimo manifestarsi, cioè la morte. In sintesi sono molto più propenso ad una del tutto naturale conclusione).
“Di fronte alla vita il pensiero (…) si dissolve. Per la mente l’onnipresenza del semplice nella molteplicità del sembiante è una contraddizione assoluta, un mistero impenetrabile” Hegel, Jenenser Logik …Conclusa adesso questa pagina che non ha nulla di autobiografico, vorrei ora concentrarmi sul problema trattandolo in modo quanto meno allegorico è possibile. “Vita” è una di quelle parole che chiunque crede di capire, pur non essendo poi in grado di dare una spiegazione ragionevole. (Un po come successe a Sant’Agostino con il termine “Tempo”). Quando tentano di definire la vita, i dizionari inscenano una sorta di pantomima tautologica che ha del grottesco. Certo, fin quando c’era ancora l’anima, era più semplice. Dice il Samuel Johnson, chiaro e conciso: “Life: union and co-operation of soul with body; vitality; animation, opposed to an inanimate stage”. Similmente ancora Sanders: “L’esistere animato, la forza che sottende un siffatto esistere”; Heyne: “Condurre un’esistenza per forza interiore. L’ultimo dei vocabolari apparsi, infine, abbandona ogni tentativo di definizione e si limita, senza rossore, a una tautologia: “Vita: l’essere in vita, esistere”. Solo i francesi (Littré, Robert, Larousse) si sforzano almeno di avvalersi, per definirla, di punti di vista quali l’organizzazione della materia, la presenza di un metabolismo, la capacità di crescita, di riproduzione, ecc. (Mio: Il termine “Vita” nel vocabolario e nella enciclopedia della Treccani offre una amplissima disanima soprattutto scientifica: non arriva mai a definirla se non usando frasi e temi assolutamente ipotetici (vedi)). …E il fatto che vi fossero tante morti diverse, rispetto alla monotonia di una nascita sempre uguale, deve aver generato molto presto nell’uomo la convinzione che la vita è qualche cosa di particolare, molto più accessibile alla fantasia, alla poesia e alla meditazione che alla ricerca. E quindi anche oggi la vita viene ancora definita tramite la morte e la morte attraverso la vita. 384
…A prescindere dalle varie forme metaforiche in cui vengono adoperate le parole “vita” e “morte”, esse hanno anche un significato concreto ed intellegibile per chiunque, nonostante si possa non essere in grado di illustrarlo chiaramente. Una madre che “ha donato la vita al suo bambino” sa benissimo cosa gli ha donato. Del cucciolo che scodinzola allegramente si dice “che è pieno di vita”, ma dopo che i cattivi lo hanno annegato non si dice “è pieno di morte” perché, come anche i bambini sanno, esso non è più qui, è altrove. …Ciò deriva dal fatto che la “vita” in realtà la possiamo riconoscere soltanto da un’unica caratteristica: essa passa, è transeunte. Si potrebbe dire che studiamo la vita perlopiù nella sua antitesi, cioè la”morte”. …Dato che la medicina rappresenta essenzialmente una forma pratica di ars moriendi, può sembrare deplorevole che lo studio dei processi vitali sia stato per molti secoli nelle mani dei medici. In realtà era inevitabile… …La chimica è forse la più concreta di tutte le scienze esatte. Soffre di mal di pancia metafisici meno della maggior parte delle altre scienze. Nessuna di esse può fare a meno di assiomi, neppure la chimica; ma se ne sta approfittare meglio di quanto sappia fare, per esempio la fisica. …Ma tra lo spiegare e il capire c’è una bella differenza; ed io ho mai capito come si possa avere il coraggio di spiegare ad altri qualcosa che non si capisce. Eppure nella biologia le cose stanno esattamente così. E dato che essa, in tutto quello che fa, ha sempre toni trionfalistici, non è possibile tenerle testa. A volte accade, tuttavia, che lo specialista si riveli in tutta la sua nudità, come per esempio nei numerosi “episodi” (un nuovo sinonimo di “incidente”) avvenuto nelle centrali nucleari; e io, allora, acquisto nuovo coraggio. Fino a oggi, comunque, la scienza ha distrutto più vite di quante ne abbia create. …La diatriba tra i due schieramenti si può ricondurre grosso modo alla seguente equazione: Vita = fisica + chimica + x+ y+ z. I riduzionisti negano l’esistenza di x,y e z, ed ammettono tutt’al più che nella chimica e nella fisica non siamo giunti ancora alla spiegazione definitiva. Ciò che si cela dietro alle incognite, dicono, è quello che si può definire l’organizzazione della cellula. …A mio avviso abbiamo una concezione della vita troppo limitata e le nostre scienze biologiche sono concentrate sull’attimo. Si potrebbe dire che la vita viene percepita soltanto come divenire e il mondo inorganico come l’essere. Ma il passaggio dall’uno all’altro ci rimane per lo più oscuro. Quando la creatura vivente muore, smette di divenire e, decomponendosi, passa all’essere. Non c’è niente e nessuno che abbia percorso la via inversa. …”E allora, cos’è la vita?” mi chiede il laureando annoiato. Al contrario di Schrodinger posso solo rispondere: “Lo so perché non lo so; lo capisco perché non lo capisco” Al pari di Lessing antepongo di gran lunga la ricerca della verità al possesso di essa, poiché il desiderio e lo struggimento sono parte ben più grande della vita di quanto non sia l’appagamento, il conseguimento. Leggere il libro della vita può essere un gran diletto ed una esperienza entusiasmante ; ma soltanto se ci si astiene dall’adornare ogni pagina con annotazioni a margine e con correzioni, e ancor di più con lo strapparle e gettarle via dopo la lettura. …l ‘origine dei progressi culturali preistorici non è stata, certamente, la serie di conoscenze né l’esigenza di codificare il sapere. e’ risaputo che alcune scimmie 385
sono in grado di fabbricare utensili, ma l’idea di venderli è venuta solo all’uomo. tuttavia, non credo che si possa dire che la tecnica sia la madre delle scienze “pure”, ma la fantasia piuttosto. …non avrei scritto questo saggio se non fossi convinto che la profezia del tramonto sia in procinto di avverarsi (nota mia: ha pubblicato questo testo ai 75 anni, probabilmente gia irrancidito chissà per cosa…) le scienze naturali –e in misura minore forse tutte le altre scienze- si trovano immerse in una crisi, alle cui origini non si può risalire mediante la sociologia, l’economia o la politica: si tratta piuttosto di un conato di vomito metafisico. questo rovistare nelle ceneri dell’illuminismo su cui ormai è calata l’oscurità, e ci rende sempre più potenti e sempre più poveri, ha perso quasi del tutto la sua attrattiva. naturalmente la perseveranza dimostrata da una armata di usufruttuari è grande; ma basta parlare con i giovani per rendersi conto di come sia radicalmente cambiata la situazione negli ultimi 25 anni. il fascino di ciò che simone weil ha definito un gioco di scacchi, non è ancora del tutto scomparso, nella fisica, nella chimica, nell’astronomia, nella geologia, nella biologia e così via, c’è probabilmente molto ancora da fare, e in alcune scienze probabilmente ancor più di prima: un modo di appagare la curiosità, che forse non è proprio una delle più nobili passioni dell’uomo, lo si trova sempre. Erwin Chargaff, Mistero impenetrabile, ed. Lindau, 2009 (prima edizione a New York nel 1980).( Nato nel 1905 a Czmorwitz, città dell’impero austroungarico oggi in Ucraina, morto a New York nel 2002, è considerato uno dei padri della biologia molecolare contemporanea: i suoi studi sull’acido desossiribonucleico furono determinanti per la scoperta della struttura a doppia elica del DNA che fruttò ad altri il Nobel per la medicina nel 1962. Per molti anni direttore dell’Istituto di biochimica della Columbia University di N.Y e membro della National Academy of Sciences di Washington. Ha all’attivo oltre 300 pubblicazioni scientifiche, ha scritto anche libri di saggistica, di epistemologia e di aforismi. Davvero una mente superiore (ho fatto invano alcune ricerche per appurare se era ebreo in quanto ha vagato dall’Ucraina alla Germania e quindi negli States, ma soprattutto perché è troppo intelligente) è di base un chimico prestato poi alla biochimica e alla biologia delle quali alla fine ha verificato la vanità. Ho tralasciato gran parte del testo in quanto troppo scientificamente (per me) approfondito, gli concedo il beneficio che abbia detto la verità. Fa da compendio al commento al libro di Emmanuel Hirchs, Imparare a morire che mi aveva posto il grande interrogativo sulla definizione di “vita”. Neanche qui c’è una qualche soluzione per cui il mistero è davvero impenetrabile e resto quindi pieno di curiosità).
-----------------------------Egregio Signor Presidente Consiglio Ministri. Roma Caro Matteo, Un Cuneese illuminato, tale Siccardi, propose e fece approvare dal Parlamento (nota 1) una Legge che prese il suo nome. (n. 1013 del 9 aprile 1850) La legge, e due successive integrazioni, prevedeva oltre all'eliminazione del Foro Ecclesiastico e del diritto d'asilo, la cosidetta "manomorta" e cioè il divieto di ricevere donazioni e lasciti testamentari, salvo preventiva autorizzazione dell'Autorità civile. 386
Nel 1866 furono aboliti tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose ed i beni furono "incamerati" dal Demanio del Regno concedendo loro una "rendita" sul valore patrimoniale sottratto pari al 5%. (nota 2) Tutto ciò premesso, se per effetto di una Legge fosse "incamerato" il patrimonio finanziario e quello immobiliare degli Enti Religiosi fosse messo sul mercato, si otterrebbe un gettito superiore alla metà del Debito Pubblico ed avanzerebbe parecchio per aiutare in modo organico ed istituzionale la "povertà"; ma finalmente si potrebbero impostare e realizzare opere pubbliche funzionali con conseguente accellerazione su tutta l'economia nazionale. Va da sè che tale ipotetica soluzione implica la massima segretezza nella fase preparatoria ad evitare preventive spogliazioni. (nota 3,4,5). Con grande stima. pierluigi revelli, 23 regione monserrato, 12011 borgo san dalmazzo (cn), tel 328 6256515 (spedito nel 2015, a luglio 2017 inoltrato a Bernardi e all’on. Chiara Gribaudo, il 2 nov. 2017 inoltrato a segretario@partitodemocratico.it) nota 1 -la Legge fu approvata a larga maggioranza, ivi compresa la più parte del partito cattolico. nota 2 -nel giro di un ventennio i Religiosi del Regno passarono da 33mila a 9mila. nota 3 -con l'attuale Papa non è da escludere una reazione morbida. nota 4 -ricadute di carattere religioso sul proponente (= scomunica) fanno sì che chieda che la si chiami "legge Revelli". nota 5 -tutte le minoranze interne ed esterne sarebbero, loro malgrado, spiazzate e consenzienti (escluso Casini et similaria). ----------------------------------------------------Intanto venivano esatte con grande rigore in tutta la provincia le somme di denaro che erano state imposte. Inoltre molti altri gravami venivano escogitati, secondo le classi dei cittadini, per soddisfare l’ingordigia di denaro. Si imponevano tributi per ogni individuo, libero o schiavo; si ordinavano imposte sulle colonne, sulle porte, sul frumento, sui soldati, sulle armi, sui remiganti, sulle macchine da guerra, sui trasporti; appena si trovava un nome, era sufficiente per esigere del denaro. Non solo nelle città, ma direi anche nei villaggi e nello borgate si ponevano dei capi con comando militare. Tra costoro chi agiva con maggior crudeltà e violenza era ritenuto uomo e cittadino esemplare. La provincia era piena di littori che portavano ordini, di prefetti e di esattori, che oltre al recupero delle somme comandate badavano anche al proprio guadagno; andavano dicendo, infatti, che essi erano stati espulsi dalla patria e dalle proprie case e mancavano di ogni cosa, per coprire le loro turpi spoliazioni con un pretesto plausibile. Si aggiungevano a questo i gravosi interessi, che in guerra suole per lo più accadere quando si impongono tasse a tutti, tanto che la dilazione di un sol giorno nel pagamento la chiamavano un 387
dono. Cesare, La guerra civile, Libro III, 32 (l’episodio riportato si riferisce a Scipione che agiva nella zona di Efeso) (è noto che questi commentarii non sono stati scritti da Cesare bensì, sotto il suo controllo da un certo Irzio: si vede subito infatti che lo stile, il tono ed il contesto narrativo è assolutamente diverso e privo di pathos, di efficacia narrativa rispetto ai Commentarii della guerra Gallica) (Lode a questa edizione della Utet del 1951 a cura di Raffaele Ciaffi: a parte l’accuratezza del testo è davvero notevole la ricchezza e la completezza delle note e dei commenti). Ungaretti, ed. Il Sole 24 Ore, 2007 (un testo superbo ed ineccepibile che si divide in tre sezioni: Vita e poetica a cura di Anna de Simone, Opere scelte e Apparati. Inutile discettare e discutere sulle singole poesie e sul contesto generale di una maledetta guerra. Bello, davvero bello).
