Cobas55

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Nuova serie - ottobre/dicembre 2014 euro 1,50

giornale dei comitati di base della scuola

inserto centrale

MA QUANTO è BUONA LA SCUOLA DI RENZI Un primo contributo di analisi per la discussione

DI MALE IN PEGGIO DA BERLINGUER A RENZI: LA CATTIVA SCUOLA E LO SCIOPERO DEL 10 OTTOBRE

Che

se realizzata davvero, sarebbe la compensazione doverosa per tanti anni di discriminazioni e aleatorietà di vita di docenti ed Ata e una risposta positiva alle tante lotte dei precari e dei Cobas. Ma perché Renzi non ha fatto approvare dal Consiglio dei Ministri, annullato all’ultimo momento, la copertura di 3/4 miliardi annui necessari nella Finanziaria? Perché non avrebbe avuto via libera da Padoan o da Draghi?

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Rsu Perché partecipare alle prossime elezioni

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CONTRATTAZIONE NAZIONALE Le proposte dei Cobas per invertirne le pericolose tendenze

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quota 96 Continuano le tribolazione dei lavoratori della scuola a cui la riforma Fornero ha impedito di andare in pensione pur avendone diritto

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precariato Le proposte dei Cobas per la costruzione di una unità d’azione di tutti i precari della scuola. Analisi degli ultimi 15 anni di politiche del MIUR per indebolire il fronte dei precari

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istruzione degli adulti L’impegno dei Cobas per impedirne lo smantellamento. Un progetto per costruire un azienda agricola nel carcere di Rebibbia

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strike meeting Il tempo dello sciopero sociale

di Piero Bernocchi furboni Renzi e i suoi consiglieri: nelle 136 pagine de “la Buona Scuola” hanno riassunto quanto di peggio i governi degli ultimi 20 anni hanno cercato di imporre alla scuola pubblica - incontrando una forte resistenza - nascondendolo dietro la proposta dell’assunzione di 150 mila precari (dalle Graduatorie ad Esaurimento – GaE e dal concorso 2012) entro il 1° settembre 2015. Essa,

scuola di sostanze Perché con i giovani l'approccio deterrente non funziona

Dunque, va imposto il mantenimento della promessa con l’approvazione del Consiglio dei Ministri e l’introduzione dello stanziamento in Finanziaria. Ma guai a sottovalutare che sotto il manto della promessa “epocale” le 136 pagine prevedono l’espulsione di molte decine di migliaia di precari che spesso hanno altrettanti anni di lavoro malgrado non siano inseriti nelle GaE e che meritano anche essi l’assunzione e non la beffa di un ulteriore concorso

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previdenza Rapina all’INAIL a colpi di cuneo fiscale: i padroni si arricchiscono ulteriormente mentre i lavoratori ci rimettono la pelle

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no muos Le lotte estive contro le letali antenne della marina USA installate a Niscemi (CL)

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forum sociale mondiale Appello per il prossimo incontro di Tunisi dal 24 al 28 marzo 2015

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(segue a pag. 2) NEANCHE LA “DEFLAZIONE” SALVA IL POTERE D’ACQUISTO DEI NOSTRI STIPENDI

Dpr 399/19881

rivalutazione2

Ccnl + Ivc3

differenza4

differenza

in lire

agosto 2014 - euro

euro

euro

% sul Ccnl

Coll. scolastico Ass. amm.-tecn. D.s.g.a. Docente mat.-elem. Doc. diplomato II gr. Docente media Doc. laureato II gr. Dirigente scolastico*

24.480.000 27.936.000 32.268.000 32.268.000 34.008.000 36.036.000 38.184.000 52.861.000

24.110 27.514 31.780 31.780 33.494 35.491 37.607 52.062

18.094 20.624 29.601 25.926 25.926 28.217 29.001 66.603**

-6.016 -6.890 -2.179 -5.854 -7.568 -7.274 -8.606 14.541

-33,2 -33,4 -7,4 -22,6 -29,2 -25,8 -29,7 21,8

1. Stipendio annuo lordo percepito nel maggio 1990 (il cosiddetto “Contratto Cobas”), per tutti i profili professionali con 20 anni di anzianità. 2. Rivalutazione monetaria ad agosto 2014 (indice Istat inflazione Famiglie Operai Impiegati-FOI, senza tabacchi) dello stipendio annuo lordo percepito nel maggio 1990. 3. Retribuzione annua lorda prevista dal Ccnl Scuola sottoscritto il 23 gennaio 2009 (stipendio tabellare + Rpd o Cia o Indennità di direzione minima) per le stesse tipologie di personale, incrementata della Indennità di Vacanza Contrattuale percepita dal luglio 2010. 4. Differenza tra la retribuzione annua lorda attualmente percepita e quella del 1990 rivalutata. * Il 1° marzo 2002 è stato sottoscritto il primo Ccnl per l’Area della Dirigenza scolastica che ha totalmente modificato la struttura della retribuzione degli ex presidi che ora è costituita da: stipendio tabellare + posizione parte fissa + posizione parte variabile + retribuzione di risultato + eventuali altri emolumenti. ** Elaborazione Aran, su dati RGS - IGOP aggiornati al 21/12/2012. L’“Operazione Trasparenza” prevede che gli stipendi dei dirigenti siano pubblici, provate a cercare quello del vostro d.s. nel curriculum vitae pubblicato in: https://oc4jese1ssl.pubblica.istruzione.it/trasparenzaPubb/ricercacv.do

I COBAS CON FRANCO COPPOLI CONTRO LA SCUOLA-RIFORMATORIO Sospeso per 12 giorni dall’insegnamento e dallo stipendio il docente che ha scelto di continuare ad insegnare opponendosi ai controlli antidroga durante l’orario di lezione. Sospendere un insegnante perché si rifiuta di interrompere la lezione sembra un paradosso degno di Lewis Carroll, l’autore di Alice nel paese delle meraviglie, ma a Terni succede proprio questo: il dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale, Domenico Petruzzo, irroga il provvedimento disciplinare della sospensione per 12 giorni (dal 15 al 27 settembre 2014) dal servizio e dallo stipendio a un docente per essersi rifiutato di interrompere la lezione per controlli con cani antidroga in classe. L’insegnante sospeso è Franco Coppoli, un attivista dei Cobas e l’episodio incriminato (sul quale abbiamo riferito nel precedente numero di questo giornale) si è verificato il 26 marzo 2014, presso l’I.I.S. "Allievi - San Gallo" di Terni, quando alcuni poliziotti, provvisti di cane antidroga ma sprovvisti del mandato del magistrato, si sono presentati nella classe in cui stava tenendo la lezione Franco, pretendendo di effettuare una perquisizione. Ovviamente, il docente si è opposto con fermezza (segue a pag. 2)


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Cobas 55 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

DI MALE IN PEGGIO segue dalla prima pagina per 40 mila lavoratori/trici e la perdita persino delle supplenze. E poi il piano-Renzi è la “summa” di tante distruttive proposte per scuoleaziende dominate da presidi-padroni, da lotte concorrenziali tra docenti ed Ata per qualche spicciolo in più, da valutazioni-quiz del lavoro docente e delle scuole, da apprendistato nelle imprese invece che istruzione. I presidi assumerebbero direttamente loro (e licenzierebbero?) docenti ed Ata dopo una fantomatica “consultazione collegiale”, ed interverrebbero anche sulla carriera e sugli stipendi dei dipendenti. Sotto la logora coperta di quel presunto “merito”, che nessun governo

ha mai spiegato cosa sia, si intende avviare il Sistema Nazionale di Valutazione che imporrebbe i criteri Invalsiani della scuola-quiz, con l’introduzione del “Registro nazionale del personale” per conteggiare le sedicenti “abilità” di ognuno/a, fissandole in un “Portfolio” con i presunti "crediti" sulla cui base i presidi premierebbero i più fedeli. Gli scatti di anzianità verrebbero sostituiti da scatti per “merito” che riceverebbe solo il 66% dei “migliori” di ogni scuola o rete di scuole (perché il 66%? e se fossero tutti “bravi” o tutti “non-bravi”?) sui quali la parola decisiva l’avrebbe il preside, come un Amministratore delegato alla Marchionne. E a proposito di fabbriche, colpisce gravemente l’obbligo di 200 ore di apprendistato gratuito in azienda per gli studenti delle scuole tecniche e

I cobas con franco coppoli segue dalla prima pagina all’inammissibile richiesta dei questurini e li ha accusati di interruzione di pubblico servizio. I poliziotti, di fronte alla determinazione di Franco, hanno dovuto ripiegare. Da qui un procedimento disciplinare presso l’USR umbro. Nonostante le dettagliate controdeduzioni prodotte da Franco e le quasi tre ore di esposizione articolata delle motivazioni, lo scorso 28 giugno, l’USR “a seguito del rifiuto del Prof. Coppoli di intero rompere la lezione della classe VC dell'I.I.S. Tec., Ind. e Geometri "Allievi - San Gallo" di Terni per consentire agli Agenti di Polizia di effettuare i controlli per attività di prevenzione antidroga” lo ha sanzionato “per una violazione dei doveri connessi alla posizione lavorativa del dipendente”. Appare ben strano che sia dovere dell’insegnante quella di interrompere la propria lezione ma così la pensa l’USR dell’Umbria. Quello di interrompere la normale attività didattica da parte della polizia (senza alcun mandato di magistrati) per controlli con cani antidroga è un atto grave, indice del clima sociale e politico nel nostro paese. Vengono alla mente gli stati di polizia, le irruzioni nelle scuole dopo il colpo di stato in Cile o in Argentina o in quei luoghi dove le forze di polizia si arrogano prassi autoritarie che ledono profondamente i diritti civili, la libertà di insegnamento, le prerogative democratiche, nonché la persona degli studenti. Infatti interrompere le lezioni per imporre umilianti controlli antidroga non porta risultati quantitativi tali che possano far pensare che l’operazione serva a debellare spaccio o consumi.

professionali, con perdita di istruzione e riproposizione della divisione classista con i licei; nonché l’accorato appello agli investimenti privati, “potenziando i rapporti con le imprese" ma anche chiedendo il “microcredito” dei cittadini, cioè un ulteriore aumento dei contributi imposti ai genitori per le spese essenziali delle scuola, visto che lo Stato, come fa scrivere Renzi, “non ce la fa” da solo. Infine, per incentivare al massimo la concorrenza tra docenti, si introducono i sedicenti "innovatori naturali", che invece di insegnare si occuperanno dell'aggiornamento obbligatorio altrui; nonché il "docente mentor", supervisore della valutazione della scuola e del singolo. E il tutto senza che ci sia un euro in più di finanziamento della scuola, dopo venti anni di tagli indiscriminati, e reiterando il blocco dei contratti a lavoratori/trici

che in questi due decenni hanno perso almeno il 30% dello stipendio. Ce ne è abbastanza per raccogliere la proposta degli studenti che hanno già convocato il loro sciopero nazionale, indicendo come COBAS per il 10 ottobre anche lo sciopero generale di tutti i lavoratori/trici della scuola e facendo appello a docenti ed Ata, genitori, associazioni e sindacati per confluire unitariamente nello sciopero e nelle manifestazioni provinciali o regionali che si svolgeranno in difesa della scuola pubblica e dei suoi protagonisti. Vogliamo l’immediata convocazione di un Consiglio dei Ministri che si impegni, con risorse da stanziare in Finanziaria, a garantire l’assunzione dei 150 mila precari GaE; e nello stesso tempo richiediamo l’assunzione anche di tutti i precari che, pur non essendo nelle GaE, lavorano da anni

In realtà queste sono operazioni repressive con connotazioni mediatico-intimidatorie: servono a “insegnare” agli studenti che sono tutti potenziali criminali, controllabili e perquisibili in ogni momento. Educare al controllo ed alla subalternità ecco l’intento, neppure troppo nascosto, di queste operazioni-spettacolo che attaccano profondamente l’essenza stessa del fare scuola: dell’educare in modo critico e non certamente reprimere, sorvegliare e punire. Se infatti ci fossero (e in questo caso non c’erano) comportamenti collegati all’uso di sostanze psicotrope, che fanno parte dei processi comportamentali dell’adolescenza, quale dovrebbe essere la risposta della scuola? Intervenire, anche tramite esperti, cercando di affrontare il problema in un’ottica educativa oppure riempire gli istituti di polizia e cani arrestando o prelevando adolescenti in possesso di qualche spinello? È quello che Susanna Ronconi di Forum Droghe chiama nell’articolo in questa stessa pagina un suicidio educativo: la scuola ed i docenti così abdicano al proprio ruolo, per passare dall’educazione alla repressione. Che senso ha proporre la scuola-carcere, la scuola-riformatorio (come avviene già negli USA) in un momento in cui alcuni stati liberalizzano o legalizzano l’uso terapeutico o ricreativo delle droghe leggere, in cui alcune sentenze della Corte costituzionale attaccano la ormai ventennale e fallimentare “lotta alla droga” e hanno smantellato la legge Fini-Giovanardi che ha solo riempito le carceri di tossicodipendenti garantendo ampi profitti alle mafie. Consci dell’importanza che riveste la difesa delle libertà civili e di insegnamento e al fine di contrastare le politiche tendenti a criminalizzare gli studenti sulla questione delle droghe illegali, i Cobas della scuola patrocinano l’imminente ricorso alla magistratura del lavoro contro l’iniquo provvedimento e continuano a

ed hanno acquisito analoghi diritti al lavoro stabile. Manifesteremo contro il blocco dei contratti e la cancellazione degli scatti di anzianità; contro le assunzioni dirette da parte dei presidi-manager e il potere assoluto che si vuole loro attribuire; contro i quiz Invalsi su cui valutare il presunto “merito”, il Registro personale, gli scatti solo al 66% del personale, gli “innovatori naturali” e il docente “mentor”; contro l’obbligo dell’apprendistato in azienda; e per massicci investimenti nella scuola pubblica, un aumento immediato di 300 euro netti mensili per docenti ed Ata, come parziale recupero per quanto perso in questi anni, l’immediato pensionamento dei Quota 96. Nell'Inserto di questo numero un'articolata lettura critica del testo renziano sulla “Buona Scuola”.

sostenere Franco Coppoli, organizzano iniziative di formazione dei docenti su tali questioni e auspicano la solidarietà dei colleghi, operatori del settore e genitori e la mobilitazione degli studenti per il rispetto dei loro diritti.

