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MIChElaNgElO bONaDIES (1665-1686) 1. la fIgURa

Dopo oltre un anno di sede vacante, filippo Iv re di Spagna e di Sicilia, il 2 aprile 1665, presentò come candidato alla sede vescovile di Catania Michelangelo bonadies1 dell’ordine dei frati minori osservanti riformati2, un nome sul quale il re era certo di ottenere il consenso della Santa Sede. Si trattava infatti di un personaggio conosciuto e stimato per le doti personali, per l’appartenenza ad un ordine religioso fra i più diffusi ed attivi, per gli uffici ricoperti e che dimostrava di possedere i requisiti per governare una diocesi vasta e impegnativa come quella di Catania. la data della presentazione è riferita dallo stesso bonadies nella relazione del 1668 (fol. 308r). filippo Iv, oltre che dalle qualità e dai meriti del candidato, sembra sia stato spinto a presentare al papa il suo nome per la sede di Catania anche da motivi di amicizia e di stima personali. Il bonadies mentre era generale del suo ordine, rivolgendosi a s. Diego sembra avesse impetrato per il re filippo Iv l’erede al trono. Quando le sue preghiere furono esaudite, il re in segno di riconoscenza volle che fosse il frate a presentare il bambino ai dignitari ed ai notabili riuniti a corte (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 133-134). Nell’intestazione degli atti ufficiali il nostro vescovo fra gli altri titoli scriverà anche: «Del consiglio di sua cattolica Maestà»: Editti 1650-1679, fol. 87r. 2 l’ordine dei frati minori di s. francesco si divise nel sec. xv in due grandi famiglie: i conventuali e gli osservanti; questi ultimi acquistarono man mano una loro autonomia, fino a raggiungere nel 1517 l’indipendenza con il diritto di eleggere un proprio ministro generale. Dal ceppo dell’osservanza fiorirono altri rami (i recolletti, i riformati, gli alcantarini o scalzi), i quali, pur godendo di una certa autonomia, dipendevano sempre dallo stesso ministro generale, eletto indifferentemente dall’uno o dall’altro ramo. Solo i cappuccini, nati anch’essi dall’osservanza nel 1525, raggiunsero nel 1619 la completa indipendenza quando sotto Paolo v fu loro riconosciuto il diritto di eleggersi un proprio ministro generale (v. Frati Minori, in Enciclopedia Cattolica, v, cit., 1722-1743; f. COSTa, Francescanesimo in Sicilia, assisi-Carini 1985, 12-13). gli storici e la stessa Hierarchia catholica, affermano che il bonadies apparteneva agli osservanti, f. Costa scrive invece, ed a ragione, che il nostro vescovo faceva parte dei riformati (ibid., 25). leggiamo infatti nei certificati di ordinazione presentati al processo informativo: «fratrem Michaelem angelum a Sambuca ordinis Minorum strictae osservantiae et reformatorum» (Proc Dat 43, post fol. 122). 1

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Michelangelo (al secolo giuseppe antonio) era nato a Sambuca, diocesi di agrigento, nel 1603 da Pietro bonadies e Margherita Roccaforte3, una famiglia di evidente origine spagnola, ma che non sembra possedesse titoli nobiliari o avesse ricoperto cariche pubbliche4. Dagli storici siciliani e negli atti del processo informativo egli è descritto come una persona di studio e di governo. Secondo l’uso francescano aveva frequentato i corsi di filosofia e di teologia negli Studi interni dell’ordine senza consegure titoli accademici in uno Studio pubblico. Dopo avere insegnato filosofia e teologia5, aveva ricoperto l’ufficio di provinciale per la Sicilia, di visitatore in

3 agli atti del processo informativo sono conservati alcuni certificati che ci consentono di ricostruire le principali date della vita del bonadies: il battesimo gli fu conferito dall’arciprete di Sambuca don Tito Pampilona il 22 ottobre 1603, i quattro ordini minori dal vescovo di agrigento, il 1 giugno 1624, il suddiaconato dal vescovo di Siracusa, Paolo faraone, il 19 settembre 1626, il diaconato dal vescovo di Cefalù, Stefano Muniera, il 20 marzo 1627, il presbiterato dal vescovo di agrigento, francesco Traina, il 23 settembre 1628. l’8 settembre 1633 il custode dei frati minori riformati di Sicilia, val di Mazara, rilasciava un attestato di idoneità per fr. Michelangelo da Sambuca «ad munus praedicationis quocunque tempore obtigerit exercendum et publice artes interpretandum et sacram theologiam aliis legendum» (Proc Dat 43, post fol. 122). 4 Nel processo informativo il teste fr. Carlo da genova, commissario generale dell’ordine, depone: «Io so che è nato di legittimo matrimonio e da catholici e nobili parenti» (Proc Dat 43, fol. 118); la stessa affermazione si trova nella deposizione del teste sacerdote Pietro Di giovanni (Proc Dat 43, fol. 120). Sulla base di queste testimonianze nella bolla pontificia è scritto: «Ex legitimo matrimonio ac nobilibus ac catholicis parentibus procreatum» (Tutt’Atti 1664-1665, fol. 340v); ma gli storici siciliani, di solito molto precisi su questo argomento, non danno alcuna notizia sulla sua famiglia (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 131-135; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 474; f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit). 5 Depone il teste fr. Carlo da genova: «Il detto Padre non è graduato in scienza alcuna perché non è solito nella nostra religione pigliar simili gradi; so bene che è stato lettore di filosofia e theologia ch’è il medesimo che l’essere theologo» (Proc Dat 43, fol. 119). Con parole diverse espone lo stesso concetto l’altro teste Pietro Di giovanni (ibid, fol. 121). Nella bolla pontificia di nomina il bonadies è indicato come «Sacrae Theologiae professorem» (Tutt’Atti 1664-1665, fol. 340v). Il Mongitore lo qualifica «theologus doctissimus» (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 131), vito amico «eximius Theologus» (v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 474). Il Mongitore dà anche un elenco di suoi scritti che affrontano problemi del suo ordine (Constitutiones, et statuta generalia Cismontanae familiae ordinis S. Francisci de observantia), argomenti devozionali (Devotam exercitationem orationum pro his, qui frequentant orationem quadraginta horarum) (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 135). In questa sua opera il Mongitore attribuisce al bonadies uno studio, conservato manoscritto nella biblioteca Comunale di Palermo, in cui si difende il privilegio della Regia Monarchia Sicula contro le tesi sostenute da Cesare baronio: Propugnaculum honoris Regum Catholicorum tom. ii, idest De Sicula Monarchia.

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diverse province religiose, fino a quando non era stato nominato segretario, definitore e infine ministro generale del suo ordine, carica che ricoprì per un sessennio6. accettata dalla Santa Sede la candidatura proposta da filippo Iv, il 21 aprile 1665 si celebrò il processo informativo alla presenza del card. barberini e del protonotario apostolico Stefano Ugolino7; il giorno successivo, il 22 aprile, fu firmata la bolla di nomina8. Michelangelo bonadies fu consacrato vescovo a Roma nella chiesa francescana dell’aracoeli il 3 maggio dello stesso anno9, prese possesso della diocesi il 14 maggio tramite il

Nel 1970 Salvatore fodale ha dimostrato che autore di quest’opera non è il bonadies, ma un altro frate francescano osservante, il siracusano giuseppe branca (S. fODalE, «Comes et legatus Siciliae». Sul privilegio di urbano ii e la pretesa Apostolica Legazia dei normanni di Sicilia, Manfredi, Palermo 1970, 38-39). Probabilmente negli ambienti vicini alla corte di Palermo, in epoca successiva, si pensò di dare la paternità di quest’opera alla penna di un francescano più illustre (a. lONghITaNO, Michelangelo Bonadies: cinque lettere romane, in aSSO 83 [1987] 249-261). Di solito sono attribuiti al bonadies alcuni scritti in difesa dei diritti della diocesi di Catania; ma queste raccolte furono curate per suo mandato dal can. g.b. basile: vedi infra: «d) la mensa vescovile». 6 Si legge nella deposizione del teste Pietro Di giovanni: «Il detto Padre è stato visitatore e diffinitore generale, secretario di tutta la religione e per fine ministro generale di tutta la religione et in tutte queste cariche ha dato saggio della sua prudenza, dottrina, bontà et integrità di costumi» (Proc Dat 43, fol. 121). Sono più complete le informazioni del Mongitore: «Sacrae Inquisitionis Siculae consultor et censor, nonnullis ordinis sui muneribus insignitus effulsit: Siculae provinciae praefuit; provincias Cosentinam, florentinam, ac vallis Netinae et Nemorum in Sicilia visitatoris munere perlustravit; a Secretis fuit etiam generalis ordinis sui; semel et iterum Definitor generalis. Demum in generalibus ordinis comitiis in Toletana civitate coactis 8 iunii 1658, ad supremum ordinis fastigium evectus est» (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 131). Sulla base dell’esperienza acquisita nell’esercizio di questi uffici i testi interrogati nel processo affermano: «Io so che è uomo grave e prudente, esperto delle cose del mondo et atto ad ogni maneggio come s’è fatto conoscere nelle cariche da lui esercitate et in particolare quando è stato generale» (Proc Dat 43, fol. 119 e 121). 7 l’interrogatorio del candidato fu fatto dal card. barberini, alla presenza del papa alessandro vII, come lo stesso bonadies scrive nella relazione del 1668 (fol. 219r). I testi furono interrogati dal prelato Stefano Ugolino (Proc Dat 43, fol. 117). 8 Tutt’Atti 1664-1665, fol. 340r-341v. 9 Il luogo e la data della consacrazione sono indicati dal bonadies nella relazione del 1668 (fol. 219r). v. amico aggiunge il nome del vescovo consacrante: il card. francesco barberini (v.M. aMICO, Siciliae sacrae, cit., 474).

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suo vicario generale francesco amico10 e il 21 giugno raggiunse la sede vescovile per dare inizio al suo ministero pastorale11. Dal punto di vista storico ed ecclesiologico assume un particolare significato la nomina a vescovo del ministro generale di un ordine religioso, che aveva esercitato un ruolo primario nell’azione svolta dalla Chiesa prima e dopo il Concilio di Trento. Nel periodo in cui i religiosi avevano accentuato il loro distacco dall’organizzazione diocesana, questa nomina potrebbe essere considerata un innesto fecondo, capace di trasfondere nelle strutture istituzionali della Chiesa l’esperienza e il dinamismo di un ordine religioso, che tradizionalmente si era distinto nello sforzo di mediare il messaggio evangelico nella mentalità e nelle categorie popolari12. gli storici siciliani sono concordi nel sottolineare le notevoli capacità dimostrate dal bonadies nel governo della diocesi di Catania in un periodo fra i più travagliati e difficili per la Sicilia13. alla crisi economica e sociale che era culminata nei moti del 1647, si aggiunsero successivamente la disastrosa eruzione dell’Etna del 1669 e la rivolta di Messina degli anni 1674-1678. Ma il giudizio sulla sua azione pastorale non va oltre l’elenco di alcune realizzazioni ritenute significative e di alcuni fatti accaduti durante il periodo del suo governo: la celebrazione del sinodo diocesano14, l’assistenza ai profughi durante l’eruzione dell’Etna15 e la guerra

10 Il Mongitore scrive che il bonadies prese possesso per procura data al sacerdote palermitano Matteo Cristadoro (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 132). agli atti della curia risulta che Matteo Cristadoro era stato nominato amministratore «bonorum episcopatus et ecclesiae» (Tutt’Atti 1664-1665, fol. 353r-353v) e procuratore del bonadies (ibid., fol. 353r-356r), ma fu il vicario generale D. francesco amico a prendere possesso della sede per conto del nuovo vescovo (ibid., fol. 357r-359r). 11 a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 132; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 474. 12 a. flIChE – Ch. ThOUZEllIER – y. aZaïS, La Cristianità romana, cit., 235-252 e passim; h. WOlTER – h.g. bECk, «Civitas» medievale, cit., 246-252; E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit., 688-697; E. bOaga, Aspetti e problemi, cit., 91-135). 13 a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 131-135; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 474-505; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 183-206. Per l’analisi del periodo storico in cui il bonadies ha svolto il suo ministero episcopale, vedi: g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, cit., 3-181: 121-139. 14 Decreta in principe dioecesana Synodo, cit. Il sinodo celebrato dal bonadies rimase in vigore fino al nostro secolo, considerato che i suoi successori, per motivi diversi, non ne celebrarono fino al 1917. 15 l’azione del bonadies è configurata nei due schemi: quello spirituale e quello assistenziale. Secondo la sensibilità del tempo, che vedeva nei cataclismi naturali un segno del-

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provocata dalla rivoluzione di Messina16 il contrasto avuto con le autorità cittadine, nell’aprile del 1672, per i soliti motivi di precedenza durante la visita del viceré Claudio lamoral principe di ligne17, la difesa dei suoi diritti con il Tribunale del Real Patrimonio nella controversia sulla mensa

l’ira divina per le malvagità dell’uomo, il nostro vescovo (secondo il Mongitore) «indefesso labore desudavit; et ut indignati Numinis iram averteret, cives omnes ab ipso incendii exordio ad poenitentiam excitavit». alle esortazioni seguirono le processioni con le reliquie di s. agata e con il Santo Chiodo conservato nel monastero benedettino di San Nicola, i tridui e le novene, l’esposizione dell’Eucaristia in tutte le chiese della diocesi. Nell’assistenza ai profughi dei numerosi centri abitati coperti dalla lava (Nicolosi, Mompileri, Malpasso, San Pietro, Camporotondo, Mascalucia, Misterbianco, galermo), il nostro vescovo si prodigò spendendo del suo, accogliendo i senza tetto nel suo palazzo e collaborando all’attuazione di un piano, che portò alla costruzione di un nuovo quartiere a Nord della porta di aci su terreno della mensa vescovile, da concedere in censo perpetuo, dietro pagamento di due onze l’anno. la somma raccolta sarebbe stata impiegata per edificare la chiesa di Sant’agata al borgo, che doveva assicurare l’assistenza religiosa ai profughi: a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 132-133; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 192-206; a. lONghITaNO, Profughi e città nuove dopo l’eruzione del 1669, in aSSO 86 (1990) 89-116. Per la descrizione degli avvenimenti di quegli anni, vedi in particolare: T. PaTERNò TEDESChI, Breve ragguaglio degli incendi di Mongibello, Napoli 1669; C. MaNCINO, narrativa del fuoco uscito da Mongibello, Catania 1669; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 475-492. lo stesso vescovo, il 17 giugno 1669, si premurò di informare il papa Clemente Ix sull’andamento dell’eruzione (a. lONghITaNO, Michelangelo Bonadies: cinque lettere romane, cit.). 16 Durante la guerra seguita alla rivoluzione di Messina, contrapponendosi nella Sicilia orientale l’esercito spagnolo e quello francese, il territorio e i centri abitati subirono gravi danni. Il bonadies, oltre ad occuparsi della salvaguardia dei conventi posti fuori le mura della città (v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 497), secondo il Mongitore, versò del denaro ai soldati spagnoli per sostenerli nella difesa della contea di Mascali. In seguito a questi avvenimenti il convento dei carmelitani scalzi, che prima sorgeva fuori della porta del Re, fu costruito assieme alla chiesa di Santa Teresa dentro le mure della città, nelle case di giovanni Tedeschi (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 133-134). Un giudizio lusinghiero per l’azione svolta dal bonadies durante l’eruzione dell’Etna e la guerra di Messina è dato dal senato di Catania nel documento riportato infra in nota alla rel. 1682. 17 Quando il viceré giunse a Catania «andò a riceverlo il senato, e il vescovo volle accompagnarsi. Nello incamminarsi il viceré diede la sua sinistra al vescovo. Il senato rispettosamente gli mostrò che ciò opponevasi ai privilegi della città, essendo quel posto riserbato al solo patrizio, mentre il vescovo non potea aver luogo in tale pompa, non essendogli lecito di allontanarsi dalla cattedrale» (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 203.; cfr v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 493). Un caso analogo era accaduto al branciforte (vedi supra il suo profilo). Tuttavia pare che il fatto non abbia gravemente compromesso i rapporti fra il bonadies e le autorità cittadine, anche se ne seguì la presentazione di memoriali e uno scambio di corrispondenza con l’intervento dello stesso viceré (aCC, fondo principale, Controversia circa il luogo della spalla d’occuparsi nell’arrivo di S.E. et ingresso nella chiesa Cattedrale fra mons. Vescovo e Senato).

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vescovile18, la costruzione di una nuova sagrestia nella cattedrale19, la riforma dell’Università degli studi20, la fondazione dell’accademia degli Zelanti ad acireale21… 18 Sull’argomento vedi le notizie riferite dagli storici siciliani dei secoli xvIII-xIx: a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 134; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 504; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 206 e la trattazione più ampia ed articolata fatta in epoca a noi più vicina: S. fRESTa, Per la storia dell’enfiteusi, cit.; M. gaUDIOSO, La questione demaniale, cit.; S. CUCINOTTa, Popolo e clero in Sicilia, cit., 30-41. 19 la costruzione della sacrestia, rimasta intatta dopo il terremoto del 1693 (è ancora visibile sulla porta mediana che immette nella via vittorio Emanuele la lapide posta dal bonadies per ricordare il fatto), segnò un cambiamento nella vita e negli usi della cattedrale. Infatti era adibita come sacrestia la cappella della Madonna, già cappella di s. giorgio. Un mutamento si ebbe anche nella topografia della zona, considerato che il nuovo edificio coprì un’aria libera, nella relazione del gussio chiamata «cortile grande» (maiorem aulam), accanto alla quale sorgeva l’alto campanile a forma di torre quadrata (vedi rel. 1656, fol. 164v-165r). 20 l’azione del re in favore dell’Università degli studi di Catania, che nel 1678 con la soppressione dello Studio di Messina ritornò ad essere unica per tutta la Sicilia, aveva il significato esplicito di un gesto di gratitudine verso i catanesi per l’atteggiamento lealistico da loro assunto durante e dopo la rivoluzione di Messina. Il sovrano con lettere inviate al viceré francesco bonavides, conte di Santo Stefano, dispose che il corso di laurea non avesse più la durata di cinque ma di tre anni e che fosse necessario aver conseguito i titoli nello Studio di Catania per essere assunti in un pubblico ufficio del regno. lo stesso viceré riformò gli statuti dell’Università affidando alla responsabilità del cancelliere (il nostro vescovo) la loro osservanza; contemporaneamente gli ingiunse di cercare una sede propria e definitiva per lo Studio. Il bonadies, d’accordo con le autorità cittadine, destinò all’Università i locali dell’ospedale San Marco, trasferendo quest’ultimo nell’ex monastero di Santa lucia (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 134; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 499-504; v. CaSagRaNDI ORSINI, L’archivio della R. università di Catania, Catania 1897, 2-5; M. gaUDIOSO, L’università di Catania nel secolo xVii, in Storia dell’università di Catania dalle origini ai nostri giorni, Catania 1934, 101-214). 21 la fondazione dell’accademia fu promossa dal vicario foraneo di acireale sacerdote giuseppe Cavallaro, dottore in utroque iure. Il decreto di erezione fu firmato da Michelangelo bonadies il 3 ottobre 1671. Per la storia della fondazione dell’accademia, vedi: v. RaCITI ROMEO, Memorie storiche e letterarie dell’accademia degli zelanti e di alcuni illustri soci di essa, in Atti e rendiconti della reale accademia di scienze, lettere e arti degli Zelanti, acireale, N.S., 10 (1899-1900), memorie della classe di lettere, memoria 2a, 1-80: 7-9. In appendice (p. 67-70) sono riportati il decreto di erezione e gli statuti approvati dal bonadies; C. COSENTINI, Costituzione, vicende e fusione delle accademie degli Zelanti e dei Dafnici. notizie storiche, in Memorie e rendiconti dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici, serie I, 5 (1965) 177-189. Il Raciti nel suo studio riporta anche il decreto e gli statuti (approvati dal bonadies) di una «Congregatione dei sacerdoti e chierici per la reformatione dell’-

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Invano cercheremmo l’analisi dei decreti del sinodo22 o delle disposizioni ordinarie emanate per il governo della diocesi o di quelle promulgate nel corso delle visite pastorali. Da questo punto di vista il giudizio sul bonadies è ancora da formulare; perciò non è possibile azzardare accostamenti alle diverse figure di vescovo incarnate da alcuni pastori nel periodo post-tridentino, proposte dalle direttive pontificie o teorizzate nei trattati diffusi negli anni successivi23. Se poi si tiene conto della mole dei documenti esistente nell’archivio Storico Diocesano e dei numerosi problemi che egli fu costretto ad affrontare nel ventennio del suo governo pastorale (morì il 27 agosto 1686), si può dedurre facilmente la difficoltà di un tale giudizio24. la pubblicazione delle relazioni ad limina, che egli con ammirevole puntualità inviò alla Santa Sede per dar conto del suo governo pastorale e per descrivere lo stato della diocesi, costituisce un contributo per delineare la figura di questo vescovo e del periodo storico in cui egli ha retto la diocesi di Catania.

habito e morigerattione dei suoi costumi» eretta ad acireale nel 1680 (v. RaCITI ROMEO, Memorie storiche, cit. 71-72). 22 a parte le osservazioni di natura prevalentemente giuridica del Savagnone, non mi risulta che sia stato fatto uno studio specifico sul sinodo bonadies (g. SavagNONE, Concili e sinodi di Sicilia, cit., 56-79; 178). Il nostro vescovo non nasconde la sua soddisfazione quando informa la Santa Sede che le costituzioni sinodali erano state formulate «dopo matura consultazione» (rel 1675, fol. 267r). 23 a tal proposito, vedi: g. DE ROSa, Giuseppe Crispino e la trattatistica sul buon vescovo, in Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, bari 1978, 103-143. Dai documenti che pubblichiamo si può comunque rilevare nel bonadies lo zelo nell’adempimento dei doveri fondamentali di un vescovo prescritti dalle norme canoniche: visite pastorali, sinodo, relazioni ad limina, vigilanza costante per adeguare il popolo cristiano alla religiosità e alla disciplina proposta dai modelli tridentini. la sua figura, la sua opera e il suo tempo potrebbero essere conosciuti più profondamente se si esaminassero le ordinationes lasciate nei diversi centri della diocesi al termine delle sue visite pastorali. 24 Un contributo alla conoscenza del vescovo bonadies è dato dalla pubblicazione degli atti delle sue visite pastorali e da alcune lettere inviate alla Santa Sede: a. lONghITaNO, La visita pastorale del vescovo Michelangelo Bonadies ad Aci Aquilia nel 1666, in Memorie e rendiconti dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici, serie III, 6 (1986), 367-423; ID., La seconda visita pastorale del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia nel 1669, in «Sermo Sapientiae». Scritti in memoria di Reginaldo Cambareri O.P., acireale 1990, 141-197; ID., Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia (1673,1678), in Synaxis 8 (1990) 112-174; ID. Michelangelo Bonadies: cinque lettere romane, cit. Si veda anche lo studio di a. ZUCCaRO, i monasteri femminili di clausura a Catania nel ’600 nelle visite pastorali del vescovo Michelangelo Bonadies, in aSSO 91 (1995) 287-390.

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2. lE RElaZIONI AD LiMinA (1668, 1675, 1679, 1682, 1686)

Michelangelo bonadies durante gli anni del suo governo pastorale inviò sei relazioni ad limina, delle quali solo cinque sono conservate nell’archivio Segreto vaticano. I documenti che pubblichiamo hanno forma e contenuti diversi: il primo del 1668 è ampio e articolato, vuole essere il resoconto della prima visita pastorale fatta dal bonadies dopo il suo ingresso a Catania; gli altri quattro, in uno schema sempre uguale, espongono i dati relativi ai fatti nuovi che man mano si erano verificati nella diocesi. Il nostro vescovo, nel dare il rendiconto della sua azione di governo, a volte descrive i principali provvedimenti presi per sanare situazioni irregolari riscontrate nei diversi luoghi25, a volte invece si limita a dare una informazione sommaria e per un riscontro più dettagiato rinvia agli atti della visita pastorale26. anche se da questi documenti non è possibile avere un quadro esauriente dell’azione pastorale del bonadies, tuttavia si può desumere una notevole quantità di dati per ricostruire la sua figura di vescovo, la sua linea di governo e lo stato della diocesi di Catania dal 1668 al 1686. Se poi le relazioni del bonadies sono analizzate in continuità con quelle dei suoi predecessori, si potrà avere un quadro abbastanza ricco e vario di dati sulla diocesi di Catania e sulla società in cui essa vive ed opera, per un arco di tempo che copre quasi interamente il secolo xvII. Per aiutare il lettore alla utilizzazione storiografica di questi documenti segnaliamo alcuni dati di maggior rilievo in essi contenuti: a) La cura delle anime nella città e nei diversi centri della diocesi

Sono note le difficoltà incontrate dai predecessori del bonadies per attuare nella diocesi di Catania le norme del Concilio di Trento sulle parrocchie e i parroci27. alla struttura che man mano si era stabilizzata, soprattutto in seguito agli interventi dei vescovi Nicola Maria Caracciolo, antonio

vedi ad es. le disposizioni prese in seguito agli abusi riscontrati nei monasteri (rel. 1668, fol. 221r, 224r, 226v), nell’amministrazione dei beni ecclesiastici (ibid., fol. 223r, 226v), nell’amministrazione dei sacramenti (ibid., fol. 224v), nel comportamento dei chierici (ibid., fol. 223v), nel comportamento delle monache (ibid., fol. 224r). 26 leggiamo nella stessa relazione: «Infine emanai trenta editti a tutti necessari per la riforma dei costumi e per il progresso della fede cattolica» (rel. 1668, fol. 225r). 27 vedi «Introduzione», n. 9. 25

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faraone e Ottavio branciforte, il bonadies non apporta mutamenti di rilievo. leggendo le sue relazioni si ha l’impressione che egli non ritenga importante dare delle indicazioni chiare su questo argomento e che non si preoccupi di farci conoscere la nozione giuridica di parroco che egli fa propria28. Il bonadies conosce la distinzione esistente fra il parroco che esercita stabilmente e con potestà propria la cura delle anime e il cappellano sacramentale che la esercita temporaneamente (ad nutum) e come delegato

Nelle sue relazioni il bonadies dà questo quadro dell’organizzazione diocesana: nella città di Catania la cura delle anime è esercitata dalla cattedrale, che ha cinque chiese sacramentali coadiutrici, e dalla collegiata, il cui prevosto è parroco (rel. 1668, fol. 220r). Tuttavia alcune affermazioni poco chiare pongono qualche interrogativo. Il bonadies afferma: «la chiesa cattedrale ha cinque chiese coadiutrici per l’amministrazione di tutti i sacramenti, ad eccezione della facoltà di ricevere il mutuo consenso nel sacramento del matrimonio, facoltà che per una consuetudine immemorabile è concessa solamente dal vescovo in quanto unico parroco delle anime o da coloro ai quali egli stesso ne dà mandato» (ibid., fol 220r-v). Considerato che nell’elenco delle chiese coadiutrici della cattedrale non troviamo la collegiata, si dovrebbe concludere che il prevosto era parroco a pieno titolo; perciò aveva anche la facoltà di ricevere il mutuo consenso degli sposi. Ma le altre affermazioni sul vescovo unico parroco delle anime e sulla consuetudine immemorabile che a lui solo riconosce la facoltà di ricevere il mutuo consenso, fanno sorgere qualche dubbio sulla figura giuridica del prevosto-parroco della collegiata. anche sull’organizzazione della cura delle anime negli altri centri della diocesi si pongono interrogativi analoghi. In un primo momento il bonadies non dà indicazioni chiare sulla natura giuridica dei cappellani sacramentali; ma la Congregazione nella risposta alla relazione del 1671 gli chiede di specificare meglio: «Per quanto riguarda la cura delle anime che in diversi centri è esercitata da cappellani deputati dall’Eccellenza Tua, […] gli Eminentissimi Padri hanno pensato di chiederti in risposta alla Tua relazione di chiarire meglio la loro natura e di informarli più accuratamente sul mandato che hanno ricevuto» (fol. 241r-v). Nella relazione del 1675 il bonadies afferma esplicitamente l’esistenza di quattro parroci (le dignità) nella collegiata di Piazza e di tre parroci (le dignità) nella collegiata di Paternò (fol. 269r); ma nella tabella riassuntiva finale scrive che nella diocesi esistono quattordici parroci (fol. 269v) senza ulteriori specificazioni; non sappiamo come egli pervenga a questa cifra. la stesso numero di quattordici parroci è indicato nelle relazioni del 1679 (fol. 281r) e del 1682 (fol. 292r). Una variazione, che non ci aiuta a risolvere i nostri interrogativi, si trova nella relazione del 1686: mentre da una parte si accenna ad una quarta collegiata eretta ad assoro con tre parroci (le dignità) (fol. 310r), dall’altra rimane invariato il numero complessivo dei quattordici parroci in tutta la diocesi (fol. 310v). Probabilmente egli considera le dignità di ogni collegiata come un solo parroco (si ha pertanto un primo numero di quattro parroci); a questa cifra egli aggiunge alcuni parroci di Enna e di altri centri che non siamo in grado di stabilire con certezza. Non riusciamo a chiarire meglio i nostri dubbi se leggiamo gli atti sinodali, dove troviamo un elenco di 12 parroci con delle indicazioni che non corrispondono a quelle date nelle relazioni (Decreta, cit., elenchi finali dopo la p. 428). Per questo problema, vedi: a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 130-133. 28

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del vescovo29. Ma la terminologia che usa nelle relazioni è varia e incerta: a volte parla di parroci e a volte di rettori, senza far capire se usa i due termini come sinonimi o per indicare una realtà diversa30; egli scrive che nelle collegiate di Piazza, Paternò e assoro le dignità esercitano la cura delle anime come parroci, ma non dice se si tratta di un ufficio esercitato collegialmente da più persone o se ci troviamo dinanzi a più parroci che allo stesso titolo esercitano la cura delle anime nella medesima parrocchia31. Nei luoghi in cui esistono parroci pleno iure si pone comunque il problema di armonizzare la loro competenza con quella del vicario foraneo32. b) Gli interventi di maggior rilievo nella sua azione pastorale

Se la schematicità dei documenti che pubblichiamo non ci consente di delineare il piano pastorale del bonadies, i riferimenti ad alcuni temi ritenuti preminenti ci aiutano a conoscere le situazioni che richiedevano inter-

Il sinodo diocesano trattando dei parroci afferma esplicitamente: «anzitutto bisogna notare che nella nostra diocesi sono pochi i veri parroci, ai quali spetta d’ufficio la giurisdizione ordinaria sui propri fedeli; gli altri quasi tutti sono coadiutori del parroco, e curati delle anime amovibili ad nutum nostrum o, come si è soliti chiamarli, cappellani sacramentali la cui giurisdizione è da noi delegata e limitata nel tempo secondo il nostro beneplacito» (Decreta, cit., sess. III, decr. 21, n. 2, p. 272). 30 leggiamo a proposito della chiesa madre di Enna: «Nella chiesa madre di questa città prestano il loro servizio 21 sacerdoti insigniti dell’epitogio, dei quali 4 vengono chiamati e sono rettori, ai quali compete l’esercizio della cura delle anime» (rel. 1668, fol. 222r). Per la collegiata di Piazza scrive: «È insignita di 4 dignità, le quali in quanto parroci amministrano a settimane alterne i sacramenti» (rel. 1675, fol. 269r). la stessa situazione c’è a Paternò: «3 dignità […] le quali in quanto parroci hanno la cura delle anime» (l.c.). la stessa confusione di linguaggio troviamo nell’elenco finale dei partecipanti al sinodo: sotto il titolo «parroci, rettori e arcipreti» è data una lista di dodici persone senza specificare se tutti esercitano il medesimo ufficio; oltretutto sono presenti contemporaneamente due rettori della chiesa madre di Enna (Decreta, cit., elenco dopo la p. 428). 31 Rel. 1675, fol. 269r; rel. 1686, fol. 309v-310r. 32 Sembrano chiare le competenze circa le facoltà matrimoniali: nel sinodo si stabilisce che in città il cappellano o curato per procedere alle pubblicazioni deve avere la licenza scritta dal vicario generale, nella diocesi dai vicari locali (Decreta, cit., sess. 1, n. 15, p. 170); i parroci possono concedere la licenza di assistere al matrimonio ai sacerdoti dichiarati idonei dal vescovo (ibid., n. 32, p. 174); i cappellani curati non possono delegare ad altri la facoltà ricevuta dal vicario sotto pena di invalidità del matrimonio per difetto di assistenza del legittimo parroco (ibid., n. 33; p. 175). bisognava però stabilire le diverse competenze anche negli altri settori dell’attività pastorale. 29

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venti più immediati, e alcuni orientamenti del bonadies nello svolgimento della sua missione. Uno dei punti nodali della sua azione pastorale sembra essere l’impegno per una forma di catechesi da tenersi nelle parrocchie con regolarità non solo per i bambini, ma anche per gli adulti poco istruiti (rudiores). Nelle sue relazioni sono molto frequenti i riferimenti a questo argomento, sia come richiamo ai parroci per adempiere uno dei doveri fondamentali del loro ministero, sia come impegno di introdurre una prassi nei luoghi in cui il problema è ignorato33. Nelle relazioni del bonadies non mancano i richiami al dovere dei parroci di assicurare ai fedeli l’amministrazione dei sacramenti34, le prescrizioni per la formazione dei chierici che non frequentano il seminario35, per la disciplina nei monasteri femminili36, per una corretta amministrazione dei beni ecclesiastici37.

33 vedi quanto scrive per le chiese sacramentali di Catania (rel. 1668, fol. 220v-221r) e di Piazza (ibid., fol. 226r-v), di assoro (ibid., fol. 225r), e nelle relazioni 1675 (fol. 267v), 1679 (fol. 278v), 1682 (fol. 288v). 34 Rel. 1668, fol. 221r, 224v; rel. 1675, fol. 267v; rel. 1679, fol. 278v. 35 vedi le prescrizioni rilasciate ad Enna nella relazione del 1668, fol. 223v. In un editto promulgato il 9 aprile 1667 dal vicario generale federico Perramuto si legge: «havendo Monsignor Illustrissimo sperimentato che li clerici di questa città di Catania, scordati della loro obbligatione, hanno affatto lasciato d’attendere al servizio della Chiesa contro la forma delli sacri canoni S. C. di Trento e non senza ammiratione dei popoli che in questi santi giorni han visto tanta poco assistenza e servitio, ha risoluto prima di venire ad altre rigorose dimostrazioni dar gli opportuni rimedii a propertione della sua cura pastorale, che però per il presente per lo editto avvertisce, ordina e comanda a tutti i chierici di questa città tanto in sacris, quanto in minoribus constituti che vogliano e debbiano e ciaschedun di loro voglia e debbia intervenire ed assistere alla chiesa Cattedrale o altra chiesa che li sarà stata assignata con la loro cotta nella Messa et officii sollemni delle feste e sollennità dell’anno et in particolare ogni terza domenica del mese nella quale haveranno a fare devotamente la sancta comunione unitamente in detta chiesa et intervenire alla solita processione sotto pena alli contrafacienti che, senza licenza di Monsignor Ill.mo o causa legittima d’approvarsi da Sua Signoria Ill.ma, lasceranno negligentemente di servire et assistere nella chiesa come sopra siano privi delle solite franchezze et altre pene benviste a detto mons. Illustrisimo secondo la nota della mancanza» (Editti 1650-1679, fol. 96v). È utile leggere i decreti del sinodo sui requisiti stabiliti per essere ammessi ai diversi gradi degli ordini (Decreta, cit., sess. 1, decr. 8, pp. 144-160). 36 Rel. 1668, fol. 221r, 223v-224r, 224v, 226v. Sulla disciplina dei monasteri femminili, vedi le norme del sinodo (Decreta, cit., sess. 3, Decr. 30, pp. 331-371). 37 Rel. 1668, fol. 220v, 221v-222r, 222v-223v, 224r-v, 225r, 226r-227r, 228v; rel. 1682, fol. 288r-v.

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c) La prebenda del teologo e del penitenziere nel capitolo della cattedrale

fra i problemi insoluti che il bonadies ebbe in eredità dai suoi predecessori c’era quello della istituzione delle prebende del teologo e del penitenziere nel capitolo cattedrale38. Data la difficoltà di reperire i fondi per la costituzione dei benefici, il bonadies ripiega sulla istituzione di due uffici semplici, che consente una rimunerazione più libera senza il vincolo del beneficio39. 38 Nel capitolo cattedrale di Catania non era mai esistito l’ufficio del penitenziere; l’ufficio del teologo era stato eretto dal vescovo Ottavio branciforte, che lo aveva affidato al sacerdote francesco Cartesio con il compito di spiegare la Sacra Scrittura e di tenere pubblicamente due volte la settimana (martedì e venerdì) i casi di coscienza (I.b. DE gROSSIS, Catanense Dechacordum, cit., I, 67). Sembra però che il vescovo non avesse annesso a questo ufficio una prebenda, se nella sua seconda relazione ad limina propose alla Santa Sede l’attuazione di un progetto che prevedeva l’erezione di ben sette prebende canonicali con i proventi del magister notarius; fra queste doveva essere inclusa quella del teologo: «Senza escludere quella del canonico teologo, che fino a questo momento è rimasta vacante per mancanza di un sacerdote idoneo» (rel. 1646, fol. 143r-v). Questa ipotesi è confermata dal fatto che dopo la morte prematura del branciforte non si parlò più di questo ufficio: il vescovo Marcantonio gussio non ne fece cenno nella sua relazione del 1655. Nella bolla di nomina di Camillo astalli c’era la prescrizione di erigere le due prebende (P. gaUChaT, Hierarchia Catholica, cit., 142), ma il vescovo invece di erigere la prebenda del teologo forse preferì istituire «una accademia di questioni morali nel suo palazzo, dove due volte la settimana vedeva i più dotti ecclesiastici del paese battagliare insieme sopra tali materie» (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 183). l’invito ad erigere le due prebende fu ripetuto nella bolla di nomina del bonadies: «Exinde uberius promoveri volumus autem ut theologalem et poenitentiariam prebendas in dicta ecclesia ad praescriptum Concilii Tridentini erigas conscientiam tuam in his onerantes» (Tutt’Atti 1664-1665, fol. 341r). Il tema fu ripreso dal nostro vescovo nel sinodo (Decreta, cit., sess. 3, decr. 19, n. 4-5, p. 222). 39 Il bonadies nella relazione del 1668 scrive: «anzitutto trovai che nella cattedrale mancavano sia il maestro di teologia morale, sia il penitenziere, prescritti dalle norme del Concilio di Trento. Ebbi cura di erigere questi due uffici» (fol. 220v); ma aveva già fatto notare poco prima: «Nella stessa cattedrale per ora si hanno il vice penitenziere e il vice lettore pubblico dei casi di coscienza, fino a quando non si istituirà la prebenda del canonico teologo» (fol. 219v). Sembra che anche durante il governo del bonadies sia continuata la prassi di tenere i casi di coscienza due volte la settimana, se nel sinodo obbliga i chierici in sacris a partecipare almeno una volta la settimana alla lettura dei casi di coscienza, che si teneva nella cattedrale o nella chiesa parrocchiale a ciò destinata (Decreta, cit., sess.1, decr. 8, n. 24, p. 152). Per l’attività culturale svolta nella diocesi di Catania al tempo del bonadies e per i personaggi di maggior rilievo che lo aiutarono in questo settore, vedi: f. COSTa, il P. Bonaventura Belluto O.F.M. Conv. (1603-1676). il religioso, lo scotista, lo scrittore, Roma 1976.

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d) La mensa vescovile

l’insistenza con cui il bonadies affronta questo argomento nelle sue relazioni ci fa intuire la gravità del problema, che va oltre la concreta necessità del suo sostentamento. Non per nulla continua ad esporre alla Santa Sede la difficile situazione in cui egli si trova, anche dopo aver raggiunto lo scopo di ottenere una quota fissa per le necessità sue e dell’episcopio40. Tuttavia rimane da spiegare perché mai egli insista nell’informare la Santa Sede solo su di un aspetto del problema della mensa vescovile, quello del disavanzo dovuto agli oneri e alle pensioni che gravavano sulle sue rendite, mentre non accenna alle controversie sorte con le autorità civili in seguito alla sua decisione di dare in enfiteusi alcune proprietà della mensa e della contea di Mascali41.

40 Il bonadies affrontò per la prima volta il tema della mensa vescovile e del proprio sostentamento nella relazione del 1671, di cui però ci manca il testo. Nella risposta della Congregazione egli è esortato a continuare nella difesa dei suoi diritti (fol. 241v). Tuttavia il nostro vescovo nelle relazioni successive riassume e riprende ampiamente il suo discorso (rel. 1675, fol. 267v-268r; rel. 1679, fol. 278v-279r; rel. 1682, fol. 288v-289r; rel. 1686, fol. 308v); pertanto siamo in grado di conoscere il problema che egli sottopose con chiarezza e con vigore alla Santa Sede (vedi in particolare l’analisi che si legge nella relazione del 1675). la situazione economica delle mense vescovili siciliane non può essere conosciuta solamente dalle cifre a volte molto elevate delle loro rendite, perché in realtà esse non andavano integralmente nelle mani dei vescovi. Ogni volta che il re presentava un candidato ad una sede vescovile imponeva l’obbligo di una pensione annua da pagare ad un suo protetto; la stessa prassi era seguita dalla Santa Sede. Ma le autorità civili e religiose continuavano ad imporre pensioni alle mense vescovili anche al di fuori della circostanza della presentazione o della nomina; pertanto spesso i redditi si assottigliavano a tal punto da rendere impossibile il sostentamento del vescovo. Quando filippo Iv presentò il bonadies come candidato alla sede vescovile di Catania, impose la pensione di 4.400 ducati, con la seguente clausola: l’imposizione di quest’onere non annulla le pensioni precedentemente imposte, a condizione però che la loro somma totale non superi la terza parte del reddito della mensa (P. gaUChaT, Hierarchia Catholica, cit., 142). Nella bolla pontificia di nomina si faceva obbligo al nuovo vescovo di pagare una tantum la somma di 1.300 ducati al card. Pasquale de aragon e un’altra di 1.000 a vespasiano gonzaga (Tutt’Atti 1664-1665, fol. 340v). Ma nel 1668, a distanza di pochi anni dalla nomina dl bonadies, fu imposta dal re alla mensa vescovile un’altra pensione perpetua di 300 ducati in favore del capitolo della cappella palatina di Palermo (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 132). Ora se si considerano: la grave crisi economica in cui si trovò in quel periodo l’economia siciliana fondamentalmente agricola e i danni provocati ai beni della mensa vescovile dalla disastrosa eruzione dell’Etna del 1669, si può facilmente comprendere la situazione in cui venne a trovarsi il bonadies, l’azione da lui svolta alla corte di Palermo per un riconoscimento dei suoi diritti e gli sfoghi alla Santa Sede nelle relazioni ad limina. 41 Non sappiamo se il bonadies aveva chiesto le necessarie autorizzazioni alla Santa

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Questa risoluzione del bonadies da alcuni era stata giudicata positivamente, quasi un gesto di lungimiranza, che serviva a restituire ai beni ecclesiastici la loro funzione sociale e liberava il vescovo da compiti estranei alla sua missione pastorale. altri però erano di diverso avviso e ritenevano il bonadies un dilapidatore ed usurpatore dei beni della Chiesa; partendo dal principio che in forza del diritto di patronato solo il re aveva la proprietà assoluta dei beni ecclesiastici, essi sostenevano che le concessioni fatte dal bonadies erano nulle, perché prive della necessaria autorizzazione; a loro giudizio egli, anche secondo il diritto canonico, avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione della Santa Sede per compiere un atto che in pratica trasferiva ai privati la proprietà dei beni ecclesiastici. Non mancarono infine coloro che lo accusarono di interesse privato, sostenendo che egli aveva concesso le terre in enfiteusi ai propri parenti a condizioni di favore42. Il bonadies, per nulla intimorito da queste accuse, chiese che fosse inviato un regio visitatore perché si rendesse conto di presenza che tutto era stato fatto nella piena legalità; con alcune pubblicazioni edite dal can. g.b. basile per suo mandato, cercò di dimostrare la fondatezza dei suoi diritti43, e attraverso una serie di considerazioni sulle cause che lo avevano spinto a questa scelta, dimostrò la convenienza dell’operazione non solo per i privati, ma anche per la Chiesa e per il fisco44.

Sede prima di dare in enfiteusi i beni della mensa. Se avesse agito ad insaputa delle autorità ecclesiastiche, affrontando questo argomento nelle relazioni ad limina, avrebbe potuto temere l’avvio di un’altra spinosa controversia. 42 vedi i riferimenti bibliografici della nota 18. 43 I.b. baSIlE (cur.), Collectanea nonnullorum privilegiorum et aliorum spectantium ad ecclesiam Catanensem eiusque ministros; ex archiviis publicis desumpta et iussu illustrissimi et Reverendissimi Domini Fr. D. Michaelis Angeli Bonadies […] ad futuram memoriam edita, Catanae 1682; ID., Discorso sopra le concessioni antiche e moderne fatte dalli vescovi di Catania delli terreni di quel vescovado, Catania 1683; ID., Discursus seu factum iuridicum super concessionibus terrarum per episcopos catanenses per plura saecula factis, Catania 1698. (Questi ultimi due saggi si trovano in appendice alla seconda edizione della Collectanea, stampata a Catania nel 1792). Il Mongitore indica su questo argomento un altro scritto del nostro vescovo: iura et concessiones bonorum Ecclesiae Catanensis et aliorum bonorum, Catanae 1685, di cui però non si trova traccia nelle biblioteche di Catania (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 135). alcune di queste pubblicazioni, anche se furono stampate dopo la morte del bonadies, furono preparate durante il suo episcopato. Sulla figura del can. g.b. basile vedi g. NICOlOSI gRaSSI – a. lONghITaNO, Catania e la sua università nei secoli xV-xVi. il Codice «Studiorum constitutiones ac privilegia» del Capitolo cattedrale, Roma 20022, 34-37. 44 «1. la prima utilità si è che le terre concesse erano infruttifere, inculte e sciarose e poco o niun frutto rendevano alla mensa vescovale, ed hora sono fruttifere e la mensa vesco-

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la controversia si chiuse con un compromesso: il vescovo di Siracusa francesco fortezza, inviato come regio visitatore, pur riconoscendo la correttezza e la convenienza dell’operazione promossa dal bonadies, fu costretto a revocare le concessioni in enfiteusi dei beni della mensa vescovile e della contea di Mascali. Questo provvedimento fu ritenuto inevitabile perché proprio in quei giorni il tribunale del Real Patrimonio aveva emesso una sentenza in cui si ribadivano i diritti del re sui beni ecclesiastici e si consideravano invalide le concessioni di beni in enfiteusi senza l’assenso regio. Ma il provvedimento del visitatore e la sentenza del tribunale non ebbero pratica applicazione45. Nel secolo successivo, quando si pensò di rendere obbligatoria la concessione in enfiteusi dei beni ecclesiastici, la Collectanea del bonadies fu ristampata quasi certamente per avere un argomento decisivo a favore della politica genovesiana contro la resistenza dei suoi oppositori46.

vale se ne essige il censo certo, sicuro, fisso et de plano. 2. la seconda utilità si è che le dette terre, che erano sciarose, impratticabili, horride e spelonche di ladri, hora con dispendi delli concessionari son rese dilettevoli, sicure e fruttifere con tanti giardini e quantità di frutti che abbondano in questi paesi. 3. la terza utilità si è che, in ogni caso d’alienazione di dette terre concesse, competiscono alla mensa vescovale le raggioni di laudemi; e quanto più detti beni concessi si rendono colli benfatti di maggior valore, tanto maggiormente s’accresce la raggione del laudemio. 4. la quarta utilità si è, che quando dette terre concesse si seminano, oltre il censo competisce alla mensa vescovale la decima di frumenti, orgi e legumi; e delle terre avvignate competisce la decima del musto, che oggi è di tanto grande emolumento alla detta mensa vescovale. 5. la quinta utilità si è che, quanto più si sono accresciute le suddette concessioni, tanto più si sono maiorate le spese che si pagavano dalla mensa vescovale all’essattori e custodi, come ancora si sono minorati li occorsi delle vettovaglie e bestiame che solea dare il vescovo per seminarsi le terre sudette. 6. la sesta utilità si è che la Regia Corte essige al presente grosse somme per la raggione della decima e tarì in omni alienatione di dette terre concesse. 7. la settima utilità si è che, rendendo dette terre concesse frutti soggetti alle regie gabelle, quali si son andate imponendo mediante le dette concessioni e benefici fattisi che prima delle concessioni non vi erano, per la raggione di sopra espressata, si è avanzato notabilmente il patrimonio reale e quanto più si accrescono le concessioni tanto più si avanza il patrimonio reale» (Discorso, cit., 2). Questo documento è stato pubblicato integralmente anche in appendice allo studio di S. fRESTa, Per la storia dell’enfiteusi, cit., 57-61. 45 ibid., 54. 46 Il saggio di S. fresta, oltre a stabilire con chiarezza i termini di una controversia che si rivela fondamentale per la storia dell’enfiteusi nel Catanese, formula questa ipotesi partendo dalla data di pubblicazione del volume e facendo riferimento alle polemiche sorte nel 1792 sulla politica ecclesiastica del governo di Napoli. Per la storia dell’enfiteusi in Sicilia, vedi: N. MUSMECI, Memoria intorno al laudemio, Napoli 1847; ID., Memoria intorno alle decime del Regno di Sicilia, Palermo 1848; S. CORlEO, Storia della enfiteusi dei terreni ecclesiastici di Sicilia, introduzione di a. li vecchi, Caltanissetta-Roma 1977.

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e) Abbellimento della cattedrale

Il bonadies con una certa enfasi descrive nelle sue relazioni il suo impegno nell’abbellimento della cattedrale:

«Questo tempio, eretto dalle fondamenta in onore di s. agata vergine e martire […], fino ad oggi era rimasto spoglio e disadorno; spinto dalla devozione verso una così grande martire ho raccolto le mie forze, anche se insufficienti, per la sua decorazione; ho dato ordine che venisse abbellito con stucchi di diverso colore e con pitture secondo lo stile degli arabi, che si servivano di motivi fiorali»47 «Questa stessa chiesa […] ora in questi anni del mio episcopato con la protezione dell’altissimo può essere ammirata per le pitture che la ricoprono in quasi tutta la sua ampiezza; la cappella di s. agata è stata decorata mirabilmente con oro e pitture a mie spese»48.

le indicazioni sui lavori eseguiti sono preziose perché ci consentono di farci un’idea dello stato in cui si trovava la cattedrale prima del terremoto del 1693 e di datare con maggior precisione le pitture della cappella di s. agata e i resti di quelle del transetto riapparse dopo i restauri del 1959. f) il seminario

appare ancora insignificante l’incidenza del seminario nella formazione dei futuri sacerdoti per il numero esiguo di alunni che accoglie49. Difficoltà di natura economica e logistica impedivano probabilmente al vescovo di obbligare tutti i chierici a far riferimento in qualche modo a que-

Rel. 1682, fol. 289v. (cfr a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 134 e v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 504). 48 Rel. 1686, fol. 308v. Per ricordare la decorazione della cappella di s. agata il nostro vescovo fece apporre l’iscrizione che ancora si legge: «Triumphantis agathae gloriam et decorem fr. D. Mich. angelus bonadies». 49 Il numero degli alunni risulta aumentato rispetto a quello indicato dagli altri vescovi nelle precedenti relazioni: 12 alunni oltre i convittori al tempo del vescovo Torres nel 1620 (rel. 1620, fol. 27r); 8 alunni e 2 convittori al tempo del vescovo gussio (rel. 1655, fol. 168r); il bonadies indica la presenza di 15 alunni in tutte le relazioni (1668, fol. 229r; 1675, fol. 268r; 1679, fol. 279v; 1682, fol. 289v; 1686, fol. 309r). Tuttavia questo numero risulta del tutto irrisorio se si considera che nella sola città di Catania i chierici erano oltre 200 (rel. 1668, fol. 229v) e in tutta la diocesi circa 1.500 (ibid., fol. 230r). 47

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sto istituto ritenuto fondamentale dal Concilio di Trento. Nelle norme del sinodo diocesano sul seminario troviamo le risposte ad alcuni interrogativi che ci poniamo sulla natura e la funzione di questo istituto nella diocesi di Catania50. g) Le associazioni laicali e le attività assistenziali

I dati fornitici dalle relazioni su questo argomento sono alquanto sommari, ma sufficienti per affermare la vitalità del fenomeno associativo nella diocesi di Catania. accanto alle tradizionali confraternite, c’è una quantità notevole di sodalizi di varia natura. Tra i fini di queste associazioni, oltre la formazione personale dei membri, troviamo il culto, che si esplicava nelle processioni, nelle feste religiose, nella pratica delle quarantore e l’esercizio della carità fra i membri dell’associazione e verso i bisognosi in genere. Si noti a tal proposito l’esistenza di orfanotrofi, di ospedali, di brefotrofi, di monti di pietà, dell’uso di costituire le doti per ragazze orfane o povere51…

In seminario erano accolti gratuitamente i ragazzi di almeno dodici anni, provenienti da famiglie povere ma oneste dei centri abitati della diocesi che contribuivano con offerte, legati, benefici al sostentamento di questo istituto (Decreta, cit., sess. 3, decr. 22, n. 5, p. 277). Non si escludevano ragazzi appartenenti a famiglie agiate, che entravano in seminario solo per lo studio e l’educazione, purché provvedessero al proprio sostentamento; questi alunni si chiamavano «convittori» (ibid., n. 6, 278). al momento dell’ingresso degli alunni in seminario, le famiglie dovevano depositare una cauzione a titolo di rimborso delle spese sostenute, nel caso che i giovani avessero abbandonato lo stato clericale (ibid., n. 10, 278). I seminaristi per la formazione scolastica frequentavano il collegio dei gesuiti, ed erano seguiti con particolare cura da alcuni padri a ciò incaricati dal rettore del collegio (ibid., n. 12, 279). Prima dell’anno scolastico i seminaristi venivano sottoposti ad un accurato esame da parte del vescovo e di una commissione di dotti per verificare il loro profitto scolastico: se avevano fatto dei progressi nello studio delle lettere, se erano maggiormente portati alle scienze speculative, se dovevano essere indirizzati allo studio dei casi di coscienza; nel caso che avessero dimostrato di non essere idonei sarebbero stati dimessi (ibid., n. 14, 279). Seguono le norme che disciplinavano la vita del seminario, il comportamento degli alunni, i compiti dei superiori. Da tutti questi elementi si può dedurre che le risorse del seminario erano esigue e lo scopo che questo istituto riusciva a raggiungere era quello di formare culturalmente e spiritualmente un numero limitato di sacerdoti, che avrebbe costituito una élite in mezzo ad un clero dalla preparazione sommaria e carente. Sui temi del clero e dei seminari vedi: x. TOSCaNI, il reclutamento del clero (secoli xVi-xix), in g. ChITTOlINI – g. MICCOlI (curr.), La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, Storia d’Italia. annali 9, Torino 1986, 572-628; M. gUaSCO, La formazione del clero: i seminari, ibid., 629-715. 51 Mentre nella relazione di Marco antonio gussio del 1655 abbiamo l’elenco com50

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h) La religiosità popolare

Dalle relazioni del bonadies non possiamo desumere elementi di rilievo su questo tema. anche se a volte egli accenna a feste religiose, al culto eucaristico e mariano, non scende nei dettagli e quindi solo indirettamente si può affermare che il bonadies fosse altrettanto interessato a questo argomento quanto i suoi predecessori52. Da una lettura degli articoli del sinodo si ha l’impressione di una certa prudenza e moderazione del nostro vescovo nel disciplinare questa materia: sono permesse le processioni previste dalle norme comuni o solite a tenersi per consuetudine53; le nuove pro-

pleto delle associazioni che operavano nelle diverse città con la specifica attività che alcune di esse svolgevano, in quelle del bonadies troviamo solamente il numero complessivo di esse. Solo indirettamente e da altre fonti possiamo determinare la loro attività, il fine che si prefiggevano e le norme che le disciplinavano (Decreta, cit., sess. 3, decr. 27, pp. 315-322). Per un approfondimento di questo tema, vedi: g. aNgElOZZI, Le confraternite laicali. un’esperienza cristiana tra medioevo e età moderna, brescia 1978, con un’appendice bibliografica; R. RUSCONI, Confraternite, compagnie e devozioni, in g. ChITTOlINI – g. MICCOlI (curr.), La Chiesa e il potere politico, cit., 467-506; per lo sviluppo dell’associazionismo religioso in Sicilia: g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, cit., 65-67; Associazioni e confraternite laicali in Sicilia in età moderna, cit. 52 gli elementi che su questo tema troviamo nelle relazioni del bonadies riguardano quasi unicamente la pratica delle quarantore: «fra le principali opere di religione è incoraggiata la preghiera delle quarantore che si fa ogni giorno, a turno, in tutte le chiese con addobbi, sfarzo, musica, cantanti e al sesto giorno l’intervento del senato» (rel. 1682, fol. 290r) e un suo intervento per disciplinare ad Enna le feste religiose: «ho ordinato che non si facciano spese e non si diano contributi dai beni delle chiese nella celebrazione delle feste, a meno che queste erogazioni non siano decise insieme e non separatamente dagli amministratori» (rel. 1668, fol. 223v). 53 Il sinodo dedica a questo argomento un intero decreto con diversi articoli: partendo dall’antichissima prassi delle processioni fa riferimento alla norme generali che le prescrivono in determinate feste (il Corpus Domini, le rogazioni..) o alle consuetudini locali (settimana santa, festa del patrono o di altri santi, processione eucaristica ogni terza domenica del mese…) per poi disciplinare con precise norme la materia (Decreta, cit., sess. 2, decr. 12, pp. 184-191). Per gli interessanti elementi in esso contenuti merita di essere riportato un brano dell’editto del 19 aprile 1666 con cui si disciplina la processione dei misteri, che la confraternita dei Santi Elena e Costantino faceva a Catania il giovedì o il venerdì santo: «Expressamente comandiamo sotto le pene infrascritte che nessuna persona tanto cittadina quanto foristera in detti giorni di giovedì o venderdì santo […] possa, sotto pretesto di detta processione e sotto qualsivoglia altro pretesto, passeggiare per la città in detti giorni vestito in habiti che sogliono portare in detta processione come il giudeo, demoni, apostoli o altro vestimento, ma solamente possano andare la sera quando comincerà detta processione; né meno di dette persone come sopra vestite in detta processione si possa parlare o recitare conforme il passato si ha malamente fatto, ma habbiano d’andari muti e devoti […] e partico-

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cessioni devono essere autorizzate dal vescovo54; si disciplina l’uso dei fuochi d’artificio55. Esistono norme precise per disciplinare il culto delle immagini56, delle reliquie57, e per vietare alcune usanze introdotte abusivamente58. Sembra che i fedeli della diocesi non fossero immuni da pratiche magiche e dall’uso di malefici59. i) L’eruzione dell’Etna e la rivoluzione di Messina

le notizie riferite dal bonadies su questi avvenimenti sono già note; tuttavia costituiscono una interessante testimonianza da parte di chi ha vissuto queste dolorose esperienze in prima persona e si è prodigato per aiutare coloro che ne subirono le conseguenze60.

larmente prohibemo che in detta processione non possano andar vestiti demonii eccetto che sia solamente cioè uno con il Michel angelo, uno con adamo et Eva, l’altro con giuda disperato e questi nemeno vadino recitando né parlando, ma muti e devoti pensando al gran mistero che intervengono» (Editti 1650-1679, fol. 89v-90). 54 Decreta, cit., sess. 2, decr. 12, n. 15, p. 187. 55 «Poiché un’antica esperienza ci insegna che si sperperano inutilmente le rendite delle chiese nell’uso smodato dei “mascoli” come volgarmente sono chiamati o “archibugi” e nei fuochi d’artificio o nella costruzione i macchine sulfuree, a tal punto che non è più possibile soddisfare pienamente, com’è giusto, né gli obblighi derivanti dai legati, né provvedere degnamente alle necessità della celebrazione delle messe o del culto divino, ordiniamo che per il futuro in tali macchine e “mascoli” non si possa spendere una somma superiore ad un’oncia per la festa della chiesa, senza uno speciale permesso nostro o del nostro vicario generale» (ibid., sess. 3, decr. 27, n. 15, p. 319). altre norme che disciplinano i fuochi di artificio in occasione delle processioni si trovano nella sess. 2, decr. 12, n. 20, p. 189. 56 ibid., sess. 2, decr. 11, pp. 183-184. 57 ibid., sess. 2, decr. 10, pp. 179-182. 58 «Nel giorno di pentecoste proibiamo in modo assoluto che si facciano fuochi d’artificio nelle chiese o che si lancino colombe o altri animali; ai vespri dei Santi Innocenti non si permetta che i chierichetti indossino le sacre vesti (pueros clericos sacris vestibus indui ne permittant) o che si facciano cose ridicole» (ibid., sess. 3, decr. 21, n. 11, p. 274). 59 Un capitolo del sinodo, nella sessione che tratta le materie del foro giudiziale, è dedicato ai malefici e agli esorcismi (ibid., sess. 4, decr.33, pp. 393-396). fra i peccati riservati al vescovo c’è quello che commettono coloro che esercitano i sortilegi, le arti magiche e le superstizioni (ibid., sess. 1, decr. 6, p. 131). 60 «ho riparato con tutta la carità e diligenza possibile le distruzioni prodotte dall’eruzione dell’Etna, aiutando i poveri, ristorando i corpi, abbracciando e prendendomi cura dei singoli con tutto il rispetto della pietà, confermando e rafforzando tutti con salutari ammonizioni; dopo essermi opportunamente consultato, con il dovuto decoro, in compagnia dei parenti e dei canonici, non senza fatica e tristezza mi sono adoperato per trasferire con tutte

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l) Censimento della popolazione della diocesi

la tabella con l’indicazione degli abitanti della città e dei centri abitati della diocesi, desunta dai dati forniti nelle relazioni ad limina del bonadies, costituisce un indubbio punto di riferimento per la soluzione del difficile problema demografico di questo periodo. Come già si è avuto modo di far rilevare nella relazione del gussio, i criteri di raccolta di questi dati non sembrano dare maggiore affidamento di quelli dei censimenti ufficiali61. Tuttavia non possiamo ignorare le cifre che ci forniscono, sia perché raccolte da persone diverse che si servono di criteri diversi, sia perché essendo ripetute a distanza di pochi anni ci danno la possibilità di confronti e di verifiche62. Catania Piazza Enna S. filippo d’agira Calascibetta aidone assoro leonforte Pietraperzia barrafranca

1668 16.000 16.000 10.400 4.200 5.000 6.700 4.400 4.300 3.400 3.000

1675 13.036 11.272 8.000 7.982 3.563 5.400 4.000 4.157 3.970 1.625

1679 17.125 12.841 9.118 8.331 4.158 5.825 3.226 4.961 3.780 2.590

1682 18.000 12.840 9.120 8.330 4.160 5.820 3.220 4.960 3.780 2.590

1686 18.143 12.239 8.719 7.847 4.200 6.568 3.686 5.075 3.600 3.219

le suppellettili in altri luoghi vicini le monache, le quali per paura del fuoco divorante erano, ohimè, costrette ad abbandonare i propri monasteri. In compagnia delle stesse persone, dopo alcuni mesi, quando la lava si fermò, riaccompagnai le monache nei loro monasteri, le incoraggiai e non senza commozione le confortai nel Signore» (rel. 1675, fol. 267r). In due altri documenti indirizzati alla Santa Sede il bonadies fa un dettagliato racconto di questi avvenimenti: a. lONghITaNO, Michelangelo Bonadies: cinque lettere romane, cit. Per il racconto delle conseguenze della guerra determinata dalla ribellione di Messina, vedi: rel. 1679, fol. 278r-v; rel. 1682, fol. 288r-v. 61 vedi supra il profilo del vescovo Marco antonio gussio e la sua relazione del 1655. Per il problema demografico in Sicilia si possono consultare: Studi di demografia siciliana (sec. xViii), Catania 1979; gli stessi saggi sono pubblicati pure in aSSO 74 (1978) 7-210; D. lIgRESTI, Sicilia moderna. Le città e gli uomini, Napoli 1984. 62 Proprio dal confronto fra i diversi anni dei dati riportati nelle relazioni del bonadies è possibile constatare che in alcuni casi le cifre sono ripetute sempre uguali, in altri si notano differenze troppo marcate da un anno all’altro.

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1668 valguarnera 1.200 Mirabella — Regalbuto 4.500 Centuripe 1.300 adernò 9.960 biancavilla 1.300 Paternò 5.800 Motta S. anastasia 800 aquilia (acireale) 12.000 acicatena — aci San filippo — aci bonaccorsi — aci Sant’antonio — valverde — acicastello — fenicia (Malpasso) — Misterbianco — Nicolosi Mompileri — Trecastagni — Pedara — viagrande — Mascalucia — San Pietro — Camporotondo — Tremestieri — galermo — gravina — Sant’agata — San giovanni la Punta — Trappeto — San gregorio —

1675 850 — 3.537 1.820 5.783 4.300 5.000 400 11.336 1.250 — 794 1.720 887 200 1.300 1.000 774 200 2.240 2.000 2.370 875 406 240 1.363 375 865 363 998 332 582

1679 1. 250 400 3.530 1.800 5.700 4.300 5.000 400 11.269 — 1.540 830 1.865 974 200 1.300 1.000 848 462 3.406 2.027 2.000 1.538 508 404 1.156 404 960 350 1.020 303 657

1682 1.250 500 3.530 1.800 5.700 4.300 5.000 400 11.260 — 4.004 830 1.860 970 200 1.300 1.000 850 460 3.050 2.050 2.000 1.540 500 400 1.160 400 960 350 1.020 300 660

1686 1.401 1.336 3.600 2.360 5.881 4.134 6.907 741 8.230 — 4.000 870 1.885 1.084 200 2.900 1.719 930 — 3.046 2.100 2.050 1.610 540 350 1.160 350 960 450 1.026 350 697

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1668 – Relazione del vescovo Michelangelo bonadies, spedita il 15 agosto 1668, avendo egli visitato personalmente le basiliche romane nel 1665, dopo la sua consacrazione episcopale1.

[fol. 219r] beatissimo Padre, dopo aver ricevuto la consacrazione episcopale nella chiesa dell’aracoeli, con il beneplacito e l’assenso del Santissimo Signore Nostro alessandro vII, di felice memoria, prima della mia partenza da Roma, visitai le tombe degli apostoli secondo la consuetudine, come risulta dall’attestato di rito, che è trasmesso con questi fogli. Ora il mio ufficio pastorale richiede che vi dia il resoconto sia di questa mia diocesi di Catania, che quasi tutta ho percorso, sia della sua visita, per osservare fedelmente le prescrizioni del sacrosanto Concilio di Trento. Il 2 aprile {1665} da filippo Iv, re di Spagna di felice memoria, fui presentato come vescovo di Catania alla Santità di alessandro vII; da questi fui benevolmente accettato e proclamato, e alla presenza e per ordine della sua medesima Santità fui brevemente esaminato dall’eminentissimo cardinale francesco barberini. Il 3 maggio 1665 fui consacrato, dopo di che feci ritorno direttamente a Catania, dove, essendo stato accolto secondo la consuetudine dai senatori della città e dal plauso di una grande folla, mi dedicai totalmente alla cura delle anime e di lì a pochi mesi iniziai la visita della chiesa cattedrale. Catania è una città antichissima e allo stesso tempo nobilissima; fin dal tempo dei romani era così popolata di cittadini e di soldati da poter combattere contro Siracusa e lentini; oggi mediocremente dotata giunge appena ad enumerare 16.000 abitanti. la sede vescovile di Catania fu fondata dallo stesso Principe degli apostoli, il quale (secondo quanto si legge nel martirologio romano) si dice abbia qui inviato come evangelizzatore s. berillo [fol. 219v]. la diocesi, inoltre, comprende molte città e cioè: Enna, Piazza, Calascibetta, San filippo d’agira e aci aquilia; non poche terre poste sotto

Rel Dioec 207 a, fol. 219r-230v; 235v. alla relazione sono allegati i seguenti documenti: 1) due certificati della visita alla basilica di San Pietro del 15 maggio 1665 e di San Paolo del 16 maggio 1665 (fol. 214r-215r); 2) altri due certificati di visita alle basiliche in data 20 e 21 maggio 1665 (fol. 216r-217r). 1

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la giurisdizione dei prìncipi come Paternò, adernò, Regalbuto, Pietraperzia, aidone, barrafranca, valguarnera, leonforte, assoro, Centuripe, biancavilla, Malpasso, Motta Sant’anastasia, San giovanni la Punta, San gregorio, Sant’agata, Trappeto, Tremestieri, viagrande, Trecastagni, Pedara, Nicolosi, Mompileri, Camporotondo, San Pietro, Mascalucia, San giovanni galermo, gravina e Misterbianco. Il tempio di Sant’agata, che oggi è la chiesa cattedrale, ha come fondatore il serenissimo Conte Ruggero, che l’arricchì con una rendita di oltre 30.000 scudi d’oro, mentre oggi a stento si raggiunge la somma di 20.000. È dedicato a Sant’agata vergine e martire. Esso, certamente il più grande della Sicilia e arricchito da una rendita di 1.000 scudi d’oro, ha 13 cappelle, delle quali la maggiore, dedicata al Crocifisso Redentore, possiede rendite per dotare ogni anno alcune ragazze orfane, le quali celebrano il matrimonio nella medesima chiesa cattedrale il 3 maggio. Prestano il loro servizio in questo tempio 12 canonici e 4 dignità: il priore, il cantore, il decano e il tesoriere, altrettanti beneficiati e 8 mansionari. Per l’amministrazione dei sacramenti ai fedeli è incaricato il maestro cappellano, che è coadiuvato da 4 sacerdoti. Nel 1568 il capitolo dei canonici, che prima era regolare e apparteneva all’ordine di s. benedetto, per disposizione dei papi Pio Iv e Pio v passò ai chierici e ai presbiteri secolari; i capitolari indossano il rocchetto e l’almuzio, mentre gli altri beneficiati o secondari sono insigniti dell’epitogio. Inoltre nella stessa cattedrale per ora si hanno il vice penitenziere e il vice lettore pubblico dei casi di coscienza, fino a quando non si istituirà la prebenda del canonico teologo. Ogni qual volta il vescovo celebra le funzioni pontificali, i primi sei canonici [fol. 220r] a turno esercitano l’ufficio di diacono, gli altri di suddiacono. Inoltre la cattedrale usufruisce dei tesori spirituali delle reliquie, soprattutto del corpo di s. agata vergine e martire, chiuso nei suoi scrigni d’argento; è possibile ammirare il simulacro della santa adornato elegantemente di oro e di gemme; questo tempio si fregia ancora di un frammento della santa croce di Cristo Signore, di due spine della corona del medesimo Cristo Redentore, racchiuse nelle loro piccole teche d’argento e della gola di s. biagio vescovo e martire. Per quanto riguarda la cattedrale è sufficiente aver accennato alle cose che abbiamo brevemente riferito. Nella città di Catania c’è anche una chiesa collegiata eretta e fondata il 25 marzo del 1446 dal sommo pontefice Eugenio Iv con 3 dignità delle 321


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quali la prima è il prevosto, a cui compete la cura delle anime, le altre il cantore e il tesoriere; tutti i canonici sono 19 con le rispettive prebende, anche se attualmente esse sono molto esigue. a questa collegiata o capitolo per disposizione del sommo pontefice Nicolò v del 13 luglio 1448 è stata concessa l’opzione per le prebende e per le nuove dignità, che devono essere elette dagli stessi canonici, quando cioè le prebende sono vacanti; a condizione però che l’elezione sia confermata dal vescovo. In questa collegiata si hanno anche altri 6 mansionari che esercitano l’ufficio di diacono e di suddiacono nelle messe solenni ed assistono al coro. la chiesa cattedrale ha altre 5 chiese coadiutrici per l’amministrazione di tutti i sacramenti, ad eccezione della facoltà di ricevere il mutuo consenso nel sacramento del matrimonio, facoltà che per una consuetudine immemorabile [fol. 220v] è concessa solamente dal vescovo in quanto unico parroco delle anime o da coloro ai quali egli stesso ne dà mandato. Queste chiese sacramentali sono: San Tommaso apostolo, San biagio vescovo e martire, San filippo apostolo, Santa Marina e Santa Maria Odigitria con le loro rendite date dal vescovo ai sacerdoti cappellani che svolgono in esse il ministero. Nella città vi sono inoltre 9 monasteri femminili soggetti alla giurisdizione del vescovo, cioè: San giuliano, San benedetto, San Placido, Santa Maria di Porto Salvo, Santissima Trinità, Santa Caterina, Sant’agata e altri 3 che sono retti dal generale di tutta la famiglia francescana e sottostanno al suo provinciale, cioè: Monte vergine, Santa Chiara e San girolamo. Sorgono ancora nella città 2 case: una per ragazze nubili ed orfane, che vi sono accolte fino a quando non sposano; l’altra aperta alle donne che ivi si rifugiano, spinte alla penitenza dopo la caduta, con grandissimo giovamento spirituale di tutta la città. gli ordini religiosi maschili presenti nella città sono 16: San benedetto e San Domenico, che hanno sede in due istituti di cui uno è posto fuori, l’altro dentro le mura, i cappuccini, che similmente hanno sede in due case poste fuori le mura della città, San francesco dei minori conventuali, Sant’agostino, i carmelitani, San francesco di Paola, gli eremitani riformati di s. agostino, i gesuiti, i minoriti, i francescani del terz’ordine e i frati minori dell’osservanza, i carmelitani riformati di s. Teresa, i riformati di s. francesco e infine i padri della redenzione degli schiavi. Dopo queste premesse, che riguardano la conoscenza della cattedrale e della città, passo alla visita. 322


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anzitutto trovai che nella cattedrale mancavano sia il maestro di teologia morale, sia il penitenziere, prescritti dalle norme del Concilio di Trento. Ebbi cura di erigere questi due uffici e lasciai, inoltre, le opportune ordinanze in relazione alle deficienze riscontrate nella chiesa. In esse ho prescritto che si supplisse ad alcune carenze nell’esercizio del culto divino, nel mantenere il decoro del tempio ecc. ho vigilato sull’amministrazione dei beni temporali emanando alcune norme che ho giudicato opportune e necessarie a questo scopo. Portata a termine la visita della chiesa cattedrale, ho ispezionato le parrocchie della città, esaminandole diligentemente una per una; e poiché in esse si era già diffuso l’uso di insegnare il catechismo [fol. 221r] nei giorni festivi agli incolti e ai bambini, ho costituito i parroci e i cappellani per assolvere questo incarico nei giorni di festa e li ho esortati vivamente a procurare la salvezza delle anime. Mi sono impegnato perché si avesse la massima cura nell’amministrazione dei sacramenti e ho preso dei provvedimenti per evitare che i cappellani si assentassero di giorno e di notte dalle loro parrocchie e venisse meno il loro aiuto ai malati in pericolo di morte. Iniziando la visita dei monasteri femminili, con grandissima consolazione del mio animo, ho potuto constatare che tutte le monache erano dedite al culto divino; ma poiché c’era bisogno di alcuni avvertimenti o decreti, ho fatto ricorso ai rimedi che ho ritenuto più opportuni, soprattutto per riservare alla clausura, dove era necessario, gli ingressi dei monasteri e per eliminare la familiarità che si dimostrava in particolare con le ragazze esterne; in questo compito mi sono dimostrato severo più come giudice che come padre. In questa città di Catania esiste un ospedale in cui sono curati gli infermi poveri e nutriti i bambini orfani; quotidianamente sopraggiunge non un piccolo numero ma una grande moltitudine di questi bambini soprattutto dai casali e villaggi vicini, e poiché per antichissima consuetudine in questo luogo sono abbandonati di notte, vicino alla porta dell’ospedale, bambini legittimi o illegittimi non solo di tutta la città ma anche dei vicini casali, diedi ordine al parroco dell’ospedale che fossero battezzati nella forma assoluta o sotto condizione, secondo le informazioni che eventualmente si fossero raccolte, per evitare che rimanessero privi dell’acqua salutare del battesimo; ordinai che gli elenchi di questi battezzati fossero trascritti in un apposito registro [fol. 221v] secondo le indicazioni del rituale romano. Mi sono premurato, inoltre, di conoscere i legati pii lasciati dai fedeli all’ospedale; quindi ho ordinato che mi fossero presentati tutti i registri 323


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delle rendite annuali dei beni mobili e immobili; al direttore dell’ospedale ho prescritto che almeno una volta la settimana in un giorno prestabilito si facesse una ricognizione e un’assegnazione di questi beni per venire incontro più facilmente alle necessità dei malati; al parroco dello stesso ospedale ho dato ordine di visitare ogni giorno tutti gli ammalati e di interrogarli per sapere se dai responsabili dell’ospedale sono date loro le medicine e le pozioni assegnate dal protomedico (questi infatti per ordine del senato è obbligato a visitare e curare gli infermi). Nella città esiste anche il monte di pietà, eretto per alleviare le necessità dei miseri e degli indigenti e confermato dall’apostolica autorità di Paolo III il 26 febbraio 1546, è ad esso che i poveri possono rivolgersi. I rettori di questo monte sono 7, il primo dei quali è il venerabile priore della chiesa cattedrale, due sono scelti fra i nobili, gli altri fra le classi del popolo. I rettori in alcuni periodi prestabiliti dell’anno, come nelle feste di natale e nella settimana santa, vanno in giro per la città e se trovano poveri o persone gravate da debiti prestano loro soccorso immediatamente con denaro o con medicine gratuite per gli infermi; con queste opere essi vengono in aiuto sia alle persone rispettabili sia alle persone delle classi più umili. ho ordinato a tutti i rettori di questo monte, in particolare a chi tiene i registri, di presentarmi senza indugio la nota degli introiti annuali e dei beni immobili, in modo che si possa provvedere opportunamente ove si dovesse riscontrare che beni o rendite sono andati perduti, dimenticati [fol. 222r] o sono di difficile riscossione. Si hanno altri luoghi pii nella città dove sono accolti i bambini o le bambine prive di genitori o dove trovano rifugio quelle donne che hanno tradito i loro mariti; questi luoghi ricevono ogni giorno il sostentamento dalle offerte degli uomini caritatevoli. a questi istituti ho dato alcuni consigli che ho ritenuto opportuno lasciare. Sui sodalizi e le confraternite di questa città voglio soprattutto accennare questo alla Santità vostra: mi sono incontrato con tutti e ho chiesto di rendere conto dell’amministrazione dei beni temporali; ho dato alcune prescrizioni sulla loro distribuzione e su argomenti di natura spirituale quando l’ho ritenuto necessario; ho dato ordine ai responsabili di adoperarsi per il decoro degli oratori. Tutto questo è andato secondo i miei desideri e non senza il massimo giovamento per il culto divino.

