EXISTENCE IS RESISTANCE. È L’ARTE CHE RESTA. Dipinti dagli Anni Settanta ad oggi.
MUSEO DI SANT’AGOSTINO
Realizzazione catalogo
Ideazione Beth Vermeer Coordinamento redazionale Bridget Morandi Immagine in copertina Riccardo Visone Traduzioni Ludovico Sansoni Promozione Calliope Bureau
Foto credits Tavole da pagina 30 a 63 Carlo Accerboni Disegni Karl Stengel dal volume “I miei disegni per le tue poesie” Testi Adelmo Taddei, Beth Vermeer, Camilla Paul-Stengel, Rosa Elisa Giangoia, Claudio Pozzani
Mediapartner Aurora International Journal
Poesie Carlo Accerboni, Milena Buzzoni, Rosa Elisa Giangoia, Marina Martinelli, Mario Pepe, Bruno Rombi, Laura Supino Ghiron, Marisa Tumicell, Guido Zavanone
Edizione web Lorenzo Isacco
Produzione Camilla Paul-Stengel
Social Network Editor Lorenzo Bisio Servizio Civile Nazionale Realizzazione grafica Mario Marcianti Stampa Tipografia Debolini
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2018 Ed.Galerie C.C.Paul Design of the Universe Karl Stengel per le sue opere Museo di Sant’Agostino
© gli autori per i loro testi
Giornate Europee del Patrimonio 2018 22. e 23 settembre 2018-12-06
Existence is resistance. E’ l’Arte che resta. Karl Stengel. Opere dagli Anni Settanta ad oggi. Genova, Museo di Sant’Agostino Dal 19 settembre al 16 dicembre 2018
Ilaria Cavo Assessore alla Comunicazione e alle Politiche Giovanili e Culturali
Esposizione, progetto degli allestimenti e catalogo a cura di Beth Vermeer
Barbara Grosso Assessore alle Politiche Culturali e Marketing del Territorio
Un ringraziamento imperituro a Camilla Paul-Stengel per aver creduto nel progetto.
Adelmo Taddei Conservatore del Museo
con il patrocinio di Ádám Zoltán Kovács Ambasciatore di Ungheria in Roma Giuseppe M. Giacomini Console di Ungheria in Genova con la partecipazione di István Puskás Direttore dell’Istituto Balassi, Accademia di Ungheria in Roma con la collaborazione di Annamaria Saiano Agenzia Consolare degli Stati Uniti d’America in Genova
Concept design e coordinamento scientifico Design of the Universe
Si ringrazia in modo particolare Adelmo Taddei e tutto lo staff del Museo di Sant’Agostino per la preziosa collaborazione e Coop Culture e Coop Zoe per il marketing. Si ringraziano inoltre Collezione Stengel, Firenze per il prestito e il trasporto delle opere. Hanno partecipato con dedizione al progetto l’Associazione culturale “Il Gatto Certosino” e la Fondazione Guido Zavanone. Un ringraziamento sentito va a Rosa Elisa Giangoia. Si ringraziano inoltre per aver sostenuto la promozione della mostra e dei suoi numerosi eventi collaterali la Bottega di Marco Locci; Ellequadro; Centro Documentazione Logos, Migrantour, Aurora International Journal, specialmente Sandra Locci e Marco Leccisi; Tiziana Leopizzi; Giovanni Senili; Rita Sanvicenti. Un ringraziamento speciale a Juraj Kojs per il progetto “Museum Soundscape” e la composizione di quindici tracce sonore ed il tecnico del suono Emiliano Russo ai due Graphic Designer Riccardo Visone e Alessia Ronco Milanaccio
PREFAZIONE Della mostra dedicata all’artista Karl Stengel, di origini ungheresi, ma da molti anni trapiantato in Italia e scomparso lo scorso anno a Firenze, colpisce, già ad un primo sguardo, l’originalità dell’allestimento.
Sono, dunque, lieta di esprimere l’apprezzamento di Regione Liguria e mio personale agli organizzatori della mostra “Karl Stengel (1924 – 2017). Existence is resistance. E’ l’arte che resta”.
Infatti, sia i disegni, dove l’attenzione si focalizza maggiormente sulle figure, sia i dipinti dove prevale il gusto per l’astrazione, sono presentati in ambienti in cui mostrano la loro notevole forza espressiva accanto a capolavori della Scuola pittorica genovese cinque-seicentesca da Luca Cambiaso a Gregorio De Ferrari o alle sculture di grandi maestri da Giovanni Pisano a Francesco Maria Schiaffino. Illustrazioni come quelle sui volumi di Giuseppe Ungaretti o Charles Bukowski hanno uno spazio, assolutamente meritato, per aver ispirato Stengel nella sua importante attività d’illustratore, portata avanti lungo tutto il suo percorso artistico. Da non dimenticare la serie di appuntamenti collaterali alla mostra “Affinità elettive” che intendono approfondi re il rapporto costante che Karl Stengel ebbe con la musica, la poesia, la narrativa.
Ilaria Cavo Assessore alla Comunicazione e alle Politiche Giovanili e Culturali Regione Liguria
PREFAZIONE Sono molto lieta del grande successo di pubblico e dell’attenzione della critica specializzata, ottenuti dalla mostra Karl Stengel – Existence is resistance – È l’arte che resta. Dipinti e disegni dagli Anni Settanta ad oggi, che è stata ospitata al Museo di Sant’Agostino.
il merito di punteggiare il tempo dell’esposizione con importanti eventi collaterali afferenti soprattutto alla musica e alla poesia, universi ai quali Stengel, che lavorava ascoltando musica, tributò un’attenzione intima e profonda, quale traspare dalle sue opere, animate da ritmi e criptoalfabeti.
Al di là dell’indubbia e conclamata qualità dell’artista, attestata da mostre in tutto il mondo e premi internazionali, Stengel si caratterizza paradigmaticamente come uomo compiutamente europeo. Il suo percorso umano e conseguentemente quello di artista, si snodano dalla nascita in Ungheria alla prigionia di guerra nei campi sovietici alla fuga in Germania nel 1956.
Grazie, quindi, alla curatrice e organizzatrice di tutta la complessa macchina dell’iniziativa, Beth Vermeer – DesignoftheUniverse - a tutti coloro che hanno collaborato alla riuscita del progetto e in particolare alla rappresentanza consolare degli USA a Genova, all’Accademia d’Ungheria in Roma e alla Fondazione Stengel di Firenze, nonché alla Signora Camilla Paul-Stengel, che ha generosamente fornito mezzi e materiali per realizzare l’impresa.