Oltre il cane Pando verso la drugeducation Perché con i giovani l'approccio deterrente non funziona di Susanna Ronconi

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marzo 2014, Istituto per geometri “Sangallo” di Terni. Il cane Pando fa il suo ingresso in classe, è un cane antidroga, lavora per la questura, e fa i suo mestiere. Ma anche il professor Franco Coppoli sta facendo il suo, di mestiere, insegna, dichiara agli agenti di non voler interrompere il suo “pubblico servizio” e li invita a uscire. Un gesto, quello del professore, che ha portato alla sospensione di cui si dice nell'articolo di prima pagina. Quello di Terni non è un episodio nuovo e tantomeno isolato, si è ripetuto spesso anche in questi mesi di post Fini-Giovanardi (una inerzia?) l’assunto che la repressione, meglio se esibita e con forte impatto, come i supplizi del medioevo, serva alla dissuasione, fa parte del senso comune, di quello della politica e anche di quello di certi “scienziati” embedded. Ma vale la pena riparlarne per almeno tre motivi. Primo: Pando oggi non sta più fuori dai cancelli ad annusare, entra nelle aule, l’impatto è forte,

il linguaggio non è quello del mero controllo ma quello della deterrenza, e il rapporto che si cerca così con li mondo degli educatori non è una alleanza, è una sudditanza ancillare e muta. Un approccio che rende pedagogicamente ridicola la tesi di un discorso che presume di essere efficace alternando parole educative a parole repressive: Pando non apre uno spazio educativo, Pando lo chiude (del resto sa solo abbaiare). Che il professor Coppoli si sia sentito espropriare di parola e ruolo è il minimo. Secondo: la sconcertante impermeabilità nel tempo di queste prassi alla “evidenza” della loro inefficacia: la santa alleanza tra “educare e punire” - manifesto della nostra legislazione nazionale - ha dimostrato nei decenni la sua pochezza (vedere gli andamenti dei consumi per credere). Lo “scaredapproach”, approccio deterrente, di reganiana memoria (do youremember “Just say no!” e la Zero tollerance?) ha avuto proprio negli States, dove ha drenato milioni di dollari per un semplice bluff, la sua più

radicale critica. Da un lungo elenco: gli studi di Rodney Skager, California, sul fatto che, repressione o no, i ragazzi consumano comunque, quello della Università del Michigan, che ha indagato sulla inutilità dei test sui ragazzi, fino al modello educativo “La sicurezza al primo posto: un approccio basato sulla realtà” della pedagogista MarshaRosenbaum, San Francisco, che così sintetizza il suo pensiero: «La realtà, secondo le ricerche promosse dallo stesso governo degli Stati uniti, è che oltre la metà dei giovani adolescenti americani sperimenta l’uso di droghe illegali nel periodo in cui frequenta le scuole medie superiori. Tuttavia, l’obiettivo principale della gran parte dei programmi è quello di prevenire il consumo. Al contrario, un approccio realistico dovrebbe concentrare le nostre energie sulla prevenzione dei comportamenti d’abuso. Continuiamo a enfatizzare il valore dell’astinenza, a supportare quegli studenti che dicono “no alle droghe”, mentre dovremmo offrire un’informazione one-

sta e scientificamente corretta a tutti coloro che dicono “forse”, o “qualche volta” o “sì”». E qui sta il terzo punto: è ora che gli educatori (tutti, dai genitori agli insegnanti al mondo adulto) si riprendano parola e responsabilità. Il gesto di Franco, dei colleghi e dei genitori che hanno solidarizzato con lui, ha senso se si restituisce alla “normalità” delle relazioni quotidiane il discorso sull’uso di sostanze da parte dei ragazzi. Si chiama “drugeducation”, significa consapevolezza, ascolto, informazione corretta. Significa, con MarshaRosembaum, prevenire l’abuso e contenere i rischi. Ma “drugeducation” non ha una traduzione in italiano, noi abbiamo preferito, grazie al Dipartimento antidroga, puntare su “earlydetection” (questa sì, tradotta) che significa individuare – magari invitando i genitori ad effettuare i test sui figli o mandando i cani - i consumi per avviare i ragazzi/e alla patologizzazione e alla repressione. Un suicidio educativo.


Cobas 54 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

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MEGLIO ESSERCI Perché presentare le liste Cobas alle prossime elezioni Rsu del 2015 di Ferdinando Alliata

A

nni di politiche miopi, in cui si è vaneggiato di “modernizzazione” della Scuola con la falsa “autonomia” di Bassanini (art. 21 L. n. 59/1997) che avrebbe adeguato anche la Scuola al salvifico modello aziendale, ci consegnano scuole immiserite, ipertrofiche e ingestibili (d.P.R. n. 233/1998), che si accaparrano iscritti ingannando famiglie e alunni con depliant pubblicitari chiamati P.O.F. (d.P.R. n. 275/1999) o con presunte “classifiche Invalsi”, dove capi d'istituto promossi dirigentimanager (art. 25 d.lgs. n. 165/2001), insieme ai loro staff, svuotano dall'interno il ruolo degli organi collegiali e delle R.S.U. (d.lgs. n. 150/2009 “Brunetta”), gli unici strumenti di autodifesa rimasti a docenti e Ata. Ma mentre ancora si naviga a vista per quanto riguarda il riordino degli organi collegiali d'istituto, di cui sempre i soliti “modernizzatori” auspicano la trasformazione proprio perché il modello partecipativo che questi organismi in qualche misura ancora incarnano è chiaramente in contrasto con la natura stessa della “scuola dell'autonomia” articolata gerarchicamente intorno al dirigente scolastico, l'esistenza delle R.S.U. sembra destinata – nonostante la proposta Aprea - a perpetuarsi. Una sopravvivenza favorita dal fatto che anche la contrattazione a livello d'istituto costituisce un tassello importante nel processo di “aziendalizzazione” che sottrae progressivamente competenze agli organi collegiali, rischiando paradossalmente di ridurre piuttosto che ampliare la partecipazione al governo della scuola, specialmente se la trattativa diventa un luogo di potere dove anche le R.S.U. fanno gruppo intorno al dirigente, escludendo docenti e Ata dalle decisioni. Per di più, sappiamo bene che non rimane neanche un granché da contrattare. Dopo che Brunetta ha sottratto significative materie alla trattativa e ha indebolito il potere delle R.S.U., consentendo ai dirigenti di intraprendere “iniziative unilaterali”, adesso si paventa anche la possibilità che i dirigenti decidano sull'erogazione dei compensi sulla base di una loro valutazione dei “risultati raggiunti” dalle diverse attività. Dopo i recenti, ulteriori tagli alle risorse del salario accessorio, per f.i.s, funzioni strumentali e incarichi specifici, anche la parte economica della contrattazione d'istituto si è drasticamente ridotta, inasprendo ancor di più i conflitti interni tra i colleghi destinatari di compensi aggiuntivi sempre meno soddisfacenti. Ma nella nostra idea di R.S.U. non è mai stata l'attività legata alla contrattazione quella più importante, anzi! Non ci si sfinisce in estenuanti trattative inconcludenti e talvolta è coerente non firmare un contratto di cui non si condividono gli esiti o quando la controparte non fornisce le dovute informazioni. E visto che alle R.S.U. spetta, oltre il potere relativo all’eser-

COSA C'ENTRANO LE R.S.U. CON LA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE NAZIONALE? Le R.S.U. sono state costituite per individuare la rappresentanza dei lavoratori nella trattativa d'istituto, subentrando alle precedenti Rappresentanze sindacali aziendali – R.S.A. (non elettive) previste dall’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori. Ma a questa finalità specifica delle elezioni delle R.S.U. è stata forzatamente sovrapposta una finalità spuria: i voti ottenuti nelle singole scuole in cui si è riusciti a presentare la lista concorrono a determinare la “maggiore rappresentatività sindacale” a livello nazionale (d.lgs. n. 396/1997). Il 7 agosto 1998 è stato definito l’Accordo per la costituzione delle Rsu nella pubblica amministrazione e il relativo Regolamento elettorale. Un Regolamento antidemocratico, disegnato per consolidare il vecchio monopolio sindacale, che mette al riparo da risultati negativi chi gode di una rendita di posizione poiché, essendo già tito-

cizio delle Relazioni sindacali (informazione preventiva e successiva e, soprattutto, la contrattazione integrativa), anche la titolarità dei diritti sindacali (permessi, indizione dell’assemblea dei lavoratori, uso dei locali, affissione), è su questo secondo piano che occorre agire. Le relazioni sindacali in Italia hanno preso una deriva concertativa, di gestione dell’esistente, che rischia di trascinarsi dietro anche la buona volontà di tanti eletti che si trovano a fare i conti con una contrattazione segregata scuola per scuola e con i limiti su evidenziati: una frammentazione della Scuola pubblica, che produce divisione anche all’interno di ogni singolo istituto mettendo in confitto docenti e Ata per i soldi del fondo d'Istituto. Un salario aggiuntivo, ulteriore cascame di quella sedicente "autonomia scolastica" che tende a trasformare le scuole in supermarket e vincola docenti ed Ata ad una logica aziendale/pubblicitaria che rischia di svilire la qualità e l'unitarietà dell'istruzione e dello stesso ruolo educativo della Scuola. Le R.S.U. potrebbero essere invece uno strumento di resistenza, di conflitto e di contrattacco nei confronti della miseria (economica e culturale)

lare di tutti i diritti sindacali, dall’assemblea all’affissione, può cercare più facilmente candidati e può fare propaganda alle proprie liste, mentre chi non ha questi diritti rischia di non poterli mai acquisire. Un’elezione, inoltre, che concorre a misurare la rappresentatività nazionale sommando i voti ottenuti su liste presentate nelle singole scuole con candidati appartenenti ai singoli luoghi di lavoro, piuttosto che su una lista nazionale come sarebbe logico. Quindi: niente lista nella singola scuola – niente voti per il comparto nazionale. L’ambiguità di questa procedura che lega la rappresentatività nazionale a elezioni di livello molto diverso (la singola scuola) è spesso sottovalutata, o volutamente sottaciuta, nonostante sia proprio il riconoscimento della “maggiore rappresentatività” il risultato più rilevante di tutta l’operazione elettorale: così si decide chi acquisisce tutti i diritti

in cui è stata gettata la Scuola, favorendo la più ampia partecipazione di docenti e Ata, consapevoli che solo questa partecipazione può condurre a vittorie significative. Partendo dalle condizioni materiali nei luoghi di lavoro, le R.S.U. potrebbero concorrere a ricostruire concretamente un contesto di valori e principi di solidarietà e uguaglianza che, nella democrazia diretta, nella partecipazione collettiva, nel rifiuto della delega, individua una generale proposta di trasformazione della realtà che si contrappone alle gerarchie e alla competitività. Nelle scuole, l’azione delle R.S.U. potrebbe favorire il confronto e la circolazione delle esperienze, affinché le condizioni di lavoro non siano considerate come un dato intangibile, ma come situazioni trasformabili dai lavoratori e dalle loro lotte, per approfondire la conoscenza dello sfruttamento che subiamo, e delle connessioni che esso ha con le più generali politiche economiche. Un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nell’elaborazione delle piattaforme contrattuali e nelle scelte conseguenti, potrebbe definire un modo nuovo di agire nei conflitti di lavoro di cui c’è urgente bisogno: a partire dal

sindacali (compresi i distacchi) e chi partecipa alla contrattazione nazionale di comparto. Noi abbiamo sempre chiesto, come logica e democrazia vorrebbero, che si votasse su due schede: • una per esprimere un voto su una lista nazionale: comprensiva di tutti i sindacati, i movimenti e le organizzazioni che operano nella scuola, per misurarne il grado di rappresentatività a prescindere dalla presenza o meno di candidati nelle liste R.S.U. della propria scuola, stabilendo quindi quali sindacati hanno il maggior consenso ai fini della rappresentanza nazionale; • l'altra a livello di scuola: per eleggere i rappresentanti di docenti e Ata nella singola istituzione scolastica. Ma ancora una volta i sindacati concertativi hanno impedito questa soluzione democratica. La lotta per i diritti sindacali continua e dovrà essere portata avanti con il contributo di tutti.

basso e ponendo l’autonomia dei bisogni e delle aspettative dei lavoratori al centro delle lotte. Un percorso che è possibile cominciare anche a partire da scelte minime: non sottoscrivere alcun contratto senza aver prima svolto assemblee di scuola, realizzare un’organizzazione del lavoro condivisa e trasparente, rifiutare qualsiasi trattativa in merito a tematiche e argomenti che siano di competenza degli Organi collegiali della scuola. Naturalmente, l’R.S.U. non può e non deve diventare il “sindacalista di scuola” fornito di competenze su tutte le materie e che si fa carico della risoluzione delle vertenze individuali di ogni collega, perché ciò non è possibile né giusto. È opportuno, semmai, che le R.S.U. indirizzino i colleghi alle sedi territoriali per la consulenza, le vertenze ed i contenziosi individuali. Le sedi Cobas sono da sempre impegnate a coordinare e tutelare le R.S.U., al fine di dare senso e significato più ampio alle rappresentanze delle singole scuole, per cercare di incidere ai livelli più alti della contrattazione e dare voce a tutti i lavoratori. Per tutte queste ragioni sarà importante ripresentarci anche alle prossime elezioni ed eleggere R.S.U.

COBAS in tutte le scuole dove riusciremo ad arrivare, nonostante la bocca tappata e le mani legate. Infatti, le elezioni scuola per scuola avvantaggiano le organizzazioni che hanno mezzi, strutture, sindacalisti di mestiere e la possibilità di effettuare assemblee in tutti i luoghi di lavoro, mentre a noi non permettono neanche di tenere assemblee per incontrare i lavoratori. In questi ultimi anni, insieme alle R.S.U. abbiamo cercato di garantire la diffusione e la trasparenza dell’informazione, difeso la Scuola pubblica contrastando i quiz Invalsi, abbiamo denunciato l’accordo truffa sulle pensioni e boicottato Espero, ci siamo opposti al massacro degli organici, abbiamo cercato di coinvolgere tutto il personale nell’organizzazione del proprio lavoro, cercando di consentire l’accesso a tutte le attività in modo non discriminatorio e di favorire un parziale recupero salariale attraverso una redistribuzione più equa possibile del f.i.s., anche impedendo l’espandersi di progetti inutili. A chi ha condiviso queste battaglie chiediamo di continuare nonostante le difficoltà, impegniamoci per estendere questa esperienza nel maggior numero possibile di scuole.

MA I SINDACATI “FIRMATARI” AIUTANO LE R.S.U.? Per poter assolvere al loro ruolo le R.S.U. dovrebbero avere il tempo e le occasioni per uscire dai ristretti limiti in cui si trovano ad operare per confrontarsi con altri e scambiare le proprie esperienze. La normativa vigente prevedeva già due strumenti che potevano aiutare significativamente gli eletti: 1. l'art. 9, comma 3, del Contratto Collettivo Nazionale Quadro 7/8/1998 dava la possibilità di incrementare da 30 a 60 minuti la quota oraria (da moltiplicare per il numero dei dipendenti a t.i. in servizio nella scuola) per i permessi retribuiti da attribuire alle R.S.U., diminuendo contestualmente a 21 minuti la quota destinata alle organizzazioni sindacali “rappresentative”;

2. l'art. 2, comma 5, lett. b), dell'Accordo Collettivo Quadro per la costituzione delle R.S.U. 7/8/1998 consentiva di costituire coordinamenti tra le Rsu delle diverse scuole. Peccato che i contratti di comparto, sottoscritti da sindacati che fingono di interessarsi alle R.S.U., e che avrebbero potuto realizzare queste utili modifiche invece non se ne siano occupati per niente. Ma non è stata distrazione. Infatti, i successivi CCNQ hanno fatto gravare sulla quota destinata alle R.S.U. i tagli dei permessi - portandoli a soli 25 minuti e mezzo per salvaguardare i distacchi dei burocrati sindacali, che adesso paiono lamentarsi del fatto che la riforma della P.A. abbia escluso i permessi R.S.U. da ulteriori tagli (Circ. D.F.P. n. 5/2014). E

anche nei CCNL, i soliti “firmatari” si sono accaniti (illegittimamente secondo numerosi tribunali) contro la titolarità del singolo eletto R.S.U. di convocare assemblee in orario di servizio. Ricordate le aspettative di partecipazione democratica che nutrivamo nei confronti degli organi collegiali? Le R.S.U. subiranno la stessa sorte? Da possibile strumento di partecipazione e dialettica sindacale, saranno ridotte da un lato a mera macchina di potere dentro le scuole e dall’altro a collettori di voti per misurare “la rappresentatività nazionale” e dividere distacchi e permessi? Se così sarà, qualcuno ne sarà responsabile o tutto accadrà per gli scherzi di un destino cinico e baro?