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Visita della città di Enna

Nessuno ignora l’antichissima origine di questa città, in quanto fu celeberrima al tempo dei romani e presso gli antichi poeti, nei miti del ratto di Proserpina, avvenuto secondo la leggenda in un lago distante da Enna circa 2.000 passi. Una volta era ricchissima e popolata di un grandissimo numero di cittadini, oggi però non conta più di 10.400 abitanti [fol. 222v]. Nella chiesa madre di questa città prestano il loro servizio 21 sacerdoti insigniti dell’epitogio, dei quali 4 sono chiamati e sono rettori ai quali compete l’esercizio della cura delle anime; poiché per consuetudine si arrogano il titolo di canonici, ho dichiarato che non possono essere chiamati canonici perché di fatto non lo sono, in quanto non sono stati eretti, né hanno ricevuto le insegne dall’autorità apostolica, né hanno una prebenda. C’è il priore che ha un beneficio semplice, gli spetta il primo posto nel coro e assieme agli altri procuratori provvede alle spese della chiesa. Poiché questi sacerdoti dalle rendite annue, secondo gli statuti della fondazione, sono tenuti a celebrare la messa nei giorni di festa ma non avevano osservato quest’obbligo, ho dato ordine al vicario foraneo della città che in futuro, senza alcuna eccezione, si prendesse cura di far celebrare le messe, diversamente avrebbe dovuto procedere al sequestro dei frutti dei benefici nei confronti dei rettori; similmente ho comandato che mi si consegnasse l’elenco scritto di coloro che non avevano celebrato ogni giorno la messa per i benefattori, con i motivi di questa omissione, per far loro scontare la pena della trasgressione. Inoltre ho assegnato ad ognuno la sede per ascoltare le confessioni ed in esse ho avuto cura che si esponesse l’elenco dei casi riservati alla Sede apostolica nella bolla in Coena Domini e al vescovo di Catania. Questa chiesa madre ha molti proventi e dalle sue proprietà percepisce oltre 2.000 scudi d’oro ogni anno, spesi per il culto divino, per le necessità della chiesa, per sollevare dall’indigenza i poveri. Se queste spese saranno fatte dal priore e dai quattro rettori, per l’avarizia degli amministratori si potrà introdurre la prassi delle spese fittizie con grave danno della chiesa; perciò con ogni cura e sollecitudine [fol. 223r] ho vietato in futuro di fare spese di questo genere sotto pena di scomunica latae sententiae a meno che le spese non fossero fatte insieme e non separatamente da tutti gli amministratori; ho anche stabilito che non potessero essere eletti procuratori della chiesa coloro che erano congiunti in primo o secondo grado di consanguineità con il priore e i rettori predetti, secondo le prescrizioni del 325


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diritto canonico. Inoltre ho emanato altre norme allo scopo di evitare le frodi o nelle spese o nelle elargizioni delle elemosine ai poveri dai beni della stessa chiesa, sotto pena da determinarsi a giudizio del vescovo e nei casi in cui l’ho ritenuto opportuno sotto pena della scomunica latae sententiae. Ritengo sufficienti per la Santità vostra queste notizie sulla chiesa madre della città di Enna. Sebbene questa città sia antichissima e in passato molto popolata, attualmente, come è stato già detto, a stento raggiunge gli 11.000 abitanti. Il clero comprende oltre 220 membri, fra i quali si contano 90 sacerdoti; si contano inoltre 9 parrocchie o chiese parrocchiali e cioè: San giovanni, San Tommaso, San Cataldo, San biagio, San giorgio, San Pietro, San leonardo, San leone, San bartolomeo, i cui parroci sono scelti per concorso dalla Santa Sede o dal vescovo secondo l’alternanza dei mesi. I conventi dei religiosi sono 8 e cioè: Sant’agostino, San Domenico, San francesco, i gesuiti, San francesco di Paola, i cappuccini, i riformati di stretta osservanza, San giovanni di Dio, i cui membri sono chiamati comunemente «benefratelli». Quelli invece delle vergini consacrate a Dio sono 5 e ad eccezione di uno intitolato a Santa Chiara vergine, che osserva la regola di s. francesco, tutti gli altri osservano la regola benedettina: Santa Maria delle grazie, San benedetto, San Michele; Santa Maria del Popolo, San Marco2. C’è anche [fol. 223v] un istituto per le donne convertite. Ci sono moltissime chiese minori, l’ospedale per gli infermi ed anche moltissime confraternite e sodalizi. ho visitato tutti questi luoghi, ad eccezione degli istituti religiosi in quanto non soggetti alla mia giurisdizione, e in essi ho emanato le opportune norme e costituzioni molto utili per la pietà cristiana, come sarà detto in seguito. Sulla riforma delle parrocchie, delle monache e delle altre chiese ritengo che sia sufficiente riferire alla Santità vostra queste poche notizie. anzitutto ho proibito a tutti i parroci l’antica e sconveniente usanza di ricevere ogni anno nelle feste di pasqua dai fedeli certe candele o in cambio del denaro; mi sono impegnato con tutte le mie forze a sradicare quest’uso molto scandaloso con pene a me riservate. In secondo luogo ho ordinato che non si facciano spese e non si diano contributi dai beni delle chiese

2 Il monastero di Santa Maria delle grazie dovrebbe essere delle clarisse e quello di San Marco delle carmelitane: si vedano le relazioni dei vescovi gussio e Riggio, che precedono e seguono il bonadies.

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nella celebrazione delle feste, a meno che queste erogazioni non siano decise insieme e non separatamente dagli amministratori, secondo le indicazioni date nella chiesa madre. ho proibito a tutti i chierici le acconciature dei capelli; invece ho ordinato loro di imparare il canto ecclesiastico per essere idonei a tempo debito a ricevere gli ordini; e poiché ho notato che fino a quel momento non partecipavano nelle loro chiese e parrocchie alle celebrazioni festive, ho tassativamente ordinato ai chierici di prender parte nelle feste e soprattutto a pasqua alle funzioni nelle loro chiese, in caso contrario non avrebbero potuto godere delle rendite ecclesiastiche. ho emanato inoltre delle disposizioni comuni e generali per i monasteri femminili di questa città, con le quali si è provveduto sia al loro governo spirituale sia all’idonea amministrazione dei beni temporali. Soprattutto si è curato di disciplinare il culto divino, l’osservanza dei voti essenziali, la clausura; si è stabilito di rendere più fitte le grate per evitare il facile accostamento [fol. 224r] alle monache da parte dei secolari o dei regolari, secondo i canoni del Concilio di Trento. In alcuni monasteri ho trovato la consuetudine di permettere ad alcune monache di disporre, vita natural durante, di qualche somma per gli usi personali; e poiché ho visto che era difficile sradicare questa prassi, ho ordinato che per il futuro le rendite di questi vitalizi fossero per lo meno conservate nel monastero ad uso delle stesse monache, presso una di loro, incaricata di tenerle in deposito; ho ricordato loro che nessuna monaca aveva la facoltà di ricevere somme di denaro e di rilasciare ricevuta; questi documenti ufficiali di ricevuta dovevano essere rilasciati solo dall’abbadessa del monastero e non dalla monaca a cui spettava questa somma. Diedi anche opportune disposizioni sui servizi resi alle monache dai secolari loro consanguinei. vietai similmente che il denaro proveniente dalle doti delle monache fosse impiegato per altri fini: doveva essere conservato in banca per acquistare immobili o per ricavarne un reddito annuo. Per le altre spese diedi ordine di dare ai superiori ogni mese il rendiconto del vitto quotidiano e ogni anno delle spese generali. Inoltre stabilii che neppure l’abbadessa di sua autorità potesse redigere i documenti pubblici di locazione o di passaggio dei beni del monastero, se non in presenza e con l’assenso del vicario foraneo. Infine, per sradicare certi abusi in alcuni monasteri, sotto pena di scomunica vietai alla monache di stendersi o dormire insieme nello stesso letto. Per i rimanenti luoghi pii come oratori, sodalizi, confraternite, sotto 327


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pena di scomunica a norma dei canoni del Concilio di Trento, diedi ordine di presentarmi entro sei giorni tutti i legati pii lasciati dai fedeli [fol. 224v] ma non ancora resi pubblici o eseguiti; mi adoperai perché di tutto ciò fossero informati i notai e gli altri conservatori. Inoltre ordinai di deferire a me personalmente quel parroco che per negligenza avesse lasciato morire qualche fedele senza i sacramenti della confessione, della comunione o dell’estrema unzione, come pure il sacerdote che non avesse celebrato le messe in suffragio di quei defunti dai quali erano stati fondati benefici a questo scopo. ho ritenuto di non far cenno delle altre prescrizioni di minore importanza per non annoiare la Santità vostra. Da qui mi affretto verso le altre città della diocesi. Visita della città di Calascibetta

Questa città di Calascibetta conta circa 5.000 anime; in essa si hanno 2 chiese madri e cioè: Santa Maria e San Pietro, nelle quali i sacramenti sono amministrati a turno da 12 cappellani insigniti dell’epitogio. In esse diedi opportune istruzioni, in particolare su tutto ciò che concerne l’amministrazione dei sacramenti, il decoro delle chiese ed alcune cose che mi sembrò necessario riformare. In questa città vi sono 2 istituti religiosi maschili e cioè i carmelitani e i cappuccini; un solo monastero femminile intitolato al Salvatore, in cui si trovano monache professe ed educande: poiché il recinto del monastero non era così alto e sicuro come si conviene alle monache, diedi ordine di alzarlo e di renderlo più sicuro. visitai le altre chiese e luoghi pii fra i quali la chiesa di San Domenico sotto il titolo di San vincenzo, un tempo convento dei padri predicatori soppresso dalla Santa Sede apostolica. Nominai il cappellano e gli ingiunsi di pagare ogni anno il tributo dovuto dagli introiti annuali per il seminario dei chierici nella cattedrale, fino a quando la Santa Sede non avesse provveduto diversamente per il ripristino [fol. 225r] o per la restaurazione del convento degli stessi padri predicatori. In tutte queste chiese diedi gli opportuni suggerimenti e prescrizioni per il loro decoro; esaminai i legati pii e mi adoperai per farli eseguire con la celebrazione delle messe. Infine emanai trenta editti a tutti necessari per la riforma dei costumi e per il progresso della fede cattolica. Non lontano da questa città si trova un centro abitato chiamato «leonforte», soggetto all’autorità del principe, in cui vivono 4.300 abitanti. 328


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In esso sorgono 2 conventi di religiosi: uno di cappuccini, l’altro del terz’ordine di s. francesco già soppresso, ma oggi dalla Santa Sede ristabilito secondo lo stato precedente. È stato già costruito un monastero femminile, eretto dalle fondamenta dalla munificenza del principe di questa terra, ma le monache non ne hanno ancora preso possesso. Riguardo alla visita di questo borgo non ho nulla da dire in particolare, avendo emanato le stesse prescrizioni che avevo promulgato in altri luoghi. vicino a leonforte si trova la terra di assoro, soggetta al principe di valguarnera; conta circa 4.400 abitanti. In essa sorgono 4 conventi di religiosi e cioè: carmelitani, agostiniani, terz’ordine di s. francesco, riformati dello stesso s. francesco. C’è un solo monastero di monache intitolato a Santa Chiara. Per quanto abbia trovato il borgo istruito nelle cose spirituali per la cura e la diligenza dello stesso principe, tuttavia ho emanato alcuni provvedimenti riguardanti il decoro delle chiese e l’instaurazione dell’uso di insegnare il catechismo. ho esaminato l’amministrazione dei beni ecclesiastici del monastero Santa Chiara, delle altre chiese, sodalizi, confraternite e l’ho affidato a persone idonee per evitare che ne venisse un danno alla chiesa come già era accaduto [fol. 225v]. Visita della città di San Filippo

la città di San filippo conta oltre 4.200 abitanti; non ha la chiesa madre ma solo 6 chiese sacramentali e cioè: Santissimo Salvatore, Santa Maria, Santa Margherita, Sant’antonio abate, Sant’antonio di Padova, San Pietro. In esso sorgono 3 monasteri femminili: Santa Maria la Raccomandata, Santa Maria annunziata, Santa Chiara e 5 maschili: carmelitani, Sant’agostino, frati minori dell’osservanza, riformati di s. francesco, terz’ordine dello stesso santo e cappuccini. vi sono inoltre: un’abbazia regia intitolata a San filippo d’agira, un ospedale intitolato a San lorenzo martire e la chiesa della Madonna di loreto a cui è annesso il monte di pietà. In questa città non c’è nulla di particolare da dire sulla riforma del clero e delle parrocchie, sulla visita delle monache e delle altre chiese, avendo io ritenuto, con soddisfazione di tutti i cittadini, di emanare le stesse prescrizioni che avevo promulgato nella città di Calascibetta. 329


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Visita della città di Piazza

Dopo aver esaurito le notizie spettanti la visita di San filippo, inizio la visita della città di Piazza. Questa città è ricchissima e piena di un gran numero di nobili; conta 16.000 abitanti ed è celeberrima fra le città della Sicilia per aver ricevuto in dono dal Conte Ruggero la bella e insigne immagine della vergine Madre di Dio dipinta, come dicono, da s. luca. la chiesa madre è intitolata all’assunzione della beata vergine Maria. vi sono 5 chiese sacramentali coadiutrici della chiesa madre e cioè: Santo Stefano, Santa Maria Odigitria, Santa veneranda, San Nicola, San filippo d’agira e Santissimo Crocifisso. C’è un ospedale [fol. 226r] per curare gli infermi. Nella città si trovano: 9 famiglie di religiosi (benedettini, carmelitani, domenicani, francescani conventuali, riformati dello stesso santo, cappuccini, teatini, gesuiti, eremitani di s. agostino); 7 di monache: Santa Chiara sotto la regola di s. francesco, San giovanni Evangelista, Santissima Trinità, Sant’agata, (tutte della regola di s. benedetto); un orfanotrofio di cui si fa menzione nella bolla di Clemente vIII del 1603; un istituto intitolato a Sant’anna, dove sono accolte per prendere i voti solo le donne nobili; una casa di donne convertite. Infine la città ha il monte di pietà per alleviare la miseria dei poveri. Nella chiesa madre della città (che è molto grande e con una dote annuale di 7.000 scudi d’oro) è stata eretta da molti anni una collegiata in cui ascende a 24 il numero dei canonici, ai quali si devono aggiungere 4 dignità e cioè: prevosto, cantore, tesoriere, decano; tutti costoro indossano la cappa magna violacea e il rocchetto nelle feste più solenni; negli altri giorni festivi e feriali la mozzetta violacea o nera, secondo l’uso della Chiesa, in forza del diploma pontificio di Clemente vIII del 26 settembre 1603. a questi canonici per disposizione pontificia ne sono stati aggiunti altri 5, dotati da alcuni cittadini di Piazza; infine sono sostentati altri 12 sacerdoti beneficiati, che indossano l’epitogio nero e ogni giorno svolgono il loro servizio nel tempio. la cura delle anime e di tutta la chiesa madre spetta alle 4 dignità. In questa città, esaminato tutto ciò che attiene al culto, mi sono preoccupato perché in tutte le parrocchie nei giorni di festa, da parte dei parroci e degli altri sacerdoti [fol. 226v] che prestano servizio nelle chiese, si insegnasse il catechismo agli incolti e ai bambini. Mi sono pure adoperato perché anche dai monasteri femminili fosse allontanata la gioventù dai costumi poco castigati (cosa che ho fatto in tutti i monasteri della mia dio330


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cesi). ho dato parimenti ordine che ogni mese da parte di persone ben determinate e di amministratori di sicura virtù si facesse il rendiconto al vicario foraneo di tutto ciò che riguarda i beni dei monasteri e degli edifici sacri. ho stabilito che nelle sedi destinate alle confessioni si affiggesse l’elenco dei casi riservati alla Santa Sede e a me, perché tutti i confessori potessero averli presenti, e non poco mi sono adoperato per la riforma di tutto il clero; un obiettivo che è stato felicemente raggiunto con grande vantaggio di tutti. ai sodalizi e alle confraternite ho dato prescrizioni più idonee; mi sono soffermato in particolare sul computo dei legati per evitare che fosse resa vana la volontà dei fondatori e diventassero privi di contenuto i testamenti in favore delle anime del purgatorio. Visita della città di Regalbuto e di altri centri abitati

Resta da riferire sulla città di Regalbuto e sui centri abitati di adernò, Paternò, Centuripe, biancavilla, Motta Sant’anastasia e gli eremiti di Iudica. la città di Regalbuto conta oltre 4.500 abitanti, e in essa sono istituite 2 parrocchie: la chiesa madre intitolata a San basilio e la chiesa Santa Maria della Croce. I conventi di religiosi sono 5: Sant’agostino, San Domenico, carmelitani, cappuccini e i riformati dello stesso s. agostino nel convento intitolato a Sant’antonio abate. I monasteri femminili sono 3: due obbediscono alla regola di s. benedetto, il terzo alla regola di s. agostino ed è soggetto alla giurisdizione e al governo del provinciale degli agostiniani. Poiché erano stati riscontrati alcuni abusi nell’amministrazione dei beni temporali sia di alcune chiese sia dei monasteri femminili, diedi delle prescrizioni [fol. 227r] su questo argomento, rafforzate dalle consuete pene e censure; emanai inoltre i decreti comuni a tutti i centri abitati della mia diocesi. la terra di adernò, soggetta nella giurisdizione temporale al duca di Montalto, conta oltre 9.960 abitanti; la chiesa madre è intitolata all’assunzione di Maria SS. ed è servita da numerosi sacerdoti cappellani, insigniti dell’epitogio; dai quali sono amministrati a turno i sacramenti. le famiglie di religiosi sono 4: Sant’agostino, San Domenico, i cappuccini e i minori osservanti di s. francesco. I monasteri femminili 2: Santa lucia e Santa Chiara (uno sotto la regola di s. benedetto, l’altro sotto la regola di s. francesco): per tutti ho provveduto sia con editti generali sia con alcune prescrizioni particolari. 331


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vicino ad adernò sorge il villaggio di Centuripe in cui vivono circa 1.300 abitanti. la chiesa madre è intitolata all’Immacolata Concezione di Maria, e ad essa è soggetta la chiesa di Santa Maria della grotta. C’è inoltre un convento di religiosi riformati sotto la regola di s. agostino. ho visitato tutti questi luoghi ed ho emanato leggi per quelle cose che ho ritenuto fosse necessario attuare. Sul villaggio di biancavilla, vicino ad adernò, che conta lo stesso numero di abitanti {di Centuripe}, non c’è nulla da aggiungere a parte il fatto che ha 6 chiese: la matrice intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, San Rocco confessore, Santa Maria annunziata, Santa Maria Odigitria, Santa Maria di gesù e Sant’Orsola vergine e martire; ho dato le stesse prescrizioni impartite negli altri centri. Visita di Paternò, di Motta e degli eremiti di iudica

vivono a Paternò 5.800 abitanti; e sono 5 i conventi di religiosi: carmelitani, domenicani, cappuccini, conventuali di s. francesco ed eremitani [fol. 227v] di s. agostino. vi sono inoltre alcune chiese site sia dentro che fuori le mura: Santa Maria di giosafat e Santa Maria di Monserrato soggette ai venerabili padri benedettini della città di Catania, Santa Maria della Scala che è membro dell’abbazia di Nuovaluce della stessa città di Catania. C’è un unico monastero femminile intitolato a Santa Maria annunziata sotto la regola di s. benedetto. Inoltre si sta costruendo un altro monastero femminile e quanto prima, dopo aver ottenuto l’autorizzazione, le monache vi faranno il loro ingresso. Nel corso della visita di Paternò ho emanato alcuni decreti soprattutto per evitare le spese superflue fatte dai luoghi pii. la chiesa madre intitolata a Santa Maria dell’alto, nella quale sono amministrati i sacramenti a turno da 12 cappellani e sono celebrate le feste solenni, ha come aiuto nell’amministrazione dei sacramenti ai fedeli la chiesa di Santa barbara vergine e martire patrona del luogo; c’è ancora la chiesa di Santa Maria in cui vivono i padri dell’oratorio di s. filippo Neri, oltre all’ospedale per gli infermi; questi luoghi sono stati da me visitati e provveduti con le opportune disposizioni. Nel villaggio chiamato «Motta Sant’anastasia», soggetto allo stesso principe di Paternò, si contano quasi 800 abitanti, la cura dei quali è affidata a 2 sacerdoti. Il titolo della chiesa madre è Santa anastasia ad essa sono soggette 3 chiese minori: Santa Maria della Concezione, Santa Maria 332


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delle grazie e Sant’antonio di Padova, alle quali ho provveduto con congrui decreti. gli eremiti del monte Iudica sono stati visitati dal mio vicario foraneo di San filippo; la loro chiesa è intitolata a San giovanni battista; in essa diversi eremiti si dedicano a Dio e lavorano la terra per sostentarsi secondo l’uso degli antichi anacoreti; tutti costoro nelle cose spirituali sono soggetti all’autorità del vescovo di Catania [fol. 228r]. Visita della città di Aidone e dei centri abitati di Pietraperzia, Barrafranca e Valguarnera

la città di aidone conta 6.700 abitanti; in essa una volta c’erano 3 conventi di religiosi: San francesco, carmelitani e Sant’agostino; ma ora dopo, la loro soppressione, le chiese sono servite dai sacerdoti secolari. C’è un unico monastero femminile, intitolato a Santa Caterina da Siena, sotto la regola di s. Domenico. la chiesa madre, intitolata a San lorenzo, ha un cappellano curato con un beneficio che è di diritto di patronato dell’eccellentissimo conte, stabile colonna; la chiesa di Santa Maria lo Piano aiuta la matrice come vice parrocchia. Ci sono un convento di cappuccini ed un altro di frati minori dell’osservanza riformati, intitolato a Santa Rosalia. Si trovano anche l’ospedale per gli infermi intitolato a San Tommaso ed altre chiese minori da me visitate e provviste con opportune disposizioni; in particolare ho preso provvedimenti per la clausura del monastero. Nella terra di Pietraperzia vivono sotto l’autorità del principe circa 3.400 persone; c’è una sola parrocchia, la matrice, intitolata a Santa Maria della Stella. I conventi di religiosi sono 2: San Domenico e i riformati di s. francesco. Nessun monastero femminile; anche qui ho ripetuto quanto avevo fatto altrove ed ho emanato decreti. la terra di barrafranca ha quasi 3.000 abitanti e una parrocchia; una volta aveva un convento di francescani che è stato soppresso. Il borgo di valguarnera, sotto il dominio del principe, conta circa 1.200 abitanti. ha 2 chiese: la maggiore intitolata a San Cristoforo, l’altra all’Immacolata Concezione della beata vergine. Si è provveduto sufficientemente alle necessità spirituali di questi centri abitati [fol. 228v]. 333


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Visita di Aci Aquilia e dei sobborghi catanesi

la città di aci aquilia conta quasi 12.000 abitanti; ha 4 parrocchie e altrettanti conventi di religiosi: carmelitani, domenicani, frati minori dell’osservanza riformati, ai quali si devono aggiungere i cappuccini. la chiesa madre, molto ampia, intitolata all’annunciazione della beata vergine Maria, ha 15 sacerdoti insigniti dall’epitogio che esercitano la cura delle anime. C’è un monastero femminile istituito nel corso della visita pastorale, in cui sono state ammesse alcune fanciulle le quali, dopo aver rinunziato alle seduzioni del mondo, desiderose di vivere secondo la regola di s. benedetto, mi avevano chiesto insistentemente di entrare nella clausura; questa domanda fu accolta con grandissima gioia e con i ringraziamenti di tutto il popolo. ho visitato l’ospedale per gli infermi, il monte di pietà eretto per aiutare i poveri e le altre chiese minori, e dov’era necessario ho provveduto con opportuni rimedi e decreti. ho avuto cura dei luoghi pii, dei legati lasciati dai fedeli per la celebrazione delle messe ai defunti, delle confraternite e dei sodalizi, badando che non ne venisse loro alcun danno. Mi sono anche occupato della riforma del clero, e tutto quello che avevo fatto altrove è stato attuato in questo luogo e nelle frazioni di aci aquilia che sono: San filippo, Santa lucia, Consolazione, Santa Maria della Catena, San giacomo, Sant’antonio abate, bonaccorsi e valverde; ognuno di questi sobborghi ha la sua parrocchia, i suoi cappellani e insieme contano più di 5.000 anime; ho visitato tutti questi luoghi ed ho provveduto in particolare ai legati pii. Non lontano da qui sorgono alcuni casali una volta soggetti nelle cose temporali ai magistrati di Catania, mentre ora sottostanno al dominio di principi particolari. Questi casali sono: viagrande, Trecastagni, Pedara, San giovanni la Punta, San gregorio, Trappeto, Sant’agata, Tremestieri, Nicolosi, Mompileri [fol. 229r], Malpasso, Camporotondo, San Pietro, Misterbianco, Mascalucia, gravina, San giovanni galermo, aci Castello. Ognuno di questi casali ha la propria parrocchia e tutti insieme contano circa 24.000 abitanti; ad essi ho provveduto con opportuni e necessari decreti, come in tutte le altre città della mia diocesi. Tutti questi decreti sono stati confermati e promulgati nel mio sinodo diocesano, da poco con l’aiuto di Dio felicemente concluso nella chiesa cattedrale di Catania il 15 maggio 1668. ad esso rinvio. 334


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Sintesi dei dati sullo stato della chiesa cattedrale e delle altre chiese della città di Catania

la chiesa cattedrale di Catania è adornata di 5 dignità, di 12 canonici insigniti col rocchetto e la mozzetta, di altri 12 beneficiati, di 8 mansionari, del maestro cappellano e di altri 4 cappellani ornati della cotta e dell’almuzio. ha una collegiata insigne il cui prevosto è parroco; in essa vi sono 3 dignità, 19 canonici e 6 mansionari, tutti insigniti del cappuccio nero e della cotta. Chiese sacramentali coadiutrici della stessa cattedrale 5. Un seminario con 15 alunni. Conventi di religiosi 18. Monasteri femminili 11. Una casa di donne sottratte al peccato e convertite alla penitenza [fol. 229v]. Un orfanotrofio femminile. Un orfanotrofio maschile. Un ospedale per gli infermi e per i bambini esposti. Un ospizio per i pellegrini. Una commenda di San giovanni di gerusalemme. Un eremo. Sodalizi con le loro chiese 26, alcuni dei quali ogni anno danno la dote a delle ragazze per ritirarsi in monastero o per sposarsi. Confraternite con le loro chiese 6. Chiese minori o semplici 12. Congregazioni pie 18. Sacerdoti 160. Diaconi, suddiaconi e chierici 210. Chiese in tutto 91. Quarantore a turno in tutti i giorni con musica e pompa solenne. Dotazioni di ragazze per il matrimonio o l’ingresso in monastero. Università degli studi e di tutte le scienze come quella di bologna. famiglie circa 3.000. fedeli obbligati al precetto della comunione pasquale 10.000. abitanti della città 16.000 (eccettuati i sacerdoti secolari, i religiosi e le monache, che sono circa 1.000) [fol. 230r]. 335


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Sintesi delle notizie riguardanti tutta la diocesi

Il vescovo di Catania è conte di Mascali e cancelliere dell’Università degli studi di Catania. Oltre alla collegiata di Catania c’è un’altra collegiata insigne a Piazza. Un collegio di sacerdoti secolari. Persone con insegne 180. Chiese madri 40. Chiese sacramentali 32. Conventi di religiosi maschili 80. Monasteri femminili 35. Case di donne convertite 3. Orfanotrofi femminili 3. Ospedali per gli infermi e i bambini esposti 13. Ospizi per i pellegrini 2. Monti di pietà per gli infermi 13. luoghi di eremiti e di anacoreti 4. Sodalizi 92. Confraternite 77. Congregazioni 30. Chiese minori e semplici 276. Sacerdoti circa 1.050. Diaconi, suddiaconi e chierici circa 1.500. abbazie regie 2. Cappellanie regie 2. Doti per ragazze orfane ogni anno circa 30. Quarantore ogni giorno a turno. fedeli obbligati alla comunione pasquale circa 85.500 [fol. 230v]. la diocesi, con la città di Catania e i sacerdoti, i religiosi e le monache, conta circa 130.000 anime. I confini delle diocesi di Catania: a settentrione la diocesi di Messina, a occidente la diocesi di agrigento, a mezzogiorno la diocesi di Siracusa, a levante il mare. Tutti gli abitanti di questa diocesi professano la fede cattolica e non ho trovato nessuno (per grazia di Dio) che si fosse allontanato da essa. 336


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Prostrato umilmente ai piedi della Santità vostra presento questa relazione della diocesi di Catania pregando la Santità vostra che si degni accettarla. frattanto, mentre prego Dio Ottimo Massimo perché voglia conservare incolume e a lungo la Santità vostra elevata al soglio di Pietro, assieme a tutta la sua Chiesa cattolica, bacio com’è giusto i piedi della Santità vostra. Catania 15 agosto 1668 beatissimo Padre, della beatitudine e della Santità vostra indegnissimo servo fra Michelangelo, vescovo di Catania

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1671 – Manca il testo della relazione del vescovo Michelangelo bonadies, relativa ai trienni 28° e 29°, presentata nell’autunno del 1671 dal procuratore antonio Polizzi, canonico della cattedrale3.

Risposta e osservazioni della Congregazione del Concilio

[fol. 241r] Rev.mo Signore e fratello, antonio Polizzi canonico di cotesta cattedrale ha fedelmente portato a termine il compito che l’Eccellenza Tua gli ha affidato, di visitare in tuo nome le tombe degli apostoli per il trascorso ventottesimo triennio e per il ventinovesimo in corso. Egli, dopo aver venerato le basiliche dei santi apostoli, ha esibito agli Eminentissimi Cardinali incaricati di interpretare il Concilio di Trento la relazione sullo stato attuale di cotesta chiesa di Catania. Costoro, consta-

3 Rel Dioec 207 a, fol. 241r-v. Documenti relativi al testo della relazione mancante: 1) lettera del vescovo al papa: «beatissimo Padre, fr. Michelangelo bonadies vescovo di Catania humilissimo oratore della S. v. riverentemente l’espone come gli si avvicina il tempo di venire a visitare li sacri limini. E perché Padre Santo l’oratore non puole venire di persona stante che si ritrova in lunga età supplica la Santità vostra a volerli concedere licenza di potere mandare un canonico d’una delle sue collegiate, di il tutto lo riceverà a grazia dalla Santità vostra» (fol. 263r) con la nota «Mons. brancaccio ne parli» e la risposta: «Ex audientia SS.mi 2 martii 1671. SS.mus annuit» (fol. 237v); 2) altra lettera del vescovo al papa: «beatissimo Padre, fr. Michalangelo bonadies, vescovo di Catania humilmente espone alla S. v. come si trova esserli spirato il tempo di visitare li Sacri limini e ciò non solo per la sua grave età di quasi ottant’anni e continue indispositioni di podagra, dolori di fianchi et emigrania, ma anche per l’incendio passato del Mongibello, e potendo esser perciò incorso in censure, supplica la S. v. d’assolverlo e quanto prima procurerà che si adempisca l’obligo. Che il tutto etc.» (fol. 238r) con la nota: «a Mons. brancacci che ne parli» e la risposta: «Ex audientia SS.mi 6 maii 1671. SS.mus annuit procurator agat omnibus» (fol. 239v); 3) altra lettera del vescovo al papa: «beatissimo Padre, Essendosi compiaciuta la Santità vostra di concedere al vescovo di Catanea l’assolutione per non haver visitato li SS.mi limini nel vigesimo ottavo già scorso et insieme d’agratiarlo della proroga di sei mesi, desiderando hora il medesimo vescovo d’adempire la visita del vigesimo ottavo, supplica la S. v. di volerli ammettere ancora per il vigesimo nono sì per la distanza del luoco come anco per la tenuità di detta Chiesa che malamente l’oratore ci puole vivere, stante le rovine del fuoco fatte dal quel Moncibello, che il tutto le ricevirà a gratia della S. v.» (fol. 240r) con la nota sul dorso: «Mons. brancacci ne parli» e la risposta: «Ex audientia SS.mi va augusti 1671. SS.mus annuit» (fol. 243v).

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tando l’immane disastro verificatosi con la miserevole devastazione dell’eruzione dell’Etna, si sono compenetrati con paterna carità dei dispiaceri dell’Eccellenza Tua e in diversi modi ti hanno raccomandato al Signore, considerato che hai assolto i compiti più importanti del governo di un vescovo, visitando paternamente il tuo gregge, celebrando il sinodo per mantenere o riparare la disciplina ecclesiastica e il comportamento delle monache e non mancando di ripetere la visita nel rispetto dei termini stabiliti dal sacro Concilio di Trento. Per quanto riguarda la cura delle anime [fol. 241v], che in diversi casali è esercitata da cappellani deputati dall’Eccellenza tua, considerato che non hai specificato se questi cappellani sono perpetui o amovibili, gli Eminentissimi Padri hanno pensato di chiederti in risposta alla tua relazione di chiarire meglio la loro natura e di informarli più accuratamente sul mandato che hanno ricevuto. Sul problema della congrua, poiché è stato già reso noto all’Eccellenza Tua il pensiero di questa Sacra Congregazione, non hanno ritenuto di aggiungere altro all’infuori di esortarti a continuare perché faccia rispettare i tuoi diritti. visto che il caso è evidente e non c’è alcun motivo per dilungarsi in esortazioni, hanno pregato insistentemete Dio perché ti conservi a lungo in buona salute. Roma, 28 novembre 1671 dell’Eccellenza Tua come fratello Paluzzo Card. de alteriis, prefetto

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1675 – Relazione del vescovo Michelangelo bonadies, relativa al 30° triennio, scritta il 22 marzo 1675 e presentata nel mese di aprile dal procuratore gaspare Senese, canonico della collegiata di Piazza4.

Rel Dioec 207 a, fol. 267r-270v. alla relazione è allegata una lettera del vescovo al papa: «beatissimo Padre, fr. Michelangelo bonadies, vescovo di Catania, humilissimo oratore della S. v. gl’espone come per la sua gran vecchiezza e per essere mal’affetto, non puole essere nel prossimo anno santo di persona. Supplica pertanto la Santità vostra di concedergli licenza, che possa mandare in suo luoco un canonico delle collegiate che sono nella città o vero diocesi di Catania, che il tutto lo riceverà a gratia della Santità vostra» (fol. 244r) con la nota: «Per fr. Michelangelo bonadies, vescovo di Catania. Cathanen. visitatio ss. liminum pro triennio 30°. Mons. brancacci ne parli» e la risposta: «SS.mus annuit» (fol. 245v) e una lettera analoga indirizzata a mons. Stefano brancaccio, segretario della Congregazione del Concilio (fol. 246r). Seguono altri documenti: 1) certificato medico sulle condizioni del vescovo, rilasciato il 20 marzo 1675 (fol. 247r) e accompagnato da un attestato del senato di Catania (fol. 249r); 2) procura notarile per don gaspare Senese, canonico della collegiata di Piazza, redatta dal notaio Principio Pappalardo di Catania il 21 marzo 1675, alla presenza dei testi valentino bonadies s.t., u.i.d. e antonino la Rocca (fol. 252r254v); 3) due lettere del vescovo al prefetto della Congregazione del Concilio e ai cardinali della stessa, del 21 marzo 1675 (fol. 258r-259r); 3) lettera del vescovo al papa, del 22 marzo 1675 (fol. 257r) 4) una dichiarazione del capitolo della cattedrale del 22 marzo 1675 (fol. 255r-256r; 263r); 5) due certificati della visita alle basiliche del 20 aprile 1675 (fol. 250r, 251r); 6) una nota della Congregazione: «Il vescovo di Catania ha visitato per la terza volta le tombe degli apostoli mediante un canonico della collegiata con il permesso del Santo Padre. Nella relazione presentata è descritto lo stato della Chiesa e si evince che il vescovo cura l’osservanza delle costituzioni sinodali da lui stesso emanate, ha ispezionato le chiese nella visita pastorale, ha amministrato ai sudditi il sacramento della confermazione e ha osservato gli altri doveri del suo ministero episcopale». (Questo documento si trova fuori posto al fol. 10r); 7) una lettera del prefetto della Congregazione al vescovo: «Reverendissimo Signore e fratello, gaspare Senese, canonico della collegiata di Piazza, che l’Eccellenza Tua ha incaricato di visitare le tombe degli apostoli per il passato triennio, anche se non fa parte del capitolo della cattedrale, è stato ammesso per speciale indulto del Santo Padre e ha portato a termine il suo mandato con devozione e diligenza. Infatti ha visitato le sante basiliche dei principi degli apostoli, ha dato il resoconto dell’amministrazione della vigna che l’Eccellenza Tua coltiva, per averla avuta in affidamento e in custodia dal grande Padre e ha descritto dettagliatamente nella S. Congregazione del Concilio l’attuale stato di codesta Chiesa. Dall’esame di essa gli Eminentissimi Padri hanno potuto constatare che l’Eccellenza Tua difende strenuamente l’immunità ecclesiastica, cura efficacemente il progresso delle anime e compie con diligenza gli altri principali doveri dell’ufficio del vescovo; perciò complimentandosi si augurano che come ottimo operaio, dopo aver accumulato molti meriti, possa ricevere la giusta mercede da Cristo Signore. Continui l’Eccellenza Tua ad aspirare sempre di più ai carismi più grandi, mentre preghiamo per la Tua salute. Roma, 16 novembris 1675. Paluzzo De alteriis» (fol. 266r). 4

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[fol. 267r] beatissimo Padre, durante il primo triennio del mio episcopato ho percorso con tutta la sollecitudine possibile questa chiesa e diocesi di Catania, di cui ho visitato personalmente tutte le chiese e i monasteri, l’ho rafforzata con gli insegnamenti, l’ho resa salda con i decreti, ho confermato come era giusto il clero e i fedeli con le esortazioni e le correzioni, ho conferito a molti la confermazione, rendendo noti a tutti i vizi e le virtù. Conclusa la visita della diocesi, ho indetto il sinodo diocesano, l’ho riunito, l’ho solennemente celebrato nella cattedrale, ho distribuito nella diocesi le costituzioni sinodali formulate dopo matura consultazione, imponendone a tutti l’osservanza, ho venerato le tombe dei Santi apostoli ed ho presentato rispettosamente alla S. Congregazione del Concilio lo stato di tutta la diocesi e di tutte le chiese, come risulta dalla lettera della S. Congregazione del 15 dicembre 1668. Nel secondo triennio del mio episcopato ho di nuovo visitato personalmente tutta la diocesi e tutte le chiese amministrando il sacro crisma ai singoli fedeli, ho riparato con tutta la carità e diligenza possibile le distruzioni prodotte dall’eruzione dell’Etna, aiutando con elargizioni il popolo che fuggiva, soprattutto i poveri, ristorando i corpi, abbracciando e prendendomi cura dei singoli con tutto il rispetto della pietà, confermando e rafforzando tutti con salutari ammonizioni; dopo essermi opportunamente consultato, con il dovuto decoro, in compagnia dei parenti e dei canonici, non senza fatica e tristezza mi sono adoperato per trasferire con tutte le suppellettili in altri luoghi vicini le monache, le quali per paura del fuoco divorante erano, ohimè, costrette ad abbandonare i propri monasteri. In compagnia delle stesse persone, dopo alcuni mesi, quando la lava si fermò, riaccompagnai le monache nei loro monasteri, le incoraggiai e non senza commozione le confortai nel Signore. Dopo di che, ricordandomi dei miei doveri di vescovo e dei precetti del sacrosanto Concilio di Trento, ebbi cura di fare una seconda volta la visita ad sacra limina e poiché ne ero impedito a farlo personalmente a causa dell’età e della malferma salute, adempii quest’obbligo per mezzo di D. antonio Polizzi, canonico di questa chiesa cattedrale, inviando alla Santità vostra una dettagliata relazione sullo stato della diocesi e della chiesa di Catania, come risulta dalla lettera della S. Congregazione del Concilio del 28 novembre 1671. Essendosi concluso il terzo triennio del mio episcopato, vengo per la terza volta, umilmente prostrato ai piedi della Santità vostra, per visitare le tombe dei santi apostoli. Considerato che per la tarda età di oltre settant’anni, per la malferma salute e le continue malattie di cui soffro non posso 341


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assolvere personalmente questo compito e sopportare un viaggio così difficoltoso, ho deciso di destinare il can. gaspare Senese [fol. 267v], del capitolo della chiesa collegiata della città di Piazza, dottore in utroque iure, a venire ai piedi della Santità vostra e venerare le tombe degli apostoli in mio nome; egli farà le mie veci ed esibirà umilmente alla vostra beatitudine e agli Eminentissimi Padri a ciò incaricati la relazione di questa chiesa. Pertanto supplico umilmente e con ogni riverenza la Santità vostra che voglia accoglierlo con la consueta benevolenza perché con la sua paterna bontà possa condolersi dell’attuale stato della chiesa di Catania. In questo triennio del mio episcopato ho visitato per la terza volta questa diocesi di Catania; con sollecitudine mi sono preoccupato di fare osservare da tutti le costituzioni sinodali; ho raccomandato caldamente ancora una volta ai parroci e ai cappellani la celebrazione dei sacramenti e il decoro delle chiese; con affetto ho promosso i buoni costumi nei chierici e nei fedeli e ho detestato e corretto i cattivi; ho ordinato ai parroci di insegnare nei giorni festivi il catechismo agli incolti e ai bambini; nel corso della visita girando per le città, le parrocchie, le chiese, gli ospedali, i diversi luoghi ed esaminando singolarmente ogni cosa, com’era mio dovere, ho proposto, ho prescritto e ho incoraggiato tutto ciò che mi è sembrato necessario per la salvezza delle anime, il decoro del culto divino e quello delle chiese; ho amministrato il sacro crisma nei diversi luoghi. Ma poiché nelle altre relazioni già trasmesse ho dato di questa chiesa e diocesi di Catania dettagliate ed ampie notizie, ora mi sarà consentita una descrizione più ridotta e concisa dell’attuale stato; iniziando dalla mensa vescovile è opportuno richiamare alla memoria quanto ho scritto nell’ultima relazione del triennio trascorso. La mensa vescovile

la mensa vescovile di Catania una volta era ricca di circa 28.000 scudi annui, in seguito fu stimata per 24.000, al tempo del nostro ingresso nella sede episcopale ho constatato che i frutti di tutta la mensa non superavano i 20.000 scudi; e questa cifra avevano segnato e indicato sia alcuni miei predecessori sia la regia curia. ho trovato la mensa così gravata di debiti e di pensioni che i frutti a stento bastavano a pagare gli oneri, dal momento che la mensa paga ogni anno per il sostentamento della chiesa cattedrale, annessi e connessi, 4.000 scudi, per contributi paga alla regia 342


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curia 3.000 scudi, ai titolari di pensioni 12.400 scudi ed infine per spese di amministrazione spende 1.000 scudi, al punto che gli oneri e le pensioni sono superiori ai frutti della mensa e per il sostentamento del vescovo e della sua famiglia non resta neppure uno spicciolo. E questo va considerato soprattutto dopo l’eruzione dell’Etna. Esso, devastando i centri abitati, i diversi luoghi, i terreni, le vigne, i poderi gli edifici fino alle mura della città di Catania comprese, danneggiò notevolmente anche la mensa vescovile che racchiude quasi tutti i suoi proventi [fol. 268r] nel territorio di Catania, con la perdita di 4.000 scudi d’oro ogni anno. Così attualmente la mensa vescovile non può né pagare i debiti, né dare al vescovo la congrua. Perciò sono stato costretto a chiedere la congrua per gli alimenti e ad offrire l’amministrazione di tutto ad un economo nominato dalla regia curia; ma non sono riuscito ad ottenere nulla e trascorro i giorni nella confusione e nella miseria aspettando l’aiuto dal cielo. Queste notizie erano già contenute nell’ultima relazione, oggi le confermo. aggiungo tuttavia che finalmente, per ordine della nostra serenissima Regina di Spagna e del viceré di Sicilia, mi sono stati assegnati dalla Regia Monarchia, per gli alimenti, 4.000 scudi annui dai frutti della mensa vescovile, fino a quando non sarà stabilita la congrua canonica, dopo che saranno stati consultati i creditori e soprattutto i titolari di pensioni, che a tutt’oggi presumono di contestare gli alimenti presso la Regia Monarchia: ad essa infatti, in qualità di economo delegato, è stata affidata l’amministrazione delle rendite della mensa vescovile fino a quando questa stessa, con la grazia di Dio, non si sarà liberata di tutti i debiti e potrà essere amministrata comodamente dal proprio amministratore ordinario, facendo a meno dell’economo delegato. La chiesa cattedrale

la celebre chiesa cattedrale della nobilissima e antichissima città di Catania è insignita del vescovo che ha il titolo di conte di Mascali, di cui crea gli officiali, e di cancelliere dell’almo Studio dell’Università, nella quale presiede il collegio dei laureandi e firma i diplomi di laurea. È adornata di 5 dignità, cioè: priore, cantore, decano, tesoriere, arcidiacono, con 12 canonici che, insigniti del rocchetto e della mozzetta, insieme formano il capitolo che nelle funzioni suole portare la mazza d’argento; vi sono pure: 12 beneficiati, chiamati anche secondari, che insieme ai canonici e alle dignità recitano ogni 343


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giorno a settimane alterne le ore canoniche; il maestro cappellano e il cerimoniere, che coadiuvati da altri 4 cappellani, insigniti della cotta e dell’epitogio, hanno il compito di amministrare i sacramenti parrocchiali. Questa chiesa cattedrale ha 5 chiese sacramentali coadiutrici sparse per la città. ha un solo seminario di chierici con 15 alunni, che prestano il loro servizio nella chiesa ed assistono in particolar modo al coro nei giorni festivi. I conventi religiosi maschili sono 18. I monasteri femminili 12, dei quali 3 sottostanno all’autorità dei frati minori di s. francesco dell’osservanza [fol. 268v]. vi sono inoltre: una casa per donne convertite, un’altra per ragazze orfane e un’altra ancora per ragazzi orfani; un ospedale per gli infermi e per i bambini esposti; un monte di pietà per i medicinali agli infermi, i vestiti per i poveri e la dote alle ragazze orfane; una commenda di San giovanni di gerusalemme; un eremo per sacerdoti devoti, sito fuori le mura chiamato «la Mecca». Sono 26 i sodalizi con le loro chiese, delle quali alcune ogni anno danno la dote ad alcune ragazze per il matrimonio o per ritirarsi in monastero; le confraternite con le loro chiese sono 6; le chiese minori o semplici 12; le pie congregazioni 18. I sacerdoti sono circa 160; i chierici oltre 200. le chiese sono in tutto 90. C’è anche la preghiera delle quarantore ogni giorno a turno, con musica e pompa solenne. Inoltre si hanno le doti per alcune ragazze orfane che intendono sposarsi o ritirarsi in monastero. la città di Catania ha fin dall’antichità lo Studio di tutte le scienze, simile a quello di bologna con la facoltà di rilasciare il dottorato. le famiglie sono 3.489. le anime 13.000 [fol. 269r]. La diocesi

la diocesi di Catania è antichissima. Eretta al tempo dei santi apostoli da s. berillo, inviato da s. Pietro in Sicilia, vicino al famoso monte Etna, ha per confini: a settentrione la diocesi di Messina, a occidente la diocesi di agrigento, a mezzogiorno la diocesi di Siracusa, a oriente il mare. Oltre alla chiesa cattedrale ha 3 chiese collegiate: una a Catania inti344


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tolata a s. Maria dell’Elemosina con 3 dignità: prevosto (che è parroco), cantore, tesoriere e 20 canonici con prebende attualmente molto tenui, insigniti della cotta e del cappuccio; 6 mansionari, il cerimoniere, un cappellano sacramentale, rivestiti della cotta e dell’epitogio. Tutti nei giorni di festa recitano in coro le ore canoniche e cantano la messa. la seconda collegiata nella chiesa madre della città di Piazza è insignita di 4 dignità, le quali in quanto parroci amministrano a settimane alterne i sacramenti: il prevosto, il cantore, il tesoriere e il decano, con 22 canonici, adornati del rocchetto, della mozzetta e della cappa magna, 14 beneficiati insigniti dell’epitogio. Tutti costoro ogni giorno recitano in coro le ore canoniche alternativamente per settimana e cantano ogni giorno solennemente la messa. la terza collegiata si trova nella chiesa madre della città di Paternò, intitolata a Santa Maria dell’alto, che ha 3 dignità (il prevosto, il cantore e il tesoriere), le quali in quanto parroci hanno la cura delle anime; 12 canonici e 6 mansionari insigniti dell’epitogio; recitano tutti le ore canoniche e cantano solennemente la messa. la diocesi conta molte città, un giorno ricche e popolose, ma da alcuni anni, Dio permettendo, per la miseria e la mortalità esse sono andate decadendo. Questi sono i dati: Città Catania Piazza San filippo d’agira Regalbuto Enna Calascibetta aci

Numerosi paesi Paternò adernò [fol. 269v] Pietraperzia barrafranca valguarnera fenicia, un tempo Malpasso aci San filippo

anime 13.036 11.272 7.982 3.537 8.000 3.563 11.336

anime 5.000 5.783 3.970 1.625 850 1.300 1.540 345


Michelangelo Bonadies (1665-1686)

Numerosi paesi bonaccorsi Nicolosi Mirabella aidone assoro Centuripe leonforte Motta aci Sant’antonio valverde acicatena biancavilla

anime 794 774 400 5.400 4.000 1820 4.157 400 1.720 987 1.250 4.300

Casali di Catania che sono governati da cappellani amovibili Casali Misterbianco Mompileri Mascalcia gravina Trecastagni San giovanni la Punta Sant’agata San gregorio San Pietro Camporotondo galermo Pedara viagrande Tremestieri Trappeto acicastello

anime 1.000 200 875 865 2.240 998 363 582 406 240 375 2.000 2.370 1.362 332 200

Chiese madri 42, chiese sacramentali assistite da cappellani amovibili 32. 346


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Parroci o rettori 14, le altre chiese sacramentali sono governate da cappellani amovibili. Conventi di religiosi maschili circa 80. Monasteri femminili 35. Case di donne convertite 3. Orfanotrofi femminili 3. Ospedali per infermi e per bambini esposti 13. Ospizi per pellegrini 2. Monti di pietà 13. Ritiri per eremiti e anacoreti 5. Sodalizi 92 [fol. 270r]. Confraternite 77. Congregazioni 30. Chiese minori o semplici 276. Sacerdoti circa 1.050. Monache circa 700. abbazie regie 2. Cappellanie regie 2. Dotazioni di ragazze orfane ogni anno circa 30. Quarantore quotidiane a turno. fedeli obbligati al precetto della comunione circa 60.000. anime di tutta la diocesi oltre 100.000. Tutti professano la fede cattolica; per grazia di Dio non ho trovato nessun eretico. Prostrato umilmente e con reverenza ai piedi della Santità vostra presento questa terza relazione sull’attuale stato della diocesi di Catania, pregando con riverenza la Santità vostra di accoglierla favorevolmente. Intanto prego incessantemente Dio Ottimo Massimo perché conservi incolume con tutta la Chiesa cattolica la Santità vostra eletta per disposizione della Divina Provvidenza al soglio di s. Pietro e com’è giusto bacio gli amorevolissimi piedi della Santità vostra. Catania, 22 marzo 1675. della beatitudine e della Santità vostra umilissimo e indegnissimo servo fr. Michelangelo vescovo di Catania

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1679 – Relazione del vescovo Michelangelo bonadies, relativa al 31° triennio, scritta il 9 marzo 1679 e presentata dal procuratore gaspare Senese, canonico della collegiata di Piazza5.

[fol. 278r] beatissimo Padre, vengo per il quarto triennio del mio episcopato catanese ai piedi della Santità vostra per la visita ad limina e poiché non posso farlo personalmente, considerato che sono ultra settantenne e le mie non buone condizioni di salute non mi consentono di affrontare un viaggio così lungo e disagevole, ho pensato di inviare in mio nome il canonico gaspare Senese del capitolo della chiesa collegiata di Piazza, perché si prostri ai piedi della Santità vostra e veneri le tombe degli apostoli; egli farà le mie veci ed esibirà umilmente alla Santità vostra e agli Eminentissimi Padri incaricati la relazione sullo stato di questa chiesa di Catania. Supplico pertanto umilmente e con ogni riverenza la vostra beatitudine di accoglierlo con la consueta benevolenza e di condolersi con paterna carità dell’attuale stato di questa Chiesa. In questo quarto triennio l’immane guerra provocata dalla rivoluzione di Messina è cresciuta a tal punto per oltre quattro anni, in queste parti della Sicilia e soprattutto in queste nostre regioni, da provocare non solo la rovina dei centri abitati, il disfacimento delle terre, la dispersione delle

5 Rel Dioec 207 a, fol. 278r-283v. alla relazione sono allegati i seguenti documenti: 1) una lettera del vescovo al segretario della Congregazione del concilio: «Ill.mo e Rev.mo Sig. mio Padrone colendissimo, complendo col mio obligo di visitar li sacri limini de’ SS.ti apostoli, giaché non posso farlo di presenza per la mia cadente età e continue indisposizioni, mando con la permissione di Sua Santità al can. gaspare Senese, drizzandola sotto gli auspici di v. S. Ill.ma, alla quale supplico vivamente che si compiaccia favorirlo della sua protettione et amparo, per far gratia a me tanto divoto servitore di v. S. Ill.ma, di intendere dal medisimo canonico e dalle scritture che le presenterà lo stato di questa Chiesa e Diocesi e favoriscami ancora la S. v. Ill.ma col suo ritorno di molti suoi comandamenti per esercitar le mie infinite obligationi di servitore, mentre bacio a v. S. Ill.ma mille volte le mani. Catania, 9 marzo 1679. Di v. S. Ill.ma e Rev.ma. devotissimo et obligatissimo servo. fr. Michel angelo, vescovo di Catania» (fol. 272r); 2) altre lettere di contenuto analogo indirizzate al prefetto e ai membri della Congregazione del Concilio, al papa (fol. 273r-275r); 3) procura per il canonico della collegiata di Piazza gaspare Senese s.t. e u.i.d., redatta dal notaio Principio Pappalardo, il 9 marzo 1679, II ind., alla presenza dei testi D. antonino la Rocca e D. giovanni Tommaso Sciacca (fol. 276r-277v).

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genti, la perdita di tanti uomini, la devastazione delle cose e dovunque la massima confusione, ma anche non pochi danni alle chiese, ai monasteri, ai luoghi pii e alle persone ecclesiastiche e mi ha tenuto talmente occupato e costretto a rimanere in città da non consentirmi di visitare la diocesi se non dopo che furono sedati i disordini, e partirono i nemici e i soldati; tutto questo ha determinato un ritardo nella mia doverosa missione ad sacra limina [fol. 278v]. Ristabilita la pace e riordinate le cose, iniziai, proseguii e con sollecitudine completai la visita della diocesi. Dovunque trovai distruzioni e miserie grandissimi: soprattutto le chiese, i monasteri femminili e maschili furono depauperati a causa della guerra. Tuttavia ho aiutato e consolato tutte le persone che ho potuto, sia con le elemosine sia con le esortazioni. ai parroci e ai cappellani delle chiese ho raccomandato l’amministrazione dei sacramenti e il decoro delle chiese; ho incoraggiato affettuosamente i chierici ai buoni costumi; ho rimproverato e corretto con zelo i depravati; ho ordinato ai parroci di insegnare il catechismo ai bambini e agli incolti nei giorni festivi; nel corso della visita ho prestabilito, ho deliberato e ordinato tutto ciò che mi sembrava necessario al culto divino, al decoro delle chiese e alla salvezza delle anime, ispezionando le parrocchie, le chiese, gli ospedali e tutti i luoghi, indagando su ognuno di essi secondo il mio dovere e infine amministrando il sacro crisma nei singoli luoghi. La mensa vescovile

Su questa chiesa e diocesi di Catania nelle altre relazioni da me inviate ho dato nei trienni trascorsi dettagliate ed ampie informazioni; ora mi sia consentito di dare una sintetica descrizione dello stato attuale. Iniziando dalla mensa vescovile, mi rimetto a quanto ho detto nell’ultima relazione dello scorso triennio. Ripeto solamente che la mensa vescovile di Catania, un tempo ricca, ai nostri giorni è talmente povera, gravata di oneri e di pensioni che i suoi frutti [fol. 279r] non bastano a pagare i debiti. Considerato che dai frutti della mensa vescovile per il sostentamento del vescovo e della sua famiglia non restava neppure uno spicciolo e che non avevo potuto ottenere la sostentazione canonica, ho dovuto accettare il contributo di 4.000 scudi datomi per ordine regio sui frutti della mensa dalla Regia Monarchia, che attualmente amministra la mensa vescovile e paga i creditori in qualità di economo delegato, fino a quando (a Dio piacendo) 349


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essa, liberata dai debiti, potrà essere gestita dal proprio vescovo e amministrata senza la necessità dell’economo. La chiesa cattedrale

la celebre chiesa cattedrale della nobilissima città di Catania è onorata dalla residenza del vescovo che si fregia del titolo di conte di Mascali e di cancelliere dell’almo Studio dell’Università; egli presiede il collegio per il conferimento delle lauree e ne firma i decreti. È adornata di 5 dignità: priore, cantore, decano, tesoriere e arcidiacono e di 12 canonici insigniti del rocchetto e della mozzetta; tutti formano il capitolo, che nelle funzioni è solito portare la mazza d’argento; assieme ad altri 12 beneficiati, chiamati secondari, i canonici e le dignità recitano ogni giorno, in coro, le ore canoniche alternativamente per settimana. Parimenti la chiesa ha il maestro cappellano, il cerimoniere, 4 cappellani per amministrare i sacramenti parrocchiali [fol. 279v] e altri 8 mansionari insigniti della cotta e dell’epitogio. ha 5 chiese sacramentali coadiutrici sparse per la città, nelle quali i cappellani amovibili prestano il loro servizio amministrando i sacramenti parrocchiali. ha il seminario dei chierici con 15 alunni; dai superiori incaricati sono bene educati e istruiti con diligenza; servono devotamente nella cattedrale ed assistono al coro soprattutto nei giorni festivi. La città di Catania

la nobilissima e antichissima città di Catania conserva l’antica Università degli studi di tutte le scienze simile a quella di bologna secondo i propri privilegi. ha circa 4.000 famiglie e 17.125 abitanti. I conventi di religiosi sono 18. I monasteri femminili 12, dei quali 3 sono retti dai frati minori di s. francesco dell’osservanza. Una casa di donne pentite, una per ragazze e un’altra per ragazzi orfani. Un ospedale per infermi e i bambini esposti. Un ospizio per pellegrini. 350


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Un monte di pietà per le medicine agli infermi, gli indumenti ai poveri e la dote alle ragazze orfane. Una commenda di San giovanni di gerusalemme. Un eremo sito fuori le mura chiamato «la Mecca» per sacerdoti pii e desiderosi di vivere in solitudine. 26 sodalizi con le loro chiese, alcuni di essi ogni anno danno la dote per consentire alle ragazze di sposarsi o di farsi monache. 6 confraternite con le loro chiese [fol. 280r]. 12 chiese semplici. 18 congregazioni pie. Circa 160 sacerdoti. Oltre 200 chierici. Tutte le chiese della città sono 90. C’è inoltre la preghiera delle quarantore a turno ogni giorno con musica e pompa solenne. Diverse doti per il matrimonio o per l’ingresso in monastero di alcune ragazze orfane. La diocesi

l’antichissima diocesi di Catania, fondata vicino al monte Etna al tempo degli apostoli da s. berillo, inviato da s. Pietro in Sicilia, ha questi confini: a settentrione la diocesi di Messina, ad occidente la diocesi di agrigento, a mezzogiorno la diocesi di Siracusa, ad oriente il mare. Oltre alla chiesa cattedrale ha 3 collegiate: una a Catania intitolata a Santa Maria dell’Elemosina con 3 dignità: il prevosto che è parroco, il cantore, il tesoriere e 20 canonici insigniti della cotta e del cappuccio; che al presente hanno delle prebende insignificanti; ci sono inoltre sei mansionari, il cerimoniere e un cappellano sacramentale, anch’essi adornati del cappuccio; tutti costoro nei giorni festivi recitano in coro le ore canoniche e cantano solennemente le messe. Un’altra collegiata è istituita nella chiesa madre della città di Piazza; ha 4 dignità che in quanto parroci amministrano i sacramenti (prevosto, cantore, tesoriere e decano con 22 canonici [fol. 280v], adornati del rocchetto, della mozzetta e della cappa magna), e 12 beneficiati insigniti dell’epitogio; tutti costoro ogni giorno recitano in coro le ore canoniche alternativamente ogni settimana e cantano solennemente la messa. 351


Michelangelo Bonadies (1665-1686)

la terza collegiata si trova nella città di Paternò nella chiesa madre intitolata a Santa Maria dell’alto con 3 dignità: prevosto, cantore e tesoriere, che in quanto parroci esercitano la cura delle anime; assieme a 12 canonici e 6 mansionari insigniti dell’epitogio recitano le ore canoniche e cantano solennemente la messa. la diocesi ha nei suoi confini molte città, una volta ricche e popolose, ma da alcuni anni (Dio permettendo) diventate povere; i loro abitanti sono inoltre diminuiti a causa della carestia, delle epidemie, delle eruzioni dell’Etna, della guerra. Città Catania Enna San filippo d’agira Regalbuto Piazza Calascibetta aci

Terre Paternò aidone Pietraperzia barrafranca valguarnera fenicia aci Sant’antonio bonaccorsi biancavilla adernò assoro Centuripe leonforte Motta aci San filippo valverde Nicolosi Mirabella [fol. 281r] 352

anime 17.125 9.118 8.331 3.530 12.841 4.158 11.261 anime 5.000 5.825 3.780 2.590 1.250 1.300 1.865 830 4.300 5.700 3.226 1.800 4.961 400 4.004 974 848 400


Michelangelo Bonadies (1665-1686)

Misterbianco San Pietro Mascalcia galermo Trecastagni San giovanni la Punta Sant’agata San gregorio Mompileri Camporotondo gravina Pedara viagrande Tremestieri Trappeto acicastello

1.000 508 1.538 404 3.406 1.020 350 657 462 276 960 2.027 2.000 1.156 303 200

Questa tabella consente di avere in breve e in modo sintetico l’intero stato della diocesi la diocesi di Catania, oltre alla cattedrale e a 3 collegiate, ha 40 chiese madri. Chiese sacramentali servite da cappellani amovibili 32. Parroci o rettori 14, mentre le altre chiese sono rette da cappellani amovibili. Conventi di religiosi maschili circa 80. Monasteri femminili 35. Case per donne pentite 3. Case per ragazze orfane 3. Ospedali per infermi e bambini esposti 13. Ospizi per i pellegrini 2. Monti di pietà 13 [fol. 281v]. luoghi per eremiti e anacoreti 5. Sodalizi 92. Confraternite 77. Congregazioni 30. Chiese minori e semplici 276.

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Michelangelo Bonadies (1665-1686)

Sacerdoti circa 1.050. Chierici circa 1.500. Monache circa 700. abbazie regie 2. Cappellanie regie 2. Doti per ragazze orfane circa 30 ogni anno. Preghiera delle quarantore a turno ogni giorno. I fedeli obbligati al precetto della comunione sono circa 90.000. Infine tutta la diocesi, compresi gli ecclesiastici, conta 130.000. abitanti; tutti professano la fede cattolica e nessuno (per grazia di Dio) si è allontanato da essa. Presento questa breve relazione sull’attuale stato di questa diocesi di Catania umilmente prostrato ai piedi della Santità vostra, supplicandola rispettosamente che nella sua benevolenza si degni accoglierla. frattanto, assieme a tutta la diocesi, prego umilmente Dio ottimo massimo per l’incolumità della Santità vostra e di tutta la Chiesa cattolica e baciando gli amorevolissimi piedi della Santità vostra chiedo la paterna benedizione. Catania, 9 marzo 1679 della beatitudine vostra umilissimo servo fr. Michelangelo vescovo di Catania

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Michelangelo Bonadies (1665-1686) xvIII

1682 – Relazione del vescovo Michelangelo bonadies, relativa al 32° triennio, scritta il 1° marzo 1682 e presentata nel mese di aprile dal procuratore Pietro gravina de Cruyllas, canonico della cattedrale6.

Rel Dioec 207 a, fol. 288r-292v. al vescovo era stata concessa una proroga dalla Congregazione: «Catanien. fuit concessa prorogatio sex mensium ad sacra limina visitanda. Romae, 15 novembris 1681» (Libri Litter Visit 1681-1685, fol. 5r). alla relazione sono allegati i seguenti documenti: 1) Una lettera del senato di Catania «Eminentissimi e Reverendissimi Signori, la stima che facciamo del singolar merito e virtù di questo nostro Prelato fra Michel angelo bonadies ci costituisce anche un obligo d’accompagnar al Dottor D. Pietro gravina e Croyllas, Canonico della Cattedrale di questa Città, che manda per complir col suo obligo di visitar li sacri limiti de’ Santi apostoli giaché la sua cadente età et habituali indispositioni non permettono di farlo di presenza e con tal occasione possiamo sinceramente attestar all’Eminenze vostre Rev.me che questo nostro Prelato in tutto il tempo del suo governo si è portato con tanto zelo e charità col suo gregge e con tanta prudenza et esemplarità di vita quanto ni resta edificato et ammirato tutto questo publico e diocesi et il Regno ancora, e crediamo ne sarà pervenuto in cotesta corte il buon odore del suo pastoral regimento havendo havuto molte occasioni di segnalarsi e far palese la sua virtù come nel tempo del fuoco di Mongibello e tempo di penuria mantenendo con suoi proprii alimenti li poveri della Città, e che da fuori vi concorrevano, et in quattr’anni che durò la guerra di Messina e qui stavamo nel mezzo de’ nemici applicò quanto teneva per li bisogni di tutti ch’è stata stimata a gran virtù, mentre che egli vive d’alimenti tenuissimi, e perché supponghiamo che il medesimo canonico rappresenterà all’Eminenze vostre lo stato di questa Chiesa e Diocesi noi solamente attestamo che il Prelato si trova assai bisognoso e perciò lo raccomandiamo efficacemente all’Eminenze vostre Rev.me supplicandole che si degnino favorirlo com’è proprio della loro pietà appresso la Santità di nostro Signore che noi con tutto questo publico ne conserveremo sempre vive le nostre obligationi verso l’Eminenze vostre Rev.me, alle quali per fine con riverente inchino baciamo le sacre vesti. li 22 di febraro 1682. Dell’Eminenze vostre Reverendissime servirtore. Il Senato di Catania. Carolo Scoto, segretario» (fol. 293r-v); 2) una lettera del vescovo «beatissimo Padre, non permettendomi la mia cadente età e grave convalescenza il poter essere a’ piedi di vostra beatitudine per l’obligo che tengo di visitar li sacri limini invio con la grata permissione di vostra beatitudine al sacerdote Don Pietro gravina Croyglias, canonico di questa cattedrale di Catania, che da mia parte sarà a portar a vostra beatitudine che si degni ammetterlo com’è proprio della sua paternal pietà et intender da lui lo stato di questa Chiesa, scusando a me che non posso essere di presenza a’ piedi di vostra beatitudine come bramerei, e si compiaccia favorirmi della sua santa beneditione mentre che io prego a nostro Signore che conceda a vostra beatitudine gli anni più felici che tutta la cristianità le desideramo et habbiamo di bisogno e bacio a vostra beatitudine inchinato i sacri piedi. Catania, a primo di marzo 1682 beatissimo Padre, di vostra beatitudine, humilissimo servo, fr. Michel angelo, vescovo di Catania» (fol. 294r-v); 3) un certificato attestante le malferme condizioni di salute del vescovo, firmato dal protomedico giovanni Marano e dai docenti dell’Università giov. battista Motta e giuseppe Margarito (fol. 297r), autenticato dal senato (fol. 297r-297v); 3) 6

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Michelangelo Bonadies (1665-1686)

[fol. 288r] beatissimo Padre, vengo ai piedi della Santità vostra per la visita ad limina del trentaduesimo triennio nell’ordine stabilito dalla S. Congregazione del Concilio e del quinto triennio del mio episcopato. Di buon grado avrei voluto essere presente di persona, ma essendo più che settantenne e debilitato nelle forze non ho alcuna speranza di poter affrontare la fatica di un così lungo viaggio; tuttavia, perché non trascuri nessuno degli obblighi del mio ufficio, ho destinato a questo compito don Pietro gravina de Cruyllas, canonico di questa cattedrale di Catania e dottore in utroque iure; egli, facendo le mie veci, presenterà umilmente alla Santità vostra e agli Eminentissimi Padri del sacro collegio lo stato di questa chiesa di Catania. Pertanto prostrato ai piedi della Santità vostra chiedo insistentemente che l’accolga con la consueta amorevolissima carità e che prenda visione cortesemente dell’attuale stato di questa chiesa. In questo quinto triennio del mio episcopato un accresciuto numero di mali ha afflitto questa diocesi e quasi tutta la Sicilia. Infatti, ristabilita la pace e sedata la ribellione di Messina, quando ognuno cercò di riordinare il patrimonio familiare, si rese conto dei gravissimi danni che aveva subìto:

la delega del vescovo al canonico della cattedrale Pietro gravina e Cruyllas (fol. 300r-v); 4) una dichiarazione firmata dai canonici della cattedrale: «Eminentissimi Signori Padroni colendissimi. Con la venuta del canonico Dott. D. Pietro gravina Cruyllas, che si porta così a Roma per visitar da parte del nostro Prelato fr Michel angelo bonadies i sacri limini, facciamo all’Eminenze vostre humilissima riverenza e siamo a significarle il sentimento del nostro Prelato di non poter essere di presenza a complir con tal’obligo per la sua cadente età e indispositioni continue di che vien travagliato. lo stato di questa Chiesa e Diocese sarà rappresentato all’Eminenze vostre dal medesimo canonico e dalle scritture che porta e circa il temporale possiamo dire che stando l’effetti del vescovato in deputatione per non essere suffetturi a pagar li tanti pesi e pensioni il Prelato vive di limititati alimenti, che gli sono stati segnalati e la Chiesa si mantiene con quel che le soccorre il medesimo deputato. le qualità poi, meriti e virtù di questo buon Prelato non han bisogno di propalatione, mentre che sarà ben nota anche alla Corte Romana la sua virtù e come in questa Città, Diocese e Regno s’ha acquistato il concetto di ben degno e zelante Pastore, possedendo e facendo mostra nel suo governo di tutte le circospettioni e integrità che si riconoscono in un santo Prelato esercitando la carità e pietà co’ poveri, la giustizia con tutti e la magnanimità co’ meritevoli, con che si rende capace della gratia e protettione dell’Eminenze vostre e della benedittione di Sua beatitudine, che Dio ci guardi mill’anni, mentre all’Eminenze vostre baciamo riverentemente le sacre vesti. Catania, 3 di marzo 1682» (fol. 302r-v); 5) la procura redatta dal notaio Principio Pappalardo, il 25 febbraio 1682, v ind., alla presenza dei testi chierici D. Marco antonio Pennisi e D. Matteo Musumeci per il canonico della cattedrale, dott. in utroque iure D. Pietro gravina e Cruyllas, autenticata del senato (fol. 304r-305v); 6) Due certificati della visita alle basiliche di San Pietro del 9 aprile 1682 (fol. 295r) e di San Paolo del 10 aprile 1682 (fol. 296r).