Ciò che ha valore intrinseco, per Kant, non sono le nostre vite, ma il nostro essere persone (l’umanità che è in noi) ; il nostro essere persona e la nostra vita non sono la stessa cosa. Per questo motivo, come Kant spiega nelle sue Lezioni di Etica: “in sé e per sé la vita non può avere alcun prezzo, e dovrei cercare di preservarla solo nella misura in cui sono degno di viverla”. In alcune circostanze, il rispetto dovuto all’umanità che è in noi renderà necessario abbandonare le nostre vite: “Il punto essenziale è questo, che l’umanità nella nostra persona è un oggetto che merita il rispetto più alto e costituisce in noi qualcosa di inviolabile. Nei casi in cui si disonorerebbe, l’uomo è tenuto a sacrificare la propria vita piuttosto che degradare l’umanità nella sua persona; egli, cioè, onorerà l’umanità nella sua persona perché lo sia dagli altri. Se non può preservare altrimenti la propria vita se non degradando la propria umanità, l’uomo deve piuttosto sacrificarla; così facendo, senza dubbio egli mette in pericolo la propria esistenza animale e tuttavia sente che, finchè ha vissuto, ha vissuto degnamente” (Kant, Lezioni di Etica, pag.178-179). Dal momento che la persona non si identifica con la sua esistenza fisica, nel suicidio ciò che è sbagliato non è “la distruzione di un essere razionale”. Il suicidio è proibito piuttosto, perché è disonorevole, ovvero non onora l’umanità che risiede nelle propria persona. (…) Per quanto la mia posizione si avvicini a quella di Kant nell’opporsi all’evidente nozione di senso comune dell’umanesimo morale, è molto distante da essa in molti altri punti… La dignità (nel senso di essere trattati con rispetto per la propria umanità) non è quella base fondamentale per i diritti umani che l’uso kantiano (o cattolico) del termine sembrerebbe implicare. La sofferenza, dal mio punto di vista, è un male, e l’amore è un bene, e non in virtù, come implicherebbe la teoria kantiana, della relazione che intrattengono con qualcos’altro; né tutte le violazioni dei diritti fondamentali costituiscono delle offese solo dal punto di vista simbolico, per quanto scioccanti queste violazioni della dignità possano essere (pensate alle vergognose foto della prigione di Abu Ghraib). Se vengo torturato, patisco senz’altro una umiliazione, ma il danno che subisco non consiste soltanto in questo: devo sopportare una atroce sofferenza e vengo privato del mio autocontrollo. (…) Ciò che esprime disprezzo per gli esseri umani varia, naturalmente, secondo le culture ed i contesti, ma alcuni temi 388
sono sorprendentemente simili. Quando vi sono chiari confini tra uno status sociale e un altro, deprivare qualcuno della propria dignità vuol dire trattarlo in modo da attribuirgli uno status sociale molto basso, ovvero, in senso letterale, in modo degradante. Un’altra caratteristica comune (che risale, come abbiamo visto al De officiis di Cicerone) è che la dignità umana si esprime in quei comportamenti che distinguono gli esseri umani dagli animali, per esempio, nella postura eretta, nell’indossare vestiti, nel mangiare secondo un codice di buone maniere, nel defecare o nel copulare in privato: è ciò cui mirano i torturatori e gli assassini. La retorica della propaganda genocida è fin troppo prevedibile nella negazione dell’umanità delle vittime, dalle vignette sugli ebrei, fino al modo in cui gli Hutu etichettavano i Tutzi del Ruanda: “scarafaggi”. Come Shiller ha spiegato, il rispetto per l’umanità richiede di riconoscere i valori degli essere umani anche (o specialmente) quando alcuni aspetti “volgari” della nostra natura animale sono ineludibili, come in contesti di morte o di sofferenza. Michael Rosen, Dignità storia e significato, ed. Codice, 2013 (l’Autore è un filosofo politico inglese che insegna Scienze Politiche all’Università di Harvard. Ha scritto un testo tipicamente accademico evitando però forme gergali specifiche (merito forse del traduttore Francesco Rende) pulito, paradigmatico partendo da una ricerca che oggi internet mette a disposizione: non sono riuscito a capire quale sia stato il suo apporto. Ha illustrato il concetto di dignità partendo da quanto affermato dai vari filosofi nel corso dei secoli aggiungendo parecchio materiale tratto dalle encicliche (Veritatis Splendor del 1993, Evangelium Vitae del 1995 e il Catechismo) mettendo questi testi a confronto con opere antecedenti di almeno due secoli (es. Kant che è morto nel 1804) quindi entità non omogenee. Bel lavoro indubbiamente ma privo di animus. ) Bibliot.cn 179 ROS
DEMOCRAZIA Esiste ancora? Il concetto e la realtà non sono molto attenuate dalla scarsa propensione a esprimere il voto? Contromisure: a) Chi si rifiuta di votare per 2 volte consecutive alle elezioni politiche, amministrative o ai referendum viene sospeso dal diritto di voto. b) Chi è sospeso dal diritto di voto non può ricoprire alcuna carica pubblica né privata (che abbia risvolti pubblici quali, per es, amministratore o dirigente o responsabile di aziende iscritte ai pubblici registri). c) Non può prendere la parola né manifestare la propria opinione o pensiero in nessun dibattito pubblico. Le Amministrazioni comunali, provinciali e regionali riceveranno una retrocessione da parte del rispettivo Ente afferente in misura percentuale alla partecipazione al voto delle singole comunità (fatto salvo un 10-15% di fisiologica impossibilità). 389
Revoca della sospensione del diritto di voto: chi ha perso il diritto di votare può, previa formale domanda , accedere e sottoporsi ad un esame scritto concernente la Costituzione della Repubblica Italiana e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Come seconda prova sosterrà un colloquio con un insegnante di materie letterarie onde accertare l’idoneità del richiedente a vivere in un contesto civile. Come si può votare: con una irrilevante modifica strutturale l’Elettore accede ad un qualsiasi sportello telematico bancario ed inserire la scheda che lo identifica. Apparirà la schermata della scheda elettorale specifica del Comune di residenza. L’Elettore che si trova all’estero accede ad un qualsiasi bancomat. Particolare attenzione sarà posta ai criteri di sicurezza a garanzia della segretezza del voto espresso. Borgo san Dalmazzo, 25 novembre 2017 ---------------------------------Emanuele Narducci, Cicerone, la parola e la politica Chi uccide un proscritto, ce ne porti la testa; per ciascuna di queste i liberi riceveranno come ricompensa 25.000 dragme attiche; gli schiavi riceveranno la libertà, 10.000 dragme attiche e i diritti di cittadinanza dei loro padroni. Le medesime riconoscenze saranno riconosciute ai delatori. Nessuna menzione sarà fatta nei nostri registri di coloro che riceveranno queste somme, affinchè non ne sia riconosciuta l’identità. (Editto triumvirale di Antonio, Lepido e Ottaviano. Appiano, Guerre Civili, IV, 11-44). Alcuni vennero messi a morte contro il volere dei triunviri, per errore o per le trame dei loro nemici. Il cadavere di chi non era stato proscritto si riconosceva perché gli restava la testa, mentre quelle dei proscritti erano esposte nel Fori, presso la tribuna, dove occorreva portarle per riscuotere la ricompensa promessa (Appiano, Guerre Civili, IV, 15-58 Marco Cicerone, quando i triumviri erano ormai vicini a Roma, se ne era allontanato, avendo per certo (…) di non potersi sottrarre ad Antonio così come Bruto e Cassio non potevano sottrarsi a Ottaviano. Dapprima si rifugiò nella sua villa di Tuscolo, poi, per strade traverse, in quella di Formia, con l’intenzione di imbarcarsi a Gaeta. Cercò più volte di prendere il largo, ma i venti avversi lo sospingevano indietro, ed egli non riusciva a tollerare il rullio della nave, provocato dal continuo accavallarsi delle onde. Fu allora preso dal tedio per quella sua fuga, e dalla stanchezza per la stessa vita. Tornato in villa, che dista poco più di un miglio dalla spiaggia, disse: “Che io muoia nella patria che tante volte ho salvato!” Risulta in modo attendibile che i suoi schiavi erano pronti a battersi con coraggio e fedeltà; ma egli ordinò di porre al suolo la lettiga, e di accettare con rassegnazione quanto un destino iniquo imponeva. Si spose fuori dalla lettiga e porse la nuca ben ferma; il capo gli venne mozzato. E ciò non fu abbastanza per la stolida brutalità di quei soldati. Gli 390
troncarono anche le mani; incolpandole di aver scritto contro Antonio. Così il capo venne portato ad Antonio, e per suo ordine pòsto sui Rostri in mezzo alle due mani: proprio nel luogo in cui egli, da console, e da ex-console, e in quello stesso anno parlando contro Antonio, tante volte si era fatto ascoltare, con una ammirazione per la sua eloquenza mai goduta da altra voce umana. La gente, con gli occhi pieni di lacrime, non ce la faceva ad alzare lo sguardo sui resti di quel concittadino massacrato. (…) Visse sessantatre anni, sicchè, se non fosse stata violenta, la sua morte non si potrebbe neanche giudicare immatura. Fu di ingegno felicissimo per abbondanza di opere e di riconoscimenti; godette a lungo di sorte prospera, ma in questa sua lunga esistenza felice fu talvolta colpito da gravi ferite: l’esilio, il crollo del partito col quale era schierato, la morte così dolorosa e precoce, della figlia tanto amata. Nessuna di queste avversità egli seppe affrontare in maniera degna di un uomo, con l’eccezione della morte. E questa, considerandola senza pregiudizio, poteva apparire meno immeritata, in quanto da parte del nemico vincitore non aveva subito niente di più crudele di ciò che egli stesso, se si fosse trovato nella medesima condizione, avrebbe inflitto al nemico vinto. A voler tuttavia bilanciare i vizi con le virtù, fu uomo grande e degno di memoria: enumerare per esteso i suoi meriti richiederebbe un Cicerone per tesserne eloquentemente l’elogio. Tito Livio, frammento dal Libro 120 dei libri Ab urbe condita, citato in Seneca padre, Suasoriae 6, 17:22 Cicerone si trovava in compagnia del fratello nella sua villa di Tuscolo. Avuta notizia della proscrizione, decisero di passare ad Astura –una proprietà di Cicerone in riva al mare- e di là fare vela verso l Macedonia, per raggiungere Bruto, il quale, secondo notizie che arrivavano ormai frequenti, aveva là raccolto grandi forze. Venivano trasportati in lettighe, stremati dall’angoscia; durante il viaggio facevano delle soste e, collocate le lettighe fianco a fianco, lamentavano insieme le proprie sventure. Il più abbattuto era Quinto, tormentato dall’idea del loro stato di indigenza; andandosene da casa, non aveva preso niente con sé, ed anche Cicerone era a corto di quanto occorresse per il viaggio; era quindi meglio che Cicerone accelerasse la fuga, e che lui tornasse indietro, per poi raggiungerlo dopo aver preso da casa il necessario. Così si risolsero a fare, e si separarono dopo essersi abbracciati tra le lacrime. Dopo pochi giorni Quinto, consegnato per tradimento degli schiavi a quelli che lo cercavano, venne ucciso insieme col figlio. Cicerone invece arrivò ad Astura e, trovata una imbarcazione, subito prese il mare e lo costeggiò sino al Circeo, col favore del vento. Di là i marinai volevano prendere il largo immediatamente, ma egli, per timore del mare, o forse perché non aveva ancora del tutto perduto la fiducia nella lealtà di Ottaviano, sbarcò e percorse a piedi cento stadi, come se volesse dirigersi verso Rom. Poi, tra molti ondeggiamenti, cambiò parere e ridiscese al mare, verso Astura. Quindi passò la notte tra terribili pensieri, senza trovare una via di uscita; pensò addirittura di andare di nascosto sino alla casa di Ottaviano, e lì uccidersi sul focolare domestico, per attirarvi il demone della vendetta. Ma il timore di esser messo alla tortura lo distolse anche da questa idea; nella sua mente si susseguivano propositi affannosi e contrastanti, finchè si affidò agli schiavi perché lo portassero a Gaeta per mare; là aveva delle terra e un ritiro per la calura 391
estiva, gradevole quanto più piacevolmente spirano i venti etesii. In quel luogo vi è anche un tempio di Apollo, in posizione di poco elevata sul mare. Di qui si sollevò gracchiando uno stormo di corvi, e si diresse verso l’imbarcazione di Cicerone, che a forza di remi si avvicinava a terra; posatisi sul pennone da entrambe le parti, alcuni si misero a far strepito, altri a beccare i capi delle funi; e ciò apparve a tutti presagio infausto. Cicerone sbarcò, entrò nella villa e si coricò per riposare. Ma i corvi si addensarono in gran numero sulla finestra, schiamazzando rumorosamente; uno di loro scese sul lettuccio dove Cicerone giaceva e tento di sollevare con il becco la veste con la quale si era coperto il volto. Vedendo ciò gli schiavi si rimproverarono di restare inerti ad attendere di essere spettatori della morte del loro padrone: mentre degli animali gli venivano in soccorso e si prendevano cura di luii nell’immediata sventura, essi non provvedevano a metterlo in salvo; e allora un po pregandolo e un po a forza, lo portarono in lettiga verso il mare. Nel frattempo giunsero i sicari; il centurione Erennio, il tribuno militare Popillio, che Cicerone aveva una volta difeso in un processo per parricidio e alcuni subalterni. Trovarono le porte sprangate e le sfondarono; ma Cicerone non si trovava, e quanti erano in casa affermavano di ignorare dove fosse. Si dice di un giovinetto, liberto del fratello Quinto, di nome Filologo, che era stato Educato da Cicerone nelle lettere e nelle scienze liberali, abbia rivelato al tribuno che la lettiga stava scendendo verso il mare nell’ombra dei viale alberati. Il tribuno, con pochi soldati, fece di corsa il giro della villa dirigendosi verso l’uscita, mentre Erennio si slanciava lungo i viali. Cicerone si avvide del suo arrivo, e immediatamente ordinò agli schiavi di deporre a terra la lettiga. Poi, toccandosi con un gesto che gli era consueto, il mento con la sinistra, guadò fisso i suoi sicari, con i capelli impolverati che gli ricadeva scomposta sul volto devastato dall’angoscia; tanto che tutti si coprirono il viso quando Erennio lo sgozzò. Venne scannato mentre propendeva il collo fuori dalla lettiga: aveva sessantatre anni. Per ordine di Antonio gli mozzarono la testa e le mani, con le quali aveva scritto le Filippiche (…) Quando le stremità troncate del corpo di Cicerone furono portate a Roma, Antonio stava attendendo all’elezione di alcuni magistrati. Appena fu informato e le vide, gridò forte che le proscrizioni potevano aver fine. Ordinò cjhe la tesyta e le mani fossero appese sui Rostri della tribuna: spettacolo orripilante per i romani, ai quali pareva di avere di fronte non il volto di Cicerone, ma l’immagine dell’animo di Antonio. Peraltro almeno una cosa Antonio fece con un certo tipo di giustizia: consegnò Filologo nelle mani di Pomponia, moglie di Quinto. La donna, divenuta così padrona del suo corpo, tra le altre terribili pene che gli inflisse, lo costrinse a tagliarsi a piccole fette le proprie carni e arrostirle e a mangiarle. Così riferiscono alcuni storici; ma Tirone, il liberto di Cicerone, non accenna minimamente neppure al tradimento di Filologo. Ho saputo che molti anni dopo questi avvenimenti, Augusto andò a trovare uno dei suoi nipoti per parte della figlia; questi aveva tra le mani un libro di Cicerone, ma per timore se lo nascose sotto la veste. Augusto se ne accorse, gli prese il rotolo e, in piedi com’era, ne lesse buona parte; quindi lo restituì al giovane dicendo: “Un uomo di grande sapere, ragazzo mio, di grande sapere e devoto alla patria”. Plutarco, Vita di Cicerone 47 segg. 392