Una peregrinazione che, dalla Germania, si snoda attraverso Svizzera, Spagna e ancora Germania, per poi trovare un approdo nella campagna toscana «a respirare il Rinascimento e i suoi prodigiosi disegnatori». Questo percorso tortuoso e sofferto costituisce il valore aggiunto a questa mostra, che ha anche avuto
Barbara Grosso Assessore alle Politiche Culturali e Marketing del Territorio del Comune di Genova
PREFAZIONE E' sempre con grande piacere e intenso gusto intellettuale che rinnovo la mia collaborazione e il mio sostegno ai progetti squisitamente disegnati da Beth Vermeer.
Charle Bukowski), nasce una "experience" che arricchisce il modo con cui si guarda, si apprezza, si fruisce il momento artistico.
La sua ultima fatica, "Existence is Resistance. Art Will Remain", -- realizzata con il consueto estro e l'immancabile determinazione nell'aggirare gli inevitabili inciampi burocratici o organizzativi di un progetto complesso e sofisticato, -- impone alla mente di resistere alla tentazione di una facile fruizione (declinata per esempio su elementi biografici) della multiforme opera di Karl Stengel, -- disegni, incisioni, gouache, -- per iniziare un percorso di ricerca e scoperta semiotica sul signifcato dell'arte come espressione individuale, sull'ispirazione artistica, sulla convinenza o compatibilitĂ tra stili e linguaggi diversi.
It goes without saying quindi che ho condiviso con entusiasmo la lettura delle poesie di Stengel abbinate a quelle di Bukowski con il controcanto dei versi di Camilla Paul Stengel e che ho sostenuto la performance del compositoreslovacco americano Juraj Kojs che, dall'osservatorio privilegiato della sua Foundation for Emerging Technologies and Arts a Miami, ci ha offerto uno sguardo innovativo e sorprendente sull'apparente scontro tra le opere di Stengel e quelle del Museo Sant'Agostino.
Nell'abbinamento, nella sovrapposizione, nel confronto, voluti dalla curatrice, di alcune opere di Stengel con opere, apparentemente distanti per presupposti e per concezione, del Museo Sant'Agostino, dall'incontro delle stesse opere con fonti di ispirazione, imitazione o, semplicemente, piacere amate da Stengel, quali la musica, la letteratura, la poesia (un nome per tutti,
Rimango in attesa del prossimo progetto di Beth Vermeer che ringrazio di nuovo per voler far partecipare Genova, con associazioni e luoghi diffusi, al suo affascinante "Design of the Universe". Anna Maria Saiano
Agenzia Consolare degli Stati Uniti d’America in Genova
PREFAZIONE ”History is written by the victors.” – disse uno dei fautori gloriosi della storia del Novecento, Winston Churchill. La storia è frutto di procedimenti di selezione che avvengono seguendo vari intressi umani che filtrano le memorie individuali e colletive per costruirne le narrative che chiamiamo storia. Anche la storia dell’arte vive e funziona così; chi fa parte della memoria colletiva dell’arte, chi rimane a far parte della storia d’arte, è questione di scelte di uomini che dirigono isitituzioni, hanno le capacità, le possibilità, i mezzi di decidere chi inserici e chi ignorare. Nella nascita della storia, quando i ricordi, le memorie individuali si trasformano in memoria generazionale poi in memoria collettiva, l’arco di quaranta-cinquanta anni è il periodo decisivo. Chi riesce a „sopravvivere” questo tempo nella memoria di una comunità, probabilmente entrerà nella storia, chi cade della memoria, viene destianto all’oblio. Ci sono certi fortunati poi che riescano a tornare alla luce dall’oscurità, conosciamo grande riscoperte, ma sono casi piùttosto rari, eccezioni. La sopravvivenza di Karl Stengel nella memoria culturale, nella Storia d’arte, sta arrivando a questo punto decisivo. Sembra che per un’insieme di coincidenze sfortunate la sua arte non senza qualità importanti, non senza rilevanza per la pittura e la grafica ungherese ed internazionale,
non abbia potuto essere presente nei discorsi dominanti contemporanei, che adesso rende molto difficile l’inserimento nella memoria culturale. Forse il contesto storico, forse il proprio carattere umano di decicarsi alla creazione dell’arte e non al self management, forse la mancata partecipazione in discorsi intellettuali ed artistici, la non presenza in quei contesti che danno visibilità, che creano una posizione, un prestigio, hanno operato contro la sue maggiore presenza. È un fatto sfortunato che la sua vita, le sue opere sono più presenti in Italia che nella sua patria, in Ungheria. Non si tratta di una „punizione” per il suo esilio – vari altri artisti che avevano scelto di abbandonare la partira per motivi politici e personali ed avevano lavorato, avevano fatto carriera all’estero sono diventati a far parte integrante della memoria colletiva magiara, e della storia d’arte ormai, come Simon Hantai, Judit Reigl, Tibor Csernus. La responsabilità nostra è di provare a recuperare la mancata ricezione dell’arte di Karl Stengel, di portarla nella memoria culturale, nella memoria collettiva ungherese ed europea. István Puskás
Direttore Accademia di Ungheria in Roma
Nessuno canterà il margine? Besingt keiner den Wegrand? Adelmo Taddei
Conservatore Museo di Sant’Agostino
Mio caro Karl, perché si è scritto così poco di te? Perché i libri che ti raccontano sono in realtà zeppi di immagini, di forme, di colori? Ho capito che “… mi è dato di esprimere i miei sentimenti, le mie sensazioni: questi si possono leggere nei miei disegni e dipinti”. Lo dici tu, allora va bene: non ti piace scrivere. Chissà il parlare? Nel video “Sich treiben lassen” – “Lasciarsi guidare” affermi che: “E’ meglio non parlare di se stessi, ma ogni tanto bisogna gridare” e madre natura ti ha dato l’incomparabile dono dell’arte, per esprimerti e gridare. Ma l’arte non è un dono immutabile, non è una fiche che ti viene donata una volta per tutte. E’ una pianta preziosa che va innaffiata, curata, tenuta lontano dal sole cocente e dai grandi freddi. Solo allora, con questa cura eterna e terribile si diventa artisti. E allora sarebbe bello se tu o qualcun altro mi
