Collana documenti e studio 29a

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Pubblicazione realizzata con il contributo Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali, Ambientali, Pubblica Istruzione.

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LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1904-1937) – III

Adolfo Longhitano, nato a Bronte (CT) nel 1935, dopo aver completato gli studi classici e teologici nel Seminario Arcivescovile di Catania, fu ordinato presbitero il 25 agosto 1957 e conseguì a Roma nel 1968 la laurea in Diritto Canonico nella Pontificia Università del Laterano, discutendo una tesi di storia delle istituzioni locali dal titolo La parrocchia nella diocesi di Catania prima e dopo il Concilio di Trento (Istituto Superiore di Scienze Religiose, Palermo 1977). Come ordinario di Diritto Canonico ha insegnato nello Studio Teologico S. Paolo di Catania fino al 2005 e come invitato nell’Istituto Teologico S. Giovanni Evangelista e nella Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo dal 1963 al 1983. Nelle sue ricerche, oltre al Diritto Canonico, ha privilegiato lo studio delle istituzioni, partecipando a convegni e pubblicando numerosi saggi nella rivista Synaxis dello Studio Teologico S. Paolo e in altre riviste locali e nazionali. In tema di storia delle istituzioni si possono citare i volumi: Catania e la sua Università nei secoli XV-XVII. Il Codice «Studiorum constitutiones ac privilegia» del Capitolo cattedrale (Il Cigno Galilei, Roma 1995; Roma 20022), curato assieme a Giuseppina Nicolosi Grassi; La facoltà di medicina e l’Università di Catania (Giunti, Firenze 2000), curato da Antonio Coco; Sant’Agata li Battiati: all’origine della parrocchia e del comune (Catania 2000); Santa Maria di Nuovaluce a Catania. Certosa e abbazia benedettina (Arca, Catania 2003). Nel 1983 iniziò a pubblicare nella rivista Synaxis la serie delle «Relazioni ad limina della Diocesi di Catania» che, dopo un’accurata revisione e i necessari aggiornamenti, fu raccolta in due volumi, editi nel 2009. In questo terzo volume sono pubblicate per la prima volta le cinque relazioni del vescovo card. Giuseppe Francica Nava, inviate dal 1904 al 1927, e quella del vescovo Carmelo Patanè, inviata nel 1937. Il limite del 1939, posto per la consultazione dei documenti conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, non ha consentito la pubblicazione delle relazioni successive.

ADOLFO LONGHITANO

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ADOLFO LONGHITANO

LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1904-1937) III

EDIZIONI GRAFISER TROINA

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO CATANIA


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DOCUMENTI E STUDI DI SYNAXIS 29 Ricerche per la storia delle diocesi di Sicilia 7


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In copertina: L’incoronazione di Sant’Agata, particolare del retablo di Antonello Freri, Cattedrale di Catania. Fotografie di Francesco Marchica © copyright 2015 Studio Teologico S. Paolo 95126 Catania - viale O. da Pordenone, 24 tel. +39 095.73.35.048 − 095.33.33.31 − 095.33.31.46 tel. e fax +39 095.22.27.75 Finito di stampare nel gennaio 2015 dal Grafiser s.r.l. 94018 Troina (En) Tel. 0935 657813 - Fax 0935 653438


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ADOLFO LONGHITANO

LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1904-1937) III

Studio Teologico S. Paolo – Catania Edizioni Grafiser – Troina 2015


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SIGLE E ABBREVIAZIONI

AAS = Acta Apostolicae Sedis, Romae, dal 1909.

Archiv Concist = ARCHIVIO DELLA CONGREGAZIONE CONCISTORIALE. Archiv Nunz Italia = ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Archivio della Nunziatura Apostolica in Italia. ASDC = ARCHIVIO STORICO DIOCESANO CATANIA. ASS = Acta Sanctae Sedis, Romae, dal 1865 al 1908. ASV = ARCHIVIO SEGRETO VATICANO. ASSO = Archivio Storico per la Sicilia Orientale, periodico della So-

cietà di Storia Patria della Sicilia Orientale, Catania dal 1904. BE = Bollettino Ecclesiastico dell’Archidiocesi di Catania, dal 1895. CIC = Codex Iuris Canonici.

Congr Concilio, Relat Dioec = ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Congregazione del Concilio, Relationes Dioecesium. Congr Concist, Relat Dioec = ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Congregazione concistoriale, Relationes Dioecesium. DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Roma dal 1960. DSMCI = F. TRANIELLO – G. CAMPANINI (curr.), Dizionario Storico del

movimento cattolico in Italia 1860-1980, 3 voll., Torino 19811984. EC = Enciclopedia Cattolica, 12 voll., Città del Vaticano.

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EE = Enchiridion delle Encicliche, 8 voll., Bologna 1994-1998. EP = Enciclopedia dei papi, Istituto della Enciclopedia Italiana, III,

Roma 2000. Episcopati = ARCHIVIO STORICO DIOCESANO CATANIA, Episcopati. HC = Hierarchia Catholica, a cura di R. Ritzler – P. Sefrin, VIII, Patavii

1979; a cura di Z. Pieta, IX, Patavii 2002. Positiones = ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Congregazione Concistoriale, Positiones. Proc Dat = ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Dataria Apostolica, Processus Datariae. Rel = Relazione. Relazioni = A. LONGHITANO, Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1595-1890), 2 voll., Firenze-Catania 2009. Tutt’Atti = ARCHIVIO STORICO DIOCESANO CATANIA, Tutt’Atti.

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PRESENTAZIONE

Avevo già nel 2009 espresso vivo compiacimento per i due volumi nei quali mons. Adolfo Longhitano aveva raccolto e illustrato le relazioni ad limina della diocesi di Catania, trasmesse dai vescovi a Roma dal 1595 al 1890. A conclusione del mio scritto formulavo l’auspicio che l’autore portasse a compimento la sua ricerca pubblicando anche le relazioni dell’arcivescovo Giuseppe Francica Nava, che ha governato la diocesi di Catania dal 1895 al 1928. Oggi noto con soddisfazione che il terzo volume di quest’opera raccoglie non solo le cinque relazioni di Francica Nava, ma anche la prima inviata dall’arcivescovo mons. Carmelo Patanè nel 1937. In tal modo viene offerta agli studiosi una documentazione di prima mano che complessivamente copre oltre tre secoli di storia della Chiesa di Catania e giunge fin quasi ai nostri giorni, visto che l’autore per scrivere il profilo di mons. Carmelo Patanè — da lui conosciuto personalmente — ha potuto attingere sia alla ricca documentazione d’archivio, sia ai ricordi degli ultimi testimoni ancora in vita. Sfogliando le pagine del volume e scorrendo i nomi delle persone che hanno operato in questo periodo storico, mi sembra di incontrare figure conosciute da tempo, non solo perché vedo le loro foto esposte in episcopio o negli uffici di curia, ma soprattutto perché l’eco della loro attività non si è del tutto spenta: indirizzi pastorali, documenti, aneddoti, ricordi che riemergono continuamente da un recente passato e danno l’impressione che i loro autori siano ancora in mezzo a noi. Se le immagini di fantasia, dipinte nei quadri esposti nel “Salone dei vescovi”, mi collegano idealmente alle origini della Chiesa di Catania, le figure dei due vescovi descritte in modo così vivace in questo volume permettono di rivivere i momenti difficili che la Chiesa di Catania ha attraversato dalla fine dell’ ’800 alla prima metà del ’900: il non expedit, le epiche lotte del movimento cattolico, la crisi modernista, la prima guerra mondiale, l’illusione di essere riusciti con il fascismo a ricostituire l’ordinamento della cristianità, la seconda guerra mondiale… La storia con i suoi documenti e le sue ricostruzioni del passato 7


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ci consente di superare i limiti della memoria e di fermare, per certi aspetti, il corso del tempo. Ringrazio mons. Adolfo Longhitano per il paziente lavoro di ricerca che ha compiuto negli anni: i tre volumi delle relazioni ad limina della diocesi di Catania costituiscono un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono approfondire l’identità e la storia della nostra Chiesa. Anche a nome degli studiosi e dei lettori che valorizzeranno questi volumi rinnovo a mons. Adolfo Longhitano i sentimenti di vivo apprezzamento per la sua generosa fatica. Auguro a tutte le Chiese particolari di poter disporre di simili pubblicazioni di cui l’arcidiocesi di Catania può vantarsi grazie a mons. Longhitano. A lui anche l’augurio di poter continuare per lunghi anni nelle ricerche sulla storia della nostra Chiesa. I suoi contributi ci permetteranno certamente di poter far tesoro degli insegnamenti del nostro passato per operare affinché la Chiesa di Catania possa mantenersi per sempre sposa fedele al suo Signore. Catania, 20 aprile 2014 Pasqua di Risurrezione

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 Salvatore Gristina Arcivescovo di Catania


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INTRODUZIONE

Le relazioni «ad limina» del ’900 Concludendo l’introduzione ai due primi volumi delle relazioni ad limina della diocesi di Catania, editi nel 2009, esprimevo il proposito di pubblicare anche quelle inviate a Roma dal vescovo Giuseppe Francica Nava1, non appena l’Archivio Segreto Vaticano avesse reso accessibile tutta la documentazione relativa al suo governo pastorale. Quando ho avuto in mano la carpetta conservata nel fondo della Congregazione concistoriale, ho potuto costatare che, oltre le relazioni del vescovo Francica Nava, c’era anche una relazione inviata dal vescovo Carmelo Patanè nel 1937, circostanza che mi permetteva l’analisi sugli anni del fascismo e sull’attuazione del concordato del 1929 nella diocesi di Catania2. I sei documenti che pubblico in questo volume non si discostano da quelli già messi a disposizione degli studiosi nei due volumi precedenti: contengono le risposte dei vescovi a un questionario predisposto dalla Curia romana per offrire un insieme di dati sulla vita della diocesi. C’è una sola variante: i questionari relativi ai documenti di questo periodo sono tre: a) le relazioni del 1904 e del 1908 rispondono alle domande formulate dalla Congregazione del concilio nel 17253, b) quelle del 1916, del 1922 e del 1927 fanno riferimento al questionario pubblicato dalla Congregazione concistoriale nel 1909, in seguito alla riforma della Curia romana da parte di Pio X4, c) la re1

Relazioni, I, 45. Nell’Archivio Storico Diocesano si trovano le minute delle relazioni del 1941 e del 1946. Ho deciso di non tenerne conto per due motivi: restare fedele al criterio di pubblicare il testo dei documenti inviati a Roma e conservati nell’Archivio Segreto Vaticano; prendere atto del limite cronologico del 1939 — fissato attualmente per l’accesso ai documenti custoditi negli archivi pontifici — che non permette di acquisire la necessaria documentazione di supporto. 3 L’istruzione della Congregazione del concilio, con il formulario in appendice, è riportata alla voce Limina Apostolorum, in L. FERRARIS, Prompta Bibliotheca canonica […], V, Migne, Parisiis 1858, 155-174. 2

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AAS

2 (1910) 2, n. 1, 17-34.

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Introduzione

lazione del 1937 risponde alle domande formulate nel 1918, dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico5. Se si confrontano le date, si deve concludere che il vescovo Francica Nava, nel redigere le relazioni del 1922 e del 1927, avrebbe dovuto riferirsi al nuovo questionario pubblicato nel 1918; probabilmente non si rese conto del cambiamento e dalla Congregazione non gli fu fatto alcun rilievo; così ha potuto servirsi della traccia usata nella relazione del 1916. Avevo già fatto rilevare la particolare natura di queste fonti storiche6: offrono la possibilità di contenere in poche pagine i dati che diversamente andrebbero raccolti nei diversi fondi dell’archivio diocesano; sono documenti seriali che permettono l’esame diacronico della situazione di una Chiesa locale. Tuttavia sono risposte ufficiali date ad un organismo superiore di controllo, che possono risentire di condizionamenti soggettivi o ambientali. Inoltre il questionario, se intende offrire un aiuto al vescovo per esporre con ordine i dati sullo stato della diocesi, costituisce allo stesso tempo uno schema troppo rigido che non permette spazi di creatività per affrontare problematiche particolari non previste dal modello predisposto dalla Congregazione. Leggendo questi documenti, si ha l’impressione di vivere al di fuori del tempo perché, mentre si annotano con diligenza i dati riguardanti le strutture diocesane, il clero, i religiosi e il popolo cristiano, non si trovano cenni sugli avvenimenti che hanno condizionato la società e la Chiesa degli anni presi in esame. A volte il questionario — redatto in altre epoche e per altre situazioni storiche7 — appare superato dagli avvenimenti e le domande che pone non mancano di suscitare nelle risposte del vescovo un malcelato rimpianto8. D’altra parte, 5

Ibid., 10 (1918) 10, pp. 487-503. Relazioni, I, 12-14. 7 Il questionario al quale risponde il vescovo Francica Nava nelle relazioni del 1904 e del 1908 era stato predisposto dalla Congregazione del concilio nel 1725, poco meno di duecento anni prima, quando ancora non si erano avute le conseguenze derivanti dal giurisdizionalismo, dall’illuminismo, dal liberalismo e non si profilava il pericolo del socialismo. 8 Si vedano ad esempio le domande che intendono accertare se venivano rispettate le immunità ecclesiastiche, se si osservava il privilegio del foro, se nei monasteri femminili — soppressi in Italia fin dal 1866 — le poche monache superstiti, anziane e malferme in salute, osservavano le norme della clausura papale. 6

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Introduzione

se si tiene presente che lo schema predisposto dalla Congregazione ha la pretesa di potersi adattare a tutte le situazioni nelle quali operano le Chiese nelle diverse parti del mondo, un divario fra la realtà e il modello che dovrebbe contenerla diventa inevitabile. Lo studioso, tenendo conto anche di questi rilievi, sa che non può ricostruire un periodo storico facendo riferimento a una sola tipologia di fonti, soprattutto quando si tratta di documenti che, proprio perché non esaustivi o condizionati, hanno bisogno di essere integrati e confrontati con altre fonti. Il problema assume un particolare significato per gli anni relativi alle relazioni di questo volume: dobbiamo prendere in esame vicende sulle quali non sempre la storiografia ha formulato ipotesi di lettura condivise. Non si tratta solo delle difficoltà che incontra chi si occupa di storia contemporanea9. Occorre superare definitivamente condizionamenti ideologici, che non permettono di collocare fatti e persone nella loro giusta luce. Mi riferisco alle diverse posizioni degli storici sul tema del movimento cattolico10, identificato a volte con l’Opera dei congressi, l’organizzazione intransigente e integralista, che monopolizzò l’azione dei cattolici italiani negli anni a cavallo fra l’Otto e il Novecento11. Le attività programmate e attuate nelle diverse diocesi in questo periodo devono essere comprese nel quadro complessivo delle scelte operate dalle autorità ecclesiastiche, in risposta alla difficile situazione in cui venne a trovarsi la società in Europa a metà dell’ ’800, dopo il tentativo fallito della Restaurazione. Non si vuole proporre il movimento cattolico come quadro riduttivo di lettura di un periodo storico ricco e complesso. Si cerca solamente di individuare il modello ecclesiologico e politico scelto dai papi per formulare le direttive di azione dei vescovi. 9 G. MICCOLI, Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato 1985, 1-16. 10

Sul significato che assume l’espressione “movimento cattolico” nella storiografia si veda: M. BELARDINELLI, Per una storia della definizione di Movimento cattolico, in DSMCI, I/1, Casale Monferrato 1981, 2-13. 11 È risaputo che ai cattolici intransigenti, confluiti nell’Opera dei congressi, bisogna aggiungere altri gruppi di cattolici che hanno operato nella società, nel corso degli anni, partendo da posizioni diverse: neoguelfi, cattolici-liberali, cattolicitransigenti, cattolici-conservatori, clerico-fascisti, cattolici-democratici… Questi stessi gruppi a volte dagli storici sono indicati con denominazioni diverse. L’argomento è approfondito nelle diverse voci del DSMCI, ad indicem.

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Introduzione

Dal mito della cristianità al rifiuto dello Stato liberale I mutamenti repentini, che si erano verificati in Europa a partire dagli ultimi decenni del ’700, avevano messo in discussione l’assetto tradizionale della società. Il modello della res publica christiana era stato in gran parte scardinato e non era facile individuarne un altro più coerente con le nuove condizioni dei tempi. Le critiche rivolte al ruolo svolto dalla Chiesa non furono interpretate come stimolo per la ricerca di nuovi modelli. Si stabilì in tal modo un irrigidimento nelle rispettive posizioni: coloro che cercavano nuovi spazi per il loro inserimento nella società videro nella Chiesa uno degli ostacoli da abbattere e superare; la Chiesa da parte sua ritenne di trovarsi nella situazione di una città assediata, che doveva respingere gli assalti degli eserciti nemici se voleva continuare a svolgere la propria missione. In queste condizioni prevalse una visione negativa della società e delle forze che vi operavano12. Le cause di tanti sconvolgimenti furono individuati dai papi13 nella riforma protestante, da cui si sarebbe sviluppato prima l’illuminismo e la rivoluzione francese, poi il liberalismo e il socialismo. Leggendo le encicliche e gli interventi dei papi di questo periodo, è facile notare uno schema sostanzialmente identico e un linguaggio catastrofico e fosco; cambiano solo i riferimenti o alle parti-

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F. FONZI, I cattolici e la società italiana dopo l’unità, Roma 1977, 65-66; G. MARTINA, La Chiesa nell’età del liberalismo, Brescia 1983, 103-127; G. MICCOLI, Chiesa e società in Italia dal Concilio Vaticano I (1870) al pontificato di Giovanni XXIII,, in Storia d’Italia. I documenti, V/2, Torino 1978, 1493-1548; ID., Fra mito della cristianità e secolarizzazione, cit., 24-32; D. MENOZZI, Tra riforma e restaurazione. Dalla crisi della società cristiana al mito della cristianità medievale (1758-1848), in G. CHITTOLINI – G. MICCOLI (cur.), La Chiesa e il potere politico, in Storia d’Italia. Annali, IX, Torino 1986, 767-806; G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, Bari 1987, 3637. G. SPADOLINI, L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, Milano 1994, 3-22. 13 Il riferimento è soprattutto a Gregorio XVI e a Pio IX. Il lungo pontificato di quest’ultimo fu determinante per l’azione dei cattolici nella seconda metà dell’ ’800. Su questi due papi si vedano: J. LEFLON, Restaurazione e crisi liberale, in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Martin, XX/2, Torino 1977, 783-1123; G. MARTINA, Clemente XVI, EP, 546-560; R. AUBERT, Il pontificato di Pio IX, in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Martin, XXI/1-2, Torino 1976; G. MARTINA, Pio IX, beato, EP, 560-574.

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Introduzione

colari circostanze in cui ogni pontefice opera o alla personale strategia che intende seguire all’interno del quadro sopra delineato14. Alle riflessioni, che riguardano le condizioni della società europea e occidentale in genere, bisogna aggiungere quelle relative alla particolare situazione che si creò in Italia con l’avviarsi del processo dell’unità. Il governo piemontese, che aveva intercettato l’istanza dei patrioti, intendeva procedere anche all’annessione dei territori dello Stato pontificio, ritenuti dal papa irrinunciabili per svolgere la propria missione in piena libertà e senza condizionamenti. L’indirizzo antiliberale e anticlericale del nuovo governo unitario e la dichiarata volontà di avere Roma come capitale dell’Italia unita suggerirono un atteggiamento di rifiuto del nuovo assetto politico italiano, tradotto da don Giacomo Margiotti nel 1861 con la nota formula «né eletti, né elettori»15. In sostanza la linea coerente di azione, che una parte del mondo cattolico proponeva di seguire, era quella dell’astensione. Non fu questa l’unica proposta: fra i vescovi, i religiosi e i laici non mancò l’invito a evitare lo scontro frontale e avviare un’intesa nel rispetto dei diritti delle parti e del corso degli eventi che appariva ormai irreversibile16.

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Basta leggere le encicliche di Gregorio XVI Mirari vos del 15 ag. 1832 (EE, 2/24-47) e Singulari nos del 25 giu. 1834 (EE, 2/48-57). Sulla stessa linea continua Pio IX: Qui pluribus del 9 nov. 1846 (EE, 2/108-119), condanna del liberalismo nel discorso al concistoro del 18 mar. 1861 Iam dudum cernimus (Pii IX P.M. Acta, III, 220-230); l’enciclica Quanta cura e Sillabo dell’8 dic. 1864, (EE, 2/317-412); Respicientes ea omnia del 1° nov. 1870 (EE, 2/423-434); Ubi Nos arcano, 15 mag. 1871 (EE, 2/435-442); Etsi multa luctuosa del 21 nov. 1873 (EE, 2/507-527); «Costretti nelle attuali», protesta al governo italiano del 16 giu. 1872 (EE, 2/887-902). Anche Leone XIII mantiene lo stesso stile: Inscrutabili Dei consilio del 21 apr. 1878 (EE, 3/1-20); Quod apostolici muneris contro il socialismo, il comunismo, il nichilismo del 28 dic. 1878 (EE, 3/2148); Diuturnum illud del 29 giu. 1881 (EE, 3/221-256); Etsi Nos, 15 febbr. 1882 (EE, 3/257-291); Immortale Dei del 1° nov. 1885 (EE, 3/445-525); Libertas del 20 giu. 1888 (EE, 3/590-669); Exeunte iam anno del 25 dic. 1888 (EE 3/676-705); Sapientiae christianae del 10 gen. 1890 (EE, 3/732-794); Rerum novarum, 15 mag. 1891 (EE, 3/861-938); Spesse volte del 5 ag. 1898 (EE, 3/1385-1416); Graves de communi del 18 gen. 1901 (EE, 3/1520-1552). 15 A. VIAN, Non expedit, EC, VIII, Roma 1952, 1930-1932. 16 F. FONZI, I cattolici e la società italiana, cit., 47-63; G. MARTINA, La Chiesa nell’età del liberalismo, cit., 127-158; O. CONFESSORE PELLEGRINO, Transigenti e intransigenti, in DSMCI, cit., I/1, 20-28.

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Introduzione

Ogni ipotesi di collaborazione fu ritenuta definitivamente tramontata dopo il 20 settembre 1870 con l’occupazione di Roma17. Il papa, come risposta alla violenza subita e come rifiuto della politica dei fatti compiuti, impose una rigida linea intransigente. Fra i cattolici, indignati per l’arroganza dei liberali e per la ventata anticlericale che aveva preparato e seguito la breccia di porta Pia, si diffuse il mito del «papa prigioniero in Vaticano» e la convinzione che la società era ormai irrimediabilmente condizionata dalle forze del male. In queste condizioni l’unica scelta coerente sembrò quella di costruire una società parallela, nella quale i cattolici potessero vivere a proprio agio e svolgere la propria missione.

L’azione dei cattolici per la riconquista della società I cattolici europei negli anni precedenti si erano posti il problema di tracciare una comune linea di azione. Nel 1863, nel congresso tenutosi a Malines, in Belgio, erano stati individuati i problemi più urgenti e l’atteggiamento più coerente da assumere per affrontarli e risolverli18. La risposta dei cattolici italiani venne dopo oltre dieci anni: il 12 giugno 1874, a Venezia, fu fondata l’Opera dei congressi, che si proponeva il fine di coordinare l’azione dei cattolici in Italia19. L’Opera faceva propria la rigida linea intransigente segnata dai gesuiti de La Civiltà Cattolica20. Lo stato borghese con la sua ideolo-

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G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 129-163. R. AUBERT, Le controversie all’interno del cattolicesimo alla luce del liberalismo, in Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, VIII/2, 438-460. 19 G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 129-163. 20 «All’inizio del 1850 i Gesuiti, decisamente antirosminiani, guardati da Pio IX con una certa freddezza nei primi anni, tornati dopo la dispersione, riprendevano l’attività al Collegio Romano, con il loro insegnamento tipicamente ultramontano, antigallicano, antigiuseppinista, antigiansenista, ed erano ora visti con fiducia e simpatia. E il papa faceva sua l’idea del Curci e imponeva al riluttante generale Roothaan la fondazione della Civiltà Cattolica, divenuta presto uno dei mezzi efficaci di diffusione nel mondo culturale di quelle idee antiliberali ormai care al pontefice, costituendo una delle più tipiche espressioni dell’intransigenza cattolica» (G. MARTINA, Pio IX, beato, cit., 563; G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 99-128). 18

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gia liberale veniva rifiutato in blocco. Un rifiuto analogo era riservato ai cattolici liberali e a tutti coloro che con qualsiasi motivazione ritenevano possibile un dialogo della Chiesa con le istituzioni politiche del tempo: i vescovi conciliatoristi Geremia Bonomelli di Cremona, Giovanni Battista Scalabrini di Piacenza, i seguaci di Antonio Rosmini, di Alessandro Manzoni, dell’arcivescovo di Milano Luigi Nazari di Calabiana21… Il linguaggio adoperato dai suoi aderenti era di stile militaresco, eccessivo e unilaterale, che spesso andava oltre i limiti della verità e del rispetto per le persone. Emblematico in tal senso il processo per diffamazione intentato nel 1887 dall’abate Antonio Stoppani, apprezzato naturalista, contro don Davide Albertario, direttore del giornale cattolico intransigente L’Osservatore Cattolico, che lo aveva fatto oggetto di accuse e di insinuazioni, perché simpatizzante di Antonio Rosmini; processo che si concluse con la condanna del sacerdote giornalista22. Altro prototipo di cattolici intransigenti, intemperanti e smodati nei loro interventi, era costituito dai tre fratelli sacerdoti Jacopo, Andrea e Gottardo Scotton, vicentini, che non disdegnavano di distribuire patenti di incompetenza e di mancanza di zelo ai vescovi che si rifiutavano di accogliere l’Opera dei congressi e di seguirne le iniziative23. Dal punto di vista dell’organizzazione, l’Opera era modellata sulla costituzione della Chiesa: ai comitati parrocchiali di base si aggiungevano quelli diocesani e regionali; tutti erano subordinati al comitato nazionale. Nella sua organizzazione dovevano confluire i cattolici e le associazioni cattoliche di tutta l’Italia al fine di difendere e propugnare sia i diritti della Chiesa e del papato, sia gli interessi religiosi e sociali dell’Italia24. Per creare una “società cristiana” alternativa a quella borghese e liberale assorbita dallo Stato unitario, era necessario dar vita a una 21 F. FONZI, I cattolici e la società italiana, cit., 65-66; G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 129-134). 22 A. CANAVERO, Albertario Davide, in DSMCI, II, cit., 9-16; G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 292. 23 E. REATO, Scotton Jacopo, Andrea, Gottardo, in DSMCI, II, cit., 591-593; G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 77. 24 Ibid., 165.

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serie di importanti iniziative: promuovere le scuole cattoliche per assicurare una sana educazione alla gioventù, fondare quotidiani cattolici e diffondere la “buona stampa” per contrastare la stampa anticlericale e protestante permessa dal governo, istituire casse rurali e operaie cattoliche per tutelare il risparmio delle classi meno abbienti e facilitare loro l’accesso al credito, creare sindacati, leghe, patronati per i lavoratori e centri di assistenza per i poveri…25. La valutazione di queste iniziative può essere fatta partendo da considerazioni diverse: è fuori discussione il loro significato positivo se sono considerate in sé e per le ricadute favorevoli sulle fasce più deboli della società; si giunge invece a conclusioni diverse se queste iniziative sono valutate a partire da una particolare concezione ecclesiologica. Non si può dire che l’immagine di Chiesa soggiacente all’Opera dei congressi e alle sue iniziative fosse coerente con le allegorie evangeliche del «lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Mt 13,33) o del buon seme e della zizzania, fatti crescere insieme in attesa della mietitura (cfr. Mt 13, 24-30)26. Una concezione manichea della società, nettamente divisa fra buoni e cattivi, che operavano su piani diversi e si scontravano continuamente senza esclusione di colpi, non costituiva la premessa più idonea per la costruzione del regno di Dio. Il modello di organizzazione che si era dato l’Opera dei congressi e lo stile adottato nello svolgimento delle proprie attività, se in alcuni ambienti aveva suscitato entusiasmo e consensi, in altri aveva determinato un clima di diffidenza e di rifiuto. Parte dei vescovi e del clero non gradiva l’influenza che l’Opera esercitava sul laicato cattolico, enfatizzando l’azione e la protesta a scapito della pietà e del culto. Inoltre l’egemonia che i laici esercitavano nell’analisi dei problemi e nelle iniziative proposte per l’azione sembravano sovvertire la stessa costituzione della Chiesa: i vescovi non amavano essere messi in discussione dai laici e da semplici sacerdoti, che attraverso i giornali e le opere 25

Ibid., 165-211; O. CONFESSORE PELLEGRINO, Transigenti e intransigenti, in

DSMCI, I/1, cit., 21. 26 Una testimonianza di questo modello di presenza dei cristiani nella società si trova nello scritto della letteratura patristica del II secolo A Diogneto (R. GISANA, A Diogneto, Milano 2008).

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cattoliche contraddicevano la linea di azione da loro proposta e invitavano alla ribellione. Si aveva l’impressione che alla tradizionale gerarchia ecclesiastica si fosse affiancata una gerarchia laicale. Mons. Scalabrini ironizzava sui «vescovi in cilindro» che rischiavano di sovvertire l’ordinamento della Chiesa27.

Il progetto di Leone XIII Nel quadro sostanzialmente immutato, che contraddistinse l’azione dei pontefici di questo periodo storico, è necessario individuare le varianti introdotte dai singoli papi per una diversa valutazione delle persone e delle cose o per le mutate condizioni dei tempi. Leone XIII continua a descrivere negativamente la società28, secondo lo schema di Gregorio XVI e di Pio IX, e a sostenere il modello intransigente e integralista dell’Opera dei congressi29. Durante il suo pontificato il non expedit assunse il significato di una vera e propria proibizione per i cattolici a partecipare alla vita politica30. Tuttavia introdusse alcuni elementi di novità, destinati a produrre effetti diversi31.

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F. FONZI, I cattolici e la società italiana, cit., 70-71. «Ma il funesto e deplorevole spirito di novità, suscitatosi nel secolo XVI, prese da prima a sconvolgere la religione, passò poi naturalmente da questa nel campo filosofico, e quindi in tutti gli ordini dello Stato. Da questa sorgente scaturirono le massime delle eccessive libertà moderne immaginate e proclamate in mezzo ai grandi sconvolgimenti del secolo scorso come princìpi e basi di un nuovo diritto, il quale e non fu conosciuto mai in precedenza e per molti versi è in opposizione non solamente con la legge cristiana, ma anche col diritto naturale» (Leone XIII, Immortale Dei, 1° nov. 1885, EE, 3/483). 29 G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 341-366. 30 Il non expedit da semplice suggerimento divenne vera e propria proibizione ai cattolici di partecipare alla vita politica in seguito al decreto della Congregazione del Sant’Uffizio del 30 giugno 1888, approvato da Leone XIII (A. VIAN, Non expedit, cit.). 31 Sulla figura e l’opera di Leone XIII si vedano: O. KÖHLER, Il progetto universale di Leone XIII: obiettivi e metodi, in Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, IX, Milano 1979, 3-31; R. AUBERT, Leone XIII: tradizione e progresso, in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Martin, XXII/1, Torino 1990, 61-106; F. FONZI, La Chiesa e lo Stato italiano, ibid., 273-311; F. MALGERI, Leone XIII, EP, 575-593. 28

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Il 4 agosto 1879 con l’enciclica Aeterni Patris restaurava la filosofia tomista32 e il 14 maggio 1891 con l’enciclica Rerum novarum33 faceva una proposta cristiana per la soluzione della questione operaia. Si tratta di due documenti che acquistarono un valore programmatico per la “ricostruzione cristiana” della società. Il rilancio della filosofia tomista deve essere considerato all’interno di un ampio progetto culturale, avviato dai predecessori di Leone XIII, che coinvolgeva l’ambito storico, giuridico, filosofico e teologico34. Nella concezione del papa, tutti questi ambiti risultano tra loro inquadrati in una superiore visione unitaria, in cui il cemento ideologico era dato dalla concezione tomista della realtà35. Fra i risultati di maggiore rilevanza che dovevano derivare da questo progetto culturale, c’era l’elaborazione di due discipline ritenute fondamentali: il diritto naturale e la dottrina sociale della Chiesa36. Secondo le direttive impartite da Roma, la filosofia tomista era l’unico sistema di pensiero da approfondire e da insegnare nei seminari e nelle facoltà teologiche. Nel pensiero di s. Tommaso d’Aquino i professori e gli alunni avrebbero trovato un orientamento sicuro in grado di fronteggiare gli errori dilaganti nella società del tempo. La scelta di Leone XIII trovò forti resistenze, soprattutto in quegli ambienti cattolici più vicini alle posizioni rosminiane, che accusarono il papa di aver instaurato una filosofia “per decreto”37.

32 EE, 3/49-110. O. KÖHLER – B. STASIEWSKI, L’enciclica «Aeterni Patris», in Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, IX, 369-375. 33 EE, 3/861-938. 34 «La Chiesa, soprattutto alla luce del contrasto con lo Stato, evidenziava la volontà di instaurare un modello gerarchico sicuro e definito nelle sue articolazioni, in grado di contrapporsi, con la forza della sua struttura, agli assalti delle dottrine a essa ostili» (F. MALGERI, Leone XIII, cit., 589). 35 C. FANTAPPIÈ, Chiesa romana e modernità giuridica, Milano 2008, 199-261. 36 Quando Leone XIII pubblicò l’enciclica Aeterni Patris, il gesuita Luigi Taparelli D’Azeglio aveva già elaborato il suo Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto, Palermo 1840-1843. A. PRANDI, Genesi ed evoluzione dell’insegnamento sociale della Chiesa, in DSMCI, I/1, cit., 180-195. 37 G. MICCOLI, Chiesa e società, cit., 1509; F. MALGERI, Leone XIII, cit., 589.

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«L’egemonia del tomismo determinò la scomparsa delle correnti di pensiero legate a Rosmini, Gioberti, Gerdil […] e, nell’ambito dell’Ordine francescano, a Duns Scoto e a Bonaventura. Diversamente però che a Lovanio e Parigi, la restaurazione del tomismo non si tradusse generalmente in Italia in una reinterpretazione creativa del pensiero di s. Tommaso secondo le esigenze nuove, ma sfociò in un lavoro di pura ripetizione, vigoroso sul piano speculativo ma carente di spessore storico, povero di afflato biblico e patristico, chiuso al dialogo con la cultura moderna»38.

La pubblicazione della Rerum novarum, nel rigido schema di rapporti fra la Chiesa e lo Stato creato dalle gerarchie ecclesiastiche, aprì nuove prospettive per l’azione dei cattolici nella società e determinò una mentalità nuova: «Con l’enciclica Rerum novarum incominciava per il cattolicesimo militante italiano e per l’Opera dei congressi un’altra storia, una storia che immetteva nelle file dell’intransigenza una carica di entusiasmo e di vitalità, ben diversa che nel passato: il movimento sociale, fino ad allora un po’ ansimante e combattuto fra diverse tendenze, prendeva grande, impetuoso slancio, sollecitato anche dalla concorrenza socialista, che specialmente nella città lasciava ormai pochissimo spazio all’iniziativa dei cattolici organizzati»39.

Gli elementi di novità introdotti dal documento pontificio erano rilevanti: la Chiesa si confrontava in modo nuovo con la società capitalistica e borghese, con il movimento operaio, il nascente socialismo e con lo stesso Stato, che doveva farsi carico dei problemi sociali e rimuovere in tempo le cause del conflitto tra operai e padroni; il papa incoraggiava nuove forme associative, che non miravano più ad assicurare ai soci forme di assistenza, ma a dare loro la consapevolezza dei propri diritti40. 38

M. MARCOCCHI, Istituzioni culturali, mass-media e movimento cattolico, in

DSMCI, I/1, cit., 254-256. 39 G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 296; G. MARTINA, La Chiesa nell’età del totalitarismo, Brescia 1984, 20-61. 40 F. MALGERI, Leone XIII, cit., 586.

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Tuttavia questi stessi elementi di novità contribuirono ad affrettare la crisi dell’Opera dei congressi, una crisi determinata da un equivoco, «l’equivoco fondamentale di un’organizzazione che era insieme religiosa e politica, che da una parte svolgeva “azione cattolica” e dall’altra assumeva le funzioni di un partito politico, generava una serie di minori equivoci sull’una o sull’altra questione che i cattolici erano chiamati a risolvere. Quando, ad esempio, si ammonivano i cattolici militanti a non rompere l’unità delle forze cattoliche per affermare particolari opinioni politiche, si correva il rischio di imporre una unanimità di pensiero politico soltanto su basi religiose. Quando poi si chiedeva l’obbedienza assoluta ai vescovi e ad ogni altra autorità ecclesiastica da parte dell’organizzazione cattolica, si imponeva una norma che è propria delle associazioni religiose ad un organismo che era anche politico»41.

Dinanzi all’atteggiamento dei dirigenti dell’Opera, ancorati a una visione statica della società, i giovani che dalla Rerum novarum si erano sentiti chiamati ad agire per la “riconquista” delle masse attratte dal socialismo, incominciarono a dimostrare la propria insofferenza. L’unità di indirizzo, che si manifestò al congresso di Milano del 1897, fu solo apparente. In realtà erano già presenti contrasti e nuove correnti politiche e sociali42. Il confronto fra i democratici cristiani di don Romolo Murri e la vecchia dirigenza dell’Opera dei congressi fu inevitabile. «La polemica e lo scontro fra i murriani e il presidente dell’Opera dei congressi, Giambattista Paganuzzi, è un nodo essenziale della complessa vicenda del movimento cattolico organizzato. Paganuzzi e Murri erano ugualmente ed entusiasticamente papali, ambedue godevano dell’appoggio di cardinali e di vescovi, ambedue erano fautori dell’astensionismo elettorale […]. Ciò che muta, da Paganuzzi a Murri, è lo spirito, è l’intelligenza dei problemi del

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F. FONZI, I cattolici e la società italiana, cit., 76-77. G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 317-318.


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cattolicesimo militante, è la prospettiva del rapporto fra la Chiesa e la società moderna. Per Paganuzzi ogni salvezza è nella fedeltà al papa e alla Chiesa, a una Chiesa che ha il deposito non soltanto della fede ma del modello di una società devota e obbediente, al quale il cattolico militante non ha nulla da aggiungere […]. Murri e i suoi amici attaccano il sistema paganuzziano nella sua ispirazione di fondo; introducono nel movimento cattolico il principio della responsabilità autonoma dei cattolici sul terreno sociale e politico, proprio per garantire alla Chiesa una sua più attiva presenza nel mondo moderno»43.

Le sollevazioni popolari del 1898 e la repressione che ne seguì segnarono una svolta per l’Opera dei congressi e i cattolici intransigenti accusati di sovversivismo: don Davide Albertario fu arrestato e processato, furono soppressi molti comitati regionali, diocesani e parrocchiali, assieme a un gran numero di associazioni, banche e altre istituzioni collegate; la stampa cattolica intransigente fu presa di mira con lo stesso zelo adoperato per quella anarchica. Gli stessi cattolici moderati non risparmiarono le loro critiche verso coloro che “fanatizzavano” le plebi, insegnando loro la ribellione contro il governo e contro il re. La classe dirigente dell’Opera fu messa in discussione e cominciò ad affermarsi l’indirizzo proposto dai giovani44. «Nel corso del 1903 l’organizzazione cattolica aveva visto crescere la presenza dei gruppi giovanili che mettevano in causa la vecchia dirigenza e non condividevano il rigido intransigentismo di questa. Non pochi pensavano che i tempi richiedessero nuovi orientamenti, e fosse giunto il momento di pensare al ritorno alla vita politica […]. Nel settembre 1903 aveva luogo a Bologna l’annuale congresso dell’Opera, diretta dal nuovo presidente G. Grosoli, che non nascondeva la sua simpatia per le correnti giovanili; e queste, con il loro maggiore esponente, R. Murri, trionfarono al congresso, provocando l’astiosa reazione della vecchia dirigenza e le preoccupazioni romane per l’impressione che l’organizzazione stesse

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Ibid., 367-369. Ibid., 341-366; G. SPADOLINI, L’opposizione cattolica, cit., 402-408.

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avviandosi su strade politiche senza le dovute autorizzazioni gerarchiche»45.

Le distinzioni di Pio X Il 3 luglio 1903, prima del congresso di Bologna, era morto Leone XIII e il 4 agosto era stato eletto papa il patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, che aveva preso il nome di Pio X46. Egli mentre era vescovo di Mantova, in una lettera inviata al Paganuzzi, si era definito «intransigente fino al midollo delle ossa». Nel corso degli anni la sua intransigenza si era smussata, ma non fino a fargli accettare le posizioni di Romolo Murri47. «Per questo Pio X, che non aveva alcuna simpatia per il prete marchigiano e non approvava la sua linea politica, nel dicembre 1903 pubblicava un documento che riassumeva le direttive dei suoi predecessori riguardanti l’azione popolare cristiana e ripeteva che queste dovevano essere osservate in modo totale e assoluto. Veniva in altri termini ribadita la volontà pontificia di riservarsi il diritto di indicare le strade da seguire anche in ambito socio-politico, e di evitare che nascessero movimenti che si facessero portatori di false dottrine circa la non competenza della gerarchia in materia politica. Qualche mese dopo, una circolare del presidente dell’Opera dei congressi che conteneva alcune frasi non gradite a Roma offriva l’attesa occasione per la soppressione della stessa Opera»48.

Nel 1905 con l’enciclica Il fermo proposito Pio X «indicava chiaramente la distinzione fra l’attività religiosa, posta sotto la direzione della gerarchia, e l’attività socio-politica, delega45

M. GUASCO, Pio X, santo, EP, 602. Sulla figura e il governo di Pio X, vedi: R. AUBERT, Pio X tra restaurazione e riforma, in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Martin, cit., XXII/1, 107-154; F. FONZI, Pio X e l’Italia, ibid., 312-335; M. GUASCO, Pio X, santo, cit., 593-608. 47 Ibid., 594. 48 Ibid., 602. 46

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ta ai laici. Precisava poi che i preti dovevano astenersi da ogni impegno in questo secondo ambito, in quanto la loro missione era essenzialmente religiosa e dovevano di conseguenza evitare di partecipare a un tipo di attività che di per sé era suscettibile di introdurre divisioni tra le classi. Vi era in tali affermazioni una chiara presa di posizione contro quei preti, e non erano pochi, coinvolti nel dibattito politico; ma non vi era, come poteva sembrare, l’affermazione di un’autonomia politica del laicato, poiché gli stessi laici venivano posti sotto tutela, visto che tutta l’attività organizzata doveva comunque essere sottoposta al vaglio della gerarchia ecclesiastica»49.

L’Azione cattolica, che sostituiva la soppressa Opera dei congressi, veniva suddivisa in tre Unioni: «Unione popolare fra i cattolici italiani», per le iniziative culturali e di propaganda, «Unione economico-sociale», che raggruppava tutte le istituzioni d’indole economica, destinate a risolvere il problema sociale e «Unione elettorale», che doveva coordinare le associazioni cattoliche impegnate nella partecipazione alla vita politica nel rispetto del non expedit50. Si fissavano in tal modo gli indirizzi per l’azione dei cattolici nella società. Con la soppressione dell’Opera dei congressi Pio X compiva un gesto che non poteva non conquistargli le simpatie dei conservatori, perché impediva ad una organizzazione, che aveva sempre seguito la linea intransigente dettata dalle gerarchie ecclesiastiche, di trasformarsi in un movimento politico autonomo dagli esiti imprevedibili. Era già alle porte la crisi modernista, che determinò una sorta di involuzione nel rapporto che la Chiesa italiana cercava di stabilire faticosamente con la società. Il decreto del Sant’Uffizio Lamentabili sane exitu (3 luglio 1906)51 elencava 65 proposizioni dei maggiori errori dei modernisti. Il tema veniva ripreso nell’enciclica Pascendi Dominici gregis (7 sett. 1907)52, che conteneva disposizioni restrittive e censorie delle tendenze “riformiste” attribuite ai modernisti. 49

L. c. S. TRAMONTIN, Unione economico-sociale, in DSMCI, cit., II, 390-391; ID., Unione elettorale, ibid., 392-393; ID., Unione popolare, ibid., 394-395. 51 ASS XL, 470-478. 52 EE, 4/190-246. 50

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«Modernismo e integrismo avvelenarono i rapporti tra i cattolici durante il pontificato di Pio X. Il rischio di una subordinazione del movimento cattolico al progressismo fu pagato con una caccia al modernista che raggiunse punte irrazionali, dilatando all’inverosimile l’accusa di modernismo fino a comprendervi atteggiamenti che poco più di dieci anni dopo […] furono pacificamente ammessi, come la rivendicazione dell’autonomia dei cattolici in sede politica. Fu un periodo torbido, oscuro nella storia del movimento cattolico organizzato […]. Poi con la prima guerra mondiale la lenta ripresa: il cataclisma bellico bruciò le ultime scorie del temporalismo cui si erano abbarbicati gli intransigenti; la guerra velenosa fra modernisti e integristi si spegneva»53.

L’illusione di ricostituire la «res publica christiana» La fine della prima guerra mondiale segnò in Italia un periodo di delusioni, di crisi e di incertezze. Dopo i grandi sacrifici in termini di vite umane e di risorse per far fronte allo sforzo bellico, la soddisfazione per la vittoria conseguita fu di breve durata, perché la crisi economica, la mancanza di lavoro, l’incertezza politica, non agevolarono la ripresa di un vita normale. Dal punto di vista dei rapporti della Chiesa con la società, molte cose erano cambiate: era venuta meno l’intransigente opposizione allo Stato liberale; il papa non rivendicava più un potere temporale, ma si limitava ad auspicare una dignitosa soluzione della questione romana; la fine del non expedit permetteva ai cattolici la partecipazione alla vita politica54. Non era venuta meno, anzi appariva più urgente la necessità di costruire una società cristiana. Benedetto XV, succeduto a Pio X il 3 settembre 191455, aveva considerato la guerra 53

G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., VI-VII. G. PENCO, Storia della Chiesa in Italia nell’età contemporanea, I, Milano 1986, 3-55; D. MACK SMITH, Storia d’Italia dal 1861 al 1997, Bari 1997, 361-414. 55 Sulla figura e l’opera di Benedetto XV si veda: A. MONTICONE, Il pontificato di Benedetto XV, in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Martin, cit., XXII/1, 155-200; G. DE ROSA, Benedetto XV, EP, 608-617. 54

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«come conseguenza del fallimento della civiltà liberale, di quella società laica e anticlericale che aveva contrapposto ai valori cristiani i miti della scienza, del progresso incessante e dell’individualismo. Sin dal 1914 nell’enciclica Ad beatissimi (1° nov. 1914), aveva situato l’origine della guerra nell’abbandono della “sapienza cristiana”. All’indomani della guerra si va affermando una volontà generale tesa alla costruzione di una “società integralmente cristiana” nel contesto della crisi morale aperta dalla guerra e dell’ondata rivoluzionaria prodottasi anche in Italia. La Chiesa rivendica di essere l’unica roccia solida sulla quale si può costruire il futuro e afferma il suo fermo proposito di voler procedere alla ricristianizzazione non soltanto degli individui ma della società e degli Stati, instaurando il regno sociale del Cristo»56.

Se prima della guerra non era stato possibile attuare il progetto di un partito cattolico a motivo delle divisioni, delle incomprensioni e dei divieti posti dalla gerarchie ecclesiastiche, nelle nuove condizioni della società sembrava non solo realizzabile, ma per certi aspetti anche doveroso portarlo a compimento: era considerato il logico sbocco di tutte le iniziative e opere sociali attuate nei decenni precedenti. Il problema di fondo riguardava la sua fisionomia: si doveva riprendere l’antica denominazione di “democrazia cristiana” e farne un partito confessionale, oppure cercare una denominazione diversa e attuarlo come non confessionale, anche se ispirato ai princìpi cristiani? Don Luigi Sturzo, che aveva avviato il progetto, era per la seconda ipotesi e scelse la denominazione “Partito popolare”57. Questa decisione non fu da tutti condivisa e negli anni successivi fu più volte contestata58. In realtà c’era l’impressione che si trattasse di un proble56 J.-D. DURAND, Il cristianesimo nella prima metà del sec. XX, in Storia del cristianesimo, XII, Roma 1997, 357. L’enciclica Ad beatissimi Apostolorum Principis, considerata dallo stesso Benedetto XV programmatica del suo pontificato, può essere consultata in EE, 4/371-394. 57 G. DE ROSA, Il partito popolare italiano, Bari 1988, 1-11. 58 Alla vigilia del primo congresso di Bologna (14 giugno 1919) in un opuscolo del p. Agostino Gemelli e di don Francesco Olgiati si accusava don Sturzo di non aver posto come criterio di differenziazione dagli altri partiti la religione cattolica e di aver relegato all’ottavo punto del programma la questione della libertà e indipendenza della Chiesa (ibid., 17).

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ma più di forma che di sostanza, perché era un partito che nello statuto si dichiarava non confessionale, ma era guidato da un sacerdote e come iscritti accoglieva i cattolici che negli anni passati avevano dato vita a numerose iniziative sociali “cattoliche” con spirito intransigente. Nel 1910 la Congregazione concistoriale aveva proibito ai sacerdoti di dirigere o di prestare la propria attività nelle opere economico-sociali senza il permesso della Santa Sede59. I vescovi furono costretti a chiedere la dispensa dall’osservanza di questa norma, perché non era facile trovare personale laico in grado di sostituire il clero60. Questi stessi sacerdoti, responsabili delle casse rurali e artigiane, delle associazioni professionali e dei sindacati “bianchi”, furono anche i promotori locali del Partito popolare. Altri due problemi di particolare rilevanza restavano aperti: il fine che il nuovo partito intendeva raggiungere e il suo rapporto con le autorità ecclesiastiche. Se si considerano tutte le premesse, appare evidente che si voleva continuare nella strategia di conquista della società, mettendosi in concorrenza con le altre forze politiche: liberali, socialisti, radicali… Quanto al secondo problema, non si sapeva fino a che punto le autorità ecclesiastiche intendessero rispettare l’autonomia del nuovo partito senza interferire nelle sue scelte; ma dall’atteggiamento assunto fin da quando don Luigi Sturzo aveva manifestato il proposito di attuare il suo progetto, era facile dedurre che non avevano intenzione di stare a guardare61. Il Partito popolare fu fondato il 18 gennaio 1919 ed entrò nell’agone politico italiano in un momento molto difficile. La matrice culturale che era alla base del suo programma era costituita dai princìpi del diritto naturale e dalla dottrina sociale della Chiesa formulati nei decenni precedenti. Il rischio di conferire l’assolutezza della fede a dei princìpi elaborati dalla ragione in determinate situazioni storiche era reale. Il 6 febbraio 1922 al papa Benedetto XV succedeva Pio XI62. In quello stesso anno, dopo la marcia su Roma del 28 ottobre, a Musso59

AAS 2 (1910) 910. Vedi infra la citazione dei documenti d’archivio. 61 G. DE ROSA, Il partito popolare italiano, cit., 8-10. 62 Sulla figura e l’opera di Pio XI vedi: D. VENERUSO, Il pontificato di Pio XI, in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Martin, XXIII, Torino 1991, 29-63; 60

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lini fu affidato l’incarico di capo del governo63. Mussolini, conoscendo bene il ruolo determinante che avrebbe potuto svolgere la Chiesa per la legittimazione del suo partito e del suo disegno politico, avviò un’azione di avvicinamento: «Non mancarono, a specificare e ad accelerare l’adesione e l’appoggio di parte cattolica, le dichiarazioni e gli atti di parte fascista, le manifestazioni di rispetto, le concessioni di privilegi e di favori (il crocifisso e l’insegnamento religioso nelle scuole secondarie, lo stanziamento di tre milioni per le chiese danneggiate dalla guerra, il riconoscimento dell’Università cattolica di Milano, gli aumenti delle congrue parrocchiali e delle mense vescovili… ecc.»64.

La Santa Sede ebbe la percezione che Mussolini potesse diventare un interlocutore affidabile per risolvere la questione romana e assicurare alla Chiesa lo status privilegiato perduto con il tramonto della res publica christiana. C’era anche l’altra faccia della medaglia, «quella delle violenze fasciste non solo contro le organizzazioni del partito popolare, ma anche contro le altre associazioni cattoliche e contro singoli membri del clero: la distinzione tra le “provvide e buone” direttive del centro e le malvagie esecuzioni della periferia, caratteristica dell’iniziale discorso della gerarchia sul fascismo, era chiaramente una distinzione di comodo, della quale probabilmente erano consapevoli i suoi stessi autori. D’altra parte quelle stesse violenze, proprio perché alternate agli omaggi, costituivano un mezzo di avvertimento e di pressione che potevano rafforzare nelle gerarchie cattoliche la persuasione che fosse necessario e urgente liberarsi del partito popolare e accordarsi direttamente col fascismo»65.

G. MARTINA, La Chiesa nell’età del totalitarismo, cit., 101-125; F. MARGIOTTA BROGLIO, Pio XI, EP, 617-632; 63 D. MACK SMITH, Storia d’Italia, cit., 415-449. 64

G. MICCOLI, Chiesa e società in Italia, cit., 1521.

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In quelle condizioni don Luigi Sturzo diventava un ostacolo alle trattative con il governo fascista66. Al segretario di Stato, card. Pietro Gasparri, fu facile “suggerire” al segretario del partito popolare di rifugiarsi all’estero. Il suggerimento era giustificato dal timore che egli potesse subire la stessa sorte toccata nei mesi precedente a Giacomo Matteotti e ad Armando Casalini67. Don Luigi Sturzo con passaporto vaticano lasciò l’Italia per gli Stati Uniti il 25 ottobre 1924, tre giorni prima del secondo anniversario della marcia su Roma68. I Patti lateranensi, stipulati l’11 febbraio 1929, furono salutati con espressioni euforiche dai due contraenti, che ben presto si resero conto delle difficoltà esistenti per raggiungere gli scopi prefissi: Mussolini era riuscito ad ottenere un riconoscimento nazionale e internazionale insperato, ma costatò ben presto che non poteva realizzare il progetto di un regime assoluto di cui fosse l’unico referente; il papa da parte sua, pur mostrandosi soddisfatto di avere ottenuto molto di più di quanto era lecito sperare, comprese che l’applicazione del concordato sarebbe stata molto più difficile della sua stipula69.

Quale presenza della Chiesa nella società? La morte di Pio XI (1939) segna il limite per accedere alla documentazione conservata negli archivi della Santa Sede. Confrontando le cinque relazioni scritte dal card. Francica Nava con quella inviata

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G. DE ROSA, Luigi Sturzo, Torino 1977, 251-262. ID., Il partito popolare italiano, cit., 237-253. 68 Ibid., 239-240. 69 «Nel contesto totalitario, in virtù della alleanza concordataria, la Chiesa diventa tipico “instrumentum regni” e, nella comunità internazionale, contribuisce efficacemente alla legittimazione dello Stato totalitario agli occhi degli Stati (cattolici o non) democratici o non-totalitari; all’interno, le istituzioni cattoliche, pur ispirate essenzialmente a motivi pastorali, finiscono per trovarsi ad agire a guisa di strumento di controllo e di condizionamento sociale, a tutto vantaggio del regime politico. Sia in Italia sia in Germania, inoltre, la Chiesa sacrificò sull’altare dell’intesa concordataria qualsiasi pretesa di cattolicesimo politico (il Partito del Centro tedesco e il Partito Popolare Italiano dovettero uscire, volenti o nolenti, dalla scena politica)» (F. MARGIOTTA BROGLIO, Pio XI, cit., 624). L’iter seguito per la stipula dei Patti lateranensi è descritto da G. MARTINA, La Chiesa nell’età del totalitarismo, cit., 107-112; 67

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Introduzione

dall’arcivescovo Carmelo Patanè, è facile notare che l’atteggiamento è cambiato: se nelle prime il giudizio sulla società è ancora negativo, quando si intravede la possibilità di realizzare l’intesa con il Partito fascista il giudizio negativo prima si attenua, alla fine diventa positivo70. Questo rilievo ci permette di comprendere il tipo di presenza che la Chiesa intendeva realizzare nella società per attuare la sua missione: un modello che ricalca l’esperienza della cristianità medievale. I giudizi espressi sulla società e gli indirizzi dell’attività pastorale erano condizionati più da un’esigenza “politica” che dalla necessità della testimonianza evangelica. Ciò spiega anche la diversità dei giudizi formulati dalla storiografia sul periodo che interessa le nostre relazioni: chi fa proprio il modello ecclesiologico che guidava in quegli anni l’azione dei papi è indotto a idealizzare una certa presenza nel sociale o determinate iniziative politiche; chi invece si colloca da una prospettiva meno ideologica è in grado di formulare giudizi più aderenti alla realtà storica. Si tratta in fondo del cambiamento di prospettiva introdotto da Giovanni XXIII e fatto proprio dal Concilio Vaticano II71. Il periodo storico preso in esame è molto denso di avvenimenti, che non è nostro compito ricostruire o analizzare: il lungo e difficile travaglio della Chiesa per accettare l’unità d’Italia, la guerra d’Africa, la crisi modernista, la prima guerra mondiale, l’avvento del fascismo e la difficile attuazione del concordato del 1929. Gli stessi vescovi che hanno redatto le relazioni hanno personalità molto diverse. La figura del vescovo Giuseppe Francica Nava è stata finora considerata dall’angolo di visuale proprio del movimento cattolico, identificato con l’Opera dei congressi. Un confronto fra il G. PENCO, Storia della Chiesa in Italia, cit., 105-134; D. VENERUSO, Il pontificato di Pio XI, cit., 58-63. 70 Vedi infra la citazione dei documenti. 71 Papa Giovanni nell’enciclica Pacem in terris, dell’11 aprile 1963 (EE, 7/541712), introdusse una comprensione diversa del rapporto fra la Chiesa e il mondo. Se nei suoi predecessori — come si è visto — prevaleva un visione negativa della storia, la nozione biblica “segno dei tempi” da lui adoperata permetteva di considerare la storia come luogo in cui Dio si rivela. Questa stessa concezione fu scelta nella redazione della costituzione Gaudium et spes del Concilio Vaticano II (G. TURBANTI, Un concilio per il mondo moderno. La redazione della costituzione pastorale «Gaudium et Spes» del Vaticano II, Bologna 2000).

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Introduzione

card. Francica Nava e il suo predecessore card. Giuseppe Benedetto Dusmet è stato fatto in vita, alla luce dei giudizi di maniera formulati dai dirigenti dell’Opera. In un’ottica diversa gli stessi personaggi assumono una configurazione più oggettiva e meno ideologica. Il vescovo Carmelo Patanè raccoglie la ricca eredità di Francica Nava, da gestire nella situazione del tutto nuova che nasce dalla soluzione della questione romana e dalla stipula del concordato. Egli sembra incarnare il modello dei cattolici appagati per i traguardi conseguiti e disponibile ad una leale collaborazione con lo Stato fascista. La realtà non fu pari alle attese neppure per il vescovo di Catania, anche perché le precarie condizioni di salute non gli permisero di attuare pienamente il suo programma di governo pastorale. Tratteggiando il profilo sui vescovi che hanno governato la diocesi di Catania nella prima metà del ’900, non ho inteso scrivere la loro biografia, ma offrire al lettore i riferimenti essenziali per una corretta lettura delle relazioni inviate alla santa Sede. A coloro che volessero elaborare una trattazione più ampia di tutto un periodo storico complesso e di non facile lettura, l’apertura degli archivi ecclesiastici può consentire ricerche più approfondite.

Dal manoscritto al dattiloscritto I sei documenti dei due vescovi pubblicati in questo volume, oltre a costituire una fonte di particolare rilevanza per la storia della Chiesa di Catania, segnano il passaggio tra due diversi sistemi di scrittura e di comunicazione: mentre le relazioni del 1904 e del 1908 sono redatte con la penna e l’inchiostro dal diligente calligrafo, che copia in bella scrittura i dati forniti dalla segreteria del vescovo, a partire dal 1916 sono battute da un dispositivo meccanico. È sempre l’uomo che si serve di uno strumento per comunicare il proprio pensiero e fissarlo nel tempo, ma la penna e l’inchiostro lasciano una traccia diversa della macchina dattilografica e non pongono gli stessi problemi all’interprete che cerca di decifrarli. Se qualche altro in futuro vorrà continuare la pubblicazione di questa fonte storica potrà documentare un altro passaggio epocale nei sistemi di scrittura: dalla macchina da scrivere al computer. Come per le precedenti relazioni, i documenti sono stati tra30


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Introduzione

scritti nel rispetto sostanziale del testo: sono state sciolte le poche abbreviazioni riportate; si è fatto ricorso ai segni { } per indicare integrazioni ritenute opportune per la comprensione o la completezza dei dati; nel testo latino la j è stata trascritta con i; si è cercato di dare una certa uniformità all’uso delle maiuscole, che nei documenti originali non sembra obbedire a regole costanti.

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GIUSEPPE FRANCICA NAVA (1895-1928)

1. LA FIGURA Delle travagliate vicende che hanno contrassegnato la seconda metà dell’ ’800 e i primi decenni del ’900 il vescovo Giuseppe Francica Nava può essere considerato allo stesso tempo attento osservatore e operoso interprete1. Egli era nato a Catania il 23 luglio 18462, primo 1 Sulla figura e l’azione pastorale del vescovo Giuseppe Francica Nava si vedano: G. BLANDINI, Discorso letto […] nella solenne tornata Accademica del dì 16 gennaio 1900 […] in onore di S. Em. il Cardinale Giuseppe Francica Nava, Arcivescovo di Catania, per il suo definitivo ritorno in Diocesi, in La Luce 3 (1900) 21 gennaio, suppl. al n. 2; G. JACONO, Elogio funebre recitato dall’Ecc.mo Mons. Giovanni Jacono, vescovo di Caltanissetta nei solenni funerali degli 11 dicembre, in BE 32 (1928) 98-109; A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale Giuseppe Francica Nava, Arcivescovo di Catania, Milano 1962; G. DI FAZIO – E. PISCIONE, Un neotomista siciliano: il cardinale Giuseppe Francica Nava, in Sapienza. Rivista Internazionale di Filosofia e di Teologia 34 (1981) 3-19; G. DI FAZIO, La diocesi di Catania alla fine dell’Ottocento nella visita pastorale di G. Francica Nava, Roma 1982; ID., Francica Nava Giuseppe (1846-1928), in DSMCI, III/1, Torino 1984, 379-380; A. SINDONI, Dal riformismo assolutistico al cattolicesimo sociale, II, Roma 1984, ad indicem; G. ZITO, L’episcopato urbano della Sicilia dall’unità alla crisi modernista, in Chiesa e società urbana in Sicilia (1890-1920), Acireale 1990, 67-133; ID., Da diplomatico a pastore. Francica Nava in due discorsi di S. Nicotra e G. Blandini, in Synaxis 14 (1996) 287-321. Il discorso di Blandini è quello pubblicato in La Luce, cit.; G. MONSEGRATI, Francica Nava Giuseppe, in DBI, 50, Roma 1998, 140-142; A. LONGHITANO, Per una ricerca sulla Chiesa di Catania e il fascismo, in C. DOLLO (cur.), Per un bilancio di fine secolo. Catania nel Novecento. Atti del II Convegno di studio (1921-1950), Catania 2000, 53-82; G. SANSONE, Francica Nava Giuseppe, in F. ARMETTA (cur.), Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Secc. XIX e XX, III, Caltanissetta – Roma 2010, 1326-1328. 2 I dati personali di Giuseppe Francica Nava e il percorso formativo per giungere al presbiterato e avviarsi alla carriera diplomatica sono desunti dalla documentazione acclusa al processo informativo per la sua nomina vescovile. Egli fu battezzato in casa dallo zio Giovanni Guttadauro, decano del capitolo cattedrale di Catania, il 28 luglio 1846, con la licenza del vescovo Felice Regano. La famiglia abitava allora nella circoscrizione della chiesa sacramentale Santa Maria dell’Aiuto (Proc Dat 245, fol. 44r) e cioè nel palazzo Valdisavoia (oggi sito in via Vittorio Emanuele 302), di cui il proprietario Gaspare Gravina, padrino di battesimo di Giuseppe, aveva messo a disposizione dei giovani sposi Francica Nava il piano nobile. Successivamente la

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Giuseppe Francica Nava (1895-1928)

di cinque figli, da Giovanni Francica Nava, barone di Bontifè3, e da Caterina Guttadauro, dei prìncipi di Reburdone, quando in Europa si era conclusa la restaurazione ed era iniziata la rivoluzione liberale. Come primogenito ereditava il titolo nobiliare e avrebbe dovuto succedere al padre nel governo della famiglia e nell’amministrazione del patrimonio. Intraprese invece una strada diversa non per una scelta personale e cosciente; infatti «nella tenera età di sei anni», quando non era ancora in grado di decidere sul proprio futuro, «fu ammesso nel seminario vescovile di Catania, vestì l’abito clericale e vi dimorò con lo zio materno, rettore di detto seminario, il decano di quella chiesa cattedrale D. Giovanni Guttadauro di Reburdone». A dodici anni, quando lo zio fu nominato vescovo di Caltanissetta, lo seguì, e in quella città «ebbe la sua educazione e fece i suoi primi studi fino al sacerdozio»4. Anche se la scelta iniziale dello stato ecclesiastico fu fatta dai suoi familiari, alla luce degli avvenimenti successivi si può affermare che egli l’accettò di buon grado e si adoperò al meglio delle sue possibilità per viverla con convinzione e con frutto. famiglia si trasferì in via Penninello e, alla morte dei nonni paterni di Giuseppe, in piazza Asmundo, nel palazzo Francica Nava. Dei due cognomi della sua casata il nostro arcivescovo, anche nel firmare la corrispondenza, utilizzerà quasi sempre il secondo e nel linguaggio corrente ancora oggi è indicato come «il cardinale Nava». 3 La famiglia Francica era originaria da Lentini, dove nel 1417 Aurelio Francica si era trasferito da Taranto, in seguito alla condanna all’esilio da parte del re Alfonso. La famiglia Nava era venuta in Sicilia con il re Martino e successivamente si era messa al servizio di re Alfonso, da cui ebbe delle proprietà nel territorio di Lentini. Nel secolo XVII le due famiglie si fusero e gli eredi ebbero tra gli altri in titolo il feudo di Bontifè nel territorio dell’attuale provincia di Siracusa (G. MUGNOS, Teatro genologico delle famiglie del regno di Sicilia, Palermo 1647-1670, I, 363-364, II, 251253; F.M.E. VILLABIANCA, Della Sicilia nobile, Palermo 1754-1775, III, 522-524). 4 Proc Dat 245, fol. 42-46. Giovanni Guttadauro volle che il nipote dodicenne lo accompagnasse a Roma, dove il 9 gennaio 1859, nella basilica dei Santi Apostoli, fu consacrato vescovo dall’influente card. Girolamo D’Andrea, suo probabile referente a Roma, assistito dall’arcivescovo di Monreale Benedetto D’Acquisto e dal patriarca di Antiochia Melchiorre Ferlisi da Casteltermini (F. PULCI, Lavori sulla storia ecclesiastica di Caltanissetta, Caltanissetta 1977, 70; A. SINDONI, Dal riformismo, cit., II, 60; G. MONSEGRATI, D’Andrea Girolamo, in DBI, 32, Roma 1986, 539-545). Nel marzo di quello stesso anno Giuseppe Francica Nava ricevette il sacramento della cresima dallo zio vescovo nella cattedrale di Caltanissetta. Fu padrino il sacerdote Girolamo D’Andrea da Mussomeli, rettore del seminario (Proc Dat 245, fol. 43r; F. PULCI, Lavori, cit., 233; A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 33-34).

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a) La formazione e l’ordinazione presbiterale Giovanni Guttadauro5 era il secondo vescovo di Caltanissetta e non disponeva ancora del seminario diocesano6. Il nipote Giuseppe alloggiava nell’episcopio e frequentava con gli altri candidati al sacerdozio le scuole dei gesuiti7. Per il corso teologico furono incaricati docenti insigniti di grado accademico, che tenevano le lezioni in locali provvisori8. Tutte le vicende politiche e sociali che contrassegnarono la storia di quegli anni furono vissute da Giuseppe a fianco dello zio vescovo: lo sbarco di Garibaldi a Marsala, le decisioni da lui prese come prodittatore di Sicilia, la fine del Regno delle Due Sicilie, la proclamazione del Regno d’Italia, le leggi di soppressione delle corporazioni religiose e del patrimonio ecclesiastico… Il giovane seminarista non aveva ancora ricevuto il presbiterato quando Pio IX promulgò il Sillabo, che segnò il definitivo rifiuto della società contemporanea da parte delle gerarchie ecclesiastiche e un atteggiamento di ferma intransigenza nello svolgimento della loro azione pastorale. Giuseppe, vivendo in episcopio, ebbe la possibilità di conoscere dal vivo anche la tragica realtà quotidiana del popolo: nel 1863 operò al fianco dello zio per far fronte alle conseguenze del disastro nella miniera di Tribonella, in cui morirono 82 zolfatai, e nel 1867 all’epidemia di colera9. Il modello di riferimento per la valutazione di tutti questi avvenimenti da parte del giovane seminarista, fu quello dello zio vescovo,

5 Sulla sua vita e il suo ministero episcopale si vedano: G. BLANDINI, Elogio funebre di Monsignor Giovanni Guttadauro, Noto 1896; F. PULCI, Lavori, cit., 69-91; A. SINDONI, Giovanni Guttadauro. Un vescovo siciliano dall’Unità ai moti sociali di fine secolo, in Chiesa e religiosità in Italia dopo l’Unità (1861-1878). Atti del quarto Convegno di Storia della Chiesa. La Mendola, 31 agosto – 5 settembre 1971, 4/1, Milano 1973, 251-295; ID., Dal riformismo assolutistico, cit., ad indicem; C. NARO, Momenti e figure della Chiesa nissena dell’Otto e del Novecento, Caltanissetta 1989, 95-114. 6 Le vicende che riguardano la fondazione e la vita del seminario di Caltanissetta sono esposte da F. PULCI, Lavori, cit., 213-241. 7 A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 36. 8 F. PULCI, Lavori, cit., 234. 9 Ibid., 74-76; A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 49-53.

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Giuseppe Francica Nava (1895-1928)

una persona aristocratica che, partendo da posizioni legittimiste e intransigenti10, si aprì man mano alle nuove istanze dei tempi11. Giuseppe Francica Nava ricevette l’ordinazione presbiterale il 22 maggio 1869 nella cattedrale di Caltanissetta12. Dopo aver trascorso diversi mesi nella casa paterna a Catania con la madre vedova, nel successivo mese di dicembre in compagnia dello zio — che doveva partecipare al Concilio Vaticano I — si trasferì a Roma per conseguire i gradi accademici nelle università pontificie e avviarsi alla carriera diplomatica13.

b) Il completamento degli studi a Roma La sua dimora a Roma si protrasse fino al 1879: per i primi quattro anni frequentò il corso di laurea in teologia presso l’universi10 Il vescovo Giovanni Guttadauro manifestò in diverse occasioni la sua intransigenza: nel 1861 fu l’unico vescovo dell’isola a non apprestare la funzione religiosa per la festa dello Statuto e dell’Unità d’Italia. Nel 1862 per evitare l’incontro con Garibaldi, che si era fermato a Caltanissetta in preparazione all’impresa di Aspromonte, si allontanò dalla diocesi. Nel 1863 non volle accettare l’ispezione del seminario stabilita dal ministro della pubblica istruzione, che decretò la chiusura dell’istituto. Nel 1866, dopo le leggi eversive, proibì che i beni ecclesiastici venissero acquistati per essere ceduti nuovamente agli antichi proprietari. Nel 1881 fu l’unico vescovo di Sicilia che si rifiutò di rendere omaggio ai sovrani in visita a Caltanissetta (F. PULCI, Lavori, cit., 71-75; A. SINDONI, Giovanni Guttadauro, cit.; ID., Dal riformismo, cit., II, 65-73). 11 Nonostante gli episodi di rifiuto intransigente sopra citati, il Guttadauro in diverse occasioni fu considerato un moderato dalle autorità civili per il modo con cui affrontò alcuni problemi delicati riguardanti il popolo e l’ordine pubblico. Dopo i tragici fatti dei fasci siciliani fu molto apprezzata una sua circolare al clero con l’invito a farsi carico dei problemi dei lavoratori (F. PULCI, Lavori, cit., 89-90; A. SINDONI, Giovanni Guttadauro, cit., 280; ID., Dal riformismo, cit., 67-70). 12 Nella documentazione presa in esame c’è qualche incertezza sul problema dell’incardinazione del sacerdote Giuseppe Francica Nava. La curia di Caltanissetta era del parere che egli con l’ordinazione presbiterale era entrato a far parte del clero nisseno, mentre per le ordinazioni precedenti era stato necessario il nulla osta dell’arcivescovo di Catania (Proc Dat 245, fol. 46r). Nel processo informativo leggiamo più volte che Giuseppe Francica Nava era sacerdote della diocesi di Catania (ibid., 36r, 39r-v, 57r). 13 Ibid., fol. 46v. Giovanni Guttadauro al Concilio Vaticano I fu l’unico vescovo siciliano antinfallibilista (F. PULCI, Lavori, cit., 76; A. SINDONI, Giovanni Guttadauro, cit., 286; ID., Dal riformismo, cit., II, 156-160).

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tà Gregoriana; successivamente si iscrisse al corso di laurea in utroque iure presso il seminario di Sant’Apollinare e infine completò la sua formazione frequentando gli studi di diplomazia presso la pontificia Accademia dei nobili ecclesiastici14. Il suo comportamento e il profitto negli studi avranno richiamato l’attenzione dei superiori se nel 1877, dopo avere avuto da Pio IX l’onorificenza di cameriere segreto, svolse la prima missione diplomatica, portando al presidente della Repubblica di Francia, Patrice de Mac Mahon, il berretto cardinalizio per l’arcivescovo di Lione Ludovico Caverot. In cambio fu insignito della decorazione di ufficiale della Legion d’onore15. I dieci anni trascorsi a Roma servirono al sacerdote Francica Nava per completare la propria formazione dottrinale, ma soprattutto per acquisire quella “mentalità romana” che possiamo considerare una delle caratteristiche del suo episcopato. Non mi riferisco solamente agli studi compiuti presso tre istituti simbolo della Roma papale, ma a tutti gli avvenimenti che egli visse ed ebbe la possibilità di interpretare secondo i parametri romani con l’aiuto dei suoi professori o superiori16: la presa di Roma del 20 settembre 1970, la Comune di Parigi del 18 marzo 1871, l’approvazione della legge delle guarentigie da parte del parlamento italiano del 13 maggio 1871, il programma Kulturkampf avviato in Germania nello stesso anno da Otto von Bismarck, la fondazione dell’Opera dei congressi a Venezia il 12 giugno 1874, la “rivoluzione parlamentare” della sinistra di De Pretis nel 1876, la morte di Pio IX e l’elezione di Leone XIII nel 1878, la pubblicazione dell’enciclica Aeterni Patris sugli studi tomistici il 4 agosto

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Proc Dat 245, fol. 42r. L. c. 16 Il vescovo Giovanni Jacono nell’elogio funebre così descrive l’ambiente e le persone incontrate nei dieci anni trascorsi a Roma: «All’Accademia occupò l’appartamento dove era stato alunno Leone XIII e trascorse anni veramente fruttuosi sotto la guida del Cardinal Schiaffino e alla scuola dei Cardinali Franzelin e Patrizi, del p. Ballerini e di altri sommi. Per grande ventura ebbe compagni maggiori, il Rampolla, i fratelli Vannutelli e, nell’ultimo periodo, i sopravvenuti condiscepoli Valfrè di Bonzo, Bisleti e Giacomo della Chiesa, il futuro Benedetto XV. In questo cenacolo di dotti, di santi, di pionieri della Santa Sede, il Nava respirò per dieci anni le aure sacre della Città eterna» (G. JACONO, Elogio funebre, cit., 99). 15

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187917. Subito dopo egli fu richiamato a Caltanissetta dallo zio vescovo perché lo aiutasse nel suo governo pastorale18. Forte della sua lunga esperienza romana, il sacerdote Francica Nava fu tra i fondatori dell’Accademia filosofico-teologica San Tommaso19. Per la sua inaugurazione il 7 marzo 1881 tenne una conferenza sul tema De concordia rationis et fidei iuxta doctrinam D. Thomae Aquinatis20. Nello sviluppo del tema egli dimostra di aver compreso lo spirito dell’enciclica. Infatti «più che di una vera e propria riflessione filosofica si trattava di una messa a punto pedagogico-pratica sul ruolo del tomismo nella moderna cultura cattolica e sulla sua utilizzabilità ai fini di un superamento dell’annoso contrasto scienza-fede. Nel complesso non era un contributo di pensiero di grande originalità; l’adesione al tomismo si caratterizzava più come premessa a una riscossa della Chiesa e a una riaffermazione della sua regalità che come spinta al rinnovamento della cultura cattolica»21.

In diocesi ricoprì gli uffici di rettore del seminario e di docente di teologia, storia ecclesiastica e canto fermo; fu nominato pro vicario generale e cooptato nel capitolo della cattedrale come canonico ad honorem22.

17 EE, 3/49-110. Il 4 marzo 1879 dallo stesso papa Leone XIII Francica Nava aveva avuto l’onorificenza di prelato domestico (Proc Dat 245, fol. 43r). 18 L. c. 19 «Istituitasi a Caltanissetta l’accademia filosofico-teologica di San Tommaso d’Aquino, egli ne fu nominato vice presidente […]. Si occupò alacremente nell’esercitare i suoi discepoli nelle dispute teologiche secondo il sistema degli scolastici» (ibid., fol. 46r-47v; F. PULCI, Lavori, cit., 81; A. SINDONI, Dal riformismo, cit., II, 151-154). 20 La relazione fu pubblicata a Palermo nel 1882. 21 G. MONSEGRATI, Francica Nava Giuseppe, cit., 140. Un giudizio analogo è formulato da G. SANSONE, Francica Nava Giuseppe, cit., ma le notizie riferite sono alquanto imprecise. 22 «Per domanda fattane da quel capitolo cattedrale fu nominato da monsignor Vescovo canonico onorario, indi pro Vicario generale, di cui esercitò solamente l’ufficio negli affari di qualche rilievo della curia e nelle cause matrimoniali, essendovi già un Vicario generale. Per tre anni ha dettato lezioni di Teologia dommatica

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c) Vescovo ausiliare di Caltanissetta e nunzio apostolico in Belgio Dopo la lunga e accurata preparazione romana per il sacerdote Giuseppe Francica Nava l’attesa dei primi riconoscimenti non si protrasse per lungo tempo. Erano appena trascorsi quattro anni dal suo rientro a Caltanissetta quando, il 9 agosto 1883, all’età 37 anni, giunse la nomina di vescovo titolare di Alabanda e ausiliare del vescovo di Caltanissetta23. Le norme canoniche riservavano al romano pontefice la consacrazione dei vescovi eletti. Il designato vescovo di Alabanda chiese a Leone XIII che fosse lo zio vescovo a consacrarlo a Caltanissetta, dal quale aveva già ricevuto i sacramenti del battesimo, dell’eucaristia, della confermazione e dell’ordine sacro24. La domanda fu accolta e Giuseppe Francica Nava fu consacrato nella cattedrale di Caltanissetta il 21 ottobre 1883 da mons. Guttadauro, con l’assistenza dei fratelli Giovanni e Gaetano Blandini, il primo vescovo di Noto, il secondo coadiutore di Agrigento25. in quel seminario […]. Si dedicò ad insegnare i chierici nel canto fermo, introducendo il canto sacro nelle funzioni ecclesiastiche. Deputato Rettore del seminario diocesano al principio dell’anno scolastico 1882-1883, si dedicò con grande amore alla direzione del chiericato, sovvenendo generosamente i chierici poveri» (Proc Dat 245, fol. 47v). 23 HC, VIII, 83. Francesco Pulci dà questa descrizione dell’iter della nomina: «Questo capitolo cattedrale che in vista de’ preclari meriti di mons. Nava si era, sin dal 1879, pregiato di averlo nel numero dei suoi canonici onorari, desiderò di vederlo elevato in più alto grado della gerarchia ecclesiastica perché coadiuvasse lo zio nell’episcopal ministero e lo avesse un giorno a successore dello stesso in diocesi. Scrisse pertanto rispettosa supplica a Sua Santità, pregando mons. Guarino traslato da Siracusa a Messina a volerla presentare e raccomandare al papa. Questi benevolmente l’accolse e con biglietto dell’uditore santissimo del 30 giugno 1883 avvisò al Guttadauro l’elezione del nipote Nava a vescovo coadiutore con diritto a futura successione dandogli il titolo di Alabanda. Saputasi da questi la nomina mentre da Palermo preparavasi a partire per Lourdes in pellegrinaggio volò a Roma per rassegnare le ragioni di sua dimissione; Leone XIII apprezzando il delicato pensiero del Nava in riguardo allo zio cambiò la nomina di coadiutore in quella di vescovo ausiliare» (F. PULCI, Lavori, cit., 84). Il particolare della nomina di coadiutore cambiata in quella di ausiliare è riferito anche da Giovanni Blandini nel discorso pronunziato il 16 gennaio 1900 per il ritorno definitivo di Francica Nava a Catania (G. BLANDINI, Discorso, cit.). 24 A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 83. 25 F. PULCI, Lavori, cit., 85; A. SINDONI, Dal riformismo, cit., II, 150-151.

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Per sei anni svolse il ministero episcopale come ausiliare dello zio, che il processo informativo per la traslazione alla sede titolare di Eraclea riassume con un linguaggio conciso e formale: «Celebrò le sagre ordinazioni, fece i solenni pontificali, dispensò la parola di Dio ai fedeli, amministrò i santi sagramenti, specialmente quello della cresima, con zelo ed edificazione dei fedeli»26.

Che egli non fosse destinato a restare a Caltanissetta per succedere allo zio, fu chiaro in un breve discorso di Leone XIII nell’udienza concessa a un nutrito gruppo di fedeli nisseni che, guidati dal vescovo ausiliare, si erano recati in pellegrinaggio a Roma nel gennaio del 1888 per il giubileo papale: «Leone XIII ebbe parole lusinghiere pel loro duce e poi lepidamente giocando sul nome: “Nava, disse, è nave che faremo viaggiare per lontane spiagge a bene della Chiesa cattolica”»27.

Le spiagge alle quali il giovane vescovo doveva approdare erano quelle della nunziatura apostolica del Belgio. Il 29 maggio 1889 ebbe la nomina di arcivescovo, fu trasferito alla sede titolare di Eraclea e il 6 giugno successivo gli fu comunicata la nomina di nunzio apostolico presso il re dei belgi28. La scelta di una sede così impegnativa per una persona che aveva una buona preparazione dottrinale, ma che non aveva ancora una solida esperienza di lavoro diplomati-

26 Proc Dat 251, fol. 427r. Il vescovo Giovanni Jacono nell’elogio funebre adopera un linguaggio diverso: «E il nipote, vescovo ausiliare, fresco e prudentissimo, emulò le gesta dello zio nel prodigare se stesso e le rendite del privato patrimonio alla formazione dei chierici, al sollievo dei poveri, all’insegnamento del catechismo, all’incremento del culto eucaristico, alla riforma del canto sacro e della liturgia […]. C’erano allora chierici di Caltanissetta che studiavano a Roma a spese dello zio e quelli che colà erano mantenuti dal munifico nipote. Fu quello per la or mia diletta diocesi di Caltanissetta l’epoca d’oro che preparò un clero colto, pio, zelante e assai modesto, dal quale sono usciti sei vescovi che oggi vegliano e faticano sugli spalti di cinque diocesi e di una nunziatura apostolica» (G. JACONO, Elogio funebre, cit., 100). 27 F. PULCI, Lavori, cit., 87. 28 HC, VIII, 302. Il processo informativo per il suo trasferimento alla nuova sede titolare si trova in Proc Dat 251, fol. 419r-429r.