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Cobas 55 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

I NOSTRI Sì LA CONTRATTAZIONE NAZIONALE NELLA SCUOLA: TENDENZE E IPOTESI DI INVERSIONE di Rino Capasso

Da

un punto di vista giuridico formale la cosiddetta “privatizzazione” del contratto di lavoro dovrebbe comportare la parità tra le parti, ma paradossalmente non è così per una serie di fattori operanti ormai da anni in modo strutturale. a) I vincoli di finanza pubblica alla parte economica I parametri di Maastricht, il Patto di Stabilità e, infine, il Fiscal Compact hanno determinato una serie di vincoli economici, per cui il quantum delle risorse destinate al rinnovo dei contratti pubblici viene determinato unilateralmente con la legge, “finanziaria” prima, di “stabilità” dopo. Per cui, le risorse disponibili non sono più oggetto di contrattazione, ma vengono determinate unilateralmente da uno dei contraenti. Inoltre, dal 2010 fino al 2014 incluso (e anche oltre, a dar retta ai più recenti annunci governativi) è in atto il blocco dei CCNL dovuto ad un completo azzeramento delle risorse. La ratio è la politica dell’austerità perseguita con perfetta continuità da governi di centrodestra, centrosinistra, tecnici, di larghe e strette intese, che come abbiamo cercato di dimostrare (vedi il n. 52 di questo giornale) costituisce non una soluzione, ma una delle cause della crisi. b) I vincoli legislativi alla parte normativa L’art. 1 della L. n. 15/2009 (legge Brunetta) ha invertito il rapporto tra

mi annunci del governo Renzi di quest’estate sulla riforma della scuola prefigurano un ulteriore salto di qualità in pejus. I diritti e gli obblighi di docenti e Ata saranno modificati per legge mettendo la contrattazione (se e quando verrà riaperta) davanti al fatto compiuto e riducendone drasticamente il ruolo. La motivazione di tipo liberale è che la legge rappresenta la “volonté générale du citoyen”, mentre i sindacati rappresentano solo i lavoratori (se li rappresentano!), quindi nella migliore delle ipotesi una parte e non il tutto. Si tratta di ideologia nel senso marxiano di mistificazione della realtà, sia per la crisi di rappresentatività strutturale dei partiti, sia per la scarsa rappresentatività garantita da leggi elettorali ipermaggioritarie (il che vale anche per l’Italicum), sia perché da decenni è in atto una tendenziale concentrazione del potere normativo nelle mani del governo con l’abuso dei decreti legge e l’uso per tutte le grandi riforme di decreti legislativi o regolamenti delegati. Tale tendenza sta trasformando il Parlamento in organo di ratifica di decisioni governative. La riforma del Senato di Renzi costituzionalizza questa tendenza, aggiungendo un quarto strumento: la blindatura della Camera sui ddl urgenti del governo, con l’obbligo di votare entro 60 gg sul testo presentato o accolto dal governo. Tra l’altro il Parlamento che riscrive

di del 1993, e ancora di più con quelli succedutesi dal 2009 al 2014, vi è stato un rafforzamento del contratto di II livello rispetto al CCNL, con la Fiat a fare da apripista. Il famigerato art. 8 della L. n. 148/2011 ha poi previsto che il contratto di II livello (aziendale, territoriale) possa derogare non solo il CCNL anche in pejus per i lavoratori, ma addirittura la stessa legge. Il rafforzamento del contratto decentrato rispetto al CCNL era in atto anche nel settore pubblico. Nella scuola ha significato il pacchetto: Autonomia/Dirigenza scolastica/ RSU/FIS e contratto d’istituto. Ma la tendenza si è arrestato per il prevalere della logica dell’austerità (congelamento del 2010, 2011, 2012 e poi del 2013 ai fini degli scatti di anzianità) e per la scelta di Cisl, Uil, Snals e Gilda di scambiare lo scongelamento prima del 2011 e poi del 2012 con il taglio del MOF (il 2010 era stato scongelato usando una parte dei risparmi della Gelmini destinati a premiare il presunto merito). L’anno scorso lo scambio ha comportato un taglio del 25 % del MOF, attingendo il resto ancora ai risparmi della Gelmini. Con l’accordo siglato lo scorso agosto, lo scongelamento del 2012 è stato finanziato, contrariamente alle previsioni, quasi esclusivamente con il taglio del 47% del MOF. È evidente che se l’anno prossimo sarà seguita la stessa scelta per lo scongelamento del 2013 il MOF e il

SCATTI MENSILI LORDI CON R.P.D. E RATEI DI 13a

da 9 anni1

da 15 anni

da 21 anni

da 28 anni

da 35 anni 46,02

Coll. scolastico

120,87

88,39

87,04

65,65

Ass. amm.- tecn.

154,83

114,57

115,25

82,08

62,89

D.s.g.a.

237,80

209,81

224,45

230,63

224,33

Docente mat.- elem.

192,27

210,71

164,54

222,47

120,89

Doc. diplomato II gr.

192,27

210,71

245,34

221,11

122,29

Docente media

223,12

237,84

190,99

247,47

138,85

Doc. laureato II gr.

278,89

252,88

269,68

236,81

140,84

Per calcolare gli arretrati, moltiplicare l'importo mensile della tabella per le mensilità di ritardo con cui verranno erogati gli aumenti (previsti per ottobre 2014) 1. chi è stato assunto con contratto a t.i. prima dell’1/9/2011 percepirà una cifra lievemente inferiore perché ha già avuto lo scatto 0-3, soppresso dal CCNL Scuola 4/8/2011

legge e contrattazione previsto dalla Bassanini. Mentre quest’ultima prevedeva la prevalenza del CCNL sulla legge, salvo deroga legislativa esplicita, la “Brunetta” ha sancito come regola generale la prevalenza della legge sul contratto, salvo deroghe esplicite previste dalla legge stessa. In pratica, l’eccezione è diventata regola e viceversa. “La beffa oltre il danno!” commentavamo all’epoca: “privatizzazione” sì, ma con la predeterminazione sia della parte economica che di quella normativa. In perfetta continuità prima Monti con la sua teoria del dialogo sociale senza contrattazione applicata alla riforma delle pensioni, poi gli ennesi-

la Costituzione è stato eletto con una legge anticostituzionale e, pur essendo legittimato a farlo da un punto di vista formale per il principio della continuità dei poteri dello Stato, è sicuramente delegittimato dal punto di vista sostanziale. Ma anche se il Parlamento fosse rappresentativo e avesse conservato i suoi poteri, la subordinazione del contratto nazionale alla legge implica una svalutazione del ruolo del conflitto sociale previsto dalla stessa Costituzione, peraltro già operante per effetto della limitazione del diritto di sciopero. c) CCNL e contratto decentrato Nel settore privato già con gli accor-

FIS verranno ridotti al lumicino e il contratto d’istituto perderà un altro pezzo significativo in termini economici, dopo i colpi inferti dalla Brunetta (sottrazione di materie per la parte normativa, indebolimento del potere contrattuale delle RSU con le “iniziative unilaterali” del DS, valutazione discrezionale da parte del DS dei risultati per l’erogazione dei compensi), a cui abbiamo cercato con qualche successo di resistere con le RSU Cobas e con i ricorsi. Ma mentre saluteremmo senza rimpianti il tendenziale esaurimento del FIS per quel che significa in termini di competizione individuale tra i lavoratori, scorgiamo nella proposta ren-

ziana de “la Buona Scuola” un rimedio peggiore del male: parte di quel che resta del MOF e, in particolare, del FIS verrebbe gestito unilateralmente dal DS “per premiare il merito”, laddove l’esperienza ci insegna che il merito, vista l’impossibilità di definirne parametri condivisi, significa solo potere. Come invertire la tendenza? La categoria si è dimostrata poco reattiva rispetto al blocco dei contratti: si può ipotizzare che tale atteggiamento sia dovuto al clima generale di scarsa conflittualità degli ultimi anni, ma è anche vero che, per esempio, i docenti delle medie e delle superiori reagirono con forza all’innalzamento dell’orario di insegnamento a 24 ore. La scarsa attenzione ai temi contrattuali potrebbe essere dovuta sia alle modalità verticistiche con cui i sindacati “rappresentativi” gestiscono la trattativa, sia alla consapevolezza che il prossimo CCNL sarà sicuramente peggiorativo nella parte normativa. Ripetere l’esperienza del 1987 – 1988 con l’elaborazione collettiva di una piattaforma contrattuale Cobas sembra poco praticabile e anche di scarsa efficacia, dato che le norme contrattuali antidemocratiche vigenti ci impediscono l’accesso stesso alla trattativa. Fermo restando che l’inversione della tendenza sarà possibile solo con la ripresa del conflitto, può essere di aiuto in tal senso dedicare una serie di Convegni Cesp (o di relazioni specifiche in Convegni che toccano anche altri temi) alle tematiche contrattuali. In questa direzione abbiamo discusso nel gruppo di lavoro del Seminario 2014 di una serie di punti programmatici, da utilizzare come spunto per il dibattito collettivo. 1) Invertire il rapporto tra legge e contrattazione collettiva nazionale con le motivazioni su esposte e, in particolare, per rilanciare il ruolo del conflitto sociale. 2) Ridare centralità al CCNL rispetto al contratto decentrato, puntando all’abolizione di quest’ultimo. Il contratto decentrato negli accordi del 1993 e successivi puntava a distribuire gli incrementi di produttività o di qualità, pensati come diversi per ogni azienda e per ogni scuola. Da qui l’idea che la produttività o il merito siano diversi da lavoratore a lavoratore e, quindi, l’uso del contratto decentrato per la differenziazione retributiva. Ciò innesca inevitabilmente la competizione individuale tra i lavoratori, che fa venir meno la stessa idea di base del sindacato – l’unione tra i lavoratori – e ne indebolisce radicalmente il potere contrattuale. In questa direzione l’esaurimento progressivo del FIS può essere un’opportunità, ma solo se riusciamo ad evitare la gestione unilaterale e aziendalistica da parte del DS dei residui. 3) 300 € netti di aumento in busta

paga uguali per tutti. È una cifra che nasce da un preciso calcolo economico sulla perdita del potere d’acquisto dal maggio 1990 ad oggi: gli Ata hanno perso il 33%, i docenti fino al 29,4 %, come ci ricordano le tabelle pubblicate in ogni numero di questo giornale, mentre i dirigenti scolastici hanno incrementato – mediamente – di oltre il 20% il potere d'acquisto dei loro stipendi di presidi e direttori didattici. Tale richiesta risponde non solo ad esigenze di equità, ma anche a quella di rilanciare la domanda globale di merci, la produzione e il reddito tramite il meccanismo keynesiano del moltiplicatore, che è uno strumento indispensabile per uscire dalla crisi, come ho cercato di dimostrare in un precedente articolo. Ma perché l’aumento deve essere uguale per tutti? Non perché non esistano differenze individuali (per fortuna!), ma perché la vera qualità scuola richiede collegialità, cooperazione e non competizione. 4) E per costruire i presupposti di un’effettiva collegialità va rilanciata con forza l’idea dell’anno sabbatico di formazione, come strumento per socializzare le buone pratiche, per riflettere collettivamente sulla didattica delle discipline, sugli effetti cognitivi delle varie scelte didattiche e, non per ultimo, per un approfondimento sui contenuti, sui saperi disciplinari sempre più svalutati negli approcci di moda nella scuola-azienda e nella scuola-miseria. 5) L’orario dei docenti. Di fronte alle rivendicazioni dei docenti sull’entità degli impegni lavorativi svolti “a casa” sono ricorrenti le proposte di un pacchetto orario – fino a 36 – per svolgere a scuola la preparazione delle lezioni, dei compiti, la loro correzione ... Si tratta, a mio parere, di far girare indietro le lancette della storia. Anche nei settori industriali tradizionali - come Marx aveva previsto nel Frammento sulle macchine la capacità di produrre ricchezza dipende oggi sempre meno dal tempo di lavoro necessario a produrre un’unità di merce: infatti il tempo di lavoro necessario diventa sempre minore per effetto dello sviluppo tecnologico e dell’aumento della composizione organica del capitale (rapporto tra capitale investito per l’acquisto di macchinari e capitale speso per l’acquisto di forza lavoro). Lo stesso Marchionne ha dichiarato, prima dell’apertura della fase conflittuale, che il costo del lavoro per unità di prodotto incide solo per il 6% sul costo di un auto. La capacità di produrre ricchezza dipende, invece, sempre più dallo sviluppo generale della scienza e della tecnologia, dal grado di socialità del lavoro, dal background culturale dei lavoratori … Alcuni di questi elementi hanno sempre caratterizzato il lavoro del docente: porre sotto il controllo dei tempi e della gerarchia il lavoro svolto finora con modalità più libere risponderebbe solo ad una logica di


Cobas 54 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

RIDETERMINAZIONE RISORSE PER IL “MIGLIORAMENTO” (?) DELL'OFFERTA FORMATIVA - M.O.F. (milioni euro)

Anno Finanziario Anno Finanziario Anno Finanziario 2013 2014 2015 e seguenti

Fondo Istituzione Scolastica – F.I.S.

693,80

367,42

527,18

Funzioni Strumentali - Docenti

80,79

30,53

55,24

Incarichi Specifici - ATA

35,30

16,94

29,62

Pratica Sportiva

39,86

11,88

22,15

Ore Eccedenti sostituzione docenti

30,00

30,00

30,00

Aree a rischio

38,72

26,45

23,87

1,24

0,09

1,15

919,71

483,31

689,21

Comandati TOTALE

Per evitare l'eccessivo abbassamento del M.O.F. per l'a.s. 2014/2015, l'Intesa prevede di spalmare l'entità del taglio sulle due annualità 2014/2015 e 2015/2016 portando le cifre del M.O.F. per i due anni in questione a 642,77 milioni di euro, ripartiti come nella successiva tabella.

subordinazione e di controllo. Invece, l’idea di aumentare – in modo facoltativo o addirittura obbligatorio - l’orario di insegnamento risponde alla logica dei tagli e dell’austerità, avrebbe effetti occupazionali disastrosi per i precari e contribuirebbe a farci sprofondare ancora di più nella crisi di sovrapproduzione per la compressione dei consumi. 6) Mantenere e rafforzare gli scatti di anzianità, come riconoscimento dell’esperienza didattica, che finora è stata in Italia uno dei pochi fattori – se non l’unico - con cui i docenti hanno potuto imparare come si insegna. Anzi bisogna accelerare la progressione di carriera per anzianità, che in Italia è molto più lenta rispetto agli altri paesi europei. In particolare, va ripristinato il primo scatto dopo i due anni per i neo assunti, che oggi percepiscono il primo scatto dopo 8 anni, se non altro per un elementare principio di equità. Inoltre, vanno garantiti gli scatti anche al personale assunto a tempo determinato (che, come succede sistematicamente, lavora anche da decenni nella scuola) sia ancora per garantire l’equità (a parità di lavoro e di esperienza maturata parità di sala-

rio), sia per eliminare uno dei principali vantaggi economici per lo Stato neo liberista del ricorso al lavoro precario: pagar meno i precari, come fa il peggior padronato! 7) Per ridurre il peso dell’altro fattore di sfruttamento ottocentesco del

bisogno contingente. Si tratterebbe di un embrione del reddito di cittadinanza, che ogni tanto rispunta anche nei dibattiti parlamentari, senza risultati concreti. Si potrebbe ipotizzare l’80% della retribuzione media dell’ultimo periodo lavorativo e, come

M.O.F. anno scolastico 2014/2015 Fondo Istituzione Scolastica – F.I.S.

507.478.266

Funzioni Strumentali - Docenti

44.335.867

Incarichi Specifici - ATA

26.849.600

Pratica Sportiva

14.698.667

Ore Eccedenti sostituzione docenti

30.000.000

Aree a rischio

18.458.933

Comandati

948.667

TOTALE

642.770.000

ricorso al lavoro precario va garantita un’indennità di disponibilità per i lavoratori precari della scuola per i periodi in cui non lavorano, se non altro per il motivo che devono tenersi pronti a insegnare materie spesso diverse o a svolgere mansioni diversificate per gli Ata, a seconda del

requisiti di accesso, aver lavorato almeno 180 gg negli ultimi 2 anni e/o aver stipulato nella propria “carriera precaria” almeno 3 contratti a t.d. fino al termine delle lezioni (in omaggio al principio della direttiva UE che prevede – come è noto – addirittura l’assunzione a tempo indeterminato).