Il prestigio di Cicerone si basava sui numerosissimi processi politici dalla vasta risonanza che lo avevano visto in primo piano. E questi erano segni certissimi della diffusa corruzione dei costumi. In mezzo a gente onesta l’oratore sarebbe stato inutile come un medico tra persone sane. Per Tacito la crisi dell’eloquenza era sintomo di una salute sociale almeno parzialmente ritrovata. Rutilio possedeva una cultura vasta, e una conoscenza molto approfondita del diritto, nonché della filosofia stoica, le quali non mancarono di fare impressione a Cicerone e al fratello. Proprio a un racconto fattogli da Rutilio durante il soggiorno a Smirne Cicerone avrebbe ricondotto, nel De Republica, la propria conoscenza della discussione tra Scipione Emiliano e i suoi amici, che forma la materia del dialogo. … Nel 73 iniziò a divampare nell’Italia meridionale la rivolta degli schiavi: sotto la guida del trace Spartaco, una settantina di gladiatori –forse per la disperazione conseguente alla consapevolezza di essere destinati a sopravvivere solo a pochi scontri all’ultimo sangue per l’intrattenimento degli spettatori- erano fuggiti da una “scuola” di Capua, e rapidamente avevano ingrossato in maniera assai cospicua le proprie file, grazie all’afflusso di altri schiavi fuggiaschi, di mandriani, di pastori e di altri esponenti della plebe rurale, di diseredati di ogni genere: a un certo punto l’esercito di Spartaco aveva raggiunto, secondo Appiano, i centoventimila uomini. Gli schiavi si mossero su e giù per l’Italia, in una sorta di infinita fuga accompagnata da saccheggi e scorrerie, e riuscirono ad infliggire, con tattiche di guerriglia, ripetute pesanti sconfitte alle milizie romane inviate a contrastarli. Nel 72 il Senato si risolse a sollevare i consoli dal comando della guerra contro Spartaco, per attribuirlo a Marco Licinio Crasso, un personaggio che agli occhi di molti era l’emblema delle peggiori degenerazioni del sistema sillano. La vittoria di Crasso fu abbastanza rapida; ma il conflitto era stato durissimo, e aveva comportato, nell’intero suo corso, decine di migliaia di morti sul campo; dopo l’ultimo scontro, nel corso del quale lo stesso Spartaco incontrò una morte eroica (probabilmente nel 71 a Brindisi) seimila prigionieri sopravissuti alla mattanza, vennero crocifissi e allineati lungo la via da Capua a Roma , a spettacolo e monito della sorte che attendeva a chi si ribellasse ai padroni romani. Altri cinquemila, sfuggiti fortunosamente dalla battaglia, si imbatterono nell’esercito di Pompeo di ritorno dalla Spagna, e ne vennero annientati. … Il primo discorso, De praetura urbana, segue l’evoluzione della carriera criminale di Verre precedente al suo governo in Sicilia; ad evitare la monotonia è qui sufficiente il continuo mutamento dei luoghi di scena: l’oratore denuncia gli abusi di Verre come questore in Gallia, poi passa alle sue successive malefatte in Grecia e in Asia Minore, al tempo in cui fu legato in Cilicia. Già si presenta con una passione viziosa e incontrollabile la mania artistica, che lo porta a saccheggiare importanti monumenti civili e religiosi, a incominciare dal tempio di Apollo a Delo. Ma spicca, per ampiezza e vivacità dell’impianto narrativo, il racconto di uno scandaloso festino a Lampasco, una nota città dell’Ellesponto (Verr. II 1,63 e seguenti). Il tentativo di stupro nei confronti 393
della figlia di uno dei maggiorenti della città genera una vera e propria sommossa che, senza l’intervento mediatore di alcuni uomini d’affari romani, rischierebbe di concludersi con il linciaggio di Verre. Il racconto fa emergere con piena evidenza l’atteggiamento di abituale arroganza dei “conquistatori” romani nei confronti dei provinciali, le pressioni, le intimidazioni e i soprusi nei loro confronti; attribuendo la responsabilità della vicenda esclusivamente alla personalità depravata di Verre e alle sue smanie sessuali, Cicerone lascia in ombra l’insofferenza per il governo imperiale di Roma, particolarmente diffusa nelle regioni dove maggiormente si facevano sentire gli effetti della propaganda di Mitridate. Seguono i soprusi e le ruberie di Verre nel corso della pretura a Roma (dalla quale l’intera orazione prende il titolo). Cicerone si sofferma su quanto avviene nella casa di Chelidone, l’amante di Verre che esercita su di lui un influsso nefasto, inducendolo ad ogni sorta di arbitrio nell’amministrazione giudiziaria; altrettanto insiste sulla irregolarità della manutenzione degli edifici pubblici: particolare sviluppo trova la vicenda dell’appalto per il restauro delle colonne del tempio di Castore, demolite e poi ricostruite con le stesse pietre, non senza una spesa ingentissima. … Si tratta di Roma: una città nata dall’amalgama di popoli diversi, piena di insidie, di inganni, di vizi di ogni genere; dove bisogna sopportare l’arroganza, l’alterigia, la malevolenza, la superbia, l’avversione e il fastidio di molti. Ben vedo che occorrono molta saggezza e molta perizia, vivendo in mezzo a tali e tanti vizi di gente d’ogni tipo, per evitare il discredito, le calunnie, i tranelli, e perché un sol uomo possa rendersi adatto a una così vasta varietà di atteggiamenti, di discorsi, di volontà. Imprimiti nella mente che di quanto non è in te per dono naturale devi simulare l’esistenza, in modo che tu sembri agire con naturalezza. Non ti manchi quell’affabilità che si addice ad un uomo di temperamento buono e dolce, ma in modo particolare ti è necessaria la lusinga, la quale, se nel resto della vita rappresenta un difetto vergognoso, tuttavia è necessaria nella campagna elettorale; … è indispensabile per un candidato, la cui fronte, il cui volto il cui modo di esprimersi devono sapersi cangiare, per conformarsi al modo di pensare e alle inclinazioni di tutti coloro che incontra. Quinto Cicerone, Commentariolum petitionis, 54,42 (costui è il fratello di Marco Tullio e gli ha scritto questa lettera in occasione della campagna per elezione a console)
Nel 64 Cicerone risultò eletto al consolato per l’anno seguente. La sua campagna aveva avuto inizio con largo anticipo, già nel luglio 65, quando egli indossò per la prima volta la veste del candidato, una toga imbiancata con gesso (toga candida) , e cominciò a girare per le strade di Roma accompagnato da una schiera di amici, sollecitando i passanti che chiamava per nome grazie ai suggerimento di un particolare schiavo, il nomenclator. Cicerone temeva in particolare l’avversità della nobilitas, che da tempo considerava il consolato una prerogativa dei propri stessi discendenti, ed era restia a consentire che vi accedesse un homo novus …. (l’Autore descrive molto bene le modalità della campagna elettorale che comportava ingentissime spese: prevedeva investimenti davvero notevoli ed i più facevano ricorso ai prestiti, ponendo ipoteca sui propri kbeni: facile intuire i condizionamenti).
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… E ancora nel Laelius (64) ritroveremo ribadita la difficoltà di trovare, nella vita politica, amicizie vere e sincere. Quelle qualità meravigliose ed eminenti che vediamo in Marco Catone, sappiate, giudici, che gli appartengono in proprio (nota mia: nel corso della orazione Pro Murena); se invece di altre cose di lui talora avvertiamo la mancanza, ciò non dipende dalla natura, ma da un maestro. Vi fu infatti un uomo di grandissimo ingegno, Zenone; gli zelatori della sua dottrina sono chiamati stoici. I suoi dogmi e i suoi precetti sono di questo genere:il saggio non si lascia muovere dalla compiacenza, non perdona mai nessun fallo; la compassione non è che stoltezza e leggerezza; l’uomo degno di questo nome non si lascia vincere dalle preghiere né raddolcire. Solo i saggi, anche se deformi al massimo grado, sono belli: anche se miserabili accattoni, sono ricchi; anche se vivono in servitù, sono re; dicono invece che noi, che non siamo saggi, siamo degli schiavi scappati di casa, degli esuli, degli stranieri, infine dei folli. Parimenti affermano che tutte le colpe sono uguali; che ogni mancanza è un misfatto terribile, e chi senza necessità strozza un galletto non commette crimine minore di chi strangola il proprio padre. Il saggio non ha opinioni avventate, e di niente ha da pentirsi; non si trova mai in errore, e non cambia mai il suo parere. Ecco la dottrina che ha abbracciato questo uomo ingegnosissimo, Marco Catone, in base all’autorità dei maestri più sapienti: e non al fine di discettarne, come i più, ma proprio per vivere in base a queste regole. … Invece i nostri maestri che si rifanno a Platone e ad Aristotele, e sono ricchi di moderazione e misura, asseriscono che il saggio è talvolta accessibile alla compiacenza; che un uomo buono deve saper provare compassione, che le colpe sono di genere diverso, e diverse devono essere le pene; che la fermezza non esclude la possibilità di saper perdonare, che lo stesso sapiente spesso ha solo opinioni su ciò che ignora, che talora va in collera, che non è né inesorabile né implacabile, che all’ occasione, se così è giusto, può ritornare su quanto già detto, e talvolta cambiare il proprio parere; che vi è un “mezzo giusto” per regolare tutte le virtù. Emanuele Narducci, Cicerone, la parola e la politica, ed. Laterza, 2009 (questro ottimo Autore (1950-2007) ha insegnato letteratura latina a Trieste e poi a Firenze: quest’opera è la summa di tutto il suo sapere ed è veramente eccezionale. Al termine di ogni capitolo elenca tutta la bibliografia. Preferisce citare letteralmente i testi invece di fornirne una interpretazione personale o indotta. Proprio bello)
FIN QUI INCOLLATO SUL FILE PRINCIPALE, SENZA CORREZIONI NE’ INDICE (Ceronetti, Repubblica 20 dic. 2017) Tra le poche cose dilettevoli che dice di poter ancora fare c’è scrivere le lettere all’amica, la pittrice Giosetta Fioroni, “con cui scambiamo i lamenti della vita senile”. Ma intanto, a novanta anni compiuti a fine agosto, Guido Ceronetti, questo omino malandato e sofferente, costretto a muoversi appoggiato a qualcuno o a 395
un deambulatore, la voce lenta, arcana è tutto fuorchè frastornato e fuori dal mondo. “Oh sì, la testa va, mi ricordo anche il nome del nonno di Napoleone. Ma a che mi serve, se il corpo non funziona?”, lamenta seduto nella piccola, disadorna, cucina della casa di Cetona dove vive una sua ritualità fatta di letture, brevi “passeggiate liberatorie” e il rapporto vivo con le case editrici….. “ma come faccio con il fisico che non mi regge più? Chi dice che a novanta anni sta benone, è un impostore. Io sento tutta la debolezza del corpo concentrata in quel numero. Mai amata la vecchiaia. Il corpo ha un tempo e tu ne hai un altro e cominci ad avere un rapporto confidenziale con la morte”. (domanda) Le fa paura? (risposta) “Solo di soffrire. Uno ha già tribolato sin qui, e adesso tribolare in un letto di ospedale, no grazie” (domanda) Se dovesse capitare, penserebbe ad una forma di eutanasia? (risposta)”Non ho una vocazione al suicidio, ma quello assistito mi fa piacere che ci sia, che esista almeno una porta di uscita. L’Italia cattolica, figuriamoci, non ce lo permette. Guardi le difficoltà che ci sono state con la legge sul biotestamento. La vicinanza con la Chiesa la scontiamo da secoli. La prima colpa della democrazia italiana è stata la criminale adesione di Palmiro Togliatti ai Patti del Laterano. E quanto al lodato De Gasperi che per quei Patti avrebbe addirittura riaperto la strada a Mussolini se fosse stato ancora in vita.. Io me le ricordo le veglie di Pio XII. Neanche i papi non mi sono mai piaciuti”. (domanda) E papa Francesco? (Risposta) “Non mi piace. L’unico che stimo è papa Giovanni XXIII, buonanima. Certo, la convocazione del Concilio non so che bene abbia portato all’umanità e l’unico effetto è stato quello dell’eliminazione del latino. Una jattura. Questa messa facile facile dove le citazioni bibliche vengono espresse in traduzioni che invocano vendetta dal Signore. Mi hanno detto che i prelati abbiano tutti in casa le mie traduzioni, ma ai fedeli danno quella roba. Ma intanto gli italiani sono un popolo antibiblico, altrimenti la riforma non sarebbe stata limitate alle valli valdesi. Per quanto mi riguarda, quel che è certo è che in punto di morte non chiederei mai i sacramenti. Piuttosto il consolamentum della chiesa catara” (domanda) Cosa la lega alla Chiesa Catara? (Risposta) E’ una vocazione molto giovanile. Avevo letto un libro di storia catara trovato su una bancarella e sono stato attratto dalle sua tradizioni e leggende. Ho seguito per anni i Cahiers d’Etudes Cathares che sono diventati una rivista steinerana, perché i catari di oggi sono tutti steineriani. L’unico pellegrinaggio, a parte Santiago de Compostela, che mi affascina tuttora è a Montségur, dove si svolse l’atto finale della persecuzione catara. Era ed è tuttora un luogo fondamentale. Io ho avuto la visione dell’Angelo che dice “perché non vieni?”. Per questo mi resta la speranza di una leggenda: che a chi è legato alla chiesa catara alla fine della vita vengano due uomini misteriosi ad impartirgli il consolamentum, che vale per la vita e per la morte”: (domanda) Ma che cerimonia è? (risposta) “So che un cristiano come Dostoevskji, dio lo benedica, che ha ricevuto o si è impartito il consolamentum, chiese solo di avere in mano o che gli venisse letto il vangelo di Giovanni. I catari rifiutavano i sinottici come non validi, mentre quello di Giovanni era il Libro Sacro”. 396
Anna Bandettini intervista Guido Ceronetti, La Repubblica del 20 dic. 2017 -------Jean d’Ormesson, Odeur du temps----Je surprenderai peut-etre le lecteur en lui assurant Que ce que je préfère, c’est me taire. J’ai parfois regretté Mes paroles, j’ai n’ai jamais regretté mon silence. Je ne participe pas volentiers aux querelles qui agitent Le petit monde des intellectuels parisiens. De temps en temps, J’ai pourtant échangé quelques banderillas avec des amis Pour qui j’avais de l’estime, et parfois un peu plus. Au premier rang d’entre eux, Bernard Frank. Mieux vaut se tromper avec Sartre qu’avoir raison avec Aron. JdO era stato incaricato dall’Accademia (di cui era stato il più giovane eletto) di spiegare a Aron il motivo per cui era stato rifiutato: nel corso di un incontro ufficiale usò queste parole
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vous avez contre cinq groupes différents: les antisémites, les juifs, les antigaullistes, les gaullistes. Ces quatre catégories-là , on pourrait encore s’en arranger; mais la cinquième est mortelle: ceux à qui vous avez fait comprendre, un jour ou l’autre, que vous étiez plus intelligent qu’eux. Le Figaro littéraire, 12 décembre 2002.
