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Dal sito dello Studio Paserio -27 settembre 2015 Nella storia ci sono stati casi di persone che hanno lasciato il segno: Enzo Ferrari, i fratelli Wright, Steve Jobs, ecc. Persone, che credevano in quello che stavano facendo e ci credevano talmente tanto, da dedicare tutto il loro tempo e la loro vita per realizzare quello che era il loro sogno. E la loro passione era talmente contagiosa, che riuscivano a trasmettere anche agli altri una carica positiva che si trasformava in fiducia nei loro confronti.
Ma quanti di noi, hanno la stessa carica? Quanti di noi, hanno un progetto in cui credono effettivamente? La verità è che abbiamo delle idee, ci sembrano buone, ma da lì a progettarle, concretizzarle e trasformarle in realtà, c’è un abisso. Siamo noi stessi, per primi, che ci spaventiamo davanti alle prime difficoltà, ai commenti negativi di chi è intorno a noi, alle porte in faccia che ci vengono sbattute quando andiamo a bussare per la prima volta. La verità è che non ci crediamo fino in fondo e ci facciamo guidare dalle nostre paure.
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Paura di non farcela, paura di aver preso un abbaglio, paura di indebitarci e perdere la tranquillità economica, paura di perdere le nostre certezze e quello che abbiamo ottenuto fino a quel momento. E’ più facile sicuramente farci guidare dalle nostre paure e abbandonare il “nostro progetto” davanti alle prime avvisaglie, piuttosto che essere lungimiranti e guardare avanti verso il nostro obiettivo. Quindi, quando diremo a noi stessi: -
che “non è possibile”;
-
che “ci abbiamo provato ma…”;
-
che “volevamo ma non ci sono state le condizioni per…”;
-
che “mi sarebbe piaciuto ma…”;
-
che “in un altro momento forse avrei potuto…”
-
e… ,chi più ne ha più ne metta,
dobbiamo sapere che ci stiamo raccontando un sacco di frottole.
Stiamo cercando di trovare delle scuse a noi stessi per giustificare il fatto che non abbiamo avuto abbastanza coraggio di continuare. E perché non abbiamo avuto abbastanza coraggio? Perché non ci credevamo abbastanza.
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Questi personaggi della storia ci insegnano che se vogliamo veramente qualcosa, possiamo ottenerlo. Dobbiamo lavorare di più sulle nostre capacità e sul nostro potenziale. Ognuno di noi può fare tutto quello che vuole, se ci crede veramente. Non ci sono limiti. Guardiamo quello che è riuscita a fare Giusy Versace, che è diventata un’atleta, nonostante abbia perso l’uso di entrambe le gambe dopo un incidente stradale, oppure Beatrice Vio (Bebe), campione paralimpica di scherma che, nonostante la giovane età e all’amputazione delle braccia e delle gambe in seguito ad una meningite fulminante, è riuscita a trasmettere un’energia e una positività esemplare, o ancora Lucia Annibali, avvocato sfigurato dall’acido che si è rimessa in gioco scrivendo libri e comunicando al mondo che oggi si sente più forte, determinata e coraggiosa di prima.
Messaggi di persone che, nonostante le difficoltà, hanno avuto la forza e il coraggio di rialzarsi. Ma se ce l’hanno fatta loro, perché non possiamo farlo noi? Perché non possiamo trovare la forza in noi stessi e credere in quello che siamo e in quello che facciamo?
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Quando ci sembra impossibile riuscire a compiere “il miracolo” e quindi realizzare il “nostro sogno”, ci dobbiamo guardare davanti ad uno specchio e ci dobbiamo domandare: “perché no?”; “cosa non ho io, che gli altri hanno?”. Se crederemo di più nei nostri sogni, il miracolo si avvererà.
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Dal sito dello Studio Paserio – 7 Novembre 2015
Ognuno di noi ha la sua personalità, i suoi valori, un suo vissuto. Il bello della vita è proprio questo. Ogni persona è unica e irripetibile. Ogni persona si anima e si accende in modo diverso a seconda della “leva” motivazionale che viene usata.
Ma cos’è la motivazione? L’etimologia della parola “motivazione” porta a pensare al movimento, ossia al motivo che guida un individuo a compiere una certa azione.