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Michelangelo Bonadies (1665-1686)

i campi erano stati devastati, i censi trascurati, le somme chieste in prestito erano insufficienti alla riparazione. anche le stesse chiese, i monasteri, i luoghi pii e le altre persone ecclesiastiche ebbero la possibilità di constatare che erano oberati da tanti debiti e che non erano in grado di pagarli. Questa situazione incominciò a provocare una certo turbamento e a determinare in tutti l’ansia di riparare i danni, di procurarsi somme di denaro, di restituire i soldi avuti in prestito, al punto che dopo aver dato le direttive, aver riorganizzato e riconvertito i beni delle chiese [fol. 288v], non mi è rimasto più un momento libero. Tenendo presente questa situazione, per poter essere vicino a tutti, dare il mio consiglio, le direttive e l’aiuto alle chiese, ai monasteri, ai luoghi pii, diedi inizio alla visita pastorale. Ma una grave malattia e le precarie condizioni di salute non mi hanno permesso di portarla a termine; quando (con l’aiuto di Dio) avrò riacquistato le forze, la continuerò fino al suo completamento. Potrei riferire molte cose su quella parte della visita pastorale che ho già espletato, se volessi parlare delle calamità che hanno colpito i luoghi pii, in particolare la depauperazione dei monasteri; nonostante ciò sono stato vicino a tutti con le direttive, il consiglio, le esortazioni e anche con le elemosine fino ad essere di consolazione e di aiuto ai parroci e ai cappellani delle chiese; ho raccomandato l’amministrazione dei sacramenti agli infermi e a coloro che godono buona salute; ho indirizzato amorevolmente i chierici sulla buona strada; mi sono scagliato con zelo contro i costumi depravati dei laici e con coraggio ho cercato di correggerli; ho interrogato i parroci per conoscere se e in quali giorni festivi insegnassero il catechismo ai bambini e agli incolti; ho esaminato tutto ciò che contribuisce al decoro e all’incremento del culto divino e ho prescritto di continuare con diligenza; ho curato con fermezza ed ho raccomandato con più forza quel che ho ritenuto necessario e utile alla salute delle anime. ho ispezionato di presenza le parrocchie, le chiese, gli ospedali; nei singoli luoghi ho amministrato la cresima una o due volte se lo richiedeva la necessità; nulla ho omesso di ciò che concerne l’obbligo della visita pastorale. La mensa vescovile

ho già scritto molte cose su questa diocesi di Catania nei passati trienni; ora riferirò sul suo attuale [fol. 289r] stato con poche notizie e finirò in breve. Cominciando dalla mensa episcopale dico solamente che essa, per 357


Michelangelo Bonadies (1665-1686)

quanto in passato fosse ricca, oggi è annoverata fra le povere; infatti è cosi gravata di pensioni e di altri oneri che i suoi frutti, di per sé abbastanza pingui, oggi bastano appena per pagare le pensioni e i debiti; dopo di che per il sostentamento del vescovo e della sua famiglia non rimane neppure uno spicciolo. Pertanto spinto dalla necessità sono stato costretto a chiedere gli alimenti; dopo lunga attesa, per ordine regio, questi alimenti furono stabiliti nella somma di 4.000 scudi annui da detrarre dai frutti della mensa vescovile; mi sono dati dal giudice della Regia Monarchia in quanto economo delegato della stessa mensa, allo scopo di riscuotere le rendite, di dividerle fra i creditori, fino a quando (con l’aiuto di Dio), pagati i debiti e gli innumerevoli oneri che gravano su di essa, il vescovo non sarà in grado di riassumerne l’amministrazione. La chiesa cattedrale

la chiesa cattedrale della chiarissima città di Catania è insignita della sede vescovile; lo stesso vescovo si fregia del titolo di conte di Mascali e di cancelliere dell’almo Studio catanese dell’Università. Infatti ha il dominio temporale della città di Mascali e presiede il collegio che conferisce il dottorato e firma i diplomi di laurea. Questa chiesa ha 5 dignità (il priore, il cantore, il decano, il tesoriere e l’arcidiacono), 12 canonici insigniti con il rocchetto e la mozzetta; tutti insieme costituiscono il capitolo, che nelle pubbliche funzioni porta innanzi a sé la mazza d’argento. alle dignità e ai canonici si aggiungono altri 12 beneficiari, chiamati secondari; insieme alle dignità e ai canonici ogni giorno alternativamente in coro recitano le ore canoniche. la cattedrale ha anche il maestro cappellano, il cerimoniere, 4 cappellani che amministrano i sacramenti parrocchiali e altri 8 mansionari insigniti della cotta [fol. 289v] e dell’epitogio. Questa cattedrale ha anche 5 chiese sacramentali coadiutrici dislocate nei diversi quartieri della città, nelle quali i sacramenti parrocchiali sono amministrati da cappellani amovibili. ha anche il seminario dei chierici in cui sono sostentati 15 alunni; i superiori incaricati vigilano sulla loro educazione, sul loro progresso nell’apprendimento delle lettere e nella formazione giovanile; nei giorni stabiliti prestano servizio nella medesima cattedrale e assistono al coro. Questo tempio, eretto dalle fondamenta in onore di s. agata vergine 358


Michelangelo Bonadies (1665-1686)

e martire dal religiosissimo Conte Ruggero, dopo la conquista della Sicilia dalla potestà dei saraceni, fino ad oggi era rimasto spoglio e disadorno; spinto dalla devozione verso una così grande martire ho raccolto le mie forze, anche se insufficienti, per la sua decorazione; ho dato ordine che venisse abbellito con stucchi di diverso colore e con pitture secondo lo stile degli arabi, che si servivano di motivi fiorali; si è già dato inizio ad un’opera così impegnativa, anche se prevedo che (con l’aiuto di Dio e della santa martire) saranno necessari alcuni anni prima che sia portata a termine. La città di Catania

In questa chiarissima città di Catania sorge l’Università di tutti gli studi, simile a quella di bologna, fondata nei tempi antichi, arricchita di privilegi e ai nostri tempi riformata secondo un progetto più rispondente alle attuali esigenze. Nella città si contano circa 18.000 anime. In questa stessa città si trovano 18 conventi e case religiose maschili. I monasteri femminili sono 12, 3 dei quali sottostanno all’autorità dei frati minori dell’osservanza di s. francesco. Ci sono inoltre: una casa di donne pentite, una per ragazzi orfani, una terza di ragazze orfane [fol. 290r], a 15 delle quali estratte a sorte, ogni anno è costituita la dote; un ospedale per infermi e bambini esposti, un ospizio per pellegrini, un monte di pietà che a proprie spese dà le medicine agli ammalati, le vesti ai poveri e la dote a diverse ragazze orfane, la commenda di San giovanni di gerusalemme, chiamata comunemente «San giovanni li fleri». fuori le mura, non lontano dalla città, è venerato un eremo chiamato «la Mecca», nel quale si ritirano i sacerdoti desiderosi di condurre vita solitaria. Nella città sono numerosi i sodalizi, 26, distribuiti in altrettante chiese; per loro iniziativa ogni anno si costituiscono le doti ad alcune ragazze orfane che vogliono sposarsi o ritirarsi in monastero. Ci sono pure 6 confraternite con altrettante chiese, 12 chiese minori e 18 pie congregazioni. Il numero di tutte le chiese è di oltre 90. Il clero comprende 160 sacerdoti e oltre 200 chierici. fra le principali opere di religione è incoraggiata la preghiera delle 359


Michelangelo Bonadies (1665-1686)

quarantore che si fa ogni giorno, a turno, in tutte le chiese con addobbi, sfarzo, musica, cantanti e al sesto giorno l’intervento del senato. La diocesi

Questa antichissima diocesi di Catania è stata eretta mentre erano ancora in vita gli apostoli, quando fu inviato come vescovo s. berillo dal Principe degli apostoli s. Pietro. ha come confini: a settentrione e ad oriente la diocesi di Messina, a occidente la diocesi di agrigento, a mezzogiorno la diocesi di Siracusa. Oltre alla chiesa cattedrale della città di Catania, questa diocesi [fol. 290v] ha altre 3 collegiate: una nella medesima città intitolata a Santa Maria dell’Elemosina che ha 3 dignità (il prevosto che è anche parroco, il cantore, il tesoriere), 20 canonici insigniti della cotta e del cappuccio (costoro tuttavia attualmente godono di prebende molto esigue), 6 mansionari, il cerimoniere ed un cappellano sacramentale, anch’essi insigniti del cappuccio; tutti nei giorni festivi recitano in coro le ore canoniche e cantano solennemente la messa. la seconda collegiata si trova nella chiesa madre della città di Piazza, decorata di 4 dignità alle quali compete, in quanto parroci, l’amministrazione dei sacramenti. Queste dignità sono: il prevosto, il cantore, il tesoriere e il decano; assieme a loro assistono anche 22 canonici con rocchetto, mozzetta e cappa magna, 12 beneficiati, insigniti dell’epitogio; da tutti costoro ogni giorno sono recitate le ore canoniche alternativamente per settimana ed è cantata solennemente la messa. la terza collegiata ha sede nella chiesa madre della città di Paternò, intitolata a Santa Maria dell’alto; si fregia di 3 dignità (il prevosto, il cantore, il tesoriere), che come parroci amministrano i sacramenti ai fedeli; le dignità sono aiutate da 12 canonici e 6 mansionari, insigniti dell’epitogio; tutti assistono alla recita delle ore canoniche e cantano solennemente la messa. Questa diocesi ha molte città, che una volta andavano orgogliose per le ricchezze e il numero degli abitanti, ma da pochi anni (Dio permettendo) travagliate da diversi mali (la carestia, le epidemie, l’eruzione dell’Etna ed infine la guerra) sono diminuite nel numero degli abitanti e nel reddito. 360


Michelangelo Bonadies (1665-1686)

Sono queste le città [fol. 291r] comprese nei confini di questa diocesi: Città Catania Piazza Enna Calascibetta San filippo d’agira aci Regalbuto

anime 18.000 12.840 9.120 4.160 8.330 11.260 3.530

Casali Misterbianco Mompileri San Pietro Camporotondo Mascalcia gravina

anime 1.000 460 500 280 1.540 960

Terre Paternò adernò aidone assoro Pietraperzia Centuripe barrafranca leonforte valguarnera Motta Sant’anastasia fenicia aci San filippo aci Sant’antonio valverde bonaccorsi Nicolosi biancavilla Mirabella [fol. 291v]

anime 5.000 5.700 5.820 3.220 3.780 1.800 2.590 4.960 1.250 400 1.300 4.000 1.860 970 830 850 4.300 500

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Michelangelo Bonadies (1665-1686)

galermo Pedara Trecastagni viagrande San giovanni la Punta Tremestieri Sant’agata Trappeto San gregorio aci Castello [fol. 292r]

400 2.300 3.050 2.000 1.020 1.160 350 300 660 200

La seguente tabella dà in sintesi i dati di tutta la diocesi

la diocesi di Catania ha, oltre alla cattedrale, 3 collegiate e 40 chiese madri. Chiese sacramentali, nelle quali svolgono il loro servizio i cappellani amovibili 32. Parroci o rettori 14. altre chiese sacramentali che sono rette da cappellani amovibili. Case e conventi religiosi maschili circa 80. Monasteri femminili 35. Case per donne pentite 3. Case per ragazze orfane 3. Ospedali per infermi o bambini esposti 13. Ospizi per pellegrini 2. Monti di pietà 13. luoghi per eremiti e anacoreti 5. Sodalizi 92. Confraternite 77. Congregazioni 30. Chiese minori o semplici 76. Sacerdoti circa 1.050. Chierici circa 1.500. Monache circa 700. abbazie regie 2. Il priorato regio di Sant’andrea di Piazza. Cappellanie regie 2. 362


Michelangelo Bonadies (1665-1686)

luoghi obbligati annualmente alla dotazione delle ragazze orfane circa 30. Preghiere delle quarantore ogni giorno a turno per le chiese [fol. 292v]. fedeli idonei alla comunione annuale circa 90.000. le anime di tutta la diocesi sono oltre 130.000; tutti (per grazia di Dio) professano devotamente la fede e la religione cristiana. Umilmente prostrato ai piedi della Santità vostra presento per la quinta volta questa relazione redatta in forma sintetica sullo stato attuale di questa chiesa di Catania e con tutta la dovuta riverenza prego la Santità vostra perché si degni accettarla con la consueta benevolenza. assieme a questa diocesi prego Dio perché conservi in buona salute ancora per molti anni la Santità vostra e la Chiesa, conservi e converta integralmente alla religione cristiana il mondo affidato alle sue cure; infine bacio umilmente i piedi della Santità vostra e chiedo la paterna benedizione. Catania, 1 marzo 1682 della beatitudine vostra umilissimo servo fr. Michelangelo, vescovo di Catania

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Michelangelo Bonadies (1665-1686) xIx

1686 – Relazione del vescovo Michelangelo bonadies, relativa al 33° triennio, scritta il 4 luglio 1686 e presentata dal procuratore gaspare Senese, canonico della collegiata di Piazza7.

[fol. 308r] beatissimo Padre, dovendo visitare le tombe degli apostoli vengo ai piedi della Santità vostra, quando è già trascorso il sesto triennio dal giorno in cui ricevetti l’episcopato ed assunsi il governo di questa santa Chiesa di Catania; non sono in grado di adempiere personalmente questo dovere e affrontare un così lungo viaggio sia per la mia età di ultra ottantenne, sia perché sofferente per la malferma salute; infatti nei mesi scorsi sono stato così colpito da una malattia che sono giunto in fin di vita e a tutt’oggi, a giudizio dei medici e per la debolezza delle mie forze, sento che tale pericolo non è stato

7 Rel Dioec 207 a, fol. 308r-317r. alla relazione sono allegati i seguenti documenti: 1) certificato attestante le precarie condizioni di salute del vescovo, rilasciato il 27 giugno 1686 dal protomedico Dionisio Motta e dai medici giovanni battista venter, Michele Catanuto e Domenico la Rocca, autenticato dal senato di Catania (fol. 311r-v); 2) una lettera del vescovo: «Eminentissimi Signori Padroni miei colendissimi. ancorchè havessi dato principio alla visita di questa mia Diocesi di Catania, cominciando da questa Cattedrale, parochie, monasteri, compagnie e altre chiese d’ogni maniera la mia grave età di 84 anni e le mie habituali indispositioni aggiontevi una infermità di molti mesi di sintomi che m’opprimevano il cuore e m’han lasciato in una grandissima languideza non mi permisero di poter da per me continuar la visita della Diocesi, che la feci complire dal primo canonico di questa catedrale Don Nicolò Tudisco sì come neanche mi permettono di poter essere a’ piedi di Sua beatitudine e delle Eminenze vostre per complire con le mie obligationi di visitar i sacri limini e valendomi della gratia fattami Sua Santità di poter sodisfare tal’obligo in mio nome un canonico di questa catedrale collegiata della Diocesi et in specie della dispenza di poter visitarli il can.co gaspare Senese residente in cotesta Corte, ho inviato al sudetto canonico Senese tutte le speditioni e notitie necessarie per consegnare ogni cosa a’ piedi dell’Eminenze vostre e far da mia parte la visita de’ sacri limini. Supplico l’Eminenze vostre humilmente che si compiacciano ammetterlo et intende da lui lo stato di questa Diocesi, che stando molto securo della gran carità e cortesia dell’Eminenze vostre, resto con baciarle la sacra porpora. Catania, 4 luglio 1686. Eminentissimi Signori. Dell’eminenze vostre humilissimo et devotissimo servidore. fr. Michel angelo, vescovo di Catania» (fol. 313r); 3) procura redatta dal notaio francesco Pappalardo il 4 luglio 1686, ind. Ix, alla presenza dei testi sacerdoti u.i.d. Don giovanni Tommaso Sciacca e s.t.d. Don francesco gioeni, autenticata dal senato, per il can. Don gaspare Senese della città di Piazza (fol. 315r-316v). Nel libro delle lettere delle visite si legge la nota: «Sabato 3 agosto 1686. alla diocesi di Catania è stata data l’attestazione della visita ai Sacri limini per il 33° triennio» (Libri Litter Visit 1686-1689, fol. 33v).

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Michelangelo Bonadies (1665-1686)

scongiurato. Per questi motivi ho stabilito di inviare ai piedi della vostra beatitudine il rev.do canonico gaspare Senese del capitolo della collegiata della città di Piazza, perché possa venerare le tombe degli apostoli da parte mia e in mio nome per il trentatreesimo triennio. Incoraggiato dalle grazie e dai favori che la Santità Tua ha dispensato e dall’assenso concesso perché il predetto gaspare Senese, sebbene risieda a Roma possa svolgere questa mansione, porti il mio ossequio, faccia le mie veci e descriva alla Santità vostra e agli Eminentissimi Padri con tutta la riverenza possibile lo stato di questa santa chiesa catanese e della sua diocesi, prego umilmente la vostra beatitudine di accoglierlo con la sua consueta benevolenza e di compatire nella sua solita paterna carità la relazione e lo stato di questa santa chiesa. la malferma salute e la vecchiaia ultra ottuagenaria che mi hanno impedito di recarmi a Roma, visitare le tombe degli apostoli e baciare i piedi della Santità Tua, come era mio desiderio, mi hanno impedito di recarmi alle chiese di questa diocesi per adempiere il mio ufficio della visita pastorale; sebbene io stesso abbia iniziato la visita, come al solito, da questa città di Catania ed abbia ispezionatola cattedrale, le chiese sacramentali, i monasteri, i luoghi pii, le confraternite e i sodalizi, tuttavia, non essendo capace di continuare, ho nominato visitatore e vicario generale il rev.do can. Nicola Tudisco, dottore in utroque iure fra i più maturi di questa santa chiesa [fol. 308v], il quale per l’integrità dei costumi, la scienza e l’onestà della vita ha espletato questo incarico con la soddisfazione e il plauso di tutte le chiese. Espongo, ora, alla Santità Tua e agli Eminentissimi Padri le stesse notizie sullo stato del clero e di tutte le chiese di questa diocesi da lui stesso consegnatemi. ho già dato ampia notizia di questa chiesa catanese e della sua diocesi nelle altre relazioni da me presentate nei passati trienni; ora mi sia consentito esporre in breve la relazione dello stato attuale; iniziando dalla mensa vescovile ripeterò che essa nei tempi attuali è così depauperata e gravata di debiti e di pensioni che i frutti sono appena sufficienti per pagare gli oneri; infatti per il sostentamento del vescovo e della sua famiglia non si dispone neppure della congrua o portio canonica; la Regia Monarchia che amministra i frutti e i beni di questa mensa dà solamente allo stesso vescovo una piccola somma per gli alimenti. la famosa cattedrale della nobilissima e chiarissima città di Catania si fregia della residenza del vescovo, che ha il titolo di conte di Mascali ed è cancelliere dell’almo Studio dell’Università (che è l’unico di questo Regno di Sicilia) ove presiede il collegio dei professori nelle lauree e ne 365


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firma i diplomi. Questa stessa chiesa, se per tanto tempo era rimasta all’interno disadorna (sembra per la necessità di conservare il ricordo della sua antichità), ora in questi anni del mio episcopato, con la protezione dell’altissimo, può essere ammirata per le magnifiche decorazioni in oro e per le pitture che la ricoprono in quasi tutta la sua ampiezza; la cappella di Sant’agata è stata decorata mirabilmente con oro e pitture a mie spese. Questa cattedrale ha 5 dignità: il priore, il cantore, il decano, il tesoriere e l’arcidiacono, 12 canonici insigniti del rocchetto e della mozzetta, tutti costituiscono il capitolo, che nelle funzioni suole portare la mazza d’argento; con gli altri 12 beneficiati, chiamati secondari, ed insieme ai canonici e alle dignità ogni giorno recitano le ore canoniche in coro [fol. 309r] alternativamente per settimana. Similmente la chiesa ha il cerimoniere e il maestro cappellano con altri 4 cappellani per amministrare i sacramenti parrocchiali ed altri 8 mansionari insigniti della cotta e dell’epitogio. la cattedrale ha 5 chiese sacramentali coadiutrici dislocate nei diversi quartieri della città, nelle quali prestano il loro servizio i cappellani amovibili amministrando i sacramenti parrocchiali. ha anche il seminario dei chierici con 15 alunni che sono bene educati ed istruiti con ogni diligenza dai superiori incaricati, si dedicano al decoro della chiesa cattedrale ed assistono al coro soprattutto nei giorni festivi. la nobilissima e antichissima città di Catania conserva la vetusta Università degli studi di tutte le scienze con i suoi privilegi, simile a quella di bologna. Conta 4.000 famiglie. I conventi religiosi maschili sono 18. I monasteri femminili 12, 3 dei quali dipendono dall’autorità dei frati minori di s. francesco dell’osservanza. ha una casa di donne pentite, un orfanotrofio femminile ed uno maschile. Un ospedale per gli infermi e i bambini esposti. Un ospizio per pellegrini. Un solo monte di pietà per le medicine agli infermi, il vestito ai poveri e la dote alle ragazze orfane. Una commenda di San giovanni di gerusalemme. Un eremo fuori le mura chiamato «la Mecca» per i sacerdoti devoti desiderosi di condurre vita solitaria. 366


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I sodalizi con le loro chiese sono 26 e alcuni di essi ogni anno danno la dote alla ragazze che vogliono sposare o entrare in monastero [fol. 309v]. le confraternite con le loro chiese sono 6. le chiese minori o semplici sono 12. le congregazioni pie 18. I sacerdoti circa 160. I chierici oltre 200. Tutte le chiese della città sono 90. ha anche la preghiera delle quarantore ogni giorno a turno con musica e pompa solenne. Si danno anche diverse doti ad alcune ragazze orfane che sposano o entrano in monastero. l’antichissima diocesi di Catania eretta al tempo dei santi apostoli in Sicilia presso il monte Etna da s. berillo, inviato da s. Pietro, ha come confini: a settentrione la diocesi di Messina, ad occidente la diocesi di agrigento, a mezzogiorno la diocesi di Siracusa, ad oriente guarda il mare. Oltre alla chiesa cattedrale ha 4 chiese collegiate: una a Catania intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, con 3 dignità: il prevosto che è parroco, il cantore, il tesoriere e 20 canonici insigniti della cotta e del cappuccio (attualmente hanno delle prebende molto tenui), con 6 mansionari, il cerimoniere, un cappellano sacramentale anche loro adornati del cappuccio; tutti costoro nei giorni festivi recitano in coro le ore canoniche e cantano solennemente la messa. la seconda collegiata si trova nella chiesa madre della città di Piazza ed ha 4 dignità che in quanto parroci amministrano a turno i sacramenti: il prevosto, il cantore, il tesoriere, il decano, con 22 canonici adornati del rocchetto, della mozzetta e della cappa magna [fol. 310r], 12 beneficiati insigniti dell’epitogio; tutti ogni giorno recitano in coro le ore canoniche alternativamente per settimana e ogni giorno cantano solennemente la messa. la terza collegiata si trova nella chiesa madre della città di Paternò intitolata a Santa Maria dell’alto con 3 dignità: prevosto, cantore e tesoriere, che in quanto parroci hanno la cura delle anime, e con 12 canonici e 6 mansionari, che insigniti dell’epitogio recitano le ore canoniche e cantano solennemente la messa. la quarta collegiata è stata istituita nella chiesa madre della terra di assoro intitolata a San leone; ha 3 dignità: prevosto, cantore e tesoriere, che in quanto parroci esercitano la cura delle anime e con 11 canonici, 6 367


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mansionari, il maestro cappellano e il cerimoniere, insigniti dell’epitogio, che ogni giorno recitano le ore canoniche e cantano solennemente la messa. la diocesi ha nella sua circoscrizione molte città, una volta ricche e popolose ma da pochi anni (Dio permettendo) per la miseria, la mortalità, la distruzione del fuoco dell’Etna e la guerra sono state depauperate e spopolate: Città Catania Enna San filippo d’agira Regalbuto Piazza Calascibetta aci Paternò aidone Pietraperzia barrafranca adernò assoro Centuripe leonforte [fol. 310v] valguarnera fenicia aci Sant’antonio bonaccorsi biancavilla Motta aci San filippo valverde Nicolosi Mirabella Misterbianco San Pietro Mascalcia galermo Trecastagni

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anime 18.143 8.719 7.847 3.600 12.239 4.200 8.230 6.907 6.568 3.600 3.219 5.881 3.686 2.360 5.075 1.401 2.900 1.885 870 4.134 741 — 1.084 930 1.336 1.719 540 1.610 350 3.046


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San giovanni la Punta Sant’agata San gregorio Camporotondo gravina Pedara viagrande Tremestieri Trappeto aci Castello

1.026 450 697 276 960 2.100 2.050 1.160 350 200

La seguente tabella fa conoscere in breve e sinteticamente tutto lo stato della diocesi

la diocesi di Catania, oltre alla cattedrale e 4 collegiate, ha 40 chiese madri. le chiese sacramentali servite da cappellani amovibili sono 32, i parroci o rettori sono 14, le rimanenti chiese sacramentali sono governate da cappellani amovibili. Conventi religiosi maschili circa 80. Monasteri femminili 35. Case di donne convertite 3. Orfanotrofi femminili 3. Ospedali per gli infermi e i bambini esposti 13. Ospizi per i pellegrini 2. Monti di pietĂ 13 [fol. 317r]. luoghi per eremiti ed anacoreti 5. Sodalizi 92. Confraternite 77. Congregazioni 30. Chiese minori e semplici 276. Sacerdoti circa 1.050. Chierici circa 1.500. Monache circa 700. abbazie regie 2. Cappelle regie 2. Doti per ragazze orfane circa 30 ogni anno. 369


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Preghiere delle quarantore ogni giorno a turno. fedeli idonei alla comunione circa 90.000. Infine tutta la diocesi, assieme agli ecclesiastici, comprende oltre 136.000 abitanti; tutti professano la fede cattolica e nessuno (per grazia di Dio) si è allontanato da essa. Prostrato umilmente ai piedi della Santità vostra presento per la sesta volta questa relazione riassuntiva sull’attuale stato di questa diocesi di Catania, pregando con ogni riverenza la Santità vostra che nella sua benevolenza voglia accoglierla. Intanto con tutta la diocesi prego insistentemente Dio ottimo massimo perché voglia conservare incolume la Santità vostra con tutta la Chiesa cattolica e baciando gli amorevolissimi piedi della Santità vostra chiedo la paterna benedizione. Catania in Sicilia, 4 luglio, v ind., 1686 della Santità vostra umilissimo servo fr. Michelangelo, vescovo

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fRaNCESCO aNTONIO CaRafa (1687-1692) 1. la fIgURa

Contrariamente alla prassi seguita solitamente dalla corona spagnola nella presentazione dei nuovi vescovi, dopo la morte di Michelangelo bonadies, avvenuta il 27 agosto 1686, la diocesi di Catania non rimase a lungo vacante. Secondo una notizia riferita dallo storico catanese vito Maria amico, in un primo momento era stato invitato per la sede di Catania il vescovo di Reggio Calabria Martino Ibañez, ma questi rifiutò la proposta1. Nel novembre del 1687 dalla sede di lanciano in abruzzo accettò di essere trasferito a Catania francesco antonio Carafa, appartenente a una delle famiglie onnipresenti nella società dei secoli xvI-xvII2 e membro della congregazione religiosa dei chierici regolari teatini, un istituto che si era distinto nei movimenti della riforma cattolica e della controriforma. le due realtà dalle quali proveniva il nuovo vescovo di Catania, la famiglia Carafa e i chierici regolari teatini, avevano alcuni punti in comune. Infatti tra i fondatori dei teatini, assieme a gaetano da Thiene, bonifacio de’ Colli e Paolo Consiglieri, troviamo nel 1524 il napoletano gian Pietro Carafa (il futuro Paolo Iv)3. Questa circostanza determinò uno stretto legame fra i teatini e la potente famiglia dei Carafa: quest’ultima, infatti, contribuì alla crescita e alla diffusione della nuova famiglia religiosa sia dandole il suo appoggio morale e politico, sia indirizzandovi molti dei suoi figli cadetti. la personalità del vescovo francesco antonio Carafa va, pertanto, delineata tenendo presente allo stesso tempo questa doppia matrice familiare e religiosa.

v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 505. la famiglia Carafa (o Caraffa) ebbe origine nel secolo xII dalla famiglia Caracciolo. Ne fu capostipite gregorio Caracciolo, detto Carafa forse perché concessionario della gabella del vino. I Carafa a partire dal secolo xIv acquistarono importanza e ricoprirono uffici e incarichi di prestigio in tutti i settori della vita sociale (b. alDIMaRI, Historia genealogica della famiglia Carafa, divisa in tre libri, Napoli 1689; v. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare, I, Milano 1929, 312-313; per il profilo biografico dei personaggi più rappresentativi di questa famiglia, vedi inoltre: DbI, xIx, Roma 1976). 3 f. aNDREU, Chierici regolari teatini, in DIP, II, 978-999: 978. 1 2

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a) La congregazione dei Chierici regolari teatini

fra coloro che avevano cercato di risolvere concretamente il secolare problema di riformare la Chiesa in capite et in membris, troviamo nei secoli xv-xvI i fondatori degli oratori del Divino amore e delle compagnie di s. girolamo, che da genova, Roma e vicenza si diffusero in diverse parti d’Italia con un programma ben determinato: impegnare i loro membri, laici e chierici, allo stesso tempo ad una intensa vita interiore e ad una operosa azione di carità. gli iscritti a queste istituzioni si impegnavano nella preghiera assidua e nella frequente partecipazione ai sacramenti, promuovevano la fondazione di ospedali per incurabili, di orfanotrofi, di case per donne pentite e si dedicavano personalmente alla cura delle persone ricoverate in questi istituti, erigevano e gestivano monti di pietà, fondazioni per assicurare la dote alle ragazze orfane o povere e altre opere assistenziali. È noto che uno dei principali meriti di queste compagnie fu quello di aver accolto l’istanza di un serio rinnovamento della Chiesa senza attendere che dell’iniziativa si facesse carico l’autorità. Per realizzare questo loro progetto esse si impegnarono anzitutto nella conversione personale e cercarono di tradurre concretamente sul piano sociale la fede professata. In tal modo fu data una risposta ai bisogni di una società che incominciava a porsi in maniera diversa i problemi dell’assistenza ai malati, ai poveri e agli emarginati4. Da queste istituzioni nella prima metà del secolo xvI presero nuovo vigore le confraternite laicali e una nuova forma di vita religiosa, che avrebbe avuto una straordinaria diffusione anche nei secoli successivi: i chierici regolari5. In un primo momento i promotori di queste congregazioni di sacerdoti miravano solamente a riproporre la primitiva forma di vita apostolica alla quale si erano ispirati fin da s. agostino tutti coloro che avevano preso a cuore le sorti del clero diocesano: vita di preghiera, povertà, celibato, vita comune, preparazione dottrinale adeguata, massima disponibilità per la cura delle anime… Di fatto, però, l’iniziativa ebbe come effetto l’affermarsi di una

4 M. bENDISCIOlI, La riforma cattolica, Roma 19732, 34-54; l. CRISTIaNI, La Chiesa al tempo del Concilio di Trento, in Storia della Chiesa, iniziata da a. fliche e v. Martin, cit., xvII, 9-45; E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit., 518-522; g.C. MEERSSEMaN – g.P. PaCINI, Le confraternite laicali, cit. 5 l. CRISTIaNI, La Chiesa al tempo del Concilio di Trento, cit.; P. bIaNChINI, Chierici regolari, in DIP, II, 898-978.

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nuova forma di vita religiosa, che sviluppò ulteriormente l’istanza che troviamo all’origine degli ordini mendicanti: uscire dai chiostri e dall’isolamento per avvicinarsi maggiormente ai fedeli, evitare la rigidità eccessiva delle forme tradizionali di preghiera (la recita corale del breviario nelle ore stabilite) per consentire un maggiore adattamento alle esigenze della cura d’anime, assicurare ai sacerdoti membri una preparazione dottrinale adeguata ai problemi posti dalla Riforma. la diffusione che ebbero le diverse forme di chierici regolari testimonia la bontà di questa formula; ai teatini, nati ufficialmente il 14 settembre 1524, si aggiunsero ben presto i barnabiti (1530), i somaschi e i gesuiti (1534), i ministri degli infermi (1582), gli scolopi (1617)… l’ascesa al trono papale di gian Pietro Carafa, uno dei fondatori dei teatini, consentì a questa congregazione di chierici regolari un maggior inserimento nelle strutture ecclesiastiche e un loro impiego nell’attuazione della riforma cattolica e del Concilio di Trento. l’inserimento di questi istituti nelle strutture della Chiesa ebbe come conseguenza un loro progressivo adeguamento ai princìpi che animarono la controriforma, anche se rimase una certa differenziazione fra di essi, dovuta allo spirito dei loro fondatori e alle particolari opere apostoliche che si proposero di svolgere. Così, ad esempio, mentre la Compagnia di gesù trasferì sul piano dell’azione apostolica lo spirito militare del suo fondatore e si rese protagonista di quella mentalità battagliera, controversistica e intransigente che caratterizzò il movimento della controriforma, i teatini si indirizzarono soprattutto verso la riforma liturgica che non comportava uno scontro frontale con gli eretici e si dimostrarono meno intransigenti e polemici. Pur nel diverso spirito che animò la loro azione apostolica, le nuove congregazioni religiose riuscirono ad attuare, relativamente ai loro membri, la riforma del clero voluta dal Concilio di Trento, per la quale erano stati istituiti i seminari. Infatti mentre quest’ultima istituzione ebbe una vita grama e solo nei secoli seguenti raggiunse dei risultati apprezzabili, le congregazioni religiose furono in grado di dare una risposta immediata. Non meraviglia, perciò, se esse divennero un vivaio di vescovi e di sacerdoti colti, che in molti casi finirono per monopolizzare lo studio delle discipline teologiche6.

«In quanta stima la Sede apostolica abbia avuto i chierici regolari lo può sufficientemente dimostrare il cospicuo numero di quelli che sono stati insigniti della porpora cardinalizia e dell’ordine epicopale. Infatti oltre al papa Paolo Iv, l’ordine teatino conta 8 cardinali […] più di 250 vescovi, per cui ha meritato l’appellativo di “seminario di vescovi”» 6

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b) L’ambiente familiare, la formazione e il ministero di Francesco Antonio Carafa

Il vescovo francesco antonio proveniva dal ramo principale della famiglia Carafa detto «della Spina»7. Il nonno fabrizio aveva ottenuto da filippo II, nel 1594, il titolo di principe per il valore dimostrato nella difesa di Roccella8; ma il padre vincenzo, in quanto figlio cadetto, si era dovuto accontentare del titolo di conte di bruzzano, spettando al primogenito girolamo quello di principe di Roccella. Dalle seconde nozze che vincenzo aveva contratto con Ippolita Staiti d’aragona erano nati dieci figli, otto dei quali, secondo la ferrea legge del maggiorasco, furono indirizzati a prendere i voti in diversi ordini religiosi: francesco antonio nei teatini, Carlo nell’ordine militare di s. giovanni di gerusalemme, sei figlie femmine in diversi monasteri di Napoli e di Messina. Solo il primogenito, giuseppe, e uno dei cadetti, federico, contrassero matrimonio9. Il nostro vescovo nacque a Napoli ma non conosciamo la sua data di nascita. Nel processo informativo che si tenne nel 1675, prima della sua nomina alla sede di lanciano, risulta che egli aveva quarant’anni10. Si deve dedurre, perciò, che egli fosse nato nel 1635. Per indirizzarlo alla carriera

(f. aNDREU, Chierici regolari, cit., 993). Per l’incidenza che i nuovi ordini religiosi ebbero nel campo dello studio delle discipline teologiche vedi: E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit, 688-697; l. WIllaERT, La restaurazione cattolica, cit., 225-273. 7 Il ramo veniva detto «della Spina» perché lo stemma era attraversato da un ramoscello spinoso. «I Carafa della Spina, vogliono gli autori, presero tale denominazione per il fatto che due cavalieri di detta casa portando in una giostra sugli scudi le tre fasce d’argento in campo rosso, alla sorpresa di re Carlo II di angiò, per essere quelle le regie armi d’Ungheria, attraversarono lo scudo con una spina presa da una siepe vicina» (v. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare, cit., 313). 8 b. alDIMaRI, Historia genealogica, cit., I, 277-304; C. RUSSO, Carafa Fabrizio, in DbI, xIx, Roma 1976, 541-542. 9 b. alDIMaRI, Historia genealogica, cit., I, 321-334. 10 Il teste girolamo vitale depone: «Egli è nato nella città di Napoli […]. Egli è nato di legitimo matrimonio da cattholici e nobili parenti, havendo conosciuto suo padre D. vincentio Carafa, duca di bruzzano e la madre era di casa Staiti, quali lo tenevano per figlio legitimo e naturale. Dal aspetto si conosce assai bene ch’egli ha finito l’età di trent’anni e tocca il quarantesimo di essa» (Proc Dat 53, fol. 209). Il preposito generale della congregazione dei teatini certifica: «fidem facimus et veritatis verbo testamur rev.mum patrem franciscum antonium Carafa praesbiterum nostrae congregationis […] esse procreatum in civitate Neapoli de legitimo matrimonio ex catholica et nobilissima familia; agere aetatis suae annum quadragesimo» (ibid., post fol. 210).

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ecclesiastica, dove poteva contare sull’appoggio e la guida di diversi zii e cugini11, i suoi genitori lo fecero entrare all’età di dodici anni nella congregazione dei teatini12. anche se sembra molto fondata l’ipotesi di una vocazione ‘suggerita’, pare che francesco antonio abbia accolto di buon grado il consiglio dei genitori e si sia mostrato docile agli insegnamenti ricevuti, perché dai documenti e dagli storici gli è riconosciuta una intensa vita interiore e un non comune amore per i poveri, due delle caratteristiche fondamentali del modello di santità proprio dei chierici regolari13. la formazione del futuro vescovo avvenne nello studentato interno dei teatini, che proprio in quegli anni avevano dato l’assetto definitivo al corso di studi necessario per accedere agli ordini sacri: «Terminato il corso umanistico, gli alunni ne seguivano uno semestrale di sacra eloquenza; corsi speciali erano dedicati allo studio delle lingue bibliche […]. Seguiva il corso filosofico per un triennio; poi quello teologico, almeno per quattro anni e non più di cinque […]. l’ordine onorava i migliori studenti con il grado di “lettore”, equiparato alla laurea, che coronava l’esame de universa theologia»14.

11 Se non vogliamo andare indietro fino al papa Paolo Iv (gian Pietro Carafa, morto nel 1559) e al suo famigerato nipote, il card. Carlo Carafa, giustiziato nel 1561, fra i parenti più illustri di francesco antonio troviamo in tempi a lui più vicini nella gerarchia ecclesiastica: lo zio paterno, Carlo Carafa, vescovo di aversa, nunzio apostolico dei papi gregorio xv e Urbano vIII, morto nel 1644; lo zio paterno, Simone Carafa, arcivescovo di Messina, morto nel 1676; il cugino, card. Carlo Carafa, vescovo di aversa, nunzio apostolico in Svizzera, a venezia e presso l’imperatore, infine legato pontificio a bologna, morto nel 1680; il cugino Iacopo, arcivescovo di Rossano, morto nel 1664; il cugino Paolo, vescovo di aversa, morto nel 1686; il cugino, card. fortunato Carafa, morto nel 1697. 12 «francesco nell’età d’anni dodici si dedicò alla vita religiosa de’ chierici regolari teatini, e allevato sotto la disciplina di quell’ordine e nella maggior parte del tempo, sotto l’educatione di D. Paolo Carafa vescovo d’aversa suo fratello, riuscì esemplare religioso» (b. alDIMaRI, Historia genealogica, cit., 327). Il «fratello» Paolo Carafa, nominato vescovo di aversa il 6 luglio 1665, era in realtà suo cugino, uno dei figli cadetti di girolamo, fratello del padre. la sede vescovile di aversa poteva essere considerata un ‘feudo’ dei Carafa, se si tiene presente che dal 1616 al 1697 fu retta da quattro vescovi appartenenti a questa famiglia (R. RITZlER – P. SEfRIN, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, Iv, Patavii 1967, 106; v, Patavii 1952, 109). 13 Questa fama di pietà e di carità, tramandata dagli storici locali, spinse g. amadio ad inserire il suo nome fra coloro che morirono in fama di santità (g. CONSOlI – g. aMaDIO, Santi ed eroi di carità in Catania, Catania 1950, 122-123). 14 f. aNDREU, Chierici regolari, cit., 993-994.

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Nel processo informativo per la nomina alla sede di lanciano, il teste girolamo vitale afferma a tal proposito: «Egli ha fatto il suo corso di studii sì in teologia come di filosofia, essendo stato approvato in essi dalla religione con titolo di maestro, non essendo noi soliti prendere laurea di dottorato e fra di noi sempre è stato stimato per buonissimo teologo»15.

Ma il titolo di «maestro in teologia», rilasciato dalla congregazione a conclusione del suo corso interno di studi, veniva equiparato nella comune estimazione a un titolo accademico16. al termine della sua formazione e del corso di studi previsto dalle costituzioni dei teatini, francesco antonio fu ordinato sacerdote. Solo da alcune indicazioni del processo informativo possiamo stabilire approssimativamente che egli ricevette l’ordinazione sacerdotale verso il 1657-1658, all’età di ventidue o ventitré anni circa17. Dopo l’ordinazione sembra che il Carafa sia stato inviato molto presto in Spagna, dove i teatini, fin dai primi decenni del secolo xvII, avevano fondato diverse case religiose. ancora in giovane età ebbe la nomina di superiore a Madrid e a Saragozza, ufficio che esercitò per un decennio; fu anche visitatore, per la sua congregazione, delle due province di Castiglia e teologo del nunzio apostolico a Madrid18. l’esercizio di questo ministero

Proc Dat 53, post fol. 210. Il preposito generale dei teatini certifica: «fidem facimus et veritatis verbo testamur rev.dum patrem franciscum antonium Carafa […] philosophiae et theologiae professorem, nullo autem gradu in dictis scientiis gaudere, cum hoc in nostra congregatione compertum non sit; pollere nihilominus ea doctrina requisita in episcopo ad hoc ut alios docere possit» (ibid., post fol. 210). 16 Si spiega così la fama di «grande teologo» che gli fu riconosciuta dagli storici e la nomina di teologo del nunzio apostolico alla corte di Madrid che il Carafa ebbe durante la sua permanenza in Spagna. Dopo il suo trasferimento a Catania, nella intestazione del decreto di nomina del vicario generale, firmato dal Carafa a Napoli il 9 dicembre 1687, troviamo il titolo: «Sacrae Theologiae doctor» (Tutt’Atti 1687-1688, fol. 219r-220r). 17 Il teste girolamo vitale afferma nel 1675: «Egli è sacerdote da più di 16 anni in circa» (Proc Dat 53, fol. 210); mentre il preposito generale dei teatini si limita a scrivere nel suo certificato: «a pluribus annis in sacro ordine praesbiteratus constitutum» (ibid., post fol. 210). 18 b. alDIMaRI, Historia genealogica, cit., 327-328. leggiamo nel processo informativo per la nomina alla sede di lanciano: «Il padre Carafa è stato visitatore in Spagna e proposito delli conventi di Madrid e Saragozza nella nostra religione et in essi ha dato sempre buonissimo saggio di sé, tanto circa la vita come circa la dottrina e costumi con essersi portato laudabilmente» (Proc Dat 53, fol. 210). 15

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gli permise di frequentare la corte spagnola e di farsi conoscere e apprezzare. Dagli storici, oltre che come teologo, è anche ricordato come predicatore della parola di Dio19. In data 1° aprile 1675 fu presentato alla Santa Sede come arcivescovo di lanciano dalla regina reggente20. la nomina porta la data del 27 maggio 167521; la consacrazione episcopale gli fu conferita dallo stesso papa Clemente x22. fece il solenne ingresso nell’arcidiocesi frentana nel settembre del 1675 e il suo ministero episcopale, che esercitò a lanciano per dodici anni, sembra sia stato caratterizzato dall’impegno di riportare la pace nella città e nella diocesi e di promuovere la riforma del clero. Uno dei primi editti, emanato il 20 settembre 1675, subito dopo il suo ingresso in diocesi, ci consente di individuare le fondamentali linee del suo governo pastorale: la formazione culturale e morale dei chierici e dei sacerdoti, il loro comportamento in conformità alle norme canoniche, la catechesi. «Che i confessori fra un mese esibiscano le licenze e si assoggettino all’esame. Che i parrochi facciano le feste di catechismo. Che i preti vestano di lungo, con pochi capelli e cherica e calzette di color modesto; che non portino arme, né giuochino a giuochi illeciti. Che assistano nelle domeniche e feste i chierici alle funzioni della cattedrale e si comunichino ogni 15 giorni in essa. Che vadano a scuola e frequentino la chiesa sotto pena di perdere la franchigia»23.

Nel 1676 iniziò la visita pastorale della diocesi e nel 1680, dal 25 febbraio al 15 marzo, celebrò il sinodo diocesano. Ebbe a cuore il seminario diocesano minore; vi costruì la cappella interna, che dedicò a s. gaetano,

19 «franciscus antonius Carrafa, patritius neapolitanus, clericus regularis theatinus, celebris theologus et divini verbi praeco» (f. UghEllI, italia sacra […] editio secunda aucta et emendata cura et studio nicolai Coleti, vI, venetiis 1720, 794). 20 vedi il certificato rilasciato dal segretario della Congregazione Concistoriale il 27 maggio 1675, in cui sono trascritti i dati relativi alla presentazione da parte della «Maiestas catholica […] sub data Matriti die prima mensis proxime praeteriti» del padre antonio Carafa «praepositum […] S.ti Caietani ad ecclesiam lancianen.» (Proc Dat 53, post fol. 210). 21 Hierarchia Catholica, cit., v, 235. 22 b. alDIMaRI, Historia genealogica, cit., 328. Non conosciamo la data della sua consacrazione. 23 Notizie e documenti avuti dalla cortesia del sacerdote giuseppe Castiglione, che ha effettuato ricerche nell’archivio Capitolare di lanciano (Regesto di mons. a. ludovico antinori, arcivescovo dal 1745 al 1754), nell’archivio Storico Diocesano e nel volume di l RENZETTI, il santuario di nostra Donna del Ponte e i Vescovi ed Arcivescovi di Lanciano, lanciano 1887, 113-114.

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e completò le sue strutture, facendolo diventare fiorente. Nel 1682 consacrò la cattedrale della Madonna del Ponte. gli storici sono concordi nel far rilevare la stima universale che riscosse nella diocesi di lanciano24. c) L’inizio del ministero episcopale di Francesco Antonio Carafa nella diocesi di Catania

In riconoscimento delle sue qualità e dei buoni risultati ottenuti come arcivescovo di lanciano, il Carafa, su presentazione del re di Spagna Carlo II, fu trasferito a Catania, una sede che per la sua vastità e le sue rendite era ambita da molti25. Nella bolla pontificia del 24 novembre 168726, oltre alle

24 vedi nota precedente. g.b Pacichelli nelle sue notizie sull’arcidiocesi di lanciano riferisce: «Contigua all’arcivescoval palazzo [si scorge] la chiesa di S. gaetano, eretta da monsignor D. francesco antonio Carafa» (g.b. PaCIChEllI, il Regno di napoli in prospettiva, III, Napoli 1702, 9). Questa stessa notizia è ripresa da a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 135. In realtà si tratta della cappella interna del seminario minore, che il Carafa aveva dedicato a San gaetano, da lui considerato un santo da proporre come modello nella formazione dei futuri sacerdoti. 25 Un confronto fra le due diocesi per accertare la loro consistenza può essere fatto anche solo tenendo conto dei dati contenuti nei due processi informativi per la nomina e il trasferimento di francesco antonio Carafa. Depone il teste giovanni agostino felli nel 1675: «l’arcivescovo di lanciano non ha sotto di sé alcun vescovo soggetto, essendo poco che è stato eretto in arcivescovato e la sua giurisdizione si estende per poche miglia […]. le entrate del arcivescovato di lanciano consistono tutti in denari effettivi che in tutto ascenderanno al presente a 800 scudi incirca di quella moneta; né sono gravati di alcuna pensione […]. In lanciano non vi sono collegiate, cui manca anco il monte di pietà, ma vi sono sì bene 7 chiese parrochiali con il suo fonte battismale oltre la metropoli, un monastero di monache, 5 conventi di regolari, l’hospedale e da 4 compagnie di laici […]. girerà la diocesi da 15 miglia in circa e ha sotto di sé 5 castelli e sono: arielli, Castelnovo, ari, frisa e Crecchie […]. In detta città non vi è eretto il seminario» (Proc Dat 53, fol. 208r-209r). Nel secondo processo del 1687 depone il teste Stefano armetto: «Il valore delle rendite della mensa vescovale di Catania potrà ascendere al presente a 24.000 scudi di quella moneta de frutti certi che si ricavano dall’affitto di Mascali, decime, censi et altro […]. So che vi sono più pensioni ascendenti alla somma di 7.500 scudi di quella moneta, fra quali ve n’è una perpetua di scudi 2.200 a favore della chiesa di S. Maria Maggiore di Roma […]. In detta città oltre la suddetta cattedrale vi sono 6 chiese parrochiali con il loro fonte battesimale et una collegiata chiamata Santa Maria dell’Elemosina con 18 conventi di padri e 14 monasteri di monache fra quali vi è un conservatorio e sopra 20 confraternite di laici e un hospedale con il monte della pietà […]. la diocesi è vasta et ha sotto di sé moltissimi luoghi fra i quali vi sono con la nuncupatione di città che sono: Piazza, San filippo, Realbuto, Paternò et altri […]. vi è il seminario ove si allevano sopra 14 alunni, oltre molti convittori» ( Proc Cons 84, fol. 123v-124r). 26 Tutt’Atti 1687-1688, fol. 216r-217r. Il Mongitore nelle sue Addictiones al Pirri

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espressioni consuete sulle buone qualità del nuovo eletto e sui frutti abbondanti del ministero da lui svolto nella sede di lanciano27, troviamo alcuni elementi utili, che val la pena sottolineare per una migliore comprensione dei problemi che il vescovo farà emergere nella sua relazione ad limina. Nonostante le precarie condizioni in cui da tempo si trova la mensa vescovile di Catania, si continua la prassi consueta di imporre al nuovo vescovo il pagamento annuo di pensioni a persone ed enti indicati nella bolla28. Probabilmente il Carafa avrà fatto presente alla Santa Sede la situazione della mensa vescovile e l’impossibilità di pagare le somme imposte. Infatti troviamo trascritte nei registri della curia di Catania due «bolle apostoliche» indirizzate una alla corte di Spagna e l’altra all’arcivescovo di Monreale. Nella prima «s’esorta alla Catholica Real Maestà prestarli il suo aggiuto e favore per l’ampliatione et conservatione delle raggioni spettanti alla mensa vescovale di Catania»29. Nella seconda «s’esorta al Rev.mo arcivescovo della città di Monreale di prestare il suo aggiuto a ditta sua Chiesa suffraganea»30. la bolla di nomina consente al Carafa di continuare a fregiarsi del titolo di arcivescovo, nonostante Catania sia a quel tempo una diocesi e non un’arcidiocesi31. gli si ingiunge, inoltre, di erigere nel capitolo cattedrale

scrive per errore 1° dicembre 1687 (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 135). 27 Per quanto si tratti di formule che si ripetono sempre uguali per tutti, riteniamo che nel caso del Carafa non fossero prive di significato: «ad te archiepiscopum nuper lancianense, consideratis grandium virtutum meritis quibus personam tuam illam largitor altissimus multipliciter insignivit et quod tu qui ecclesiae lancianensis actenus laudabiliter praefuisti, eandem ecclesiam Catanen. scias, voles et poteris auctore Domino salubriter regere et feliciter gubernare…» (Tutt’Atti 1687-1688, fol. 216r-216v). 28 «Super cuius mensae episcopalis fructibus redditibus et proventibus una perpetuo duorum millium et ducentorum basilicae S.tae Mariae Maioris de Urbe et alii mille alvaro de Moncada et alia ducentorum francisco de grigento, necnon alia ducentorum Cosimo de Messines et reliquae pensiones annuae antiquae mille ducatorum monetae regni francisci Jachelli clericis dilectis filiis illas annuatim percipientibus dicta aucthoritate reservatae existunt, quas salvas esse volumus» (ibid., fol. 216v). 29 Tutt’Atti 1687-1688, fol. 220r-220v. 30 ibid., fol. 221r-221v. 31 «[…] licentiam tribuendo necnon tibi quoad vixeris titulum, nomen et nominationem archiepiscopi lancianen. ita ut archiepiscopum lancianen. denominare et inscribere et ab aliis denominari et inscribi libere et licite valeas ac si eiusdem ecclesiae lancianen. adhuc verus presul existeres […]» (ibid., fol. 216v). le espressioni usate nella bolla non sono molto chiare. Il Carafa non continuerà a fregiarsi del titolo di arcivescovo di lanciano, ma solamente del titolo di arcivescovo-vescovo di Catania.

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le prebende del canonico teologo e del canonico penitenziere, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento32; un obbligo che troviamo anche nelle bolle degli altri vescovi di questo periodo, ma la cui attuazione comportava notevoli difficoltà per la particolare situazione in cui si trovavano i vescovi di Catania33. Il nuovo vescovo il 9 dicembre 1687, dinanzi al notaio g.b. barbano di Napoli, conferì la procura per il possesso canonico dell’ufficio e della mensa al catanese Orazio Paternò Castello, barone di Sigona34 e in pari data nominò suo vicario generale il can. giuseppe Celestre ventimiglia, che aveva già ricoperto questo ufficio con il vescovo bonadies e durante il periodo di sede vacante35. Il verbale del possesso canonico porta la data del 6 gennaio 168836. Il Carafa giunse a Catania il successivo 17 febbraio37. 2. PROvvEDIMENTI NEI PRIMI MESI DEl SUO gOvERNO PaSTORalE

Può esserci di aiuto alla conoscenza della sua personalità una lettura degli editti emanati nei primi mesi del suo governo. Non ci troviamo di fronte ad un numero rilevante di documenti o a dei provvedimenti che ci fanno intuire l’esistenza di un piano pastorale organico. li riteniamo utili, tuttavia, perché ci aiutano a capire i problemi che stavano maggiormente a cuore al nuovo vescovo e che, secondo la sua sensibilità, richiedevano un intervento immediato. alcuni di essi ricalcano gli editti che il Carafa aveva già emanato a lanciano subito dopo il suo ingresso in diocesi. 32 «Praeterea etiam volumus ut teologalem et penitentiariam praebendas in dicta ecclesia Catanen. ad proscriptum Concilii Tridentini erigas, conscientiam tuam in his onerantes» (ibid., fol. 217r). 33 vedi supra nei profili dei vescovi Ottavio branciforte e Michelangelo bonadies la richiesta analoga contenuta nella bolla di nomina e le difficoltà incontrate per erigere le due prebende. 34 Tutt’Atti 1687-1688, fol. 218v. 35 ibid., fol. 219r-220r. Il can. giuseppe Celestre è un dei personaggi di maggior rilievo della storia catanese di questo periodo. Dopo essersi prodigato per l’assistenza ai profughi dell’eruzione del 1669, sarà fra i protagonisti nell’opera di assistenza e di ricostruzione dopo il terremoto del 1693 (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 211-217). 36 ibid., 222-223. 37 f. PRIvITERa, Annuario catanese, cit., 238.

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a) Editto sul comportamento e la disciplina del clero

Nei secoli xvI-xvII il problema del clero era fra i più angosciosi per un vescovo: nonostante le indicazioni date dal Concilio di Trento, infatti, non si era riusciti a trovare una soluzione adeguata per arginare il numero crescente dei chierici e dei sacerdoti, per qualificare il clero esistente e per preparare convenientemente quello futuro. le iniziative che comunemente venivano prese nelle singole diocesi non sempre erano le più idonee per curare i mali alla radice e in molti casi i vescovi non potevano fare altro che limitarsi ad emanare norme disciplinari munite di pene, allo scopo di eliminare gli abusi più appariscenti o di istituire un certo controllo su una pletora di chierici e di sacerdoti, spesso privi di formazione38. Il Carafa dimostra almeno di avvertire il problema e di considerarne prioritaria la soluzione nel suo programma pastorale. I primi due editti che troviamo dopo il suo ingresso in diocesi hanno per oggetto il clero. Il primo è del 7 marzo 168839 e riguarda l’abbigliamento dei sacerdoti e dei chierici e la loro iscrizione ad una determinata chiesa. In questo primo documento il vescovo appare sinceramente preoccupato di eliminare nel clero quei comportamenti che egli ritiene contrari alle norme tridentine e alle costituzioni sinodali vigenti. Probabilmente il suo vuole essere un primo approccio allo spinoso problema del clero, in attesa di affrontarlo in modo più incisivo e su tematiche di più ampio respiro. «Nos archiepiscopus D. franciscus antonius Carafa Dei et apostolicae Sedis gratia episcopus Catanensis, regius consiliarius, comes Mascalarum et almi Studii urbis eiusdem Catanae cancellarius. Perché ni è pervenuto a

38 Il problema riguardava le due categorie del clero: i chierici e i sacerdoti. Molti ricevevano la tonsura e gli ordini minori, ma non proseguivano fino al sacerdozio, perché avevano interesse solamente ad entrare nello stato clericale per godere delle esenzioni e delle immunità ad esso riconosciute. Coloro che giungevano fino al sacerdozio raramente avevano ricevuto una preparazione culturale e spirituale adeguata. I vescovi, nella migliore delle ipotesi, potevano esercitare un controllo su coloro che chiedevano di ricevere gli ordini, ma potevano fare ben poco su coloro che li avevano già ricevuti o riuscivano a riceverli con sotterfugi da vescovi compiacenti. In molti casi i benefici provenienti dalla vigilanza dei vescovi sugli ordinandi potevano perdersi durante i lunghi periodi di sede vacante, quando vicari di pochi scrupoli concedevano il nulla osta per l’ordinazione con estrema facilità: a. lONghITaNO, Conflitti di competenza, cit.; M. ROSa, La Chiesa meridionale nell’età della Controriforma, in g. ChITTOlINI – g. MICCOlI (curr.), La Chiesa e il potere politico, cit.; x. TOSCaNI, il reclutamento del clero, cit.; M. gUaSCO, La formazione del clero, cit. 39 Editti 1694, fol. 51v-52r.

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notitia con non puoco nostro sentimento che molti chierici e persone ecclesiastiche nostre suddite, così di questa città di Catania come della nostra diocese, puoco curandosi dello stato ecclesiastico in che si trovano, non solo non vanno vestiti da chierici in habito e tonsura, ma che con capelli lunghi e ruosa, con zazzare e perucche, con tramese e con maniche aperte e molt’altri con calzette di colore, contro la forma del Sacro Conseglio Tridentino e costitutioni sinodali, non servendo né meno la chiesa come sono tenuti, non senza puoco scandalo del popolo che suole ammirare li attioni delli ecclesiastici. volendo noi però obviare a tali inconvenienti e redurre nel nostro governo lo stato ecclesiastico nel dovuto suo apportamento habbiamo deliberato far lo presente publico editto, in virtù dello quale ordiniamo e comandamo a tutti chierici e persone ecclesiastiche nostre suddite, così di questa suddetta nostra città di Catania come di tutta la sudetta diocese, di qualsivoglia stato e conditione che siano, acciò che di qua innanti habbiano, vogliano e debbiano et ogni uno di loro habbia, voglia e debbia andare in habito e tonsura vestiti coll’habiti lunghi sino a’ piedi, e non spinti come sogliono portare alcuni di essi chierici, con calzette nere o di colore honesto, senza capelli lunghi, zazzare o perucche, ma con capelli corti in modo che habbiano d’apparere l’orecchie, con lenze piccole e maniche serrate, regolandosi in maniera che venghino dal publico non solo stimati per veri chierici e persone ecclesiastiche, ma che ne venghi edificato; ordinando parimente a tutti i suddetti chierici a dover servir la chiesa nella quale sono stati assignati e quelli che non tengono tale assignazione habbiano da ricorrere da noi o dal nostro vicario generale e quelli della diocese dalli nostri vicarii foranei che li sarà assegnata. Et il tutto habbi da seguire al più fra lo spatio di giorni 15 da contarsi dal giorno che sarà affissato lo presente publico editto, altrimente facendosi, alli controventori s’intendono privati delle loro franchezze e non li difenderemo nelle loro occorrenze e li constiovemo nelle pene disposte nelle sudette constitutioni sinodali et in altre pene a noi benviste. Et acciò che il presente nostro editto pervenghi alla notitia di ogni uno e non si possi allegare ignoranza, habbiamo ordinato si affissasse nelli lochi soliti publici e consueti di questa sudetta città di Catania e di tutta la sudetta nostra diocese. Datum Cataniae, die 7 martii, xI ind. 1688. franciscus antonius, episcopus Cataniensis. agathinus lancilotto, magister notarius».

b) Editto per l’ordinatione generale ad Sitientes

Nel secondo editto del 17 marzo, firmato dal vicario generale, si preannunzia l’ordinazione generale per il sabato della quarta domenica di qua382


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resima (sabato Sitientes)40. al di là della volontà di adempiere ad uno dei fondamentali doveri di un vescovo, il documento è particolarmente rilevante perché ci fa intravedere la volontà del Carafa di non procedere indiscriminatamente alle ordinazioni, ma di attuare un opportuno discernimento dei candidati agli ordini sacri e di avere un minimo di garanzia per la loro formazione spirituale. Ricorda ai vicari la responsabilità che si assumono in coscienza davanti a Dio nel rilasciare gli attestati di idoneità. Denuncia la prassi di presentarsi al vescovo con lettere di raccomandazione per ottenere un esame benevolo sui requisiti richiesti nei candidati dalle norme canoniche. Probabilmente per la prima volta nella diocesi di Catania obbliga gli ordinandi a premettere all’ordinazione un corso di esercizi spirituali, una pia pratica introdotta dai gesuiti che si avviava a diventare di uso comune. Confrontando questo editto con quello analogo emesso dal suo predecessore in data 28 febbraio 168341, è possibile constatare che alcune prescrizioni in esso contenute sono proprie del Carafa. «Nos archiepiscopus D. franciscus antonius Carafa etc… Desiderando noi consolare la nostra diocese colle consolationi spirituali ch’essigge l’officio nostro pastorale, habbiamo stimato primariamente intimare l’ordinatione generale per Sitientes, tre del prossimo venturo mese d’aprile; e dovendo procedere alla collatione de santi ordini, oltre l’esame solito da farsi, la coltura dell’anime per mezzo degli essercicii spirituali per tutti quelli che desiderano graduarsi in un tanto ministerio, retirandoli in qualche chiostro e luogo da noi per tale effetto deputando. E perché la brevità del tempo non permetterà l’applicatione di quanti giorni fossero necessarii per ditti santi essercicii, habbiamo determinato far lo presente publico editto collo quale primariamente intimiamo la suddetta ordinatione per Sitientes come sopra; alla notitia di che, tutti coloro che desiderano e vogliano ascendere così alli minori come alli sacri ordini vogliano subito conferirsi in questa città di Catania inanzi noi per doverci designare il luogo dove debbano fare dicti santi essercitii, quali per quessa volta tantum, attesa ditta brevità di tempo, siano per quattro giorni; ordinando e comandando a tutti e singoli che a detti ordini vorranno ascendere a dover venire coll’approbatorie de nostri vicarii foranei così de vita et moribus, habilità esercitio di chiesa, ordinando a ditti vicarii et incarendo la loro conscienza a non dover fare ditta approbatione se non li costerà secundum Deum et veritatem esser tali; altrimente oltre che da noi si procederà rigorosamente contro ditti vicarii, e li sudetti

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ibid., fol. 52v-53v. ibid., fol. 24r-24v.

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ordinandi se ne ritorneranno senza la consecutione di detti ordini e resteranno a carico della coscienza di ditti vicarii le spese et interessi che patiranno ditti ordinandi per la venuta qui. S’ordina parimente a coloro che intendono ascendere al subdiaconato: portino li loro patrimonii certi e fidelissimi, fatti in forma solita con l’approbatorie de vicarii delli lochi, guardandosi ogni uno di portare patrimonii finti e fatti in fraudi, ma che siano atti liberi e proprii, colle solennità solite e dovute. S’ordina pure che li regolari venghino con le dimissorie de loro superiori; venghi pure ogni uno accompagnato dal proprio merito et adorni di virtù, guardandosi di portare lettere commendatorie, né venire con mezzi o favori humani, che oltre non moveranno l’animo nostro dal giusto sentiero della giustizia incorreranno nella nostra disgratia. avvertendo finalmente a tutti ditti vicarii che vogliano inviolabilmente osservare quanto si è detto di sopra colla dovuta attentione e zelo, altrimente l’accusiremo al tribunale di Dio Signore nostro per rendercene esatto conto, come lo renderanno a noi quando scopreremo esserci qualche falta e ne conseguiranno da noi severissimi castighi. Datum Catanae, die 17 martii, xI ind. 1688. D. Ioseph Celestre, vicarius generalis. agathinus lancilotto, magister notarius».

c) Editto per proibire i travestimenti che si facevano in occasione del carnevale «con sacchi, testiere e lensola»

Un terzo editto del 26 marzo42 intende rimuovere gli abusi derivanti dai travestimenti che si era soliti fare in occasione del carnevale o della processione dei misteri nella settimana santa.

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«Poiché con l’andare le donne con sacchi e testiere o con lensola ni potrebeno nascere molte inconveniente e scandali appresso tutto il publico di questa città, volendo noi come zelanti dell’honor di Dio rimediare il tutto, habbiamo determinato far lo presente publico editto in virtù dello quale ordinamo e comandamo non solo a tutte le donne ma anche agl’huomini di qualsivoglia stato e conditione che sieno che di qua innanzi non attriviscono comparire né per le strade, né nelle chiese vestiti con sacchi, né con testiere, né meno le donne con lensola, atteso che non solo vi saranno quelli strappati e levati d’addosso con farli conoscere da ogn’uno che sieno, ma li costitueremo e declareremo ex nunc pro tunc per escomunicati et incorsi nelle pene e censure; l’assoluzione della quale escomunica riserviamo a noi costiibid., fol. 53v-54r.


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tuendo parimente in pena di quattro mesi di carcere ad ogn’uno delle persone che commoderanno a quelli li suddetti sacchi e testiere e li privamo della fratellanza della quale si trovano fratelli con sentirsi dalle loro compagnie e confratie per cancellati; et acciò che venghi il presente nostro publico editto alla notitia d’ogni uno habbiamo ordinato che si affissassi nelli luoghi soliti e publici di questa città per non allegarvi ignoranza. Datum Catanae, die 26 martii 1688. francesco antonio, vescovo di Catania. agathinus lancilotto, magister notarius».

d) «Editto che non si diano le chiave dei sepolcri»

Non è nuovo il richiamo, fatto in un editto del 14 aprile 168843, alla proibizione di dare in consegna la chiave del ‘sepolcro’, nel giorno del giovedì santo, a persone del popolo senza un opportuno discernimento della loro idoneità: si trattava di una disposizione che si ripeteva annualmente. Meraviglia notare che il criterio di idoneità non si fonda sulle qualità obiettive delle persone, ma sulle funzioni che esse svolgono anche nelle strutture amministrative civili della città o sull’appartenenza ai ceti nobiliari.

«archiepiscopus D. franciscus antonius Carafa, episcopus Catanen. Perché d’alcuni anni a questa parte have occorso con non poco meraviglie appresso questo publico d’haversi dati le chiave dei santi sepolcri dove si retrova collocato il corpo sacrosanto di Cristo Signor nostro nel giovedì Santo a persone secolare quasi di tutte conditioni e quesso viene a redundare a poca veneratione del culto divino e contro li decreti pontificii che lo prohibiscono; perciò n’è parso fare lo presente publico editto in virtù dello quale si prohibisce a tutti governatori et officiali delle chiese, congregationi et altri et anche a tutti superiori dei conventi di regolari di questa sudetta città che non vogliano in nessun conto consignare a persone secolari di qualsivoglia conditione che siano le chiave suddette de santi sepolcri, eccettuate però l’Ill.te Capitano giustiziario di questa città con il governatore della venerabile Compagnia delli bianchi o persone che ne tengono facoltà; e questo sotto la pena a ditti regolari d’interdetto di loro chiese et a tutti li altri officiali dell’altre chiese pure di essere chiuse e di suspensione di loro officii ed altre pene a noi benviste. Datum Catanae, die 14 aprilis 1688. D. Ioseph Celestre, vicarius generalis. agathinus lancilotto, magister notarius».

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ibid., fol. 54r-v.

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e) Due editti per la prima visita pastorale

l’editto per l’indizione della prima visita pastorale è senza data44, ma fu emanato probabilmente il 30 aprile, data di un secondo editto45, che pubblichiamo di seguito, con cui si invitano tutti i sacerdoti diocesani e religiosi ad assistere nella cattedrale all’inizio della visita. Il primo documento costituisce un richiamo ai minuziosi adempimenti richiesti per la preparazione e lo svolgimento della visita pastorale. la conoscenza di queste prescrizioni può essere utile per una più obiettiva lettura dei dati che saranno riportati negli atti della visita e di riflesso nella stessa relazione ad limina. Il documento è firmato dal vicario generale e sembra rifarsi per la parte disciplinare ad un precedente editto del vescovo bonadies; infatti si fa cenno all’osservanza delle norme del «nostro sinodo celebrato ultimamente».

«Noi l’arcivescovo D. francesco antonio Carafa per la Dei gratia e della Santa Sede apostolica vescovo di Catania, conte di Mascali, del conseglio di Sua Maestà e cancelliero dell’almo studio di detta città a tutti fedeli christiani della diocesi di Catania. Essendo molto necessaria la visita della diocese tanto incauta da sacri canoni alla quale m’obliga espressamente lo Spirito Santo nello Ecclesiastico con quel: “Pecora tibi sunt inspice et visita” {Eccli 7,24} sì come con l’esempio delle sue operationi ni insegnò Cristo Signor nostro quando in San Marco “circuibat castella in circuitu docens” {Mc 6,7} mentre per la visita si demostrano i bisogni della diocesi e si soggeriscono i remedii salutari per corregersi i pravi costumi, si perfectiona la vita de sudditi, si conserva et augmenta il culto divino, il timor di Dio et il decoro della Chiesa e si provede finalmente a tutte le necessità. Per tanto volendo noi pratticare per quanto sia possibile l’appresi insegnamenti della divina sapientia, habbiamo determinato accincerne con la nostra pastorale vigilanza alla visita della nostra diocesi, quale in virtù di questo nostro editto generale paternamente intimamo, cominciando con l’aiuto di Dio, con il patrocinio della gloriosa Immaculata vergine Maria e della padrona protettrice nostra agata v.M. prima da questa nostra chiesa cattedrale e doppo successivamente proseguiremo nelle città e terre della nostra diocesi visitando tutte le chiese, parochie, monasterii, compagnie, confraternità, congregationi, oratorii, hospidali et altre chiese, luochi pii e persone che ni appartiene visitare per giuriditione ordinaria e delegata della Santa Sede

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ibid., fol. 55v-56v. ibid., fol. 56v-57r.


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apostolica, S. Concilii Tridentini, bolle e costitutioni pontificie. E per non assegnare sotto l’ombra dell’inscienza qualche negligenza nell’apparecchiar le cose necessarie doveranno presentarsi in visita, notificamo et ordinamo a tutte le parrocchie, vicarii, cappellani, rettori, procuratori, mastri d’opera, tesaurari, depositarii, fidecommissarii, governatori et altri officiali delle chiese che tengono in ordine ogni cosa con descrittione e annotamento dell’abbatie, priorati, chiese collegiate con il numero dei canonici, dignità et altri ecclesiastici essistenti al servitio di esse chiese parocchiali, sacramentali et altri minori dentro e fuori di ogni città, terra ancor che fossero pretensi esenti dalla nostra giuriditione, eremiti, compagnie, confraternità, congregationi, cappelle, oratorii, hospidali, monti di pietà et altri lochi pii, conventi di regolari di che ordine, titulo della chiesa, numero di frati che vi habitano di famiglia e quale siano le confessari e di che età e se in quelli si vive con regolare osservanza e se ve ne sono fundati doppo dell’anno 1625 o suppressi e reintegrati o si osservano le costitutioni ecclesiastiche contente nelle lettere della reintegratione. Si terrà anche nota di tutto il clero secolare descrivendo con li nomi, età, officio e quali di essi siano confessori delli monasterii di monache, di che regola e vita ancorché pretense esenti con il numero delle professe, novicie, educande, converse e serivienti, il numero di tutte le famiglie seu fuochi delle città e terre, dell’anime e quali siano di comunione di ogni città e terra. Si farà ancora giuliana di tutti li legati pii, beneficii che rendono e chi siano li fidecommissarii con le conti dell’amministrationi di tutte le chiese, monasterii, compagnie, confraternità, ospidali et altri lochi e legati pii, delli depositarii de capitali doppo la nostra visione fatta nella precedente visita, repertorio delle Sante Reliquie con l’attestationi brevi d’indulgenze et altari privilegiati, delli giogali e supperlettili delli beni, rendite con suoi decorsi e nomi di debitori, gravezze annuali e perpetue di tutte le suddette chiese, monasterii, compagnie, confraternità, ospidali, monti di pietà et altri lochi e legati pii di ogni città e terra che saremo per visitare come ordinario e delegato della Santa Sede apostolica e le persone che tengono obligo di celebratione di messe anniversarii o altre opere pie mostrando fede dello adempimento di esse sopra tutto habbiano cura li vicarii di fare osservare esattamente il nostro sinodo celebrato ultimamente sicuri di haverne a render conto a Noi nel tempo della visita. Esortiamo pure a tutti quelli che non hanno ricevuto il S.to Sacramento della confirmatione a venire in grazia a riceverlo nelle chiese e giorni che da noi si designeranno et essendovi calici, patene, pissidi, corporali, vestimenti, sacre immagini, tabernacoli, campane et altri paramenti ecclesiastici da benedire et consecrare si tengono pronti per benedirli e consecrarli acciò che con questa prontezza possiamo dare la speditione e remedii necessari alle occorrenze offerendone in fine pronti per sentire tutto quello che ogni uno

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ci vorrà dire in secreto, in publico, per scrittura, per salute dell’anime, beneficio delle chiese e servitio di nostro Signore a cui sempre honore, gloria. amen. Et acciò il nostro presente editto venghi a notitia di ogn’uno ordinamo si publichi nella nostra cattedrale e nelle matrici delle diocesi e si affissi nelli lochi soliti. Datum Catanae, in nostro episcopali palatio, die {…}. D. Ioseph Celestre, vicarius generalis. agathinus lancilotto, magister notarius». «Noi l’arcivescovo D. francesco antonio Carafa etc… Essendo stata da noi per l’editto generale intimata la visita di questa nostra diocese in conformità di quanto espongono li sacri canoni e sacro Consiglio di Trento havendo giudicato conveniente a dar principio a questa santa opera dalla nostra cattedrale che per noi e per il presente nostro editto s’intima, ordina, e comanda a tutte le persone ecclesiastiche di qualsiasi stato e conditione siano cioè sacerdoti come clerici ai quali spetta, che domenica ventura, che saranno di 2 di maggio, ad hore 13 vogliano e debbiano e ciascheduna voglia e debbia trovarsi presente con le loro cotte nella chiesa cattedrale di questa città di Catania e intervenire alla funzione che a questo effetto si farà con la presenza et assistenza nostra et alla publicatione delli editti generali, quelli che mancheranno senza legittima causa di approvarsi da noi siano tenuti a pagare un rotolo di cera a Sant’agata e restiranno privi delle franchezze per un anno. Incarichiamo anche a tutti li regolari commoranti in questa città che intervengano anche loro alla publicatione delli editti che si farà l’istessa matina nella sudetta chiesa cattedrale e per non allegarsi ignoranza vogliamo et ordiniamo che il presente nostro editto si affissi nelli luochi soliti per la quale affissione si intendano e siano tenuti le persone di sopra esposte come se personalmente fossero state notificate et requisite. Datum in urbe Catanae, die 30 aprilis 1688. francesco, arcivescovo vescovo di Catania. agathino lancilotto, mastro notaro».

f) Editto per riconfermare ai sacerdoti le facoltà di confessare e di celebrare la messa in attesa dell’esame di idoneità

Da un altro editto del 2 maggio46 siamo informati che il vescovo, nell’indire la visita pastorale, aveva sospeso ai sacerdoti della città le facoltà di confessare e di celebrare, in vista dell’esame di idoneità al quale tutti dovevano essere sottoposti; nello stesso tempo aveva stabilito un termine perché gli amministratori di beni ecclesiastici presentassero al suo controllo 46

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ibid., fol. 57r-v.


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i libri contabili. Ma si vede obbligato a confermare le facoltà di cui ognuno è in possesso e a differire il controllo dei libri contabili, perché non prevede di poter fare tutto questo prima della sua partenza per la visita delle chiese della diocesi:

«Noi l’arcivescovo D. francesco antonio Carafa etc… Sin dal primo ingresso alla nostra santa Chiesa e diocese di Catania habbiamo posta la mente che la dignità ed officio nostro pastorale esigge la visita del gregge alla nostra cura commesso; che però si come la nostra chiesa cattedrale è la prima, principale e capo di detta nostra diocese, così da noi è stato da essa ed in essa dato principio di detta santa visita; e perché giuste cause e motivi che guardano il solo servitio del Signore e dell’anime e la buona riforma de costumi ci chiamano alla visita delle chiese di ditta nostra diocese, ed al ritorno colla gratia del Signore proseguire la visita di questa santa chiesa cattedrale et altre di questa città di Catania. Perché negli editti da noi promulgati vengono sospesi tutti li confessori, acciò si dovessero da noi esaminare, e non potendosi per la partenza stabilita da farsi per la visita di detta nostra diocese far ditto esame, per tanto per il presente publico editto vogliamo ed ordiniamo che detta sospensione di confessori non s’intenda da oggi innanzi come per li editti sudetti, ma quindici giorni doppo il nostro ritorno in questa città, puotendo ogni uno de confessori in ditti giorni quindici presentarsi innanzi noi e nostri esaminatori per essere esaminati et habilitati alla confessione. Stava pure ordinato negli editti sudetti che tutti li sacerdoti s’habbiano da presentare innanzi Noi e nostri esaminatori per essere esaminati circa le cerimonie della S.ta Messa e questo fra lo spacio di giorni quindici, ma per la causa sudetta della nostra assenza vogliamo che ditti giorni quindici corrano doppo il nostro ritorno in questa città. E perché anche si ordinava negli editti sudetti che tutti li priori, tesorieri, depositarii, fidecommissarii, governatori ed altri officiali a quali spettasse amministratione di beni, ad es. pensioni di chiese, monasteri, luochi pii et altri fra lo spaccio di mesi due havessero presentato li conti d’introito ed esito colli reveli in forma, come per ditto editto si vede, e per l’istessa causa di nostra assenza, non potendosi da noi esaminare ditti conti, ordinamo e comandiamo che il termine sudetto di mesi due se sia prorogato fino al nostro ritorno; con che all’arrivo nostro in questa città di Catania ogni uno di ditti officiali si trovi pronti ed in ordine di conti per presentarli a noi ed esaminarli e sententiarli secondo sarà di giustitia; che però per venire tutto alla notitia di ogni uno habbiamo ordinato il presente editto. Dato in Catania, ai 2 di maggio 1688. francesco, arcivescovo vescovo di Catania. agathino lancilotto, mastro notaro».

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g) Editto per le processioni nella festa del Corpus Domini

Non è specifico del Carafa il consueto editto con cui annualmente si indicevano le solenni processioni eucaristiche per la festa del Corpus Domini47. Tuttavia il documento assume un particolare rilievo storiografico se si considera l’importanza che rivestiva questa festa nel periodo post-tridentino e della controriforma. Da sottolineare l’obbligo della partecipazione per tutti i chierici, i religiosi e i laici organizzati, con le severe pene previste per coloro che si fossero assentati: «archiepiscopus D. franciscus antonius Carafa episcopus Catanensis. Perché giovedì che saranno li 17 del corrente mese di giugno 1688 s’havirà da sollennizare la festività del SS.mo Sacramento assieme farsi le solite processioni così in ditto giorno come nell’ottava di quello; perciò in virtù del presente publico editto si notificano tutti sacerdoti, chierici etiam costituti in qualsivoglia dignità, regolari, compagnie, confraternità et altri che vogliano e debbiano intervenire alle sudette processioni con le loro insegne, come è solito, retrovandosi presenti in ditti giorni nella cattedrale chiesa di questa sudetta città ad hore 22, sotto la pena di mese quattro di carcere per ogni uno che contraverrà ed altre pene a noi benviste et alle regolari d’interdetto. Ordinando a tutte le sudette persone che sotto la medesima pena al ritorno che stiano in detta chiesa né si vogliano né debbiano partire da quella se prima non sarà data la benedizione. Datum Catanae, die 14 iunii 1688. Celestre, vicario generale. D. giovan battista lancilotto, mastro notaro».

gli elementi che ci offrono questi documenti non sono sufficienti per delineare la personalità di francesco antonio Carafa; servono tuttavia a farci intravedere qualcuna delle sue principali preoccupazioni pastorali e una certa linea di azione che lo pone nella categoria di quei vescovi osservanti e desiderosi di attuare la riforma tridentina nella interpretazione propria della controriforma, ma che non riescono, per motivi diversi, a fare o a realizzare progetti di ampio respiro. Sperando che da un’accurata ricerca sulla documentazione riguardante il suo periodo di governo si possa delineare meglio la figura e l’azione di questo vescovo, possiamo limitarci a trascrivere i giudizi e le notizie riferite dagli storici. Il Mongitore scrive che il Carafa «creditam sibi ecclesiam 47

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ibid., fol. 58r.