Dumas fils: “un bon roman est celui qui amuse tant qu’on le lit et qui attriste quand on l’a fini” Ce qui tourmentait surtout Chateaubriand dan son deuxiéme séjour à Venise, c’etait le souvenir de ses rivaux en romanticisme et d’abord Rousseau et Byron. Rousseau s’était épris en son temps d’une jeune Vénitienne éblouissante de vingt ans, du nom de Zulietta. Jean-Jaques se montra malheuresement moins brillant sur le terrain que Don Juan ou Casanova. Zulietta le renvoya avec le conseil fameux: “lascia perdere le donne e studia la matematica!”. (in italiano nel testo) (nota mia: in effetti ne Le Confessioni afferma di essere stato per un breve periodo al servizio dell’ambasciata francese, lui non francese. Descrive le raffinate ed assurde abitudini soprattutto sessuali del suo ambasciatore e di tutto l’ entourage. Era stato rimosso dall’incarico dopo breve tempo senza fornire spiegazioni. Di sicuro non cita la Zulietta, l’avrei annotato!) .Le
Figaro Hors-Séries, décembre 2003 A’ un moment donné, un peu après le mariage du futur Louis XVI avec l’archiduchesse Antonia d’ Autriche, devenue Marie-Antoinette en France, devant le peu d’entrain du dauphin à l’égard de sa jeune femme, un bruit se met à courir à Versailles: ce vieux séducteur de Louis XV en pincerait pour la jeune et jolie épouse autrichienne de son grand dadais (babbeo) de petit fils, Louis XV avait fait un fils à Maire-Antoinette, on aurait pu voir, à la mort de Louis XVI, prenez un crayon et réflichisséz un peu, le fils d’un roi succedér à son neveau. Le Figaro Littéraire, 11 september 2003 397
Jean d’Ormesson, Odeur du temps, ed. Héloise d’Ormesson, 2007 ( grande, davvero grande uomo di cultura, accademico di Francia, già direttore de Le Figaro, autore di una trentina di volumi, di narrativa e non. Nato nel 1926 da una famiglia di grands commis (il padre era ministro presso il governo tedesco) è morto recentemente, dicembre 2017. Uomo di spirito, gran seduttore ma pur sempre fedele alla moglie, in questo testo molto gustoso viene pubblicato, dalla casa editrice dell’unica figlia, una raccolta di piccole pièces pubblicate per lo più su Le Figaro: traspare una grande cultura storica, sociale, repubblicana di un pensatore integro)
-----Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo, ed. Adelphi 1988 (non ho mai amato il genere noir, anzi, più morti ci sono più mi infastidisco. Superbo questo piccolo libro, scritto con maestria e molta sapienza, dimostra come la mafia sia subdola ma omnipresente, a partire dall’arcipretete. Questa edizione era dedicata alla scuole con un commentario finale che coordina tutto il costrutto).
Se il nostro animo ha imparato a disprezzare tutto ciò che è dovuto al caso, se ha saputo dominare il timore, se non aspira con avide speranze a cose impossibili, ma ha imparato a chiedere a se stesso ogni ricchezza, se si è liberato dal timore degli dei e da quella degli uomini e sa che dagli uomini non c’è molto da temere, dagli dei nulla; se l’uomo disprezzando tutto ciò che adorna ma, contemporaneamente, tormenta la nostra vita è arrivato a capire chiaramente che la morte, di mali, non ne origina nessuno ma ne elimina molti; se si è tutto dedicato alla virtù e trova agevole qualunque strada essa indichi; se, creatura destinata alla vita associata e generata per la collettività, considera che il mondo è la casa comune a tutti e ha aperto il suo animo agli dei e in ogni circostanza si comporta come se fosse sottoposta al controllo di tutti (…) allora quegli, sottrattosi alle tempeste, si è fermato sulla terraferma, sotto un cielo sicuro ed è arrivato alla perfetta conoscenza di tutto ciò che è utile e necessario (…) egli si è rifugiato nella sua fortezza. Seneca, Libro VII del trattato I Benefici, primo capitolo. Paul Veyne, Seneca, Saggi il Mulino, 1993 (interessante il lavoro di questo studioso francese che insegna al Collège de France. Forse un po troppo accademico però illustra molto bene il contesto storico in cui si svolse l’attività di Seneca, combattuto dal non offendere o contraddire Nerone. A mio parere infelici alcuni accostamenti a fatti storici contemporanei o recenti. Bello però, arricchente) (BiblioCn 188 Vey)
Elias Canetti, il Libro contro la morte. (1942) Le soleil ni la mort se ne peuvent reagarder fixement. 398
La Rochefoucauld
Moro (Tommaso) “posò la testa sul ceppo e ordinò al boia di aspettare finchè non avesse spostasto lateralmente la barba, poichè essa –disse- non aveva commesso alcun tradimento”. Non gli sopravvivrà nessuno, perché tutti quelli che lo hanno sopportato sono morti. La promessa dell’immortalità è quanto basta a mettere in piedi una religione. Il puro e semplice ordine di uccidere basta a sterminare tre quarti dell’umanità. Che vogliono gli uomini? Vivere o morire? Vogliono vivere e uccidere, e finchè lo vorranno dovranno accontentarsi delle varie promesse di immortalità. Sperava, non visto da Dio, di vivere a lungo. (già citato in La tortura delle mosche) (1943) E qual’ è il peccato originale degli animali? Perché subiscono la morte? La sua patria è fatta di tutti i luoghi in cui ha mangiato; suoi amici sono tutti gli uomini che gli hanno dato da mangiare. Nutre benevolenza per gli uomini che erano presenti, mentre lui mangiava, disprezza i morti perché non possono più mangiare. (1944) Prima o poi troverò frasi che faranno vergognare Dio al mio cospetto. A quel punto non morirà più nessuno. L’idea più grande e mortifera di tutte fu lo zero. Che discenda dalla morte lo zero? (1945) Mi costa fatica, vivo volentieri. Nei riguardi degli animali ciascuno di noi è nazista. (1952) La mia ingiustizia di fondo verso gli uomini deriva dal mio atteggiamento nei confronti della morte. Non posso amare nessuno che accetti la morte o la metta in conto. Amo –comunque egli sia- colui che aborrisce la morte, che non l’accetta e che la utilizzarebbe mai e in nessuna circostanza come mezzo per conseguire i propri fini. Perciò non posso ammettere che qualcuno lavori oggi come fisico nucleare; o che intraprenda di sua volontà la carriera nell’esercito, ma neppure un religioso che ricorra alla vita futura come consolazione per la morte di altri, ….. (1954) il padre di Kierkegaard, quando nacque il figlio, aveva 57 anni e la madre 45. Lui morì a 42 anni. (1960) Prevede sempre la fine, per non cominciare niente. 399
(1962) A ogni ora soltanto, ad ogni frase che annoti, riguadagni un pezzo della tua vita. A tutt’oggi non era mai esistito un uomo per il quale fosse così semplice essere felice. Infatti, per esserlo, gli bastava scrivere ininterrottamente, e non è nemmeno mai esistito uno che si sia negato questa felicità in modo tanti caparbio e insensato. Scrivi, dunque sin chè non ti chiuderanno gli occhi o la matita non ti cada di mano, scrivi, senza esitare un solo momento e senza domandarti il come e il perché, scrivi dalla pienezza di una vita inutilizzata, che adesso è talmente cresciuta da pietrificarsi dentro di te in interi massicci montuosi, scrivi, senza nulla aggiungere alle centinaia di impalcature e griglie, pronto a correre il rischio che questo non regga, pronto a correre il rischio che cada subito in pezzi, scrivi, perché tu ancora respiri e perché il tuo cuore, forse già infermo, batta ancora, scrivi, finchè qualcosa non sarà cavato dalle imponenti montagne della tua vita; nemmeno un intero popolo di giganti potrebbe infatti cavare tutto, scrivi, finchè gli occhi non ti si chiuderanno per sempre, scrivi, finchè non ti mancherà il respiro! (1956) L’insoddisfazione nella quale vivo è semplicissima da spiegare: adesso so per certo di non essere riuscito a combinare nulla contro la morte. Muori, fanfarone! (1967) L’unica ambizione che sia sempre legittima, quella di far vivere gli uomini più a lungo, si è costituita in professione, e di essa c’è gente che addirittura si nutre: i medici. Questa stessa gente vede quasi tutte le morti e vi si abitua più degli altri. Gli incidenti professionali tolgono ogni vigore persino alla loro ambizione. Proprio loro, che da sempre hanno fatto più degli altri contro la rassegnazione religiosa di fronte alla morte, finiscono per accettarla come cosa naturale. Dovremmo augurarci dei medici che attingano dalla loro attività nuovo sentimento: un’incrollabile resistenza contro la morte, che aborriscono tanto più quanto più spesso l’hanno osservata. Le loro disfatte sarebbero l’alimento di una nuova fede. (1973) Non mi pento di queste orge di libri. Mi sento come all’epoca dell’espansione per Massa e potere. Anche allora furono le avventure con i libri a far accadere tutto.Quando non avevo più soldi, a Vienna, spendevo per i libri tutto quello che non avevo. A Londra, nell’epoca peggiore, in qualche modo riuscivo sempre a comprare dei libri, ogni tanto. Non ho mai imparato nulla in modo sistematico, come gli altri, ma solo in improvvise eccitazioni. Cominciavano sempre allo stesso modo, il mio sguardo cadeva su qualcosa che poi dovevo assolutamente avere. Il gesto dell’afferrere, la gioia nel buttar via il denaro, il portare il libro a casa o nel locale più vicino, l’osservare, l’accarezzare, lo sfogliare, il metter via per anni, poi l’epoca della nuova scoperta quando l’urgenza si faceva sentire –tutto ciò fa parte di un processo creativo di cui ignoro i particolari nascosti- . Ma nulla in me accade altrimenti, e così dovrò comprare libri sino all’ultimo istante della mia vita, soprattutto se so con assoluta certezza che non li leggerò più. E’ anche, credo, la mia ostinata resistenza alla morte. Non voglio sapere quali tra questi libri resteranno non letti. Sino alla fine non si può dire quali sono. Ho 400
la libertà della scelta, tra tutti i libri che ho intorno posso sempre scegliere liberamente, e dunque ho il corso della mia vita nelle mie mani. (1978) Che cosa ne sarà di tutto quanto tu hai accumulato e che è dentro di te, cos’ tanto, tanto; un incredibile deposito di ricordi ed abitudini, di domande procastinate, di rispose tremebonde, di riserve, moti interiori, tenerezze, durezze, è tutto, tutto qui, che cosa ne sarà quando in te la vita si sarà spenta. La sproporzione di questo accumulo, è tutto per niente? (1980) Il terremoto è la morte nella forma più netta: la terra come assassina. (1981) A nulla ho fatto l’abitudine, a nulla, e men che mai alla morte. Quante volte si dovrebbe vivere per capire qualcosa della morte? Il meschino: invece di guardare in faccia la morte, trova da ridire sulla vecchiaia. Così la morte non è mai quello che da senso alla vita: è invece ciò che le toglie ogni significato. Se dobbiamo morire, la nostra vita non ha senso perché i suoi problemi non ottengono alcuna soluzione e perché il significato stesso dei problemi resta indeterminato. Generazioni degli uccelli della prateria che imparano ben presto ad accalcarsi nelle aree appena bruciate per mangiare le cavallette arrostite dal fuoco. Febo promise alla Sibilla Cumana una vita lunga mille anni: mostrandogli una manciata di polvere, lei gli aveva tanti anni quanti fossero i granelli di quella polvere. Ma aveva dimenticato di chiedere che fossero anni di giovinezza. Fu così condannata ad invecchiaire. Ha già settecento anni quando parla a Enea, e gliene restano da vivere ancora trecento. Le toccherà raggrinzirsi tutta e perdere peso ed essere riconoscibile solo dalla voce (tratto da Ovidio, Metamorfosi, XIV, 129-153) (1982) Giorno dei morti, commemorazione di tutti i fedeli defunti. All’inizio era riservato ai morti degli ordini monastici. Sotto Odilone di Cluny (962-1049) fu deciso di includervi “tutti i morti dall’inizio dei tempi…. sino alla fine dei tempi”. (1984) Origine dei terremoti … un convegno di morti. Pitagora (1990) Motivo di riflessione: la fede degli ebrei ha preso un’altra direzione rispetto a quella degli Egizi. Altro motivo di riflessione: io ho rinnegato Dio, per Osiride. Sarei stato uno dei fuggiaschi, ma non mi sarei messo dalla loro parte. Nella terra di Canaan non avrei offerto sacrifici a Baal, ma a Iside. Sotto il dominio dei Romani non sarei diventato cristiano, ma avrei adorato Iside. Non la Iside che porta in grembo un figlio, bensì la Iside che cerca e ritrova le membra sparse di Osiride.. Nella mia vita ci sono lunghi periodi bui, nei quali dimentico Iside. Ma poi muore una persona a me vicina, e io, come Iside, mi metto in cerca. Finora non ho trovato le membra sparse. 401
Benedetta dalla grazia della nascita, la libidine di morte dei tedeschi si è trasformata da faccenda di stato in faccenda di fornitori di morte. Se ne trovano per ogni tipo. Resta comunque l’impressione che siano in molti a sgomitare per questo genere di affari, e non solo perché di tratta di attaccare gli ebrei. Un giorno, tornato per la prima volta a Vienna dopo la guerra, sedevo al piano superiore di un autobus, dirimpetto a due uomini adulti che mi squadravano ben bene –G.K.T.- disse uno dei due e l’altro annuì. Chiesi in seguito ad un conoscente cosa significasse G.K.T. -ma non lo sai?- rispose stupito il mio interlocutore. Vuol dire: - Gas Kammer- Tachinierer, “lavativo da camera a gas” o “sporco ebreo”. L’ordine dei commercianti è fatto di addizioni. Il mondo va a rotoli? Lui tira le somme. I bambini muoionodi fame, lui tira le somme. Gli amici asfissiano, lui tira le somme. I medici lo boicottavano, lui se la rideva e ringraziava con lettere calorosissime. (1991) L’unica cosa interessante in Saddam è la franchezza. Il più esplicito di tutti quelli della sua risma. Il suo bunker è saldo come una roccia. Forse lo faranno a pezzi. Forse non diventerà santo. All’improvviso tutti i miti, di cui avevo letto per ottanta anni, strisciano fuori da lui come vermi. Nuovo incontro con Erodoto: un’autentica delizia. Il mio vero maestro? Lo stesso genere di curiosità, lo stesso disprezzo dei “fatti”. Narrazione incontrollata perciò efficace, indomita. Rileggere ogni sua sillaba, recuperarlo per intero. (1993) Mettere a confronto l’uccisione degli animali con quella dei minorati. E’ la stessa cosa? Chi uccidere? Da chi essere assassinati? Bosnia. Muore, per non doversi più lamentare. Su una panchina la vecchia legge necrologi. (1994) Fuga in Dante, in italiano. Dottrina diversa dalla tua. Ma molto presto, allora avevi sette anni, tuo padre te la diede da leggere, in inglese, una edizione per bambini. Adesso, a novant’anni, diventa per te d’importanza vitale. Elias Canetti,Il libro contro la morte, Bibl. Adelphi 670, 2017 (nato in Bulgaria nel 1905 muore a Zurigo nel 2014. La famiglia ebrea di remote origini iberiche, ma
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turca da generazioni, appartiene ad una comunità di ebrei sefarditi. Nel 1911 il padre si trasferisce in Gran Bretagna presso un cognato ricevendo la maledizione del padre. Il padre muore quando lui ha sette anni anni mentre la madre venticinquenne ha altri tre figli. Varie vicissitudini e peregrinazioni il ragazzo impara presto l’inglese, il tedesco, il francese. Attaccatissimo alla madre, in modo quasi morboso, ne subisce il fascino. Vive in diversi paesi. Questo testo uscito nel 2017 a cura della figlia, ha avuto una incubazione di cinquanta anni: ne risente la continuità, la freschezza, la spontaneità. Nel frattempo aveva scritto opere memorabili ma mi preme evindenziare qui alcune anomalie: è ebreo ma spesso lo nega e di certo non frequenta; ha un fratello e due sorelle ma non ne parla mai; di tutto il periodo bellico (1939-45) non fa cenno in quanto lui era in Gran Bretagna; non parla mai di soldi se non per evidenziare ristrettezze, eppure le famiglie paterna e materna avevano patrimoni davvero ingenti; segue una disciplina e rigore vegetariano ed è contrario all’uccisione di una formica, eppure almeno quattro volte maledice e augura la morte a Saddam. In sintesi questo testo mi ha profondamente deluso anche perché la battaglia estrema contro la morte, oggetto di tutto il corposo testo, non trova ipotesi né soluzioni apprezzabili: di certo nessun riferimento religioso, astratto o metafisico o filosofico).