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co, fa comprendere la stima di cui egli godeva nella Curia romana. Da notare che lo stesso Leone XIII, essendo stato nunzio apostolico in Belgio dal 1844-184629, conosceva bene i problemi che il giovane prelato avrebbe dovuto affrontare e risolvere. Il tema più complesso, che richiedeva allo stesso tempo intelligenza e prudenza, riguardava la condizione della presenza dei cattolici nella vita politica: «Le istruzioni con cui il Francica Nava arrivava a Bruxelles il 9 luglio gli illustravano la situazione interna del Belgio; ricordandone l’economia florida, l’industria in espansione, un movimento operaio sviluppato ma poco conflittuale; la Segreteria di Stato romana individuava il solo vero motivo di preoccupazione nelle divisioni delle forze politiche organizzate, di quelle liberali all’opposizione ma anche di quelle cattoliche al governo, spaccate quest’ultime tra il sostegno al primo ministro A. Beernaert, moderato ma sorretto da forti consensi nella borghesia medio-piccola, e il suo avversario C. Woeste, ex ministro della Giustizia più vicino al movimento cattolico di base e quindi più incline a inasprire lo scontro con le opposizioni: “conservare l’equilibrio e la giusta misura tra le diverse aspirazioni d’ambedue”, suggerivano in proposito le istruzioni del Vaticano cui il Francica Nava si attenne prudentemente»30.

Non minore attenzione esigeva la vigilanza sul modello dottrinale e formativo del clero; l’esperienza che egli maturò in questo campo fu molto arricchente per il suo futuro ministero episcopale di Catania. Egli auspicò e favorì il miglioramento della preparazione del clero. «In tal senso va sottolineato il suo appoggio alla fondazione dell’Istituto superiore di filosofia tomistica presso l’università di Lovanio (1889) che, affidato alle cure di D. Mercier, nel corso degli anni si sarebbe ampliato affiancando agli originari corsi di filosofia e scienze una scuola di scienze sociali e politiche. Non sempre

29 30

F. MALGERI, Leone XIII, cit., 576-577. G. MONSEGRATI, Francica Nava Giuseppe, cit., 140.

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questo fervore parve produttivo al Francica Nava […] ma nell’insieme questa parte della sua esperienza belga lo persuase dell’efficacia dell’iniziativa lovaniese ai fini della formazione dei futuri ecclesiastici»31.

La stima che nutrì per Desiré Mercier lo indusse a sostenerlo nelle sue iniziative culturali e costituì la premessa per il rapporto di amicizia e di collaborazione sviluppatosi negli anni del suo episcopato a Catania32. Alcuni avvenimenti accaduti mentre Francica Nava era nunzio in Belgio furono determinanti per l’indirizzo della sua futura azione pastorale: il 15 maggio 1891 Leone XIII pubblicò l’enciclica Rerum novarum, che contribuì a creare una mentalità nuova e a far sorgere una serie di iniziative più rispondenti alle esigenze dei tempi; in quello stesso anno i socialisti estesero in Italia la propria organizzazione con la fondazione della Camera del lavoro e la diffusione dei fasci dei lavoratori; la diffusione dei fasci portò alle manifestazioni di piazza, all’occupazione simbolica delle terre, alla morte nel 1893 di 13 manifestanti a Caltavuturo e nel 1894 alla repressione del governo con l’arresto e la condanna dei capi33. Il nunzio apostolico si trovò emotivamente coinvolto in due esperienze contrastanti: quella dei cattolici belgi, che — sia pure in un contesto del tutto diverso — erano riusciti a progettare ed attuare una pastorale sociale organica e a realizzare un’in31 Ibid., 140-141. Sull’attività di Francica Nava come nunzio apostolico in Belgio è interessante la testimonianza del suo ex segretario di nunziatura mons. Sebastiano Nicotra, contenuta nella conferenza pubblicata in appendice allo studio di G. ZITO, Da diplomatico a pastore, cit., 306-311. 32 «In quel tempo faceva i primi arringhi nell’insegnamento nella filosofia neoscolastica in armonia al progresso scientifico moderno un giovane professore, contro il cui metodo si spargevano diffidenze che giungevano fino a Roma, in Vaticano. Il Nunzio Apostolico, dal fino intuito, dalle vedute larghe e rette, tolse a difendere il non compreso professore e lo propose piuttosto al plauso della Santa Sede. Quel professore che assorse al fastigio di un nome assai celebrato, il Cardinal Mercier, rimase tanto grato al suo difensore, da visitarlo poscia a Madrid e qui a Catania» (G. JACONO, Elogio funebre, cit., 100; A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 99101; 113-115; G. DI FAZIO – E. PISCIONE, Un neotomista siciliano, cit.). 33 F. RENDA, Socialisti e cattolici in Sicilia (1892-1894), Caltanissetta-Roma 1972; ID., I fasci siciliani, 1892-1894, Torino 1977; A. SINDONI, Dal riformismo, cit., I, 1-52.

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cisiva presenza politica34; quella della Sicilia, dove la Chiesa appariva del tutto impreparata ad affrontare la questione operaia e non riusciva a trovare un atteggiamento unitario e coerente dinanzi alla dura repressione del governo35. La situazione sociale e politica della Sicilia non era cambiata molto dal tempo dei borboni: la maggior parte dei lavoratori era dedita all’agricoltura; non esistevano ancora grandi insediamenti industriali che richiamavano masse di operai e ponevano i problemi legati alle condizioni del lavoro e ai diritti dei lavoratori; nelle miniere il lavoro si svolgeva ancora nelle stesse condizioni del passato36. La Chiesa non si era posto il problema di aiutare i lavoratori a prendere coscienza dei loro diritti. Nella formazione che si impartiva ai soci delle confraternite, dei terzi ordini e dei sodalizi di varia natura questo aspetto veniva ignorato. Gli stessi vescovi non erano preparati ad affrontare i nuovi problemi della società. In gran parte provenivano dalla nobiltà siciliana, di cui condividevano la mentalità e i giudizi. Si sentivano ancora parte della struttura sociale e politica che li aveva scelti e alla quale pensavano di dover rendere conto. Il movimento cattolico legato all’Opera dei congressi, anche se era sostenuto da Roma, non aveva trovato le condizioni favorevoli al suo

34 Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, IX, Milano 1979, 128-141; W. BECcattolicesimo sociale in Europa, in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Martin, XXII/1, Torino 1990, 247-253. 35 Si nota una certa sensibilità sociale e pastorale nella nota inviata al clero dal vescovo di Caltanissetta Giovanni Guttadauro, apprezzata dai contemporanei e giustamente ricordata da coloro che hanno ricostruito gli avvenimenti di questo periodo: «Il Guttadauro […] il 12 ottobre 1893 diramò una circolare ai parroci, che è già stata notata da qualche storico […], ma di cui mi pare non sia stata colta sufficientemente l’importanza che, a mio avviso, risalta di più se la si confronta con le lettere pastorali scritte per l’occasione dai vescovi siciliani. In nessuna di esse infatti — a parte alcuni passi soprattutto in quelle di monsignor Blandini e del Gerbino — è possibile cogliere una organica, anche se rapida, analisi della realtà socio-economica di una zona della Sicilia; analisi che, nelle sue conclusioni pratiche, si ispirava ai princìpi della Rerum Novarum» (A. SINDONI, Giovanni Guttadauro, cit., 292-293; ID., Dal riformismo, cit., II, 165-182). Sul tema si veda anche F. PULCI, Lavori, cit., 88-89. 36 F. RENDA, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, II, Palermo 1985, 155-182; G. BARONE, Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), in M. AYMARD – G. GIARRIZZO (cur.), Storia d'Italia. Le Regioni. La Sicilia, Torino 1987, 189-370.

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sviluppo37, perché i vescovi mostravano una certa ritrosia mista a prudenza38. La stessa pubblicazione della Rerum novarum non aveva suscitato grandi entusiasmi nelle Chiese di Sicilia39. I moti del 1893 provocarono un trauma e una svolta. Il timore che la Chiesa perdesse il contatto con i lavoratori, dopo aver perduto quello con la borghesia, divenne concreto e i vescovi cercarono di correre ai ripari40. L’unica organizzazione cattolica, in grado di far fronte alla drammatica situazione che si era creata, sembrava fosse l’Opera dei congressi e fu gioco forza far propri i suoi programmi e il suo metodo di lavoro. Il nuovo indirizzo pastorale fu considerato come la svolta che dava finalmente alla Chiesa la possibilità di mantenersi al passo con i tempi e di tentare la riconquista della società. Non tutti i vescovi aderirono con lo stesso zelo al nuovo modello pastorale. Le loro posizioni rispondevano a visioni diverse: c’erano i vescovi più preoccupati per la salvaguardia della proprietà e per la difesa dell’ordine pubblico, che preferivano un approccio “religioso” alla questione sociale e consigliavano la “cristiana rassegnazione”; c’erano coloro che volevano l’apertura al sociale ma non condividevano l’indirizzo intransigente dell’Opera dei congressi; alcuni invece accettarono con entusiasmo il modello “leoniano”, che prevedeva l’apertura al sociale e il programma fatto proprio dal movimento cattolico intransigente41. 37

G. DE ROSA, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Bari 1978, 145-

166. 38

S. TRAMONTIN, Società, religiosità e movimento cattolico nell’Italia meridionale, Roma 1977, 161-192. 39 «La Rerum Novarum di Leone XIII, a due anni dalla sua pubblicazione, restava ancora nell’isola un documento largamente incompreso e generalmente inapplicato» (F. RENDA, Storia della Sicilia, cit., 200). 40 C. NARO, Il movimento cattolico a Caltanissetta (1893-1919), Caltanissetta 1977, 11-13; ID., La Chiesa di Caltanissetta tra le due guerre, I, Caltanissetta – Roma 1991, 57-58; F.M. STABILE, La Chiesa nella società siciliana, Caltanissetta-Roma 1992, 53-62. 41 Gli elementi più rappresentativi di questo gruppo erano i vescovi Giovanni Guttadauro di Caltanissetta, Giovanni Blandini di Noto, Gaetano Blandini di Agrigento, Saverio Gerbino di Caltagirone. Giuseppe Francica Nava era nunzio apostolico a Bruxelles, ma si sentiva in sintonia con questo gruppo per la sua formazione e per i molteplici vincoli che lo legavano allo zio e ai fratelli Blandini (A. SINDONI, Dal riformismo, cit., II, 201-204).

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Il modello “leoniano” fu ritenuto metro di giudizio per la valutazione del programma pastorale dei vescovi: chi si rifiutava di accoglierlo veniva considerato uomo del passato o privo di zelo per il bene della sua Chiesa. Era il criterio adoperato dai dirigenti dell’Opera dei congressi nei confronti dei vescovi che non si erano dimostrati solleciti ad erigere il comitato diocesano e i comitati parrocchiali. Questo giudizio finì per condizionare anche gli storici, che non sempre sono riusciti a formulare una valutazione obiettiva e serena dei protagonisti e delle vicende di questo periodo42.

d) Arcivescovo di Catania: incertezze, compromessi e ripensamenti per la nomina Il 4 aprile 1894, quando non si era conclusa la repressione del movimento dei fasci dei lavoratori, moriva l’arcivescovo Giuseppe Benedetto Dusmet e il capitolo della cattedrale eleggeva come vicario capitolare il vescovo ausiliare Antonino Caff, che avrebbe governato la diocesi per oltre un anno43. La scelta del successore si presentava difficile, sia per il vuoto che lasciava un vescovo dalla ricca personalità come il card. Dusmet, sia per le fazioni che normalmente si formano in questi casi. A parte le simpatie o antipatie che ogni persona di governo suscita nell’ambiente in cui opera, avevano un certo peso i giudizi sul modello pastorale da lui prescelto. Il Dusmet non si era dimostrato molto incline a favorire l’Opera dei congressi a motivo dell’atteggiamento intransigente che caratterizzava la sua azione44. Questa sua scelta ad alcuni lo faceva apparire come un personaggio

42 A volte le posizioni dei vescovi sono ricondotte al consueto schema “conservatori/progressisti” e in quest’ultima categoria sono compresi i vescovi “leoniani”; a volte si considera l’Opera dei congressi come il movimento che in un certo momento storico ha attuato l’azione riformatrice della Chiesa (A. SINDONI, Dal riformismo, cit., II, 165-207). 43 Sulla figura del vescovo Antonino Caff si veda G. ZITO, La cura pastorale a Catania negli anni dell’episcopato Dusmet (1867-1894), Acireale 1987, 123-133. 44 È illuminante a tal fine la lettera inviata il 2 marzo 1881 al vescovo ausiliare di Palermo Domenico Lancia di Brolo, riportata nel profilo del Dusmet (Relazioni, II, 783).

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superato, incapace di far propria la nuova linea pastorale proposta da Leone XIII. Coloro invece che avevano apprezzato la sua mitezza, la carità esercitata personalmente nei quartieri poveri di Catania, la scelta di accogliere e aiutare tutti, anche gli “avversari politici”, temevano che questa preziosa eredità potesse essere dispersa da un vescovo ligio allo stile rigido e combattivo della nuova linea pastorale. La lunga trama delle informazioni, che hanno preceduto la nomina di Giuseppe Francica Nava, è stata ricostruita sulla base della documentazione conservata nel fondo Uditore di Sua Santità dell’Archivio Segreto Vaticano e siamo in grado di conoscere le motivazioni di questa scelta45. Le ipotesi di successione formulate dal clero erano strettamente legate all’appartenenza ad una delle due fazioni dei favorevoli o dei contrari all’operato del defunto vescovo Dusmet: coloro che speravano nella continuità auspicavano la nomina del vescovo ausiliare Antonino Caff, chi invece voleva un cambio di indirizzo avanzava l’ipotesi di un trasferimento a Catania del nunzio apostolico Giuseppe Francica Nava o di uno dei due fratelli Blandini: Gaetano, vescovo di Agrigento, o Giovanni, vescovo di Noto. L’arcivescovo di Messina, card. Giuseppe Guarino, incaricato da Leone XIII di verificare la possibilità di trasferire a Catania uno dei vescovi siciliani, escludeva questa ipotesi. In linea di principio egli riteneva che nessuno dei vescovi delle diocesi siciliane avesse i requisiti per governare una sede così impegnativa ed esigente come Catania46. Formulando poi il suo giudizio sui nomi che venivano fatti, sconsigliava la nomina di qualcuno del partito avverso al defunto vescovo Dusmet e fra di loro includeva Giovanni Blandini e Giuseppe Francica Nava47. Per il primo aggiungeva una seconda motivazione alla sua 45 G. ZITO, L’episcopato urbano della Sicilia, cit., 67-133; ID., Da diplomatico a pastore, cit. 46 ID., L’episcopato urbano della Sicilia, cit., 84. 47 Il Guarino in una lettera inviata al card. Celesia di Palermo scriveva che riteneva non indovinata la nomina di Blandini oppure quella di Francica Nava per i loro legami con «gli oppositori del cessato regime» del Dusmet (ibid., 83). Nelle informazioni inviate a Roma affermava che la candidatura di Francica Nava veniva caldeggiata dal «partito avverso al card. Dusmet» al fine di «mettere ostacoli, anche dopo morto, alle opere e alle persone devote al lodato card. Arcivescovo» (ibid., 85). Lo stesso Francica Nava, scrivendo all’Uditore, quando ormai era stato deciso il suo trasferimento a Catania, formulava questo giudizio sul Dusmet: «meritatamente go-

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esclusione: era di «bassi natali» e non sarebbe stato bene accolto dall’aristocrazia catanese. Guarino invece si dichiarava favorevole alla nomina dell’ausiliare Antonino Caff per assicurare la continuità di governo; in subordine proponeva la ricerca di una persona estranea all’ambiente catanese48. Le due proposte del Guarino si dimostrarono inattuabili, perché non si ritenne opportuno nominare il vescovo ausiliare a causa di alcune ombre sul suo operato e perché i soggetti estranei all’ambiente catanese segnalati come possibili candidati non risultarono idonei o rifiutarono di accettare la nomina49. Giuseppe Francica Nava sapeva di essere nella lista dei candidati e supplicava il card. Giuseppe Guarino che lo aiutasse a scongiurare l’eventualità di un suo trasferimento. Anche lo zio, il vescovo di Caltanissetta Giovanni Guttadauro, implorava il Guarino di «allontanare dalla sua famiglia tanta sventura»50. I motivi di questa avversione ad un trasferimento a Catania da parte del nunzio apostolico e dello zio erano diversi: anzitutto c’era il timore che il trasferimento interrompesse una brillante carriera diplomatica; ma aveva anche un certo peso il desiderio di evitare una situazione difficile per i probabili contrasti con il partito favorevole al defunto arcivescovo Dusmet. La prima ipotesi sembra quella prevalente, se si tiene conto sia della corrispondenza intercorsa fra il nunzio apostolico e il segretario di Stato card. Mariano Rampolla, sia dell’esito di tutta la vicenda. Il segretario di Stato, infatti, per aiutare il nunzio a superare la sua resistenza, assicurò che la sua carriera diplomatica si sarebbe conclusa con le «onorifiche conseguenze che suole avere»51. Il nunzio apostolico nella lettera di risposta, prendendo atto di questa assicurazione, si

deva un gran prestigio per la sua esimia pietà e per le sue generose beneficenze, ma non certo per il suo regime pastorale» (ibid., 90). 48 Ibid., 83-85. 49 «Tra i candidati presi in esame dalla Congregazione de eligendis troviamo: il generale dei teatini Francesco di Paola Ragonesi […], i benedettini Gerbino e Luigi Paternò di Raddusa, il canonico Antonino Pennino di Palermo, il domenicano di Acireale Vincenzo Lombardo, il priore di San Domenico di Palermo p. Di Maggio, e l’abate Corvaja di Monte Vergine» (ibid., 86). 50 Ibid., 85-86. 51 Ibid., 89.

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rendeva disponibile ad accettare per ubbidienza la diocesi di Catania, anche se «troppo penoso e duro mi riesca il sacrificio che mi viene imposto», alleviato nondimeno dalla certezza che si sarebbe tenuto conto «dei servigi da me prestati nella carriera diplomatica»52. Si spiega in tal modo il compromesso al quale alla fine si giunse: Francica Nava avrebbe svolto contemporaneamente i due uffici di nunzio apostolico e di arcivescovo di Catania fino a raggiungere l’apice della carriera. Il trasferimento dell’arcivescovo Giuseppe Francica Nava dalla sede titolare di Eraclea alla diocesi di Catania avvenne con bolla del 18 marzo 189553. Le interminabili discussioni sul suo nome o la necessità di ottenere il regio placet probabilmente avevano già fatto trapelare a Catania l’avvenuta nomina; infatti il settimanale cattolico La Campana ci informa che il vescovo Antonino Caff e il capitolo della cattedrale inviarono a Bruxelles una lettera di congratulazioni a Francica Nava il 13 marzo 1895, cinque giorni prima della data di nomina riportata nella bolla pontificia54. Il nunzio apostolico rispose il 18 marzo, il giorno stesso della nomina. Nello scritto, dopo aver dichiarato di sentirsi «a prima giunta come sopraffatto da sbigottimento e perplessità al pensiero del gravissimo incarico», formulava l’auspicio di poter contare sull’autorevole cooperazione del «più alto consesso diocesano […] per rendere più sopportabile il grave compito della direzione di cotesta Archidiocesi»55. Francica Nava il 10 luglio successivo, con atto di procura redatto a Bruxelles dinanzi al notaio Luigi Augusto Le Cocq, conferì al can. Rosario Riccioli, tesoriere del capitolo cattedrale, il mandato di prendere possesso canonico in suo nome della sede vescovile di Catania56. Il 18 luglio il nuovo arcivescovo di Catania emise la professione di fede dinanzi a mons. Giuseppe Francesco Van der Stappen, au52

L. c.

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HC, VIII, 192. La bolla di nomina, composta da sette distinti documenti data-

ti e firmati da papa Leone XIII, è trascritta in Tutt’Atti 1895-1922, 1-12 e porta la data del 18 marzo 1894 «Incarnationis Dominicae». Secondo questo computo il 1895 avrebbe avuto inizio il 25 marzo successivo. Si tenga presente che il 18 marzo 1894 l'arcivescovo Dusmet era ancora in vita. 54 La Campana 24 (1895) 6, 30 marzo. 55 L. c. 56 Tutt’Atti 1895-1922, 13-15.

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siliare dell’arcivescovo di Malines-Bruxelles57. Il 20 luglio nell’aula capitolare della cattedrale di Catania, alla presenza dei canonici, convocati dal vicario capitolare Antonino Caff, veniva letta dal cancelliere la bolla pontificia di nomina e successivamente il can. Riccioli si recava all’altare maggiore della cattedrale, al soglio episcopale e in vescovado per prendere possesso canonico a nome dell’arcivescovo Giuseppe Francica Nava e consentirgli in tal modo il pieno esercizio del suo ministero, che poteva svolgere solo da Bruxelles58. A un anno di distanza dalla nomina del nuovo arcivescovo di Catania, la soluzione di compromesso raggiunta fu rimessa in discussione. Da Catania infatti giungevano pressanti richieste perché l’arcivescovo rientrasse in diocesi; il segretario di Stato da parte sua era convinto che Francica Nava fosse più utile al bene della Chiesa come nunzio apostolico; nel nunzio riaffiorava il timore che la sua carriera venisse interrotta. In questa situazione il card. Mariano Rampolla decise di rendere nuovamente vacante la diocesi di Catania. Il 23 aprile 1896 fu spedita una lettera al vescovo di Acireale Gerlando Genuardi, nella quale si manifestava il “desiderio” del papa di trasferirlo alla sede di Catania. Quando la notizia si diffuse, il vicario generale di Catania Rosario Riccioli si affrettò ad avvertire la Santa Sede della «impressione sfavorevole» che tale decisione avrebbe provocato nell’opinione pubblica e del pericolo di «disordini assai gravi» che avrebbero potuto verificarsi. Una comunicazione urgente di Francica Nava, che ordinava al suo vicario generale di smentire la notizia, diede l’impressione che il pericolo fosse stato scongiurato. In realtà la vicenda non era ancora definitivamente chiusa, perché si pensò di sostituire il Genuardi, che aveva rifiutato il trasferimento, con il domenicano Vincenzo Lombardo. Questi rifiutò ancora una volta la proposta di una sua nomina vescovile per Catania e a questo punto fu deciso di accantonare il problema. L’arcivescovo Francica Nava avrebbe continuato a svolgere l’ufficio di nunzio per il tempo necessario a chiudere la sua carriera. Il segretario di Stato gli comunicò la decisione di lasciare definitivamente Bruxelles per recarsi a Madrid, una nunziatura di prima classe che prevedeva il cardinalato59. 57

Ibid., 16. Ibid., 17-19. 59 G. ZITO, L’episcopato urbano, cit., 91-94; ID., Da diplomatico a pastore, cit., 58

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2. L’ATTIVITÀ PASTORALE A CATANIA

a) gli anni della nunziatura (1895-1900)

— Inizio del ministero episcopale e scelta dei collaboratori Il 20 luglio 1895 con la presa di possesso per procura Giuseppe Francica Nava iniziò il governo pastorale della diocesi di Catania. Considerate le particolari circostanze nelle quali doveva svolgere il suo ministero, era necessario scegliere collaboratori validi e di fiducia, ai quali affidare il compito di eseguire in diocesi le direttive da lui impartite da Bruxelles. Nei mesi successivi alla sua nomina, quando ancora Francica Nava non aveva preso possesso del suo ufficio, il vescovo Antonino Caff — vicario generale del Dusmet, rettore del seminario e vicario capitolare durante il periodo di vacanza della sede — era stato colpito da apoplessia ed era stato obbligato a nominare il can. Rosario Riccioli come suo sostituto nell’ufficio di vicario capitolare60. In queste condizioni, il nuovo arcivescovo non si pose il problema di confermare nell’ufficio di vicario generale e di rettore del seminario il vescovo Caff per rispetto alla sua dignità episcopale e per assicurare la continuità di governo con il suo predecessore. La persona che riscuoteva la sua fiducia era proprio il can. Rosario Riccioli, che in quel momento ricopriva l’ufficio di vice rettore del seminario e di vicario capitolare sostituto. Dopo avergli conferito la procura per prendere possesso della diocesi, lo nominò vicario generale e rettore del seminario, due uffici chiave per il governo della diocesi61. La presenza di un vescovo ausiliare era necessaria per l’amministrazione delle cresime e per il conferimento degli ordini sacri. 294-296. Francica Nava fu nominato nunzio a Madrid il 6 agosto 1896 e fu creato cardinale da Leone XIII nel concistoro del 19 giugno 1899 (HC, VIII, 40 e 192). 60 G. ZITO, La cura pastorale, cit., 133. 61 Ibid., 367-368. Il decreto di nomina di vicario generale si trova in Tutt’Atti 1895-1922, 1-2. Il vescovo gli delegò tutte le facoltà previste dalle norme canoniche per consentirgli di governare la diocesi durante la sua permanenza in nunziatura.

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L’anno successivo al trasferimento di Francica Nava alla sede di Catania, il 7 novembre 1896, fu nominato vescovo ausiliare Antonio Cesareo, priore della cattedrale, che egli stesso consacrò prima di ripartire per la Spagna62.

— Prima lettera pastorale Il nuovo arcivescovo si presentò a tutta la comunità diocesana con la prima lettera pastorale, scritta a Bruxelles l’8 settembre 189563, a distanza di diversi mesi dalla sua nomina e dalla presa di possesso della diocesi. Si tratta di un documento programmatico che ci permette di conoscere le linee pastorali che il nuovo arcivescovo intendeva seguire. Francica Nava, dopo aver manifestato il suo rincrescimento per non avere avuto ancora la possibilità di recarsi in diocesi e per il ritardo con cui iniziava il dialogo con il suo popolo, apriva il suo animo e rendeva note le reazioni provate fin da quando si cominciò a fare il suo nome per la successione al Dusmet: «A voi certamente è noto da quanta trepidazione fu compreso l’animo mio al primo annunzio, che mi significava il volere dell’augusto Pontefice di destinarmi al reggimento di codesta Sede Arcivescovile. Non pochi né lievi sono i motivi dei miei timori. Innanzi tutto […] la grandezza e la gravità del peso pastorale […]. Nel rivolgere indi lo sguardo sopra di me sento e comprendo quanto sieno inferme le mie forze e disproporzionate a portare tanto peso»64.

La coscienza della sua debolezza appariva più evidente se guardava i modelli dei suoi predecessori, tra i quali risalta il card. Dusmet, «la cui memoria è così vivamente scolpita nell’animo nostro, che ci sembra veder tutt’ora presenti ai nostri sguardi le sue sembianze»65. 62

G. ZITO, La cura pastorale, cit., 366-367; HC, VIII, 301. G. FRANCICA NAVA, Lettera pastorale al clero e al popolo dell’Archidiocesi di Catania, Catania 1895. Il testo originale del documento era scritto in lingua latina, ma fu pubblicata a stampa anche la sua versione in italiano, alla quale si fa riferimento. 64 Ibid., 4. 65 Ibid., 5-6. 63

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Non manca un cenno alla «deplorevole condizione dei tempi», secondo lo stile di quel periodo storico: «Quanto infatti sien essi infesti alla Chiesa, quanto pieni di mali e di pericoli, che d’ogni parte sempre più incalzano e ci minacciano, non è alcun uomo di sana mente che non vegga. Non trattasi più, come un tempo, di attaccare l’uno o l’altro capo della dottrina cattolica, ma di scalzare e sovvertire, se fosse possibile, le basi della religione, ma quelle anche della civile società»66.

Egli però si dimostra fiducioso perché si è sforzato di fare la volontà di Dio, che si è manifestata nella designazione del papa e nel «comune desiderio che vi mosse a far giungere delle suppliche reiterate per la mia indegna persona al Pastore Supremo della Chiesa». È certo che in queste condizioni, nonostante la sua debolezza, egli riceverà da Dio l’aiuto necessario per portare a termine un compito così gravoso. Lo conforta la buona accoglienza che ha avuto in diocesi la notizia della sua nomina e le numerose lettere ricevute «tutte piene di benevolenza e amore» inviate non solo singolarmente ma «in nome di varie classi della intiera cittadinanza»67. La regola che intendeva seguire nell’esercizio del suo ministero episcopale era una sola: Gesù Cristo, che ha lasciato il messaggio della carità; perciò egli indicava come prioritario l’impegno per i peccatori, per i fanciulli, per «i poveri e i miseri, che portano in sé scolpita l’immagine di Gesù Cristo, e che giustamente hanno nella Chiesa il diritto a una parte precipua della paterna carità del Pastore»68. Egli poteva attuare questo suo compito solo con l’aiuto di tutti; si rivolse pertanto alle singole categorie di fedeli per sollecitare il loro consenso e l’approvazione di questo suo piano pastorale: i canonici della cattedrale e delle collegiate, i curatori delle anime, i sacerdoti, gli alunni del seminario, le vergini consacrate, tutti i fedeli della città e della diocesi. Un cenno particolare riservò alle autorità civili per-

66

Ibid., 6. Ibid., 7. 68 Ibid., 11-14. 67

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ché avessero a «considerare attentamente quanto valga la religione per cui tutela e incremento sono a voi da Dio mandato»69. Il rapporto fra la religione e la società fu poi sviluppato in modo analitico partendo dal principio: «È la virtù della nostra religione, che altamente essa interessa per i beni stessi della nostra vita presente, né solo dei singoli individui, ma benanco dell’intiera società». A conclusione della sua analisi il modello che ne emerse era quello della res publica christiana, che egli riteneva doveroso riproporre: «Tale sarebbe senza dubbio la società degli uomini, se comunemente fosse osservata la legge morale della religione di Gesù Cristo. Se ne ebbe una prova di fatto nell’epoca in cui la divina virtù della sapienza cristiana dominava felicemente nelle leggi, negl’istituti e nei costumi dei popoli, ed era come l’anima e la vita di tutte le classi sociali. Basta al contrario dare uno sguardo all’età nostra così avversa allo spirito della nostra santa religione, perché chi ben consideri, scorga subito quale sia la causa principalissima e la sorgente funesta dei tanti mali, da cui siamo oggidì da ogni parte travagliati ed afflitti. Ma se grandi e inestimabili sono i benefici che dalla religione provengono ai singoli e alla società, anche nell’ordine naturale, per conseguirli però è d’uopo che in pubblico e in privato si dia alla religione il posto che le è dovuto, cioè il supremo»70.

A tutti rivolgeva l’esortazione di vivere in conformità alla propria fede, compiendo i doveri del proprio stato e attuando il principio della carità «che è il vincolo della perfezione e il compimento di tutta la legge cristiana»71. L’invito alla preghiera per il papa e per «la nobilissima nazione del Belgio» chiudeva la prima lettera pastorale di Francica Nava72.

69

Ibid., 14-20. Ibid., 20-22. 71 Ibid., 22-24. 72 Ibid., 24-25. 70

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— Nunzio apostolico in Spagna e ingresso in diocesi Il 6 agosto 1896 l’arcivescovo Francica Nava fu trasferito alla nunziatura di Madrid73. Nell’intervallo fra il servizio svolto in Belgio e quello da avviare in Spagna egli poteva trascorrere alcuni mesi a Catania e fissò per il 27 settembre 1896 l’ingresso in diocesi come arcivescovo, ad oltre un anno di distanza dalla presa di possesso per procura74. Nel discorso tenuto in cattedrale75, dopo aver manifestato la sua gioia per il ritorno a Catania come cittadino e come pastore, espresse il suo dolore per la morte nei mesi precedenti della mamma e dello zio vescovo76. Ringraziò per la calorosa accoglienza che egli interpretava come una lezione, una protesta e una promessa. Una lezione perché gli ricordavano il duplice fine che il suo ministero di vescovo doveva raggiungere: la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Era anche una «nobile e solenne protesta contro le due e più perverse tendenze che minacciano di travolgere nell’estremo abisso le nazioni dell’infelice età nostra»: «escludere Dio dall’umana società […] o sottomettere ciò che è spirituale al sensibile, l’anima al corpo, la religione allo stato, Iddio all’uomo». Interpretava le manifestazioni ricevute come una promessa di mantenere per il futuro verso di lui sentimenti di benevolenza e di docilità.

— Lettera pastorale sull’insegnamento della dottrina cristiana e il progetto per la catechesi Prima di ripartire per Madrid doveva avviare in modo a lui congeniale alcune iniziative che egli riteneva fondamentali per il suo ministero episcopale: anzitutto l’organizzazione della catechesi e l’istituzione dell’Opera del catechismo, in un secondo momento la fonda73

HC, VIII, 192. A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 125-126. 75 Episcopati, Francica Nava, testo a stampa in un formato che fa presumere la sua affissione alla porta delle chiese. 76 La mamma era morta il 16 aprile 1895, dopo circa una mese dalla sua nomina di arcivescovo di Catania. Lo zio morì il 26 aprile 1896 (A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 109; HC, VIII, 171). 74

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zione e lo sviluppo in diocesi dell’Opera dei congressi. A tal fine il 1° novembre inviò una lettera pastorale sull’insegnamento della dottrina cristiana77, che probabilmente avrebbe voluto mandare nella quaresima precedente, secondo la prassi consueta, ma preferì attendere il suo rientro in diocesi per curare l’aspetto organizzativo. Nel documento avvia la sua trattazione informando di considerare «della massima importanza per se stessa e per rispetto alle condizioni dei tempi in cui versiamo» l’opera che intende attuare. «Nell’epoca in cui viviamo vi ha senza dubbio uno straordinario sviluppo dell’insegnamento così detto popolare. In ogni luogo e ogni anno sorgono nuove scuole, ove accorrono numerosi fanciulli di ambo i sessi […]. Ma insieme con la scienza delle cose della terra si cerca di ornare la mente del fanciullo della scienza altresì delle cose del Cielo?».

Non manca un giudizio critico verso la società del suo tempo, che aveva sconvolto l’equilibrio del passato: «Una volta le scuole erano considerate come ausiliari del parroco, perché oltre ai precetti del leggere e dello scrivere s’insegnavano ai fanciulli i rudimenti della Dottrina cristiana sotto la guida e la sorveglianza dell’Autorità ecclesiastica. Ma oggidì o la religione non ha più luogo nel pubblico insegnamento, o, se le permettono l’entrata, non le assegnano che l’ultimo posto e come materia non obbligatoria».

In queste condizioni era necessaria un’opera di supplenza da parte della Chiesa, per assicurare ai fanciulli e ai giovani quell’insegnamento religioso e morale così necessario anche per il bene della società. L’insegnamento della dottrina cristiana non doveva limitarsi a preparare i ragazzi alla prima comunione e alla cresima. L’arcivescovo manifesta il proposito di istituire «le scuole di religione per l’adolescenza e la gioventù, chiamate Catechismi di perseveranza». Per at77 G. FRANCICA NAVA, Sull’insegnamento della dottrina cristiana, in Lettere pastorali, Bronte 1908, 43-66. Il documento è anche pubblicato in appendice al volume G. DI FAZIO, La diocesi di Catania, cit., 177-194.

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tuare questo progetto di primaria importanza rivolge un appello a tutti: ai genitori, ai parroci e a tutti i sacerdoti, «ai buoni laici dell’uno e l’altro sesso» e fonda l’Opera del catechismo «intesa a procurare un gran numero di catechisti ausiliari dei parroci, e tutti quei mezzi morali e materiali necessari ad ottenere ubertosi e stabili vantaggi nell’insegnamento della Dottrina Cristiana»78. Egli è cosciente che tale opera «non può vedersi in pieno sviluppo nel giro di pochi anni. Al presente bisogna gettare le fondamenta e contentarci di quello che possono somministrare le deboli nostre forze». Francica Nava sviluppò nel corso degli anni il progetto di dare un notevole impulso alla catechesi, che mirava a coinvolgere soprattutto le parrocchie e a sensibilizzare le diverse componenti della comunità diocesana: clero, istituti religiosi e laici. Nel 1898 istituì l’Associazione dei preti catechisti di San Francesco di Sales, incoraggiò l’organizzazione delle scuole di catechismo maschili e femminili, predispose percorsi formativi per catechisti, programmi per l’insegnamento, sussidi e incentivi per i ragazzi e gli adolescenti. In quest’opera si avvalse soprattutto della collaborazione delle figlie di Maria Ausiliatrice — invitate a Catania dal suo predecessore — e dell’azione intelligente e valida di suor Maddalena Morano79. Verso la fine del mese di novembre consacrò in cattedrale il nuovo vescovo ausiliare Antonio Cesareo e il 14 dicembre partì per Madrid80.

— Lettera pastorale sull’Opera dei congressi Prima di partire aveva esortato i curati ad erigere i comitati parrocchiali dell’Opera dei congressi e nessuno si era dimostrato con78

G. FRANCICA NAVA, Lettere pastorali, cit., 59. Su questo argomento si vedano i saggi raccolti nel volume di M. L. MAZZARELLO (cur.), Sulle frontiere dell’educazione. Maddalena Morano in Sicilia (18811908), Roma 1995. La decisione di Giovanni Paolo II, di proclamare beata suor Maddalena Morano durante la sua visita a Catania, il 5 novembre 1994, costituisce un significativo riconoscimento dell’attività svolta in diocesi per l’educazione cristiana dell’infanzia e della gioventù. 80 A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit.,118. 79

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trario. Leggiamo queste notizie nella lettera pastorale scritta e inviata per la quaresima del 1897, che ha per titolo: Sull’Opera dei congressi e comitati parrocchiali81. Nello stile “militante” proprio dei cattolici intransigenti, descrive la situazione della società con un linguaggio apocalittico: «Or se per un poco si riflette e si esaminano le origini di tante iniquità, si vedrà di leggieri, che i nemici del nome cristiano giunsero a poter recare simili lacrimevoli guasti, perché si prepararono con un lavoro indefesso, lungo e satanicamente sapiente. Si vedrà che, quantunque essi fossero pochi a petto della gran maggioranza dei cattolici, nondimeno seppero così destramente comunicar fra loro le idee, organizzare le forze, adibire i mezzi più acconci ai loro perfidi disegni, che i soldati di Gesù Cristo, colti alla sprovvista, stupiti dalla novità del fatto, parte atterriti abbandonarono il terreno al nemico invadente, parte si chiusero nel loro domestico focolare a sfogare con inutili lamenti il loro dolore, parte vilmente, per rispetto umano passarono all’opposto campo, facendosi cooperatori dei nuovi crocifissori di Gesù Cristo nella persona del suo diletto popolo e della sua castissima sposa la Santa Chiesa»82.

Le perdite subite dai cristiani «devonsi attribuire alla mancanza di disciplina nel grande esercito cristiano […]. Se il segreto della loro potenza è riposto nella unione strettissima delle loro forze e nell’avveduta loro organizzazione e disciplina, fa uopo riconoscere, che con gli stessi mezzi possiamo noi, non solo far fronte ai nuovi loro assalti, ma ristorare altresì le gravi perdite, che abbiamo ricevuto nella fede e nei cristiani costumi»83.

81 G. FRANCICA NAVA, Sull’Opera dei congressi e comitati cattolici. Lettera pastorale al rev. clero e al popolo della città e diocesi di Catania per la quaresima dell’anno 1897, Catania 1897. Il documento è stato pubblicato anche nella raccolta delle lettere pastorali: G. FRANCICA NAVA, Lettere pastorali, cit., 67-89 e in appendice al volume: G. DI FAZIO, La diocesi di Catania, cit., 195-212. 82 G. FRANCICA NAVA, Sull’Opera dei congressi, cit., 4-5. 83 Ibid., 5-6.

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Esposta l’analisi dei mali della società e dei rimedi che la Chiesa deve avere, passa a spiegare la storia, l’organizzazione dell’Opera e il comportamento coerente di coloro che vi si iscrivono. Avviandosi alla conclusione, manifesta il proprio ottimismo: dopo il primo congresso di Palermo e il secondo di Girgenti si è potuto dimostrare, nonostante le difficoltà incontrate, che «Digitus Dei est hic. L’Opera di congressi e comitati cattolici è benedetta da Dio e deve sorgere bene organizzata e con elementi capaci a produrre ubertosissimi frutti eziandio nella nostra diocesi, che è stata sempre feconda di cristiane e benefiche istituzioni»84.

In effetti, analizzando i dati di questi anni, è facile notare che l’invito di Francica Nava fu accolto dal clero della diocesi; infatti Catania, che nel 1894 aveva solo un corrispondente diocesano nella persona del p. Luigi della Marra, nel 1897 risulta al primo posto in Sicilia per numero di comitati parrocchiali85. Si deve notare tuttavia che l’Opera dei congressi fu introdotta a Catania a distanza di tredici anni dalla sua fondazione, quando già si manifestavano i primi segni della crisi, che indurranno Pio X alla sua soppressione nel 1904. In sostanza operò solo per lo spazio di sette anni. La sua soppressione non fece venire meno il movimento cattolico, ma gli diede una diversa configurazione.

— Prima visita pastorale Francica Nava rientrò in diocesi nell’estate del 1897 per adempiere uno dei principali doveri di un vescovo: la visita pastorale, e si fermò fino al mese di novembre. Nell’editto firmato a Madrid, che porta la data del 14 luglio86, egli scrive:

84

Ibid., 19. G. DI FAZIO, La diocesi di Catania, cit., XXXII-XXXV. 86 L’editto e gran parte della documentazione della visita sono stati pubblicati da G. DI FAZIO, La diocesi di Catania, cit. 85

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«Avendoci il S. Padre, nella sua benignità, accordataci la licenza di poterci allontanare qualche breve tempo da questa capitale, invece di profittarne per prendere un giusto riposo che ci sarebbe molto salutare dopo le continue occupazioni di questo laborioso ufficio, abbiamo risoluto, per l’affettuosa premura che nutriamo verso la diocesi, di sobbarcarci volentieri alla nuova fatica di un lungo e molesto viaggio, e recarci direttamente da voi a dar principio alla sacra visita cotanto sospirata»87.

Prima di ripartire per Madrid inaugurò la nuova cappella del seminario, posta sopra la sala di studio88. Nel mese di dicembre fondò il Bollettino Ecclesiastico, come organo ufficiale degli atti di curia, la cui direzione affidò da Madrid a mons. Salvatore Romeo89. Gli anni trascorsi dal Francica Nava nella nunziatura di Madrid furono fra i più burrascosi per l’Italia. Nelle elezioni politiche del 21 marzo 1897 il socialismo ebbe una forte affermazione e questo fatto nuovo preoccupò non poco i ceti privilegiati. Nel maggio del 1898 si ebbero diverse insurrezioni in alcune città d’Italia. A Milano la rivolta provocata dall’aumento del prezzo del pane fu sedata dai cannoni del generale Fiorenzo Bava Beccaris, che provocò la morte di 80 cittadini e il ferimento di 450. I principali esponenti dell’intransigentismo cattolico furono incriminati come sovversivi90.

— La nomina a cardinale e il rientro definitivo in diocesi Francica Nava fu nominato cardinale il 19 giugno 189991 e il 14 gennaio 1900 rientrò definitivamente a Catania. La diocesi preparò una solenne accoglienza per festeggiare il neo cardinale e il suo rientro definitivo, che si trovava nelle condizioni di svolgere il ministero episcopale a tempo pieno.

87

Ibid., 3-6. A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 188. 89 Ibid., 303. 90 G. DE ROSA, L’Opera dei congressi, cit., 341-366. 91 HC, VIII, 40. 88

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Il vescovo di Noto Giovanni Blandini fu incaricato di tenere il discorso ufficiale nell’accademia che si tenne in seminario92. Nello stile enfatico, proprio dell’oratoria elogiativa del tempo, Blandini ripercorre le tappe principali della vita di Francica Nava da Caltanissetta, al servizio prestato in nunziatura, fino all’inizio del ministero a Catania. Nel suo discorso riferisce un fatto nuovo: Francica Nava, mentre si trovava a Lourdes per un pellegrinaggio con i fedeli di Caltanissetta, aveva incontrato il card. Dusmet, che avrebbe indicò nel giovane prelato il suo futuro successore93.

b) Le priorità del suo ministero episcopale dopo il definitivo rientro in diocesi

— Il seminario e l’Opera delle vocazioni ecclesiastiche Francica Nava, seguendo il modello acquisito durante gli anni trascorsi a fianco dello zio vescovo di Caltanissetta94, fece del seminario e della formazione del clero una delle priorità del suo governo pastorale. I problemi posti dal seminario erano di duplice natura: l’edificio che accoglieva i seminaristi e il tipo di formazione che doveva essere loro assicurata. L’edificio costruito in piazza Duomo dopo il terremoto del 1693, dal vescovo Andrea Riggio, non era più disponibile, perché durante la rivoluzione del 1848 i borboni lo avevano requisito per adibirlo ad alloggio delle truppe. Successivamente lo diedero in enfiteusi al Comune, che lo destinò a sede degli uffici finanziari: l’attuale Palazzo dei chierici. I seminaristi furono costretti ad adattarsi negli edifici annessi ad est della porta Uzeda95. La sede, no92 G. BLANDINI, Discorso, cit. Nello stesso settimanale La Luce sono riportati altri interventi. 93 Di queste “predizioni” ne vengono raccontate diverse: G. JACONO, Elogio funebre, cit., 101; A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 88. Non si esclude che questi episodi siano stati “ideati” a fin di bene; per far superare il contrasto fra la fazione fedele al Dusmet e quella favorevole al nuovo arcivescovo. 94 A. SINDONI, Dal riformismo, cit. II, 151. 95 Rel. 1904, I, § 9; 1916, VIII, n. 82.

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nostante i lavori di ristrutturazione e di ampliamento fatti nel corso degli anni, non poteva essere ritenuta idonea per alloggiare i seminaristi: i locali erano angusti, mancava un cortile, la sua vicinanza al porto e alle raffinerie di zolfo non garantivano un ambiente salubre. Il vescovo, avendo saputo che fuori dal centro cittadino nella zona posta attualmente fra il viale della Libertà e via Martino Cilestri, era stata acquistata un’ampia superficie di terreno, mentre era nunzio apostolico a Madrid, decise di affidare a un architetto spagnolo un progetto per costruirvi un edificio destinato ad accogliere gli alunni del ginnasio96. L’idea fu abbandonata, perché si intuì che l’edificio sarebbe stato ben presto inglobato nel rapido sviluppo della città97. Il vescovo decise allora di acquistare un’altra superficie di terreno sulla collina di Canalicchio, che inizialmente avrebbe dovuto servire per la costruzione del seminario regionale, la cui istituzione era stata più volte sollecitata da Roma98. A Catania esisteva ancora il fenomeno dei chierici esterni, legato alla difficoltà di pagare la retta: i giovani dormivano e mangiavano nelle proprie case e si recavano in seminario per seguire le lezioni, studiare e partecipare agli altri atti della vita comune99. Una costruzione destinata ad accogliere gli alunni esterni provenienti dai paesi era stata predisposta a fianco della cattedrale a spese del cardinale100. In tutte le relazioni il vescovo accenna all’esistenza in alcuni comuni della diocesi di strutture destinate ad accogliere bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie che mostravano segni di vocazione.

96

Rel. 1904, I, § 9. Nella relazione del 1922, VIII, n. 83, si accenna alla vendita di un terreno di proprietà del seminario per compensare i mancati introiti derivanti dalla vendita di alcune botteghe imposta dal governo. 98 Rel. 1916, IX, n. 101. A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 219-220. 99 Ibid., 216-219; rel. 1916, VIII, n. 88. Roma più volte aveva proibito questa prassi, ma da parte dei vescovi c’era qualche resistenza (M. GUASCO, La formazione del clero: i seminari, in G. CHITTOLINI – G. MICCOLI [cur.], La Chiesa e il potere politico, cit., 629-715). 100 «In cattedrale ho provveduto a mie spese a costruire nuovi e più comodi alloggi per accogliere i ragazzi e il sacerdote addetti alla chiesa e alla sua sacrestia» (rel. 1904, II, § 9). Erano ragazzi che frequentavano il seminario e prestavano qualche servizio nella cattedrale. 97

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Queste strutture erano chiamate «piccoli seminari» e gli alunni che accoglievano «aspiranti alla vita clericale»101. Francica Nava fin dall’inizio del suo ministero episcopale affidò la direzione del seminario al can. Rosario Riccioli102. Dopo la sua morte (1° ottobre 1914) nominò rettore il gesuita p. Luigi Mazza, che fu sostituito dal can. Giovanni Jacono nel 1916, quando il religioso fu trasferito a Venezia103. In vista della nomina vescovile di Jacono (2 luglio 1918), Francica Nava incontrò qualche difficoltà a trovare fra il clero diocesano una persona a cui affidare la formazione dei seminaristi: molti sacerdoti erano stati chiamati alle armi e quelli che erano rimasti venivano adibiti ai servizi essenziali; anche molti seminaristi erano partiti per la guerra. In un primo momento scrisse al segretario della Congregazione concistoriale e gli chiese di inviargli qualche sacerdote che potesse ricoprire l’ufficio di rettore fino alla fine della guerra; considerava rischiosa l’alternativa di chiudere il seminario e inviare i seminaristi superstiti alle loro case, perché temeva che l’edificio venisse requisito per essere trasformato in ospedale militare104. Il segretario della Congregazione promise il proprio interessamento, ma fece presente che la richiesta del vescovo di Catania non era di facile attuazione105. Francica Nava, dopo attenta riflessione, decise di nominare rettore del seminario il vescovo ausiliare Emilio Ferrais106. È noto l’impegno profuso dal vescovo Nava per la formazione dei seminaristi. Nell’elogio funebre di Francica Nava, il vescovo Giovanni Jacono che era stato rettore del seminario, dà questa interessante testimonianza sul modello da lui seguito. Con tutti i seminaristi egli cercava di stabilire un rapporto di conoscenza personale, per rendersi conto del carattere e delle capacità di ognuno. 101 Rel. 1904, VI, § 1; rel. 1916, VIII, n. 82; 1922, I, 3/e. Inizialmente esistevano due piccoli seminari a Bronte e a Biancavilla, fondati rispettivamente dai sacerdoti Giuseppe Salanitri e Placido Caselli; nella relazione del 1927, VIII, n. 82 è menzionato quello di Trecastagni, che era stato fondato dall’arciprete Domenico Torrisi. 102 G. ZITO, La cura pastorale, cit., 367. 103 Notizie desunte dal processo informativo per la nomina episcopale del can. Giovanni Jacono (Positiones, Catania 1, n. 304/1917). 104 Lettera del 10 marzo 1918 (ibid.). 105 Lettera del 16 marzo 1918 (ibid.). 106 Lettera del 3 aprile 1918 (ibid.).

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«Nell’ora del passeggio, faceva venire nella sua carrozza un chierico a turno, fino a passarli tutti, per tornare indi da capo. S’informava allora di ogni cosa, anche del trattamento quotidiano, s’interessava di tutto, osservava al fondo di ogni giovane ed i suoi parlare in carrozza e nel tratto di passeggio a piedi fuori città ristoravano fino alla radice lo spirito di ogni giovane»107.

Volendo che la loro formazione intellettuale fosse completa e profonda, si era preoccupato di preparare un corpo docente, fornito dei titoli di studio necessari e verificava personalmente l’andamento delle lezioni e degli esami: «Visita le scuole tutte, assiste alle dispute, presiede agli esami di teologia, promuove le accademie musico-letterarie e toglie i compiti dalle varie classi e li restituisce dopo averli letti e classificati, manda i migliori alunni a Roma, a Lovanio per lo studio della teologia, del diritto, della Sacra Scrittura, a Monreale per lo studio della lingua di Virgilio, a Roma, a Padova per la cultura della musica sacra, a Beyrut per le lingue orientali, secondo le inclinazioni di ciascuno e il bisogno della diocesi»108.

Francica Nava nelle relazioni, non senza compiacimento, indica anche i manuali adottati per l’insegnamento delle discipline principali109. Per stimolare la sana emulazione fra gli alunni, aveva istituito delle borse di studio110. Tenendo conto del rigido indirizzo dato da Roma, non deve sorprendere la nota che troviamo nelle relazioni sulla possibilità data ai seminaristi di aprirsi al mondo esterno: «È proibita ai seminaristi la lettura di libri e di periodici che, sebbene non pericolosi, sarebbero causa di distrazione dagli studi. Solo agli ordinati in sacris si permette a volte la lettura del periodico La Civil107

G. JACONO, Elogio funebre, cit., 104. Ibid., 103; rel. 1904, VI, § 3. 109 Rel. 1916, VIII, n. 91; rel. 1922, VIII, n. 91. I manuali di filosofia erano quelli in uso a Lovanio, dove i professori avevano studiato. Qualche opera di Désiré Mercier era stata anche tradotta da loro in italiano (G. DI FAZIO – E. PISCIONE, Un neotomista siciliano, cit., 17-18). 110 Rel. 1904, VI, § 3. 108

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tà Cattolica»111. Tutto questo spiega anche quella sorta di cultura rigida e monotematica del clero, incapace ad aprirsi a un sano pluralismo di idee e di giudizi. Queste attenzioni avrebbero dovuto garantire una solida formazione a chi veniva ammesso agli ordini sacri. Sorge però qualche dubbio se si osservano le statistiche sulle facoltà concesse ai sacerdoti per l’esercizio del ministero: mentre tutti potevano celebrare la messa (a meno che non si fosse incorsi in qualche pena ecclesiastica), solo una parte congrua poteva anche predicare e confessare gli uomini e le donne. Per godere di tutte le facoltà bisognava superare esami periodici e partecipare alle riunioni mensili dei “casi morali”; chi agli esami non veniva riconosciuto idoneo poteva essere privato della facoltà di predicare o di confessare anche per tutta la vita. Questa situazione potrebbe indurre a credere che per l’ammissione agli ordini fossero richieste competenze minime, in modo da consentire al sacerdote la celebrazione della messa e la partecipazione ai servizi funerari112. Al vescovo Francica Nava e al suo coadiutore Emilio Ferrais va riconosciuto il merito della fondazione di un’opera destinata ad affrontare uno dei problemi più difficili del seminario: reperire le somme necessarie per assicurare il buon funzionamento dell’istituto e per aiutare i candidati al sacerdozio che non erano in grado di pagare la retta113. I padri del Concilio di Trento, nel decretare la fondazione dei seminari, avevano dato anche alcune indicazioni per risolvere il problema del loro mantenimento (sess. XXIII, c. 18, de ref.). In realtà i vescovi, se in linea di massima si erano mostrati solleciti a istituire i seminari nelle loro diocesi, non riuscirono a raggiungere il fine prefisso dal concilio: accogliere nella nuova istituzione tutti i candidati al sacerdozio per assicurare loro un’adeguata formazione spirituale e cul-

111

Rel. 1916, VIII, n. 92. Nel 1927 leggiamo una indicazione diversa: «Agli alunni è permesso leggere solo la stampa missionaria e le riviste: Stille benefiche, Primavera di vita» (rel. 1927, VIII, n. 92). 112 Si vedano i dati contenuti nel mio saggio: A. LONGHITANO, Le condizioni di vita del clero non parrocchiale nella diocesi di Catania, in Synaxis 15 (1997) 479517. 113 Sul tema si veda lo studio di G. ZITO, L’Opera delle vocazioni sacerdotali di Catania: da 85 anni al servizio della Chiesa nel sostegno delle vocazioni presbiterali (1928-2013), di prossima pubblicazione in Synaxis.

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turale. Per secoli i seminari si limitarono a formare solo una sparuta minoranza di seminaristi: coloro che erano in grado di pagare la retta stabilita. La maggioranza continuava ad essere preparata nelle parrocchie e nelle chiese114. In un secondo momento si diffuse la prassi dei chierici esterni o “foristi”115. Per eliminare questa anomalia e risolvere il problema alla radice Pio IX fin dal 1856, nell’enciclica Singulari quidem sulla condizione della Chiesa in Austria116, aveva sollecitato i vescovi a convincere i prelati e i laici benestanti ad offrire somme di denaro per costituire doti adeguate al mantenimento dei seminari e al sostentamento dei chierici. Nel 1883 fu costituita a Parigi l’Opera delle vocazioni ecclesiastiche, alla quale nel corso degli anni furono concesse non poche indulgenze per invogliare i fedeli ad iscriversi e a dare il proprio apporto all’attuazione dei suoi fini. Nel 1922 Pio XI, con la lettera apostolica Officiorum omnium117, invitava i vescovi ad istituire l’Opera delle vocazioni ecclesiastiche nelle loro diocesi. A Catania il vescovo Francica Nava fin dal 1920 decise di avviare quest’Opera, affidandola al suo ausiliare che era anche rettore del seminario. In una riunione di clero del 17 febbraio 1927 si passò alla fase operativa. Un periodico, L’Eco del Seminario118, doveva servire da collegamento fra i seminaristi, il clero e gli associati all’Opera. In un decreto della Congregazione del Sant’Uffizio del 29 maggio 1913119, per lucrare le indulgenze e ottenere i favori spirituali concessi ai membri di quest’Opera, si poneva come condizione che fosse canonicamente eretta dagli ordinari del luogo. Il 28 gennaio 1928 il cardinale Francica Nava firmò il decreto di erezione dell’Opera delle vocazioni ecclesiastiche nella diocesi di Catania. Tra i fini che l’arcivescovo intendeva raggiungere c’era anche quello di «incoraggiare quanti sono o saranno i soci per l’avvenire, col metterli a parte dei tesori spirituali della Chiesa, larga remuneratrice delle

114

Relazioni, I, 314-315. Ibid., 670-671, 693-694, 773, 807, 812-813. 116 EE, 2/227-243: 237. 117 AAS 14 (1922) 449-458. 118 Il primo numero fu pubblicato il 13 marzo 1927. 119 Adest profecto, AAS 5 (1913) 236-237. 115

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opere sante, e particolarmente delle indulgenze concesse dal Sommo Pontefice Pio X»120. Questa iniziativa raggiunse lo scopo di sensibilizzare i fedeli sui problemi delle vocazioni sacerdotali e di coinvolgerli nella raccolta di fondi per aiutare il seminario e per pagare le rette ai seminaristi bisognosi. Nel 1928 erano già 51 i seminaristi sostenuti con le somme raccolte dai membri dell’Opera. Il vescovo Francica Nava in questo stesso periodo poteva scrivere nella sua relazione ad limina che a Catania non c’era il fenomeno dei chierici esterni o “foristi”121.

— Il clero: reazioni al modernismo, discernimento per le promozioni all’episcopato Il vescovo Francica Nava era cosciente di essere un padre per i suoi sacerdoti; ma proprio per questo suo ruolo sentiva la necessità di vigilare, perché in un momento difficile per la vita della Chiesa non attecchissero dottrine erronee o non diventassero abituali certe infrazioni alla disciplina ecclesiastica. Quando l’8 settembre 1907 fu promulgata l’enciclica Pascendi dominici gregis, che condannava il modernismo e avviava all’interno della Chiesa una dura politica di repressione122, Francica Nava era già vescovo da oltre dieci anni e alle strutture diocesane aveva dato la propria impronta personale secondo la formazione “romana” ricevuta. Come si è visto, fra le prime preoccupazioni del ministero episcopale c’era la formazione dei candidati al sacerdozio: in seminario come docenti aveva chiamato persone di sicuro indirizzo tomistico e come superiori educatori di sua piena fiducia. Quando giunse la prima richiesta di una relazione sul rispetto in diocesi delle norme di vigilanza dettate dalla Santa Sede per arginare il modernismo, egli, il 22 luglio 1909, assieme alla sua professione personale di fedeltà alla dottrina contenuta nei documenti pontifi120 ARCHIVIO DEL SEMINARIO ARCIVESCOVILE DI CATANIA, Opera delle Vocazioni Ecclesiastiche. 121 Rel. 1927, VIII, n. 88. 122 EE, 4/190-246; R. AUBERT, La crisi modernista, in Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, IX, 505-509.

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ci, poteva dare piena assicurazione che a Catania il modernismo non aveva avuto seguito: «In questa Archidiocesi il clero non ha seguito le aberrazioni di coloro che nella media e alta Italia hanno cagionato tante amarezze al Santo Padre e ai propri Vescovi. Prima della condanna della nuova setta, avevamo qualche giovane prete entusiasta delle opere del famigerato Murri, Fogazzaro e compagnia, ma in seguito al poderoso e immortale documento venne abbandonata ogni simpatia per i novatori e tutti hanno subito obbedito alla voce del Supremo Gerarca»123.

Nel suo intervento c’è da apprezzare comunque l’obiettività del giudizio espresso e il superamento della facile tentazione di avviare interventi repressivi per manifestare a Roma il proprio zelo nel seguire le direttive pontificie. In una seconda lettera del 5 ottobre 1911, che dava la propria relazione sull’insegnamento in seminario, richiesta dal motu proprio Sacrorum antistitum del 1° settembre 1910124, poteva scrivere con soddisfazione: «Grazie a Dio i corsi filosofici e teologici in questo seminario, fin d’allora che dalla f. m. di Leone XIII fu inculcato lo studio di s. Tommaso, hanno avuto per base la dottrina e i metodi di questo luminare della Chiesa cattolica. Sicché i migliori seminaristi che si son mandati in codesti ecclesiastici atenei a compiere i corsi per conseguire i gradi accademici si sono trovati bene istradati per giungere presto e con lode alla meta. Non è mai mancata la vigilanza da parte dei superiori per impedire che fra gli alunni del seminario penetrassero gli errori del modernismo anche quando non si conoscevano ancor bene le astuzie e gli inganni dell’odierno nemico della Fede […]. Son lieto poterle affermare che fra il clero non si è trovato un solo che abbia dato sia pure un sospetto di appartenere alla mala genia»125.

123

Positiones, Catania 1, n. 533/1909. EE, 4/783-817. 125 Positiones, Catania 1, n. 1436/1911. Nelle relazioni sono indicati i compo124

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Sempre in tema di clero alcuni documenti conservati nelle Positiones della Congregazione concistoriale ci offrono la possibilità di valutare la capacità di discernimento del vescovo Francica Nava dinanzi al problema della promozione all’episcopato di alcuni membri del suo presbiterio. Dei quattro fascicoli di informazioni conservati nell’archivio, due riguardano sacerdoti presentati dallo stesso vescovo, altri due sacerdoti del clero di Catania presentati da altri. Il 12 novembre 1916 egli, dopo avere spedito la relazione ad limina, scrive al segretario della Congregazione concistoriale una «lettera confidenziale per conformarmi alle norme speciali che sono annesse al decreto concistoriale del 31 dicembre 1909». Il decreto al quale egli si riferisce è quello che riordina la normativa sulle relazioni ad limina. Annesso al decreto, ma non reso di pubblico dominio, ci sarà stato un foglio nel quale i vescovi venivano invitati a presentare i nomi di quei sacerdoti del clero diocesano, che a loro giudizio avevano i requisiti per svolgere il ministero episcopale. Nella lettera presenta due nomi: il can. Giovanni Jacono, rettore del seminario e docente di teologia morale, penitenziere della cattedrale, membro di diversi organismi diocesani, e il can. Giovanni Maugeri, docente di teologia in seminario, membro di diversi organismi diocesani, attivo nelle iniziative del movimento cattolico. Di entrambi redige un profilo lusinghiero. Scrive del can. Jacono: «il prelaudato canonico è di un’intelligenza e di un’istruzione non comune, specie nelle scienze sacre; ma più d’ogni altro è di molta pietà, di integerrimi costumi e di un’instancabile operosità nell’esercizio del sacro ministero, massime della predicazione apostolica. È ben naturale quindi, che presso i buoni fedeli e tutto il clero della diocesi egli goda somma stima e vi eserciti un’efficace azione […]. Egli ormai ha 43 anni di età; la sua presenza è dignitosa, la sua costituzione fisica è sana, i suoi tratti amorevoli e il suo carattere inclinato alla mitezza e alla benignità, ma non scompagnata del tutto da una giusta e prudente severità»126.

nenti del consiglio di vigilanza contro il modernismo (rel. 1916, II, n. 17; 1922, II, n. 17; 1927, II, n. 17). 126 Positiones, Catania 1, n. 304/1917.

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Scrive del can. Maugeri: «don Giovanni Maugeri, di 37 anni […], insegna da oltre dieci anni con molto profitto dei suoi discepoli chierici […]. Durante la sua dimora in Catania diede sempre esempio non solo di vita irreprensibile, ma di pietà vera e profonda e di ardente zelo, adoperandosi attivamente in bene della gioventù, per la diffusione della buona stampa, dell’Unione popolare, ecc. Egli predica spesso e bene […]. È inutile quindi dire della stima ch’egli ha saputo conciliarsi presso il popolo fedele e i suoi confratelli nel sacerdozio. La sua costituzione fisica se non robusta è sana; è prestante e attraente nella persona; ha modi squisitamente signorili conforme alla sua condizione civile; ma più di tutto ha quell’aria grave insieme modesta che rivela le virtù interne del suo animo. Parmi però che di carattere sia alquanto timido ed inclinevole alla benignità»127.

La presentazione del can. Giovanni Jacono fu subito accolta e si avviò il previsto processo canonico per raccogliere le informazioni sul candidato. Il fascicolo a stampa con le risposte delle persone interpellate porta la data del 9 agosto 1917. Il 2 luglio 1918 fu nominato vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi e l’8 settembre fu consacrato nella cattedrale di Catania dal card. Francica Nava, assistito dall’ausiliare Emilio Ferrais e dal vescovo di Siracusa Luigi Bignami. Il 18 marzo 1921 sarebbe stato trasferito a Caltanissetta, una diocesi tanto cara al cardinale Francica Nava128. Il processo per raccogliere le informazioni sul can. Giovanni Maugeri fu avviato dopo circa tre anni129. Nell’aprile del 1921 la Congregazione concistoriale informava il card. Francica Nava che il can. Giovanni Maugeri era stato nominato vescovo di Squillace e lo incaricava di comunicare la notizia all’interessato. Rispondendo il 24 aprile 1921 al card. Gaetano De Lai, Francica Nava scriveva che in quei gior127 Il 13 aprile 1917 il suo nome fu accantonato con la nota: «modo dilata ratione aetatis». Una seconda dilazione fu decisa l’11 novembre 1917 con l’aggiunta: «tenerlo in vista». 128 HC, IX, 2002, 103, 249. Un breve profilo biografico di Giovanni Jacono è riportato in BE 21 (1917) 73-75. 129 Positiones, Catania 1, n. 308/1917.

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ni il can. Maugeri stava partecipando a un corso di esercizi spirituali e non riteneva opportuno comunicargli la notizia per lettera o mandarlo a chiamare, suscitando la meraviglia degli altri sacerdoti: «Giudico prudente di attendere sino al prossimo giorno di sabato, quando potrò a viva voce fargli conoscere la volontà del Santo Padre a suo riguardo e animarlo a sottomettersi al gravissimo peso con animo confidente in Dio»130.

Quando il can. Maugeri fu informato dell’avvenuta nomina, scrisse al papa una lettera, corredata da alcuni certificati medici, nella quale comunicava che non si trovava nelle condizioni di accettare un ufficio così oneroso: «Sono affetto da oltre sette anni di neurastenia con frequenti nevralgie intercostali ed altri fatti patologici, i quali malgrado le molteplici cure, anziché attenuarsi sono andati a poco a poco aumentando di frequenza e di intensità […]. Per queste ragioni, e specialmente per lo stato assai penoso della mia salute, con tutta umiltà e filiale amore, supplico vivamente la Santità Vostra, perché voglia degnarsi di esonerarmi dal predetto nobilissimo ufficio, che non potrei, anche con tutta la buona volontà, disimpegnare»131.

Il nome del can. Maugeri fu riproposto nel 1926 per la diocesi di Caltagirone, vacante per la morte del vescovo Damaso Pio De Bono. In una lettera al vescovo ausiliare Emilio Ferrais la Congregazione concistoriale chiedeva se le condizioni di salute del can. Maugeri fossero migliorate e gli consentivano di accettare la nomina per Caltagirone132. Il Ferrais il 25 aprile 1926 rispose: «spassionatamente giudico che non si trovi in condizioni così rassicuranti da poter assumere il governo di una diocesi»133. 130

L. c. L. c. Nel fascicolo di questo caso leggiamo la nota: «In audientia Sanctissimi 13 maii 1921. Attentis etc. si scriva all’arcivescovo che mons. Maugeri è rilevato dall’accettare la nomina e che quindi rimandi o distrugga i documenti». 132 L. c. 133 L. c. 131

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Nella carpetta delle Positiones della Congregazione concistoriale troviamo la documentazione di altri due sacerdoti del clero di Catania, proposti per l’episcopato non dal cardinale Francica Nava: il can. Salvatore Fazio, tesoriere della cattedrale e cancelliere arcivescovile, e il can. Gaetano Savasta, penitenziere della cattedrale. Il primo era stato proposto per la diocesi di Caltagirone dal vescovo di Noto, Giuseppe Vizzini. Nella lettera del 14 gennaio 1922, indirizzata al card. De Lai, con cui Francica Nava esprime il suo parere, si legge: «Quantunque mons. Salvatore Fazio, canonico di questa Metropolitana, abbia belle doti di mente e di cuore, per cui giustamente gode molta stima qui ed altrove, nondimeno parmi che manchi di quelle richieste dall’ufficio di governo di una diocesi. Ed è questa la ragione per cui mi sono astenuto dal proporlo come soggetto idoneo ad essere promosso all’episcopato […]. La sua età è ormai di 53 anni. La sua salute da qualche tempo è alquanto sofferente; ma ad accrescere i suoi incomodi influisce, come mi sembra, la sua fantasia non ben regolata […]. Tale sua fantasia lo rende spesso ombroso, facile a formare delle persone e delle cose giudizii non esatti, a lasciarsi condurre da altri che conosce il suo debole, ecc.»134.

Il can. Gaetano Savasta, prima prevosto a Paternò e poi canonico penitenziere in cattedrale, era stato richiesto come vescovo l’8 novembre 1920 da un gruppo di fedeli di Acireale per succedere a mons. Giovanni Battista Arista, morto il 27 settembre 1920. La Congregazione chiese le informazioni al card. Francica Nava, che il 22 marzo 1921 così rispose: «Mons. Gaetano Savasta, benché per pietà e istruzione si distingua in questo nostro clero diocesano, nondimeno non parmi che abbia tutte le qualità per proporlo come candidato al governo pastorale di una diocesi […]. Benché da prevosto avesse adempiuto con zelo e disinteresse il suo officio parrocchiale, tuttavia per il suo carat-

134

Positiones, Catania 1, n. 411/1920.

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tere inclinato soverchiamente alla benignità non mostrò nel reggere la necessaria energia»135.

La varietà dei casi trattati e il diverso atteggiamento assunto nei loro confronti consentono di riscontrare nel vescovo Francica Nava una buona capacità di discernimento, che è una delle principali doti di una persona di governo.

— Il sinodo diocesano Fra gli obblighi, che le norme canoniche imponevano al vescovo nel governo della sua diocesi, quello di riunire periodicamente il sinodo era allo stesso tempo uno dei meno osservati e dei più sollecitati136. Nei questionari delle relazioni ad limina una domanda riguardava la celebrazione del sinodo e l’osservanza delle sue costituzioni. Se il vescovo dava una risposta negativa, i prelati revisori facevano notare puntualmente la lacuna e suggerivano al responsabile della Congregazione di richiamare il vescovo ai suoi doveri137. A Catania, nonostante le norme esistenti e i richiami periodici della Congregazione, non era stato più convocato alcun sinodo diocesano dopo quello celebrato nel 1668 dal vescovo Michelangelo Bonadies138. Si comprende perciò il proposito, manifestato dal vescovo Francica Nava fin dall’inizio del suo governo pastorale, di adempiere questo suo dove135 Ibid., n. 222/1921. Il fascicolo fu chiuso con la nota: «Il cardinale di Catania è contrario: troppo debole. Quindi reponatur. Card. Di Lai». 136 A. LONGHITANO, La normativa sul sinodo diocesano. Dal concilio di Trento al codice di diritto canonico, in La Scuola Cattolica 115 (1987) 3-31. Il sinodo diocesano nella teologia e nella storia. Atti del convegno di studi. Catania, 15-16 maggio 1986, Acireale 1987, 33-85. 137 La Congregazione del concilio aveva sollecitato la convocazione del sinodo diocesano ai vescovi Salvatore Ventimiglia nel 1762 (Relazioni, I, 646) e Corrado Maria Deodato negli anni 1785, 1788, 1794, 1803 (ibid., II, 699-702; 705, 708). Nella relazione presentata dal vescovo Giuseppe Benedetto Dusmet nel 1869 troviamo evidenziata la notizia che egli dà sulla mancata convocazione del sinodo diocesano, ma non risulta alcun richiamo da parte della Congregazione (ibid., 800). 138 Sul sinodo celebrato dal vescovo Michelangelo Bonadies si veda: Relazioni, I, 299-370.

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re, diventato più urgente in vista della promulgazione del Codice di diritto canonico139. Possiamo ricostruire l’iter seguito per attuare questo suo proposito leggendo: la lettera pastorale pubblicata all’inizio della quaresima del 1918140; il decreto di indizione del sinodo del 12 marzo141; il discorso inaugurale rivolto dal vescovo all’assemblea sinodale, pubblicato in appendice al volume degli atti sinodali142; la documentazione prodotta in margine all’evento143; i servizi della stampa per illustrare l’avvenimento144. Nella festa dell’epifania era stato letto in cattedrale il decreto di indizione del sinodo, secondo le prescrizioni contenute nel Cerimoniale dei vescovi145. Erano obbligati a partecipare al sinodo: i canonici della cattedrale e della collegiata di Catania, i vicari, i provicari foranei e gli arcipreti di tutta la diocesi, i cappellani curati della città, i prevosti di tutte le collegiate della diocesi assieme a un rappresentante eletto dal capitolo, distinto dal vicario foraneo, i canonici secondari e beneficiari della cattedrale assieme al prefetto di sagrestia. Erano esortati a partecipare: i superiori e i professori del seminario, i rettori delle chiese nelle quali venivano amministrati tutti i sacramenti, i superiori degli ordini religiosi residenti in diocesi. Erano inviati tutti i canonici dei capitoli, i mansionari e i sacerdoti della diocesi146. L’assemblea fu convocata per il 14 aprile 1918, seconda domenica dopo pasqua, e per i due giorni successivi 15 e 16. Erano previste due sedute: una mattutina e l’altra pomeridiana. A coloro che ne fa-

139 Leggiamo questa affermazione nella lettera pastorale G. FRANCICA NAVA, Il Sinodo diocesano, in BE 22 (1918) 9-15: 12. 140 L. c. 141 G. FRANCICA NAVA, Indictio synodi, ibid., 25-28. 142 ID., Synodus dioecesana catanensis, Catanae 1918, V-X. 143 Episcopati, Francica Nava, Sinodo diocesano. 144 Il quotidiano Corriere del mattino, nei giorni 17, 20 e 22 aprile, pubblicò tre servizi con la cronaca degli avvenimenti. Nel Bollettino Ecclesiastico è riportato un breve resoconto delle celebrazioni (BE 22 [1918] 37-45) con l’elenco degli eletti nelle diverse mansioni previste dalle norme canoniche. La Civiltà Cattolica 70 (1919) I, 508-509 riportò una recensione del volume degli atti sinodali. 145 G. FRANCICA NAVA, Il Sinodo diocesano, cit., 13. 146 ID., Indictio synodi, cit., 26-27.

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cevano richiesta era data la possibilità di alloggio e vitto durante i giorni della celebrazione147. Nell’imminenza della convocazione, il papa Benedetto XV aveva inviato al vescovo Francica Nava una lettera personale148, in cui si congratulava per la lodevole decisione di convocare un sinodo diocesano a breve distanza dalla promulgazione del Codice di diritto canonico. Si diceva certo che avrebbe portato molti frutti, perché sapeva che tutto era stato preparato con cura e che il clero era ben disposto ad accoglierlo. Assicurava le sue preghiere e impartiva la sua benedizione. I membri dell’assemblea, quando si riunirono, come primo atto collegiale inviarono al papa un messaggio di saluto149 in cui manifestavano la propria fedeltà al suo magistero di «rettore e maestro» della Chiesa; dichiaravano di voler contribuire alla formulazione delle norme sinodali in spirito di obbedienza al suo mandato e affermavano che preferivano immaginarle come date loro dalle sue stesse mani; chiudevano il messaggio con l’auspicio che potesse cessare al più presto lo strepito delle armi dell’immane conflitto mondiale. Il papa rispose mediante il suo segretario di Stato, il card. Pietro Gasparri, il 25 aprile, ringraziando e rinnovando le sue felicitazioni per l’opera compiuta150. La seduta inaugurale si tenne in cattedrale, le altre nel salone dell’episcopio, dove c’è una targa commemorativa dell’avvenimento151. Il Francica Nava si avvalse soprattutto dell’aiuto del vescovo ausiliare Emilio Ferrais e del gesuita p. Vincenzo Licalsi152. Nella fase di elaborazione dei decreti aveva chiesto il parere di molti ecclesiastici, eminenti per dottrina e pietà, riuniti in commissioni distinte. Secondo

147

Ibid., 27. ID., Synodus, cit., I. 149 Ibid., II. 150 Ibid., III. 151 «Iosephus Francica Nava card. Archiepiscopus catanensium legibus sacris firmandis moribus moderandis naviter consulens ius pontificium novissime latum bene auspicans synodo dioecesana solemniter indicta ecclesiae cathedralis canonicorum ordinis et cleri frequentis consessibus XVIII XVII XVI kalendas maias MCMXVIII hac in aula praefuit adloquis honestavit anno CCL redeunte quo synodum suam a Concilio Tridentino postremam Michaelangelus Bonadies episcopus celebravit». 152 I. FRANCICA NAVA., Synodus, cit., VI. 148

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le prescrizioni canoniche aveva anche consultato il capitolo dei canonici della cattedrale. Dopo la lettura in assemblea delle norme, non erano previsti interventi orali da parte dei membri sinodali. Era possibile tuttavia inviare osservazioni scritte per suggerire modifiche o eventuali aggiunte. Il vescovo si riservava di leggere, vagliare e decidere sulle osservazioni pervenute153. Il decreto definitivo di approvazione e di promulgazione sottoscritto dal vescovo Francica Nava, che leggiamo all’inizio del volume degli atti sinodali154, non porta la data; perciò non siamo in grado di stabilire il tempo impiegato per la revisione dei decreti dopo la loro lettura in assemblea. C’è da presumere che non siano state avanzate richieste di modifiche o aggiunte al testo preparato dalla commissione e letto in assemblea. Il sinodo nel suo impianto generale risulta modellato sul Codice di diritto canonico. Francica Nava, nella lettera pastorale aveva esordito affermando: «Il Divin Salvatore Gesù Cristo nel fondare in terra la sua Chiesa […] volle darle la forma di una società perfetta, dotandola perciò di un Capo Supremo nella persona di Pietro e dei suoi augusti successori, e di altri Capi a lui subalterni, ai quali affidò l’immediato governo spirituale dei fedeli, sparsi nelle molteplici diverse regioni, detti Vescovi»155.

Le norme promulgate sono divise in 5 parti: I, La fede cattolica (decreti 1-7); II, I sacramenti (decreti 8-16, suddivisi in capitoli); III, Il culto divino (decreti 17-23); IV, Le persone ecclesiastiche (decreti 2434, suddivisi in capitoli); V, La curia vescovile e le curie dei vicari foranei (decreti 35-38, suddivisi in capitoli). Il titolo della quarta parte «De ecclesiasticis personis» si riferisce ai due soggetti di diritto, intesi nel significato definito dai can. 87 e 107: i chierici e i laici. Tuttavia fra i due l’assoluto protagonista è il chierico, al quale sono dedicati sette degli undici decreti che costituiscono la IV parte del sinodo; gli ultimi quattro decreti riguardano: i religiosi, le vergini consacrate, le associazioni dei fedeli e le associazioni cattoliche, includendo in que-

153

L. c. Ibid., 2. 155 G. FRANCICA NAVA, Il Sinodo diocesano, cit., 9. 154

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ste ultime tutte le forme associative e le organizzazioni nate negli ultimi decenni dal movimento cattolico. La distinzione fra le antiche e le nuove associazioni cattoliche, permette di affrontare a parte una trattazione che manca nel codice: quella riguardante il dovere dei laici di impegnarsi ad animare con lo spirito cristiano la società, istituendo e sostenendo le associazioni che costituiscono l’«azione cattolica», secondo le direttive degli ultimi pontefici. I decreti sinodali promulgati dal vescovo Francica Nava costituiscono una fonte di grande rilevanza, dal punto di vista storico, giuridico e teologico, perché offrono spunti interessanti per conoscere l’ordinamento della diocesi di Catania in un momento particolare della sua vita: il passaggio dall’antico modello di cura delle anime, incentrata sul vescovo unico parroco, al modello voluto dal codice e in fase di attuazione da parte del Francica Nava, di creare parrocchie distinte con parroci perpetui. Inoltre permette di individuare le soluzioni normative adottate per tanti problemi della pastorale diocesana: la catechesi, la predicazione, la celebrazione eucaristica e dei sacramenti, le feste dei santi, le iniziative del movimento cattolico.

— La riforma della cura delle anime Uno dei problemi più urgenti da risolvere, che Francica Nava aveva ereditato dai suoi predecessori, era la riforma della cura delle anime. Nella relazione del 1916 descrive la situazione esistente: «In questa nostra diocesi non sono mai esistite vere parrocchie canonicamente erette, se si escludono le due di Bronte e di Trecastagni. Sebbene nel 1554 il vescovo Nicola Caracciolo, rientrando dal Concilio di Trento, avesse voluto eseguire un decreto su questo argomento, il senato catanese di quel tempo si oppose. Pertanto è rimasto l’antico ordinamento della Chiesa primitiva: il vescovo unico parroco di tutta la diocesi — come si asserisce — delega alcuni presbiteri nelle singole chiese curate, che in suo nome e autorità esercitano la cura delle anime»156. 156

Rel. 1916, p. 30. Il problema è preso in esame nel volume: A. LONGHITANO, La parrocchia nella diocesi di Catania prima e dopo il Concilio di Trento, Palermo

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La Santa Sede in passato aveva più volte sollecitato i vescovi di adeguare alle norme canoniche l’ordinamento esistente, ma difficoltà di varia natura avevano impedito l’attuazione della riforma. A quelle più antiche, legate alla struttura stessa della società siciliana, se ne erano aggiunte altre, come ad esempio, l’esito favorevole del lungo processo avviato dal card. Dusmet presso i tribunali civili per avere restituita quella parte dei beni soppressi con le leggi eversive, che doveva essere considerata beneficio parrocchiale, essendo il vescovo di Catania unico parroco di tutta la diocesi. La vittoria conseguita dopo tre gradi di giudizio consigliava di non mutare la situazione esistente, onde evitare ripensamenti e rivendicazioni. I vescovi si erano limitati ad erigere semplici chiese sacramentali nelle periferie della città, man mano che sorgevano i nuovi quartieri157. Francica Nava inizialmente aveva deciso di seguire la linea del suo predecessore e nella relazione del 1904 scriveva: «Questo singolare ordinamento delle parrocchie, che è in vigore da secoli, ha certamente degli aspetti positivi, soprattutto ai nostri tempi, ma comporta anche alcuni inconvenienti. Sarebbe molto

1977. È bene far notare che l’anomalia descritta riguarda solamente l’aspetto giuridico formale, non quello pastorale concreto. Nelle chiese sacramentali c’erano sacerdoti che di fatto esercitavano stabilmente la cura delle anime, compiendo tutte le attività dei parroci. L’unica differenza consisteva nella natura della loro potestà: invece di essere propria, strettamente derivante dall’ufficio ricevuto, era vicaria, cioè esercitata in nome del vescovo. La confusione fra il piano giuridico formale e quello pastorale concreto ha indotto alcuni storici ad affermare che nella diocesi di Catania, in forza di questa anomalia, non si è formato il senso della parrocchia e non si sono potute avviare le iniziative pastorali legate all’istituto parrocchiale. Le carenze lamentate — sempre che ci siano state — riguardano l’ordinamento ecclesiastico siciliano e devono essere spiegate con le scelte fatte dai normanni dopo la parentesi islamica: l’esercizio della cura delle anime non era monocentrico, cioè non aveva come punto di riferimento il vescovo e la parrocchia; ma era policentrico, perché attribuito ad una pluralità di soggetti: la stessa autorità politica, le grandi abbazie monastiche, gli ordini religiosi, le confraternite, i terzi ordini, ecc. In queste condizioni, il modello di parrocchia delineato dal Concilio di Trento non si è potuto sviluppare pienamente. Sul tema si veda anche: A. LONGHITANO, Evoluzione sociale e giuridica delle parrocchie, in F. FLORES D’ARCAIS (cur.), La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, Caltanissetta-Roma 1994, 405-482. 157 A. LONGHITANO, Parrocchia e realtà urbana, in Chiesa e società urbana in Sicilia (1890-1920), cit., 135-169.