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laudabiliter rexit»48. vito amico lo giudica «pastor vigilantissimus» e «praesul zelantissimus», che si sforzò di inculcare al popolo i buoni costumi «nec tam verbo, quam exemplo»; «summo bonorum omnium luctu» fu rimpianto dopo la sua morte prematura49. Il ferrara lo considera «uomo di somma pietà, in guisa che potea dirsi il padre dei bisognosi. la morte lo tolse ben presto a Catania a 26 agosto del 1692. Non gli si trovarono che pochissime cose: tutto avea dato in elemosine»50. fra gli atti più rilevanti del suo breve governo pastorale gli storici ricordano: le pubbliche preghiere indette in diocesi per le due eruzioni dell’Etna negli anni 1688-1689 e per il terremoto che colpì il Regno di Napoli; la consacrazione della chiesa di Sant’agata al borgo (1690), eretta dal bonadies per gli sfollati da Misterbianco e dagli altri comuni etnei, in seguito all’eruzione del 166951; l’erezione di alcune collegiate52. vito amico riferisce che, a giudizio di alcuni, la morte del Carafa fu determinata dal dispiacere che gli procurò un grave episodio accaduto nella festa del Corpus Domini: fra le confraternite dei nobili (i bianchi e Santa Maria della Pace), degenerò in lite una delle solite controversie dovute a motivi di precedenza. Quando il vescovo si accorse che i litiganti ponevano mano alle armi, per sedare gli animi fu costretto a deporre il ss. Sacramento e a chiudere la cattedrale53. Il Carafa «morì l’anno 1692 a 26 d’agosto, martedì, hore 19»54. fu seppellito nella cattedrale di Catania; nel 1695 suo fra-

a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 135. v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 505-507. 50 f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 207-208. 51 a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 135. In una lapide posta sulla porta della chiesa si legge: «D.O.M. Post aetnae incendium triumphali agathae nomine insignitum piis ac oblatis sumptibus erectum: ab antistite Caraffa consecratum: terremotu dirutum: aeternitati magnificentius reviviscit. anno 1709». 52 a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 136. 53 v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 508. lo storico catanese nel narrare questo episodio non riferisce la voce popolare di una predizione dell’imminente terremoto fatta dal Carafa mentre rimproverava i fedeli per i fatti accaduti: «guai a te, Catania; ma io non vedrò le tue rovine» (g. CONSOlI – g. aMaDIO, Santi ed eroi di carità, cit., 122-123). Neppure la maggior parte delle cronache coeve del terremoto fa cenno di questa predizione, come ad es. il volumetto di f. PRIvITERa, Dolorosa tragedia rappresentata nel Regno di Sicilia nella città di Catania, Catania 1695, nonostante la tendenza dell’autore a scrivere tutto ciò che aveva un carattere straordinario o miracoloso, e nonostante i diversi riferimenti che egli fa al Carafa nei suoi scritti. Probabilmente risente di questa voce popolare l’espressione finale dell’epigrafe latina, che si legge tutt’ora nel monumento funebre del Carafa: «fossi rimasto in vita! Catania non sarebbe andata in rovina». 54 f. PRIvITERa, Dolorosa tragedia, cit., 55. Da notare che nel computo del tempo, si 48 49

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tello gli eresse il monumento funebre che fu collocato nel transetto — rimasto illeso dopo il disastroso terremoto del 1693 — quando il tempio fu ricostruito e aperto al culto. 3. la RElaZIONE AD LiMinA (1691)

francesco antonio Carafa governò la diocesi di Catania per quasi cinque anni e inviò alla Santa Sede una sola relazione ad limina. Contrariamente a quanto avevano fatto i suoi predecessori che, all’inizio del loro governo pastorale, avevano dato nella prima relazione un quadro ampio e dettagliato dello stato in cui si trovava la diocesi, il nostro vescovo ripete nello schema, e a volte anche nelle espressioni, le ultime relazioni del bonadies55. Si limita solamente ad aggiornare i dati sulle persone e le istituzioni ecclesiastiche, da lui raccolti durante la visita pastorale; ma da un confronto fra questa relazione e l’ultima del bonadies si può constatare che esistono poche varianti, ad eccezione dei dati sulla popolazione dei diversi centri. Un’analisi degli elementi contenuti in questo documento può aiutare il lettore nella sua utilizzazione storiografica. a) La mensa vescovile

le tristi condizioni della mensa vescovile descritte dal bonadies nelle sue relazioni non sembra siano cambiate al tempo del Carafa. la mensa è ancora amministrata dalla Regia Monarchia; al vescovo è dato un assegno annuo di 4.000 scudi56. b) La cura delle anime nella città e nella diocesi

Non si danno elementi nuovi sull’organizzazione della cura d’anime nella diocesi di Catania. Il Carafa, secondo lo schema consueto, prima tratta della città e poi della diocesi; ma non aggiunge nessun dato nuovo a quelli

iniziavano a contare le ore del giorno dal tramonto del sole. Tenendo conto che il 26 agosto il sole tramonta dopo le ore 19, il Carafa morì tra le 14-15. 55 vedi supra le relazioni del 1675, del 1679, del 1682, del 1686. 56 Rel. 1691, fol. 323v.

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che troviamo nelle relazioni del bonadies. Nella città l’amministrazione dei sacramenti spetta al maestro cappellano della cattedrale, aiutato da 4 cappellani; si hanno anche 4 chiese sacramentali, coadiutrici della cattedrale, disposte nei diversi quartieri, le quali però non possono essere considerate parrocchie; i loro cappellani sono amovibili57. Non è specificata con chiarezza la situazione delle altre chiese della diocesi. Nella sintesi finale si dice solamente che si hanno quaranta chiese madri sacramentali nelle quali prestano il loro ministero trentadue cappellani amovibili e quattordici «parochi seu rectores»58. c) Le collegiate

gli anni che vanno dal 1670 al 1754 delimitano il periodo in cui si diffusero nella diocesi di Catania le collegiate. Dopo l’erezione da parte della Santa Sede della collegiata di Piazza (1602), infatti, le antiche comunìe chiesero di essere trasformate in collegiate59. fu il vescovo Michelangelo bonadies che accolse le prime domande ed eresse le collegiate di Paternò (1670) e di assoro (1684); il suo esempio fu seguito sia dal vescovo francesco antonio Carafa (che ne eresse sei: quattro a San filippo d’agira nel 1689 — San filippo, Sant’antonio, SS.mo Salvatore, Santa Maria Maggiore —, le altre ad adernò nel 1690 e ad acireale nel 1691), sia dai suoi successori60. È difficile stabilire gli obiettivi pastorali che intendevano raggiungere i vescovi con questi provvedimenti che esulavano dalle loro competenze, perché riservate alla Santa Sede; forse si trattò di un tributo pagato al gusto per l’esteriorità e il formalismo barocco propri di quel tempo61.

L. c. ibid., 325v. 59 Per comprendere il processo di trasformazione che nella diocesi di Catania dalle comunìe porta alle collegiate vedi: a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 109-142. In particolare è utile seguire il caso della chiesa madre di aci aquilia (poi acireale) (a. lONghITaNO, La visita pastorale del vescovo Michelangelo Bonadies ad Aci Aquilia nel 1666, cit., 378-381). 60 Il Mongitore fa rilevare che l’erezione delle collegiate di San filippo d’agira provocò «iurgia inter ecclesiasticos» (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 136), fatto non nuovo per il clero di quella città. 61 vedi infra le osservazioni critiche sulle collegiate che farà il vescovo di Catania S. ventimiglia alla Santa Sede nella sua relazione del 1762, fol. 7v-9v. 57 58

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Nella sua relazione il Carafa si limita ad elencare le collegiate esistenti in diocesi senza far cenno alla sua iniziativa di accrescerne il numero62. d) il seminario

Non subisce alcuna variazione rispetto alle precedenti relazioni il numero di 15 alunni educati nel seminario63. Tuttavia, anche se la relazione non ne fa cenno, durante il periodo di sede vacante si era avuta una novità di rilievo nella vita di questo istituto: per iniziativa dei canonici era stato ingrandito l’edificio che lo ospitava e come rendita stabile gli erano stati assegnati gli introiti provenienti dalle pene64. e) Le associazioni e le attività assistenziali

l’unica variante che troviamo sul numero delle associazioni (sodalitates) riguarda la città di Catania: mentre il bonadies nella relazione del 1686 ne aveva segnato 26 il Carafa ne indica 2265. Nell’elenco degli ospedali esistenti nei diversi centri della diocesi ne troviamo tre in più (16 invece di 13)66. Probabilmente sono stati inclusi in questo numero i tre orfanotrofi per ragazze che il bonadies indicava come esistenti e dei quali non si dà notizia nella relazione del Carafa. f) il clero

Un probabile errore del copista ha fatto aumentare notevolmente, rispetto alle relazioni del bonadies, la consistenza numerica del clero della diocesi. Mentre nelle relazioni precedenti i sacerdoti di tutta la diocesi erano 1.050 e i chierici 1.500, nel documento del Carafa i sacerdoti diventano Rel. 1691, fol. 324v-325r. vedi supra nel profilo del vescovo Michelangelo bonadies i dati desunti dalle sue relazioni ad limina. 64 v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 505. 65 Rel. 1691, fol. 324r. 66 ibid., fol. 325v. 62 63

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1.500, ma non è indicato il numero dei chierici67. Il copista, nel seguire lo schema delle ultime relazioni del bonadies, probabilmente saltò il rigo dei chierici e la cifra ad essi relativa fu trascritta per i sacerdoti. Questa ipotesi è suffragata dal numero di sacerdoti e di chierici rimasto invariato nella città di Catania68 e dal breve periodo di sede vacante avutosi dopo la morte del bonadies: difficilmente nello spazio di un anno i sacerdoti della diocesi di Catania avrebbero potuto aumentare di ben 450 unità. Se si accetta questa ipotesi ci troviamo di fronte ad un numero di sacerdoti e di chierici che rimane invariato dal 1668, data della prima relazione ad limina del bonadies: su una popolazione di circa 130.000 anime, abbiamo la media di 1 sacerdote per ogni 123 abitanti e 1 chierico ogni 87 abitanti (per la sola città: 1 sacerdote per 112 abitanti e 1 chierico per 90 abitanti), escludendo da queste cifre il numero dei religiosi69. g) La popolazione della città e dei diversi centri della diocesi

Dal nuovo censimento ordinato dal Carafa nel decreto di indizione della visita pastorale è stato desunto il numero degli abitanti della città di Catania (18.000) e degli altri centri abitati. a parte alcuni casi in cui si notano delle variazioni notevoli con i dati dell’ultima relazione del bonadies (si veda il numero degli abitanti di acireale, Paternò, aidone, barrafranca, Centuripe, fenicia, Mascalucia, Tremestieri), si hanno generalmente varianti di scarso rilievo70. Un’attenta analisi di questi dati può darci indicazioni utili anche sulla ridistribuzione degli abitanti nei diversi centri etnei, seguita alla lava del 1669 e alla difficile e lenta ricostruzione degli anni successivi.

L. c. ibid., fol. 324r. 69 Se si confrontano questi dati con quelli delle altre diocesi dell’Italia meridionale e settentrionale si può constatare che Catania non si discosta dalla media nazionale (x. TOSCaNI, il reclutamento del clero, cit.). 70 Rel. 1691, fol. 325r. 67 68

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1691 – Relazione del vescovo francesco antonio Carafa, relativa ai trienni 35° e 36°, scritta il 2 maggio 1691 e presentata nel giugno del 1692 dal procuratore can. luca De Santis1.

[fol. 323r] beatissimo Padre, non permettendomi l’elevato numero dei miei anni e la malferma salute di venire a baciare i piedi della Santità vostra, ho pensato di inviare il rev. can. don luca De Santis per attestare la verità di queste mie affermazioni, per venerare in mia vece le tombe degli apostoli e presentare alla Santità vostra e agli Eminentissimi Cardinali la relazione sullo stato della diocesi. Prego umilmente la vostra beatitudine di accoglierlo con la consueta benevolenza con cui è solita accogliere tutti e di rivolgere uno sguardo di compiacimento verso la Chiesa di Catania. Durante il primo anno del mio governo episcopale ho iniziato, proseguito e completato con molto impegno la visita pastorale. Dovunque, per le calamità di questo nostro tempo, ho trovato molta miseria e afflizione che non ho potuto fare a meno di osservare con le lacrime agli occhi. Nondimeno ho cercato di consolare e venire incontro con le elemosine, secondo le mie possibilità; ai parroci e ai cappellani ho raccomandato l’amministrazione dei sacramenti e il decoro delle chiese; ho incoraggiato con zelo i chierici ai buoni costumi; ho istruito i fedeli con la predicazione; ho corretto le cattive inclinazioni sia con le pene sia con gli avvertimenti ed infine ho proposto,

1 Rel Dioec 207 a, fol. 323r-326v. alla relazione sono allegati i seguenti documenti: 1) due lettere del vescovo alla Congregazione: «Rev.mi e Em.mi Signori, avvicinandosi il tempo di visitar i Sacri limini e ritrovandosi convalescente per l’infermità avuta, il vescovo di Catania supplica umilmente l’Eminenze vostre della proroga di sei mesi, che, etc» (fol. 318r) e la risposta: «Per il vescovo di Catania. Die 23 septembris 1690. ad sex menses. f. card. Carafa» (fol. 319v). «Dovendo il vescovo sodisfare al peso di venire a visitare i SS. limini per il spirante 35° triennio e non potendo personalmente venire, né mandare canonico di sua sodisfazione, supplica humilmente la S. v. concederli che possa inviare un semplice sacerdote suo diocesano. Die 16 novembris 1690» e la risposta: «Santissimus annuit» (fol. 327v); 2) procura redatta a Catania dal notaio giacomo De Napoli il 14 aprile 1691, I ind., alla presenza dei testi sacerdote D. giovanni Russo, canonico secondario della cattedrale e sacerdote giovanni battista de Castro e giuseppe Capaccio, autenticata del senato di Catania (fol. 321r-322v); 3) due certificati della visita alle basiliche di San Pietro del 20 giugno 1692 (fol. 328r) e di San Paolo del 10 giugno 1692 (fol. 329r). Nota della Congregazione: «Catanien. visitatio SS. liminum. Die 21 iunii 1692. 7a iunii 1692 fuit data attestatio pro 35° et 36° triennis» (fol. 326v).

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deliberato e ordinato tutto ciò che concerne il culto divino, il decoro delle chiese e quel che mi è sembrato necessario alla salute delle anime. Inoltre non ho trascurato di insegnare ai bambini il catechismo prescrivendo ai parroci di istruire i più ignoranti nei giorni di festa; ho visitato diligentemente le parrocchie, le chiese, gli ospedali, i luoghi pii; ho amministrato nei singoli luoghi la cresima [fol. 323v]. Mi sia consentito dare alla Santità vostra la relazione dettagliata sull’attuale stato di questa Chiesa e diocesi di Catania. {La mensa vescovile}

Inizierò dalla mensa vescovile che un tempo era molto ricca, ma ai giorni nostri è così gravata di oneri e di pensioni che i frutti percepiti non bastano a pagare i debiti. E, poiché per il sostentamento del vescovo e della sua famiglia non restava neppure uno spicciolo, sono riuscito ad ottenere dai frutti della mensa vescovile 4.000 scudi l’anno a titolo di alimenti. Questa somma mi è stata assegnata dai suoi frutti, per ordine del re, dalla Regia Monarchia, che amministra le rendite e paga i creditori come amministratore delegato. Questa situazione si protrarrà fino a quando la mensa, liberata da tanti oneri, non sarà in grado (a Dio piacendo) di essere governata e amministrata dal proprio vescovo. La chiesa cattedrale

la celebre chiesa cattedrale della nobilissima città di Catania rifulge di grandissimo splendore per la residenza del vescovo, che allo stesso tempo si fregia del titolo di conte di Mascali e di cancelliere dell’almo Studio dell’Università; a lui compete il diritto di presiedere il collegio per il conferimento della laurea e di segnare con il proprio sigillo il relativo diploma. ha 5 dignità (il priore, il cantore {il decano}, il tesoriere e l’arcidiacono) e 12 canonici insigniti del rocchetto e della mozzetta; tutti prestano servizio nella cattedrale e costituiscono il capitolo, che nelle funzioni suole portare la mazza d’argento. Prestano servizio pure 12 beneficiati, chiamati anche secondari, che insieme ai canonici e alle dignità ogni giorno, a settimane alterne, recitano in coro le ore canoniche. Dispone pure del maestro cappellano, del cerimo397


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niere, di 4 altri cappellani per l’amministrazione dei sacramenti, di 8 mansionari che partecipano al coro nelle domeniche e nei giorni festivi, rivestiti della cotta e dell’epitogio. Nei diversi quartieri della città si hanno 4 chiese sacramentali che non rivendicano il nome di ‘parrocchia’: sono infatti semplici coadiutrici della chiesa madre e in esse prestano servizio cappellani amovibili che amministrano i sacramenti ai parrocchiani [fol. 324r]. Deve servire nella cattedrale anche il seminario dei chierici, costituito da 15 alunni, che sono educati dai superiori incaricati e sono istruiti con ogni diligenza. la nobilissima a antichissima città di Catania ha il vetusto liceo delle scienze che non è secondo nei privilegi all’Università di bologna. ha complessivamente 4.000 famiglie e 18.000 anime. Sorgono in essa 18 conventi religiosi maschili. I monasteri femminili sono 12, 3 dei quali sono diretti dai frati minori di s. francesco dell’osservanza. Inoltre si trovano: una casa di donne pentite, una di ragazze e un’altra di ragazzi orfani, un ospedale per gli infermi e per i bambini esposti, un ospizio per i pellegrini. C’è un solo monte di pietà che dà le medicine agli infermi, i vestiti ai poveri e la dote alle ragazze orfane. Una sola commenda di San giovanni di gerusalemme. Una casa di eremiti per pii sacerdoti desiderosi di vivere in solitudine, posta fuori le mura della città e chiamata «la Mecca». 22 associazioni con le relative chiese; alcune di esse ogni anno danno la dote a ragazze sia per il matrimonio, sia per l’ingresso in monastero. 6 confraternite con le relative chiese. 12 chiese minori o semplici. 18 pie congregazioni. Circa 160 sacerdoti. Oltre 200 chierici. Tutte le chiese della città sono 90. C’è inoltre la preghiera quotidiana delle quarantore a turno con musica e pompa solenne. alcune doti per il matrimonio o l’ingresso in monastero di ragazze orfane [fol. 324v]. 398


{La diocesi}

Francesco Antonio Carafa (1687-1692)

l’antichissima diocesi di Catania, eretta alle falde dell’Etna al tempo dei santi apostoli da s. berillo inviato da s. Pietro in Sicilia, ha questi confini: a tramontana la diocesi di Messina, a occidente la diocesi di agrigento, a mezzogiorno quella di Siracusa, a oriente il mare. Oltre la chiesa cattedrale ha 8 chiese collegiate: di cui una a Catania sotto il titolo di s. Maria dell’Elemosina con 3 dignità (il prevosto che è parroco, il cantore, il tesoriere) e 20 canonici, insigniti della cotta e del cappuccio, i quali attualmente hanno tenuissime prebende; vi sono inoltre 6 mansionari con il cerimoniere e un cappellano sacramentale, adornati anch’essi del cappuccio. Tutti costoro nei giorni festivi recitano le ore canoniche in coro e cantano solennemente la messa. ha la seconda collegiata nella chiesa madre della città di Piazza; in essa si trovano 4 dignità (prevosto, cantore, tesoriere, decano) alle quali compete la cura delle anime, 22 canonici adornati della mozzetta, del rocchetto e della cappa magna, 12 beneficiati, che ogni giorno alternativamente recitano in coro le ore canoniche. ha la terza collegiata nella chiesa madre della città di Paternò sotto il titolo di Santa Maria dell’alto, con 3 dignità (prevosto, cantore e tesoriere), che come parroci amministrano i sacramenti ai fedeli; essi assieme a dodici canonici e 6 mansionari, nei giorni di festa cantano solennemente la messa. le dignità assieme ai canonici indossano la mozzetta, il rocchetto e la cappa magna. Si trovano nella città di San filippo d’agira altre 4 collegiate, delle quali due sono maggiori e due minori. le prime ogni giorno, in coro, recitano l’ufficio divino e cantano solennemente le messe [fol. 325r]; le altre recitano le ore canoniche solo nei giorni festivi. l’ultima collegiata sorge nella città di assoro, ha 3 dignità e 9 canonici con l’epitogio e la cotta che cantano ogni giorno l’ufficio divino. la diocesi comprende molte città un tempo opulente; oggi però, a causa della penuria dei tempi, sono travagliate dalla povertà. Catania ha il primo posto e conta 18.000 anime.

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Francesco Antonio Carafa (1687-1692)

Città Enna Piazza San filippo d’agira Calascibetta Regalbuto acireale

anime 9.118 12.841 8.331 4.158 3.530 12.261

Casali Misterbianco Mompileri San Pietro Camporotondo Mascalucia gravina Pedara galermo viagrande

anime 1.000 462 508 276 2.538 960 2.027 404 2.000

Paesi Paternò adernò aidone Pietraperzia assoro barrafranca Centuripe valguarnera leonforte fenicia Motta aci Sant’antonio aci San filippo valverde bonaccorsi Nicolosi biancavilla Mirabella

400

anime 5.000 5.700 5.825 3.780 3.226 2.590 1.800 1.250 4.960 1.300 400 1.865 4.004 974 830 848 4.300 400


Francesco Antonio Carafa (1687-1692)

Trecastagni Tremestieri San giovanni la Punta Trappeto Sant’agata acicastello San gregorio

3.046 462 1.020 303 350 200 657

[fol. 325v] Perché la Santità vostra possa conoscere in forma più breve e schematica lo stato della diocesi è riportata la seguente tabella. anzitutto la diocesi di Catania, oltre la cattedrale e 8 chiese collegiate, ha 40 chiese matrici sacramentali, nelle quali prestano il loro servizio 32 cappellani sacramentali amovibili; ha 14 parroci o rettori, le altre chiese sacramentali sono rette da cappellani amovibili. I conventi dei religiosi maschili sono circa 80. I monasteri femminili 35. Case di donne convertite 3. Ospedali per gli infermi e per accogliere i bambini esposti 16. Ospizi per pellegrini 2. Monti di pietà 13. luoghi di eremiti 5. associazioni 92. Confraternite 77. Congregazioni 30. Chiese minori o semplici 276. Sacerdoti circa 1.500. abbazie regie 2. Cappellanie regie 2. Doti per ragazze orfane circa 30 ogni anno. Preghiera delle quarantore quotidiana a turno. fedeli obbligati alla comunione pasquale circa 90.000. Tutta la diocesi con gli ecclesiastici ha oltre 130.000 abitanti; tutti professano la fede cattolica [fol. 326r] e nessuno (per grazia di Dio) si è allontanato da essa. Questi sono i dati relativi alla diocesi di Catania che presento, prostrato ai piedi della Santità vostra, nel primo triennio del mio episcopato. Supplico la Santità vostra che si degni accettarli ed esaminarli benevolmente. 401


Francesco Antonio Carafa (1687-1692)

Non mi resta altro che pregare Dio Onnipotente perchÊ accresca la fede cattolica, riduca all’impotenza i nemici della Chiesa romana e conceda anni lunghi e sereni alla Santità vostra a cui, baciando gli augusti piedi, chiedo umilmente la benedizione. Catania, 2 maggio 1691 Umilissimo e obbedientissimo servo francesco antonio Carafa, vescovo di Catania

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aNDREa RIggIO (1693-1717) 1. la fIgURa

Il 26 agosto 1692 la diocesi di Catania era rimasta vacante per la morte del vescovo francesco antonio Carafa. Per il cattolicissimo re di Spagna Carlo II, che godeva del diritto di presentazione e di patronato, non sembra che ci siano stati problemi nell’indicare alla Santa Sede il nome del successore. Infatti nel gennaio dell’anno seguente andrea Riggio, giovane rampollo di una delle famiglie emergenti della nobiltà palermitana, all’età di appena trentatré anni, si recava a Roma per essere nominato vescovo di Catania e ricevere la consacrazione episcopale1. la famiglia Riggio aveva raggiunto una certa notorietà verso la metà del secolo, quando nei tumulti popolari del 1647, in assenza del pretore, Stefano Riggio era stato chiamato a far parte dei quattro governatori della città, in uno dei momenti più critici per la dominazione spagnola2. la dimostrazione delle sue capacità, data in quei giorni difficili, gli spianò la strada ad una brillante carriera e alla nomina di principe di Campofiorito. Suo figlio luigi, a sua volta, nel 1680 fu nominato principe della Catena3. Dal matrimonio di luigi con francesca Saladino nacquero fra gli altri: Stefano, futuro principe di aci Santi antonio e filippo, andrea, che sarà vescovo di Catania dal 1693 al 1717, Ignazio, che dopo aver ricoperto l’ufficio di vicario generale del fratello, ebbe la prebenda di arcidiacono a Siracusa, gioacchino e fra Carlo, dei quali non abbiamo notizie precise4.

1 gli storici siciliani scrivono che l’11 gennaio 1693, giorno del disastroso terremoto che distrusse Catania e gran parte della Sicilia orientale, andrea Riggio si trovava in Calabria, mentre si recava a Roma per ricevere la consacrazione episcopale (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 136; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 513). In realtà il Riggio era stato semplicemente presentato da Carlo II per essere nominato vescovo di Catania. Il processo informativo fu istruito il 7 marzo e la bolla di nomina porta la data del 9 marzo 1693 (Tutt’Atti 1693-1694, fol. 215r-217v). 2 I. la lUMIa, Storie siciliane, cit., 29. 3 f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., I/2, 140-142. 4 Il villabianca, scrivendo sui prìncipi di Campofiorito, indica solo i figli primogeniti che succedono nel titolo (l. c.). andrea Riggio è indicato come figlio del «Signor

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Andrea Riggio (1693-1717)

andrea nacque a Palermo il 10 marzo 1660 e, come figlio cadetto, si avviò alla carriera ecclesiastica5. Dal processo informativo per la sua nomina a vescovo di Catania risulta che egli conseguì la laurea in utroque iure nell’Università la «Sapienza» di Roma e fu ordinato sacerdote verso il 16886. Riteniamo, pertanto, che egli abbia ricevuto la sua formazione umanistica e teologica a Palermo e a Roma. Negli otto anni di ministero sacerdotale, come incarico di rilievo nella diocesi di Palermo, svolse l’ufficio di delegato per i monasteri femminili7, un’esperienza alla quale non mancherà di richiamarsi nelle relazioni ad limina che pubblichiamo8. a) Personalità e formazione

Uno dei più autorevoli storici di Catania così ce lo descrive: «fu di statura piccola e di fisionomia piena, di carattere allegro, faceto, accogliente, affettuoso. Sino dai primi anni soggetto al mal caduco, era la musica, che egli estremamente amava, che mitigava il suo male e raddol-

Principe di Campo fiorito D. luigi Riggio» nel processo informativo per la sua nomina episcopale (Proc Dat 70, fol. 101v). Si fa menzione di un fratello di andrea Riggio nell’atto di procura, redatto a Roma il 12 marzo 1693, con cui il neo vescovo conferisce ampi poteri al padre luigi e in sua assenza al fratello Stefano (Tutt’Atti 1692-1693, fol. 217v-221v). In una lettera del 5 settembre 1702 andrea Riggio scrive al papa Clemente xI per raccomandare il conferimento dell’arcidiaconato di Siracusa a «fra D. Ignatio Riggio» suo fratello e vicario generale (Vescovi e Prelati 95, fol. 261r). In aCC, fondo principale, Lettere di cardinali, vescovi e altri personaggi dirette al capitolo, troviamo le lettere dei fratelli gioacchino e fra Carlo, scritte in occasione della traslazione della salma di andrea Riggio da Roma a Catania (maggio 1927). Pertanto su cinque figli maschi, tre si erano avviati alla carriera ecclesiastica. Sulla signoria instaurata dalla famiglia Riggio nella zona etnea si veda a. PaTaNÈ, Le corti delle famiglie Di Giovanni e Riggio nell’area etnea nei secoli xVii e xViii, in aSSO 94 (1998) 61-80. 5 Negli atti del processo informativo non troviamo acclusa la documentazione con l’atto di battesimo di a. Riggio. I testi nella loro deposizione si limitano a dire che nel 1693 il candidato aveva «trentatré anni in circa» (Proc Dat 70, fol. 101v). la data di nascita è indicata da a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 139. 6 Il teste giovanni battista Sidoti depone nel processo informativo: «Saranno da otto anni che è sacerdote» (Proc Dat 70, fol. 101v), «egli è dottore dell’una e l’altra legge e ne ha preso il grado nella Sapienza di Roma» (ibid., fol. 102r). 7 «Non so che habbia havuta altra carica che di deputato delli monasteri della città di Palermo et ho anco inteso dire che in detta carica si sia portato lodevolmente» (ibid., fol. 103v). 8 Rel. 1712, fol. 374r.

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Andrea Riggio (1693-1717)

civa spesso l’amaro dei suoi affari»9. E di amarezza nei suoi affari ne ebbe molta, se teniamo presenti le tumultuose vicende del suo governo pastorale che lo costrinsero a morire esule a Roma. Considerato il notevole spessore della sua personalità e il periodo critico in cui svolse il ministero episcopale, riteniamo che si assuma un compito tutt’altro che facile chi volesse scrivere la biografia del vescovo Riggio. la gran mole di documenti di cui disponiamo, nell’archivio Storico Diocesano, nell’archivio Segreto vaticano e negli archivi di Stato italiani e spagnoli, costringerebbe il biografo ad un lavoro di ricerca e di studio, anzitutto per ricostruire i fatti10. E poiché i fatti salienti nei quali egli è stato protagonista o è stato comunque coinvolto sono molti, si dovrebbe procedere gradualmente e distinguere momenti e periodi diversi della sua vita e del suo governo: la famiglia di provenienza, la sua formazione, l’inizio del suo ministero pastorale e il difficile impatto con le autorità cittadine, i problemi legati alla ricostruzione della città, la riorganizzazione della diocesi, le controversie giurisdizionali, i suoi rapporti con la corte di Palermo e la Santa Sede, la controversia liparitana. Solo dopo un esame approfondito di questi fatti è possibile avere un quadro esauriente della sua personalità e confrontarsi con i giudizi, non sempre spassionati, che ci hanno tramandato gli storici locali o chi si è occupato della controversia liparitana11. Non essendoci prefissi in questa sede di scrivere la biografia del Riggio, possiamo limitarci ad abbozzare un suo profilo, tentando di delineare il suo carattere e di individuare le matrici culturali alle quali egli si

f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 226. a parte gli atti del suo governo, che si trovano nei fondi usuali dell’archivio Storico Diocesano Catania (Tutt’Atti, Visite, Editti…), c’è da tenere presente il volume miscellaneo Libro rosso, che in circa mille fogli riporta un gran numero di lettere originali e di documenti in copia dell’episcopato Riggio. Si conservano alcuni registri con atti del suo governo anche in aCC, fondo principale, Raccolte di copie duplicate di vari atti del governo di Mons. Andrea Riggio, Rivendicazioni di diritti di immunità ecclesiastica fatta dal vescovo di Catania Mons. Andrea Riggio contro l’amministrazione comunale della stessa città, Rivendicazione di dritti giurisdizionali da parte di Mons. Andrea Riggio contro il capitano di giustizia di Catania. Per il ruolo avuto dal vescovo Riggio nella controversia liparitana si veda: a. lONghITaNO, il tribunale di Regia Monarchia: governo della Chiesa e controversie giurisdizionaliste nel Settecento, in S. vaCCa (cur.), La Legazia Apostolica, cit., 167-200. 11 vedi, ad esempio, il giudizio sul Riggio, formulato mentre infuriava la controversia liparitana, dall’abate Del Maro Doria, regio incaricato di vittorio amedeo di Savoia a Roma: «Ignorante, borioso, violento, operante senza fine preciso» (v.E. STEllaRDI, il regno di Vittorio Amedeo ii di Savoia nell’isola di Sicilia dall’anno MDCCxiii al MDCCxix, II, Torino 1863, 130-131. 9

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ispirò nella sua azione. gli elementi dei quali dobbiamo tener conto credo siano essenzialmente quattro: un’intelligenza acuta ma di tipo analitico, un’indubbia capacità di governo, la malattia di cui soffriva (il mal caduco) e la formazione culturale che risente dell’ambiente palermitano e degli insegnamenti ricevuti all’Università la «Sapienza» di Roma. andrea Riggio nei suoi scritti e nei suoi interventi dimostra di conoscere i problemi; la sua intelligenza, tuttavia, sembra più incline all’analisi che alla sintesi: un’analisi che dà l’impressione di non far riferimento ad un orizzonte aperto e di ampio respiro, ma di aver bisogno di certezze elementari, nelle quali sono esclusi il margine di dubbio e la possibilità di sfumature diverse12. la sua capacità di governo si dimostrò soprattutto nell’opera di ricostruzione e di riorganizzazione della diocesi dopo il terremoto del 169313. al difficile compito della ricostruzione materiale delle chiese e degli istituti religiosi bisognava aggiungere anche quello della riorganizzazione delle forze superstiti. Occorreva individuare le realtà vitali che andavano incoraggiate e potenziate e le realtà non più rispondenti alle diverse condizioni sociali. Il quadro dell’organizzazione diocesana, che troviamo dopo il terremoto, ci presenta una Chiesa più organica e più viva, priva di molti rami secchi che la bufera del terremoto e la capacità di governo del Riggio avevano contribuito a far cadere definitivamente. Ma l’intelligenza e la capacità di governo del nostro vescovo erano condizionate dal suo stato di salute e dalla formazione culturale ricevuta a Palermo e a alla «Sapienza» di Roma. Considerato che il Riggio ricevette regolarmente gli ordini sacri, bisogna concludere o che non soffrisse di una

12 l’angolo di visuale dal quale egli considera i problemi sembra sia solamente quello del prestigio suo e della Chiesa; un prestigio legittimato dalle dottrine sull’immunità ecclesiastica, divulgate da una parte della cultura teologico-giuridica del tempo. Su questo tema vedi la nota 24. 13 Sul terremoto che l’11 gennaio 1693 distrusse Catania e le città del val di Noto si vedano in particolare gli studi di D. bOTTONE, De immani Trinacriae terremotu, Messina 1718; C. SCIUTO PaTTI, Contribuzione allo studio dei terremoti in Sicilia, Catania 1896; M.S. baRbaNO – M. COSENTINO, il terremoto siciliano dell’11 gennaio 1693, in Rendiconti della Società Geologica italiana 4 (1981) 517-522; E. lO gIUDICE – g. PaTaNÈ – R. RaSà – R. ROMaNO, The structural framework of mount Etna, in Memorie della Società Geologica italiana 23 (1982) 125-158; g. gIaRRIZZO (cur.), La Sicilia dei terremoti. Lunga durata e dinamiche sociali. atti del convegno. Catania, 11-13 dicembre 1995, Catania 1997; E. bOSChI – E. gUIDObONI, Catania terremoti e lave. Dal mondo antico alla fine del novecento, bologna 2001, 105-166.

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forma grave di epilessia o che avesse ricevuto una regolare dispensa14. Tuttavia sembra fuor di dubbio che questa malattia abbia esercitato un’influenza determinante sulla sua personalità e possa spiegarci due tratti caratteristici del suo comportamento: l’aggressività e la caparbietà15. Questa sua menomazione lo avrà spinto a cercare la sicurezza di una Chiesa forte, di una dottrina solida, di una tradizione che potesse evitare le incertezze caratteristiche di posizioni culturali avanzate. Il clima culturale palermitano alla fine del ’600 e all’inizio del ’700 era tutt’altro che statico e omogeneo. le polemiche sulla legazia apostolica, che si erano accentuate all’inizio del secolo xvII, dopo la pubblicazione del noto saggio del card. Cesare baronio16, avevano inizialmente assunto un carattere spiccatamente politico fra regalisti, che sostenevano la validità della posizione assunta dalla corte, e curialisti che facevano proprie le ragioni della Santa Sede. verso la seconda metà del secolo, sotto l’influenza delle dottrine cartesiane e gianseniste, la controversia incominciò ad affrontare anche tematiche teologiche. Riscoprendo l’ordinamento della Chiesa antica, si incominciò a sottolineare l’identità e l’autonomia delle diocesi in contrapposizione al rigido centralismo della Santa Sede. In quest’ottica la legazia apostolica

14 le affermazioni del ferrara «sino dai primi anni soggetto al mal caduco» ci inducono a credere che il Riggio soffrisse di questa malattia sin dall’infanzia. le norme canoniche proibivano il conferimento degli ordini sacri agli epilettici e limitavano l’esercizio del ministero a chi era affetto da questa malattia (Decreto di graziano, I, Dist. xxxIII, c.3; II, C. vII, q. 2, cc. 1-2). Ma a certe condizioni era possibile ottenere dalla Santa Sede la dispensa da questa irregolarità. Del resto, anche in epoca a noi più vicina, non mancano esempi di persone che giunsero al vertice della gerarchia ecclesiastica pur essendo affette da questa malattia. Si pensi al caso di Pio Ix, messo in evidenza dallo studio di a.b. haSlER, Come il papa divenne infallibile. Retroscena del Vaticano i, trad. it., Torino 1982, 95-113, il quale tuttavia nelle sue conclusioni va oltre i limiti di una sana critica storica. 15 Chi è cosciente di avere una menomazione è portato ad assumere nei confronti degli altri un atteggiamento di difesa e a far valere il proprio punto di vista come forma inconscia di rivalsa. In questi casi l’aggressività e la caparbietà possono diventare sintomo di insicurezza che cerca riferimenti certi per evitare l’angoscia della propria fragilità emotiva e psicologica. Il rapporto di causalità fra la malattia del Riggio e il suo comportamento era stato già ipotizzato dal senato di Catania in una lettera inviata al re di Spagna: S. bOSCaRINO, Catania: le fortificazioni alla fine del Seicento ed il piano di ricostruzione dopo il terremoto del 1693, in Quaderno dell’istituto dipartimentale di architettura ed urbanistica. università di Catania 8 (1976) 69-102: 99, nota 55. 16 Il saggio sulla «male plantata Monarchia» fu pubblicato in Annali Ecclesiastici, xI, Roma 1605, 677-710. Sulla legazia apostolica si vedano i saggi contenuti nel volume S. vaCCa (cur.), La Legazia Apostolica, cit.

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veniva considerata un istituto che conferiva una particolare identità ed autonomia alla Chiesa siciliana17. Una posizione che si trovò convergente con quella che aveva come matrice le dottrine gallicane18. Questa concezione più aperta si contrapponeva alla dottrina tradizionale della scolastica, che in ecclesiologia faceva proprie le tesi della controriforma e per definire il rapporto fra Chiesa e Stato si rifaceva ai modelli ierocratici degli autori medievali, riveduti dal bellarmino19. andrea Riggio appare schierato fra i più accesi sostenitori delle dottrine curialiste e della concezione ecclesiologica romana. Una posizione che si sarà rafforzata e avrà trovato le giustificazioni teologico-giuridiche nel corso di studi all’Università romana la «Sapienza» per conseguire la laurea in utroque iure. Sappiamo che nel secolo xvII le Università europee erano in crisi. Dall’originario modello improntato alla libera ricerca e all’autonomia si era passati man mano a forme di controllo autoritario, che finiva con l’esautorare progressivamente le antiche magistrature accademiche e ridurle ad eseguire solo compiti formali20. Negli atenei dei domini ecclesiastici l’atmosfera era più soffocante che altrove e risultava poco idonea alla libera ricerca o alla fioritura di idee nuove. la «Sapienza», inserita com’era nell’ordinamento di uno Stato legato ancora a schemi medievali e sostanzialmente chiuso agli influssi della cultura moderna, «continuava a porre ancora al centro della visione politica il grande ideale unitario della res publica christiana, ignorando sia sul piano della realizzazione concreta, sia a livello di teorizzazione, l’esistenza, ormai da tempo

17 Questa concezione non mancava di una certa ambiguità; infatti non era del tutto evidente che fosse proprio l’assolutismo monarchico a garantire alle Chiese di Sicilia l’autonomia negata dal centralismo romano. Inoltre l’istituto della legazia apostolica, più che attuare la riforma e la purificazione della Chiesa, finiva col creare una Chiesa parallela, che esautorava i vescovi e favoriva la permanenza di situazioni aberranti nel clero secolare e regolare. Sul tema vedi le riflessioni di f.M. STabIlE, il clero palermitano nel primo decennio dell’unità d’italia (1860-1870), Palermo 1978, 175-200. 18 Per il clima culturale che c’era in Sicilia e a Palermo alla fine del ’600 e all’inizio del ’700 vedi M. CONDOREllI, note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani del secolo xViii, in il diritto ecclesiastico 68 (1957), I, 306-385. Il saggio è particolarmente interessante per conoscere le matrici ideologiche alle quali si ispiravano i diversi personaggi coevi al Riggio. 19 y. CONgaR, L’Église, cit., 369-385; g. albERIgO, La Chiesa nella storia, brescia 1988. 20 M.R. DE SIMONE, La «Sapienza» romana nel Settecento: organizzazione universitaria e insegnamento del diritto, Roma 1980, 15-61.

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affermatasi, del modello organizzativo dello Stato moderno, fondato proprio sulla rottura di quello schema»21.

Era ovvio che nelle facoltà giuridiche si insegnasse agli alunni la dottrina che faceva da supporto a questo ideale e si dessero per scontate le tesi più intransigenti sostenute dalla curia romana in ecclesiologia e in tema di rapporti fra autorità ecclesiastica ed autorità civile22. Secondo l’insegnamento ricevuto, andrea Riggio assunse un atteggiamento di incondizionata e acritica sottomissione alle direttive pontificie e si preoccupò di mantenere un continuo rapporto epistolare con il papa e la curia romana, sia per conoscere e attuare le loro direttive, sia per informarli dei suoi progetti e delle sue decisioni23. Per lui era fuori discussione l’egemonia dell’autorità ecclesiastica nell’ordinamento della società; le diverse forme di immunità accordate in epoca medievale alla Chiesa e agli ecclesiastici diventavano diritti inalienabili per i quali valeva la pena battersi rischiando anche la morte o l’esilio24. Comprendiamo, pertanto, perché egli abbia posto come primo obiettivo del suo governo pastorale la difesa delle

ibid., 24-25. È probabile che al tempo in cui andrea Riggio conseguì la laurea in utroque iure, in tema di rapporti fra Chiesa e Stato si insegnasse alla «Sapienza» la dottrina del bellarmino, che aveva abbandonato le posizioni intransigenti di Egidio Romano e di giacomo da viterbo sulla potestà diretta della Chiesa in temporalibus, per affermare invece una potestà indiretta. Tuttavia fa notare il Congar che se il bellarmino, rischiando l’indice dei libri proibiti, ruppe con la dottrina tradizionale nel sostenere con i domenicani che gesù Cristo come uomo e il papa suo vicario non hanno il dominio temporale sull’universo, quando invece passò a spiegare il concetto di potere indiretto del papa in temporalibus sotto il regime di un principe cattolico, finì col rifarsi al modello medievale della cristianità, nella quale il potere ecclesiastico e il potere civile costituiscono un’unica realtà, come l’anima e il corpo costituiscono l’uomo (y. CONgaR, L’Église, cit., 374-375). 23 Questa frequente corrispondenza sarà stata agevolata dalla conoscenza degli ambienti della curia e dai rapporti personali di amicizia instaurati con diversi prelati influenti durante la sua permanenza a Roma per il conseguimento della laurea. 24 Dai canonisti del tempo l’immunità ecclesiastica era definita: il diritto con cui le chiese, gli altri luoghi sacri, le persone ecclesiastiche e i beni di loro proprietà sono liberi e immuni dalle prestazioni, dagli oneri secolari e dagli atti che contrastano con la santità e la reverenza loro dovuta. Si distingueva, pertanto, una immunità locale, reale e personale. alla base dell’affermazione di questo diritto troviamo una concezione teocratica della società, che si giustifica con il prevalente riferimento ai testi dell’antico Testamento (si legga ad esempio il brano del Concilio lateranense Iv riportato dalle decretali di gregorio Ix, III, 49, c. 4). Per la trattazione dell’argomento vedi l. fERRaRIS, immunitas ecclesiastica, in Prompta bibliotheca, cit., Iv, 317-406. 21 22

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cosiddette immunità ecclesiastiche, impegnando tutte le sue risorse personali nella realizzazione di un modello sociale già in gran parte superato. b) L’ingresso in diocesi e il programma di governo

la bolla di nomina di andrea Riggio a vescovo di Catania porta la data del 9 marzo 169325. In essa leggiamo l’esortazione a ricostruire la cattedrale e l’episcopio26. Il 15 successivo, domenica delle palme, gli fu conferita la consacrazione episcopale con l’ingiunzione di raggiungere al più presto la città di Catania27. Per il suo ingresso in diocesi non poteva essere osservato il consueto protocollo, che comportava l’incontro alla porta di aci e il corteo per tutta la via della luminaria fino alla cattedrale28; infatti, anche se fin dal mese di febbraio era stato già aperto un varco per collegare la porta di aci con le rovine della cattedrale, non era pensabile un corteo fra le macerie in una città completamente distrutta, mentre i superstiti erano accampati alla meglio in baracche fuori le mura29. C’era, comunque, in tutti

Tutt’Atti 1692-1693, fol. 215r-217v. «volumus autem quod ecclesia cathedralis et domus episcopalis reparationibus et respective reedificationibus pro viribus incumbas» (ibid., fol. 217r). appare strana, nella situazione in cui si trovava la diocesi di Catania, l’altra raccomandazione di istituire le prebende del teologo e del penitenziere: «Necnon thelogalem et penitentiariam prebendas ad presciptum concilii Tridentini instituas», e quella di erigere il monte di pietà «montemque pietatis erigas conscientiam tuam in his onerantes» (l. c.). Si tenga presente che l’esistenza di questo istituto era stata già affermata dal vescovo bonaventura Secusio (rel. 1612, fol. 17v). 27 a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 136. Questo autore scrive che al Riggio furono condonate le tasse dovute alla Camera apostolica con l’obbligo di impegnare le somme equivalenti nella ricostruzione della cattedrale. 28 {a. MERlINO}, Cronaca siciliana del secolo xVi, a cura di v. Epifanio e a. gulli, Palermo 1902, 153. andrea Riggio con una procura del 12 marzo 1693, redatta dinanzi al segretario della Camera apostolica, conferì a suo padre luigi, principe di Campofiorito, tutti i poteri, compreso quello di nominare il vicario generale e i vicari foranei (Tutt’Atti 16921693, fol. 217v-221v). In forza della procura ricevuta, il padre, il 24 marzo 1693, incaricò il principe Don antonio Paternò e Sigona di prendere possesso della diocesi per conto del figlio andrea (ibid., fol. 222r-222v) e nominò vicario generale il can. giuseppe Celestre e ventimiglia (l. c.), uno dei pochi superstiti fra i canonici della cattedrale, che si era prodigato per dare i primi soccorsi dopo il terremoto e per convincere i suoi concittadini ad iniziare al più presto l’opera della ricostruzione (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 211). Il vescovo giunse in diocesi il mese successivo. Il primo atto da lui firmato porta la data del 22 aprile 1693 (Tutt’Atti 1692-1693, fol. 246v-247r). 29 «Il duca di Camastra era riuscito appena dopo alcuni giorni nel pieno dei problemi del primo soccorso ad eseguire le due strade lungo le quali i ‘cavalieri’ potevano ricostruire 25 26

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la ferma volontà di ricostruire al più presto la città e la presenza del nuovo vescovo costituiva un ulteriore motivo di speranza. andrea Riggio si mise subito al lavoro e in una lettera scritta al papa il 29 maggio 1693, a distanza di un mese dal suo ingresso in diocesi, diede un primo resoconto della sua attività. Dopo una difficile navigazione era giunto a Catania, dove era stato accolto con gioia dagli 8.000 abitanti dei circa 22.000 che contava la città prima del terremoto. fuori le mura della città fece costruire delle baracche da adibire come cattedrale e come sua abitazione. Il giorno successivo riunì il popolo per confortarlo e impartirgli la benedizione. Il suo primo pensiero fu rivolto alle monache superstiti: le riunì in un unico monastero, ma riservando ad esse ambienti distinti, secondo l’istituto di appartenenza. fece richiamare le monache che erano state accolte presso parenti a Palermo o dal vescovo di Messina. fece il giro dei singoli comuni della diocesi e, constatando che le case e le chiese delle due città di aci, di Mascali e dei paesi vicini erano state distrutte, ordinò di costruire delle chiese provvisorie in baracche per l’amministrazione dei sacramenti. Nella città di agira riuscì a comporre una delle tante liti che da tempo contrapponevano i membri delle quattro collegiate. affidò alla cura dei vicari foranei le monache superstiti, dando disposizioni di informarlo ogni quindici giorni del loro stato. Ridusse al minimo le tasse di curia e distribuì i proventi ai poveri30.

le loro case […]. le strade realizzate già alla fine di febbraio erano […] la via Uzeda (oggi Etnea), che collegava la provenienza nord-sud da Messina tramite la porta di aci con la platea magna, la piazza dove sorge la cattedrale, e l’altra che rappresentava il collegamento estovest tra la pianura e questa piazza. Tale collegamento fu assicurato da due strade: via San filippo (oggi garibaldi) posta in asse con le absidi del duomo normanno superstiti e la via detta di San francesco o del Corso (oggi vittorio Emanuele), che, pur non essendo parallela alla prima, segue lo stesso percorso e serviva a collegare, attraverso la porta dell’arcora, le ricche zone agricole della pianura, da cui la città riceveva alimenti e ricchezza, con il centro urbano» (S. bOSCaRINO, Catania: le fortificazioni, cit., 82-83). 30 «beatissime Pater, ad pedes beatitudinis vestrae provolutus, memor observantiae sanctis pedibus debitae et beneficiis benigne mihi collatis, de meo appulsu Catanam sedem episcopalem beatitudinem vestram certiorem facio. appuli, Deo favente post laboriosam navigationem incolumis, Catanam a civibus hilariter exceptus, qui ad octo mille cum exteris ex viginti duobus millibus et ultra extra urbis ambitum superstites extant in domibus tabulatis. Catedralem ecclesiam extra muros trabibus ac tabulis excitavi, statim curavi prope quae eam hospitium mihi tabulis componi; postridie populum in eadem ecclesia benedixi. Deinde moniales adivi ex tredecim monasteriis superstites easque conclusas uno ambitu sed unoquoque monasterio, tabulatis domibus distincto, ibique una cum omnibus constitui quae fores clausurae observaret. Postmodum advocari moniales mandavi, quae vel a consanguineis Panormum delatae vel auxilio destitutae ad Messanensem archiepiscopum confugerant ab eo

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Ma nell’ottobre successivo inviò al papa una lettera di tutt’altro tenore, nella quale si delinea sin dall’inizio il suo difficile rapporto con le autorità e la nobiltà cittadine:

«beatissimo Padre, giunto a pena in questa città di Catania ad esercitare la carica di prelato, da vostra Santità benignamente concessami, trovai invece di accoglienze solite in ogni parte, un apparecchio numeroso di calunnie ed inquietitudini, originate solo dal genio de’ catanesi, non ad altro proclive che a perseguitare i loro vescovi dal giorno dell’entrata fin alla morte, come si sperimentò di Cutelli, gussio, Massimo, branciforti, astalli ed ultimamente Caraffa, miei predecessori e riflettendo che caggione delle lor persecutioni è solamente l’animo invitto con che hanno atteso al maggior accerto del servitio divino ed ad estirpare li vitii e coltivare le virtù, guardando con occhio destro l’immunità ecclesiastica che qui pretendono di opprimerla ed annullarla dall’intutto, mi diedi ad imitar coraggiosamente li miei antecessori ed ad espormi a qualunque continova turbatione per compire colla mia coscienza e coll’obbligo di quel impiego che indegnamente sto esercitando. ho applicato a moltissimi assurdi scandali e peccati, che giornalmente correvano, quei ripari che per non tediare l’alta mente di vostra Santità ho data incombenza all’abbate giovanni battista Sidoti, che li rappresenti a suoi santi piedi ed ho procurato di ristorar al possibile la libertà della Chiesa come lo seguirò fin che vivo.

benigne acceptae et ab eodem monialibus adiunctae. Postea ad dioecesim conversus, ecclesiarum statu perquisito, utriusque acis ecclesias item ac domos et circumdiacentium pagorum omnino dirutas inveni et Mascalis item huius episcopatus patrimonium in his omnibus et aliis urbibus et pagis, quibus aliquod malum a terremotibus illatum, dum adhuc frequentes terremotus instant, ecclesias tabulis conficiendas et in illis ministranda sacramenta indixi. Dissidentes inter se quatuor collegiatas erectas in urbe Sancti Philippi argirionis composui, advocatis a me quatuor prioribus collegiatarum et assignatis unicuique partibus et legibus in posterum servandis hilares ad patriam cum magna illorum civium letitia dimisi. vicariis locorum monialium cura enixe commendata, quae servanda essent et quae ad meam notitiam scribenda singulis quindecim diebus statui. Proventus ex negotiis curiae ad veterem normam idest modicam redigi et de eis in dies pauperibus distribui volui, beatitudinis vestrae pauperum patris exemplo edoctus. haec hactenus Deum precor ut Sanctitatem vestram propter fidelium omnium gaudium incolumem servet ac pedibus vestris humiliter provolutus, eos reverenter osculans, paternam benedictionem precor benigne largiri dignetur. 29 maii 1693. andreas, episcopus Catanensis» (Vescovi e Prelati 83, fol. 112r-112v). Segue una postilla con le indicazioni per la risposta. «Dalla Segreteria di Stato, 24 luglio 1693. Si contenterà Mons. fabroni di rispondere all’annessa lettera di Mons. vescovo di Catania, compatendo le disgrazie che rappresenta e lodando il suo zelo». la lettera fu scritta il 25 luglio 1693. Il card. Spada si fece portavoce dei sentimenti di comprensione e di stima del papa per la situazione in cui il vescovo si era venuto a trovare e per l’opera da lui iniziata (Tutt’Atti 1693-1694, fol. 3r-3v).

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Da qua si è mossa la nobiltà catanese a mandare più e più memoriali firmati con nomi supposti e di tal uno (che non si ha havuto mai notizia non che pensiero di farli) contro li miei andamenti, così al viceré come anche al giudice della Monarchia; se ben (mercé gratia di Dio) non sol da questo, che alla fine è ecclesiastico, ma dal duca d’Usseda, ch’è governante secolare, son venute tutte approvate e lodate le mie operationi. Intendo ora che gli stessi memoriali ed in maggior numero siano passati a cotesta Sagra Congregatione, firmati pure, secondo lo stile che insinuano queste falde di Mongibello, da nomi di persone che tutt’altro han pensato che di scriversi. Io prendo da ciò maggior cuore a difendere l’onor di Dio e della sua Santa Chiesa ed a ben custodire le sue spose ne’ monasteri ed a guardar le loro rendite e patrimoni co’ quali erano avvezzi a vivere il più di questi cavalieri, sapendo di certo che dal supremo zelo di vostra Santità che porta le veci di Cristo, me ne sarà con tutta clemenza e pietà retribuita la difesa, non solo in quello che fin oggi han rappresentato ma in tutto quel che saran per rappresentare, per tenermi esercitato mentre havrò vita. E qui adorando humilmente vostra Santità a’ suoi santi piedi prostrato la supplico con ogni riverente ossequio a benedirmi. Catania, 28 ottobre 1693. Di vostra Santità humilissimo et obligatissimo servo. andrea, vescovo di Catania»31.

In queste due lettere possiamo individuare il programma di governo, che andrea Riggio si prefiggeva di attuare, e la difficile situazione che si venne a creare nel suo rapporto con le autorità e i notabili della diocesi. Il suo programma può essere sintetizzato nei seguenti punti: la ricostruzione materiale delle chiese, dei monasteri, del seminario, degli istituti pii; la riorganizzazione e il governo della diocesi; la difesa delle immunità ecclesiastiche a partire dalla concezione che egli ha della Chiesa e del suo ruolo nella società. la difesa delle immunità ecclesiastiche, più che un punto del suo programma, deve essere considerata la preoccupazione dominante che con-

31 Vescovi e Prelati 83, fol. 334r-335r. alla lettera del Riggio sono annesse due note: «Dalla Segreteria di Stato. Primo dicembre 1693. Mons. altoviti visto che havrà il tenor dell’annessa lettera di Monsignor vescovo di Cattania, sarà contento avvisare in Segreteria di Stato se vi sia alcun ricorso contro di lui et in che consista, con rimandar la medesima lettera. Dalla Segreteria dei vescovi e Regolari. 3 dicembre 1693. Tempo fa comparve un memorialuccio cieco di cui non fu fatto conto alcuno e da allhora in qua non vi è stato altro ricorso. altoviti» (ibid., fol. 333r). francesco fichera accenna ad un documento da lui consultato nell’archivio comunale «pieno di vituperii e dileggi contro il vescovo, che vi è presentato in una collana di quaranta peccati, tutti quelli mortali compresi» (f. fIChERa, una città settecentesca, Roma 1925, 9).

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dizionerà il comportamento del vescovo dall’inizio del suo episcopato fino agli anni dell’esilio. Dalle espressioni che usa nell’ultima lettera si intuisce che egli concepisce il suo ministero in termini di conflitto: in una società ritenuta ostile, che si prefigge di limitare o annullare del tutto l’immunità ecclesiastica, egli si sente investito del compito di difenderla con coraggio, anche a costo di mettersi in contrasto con tutti e di andare incontro a persecuzioni. — la ricostruzione

l’opera di ricostruzione materiale delle chiese e degli istituti religiosi, alla quale si dedicò subito con impegno32, fu contrassegnata da questo atteggiamento di forza che egli assunse nei confronti delle autorità cittadine. Nel suo comportamento dava l’impressione di non conoscere limiti: assunse un ruolo di protagonista all’interno della commissione costituita per stabilire i criteri della ricostruzione33, fece appello ai diritti che il vescovo di Catania vantava al tempo dei normanni sulla città come signore feudale34, non accettava i vincoli urbanistici generali e i criteri stabiliti per

32 Per la ricostruzione della città dopo il terremoto e in particolare degli edifici religiosi vedi: b. gENTIlE CUSa, Piano regolatore pel risanamento e per l’ampliamento della città di Catania, Catania 1898; f. fIChERa, una città settecentesca, cit.; ID., G.B. Vaccarini e l’architettura del Settecento in Sicilia, I, Roma 1934; S. bOSCaRINO, Le vicende urbanistiche, in a. PETINO (cur.), Catania contemporanea. Cento anni di vita economica, Catania 1976, 103182; S. bOSCaRINO, Catania: le fortificazioni, cit., questo saggio è particolarmente importante perché scritto sulla base di un’ampia ed inedita documentazione raccolta negli archivi di Spagna; ID., Vaccarini architetto, Catania 1992; a. gUIDONI MaRINO, urbanistica e “Ancien Régime” nella Sicilia barocca, in Storia della città 2 (1977) 3-96; g. DaTO, La città di Catania. Forma e struttura 1693-1833, Roma 1983; h. RayMOND, De l’urbanistique baroque à l’urbanistique des lumièrs: la Sicile urbaine au 18ème siècle, in La Sicilia nel Settecento. atti del convegno di studi tenuto a Messina nei giorni 2-4 ottobre 1981, II, Messina 1986, 637-673. Quest’ultimo autore ritiene che gli storici mentre hanno sopravvalutato l’influenza degli ecclesiastici nella prima fase della ricostruzione (la definizione dei progetti), l’hanno sottovalutato nella seconda (la scelta dei terreni per l’edilizia religiosa); l. DUfOUR – h. RayMOND, 1693: Catania, rinascita di una città, 1992; g. gIaRRIZZO (cur.), La Sicilia dei terremoti, cit. 33 Consiglio ed istruzioni fatte dal vicario generale duca, che fu di Camastra, col voto dell’ill.mo senato e corpo ecclesiastico per la nuova reedificazione della città di Catania, in f. fIChERa, G.B. Vaccarini, cit., 217-225. 34 v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 513; b. gENTIlE CUSa, Piano regolatore, cit., 46.

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la riedificazione della città, il suo dinamismo sembrava rasentare la violenza e l’arroganza35. Se non tutte le sue pretese furono accolte, riuscì comunque ad assicurarsi una situazione di privilegio nell’assegnazione dei terreni per l’edificazione delle chiese, degli istituti e delle abitazioni private del clero36. Per poter disporre delle ingenti somme necessarie alla riedificazione chiese, ottenne dalla Santa Sede l’autorizzazione ad utilizzare i frutti di legati, messe, cappellanie che con la morte delle persone e la distruzione degli istituti non potevano più essere impiegati per i fini voluti dai testatori37. al fine di conoscere le disponibilità economiche sulle quali poteva

35 S. bOSCaRINO, Catania: le fortificazioni, cit., 99, nota 55; a. gUIDONI MaRINO, urbanistica, cit., 36-39. 36 a proposito della ricostruzione della città si è fatto notare giustamente: «Molti degli storici che si sono occupati più o meno direttamente delle vicende della ricostruzione della città di Catania sottolineano, con una visione idealistica della “comunità che risorge”, la capacità quasi “miracolosa” delle cosiddette “forze cittadine” di procedere, in tempi relativamente brevi, alla riedificazione urbana. Nel cumulo delle “forze cittadine” vengono collocati sia la nobiltà ed il clero che i ceti popolari, tutti egualmente intenti, al di sopra degli interessi della propria classe di appartenenza, ad un fervore di opere per la ricostruzione della città che segna inequivocabilmente tutto il primo Settecento. In realtà i soggetti principali della ricostruzione sono la nobiltà ed il clero, favoriti nelle loro iniziative edificatorie dalle disposizioni generali dettate dal governo di Madrid sulla esenzione delle gabelle da concedere a tutte le città terremotate» (g. DaTO, La città di Catania, cit., 30). «l’alleanza nuova che si stabilisce è quella fra il clero e le borghesie urbane, con la partecipazione di alcuni baroni illuminati, primo fra tutti il principe di Camastra, l’isolamento della parte più retriva e conservatrice della classe aristrocatica (molti comunque seguiranno “a rimorchio” questa iniziativa), l’annullamento della volontà e degli interessi del popolo» (a. gUIDONI MaRINO, urbanistica, cit., 29). 37 Il rescritto originale della Santa Sede si trova in Libro rosso, fol. 126r ed è stato ampiamente utilizzato dagli storici nella trascrizione poco accurata di v. CaSagRaNDI, La risurrezione della Catania religiosa dopo il terremoto del 1693, in aSSO 3 (1906) 81-85, dove il numero complessivo dei morti a causa del terremoto da 93.000 diventa 930.000, una cifra del tutto improbabile, recepita acriticamente dalla letteratura successiva (a. gUIDONI MaRINO, urbanistica, cit., 39). l’autrice di questo stesso saggio sembra non distinguere i frutti dei legati, di cui i vescovi possono disporre in seguito al rescritto pontificio, e «i beni dei morti» che nessuna autorizzazione pontificia poteva rendere utilizzabili da parte dei due vescovi siciliani (ibid., 29). «beatissimo Padre, li vescovi di Catania e Siracusa, humili oratori della Santità vostra, reverentemente l’espongono le deplorabili miserie del Regno di Sicilia e sopra tutto delle loro diocesi oppresse dal terremoto, che tuttavia va seguitando con fierissime scosse, l’ultima delle quali sono seguite il primo e a 16 di aprile, contandosi sin al presente 700 chiese rovinate, 250 tra conventi e monasteri distrutti, 22 collegiate, 2 cattedrali e 49 tra terre e città desolate, con il lacrimevole eccidio di 93.000 persone morte. Dalla quale universale desolatione si son rese affatto ineseguibili le pie dispositioni dei fedeli nelli

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contare, ordinò un censimento dei beni ecclesiastici38. Nei documenti dei

legati, messe, cappellanie e sopra tutto otiose l’entrate seu rendite delle chiese, monasteri, confraternità et altre communità religiose e per esser la maggior parte di esse distrutte e le monache in numero di 2.000 e più in campagna, oltre innumerabili altri religiosi, li quali non possono convivere nelle loro osservanze per difetto di conventi e chiese, supplicano perciò la paterna carità della Santità vostra volerli dar facoltà che possino applicare li frutti di detti legati, dispositioni pie, cappellanie et entrate in ristoratione delle chiese più necessarie, come sono la cattedrale, parrocchie, monasteri e conventi ad effetto che, riedificate le chiese, possino col tempo rendersi eseguibili le pie volontà dei fedeli. Il tutto sperano dalla pietà della Santità vostra rimettendosi all’arbitrio delli oratori acciò, havute le facoltà necessarie, possino provedere a quel miserabile gregge. Che, etc. Die 2 maii 1693. Sacra Congregatio Eminentissimorum S.R.E. cardinalium Concili Tridentini interpretum, ad quam Sanct.mus Dominus noster supplicem hunc libellum remisit pro voto, rescripsit secretario cum Sanctitate sua pro facultate obtinenda. Et facta per eundem secretarium de praemissis relatione, in audientia habita diebus 9 et 23 currentis maii, Sanctitas Sua petitam facultatem episcopis oratoribus benigne concessit per quinquennium proximum tantum, vocatis interesse habentibus, si qui supersunt, et dummodo redditus praefati in causam expressam pro erectione et respective restauratione monasteriorum, parochialium et piarum domorum erogentur. g. Card. Mariscottus Proprefectus Sacrae Congregationis Concilii. R. Patti Secretarius. gratis etiam quoad secreteriam» (Libro rosso, fol. 126r). 38 «Per le robbe perse per il terremoto. andreas Episcopus, etc. Perché monsignor mio ill.mo e rev.mo mi have ordinato come buon pastore d’attendere et invigilare alla celere reedificatione e pronta reparatione delle chiese, monasterii, conventi, colleggi et altre case religiose di tutta la città di Catania distrutti per causa del terremoto occorso all’11 del trascorso mese di gennaro 1693, tanto necessarie per il mantenimento et osservanza della fede cattolica nella quale questa sudetta città sempre si ha mantenuto, il che è la cosa più principale per la salvezza dell’anime, e volendo noi mettere in essecutione l’ordini di detto ill.mo e rev.mo monsignore, habbiamo stimato necessario di sapersi prima tutti l’effetti, rendite, denari, oro, argento, ramo, robbe mobili e suppellettili, cosi di chiese come di tutte le altre occurrenze e necessità et altre di questa sorte e saperne ancora le perdite havute per causa di detto terremoto e tutti l’obblighi e legati pii et altri che hanno tutte le suddette chiese, monasteri, conventi, colleggi et altre case religiose. Che però in virtù del presente nostro publico editto si notificano tutti l’officiali o superiori, abbati, priori, vicari, rettori, governatori, amministratori et a tutti e qualsivoglia altri officiali che al presente sono di tutte le suddette chiese, monasteri, colleggi, conventi e altre case religiose di tutta questa suddetta cità che fra il termine di giorni quindici vogliano ed abbiano et ogni uno di loro voglia ed abbia revelare et haver revelato in scriptis nella nostra gran Corte vescovile tutti l’effetti, rendite, denari contanti, oro, argento, ramo et ogni altra sorte di metallo, robbe mobili o supellettili, cosi di chiese come di tutti l’altri servizii et occurrenze et altri di quessa sorte senza però niente escludere, corompere {et} revelare tutto quello che hanno perso cosi di stabili, rendite et altri simili some di mobili annesa a tutti l’obblighi o legati pii che hanno tutte le suddette chiese, monasteri, conventi, colleggi et altre case religiose etc. sotto la pena di interdetto delle chiese, carceratione delle persone ed altre pene ad monsignor ill.mo e rev.mo commisse. Datum Catanae, die 8 iunii, II ind., 1693. D. Ioseph Celestre, vicarius generalis. antoninus Tiranti, magister notarius» (Editti 1679-1694, fol. 81v-82v).

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primi mesi di governo si nota chiaramente la decisa volontà del Riggio di procedere con sollecitudine al lavoro di ricostruzione; perciò sprona gli ecclesiastici e i responsabili degli istituti pii a procedere nel lavoro di sgombero per la ricerca «delle robbe forse sotto le rovine rimaste», in modo che «da quale ritardamento» non si venisse «ad impedire l’avanzarsi la bramata reedificazione di città e chiese suddette»39. In un altro editto il vicario generale invita il clero a presentarsi a lui entro quindici giorni per avere assegnato il terreno per la costruzione della casa, prima che altri potessero occupare i luoghi più idonei e impedir loro di svolgere comodamente il servizio divino40. Infine il 7 febbraio 1694 lo stesso vicario generale si fa portavoce,

«andreas Episcopus Catanensis. Perché preme ed importa molto al servicio del Signore e del suo divino culto come pure al servicio di Sua Maestà e di questo publico catanese che si sollecitasse la reedificatione di Catania secondo le regole e misure con tutta attentione stabilite, con quelle chiese, parrocchie, oratorii, lochi pii ed altri necessari al divino culto. E perché da molti ecclesiastici si è ritardato scavare e disterrare le sue robbe forse sotto le rovine rimaste da quale ritardamento si viene ad impedire l’avanzarsi la bramata reedificatione di città e chiese suddette. E perché pure si vede che per lo spatio di tanti mesi non hanno curato scavare e disterrare l’ecclesiastici le suddette robbe nonostante ogni appretto e sollecitudine da noi per molto tempo postaci. Per tanto noi bramosi di vedere le case del Signore in posse da darsi in quelle il cibo ed alimento spirituale dell’anime conformemente esigge la nostra pastorale cura per sollecitare ditti ecclesiastici al scavamento e disterramento di loro robbe, c’è parso fare il presente editto per lo quale s’ordina, provede e comanda che tutte e singole persone ecclesiastiche di qualsisia stato, grado e condizione fra lo spatio di giorni quindici cursuri dalla pubblicatione del presente editto habbiano, vogliano e debbiano ed ognuno di loro habbia, voglia e debbia scavare e disterrare et haver scavato e disterrato le loro robbe forse sotto le rovine rimaste ad effetto di non restar impedito il publico nelle sue procedure di reedificatione della città, chiese et altre; quali robbe di chiese suddette o proprie di ecclesiastichi scavati saranno, possa ogni ecclesiastico liberamente tenersi, ed in caso di alcuna differenza si disporrà da noi secondo si faranno costare e sarà di giustitia, altrimente, detto termine elapso, sarà permesso conformemente noi permettemo scavarsi dette robbe e, riconosciuti da noi esser di ecclesiastici, habbiamo consultamente stabilito darne la metà a quelle chiese o ecclesiastici de quali ni costerà esser dette robbe ed altra metà per trovagli de scavatori, assistenti maestri ed altro attinenti al publico, acciò per questo mezzo a tutto potere s’avanzasse e sollecitasse la reedificatione della città con sue parrocchie, monasteri, oratorii, lochi pii ed altri necessari al culto divino. D. Ioseph Celestre, vicarius generalis. antoninus Tiranti, magister notarius» (Editti 1679-1694, fol. 87v-88r). l’editto è senza data, ma dovrebbe essere stato promulgato nel settembre 1693. 40 «Per rifabrica della città. Editto. andreas episcopus Catanensis, etc. Perché i preti nostri sudditi puoco hanno curato di farsi assignare i luochi per fabricarsi le loro case nella nova reedificatione della città e dovendo noi invigilare per togliersi ogni inconveniente che potrebbe accadere in caso che altri si havessero occupato i luochi, che l’ecclesiastici potessero pretendere. Per tanto habbiamo risoluto promulgare col presente editto che fra il termine di giorni quindici ogni ecclesiastico che volesse fabricare case venghi da noi per assignarci 39

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per gli ecclesiastici, delle norme emanate dalle autorità civili per la riedificazione della città41.

il luogo che li sarà assignato e principalmente alli signori dignità e canonici, benefitiali ed insigniti della cattedrale e collegiata l’assigneremo luoghi contigui alle dette chiese per poter con più commodità assistere al servitio della chiesa e non haver motivo di dolersi ed escusarsi d’esser lontani dalla loro chiesa. Datum Catanae, die 23 septembris 1693. D. Ioseph Celestre, vicarius generalis, antoninus Tiranti, magister notarius» (Editti 1679-1694, fol. 87r87v). Il solo titolo di canonici della cattedrale o della collegiata assicurava il diritto di avere assegnato un terreno nel quartiere residenziale della città. Da notare che non si trattava di case canoniche, che sarebbero state utilizzate stabilmente dalle persone addette al culto delle chiese, ma di case private, che solo agli immediati proprietari avrebbero potuto garantire il vantaggio della vicinanza al luogo di culto. 41 «Editto della nova reedificatione di questa clarissima città di Catania. Noi D. andrea Riggio per la Dio gratia e della Santa Sede apostolica vescovo di questa clarissima e fidelissima città di Catania, del consiglio di Sua Cattolica Maestà, conte di Mascali, dell’almo Studio d’essa città cancelliero e cavaliero dell’ordine di Calatrava. Necessitando ogni dovuta appellatione di questa clarissima città di Catania per servigio di Sua Maestà (che Dio guardi) e di questo publico, accioché si reducesse nel pristino decoro, si devono intanto prestare l’opportuni rimedi all’inconvenienti {che} succedono, per potersi colla celerità possibile ogni contro per devenire al desiato fine della fabricatione suddetta e darsi gl’ordini opportuni. Pertanto in virtù del nostro presente publico editto s’ordina, provede e comanda che qualunque persona ecclesiastica cossì secolare come regolare di qualsivoglia foro, che tengono e possedono case proprie in detta città, benché destrutte, habbiano, vogliano e debbiano nello spazio di giorni 15, da correre doppo l’ultimo giorno della festa della gloriosa Sant’agata che starà esposta su l’altare, declarare nella nostra gran Corte vescovile in scriptis per suo memoriale se vogliono rifabricare i loro casi e palazzi, magazzini, botteghe o altra sorte di fabriche destrutte esistenti in detta città, con doverli descrivere tutti li suoi confini e contratti e questo come prima del terremoto esistessero e al presente sono, altrimente, detto termine elapso e detta dichiarazione non fatta, allora et in tal caso ipso iure ipsoque fatto s’intendono esclusi di poter fabricare dette case, palazzi con perdere, come per il presente editto si dichiara haver perduto, tutto il ius e dominio che tengono nella fabricatione delle suddette case e delle fabriche remaste non rovinate dal terremoto, puzzi a tratto e d’altra in dette case esistenti benché proprie, restando per il padrone principale di dette case il censo tantum del suolo. E perché a la detta dichiarazione devono corrispondere gli effetti, pertanto nel caso che le dette persone ecclesiastiche come sopra, che sono padroni di dette case esistenti in detta città, declarassero in detto termine che si ha disposto di sopra voler rifabricare uno o piò delle loro proprie case, palazzi, magazzeni e botteghe o altra sorte di fabrica, all’hora ed in tal caso habbiano, vogliano e debbiano fra lo spazio di mese uno e giorni 15 compresi dal giorno del fine di detto primo termine di giorni 15 incominciare le loro fabriche e soltanto nel detto termine dovessero finire e spedire il recinto e circuito del loro compreso, dichiarato ut supra con un muro d’intorno saltem alto di terra palmi quattro in circa colla disposizione di Don giovanni battista vespro incigniero ad effetto che li dii la retta delimitatione e le dirigga le linie, giusta la disposizione della nova pianta di detta città, accioché non si deformassero le strade ordinarie e designate, secondo la detta pianta, e si destinguano le case patronate e si partissero li siti che al presente restano compresi, altrimente ditto

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Era inevitabile che l’atteggiamento del Riggio incontrasse in alcuni casi l’opposizione delle autorità cittadine. Per comprendere la sua personalità è emblematico il comportamento assunto nella ricostruzione del seminario e del monastero San benedetto. Prima del terremoto il seminario sorgeva sulla piazza grande, nei locali della chiesa di San Martino. Dopo la distruzione della città, per dare una diversa sistemazione urbanistica alla piazza grande e alle vie adiacenti, fu necessario utilizzare gran parte del terreno di proprietà del seminario42. Si pose pertanto il problema di cercare un luogo idoneo per la sua ricostruzione. frattanto l’apertura della strada Uzeda (l’attuale via Etnea) aveva diviso in due il terreno in cui sorgeva l’episcopio. Il vescovo ebbe l’idea di utilizzare una parte di questo terreno per edificare il seminario; ma all’attuazione di questo progetto si opponeva il senato, che si richiamava alla proibizione di costruire edifici privati sulle mura cittadine per il rischio che essi comportavano in caso di guerra. Nel 1697 il vescovo riuscì a spuntarla sul senato della città facendo ricorso al viceré, che accolse la sua richiesta43.

termine elapso di mese uno e giorni 15, non havendosi fatto dalle suddette persone ecclesiastiche come sopra il detto recinto di muro d’intorno della sua casa d’altezza di palmi quattro incirca, allora et in tal caso s’intenda perdere et haver perduto il ius di poter rifabricare le proprie case, benché fossero dichiarate e tutte le fabriche in essa esistenti a tratto, puzzo ed ogni altra cosa, fuorché del sopradetto censo del suolo e nel caso che qualche persona ecclesiastica ut supra contravverrà al presente nostro publico editto circa al fabricare il suo recinto senza la diliniazione fattaci dal suddetto incignero Don giovanni battista vespro sotto pena d’haversi reducere le fabriche malamente fatte nel pristino stato. Datum in urbe clarissima et fidelissima Catanae die septimo februarii 1694. Don Ioseph Celestre, vicarius generalis, antoninus Tiranti, magister notarius» (Editti 1679-1694, fol. 92r-93r). 42 a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 157, note 27 e 28. 43 «Carolus Rex. Illustris et spettabilis regii fideli diletti. Con viglietto del nostro secretario in resulta di consulta fattane dal Tribunale del Real Patrimonio habbiamo disposto lo che siegue. Con consulta de 25 del passado passa v. I. a notitia del Duque mi señor lo que diò el Secreto de Catania de estar fabricando a quel prelado de calci arena las barraccas del seminario sobre el baluarde y damus de los Canales, y por que el Secreto considera ser dicha fabrica preiudicial a la custodia de la ciudad en caso de imbasion rapresenta a v. I. se haya redusir el baluarte a su primer stato. v. I. en respuesta me manda S. E. decir a v. I. se ha informado en esso y no es de incombeniente lo que fabrica el obisbo sobre el baluarte. Dio guarde a vuestra Ilustrisima merced. a Palermo, a 11 de abril 1697. D. francisco de Obregon. al Tribunal del Real Patrimonio. In dorso Panormi 16 aprilis 1697. Reg. in margine consultationis et detur ordo. In exequtione di che vi incarichiamo et ordinamo che stante non apportare inconveniente veruno la fabrica del seminario che cotesto rev.mo vescovo sta facendo sopra il baluardo e dammuso delli Canali non dobbiate né facciate darli impedimento veruno come ne lo compromettiamo dal nostro zelo ed attenzione. Datum Panormi die 30 aprilis 1697. El almirante Paques, R. Ioppolo presidente, Ioppolo magister rationalis, Torre

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Una situazione analoga si ebbe nella riedificazione del monastero San benedetto. Il terreno in cui doveva sorgere il monastero era diviso in due parti da una strada (l’attuale via Crociferi), che non permetteva di costruire un unico corpo di fabbrica. l’abbadessa aveva chiesto di unire le due parti con un ponte per utilizzare tutto il terreno nella edificazione del monastero. la proposta non trovò il gradimento delle autorità cittadine, che opposero difficoltà di natura militare, estetica e viaria. fu soprattutto il castellano ad opporsi alla proposta dell’abbadessa «sotto pretesto che saria di detrimento a cotesto castello»44, cioè la costruzione dell’arco creava problemi di natura militare. la questione fu portata dinanzi al tribunale del Real Patrimonio, dove anche un certo canonico Don Pietro Corsaro chiese di far «sospendere la fabrica sudetta»45. Ma la risoluzione presa dal tribunale fu favorevole alle monache:

«Intanto vi passiamo la notifica che con altre nostre della data di questa s’ha ordinato a cotesti deputati alle fabriche afinché dovessivo permettere al detto monastero di prosequire la fabrica sudetta senza darli impedimento veruno, per non apportare detrimento al regio castello. Perciò vi exortamo che, non ostante qualsiasi oppositione che vi fosse in contrario, permettirete di poter detto monastero prosequire la fabrica sudetta per essere materia già risolta e determinata in questo tribunale […]»46.

magister rationalis, valdes magister rationalis, fernandez magister rationalis, Castillo magister rationalis, De vio magister rationalis, Carace consiliarius, Mira fisci patronus» (Libro rosso, fol. 739r-v). 44 Dalla lettera del viceré al senato di Catania, Tutt’Atti 1702-1703, fol. 255r. 45 L. c. 46 L. c. Su questo episodio è nata una leggenda popolare alla quale ha dato credito lo storico catanese Cordaro Clarenza: per superare l’opposizione delle autorità cittadine, il vescovo e l’abbadessa in una sola notte fecero costruire il ponte da una squadra di muratori di loro fiducia, ai quali andrea Riggio aveva dato la tonsura per sottrarli, in quanto chierici, alla giurisdizione civile e metterli al riparo da sanzioni penali (v. CORDaRO ClaRENZa, Osservazioni sopra la storia di Catania, Iv, Catania 1834, 78-79. Da notare che questo autore non indica la fonte alla quale ha attinto la notizia). Tuttavia bisogna far notare: il tribunale del Real Patrimonio si era già pronunziato in favore della costruzione dell’arco, pertanto non si spiegherebbe l’opposizione del senato; inoltre non è pensabile che l’arco sia stato costruito in una sola notte; infine di questo episodio non si trova traccia negli archivi della curia e del monastero di San benedetto, in cui il Policastro ha fatto accurate ricerche (g. POlICaSTRO, Catania nel Settecento, Catania 1950, 260). Probabilmente la leggenda ha trovato credito perché fondata su alcuni elementi obbiettivi: il carattere risoluto del Riggio e le sue continue controversie con le autorità civili, l’iniziale opposizione delle autorità cittadine alla

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lo scontro frontale fra il vescovo e le autorità cittadine non si verificò nella ricostruzione del collegio dei gesuiti. la Compagnia di gesù era venuta a Catania nel 1556, durante il governo del vescovo Nicola Maria Caracciolo. Come prima sede per la casa e il collegio erano stati dati i locali dell’ospedale dell’ascensione, rimasti vuoti dopo la sua fusione con quello di San Marco47. Si trattava di locali che i gesuiti ritenevano di non facile accesso e poco idonei alla realizzazione delle loro opere48; perciò i padri avevano accarezzato l’idea di spostarsi sulla via della luminaria. Per realizzare questo progetto nel 1621 acquistarono i locali della Casa degli orfani, appartenenti al monastero della Santissima Trinità, e cominciarono a costruirvi la chiesa di Sant’Ignazio e i locali del collegio, contando sui cospicui aiuti del senato, del vescovo e dei fedeli. Durante la crisi economica, che investì la Sicilia nella prima metà del secolo xvII, vennero meno gli aiuti economici esterni e i gesuiti si trovarono nella impossibilità di continuare la fabbrica del nuovo collegio49.

costruzione dell’arco, la circostanza che il principale artefice di esso, alonzo Di benedetto, fosse chierico. Egli però aveva ricevuto la tonsura dal vescovo bonadies e non dal Riggio; questi solo il 31 dicembre 1704 (quando l’arco era già stato costruito), accogliendo una sua richiesta, gli consentì di entrare a pieno titolo nella categoria dei chierici coniugati (Tutt’Atti 1704-1705, fol. 105v-106r). Un giornalista ha scritto ingenuamente che questo abuso «può essere considerato come il primo esempio di costruzione illegale a Catania» (l. SCIaCCa, Riggio, vescovo di ferro. Fu amato soltanto dopo la morte, in La Sicilia, 15 nov. 1987, 14). 47 M. CaTalaNO, La fondazione e le prime vicende, cit.; a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 57; 159, nota 33; 166, nota 73. 48 Il rettore del collegio nella lettera che scrive al vescovo Riggio calca un po’ la mano nel descrivere i disagi ai quali andavano incontro i fedeli che volevano frequentare la chiesa e il collegio dei gesuiti: «[…] la maggior parte della nobiltà, popolo e gente di ogni altra conditione non si poteva prevalere commodamente delli ministerii di ditti padri di essa Compagnia di gesù tanto per le confessioni, prediche e servitii apostolici, congregationi, consigli, scuole, assistenza ai moribondi quanto per ogni altro aiuto che danno al publico ditti padri giusta il loro pio e lodevole instituto; e la causa di essere privi di ditti aiuti era l’incomodità e fatiga tanto per le donne quanto per l’homini di salire in alto al luogho dove habitavano ditti padri prima delli terremoti del 1693. le persone suddette e paiesane o forastiere, doppo d’haver venuto da lontane parti di essa città sino all’ultimo del piano ed in tempo d’inverno e di està e di notte e di giorno, riusciva molto incommoda e stentata la salita» (Tutt’Atti 16931694, fol. 152r). 49 «[…] Per tale cause anteposta ottenne dicto ill.mo senato d’allora il dare grosse elemosine in più anni per compra del nuovo sito e frabriche da farsi nel piano; e furono emanate lettere da Sua Eccellenza per via del Real Patrimonio di potersi comprare giustamente le case di qualsisia persona, forzando lo padroni alla vendita di esse case comprese in ditto nuovo sito; et a corrispondenza dell’ill.mo vescovo d’allora pur concedette che la casa dell’orfanelli inclusa in detto sito si trasportasse altrove e si principiò la fabrica di detta nuova

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Con il terremoto del 1693 e il successivo piano di ricostruzione della città, i gesuiti ripresero il progetto sperando di utilizzare il terreno di loro proprietà e di poter usufruire del diritto a fare «l’isola», cioè a godere di una serie di meccanismi di appropriazione dei terreni circostanti le loro proprietà, fino a completare il blocco edilizio delimitato dalle strade50. Ma incontrarono delle difficoltà, perché l’apertura della strada Uzeda (l’attuale via Etnea) occupò parte del terreno in cui era stata costruita la chiesa di Sant’Ignazio; in più i gesuiti ebbero notizia che

«vogliono alcuni maestri manuali ed altre persone atte alle fabriche demolire una fabrica fatta fare dal detto padre rettore per commodità del nuovo collegio sito e posto in detta città e piano della fiera nova […], sotto pretesto et colore di voler fare coprire una strada olim cominciata e poi sospesa, perché venia ad essere nel sito di canni cinquanta assignato ad esso esponente»51.