Vittorio Sermonti, L’ombra di Dante, Garzanti 2017, Biblio Cn 851 1 Ser ( un vero fenomeno costui, un apostolo di Dante. Nato a Roma nel 1929 è morto a fine novembre 2016. Insegnava dignitosamente lettere in un liceo finchè, alla pensione e forse in concomitanza con il matrimonio con Ludovica Ripa di Meana, si è veramente appassionato a Dante. Lui non di definisce studioso, bensì studente. Eppure ricordo benissimo le letture che ha fatto alla radio e in parte anche alla televisione sconcertando gli astuti direttori Rai in quanto raccoglieva un auditorio stupefacente. In età ancor più tarda ha girato l’Italia tenendo conferenze, sempre sullo stesso tema. Questo testo è una raccolta postuma di questi interventi: temevo fosse un’operazione di cassa invece c’è davvero molta sostanza in questi scritti. Nonostante lo sforzo di essere semplice il tema comporta una trattazione complessa, ancor più gravosa se non si possiede una ricca frequentazione della materia. Davvero bello e lodevole) Cesare Pavese, Il mestiere di vivere. Jules Rénard Il cervello non ha pudore.
Le lezioni non si danno, si prendono Egoismo: riconduce tutto a sé, compreso Dio.
Dino Basili, Tagliar corto, ed Mondadori 1987
E’ un uomo di parte. Se ne sta sempre solo
Zino Zini era un filosofo di larghe vedute: fiorentino di nascita nella seconda metà degli anni ottanta dell’ 800 si era fermato a Torino dove prese la laurea in Lettere e in Filosofia e decise di insegnare (…) Il 17 marzo 1901, condensando quindici anni di esperieza vissuta il “fiammeggiante” Zini meditava sulla “psicologia di Torino”. Nel corso dei suoi ragionamenti forniva dei torinesi un ritratto così perentorio, che sembrava escludere una qualsiasi risposta : “ Trovo che vi prevale (nei Torinesi) il conservatorismo signorile e officioso, qualcosa che è come una tradizione cortigianesca del vivere civile, pieno di etichette e di musoneria accademica. Qui le generazioni degli impiegati civili e militari hanno calcato un’impronta burocratica, incancellabile, su tutti i muri, su tutte le strade. Edifici, vie, costumi, stampa: tutto serba la simmetrica ed è regolarmente divisa di ciò che è stato fatto con una concessione dall’alto. Nulla è spontaneo, ben poco è moderno. L’isolamento ha fatto il piemontese misoneico, autoritario, gretto, egoista e caparbio, più facile all’obbedienza che all’iniziativa, poco curioso e poco socievole. In una parola è la tedescheria d’Italia”. 403
Osvaldo Guerrieri, I Torinesi, Beatedizioni, 2013 -------------------Il titolo dato da Diego Fusaro a questo libro, La farmacia di Epicuro, è il più efficace e pertinente: non si tratta infatti di un titolo meramente editoriale, ma dall’impronta fortemente ermeneutica. Lo stesso Epicuro, a mio avviso, darebbe ragione all’Autore. In effetti, il senso ultimo dl filosofare epicureo si riassume nel celebre tetrafarmaco o quadrifarmaco, e cioè la meditazione che cura tutti i mali dell’anima. La formulazione classica è: 1 sono vani il timore e la paura degli dèi e dell’aldilà. 2 è assurda la paura della morte, perché essa non è nulla. 3 il piacere, se inteso in senso corretto, è a disposizione di tutti. 4 i dolori o sono di breve durata o sono facilmente sopportabili. L’uomo che sa applicare questo quadruplice farmaco acquista pace dello spirito, serenità e dunque felicità (dalla presentazione di Giovanni Reale). Pharmacon, pur significando rimedio, cita recita e fa leggere quello che nella stessa parola significa, in altro luogo e ad altra profondità della scena, veleno (Jacques Derrida, La pharmacie de Platon, 1968). Medita, dunque, questi precetti e quelli ad essi affini, giorno e notte, fra te e te e anche con colui che è simile a te stesso, e mai, né da sveglio né da sogno, sarai turbato, ma vivrai come un dio tra gli uomini (Epicuro, Lettera a Meneceo). Il filosofare, inteso come riflessione sulla realtà, ha un senso in quanto aiuti l’uomo, attraverso la comprensione del mondo in cui vive, a rendersi conto della propria natura, e delle proprie possibilità restituendo sé a se stesso, liberandosi dai timori e dalle apprensioni di una realtà soprannaturale (Francesco Adorno, La filosofia antica, 1972. Non ci sfiori l’idea di adottare in alcun caso la natura divina come spiegazione di questi fenomeni: essa deve mantenersi priva di occupazioni e in una completa beatitudine. (Epicuro, Lettera a Pitocle) Il più orribile dei mali, la morte, non è nulla per noi, poiché, per tutto il tempo in cui siamo, la morte non è presente; e invece, per tutto il tempo in cui la morte è presente, noi non siamo. Dunque essa non riguarda né i vivi né i morti, poiché per i primi non c’è, e gli altri non sono più. (Epicuro, Lettera a Meneceo). Allo scettico ed allo stoico il mondo sfugge di mano, e non ha grande importanza se esso non incida sulla coscienza dell’Io: quest’ultimo resta in ogni caso intrappolato nella contraddizione di una dicotomia ineliminabile, quella appunto tra Io e il mondo. L’epicureo, al contrario, è letteralmente padrone del mondo: così la conoscenza che egli ha della natura è assolutamente infallibile, anche se solo potenzialmente; i corpi celesti, al pari di tutti gli altri, sono 404
costituiti da atomi e vuoto, e possono comportarsi ora in un modo, ora in un altro, in maniera perfettamente simile a come si comportano gli individui. Gli dèi –che sarebbe meglio chiamare “uomini perfetti”- sono del tutto incuranti del nostro mondo, e quindi non ha senso venerarli quanto il temerli. Proprio come il saggio epicureo è del tutto incurante della città. L’uomo è dotato di una libertà di scelta che, oltre a garantirgli la reposnsabilità delle azioni, gli assicura di non essere un burattino manovrato dalla necessità della natura; tanto la morte quanto il dolore non precludono affatto la via alla felicità; la legge, lungi dall’essere unica ed eterna, può essere liberamente rittoccata a seconda delle esigenze umane. (Diego Fusaro) In particolare, nell’introduzione dell’Epicureismo a Roma, ebbe un certo successo Amafinio, autore di un trattato finalizzato soprattutto alla divulgazione della dottrina di Epicuro e, secondo il severo giudizio di Cicerone, sovraccarico di “seducenti lusinghe al piacere” . Con questo autore ci si para dinanzi una curiosa contraddizione: come può egli essere un mero divulgatore dell’Epicureismo originario e, al contempo, tessere le lodi del piacere? L’una cosa esclude l’altra poiché Epicuro aveva a più riprese sostenuto che il vero piacere è puramente negativo e, precisamente, coincide con la rimozione del dolore (Diego Fusaro). …allorchè affermiamo che il piacere è il fine, non facciamo riferimento al piacere dei dissoluti e a quelli che risiedono nel godimento dei sensi –ma il non soffrire nel corpo né turbarsi nell’anima. Non sono infatti le bevute e i continui bagordi ininterrotti, né il godimento di ragazzini e donne, né il gustare pesci ed altre cibarie, quante ne porta una tavola riccamente imbandita, che possono dar luogo ad una vita piacevole, bensì il ragionamento assennato, che esamina la causa di ogni scelta e repulsa, e che elimina le opinioni per effetto delle quali il più grande turbamento attanaglia le anime. (Epicuro, Lettera a Meneceo). Diego Fusaro, La farmacia di Epicuro, la filosofia come cura dell’anima, ed. Il prato, 2006 Bibliot. Cn 187 FUS (questo libriccino svelto e scorrevole scritto da questo giovane filosofo che per evitare lunghe attese e giudizi ha fatto che creare una propria casa editrice, tratta della disciplina di questo filosofo classico: molte volte mal inerpretato e confuso con la sfrenata licenza del buon vivere rivela invece una profondità concettuale, a partire dal concetto di atomo e di vuoto, che lo contrappone con il quasi coevo Platone. Bello e piacevole).
Quando il martello perde la testa, i chiodi ridono. Ramòn Gòmez dela Serna, Sgiribizzi, Bompiani 1997 Gesù sarebbe troppo giovane per fare il papa. Paolo Bianchi, Lampi, 2017 Omero è nuovo , stamattina e niente è forse così vecchio come il giornale di oggi. Charles Péguy, (personaggio davvero strano e straordinario. E’ morto a 41 anni alla vigilia della Prima Guerra. All’interno della Cattedrale di Chartres ci sono due 405
o tre targhe : una di queste, molto piccola, è dedicata al Péguy che aveva condotto alcune centinaia di migliaia di ragazzi in pellegrinaggio, a piedi, da Parigi).
La vita è un però.
Simeoni
L’uomo (maschio) è l’unica preda che si illude di essere un cacciatore. E.S. Turner, Storia del corteggiamento. Stoici vero et Sapientem amaturum esse dicunt amorem ipsum “conatum amicitiae faciendae et pulchritudinis specie” definiunt. Cicero, Tusculanae Disputationes Non parlare se sai leggere, non leggere se sai scrivere, non scrivere se sai pensare. Hannah Arendt (1906- 1975) La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci. (targhetta di plastica su una molto vecchia auto scassata che gira per Demonte).
_______Giorgio Caproni, L’opera in versi, ed. Mondadori 1988_______ I PUGNI IN VISO “La morte non mi avrà vivo” Diceva e rideva, lo scemo del paese, battendosi i pugni in viso. MENTORE Devi perseverare, usare buona pazienza. Ricordalo, se vuoi arrivare Al punto di partenza. LA LANTERNA Non porterà nemmeno La lanterna. Là Il buio è così buio. Che non c’è oscurità IL BICCHIERE … L’uome che nel buio è solo, a bere: che non ha nessuno, nell’oscurità, cui accostare il bicchiere. FALSA INDICAZIONE “Confine” diceva il cartello. Cercai la dogana. Non c’era, 406
Non vidi, dietro al cancello, ombra di terra straniera. LO STRAVOLTO “Piaccia o non piaccia!” Disse: “Ma se Dio fa tanto” disse, “di non esistere, io, quant’è vero Iddio, a Dio io Gli spacco la Faccia”. PENSIERO PIO Sta forse nel suo non essere L’immensità di Dio? RITORNO Sono tornato là Dove non ero mai stato. Nulla, da come non fu, è mutato. Sul tavolo (dell’incerato a quadretti) ammezzato ho ritrovato il bicchiere mai riempito. Tutto è rimasto quale l’avevo mai lasciato. LO STOICO (in eco) Sei solo con la tua coscienza. BIGLIETTO LASCIATO PRIMA DI NON ANDARE MAI VIA Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito. Il mio viaggiare È stato tutto un restare Qua, dove non fui mai. CONCLUSIONE QUASI AL LIMITE DELLA SALITA -Signore, deve tornare a valle. Lei cerca davanti a sé Ciò che ha lasciato alle spalle.RIFLESSIO DELL’AUTOBIOGRAFANTE “Un conto lo dovrò pur fare. La morte. Ecco un’esperienza Che non potrò raccontare”. GIUBILO Fischiettava, il fucile In spalla, spensierato. 407
Non pensava, lui assassino, d’essere l’assassinato. ASSIOMA Chi va a Parigi, va a casa. CONSTATAZIONE Non c’ero mai stato. M’accorgo che c’ero nato. CONCESSIONE Buttate pure via Ogni opera in versi o prosa. Nessuno è mai riuscito a dire Cos’è, nella sua essenza, una rosa. ACQUISIZIONE ( haec propter illos…) Tagliando corto. Da un pezzo me ne sono accorto. La ragione è sempre Dalla parte del torto. INVOCAZIONE Mio Dio, anche se non esisti, perché non ci assisti? __________________________________________
Il cervello di noi, uomini moderni, è come un muscolo eternamente contratto, incapace di rilassarsi. E’ intossicato dal superlavoro, dalle tossine del suo stesso metabolismo. A furia di aver troppi pensieri, la mente perde lucidità, non riesce pù a distiunguere ciò che è importante da ciò che è inutile o dannoso. Lavora sempre di più, ma lavora a vuoto. Lele Viola, Il gatto arancione, ed. Primalpe, 2003 (sempre bello ed affascinante questo Autore anche quando si cimenta in un racconto poliziesco. Sa cogliere con brevi tratti situazioni complesse e molto articolate basando sempre l’analisi sull’elemento “uomo”. Davvero bello e piacevole.)