raccontasse questo cammino di sgrossatura e rifinitura che ti ha reso un vero artista. Non un sauvage che imbratta le tele col suo talentino neanderthaliano, ma un uomo che è in possesso di sentimenti, forza e tecnica per comunicare ed essere utile in mezzo a noi, poveri medioumani, senza talento e con tante inquietudini inespresse. Io credo che tu pasticciassi con le matite fin da piccolissimo, minuscolo. Forse già nella panciona della mamma tracciavi forme lunari col ditino. Quando uscisti alla luce, allora, crescendo, forse coloravi fogli, muri, mobili e poi, crescendo ancora, furono fogli giallastri quelli che videro le tue prime composizioni sensate. E nei lunghi e terribili quattro anni di prigionia di guerra, in Russia, fu l’arte che ti ricompensò: ti salvò la vita con gli occhi di un ufficiale che comprese al volo il tuo talento e la tua prima ‘mostra’ si tenne in un campo di concentramento sovietico, nel 1943. Ma tu avevi già studiato, lungamente e accanitamente; al liceo, con un amico di famiglia, ma prima ancora. Lo so perché, sempre nel video, affermi che “Ho sempre disegnato, in tutta la mia vita, ancora prima della scuola”. E quando sei fuggito in Occidente, nel 1956, ti sei confrontato con l’arte degli altri, liberi di
creare laddove, donde provenivi, il Realismo Socialista costringeva l’arte entro binari assai ristretti. E quando infine ti sei trasferito in Toscana, era anche perché volevi immergerti nel Rinascimento e nella sua arte fondata sul disegno. E in tutto questo percorso hai continuato disegnare, imperterrito, affermando che “disegnatore” e “pittore” sono la stessa cosa. E’ un’idea, vedi, che ti ricollega, a tanti artisti del passato. I tuoi dipinti, qui al Museo di Sant’Agostino, sono stati programmaticamente esposti al secondo piano, grazie all’amorosa e colta cura di Beth Vermeer. Quest’area ospita, nella zona che ti ha riguardato, dipinti tardo manieristi e barocchi: Domenico Fiasella, Valerio Castello, Domenico Piola, Giovanni Battista Merano, Gregorio e Lorenzo De Ferrari. Per molti di loro (Domenico Piola fra tutti) è il disegno che dà anima alle forme dipinte, così come per te è dal disegno che nasce l’opera, l’emozione barocca che danno le tue forme risponde a un ritmo interiore scandito dalle rigorose linee della tua anima e dall’usato esercizio instancabile della matita, del carboncino, di qualunque medium utilizzabile, così intenso che, in molti disegni, ma anche in molte tele, si fa alfabeto, proprio in te, che non ami – ti ho citato prima – parlare. Ma la trasposizione della parola parlata in segno significante sì, che ti piace!
Ho usato il termine “ritmo”: sotto alla cappelletta affrescata da Valerio Castello è stata posizionata una tua tela che ne riprende non certo le forme ma che vi si sposa egregiamente. Perché? I motivi sono molti. Certamente il movimento ascensionale della Madonna Assunta nella cupoletta si fonde con l’aspirazione al trascendente implicita nel tuo lavoro. Certamente i colori di Valerio e i tuoi si ‘vogliono bene’, ma è la musica che informa, anzi: dà forma a entrambe le opere, che le fa quasi essere tutt’una, pur a distanza di circa 350 anni l’una dall’altra. E’ noto che la musica viene considerata arte guida nel Barocco, con il suo passaggio epocale dalla polifonia al contrappunto, e che tale arte viene evocata nelle atmosfere, nelle forme, nei movimenti avvolgenti dei pittori del tempo, nell’intento di commuovere ed emozionare lo spettatore. E’ parimenti esplicito il riferimento alla musica che tu ascoltavi continuamente nel corso del tuo quotidiano lavoro. E così all’armonia della musica celeste che avvolge l’ascensione della Vergine si lega il ritmo evidente delle tue composizioni, e le due armonie di fondono celestialmente. E’ un fatto, invece, che proprio Valerio non si curasse molto del disegno preparatorio, nelle sue realizzazioni.
L’analisi del ductus effettuata sugli affreschi della cappelletta, nel corso del lungo e amorevole restauro che ne è stato fatto e concluso nel 2017, ha mostrato che la riflessione sull’organizzazione degli spazi e delle figure era demandata a pochi “sfregazzi” nevrotici e quasi furiosi. Non è il tuo stesso procedere? ”Il disegno spesso è una sorta d’improvvisazione … Sento un brano di musica, e ho un’idea per la testa …” (cito sempre dal video, nella traduzione del parlato a cura di Beth Vermeer). Le forme, le figure di Valerio e i tuoi segni ritmati e narranti nascono dalle stesse profondità, dalla stessa impellenza, dallo stesso umano bisogno di sfogarsi, facendo però base su un’arte pura e sincera, su un lungo esercizio che ha consentito a entrambi di prescinderne al momento giusto, quando l’impellenza della creazione si fa insopprimibile e la mano diviene uno strumento docile al comando dell’anima agitata. E tutto ciò tenuto assieme da colori che, forse non casualmente, nonostante le differenze di materia, si accordano, dal blu lapislazulo di Valerio al tuo acrilico blu elettrico. Quello che colpisce, infine, in tutto il tuo lavoro, è il kimé, che è, nel linguaggio del karate, la forza che viene da dentro, dalla pancia, e che può uscire dal corpo in forma esplosiva, per difendere o attaccare. La
peculiare declinazione di questa forza, in te, è però improntata ad un concetto di base, anzi: al tuo umano sentimento. "Io sono uno di voi", dici; pertanto, anche dolorosamente ammaestrato dagli aspetti tragici della sua vita, questa forza, grazie alla tua mirabile arte, serve ad attrarre e coinvolgere gli altri uguali a te, cioè tutta l'umanità, nella dolente riflessione sull'animo umano, sulle sue debolezze e sul ritmo delle sue felicità. Un'arte umana e completa. Il “margine”, citazione da una delle bellissime poesie di Camilla Paul-Stengel, è quello della strada, nel quale fioriscono erbe colorate e resistenti. Per me, qui, è il limitare sul quale sempre ti tenesti, schivo e concentrato, indifferente alle leggi del mercato dell’arte, ma è anche un punto di contatto fra tecniche diverse (ad esempio i tuoi quadri polimaterici, costruiti con colore e sabbie), ma soprattutto fra mondi, sistemi, esseri diversi, quindi fra te e il resto del mondo. “Io sono uno di voi, sempre”, affermi tu: quindi sei anche con me, e te ne ringrazio profondamente.