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arduo cambiare questa situazione e, nelle difficili condizioni in cui ci troviamo, si potrebbero temere conseguenze peggiori»158.

Nelle relazioni del 1908 e del 1916 ripete sostanzialmente lo stesso discorso, giustificando la mancata riforma con la scelta di un male minore quando ci si trova dinanzi ad una necessità159. Il problema parrocchiale non riguardava solo la diocesi di Catania; l’argomento era stato discusso più volte nelle conferenze episcopali dei vescovi di Sicilia presiedute dal cardinale Francica Nava. Nel 1916 era stata presa la decisione di celebrare un concilio plenario per adeguare tutto il sistema ecclesiastico siciliano al nuovo codice che stava per essere promulgato160. Dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico e la celebrazione del sinodo diocesano del 1918, il vescovo Francica Nava si rese conto che il problema non era più rinviabile. Inizialmente decise di avviare la riforma della cura delle anime a partire dalle collegiate esistenti nei comuni più popolosi; in un secondo momento provvide all’erezione delle parrocchie autonome nei centri abitati minori; avrebbe dovuto portare a compimento il suo progetto di riforma con l’erezione delle parrocchie nel territorio della città di Catania. La riforma della cura delle anime nelle collegiate era stata stabilita dal codice promulgato nel 1917. Se in passato le norme canoniche permettevano che la cura delle anime fosse affidata ad un collegio di sacerdoti (le comunìe o chiese ricettizie, i capitoli dei canonici, ecc.), il codice disciplinava con una certa rigidità questo argomento: nel can. 451 stabiliva che una persona morale poteva avere solo la cura abituale delle anime, cioè un diritto e una responsabilità di principio; in concreto la cura doveva essere esercitata da una sola persona, il vicario attuale. In sostanza si passava dalla cura collegiale alla cura individuale delle anime. Nella diocesi di Catania le antiche comunìe era state trasformate in collegiate; il vescovo doveva intervenire riformando gli antichi statuti: dopo avere eretto formalmente la parrocchia autonoma con parroco perpetuo, doveva affidare ad una sola 158 Rel. 1904, fol. 7r. Un rilievo analogo era stato fatto dal vescovo Dusmet nella sua relazione del 1873: Relazioni, II, 771-772. 159 Rel. 1908, p. 12; rel. 1916, p. 30-31. 160 A. LONGHITANO, Evoluzione sociale, cit.

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persona la piena responsabilità della cura delle anime, che in passato — con varie modalità — era stata attribuita a tutto il capitolo. Il primo intervento ebbe come oggetto il comune di Adrano161, dove la cura delle anime era esercitata nella chiesa madre da una collegiata, eretta dal vescovo Francesco Carafa il 1° febbraio 1690. Nel decreto finale del 1° maggio 1919, con cui fu eretta la parrocchia Maria Santissima Assunta, si nota l’abilità di Francica Nava nel trovare un dignitoso compromesso che gli permise di ottenere il consenso dei canonici162. Dopo alcune premesse dottrinali, il decreto stabilisce le norme che avrebbero dovuto disciplinare in futuro l’esercizio della cura delle anime nella chiesa madre di Adrano: a) il prevosto pro tempore doveva essere considerato parroco a tutti gli effetti, a norma del can. 451 § 1 del Codice di diritto canonico; b) egli sarebbe stato scelto per concorso e nominato dalla Santa Sede, secondo le indicazioni del can. 396 § 1; c) un vicario scelto dal prevosto e nominato dal vescovo lo avrebbe supplito in caso di impedimento o di assenza; ove la parrocchia fosse diventata vacante, sarebbe stato compito del vescovo nominare il vicario economo, a norma del can. 472, 1°; d) i compiti del prevosto-parroco erano quelli previsti dal codice; e) la catechesi che il canonico teologo del capitolo doveva fare per statuto ai fedeli doveva tenersi in orari diversi da quella spettante al parroco. Il secondo intervento riguardò il comune di Paternò, dove esisteva una situazione analoga a quella di Adrano: nel 1559 il vescovo Nicola Maria Caracciolo aveva affidato ad una comunìa la cura delle anime di tutto il centro abitato; nel 1670 il vescovo Michelangelo Bonadies aveva trasformato in collegiata questa comunìa e la cura delle anime era stata affidata alle tre dignità del capitolo: prevosto, cantore e tesoriere. Francica Nava, prima di promulgare il formale decreto di erezione della parrocchia Santa Maria dell’Alto, chiese al capitolo di esprimere il proprio parere sul suo progetto163. Nella riunione del 29 giugno 1919 il capitolo formalizzò le sue richieste164 e il vescovo il 10 luglio promulgò il decreto di erezione, che ricalcava quello di

161

Tutt’Atti 1907-1919, 326-329. Ibid., 350-351. 163 Ibid., 362-365. 164 Ibid., 364. 162

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Adrano165. La cura delle anime era affidata al prevosto-parroco da scegliere mediante concorso. Erano soggetti alla sua giurisdizione quattro vicari cooperatori, che avrebbero svolto il loro ministero in altrettante chiese sacramentali site nel territorio comunale. I rapporti fra parroco e capitolo dovevano essere regolati dalle norme del codice e dalle particolari disposizioni del vescovo. Non poche difficoltà incontrò per trovare una soluzione nel comune di Biancavilla, dove la cura delle anime dal vescovo Pietro Galletti, con il decreto di erezione della collegiata del 26 settembre 1746, era stata affidata a tutto il capitolo. I canonici, quando fu chiesto di esprimere il proprio parere sul progetto di erigere la parrocchie e di nominare il parroco a norma del Codice di diritto canonico, non si dichiararono favorevoli166. Poiché il loro parere non era vincolante, il vescovo, il 20 agosto 1920, emise il decreto con cui erigeva formalmente la parrocchia Santa Maria dell’Elemosina e affidava la cura delle anime al prevosto pro tempore alle stesse condizioni indicate nel decreto di Adrano167. I canonici, convinti che il vescovo avesse conculcato un loro preciso diritto, presentarono ricorso alla Congregazione del concilio, che, dopo tre anni (il 20 dicembre 1923), fece conoscere la sua decisione: il decreto del vescovo Francica Nava veniva confermato in tutte le sue parti; la collegiata di Biancavilla non aveva soggettività giuridica, perché non era stata mai eretta a norma del diritto canonico; infatti l’erezione di un capitolo poteva essere fatta solo dalla Santa Sede e il decreto del vescovo Galletti del 1746 doveva essere considerato privo di rilevanza168. La risposta della Congregazione, per molti aspetti sorprendente, spianò al vescovo la strada per completare senza opposizioni la sua riforma. Gli altri capitoli dei comuni — se pure avessero voluto far valere i propri diritti — trovandosi nelle stesse condizioni della collegiata di Biancavilla, erano privi di soggettività giuridica, perciò incapaci di levare la propria voce in difesa della prassi seguita in passato.

165

Ibid., 358-362. Episcopati, Francica Nava, carpetta 23, Biancavilla. 167 Tutt’Atti 1920-1954, 39-42. 168 Episcopati, Francica Nava, carpetta 23, Biancavilla. 166

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Risolto il difficile problema posto dall’esistenza delle collegiate nei comuni più popolati, Francica Nava poteva procedere all’erezione delle parrocchie nei centri abitati minori: il 21 giugno 1926 con un solo decreto eresse 25 parrocchie169 e 23 vicarie curate170. Si potrebbe avere l’impressione che la morte del vescovo abbia impedito la piena attuazione della riforma parrocchiale. In realtà i problemi da affrontare erano complessi e difficilmente Francica Nava avrebbe potuto risolverli nel breve periodo, anche se non fosse sopravvenuta la morte. Nel decreto del 1926 affermava che l’erezione delle parrocchie era stata ostacolata dalla mancanze di rendite e di case canoniche. Si era superato il primo ostacolo con l’intervento del governo italiano, che aveva stabilito di dare il proprio contributo per 169 Nel decreto risultano nell’ordine le seguenti parrocchie: 1) Belpasso, Immacolata; 2) Belpasso, Sant’Antonio; 3) Belpasso, Santa Maria della Guardia a Borrello; 4) Camporotondo Etneo, Sant’Antonio Abate; 5) Gravina di Catania, Sant’Antonio di Padova; 6) Maletto, Sacri Cuori di Gesù e Maria; 7) Mascalucia, Santa Maria della Consolazione; 8) Misterbianco, Santa Maria delle Grazie; 9) Motta Sant’Anastasia, Santa Maria del Rosario; 10) Santa Maria di Licodia, Santissimo Crocifisso; 11) Sant’Agata li Battiati, Maria Santissima Annunziata; 12) San Gregorio, Santa Maria degli Ammalati; 13) San Giovanni la Punta, San Giovanni Battista; 14) San Giovanni la Punta, San Rocco a Trappeto; 15) San Pietro Clarenza, Santa Caterina V. M.; 16) Tremestieri, Santa Maria della Pace; 17) Viagrande, Santa Maria dell’Idria; 18) Viagrande, San Biagio a Viscalori; 19) Zafferana Etnea, Santa Maria della Provvidenza; 20) Zafferana Etnea, Santa Maria del Rosario a Fleri; 21) Zaffereana Etnea, Santa Maria del Carmelo a Bongiardo; 22) Zafferana Etnea, San Giuseppe a Pisano; 23) Paternò, Santa Maria del Carmelo a Ragalna; 24) Pedara, Santa Caterina V. M.; 25) Nicolosi, Spirito Santo (Tutt’Atti 1920-1954, 130-143; BE 31 [1927] 82-83). 170 Le vicarie curate riguardano i seguenti comuni: 1) San Giovanni la Punta, chiesa madre; 2) Zafferana Etnea, chiesa madre; 3) Pedara, chiesa madre; 4) Pedara, Sant’Antonio; 5) Trecastagni, Santa Caterina; 6) Nicolosi, Spirito Santo; 7) Nicolosi, Santa Maria delle Grazie; 8) Paternò, Santa Margherita; 9) Paternò, Anime del Purgatorio; 10) Paternò, San Michele Arcangelo; 11) Paternò, Santissimo Salvatore; 12) Paternò, Santa Barbara; 13) Paternò, Maria Santissima Annunziata; 14) Adrano, chiesa madre; 15) Adrano, San Filippo apostolo; 16) Adrano, San Pietro; 17) Adrano, Santa Lucia; 18) Adrano, San Leonardo; 19) Adrano, San Giuseppe; 20) Biancavilla, chiesa madre; 21) Biancavilla, Maria Santissima Annunziata; 22) Biancavilla, Santa Maria dell’Idria; 23) Tremestieri, Santa Maria delle Grazie a Piano. Non sembra che tutte queste vicarie abbiano ottenuto il riconoscimento civile e il supplemento di congrua. Nella relazione ad limina del 1927 il vescovo non accenna a questo atto così importante del suo governo, perché i dati in essa contenuti si riferivano al quinquennio 19211925. Ne fa menzione invece il vescovo Patanè nella sua relazione (rel. 1937, I, 3/f).

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costituire la dote alle singole parrocchie. A conferma di questa asserzione sono citati puntigliosamente alcuni passaggi formali: la richiesta inviata dal vescovo a Roma il 27 novembre 1923, la sua accettazione da parte del ministero competente in data 12 dicembre 1923, la comunicazione del 17 dicembre 1923, pervenuta tramite la Procura generale della Corte d’appello di Catania. Il complesso iter di questo provvedimento è illustrato da una nota del Bollettino Ecclesiastico: «Con l’aiuto che ha offerto il presente Governo dell’aumento della congrua alle parrocchie che non avessero avuto la dote sufficiente al mantenimento del rispettivo parroco, l’eminentissimo Cardinale ha già potuto erigere canonicamente 25 nuove parrocchie della nostra Diocesi, smembrandole dalla quasi unica parrocchia formata da tutta la Diocesi, di cui egli stesso era unico parroco […]. Al qual decreto non si è data ancora esecuzione, perché si è aspettato il riconoscimento civile del R. Governo. Questo è già un fatto compiuto, e si attende la firma del Sovrano al detto riconoscimento, che non tarderà molto»171.

In sostanza, se si tiene presente che per il diritto canonico la parrocchia era sostanzialmente un beneficio, cioè un patrimonio in grado di produrre un reddito per il sostentamento del parroco, per erigere una parrocchia era necessario disporre della dote richiesta dal beneficio; pertanto il problema più che giuridico era patrimoniale. L’operazione, moltiplicata per il numero delle parrocchie da erigere in tutto il territorio diocesano, esigeva la disponibilità di un notevole patrimonio, costituito da beni mobili o immobili. Questo progetto, che inizialmente sembrava di impossibile realizzazione, divenne fattibile perché il governo italiano dispose il pagamento del “supplemento di congrua”. In altre parole: nei casi in cui il reddito prodotto dal patrimonio era insufficiente alla “congrua sussistenza” del sacerdote, il governo si impegnava a integrarlo versando ai parroci un supplemento172. Franci-

171

BE 31 (1927) 82-83. Nella riforma dell’ordinamento parrocchiale hanno avuto una particolare incidenza le norme emanate dallo Stato. Il decreto canonico di erezione di una par172

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ca Nava costituì i benefici per i centri abitati extraurbani; il suo successore avrebbe dovuto estendere l’operazione al territorio della città. Come vedremo nel profilo del vescovo Carmelo Patanè, non era sufficiente la sola “volontà politica”; caso per caso fu necessario reperire le risorse per costituire il beneficio delle erigende parrocchie della città di Catania.

— Quale cura per le collegiate superstiti? Leggendo le relazioni del vescovo Francica Nava si rimane sorpresi per lo spazio riservato alla descrizione delle collegiate, un istituto giuridico da tempo privo di rilevanza pastorale, che in molti casi dava l’impressione di esistere solo sulla carta. I vescovi nel redigere le relazioni dovevano rispondere ai quesiti posti dalla Congregazione, perciò non potevano ignorare il tema. Non siamo in grado però di stabilire quale spazio intendevano offrire a questi istituti nella pastorale diocesana. La loro esistenza da tempo era motivo di discussione sia all’interno della Chiesa sia da parte dello Stato. La stessa curia di Catania induce a credere di avere incontrato qualche difficoltà nel raccogliere i dati necessari per redigere le relazioni; infatti negli elenchi riportati dalle relazioni troviamo qualche lacuna e notiamo che il numero dei canonici delle singole collegiate in qualche caso risulta inserito successivamente, quando il documento era stato già trascritto dal calligrafo ed era pronto per la spedizione173. Nella seconda metà del ’700 il vescovo Salvatore Ventimiglia, facendo l’elenco di tutte le collegiate esistenti nella diocesi di Catania, aveva indicato puntigliosamente i loro fondatori, il numero dei

rocchia o di una vicaria curata a volte veniva redatto o modificato tenendo conto delle condizioni stabilite dalle leggi dello Stato per ottenere il riconoscimento civile e il supplemento di congrua. In alcuni casi le parrocchie risultano erette ab immemorabili, perché una norma civile prevedeva uno status privilegiato per quelle chiese nelle quali la cura delle anime era stata esercitata prima di una certa data e a certe condizioni. Si vedano ad es. le parrocchie: Santissima Trinità di Bronte, Maria Santissima Annunziata a Mascalucia Massannunziata, San Giovanni Battista a San Giovanni Galermo, San Nicola di Bari a Trecastagni. 173 Rel. 1904. Elenco delle collegiate della diocesi.

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canonici e il ruolo che avevano nella cura delle anime. Dopo aver velatamente criticato l’eccessivo zelo di alcuni vescovi nel moltiplicare a dismisura il numero della collegiate, suggeriva almeno il loro riordino per evitare la confusione che riscontrava nell’esercizio della cura delle anime174. Nello stesso periodo il vescovo di Siracusa Giovanni Battista Alagona scriveva nella sua relazione: «Sarebbe bello se non ci fossero tante insegne canonicali, utili solo a fomentare la vanità e le discordie, non il servizio alle chiese»175. Nel sinodo diocesano celebrato dal Francica Nava nel 1818, prima ancora che venisse messa in dubbio l’esistenza giuridica delle collegiate della diocesi, leggiamo una norma che ci permette di conoscere la situazione in cui operavano e il giudizio del vescovo sul loro operato: «Raccomandiamo insistentemente a tutti i prevosti, ai capitolari e a tutti gli altri che prestano servizio nelle collegiate che con tutto il cuore e il massimo impegno, unendo le proprie forze, messe da parte le inutili controversie, si adoperino per l’incremento della propria collegiata. Raggiungeranno più facilmente questo fine se saranno di esempio ai fedeli nella santità della vita e se con l’esercizio del proprio ministero avranno cura della loro santificazione e della loro salvezza eterna»176.

Si è visto che solo nel 1923, a conclusione di una vertenza tra la collegiata di Biancavilla e il vescovo Francica Nava, la Congregazione del concilio fece osservare che si trattava di enti ecclesiastici “inesistenti” dal punto di vista giuridico, perché fondati dai vescovi senza la necessaria autorizzazione della Santa Sede. La risposta data dalla Congregazione è sorprendente, perché nella maggior parte delle relazioni ad limina, quando si faceva l’elenco delle collegiate esistenti, venivano indicati anche i loro fondatori. I prelati della Congregazione del concilio, che avevano il compito di leggere i documenti e sottolineare le cose meritevoli di attenzione, avrebbero dovuto porsi l’inter-

174 175

Relazioni, I, 597-600. Citato da G. DE ROSA, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Bari

1978, 151. 176

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I. FRANCICA NAVA, Synodus, cit., art. 422.


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rogativo sull’esistenza di un mandato di Roma per i vescovi che erigevano collegiate. Sebbene le leggi eversive dello Stato unitario, avessero soppresso le collegiate e incamerato il loro beni, la Santa Sede aveva raccomandato ai vescovi di tenerle in vita. Questa raccomandazione era dettata probabilmente da un motivo politico: non si voleva ammettere il principio che fosse lo Stato a dettare le riforme nel proprio ordinamento177. Sembra tuttavia che non si fosse del tutto alieni dal riconoscere loro una qualche utilità per la Chiesa, anche se le residue mansioni loro affidate, sottratta loro la cura delle anime, erano prevalentemente esteriori e formali. Nella risposta data dalla Congregazione del concilio al ricorso dei canonici di Biancavilla, mentre per un verso si affermava che l’erezione della loro collegiata doveva essere ritenuta invalida, per un altro verso si suggeriva di fare istanza alla Santa Sede per ottenere che la loro irregolarità venisse sanata178. Dinanzi ad un invito così autorevole, le collegiate dei comuni di Biancavilla, Adrano e Paternò non tardarono a presentare formale richiesta. La Santa Sede, con apposita bolla, eresse tre collegiate ad honorem179, collegiate cioè che potevano usufruire dei privilegi previsti dalle norme canoniche, pur essendo prive dei prescritti benefici. Per ognuna di esse furono stabiliti: il numero delle dignità, dei canonici, dei mansionari, l’abito specifico delle dignità e dei canonici, i diritti e i doveri dei membri del capitolo180. Nelle intenzioni del vescovo e della Santa Sede probabilmente c’era il desiderio di gratificare in qualche modo il clero, obbligato ad

177 A. LONGHITANO, Le condizioni di vita del clero, cit., 491-494; ID., Evoluzione sociale, cit., 430-440. 178 Episcopati, Francica Nava, carpetta 23, Biancavilla. 179 Per prima fu eretta quella di Biancavilla (20 ottobre 1924), poi quella di Adrano (6 giugno 1928), infine quella di Paternò (21 maggio 1929). I relativi decreti furono pubblicati nel Bollettino Ecclesiastico. 180 Tra i comuni minori sembra che sia stata presentata formale richiesta per ottenere l’erezione di una collegiata ad honorem nella chiesa di San Biagio di Viagrande. Da una nota di archivio della Congregazione concistoriale del 1927 siamo informati che il sac. Angelo Messina si era recato nell’ufficio del segretario assieme a mons. Alfio D’Agata per domandare a che punto fossero le pratiche per l’erezione della collegiata di Viagrande (Archiv Concist, Catania, n. 319/1927). Probabilmente la richiesta non fu accolta perché si trattava di un piccolo centro abitato.

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accettare la riforma parrocchiale voluta dal codice. Ma non sembra del tutto fuori luogo far notare la mancanza di realismo e di un autentico sensus Ecclesiae da parte di tutti i protagonisti di questa vicenda: proprio quando appariva evidente che le collegiate erano prive di consistenza giuridica e pastorale, invece di farle decadere del tutto, si suggerì l’iter da seguire per ottenere una nuova identità formale e continuare a condurre un’esistenza inutile o poco edificante per i fedeli.

— Lo sviluppo del movimento cattolico La soppressione dell’Opera dei congressi del 1904 e la diversa configurazione voluta da Pio X per l’Azione cattolica, non introdusse mutamenti di rilievo nel movimento cattolico della diocesi di Catania. Si ha l’impressione che si sia trattato solamente di una riorganizzazione formale, che lasciò immutati i contenuti: i comitati parrocchiali dell’Opera dei congressi si trasformarono nelle sezioni dell’Unione popolare; le casse rurali e operaie e le altre iniziative sociali furono coordinate dall’Unione economico sociale; le iniziative avviate dai cattolici durante le elezioni amministrative passarono sotto il controllo dell’Unione elettorale. Problemi di una certa importanza si posero in seguito al decreto Docente Apostolo, emanato il 18 novembre 1910 dalla Congregazione concistoriale181, con cui si proibiva al clero di dirigere o di ricoprire uffici di responsabilità nelle casse rurali e operaie promosse dal movimento cattolico: c’era in gioco anzitutto la stessa sopravvivenza di queste opere, che spesso si reggevano sulla persona e sull’attività dei sacerdoti182; ma bisognava anche interpretare il nuovo indirizzo che la Santa Sede intendeva seguire. Le molteplici attività promosse dall’Opera dei congressi e l’incoraggiamento della Rerum novarum all’azione sociale dei cristiani, erano state accompagnate da commenti positivi non prive di retorica: si era detto che il clero finalmente era stato obbligato ad uscire dalla 181

AAS 2 (1910) 910. La situazione delle casse rurali e operaie nella diocesi di Catania è descritta da G. e P. SCARVAGLIERI, Vincenzo Bascetta. L’azione sociale e politica, Napoli 1979, 55-77. 182

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sacrestie per andare nelle piazze e nei luoghi in cui si svolgeva la vita della società. Le decisioni prese da Pio X diedero l’impressione di un ritorno al passato: in sostanza il clero veniva invitato a rientrare nelle sacrestie dalle quali era uscito negli anni precedenti183. Le premesse da cui parte il documento della Congregazione concistoriale del 1910 suscitano qualche interrogativo. Una citazione della seconda lettera di s. Paolo a Timoteo offre lo spunto per un’affermazione di principio: chi ha scelto di entrare nella milizia di Dio non può occuparsi degli impegni secolari (cfr. 2Tim 2, 4). Dal dato biblico si passa al Concilio di Trento, che obbliga i chierici a «fuggire gli affari secolari» proprio perché sono stati «sollevati in una sfera più alta» (sess. XXII, cap. 1, de ref.). Come regolarsi allora dinanzi al fenomeno verificatosi, con l’aiuto di Dio, negli ultimi tempi? Recentemente nella repubblica cristiana184 sono state promosse tante iniziative per venire incontro alle necessità temporali dei fedeli: banche, casse rurali e operaie, istituti di credito. Tutto questo deve essere approvato, sostenuto e promosso dal clero, tuttavia non fino a fargli dimenticare o trascurare i doveri del suo stato. Il papa pertanto proibisce ai chierici secolari o religiosi di assumere quelle cariche che comportano gli obblighi e i rischi derivanti dall’amministrazione: presidenti, direttori, segretari, cassieri, ecc. I vescovi entro quattro mesi devono avvertire coloro che ricoprono questi uffici che in futuro per continuare hanno bisogno del nulla osta della Santa Sede. Il 14 gennaio 1911 il vescovo Francica Nava scrive al segretario della Congregazione e non nasconde le sue preoccupazioni per il provvedimento emanato nei mesi precedenti: «Dopo la pubblicazione del decreto del 18 novembre di codesta Congregazione Concistoriale […] non pochi sacerdoti che, per 183

M. GUASCO, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Bari 1997, 176-

179. 184 Non è facile comprendere cosa intenda per «repubblica cristiana» il documento della Congregazione. Nessuno degli Stati nei quali erano sorte le iniziative sociali volute dai papi poteva essere più configurato in questo modello storico. La Congregazione si riferiva o a quella parte di società che i cattolici volevano configurare come res publica christiana oppure formulava l’auspicio che in futuro si potesse riproporre l’ordinamento medievale al quale la Santa Sede continuava a guardare con nostalgia.

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mio impulso e in omaggio al desiderio del S. Padre si sono occupati a fondare delle casse operaie o rurali e le hanno portate avanti con grande loro fatica e sacrifizio, si sono a me diretti, mostrandosi pronti ad obbedire agli ordini della Santa Sede, di rinunciare ad una carica che è loro di gran peso e causa di non poche noie e responsabilità, ma mi hanno parimenti fatto convincere che non trovano affatto dei laici, i quali possano nel momento sostituirli, sia perché mancanti di capacità e sia perché non potrebbero occuparsene senza una conveniente retribuzione. Giacché è da osservare che le casse in questa diocesi sono quasi tutte di recente data e generalmente i sacerdoti vi prestano la loro opera gratuita per il bene della classe operaia. Mi hanno essi inoltre esposto che se per poco lasciassero l’ufficio, che per ora occupano, una gran parte almeno dei depositanti ritirerebbero le loro somme e provocherebbero necessariamente il fallimento con tanto danno dell’azione cattolica e della riputazione del clero»185.

Il vescovo chiede la proroga di almeno un anno per avere la possibilità di preparare laici di fiducia in grado di sostituire il clero in quei loro delicati uffici e pone un problema nuovo: «Quando si emanava il decreto sullodato stava per fondarsi in questa diocesi qualche altra cassa cattolica. I sacerdoti che l’avevano promossa hanno sospeso la stipulazione dell’atto costitutivo in omaggio alle disposizioni pontificie; perché se essi non entrano nel consiglio di amministrazione, l’opera non potrà essere fondata per le ragioni accennate di sopra. Desidero su tal riguardo conoscere se nell’impossibilità di trovare dei laici che si occupino delle casse da fondarsi debba io preferire che esse non sorgano, lasciando che i lavoratori si associno sotto il vessillo del socialismo»186.

Il card. De Lai rispose il 24 gennaio, concedendo la proroga di un anno alla permanenza dei sacerdoti negli incarichi ricoperti, ma pose precise condizioni:

185 186

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Positiones, Catania 1, n. 125/1911. L. c.


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«Il S. Padre vuole che nei singoli casi, prima di dare una tale concessione, l’Eminenza Vostra Rev.ma si assicuri della necessità di tale proroga, la quale deve essere cioè richiesta per non mettere a repentaglio l’esistenza delle dette casse, sia per la mancanza di fiducia, oppure per la deficienza di altri soggetti idonei; ed ancora che l’Eminenza Vostra Rev.ma previo un serio esame da compiersi all’occorrenza da persone competenti in materia, parimenti si accerti della regolarità dell’andamento delle medesime casse, in modo che resti eliminato ogni prudente pericolo di scandalo e di danni. Quanto alle nuove casse da erigersi qualora l’Eminenza Vostra Rev.ma stimasse assolutamente indispensabile a tale scopo l’opera di ecclesiastici in qualcuno degli uffici contemplati dal menzionato decreto, il S. Padre parimente Le concede di permettere che assumano le sopradette cariche per un anno. Sia però stretta cura dell’Eminenza Vostra Rev.ma di vigilare attentamente sull’andamento di questo nuove casse, perché anche in esse venga eliminato il pericolo di scandalo e di perdite»187.

Alla scadenza Francica Nava rinnovò la richiesta, affermando: «Quantunque io abbia fatto tesoro delle istruzioni emanate, e cercati buoni laici, che avessero potuto sostituire gli ecclesiastici, purnondimeno non ho potuto tuttora trovarli per la maggior parte delle opere qui esistenti. Un brusco ritiro degli ecclesiastici, porterebbe ad un fallimento inevitabile, essendo state indotte le persone del nostro popolo a fare i depositi esclusivamente per la fiducia al sacerdote»188.

La risposta manifesta il chiaro orientamento del papa di mantenere fermo il principio e di non svuotare di significato con dispense generalizzate la norma emanata dalla Congregazione: «Mi faccio dovere di rispondere alla lettera dell’Eminenza Vostra Rev.ma partecipandole che il S. Padre m’ha ordinato almeno per quanto riguarda la Sicilia di provvedere nei casi particolari a se-

187 188

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conda delle circostanze che in essi saranno esposte e di non concedere facoltà generali circa le disposizioni del decreto Docente Apostolo e che in tal senso è stato già scritto agli ordinari di Caltanissetta e Monreale»189.

La situazione tuttavia non mutò, perché troviamo sia dispense concesse da Roma su richiesta delle singole casse rurali e operaie190, sia la facoltà concessa al vescovo ad biennium di concedere permessi nei casi di necessità191. In tutta la documentazione che riguarda questo argomento sono attestate due preoccupazioni difficilmente conciliabili: quella del papa di riportare il clero al suo compito peculiare di “specialista del sacro” e di non esporlo a sicuri scandali nel caso di fallimento delle banche cattoliche; quella del vescovo di non compromettere irrimediabilmente una serie di iniziative, che avevano consentito alla Chiesa di mantenere un rapporto privilegiato con le classi meno abbienti in un periodo particolarmente difficile192. Nel 1923 la situazione degli istituti di credito cattolici era diventata difficile in tutta Italia. In un pro memoria della Segreteria di Stato del 23 ottobre troviamo un quadro generale delle singole regioni con l’indicazione delle casse più esposte al rischio di fallimento193. Per la Sicilia si nota: «la caduta delle piccola Banca cattolica di Palermo, ha scosso gli ambienti economici di colore. Si è aggiunta la caduta della Banca del lavoro, che aveva aperto a Catania una sede». Il problema posto dal fallimento della Banca cattolica di Paler189

L. c. Le dispense conservate in questo fondo riguardano le seguenti istituzioni: cassa agraria P. Musco di Adernò (n. 1091/1912), cassa rurale Maria Immacolata di Belpasso (n. 2110/1912), cassa rurale San Placido e cassa popolare cattolica per azioni di Biancavilla (n. 64/1912), cassa agricola N. Spedalieri di Bronte (n. 555/1912), cassa depositi e prestiti di Bronte (n. 164/1912), cassa rurale Sant’Antonio Abate di Camporotondo Etneo (n. 786/1912), cassa operaia Sant’Agata di Catania (n. 35/1912, 1602/1913), cassa rurale di Mascalucia (n. 1789/1911, 150/1913), cassa agricola G.B. Nicolosi di Paternò (528/1914, 1224/1914), cassa rurale di San Giovanni la Punta (n. 61/1921, 149/1913, 204/1914), cassa rurale San Giuseppe di Santa Maria di Licodia (n. 60/1912), cassa rurale San Mauro Abate di Viagrande (n. 463/1912). 191 L. c., lettere del vescovo del 1° febbraio 1915, n. 219/1915 e del 14 giugno 1917, n. 515/1917. 192 M. GUASCO, Storia del clero, cit., 178-179. 193 ASV, Segreteria di Stato, 1923, rubrica 357, prot. n. 23149. 190

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mo era stato affrontato l’anno precedente. Era stato incaricato di seguire la complessa vicenda mons. Guido Anichini, che, d’accordo con il segretario di Stato card. Pietro Gasparri, formulò un piano trasmesso a Roma dall’arcivescovo di Palermo, card. Alessandro Lualdi con una sua lettera d’accompagnamento il 17 settembre 1922194. Mons. Anichini ricordava al card. Gasparri che l’anno precedente aveva avuto la possibilità di «esporre la disgraziatissima condizione di cose creatasi in Sicilia, in seguito al fallimento della Banca cattolica che minaccia di travolgere gran numero di Casse rurali e persone ecclesiastiche qualora non si addivenga ad un concordato accettabile da parte dei creditori, che, purtroppo sono in gran parte sacerdoti e persone religiose. All’Eminenza Vostra io esponevo tutto questo anche per desiderio del S. Padre, allo scopo di studiare quali mezzi si potessero mettere in opera per evitare un disastro morale e religioso in Sicilia».

Il piano, preparato dopo una serie di contatti con il Banco di Roma e col Credito nazionale, prevedeva tra l’altro «l’immediata costituzione della Banca regionale siciliana […] che assumerà la liquidazione della banca fallita e pagherà subito ai creditori il 50% allontanando così il fallimento delle casse rurali, minacciato dal Tribunale, e tutta una serie di guai per altre persone ed enti».

Per portare a termine l’operazione la Santa Sede doveva intervenire con un contributo di lire 200, che fu prontamente versato195. Negli anni successivi altre casse in difficoltà chiesero la mediazione della Segreteria di Stato per risolvere i loro problemi. In una lettera del 12 aprile 1929 i sacerdoti Vincenzo Bascetta e Giosuè Galizia, responsabili delle casse di Adernò e di Biancavilla, chiedevano l’appoggio morale della Santa Sede affinché sei grandi banche italiane prestassero il loro aiuto a superare le difficoltà nelle quali si trovavano. Il segretario di Stato, all’arcivescovo Emilio Ferrais che aveva rac194 195

Ibid., 1922, rubrica 357, prot. n. 8374, 79038. L. c.

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comandato la richiesta dei due sacerdoti, scriveva: «non mi è dato vedere come nelle attuali circostanze questa Segreteria di Stato possa esaudire il desiderio di codeste ottime persone»196. Tutta la vicenda delle banche cattoliche ebbe una conclusione drammatica; come si vedrà nel profilo del vescovo Carmelo Patanè, queste istituzioni durante il ventennio fascista andarono incontro al fallimento con le comprensibili conseguenze negative per il clero e per i risparmiatori. Il movimento cattolico nella diocesi di Catania non si era limitato alla fondazione di casse rurali o di cooperative di lavoro. Altri due filoni di un certo rilievo avevano avuto un qualche sviluppo: le unioni professionali, dalle quali prese vita il cosiddetto “sindacato bianco” e l’Unione elettorale, che aveva il duplice compito di orientare i cattolici nelle elezioni amministrative e di convincerli ad osservare il non expedit nelle elezioni politiche. Catania dal punto di visto politico da tempo era un feudo dei “popolari” (repubblicani, radicali e socialisti) guidati da Giuseppe De Felice e non era facile contrastare la loro presenza e la loro azione. L’Unione dei partiti popolari conquistò il potere amministrativo della città nel 1902 e lo mantenne con alterne vicende fino alla prima guerra mondiale. Nonostante la presenza preponderante dei socialisti, i cattolici riuscirono a creare una tenace opposizione, schierandosi su una linea conservatrice197. Lo stesso scontro si ripeté quando il movimento cattolico decise di organizzare propri sindacati, dando vita alle cosiddette “leghe bianche”. Il giovane sacerdote Giuseppe Di Stefano, costretto a confrontarsi con i socialisti, riuscì a provocare nel 1908 la fuga di massa dalla Camera del lavoro a beneficio della lega democratica cristiana198. Si trattava però di successi settoriali, che riguardavano le singole categorie, ma che non avevano una reale incidenza nella città dominata politicamente dai defeliciani199. 196

Ibid., 1929, rubrica 357, prot. n. 79038. G. GIARRIZZO, Catania, Bari 1986, 176-190; G. DI FAZIO, Il sindacalismo bianco a Catania, in Synaxis 3 (1985) 357-386; ID., Giuseppe Di Stefano. Cattolici e mondo operaio a Catania, Torino 1997, 10. 198 Ibid., 25-30. 199 M. CACIAGLI – M.R. GENTILE, Origini e crescita della Democrazia Cristiana a Catania, in Il Mulino (1976) 917-941: 925. 197

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Era molto più complesso il problema della partecipazione alle elezioni, sia per le difficoltà oggettive esistenti, sia per l’atteggiamento assunto dalle gerarchie ecclesiastiche. Il papa e i vescovi erano convinti di avere il diritto/dovere di indirizzare il clero e i fedeli a delle scelte precise: la scelta iniziale nelle elezioni politiche era l’astensione; quando fu abolito il non expedit si pose il problema di individuare il partito che era in grado di garantire “gli interessi cattolici”: l’orientamento fu per il partito popolare; ma si ritenne ben presto che offrisse maggiori garanzie il partito fascista. Sul tema della partecipazione dei cattolici alle elezioni rivestono un certo interesse le «deliberazioni segrete prese nelle conferenze episcopali 13-26 aprile del 1914», che seguono l’introduzione in Italia del primo suffragio universale maschile del 1912200. Le conferenze in quegli anni erano presiedute dal card. Francica Nava; è quindi lecito presumere che egli abbia fatto valere la sua autorità e il suo peso morale nelle decisioni finali. Il documento, firmato dal vescovo Mario Sturzo di Piazza Armerina nella veste di segretario, è molto elaborato e si prefigge «d’impedire che i sacerdoti e le associazioni cattoliche s’impegnino alla lotta politica, prima che sia concessa la relativa venia dall’Autorità competente». A tal fine ritengono necessario «che si formi nell’ambiente il vero concetto del non expedit per i cattolici italiani e se ne faccia intendere il valore obbligatorio morale». Si riteneva necessario istruire «le associazioni cattoliche con una larga conoscenza delle direttive pontificie ed una sincera adesione alla volontà della S. Sede […]. Per il clero i vescovi erano liberi di organizzarlo «nel modo che si crederà più opportuno, perché rimanga fedele alle disposizioni della S. Sede […]». «Considerando la necessità di reprimere gl’impegni arbitrari presi, senza la relativa venia, dai sacerdoti e dalle associazioni cattoliche per scendere nella lotta politica si delibera: 1) quanto ai sacerdoti: che si chiamino segretamente dal Vescovo e si obblighino oralmente a deporre ogni impegno finché non sarà presa una determinazione dall’Unione elettorale; qualora poi i sacerdoti in parola si ostinino a conservare gl’impegni assunti, che siano dal Ve200

Positiones, Catania 1, n. 839/1914; F.M. STABILE, La Chiesa nella società siciliana, cit., 125-126.

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scovo opportunamente puniti […]; 2) quanto ai laici: che trattandosi di defezioni isolate, siano dimessi dalle associazioni cattoliche, a cui appartengono pel tramite della presidenza dell’associazione; che trattandosi di defezioni collettive, si dichiarino separate dall’organizzazione cattolica, pel tramite dell’Unione regionale». «Si delibera: che i Vescovi, pur non prendendo parte diretta ed aperta alle elezioni politiche, esplichino un’azione indiretta per mezzo dell’Unione elettorale; che evitino ogni documento scritto circa la posizione presa o da prendersi dalle associazioni cattoliche; che nelle trattative con la presidenza generale o regionale domandino esplicitamente il segreto sui loro documenti».

Un «regolamento riserbatissimo» definiva il rapporto fra le Unioni elettorali di ogni singola diocesi e i due organismi regionali: la Commissione elettorale e il Segretariato elettorale. La Commissione elettorale siciliana, formata dai rappresentanti di tutte le diocesi, «ha solo il mandato di studiare le condizioni dei singoli collegi dell’isola e di dare il suo parere, favorevole o contrario, riguardo le elezioni politiche prossime future, al Segretariato elettorale regionale». Ci si preoccupa di stabilire regole precise per coordinare le direttive provenienti dalle singole diocesi con il giudizio che deve formulare la Commissione elettorale regionale. Questo organismo può comunicare solo con il Segretariato elettorale regionale: «è rigorosamente vietato fare le sue comunicazioni ad altri». Il documento ci permette di conoscere quale fosse in quegli anni la mens dei vescovi in tema di elezioni politiche più che l’effettiva incidenza che le norme da loro emanate hanno avuto nel comportamento dei cattolici. Va rilevata inoltre la rigida disciplina alla quale furono sottoposti clero e laici su un argomento che avrebbe dovuto avere margini di libertà nella coscienza dei singoli. Nel clima di attesa, determinato dall’introduzione del suffragio universale maschile e dal regolamento della conferenza episcopale siciliana, si inserisce la richiesta presentata il 15 giugno 1914 dal vescovo Francica Nava al segretario della Congregazione concistoriale di consentire al sac. Vincenzo Bascetta di candidarsi come pro sindaco alle elezioni amministrative del comune di Adernò. Nella sua lettera scrive: 94


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«Certamente non ho piacere che un ecclesiastico occupi ufficio tanto alieno dalla sua vocazione, ma nelle presenti circostanze la carica di Sindaco in persona di un ecclesiastico gioverebbe moltissimo per gli interessi della religione in quella città, giacché occorre regolare col municipio molte quistioni da cui dipende la fondazione e sviluppo di varie opere importanti, specialmente l’istruzione cristiana della gioventù. Prego perciò Vostra Eminenza di concedere al detto canonico Bascetta la necessaria licenza, almeno per un tempo determinato, come per simili ragioni è stata concessa al Sac. Sturzo da Caltagirone»201.

Nella nota del 19 giugno, scritta dal segretario ex audientia Sanctissimi per preparare la risposta al Francica Nava, leggiamo: «Si scriva al Cardinale che attese le straordinarie circostanze del caso il S. Padre autorizza Sua Eminenza a permettere o meglio tollerare che il Sac. V. Bascetta assuma l’ufficio di pro sindaco, se venisse a ciò eletto, salvo ad esercitarla sotto la dipendenza dell’Ordinario ed astenersi da quanto può esser contrario alle leggi di Dio e della Chiesa»202.

Il movimento cattolico, sia nelle sue iniziative sociali sia nei primi tentativi di partecipare alle elezioni, subì una svolta decisiva dopo la fine della prima guerra mondiale. La crisi economica e sociale, che si manifestò in tutte le regioni italiane, fu particolarmente avvertita in Sicilia e a Catania203. Dinanzi al moltiplicarsi dei disordini, le autorità ecclesiastiche non rimasero sorde alle critiche provenienti dagli ambienti conservatori. Ai cattolici dalla mentalità tradizionale non era gradito l’attivismo di tanti sacerdoti, che guidavano i cortei dei contadini nella occupazione delle terre incolte o che, improvvisandosi ban201 202

Positiones, Catania 1, n. 1006/1914. L. c. Su questo caso si veda G. e P. SCARVAGLIERI, Vincenzo Bascetta, cit.,

101-116. 203 Sul tema si vedano: G. BARONE, Ristrutturazione e crisi del blocco agrario. Dai fasci dei lavoratori al primo dopoguerra, in Potere e società in Sicilia nella crisi dello Stato liberale, Catania 1977, 1-146; S. LUPO, La «Questione siciliana» a una svolta: il sicilianismo tra dopoguerra e fascismo, ibid., 149-223; R. PALIDDA, Potere locale e fascismo: i caratteri della lotta politica, ibid., 225-296; M. SAIJA, Note sul sistema politico in Sicilia dagli ascari di Giolitti ai gerarchi di Mussolini, ibid., 299-390; G. GIARRIZZO, Catania, cit., 190-233.

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chieri, riuscivano a far confluire nelle casse rurali o artigiane i risparmi delle masse popolari204. A molti vescovi sembrò provvidenziale la nascita del Partito popolare (18 gennaio 1919), che determinò l’implicita abolizione del non expedit da parte di Benedetto XV con il permesso dato ai cattolici di aderire alla nuova formazione politica. La proposta di don Luigi Sturzo veniva incontro alla necessità da tempo avvertita dai cattolici di crearsi uno spazio autonomo per l’azione politica, ponendosi in una posizione equidistante fra la destra conservatrice e la sinistra sovversiva205. Questa iniziativa dava l’impressione di essere la più idonea a creare chiarezza nella Chiesa: si aveva la possibilità di distinguere l’azione sociale e politica dall’azione propriamente religiosa; i laici si sarebbero assunti la responsabilità delle attività sociali e politiche, il clero sarebbe tornato ad occuparsi del culto e della formazione cristiana dei fedeli. Una chiarezza analoga poteva realizzarsi anche all’interno delle tradizionali forme di associazionismo cattolico: le associazioni di indirizzo formativo potevano essere distinte da quelle di indirizzo politico. E proprio su questa distinzione si sarebbe sviluppata negli anni successivi l’Azione cattolica, che perdeva le caratteristiche di autonomo movimento di base del mondo cattolico, che si poneva anche finalità economico-sociali, per diventare un’associazione elitaria e gerarchica, finalizzata alla formazione dei laici e alla collaborazione con l’apostolato gerarchico206. Per comprendere il significato di questa svolta nella Chiesa è illuminante la lettera inviata dal card. Francica Nava al vescovo di Noto, Giuseppe Vizzini, segretario della conferenza episcopale siciliana, il 9 febbraio 1919: «È utile ancora che quel che è materiale si guardi separatamente e subordinatamente per combattere meglio la tendenza contraria, che notiamo purtroppo oggidì anche in molti ecclesiastici. Certo è

204

M. GUASCO, Storia del clero, cit., 176-177. G. DE ROSA, Il Partito popolare italiano, cit.; F. MALGERI, Partito popolare italiano, in DSMCI, I/2, 352-364. L’analisi storiografica della numerosa letteratura esistente sul tema è fatta da G. DEL VECCHIO, Il Partito popolare, ibid., I/1, 68-79. 206 R. MORO, Azione cattolica italiana (ACI), ibid., I/2, 180-191; M. CASELLA, L’Azione cattolica nell’Italia contemporanea (1919-1969), Roma 1992. 205

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il lamento che mi tocca fare assai spesso nel trattar gli affari della diocesi. Per questa ragione sono contento d’essersi ormai distinta separatamente dalle nostre associazioni cattoliche l’azione politica, potendosi così attendere meglio in esse alla cultura religiosa, senza di cui il resto andrà necessariamente male come lo comprova l’esperienza»207.

La parabola del Partito popolare fu molto breve; ebbe appena il tempo di darsi una prima organizzazione e di avviare le prime battaglie politiche che fu obbligato a dissolversi per la convergenza di molteplici cause, non ultima il ritiro dell’appoggio delle autorità ecclesiastiche, orientate a scegliere il Partito fascista come referente politico privilegiato. Le fortune del Partito popolare furono diverse in città e nei comuni della diocesi; mentre in alcuni centri riuscì a conquistare un ampio consenso, a Catania non ebbe la capacità e la forza di inserirsi fra i partiti che lottavano per dividersi l’eredità di Giuseppe De Felice († 19 luglio 1920)208. In occasione del concilio plenario siculo, tenutosi a Palermo nel 1920, il legato pontificio card. De Lai non faticò molto a convincere alla prudenza i pochi vescovi di matrice leoniana, che si dichiaravano ancora favorevoli alle iniziative sociali del clero209. Fra i capitoli del Concilio plenario siculo ce n’era uno dedicato all’azione sociale dei cattolici210. I vescovi raccomandavano agli operai di stare lontani dalle sedizioni e dai sediziosi, di rispettare i diritti altrui, di prestare la loro opera responsabilmente e lealmente, di coltivare l’amore per la vita familiare e di essere fedeli alla pratica religiosa (can. 125). Intervenivano anche sul tema dello sciopero e ricordavano che non era leci207 F.M. STABILE, L’azione pastorale dei vescovi siciliani fra il primo e secondo concilio plenario siculo (1920-1952), in Chiesa e società a Caltanissetta all’indomani della seconda guerra mondiale, Caltanissetta 1984, 69-151: 87-88. 208 Sull’origine e lo sviluppo del Partito popolare a Catania si vedano: V. DI MAURO, L’attività del Partito popolare italiano nella provincia di Catania, in ASSO, 68 (1972) 311-329; si tratta di uno studio che appare documentato, anche se mancano le note e l’indicazione delle fonti; M. CACIAGLI – M.R. GENTILE, Origini e crescita della Democrazia cristiana a Catania, cit., 923-929; G. BARONE, Partiti ed élites politiche a Catania fra le due guerre, in ASSO 74 (1978) 574-643. 209 F.M. STABILE, La Chiesa nella società siciliana, cit., 147-149. 210 Concilium Plenarium Siculum Panormi 1920 habitum, Romae 1921.

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to astenersi dal lavoro se non per una giusta e grave causa e dopo aver tentato inutilmente tutte le altre vie possibili per una pacifica composizione delle controversie (can. 126). Infine c’era un’esortazione ai fedeli perché si allontanassero dal socialismo e dalle sue associazioni (can. 128). Il capitolo si chiudeva ricordando l’impegno precipuo della Chiesa per i poveri e gli emarginati ed esortando a incrementare la carità come unico rimedio per moderare le pretese dei ricchi e le rivendicazioni dei poveri (can. 129-130).

3. FRANCICA NAVA E IL FASCISMO Il fascismo fece la sua apparizione in Sicilia e a Catania nel 1919 . È interessante riuscire a individuare l’atteggiamento assunto dal vescovo Francica Nava di fronte alle sue prime manifestazioni e alle direttive di Roma che imponevano un nuovo indirizzo politico. Anche a Catania i fascisti si erano abbandonati a violenze verso i cattolici e a manifestazioni anticlericali. Nei giorni 1, 2 e 3 settembre del 1922, quasi alla vigilia della marcia su Roma, si era tenuto a Catania il 1° Congresso regionale della Gioventù cattolica italiana. A conclusione era prevista una processione eucaristica, che, partendo dalla chiesa di San Domenico, attraverso via Etnea, doveva raggiungere la cattedrale. A piazza Stesicoro un gruppo di fascisti e di repubblicani attaccarono la coda del corteo; altre aggressioni furono fatte all’altezza di via Montesano. La sera i fascisti assalirono il circolo cattolico Giosuè Borsi, bastonando soci e rompendo tavoli, sedie e suppellettili; poi si trasferirono al circolo San Gabriele dell’Addolorata che era chiuso; sfondarono la porta devastarono i locali e, dopo essersi impadroniti di un quadro del papa, lo fecero a pezzi nella pubblica piazza. Francica Nava e i responsabili delle associazioni cattoliche non man211

211 M. GANCI, La Sicilia contemporanea, in Storia della Sicilia, VIII, Palermo 1977, 175-274: 224-236; G. BARONE, Partiti ed élites politiche, cit., 593-598; R. PALIDDA, Potere locale e fascismo, cit., 240-259; F. RENDA, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, II, cit., 351-404; G. GIARRIZZO, Catania, cit., 199-205; S. LUPO, L’utopia totalitaria del fascismo (1918-1942), in M. AYMARD – G. GIARRIZZO (cur.), Storia d’Italia. Le Regioni. La Sicilia, cit., 371-482.

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carono di far sentire la loro voce, inviando telegrammi di protesta al ministro degli interni212. Ma il partito fascista, ottenuta la guida del governo, cercò di ingraziarsi le autorità ecclesiastiche avviando a concreta soluzione alcuni problemi che stavano molto a cuore ai cattolici: l’insegnamento religioso nelle scuole e la concessione di un supplemento per la congrua sussistenza dei parroci. Il vescovo Francica Nava intravide la possibilità di portare a termine la riforma dell’ordinamento della cura d’anime e — come si è visto — il 27 novembre 1923 avviò la procedura stabilita dalle leggi civili per ottenere il riconoscimento delle parrocchie che intendeva erigere nei comuni della diocesi, passaggio indispensabile per avere il supplemento di congrua. La risposta dell’accettazione della sua domanda era già pervenuta quando Francica Nava fu obbligato a mostrarsi deferente nei confronti di Mussolini, che l’11 maggio 1924 venne in visita a Catania. Il protocollo prevedeva la partecipazione del presidente del consiglio e delle autorità al seguito alla messa nella cattedrale, che probabilmente fu celebrata dallo stesso cardinale. Le cronache riferiscono che «terminata la funzione religiosa […] S. E. il Presidente del consiglio si intratteneva in breve colloquio con il cardinale Nava, che era accompagnato dal vescovo mons. Ferrari (sic)»213. Di questo fatto non troviamo cenno nell’organo ufficiale della curia, il Bollettino Ecclesiastico; probabilmente il vescovo voleva che assumesse il significato di un formale gesto di cortesia, di cui non doveva restare memoria nelle cronache diocesane. La situazione doveva evolversi ulteriormente quando le autorità ecclesiastiche decisero di ritirare l’appoggio al Partito popolare214. Il nuovo partito dei cattolici riteneva di avere un proprio punto di 212 BE 26 (1922) 94-97. La stampa locale, mal disposta verso i cattolici, scrisse che gli incidenti erano sorti per le provocazioni dei giovani partecipanti al congresso, che avevano incominciato a gridare: «viva il papa-re» (Il Corriere di Sicilia 44 [1922], 5 settembre; Giornale dell’Isola 2 [1922], 5 settembre). 213 Il Corriere di Sicilia 46 (1924), 13 maggio. 214 L’idea di ritirare l’appoggio morale al Partito popolare incominciò a profilarsi dopo i primi contatti fra la Santa Sede e il fascismo per avviare la soluzione della questione romana (gennaio del 1923) (C.A. JEMOLO, Chiesa e Stato in Italia. Dalla unificazione a Giovanni XXIII, Torino 1966, 204-215; P. SCOPPOLA, La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Bari 1967, 63-87).

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forza nel favore del clero e del laicato organizzato. Ma la mancanza di un programma chiaro e ben definito e la diversa provenienza dei suoi iscritti non potevano assicurare coesione e tenuta. Oltretutto nelle intenzioni dei suoi fondatori il Partito popolare doveva essere aconfessionale, una caratteristica che non poteva essere considerata un punto di partenza, ma un difficile punto di arrivo215. In ogni caso l’asserita aconfessionalità del partito era in palese contraddizione con la sua stessa prima formazione. Di fatto i promotori e i responsabili nella città e nei diversi comuni della diocesi furono soprattutto i sacerdoti, che negli anni precedenti erano stati i protagonisti delle attività sociali e del movimento sindacale cattolico; basti ricordare alcuni nomi: Giuseppe Di Stefano a Catania, Vincenzo Bascetta ad Adernò, Angelo Messina a Viagrande, Giuseppe Salanitri a Bronte216. Quello che all’inizio doveva sembrare un punto di forza si rivelò ben presto un elemento di debolezza, perché fu facile per i vescovi segnare la fine di questa esperienza politica imponendo ai sacerdoti il ritiro dalla politica attiva217. Per il vescovo Francica Nava si trattò certamente di una decisione sofferta ma inevitabile. Egli fu costretto a minacciare di sospendere a divinis il sacerdote Giuseppe Di Stefano, leader indiscusso del movimento cattolico catanese, se avesse continuato ad occuparsi di politica218. 215 G. MICCOLI, La Chiesa e il fascismo, in G. QUAZZA (cur.), Fascismo e società in Italia, Torino 1973, 189-191; M. GUASCO, Storia del clero, cit., 166-169. 216 G. DI FAZIO, Il sindacalismo bianco, cit., 375-378. 217 La Curia romana, attraverso due distinte circolari della Congregazione del concilio e della Congregazione dei religiosi, il 10 febbraio 1924 aveva invitato i vescovi e i superiori religiosi a proibire al clero secolare e regolare l’attività politica «evitando anche le sole apparenze di atteggiamenti e favoreggiamenti di partito politico, comunque questo si denomini, e subordinando, se è il caso, anche le loro personali vedute, agli alti doveri e alle delicate esigenze del loro sublime ministero» (X. OCHOA, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici editae, I, Roma 1966, n. 570). 218 G. DI FAZIO, Giuseppe Di Stefano, cit., 59-61. Dopo le elezioni politiche del 1924 il sacerdote catanese scriveva a don Luigi Sturzo: «Catania ha dato quasi ottocento voti, cioè la stessa votazione degli anni precedenti nonostante i soprusi, le persecuzioni e le minacce del card. Nava che voleva impedirmi (ma seppi reagire) anche di frequentare i locali delle nostre organizzazioni; cosa che ottenne però da altri sacerdoti e curati che si astennero dal votare» (G. DI FAZIO, Il sindacalismo bianco, cit., 377-378).

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I sacerdoti responsabili del Partito popolare più che dalle minacce delle pene canoniche furono indotti a cessare ogni attività politica dalle violenze e dai pestaggi dei fascisti, ai quali ogni giorno rischiavano di essere sottoposti. Dopo le elezioni del 1924 il sacerdote Giuseppe Di Stefano fu costretto per due mesi ad allontanarsi da Catania e a rifugiarsi a Tindari; ma la sua morte improvvisa, avvenuta l’11 settembre di quello stesso anno, segnò la fine dell’esperienza politica dei cattolici a Catania219. In quello stesso periodo, il 25 ottobre del 1924, Luigi Sturzo, su consiglio del segretario di Stato card. Pietro Gasparri, lasciava l’Italia220, spianando in tal modo la strada alle trattative fra Santa Sede e governo italiano, che avrebbero portato ai Patti lateranensi dell’11 febbraio 1929.

4. GLI ULTIMI ANNI DI FRANCICA NAVA E IL COADIUTORE EMILIO FERRAIS

Con la morte del vescovo ausiliare Antonio Cesareo (15 febbraio 1907), era venuto meno per il card. Francica Nava uno dei collaboratori più validi che lo affiancava nella celebrazione del sacramento della cresima, nel conferimento degli ordini sacri e nella visita pastorale. La richiesta di un altro vescovo ausiliare appariva scontata; non si riesce a stabilire però se egli ritardò a presentarla oppure se si incontrarono difficoltà sui nomi da lui indicati; infatti il suo nuovo ausiliare, il sacerdote veronese Emilio Ferrais221, fu nominato l’11 aprile 1911, quattro anni dopo la morte di Antonio Cesareo. Si può ragionevolmente presumere che questa scelta sia stata concordata dalla Congregazione con lo stesso Francica Nava: data la sua personalità e i suoi rapporti con la Curia romana, non è pensabi219

L. c. G. DE ROSA, Luigi Sturzo, Torino 1977, 251-262. 221 La sua figura e la sua opera sono tratteggiate nei cenni biografici scritti da F. PENNISI, Un vescovo seminarista, Catania 1942. Un’altra sintesi della sua vita si può trovare nel necrologio di G. CARABELLI, In memoria di Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Emilio Ferrais, arcivescovo di Catania, Catania 1930. Per altre notizie di vedano: BE 15 (1911) 92-93; ARCHIDIOCESI DI CATANIA, Omaggio a S. E. Mons. Emilio Ferrais nuovo Arcivescovo di Catania, in occasione del suo solenne ingresso in diocesi, Catania 1929. 220

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le che la Congregazione gli inviasse un ausiliare senza una sua preventiva consultazione. Sorge spontanea la domanda: perché scelse un sacerdote veneto e non si orientò verso un sacerdote di Catania o almeno della Sicilia? Sotto il pontificato di Pio X si erano avute per le diocesi siciliane le prime nomine di vescovi provenienti dal Nord, un fatto che pochi anni prima sarebbe stato impensabile222. Prima che venisse resa di pubblico dominio la corrispondenza fra l’Uditore di Sua Santità e i vescovi di Sicilia con le informazioni sui possibili candidati alle sede vacanti, era stata avanzata l’ipotesi che la Santa Sede avesse predisposto il progetto di “colonizzare” le diocesi siciliane con vescovi di provenienza dalle regioni dell’Italia settentrionale223. La documentazione d’archivio ha dimostrato l’infondatezza di questa tesi. In realtà sono stati i vescovi della Sicilia a chiedere la nomina di sacerdoti provenienti dalla Lombardia o dal Veneto per un senso di sfiducia verso il clero siciliano e per la convinzione che questa scelta potesse facilitare il trasferimento in Sicilia non solo del modello tridentino attuato con frutto da s. Carlo Borromeo, ma anche della pastorale sociale introdotta negli ultimi decenni dietro l’impulso di Leone XIII224. Il card. Francica Nava, che aveva incontrato delle difficoltà a fare accogliere questo modello, pensava probabilmente che la collaborazione di un vescovo educato nel Veneto dell’Opera dei congressi e dei fratelli Scotton potesse facilitare la realizzazione del suo progetto pastorale. Il nuovo vescovo titolare era nato a Verona il 27 marzo 1869 e nel 1891 aveva conseguito la laurea in diritto canonico nell’università Gregoriana come alunno del collegio Capranica225. Rientrato in diocesi, era stato ordinato presbitero il 19 settembre di quello stesso anno e aveva svolto diverse attività pastorali: vice cancelliere nella

222 Nel 1867, dopo l’unità d’Italia, il segretario di Stato di Pio IX, Giacomo Antonelli, faceva osservare al rappresentante del governo italiano, Tonello, che non «non era mai stato possibile fare accogliere in Sicilia vescovi non siciliani, ed erasi talvolta dovuto addivenire perfino a revoca di nomine già fatte per non altro motivo che quello» (G. ZITO, La cura pastorale, cit., 60). 223 F.M. STABILE, La Chiesa nella società siciliana, cit., 95-100. 224 G. ZITO, L’episcopato urbano della Sicilia, cit.; ID., Preti lombardi vescovi a Siracusa nel Novecento, in Synaxis 21/1 (2003) 127-148. 225 BE 15 (1911) 92-93; F. PENNISI, Un vescovo seminarista, cit., 13-27.

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curia diocesana, insegnante di diritto canonico e di liturgia nel seminario, assistente del comitato diocesano dell’Opera dei congressi con il particolare incarico di formare i giovani, vicario nella parrocchia San Nicolò226. Ricevette la consacrazione episcopale a Verona il 21 maggio 1911227 e giunse a Catania il 13 giugno successivo228. Il vescovo Francica Nava gli conferì nello stesso anno la dignità di cantore nel capitolo della cattedrale e la nomina di pro vicario generale229. Fino a quando non si trasferì al seminario come rettore, fu alloggiato nell’istituto salesiano San Francesco di Sales di via Cifali230. Emilio Ferrais rimase a fianco di Francica Nava per quasi 18 anni, prima come ausiliare e poi come coadiutore con diritto a successione. Fu lo stesso cardinale a chiedere che l’ausiliare diventasse coadiutore, con lettera indirizzata al segretario della Congregazione concistoriale il 2 giugno 1925, dalla quale si evince la stima che egli aveva per il suo ausiliare: «Mi permetto con questa mia lettera rinnovare in iscritto la preghiera da me esposta a voce, or sono pochi giorni, all’Eminenza Vostra e a Sua Santità che Monsignor Emilio Ferrais, attualmente mio Vescovo Ausiliare, sia nominato Coadiutore con diritto alla futura successione nella medesima sede arcivescovile di Catania. Essendo egli quivi generalmente stimato, non v’ha dubbio, che tale nomina sarà appresa con molto piacere. Quanto a me due ragioni mi muovo ad umiliare questa mia supplica. L’una si è per legare più strettamente il prelodato Mons. Ferrais alla medesima Diocesi, in cui da oltre dodici anni mi ha aiutato nel governo pastorale, epperò per incoraggiarlo meglio ad alleggerirmi nel peso del ministero pastorale, reso ancora più grave dalla mia età ormai avanzata. L’altra ragione si è la fondata speranza, che il predetto Monsignore continuerà con zelo e con vero intelletto di amore ad occuparsi del buon andamento del Seminario de’ chierici e quindi del-

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Ibid., 29-43. BE 15 (1911) 120-122. 228 Ibid., 135-137. 229 Ibid., 15; 137. 230 Ibid., 137; F. PENNISI, Un vescovo seminarista, cit., 91-99. 227

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la formazione del clero. Dalle argomentazioni datemi dall’Eminenza Vostra e dal Santo Padre debbo argomentare, che la mia preghiera sarà accolta favorevolmente e ne esprimo le mie più vive anticipate azioni di grazie»231.

Emilio Ferrais nella storia della diocesi di Catania sarà ricordato più come ausiliare e coadiutore di Francica Nava che come vescovo ordinario, ufficio che svolse per poco più di un anno. Ritengo che uno degli aspetti più significativi del ministero episcopale di Emilio Ferrais sia stato colto da mons. Giacomo Carabelli, arcivescovo di Siracusa, nel suo elogio funebre tenuto nella cattedrale di Catania il 17 gennaio 1930. Egli, citando una lettera di Pio X indirizzata al vescovo di Noto Giovanni Blandini che gli chiedeva la nomina di un vescovo ausiliare, affermava: «il vescovo ausiliare deve avere qualcosa di più di un vescovo ordinario per raggiungere il suo ufficio»232. In altre parole: mentre un vescovo ordinario è libero nella scelta del progetto pastorale e del modo di rapportarsi con il clero e i fedeli, il vescovo ausiliare deve avere la capacità di collaborare con prudenza e intelligenza con il vescovo ordinario, evitando di sovrapporsi, di scavalcarlo o di contrapporsi. Considerando la forte personalità del cardinale Francica Nava e il suo stile aristocratico e rigido, per l’ausiliare Emilio Ferrais, che agli interventi disciplinari preferiva il rapporto cordiale e di fiducia, non fu facile rimanere al suo fianco per quasi 18 anni con discrezione, esercitando il suo ministero senza mettersi in vista e sforzandosi di accettare un modo di relazionarsi con gli altri che non gli era congeniale233. Nel corso degli anni fu nominato priore della cattedrale (24 ottobre 1914)234, vicario generale (31 dicembre 1914)235 e rettore del se231 Archiv Concist, Catania, prot. n. 487/1925. Poiché la diocesi di Catania era ancora di regio patronato, fu necessario ottenere la nomina da Vittorio Emanuele III, re d’Italia, il 22 novembre 1925. La nomina pontificia porta la data del 12 dicembre 1925. Emilio Ferrais fu anche elevato alla dignità arcivescovile come titolare della sede metropolitana di Petra. 232 G. CARABELLI, In memoria, cit., 7-8. 233 F. PENNISI, Un vescovo seminarista, cit., 66. 234 BE 18 (1914) 205. 235 Ibid., 19 (1915) 9-10.

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minario (12 settembre 1918). Quest’ultimo doveva essere un incarico provvisorio236, in realtà si protrasse oltre la morte di Francica Nava. Probabilmente fu nell’esercizio di questo ministero che egli ha saputo esprimere al meglio la sua personalità, perché riuscì a formare generazioni di sacerdoti, seguendo un modello pedagogico improntato alla cordialità e alla reciproca fiducia237. Sulla difficile situazione creatasi in diocesi durante gli ultimi mesi di vita del card. Francica Nava è conservato nell’Archivio Vaticano un corposo dossier di lettere anonime, di informazioni richieste al vescovo coadiutore, di risposte molto dettagliate, di provvedimenti straordinari presi da Roma238. Leggiamo in una lettera del 4 ottobre 1928, indirizzata al segretario della Congregazione concistoriale: «Eminenza, da parecchio tempo si perpetua nella diocesi di Catania una situazione che appare ormai insostenibile. L’eminentissimo cardinale Nava, che da più d’un trentennio ha governato la nostra Archidiocesi, affetto oggi dal peso degli anni e perdute in gran parte le sue energie mentali si trova nella necessità di affidarsi ad altri nel disbrigo degli affari più delicati e urgenti della diocesi. Ci duole l’affermare che quest’altri, nel quale si dovrebbe riporre ogni fiducia ed ogni incarico, non è il designato dalla S. Sede, la quale ha nominato già l’ecc.mo mons. Emilio Ferrais come Arcivescovo coadiutore con diritto di successione. Questa elevata e fattiva figura di Arcivescovo coadiutore, che potrebbe rendere un prezioso servizio alla diocesi nel momento critico che attraversiamo, si vede intralciata e osiamo dire annullata la sua opera dal segretario dell’eminentissimo Cardinale Nava, mons. Giovanni Licitri, il quale si ritiene l’unico indispensabile interprete della volontà dell’eminentissimo Ordinario». 236 Il card. Francica Nava nella lettera scritta il 3 aprile 1918 al segretario della Congregazione concistoriale, per comunicargli di aver trovato la soluzione per il rettore del seminario, scriveva: «Son lieto di poterle annunziare che, dopo aver ripensato al modo di sostituire provvisoriamente altri a mons. Jacono, quando questi partirà per la sua nuova destinazione lasciando vuoto l’ufficio di rettore del Seminario, ho trovato come unica soluzione possibile, quella di affidare l’incarico al Rev.mo Mons. Ferrais. Questi ha accettato di buon grado la mia proposta» (Positiones, Catania 1, n. 304/1917). 237 F. PENNISI, Un vescovo seminarista, cit., 101-130. 238 Positiones, Catania 1, n. 145/1919.

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Gli autori della lettera — si firmavano «i sacerdoti dell’Archidiocesi catanese» — chiedevano alla Congregazione di intervenire, inducendo il cardinale a servirsi «senza inframettenze di sorta, dell’opera illuminata ed accetta a tutti di mons. Ferrais, al quale domani sarà legata l’eredità spirituale di questa nobile patria di S. Agata». Il 9 novembre 1928 il segretario della Congregazione concistoriale, ex audientia Sanctissimi, scrisse al coadiutore Emilio Ferrais, chiedendogli di verificare se i fatti esposti nella lettera rispondevano a verità et quatenus affirmative di suggerire i rimedi da usare. Mons. Ferrais in una lunga lettera, senza data, non solo conferma i fatti esposti nella denuncia, ma delinea un quadro preoccupante della situazione: «Purtroppo questo eminentissimo Sig. Cardinale, che diciotto mesi or sono ebbe un attacco allarmante, dal quale si riebbe un po’, va sempre più deperendo in salute, e si trova da circa un mese ritirato in casa propria, colla famiglia, tra letto e poltrona, nella impossibilità di trattare gli affari della Diocesi. Non si può ancora dire che sia inebetito, ma gl’intervalli in cui sembra che ricordi e comprenda le cose, si alternano, nella stessa giornata, con altri di vera amnesia ed abulia, da apparire, nelle parole e nei fatti, un bambino. La stessa famiglia, che lo assiste assiduamente, ha ripetuto a me che l’eminentissimo non è più padrone dei suoi atti e, secondo il parere del medico curante, potrebbe trascinarsi ancora per qualche tempo nel medesimo ed in peggiore stato, o mancare all’impensata. Frattanto tutta la corrispondenza a lui diretta anche dalle SS. Congregazioni, quando non è data a leggere al cameriere che lo serve, è passata al segretario, che ne dà evasione direttamente, autorizzato da un sì o un no, che l’eminentissimo pronunzia senza forse aver capito di che cosa si tratti […]. Io non metto in alcun dubbio la rettitudine del segretario, il quale del resto non fa che seguire il sistema usato anche nel passato, talché di fronte a lui il Vicario Generale si trovava in condizioni di inferiorità. Ma il clero soprattutto, ed anche i fedeli, i quali sanno che l’eminentissimo non è più valido ad agire e neppure a pensare, mal sopportano che, di fatto, il governo dipenda più che tutto dalla segreteria, anziché dalla Curia, e di questa insofferenza è prova il ricorso fatto — non so da chi — a codesta S. Congregazione, di cui mi dà notizia l’Em.za Vostra Rev.ma coll’allegato esposto, che risponde a verità».

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Quanto ai suggerimenti che il segretario della Congregazione gli chiede, il coadiutore Ferrais non nasconde il proprio imbarazzo, «essendo interessato io stesso, che mi trovo in una posizione delicatissima ed altrettanto penosa, poiché constato i bisogni spirituali e materiali che premono, e non ne ho la piena libertà, né i mezzi per agire efficacemente».

Comunque non manca di fare alcune proposte: «L’eminentissimo può rimanere sempre di diritto l’Arcivescovo di Catania, ma occorre che autorevolmente sia affidato a qualcuno l’incarico di prendere in mano le redini del governo della Diocesi, con tutti i poteri e le facoltà del caso, in modo che nessuno possa usare od abusare delle condizioni in cui l’eminentissimo si trova, e che probabilmente andranno sempre più peggiorando, per strappare da lui consensi e disposizioni diverse, od anche opposte».

Il coadiutore Ferrais accenna poi ai problemi dell’amministrazione dei beni materiali, che dipende sempre dal cardinale. Nell’ultimo periodo, nel desiderio di risparmiare, non aveva provveduto alle spese di ordinaria e di straordinaria amministrazione; lo stesso coadiutore da un anno non percepiva le duemila lire che, oltre la prebenda di canonico, costituivano il suo assegno; probabilmente se n’era dimenticato, ma nessuno osava ricordarglielo. C’era poi il problema della mensa arcivescovile, che avrebbe richiesto un’attenta sorveglianza: «l’amministratore non dà molto affidamento, e mi fu denunciato che egli sta per rinnovare contratti di gabella a lunga scadenza, due o tre anni prima del tempo utile, a prezzi che, messi in concorrenza, potrebbero elevarsi, e ciò a parere degli attuali gabellotti e — come si dice — con interesse proprio. L’incaricato del governo della Diocesi potrebbe, se non altro, impedire che si facessero nuovi contratti senza averne egli stesso conoscenza».

Com’era prevedibile, la lettera del coadiutore Ferrais creò a Roma allarme e preoccupazioni. In una nota del segretario, card. Carlo Perosi, ex audientia Sanctissimi si legge: 107


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«Il S. Padre […] ha ordinato che con un decreto della S. Congregazione concistoriale si diano allo stesso mons. Ferrais tutte le facoltà necessarie ed opportune per reggere ed amministrare la Diocesi di Catania, durante lo stato presente dell’Em. Cardinale Arcivescovo. Tale decreto dovrà dallo stesso mons. Ferrais essere presentato al Capitolo per sua notizia e norma. Il decreto sarà accompagnato da una lettera della S. Congregazione all’Em. Cardinale Nava, in cui gli si comunicherà il provvedimento preso dalla S. Sede allo scopo di sollevarlo, durante questa infermità, dalle cure della diocesi, dandogli così modo di rimettersi in salute. Questa lettera sarà inviata a mons. Ferrais, perché egli la consegni all’Arcivescovo, se e quando lo crederà opportuno».

Nella nota si disponeva anche di ordinare a tutte le Congregazioni romane di indirizzare la corrispondenza riguardante la diocesi di Catania a mons. Ferrais. Questi avrebbe avuto l’incarico di «intimare a mons. Licitri segretario dell’Em. Cardinale Nava, a nome della S. Sede, di consegnare a mons. Arcivescovo coadiutore tutte le carte riflettenti la diocesi di Catania che egli tiene presso di sé, oppure che potranno in seguito arrivare fra le sue mani». Il provvedimento, che conferiva al coadiutore Ferrais pieni poteri nella guida della diocesi di Catania, porta la data del 23 novembre 1928; pertanto sarà giunto nelle mani dell’interessato quando ormai il cardinale Francica Nava era alla fine se non proprio dopo la sua morte, che avvenne il 7 dicembre 1928239. Emilio Ferrais, in quanto coadiutore con diritto a successione, subentrò immediatamente nel governo della diocesi. Il 23 dicembre prese possesso canonico240, il 27 gennaio 1929 fece il solenne ingresso in diocesi241 e per la quaresima inviò una lettera pastorale al clero e ai fedeli242. Toccò a lui promuovere i festeggiamenti per la firma dei Patti 239 BE 32 (1928) 97. Francesco Pennisi scrive che la Santa Sede diede a mons. Ferrais i pieni poteri di governare la diocesi di Catania sei mesi prima della morte del cardinale Francica Nava e che egli non rese il provvedimento di pubblico dominio, perché «nessuna tristezza velasse quel tramonto d’oro» dell’arcivescovo (F. PENNISI, Un vescovo seminarista, cit., 68). Dai documenti pubblicati queste affermazioni sembrano infondate. 240 BE 32 (1928) 115-116. 241 Ibid., 33 (1929) 5-8. 242 Ibid., 33 (1929) 13-23.

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Lateranensi, che determinò la riconciliazione tra l’Italia e la Santa Sede: dopo avere ordinato che le campane di tutta la diocesi suonassero a festa a mezzogiorno da venerdì 16 a domenica 18 febbraio, nel pomeriggio della domenica, alla presenza delle autorità civili, dei gerarchi del partito fascista e dei rappresentanti delle associazioni cattoliche, presiedette in cattedrale una funzione religiosa che ebbe inizio con un discorso del vescovo e si concluse con il canto del Te Deum243. Le espressioni adoperate dal vescovo Ferrais nella notificazione affissa alle porte delle chiese risentono della generale euforia del mondo cattolico dinanzi ad un avvenimento considerato storico: «La chiaroveggenza del Sommo Pontefice ed il genio politico del Primo Ministro si sono incontrati sulla via luminosa, che doveva ricondurre al suo posto d’onore il Pastore Supremo della Chiesa Cattolica ed assicurare all’Italia la sua grandezza nazionale, in faccia alla storia ed al mondo intero. Il bianco-giallo colla S. Tiara ed il tricolore colla Croce Sabauda sventolano ormai insieme ed insieme cantano l’inno della pace, della gioia, della gloria»244.

Il 25 aprile 1929 firmò il decreto per dare inizio alla prima visita pastorale della diocesi245. Emilio Ferrais fu vescovo di Catania per poco più di un anno, perché morì il 23 gennaio 1930246.

5. IL CONFRONTO TRA FRANCICA NAVA E DUSMET Come si è visto, il confronto tra i due prelati siciliani era iniziato quando incominciò a profilarsi la nomina di Francica Nava per la sede vescovile di Catania. La presenza in Sicilia dei fautori della linea intransigente dell’Opera dei congressi e di altri che seguivano orientamenti diversi, aveva determinato il sorgere di gruppi contrapposti con i conseguenti giudizi critici per chi seguiva l’indirizzo non condiviso. Il cardinale Dusmet era stato già messo sotto accusa da Gottar243

Ibid., 33 (1929) 25-26. L. c. 245 Ibid., 33 (1929) 33-34. 246 ASV, Segreteria di Stato, 1930, rubrica 5, fasc. 1. 244

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do Scotton, perché non aveva voluto istituire in diocesi i comitati dell’Opera dei congressi247. In questo contesto era facile affermare che egli seguiva un modello pastorale ormai superato, che trovava nella carità — intesa come assistenza — il suo punto di forza; per essere al passo con i tempi e aprirsi al futuro bisognava far proprio il modello di pastorale sociale promosso dall’Opera dei congressi e tanto raccomandato da Roma. Il giudizio verso il cardinale Dusmet, espresso dallo stesso Francica Nava quando si cominciò a fare il suo nome come probabile successore, ci fa intendere che egli lo stimava per la sua santità, non per il modello di governo pastorale da lui seguìto. Non meno netto sarà stato il giudizio formulato su Francica Nava da coloro che non condividevano la sua preferenza per un cattolicesimo politico e il suo modo di rapportarsi con il clero e i fedeli. Nel gennaio del 1900, quando egli si apprestava a far ritorno definitivamente a Catania, dopo aver chiuso il suo servizio in diplomazia, il vescovo di Noto, Giovanni Blandini da sempre vicino a Francica Nava, fu invitato dalla direzione del settimanale cattolico La Luce a scrivere una nota in difesa del cardinale, per mettere a tacere coloro che, dopo cinque anni di governo, lo criticavano e continuavano a rimpiangere il suo predecessore248. Il vescovo Blandini scriveva tra l’altro: «A quei che sono di vista losca, ed osano a quando giuocare di antitesi tra chi precedette e chi succede nella Chiesa catanese, rispondete che dono ottenuto dal Dusmet è Nava, che questi tutto il cuore piissimo e caritatevolissimo del primo da Dio ebbe in sé trasfuso, e che la carità reina fra tutte le virtù, ben si accorda con la prudenza, la fortezza, il consiglio e ogni altro dono dello intelletto e della volontà. Dal Belgio il vostro esimio Pastore ricondurrà tra voi quello invitto coraggio cristiano e quell’attività prodigiosa, cui una piccola nazione gareggia, se non supera, con le nazioni più grandi in ricchezza e prosperità materiale, in civiltà e industria e commercio, nell’esercizio delle più larghe libertà civili e politiche, e ciò in grazia dei cattolici convinti e praticanti, che pugnano im-

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gennaio.

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S. TRAMONTIN, Società, religiosità, cit., 161-192. Un pensiero di mons. Blandini, vescovo di Noto, in La Luce 3 (1900), 14


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perterriti contro la Massoneria e tengono con mano ferma le redini dello Stato e del Comune».

Nelle parole del vescovo Blandini sono chiaramente indicati i due fronti del cattolicesimo catanese: i sostenitori di una linea pastorale improntata alla carità e al dialogo, i fautori di un cattolicesimo politico con un clero e un laicato che pugnano imperterriti contro la massoneria e aspirano a tenere in mano le redini dello Stato e del Comune. Non doveva trattarsi di due schieramenti sorti spontaneamente su basi emotive o su semplici valutazioni di politica ecclesiastica. Le motivazioni che spingevano sacerdoti e laici ad alimentare la stima per l’uno e il discredito per l’altro erano di varia natura: fra i capofila degli oppositori di Francica Nava c’era certamente Giuseppe De Felice, leader indiscusso del socialismo catanese, che in lui vedeva un temibile avversario politico e un vescovo con cui difficilmente avrebbe potuto continuare il rapporto di stima e di rispetto reciproco avuto con il Dusmet249; sul versante del clero ci sarà stato qualche antico collaboratore del Dusmet, messo in disparte dal nuovo arcivescovo o qualche altro che si sarà sentito penalizzato dal nuovo indirizzo dato da Francica Nava alla pastorale diocesana. Questo è un primo aspetto del confronto. L’altro aspetto riguarda il diverso stile di governo seguito dai due vescovi. All’atteggiamento paterno del Dusmet, Francica Nava contrappose il comportamento rigido e distaccato dell’aristocratico, che trova nell’applicazione delle leggi e nel ricorso alle pene canoniche gli strumenti più idonei per farsi obbedire e rispettare. Il contenuto di alcuni ricorsi a Roma illustrano questa situazione. In una lettera anonima del 1919 leggiamo: «Beatissimo Padre, modelli di Gesù Cristo dovrebbero essere i vescovi posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa […]. Ma disgraziatamente molti vescovi mancano dello spirito di Gesù Cristo, di quella dolcezza e carità di cui egli fu modello e maestro. Tra questi vescovi primeggia il nostro arcivescovo card. Nava, il quale usa ta-

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T. LECCISOTTI, Il cardinale Dusmet, Catania 1962, 657.

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le tirannia verso il suo clero da scandalizzare financo i fedeli […]. Le sospensioni sono all’ordine del giorno, per piccole disubbidienze, per piccole imprudenze, per qualche fatto da tenersi inosservato, il povero sacerdote è sospeso e non per pochi giorni, ma per mesi e mesi interi. Se poi un sacerdote per fragilità umana commette qualche colpa grave, è perduto per sempre, è abbandonato, è vilipeso […]. Il card. Dusmet fu amato dal clero e dal popolo per la sua bontà e carità. Il card. Nava è odiato dal clero e dal popolo perché non ha né carità, né bontà […]. Il card. Dusmet mai ebbe un insulto fatto sui giornali, qualunque giornale anche massonico ebbe parole di riverenza per lui, perché il Dusmet fu un padre dei poveri, fu il sollievo dei sacerdoti, fu tutto bontà e carità, mentre molti giornali hanno parlato sul conto del card. Nava […]»250.