Quindi dobbiamo domandarci: Quando ci alziamo al mattino, ci vestiamo e andiamo a lavorare, perché lo facciamo? Qual è il motivo che ci spinge ad andare al lavoro?
Se non ve lo siete mai chiesti, vediamo di farlo insieme e poniamoci delle domande per fare chiarezza su quello che siamo e su quello che vogliamo.
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Ritorniamo con la mente al mattino, quando suona la sveglia e vediamo che è ora di alzarci. Com’è il nostro stato d’animo mentre facciamo colazione, ci vestiamo e ci infiliamo le scarpe? – Sentiamo un peso allo stomaco e un malessere interiore che ci butta a terra ma sappiamo che dobbiamo andare a lavorare? – O pensiamo in modo positivo, canticchiamo e sorridiamo allo specchio sapendo che inizia un altro giorno e quindi un’altra avventura?
Se abbiamo risposto, possiamo andare con la mente ad un altro momento della giornata: la sera. Apriamo la porta di casa, siamo stanchi. Come ci comportiamo? – Siamo nervosi, irascibili, insoddisfatti e ci lamentiamo di tutto e di tutti? – O entriamo in casa sorridenti, salutando e aprendo le braccia verso i nostri figli chiedendo di raccontarci la loro giornata e condividendo pensieri ed emozioni?
Il nostro stato d’animo rispecchia quello che proviamo.
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E’ un po’ come il termometro che usiamo per provarci la febbre. A seconda della temperatura che leggiamo, capiamo se il nostro malessere è dovuto all’influenza che sta arrivando.
Fare un lavoro che ci piace vuol dire fare un lavoro che non ci pesa; il tempo passa ma non ci accorgiamo perché siamo assorti da quello che stiamo facendo e…. ci sentiamo bene, siamo soddisfatti! Siamo entusiasti di quello che stiamo facendo, dei risultati che abbiamo ottenuto. Magari qualcosa durante la giornata è andato storto, abbiamo commesso degli errori, ma partiamo da lì per migliorarci cercando di non commetterne degli altri. Abbiamo portato a casa comunque un’esperienza di vita. Fare il proprio lavoro con passione, vuol dire farlo bene e questo è importante. Impariamo ad ascoltarci, a capirci e a inseguire i nostri sogni.
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Se il nostro lavoro ci logora, cambiamolo. Se
ci
appassiona,
coltiviamolo
con
la
positività , l’entusiasmo e la consapevolezza
che
abbiamo una grossa fortuna. Pensiamo da saggi e non sprechiamo
le
nostre
energie. Gustiamoci il nostro lavoro e sorridiamo alla vita.
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Dal sito dello Studio Paserio -15 dicembre 2015
Ho sempre scritto articoli sui collaboratori e su come devono essere motivati e fatti sentire parte integrante dell’azienda, ma oggi ho toccato con mano un’altra verità: quella dell’imprenditore che, davanti alle difficoltà nella gestione di un’impresa, viene lasciato solo. Da sempre si è cercato di tutelare il dipendente, in quanto considerato la parte debole nel rapporto sinallagmatico datore di lavoro-lavoratore. Ma è sempre così? In questi anni di crisi e di cambiamento economico-finanziario, sto vedendo artigiani, commercianti, piccoli imprenditori e professionisti che si danno da fare, 100 volte di più che nel passato. Cercano nuove strade da percorrere, contattano nuovi clienti, lavorano fino a notte fonda, si adattano a fare un po’ di tutto pur di tenere in piedi la loro azienda e garantire il posto di lavoro ai dipendenti. Persone come tante, che oggi stanno perdendo la loro dignità di uomini. Persone che si mettono in fila davanti ad uno sportello di una banca per chiedere un finanziamento, ma si ritrovano un funzionario che, con un sorriso di convenienza e le mani incrociate sulla scrivania, risponde che non può concederlo a causa delle garanzie insufficienti. © copyright Studio Paserio
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Persone che alla sera, quando i dipendenti vanno a casa, si ritrovano seduti davanti a decine di bollette, fatture e stipendi da pagare, con uno sguardo perso nel vuoto perché non sanno che pesci pigliare. Persone sommerse da mille problemi a causa di fatture emesse e mai incassate. Persone abbandonate da un sistema che non funziona e che non tutela il recupero dei loro crediti. Non li aiuta davanti alle difficoltà. Non prevede nessun ammortizzatore sociale, nessun sussidio e nessun appoggio psicologico. Persone sole, che si trovano in situazioni più grandi di loro. Siamo sicuri, quindi, che sia il dipendente la parte più debole nel rapporto di lavoro? Oggi, per la prima volta, ho capito quanto può costare per una persona che nella vita è sempre stata corretta e ha sempre onorato i suoi debiti, continuare a camminare a testa alta, sapendo di non riuscire a saldare tutte quelle bollette, quelle fatture e quegli stipendi, che si sono accumulati sulla scrivania. Ho visto negli occhi di un imprenditore, la disperazione di chi è costretto a licenziare i suoi collaboratori. Almeno i dipendenti prenderanno la naspi e avranno un sussidio per due anni. Ma a lui, chi ci pensa?