Orizzonti di etica Beth Vermeer Il Museo di Sant’Agostino ospita al primo e al secondo piano dell’edificio felicemente recuperato una esposizione monografica di Karl Stengel, offrendo al pubblico internazionale l’occasione inedita per conoscere il lavoro, iniziato circa ottant’anni fa, di un artista che usa i mezzi tecnici tradizionali, colori a olio, acrilico, tela, carta, matita) al di fuori degli schemi di pittura astratta o figurativa, per creare un’arte profondamente legata alla realtà umana. La mia scelta di curatore, fin dal primo momento, è stata quella di creare un ponte tra il museo, la sua collezione preesistente e le opere dell’artista, superando il termine tradizionale di retrospettiva per creare una sequenza di lavori negli spazi museali che si susseguono con la logica di un sottile filo rosso di richiami, di assonanze, di riscontri in modo da costruire nel loro insieme una unica grande e irripetibile opera d’arte, totalizzante, sinestetica, polisemica. Tutto è iniziato con la mia visita allo studio dell’artista la cui vita mi è stata avvicinata attraverso la conoscenza altrui, frammenti biografici, approfondimenti critici, fino
all’incontro con sua moglie, sostenitrice instancabile e poetessa, Camilla Paul-Stengel a cui devo delle preziose note di origine empirica che hanno confermato e rafforzato l’orientamento concettuale della mostra nella mia mente. Non aver mai conosciuto l’artista può rivelarsi come svantaggio per chi sceglie la strada biografica intima come direttrice di un progetto, per chi segue rigorosamente delle referenze cronologiche, tematiche. Nel mio caso il processo incubatorio della progettazione è stato guidato piuttosto da esercizi di sensibile percezione, di paziente intuito, di attesa di assorbimento dei segni, senza aver premeditato un disegno preciso di allestimento per favorire uno sguardo veloce e superficiale per un’arte cosi complessa e interlocutoria per chi desidera approfondirla. La selezione delle opere è avvenuta dopo mesi di riflessione creando un accostamento sensibile ai grandi affreschi portati su tela che dominano decisamente lo spazio del secondo piano e indicono il ritmo magico degli espositori, simili a quinte teatrali realizzate in ardesia. Tra centinaia di opere raccolte nella “Werkstatt” di Karl Stengel che sono passate per le mie mani e davanti ai miei occhi colmi di capolavori e di creatività sconfinata, ho preso, a malincuore, decisioni sofferte, dettate dalla quantità di spazio espositivo disponibile e soprattutto dalla conviven-
za fisica con la collezione storica del Museo. Del sorprendente e immenso tesoro di opere, dipinti, disegni, gouache, incisioni, album di schizzi, illustrazioni, custodito nella “Werkstatt” dell’artista a Loro Ciuffenna, ne giunge una nobile collezione a Genova, tra cui opere a olio e acrilico su tela (di cui alcuni in acrilico su cartone), riflesso prevalente dell’attività attività di Stengel degli Anni Novanta, oltre una imponente selezione di disegni, incisioni, libri d’artista, gouache che si completa con quattro opere a olio e tre ritratti della Collezione Stengel con sede a Palazzo Rosselli Del Turco a Firenze. Per dire il vero, è stata sufficiente una collezione di quindici opere a dare un senso ad una pittura che non privilegia il caso artistico individuale ma che si muove, con criterio, oltre le soglia del tempo.
La storia di Stengel si configura sullo sfondo degli eventi stravolgenti della prima metà del Novecento che agli uomini ha strappato la libertà se non la vita. Lui si salva nell’arte, l’unica ragione della sua esistenza. Da lì nasce il titolo della mostra, preso in prestito dai miei ricordi indelebili quando ho attraversato la Russia, quarant’anni fa, da pioniera, alla cerca della sua anima: esistere è un equivalente di resistere, continuare a fare arte come condicio sine qua non della vita, a qualsiasi condizione. Il caso Stengel mi ha riportato a quelle orme, a quella consapevolezza di dover dipingere, disegnare, creare per dare forma e voce ad una etica condivisa da artisti nati soprattutto nella prima metà del Novecento e testimoni esemplari del loro tempo.
Il mio progetto curatoriale mira ad aprire un serratissimo dialogo tra le opere moderne, quelle del Museo, storicizzate da secoli, e gli spazi in cui la mostra prende vita e s’insedia. Questi spazi singolari per la loro apertura prospettica fanno vivere e rivivere, raggrumati visibilmente e anche idealmente sulle superfici dei muri o sospesi nei vuoti, i colori, le parole, i suoni d’innumerevoli opere di altrettanto innumerevoli artisti dormienti, a cui la scrittura distillata e magica di Stengel porta il suo prezioso contributo di poetica..