8) Un'ultima riflessione riguarda quello che A. Palmi chiamava, nella relazione del relativo gruppo di lavoro al Seminario 2013, gli “effetti resilienti” del FIS. La stragrande maggioranza delle figure create con il FIS ha avuto effetti negativi sulla qualità della scuola o nella migliore delle ipotesi non ha avuti effetti se non quelli autoreferenziali di retribuire e/o di dare qualche micro potere a referenti vari. Basta pensare al diluvio di progetti o commissioni contro la dispersione che, spesso senza alcun raccordo con il lavoro in classe e senza alcuna organicità, di fatto aumentano la dispersione stessa. In una scuola accorpata quest’anno con quella in cui lavoro da tempo, i colleghi hanno avuto il coraggio di presentare, per 11 classi, proposte per 12 commissioni (con gli stessi nomi ricorrenti) e 23 progetti! Ma, ciò nonostante, vi sono alcune poche figure ormai consolidate per le quali vi è un consenso diffuso sul valore sociale e sull’efficacia della loro funzione. Per esempio, i coordinatori di classe o i colleghi che si occupano del sostegno o, in alcuni casi, anche i collaboratori del DS che talvolta gestiscono di fatto le scuole in presenza di dimensionamenti, reggenze o più semplicemente di DS latitanti o inefficaci. È realistico pensare che dopo più di 15 anni si possa tornare al lavoro volontario e gratuito di carattere missionario? Su questo punto il range di posizioni anche all’interno dei Cobas si allarga drasticamente. Alcuni - probabilmente la maggioranza - insistono sul fatto indubbio che tali figure sono state create artificialmente (per es. i coordinatori di classe non sono previsti dalla normativa: è una figura che è nata dall’applicazione estensiva dell’istituto della delega a presiedere i Consigli di classe) o la loro importanza è effetto delle politica dei tagli che hanno determinato accorpamenti e reggenze (collaboratori , responsabili di plesso …). Di conseguenza,

-5

non andrebbero previste né tantomeno retribuite in alcun modo in una scuola in cui venissero ripristinati gli standard minimi di qualità effettiva. In particolare, il ruolo dei coordinatori andrebbe riassorbito in una gestione di tipo collegiale o svolto a rotazione, come pure è accaduto nelle scuole in cui è stata praticata la campagna Cobas “anti-collaborazionista”. Altri pensano che allo stato dei fatti una gestione di tipo collegiale di tali funzioni sia forse possibile solo nelle elementari e nell’infanzia, in cui vi sono fattori strutturali legati alla formazione iniziale comune che favoriscono una collegialità effettiva, ma che è molto meno praticabile alle medie e alle superiori, che per fattori strutturali dovuti alla formazione iniziale basata esclusivamente sui contenuti disciplinari diversi, si configurano per lo più come una sommatoria di corsi individuali. Si tratta, naturalmente di muoversi, sul difficile crinale che garantisca il coordinamento ed eviti la gerarchizzazione e ancor di più la competizione. A tal fine la retribuzione andrebbe prevista a livello di contratto nazionale sulla base di parametri oggettivi (numero di studenti e/o di classi per esempio), in modo da avere un quadro omogeneo a livello nazionale ed evitare la guerra tra i poveri o la competizione a livello di scuola. Inoltre, la scelta di tali figure dovrebbe essere di competenza degli organi collegiali, in particolare del collegio docenti. Se, invece, continuasse per i collaboratori la pratica di dubbia legittimità di scelta unilaterale del DS i fondi andrebbero stornati dal contratto dei dirigenti. In ogni caso, queste proposte presuppongono un deciso potenziamento della spesa pubblica per la scuola in un’ottica sia di espansione della domanda globale, sia di rilancio del ruolo costituzionale della Scuola pubblica come fattore di uguaglianza e democrazia sostanziale.

L'esperienza e le iniziative di Quota96 Cobas di Venere Anzaldi, Francesco Martino, Franco Spirito

U

na grande manifestazione, quella del 29 agosto 2014, non solo in termini numerici (circa 1000 partecipanti) ma significativa nell’alleanza che si è costruita tra i Quota 96 e vari comitati dei precari. La sinergia Q96-precari dà una prima risposta al governo Renzi che con l'annunciata grande riforma della scuola si appresta, come i precedenti governi a tagliare la scuola, ad espellere i precari, a non voler sanare l'ingiustizia subita dai docenti e ATA in Quota 96. Il governo con la soppressione dell'emendamento Q96 (riconosceva solo in parte il diritto alla pensione ma non all'erogazione del TFS) nel decreto sulla riforma della PA, dopo che questo era stato approvato a larga maggioranza in parlamento, mostra chiaramente quale sia la sua scelta: • non vuole assolutamente toccare la legge Fornero; • non intende fare le correzioni a "meri errori materiali" perché teme possa innescare effetti emulativi e forte pressione per una revisione profonda della legge Fornero. Sotto la spinta dei presìdi al MIUR e a Montecitorio che i Cobas Q96 hanno organizzato mensilmente, è trascorso un anno di continui rinvii e bocciature da parte del MEF di tutte le risoluzioni approvate all'unanimità dalle competenti commissioni parlamentari (bilancio, lavoro, istruzione). La scandalosa “non sentenza” della Corte Costituzionale che non entrava nel merito del pensionamento ma rigettava il ricorso per vizi formali, è stato il primo segnale che le forme di pressione fino ad allora adottate non portavano a risultati.

Il nostro intervento è cresciuto nel tempo, sia partecipando alle attività di vari blog, sia manifestando ogni mese a Roma davanti al Parlamento, ma anche con il ricercato appoggio dei parlamentari di SEL e M5S, i quali spinti dalla lotta di piazza hanno inscenato varie proteste e duri interventi nelle commissioni e nelle sedute parlamentari. Abbiamo visto aumentare nel tempo la nostra credibilità, nel momento in cui le azioni di pressioni sul PD (esercitate dalla parte più corporativa dei Q96) non davano risultati concreti, ma solo attese e aspettative, rinviando le decisioni al mese successivo. Come sempre, abbiamo tenuta alta la tensione, rispondendo con presìdi ogni qual volta il governo non rispettava le promesse fatte, come quello del 7 agosto 2014 organizzato all'indomani della bocciatura al Senato, fatto che ha bucato i media che fino allora avevano ignorato la vertenza Q96; da qui la grande risonanza mediatica che ha avuto la manifestazione del 29 agosto scorso. È stata la credibilità conquistata con la nostra continua presenza nei presidi e nei blog a consentire il superamento di diffidenze e a portare la stragrande maggioranza dei Q96 in lotta a manifestare unitariamente con noi, il 29 agosto. Fondamentale è stato anche l’aspetto organizzativo: una newsletter rivolta a circa 1500 lavoratori con notizie sulle lotte, una cassa comune che ha rimborsato una parte dei molti viaggi per le manifestazioni a Roma.

Le alleanze ricercate dai Cobas Q96 nei presìdi sono state importanti per allargare i conflitti scuola e non solo. Prima con i docenti inidonei e i precari ATA, poi con i Comitati esodati del privato, ferrovieri e RSU contro la riforma Fornero, nell'ultima manifestazione con i diversi comitati dei docenti precari e vincitori di concorso. Siamo usciti dall'ambito particolare della nostra questione e abbiamo allargato il campo di intervento verso un percorso che deve portarci a lottare a 360° in tutti i settori per abolire la legge Fornero. Dopo i 170 mila esodati salvaguardati della Fornero (compresi docenti ex L. 104) rimangono circa 170 mila lavoratori pre-Fornero da salvaguardare, mentre si profilano, a causa della chiusura delle fabbriche in crisi, altre situazioni di sofferenza e di futuri esodati (“esodandi”). Per dare una risposta a queste situazioni di sofferenza è fondamentale l’abolizione della legge Fornero. E per riuscire in ciò è indispensabile creare una stretta alleanza che veda coinvolti tutti i lavoratori pubblici e privati, i giovani precari e quelli disoccupati: una previdenza dignitosa per tutti e un’età pensionabile ben sotto i 67 anni sono obiettivi che riguardano ciascun cittadino. A noi Cobas di tutta la Confederazione spetta continuare a sostenere e ad allargare un impegno nelle mobilitazioni che sappiamo oneroso ma che non ha alternative se vogliamo conseguire i nostri obiettivi. (Trovi i Cobas Q96 su internet agli url: http://quota96.wordpress. com e http://francomartino.eu)


6-

Cobas 55 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

PRIMO: ASSUMERE TUTTI I SUPPLENTI Alcune proposte per una piattaforma unitaria di Precari Cobas

I

provvedimenti legislativi susseguitisi negli anni hanno prodotto, attraverso un accavallarsi disarticolato (e incosciente?) dei canali di abilitazione/reclutamento, una sempre maggiore frammentazione del fronte di tutti coloro che aspirano a lavorare nel mondo della pubblica istruzione. Prendendo l'avvio dal riconoscimento della criticità dell'attuale situazione, la prima ed imprescindibile esigenza, se vogliamo raggiungere qualsivoglia risultato significativo, è quella di ricompattare il fronte di tutti i precari su una piattaforma largamente condivisibile e, auspichiamo, il più possibile condivisa. Ed anzi di inserire la lotta per l'assunzione in ruolo nel quadro più generale del miglioramento della qualità della didattica offerta dalla scuola pubblica. Lavorando su questa base, le proposte uscite dal seminario estivo dei Cobas scuola, più o meno innovative, sono state di varia natura. Parte di esse comprende l'adeguamento di alcune condizioni contrattuali (ferie, permessi, scatti di anzianità) al livello di quelle dei docenti di ruolo, visto che la disparità attuale non ha alcun ragionevole fondamento. Occorre però tenere presente che, in questo frangente, proporre di ritoccare la parte normativa del contratto potrebbe essere estremamente pericoloso. Altre proposte vanno nella direzione di compensare la flessibilità richiesta ai lavoratori precari mediante l'istituzione di un'indennità di disponibilità (con condizioni di accesso ancora da definire) o di smantellare alcune forme di rigidità, che stridono a fronte della flessibilità di fatto imposta, quali il vincolo di esprimere una scelta di un massimo di 20 scuole attraverso il modello B (ne proponiamo l'abolizione tout court) e dell'impossibilità di lavorare su più di 2 comuni all'interno della stessa provincia. Un'ultima proposta è quella di vigilare sulla formazione delle cattedre nel mese di luglio, chiedendo mediante le RSU di prendere visione del Modello C che i DS rimettono agli UST, per evitare che spezzoni utili siano sottratti agli stessi con l'attribuzione di cattedre superiori all'orario ordinario di 18 ore al personale interno alla scuola. Se da una parte il controllo dello stesso modello può comportare uno sforzo di attenzione e di analisi tecnica difficilmente dispiegabile, dall'altra anche la sola sua richiesta potrebbe costituire un elemento di pressione in grado di evitare in parte le nefaste conseguenze che si giocano in quella fase. Va da sé che qualora andasse in porto l'incremento orario a 24 ore trapelato dalle dichiarazioni d'inizio luglio del sottosegretario Reggi questo sforzo risulterebbe vano. D'altronde è fuori d'ogni dubbio che l'attacco sferrato al mondo della scuola, contenuto nel così detto “patto per la scuola”, richieda una risposta forte ed unitaria. Lo scelle-

rato "patto" (patto fra chi?) azzerando le possibilità di supplenze brevi e riducendo a 4 anni il ciclo della secondaria superiore (circa 60.000 cattedre in meno) colpisce in particolar modo tutti coloro che, laureati, specializzati, abilitati, vincitori di concorso, si sono messi in qualche coda per accedere all'insegnamento, tradendone di fatto le aspettative in precedenza suscitate. Per quanto questo insieme di rivendicazioni potrebbe risultare ampiamente condivisibile da parte di tutto il fronte dei precari, insistere solo questo piano ci porrebbe su un terreno puramente resistenziale o, al più, riformistico. Occorre pertanto, ci siamo detti, trovare, se esiste, un punto nodale da sciogliere che sia in grado di porre fine alla frammentazione esistente – artatamente congegnata e in cui vorrebbero confinarci - e che miri a sbloccare alcuni problemi fondamentali che riguardano l'istituzione scolastica nel suo complesso. Senza essere ingenui e disconoscere le tendenze governative, nonché il sopore della classe docente – che però s'inserisce in un più generale sopore da sconfitta introiettata - è necessario rompere la cornice disegnata da chi ci vuole rassegnati a tutte le politiche di austerity raccontandoci che siamo colpevoli del debito accumulato e chiamandoci così alla responsabilità di risanarlo. Proposte per assunzioni di massa «Potremo fare un'operazione keynesiana straordinaria in cinque anni: più di 150 miliardi di euro» annunciava Renzi all'indomani dei risultati delle elezioni Europee (inutile dire che non ci abbiamo mai creduto) salvo poi tornare nell'alveo delle politiche restrittive e recessive tracciate dai precedenti esecutivi e sbandierare “patti” mai conclusi, né tanto meno discussi, che mal celano i soliti tagli scriteriati senza nessun reale interesse verso la scuola statale e in piena controtendenza rispetto alle percentuali di PIL che gli altri paesi UE dedicano alla stessa, attribuendole il ruolo chiave che le compete, in quanto trainante dello sviluppo reale di un paese. Ebbene, attenendoci proprio alle citate dichiarazioni renziane, avremmo delle ottime proposte da fare per risolvere molte situazioni della scuola statale e, al contempo, contribuire al rilancio dell'economia. Quello che vorremmo proporre è una politica di assunzioni a tempo indeterminato che sia la più ampia possibile. Forse potrà considerarsi utopico, ma quando l'utopia coincide con la giustizia, diventa necessario perseguirla, se si vuole evitare di auto-recludersi nello squallido e asfittico recinto dell'amministrazione dell'esistente. Tanto più se questa giustizia, dati alla mano, risulta ampiamente realizzabile, con vantaggio di tutti, con il solo scoglio (non trascurabile, ne siamo coscienti) degli attuali rapporti di forza. Per comprendere che quanto

proponiamo non è un sogno scriteriato, bensì è frutto di un serio ragionamento sulle modalità effettive per attuarlo, è sufficiente contare quante cattedre sarebbero recuperabili con i seguenti accorgimenti: 1. Istituzione di una cattedra di “ora alternativa alla religione” per ogni cattedra di IRC (circa 25.000 cattedre); 2. Superamento dell'ambiguità del ruolo dell'insegnante di sostegno, che sulla carta è di sostegno alla classe, ma di fatto è quasi sempre interamente assorbito dal lavoro con gli alunni certificati che ne giustificano la presenza. Sarebbe auspicabile un insegnante di sostegno alla classe nel suo complesso in tutte quelle classi in cui sono presenti alunni con DSA e invece un insegnante di sostegno esclusivamente dedicato agli alunni certificati in base alla legge 104 (almeno 100.000 cattedre); 3. Istituzione di un numero massimo tassativo di 20 alunni per classe. Se lasciamo i conti più particolareggiati a successive edizioni di questo giornale, possiamo comunque accennare ad una stima (senza pretese di precisione) riferita al terzo punto in elenco, che quantomeno dia l'idea dell'entità della cattedre recuperabili, oltre alle 130.000 solitamente rivendicate, corrispondenti all'organico di fatto. Supponendo una media di 25 alunni nelle classi prime e seconde della secondaria di secondo grado, la riduzione a 20 comporterebbe, sempre mediamente, la formazione di 2/3 classi in più per ogni scuola. Che moltiplicato per una media di 35 ore settimanali porterebbe ad un incremento di monte ore complessive pari a circa 90. Considerando l'attuale impegno di 18 ore frontali, ciò, da solo, produrrebbe un aumento di 5 cattedre per ciascuna scuola. Che moltiplicato per le più di 5.400 scuole secondarie sul territorio nazionale darebbe luogo ad un totale di 27.000 cattedre recuperabili per questa via. Ciò, ripetiamo, solo limitandosi al II grado d'istruzione. Qualora non fosse abbastanza chiaro, stiamo parlando, in totale, di più di