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Non ha lavoro, ha 55 anni, la pensione è lontana e ha una famiglia da mantenere. Ha
investito
nell’azienda
tutti i suoi soldi
e
ora
si
ritrova
con una casa
ipotecata
tra poco andrà
all’asta e sarà
venduta a metà
del suo valore.
E’
momento
fare
arrivato
il
qualcosa
anche
che
di per
queste persone che sono in difficoltà. Pensiamoci!!
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Dal sito dello Studio Paserio -22 marzo 2016
Ci sono persone che sono insoddisfatte. Non stanno bene con sé stesse, provando un senso di malessere interiore. Si svegliano al mattino, vanno a lavorare ma quello che fanno, gli pesa come un grosso macigno sulle spalle. Parli con loro e capisci che vorrebbero fare qualcosa di diverso, ma non hanno un progetto. Non sanno neanche loro cosa vogliono. Il lavoro che hanno fatto per lunghi anni, non gli basta più. Cosa è successo? È cambiato qualcosa, sono cambiati gli interessi e sono cambiate le priorità. In questi casi è importante guardarsi dentro e cercare di capire quello che si vuole veramente. L’errore più grande sarebbe quello di far finta di nulla e non ascoltare il proprio corpo e le proprie emozioni.
Vi racconto una storia che è successa qualche anno fa. Mi sono trovata davanti una persona che ha sempre fatto il dipendente e che voleva aprire una sua attività.
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Era sempre stato il suo sogno, ma poi, la famiglia, il senso di responsabilità, la paura di non farcela e, tanti “ma” e tanti “se”, hanno avuto la meglio spingendolo a fare il dipendente. Questa scelta forzata aveva condizionato la sua vita. Ogni anno che passava, era un anno in cui si alimentava in lui l’insoddisfazione e la tristezza di un aver seguito il suo sogno. Era arrivato il momento di dare una svolta alla sua vita. Se era effettivamente il sogno nel cassetto, era arrivato il momento di agire e di pensare al futuro. Iniziammo quindi un percorso per mettere un po’ di luce nella sua vita: Sai esattamente cosa vuol dire essere un imprenditore? Sai l’impegno, sia in termini di tempo che di risorse, che devi impiegare per iniziare un’attività in proprio? Chiudi gli occhi e prova a guardarti tra un anno, quando avrai realizzato il tuo sogno. Come ti vedi? Quali sono le sensazioni che provi a vederti lì, dietro alla tua scrivania? E’ quello che vuoi veramente? Te la senti di lasciare un lavoro che ti assicura uno stipendio a fine mese, iniziando un’attività dove ti devi accollare il rischio d’impresa? E se ne sei consapevole, cosa ti impedisce di realizzare il tuo sogno? E’ passato un po’ di tempo da quel giorno.
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Oggi, quella persona ha aperto una sua attività e sta facendo esattamente quello che voleva fare. E’ una persona molto più impegnata rispetto un tempo. Ha pochissimo tempo da dedicare alla sua famiglia ma ha conquistato la sua libertà. Si è tolto le catene di cui era rimasto prigioniero ed è sereno e contento della sua nuova vita. Non è stato necessario chiedergli se ne era valsa la pena. I suoi occhi parlavano da soli.