Il rettore del collegio invitò il vescovo a intervenire per impedire la demolizione delle case «il che è contro la dispositione di Sua Eccellenza ed immunità ecclesiastica»52.

chiesa di Sant’Ignatio nel basso con la porta nella strada principale della luminaria, dove adesso vi è gran parte esistente et anco passò il corniccione e parte è stata demolita per farsi la strada principale nuovamente chiamata Osseda. Poi per varie calamità di tempi non corsero più l’elemosine del senato e del publico, né del medesimo ill.mo vescovo, né il collegio poteva separare gran somma dalli suoi proventi per applicarla nelle fabriche e compra di maggiore sito, mentre manteneva tanti soggetti necessari al servigio di tanta nobiltà e popolo all’hora presente e cossì si differì per tanto lungo tempo [..]» (Tutt’Atti 1693-1694, fol. 152r-152v). 50 «[..] Ultimamente però, stanti le ruine universali e di detto collegio, chiesa, congregationi, scuola e d’ogni altro, li ditti padri e superiori maggiori, fatte le solite e molte consulte, determinarino di reedificare nel basso, perché se allora volea il senato e publico che lasciassero per il bene comune ditti padri la chiesa, habitationi, officine, scuole, ordini congragationi ed ogni altro, molto più al presente che si dovea ogni cosa ricominciare da capo a rifabricarsi si dovea rifare in sito basso opportuno al facile servitio e commodo del publico; e però trattano di havere il sito dell’isola che verso levante haveva nella fera mercato del lunedì la porta del palazzo del marchese di Monte Rosato, D. girolamo Stella e da parte di mezzogiorno la linea colla porta del palazzo del barone delli ficarazzi, D. giovanni battista Paternò e da parte di ponenti la linea della porta del palazzo del quondam D. giuseppe Tedeschi e da parte della tramontana la linea della nova strada chiamata Camastra […]» (ibid., fol. 152v-152r). 51 Tutt’Atti 1694-1695, fol. 119r-v. 52 ibid., fol. 120r.

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Riggio accettò l’invito e pubblicò un editto di proibizione munito di censure:

«[…] monimo, inhibimo ed intimamo a tutti e singuli maestri manuali, figlioli ed altre persone atti a murare e frabbricare, arrovinare e far rovinare le fabriche sudette cossì nove come antiche, quae in ditto preinserto memoriale, e questo stante essere sito del collegio sudetto e fatto nel compreso di detto sito e come tale essere robba propria de sue, delle quali spetta a noi, e questo sotto pene e censure fulminate dalli sacri canoni, Sacrae Congregationis Immunitatis, bolle, decreti pontifici e precise quelle della bolla Coenae Domini»53.

Il suo intervento questa volta non servì allo scopo, perché il collegio dei gesuiti non fu ricostruito vicino al piano della fiera nuova, ma nel vecchio sito54. a parte le polemiche, gli scontri e le controversie legali, l’opera di ricostruzione procedeva con straordinaria celerità. basta pensare che nel giro di pochi anni furono portati a termine: la cattedrale, l’episcopio, il seminario, le chiese sacramentali, i monasteri, i conventi e gli istituti pii. andrea Riggio nelle relazioni ad limina sottolinea con compiacimento l’azione da lui svolta nell’opera di ricostruzione della città, non trascurando di indicare le somme personali da lui impiegate55. — la riorganizzazione della diocesi

Parallelamente all’opera di ricostruzione procedeva quella di riorganizzazione della diocesi. Nella città c’erano da stabilire il numero e i con-

ibid., fol. 120v. g. DaTO – g. PagNaNO, L’architettura dei gesuiti a Catania, Catania 1991, 21-55. all’attuazione del progetto dei gesuiti si opposero sia i domenicani, che nella zona dovevano ricostruire il convento di Santa Caterina da Siena, oggi sede dell’archivio di Stato (g. POlICaSTRO, Catania nel Settecento, cit., 61), sia i responsabili dell’Università, che non gradivano avere come vicino nella stessa piazza della fiera nuova il collegio dei gesuiti. Per i conflitti che si erano avuti fin dal secolo xvI fra le autorità cittadine e i gesuiti sul monopolio dell’istruzione secondaria a Catania vedi M. CaTalaNO, La fondazione, cit., 14 (1917) 151-159. 55 Rel. 1702, fol. 336r; rel. 1705, fol. 343r; rel. 1709, fol. 354r; rel. 1712, fol. 366v370v. 53 54

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fini delle chiese sacramentali, il numero, le rendite e il regime giuridico dei monasteri femminili, dei conventi… Per le chiese sacramentali non si ebbero cambiamenti di rilievo56. Con un decreto del 20 gennaio 1702 andrea Riggio fissò i nuovi confini della cattedrale e delle chiese sacramentali, il numero delle quali rimase invariato57. Un cambiamento radicale si ebbe, invece, per i monasteri femminili. In città esistevano ben quattordici monasteri, la maggior parte dei quali si trovavano in difficoltà e non solo dal punto di vista economico58. andrea Riggio, il 20 giugno 1693, chiese ed ottenne dalla Congregazione del Concilio di riunire il patrimonio dei monasteri esistenti per costruirne solo tre o quattro59. la congregazione nell’accettare la proposta del Riggio pose come unica clausola che fossero prima ascoltati coloro che erano interessati all’unione. Il vescovo, convocata una commissione di ecclesiastici e di laici, dopo matura discussione, decise di riedificare sei monasteri: San giuliano, San Placido, Sant’agata, San benedetto, Santissima Trinità e Santa Chiara e di assegnare ad ognuno di essi la somma annuale di seicento scudi, ritenuta sufficiente per la loro riedificazione e il mantenimento60.

Prima del terremoto a Catania, oltre alla cattedrale, si avevano sei chiese sacramentali dentro le mura: Collegiata, San Tommaso, San biagio, San filippo, Santa Marina, Santa Maria dell’Itria (vedi la relazione ad limina del vescovo bonadies del 1668, fol. 220r-v) e una nel quartiere del borgo, eretta dal vescovo f. Carafa nel 1673 per l’assistenza dei profughi dei centri distrutti dell’eruzione del 1669. 57 a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 133-134. Nel decreto del Riggio sono indicate le seguenti chiese sacramentali dentro le mura della città: Sant’andrea (già San Tommaso), Collegiata, San biagio, San filippo, San giacomo o Santa Marina, Santa Maria dell’Itria, oltre a quella di Sant’agata al borgo fuori le mura. la chiesa sacramentale di San biagio, che prima del terremoto sorgeva dentro le mura (ibid., 163), dal vescovo Riggio fu trasferita nella chiesa della fornace di Sant’agata, da lui riedificata con particolare impegno (rel. 1705, fol. 343r). 58 Nella relazione ad limina presentata dal vescovo Carafa nel 1691 (fol. 324r) è indicato solo il numero di dodici monasteri che possiamo enumerare: Monte vergine, San girolamo, Santa Chiara, Porto Salvo, Santa Maria Maddalena, Santa Caterina, Santa lucia, San giuliano, San Placido, San benedetto, Santissima Trinità, Sant’agata. gli altri due monasteri probabilmente esistevano solo giuridicamente ma di fatto erano stati chiusi da tempo. Si potrebbe trattare dei monasteri benedettini Santa Maria del Soccorso, chiuso nel 1601 e del monastero di Sant’Orsola, unito nel 1558 a quello di Santa lucia. 59 Tutt’Atti 1693-1694, fol. 3r-v. 60 «Die duodecimo augusti, primae indictionis, millesimo sexcentesimo nongentesimo tertio. Quia virtute diplomatis apostolici dati Romae die 20 iunii 1693 et exequuti in hoc regno die, etc. fuit ill.mo et rev.mo episcopo Catanensi data facultas comulandi omnes red56

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Dei sei monasteri riedificati, cinque erano soggetti all’autorità del vescovo, uno (quello di Santa Chiara) dipendeva dai frati minori dell’osservanza. Il 4 ottobre 1708 le monache inviarono al vescovo una lettera nella quale denunziavano la difficile situazione che si era creata a motivo della loro dipendenza dai religiosi e chiedevano di essere sottomesse alla sua autorità61. la richiesta era sottoscritta dalla maggioranza delle monache e

ditus quatuordecim monasteriorum monialium, quae ex terremotu solo aequata et penitus destructa remanserant, ad effectum cum eis denuo edificandi et dotandi tria vel quatuor monasteria, in quibus collocari possent moniales quae vivae ex terremotu evaserant. In cuius quidem facultatis exequutione, convocatis nonnullis ecclesiasticis et secularibus viris huius urbis Catanae civibus et cum eis super rehedificatione dictorum monasteriorum facta matura discussione, fuit tandem conclusum rehedificari debere sex monasteria, unum nempe sub titulo S.ti Iuliani, aliud S.ti Placidi, aliud S.tae agathae, aliud S.ti benedicti, aliud SS.mae Trinitatis et aliud S.tae Clarae, quapropter ut officiales dictorum monasteriorum sequantur opus iam conclusum construendi et rehedificandi dicta sex monasteria, dictus ill.mus et rev.mus dominus D. andreas Riggio, Dei et apostolicae Sedis gratia episcopus clarissimae et fidelissimae urbis Catanae, regius consiliarius, comes Mascalarum ac almi Studii urbis Catanae cancellarius equusque ordinis Calatraviae, sponte, vigore praesentis actus omnique alio meliori nomine et modo voluit, ordinavit et mandavit ac vult, ordinat et mandat quod omnia sex monasteria edificanda unumquodque ex eis habeat et consequenter ex redditibus omnium supradictorum monasteriorum sexcentas annuales, tum in redditibus, tum in bonis stabilibus. Et hoc stante quod cum assignatione predicta satis possunt monasteria preditta manuteneri ac rehedificari. Qui quidem actus scriptus fuit et est de ordine et mandato supradicti ill.mi et rev.mi d.ni episcopi Catanensis, presentis et in scriptis mandantis, unde, etc. Scribatur. andreas, episcopus Catanensis» (Tutt’Atti 1692-1693, fol. 363v-364r). Negli anni successivi, a richiesta dei singoli monasteri, si modificò con altri provvedimenti il criterio di distribuzione della massa patrimoniale dei monasteri soppressi. (Decreto del Riggio in data 11 marzo 1694, Tutt’Atti 1693-1694, fol. 164v-165v; rescritto della Congregazione del Concilio del 14 novembre 1699, Tutt’Atti 1699-1700, fol. 64r-64v; altro rescritto della stessa Congregazione del 15 giugno 1709, Libro rosso, fol. 140r-141v). 61 Il documento, che trascriviamo nella parte centrale, è molto lucido nel denunziare la situazione di disagio in cui si trovavano le monache e nell’individuare la causa di queste difficoltà. «[…] Sappia dunque v. S. ill.ma che noi habbiamo lasciato il mondo e parenti e posto sito in questo chiostro per salvarci l’anima e per mezzo della religione viver con quella esemplarità che si conviene. Ma perché questo governo di regolari si è di niun profitto alla nostra salute eterna, non essendo proprio loro governare moniali, né havendo quel peso che si deve per estirpar l’inconvenienti e li scandali e forse alcuni di loro regolari li permettono havendone le loro convenienze, che per modestia tralasciamo di dire, riservandone a bocca quando verrà qui a visitar la clausura di spiegarci le miserie nostre spirituali e temporali et il modo che siamo governati per lo più di questi regolari, tralasciando il scandalo publico che v. S. ill.ma ben sa ed a tutta la città si è palese delle amicitie alle grade, che v. S. ill.ma col suo zelo ha procurato di parare e non ha possuto perché ci ritroviamo esenti noi altri di dentro, per tanto havendo da più mesi et anni domandatovi questa ispiratione e ben consideratala tutti noi professi oggi, giorno del nostro padre San francesco, buttati a terra suppli-

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la Santa Sede non ebbe difficoltà ad accoglierla. Il rescritto che sottrae il monastero di Santa Chiara alla giurisdizione dei frati minori dell’osservanza e lo sottomette al vescovo di Catania porta la data del 24 novembre 170862. andrea Riggio considerò questo avvenimento un fatto rilevante per la vita della diocesi e sembra che volesse assoggettare alla sua giurisdizione anche altri monasteri di religiose esenti. Se per il monastero delle clarisse di adernò raggiunse il suo scopo63, il tentativo fatto per un monastero di agostiniane si concluse con una lite64. la riduzione dei monasteri di clausura diede al Riggio la possibilità di gestire un patrimonio notevole, che gli consentì di risolvere il problema del patrimonio del seminario, di chiamare in diocesi i ministri degli infermi (i crociferi) e di accrescere il patrimonio di altre opere pie. al seminario andrea Riggio, oltre a costruire una sede degna sul terreno del vecchio episcopio, decise di assegnare i proventi del soppresso monastero Santa lucia65. ai crociferi non solo mise a disposizione la chiesa e l’annessa casa religiosa, ma assicurò una rendita dal patrimonio dei monasteri soppressi66. alla soppressione dei monasteri femminili avrebbe dovuto far riscontro un analogo provvedimento per i monasteri e i conventi maschili e per la riduzione del numero dei chierici. Era la richiesta avanzata dal viceré, che voleva cogliere l’occasione offerta dal terremoto per realizzare una riforma già proposta dal Concilio di Trento, ma che non era stata affrontata seriamente dalla Santa Sede67.

chiamo la carità di v. S. ill.ma a degnarsi di riceverne per suoi figli e sudditi volendo in ogni cosa star soggetti all’ordinario che si è v. S. ill.ma ed all’ill.mi vescovi suoi successori […]» (Libro rosso, fol. 131r-131v). 62 Libro rosso, fol. 129r-131v e Tutt’Atti 1709-1710, fol. 3r-3v. 63 Libro rosso, fol. 136r-137v. 64 Nel 1710 c’era stata un’aspra controversia fra il vescovo e gli agostiniani di Regalbuto dai quali dipendeva il monastero femminile della stessa regola (Tutt’Atti 17091710, fol. 234v-235v; 239v-240v). Non sappiamo se il tentativo del Riggio di assoggettare questo monastero alla sua giurisdizione avesse origine da questa controversia o da una situazione di obiettive difficoltà in cui si trovava da tempo lo stesso monastero (vedi supra la relazione del vescovo Ottavio branciforte del 1640, 103r-v). Nella relazione ad limina del 1712, 369v il Riggio ci dà notizie su questo episodio. 65 v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 515. 66 L. c. 67 Sulla situazione in cui si trovavano gli ordini religiosi in questo periodo vedi: E. bOaga, Aspetti e problemi, cit. Sui provvedimenti di soppressioni pontificie di ordini o conventi religiosi vedi: ID., La soppressione innocenziana, cit.; C.a. NaSEllI, Soppressioni pontificie, in DIP, vIII, cit., 1783-1786.

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Si trattava, però, di un problema che esulava dalle competenze di un vescovo e il viceré, appoggiato dalla corte di Spagna, lo affrontò direttamente con la curia romana presentando un piano in cinque punti: 1) per venti anni non dovevano venire nei conventi siciliani altri religiosi se non per sostituire coloro che man mano sarebbero morti; 2) non si doveva ricostruire alcun convento che non fosse in grado di sostenere dodici religiosi; 3) gli altri dovevano essere soppressi e le loro rendite impiegate nella ricostruzione dei conventi distrutti; 4) per combattere l’abuso dei patrimoni simulati si doveva stabilire nel Regno di Sicilia che nessuno poteva ricevere gli ordini maggiori a titolo di patrimonio proprio senza informare preventivamente le autorità cittadine o indicare il luogo in cui risiedevano i parenti, che legittimamente avrebbero potuto avanzare diritti sui beni del patrimonio; 5) coloro che avevano ricevuto la prima tonsura, se dopo due anni da quando avevano raggiunto l’età idonea non ricevevano gli ordini maggiori, non potevano più godere dell’esenzione dalle gabelle. Era notorio infatti che molti ricevevano la tonsura solo per godere dei privilegi annessi allo stato clericale, per frodare il regio fisco e condurre poi una vita licenziosa68. Si trattava di una proposta seria, che comportava però una riforma di ampio respiro, difficilmente realizzabile solo per le diocesi colpite dal terremoto. Se il piano non fu preso in considerazione dalla Santa Sede è probabile che i vescovi interessati abbiano espresso parere negativo; nella mentalità del Riggio il progetto del viceré poteva essere considerato come un tentativo di limitare il numero dei religiosi e del clero e di condizionare la vita e la libertà della Chiesa. Il nostro vescovo si mostrò particolarmente sensibile ai problemi del clero, per il quale fondò, nella chiesa della fornace di Sant’agata, la Congregazione dei Sette Dolori della b. v. Maria, che ai consueti fini di formazione e di culto univa anche quello dell’assistenza in caso di malattia, di inabilità e di carcere per debito civile: concetti che denotano nel Riggio una certa apertura a tematiche sociali, non comuni per quei tempi69.

Il documento originale è trascritto da S. bOSCaRINO, Catania: le fortificazioni, cit., 101, nota 96. 69 Nelle «Regole da osservarsi dai fratelli della nuova congregatione sotto titolo dei Sette dolori della vergine SS.ma eretta nella chiesa sagramentale di Sant’agata la Carcarella fondata da Monsignor ill.mo D. andrea Riggio, vescovo di Catania» (Tutt’Atti 1709-1710, fol. 60v-64r) si legge «che essendo pure fundata questa congregazione pur anche al riparo della necessità temporale ed a mantenere il decoro ecclesiastico, quale per accidente di povertà a che tutti stiamo soggetti potrebbe languire con discapito del nostro stato, sia obligato ogni fratello che vorrà annoverarsi in questa congregazione di pagare nell’entrare nella 68

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— le controversie in tema di immunità ecclesiastica

andremmo oltre i limiti di questa introduzione se volessimo riferire sommariamente tutte le controversie in tema di immunità ecclesiastica che andrea Riggio ebbe con le autorità cittadine e centrali durante gli anni del suo governo. la gran mole di documenti esistenti sull’argomento si spiega sia con le molteplici tematiche comprese sotto l’espressione «immunità ecclesiastica», sia con la tenace volontà del Riggio di non cedere di una virgola tutte le volte che si poneva in discussione quello che egli riteneva un diritto inviolabile della Chiesa70.

medesima onze una per ceppo e tarì uno il mese» (cap. Iv, 61v), da questo capitale e dalle rendite patrimoniali si garantiva «ad ogni fratello che si trovi ammalato con febre […] tarì due il giorno per tutto il tempo che dura la febre con la fede che ne farà il medico e dal giorno che non vi è più febre […] un carlino al giorno» (cap. v, 61v). Inoltre «conoscendo la nostra congregazione la necessità che tiene l’infermo non solo dell’elemosina sopradetta, ma pure che sia assistito qualsisia fratello da medico di sfera e medicamenti esquisiti, vole la congregazione che s’eligga in perpetuum un medico di prima riga e non di seconda classe per contribuire maggiormente alla carità dovuta al fratello ammalato, il quale medico habbia da esser salariato ad anno […]. E che l’aromatario sia dei migliori salariato col terzo anticipato […] con l’obbligo di dare tutti e qualsisia sorte di medicamenti ai fratelli, anche i più pretiosi ed esquisiti che tiene nella sua speciaria, secondo la ricetta del medico e se non le tiene che sia in obligo di procurarle d’altre speciarie con obligo di riconoscerli il medico della nostra congregazione» (cap. vI, 62r). altre norme precise riguardano il caso di infermità senza febbre o che colpisce il fratello fuori del territorio di Catania (cap. vII, 62r), il caso di malattia cronica «cioè gocciola, paralesia o altro morbo sopraveniente che si fa abituale sii in obligo la congregatione di darci grani dudici al giorno sino alla morte o sino che sani di ditta infermità abituale» (cap. vIII, 62v) e infine nel caso che il fratello sia «carcerato per debito civile sia obligata la congregazione di darci grana dudici il giorno mentre è carcerato e pagare le spese di carceri» (cap. Ix, 62v). Sul tema vedi a.M. IOZZIa, una cassa mutua del ’700: la Congregazione dei Sette Dolori della Vergine Santissima, in M. albERghINa (cur.), Medici e medicina a Catania dal Quattrocento ai primi del novecento, Catania 2001, 74-79. 70 Ci limitiamo solamente ad elencare le principali controversie che risultano dalla documentazione contenuta nella miscellanea Riggio o Libbro rosso: controversia con il senato di Catania sulla proprietà della neve dell’Etna (1693); controversia con il senato a proposito di un editto del Riggio che proibiva ai fedeli di mascherarsi «con l’occhiali» durante le feste di s. agata (1695); controversia con il capitano di giustizia di Catania che aveva carcerato due officiali di curia che svolgevano delle indagini con le armi (1696); controversia con il senato di Catania per la variazione del percorso della processione di s. agata (1698); controversia con il senato sulla competenza a scegliere il quaresimalista per la cattedrale (1700); controversia con il capitano di giustizia per la carcerazione di un dipendente del vescovo (1702); controversia con il senato per la nomina del soprintendente alla fabbrica dell’Università degli studi (1703); controversia per la carcerazione di un lettighiero (1704) e di un bottegaio del vescovo (1707); controversia con il rettore del monte di pietà sull’au-

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l’immunità ecclesiastica riguardava una serie di privilegi che esentavano gli ecclesiastici o i familiari del vescovo dalla giurisdizione dei magistrati ordinari, dall’osservanza di alcune leggi, dal pagamento di tasse e gabelle; che riconoscevano al vescovo la competenza di punire determinati reati; che permettevano ai suoi dipendenti di portare armi… alcuni di questi privilegi erano stabiliti dal diritto comune, altri erano riconosciuti alle singole persone. Si trattava di tutta una serie di temi spinosissimi sui quali non si era mai raggiunta unanimità di giudizio fra le autorità ecclesiastiche e civili. Mentre da parte ecclesiastica si esigeva il riconoscimento e il rispetto di questi privilegi, da parte civile si tendeva a negarli o a interpretarli riduttivamente. le controversie erano frequentissime e i vescovi si preoccupavano di far approvare da ogni nuovo re che saliva al trono il pacchetto di privilegi di cui godevano, per essere in grado di esibire alle autorità locali un documento che servisse a chiudere in partenza le inevitabili contestazioni71. Una delle battaglie che andrea Riggio volle combattere fin dall’inizio del suo episcopato riguardava l’esenzione degli ecclesiastici dalle tasse e dalle gabelle dovute sulla vendita e l’acquisto dei prodotti alimentari e di generi vari. Il problema era molto complesso: gli ecclesiastici (preti, frati, monache) erano numerosi e possedevano un numero rilevante di proprietà dalle quale si produceva buona parte dei prodotti alimentari in commercio. Inoltre il rischio di frodi non era ipotetico: era possibile far credere che si trattasse di merce esente, perché acquistata o venduta per conto di un monastero, mentre in realtà il destinatario era un privato non soggetto all’esenzione; le merci sulle quali gli ecclesiastici pretendevano l’esenzione erano molte72 ed erano in diversi ad avere interesse all’abolizione di questo pri-

torità esercitata dal vescovo sull’istituto (1711). a queste bisogna aggiungere le numerose controversie sostenute per difendere le diverse forme di esenzione dalle tasse per gli ecclesiastici. Non sappiamo in seguito a quale controversia il nostro vescovo nel 1698, temendo per la sua vita, fu costretto a rifugiarsi per qualche tempo ad acireale (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 137). 71 l. fERRaRIS, immunitas ecclesiastica, cit.; a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 43-47. 72 Un lungo elenco di merci e di tasse ci è dato in appendice ad un editto emanato da andrea Riggio il 24 maggio 1704. Il documento è di particolare rilevanza perché ci consente di farci un’idea non solo sul significato economico che assumeva l’esenzione ecclesiastica, ma sulle imposte e sulle merci che venivano vendute a Catania all’inizio del secolo xvIII: «[…] In primis sopra la carne di genco e di jinizza grana 4 per rotulo. Item sopra li frutti e foglia per ogni grana dieci un grano e tre piccioli. Item tarì novi sopra ogni cantaro di formaggio che importa grano uno e piccioli quattro e mezzo per rotulo. Item per la gabella del pelo tarì uno per onza. Item sopra la gabella del ferro e sarda di franchezza se la comprano

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vilegio: le autorità cittadine, che vedevano assottigliarsi gli introiti per le spese pubbliche; coloro che avevano preso in appalto o in gabella la riscossione delle tasse e venivano a perdere una percentuale non indifferente di guadagno. Da questo intreccio di interessi è facile intuire la frequenza delle controversie e l’animosità dei contendenti. la misura dell’impegno del Riggio per far concludere a proprio favore questa controversia ci è data da una lettera in duplice copia inviata al papa e alla Congregazione per l’Immunità ecclesiastica il 31 agosto 1696: «beatissimo Padre, tre secoli son trascorsi dacché in questa città s’introdusse un abuso di far pagare le gabelle dell’università da tutti gli eccle-

a barrile o fresca o salata tarì tre o pesa ogni pezzo seu barile e se si comprano a rotulo, grano uno e piccioli dui per rotulo. Il ferro sopra ogni cantaro tarì cinque di franchezza. Item sopra la pasta che esce tarì cinque sopra ogni cantaro, che importa grano uno per rotulo. Item sopra ogni salma d’orgio a minuto tarì sei e grana otto, che importa grana otto per ogni tomino, che importa due grana per ogni mundello o grano uno per ogni mezzo mondello. Item sopra ogni cantaro di frutti grana dodici. Item sopra ogni salma di castagne, noci et ulive grana dodici. Item sopra ogni cantaro di ferro quando entra o esce per mare tarì dui. Item sopra ogni cantaro di ferro che si compra o resta in città grana dieci. Item sopra ogni cantaro di ferro che esce per terra grana cinque, oltre li grana dieci di quando si compra. Item sopra ogni grana cinque di pesci o salume piccioli tre. Item sopra ogni salma di musto o vino che entra in città dal territorio di Catania tarì uno; da fuori territorio tarì sei. Item sopra ogni quartuccio di vino piccioli dui e questo per li tarì dui e grana otto che si paga per ogni salma per la gabella delle due aquile. Item sopra ogni cantaro di sarda fresca per la gabella dell’orologio, tarì cinque per cantaro. Item sopra ogni onza che si compra di mercia tarì uno. Item sopra ogni pesa di lino e cannavo grana due seu tarì due per ogni cantaro. Item sopra ogni cantaro di zuccaro tarì novi che importa grano uno, piccioli quattro e mezzo rotulo. Item sopra ogni cantaro di sapone tarì dui che importa grana due per ogni pesa. Item sopra ogni salma di mortilla tarì dui e grana dieci, che importa grana tre per tumino. Item sopra ogni coiro di bove tarì tre. Item sopra ogni coiro di vacca et altri animali minuti tarì due. Item sopra ogni catasta di summacco tarì dui e grana deci, che importa grana tre per tumino. Item sopra ogni rotulo di carne di porco grana due. Item sopra ogni rotulo di carne di crasto grana due. Item sopra ogni rotulo di carne di ciavarello o agnello grana due. Item sopra ogni salma di sale tarì tre, che importa grana tre e piccioli quattro e mezzo per tummino. Item sopra ogni cafiso d’oglio tarì tre. Item sopra ogni catasta di legni grana cinque. Item per ogni salma di carbone grana sei. Item per ogni cantaro di tabacco per la gabella che esige questa città once 4, stante che per l’altra gabella regia tutti gl’ecclesiastici sono schiavi. Item per raggiungere il cantaro sopra ogni cantaro d’ogni sorte e specie di robbe che entrano in Catania tarì uno, grana due e piccioli tre. Item sopra ogni cantaro di candele di sevo tarì tre ed uno rotulo di candele che va colla gabella del martilletto. Item sopra ogni tumino di farina grana quattro. Item sopra ogni onza di panni o sete tarì tre che importa grana due per ogni tarì. Item sopra ogni onza di tutte le suddette cose ove sono le gabelle tarì tre per ogni onza che importano grana dui per ogni tarì, che sono per la gabella del martilletto […]» (Editti 1703-1704, fol. 15r-17r).

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siastici e non è mai stato possibile di sradicarlo. Io da tre anni in qua, che sono indegno prelato, ne ho contestate innanti a più tribunali più liti. finalmente da quello del Real Patrimonio ne ho avuta la sentenza a favore, che con fatica non picciola l’ho fatta qui presentare ed esseguire per la contrarietà innata che tengono i catanesi co’ vescovi della lor chiesa. In materia tanto importante ha contribuito moltissimo l’autorità vicereggia del duca di veraguas, che ha mostrato grandissimo zelo e pietà nell’aiutarmi. Mi conosco in debito di darne umilmente ragguaglio a vostra beatitudine per sua consolazione e per vedere insieme la finezza del viceré e la mia attentione in ciò che spetta al servitio ed immunità della Chiesa et adorando con divotissimo inchino vostra beatitudine bacio con riverente ossequio li suoi santissimi piedi. Catania, 31 agosto 1696. andrea, vescovo di Catania»73.

accluso alla lettera c’è un biglietto di lumi che il vescovo invia per informare la Santa Sede dell’atteggiamento benevolo assunto dal viceré nei confronti delle tesi sostenute dal Riggio e per sollecitare un riconoscimento papale verso la persona del duca di veraguas:

«Notitie cavate dalle lettere di Mons. vescovo di Catania. giunto che fu in Palermo, il nuovo signor viceré accolse con tenerezza d’affetto e con sentimento di gran stima il vescovo di Catania, che si era ivi portato per riverirlo, et in presenza di molti cavalieri gli disse che la Santità di Nostro Signore gli haveva caldamente raccomandato la di lui persona, onde voleva, che egli in ogni occasione ne havesse esperimentare l’effetti. Continuò poi a farle molti favori per tutto il tempo che esso vescovo si trattenne in Palermo e mediante l’autorità e protettione di Sua Eccellenza riportò da quel Tribunale della Monarchia le sentenze favorevoli in molte cause ivi pendenti. Ordinò poi al senato di Catania che si facessero i nuovi giurati a contentamento di esso vescovo; il che ha operato, che tutta la nobiltà di Catania gli porta hora un sommo rispetto e sono affatto cessate tutte le vessationi e disturbi sofferti per il passato per causa dell’immunità e giuridittione ecclesiastica. E finalmente perché da trecento e più anni non si erano mai date nella ditta città di Catania le franchigie all’ecclesiastici, monsignor vescovo, dopo tre anni di continue instanze, ha finalmente conseguita per sentenza del Real Patrimonio le dette franchigie, nel che ha molto contribuito il sommo zelo del detto Signor viceré duca di veraguas. Desidera hora Monsignor vescovo che Sua Santità di Nostro Signore o la

73 Vescovi e Prelati 88, fol. 351r-351v. la lettera di identico contenuto inviata alla Congregazione dell’Immunità ecclesiastica si trova ai fol. 352r-352v.

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Sacra Congregatione dell’Immunità faccino penetrare al medesimo Signor viceré il gradimento che hanno di quanto si è compiaciuto operare»74.

fatto accogliere il principio, il Riggio emanò le norme di applicazione per evitare il pericolo di frodi:

«[…] vogliamo, come per questo nostro editto comandiamo, che circa la consecutione di ese franchezze habbiano per togliere ogni pretesto di frode nel comprare le dette robbe così commestibili e portarli come ogn’altro dove ni è gabella da far le polize con la firma sottoscritta di loro propria mano, secondo la quantità delle robbe che comprano o vendono, e quelle consignare alli bottegari, credenzieri, collettori, gabelloti o altre persone a chi spetta, per essere ogni mese a noi portate per riconoscersi se le dette persone ecclesiastiche havessero commesso frodi nel comprare o vendere. Nel qual caso, fatta detta prova di frode commessa, s’intendono incorsi nella pena di once 20 per ogni controventore, cioè d’applicarsi once 10 o altri che poneranno in chiaro detta frode et once 10 alle chiese sagramentali di questa predetta città […]»75.

Ma si comprende facilmente che si trattava di norme di difficile attuazione e inaccettabili dal punto di vista delle autorità civili, che venivano esautorate in un settore molto delicato dell’amministrazione pubblica.

74 ibid., fol. 353r. alla lettera del Riggio fa riscontro la risposta del card. Carpegna nella quale non mancano gli elogi per l’operato del vescovo: «Illustrissimo e Reverendissimo Signore, le agitationi che v. S. Ill.ma ha sofferto per il servizio della sua Chiesa con una costante fermezza in sostenere l’immunità non poteano che riuscirle d’honore e di gloria, come io sempre sperai, sul fondamento che Dio non manca di consolare quei che operano per la giustizia. Ma godo singolarmente che s’habbia da considerare in lei la dimostratione di questa verità, necnon lo spirito dello zelo, è stato assai felice di levare l’abuso continuato per tre secoli di far pagare le gabelle dell’università agli ecclesiastici della sua diocesi; e deve ella giubilarne per sé e per l’esempio che ha dato agli altri di imitarlo; se v. S. Ill.ma havesse ceduto ai disturbi caggionatili nel governo passato non haverebbe nel presente, tanto diverse per la pietà e per la raggione, la soddisfatione di haver un protettore in luogo dell’oppressore che sopportò ella; me rallegro però di cuore con v. S. Ill.ma e per mio maggior gusto lo loggioverò alla Santità di nostro Signore con leggerli l’istessa sua lettera ben degna d’essere udita da Sua beatitudine e per l’importanza del fatto e per la modestia con cui ella lo rappresenta; e con pregarla di credermi per sempre obligato e servirla mi ratifico. Roma 22 settembre 1696. Di v. S. Ill.ma e Rev.ma servitore il card. Carpegna. {a} Mons. vescovo di Catania» (aCC, fondo principale, Documenti vari del governo di Mons. Andrea Riggio, carte non numerate). 75 Editti 1703-1704, fol. 15r-17r.

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Infatti il vescovo si assumeva da solo la responsabilità dei controlli per evitare le frodi; inoltre il sistema di verifica da lui escogitato non dava molto affidamento, perché esigeva un’efficiente équipe di funzionari onesti e preparati, in grado di verificare il movimento quotidiano delle vendite e degli acquisti da parte di tutti gli ecclesiastici della città. a questo punto, proprio quando dal punto di vista teorico si poteva credere che fosse venuto meno il motivo del contendere, le controversie continuarono più accese che mai, perché i problemi non erano stati risolti e i contendenti erano particolarmente abili nel trovare gli appigli utili all’affermazione del proprio punto di vista76. In tema di immunità ecclesiastica un’altra clamorosa controversia ebbe come conseguenza per andrea Riggio un richiamo da parte del re e l’invito a recarsi alla corte di Madrid per spiegare i motivi del suo comportamento. Il fatto che fu all’origine della vicenda si verificò a Catania il 29 aprile del 1699 e possiamo leggerlo nel racconto che lo stesso vescovo fa al papa, al quale si rivolge per aiuto il 16 maggio 1699: «[…] Conducevasi al patibolo un tal gioseppe Serafino di questa città, condannato alla morte per un omicidio come assassino. Essendo questi vicino alle forche, occorsi che passava per la medesima strada il cappellano sacramentale di Santa Marina, che processionalmente ritornava alla chiesa dopo haver dato il Santissimo viatico ad un infermo. a sì fatto incontro cominciorono prostrati a terra i popoli a gridare: “gratia, gratia” e postosi anche i ministri di giustizia in adoratione et abassato a terra lo stendardo riale, che era a vista di quel del Santissimo, come anche inginocchiatosi il reo che pure gridò: “gratia, gratia”, restò il medesimo unito con tutto quel popolo che accompagnava e stava attorno corteggiando il Santissimo viatico, formando realmente un corpo, una Chiesa et unica processione. atterrito il rifirito cappellano per le strida del popolo, si fermò senza saper che risolvere. Quindi fattosi nel medesimo istante dal mio vicario generale un viglietto, acciò il reo dalle carceri regie cui era stato ricondotto si restituisse alle mie vescovili, non meno per raggioni di immunità ecclesiastica e perché si togliesse il dubio dell’esecutione della sentenza di morte in dette carceri laicali in dishonore del Sacramentato Signore, ma anche per togliere il scandalo che compariva nelli animi de’ fedeli, quali stimavano vilipesa la maestà di Cristo sacramentato se il delinquente non si metteva in tuto nelli carceri vescovali, acciò si dichiarasse del vescovo il “gaudeate la libera-

76 Sulle controversie sostenute da andrea Riggio per affermare l’esenzione dalle tasse per gli ecclesiastici nella compravendita della carne, degli ortaggi, del mosto e del vino, troviamo una notevole quantità di documenti dal 1696 al 1707 nella miscellanea o Libro rosso.

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tione”, mentre la vista di un principe supremo e terreno fa qui godere la gratia e l’esentione da qualsivoglia pena, e non mancava qualche balordo di dire che non havrebbe più creduto a tal sacrosanto mistero se non ne havvesse veduti gli effetti della liberatione. Per questo dunque, da villa ove mi trattinivo per ristoro di mia salute mi portai in questa, acciò difendessi la giurisdittione ecclesiastica colla costanza e pastorale sollecitudine che richiedeva si grave affare. Per questo dunque, da villa ove mi trattinivo per ristoro di mia salute ritornato come dissi alla città, dopo haver usato tutte le convenienze con li mentovati ministri, acciò mi restituissero il soprannominato delinquente, fui forzato procedere alli monitorii con intimargli le censure, quando non mi fosse restituito nel termine prefissogli, per timore delle quali mi fu poi restituito […]»77.

Il vescovo, avuto il prigioniero, invece di tenerlo nelle carceri ecclesiastiche, pensò di risolvere definitivamente il problema inviandolo libero a Malta78. Come era prevedibile, il capitano di giustizia e i giudici del tribunale locale denunziarono il fatto al viceré, che disapprovò il comportamento del Riggio e pensò di punirlo con l’esilio79. Per evitare questa eventualità il Riggio chiese l’intervento del papa in sua difesa: «Prostrato dunque ai piedi della Santità vostra humilmente la supplico a degnarsi ordinare al suo nuntio in Spagna che intraprenda la mia difesa appresso il Re e di far riconoscere l’annesso scritto per lo quale apparisce non essermi io mosso leggiermente nel caso presente»80. Il vescovo fu costretto a recarsi alla corte di Madrid; ma quando vi giunse il re era già morto e il suo successore non ebbe difficoltà ad accettare i suoi chiarimenti81.

77 Vescovi e Prelati 91, fol. 129r-v, 134r. Copia delle lettere monitorie inviate dal Riggio al capitano di giustizia e ai giudici del tribunale locale si trovano in Libro Rosso, fol. 450r-452v. 78 f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 220-221. 79 lo stesso vescovo riferisce al papa i sentimenti e i propositi del viceré nei suoi confronti dopo questo episodio: «Il quale perciò si è mosso a consultare al Re mio signore con vivo inchiostro che debbia io essere esiliato da questo Regno e ne anela gli ordini per eseguirlo» Vescovi e Prelati 91, fol. 134r. 80 L. c. alla lettera è accluso un voto nel quale il Riggio difende il suo comportamento con motivazioni giuridiche e auctoritates (ibid., fol. 130r-132r). 81 Il vescovo in un’altra lettera del 20 agosto 1701 informa il papa dell’esito del suo viaggio: «beatissimo Padre, per sincerare la corte di Spagna, sinistramente informata sopra le mie procedure in sostenere l’immunità ecclesiastica, stimo giovevole {al}la santa memoria d’Innocenzo xII il mio passaggio in Spagna. Ed io con la gita prontamente ubbidii e l’evento rese vana la di lui e mia speranza poiché sebene non trovai vivo il Re, portatomi a’

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la morte di Carlo II era avvenuta a distanza di pochi giorni dalla morte di Innocenzo xII. la notizia del decesso del re di Spagna determinò in conclave l’elezione del cardinale gian francesco albani, proposto dal gruppo degli zelanti, che scelse il nome di Clemente xI. Il nuovo pontificato cominciava con la minaccia di una nuova guerra europea per la successione al trono di Spagna e con i chiari sintomi di un irrigidimento dei rapporti fra il papato e la casa imperiale. le vicende che si verificarono negli anni successivi, tutt’altro che fortunate per il papato, confermarono Clemente xI nella linea di difesa intransigente dei propri diritti e tutto questo ebbe un riflesso negativo anche all’interno delle diverse diocesi82. Il vescovo Riggio avrà avvertito con soddisfazione che il nuovo indirizzo voluto da Roma era perfettamente in sintonia con i princìpi nei quali aveva creduto da sempre e che erano alla base del suo programma pastorale. Intanto il 2 ottobre 1709 si verificò un altro clamoroso episodio, che assieme alla controversia liparitana costituì il movente del decreto di espulsione dal Regno del vescovo Riggio. I fatti sono narrati nel decreto di scomunica del capitano di giustizia giovan battista Paternò, barone di ficarazzi, emanato il giorno successivo dal vescovo:

confini della francia ad ossequiare il successore, questi, accoltomi con ispeciale stima del mio carattere restò ben persuaso esser state le mie operationi a dovuta difesa ed onore della mia Chiesa, permettendomi il ritorno con espressioni pari all’animo suo non men pietoso che cattolico e con la speranza di far diversamente rispettare il dritto della Chiesa di questo Regno. Di tutto ciò n’avrei di persona fatto pieno rapporto alla Santità vostra, ma sendomisi vietato per alcune urgenze della mia diocesi, sono astretto umilmente pregare la Santità vostra gradirne questo abbozzo per argomentare il religiosissimo naturale di Sua Maestà Cattolica» (Vescovi e Prelati 93, 560r-561). Il card. Paolucci rispose il 17 settembre congratulandosi con il vescovo per il felice esito del suo viaggio e incoraggiandolo nelle sue battaglie in favore dell’immunità ecclesiastica: «Illustrissimo e Reverendissimo Signore. Di sommo compiacimento è riuscito a nostro Signore l’aviso participatogli ossequiosamente da v. S. del suo felice ritorno a cotesta sua Chiesa, della sotisfazione c’ha seco recata d’haver havuta benigna udienza ai confini di Spagna del Re oggi regnante e delle speranze riportatone ch’in avvenire sia per esser più rispettata in cotesto Regno l’immunità e giurisdizione ecclesiastica, in difesa della quale avendo ella dimostrato il suo zelo e costanza e patito l’incommodo del viaggio a Madrid ha reso il proprio merito grande appresso Dio e nel concetto di Sua Santità […]» (Libro rosso, fol. 779r). Il Catalano, riferendo una versione dell’episodio, tratta dal manoscritto Vera e distinta notitia della vertenza liparitana, scrive che il Riggio, pur essendo stato invitato alla corte di Madrid per chiarimenti, non vi andò (g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit., 80, nota 28). Questo particolare suscita qualche perplessità sulla serietà delle informazioni dell’anonimo autore del manoscritto citato. 82 b. SChNEIDER, il papato al tempo dell'egemonia francese, in Storia della Chiesa, diretta da h. Jedin, cit., vII, 155-161.

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«[…] Poiché ritornando noi hieri li dui del corrente, verso hora una di notte, doppo alcuni giorni di villiggiatura, alla residenza della nostra cattedrale ed essendo stati presentati a noi e nostro vicario generale e ministri per strada, con dovuti atti di religiosa pietà, dal capitano della terra di San gregorio quattro rifugiati nella chiesa dei rev. padri benedettini del luogo chiamato «la licatia», come quelli che furono estratti prima con nostra licenza dal medesimo capitano per tenerli carcerati nelli nostri carceri a nome della Chiesa, mentre li portavano a fianchi della nostra carozza, nell’entrare in città di Catania hebbe ardire il capitano della medesima spett. D. giovan battista Paternò, barone di ficarazzi, con gran numero di gente armata assaltare ed assediare la carozza nella quali s’havevano ricovrato li rifugiati suddetti con arrestarla e circondarla da tutte le parti con armi nude e scopette inserragliate, domandando ad altra voce e con schiamazzi li rifugiati suddetti e facendo fronte con dette armi nude alla nostra gente con atto di colpirla et urti datili et altre sifatte violenze, come il tutto è notorio, oltre le plene informationi prese nella nostra gran Corte vescovile. laonde essendo stata lesa così orribilmente la Chiesa {e} la sua immunità per l’attentato di pigliarsi li rifugiati dal riferito di Paternò spett. capitano e nostra giuriditione e finalmente per la violenza usata alla nostra persona e del nostro vicario generale, che si trovava con noi nella medesima carozza ed alli nostri preti e altra gente di corte quali ci accompagnavano, caso già mai sortito nel Regno, non si potendo considerare maggiore irreverenza e violenza alla Chiesa ed al proprio pastore, perciò invocato noi il nome e l’aggiuto divino devenimo alla presente nostra dichiarazione con la quale publicamo a tutte e qualsivoglia persone di qualunque sesso e condizione per escomunicato vitando di scomunica maggiore, contenta in vari sacri canoni e bolle pontificie, il suddetto D. giovanni Paternò spett. capitano di Catania, barone di ficarazzi, precettando gravemente sotto pena di scomunica anche maggiore a noi reservata in virtù del nostro presente editto a tutti e singoli fedeli dell’uno e dell’altro sesso acciò vogliano e debiano appartarsi dalla conversatione di detto spett. capitano e quello tenere, trattare e reputare per escomunicato […]»83.

Di questo stesso episodio, abbiamo però una versione diversa, attinta probabilmente alle dichiarazioni fatte dal capitano di giustizia nel successivo processo:

«Il capitano giobattista Paternò abbatelli barone delli ficarazzi mandò soldati per arrestare alcuni banditi che trovavansi nella chiesa dei benedettini

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Tutt’Atti 1709-1710, fol. 24v-25r.


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alla licatia poco fuori Catania, dopo aver saputo dallo stesso abate che la chiesa era privata e non capace di immunità. Mentre erano condotti s’incontrarono con il vescovo che ritornava dalla campagna, e ne domandarono la protezione come presi sulla chiesa. arrivato il capitano volle dire la sua ragione al vescovo, ma malgrado i suoi sforzi i rei di tanti delitti entrarono in carrozza con il vescovo in città, e il giorno 3 di ottobre comparvero per Catania i cedoloni che dichiaravano per scomunicato vitando il barone di ficarazzi»84.

Il racconto del Riggio sembra, comunque, più credibile; se si tiene presente che è inserito in un editto emanato il giorno successivo all’avvenimento e nella facile previsione che sarebbe stato impugnato. Infatti il capitano di giustizia fece ricorso al giudice del tribunale della Regia Monarchia che annullò la scomunica85. Nel giugno del 1711 una circolare della curia romana dava ai vescovi siciliani alcune direttive in tema di immunità ecclesiastiche. andrea Riggio nella risposta data alla Santa Sede ci fa conoscere il loro contenuto: «Non pagarsi annualità veruna di pensione […], non permettersi riforma di franchezze […], non concedersi tassa d’ecclesiastici a favore de regi o accommodo di denaro»86 e assicura la sua piena adesione alle direttive pontificie: «accerto all’Eminenza vostra che mercé all’aggiuto divino dal primo giorno del mio governo sin oggi non ho sofferto che l’immunità fosse in cosa alcuna, ancorché leggerissima, pregiudicata così né capi cennati, come pure in ogni altro che ha occorso e così spero col favor d’Iddio seguitare molto più adesso che sono avvalorato da tanti precetti di Sua Santità»87.

Il Riggio non aveva certamente bisogno di incoraggiamenti nel suo atteggiamento di sfida verso le autorità civili; ma le nuove direttive pontificie lo convinsero della bontà delle sue scelte e della opportunità di con-

84 f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 222; g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit., 80, nota 30. 85 f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 222. lo storico catanese non riferisce con esattezza le date dell’episodio. Inoltre, ignorando del tutto la controversia liparitana, indica questo fatto come causa dell’esilio del Riggio. In questa svista è seguito dal fichera (f. fIChERa, una città settecentesca, cit., 9) e dal giornalista l. SCIaCCa, Riggio, vescovo di ferro, cit. 86 Vescovi e Prelati 117, fol. 66r. 87 L. c.

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tinuare senza tentennamenti per la strada intrapresa. Solo tenendo presenti queste circostanze possiamo spiegare il precipitare degli avvenimenti successivi e l’atteggiamento da lui assunto nella controversia liparitana88. Il 22 gennaio 1711 due guardie annonarie avevano sequestrato a lipari nella bottega di Nicola buzzanca due libbre e mezzo di ceci (circa 800 grammi) di proprietà della mensa vescovile, come equivalente della tassa comunale. Il vescovo di lipari (il benedettino catanese Nicola Maria Tedeschi) fece le sue rimostranze perché era stata violata l’immunità ecclesiastica. le due guardie restituirono subito i ceci sequestrati; ma il vescovo non si ritenne soddisfatto e pretese che i giurati del comune di lipari gli presentassero pubbliche scuse. Dinanzi al loro rifiuto fece pubblicare i cedoloni di scomunica per le due guardie, che presentarono ricorso al tribunale della Regia Monarchia. Il giudice, prima sospese la scomunica ad cautelam per consentire ai due di difendersi, poi li assolse riconoscendo ingiusto l’operato del vescovo di lipari. Questi cercò di coinvolgere i vescovi della Sicilia in un’azione comune contro la legazia apostolica e chiese l’intervento di Roma, che non si fece attendere: il 15 agosto 1711 la Congregazione dell’Immunità, in una lettera al vescovo di lipari, dichiarava nulla per difetto di giurisdizione l’assoluzione data alle due guardie dal tribunale della Regia Monarchia e il 16 gennaio 1712 inviava una lettera circolare invitando i vescovi siciliani a rendere pubblico il giudizio formulato sul caso delle guardie di lipari89.

88 Sulla controversia liparitana vedi in particolare: f.J. SENTIS, Die “Monarchia Sicula”. Eine historisch-canonistische untersuchung, freiburg im breisgau 1869; I. la lUMIa, Storie siciliane, cit., 201-288; f. SCaDUTO, Stato e Chiesa, cit., I, 136-155; g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit.; a. lONghITaNO, il tribunale di Regia Monarchia, cit. e la letteratura indicata da questi autori. 89 «adì 16 gennaio 1712. È giunto a notizia di questa S. Congregatione, che molti di cotesto Regno, li quali vengono dichiarati dagli ordinarii con publici cedoloni incorsi nella scommunica maggiore riservata al Sommo Pontefice per causa di lesa libertà, giurisditione o immunità ecclesiastica, si facciano lecito di ricorrere a tribunali di cotesto Regno ed ottenere l’assolutione da detta scommunica ad cautelam con reincidenza dopo qualche tempo, sotto pretesto di poter comparire in giuditio e dedurre ivi la da loro pretesa ingiustitia di dette censure; e perché dalle censure riservate al Sommo Pontefice non è permesso a cardinali legati a latere, né agli arcivescovi e vescovi ordinarii de luoghi, né a qualunque altro tribunale, ancorché sia quello di Monsignor Uditore della Reverenda Camera apostolica, il concedere assolutione alcuna, anche con reincidenza e cautela, né può da essi riconoscersi in grado di appellationi la validità e giustitia di dette censure, spettando ciò a Nostro Signore et a questa S. Congregatione, a tal effetto deputata da Sommi Pontefici, perciò la medesima, con approvatione di Nostro Signore, ha ordinato doversi scrivere a v. S. che per render nota

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I vescovi sapevano che la pubblicazione del documento della Santa Sede avrebbe comportato l’estensione della controversia a tutte le diocesi siciliane e la rottura dei rapporti con le autorità civili. Infatti, secondo la prassi vigente, tutti i documenti della Santa Sede prima di essere resi pubblici dovevano essere eseguiti dal re. I presuli siciliani non assunsero un atteggiamento unanime: alcuni chiesero al viceré l’exequatur (che fu negato), altri scrissero alla Santa Sede chiedendo chiarimenti, tre (i vescovi di Catania, girgenti o agrigento e Mazara) il 21 marzo 1712 pubblicarono il documento senza chiedere il regio exequatur90. Il leader indiscusso di questo gruppo di intransigenti era andrea Riggio, il quale nello scontro corale fra i vescovi e le autorità civili vedeva l’occasione di una rivincita sul tribunale della Monarchia91. la pubblicazione del documento pontificio senza l’exequatur fece precipitare gli avvenimenti; dopo una serie di scomuniche e di assoluzioni il viceré Carlo Spinola marchese di los balbases, il 22 marzo 1713, fece pubblicare a stampa un voto sottoscritto da cinquantanove teologi siciliani

a tutti li fedeli di cotesta città e diocesi la nullità di detta assoluzione per difetto di giurisditione et in conseguenza l’obligo che per ciaschedun fedele corre di vitare ed escludere tali censurati da ogni consortio e commercio secondo il prescritto de Sacri Canoni, debba ella ciò notificare con publico editto, ad effetto che non possa da alcuno allegarne l’ignoranza, né suffraghi loro alcuna buona fede o altro specioso pretesto, di trattare e conversare con detti censurati, fino a tanto che da medesimi non sarà fatto ricorso alla Santa Sede per l’assolutione o venga da questa S. Congregatione riconosciuta e dichiarata la da loro pretesa ingiustitia di dette censure. Doverà pertanto ella così esseguire con fare affiggere la presente dichiaratione e notificatione ne luoghi soliti di cotesta città e mandare in S. Congregatione publico documento dell’affissione e le prego dal Cielo ogni felicità» (Fondo Albani 57, fol. 62r-v). 90 appena il viceré fu informato della pubblicazione del documento pontificio senza il regio exequatur scrisse ai tre vescovi una lettera nella quale chiedeva la revocazione dell’editto, da farsi entro otto giorni (Tutt’Atti 1711-1712, fol. 171r-v). I tre, secondo le istruzioni della Santa Sede, risposero con una lunga ‘consulta’ nella quale si legge che non potevano revocare l’editto senza disobbedire ad un ordine stesso di Dio. Copia delle tre risposte si trova in Tutt’Atti 1711-1712, fol. 177v-182r (Mazara), fol. 182r-187v (girgenti), fol. 182r191v (Catania). 91 fra il Riggio e i vescovi di girgenti e Mazara c’era una regolare corrispondenza che denota unità di intenti e il proposito di tenere un comportamento comune. Nei Tutt’Atti della curia di Catania, si trovano registrate parecchie lettere della curia romana o della corte di Palermo indirizzate al vescovo di girgenti, che il Riggio riceveva per conoscenza (Tutt’Atti 1712-1713, fol. 53v, 54r, 56v-57r, 133v). Erano anche frequenti i contatti che i tre vescovi avevano con la Santa Sede. Il cardinale Paolucci impartiva precise direttive sull’atteggiamento che i tre avrebbero dovuto tenere nell’ipotesi di richiami o di provvedimenti punitivi da parte del viceré.

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in difesa del tribunale della Regia Monarchia e dichiarò nulli tutti gli atti di provenienza estera che non avessero ricevuto l’exequatur92. Riggio reagì immediatamente: il 9 aprile 1713 dichiarò nullo il bando del viceré e condannò la dottrina in esso sostenuta93. Per rincarare la dose riaprì il caso della

g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit., 79. Il documento è particolarmente interessante perché costituisce una sintesi della concezione che il Riggio ha della Chiesa e del suo rapporto con la società e perché determinò il provvedimento di esilio per il vescovo catanese: «Noi Don andrea Riggio, ecc. “videte ne quis vos seducat” (Matthei, cap. 24). Essendosi questa mattina senza barlume di notizia publicata ed affissata col titolo di bando in questa città di Catania una scrittura in stampa destruttiva dell’ordine della S. Congregazione dell’Immunità ecclesiastica, sotto la data delli 16 gennaro 1712, publicato da noi con ordine premoroso di nostro signore Clemente xI regnante in un nostro editto insertovi l’ordine suddetto, per il quale si notificava ai fedeli alla nostra cura commessi che qualsisia censura riservata al Sommo Pontefice da lui solo e per esso la Sagra Congregatione dell’Immunità spettare privative l’assoluzione, dichiarando non tenere tal facoltà nessun altro tribunale anche dilegato o di auditore della Reverenda Camera apostolica e che tutti i censurati di dette censure riservate a nostro signore s’intendessero e riputassero invalide assoluti e da riputarsi per scomunicati e ritrovandoci noi indegno pastore dell’anime alla nostra cura addossate, delle quali dobbiamo dar stretto conto al Divino fattore se lasciamo dispiegare loro le dottrine evangeliche e le massime d’eterna verità che le conducono alla salute eterna e del lume che tenemo porgerlo a loro per non invilupparsi nel cupo oscuro dell’eterna perdizione, per tanto in virtù del presente editto semo a dichiararci che siccome come vassalli devesi contribuire le sostanze e la vita in servigio del Re nostro signore filippo Quinto, che tanto per la sua dolcezza e gratitudine merita di vantaggio, così l’anima dei cattolici deve soggettarsi per necessità di salute agl’ordini pontificii dirizzati al nostro bene spirituale col precetto da Cristo dato a S. Pietro e per esso ai suoi successori nel “Pasce oves meas”. E perciò si dichiara a tutti i fedeli dell’uno e l’altro sesso, così regolari come secolari di qualsisia stato, grado e conditione, così di questa città di Catania come di tutta la nostra diocesi, che a detto bando non deve darsi credenza veruna e che dobbiamo tutti ubbidire al Sommo Pontefice con eseguire quanto ci comanda, cioè che dette censure riservate non possano assolversi se non dal medesimo o pure dalla Sagra Congregazione dell’Immunità alla quale ha dato l’istesso Sommo Pontefice tale autorità, non valendo a ditti scommunicati dichiarati di censura riservata né sagramenti, né suffragii publici della Chiesa, né onore di sepultura ecclesiastica, né altro ai suddetti trasgressori di detto ordine pontificio, oltreché si annoderanno di nuova censura riservata in bulla Coenae col violare l’autorità apostolica quelli che si ritrovano caduti in qualche altra riservata al Sommo Pontefice se si fanno absolvere d’altro tribunale, quali tutti sono dichiarati dal Sommo Pontefice insussistenti e che non tengono tal auttorità con aborrire quella temeraria, orrorosa, scandalosa e perniciosa dottrina del jus gentium in ditto bando riposta, mentre la potestà del Supremo Pontefice è indipendente da ogni autorità temporale, et tali capiti omnia membra subduntur intendersi l’istesso qualsisia altro bando, ordine o editto che per l’avvenire si facesse che sia pregiudiziale all’auttorità apostolica, non potendo darseli credenza veruna. Ed acciò questo nostro presente editto sì necessario per la salute dell’anime dei fedeli si conservasse affissato, s’ordina sotto pena di scomunica maggiore a noi reservata ipso facto incurrenda di non 92 93

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sentenza di assoluzione del barone di ficarazzi, pronunciata tre anni prima dal tribunale della Regia Monarchia, e la dichiarò invalida94. Di fronte alle provocazioni del nostro vescovo, il viceré ritenne inevitabile il ricorso agli estremi rimedi e il 18 aprile 1713 andrea Riggio fu

poterlo qualsisia fedele dell’uno o l’altro sesso di qualsisia grado e conditione si fosse levare, rompere o cancellarlo o comandare l’antedetto, ed ai regolari sotto pena ipso fatto d’interdetto personale. In Catania, 7 aprilis 1713. andrea vescovo di Catania. De affixione suprascripti constat per me subdiaconum D. Petrum Profeta, magistrum notarium» (Tutt’Atti 17121713, fol. 223v-224r). 94 Il vescovo aveva già ripreso il discorso sul barone di ficarazzi il 24 ottobre 1712 con un editto di scomunica: «Declarazione cattolica. Sappiano tutti i fedeli cristiani così dell’uno come dell’altro sesso, secolari e regolari e specialmente tutti i miei dilettissimi figli e figlie come di sopra di questa cattedrale e diocesi che Don giovanni battista Paternò et abbatelli, barone di ficarazzi, è stato ed è pubblico scommunicato vitando nominatim denunciato, mentre dopo la publica dichiarazione d’essere incorso nella censura in bulla Coenae riservata a Sua Santità anche ad reincidentiam, come per l’ultimo decreto della Sagra Congregatione dell’Immunità viene confermato, non è stato assoluto dalla Santa Sede, perloché si ordina e si proibisce a qualsisia fedele dell’uno e dell’altro sesso così secolare come regolare di non poter parlare né conversare col detto Don giovanni battista Paternò et abbatelli, barone di ficarazzi, sotto la censura seu scomunica posta nei canoni a chi ardisce parlare o conversare con publici scomunicati vitandi nominatim denunciati, con haverlo a riguardare come membro putrido della Chiesa, privato dell’uso dei santi sacramenti, dei publici suffragi della Chiesa e dal convitto dei fedeli, ma anche privato da ecclesiastica sepultura; e questo s’intende sino che dalla Santa Sede apostolica sarà assoluto. ad oggetto di che si ordina a tutti i fedeli così secolari come regolari di osservare e dai superiori far osservare tutto quello prescrivono, ordinano e definiscono i canoni e costituzioni pontificie colli scomunicati vitandi, non solo di non poter parlare e conversare col suddetto Don giovanni battista Paternò et abbatelli, barone delli ficarazzi, ma s’entra in qualsisia chiesa senza eccezione di alcuna di qualsisia stato, forma e condizione haverlo da cacciare e di non poter celebrarsi l’uffici divini, tra i quali s’intende il santo sacrificio della messa inanzi del medesimo, dichiarandosi interdetta quella chiesa dove si esercita sì orrendo sacrilegio, oltre le pene spirituali inflitte ai fedeli ed agli ecclesiastici così secolari come regolari in questa materia se non osservano il metodo di come devonsi governare colli scomunicati vitandi nominatim denunciati, mentre la carità paterna e pastorale dopo d’haverlo avvisato di star ritirato ad altro non ha servito che a disprezzarne gli avvisi e far poco conto del fulmine delle censure. Ed acciò l’antedetto venga in cognitione d’ogni persona, si è fatta la presente dichiarazione con fissarsi ai luoghi publici e consueti di questa città e diocesi. In Catania, 24 ottobre ad hore ventitrè e meza. andrea, vescovo di Catania. De affixione constat per me subdiaconum D. Petrum Profeta, magistrum notarium» (Tutt’Atti 1712-1713, fol. 222v-223r). Poiché il Paternò, secondo la prassi consueta, si era fatto assolvere dal tribunale della Monarchia e aveva continuato a comportarsi come se nulla fosse accaduto, il Riggio ribadì la scomunica l’8 aprile 1713, il giorno successivo alla pubblicazione dell’editto con il quale respingeva le direttive date dal viceré (ibid., fol. 233v). Pertanto furono questi due editti che determinarono la reazione del viceré.

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espulso dal Regno di Sicilia95; lo stesso provvedimento fu adottato il 6 agosto per il vescovo di agrigento, francesco Ramirez. I due vescovi, prima di lasciare la sede, lanciarono numerose scomuniche contro gli esecutori del provvedimento e promulgarono l’interdetto per tutto il territorio della loro diocesi96, interdetto che fu subito annullato dal tribunale della Monarchia. la situazione precipitò sempre di più perché nessuna delle due parti

95 g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit., 81. Nel decreto emanato a Messina, il 18 aprile 1713, dal viceré Carlo Spinola, marchese di los balbases, si legge testualmente: «Siendo ya intollerables los irregulares procedimientos de v. S. en agravio de las regalias y preheminencias, que S. M. tiene en este Reyno pues con inconsiderada temeridad parece che va buscando todas las occasiones de periudicarlas y de mostrar su mal afecto al servitio de S. M. con notable pertubaciòn de sus fieles vasallos y de la quietud publica quem esta a me cargo; y non conveniendo al real servicio de S. M. ex resguardo a todas estas consideraciones que le mantenga en este reyno un Prelado que ha dado tantos motivos de sospecha y de sconfianza al Rey, al Reyno ya a todos sus naturales; por tanto usando de la potestà que tengo come vyrrey y capitan general y de la especial que para este caso me ha conferido S. M. prevengo a v. S. que dentro de viente y quatro horas del recivo de esto orden salpa de essa ciutad y de dos dias de todo este Reyno de Sicilia podiendo v. S. ir a desembarcarse libremente in quelquiera parte que non fuere infecta de inimigos y si v. S. pretendiexe justificarse de esta resuloción puede recurrir con la misma libertad a la Real Corte de S. M. con apercevimiento de que si v. S. non lo executare dentro del termino referido se le obligarà a ello immediatamente con la authoridad real que permite la regalia y la conservación del Estado. Mecina, 18 de abril de 1713. I. Carlos felype antonios Spinola Capitanus generalis. al Obisbo de Catanea». (Fondo Albani 58, fol. 34v-35r). Il vescovo dichiara: «lettera del viceré di Sicilia a me consegnata dal sergente maggiore D. gioseppe la Rosa con ordene del medesimo viceré, secondo il suo asserto, di darmela innanzi de testimoni che furono: il capitano della città, alcuni giurati e sindico di essa, ritrovandosi presenti pure alcuni miei servitori. andrea vescovo di Catania confermo come sopra» (ibid., fol. 33v). 96 Il decreto nel quale contestualmente si pronunzia la scomunica per coloro che eseguirono il decreto del viceré e l’interdetto per la diocesi è scritto in uno stile fermo e conciso: «andrea, ecc. Perché voi sergente Don giuseppe la Rosa con orroroso ardire avete passato a forzarmi di partire con avvisarmi, che se non parto da questo Regno passa alla violenze, tanto che io indegno ministro di Cristo son tenuto cedere alle violenze, assaltandomi voi con squadra di soldati il palazzo ed intimatomi la detta partenza ed esilio da questo Regno, dove per la gratia di Dio e della Sede apostolica mi ritrovo indegno vescovo di Catania; pertanto in virtù del presente cedolone vi dichiaro publico scomunicato vitando in bulla Coenae ed al capitano e soldati che mi hanno assediato il palazzo puranche incorsi nella detta censura. Come anche per ordine di nostro signore Clemente xI di porre l’interdetto così alla mia cattedrale come in tutta la diocesi per essere viduata dal suo pastore, che sotto la divina indignazione devesi osservare inviolabilmente. Catania, 20 aprile 1713. andrea, vescovo di Catania. Suddiacono Don Pietro Profeta, mastro notaro» (ibid., fol. 40r). Sembra strano che a subire la scomunica del vescovo siano degli ignari subalterni che si limitarono ad eseguire gli ordini e non il viceré che li aveva emessi; ma naturalmente né la Santa Sede, né il Riggio avrebbero osato indirizzare così in alto i loro strali.

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sembrava disposta a cedere, anzi faceva ricorso a provvedimenti polemici che rendevano più difficile l’ipotesi di una soluzione. Il viceré con la forza cercava di obbligare sacerdoti, religiosi e monache a celebrare i sacri riti o a parteciparvi per svuotare di significato l’interdetto; chi opponeva resistenza o solidarizzava con i vescovi esiliati, veniva punito con l’esilio97. la Santa Sede, in risposta a questi provvedimenti, proibì ai vescovi di Sicilia di pubblicare la bolla della crociata i cui rilevanti proventi andavano nelle casse dello Stato, scomunicò il giudice del tribunale della Regia Monarchia, proibì agli ecclesiastici di pagare i tributi e infine, con bolla del 20 febbraio 1715, Clemente xI dichiarò estinta la legazia apostolica di Sicilia98. Intanto a Roma si era formato un nutrito numero di esuli siciliani che non esercitavano sulla curia un’azione moderatrice. andrea Riggio aveva fra tutti un ruolo preminente: riferiva al papa le notizie che giungevano con le navi dalla Sicilia, era richiesto di esprimere il suo parere prima delle principali decisioni sull’argomento, presentava memoriali e studi giuridici per controbattere le tesi regie. In riconoscimento del suo operato, il 13 gennaio 1715 ebbe la nomina di patriarca di Costantinopoli, che gli conferiva un puro titolo di onore, anche se di un certo prestigio99. Mentre accadevano questi fatti, in seguito al trattato di Utrecht (13 luglio 1713), la Spagna era stata costretta a consegnare la Sicilia a vittorio amedeo II di Savoia100. la Santa Sede, sperando di approfittare della nuova

97 a proposito della evidente perdita del buon senso anche da parte delle autorità civili fa notare la lumia: «la giunta […] in luogo di serbare i propri rigori a’ materiali attentati contro la sicurezza e la tranquillità dello Stato, avrebbe preteso scender nell’intimo delle private coscienze, non limitandosi a vietare ciò ch’era aperta ingiuria alle leggi, ma spingendosi a prescrivere a tutti il da farsi, anche contro i convincimenti propri di ognuno. Insomma, se era bene il sostenere, il proteggere, il cercar d’ingrossare la parte amica e ben affetta del clero; se era bene ugualmente il vegliare e contenere ne’ debiti limiti la parte più inchinevole a Roma che al buon diritto e alla patria, non era bene di certo l’impegnarsi nel forzare quest’ultima a mentire a sé stessa, a far contro le persuasioni sue proprie, e il venire così a conferirle quel prestigio, di cui ogni persecuzione violenta non manca (a ragione o a torto) di circondar le sue vittime. le tartane che scioglieano dal molo, partivano stivate di preti e di frati» (I. la lUMIa, Storie siciliane, cit., 237). Il Catalano scrive che all’inizio del 1716 nella sola diocesi di girgenti «erano oltre ottocento i sacerdoti e i monaci espulsi, inviati al confino o addirittura datisi alla macchia» (g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit., 98). 98 ibid., 82-99. 99 aSv, Segreteria dei Brevi 2539, fol. 320r-321v. Nella bolla si legge la formula consueta: «[…] Consideratis grandium virtutum meritis quibus persona tua illarum largitor altissimus multipliciter insignivit […]». 100 I. la lUMIa, Storie siciliane, cit., 145-352.