Stengel era consapevole che l’individuo valesse solo all’interno di un disegno globale ed universale, che la parte mancante di lui fossero gli altri. Questa è la sua più grande peculiarità. Di qui la rilevanza del testo toccante di Adelmo Taddei, frutto di un intenso incontro immaginario con l’artista. Facendo colloquiare le voci dei maestri dormienti lungo i secoli, rende tangibile una trama collettiva dell’umanità. Stengel si lascia attraversare dalle loro storie per arrivare a quello che Kandinskij definiva una volta “principio della necessità interiore”: la pittura muove
dall’anima, oltrepassa la figurazione, per diventare sintesi, astrazione. De facto, la pittura di Stengel non fa emergere il visibile, ma rende visibile. È questa la sua etica, la sua pregnante spiritualità, una sorte di redenzione che mi ha permesso di collocare i suoi lavori tra i dipinti e le sculture del Cinque- e del Seicento genovese, alla ricerca di quella visione complessa di un “passato moderno”, come direbbe Margherite Yourcenar, la visione di un enorme archivio di frammenti per ottenere una sublime ultima opera. La storia non è un reperto, ma è vita che va costantemente recuperata, interpretata, compresa. Così, la tela di Stengel, la carta, il legno sono luoghi dove si conservano e maturano le cose. L’artista non teme il confronto con i materiali e le tecniche, di farsi trasportare nell’applicazione di strumenti espressivi derivati da altri, da occasioni e da osservazioni, da viaggi e da incontri, da funzionalità convincenti o da ibridazioni di linguaggi. Eppure gli è innata una certa naturalità nei processi creativi. Quel che appare costante e determinante è il suo rapporto con le forme, le composizioni, la materia dei supporti. I numerosi viaggi in continenti diversi gli sono serviti da fonte d’ispirazione, e lasciandosi contaminare da altre culture la curiosità dell’artista ha fatto si che la sua pittura
si sia evoluta verso un incanto cromatico in cui il colore, come livello di composizione, crea qualcosa di magico, sorprendente, inaspettato. Con il passare degli anni sono diventati più intensi i cromatismi e il ritmo delle geometrie si trasforma sulla tela in note di uno spartito. Fino alla nona decade della sua vita Stengel si affida piuttosto ai colori, alla matita, al carboncino, alle tempere, che non alla parola. Lavora in un silenzio illuminato a più voci, fa echeggiare frammenti letterari, poesie, riflessioni filosofiche nel teatro della sua, della nostra mente dove, di volta in volta, si sovrappongono gli elementi ricorrenti della sua narrazione. La maggior parte dei dipinti datati Anni Novanta che ho voluto abbinare agli affreschi e dipinti monumentali di Fiasella, Tavarone, De Ferrari, Castello e alle sculture di Parodi, Puget, Schiaffino, condividono un comune gesto archetipico con la scrittura. Però il presunto astrattismo di Stengel non è classico, non è purista, non è un astratto ad angolo retto. La sua tela dà spazio e vita ad un insieme cosmogonico dove compaiono linee, segni, sagome, profili e tracce, gesti di una mano fluttuante che pratica sapientemente l’arte antica della calligrafia. In quella stagione la scala cromatica di Stengel adotta colori attenuati, vengono meno i rossi acuti che determinano invece la sua opera tarda. Le sfumature sono sbiadite,
spesso soffuse,usando tecniche miste con sabbia, colori arbitrari derivanti dallo stato d’animo del momento; si associano alle tonalità del chiaro-scuro applicate dai maestri del Cinque e del Seicento, un fattore di non poco conto contribuendo alla riuscita del mio allestimento che difende una cognizione dell’arte quale tramite privilegiato di idee universali, al di là dell’alternanza formale tra dipinti figurativi e dipinti astratti realizzate in secoli distanti. L’effettiva somiglianza formale di opere appartenenti a stili o a epoche diverse non è mai meramente esteriore, come ce lo ricorda Kandinskij, né potrebbe esserlo, perché si fonda su un determinato concetto di affinità che ha molto a che vedere con la spiritualità e un’empatia da intendersi in termini diacronici. La qualità della vicinanza si coglie in termini di comunione di ideali: «L’arte non è questione di elementi formali, ma di un desiderio (contenuto) interiore che determina prepotentemente la forma». L’esposizione dei dipinti di Stengel viene completata da un’ampia collezione di disegni allestita nelle tre ali del Gabinetto del Disegno e della Grafica al primo piano del Museo. Stengel ha lasciato un’eredità di più di mille disegni, “la sua compagnia perenne” come soleva dire, un compendio di lavori ingegnosi realizzati su un’infinità di supporti come pagine di bloc-notes, quaderni, libri
antichi, spartiti, mezzo pastelli, gessi, matite, biro e pennelli a colori. I disegni con cui l’artista traduce delle esperienze, delle percezioni, dei momenti vissuti di qualsiasi circostanza, brani di musica ascoltati oppure impressioni fugaci di letture, sono il suo modo di fare filosofia, di ragionare con se stesso su come va e dove va il mondo, con un registro molto personale e spontaneo. In una teca di vetro che custodisce un prezioso rilievo architettonico del Duecento, sono esposti alcuni libri d’artista, pezzi unici ed inestimabili, come un libro con le poesie di Charles Bukowski in lingua tedesca che Stengel ha illustrato con grande spontaneità, pagina dopo pagina. In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2018 che coincidono con il primo anniversario della nascita di Karl Stengel, si è compiuta una vera missione artistica culturale. Prima ancora una missione altamente civile ed etica. Lo sguardo di Stengel un atto più morale che pittorico, tramanda una sua verità: esistere è resistere, essendo nell’arte. Un messaggio serissimo rivolto ad un mondo in cui manca la volontà di impegnarsi nei confronti di una maggiore integrazione e di rispettare la diversità.
Existence is resistance. E’ l’arte che resta. Riflessioni visitando la mostra Camilla Paul - Stengel Il confronto felice tra la grande pittura dal Medioevo al Barocco e la pittura astratta di Karl Stengel, avvenuto al Museo di Sant’Agostino di Genova, apre uno sguardo nuovo, una nuova base per la comprensione del fatto che l’arte vera – e soprattutto l’arte di tutti i tempi – nasce dallo stesso impulso, dalla necessità dell’artista di esprimere ciò che gli sta a cuore. Questa mostra non è un confronto, ma piuttosto l’incontro tra persone unite da affinità elettive: Johann Sebastian Bach e Alexander Nikolayevich Scriabin, il poeta dell’Epopea di Gilgamesch e Giuseppe Gioachino Belli si stringono le mani amichevolmente, sapendo e sentendo che ciascuno si sia espresso a modo suo, a seconda della sua profonda conoscenza e del suo sentimento. Qui possiamo veder che i millenni , oppure anche solo dei secoli, con gli eventi, con i saperi, con le emozioni, non hanno cambiato il sentire dell’uomo. Non per quanto riguarda l’onestà, la bellezza e la natura di mostrarsi al prossimo. Quando oggi un artista si esprime in maniera astratta, non significa nulla di più di ciò che
significa la parola “astrarre”, lasciare da parte ciò che non sembra importante al fine di arrivare all’essenziale. Anche nel contesto della pittura di madonne e di santi medievali e rinascimentali si manifesta lo stesso obbligo interiore di dover creare, con il potere, con la passione e con il coraggio. Qui lo spettatore percepisce gli impulsi con immediatezza, anche se il risultato, il dipinto, l’immagine si mostra diversamente, l’origine, la fonte resta la stessa : nell’amore della rappresentazione, nella forza e nel sentimento per il colore. I disegni di Stengel, in un allestimento senza cornici e senza vetro, seguono così il loro senso. Ci parlano in modo diretto, ci invitano al dialogo, sono comprensibili come rappresentazioni e momenti di coscienza di noi stessi. Espressione di ciò che il disegnatore sente quando osserva noi, l’umanità e con questo anche se stesso: “Guardate, questi siamo no – e io sono uno di voi!” I disegni di Stengel non chiedono ammirazione, desiderano solo la comprensione della condizione umana.