250.000 posti disponibili. Morale della favola: in una scuola di qualità c'è posto per tutti! E in ogni caso, allargando il bacino di posti disponibili, qualsiasi fosse il canale scelto per le assunzioni future, esso scorrerebbe con maggiore fluidità. Le proposte formulate hanno il pregio di andare a tagliare un nodo gordiano, poiché consentono, in un solo colpo, di: 1. migliorare la qualità dell'insegnamento (perché in classi di 20 alunni è possibile un lavoro di maggior qualità basato anche su una conoscenza più approfondita degli alunni la cui crescita umana e culturale è il nostro obiettivo); 2. ricompattare il frammentato fronte dei precari che attualmente competono per l'accesso alla scarsa risorsa del lavoro; 3. guadagnare l'appoggio dei docenti di ruolo, dal momento che tali proposte vanno sicuramente nella direzione di un miglioramento della qualità del lavoro di tutti i docenti. Riteniamo pertanto che le rivendicazioni di cui sopra costituiscano il nucleo centrale di richieste da portare avanti con forza e unitariamente. Per una migliore gestione dell’esistente Non mancando la consapevolezza della situazione politica e dell'attuale composizione dei rapporti di forza, occorre prendere opportunamente in considerazione anche proposte complementari, che puntino ad una migliore gestione dell'esistente o, nella migliore delle ipotesi, di una possibile fase di transizione verso l'ottimo cui tendiamo. Rientra in una nostra forma di onestà intellettuale riconoscere che l'intento di stabilire un criterio chiaro e coerente, che fosse anche dettagliato, per dirimere gli attuali conflitti interni alla categoria del precariato scolastico - abilitati Ssis, vincitori di concorso, abilitati TFA e PAS - non ha prodotto i frutti sperati. Pertanto ci limitiamo in questa fase a continuare a dichiararci contrari a tutti i provvedimenti che, facendo leva sulla

disperazione da inoccupazione, istituiscono canali multipli di reclutamento con la pericolosa possibilità di creare possibilità di sorpasso all'interno di code in precedenza istituite e di introdurre ulteriore aleatorietà in un sistema già di per sé turbolento. La richiesta di base che ci sembra più sensata è pertanto l'istituzione di un canale unico di formazione e reclutamento, che potrebbe essere quello di una laurea abilitante. Questo potrebbe essere costituito dal ripristino della caratteristica di “permanenza” delle attuali Graduatorie, che furono nel 2007 rese "ad esaurimento", e con l'apertura di esse a tutti gli abilitati a vario titolo (TFA, PAS ed altri eventuali percorsi futuri) in coda agli attuali inseriti. Ciò anche in previsione del fatto che, interpretando le intenzioni degli ultimi esecutivi, tutti diretti alla progressiva privatizzazione della scuola e pertanto al reclutamento mediante chiamata diretta da parte dei DS magari passando attraverso l'istituzione di concorsi pubblici per reti di scuole - l'esaurimento delle Gae diverrebbe pericoloso, perché darebbe definitivamente l'avvio ai nuovi canali di assunzione. Tutto quanto resta da dettagliare è dunque rimandato alla discussione da svolgersi in seno ai Cobas e a tutti quei movimenti di precari che dispiegandosi variamente sul territorio nazionale condividono i principi della presente piattaforma. Ciò anche nel tentativo di riallacciare un dialogo e una collaborazione fattiva preziosi a tutti gli effetti e da mettere in campo al più presto possibile. In tal senso, a fianco delle varie iniziative di lotta previste nella prossima stagione, sarà proposta, a partire da settembre, una serie di convegni Cesp, da svolgere in almeno una ventina di province, specificatamente dedicati alla tematica del precariato scolastico, sul modello del convegno tenutosi a Bologna nello scorso aprile e dai cui lavori dovrebbe essere tratta una pubblicazione di imminente uscita.


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Divide et impera La stRategia del MIUR per indebolire le lotte dei precari di Edoardo Recchi

U

na delle caratteristiche maggiormente evidenti del sempre più vasto universo dei precari della scuola italiana è la sua grande frammentazione. L'ondata di indignazione generata dalla pubblicazione del decreto n. 356 del 23.5.14 che, contrariamente a quanto precedentemente previsto, autorizza lo scorrimento delle graduatorie del concorso indetto nel 2012 oltre il numero dei posti banditi; le recenti polemiche suscitate dall'aggiornamento delle GaE, con i consueti e comprensibili malumori di quanti si sono visti “scavalcare” da colleghi trasferiti da altre province; la tensione sempre più forte che si va profilando tra gli abilitati del primo ciclo del TFA e quelli che hanno appena terminato i PAS sono solo gli ultimi atti di un'interminabile e logorante lotta interna al precariato scolastico che ha iniziato a delinearsi a partire dalla fine del Novanta. Una lotta abilmente alimentata da tutti i governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi quindici anni, attraverso una serie di leggi e di disposizioni improntate alla logica del divide et impera e in grado di frazionare e indebolire profondamente una categoria che, pur caratterizzata da componenti diverse e a volte in contrasto tra loro, fino a quel momento era sempre riuscita a trovare una sostanziale unità nella comune rivendicazione dell'assunzione in ruolo. Per individuare l'origine di questa frammentazione bisogna risalire alla L. n. 124 del 3.5.99 e, più precisamente, a tutta quella serie di provvedimenti che la seguirono e che, nel giro di due anni, finirono per tradirne completamente lo spirito, provocando contrapposizioni difficilmente sanabili. Ripercorrere brevemente i passaggi di questa vicenda può essere utile per individuare i principali aspetti della strategia divisiva che caratterizza ormai da tempo – e in modo pienamente funzionale al grande processo di aziendalizzazione della scuola pubblica italiana avviato con legge sull'autonomia - le politiche sul reclutamento scolastico. Le Graduatorie Permanenti Innanzitutto bisogna ricordare che la n. 124 del 1999 fu l'unica legge sul precariato scolastico emanata nel corso degli anni Novanta. Essa arrivò a ben dieci anni di distanza da quella che aveva istituito il “doppio canale” (L. 417/1989). In questi dieci anni il numero dei precari della scuola era tornato fortemente a crescere sia a causa dei vari tagli della spesa pubblica che caratterizzarono il periodo, sia perché, nella scuola secondaria, nessun concorso ordinario o corso abilitante riservato era stato bandito dopo quelli del 1990. La L. n. 124 fu il risultato di un lungo percorso all'interno del quale il movimento degli insegnanti precari, già peraltro articolato in diverse anime, riuscì a pro-

cedere in modo unitario verso l'approvazione di un dispositivo che mirasse prioritariamente alla salvaguardia dei diritti acquisiti. E, in effetti, misure come la trasformazione delle graduatorie del “concorso per soli titoli” in Graduatorie Permanenti (GP), valide sia per il 50% delle assunzioni a tempo indeterminato, sia per il conferimento delle supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche, o come l'indizione di una sezione riservata di esami per l'abilitazione (requisiti: 360 giorni di servizio negli ultimi 10 anni + 120 ore di corso) che dava titolo all'inserimento nelle GP, al pari degli idonei del concorso ordinario bandito pochi mesi prima (DM n. 39 del 31.3.99), sembrarono in grado di realizzare, almeno in parte, questo obiettivo. Soprattutto alla luce del successivo DM n. 123 del 27.3.00 che stabiliva una divisione delle suddette GP in 4 scaglioni: il primo riservato a coloro che erano già inseriti nelle vecchie graduatorie per soli titoli (unici a poter figurare in due province); il secondo destinato a quanti avevano maturato il diritto di entrare nella graduatorie per soli titoli entro il 25.5.9 , la data di entrata in vigore della L.124/99, (abilitazione + 360 giorni di servizio nel triennio precedente); il terzo per tutti coloro che avrebbero maturato questo diritto all'atto della prima integrazione delle graduatorie (giugno 2000); il quarto per tutti gli altri docenti in possesso di abilitazione – o in procinto di conseguirla – che risultavano inseriti nelle precedenti graduatorie provinciali o di istituto per le supplenze. Lo stesso decreto, inoltre, precisava che tutte le successive integrazioni delle GP sarebbero dovute avvenire, ogni volta, attraverso la costituzione di uno scaglione successivo all'ultimo (5°scaglione, 6°scaglione ecc.). Le SSIS I problemi iniziarono a sorgere a questo punto. Nel frattempo, infatti, erano partiti i corsi delle SSIS, accompagnati da tutta una vasta retorica sulla possibilità che con essi finalmente si profilava di raggiungere l'obiettivo vanamente inseguito nei decenni precedenti: quello di selezionare e formare insegnanti realmente preparati, aggiornati sui problemi della didattica e pronti ad affrontare le nuove sfide educative. Bene, non è difficile capire che, nel sistema definito dalla L.124/1999 e dal DM 123/2000, proprio gli abilitati delle scuole di specializzazione avrebbero dovuto aspettare diversi anni prima di ottenere anche solo una supplenza temporanea, visto che la legge allora in vigore considerava questa nuova forma di abilitazione unicamente come il requisito necessario per partecipare ai nuovi concorsi i quali, a partire dal 1999, avrebbero dovuto svolgersi ogni tre anni, ma solo in presenza di una effettiva disponibilità di cattedre. Per questo motivo, sotto il nuovo ministero De Mauro, fu ema-

nata la legge n. 306 del 27.10.00 che, attraverso il conferimento del valore concorsuale all'abilitazione conseguita tramite le SSIS, riconosceva ai sissini il diritto di accedere alle GP. Diritto reso ancora più spendibile grazie all'attribuzione di un bonus aggiuntivo di 30 punti, introdotto con il successivo DI n. 268 del 4.6.01. La cosa suscitò non pochi malumori tra le fila di chi si era abilitato seguendo un altro tipo di percorso, ma il colpo che stravolse definitivamente il senso della L. 124/1999 arrivò solo con il secondo governo Berlusconi e con il ministro Letizia Moratti. Fu lei, infatti, a emanare il DL n. 255 del 3.7.01, poi convertito nella legge n. 333 del 20.8.01, con cui il terzo e il quarto scaglione delle GP previsti nel D.M. 123/2000 venivano accorpati in un'unica fascia, la quale avrebbe dovuto accogliere anche ogni nuovo inserimento nelle graduatorie. Come se non bastasse, con lo stesso provvedimento i servizi di insegnamento prestati nelle scuole paritarie venivano equiparati a quelli prestati nelle scuole statali. Le guerre precarie La sommatoria di queste decisioni provocò uno sconvolgimento nella terza fascia delle GP che, determinando l'ascesa improvvisa degli abilitati delle SSIS, mise fortemente in discussione le posizioni faticosamente raggiunte da chi nella scuola lavorava già da molti anni e causò lo scoppio definitivo di una vera e propria guerra tra poveri. Una guerra che vide contrapposti principalmente precari storici e sissini, ma che si articolò anche su fronti interni ai due schieramenti. Se i precari storici, infatti, risultarono spesso divisi in ordinaristi (coloro che avevano superato un concorso ordinario) e riservisti (quanti avevano conseguito l'abilitazione tramite una sessione riservata), anche tra i sissini del primo ciclo di corsi e quelli dei cicli successivi non corse sempre buon sangue, lamentando i primi il diritto a un trattamento privilegiato. Infine vi fu la trasversale contrapposizione a tutti quei docenti che erano riusciti a maturare titoli di servizio nelle scuole paritarie dove, come è noto, l'assegnazione delle supplenze avveniva (e avviene) per chiamata diretta da parte dei presidi, senza lo scorrimento di nessuna graduatoria. Le aule dei TAR diventarono ben presto il luogo privilegiato dello scontro tra gruppi di precari che iniziarono a sfidarsi a colpi di ricorsi e anche il Consiglio di Stato fu chiamato più volte a pronunciarsi. Una serie di sentenze costrinse il Miur a rifare le GP per ben sei volte negli anni scolastici 2002/2003 e 2003/2004 e il blocco totale delle assunzioni che si verificò proprio in quel biennio non fu certo il frutto di una mera coincidenza. Nel corso dei più di dieci anni che ci separano da questi avvenimenti, abbiamo assistito a numerose altre situazioni di ten-

sione tra i precari della scuola che non è il caso di ricostruire in questa sede. Basti aggiungere, per il momento, che la stessa Legge 143 del 4.6.04, emanata con il dichiarato scopo di porre termine al contenzioso, attraverso l'equiparazione delle varie tipologie di abilitazione, conteneva già due elementi destinati a produrre gravissima instabilità: la possibilità di inserire nella valutazione dei titoli i famigerati master on line a pagamento (i trepuntifici) e il doppio punteggio per i servizi prestati nelle scuole di montagna, sedi penitenziarie e piccole isole. La strategia del MIUR Come si accennava all'inizio, questo breve percorso attraverso le tappe che hanno portato al primo grande scontro interno alla categoria ci permette di evidenziare gli elementi fondamentali e ricorrenti della strategia governativa del divide et impera. Innanzitutto, l'ostinazione con cui il MIUR è sempre riuscito a evitare la creazione di un unico sistema di formazione e reclutamento del personale. In particolare, l'aver favorito nel tempo la possibilità di conseguire l'abilitazione all'insegnamento con modalità diverse. Emblematica in questo senso la vicenda delle SSIS che nelle intenzioni di molti avrebbero dovuto portare al superamento del concorso e invece - vuoi per la presenza di interessi e visioni contrastanti all'interno del mondo accademico, vuoi per il timore delle burocrazie ministeriali e sindacali di perdere buona parte della loro voce in capitolo - finirono per diventare unicamente un terzo percorso abilitante, da affiancare ai due già esistenti: il concorso ordinario, appunto, e le sessioni di esami o corsi di abilitazione riservate. Un discorso analogo può essere fatto oggi per il TFA, ma in un contesto ancora più complicato, dato che il titolo conseguibile è attualmente privo del valore concorsuale. Il determinarsi di questa situazione, oltre a permettere alle varie lobby di trovare gli interstizi necessari per esercitare il loro potere clientelare, ha di fatto generato tipologie di precari diverse, le quali riescono sempre meno a riconoscersi nella comune condizione di precarietà lavorati-

va, nello sfruttamento reiterato e inaccettabile cui tutte sono sottoposte e tendono sempre più a identificarsi nella presunta maggiore validità del proprio percorso o del proprio tipo di abilitazione. In questo sono spinte, ovviamente, dalla crescente e sempre più falsa retorica del merito che, a seconda del periodo e della moda, tende a privilegiarne uno, considerando chi percorre le altre strade come una specie di residuo del passato, se non addirittura un usurpatore. Altro elemento fondamentale consiste nella frequente emanazione di provvedimenti fortemente contraddittori, cui corrisponde il cambiamento continuo delle regole, spesso in corso d'opera e con valore retroattivo. Tutto ciò serve al MIUR per creare i necessari elementi di distrazione ogni qual volta è in procinto di prendere decisioni fortemente impopolari e per blandire ora questo, ora quel gruppo di precari quando le loro forze sembrano poter convergere verso rivendicazioni comuni; si pensi alle grandi proteste contro i tagli della cosiddetta riforma Gelmini, lentamente indebolite prima attraverso l'emanazione del decreto salvaprecari, poi con la vicenda del pettine e delle code, infine quasi annientate dall'indizione del concorso. È soprattutto questo che, unitamente ai frequenti e spesso sostanziosi tagli delle cattedre, ha contribuito a introdurre anche nel mondo della scuola quello che Luciano Gallino ha definito “principio del 'numero chiuso’”, cioè la convinzione che il diritto a un “lavoro decente” (cioè stabile) non possa più riguardare tutti, che il tempo delle rivendicazioni collettive sia ormai finito e che convenga, pertanto, percorrere soluzioni settoriali e individuali. Del resto, nella scuola che si apre al mercato e alla competizione, il ricorso al precariato non assolve più solo la consueta e originaria funzione di effettuare un sostanzioso risparmio sulle spese per il personale, ma rappresenta un'imperdibile opportunità per produrre e agevolare i cambiamenti. Quale strumento potrebbe illustrare meglio - e a tutti - le nuove regole del gioco, rispetto alla presenza crescente di docenti precari sempre più deboli contrattualmente, divisi e in concorrenza tra loro?