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situazione, si mostrò sempre più intransigente e non volle accettare le proposte di soluzione avanzate man mano dal re sabaudo. I tentativi di definitiva composizione della controversia non fecero molti progressi dopo il breve ritorno degli spagnoli in Sicilia (1718); tuttavia il 7 aprile 1719 si giunse ad un primo accomodamento, che spianò la strada alla definitiva soluzione della controversia101. Dopo questo accordo fatto con il re di Spagna, il Regno di Sicilia passò sotto il dominio dell’imperatore d’austria Carlo vI, al quale toccò affrontare la definitiva soluzione della controversia liparitana. I colloqui fra le due parti si trascinarono fra alterne vicende fino al 1728, quando fu firmata la cosiddetta «concordia benedettina», che riaffermò il privilegio del tribunale della Regia Monarchia, sia pure con qualche limitazione102. frattanto alcuni dei protagonisti erano già morti: andrea Riggio morì esule a Roma il 17 dicembre 1717103, la stessa sorte era toccata al vescovo di

«l’accordo, firmato dal cardinale acquaviva per la Spagna e dai cardinali albani, Corradini, Tessari e Paolucci per la Santa Sede, era indubbiamente lesivo del prestigio della corona spagnola, che accettava quelle stesse richieste della Santa Sede che più volte aveva respinto vittoro amedeo II. Il Re si impegnava infatti a far osservare gli interdetti (art.1); a riconoscere l’efficacia delle scomuniche (art. 6); ad annullare le elezioni dei capitoli monastici, che avevano avuto luogo negli anni della controversia (art. 5); a richiamare tutti gli esiliati restituendo loro ogni avere (artt. 2 e 3); a permettere il trasloco e la tumulazione nelle rispettive cattedrali delle salme dei vescovi di Catania e girgenti, morti in esilio (art. 7). la Santa Sede prometteva soltanto di favorire la concessione dell’assoluzione agli scomunicati penitenti e di togliere al più presto gli interdetti (artt. 4 e 10)» (g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit., 113). 102 ibid., 116-127. la concordia benedettina è presa in esame dallo stesso autore (ibid., 137-155). viene spontaneo chiedersi quale vantaggio abbia conseguito la Santa Sede dall’aver provocato una controversia che per diversi anni procurò numerosi e gravi disagi alle Chiese di Sicilia e sostanzialmente lasciò immutata la situazione precedente. Tutta la vicenda deve essere considerata come uno dei tanti momenti di crisi che preludono alla nascita di una nuova coscienza sulla natura della Chiesa e dello Stato. 103 a. Mongitore ci informa che andrea Riggio morì improvvisamente di notte «reumate quo afflictari consueverat» (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 138). Il ferrara scrive, invece, che morì a causa di un colpo apoplettico (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 226). Per rispettare un suo voto fu seppellito nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove fino ad oggi si conserva il mausoleo rimasto vuoto in seguito al trasferimento della sua salma a Catania. Il card. Paolucci, nel trasmettere al nipote principe di Campofiorito il testamento di andrea Riggio, scrive 18 dicembre 1717: «[…] le degnissime qualità di lui applaudite da tutta questa corte gli avevano conciliato di maniera l’affetto e la stima di Nostro Signore, che ha la Santità Sua dimostrato un publico sentimento della perdita che se n’è fatta. ha però voluto che siano celebrate con ogni pompa le di lui essequie nella basilica di Santa Maria Maggiore, a similitudine di quelle che sogliono farsi 101

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agrigento francesco Ramirez il 27 agosto 1715104. Clemente xI morì il 19 marzo 1721105. la riconciliazione con la città di Catania, che il vescovo Riggio aveva tanto desiderato in vita, avvenne dopo la sua morte. la sua salma il 30 aprile 1727 fu traslata a Catania, dove fu accolta dalle autorità cittadine e da una folla commossa106, e definitivamente seppellita nel mausoleo che egli stesso si era preparato nella cappella di s. agata107. 2. lE RElaZIONI AD LiMinA (1702, 1705, 1709, 1712, 1714, 1717)

le sei relazioni ad limina che pubblichiamo hanno forma e contenuti diversi: le prime sono alquanto brevi, ripetitive, non descrivono lo stato di tutta la diocesi ma si limitano a dare qualche notizia, che il vescovo rico-

per i cardinali» (Libro rosso, fogli aggiunti non numerati). Nel testamento del Riggio non troviamo elementi di grande rilievo: manifesta la volontà che prima di tutto siano pagati i suoi creditori e coloro che da lui erano stati «aggravati, vessati, ed ingiustamente dannificati con pagare non solo quello che se l’avesse tolto, ma anche pagare il lucro cessante e danno emergente, secondo hanno patito», dà disposizioni sul feudo di Pisano, già costituito patrimonio del beneficio abbaziale di San giuseppe nella località omonima (Tutt’Atti 1694-1695, fol. 149r-161v), istituisce un conservatorio per ragazze orfane ad acicatena (Libro rosso, fogli aggiunti non numerati). 104 a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 173. 105 gli storici, facendo un bilancio del lungo pontificato di questo papa, sono d’accordo nel ritenere fallimentare l’impostazione da lui data alle questioni politiche e politico-ecclesiastiche (E. PRéClIN – E. JaRRy, Le lotte politiche e dottrinali, cit.; b. SChNEIDER, il papato al tempo dell’egemonia francese, in Storia della Chiesa, diretta da h. Jedin, cit., vII, 160). 106 Il feretro fu temporaneamente posto nella chiesa dell’abbazia Santa Maria di Nuovaluce i cui ruderi si trovano sulla collina contigua al cimitero, da dove, il 12 maggio, fu solennemente trasferito in cattedrale con la partecipazione del capitolo cattedrale, del clero, delle confraternite e del senato cittadino (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 138). l’elogio funebre fu tenuto dal benedettino Romualdo Maria Rizzari nello stile ampolloso del tempo (R.M. RIZZaRI, La contesa di Roma e Catania per il trasporto delle ceneri dell’illustrissimo e reverendissimo monsignore Don Andrea Riggio, vescovo di Catania e patriarca di Costantinopoli, Messina 1727). 107 la scelta del luogo in cui costruirsi il mausoleo, se da una parte costituisce una ulteriore dimostrazione dell’alto sentire che andrea Riggio aveva di sé, dall’altra provocò l’ennesima controversia con il senato che si oppose al progetto e richiese il parere favorevole del viceré. Questi scrisse al vescovo il 19 giugno 1705: «[…] abbiamo incaricato a cotesto ill. senato a non darvi molestia alcuna per l’eretione del tumulo che intendete fare in detta cappella […]» (Tutt’Atti 1704-1705, fol. 233r-233v).

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nosce degna di essere riferita alla Santa Sede. Il Riggio, impegnato com’era nell’opera di ricostruzione della diocesi e avendo continui contatti con Roma, non avrà considerato primario l’obbligo di inviare ogni tre anni una lunga relazione per descrivere lo stato della diocesi. la quarta è più ampia ma non può essere paragonata, per ricchezza e completezza di notizie, a quelle di alcuni suoi predecessori108. le ultime due hanno una particolare fisionomia, perché scritte mentre il Riggio si trovava in esilio a Roma; da esse traspare da una parte la volontà di ricordare alla Santa Sede che egli ha sofferto il disonore dell’esilio per obbedire ai comandi del papa, dall’altra l’amarezza e la delusione di un vescovo che si sente abbandonato e tradito dal suo clero e dal suo popolo. Possiamo considerare gli elementi più rilevanti che questi documenti ci offrono a partire dallo stesso schema seguito per l’analisi del programma di governo di andrea Riggio. a) La ricostruzione

a distanza di nove anni dal terremoto, quando nel 1702 andrea Riggio scrive la sua prima relazione, afferma genericamente che la cattedrale e le chiese sacramentali sono state ricostruite in forma più elegante di prima. Egli non omette di sottolineare che ciò è avvenuto per il suo impegno e i suoi personali contributi (rel. 1702, fol. 336r). Nelle relazioni successive offre qualche dettaglio in più: la ricostruzione della cattedrale non è stata ancora ultimata ed è stata per il vescovo motivo di preoccupazione; ma avendo già acquistato il materiale necessario, è sicuro che essa sarà portata a compimento in forme più ampie e più eleganti di prima (rel. 1709, fol. 354r; rel. 1712, fol. 366r)109. Nella quarta relazione scrive che la cattedrale

108 vedi supra quella di Ottavio branciforte del 1640, di Marcantonio gussio del 1655 e di Michelangelo bonadies del 1668. 109 andrea Riggio nelle sue relazioni scrive con insistenza che la cattedrale era stata ricostruita in forma più ampia della precedente. Questa espressione assume solamente un significato retorico. Il terremoto, infatti, aveva risparmiato le absidi e le mura perimetrali e la commissione che stabilì i criteri per la sua ricostruzione si trovò d’accordo nel rispettare le fondamenta eistenti: «E similmente il risarcimento del Duomo di Sant’agata che si haverebbe rifatto nella sontuosità primiera con non tanto grande interesse quando per farsi da pedamenti com’era ci volevano dei milioni» (Consiglio ed istruzioni, cit., 220). Inoltre si tenga presente che anche dal punto di vista volumetrico il nuovo tempio non era più ampio del precedente, se si considera che nella ricostruzione successiva al terremoto il pavimento

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è stata già ultimata e consacrata; per la sua ricostruzione ha speso 50.000 scudi (rel. 1712, fol. 366v). Nella quinta informa che è stata portata a compimento la costruzione della cupola, iniziata quando egli era in sede (rel. 1714, fol. 378r)110. Dall’ultima relazione sappiamo che nel 1717 non era stato ancora posto in opera il pavimento di marmo; il vescovo prima del suo esilio aveva già tutto il materiale predisposto, ma nessuno si era preoccupato di iniziare i lavori (rel. 1717, fol. 384v). Sulle altre chiese non dà notizie più dettagliate, ad eccezione della chiesa di Sant’agata alla fornace, per la cui ricostruzione egli non esitò a spendere 5.000 scudi del suo denaro, per non contare le spese sostenute per le pitture e l’arredamento (rel. 1705, fol. 343r). Riprende il discorso su questa chiesa nella relazione del 1712 per scrivere che le spese complessive per la ricostruzione e l’abbellimento avevano raggiunto la cifra di 7.000 scudi (rel. 1712, fol. 367v). Scrivendo sui monasteri ci informa che ha contribuito a sue spese per ricostruire in forma più ampia e più bella la chiesa e il monastero di Santa Chiara (rel. 1712, fol. 384v). Il seminario, che era ancora in costruzione nel 1712 (rel. 1712, 368v369r), nel 1717 pare fosse già ultimato, anche se il vescovo lamenta che in sua assenza nessuno più provvedeva alla fabbrica (rel. 1717, 384v-385r). b) La riorganizzazione e il governo della diocesi

Nelle sue relazioni andrea Riggio descrive l’organizzazione della cura delle anime esistente: nella città di Catania egli è l’unico parroco

fu innalzato di quasi un metro rispetto al precedente e che le colonne antisismiche venivano ad occupare uno spazio maggiore delle agili colonne normanne. 110 l’abate amico ci descrive le dimensioni di questa cupola, costruita dal Riggio e distrutta dal vescovo Corrado Maria Deodato per far posto a quella più grande che oggi si ammira: «Tholus autem tabulis plumbeis contectus palmis Cl totiusque basilicae […] elevatur» (v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., III, 101). In un opuscolo stampato da D{omenico} P{rivitera} in difesa del vescovo Corrado Maria Deodato si legge: «Quella cupola innalzata dal Riggio […] su di un piè inelegante e basso si è diggià demolita dal coraggio di Deodato e si erge in sua vece una cupola di molto più sublime, più galante e regolare, di pietra viva […]» (Lettera ad un amico per servire di relazione sullo stato attuale della basilica di Catania e di supplemento alla storia di essa, senza indicazione di tipografia, di luogo e di anno; si legge una data scritta a penna prima della sigla finale: «lì 18 ag. 1804. Obb.mo e servid. ed amico D. P.»).

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(rel. 1702, fol. 336r); i cappellani amovibili amministrano a tutti i sacramenti, ma non possono ricevere il mutuo consenso degli sposi nel matrimonio (rel. 1712, fol. 367v). Meraviglia che non abbia cercato di trasformare in parrocchie autonome le cappellanie sacramentali esistenti. Infatti nelle sue relazioni fa rilevare alla Santa Sede che il clero di Enna è più colto e dedito allo studio perché stimolato dai concorsi per le parrocchie (rel. 1702, fol. 336v; rel. 1705, fol. 343v; rel. 1709, fol. 354v) e che si deve alla penuria dei benefici conferiti per concorso la mediocre preparazione culturale dei sacerdoti della diocesi (rel. 1709, fol. 354v)111. Solo in due relazioni abbiamo notizie utili per conoscere le condizioni di vita del seminario. In quella del 1712 il Riggio si limita a descriverne l’ordinaria amministrazione: «vigilo attentamente perché i ragazzi di buona indole siano istruiti, imparino la grammatica e le altre scienze, sotto la guida del rettore, un sacerdote maturo, distinto per virtù, scelto dal capitolo della cattedrale. Nelle domeniche e nei giorni festivi, secondo la norma del Concilio di Trento, prestano servizio nella cattedrale. all’amministrazione del seminario ho preposto i deputati e gli altri superiori, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento»112.

Nella relazione del 1717 il vescovo si trova già in esilio a Roma e vuole evidenziare le tragiche conseguenze derivate dal suo forzato allontanamento dalla diocesi:

«Il seminario già sufficientemente fornito dalla sua erezione, era stato da me arricchito di rendite; quando io ero in diocesi aveva cinquanta alunni, istruiva molti convittori e si ergeva per la stupenda mole dei suoi edifici; ora nessuno provvede né alle fabbriche, né ai giovani. Infatti in esso si ospitano solo nove alunni (e sarebbe da augurarsi che anch’essi fossero assenti, perché sono i primi che disprezzando l’interdetto, partecipano ai divini uffici con gli scomunicati vitandi. gli altri, ispirati dalla grazia di Dio, hanno

le motivazioni che avranno indotto il vescovo Riggio a lasciare immutata la situazione preesistente al terremoto possono essere varie: la difficoltà di reperire i patrimoni necessari per costituire i benefici, l’opposizione che avrebbe potuto aspettarsi da parte delle autorità civili, la convenienza di una organizzazione centralizzata, che nelle difficoltà in cui si trovava la diocesi dopo il terremoto, poteva comportare vantaggi non indifferenti per il vescovo. 112 Rel. 1712, fol. 368r. I brani delle relazioni sono citati nella nostra traduzione. 111

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abbandonato il seminario) e tuttavia, per quanto sia ricco di tante rendite, è pieno di debiti»113.

Da queste testimonianze possiamo dedurre quanto stesse a cuore al nostro vescovo il seminario, che aveva avuto una sede degna, un patrimonio invidiabile e aveva raggiunto un numero di alunni superiore a quello riscontrato negli anni precedenti114. Nella relazione del 1712 il nostro Riggio riferisce con soddisfazione che solo in parte è riuscito a realizzare la riforma del regime giuridico dei monasteri femminili: i monasteri delle clarisse di Catania e di adernò da poco sono passati sotto la giurisdizione del vescovo (fol. 369v e 373v), ma egli non è riuscito ad ottenere lo stesso risultato con le agostiniane di Regalbuto (fol. 374r). Un tema, che il nostro vescovo affronta in tutte le relazioni, riguarda l’impegno a conoscere e far pagare i legati che gravano sulle proprietà dei privati. Molti fedeli, nel fare testamento, lasciavano alle chiese o agli istituti pii somme di denaro o altri oneri, che gli eredi facevano il possibile per nascondere agli interessati per non essere obbligati a pagare. Il problema sembra che si ponesse in modo più acuto nella città di Piazza e andrea Riggio lo affrontò con il suo temperamento per nulla incline allo scoraggiamento o al compromesso: «Poiché le proprietà dei cittadini e soprattutto dei nobili sono onerate da innumerevoli legati, nell’ultima visita pastorale mi sono impegnato con tutte le mie forze nel pretendere il loro pagamento. Perciò emanai pubblici editti, muniti di censure, per conoscere le scritture e i documenti che dimostrano l’esistenza dei legati medesimi»115.

Uno dei richiami che la congregazione soleva fare ai vescovi riguardava l’istituzione nella cattedrale della prebenda del teologo e del penitenziere, secondo le norme dettate dal Concilio di Trento. al Riggio la raccomandazione era stata fatta nella bolla di nomina; ma l’officiale di curia

Rel. 1717, fol. 384v-385r. gli alunni del seminario negli anni precedenti non avevano mai superato il numero di quindici (rel. 1655, fol. 168r; rel. 1668, fol. 229v; rel. 1675, fol. 268r; rel. 1679, fol. 279v; rel. 1682, fol. 289v). 115 Rel. 1702, fol. 336v. Sullo stesso argomento vedi anche le relazioni 1705, fol. 343v; 1709, fol. 354r. 113 114

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incaricato a scriverla non si era reso conto che, nelle condizioni in cui si trovava la diocesi di Catania dopo il terremoto, difficilmente il vescovo avrebbe potuto prenderla in considerazione. andrea Riggio solo nella relazione del 1712 (fol. 367r) scrive che, in attesa di erigere la prebenda del canonico teologo, in cattedrale ci sono il vicepenitenziere e il pubblico lettore di teologia morale, una soluzione che già avevano trovato i suoi predecessori116. Troviamo infine qualche riferimento alle sue iniziative pastorali: l’istituzione dell’associazione di mutua assistenza del clero; quella di un’altra associazione, che egli chiama segreta, aperta a tutti i fedeli, che ha per fine il culto dell’addolorata e la garanzia delle esequie dopo la morte (rel. 1712, fol. 368r); l’apertura della nuova casa religiosa dei ministri degli infermi (i crociferi) (rel. 1712, fol. 370r). Particolarmente interessanti sono alcuni giudizi che egli formula sul clero o il popolo di alcune città. abbiamo già preso in esame il giudizio positivo che formula sul clero di Enna e quello non molto favorevole che dà sul clero della diocesi in genere. Descrivendo le condizione della città di acireale scrive che i suoi abitanti sono inclini al culto della religione (1702, fol. 336v) e nelle relazioni successive informa la Santa Sede che il clero acese spicca per esemplarità e buoni costumi (rel. 1705, fol. 343v; rel. 1709, fol. 354v), mentre il popolo è tanto numeroso quanto dedito alle opere di religione (rel. 1705, fol. 343v). c) Le controversie sull’immunità ecclesiastica

Nelle prime relazioni andrea Riggio non dà molto spazio alle numerose controversie che fin dall’inizio del suo episcopato lo avevano contrapposto alle autorità civili. Si limita solamente ad affermare che egli, per promuovere la riforma della diocesi, si era impegnato soprattutto nella difesa dell’immunità ecclesiastica (rel. 1702, fol. 337r; rel. 1705, fol. 343v) e accenna alla lite con i rettori del monte di pietà di Catania, che volevano sostenere di dipendere dalle autorità civili e non da quella del vescovo. Egli, dopo tante fatiche e non poche spese, vinse la causa e per affermare il suo diritto chiese il resoconto ed emanò delle precise disposizioni per regolare il rapporto dell’istituto con il vescovo (rel. 1712, fol. 369r). 116

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vedi la relazione del bonadies del 1668, fol. 219v.


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Ma era inevitabile che affrontasse il tema dell’immunità nelle ultime due relazioni scritte durante il suo esilio. Questi documenti risultano particolarmente interessanti, perché ci consentono di conoscere il giudizio che Riggio dà della diocesi di Catania dopo il suo forzato allontanamento e lo stato d’animo in cui egli si trova durante gli anni del suo esilio. abbiamo visto che la situazione in cui vennero a trovarsi le diocesi siciliane al tempo della controversia liparitana non era felice; le difficoltà erano maggiori in quelle diocesi che, mentre i vescovi erano stati mandati in esilio, si trovarono colpite dall’interdetto. Ma andrea Riggio, nel formulare un giudizio sul suo clero e sul suo popolo, si lascia prendere dalla retorica, fino al punto da farci credere che la situazione si sia improvvisamente capovolta. Se precedentemente aveva scritto che il clero, sebbene non eccellesse per dottrina, possedeva tuttavia le cognizioni richieste per svolgere il suo ministero (rel. 1702, fol. 336v), e il popolo non solo fosse molto osservante della vera fede cattolica ma anche molto dedito alla pietà (rel. 1712, fol. 374v), non si riesce a capire come mai all’improvviso nel suo scritto i sacerdoti diventino buoni solo per condurre le anime all’inferno e la città di Catania debba essere considerata il mercato delle iniquità (rel. 1717, fol. 384r-v). a parte la retorica delle due ultime relazioni, il disorientamento del clero e dei fedeli negli ultimi anni del governo episcopale di andrea Riggio fu notevole. Contrariamente a quanto egli si era aspettato lasciando la diocesi, l’interdetto non veniva osservato (rel. 1714, fol. 378r) e questo equivaleva ad una sconfessione dei princìpi che lo avevano guidato in tutto il suo comportamento. I più si saranno chiesti se la linea intransigente voluta dal papa e attuata con tanto zelo dal loro vescovo fosse quella che bisognava seguire. In ogni caso gli anni dell’interdetto e dei disordini che ne seguirono non furono indolori per la diocesi di Catania. È necessario che se ne ricordino gli storici che scrivono sugli anni successivi all’episcopato Riggio. 3. I vESCOvI SUCCESSORI

la situazione in cui venne a trovarsi la diocesi di Catania, in seguito agli sviluppi della controversia liparitana (1711-1728), fu quanto mai drammatica: clero e fedeli erano divisi fra curialisti e regalisti; i primi, al seguito di giovanni Rizzari, condividevano la linea intransigente del vescovo andrea Riggio e osservavano l’interdetto che egli aveva comminato prima 451


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di partire per l’esilio; i secondi, sotto la guida del vicario generale giovanni battista Parisi, difendevano i privilegi dei re di Sicilia in materia ecclesiastica, ritenevano privo di rilevanza giuridica l’interdetto e preferivano seguire le direttive emanate dalla corte e dal tribunale della Regia Monarchia; il seminario era quasi vuoto, uffici e benefici erano vacanti, molti sacerdoti e religiosi erano stati espulsi dal Regno, i fedeli, essendo proibite per l’interdetto le celebrazioni religiose, si erano disabituati alla pratica dei sacramenti ed erano stati abbandonati a se stessi117. Dopo la morte di andrea Riggio la diocesi di Catania rimase vacante per tre anni. Il gesuita spagnolo alvaro Cienfuegos, una personalità molto complessa e nota nella cultura del tempo118, fu chiamato a succedere ad andrea Riggio il 20 gennaio 1721119. Per i suoi impegni diplomatici e politici a ser-

117 la situazione della diocesi è descritta in alcune lettere dei vicari generali al card. Paolucci (Vescovi e Prelati 123, fol. 753r-754r; 124, fol. 525r-526v; 125, fol. 94r-95v). l’interdetto fu tolto il 13 agosto 1719 (Vescovi e Prelati 134, fol. 215r-216r; v.M. aMICO, Catana illustrata, Iv, cit., 7). 118 Non è di facile lettura la personalità del Cienfuegos: celebre teologo e autore di apprezzate opere sulla Trinità (1717) e sul mistero eucaristico (1728), abile ministro e diplomatico a servizio dell’imperatore Carlo vI, cardinale (1720), vescovo (1721). accettò la nomina vescovile, pur sapendo che non avrebbe potuto risiedere nelle diocesi affidate al suo governo. l’imperatore, per assicurargli una più lauta rendita, dalla sede di Catania lo fece trasferire alla diocesi di Monreale; ma nello stesso tempo ordinò che dalla mensa vescovile di Catania gli venisse riservata una pensione annua di ben 823 once. Per l’imperatore era il modo di manifestare la propria gratitudine ad una persona che lo serviva con dedizione; ma dal punto di vista canonico venivano disattese le norme sull’obbligo della residenza dei vescovi (f. COlONNa, Vite de’ vescovi di Catania, cit., 252-257; h. DUTOUQUET, Cienfuegos Alvaro, in Dictionnaire de Théologie Catholique, II, Paris 1923, 2511-2513; R. RITZlER – P. SEfRIN, Hierarchia catholica, cit. v, 32, 150, 276; a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 139, 100-101; g. SChIRò, Monreale, cit., 53-54). 119 Presso gli autori esistono due date diverse della sua nomina vescovile: mentre la Hierarchia Catholica, che attinge ai documenti dell’archivio Segreto vaticano, riferisce il 20 gennaio 1721, gli altri scrittori indicano il 1722. In realtà il Cienfuegos fu nominato nel concistoro del 20 gennaio 1721, ma rese pubblica la sua nomina il 4 aprile 1722, quando nominò come vicario generale il priore della cattedrale Pietro gravina de Cruyllas. Pertanto la diocesi di Catania, fino a quest’ultima data, fu considerata vacante e governata dal vicario capitolare. Il Cienfuegos, in una lettera al capitolo dell’11 aprile 1722, spiega il motivo del suo comportamento: «Sibene dal dì 20 di gennaro dell’anno passato, che conseguì il Concistoro la dichiarazione della mia persona a vescovo di questa Chiesa, havessi potuto usare tutte le facoltà, che a tenore del dritto comune competono ai vescovi […], tuttavia sulla lusinga di rendermi da un giorno all’altro a cotesta mia residenza ne volli differire l’esercizio; ora però vedendovi per anche su l’incertezza di poter rendere adempiuto il cennato mio desiderio così presto che vorrei, ho preso la risoluzione di sodisfare al mio possibile a cote-

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vizio dell’imperatore Carlo vI, non era in grado di osservare le norme tridentine sulla residenza e si limitò a governare la diocesi per mezzo di vicari di sua fiducia, fino a quando non fu trasferito a Monreale (21 febbraio 1725). Del suo governo pastorale a Catania non c’è alcuna traccia nel fondo della relazioni ad limina. Dopo un anno di sede vacante, il 20 febbraio 1726, fu nominato vescovo il conventuale messinese alessandro burgos, un protagonista della cultura del tempo120. Nel viaggio in mare da Messina a Catania, a causa di una tempesta, i passeggeri furono sbattuti sulla spiaggia di Taormina. Il vescovo giunse a Catania il 6 luglio in precarie condizioni di salute, ma non si riebbe dalle conseguenze del naufragio e morì il 20 dello stesso mese121. Il 26 novembre 1727 gli succedette il certosino catalano Raimondo Rubi. Mentre si trovava a Roma, prima di fare il suo ingresso in diocesi, decise di assolvere l’obbligo di visitare le tombe degli apostoli, di recarsi alla Congregazione per consegnare i relativi certificati e di promettere l’invio della relazione sullo stato della diocesi con l’avvio del suo governo pastorale a Catania122.

sto mio carico con la deputazione in mio vicario generale del Sig. Priore gravina […]» (Tutt’Atti 1721-1722, fol. 279v-280r). 120 Il burgos era entrato nei minori conventuali nel 1682 ed era stato ordinato sacerdote a Palermo nel 1690. Dopo aver insegnato filosofia a Messina, si trasferì a Roma, dove conseguì la laurea in teologia al collegio di San bonaventura (1696), entrò nell’arcadia e scrisse alcune composizioni poetiche col nome di Emone lapizio. Insegnò diritto canonico e retorica a bologna, storia della Chiesa a Perugia, eloquenza a Roma, filosofia e storia della Chiesa a Padova. Ebbe la stima di Clemente xI, che lo nominò consultore di alcune Congregazioni romane. Nelle sue opere di filosofia, teologia e storia della Chiesa prese posizione contro i gesuiti e la scolastica manifestando le sue simpatie per le idee dei gallicani, dei giansenisti e dei maurini. fu amico di alcuni personaggi fra i più aperti del suo tempo: l.a. Muratori, g. fontanini, a. vallisnieri, a. Zeno (f. COlONNa, Vite de’ vescovi di Catania, cit., 258-273; a. MONgITORE, Bibliotheca sicula, cit., I, 15; g.M. MIRa, Bibliografia Siciliana, I, Palermo 1875, 137-139; D. SCINà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, a cura di v. Turone, I, Palermo 1969, 148; g. PIgNaTEllI, Burgos Alessandro, in DbI, xv, Roma 1972, 420-423). 121 f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 227-229. 122 agli atti troviamo: 1) una lettera senza data al papa: «beatissimo Padre, alessandro de burgos, moderno vescovo di Catania et humilissimo oratore della Signoria vostra, riverentemente l’espone havere li suoi antecessori tralasciata la visita de’ Sacri limini per il 45° et 46° triennio passato e ritrovandosi ora l’oratore in curia e desiderando adempire la sudetta visita per il 47° triennio corrente, però supplica humilmente la Santità vostra a degnarsi di volergli ammettere la sudetta visita e dispensarlo, quatenus opus sit, dalle censure incorse per inavvertenza de’ suoi antecessori, quam Deus etc.» (fol. 167r), altra copia di questa let-

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Raimondo Rubi giunse a Catania il 6 gennaio 1728. Ebbe appena il tempo di iniziare la prima visita pastorale, che morì a quasi un anno di distanza dal suo arrivo in diocesi, il 20 gennaio 1729123.

tera si trova al fol. 170r con la nota di accoglimento della domanda: «Pro gratia. 30 martii 1726 fuit data attestatio pro 45°, 46° et 47° trienniis cum absolutione ad cautelam»; 2) due attestati della visita alle basiliche romane in data 1 aprile 1726 (fol. 168r e 169r). 123 f. COlONNa, Vite de’ vescovi di Catania, cit., 274-291; a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 140; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 9-10.

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1702 – Relazione del vescovo andrea Riggio, relativa ai trienni 37°,{38°} e 39°, scritta il 14 aprile 17021 e presentata dal procuratore abate D. Pietro Riggio, suo nipote2.

[fol. 336r] beatissimo Padre, prostrato umilmente ai piedi della vostra beatitudine per liberarmi del peso della visita ad limina, esporrò lo stato di tutta la diocesi di Catania, così come lo consente un breve discorso. Iniziando dalla cattedrale, bisogna tenere presente che essa è coadiuvata da 7 chiese sacramentali; ma solamente io sono il parroco della città. fra di esse spicca per dignità la chiesa di Santa Maria dell’Elemosina, dove ha sede un antichissimo capitolo di canonici. Il capitolo della cattedrale è costituito da 12 canonici, altrettanti presbiteri e 5 dignità: il priore, il cantore, l’arcidiacono, il tesoriere e il decano. le suddette chiese e gli altri templi e oratori della città, sebbene siano stati distrutti dal memorabile terremoto, oggi tuttavia, con il mio impegno e i miei contributi, nei limiti delle mie possibilità, sono stati ricostruiti in forma più elegante di prima. Tutto questo [fol. 336v], con l’aiuto di Dio e la pietà dei fedeli, è stato realizzato anche nelle altre chiese di tutta la diocesi. 1 Il vescovo andrea Riggio aveva già fatto la prima visita ad limina nel 1693, mentre si trovava a Roma, subito dopo la consacrazione episcopale; ma non era stato in grado di consegnare la relazione perché non conosceva ancora lo stato della diocesi. I documenti relativi a questa sua prima visita sono: 1) una lettera al papa: «Santissimo Patre, il moderno vescovo di Catania prima di portarsi alla residenza desidera di compire alla visita ad limina delli Santi limini per il corrente 36° triennio che spira in fine del presente anno, come per il venturo 37° che comincia nel 1694. Supplica humilmente la Santità vostra della facoltà est alia, etc. » (fol. 330r) «alla Santità di Nostro Signore Papa Innocenzo xII» (fol. 333v) e la nota di accoglimento della domanda: «Die 13 ianuarii 1693 Sanctissimus annuit» (l.c.); 2) Due attestazioni della visita alle basiliche romane del 16 marzo 1693 (fol. 331r e 332r); 3) la nota della Congregazione del Concilio: «28 febr. 1693 fuit data attestatio pro 36° et 37° triennio» (fol. 333v). 2 Rel Dioec 207 a, fol. 336r-337v. al testo della visita sono acclusi i seguenti documenti: 1) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio francesco Pappalardo, il 13 aprile 1702, per l’abate D. Pietro Riggio, nipote del vescovo, che risiedeva a Roma e ricopriva l’ufficio di referendario delle due Segnature (fol. 334r-335r); 2) due attestati della visita alle basiliche romane (fol. 338r e 339r); 3) la nota della Congregazione: «27 maii 1702 fuit data attestatio pro 39° triennio» (fol. 337v).

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Andrea Riggio (1693-1717)

la circoscrizione diocesana comprende 40 città e paesi, fra cui le principali sono: Piazza, Enna o Castrogiovanni, aci, San filippo, adernò e Paternò. Piazza, che spicca fra le città più illustri di tutto il Regno e il cui popolo si dedica con ammirevole impegno alla pietà, è insignita di un cospicuo capitolo di canonici, dotato con un ricco patrimonio da Marco antonio Trigona. Tuttavia, poiché le proprietà dei cittadini e soprattutto dei nobili sono onerate da innumerevoli legati, nell’ultima visita pastorale mi sono impegnato con tutte le mie forze nel pretendere il loro pagamento. Perciò emanai pubblici editti, muniti di censure, per conoscere le scritture e i documenti che dimostrano l’esistenza dei legati medesimi. ho messo lo stesso impegno nella ricerca della documentazione anche per gli altri paesi della diocesi. In essi il clero è numeroso e, anche se non eccelle per dottrina, tuttavia ha le cognizioni richieste in un periodo così tempestoso come il nostro. Enna o Castrogiovanni ha il maggior numero di sacerdoti dotti e preparati nelle discipline ecclesiastiche, perché il clero di questa città aspira a partecipare all’esame sinodale indetto con pubblico editto per la provvista delle parrocchie. la città di aci è adornata di un capitolo di canonici, al quale di recente la Sede apostolica ha concesso l’uso della mozzetta e del rocchetto. I suoi abitanti sono numerosi e inclini al culto della religione. San filippo d’agira, Regalbuto [fol. 337r], adernò, Paternò e le altre città meno illustri della diocesi hanno chiese bene adorne, dove il clero, fornito di una discreta dottrina, svolge con impegno i riti e le cerimonie sacre ed esercita la cura della anime. Per promuovere la riforma di tutta la diocesi mi sono impegnato soprattutto nella difesa dell’immunità ecclesiastica, nella correzione dei costumi e nella prevenzione dei pubblici e più gravi delitti. Intanto con incessanti preghiere alla suprema saggezza della Santità vostra chiedo aiuto e la santa benedizione, perché possa sostenere con entusiasmo un così oneroso ufficio pastorale con l’aiuto di Dio e di sua madre Immacolata. Catania, 14 aprile 1702 andrea, vescovo di Catania

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1705 – Relazione del vescovo andrea Riggio, relativa al 40° triennio, scritta il 1° maggio 1705 e presentata nell’agosto del 1705 dal procuratore abbate alessandro Della Torre1.

[fol. 343r] beatissimo Padre, umilmente prostrato ai piedi della Santità vostra per soddisfare l’obbligo della santa visita ad limina, mi accingo a descrivere brevemente lo stato della Chiesa di Catania. Iniziando dalla cattedrale, informo che essa è coadiuvata da 7 chiese sacramentali; ma sono solamente io il parroco di tutta la città. Sebbene le chiese sacramentali siano state rase al suolo dal terribile terremoto del 1693 tuttavia, con la mia opera e a mie spese, nei limiti delle mie possibilità esse sono state riportate in ottimo stato. lo stesso ho cercato di fare, con l’aiuto di Dio e con il soccorso della pietà dei fedeli, in tutti gli altri centri della diocesi. Sulle altre chiese si distingue a Catania il tempio, eretto dalle fondamenta fuori le mura, in onore di s. agata, nel luogo in cui si dice che l’invitta martire sia stata bruciata sui carboni ardenti. Per portare a termine quest’opera non ho esitato a spendere 5.000 scudi del mio denaro; a parte le spese necessarie per le pitture e gli addobbi interni con i quali ogni giorno mi sforzo di adornare questa chiesa, perché un così celebre santuario non rimanga nascosto agli occhi e alla devozione dei buoni fedeli. la cattedrale è insignita di un capitolo, costituito da 12 canonici e

1 Rel Dioec 207 a, fol. 343r-v. al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera del vescovo al papa senza data: «beatissimo Padre, il vescovo di Catania devotissimo oratore di vostra Santità riverentemente gli espone avvicinarsi il tempo della visita dei Santi limini per il triennio quadragesimo e considerando esser a lui impossibile, non meno per la staggione avanzata che per la poca sicurezza delle strade e navigatione respettivamente ne presenti tempi di guerra di adempire questo debbito per se stesso o per mezzo di uno dei suoi capitolari, supplica umilmente vostra beatitudine d’ammettere per suo procuratore all’antedetta visita la persona dell’abbate alessandro della Torre, sacerdote romano. Che, etc.» (fol. 340r) «alla Santità di Nostro Signore Papa Clemente xI» (fol. 347v) e la nota di accoglimento della domanda: «Sanctissimus annuit» (l.c.); 2) procura in forma pubblica, redatta a Catania dal notaio francesco Puglisi l’8 luglio 1705 (fol. 341r-342v); 3) due attestati della visita alle basiliche romane del 14 agosto 1705 (fol. 345r e 346r); 4) la nota della Congregazione: «die 8 augusti 1705 data fuit attestatio pro 40° triennio» (fol. 344v). Copie di questa relazione si trovano in Tutt’Atti 1704-1705, fol. 184v-185v e in Libro rosso, fol. 781r-782v.

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altrettanti beneficiati, e da 5 dignità: il priore, l’arcidiacono, il cantore, il tesoriere e il decano. Similmente, nella chiesa parrocchiale intitolata a s. Maria dell’Elemosina, è rinomato per lo splendore e il culto un antico capitolo di canonici, soggetto all’ordinaria giurisdizione del vescovo [fol. 343v]. Tutta la diocesi comprende 60 centri abitati, fra i quali i principali sono: Piazza, Enna, aci, San filippo, Regalbuto, adernò e Paternò; Piazza, che è fra le città più illustri di tutta la Sicilia, supera in splendore gli altri centri. la sua popolazione è molto zelante nella pietà. È adornata di un cospicuo capitolo di canonici dotato di un ricco patrimonio da Marco Trigona. Ma poiché le proprietà dei cittadini e specialmente dei nobili sono gravate da molti legati, con ripetute visite mi sono adoperato, mediante pubblici editti, perché essi venissero rivelati e pagati. la stessa sollecitudine ho avuto negli altri centri della diocesi. Tutto il clero della diocesi, sebbene non brilli per dottrina, possiede tuttavia le nozioni richieste per lo stato sacerdotale nel tempestoso periodo in cui viviamo. Enna o Castrogiovanni spicca per un clero più preparato e più dotto, perché aspira a partecipare ai concorsi parrocchiali, che sono indetti con pubblici editti. la chiesa madre di questa città ha un antichissimo capitolo di canonici, che da molti anni si è ridotto a soli quatto membri, più il priore; nelle ultime visite pastorali mi sono adoperato a riportarlo al numero di dodici. anche la città di aci è arricchita di una insigne collegiata, che di recente dalla Sede apostolica è stata fregiata della mozzetta e del rocchetto. Il clero di questa città spicca per esemplarità e per buoni costumi. anche il popolo è tanto numeroso quanto dedito alle opere di religione. a San filippo, Regalbuto, adernò, Paternò e gli altri centri meno noti della diocesi il clero è sollecito nella cura delle anime, nelle cerimonie e nei riti sacri e possiede una discreta dottrina. Per attuare la riforma di tutta la diocesi mi sono adoperato a riparare le offese all’immunità ecclesiastica e a combattere gli sfrenati usi di chi si è disabituato ai buoni costumi. Intanto con insistenti preghiere chiedo l’aiuto e la santa benedizione alla Santità vostra, perché possa portare a termine felicemente il mio ufficio pastorale e un così oneroso peso non adeguato alle mie spalle con la sollecitudine e l’entusiasmo dovuti. Catania, 1° maggio 1705 andrea, vescovo di Catania 458


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1709 – Relazione del vescovo andrea Riggio, relativa al 41° triennio, scritta il 6 novembre 1709 e presentata nel dicembre del 1709 dal procuratore giovanni battista Sciacca, canonico della collegiata di Piazza1.

[fol. 354r] beatissimo Padre, essendo già trascorso un triennio da quando avevo fatto la visita ad limina, a norma delle costituzioni pontificie, mi accingo a descrivere ancora una volta lo stato della mia diocesi per una nuova visita. Inizio dalla cattedrale che è costituita da 12 canonici, da altrettanti beneficiati e da 5 dignità. ho constatato che essa è ben fornita della suppellettile e degli altri oggetti necessari al culto divino. Tuttavia, quanto allo stato materiale, dopo le rovine dell’ultimo terremoto del 1693, si ritrova non meno bisognosa di una ingente somma di denaro, quanto priva di ogni umano aiuto. Questa afflizione ha provocato in me, nel tempo, una grandissima preoccupazione; per la qualcosa, sebbene per la debolezza delle mie misere forze fossi atterrito all’idea di portare a termine un’opera così grande e di assumere un carico così pesante, tuttavia, confidando nell’aiuto e nella protezione divina, dopo aver comprato una

1 Rel Dioec 207 a, fol. 354r-355v. al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera del vescovo alla Congregazione del Concilio: «Eminentissimi Signori, il vescovo di Catania non potendo conferirsi alla visita de Sacri limini per il triennio 41° cadente, né mandare persona del suo capitolo di far questo atto in sua vece, supplica le Eminenze vostre degnarsi di prorogargli il tempo prefisso per altri sei mesi. Che, etc.» (fol. 348r) «alla S. Congregazione del Concilio» e la nota di accoglimento della domanda: «Per il vescovo di Catania, die 15 decembris 1708. ad sex menses» (fol. 349v); 2) una seconda lettera alla Congregazione del Concilio: «Eminentissimi e Reverendissimi Signori, essendo stata da questa S. Congregazione concessa la proroga di sei mesi al vescovo di Catania per portarsi personalmente alla visita de Santi limini per il caduto triennio 41° o pure mandare qualched’uno del suo capitolo, atteso che ne tempi correnti la navigazione et anche le contrade di terra restano infestate da corsari e da banditi, e stando questa per terminare e continuando le medesime cause con aggiungervisi anche la stagione avanzata a far simili viaggi, supplica umilmente le Eminenze vostre a volergli concedere la proroga per altri sei mesi» (fol. 350r) «alla S. Congregazione del Concilio» (fol. 352v) e la nota di accoglimento della domanda: «Die prima iunii 1709. ad 12 menses» (fol. 351v); 3) procura in forma pubblica, redatta a Catania dal notaio francesco Puglisi il 6 novembre 1709 (fol. 352r-353v); 4) due attestati della visita alle basiliche romane del 3 e 5 dicembre 1709 (fol. 356r e 357r); 5) la nota della Congregazione: «7 decembris 1709 fuit data attestatio pro 41° triennio» (fol. 355v).

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grande quantità di calce e di altro materiale necessario, ho iniziato a riedificare dalle fondamenta, con un nuova e più elegante forma architettonica e in un sito più grande, un tempio che era già il maggiore della Sicilia. Piazza, che è la principale fra le città di questa diocesi, è stata da me attentamente ispezionata nell’ultima visita pastorale, che ho portato a termine di recente. Per quanto le mie forze me lo hanno consentito, mi sono impegnato ad esigere soprattutto l’esecuzione dei legati [fol. 354v]. Infatti nella sua insigne collegiata non ho trovato nulla da correggere quanto alla suppellettile e al governo. l’antichissima città di Enna o Castrogiovanni, eminente per un nuovo capitolo di canonici, è abbastanza ricca di un clero colto; infatti, essendo distinta in molte parrocchie, i rettori di esse sono scelti con un esame sinodale fra i concorrenti più preparati. aci, distante poche miglia da Catania e insignita di un altro collegio di canonici, spicca soprattutto per la pietà e i costumi esemplari del suo clero. adernò e Paternò, anch’esse primeggiano per le antiche collegiate e sono ben disposte al culto divino, che i loro abitanti rendono a Dio con spiccata pietà e buoni costumi. le altre città minori e i villaggi sono in tutto 34 e ricevono dai cappellani sacramentali e dai nostri vicari il necessario per la cura e l’istruzione del gregge di Cristo. Sebbene fra i chierici non sia molto diffuso lo studio delle lettere e delle arti liberali per la penuria di benefici, soprattutto di quelli che sono conferiti per concorso e costituiscono per loro uno stimolo, tuttavia non manca la dottrina necessaria per l’amministrazione dei sacramenti e la prima istruzione del popolo. Mi sono sforzato di difendere i monasteri femminili usando per tutta la diocesi la massima vigilanza. Nel loro governo e nel promuovere la loro perfezione ho provato una felicità così grande, che non potrò ringraziare abbastanza la misericordia di Dio [fol. 355r]. ho già informato la Santità vostra in un’altra lettera che il monastero di Santa Chiara, vicino alla cattedrale, indotto da una buona ispirazione, spontaneamente ha chiesto di sottostare alla giurisdizione del vescovo. alle sacre vergini di questo monastero, oltre ad aver lasciato alcune istruzioni e aver nominato alcuni ottimi ministri per provvedere al loro buon governo, in breve tempo ho edificato una nuova chiesa abbastanza grande e adornata per celebrare il culto divino. 460


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Intanto prego e umilmente supplico la SantitĂ vostra perchè santifichi la diocesi con un’amplissima benedizione, mentre mi prostro umilmente ai suoi piedi. Catania, 6 novembre 1709 Della vostra beatitudine andrea, vescovo di Catania

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1712 – Relazione del vescovo andrea Riggio, relativa al 42° triennio, scritta il 12 settembre 1712 e presentata nel mese di ottobre dal procuratore sac. giuseppe aiello1.

Rel Dioec 207 a, fol. 366r-375v. al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera alla Congregazione del Concilio: «Eminentissimi e Reverendissimi Signori, il vescovo di Catania devotissimo oratore delle Eminenze vostre, riverentemente espone haver compito alla visita de Sagri limini per il triennio 41° in dicembre 1709, in virtù di proroghe a lui benigmamente concesse da questa Sagra Congregazione. hor, essendo scaduto in dicembre 1711 il triennio 42°, non ha avvertito di farsi prorogare il tempo ad visitandum, già che non ha potuto per i pericoli della navigatione revenire per se stesso, né mandare alcuno de gremio capituli a compire a questo suo debito, supplica pertanto le Eminenze vostre concederle ad cauthelam l’assolutione delle censure nelle quali talvolta fosse incorso in non chiedere opportunamente la dilatione ad visitandum et in oltre di prorogarle il tempo a sei mesi prossimi. Che, etc.» (fol. 358r) «alla Sagra Congregazione del Concilio» e la nota di accoglimento della domanda: «3 febr 1712. Sanctissimus annuit. Die 20 februarii 1712 data fuit absolutio et prorogatio ad sex menses» (fol. 359v); 2) una lettera al papa senza data: «beatissimo Padre, il vescovo di Catania espone humilmente alla Santità vostra che essendo, dopo l’ultima visita de Sacri limini, fatta in suo nome sotto li sette novembre 1709, scorso il triennio, ottenne dalla S. Congregazione del Concilio, sotto li 20 febraro del corrent’anno 1712, la lettera facoltativa al suo padre spirituale d’assolverlo dalle censure incorse per havere egli omessa nel tempo debito l’altra visita et insieme anche la proroga di sei mesi per adempierla. Ma perché, stanti li notorii impedimenti di mare, non è stato permesso al vescovo oratore d’adempiere tal debito né per se stesso né per mezzo d’alcun sacerdote suo diocesano et è gia scorsa la proroga di detti sei mesi calcolati dal giorno che terminò il triennio, supplica pertanto nuevemente la Santità vostra a degnarsi di benignamente concederli altra simil grazia di assolutione e di proroga. Che il tutto, etc.» (fol. 360r) «alla Santità di Nostro Signore Papa Clemente xI» e la nota di accoglimento della domanda: «die 8 februarii 1712. Sanctissimus annuit. Die 25 februarii 1712 data fuit prorogatio ad sex menses cum absolutione» (fol. 361v); 3) una seconda lettera al papa: «beatissimo Padre, essendo spirato il termine di visitare li sacri limini al vescovo di Catania per causa di propria infermità e de pericoli che poteva correre per il viaggio del mare, ottenne dalla S. Congregatione del Concilio l’assolutione e proroga per detta visita. Ora, essendo prossima a spirare la detta proroga e ritrovandosi quel mare più pericoloso di prima a causa delle presenti guerre, non puote arrischiarsi se non con pericolo della propria vita venire a Roma. Oratore devotissimo della Santità vostra humilmente la supplica vuoglia degnarsi (ritrovandosi in Roma il sacerdote giuseppe aiello della città di Catania) concedere licenza al medesimo di fare la visita delli ditti sacri limini a suo nome. Che della grazia, etc.» (fol. 362r) «alla Santità di Nostro Signore Papa Clemente xI» con la nota di accoglimento della domanda: «die 20 octobris 1712. Sanctissimus annuit» (fol. 363v); 4) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio giuseppe Capaci il 12 settembre 1712 (fol. 364r-365r); 5) due attestati della visita alle basiliche romane del 19 e 20 ottobre 1712 (fol. 376r e 377r); 6) la nota della Congregazione: «24 octobris 1712 data fuit attestatio pro 42° triennio» (fol. 375v). In Libro rosso si trova una 1

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[fol. 366r] beatissimo Padre, la quinta visita alle tombe degli apostoli sollecita il mio impegno pastorale sì ch’io mi dimostri figlio obbedientissimo delle costituzioni apostoliche e dei precetti della Santità vostra. Poiché le tante guerre che dilagano e le mie precarie condizioni di salute, a motivo di alcuni disturbi, mi impediscono di venire personalmente ai piedi della beatitudine vostra, avendo ottenuto il permesso dall’apostolica clemenza, mi sia lecito, in un obbligo così importante, servirmi dell’aiuto e dell’opera del sacerdote catanese don giuseppe aiello. la diocesi, oltre la città cattedrale di Catania, comprende diverse città e cioè: Enna, Piazza, Calascibetta, San filippo d’agira e aci. le terre soggette alla potestà dei baroni sono: Paternò, adernò, Regalbuto, Pietraperzia, aidone, barrafranca, valguarnera, leonforte, assoro, Centuripe, biancavilla, belpasso, Motta Sant’anastasia, Misterbianco, San giovanni la Punta, San gregorio, Sant’agata, Trappeto, Tremestieri, viagrande, Trecastagni, Pedara, Nicolosi, Mompileri, Camporotondo, San Pietro, San giovanni galermo [fol. 366v], gravina e aci San filippo con le sue frazioni. a questi antichi centri abitati della diocesi nei nostri tempi così travagliati si sono aggiunti due altri piccoli villaggi: Mirabella e Ramacca. Dopo aver dato queste notizie inizierò a trattare della cattedrale. Il tempio, che prima delle rovine del terremoto era considerato per ampiezza il maggiore della Sicilia, essendo stato distrutto dalle fondamenta, sollecitò e sostenne a tal punto la mia preoccupazione pastorale, da farmi sentire stretto da angustie e apprensioni. Pur trovandomi privo di ogni aiuto umano, ma confidando nella provvidenza del Creatore dell’universo, nello spazio di tre anni l’ho fatto ricostruire con grande perizia tecnica, in uno spazio più ampio e in forme architettoniche più belle. Consultando i registri e i mandati di pagamento, si è constatato che la spesa complessiva ha raggiunto i 50.000 scudi. Con l’aiuto della grazia divina ho già celebrato la sua solenne consacrazione nella vigilia della festa dell’assunzione della beata vergine Maria, con uno straordinario concorso di cittadini festanti e di altri abitanti di tutto il Regno di Sicilia. In questo tempio, dedicato alla concittadina e patrona s. agata, le reliquie del cui corpo, racchiuse in scrigni d’argento [fol. 367r], sono con-

copia di questa relazione (fol. 14ar-21av) e la lettera con cui la Congregazione informa il vescovo di aver ricevuto il documento (fol. 22ar).

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servate nello stesso tempio e venerate con particolare devozione assieme alle insigni reliquie di altri santi, prestano servizio 12 canonici e 5 dignità (il priore, il cantore, il decano, il tesoriere e l’arcidiacono), che indossano il rocchetto e la mozzetta, 12 beneficiati e 8 mansionari, insigniti dell’epitogio. Il maestro cappellano, aiutato da 4 collaboratori, amministra i sacramenti ai fedeli. la cattedrale ha 18 cappelle laterali, delle quali la maggiore è quella dedicata a gesù Crocifisso; è arricchita di rendite per aiutare ogni anno alcune ragazze orfane a contrarre matrimonio. Queste nozze sono celebrate nella stessa cattedrale il 3 maggio. I beni di questa cappella sono amministrati fedelmente da 3 rettori scelti ogni anno a sorte dal senato. l’amministrazione di questa cappella e delle sue rendite è soggetta in tutto e per tutto alla giurisdizione del vescovo. Inoltre in questa cattedrale, fino a quando non sarà eretta la prebenda del canonico teologo, ci sono il vicepenitenziere e il pubblico lettore di teologia morale. Ogni volta che il vescovo celebra la messa solenne in cattedrale [fol. 367v], i primi sei canonici a turno svolgono l’ufficio di diaconi, gli altri sei quello di suddiacono. ho trovato questo tempio ben provvisto di suppellettili e di altri oggetti necessari per il culto. la chiesa cattedrale ha 5 altre chiese sacramentali coadiutrici, da me edificate in forma più ampia ed elegante dopo il terremoto del 1693. I loro cappellani possono amministrare tutti i sacramenti, ma non ricevere il mutuo consenso degli sposi nel matrimonio. Questa facoltà, per consuetudine immemorabile, è concessa dal vescovo in quanto unico parroco o da altre persone alle quali egli stesso dà questo potere. Queste chiese sacramentali sono: Sant’andrea apostolo, San biagio, San filippo apostolo, Santa Marina e Santa Maria dell’Itria con gli stipendi elargiti dal vescovo ai sacerdoti cappellani che vi prestano servizio. ho ricostruito di recente il tempio della predetta chiesa sacramentale San biagio, spendendo circa 7.000 scudi e adornandolo della ricchissima suppellettile necessaria per il culto divino. ho fatto questo perché il culto dei fedeli possa disporre di questo tempio grandioso e venerare la fornace nella quale s. agata si dice sia stata straziata [fol. 368r]. a questo tempio di Sant’agata ho annesso una congregazione di numerosi ecclesiastici. la sua istituzione si prefigge questo scopo: quel luogo sacro deve essere venerato una volta la settimana dai suoi soci; infatti negli statuti della predetta associazione è stabilito che bisogna recitare determinate 464


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preghiere a s. agata. Tuttavia il fine specifico di questa congregazione è quello di venire incontro all’indigenza dei soci, soprattutto in caso di malattia, attingendo ai loro contributi e alle pingui rendite delle quali l’ho dotata. ho istituito, inoltre, un’associazione segreta in una cappella laterale di questo tempio e ho consacrato i soci alla Madonna addolorata con l’obbligo di condurre ogni mese in processione la sua sacra immagine. ho eretto questa pia opera sia per consentire ai soci di lucrare le indulgenze benevolmente concesse dalla Santità vostra, sia per celebrare le esequie nel giorno della morte, dietro pagamento di un’esigua quota. Un gran numero di fedeli si è iscritto a questa pia opera con non poco vantaggio spirituale per le loro anime. In questa città c’è anche la collegiata, sotto il titolo di Santa Maria dell’Elemosina, con 3 dignità [fol. 368v]: prevosto, tesoriere, cantore e 19 canonici con le loro prebende, oggi molto tenui, che indossano la cotta e il cappuccio o epitogio; assieme ad altri 8 mansionari insigniti dell’epitogio prestano servizio in chiesa nei giorni di festa partecipando alla messa cantata e recitando le ore canoniche. In questa chiesa sono amministrati i sacramenti parrocchiali dal cappellano, approvato dal vescovo e amovibile ad nutum. C’è anche il seminario dei chierici, fondato secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. vigilo attentamente perché i ragazzi di buona indole siano istruiti, imparino la grammatica e le altre scienze, sotto la guida del rettore, un sacerdote maturo, distinto per virtù, scelto dal capitolo della cattedrale. Nelle domeniche e nei giorni festivi, secondo la norma del Concilio di Trento, prestano servizio nella cattedrale. all’amministrazione del seminario ho preposto i deputati e gli altri superiori, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. Poiché il terremoto del 1693, fra gli altri danni, provocò anche la totale distruzione del seminario, fino a poco tempo fa ho alloggiato i chierici nelle baracche [fol. 369r]. Ora, invece, ho già provveduto a far costruire la grandiosa struttura del seminario che, con l’aiuto di Dio, conto di portare a termine fra pochi anni. C’è pure il monte di pietà, istituito sotto l’autorità del vescovo e con il comune contributo dei fedeli per dare gli aiuti necessari alla vita dei poveri, degli orfani e dei bisognosi di ogni specie. lo governano 7 rettori, dei quali il primo è perpetuo (il priore della cattedrale), gli altri sono estratti a sorte dal senato ogni anno. I suddetti rettori si rifiutarono di sottoporsi alla mia visita pastorale, sostenendo che il detto monte fosse esente dalla giurisdizione del vescovo, in quanto posto sotto la protezione del senato. 465


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Questo fatto provocò un’aspra controversia, che si protrasse per anni. alla fine, dopo tante fatiche e non poche spese, con l’aiuto di Dio, ho vinto la causa. Per eseguire la sentenza ho chiesto subito il rendiconto dell’amministrazione, ho emanato alcune istruzioni da osservare in tema di visita e ho posto altri atti per confermare la perpetua sottomissione dell’istituto al vescovo. C’è pure l’ospedale intitolato a s. Marco, in cui sono curati gli infermi poveri e i ragazzi orfani [fol. 369v]. È governato da 3 rettori; di essi uno è perpetuo (il priore del convento Santa Maria la grande dei padri domenicani), l’altro è estratto ogni anno a sorte fra i senatori, l’altro è scelto fra gli artisti. Tutti presentano il resoconto dell’amministrazione al vescovo, quando ne sono richiesti. In città sorgono 5 monasteri femminili, soggetti all’autorità del vescovo, che osservano la regola del santo padre benedetto: San giuliano, San benedetto, Santissima Trinità e Sant’agata; un altro, intitolato a s. Chiara, osserva la regola di s. francesco e da poco è passato sotto la giurisdizione del vescovo. ho constatato con mia grande consolazione che le monache di questi sei monasteri si dedicano al culto divino e osservano la disciplina religiosa. alle monache di s. Chiara, che avevano una chiesa piccola e non bene strutturata, ho costruito a mie spese una chiesa molto ampia e altri locali ad uso delle monache. Sorgono altre 2 case, di cui una accoglie fino alla data del matrimonio le ragazze orfane o esposte al pericolo a causa della povertà, l’altra ricovera donne che, dopo la caduta [fol. 370r], fanno penitenza e cercano rifugio in questa casa con grande vantaggio spirituale di tutta la città. In città sono state fondate 19 case religiose maschili: benedettini, domenicani, che hanno 2 conventi, cappuccini, anch’essi con 2 case poste fuori le mura, minori francescani, minori conventuali, del terz’ordine di s. francesco, minori dell’osservanza, riformati di s. francesco, agostiniani, carmelitani dell’antica osservanza e riformati, minimi di s. francesco di Paola, riformati di s. agostino, gesuiti, minoriti con 2 case, Santa Teresa e Sant’anna, i padri della redenzione degli schiavi, sotto il titolo di s. Maria della Mercede, e infine i chierici regolari ministri degli infermi che, con il permesso della Santa Sede, ho fatto venire a Catania assegnando loro alcune rendite dei monasteri soppressi. C’è, inoltre, un pio romitorio chiamato «la Mecca», situato in un luogo distante, a circa mezzo miglio dalla città, in cui sacerdoti e chierici abitano, ciascuno nella propria cella distinta da quella degli altri. Tuttavia 466


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hanno in comune un grande recinto [fol. 370v], custodito da mura e da porte e una chiesa in cui celebrano la messa e fanno i loro esercizi di pietà. vivono del loro lavoro e di alcune rendite. hanno un superiore eletto ogni anno da loro stessi e confermato dal vescovo. Sulle associazioni e le confraternite di questa città mi basta dire questo alla Santità vostra: tutte si sono presentate a me per rendere conto dell’amministrazione; ho dato loro alcune disposizioni utili e necessarie e ho raccomandato ai loro superiori spirituali di preoccuparsi del nitore degli oratori. fino ad oggi tutto è andato per il meglio con grandissimo profitto del culto divino. Ritengo che le notizie date sulla città di Catania, sulle sue parrocchie, sulle monache e i luoghi pii siano sufficienti per la Santità vostra. Continuo nella descrizione delle altre città della diocesi, dei paesi e dei villaggi. Prima di tutto tratto della città di Enna o Castrogiovanni. In questa città c’è la chiesa madre, già eretta in collegiata, ricca di rendite, di suppellettili d’argento [fol. 371r], di reliquie, di vasi sacri d’argento, decorata e ornata. In essa prestano servizio con cura d’anime 4 parroci, chiamati dignità o rettori della predetta collegiata, assieme ad altri 16 canonici sacerdoti, insigniti dell’epitogio; tutti ogni giorno recitano le ore canoniche e celebrano la messa solenne. ad essi ogni anno è distribuito un congruo salario. la città ha costituito 9 parrocchie, i cui parroci sono nominati per concorso. I monasteri femminili, che osservano la regola di s. benedetto, sono 3: San benedetto, San Marco, San Michele; 1 di carmelitane: Santa Maria del Popolo; 2 di clarisse: Santa Chiara e Santa Maria delle grazie. altri 2 istituti: uno intitolato a Maria Immacolata per donne pentite, che vivono in clausura e osservano la regola di s. Chiara, l’altro per ragazze orfane. Un ospedale per gli infermi accoglie e nutre anche i bambini abbandonati, di ignoti parenti; perciò sono battezzati in un fonte battesimale appositamente eretto. I conventi di religiosi sono 8: domenicani [fol. 371v], francescani, agostiniani, carmelitani, riformati dell’osservanza, cappuccini, minimi di s. francesco di Paola, gesuiti, fatebenefratelli di s. giovanni di Dio. le confraternite e le associazioni con le loro chiese sono numerose; come pure sono numerose le chiese minori dentro e fuori la città, che ho tutte visitato. Un particolare di rilievo, che ritengo opportuno esporre alla Santità vostra prima di chiudere questa mia relazione sulla città di Enna, riguarda il monastero di San benedetto, venerato per l’osservanza religiosa, la stra467


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ordinaria abnegazione di sé e l’abbondanza delle virtù. Nell’ultima visita l’ho trovato ancor più ricco di impegno nel perseguire la perfezione, tanto da essere spinto a emanare alcune istruzioni, che si potrebbero chiamare più propriamente pro memoria delle osservanze e dei pii esercizi che le monache osservano per una certo spontaneo impegno. Spero che gli inizi di una così fervente devozione e pietà mantengano sempre la freschezza originaria per il vantaggio delle loro anime e la maggior gloria di Dio. la città di Piazza ha una chiesa madre ampia e ammirevole [fol. 372r] in cui c’è un collegio di canonici, composto da 4 dignità, alle quali è affidata la cura delle anime: il prevosto, il cantore, il decano e 20 canonici, che sono adornati alternativamente della cappa magna violacea, del rocchetto e della mozzetta, con altri 14 sacerdoti beneficiati insigniti dell’epitogio nero. Prestano servizio ogni giorno recitando le ore canoniche, cantando le messe e ascoltando le confessioni dei fedeli. la chiesa madre ha 5 chiese sacramentali coadiutrici, nelle quali alcuni cappellani sacramentali, nominati dal vescovo e amovibili ad nutum, amministrano i sacramenti parrocchiali. Nella chiesa di Santa Domenica c’è un’altra collegiata intitolata al ss. Crocifisso, che ha 2 dignità: il prevosto e il cantore e 12 canonici. Tutti, come nella collegiata di Catania, indossano la cotta e l’epitogio; altri 10 mansionari sono insigniti dell’epitogio, secondo le norme contenute nella fondazione fatta da un certo don Matteo Calascibetta nel 1678. 3 monasteri femminili osservano la regola di s. benedetto: San giovanni Evangelista, Santissima Trinità e Sant’agata; ce n’è 1 di clarisse intitolato a s. Chiara; 1 di agostiniane intitolato a s. anna [fol. 372v]; infine 1 istituto per ragazze orfane. C’è anche l’ospedale per la cura degli infermi e il monte di pietà per alleviare la povertà degli indigenti. gli istituti di religiosi sono 9: benedettini cassinesi, domenicani, francescani conventuali, minori dell’osservanza riformati, cappuccini, carmelitani, gesuiti, teatini, agostiniani. Questa città ha molte confraternite e associazioni con le loro chiese, e alcune chiese minori dentro e fuori la città che ho visitato. la città di Calascibetta ha 2 chiese madri: Santa Maria e San Pietro, nelle quali i sacramenti parrocchiali sono amministrati a turno da 12 cappellani insigniti dell’epitogio e nominati dal vescovo. In questa città sorgono pure: una chiesa sacramentale coadiutrice intitolata a s. antonio, 3 conventi di religiosi (cappuccini, carmelitani e mercedari), 1 solo monastero di monache benedettine di clausura intitolato al ss. Salvatore. 468


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Ci sono infine diverse confraternite, associazioni e chiese minori che ho già visitato. la città di San filippo d’agira ha 4 chiese collegiate sacramentali: Sant’antonio di Padova [fol. 373r], Santa Maria Maggiore, Santa Margherita e Santissimo Salvatore. Non c’è chiesa madre. In ognuna di queste collegiate prestano servizio 4 dignità, delle quali la prima è il prevosto, a cui spetta la cura delle anime, 12 canonici che indossano l’epitogio e 8 mansionari adornati di insegne. Sorgono 3 monasteri femminili: 2 sotto la regola di s. benedetto (Santa Maria la Raccomandata e Santa Maria annunziata), 1 di clarisse intitolato a s. Chiara. I conventi di religiosi sono 5: agostiniani, carmelitani, minori osservanti, del terz’ordine di s. francesco, cappuccini. C’è un’abbazia regia intitolata a s. filippo d’agira, che è retta da un priore e da alcuni cappellani insigniti ed esenti dalla giurisdizione del vescovo. l’abbate commendatario è nominato dal serenissimo re. In questa città ci sono molte confraternite, associazioni e chiese, che sono state da me visitate. Nella città di acireale c’è la chiesa madre collegiata che è costituita da 3 dignità e 12 canonici insigniti dalla mozzetta e dal rocchetto; tutti prestano servizio e aiutano nell’amministrazione dei sacramenti, recitano in coro le ore canoniche, cantano le messe solenni assieme a 6 mansionari insigniti dell’epitogio. la chiesa madre ha altre 5 chiese sacramentali coadiutrici per l’amministrazione dei sacramenti, fatta dai cappellani [fol. 373v] insigniti ed eletti dal vescovo. C’è un solo monastero femminile sotto la regola di s. benedetto, intitolato a s. agata. I conventi di religiosi sono 4: domenicani, carmelitani, frati minori dell’osservanza, cappuccini. C’è l’ospedale per la cura degli infermi e il monte di pietà per aiutare i poveri. le confraternite e le associazioni sono molte, insieme con le loro chiese nelle quali si danno, ogni anno, legati di maritaggio per le ragazze. Ci sono pure altre chiese che ho visitato. I paesi di Paternò e di adernò sono soggetti al duca di Montalto; hanno le chiese madri con le collegiate. In ognuna di esse ci sono 3 dignità, alle quali spetta la cura delle anime e 12 canonici insigniti del rocchetto e della mozzetta. 469


Andrea Riggio (1693-1717)

a Paternò sorgono: un solo monastero femminile, che osserva la regola di s. benedetto ed è intitolato alla Madonna annunziata e 5 conventi maschili: conventuali di s. francesco, domenicani, carmelitani, cappuccini, agostiniani riformati e una grancia di monaci cassinesi. C’è l’ospedale per la cura degli infermi. ad adernò ci sono 2 monasteri femminili: Santa lucia di monache benedettine e Santa Chiara di clarisse (quest’ultimo, di recente, è passato alla giurisdizione del vescovo) e 4 conventi di religiosi: domenicani, francescani minori dell’osservanza [fol. 374r], agostiniani e cappuccini. Nella città di Regalbuto c’è la chiesa madre, nella quale prestano servizio i cappellani eletti dal vescovo e amovibili ad nutum; a turno amministrano i sacramenti parrocchiali. C’è pure un’altra chiesa sacramentale coadiutrice intitolata alla Santa Croce, nella quale sono amministrati i sacramenti da cappellani eletti dal vescovo. Ci sono 5 conventi di religiosi: domenicani, agostiniani, carmelitani, cappuccini e agostiniani riformati. I monasteri femminili sono 3: 2 sotto la regola di s. benedetto (Santa Maria della grazia e San giovanni battista), uno sotto la regola di Sant’agostino e la giurisdizione degli agostiniani. Con questi padri c’è in corso una lite presso la Santa Sede o meglio presso la Congregazione dei cardinali, vescovi e regolari per l’autorità alla quale devono essere soggette le monache. Per provare le mie ragioni ho esibito alla predetta S. Congregazione alcuni documenti pubblici. Mosso da zelo voglio affidare qui, alla Santità vostra, una sola riflessione: ho constatato in tanti anni di esperienza che i monasteri femminili soggetti ai religiosi non solo non progrediscono nella perfezione, anzi vanno sempre più a peggiorare con non poco danno della anime e della religione. ho visitato le confraternite, le associazioni e le chiese minori e ho lasciato le necessarie istruzioni [fol. 374v]. Il paese di assoro è sotto il dominio del principe di valguarnera; ha la chiesa madre collegiata costituita da 4 dignità: prevosto, tesoriere, cantore e decano, ai quali spetta la cura delle anime, da 12 canonici insigniti dell’epitogio e da 8 mansionari. I conventi di religiosi sono 5: agostiniani, carmelitani, cappuccini, frati minori dell’osservanza, terz’ordine di s. francesco. C’è un solo monastero femminile di clarisse, intitolato a Santa Chiara. Non ritengo di avere notizie utili da dare alla Santità vostra sugli altri paesi e villaggi. Tutti questi luoghi sono stati da me personalmente visitati 470


Andrea Riggio (1693-1717)

e più volte esaminati; in essi ho rilasciato le necessarie istruzioni per il maggior nitore nel culto divino e il bene delle anime. ho trovato gli abitanti di questa diocesi non solo molto osservanti della vera fede cattolica, ma molto dediti alla pietà. Presento questa mia breve relazione sullo stato della diocesi di Catania umilmente prostrato ai piedi della Santità vostra, perché l’accolga con paterna benevolenza. Intanto prego incessantemente la Divina Maestà perché conservi incolume, assieme a tutta la Chiesa cattolica, la Santità vostra, elevata per volere divino al soglio di Pietro [fol. 375r] e bacio, com’è giusto, i beatissimi piedi della Santità vostra. Catania, 12 settembre, vI indizione, 1712 beatissimo Padre, della Santità vostra osservantissimo servo e figlio andrea, vescovo di Catania

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Andrea Riggio (1693-1717) xxv

1714 – Relazione del vescovo andrea Riggio, relativa al 43° triennio, scritta a Roma il 10 settembre 1714 e presentata personalmente1.

[fol. 378r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori, subito dopo aver assolto e osservato, com’è giusto, il precetto della visita ad limina, sono stato costretto miseramente, violentemente e con disonore a subire l’esilio per avere difeso i diritti della Sede apostolica e aver obbedito fedelmente ai suoi comandi. Pertanto nella presente visita mi sento obbligato a dire solamente alle vostre Eminenze che la costruzione della cupola nella chiesa cattedrale, iniziata quando io ero in sede, è stata ora portata a compimento. Inoltre è mio dovere narrare anche i dolori e la tristezza dei miei diocesani per l’assenza del pastore. Con somma mia afflizione devo constatare che le pecore, senza la disciplina del pastore, imbevuti di dottrine dannose contro l’osservanza dell’interdetto, si sono allontanate dalla via della verità, fino al punto che si può dire di me: le madri invocavano ululando le pecore. Non mi resta che porgere gli ossequientissimi diritti della mia riverenza alle Eminenze vostre, mentre in ginocchio e profondamente prostrato imploro insistentemente che non si stanchino di pregare Dio per le mie pecore, affinché facendo l’esperienza delle calamità imparino a gustare le cose migliori.

Rel Dioec 207 a, fol. 378r. al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera alla Congregazione del Concilio: «Illustrissimo e Reverensissimo Signore, Signore e Padrone osservantissimo. Rimetto sotto la protettione di vostra Signoria Illustrissima l’accluse fedi e lettera alla Sacra Congregazione della visita ad limina, non potendo dilatarmi a dar quel conto a minuto che riceviarebbe l’ubidienza ed il mio dovere, per l’assenza di detta mia Chiesa, e solo mi resta di porgerle umili inchini con la devota manifestatione del mio riverente ossequio alla padronanza di vostra Signoria Illustrissima mantenendomi qual sempre a cenni. Da questa sua casa 10 settembre 1714. Di vostra Signoria Illustrissima e Reverendissma, Illustrissimo e reverendissimo Signore umilissimo e divotissimo servitore che la riverisce e bacia la mano, andrea, vescovo di Catania. Illustrissimo e Reverendissimo Mons. Pietro Monsignore» (fol. 379r); 2) due attestati della visita alle basiliche romane del 10 ottobre 1714 (fol. 380r e 381r). 1

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Andrea Riggio (1693-1717)

Eminentissimi e Reverendissimi signori Roma, 10 settembre 1714 Delle Eminenze vostre umilissimo e obbedientissimo servo andrea, vescovo di Catania agli Eminentissimi e Reverendissimi Signori della Sacra Congregazione del Concilio

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Andrea Riggio (1693-1717) xxvI

1717 – Relazione del vescovo andrea Riggio, relativa al 44° triennio, scritta a Roma il 1° agosto 1717 durante il suo esilio e presentata personalmente1.

[fol. 384r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori, non è ancora trascorso il triennio dalla mia ultima visita ed una seconda volta mi sono recato alla sacre tombe degli apostoli per soddisfare il mio obbligo, come dimostrano chiaramente i certificati che accludo. Penso di esporre ai vostri occhi, allo stesso tempo, l’infelice stato della mia Chiesa e le condizioni lacrimevoli della mia diocesi. Da quanti mali sia oppressa la diocesi di Catania, di quanti sacrilegi si sia macchiata, in quanti errori sia caduto quel popolo, quale lingua o quale penna può descriverlo? Da quattro anni, espulso con un vergognoso esilio dalla città di Catania e dal Regno di Sicilia, vivo nell’alma città di Roma vicino a voi. Nelle sciagure di questi nostri tempi quanti vizi di ogni genere, quanti scandali si sono insinuati man mano! a quali vergogne sia giunta la città di Catania, contaminata dagli usi pagani e non dai costumi cristiani, per i quali era fiorente sopra tutte le città della Sicilia, non lo diranno le costruzioni artificiose di parole ma l’abbondanza delle lacrime di chi racconta [fol. 384v]. gli ecclesiastici non sono, secondo le parole di Cristo, il sale della terra per dare sapore o la luce del mondo, perché illuminati e illuminanti, santi e santificanti risplendano davanti agli uomini, ma piuttosto la rete gettata nel mare non tanto per raccogliere, quanto per condurre all’inferno buoni e cattivi, sia con i cattivi esempi della malvagità, sia con i pascoli della pessima dottrina. Catania, che per la grazia di Dio era il teatro di tutte le virtù, ora disgraziatamente è diventata il mercato delle iniquità. Uno solo è il male che in quella diocesi è punito: l’obbedienza ai comandi del papa. Tutto il resto è considerato o di poca importanza o degno di plauso. Povero gregge che, privato del suo pastore, non è condotto ai pascoli della salvezza, ma dai lupi è destinato agli eterni supplizi!