UT PICTURA POESIS Rosa Elisa Giangoia Ut pictura poesis scrive il poeta latino Orazio nella sua famosa Ars poetica (o meglio Epistula ad Pisones) per indicare la stretta correlazione tra la pittura e la poesia, tanto che si può dire che “la poesia è come un quadro” o che “un quadro è come una poesia”. Il poeta spiega che c’è un tipo di poesia che piace immediatamente, appena ascoltata o letta, ed un’altra che invece ha bisogno di essere presa in considerazione una seconda volta e magari analizzata attentamente con occhio critico, per essere apprezzata, così come avviene per la pittura. Nella consapevolezza di questa antica saggezza, base di ogni forma di estetica, noi dell’Associazione Culturale “Il Gatto Certosino”, finalizzata alla promozione e alla diffusione della lettura, soprattutto di testi creativi, abbiamo accolto con entusiasmo l’invito della curatrice Beth Vermeer di partecipare ad eventi collaterali alla mostra “Stengel”, in cui la parola letteraria trovasse occasioni di consonanza espressiva con la vita dell’artista e con le sue opere esposte. Questo, non tanto nella linea di trasferire un testo letterario in un’opera visiva (o viceversa), come avvenne con le mitografie pittoriche rinascimentali e barocche, miranti a conservare il principio dell’equivalenza estetica, per
preservare la potenza espressiva del linguaggio di origine, ma piuttosto nel tentativo di superare la ricerca dell’equivalente estetico per dare forza al concetto di adattamento funzionale, tramite richiami evocativi a significati simbolici del linguaggio pittorico trasposti in una forma plasmata sul modello semantico e stilistico dei significanti verbali. In questa prospettiva, che si sostanzia di un rapporto di analogia tra poesia e pittura che privilegia la concettualizzazione, pur nell’uso degli specifici strumenti espressivi, abbiamo attivato la comune radice delle due arti nel poiéin, cioè nel “fare” (con il dis-fare e il ri-fare) che entrambe richiedono, nella consapevolezza che, proprio con questa correlazione può realizzarsi un’intensificata cognizione della realtà, in quanto le due arti si potenziano per essere nella reciprocità più efficacemente espressive del mondo in cui l’artista (dell’immagine e della parola) vive e opera. Questa consapevolezza ci ha portato a partecipare con la lettura di poesie di componenti della nostra associazione (Rosa Elisa Giangoia, Mario Pepe, Bruno Rombi, Laura Supino Ghiron, Guido Zavanone) all’incontro Stengel, l’artista migrante e il suo rapporto con il mondo per testimoniare comuni esperienze e personali riflessioni sul tema della migrazione. Così anche l’evento Galassie su cielo bianco. Arte e astronomia ha visto altre poetesse del nostro gruppo (Milena Buzzoni e Marina Martinelli)
esprimere con i loro versi la meraviglia e il mistero del cielo che la scienza sa indagare e illustrare. Particolare rilievo è stato dato al rapporto individuabile tra Giuseppe Ungaretti e Karl Stengel (ispiratosi ai Frammenti del poeta italiano per alcune sue composizioni pittoriche), testimonianza di una consonanza esistenziale ed artistica. Innanzitutto possiamo rilevare una comunanza tra i due artisti nel proprio identificarsi come esule, quell’esilio che Ungaretti avverte come costituente la sua umana individualità e che si radica nella sua infanzia e prima giovinezza in Egitto, dove ha visto il dramma di molti suoi coetanei che «si tolsero la vita per ragioni profonde, perché si sentivano lontani dalla loro civiltà, senza potersene interamente staccare e senza potere interamente appartenere ad un’altra». A questo stato d’animo si lega la sua amicizia con Moammed Sceab, incapace di mettere radici sulla terra, in esilio in Egitto, e in esilio in Francia, suicida per non essere riuscito a conciliare in sé le due contraddizioni del vivere e del pensare e per non aver potuto superare l’angoscia nel canto, realizzando che «la funzione della poesia è più profonda ed ha il carattere di una espressione veramente di salvezza». Ma nell’ambito della creatività artistica c’è una più profonda consonanza tra il poeta e il pittore, da individuare nell’insolita intensità e nell’unicità d’accento di espressione che Ungaretti e Stengel imprimono al loro “segno”, per il poeta, la parola, soprattutto nel primo periodo della
sua esperienza creativa, in cui viene potenziata per il suo isolamento nella pagina bianca, per il pittore, il tratto ed il colore, incisivi e perentori. A determinare il loro comune esprimersi c’è innanzitutto l’immediatezza, a cui fanno seguito l’elaborazione, l’emozione, ma anche la regola, per cui ci troviamo di fronte ad un’espressione che sgorga spontanea, ma che si fa poi rappresentazione nella ricerca della struttura dell’immagine e del simbolo formale. Queste linee interpretative sono state evidenziate esaminando l’itinerario creativo del poeta e la sua particolare attenzione alle novità pittoriche di volta in volte incontrate nel corso della sua vita, con un particolare approfondimento riguardo agli ultimi anni, grazie alla testimonianza intelligente e appassionata di Bruna Bianco, destinataria di molte lettere del poeta. Il nostro impegno si è concluso con un ultimo incontro in cui, potenziando le correlazioni analogiche, alcuni poeti dell’Associazione (Rosa Elisa Giangoia, Mario Pepe, Bruno Rombi, Laura Supino Ghiron) hanno presentato loro testi poetici in stretta relazione con opere di Stengel esposte in mostra. L’esperienza, nella sua totalità, si è rivelata molto interessante per aver dato ai poeti la possibilità di attivare linee teoriche in un dialogo autentico tra poesia e pittura.