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Cobas 55 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

LA SCUOLA DEL DISAGIO SOCIALE Il nostro grande impegno per il riconoscimento dovuto alla scuola in carcere e all’istruzione degli adulti di Anna Grazia Stammati

La

presenza del CESP all’interno del processo di riorganizzazione dell’istruzione adulti è stata determinata da una valutazione sull’importanza strategica di un segmento dell’istruzione che, sempre più, diventa un presidio attivo sui territori e sulle aree del disagio sociale. Nell’istruzione adulti si incanalano, infatti, contemporaneamente: la necessità del recupero della dispersione scolastica (oramai al 18% circa, con punte che toccano il 25% in Campania); l’alfabetizzazione e integrazione della popolazione immigrata; la formazione e il recupero formativo e sociale della popolazione detenuta. Ed è proprio da qui, dall’arcipelago carcere, il cui dispositivo disciplinare appare immutato e dove le contraddizioni dell’istituzione scuola si incrociano con quelle dell’istituzione totale per eccellenza, che il CESP ha cominciato ad intervenire. La vera e propria spinta propulsiva che l’associazione ha dato alla emersione dell’insegnamento nelle carceri, sino a quel momento quasi sconosciuta, si è incrociata con l’immediata risposta dei docenti che operano in carcere. Gli insegnanti che prestano servizio nelle istituzioni penitenziarie hanno, infatti, ben colto i nodi problematici della riorganizzazione dell’istruzione adulti, proposta con la finanziaria 2006 e arrivata a conclusione con il Dpr 263/2012; nodi che hanno evidenziato sin dal primo convegno del maggio di quell’anno e sui quali si sono confrontati a più riprese con le istituzioni coinvolte. In realtà, anche prima del nuovo regolamento, l’istruzione nelle carceri si trovava in una situazione di sottodimensionamento degli organici e delle classi rispetto all’istruzione adulti “liberi”e alle reali richieste ed esigenze. Ma è negli ultimi anni che la scuola all’interno delle istituzioni penitenziarie ha assunto un rilievo e un’importanza nuovi. In particolare, nelle generali e disastrose condizioni in cui versano i

detenuti e le detenute, la scuola in carcere ha contribuito ad introdurre nei penitenziari un’organizzazione che, nella propria ordinarietà (fatta di corsi, di classi, di orari, di insegnanti che si relazionano direttamente e autonomamente con gli studenti ristretti) ha portato con sé modalità e tempi di realizzazione corrispondenti a quelli esterni al carcere, spesso, anzi, “confliggenti” con quelli, determinando, però, risvolti positivi sui percorsi individuali dei detenuti e

- Laboratori - Attività che le Scuole “ristrette” hanno svolto nell’estate 2014 prolungando l’attività scolastica sino a luglio/agosto/settembre. Così, con l’obiettivo di ottenere tanto il riconoscimento della piena esigibilità del diritto all’istruzione per la popolazione detenuta che il riconoscimento della specificità della scuola in carcere, sono stati posti all’amministrazione anche altri problemi: • il “ruolo speciale“ nelle scuole elementari,

situazione dei corsi, dei progetti e delle attività presenti nelle carceri di tutta Italia, nonché delle reali possibilità di sviluppare grazie ai percorsi scolastici e agli insegnanti ivi occupati, un’azione a tutto campo nelle istituzioni penitenziarie, mediante un piano organico di interventi. Intorno alla specificità e distintività dei percorsi di istruzione nelle carceri si è consolidata la presenza del CESP, che in questi due anni ha colloquiato con le istituzioni e con i territori, ha partecipato al Tavolo Nazionale Istruzione Adulti, ha presentato documenti e proposte condivisi dalla Rete delle scuole ristrette e dal MIUR, che hanno portato: • al riconoscimento, nelle Linee Guida per l’istruzione degli adulti, della specificità e distintività dell’istruzione in carcere, da declinare attraverso “Misure di sistema”, finalizzate ad apportare i necessari adattamenti organizzativi della più generale istruzione adulti, rispetto all’istruzione in carcere, in relazione alla specificità della domanda formativa, alla peculiarità dei luoghi di apprendimento, nonché alla variabilità dei tempi di detenzione, così come previsto dalle Linee Guida istruzione adulti e che possono costituire la possibilità di un riassorbimento del sovrannumero parziale e la possibilità di un organico dedicato;

riuscendo ad abbattere la stessa recidiva degli studenti ristretti. La consapevolezza di tale specificità ha determinato l’incontro dei docenti delle scuole “ristrette”, che da Gorizia ad Enna, passando per Alghero, si sono confrontati nei numerosi convegni che sono stati svolti dal CESP sulla scuola (tre convegni nazionali a Roma e altri a Firenze, Palermo, Padova, Pescara, Lecce) raccontando le proprie decennali esperienze agli altri e descrivendo le innumerevoli e preziose attività realizzate in carcere. A titolo d’esempio delle attività che si svolgono presso le sezioni scolastiche penitenziarie ricordiamo i Corsi

• l’impossibilità per i CTP di svolgere l’ultimo periodo didattico aggiunto nella riorganizzazione dal Dpr 263/2012, senza un potenziamento dell’organico, con il rischio di abbandono di molti percorsi attualmente svolti, • il possibile accavallamento tra l’ultimo periodo didattico dei CPIA e il primo biennio delle superiori, con conseguente, relativo conflitto di competenza tra i due livelli di istruzione. Su queste basi si è costituita la Rete delle scuole ristrette, che ha rappresentato, grazie all’intervento del CESP, sia al MIUR che al Ministero della Giustizia, il quadro reale della

• all’articolazione del percorso di studi degli ex-corsi serali su cinque anni e non su tre; • alla conferma dell’organico per l’anno in corso nonostante la riorganizzazione in atto e la messa a regime degli indirizzi in base alla “controriforma” di Gelmini; • al mantenimento almeno per il quinto anno del vecchio ordinamento e dei vecchi organici; su questi ultimi due punti si è innescato, però, un forte conflitto di competenze tra il MIUR e gli USR, che nel rivendicare la propria assoluta autonomia in fatto di organici, hanno disatteso, su alcuni territori, le pur chiare indicazioni del Ministero.

Il 9 luglio scorso, per dimostrare in cosa consiste concretamente la specificità delle scuole in carcere, il CESP ha organizzato la visita dei sottosegretari Gabriele Toccafondi (MIUR) e Cosimo Ferri (Giustizia) con gli studenti del Nuovo Complesso di Rebibbia impegnati nei Corsi – Laboratori - Attività estive e per i primi giorni di settembre è in programma un nuovo incontro, sempre con i due sottosegretari, per proseguire con la definizione delle Misure di sistema e gli ulteriori interventi da mettere in campo. Molte sono, naturalmente, le questioni che rimangono da affrontare e che non sono state risolte, ma un primo, sicuro e positivo riscontro è stato determinato dal serrato confronto istituitosi tra i docenti delle scuole ristrette, che oltre a porre l’accento sulle specifiche questioni della riorganizzazione dell’istruzione adulti, stanno contribuendo alla riflessione sul significato dell’insegnamento per gli adulti “ristretti” e su quali dovrebbero essere i passi concreti per passare da una concezione dell’istruzione in carcere come semplice ancella del “trattamento” penitenziario dei detenuti, ad una concezione dell’insegnamento in direzione di un più generale processo di apprendimento e formazione. Se possiamo dire, però, che nell’istruzione adulti “ristretti” molti passi in avanti sono stati compiuti, sia per il coinvolgimento diretto e continuo dei docenti, che per l’interlocuzione costante con le istituzioni (il che sta contribuendo, in ogni caso, a far emergere la complessa realtà dell’istruzione in carcere e la sua importanza strategica), bisogna dire, invece, che questo non c’è stato nell’istruzione adulti “liberi”. Alla pur giusta analisi critica sulla generale riorganizzazione, non è seguita, infatti,una altrettanto puntuale analisi degli elementi costitutivi dell’insegnamento agli adulti “liberi”, passaggio necessario per riuscire ad evidenziare i punti di forza e le proprie specificità, ma anche gli elementi di debolezza sui quali occorrerebbe intervenire. Proprio per questi motivi, e per l’urgente necessità di un intervento sulle aree a rischio, sulle quali agiscono in particolare i CTP e le scuole serali dell’istruzione adulti, c’è stato questa estate un proficuo confronto all’interno del seminario estivo dei Cobas, e, considerando positivamente quanto raggiunto con l’esperienza della scuola in carcere, si è organizzato un primo incontro con la rete dei CTP e dei corsi serali che gravitano sui territori considerati a rischio (per tutti lo Zen di Palermo e Scampia a Napoli) che si terrà all’inizio del nuovo anno scolastico, per iniziare a porre, anche a livello istituzionale, la questione della specificità di questo segmento di istruzione e per definire, insieme a tutti i docenti che vi lavorano, una nuova politica di interventi in questo settore.


Cobas 54 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

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Agricoltura bio in carcere Un progetto per la rieducazione dei detenuti di Rebibbia di " Fuori classe. Scuola in rete" Rivista di varia umanità a cura degli studenti "ristretti" di Rebibbia

Il

progetto “G 23: Rebibbia Family Farm” nasce da un’idea sviluppatasi durante lo svolgimento del laboratorio didattico per la realizzazione di un numero di“Fuori classe. Scuola in rete”, rivista di varia umanità, a cura degli studenti ristretti di Rebibbia, che si è svolto dal 10 giugno al 10 luglio 2014. Un’idea scaturita dall’analisi dei dati dell’indagine sullo stato economico e sull’accesso al lavoro dei detenuti di Rebibbia e dalla discussione nata intorno ad un articolo che spiegava il significato di Family Farm, riportava la decisione delle Nazioni Unite di proclamare il 2014 Anno internazionale dell’agricoltura familiare e la decisione della FAO che ha tra i suoi obiettivi quello di eliminare la fame, l’insicurezza alimentare e la malnutrizione, di investire per l’anno in corso sull’agricoltura a livello familiare, ritenuta una delle potenzialità maggiori su cui investire per affrontare il problema della riduzione della fame nel mondo. Per agricoltura familiare, si spiegava nell’articolo, deve intendersi un’azienda agricola che si poggia sul lavoro dei membri della famiglia. In Europa più di 23 milioni di persone lavorano nella propria azienda, costituendo il 90% dell’intera forza lavoro agricola, il che significa contemporaneamente, creare occupazione,

competenze e ridurre il ricorso all’acquisto di beni alimentari. La stretta corrispondenza tra quanto affermato nell’articolo e i dati sullo stato economico della popolazione detenuta di Rebibbia, raccolti dalla redazione della rivista, hanno fatto riflettere sulla necessità di un intervento per affrontare, anche al Nuovo Complesso, il problema; così l’equazione Rebibbia - Family Farm è emersa in modo naturale. A Rebibbia esiste già, peraltro, un’area dedicata ad azienda agricola, che però è stata dismessa, per la mancanza di un vero ‘interesse’ a tenerla attiva, la cosiddetta sezione G 23, un’area di circa 500 mq, dotata di serre e di un ricovero per attrezzi agricoli, otre la quale vi sono altre quattro aree coltivabili, interne alle sezioni G 8, G 9, G 12 e G 14, per complessivi 1200 mq circa. Alcune di queste aree sono già oggi coltivate, in maniera “spontanea”, da alcuni detenuti che hanno avuto il permesso per farlo e in una di queste c’è stata una produzione di circa seicento chili di pomodori, distribuiti nel reparto adiacente. Agricoltura sociale Già nel 2009, l’associazione Italiana Agricoltura Biologica (AIBI) ha realizzato il progetto “Agricoltura e detenzione: un percorso verso il futu-

ro”, censendo le realtà carcerarie italiane presso le quali esistevano aziende agricole, avviando un lavoro verso lo sviluppo di un percorso nel quale utilizzare le attività agricole, come le altre attività lavorative, per la rieducazione e il reinserimento socio-lavorativo del detenuto. Dai lavori e dalle indagini messe in campo, emerge l’importanza della valorizzazione dell’attività agricola presso gli istituti penitenziari, come processo di inclusione sociale e lavorativo, poiché il lavoro in aziende agricole biologiche e cooperative sociali, dentro e fuori del carcere, riesce ad accorciare le distanze tra carcere e società e mette in comunicazione la comunità del carcere con le locali comunità circostanti. L’agricoltura sociale, come sarebbe quella delle Family Farm, è, in questo senso, uno strumento che genera opportunità di inclusione ed inserimento lavorativo, in favore di persone colpite da forme diverse di svantaggio o disagio sociale e il ripristino e la valorizzazione dei terreni all’interno degli istituti penitenziari, offre opportunità formative professionali ed occupazionali a detenuti in misura alternativa. Rebibbia non è nuova a queste esperienze, visto che già nel 2011 nella sezione penale del femminile, è stata aperta una vera e propria fattoria.

Anche nella Casa di reclusione di Rebibbia, in seguito ad un percorso di formazione all’interno della struttura penitenziaria, nel luglio del 2013 è nato l’Orto della Casa. L’area coltivata si estende per un ettaro all’interno della Casa di Reclusione del Carcere di Rebibbia su un terreno riqualificato. Gli ortaggi sono coltivati nel rispetto dei cicli naturali e senza l’utilizzo di sostanze chimiche. Gli ortaggi “a chilometri zero” appena colti sono rivenduti presso i punti vendita interni agli Istituti penitenziari di Rebibbia o tramite gruppo ’acquisto. Attualmente vi lavorano quattro detenuti, assunti e retribuiti regolarmente, con la supervisione periodica di un agronomo. Il progetto dell’orto si sta proponendo come realtà formativa permanente per i detenuti della struttura penitenziaria: si tratta, come per altre analoghe

iniziative, di dare un’opportunità ai detenuti, nella speranza di rendere realtà l’idea espressa nella Costituzione secondo la quale le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato». All’interno dell’indagine sulle istituzioni penitenziarie con fattorie e orti interni compiuto dall’AIBI nel 2009, anche la CC Rebibbia Nuovo Complesso, viene segnalata come un istituto penitenziario che all’epoca utilizzava una superficie agricola di 8.500 mq, di cui 4.000 mq con coltivazione orticola bio, 4 detenuti occupati, un progetto che nel testo viene indicato come gestito dal Garante dei detenuti. La nostra proposta, al momento, è meno ambiziosa e si limita all’utilizzo di quelle aree oggi disponibili all’interno dell’istituto penitenziario, per avviare, da un lato, un’attività di recupero e inclusione del detenuto attraverso un lavoro concreto e attivo, ma dall’altro, di permettere l’acquisizione di competenze da parte di una popolazione detenuta, italiana e straniera, che una volta uscita può ricollocarsi in ambito lavorativo e, se straniero, tornare nel proprio paese di origine, con un bagaglio di esperienze e conoscenze. Una proposta, però, che vuole far gestire il processo ai detenuti, perché siano parte attiva e integrante dell’intero percorso.

IL TEMPO DELLO SCIOPERO SOCIALE COMUNICATO FINALE DELLO STRIKE MEETING di Roma 14.09.2014

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artiamo da un dato: nei tre giorni dello Strike Meeting, oltre 500 tra lavoratrici e lavoratori, precari, studentesse/studenti, attiviste/i sindacali, dei centri sociali e dei comitati che difendono i beni comuni, provenienti da tutta Italia e non solo, si sono incontrati e hanno discusso per ore, mettendo a confronto forme organizzative, pretese programmatiche, pratiche di lotta. Un dato per nulla scontato, che non si limita a registrare la forza quantitativa dell'evento, ma segnala, semmai, la qualità di un processo politico dove alla competizione tra gruppi si sostituisce la composizione virtuosa delle differenze. Da qui dunque occorre prendere le mosse per passare in rassegna i punti salienti del dibattito. Nei workshop come nelle plenarie, nei tavoli programmatici come nella tavola rotonda con gli attivisti provenienti da Germania, Francia, Grecia, Spagna e Portogallo, centro dell'attenzione sono state le politiche neoliberali, approfondite dalla crisi, che stanno ridisegnando lo scenario europeo: attacco ai salari, compressione dei diritti sindacali, dequalificazione e aziendalizzazione della formazione e della ricerca, privatizzazione delle public utilities, recinzione dei beni comuni, nuovo governo della mobilità della forza-lavoro e sfruttamento del lavoro migrante. Altrettanto, e al seguito di una definizione non superficiale di questi fenomeni, è emersa l'esigenza di fare un salto di qualità nell'articolazione delle lotte e delle istanze programmatiche. È evidente a tutte e tutti ‒ e l'avvio della tre giorni con la tavola rotonda animata dagli attivi-

sti europei non è stato casuale ‒ che l'Europa è il terreno minimo dello scontro, la scala transnazionale decisiva per affermare conflitti capaci di incidere. Ed è evidente che senza la costruzione di uno spazio di relazione permanente e innovativo tra le lotte e i movimenti è inimmaginabile rompere l'impasse e sovvertire il presente. Lo sciopero sociale, generale e generalizzato, precario e metropolitano vuole essere un primo approdo, indubbiamente parziale ma fondamentale, di questa sperimentazione. Un modo per cominciare a rovesciare la narrazione tossica che sostituisce il merito all'uguaglianza, la competizione selvaggia alla felicità comune. La piattaforma dello sciopero non può che comporre le istanze che segnano il mondo del lavoro e della formazione, del non lavoro e della cooperazione sociale. Rifiutare e respingere il Jobs Act e la riforma renziana della scuola, oltre alla nuova stagione di privatizzazione e mercificazione dei beni comuni, in generale la trasformazione neoliberale del mercato del lavoro e la rinazionalizzazione della cittadinanza, significa infatti battersi per un nuovo welfare, per il diritto all'abitare, per il reddito europeo sganciato dalla prestazione lavorativa, per il salario minimo europeo, per l'accesso gratuito all'istruzione, e lottare contro i dispositivi di selezione e di controllo che, attraverso le retoriche meritocratiche, aprono le porte delle scuole e delle università ai privati e fanno del sapere strumento docile degli interessi d'impresa. Non c'è solo la disoccupazione a colpire giovani e meno giovani, non è solo la sottoccu-