1 Rel Dioec 207 a, fol. 384r-385r. Sul dorso della relazione è apposta la nota della Congregazione: «31 iulii 1717 fuit data attestatio pro 44° triennio» (fol. 385v); al documento sono acclusi due attestati della visita alle basiliche romane del 1° agosto 1717 (fol. 386r e 387r).

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Andrea Riggio (1693-1717)

Riguardo allo stato materiale delle chiese, a stento trovo qualcosa da riferire che sia degno di lode. Da pochi giorni era stata ultimata la costruzione del magnifico tempio della cattedrale. Per portarlo a compimento mancava solo il pavimento di marmo; avevo lasciato tutto il marmo predisposto perché venisse collocato. Ma chi lo crederebbe? Occuparono la mensa vescovile perché con i suoi redditi si potesse venire incontro alle necessità della cattedrale e completare le sue strutture, invece la fabbrica non è stata ancora portata a termine. Il seminario, già sufficientemente fornito dalla sua erezione, era stato da me arricchito di rendite; quando io ero in diocesi aveva cinquanta alunni, istruiva molti convittori e si ergeva per la stupenda mole dei suoi edifici [fol. 385r]; ora nessuno provvede né alle fabbriche né ai giovani. Infatti in esso si ospitano solo nove alunni (e sarebbe da augurarsi che anch’essi fossero assenti, perché sono educati non per l’edificazione ma per la distruzione della Chiesa. Sono i primi che, disprezzando l’interdetto, partecipano nei divini uffici con gli scomunicati vitandi. gli altri, ispirati dalla grazia di Dio, hanno abbandonato il seminario) e tuttavia per quanto sia ricco di tante rendite è pieno di debiti. la chiesa madre e collegiata di Piazza, governata da tre fidecommissari secolari, è stata ricostruita in una forma architettonica più elegante e quanto prima sarà ultimata. Nel riferire queste notizie giunte fino a me in questi tempi così difficili, una sola cosa voglio che a voi sia manifesta, Eminentissimi Signori: in nessuna cosa mi sono risparmiato per venire incontro a tante necessità spirituali e temporali; infatti la preoccupazione quotidiana per la mia Chiesa stringe e lacera ogni giorno il mio cuore. Perciò non ho mai desistito dal far pervenire ai miei fedeli consigli salutari ed esortazioni paterne; ma essi, atterriti dal timore dei laici, hanno chiuso le orecchie alla verità, non hanno voluto ascoltare la voce paterna del loro pastore che li esortava ad agire rettamente. Per non affliggervi ulteriormente con questo mio penoso racconto pongo termine allo scritto, ma non al pianto; vi prego e vi supplico di accogliere gli ossequi della mia servitù. Roma, 1 agosto 1717 Delle Eminenze vostre obbligatissimo e osservantissimo servo andrea, patriarca di Costantinopoli e vescovo di Catania

agli Eminentissimi e reverendissimi signori cardinali della Sacra Congregazione del Concilio

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PIETRO gallETTI (1729-1757) 1. la fIgURa

a risollevare la dolorosa situazione in cui si trovò la diocesi di Catania dopo le conseguenze della controversia liparitana, gli anni di sede vacante e la fugace presenza di tre vescovi nell’arco di dodici anni, fu chiamato il palermitano Pietro galletti, che aveva al suo attivo una buona esperienza pastorale e un curriculum di tutto rispetto, ma non giocavano a suo favore i 65 anni di età e una salute alquanto precaria. a) Personalità e formazione

Pietro apparteneva ad una nobile famiglia che pare provenisse da Pisa1. Primogenito di vincenzo galletti e di Maria De gregorio era nato a San Cataldo il 27 ottobre 16642. Compì gli studi nel collegio dei gesuiti di Palermo e per seguire la vocazione religiosa rinunziò al titolo di principe di fiume Salso e marchese di San Cataldo3. la sua malferma salute lo costrinse a lasciare la Compagnia di gesù4; ma, come scrive il Colonna suo contemporaneo, «lasciò l’abbito della Compagnia, non però li dettami di 1 Un certo Nicolò galletti si era trasferito in Sicilia all’inizio del secolo xvI (v. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare, cit., III, 331-333). 2 Il villabianca enumera altri tre figli maschi: Ignazio, giuseppe e Nicolò. giuseppe fu capitano di giustizia a Palermo nel 1716, pretore (l’attuale sindaco) nel 1725 e nel 1740 (f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., I/2, 163-164; II, 437-438). 3 Nella lapide del mausoleo funebre, che egli stesso fece costruire in vita nella cattedrale di Catania, si legge: «Ill.mus et Rev.mus D.nus D. Petrus galletti, abdicato fluminis Salsi principatu et marchionatu S. Cataldi, clericali militiae se ascripsit […]». 4 «Una ben lunga e tediosa indisposizione che tendea a principi d’etisìa forzallo a lasciare prima l’abbito che la vita monastica; furono però le proteste reiterate di tutto il savio colleggio de’ medici, che forzarono al nostro D. Pietro ritraere il passo dalle carriere intraprese nell’arringo della penitenza nella Religione» (f. COlONNa, Vite de’ vescovi di Catania, cit., 294).

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Pietro Galletti (1729-1757)

quella, che recava stampati nel cuore»5. In effetti la matrice culturale del galletti è quella dei gesuiti; egli stesso, nelle sue idee e nella sua azione pastorale, si sentirà debitore verso la Compagnia di gesù. In un periodo storico che segna la svolta fra l’eredità della controriforma e la cultura moderna, questa sua formazione lo pone dalla parte debole, e la sua azione pastorale si colloca all’insegna di una tradizione che manifesta già i primi sintomi di sfaldamento6. Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 3 maggio 16927 e nel 1703 fu presentato dal senato di Palermo per essere nominato parroco di Sant’antonio al Cassaro8, ministero che svolgerà per circa vent’anni. Dal 1713 al 1720 fu inquisitore di Sicilia alle dipendenze del grande inquisitore di Spagna9. In questi anni conseguì i titoli accademici ‘privati’ di maestro in filosofia e dottore in teologia nel collegio dei gesuiti di Palermo (2 agosto 1718)10. Il suo curriculum comprende pure: l’ufficio di teologo nel tribunale della Regia Monarchia11, la nomina di vicario capitolare a Monreale

L. c. lo Scinà descrive con molta lucidità il clima culturale che si respirava in Sicilia e a Palermo. le polemiche fra gesuiti da una parte, domenicani, benedettini, francescani dall’altra erano il segno dei fermenti nuovi nella cultura del tempo, che aveva sperimentato un diverso approccio metodologico per lo studio della filosofia, della teologia, della storia della Chiesa e in genere delle discipline umanistiche, delle scienze matematiche e naturali. «Eran solamente le scuole de’ gesuiti che resisteano a questa salutare riforma, perciocché segregati com’erano dalla società e maestri solennissimi delle pubbliche scuole, tenaci si mostravano delle proprie opinioni, e del proprio insegnamento, e abborrivano, come a loro ingiuriosa e agli altri piena di pericoli, qualunque riforma o novità che da esso loro non fosse derivata. Ma le loro opposizioni tornarono vane, perché vani riescono gli sforzi contro la verità, che comincia la sua luce a mandar fuori» (D. SCINà, Prospetto della storia letteraria, cit., I, 158). Sul tema vedi anche M. CONDOREllI, note su Stato e Chiesa, cit., 305-385; M. ROSa, Politica e religione nel ’700 europeo, firenze 1974. Il quadro storico in cui opera il vescovo galletti è tracciato da f. RENDa, Dalle riforme al periodo costituzionale (1734-1816), in R. ROMEO (cur.), Storia della Sicilia, cit., vI, 183-297 e g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, cit., 97-793: 375-472. 7 Proc Dat 100, fol. 191r. 8 ibid., fol. 194r. 9 ibid., fol. 200r; a. fRaNChINa, Breve rapporto, cit., 104. 10 Il formulario adoperato per il conferimento di questi titoli era identico a quello che troviamo nell’Università di Catania, ad eccezione di un avverbio che spiega la differenza: «ad magisterium philosophiae et Sacrae Theologiae doctoratus gradum […] privatim promovi» (Proc Dat 100, fol. 192r). Sul tema vedi a. lONghITaNO, Saggi di ricerca su fonti dell’Archivio Arcivescovile di Catania, in g. ZITO (cur.), insegnamenti e Professioni. L’università di Catania e le città di Sicilia, Catania 1990, 55-103. 11 Il re nella presentazione del galletti alla sede vescovile di Patti accenna a questo suo incarico (Proc Dat 100, fol. 193r). 5 6

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Pietro Galletti (1729-1757)

nel 170312, la nomina di vicario generale a Patti nel 170613 e le nomine di giudice conservatore di diverse case di gesuiti14. Contrariamente al vescovo Riggio, il galletti non sembrava ossessionato dalla difesa delle immunità ecclesiastiche. Egli, pur avendo svolto il suo ministero negli anni più caldi della controversia liparitana, rimase al suo posto senza rischiare l’esilio. Si deve dedurre che sull’argomento abbia assunto un atteggiamento conciliante, se non apertamente favorevole alle tesi regaliste15. Nella lettera di presentazione per la sede vescovile di Patti, inviata dal re al ministro plenipotenziario presso la Santa Sede, il card. Cienfuegos (1723), la nomina del galletti è presentata come il logico sviluppo di una vita esemplare e di un’attività svolta con zelo16. Il nostro vescovo fu consacrato a Roma dallo stesso card. Cienfuegos il 5 settembre 172317. Il ministero di vescovo nelle diocesi minori serviva di solito come periodo di prova e di esperienza per assumere la responsabilità di diocesi più vaste. Il galletti, avendo dato buona prova di sé nei sei anni di governo

ibid., fol. 196r-197v. ibid., fol. 194r. 14 ibid., fol. 182r, 199r-199v, 201r, 202r-202v, 203r-203v, 204r-205v, 206r, 207r, 208r208v. Si chiamavano conservatori quei giudici che il sommo pontefice dava agli ordini religiosi, o alle persone morali in genere con il compito di difenderle quando, per la notorietà di un fatto ingiusto, non era richiesta l’indagine giudiziale ordinaria; con ciò l’ente veniva sottratto alla competenza del giudice ordinario (l. fERRaRIS, Conservatores, in Prompta bibliotheca, cit., II, 1261-1287). la nomina del galletti come giudice di diverse case dei gesuiti dimostra il reciproco legame che legava ancora il nostro personaggio alla Compagnia di gesù. 15 l’arcivescovo di Palermo non si era lasciato coinvolgere dall’intransigenza del Riggio e aveva evitato i gesti clamorosi di rottura che costarono l’esilio ai vescovi di Catania, agrigento e Mazara (g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit., 77-78; 103-104). Il galletti, come parroco presentato dal senato di Palermo, come inquisitore di Sicilia alle dipendenze dell’inquisitore generale di Spagna e come teologo presso il tribunale della Regia Monarchia, aveva più di un motivo per schierarsi dalla parte del re o almeno per non inimicarselo. 16 Proc Dat 100, fol. 193r-193v. 17 a. MONgITORE, Siciliae sacrae [...] addictiones et correctiones, cit., 189. lo stesso autore nel Diario palermitano segna la data (22 maggio 1723) in cui «partì da Palermo D. Pietro galletti, palermitano, paroco di S. antonio e già inquisitore, per portarsi a Roma, eletto vescovo di Patti» e la data del suo rientro (30 settembre 1723): «ritornò in Palermo D. Pietro galletti, già consacrato vescovo di Patti» (a. MONgITORE, Diario palermitano delle cose più memorabili accadute nella città di Palermo dal 1 gennaio del 1720 al 23 dicembre 1736, in g. DI MaRZO (cur.), Diari della città di Palermo dal secolo xVi al xix, Ix, Palermo 1871, 63 e 679). 12 13

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Pietro Galletti (1729-1757)

della diocesi di Patti18, il 27 agosto 1729 fu presentato dal re per la diocesi di Catania, vacante per la morte di Raimondo Rubi19. b) L’ingresso in diocesi

la bolla di nomina porta la data del 28 novembre 1729. In essa, tra l’altro, si raccomanda al galletti di impegnarsi ad ultimare la costruzione dell’episcopio, di erigere le prebende del penitenziere e del teologo e di istituire il monte di pietà20. Il nuovo vescovo nominò come vicario generale D. giovanni Rizzari21, che prese in suo nome il possesso canonico il 28 dicembre22. Il galletti fece l’ingresso a Catania il 18 gennaio 173023. Una descrizione della sua persona ci è data dal Colonna, suo contemporaneo: «egli è alto di statura e delicato, di volto asciutto, bianco di carnaggione, di spirito vivace e caldo che dona nell’impaziente, fecondo nel discorso, cor-

18 Notizie sull’attività del galletti a Patti si trovano in a. MONgITORE, Siciliae sacrae [...] addictiones et correctiones, cit., 189-190 e nel processo informativo svoltosi nella curia romana (Proc Dat 106, fol. 492r-494v). Mentre era vescovo di Patti presiedette a Palermo il parlamento del 26 giugno 1728 (a. MONgITORE, Siciliae sacrae [...] addictiones et correctiones, cit., 190). 19 Proc Dat 106, fol. 495r-496r. 20 Tutt’Atti 1729-1730, fol. 128v-133r. Queste raccomandazioni venivano date al vescovo sulla base delle notizie raccolte durante il processo informativo. Uno dei testi, il sac. vincenzo Coniglio, aveva deposto: «nego che vi sia il monte di pietà» (Proc Dat 106, fol. 407v). Questo istituto era stato fondato a Catania con delibera del consiglio dei giurati del 1545 e con bolla apostolica di Paolo III del 1546 (I.b. DE gROSSIS, Catanense Decachordum, cit., 188). Operava anche dopo il terremoto del 1693, perché di esso fa menzione il vescovo Riggio nella relazione del 1712, fol. 369r. Probabilmente non era sopravvissuto ad una delle tante controversie che avevano contrassegnato il suo governo o aveva chiuso la sua attività durante gli anni dell’interdetto. 21 Tutt’Atti 1729-1730, fol. 3r-5r. 22 ibid., fol. 2r. 23 la cronaca del suo ingresso è scritta da f. COlONNa, Vite de’ vescovi di Catania, cit., 299-300. Questo stesso autore informa che il galletti, il successivo 19 febbraio, domenica di carnevale, invitò le autorità e i nobili ad un concerto nel quale «n’esplose il suo genio in un mottetto cantato nella galleria del vescovale palazzo […]. l’azzione fu rappresentata con buon gusto d’un’accademia fioritissima di virtuosi e ripieno d’ottimi strumenti». Il testo composto dal galletti è riportato dal Colonna; si tratta di un dialogo fra i seguenti personaggi: Patti, Catania, amore, Invidia (ibid., 300-303).

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teggiano ne’ tratti ed avido per natura nel voler eternare le memorie del suo nome in ogni operazione»24.

2. Il gOvERNO PaSTORalE

le necessità della diocesi imponevano un programma vasto e articolato che andava dalla ricostruzione materiale alla ricostruzione morale. a distanza di oltre un trentennio dal terremoto, molti edifici religiosi non erano stati ricostruiti o non erano stati ultimati; soprattutto bisognava riprendere in mano il governo pastorale: dall’esilio del Riggio (1713) si può dire che la diocesi era rimasta priva di una guida: i vescovi o non erano venuti in diocesi o si erano succeduti a breve distanza l’uno dall’altro, senza poter affrontare i gravi problemi che la Chiesa catanese si trascinava da tempo. a) La ricostruzione e i ricorsi contro l’operato del vescovo

Il galletti era animato di buona volontà. Prima del suo ingresso aveva già convinto il giovane concittadino giovanni battista vaccarini a lasciare Roma e trasferirsi a Catania per aiutarlo nei lavori di ricostruzione della città25. Per garantirgli il sostentamento, il giorno successivo al suo ingresso in diocesi (19 gennaio 1730), gli conferì la prebenda di canonico secondario26 e nel tempo gli affidò diversi incarichi: il 12 aprile lo nominò soprintendente dell’almo Studio, il 19 dicembre soprintendente dell’orologio del duomo, l’8 giugno 1731 lo scelse come architetto del nuovo prospetto della cattedrale27.

ibid., 306. la famiglia vaccarini risiedeva nella parrocchia di Sant’antonio, dove giovanni battista fu battezzato nel 1702 e dove l’anno successivo il galletti iniziò il suo ventennale ministero di parroco. Pertanto la stima che il nostro vescovo aveva per il giovane architetto si fondava su una lunga conoscenza e frequenza (a. gIUlIaNa alaIMO, G.B. Vaccarini e le sconosciute vicende della sua vita, Palermo 1950, 5). bis 26 Tutt’Atti 1729-1730, 13v-13 v. 27 v. lIbRaNDO, il «rimarcabile affare del prospetto» vaccariniano della cattedrale di Catania, in Scritti in onore di Ottavio Morisani, Catania 1982, 379-414. Sul contributo del galletti e del vaccarini nella ricostruzione di Catania vedi pure: f. fIChERa, una città settecentesca, cit.; ID., G.B. Vaccarini e l’architettura del Settecento in Sicilia, I, Roma 1934; a. gIUlIaNa alaIMO, G.B. Vaccarini, cit.; g. POlICaSTRO, Catania nel Settecento, cit., 262284; S. bOSCaRINO, Le vicende urbanistiche, cit., 103-182; ID., Vaccarini architetto, Catania 1992; g. DaTO, La città di Catania, cit. 24 25

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le molteplici opere da realizzare o completare esigevano il reperimento di somme non indifferenti; il vescovo cercò di accantonarle dai bilanci dei diversi enti dei quali era in qualche modo responsabile e dalle diverse attività del suo ministero episcopale. la mensa vescovile, ad esempio, al momento dell’ingresso del galletti in diocesi, rendeva circa 8.000 onze l’anno28; una cifra notevole, che avrebbe consentito di affrontare alcuni problemi della ricostruzione con una certa tranquillità, se su di essa, oltre alle spese di gestione, non avessero gravato notevoli oneri e pensioni in favore di enti e persone29. Il vescovo pensò di attingere ai redditi della mensa vescovile alienando qualche immobile e non pagando alcune pensioni che gravavano su di essa. Un’altra fonte alla quale il galletti pensava di attingere le somme necessarie alla ricostruzione era costituita dalle procurationes della visita pastorale. le norme canoniche permettevano al vescovo, nel corso della visita pastorale, di chiedere modiche somme a titolo di rimborso spese30. Per evitare speculazioni ed abusi si davano delle indicazioni di massima; ma, poiché bisognava tener conto di norme particolari e di consuetudini locali, potevano verificarsi delle contestazioni. Sembra che il galletti abbia dato l’impressione di voler calcare troppo la mano nella richiesta di queste procurationes. furono provocati da questi fatti una serie di controversie e di ricorsi alle autorità civili ed ecclesiastiche. Un ricorso fu presentato dal senato al re, che inviò come visitatore il benedettino Domenico brancati; lo incaricava di indagare su «abusos y desordenes que de algunos años a esta parte se han introducido en el Obisbado de Catanea»31. Un reclamo alla Congre-

28 Il bilancio della mensa vescovile si trova accluso agli atti della visita ad limina del 1734, fol. 393r-395v. Quasi certamente era stato richiesto dalla Congregazione per verificare la fondatezza dei reclami contro l’operato del galletti, che erano pervenuti fin dal 1731, come si dirà in seguito. 29 Si vedano alcune voci segnate fra le uscite del bilancio: onze 120 dovute alla cappella palatina di Palermo, onze 240 al collegio della città di Messina, onze 953 alla basilica Santa Maria Maggiore di Roma, once 823 al card. Cienfuegos, onze 400 al rev. D. Mario Mellini, onze 200 a D. Pietro francesco bussi, onze 200 al can. gaspare luzan, ed altre spese per un totale di quasi 6.000 onze di oneri passivi (rel. 1734, fol. 394r-395r). 30 l. fERRaRIS, Procuratio, in Prompta bibliotheca, cit., vI, 747-751. 31 v. lIbRaNDO, Il «rimarcabile affare del prospetto», cit., 384-385. Durante gli anni di governo del galletti si ebbero le visite regie di Domenico brancati (1732), di giovanni angelo De Ciocchis (1743) e di francesco Testa (1752). Se quella del De Ciocchis riguardava tutte le diocesi siciliane, le altre due furono indette solo per la diocesi di Catania, segno che i rilievi mossi contro l’operato del vescovo erano stati presi in seria considerazione.

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gazione del Concilio fu portato avanti dal capitolo della collegiata di Paternò, a motivo delle procurationes chieste dal galletti nella sua prima visita pastorale32. Il vescovo, a sua discolpa, fece pubblicare a stampa la risposta inviata alla Santa Sede: dopo aver descritto a forti tinte la situazione in cui egli aveva trovato la diocesi, aveva cercato di mettere in evidenza le iniziative pastorali predisposte per ristabilire la disciplina e rinnovare lo spirito cristiano. Questa lettera provocò un altro reclamo da parte di un canonico della cattedrale, nel quale si ribadivano le accuse e si moltiplicavano gli addebiti a carico del galletti33. Per quanto il vescovo, nella sua difesa, facesse notare che si trattava di uno scritto anonimo al quale, secondo la prassi comune, non bisognava

32 «Il riferito capitolo […] fu obbligato in preparare al sudetto Monsignor vescovo di Catania l’alloggio, seu il posento con tutta la provisione di vivere, di comestibile, e potabile, tanto per esso vescovo, quanto per il di lui fratello e per il vicario generale e per tutte le loro rispettive famiglie, come pure al trasporto da biancavilla in Paternò, per qual’effetto nello spazio di giorni dieci, che dimorò in detta città, si spese dal detto capitolo la somma di onze 51.5.12 […]. Oltre la sudetta spesa […] esigette dalli sudetti dignità e canonici in particolare la somma di onze 43 e tarì 2 per raggione di visita […] ed altre onze 5 e tarì 2 per raggione di visita di detta chiesa collegiata e legati pii […]. Di più si prese onze 9 da sei manzionari […]. Sicché in tutto per la sudetta visita fatta, inclusa la provisione di vivere ed altri come sopra, si pigliò detto Monsignor vescovo dal sudetto capitolo e capitolari, chiesa collegiata, legati pii, manzionari e cappellani come sopra la somma di onze 114 e tarì 9, che importano la valuta di scudi 285.9 di questo Regno». (Controversia, fol. 184r). 33 Secondo l’accusa, il vescovo aveva calunniato i suoi predecessori esagerando la descrizione negativa dello stato della diocesi; nella visita pastorale aveva chiesto più di quanto prescrivevano le norme canoniche e aveva preteso le procurationes anche dai sacerdoti del territorio di Catania che ne erano esenti; in alcune città della diocesi aveva fatto pignorare alcune suppellettili, perché i responsabili non erano stati in grado di pagare la somma dovuta; era solito conferire i benefici liberamente, e non per concorso, per favorire le offerte dei pretendenti; nei processi penali contro alcuni sacerdoti aveva obbligato gli interessati a dichiararsi rei per poter applicare una pena pecuniaria invece del carcere; erano aumentate le vertenze e i ricorsi in appello e al tribunale della Monarchia; i poveri che chiedevano l’elemosina in vescovado erano stati percossi e maltrattati; il vescovo aveva concesso dispense riservate alla Santa Sede e aveva sperperato il patrimonio della cattedrale (ibid., 182v-183r). Degli storici catanesi solo il ferrara, che ebbe fra le mani gli atti di questi ricorsi, sembra ritenere del tutto prive di fondamento le accuse rivolte al galletti (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 240-241).

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dare credito, il reclamo seguì il suo corso34 e il galletti non riuscì ad allontanare i sospetti che le accuse rivoltegli avessero un fondamento35. l’argomento fu ripreso dal De Ciocchis nella visita regia del 1743 e dalle norme che egli emanò risulta evidente l’allusione alle accuse che venivano fatte al galletti: la visita pastorale doveva essere fatta con sollecitudine, non di corsa; non si doveva pretendere o accettare liberamente nulla che non rientrasse nelle procurationes; queste stesse potevano essere richieste solo nei luoghi nei quali la visita era stata fatta realmente e per i giorni effettivi che erano stati impiegati; se in un giorno erano stati visitati più luoghi poteva essere accettata una sola procuratio36. Sulla gestione della mensa vescovile il visitatore fu ancora più severo: il patrimonio di questo ente aveva subito un grave danno ed era necessario che venissero rivisti attentamente gli atti dell’amministrazione a partire dal 1730 (cioè gli anni della gestione galletti), per informare personalmente il re e studiare assieme a lui i rimedi opportuni. Intanto, per evitare che nell’attesa di questo esame la situazione peggiorasse, il visitatore stabilì una serie di norme particolari che, assieme a quelle generali, avrebbero dovuto riportare l’ordine e sanare l’amministrazione37.

34 Per il suo esame fu istituita una commissione presieduta dal card. Cienfuegos, l’istruttoria fu affidata al can. antonio bru; le ragioni del capitolo furono esposte da D. Carlo Oietti. Il ricorso fu trattato presso la Congregazione dei vescovi e dei Regolari, ponente il card. Nicola Spinola (Controversia, 182r-192v). 35 Troviamo l’eco di questi reclami nelle relazioni ad limina che pubblichiamo. In una lettera alla Congregazione del 31 gennaio 1732, il galletti si giustifica per le procurationes chieste nel corso della sua prima visita pastorale: «per quanto riguarda i ricorsi inviati contro di me alla Sacra Congregazione, soprattutto a proposito delle somme ricevute in occasione della visita pastorale, a prescindere da tutto il resto, solo questo voglio far notare: i miei detrattori, che in futuro ricolmerò di benefici, sanno bene che io non ho chiesto più di quanto consentono i sacri canoni, la prassi diocesana, l’esempio dei miei predecessori, in particolare l’Ill.mo e Rev.mo D. andrea Riggio di felice memoria, l’Em.mo Card. Cienfuegos e fr. D. Raimondo Rubi di santa memoria» (rel. 1731, fol. 411r). Per valutare la fondatezza delle altre accuse la Congregazione chiese anche il bilancio della mensa vescovile, che il vescovo inviò nel 1733 tramite il procuratore sac. vincenzo Coniglio (rel. 1734, fol. 419r). Nella relazione del 1734 riferisce che il suo vicario generale non aveva visitato la collegiata di Paternò, perché era ancora pendente presso la Congregazione l’esame del ricorso presentato da quattro canonici (rel. 1734, fol. 424v). 36 J.a. DE CIOCChIS, Sacrae regiae visitationis per Siciliam […] acta decretaque omnia, III, Panormi 1836, 31. 37 ibid., 53; 196-200. Sull’atteggiamento severo, che il visitatore dimostrò nel corso della visita di Catania, avrà forse influito l’assenza del galletti. Negli atti preliminari infatti si legge: «D. Iohannes angelus de Ciocchis, regius generalis visitator […] vicarii generalis pro Episcopo aegrotante Panormi, simulque capituli accepit obsequia» (ibid., 17).

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Nonostante le difficoltà incontrate, il vescovo riuscì a legare il proprio nome al raggiungimento di alcuni obiettivi di rilievo nell’opera di ricostruzione della città. Per quanto riguarda la cattedrale: fece approvare ed eseguire in parte il progetto del vaccarini sul prospetto38, le nude pareti interne furono arricchite di quattro grandi quadri commissionati al fiammingo guglielmo borremans39, per i quadri esistenti nelle due navate laterali fece eseguire dieci cornici dorate in stile barocco40, commissionò due organi: «uno per li musici, grande, altro ad un registro con l’ossatura d’intaglio di legname dorato»41, donò alla sacrestia paramenti sacri e suppellettili varie42. Nella curia fece costruire la sede per l’archivio Storico, dove furono raccolti e riordinati i registri sottratti alle rovine del terremoto43.

38 le controversie sorte sul progetto del vaccarini e le difficoltà incontrate nella sua realizzazione sono descritte e documentate da v. lIbRaNDO, il «rimarcabile affare del prospetto», cit. Nella sua difesa contro il ricorso presentato da un canonico della cattedrale (1732), il galletti scrive sul prospetto: «Infelice nella sua comparsa il prospetto di questa cattedrale, non ho tralasciato ogni studio per vedermelo superbamente ingrandito, e già finora si vede piantata tutta la base della gran macchina di detto prospetto con un dispendio di qualche considerazione, sperando nella Maestà Divina che mi presti vita a terminarlo e mi dia aggiuto e providenza per sovvenire all’urgenze della fabrica, che come di machina assai maestosa assorbisce la spesa, che sopravanza li scudi 30.000» (Controversia, 192r). la vicenda della ricostruzione della cattedrale è studiata da S. CalOgERO, La ricostruzione della cattedrale di Catania dopo il terremoto del 1693, in Synaxis 22 (2004) 113-148. 39 Nelle sue relazioni per due volte accenna a queste sue realizzazioni: «ho provveduto a mie spese all’acquisto di quadri artisticamente dipinti» (rel. 1730, fol. 397v); «di mia iniziativa e a mie spese l’ho arricchito di nuovi quadri dipinti con straordinaria bravura e adornati di cornici indorate» (rel. 1737, fol. 430r). Negli atti del ricorso presentato contro il galletti da un canonico della cattedrale si nega che questi quadri siano stati fatti a sue spese: «scit populus Catanensis quod pecunia ad dictum effectum annuatim a cathedrali a nonnullis ipsius designatis fundis exacta et depositata, cum nuper compleverit summam necessariam ad supradicta omnia inchoanda et terminanda, cura igitur et impensa dictae cathedralis, quin quadrantem dictus Episcopus contribuerit, supradicta omnia complementum habuere» (Controversia, 189r). Un documento pubblicato dal librando ci informa di un progetto ambizioso che il galletti aveva commissionato al borremans, per il quale aveva già stipulato un contratto di 3.000 onze: decorare con affreschi la grande navata della cattedrale. Dovendo pagare ingenti somme ai titolari di pensioni vitalizie, fu costretto a rinunziarvi (v. lIbRaNDO, Il «rimarcabile affare del prospetto», cit., 402-403). 40 v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., III, 102; J.a. DE CIOCChIS, Sacrae regiae visitationis, cit., 173. 41 ibid., 175. Nella sua relazione del 1737, fol. 430r il galetti scrive che aveva arricchito la cattedrale «di due organi decorati con oro e dipinti». 42 Rel. 1734, fol. 421r; rel. 1737, fol. 430r; aCC, fondo principale Attestato a favore di Mons. Galletti per li giogali fatti alla chiesa; l’elenco dei paramenti e delle suppellettili donati dal galletti si trova anche in J. a. DE CIOCChIS, Sacrae regiae visitationis, cit., 157-158. 43 Il Rasà riporta il testo di una lapide, che all’inizio di questo secolo si conservava

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Per le altre chiese o istituti: durante il suo governo pastorale si costruì la chiesa di San Camillo44, fu portata a compimento la chiesa del monastero di San giuliano45, si completò la costruzione del seminario46. Non sappiamo quale effetto abbiano avuto le esortazioni a completare la sede dell’Università degli studi, della quale fa cenno in una delle sue relazioni: «visitando l’Università degli studi, di cui sono gran cancelliere, assieme agli altri responsabili, mi sono adoperato perché fosse diligentemente custodita e non ci fossero interruzioni nel portare a compimento la fabbrica»47.

Non era legata al terremoto la ricostruzione della chiesa madre di Piazza; dopo tanti solleciti e interventi che troviamo in quasi tutte le relazioni, nel 1751 il galletti può scrivere con sollievo che era stata portata a compimento48. Negli anni del suo episcopato risulta sia stata costruita anche la chiesa madre di Centuripe49. ancora in curia e che probabilmente fu rimossa nei lavori di ampliamento del 1957: «archivium episcopale terraemotu dirutum, volumina scripturarum variis temporum vicissitudinibus hinc inde dispersa fragmenta que superaverant hic in unum redegit et maxima qua spectas magnificentia omnibus numeris absolutum, proprio aere a fundamentis excitavit, erexit, ornavit Ill.mus et Rev.mus D. Petrus galletti, praesulatus sui anno vIII» (g. RaSà NaPOlI, Guida e breve illustrazione delle chiese di Catania, Catania 1900, 415). 44 g. POlICaSTRO, Catania nel Settecento, cit., 59. 45 ibid., 47 e 108; S. CalOgERO, L’architetto Giuseppe Palazzotto e la chiesa di San Giuliano a Catania, in Synaxis 25 (2007) 143-174. 46 Nella prima relazione il galletti scrive: «esortai i superiori […] a portare a compimento con tenacia la costruzione dello stabile, iniziata dopo le rovine del terremoto del 1693» (rel. 1730, fol. 398r). a distanza di sette anni può affermare: «mi recai nel seminario dei chierici per il cui edificio ormai completo nella sua struttura nominai i deputati» (rel. 1737, fol. 430v). Deve essere corretto quanto scrive a tal proposito v. CORDaRO ClaRENZa, Osservazioni sopra la storia di Catania, Iv, Catania 1834, 102: la costruzione del seminario non era stata iniziata dal galletti, ma dal Riggio; fu portata a compimento dal galletti e non dal ventimiglia, anche se il ventimiglia ampliò i locali per renderli rispondenti al rinnovato ruolo che intendeva dare al seminario (g. POlICaSTRO, il seminario arcivescovile, cit., 69). 47 Rel. 1734, fol. 421v. 48 Rel. 1730, fol. 398v; rel. 1739, fol. 443v; rel. 1744, fol. 455r; rel. 1751, fol. 476v. In una lapide posta all’interno dell’attuale cattedrale di Piazza armerina si legge: «[…] hoc templum […] nuperrime perfectum […] solemniter sacratur die xxI ottob. vI ind. 1743». 49 Rel. 1737, fol. 433r; rel. 1739, fol. 445r.

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b) Clero, collegiate, cura delle anime

Il galletti, per la formazione ricevuta e per il modello ecclesiologico della controriforma che aveva fatto proprio, non può essere considerato un vescovo riformatore. Egli si muove nel solco della tradizione, che voleva una Chiesa forte con una organizzazione centralizzata, un clero numeroso riunito in collegiate per celebrare un culto fastoso e solenne, un popolo devoto e rispettoso. Nelle sue relazioni ad limina sembra solamente interessato a far conoscere il numero delle collegiate esistenti nei singoli centri con le dignità, la pletora di canonici, mansionari, beneficiati e le rispettive insegne che spettano ad ognuno di essi. Egli supera i suoi predecessori nell’iniziativa di moltiplicare queste collegiate anche nei piccoli centri del bosco etneo e di aci: San lorenzo ad aidone, Immacolata a Centuripe, Santa Maria dell’Elemosina a biancavilla, Spirito Santo a Nicolosi, San Nicola a Trecastagni, Santa Maria della Catena ad acicatena, San filippo ad aci San filippo, Santa lucia ad aci Santa lucia50. Il buon funzionamento di queste collegiate esigeva un numero elevato di sacerdoti e di chierici; e il galletti moltiplicò le ordinazioni facendosi guidare dal criterio del bisogno delle chiese51. analoga soddisfazione egli sembra dimostrare quando sottolinea la particolare organizzazione della cura delle anime a Catania e in altri centri, dove non erano previsti parroci perpetui ma cappellani amovibili, ai quali egli doveva concedere la facoltà di ricevere il consenso matrimoniale52. Questa sua linea pastorale, più che nella mentalità comune del tempo trova spiegazione nelle scelte personali del galletti, che non furono condivise dal De Ciocchis nella visita regia del 1743. Proprio su questi punti il visitatore formulò giudizi molto duri e diede indicazioni del tutto diverse

50 l’elenco delle collegiate esistenti nella diocesi di Catania negli anni del vescovo galletti si trova in a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 134. Nella relazione del 1751, fol. 477r-v, c’è un cenno alle nuove collegiate di aci Catena, aci San filippo, aci Santa lucia e Centuripe. 51 Rel. 1730, fol. 397v: «[…] conferendo a molti la tonsura, gli ordini minori e maggiori, secondo quanto richiedevano le necessità delle chiese». vedi espressioni analoghe al fol. 401v e nella relazione del 1731, fol. 408r. 52 Rel. 1737, fol. 430v, 431v, 432v; rel. 1739, fol. 443r, rel. 1744, fol. 454v. Sviluppando questa organizzazione della cura d’anime, egli eresse a Catania le chiese sacramentali di Santa Maria della Concordia, Santa Maria delle grazie a Cifali e Santi angeli Custodi.

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per il futuro: il vescovo nella selezione dei candidati allo stato clericale doveva ammettere solo coloro che risultavano idonei per dottrina e buon comportamento e possedevano un beneficio o un vero patrimonio personale; in caso contrario egli avrebbe dovuto provvedere al loro sostentamento col proprio patrimonio. Per rendere efficaci queste indicazioni il De Ciocchis prescrisse in particolare: che nessuno poteva essere ammesso allo stato clericale se, per almeno due anni, non fosse stato istruito nelle discipline civili ed ecclesiastiche in un seminario; che l’ordinazione ad titulum patrimonii poteva essere conferita solo se rispondeva ad un reale bisogno della Chiesa; che il vescovo doveva stabilire, per ogni centro abitato della diocesi, il numero massimo di chierici e doveva esporre questi elenchi nella cancelleria vescovile, in modo che tutti potessero venirne a conoscenza53. Il visitatore si mostrò dissenziente anche sullo status giuridico dei cappellani amovibili: il vescovo doveva sceglierli mediante concorso e dopo la nomina avrebbe potuto rimuoverli solo per giusto e grave motivo, secondo le prescrizioni delle norme canoniche. I cappellani sacramentali di Catania non avevano un reddito sufficiente e questo comportava danno per le anime e gravi inconvenienti nel culto; poiché il Conte Ruggero aveva concesso alla mensa vescovile di Catania le decime dovute ai parroci, spettava al vescovo dare una congrua retribuzione ai cappellani sacramentali54. c) Seminario

Nelle prime relazioni il galletti non si era soffermato a descrivere lo stato del seminario e non aveva fatto conoscere i suoi progetti su questo istituto, che stava particolarmente a cuore alla Santa Sede. le preziose notizie sul seminario sono contenute in una lettera integrativa della relazione del 1734. la Congregazione, notando questa lacuna,

53 J. a. DE CIOCChIS, Sacrae regiae visitationis, cit., 30. Il 26 settembre 1736 erano state emanate dal re disposizioni molto precise per l’ammissione dei canditati allo stato clericale e agli ordini sacri. Il galletti le promulgò in diocesi con un suo editto e ne ordinò l’osservanza (Editti 1735-1748, fol. 9v-11r); non sappiamo se poi ne tenne conto. Il suo successore, descrivendo le tristi condizioni in cui trovò la diocesi di Catania, fece rilevare l’eccessivo numero del clero e il suo decadimento morale e intellettuale (vedi infra rel. 1762, fol. 11r-12r). 54 ibid., 35.

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aveva chiesto al vescovo di colmarla e il galletti, scusando la dimenticanza, trasmise una breve storia del seminario con i dati relativi al suo stato, raccolti nel corso della visita55. Dopo aver visitato la cattedrale, egli si era recato in seminario e aveva ispezionato tutti i locali, compreso il carcere «previsto per punire le mancanze più gravi» e la biblioteca, che aveva subito non poche traversie negli anni dell’interdetto56. Dalle notizie del vescovo si ha l’impressione che questo istituto avesse superato la grave crisi degli anni precedenti57 e si avviasse a realizzare il modello voluto dalla Santa Sede, anche se ancora non era in grado di accogliere tutti i candidati allo stato clericale e agli ordini sacri. Non devono trarre in inganno, infatti, gli ottanta alunni che esso accoglieva, perché in questo numero sono inclusi i convittori, che vivevano in seminario ma frequentavano le scuole pubbliche o l’Università58. Il problema di fondo resta sempre quello del patrimonio, che non sembra ancora sufficiente al mantenimento di una struttura così onerosa; infatti solo 12 alunni sono mantenuti gratuitamente, mentre tutti gli altri devono pagare ogni anno una retta di 30 once59. Il vescovo informa la Congregazione che ha rivisto le regole e ha predisposto orari più funzionali60. Il seminario non ha scuole proprie e i seminaristi frequentano i corsi scolastici presso il collegio della Compagnia di gesù; ove due maestri sacerdoti li aiutano nello studio delle varie discipline: «grammatica, retorica, filosofia, teologia speculativa e morale. gli alunni due volte al giorno, dinanzi ai suddetti maestri, ripetono alcune materie; una volta la settimana Rel. 1734, fol. 427r-428r. ibid., fol. 427v. Notizie sulla biblioteca e sull’archivio Storico del Seminario di Catania si trovano in g. ZITO – C. SCalIa, Fonti per la storia, cit. 57 Rel. 1717, fol. 384v-385r. 58 I convittori, pur vivendo nello stesso seminario e osservando gli stessi orari dei seminaristi, avevano un prefetto distinto e non indossavano la talare di colore ceruleo; la loro retta annuale era di 45 once, ma veniva loro assicurato un esperto in diritto canonico e civile come aiuto nello studio delle materie universitarie (rel. 1734, fol. 427v-428r). 59 ibid., fol. 427v. la retta degli alunni, che erano mantenuti gratuitamente in seminario, veniva pagata da alcune città. Quando si rendevano vacanti questi posti, il vescovo indiceva un concorso con un pubblico editto. vedi un editto del 31 marzo 1737 per un candidato nato a Paternò (Editti 1735-1748, fol. 13v) e uno per tre alunni di Catania del 1742 (ibid., fol. 36v-37r). 60 Rel. 1734, fol. 427v-428r. 55 56

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si fa l’esercitazione scolastica di compendio»61. I superiori, la deputazione tridentina e il personale sono scelti con cura dal vescovo, che segue da vicino la vita dell’istituto62. d) istruzione dei fedeli e del clero

I punti di forza del programma pastorale del galletti erano costituiti dalla formazione cristiana dei fedeli e dall’aggiornamento teologico dei sacerdoti. Secondo la prassi seguita dalla Compagnia di gesù, le vie maestre da seguire erano: le missioni popolari, le scuole di catechismo e i casi di coscienza che il galletti, nelle sue relazioni, con una espressione ridondante chiama «scuole di teologia morale»63. — Missioni popolari

le missioni popolari si ricollegano alla predicazione itinerante, che si affermò in Europa nell’età gregoriana, a partire dalla fine del secolo xI, e si diffuse con l’avvento degli ordini mendicanti64. Nel periodo della con-

ibid., fol. 428r. In questo contesto, nella formazione intellettuale del clero venivano riproposti i vecchi modelli che si rifacevano alla scolastica e alla controriforma; non esistevano, infatti, le condizioni perché nel seminario di Catania si affermassero i nuovi fermenti culturali, che da tempo si erano già manifestati in Sicilia. a tal proposito si legga il giudizio formulato, a metà dell’Ottocento, da uno scrittore catanese: «Nonpertanto a misura che la scolastica spariva in Sicilia, Catania la veniva raccogliendo nel suo seno, e la conservava in tutta la sua pomposa bruttezza: quindi quella, tenace quanto la vita del vescovo galletti, osava ancor contrastare l’ingresso qui alle nuove dottrine; se non che con la morte di quel vecchio prelato, — che recato avea seco nel clero di Catania tutti gli errori della vecchia sapienza, — la scolastica ebbe tomba con lui» (f. DI fElICE, Cenni biografici di scrittori ed artisti viventi catanesi, I/1, Catania 1848, 64). 62 Rel. 1734, fol. 428r. 63 Rel. 1730, fol. 400r, 401v, 402r, 402v; rel. 1731, fol. 405v, 406r-v, 407r; rel. 1734, fol. 422r, 423r, 424r, 424v, 425r. 64 In contrapposizione alla predicazione dotta, che amava il fasto dell’apparato ecclesiastico e indulgeva alle sottigliezze scolastiche, il predicatore itinerante (o il missionario apostolico), viaggiava a piedi, vestiva umilmente, chiedeva dalla pubblica carità il pane quotidiano e si sforzava di coinvolgere i suoi ascoltatori attraverso un linguaggio semplice, ma forte ed efficace: a. flIChE – Ch. ThOUZEllIER – y. aZaïS, La Cristianità romana, cit., 235277; f. kEMPf – h.g. bECk – E. EWIg – J.a. JUNgMaNN, il primo medioevo (Viii-xii secolo), 61

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troriforma le missioni popolari si svilupparono soprattutto ad opera dei gesuiti e dei cappuccini65. Il modello seguito dai gesuiti si ispirava agli esercizi spirituali di s. Ignazio, ma non prevedeva solamente le prediche in chiesa, fatte secondo i principi dell’oratoria tradizionale: il predicatore, anzitutto, sceglieva quei temi che riteneva più idonei ad infiammare gli animi (il peccato, i castighi di Dio, la morte, il giudizio, l’inferno…) e per raggiungere il suo scopo faceva ricorso ad una particolare scenografia fatta di luci sapientemente attenuate, di teschi e di cenere. alle prediche seguivano flagellazioni pubbliche degli astanti (prima si facevano uscire le donne), processioni con persone incatenate o striscianti per terra, suoni di campanacci, musiche, rappresentazioni sacre… Erano previsti corsi di catechismo per bambini e adulti. Si organizzavano incontri di riconciliazione fra persone che notoriamente erano in discordia, visite alle carceri, pranzi per i poveri, processioni per la prima comunione dei bambini. Perché il frutto delle missioni perdurasse nel tempo si istituivano congregazioni e si invitavano i fedeli a iscriversi ad esse, per seguire le pratica di pietà e di carità prescritte dagli statuti66. Il galletti, durante la sua prima visita pastorale, aveva già progettato una missione da tenere in tutta la diocesi. a conclusione della relazione del 1730 così scrive: «a questa mia visita nel prossimo mese di novembre ne seguirà un’altra che non sarà inferiore per l’utilità spirituale delle anime. Si tratta della sacra missione che terrà in tutta la diocesi il p. antonino finocchio, missionario apostolico della Compagnia di gesù; in essa, oltre alle assidue prediche, alle altre esercitazioni, ai commenti delle cose che portano alla salvezza, saranno proposti pubblicamente gli esercizi spirituali di s. Ignazio di loyola, secondo la prassi dei missionari della Compagnia di gesù; in tal

in Storia della Chiesa, diretta da h. Jedin, cit., Iv, 584-600; h. WOlTER – h.g. bECk, «Civitas» medievale, cit., 242-259; l. IRIaRTE, Storia del francescanesimo, Napoli 1982, 183-193; h. vICaIRE, Storia di S. Domenico, Roma 1983, 564-587. 65 E. PRéClIN – E. JaRRy, Le lotte politiche e dottrinali, cit.; S. PaOlUCCI, Missioni dei Padri della Compagnia di Gesù nel Regno di napoli, Napoli 1651; a. gUIDETTI, Le missioni popolari, cit.; C. CaRgNONI, La predicazione dei frati cappuccini, cit.; g. DE ROSa, Linguaggio e vita religiosa, cit. 66 a. gUIDETTI, Le missioni popolari, cit., 63-80; g. DE ROSa, Linguaggio e vita religiosa, cit., 195-210.

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modo le verità evangeliche da me piantate per tutta la diocesi saranno irrigate dal sudore di questo apostolo»67.

la missione prese l’avvio dalla città di Catania subito dopo il terremoto del 18 novembre 1731. Il vescovo fece stampare una relazione di queste missioni e si premurò di inviarla alla Congregazione del Concilio, in risposta alla lettera che lo informava dei reclami pervenuti contro il suo operato68. Sperava, in tal modo, di correggere l’immagine negativa che la Congregazione poteva essersi formata in seguito alle accuse dei suoi diocesani69. Il racconto dell’anonimo cronista descrive minutamente lo svolgimento della missione: «Il giorno di lunedì appena terminata l’ora di pranso si disposero nel gran piano di S. agata molti confessionali: ne’ quali non solo e religiosi e secolari confessassero, ma anche con singolare esemplarità il medesimo vescovo, come per tutto quel giorno ed il martedì seguente fu posto in pra-

Rel. 1730, fol. 403v. Nei registri della curia sono annotate le particolari facoltà concesse al p. antonino finocchio, che doveva predicare le missioni in tutta la diocesi (Tutt’Atti 1730-1731, fol. 110v-111v). Sulla figura di questo predicatore apostolico vedi: a.M. COlTRaRO, Ristretto della vita del p. Antonio Finocchio della Compagnia di Gesù, missionario, Palermo 1761; a. gUIDETTI, Le missioni popolari, cit., 165-166. 68 «ho già incominciato ad attuare ciò che avevo promesso di fare alla Congregazione dopo la conclusione della mia visita; e cioè di iniziare le sacre missioni per tutta la diocesi, a partire dalla cattedrale, in occasione del tremendo terremoto, che nel novembre scorso squassò con incredibile terrore gran parte della Sicilia. Il rev. p. antonio finocchio della Compagnia di gesù e il p. Domenico ferrara, napoletano, dei frati predicatori, hanno dato inizio a predicazioni, pubbliche processioni penitenziali e altri pii esercizi per sedare l’ira divina, con grandissimo frutto per le anime, come è possibile constatare, se le Eminenze vostre lo vorranno, dalla relazione a stampa che ho osato inviare tramite il mio agente Santo Teodoro Mani» (rel. 1731, fol. 411r). Copia del fascicolo a stampa di questa relazione si trova nella biblioteca civica di Catania, Relazione distinta della S. Missione fatta in questa città di Catania in quest’anno 1731 per ordine di Monsignor illustrissimo e Reverendissimo D. Pietro Galletti, Vescovo della suddetta Città, dalli 18 novembre sino alli 16 dicembre, in occasione del tremuoto, Catania 1731. 69 Nella sua autodifesa, dopo il reclamo presentato da un canonico della cattedrale, il galletti scrive: «Io senza che intendessi recar pregiudizio alla felice memoria, zelo e disciplina che viarono i luminari maggiori dei miei Predecessori, per la riforma del gregge di questa diocesi posso con ragione dire, che in tempo del loro governo non mai si viddero sì strepitose missioni, come ultimamente a mie ricerche si fecero qua in circostanza dell’accaduto terremuoto in novembre, oltre quelle per tutta la diocesi, che hanno partorito tutte riforme di costumi, mutazioni di vita e profitto universale delle anime» (Controversia, 192r). 67

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tica. fra questo mentre il p. antonino finocchio, gesuita, per ordine del Prelato, conducendo seco alcune persone, col Crocifisso girò la città per radunare la gente al sudetto piano di S. agata ed ivi ascoltare la predica; ed infatti circa le ore 22 col suo gran zelo cominciò talmente a commuovere gli animi di tutti gli ascoltanti che altro non si sentì se non pianto universale ed altro non si osservò, se non continuato concorso alle confessioni sino la sera molto tardi»70.

alla prima predica del lunedì seguì il giorno dopo la processione penitenziale:

«la mattina si dispose una numerosa processione di penitenza, in cui intervennero tutti gli ecclesiastici regolari e secolari, tutte le congregazioni con corona di spine sul capo, corda al collo ed in ultimo Monsignor Illustrissimo, che portava la sacra Reliquia della mammella della gloriosa vergine e martire S. agata concittadina e protettrice di questa città di Catania, portava le aste del baldacchino l’illustrissimo senato e dopo questo seguitava un popolo sì numeroso, che a commun credere avanzava le 12.000 persone»71.

Nei giorni seguenti al p. antonino finocchio si affiancarono due missionari apostolici domenicani: il p. Domenico Serio della Saracena72 e il p. Domenico ferrara, che predicarono turni di esercizi spirituali per le diverse categorie di persone in alcune chiese della città: cavalieri, dottori e procuratori, dame, mercadanti e negozianti. la relazione si chiude con un ringraziamento a Dio e al vescovo 70 Relazione distinta, cit., 5. Questo racconto ricalca il metodo che il p. finocchio di solito seguiva nelle missioni, così come è descritto dal suo biografo (a.M. COlTRaRO, Ristretto della vita, cit., 17-24). 71 L. c. Il numero riportato è chiaramente esagerato se si considera che la città di Catania, nella visita regia del 1743, risulta che contasse 23.264 abitanti (J.a. DE CIOCChIS, Sacrae regiae visitationis, cit., 19). 72 In un suo volume, che ebbe molte edizioni, è descritto il metodo seguito nelle missioni popolari da lui predicate: D. SERIO DElla SaRaCENa, Esercizi di missione, opera del P.F. Domenico Serio della Saracena, lettore di theologia e nella diocesi di Carpaccio e Tricarico, già consultor del Sant’uffizio, dell’ordine dei predicatori, Napoli 1724.

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«che per la salute spirituale delle sue pecorelle sebbe chiamare uomini apostolici, assistendo sempre a tutte le missioni; acciò di lui si verificasse che sa pascere il suo gregge verbo et exemplo»73.

— Catechismo

Nelle relazioni ad limina del galletti, i due richiami costanti, che troviamo per ogni centro abitato da lui visitato, riguardano le scuole di catechismo e di teologia morale. Da questi riferimenti e dalle regole della congregazione per la dottrina cristiana, fondata a Catania nel 173574, possiamo ricostruire per sommi capi il piano pastorale del vescovo sulla catechesi. la sua iniziativa non sembra originale, perché si inserisce nel movimento catechistico formatosi nelle diocesi siciliane nella prima metà di questo secolo75, né tanto meno può essere considerata riformista, perché il galletti era ancorato alla prassi tradizionale dei gesuiti, che adottava il catechismo romano del bellarmino76. Egli, comunque, sembra animato dalla ferma volontà di assicurare l’istruzione cristiana secondo i metodi allora ritenuti validi. Considerato l’analfabetismo della quasi totalità della popolazione, si preferiva l’uso del

73 Relazione distinta, cit., 14. al p. ferrara il galletti affiderà anche il compito delicato di riportare la disciplina religiosa nel monastero benedettino femminile di Santa lucia nel comune di adernò (rel. 1734, fol. 424r). Sulle condizioni di vita di questo monastero si veda il volume di l. SCalISI, Obbedientissime ad ogni ordine. Tra disciplina e trasgressione: il monastero di Santa Lucia in Adrano. Secoli xVi-xViii, Catania 1998. 74 le Regole, istruzioni e capitoli […] della Venerabile Congregazione della Dottrina Cristiana fondata in questa città di Catania l’anno del Signore 1735, conservate nell’archivio Storico del Seminario di Catania, sono state pubblicate da a. COCO – S. SOfIa, Teologia e catechesi nell’episcopato di Pietro Galletti. La congregazione della dottrina cristiana (Catania 1735), in Synaxis 16 (1998) 219-281. 75 l’arcivescovo di Palermo g. gasch aveva istituito nel 1721 una congregazione della dottrina cristiana, che servì da modello per iniziative analoghe nelle altre diocesi della Sicilia. Il galletti in quegli anni svolgeva il ministero di parroco a Palermo, perciò poteva contare su una propria esperienza specifica in materia. Per la problematica della catechesi in Sicilia nel secolo xvIII vedi: g. DI faZIO, Salvatore Ventimiglia e il rinnovamento della catechesi nel Settecento, in Orientamenti sociali (1981) 63-102; ID., Vescovi riformatori e cristianizzazione della società nella Sicilia del Settecento, in Synaxis 2 (1984) 447-472; l. la ROSa, Storia della Catechesi, cit., 131-188. 76 «ho ordinato che ogni domenica, nella cattedrale, in mia presenza, i padri della Compagnia di gesù, secondo il loro metodo, spiegassero i primi elementi della dottrina cristiana a tutti gli alunni delle scuole e ad una grandissima folla di cittadini» (rel. 1730, fol. 398r).

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siciliano77 e ci si affidava alla memoria, per far sì che gli elementi ritenuti fondamentali della dottrina cristiana diventassero patrimonio personale di ogni fedele78. Nella relazione del 1737 il vescovo scrive di avere pubblicato e diffuso nella diocesi un suo catechismo79. Negli statuti della congregazione della dottrina cristiana è descritto il metodo che i catechisti devono seguire: «assignato già il Padre il suo luogo […], cominci la istruzione suggerendo a poco a poco, de verbo ad verbum senza nessuna mutazione, le parole della nostra Dottrina; e non passino innanzi se prima non avranno i figliuoli imparata la prima parte e le prime petizioni; ed accorgendosi che le sappiano, passerà alle altre dimande e così successivamente, non curandosi tanto di spedire tutta la Dottrina in un giorno, ma che insegnino quel tanto di che saranno capaci li ragazzi, replicando più volte l’istesse interrogazioni, finché l’apprendano bene»80. «Il Padre sudetto sedendo aprirà il libretto della Dottrina e senza mutare le parole, tali quali sono, di parola in parola, senza glossare, spiegare o predicare, in tono familiare e con pausa l’insegnerà alli figliuoli»81.

Si tratta di un metodo che si fonda su una fiducia illimitata e quasi magica della formula imparata a memoria. Il catechista non deve far conoscere le verità della fede attraverso un linguaggio idoneo alla cultura degli ascoltatori, né tanto meno deve preoccuparsi di spiegare prima il senso delle formule che deve insegnare; suo compito esclusivo è ripetere meccanicamente le formule contenute nel compendio; si riterrà soddisfatto quando tutti le hanno imparate a memoria. Nelle relazioni non troviamo elementi utili per conoscere l’organizzazione delle scuole di catechismo fondate nei diversi centri della diocesi. Responsabili di queste scuole erano i parroci82 o un incaricato dal

77 Per i problemi legati all’uso del siciliano nella catechesi e nella predicazione vedi f. lO PIPaRO, Sicilia linguistica, cit., 733-807: 751-758. 78 «Perché i fanciulli e gli analfabeti apprendano e ritengano facilmente, spiegano ad alta voce e in dialetto le verità insegnate» (rel. 1737, fol. 431r). 79 «ho stampato a mie spese un compendio della dottrina cristiana sempre in dialetto e l’ho diffuso ampiamente fra i cappellani curati in tutta la diocesi» (l. c.). Nelle biblioteche catanesi non ho trovato copia di questo catechismo. 80 Regole, c. 20 § 10 (a. COCO – S. SOfIa, Teologia e catechesi, cit., 269). 81 Regole, c. {78}, § II (ibid., 275). 82 «ho stabilito che tutti i parroci, ogni domenica, con grande costanza istruissero i fanciulli e il popolo nei primi elementi della dottrina cristiana» (rel. 1730, fol. 399r). «ho

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vescovo83. Non sappiamo se anche nelle altre città erano state fondate le congregazioni della dottrina cristiana. Sembra, però, che nei diversi centri abitati fosse possibile contare su un certo numero di catechisti disposti a recarsi anche nelle campagne per raggiungere i pastori o i contadini84. al tema della catechesi era collegato un altro problema, al quale la letteratura specializzata non ha prestato sufficiente attenzione: il controllo esercitato dal vescovo sull’insegnamento catechistico nelle scuole pubbliche. Nelle costituzioni della congregazione della dottrina cristiana fondata dal galletti, il capitolo xxI tratta «di un’altro obligo» dei congregati: «d’invigilare ad aver cura delle scuole publiche» maschili e femminili85. Era previsto un controllo più frequente per le scuole femminili; mentre per le scuole maschili troviamo indicazioni generiche, per quelle femminili si specifica: «si rimette al Padre Prefetto l’osservanza di questa regola con inviare di tanto in tanto, ovvero ogni mese e come meglio può pratticarsi, due Padri almeno, or ad una, or ad un’altra di dette scuole di femine […]. andando in dette scuole […] procurino di osservare i deportamenti delle maestre verso le figliuole nelle cose della Dottrina, per vedere se le dette maestre compiscono col suo obligo di ammaestrare le discepole nelle cose spettanti alla Dottrina ed osservando qualche disordine ne diano al Padre Prefetto la notizia, acciò questi ne facci consapevole Monsignor Illustrissimo per dare gli opportuni rimedi»86.

istituito nelle singole parrocchie la scuola di catechismo per la comune utilità degli incolti» (ibid., fol 401v). «Per aiutare i fedeli incolti ad imparare la dottrina cristiana comminai al parroco le pene previste dai sacri canoni» (rel. 1731, fol. 407r). «ho istituito una scuola di catechismo nelle chiese sacramentali» (ibid., fol. 407v). 83 «ho nominato un prefetto per l’insegnamento della dottrina cristiana ai bambini incolti» (rel. 1737, fol. 432r). «ho deciso di nominare come prefetti della dottrina cristiana persone che si distinguevano non solo per dottrina e integrità di costumi, ma per prudenza ed esperienza di vita» (rel. 1739, fol. 442r). 84 «Oggi a tutti è noto il vivo desiderio per lo studio del catechismo che c’è nella mia diocesi, anche nei giovani della campagna. Non mancano operai evangelici dediti al difficile compito della loro istruzione; abbandonate le città e i paesi, si recano nelle abitazioni dei pastori e fanno di tutto per preparare i giovani della campagna non solo a ricevere i sacramenti, ma a istruirsi nei cinque capitoli fondamentali della dottrina cristiana, nei quali il nostro catechismo cattolico si compendia. Credo, perciò, che questi bambini possano a ragione essere paragonati al granello di senape, che è il più piccolo fra i semi degli ortaggi, ma è destinato a diventare un grande albero per la diffusione della sacra dottrina e dei misteri della fede presso gli stessi parenti» (rel. 1739, fol. 442v). 85 Regole, c. xxI, §§ 1-2 (a. COCO – S. SOfIa, Teologia e catechesi, cit., 270). 86 L. c.

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— Casi di coscienza

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Nella sua prima relazione il galletti, dopo aver informato la Santa Sede che ha ripristinato l’insegnamento del catechismo, caduto quasi in disuso e trascurato, scrive che non ha «adoperato minore impegno ed entusiasmo nel promuovere negli ecclesiastici lo studio della teologia morale»87. Questo studio, secondo la tradizione dei gesuiti e la prassi comune, coincideva con la lettura dei casi di coscienza; perciò il galletti, nelle sue relazioni, adopera come sinonimi le due espressioni: «scuola di teologia morale» e «lettura dei casi di coscienza». all’origine di questa impostazione del problema c’era il decreto dottrinale del Concilio di Trento del 1551, che considerava la confessione come un tribunale in cui il penitente, in qualità di reo, doveva confessare tutti e singoli i peccati mortali e le circostanze che ne mutavano la specie, e il confessore, in qualità di giudice, doveva valutare la loro gravità prima di dare l’assoluzione88. Nacque, in tal modo, la morale casistica o studio dei casi di coscienza, che non si preoccupava di ricercare i fondamenti etici dell’agire cristiano, ma partiva dall’analisi dei diversi casi possibili di comportamento con il duplice scopo di aiutare la coscienza dei fedeli a formulare indicazioni facili e sicure, e di agevolare il compito del confessore nel dare un giudizio di assoluzione o di condanna89. Si deve a questa impostazione metodologica la perdita dello specifico cristiano per la teologia morale e lo sviluppo del probabilismo90 e del lassismo, che con le polemiche antigesuitiche determinarono l’affermazione del Rel. 1730, fol. 398r. Sess. xIv, c. 5, COeD, 705-707. 89 la casistica non era l’unico metodo di studio della teologia morale seguito nelle Università; tuttavia con la fondazione dei seminari finì con l’affermarsi come insegnamento rispondente ai bisogni della pastorale sacramentaria. Nella ratio studiorum si privilegiarono le questioni pratiche e nei corsi di aggiornamento per il clero, che per la sua scarsa preparazione non era in grado di affrontare grandi problemi dottrinali, lo studio dei casi di coscienza finì per diventare l’unico approccio dei sacerdoti agli studi teologici. Su questo tema vedi: g. aNgElINI – R. valSECChI, Disegno storico della teologia morale, bologna 1972; l. vEREECkE, Storia della teologia morale, in g. PIaNa – S. PRIvITERa (curr.), nuovo dizionario di teologia morale, Milano 1990, 1314-1338. 90 Th. DEMaN, Probabilisme, in Dictionnaire de Théologie Catholique, xIII, Paris 1936, 417-619. 87 88

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rigorismo e dell’etica giansenista, fondata su una visione negativa dell’uomo91. Il piano che il galletti attuò a Catania fin dall’inizio del suo governo pastorale prevedeva la lettura regolare e sistematica dei casi di coscienza per il clero nei centri abitati della diocesi. Tutto il clero era obbligato a partecipare se non voleva incorrere nelle pene canoniche stabilite dal vescovo92. Nei centri in cui sorgevano case o collegi dei gesuiti affidò a loro la responsabilità di organizzare e tenere questi corsi93; in mancanza dei gesuiti si affidò a persone competenti di altri ordini religiosi o al clero diocesano94. In tal modo appare pacificamente accettata anche dagli altri ordini religiosi la prassi di aggiornamento nella teologia mediante la casistica. — Scuole di canto gregoriano

Per comprendere la personalità del galletti in tutte le sue componenti ci sembra doveroso segnalare il suo interesse per il canto gregoriano che, nonostante i gusti barocchi dell’epoca, ci fa intuire un suo amore per la tradizione classica. Dalle sue relazioni risulta la fondazione di scuole di canto gregoriano a Piazza e ad acireale95.

91 Durante gli anni di governo pastorale del galletti anche in Sicilia fu molto accesa la polemica contro i gesuiti, il loro metodo di studio della teologia e la difesa a oltranza delle tesi della controriforma. ad una di queste polemiche partecipò anche il domenicano Daniele Concina (D. SCINà, Prospetto della storia letteraria, cit., II, 147-179), oppositore della casistica e fautore di un diverso approccio metodologico alla teologia morale. Su questo personaggio si veda: S. CONSOlI, Morale e santità. Metodologia per una morale teologica secondo D. Concina, Roma 1983; ID., Antropologia e morale. il pensiero e l’esperienza di Daniele Concina O. P., in Synaxis 7 (1989) 139-170. 92 «I bisogni del mio gregge e il dovere che sento per la sua cura, nel corso della mia precedente visita fatta il 15 maggio 1736, mi hanno spinto a istruire il clero nella teologia morale; perciò, dovunque ho istituito lettori di questa disciplina e ho comminato pene a quei chierici che non partecipavano alle lezioni» (rel. 1739, fol. 442r). 93 a Catania i corsi si tenevano sia nel collegio della Compagnia di gesù, sia nella cattedrale, ogni giovedì (rel. 1730, fol. 398r). anche a Piazza e ad Enna il clero doveva recarsi nel collegio dei gesuiti (ibid., fol. 399v, 401v). 94 ad adernò e a biancavilla affidò i corsi ad un francescano dell’osservanza (rel. 1731, fol. 406r-v), a Paternò ad un domenicano (ibid., fol. 407r). In altri luoghi scrive genericamente: «ho nominato un lettore di teologia morale» (rel. 1737, fol. 432r) anche nei piccoli centri del bosco etneo, dove non esistevano case religiose, furono istituite «scuole di teologia morale» (rel. 1734, fol. 422r). 95 Rel. 1730, fol. 399v; rel. 1731, fol. 407v. Per il tema del canto sacro vedi

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e) La disciplina dei monasteri femminili

alla situazione generale di crisi della diocesi di Catania non sembra fossero sfuggiti i monasteri femminili. Nella prima visita pastorale il galletti annota il suo intervento in diversi monasteri96. Intervenne con particolare energia a Piazza e ad adernò. Nella prima città le monache di San giovanni e di Santa Chiara non osservavano più la vita comune e nel monastero della Santissima Trinità una monaca dimostrava una eccessiva familiarità con un nobile del luogo97. ad adernò trovò una situazione particolarmente grave nel monastero di Santa lucia, «che aborriva la vita comune e la povertà, e sembrava tutto proteso ad esercitare il commercio a favore dei parenti»98. Se fin dalla seconda visita pastorale la situazione generale sembrò tornare alla normalità, fu necessario un particolare intervento per estirpare gli abusi nel monastero di adernò99. I problemi non furono definitivamente risolti se il galletti, in tutte le sue relazioni, sentì il bisogno di affrontare di nuovo questo argomento100.

f. RaINOlDI, Canto e musica, in D. SaRTORE – a.M. TRIaCCa – C. CIbIEN (curr.), Liturgia, Roma 2001, 303-319 e la bibliografia ivi indicata. 96 Piazza (San giovanni, Santa Chiara e Santissima Trinità), rel. 1730, fol. 399r; aidone (Santa Caterina), ibid., fol. 139v; Enna (San Michele), ibid., fol. 400v; assoro (Santa Chiara), ibid., fol. 401v; adernò (Santa lucia), rel. 1731, fol. 406r; acireale (Sant’agata), ibid., fol. 408r. 97 «Poiché ero stato informato che nel monastero della Santissima Trinità una monaca era legata da vincoli di eccessiva familiarità e frequenza con un certo nobile, cose indegne dello stato religioso, prima cercai di convincerla con avvertimenti salutari, poi con la minaccia delle pene canoniche perché si astenesse da quella familiarità; ma poiché tutto ciò non servì a nulla la colpii con il fulmine della scomunica» (rel. 1730, fol. 399r). 98 Rel. 1731, fol. 406r. le norme emanate il 24 luglio 1732 per riportare l’osservanza in questo monastero si trovano in Tutt’Atti 1731-1732, fol. 400v-401v. 99 «l’anno precedente con improba fatica avevo liberato questo monastero dal commercio, dalla smodata libertà e dall’eccessivo numero di serve, giovandomi dell’opera e dello zelo del mai lodato abbastanza p. Domenico ferrara, domenicano, missionario apostolico. Questi, facendo le mie veci, cacciò via i laici e il gran numero di serve e riportò le monache all’osservanza della regola e alla vita comune» (rel. 1724, fol. 424v). 100 «Questo monastero per la cattiva condotta di alcune monache ha dato non poco scandalo al popolo; perciò, con tutte le mie forze mi sono impegnato a riformarlo. ho istruito le monache con diversi corsi di esercizi spirituali di s. Ignazio, predicati dai padri della Compagnia di gesù, inviati appositamente da me; ho proibito i colloqui con i secolari e gli ecclesiastici, ad eccezione dei consanguinei in primo e secondo grado, che potevano avvenire solo una volta la settimana; ho fatto apporre alle finestre le grate di ferro più strette di

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f) istituzioni di carità

Pietro Galletti (1729-1757)

— Conservatori e Collegi di Maria

Nelle relazioni del galletti si ha una testimonianza della presenza, in vari centri della diocesi, di istituti per l’educazione e la formazione di ragazze. Si tratta dei conservatori e dei Collegi di Maria, due istituzioni molto simili nelle finalità e nella struttura. I conservatori potevano assumere configurazioni diverse: orfanotrofi e ricoveri per bambini senza casa o istituti di beneficenza, in genere mantenuti dalla carità pubblica; conventi femminili senza clausura e senza voti, mantenuti da elemosine e fondi pubblici, aperti alle fanciulle povere e senza dote. Si trattava di una delle tante iniziative di carità, sorte all’inizio dell’età moderna per prevenire i pericoli ai quali erano esposte, in modo particolare, le ragazze. alle ricoverate si dava una formazione religiosa e si insegnava un’attività consona alla loro condizione: taglio e cucito, ricamo, arti femminili in genere101. I Collegi di Maria si proponevano un analogo scopo di educazione e di istruzione della gioventù femminile, e dal lazio, in cui erano nati nel 1721, si erano diffusi particolarmente in Sicilia, con una regola generale preparata dal card. Pietro Marcello Corradini, ma con statuti particolari per ogni diocesi102. Proponendosi di risolvere uno dei problemi sociali molto sentiti (l’educazione e la formazione delle ragazze), i Collegi di Maria furono accolti con favore e gli stessi feudatari si adoperarono per fondarli nelle terre soggette alla loro autorità. Non sappiamo se il galletti, nelle sue relazioni, adoperi una terminologia univoca per indicare orfanotrofi e conservatori. Comunque egli quelle che già c’erano; dopo avere stabilito la pena ai trasgressori ho esortato tutte all’osservanza delle regole» (rel. 1737, fol. 433v). Ma nella relazione successiva annota: «Nella mia precedente visita mi ero impegnato, con tutte le mie forze, a ricondurre all’osservanza delle regole questo monastero, che la cattiva condotta di alcune monache aveva discreditato. Quando mi fu riferito che, di proposito o per caso, erano state divelte le grate di ferro strette che io avevo fatto apporre alle finestre, volli che venissero rafforzate con il piombo e ho comminato la scomunica perché nessuno più osasse rimuoverle» (rel. 1739, fol. 445r-v). Per altri interventi vedi rel. 1746, 466r; rel. 1751, fol. 477v. 101 T. lEDOChOWSka, Conservatorio, in DIP, II, 1627-1629. 102 g. ROCCa, Collegi di Maria, ibid., 1223; S. CUCINOTTa, Sicilia e siciliani. Dalle riforme borboniche al “rivolgimento” piemontese. Soppressioni, Messina 1996, 203-252.

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documenta la presenza di orfanotrofi nelle seguenti città: Catania103, Enna104, Piazza105. I conservatori sembrano più diffusi a Catania106, Piazza107, Enna108, Calascibetta109, assoro110, acireale111, adernò112, biancavilla113. I Collegi di Maria incominciavano ad essere istituiti in quegli anni: leonforte114, Piazza115, assoro116. — Monti di pietà

fra le opere di carità che contrassegnarono il periodo tridentino e della controriforma spiccano i monti di pietà, istituti che si prefiggevano soprattutto di combattere l’usura, concedendo piccoli prestiti su pegno alle classi meno abbienti117. l’importanza che la Santa Sede dava a questi istituti era tale, che nel processo informativo per la nomina dei vescovi, con apposite domande, si chiedevano ai testimoni informazioni sull’esistenza in diocesi del monte di pietà; in caso contrario, nella bolla di nomina, si raccomandava al vescovo neo eletto la sua erezione. abbiamo già visto che una raccomandazione del genere era stata fatta al galletti e sembra che, durante gli anni del suo governo, siano state

103 Rel. 1730, fol. 398r; rel. 1737, fol. 430v; rel. 1739, fol. 443v; rel. 1744, fol. 455r; rel. 1751, fol. 476v. 104 Rel. 1730, fol. 400v; rel. 1734, fol. 423r; rel 1737, fol. 432r. 105 Rel. 1737, fol. 431v; rel. 1739, fol. 444r. 106 Rel. 1751, fol. 476v. 107 Rel. 1734, fol. 422v; rel. 1746, fol. 465v. 108 Rel. 1746, fol. 466v. 109 Rel. 1734, fol. 423v. 110 Rel. 1751, fol. 477r. 111 Rel. 1737, fol. 433r; rel. 1746, fol. 465r; rel. 1751, fol. 477r. 112 Rel. 1734, fol. 424v; rel. 1746, fol. 466r; rel. 1751, fol. 477v. 113 Rel. 1751, fol. 477v. 114 Rel. 1737, fol. 432r; rel. 1751, fol. 477r. 115 Rel. 1739, fol. 444r. 116 Rel. 1751, fol. 477r. 117 la discussione sulla liceità di un piccolo contributo per coprire le spese di gestione dei monti di pietà (da alcuni veniva considerato comunque una forma di usura) fu troncata definitivamente nel 1515 dal Iv Concilio lateranense (COeD, cit., 625-627). l’intervento del Concilio segnò la diffusione di questo istituto. Sul tema vedi g. CONIglIO, Monti di pietà, in Enciclopedia Cattolica, vIII, cit., 1378-1380; S. DI MaTTEO – f. PIllITTERI, Storia dei Monti di pietà di Sicilia, Palermo 1973.

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fatte iniziative concrete per la sua ricostituzione. Un documento del 1736 ci informa che alcune persone

«mosse di zelo e carità, riflettendo alla necessità de’ poveri ed all’inconvenienti che resultano la mancanza d’un monte […], hanno approntato all’Ill.mo Senato di questa città certa somma da esse accumulata e ricolta per elemosina affine d’erigere in questa suddetta città il detto monte»118.

l’iniziativa fu accolta con favore dalle autorità civili; ma la somma a disposizione non era sufficiente per costruire o affittare l’edificio necessario e per pagare gli stipendi agli impiegati. Perciò si chiese al vescovo l’autorizzazione

«di poter esigere dalle persone, alle quali accommodiranno il danaro di detto monte, li frutti alla raggione del cinque per cento, per la sodisfazione di ditti salari de’ suddetti ministri e per l’edificazione o compra di detta casa. Ita che augmentandosi […] debba detto monte discalar di tempo in tempo la raggione di frutti con minorarli a corrispondenza di quel tanto che precisamente necessita»119.