Sulla stessa linea si muove il ricorso presentato il 3 dicembre 1919 dal sac. Gaetano Amadio, canonico minore della cattedrale e attivo nel movimento cattolico: «Beatissimo Padre, il 4 giugno 1915 io veniva da S. Eminenza il Card. Nava sospeso a divinis ex informata conscientia. Dopo due mesi S. Em. s’indusse riabilitarmi alla celebrazione della S. Messa, imponendomi l’obbligo di celebrarla in una chiesa da lui designata. Da quell’epoca in poi sono rimasto sospeso per le confessioni e per la predicazione […]. Considerato che una tale punizione fu un atto politico anziché la correzione d’una colpa propriamente detta; considerato che il Cardinale si è basato su informazioni false ed è stato tratto in errore da gente malefica; considerato che io ho il diritto alla difesa, senza far torto all’Em. Cardinale Nava ricorro a Vostra Beatitudine in base al can. del codice 880, 1340 § 3, 2194 e chiedo che venga innalzato un Tribunale Ecclesiastico che esamini il mio operato, vegga se in me esista colpa grave decida in merito alla pena»251. 250 Positiones, Catania 1, n. 967/1919. Lo scritto accenna alla campagna di stampa diffamatoria, mossa a Catania contro il vescovo Francica Nava nel 1905, nella quale tra l’altro si stabiliva un confronto fra il suo aristocratico distacco e l’amore verso i poveri del vescovo Dusmet (A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 295-301). 251 L. c. Il lungo contrasto fra il vescovo Francica Nava e il can. Gaetano Amadio avrà certamente influito nella decisione di quest’ultimo di scrivere la biografia

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Il vescovo, nella lunga lettera di risposta al card. De Lai252, descrive i fatti che lo avevano indotto a far ricorso alle pene canoniche, confermando indirettamente le accuse rivoltegli: al sacerdote rimproverava discontinuità caratteriali e qualche imprudenza commessa oltre dieci anni prima. Il ricorso alla sospensione ex informata conscientia — che lo stesso legislatore considerava un rimedio straordinario da usare solo quando non si può seguire senza grave incomodo la procedura ordinaria (can. 2186-2194 CIC 1917) — appare del tutto sproporzionato ai fatti lamentati nella lettera. Il cardinale aggiunse, a conclusione del suo scritto, che «dopo qualche anno e più» aveva permesso al sacerdote Amadio di recarsi a predicare e confessare fuori diocesi253. Nel 1927 sembra che egli non fosse stato pienamente reintegrato, se in una lettera indirizzata al cardinale Francica Nava chiedeva il permesso di potersi incardinare in una diocesi della Calabria «persuaso che il mio ministero sacerdotale non ha nessuno scopo nella Diocesi di Catania»254. Il cardinale manifestò la sua generica disponibilità a concedere la discessoria, se un altro vescovo si fosse dichiarato disposto ad accettarlo. Ma il canonico gli fece notare che «nessun Vescovo si muoverà a scrivere direttamente se non conosca l’animo ben disposto dell’Ordinario» e ribadiva che «non poteva rifiutarsi dal permetter ad un sacerdote, il cui ministero non ha nessuno scopo nella sua propria diocesi, di recarsi altrove a svolgere la sua sacra missione»255. Il confronto fra i due illustri vescovi di Catania continuò negli anni successivi, quando si pose il problema di nominare il successore del vescovo Emilio Ferrais. Leggendo le numerose lettere pervenute alla Congregazione concistoriale per suggerire il candidato ritenuto più idoneo, si deduce che i fautori dell’uno o dell’altro vescovo erano del card. Giuseppe Benedetto Dusmet (G. AMADIO, Il Cardinale Dusmet, Catania 1928) e di essere fra i più attivi sostenitori nel promuovere il processo della sua beatificazione. 252 L. c. 253 Una nota della Congregazione ci informa sull’esito del ricorso: «Al Cardinale di Catania. 30 gennaio 1920. Prego l’E.V. Rev.ma di far comunicare al molto rev. Gaetano Amadio che il suo ricorso mandato al S. Padre è presso questa S. Congregazione, a cui S. Santità lo aveva rimesso ed è stato risposto “lectum et acquiescat”» (l. c.). 254 Episcopati, Francica Nava, carpetta 3, Clero. 255 L. c.

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ancora molto agguerriti. Da entrambi i fronti si chiedeva la nomina di qualcuno che continuasse la loro opera. Il can. Gaetano Amadio, scrivendo su un foglio di carta intestata «Comitato cittadino pro onoranze alla memoria del Cardinale Dusmet», il 20 giugno 1930, chiedeva la nomina di un vescovo benedettino256. In un’altra lettera del 14 maggio, indirizzata al card. Pacelli e firmata dal cav. Girolamo Interlandi, si accennava a una «scissura del clero cominciata con il Cardinale Nava e non potuta raffrenare da Mons. Ferrais», che era motivo di scandalo fra il popolo. Il firmatario metteva in guardia la Congregazione contro coloro che proponevano come successore di Ferrais un simpatizzante di Francica Nava: «Il popolo, ricordandosi sempre dei 20 milioni lasciati dal Nava ad una pronipote senza pensare ai poveri, non può soffrire che interessati vogliono innalzare la memoria di un Cardinale che finì miseramente nell’obrio (sic), biasimato dal popolo e dal clero»257.

Il cenno alle disposizioni testamentarie di Francica Nava andava oltre la semplice notizia, perché serviva a stabilire un confronto con il Dusmet: alla sua morte non si trovò neppure una camicia per vestirlo e un lenzuolo per comporre il suo corpo, perché tutto aveva donato ai poveri258. La lettera informava ancora il card. Pacelli della sconcertante situazione creata in diocesi da mons. Salvatore Gangarelli, un sacerdote originario di Caltanissetta, economo del vastissimo patrimonio terriero del card. Francica Nava, che dal periodico Madre cristiana, da lui diretto, per difendere le opere e la memoria del defunto cardinale, aveva avviato una tenace opera di discredito nei confronti del 256 «L’altro giorno Eminenza, si è diffusa una notizia: l’Arcivescovo di Catania è un benedettino. Non esagero, Eminenza, vi fu una esplosione di entusiasmo nel Capitolo della cattedrale, nel clero, negli Ordini religiosi, nelle organizzazioni cattoliche, nella nobiltà, nel popolo; molti parroci, non sapendo trattenere la gioia, lo predicarono ai loro parrocchiani; ma poi la voce, che veniva da fonte accreditata, non ebbe seguito. La tradizionale simpatia verso i Benedettini è tale in Catania che qualunque altro nome al confronto impallidisce. Se il S. Padre si degnasse di fare un dono a Catania di questo genere, noi ci sentiremmo altamente fortunati, e il senso della riconoscenza resterebbe imperituro» (Archiv Concist, Catania, prot. n. 70/1930). 257 L. c. 258 G. AMADIO, Il Cardinale Dusmet, cit., 367.

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vescovo Emilio Ferrais e dei suoi collaboratori. In questa sua azione era affiancato dal can. Alfonso Toscano, amministratore della mensa vescovile, che il vescovo Emilio Ferrais aveva cercato di rimuovere, non condividendo i suoi disinvolti criteri di amministrazione259. Infine il rifiuto del cardinale Francica Nava ad avviare il processo di beatificazione del suo predecessore non servì a rasserenare gli animi e incoraggiare il clero a superare queste divisioni. La sua decisione sarà stata motivata probabilmente dal desiderio di non dare esca ai suoi oppositori260. Tutto questo però non servì a lasciare di lui un buon ricordo. Segno di questo disagio è la frase manoscritta che leggiamo nel Bollettino Ecclesiastico conservato nell’Archivio Storico Diocesano. Il 14 gennaio 1929 in cattedrale e in altre chiese della diocesi era stato celebrato il trigesimo della morte del card. Francica Nava. L’anonimo oppositore scriveva in margine alla nota che ricordava l’avvenimento: «Che non se ne parli più del morto perché già giudicato del suo male operato»261. L’ultimo confronto fra i due vescovi è stato fatto dagli storici, che si sono occupati del movimento cattolico in Italia. Si tratta di un discorso alquanto complesso. Si è fatto giustamente notare: «questo episcopato è ancora da studiare nella sua globalità, senza lasciarsi condizionare dai parametri della storiografia del movimento cattolico»262. Infatti i sostenitori di un cattolicesimo politico e di una Chiesa/partito, non trovandosi nelle condizioni di esprimere un giudizio oggettivo, libero da considerazioni ideologiche, danno l’impressione di vedere nei due vescovi il modello positivo o negativo che conferma le proprie tesi. 259 Il vescovo Carmelo Patanè, successore di Ferrais, soppresse il periodico Madre cristiana e indusse il Gangarelli a far ritorno alla sua diocesi di origine (T. LECCISOTTI, Il Cardinale Dusmet, cit., 657-658). Sul can. Alfonso Toscano, in quanto amministratore della mensa vescovile, si vedano i rilievi critici fatti dal vescovo Ferrais nella sua lettera alla Congregazione concistoriale del novembre 1928, trascritta supra. Questi antefatti possono spiegare la decisione del can. Toscano di scrivere e pubblicare la biografia del cardinale Francica Nava. 260 T. LECCISOTTI, Il Cardinale Dusmet, cit., 657. 261 BE 33 (1929) 10. È difficile individuare l’autore della nota, anche perché non si può stabilire se fu scritta nella raccolta del periodico conservata nella curia diocesana oppure se proviene da una raccolta privata. 262 G. ZITO, L’episcopato urbano della Sicilia, cit., 91.

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La figura del card. Dusmet incarnerebbe il vescovo caritatevole, ma privo di quello slancio sociale che invece ha caratterizzato il suo successore. Un giudizio così banale è apparso talmente ovvio da essere ripreso anche da coloro che non avevano da dimostrare alcuna tesi precostituita. Il primo rilievo da fare a questa valutazione riguarda la concezione riduttiva della carità ad essa sottesa. Nel Dusmet la carità non è solo “assistenza”, ma accoglienza e condivisione: è quella dimensione propria della Chiesa che, mediante l’agàpe, testimonia la vicinanza del regno di Dio263. È una carità che accoglie e aiuta anche gli avversari politici che si trovano in necessità264. Inoltre occorre far notare che la svolta all’azione sociale fatta dall’episcopato siciliano dopo i moti dei fasci dei lavoratori e la loro repressione, coincise con la morte del Dusmet (5 aprile 1894). Una sensibilizzazione del clero e dei fedeli sui gravi problemi sociali della Sicilia diventava urgente e improrogabile; ma doveva essere fatta dal suo successore. La scelta di aderire all’Opera dei congressi consentì un approccio nuovo ai problemi sociali e introdusse una diversa mentalità nei vescovi265; ma non può essere considerata l’unica o la migliore soluzione possibile, né si può affermare che fosse in piena sintonia con i princìpi evangelici: moltiplicando le contrapposizioni sociali, demonizzando gli avversari, mirando alla creazione di una “società cattolica” parallela non si operava certamente per l’avvento del regno di Dio. Se si analizza l’atteggiamento assunto dal Dusmet nei confronti dell’Opera dei congressi si comprenderà che le cause del suo rifiuto ad accoglierla in diocesi erano diverse: c’era anzitutto l’opposizione a importare il suo modello intransigente266; ma c’era anche la paura che, concedendo una certa autonomia ai laici, potesse essere messa in discussione la propria autorità267. Dusmet in questo si dimostra 263

ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA (cur.), De caritate ecclesia. Il principio “amore” e la Chiesa, Padova 1987. 264 Sui rapporti stabiliti dal Dusmet con il socialista Giuseppe De Felice e la sua famiglia si veda G. ZITO, La cura pastorale, cit., 57, 116, 387. 265 G. DE ROSA, Linguaggio canonico e mutamenti sociali in Sicilia dopo l’unificazione nazionale, in Chiesa e religione popolare, cit., 145-166. 266 La lettera del Dusmet al vescovo ausiliare di Palermo Domenico Lancia di Brolo, in cui fa espone il proprio pensiero sull’Opera dei congressi, è trascritta in Relazioni, II, 783. 267 G. ZITO, La cura pastorale, cit., 502-507.

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un figlio del suo tempo perché condivideva, come tutti gli altri vescovi, l’ecclesiologia del Concilio Vaticano I. Non si può infine sottovalutare che lo stesso modello “leoniano”, fatto proprio e promosso dal Francica Nava, fu messo in discussione da Pio X, quando impose ai sacerdoti di tornare ad occuparsi del “sacro”, lasciando ai laici la direzione delle opere sociali e l’attività sindacale e politica. Il vescovo Francica Nava, suo malgrado, fu obbligato a minacciare il ricorso alle pene canoniche verso quei sacerdoti che erano riluttanti a seguire le nuove direttive romane. Negli scritti che esaltano il movimento cattolico, il giudizio espresso sugli ecclesiastici “leoniani” a volte sembra limitato alle attività sociali delle quali si fecero promotori. Se invece si estende a tutta la loro opera, la valutazione può diventare di segno diverso. In alcuni casi i vescovi e i sacerdoti elogiati per la propria dedizione alle opere sociali davano l’impressione di trascurare i doveri specifici del proprio ministero268. Come si può notare, il confronto fra i due vescovi, superata la comprensibile emotività di coloro che furono direttamente coinvolti dalla loro azione di governo, deve essere posto su un piano eminentemente storico: individuare la loro matrice culturale e teologica; cogliere il modello pastorale scelto per la loro azione di governo senza lasciarsi condizionare da forme di precomprensione. 268 Si vedano i rilievi sulla situazione del clero nella diocesi di Noto fatti dal successore di Giovanni Blandini. Nella relazione ad limina del 1922 il vescovo Vizzini distingue fra clero anziano e clero giovane e fonda la speranza di attuare il suo progetto pastorale sulle buone qualità del clero giovane da lui formato. A suo giudizio, solo il 20% del clero doveva essere riconosciuto idoneo alla cura delle anime per le sue condizioni morali e culturali; l’80% o era inutile o era dannoso (A. LONGHITANO, L’erezione della diocesi: realtà diverse in cerca di unità, in Contributi alla geografia storica dell’agro netino. Atti delle Giornate di studio. Noto, palazzo Trigona, 2930-31 maggio 1998, a cura di F. Balsamo e V. La Rosa, ISVNA, Noto 2001, 333-347: 343). Si dovrebbe concludere che il vescovo Blandini, impegnandosi sul versante delle opere sociali, aveva trascurato il discernimento e la formazione del clero. Quando nel 1927 il vescovo coadiutore di Catania Emilio Ferrais propose alla Congregazione concistoriale come candidato all’episcopato il nome di Angelo Messina, uno dei protagonisti del movimento cattolico, Giovanni Jacono, suo professore o rettore in seminario e vescovo di Caltanissetta, fece pervenire questo giudizio: «Non è spiccato per pietà e si è poco versato nei ministeri sacri e molto nelle opere sociali ed amministrative. Di carattere un po’ invadente e battagliero ha avuto spesso delle contese» (Archiv Concist, Catania, prot. n. 319/1927).

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6. LE RELAZIONI AD LIMINA DEL VESCOVO FRANCICA NAVA I trentatre anni di governo del vescovo Francica Nava, ai quali fanno riferimento le cinque relazioni ad limina qui pubblicate, non costituiscono un periodo tale da indurci a parlare di longue durée, nel significato dato a questa espressione dagli storici delle Annales. Sono tuttavia un arco di tempo sufficiente che ci permette di analizzare l’evolversi di alcune situazioni e i mutamenti di determinate strutture nella diocesi di Catania. Non è nelle mie intenzioni tracciare qui le molteplici piste di ricerca di una fonte così ricca di spunti. Dopo aver delineato il profilo dell’autore di questi documenti, mi limito a fare qualche riflessione come aiuto alla loro utilizzazione storiografica. Una prima osservazione riguarda l’apparente ripetitività delle notizie riferite nelle relazioni. La Congregazione concistoriale invitava i vescovi a redigere accuratamente il primo documento del loro governo pastorale; per i successivi avevano due possibilità: limitarsi a segnalare le variazioni senza ripetere quanto avevano scritto nella prima, oppure riscrivere tutta la relazione inserendo le varianti. Il vescovo Francica Nava ha preferito seguire questa seconda indicazione; pertanto chi legge le sue relazioni ha l’impressione che ripeta sempre le stesse notizie; in realtà egli cambia man mano il testo del primo documento eliminando ciò che non è più attuale o aggiungendo le novità intervenute nel periodo di riferimento. In alcuni casi le variazioni comportano solo il cambiamento di qualche numero; a volte invece un argomento è sviluppato ex novo. A chi intende utilizzare questa fonte storica non sarà difficile individuare i temi suscettibili di variazioni e confrontare i dati riferiti nei documenti che si succedono. In tal modo è possibile seguire lo sviluppo dei temi più significativi.

a) Il giudizio sulla società e sui fedeli Ritengo di particolare rilievo individuare l’angolo di visuale da cui il vescovo Francica Nava si colloca per analizzare la situazione della diocesi. Un filo conduttore, che unisce le cinque relazioni inviate a Roma, è il giudizio negativo nei confronti della società in cui vive e del popolo che governa. Facendo proprio lo stile seguito dai papi di fine 118


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’800, egli è convinto che i tempi in cui vive sono «infausti»269 e «dissoluti»270 e che «i costumi della maggior parte del popolo sono ormai corrotti»271. Questi giudizi espressi nella prima relazione del 1904 sono ripetuti non solo nella relazione del 1908, che adopera lo stesso questionario, ma anche nelle altre che rispondono a domande diverse: «nostro pessimo tempo»272; «i costumi sono corrotti»273; «a motivo delle avverse circostanze di tempo in cui miseramente ci troviamo»274. Nella relazione del 1927 non ripete quest’ultima affermazione, perché introduce una variante e cambia tutto il periodo: la massoneria e il partito socialista con l’avvento del fascismo erano stati soppressi e quindi, almeno apparentemente, la situazione era cambiata275. Non è difficile individuare la causa di tanto pessimismo: la fine del sostegno dato dalle autorità civili alla Chiesa cattolica, in seguito al tramonto della res publica christiana. Infatti il suo giudizio negativo appare più mitigato nell’ultima relazione, quando deve prendere atto che il nuovo regime «almeno impone ai maestri di insegnare nelle scuole dette “elementari” i princìpi della dottrina cattolica e la storia sacra»276. Il modello di società che egli ha in mente è quello in cui l’insegnamento delle scuole è improntato ai princìpi cristiani, le pubbliche autorità controllano la stampa per evitare che inculchi l’errore e favorisca i comportamenti immorali, le leggi dello Stato si ispirano all’etica cristiana: «Le cause di questa situazione così penosa sono molteplici e ritengo molto antiche, ma in questi tempi così dissoluti si sono accresciute: anzitutto ci sono le scuole pubbliche nelle quali l’incauta gioventù cresce senza alcuna educazione religiosa, poi i cattivi esempi dei ricchi, la sfrenata licenza concessa ai perversi, le cattive 269

Rel. 1904, II, § 8. Ibid., VIII, § 1. 271 L. c. 272 Rel. 1916, Proemio, 2. 273 Ibid., XI, 114. 274 Ibid., 124. 275 Rel. 1927, XI, 124. 276 Ibid., XII, 125. 270

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associazioni, i teatri, la stampa che alletta quotidianamente agli errori e ai vizi, e, per riassumere tutto in breve, i tentativi fatti con arte e malizia satanica per allontanare il popolo dalla fede degli avi e dalla pietà»277.

Se poi analizziamo i comportamenti che inducono il vescovo a formulare questi giudizi negativi, notiamo che egli si fonda soprattutto sulla inosservanza di tre precetti della Chiesa (festivo, pasquale, digiuno) e sulla poca attenzione all’etica sessuale: «Nella situazione da me descritta, in cui miserevolmente ci troviamo, non c’è da meravigliarsi se si sono insinuati tanti abusi e si sono sviluppate tante cattive consuetudini: soprattutto le bestemmie e il turpiloquio, che spesso capita di ascoltare per le strade, le unioni illegittime e i frequenti rapimenti, la generalizzata violazione dei giorni festivi e dell’obbligo del digiuno»278.

Esulano da questo schema abbastanza consueto solo due rilievi che riguardano la piaga dell’usura e la profanazione di luoghi sacri: «gli interessi da rapina secondo il modello giudaico, chiesti quando si presta il denaro, e, tralasciando tutto il resto, la profanazione degli edifici sacri per il comportamento sfrontato di giovani dissoluti»279.

Al giudizio sulla corruzione dei costumi del popolo si aggiunge quello sulla sua religiosità: «sebbene sia rimasta fino ad oggi nel popolo una qualche tradizione religiosa, essa è fragile non solida e a causa dell’ignoranza della dottrina cristiana è impregnata di superstizioni e più incline agli elementi esteriori della religiosità»280.

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Rel. 1904, VIII, 1. Ibid., XI, 2. 279 L. c. 280 L. c. 278

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Una valutazione negativa così generalizzata parte dalla premessa che la popolazione della diocesi doveva essere considerata cristiana sol perché aveva ricevuto il battesimo nell’infanzia, senza tener conto che solo una parte di essa continuava un autentico cammino di fede, mentre altri si limitavano all’osservanza dei riti e delle tradizioni proprie di una “religione civile”. È in questo contesto che deve essere presa in esame la decisa opera di purificazione della religiosità popolare operata dal vescovo Francica Nava e messa in evidenza nelle relazioni: «Sebbene si siano introdotti da tempo in questa diocesi e in tutta la regione molti abusi nel culto divino, nella venerazione dei santi e in altre sacre funzioni, tuttavia l’autorità ecclesiastica si adopera con diligenza di correggerli e di uniformarli alle norme liturgiche. Questi abusi, ad esempio, sono: l’ingresso nelle chiese delle bande musicali, che spesso accompagnano le processioni eseguendo musiche profane, il trasporto delle reliquie dei santi sotto il baldacchino, l’esecuzione di musiche profane nelle sacre funzioni e l’ingresso dei laici nei presbitèri»281.

L’azione del vescovo è apprezzabile perché non si ferma alla semplice proibizione, ma è accompagnata da un’opera di formazione del clero e del popolo, sulla linea di una più consapevole partecipazione al culto liturgico secondo le direttive pontificie, accolte con favore dal clero giovane282.

b) Gli istituti religiosi Un altro tema che merita di essere preso in esame nelle cinque relazioni è quello della presenza degli istituti religiosi maschili e femminili nella diocesi. Gli anni ai quali le relazioni fanno riferimento sono quelli che vanno dalla crisi seguita alla soppressione operata dallo Stato unitario nel 1866, alla ripresa che si incomincia a notare nel ’900. 281

Rel. 1916, II, n. 15. Il vescovo Giovanni Jacono nell’elogio funebre, riferiva un rilievo pungente del cardinale Francica Nava sulla religiosità popolare delle popolazioni meridio282

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La presenza dei religiosi nella diocesi è così descritta nella relazione del 1904: «Un tempo in questa diocesi c’erano molti monasteri maschili soggetti ai prelati religiosi. In seguito alle ingiuste leggi di soppressione, solo dopo molti anni alcuni religiosi, riscattati a proprie spese gli antichi conventi oppure avendo edificate nuove case, hanno potuto ripristinare la vita comune. Così hanno fatto i cappuccini a Catania, a Paternò e Adrano, i frati minori in un sobborgo di questa città e di Bronte, i carmelitani e i domenicani in questa città, in cui i salesiani hanno 2 case, oltre le 3 che hanno nella diocesi. Inoltre sono presenti 5 religiosi della Compagnia di Gesù in una piccola casa che ho potuto mettere a loro disposizione. Ho anche offerto una casa annessa ad una chiesa ai sacerdoti missionari di San Vincenzo dei Paoli; sono pochi di numero ma svolgono un fruttuoso ministero»283.

Nel 1908 il numero degli istituti non cambia, ma leggiamo una nota sulla Compagnia di Gesù: «Quanto prima andranno ad abitare in una casa più grande che si sta costruendo accanto alla nuova chiesa, che ho loro affidato»284. Nel 1916 ai 3 conventi dei cappuccini presenti nelle due precedenti relazioni si aggiunge quello di Bronte e a Catania è segnalata la presenza dei conventuali285. Nelle relazioni successive non ci sono variazioni sul numero delle case religiose maschili; si nota invece un aumento del numero dei religiosi. Nelle sue relazioni il vescovo distingue gli ordini mendicanti tradizionali, che man mano ricostituirono le comunità soppresse, e gli istituti religiosi più aperti ai problemi della società; fra questi ultimi nali: «Si spendono circa nove milioni all’anno nel meridione d’Italia e nella nostra Sicilia in assordanti e incomposte manifestazioni esterne nelle feste religiose, e il livello cristiano del popolo si abbassa in ragione inversa al chiasso festaiolo». Ma allo stesso tempo faceva notare che Francica Nava «riformò, non sopprimendo, ma sostituendo, non distruggendo, ma rettificando e migliorando canti e pompe esterne. E Catania ha visto ed ammirato a quale splendore ha inteso elevare il culto l’invitto cardinale, e nella sontuosa celebrazione del Congresso Eucaristico e nelle feste solennissime dell’VIII centenario della traslazione delle Reliquie di S. Agata» (G. JACONO, Elogio funebre, cit., 105). 283 Rel. 1904, I, § 8. 284 Rel. 1908, I, § 8. 285 Rel. 1916, II, n. 3/h.

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operavano a Catania i gesuiti, i salesiani, i missionari di San Vincenzo dei Paoli e per un certo periodo i fratelli delle scuole cristiane. Il giudizio che il vescovo formula nella prima relazione risente delle difficoltà del primo periodo ed è alquanto severo: «Se si escludono pochi gesuiti, domenicani, sacerdoti missionari di San Vincenzo dei Paoli e molti salesiani che risiedono nella mia diocesi, gli altri religiosi appartenenti agli ordini dei cappuccini, dei minori, degli osservanti e dei carmelitani, che, passata la tempesta della soppressione e della dispersione, si sono riuniti nelle nuove residenze, sono poco o per nulla utili al bene e all’edificazione dei fedeli»286.

Nelle relazioni successive la situazione cambia, perché man mano vengono aperti nuovi istituti, ma il vescovo si dimostra sempre critico nella sua valutazione. Tuttavia nella relazione del 1916 sembra che egli si faccia portavoce della buona fama che i diversi istituti hanno presso i fedeli: «Di loro godono buona fama i gesuiti, i salesiani, i missionari di San Vincenzo dei Paoli e i fratelli delle scuole cristiane. Non si può dire la stessa cosa di tutti quelli che appartengono agli altri ordini religiosi»287.

Da notare il diverso tipo di servizio che svolgevano i fratelli delle scuole cristiane in quel periodo. Il vescovo Francica Nava nel 1900 aveva manifestato il proposito di consacrare la diocesi al Sacro Cuore di Gesù e di costruire in suo onore un tempio votivo a Barriera del bosco288. Annesso alla chiesa fu costruito «un istituto per accogliere i ragazzi abbandonati, che altrimenti crescendo costituirebbero 286

Rel. 1904, IV, § 3. Rel. 1916, IX, n. 102. 288 A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 267-270. 289 Rel. 1904, II, § 9. Possiamo considerare la chiesa del Sacro Cuore e l’istituto annesso come l’opera realizzata dal cardinale Francica Nava in favore della città e delle classi più disagiate alla quale legare il proprio nome, così come avevano fatto i suoi predecessori: il vescovo Ventimiglia con l’Albergo dei poveri, Corrado Deodato con il Monte di pietà, Dusmet con l’Asilo Sant’Agata. 287

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un pericolo per l’ordine pubblico»289. La direzione dell’istituto inizialmente fu affidata ai fratelli delle scuole cristiane, che sono menzionati nella relazione del 1922290. Di là a qualche anno la chiesa del Sacro Cuore e l’istituto annesso furono donati ai salesiani, come si legge nella relazione del 1927: «I salesiani hanno tre case, una delle quali è stata donata da me assieme alla chiesa del Santissimo Cuore di Gesù. La casa una volta era retta dai fratelli delle scuole cristiane»291. Questa congregazione religiosa farà ritorno a Catania nel 1935 per dirigere il collegio Leonardo da Vinci, fondato nel 1929 dal can. Giuseppe Calabrese292, destinato ad accogliere i giovani della Catania bene. Leggendo le relazioni di Francica Nava si intuisce facilmente la stima che egli aveva per i salesiani. Egli durante la sua vita più volte si era incontrato con Don Bosco, dal quale aveva avuto consigli e suggerimenti per il suo ministero293. Quando poi gli fu affidato il governo della diocesi di Catania vide nei figli di Don Bosco dei collaboratori preziosi per attuare i suoi progetti pastorali sul versante dell’istruzione e formazione dei giovani. Scrive nella relazione del 1904: «Con una somma che do annualmente ai sacerdoti salesiani sono state aperte scuole serali completamente gratuite per educare religiosamente i ragazzi indigenti» e in quella del 1916: «Per lo zelo, soprattutto dei salesiani e di alcuni sacerdoti del clero secolare, sono state realizzate alcune opere come ricreatori, circoli, scuole catechistiche, oratori serali e festivi, per educare e preservare la gioventù. Per mancanza di strutture né il numero né i frutti di queste istituzioni rispondono alle necessità dei nostri tempi»294. Negli anni successivi — come si è visto — il vescovo donò ai salesiani la chiesa del Sacro Cuore con l’istituto annesso, da lui fatti costruire alla Barriera. Se passiamo all’esame degli istituti religiosi femminili, la possibilità di notare il loro sviluppo diventa più evidente. Nelle relazioni del 290

Rel. 1922, I, n. 3/h. Rel. 1927, III, n. 3/h. Il cambiamento di direzione dell’istituto probabilmente si rese necessario per l’impossibilità di affidare ai fratelli delle scuole cristiane anche la rettoria della chiesa del Sacro Cuore, considerato che si trattava di una congregazione religiosa laicale. 292 A. TOSCANO DEODATI, Il Cardinale, cit., 190. 293 Ibid., 88-90. 294 Rel. 1916, XII, n. 130. 291

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1904 e del 1908 non abbiamo dati completi, perché il questionario prevedeva solo una domanda sugli istituti monastici di vita contemplativa. Su di essi c’era poco da dire, essendo stati soppressi dalle leggi eversive del 1866: il vescovo dà un quadro della situazione esistente e manifesta il progetto di riscattare dal governo i locali del monastero San Benedetto di Catania per erigervi una nuova comunità: «I monasteri femminili (ad eccezione di uno francescano e un altro della visitazione) sono tutti benedettini, soggetti all’ordinario; se ne contano 8: 5 in città e 3 in diocesi. La loro estinzione è imminente, considerato che, in seguito alle leggi di soppressione di tanti anni fa, sono stati chiusi i noviziati e sopravvivono solo poche monache avanti negli anni. Volendo evitare questo pericolo, nei limiti delle mie possibilità, penso di riscattare uno o due dei monasteri esistenti295».

Manca un elenco delle congregazioni religiose femminili che svolgevano la loro attività negli ospedali, nelle case di riposo, negli orfanotrofi e nei collegi; di esse troviamo solamente qualche cenno296. Nelle altre tre relazioni il questionario cambia: la domanda non riguarda soltanto le monache, ma gli istituti religiosi femminili in genere. Il vescovo, oltre a dare un elenco dei monasteri superstiti, descrive un quadro abbastanza ricco degli altri istituti che operavano nel sociale e si erano sviluppati nel periodo storico preso in esame. Riportiamo i dati relativi alle ultime tre relazioni: Città di Catania: 1916 Monasteri 4 Altri istituti 19 Paesi della diocesi

1922 3 20

1927 1 28

1916 — 7

1922 — 12

1927 — 15

Monasteri Altri istituti 295 296

Rel. 1904, I, § 8. Ibid., I, § 10.

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Il giudizio che il vescovo dà sugli istituti religiosi femminili è positivo: «Dopo le leggi eversive è rimasto un solo monastero, il cui edificio è stato riscattato dall’eminentissimo arcivescovo. In esso vive una nuova ed eccellente comunità di circa 40 monache […]297. Le religiose di vita attiva o assistono gli ammalati e i vecchi negli ospedali e negli ospizi per i poveri o si occupano dell’educazione cristiana delle ragazze di qualsiasi ceto. Le suore svolgono entrambe le attività con buono spirito, con grandissima utilità dei fedeli e edificazione della Chiesa»298.

L’individuazione delle altre piste di ricerca potrà essere fatta attraverso i titoli dei capitoli e in parte dei sottotitoli, che il vescovo Francica Nava ha riportato all’interno dei documenti.

297 298

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Rel. 1927, X, n. 109. Ibid., n. 111.


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XLIX

1904 – Relazione dell’arcivescovo, card. Giuseppe Francica Nava, relativa al triennio 106°, inviata il 7 maggio 19041.

[fol. 4r] Obbedendo alla prescrizione dei romani pontefici, soprattutto di Sisto V nella sua costituzione Romanus Pontifex, trasmetto agli eminentissimi padri della S. Congregazione del Concilio Tridentino questa prima relazione sullo stato della Chiesa di Catania. Lo scritto, per procedere nello stesso ordine proposto dal questionario

1 Congr Concilio, Relat Dioec, 207 B, fol. 1r-20v. Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera del 27 maggio 1903, indirizzata a Leone XIII: «Beatissimo Padre, in questo mese avrei dovuto soddisfare all’obbligo della visita ad Sacra Limina, perché sono così già tre anni dall’ultima che Dio mi diede la grazia di compiere. Avrei potuto farla lo scorso marzo quando ebbi il bene di portarmi in codesta per assistere alla solenne festa del Suo Giubileo Pontificale; ma credetti meglio differirla al mio ritorno che dovea aver luogo in questo mese in occasione di un Pellegrinaggio Diocesano, organizzato per venire a rendere filiale omaggio a Vostra Santità. Essendo stati sospesi i Pellegrinaggi italiani per comunicazione datami da codesto Comitato Internazionale per le Feste Giubilari di Vostra Santità, mi è [fol. 1v] mancata l’opportunità da me attesa per compiere il mio dovere. D’altro canto essendo io venuto da poco tempo a baciare il Sacro Piede a Vostra Santità, non credo si possa esigere che io torni a fare un lungo viaggio per la sola visita ad Limina. Per la qual cosa supplico Vostra Santità a concedermi che io la differisca ad altro anno, anche avuto riguardo che in Diocesi ho da attendere a gravi affari in cui è necessaria la mia presenza. Che della grazia, ecc. Umilmente prostrato al bacio del Sacro Piede imploro per me e per il mio gregge l’Apostolica Benedizione raffermandomi di Vostra Beatitudine umilissimo, devotissimo, obbligatissimo servitor Giuseppe Card. Nava, Arcivescovo di Catania» [fol. 1r-1v] e la nota: «Die 8 iunii 1903. Ad alium annum. Eminentissimo Arcivescovo di Catania. Proroga Visita ad Limina» [fol. 2r]; 2) altra lettera del 7 maggio 1904 al card. Vincenzo Vannutelli, prefetto della Congregazione del concilio: «Eminentissimo e Rev.mo Sig. mio Osservantissimo, mi onoro spedirle la relazione dello stato di questa Diocesi che deve presentarsi nell’atto della visita ad Limina. Non l’ho fatto prima perché ne sono stato impedito e dall’ufficio occupato nelle due Nunziature di Bruxelles e di Madrid e dalla molteplicità degli affari accumulatisi nei 5 anni della detta lontananza dalla Sede. Aggiungo che l’anno scorso domandai ed ottenni per le stesse ragioni una proroga per l’adempimento della visita ad Limina. Baciandole umilissima-

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accluso all’istruzione data da codesto sacro dicastero, fa riferimento ai seguenti capitoli.

CAPITOLO I – STATO MATERIALE DELLA CHIESA § I – Fondazione. Un’antichissima tradizione riferisce che nel 44 d. C. dal Principe degli apostoli fu inviato come primo vescovo in questa città (illustre per fama fin dai tempi più antichi) s. Berillo, che vi introdusse i primi germi della fede cristiana. Anche se a sostegno di questa tesi sono pervenute a noi e si conservano poche testimonianze, è certo che la nostra religione fin dal suo inizio ha messo profonde radici e molti hanno ottenuto la palma del martirio, fra i quali bisogna enumerare alcuni successori in questa sede dello stesso vescovo Berillo, il diacono Euplio e fra tutti si distingue s. Agata, che al tempo della persecuzione di Decio, per conservare intatta la sua fede e la sua verginità subì crudelissimi tormenti e con animo invitto affrontò la morte. I catanesi hanno scelto e sperimentato come patrona e protettrice una così illustre vergine e martire. In suo onore, quando cessò la persecuzione, le hanno eretto un tempio che certamente [fol. 4v] era il più grande di tutti. Affermandosi sempre più nel tempo il culto e la fama di s. Agata, il religiosissimo Conte Ruggero sul finire del secolo XI sostituì l’antico tempio con il nuovo, lo rese sede di questa sacra cattedra vescovile e cardine della città e della diocesi. Allo stesso tempo accrebbe le sue rendite e lo arricchì di nuove. Quando poi in seguito, nel 1693, un violentissimo terremoto lo distrusse, dall’illustrissimo Don Andrea Riggio, che in quel periodo era stato designato a reggere questa sede vescovile, fu riedificato a sue spese il tempio che oggi si ammira.

mente le mani con la più profonda venerazione ho il bene di rassegnarmi. Dell’Eminenza Vostra Rev.ma umilissimo e devotissimo servitor vero G. Card. Nava, Arcivescovo di Catania» [fol. 2v] e la nota: «Catanien. Eminentissimus Archiepiscopus. Relatio et visitatio Sanctorum Liminum. Die 18 maii 1904. Detur attestatio Visitationis et Relationis pro 106° triennio, expirato die 20 decembris 1903 [fol. 20r]».

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Relazione dell’arcivescovo – 1904

§ II – Confini. L’archidiocesi di Catania, posta alle falde dell’Etna, sebbene un tempo fosse molto più ampia, oggi a mezzogiorno confina con il litorale del mare Ionio e con la diocesi di Siracusa, a tramontana con la diocesi di Patti, a levante con la diocesi di Acireale e a occidente con le diocesi di Nicosia e Caltagirone2.

§ III – Privilegi e facoltà. La diocesi di Catania in passato da parte di re e pontefici, in particolare da papa Alessandro III, è stata arricchita di privilegi. Questi però sebbene antichi e rilevanti, com’è possibile costatare leggendo le opere degli scrittori locali3, per le avversità e le ingiurie del tempo sono quasi tutti decaduti. Fra di essi si enumeravano molti diritti feudali concessi al vescovo di Catania dal Conte Ruggero, dal re Alfonso d’Aragona e dal altri sovrani, e l’uso del pallio accordato dal suddetto papa Alessandro. Lo stesso stabilì che la Chiesa di Catania non doveva essere soggetta ad altri, che non fosse il romano pontefice. Questo privilegio, che è andato perduto non so per qual motivo o non è stato osservato4, dal papa Pio IX [fol. 5r] il 26 settembre 1859 è stato rinnovato e reso valido in perpetuo; in tal modo il presule di questa Chiesa, sebbene non abbia sotto la sua giurisdizione vescovi suffraganei, si fregia del titolo di arcivescovo ed è immediatamente soggetto alla Sede Apostolica.

2 I confini della diocesi sono indicati in modo sommario. Ecco una descrizione corretta: la diocesi di Catania a levante confina con il mare Ionio, a tramontana con la diocesi di Acireale, a ponente con le diocesi di Patti e Nicosia, a mezzogiorno con le diocesi di Caltagirone e Siracusa. 3 I.B. DE GROSSIS, in Decachordo Collectanea Ecclesiae Cat. etc. – V. M. AMICO, Diplomata ad Archiepiscopalem Ecclesiam Catanensem pertinentia. Nota del documento. 4 Sottolineato nel testo originale.

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§ IV – Numero delle città, dei comuni e dei luoghi soggetti all’arcivescovado. L’archidiocesi di Catania, dopo l’erezione della nuova diocesi di Acireale, che è stata costituita in parte con le città e i comuni un tempo appartenenti a questa Chiesa, comprende 23 città o comuni, cioè: Catania, Paternò, Biancavilla, Adrano, Bronte, Maletto, Belpasso, Nicolosi, Pedara, Trecastagni, Zafferana con le tre frazioni di Fleri, Pisano e Bongiardo, Viagrande, San Giovanni la Punta, San Gregorio, Mascalucia, Gravina, Santa Maria di Licodia, Misterbianco, Tremestieri, Camporotondo, San Pietro Clarenza, Motta Sant’Anastasia5.

§ V – Stato della chiesa metropolitana con il numero dei canonici e degli altri addetti al servizio del coro. Sono state erette le prebende del penitenziere e del teologo? Crollato, come ho già detto, l’antico edificio della cattedrale a causa del devastante terremoto e costruito dal vescovo Riggio il nuovo che oggi esiste, dai miei predecessori sono state aggiunte non poche opere e ornamenti; ma ancora molte altre ne occorrono o perché necessarie o per accrescere il suo decoro. Per realizzare tutto questo occorrono risorse che la chiesa non possiede, visto che le somme impiegate per la manutenzione degli edifici e per il culto provengono dalla mensa vescovile. È mio grandissimo desiderio, se le possibilità economiche e le innumerevoli necessità [fol. 5v] più rilevanti della diocesi lo permetteranno, di affrontare in qualche modo i problemi più urgenti, secondo un progetto già avviato. Il numero dei componenti il capitolo metropolitano, stando alla sua antica fondazione, dovrebbe essere di 17 canonici; dei quali 5 sono dignità nell’ordine che presento: priore, cantore, decano, tesoriere e arcidiacono. Oltre i canonici dovrebbero esserci 12 mansionari e 5 beneficiati. In conformità alla bolla di S. Pio V In eminenti, sia tutte le prebende dei canonici e sia tutti gli altri benefici di questa chiesa cat5 La relazione indica il numero di 23 comuni, ma ne enumera 22. Dall’elenco mancano i comuni di Sant’Agata li Battiati e di San Giovanni Galermo, che nel 1926 avrebbe perduto la sua autonomia per diventare un quartiere della città di Catania.

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tedrale sono di libera collazione. Poiché la norma stabilita dal Concilio di Trento per istituire le prebende del penitenziere e del teologo ancora non era stata attuata, aderendo al decreto dello stesso concilio, sess. V, c. 1, de ref., e sess. 24, c. 8 de ref., ho stabilito che due prebende vacanti fossero utilizzate e annesse in perpetuo a questi due uffici. Ho chiesto che fosse la Santa Sede, per i motivi esposti, a conferire per la prima volta l’ufficio del penitenziere ad un ecclesiastico, che a mio giudizio era la persona più degna per la competenza nella teologia morale, per la pietà e per l’esperienza, dispensando dall’obbligo del concorso. L’anno scorso, in conformità alla costituzione di Benedetto XIII Pastoralis officii, la prebenda del teologo, è stata conferita per concorso secondo le modalità previste, al sacerdote che è risultato primo fra i concorrenti. A motivo delle nuove leggi dell’avverso Regno d’Italia, il numero dei canonici, dignità incluse, è diminuito e ridotto a 12 soltanto, quello dei mansionari a 6, ai quali si aggiungono 5 beneficiati, i quali hanno una distinta ma modesta prebenda oppure ne sono del tutto privi, ma ricevono alcune distribuzioni in rapporto al servizio corale prestato. Poiché dei 12 canonici e 6 mansionari esistenti alcuni per la vecchiaia o per la malferma salute non possono prendere parte al coro e alle sacre funzioni [fol. 6r], mentre altri si avvalgono del diritto di giubilazione, si avverte la necessità di aumentare quel numero nella misura in cui lo permettono le circostanze. Mi sono riproposto di attuare al più presto questo progetto, avvalendomi delle facoltà e delle istruzioni a me date da codesta Congregazione con lettera firmata dall’eminentissimo prefetto il 4 luglio 1903.

§ VI – Stato delle chiese collegiate con il numero dei canonici e di tutti coloro che prendono parte al coro. Nelle collegiate è stata eretta la prebenda del teologo? Nell’archidiocesi si hanno 8 chiese collegiate, delle quali la prima e insigne è a Catania, intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, con 4 dignità e 8 canonici. Le altre sorgono in altre città e comuni: Paternò con 4 dignità e 10 canonici, Adrano con 2 dignità e 5 canonici, Belpasso con 3 dignità e 8 canonici, Nicolosi con 3 dignità e 3 canonici, Trecastagni, nella quale per la scarsità delle risorse non c’è attualmente alcun cano131


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nico ad eccezione del prevosto, che è la prima dignità del capitolo, a cui spetta la cura delle anime e anche il titolo di arciprete6. Il mio predecessore è riuscito a difendere e a rivendicare dall’ingiusta occupazione del potere laicale parte delle prebende di queste chiese collegiate, dimostrando presso i tribunali dello Stato che alcuni beni, dei quali erano costituite, appartenevano al beneficio parrocchiale. Tuttavia poiché i proventi superstiti non sono pari a quelli di una volta, il numero dei canonici è inferiore a quello previsto nelle antiche tavole di fondazione. In queste collegiate non è mai esistita la prebenda del teologo; ma poiché essa, come ho già detto, è stata eretta in questa [fol. 6v] chiesa metropolitana, con le stesse modalità e se ci saranno condizioni favorevoli, la istituirò nelle collegiate ancora esistenti nei comuni più importanti, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento.

§ VII – Stato e numero delle chiese parrocchiali e delle altre chiese e oratori esistenti nella diocesi. Precisare se la chiesa metropolitana, le collegiate, gli oratori, le chiese parrocchiali e le altre chiese sono sufficientemente provviste delle sacre suppellettili e quali di esse hanno destinato una parte dei loro introiti alla fabbrica. Nella circoscrizione diocesana si hanno 43 chiese parrocchiali e 185 altre chiese, che sono o filiali o già appartenenti a ordini religiosi, oppure oratori eretti dalla pietà dei fedeli o dalle confraternite. Generalmente questi edifici sacri, chi più chi meno, sono ben forniti di sacre suppellettili. Queste chiese, ad eccezione di poche, o non hanno alcuna risorsa o posseggono solamente modesti introiti da destinare alla fabbrica, fino al punto che incontrano non poche difficoltà per provvedere alle necessarie riparazioni. Per la fabbrica della chiesa cattedrale è stata costituita la somma annua di L. 3.570, pagata da questa mensa vescovile. La relativa esiguità di questa somma spiega non solo perché si fa poco per riparare e abbellire, come sarebbe giusto, il tempio più importante

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Nell’elenco non sono menzionate le collegiate Santa Maria dell’Elemosina di Biancavilla e San Biagio di Viagrande, che risulteranno nelle relazioni successive.

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della diocesi, ma anche perché si deve ricorre ai debiti quando è stato necessario fare spese straordinarie, come accade nel presente. Per quanto attiene alle chiese parrocchiali alle quali ho accennato sopra, talvolta in esse viene esercitata la cura delle anime; tuttavia bisogna tenere presente che in esse non c’è un sacerdote che è vero parroco, ad eccezione [fol. 7r] della chiesa di Bronte, che un tempo apparteneva ad altra diocesi. I prevosti di alcune collegiate, in forza della loro dignità e secondo le tavole di fondazione, sembrano avere la cura delle anime. In realtà mai hanno esercitato gli obblighi spettanti alle parrocchie, soprattutto il diritto previsto dal Concilio di Trento di assistere alla celebrazione del matrimonio. Questo avviene per i prevosti delle chiese collegiate Santa Maria dell’Elemosina di questa città, di Paternò, di Biancavilla, di Adrano, di Belpasso e Trecastagni. In queste chiese, come in quelle di tutta la diocesi, per l’esercizio dei doveri parrocchiali sono nominati i vicari curati o, come si suol dire, i cappellani amovibili a discrezione dell’arcivescovo. Questo singolare ordinamento delle parrocchie, che è in vigore da secoli, ha certamente degli aspetti positivi, soprattutto ai nostri tempi, ma comporta anche alcuni inconvenienti. Sarebbe molto arduo cambiare questa situazione e, nelle difficili condizioni in cui ci troviamo, si potrebbero temere conseguenze peggiori.

§ VIII – Numero dei monasteri maschili e femminili. Specificare se qualche monastero maschile è soggetto alla giurisdizione del vescovo e se si hanno monasteri femminili soggetti a prelati religiosi. Un tempo in questa diocesi c’erano molti monasteri maschili soggetti ai prelati religiosi. In seguito alle ingiuste leggi di soppressione, solo dopo molti anni alcuni religiosi, riscattati a proprie spese gli antichi conventi oppure avendo edificate nuove case, hanno potuto ripristinare la vita comune. Così hanno fatto i cappuccini a Catania7, a Paternò8 e Adrano9, i frati minori in un sobborgo [fol. 7v] di questa

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Sacro Cuore di Gesù ai Cappuccini nuovi (Catania Sacra 1893, 46). Maria Santissima Annunziata. 9 Santa Maria degli Angeli (Catania Sacra 1893, 60). 8

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città10 e di Bronte11, i carmelitani12 e i domenicani13 in questa città, in cui i salesiani hanno 2 case14, oltre le 3 che hanno nella diocesi15. Inoltre sono presenti 5 religiosi della Compagnia di Gesù in una piccola casa che ho potuto mettere a loro disposizione. Ho anche offerto una casa annessa ad una chiesa ai sacerdoti missionari di San Vincenzo dei Paoli16; sono pochi di numero ma svolgono un fruttuoso ministero. I monasteri femminili (ad eccezione di uno francescano17 e un altro della visitazione18) sono tutti benedettini, soggetti all’ordinario; se ne contano 8: 5 in città19 e 3 in diocesi20. La loro estinzione è imminente, considerato che, in seguito alle leggi di soppressione di tanti anni fa, sono stati chiusi i noviziati e sopravvivono solo poche monache avanti negli anni. Volendo evitare questo pericolo, nei limiti delle mie possibilità, penso di riscattare uno o due dei monasteri esistenti. Sono ancora in attività 5 collegi di Maria21, che a dire il vero 10

Santa Maria della Guardia (ibid., 45). San Vito (ibid., 87). 12 Delle diverse comunità di carmelitani operanti a Catania prima della soppressione, si era ricostituita solo quella dell’antica osservanza nella chiesa dell’Annunziata al Carmine (ibid., 45). 13 Era stata ripristinata la comunità nel convento annesso alla chiesa di San Domenico (l. c.). 14 1) San Filippo Neri (Catania Sacra 1886, 39); 2) San Francesco di Sales (ibid., 54). 15 1) Collegio Capizzi, Bronte; 2) San Giuseppe, Pedara; 3) Sacro Cuore, San Gregorio. 16 Chiesa del Santissimo Sacramento Ritrovato. 17 Monastero di Santa Chiara, che sarà chiuso nel periodo successivo (Catania Sacra 1896, 45). 18 Alcune monache della visitazione vivevano nel reclusorio annesso alla chiesa della Purità (o Visitazione) (Catania Sacra 1913, 36). 19 1) Sant’Agata (Catania Sacra 1896, 45); 2) San Giuliano (l. c.); 3) San Placido (l. c.). Le monache superstiti di quest’ultimo monastero negli anni successivi sarebbero state trasferite in un edificio sito nella circoscrizione della chiesa sacramentale Santa Maria dell’Idria (Catania Sacra 1913, 36). 20 Potrebbe trattarsi dei monasteri: 1) Santa Lucia, Adrano (Catania Sacra 1893, 60), 2) Santa Scolastica, Bronte (ibid., 86); 3) Santissima Annunziata, Paternò (ibid., 63). 21 Collegi di Maria esistenti in diocesi: 1) Santa Maria della Provvidenza e Pio 11

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non meritano di essere menzionati, perché non sono stati mai fiorenti, ma ora sono pressoché estinti. Tuttavia 3 di essi hanno una sorte migliore, perché provvedono alla formazione delle ragazze sotto il governo e la guida delle figlie della carità e di Maria Ausiliatrice; queste suore, come dirò subito dopo, in città e nei comuni svolgono un servizio molto utile22.

§ IX – Esiste in diocesi il seminario dei chierici? Quanti chierici accoglie? È stato fissato un contributo per il suo mantenimento e in che misura? Sono stati ad esso annessi alcuni benefici? Quali e quante sono in generale le rendite del predetto seminario? In diocesi esiste un seminario dei chierici abbastanza [fol. 8r] fiorente, in cui sono accolti quasi 250 giovani, speranza per il futuro della nostra chiesa. Poiché l’antico edificio costruito a questo scopo, nel tumultuoso 1848 fu prima occupato dai soldati e successivamente dato in enfiteusi al municipio, in questa situazione fu necessario trasferire i chierici in uno stabile attiguo, il quale né per l’ampiezza, né per la distribuzione interna degli spazi può essere reso idoneo ad accoglierli tutti comodamente. Ho in mente, se Dio mi aiuterà, di costruire un altro seminario di supporto, in cui trasferire tutti i giovani seminaristi che frequentano le scuole ginnasiali. A tal fine lo scorso anno ho acquistato un terreno abbastanza ampio, sito nella parte più salubre della città. Le rendite di questo seminario, detratte le somme dovute all’erario e gli altri oneri, assommano a circa L. 22.000. Spero che in futuro possano aumentare in qualche modo. Questa somma, com’è facile costatare, non è sufficiente a far fronte a tutte le spese, se la maggior parte dei chierici non pagasse una modesta retta. Non ho trovato che sia stata fissata dai miei predecessori una a Catania, diretto della figlie della carità (Catania Sacra 1896, 52); 2) Bronte (Catania Sacra 1886, 94) e 3) Conservatorio delle vergini, Trecastagni (ibid., 70) diretti dalle figlie di Maria Ausiliatrice; 4) Adrano (ibid., 49); 5) San Giuseppe, Misterbianco (ibid., 63). 22 La relazione non dà indicazioni precise sugli istituti religiosi femminili di vita attiva che operavano in città e negli altri comuni della diocesi.

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tassa in favore del seminario, secondo le direttive del Concilio di Trento, ad eccezione della mensa vescovile, che paga ogni anno L. 538,82. Pertanto ho pensato che fosse mio dovere imporla sopra due benefici che da poco ho conferito nella chiesa cattedrale; ho deciso di estendere in futuro questo criterio alle rendite dei benefici, nella proporzione del 3%, secondo la costituzione di Benedetto XIII Creditae nobis. Non è facile accertare se in passato al seminario siano stati uniti benefici, perché a causa dell’ultimo terremoto che ha distrutto tutta la città non disponiamo più dei documenti degli antichi archivi [fol. 8v].

§ X – Numero degli ospedali, dei collegi, delle confraternite e degli altri luoghi pii esistenti in diocesi e le loro rendite. Nella città di Catania sorgono solo 3 grandi ospedali, uno dei quali è retto da alcuni sacerdoti23, gli altri due sono soggetti all’autorità del municipio24. In questi ospedali prestano il loro servizio agli infermi le figlie della carità. Accolgono gli anziani di entrambi i sessi 2 istituti, uno dei quali prende il nome dal fondatore, il vescovo Salvatore Ventimiglia, l’altro è stato eretto da pochi anni e affidato alle cosiddette piccole suore dei poveri. In diocesi esistono 14 collegi per l’educazione religiosa delle ragazze e 5 per i ragazzi, che più o meno dipendono dall’arcivescovo e rispettivamente sono diretti da religiose o religiosi25. Si spera che istituti così utili possano aumentare, soprattutto ai nostri giorni. Sorgono altri collegi, che tuttavia dipendono in tutto dall’autorità laica. In diocesi si contano 49 confraternite, che tuttavia non rispondono più né al fine né alle leggi dalle quali furono istituite. Non è facile accertare le rendite dei predetti ospedali, delle confraternite e dei collegi, considerato che, ad eccezione di uno o due, non presentano il

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Ospedale Santa Marta (Catania Sacra 1896, 52). Ospedali Garibaldi, già ospizio La Mecca (ibid., 51) e Vittorio Emanuele II, già San Marco (Catania Sacra 1886, 31). 25 Non è possibile fare un elenco certo ed esaustivo di questi istituti con riferimento al 1904. 24

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rendiconto della loro amministrazione alle autorità religiose, ma a quelle civili.

§ XI – Esistono in diocesi monti di pietà? In che numero? A Catania c’è un solo monte di pietà, fondato [fol. 9r] nel 1807 e dotato con il proprio patrimonio da un mio predecessore, il vescovo di buona memoria Corrado Deodato. Nell’atto di fondazione ha stabilito che l’istituto fosse governato in perpetuo dai suoi successori nella sede vescovile di Catania, ai quali perciò spetta nominare gli amministratori e tutti gli impiegati in conformità alle norme stabilite dallo stesso fondatore. Il patrimonio di questo monte ascende a L. 14.363. La gestione di questo pio istituto è così prospera che è stato possibile di recente costruire un nuovo e più ampio edificio; è straordinario l’aiuto che offre alle famiglie bisognose.

CAPITOLO II – L’ARCIVESCOVO § I – Ha osservato l’obbligo della residenza stabilito dai sacri canoni, dal Concilio di Trento e dalla costituzione di papa Urbano? Oltre i mesi conciliari, è stato assente? Per quanto tempo? Con o senza il permesso della Sede Apostolica? Per cinque anni, come certamente sanno gli eminentissimi padri di codesta Congregazione, dopo la mia nomina a questa sede vescovile, sono stato costretto per volontà e ordine del romano pontefice ad assentarmi, dovendo svolgere l’ufficio di nunzio apostolico prima in Belgio e poi in Spagna. Per due volte ho chiesto e ottenuto il permesso dallo stesso pontefice di venire qui per qualche breve tempo al fine di trattare di presenza alcune importanti questioni e per fare almeno una volta la visita pastorale. Dopo il mio definitivo rientro, ho sempre osservato l’obbligo della residenza, né mi sono assentato dalla diocesi se non per venire a Roma [fol. 9v] a causa di un legittimo motivo, per recarmi a Palermo alle conferenze dei vescovi o per trascorrere un breve periodo di ferie e riprendere le energie del corpo e dello spirito. 137


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§ II – Ha visitato, e quante volte, la diocesi affidatagli? Fino ad oggi ho portato a compimento per due volte la visita pastorale di tutta la diocesi e quest’anno, con l’aiuto di Dio, inizierò la terza.

§ III – Ha conferito le sacre ordinazioni e il sacramento della confermazione? Personalmente o tramite un altro vescovo? Durante la mia assenza, mentre mi trovavo in nunziatura, gli ordini sacri e il sacramento della confermazione erano conferiti, per mia delega, dal vescovo viciniore e successivamente dal mio ausiliare, prima dignità di questo capitolo, insignito del carattere episcopale26. Rientrato in sede, egli di tanto in tanto, quando può a motivo dell’età avanzata, mi aiuta nell’amministrazione della cresima. Ho conferito gli ordini sacri personalmente.

§ IV – Quante volte ha riunito il sinodo diocesano? Se è arcivescovo, ha riunito il sinodo provinciale? Quanti suffraganei vi hanno partecipato? Non ho potuto celebrare il sinodo diocesano, sebbene ciò fosse nei miei più vivi desideri. Tuttavia spero di poterlo celebrare appena le circostanze me lo permetteranno. Mi sembra impossibile osservare la regola fissata dal Concilio di Trento di riunirlo ogni anno, soprattutto in questa diocesi e nelle difficili condizioni del nostro tempo. L’ultimo sinodo diocesano è stato qui celebrato più di due secoli fa, nel 1668 [fol. 10r], dal vescovo Bonadies. Poiché l’arcivescovo di Catania, come ho detto sopra, non ha sotto la sua giurisdizione alcun suffraganeo, non può riunire il sinodo provinciale, che oltretutto in quest’isola non è stato mai celebrato secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. In luogo dei sinodi pro-

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Si tratta del vescovo Antonio Maria Cesareo, priore del capitolo della cattedrale, nominato vescovo titolare di Elenopoli il 7 nov. 1896 (HC, VIII, 301).

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vinciali, per esortazione di codesta Sede Apostolica, da pochi anni sono state indette a Palermo delle riunioni, alle quali hanno partecipato tutti i vescovi della Sicilia.

§ V – Ha predicato personalmente la parola di Dio? In caso di legittimo impedimento, ha invitato uomini idonei per svolgere questo ministero della predicazione in modo proficuo? Ho predicato la parola di Dio, come ho potuto, sia in alcune messe pontificali che si devono celebrare nella chiesa cattedrale, sia durante la prescritta visita pastorale della diocesi, sia nelle altre funzioni pubbliche del mio ministero che sono tenuto a svolgere. Quando sono stato legittimamente impedito ho incaricato uomini idonei a svolgere questo ufficio.

§ VI – Esiste in diocesi il fondo costituito dalle multe pecuniarie e dalle pene? Queste somme sono state impiegate per usi pii? Non esiste un simile fondo costituito dalle multe pecuniarie e dalle pene, sia perché le leggi emanate a suo tempo dal suddetto sinodo diocesano su questa materia sono andate in disuso, sia perché i sacerdoti — se si eccettuano i canonici della cattedrale titolari di benefici — percepiscono dall’esercizio del loro ministero poco o nulla [fol. 10v] e sarebbe impossibile o quasi imporre su questi introiti multe pecuniarie.

§ VII – Nella sua cancelleria quali tasse vengono applicate? Si osserva la cosiddetta tassa Innocenziana? In questa cancelleria arcivescovile si osserva la tassa innocenziana, che per altro sarebbe insufficiente ad assicurare il sostentamento agli impiegati, se non supplisse il sussidio della mensa vescovile, necessario per coprire le spese dei numerosi casi di poveri trattati gratuitamente. A questo proposito sarebbe auspicabile che i vescovi 139


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siciliani chiedessero alla Sede Apostolica per le loro curie un aumento proporzionato delle tasse da parte dei ricchi.

§ VIII – C’è qualche ostacolo all’esercizio del ministero episcopale, alla giurisdizione ecclesiastica e alla difesa delle libertà ed immunità delle chiese? A prescindere dai comuni impedimenti che in questi nostri tempi infausti dovunque nelle altre regioni d’Italia si oppongono al pronto e al libero esercizio del ministero e della giurisdizione episcopale, ed anche alla difesa delle immunità ecclesiastiche, non mi è accaduto nulla da riferire su questo argomento.

§ IX – Ha realizzato qualche pia iniziativa per la Chiesa, il popolo e il clero? Al vescovo, nella situazione in cui ci troviamo, restano ben poche risorse per realizzare molteplici e grandi opere pie [fol. 11r], considerato che deve provvedere a tante necessità delle chiese. Tuttavia in questi anni del mio governo episcopale, in cattedrale ho provveduto a mie spese a costruire nuovi e più comodi alloggi per accogliere i ragazzi e il sacerdote addetti alla chiesa e alla sua sacrestia e per ospitare i predicatori della quaresima. Inoltre ho provveduto a far restaurare alcuni paramenti sacri che non potevano più essere adoperati oppure ne ho donato dei nuovi, quando si è presentata l’occasione. Opere ben più consistenti dovrebbero essere fatte, e lo desidero vivamente, se altre necessità molto più urgenti in diocesi non richiedessero il mio aiuto. Cercherò di fare in futuro quel che Dio mi permetterà con il suo aiuto. Ho raccolto offerte per edificare alcune nuove chiese o per riparare quelle esistenti, soprattutto per costruire il nuovo tempio votivo dedicato al Sacro Cuore di Gesù, che sorge nella parte più alta della città, al quale è annesso un istituto per accogliere i ragazzi abbandonati, che altrimenti crescendo costituirebbero un pericolo per l’ordine pubblico. Con una somma che do annualmente ai sacerdoti salesiani sono state aperte scuole serali completamente gratuite per educare religiosamente i ragazzi indigenti. 140


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Per migliorare i costumi del popolo ho provveduto a fare svolgere in città e nei comuni della diocesi le sacre missioni, invitando predicatori eminenti per pietà e dottrina. Oggetto di una mia particolare attenzione è stato l’insegnamento della dottrina cristiana ai bambini, che per la sua importanza ho cercato di promuovere con impegno e sacrificio. Per alimentare la pietà dei fedeli e per far crescere il culto alle virtù cristiane ho eretto alcune associazioni pie delle quali si sentiva assolutamente il bisogno. Nonostante difficoltà tutt’altro [fol. 11v] che irrilevanti, si costituiscono nuove associazioni cattoliche che rispondono molto bene alla necessità del nostro tempo di esercitare l’azione popolare cristiana. A queste si aggiungono le conferenze maschili di San Vincenzo dei Paoli per visitare e aiutare i poveri nei loro domicili; le ho sostenute e mi servo di esse per distribuire le mie elemosine con una certa prudenza. Per gli esercizi spirituali del clero della mia diocesi, ho riunito i sacerdoti nella casa che accoglie i seminaristi per le vacanze estive; a mie spese ho ritenuto necessario ampliare l’edificio e costruire una nuova cappella. Inoltre avendo intenzione, come ho già detto, di erigere un nuovo seminario di supporto, ho acquistato a mie spese un terreno abbastanza spazioso adatto a questo scopo.

CAPITOLO III – IL CLERO SECOLARE § I – I canonici e gli altri sacerdoti obbligati al servizio corale in cattedrale e nelle collegiate sono sempre presenti? I canonici e gli altri che devono partecipare al coro nella chiesa cattedrale e nelle collegiate solitamente non mancano al proprio dovere. Tuttavia bisogna tenere presente che l’obbligo non tocca tutti allo stesso modo; infatti nella cattedrale il servizio è prestato ogni giorno da due turni di coristi che si alternano ogni settimana; nelle collegiate alcune volte l’anno, secondo le rendite disponibili, in modo che tutti siano presenti nei giorni festivi di maggiore solennità e in tempo di quaresima e di avvento [fol. 12r], oppure prestino servizio a settimane alterne.

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§ II – Oltre la recita di mattutino, lodi e delle altre ore canoniche, celebrano ogni giorno la messa conventuale? Oltre la recita di mattutino, lodi e delle altre ore canoniche nella chiesa metropolitana e nelle collegiate non si omette la messa conventuale. Bisogna far rilevare però che non sempre è celebrata con il canto, secondo le prescrizioni; e questo a motivo della diminuzione dei partecipanti al coro e della necessità di celebrare altre messe. Pertanto per i casi in cui si verificano queste situazioni gradirei chiedere la dispensa della Sede Apostolica.

§ III – La messa conventuale è applicata ogni giorno per i benefattori? La messa conventuale è applicata sempre per i benefattori.

§ IV – I capitoli hanno le loro costituzioni che i canonici osservano? Ogni capitolo ha le proprie costituzioni, confermate dagli antichi sinodi diocesani, che più o meno fedelmente vengono osservate dai canonici. Tuttavia occorre cancellare alcune disposizioni e aggiungerne altre, soprattutto per stabilire un criterio più equo nella ripartizione delle distribuzioni quotidiane secondo le indicazioni del Concilio di Trento. È ciò che mi sono riproposto di fare a tempo opportuno.

§ V – Coloro che hanno ottenuto la prebenda del penitenziere e del teologo osservano gli obblighi del loro ufficio [fol. 12v]? Come? I canonici che nel capitolo metropolitano hanno ottenuto le due prebende del penitenziere e del teologo (da me, come ho già detto, istituite di recente) svolgono bene il loro ministero in questo modo: il primo durante il servizio corale si tiene pronto ad ascoltare le confessioni, il secondo ogni domenica legge e spiega le Sacre Scritture ai fedeli.

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§ VI – I parroci risiedono nelle loro parrocchie? Anche se in questa archidiocesi quasi non esistono parroci propriamente detti, tuttavia coloro che come vicari, dopo avere ricevuto la delega dall’ordinario esercitano la cura delle anime, risiedono sempre nei luoghi stabiliti e si assentano per qualche breve tempo solo con il permesso dell’arcivescovo.

§ VII – Hanno tutti il registro dei matrimoni, dei battesimi e gli altri libri che a norma del Rituale romano devono conservare? Durante la visita pastorale ho potuto costatare che in tutte le parrocchie si ha il libro dei matrimoni, dei battezzati e in genere tutti gli altri libri che a norma del Rituale romano devono essere conservati.

§ VIII – Alcuni di loro hanno bisogno dell’aiuto di altri sacerdoti per amministrare al popolo i sacramenti? Diversi pastori d’anime, specialmente in questa città, nell’esercizio del loro ministero hanno bisogno dell’aiuto di altri sacerdoti. Ma non è possibile soddisfare a questa necessità per due motivi: la mancanza di sacerdoti e la penuria di introiti. A tal proposito spesso vengono spontanee nella mente le parole di Cristo Signore: «La messe è molta [fol. 13r], ma gli operai sono pochi {Lc 10, 2}». A tutto questo si aggiunge la generale povertà di tutte le chiese. Perciò occorre pregare il padrone della messe perché mandi buoni operai nella sua vigna27 e induca i fedeli ad essere più generosi per sostentare i sacri ministri.

§ IX – Gli stessi pastori d’anime almeno nelle domeniche e nei giorni festivi, personalmente o con l’aiuto di sacerdoti idonei, se sono legittima-

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Il documento passa inavvertitamente dall’allegoria della messe a quella della vigna.

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mente impediti, istruiscono i fedeli affidati alle loro cure secondo le capacità proprie e del popolo con parole persuasive, insegnando tutto ciò che è necessario conoscere per la salvezza, secondo il monito del Concilio di Trento? Coloro che hanno la responsabilità della cura delle anime generalmente, nelle singole domeniche e nei giorni festivi, per sé o con l’aiuto di altri sacerdoti idonei, istruiscono i fedeli con parole utili alla salvezza. Tuttavia ho dovuto esortare più volte alcuni di loro ad impegnarsi con maggiore diligenza per soddisfare questo gravissimo obbligo e per seguire i criteri e il metodo che il Concilio di Trento vuole e insistentemente raccomanda nell’esporre i princìpi della fede e le regole della morale.

§ X – Almeno nelle domeniche e nei giorni festivi ai bambini e a tutti gli altri che hanno bisogno di questo aiuto insegnano nelle loro parrocchie i primi elementi della fede e a obbedire a Dio e ai genitori? Nell’assolvere questo compito sono aiutati da altre persone? Un ministero così necessario si svolge nelle parrocchie con frutto? Poiché in questo compito così necessario di insegnare ai bambini i primi elementi della fede ho messo un grandissimo impegno fin dall’inizio del mio episcopato, posso affermare che [fol. 13v] quasi tutti i pastori d’anime si sono dimostrati solleciti nell’adempiere questo loro dovere. Dopo avere distinto le diverse classi — cosa che in passato non si faceva — e previsto le pubbliche gare con lo sprone dei premi, nell’insegnamento della dottrina cristiana ai bambini danno un valido aiuto ai parroci semplici sacerdoti o chierici, che a Catania costituiscono l’associazione San Francesco di Sales, e anche buoni laici che seguono in questa materia le mie esortazioni. Per insegnare la dottrina cristiana alle bambine, danno un grande aiuto alcune pie donne, le quali in questa città e in alcuni comuni della diocesi hanno istituito di recente un’associazione al fine di prestare la loro opera, dare offerte e assicurare il proprio sostegno. Sebbene abbiamo conseguito con questi sforzi degli obiettivi di una certa utilità, siamo ben lungi dal raggiungere la maggior parte dei bambini, stante la malvagità del nostro tempo e l’incuria dei genitori. In quest’opera potrebbe144


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ro essere molto utili i cosiddetti oratori festivi se potessimo contare sull’aiuto delle persone benestanti.

§ XI – I singoli parroci, e gli altri che esercitano la cura delle anime, in tutte le domeniche e feste di precetto applicano la messa per il popolo affidato alla loro cura? Poiché in quasi tutta questa archidiocesi coloro che esercitano la cura delle anime sono chiamati e sono solamente “cappellani” che prestano il proprio aiuto all’unico parroco nella gestione della parrocchia, nei limiti della libera delega da lui ricevuta, sembra che debbano essere considerati esenti dall’obbligo di celebrare la messa per il popolo. Ritengono infatti di trovarsi nella stessa condizione dei cappellani curati della diocesi di Lipari, per i quali codesta Congregazione ha preso una decisione il 23 marzo 1861 rispondendo ad una richiesta. Coloro che sono veri parroci o sono considerati tali in tutte le domeniche [fol. 14r] e nei giorni festivi di precetto celebrano la messa per il popolo cristiano affidato alle loro cure.

§ XII – Si prevede l’accertamento di determinati requisiti prima che qualcuno sia ammesso alla prima tonsura o agli ordini minori? Quali in particolare? Coloro che si preparano a ricevere gli ordini, prima di ogni ricezione si dedicano per alcuni giorni alle pie riflessioni, chiamate “esercizi spirituali”, in una casa religiosa? Nessuno è ammesso alla prima tonsura e agli ordini minori se prima in seminario non ha dato segni abbastanza chiari riguardanti la pietà e la necessaria disciplina, dai quali è possibile ritenere che egli potrà essere un idoneo e utile ministro della Chiesa. Al conferimento degli ordini, soprattutto maggiori, oltre gli altri requisiti previsti dal diritto, si premettono sempre i ritiri, cioè gli esercizi spirituali.

§ XIII – Tutte le persone predette indossano sempre la veste clericale? Riguardo al privilegio del foro si osservano le disposizioni emanate dal sacrosanto Concilio Tridentino, sess. 23, c. 6 de ref.? 145


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Tutti i predetti chierici portano sempre la veste talare. Il privilegio del foro non è più osservato sia perché era stato di molto ridimensionato dal concordato fra la Sede Apostolica e il re delle Due Sicilie, sia perché è stato quasi del tutto abolito dalle leggi del nostro tempo.

§ XIV – Si tengono le riunioni di teologia morale o casi di coscienza e quelle dei sacri riti? Quante volte? [fol. 14v] Chi vi partecipa? Quale beneficio si ha da queste riunioni? Le riunioni di teologia morale o casi di coscienza e quelle dei sacri riti si tengono dovunque nella diocesi una volta al mese; vi partecipano tutti i presbiteri con non poca loro utilità.

§ XV – Quali sono i costumi del clero secolare? Si ha qualche scandalo che richiede un rimedio più efficace per essere eliminato? Se si escludono due sacerdoti che da tempo hanno dimesso l’abito clericale e conducono una vita secolare, non esistono nel mio clero scandali così gravi da richiedere un rimedio più efficace. Generalmente i costumi sono buoni e se qualcuno manca, facilmente è corretto con il ricorso all’ammonizione paterna o, se è necessario, alle salutari pene canoniche. Si desidera in molti un maggiore zelo di ricercare la salute delle anime e quell’ardente pietà e tutte le virtù delle quali gli ecclesiastici dovrebbero essere adorni e nelle quali dovrebbero eccellere, soprattutto nelle avverse condizioni del nostro tempo.

CAPITOLO IV – IL CLERO REGOLARE § I – I religiosi che esercitano la cura delle anime, sono soggetti alla giurisdizione del vescovo e sottostanno alla sua visita e alla sua disciplina in ciò che concerne la cura e l’amministrazione dei sacramenti, svolgono fedelmente [fol. 15r] il ministero loro affidato secondo le indicazioni date nel capitolo precedente per i parroci del clero secolare? 146


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Su questo argomento non ho nulla da dire, perché in diocesi non c’è e non c’è mai stato un religioso che esercita la cura delle anime.

§ II – C’è qualche religioso che vive fuori del monastero? Ci sono religiosi in diocesi che, nel rispetto delle norme canoniche, sono stati allontanati dai loro superiori, oppure qualcuno che, pur vivendo entro le mura del monastero, mentre si trovava fuori ha commesso notoriamente delitti che hanno provocato scandalo nel popolo? In questi casi come si è comportato con i colpevoli? Dei regolari superstiti dopo l’iniqua soppressione degli ordini religiosi, ci sono solo due domenicani che vivono fuori del loro convento con il pretesto della malferma salute. Diversi a suo tempo ottennero dalla Sede Apostolica l’indulto di deporre il proprio abito religioso ed ora sono annoverati nel clero diocesano. Ma ad eccezione di uno o di due non sono fra coloro che brillano per pietà e dottrina. Di quelli che si sono riuniti nelle ricostituite case religiose, qualcuno ha dato cattivo esempio e ho pregato insistentemente il suo superiore di punirlo con giusta pena e di trasferirlo altrove, fuori dalla mia diocesi.

§ III – Si è servito della sua giurisdizione delegata per compiere la visita dei conventi e delle grance di monasteri nei quali i religiosi non vivono in numero conforme alle disposizioni delle sacre costituzioni? [fol. 15v] Qual è il comportamento morale dei religiosi che vivono in questi conventi e in queste grance? Quando mi è stato esibito il decreto di Pio IX, che concede ai regolari il diritto all’esenzione anche se, nelle difficili condizioni in cui vivono nei nostri tempi, la vita comune è costituita da non meno di tre persone, mi sono astenuto dal visitare i conventi e le chiese nei quali risiedono religiosi in tale numero. Sul loro comportamento morale non ho certamente motivi per esprimere particolari rimostranze, ma neppure di formulare grandi elogi. Se si escludono pochi gesuiti, domenicani, sacerdoti missionari di San Vincenzo dei Paoli e molti salesiani che risiedono nella mia diocesi, gli altri religiosi appartenenti agli ordini dei cappuccini, dei minori, degli osservanti e dei carmelita147


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ni, che, passata la tempesta della soppressione e della dispersione, si sono riuniti nelle nuove residenze, sono poco o per nulla utili al bene e all’edificazione dei fedeli. Per richiamarli alla primitiva osservanza della disciplina dei fondatori sarebbe necessario l’intervento di una speciale commissione pontificia, che si occupi soprattutto di formare i giovani alla vita monastica. A mio giudizio una iniziativa di tal genere potrebbe essere molto utile se questi giovani, insieme e non separatamente come avviene oggi, seguissero in Sicilia un solo noviziato e un solo corso di studi, sotto la direzione di migliori guide e maestri.

§ IV – Ha avuto qualche contrasto con i religiosi nell’esercizio della giurisdizione delegata nei casi in cui essa gli è conferita dal Sacro Concilio di Trento etc.? Fino ad oggi non ho avuto alcun contrasto con i religiosi nell’esercizio della giurisdizione delegata, che dal diritto nei loro confronti è conferita al vescovo [fol. 16r].

CAPITOLO V – LE MONACHE § I – Le monache soggette alla giurisdizione del vescovo osservano le loro costituzioni? Le poche monache rimaste in diocesi, quasi tutte anziane e inferme, nel miglior modo loro possibile osservano le costituzioni. Tutte sono soggette solamente alla giurisdizione del vescovo.

§ II – È rigorosamente osservata la clausura dei monasteri? Le monache, per quanto dipende dalla loro volontà, nelle condizioni attuali in cui si trovano, osservano fedelmente nei monasteri la clausura.

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§ III – In questi stessi monasteri si riscontrano abusi che richiedono il parere della Sacra Congregazione? Nei nostri monasteri non rilevo siano accaduti gravi abusi. Se non fossero prossimi ormai all’estinzione si dovrebbe riprendere l’antica disciplina sulla vita comune, che già da tempo era alquanto decaduta. Spero tanto che questo si possa realizzare, se riuscirò nel felice progetto di riscattare dalle mani del governo un monastero e di aprirvi un noviziato in cui formare le giovani monache. È un disegno che mi sta tanto a cuore, ma non credo che possa essere realizzato facilmente e in breve tempo.

§ IV – Oltre al confessore ordinario è data dal vescovo la possibilità di avere un confessore straordinario [fol. 16v] due o tre volte l’anno? Poiché i miei predecessori hanno concesso un confessore straordinario alle singole monache che lo chiedevano, non è stata rigorosamente osservata su questo argomento la disposizione del Concilio Tridentino. Tuttavia, per quanto è possibile, farò in modo che la maggior parte delle monache abbia un solo confessore ordinario e avvicini alcune volte l’anno quello straordinario.

§ V – Le rendite dei suddetti monasteri sono amministrate fedelmente? Le doti delle monache sono state pagate? In che modo sono state spese? In seguito alla legge di soppressione le monache non hanno rendite da amministrare. Vivono solamente della pensione annua che il governo paga ad ognuna di loro. Non posso dare alcune risposta alle tre domande che seguono, perché non esiste in questa diocesi alcun monastero soggetto ai prelati religiosi.

CAPITOLO VI – IL SEMINARIO § I – Quanti sono gli alunni del seminario? 149


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Come ho già detto sopra, nel seminario diocesano vivono 250 alunni. In questo numero sono compresi 45 ragazzi che seguono una forma di tirocinio prima di essere ammessi a indossare l’abito talare; pertanto sono indicati con il nome di “aspiranti” alla vita clericale. Simili a questi sono altri 50 ragazzi che in alcuni paesi della diocesi vivono insieme alla maniera dei chierici, in alcune case, sotto la direzione di buoni sacerdoti [fol. 17r] e secondo una regola da me approvata. Ho potuto costatare che si tratta di una istituzione molto utile per suscitare e conservare le vocazioni ecclesiastiche e per verificare se in quei ragazzi c’è l’indole e la volontà richieste per far sperare che possano dedicarsi utilmente e definitivamente al sacro ministero.

§ II – Sono formati correttamente nella disciplina ecclesiastica? Con la maggior cura e diligenza possibile si fa in modo che gli alunni del seminario siano guidati da quella disciplina che li educhi alla pietà e alla religione, come si conviene a coloro che saranno nel santuario i dispensatori dei misteri di Dio. Sono ammessi solo se superano l’esame sul buon comportamento morale e sullo studio, richiesti per servire Dio e la Chiesa. Sono esclusi coloro che non danno alcun segno certo della divina vocazione e, a maggior ragione, se si viene a sapere che hanno commesso qualche grave colpa contro i buoni costumi. Si osserva la regola che si conforma alle sapienti indicazioni date da s. Carlo Borromeo per il suo seminario.

§ III – Quali discipline studiano e con quale profitto? Il corso di studi seguito dagli alunni (oltre le due scuole elementari che sono chiamate “preparatorie” per i ragazzi “aspiranti”) comprende: il ginnasio, che si adegua ai programmi imposti dalle autorità civili; il liceo, in cui per tre anni si impegnano nello studio della filosofia tomista, della fisica e delle letterature italiana, latina e greca; infine il corso teologico, in cui per quattro anni imparano la teologia dogmatica e morale, l’esegesi delle Sacre Scritture [fol. 17v], la liturgia, il diritto canonico, la storia ecclesiastica e la sacra eloquenza. Si aggiunge lo studio teorico-pratico del canto gregoriano, obbligatorio 150


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per tutti gli alunni, e della musica sacra, che imparano solo quelli che hanno per essa una predisposizione naturale. Per spronarli maggiormente negli studi ho predisposto dei premi: coloro che ogni anno nel concorso scolastico sono nominati “prìncipi” e “vice prìncipi” ottengono l’importo dell’intera retta o della sua metà (in italiano: “borsa” e “mezza borsa”) per l’anno successivo. Coloro che eccellono maggiormente per intelligenza sono inviati a Roma, ai collegi Leoniano, Capranicese e Romano, oppure all’università cattolica di Lovanio, nel seminario filosofico Leone XIII, egregiamente diretto dal vescovo Mercier. Con l’aiuto di questi stimoli ho l’impressione che i miei chierici abbiano fatto buoni progressi nello studio.

§ IV – I seminaristi nei giorni festivi prestano il loro servizio in cattedrale e nelle altre chiese del luogo? In tutte le domeniche e nei giorni festivi, soprattutto i più solenni, i seminaristi prestano servizio nella cattedrale e nella collegiata.

§ V – Ha stabilito quel che è necessario per il buon governo del seminario con il consiglio di due canonici più anziani liberamente scelti? Poiché al mio ingresso in diocesi non ho trovato due canonici anziani scelti dal vescovo per il seminario, li ho nominati io, affinché con il loro consiglio possa stabilire quel che sembra necessario e opportuno per il buon governo dei chierici.

§ VI – Il vescovo di tanto in tanto visita il seminario e si adopera perché le regole siano osservate [fol. 18r]? Non c’è altro che mi stia più a cuore che visitare frequentemente il mio seminario, specialmente le scuole e adoperarmi perché tutto proceda secondo le regole.

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§ VII – Si riscuote la tassa stabilita dal Concilio di Trento? Ci sono morosi nel suo pagamento? Ho già detto che in questa diocesi non è stata fissata alcuna tassa per il seminario, e di recente l’ho imposta su due benefici del capitolo della cattedrale.

CAPITOLO VII – CHIESE, CONFRATERNITE E LUOGHI PII § I – Nelle sacrestie di tutte e singole le chiese è esposto l’elenco degli oneri delle messe e degli anniversari, a norma dei decreti di Urbano viii, di santa memoria? I relativi obblighi sono stati soddisfatti? Durante la visita pastorale, avendo notato che in alcune sacrestie non era esposto l’elenco degli oneri delle messe e degli anniversari, ho richiamato su questo argomento i rettori di quelle chiese, che devono assicurarmi sulla esatta osservanza di quegli obblighi.

§ II – Nelle confraternite, nelle scuole e negli altri luoghi pii, si osservano puntualmente le pie opere stabilite [fol. 18v] dai testatori? Non posso dare alcuna risposta a questa domanda perché, com’è noto, le confraternite, le scuole, gli ospedali e le altre opere pie, quanto all’amministrazione dei loro beni, dalle autorità civili sono stati sottratti all’autorità ecclesiastica e presentano il rendiconto solo all’organismo laico, chiamato “Deputazione provinciale”.