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---------------Il monoteismo della religione cristiana appare incrinato, sin dalle origini, da un concetto del principio del Male che si oppone al Dio del Bene e lo contrasta. Il dualismo è inevitabile. Anche addossando all’uomo tutta la responsabilità delle sue colpe con il mito della caduta di Adamo o il ragionamento filosofico del “libero arbitrio” l’esistenza del male e le lusinghe del peccato rimangono realtà che non possono essere attribuite a Dio, per definizione bontà e perfezione assoluta. (…) Forse l’ultimo aprocrifo di ispirazione manichea che ci è possibile leggere, è il Libro di Giovanni Evangelista, che appartiene però al tardo medioevo: rarissimo documento dell’eresia catara conservato in lingua latina negli archivi del Tribunale dell’Inquisizione di Carcassonne. Lo scritto proviene dalla setta manichea dei Bogomilli (=amati di Dio) di Bulgaria, fiorita, nel nell’Oriente balcanico dal X al XIV secolo e poi praticamente distrutta dalle feroci persecuzioni degli imperatori bizantini e della Chiesa Ortodossa. Nel manoscritto che lo contiene, un’annotazione in latino ci informa che il testo ( probabilmente nella sua primitiva redazione slava o traduzione dal greco in slavo) fu dalla Bulgaria importato in Italia, intorno al 1190, da Nazario, vescovo della comunità catara di Concorezzo, in Lombardia. Di lì passò in Linguadoca qualche anno prima del 1209, anno della spaventosa crociata 409
promossa da Innocenzo III che vide lo sterminio dei catari francesi, noti con il nome di Albigesi. Il Libro di Giovanni Evangelista è un secretum, cioè una rivelazione di misteri religiosi che Gesù avrebbe fatto personalmente a Giovanni, l’apostolo prediletto, durante l’ultima cena. L’attribuzione dell’opera a Giovanni Evangelista è dovuta a una certa analogia tra la dottrina pseudognostica di Gesù, appartenente al quarto Evangelo e la dottrina professata dagli stessi catari. Questi, però, si spingono anche oltre, negando ogni appartenente di Gesù alla natura umana, in quanto Maria non è creatura terrena, ma un angelo, preventivamente mandato sulla terra per accogliere il Figlio. E il concepimento non è avvenuto nel ventre, ma Gesù è entrato nel corpo di Maria attraverso un orecchio e ne sarebbe uscito dall’altro. Ma l’interesse del testo non è costituito da stranezze di tal fatta (per altro dichiarate anche nel IV secolo dai Padri della Chiesa): il Libro ha soprattutto lo scopo di sostenere che l’uomo non è creazione di Dio, ma del Diavolo, prodotto di seduzione e lussuria, e che le anime sono angeli decaduti, i quali entrano nella materia e continuano la loro opera di diabolica corruzione. Ne consegue che i catari ammoniscono i fedeli di eliminare la procreazione e di praticare una vita casta ed ascetica. Marcello Craveri (a cura di), I vangeli apocrifi, Einaudi 1990 ( davvero imponente questa esposizione circa i 19 testi denominati Vangeli apocrifi, da non confondere con quelli detti “gnostici”. Apparato di note e introduzioni davvero esaustiva e particolareggiata, è interessante anche il tessuto che riesce a realizzare tra i vari testi. Sono cose note ed ampiamente dibattute (ho almeno altri due testi) ma è certo utile confrontare anche le diverse traduzioni dagli originali: il Curatore ne ha realizzate alcune. La mia teoria circa la proliferazione di tutte queste tradizioni trasformate in testi scritti è talmente semplice e disarmante da apparire forse addirittura banale. Gesù è di sicuro esistito ed ha curato una dottrina assolutamente innovativa ed accattivante per quel periodo storico. Da escludere l’origine divina (agli occhiuti Romani non sarebbe sfuggita questa natura così come i sei uomini o bimbi resuscitati). Terminato il ciclo di vita naturale di Gesù è avvenuta una operazione di creazione del mito molto sapientemente creata e condotta ed opportunamente enfatizzata e sparsa per le regioni limitrofe. Quando nel terzo secolo si trattò di compendiare questa dottrina , furono necessarie scelte di esclusione o di esaltazione dei testi che narravano la vicenda terrena del Gesù. Ma le schegge lontane continuarono ad autoalimentarsi. Gran bellavoro questo del Craveri)
Umberto Eco, il Cimitero di Praga, Bompiani 2010 ( finalmente ho capito perché a questo davvero grande Autore, nonostante l’enorme e molto qualificata produzione saggistica e letteraria, non sia stato attribuito il premio Nobel. Una delle cause è contenuta in questo testo dove papale papale afferma che la rovina del mondo appena passato e di quello attuale è attribuibile agli ebrei, ai gesuiti, ai massoni. Strana questa esposizione, all’inizio talmente ingarbugliata da indurre all’abbandono, sfocia però in un disegno complicato ma davvero nitido. Bravo, bello, scritto molto bene con un costante sottofondo di una vera cultura)
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L’amour est une épreuve. Cette èpreuve est d’ordre spiritual. Christian Bobin Comment juger sans comprendre et comment comprendre sans juger? Jean Mourgues En periode de canicule, ce sont les arbres qui sont le plus à plaindre. Ils ne peuvent se mettre à l’ombre. Denis Langlois Posséder un objet qui symbolise sa liberté peut rendre un homme plus heureux que la liberté elle-meme. Hariki Murakami
Uno spettro si aggira per il mondo: la disoccupazione. Semina disagio in giovani parcheggiati in scuole inutili ad affinare competenze per un mercato che non può assorbirle; annichilisce la stima e il rispetto di sé in persone mature ed ancora valide ma non più necessarie in aziende in costante fase di “ristrutturazione” e non più in grado di competere con successo per i pochi posti disponibili; atterrisce e ricatta chi ancora il lavoro ce l’ha, costringendolo a patti vergognosi; fa esplodere di incontenibile rabbia chi il lavoro non l’ha mai avuto e vede il treno della vita passargli accanto senza poterci mai salire, senza mai poter alzare gli occhi con decoro di fronte ai propri figli o senza mai poterli avere, quei figli. La risposta dei governi a questa tragedia è quella miope di sempre: escogitare forme più o meno plausibili di crescita dell’occupazione, intesa come occupazione produttiva, cioè come produzione di merci che dovranno necessariamente essere consumate. E’ una risposta inadeguata ed insostenibile (…) Si tratta allora di incoraggiare lo spreco, il che vuol dire, nella maggioranza dei casi, mascherarlo da bisogno. Porzioni sempre più rilevanti del budget delle imprese sono investite per convincere il pubblico, stoltamente, che ha bisogno di oggetti che nemmeno immaginava di poter utiulizzare e che esistono per l’unico scopo di essere acquistati. Lo spreco ha indubbie conseguenze sull’ambiente, l’aria si fa irrespirabile, la temperatura cresce, il clima va incontro a trasformazioni di portata biblica (…) Sviluppiamo il discorso in termini più concreti. Assumiamo una società fatta di dieci persone in cui una, per esempio, produca scarpe. Non perché, intendiamoci, le faccia indipendentemente dal piacere il produrle, ma perché il produrle è il suo modo di ottenere tutte le soddisfazioni di cui ha bisogno. Quando ha bisogno di un martello o di un paniere in vimini, o di una bottiglia di vino, questa persona deve sperare che ci sia qualcun altro che abbia bisogno di un paio di scarpe; se è così, si realizzerà uno scambio tra i due ed entrambi saranno soddisfatti. A un certo punto però tutti e dieci i membri di questa società saranno abbondantemenrte calzati. (…) E allora? Finchè gli sarà possibile continuerà a produrre scarpe oggettivamente inutili, tanto quanto gli altri continueranno a produrre martelli e cesti di vimini assolutamente inutili. 411
Non è tanto l’inutilità degli oggetti il problema, ma è un problema la falsa coscienza che a tale produzione è associata. (…) Sto parlando del tempo libero, ossia dell’autentico tema della nostra epoca. E ne sto parlando, ed è bene ripeterlo, non perché la nostra epoca abbia creato questo tema, ma perché per la prima volta ci ha presentato il significato essenziale. (…) Secondo la antropologia tradizionale, cui mi oppongo, i bisogni sono parte costitutiva del nostro essere. (…) La distinzione tra tempo libero e tempo occupato è netta ed è evidente soprattutto nella fase “produttiva” della vita umana. Durante l’infanzia la situazione è più confusa. Certo, la distinzione esiste anche allora: anche il bambino, a una certa età, alterna periodi di attività seria, ossia finalizzata (principalmente l’andare a scuola), a periodi di attività gratuita, senza scopo. Ma questi ultimi vanno spesso esenti dalle vessazioni teoriche e pratiche delle analoghe libertà di un adulto. Si riconosce spesso che un bambino deve giocare, che sarebbe innaturale se non lo facesse, e talvolta si arriva anche ad ammettere che solo le cose imparate giocando le impara davvero: le altre, quelle che si impongono sin dall’inizio come serie e rimangono poi tetramente fedeli al loro ruolo, riuscirà magari ad applicarle con la saliva, ma appena questa si seccherrà, cadranno senza lasciar traccia. Teniamo ben ferma in mente la situazione “confusa” del bambino e guardiamo all’età matura: al modo in cui essa si sta evolvendo nel mondo contemporaneo. Lasciamo perdere, per il momento, disoccupazione, tossicodipendenze e via dicendo, perché è sempre possibile (a chi vuole nascondere la testa nella sabbia) vederle come fatti marginali e devianti (senza rendersi conto che la strategia della marginalizzazione, a lungo andare, ci lascia con un nucleo praticamente vuoto). Parliamo invece di normalissimi padri e madri regolarmente occupati (e sobri). La loro vita media si sta allungando e così, dall’altra estremità della fase produttiva, si spalanca una seconda infanzia anche più lunga della prima. Che cosa ci sta dicendo questo fenomeno? Secondo l’antropologia convenzionale, cui mi oppongo, i bisogni sono parte costitutiva del nostro essere. Il tempo libero, allora, è una appendice superflua, un ghirigoro, uno svolazzo inutile. (…) Una riformulazione del tutto paradossale di queste conclusioni (le conclusioni raggiunte in un altro paradigma sono sempre paradossali) è la seguente: si è parlato tanto di pensioni nel nostro Paese, per anni: l’aumento dell’età necessaria per consegiuire tale beneficio, gli scandali dei baby pensionati e delle pensioni di false invalidità. Non è un caso, perché su questo tema si scontrano schizofrenicamente tendenze opposte dell’attuale modello di sviluppo. Da un lato una società che ha come valore fondamentale la produzione non può dissociarsi con fermezza da chiunque voglia sfuggire troppo presto e troppo facilmente dai suoi compiti produttivi. (…) Uno Stato che dichiari di non impegnarsi sul piano educativo educherà lo stesso, al nulla. Evitando di prendere posizione a favore di qualsiasi concezione sostenziale della natura e del bene degli esseri umani favorirà implicitamente una riduzione di questa natura e questo bene al minimo comun denominatore; il che è quanto dire: a una natura e a un bene umani totalmente privi di contenuto. (…) 412
Da questo punto in avanti la Stato va concepito come un gigantesco istituto di ricerca, con le seguenti funzioni fondamentali: 1 incoraggiare lo scambio di abilità e conoscenze diverse; 2 facilitare il contatti fra persone di abilità e coscenze affini e favorire la formazione di gruppi di interesse che perseguano l’articolazione, il perfezionamento e lo sviluppo di una particolare abilità e conoscenza; 3 aggregare gruppi di interesse fra loro compatibili intorno a progetti comuni; 4 mantenere costantemente aperto un laboratorio di idee cui chiunque possa contribuire e da cui spesso emergerann i progetti aggreganti di cui al punto precedente; 5 provvedere le infrastrutture necessarie per una efficace realizzazione di 1 e 4 Ermanno Bencivenga, Manifesto per un mondo senza lavoro, ed. per la decrescita felice, Roma, 2012, Biblio Cn 174 BEN (interessante questo tentativo di dare una soluzione al problema più grave del momento contingente, cioè il lavoro. Costui è del 1950 ed insegna nell’Università della California. Questo testo è una rielaborazione rispetto alla pubblicazione del 2009. Tutto paradossale perché bisognerebbe lavorare di meno, anzi non bisognerebbe lavorare affatto scambiandosi reciprocamente le proprie competenze e capacità, in una continua ricerca ed evoluzione del proprio pensiero. E questo è espresso negli stralci riportati. Ma tutto ciò è assolutamente utopico e non è neanche realizzabile sul piano anche solo concettuale: come è possibile avere un medico, anche se non ha studiato affatto, né ha passato tanto tempo nella pratica? Come dire a un ragazzo di 30 anni che ha incominciato a lavorare che deve rinunciare all’acquisto della macchina? Come fa a trovare la ragazza? Ma soprattutto (e non affronta mai il problema, neanche di sfuggita) come fare a cancellare ed annulare il concetto di proprietà? Il bambino, più volte citato, giustamente, ha come primo istinto, a volte feroce, del possedere una cosa, più cose, tante cose. Non ho finito la lettura perché consisteva in una risposta ad una serie di domande che i lettori avrebbero pòsto: puzzano un po’ di retorica. Concludendo: apprezzabile lo sforzo, ma assolutamente vano ed inutile).