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Dal sito dello Studio Paserio -4 gennaio 2016 Chi è il leader? E’ colui che trasforma le idee in realtà. Il vero leader è colui che è lungimirante, entusiasta, tenace, appassionato, innovatore, crede nei suoi sogni e fa di tutto per realizzarli assumendosene i rischi. Il vero leader è colui che nel “diagramma personale” è passato dalla zona grigia per entrare nella zona luminosa; la zona in cui i sogni si trasformano in realtà. Spesso le persone sono bloccate nella “zona grigia”; la zona in cui si sentono a disagio, si lamentano, criticano, ma nello stesso tempo non agiscono, passando il loro tempo a non fare nulla per sviluppare il loro potenziale. Sono le persone, per intenderci, che passano delle ore davanti alla macchinetta
del
caffè
a
lamentarsi
dello
stipendio,
dell’organizzazione e dell’azienda. Queste persone, sono davanti ad un bivio. Possono fare tre cose: – o rimangono in quella zona per il resto della loro carriera; – o scendono nella zona oscura (la zona in cui il lavoratore è fortemente demotivato a causa di un evento negativo e rilevante); – o si mettono in gioco innalzandosi nella zona luminosa. E’ una scelta. Una loro scelta. Di nessun altro.
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Non incominciamo a raccontarci frottole dicendo che si trovano nella zona oscura, o nella zona grigia, a causa del capo, del capufficio, della crisi, del mercato e chi più ne ha, più ne metta. Se le persone sono lì e non fanno nulla per cambiare, non possono addossare la colpa a nessuno, se non alla persona che si troveranno davanti allo specchio.
Se siamo dei leader e abbiamo il compito di guidare una squadra dobbiamo capire in che zona siamo e, se non ci piace, dobbiamo incominciare a farci delle domande. Vogliamo cambiare? Se la risposta è affermativa, allora dobbiamo partire dal detto che “se fai ciò che hai sempre fatto, non avrai altro che ciò che hai già”. Dobbiamo incominciare a metterci in gioco, assumendoci i rischi delle nuove azioni. Rimanere nella zona in cui abbiamo sempre vissuto ci dà sicurezza, magari non ci piace ma è familiare, confortevole e fa parte della routine quotidiana. Ma se vogliamo veramente cambiare, dobbiamo abbandonare il nostro confort e sperimentarci. Dobbiamo tirare fuori la grinta, le nostre capacità e il nostro potenziale.
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Non sarà facile. Incontreremo delle difficoltà, delle resistenze. Ma se vogliamo evolverci e raggiungere la zona luminosa dobbiamo avere coraggio e rischiare. Sono sicura che tutti gli sforzi, le difficoltà e le notti
insonni,
saranno
spazzati via nel momento in
cui
gli
obiettivi
verranno raggiunti. In
quel
momento
l’impegno sarà ripagato dalla motivazione e dall’eccitazione dei risultati raggiunti e dal miracolo di aver trasformato i nostri sogni in realtà.
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Dal sito dello Studio Paserio -22 febbraio 2016 Ho letto una frase che mi è rimasta impressa “il nostro limite più grande non è costituito da ciò che vogliamo e non siamo in grado di fare, ma da ciò che non abbiamo nemmeno considerato di poter fare”. Una frase che mi è piombata addosso e che mi ha fatto riflettere. Quindi, mi sono detta, vuol dire che tutto dipende da noi. Ogni volta che ci lamentiamo di quello che sarebbe potuto essere, e che non è stato; Ogni volta che diamo la colpa a tutto il mondo di quello ci è accaduto, anziché metterci in discussione per capire in che cosa abbiamo sbagliato; Ogni volta che guardiamo alle persone di successo. cadendo nella trappola del “se avessi avuto anch’io….”, “se mi fosse capitato di…allora anch’io avrei potuto…”; Ogni volta che questi pensieri si fanno largo nella nostra mente, possiamo fare qualcosa. Possiamo allontanare i pensieri negativi e incominciare a fare qualcosa per cambiare. Fantastico!! E la cosa più fantastica è che dipende solo da noi. Desideriamo qualcosa? © copyright Studio Paserio
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Bene, allora non lasciamo che il nostro desiderio rimanga un semplice desiderio; facciamo in modo di trasformarlo in un progetto realizzabile. Prendiamo carta e penna e incominciamo a scrivere quello che vogliamo. Domandiamoci se quello che abbiamo scritto, lo vogliamo veramente. Chiudiamo gli occhi e immaginiamoci di essere lÏ. Entriamo nell’immagine e viviamo tutte le emozioni e le sensazioni del momento in cui avremo raggiunto il nostro obiettivo. Cosa vediamo? Cosa proviamo in quel momento? Ci fa star bene? Allora, costruiamo a ritroso tutto il percorso e mettiamo, nero su bianco, tutte le azioni da fare per raggiungere il nostro obiettivo. Pensiamo agli step, scriviamoli e diamo delle scadenze. Il progetto è come una scalinata. Man mano che saliremo i gradini, scriviamoci i risultati che abbiamo ottenuto e gustiamoci la sensazione di benessere che proveremo.