pazione a trafiggere milioni di donne e di uomini. Si tratta del nuovo mantra dell'occupabilità che spinge ad accettare il lavoro purché sia, quello senza diritti e, addirittura, gratuito (vedi il modello Expo). Rivendicare reddito garantito e salario minimo europeo deve quindi procedere di pari passo con la pretesa della libertà e della democrazia sindacale, del diritto di coalizione e di sciopero, dentro e fuori i posti di lavoro. Ancora: senza la difesa dei beni comuni e la riappropriazione democratica del welfare è impensabile un processo di conflitto espansivo che sappia mettere all'angolo la gestione neoliberale della crisi. Una piattaforma comune per uno sciopero sociale che sappia combinare le diverse forme di lotta e di sciopero sperimentate e progettarne di nuove, potenzialmente capaci di estendersi su scala europea: lo sciopero generale del lavoro dipendente, lo sciopero precario e metropolitano, lo sciopero di chi non ha diritto di sciopero, il netstrike, lo sciopero nei luoghi della formazione, lo sciopero di genere. Un caleidoscopio di pratiche da costruire pazientemente attraverso dei veri e propri laboratori territoriali dello sciopero. Verso lo sciopero sociale, per il quale proponiamo la data del 14 novembre ‒ per avere il tempo di far crescere un processo reale che vada oltre l'evocazione roboante, e perché proprio a novembre si concluderà l'iter parlamentare del Jobs Act, mentre si procederà speditamente verso l'approvazione della Legge di stabilità e il giorno successivo si concluderà la consultazione del Governo sul Piano Scuola, sono diversi

gli appuntamenti importanti che rilanciamo con forza: il 2 ottobre a Napoli, per contestare il board della BCE; il 10 ottobre, la grande mobilitazione e gli scioperi delle studentesse e degli studenti, dei docenti e del personale ATA; l'11 e 12 ottobre a Milano, avviando la lunga agenda di conflitto contro l'Expo che avrà come approdo il 1 maggio; dal 9 al 12 ottobre, la guerriglia tag contro l'Internet Festival di Pisa; il 16 ottobre dove con buona probabilità prenderà forma lo sciopero generale della logistica. Proponiamo inoltre a tutte le reti europee di avviare una discussione sull'estensione transnazionale della pratica dello sciopero: saremo a Bruxelles al meeting lanciato dal coordinamento di Blockupy il prossimo 26 e 27 settembre per discutere iniziative comuni. Proponiamo anche per il 7 novembre una giornata di azioni dislocate in tutte le città contro il programma Youth Guarantee e più in particolare contro gli enti pubblici e privati (centri per l'impiego, Regioni, agenzie interinali, università/fondazioni) che il programma gestiscono. Sabato 1 novembre, e se la data del 14 novembre sarà accolta come la migliore per lo sciopero sociale, proponiamo di rivederci a Roma, un'assemblea dei laboratori territoriali per entrare nel vivo della preparazione dello sciopero stesso. Da tutte e tutti coloro che hanno partecipato allo Strike Meeting un caloroso abbraccio agli attivisti ancora privi della libertà, nella speranza di rivederli presto con noi nelle lotte. Abbiamo detto è tempo di sciopero sociale, da oggi cominciamo a battere questo tempo!


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Cobas 55 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

SULLA NOSTRA PELLE Gli effetti del cuneo fiscale sull’INAIL: miliardi ai padroni, morte e malattie professionali per i lavoratori di Fulvio Freschi e Piero Castello (Pensionati COBAS)

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ello scorso numero di questo giornale abbiamo cercato di svelare le nefandezze che la legge di stabilità per il 2014 avrebbe causato ai lavoratori e all’intera società. Pur a rischio di essere noiosi ritorniamo sul problema, specificando e documentando meglio le vergogne e le iniquità provocate dalla riduzione del cuneo fiscale. Vale la pena partire da una delle ragioni addotte da governo Letta per giustificare questa misura: “Ridurre il cuneo fiscale è una misura che consente di abbassare il costo del lavoro per le imprese e nello stesso tempo di far aumentare le remunerazioni per i lavoratori”. In effetti il guadagno è sicuro solo per le tasche dei padroni (scusate l’ineleganza del termine, ma non ne troviamo di più appropriati); si tratta, infatti, di una riduzione di ben 3,3 miliardi di contributi nel triennio 2014-2016 (-14% nel 2014, -15% nel 2015 e -16% nel 2016) che le aziende non pagheranno all’INAIL.

tali dati tra parentesi nella quarta riga della nostra tabella. Come tutti possono vedere sono quasi la metà di quelli che noi abbiamo letto e copiato dalla stessa fonte INAIL. Imbarazzati e vergognosi di quanto stavamo leggendo sulle pagine rosa dell’elegante quotidiano “tanto serio” della Confindustria, a pagina 17 della relazione dell’INAIL (Tabella B2) abbiamo finalmente trovato la spiegazione. Il Sole 24 Ore (nel grafico che illustra l’articolo a firma Davide Colombo) ha sottratto dai morti sul lavoro i morti “Con mezzo di trasporto”. Nel testo il giornalista, dopo aver messo il totale di 1.175, aggiunge “… 660 casi accertati «sul lavoro» (di cui 376, quasi il 57%) avvenuti «fuori dell’azienda».” Come se gli operai morti su un muletto nel magazzino di una fabbrica, o gli agricoltori su un trattore nei campi, un operaio Enel o Telecom o Acea che si reca a fare una manutenzione,

Chi sono i morti Naturalmente la Relazione dell’INAIL non ci dice tutto, ma alcuni dati significativi vale la pena di segnalarli. • Tre dei 1.175 morti sul lavoro, nel 2013, avevano meno di 14 anni. In che paese viviamo? Si va a lavorare a meno di 14 anni, e in quanti, se arrivano a morirne 3 in un anno? È uno dei risultati della flessibilità in ingresso che consente di soddisfare “l’obbligo scolastico” facendo gli apprendisti? Altri 16 morti avevano meno di 19 anni. È la miseria che cresce e falcidia i giovani? • 56 morti sul lavoro avevano più di 70 anni, tra loro 26 ne avevano più di 75. La prova che in Italia si va in pensione troppo presto, si potrebbe lavorare fino a 75 anni ed oltre. È la miseria che falcidia i vecchi? • 365 morti lavoravano nel settore industriale, 239 nel terziario, 193 nell’artigianato, 106 nelle Costruzioni, cantieri. La maggior parte non lavorava in posti invisibili o difficili da

INAIL BILANCIO 2013 Anni:

2009

2010

2011

2012

2013

Incidenti sul lavoro inclusi quelli in itinere

877.940

871.356

817.697

745.383

694.648

Infortuni mortali (totale anno) - secondo Inail - secondo Il Sole 24 ore

1.543 (1.022)

1.494 (993)

1.378 (886)

1.331 (835)

1.175 (660)

Malattie Professionali (denunce per anno)

35.214

43.082

47.311

46.238

51.839

Fonte: Relazione INAIL 2013

Per i lavoratori c’è solo lo scippo di una parte del salario differito che avrebbe dovuto difenderli dal rischio incidenti, invalidità, malattia, morte sul lavoro. Il Sole 24 ore tra imbroglio e cinismo Proprio lo scorso 10 luglio, ci siamo imbattuti in un articolo de Il Sole 24 Ore (quotidiano di Confindustria) che, con un grafico posto in bella evidenza, ci informa sul numero degli infortuni mortali documentati dalla relazione dell’INAIL del 2013. Riportiamo

o il pendolare che muore in itinere per andare al lavoro, fossero morti sul lavoro solo per la legge, ma restassero vivi per il Sole 24 Ore e Confindustria. Per gli amanti dell’orrido il titolo di questo esemplare articolo era “INFORTUNI SUL LAVORO ANCORA IN CALO”, l’occhiello: “Nel 2013 diminuiscono le morti bianche ma aumentano le malattie professionali”. Aspettarsi qualche segno di imbarazzo da Confindustria e dai suoi amanuensi sarebbe solo il sintomo di un serio stato allucinatorio.

trovare e nei quali sia difficile far rispettare le regole della sicurezza. • 310 sono morti nel Nord-Ovest (187 in Lombardia), 265 nel Nord Est, 239 nel Centro. Quindi non nelle lande deserte o sui picchi delle montagne. Le malattie professionali I dati della stessa INAIL non lasciano dubbi, le denunce di malattie professionali sono in costate aumento, negli ultimi 5 anni le denunce sono aumentate di 16.625 unità, quasi il 50% in più nel 2013 rispetto al 2009. Il Presidente dell’INAIL commenta

nella sua relazione: ”I lavoratori deceduti nel 2013 con riconoscimento di malattia professionale sono stati 1.475 (quasi il 33% in meno rispetto al 2009)” e aggiunge e conclude sull’argomento: “l’analisi per classi di età mostra che il 62% dei casi è con età al decesso maggiore di 74 anni.” • Dei 16.483 lavoratori per i quali è stata accertata la malattia professionale 12.914 erano occupati nell’industria e servizi e soltanto 3.440 erano lavoratori addetti nell’agricoltura. Come è possibile che in oltre i due terzi dei casi di lavoratori morti a causa di malattia professionale siano sfuggiti alle visite e al controllo dell’INAIL, ancora nel 2013 dopo un quinquennio nel quale i casi di malattia professionale continuano ad aumentare? • Sempre nell’industria oltre 18.000 lavoratori che avevano denunciato malattie professionali, nel 2013, hanno avuto una “Definizione amministrativa – negativa”: il 56% dei denuncianti. Non è che l’INAIL abbia assunto il ruolo più confacente ai padroni di controllo dei lavoratori anziché provvedere alla prevenzione delle malattie professionali? O non sarà che quando la magistratura scopre un’ILVA, una Porto Marghera, gli effetti dell’amianto, svolge un compito che in prima istanza, con funzione di prevenzione, avrebbe dovuto essere assolto dall’INAIL? • Nel 2013 altri 1.475 lavoratori sono morti di lavoro, ossia non sul lavoro, ma per riconosciuta malattia professionale. Il presidente si congratula con se stesso e con l’INAIL perché questo tipo di morti sta diminuendo. Ma cosa ha fatto l’INAIL e come è possibile che una prognosi che si può debellare solo con la prevenzione e la repressione non sia stata debellata? E questo è un compito primario dell’INAIL! • Il sig. Massimo De Felice, Presidente INAIL, come abbiamo visto, sembra minimizzare sui 1.475 morti per malattia professionale, visto che il 62% di loro aveva più di 74 anni di età. Ora noi non capiamo il perché di questa minimizzazione; forse vuol essere una indiretta congratulazione per i morti che, nonostante la malattia, hanno tanto resistito o forse è un’ulteriore autocelebrazione dell’INAIL che è riuscita così a lungo a non scoprire le malattie professionali che

sono state la causa del decesso? Dove stava e che stava facendo l’INAIL Come questi pochi dati documentano, questi morti sono un macigno: età, settori di lavoro, località, impongono le domande: dove si trovava nel 2013 l’INAIL? Cosa stava facendo? Ha realizzato tutto lo sforzo doveroso per tutelare salute e sicurezza dei lavoratori? Ha attuato l’azione preventiva di educazione e formazione, vigilanza, ispettiva che gli compete? Ha esercitato l’opera di repressione e denuncia nei confronti dei padroni a cui è chiamata? Nel caso dell’INAIL non vale nemmeno il ritornello che “non ci sono i soldi, mancano le risorse”. Nel corso dell’iter della legge la stampa ha parlato di un “tesoretto” di 25 miliardi, un patrimonio a cui si potevano ben sottrarre 3,3 miliardi di euro, ignorando che quei soldi erano “costo del lavoro”, quindi salario differito dei lavoratori e non un piccolo cadeau per i padroni. La parte del “cuneo fiscale” riservata ai lavoratori Riprendiamo dall’inizio e riassumiamo: questo taglio del cuneo fiscale è servito trasferire una parte del salario dei lavoratori ai padroni. Una parte di salario non destinato ai consumi quotidiani ma una parte che diremmo vincolata, che lo stato obbliga tutti a risparmiare per poter prevenire i rischi di incidenti sul lavoro, le invalidità, le morti, le malattie professionali. L’INAIL, che ha il compito di provvedere alla raccolta di questo risparmio e di investirlo in sicurezza, “riesce” a non spendere alcuni milioni l’anno, tanto da accumulare 27 miliardi di patrimonio che quest’anno ha cominciato a ridistribuire agli stessi padroni in rate di più di un miliardo l’anno. Un bell’esempio di giustizia sociale e di rispetto della Costituzione: una vergogna per il paese tutto, una regressione civile per tutti. Temevamo che dal tavolo degli ingordi padroni qualche briciola cadesse nelle mani dei lavoratori: che so, un bonus di 10 euro l’anno, e invece nulla. Meglio così, niente briciole, che avrebbero reso i lavoratori antropofagi, restano i padroni, avvoltoi mangiatori di cadaveri.


Cobas 54 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

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Un anno dopo Il popolo No Muos invade di nuovo la base USA di Antonino De Cristofaro

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al 6 al 12 agosto scorsi si è svolto a Niscemi il campeggio No Muos, promosso dal Coordinamento Siciliano dei Comitati, nel terreno del presidio, acquistato l’anno scorso tramite una sottoscrizione popolare. Un'importante occasione per verificare lo stato del movimento e la sua capacità di rispondere a una duplice difficoltà. Da un lato l’inevitabile battuta di arresto subita con il sostanziale completamento dell'installazione delle mega parabole, dall'altro gli effetti di un'azione repressiva che, come negli altri conflitti più significativi in Italia, tra denunce, multe salate e fogli di via, ha messo a dura prova la parte più militante del movimento. Su tutto il ricordo del 9 agosto dello sorso anno quando, durante il corteo, almeno un migliaio di persone, dopo avere divelto le reti di protezione, entrò all'interno della base navale statunitense per "riportare a casa" gli attivisti che avevano passato la notte sulle antenne NRTF (in funzione dal 1991). A conferma della tensione eistente, il 2 agosto, "ignoti" hanno devastato il campeggio, mentre è stato vietato che il corteo si svolgesse all'interno della sughereta (nella speranza di rendere impossibile un eventuale ingresso nella base). Cionostante, pur con qualche difficoltà in più, il ricco e articolato programma non ha subito modifiche sostanziali. Di nuovo, in attesa del corteo del 9, sette attivisti hanno