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Articolo 1 Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Articolo 2 1. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. 2. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità. Articolo 3
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Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona. Articolo 4 Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma. Articolo 5 Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti. Articolo 13 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese. Articolo 14 1. Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni. 2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.
DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO approvata nel 1948 dall'Assemblea dell' ONU ed adottato da 140 Paesi tra cui l'Italia tuttora in vigore Davvero elementare e di facile comprensione i succitati articoli. Lavvode qualcuno avesse problemi di lettura o di comprendonio sarebbe il caso metterlo al corrente. Queste sono norme di Umanità, da Uomo a Uomo
La verità esce meglio da un barile che da un pozzo. Emile Angier 1820-89 Nepal. Quando due persone si incontrano, congiungono le mani, fanno una flessione e dicono: “benedico il Dio che è in te” radiorai3, maggio 2018 E’ difficile avere fiducia in se stessi, conoscendosi a fondo. Marcello Marchesi Il piacere scivola a volte verso la piazza dellla fortuna ma il posto è troppo grande per lui. Diane de Beaisacq 1829-99 Un cauto e prudente autocontrollo è la radice della saggezza. Robert Burns L’amore è una prova, questa prova è di ordine spirituale.
Christian Bobin
Un asino può andare a scuola anche per cento anni: non impararà altro che a gridare più forte. Marion Zimmer Bradley
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Il tempo è elastico, si dilata, si contrae, ma non si ferma quando se ne avrebbe bisogno. Kate Mosse Una delle ragioni per le quali noi abbiamo talmente bisogno dell’amore e lo cerchiamo così disperatamente, è che l’amore è il solo rimedio alla solitudine, alla vergogna, ai problemi (chagrin) Gregory D. Robverts Come i ruscelli e le piante, le anime hanno bisogno della pioggia, ma di altra natura: la speranza, la fede, la ragione di vivere. Altrimenti, anche se il corpo continua a vivere, l’anima deperisce. Paulo Coelho Quanto agli uomini, potranno divenire. La pigrizia stanchi.
non è che mi
interessi ciò che sono, ma quello che Paul Sartre (1905- 1980)
non è niente di più dell’abitudine di riposarsi prima di essere Jules Renard (1864-1910)
Il probema della vita non è quello di darsi le risposte, ma quello di porsi delle buone domande. James Redfield Colui che non progredisce tutti i giorni, rincula tutti i giorni. Confucio (551- 479 a.C.) Ci si sente liberi nella misura in cui l’immaginazione non supera i desideri reali e nessuno dei due oltrepassa la capacità di agire. Zygmunt Bauman Pensa più un innamorato a raggiungere la sua amante che non il marito a sorvegliarla. Stendal Quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; questo è comandare. Italo Calvino
Simone Weil, Non ricominciamo la guerra di Troia, Nouveaux Cahiers 1937 (in almeno due pagine di introduzione a questo articolo l’Autrice dimostra come la guerra e le guerre succedono ormai senza alcuna motivazione o offesa da riparare. Nella guerra di Troia c’era almeno un Paride che aveva sottratto Elena al legittimo marito ed alla sua città: nessuno aveva visto Elena, anzi si pensava che la sua immagine nella città di Troia fosse un fantasma perché la vera entità sarebbe stata in Egitto)
… Per fare un altro esempio, nel caso in cui si espone dinanzi ad un uomo di partito l’idea di un armistizio in Spagna, se è un uomo di destra risponderà con indignazione che bisogna lottare sino in fondo per la vittoria dell’ordine e l’annientamento dei fautori dell’anarchia; se è un uomo di sinistra risponderà con non minor indignazione che occorre lottare fino in fondo per la libertà del 415
popolo, per il benessere delle masse lavoratrici, per l’annientamento dei provocatori e degli sfruttatori. Il primo dimentica che nessun regime politico, qualunque esso sia, provoca disordini che non possono essere messi a confronto neppur lontanamente con quelli della guerra civile, con le distruzioni sistematiche, i massacri in massa al fronte, il rallentamento della produzione, le centinaia di crimini individuali commessi giornalmente da entrambe le parti per il semplice fatto che qualunque canaglia ha un fucile in mano. L’uomo di sinistra, dal canto suo, dimentica che le necessità della guerra civile, lo stato di assedio, la militarizzazione del fronte e della retrovia, il terrore poliziesco, l’eliminazione di ogni limitazione all’arbitrio, di ogni garanzia individuale sopprimono la libertà assai più radicalmente di quanto non farebbero l’ascesa al potere di un partito di destra; dimentica che le spese di guerra, le rovine, il rallentamento della produzione condannano il popolo, e per lungo tempo, a privazioni ben più crudeli di quelle che potrebbero infliggergli i suoi sfruttatori. L’uomo di destra e l’uomo di sinistra dimenticano entrambi che lunghi mesi di guerra civile hanno a poco a poco importato nei due campi un regime quasi identico. Ognuno dei due ha perso, senza accorgersene, il suo ideale e lo ha sostituito con un’entità vuota; per entrambi, la vittoria di ciò che ancora chiama la sua idea può solo definirsi attraverso l’annientamento dell’avversario; e ciascuno dei due, se gli si parla di pace, risponderà con disprezzo con il suo argomento schiacciante, l’argomento di Minerva in Omero, l’argomento di Poincaré nel 1917: “I morti non lo vogliono”. (…) La lotta tra avversari e sostenitori del capitalismo, una lotta tra innovatori che non sanno cosa innovare e i conservatori che non sanno cosa conservare, è una lotta cieca tra ciechi, una lotta nel vuoto e che proprio per questa ragione rischia di trasformarsi in sterminio.( Nota Bene: lo scritto è del 1937 ed è lo stesso dilemma di oggi!). Si possono fare le stesse considerazioni rispetto alla lotta che si svolge nell’ambito più ristretto delle imprese industriali. Un operaio in generale attribuisce istintivamente al padrone tutte le sofferenze che subisce in fabbbrica; non si chiede se in un sistema di proprietà totalmente diverso, la direzione dell’impresa non gli infligerebbe ancora una parte delle stesse sofferenze, o forse sofferenze identiche, o forse ancora maggiori. Non si chiede nemmeno quale parte di queste sofferenze potrebbe essere eliminata, facendone scomparire le cause, senza toccare il sistema di proprietà. Per lui la “lotta contro il padrone” si confonde con la protesta insopprimibile dell’essere umano schiacciato da una vita troppo dura. (…) Se si analizzassero in questo modo tutte le parole, tutte le formule che hanno suscitato lungo tutta la storia umana lo spirito di sacrificio e insieme la crudeltà, si scoprirebbe probabilmente che sono tutte altrettanto vuote. Eppure, tutte queste entità avide di sangue umano devono avere per forza un qualche rapporto con la vita reale. E infatti ce l’hanno. A Troia forse non c’era che il fantasma di Elena, ma l’esercito greco e l’esercito troiano non erano dei fantasmi; così, se la parola nazione e le espressioni di cui fa parte sono prive di senso, i diversi Stati, con i loro uffici, le loro prigioni, i loro arsenali, le loro caserme, le loro dogane, sono del tutto reali. La distinzione teorica tra le due forme di regime totalitario, fascismo e comunismo, è immaginaria, ma in Germania nel 1932, esistevano concretamente due formazioni politiche, 416
ciascuna delle quali aspirara al potere assoluto totale e di conseguenza all’eliminazione dell’altra. (…) D’altra parte, uno Stato non può apparire debole di fronte al nemico, senza rischiare di dare anche a coloro che gli obbediscono la tentazione di scuotere un po’ la sua autorità. Se Priamo ed Ettore avessere restituito Elena ai Greci, avrebbero rischiato di suscitare ulteriormente il loro desiderio di saccheggiare una città in apparenza così mal preparata a difendersi; avrebbero anche rischiato una rivolta generale a Troia: non perché la restituzione di Elena avrebbe indignato i troiani, ma perché questi avrebbero pensato che gli uomini cui obbedivano non erano poi così potenti. Se in Spagna una delle due parti desse l’impressione di volere la pace, innanzitutto incoraggerebbe i nemici, ne aumenterebbe il valore offensivo; e poi rischierebbe rivolte tra i propri combattenti. Nello stesso modo, a un uomo che non sia impegnato né nel blocco anticomunista, né nel blocco antifascista, l’urto tra due ideologie quasi simili può sembrare ridicolo; ma dal momento che questi blocchi esistono, coloro che appartengono ad uno di essi considerano necessariamente gli avversari dell’altro blocco come il male assoluto, perché ne verranno schiacciati se non saranno più forti. (…)
Simone Weil, Questa guerra è una guerra di religione, pubblicato postumo. (…) Una tradizione albigese racconta che il diavolo ha sedotto le creature dicendo loro: “Con Dio voi non siete libere dacchè potete fare solo il bene. Seguitemi ed avrete la potenza di fare il bene e il male a vostro piacimento”. L’esperienza conferma questa tradizione, perché l’innocenza si perde tutti i giorni per l’attrattiva della conoscenza e dell’esperienza, assai più che per quella del piacere. L’uomo ha seguito il diavolo. Ha ricevuto ciò che il diavolo gli prometteva. Ma, giunto in possesso della coppia di bene e di male, è tanto a suo agio quanto un bambino che abbia preso in mano un carbone ardente. Vorrebbe buttar via il carbone. Si accorge che è difficile. (…) Anche una Chiesa può svolgere lo stesso ruolo. La comparsa dell’Inquisizione nel Medioevo dimostra che una corrente di totalitarismo si era certamente insinuata nella cristianità. Fortunatamente non ha prevalso. Ma ha forse fatto abortire quella civiltà cristiana che il Medioevo era stato sul punto di produrre. (…) E’ una trasformazione inversa a quella che si è prodotta quando gli esseri umani hanno seguito il diavolo. Di conseguenza è un’operazione difficile, e persino impossibile, contraria alle legge di degradazione dell’energia, ben più ancora della trasformazione del calore in movimento. Ma l’impossibile è possibile a Dio. In altre parole, solo l’impossibile è possibile a Dio. Egli ha lasciato il possibile ai meccanismi della materia e all’autonomia delle creature. I procedimenti e gli effetti di questa trasformazione sono stati studiati sperimentalmente, nella maniera più minuziosa, dagli egiziani, dai greci, dagli indù, dai cinesi e molto probabilmente da molti altri popoli dell’antichità, da 417
diverse sette buddiste, dai mussulmani e dai cristiani del Medioevo. Da parecchi secoli, queste cose sono state dimenticate in tutti i paese. (…) Dei tre metodi per sbarazzarsi dell’opposizione tra il bene e il male, nessuno è accessibile agli schiavi o ai popoli sottomessi. D’altra parte, tutti i giorni i dolori e le umiliazioni fanno penetrare in loro il male che proviene dall’esterno, che risveglia il male interiore sotto forma di paura o di odio. Essi non possono né dimenticare il male, né liberarsene, e vivono così nella migliore imitazione terrena dell’inferno. I tre metodi non sono inaccessibili in egual misura. Due sono impossibili. Quello soprannaturale è solo difficile, ci si può arrivare solo attraverso la povertà spirituale. Tanto la virtù della povertà spirituale è indispensabile ai ricchi per allontanare da loro la corruzione della ricchezza, altrettanto è indispensabile ai miserabili per impedire loro di degradarsi nella miseria. E’ egualmente difficile agli uni e agli altri. L’Europa asservita e depressa vedrà giorni migliori al momento della liberazione, solo se nell’intervallo la virtù della povertà spirituale vi avrà messo radici. Simone Weil, Sulla guerra, scritti 1933-1943, Pratiche Editrice, 1998, Biblio Cn172 WEI (davvero straordinaria questa Donna. Uscita brillantemente dalla Normale va a fare l’operaia sotto falso nome, partecipa a varie lotte sindacali ma poi si dissocia e si ritrae, va a combattere in Spagna ma rifiuta la violenza gratuita e senza alcune senso, scappa in Marocco con i genitori nel tentativo di approdare negli Stati Uniti e nel frattempo discute epistolarmente di religione cristiana con un Domenicano francese dimostrando non comuni nozioni teologiche (non si converte dichiarando di “voler stare sulla soglia”) , riesce a portare il genitori in America ma freme per ritornare a combattere, riesce a salire su un bastimento diretto al Regno Unito e si presenta alla forza politica francese chiedendo di essere mandata in missione in terra francese, non ottenendo ciò svolge lavori delicati per il gen. De Gaulle, ma poi si dissocia da France Combattante. Si sente in colpa per il cibo che le viene somministrato pensando ai francesi che sono ridotti alla fame per cui rifiuta di nutrirsi e muore di consunzione, o meglio, di tubercolosi : avrebbe potuto essere curata e salvata. Il tutto gestito con una lucidità intellettuale straordinaria che avrebbero fatto di Lei davvero una figura determinante per l’Europa. Forse era affetta da qualche patologia del tipo cupio dissolvendi? E’ morta a 34 anni).