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Nei momenti in cui penseremo di non farcela, riprendiamo i nostri appunti e guardiamo indietro a quello che abbiamo fatto fino a quel momento. Siamo sicuri di voler mollare? Prima di rispondere però, torniamo alla nostra immagine. Chiudiamo gli occhi e torniamo con la mente alla scena che avevamo immaginato, al momento in cui avremo raggiunto il nostro obiettivo. Entriamo nell’immagine e riviviamo le stesse emozioni che avevamo provato all’inizio, prima di iniziare il nostro progetto. Siamo veramente sicuri di voler mollare tutto? Adesso sì. Adesso è arrivato il momento di rispondere alla nostra domanda.
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Dal sito dello Studio Paserio -24 aprile 2016
Tutti noi abbiamo delle paure. Paure che nascono, si formano e vivono nella nostra mente. Passiamo anni interi a camminare con questa enorme palla al piede, che ci limita nelle nostre azioni. Appena si ripresenta una certa situazione, ecco che riaffiorano in noi quelle paure: paura di non farcela, paura di non essere abbastanza preparati, paura di parlare in pubblico. Ognuno ha la sua. Ma da dove nascono queste paure? Possono nascere da esperienze del passato, da tentativi fallimentari ridondanti, da esperienze mai vissute. Possono essere “n” i fattori interni e/o esterni da cui derivano queste paure. La cosa importante non è tanto capirne le origini, ma cercare di lavorare sul nostro presente per crearci i presupposti di un futuro migliore. Riuscire a toglierci di dosso queste catene, significa conquistare la libertà.
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Iniziamo a pensare che ogni paura è formata da tanti piccoli tasselli e che, se lavoriamo su ogni singolo tassello, tutto ci risulterà più semplice da affrontare.
Pensiamo ad uno sciatore alle prime armi che è lì, in cima alla montagna. Dopo qualche lezione di sci, ha avuto il coraggio di salire con la funivia, prendere la seggiovia e affrontare le piste “dei grandi”. Mentre tutti gli passano accanto sorridenti ed eccitati perché non vedono l’ora di iniziare la discesa, lui è davanti alla pista che guarda il paese in fondo alla valle con i tetti delle case che gli sembrano miniature. È un attimo. La paura inizia a prendere il sopravvento. La respirazione è breve, i muscoli sono contratti e la prima cosa che gli esce dalla bocca è: “non ce la farò mai”. Il nostro sciatore alle prime armi però non vuole arrendersi. Vuole affrontare la sua paura e vuole arrivare fino a valle senza nulla di rotto. Ecco che si dimentica del paesino che vede in fondo alla valle e si concentra su un obiettivo più vicino. Adocchia una baita che è poco più giù, forse a 200 metri, e dice a sé stesso che la sua sfida è arrivare fino a quella baita.
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La guarda, vede le persone che sono a prendere il sole. Si rende conto che può farcela; che quella pista è esattamente come la pista che ha fatto il giorno prima con il maestro di sci. Prende coraggio e inizia la discesa. Una volta arrivato alla baita, focalizza la sua attenzione su un altro punto visibile ai suoi occhi e si lancia verso il suo secondo obiettivo. Passo dopo passo, ecco che, senza accorgersene, ha raggiunto la valle. Cosa ha fatto il nostro sciatore? Ha scomposto la sua paura e ha lavorato su obiettivi facilmente raggiungibili. Questo gli ha dato fiducia e ha scoperto che, tutto sommato, non era così impossibile. Si ricorda le parole dette in cima alla montagna: “non ce la farò mai”. Riguarda in alto, sorride contento e si avvia verso casa.