"scalato" 3 antenne NRTF e lì si sono acquartierati, costringendo i militari statunitensi a disattivarle per alcuni giorni. Di nuovo, "superate" le recinzioni e i tentativi di dissuasione (manganelli) delle forze di polizia, oltre un migliaio di persone è entrato all'interno della base. Una bandiera palestinese è stata issata su una delle antenne, mentre un'assemblea

discuteva sul che fare. Alcuni attivisti hanno deciso di rimanere ancora sulle antenne e, successivamente, circa cinquanta militanti sono andati a riprenderli per tornare, tutti insieme, al campeggio. Questa la cronaca, parziale, di quanto avvenuto. Alcune considerazioni. La partecipazione al corteo, per scelta collettiva aperto dalle Mamme No Muos e dal Comitato di Niscemi, è stata inferiore allo scorso anno, quando molte realtà organizzate (società civile, sindacati, forze politiche) si impegnarono direttamente, e con motivazioni diverse, per la riuscita della mobilitazione. Non a caso, allora, una parte dei manifestanti, quasi un terzo su circa 3.500, entrò nella base, mentre gli altri rimasero al di là delle reti di recinzione (solida-

rizzando, comunque, con chi era entrato). Questa presenza si è ridotta. Solo la parte più militante (oltre 1500, comunque, i presenti) ha scelto di manifestare. Su tutto ciò ha sicuramente inciso l'avvenuta installazione delle mega parabole, ma ha anche pesato l'errata convinzione che a livello istituzionale (comuni, regione) si sarebbero trovati interlocutori interessati a bloccare il Muos. Ipotesi dimostratasi del tutto infondata dopo la clamorosa retromarcia di Crocetta. Inoltre, molte di queste forze vivono con difficoltà la situazione attuale, spiazzate da un governo che, probabilmente diversamente dalle loro aspettative, esprime, a tutti i livelli, una dura e coerente politica antipopolare. Al contrario, è cresciuta la partecipazione di quelli che potremmo definire "militanti No Muos" e, infatti, stavolta quasi l'intero corteo ha superato le recinzioni. Questa nuova leva di militanti ha apprezzato e condiviso il lavoro del Coordinamento regionale dei Comitati che (nono-

stante gli "alti" e "bassi" che caratterizzano ogni movimento autorganizzato) non solo non ha gettato la spugna, ma ha mantenuto costante nel corso del tempo la mobilitazione, interloquendo con gli altri movimenti e legando la lotta al Muos ai temi più generali della pace e della smilitarizzazione del territorio, della difesa dell'ambiente e della salute, dell'ampliamento dei diritti. Come lo scorso 25 aprile quando un centinaio di attivisti, durante una "passeggiata" attorno alla base navale statunitense, raggiunse un pozzo di acqua, da tempo recintato dai militari, e, dopo

aver "eliminato" decine di metri di recinzione, lo restituì, temporaneamente smilitarizzato, alla comunità niscemese. Non a caso le presenze al campeggio (anche al di fuori della Sicilia) sono significativamente aumentate. A partire da questa positiva novità va, perciò, rilanciata la lotta al Muos. Nella consapevolezza che la stessa battaglia legale ancora in corso (la prossima udienza al TAR di Palermo è fissata per il prossimo 25 novembre) non può essere separata dalla più generale campagna per il rifiuto della guerra e degli strumenti di morte

(comunque e ovunque collocati). Nella consapevolezza che il necessario ampliamento del fronte di opposizione, se vuole essere effettivamente tale, è certamente frutto di una capillare azione di informazione (in questo senso un ruolo decisivo, anche attraverso la proposizione di appositi convegni e specifici lavori didattici, va svolto all'interno delle istituzioni educative), ma non può prescindere dalla chiarezza delle posizioni e dall'esplicitazione, al contempo semplice e chiara, degli obiettivi da raggiungere con adeguate e coerenti pratiche di lotta.

APPELLO AI MOVIMENTI SOCIALI PER LA MOBILITAZIONE VERSO IL prossimo forum sociale mondiale a tunisi 24-28 MARZO 2015 Nell’ultima riunione tenuta a Casablanca nel dicembre del 2013 il Consiglio Internazionale ha preso la decisione di organizzare la prossima edizione del Forum Sociale Mondiale nel 2015 di nuovo in Tunisia. Questa decisione è stata presa dopo una valutazione dell'organizzazione e dei risultati del FSM 2013, dopo una analisi comune della situazione delle lotte dei movimenti sociali della regione e del mondo, nonché del nuovo contesto geopolitico e dell'evoluzione della crisi del modello neoliberista. È d'obbligo constatare che dopo essere stata dal 2011, grazie alle rivoluzioni e ai movimenti democratici, una fonte di speranza per sé e una fonte di ispirazione per il resto del mondo, la regione ha conosciuto sviluppi che ispirano una inquietudine profonda. I governi in carica dopo tre anni non sono stati capaci di formulare e mettere in opera alternative, per rispondere alle preoccupazioni dei giovani in cerca di libertà e di lavoro, delle donne in cerca di uguaglianza, dei movimenti sociali in cerca di giustizia sociale. Al contrario, in tutta la regione abbondano armi e violenza, le politiche neoliberiste dettate dalla Banca Mondiale e dal Forum Monetario Internazionale sono presentate come la sola soluzione, e i movimenti sociali e i movimenti democratici sono criminalizzati. Gli interventi stranieri politici e militari sono diventati la regola, con l'obiettivo in ciascuno dei casi di strumentalizzare la instabilità interna a beneficio degli Stati Uniti, della Unione Europea, della Turchia, dei paesi del Golfo. Oltre il Maghreb e il Mashrek, il continente africano, diventato una fonte principale di materie prime e presentato come la "nuova frontiera" economica, è anche

esso sferzato dalla violenza estremista, dalla rapina delle sue risorse, dalla violenza devastatrice dei programmi di aggiustamento strutturale e dalla militarizzazione generalizzata dei suoi territori. In tutto il mondo, compresa l’Europa, l'Asia, l’America Latina e del Nord, i movimenti sociali si trovano a fronteggiare l’aggravamento della crisi economica, sociale e ambientale, e la messa in discussione sistematica dei diritti. Nuove tensioni, direttamente legate alle strategie egemoniche per l'appropriazione delle risorse e dei mercati fanno temere il peggio in Europa, in Asia e in Africa. Il Forum Sociale Mondiale resta più che mai uno spazio vitale per i movimenti sociali che lottano perché i popoli salvaguardino la loro dignità, rimangano padroni dei loro destini, conquistino nuovi diritti economici, sociali, culturali ed ambientali, e perché costruiscano alternative al neoliberismo che sono più che mai necessarie. I movimenti sociali tunisini e del Maghreb-Mashrek vi invitano dal 24 al 28 marzo 2015 a venire a condividere l’impegno per fare trionfare la giustizia, l’uguaglianza e la pace, per discutere le sfide mondiali e costruire insieme le alternative alle quali tutti i popoli della terra aspirano. Con voi, riusciremo a costruire un processo preparatorio aperto, partecipativo, democratico per organizzare il FSM 2015. Un altro Maghreb Mashrek è possibile Un’altra Africa è possibile Un altro mondo è possibile Tunisi, 20 giugno 2014 Il comitato organizzatore del FSM 2015


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Cobas 55 OTTOBRE/DICEMBRE 2014

SEDI Cobas

ABRUZZO L'Aquila via S. Franco d’Assergi, 7/A 0862 319.613 sedeprovinciale@cobas-scuola.aq.it www.cobas-scuola.aq.it Pescara-Chieti via Caduti del forte, 62 085 205.6870 cobasabruzzo@libero.it www.cobasabruzzo.it Teramo via Mazzaclocchi, 3 cobasteramo@libero.it tel/fax 0861241454 cell. 347 68 68 400 Vasto (Ch) via Martiri della Libertà 2H tel/fax 0873.363711 - 327 876.4552 cobasvasto@libero.it BASILICATA Lagonegro (PZ) 0973 40175 - 333 859.2458 melger@alice.it Potenza piazza Crispi, 1 340 895.2645 - cobaspz@interfree.it Rionero in Vulture (PZ) 331 412.2745 francbott@tin.it CALABRIA Castrovillari (CS) Corso Luigi Saraceni, 42 347 7584.382 - 328 3721.643 cobasscuolacastrovillari@gmail.com Cosenza c/o Centro Aggregazione Il Villaggio Montalto Uffugo - Cosenza scalo 328 7214.536 cobasscuola.cs@tiscali.it Reggio Calabria via Reggio Campi, 2° t.co, 121 tel 0965 759.109 - 333 650.9327 torredibabele@ecn.org CAMPANIA

Imola (BO) via Selice, 13/a 0542 28285 cobasimola@libero.it Modena 347 048.6040 freja@tiscali.it Ravenna via Sant'Agata, 17 0544 36189 - 331 887.8874 capineradelcarso@iol.it www.cobasravenna.org Reggio Emilia Rione C.L.N. 4/e via Martiri della Bettola 0522 282701 - 339 347.9848 cobasre@yahoo.it Rimini 0541 967791 danifranchini@yahoo.it FRIULI VENEZIA GIULIA Trieste via de Rittmeyer, 6 040 0641343 cobasts@fastwebnet.it www.facebook.com/ CobasFriuliVeneziaGiulia LAZIO Civitavecchia (RM) via Buonarroti, 188 0766 35935 cobas-scuola@tiscali.it Formia (LT) via Marziale 0771 269571 - cobaslatina@genie.it Frosinone largo A. Paleario, 7 tel/fax 0775 1993049 - 368 3821688 cobasfrosinone@fastwebnet.it Latina viale P. L. Nervi - Torre n. 4 int. 5 0773 474311 cobaslatina@libero.it Ostia (RM) via M.V. Agrippa, 7/h cell 339 1824184

Acerra - Pomigliano D'Arco 338 831.2410 coppolatullio@gmail.com

Roma viale Manzoni 55 06 70452452 - fax 06 77206060 cobascuola@tiscali.it

Avellino 333 223.6811 - sanic@interfree.it

Viterbo 347 8816757

Battipaglia (SA) via Leopardi, 18 0828 210611

LIGURIA

Benevento 347 774.0216 cobasbenevento@libero.it Caserta 338 740.3243 - 335 631.6195 cobascaserta@libero.it Napoli vico Quercia, 22 081 551.9852 scuola@cobasnapoli.org www.cobasnapoli.org Salerno via Rocco Cocchia, 6 089 723.363 cobasscuolasa@gmail.com EMILIA ROMAGNA Bologna via San Carlo, 42 051 241.336 - fax 051 3372378 cobasbol@fastwebnet.it www.cespbo.it Ferrara Corso di Porta Po, 43 cobasfe@yahoo.it Forlì - Cesena 340 333.5800 - cobasfc@livecom.it

Genova vico dell’Agnello, 2 tel. 010 2758183 - fax 010 3042536 cobas.ge@cobasliguria.org www.cobasliguria.org La Spezia P.zza Medaglie d'Oro Valor Militare 3351404841 - fax 0187 513171 cobaslaspezia@gmail.com pieracargiolli@yahoo.it Savona 338 3221044 cobascuola.sv@email.it LOMBARDIA Brescia via Carolina Bevilacqua, 9/11 030 2452080 ctscobasbs@virgilio.it Milano viale Monza, 160 02 27080806 - 02 25707142 3356350783 mail@cobas-scuola-milano.org www.cobas-scuola-milano.org Varese via De Cristoforis, 5 0332 239695 - cobasva@tiscali.it

MARCHE Ancona 335 8110981 - 328 2649632 cobasancona@tiscalinet.it

Sassari via Marogna, 26 079 2595077 cobascuola.ss@tiscalinet.it

Macerata via Bartolini, 78 347 5427313 cobasmacerata@gmail.com

SICILIA

PIEMONTE

Caltanissetta piazza Trento, 35 0934 551148 - cobascl@alice.it

Alessandria 0131 778592 - 338 5974841 Biella romaanclub@virgilio.it Cuneo cell 3293783982 cobasscuolacuneo@yahoo.it Pinerolo (TO) 320 0608966 - gpcleri@libero.it Torino via S. Bernardino, 4 011 334345 - 347 7150917 cobas.scuola.torino@katamail.com www.cobascuolatorino.it PUGLIA Altamura (BA) via Metastasio 64 080 9680079 - 328 9696 313 cobas.altamura@gmail.com Bari corso Sonnino, 23 080 5541262 - cobasbari@yahoo.it Barletta (BT) 339 6154199 capriogiuseppe@libero.it Brindisi Via Appia, 64 0831 528426 cobasscuola_brindisi@yahoo.it Castellaneta (TA) vico 2° Commercio, 8 Lecce via XXIV Maggio, 27 cobaslecce@tiscali.it Manduria (TA) Via Matteo Bianchi, 17/d Tel. 347-0908215 Molfetta (BA) via San Silvestro, 83 080.2373345 - 339 6154199 cobasmolfetta@tiscali.it Ostuni (BR) Via Dei Carradori, 14 tel 360 884040 Taranto via Lazio, 87 tel/fax 099 4595098 347 0908215 - 329 9804758 cobasscuolata@yahoo.it cobas_scuola_ta@pec.it SARDEGNA Cagliari via Donizetti, 52 070 485378 cobascuola.ca@tiscali.it www.cobasscuolasardegna.com Gallura Via Rimini, 2 - Olbia tel./fax 0789 1969707 cobascuola.ot@tiscali.it Nuoro via Deffenu, 35 0784 254076 cobascuola.nu@tiscali.it Ogliastra viale Arbatax, 144 Tortolì (OT) tel./fax 0782695204 – 3396214432 cobascuola.og@tiscali.it Oristano via D. Contini, 63 0783 71607 - cobascuola.or@tiscali.it

Agrigento piazza Diodoro Siculo 2 0922 594955 - cobasag@virgilio.it

Campobello di Mazara (Tp) via Roma, 41 Catania Via Finocchiaro Aprile, 144 3296020649 - cobascatania@libero.it Licata (AG) 389 0446924 Messina via dei Disciplinanti, 21 347 9451997 turidal@teletu.it Niscemi (CL) 339 7771508 francesco.rg90@yahoo.it Palermo piazza Unità d’Italia, 11 091 349192 tel/fax 091 6258783 c.cobassicilia@tin.it cobasscuolapalermo.wordpress. com Siracusa Via Carso, 100 0931 185.4691 - 340 806.7593 cobassiracusa@libero.it giovanniangelica@alice.it

Viareggio (LU) via Regia, 68 (c/o Arci) 0584 913434 giubonu@alice.it viareggio@arci.it UMBRIA Città di Castello (PG) 075 856487 - 333 6778065 renato.cipolla@tin.it Orvieto Via Magalotti, 20 - 05018 c/o Centro di Documentazione Popolare http://cobasorvietano.blogspot.com cobasorvietano@gmail.com Perugia via del Lavoro, 29 075 5057404 - cobaspg@libero.it Terni via del Lanificio, 19 328 6536553 - cobastr@yahoo.it http://cobasterni.blogspot.com VENETO Padova c/o Ass. Difesa Lavoratori via Cavallotti, 2 049 692171 - fax 049 882427 perunaretediscuole@katamail.com www.cesp-pd.it/cobascuolapd.html Venezia c/o Centro Civico Aretusa Viale S. Marco n.° 184 - Mestre tel. 3382866164 mikeste@iol.it www.cobasscuolavenezia.it

TOSCANA Arezzo Via Libia 16/2 0575 904440 - 329 9651315 cobasarezzo@yahoo.it Firenze-Prato via dei Pilastri, 41/R Firenze tel. 055241659 - 3381981886 fax 0552008330 paola_serasini@yahoo.it cobascuola.fi@tiscali.it Grosseto 3315897936 - 050 563083 fax 050 8310584 cobas.scuola.grosseto@gmail.com Livorno 050 563083 - fax 050 8310584 cobas.scuola.livorno@gmail.com Lucca via della Formica 210 tel. 328 7681014 - 329 6008842 347 8358045 tel/fax 058356625 fax 058356467 cobaslucca@alice.it Massa Carrara via G. Pascoli, 24/B tel. 0585-354492 fax 1782704098 cobasms@gmail.com Pisa via S. Lorenzo, 38 tel. 050563083 fax 0508310584 cobas.scuola.pisa@gmail.com www.cobaspisa.it Pistoia viale Petrocchi,152 tel. 0573994608 fax 1782212086 cobaspt@tin.it Pontedera (PI) Via carlo Pisacane,24/A tel/fax 058757226 Siena via Mentana, 104 tel/ fax 0577 274127 - 3487356289 cobasiena@gmail.com alessandropieretti@libero.it

Cobas GIORNALE DEI COMITATI DI BASE DELLA SCUOLA

Autorizzazione Tribunale di Viterbo n° 463 del 30.12.1998 Viale Manzoni, 55 - 00185 Roma 06 70452452 - 06 77206060 giornale@cobas-scuola.it www.cobas-scuola.it DIRETTORE RESPONSABILE Antonio Moscato REDAZIONE Ferdinando Alliata Piero Bernocchi Giovanni Bruno Rino Capasso Pino Iaria Pino Giampietro Nicola Giua Carmelo Lucchesi Sandro Palmi Anna Grazia Stammati Serena Tusini Sebastiano Ortu Ettore D’Incecco Le immagini di questo numero riproducono opere di Leonardo da Vinci GRAFICA E IMPAGINAZIONE Luigi Mennella STAMPA Tipografia Seregni s.r.l. - Roma Chiuso in redazione il 14/09/2014


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