§ III – Il vescovo ogni anno ha chiesto il rendiconto agli amministratori di questi luoghi pii? Come faceva il mio predecessore, anch’io, per il motivo sopra esposto, ho ritenuto più prudente astenermi dall’obbligare gli amministratori di quei luoghi pii a presentarmi il rendiconto dell’amministrazione, come per altro sarebbe loro dovere. 152


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§ IV – Il vescovo ha visitato il monte di pietà o carità? L’istituto ha rendite che superano le spese necessarie al suo esercizio e al sostentamento degli impiegati? Più volte ho visitato l’unico monte di pietà esistente, intitolato a Sant’Agata, il cui responsabile per volontà del fondatore è il vescovo. Le sue rendite superano le spese necessarie per la sua amministrazione. Ho indicato sopra l’ammontare del suo reddito.

CAPITOLO VIII – IL POPOLO § I – Quali sono i costumi del popolo? Progredisce nella pietà [fol. 19r]? Con l’animo triste e angosciato non posso astenermi dal confessare che i costumi della maggior parte del popolo a me affidato, soprattutto in città, sono ormai corrotti e la pratica della vita cristiana lascia molto a desiderare. Se mancassero altri indizi e prove per confermare una così dolorosa condizione, basterebbe l’esiguo numero di coloro che ogni anno soddisfanno il precetto della confessione e della comunione pasquale: sono appena 20.000 in una città di 150.000 abitanti. Non posso indicare con precisione quanti sono gli uomini che si accostano ai sacramenti; certamente sono una minima parte. Le cause di questa situazione così penosa sono molteplici e ritengo molto antiche, ma in questi tempi così dissoluti si sono accresciute: anzitutto ci sono le scuole pubbliche nelle quali l’incauta gioventù cresce senza alcuna educazione religiosa, poi i cattivi esempi dei ricchi, la sfrenata licenza concessa ai perversi, le cattive associazioni, i teatri, la stampa che alletta quotidianamente agli errori e ai vizi, e, per riassumere tutto in breve, i tentativi fatti con arte e malizia satanica per allontanare il popolo dalla fede degli avi e dalla pietà. Pertanto sebbene sia rimasta fino ad oggi nel popolo una qualche tradizione religiosa, essa è fragile non solida e a causa dell’ignoranza della dottrina cristiana è impregnata di superstizioni e più incline agli elementi esteriori della religiosità. Pertanto i membri delle sette e i socialisti, che dalle nostre parti hanno molto seguito e insolentiscono, raccolgono facilmente una messe abbondante. Certamente da parte dei buoni si 153


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fa qualcosa per porre rimedio a tanto male, ma non c’è proporzione sia perché si è in pochi, sia perché non si è ancora preparati a svolgere un’adeguata azione cattolica e manca la collaborazione dei cittadini che contano, i quali si comportano come se non avessero alcun interesse per la religione [fol. 19v].

§ II – Si riscontra qualche abuso o nel popolo si è radicata qualche cattiva consuetudine che necessita del consiglio o dell’aiuto della Sede Apostolica? Nella situazione da me descritta, in cui miserevolmente ci troviamo, non c’è da meravigliarsi se si sono insinuati tanti abusi e si sono sviluppate tante cattive consuetudini: soprattutto le bestemmie e il turpiloquio, che spesso capita di ascoltare per le strade, le unioni illegittime e i frequenti rapimenti, la generalizzata violazione dei giorni festivi e dell’obbligo del digiuno, gli interessi da rapina secondo il modello giudaico, chiesti quando si presta il denaro, e, tralasciando tutto il resto, la profanazione degli edifici sacri per il comportamento sfrontato di giovani dissoluti. Per eliminare mali così grandi nulla sarebbe per me tanto desiderabile quanto essere istruito e aiutato dal sapiente consiglio della Sede Apostolica, se, oltre ai rimedi che ho usato fino ad oggi, come ho già detto, si ritenesse necessario far ricorso ad altri, in considerazione dell’importanza del mio ufficio. Affinché Dio mi sia propizio e mi assista con il suo aiuto nell’adempimento del mio ministero, chiedo e imploro insistentemente che il Santissimo Padre mi dia la sua Apostolica Benedizione. Con la massima venerazione del mio animo bacio umilmente le mani a voi eminentissimi Pastori, preposti a codesto sacro dicastero. Umilissimo e devotissimo servo vero Giuseppe card. Nava, Arcivescovo di Catania

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1908 – Relazione dell’arcivescovo, card. Giuseppe Francica Nava, relativa al triennio 107°, inviata il 16 marzo 19091.

[pag. 2] Obbedendo alla prescrizione dei romani pontefici, soprattutto di Sisto V nella sua costituzione Romanus Pontifex, trasmetto agli eminentissimi padri della S. Congregazione del Concilio Tridentino questa seconda relazione sullo stato della Chiesa di Catania. Lo scritto, per procedere nello stesso ordine proposto dal questionario accluso all’istruzione data da codesto sacro dicastero, fa riferimento ai seguenti capitoli.

CAPITOLO I – STATO MATERIALE DELLA CHIESA 1°. Fondazione. Un’antichissima tradizione riferisce che nel 44 d. C. dal Principe degli Apostoli fu inviato come primo vescovo in questa città (illustre per fama fin dai tempi più antichi) s. Berillo, che vi introdusse i primi germi della fede cristiana. Anche se a sostegno di questa tesi sono pervenute a noi e si conservano poche testimonianze, è certo che la nostra 1 Congr Concist, Relat Dioec, 208. Al testo della relazione è acclusa una lettera del 16 marzo 1909, indirizzata al card. Segretario della Congregazione concistoriale: «Eminentissimo e Rev.mo Sig. mio Osservantissimo, mi onoro inviarle la relazione dello stato della Diocesi catanese che dovevo presentare nell’atto della visita ad Limina, compiuta nel passato novembre. Non mi fu possibile allora per le occupazioni del Congresso Cattolico regionale in questa città e delle feste giubilari, né anche in seguito per il grande lavoro che ci ha causato il terremoto, a fine di dare aiuto al gran numero di profughi. L’Eminenza Vostra troverà nella presente relazione ripetuto in gran parte quello che scrissi nella mia del 7 maggio 1904, imperocché poco o nulla di nuovo è accaduto in questa Diocesi. Baciandole umilissimamente le mani mi rassegno. Di Vostra Eminenza Umilissimo devotissimo servitor vero + G. Card. Nava, Arcivescovo». Nell’ultima pagina si legge la nota: «Catania. Relazione diocesana, 20 marzo 1909. Die 23 martii 1909. Detur attestatio exibitae relationis dioecesanae pro 107 triennio, die 20 dec. 1906 expirato».

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religione [pag. 3] fin dal suo inizio ha messo profonde radici e molti hanno ottenuto la palma del martirio, fra i quali bisogna enumerare alcuni successori in questa sede dello stesso vescovo Berillo e il diacono Euplio; soprattutto si distingue s. Agata, che al tempo della persecuzione di Decio, per conservare intatta la sua fede e la sua verginità subì crudelissimi tormenti e con animo invitto affrontò la morte. I catanesi hanno scelto e sperimentato come patrona e protettrice una così illustre vergine e martire. In suo onore, quando cessò la persecuzione, le hanno eretto un tempio che certamente era il più grande di tutti. Affermandosi sempre più nei secoli il culto e la fama di s. Agata, il religiosissimo Conte Ruggero, sul finire del secolo XI, sostituì l’antico tempio con il nuovo, lo rese sede di questa sacra cattedra vescovile e centro della città e della diocesi. Allo stesso tempo accrebbe le sue rendite e lo arricchì di nuove. Quando poi in seguito, nel 1693, un violentissimo terremoto lo distrusse, dall’illustrissimo Don Andrea Riggio, che in quel periodo era stato designato a reggere questa sede vescovile, fu riedificato a sue spese il tempio che oggi si ammira. 2°. Confini. L’archidiocesi di Catania, posta alle falde dell’Etna, un tempo era molto più vasta; oggi a mezzogiorno confina con il litorale del mare Ionio e con la diocesi di Siracusa, a tramontana con la diocesi di Patti, a levante con la diocesi di Acireale e a occidente con le diocesi di Nicosia e Caltagirone2.

3°. Privilegi e facoltà. La diocesi di Catania in passato da parte di re e pontefici, in particolare da papa Alessandro III, è stata arricchita di molti privilegi. Questi però, sebbene antichi e rilevanti, com’è possibile costatare leg2 I confini della diocesi sono indicati in modo sommario. Ecco una descrizione corretta: la diocesi di Catania a levante confina con il mare Ionio, a tramontana con la diocesi di Acireale, a ponente con le diocesi di Patti e Nicosia, a mezzogiorno con le diocesi di Caltagirone e Siracusa.

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gendo le opere degli scrittori locali3, per le avversità e le ingiurie del tempo sono quasi tutti decaduti. Fra di essi si enumeravano molti diritti feudali concessi al vescovo di Catania dal Conte Ruggero, dal re Alfonso [pag. 5] d’Aragona e da altri sovrani, e l’uso del pallio accordato dal suddetto papa Alessandro. Lo stesso stabilì che la Chiesa di Catania non doveva essere soggetta ad altri, che non fosse il romano pontefice. Questo privilegio non so per qual motivo è andato perduto o non è stato osservato, dal papa Pio IX il 26 settembre 1859 è stato rinnovato e reso valido in perpetuo; in tal modo il presule di questa Chiesa, sebbene non abbia sotto la sua giurisdizione vescovi suffraganei, si fregia del titolo di arcivescovo ed è immediatamente soggetto alla Sede Apostolica.

4°. Numero delle città, dei comuni e dei luoghi soggetti all’arcivescovado. L’archidiocesi di Catania, dopo l’erezione della nuova diocesi di Acireale, che è stata costituta in parte con le città e i comuni un tempo appartenenti a questa Chiesa, comprende 23 città o comuni, cioè: Catania, Paternò, Biancavilla, Adrano, Bronte, Maletto, Belpasso, Nicolosi, Pedara, Trecastagni, Zafferana con le tre frazioni di Fleri, Pisano e [pag. 6] Bongiardo, Viagrande, San Giovanni la Punta, San Gregorio, Mascalucia, Gravina, Santa Maria di Licodia, Misterbianco, Tremestieri, Camporotondo, Motta Sant’Anastasia, San Pietro Clarenza, Sant’Agata li Battiati4.

5°. Stato della chiesa metropolitana con il numero dei canonici e degli altri addetti al servizio del coro. Sono state erette le prebende del penitenziere e del teologo? Crollato, come ho già detto, l’antico edificio della cattedrale a 3

I.B. DE GROSSIS, in Decachordo Collectanea Ecclesiae Cat. etc. – V. M. AMIad Archiepiscopalem Ecclesiam Catanensem pertinentia. Nota del documento. 4 Nell’elenco manca il comune di San Giovanni Galermo, che nel 1926 avrebbe perduto la sua autonomia per diventare un quartiere della città di Catania.

CO, Diplomata

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causa del devastante terremoto e costruito dal vescovo Reggio il nuovo che oggi esiste, dai miei predecessori sono state aggiunte non poche opere e ornamenti; ma ancora molte altre ne occorrono o perché necessarie o per accrescere il suo decoro. Per realizzare tutto questo sono necessarie risorse che la chiesa non possiede, visto che le somme impiegate per la manutenzione degli edifici e per il culto provengono dalla mensa vescovile. È mio grandissimo desiderio, se le possibilità economiche e le innumerevoli necessità più rilevanti della diocesi lo permetteranno [pag. 7], di affrontare in qualche modo i problemi più urgenti, secondo un progetto già avviato. Il numero dei componenti il capitolo metropolitano, stando alla sua antica fondazione, dovrebbe essere di 17 canonici; dei quali 5 sono dignità, nell’ordine che presento: priore, cantore, decano, tesoriere e arcidiacono. Oltre i canonici dovrebbero esserci 12 mansionari e 5 beneficiati. In conformità alla bolla di s. Pio V In eminenti, sia tutte le prebende dei canonici sia tutti gli altri benefici di questa chiesa cattedrale sono di libera collazione. Poiché la norma stabilita dal Concilio di Trento per istituire le prebende del penitenziere e del teologo ancora non era stata attuata, come ho già detto nella precedente relazione, aderendo al decreto dello stesso concilio, sess. V, c. 1, de ref., e sess. 24, c. 8, ho stabilito che due prebende vacanti fossero utilizzate e annesse in perpetuo a questi due uffici. A motivo delle nuove leggi dell’avverso Regno d’Italia, il numero [pag. 8] dei canonici, dignità incluse, è diminuito e ridotto a 12 soltanto, quello dei mansionari a 6, ai quali ora si aggiungono 7 beneficiati, i quali o hanno una distinta ma modesta prebenda o non ne hanno alcuna, ma ricevono alcune distribuzioni in rapporto al servizio corale prestato. Due soltanto godono di un beneficio a titolo di patrimonio, istituito di recente da privati. Poiché dei 12 canonici esistenti e dei 6 mansionari alcuni per la vecchiaia o per la malferma salute non possono prendere parte al coro e alle sacre funzioni, mentre altri si avvalgono del diritto di giubilazione, si avverte la necessità di aumentare quel numero nella misura in cui lo permettono le circostanze. Mi sono riproposto di attuare al più presto questo progetto, avvalendomi delle facoltà e delle istruzioni a me date da codesta Congregazione con lettera firmata dall’eminentissimo prefetto il 4 luglio 1903. 158


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6°. Stato delle chiese collegiate con il numero dei canonici e di tutti coloro che prendono parte al coro. Nelle collegiate è stata eretta la prebenda del teologo? Nell’archidiocesi si hanno 8 chiese collegiate [pag. 9], delle quali la prima e famosa è quella intitolata a Santa Maria dell’Elemosina a Catania, con 4 dignità e 8 canonici. Le altre sorgono in altre città e comuni: Paternò con 4 dignità e 10 canonici, Adrano con 4 dignità e 7 canonici, Belpasso con 3 dignità e 8 canonici, Biancavilla con 4 dignità e 6 canonici, Nicolosi con 2 dignità e 1 canonico, Viagrande con 2 dignità e 4 canonici, Trecastagni, nella quale per la scarsità delle risorse attualmente non c’è alcun canonico ad eccezione del prevosto, che è la prima dignità del capitolo a cui spetta la cura delle anime e anche il titolo di arciprete. Il mio predecessore è riuscito a difendere e a rivendicare dall’ingiusta occupazione del potere laicale parte delle prebende di queste chiese collegiate, dimostrando presso i tribunali dello Stato che alcuni beni, dei quali erano costituite, appartenevano al beneficio parrocchiale. Tuttavia poiché i proventi superstiti non sono pari [pag. 10] a quelli di una volta, il numero dei canonici è inferiore a quello previsto nelle antiche tavole di fondazione. In queste collegiate non è mai esistita la prebenda del teologo; ma poiché essa, come ho già detto, è stata eretta in questa chiesa metropolitana e con le stesse modalità l’ho istituita a Paternò e Adrano, se ci saranno condizioni favorevoli la istituirò nelle collegiate degli altri comuni, come prescrive il Concilio di Trento.

7°. Stato e numero delle chiese parrocchiali e delle altre chiese e oratori esistenti nella diocesi. Precisare se la chiesa metropolitana, le collegiate, gli oratori, le chiese parrocchiali e le altre chiese sono sufficientemente provviste delle sacre suppellettili e quali di esse hanno destinato una parte dei loro introiti alla fabbrica. Nella circoscrizione diocesana si hanno 43 chiese parrocchiali e 185 altre chiese, che sono o filiali o già appartenenti a ordini religiosi, oppure oratori eretti dalla pietà dei fedeli o dalle confraternite. Generalmente [pag. 11] questi edifici sacri, chi più chi meno, sono ben 159


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forniti di sacre suppellettili. Queste chiese, ad eccezione di poche, o non hanno alcuna risorsa o posseggono solamente modesti introiti da destinare alla fabbrica; perciò incontrano non poche difficoltà per provvedere alle necessarie riparazioni. Per la fabbrica della chiesa cattedrale è stata costituita la somma annua di L. 3.570, pagata da questa mensa vescovile. La relativa esiguità di questa somma spiega non solo perché si fa poco per riparare e abbellire, come sarebbe giusto, il tempio più importante della diocesi, ma anche perché si ricorre ai debiti quando per necessità sono state fatte spese straordinarie, come accade nel presente. Per quanto attiene alle chiese parrocchiali alle quali ho accennato sopra, talvolta in esse viene esercitata la cura delle anime; tuttavia bisogna tenere presente che in esse non c’è un sacerdote che è vero parroco, ad eccezione della chiesa di Bronte, che un tempo apparteneva ad altra diocesi5. I prevosti di alcune [pag. 12] collegiate, in forza della loro dignità e secondo le tavole di fondazione, sembrano avere la cura delle anime. In realtà mai hanno esercitato gli obblighi spettanti alle parrocchie, soprattutto il diritto di assistere alla celebrazione del matrimonio. Questo avviene per i prevosti delle chiese collegiate Santa Maria dell’Elemosina di questa città, di Paternò, di Biancavilla, di Adrano, di Belpasso e Trecastagni. In queste chiese, come in quelle di tutta la diocesi, per l’esercizio dei doveri parrocchiali sono nominati i vicari curati o, come si suol dire, i cappellani amovibili a discrezione dell’arcivescovo. Questo singolare ordinamento delle parrocchie, che è in vigore da secoli, ha certamente degli aspetti positivi, soprattutto ai nostri tempi, ma comporta anche alcuni inconvenienti. Sarebbe molto arduo cambiare questa situazione e, nelle difficili condizioni in cui ci troviamo, si potrebbero temere conseguenze peggiori.

8°. Numero dei monasteri maschili [pag. 13] e femminili. Specificare se qualche monastero maschile è soggetto alla giurisdizione del vescovo e se si hanno monasteri femminili soggetti a prelati religiosi.

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Nella relazione successiva enumera come eccezione anche Trecastagni.


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Un tempo in questa diocesi c’erano molti monasteri maschili soggetti ai prelati religiosi. In seguito alle ingiuste leggi di soppressione, solo dopo diversi anni alcuni religiosi, riscattati a proprie spese gli antichi conventi oppure avendo edificato nuove case, hanno potuto ripristinare la vita comune. Così hanno fatto i cappuccini a Catania6, a Paternò7 e Adrano8, i frati minori in un sobborgo di questa città9 e di Bronte10, i carmelitani11 e i domenicani12 in questa città, in cui i salesiani hanno 2 case13, oltre le 3 che hanno nella diocesi14. Assicurano qui la loro presenza, in una piccola casa che ho potuto mettere a loro disposizione, 4 religiosi della Compagnia di Gesù. Quanto prima andranno ad abitare in una casa più grande che si sta costruendo accanto alla nuova chiesa, che ho loro affidato15. Ho anche offerto una casa ai sacerdoti missionari di San Vincenzo dei Paoli16 [pag. 14]; sono pochi di numero ma svolgono un fruttuoso ministero. I monasteri femminili (ad eccezione di uno francescano17 e un altro della visitazione18) sono tutti benedettini, soggetti all’ordinario;

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Sacro Cuore di Gesù ai Cappuccini nuovi (Catania Sacra 1893, 46). Maria SS. Annunziata (Catania Sacra 1913, 78). 8 Santa Maria degli Angeli (ibid., 54-55). 9 Santa Maria della Guardia (ibid., 45). 10 San Vito, Bronte (ibid., 63-64). 11 Delle diverse comunità di carmelitani operanti a Catania prima della soppressione, si era ricostituita solo quella dell’antica osservanza nella chiesa dell’Annunziata al Carmine (ibid., 27-28). 12 Era stata ripristinata la comunità nel convento annesso alla chiesa di San Domenico (ibid., 27). 13 1) San Filippo Neri (ibid., 36); 2) San Francesco di Sales (ibid., 40). 14 1) Collegio Capizzi, Bronte (ibid., 63-64); 2) San Giuseppe, Pedara (ibid., 81); 3) Sacro Cuore, San Gregorio (ibid., 69). 15 Chiesa Crocifisso dei Miracoli, affidata ai gesuiti nel 1907 (ibid., 38). I padri della Compagnia di Gesù officiavano anche la chiesa di San Michele ai minoriti (ibid., 28). 16 Chiesa del Santissimo Sacramento Ritrovato (ibid., 31). 17 Monastero di Santa Chiara, chiuso in questo stesso periodo (l. c.). La chiesa annessa al monastero diventerà sacramentale in sostituzione della chiesa di San Filippo, demolita nel 1911 (l. c.). 18 Alcune monache della visitazione vivevano nel reclusorio annesso alla chiesa della Purità (o Visitazione) (ibid., 36). 7

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se ne contano 6, dei quali 5 in città19 e 1 in diocesi20. Quest’anno per ordine delle autorità civili ne sono stati chiusi 2 e l’estinzione degli altri è imminente, considerato che, in seguito alle leggi di soppressione di tanti anni fa, sono stati chiusi i noviziati e sopravvivono solo poche monache avanti negli anni. Volendo evitare questo pericolo, dopo attenta riflessione, ho riscattato uno dei monasteri esistenti21. Sono ancora in attività 5 collegi di Maria22, che a dire il vero non meritano di essere menzionati, perché non sono stati mai fiorenti, ma ora sono pressoché estinti. Tuttavia 3 di essi hanno una sorte migliore, perché provvedono alla formazione delle ragazze sotto la direzione e la guida delle figlie della carità e di Maria Ausiliatrice; queste suore, come dirò subito dopo [pag. 15], in città e nei comuni svolgono un servizio molto utile23.

9°. Esiste in diocesi il seminario dei chierici? Quanti chierici accoglie? È stato fissato un contributo per il suo mantenimento e in che misura? Sono stati ad esso annessi alcuni benefici? Quali e quante sono in generale le rendite del predetto seminario? In diocesi esiste un seminario dei chierici abbastanza fiorente, 19 Prima della soppressione si contavano in città cinque monasteri benedettini femminili: 1) Sant’Agata; 2) San Benedetto; 3) San Giuliano; 4) San Placido; 5) SS. Trinità (Relazioni, ad indicem). Quando il vescovo scriveva la relazione solo in tre erano presenti alcune monache superstiti: 1) Sant’Agata (Catania Sacra 1913, 23); 2) San Giuliano (ibid., 24); 3) San Placido. Le monache di quest’ultimo monastero furono trasferite in un edificio sito nella circoscrizione della chiesa sacramentale Santa Maria dell’Idria (ibid., 36). La chiesa di San Placido divenne sacramentale in sostituzione di quella di San Gaetano (ibid., 32). 20 Sembra trattarsi del monastero Santa Lucia di Adrano (ibid., 54). 21 Si riferisce al monastero San Benedetto, sul quale si soffermerà nelle relazioni successive. 22 Collegi di Maria esistenti in diocesi: 1) Santa Maria della Provvidenza e Pio IX a Catania, diretto della figlie della carità (Catania Sacra 1896, 52); 2) Bronte (Catania Sacra 1886, 94) e 3) Conservatorio delle vergini, Trecastagni (ibid., 70) diretti dalle figlie di Maria Ausiliatrice; 4) Adrano (ibid., 49); 5) San Giuseppe, Misterbianco (ibid., 63). 23 La relazione non dà indicazioni precise sugli istituti religiosi femminili di vita attiva che operano in città e negli altri comuni della diocesi.

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in cui sono accolti quasi 230 giovani, speranza per il futuro della nostra chiesa. Poiché l’antico edificio costruito a questo scopo, nel tumultuoso 1848 fu prima occupato dai soldati e successivamente dato in enfiteusi al municipio, in questa situazione fu necessario trasferire i chierici in uno stabile attiguo, il quale né per l’ampiezza, né per la distribuzione interna degli spazi può essere reso idoneo ad accoglierli tutti comodamente. Ho in mente, se Dio mi aiuterà, di costruire un altro seminario di supporto, in cui trasferire tutti i giovani seminaristi che frequentano le scuole ginnasiali [pag. 16]. A tal fine ho acquistato un terreno abbastanza ampio, sito nella parte più salubre della città. Le rendite di questo seminario, detratte le somme dovute all’erario e gli altri oneri, assommano a circa L. 22.000. Spero che in futuro possano aumentare in qualche modo. Questa somma, com’è facile costatare, non è sufficiente a far fronte a tutte le spese, se la maggior parte dei chierici non pagasse una modesta retta. Non ho trovato che sia stata fissata dai miei predecessori una tassa in favore del seminario, secondo le direttive del Concilio di Trento, ad eccezione della mensa vescovile, che paga ogni anno L. 538,82. Pertanto ho pensato che fosse mio dovere imporla sopra i benefici che conferisco nella chiesa cattedrale e nelle collegiate della diocesi, nella proporzione del 3% sui proventi del beneficio, secondo la costituzione di Benedetto XIII Creditae Nobis. Non è facile accertare se in passato al seminario siano stati uniti benefici, perché a causa dell’ultimo terremoto [pag. 17], che ha distrutto tutta la città, non disponiamo più dei documenti degli antichi archivi.

10°. Numero degli ospedali, dei collegi, delle confraternite e degli altri luoghi pii esistenti in diocesi e le loro rendite Nella città di Catania sorgono solo 3 grandi ospedali, uno dei quali è retto da alcuni sacerdoti24, gli altri due sono soggetti all’autorità del municipio25. In questi ospedali prestano il loro servizio agli in24

Ospedale Santa Marta (Catania Sacra 1896, 52). 1) Ospedale Garibaldi, già ospizio La Mecca (l. c.); 2) Ospedale Vittorio Emanuele II, già San Marco (Catania Sacra 1913, 41). 25

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fermi le figlie della carità. Accolgono gli anziani di entrambi i sessi 2 istituti, uno dei quali prende il nome dal fondatore, il vescovo Salvatore Ventimiglia, l’altro è stato eretto da pochi anni e affidato alle cosiddette piccole suore dei poveri. In diocesi esistono 14 collegi per l’educazione religiosa delle ragazze e 5 per i ragazzi che, più o meno, dipendono [pag. 18] dall’autorità diocesana e rispettivamente sono diretti da religiose o religiosi26. Si spera che istituti così utili possano aumentare, soprattutto ai nostri giorni. Altri collegi dipendono dall’autorità laica. In diocesi si contano 49 confraternite, che tuttavia non rispondono più né al fine né alle leggi dalle quali furono istituite. Non è facile accertare le rendite dei predetti ospedali, delle confraternite e dei collegi, considerato che, ad eccezione di uno o due, non presentano, com’è noto, il rendiconto della loro amministrazione alle autorità religiose, ma a quelle civili.

11°. Esistono in diocesi monti di pietà? In che numero? A Catania c’è un solo monte di pietà, fondato e dotato nel 1807 con il proprio patrimonio da un mio predecessore, il vescovo di buona memoria Corrado Deodato [pag. 19]. Nell’atto di fondazione ha stabilito che l’istituto fosse governato in perpetuo dai suoi successori nella sede vescovile di Catania, ai quali perciò spetta nominare gli amministratori e tutti gli impiegati, in conformità alle norme stabilite dallo stesso fondatore. Il patrimonio di questo monte ascende a L. 14.363. La gestione di questo pio istituto è così prospera che è stato possibile di recente costruire un nuovo e più ampio edificio; è straordinario l’aiuto che offre alle famiglie bisognose [pag. 20].

CAPITOLO II – L’ARCIVESCOVO 1°. Ha osservato l’obbligo della residenza stabilito dai sacri canoni, dal Concilio di Trento e dalla costituzione di papa Urbano? Oltre i mesi 26

1908.

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Non è possibile fare un elenco esaustivo di questi istituti con riferimento al


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conciliari, è stato assente? Per quanto tempo? Con o senza il permesso della Sede Apostolica? Dopo il mio definitivo rientro dalla Spagna, come ho scritto nella mia precedente relazione, ho sempre osservato l’obbligo della residenza, né mi sono assentato dalla diocesi se non per venire a Roma a causa di un legittimo motivo, per recarmi a Palermo alle conferenze dei vescovi o per trascorrere un breve periodo di ferie e riprendere le energie del corpo e dello spirito.

2° Ha visitato, e quante volte, la diocesi affidatagli? Fino ad oggi ho portato a compimento per due volte la visita pastorale di tutta la diocesi e c’è in corso la terza [pag. 21].

3° Ha conferito le sacre ordinazioni e il sacramento della confermazione? Personalmente o tramite un altro vescovo? Da quando ho cominciato a risiedere stabilmente in diocesi, ho sempre conferito gli ordini sacri personalmente e, dopo la morte del vescovo titolare27, amministro anche la cresima quasi ogni giorno.

4°. Quante volte ha riunito il sinodo diocesano? Se è arcivescovo, ha riunito il sinodo provinciale? Quanti suffraganei vi hanno partecipato? Come ho già detto nella precedente relazione, non ho potuto celebrare il sinodo diocesano, sebbene ciò fosse nei miei più vivi desideri. Spero di poterlo celebrare appena le circostanze me lo permetteranno. Mi sembra impossibile osservare la regola fissata dal Concilio di Trento di riunirlo ogni anno, soprattutto in questa diocesi e nelle

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Il vescovo ausiliare Antonio Maria Cesareo, priore della cattedrale, morì il 20 febbr. 1907 (HC, VIII, 301).

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difficili condizioni del nostro tempo. L’ultimo sinodo diocesano è stato qui celebrato più di due secoli fa, nel 1668, dal vescovo Bonadies. Poiché l’arcivescovo di Catania, come ho detto sopra [pag. 22], non ha sotto la sua giurisdizione alcun suffraganeo, non può riunire il sinodo provinciale, che oltretutto in quest’isola non è stato mai celebrato secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. In luogo dei sinodi provinciali, per esortazione di codesta Sede Apostolica, da pochi anni sono state indette a Palermo delle riunioni, alle quali hanno partecipato tutti i vescovi della Sicilia.

5°. Ha predicato personalmente la parola di Dio? In caso di legittimo impedimento, ha invitato uomini idonei per svolgere questo ministero della predicazione in modo proficuo? Ho predicato la parola di Dio, come ho potuto, sia in alcune messe pontificali che si devono celebrare nella chiesa cattedrale, sia durante la prescritta visita pastorale della diocesi, sia nelle altre funzioni pubbliche del mio ministero che sono tenuto a svolgere. Quando sono stato legittimamente impedito ho incaricato uomini idonei a svolgere questo ufficio.

6°. Esiste in diocesi il fondo costituito dalle multe pecuniarie e dalle pene? Queste somme [pag. 23] sono state impiegate per usi pii? Non esiste un simile fondo costituito dalle multe pecuniarie e dalle pene, sia perché le leggi emanate a suo tempo su questa materia dal suddetto sinodo diocesano sono andate in disuso, sia perché i sacerdoti — se si eccettuano i canonici della cattedrale titolari di benefici — percepiscono dall’esercizio del loro ministero poco o nulla e sarebbe impossibile o quasi imporre su questi introiti multe pecuniarie.

7°. Nella sua cancelleria quali tasse vengono applicate? Si osserva la cosiddetta tassa Innocenziana? In questa cancelleria arcivescovile si osserva la tassa innocen166


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ziana, che per altro oggi sarebbe insufficiente ad assicurare il sostentamento agli impiegati, se non supplisse il sussidio della mensa vescovile, necessario per coprire le spese dei numerosi casi di poveri trattati gratuitamente. A questo proposito sarebbe auspicabile che i vescovi siciliani chiedessero alla Sede Apostolica per le loro curie [pag. 24] un aumento proporzionato delle tasse da parte dei ricchi.

8°. C’è qualche ostacolo all’esercizio del ministero episcopale, alla giurisdizione ecclesiastica e alla difesa delle libertà ed immunità delle chiese? A prescindere dai comuni impedimenti che in questi nostri tempi infausti dovunque nelle altre regioni d’Italia si oppongono al pronto e al libero esercizio del ministero e della giurisdizione episcopale, ed anche alla difesa delle immunità ecclesiastiche, non mi è accaduto nulla da riferire su questo argomento.

9°. Ha realizzato qualche pia iniziativa per la Chiesa, il popolo e il clero? Al vescovo, nella situazione in cui ci troviamo, restano ben poche risorse per realizzare molteplici e grandi opere pie, considerato che deve provvedere a tante necessità delle chiese. Tuttavia in questi anni del mio governo episcopale, in cattedrale ho provveduto a mie spese a costruire nuovi e più comodi [pag. 25] alloggi per accogliere i ragazzi e il sacerdote addetti alla chiesa e alla sua sacrestia e per ospitare i predicatori della quaresima. Inoltre ho provveduto a far restaurare alcuni paramenti sacri che non potevano più essere adoperati oppure ne ho donato dei nuovi, quando si è presentata l’occasione. Opere ben più consistenti dovrebbero essere fatte, e lo desidero vivamente, se altre necessità molto più urgenti in diocesi non richiedessero il mio aiuto. Cercherò di fare in futuro quel che Dio mi permetterà con il suo aiuto. Ho raccolto offerte per edificare alcune nuove chiese o per riparare quelle esistenti, soprattutto per costruire il nuovo tempio votivo dedicato al Sacro Cuore di Gesù, che sorge nella parte più alta della città, al quale è annesso un istituto per accogliere i ragazzi abbandonati, che altrimenti crescendo costituirebbero un 167


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pericolo per l’ordine pubblico. Oggi in questo istituto sono stati accolti 25 ragazzi. Con una somma [pag. 26] che do annualmente ai sacerdoti salesiani sono state aperte scuole serali completamente gratuite per educare religiosamente i ragazzi indigenti. Per migliorare i costumi del popolo ho provveduto a fare svolgere in città e nei comuni della diocesi le sacre missioni, invitando predicatori eminenti per pietà e dottrina. Oggetto di una mia particolare attenzione è stato l’insegnamento della dottrina cristiana ai bambini, che per la sua importanza ho cercato di promuovere con impegno e sacrificio. Per alimentare la pietà dei fedeli e per far crescere il culto alle virtù cristiane ho eretto alcune associazioni pie delle quali si sentiva assolutamente il bisogno. Nonostante difficoltà tutt’altro che irrilevanti si erigono nuove associazioni cattoliche, che rispondono molto bene alla necessità del nostro tempo di esercitare l’azione popolare cristiana. A queste si aggiungono le conferenze maschili di San Vincenzo dei Paoli per visitare e aiutare i poveri nei loro domicili [pag. 27]; le ho sostenute e mi servo di esse per distribuire le mie elemosine. Per gli esercizi spirituali del clero della mia diocesi, ho riunito i sacerdoti nella casa che accoglie i seminaristi per le vacanze estive; a mie spese ho ritenuto necessario ampliare l’edificio e costruire una nuova cappella. Inoltre avendo intenzione, come ho già detto, di erigere un nuovo seminario di supporto, ho acquistato a mie spese un terreno abbastanza spazioso adatto a questo scopo [pag. 28].

CAPITOLO III – IL CLERO SECOLARE 1°. I canonici e gli altri sacerdoti obbligati al servizio corale in cattedrale e nelle collegiate sono sempre presenti? I canonici e gli altri che devono partecipare al coro nella chiesa cattedrale e nelle collegiate solitamente non mancano al proprio dovere. Tuttavia bisogna tenere presente che l’obbligo non tocca tutti allo stesso modo; infatti nella cattedrale il servizio è prestato ogni giorno da due turni di coristi che si alternano ogni settimana; nelle collegiate alcune volte l’anno, secondo le rendite disponibili, in modo che tutti sia168


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no presenti nei giorni festivi di maggiore solennità e in tempo di quaresima e di avvento, oppure prestino servizio a settimane alterne.

2°. Oltre la recita di mattutino, lodi e delle altre ore canoniche, celebrano ogni giorno la messa conventuale? Oltre la recita di mattutino, lodi e delle altre ore canoniche nella chiesa metropolitana e nelle collegiate non si omette la messa conventuale. Bisogna far rilevare però [pag. 29] che non sempre è celebrata con il canto, secondo le prescrizioni; e questo a motivo della diminuzione dei partecipanti al coro e della necessità di celebrare altre messe. Pertanto per i casi in cui si verificano queste situazioni gradirei chiedere la dispensa della Sede Apostolica.

3° La messa conventuale è applicata ogni giorno per i benefattori? La messa conventuale è applicata sempre per i benefattori.

4°. I capitoli hanno le loro costituzioni che i canonici osservano puntualmente? Ogni capitolo ha le proprie costituzioni, confermate dagli antichi sinodi diocesani, che più o meno fedelmente vengono osservate dai canonici. Tuttavia occorre cancellare alcune disposizioni e aggiungerne altre, soprattutto per stabilire un criterio più equo nella ripartizione delle distribuzioni quotidiane secondo le indicazioni del Concilio di Trento. È ciò che mi sono riproposto di fare a tempo opportuno.

5°. Coloro che hanno ottenuto la prebenda del penitenziere [pag. 30] e del teologo osservano gli obblighi del loro ufficio? Come? I canonici che nel capitolo metropolitano hanno ottenuto le due prebende del penitenziere e del teologo (da me, come ho già detto, istituite) svolgono bene il loro ministero in questo modo: il primo 169


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durante il servizio corale si tiene pronto ad ascoltare le confessioni, il secondo ogni domenica legge e spiega le Sacre Scritture ai fedeli.

6°. I parroci risiedono nelle loro parrocchie? Anche se in questa archidiocesi quasi non esistono parroci propriamente detti, tuttavia coloro che come vicari, dopo avere ricevuto la delega dall’ordinario esercitano la cura delle anime, risiedono sempre nei luoghi stabiliti e si assentano per qualche breve tempo solo con il permesso dell’arcivescovo.

7°. Hanno tutti il registro dei matrimoni, dei battesimi e gli altri libri che a norma del Rituale romano devono conservare? Durante la visita pastorale [pag. 31] ho potuto costatare che in tutte le parrocchie si ha il libro dei matrimoni, dei battezzati e in genere tutti gli altri libri che a norma del Rituale romano devono essere conservati.

8°. Alcuni di loro hanno bisogno dell’aiuto di altri sacerdoti per amministrare al popolo i sacramenti? Diversi pastori d’anime, specialmente in questa città, nell’esercizio del loro ministero hanno bisogno dell’aiuto di altri sacerdoti. Ma non è possibile soddisfare a questa necessità per due motivi: la mancanza di sacerdoti e la penuria di introiti. A tal proposito spesso vengono spontanee nella mente le parole di Cristo Signore: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi {Lc 10, 2}». A tutto questo si aggiunge la generale povertà di tutte le chiese.

9°. Gli stessi pastori d’anime, almeno nelle domeniche e nei giorni festivi, personalmente o con l’aiuto di sacerdoti idonei, se sono legittimamente impediti, istruiscono i fedeli affidati alle loro cure secondo le capacità [pag. 32] proprie e del popolo con parole persuasive, insegnan170


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do tutto ciò che è necessario conoscere per la salvezza, secondo il monito del Concilio di Trento? Coloro che hanno la responsabilità della cura delle anime generalmente, nelle singole domeniche e nei giorni festivi, per sé o con l’aiuto di altri sacerdoti idonei, istruiscono i fedeli con parole utili alla salvezza. Tuttavia ho dovuto esortare più volte alcuni di loro ad impegnarsi con maggiore diligenza per soddisfare questo gravissimo obbligo e per seguire i criteri e il metodo che il Concilio di Trento vuole e insistentemente raccomanda nell’esporre i princìpi della fede e le regole della morale.

10°. Almeno nelle domeniche e nei giorni festivi ai bambini e a tutti gli altri che hanno bisogno di questo aiuto insegnano nelle loro parrocchie i primi elementi della fede e a obbedire a Dio e ai genitori? Nell’assolvere questo compito sono aiutati da altre persone? Un ministero così necessario si svolge nelle parrocchie con frutto? Poiché in questo compito così necessario di insegnare ai bambini i primi elementi della fede ho messo un grandissimo impegno fin dall’inizio del mio episcopato, posso affermare [pag. 33] che quasi tutti i pastori d’anime si sono dimostrati solleciti nell’adempiere questo loro dovere. Dopo avere distinto le diverse classi — cosa che in passato non si faceva — e previsto le pubbliche gare con lo sprone dei premi, nell’insegnamento della dottrina cristiana ai bambini danno un valido aiuto ai parroci semplici sacerdoti o chierici e anche buoni laici che seguono in questa materia le mie esortazioni. Per insegnare la dottrina cristiana alle bambine, danno un grande aiuto alcune pie donne, le quali in questa città e in alcuni comuni della diocesi hanno istituito un’associazione. Lo scorso anno in tutta l’archidiocesi è stata istituita l’arciconfraternita della dottrina cristiana per prestare il proprio aiuto, dare offerte e assicurare il proprio sostegno a un’opera così importante.

11°. I singoli parroci, e gli altri che esercitano la cura delle anime, in tutte le domeniche e feste di precetto applicano la messa per il popolo affidato alla loro cura? 171


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Poiché in quasi tutta questa archidiocesi coloro che esercitano la cura delle anime sono chiamati e sono solamente “cappellani”, che prestano il proprio aiuto all’unico parroco nella gestione della parrocchia, nei limiti della libera delega da lui ricevuta [pag. 34], sembra che debbano essere considerati esenti dall’obbligo di celebrare la messa per il popolo. Ritengono infatti di trovarsi nella stessa condizione dei cappellani curati della diocesi di Lipari, per i quali codesta Congregazione ha preso una decisione il 23 marzo 1861. Coloro che sono veri parroci o sono considerati tali in tutte le domeniche e nei giorni festivi di precetto celebrano la messa per il popolo cristiano affidato alle loro cure.

12°. Si prevede l’accertamento di determinati requisiti prima che qualcuno sia ammesso a ricevere la prima tonsura o gli ordini minori? Quali in particolare? Coloro che si preparano a ricevere gli ordini, prima di ogni ricezione si dedicano per alcuni giorni alle pie riflessioni, chiamate “esercizi spirituali”, in una casa religiosa? Nessuno è ammesso alla prima tonsura e agli ordini minori se prima in seminario non ha dato segni abbastanza chiari riguardanti la pietà e la necessaria disciplina, dai quali è possibile ritenere che egli potrà essere un idoneo e utile ministro della Chiesa. Al conferimento degli ordini [pag. 35], soprattutto maggiori, oltre gli altri requisiti previsti dal diritto, si premettono sempre i ritiri, cioè gli esercizi spirituali.

13°. Tutte le persone predette indossano sempre la veste clericale? Riguardo al privilegio del foro si osservano le disposizioni emanate dal sacrosanto Concilio Tridentino, sess. 23, c. 6 de ref.? Tutti i predetti chierici portano sempre la veste talare. Il privilegio del foro non è più osservato sia perché era stato di molto ridimensionato dal concordato fra la Sede Apostolica e il re delle Due Sicilie, sia perché è stato quasi del tutto abolito dalle leggi del nostro tempo.

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14°. Si tengono le riunioni di teologia morale o casi di coscienza e quelle dei sacri riti? Quante volte? Chi vi partecipa? Quale beneficio si ha da queste riunioni? Le riunioni di teologia morale o casi di coscienza e quelle dei sacri riti si tengono dovunque nella diocesi una volta al mese; vi partecipano tutti i presbiteri con non poca loro utilità.

15°. Quali sono i costumi del clero secolare? Si ha qualche scandalo che richiede un rimedio più efficace per essere eliminato? Se si escludono [pag. 36] due sacerdoti, che da tempo hanno dimesso l’abito clericale e conducono una vita secolare, non esistono nel mio clero scandali così gravi da richiedere un rimedio più efficace. Generalmente i costumi sono buoni e se qualcuno manca, facilmente è corretto con il ricorso all’ammonizione paterna o, se è necessario, alle salutari pene canoniche. Si desidera in molti un maggiore zelo di ricercare la salute delle anime e quell’ardente pietà e tutte le virtù delle quali gli ecclesiastici dovrebbero essere adorni e nelle quali dovrebbero eccellere, soprattutto nelle avverse condizioni del nostro tempo [pag. 37].

CAPITOLO IV – IL CLERO REGOLARE 1°. I religiosi che esercitano la cura delle anime, sono soggetti alla giurisdizione del vescovo e sottostanno alla sua visita e alla sua disciplina in ciò che concerne la cura e l’amministrazione dei sacramenti, svolgono fedelmente il ministero loro affidato secondo le indicazioni date nel capitolo precedente per i parroci del clero secolare? Su questo argomento non ho nulla da dire, perché in diocesi non c’è e non c’è mai stato un religioso che esercita la cura delle anime.

2°. C’è qualche religioso che vive fuori del monastero? Ci sono religiosi in diocesi che, nel rispetto delle norme canoniche, sono stati allonta173


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nati dai loro superiori, oppure qualcuno che, pur vivendo entro le mura del monastero, mentre si trovava fuori ha commesso notoriamente delitti che hanno provocato scandalo nel popolo? In questi casi come si è comportato con i colpevoli? Dei regolari superstiti all’iniqua soppressione degli ordini religiosi, diversi a suo tempo ottennero dalla Sede Apostolica l’indulto di deporre il proprio abito religioso [pag. 38] ed ora sono annoverati nel clero diocesano. Ma ad eccezione di uno o di due non sono fra coloro che brillano per pietà e dottrina. Di quelli che si sono riuniti nelle ricostituite case religiose, qualcuno ha dato cattivo esempio e ho pregato insistentemente il suo superiore di punirlo con giusta pena e di trasferirlo altrove, fuori dalla mia diocesi.

3°. Si è servito della sua giurisdizione delegata per compiere la visita dei conventi e delle grance di monasteri nei quali i religiosi non vivono in numero conforme alle disposizioni delle sacre costituzioni? Qual è il comportamento morale dei religiosi che vivono in questi conventi e in queste grance? Quando mi è stato esibito il decreto di Pio IX, che concede ai regolari il diritto all’esenzione anche se, nelle difficili condizioni in cui vivono nei nostri tempi, la vita comune è costituita da non meno di tre persone, mi sono astenuto dal visitare i conventi e le chiese nei quali risiedono religiosi in tale numero. Sul loro comportamento morale non ho certamente motivi per esprimere particolari rimostranze, ma neppure di formulare grandi elogi. Se si escludono pochi [pag. 39] gesuiti, domenicani, sacerdoti dei missionari di San Vincenzo dei Paoli e molti salesiani che risiedono nella mia diocesi, gli altri religiosi appartenenti agli ordini dei cappuccini, dei minori, degli osservanti e dei carmelitani, che, passata la tempesta della soppressione e della dispersione, si sono riuniti nelle nuove residenze, sono poco o per nulla utili al bene e all’edificazione dei fedeli. Per richiamarli alla primitiva osservanza della disciplina dei fondatori sarebbe necessario l’intervento di una speciale commissione pontificia, che si occupi soprattutto di formare i giovani alla vita monastica. A mio giudizio, una iniziativa di tal genere potrebbe essere molto utile se questi giovani, insieme e non separatamente 174


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come avviene oggi, seguissero in Sicilia un solo noviziato e un solo corso di studi, sotto la direzione di migliori guide e maestri.

4°. Ha avuto qualche contrasto con i religiosi nell’esercizio della giurisdizione delegata nei casi in cui essa gli è conferita dal Sacro Concilio di Trento etc.? Fino ad oggi non ho avuto alcun contrasto [pag. 40] con i religiosi nell’esercizio della giurisdizione delegata, che dal diritto nei loro confronti è conferita al vescovo [pag. 41].

CAPITOLO V – LE MONACHE 1°. Le monache soggette alla giurisdizione del vescovo osservano le loro costituzioni? Le poche monache rimaste in diocesi, quasi tutte anziane e inferme, nel miglior modo loro possibile osservano le costituzioni. Tutte sono soggette solamente alla giurisdizione del vescovo.

2°. È rigorosamente osservata la clausura dei monasteri? Le monache, per quanto dipende dalla loro volontà, nelle condizioni attuali in cui si trovano, osservano fedelmente nei monasteri la clausura.

3°. In questi stessi monasteri si riscontrano abusi che richiedono il parere e l’aiuto della Sacra Congregazione? Nei nostri monasteri non rilevo siano accaduti gravi abusi. Se non fossero prossimi ormai all’estinzione si dovrebbe riprendere l’antica disciplina sulla vita comune, che già da tempo era alquanto decaduta. Spero che tutto ciò si possa realizzare [pag. 42] nel monastero San Benedetto, che quest’anno ho potuto riscattare dalle mani del governo. 175


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4°. Oltre al confessore ordinario è data dal vescovo la possibilità di avere un confessore straordinario due o tre volte l’anno? Poiché i miei predecessori hanno concesso un confessore straordinario alle singole monache che lo chiedevano, non è stata osservata rigorosamente su questo argomento la disposizione del Concilio Tridentino. Tuttavia, per quanto è possibile, faccio in modo che la maggior parte delle monache abbia un solo confessore ordinario e avvicini alcune volte l’anno quello straordinario.

5°. Le rendite dei suddetti monasteri sono amministrati fedelmente? Le doti delle monache sono state pagate? In che modo sono state spese? In seguito alla legge di soppressione le monache non hanno rendite da amministrare. Vivono solamente della pensione annua che il governo paga ad ognuna di loro. Non posso dare alcuna risposta alle tre domande che seguono [pag. 43], perché non esiste in questa diocesi alcun monastero soggetto ai prelati religiosi [pag. 44].

CAPITOLO VI – IL SEMINARIO 1°. Quanti sono gli alunni del seminario? Come ho già detto sopra, nel seminario diocesano vivono 250 alunni. In questo numero sono compresi anche i ragazzi che seguono una forma di tirocinio prima di essere ammessi a indossare l’abito talare; pertanto sono indicati con il nome di “aspiranti” alla vita clericale. Simili a questi sono altri 50 ragazzi che in alcuni paesi della diocesi vivono insieme alla maniera dei chierici, in alcune case, sotto la direzione di buoni sacerdoti e secondo una regola da me approvata. Ho potuto costatare che si tratta di una istituzione molto utile per suscitare e conservare le vocazioni ecclesiastiche e per verificare se in quei ragazzi c’è l’indole e la volontà richieste per far sperare che possano dedicarsi utilmente e definitivamente al sacro ministero [pag. 45]. 176


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2°. Sono formati correttamente nella disciplina ecclesiastica? Con la maggior cura e diligenza possibile si fa in modo che gli alunni del seminario siano guidati da quella disciplina che li educhi alla pietà e alla religione, come si conviene a coloro che saranno nel santuario i dispensatori dei misteri di Dio. Sono ammessi solo se superano l’esame sul buon comportamento morale e sullo studio, richiesti per servire Dio e la Chiesa. Sono esclusi coloro che non danno alcun segno certo della divina vocazione e, a maggior ragione, se si viene a sapere che hanno commesso qualche grave colpa contro i buoni costumi. Si osserva la regola che si conforma alle sapienti indicazioni date da s. Carlo Borromeo per il suo seminario.

3°. Quali discipline studiano e con quale profitto? Il corso di studi seguito dagli alunni (oltre le due scuole elementari che sono chiamate “preparatorie” per i ragazzi “aspiranti”) sono del tutto [pag. 46] conformi ai programmi dettati dalla Santa Sede. Per spronarli maggiormente negli studi ho predisposto dei premi: coloro che ogni anno nel concorso scolastico sono nominati “prìncipi” e “vice prìncipi” ottengono l’importo dell’intera retta o della sua metà (in italiano: “borsa” e “mezza borsa”) per l’anno successivo. Coloro che eccellono maggiormente per intelligenza sono inviati a Roma, ai collegi Leoniano, Capranicense e Romano, oppure all’università cattolica di Lovanio, nel seminario filosofico Leone XIII. Con l’aiuto di questi stimoli e di questi strumenti ho l’impressione che i miei chierici abbiano fatto buoni progressi nello studio.

4°. I seminaristi nei giorni festivi prestano il loro servizio in cattedrale e nelle altre chiese del luogo? Nelle feste più solenni prestano servizio nella cattedrale.

5°. Ha stabilito quel che è necessario per il buon governo del seminario con il consiglio di due canonici più anziani liberamente scelti [pag. 47]? 177


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Come ho già detto nella mia precedente relazione, non ho trovato due canonici anziani scelti dal vescovo per il seminario ma li ho nominati io, affinché con il loro consiglio possa stabilire quel che sembra necessario o opportuno per il buon governo dei chierici.

6°. Il vescovo di tanto in tanto visita il seminario e si adopera perché le regole siano osservate? Non c’è altro che mi stia più a cuore che visitare frequentemente il mio seminario, specialmente le scuole e adoperarmi perché tutto proceda secondo le regole.

7°. Si riscuote la tassa stabilita dal Concilio di Trento? Ci sono morosi nel suo pagamento? Ho già detto che in questa diocesi non è stata fissata alcuna tassa per il seminario e di recente l’ho imposta sui benefici maggiori [pag. 48] del capitolo della cattedrale [pag. 49].

CAPITOLO VII – CHIESE, CONFRATERNITE E LUOGHI PII 1°. Nelle sacrestie di tutte e singole le chiese è esposto l’elenco degli oneri delle messe e degli anniversari, a norma dei decreti di Urbano viii, di santa memoria? I relativi obblighi sono stati soddisfatti? Durante la visita pastorale, avendo notato che in alcune sacrestie delle chiese non era esposto l’elenco degli oneri delle messe e degli anniversari, ho richiamato su questo argomento i rettori di quelle chiese, che devono assicurarmi sulla esatta osservanza di quegli obblighi.

2°. Nelle confraternite, nelle scuole e negli altri luoghi pii, si osservano puntualmente le pie opere stabilite dai testatori? Non posso dare alcuna risposta a questa domanda perché, co178


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m’è noto, le confraternite, le scuole, gli ospedali e le altre [pag. 50] opere pie, quanto all’amministrazione dei loro beni, dalle autorità civili sono state sottratte all’autorità ecclesiastica e presentano il rendiconto solo all’organismo laico, chiamato “Deputazione provinciale”.

3°. Il vescovo ogni anno ha chiesto il rendiconto agli amministratori di questi luoghi pii? Come faceva il mio predecessore, anch’io, per il motivo sopra esposto, ho ritenuto più prudente astenermi dall’obbligare gli amministratori di quei luoghi pii a presentarmi il rendiconto dell’amministrazione, come per altro sarebbe loro dovere.

4°. Il vescovo ha visitato il monte di pietà o carità? L’istituto ha rendite che superano le spese necessarie al suo esercizio e al sostentamento degli impiegati? Più volte ho visitato l’unico monte di pietà esistente, intitolato a Sant’Agata, il cui responsabile per volontà del fondatore è il vescovo. Le sue rendite superano le spese necessarie per la sua amministrazione [pag. 51]. Ho indicato sopra l’ammontare del suo reddito [pag. 52].

CAPITOLO VIII – IL POPOLO 1°. Quali sono i costumi del popolo? Progredisce nella pietà? Con l’animo triste e angosciato devo confessare che i costumi della maggior parte del popolo a me affidato, soprattutto in città, sono ormai corrotti e la pratica della vita cristiana lascia molto a desiderare. Se mancassero altri indizi e prove per confermare una così dolorosa condizione, basterebbe l’esiguo numero di coloro che ogni anno soddisfanno il precetto della confessione e della comunione pasquale: sono appena 20.000 in una città di 150.000 abitanti. Non posso indicare con precisione quanti sono gli uomini che si accostano ai sacramenti; certamente sono una minima parte. Le cause di questa situazione così peno179


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sa [pag. 53] sono molteplici e ritengo molto antiche, ma in questi tempi così dissoluti si sono accresciute: anzitutto ci sono le scuole pubbliche nelle quali l’incauta gioventù cresce senza alcuna educazione religiosa, poi i cattivi esempi dei ricchi, la sfrenata licenza concessa ai perversi, le cattive associazioni, i teatri, la stampa che alletta quotidianamente agli errori e ai vizi, e, per riassumere tutto in breve, i tentativi fatti con arte e malizia satanica per allontanare il popolo dalla fede degli avi e dalla pietà. Pertanto sebbene sia rimasta fino ad oggi nel popolo una qualche tradizione religiosa, essa è fragile non solida e a causa dell’ignoranza della dottrina cristiana è impregnata di superstizioni e più incline agli elementi esteriori della religiosità. Pertanto i membri delle sette e i socialisti, che dalle nostre parti hanno molto seguito e insolentiscono [pag. 54], raccolgono facilmente una messe abbondante. Certamente da parte dei buoni si fa qualcosa per porre rimedio a tanto male, ma non c’è proporzione sia perché si è in pochi, sia perché non si è ancora preparati a svolgere un’adeguata azione cattolica e manca la collaborazione dei cittadini che contano, i quali si comportano come se non avessero alcun interesse per la religione.

2°. Si riscontra qualche abuso o nel popolo si sia radicata qualche cattiva consuetudine che necessita del consiglio e dell’aiuto della Sede Apostolica? Nella situazione da me descritta, in cui miserevolmente ci troviamo, non c’è da meravigliarsi se si sono insinuati tanti abusi e si sono sviluppate tante cattive consuetudini: soprattutto le bestemmie e il turpiloquio, che spesso capita di ascoltare per le strade, le unioni illegittime e i frequenti rapimenti [pag. 55], la generalizzata violazione dei giorni festivi e dell’obbligo del digiuno, gli interessi da rapina secondo il modello giudaico, chiesti quando si presta il denaro, e, tralasciando tutto il resto, la profanazione degli edifici sacri per il comportamento sfrontato di giovani dissoluti. Per eliminare mali così grandi nulla sarebbe per me tanto desiderabile quanto essere istruito e aiutato dal sapiente consiglio della Sede Apostolica, se, oltre ai rimedi che ho usato fino ad oggi, come ho già detto, si ritenesse necessario far ricorso ad altri, in considerazione dell’importanza del mio ministero. Affinché Dio mi sia propizio e mi assista con il suo aiuto nel180


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l’adempimento del mio ministero, chiedo e imploro insistentemente che il Santissimo Padre mi dia la sua Apostolica Benedizione. Con la massima venerazione del mio animo bacio umilmente le mani a voi eminentissimi Padri, preposti a codesto sacro dicastero [pag. 56]. Umilissimo e devotissimo servo vero Giuseppe card. Nava, Arcivescovo di Catania

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LI 1916 – Relazione dell’arcivescovo, card. Giuseppe Francica Nava1.

Proemio 1. Ordinario di questa diocesi è l’em.mo card. Giuseppe Francica Nava del casato Bontifè, nato a Catania nel 1846 {23 luglio}. Ha iniziato il governo di questa Chiesa il 18 marzo 1895, lasciando il titolo di arcivescovo di Eraclea. Il 9 agosto 1883 era stato eletto vescovo titolare di Alabanda e consacrato la terza domenica di ottobre {21 ottobre}. 2. La condizione religiosa e morale di questa diocesi, considerata in generale, è questa: sebbene la maggior parte della popolazione conservi ancora la fede cristiana, non si può dire altrettanto della integrità dei costumi e della osservanza dei precetti; soprattutto se si considerano gli uomini e gli abitanti della città, a motivo delle note cause del nostro pessimo tempo e di alcune particolari circostanze che saranno indicate in seguito.

CAPITOLO I – STATO MATERIALE IN GENERE 3. a) La diocesi di Catania, come riferisce la nostra tradizione fondata su validi documenti, ha origine nel periodo apostolico. S. Berillo primo vescovo, intorno all’anno 44, si crede sia stato inviato a Catania dal Principe degli apostoli. Pertanto il vescovo di Catania è 1

Congr Concist, Relat Dioec, 208. Al testo della relazione sono accluse: 1) la minuta di una lettera, senza data, della Congregazione all’arcivescovo di Catania, con i rilievi al documento inviato; 2) le note che l’officiale revisore ha scritto nel leggere la relazione. Entrambi i documenti contengono cancellature e modifiche di non facile interpretazione. Il documento consegnato alla Congregazione concistoriale non porta l’indicazione della data e della firma. Dall’Archivio Storico Diocesano risulta che il card. Francica Nava si recò a Roma nel novembre del 1916 e fece personalmente la prescritta visita alle basiliche pontificie (Episcopati, Nava, carpetta 35, fasc. 14, Visite ad limina). Verosimilmente in questa occasione consegnò il testo della relazione.

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stato chiamato protovescovo. Il 26 settembre 1859 con una costituzione del papa Pio IX, questa sede è divenuta archidiocesi, ma senza suffraganei, e immediatamente soggetta alla Sede Apostolica [pag. 2]. L’arcivescovo usa il pallio. b) La diocesi appartiene alla Sicilia orientale e si estende dall’Etna al mare Ionio. I suoi confini sono delimitati dalle diocesi di Acireale, Nicosia Erbita e Siracusa2. Catania, città sede della cattedra vescovile, è capoluogo della provincia civile, in cui risiede il prefetto. Il clima è mite e salubre. Si parla la lingua italiana. c) L’ordinario risiede nel palazzo arcivescovile, sito nella città. d) Secondo l’ultimo censimento del 1911, {la diocesi} conta 376.653 abitanti. I comuni sono 233. La popolazione in maggioranza è cattolica, eccettuati pochi protestanti, detti “evangelici”, per lo più stranieri. e) I sacerdoti sono circa 350; i chierici e gli alunni del seminario 126. f) Oltre il capitolo della cattedrale, si hanno altri capitoli delle collegiate, come si dirà a suo luogo. g) Da premettere che in questa diocesi, parlando in generale, non si hanno parrocchie vere e proprie. Pertanto l’arcivescovo è detto unico parroco della città e della diocesi. Le chiese alle quali è annessa la cura delle anime sono chiamate “filiali” dell’unica parrocchia della cattedrale. Tuttavia nei comuni di Bronte e Trecastagni, per antichi privilegi, si hanno veri parroci e parrocchie propriamente dette. Nella città si hanno 15 chiese filiali, delle quali la più grande per numero di fedeli è quella dei Santi Cosma e Damiano, con quasi 33.000 anime, la più piccola è Santa Chiara che ne conta quasi 8.000. Ad ogni comune è preposto il vicario foraneo, che fa le veci dell’unico parroco, ci sono una o più chiese curate secondo l’estensione del territorio e il numero degli abitanti. Nella città ci sono 116 chiese, nei comuni 217. Non ci sono luoghi molto rinomati [pag. 3]. h) In diocesi hanno sede istituti religiosi maschili. In città ci so-

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Nell’elenco delle diocesi confinanti mancano: Patti a nord ovest e Caltagirone a sud ovest. 3 L’elenco è riportato nelle relazioni del 1904 e del 1908.

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no le seguenti comunità religiose: gli eremitani di Sant’ Agostino4 con 3 religiosi, i cappuccini5 con 8, i conventuali6 con 5, {i carmelitani7}, i domenicani8 con 8, i frati minori9 con 4, la Compagnia di Gesù10 con 4, i sacerdoti missionari di San Vincenzo dei Paoli11 con 4. I predetti istituti religiosi hanno tutti una sola casa. Inoltre hanno due case i salesiani12 con 23 sacerdoti in tutto. C’è una casa di religiosi laici, cioè dei fratelli delle scuole cristiane13 con 5 religiosi, che dirigono un ospizio per l’infanzia abbandonata. Nei comuni ci sono 4 conventi di cappuccini14 con 16 religiosi complessivamente, 2 di frati minori15 con 8, tre di salesiani16 con 16, una delle quali serve per il noviziato. i) Ci sono anche istituti religiosi femminili. Nella città 4 monasteri dell’ordine di San Benedetto17 con 30 monache professe, uno dei

4 Era stata ripristinata la comunità del convento annesso alla chiesa di Sant’Agostino. Nel 1913 la chiesa era ancora officiata dai salesiani (Catania Sacra 1913, 34). 5 Sacro Cuore di Gesù ai Cappuccini nuovi (ibid., 48). 6 Era stata ripristinata la comunità nel convento annesso alla chiesa di San Francesco all’Immacolata (ibid., 23). 7 La presenza dei carmelitani nella chiesa dell’Annunziata al Carmine era stata già indicata nelle precedenti relazioni. 8 San Domenico (ibid., 27). 9 Santa Maria della Guardia (ibid., 27). 10 Crocifisso dei Miracoli (ibid., 38). 11 Santissimo Sacramento Ritrovato (ibid., 31). 12 1) San Filippo Neri (ibid., 36); San Francesco di Sales (ibid., 40). 13 Istituto annesso alla nuova chiesa del Sacro Cuore alla Barriera (ibid., 25). 14 Il numero di quattro conventi di cappuccini va riferito a tutta la diocesi: 1) Sacro Cuore ai Cappuccini, Catania (ibid., 48); 2) Santa Maria degli Angeli, Adrano (ibid, 55); 3) San Felice da Cantalice, Bronte (ibid., 64); 4) Maria Santissima Annunziata, Paternò (ibid., 79). 15 1) San Francesco, Biancavilla (ibid., 61); 2) San Vito, Bronte (ibid., 64). 16 1) Collegio Capizzi, Bronte (ibid., 63-64); 2) San Giuseppe, Pedara (ibid., 81); 3) Sacro Cuore, San Gregorio, sede del noviziato (ibid., 69). 17 1) San Benedetto, rifondato dal vescovo Francica Nava dopo la sua soppressione; antichi monasteri nei quali erano presenti le monache superstiti dopo la soppressione: 2) Sant’Agata (ibid., 23); 3) San Giuliano (ibid., 24); 4) San Placido. Le monache di quest’ultimo erano state trasferite in un edificio che sorgeva nella circoscrizione della chiesa sacramentale Santa Maria dell’Idria (ibid., 36). La chiesa di San Placido divenne sacramentale in sostituzione di quella di San Gaetano (ibid., 32).

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quali riacquistato dal governo conta 20 monache professe e 8 novizie. Inoltre si hanno 9 case delle figlie della carità della congregazione di San Vincenzo dei Paoli18 con 80 suore; le piccole suore dei poveri19 con 22, che hanno una sola casa; le figlie di Sant’Anna20 con 16 suore e 3 case; le suore del patrocinio di San Giuseppe21; le figlie della {Misericordia e della} Croce22 con 4 suore; le bocconiste23 con 5 suore, le figlie di Maria Ausiliatrice24 in 3 case con 40 suore. Negli altri comuni della diocesi ci sono tre monache professe dell’ordine di San Benedetto25 nel comune di Adernò; le figlie di Maria Ausiliatrice26 con 4 case e 18 suore; le figlie di Sant’Anna27 in 2 case e 7 suore; 3 figlie della {Misericordia e della} Croce28 nell’ospizio di mendicità di Paternò [pag. 4].

CAPITOLO II – LA FEDE E IL CULTO DIVINO 4. Il culto divino è esercitato liberamente nella diocesi. 5. Il numero delle chiese nei singoli comuni è più che sufficiente per le necessità dei fedeli.

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1) Ospedale Garibaldi (ibid., 40); 2) Ospedale Santa Marta (ibid., 41); 3) Ospedale Vittorio Emanuele II (l. c.); 4) Ospedale Ferrarotto (l. c.); 5) Conservatorio delle vergini Sant’Agata (l. c.); 6) Sacra Famiglia (l. c.); 7) Santa Maria della Provvidenza e Pio IX (l. c.); 8) Conservatorio delle vergini al Borgo (ibid., 39); 9) Conservatorio San Vincenzo dei Paoli (l. c.). 19 Asilo Sant’Agata (l.c.). 20 1) Istituto Ardizzone Gioeni (ibid., 38); 2) Orfanotrofio Carcaci (ibid., 39); 3) Albergo Ventimiglia (l. c.). 21 Santa Casa della Grazia (ibid., 40). 22 Ospedale Santo Bambino (ibid., 41). 23 Reclusorio del Lume (ibid., 39). 24 1) Maria Ausiliatrice, annessa all’istituto San Filippo Neri; 2) Maria Ausiliatrice, annessa all’istituto San Francesco di Sales; 3) Collegio Maria Ausiliatrice (ibid., 38). 25 Monastero Santa Lucia di Adrano (ibid., 54). 26 1) Collegio Maria di Bronte (ibid., 64); 2) Ospedale civile di Bronte (l.c.); 3) Conservatorio delle vergini di Trecastagni (ibid., 83); 4) Orfanotrofio Immacolata di Biancavilla (ibid., 60). 27 1) Ospizio di mendicità e ospedale pubblico, Adrano (ibid., 54); 2) Orfanotrofio Margherita Bufali, Belpasso. 28 Albergo per i poveri (ibid., 79).

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6. Le chiese e gli oratori pubblici sono ben forniti di ciò che è necessario per la fabbrica e le suppellettili; di esse in genere i fedeli hanno una lodevole cura e sono pulite e decentemente adorne. 7. Nelle singole chiese è conservato l’inventario di tutti i beni e di tutte le suppellettili; ciò che si trova nell’archivio di ogni chiesa è conservato anche nella curia arcivescovile. Le suppellettili sono custodite generalmente nelle sacrestie nel miglior modo possibile, per evitare che alla morte del rettore o in seguito a un qualsiasi evento straordinario qualcosa sia sottratta o dispersa. 8. In questa diocesi, soprattutto in seguito all’eruzione lavica e al terribile terremoto del secolo XVII, sono rimaste poche suppellettili e oggetti veramente preziosi. Solo nella chiesa cattedrale, nell’antica cripta solidamente costruita e sbarrata con porte di ferro chiuse da tre chiavi, si conserva un ingente tesoro di gemme con le quali è adornato il reliquiario che comprende la parte superiore del corpo della nostra patrona s. Agata vergine e martire catanese. Questo tesoro, che lo scorso anno è stato disposto con una migliore sistemazione, è di grandissimo valore per materia, arte e antichità. In un’altra antica e molto solida cripta della stessa chiesa cattedrale sono conservati alcuni importanti codici, non anteriori tuttavia al secolo XI, che si riferiscono soprattutto alle donazioni fatte a questa chiesa da re Ruggero e dai suoi successori [pag. 5]. Sia del predetto tesoro sia dei codici c’è un inventario nell’archivio del capitolo e della curia. Nelle altre chiese della città e della diocesi per i motivi sopra indicati non si hanno oggetti e suppellettili di grande valore, ad eccezione di alcuni dipinti e vasi sacri d’oro e d’argento nella chiesa di San Nicola e alcuni codici conservati nella biblioteca annessa al monastero dei benedettini cassinesi, che oggi è in mano al municipio. Qua e là nella diocesi si ammirano dipinti e paramenti sacri di seta di un certo pregio, come la tavola dipinta di s. Caterina vergine e martire nella chiesa principale di Pedara e il trittico fiammingo nella chiesa di San Nicola a Misterbianco. Si è molto attenti a non vendere alcun oggetto, anche se piccolo ma prezioso per materia, arte o antichità, senza licenza della Santa Sede e il giudizio dei periti. 9. Ogni giorno, nelle ore più opportune del mattino e della sera, dovunque ci sono chiese aperte ai fedeli. 10. Le chiese durante le sacre celebrazioni sono così accessibili 187


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ai fedeli che chiunque, anche se poverissimo, può liberamente entrare e rimanervi senza alcun onere o vergogna. 11. Le chiese e gli oratori mai sono adibiti ad usi profani come atti accademici, concerti musicali e cose di questo genere, eccetto in tempo di guerra, quando la legge civile ci obbliga a tollerare che siano adibite per il necessario alloggio dei soldati. 12. In tutte le chiese e oratori nei quali si conserva la ss. Eucaristia in genere si osservano accuratamente le condizioni previste dalla legge per la custodia del medesimo ss. Sacramento e si ha una particolare cura perché l’altare del ss. Sacramento si distingua per il culto, la pulizia e gli addobbi. 13. I confessionali, collocati dovunque nelle chiese in luoghi aperti, sono muniti di grate in conformità alle leggi canoniche [pag. 6]. 14. Le sacre reliquie dei santi nelle chiese e negli oratori di solito sono custodite nelle teche con il sigillo e il documento di autenticazione e conservate in armadi decenti. Durante la visita pastorale l’ordinario ha proibito che le reliquie venissero esposte alla venerazione dei fedeli se prive del sigillo e del documento di autenticazione. Se manca l’uno o l’altro si supplisce, quando risulta, con la legittima e pubblica tradizione. Il cerimoniere arcivescovile è incaricato a fare questo accertamento. In alcune chiese, però, si hanno reliquie affisse alle pareti sotto il vetro, specialmente vicino al crocifisso, delle quali non si ha alcun documento e non è facile fare una qualsiasi ispezione. Del resto di per sé non sono esposte alla venerazione dei fedeli, né possono essere tolte senza provocare danno e scandalo. Si ignora se presso persone private sono conservate reliquie insigni. 15. Sebbene si siano introdotti da tempo in questa diocesi e in tutta la regione molti abusi nel culto divino, nella venerazione dei santi e in altre sacre funzioni, tuttavia l’autorità ecclesiastica si adopera con diligenza di correggerli e di uniformarli alle norme liturgiche. Questi abusi, ad esempio, sono: l’ingresso nelle chiese delle bande musicali, che spesso accompagnano le processioni eseguendo musiche profane, il trasporto delle reliquie dei santi sotto il baldacchino, l’esecuzione di musiche profane nelle sacre funzioni e l’ingresso dei laici nei presbitèri. Per estirpare questi abusi con un’azione prudente ed efficace si fa ricorso anzitutto alla spiegazione delle leggi liturgiche che i chierici imparano in seminario e i sacerdoti nelle riunioni mensili, al paziente lavoro di persuasione che induce i fedeli ad accettare le cor188


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rezioni e soprattutto alla sostituzione di altre pratiche che allo stesso tempo sono conformi alle leggi liturgiche e suscitano nell’animo la pietà senza provocare allarme nel sentire comune per la proibizione dell’antica consuetudine [pag. 7]. Per raggiungere questo scopo giova molto l’impegno con cui diversi sacerdoti da alcuni anni si adoperano perché il popolo, in ossequio al motu proprio del papa Pio X, di santa memoria, partecipi attivamente alle sacre funzioni. Di solito la lingua e il canto nell’esercizio del culto sono adoperati secondo i decreti della Santa Sede, ad opera soprattutto del giovane clero. 16. Fra alcuni del popolo — soprattutto i giovani e il ceto civile — serpeggiano gravi errori contro la fede. Cause di tutto questo sono le associazioni e principalmente le scuole cattive. Per porre rimedio a questo male, sebbene si impieghino molti sforzi, purtroppo si può fare ben poco, a causa della mancanza di persone e di risorse e dell’eccessiva libertà. Nessuno del clero è contagiato da questi errori. 17. Il consiglio di vigilanza con l’ufficio dei censori fu costituito non appena fu prescritto dalla Sede Apostolica. I membri che lo costituiscono sono: l’em.mo card. arcivescovo, l’ecc.mo Emilio Ferrais, vescovo ausiliare, il can. Giuseppe D’Agata, il can. Salvatore Fazio, l’ill.mo e rev.mo Giovanni Licitri, il dott. Giovanni Maugeri, il can. penitenziere Giovanni Jacono, il can. Salvatore Nicolosi, il can. Salvatore Romeo, il can. Alfio Iatrini, il dott. Giovanni Battista Puleo, il dott. Vincenzo Portaro, D. Giovanni Minguzzi, ispettore della pia congregazione salesiana, fr. Tommaso Mirone O.P., il prevosto Salvatore Petronio Russo da Adrano, il prevosto Gaetano Savasta da Paternò, il prevosto Vito Piccione da Biancavilla. Tutti svolgono i loro compiti con lodevole frutto [pag. 8].

CAPITOLO III – QUEL CHE RIGUARDA L’ORDINARIO 18. Se si considera l’amplissima donazione fatta da re Ruggero nel sec. XI a questa sede vescovile, le rendite della mensa dovrebbero essere abbondanti. Ma con il trascorrere del tempo sia per la negligenza degli uomini, sia per l’ingordigia di molti, tanti beni sono andati perduti per prescrizione; inoltre quelli che sono rimasti, soprattutto in tempi così avversi come i nostri, sono stati gravati da tanti oneri dall’autorità civile che il denaro liquido esigibile di fatto dal189


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l’ordinario non sarebbe sufficiente per soddisfare i bisogni della diocesi. I beni rimasti sono: 1° terreni per lo più sterili nella parte più alta dell’Etna, nei quali la raccolta della neve potrebbe offrire non pochi guadagni se non ci fosse la grande difficoltà di trasportare questo particolare tipo di merce29; 2° canoni enfiteutici che il governo e molti proprietari privati pagano su terreni il cui dominio diretto appartiene a questa mensa. L’importo delle entrate è di quasi 160.000 lire. Questa mensa non è gravata da debiti verso i privati, ma verso l’economo generale dei benefici vacanti — così è chiamato — che di recente, dopo aver vinto ingiustamente due processi, pretende la restituzione di una ingente somma, riscossa da oltre venti anni da questa mensa, che considera come a lui dovuta. Su questo argomento si discute con il governo una difficile e lunga transazione, che, se avrà esito favorevole come si spera, diminuirà almeno il danno imminente. In questa situazione non è possibile determinare quali frutti restano per il beneficiario dopo aver dedotto gli oneri antichi e quelli nuovi [pag. 9]. I beni della mensa sono amministrati dal procuratore, il sacerdote Giovanni Deodati, che nel suo ufficio è aiutato da un altro sacerdote, Francesco Torrisi, e dal laico Arcangelo Fragalà. Si seguono i criteri in uso presso le pubbliche amministrazioni. La mensa dipende dall’autorità civile solo per le prescrizioni di legge e viene amministrata in modo autonomo rispetto agli altri beni della diocesi e delle opere pie. 19. L’arcivescovo come abitazione ha un edificio proprio, abbastanza ampio e restaurato di recente, sito accanto alla chiesa cattedrale, alla quale si accede dall’interno. Il palazzo è strutturato così bene da offrire al vescovo che lo abita un alloggio dignitoso senza l’impressione di un lusso profano. 20. Al presente l’ordinario abita con due sacerdoti, di cui uno è il segretario, don Giovanni Licitri, prelato di Sua Santità, l’altro si occupa dei problemi domestici e sovrintende alla servitù. La sua giornata si svolge secondo le esigenze del proprio ministero. Si alza di buon mattino, si dedica alla meditazione, celebra la messa e recitate le ore

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Su questa fonte di reddito della mensa vescovile si veda lo studio di A. PAviaggi della neve. Raccolta, commercio e consumo della neve dell’Etna nei secoli XVII-XX, Palermo 2014.

TANÈ, I

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canoniche, tratta con il segretario i problemi della diocesi e riceve fino alle ore 13 le persone che chiedono di incontrarlo. Subito dopo pranza con i sacerdoti, il vescovo ausiliare e spesso con gli ecclesiastici suoi ospiti. A conclusione tutti insieme fanno la visita al ss. Sacramento nella cappella dell’episcopio. L’ordinario, dopo un breve colloquio con l’ausiliare, si concede un breve riposo, recita i vespri e se i suoi impegni lo permettono esce per una passeggiata, in modo che al tramonto del sole rientri a casa per anticipare il mattutino delle ore canoniche e per dedicarsi allo studio e alle cose che riguardano il suo ministero. Infine recitato nella predetta cappella il santo rosario con le persone che vivono insieme a lui, consuma con loro la cena e va a riposare. Di tanto in tanto durante la settimana [pag. 10] si reca nell’abitazione di famiglia a Catania per affrontare con maggiore tranquillità e libertà le questioni più difficili del suo ministero. 21. L’attuale arcivescovo in quanto cardinale di Santa Romana Chiesa fa parte delle seguenti congregazioni: Concilio, Indice, Cerimoniale, Seminari e studi. Dalla Sede Apostolica ha ricevuto le seguenti facoltà che riguardano: 1) la benedizione di tutto ciò che attiene al culto divino; 2) la benedizione delle campane; 3) l’assoluzione e la dispensa in alcuni casi; 4) le composizioni, i pubblici officiali, i ribelli, il foro e i giudici, i beni mobili e le assicurazioni; 5) gli esaminatori prosinodali; 6) i giudici prosinodali; 7) il giuramento suppletorio; 8) la riduzione degli oneri di messe a motivo della povertà di coloro che sono obbligati; 9) gli oneri di messe per quanto attiene il giorno, la chiesa e gli altari; 10) l’accettazione degli obblighi nella congregazione della carità; 11) il precetto pasquale; 12) le dispense matrimoniali nulle a causa di errori nel nome e cognome dei contraenti; 13) la lettura e il possesso dei libri proibiti; 14) la facoltà di binazione della messa; 15) l’offerta della seconda messa; 16) il possesso e l’acquisto dei libri dei religiosi; 17) la benedizione dello scapolare dei Sacri Cuori; 18) la lettura della lettera apostolica in italiano e l’omissione della lettura della stessa lettera; 19) la vendita delle suppellettili di alcuni monasteri; 20) le composizioni a Santa Maria di Licodia; 21) l’affrancazione dei canoni; 22) l’alienazione degli ex voto; 23) il condono dei pagamenti annuali non corrisposti in toto o in parte; 24) il divino ufficio delle monache; 25) l’indulgenza plenaria in articulo mortis [pag. 11]; 26) l’indulgenza plenaria nelle feste; 27) il conferimento degli ordini sacri fuori i tempi stabiliti; 28) l’impiego dei chierici nelle 191


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casse di risparmio e nelle banche; 29) la conferma dei confessori delle monache per il quarto e il quinto quinquennio. 22. Risiede a Catania da cui si allontana solo per un mese dopo la quaresima o in autunno per un periodo di vacanze nella propria villa, che si trova nella stessa diocesi, e non interrompe la trattazione dei suoi impegni. Si è allontanato di tanto in tanto dalla propria sede per recarsi a Roma o per partecipare alle riunioni dei vescovi o conferenze episcopali, che hanno luogo ogni due anni. 23. Più volte durante l’anno suole partecipare alle sacre funzioni nella chiesa cattedrale o altrove e nelle principali solennità, come l’epifania, pasqua, pentecoste, l’assunzione della Beata Maria Vergine, tutti i santi e la natività del Signore. 24. Suole istruire il clero e il popolo non solo con le omelie nelle messe pontificali di pentecoste e di tutti i santi, con altri sermoni, quando se ne offre l’opportunità, ma anche con le lettere pastorali in quaresima e quando le circostanze lo richiedono. Se qualche volta è impedito nella predicazione, lo supplisce il vescovo ausiliare. Oltretutto la parola di Dio è annunziata con frequenza nelle chiese principali dai sacerdoti che ne hanno la facoltà. 25. Nella diocesi sono 25 i casi riservati: 1) Tutte le persone dell’uno o dell’altro sesso, quale che sia lo stato e la dignità, che partecipano alle assemblee di qualsiasi setta di eretici, nelle quali si tengono sermoni, si spiega il catechismo o si celebrano i loro riti, soprattutto quelli condannati dalla Santa Chiesa cattolica romana, ogni volta che vi prendono parte per qualsiasi occasione o pretesto [pag. 12], anche per semplice curiosità. 2) Tutti coloro che in un processo penale o civile depongono il falso con grave danno altrui, oppure si adoperano perche altri deponga il falso, nonché chi induce altri a deporre il falso, o si serve in qualsiasi modo di falsi testimoni, deposizioni, documenti, scritture pubbliche o private, direttamente o indirettamente nella curia della città o nelle altre curie della diocesi di Catania. 3) Coloro che commettono omicidio volontario, chi lo suggerisce e dà il proprio aiuto, chi soffoca la prole o procura l’aborto. 4) I rapitori o violatori delle vergini. 5) L’incesto in primo o in secondo grado di consanguineità o affinità, sia da copula lecita o illecita. 6) Coloro che abusano di uomini, di donne pagane o di bestie e chi commette il crimine nefando della sodomia, non solo chi lo compie abitualmente, ma anche chi lo fa una sola volta. 7) Chi fa sortilegi o esercita l’arte della 192


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magia, dei venefici e della divinazione, e chiunque a questo scopo abusa dei sacramenti, dei sacramentali e delle cose sacre. 8) Coloro che intrattengono con discorsi osceni le monache o le altre donne che vivono in monastero, inviano alle stesse scritti della stessa natura, personalmente o per mezzo di altri, chiedono o compiono qualcosa di turpe. 9) I percussori dei genitori. 10) I notai che nascondono in modo fraudolento i legati pii. 11) Coloro che impediscono i testamenti e i legati pii, oppure coloro che, pur potendo, non li eseguono. 12) I falsari delle lettere e dei sigilli del vescovo e della curia e coloro che asportano per furto, mutilano in qualsiasi modo e danneggiano i documenti di archivio in modo che non si possono leggere. 13) Gli usurai, chi si fa loro mediatore e chi redige documenti contenenti chiari accordi [pag. 13] di usura. 14) Coloro che producono documenti falsi, danno incarico ad altri di produrli e coloro che materialmente li creano. 15) Coloro che detengono senza giusto titolo benefici ecclesiastici o beni della chiesa e della mensa vescovile, coloro che cambiano i confini delle proprietà possedute dalla chiesa o dalla mensa vescovile. 16) I chierici promossi agli ordini sacri per salto o di nascosto. 17) Coloro che non pagano le decime e le primizie. 18) Coloro che scrivono o danno mandato di scrivere libelli infamanti, anonimi o falsificando il nome altrui. 19) Il rapporto sessuale fra fidanzati che hanno fatto la promessa di matrimonio o la coabitazione anche per una sola notte sia pure senza avere rapporti sessuali e questo va riferito sia al fidanzato e alla fidanzata, sia al padre e alla madre della sposa che permettono il rapporto sessuale o la coabitazione. 20) Coloro che celebrano o attentano il matrimonio clandestino dinanzi al parroco e ai testimoni senza la prevista licenza, coloro che lo preparano, lo consigliano e danno il proprio aiuto, oppure si mettono d’accordo per assicurare la propria presenza. Tutti costoro se sono laici o chierici in minoribus sono interdetti ipso facto dall’entrare in chiesa; se hanno ricevuto gli ordini maggiori restano sospesi dall’esercizio dell’ordine sacro. Per assolvere da tutti questi peccati si dà facoltà ai canonici della chiesa cattedrale, ai vicari foranei e a pochi altri sacerdoti forniti di scienza e di virtù. Facilmente si dà agli altri confessori tranne i casi previsti nei numeri 1, 2 e 18. Nel prossimo sinodo diocesano si pensa di ridurre questi casi solo a tre. 26. Quasi ogni giorno si amministra in episcopio il sacramento della cresima e anche in alcune [pag. 14] solennità, soprattutto il gior193


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no di pentecoste, dopo aver radunato in un luogo sacro parecchi ragazzi. Nel conferimento di questo sacramento si segue il seguente criterio: sono ammessi solamente i ragazzi che hanno raggiunto l’età della discrezione, hanno imparato le principali verità della fede cristiana e si sono confessati, esibendo un attestato del loro curato. I bambini prima dell’età suddetta non sono ammessi, a meno che non siano gravemente malati; ma questa regola non può essere osservata facilmente in modo rigido; inoltre bisogna avere una certa indulgenza nell’ammettere i padrini, sebbene sia richiesto per loro un attestato di idoneità del curato. 27. L’arcivescovo conferisce i sacri ordini personalmente e, se è impedito, tramite il vescovo ausiliare. In questo compito così importante si è impegnato, per quanto era nelle sue possibilità, di arricchire la diocesi di numerosi e idonei sacerdoti nel rigoroso rispetto della norma del Concilio di Trento, che vieta di promuovere coloro che non sono necessari o utili alla chiesa per la quale chiedono di essere assunti. 28. L’arcivescovo personalmente, e una volta tramite il vescovo ausiliare, ha visitato quattro volte tutta la diocesi per compiere la visita pastorale, in tal modo ha acquisito dati certi sullo stato delle singole parrocchie. Oltre a ispezionare le cose che riguardano il culto divino, i comportamenti morali del popolo, l’istruzione religiosa dei bambini e degli adolescenti, l’esecuzione dei legati, ha compiuto anche la cosiddetta visita personale del clero, ascoltando i singoli sacerdoti per conoscere il loro stile di vita, il tempo riservato alla preghiera, l’impegno a ricercare la salvezza delle anime e allo stesso tempo per dare loro opportuni consigli o esortazioni. 29. Si è adoperato, così come esige il suo ufficio di vescovo, non solo di far conoscere nella sua diocesi le leggi e i precetti emanati dai concili e dalla Santa Sede [pag. 15], ma anche di farli osservare da tutti. 30. Dal 1668 nessun sinodo è stato celebrato in questa diocesi e l’arcivescovo, uniformandosi al comportamento dei suoi predecessori e degli altri vescovi di tutta la Sicilia, ha supplito nei singoli casi con la promulgazione di decreti o, quando era necessario, dopo avere ottenuto la facoltà della Sede Apostolica. Ora tutto è pronto per celebrare un nuovo sinodo, che tenga conto delle esigenze e delle circo-

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stanze del nostro tempo. Questa decisione sembra quanto mai opportuna dopo la prossima promulgazione del codice ecclesiastico. 31. L’ordinario di questa diocesi è arcivescovo solo ad honorem, perché non ha vescovi suffraganei a lui soggetti; perciò non ha potuto riunire il concilio provinciale, che peraltro mai è stato celebrato nelle provincie ecclesiastiche di questa nostra regione di Sicilia. Tuttavia ogni due anni, dopo la domenica in albis, ha presieduto le riunioni o conferenze episcopali che si riuniscono da qualche tempo nel santuario Santa Maria di Tindari nella diocesi di Patti. Una copia delle decisioni che sono state prese di comune accordo nelle ultime conferenze è stata già trasmessa alla Santa Sede. 32. Ha sempre avuto buoni rapporti con le autorità civili del luogo, sebbene abbia incontrato non poche difficoltà con il municipio in mano ai socialisti. Con l’aiuto di Dio ha potuto conservare e difendere la dignità e la giurisdizione episcopale, in modo tale che nessun danno si è avuto alla libertà e all’immunità della Chiesa o discredito allo stato ecclesiastico [pag. 16].