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Bene. Adesso tocca a
noi: “Qual è la
prima azione che
possiamo fare
oggi per liberarci
dalle
delle
paure?”
Se
nostre l’abbiamo
catene
identificata,
facciamola
subito.
aspettiamo
domani.
Non
La paura più grande è racchiusa nella nostra mente. Non dimentichiamolo!
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Dal sito dello Studio Paserio -16 febbraio 2016 Tutti noi abbiamo delle idee. Ma cosa contraddistingue un soggetto che tramuta un’idea in un successo, rispetto un altro soggetto che lascia che le idee gli passino davanti come un soffio di vento?
Sembra semplice dare una risposta, ma non è così. Personalmente credo che, alla base di ogni successo, risulti fondamentale il pensiero positivo, ossia il modo con cui ci approcciamo a quell’idea. Se pensiamo che l’idea sia buona, ma poi lasciamo che la nostra razionalità prenda il sopravvento ponendoci dei limiti, allora è finita. Vuol dire che ci stiamo già costruendo delle vie di fuga per convincerci che è “impossibile”. Cerchiamo di essere più onesti con noi stessi, rispondendo a delle semplici domande: -
quanto credo in questa idea?
-
quanto credo in me stesso e nelle mie capacità?
-
quanto sono disposto a rischiare per realizzare questa idea?
Mi viene in mente un evento che mi è accaduto 15 anni fa, quando un collega, anche lui consulente del lavoro, mi aveva proposto di gestire un target di clientela diverso rispetto quello abituale. © copyright Studio Paserio
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Avevo alle spalle più di 10 anni di esperienza professionale ed ero considerata una brava consulente del lavoro ma….c’era un ma….. non avevo abbastanza fiducia in me stessa e nelle mie capacità. Alla proposta, risposi quindi con un “non sono pronta!”. Quello che mi disse, con fare rassegnato, fu questo: “quando sarai pronta?” E da lì capii. Capii che non era un problema di preparazione professionale, ma era un problema di testa. Subito dopo, iniziai un percorso di crescita personale per abbattere i miei limiti mentali. Certo, lavorare su noi stessi e aprire la mente è solo un primo passo, ma è fondamentale per continuare il percorso e tramutare le idee in risultati. Ricordiamoci che ogni persona che raggiunge il proprio obiettivo ha messo anima e corpo per realizzare i suoi sogni. Dall’idea al risultato c’è una strada da percorrere e quindi bisogna prepararsi. Bisogna fare una pianificazione, capire le risorse personali o esterne di cui abbiamo bisogno, darsi delle scadenze per poi passare all’azione. Dobbiamo essere pronti ad affrontare difficoltà e delusioni.
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Ogni difficoltà e ogni delusione non dovrà però essere vissuta come un fallimento ma come un motivo di crescita. Impariamo dai nostri errori e continuiamo la nostra
strada
con
perseveranza
e
ostinazione. Raccogliamo da ogni esperienza l’energia necessaria
per
alimentare
il
nostro
motore: “il pensiero positivo”. Se crederemo veramente nella nostra idea, non ci sarà niente e nessuno che potrà fermarci. Ne sono sicura!
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Sandra Paserio Consulente del Lavoro – HR Problem Solver – Business Coach Titolare dello Studio Paserio, nato nel 1990 come Studio specializzato nella Consulenza del Lavoro e nella Gestione delle Risorse Umane. L’esperienza di oltre 25 anni nel settore e l’affiancamento di professionisti e collaboratori motivati, ha permesso una crescita personale e professionale nell’ambito dell’organizzazione aziendale ed HR. Oggi Sandra è
un Coach Professionista ed è specializzata nel
Problem Solving Strategico nell’ambito della gestione delle Risorse Umane.
Sandra Paserio NON E’: una Consulente del Lavoro tradizionale
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