Spalancati spazi Claudio Pozzani Non conoscevo l'arte di Karl Stengel prima della mostra curata da Beth Vermeer e sono contento di aver colmato questa lacuna. I lavori esposti mi hanno dato l'idea talora di veri e propri schiaffi, talora di rapidi segni lasciati come testimonianza di vicinanza a un testo, quasi carezze sulle pagine, o ancora come traccia del suo passaggio emozionale e sensoriale. L'arte di Karl Stengel mi arriva come il prodotto di una continua alternanza tra forze centrifughe e centripete, tra solitudine e condivisione, tra anacronismi e zeitgeist. A quest'anima outsider vorrei dedicare questa mia poesia, immaginando come l'avrebbe illustrata e interpretata con i suoi memorabili colpi di pennello (e di genio). Sono l’apostolo lasciato fuori dall’Ultima Cena Sono il garibaldino arrivato troppo tardi allo scoglio di Quarto Sono il Messia di una religione in cui nessuno crede Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto che non cede Sono il protagonista che muore nella prima pagina
Sono il gatto guercio che nessuna vecchia vuol carezzare Sono la bestia idrofoba che morde la mano tesa per pietà Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto senza età Sono l’onda anomala che porta via asciugamani e radioline Sono il malinteso che fa litigare Sono il diavolo che ha schivato il calamaio di Lutero Sono la pellicola che si strappa sul più bello Io sono l’escluso, l’outsider, un chiodo nel cervello Sono la pallina del flipper che cade un punto prima del record Sono l’autorete all’ultimo secondo Sono il bimbo che ghigna contro le sberle della madre Sono la paura dell’erba che sta per essere falciata Io sono l’escluso, l’outsider, questa pagina strappata tratto da "Spalancati spazi - Poesia 1995-2016" (Passigli editore)
LETTURE POETICHE IN OCCASIONE DEGLI EVENTI COLLATERALI DEDICATI A KARL STENGEL
Sono parole stese / su superfici mobili / quale senso comparirà tra poco? Quale resistenza / nasce / dal mio oltrepassare confini / non è una scelta / ma necessità e respiro Si resiste piano / spesso in silenzio / in spazi minimi. / Si cercano / forme solidali / spesso mute. / Ti riconosci / nel ramo che si piega / nella radice scoperta / che si è posata / sulla tua spalla. Dell’arte resta / il pensiero / quello che non si è fatto / la vita mancata / forme e parole. Si raccolgono note apparenze / si sposta poi lo sguardo / senza domande / si apre / la vita. Carlo Accerboni
Talvolta si cammina senza un vero perchÊ forse c’è stato in un lontano tempo ma non in questo cosÏ arduo e feroce dalle mute parole e allora diamo loro la voce che siano versi colori sulla tela terra che nelle mani prenda forma corpo respiro nel ritorno anche nostro alla vita. Laura Supino Ghiron
VECCHIAIA Di notte allevo pipistrelli di giorno ancora volano colombe nel cielo senza suono e senza sole. Resta una sottrazione giorni di peltro che durano un'ora
Marilena Buzzoni
ACCORDI Omaggio al dipinto “Dreiklang” di Karl Stengel Nel mio giardino in fiore il verde tenero della gaggia completa l’accordo proposto Dal verde frondoso del ciliegio. Il blu della ali della farfalla conosce il giallo del bottone d’oro per colorare di verde il prato; la mia mano conosce la ringhiera della scala di casa; l’angolo di un triangolo conosce gli altri due lati, come un uomo conosce una donna per generare un figlio. Il mare conosce l’imbarcazione Che lo solca tra le onde, la terra natia conosce la quercia e il fuoco conosce il metallo che fonde. Ogni cosa che è incontra ciò senza cui
non avrebbe potuto esistere. La natura conosce tutto, anche il punto minuzioso di brina sull’erba del prato. Rosa Elisa Giangoia
LE MIE BRACCIA Come rampicanti rosso acceso sul muro come rami d’albero rivolti verso l’alto acchiappando nuvole le mie braccia attorno avvinghiate ad un sogno attorcigliate all’aria come i tralci della vite nati e morti legati al legno.
Marina Martinelli, Poesia tratta dal libro Una traccia d’identità De Ferrari Editore, 2012
Il° 2010 SONANTE ALFABETO Ondulata scrittura mistero di pensiero inquieto alfabeto sonante narrazione nudità di presenze di forme ancorate solitudini alleanza di scrittura sacralità di parole affidate al tempo a incontrare consenso di cuore.... Marisa Tumicelli
Di dove siete? Di dove siete, fratelli? E i nomi dei nostri borghi, ridenti e abbandonati, piovono, come grani di rosario, dalle loro bocche distorte dal dolore. Di dove siete, fratelli? E i nomi dei nostri borghi, miseri e solitari, piovono, come grani di rosario, dalle loro mute preghiere per un ritorno. Di dove, di dove siete? E l'eco di lacrime amare, come fiumana in piena, sovrasta il nostro cuore e l'annega in un'onda di pena che non contiene piĂš il mare che ci separa dall'Isola lontana.
Di dove siete? Ora le bocche tacciono quei nomi dei nostri borghi ridenti e abbandonati. Solo gli occhi, a lettere di luce, imprimono in fronte all'orizzonte i nomi radiosi dei nostri miseri borghi abbandonati. Bruno Rombi
MIGRANTI … son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? (Divina Commedia, Purgatorio, canto VI, 120) Sognai ch’ero disceso vivo nel regno oscuro dei morti e discorrevo con loro, amici cari, sulla sorte dell’uomo dopo il doloroso addio. Ed ecco vidi fendersi la grande folla d’ombre, in mezzo correva affannata una donna in gramaglie aperta le braccia, simile a vela di nave abbrunata. “Se torni – gridò piangendo – in quel mondo ove si parla dell’amore di Dio chiedi al signore vestito di bianco perché morì, innocente, il bimbo mio. Eravamo ormai prossimi alla riva quando la barca s’inclinò e cademmo stretti, nell’acqua gelida e buia; morii guardando il figlio che moriva.”