CAPITOLO IV – LA CURIA DIOCESANA 33. Vicario generale è D. Emilio Ferrais, vescovo titolare di Listra, ausiliare di questo eminentissimo arcivescovo, dottore in teologia e diritto canonico. La curia diocesana è costituita dal cancelliere, dall’archivista, che in assenza del cancelliere ne fa le veci, dall’attuario, aiutante dell’archivista e dall’assistente straordinario. 34. Ci sono anche 10 esaminatori prosinodali. 35. C’è il tribunale ecclesiastico costituito a norma del diritto dai suoi ufficiali: il presidente, 3 assessori, difensore {del vincolo} e notaio. 36. La curia diocesana ha un propria sede ben strutturata, contigua all’episcopio, con l’archivio in cui si conserva parte dei documenti, in modo sicuro e distinto dagli altri. L’archivio è bene ordinato. 37. La tassa in uso per pagare gli atti di curia, che è alquanto modesta, è quella stabilita dalla costituzione innocenziana, rimasta invariata per antica consuetudine. Ci risulta che non è uguale a quella in uso nelle altre diocesi della Sicilia. Più volte, ma fino ad oggi inutilmente, i vescovi nelle loro conferenze hanno tentato di stabilire 195


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una tassa uniforme. Perciò si è deciso di stabilire nuovi criteri di tassazione più rispondenti alle esigenze dei nostri tempi e alle condizioni di questa diocesi, che saranno sottoposti al giudizio e all’approvazione della Santa Sede. 38. Non ci sono lagnanze, almeno legittime e fatte da persone oneste, a motivo delle tasse di curia, che sono modiche e possono essere pagate da tutti. Oltretutto per coloro che sono veramente poveri gli atti sono presi in esame gratuitamente. Pertanto [pag. 17] se, parlando di matrimoni, si deve costatare l’esistenza di concubinati e altri abusi del genere, tutto questo non è determinato dal peso delle tasse o dalla inflessibilità nella loro riscossione, ma dalla malvagità dei tempi. Con i loro proventi si assicura agli ufficiali il pagamento di uno stipendio proporzionato alla dignità della loro funzione. Se rimane qualcosa si mette da parte e si usa per i mesi di minore introito. 39. Ai proventi delle tasse si aggiunge la somma di L. 1.275, erogata ogni anno dalla mensa vescovile, per pagare lo stipendio degli ufficiali e affrontare le altre spese.

CAPITOLO V – IL CLERO 40. I costumi di questo clero sono generalmente buoni, sufficiente la preparazione culturale e la dottrina; se non in tutti i sacerdoti, in molti almeno si apprezza un serio impegno per la salvezza eterna delle anime e una vera pietà. Pertanto va lodata la loro obbedienza e riverenza all’ordinario e al Sommo Pontefice. Fra i sacerdoti vige la concordia, l’unione, e la carità reciproca, anche se in alcune parrocchie sorgono facili contrasti, soprattutto fra anziani e giovani. 41. Il clero usa sempre e dovunque la veste talare e non si notano scandali o battute sarcastiche a proposito della forma e della decenza dell’abito. 42. I sacerdoti quando celebrano la messa in genere fanno la preparazione e il ringraziamento. Molti sono abituati alla visita serale al ss. Sacramento e a confessarsi ogni settimana. Alcuni non danno ai fedeli il buon esempio di questa stessa frequenza, nonostante il richiamo del superiore [pag. 18]. 43. Ogni due anni tutti i sacerdoti, dopo la pasqua, si riuniscono per una settimana nella casa estiva del seminario per fare gli esercizi 196


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spirituali. È sempre presente l’ordinario, che volentieri coglie questa occasione per rivolgere ai propri collaboratori delle esortazioni paterne in comune e, quando è necessario, ai singoli. Gli ecclesiastici, che in quel periodo sono impediti da giusta causa, sono obbligati a sopperire entro l’anno o partecipando al corso di esercizi spirituali che si tiene nella diocesi vicina, in un convento religioso o almeno in casa propria se non sono in grado di allontanarsi da essa. 44. Ogni mese si tengono le riunioni o conferenze ecclesiastiche sui casi morali e liturgici, in presenza dell’arcivescovo, ad eccezione del periodo autunnale. Dopo aver recitato le preghiere, si legge anzitutto per breve tempo un libro sulla vita e i doveri propri dei sacerdoti. Il canonico penitenziere della cattedrale dirige la discussione sui casi di coscienza che egli stesso aveva proposto. Si tirano a sorte i nomi di due ecclesiastici che in italiano o in latino leggono la soluzione dei casi, che a conclusione dà lo stesso penitenziere, dopo una discussione fra i presenti. La stessa procedura si segue per i casi liturgici, per i quali si ascolta il parere del cerimoniere arcivescovile. La riunione si chiude con la preghiera di ringraziamento. All’ingresso c’è chi prende nota dei partecipanti. 45. L’ordinario fa di tutto perché i giovani sacerdoti dopo l’ordinazione non abbandonino gli studi non solo con il ricorso al consiglio e all’esortazione, ma anche con l’obbligo di sottoporsi agli esami di teologia per quattro anni, così come è stato stabilito per le altre diocesi di comune accordo nelle nostre conferenze episcopali. Un altro esame si richiede per concedere la facoltà di ascoltare le confessioni e predicare. Perché progrediscano ulteriormente nella pietà, oltre i predetti esercizi spirituali, è di molta utilità la pia associazione dell’Unione apostolica, della quale fanno parte quasi tutti i giovani [pag. 19]. 46. Per la mancanza di particolari risorse non c’è in diocesi una casa per accogliere e sostenere con la dovuta carità i sacerdoti malati e poveri. Ci sono due pie società di mutuo soccorso che dispongono di un reddito per aiutare i soci in caso di malattia. 47. Sono pochi i sacerdoti che, sebbene giovani e in buona salute, vivono in modo assolutamente ozioso. Tutto questo è dovuto alla mancanza di pietà e di zelo, perciò non è facile trovare una soluzione ai loro problemi, considerato che mancano in questa diocesi uffici ai quali non è annessa la cura delle anime. 197


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48. Nessuno dei sacerdoti si intromette in modo esagerato, almeno in pubblico, nella politica e nelle fazioni civili, con conseguenti offese per gli altri e danno al proprio ministero. In passato alcuni, mossi da inesperienza e da ardore giovanile, non si sono comportati con prudenza nel promuovere un modello di azione cattolica, soprattutto in tempo di elezioni. C’è da sperare che costoro, in seguito agli avvertimenti e a una migliore direzione da parte dei responsabili di questo movimento cattolico, sappiano mantenersi entro i giusti limiti. Nella nostra diocesi non ci sono cattolici appartenenti a riti o a lingue diverse; pertanto a questo proposito non possono esserci discordie o rivalità nel clero. 49. In diocesi 5 sacerdoti, 4 dei quali insegnano nelle scuole pubbliche, dopo avere abbandonato l’abito ecclesiastico (si deve confessare con grande dolore), conducono una vita disonesta. A uno o a due è stata imputata un’altra trasgressione, commessa dopo l’ultima relazione sullo stato della diocesi. Sebbene possa nascere il sospetto che qualche sacerdote violi le norme riguardanti l’applicazione delle messe [pag. 20] manuali, all’ordinario non risulta alcun abuso. Di solito i sacerdoti stanno lontani non solo dai libri, ma anche dai periodici contrari alla religione e alla moralità e quando c’è una grave e legittima causa chiedono la dispensa all’autorità ecclesiastica. Ho detto di solito, perché forse c’è chi legge i giornali cattivi per curiosità. 50. Per provvedere al salutare ravvedimento di coloro che sono caduti, quando non è giovato il richiamo, è stata comminata contro di loro la pena della sospensione a divinis, con l’obbligo di ritirarsi in una casa religiosa per seguire un corso di esercizi spirituali, emendarsi dagli errori della vita passata e riparare lo scandalo. Nell’ultimo quinquennio tre volte ho inflitto la pena ex informata conscientia con buon esito, specialmente nel caso di un ecclesiastico, che candidamente ha confessato la sua colpa e ha dato segni di vera penitenza. In questi casi si segue questo criterio: si infligge la pena quando il reato risulta almeno dalla segreta deposizione di due testimoni degni di fede. Di solito il reato la cui accusa giunge alle orecchie dell’ordinario è contro i buoni costumi. Tenendo conto della malvagità del nostro tempo e della natura del nostro popolo non si può prestare fede facilmente alle accuse; occorre procedere con molta prudenza e fare accurate indagini. 51. Escludendo i sacerdoti che appartengono al capitolo della cattedrale, quasi tutti gli altri in genere hanno a stento di che vivere 198


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onestamente con le elemosine delle messe (di solito provengono da altre regioni), con i proventi degli altri ministeri spirituali o con i benefici ecclesiastici [pag. 21].

CAPITOLO VI – I CAPITOLI DEI CANONICI 52. Nella città di Catania c’è il capitolo dei canonici della cattedrale. È costituito da 5 dignità: priore, cantore, decano, tesoriere e arcidiacono e 7 canonici, fra i quali il teologo e il penitenziere, i cui uffici sono stati istituiti dall’attuale arcivescovo, in conformità ai sacri canoni. 53. I canonici e le dignità sono eletti dall’arcivescovo per le facoltà a lui concesse dal papa Pio V con la bolla Hodie a Nobis del 1568. Il conferimento degli uffici di teologo e penitenziere avviene per concorso, secondo la costituzione di papa Benedetto XIII, Sacramentum Poenitentiae. 54. Ognuno percepisce ogni mese una prebenda che può essere maggiore o minore in relazione all’aumento o alla diminuzione delle rendite del beneficio. Oggi si aggira intorno alle 200 o 300 lire. Queste somme sono amministrate con il criterio della massa comune; oltre a questa c’è un’altra somma che viene erogata dalla mensa vescovile per le distribuzioni quotidiane. L’amministrazione del capitolo non è tenuta a provvedere col proprio reddito alle spese necessarie per la celebrazione della messa conventuale, per la fabbrica e per il culto della chiesa. 55. Il capitolo ha le proprie costituzioni, legittimamente approvate nel 1752, che osserva fedelmente. 56. Il servizio corale è quotidiano e prevede la recita dell’ufficio divino e la celebrazione della messa conventuale, che si canta ogni giorno. Tuttavia i capitolari, per una consuetudine immemorabile, sono obbligati a partecipare al servizio corale a settimane alterne, eccetto le domeniche e le feste, anche quelle abolite, nelle quali tutti intervengono. 57. Non ci sono canonici ad honorem [pag. 22]. 58. Poiché nella diocesi opera il capitolo della cattedrale non c’è il collegio dei consultori. 59. In genere i canonici godono in diocesi di grande stima e fra 199


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di loro e l’ordinario, soprattutto da qualche tempo, c’è la massima concordia. 60. L’arcivescovo non trascura di convocare il capitolo per discutere con loro le questioni di maggiore importanza e chiedere il consiglio o il consenso, secondo le prescrizioni dei sacri canoni, anche se ciò avviene raramente. 61. Quando la sede è vacante il capitolo procede liberamente alla elezione del vicario capitolare. 62. In diocesi esistono altri capitoli di canonici: 1) il capitolo della regia e insigne collegiata della chiesa di Catania intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, eretto motu proprio da papa Eugenio IV nel 1446. È costituito da 4 dignità: prevosto, tesoriere, cantore e decano. I canonici, in seguito alla riduzione del rescritto della Santa Sede del 28 marzo 1910, sono 8, mentre un tempo erano 18. Non c’è l’ufficio del teologo e del penitenziere e l’arcivescovo desidera istituirli a tempo più opportuno. I singoli canonici e le dignità percepiscono una prebenda annuale ma piccola. C’è un’altra prebenda assegnata ad alcuni stalli. Il prevosto percepisce ogni anno la prebenda di L. 337,75; il tesoriere circa L. 90, più o meno secondo la stima data alla quantità di frumento, che per l’unità di misura siciliana è «una salma e quattro tumuli di lordo»; il cantore L. 8,65; il decano L. 359,40. Nel capitolo vige la regola della massa comune. C’è ancora un’altra massa comune di circa L. 2.000 per le distribuzioni relative al servizio corale ed è amministrata in modo distinto dall’altra massa destinata alle spese per la fabbrica e il culto. Le somme necessarie per celebrare la messa conventuale sono desunte dalla distribuzione. Il servizio corale, a norma della bolla di fondazione, non è quotidiano. Si presta nelle domeniche, nelle feste di precetto [pag. 23] e in quelle abolite, nei giorni dell’ottava della festa del Corpus Domini e dell’Immacolata Concezione della B. Maria Vergine, in avvento e quaresima, non escluse le altre solennità della fondazione. Il capitolo ha proprie costituzioni dal 1796 e le osserva. Non ci sono canonici ad honorem. I canonici godono buona fama e non sempre fra alcuni di loro c’è perfetta concordia. 2) Inoltre c’è un capitolo di canonici nella città di Adernò, intitolato a Maria Santissima Assunta, eretto dal vescovo Francesco Caraffa nel 1690. È costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, decano, tesoriere e 8 canonici. Un tempo, secondo il decreto di fondazione, i ca200


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nonici erano 12. Fra di loro c’è il teologo, il cui ufficio è stato istituito dall’attuale arcivescovo nel 1907, secondo le prescrizioni dei sacri canoni, ed è conferito per concorso come avviene nella cattedrale. L’elezione del prevosto e del cantore, secondo il decreto di fondazione, avviene per concorso. Per le altre dignità e i canonici, il capitolo entro otto giorni dalla vacazione del beneficio presenta tre candidati, se non rispetta questo termine perde il diritto alla presentazione e il vescovo può procedere liberamente alla nomina. I canonici hanno una prebenda. Le singole dignità L. 114, i singoli canonici L. 106. Le norme che regolano il servizio corale possono essere desunte dal decreto emesso dall’eminentissimo arcivescovo il 3 dicembre 1910 a nome della S. Congregazione del concilio: «L’intiero asse in L. 3.866,75 delle rendite ordinarie del capitolo sarà diviso così: una parte per costituzione di una messa quotidiana da celebrarsi dai capitolari nella chiesa madre per tutti i benefattori del capitolo e di un’altra da celebrarsi all’alba tutte le domeniche e feste di precetto per gli stessi benefattori. La somma rimanente sarà divisa in due metà: con una si costituiranno le prebende, con l’altra il fondo delle distribuzioni per la recita dell’ufficio in coro [pag. 24]. La recita dell’ufficio in coro va così stabilita: a) ore canoniche, prima, terza, sesta, nona nei giorni di mercoledì e sabato di ogni settimana coll’alternativa, domeniche, feste di precetto e nel giorno dei morti; b) vespero e compieta il sabato di ogni settimana, la vigilia dell’Assunta, di s. Vincenzo M., patrono della città, l’ottavario del Corpus Domini, il giorno di tutti i santi e novena di natale; c) mattutino e lodi la notte di natale; la settimana santa (tenebre), la domenica di pasqua ed il giorno dei morti l’ufficio dei defunti». Il capitolo ha le sue costituzioni dal giorno della fondazione, 1° febbraio 1690, che osserva fedelmente. Non ci sono canonici ad honorem. Sebbene il comportamento morale dei canonici in genere sia buono, a motivo del lungo conflitto con il prevosto hanno perduto non poca stima e autorevolezza presso il popolo. Codesta Congregazione del concilio ha posto fine a quella controversia con la decisione del 1910. 3) Un altro capitolo di canonici si ha nella città di Paternò, intitolato a Santa Maria dell’Alto, eretto dal vescovo Michelangelo Bonadies nel 1670. È costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, tesoriere e decano. Coloro che detengono queste dignità rivendicano dalla fondazione il diritto di esercitare insieme la cura delle anime. Inoltre si hanno 8 canonici, uno dei quali ricopre l’ufficio di teologo. Questo uf201


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ficio, istituito dall’attuale arcivescovo, è conferito per concorso a norma dei sacri canoni. Non c’è penitenziere. La nomina delle dignità e dei canonici un tempo, secondo il decreto di fondazione, spettava al vescovo con la facoltà conferita al capitolo nel caso di vacazione delle dignità di cantore, tesoriere e dei canonicati, di nominare con votazione segreta, entro otto giorni dalla data della vacazione, tre sacerdoti di buona vita, cittadini di Paternò [pag. 25], fra i quali bisognava preferire i laureati in sacra teologia e diritto canonico o civile. I tre nomi venivano presentati entro gli otto giorni predetti allo scopo di sceglierne uno. Se fosse trascorso inutilmente il termine previsto, il vescovo avrebbe potuto procedere liberamente alla nomina. (Non si fa menzione del decanato, perché questa dignità è stata eretta successivamente al decreto di erezione del capitolo). Attualmente il conferimento di queste prebende, su richiesta dello stesso em.mo arcivescovo è stato revocato dalla Santa Sede, e così da alcuni anni le nomine sono state fatte con lettere apostoliche. Secondo il decreto di fondazione la prebenda era stata fissata in ragione di once 15 (L. 195,25) per ogni dignità e once 12 (L. 165,75) per ogni canonico. Ma oggi, dopo le leggi eversive dello Stato, il numero dei canonici con l’approvazione dell’arcivescovo è stato diminuito e la prebenda è stata aumentata in ragione di L. 450 per i singoli canonici e L. 488,25 per le dignità. È stata anche stabilita una quota equa per le distribuzioni. Per quanto riguarda il culto e la fabbrica della chiesa, il predetto decreto ha stabilito once 74 (L. 943,50), che in futuro dovranno essere pagate interamente e in caso di diminuzione devono essere integrate in proporzione dai canonici. Tutti i proventi e le rendite del capitolo, che costituiscono una sola massa comune, sono amministrati dal procuratore del capitolo, eletto dallo stesso. Il depositario paga le tre voci di spesa: soddisfazione degli oneri di messe, prebende e distribuzioni, fabbrica e culto della chiesa. Il capitolo dalla sua fondazione ha le proprie costituzioni che osserva fedelmente. Il servizio corale è svolto in tutte le domeniche e giorni festivi di precetto, nella settimana santa, nei venerdì del mese di marzo [pag. 26] e in tutta l’ottava del Corpus Domini. È prevista l’intera recita delle ore canoniche e le consuete processioni, non esclusa quella che si fa la terza domenica di ogni mese. La messa conventuale solenne, secondo il decreto di fondazione, è celebrata dalle dignità nelle feste principali e dai canonici a turno nelle altre domeniche. La stima del popolo per i canonici non 202


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è molta, anche se in genere si può affermare che sono di buoni costumi. Questo è dovuto al ricordo di alcuni loro predecessori che hanno dato cattivo esempio e soprattutto ai dissidi sorti all’interno del capitolo. Per porre termine a questa situazione si è rivelato un utile rimedio il decreto pontificio del 1911, che privò i canonici del diritto di presentare i candidati alle prebende canonicali vacanti. 4) Similmente c’è un capitolo di canonici nel comune di Nicolosi, intitolato allo Spirito Santo, eretto dal vescovo Pietro Galletti nel 1737. Per la mancanza di clero oggi è costituito dalla dignità del cantore e da tre canonici solamente. Secondo il decreto di fondazione dovrebbe essere formato da 3 dignità: prevosto, cantore, tesoriere e da 10 canonici. La prima dignità è nominata liberamente dall’ordinario; per tutti gli altri, dignità e canonici, entro otto giorni dalla vacazione il capitolo propone tre candidati; se trascorrono inutilmente, il diritto di nomina passa all’arcivescovo. I singoli canonici godono di una esigua prebenda. Negli atti di fondazione si legge: «E perché si sappia quanto siano le prebende e distribuzioni toccanti a ciascuno dei capitolari, in virtù dei presenti capitoli, si stabilisce che dagli introiti e frutti di detta chiesa matrice si diano al prevosto once otto (L. 102) ogni anno; al cantore e tesoriere onze sei (L. 76,50) per uno; ad otto dei dieci canonici onze quattro (L. 51) per uno; e agli due li quali occuperanno gli ultimi stalli onze due e tarì quindici (L. 31,87) per ognuno. Dei quali suddetti proventi spettanti alle suddette dignità [pag. 27] e canonici si devono considerare la terza parte di ogni porzione per ragione di prebenda e le due altre parti per ragione delle distribuzioni, soggette alle falte correspondenti all’obbligo che hanno del servizio della Chiesa». Ciò che rimane dalle prebende e dalle distribuzioni si spende per la messa conventuale, il culto, la fabbrica e le altre spese, delle quali si occupa solamente l’amministrazione della chiesa. Il capitolo dalla sua fondazione ha le proprie costituzioni che osserva. Il servizio corale non è quotidiano ma a intervalli. Ecco cosa prevede il decreto di fondazione: «I capitolari saranno obbligati tutti i giorni festivi recitare l’officio in coro, cominciando dal primo vespro, a cantare le messe nelle feste di precetto, ottava della natività, tutta la settimana santa, venerdì di marzo, tutta la ottava di pasqua, festa di pentecoste ed ottava del Corpus Domini ed in altri giorni destinandi dal prevosto». Tutti questi canonici dovrebbero avere maggiore pietà e zelo per godere della piena stima del popolo. 203


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5) A Biancavilla c’è un altro capitolo di canonici intitolato a Santa Maria dell’Elemosina, eretto il 26 settembre 1746 dal vescovo Pietro Galletti. È costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, tesoriere, decano e da 7 canonici. Il decreto di fondazione prevedeva 3 dignità e 12 canonici. L’elezione del prevosto avviene mediante una terna presentata dal capitolo e l’esame del vescovo. Per le altre dignità e i canonici il capitolo presenta tre candidati entro otto giorni dalla vacazione della prebenda. Se entro il tempo stabilito il capitolo non ha fatto alcuna presentazione, il diritto di nomina passa alla libera decisione dell’arcivescovo. Al capitolo spetta la cura abituale delle anime. Il suo esercizio è conferito alle singole dignità, ai canonici e ai mansionari a turni settimanali. Un tempo le singole dignità e i canonici avevano una prebenda [pag. 28] di once 6 (L. 76,50). Oggi dopo le leggi eversive dello Stato, ricevono solamente esigue distribuzioni per la recita delle ore canoniche e per le sacre funzioni, che si celebrano nelle feste più importanti dell’anno; ad ognuno vengono pagate L. 60. In genere godono tutti buona fama presso il popolo e svolgono il proprio ufficio con diligenza. 6) Un altro capitolo di canonici, intitolato all’Immacolata Concezione della Beata Maria Vergine, è stato istituito a Belpasso dal vescovo Andrea Riggio nel 1710 durante la visita pastorale. Questo capitolo è costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, tesoriere, decano e da 12 canonici. Attualmente manca il prevosto e per mancanza di sacerdoti si contano solo 5 canonici. Per la nomina delle dignità e dei canonici, ad eccezione del prevosto, la cui nomina spetta al vescovo, il capitolo entro otto giorni dalla vacazione delle prebende, secondo la prassi comune, presenta tre candidati; se non rispetta questo termine perde ogni diritto e l’ordinario può procedere liberamente alla nomina. Tutti hanno una qualche prebenda di minima consistenza. Il prevosto L. 51, le altre singole dignità L. 38,25, i canonici L. 12,17. Inoltre percepiscono distribuzioni di poco conto, desunte dai beni parrocchiali, con i quali si affrontano le spese per la messa conventuale, per la fabbrica e il culto della chiesa. Il capitolo dalla fondazione ha le sue costituzioni, che un tempo osservava; successivamente per delle difficoltà di varia natura è stato poco fedele nella loro osservanza. Non c’è un servizio corale quotidiano; secondo il decreto di fondazione si svolge soltanto nelle domeniche, nelle feste doppie di prima classe e nelle feste abolite, con la recita dell’intero ufficio divino e della mes204


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sa conventuale dopo l’ora di terza. Inoltre tutti i canonici sono obbligati a partecipare al coro: a) nei dodici sabati prima della festa dell’Immacolata Concezione della Beata Maria Vergine [pag. 29]; b) nella novena di natale, in cui i capitolari devono assistere anche alle funzioni vespertine; c) nelle funzioni di s. Lucia V. M.; d) nei venerdì e sabati di quaresima; e) tutti i giorni della settimana santa; f) nell’ottava del Corpus Domini; g) nei giorni di s. Marco e delle rogazioni. Poiché non tutti i capitolari si distinguono per scienza, pietà e zelo, la fama che hanno presso il popolo è mediocre. 7) Infine c’è un capitolo nel comune di Viagrande, intitolato a San Biagio martire, fondato dal vescovo Gabriele Gravina il 12 dicembre 1817. Questo capitolo è costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, decano, tesoriere e, per la mancanza di sacerdoti, solo di 2 canonici, mentre per il decreto di fondazione dovrebbero essere 8. Non c’è né il teologo né il penitenziere, che oltretutto mancano anche nelle altre collegiate. Per la nomina delle dignità e dei canonici gli stessi capitolari, entro otto giorni dalla vacazione presentano al vescovo tre chierici perché a uno di loro dia l’istituzione canonica. Trascorsi inutilmente gli otto giorni, la nomina compete alla libera decisione dell’ordinario. Ognuno di loro gode di una piccola prebenda di L. 38,25 e le distribuzioni quotidiane che ammontano a L. 76,50. Il capitolo dalla fondazione ha le sue costituzioni che osserva. Il servizio corale non è quotidiano. Si svolge nelle domeniche e feste di doppio precetto con la messa conventuale. Nelle feste doppie di prima classe si recita tutto l’ufficio divino dai primi fino ai secondi vespri. Nelle domeniche e nelle altre feste senza mattutino, lodi e prima. Inoltre c’è servizio corale nei giorni dell’esposizione delle quarantore, che si tiene [pag. 30] nella chiesa collegiata durante la settimana santa, la cui solennità si celebra nella stessa chiesa parrocchiale, nell’ottava del Corpus Domini, nella festa del santo patrono e titolare della stessa collegiata, nelle ceneri, nella commemorazione dei fedeli defunti e nell’anniversario della dedicazione della chiesa. Tutti questi canonici a ragione godono di buona stima nel popolo.

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CAPITOLO VII – LE PARROCCHIE E I LORO RETTORI 63. Anzitutto bisogna far notare che in questa nostra diocesi non sono mai esistite vere parrocchie canonicamente erette, se si escludono le due di Bronte e di Trecastagni. Sebbene nel 1554 il vescovo Nicola Caracciolo, rientrando dal Concilio di Trento, avesse voluto eseguire un decreto su questo argomento, il senato catanese di quel tempo si oppose. Pertanto è rimasto l’antico ordinamento della Chiesa primitiva: il vescovo unico parroco di tutta la diocesi — come si asserisce — delega alcuni presbiteri nelle singole chiese curate, che in suo nome e autorità esercitano la cura delle anime. Tutte le chiese curate sono provviste del loro rettore. Solo a Santa Maria di Licodia, poiché dei 4 sacerdoti esistenti, nessuno a motivo dell’età o della idoneità è ritenuto degno di essere preposto agli altri, nell’amministrazione dei sacramenti e in genere nel ministero parrocchiale sono soggetti al vicino vicario curato di Biancavilla. Questa situazione comporta certamente degli inconvenienti, ma si ritenne inevitabile fare una eccezione dinanzi ad una necessità [pag. 31] per evitare mali maggiori. 64. Tenendo conto di quanto abbiamo detto sopra, è ovvio che la provvista delle parrocchie viene fatta dall’arcivescovo senza concorso. Fanno eccezione le due predette parrocchie di Bronte e di Trecastagni, per le quali si indice il concorso. Ai candidati si pongono quesiti di teologia dogmatica e morale e si chiede loro di stendere un’omelia sui Vangeli; i concorrenti rispondono in scritto e oralmente agli esaminatori sinodali, che esprimono un giudizio sulla loro idoneità. Fra di loro l’arcivescovo nomina quello che, dopo aver vagliato tutte le circostanze, ritiene dinanzi a Dio il più degno. Sono sottoposte ad un esame analogo, a norma del decreto vescovile di fondazione, le persone che bisogna scegliere fra i tre nomi presentati dai capitoli di Adernò, Biancavilla e Paternò. 65. Ad esclusione di questi ultimi, tutti gli altri cappellani curati sono amovibili a discrezione del vescovo. 66. In questa diocesi non si hanno parrocchie affidate alle congregazioni religiose. Tuttavia è intenzione dell’arcivescovo, se Dio vorrà, di affidare ai gesuiti e ai salesiani alcune nuove parrocchie da erigere nella città, così necessarie, per il notevole incremento degli abitanti. 67. Tre collegiate: Adernò, Biancavilla e Paternò, sostengono, e non a torto se considerano il decreto di fondazione del vescovo, che a 206


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loro non solo è stata affidata la cura abituale delle anime, ma che possono esercitarla successivamente, a turni settimanali oppure, quel che è peggio, tutti insieme. Tutto questo deve essere corretto, come spero, con il ricorso alle norme giuridiche, cogliendo lo spunto dalla prossima promulgazione del nuovo codice ecclesiastico. 68. In diocesi non esistono parrocchie soggette al diritto di patronato. 69. Le offerte, a dire il vero molto modeste, che i pastori d’anime sogliono ricevere per l’amministrazione dei sacramenti, i funerali, la celebrazione delle messe solenni [pag. 32], i certificati, le pubblicazioni matrimoniali sono confermate da una certa prassi ininterrotta. In questa materia però si auspica la promulgazione di una regola che, nella situazione in cui ci troviamo, meglio garantisca la dignità e le necessità dei pastori d’anime. Poiché sembra che questo non si possa ottenere nelle conferenze episcopali, sarebbe desiderabile che venga stabilito con decreto del vescovo da sottoporre all’approvazione della Sede Apostolica. Generalmente non si riscontrano proteste o gravi inconvenienti a motivo delle tariffe parrocchiali troppo onerose oppure per l’intransigenza di coloro che le richiedono, quanto per la mancanza di uniformità dei criteri adottati. 70. I pastori d’anime, non essendo veri parroci, non godono di alcuna prebenda oppure ne hanno una molto piccola. Nella città di Catania ricevono qualcosa: dalla somma di L. 8.325 che questa mensa vescovile è tenuta a pagare ogni anno alle 13 parrocchie più antiche, dalle rendite proprie di alcune chiese e dai frutti di stola. Nelle rimanenti chiese curate o non c’è alcuna dote di beneficio o si può contare solamente su rendite non certamente abbondanti, se ci sono. Questa è una delle cause che rende difficile il governo di questa diocesi, soprattutto in tempi così avversi come i nostri. Ci sono chiese parrocchiali che posseggono beni immobili e perlopiù canoni enfiteutici. I beni immobili sogliono essere dati in locazione. L’amministrazione è affidata a un sacerdote, come procuratore dell’arcivescovo, che presenta ogni anno il rendiconto delle entrate e delle uscite alla commissione istituita a questo scopo, che, sotto la vigilanza dell’ordinario, esamina tutto e dà le opportune risposte. In tal modo si bada, nel modo migliore possibile, a conservare il patrimonio delle chiese parrocchiali [pag. 33]. Da quanto si è detto, appare evidente che i curati dai beni ecclesiastici ricevono appena quel che basta per un one207


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sto sostentamento e ciò che occorre per la cura delle anime e le sacre funzioni, tanto più che le offerte dei fedeli non sono generose. 71. Di solito accanto alle chiese parrocchiali c’è la casa canonica, dove nella città i pastori d’anime dimorano con qualche membro della loro famiglia. Nelle altre parrocchie della diocesi sogliono vivere a casa propria, in modo da adibire la canonica per ospitare i predicatori forestieri invitati durante la quaresima o in altre occasioni. Sebbene si faccia di tutto per convincere questi pastori d’anime a fare vita comune con i propri collaboratori, diversi ostacoli impediscono la facile attuazione di questa prassi: al riguardo c’è una lunga consuetudine contraria, le risorse sono limitate e le case non sono spaziose per accogliere comodamente più persone. 72. C’è un decreto che proibisce severamente ai pastori d’anime di avere in casa propria, a motivo di servizio o per qualsiasi altro pretesto, non solo giovani donne, ma anche più persone della propria famiglia. La convivenza è consentita solamente alle persone strettamente necessarie al servizio e del cui buon comportamento morale si è certi. 73. Nelle singole parrocchie si conservano i libri parrocchiali dove secondo le norme canoniche si annota ciò che attiene al battesimo, al matrimonio e alla morte dei fedeli. Per quanto riguarda il matrimonio in particolare si osserva la legge che obbliga di annotare nel libro dei battezzati, accanto al nome dei singoli, l’avvenuto matrimonio. Ci sono anche i libri dei cresimati e gli elenchi o registri delle messe fondate e manuali; in genere sono scritti e conservati con diligenza. Il registro dello stato d’anime non c’è in tutte le chiese per l’eccessiva vastità di molte circoscrizioni parrocchiali e per la mancanza di collaboratori disposti a svolgere questo lavoro [pag. 34]. 74. A motivo del particolare ordinamento che, come abbiamo già detto, vige in questa diocesi, l’archivio, diviso in due parti, pubblico e segreto, a Catania non si trova nelle singole parrocchie ma è custodito nella cancelleria della curia arcivescovile, negli altri comuni nelle parrocchie. 75. I pastori d’anime osservano l’obbligo della residenza. 76. Poiché in questa diocesi i pastori d’anime, come ho detto sopra, non sono parroci propriamente detti, ma delegati dall’arcivescovo e amovibili a sua discrezione, mai nei giorni festivi applicano la messa per il popolo. In genere celebrano con zelo e con frutto le funzioni proprie per la santificazione del giorno festivo. Da qualche tempo quasi 208


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tutti spiegano il Vangelo e impartiscono ai bambini e agli adulti la catechesi; per ottenere il maggior frutto possibile da questo ministero così importante, dall’autorità ecclesiastica sono esortati a servirsi di un metodo che si adegui alle capacità di comprensione del popolo. 77. In genere sono solleciti nell’ascolto delle confessioni, nella distribuzione dell’Eucaristia e nell’assistenza agli infermi; tuttavia in un caso o nell’altro può succedere qualche inconveniente e ci può essere qualche lagnanza. 78. A meno che in qualche caso particolare non ci sia una grave e giusta causa, amministrano il battesimo e celebrano il matrimonio in chiesa, osservando le cerimonie previste dal Rituale romano. 79. I fedeli che notoriamente fanno parte delle società segrete o per qualsiasi altro motivo vivono fuori dalla Chiesa non sono ammessi ai sacramenti se li chiedono in punto di morte, a meno che non abiurano o non rilasciano una pubblica dichiarazione. I pastori d’anime, nonostante la richiesta dei familiari, negano la sepoltura ecclesiastica a coloro che in modo certo e notorio muoiono fuori dal seno della Chiesa. Nei casi controversi ricorrono all’ordinario. 80. Per l’ammissione dei bambini alla prima comunione si osserva la regola stabilita dal catechismo del Concilio di Trento: i bambini [pag. 35] che a giudizio del proprio confessore e dei parenti sono giunti a una sufficiente discrezione, non devono essere impediti o tenuti lontani per lungo tempo dalla sacra mensa, soprattutto dopo il decreto emanato su questa materia dalla S. Congregazione del concilio. 81. Tutti i pastori d’anime, anche se non con lo stesso zelo, si impegnano a rafforzare nella fede i propri fedeli, li esortano ad accostarsi con frequenza alla confessione, in particolare alla comunione quotidiana, e a mantenere con purità una condotta di vita cristiana. A tal fine, oltre le consuete mansioni del proprio ministero: a) alcune volte durante l’anno nei giorni più solenni, nella quaresima, nel mese di maggio o per la festa di un santo, invitano un predicatore e un confessore straordinario; b) ogni anno, soprattutto nel periodo quaresimale, curano di tenere in chiesa le sacre missioni; c) celebrano e raccomandano ai propri fedeli le devozioni approvate dalla Chiesa, come l’esposizione del ss. Sacramento, la via crucis, il rosario, il mese mariano ed altri pii esercizi analoghi, che si praticano più o meno nella diocesi; d) fanno di tutto per incoraggiare i ragazzi, le ragazze e i fedeli adulti a iscriversi alle pie unioni, ai patronati, alle società e alle 209


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associazioni cattoliche; e) soprattutto i pastori d’anime più giovani con prudenza fondano o almeno incoraggiano, dov’è possibile, le opere sociali che sono favorevoli alla Chiesa cattolica. Tuttavia bisogna confessare che dalle nostre parti si incontrano molte difficoltà per fondare e dirigere società di questo genere [pag. 36].

CAPITOLO VIII – ART. I – IL SEMINARIO DIOCESANO 82. L’antico edificio del seminario, fondato subito dopo il Concilio di Trento, in seguito all’immane terremoto del 1693 andò distrutto e poco dopo ne fu costruito uno nuovo dalla munificenza del vescovo Andrea Riggio. Questo edificio nell’anno della rivoluzione del 1848 fu occupato dalle regie milizie e sebbene in seguito l’autorità ecclesiastica lo abbia reclamato, mai ha potuto ottenere la sua restituzione. Dopo di che fu necessario adattare nel modo migliore possibile alcuni locali propri, abbastanza ampi, annessi allo stesso seminario. Può ospitare circa 100 alunni. Anche se è ben esposto a mezzogiorno e vicino al mare, per la distribuzione delle parti interne e per i suoi spazi limitati non è conforme alle norme disciplinari e igieniche; inoltre dispone solamente di un cortile per la ricreazione. Di recente sono stati fatti degli adattamenti e di più ancora se ne faranno l’anno prossimo, se Dio lo permetterà. Fino ad oggi c’è un solo seminario diocesano. In diocesi ci sono 2 case nelle quali si accolgono anche bambini, chiamati “aspiranti allo stato clericale”. Sono di grande utilità per discernere e favorire le vocazioni sacerdotali. 83. Gli introiti e gli esiti del seminario possono essere desunti da questa nota dello scorso anno: «Rendite patrimoniali 1. Corpi redditizii ................................... L. 36.973,65 2. Rendita sul Debito pubblico ............ L. 1.999,48 3. Censi e rendite varie .......................... L. 672,24 4. Canoni enfiteutici ............................... L. 6.038,10 [pag. 37] 5. Tassa sui beneficii ............................... L. 1.060,10 6. Interessi di somme in deposito ......... L. 9, 55 ____________ L. 46.733,12 Spese patrimoniali. 210


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1. Tasse per terreni, fabbricati e ricchezza mobile.. L. 7.031,61 2. Idem manomorta ................................................. L. 487,47 3. Manutenzione dei fabbricati e riparazioni straordinarie ......................................................... L. 4.321,40 4. Canoni e rendite passive ..................................... L. 1.862,84 5. Assicurazione contro l’incendi ........................... L. 45,73 ____________ L. 13.749,05». Bisogna tuttavia tener presente che queste rendite patrimoniali diminuiranno di molto per la prossima vendita, imposta per legge dal governo, delle botteghe che si trovano nella parte antica dell’edificio e non erano più adibite ad abitazione dei chierici. Si spera in una forma di compensazione dalla vendita di un terreno, che a nome del seminario ha acquisito l’attuale eminentissimo arcivescovo. Gli alunni pagano la retta annua di L. 480. I poveri sono aiutati dallo stesso arcivescovo, da alcuni benefattori e mediante le offerte delle messe binate con il permesso della Santa Sede. 84. Rettore del seminario è don Giovanni Jacono, canonico della chiesa cattedrale, che ha come aiuto nella direzione un sacerdote del clero secolare chiamato “ministro di disciplina”. L’anno prossimo, se Dio vorrà, sarà nominato un vice rettore, che sarà anche prefetto degli studi. Tutti costoro adempiono con diligenza l’ufficio loro affidato e formano gli alunni nella disciplina e nella pietà. 85. Il maestro di spirito o direttore spirituale è il rev. p. {Stefano} Alessi della Compagnia di Gesù. Oltre la sua persona, c’è un numero abbastanza ampio di altri confessori [pag. 38]. 86. Secondo le prescrizioni del Concilio di Trento ci sono 2 consiglieri per la disciplina e 4 per l’economia, ai quali l’ordinario chiede consiglio nei casi previsti dal diritto. 87. Vivono in seminario solo i docenti del corso di teologia; gli altri dimorano altrove. Non c’è nessuna osservazione da fare sulla loro idoneità, sulla pietà e sul comportamento, anzi quasi tutti sono meritevoli di lode. 88. In atto vivono in seminario 78 alunni interni; gli esterni sono 48. Questi ultimi, che non possono pagare la retta perché poveri, sebbene di notte e per poche ore del giorno rimangano presso la loro famiglia, tuttavia trascorrono la maggiore parte del giorno in seminario sotto la disciplina dei loro superiori, ma sono separati dagli altri chieri211


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ci. È vivo il desiderio e l’impegno di sopprimere questo esternato quando le condizioni lo permetteranno. Si è molto attenti a far risiedere questi seminaristi per un lungo periodo di tempo in seminario prima dell’ordinazione. Non vengono mai accolti bambini che non vogliono avviarsi allo stato ecclesiastico. Si permette a 3 seminaristi di vivere nel seminario di Acireale per motivi di salute. Nel nostro seminario sono accolti 2 alunni della diocesi di Caltagirone, 1 della diocesi di Acireale, 1 di Patti e 4 di Nicosia perché hanno parenti a Catania. La loro ammissione è stata regolarmente chiesta o concessa dai loro ordinari. 89. Poiché fino ad oggi c’è un solo edificio per accogliere tutti i chierici, è necessario far vivere sotto lo stesso tetto i grandi con i piccoli. Si spera di evitare questo inconveniente quando si costruirà in un luogo più idoneo un nuovo edificio. Intanto si fa ricorso ad alcuni accorgimenti, per quanto è possibile, in modo che gli uni siano distinti dagli altri per essere formati mediante una disciplina più adatta alla loro età. 90. La pietà e la disciplina sono alimentate con ogni impegno in seminario mediante le regole prescritte dalla Santa Sede. Gli alunni [pag. 39] una volta la settimana si accostano al tribunale della penitenza e quasi ogni giorno ricevono la comunione eucaristica. Ogni anno prima dell’inizio del corso di studi, per otto giorni interi, tutti, interni ed esterni, nel seminario di villeggiatura fanno gli esercizi spirituali secondo il metodo di s. Ignazio; perciò in quel periodo sono occupati solamente a meditare in silenzio sulle verità eterne. Per promuovere con maggiore efficacia la pietà, la disciplina e lo studio, oltre le premiazioni trimestrali e annuali, dall’em.mo arcivescovo viene conferito il premio o borsa di studio di L. 480 all’alunno di ogni corso che viene considerato primo fra tutti per pietà e studio. 91. Gli studi di filosofia si svolgono in tre anni, quelli di teologia in quattro, secondo le prescrizioni della Santa Sede. I professori e gli studenti adoperano la lingua latina e seguono il metodo scolastico secondo l’indirizzo di s. Tommaso d’Aquino. Il manuale di teologia dogmatica è il compendio del Pesch30, di teologia morale il Noldin31, di filo-

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C. PESCH S.I., Praelectiones dogmaticae, 4 voll., Friburgi Brisgoviae 1913-

31

H. NOLDIN, Summa theologiae moralis, 3 voll., Oeniponte 1897.

1914.

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sofia Farges-Barbedette32. Oltre queste discipline si insegnano: diritto canonico, patrologia, storia ecclesiastica, princìpi di sacra eloquenza, Sacra Scrittura, lingua ebraica e greco biblico. Gli studi umanistici di italiano e di latino sono così approfonditi che i giovani sono pronti ad affrontare l’esame di Stato per conseguire il diploma. Tutti i chierici sono attentamente istruiti nelle sacre cerimonie e nel canto liturgico. 92. È proibita ai seminaristi la lettura di libri e di periodici che, sebbene non pericolosi, sarebbero causa di distrazione dagli studi. Solo agli ordinati in sacris si permette la lettura del periodico La Civiltà Cattolica. 93. L’ordinario spesso visita il seminario e ascolta gli alunni per rendersi conto personalmente del loro progresso nella pietà e negli studi. 94. Per la promozione agli ordini sacri si segue questo iter: i superiori, dopo che i candidati hanno presentato la domanda al rettore, la valutano singolarmente [pag. 40] per esprimere in segreto il proprio giudizio sulla loro pietà e idoneità; segue lo scrutinio, in cui l’ordinario prende in esame le domande assieme ai superiori e pronunzia il giudizio definitivo. Ad ogni ordinazione si premettono gli esercizi spirituali per la durata di dieci giorni. Solitamente per motivi ben ponderati dall’ordinario non si dispensa dalla legge degli interstizi. I chierici, a meno che non ci sia la dispensa della Santa Sede per i casi particolari e molto rari, sono ordinati con il titolo del sacro patrimonio. 95. Dall’ultimo quinquennio in seminario non è accaduto nulla degno di nota. 96. La diocesi possiede un’ottima casa di villeggiatura per il seminario, dove tutti gli alunni durante le ferie si riuniscono, cioè nei mesi di settembre e ottobre. Si concede loro il permesso di ritornare in famiglia solo per dieci giorni in ginnasio e in liceo, per trenta a coloro che seguono il corso teologico. Costoro sono affidati alle cure e alla vigilanza del rispettivo vicario o di qualche buon sacerdote, che li riunisce ogni giorno per ascoltare la messa, per fare gli esercizi di pietà, per andare a passeggio, ecc.; alla fine informa l’ordinario sul loro comportamento.

32 A. FARGES – D. BARBEDETTE, Philosophia scholastica ad mentem S. Thomae Aquinatis exposita et recentioribus scientiarum inventis aptata, 2 voll., Parisiis 1903.

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97. L’eminentissimo arcivescovo, dopo avere assunto il governo della diocesi, si è adoperato a proprie spese perché i chierici più promettenti continuassero gli studi nelle università di Roma o di Lovanio per conseguirvi i titoli accademici. 98. A nessuno prima dell’ordinazione sacerdotale è stato ancora dato il permesso di frequentare le pubbliche università civili. 99. I chierici costretti al servizio militare sono raccomandati all’ordinario e al rettore del seminario del luogo in cui sono inviati. Quando hanno finito il servizio, prima del loro rientro in seminario, si chiedono le attestazioni sul loro onesto comportamento e dopo un attento esame sono promossi agli ordini. 100. In diocesi si osserva fermamente il principio di non ammettere in seminario [pag. 41] coloro che sono stati mandati via da altri seminari o da istituti religiosi.

ART. II – IL SEMINARIO INTERDIOCESANO O REGIONALE 101. Codesta Congregazione sa bene ciò che è stato fatto fino ad oggi per erigere nella Sicilia orientale il seminario interdiocesano e ciò che si spera di fare, quando finirà questa immane guerra che tutto sconvolge.

CAPITOLO IX – GLI ISTITUTI RELIGIOSI MASCHILI 102. I religiosi in genere osservano la vita comune e qualcuno, con il permesso della Santa Sede, vive in una casa privata. Ognuno indossa l’abito del proprio ordine. Si mantengono, non senza qualche difficoltà, o con le risorse della comunità o con le intenzioni di messe e le offerte dei fedeli. Di loro godono buona fama i gesuiti, i salesiani, i missionari di San Vincenzo dei Paoli e i fratelli delle scuole cristiane. Non si può dire la stessa cosa di tutti33 quelli che appartengono agli altri ordini religiosi. Risiedono in diocesi 3 ecclesiastici, che han-

33

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Sottolineato nel testo originale.


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no ricevuto gli ordini maggiori, un tempo erano religiosi e oggi non sono incardinati in nessuna Chiesa, perché dimessi dai loro superiori prima di aver trovato un vescovo benevolo ad accoglierli. Il loro comportamento è buono [pag. 42]. 103. Alcuni religiosi sono impegnati a promuovere il culto divino e a svolgere il ministero della predicazione e della confessione nelle loro chiese o altrove con frutto e con grandissima soddisfazione e lode dei fedeli. I salesiani e i fratelli delle scuole cristiane invece operano egregiamente per l’istruzione e la formazione cristiana dei giovani. Nessuno di loro fino ad oggi esercita la cura delle anime in parrocchie loro affidate. L’eminentissimo arcivescovo ha in mente di affidare, se Dio vorrà, ai gesuiti e ai salesiani due nuove parrocchie, che necessariamente dovranno essere erette nella città di Catania. 104. Sono presenti in diocesi religiosi questuanti: i minori osservanti e i cappuccini, che osservano i decreti della Santa Sede su questa materia; perciò fino ad oggi non si è avuto alcun inconveniente. 105. Da parte dei religiosi non è stato recato alcun pregiudizio alla giurisdizione dell’arcivescovo sia propria, sia a lui delegata dal diritto. 106. Non esistono congregazioni di diritto diocesano.

CAPITOLO X – GLI ISTITUTI RELIGIOSI FEMMINILI 107. Le donne degli istituti religiosi che qui ancora esistono, in genere si comportano in modo da essere per i fedeli di grandissimo esempio. Se c’è stato qualche abuso, le superiore hanno provveduto subito a eliminarlo. Non esiste in diocesi un monastero femminile soggetto all’autorità di prelati religiosi [pag. 43]. 108. In tema di clausura, che nei nostri monasteri è vescovile per le facoltà concesse dalla Santa Sede, si osservano le norme canoniche, per quanto è possibile in luoghi soggetti ingiustamente alle autorità civili. 109. Dei pochi monasteri superstiti dopo le leggi eversive, due non hanno quasi nulla da amministrare, ad eccezione delle pensioni vitalizie pagate dallo Stato. Non esiste più alcun noviziato che permetta alle comunità di rinnovarsi. La modesta somma conservata nella cassa diocesana, che solo due monasteri posseggono, non è tale che possa consentire la costruzione di un edificio proprio, in cui accoglie215


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re le nuove monache e garantire loro un alloggio sicuro, quando verranno meno le vecchie professe censite dallo Stato. C’è solo il monastero San Benedetto, il cui edificio abbastanza spazioso è stato recuperato da pochi anni dall’arcivescovo. In esso vive una nuova comunità di monache, i cui redditi sono amministrati dall’autorità ecclesiastica. Le doti, che alcune monache, non tutte, hanno pagato sono investite e amministrate dalla priora, che è obbligata a dar conto della sua amministrazione solo all’ordinario. 110. In quest’ultimo monastero, in cui c’è una vera comunità religiosa, quanto alla confessione sono scrupolosamente osservate le costituzioni e i decreti apostolici. Sugli altri singoli monasteri, nei quali ormai restano solo una o due monache già avanti negli anni, non c’è nulla da dire. 111. Le religiose di vita attiva o assistono gli ammalati negli ospedali, come le figlie della carità, di Sant’Anna e le piccole suore dei poveri, o si occupano dell’educazione cristiana delle ragazze di qualsiasi ceto, come le stesse figlie della carità, le figlie di Sant’Anna, di Maria Ausiliatrice e le suore del patrocinio di San Giuseppe. Le stesse suore svolgono entrambe le attività con buono spirito, con grandissima utilità dei fedeli e edificazione della Chiesa [pag. 44]. 112. In diocesi non ci sono religiose che servono nella case private o fanno la questua ad eccezione delle piccole suore dei poveri. 113. Non si hanno istituti di diritto diocesano.

CAPITOLO XI – IL POPOLO IN GENERE 114. Com’è stato già detto all’inizio di questa relazione, sebbene qui il popolo conservi la fede cristiana, nella maggior parte di esso, specialmente se consideriamo la città e gli uomini, i costumi sono corrotti e si sono diffuse soprattutto l’immoralità e le bestemmie. 115. In città, non nelle altre parti della diocesi, sono molti coloro che nelle domeniche e nelle feste non si astengono dai lavori servili e non ascoltano la messa. Non c’è molta differenza, quanto all’osservanza del precetto festivo, con gli altri comuni della diocesi. 116. Lo stesso deve affermarsi a proposito dei precetti dell’astinenza, del digiuno e della comunione pasquale. 117. Da qualche tempo si nota un uso più frequente della con216


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fessione sacramentale e della comunione, ma nelle donne e nei ragazzi di qualsiasi condizione, non negli uomini. 118. Solitamente i genitori sono solleciti a far battezzare i bambini almeno entro una settimana dalla nascita; ma sono molti coloro — specialmente nel ceto civile — che in misura maggiore o minore lo differiscono; pochi lo trascurano, rarissimi quelli che proibiscono l’amministrazione del battesimo. 119. I matrimoni solo civili o concubinati sono molti [pag. 45], e si verificano con maggiore frequenza in città più che negli altri comuni della diocesi, soprattutto i piccoli. Contro la santità del matrimonio sono due i principali abusi che si riscontrano: l’adulterio e l’onanismo. 120. Rarissimi sono da noi i matrimoni misti; quando se ne celebra qualcuno che riguarda uno straniero, si procede con la licenza della Santa Sede e a condizione di educare i figli nella fede cattolica. 121. I genitori in genere non dimostrano grande interesse a insegnare ai proprio figli i comportamenti cristiani, non solo all’interno della famiglia, ma anche fuori, soprattutto nelle scuole. 122. Quasi tutti i fedeli gravemente malati chiedono gli ultimi sacramenti. Sono pochi i funerali civili che si celebrano a motivo della mancanza di fede nel defunto o della sua appartenenza politica o massonica. 123. Nell’esercizio dei diritti politici e civili sono pochi coloro che nella vita e nelle scelte si orientano verso le persone che hanno a cuore la religione e la libertà della Chiesa. 124. Anche a Catania ci sono le sette segrete della massoneria, che hanno fatto adepti pure in alcuni comuni della diocesi. Operano associazioni che si dicono socialiste; coloro che ne fanno parte più che da errore sono stati spinti dall’interesse. Si spiega perciò perché facilmente hanno successo e progrediscono. Si è anche affermata la prassi dello spiritismo. Non disponiamo di facili ed efficaci rimedi per convincere i fedeli a stare lontani da queste associazioni a motivo delle avverse circostanze di tempo in cui miseramente ci troviamo; pertanto i progressi che si ottengono non sono pari ai bisogni, nonostante si facciano molti sforzi sia nell’esercizio del ministero ecclesiastico, sia nelle associazioni cattoliche [pag. 46].

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CAPITOLO XII – L’ISTRUZIONE E L’EDUCAZIONE DEI GIOVANI 125. Il principio generale che regola in diocesi l’istruzione e l’educazione dei figli secondo la prassi e le leggi civili è questo: dipende totalmente dal potere dello Stato, che contro le sacre competenze della Chiesa e il diritto dei genitori cattolici frappone molti ostacoli all’educazione cristiana dei giovani. Per rimuovere questi ostacoli sarebbe necessaria un’azione comune, costante e veramente efficace dei genitori di tutta la nazione, che rivendicassero il diritto/dovere naturale ed inviolabile di educare i figli, come dovrebbero. Da noi, per quanto è possibile, si contrappone il rimedio delle scuole private, dirette dai religiosi dei due sessi, per educare i ragazzi e i giovani studenti. 126. Le scuole primarie o elementari, dopo la recente legge con cui sono state sottratte dalle autorità comunali, sono generalmente pericolose, tranne i casi in cui i maestri sono buoni. In questa città esistono scuole libere che accolgono circa 2.000 alunni. Si mantengono con le rette degli stessi alunni e sono soggette alla vigilanza e al controllo dell’ordinario. 127. Poiché dalle nostre parti i cattolici non vivono insieme agli acattolici, non succede che fra i bambini nelle scuole ci siano i contatti ai quali si allude. 128. Considerato che i bambini e le bambine frequentano generalmente le scuole pubbliche, è difficile trovare un rimedio per rendere immune la gioventù dalla perversione e dalla corruzione. A questo scopo si fa ricorso, con qualche risultato utile, alle pie associazioni e agli oratori festivi. 129. Le scuole medie o superiori, alle quali i fedeli della diocesi per lo più si iscrivono, dipendono dalle autorità civili e di solito sono ostili alle verità e alle dottrine cattoliche [pag. 47]. 130. Per lo zelo, soprattutto dei salesiani e di alcuni sacerdoti del clero secolare, sono state realizzate alcune opere come ricreatori, circoli, scuole catechistiche, oratori serali e festivi, per educare e preservare la gioventù. Per mancanza di strutture né il numero né i frutti di queste istituzioni rispondono alle necessità dei nostri tempi.

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Relazione dell’arcivescovo – 1916

CAPITOLO XIII – CONFRATERNITE E ASSOCIAZIONI RELIGIOSE 131. A Catania e in diocesi si hanno anche diverse congregazioni o confraternite e altre associazioni religiose legittimamente istituite. Sono circa 200 e in genere prendono il nome dal santo patrono al quale sono dedicate. Non mancano le associazioni raccomandate in modo particolare dalla Santa Sede, come quelle del Santissimo Sacramento, del Rosario e della dottrina cristiana per istruire nella fede, nella pietà e nei buoni costumi i bambini e le bambine. 132. Nelle chiese parrocchiali sono state istituite qua e là le nuove associazioni di bambini chiamate “di San Luigi” e di bambine dette “figlie di Maria”. In alcune chiese di religiosi ci sono i terziari dei rispettivi ordini. Quasi tutte le antiche confraternite si riuniscono nelle proprie singole chiese. Mai sono state erette associazioni di uomini nelle chiese di monache [pag. 48]. 133. Tutte le nuove associazioni pie, secondo le leggi canoniche, dipendono dall’autorità ecclesiastica. Non si può dire la stessa cosa delle antiche confraternite che, per quanto riguarda l’amministrazione dei beni temporali, secondo le vecchie leggi sottostanno all’autorità civile. In queste condizioni, discostandosi dalla primitiva regola e dall’antico spirito che una volta li animava e sottraendosi facilmente alla vigilanza del vescovo, non solo in genere non portano alcun frutto, ma spesso creano non lievi inconvenienti. Di recente nelle conferenze episcopali si è affrontato il problema per cercare una soluzione a questi mali; ma tutti i vescovi hanno riconosciuto che si tratta di una situazione molto ardua e piena di difficoltà. 134. Ci sono i terziari di San Francesco e anche alcuni di San Domenico, che vivono nel secolo. Di solito si riuniscono frequentemente e sono di buon esempio ai fedeli. 135. Alcune confraternite accettano come confrati o soci persone che notoriamente fanno parte di partiti politici contrari alla religione o che conducono una vita immorale. Per eliminare questi inconvenienti bisognerebbe sopprimere quelle associazioni per poi riportarle a una vita veramente cristiana. Ma poiché questo non è possibile, per le molteplici difficoltà che si incontrano, soprattutto le leggi civili e le avversità dei nostri tempi, nelle ultime conferenze episcopali sono state avanzate alcune proposte per rimuovere, per quanto è possibile, questi mali [pag. 49]. 219


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Giuseppe Francica Nava (1895-1928)

CAPITOLO XIV – I LEGATI PII E LA QUESTUA DI ELEMOSINE 136. In diocesi ci sono i legati pii per la celebrazione di messe e altri oneri religiosi, ma di quelli fondati anticamente sono rimasti in pochi a motivo delle leggi eversive. Se ne fondano anche di nuovi, i cui titoli sono conservati nella cassa diocesana. La curia ha i loro elenchi con i relativi oneri e l’indicazione delle rendite. 137. I legati di antica fondazione sono amministrati dal rettore della chiesa o del capitolo, sotto la vigilanza della commissione diocesana, come già si è detto sopra. Quelli di nuova fondazione si amministrano segretamente dalla commissione e, secondo le prescrizioni della Santa Sede, sono custoditi prudentemente nella cassa diocesana. Tutto questo in genere viene compiuto con scrupolosità e frutto. 138. Per quanto è a conoscenza dell’ordinario, si soddisfa ai legati di messe e agli altri oneri nel tempo stabilito. Poiché quei legati sono relativamente pochi, raramente o mai avanzano somme da consegnare all’ordinario, anzi egli deve rivolgersi ad altre diocesi per raccogliere intenzioni di messe e sopperire in questo modo alla indigenza di molti sacerdoti. Non è mai accaduto che qualche sacerdote meritasse di essere rimosso dall’ufficio per questo motivo. 139. In diocesi si fanno e con esiti positivi le collette prescritte dalla Santa Sede per il bene comune della Chiesa, come la Propagazione della fede e la Santa Infanzia (fra tutte le diocesi della Sicilia abbiamo il primo posto), la redenzione degli schiavi, l’obolo di s. Pietro e la Terra Santa. 140. Si fanno anche altre collette per le necessità della stessa diocesi: la dottrina cristiana, la diffusione dei buoni libri e dei giornali cattolici [pag. 50]. 141. Sono entrate nella consuetudine di questa diocesi altre collette sia per incrementare il culto di diverse chiese, sia per aiutare i poveri, soprattutto se infermi. Ad eccezione dei cappuccini, delle piccole suore dei poveri e dei frati minori di Terra Santa, non ci sono religiosi o religiose questuanti in tal numero da dare l’impressione che si rechi grave fastidio ai fedeli.

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Relazione dell’arcivescovo – 1916

CAPITOLO XV – LE OPERE PIE E SOCIALI 142. In diocesi e specialmente in questa città, sono stati fondati ospedali, orfanotrofi, brefotrofi e altri istituti di carità. Sebbene quasi tutte queste opere siano state fondate per l’iniziativa e l’impegno del clero e di persone religiose, poche di esse sono rimaste pienamente soggette, anche nell’amministrazione dei beni, all’autorità ecclesiastica, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. Tranne un caso o due, solitamente nel loro consiglio di amministrazione è presente un delegato del vescovo. Ciò spiega la presenza di un cappellano in tutte queste opere, che può esercitare liberamente la cura e l’assistenza spirituale. 143. Sono presenti in diocesi le cosiddette opere sociali con le quali, mentre si attua il bene morale e religioso dei fedeli, si provvede anche alle loro utilità e necessità temporali; sono i circoli per la gioventù cattolica o per promuovere gli studi, le associazioni di operai e di agricoltori con le loro casse di risparmio e di mutuo soccorso [pag. 51]. 144. In genere le associazioni e queste opere sociali, in modo particolare coloro che le dirigono, prestano all’ordinario e al sommo pontefice la dovuta riverenza e in tutto ciò che attiene alla fede, ai costumi, alle norme di giustizia sottostanno all’autorità e alle direttive della Santa Sede. 145. Nonostante si incontri da noi una grande difficoltà per la mancanza di risorse e di persone idonee, si sta attenti che i dirigenti di queste associazioni e opere siano cattolici non solo di nome, ma anche nel cuore e nei fatti. Si bada anche, per quanto è possibile, che gli iscritti a queste associazioni e opere o coloro che da esse ottengono benefici e aiuti, si allontanino dai vizi, siano istruiti nella dottrina della fede e conducano una vita cristiana. Bisogna confessare, però, che in queste iniziative si auspica un maggiore impegno nel procurare il bene religioso e morale dei soci. 146. Si sta attenti perché non facciano parte di queste associazioni cattoliche persone iscritte alle società segrete, miscredenti, empi o contrari alla religione, in modo che le associazioni stesse o le loro opere non siano distolte dal retto cammino della fede e della giustizia.

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Giuseppe Francica Nava (1895-1928)

CAPITOLO XVI – LA PUBBLICAZIONE E LA LETTURA DI LIBRI E GIORNALI 147. Ogni giorno in questa città si pubblica un giornale del partito socialista, contrario alla religione, molto diffuso in tutta la provincia. Non vengono pubblicati libri, immagini ed altri giornali che possono essere definiti empi o osceni [pag. 52]. 148. Ma libri di questo genere, che sono pubblicati altrove, sono molto diffusi in questa diocesi con grave danno della fede e dei costumi. Sono quasi tutti pubblicati nelle maggiori città d’Italia. 149. Si fa di tutto da parte dei cattolici, specialmente dai pastori d’anime e sacerdoti, per eliminare dalla diocesi i libri e i giornali osceni o empi, ma per impedire una così grande e malefica invasione mancano strumenti idonei ed efficaci; si attende invano l’aiuto dell’autorità civile. C’è il massimo impegno da parte del clero e dei confessori per allontanare dalle famiglie cattoliche quei libri e quei giornali e per evitare che i fedeli li leggano. 150. Ai libri e ai giornali cattivi si contrappongono quelli religiosi e onesti, ma per la mancanza di risorse e per l’inerzia di molti, la diffusione di questi ultimi non è paragonabile a quella dei primi. Abbiamo: un giornale cattolico, Il Corriere del Mattino, pubblicato a Palermo, una nostra rivista settimanale intitolata L’Azione e inoltre tre periodici mensili per alcune pie associazioni: La Madre Cristiana, Gesù nell’Eucaristia, L’Immacolata. Inoltre sono diffusi i foglietti per i vangeli domenicali e quelli che sono pubblicati dall’Unione popolare, ed altri buoni opuscoli, stampati altrove a prezzo modico con somma utilità dei fedeli. A questi bisogna aggiungere la rivista quindicinale per il clero, intitolata Bollettino Ecclesiastico.

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LII

1922 – Relazione dell’arcivescovo, card. Giuseppe Francica Nava, relativa al 2° quinquennio 1916-1920, scritta il 25 luglio 19221.

{PROEMIO} 1. Ordinario di questa diocesi è l’eminentissimo card. Giuseppe Francica Nava del casato Bontifè, nato a Catania nel 1846 {23 luglio}. Ha assunto il governo di questa Chiesa il 18 marzo 1895, lasciando il titolo di arcivescovo di Eraclea. Il 9 agosto 1883 era stato eletto vescovo titolare di Alabanda e consacrato la terza domenica di ottobre {21 ottobre}. 2. La condizione religiosa e morale di questa diocesi, considerata in generale, è questa: sebbene la maggior parte della popolazione conservi ancora la fede cristiana, non si può dire altrettanto della integrità dei costumi e della osservanza dei precetti; soprattutto se si considerano gli uomini e gli abitanti della città, a motivo delle note 1 Congr Concist, Relat Dioec, 208. Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera dell’arcivescovo al card. Gaetano De Lai, segretario della Congregazione Concistoriale, in data 29 luglio 1922: «Eminentissimo e Rev.mo Sig. mio Osservantissimo, ossequente al Decreto di codesta S. Congregazione in data del 31 dicembre 1909 circa le relazioni diocesane quinquennali, ho l’onore di spedire alla S.V. Rev.ma la relazione di questa Archidiocesi del quinquennio 1916-1920. Per maggior commodo ho anche ripetuto le risposte che non sarebbero state necessarie, perché conformi a quelle della precedente relazione. Le bacio umilissimamente le mani e con profonda venerazione mi confermo di Vostra Eccellenza Rev.ma umilissimo e devotissimo servitore vero. Giuseppe card. Nava, Arcivescovo»; 2) due certificati di visita alle basiliche di San Paolo del 29 maggio 1922 e di San Pietro del 30 maggio 1922; 3) due minute delle osservazioni, in positivo e in negativo, fatte al testo della relazione dall’officiale revisore; 4) minuta in italiano della lettera di riposta al cardinale arcivescovo di Catania; 5) minuta in latino della lettera di risposta al cardinale arcivescovo di Catania; 6) foglio della Congregazione con le note: «Catania. Visitatio e Relazione diocesana. Num. Prot. 421/22. Detur attestatio: die 12 iunii 1922. Taxa, lib. 10. Pagato 1 luglio 1922. 21 agosto 1922: attestatio solita. 26.11.1923: risposto». Dall’Archivio Storico Diocesano risulta che il vescovo ausiliare Emilio Ferrais fece le prescritte visite alle basiliche pontificie nel giugno del 1922 (Episcopati, Nava, carpetta 35, fasc. 14, Visite ad limina). La relazione sarà stata consegnata successivamente tramite l’agente romano Bersani.

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Giuseppe Francica Nava (1895-1928)

cause del nostro pessimo tempo e di alcune particolari circostanze che saranno indicate in seguito. Dall’ultimo quinquennio non sembra che la religione abbia avuto un regresso.

CAPITOLO I – STATO MATERIALE IN GENERE 3. a) La diocesi di Catania, come riferisce la nostra tradizione fondata su validi documenti, ha origine nel periodo apostolico. S. Berillo di Antiochia primo vescovo, intorno all’anno 44, si crede sia stato inviato a Catania dal Principe degli apostoli. Pertanto il vescovo di Catania è stato chiamato protovescovo. Il 26 settembre 1859 con una costituzione del papa Pio IX, questa sede è divenuta archidiocesi, ma senza suffraganei, e immediatamente soggetta alla Sede Apostolica. L’arcivescovo usa il pallio [pag. 2]. Per il sinodo provinciale deve associarsi all’arcivescovo metropolita di Messina. b) La diocesi appartiene alla Sicilia orientale e si estende dall’Etna al mare Ionio. I suoi confini sono delimitati dalle diocesi di Acireale, Nicosia Erbita e Siracusa2. Catania, città sede della cattedra vescovile, è capoluogo della provincia civile, in cui risiede il prefetto. Il clima è mite e salubre. Si parla la lingua italiana. c) L’ordinario risiede nel palazzo arcivescovile, sito nella città. d) Secondo l’ultimo censimento del 1921, {la diocesi} conta 438.940 abitanti circa. I comuni sono 233. La popolazione in maggioranza è cattolica, eccettuati pochi protestanti, detti “evangelici”, per lo più stranieri. e) I sacerdoti sono circa 305; i chierici e gli alunni del seminario 100 in città, 72 nella diocesi (i piccoli seminari). f) Oltre il capitolo della cattedrale, si hanno altri capitoli delle collegiate, come si dirà a suo luogo. g) Da premettere che in questa diocesi, parlando in generale, non si hanno parrocchie vere e proprie. Pertanto l’arcivescovo è detto unico parroco della città e della diocesi. Le chiese alle quali è annessa

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Nell’elenco delle diocesi confinanti mancano: Patti a nord ovest e Caltagirone a sud ovest. 3 L’elenco è riportato nelle relazioni del 1904 e del 1908.

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Relazione dell’arcivescovo – 1922

la cura delle anime sono chiamate “filiali” dell’unica parrocchia della cattedrale. Tuttavia nei comuni di Bronte e Trecastagni, per antichi privilegi, si hanno veri parroci e parrocchie propriamente dette. Inoltre da pochi anni sono state erette vere parrocchie, come si dirà a suo luogo, nelle città di Adernò, Paternò e Biancavilla. Nella città si hanno 18 chiese filiali, delle quali la più grande per numero di fedeli è quella dei Santi Cosma e Damiano, con quasi 20.000 anime, la più piccola è Santa Chiara che ne conta quasi 8.000 [pag. 3]. Ad ogni comune è preposto il vicario foraneo, che fa le veci dell’unico parroco, ci sono una o più chiese curate secondo l’estensione del territorio e il numero degli abitanti. Nella città ci sono 116 chiese, nei comuni 217. Non ci sono luoghi molto rinomati. h) In diocesi hanno sede istituti religiosi maschili. In città ci sono le seguenti comunità religiose: gli eremitani di Sant’Agostino4 con 2 religiosi, i cappuccini5 con 8, i frati minori6 con 3, la Compagnia di Gesù7 con 7, i sacerdoti missionari di San Vincenzo dei Paoli8 con 5, i domenicani9 con 10, i conventuali10 con 7, i carmelitani dell’antica osservanza11 con 6. I predetti istituti religiosi hanno tutti una sola casa. Inoltre hanno due case i salesiani12 con 41 sacerdoti in tutto. C’è una casa di religiosi laici, cioè dei fratelli delle scuole cristiane13 con 5 religiosi, che dirigono un ospizio per l’infanzia abbandonata. Nei comuni ci sono 4 conventi di cappuccini14 con 16 religiosi complessivamen-

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Era stata ripristinata la comunità esistente prima della soppressione nel convento annesso alla chiesa di Sant’Agostino (Catania Sacra 1926, 18). Nel 1913 la chiesa era ancora officiata dai salesiani (Catania Sacra 1913, 34). 5 Sacro Cuore di Gesù ai Cappuccini nuovi (ibid., 18). 6 Santa Maria della Guardia (Catania Sacra 1926, 21). 7 Crocifisso dei Miracoli (ibid., 19). 8 Santissimo Sacramento Ritrovato (ibid., 18). 9 San Domenico (ibid., 17). 10 San Francesco all’Immacolata (ibid., 15). 11 Annunziata al Carmine (ibid., 17). 12 1) San Filippo Neri (ibid., 19); 2) San Francesco di Sales (ibid., 23). 13 Istituto annesso alla nuova chiesa del Sacro Cuore alla Barriera (ibid., 21). 14 Il numero di quattro conventi di cappuccini va riferito a tutta la diocesi: 1) Sacro Cuore ai Cappuccini, Catania (ibid., 18); 2) Santa Maria degli Angeli, Adrano (ibid., 32); 3) San Felice da Cantalice, Bronte (ibid., 38); 4) Maria Santissima Annunziata, Paternò (ibid., 46).

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te, 2 di frati minori15 con 6, tre di salesiani16 con 24. Di queste tre una serve per il noviziato. I novizi sono 18. i) Ci sono anche istituti religiosi femminili. Nella città 3 monasteri dell’ordine di San Benedetto17 con 36 monache professe, uno dei quali riacquistato dal governo conta 33 monache professe e 2 novizie. Inoltre si hanno 9 case delle figlie della carità della congregazione di San Vincenzo dei Paoli18 con 95 suore; le piccole suore degli anziani poveri19 con 26, che hanno una sola casa; le figlie di Sant’Anna20 con 19 suore e 3 case; le suore del patrocinio di San Giuseppe21 con 8 suore e 2 case; le figlie della Misericordia {e della Croce}22 con 6 suore; le bocconiste23 con 6 suore; le figlie di Maria Ausiliatrice con tre case24 e 49 suore [pag. 4]. Negli altri comuni della diocesi, morte le tre monache professe dell’ordine di San Benedetto nella città di Adernò25, restano:

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1) San Francesco, Biancavilla (ibid., 36); 2) San Vito, Bronte (ibid., 38). 1) Collegio Capizzi, Bronte (Catania Sacra 1913, 63-64); 2) San Giuseppe, Pedara (Catania Sacra 1926, 48); 3) Sacro Cuore, San Gregorio, sede del noviziato (ibid., 50-51). Nella relazione è indicata la presenza dei salesiani al Collegio Capizzi di Bronte, che erano andati via nel 1916 (A. CORSARO, Il Real Collegio Capizzi, Catania 20112, 124). 17 1) San Benedetto, rifondato dal vescovo Francica Nava (Catania Sacra 1926, 15); 2) Sant’Agata (Catania Sacra 1913, 23); 3) San Placido. Le monache di quest’ultimo erano state trasferite in un edificio che sorgeva nella circoscrizione della chiesa sacramentale Santa Maria dell’Idria (Catania Sacra 1926, 22). La chiesa di San Placido divenne sacramentale in sostituzione di quella di San Gaetano (ibid., 20). 18 1) Ospedale Garibaldi (ibid., 24); 2) Ospedale Santa Marta (l. c.); 3) Ospedale Vittorio Emanuele II (l. c.); 4) Ospedale Ferrarotto (ibid., 23); 5) Conservatorio delle vergini Sant’Agata (ibid., 22); 6) Sacra Famiglia (ibid., 23); 7) Conservatorio Santa Maria della Provvidenza e Pio IX (ibid., 22); 8) Conservatorio delle vergini al Borgo (ibid., 23); 9) Conservatorio San Vincenzo dei Paoli (l. c.). 19 Asilo Sant’Agata (ibid., 22). 20 1) Istituto Ardizzone Gioeni (ibid., 24); 2) Orfanotrofio Carcaci (ibid., 23); 3) Albergo Ventimiglia (ibid, 22). 21 1) Santa Casa della Grazia (ibid., 24); 2) Orfantrofio del Buon Pastore (ibid., 23). 22 Ospedale Santo Bambino (ibid., 24). 23 Reclusorio del Lume (ibid., 23). 24 1) Maria Ausiliatrice, annessa all’istituto San Filippo Neri; 2) Maria Ausiliatrice, annessa all’istituto San Francesco di Sales; 3) Collegio Maria Ausiliatrice (ibid., 23). 25 Monastero Santa Lucia, Adrano. 16

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le figlie di Maria Ausiliatrice26 con 5 case e 24 suore; le figlie di Sant’Anna27 in due case e 10 suore; 3 figlie della Misericordia {e della Croce}28 nell’ospizio di mendicità di Paternò e 3 suore dello Spirito Santo29, dette “Zitine di Lucca”, nel collegio delle fanciulle di Adernò. Inoltre di recente in città sono state aperte altre tre case, delle quali una è delle Suore del Sacro Cuore di Gesù del terz'ordine di San Domenico, la seconda delle Ancelle riparatrici, la terza delle Dame del Sacro Cuore.

CAPITOLO II – LA FEDE E IL CULTO DIVINO 4. Il culto divino è esercitato liberamente nella diocesi. 5. Il numero delle chiese nei singoli comuni è più che sufficiente per le necessità dei fedeli. 6. Le chiese e gli oratori pubblici sono ben forniti di ciò che è necessario per la fabbrica e le suppellettili; di esse in genere i fedeli hanno una lodevole cura e sono pulite e decentemente adorne. 7. Nelle singole chiese è conservato l’inventario di tutti i beni e di tutte le suppellettili; l’inventario che si trova nell’archivio di ogni chiesa è conservato anche nella curia arcivescovile. Le suppellettili sono custodite generalmente nelle sacrestie nel miglior modo possibile, per evitare che alla morte del rettore o in seguito a un qualsiasi evento straordinario qualcosa venga sottratta. 8. In questa diocesi, soprattutto in seguito all’eruzione lavica e al terribile terremoto del secolo XVII, sono rimaste poche suppellettili e oggetti veramente preziosi [pag. 5]. Solo nella chiesa cattedrale, nell’antica cripta solidamente costruita e sbarrata con porte di ferro chiuse da tre chiavi, si conserva un ingente tesoro di gemme con le quali è

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1) Collegio Maria, Bronte (ibid., 38); 2) Ospedale civile, Bronte (l. c.); 3) Conservatorio delle vergini, Trecastagni (ibid., 53); 4) Orfanotrofio Immacolata, Biancavilla (ibid., 36); 5) Giardino d’infanzia Principessa Manganelli, San Giovanni la Punta. 27 1) Asilo di mendicità e ospedale pubblico, Adrano (ibid., 32); 2) Orfanotrofio Margherita Bufali, Belpasso (ibid., 34). 28 Albergo per i poveri, Paternò (ibid., 46). 29 Conservatorio di Gesù e Maria, Adrano (ibid., 32).