Pier Luigi Ferro, messe nere sulla Riviera. …Il foglio savonese, addidato agli strilloni ed alle edicole poco dopo il mezzogiorno, andò a ruba, tanto che il poco tempo andarono esaudite le tre edizioni stampate per soddisfare le esigenze sempre crescenti del pubblico. L’impressione che tale notizia aveva provocato produsse inoltre una manifestazione pubblica di spontanea protesta contro i salesiani e contro il clericalismo, cui parteciparono almeno un migliaio di persone, che, verso le nove di sera, si avviarono lungo il rettilineo fiancheggiato dai portici di via Paleocapa, la principale arteria di Savona sino a giungre in via delle Trincee davanti al collegio che i salesiani avevano anche in quella città. (…) 418
Il Cittadino del 31 luglio 1917 : “ Fin dai primi giorni dello scorso gennaio il giovinetto quattordicenne Alessandro Besson, la cui madre è figlia dl defunto console di Francia a Cagliari, si lamentò con la mamma delle nauseanti porcaggini che si commettevano nel collegio salesiano di Varazze, e stomacato di tali turpitudini dichiarò che più non voleva recarsi presso i salesiani. (notasunto mia: la mamma si recò da due avvocati di Savona cui espose i fatti ricevendone il consiglio che il ragazzo annotasse in un diario quanto avveniva; declinarono il patrocinio ) (…) Così fece il giovinetto per alcuni mesi sin che la signora Besson sulla scorta del diario inviò particolareggiata denunzia al Ministero, che tosto ordinò alle autorità locali di aprire una severa inchiesta. Oltre alle autorità politiche si recò ieri a Varazze l’egregio cav. Polito del Rosa, procuratore del Re, il quale ha proceduto a puntuali e diligenti indagini, che hanno potuto far conoscere in tutta la loro turpe efferatezza le gesta infami. Trattandosi di reati di azione privata, l’autorità non ha ancora potuto emettere alcun mandato di cattura, poiché sinora non vi sono querele di parte; ma è certo che non tarderanno. Ed è per questo che i sei Padri trattenuti nella caserma dei Carabinieri per essere interrogati, non furono dichiarati in arresto, e perciò lasciati liberi. Intanto in seguito a perizie mediche, si è potuto constatare che cinque bambini portano le impronte delle nefandità subite. (…) La stampa cattolica per qualche giorno proverà contro ogni evidenza a ingannare i propri lettori smentendo la notizia della fuga del prete don Luigi Musso, sostenendo che lo stesso si era recato per qualche giorno dalla propria famiglia, poco oltre il confine, a Nizza Marittima, in cui era nato nell’agosto 1866 (…) Il sacerdote, benchè contro di lui fosse stata emessa una ordinanza di cattura dalla Corte di Appello di Genova il 18 luiglio 1908, rimarrà invece latitante per tutta lo svolgimento dell’inchiesta al termine della quale verrà condannato in contumacia, a trenta anni di reclusione. (…) Lo scandalo dell’Asilo della Consolata a Torino deflagrò sui quotidiani nazionali nel luglio 1907, quando a Milano i giornali andavano già a ruba per l’arresto di un tale don Milanesi accusato di essere il mandante dell’omicidio di un maestro di nome Loglio. (…) In breve, don Luigi Longo, un teologo molto attivo nella vita politica torinese, ottenne seimila preferenze nelle elezioni amministrative del 2006, fondatore del circolo di studi sociali “Rerum Novarum” e del quindicinale “L’unione professionale” si era impegnato nel 1905 per tentare una conciliazione tra il nuovo arcivesco Agostino Richelmy e la Fumagalli (fondatrice dell’Asilo della Consolata e del relativo ordine monastico), fece nominare don Giovanni Riva consigliere spirituale della congregazione. I due sacerdoti e la Fumagalli furono coinvolti in un processo penale che prese il via dalle accuse dei genitori di una bambina ospite dell’Asilo, di soli quattro anni, Maria Cazzaniga; la mamma andandola a prendere al sera del 15 giugno 1907, si accorse che camminava con fatica e che era insolitamente pallida per cui le chiese cosa avesse: “tanto bibi mamma, tanto bibi”. Visitatale sommariamente dove diceva originare il dolore, con capisce subito la gravità del male che però poi, con successivi accertamenti medici, risultò derivante da uno stupro i cui effetti erano complicati da un’infezione venerea, diagnosticata il 28 giugno. (…) La mattina del 27 luglio1907 era stata data notizia su “Il Lavoro” di fatti che coinvolgevano il personale che i Salesiani reggevano in un’altra cittadina della Riviera di ponente, Alassio, fondata da don Bosco due anni prima di quella di 419
Varazze e che aveva caratteristiche simili, comprendendo le scuole municipali, cioè, di fatto erano le uniche scuole delle due cittadine. (…) A esarcerbare ciò si aggiunse che, in quei giorni, altri istituti salesiani ubicati altrove, furono trascinati anch’essi sulle pagine dei giornali nazionali: come quello di Fossano, dove don Giovanni Fedele animato da un debordante animus corrigendi, venne accusato di aver l’abitudine di punire i ragazzi tirandogli giù le mutandine e prendendoli a “padellate” e quando per il bruciore si giravano, “non desisteva, cambiava solo metodo” scrive un cronista. Ma anche quello di Colle Salvetti, dove un dodicenne di nome Luciano Papini denunciò di aver subito abusi. (…) A La Spezia, città con caratteristiche analoghe a quelle di Savona, il clima e la rabbia erano ancor più roventi, forse anche per una maggior presenza di gruppi anarchici; i ginnasti della società salesiana Fulgor al ritorno da una gara disputata ad Albenga, vennero fatti segno ad una manifestazione ostile … La folla riuscì poi ad abbattere il portale della chiesa della Scorza e ad invaderla, venendo scacciata solo dall’intervento della polizia. Il mattino del giorno successivo, il 31 luglio, riuscì a penetrare nuovamente nella chiesa e a portar via gli arredi e gli oggetti di valore, facendone un cumulo sulla piazza e il tutto fu cosparso di benzina e bruciato. Il giovedì venne invasa la Chiesa di San Pietro retta dai Carmelitani. (…) A Sampierdarena , dove era scoppiato un altro scadalo riguardante don Angelo Olcese, un prete sessantenne accusato di molestie nei confronti di minori, arrestato il 30 luglio e quindi tradotto in carcere, i Salesiani del Collegio locale cercarono di intimidire la folla, esplodendo sette colpi di rivoltella in aria. … ma i dimostranti sfondarono la porta dell’Istituto e si recarono poi alla Chiesa di Santa Maria in Cella, il cui parroco era il fratello dell’incarcerato, dove fu respinta da un cordone di alpini, carabinieri e guardie. (…) Una piega ben più drammatica presero i fatti a La Spezia, dove ci fu anche una vittima, tale Angelo Micchi, un venditore di carbone diciannovenne che fu ucciso con un colpo alla testa nel corso di una manifestazione davanti alla Chiesa di Santa Maria della Neve, costruita dai salesiani. (…) Quando ripresero a volare i sassi i manifestanti vennero dispersi e tutte le chiese della città vennero trasformate in caserme, ma la strettissima sorveglianza non impedì che la mattina del 2 agosto venisse data alle fiamme la Chiesa di Sant’Antonio. La mattina del 3 gli arrestati vennero condotti alla stazione ferroviaria circondati da una siepe di marinai e di carabinieri comandati dal maggiore D’Affitto, di stanza a Lucca. (…) ( tralascio altri particolari dell’intricata vicenda perché sono davvero troppi) (…)18 febbraio 1907 mattina In scuola vi era già don Paseri, interamente nudo, con il berretto conico tradizionale: in terra vi erano due globi di legno schiacciati alle estremità. Poco dopo entrarono gli interni col davanti aperto, cioè con i pantaloni slacciati e i genitali esposti. Poscia vennero don Calvi ed il maestro di francese pure adamidici –interamente nudi- , due monache e due ragazze in camicia. Le monache salirono sui globi, collocando un piede sull’uno e un piede sull’altro, in modo da rimanere con le gambe allargate, tanto che vi stavano sotto le due ragazze distese a terra. Le due monache erano (cancellatura) una dietro 420
all’altra, a contatto con il dosso, rivolte verso il maestro don Calvi e gli altri sopra mentovati, tutti nudi. Poi si spogliò Belli, il capo spia. Allora don Calvi dice: il tribunale inquisitore è radunato. No, dice don Paseri, manca don Crosio. Allora una ragazza si recò, carponi, in quinta elementare, e poco dopo il Grande Inquisitore comparve, interamente adamitico. Poi incominciò: in nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, in nome di S.S. Pio X, io, Grande Inquisitore di Varazze, d’ordine del Gran Salesiano don Rua, scomunico il Re, le Regine d’Italia e di Spagna e il Presidente della Repubblica Francese. I giudici (le monache, le ragazze, Belli, don Calvi, il maestro di francese) approvano? Sì, essi rispondono. Allora don Calvi che ha un fischietto a tracolla, fischia: ed a Giullieri, comparso alla chiamata, dice: sono pronti dodici roghi e le dodici forche? Sì, ebbene, ne porti due. Poco dopo Giullieri ed il maestro di geografia nel solito costume, cioè nudi, portano gli attrezzi richiesti, indi il maestro di geografia si ritira. Allora don Calvi prende un ritratto di Carducci e dice: l’ira di Dio si è alquanto calmata alla morte di Giosuè Carducci, il porco vecchio che fino a pochi giorni fa, infestava l’Italia con le sue luride poesie: quindi, per un mese i sacrifici sono sospesi. Il Signore espresse la sua soddisfazione per mezzo di S.S. Pio X. A cominciare da oggi si vieta che si parli di questo sacrificio (messa nera). Allora don Crosio disse: io, con l’ autorita del Grande Inquisitore, auguro ai capi di Stato sunnominati, che facciano presto la fine di Giosuè Carducci. Il Grande Consiglio approva? Allora tutti fecero un inchino. Quindi entrarono dieci ragazze (in camicia) coi ceri accesi: e con il solito cerimoniale fu abbruciato Cavour e impiccato Carducci. Poi le ragazze si ritirarono, meno le due che erano sdraiate sotto le monache. Indi don Paseri fece delle frizioni molto sconce ai ragazzi e sulle ragazze. E un ragazzo dovette gridare: ahi! Così mi fa male! E don Paseri disse: non ci avevo badato. Poi don Calvi disse: se sarete buoni, vi farò dormire nudi assieme a una bella ragazza pure nuda. Un certo Redaelli Luigi a questo punto esclamò: è tanto tempo che ce lo promette e non lo mantiene mai! In seguito don Calvi si avvicinò alla più giovane delle monache, l’abbracciò e la baciò teneramente dicendo: cara sorella, cara sorella: e l’altra, non so perché, si tirò su la camicia volgendo al prete successivamente il davanti e il di dietro. Finito questo, entrò Giulleri con una vaso da notte assai grande, invitando i presenti, seconde le parole di don Paseri, a fare i propri bisogni liquidi. Due soli obbedirono: Venturini certo e l’altro, credo, Aismondi. Pier Luigi Ferro, Messe nere sulla Riviera, Utet 2010, pref.Edoardo Sanguineti (Sconcertante, semplicemente sconcertante questo testo. Intanto l’Autore è un saggista, traduttore e conduce una rigorosa e documentata esposizione dei fatti occorsi all’inizio ‘900.La casa editrice è Utet e non un foglio scandalistico. Una plurima sequela di molestie sessuali sui giovani ospiti dei loro Collegi inducono una madre a rivolgersi a due avvocati di Savona per un parere sui fatti narrati dal figlio nell’ambito della scuola comunale di Varazze condotta dai Salesiani. Gli ospiti sono oltre 400 e circa 100 sono convittori: la mancanza di scuole elementari e medie nei piccoli centri inducevano le famiglie, non senza sforzi, a ricorrere a simili strutture. L’avvocato suggerì al ragazzo 14enne di tenere un diario degli avvenimenti. Così fece ma l’avvocato declinò l’invito a iniziare una qualsiasi azione. Non così il medico 421
municipale che, inorridito, coinvolse un massone milanese che fece arrivare il diario al competente Ministro. Scoppiò la bomba: ispezione del Procuratore del Re, del Commissario prefettizio, del tenente dei Carabinieri, del responsabile genovese delle scuole. In breve la scuola, anzi le scuole, furono chiuse, i sacerdoti fermati ed interrogati ma le circa quaranta querele di parte (solo così poteva procedere la magistratura in base al codice Zanardelli) sotto forti, fortissime pressioni furono ritirate adducendo la salvaguardia dell’onore dei ragazzi coinvolti, una volta raggiunta la maggiore età. Tutte meno che quella della vedova Besson nell’interesse del figlio Alessandro, l’autore del diario. Da notare che solo le famiglie più abbienti e socialmente responsabili avevano iniziato la procedura. Il caso divenne nazionale con intervento dei mondo politico sobillato dalla massoneria, dagli anarchici, dagli anticlericali e, a dire dei salesiani, anche dai Gesuiti gelosi del successo scolastico degli antagonisti. Il lavoro è rigoroso ed ogni capitolo ricostruisce i fatti ma si chiude con una appendice documentale, cioè atti e sentenze dei Tribunali di Savona e Genova, dei Commissariati, del Ministero, sentenze e quant’altro .Fin qui la vicenda: la seconda parte è basata su una serie di annotazioni e documenti che un certo avv. Gian Pietro Lucini con grande villa a Varazze dove svernava e residenza sul Lago di Como, gran signore, benestante, poeta apprezzato, studioso: soffriva però di tubercolosi ossea cle lo porto a precoce morte e su questo difetto fisico i salesiani si trastullarono in modo vergognoso. Costui era venuto in possesso del diario di Alessandro e ci lavorò alquanto con la prospettiva di editare un libro e lasciò una gran quantità di appunti. Mi ha davvero stupito la gran copia di autori e di titoli soprattutto francesi concernenti le “messe nere”. Per gli italiani il più importante è Arturo Graf poeta e prof. all’Università di Torino. Ma morì. In anni recenti l’Autore ha avuto l’accesso ad un fondo presso una biblioteca pubblica consultando tutti gli scritti ed opere del Lucini: da è qui nato il libro. La cosa più squallida che si trae dal libro è l’ Ipocrisia dei salesiani: manifesta e spudorata. Quando tutta la vicenda si sbollentì, con opportune manovre, ebbero il coraggio di citare per risarcimento danni gli autori delle 40 querele poi ritirate, perseguitarono i Besson finchè gli stessi si resero irreperibili, si avvalsero di un politico locale, tale Astengo, socialista e massone quindi nelle mani del diavolo, il quale fu eletto deputato con i voti provenienti dalle campagne (arguta l’annotazione che lì i preti avevano indubbia presa sugli elettori) il quale con apposita istanza al Ministero fece revocare la chiusura delle molteplici scuole. Ipocrite le perizie e controperizia di medici e psichiatri che dimenticarono di aver riscontarto i segni delle sevizie ma anche l’infermità mentale di quanti in un primo momento erano sembrati sani di mente. Tutto estremamente e vergognosamente ipocrita: i molteplici fatti delittuosi furono cancellati mettendo in primo piano l’acrimonia contro gli innocenti educatori. Questa infezione è sanabile solo con la ignominosa cacciata degli accertati colpevoli: ma quanti ne resterebbero? Nota: l’ultimo stralcio datato 18 luglio 1907 è la copia integrale del Diario del Besson che consiste di 17 pagine. Questo documento è allegato alle sentenze, nelle carte del Ministero della Scuola, in mille altri posti ed anfratti:immaginiamo sia inesistente ).
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