LI OSPITEREMO Li ospiteremo almeno nella memoria i reietti che morirono senza farsi ascoltare le loro grida coperte dallo strepito impietoso del mare? Morti senza nome giacciono chissà dove o malamente ammucchiati nel rimorso del cuore. Guido Zavanone
Live performance di Cri Eco all’inaugurazione della mostra Museo di Sant’Agostino, 19 settembre 2018
Beth Vermeer
Eventi collaterali alla mostra di Karl Stengel
Didascalie delle tavole
Si ringraziano per la generosa partecipazione ad alcuni Reading poetici: Carlo Accerboni, Milena Buzzoni, Rosa Elisa Giangoia, Marina Martinelli, Mario Pepe, Bruno Rombi, Laura Supino Ghiron, Marisa Tumicelli, Guido Zavanone. Cri Eco per la sua Live-Performance dedicata a Karl Stengel e Gianluca Messina per la fotografia. Il Teatro Carlo Felice con gli artisti Patrizia Battaglia, Matteo Armanino, Patrizia Priarone. Vincenzo Abascià, la Compagnia di Danza Abart la Scuola della Danza Lagaccia e le ballerine Noemi La Porta e Valentina Marino. Massimo Bacigalupo per la partecipazione al dialogo immaginario tra Karl Stengel e Charles Bulowski. L’Osservatorio Astronomico di Genova, in particolare Enrico Giordano, per l’attenzione dell’astronomia nel campo dell’arte. Salah Mahameed per averci ricordato l’importanza delle contaminazioni tra scienza e arte. Bruna Bianco per la sua narrazione emozionante in memoria a Giuseppe Ungaretti. Claudio Pozzani, Stanza della Poesia, per l’incontro con Amina Di Munno e per le letture dal “Libro dell’Inquietudine” di Fernando Pessoa. Carlo Accerboni per lo sguardo che lo ha condotto a documentare il progetto, la mostra e le opere di Karl Stengel. Giuseppe Morello per la serie dei ritratti fotografici in occasione del Vernissage. Lorenzo Isacco per la realizzazione dei numerosi video e per la costanza nella promozione del progetto nei social networks. Rossana Damianelli e Paolo Fabbroni per portare sempre nuova luce nel paesaggio delle relazioni umane. Annamaria Saiano per il suo rigoroso pragmatismo, per il carisma coinvolgente e soprattutto per la grande amicizia. E penso con gratitudine a Mario Marcianti e sua moglie Marialuisa per aver sacrificato giorni festivi, serate e notti per realizzare questo catalogo. Beth Vermeer
Maestranze di lapicidi locali, Capitello a forma di leone su due colonnine, marmo, fine 9° decennio del XII secolo (dopo il 1186). Chiostro quadrangolare, primo piano. Pag.15 Maestranze di lapicidi locali, Colonna con capitello cubico, fine del 9° decennio del XII secolo ( dopo il 1186), chiostro quadrangolare. Karl Stengel, Gouache composta di sei elementi, cm 168 x152, 2004. Chiostro quadrangolare, primo piano. Pag.21 Karl Stengel, ciclo di quattordici disegni su carta degli anni 2005/2007. Chiostro quadrangolare, primo piano. Pag.31 Maestranze di lapicidi locali, Capitello cubico su colonna a rocchi ottagonali, pietra nera di promontorio. Fine secolo XII - inizi secolo XIII. Karl Stengel, composizione di cinque Gouache, 2007. Chiostro quadrangolare, primo piano. Pag.33 Maestranze genovesi, Agnus Dei , secolo XIV. Chiostro quadrangolare, secondo piano. Karl Stengel, vari libri con illustrazioni e libro d’artista con disegni per le poesie di Bukowski; dedicati Pag.35 Anonimo maestro pisano, Rilievo di Porto Pisano, ultimo decennio del secolo XIII (1290), marmo. Karl Stengel, ciclo di Incisioni, 1973/1985. Chiostro quadrangolare. Secondo piano. Pag.37 Scultore genovese, Monumento sepolcrale di Simone Boccanegra (1363), marmo. Karl Stengel, Disegni 1989, 2006, 2009. Courtesy Collezione Stengel. Primo piano, spazio Margherita di Brabante. Pag.39 Domenico Fiasella, Battesimo di Cristo, 1625 olio su tela. Karl Stengel, Sogno per un mondo migliore, 1999. Tecnica mista su tela. Courtesy Collezione Stengel. Secondo piano. Pag.41 Lazzaro Tavarone e aiuti (1556-1641), Assunta, affresco staccato e
riportato su tela, 1625, proveniente da una sala dell’infermeria dei convalescenti dell’Ospedale di Pammatone a Genova. Karl Stengel, Senza titolo, acrilico su tela. Secondo piano. Pag.43 Valerio Castello, affreschi con Assunzione della Vergine, Martirio di San Giovanni Battista e di San Lorenzo e decoro floreale e angioletti, della cappella del palazzo Sacchi-Nemours (già famiglia Doria), 1650, affresco strappato nel 1936 e donato al Comune. II piano, sala Puget. Karl Stengel, Senza titolo, acrilico su cartone. Secondo piano. Pag.45 Filippo Parodi (attribuito), Statua di Violante Cebà Grimaldi Salvago, in foggia di Annunciata, marmo, seconda metà dell’ottavo decennio del secolo XVII. Karl Stengel, Senza Titolo, acrilico su tela. Secondo piano.Pag.47 Gregorio De Ferrari (1647-1726), Madonna in gloria con San Domenico e Sante Domenicane, affresco riportato su tela, (1674/8?), proveniente dall’ex monastero di San Silvesto, Genova. Karl Stengel, Senza Titolo, acrilico su tela, 1996. Secondo piano. Pag.49 Filippo Parodi (attribuito), Angeli adoranti, marmo, 1674/, proveniente dal mercato antiquariale, Genova. Secondo piano. Pag.49 Giuseppe Ceracchi, busto di Papa Pio VI Braschi, marmo bianco apuano, firmato e datato 1790, legato dello scultore Vincenzo Olivari, Genova. Karl Stengel, Dreiklang, acrilico su tela, 1990. Courtesy Collezione Stengel. Secondo piano. Pag.51 Giovanni Battista Carlone, La pioggia della Manna, affresco strappato riportato su tela, 1677/80, proveniente dalla demolita chiesa di San Sebastiano a Genova (1873). Karl Stengel, Primavera,
acrilico su tavola, 1996. Courtesy Collezione Stengel. Secondo piano. Pag.53 Karl Stengel, Senza titolo, tecnica mista, tecnica mista, acrilico e sabbia su tela,1998. Pag.55 Scultore lombardo, San Benigno Abate, marmo bianco apuano, 1460 ca. Karl Stengel, Senza titolo, tecnica mista su tela, Secondo piano. Pag.57 Bartolomeo Biscaino (1629-.1657), San Fernando implora dalla Vergine protezione per i poveri e gli storpi, olio su tela. Karl Stengel, Senza Titolo, acrilico su legno, 2001. Secondo piano. Pag.59 Domenico Fiasella, Sposalizio della Vergine. 1625, olio su tela, proveniente dalla sacrestia della Basilica della Santissima Annunziata del Vastato. Secondo piano. Pag. 63 e 65 Anonimo scultore genovese, Coppia d’Angeli, secolo XVIII, provenienza sconosciuta. Secondo piano. Karl Stengel, Senza Titolo, tecnica mista, acrilico su tela con sabbia, 2001. Secondo piano. Pag 65
Link ai video e alle tracce sonore di Juraj Kojs realizzati per la mostra di Karl Stengel www.design-of-the-universe.com
Copia N°
prima edizione
Finito di stampare nel dicembre 2018 Tipografia Debolini - Montevarchi