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adornato il reliquiario che comprende la parte superiore del corpo della nostra patrona s. Agata vergine e martire catanese. Questo tesoro, che pochi anni fa è stato disposto con una migliore sistemazione, è di grandissimo valore per materia, arte e antichità. In un’altra antica e molto solida cripta della stessa chiesa cattedrale sono conservati alcuni importanti codici non anteriori tuttavia al secolo XI, che si riferiscono soprattutto alle donazioni fatte a questa chiesa da re Ruggero e dai suoi successori. Sia del predetto tesoro sia dei codici c’è un inventario nell’archivio del capitolo e della curia. Nelle altre chiese della città e della diocesi per i motivi sopra indicati non si hanno oggetti e suppellettili di grande valore, ad eccezione di alcuni dipinti e vasi sacri d’oro e d’argento nella chiesa di San Nicola e alcuni codici conservati nella biblioteca annessa al monastero dei benedettini cassinesi, che oggi è in mano al municipio. Qua e là nella diocesi si ammirano dipinti e paramenti sacri di seta di un certo pregio, come la tavola dipinta di s. Caterina vergine e martire nella chiesa principale di Pedara, il trittico fiammingo nella chiesa di San Nicola a Misterbianco e il polittico nella chiesa principale della città di Adernò. Si è molto attenti a non vendere alcun oggetto, anche se piccolo ma prezioso per materia, arte o antichità, senza licenza della Santa Sede e il giudizio dei periti. 9. Ogni giorno, nelle ore più opportune del mattino e della sera, dovunque ci sono chiese aperte ai fedeli. 10. Le chiese durante le sacre celebrazioni sono così accessibili ai fedeli che chiunque, anche se poverissimo, può liberamente entrare e rimanervi senza alcun onere o vergogna. 11. Le chiese e gli oratori mai sono adibiti ad usi profani [pag. 6], come atti accademici, concerti musicali e cose di questo genere, eccetto in tempo di guerra, quando la legge civile ci obbliga a tollerare che siano adibite per il necessario alloggio dei soldati. 12. In tutte le chiese e oratori nei quali si conserva la ss. Eucaristia in genere si osservano accuratamente le condizioni previste dalla legge per la custodia del medesimo ss. Sacramento e si ha una particolare cura perché l’altare del ss. Sacramento si distingua per il culto, la pulizia e gli addobbi. 13. I confessionali, collocati dovunque nelle chiese in luoghi aperti, sono muniti di grate in conformità alle leggi canoniche. 14. Le sacre reliquie dei santi nelle chiese e negli oratori di solito sono custodite nelle teche con il sigillo e il documento di autenti228


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cazione e conservate in armadi decenti. Durante la visita pastorale l’ordinario ha proibito che le reliquie venissero esposte alla venerazione dei fedeli se prive del sigillo e del documento di autenticazione. Se manca l’uno o l’altro si supplisce, quando risulta con legittima e pubblica tradizione. Il cerimoniere arcivescovile è incaricato a fare questo accertamento. In alcune chiese, però, si hanno reliquie affisse alle pareti sotto il vetro, specialmente vicino al crocifisso, delle quali non si ha alcun documento e non è facile fare una qualsiasi ispezione. Del resto di per sé non sono esposte alla venerazione dei fedeli, né possono essere tolte senza provocare danno e scandalo. Si ignora se presso persone private sono conservate reliquie insigni. 15. Sebbene si siano introdotti da tempo in questa diocesi e in tutta la regione molti abusi nel culto divino, nella venerazione dei santi e in altre sacre funzioni, tuttavia l’autorità ecclesiastica si adopera con diligenza di correggerli e di uniformarli alle norme liturgiche. Questi abusi, ad esempio, sono: l’ingresso nelle chiese delle bande musicali, che spesso accompagnano le processioni eseguendo musiche profane, il trasporto delle reliquie [pag. 7] dei santi sotto il baldacchino, l’esecuzione di musiche profane nelle sacre funzioni e l’ingresso dei laici nei presbitèri. Per estirpare questi abusi con un’azione prudente ed efficace si fa ricorso anzitutto alla spiegazione delle leggi liturgiche, che i chierici imparano in seminario e i sacerdoti nelle riunioni mensili, al paziente lavoro di persuasione che induce i fedeli ad accettare le correzioni e soprattutto alla sostituzione di altre pratiche che allo stesso tempo sono conformi alle leggi liturgiche e suscitano nell’animo la pietà senza provocare allarme nel sentire comune per la proibizione dell’antica consuetudine. Per raggiungere questo scopo giova molto l’impegno con cui diversi sacerdoti da alcuni anni si adoperano perché il popolo, in ossequio al motu proprio del papa Pio X, di santa memoria, partecipi attivamente alle sacre funzioni. Di solito la lingua e il canto nell’esercizio del culto sono adoperati secondo i decreti della Santa Sede, ad opera soprattutto del giovane clero. 16. Fra alcuni del popolo, soprattutto i giovani e il ceto civile, serpeggiano gravi errori contro la fede. Cause principali di tutto questo sono le associazioni e principalmente le scuole cattive. Per porre rimedio a questo male, sebbene si impieghino molti sforzi, purtroppo si può fare ben poco, a causa della mancanza di persone e di risorse e dell’eccessiva libertà. Nessuno del clero è contagiato da questi errori. 229


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17. Il consiglio di vigilanza con l’ufficio dei censori fu costituito non appena fu prescritto dalla Sede Apostolica. I membri che lo costituiscono sono: l’eminentissimo card. arcivescovo, l’eccellentissimo Emilio Ferrais, vescovo ausiliare, il can. Giuseppe D’Agata, il can. Salvatore Fazio, l’ill.mo e rev.mo Giovanni Licitri, il dott. Giovanni Maugeri, il can. penitenziere Giovanni Jacono, il can. Salvatore Nicolosi, il can. Salvatore Romeo, il can. Alfio Iatrini, il dott. Giovanni Battista Puleo, il dott. Vincenzo Portaro, D. Giovanni Minguzzi S.d.B., ispettore della pia congregazione salesiana, fr. Tommaso Mirone O.P., il prevosto Salvatore Petronio Russo da Adrano, il prevosto Gaetano Savasta da Paternò, il prevosto Vito Piccione da Biancavilla. Tutti svolgono i loro compiti con lodevole frutto [pag. 8].

CAPITOLO III – QUEL CHE RIGUARDA L’ORDINARIO 18. Se si considera l’amplissima donazione fatta da re Ruggero nel sec. XI a questa sede vescovile, le rendite della mensa dovrebbero essere abbondanti. Ma con il trascorrere del tempo sia per la negligenza degli uomini, sia per l’ingordigia di molti, tanti beni sono andati perduti per prescrizione; inoltre quelli che sono rimasti, soprattutto in tempi così avversi come i nostri, sono stati gravati da tanti oneri dall’autorità civile che il denaro liquido esigibile di fatto dall’ordinario non sarebbe sufficiente per soddisfare i bisogni della diocesi. I beni rimasti sono: 1° terreni per lo più sterili nella parte più alta dell’Etna, nei quali la raccolta della neve potrebbe offrire non pochi guadagni se non ci fosse la grande difficoltà di trasportare questo particolare tipo di merce30. Inoltre si pone il problema del ghiaccio artificiale, che può essere venduto a un prezzo più basso; 2° canoni enfiteutici che il governo e molti proprietari privati pagano su terreni il cui dominio diretto appartiene a questa mensa. La rendita al netto sarebbe di L. 24.000; ma in realtà per le spese necessarie di amministrazione, per le pensioni ecc., come ho detto, resta ben poco. Questa mensa non è gravata da

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Su questa fonte di reddito della mensa vescovile si veda lo studio di A. PAviaggi della neve. Raccolta, commercio e consumo della neve dell’Etna nei secoli XVII-XX, Palermo 2014. TANÈ, I

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debiti verso i privati, ma verso l’economo generale dei benefici vacanti, al quale, a conclusione della transazione, sono stati consegnati titoli di rendita pubblica per complessive L. 10.000, ad estinzione del debito che avverrà nel 1925. I beni della mensa sono amministrati dal procuratore Giovanni Deodati, canonico di questa chiesa cattedrale, che nel suo ufficio è aiutato dal sacerdote Francesco Auteri e dal laico Arcangelo Fragalà. Si seguono i criteri in uso presso le pubbliche amministrazioni. La mensa dipende dall’autorità civile solo per le prescrizioni di legge e viene amministrata in modo autonomo rispetto agli altri beni della diocesi e delle opere pie [pag. 9]. 19. L’arcivescovo come abitazione ha un edificio proprio, abbastanza ampio e restaurato di recente, sito accanto alla chiesa cattedrale, alla quale si accede dall’interno. Il palazzo è strutturato così bene da offrire al vescovo che lo abita un alloggio dignitoso senza l’impressione di un lusso profano. 20. Al presente l’ordinario abita con due sacerdoti, di cui uno, don Giovanni Licitri, prelato domestico di Sua Santità è il segretario, l’altro si occupa dei problemi domestici e sovrintende alla servitù. La sua giornata si svolge secondo le esigenze del proprio ministero. Si alza di buon mattino, si dedica alla meditazione, celebra la messa e recitate le ore canoniche, tratta con il segretario i problemi della diocesi e riceve fino alle ore 13 le persone che chiedono di incontrarlo. Subito dopo pranza con i sacerdoti, il vescovo ausiliare e spesso con gli ecclesiastici suoi ospiti. A conclusione tutti insieme fanno la visita al ss. Sacramento nella cappella dell’episcopio. L’ordinario, dopo un breve colloquio con l’ausiliare, si concede un breve riposo, recita i vespri e se i suoi impegni lo permettono esce per una passeggiata, in modo che al tramonto del sole rientri a casa per anticipare il mattutino delle ore canoniche e per dedicarsi allo studio e alle cose che riguardano il suo ministero. Infine recitato il santo rosario nella predetta cappella con le persone che vivono insieme a lui, consuma con loro la cena e va a riposare. Di tanto in tanto durante la settimana si reca nell’abitazione di famiglia a Catania per affrontare con maggiore tranquillità e libertà le questioni più difficili del suo ministero. 21. L’attuale arcivescovo in quanto cardinale di Santa Romana Chiesa fa parte delle seguenti Sacre Congregazioni: Concilio, Indice, Cerimoniale, Seminari e studi. Dalla Sede Apostolica ha ricevuto le seguenti facoltà speciali, circa le composizioni, gli oneri di messe, il 231


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giuramento suppletorio, l’adempimento anticipato del precetto pasquale, la binazione a causa della carenza di sacerdoti, la riduzione dei canoni enfiteutici e la loro affrancazione, la dispensa degli impedimenti matrimoniali tenendo conto [pag. 10] del privilegio della bolla Multis gravissimis, etc. 22. Risiede a Catania da cui si allontana solo per un mese dopo la quaresima o in autunno per un periodo di vacanze nella propria villa, che si trova nella stessa diocesi, e non interrompe la trattazione dei suoi impegni. Si è allontanato di tanto in tanto dalla propria sede per recarsi a Roma o per partecipare alle riunioni dei vescovi o conferenze episcopali, che hanno luogo ogni due anni. 23. Più volte durante l’anno suole partecipare alle sacre funzioni nella chiesa cattedrale o altrove e nelle principali solennità, come l’epifania, pasqua, pentecoste, l’assunzione della Beata Maria Vergine, tutti i santi e la natività del Signore. 24. Suole istruire il clero e il popolo non solo con le omelie nelle messe pontificali di pentecoste e di tutti i santi e con altri sermoni, quando se ne offre l’opportunità, ma anche con le lettere pastorali in quaresima, che all’occorrenza pubblica. Se qualche volta è impedito nella predicazione, lo supplisce il vescovo ausiliare. Oltretutto la parola di Dio è annunziata con frequenza nelle chiese principali dai sacerdoti che ne hanno la facoltà. 25. Secondo il sinodo diocesano si hanno in diocesi solo tre casi riservati: a) l’omissione per un anno dell’adempimento degli oneri di messe e di altri esercizi di pietà e di culto affidati alla coscienza dell’esecutore; b) il falso giuramento in giudizio con danni di terzi; c) l’assistenza, anche solo passiva, a spettacoli pubblici o privati nei quali in qualunque modo sono evocati i demoni o le anime dei defunti. Da questi peccati riservati possono assolvere, oltre che l’arcivescovo e le persone da lui appositamente incaricate, il vicario generale con la facoltà di delegare altri sacerdoti, il canonico penitenziere, i vicari foranei e durante tutto il tempo pasquale anche i parroci e i pastori d’anime. 26. Quasi ogni giorno si amministra in episcopio il sacramento della cresima e anche in alcune solennità [pag. 11], soprattutto il giorno di pentecoste, dopo aver radunato in un luogo sacro parecchi ragazzi. Nel conferimento di questo sacramento si segue il seguente criterio: sono ammessi solamente i ragazzi che hanno raggiunto l’età della discrezione, hanno imparato le principali verità della fede cri232


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stiana e si sono confessati, esibendo un attestato del loro curato. I bambini prima dell’età suddetta non sono ammessi, a meno che non siano gravemente malati; ma questa regola non può essere osservata facilmente in modo rigido; inoltre bisogna avere una certa indulgenza nell’ammettere i padrini, sebbene sia richiesto per loro un attestato di idoneità rilasciato dal curato. 27. L’arcivescovo conferisce i sacri ordini personalmente e, se è impedito, tramite il vescovo ausiliare. In questo compito così importante si è impegnato, per quanto era nelle sue possibilità, di arricchire la diocesi di numerosi e idonei sacerdoti nel rigoroso rispetto della norma del Concilio di Trento, che vieta di promuovere coloro che non sono necessari o utili alla Chiesa per la quale chiedono di essere assunti. 28. L’arcivescovo personalmente, e una volta tramite il vescovo ausiliare, ha visitato cinque volte tutta la diocesi per compiere la visita pastorale, in tal modo ha acquisito dati certi sullo stato delle singole parrocchie. Oltre a ispezionare le cose che riguardano il culto divino, i comportamenti morali del popolo, l’istruzione religiosa dei bambini e degli adolescenti, l’esecuzione dei legati, ha compiuto anche la cosiddetta visita personale del clero, ascoltando i singoli sacerdoti per conoscere il loro stile di vita, il tempo riservato alla preghiera, l’impegno a ricercare la salvezza delle anime e allo stesso tempo per dare loro opportuni consigli o esortazioni. 29. Si è adoperato, così come esige il suo ufficio di vescovo, non solo di far conoscere nella sua diocesi le leggi e i precetti emanati dai Concili e dalla Santa Sede, ma anche di farli osservare da tutti. 30. Nel 1918, dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico, è stato celebrato il sinodo diocesano allo scopo di dare una risposta alle necessità e alle attese del nostro tempo. 31. L’ordinario di questa diocesi è arcivescovo solo ad honorem, perché non ha vescovi suffraganei a lui soggetti; perciò non ha potuto [pag. 12] riunire il concilio provinciale, che peraltro mai è stato celebrato nelle provincie ecclesiastiche di questa nostra regione di Sicilia. Tuttavia ogni due anni, dopo la domenica in albis, ha presieduto le riunioni o conferenze episcopali che si riuniscono da qualche tempo nel santuario Santa Maria di Tindari nella diocesi di Patti. Una copia delle decisioni che sono state prese di comune accordo nelle ultime conferenze è stata già trasmessa alla Santa Sede. 233


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32. Ha sempre avuto buoni rapporti con le autorità civili del luogo, sebbene abbia incontrato non poche difficoltà con il municipio in mano ai socialisti. Con l’aiuto di Dio ha potuto conservare e difendere la dignità e la giurisdizione episcopale, in modo tale che nessun danno si è avuto alla libertà e all’immunità della Chiesa o discredito allo stato ecclesiastico.

CAPITOLO IV – LA CURIA DIOCESANA 33. Vicario generale è D. Emilio Ferrais, vescovo titolare di Listra, ausiliare di questo eminentissimo arcivescovo, dottore in teologia e diritto canonico. La curia diocesana è costituita dal cancelliere, dall’archivista, che in assenza del cancelliere ne fa le veci, dall’attuario, aiutante dell’archivista e dall’assistente straordinario. 34. Ci sono 8 esaminatori sinodali e 1 prosinodale. 35. C’è il tribunale ecclesiastico costituito a norma del diritto dai suoi ufficiali: il presidente, 3 assessori, difensore {del vincolo} e notaio. 36. La curia diocesana ha un propria sede ben strutturata, contigua all’episcopio, con l’archivio in cui si conserva parte dei documenti, in modo sicuro e distinto dagli altri. L’archivio è bene ordinato. 37. La tassa in uso per pagare gli atti di curia è stata stabilita di recente dalle diocesi della Sicilia orientale: Catania [pag. 13], Messina, Acireale, Patti, Nicosia e la prelatura di Santa Lucia del Mela. È stata approvata per cinque anni dalla S. Congregazione del concilio il 22 giugno dello scorso anno. 38. Non ci sono lagnanze, almeno legittime e fatte da persone oneste, a motivo delle tasse di curia, che sono modiche e possono essere pagate da tutti. Oltretutto per coloro che sono veramente poveri gli atti sono presi in esame gratuitamente. Pertanto se, parlando di matrimoni, si deve costatare l’esistenza di concubinati e altri abusi del genere, tutto questo non è determinato dal peso delle tasse o dalla inflessibilità nella loro riscossione, ma dalla malvagità dei tempi. Con i loro proventi si assicura agli ufficiali il pagamento di uno stipendio mensile proporzionato alla dignità della loro funzione. Se rimane qualcosa, si mette da parte e si usa per i mesi di minore introito. 39. Ai proventi delle tasse si aggiunge la somma di L. 1.275, ero234


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gata ogni anno dalla mensa vescovile, per pagare lo stipendio degli ufficiali e affrontare le altre spese.

CAPITOLO V – IL CLERO 40. I costumi di questo clero sono generalmente buoni, sufficiente la preparazione culturale e la dottrina; se non in tutti i sacerdoti, in molti almeno si apprezza un serio impegno per la salvezza eterna delle anime e una vera pietà. Pertanto va lodata la loro obbedienza e riverenza all’ordinario e al sommo pontefice. Fra i sacerdoti vige la concordia, l’unione, e la carità reciproca, anche se in alcune parrocchie sorgono facili contrasti, soprattutto fra anziani e giovani. 41. Il clero usa sempre e dovunque la veste talare e non si notano scandali e battute sarcastiche a proposito della forma e della decenza dell’abito. 42. I sacerdoti quando celebrano la messa in genere fanno la preparazione e il ringraziamento. Molti sono abituati alla visita serale al ss. Sacramento e a confessarsi ogni settimana. Alcuni non danno ai fedeli il buon esempio di questa stessa frequenza, nonostante il richiamo del superiore [pag. 14]. 43. Ogni due anni tutti i sacerdoti, dopo la pasqua, si riuniscono per una settimana nella casa estiva del seminario per fare gli esercizi spirituali. È sempre presente l’ordinario, che volentieri coglie questa occasione per rivolgere ai propri collaboratori delle esortazioni paterne in comune e, quando è necessario, ai singoli. Gli ecclesiastici, che in quel periodo sono impediti da giusta causa, sono obbligati a supplire entro l’anno o partecipando al corso di esercizi spirituali che si tiene nella diocesi vicina, in un convento religioso o almeno in casa propria se non sono in grado di allontanarsi da essa. 44. Ogni mese si tengono le riunioni o conferenze ecclesiastiche sui casi morali e liturgici, in presenza dell’arcivescovo, ad eccezione del periodo autunnale. Dopo aver recitato le preghiere, si legge anzitutto per breve tempo un libro sulla vita e i doveri propri dei sacerdoti. Il docente di teologia morale del seminario dirige la discussione sui casi di coscienza che egli stesso aveva proposto. Si tirano a sorte i nomi di due ecclesiastici che in italiano o in latino leggono la soluzione dei casi, che alla fine dà lo stesso docente, dopo una discussione fra i 235


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presenti. La stessa procedura si segue per i casi liturgici, per i quali si ascolta il parere del cerimoniere arcivescovile. La riunione si chiude con la preghiera di ringraziamento. All’ingresso c’è chi prende nota dei partecipanti. 45. L’ordinario fa di tutto perché i giovani sacerdoti dopo l’ordinazione non abbandonino gli studi non solo con il ricorso al consiglio e all’esortazione, ma anche con l’obbligo di sottoporsi agli esami di teologia per quattro anni, così com’è stato stabilito per le altre diocesi di comune accordo nelle nostre conferenze episcopali. Un altro esame si richiede per concedere la facoltà di ascoltare le confessioni e predicare. Perché progrediscano ulteriormente nella pietà, oltre i predetti esercizi spirituali, è di molta utilità la pia associazione dell’Unione apostolica, della quale fanno parte quasi tutti i giovani. 46. Per la mancanza di particolari risorse non c’è in diocesi una casa per accogliere e sostenere con la dovuta carità i sacerdoti ormai a riposo [pag. 15] che sono malati e poveri. Ci sono due pie società di mutuo soccorso che dispongono di un reddito per aiutare i soci in caso di malattia. 47. Sono pochi i sacerdoti che, sebbene giovani e in buona salute, vivono in modo assolutamente ozioso. Tutto questo è dovuto alla mancanza di pietà e di zelo, perciò non è facile trovare una soluzione ai loro problemi, considerato che mancano in questa diocesi uffici ai quali non è annessa la cura delle anime. 48. Nessuno dei sacerdoti si intromette in modo esagerato, almeno in pubblico, nella politica e nelle fazioni civili, con conseguenti offese per gli altri e danno al proprio ministero. In passato alcuni, mossi da inesperienza e da ardore giovanile, non si sono comportati con prudenza nel promuovere un modello di azione cattolica, soprattutto in tempo di elezioni. C’è da sperare che costoro, in seguito agli avvertimenti e a una migliore direzione da parte dei responsabili di questo movimento cattolico, sappiano mantenersi entro i giusti limiti. Nella nostra diocesi non ci sono cattolici appartenenti a riti o a lingue diverse; pertanto a questo proposito non possono esserci discordie o rivalità nel clero. 49. In diocesi 8 sacerdoti, 4 dei quali insegnano nelle scuole pubbliche, dopo avere abbandonato l’abito ecclesiastico (si deve confessare questo con grande dolore), conducono una vita disonesta. A uno o a due è stata imputata un’altra trasgressione, commessa dopo 236


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l’ultima relazione sullo stato della diocesi. Sebbene possa nascere il sospetto che qualche sacerdote violi le norme riguardanti l’applicazione delle messe manuali, all’ordinario non risulta alcun abuso. Di solito i sacerdoti stanno lontani non solo dai libri, ma anche dai periodici contrari alla religione e alla moralità e quando c’è una grave e legittima causa chiedono la dispensa all’autorità ecclesiastica. Ho detto di solito, perché forse c’è chi legge i giornali cattivi per curiosità. 50. Per provvedere al salutare ravvedimento di coloro che sono caduti, quando non è giovato il richiamo [pag. 16], è stata comminata contro di loro la pena della sospensione a divinis, con l’obbligo di ritirarsi in una casa religiosa per seguire un corso di esercizi spirituali, emendarsi dagli errori della vita passata e riparare lo scandalo. Nell’ultimo quinquennio tre volte ho inflitto la sospensione. In questi casi si segue questo criterio: si infligge la pena solo quando il reato risulta almeno dalla segreta deposizione di due testimoni degni di fede. Di solito il reato la cui accusa giunge alle orecchie dell’ordinario è contro i buoni costumi. Tenendo conto della malvagità dei tempi e della natura del nostro popolo non si può prestare fede facilmente alle accuse; occorre procedere con molta prudenza e fare accurate indagini. 51. Escludendo i sacerdoti che appartengono al capitolo della cattedrale, quasi tutti gli altri in genere hanno a stento di che vivere onestamente con le elemosine delle messe (di solito provengono da altre regioni), con i proventi degli altri ministeri spirituali o con i benefici ecclesiastici.

CAPITOLO VI – I CAPITOLI DEI CANONICI 52. Nella città di Catania c’è il capitolo dei canonici della cattedrale. È costituito da 5 dignità: priore, cantore, decano, tesoriere e arcidiacono e 7 canonici, fra i quali il teologo e il penitenziere, i cui uffici sono stati istituiti dall’attuale arcivescovo, in conformità ai sacri canoni. 53. I canonici e le dignità sono eletti dall’arcivescovo per le facoltà a lui concesse dal papa Pio V con la bolla Hodie a Nobis del 1568. Il conferimento degli uffici di teologo e penitenziere avviene per concorso, secondo la costituzione di papa Benedetto XIII, Sacramentum Poenitentiae. 237


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54. Ognuno percepisce ogni mese una prebenda che può essere maggiore o minore in relazione all’aumento o alla diminuzione delle rendite del beneficio. Oggi si aggira intorno alle 200 o 300 lire. Queste somme sono amministrate con il criterio della massa comune [pag. 17]; oltre a questa c’è un’altra somma che viene erogata dalla mensa vescovile per le distribuzioni quotidiane. L’amministrazione del capitolo non è tenuta a provvedere col proprio reddito alle spese necessarie per la celebrazione della messa conventuale, per la fabbrica e per il culto della chiesa. 55. Il capitolo ha le proprie costituzioni, legittimamente approvate nel 1752, che osserva fedelmente. 56. Il servizio corale è quotidiano e prevede la recita dell’ufficio divino e la celebrazione della messa conventuale, che si canta ogni giorno. Tuttavia i capitolari, per una consuetudine immemorabile, sono obbligati a partecipare al servizio corale a settimane alterne, eccetto le domeniche e le feste, anche quelle abolite, nelle quali tutti intervengono. 57. Non ci sono canonici ad honorem. 58. Poiché nella diocesi opera il capitolo della cattedrale non c’è il collegio dei consultori. 59. In genere i canonici godono in diocesi di grande stima e fra di loro e l’ordinario c’è la massima concordia, soprattutto da qualche tempo. 60. L’arcivescovo non trascura di convocare il capitolo per discutere con loro le questioni di maggiore importanza e chiedere il consiglio o il consenso, secondo le prescrizioni dei sacri canoni, anche se ciò avviene raramente. 61. Quando la sede è vacante il capitolo procede liberamente all’elezione del vicario capitolare. 62. In diocesi esistono altri capitoli di canonici: 1) il capitolo della regia e insigne collegiata della chiesa di Catania intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, eretto motu proprio da papa Eugenio IV nel 1446. È costituito da 4 dignità: prevosto, tesoriere, cantore e decano. I canonici, in seguito alla riduzione del rescritto della Santa Sede del 28 marzo 1910, sono 8, mentre un tempo erano 18. Nel 1919 l’attuale arcivescovo ha istituito l’ufficio del canonico teologo e lo ha conferito per concorso. Manca l’ufficio del canonico penitenziere, che l’ordinario intende istituire in tempi migliori. I sin238


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goli canonici e le dignità [pag. 18] percepiscono una prebenda annuale ma piccola. C’è un’altra prebenda assegnata ad alcuni stalli. Il prevosto percepisce ogni anno la prebenda di L. 337,75; il tesoriere circa L. 90, più o meno, secondo la stima data alla quantità di frumento, che per l’unità di misura siciliana è «una salma e quattro tumuli di lordo»; il cantore L. 8,65; il decano L. 359,40; il primo canonico L. 75,50. Nel capitolo vige la regola della massa comune. C’è ancora un’altra massa comune di circa L. 2.000 per le distribuzioni relative al servizio corale ed è amministrata in modo distinto dall’altra massa destinata alle spese per la fabbrica e il culto. La messa conventuale si celebra con le somme della distribuzione. Il servizio corale, a norma della bolla di fondazione, non è quotidiano. Si presta nelle domeniche, nelle feste di precetto e in quelle abolite, nei giorni dell’ottava della festa del Corpus Domini e dell’Immacolata Concezione della B. Maria Vergine, in avvento e quaresima, non escluse le altre solennità della fondazione. Il capitolo ha proprie costituzioni dal 1796 e le osserva. Non ci sono canonici ad honorem. I canonici godono buona fama e non sempre fra alcuni di loro c’è perfetta concordia. 2) Inoltre c’è un capitolo di canonici nella città di Adernò, intitolato a Maria Santissima Assunta, eretto dal vescovo Francesco Caraffa nel 1690. È costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, decano, tesoriere e 8 canonici. Un tempo, secondo il decreto di fondazione, i canonici erano 12. Fra di loro c’è il teologo, il cui ufficio è stato istituito dall’attuale arcivescovo nel 1907, secondo le prescrizioni dei sacri canoni, ed è conferito per concorso come avviene nella cattedrale. L’elezione del prevosto e del cantore, secondo il decreto di fondazione, avviene per concorso. Per le altre dignità e i canonici, il capitolo entro otto giorni dalla vacazione del beneficio presenta tre candidati, se non rispetta questo termine perde il diritto alla presentazione e il vescovo può procedere liberamente alla nomina. I canonici hanno una prebenda. Le singole dignità L. 114, i singoli canonici L. 106. Le norme che regolano il servizio corale possono essere desunte dal decreto emesso dall’eminentissimo arcivescovo il 3 dicembre 1910 a nome [pag. 19] della S. Congregazione del concilio: «L’intiero asse in L. 3.866,75 delle rendite ordinarie del capitolo sarà diviso così: una parte per costituzione di una messa quotidiana da celebrarsi dai capitolari nella chiesa madre per tutti i benefattori del capitolo e di un’altra da celebrarsi all’alba tutte le domeniche e feste di precetto per gli 239


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stessi benefattori. La somma rimanente sarà divisa in due metà: con una si costituiranno le prebende, con l’altra il fondo delle distribuzioni per la recita dell’ufficio in coro. La recita dell’ufficio in coro va così stabilita: a) ore canoniche, prima, terza, sesta, nona nei giorni di mercoledì e sabato di ogni settimana coll’alternativa, domeniche, feste di precetto e nel giorno de’ morti; b) vespero e compieta il sabato di ogni settimana, la vigilia dell’Assunta, di s. Vincenzo M. patrono della città, l’ottavario del Corpus Domini, il giorno di tutti i santi e novena di natale; c) mattutino e lodi la notte di natale, la settimana santa (tenebre), la domenica di pasqua ed il giorno dei morti l’ufficio dei defunti». Il capitolo ha le sue costituzioni dal giorno della fondazione, 1° febbraio 1690, che osserva fedelmente. Non ci sono canonici ad honorem. Sebbene il comportamento morale dei canonici in genere sia buono, a motivo del lungo conflitto con il prevosto hanno perduto non poca stima e autorevolezza presso il popolo. Codesta Congregazione del concilio ha posto fine a quella controversia con la decisione del 1910. 3) Similmente a Biancavilla c’è un altro capitolo di canonici intitolato a Santa Maria dell’Elemosina, eretto nel 1746 dal vescovo Pietro Galletti. È costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, tesoriere, decano e da 7 canonici. Il decreto di fondazione prevedeva 3 dignità e 12 canonici. L’elezione del prevosto avviene mediante una terna presentata dal capitolo all’arcivescovo. Per le altre dignità e i canonici il capitolo presenta tre candidati entro otto giorni dalla vacazione della prebenda. Se entro il tempo stabilito il capitolo non ha fatto alcuna presentazione, il diritto di nomina passa alla libera decisione dell’arcivescovo [pag. 20]. Il predetto vescovo Pietro Galletti nel decreto di fondazione aveva conferito la cura attuale delle anime non solo alle dignità e ai canonici, ma anche ai mansionari, che la esercitavano in modo indiscriminato senza aver mai designato un vicario. Tuttavia fra di loro c’era uno, con l’ufficio di parroco ebdomadario, che nelle singole settimane concedeva la facoltà di amministrare i sacramenti ai sacerdoti estranei al capitolo. Poiché questa modalità di esercizio della cura delle anime era del tutto sconveniente ed è stata giudicata in contrasto con il Codice di diritto canonico, l’arcivescovo con un suo decreto del 2 agosto 1920 decise di modificarla, conferendo al solo prevosto del capitolo la cura delle anime, che sarebbe stato aiutato da diversi vicari cooperatori, a motivo dell’elevato numero di 240


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fedeli di quella parrocchia. Questo decreto fu approvato dalla S. Congregazione del concilio con l’autorità di Benedetto XV. Diversi canonici della collegiata presentarono ricorso contro il decreto al tribunale della Sacra Rota, che, come era prevedibile, lo respinse. Avendo ottenuto lo stesso risultato non una prima, ma anche una seconda volta presso codesta Congregazione del concilio, con caparbia decisione presentarono ricorso alla plenaria della stessa Congregazione. Per il bene della parrocchia di cui stiamo trattando c’è da augurarsi che sia presa una opportuna decisione che imponga a quei canonici il silenzio. Un tempo le singole dignità e i canonici avevano una prebenda di once 6 (L. 76,50). Ora invece, in seguito alle leggi eversive, dispongono solamente di modeste distribuzioni, la somma totale delle quali è stata aumentata dall’attuale arcivescovo a L. 2.000 per la recita delle ore canoniche e per le sacre funzioni che si celebrano nelle principali feste dell’anno. In genere i canonici godono di una buona stima presso il popolo e si dedicano con diligenza al sacro ministero. 4) Un altro capitolo di canonici si ha nella città di Paternò, intitolato a Santa Maria dell’Alto, eretto dal vescovo Michelangelo Bonadies nel 1670. È costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, tesoriere e decano. Coloro che detengono queste dignità rivendicano dalla fondazione il diritto di esercitare in modo indiscriminato la cura delle anime. Poiché questa modalità di esercitare la cura delle anime era in contrasto con le norme del Codice di diritto canonico e con il buon governo della parrocchia, nel 1919 l’arcivescovo con un suo decreto [pag. 21] stabilì che la cura delle anime fosse di competenza del solo prevosto, coadiuvato da diversi vicari. Inoltre si hanno 8 canonici, uno dei quali ricopre l’ufficio di teologo. Questo ufficio, istituito dall’attuale arcivescovo, è conferito per concorso a norma dei sacri canoni. Non c’è penitenziere. La nomina delle dignità e dei canonici un tempo, secondo il decreto di fondazione, spettava al vescovo con la facoltà conferita al capitolo nel caso di vacazione delle dignità di cantore, tesoriere e dei canonicati, di nominare con votazione segreta, entro otto giorni dalla data della vacazione, tre sacerdoti di buona vita, cittadini di Paternò, fra i quali bisognava preferire i laureati in sacra teologia e diritto canonico o civile. I tre nomi venivano presentati entro gli otto giorni predetti allo scopo di sceglierne uno. Se fosse trascorso inutilmente il termine previsto, il vescovo avrebbe potuto procedere liberamente alla nomina. (Non si fa menzione del decanato, perché questa 241


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dignità è stata eretta successivamente al decreto di erezione della collegiata). Attualmente il conferimento di queste prebende, su richiesta dello stesso eminentissimo arcivescovo, è stato revocato dalla Santa Sede, e così da alcuni anni le nomine sono state fatte con lettere apostoliche. Secondo il decreto di fondazione la prebenda era stata fissata in ragione di once 15 (L. 195,25) per ogni dignità e once 12 (L. 165,75) per ogni canonico. Ma oggi, dopo le leggi eversive dello Stato, il numero dei canonici con l’approvazione dell’arcivescovo è stato diminuito e la prebenda è stata aumentata in ragione di L. 450 per i singoli canonici e L. 488,25 per le dignità. È stata anche stabilita una quota equa per le distribuzioni. Per quanto riguarda il culto e la fabbrica della chiesa, il predetto decreto ha stabilito once 74 (L. 943,50), che in futuro dovranno essere pagate interamente e in caso di diminuzione devono essere integrate in proporzione dai canonici. Tutti i proventi e le rendite del capitolo, che costituiscono una massa comune, sono amministrati dal procuratore del capitolo, eletto dallo stesso. Il depositario paga le tre voci di spesa [pag. 22]: soddisfazione degli oneri di messe, prebende e distribuzioni, fabbrica e culto della chiesa. Il capitolo dalla sua fondazione ha proprie costituzioni, che osserva fedelmente. Il servizio corale è svolto in tutte le domeniche e giorni festivi di precetto, nella settimana santa, nei venerdì del mese di marzo e in tutta l’ottava del Corpus Domini. È prevista l’intera recita delle ore canoniche e le consuete processioni, non esclusa quella che si fa la terza domenica di ogni mese. La messa conventuale solenne, secondo il decreto di fondazione, è celebrata dalle dignità nelle feste principali e dai canonici a turno nelle altre domeniche. La stima del popolo per i canonici non è molta, anche se in genere si può affermare che sono di buoni costumi. Questo è dovuto al ricordo di alcuni loro predecessori che hanno dato cattivo esempio e soprattutto ai dissidi sorti all’interno del capitolo. Per porre termine a questa situazione si è rivelato un utile rimedio il decreto pontificio del 1911, che privò i canonici del diritto di presentare i candidati alle prebende canonicali vacanti. 5) Similmente c’è un capitolo di canonici nel comune di Nicolosi, intitolato allo Spirito Santo, eretto dal vescovo Pietro Galletti nel 1737. Per la mancanza di clero oggi è costituito dalla dignità del cantore e da tre canonici solamente. Secondo il decreto di fondazione dovrebbe essere formato da 3 dignità: prevosto, cantore, tesoriere e da 10 canonici. La prima dignità è nominata liberamente dall’ordina242


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rio; per tutti gli altri, dignità e canonici, entro otto giorni dalla vacazione il capitolo propone tre candidati; se trascorrono inutilmente il diritto di nomina passa all’arcivescovo. I singoli canonici godono di una esigua prebenda. Negli atti di fondazione si legge: «E perché si sappia quanto siano le prebende e distribuzioni toccanti a ciascuno dei capitolari, in virtù dei presenti capitoli, si stabilisce che dagli introiti e frutti di detta chiesa matrice si diano al prevosto once otto (L. 102) ogni anno; al cantore e tesoriere onze sei (L. 76,50) per uno e ad otto dei dieci canonici onze quattro (L. 51) per uno; e agli due li quali occuperanno [pag. 23] gli ultimi stalli onze due e tarì quindici (L. 31,87) per ognuno. Dei quali suddetti proventi spettanti alle suddette dignità e canonici si devono considerare la terza parte di ogni porzione per ragione di prebenda e le due altre parti per ragione delle distribuzioni, soggette alle falte correspondenti all’obbligo che hanno del servizio della Chiesa». Ciò che rimane dalle prebende e dalle distribuzioni si spende per la messa conventuale, il culto, la fabbrica e le altre spese, delle quali si occupa solamente l’amministrazione della chiesa. Il capitolo dalla sua fondazione ha le proprie costituzioni che osserva. Il servizio corale non è quotidiano ma a intervalli. Ecco cosa prevede il decreto di fondazione: «I capitolari saranno obbligati tutti i giorni festivi recitare l’officio in coro, cominciando dal primo vespro, a cantare le messe nelle feste di precetto, ottava della natività, tutta la settimana santa, venerdì di marzo, tutta la ottava di pasqua, festa di pentecoste ed ottava del Corpus Domini ed in altri giorni destinandi dal Prevosto». Tutti questi canonici dovrebbero avere maggiore pietà e zelo per godere della piena stima del popolo. 6) Inoltre c’è un capitolo nel comune di Viagrande, intitolato a San Biagio martire, fondato dal vescovo Gabriele Gravina il 12 dicembre 1817. Questo capitolo è costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, decano, tesoriere e, per la mancanza di sacerdoti, solo di 3 canonici. Non c’è né il teologo né il penitenziere, che oltretutto mancano anche nelle altre collegiate. Per la nomina delle dignità e dei canonici gli stessi capitolari, entro otto giorni dalla vacazione presentano al vescovo tre chierici, perché a uno di loro dia l’istituzione canonica. Trascorsi inutilmente gli otto giorni, la nomina compete alla libera decisione dell’ordinario. Ognuno di loro gode di una piccola prebenda annuale di L. 38,25 e delle distribuzioni quotidiane che ammontano a L. 76,50. Il capitolo dalla fondazione ha le sue costituzioni che 243


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osserva. Il servizio corale non è quotidiano. Si svolge nelle domeniche e feste di doppio precetto con la messa conventuale. Nelle feste doppie di prima classe si recita tutto l’ufficio divino dai primi [pag. 24] fino ai secondi vespri. Nelle domeniche e nelle altre feste senza mattutino, lodi e prima. Inoltre c’è servizio corale nei giorni dell’esposizione delle quarantore, che si tiene nella chiesa collegiata durante la settimana santa, la cui solennità si celebra nella stessa chiesa parrocchiale, nell’ottava del Corpus Domini, nella festa del santo patrono e titolare della stessa collegiata, nelle ceneri, nella commemorazione dei fedeli defunti e nell’anniversario della dedicazione della chiesa. Tutti questi canonici a ragione godono di buona stima nel popolo. 7) Infine un altro capitolo di canonici, intitolato all’Immacolata Concezione della Beata Maria Vergine, è stato istituito a Belpasso dal vescovo Andrea Riggio nel 1710 durante la visita pastorale. Questo capitolo è costituito da 4 dignità: prevosto, cantore, tesoriere, decano e da 12 canonici. Attualmente manca il prevosto e per mancanza di sacerdoti si contano solo 3 canonici. Per la nomina delle dignità e dei canonici, ad eccezione del prevosto, la cui nomina spetta al vescovo, il capitolo entro otto giorni dalla vacazione delle prebende, secondo la prassi comune, presenta tre candidati; se non rispetta questo termine perde ogni diritto e l’ordinario può procedere liberamente alla nomina. Tutti hanno una qualche prebenda di minima consistenza. Il prevosto L. 51, le altre singole dignità L. 38,25, i canonici L. 12,17. Inoltre percepiscono distribuzioni di poco conto, desunte dai beni parrocchiali, con i quali si affrontano le spese per la messa conventuale, per la fabbrica e il culto della chiesa. Il capitolo dalla fondazione ha le sue costituzioni, che un tempo osservava; successivamente per delle difficoltà di varia natura è stato poco fedele nella loro osservanza. Non c’è un servizio corale quotidiano; secondo il decreto di fondazione si svolge soltanto nelle domeniche e nelle feste doppie di prima classe e nelle feste abolite, con la recita dell’intero ufficio divino e della messa conventuale dopo l’ora di terza. Inoltre tutti i canonici sono obbligati a partecipare al coro: a) nei dodici sabati prima della festa dell’Immacolata Concezione della Beata Maria Vergine; b) nella novena di natale, in cui i capitolari devono assistere anche alle funzioni vespertine; c) nelle funzioni di s. Lucia V. M.; d) nei venerdì e sabati di quaresima; e) tutti i giorni della settimana santa; f) nell’ottava del Corpus Domini; g) nei giorni di [pag. 25] s. Marco e delle rogazioni. 244


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Poiché non tutti i capitolari si distinguono per scienza, pietà e zelo, la fama che hanno presso il popolo è mediocre.

CAPITOLO VII – LE PARROCCHIE E I LORO RETTORI 63. Anzitutto bisogna far notare che in questa nostra diocesi non sono mai esistite vere parrocchie canonicamente erette, se si escludono le due di Bronte e di Trecastagni e ora altre tre, che, come ho detto sopra trattando dei capitoli, sono state erette da pochi anni secondo le prescrizioni del Codice di diritto canonico, nelle città di Adernò, Paternò e Biancavilla. Sebbene nel 1554 il vescovo Nicola Caracciolo, rientrando dal Concilio di Trento, avesse voluto eseguire un decreto su questo argomento, il senato catanese di quel tempo si oppose. Pertanto è rimasto l’antico ordinamento della Chiesa primitiva: il vescovo unico parroco di tutta la diocesi, come si asserisce, delega alcuni presbiteri nelle singole chiese curate, che in suo nome e autorità esercitano la cura delle anime. Tutte le chiese curate sono provviste del loro rettore. 64. Tenendo conto di quanto abbiamo detto sopra, è ovvio che la provvista delle parrocchie viene fatta dall’arcivescovo senza concorso. Fanno eccezione le poche parrocchie propriamente dette, sopra indicate, per le quali si indice il concorso. Ai candidati si pongono quesiti di teologia dogmatica e morale e si chiede loro di stendere un’omelia sui vangeli; i concorrenti rispondono in scritto e oralmente dinanzi agli esaminatori sinodali, che esprimono un giudizio sulla loro idoneità. Fra di loro l’arcivescovo nomina quello che, dopo aver vagliato tutte le circostanze, ritiene dinanzi a Dio il più degno. I parroci di Adernò, Paternò e Biancavilla, di recente istituzione, essendo allo stesso tempo dignità delle rispettive collegiate, sono nominati dal romano pontefice. 65. Ad esclusione di pochi parroci propriamente detti, tutti gli altri cappellani curati sono amovibili a discrezione del vescovo. 66. In questa diocesi non si hanno parrocchie affidate alle congregazioni religiose [pag. 26]. Tuttavia è intenzione dell’arcivescovo, se Dio vorrà, di affidare ai gesuiti e ai salesiani alcune nuove parrocchie da erigere nella città, così necessarie, per il notevole incremento degli abitanti. 245


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67. In diocesi non ci sono parrocchie nelle quali la cura abituale delle anime è affidata ai capitoli o ad altre persone. 68. Parimenti in diocesi non esistono parrocchie soggette al diritto di patronato. 69. Le offerte, a dire il vero molto modeste, che i pastori d’anime sogliono ricevere per l’amministrazione dei sacramenti, i funerali, la celebrazione delle messe solenni, i certificati, le pubblicazioni matrimoniali sono confermate da una certa prassi ininterrotta. In questa materia però si auspica la promulgazione di una regola che, nella situazione in cui ci troviamo, meglio garantisca la dignità e le necessità dei pastori d’anime. Poiché sembra che questo non si possa ottenere nelle conferenze episcopali, come si auspicava, per avere in tutta la regione siciliana una certa uniformità delle tasse, l’arcivescovo pensa di raggiungere tale obiettivo almeno nella sua diocesi, con il proposito di sottoporre le proprie decisioni all’approvazione della Santa Sede. Generalmente non si riscontrano proteste o gravi inconvenienti a motivo delle tariffe parrocchiali troppo onerose oppure per l’intransigenza di coloro che le richiedono. 70. I pastori d’anime, non essendo veri parroci, non godono di alcuna prebenda oppure ne hanno una molto piccola. Nella città di Catania ricevono qualcosa dalla somma di L. 8.325, che la mensa vescovile è tenuta a pagare ogni anno alle 13 parrocchie più antiche, detta somma dall’attuale arcivescovo è stata aumentata, e ancora dalle rendite proprie di alcune chiese e dai frutti di stola. Nelle rimanenti chiese curate o non c’è alcuna dote di beneficio o si può contare solamente su rendite non certamente abbondanti, se ci sono. Questa è una delle cause che rende più difficile il governo di questa diocesi, soprattutto in tempi così avversi come i nostri. Ci sono chiese parrocchiali che posseggono beni immobili e perlopiù canoni enfiteutici. I beni immobili sogliono essere dati in locazione. L’amministrazione è affidata a un sacerdote, come procuratore dell’arcivescovo, che presenta ogni anno il rendiconto delle entrate e delle uscite [pag. 27] alla commissione istituita a questo scopo, che, sotto la vigilanza dell’ordinario, esamina tutto e dà le opportune risposte. In tal modo si bada, nel modo migliore possibile, a conservare il sacro patrimonio delle chiese parrocchiali. Da quanto si è detto, appare evidente che i curati dai beni ecclesiastici ricevono appena quel che basta per un onesto 246


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sostentamento e occorre per la cura delle anime e le sacre funzioni, tanto più che le offerte dei fedeli non sono generose. 71. Di solito accanto alle chiese parrocchiali c’è la casa canonica, dove i pastori d’anime nella città dimorano con qualche membro della loro famiglia. Nelle altre parrocchie della diocesi sogliono vivere a casa propria, in modo da adibire la canonica per ospitare i predicatori forestieri invitati durante la quaresima o in altre occasioni. Sebbene si faccia di tutto per convincere questi pastori d’anime a fare vita comune con i propri collaboratori, diversi ostacoli impediscono la facile attuazione di questa prassi: al riguardo c’è una lunga consuetudine contraria, le risorse sono limitate e le case non sono spaziose per accogliere comodamente più persone. 72. C’è un decreto che proibisce severamente ai pastori d’anime di avere in casa propria, a motivo di servizio o per qualsiasi altro pretesto, non solo giovani donne, ma anche più persone della propria famiglia. La convivenza è consentita solamente alle persone strettamente necessarie al servizio e del cui buon comportamento morale si è certi. 73. Nelle singole parrocchie si conservano i libri parrocchiali, dove secondo le norme canoniche si annota ciò che attiene al battesimo, al matrimonio e alla morte dei fedeli. Per quanto riguarda il matrimonio in particolare si osserva la legge che obbliga di annotare nel libro dei battezzati, accanto al nome dei singoli, l’avvenuto matrimonio. Ci sono anche i libri dei cresimati e gli elenchi o registri delle messe fondate e manuali; in genere sono scritti e conservati con diligenza. Il registro dello stato d’anime non c’è in tutte le chiese per l’eccessiva vastità di molte circoscrizioni parrocchiali e per la mancanza di collaboratori disposti a svolgere questo lavoro [pag. 28]. 74. A motivo del particolare ordinamento che, come abbiamo già detto, vige in questa diocesi, l’archivio, diviso in due parti: pubblico e segreto, a Catania non si trova nelle singole parrocchie, ma è custodito nella cancelleria della curia arcivescovile; negli altri comuni nelle parrocchie. 75. I pastori d’anime osservano l’obbligo della residenza. 76. Poiché in questa diocesi i pastori d’anime, come ho detto sopra, non sono parroci propriamente detti, ma delegati dall’arcivescovo e amovibili a sua discrezione, mai nei giorni festivi applicano la messa per il popolo. In genere celebrano con zelo e con frutto le funzioni proprie per la santificazione del giorno festivo. Da qualche tempo quasi 247


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tutti spiegano il Vangelo e impartiscono ai bambini e agli adulti la catechesi; per ottenere il maggior frutto possibile da questo ministero così importante, dall’autorità ecclesiastica sono esortati a servirsi di un metodo che si adegui alle capacità di comprensione del popolo. 77. In genere sono solleciti nell’ascolto delle confessioni, nella distribuzione dell’Eucaristia e nell’assistenza agli infermi; tuttavia in un caso o nell’altro può succedere qualche inconveniente e ci può essere qualche lagnanza. 78. A meno che in qualche caso particolare non ci sia una grave e giusta causa, amministrano il battesimo e celebrano il matrimonio in chiesa, osservando le cerimonie previste dal Rituale romano. 79. I pastori d’anime nei confronti dei fedeli che notoriamente fanno parte delle società segrete o per qualsiasi altro motivo vivono fuori dalla Chiesa, tengono questo comportamento: in punto di morte non li ammettono ai sacramenti, se li chiedono, a meno che non hanno prima abiurato o rilasciato una pubblica dichiarazione. I pastori d’anime, nonostante la richiesta dei familiari, negano poi la sepoltura ecclesiastica a coloro che in modo certo e notorio muoiono fuori dal seno della Chiesa. Nei casi controversi ricorrono all’ordinario. 80. Per l’ammissione dei bambini alla prima comunione si osserva la regola stabilita dal catechismo del Concilio di Trento: i bambini che a giudizio del proprio confessore e dei parenti sono giunti a una sufficiente discrezione [pag. 29], non devono essere impediti o tenuti lontani per lungo tempo dalla sacra mensa, soprattutto dopo il decreto emanato su questa materia dalla S. Congregazione del concilio. 81. Tutti i pastori d’anime, anche se non con lo stesso zelo, si impegnano a fortificare nella fede i propri fedeli, li esortano ad accostarsi con frequenza alla confessione, in particolare alla comunione quotidiana, e a mantenere con purità una condotta di vita cristiana. A tal fine, oltre le consuete mansioni del proprio ministero: a) alcune volte durante l’anno nei giorni più solenni, nella quaresima, nel mese di maggio o per la festa di un santo, invitano un predicatore e un confessore straordinario; b) ogni anno, soprattutto nel periodo quaresimale, curano di tenere in chiesa le sacre missioni; c) celebrano nelle proprie chiese e raccomandano ai propri fedeli le devozioni approvate dalla Chiesa, come l’esposizione del ss. Sacramento, la via crucis, il rosario, il mese mariano ed altri pii esercizi analoghi, che si praticano più o meno nella diocesi; d) fanno di tutto per incoraggiare i ragazzi, 248


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le ragazze e i fedeli adulti a iscriversi alle pie unioni, ai patronati, alle società e alle associazioni cattoliche; e) soprattutto i pastori d’anime più giovani con prudenza fondano o almeno incoraggiano, dov’è possibile, le opere sociali che sono favorevoli alla Chiesa cattolica. Tuttavia bisogna confessare che dalle nostre parti si incontrano molte difficoltà per fondare e dirigere società di questo genere.

CAPITOLO VIII – ART. I – IL SEMINARIO DIOCESANO 82. L’antico edificio del seminario, fondato subito dopo il Concilio di Trento, andò distrutto in seguito all’immane terremoto del 1693 e poco dopo dalla munificenza del vescovo Andrea Riggio ne fu costruito uno nuovo. Questo edificio nell’anno della rivoluzione del 1848 fu occupato dalle regie milizie e, sebbene in seguito l’autorità ecclesiastica lo abbia reclamato, mai ha potuto ottenere la sua restituzione. Dopo di che fu necessario adattare nel modo migliore possibile alcuni locali propri abbastanza ampi annessi allo stesso seminario. Può ospitare circa 100 alunni [pag. 30]. Anche se è ben esposto a mezzogiorno e vicino al mare, per la distribuzione delle parti interne e per i suoi spazi limitati non è conforme alle esigenze disciplinari e igieniche; inoltre dispone solamente di un cortile per la ricreazione. Di recente sono stati fatti degli adattamenti e di più ancora se ne faranno l’anno prossimo, se Dio lo permetterà. Fino ad oggi c’è un solo seminario diocesano. In diocesi ci sono tre case nelle quali si accolgono anche bambini, chiamati “aspiranti” allo stato clericale. Sono di grande utilità per discernere le vocazioni sacerdotali. 83. Gli introiti e gli esiti del seminario possono essere desunti da questa nota consegnata dallo stesso amministratore: «Rendite patrimoniali 1. Corpi redditizii ................................................. L. 25.500 2. Rendita sul Debito pubblico .......................... L. 6.690 3. Censi e rendite varie ....................................... L. 1.813,94 4. Canoni enfiteutici ............................................ L. 1.021,52 5. Tassa sui beneficii ............................................ L. 1.525,61 6. Interessi di somme in deposito ...................... L. 5.000 ___________ L. 41.551,07 249


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Spese patrimoniali 1. Tasse per terreni, fabbricati e ricchezza mobile L. 8.575,78 2. Manomorta e quota di concorso ......................... L. 1.866,80 3. Manutenzione dei fabbricati ............................... L. 1.325 4. Canoni e rendite passive ...................................... L. 1.717,47 5. Assicurazione contro l’incendio .......................... L. 124,49 ___________ L. 13.609,54». Bisogna tuttavia tener presente che queste rendite patrimoniali sono diminuite per la vendita voluta dal governo delle botteghe che si trovano nella parte antica dell’edificio e non erano più adibite ad abitazione dei chierici, come già si è detto. Infatti il ricavato della vendita di L. 420.000 fu depositato nella Banca Italiana di Sconto, ma per la sua nota e infelice sorte, a stento se ne può recuperare solo una parte. Nondimeno si spera [pag. 31] in una forma di compensazione dalla vendita di un terreno, che a nome del seminario ha acquisito l’attuale eminentissimo arcivescovo. Gli alunni pagano la retta annua di L. 1.200. I poveri sono aiutati dallo stesso arcivescovo, da alcuni benefattori e mediante le offerte delle messe binate con il permesso della Santa Sede. 84. Rettore del seminario è D. Emilio Ferrais, vescovo titolare di Listra, che ha come aiuto nella direzione il sacerdote del clero secolare Giuseppe Consoli. Tutti adempiono con diligenza l’ufficio loro affidato e formano gli alunni nella disciplina e nella pietà. 85. Il maestro di spirito o direttore spirituale è il sac. Gaetano Messina. Oltre la sua persona, c’è un numero abbastanza ampio di altri confessori. 86. Secondo le prescrizioni del Concilio di Trento ci sono 2 consiglieri per la disciplina e 4 per l’economia, ai quali l’ordinario chiede consiglio nei casi previsti dal diritto. 87. Vivono in seminario solo i docenti del corso di teologia e uno solo di liceo; gli altri dimorano altrove. Non c’è nessuna osservazione da fare sulla loro idoneità, sulla pietà e sul comportamento, anzi quasi tutti sono meritevoli di lode. 88. In atto vivono in seminario 83 alunni interni; gli esterni sono 17. Questi ultimi, che non possono pagare la retta perché poveri, sebbene di notte e per poche ore del giorno rimangano presso la loro fa250


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miglia, tuttavia trascorrono la maggiore parte del giorno in seminario, sotto la disciplina dei loro superiori, ma sono separati dagli altri chierici. È vivo il desiderio e l’impegno di sopprimere questo esternato quando le condizioni lo permetteranno. Si è molto attenti a far risiedere questi seminaristi per un consistente periodo di tempo in seminario prima dell’ordinazione. Non vengono mai accolti bambini che non vogliono con certezza avviarsi allo stato ecclesiastico. Si permette a 1 seminarista di vivere nel seminario di Acireale per motivi di salute. Nel nostro seminario sono accolti 2 alunni della diocesi di Nicosia, 3 della diocesi di Siracusa, e 1 di Caltagirone. La loro ammissione è stata regolarmente chiesta o concessa dai loro [pag. 32] Ordinari. 89. Poiché fino ad oggi c’è un solo edificio per accogliere tutti i chierici, è necessario far vivere sotto lo stesso tetto i grandi con i piccoli. Si spera di evitare questo inconveniente quando si costruirà in un luogo più idoneo un nuovo edificio. Intanto si fa ricorso ad alcuni accorgimenti, per quanto è possibile, in modo che gli uni siano distinti dagli altri per essere formati mediante una disciplina più adatta alla loro età. 90. La pietà e la disciplina sono alimentate con ogni impegno in seminario mediante le regole prescritte dalla Santa Sede. Gli alunni una volta la settimana si accostano al tribunale della penitenza e quasi ogni giorno ricevono la comunione eucaristica. Ogni anno prima dell’inizio del corso di studi, per otto giorni interi, tutti, interni ed esterni, nel seminario di villeggiatura, fanno gli esercizi spirituali secondo il metodo di s. Ignazio; perciò in quel periodo sono occupati solamente a meditare in silenzio sulle verità eterne. Per promuovere con maggiore efficacia la pietà, la disciplina e lo studio, oltre le premiazioni trimestrali e annuali, dall’eminentissimo arcivescovo viene conferito il premio o borsa di studio di L. 240 all’alunno di ogni corso che viene considerato primo fra tutti per pietà e studio. 91. Gli studi di filosofia si svolgono in tre anni, quelli di teologia in quattro, secondo le prescrizioni della Santa Sede. I professori e gli studenti adoperano la lingua latina e seguono il metodo scolastico secondo l’indirizzo di s. Tommaso d’Aquino. Il manuale di teologia dogmatica è il compendio del Pesch31, di teologia morale il Noldin32, di fi31

C. PESCH S.I., Praelectiones dogmaticae, 4 voll., Friburgi Brisgoviae 1913-

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H. NOLDIN, Summa theologiae moralis, 3 voll., Oeniponte 1897.

1914.

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losofia Farges-Barbedette33 e Mercier34. Oltre queste discipline si insegnano: diritto canonico, patrologia, storia ecclesiastica, princìpi di sacra eloquenza, Sacra Scrittura, lingua ebraica e greco biblico. Gli studi umanistici di italiano e di latino sono così approfonditi che i giovani sono pronti ad affrontare l’esame di Stato per conseguire il diploma. Tutti i chierici sono accuratamente istruiti nelle sacre cerimonie e nel canto liturgico. 92. È proibita ai seminaristi la lettura di libri e di periodici che, sebbene non pericolosi, sarebbero causa di distrazione dagli studi. Solo agli ordinati in sacris si permette a volte [pag. 33] la lettura del periodico La Civiltà Cattolica. 93. L’ordinario spesso visita il seminario e ascolta gli alunni per rendersi conto personalmente del loro progresso nella pietà e negli studi. 94. Per la promozione agli ordini sacri si segue questo iter: le domande dei candidati sono ricevute dal rettore e valutate attentamente dai singoli superiori, in modo da formulare in segreto un giudizio ponderato sulla loro pietà e idoneità; dopo si passa allo scrutinio, in cui l’ordinario prende in esame le domande assieme ai superiori e pronunzia il giudizio definitivo. Ad ogni sacra ordinazione si premettono gli esercizi spirituali per la durata di dieci giorni. Solitamente per motivi ben ponderati dall’ordinario si dispensa dalla legge degli interstizi. I chierici, a meno che non ci sia la dispensa della Santa Sede per i casi particolari e molto rari, sono ordinati con il titolo del sacro patrimonio. 95. Dall’ultimo quinquennio in seminario non è accaduto nulla degno di nota. 96. La diocesi possiede un’ottima casa di villeggiatura per il seminario, dove tutti gli alunni durante le ferie si riuniscono, cioè nei mesi di agosto, settembre e ottobre. Si concede loro il permesso di ri-

33 A. FARGES – D. BARBEDETTE, Philosophia scholastica ad mentem S. Thomae Aquinatis exposita et recentioribus scientiarum inventis aptata, 2 voll., Parisiis 1903. 34 Nella relazione si potrebbe far riferimento al manuale in due volumi Traité élémentaire de philosophie, Louvain 1909, scritto da Desiré Mercier assieme ad altri autori.

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tornare in famiglia solo per dieci giorni in ginnasio e in liceo, per trenta a coloro che seguono il corso teologico. Costoro sono affidati alle cure e alla vigilanza del rispettivo vicario o di qualche buon sacerdote, che li riunisce ogni giorno per ascoltare la messa, per fare gli esercizi di pietà, per andare a passeggio, ecc.; alla fine informa l’ordinario sul loro comportamento. 97. L’eminentissimo arcivescovo, dopo avere assunto il governo della diocesi, si è adoperato a proprie spese perché i chierici più promettenti continuassero gli studi nelle università pontificie di Roma o di Lovanio per conseguirvi i titoli accademici. 98. A nessuno prima dell’ordinazione sacerdotale è stato ancora dato il permesso di frequentare le pubbliche università civili. 99. I chierici costretti al servizio militare sono raccomandati all’ordinario e al rettore del seminario del luogo in cui sono inviati. Quando hanno finito il servizio, prima del loro rientro in seminario, si chiedono le attestazioni [pag. 34] sul loro onesto comportamento e dopo un attento esame sono promossi agli ordini. 100. In diocesi si osserva fermamente il principio di non ammettere in seminario coloro che sono stati mandati via da altri seminari o da istituti religiosi.

ART. II – IL SEMINARIO INTERDIOCESANO O REGIONALE 101. Codesta Congregazione sa bene ciò che è stato fatto fino ad oggi per erigere nella Sicilia orientale il seminario interdiocesano e quante difficoltà si sono frapposte per la realizzazione di questa importantissima opera.

CAPITOLO IX – GLI ISTITUTI RELIGIOSI MASCHILI 102. I religiosi in genere osservano la vita comune e qualcuno, con il permesso della Santa Sede, vive in una casa privata. Ognuno indossa l’abito del proprio ordine. Si mantengono, non senza qualche difficoltà, o con le risorse della comunità o con le intenzioni di messe e le offerte dei fedeli. Di loro godono buona fama i gesuiti, i salesiani, i missionari di San Vincenzo dei Paoli e i fratelli delle scuole cristia253


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ne. Non si può dire la stessa cosa di tutti35 quelli che appartengono agli altri ordini religiosi. Risiedono in diocesi tre ecclesiastici, che hanno ricevuto gli ordini maggiori e oggi non sono incardinati in nessuna Chiesa, perché dimessi dai loro superiori religiosi prima di aver trovato un vescovo benevolo ad accoglierli. Il loro comportamento è buono. 103. Alcuni religiosi sono impegnati a promuovere il culto divino e a svolgere il ministero della predicazione e della confessione nelle loro chiese o altrove con frutto e con grandissima soddisfazione e lode dei fedeli. I salesiani e i fratelli delle scuole cristiane, invece, operano egregiamente per l’istruzione e la formazione cristiana dei giovani. Nessuno di loro fino ad oggi esercita la cura delle anime in parrocchie loro affidate. L’eminentissimo arcivescovo ha in mente di affidare, se Dio vorrà, ai gesuiti e ai salesiani due nuove parrocchie, che necessariamente dovranno essere erette nella città di Catania. 104. Sono presenti in diocesi religiosi questuanti: i frati minori e i cappuccini, che osservano i decreti della Santa Sede su questa materia, perciò fino ad oggi non si è avuto alcun [pag. 35] inconveniente. 105. Da parte dei religiosi non è stato recato alcun pregiudizio alla giurisdizione dell’arcivescovo sia propria sia a lui delegata dal diritto. 106. Non esistono congregazioni di diritto diocesano.

CAPITOLO X – GLI ISTITUTI RELIGIOSI FEMMINILI 107. Le donne degli istituti religiosi che qui ancora esistono, in genere si comportano in modo da essere per i fedeli di grandissimo esempio. Se c’è stato qualche abuso, le superiore hanno provveduto subito a eliminarlo. Non esiste in diocesi un monastero femminile soggetto all’autorità di prelati religiosi. 108. In tema di clausura, che nei nostri monasteri è vescovile per le facoltà concesse dalla Santa Sede, si osservano le norme canoniche, per quanto è possibile in luoghi soggetti ingiustamente alle autorità civili. 35

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Sottolineato nel testo originale.


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109. Dopo le leggi eversive sopravvivono solo tre monasteri, dei quali due non hanno nulla o quasi nulla per vivere. Infatti il primo, intitolato a Sant’Agata, ha solo due vecchie monache che dimorano assieme ad alcune pie donne in una parte dell’antico edificio. Il secondo, intitolato a San Placido, ha una sola monaca. Anche questa vive assieme a delle pie donne in una casa acquistata per avere un certo riparo. È fiorente invece il monastero intitolato a San Benedetto, il cui edificio abbastanza spazioso è stato recuperato da pochi anni dall’eminentissimo arcivescovo. In esso vive una nuova ed eccellente comunità di 33 monache, i cui redditi sono amministrati dall’autorità ecclesiastica. Le somme delle doti che alcune monache, non tutte, hanno versato sono state investite nell’acquisto di obbligazioni dello Stato, chiamate «titoli al portatore del Debito Pubblico»; sono amministrati dalla priora, che è tenuta a dar conto della sua amministrazione solo all’ordinario36. 111. Le religiose di vita attiva o assistono gli ammalati negli ospedali, come le figlie della carità, le figlie di Sant’Anna, le piccole suore dei poveri [pag. 36] e le figlie della Misericordia, o si occupano dell’educazione cristiana delle ragazze di qualsiasi ceto, come diverse suore di queste stesse congregazioni e le altre che abbiamo indicato all’inizio di questa relazione. Le suore svolgono entrambe le attività con buono spirito, con grandissima utilità dei fedeli e edificazione della Chiesa. 112. In diocesi non ci sono religiose che servono gli infermi nelle case private. Fanno la questua solo le piccole suore dei poveri e si comportano egregiamente, osservando le regole del proprio istituto approvate dalla Santa Sede, senza provocare inconvenienti di alcun genere. Alcune figlie di Maria Ausiliatrice accudiscono alle attività domestiche di due istituti salesiani; ma la loro abitazione è del tutto separata dagli stessi istituti e comunicano con loro attraverso la ruota solo per il tempo necessario al loro servizio; perciò si è abbastanza attenti a non far succedere alcun inconveniente. 113. Non si hanno istituti di diritto diocesano.

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Manca il n. 110, che riguarda i confessori dei monasteri.

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CAPITOLO XI – IL POPOLO IN GENERE 114. Com’è stato già detto all’inizio di questa relazione, sebbene qui il popolo conservi la fede cristiana, nella maggior parte di esso, specialmente se consideriamo la città e gli uomini, i costumi sono corrotti e si sono diffuse soprattutto l’immoralità e le bestemmie. 115. In città, non nelle altre parti della diocesi, sono molti coloro che nelle domeniche e nelle feste non si astengono dai lavori servili e non ascoltano la messa. Non c’è molta differenza, quanto all’osservanza del precetto festivo, con gli altri comuni della diocesi. 116. Lo stesso deve affermarsi a proposito dei precetti dell’astinenza, del digiuno e della comunione pasquale. 117. Da qualche tempo si nota un uso più frequente della confessione sacramentale e della comunione, ma nelle donne e nei ragazzi di qualsiasi condizione, non negli uomini. 118. Solitamente i genitori sono solleciti a far battezzare i bambini almeno entro [pag. 37] una settimana dalla nascita; ma sono molti coloro, specialmente nel ceto civile, che in misura maggiore o minore lo differiscono; pochi lo trascurano, rarissimi quelli che proibiscono l’amministrazione del battesimo. 119. I matrimoni solo civili o concubinati sono molti e si verificano con maggiore frequenza in città più che negli altri comuni della diocesi, soprattutto i piccoli. Sono due i principali abusi che si riscontrano contro la santità del matrimonio: l’adulterio e l’onanismo. 120. Rarissimi sono da noi i matrimoni misti; quando se ne celebra qualcuno che riguarda uno straniero, si procede con la licenza della Santa Sede e a condizione di educare i figli nella fede cattolica. 121. Ai genitori in genere poco o nulla interessa insegnare ai propri figli i comportamenti cristiani, non solo all’interno della famiglia, ma anche fuori, soprattutto nelle scuole. 122. Quasi tutti i fedeli gravemente malati chiedono gli ultimi sacramenti. Sono pochi i funerali civili che si celebrano a motivo della mancanza di fede nel defunto o della sua appartenenza politica o massonica. 123. Nell’esercizio dei diritti politici e civili sono pochi coloro che nella vita e nelle scelte si orientano verso le persone che hanno a cuore la religione e la libertà della Chiesa. 124. Anche a Catania ci sono le sette segrete della massoneria, che hanno fatto adepti pure in alcuni comuni della diocesi. Operano 256


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associazioni che si dicono socialiste; coloro che ne fanno parte più che da errore sono stati spinti dall’interesse. Si spiega perciò perché facilmente hanno successo e progrediscono. Si è anche affermata la prassi dello spiritismo. Non disponiamo di facili ed efficaci rimedi per convincere i fedeli a stare lontani da queste associazioni a motivo delle avverse circostanze di tempo in cui miseramente ci troviamo; pertanto i progressi che si ottengono non sono pari ai bisogni, nonostante si facciano molti sforzi sia nell’esercizio del ministero ecclesiastico, sia nelle associazioni cattoliche [pag. 38].

CAPITOLO XII – L’ISTRUZIONE E L’EDUCAZIONE DEI GIOVANI 125. Il principio generale che regola in diocesi l’istruzione e l’educazione dei figli secondo la prassi e le leggi civili è questo: dipende totalmente dal potere dello Stato, che, contro le sacre competenze della Chiesa e il diritto dei genitori cattolici, frappone molti ostacoli all’educazione cristiana dei giovani. Per rimuovere questi ostacoli sarebbe necessaria un’azione comune, costante e veramente efficace dei genitori di tutta la nazione, che rivendicassero il diritto/dovere naturale ed inviolabile di educare i figli, come dovrebbero. Da noi, per quanto è possibile, si contrappone il rimedio delle scuole private, dirette dai religiosi dei due sessi, per educare i ragazzi e i giovani studenti. 126. Le scuole primarie, chiamate “elementari”, dopo la recente legge con cui sono state sottratte dalle autorità comunali, sono generalmente pericolose, tranne i casi in cui i maestri sono buoni. In questa città esistono scuole libere che accolgono circa 2.000 alunni. Si mantengono con le rette degli stessi alunni e sono soggette alla vigilanza e al controllo dell’ordinario. 127. Poiché dalle nostre parti i cattolici non vivono insieme agli acattolici, non succede che fra i bambini nelle scuole ci siano i contatti ai quali si allude. 128. Considerato che i bambini e le bambine frequentano generalmente le scuole pubbliche, è difficile trovare un rimedio per rendere immune la gioventù dalla perversione e dalla corruzione. A questo scopo si fa ricorso, con qualche risultato utile, alle pie associazioni e agli oratori festivi. 129. Le scuole medie o superiori, alle quali i fedeli della diocesi 257


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per lo più si iscrivono, dipendono dalle autorità civili e di solito sono ostili alle verità e alle dottrine cattoliche. 130. Per lo zelo, soprattutto dei salesiani e di alcuni sacerdoti del clero secolare, sono state realizzate alcune opere come ricreatori, circoli, scuole catechistiche, oratori serali e festivi, per la preservazione e una sana educazione cristiana della gioventù. Per mancanza di strutture né il numero né i frutti di queste istituzioni rispondono alle necessità dei nostri tempi [pag. 39].

CAPITOLO XIII – CONFRATERNITE E ASSOCIAZIONI RELIGIOSE 131. A Catania e in diocesi si hanno anche diverse congregazioni o confraternite e altre associazioni religiose legittimamente istituite. Sono circa 200 e in genere prendono il nome dal santo patrono al quale sono dedicate. Non mancano le associazioni raccomandate in modo particolare dalla Santa Sede, come quelle del Santissimo Sacramento, del Rosario e della dottrina cristiana per istruire nella fede, nella pietà e nei buoni costumi i bambini e le bambine. 132. Nelle chiese parrocchiali sono state istituite qua e là le nuove associazioni di bambini chiamate “di San Luigi” e di bambine dette “figlie di Maria”. In alcune chiese di religiosi si riuniscono i terziari dei rispettivi ordini. Quasi tutte le antiche confraternite si riuniscono nelle proprie e singole chiese. A Catania, e a poco a poco anche negli altri comuni della diocesi, operano con frutto associazioni di recente istituzione chiamate “Unione Femminile Cattolica Italiana” e “Società della Gioventù Cattolica Italiana”, la cui azione è efficace per incoraggiare la pietà e la pubblica professione della fede. Mai sono state erette associazioni di uomini nelle chiese di monache. 133. Tutte le nuove associazioni pie, secondo le leggi canoniche, dipendono dall’autorità ecclesiastica. Non si può dire la stessa cosa delle antiche confraternite che, per quanto riguarda l’amministrazione dei beni temporali, secondo le vecchie leggi sottostanno all’autorità civile. In queste condizioni, discostandosi dalla primitiva regola e dall’antico spirito che una volta le animava e sottraendosi facilmente alla vigilanza del vescovo, non solo in genere non portano alcun frutto, ma spesso creano non lievi inconvenienti. Di recente nelle conferenze episcopali si è affrontato il problema per cercare una soluzione 258


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a questi mali; ma tutti i vescovi hanno riconosciuto che si tratta di una situazione molto ardua e piena di difficoltà. 134. Come sopra si è detto, ci sono i terziari di San Francesco e anche quelli di San Domenico e della Madonna del Carmelo, che vivono nel secolo. Di recente è stato istituito il terz’ordine della Santissima Trinità nella chiesa omonima. Di solito si riuniscono frequentemente e sono di buon esempio ai fedeli. 135. Alcune confraternite accettano come confrati o soci [pag. 40] persone che notoriamente fanno parte di partiti politici contrari alla religione o che conducono una vita immorale. Per eliminare questi inconvenienti bisognerebbe sopprimere quelle associazioni per poi riportarle a una vita veramente cristiana. Ma poiché questo non è possibile, per le molteplici difficoltà che si incontrano, soprattutto le leggi civili e le avversità dei nostri tempi, nelle ultime conferenze episcopali sono state avanzate alcune proposte per rimuovere, per quanto è possibile, questi mali.

CAPITOLO XIV – I LEGATI PII E LA QUESTUA DI ELEMOSINE 136. In diocesi ci sono i legati pii per la celebrazione di messe e altri oneri religiosi, ma di quelli fondati anticamente sono rimasti in pochi a motivo delle leggi eversive. Se ne fondano anche di nuovi, i cui titoli sono conservati nella cassa diocesana. La curia ha i loro elenchi con i relativi oneri e l’indicazione delle rendite. 137. I legati di antica fondazione sono amministrati dal rettore della chiesa o del capitolo, sotto la vigilanza della commissione diocesana, come già si è detto sopra. Quelli di nuova fondazione si amministrano segretamente dalla commissione e, secondo le prescrizioni della Santa Sede, sono prudentemente custoditi nella cassa diocesana. Tutto questo in genere viene compiuto con scrupolosità e frutto. 138. Per quanto è a conoscenza dell’ordinario, si soddisfa ai legati di messe e agli altri oneri nel tempo stabilito. Poiché quei legati sono relativamente pochi, raramente o mai avanzano somme da consegnare all’ordinario; anzi egli deve rivolgersi ad altre diocesi per raccogliere intenzioni di messe e sopperire in questo modo alla indigenza di molti sacerdoti. Non è mai successo che qualche sacerdote meritasse di essere rimosso dall’ufficio per questo motivo. 259


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139. In diocesi si fanno e con esiti positivi le collette prescritte dalla Santa Sede per il bene comune della Chiesa, come la Propagazione della fede e la Santa Infanzia (fra tutte le diocesi della Sicilia abbiamo il primo posto), la redenzione degli schiavi, l’obolo di s. Pietro e la Terra Santa [pag. 41]. 140. Si fanno anche altre collette per le stesse necessità della diocesi, per la dottrina cristiana, per la diffusione dei buoni libri e dei giornali cattolici. 141. Sono entrate nella consuetudine di questa diocesi altre collette sia per incrementare il culto di diverse chiese, sia per aiutare i poveri, soprattutto se infermi, e i chierici. Ad eccezione dei cappuccini, dei frati minori, specialmente della Terra Santa e delle piccole suore dei poveri, non ci sono religiosi o religiose questuanti in tal numero da dare l’impressione che si rechi grave fastidio ai fedeli.

CAPITOLO XV – LE OPERE PIE E SOCIALI 142. In diocesi e specialmente in questa città, sono stati fondati ospedali, orfanotrofi, brefotrofi e altri istituti di carità. Sebbene quasi tutte queste opere siano state fondate per l’iniziativa e l’impegno del clero e di persone religiose, poche di esse sono rimaste pienamente soggette, anche nell’amministrazione dei beni, all’autorità ecclesiastica, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. Tranne un caso o due, solitamente nel loro consiglio di amministrazione è presente un delegato del vescovo. Ciò spiega la presenza di un cappellano in tutte queste opere, che può esercitare liberamente la cura e l’assistenza spirituale. 143. Sono presenti in diocesi le cosiddette opere sociali con le quali, mentre si attua il bene morale e religioso dei fedeli, si provvede anche alle loro utilità e necessità temporali; sono i circoli per la gioventù cattolica o per promuovere gli studi, le associazioni di operai e di agricoltori con le loro casse di risparmio e di mutuo soccorso. 144. In genere le associazioni e queste opere sociali, in modo particolare coloro che le dirigono, prestano all’ordinario e al sommo pontefice la dovuta riverenza e in tutto ciò che attiene alla fede, ai costumi e alle norme di giustizia sottostanno all’autorità e alle direttive della Santa Sede. 260


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Relazione dell’arcivescovo – 1922

145. Nonostante si incontri da noi una grande difficoltà per la mancanza di risorse e di persone idonee, si sta attenti che i dirigenti di queste associazioni e opere siano cattolici non solo di nome, ma anche nel cuore e nei fatti [pag. 42]. Si bada anche, per quanto è possibile, che gli iscritti a queste associazioni e opere o coloro che da esse ottengono benefici e aiuti, si allontanino dai vizi, siano istruiti nella dottrina della fede e conducano una vita cristiana. Bisogna confessare, però, che in queste iniziative si auspica un maggiore impegno nel procurare il bene religioso e morale dei soci. 146. Si sta attenti perché non facciano parte di queste associazioni cattoliche persone iscritte alle società segrete, miscredenti, empi o contrari alla religione, in modo che le associazioni stesse o le loro opere non siano distolte dal retto cammino della fede e della giustizia.

CAPITOLO XVI – LA PUBBLICAZIONE E LA LETTURA DI LIBRI E GIORNALI 147. Ogni giorno in questa città si pubblicano due giornali, organi di due partiti fra di loro avversi, per nulla favorevoli alla religione, che sono molto diffusi in tutta la provincia. Si pubblicano altri periodici settimanali, organi anche questi di altri partiti politici, che spesso offendono la religione. Non vengono pubblicati libri, immagini ed altri giornali che possono essere definiti empi o osceni. 148. Ma libri di questo genere, che sono pubblicati altrove, sono molto diffusi in questa diocesi con grave danno della fede e dei costumi. 149. Si fa di tutto da parte dei cattolici, specialmente dai pastori d’anime e sacerdoti, per eliminare dalla diocesi i libri e i giornali osceni o empi, ma per impedire una così grande e malefica invasione mancano strumenti idonei ed efficaci; si attende invano l’aiuto dell’autorità civile. C’è il massimo impegno da parte del clero e dei confessori per allontanare dalle famiglie cattoliche quei libri e quei giornali e per evitare che i fedeli li leggano. 150. Ai libri e ai giornali dannosi si contrappongono quelli religiosi e onesti, ma per la mancanza di risorse e per l’inerzia di molti la diffusione di questi ultimi non è paragonabile a quella dei primi. Abbiamo periodici mensili di pie associazioni: La Madre Cristiana, Gesù nell’Eucaristia, L’Immacolata e Giovinezza per le associazioni giova261


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nili cattoliche. Inoltre sono diffusi i foglietti per i vangeli domenicali e quelli che sono pubblicati [pag. 43] dall’Unione popolare fra i cattolici d’Italia, ed altri buoni opuscoli, pubblicati altrove a prezzo modico con somma utilità dei fedeli. A questi bisogna aggiungere la rivista mensile per il clero, intitolata Bollettino Ecclesiastico. Catania, 25 luglio 1922  Giuseppe card. Nava, arcivescovo Giovanni Maria Licitri, prelato domestico di Sua Santità, convisitatore

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LIII

1927 – Relazione dell’arcivescovo, card. Giuseppe Francica Nava, relativa al 3° quinquennio 1921-1925, scritta il 15 settembre 19271.

PROEMIO 1. Ordinario di questa diocesi è l’eminentissimo card. Giuseppe Francica Nava del casato dei Bontifè, nato a Catania nel 1846 {23 luglio}. Ha assunto il governo di questa Chiesa il 18 marzo 1895, lasciando il titolo di arcivescovo di Eraclea. Il 9 agosto 1883 era stato eletto vescovo titolare di Alabanda e consacrato la terza domenica di ottobre {21 ottobre}. 2. La condizione religiosa e morale di questa diocesi, considerata in generale, è questa: sebbene la maggior parte della popolazione conservi ancora la fede cristiana, non si può dire altrettanto della integrità dei costumi e della osservanza dei precetti; soprattutto se si considerano gli uomini e gli abitanti della città, a motivo delle note cause del nostro pessimo tempo e di alcune particolari circostanze che saranno indicate in seguito. Dall’ultimo quinquennio non sembra che la religione abbia avuto un regresso.

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Congr Concist, Relat Dioec, 208. Al testo della relazione è acclusa una lettera dell'arcivescovo al card. Gaetano De Lai, segretario della Congregazione concistoriale, in data 23 settembre 1927: «Eminentissimo e reverendissimo Signor mio osservantissimo, invio con qualche ritardo la relazione dello stato di questa Archidiocesi per quinquennio 1921-1925, perché la visita pastorale, iniziata negli anni antecedenti, non ho potuto terminarla che durante l'anno scorso, e poscia la salute non mi ha permesso di stendere immediatamente la relazione. Alla Visita ad Limina avevo già soddisfatto con l'intervento alle solenni canonizzazioni del Beato Gabriele dell'Addolorata e delle Beate Margherita Maria Alacoque e Giovanna d'Arco, conformamente alla dichiarazione dell'Eminenza Vostra reverendissima in data del 18 maggio 1820. Le bacio umilissimamente le mani e con profondo ossequio ho il bene di confermarmi di Vostra Eminenza Reverendissima umilissimo devotissimo servitor vero  Giuseppe Card. Nava, Arcivescovo di Catania».

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Giuseppe Francica Nava (1895-1928)

CAPITOLO I – STATO MATERIALE IN GENERE 3. a) La diocesi di Catania, come riferisce la nostra tradizione fondata su validi documenti, ha origine nel periodo apostolico. S. Berillo di Antiochia, primo vescovo, intorno all’anno 44, si crede sia stato inviato a Catania dal Principe degli apostoli. Pertanto il vescovo di Catania è stato chiamato protovescovo. Il 26 settembre 1859 con una costituzione del papa Pio IX, questa sede è divenuta archidiocesi [pag. 2] senza suffraganei e immediatamente soggetta alla Sede Apostolica. L’arcivescovo usa il pallio. Per l’appello è stato designato l’arcivescovo metropolita di Messina. b) La diocesi appartiene alla Sicilia orientale e si estende dall’Etna al mare Ionio. I suoi confini sono delimitati dalle diocesi di Acireale, Siracusa, Caltagirone, Nicosia Erbita e Patti. Catania, città sede della cattedra vescovile, è capoluogo della provincia civile, in cui risiede il prefetto. Il clima è mite e salubre. Si parla la lingua italiana. c) L’ordinario risiede nel palazzo arcivescovile, sito nella città. d) Secondo l’ultimo censimento, {la diocesi} conta 466.360 abitanti. I comuni sono 232. La popolazione in maggioranza è cattolica, eccettuati pochi protestanti, detti “evangelici”, per lo più stranieri. e) I sacerdoti sono circa 277; gli alunni del seminario sono 130. f) Oltre il capitolo della cattedrale, si hanno altri capitoli delle collegiate, come si dirà a suo luogo. g) Da premettere che in questa diocesi, parlando in generale, non si hanno parrocchie vere e proprie. Pertanto l’arcivescovo è detto unico parroco della città e della diocesi. Le chiese alle quali è annessa la cura delle anime sono chiamate “filiali” dell’unica parrocchia della cattedrale. Tuttavia nei comuni di Bronte e Trecastagni, per antichi privilegi, si hanno veri parroci e parrocchie propriamente dette. Da pochi anni ho eretto vere parrocchie nei comuni di Biancavilla, {Paternò} e Adrano. Nella città si hanno 18 chiese filiali, delle quali la più grande per numero di fedeli è quella dei Santi Cosma e Damiano, con quasi 25.000 anime, la più piccola è Santa Chiara che ne conta quasi 8.000. Ad ogni comune è preposto il vicario foraneo, che fa le veci dell’unico parroco, ci sono una o più chiese curate secondo l’estensione 2

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L’elenco è riportato nelle relazioni del 1904 e del 1908.


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Relazione dell’arcivescovo – 1927

del territorio e il numero degli abitanti [pag. 3]. Nella città ci sono 114 chiese, nei comuni 217. Non ci sono luoghi molto rinomati. h) In diocesi sono presenti istituti religiosi maschili. In città ci sono le seguenti comunità religiose: gli eremitani di Sant’Agostino3 con 3 religiosi, i frati minori cappuccini4 con 11, i frati minori conventuali5 con 7, i frati predicatori di San Domenico6 con 10, la Compagnia di Gesù7 con 12, i sacerdoti missionari di San Vincenzo dei Paoli8 con 5, i salesiani del ven. don Bosco9 con 28, esclusi i coadiutori, i carmelitani10 con 6, i frati minori di San Francesco11 con 5. I sacerdoti della Compagnia di Gesù hanno 2 case, i salesiani 3, una delle quali è stata donata da me assieme alla chiesa del Santissimo Cuore di Gesù. La casa una volta era retta dai fratelli delle scuole cristiane. Nei paesi ci sono 3 case dei cappuccini12 con 14 religiosi in tutto, 2 dei frati minori13 con 7 religiosi, 2 della congregazione salesiana14 con 15, esclusi i coadiutori; in una di queste case c’è il noviziato. i) Ci sono anche istituti religiosi femminili. A Catania: 1 monastero dell’ordine di San Benedetto15 con 24 monache professe, 10 case delle figlie della carità della congregazione di San Vincenzo dei 3

Sant’Agostino (Catania Sacra 1926, 18, 28). Sacro Cuore di Gesù ai Cappuccini nuovi (ibid., 18, 28). 5 San Francesco all’Immacolata (ibid., 15, 29). 6 San Domenico (ibid., 17, 29). 7 1) Crocifisso dei Miracoli (ibid., 19, 29); 2) Villa San Saverio a Cibali (ibid., 4

24, 29). 8

Santissimo Sacramento Ritrovato (ibid., 18, 29). 1) San Filippo Neri (ibid., 19, 29); 2) San Francesco di Sales (ibid., 23, 29); Sacro Cuore alla Barriera (ibid., 21, 24, 29). 10 Annunziata al Carmine (ibid., 17, 28). 11 Santa Maria della Guardia (ibid., 21, 29). 12 1) Santa Maria degli Angeli, Adrano (ibid., 32-33); 2) San Felice da Cantalice, Bronte (ibid., 38-39); 3) Maria Santissima Annunziata, Paternò (ibid., 46-47). 13 1) San Francesco, Biancavilla (ibid., 36-37); 2) San Vito, Bronte (ibid., 3839). 14 1) San Giuseppe, Pedara (ibid., 48); 2) Sacro Cuore, San Gregorio (ibid., 5051). 15 Benedettine dell’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento (ibid., 15). 16 1) Ospedale Garibaldi (ibid., 24); 2) Ospedale Santa Marta (l. c.); 3) Ospe9

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Paoli16 con 97 suore, 1 casa delle piccole suore dei poveri anziani17 con 22 suore, 3 case delle figlie di Sant’Anna18 e 21 suore, 2 case delle suore del patrocinio di San Giuseppe19 con 11 suore, 1 casa delle suore bocconiste20 e 7 suore, 3 case delle figlie di Maria Ausiliatrice21 e 55 suore, 2 case delle figlie della misericordia e della croce22 e 8 suore, 1 casa delle suore del Sacro Cuore23 e 27 suore, 2 case delle suore domenicane del Sacro Cuore24 con 15 suore, in una delle case c’è il noviziato, 1 casa delle suore sacramentine25 con 13 suore, 1 casa delle ancelle {riparatrici} del Sacro Cuore26 con 11 suore, 1 casa delle suore francescane del terz’ordine27 con 3 suore. Negli altri comuni della diocesi: 6 case delle figlie di Maria Ausiliatrice28 con 26 suore, 3 case delle figlie di Sant’Anna29 [pag. 4] e 11 suore, 2 case delle figlie della mi-

dale Vittorio Emanuele II (l. c.); 4) Ospedale Ferrarotto (ibid., 23); 5) Conservatorio delle verginelle (ibid., 22); 6) Sacra Famiglia (ibid., 23); 7) Santa Maria della Provvidenza o collegio Pio IX (ibid., 22); 8) Conservatorio delle vergini al Borgo (ibid., 23); 9) Conservatorio San Vincenzo dei Paoli (l. c.); 10) Casa della carità (ibid., 22). 17 Asilo Sant’Agata (ibid., 22). 18 1) Istituto Ardizzone Gioeni (ibid., 24); 2) Orfanotrofio Carcaci (ibid., 23); 3) Albergo Ventimiglia (ibid., 22). 19 1) Santa Casa della Grazia (ibid., 24); 2) Orfanotrofio Buon Pastore (ibid., 23). 20 Reclusorio del Lume (l. c.). 21 1) Maria Ausiliatrice, annessa all’istituto San Filippo Neri; 2) Maria Ausiliatrice, annessa all’istituto San Francesco di Sales; 3) Collegio Maria Ausiliatrice (ibid., 23). 22 1) Reclusorio Santo Bambino (ibid., 24); 2) Ospizio di beneficenza. 23 Istituto del Sacro Cuore (ibid., 23). 24 1) Casa Valle; 2) Casa di cura Benedetti. 25 Istituto Suore Sacramentine, annesso alla chiesa Sant’Euplio. 26 Casa San Giuseppe (ibid., 22). 27 Potrebbe trattarsi delle suore terziarie francescane dell’Immacolata o delle terziarie cappuccine del Sacro Cuore. 28 1) Collegio Maria, Bronte (ibid., 38); 2) Ospedale civile, Bronte (l. c.); 3) Conservatorio delle vergini, Trecastagni (ibid., 53); 4) Orfanotrofio Immacolata, Biancavilla (ibid., 36); 5) Istituto Sacro Cuore, Pedara; 6) Giardino d’infanzia Principessa Manganelli, San Giovanni la Punta. 29 1) Ospizio di mendicità e ospedale pubblico, Adrano (ibid., 32); 2) Orfanotrofio Margherita Bufali, Belpasso (ibid., 34); 3) Scuola professionale Mirone, Viagrande.

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sericordia e della croce30 con 6 suore, 2 case delle ancelle {riparatrici} del Sacro Cuore31 con 20 suore, 1 casa delle suore domenicane del Sacro Cuore32 con 5 religiose, 1 casa delle suore dello Spirito Santo33, dette “Zitine”, con 6 religiose.

CAPITOLO II – LA FEDE E IL CULTO DIVINO 4. Il culto divino è esercitato liberamente nella diocesi. 5. Il numero delle chiese nei singoli comuni è più che sufficiente per le necessità dei fedeli. 6. Le chiese e gli oratori pubblici sono ben forniti di ciò che è necessario per la fabbrica e il culto; di esse in genere i fedeli hanno una lodevole cura e sono pulite e decentemente adorne. 7. Nelle singole chiese è conservato l’inventario di tutti i beni e di tutte le suppellettili; l’inventario che si trova nell’archivio di ogni chiesa è conservato anche nella curia arcivescovile. Le suppellettili sono custodite generalmente nelle sacrestie nel miglior modo possibile, per evitare che alla morte del rettore o in seguito a un qualsiasi evento straordinario qualcosa venga sottratta o si perda. 8. In questa diocesi, soprattutto in seguito all’eruzione lavica e al terribile terremoto del secolo XVII, sono rimaste poche suppellettili e oggetti veramente preziosi. Solo nella chiesa cattedrale, nell’antica cripta solidamente costruita e sbarrata con porte di ferro chiuse da tre chiavi, si conserva un ingente tesoro di gemme con le quali è adornato il reliquiario che comprende la parte superiore del corpo della nostra santa patrona, Agata vergine e martire catanese. Questo tesoro, che pochi anni fa è stato disposto con una migliore sistemazione, è di grandissimo valore per materia, arte e antichità. In un’altra antica e molto solida cripta della stessa chiesa cattedrale sono conservati alcuni antichi [pag. 5] codici, non anteriori tuttavia al secolo XI, di gran-

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1) Albergo dei poveri, Paternò (ibid., 46); 2) Ospedale civico, Biancavilla (ibid., 36). 31 1) Orfanotrofio Sacro Cuore, Adrano; 2) Asilo Sant’Antonio, Maletto. 32 Conservatorio vergini, Paternò. 33 Conservatorio Gesù e Maria, Adrano (ibid., 32).

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de rilevanza storica, che si riferiscono soprattutto alle donazioni fatte a questa chiesa da re Ruggero e dai suoi successori. Sia del predetto tesoro sia dei codici c’è un inventario nell’archivio del capitolo e della curia. Nelle altre chiese della città e della diocesi per i motivi sopra indicati non si hanno oggetti e suppellettili di grande valore, ad eccezione di alcuni dipinti e vasi sacri d’oro e d’argento nella chiesa di San Nicola e alcuni codici conservati nella biblioteca annessa al monastero dei benedettini cassinesi, che oggi è in mano al municipio. Qua e là nella diocesi si ammirano dipinti e paramenti sacri di seta di un certo pregio, come la tavola dipinta di s. Caterina vergine e martire nella chiesa principale di Pedara, il trittico fiammingo nella chiesa di San Nicola a Misterbianco. Si è molto attenti a non vendere alcun oggetto, anche se piccolo ma prezioso per materia, arte o antichità, senza licenza della Santa Sede e il giudizio dei periti. 9. Ogni giorno, nelle ore più opportune del mattino e della sera, dovunque ci sono chiese aperte ai fedeli. 10. Le chiese durante le sacre celebrazioni sono così accessibili ai fedeli che chiunque, anche se poverissimo, può liberamente entrare e rimanervi senza alcun onere o vergogna. 11. Le chiese e gli oratori mai sono adibiti ad usi profani, come atti accademici, concerti musicali e cose di questo genere, eccetto in tempo di guerra, quando la legge civile ci obbliga a tollerare che siano adibite per il necessario alloggio dei soldati. 12. In tutte le chiese e oratori nei quali si conserva la ss. Eucaristia in genere si osservano accuratamente le condizioni previste dalla legge per la custodia del medesimo ss. Sacramento e si ha una particolare cura perché questo altare si distingua per il culto, la pulizia e gli addobbi. 13. I confessionali, collocati dovunque nelle chiese in luoghi aperti, sono muniti di grate in conformità alle leggi canoniche. 14. Le sacre reliquie dei santi nelle chiese e negli oratori di solito [pag. 6] sono custodite nelle teche con il sigillo e il documento di autenticazione e conservate in armadi decenti. Durante la visita pastorale l’ordinario ha proibito che le reliquie venissero esposte alla venerazione dei fedeli se prive del sigillo e del documento di autenticazione. Se manca l’uno o l’altro si supplisce, quando risulta, con la legittima e pubblica tradizione. Il cerimoniere arcivescovile è incaricato a fare questo accertamento. In alcune chiese però si hanno reliquie 268


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affisse alle pareti sotto il vetro, specialmente vicino al crocifisso, delle quali non si ha alcun documento e non è facile fare una qualsiasi ispezione. Del resto di per sé non sono esposte alla venerazione dei fedeli, né possono essere tolte senza provocare danno e scandalo. Si ignora se presso persone private sono conservate reliquie insigni. 15. Sebbene si siano introdotti da tempo in questa diocesi e in tutta la regione molti abusi nel culto divino, nella venerazione dei santi e nelle sacre funzioni, tuttavia l’autorità ecclesiastica si adopera con diligenza di correggerli e di uniformarli alle norme liturgiche. Questi abusi, ad esempio, sono: l’ingresso nelle chiese delle bande musicali, che spesso accompagnano le processioni eseguendo musiche profane, il trasporto delle reliquie dei santi sotto il baldacchino, l’esecuzione di musiche profane nelle sacre funzioni e l’ingresso dei laici nei presbitèri. Per estirpare questi abusi con un’azione prudente ed efficace si fa ricorso anzitutto alla spiegazione delle leggi liturgiche che i chierici imparano in seminario e i sacerdoti nelle riunioni mensili, al paziente lavoro di persuasione che induce i fedeli ad accettare le correzioni e soprattutto alla sostituzione di altre pratiche, che allo stesso tempo sono conformi alle leggi liturgiche e suscitano nell’animo la pietà senza provocare allarme nel sentire comune per la proibizione dell’antica consuetudine. Per raggiungere questo scopo giova molto l’impegno con cui diversi sacerdoti da alcuni anni si adoperano perché il popolo, in ossequio al motu proprio del papa Pio X, di santa memoria, partecipi attivamente alle sacre funzioni. Di solito la lingua e il canto nell’esercizio del culto sono adoperati secondo i decreti della Santa Sede, ad opera soprattutto del giovane clero [pag. 7]. 16. Fra alcuni del popolo, soprattutto i giovani e il ceto civile, serpeggiano gravi errori contro la fede. Cause principali di tutto questo sono le associazioni e principalmente le scuole cattive. Per porre rimedio a questo male, sebbene si impieghino molti sforzi, purtroppo si può fare ben poco, a causa della mancanza di persone e di risorse e dell’eccessiva libertà. Nessuno del clero è contagiato da questi errori. 17. Il consiglio di vigilanza con l’ufficio dei censori è stato istituito non appena fu prescritto dalla Sede Apostolica. I membri che lo costituiscono sono: l’eminentissimo card. arcivescovo, l’eccellentissimo Emilio Ferrais, vescovo coadiutore e vicario generale, il can. Giovanni Maria Licitri, segretario dell’arcivescovo, il dott. Salvatore Fazio, cantore del capitolo cattedrale, Salvatore Romeo, decano dello 269


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stesso, Alfio Iatrini, arcidiacono del detto capitolo, il dott. Giovanni Maugeri, canonico teologo della cattedrale, il dott. Giovanni Battista Puleo, canonico penitenziere della cattedrale, il can. dott. Salvatore Russo, il sac. Giovanni Segala, ispettore della congregazione salesiana, il can. Gaetano Platania, il can. dott. Giuseppe Scalia, il can. dott. Domenico Squillaci, il sac. dott. Vincenzo Portaro, il p. Felice Lo Re S. I., il p. Domenico Mingoia O. P., il sac. Domenico Ercolini, della congregazione salesiana. Quasi tutti svolgono nel modo migliore possibile il loro compito con lodevole frutto.

CAPITOLO III – QUEL CHE RIGUARDA L’ORDINARIO 18. Se si considera l’amplissima donazione fatta da re Ruggero nel sec. X alla sede vescovile, le rendite della mensa dovrebbero essere abbondanti. Ma con il trascorrere del tempo per la negligenza degli uomini o per l’ingordigia di molti, tanti beni sono andati perduti per prescrizione; inoltre quelli che sono rimasti, soprattutto in tempi così avversi come i nostri, sono stati gravati da tanti oneri dall’autorità civile che il denaro liquido esigibile di fatto dall’ordinario non sarebbe sufficiente per soddisfare i bisogni della diocesi [pag. 8]. I beni rimasti sono: 1° terreni per lo più sterili nella parte più alta dell’Etna, nei quali la raccolta della neve potrebbe offrire non pochi guadagni se non ci fosse la grandissima difficoltà del trasporto34; 2° canoni enfiteutici che il governo e molti proprietari privati pagano su terreni il cui dominio diretto appartiene a questa mensa. La rendita al netto è di L. 59.000. La mensa non è gravata da debiti verso i privati. I beni della mensa sono amministrati dal procuratore sac. Alfonso Toscano, che nel suo ufficio è aiutato dal sac. Domenico Giuffrida. Si seguono i criteri in uso presso le pubbliche amministrazioni. La mensa dipende dall’autorità civile solo per le prescrizioni di legge e viene amministrata in modo autonomo rispetto agli altri beni della diocesi e delle opere pie.

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Su questa fonte di reddito della mensa vescovile si veda lo studio di A. PAviaggi della neve. Raccolta, commercio e consumo della neve dell’Etna nei secoli XVII-XX, Palermo 2014. TANÈ, I

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19. L’ordinario come abitazione ha un edificio proprio, abbastanza ampio, sito accanto alla chiesa cattedrale, alla quale si accede dall’interno. Il palazzo è strutturato così bene da offrire al vescovo che lo abita un alloggio dignitoso senza l’impressione di un lusso profano. 20. Al presente l’ordinario abita con due sacerdoti, di cui uno, il can. Giovanni Licitri, prelato domestico di Sua Santità è il segretario, l’altro si occupa dei problemi domestici e sovrintende alla servitù. La sua giornata si svolge secondo le esigenze del proprio ministero. Si alza di buon mattino, si dedica alla meditazione, celebra la messa e, recitate le ore canoniche, tratta con il segretario i problemi della diocesi e riceve fino alle ore 13 le persone che chiedono di incontrarlo. Subito dopo pranza con i sacerdoti, il vescovo coadiutore e spesso con gli ecclesiastici suoi ospiti. A conclusione tutti insieme fanno la visita al ss. Sacramento nella cappella dell’episcopio. L’ordinario, dopo un breve colloquio con lo stesso coadiutore, si concede un breve riposo, recita i vespri e se i suoi impegni lo permettono esce per una passeggiata, in modo che al tramonto del sole rientri a casa [pag. 9] per anticipare il mattutino delle ore canoniche e per dedicarsi allo studio e alle cose che riguardano il suo ministero. Infine, recitato nella predetta cappella il santo rosario con le persone che vivono insieme a lui, consuma con loro la cena e va a riposare. Di tanto in tanto durante la settimana si reca nell’abitazione di famiglia a Catania per affrontare con maggiore tranquillità e libertà le questioni più difficili del suo ministero. 21. L’attuale arcivescovo in quanto cardinale di Santa Romana Chiesa fa parte delle seguenti Sacre Congregazioni: concilio, indice, cerimoniale, seminari e studi. Possiede le facoltà quinquennali che la S. Congregazione concistoriale suole oggi concedere ai vescovi. Inoltre ha le seguenti facoltà: permettere l’adempimento del precetto pasquale dalla seconda domenica di quaresima fino alla festa della ss. Trinità, far ricorso al giuramento suppletorio, servirsi delle concessioni previste nella bolla della Crociata, ridurre il numero dei sacerdoti assistenti nella benedizione degli oli il giovedì santo in Coena Domini, accettare le elemosine delle messe binate per destinarle al seminario, nominare gli esaminatori e i giudici pro-sinodali e concedere alcune dispense matrimoniali; Benedetto XV di felice memoria nell’udienza del 7 settembre 1914 diede a voce all’attuale arcivescovo la facoltà di conferire gli ordini sacri fuori i tempi previsti, tre volte l’anno. 22. Risiede sempre a Catania da cui si allontana solo per un me271


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se dopo la quaresima o in autunno per un periodo di vacanze nella propria villa, che si trova nella stessa diocesi, e non interrompe la trattazione dei suoi impegni. Si è allontanato di tanto in tanto dalla propria sede per recarsi a Roma o per partecipare alle riunioni dei vescovi o conferenze episcopali, che hanno luogo ogni tre anni. 23. Più volte durante l’anno suole partecipare alle sacre funzioni nella chiesa cattedrale o altrove e nelle principali solennità, come l’epifania, pasqua, pentecoste, l’Immacolata Concezione della Beata Maria Vergine, tutti i santi e la natività del Signore. 24. Suole istruire il clero e il popolo non solo con le omelie nelle messe pontificali di pentecoste e di tutti i santi e con altri sermoni quando se ne offre l’opportunità, ma anche con le lettere pastorali in quaresima [pag. 10], che all’occorrenza pubblica. Se qualche volta è impedito nella predicazione, lo supplisce il vescovo coadiutore. Oltretutto la parola di Dio è annunziata con frequenza nelle chiese principali dai sacerdoti che ne hanno la facoltà. 25. In diocesi sono tre i casi riservati: a) l’omissione per uno anno dell’adempimento degli oneri di messe e di altri esercizi di pietà e di culto affidati alla coscienza dell’esecutore; b) il falso giuramento in giudizio con danni di terzi; c) l’assistenza, anche solo passiva, a spettacoli pubblici o privati nei quali in qualunque modo sono evocati i demoni o le anime dei defunti. Da questi peccati riservati possono assolvere, oltre le persone che l’ordinario appositamente delega, il vicario generale con la facoltà di delegare altri sacerdoti, il canonico penitenziere per tutta l’archidiocesi, i vicari foranei nel proprio territorio e infine per tutto il tempo pasquale anche i parroci e i pastori d’anime. 26. Il sacramento della cresima è amministrato ordinariamente due volte la settimana in episcopio; ma è anche amministrato nelle chiese soprattutto parrocchiali nelle feste del Signore e della Vergine Maria, dopo aver riunito un certo numero di ragazzi. Nel conferimento di questo sacramento si segue il seguente criterio: sono ammessi solamente i ragazzi che hanno raggiunto l’età della discrezione, hanno imparato le principali verità della fede cristiana e si sono confessati, esibendo un attestato del proprio cappellano curato. I bambini prima dell’età suddetta non sono ammessi, a meno che non siano gravemente malati; ma questa regola non può essere osservata facilmente in modo rigido; inoltre bisogna avere una certa indulgenza nell’am272


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mettere i padrini, sebbene sia richiesto per loro un attestato di idoneità rilasciato dal curato. 27. L’arcivescovo conferisce i sacri ordini personalmente e se è impedito tramite il vescovo coadiutore. In questo compito così importante si è impegnato, per quanto era nelle sue possibilità, di arricchire la diocesi di numerosi e idonei sacerdoti nel rigoroso rispetto della norma del Concilio di Trento, che vieta di promuovere [pag. 11] coloro che non sono necessari o utili alla chiesa per la quale chiedono di essere assunti. 28. L’arcivescovo personalmente, e due volte tramite il vescovo coadiutore, ha visitato sei volte tutta la diocesi per compiere la visita pastorale, in tal modo ha acquisito dati certi sullo stato delle singole parrocchie. Oltre a ispezionare le cose che riguardano il culto divino, i comportamenti morali del popolo, l’istruzione religiosa dei bambini e degli adolescenti, l’esecuzione dei legati, ha compiuto anche la cosiddetta visita personale del clero, ascoltando i singoli sacerdoti per conoscere il loro stile di vita, il tempo riservato alla preghiera, l’impegno a ricercare la salvezza delle anime e allo stesso tempo per dare loro opportuni consigli o esortazioni. 29. Si è adoperato, così come esige il suo ufficio di vescovo, non solo di far conoscere nella sua diocesi le leggi e i precetti emanati dai concili e dalla Santa Sede, ma anche di farli osservare da tutti. 30. Dal 1668 non era stato più celebrato alcun sinodo diocesano. Nel 1918, secondo le prescrizioni del Codice di diritto canonico, nei giorni 14, 15 e 16 aprile, ha celebrato il sinodo i cui decreti sono stati pubblicati. 31. L’ordinario di questa diocesi è arcivescovo solo ad honorem, perché non ha suffraganei a lui soggetti; perciò non ha potuto riunire il concilio provinciale, che peraltro mai è stato celebrato nelle provincie ecclesiastiche di questa nostra regione di Sicilia. Tuttavia nel 1920, dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico, si è tenuto a Palermo nel mese di dicembre il concilio plenario siculo, sotto la presidenza dell’eminentissimo card. Gaetano De Lai, legato a latere del sommo pontefice Benedetto XV. Ogni tre anni dopo la domenica in albis nelle sedi di varie diocesi ha presieduto le riunioni o conferenze episcopali. Una copia delle decisioni, che sono state prese di comune accordo, è stata già trasmessa alla Santa Sede. 32. Ha sempre avuto buoni rapporti con le autorità civili del 273


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luogo, sebbene abbia incontrato non poche difficoltà con il municipio in mano ai socialisti. Con l’aiuto di Dio ha potuto conservare e difendere la dignità vescovile e la giurisdizione ecclesiastica [pag. 12], in modo tale che nessun danno si è avuto alla libertà e all’immunità della Chiesa o discredito allo stato ecclesiastico.

CAPITOLO IV – LA CURIA DIOCESANA 33. Vicario generale è D. Emilio Ferrais, vescovo titolare di Listra, coadiutore con futura successione di questo eminentissimo arcivescovo, dottore in teologia e diritto canonico. La curia diocesana è costituita dal cancelliere, dall’archivista, che in assenza del cancelliere ne fa le veci, dall’attuario, aiutante dell’archivista e dall’assistente straordinario. 34. Ci sono 9 esaminatori prosinodali. 35. C’è il tribunale ecclesiastico costituito a norma del diritto dai suoi ufficiali: il presidente, 3 assessori, difensore {del vincolo} e notaio. 36. La curia diocesana ha un propria sede ben strutturata, contigua all’episcopio, con l’archivio in cui si conserva parte dei documenti, in modo sicuro e distinto dagli altri. L’archivio è bene ordinato. 37. Le tasse in uso per pagare gli atti di curia sono state concordate dalle diocesi di Catania, Acireale, Patti, Nicosia e Lipari, e approvate per cinque anni dalla S. Congregazione del concilio con decreto n. 2868/21, poi confermato per un ulteriore periodo. Non è stato possibile raggiungere l’uniformità in tutta la regione di Sicilia. 38. Non ci sono lagnanze, almeno legittime e fatte da persone oneste, a motivo delle tasse di curia; sono richieste con moderazione, tenendo conto della condizione economica delle persone che pagano. Ai poveri gli atti sono dati gratuitamente. Si danno gratis in parte e anche in toto quando c’è il pericolo di provocare danni maggiori [pag. 13]. 39. Ai proventi delle tasse si aggiunge la somma di L. 1.275, erogata ogni anno dalla mensa vescovile, per pagare lo stipendio degli ufficiali e affrontare le altre spese.

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CAPITOLO V – IL CLERO 40. I costumi di questo clero sono generalmente buoni, sufficiente la preparazione culturale e la dottrina; se non in tutti i sacerdoti, in molti almeno si apprezza l’impegno per la salvezza eterna delle anime e una vera pietà. Pertanto va lodata la loro obbedienza e riverenza all’ordinario e al sommo pontefice. Fra gli stessi sacerdoti vige la concordia, l’unione, e la carità reciproca, anche se in alcune parrocchie sorgono facili contrasti, soprattutto fra anziani e giovani. 41. Il clero usa sempre e dovunque la veste talare e non si notano scandali e battute sarcastiche a proposito della forma e della decenza dell’abito. 42. I sacerdoti quando celebrano la messa generalmente fanno la preparazione e il ringraziamento. Molti sono abituati alla visita serale al ss. Sacramento e a confessarsi ogni settimana. Alcuni non danno ai fedeli il buon esempio di questa stessa frequenza, nonostante il richiamo dei superiori. 43. Ogni due anni tutti i sacerdoti, dopo la pasqua, si riuniscono per una settimana nella casa estiva del seminario per fare gli esercizi spirituali. È sempre presente l’ordinario, che volentieri coglie questa occasione per rivolgere ai propri collaboratori delle esortazioni paterne in comune e, quando è necessario, ai singoli. Gli ecclesiastici, che in quel periodo sono impediti da giusta causa, sono obbligati a supplire entro l’anno o partecipando al corso di esercizi spirituali che si tiene nella diocesi vicina, in un convento religioso o almeno in casa [pag. 14] propria se non sono in grado di allontanarsi da essa. 44. Ogni mese si tengono le riunioni o conferenze ecclesiastiche sui casi morali e liturgici, in presenza dell’arcivescovo, ad eccezione del periodo autunnale. Dopo aver recitato le preghiere, si legge anzitutto per breve tempo un libro sulla vita e i doveri propri dei sacerdoti. Il canonico penitenziere della chiesa cattedrale dirige la discussione sui casi di coscienza che egli stesso aveva proposto. Si tirano a sorte i nomi di due ecclesiastici che in italiano o in latino leggono la soluzione dei casi, che alla fine dà lo stesso penitenziere, dopo una discussione fra i presenti. La stessa procedura si segue per i casi liturgici, per i quali si ascolta il parere del cerimoniere arcivescovile. La riunione si chiude con la preghiera di ringraziamento. All’ingresso c’è chi prende nota dei partecipanti. 275


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45. L’ordinario fa di tutto perché i giovani sacerdoti dopo l’ordinazione non abbandonino gli studi non solo con il ricorso al consiglio e all’esortazione, ma anche con l’obbligo di sottoporsi agli esami di teologia per quattro anni, così come è stato stabilito per le altre diocesi di comune accordo nelle nostre conferenze episcopali. Un altro esame si richiede per concedere la facoltà di ascoltare le confessioni e predicare. Perché progrediscano ulteriormente nella pietà, oltre i predetti esercizi spirituali, è di molta utilità la pia associazione dell’Unione apostolica, della quale fanno parte quasi tutti i giovani. 46. Per la mancanza di particolari risorse non c’è in diocesi una casa per accogliere e sostenere con la dovuta carità i sacerdoti ormai a riposo che sono malati e poveri. Ci sono due pie società di mutuo soccorso che dispongono di un reddito per aiutare i soci in caso di malattia. 47. Sono pochi i sacerdoti che, sebbene giovani e in buona salute, vivono in modo assolutamente ozioso. Tutto questo è dovuto [pag. 15] alla mancanza di pietà e di zelo, perciò non è facile trovare una soluzione ai loro problemi, considerato che mancano in questa diocesi uffici ai quali non è annessa la cura delle anime. 48. Nessuno dei sacerdoti si intromette in modo esagerato, almeno in pubblico, nella politica e nelle fazioni civili, con conseguenti offese per gli altri e danno spirituale al ministero. Nella nostra diocesi non ci sono cattolici appartenenti a riti o a lingue diverse; pertanto a questo proposito non possono esserci nel clero discordie o rivalità. 49. In diocesi 8 sacerdoti, 4 dei quali insegnano nelle scuole pubbliche, dopo avere abbandonato l’abito ecclesiastico (si deve confessare questo con grande dolore), conducono una vita disonesta. A uno o a due è stata imputata un’altra trasgressione, commessa dopo l’ultima relazione. Sebbene possa nascere il sospetto che alcuni sacerdoti trasgrediscano gli obblighi e i divieti sull’applicazione delle messe manuali, in questo quinquennio risulta un solo caso di violazione e si è provveduto a far riparare la colpa commessa. Di solito i sacerdoti stanno lontani non solo dai libri, ma anche dai periodici contrari alla religione e alla moralità e quando c’è una grave e legittima causa chiedono la dispensa all’autorità ecclesiastica. Ho detto di solito, perché forse c’è chi legge i giornali cattivi per curiosità. 50. Per provvedere al salutare ravvedimento di coloro che sono caduti, quando non è giovato il richiamo, è stata comminata contro di 276


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loro la pena della sospensione a divinis, con l’obbligo di ritirarsi in una casa religiosa per seguire un corso di esercizi spirituali, emendarsi dagli errori della vita passata e riparare lo scandalo. Nell’ultimo quinquennio tre volte ho inflitto con frutto la sospensione ex informata conscientia. In questi casi si segue questo criterio: si infligge la pena solo quando il reato risulta certo [pag. 16] almeno dalla segreta deposizione di due testimoni degni di fede. Di solito il reato la cui accusa giunge alle orecchie dell’ordinario è contro i buoni costumi. Tenendo conto della malvagità dei tempi e della natura del nostro popolo non si può prestare fede facilmente alle accuse; occorre procedere con molta prudenza e fare accurate indagini. 51. Escludendo i sacerdoti che appartengono al capitolo della cattedrale, quasi tutti gli altri in genere hanno a stento di che vivere onestamente con le elemosine delle messe (di solito provengono da altre regioni), con i proventi degli altri ministeri spirituali o con i benefici ecclesiastici.

CAPITOLO VI – I CAPITOLI DEI CANONICI 52. Nella città di Catania c’è il capitolo dei canonici della cattedrale. È costituito da 5 dignità: priore, cantore, decano, tesoriere e arcidiacono e 7 canonici, fra i quali il teologo e il penitenziere, i cui uffici sono stati istituiti dall’attuale arcivescovo, in conformità ai sacri canoni. 53. I canonici e le dignità sono eletti dall’arcivescovo per le facoltà a lui concesse dal papa Pio V con la bolla Hodie a Nobis del 1568. Il conferimento degli uffici di teologo e penitenziere avviene per concorso, secondo la costituzione di papa Benedetto XIII, Sacramentum Poenitentiae. 54. Ognuno percepisce ogni mese una prebenda che può essere maggiore o minore in relazione all’aumento o alla diminuzione delle rendite del beneficio. Oggi raggiunge le 300 lire. Queste somme sono amministrate con il criterio della massa comune; oltre a questa c’è un’altra somma che viene erogata dalla mensa vescovile per le distribuzioni quotidiane. L’amministrazione del capitolo non è tenuta a provvedere col proprio reddito alle spese necessarie per la celebrazione della messa conventuale, per la fabbrica e per il culto della chiesa [pag. 17]. 277


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55. Il capitolo ha le proprie costituzioni, legittimamente approvate nel 1752, che osserva fedelmente. 56. Il servizio corale è quotidiano e prevede la recita dell’ufficio divino e la celebrazione della messa conventuale che si canta ogni giorno. Tuttavia i capitolari, per una consuetudine immemorabile, sono obbligati a partecipare al servizio corale a settimane alterne, eccetto le domeniche e le feste, nelle quali tutti sono presenti. 57. Non ci sono canonici ad honorem. 58. Poiché nella diocesi opera il capitolo della cattedrale non c’è il collegio dei consultori. 59. In genere i canonici godono in diocesi di grande stima e fra di loro e l’ordinario, soprattutto da qualche tempo, c’è la massima concordia. 60. L’arcivescovo non trascura di convocare opportunamente i canonici, per discutere con loro le questioni di maggiore importanza e chiedere il consiglio e il consenso, secondo le prescrizioni dei sacri canoni, anche se ciò avviene raramente. 61. Quando la sede è vacante il capitolo procede liberamente all’elezione del vicario capitolare. 62. In diocesi c’è il capitolo di una collegiata fondato dalla Sede Apostolica: quello che ha sede nella chiesa Santa Maria dell’Elemosina, eretto dal papa Eugenio IV. Tutti gli altri erano stati istituiti dai vescovi nel corso della visita pastorale. Di recente è stato eretto dalla Sede Apostolica un capitolo a Biancavilla, la cui esistenza, nella causa discussa presso la S. Congregazione concistoriale, fu ritenuta invalida. Gli altri capitoli diocesani, sebbene più antichi e più illustri, giuridicamente sono inesistenti. Pertanto si chiede che la Sede Apostolica riconosca come legittima la loro esistenza. Il capitolo della regia e insigne collegiata Santa Maria dell’Elemosina di Catania è costituito da 4 dignità: prevosto [pag. 18], tesoriere, cantore e decano. I canonici dopo la riduzione fatta con rescritto della Santa Sede del 28 marzo 1910 sono 8, mentre un tempo erano 18. C’è il canonico teologo che viene scelto per concorso. Manca l’ufficio del canonico penitenziere, che sarà istituito in tempi migliori. I singoli canonici e le dignità percepiscono una prebenda annuale ma piccola. C’è un’altra prebenda assegnata ad alcuni stalli. Il prevosto percepisce ogni anno la prebenda di L. 337,75; il tesoriere circa L. 90, più o meno, secondo il prezzo del frumento; il decano L. 359,40; il pri278


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mo canonico L. 75,50. Nel capitolo vige la regola della massa comune. C’è ancora un’altra massa comune di circa L. 2.000 per le distribuzioni relative al servizio corale ed è amministrata in modo distinto dall’altra massa destinata alle spese per la fabbrica e il culto. Il servizio corale, secondo il decreto di fondazione, non è quotidiano. La messa conventuale si celebra con le somme della distribuzione. Si presta il servizio corale nelle domeniche, nelle feste di precetto e in quelle abolite, nei giorni dell’ottava della festa del Corpus Domini e dell’Immacolata Concezione della B. Maria Vergine, in avvento e quaresima, non escluse le altre solennità della fondazione. Il capitolo ha proprie costituzioni dal 1796 e le osserva. Non ci sono canonici ad honorem. I canonici godono buona fama e non sempre fra alcuni di loro c’è perfetta concordia. C’è anche, come ho detto sopra, il capitolo del comune di Biancavilla, intitolato a Santa Maria dell’Elemosina. È costituito da 4 dignità: il prevosto, che è anche parroco, il cantore, il tesoriere, il decano e da 8 canonici. Tutti sono nominati secondo le norme del nuovo Codice di diritto canonico. Un tempo le singole dignità e i canonici avevano una prebenda di L. 76,50. Successivamente invece, in seguito alle leggi eversive, disponevano solamente di modeste distribuzioni per la recita delle ore canoniche e per le sacre funzioni che si celebrano nelle domeniche e in alcune feste dell’anno più importanti. In genere i canonici godono di una buona stima presso il popolo e si dedicano con diligenza al sacro ministero. Un nuovo decreto dell’ordinario [pag. 19] del 20 gennaio 1921 ha stabilito che dalle rendite e dagli introiti della parrocchia devono essere devolute al capitolo per il servizio corale L. 2.000.

CAPITOLO VII – LE PARROCCHIE E I LORO RETTORI 63. Fino ad oggi in questa diocesi esistono solo pochissime parrocchie vere e proprie. Ad eccezione di 5, le altre sono rette da vicari curati nominati a discrezione dell’arcivescovo. Tuttavia in seguito ai cambiamenti di questi ultimi tempi e alla legge civile che è diventata più favorevole ai parroci, è stata presentata la richiesta al governo, e si spera che sia accolta, di concedere come a tutte le altre diocesi l’aumento della congrua parrocchiale per le città e i paesi della nostra 279


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diocesi, non per Catania, in cui si può disporre della somma di L. 10.000 pagata dall’arcivescovo e delle tasse sufficienti pagate dai fedeli per la celebrazione dei sacramenti, dei funerali, ecc. 64. La provvista delle 5 parrocchie fino ad oggi esistenti viene fatta per concorso in questo modo: ai concorrenti si pongono quesiti di teologia dogmatica e morale e si chiede di fare un’omelia sui vangeli; i candidati rispondono in scritto e oralmente agli esaminatori sinodali, che esprimono un giudizio sulla loro idoneità. Fra di loro l’arcivescovo nomina quello che, dopo aver vagliato tutte le circostanze, ritiene dinanzi a Dio il più degno. Poiché le altre parrocchie fino ad oggi non sono state canonicamente erette per i motivi che a lungo abbiamo già esposto nelle relazioni precedenti, i loro rettori non sono scelti per concorso. 65. I rettori di quelle parrocchie sono amovibili, tranne le 5 suddette che sono state erette canonicamente. 66. In questa diocesi non si hanno parrocchie affidate alle congregazioni religiose. Tuttavia è intenzione dell’arcivescovo, se Dio vorrà, di affidare ai gesuiti e ai salesiani alcune nuove parrocchie da erigere in questa città, così necessarie per il notevole incremento degli abitanti [pag. 20]. 67. Non si ha alcuna parrocchia in cui la cura abituale delle anime è affidata a un capitolo o ad altra persona giuridica. 68. Parimenti in diocesi non esiste parrocchia soggetta al diritto di patronato di qualsiasi natura. 69. Le offerte che i pastori d’anime sogliono ricevere per l’amministrazione dei sacramenti sono state approvate dalla Santa Sede; quelle invece che si devono per i funerali, per la celebrazione di messe solenni e per i certificati, ecc. dall’ordinario. Generalmente non si riscontrano proteste o gravi inconvenienti a motivo del rigore nell’esigere queste tariffe. 70. I pastori d’anime, non essendo veri parroci, non godono di alcuna prebenda oppure ne hanno una molto piccola. Nella città di Catania ricevono qualcosa in misura maggiore o minore dalla somma di L. 8.325 che la mensa arcivescovile è tenuta a pagare ogni anno alle 13 parrocchie più antiche; inoltre percepiscono alcuni introiti dalle proprie chiese e dai frutti di stola. Nelle rimanenti chiese curate o non c’è alcuna dote di beneficio o si può contare solamente su rendite non certamente abbondanti, se ci sono. Questa è una delle cause che ren280


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de più difficile il governo di questa diocesi, soprattutto in tempi così avversi come i nostri. Ci sono chiese parrocchiali che posseggono beni immobili e perlopiù canoni enfiteutici. I beni immobili sogliono essere dati in locazione. L’amministrazione è affidata a un sacerdote, come procuratore dell’arcivescovo, che presenta ogni anno il rendiconto delle entrate e delle uscite alla commissione diocesana istituita a questo scopo, che, sotto la vigilanza dell’ordinario, esamina tutto e dà le opportune risposte. In tal modo si bada, nel modo migliore possibile, a conservare il sacro patrimonio delle chiese parrocchiali. Da quanto si è detto, appare evidente che i curati dai beni ecclesiastici ricevono appena quel che basta per un onesto sostentamento e occorre per la cura delle anime e le sacre funzioni [pag. 21], tanto più che le offerte dei fedeli non sono generose. 71. Di solito accanto alle chiese parrocchiali c’è la casa canonica, dove nella città i pastori d’anime dimorano con qualche membro della loro famiglia. Nelle altre parrocchie della diocesi sogliono vivere a casa propria, in modo da adibire la canonica per ospitare i predicatori forestieri, invitati durante la quaresima o in qualche festività. Sebbene si faccia di tutto per convincere questi pastori d’anime a fare vita comune con i propri collaboratori, diversi ostacoli impediscono la facile attuazione di questa prassi: al riguardo c’è una lunga consuetudine contraria, le risorse sono limitate e le case non sono spaziose per accogliere comodamente più persone. 72. C’è un decreto che proibisce severamente ai pastori d’anime di avere in casa propria, a motivo di servizio o per qualsiasi altro pretesto, non solo giovani donne, ma anche più persone della propria famiglia. Queste stesse possono rimanere solo se strettamente necessarie al servizio e del cui buon comportamento morale si è certi. 73. Si conservano i libri parrocchiali dove, secondo le norme canoniche, si annota ciò che attiene al battesimo e al matrimonio. Non in tutte le parrocchie c’è il libro dei defunti. I pastori d’anime trovati negligenti in questa materia sono stati ammoniti nel corso della visita pastorale. Per quanto riguarda il matrimonio si osserva la legge che obbliga di annotare nel libro dei battezzati, accanto al nome dei singoli, l’avvenuto matrimonio. Ci sono anche i libri dei cresimati e gli elenchi o registri delle messe fondate e manuali; in genere sono scritti e conservati con diligenza. Il registro dello stato d’anime non c’è in tutte le chiese per l’eccessiva vastità di molte circoscrizio281


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ni parrocchiali e per la mancanza di collaboratori disposti a svolgere questo lavoro. 74. A motivo del particolare ordinamento che, come abbiamo già detto, vige in questa diocesi, l’archivio, diviso in due parti, pubblico [pag. 22] e segreto, a Catania non si trova in tutte le parrocchie, ma è custodito nella cancelleria della curia arcivescovile; negli altri comuni nelle parrocchie. 75. I pastori d’anime osservano l’obbligo della residenza. 76. Poiché in questa diocesi i pastori d’anime, come ho detto sopra, non sono parroci propriamente detti, ma delegati dall’arcivescovo e amovibili a sua discrezione, mai nei giorni festivi applicano la messa per il popolo. In genere celebrano con zelo e con frutto le funzioni proprie per la santificazione del giorno festivo. Da qualche tempo quasi tutti spiegano il vangelo e impartiscono ai bambini e agli adulti la catechesi; per ottenere il maggior frutto possibile da questo ministero così importante; dall’autorità ecclesiastica sono esortati a servirsi di un metodo che si adegui alle capacità degli uditori, soprattutto del popolo. 77. In genere sono solleciti nell’ascolto delle confessioni, nella distribuzione dell’Eucaristia e nell’assistenza agli infermi; tuttavia in un caso o nell’altro può succedere qualche inconveniente e ci può essere qualche lagnanza. 78. A meno che in qualche caso particolare non ci sia una grave e giusta causa, amministrano il battesimo e celebrano il matrimonio in chiesa, osservando le cerimonie previste dal Rituale romano. 79. I pastori d’anime nei confronti dei fedeli che notoriamente fanno parte delle società segrete o per qualsiasi altro motivo vivono fuori dalla Chiesa, se i sacramenti sono richiesti in punto di morte, si comportano secondo le note direttive della Santa Sede, cioè non li amministrano se prima non abiurano o rilasciano una pubblica dichiarazione. Negano la sepoltura cristiana a coloro che in modo certo e notorio muoiono fuori dal seno della Chiesa, nonostante la richiesta dei familiari. Nei casi controversi ricorrono all’ordinario. 80. Per l’ammissione dei bambini alla prima comunione si osserva la regola stabilita dal catechismo del Concilio di Trento: i bambini che a giudizio del proprio confessore e dei parenti sono giunti a una sufficiente discrezione, non devono essere impediti o tenuti lontani per lungo tempo dalla sacra mensa, soprattutto [pag. 23] do282


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po il decreto emanato su questa materia dalla S. Congregazione del concilio. 81. Tutti i pastori d’anime, anche se non con lo stesso zelo, si impegnano a fortificare nella fede i propri fedeli, li esortano ad accostarsi con frequenza alla confessione, in particolare alla comunione quotidiana, e a mantenere con purità una condotta di vita cristiana. A tal fine, oltre le consuete mansioni del proprio ministero: a) alcune volte durante l’anno, nei giorni più solenni, in quaresima, nel mese di maggio o per la festa di un santo, invitano un predicatore e un confessore straordinario; b) si adoperano a tenere nella chiesa le sacre missioni ogni anno, soprattutto nel periodo quaresimale; c) celebrano nelle loro chiese e raccomandano ai propri fedeli le devozioni approvate dalla Chiesa, come l’esposizione del ss. Sacramento, la via crucis, il rosario, il mese mariano ed altri pii esercizi analoghi, che si praticano più o meno nella diocesi; d) fanno di tutto per incoraggiare i ragazzi, le ragazze e i fedeli adulti a iscriversi alle pie unioni, ai patronati, alle società e alle associazioni cattoliche; e) soprattutto i pastori d’anime più giovani con prudenza fondano o almeno incoraggiano, dov’è possibile, le opere sociali che sono favorevoli alla Chiesa cattolica. Tuttavia bisogna confessare che dalle nostre parti si incontrano molte difficoltà per fondare e dirigere società di questo genere.

CAPITOLO VIII – ART. I – IL SEMINARIO DIOCESANO 82. Essendo andato distrutto, in seguito all’immane terremoto del 1693, l’antico edificio del seminario fondato subito dopo il Concilio di Trento, non molto tempo dopo ne fu costruito uno nuovo dalla munificenza del vescovo Andrea Riggio. Questo edificio nell’anno della rivoluzione del 1848 fu occupato dai militari e, sebbene l’autorità ecclesiastica lo abbia reclamato [pag. 24], mai ha potuto ottenere la sua restituzione. Dopo di che fu necessario adattare nel modo migliore possibile alcuni locali abbastanza ampi di proprietà del seminario, annessi allo stesso edificio; può ospitare circa 130 alunni. Anche se è ben esposto a mezzogiorno e vicino al mare, tuttavia per la distribuzione delle parti interne e per i suoi spazi limitati non è conforme alle esigenze disciplinari e igieniche; inoltre dispone solamente di un cortile per la ricreazione. Nel prossimo futuro, in seguito alla vendita van283


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taggiosa di un terreno di proprietà del seminario si procederà ad alcune importanti ristrutturazioni, come meglio sarà spiegato in seguito. Oltre al principale seminario diocesano eretto a Catania, nei comuni di Bronte, Biancavilla e Trecastagni si hanno tre piccoli seminari, che accolgono anche i bambini, chiamati “aspiranti” allo stato clericale. Sono diretti da ottimi sacerdoti, sotto la vigilanza del rettore del seminario di Catania, da cui dipendono per gli studi e la disciplina. Gli alunni frequentano le scuole elementari e possibilmente il ginnasio inferiore. Successivamente, se sono ritenuti idonei, sono ammessi nel seminario maggiore. L’esistenza di questi seminari minori dipende in gran parte dalla generosità dei fedeli. 83. Gli introiti e gli esiti del seminario possono essere desunti da questa nota del 1925: «Rendite patrimoniali 1. Corpi redditizii ................................................. L. 22.250,00 2. Rendite sul debito pubblico ........................... L. 6.690,00 3. Censi e rendite varie ....................................... L. 2.176,72 4. Canoni enfiteutici ............................................ L. 44.610,53 5. Tassa sui benefizi ............................................. L. 1.200,00 ____________ L. 76.927,25 Spese patrimoniali 1. Tasse per terreni, fabbricati e ricchezza mobile . L. 6.300,00 2. Manomorta e quota di concorso ......................... L. 2.115,60 3. Manutenzione ordinaria ...................................... L. 6.500,00 [pag. 25] 4. Canoni e rendite passive ...................................... L. 2.060,96 5. Assicurazione contro l’incendio .......................... L. 286,74 __________ L.17.263,30 Spese estrapatrimoniali 1. Personale direttivo, insegnante, sanitario, legale, di servizio ............................................. L. 36.300,00 2. Forniture varie, luce, acqua e spese minute .. L. 11.500,00 3. Villeggiatura ..................................................... L. 3.000,00 ____________ L. 50.800,00 284


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Riepilogo Spese patrimoniali ............................................... L. 17.263,30 Spese estrapatrimoniali ...................................... L. 50.800,00 ____________ Totale ................................................................................ L. 68.063,30 Totale Entrata .................................................................. L. 76.927,25 Uscita ................................................................................ L. 68.063,30 Rimanenza attiva ............................................................. L. 8.863,95». Le rendite patrimoniali del seminario sono aumentate di molto a motivo della vendita di un terreno, che negli anni precedenti avevo acquistato per edificarvi il nuovo seminario. Per acquistarlo ho speso L. 39.000 e ho potuto darlo in enfiteusi in ragione del suo valore di L. 1.200.000. Il patrimonio del seminario non è onerato da debiti. Gli alunni pagano la retta annua di L. 1.800. I poveri sono aiutati dallo stesso arcivescovo, da alcuni benefattori e mediante le offerte delle messe binate con il permesso della Santa Sede. 84. Rettore del seminario è il rev.mo D. Emilio Ferrais, mio vescovo coadiutore, di 56 anni, dotato di dottrina, pietà, prudenza, che segue gli alunni con paterno amore. Nella direzione del seminario lo coadiuva un sacerdote del clero secolare con il titolo di “ministro per la disciplina” e un altro suo sostituto. Tutti adempiono con diligenza l’ufficio loro affidato e formano gli alunni [pag. 26] nella disciplina e nella pietà. 85. C’è il maestro di spirito, chiamato “direttore spirituale” che vive in seminario e non esercita altro ministero che lo distragga dal suo ufficio. Oltre la sua persona, c’è un numero abbastanza ampio di altri confessori. 86. Secondo le prescrizioni del Concilio di Trento ci sono 2 consiglieri per la disciplina e 4 per l’economia, ai quali l’ordinario chiede consiglio nei casi previsti dal diritto. 87. Alcuni docenti vivono in seminario, gli altri dimorano altrove. Non c’è nessuna osservazione da fare sulla loro idoneità, sulla pietà e sul comportamento, anzi quasi tutti sono meritevoli di ogni elogio. 88. In atto vivono in seminario 100 alunni. Sono ammessi solamente coloro che aspirano allo stato ecclesiastico. Non ci sono esterni. In questo quinquennio tre seminaristi sono stati inviati nei collegi 285


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di Roma per conseguire i gradi accademici nelle scienze sacre. In questo seminario, su richiesta o con il permesso del proprio ordinario, sono stati accolti alcuni alunni di altre diocesi: 7 dalla diocesi di Nicosia e 2 dalla diocesi di Caltagirone nei quali c’è solo il ginnasio inferiore, 1 dalla diocesi di Noto e 1 dalla diocesi di Monreale nel quale manca o il liceo o il corso teologico; 1 della diocesi di Piazza Armerina per motivi di salute; 1 della diocesi di Messina e 1 della diocesi di Cefalù per particolari motivi di famiglia. 89. Poiché fino ad oggi c’è un solo edificio per accogliere tutti i chierici, è necessario far vivere sotto lo stesso tetto i grandi con i piccoli. Tuttavia si fa ricorso ad alcuni accorgimenti, per quanto è possibile, in modo che gli uni siano distinti dagli altri per essere formati mediante una disciplina più adatta alla loro età. 90. La pietà e la disciplina sono alimentate con ogni impegno in seminario mediante le regole prescritte dalla Santa Sede. Gli alunni una volta la settimana si accostano al tribunale della penitenza e quasi ogni giorno ricevono la comunione eucaristica. Ogni anno prima dell’inizio del corso di studi, per otto giorni interi, tutti fanno gli esercizi spirituali secondo il metodo di s. Ignazio; perciò in quel periodo [pag. 27] sono occupati solamente a meditare in silenzio sulle verità eterne. Per promuovere con maggiore efficacia la pietà, la disciplina e lo studio, oltre le premiazioni trimestrali e annuali, dall’eminentissimo arcivescovo viene conferito il premio o borsa di studio di L. 480 all’alunno di ogni corso che viene considerato primo fra tutti per pietà e studio. 91. Gli studi di filosofia si svolgono in tre anni, quelli di teologia in quattro, secondo le prescrizioni della Santa Sede. I professori adoperano la lingua latina e seguono il metodo scolastico secondo l’indirizzo di s. Tommaso d’Aquino. I manuali sono degli autori adottati negli altri seminari. Oltre queste discipline {teologia dogmatica, teologia morale e filosofia} si insegnano: diritto canonico, patrologia, storia ecclesiastica, princìpi di sacra eloquenza, Sacra Scrittura, lingua ebraica e greco biblico. Gli studi umanistici di italiano e di latino sono portati a termine in 8 anni, dei quali 5 per il ginnasio, 3 per il liceo e anche questi con lo stesso metodo e gli stessi testi in uso presso gli altri seminari. Oltre la lingua latina, greca, italiana e francese, si insegnano le altre discipline: matematica, storia civile, geografia e scienze naturali. Tutti i chierici sono accuratamente istruiti nella sacre cerimonie e nel canto liturgico. 286


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92. La risposta è affermativa. Agli alunni è permesso leggere solo la stampa missionaria e le riviste: Stille benefiche, Primavera di vita. 93. L’ordinario spesso visita il seminario e ascolta gli alunni per rendersi conto personalmente del loro progresso nella pietà e negli studi. 94. Per la promozione agli ordini sacri si segue questo iter: le domande dei candidati sono ricevute dal rettore e valutate attentamente dai singoli superiori, in modo da formulare in segreto un giudizio ponderato sulla loro pietà e idoneità; dopo si passa allo scrutinio, in cui l’ordinario prende in esame le domande assieme ai superiori e pronunzia il giudizio definitivo. Ad ogni sacra ordinazione si premettono gli esercizi spirituali per la durata di dieci giorni. Solitamente per motivi ben ponderati dall’ordinario [pag. 28] si dispensa dalla legge degli interstizi. I chierici, a meno che non ci sia la dispensa della Santa Sede per casi particolari e molto rari, sono ordinati con il titolo del sacro patrimonio. 95. Dall’ultimo quinquennio in seminario non è accaduto nulla degno di nota. 96. La diocesi possiede un’ottima casa di villeggiatura per il seminario, dove tutti gli alunni durante le ferie si riuniscono, cioè nei mesi di agosto, settembre e ottobre. Si concede loro il permesso di ritornare in famiglia solo per 15 giorni e in questo periodo sono affidati alle cure e alla vigilanza del rispettivo vicario o di qualche buon sacerdote, che li riunisce ogni giorno per ascoltare la messa, per fare gli esercizi di pietà, per andare a passeggio, ecc.; alla fine informa il rettore sul loro comportamento. 97. L’eminentissimo arcivescovo, dopo avere assunto il governo della diocesi, si è adoperato a proprie spese perché i chierici più promettenti continuassero gli studi nelle università pontificie di Roma o di Lovanio per conseguirvi i titoli accademici. 98. In questo quinquennio a nessuno è stato dato il permesso di frequentare le pubbliche università civili prima dell’ordinazione sacerdotale. 99. I chierici costretti al servizio militare sono raccomandati al rettore del seminario del luogo in cui si trovano, o a qualche uomo religioso, e con una frequente corrispondenza si mantiene il reciproco rapporto fra gli alunni e i superiori del seminario. Quando hanno fi287


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nito il servizio, solo dopo un’attenta verifica sono promossi agli ordini, e prima di ogni cosa si chiedono le lettere attestanti che hanno condotto una vita onesta. 100. In diocesi si osserva fermamente il principio di non ammettere in seminario coloro che sono stati mandati via da altri seminari o da istituti religiosi [pag. 29].

ART. II – IL SEMINARIO INTERDIOCESANO O REGIONALE 101. Su questo argomento si è sempre discusso in tutte le conferenze episcopali di questa regione di Sicilia, ma non si è mai approdati a nulla a motivo delle grandissime difficoltà frapposte dalla maggior parte degli ordinari, soprattutto per le ingenti spese occorrenti.

CAPITOLO IX – GLI ISTITUTI RELIGIOSI MASCHILI 102. I religiosi in genere osservano la vita comune. Ognuno indossa l’abito del proprio ordine. Si mantengono, non senza qualche difficoltà, o con le risorse della comunità o con le intenzioni di messe, l’esercizio della predicazione e le offerte dei fedeli. Di loro godono buona fama i gesuiti, i salesiani e i missionari di San Vincenzo dei Paoli. Non si può dire la stessa cosa di tutti quelli che appartengono agli altri ordini religiosi. Sono pochi in diocesi coloro che sono stati dimessi dai loro superiori dopo aver ricevuto gli ordini maggiori. Alcuni si comportano bene, due o tre meritano di essere ripresi. 103. I religiosi in genere sono impegnati a promuovere il culto divino e a svolgere il ministero della predicazione e della confessione nelle loro chiese o altrove con frutto e con grandissima soddisfazione e lode dei fedeli. I salesiani operano egregiamente per l’istruzione e la formazione cristiana dei giovani. Nessuno di loro fino ad oggi esercita la cura delle anime nelle parrocchie. 104. Sono presenti in diocesi religiosi questuanti: i frati minori e i cappuccini, che osservano diligentemente i decreti della Santa Sede su questa materia, onde evitare che succeda qualche inconveniente. 105. Da parte dei religiosi non è stato recato alcun pregiudizio alla giurisdizione dell’arcivescovo sia propria sia a lui delegata dal diritto. 288


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106. Non esistono congregazioni di diritto diocesano [pag. 30].

CAPITOLO X – GLI ISTITUTI RELIGIOSI FEMMINILI 107. Le donne degli istituti religiosi che qui ancora esistono, in genere si comportano in modo da essere per i fedeli di grandissimo esempio. Se c’è stato qualche abuso, le superiore hanno provveduto subito a eliminarlo. Non esiste in diocesi un monastero femminile soggetto all’autorità di prelati religiosi. 108. In tema di clausura, che nei nostri monasteri per le facoltà concesse dalla Santa Sede è vescovile, si osservano per quanto è possibile le norme canoniche. 109. Dopo le leggi eversive è rimasto un solo monastero, il cui edificio è stato riscattato dall’eminentissimo arcivescovo. In esso vive una nuova ed eccellente comunità di circa 40 monache, i cui redditi sono amministrati dall’autorità ecclesiastica. Le somme delle doti che alcune monache, non tutte, hanno versato sono state investite in titoli del debito pubblico e sono amministrati dalla priora, che è tenuta a dar conto della sua amministrazione solo all’arcivescovo. 110. Nel monastero si osservano rigorosamente le costituzioni e i decreti apostolici sui confessori delle monache. 111. Le religiose di vita attiva o assistono gli ammalati e i vecchi negli ospedali e negli ospizi per i poveri o si occupano dell’educazione cristiana delle ragazze di qualsiasi ceto. Le suore svolgono entrambe le attività con buono spirito, con grandissima utilità dei fedeli e edificazione della Chiesa. 112. In diocesi non ci sono religiose che servono gli infermi nelle case private. Alcune sono responsabili delle attività domestiche negli ospedali e nell’ospizio di beneficenza per l’educazione dei bambini e degli adolescenti. Si usano le opportune cautele perché non succeda alcun inconveniente. Se qualche volta — ma succede raramente — accade qualcosa di spiacevole, si provvede immediatamente. Ci sono suore questuanti che si comportano in conformità alle norme canoniche [pag. 31], per quanto sappia non è accaduto nessun inconveniente. 113. C’è un solo istituto diocesano fondato di recente, chiamato “suore sacramentine”, dedicato principalmente al culto perenne del 289


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ss. Sacramento. È governato in conformità alle leggi canoniche. Le suore si occupano anche dell’educazione cristiana delle ragazze e vivono con il frutto delle loro doti.

CAPITOLO XI – IL POPOLO IN GENERE 114. Com’è stato già detto all’inizio di questa relazione, sebbene qui il popolo conservi la fede cristiana, nella maggioranza di esso, specialmente se consideriamo la città e gli uomini, i costumi sono corrotti e si sono diffuse soprattutto l’immoralità e le bestemmie. 115. In città, non nelle altre parti della diocesi, sono molti coloro che nelle domeniche e nelle feste non si astengono dai lavori servili e non ascoltano la messa. Non c’è differenza di rilievo, quanto all’osservanza del precetto festivo, negli altri comuni della diocesi. Certamente la maggioranza non santifica i giorni festivi come conviene ai cristiani. 116. Lo stesso deve affermarsi a proposito dei precetti dell’astinenza, del digiuno e della comunione pasquale. 117. Da qualche tempo si nota un uso più frequente della confessione sacramentale e della comunione nelle donne e nei ragazzi di ogni condizione e sesso. Sembra aumentare il numero degli uomini che si accostano ai sacramenti, soprattutto fra coloro che fanno parte delle pie associazioni e dell’azione cattolica; tuttavia sono sempre pochi rispetto alle donne. 118. Solitamente i genitori sono solleciti, soprattutto nei paesi, a far battezzare i bambini almeno entro una settimana dalla nascita; ma sono molti coloro, specialmente nel ceto civile, che in misura maggiore o minore lo differiscono; pochi lo trascurano, rari quelli che rifiutano il battesimo per i propri figli. 119. I matrimoni solo civili o concubinati sono molti e si verificano con maggiore frequenza in città più che negli altri comuni della diocesi [pag. 32], soprattutto i piccoli. Sono due i principali abusi che si riscontrano contro la santità del matrimonio: l’adulterio e l’onanismo. 120. Rarissimi sono da noi i matrimoni misti; quando se ne celebra qualcuno che riguarda uno straniero, si procede con la licenza della Santa Sede e a condizione di educare i figli nella fede cattolica. 290


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121. Ai genitori in genere poco o nulla interessa insegnare ai propri figli i comportamenti cristiani, non solo all’interno della famiglia, ma anche fuori, soprattutto nelle scuole. 122. Quasi tutti i fedeli gravemente malati chiedono gli ultimi sacramenti. Sono pochi i funerali civili che si celebrano a motivo della mancanza di fede nel defunto o della sua appartenenza politica o massonica. 123. Nell’esercizio dei diritti politici e civili, ancora permesso negli anni passati, erano pochi coloro che nella vita e nelle scelte delle persone si orientavano verso chi aveva a cuore la religione e la libertà della Chiesa. 124. Prima dei recenti decreti del governo, anche a Catania c’erano le sette segrete della massoneria, che avevano fatto adepti pure in alcuni comuni della diocesi. Operavano anche associazioni dette socialiste; in realtà coloro che ne facevano parte cercavano più l’interesse che le dottrine erronee. Oggi però queste associazioni sono state sciolte o almeno non operano apertamente. Qua e là, purtroppo, c’è la prassi dello spiritismo; questo peccato è tra i casi a noi riservati. Non disponiamo di facili ed efficaci rimedi per convincere i fedeli a stare lontani da tutto questo; pertanto i progressi che si ottengono non sono pari ai bisogni, nonostante si facciano molti sforzi sia nell’esercizio del ministero ecclesiastico, sia nelle associazioni cattoliche.

CAPITOLO XII – L’ISTRUZIONE E L’EDUCAZIONE DEI GIOVANI 125. Il principio generale che regola in diocesi l’istruzione e l’educazione dei figli secondo la prassi e le leggi civili è questo: dipende totalmente dal potere dello Stato, che oggi [pag. 33] almeno impone ai maestri di insegnare nelle scuole dette “elementari” i princìpi della dottrina cattolica e la storia sacra. Tutto questo però non può bastare all’educazione cristiana dei bambini, soprattutto se — il caso è frequente — i maestri laici non hanno loro stessi imparato la dottrina cristiana. In nessuna scuola secondaria si insegna la dottrina cristiana, anzi ci sono docenti che insegnano non pochi errori contro la fede e i costumi. È necessaria un’azione comune da parte dei genitori di tutta la nazione per rivendicare il diritto/dovere naturale ed inviolabile di educare i figli, come dovrebbero. In questa diocesi, per quanto è possibile, 291


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si contrappone il rimedio delle scuole private, dirette dai religiosi dei due sessi, per educare i ragazzi e i giovani studenti. Nelle scuole pubbliche sono molte le classi miste, comuni cioè agli alunni dei due sessi; da questa prassi derivano necessariamente conseguenze negative. I direttori delle associazioni pie e i confessori, quando le circostanze lo consigliano, esortano i genitori e le figlie ad usare le dovute cautele. 126. Le maestre delle scuole primarie chiamate “elementari”, per lo più sono formate secondo i princìpi cristiani e assicurano alle bambine un buon insegnamento. Non si può dire altrettanto dei maestri laici, molti dei quali sono almeno indifferenti nei confronti della religione. Pertanto le loro scuole generalmente sono dannose. Sono pochi i sacerdoti che insegnano nelle scuole pubbliche. In questa città esistono scuole libere che accolgono circa 2.000 alunni. Si mantengono con le rette degli stessi alunni e sono soggette alla vigilanza e al controllo dell’ordinario. In queste scuole libere si insegna obbligatoriamente e in modo degno la dottrina cristiana. 127. In questa diocesi sono pochissimi gli acattolici e quasi tutti stranieri. 128. È difficile da noi trovare un rimedio per rendere immune dalla perversione e dalla corruzione la gioventù obbligata a frequentare le scuole dannose. A questo scopo si fa ricorso, con qualche risultato utile, alle pie associazioni e agli oratori festivi. 129. Le scuole medie o superiori, alle quali i fedeli della diocesi per lo più si iscrivono, dipendono dalle autorità civili e di solito sono ostili alle verità e alle dottrine cattoliche [pag. 34]. 130. Per lo zelo, soprattutto dei salesiani e di alcuni sacerdoti del clero secolare, sono state realizzate alcune opere come ricreatori, circoli, scuole catechistiche, oratori serali e festivi, per la preservazione e una sana educazione cristiana della gioventù. Per mancanza di strutture né il numero né i frutti di queste istituzioni rispondono alle necessità dei nostri tempi.

CAPITOLO XIII – CONFRATERNITE E ASSOCIAZIONI RELIGIOSE 131. A Catania e in diocesi si hanno anche diverse congregazioni o confraternite e altre associazioni religiose legittimamente istituite. Sono circa 200 e in genere prendono il nome dal santo patrono al 292


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quale sono dedicate. Non mancano le associazioni raccomandate in modo particolare dalla Santa Sede, come quelle del Santissimo Sacramento, del Rosario e della dottrina cristiana per istruire nella fede, nella pietà e nella purezza dei costumi i bambini e le bambine. 132. Nelle chiese parrocchiali sono state istituite qua e là le nuove associazioni, soprattutto quelle che vanno sotto il nome di “Azione Cattolica”. In alcune chiese di religiosi si riuniscono i terziari dei rispettivi ordini. Quasi tutte le antiche confraternite si riuniscono nelle proprie chiese. Mai sono state erette associazioni di uomini nelle chiese di monache. 133. Tutte le nuove associazioni pie, secondo le leggi canoniche, dipendono dall’autorità ecclesiastica. Non si può dire la stessa cosa delle antiche confraternite che, per quanto riguarda l’amministrazione dei beni temporali, secondo le vecchie leggi sottostanno all’autorità civile. In queste condizioni, discostandosi dalla primitiva regola e dall’antico spirito che una volta le animava e sottraendosi facilmente alla vigilanza del vescovo, non solo in genere non portano alcun frutto, ma spesso creano non lievi inconvenienti. Di recente nelle conferenze episcopali si è affrontato il problema per cercare una soluzione a questi mali; ma tutti i vescovi hanno riconosciuto che si tratta di una situazione molto ardua e piena di difficoltà. 134. Ci sono i terziari di San Francesco, di San Domenico [pag. 35], della Madonna del Carmelo e della Santissima Trinità, che vivono nel secolo. Di solito si riuniscono frequentemente e sono di buon esempio ai fedeli. 135. Alcune confraternite accettano come soci persone che notoriamente fanno parte di associazioni contrarie alla religione o che conducono una vita immorale. Per eliminare questi inconvenienti bisognerebbe sopprimere quelle associazioni per poi rifondarle con nuovi regolamenti. Ma poiché questo non è possibile, per le molteplici difficoltà che si incontrano, soprattutto le leggi civili, nelle conferenze episcopali sono stati proposti alcuni rimedi, che in pratica sono poco efficaci per rimuovere i mali lamentati.

CAPITOLO XIV – I LEGATI PII E LA QUESTUA DI ELEMOSINE 136. In diocesi ci sono i legati pii per la celebrazione di messe e 293


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altri oneri religiosi, ma di quelli fondati anticamente sono rimasti in pochi a motivo delle leggi eversive. Se ne fondano anche di nuovi, i cui titoli sono conservati nella cassa diocesana. La curia ha i loro elenchi con i relativi oneri e l’indicazione delle rendite. 137. I legati di antica fondazione sono amministrati dal rettore della chiesa o del capitolo, sotto la vigilanza della commissione diocesana, come già si è detto sopra. Quelli di nuova fondazione si amministrano segretamente dalla commissione e, secondo le prescrizioni della Santa Sede, sono custoditi nella cassa diocesana. Tutto questo in genere viene compiuto con scrupolosità e frutto. 138. Per quanto è a conoscenza dell’ordinario, si soddisfa ai legati di messe e agli altri oneri nel tempo stabilito. Poiché quei legati sono relativamente pochi, raramente o mai avanzano somme da consegnare all’ordinario; anzi egli deve rivolgersi ad altre diocesi per raccogliere intenzioni di messe e sopperire in questo modo alla indigenza di molti sacerdoti. Non è mai successo che qualche sacerdote meritasse di essere rimosso dall’ufficio per questo motivo. 139. In diocesi si fanno anche le altre collette prescritte dalla Santa Sede o raccomandate per il bene comune della Chiesa, indicate in questo numero [pag. 36]. 140. Sono entrate nell’uso della nostra diocesi altre collette che si prefiggono sia di sostenere il culto in molte chiese, sia di soccorrere i poveri specialmente infermi. Altre intendono promuovere le vocazioni ecclesiastiche, diffondere i giornali cattolici, mantenere le scuole della dottrina cristiana e sostenere altre buone opere. 141. C’è anche la consuetudine di fare delle raccolte per fare la festa del santo patrono con grande apparato esteriore. Ci sono religiosi e religiose questuanti; ma non sembra che il loro numero rechi eccessivo fastidio ai fedeli.

CAPITOLO XV – LE OPERE PIE E SOCIALI 142. In diocesi e specialmente in questa città, sono stati fondati ospedali, orfanotrofi, brefotrofi e altri istituti di carità. Sebbene quasi tutte queste opere siano state fondate per l’iniziativa e l’impegno del clero e di persone religiose, poche di esse sono rimaste pienamente soggette, anche nell’amministrazione dei beni, all’autorità ecclesiasti294


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ca, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. Tranne un caso o due, solitamente nel loro consiglio di amministrazione è presente un delegato del vescovo. Ciò spiega la presenza di un cappellano in tutte queste opere, che può esercitare liberamente la cura e l’assistenza spirituale. 143. Sono presenti in diocesi le cosiddette opere sociali: asili per l’infanzia di entrambi i sessi, circoli per la gioventù cattolica, associazioni di operai e di agricoltori con le loro casse di risparmio e di mutuo soccorso. 144. In genere le associazioni e queste opere sociali, in modo particolare coloro che le dirigono, prestano all’ordinario e al sommo pontefice la dovuta riverenza e in tutto ciò che attiene alla fede, ai costumi e alle norme di giustizia sottostanno all’autorità e alle direttive della Santa Sede. 145. Nonostante si incontri da noi una grande difficoltà per la mancanza [pag. 37] di risorse e di persone idonee, si sta attenti che i dirigenti di queste associazioni e opere siano cattolici non solo di nome, ma anche nel cuore e nei fatti. Si bada anche, per quanto è possibile, che gli iscritti a queste associazioni e opere o coloro che da esse ottengono benefici e aiuti, si allontanino dai vizi, siano istruiti nella dottrina della fede e conducano una vita cristiana. Bisogna confessare, però, che in queste iniziative si auspica un maggiore impegno nel procurare il bene religioso e morale dei soci. 146. Si sta attenti perché non facciano parte di queste associazioni cattoliche persone iscritte alle società segrete, miscredenti, empi o contrari alla religione, in modo che le associazioni stesse o le loro opere non siano distolte dal retto cammino della fede e della giustizia.

CAPITOLO XVI – LA PUBBLICAZIONE E LA LETTURA DI LIBRI E GIORNALI 147. Ogni giorno in questa città si pubblicano due giornali, che sotto l’attuale governo non sono ostili alla religione, ma spesso contengono qualche errore contro la fede e i buoni costumi. Sono molto diffusi in tutta la provincia e nelle altre della Sicilia orientale. Arrecano qualche danno, soprattutto quando riferiscono fatti contrari al buon costume. Non vengono pubblicati libri, immagini ed altri giornali ex professo empi o osceni. 295


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148. Ma libri di questo genere, che sono pubblicati altrove, sono molto diffusi in questa diocesi con grave danno della fede e dei costumi. Sono i giornali dei protestanti, come La Coscienza, La Sigaretta, 420 e molti altri dello stesso genere, che fomentano gli amori illeciti. Si vendono molti libri proibiti dalla Santa Sede, specialmente romanzi, che dai giovani vengono letti facilmente. 149. Si fa di tutto da parte dei cattolici, specialmente dai pastori d’anime e sacerdoti, per eliminare dalla diocesi i libri e i giornali osceni o empi, ma per impedire una così grande e malefica invasione mancano strumenti idonei ed efficaci; invano si attende l’aiuto o l’intervento dell’autorità civile, nonostante siano state promulgate nuove leggi contro i libri, le immagini e i giornali osceni. C’è il massimo impegno da parte del clero e dei confessori per allontanare dalle famiglie cattoliche quei libri [pag. 38] e quei giornali e per evitare che i fedeli li leggano. 150. Ai libri e ai giornali dannosi si contrappongono quelli religiosi e onesti, ma per la mancanza di risorse e per l’inerzia di molti la diffusione di questi ultimi non è paragonabile a quella dei primi. In diocesi abbiamo un nostro settimanale La Croce, edito da alcuni ottimi giovani cattolici, ma la sua vita è segnata da tante difficoltà per mancanza di denaro sufficiente. Sono pubblicate anche riviste religiose mensili: La Madre Cristiana, Gesù nell’Eucaristia, L’Immacolata, Voce Amica, L’Eco dell’Oratorio, L’Araldo. Inoltre sono diffusi i foglietti per i vangeli domenicali ed altri buoni opuscoli, pubblicati altrove a prezzo modico e sono di grande utilità per i fedeli. A questi bisogna aggiungere la rivista mensile per il clero, intitolata Bollettino Ecclesiastico. Catania, 15 settembre 1927  Giuseppe card. Nava, arcivescovo

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CARMELO PATANÈ (1930-1952)

1. UN SUCCESSORE PER IL VESCOVO EMILIO FERRAIS Il breve periodo di governo del vescovo Emilio Ferrais non aveva reso possibile il costituirsi fra il clero di un gruppo egemone, in grado di esprimere figure rappresentative. Si ebbe solamente il tentativo da parte di amici e sostenitori del vicario capitolare Salvatore Fazio di promuovere una raccolta di firme da inviare a Roma per proporlo come vescovo di Catania1. L’iniziativa suscitò una reazione di segno opposto e non mancarono le proteste e le prese di distanza fatte pervenire alla Congregazione2. Roma non prese in considerazione il nome di Salvatore Fazio, perché durante l’episcopato Francica Nava le informazioni raccolte sulla sua persona non erano state favorevoli3. L’orientamento iniziale non fu di destinare a Catania un vescovo di prima nomina, ma di trasferirne uno da una diocesi della Sicilia. La Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari aveva commissionato un’indagine riservata a mons. Guido Anichini, che, per la sua attività di assistente regionale della gioventù cattolica, aveva avuto frequenti contatti con i vescovi siciliani e aveva una certa conoscenza della situazione delle diverse diocesi. Il prelato diede la sua risposta con lettera dell’8 febbraio 1930, indirizzata a mons. 1 Alle iniziative di matrice ecclesiastica bisogna aggiungere quelle di personalità del mondo civile, come quella presa da Gustavo Vagliasindi, direttore dell’Istituto agrario Valdisavoia, che fece pervenire alla Congregazione concistoriale una sua lettera attraverso un cammino tortuoso: la indirizzò all’amico ing. Guglielmo Serafini che, tramite il padre, la inviò al Governatorato della Città del Vaticano, il Governatorato la passò a mons. Pizzardo, che infine la consegnò alla Congregazione. La lettera del 7 febbraio 1930 conteneva la richiesta, che egli faceva a nome «di un cospicua rappresentanza di clero», di nominare arcivescovo di Catania mons. Salvatore Fazio, ritenuto persona degna, gradita al clero e «molto ben visto dalle autorità politiche» (Archiv Concist, Catania, prot. n. 70/1930). 2 Oltre qualche lettera anonima, troviamo le proteste del vicario foraneo Mario Mendola, di un certo Felice Trigona e due lettere di mons. Giuseppe Scalia (l. c.). 3 Vedi supra il giudizio formulato dal card. Francica Nava.

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Carmelo Patanè (1930-1952)

Giuseppe Pizzardo, segretario della Congregazione4, nella quale affermava di voler procedere per esclusione: «[…] esclusi, a tutta prima, i vescovi per età e per altri motivi non indicati per questa sede importante […], ritengo che la scelta — nel caso — potrebbe valere soltanto sui seguenti: mons. Paino arcivescovo di Messina, mons. Carabelli arcivescovo di Siracusa, mons. Bargiggia vescovo di Caltagirone, mons. Addeo vescovo di Nicosia, mons. Filippi vescovo di Monreale […]».

Di questi nomi egli escludeva per motivi diversi la maggior parte e fermò la sua attenzione su mons. Ernesto Eugenio Filippi, arcivescovo di Monreale. La sua proposta seguiva un ragionamento non proprio lineare, perché non sembrava preoccupato di cercare un vescovo per Catania, ma di trovare una diocesi per mons. Filippi. A suo dire, a Monreale «Mons. Filippi non si trova a suo agio sia per la troppa vicinanza a Palermo a cui era ritenuto predestinato, sia per la ristrettezza dell’ambiente monrealese insufficiente alla sua esuberante attività! Mons. Filippi infatti desidera vivamente di uscire da Monreale, e forse Catania — città grande e piene di risorse — potrebbe essere campo adatto per lui, che certamente ha esperienza maggiore e abitudini per i grandi centri, contratte vivendo all’estero […]».

Nelle sue scelte per esclusione mons. Anichini non aveva preso in considerazione la possibilità di trasferire il vescovo di Caltanissetta Giovanni Jacono, proveniente dalla diocesi di Catania, che durante l’episcopato Francica Nava era stato prima docente e poi rettore del seminario. Alla Congregazione concistoriale da più parti fu fatto il suo nome con apprezzamenti oggettivi e condivisibili5. Tuttavia altri 4

Archiv Concist, Catania, prot. n. 70/1930. Merita di essere ricordata una lettera di mons. Giuseppe Scalia del 15 febbraio 1930: «[…] un santo pastore! Ecco il vero bisogno della nostra Archidiocesi! […] E se vuole che io con candore le faccia nome, io, con tutta sicurezza di non ingannarmi, le faccio il nome di Mons. Iacono, vescovo di Caltanissetta. Mons. Iacono conosce bene Catania, formò il clero come maestro di spirito e rettore del seminario, 5

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Carmelo Patanè (1930-1952)

raccomandavano di nominare un vescovo forestiero6 e probabilmente non si voleva che la scelta di Jacono venisse interpretata come un cedimento al “partito” di Francica Nava.

Da Otranto a Catania La Congregazione, tenendo conto degli elementi raccolti nel processo informativo, decise di trasferire a Catania un vescovo originario dalla vicina diocesi di Acireale, che da tredici anni reggeva la diocesi di Otranto: mons. Carmelo Patanè7. Dalla documentazione consultata non si può determinare con certezza chi sia stato a proporre il trasferimento di Patanè da Otranto a Catania. Da diversi indizi tuttavia si può ritenere fondata l’ipotesi che alla richiesta non siano stati estranei i gerarchi del Partito fascista. Risulta infatti che lo stesso Patanè, durante il suo governo episcopale a Catania, parlando del proprio trasferimento, abbia candidamente affermato che era stato favorito dalla stima che egli godeva nel partito8. In una delle lettere anonime, inviate alla Congregazione dopo la sua nomina, si afferma: «in questo affare c’è lo zampino dell’autorità fascista, cioè del prefetto di Lecce suo paesano e amicone, e quando la politica entra in queconosce il popolo per le innumerevoli missioni popolari che lo resero caro a tutti. Egli, son sicuro, sarà accetto al popolo e alla maggior parte del clero» (l. c.). 6 Un certo Felice Trigona, in una lettera inviata al papa il 10 febbraio 1930, scriveva: «Occorre a Catania un Vescovo santo e dotto e forestiero. Come può esercitare la carica di Vescovo colui che qui conta tanti amici e conoscenti?». Come forestiero egli faceva il nome di Evasio Colli, vescovo di Acireale, una diocesi che egli riteneva fosse destinata ad essere riassorbita nei confini di Catania in forza del recente concordato (l. c.). 7 Le notizie biografiche qui riferite sono desunte dagli atti del processo informativo svolto dalla Congregazione concistoriale nel 1917 per la sua nomina ad arcivescovo di Otranto (Archiv Concist, Catania, prot. n. 70/1930), da un articolo del quotidiano Giornale dell’Isola 10 luglio 1930, che commenta la notizia del trasferimento di Patanè da Otranto a Catania, dallo studio di S. FRESTA, Beneficiali e arcipreti nella chiesa di Giarre [1681-1981], in Memorie e Rendiconti dell’Accademia di scienze lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici, serie III, (1981) 513-552. 8 La notizia è riferita da mons. Mauro Licciardello che, secondo i parametri del diritto processuale canonico, può essere considerato un testimone «de visu et auditu proprio» (can. 1572, 2° CIC).

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