Il vescovo diede il suo assenso e c’è da supporre che il monte di pietà abbia potuto riprendere la sua attività. Meraviglia che nelle relazioni ad limina non si faccia cenno dell’esistenza di questo istituto a Catania, mentre esso risulta operante nelle città di Piazza120 e acireale121. — l’ospedale degli incurabili

Nel 1755, quasi alla fine dell’episcopato galletti, per iniziativa di un gruppo di cittadini, fu istituito a Catania l’ospedale Santa Marta, destinato

Tutt’Atti 1735-1736, fol. 135v-137r; 135v. L. c. 120 Rel. 1737, fol. 431v; rel. 1739, fol. 444r; rel. 1744, fol. 455v; rel. 1751, fol. 476v. 121 Rel. 1737, fol. 433r; rel. 1739, fol. 445v; rel. 1746, fol. 465r; rel. 1751, fol. 477r. Il monte di pietà era stato fondato verso il 1555, durante l’episcopato di Nicola Maria Caracciolo; era stato accresciuto nel 1626 con le rendite del vicario abramo grassi (v. RaCITI ROMEO, Aci nel secolo xVi. notizie storiche e documenti, ristampa anastatica. acireale 1985, 56). 118 119

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ad accogliere gli ammalati cronici che, per statuto, non potevano essere accolti nell’ospedale San Marco. Questa istituzione fu giustamente salutata come un avvenimento straordinario dai contemporanei, che non mancarono di segnalare i nomi dei fondatori122. g) L’amministrazione dei beni ecclesiastici

Com’era già accaduto per tutti i suoi predecessori, l’azione pastorale del galletti s’imbatte subito nello scoglio del controllo dei registri contabili degli enti ecclesiastici e del recupero delle somme dovute per censi e legati. Nelle condizioni in cui si era trovata la diocesi di Catania negli ultimi decenni, era prevedibile il disordine amministrativo che il galletti trova nella sua prima visita pastorale. Il nostro vescovo sembra possedere buone capacità di mediazione, se riuscì a recuperare notevoli somme di denaro che gli amministratori locali consideravano già perdute: diverse migliaia di monete d’oro nella chiesa madre e nel monastero della Santissima Trinità di Piazza123, 3.000 ad aidone124, 8.000 ad Enna125, 3.000 a San filippo d’agira126. Negli anni successivi, per meglio disciplinare questa materia, decise di nominare un vicario generale per le cause pie di tutta la diocesi127. h) La nomina di inquisitore generale e il progressivo decadimento della sua azione di governo

Nel 1738 Carlo III di borbone aveva ottenuto dal papa di rendere autonoma l’Inquisizione di Sicilia, sottraendola alla giurisdizione dell’inquisitore generale di Spagna. Dovendo nominare il primo inquisitore generale, gli fu proposto il nome del vescovo di Catania Pietro galletti, che era già stato inquisitore provinciale dal 1713 al 1719128. Il nostro vescovo ebbe

122 P. CaSTORINa, Elogio storico di Monsignor Salvatore Ventimiglia, Vescovo di Catania, Catania 1888, 46-49 e f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 544-545; g. SORgE, Lineamenti, cit. 123 Rel. 1730, fol. 399r. 124 ibid., fol. 400r. 125 ibid., fol. 401v. 126 ibid., fol. 403r. 127 Rel. 1746, fol. 467r. 128 v. la MaNTIa, Origine e vicende, cit., 102.

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la nomina dal papa Clemente xII in data 3 ottobre 1738 e prese possesso del suo ufficio nel 1739, all’età di 75 anni e in condizioni di salute alquanto precarie129. Essendo stato obbligato dal suo nuovo ufficio a trasferirsi a Palermo, per tre anni affidò al vicario generale il governo pastorale della diocesi di Catania. Questo avvenimento segnò l’inizio di un progressivo decadimento della sua azione di governo, che si accentuò con il passare degli anni e l’aggravarsi delle sue condizioni di salute130. Uno scambio di corrispondenza con la Santa Sede, a proposito di gravi abusi verificatisi nei processi di nullità delle professioni religiose, ci fa intuire che la situazione diocesana era sfuggita di mano al vescovo e che alcuni collaboratori del galletti non meritavano la sua fiducia. Il Concilio di Trento aveva emanato norme precise sui processi di nullità delle professioni religiose: i vescovi e i superiori religiosi competenti potevano accogliere le domande solo se presentate entro cinque anni dalla data della professione. Trascorso questo periodo, l’interessato, per fare esaminare il suo

129 la bolla di nomina è riportata da a. fRaNChINa, Breve rapporto, cit., 201-206. Sembra che il galletti non abbia potuto esercitare in modo soddisfacente neppure l’ufficio di inquisitore. Il franchina, che era stato suo collaboratore, scrive a tal proposito: «qual’impiego esercitò per tre anni in circa, avendo la Maestà del nostro Monarca presentato a Sua Santità benedetto xIv Monsignor D. giacomo bonanno, vescovo di Patti per Inquisitore generale, stante l’avanzata età ed infermità abituali di detto Monsignor galletti» (ibid., 104). Durante il suo mandato ricevette dalla Segreteria di Stato l’ordine di condannare un’opera non meglio precisata di giannone. In una lettera del 1 giugno 1742 il galletti assicurò che non avrebbe trascurato «con tutti gli sforzi […] di eliminare la lettura dell’opera tanto venenosa del miscredente giannone» (Vescovi e Prelati 240, fol. 87r e 252r-252v). 130 gli storici catanesi sono concordi nel riconoscere la difficile situazione che si creò nella diocesi di Catania negli ultimi quindici anni dell’episcopato galletti. Il can. v. Coco, contemporaneo del galletti, nella Historia sui temporis, pubblicata da P. Castorina, scrive: «Sed in homine, extremo senio fatigato, et qui non multum firma valetudine utebatur, vidisses pariter animum mentemque consenuisse, soloque aetatis et adversae valetudinis incommodo deerant; antistiti caeteroque optimo, quae sacerdoti omnium morum censori, totiusque religionis vindici et custodi, presto esse debent, ad regendam praesertim Ecclesiam, quae tot annos tantisque casibus multa amiserat, ornamenta dignitatis suae et stabilitatis praesidia. abfuit praeterea Pontifex noster plures annos a suo gregge, designatus Panormi a Pontifice maximo quaesitor per totam Siciliam in hostes religionis; qua de re plurimum tunc Catanensis Ecclesia caepit detrimenti, nec exigua passa est morum disciplina iacturas, inter clericos praesertim; quae longa annorum serie, parum pensari potuerunt in posterum» (P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 46). Il ferrara, che formula un giudizio positivo sui primi anni del suo governo, scrive: «Negli ultimi anni sotto il peso dell’età colui che aveva onorato sé e la religione parve che avesse un’anima invecchiata come il corpo. Il clero divenne ignorante, la disciplina mancò, lo zelo disparve. lasciando fare a coloro che gli erano attorno la malvagità volle attribuire a lui le loro operazioni» (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 240).

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caso, avrebbe dovuto rivolgersi prima alla Santa Sede e ottenere la restitutio in integrum131. In Sicilia, e in particolare nella diocesi di Catania, queste norme venivano disattese: i tribunali iniziavano i processi senza verificare se il caso era di loro competenza e senza chiedere la restitutio in integrum alla Santa Sede; inoltre procedevano senza invitare come congiudice il superiore religioso. la Congregazione del Concilio, nel 1741, aveva affrontato il caso condannando gli abusi e ribadendo la validità delle norme tridentine132. Sebbene la decisione della Congregazione del Concilio fosse stata notificata a tutti i vescovi della Sicilia e ai procuratori degli ordini religiosi133, nel 1750, il galletti, in una lettera al segretario di Stato card. valenti, difese l’operato del tribunale diocesano e tentò di riaffermare il suo diritto a continuare nella prassi già riprovata dalla stessa Congregazione134. la risposta a questa lettera fu scritta dallo stesso benedetto xIv, che invitò il vescovo e il suo vicario generale a comprendere i termini della questione e a leggere attentamente una costituzione da lui stesso emanata sull’argomento il 4 marzo 1748135. Il galletti ebbe l’ardire di replicare al papa con l’ingenua pretesa d’impartire una lezione ad un maestro di diritto136. la risposta di benedetto xIv non si fece attendere e il papa nella sua lettera non nasconde il proprio disappunto: «Monsignor nostro, per carità o prima di scrivere e molto più prima d’operare, veda o almeno faccia vedere i libri da chi li sa leggere […]. Ora domanderemo a lei: a chi appartiene interpretare il Concilio di Trento? Crederessimo che non appartenesse a lei, ma a Noi o alla Congregazione del Concilio istituita da Pio Iv […]. Ella chiama osservanza quella che Noi chiamiamo corruttela ed abuso, essendo stata riprovata dalla Santa Sede ogni volta che ne ha avuto cognizione, col che pure e pel suo carattere e pe’

131 Sess. xxv, «Decretum de regularibus et monialibus», c. 19, COeD, 782. Per la normativa sui processi di nullità della professione religiosa vedi f.l. fERRaRIS, Regularis professio, in Prompta bibliotheca, cit., vI, 943-1008. 132 Libri Decret 1740, fol. 173r-177v. 133 Libri Litter 1737-1744, die 14 ianuarii 1741. 134 Vescovi e Prelati 339, fol. 30r-31v. 135 ibid., fol. 38r-39v. la costituzione di benedetto xIv Si datam è riportata dal ferraris nella trattazione citata alla nota 131. 136 ibid., fol. 40r-v.

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giuramenti dati è obbligata ad obbedire agli ordini e massime della Sede apostolica»137.

Il discorso fu ripreso dalla Congregazione del Concilio nella risposta all’ultima relazione ad limina inviata dal galletti nel 1751. Dalle confessioni di alcuni religiosi, che si erano rivolti alla Santa Sede per essere assolti dalle censure, risultava che la loro professione era stata dichiarata nulla dal tribunale di Catania dietro il pagamento di somme di denaro. Si stentava a credere ad una notizia di questo genere che metteva in cattiva luce la moralità del vescovo. Il documento, dopo avere indicato la procedura da seguire, conclude: «Speramus nullas in posterum ad Summam hanc Sedem eiusmodi accusationes contra te delatum iri, non enim Pontificiam indignationem dumtaxat incurreres, verum etiam in districtissimo iudicio, quod Episcopis maxime impendit, severissimam Divinus vindex rationem a te postulabit quorumcumque malorum, quae ex illegitimis improbatisque huiusmodi iudiciis obveniunt»138.

Dopo questi fatti la situazione sarà apparsa non più sostenibile se, nel 1756, il re pensò di proporre alla Santa Sede la nomina di un vescovo coadiutore. la notizia giunse all’orecchio del galletti ormai novantaduenne, che ritenne tale proposta un «affronto tanto più sonoro, quanto meno aspettato». In una lettera al papa del 24 giugno 1756 chiese di essere lasciato morire in pace e insinuò fra le righe un ricatto: la nomina di un coadiutore lo avrebbe costretto a lasciare Catania per far ritorno a Palermo; la probabile morte in viaggio sarebbe stata imputata all’autore di un simile provvedimento139.

ibid., fol. 41r-42v. Libri Litter Visit 1749-1751, fol. 322v-324v. 139 «Santissimo Padre, fra le molte e poi molte amarezze che con pregiudizio dell’età mia vanteggiata, a caggion dell’altrui esorbitanti procedure mi è convenuto di soffrire grave e senza pari sensibile, e che darà l’ultima spinta alla cadente mia vita, io preveggo quella che mi viene apparecchiata nel ricorso, dicesi avanzato dalla corte di Napoli, alla Santità vostra in ricerca di un vescovo coadiutore per questa mia Chiesa; dacché non ritrovandomi per divin aiuto, né reo di alcun delitto, né punto leso nelle potenze dell’anima, che tuttora godo libere e spedite, come lo dà chiaro a vedere la cotidiana sperienza nel disimpegno del proprio pastorale incarco, non posso che altamente affligermi quando rifletto che si mediti di far terminare con affronto tanto più sonoro, quanto meno aspettato, quella vita stessa che con137 138

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la morte, che nella sua lettera prevedeva ormai imminente, lo colse a mezzogiorno del 6 aprile 1757, mercoledì santo; le esequie furono celebrate il 14 aprile140; l’orazione funebre fu recitata dal benedettino Romualdo Rizzari141. Il suo corpo riposa nel mausoleo che egli stesso si era fatto erigere nella cattedrale.

sumata scorgesi più dalla fattica che dal tempo, siccome è forzato a confirmare chi sa il lungo servigio di anni 62 prestato alla Chiesa, cioè di anni 21 da parroco in S. antonio di Palermo, di anni 7 da Inquisidor provinciale del S. Officio, di altri tanti da vescovo di Patti e di anni 27 da Prelato di Catania, con aver fra questo tempo sostenuta ancora il primo per tre anni la carica di supremo Inquisidore in Sicilia. Che se poi la corte di Napoli siasi mossa a tale istanza sul mottivo che l’età mia inoltrata presso gli anni 92 m’inabilita a visitar di presenza la diocesi, siccome anco io ciò non niego, altresì però mi rendo animoso a protestare che non potendo naturalmente la mia sfruscita persona tirare più in là altra vita che di pochi mesi, se pur non saran giorni, sarebbe quindi un atto proprio della costumata clemenza del Re di Napoli il sospender prontamente la pensata risoluzione del coadiutore e farmi cossì finire in pace questo piccolo avanzo de’ giorni miei. a qual’oggetto supplico con piena umiliazione il pietosissimo grand’animo della Santità vostra perché degnar si voglia di non permettere che mi si apporti un sì grave sfreggio, che mi apprettarebbe sicuramente la morte, tanto per cagion dell’acerba pena che per il periglioso cimento ancora a cui sarà forza di espormi nel ritornare a Palermo, mia patria, giacché in caso diverso più non sarammi conveniente il dimorare qui. Io però alle tante segnalate grazie, di cui la Santità vostra malgrado ogni mio demerito ha voluto benignamente cumularmi, vado con salda fiducia a sperare che sarà per compiacersi di aggiungere ancora questa, per la quale non lascerò in quei pochi giorni che mi avanzano di moltiplicare le indegne mie preghiere al Signore, perché sia sempre propizio alla Santità vostra conservandola al par di quanto meco brama tutto il mondo cattolico, e mentre bacio con profondissima riverenza i santissimi piedi, fino alle ceneri mi rimango prosteso. Catania, 24 giugno 1756. Mi fo lecito di soggiungere humilmente alla Santità vostra che per non sogiacere al gravissimo aviso del coadiutore ed impedire altri sicessi della corte di Napoli mi contento per il residuo di vita di mantenere a mie spese per vicario generale un vescovo in partibus per supplire le mie veci tanto nella visita quanto in tutto quello che proveder non posso colla debolezza della mia nonaginta età. E qui di nuovo mi fo gloria d’impolverare la mia fronte alli santi piedi di vostra Santità. Di vostra Santità humilissimo, obbedientissimo ed indegnissimo figlio. Don Pietro galletti, vescovo di Catania» (Vescovi e Prelati 339, fol. 46r-46v). 140 «Mercoledì santo ad ore 14 in circa uscì il viatico per communicar Mons. vescovo D. Pietro galletti con molta fretta ed uscì dalla porta piccola dirimpetto al monastero di Sant’agata, entrò per il porticato del viscovato e s’introdusse dentro, dove trovammo detto monsignore senza sentimenti per essere avanzato di età d’anni 93, mesi 5 e giorni 11. alla fine per puro miracolo fece cenno di ricevere il SS.mo […]. ad ore 17 domentre si dicea il sermone per deponersi il SS.mo […] venne la notizia aver detto Monsignore galletti passato all’altra vita […]. a 14 aprile 1757 giovedì infra octavam Paschae si fece il funerale» (aCC, fondo principale, Funerali et altre occorrenze sin nel 1763, fol. 18r-19v). 141 R.M. RIZZaRI, Orazione funebre di Monsignor D. Pietro Galletti, Catania 1757. In appendice è riportata una stampa con il catafalco eretto nella cattedrale secondo lo stile del tempo.

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3. lE RElaZIONI 1751)

Pietro Galletti (1729-1757) AD LiMinA

(1730, 1731, 1734, 1737, 1739, 1744, 1746,

la rilevanza storica degli otto documenti che pubblichiamo non è proporzionale alla loro ampiezza complessiva. Come si è cercato di evidenziare, essi contengono non pochi elementi utili per delineare la figura e il periodo di governo di un vescovo, che resse la diocesi di Catania per oltre ventisette anni, in uno dei momenti più delicati della sua storia. Nel complesso, però, le sue relazioni appaiono ripetitive, lacunose e formalistiche. Nel galletti sembra prevalere la preoccupazione di dimostrare alla Santa Sede che svolgeva con impegno il suo ufficio pastorale; per il resto si limita a trascrivere i dati raccolti nelle sue visite pastorali, senza neppure porsi il problema della loro completezza o di una loro opportuna selezione, al fine di sottolineare le novità che emergevano nel corso degli anni ed evitare inutili ripetizioni142.

142 Si noti ad esempio il numero dei centri abitati raggiunti nelle sue visite pastorali. Risultano 14 nelle relazioni del 1731-1732, 46 nel 1734, 16 nel 1737, 36 nel 1739, 32 nel 1744-1746, 36 nel 1751.

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Pietro Galletti (1729-1757) xxvII

1730 – Relazione del vescovo Pietro galletti, scritta il 30 ottobre 17301.

[fol. 397r] Santissimo Padre, quando, per grazia della Santa Sede apostolica da benedetto xIII, di felice memoria, sono stato trasferito alla chiesa cattedrale di Catania e, per volontà di Colui che dal nulla ha creato ogni cosa, mi è stato affidato, nonostante i miei limiti, questo gregge dopo quello di Patti, ho avuto, come primo desiderio, di obbedire docilmente agli ordini del S. Padre ed assolvere con coraggio l’ufficio affidatomi. Tra gli altri doveri desideravo soprattutto adempiere quello di dar conto, senza alcun indugio, di tutte le realtà della Chiesa affidatami, secondo le prescrizioni delle norme stabilite dalla suprema Sede apostolica. Essendo giunto a questa nuova sede, con l’aiuto di Dio, il 18 gennaio di quest’anno 1730, sono stato accolto fuori le mura della città dal plauso gioioso e cordiale delle più alte autorità e dal popolo proveniente anche dai più lontani centri della diocesi. Entrato a Catania, sono stato presentato ufficialmente in cattedrale, dove ho reso grazie a Dio, ottimo massimo [fol. 397v], alla beata vergine Madre di Dio, a s. agata vergine e martire, concittadina di Catania e patrona della cattedrale, e a tutti gli altri Santi Patroni. a distanza di pochi giorni dal mio ingresso, dopo essermi ristabilito dai disagi di un difficile viaggio, decisi di dare inizio al mio ministero pastorale incominciando il 2 febbraio, festa della Purificazione, sotto gli auspici della SS.ma vergine, con l’assistenza pontificale e la benedizione delle candele. Ricorrendo subito dopo l’annuale festa di s. agata, che in questa città si celebra per diversi giorni con grande solennità, ho partecipato a tutte le funzioni, al pontificale, alle processioni e facendo tutto ciò che in questa celebrazione solitamente spetta al vescovo. frattanto, avvicinandosi il giorno dell’ordinazione generale, ho informato con un editto tutta la diocesi che l’avrei tenuta al tempo stabilito; come in realtà ho fatto, conferendo a molti la tonsura, gli ordini minori e quelli maggiori, secondo quanto richiedevano le necessità di ogni chiesa. Subito dopo incominciai a pensare alla visita pastorale, per rimediare

1 Rel Dioec 207 a, fol. 397r-403v. Oltre al testo della relazione, non troviamo documenti relativi a questa visita.

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agli inconvenienti determinati dalla lunga assenza del vescovo. Il 12 marzo iniziai dalla cattedrale, compiendo tutte le cerimonie prescritte dal Pontificale Romano. In essa si contano 12 canonici, altrettanti beneficiati e 5 dignità. ho trovato alcuni altari privi dell’immagine del titolare, altri talmente indecenti da non sembrare opportuno consentirvi la celebrazione della messa; inoltre molti vasi sacri non avevano la pulizia richiesta e c’erano, infine, altri innumerevoli inconvenienti del genere. Per portare immediatamente gli opportuni rimedi a tutto questo ho provveduto, a mie spese, all’acquisto immediato di quadri artisticamente dipinti, baldacchini e altri ornamenti adatti alle chiese [fol. 398r]. Dalla cattedrale, dopo aver esaminato le altre cose, mi diressi verso la regia e insigne collegiata intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, costituita da 19 canonici, 8 beneficiati e 3 dignità. visitai, inoltre, le parrocchie dei sobborghi, le congregazioni e le confraternite; ad ognuna di esse lasciai alcune prescrizioni per riparare i danni derivanti dal lungo periodo di sede vacante. Subito dopo visitai il seminario dei chierici, dove esortai i superiori a far progredire gli alunni nelle lettere e nei buoni costumi e a portare a compimento, con tenacia, la costruzione dello stabile iniziata dopo le rovine del terremoto del 1693. Poi passai all’Università degli studi, che governo con il titolo di gran cancelliere. anche qui raccomandai ai responsabili di portare al più presto a compimento la costruzione della sede. Infine visitai i singoli monasteri femminili di San giuliano, San benedetto, San Placido, Sant’agata, Santa Chiara e quello della Santissima Trinità, con l’orfanotrofio femminile e il reclusorio delle donne pentite. In tutti questi istituti mi resi conto, con grande gioia del mio animo, che ognuno era molto osservante delle proprie leggi. Esortai le monache, con diverse istruzioni, a mantenersi fedeli nell’impegno della vita religiosa e a fare dieci giorni di esercizi spirituali secondo il metodo di s. Ignazio; ho ritenuto di poter raccogliere buoni frutti dalla mia visita. Ripristinai con ottimi frutti l’insegnamento del catechismo, caduto quasi del tutto in disuso e trascurato, con grave danno dei fedeli affidatimi. Infatti ho ordinato che ogni domenica, nella cattedrale, in mia presenza, i padri della Compagnia di gesù, secondo il loro metodo, spiegassero i primi elementi della dottrina cristiana a tutti gli alunni delle scuole e ad una grandissima folla di cittadini. Non ho adoperato minore impegno ed entusiasmo nello spronare gli ecclesiastici allo studio della teologia morale, presso il collegio della Compagnia di gesù e la cattedrale, dove ogni giovedì [fol. 398v], 510


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da un teologo della stessa Compagnia, con grande soddisfazione si fanno le riunioni per la soluzione dei casi morali. ho disposto di tenere prediche e missioni, alle quali spesso ho assisto anch’io, per incoraggiare le anime ad allontanarsi dal vizio e ad avvicinarsi a Dio. Con tutti questi rimedi si è notato che molti, acquisendo abitudini più sane, si sono allontanati dai vizi. avevo notato che in città alcuni esercitavano impunemente l’usura e sordidi commerci, con grande danno e pregiudizio delle anime. Con il ricorso ai ragionamenti persuasivi e alle pene canoniche mi sono impegnato, con grande diligenza, a sradicare questi pessimi comportamenti. Date queste disposizioni per la città e portata a compimento la visita di Catania, per lo zelo che devo avere per il gregge affidatomi, senza alcun indugio decisi di raggiungere gli altri centri abitati della mia diocesi. Prima di ogni altro decisi di visitare Piazza. vicino alla città mi venne incontro una grande folla di ecclesiastici e di fedeli. la prima autorità, in compagnia di un gran numero di nobili, ordinò che si celebrasse il mio ingresso con la maggiore solennità possibile. Sono entrato in città preceduto da un corteo di congregazioni, confraternite, ordini religiosi, canonici delle due collegiate e da tutto il clero, secondo le prescrizioni del Pontificale Romano, fra l’apparato dei nobili e l’incredibile plauso dei cittadini. giunsi alla chiesa madre, dove ha sede una collegiata composta da 4 dignità, 18 canonici e altrettanti beneficiati. In essa ho disposto di eliminare gli oggetti di culto indegni o laceri e di comprarne dei nuovi a qualsiasi prezzo; come pure di portare a compimento la costruzione della chiesa, iniziata da diversi anni ma non ultimata, per colpa dei procuratori [fol. 399r] e per la negligente amministrazione dei beni. Questa negligenza era arrivata al punto da ritenersi che un’ingente somma di crediti di diverse migliaia di monete d’oro non si potesse più riscuotere ed, ormai, dovesse essere considerata definitivamente perduta. Tuttavia, con il mio impegno e con l’aiuto di Dio, quel che era perduto fu recuperato e posto al sicuro. Portata a compimento la visita della chiesa madre, mi diressi verso la chiesa collegiata del Santissimo Crocifisso, nella quale si contano 2 dignità, 12 canonici e 12 beneficiati minori. Poi visitai le chiese sacramentali filiali, le confraternite, le congregazioni, l’ospedale nei quali, con il massimo impegno, ho cercato di riformare tutto quello che ho trovato degno di correzione. Sono passato, poi, alla visita dei 5 monasteri femminili di San 511


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giovanni Evangelista, Santa Chiara, Santissima Trinità, Sant’agata e Sant’anna, dove, con grande gioia del mio spirito, ho trovato una grande disciplina della vita religiosa e una straordinaria osservanza delle leggi; poiché in due di essi, San giovanni e Santa Chiara, non era osservata la vita comune a tavola e altrove, mi sono impegnato con tutte le mie forze a rimuovere le vecchie abitudini. Prima di partire da Piazza mi resi conto che, in entrambi i monasteri, le monache avevano ripreso la vita comune. Poiché ero stato informato che, nel monastero della Santissima Trinità, una monaca era legata da vincoli di eccessiva familiarità e frequenza con un certo nobile, cose indegne dello stato religioso, prima cercai di convincerla con avvertimenti salutari, poi con la minaccia delle pene canoniche perché si astenesse da quella familiarità; ma poiché tutto ciò non servì a nulla la colpii con il fulmine della scomunica. Ispezionai i crediti dovuti al monastero (ammontavano a più di 24.000 monete d’oro) e mi adoperai perché i debitori pagassero e le somme riscosse venissero poste al sicuro. In particolare non ho voluto che si trascurasse questo, e cioè ho disposto che, per eliminare l’incompetenza nelle discipline sacre [fol. 399v] e l’ignoranza nelle cose che i chierici e i sacerdoti devono invece conoscere (non ho mai potuto sopportare, senza indicibile dolore del mio animo e senza lacrime, questa rovina e il danno che ne deriva per le anime della mia diocesi), tutti si applicassero con diligenza nello studio della teologia morale nel collegio della Compagnia di gesù e del canto gregoriano nella scuola da me fondata. Parimenti ho stabilito che tutti i parroci, ogni domenica, con grande costanza istruissero i fanciulli e il popolo nei primi elementi della dottrina cristiana. lasciate alcune istruzioni riguardanti l’onesto comportamento degli ecclesiastici e lo zelo per le anime, celebrata l’ordinazione generale e alcuni pontificali nei giorni stabiliti dal Pontificale Romano, distribuito a circa 3.000 fedeli il sacramento della confermazione, portai a compimento la visita di Piazza e partii per aidone. In questa terra, dopo aver visitato la chiesa madre e la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Piano, le chiese filiali e le congregazioni; dopo aver estirpato alcuni abusi, dedicai ogni cura e ogni sforzo in un’accurata visita al monastero femminile di Santa Caterina il quale, allontanatosi negli ultimi tempi dall’osservanza della disciplina religiosa, si comportava seguendo un stile di vita mondano. Ora invece, con l’aiuto della misericordia divina, sto sperimentando che esso si è adeguato a tal punto a vivere la 512


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perfezione religiosa che, in tutte le sue attività, non dà adito a giusti rimproveri, ma offre lo spunto ad un sincero elogio. ad evitare che ritornasse nella precedente abietta condizione con un comportamento riprovevole (che Dio lo liberi) ho cercato di aiutarlo dandogli un ottimo direttore spirituale e confessore e alcune istruzioni efficaci [fol. 400r]. Sono riuscito a recuperare, e a mettere al sicuro, alcune rendite della chiesa di circa 3.000 monete d’oro, che tutti ormai consideravano perdute. ho istituito una scuola di teologia morale a vantaggio degli ecclesiastici e una di catechismo, per l’utilità dei fanciulli e delle persone ignoranti. Dopo aver distribuito a più di 1.200 fedeli il sacramento della confermazione mi avviai a visitare barrafranca e Pietraperzia. In questi due comuni ho emanato alcune disposizioni per le 2 chiese madri, per le filiali e per diverse congregazioni, che avevano bisogno di alcuni provvedimenti per il culto divino. Per venire incontro alle necessità degli ecclesiastici ignoranti nella teologia morale, e dei fedeli impreparati nel catechismo, ho istituito 2 apposite scuole. Con l’aiuto della grazia di Dio ricondussi sulla retta via alcuni chierici dediti ai vizi di ogni genere, facendo ricorso prima alle ammonizioni e poi alle pene. Infine, dopo aver cresimato nei due centri oltre 3.000 fedeli e aver dato al clero utili istruzioni che lo aiutassero ad andare avanti con costanza nella disciplina ecclesiastica, mi recai a Castrogiovanni o Enna. Si tratta di un’antichissima e celeberrima città non solo per l’antica e illustre nobiltà dei cittadini, ma anche per il collegio dei canonici (costituito da 3 dignità, 12 canonici e 8 beneficiati), 9 parrocchie, diverse filiali, 6 monasteri femminili (San benedetto, Santa Maria del Popolo, Santa Chiara, San Marco, San Michele e Santa Maria delle grazie) [fol. 400v], gli istituti per le donne pentite e per gli orfani, l’ospedale, molte congregazioni e confraternite. feci l’ingresso in questa città con grande pompa, secondo le norme stabilite dal Pontificale Romano, circondato da uno stuolo di nobili, preceduto dal clero, dai religiosi, dalle congregazioni, dalle confraternite e seguito da una folla innumerevole di persone. visitai accuratamente prima la chiesa madre e le altre chiese parrocchiali, le filiali, le confraternite e le congregazioni; poi l’ospedale e gli istituti delle donne pentite e delle orfane, dando le opportune istruzioni ove ho trovato qualcosa da correggere. Infine visitai i monasteri femminili, che (ad eccezione di quello di San Michele) ho trovato esemplari e degni di ammirazione per l’esatta osservanza della disciplina nelle piccole e grandi cose, per la serietà dei costumi, la singo513


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lare modestia, l’impegno nella preghiera, l’amore reciproco. Tuttavia, per conservare tanto bene, anzi per accrescerlo sempre di più, ritenni che fra gli scopi della mia visita ci fosse quello di incitare con opportune istruzioni. Non era facile correggere e indirizzare per la giusta via il monastero di San Michele, che si era allontanato dall’osservanza della disciplina religiosa. Inoltre, poiché correva un pericolo molto grave che non permetteva indugi, considerato che il tempio, le celle, i corridoi, i laboratori, le mura minacciavano rovina e, a causa delle crepe e della vetustà, erano talmente pericolanti da offrire ad ognuno [fol. 401r] la possibilità di entrare e di uscire facilmente; poiché, per la estrema povertà, non si sapeva dove attingere le somme necessarie per riparare le evidenti rovine, tutte le monache di San Michele, nessuna eccettuata, mi hanno presentato una domanda sottoscritta personalmente da ognuna, nella quale mi chiedevano insistentemente di essere aggregate al più presto all’amplissimo e ricchissimo monastero di San benedetto. ho ritenuto opportuno accettare la loro domanda, che era accompagnata da quella dei loro parenti, delle dignità della collegiata e degli altri ecclesiastici, dal parere favorevole dei nobili e dal voto di tutto il popolo; a tutto questo bisogna aggiungere il consenso di entrambi i monasteri, espresso con un pubblico e autentico documento, e la perizia giurata dei tecnici che dichiarava manifesto e imminente il pericolo di crollo del monastero. Inoltre nutrivo la speranza che le monache di San Michele, attratte dal buon esempio e dall’osservanza delle monache di San benedetto, migliorassero il loro comportamento. Io stesso, con una solenne processione ho provveduto a trasferire le predette monache dal monastero di San Michele a quello di San benedetto2, fra i rallegramenti di tutti, che versavano copiose lacrime per la gioia, così come ho informato la Santità vostra con mie umilissime lettere, nello scorso mese di agosto. Di tutto questo ho anche informato la Sacra Congregazione alla quale, per mezzo del mio procuratore can. Santo Teodoro Mani, l’11 settembre trascorso ho trasmesso, in forma pubblica e autentica, i documenti del senato della città di Enna, delle dignità della collegiata e del confessore dello stesso monastero di San Michele, e la perizia giurata degli esperti sul manifesto e imminente pericolo di crollo del monastero e sulla necessità di trasferire, senza indugio, le monache altrove [fol. 401v]. Sono riuscito a recuperare e a rendere fruttuose, impiegandole in atti2

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In margine il testo è evidenziato dalla Congregazione.


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vità lecite, diverse somme dovute a questi monasteri e considerate quasi perdute, per un totale di 8.000 monete d’oro. Infine, celebrati due pontificali nella chiesa madre, nei tempi prescritti dal Cerimoniale Romano, date le ultime esortazioni e istruzioni a tutti gli ecclesiastici perché, con il trascorrere degli anni, progredissero anche nelle virtù, fortificati col sacro crisma circa 2.000 fedeli, ammesse alla tonsura e agli ordini minori diverse persone, secondo le necessità delle chiese, istituita nelle singole parrocchie la scuola di catechismo per la comune utilità degli incolti, esortati tutti gli ecclesiastici a frequentare i corsi di teologia morale nel collegio della Compagnia di gesù, ho portato a compimento la visita della città di Enna o Castrogiovanni. lasciato Castrogiovanni, mi recai a Calascibetta, dove ho trovato le 2 collegiate di canonici San Pietro e Santa Maria Maggiore con 8 canonici e altrettanti beneficiati che servivano le due chiese a mesi alterni. Dopo aver visitato le due chiese e le collegiate, ho fatto il giro della parrocchia Sant’antonio, delle filiali, delle confraternite, delle congregazioni, del monastero femminile del Santissimo Salvatore e dell’istituto che raccoglie le ragazze povere, facendo ovunque le dovute correzioni e lasciando le opportune istruzioni secondo le necessità. Infine mi sono incontrato con tutti gli ecclesiastici. ho posto un freno a diversi che conducevano una vita disordinata e non ho trascurato, con le consuete esortazioni, coloro che si comportavano bene [fol. 182r], per aiutarli a migliorare nel cammino della virtù. ho istituito le scuole di catechismo a vantaggio dei bambini e degli incolti e quelle di teologia morale, necessarie per l’istruzione dei chierici. Infine conferii gli ordini minori per venire incontro alle necessità delle chiese e non trascurai di amministrare il sacramento della confermazione a più di 1.000 fedeli. Da Calascibetta mi recai ad assoro, la cui chiesa madre è, allo stesso tempo, una collegiata che comprende 3 dignità, 12 canonici, 8 beneficiati minori. la trovai così fornita dei vasi sacri e della suppellettile necessaria per il culto divino che non trovai quasi nulla da correggere. al contrario, la chiesa parrocchiale di Santa lucia era così povera e misera da meritare di essere chiusa. Tuttavia, per il bene delle anime, non ritenni opportuno sospenderla: infatti, per la eccessiva distanza dalla chiesa madre, non è possibile portare l’Eucaristia ai fedeli di questa parrocchia in caso di urgente necessità; per quanto era nelle mie possibilità cercai di sopperire ai suoi bisogni. Mi recai nel monastero di Santa Chiara, nel quale dovetti proibire non poche cose che non erano consentite alle monache. Raccomandai ai 515


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parroci di vigilare sulla frequenza all’insegnamento della dottrina cristiana ed eressi la scuola di teologia morale per il bene di tutti. amministrai la confermazione ad oltre 1.170 persone, ammisi diversi allo stato clericale e conferii a non pochi gli ordini minori. Infine lasciai delle istruzioni perché alcuni sacerdoti e chierici si impegnassero maggiormente nell’osservanza della disciplina ecclesiastica [fol. 402v]. Portata a termine la visita di assoro mi recai a leonforte, dove trovai che la chiesa madre, le filiali e le congregazioni erano in ordine; anche il comportamento morale degli ecclesiastici e la preparazione dei fanciulli nella dottrina cristiana erano buoni. Tuttavia, perché la cura di questa città progredisse sempre di più, lasciai al clero le solite istruzioni ed eressi (come negli altri comuni) la scuola di teologia morale e incrementai la frequenza al catechismo per il bene comune. Infine conferii il sacramento della confermazione a circa 1.000 persone. Mi incamminai verso la città di San filippo d’agira, in cui sorgono 4 collegi di canonici che sono anche parrocchiali: Santa Maria Maggiore, con 3 dignità, 12 canonici e 6 beneficiati, Sant’antonio di Padova, con lo stesso numero di dignità, canonici e beneficiati, Santa Margherita, con altrettante dignità, canonici e beneficiati, tutti soggetti alla giurisdizione del vescovo; li visitai accuratamente, lasciando per ognuno di essi specifiche ordinazioni per i molti inconvenienti riscontrati provenienti sia dalla negligenza dei curati, sia dalla povertà delle chiese. Indi visitai le altre chiese parrocchiali non collegiate, e cioè San Pietro e Sant’antonio abate e le filiali con le congregazioni e le confraternite, sradicando con opportune correzioni diversi errori e abusi. Infine visitai i 3 monasteri femminili della Santissima annunziata, di Santa Chiara e di Santa Maria Raccomandata; avendo riscontrato che le monache erano dedite egregiamente all’osservanza delle norme lasciate dai fondatori [fol. 403r], ho lasciato alcune istruzioni salutari perché non desistessero dal fare tanto bene. Per gli ecclesiastici, che ho trovato ignoranti nei casi di coscienza, e per i bambini e il popolo, che non conoscevano i primi elementi della dottrina cristiana, ho istituito le scuole di teologia morale e di catechismo. In questa città sono riuscito a recuperare e, con una onesta e lecita trattativa, mettere al sicuro e rendere fruttiferi i crediti di alcune chiese, per un totale di circa 3.000 monete d’oro che, per la pigrizia degli amministratori, da molti anni venivano considerate perdute, mentre gli sforzi fatti da me, o prima del mio ingresso in diocesi, erano stati del tutto inconcludenti. 516


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Dopo aver conferito il sacramento della confermazione a circa 3.000 fedeli e aver dato a tutto il clero utili istruzioni per essere stimolati a compiere bene i loro doveri, mi recai a Centuripe. In questo paese visitai con scrupolo la chiesa madre, le filiali e le congregazioni, prendendo gli opportuni provvedimenti che le necessità richiedevano. Trovai che gli ecclesiastici erano poco preparati nella teologia morale e i laici nei primi elementi della dottrina cristiana; perciò per venire loro incontro decisi di istituire, come negli altri centri della diocesi, una scuola di teologia morale e una di catechismo. Con il conferimento della confermazione a oltre 1.240 fedeli fui costretto a interrompere la visita generale per l’eccessiva inclemenza del tempo, tralasciando per il momento di visitare Paternò, adernò, biancavilla e Regalbuto. Mi sono ripromesso di visitarli, con l’aiuto di Dio, fra non molti giorni, allo stesso modo di acireale ed alcuni piccoli centri, anche se, spinto dalla necessità, ho già visitati questi ultimi tramite il mio vicario generale, subito dopo il mio ingresso in diocesi [fol. 403v]. a questa mia visita, nel prossimo mese di novembre, ne seguirà un’altra che non sarà inferiore per l’utilità spirituale delle anime. Si tratta della sacra missione che terrà in tutta la diocesi il p. antonino finocchio, missionario apostolico della Compagnia di gesù; in essa, oltre alle assidue prediche, alle altre esercitazioni, ai commenti delle cose che portano alla salvezza, saranno proposti pubblicamente gli esercizi spirituali di s. Ignazio di loyola, secondo la prassi dei missionari della Compagnia di gesù; in tal modo, se le verità evangeliche da me piantate per tutta la diocesi saranno irrigate dal sudore di questo apostolo, la Divina bontà, con l’intercessione della benedizione della Santità vostra, non mancherà di dare l’incremento sperato. Intanto, prostrato umilmente ai piedi della Santità vostra, chiedo che voglia impartire un’ampia benedizione a me, alle mie opere e a tutta la diocesi di Catania, che come me genuflette devotamente ai piedi della Santità vostra; mentre da parte mia, assieme al mio gregge fedele, con fervidissima preghiera imploro dal Divino Pastore che voglia far discendere sulla Santità vostra benedizioni eterne, con rugiada dal cielo e terra fertile, a giovamento di tutta la Chiesa cattolica. Catania in Sicilia, 30 ottobre 1730 Prostrato, o beatissimo Padre, ai piedi della Santità vostra Pietro, vescovo di Catania 517


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1731 – Relazione del vescovo Pietro galletti, scritta il 15 agosto 1731, con una nota di aggiornamento del 31 gennaio 17321.

[fol. 405r] Santissimo Padre, agli inizi del novembre scorso, per adempiere il compito affidatomi, inviai con umili lettere alla Santità vostra il fedele resoconto della visita fatta alla parte migliore della mia diocesi di Catania. Oggi ritorno ai piedi della Santità vostra per esporre la restante parte della visita. Quando la calura estiva si attenuò e si allontanò il pericolo dell’aria malsana (furono questi i motivi che mi indussero ad interrompere per tre mesi la visita pastorale già iniziata), verso la fine del mese di novembre, mi affrettai a riprenderla con grande impegno iniziando da Regalbuto. Ridiedi la pace dei figli di Dio a questa città, che era molto turbata a motivo delle discordie fra ecclesiastici e laici, provocate da alcuni sacerdoti di vita dissoluta. I responsabili delle discordie, temendo le gravissime pene che avrei loro inflitto nel corso della visita, poco prima della mia venuta, con una pretesto, si sottoposero all’autorità del tribunale della Regia Monarchia, facendo ricorso contro la mia giurisdizione; in tal modo la loro assenza fu portatrice di pace non solo a Regalbuto, ma a tutta la diocesi [fol. 405v]. Non ho trovato meritevoli di correzione gli ecclesiastici, le chiese, il culto divino e tutti i luoghi pii; lo stesso rilievo per i 3 monasteri femminili di Santa Maria delle grazie, San giovanni Evangelista e San antonio di Padova, che si erano perfettamente adeguati alle norme della vita religiosa. Tuttavia, affinché tutti gli ecclesiastici fossero stimolati ad essere costanti nella perfezione personale e nel culto divino e le monache a continuare felicemente il cammino intrapreso, diedi agli uni e alle altre proficue istruzioni. Per quanto mi fu possibile cercai di promuovere la frequenza ai sacramenti, soprattutto la comunione generale. Dopo aver fondato una congregazione di chierici, posta sotto la protezione della Purissima vergine, l’affidai alle cure dei padri della Compagnia di gesù. Eressi la scuola di

1 Rel Dioec 207 a, fol. 405r-409v; 411r-412r. Oltre al testo della relazione non si trovano documenti relativi a questa visita.

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catechismo e di teologia morale e la feci presiedere da un pio e dotto teologo della medesima Compagnia. Infine, dopo aver conferito il sacramento della confermazione a più di 2.000 persone, portai a compimento la visita della chiesa di Regalbuto e mi recai nella terra di adernò. Pensai che fosse mio dovere visitare con particolare diligenza la chiesa madre di adernò, che ha un collegio di canonici distinto in 3 dignità, 12 canonici, 6 beneficiati. In essa, come in tutte le altre chiese, congregazioni, luoghi pii da me attentamente visitati, mi sono limitato a riformare con le mie ordinazioni le poche cose che meritavano di essere corrette. Dal fango di una vita rilassata riportai sulla buona strada un laico di nobile condizione [fol. 406r]. Emanai diverse istruzioni per i sacerdoti e i chierici, che ho trovato di buona condotta, affinché si impegnassero con maggiore diligenza nella disciplina ecclesiastica; allo stesso modo esortai le monache del monastero di Santa Chiara e le ragazze del conservatorio ad attendere con maggiore impegno all’osservanza religiosa. Con l’aiuto di Dio ricondussi all’osservanza religiosa il monastero di Santa lucia, che aborriva la vita comune e la povertà, e sembrava tutto proteso ad esercitare il commercio in favore dei parenti. Dopo avere introdotto di nuovo la vita comune ed eliminato ogni occasione di commercio, posi il monastero sotto la tutela di un nobile di vita integra, per vigilare che i beni del monastero non venissero dissipati, e sotto la direzione di alcuni religiosi con il compito di sorvegliare le monache con energica e attenta oculatezza e verificare il loro quotidiano miglioramento nella vita dello spirito. Come in tutti gli altri comuni della diocesi, eressi sia la scuola di teologia morale per l’utilità degli ecclesiastici, che posi sotto la direzione di un dotto religioso dell’osservanza di s. francesco, sia la scuola della dottrina cristiana a vantaggio dei bambini e degli incolti. Dopo aver conferito il sacramento della confermazione a più di 3.000 fedeli mi trasferii nel piccolo villaggio di biancavilla. visitai attentamente la chiesa madre di questa terra assieme alle piccole chiese filiali e alle congregazioni, non senza aver corretto alcuni abusi nell’esercizio del culto divino. Per gli ecclesiastici, che ignoravano cosa fossero i casi morali [fol. 406v], istituii una scuola di teologia morale e l’affidai ad un ottimo maestro dei francescani di stretta osservanza. Raccomandai al parroco di vigilare sulla frequenza al catechismo per il bene dei bambini e del popolo. Castigai con le dovute pene un ecclesiastico che si era macchiato di ogni genere di vizi, con disonore di tutto lo stato clericale; emanai alcune 519


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istruzioni perché tutti gli altri tenessero in gran conto la propria dignità. Dopo aver cresimato più di 1.000 persone mi avviai verso Paternò. Quando fui vicino alla città mi venne incontro la suprema autorità del luogo, circondata da uno stuolo di ecclesiastici e da una folla di fedeli per celebrare, con la maggiore solennità possibile, il mio ingresso. Entrai nella città secondo le norme stabilite dal Pontificale Romano, preceduto dalle congregazioni, dalle confraternite e dagli ordini religiosi; assieme ai canonici di quell’insigne collegiata mi recai nella chiesa madre, dove ha sede il collegio composto da 4 dignità, 12 canonici e 6 mansionari; in questa chiesa eliminai alcuni abusi riscontrati nella celebrazione dei divini misteri. Passai alla visita delle altre chiese e delle congregazioni, facendo ovunque i dovuti rilievi e lasciando, secondo il bisogno, istruzioni molto pertinenti. Infine mi recai nel monastero femminile della Santissima annunziata, dove non trovai nulla che fosse degno di correzione [fol. 407r]. Tuttavia ritenni opportuno lasciare alle monache, come frutto della mia visita, apposite istruzioni, perché il loro lodevole comportamento si conservasse in perpetuo e da buono si trasformasse in ottimo. Ricondussi alla perfetta obbedienza alcuni canonici della collegiata, che si dimostravano insofferenti della mia giurisdizione. Provvidi a combattere l’ignoranza dei sacerdoti nella teologia morale con l’istituzione di una scuola di teologia, che posi sotto la direzione di un ottimo maestro domenicano. Per aiutare i fedeli incolti ad imparare la dottrina cristiana comminai al parroco le pene previste dai sacri canoni se, almeno nelle domeniche e nelle feste, per sé o, in caso di legittimo impedimento, per altri, non avesse istruito i suoi parrocchiani con la predicazione, insegnando ciò che tutti devono conoscere per salvarsi e mostrando, con un linguaggio breve e comprensibile, i vizi dai quali devono fuggire e le virtù che devono seguire, secondo quanto prescrive il Concilio di Trento, sess. 5, de ref., cap. 2. Esortai tutti gli ecclesiastici a voce con salutari ammonizioni, trascritte poi in istruzioni da durare in perpetuo, perché dimostrassero maggiore entusiasmo nel fare il proprio dovere. Infine, nella ricorrenza della festa di s. barbara vergine e martire, patrona principale di Paternò, celebrai un solenne pontificale. Con il conferimento della confermazione [fol. 407v] a circa 1.000 fedeli, conclusi nel mese di dicembre la visita pastorale della mia vastissima diocesi, quando non era ancora trascorso un anno del mio governo pastorale. Rimaneva da visitare acireale, la sola città che il mio predecessore, l’ill.mo e rev.mo D. Raimondo Rubi di felice memoria, aveva visitato nello 520


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spazio del suo episcopato durato appena undici mesi; ma non era ancora trascorso un triennio dalla sua visita. Ciononostante nello scorso giugno, quando trascorse il triennio, partii per acireale, la cui chiesa madre, eretta in collegiata con 3 dignità, 12 canonici, 6 mansionari, si dedica al culto divino con molta diligenza. Per questo motivo ho arricchito questo collegio di grazie e privilegi assieme a non pochi ammonimenti e istruzioni, perché non venisse a mancare l’impegno per il culto. le chiese filiali, anche se povere, conservano tuttavia un decente nitore; vi ho trovato tutto ciò che è necessario per celebrare il sacrificio divino; pertanto mi sono limitato solamente a fare pochissime correzioni. ho notato che gli ecclesiastici erano di buoni costumi e perché si mantenessero in questo stato, anzi progredissero nelle virtù, diedi loro una regola di vita e di comportamento con il prossimo da valere anche per il futuro. ho istituito 2 scuole di teologia morale nella chiesa collegiata e nella congregazione delle scuole pie; una scuola di canto gregoriano nella chiesa di San Pietro; una scuola di catechismo nelle chiese sacramentali [fol. 408r] e un’associazione nella predetta congregazione delle scuole pie, sotto la protezione della beatissima vergine, a comune utilità degli ecclesiastici e degli incolti. Nel monastero femminile di Sant’agata ho riportato la pace delle figlie di Dio, che era venuta meno, a causa di alcune monache di vita dissipata; le ho riportate all’osservanza di una rigida disciplina con salutari ammonizioni e istruzioni. ho cercato di educare alla cristiana pietà e al timore di Dio, che da molti anni avevano perduto nei loro rozzi animi, i parrocchiani della chiesa di Santa Caterina; e affinché i miei insegnamenti rimanessero più profondamente nei loro cuori, ho invitato un missionario apostolico della Compagnia di gesù a introdursi in questa zona, non appena si fosse attenuata la calura estiva. Un altro missionario, fin dall’inizio di quest’anno, dopo la mia visita va in giro per tutta la diocesi, spargendo ovunque il seme della predicazione evangelica e contribuendo non poco al progresso nella virtù. Per venire incontro alle necessità delle chiese ho ammesso diversi allo stato clericale e ad altri ho conferito i quattro ordini minori; ad oltre 1.000 fedeli ho dato il sacramento della confermazione. Infine, ricorrendo la festa di s. venera, vergine e martire, principale patrona di acireale, ho celebrato con il rito pontificale i vespri e la messa solenne. In tal modo, con lo specialissimo aiuto di Dio, della purissima 521


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vergine e dei Santi Patroni [fol. 408v], ho portato a buon fine la visita di acireale e di tutta la diocesi. Ritengo di dover sottolineare, per ringraziare adeguatamente Dio ottimo massimo, da cui deriva ogni bene, la SS.ma vergine e i Santi Patroni miei e della mia diocesi, che ho visitato tutta la diocesi di Catania in pace e nella massima tranquillità, occupandomi di tutte quelle cose che costituiscono il fine della visita, senza provocare alcun ricorso o al metropolita o al Tribunale della Monarchia, anzi ricevendo il plauso e i compiacimenti di tutti, nobili e ignobili, laici ed ecclesiastici; ho esposto la sana e autentica dottrina confutando non pochi errori; ho custodito i buoni costumi e ho corretto i cattivi nei nobili; con esortazioni e con la mia azione di governo ho incoraggiato e ho stimolato il popolo alla religione, alla pace, all’innocenza, secondo le norme del Concilio di Trento, sess. 24, de ref., cap. 3. Questa è la sintesi della seconda parte della mia visita che, assieme a me e ai miei diocesani, pongo umilmente ai piedi della Santità vostra. Spero che la Santità vostra si degni di accettare con gioia [fol. 409r] queste e tutte le altre mie fatiche e voglia impartire a me e a tutti i miei parrocchiani l’apostolica benedizione; mentre io imploro da Dio, ottimo massimo, che elargisce ogni bene, assieme al felice stato di tutta la repubblica cristiana, lunga vita alla Santità vostra, colma di tutti gli aiuti e di ogni felicità. Catania in Sicilia, 15 agosto 1731 Prostrato, o beatissimo Padre, ai piedi della Santità vostra Pietro, vescovo di Catania

[fol. 411r] Eminentissimo e Reverendissimo Signore, è tanta la bontà e la cortesia dell’Eminenza vostra e di tutta la Congregazione del Concilio, che ha voluto approvare con elogi lusinghieri, e onori non dovuti, le fatiche affrontate nella visita della diocesi di Catania affidata alle mie cure. Eppure ho fatto appena quello che ho potuto, non certamente quello che avrei dovuto fare; pertanto ritengo doveroso ringraziare con animo riverente l’Eminenza vostra e, allo stesso tempo, pregarla di chiedere a Dio che l’inizio del mio episcopato e, ancora di più, la sua conclusione siano felici. ho già incominciato ad attuare ciò che alla Congregazione avevo promesso di fare dopo la conclusione della mia visita: e cioè di iniziare le sacre missioni per tutta la diocesi, a partire dalla cattedrale, in occasione del tremendo terremoto che, nel novembre scorso, squassò con incredibile terrore gran parte della Sicilia [fol. 411v]. 522


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Molti predicatori del vangelo, in particolare il rev. p. antonino finocchio della Compagnia di gesù e il p. Domenico ferrara, napoletano, dei frati predicatori, a Catania e nei sobborghi hanno dato inizio a predicazioni, pubbliche processioni penitenziali e altri pii esercizi per sedare l’ira divina, con grandissimo frutto per le anime, come è possibile constatare, se le Eminenze vostre lo vorranno, dalla relazione a stampa che ho osato inviare tramite il mio agente Santo Teodoro Mani. Dopo aver portato a compimento questo programma a Catania, gli stessi missionari si sono trasferiti negli altri centri della diocesi, determinando grandi progressi nella virtù con la loro evangelica predicazione, come mi informano le quotidiane testimonianze dei miei vicari foranei. Per quanto riguarda i ricorsi inviati contro di me alla Sacra Congregazione, soprattutto a proposito delle somme ricevute in occasione della visita pastorale, a prescindere da tutto il resto, solo questo voglio far notare: i miei detrattori, che in futuro ricolmerò di benefici, sanno bene che io non ho chiesto più di quanto consentono i sacri canoni, la prassi diocesana, l’esempio dei miei predecessori, in particolare l’Ill.mo e Rev.mo D. andrea Riggio di felice memoria, l’Em.mo Cardinale Cienfuegos e fr. D. Raimondo Rubi di santa memoria [fol. 412r]. Intanto auguro alle Eminenze vostre, delle quali bacio umilmente la porpora, che Dio possa concedervi lunga vita, ricolma di ogni genere di felicità per l’utilità di tutto il genere umano. Catania, 31 gennaio 1732 Prostrato ai piedi dell’Eminenza vostra, o Eminentissimo Signore Pietro, vescovo di Catania

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1734 – Relazione del vescovo Pietro galletti, relativa ai trienni 48°, 49° e 50°, scritta il 14 gennaio 1734 e presentata dal procuratore sac. vincenzo Coniglio. Il documento fu integrato con il bilancio della mensa vescovile del 1729 e con le notizie sullo stato del seminario1.

[fol. 421r] beatissimo Padre, trascorso il triennio dalla prima visita di questa diocesi, per obbedire ai decreti del Santo Concilio di Trento ho fatto di tutto per intraprenderla

1 Rel Dioec 207 a, fol. 421r-425v; 393r-395v; 427r-428v. al testo della visita sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera senza data al papa: «beatissimo Padre, il vescovo di Catania, umilissimo oratore della Santità vostra, riverentemente l’espone che, benché nell’anno 1731 mandasse la relazione dello stato della sua Chiesa per adempiere all’obbligo che gli correva di invisitare li sagri limini, assieme alla procura non però fu procurata l’attestazione di detta visita già fatta dal suo procuratore; onde supplica umilmente la Santità vostra della permissione di poter di nuovo visitare per il corrente triennio 50° mediante la persona del sacerdote vincenzo Coniglio, tesoriero della colleggiata della città di Piazza della sua diocesi, commorante in curia et abbonargli la sudetta visita per li triennii 48° e 49° trascorsi, per li quali non si trova notato l’adempimento, con assolverlo da qualunque censura e pena che per tal causa avesse potuto incorrere, che della gratia, ecc.» (fol. 413r), con la nota: «Die 20 maii 1733. Ex audientia Sanctissimi. Praevia absolutione Sanctissimus annuit ut pro praeterito triennio orator adimpleat visitationem per sacerdotem dioecesanum, exhibita tamen relatione status Ecclesiae» (fol. 418v); 2) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio vincenzo gulli, il 12 dicembre 1732, per il sacerdote vincenzo Coniglio, dottore in sacra teologia (fol. 414r-415r); 3) due attestati della visita alle basiliche romane in data 9 e 10 giugno 1733 (fol. 416r-417r); 4) una lettera senza data alla Congregazione: «Eminentissimi e Reverendissimi Signori, il vescovo di Catania, oratore umilissimo delle Eminenze vostre divotamente le rappresenta havere ottenuto sin dalli 20 maggio del cadente anno il seguente rescritto: “Ex audientia SS.mi. SS.mus annuit ut pro praterito triennio orator adimpleat Sanctam visitationem per sacerdotem dioecesanum exhibita tamen relatione status Ecclesiae”. In esecuzione del qual rescritto il detto oratore ha dato procura per visitare i sagri limini ad un sacerdote diocesano da cui sono stati visitati, conforme apparisce dalli documenti presentati in Segretaria di questa Sagra Congregazione; colli quali unitamente ha anche presentato lo stato della sua menza vescovile. Ma perché il detto oratore a forma del soprariferito rescritto deve presentar lo stato della sua Chiesa, come si dispone nel Concilio Romano, quale non puole presentemente esibire non havendo terminato la sacra visita, che sta facendo, per tanto esso oratore supplica umilmente le Eminenze vostre volerli concedere l’opportuna proroga, finché sia terminata la santa visita e possa essersi trasmesso a questa Sagra Congregazione il detto stato della Chiesa. Che della grazia, ecc.» (fol. 419r); 5) la nota della Congregazione: «Ex audientia Sanctissimi. Die 17 decembris 1733 Sanctissimus annuit pro dilatione ad sex menses». «12 decembris 1733 fuit data attestatio pro 48° et 49° ac 50° trienniis cum attestatione ut supra» (fol. 420v).

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di nuovo. allo scopo di avviare la mia ispezione nel rispetto delle prescrizioni canoniche, ho iniziato da questa santa cattedrale dopo aver premesso le solite notificazioni; in tal modo ho dato la possibilità di essere presenti a coloro che erano obbligati a partecipare. Il 14 marzo 1734, al seguito di un gran numero di ecclesiastici e di laici, secondo le prescrizioni del Pontificale Romano e del Cerimoniale dei vescovi, rivestito dei paramenti sacri mi avviai verso la predetta cattedrale, in cui ha sede il capitolo, composto da 5 dignità, 12 canonici, altrettanti beneficiati, oltre agli altri ministri addetti al servizio della chiesa. Negli altari non ho trovato nulla da correggere, infatti li avevo adornati a mie spese con quadri elegantemente indorati, con volte e gradini. avevo provveduto anche a supplire le suppellettili che mancavano nella sacrestia e pertanto non vi ho trovato nulla di sconveniente. Subito dopo mi recai nella regia e insigne collegiata [fol.421v], nella quale risiedono 3 dignità, 19 canonici, 8 beneficiati e altri ministri. ho potuto constatare che, per il culto, essa si trovava in ottime condizioni: quantunque, infatti, non abbia molte risorse per sostentare i canonici, tuttavia rifulge mirabilmente per il decoro, l’amore e l’assistenza continua. Indi visitai le altre chiese sacramentali, che sono 6 oltre le due predette. In esse cercai di curare, con la sollecitudine e le elemosine, quel che era manchevole. Quando passai alla visita dei 6 monasteri e dei 3 conservatori, li trovai molto osservanti delle leggi e delle costituzioni e non potei fare altro che persuaderli ad aspirare ai carismi più grandi ed esortarli a perseverare nei loro propositi. visitai pure le congregazioni, le confraternite e le altre chiese; e quando notai che c’era qualche inconveniente con tutte le mie forze mi adoperai per eliminarlo. Infine mi sono recato al seminario dei chierici, dove ho ordinato di restituire all’antico vigore le regole sulla riforma dei costumi e la formazione dottrinale che venivano alquanto trascurate2. allo stesso tempo ho esortato coloro che avevano la responsabilità dell’edificio, di lavorare senza interruzione per portarlo a compimento. visitando l’Università degli studi, di cui sono gran cancelliere, assieme agli altri responsabili mi sono adoperato perché fosse diligentemente custodita e non ci fossero interruzioni nel portare a compimento la fabbrica. In genere ho prescritto ai chierici, pubblicando vari editti, di continuare ad essere presenti ai casi morali, la cui lettura si fa ogni giovedì in 2

In margine il testo è evidenziato dalla Congregazione.

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questa cattedrale, alla mia presenza. Con le minacce o le pene, secondo le esigenze del caso, ho provveduto a correggere i costumi depravati di alcuni ecclesiastici. Per alleviare i sudditi che si trovano in ristrettezze economiche ho stabilito precise tariffe in tutte le curie foranee. Prima con le minacce, poi con le multe ho sradicato ogni forma di commercio illecito; altre norme ho emanato per attuare la riforma dei costumi. In tal modo ho portato a compimento la visita della città. avrei desiderato visitare personalmente gli altri centri abitati della diocesi [fol. 422r]; tuttavia lo spirito era pronto, ma la carne debole {cfr Mt 26, 41}; infatti, mentre mi stavo preparando sopravvennero delle gravi infermità che mi impedirono di attuare il mio proposito. D’altra parte l’asperità delle strade e gli inevitabili disagi che tre anni fa, quando ero più che sessantenne, ho sperimentato, mi hanno fatto desistere. Pertanto ho deciso di mandare in mia vece D. giovanni Rizzari, cantore di questa cattedrale e mio vicario generale nelle cose spirituali e temporali. a lui ho affidato il mio gregge con piena fiducia; infatti egli possiede un’accurata e specifica esperienza di governo, scienza e buoni costumi; e poiché, nel corso della sua vita, ha ricoperto l’ufficio di vicario apostolico di questa diocesi e più volte è stato nominato vicario capitolare, ha una così esatta conoscenza di persone, di luoghi e di lavoro, che a nessuno è secondo. Riferirò, in questa mia relazione, ciò che egli ha fatto in mia vece. appena portai a compimento la visita delle chiese di questa città, egli partì per ispezionare i paesi che sorgono nel bosco di Catania. gli ho affidato questo ufficio per attuare un mio primo mandato, datogli durante la prima visita pastorale, prima che, insieme a lui, mi recassi nei centri più importanti della diocesi. Scriverò in una sola relazione tutto quello che egli ha fatto e stabilito durante la prima visita ai paesi del bosco e le variazioni che sono state riscontrate nella seconda. Ecco i nomi dei paesi: aci Sant’antonio, acicatena, aci San filippo, aci Santa lucia, Sant’agata, bonaccorsi, belpasso, borrello o Stella aragona, acicastello, Camporotondo, San gregorio, gravina, San giovanni galermo, San giovanni la Punta, Misterbianco, Santa lucia {o Mascalucia}, Motta Sant’anastasia, Nicolosi, San Pietro, Pedara, Trappeto, Tremestieri, Trecastagni, Torre del grifo o Massannunziata, Trezza, viagrande, valverde. In tutti questi luoghi, nei quali per l’esiguo numero degli abitanti non ci può essere la dottrina necessaria, il vicario istituì ottime scuole di teologia morale, scegliendo i maestri; si sforzò in tutti i modi di restaurare le sup526


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pellettili delle chiese e gli altari; promulgò le mie istruzioni [fol. 422v] rimproverando e castigando coloro che non volevano osservarle; ricompose alcune controversie giurisdizionali, riconoscendo ad ognuno il proprio diritto; diede impulso ad una più esatta osservanza delle feste; ordinò ad alcuni sacerdoti di astenersi da occupazioni indecorose, alle quali erano addetti. Dopo aver assolto questo suo compito ritornò da me e vi rimase fino a quando il maltempo non gli lasciò libera la strada per visitare le altre città. Con il bel tempo si recò a Ramacca, dove visitò l’unica chiesa madre considerato che, per la piccolezza del paese, non ne esistono altre e, durante il cammino, alcune chiese rurali; prescrisse quel che poté in relazione alla loro povertà. Quindi si diresse a Piazza, dove anzitutto visitò la chiesa madre; in essa si trovano 3 dignità, 18 canonici e altrettanti beneficiati; dispose che venissero osservate le mie istruzioni ancora in vigore; riordinò le cose che trovò non bene ordinate. le stesse cose riscontrò nella collegiata del Santissimo Crocifisso, dove si trovano 2 dignità, 12 canonici e altrettanti beneficiati. Poi visitò le altre 6 parrocchie, delle quali cercò di riparare con utili disposizioni alcuni danni di poco conto. visitò con molta attenzione i monasteri femminili San giovanni, Santissima Trinità, Sant’agata, Sant’anna, Santa Chiara e il conservatorio delle vergini e trovò che le monache erano dedite alla disciplina religiosa, intente al decoro del monastero e osservantissime della vita comune. Tuttavia poiché nel mondo non esiste paradiso dove non entri il serpente {cfr gen 3}, lasciò alla loro osservanza alcune salutari istruzioni. Per quanto riguarda il controllo dei registri contabili, a volere essere precisi, non trovò nulla da correggere. Dopo aver rilasciato altre utili istruzioni e aver promulgato alcune regole per tutti gli ecclesiastici, concluse la visita di Piazza. Partito per aidone, visitò la chiesa madre, l’altra chiesa parrocchiale con le altre filiali, le confraternite e le congregazioni e avendo riscontrato in esse alcuni inconvenienti, li corresse prontamente. Ispezionò attentamente il monastero femminile di Santa Caterina e, giudicando che doveva essere ricondotto ad una più esatta osservanza delle regole, lo vincolò con vari moniti e istruzioni [fol. 423r]. Ricostituì la scuola di teologia morale per gli ecclesiastici. visitando valguarnera non trovò nulla da correggere nella chiesa madre, in quella del romitorio e nelle altre filiali; lasciò solo alcune istruzioni circa il nitore degli altari. 527


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Si recò subito dopo nel villaggio di Mirabella, dove emanò dei provvedimenti per una più assidua frequenza alla dottrina cristiana e per una maggiore cura della chiesa madre e di quella della Santa Croce. Incamminatosi per barrafranca e, subito dopo, per Pietraperzia, trovò le chiese madri delle due località e le altre chiese filiali ben disposte; onde evitare che i fedeli crescessero ancora nell’ignoranza, rinnovò l’esercizio del catechismo con un metodo più rapido e punì coloro che non osservavano le norme da me promulgate nella precedente visita. Recatosi ad Enna o Castrogiovanni visitò nella chiesa madre il collegio dei canonici, che era costituito da 4 dignità, 8 canonici e 8 beneficiati; constatò che tutti erano dediti al nitore del tempio e delle persone, e nello stesso ordine mi riferì di aver trovato le altre 9 parrocchie. Non trovò nulla contro l’osservanza delle regole visitando i 7 monasteri femminili: San Marco, San benedetto, Santa Maria del Popolo, Santa Chiara, Santa Maria delle grazie, San Michele e Santissima Concezione e i 2 istituti delle orfane e delle donne pentite. Passò alla visita delle congregazioni, delle confraternite, delle altre chiese, di molte filiali e dell’ospedale, dove riprese e promulgò un’altra volta le mie precedenti ordinazioni. avendo constatato che quegli ecclesiastici dimostravano un certo interesse per lo studio delle scienze, li esortò ad un nuovo impegno ed ampliò il programma di teologia morale [fol. 423v]. a Calascibetta visitò la collegiata con 8 canonici e altrettanti beneficiati, che sono insigniti del titolo delle 2 chiese madri San Pietro e Santa Maria Maggiore dove, alternativamente, prestano il loro servizio. Successivamente ispezionò la parrocchia Sant’antonio abate, il monastero femminile di San Salvatore, il conservatorio delle ragazze e le altre chiese minori; ripartì dopo aver lasciato le opportune istruzioni, richieste dalle necessità, perché si comportassero secondo un corretto modello di vita. ad assoro visitò la chiesa madre con la collegiata, costituita da 3 dignità, 8 canonici e 8 beneficati; constatò che erano dediti al servizio della chiesa ed al culto divino; perciò, prendendo atto della diligenza, elogiò il loro impegno. Si sforzò in tutti i modi di soccorrere la chiesa parrocchiale di Santa lucia, che versava in uno stato di estrema povertà, e riparò le altre deficienze. Cercò di adoperarsi perché nel monastero di Santa Chiara fiorisse, com’era giusto, la vita regolare, lasciando le necessarie istruzioni. Riprese l’esercizio dei casi di coscienza in modo da sovvenire più alle necessità dell’anima che a quelle del corpo. Partì per leonforte, dove trovò la chiesa madre e le filiali bene ador528


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nate e gli ecclesiastici dotati di buoni costumi; avendo constatato che si impegnavano ad insegnare nella scuola di catechismo, si adoperò affinché questo istituto progredisse sempre di più; a tal fine lasciò diverse istruzioni. Essendo pervenuto nella città di San filippo d’agira, visitò i 4 capitoli di canonici: il primo nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, con 3 dignità, 4 canonici e un solo beneficiato; il secondo nella chiesa parrocchiale di Sant’antonio di Padova, con 4 dignità, 12 canonici e 6 beneficiati; il terzo nella chiesa parrocchiale di Santa Margherita, con 4 dignità, 12 canonici e 6 beneficiati; il quarto del Santissimo Salvatore, con 3 dignità, 6 canonici e 4 beneficiati. In essi trovò in ordine il culto divino e le suppellettili necessarie [fol. 424r]. Corresse quelle cose che, a suo giudizio, non erano convenienti e le riportò alla primitiva norma; allo stesso modo si comportò nelle 2 altre parrocchie filiali di San Pietro e di Sant’antonio abate e nella visita delle congregazioni e delle confraternite. Esortò ad una migliore osservanza della vita regolare, con ammonizioni e istruzioni i 3 monasteri femminili: Santissima annunziata, Santa Maria Raccomandata e Santa Chiara; perché al popolo non venisse meno il nutrimento della dottrina cristiana, nominò direttori prudenti e incoraggiò a frequentare lo studio della teologia morale. Deviando per Regalbuto visitò le 2 chiese parrocchiali (matrice e Santa Maria), le altre chiese filiali, le congregazioni e le confraternite. Per osservare fedelmente il mandato ricevuto, non appena notò alcune deficienze, con la diligenza derivante dalla necessità provvide alla formazione degli ecclesiastici. Rinnovò le scuole dei casi di coscienza e della dottrina cristiana. Constatò che i 2 monasteri di Santa Maria delle grazie e di San giovanni battista, soggetti alla mia giurisdizione, erano conformi alla vita religiosa; simile a questi due il monastero degli angeli, che osserva la regola degli agostiniani e sottostà alle loro cure. Rinnovando le mie istruzioni, quando si accorse che alcune prescrizioni erano cadute in disuso cercò di farle osservare nuovamente. giunse infine a Centuripe, dove ispezionò la chiesa madre, le filiali e le congregazioni, procurando vari rimedi urgenti alle necessità che poneva il ripristino delle 2 scuole di teologia morale e della dottrina cristiana, che costituiscono gli impegni principali degli ecclesiastici. Curò la promulgazione di istruzioni da me poco prima predisposte al fine di condurre una vita conforme alle norme canoniche. Dopo di che fece ritorno a Catania, perché il clima poco favorevole non consentiva di visitare gli altri centri abitati [fol. 424v]. 529


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a tempo opportuno si recò ad adernò, dove nella chiesa madre collegiata visitò il capitolo composto da 4 dignità, 12 canonici e 8 beneficiati; sia in esso, sia nel governo e nel culto della chiesa non trovò nulla da correggere. visitò pure con diligenza le altre parrocchie filiali, le congregazioni, le confraternite e il monastero, prestando gli opportuni rimedi alle necessità. Considerò degno di ammirazione il monastero di Santa Chiara, che da tutti i punti di vista era bene ordinato, constatò che il conservatorio delle ragazze era diretto con grande sollecitudine e disciplina. Per quanto fu nelle sue possibilità si sforzò di esortare il monastero di Santa lucia a continuare nell’osservanza della vita religiosa che era stata da poco introdotta. Infatti l’anno precedente, con improba fatica, avevo liberato questo monastero dal commercio, dalla smodata libertà e dall’eccessivo numero di serve, giovandomi dell’opera e dello zelo del mai lodato abbastanza p. Domenico ferrara, domenicano, missionario apostolico. Questi, facendo le mie veci, cacciò via i laici e il gran numero di serve e riportò le monache all’osservanza della regola e alla vita comune. Il visitatore, essendo venuto a mancare il direttore della scuola di teologia morale da me scelto, ne costituì un altro dopo aver pubblicato le mie istruzioni. Si diresse verso biancavilla dove, visitando la chiesa madre, le filiali e le congregazioni constatò che, nonostante la povertà del luogo, tutto si trovava in ottimo stato; affidò l’esercizio dei casi di coscienza ad una persona molto preparata e, volendo riformare il comportamento di alcuni ecclesiastici, predispose gli opportuni rimedi. Recatosi nella città di Paternò, non ritenne opportuno visitare la chiesa madre per evitare che la mia giurisdizione ne ricevesse un danno. Infatti i ricorsi presentanti contro di me da quattro canonici, che con ostinata disobbedienza traggono vantaggio dalla loro temerarietà, sono all’esame della Sacra Congregazione, non essendo stati ancora respinti con una decisione conforme alla verità3 [fol. 425r]. Con 3 dignità, 8 canonici beneficiati e il clero, il vicario visitò la chiesa di Santa barbara che, assieme alle altre chiese filiali, alle congregazioni e all’ospedale trovò discretamente fornita del necessario per il culto. fece ricorso ad opportuni rimedi e istruzioni per far sì che i danni perpetrati nelle cose spirituali e temporali dai suddetti quattro canonici venissero riparati. Constatò che il monastero della Santissima annunziata era molto 3

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In margine il testo è evidenziato dalla Congregazione.


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osservante della vita religiosa. Nominò maestro nella scuola di teologia morale un domenicano di chiara fama. Ritenne improrogabile provvedere a molte cose per le necessità riscontrate. Infatti la lacerazione provocata dai suddetti canonici continuava a turbare il mio gregge. Non senza amarezza devo sopportare che quei quattro vivano in piena libertà e che io non possa costringerli con le pene, perché soggetti ad un’autorità superiore. acireale avrebbe dovuto essere visitata dopo la quaresima, allo scadere del triennio; ma, in seguito alle ripetute richieste del clero e del capitolo, il mio vicario generale decise di partire. In questa città il capitolo, costituito da 3 dignità, 12 canonici e 6 beneficiati, e tutto il clero brillano per la serietà nel comportamento e si impegnano per il culto divino e il proprio decoro. Perciò la chiesa madre collegiata, le altre 5 parrocchie, le rimanenti chiese, le congregazioni, le confraternite, gli ospedali e l’ospizio per i forestieri sono disposti a norma del Concilio di Trento; le suppellettili e le altre cose destinate all’uso delle chiese sono in ottimo stato. Ogni settimana gli ecclesiastici si riuniscono in un luogo stabilito per l’esercizio dei casi di coscienza. Nelle chiese parrocchiali ogni domenica si spiega il catechismo. anche se, per la povertà degli introiti e la mancanza del necessario trovò il monastero femminile, in certo modo depresso [fol. 425v], tuttavia lo protesse con sacre istruzioni, in modo da ricondurlo in una migliore condizione. Compose alcune controversie sorte tra i canonici per motivi di giurisdizione; diede altre raccomandazioni secondo le necessità affinché, in futuro, si seguisse un metodo più corretto. Dopo aver compiuto tutto questo, il 7 dicembre dell’anno in corso 1733 ritornò da me, dandomi le notizie che ho riferito per portare a compimento l’incarico affidatogli. Questa è la sintesi della mia seconda visita, che sottopongo umilmente ai vostri piedi assieme alla mia persona e a tutto il gregge affidatomi, come al pastore dei pastori, mentre prego genuflesso perché la Santità vostra si degni impartire la sua apostolica benedizione ai miei diocesani. Intanto, assieme agli abitanti della mia diocesi imploro da Dio Onnipotente, per il bene di tutto il mondo, perenne felicità spirituale e temporale, ricolma di ogni gioia. Catania in Sicilia, 14 gennaio 1734 Dopo l’umilissimo bacio dei piedi. Pietro, vescovo di Catania

[fol. 393r] «Si fa fede per me infrascritto Diego Papa, magistro notaro della Corte della Regia Secrezia di questa clarissima e fidelissima

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città di Catania, a chi spetta veder la presente, qualmente gli effetti della Mensa vescovale di questa predetta città consistono nell’infrascritte rendite, che in tutto pigliano la somma di onze 8064, 16, 4, 3 nelle seguenti partite cioè:

In primis l’affitto della Contea di Mascali attualmente si trova gabellato per onze duemila quattrocentoventi l’anno Item l’affitto della piana e Mezzocampo attualmente si trova gabellato per onze millequattro centotrentasette l’anno Item le decime de’ musti di questa città di Catania, Misterbianco, Camporotondo, S. Pietro, Mascalucia, Massannunciata, Tremestieri, S. giovanni la Punta, Trappeto, S. agata e S. gregorio si trovano attualmente gabellate per onze seicentosedici e tarì dieciotto Item le decime de’ musti della terra di gravina si trovano attualmente gabellate per onze 30 l’anno Item le decime de’ musti delle terre di viagrande, Trecastagni, Pedara e S. giovanni di galermo si trovano gabellate per onze trecento quarantadue l’anno Item la montagna aperta della neve si trova attualmente gabellata per onze millecentoventicinque Item il carponetto delle castagne si trova attualmente gabellato Item li cenzi minuti del bosco si trovano attualmente gabellati per onze centocinquantacinque e tarì ventuno l’anno Item l’erbageria di questa città di Catania e suo territorio {si trova} attualmente gabellata per onze cinquanta e tarì tre l’anno Item gl’agliandaggi, pascoli, terraggi del bosco, erbageria di Trecastagni e doganella della Pedara si trovano attualmente

dico onze 2.420 — — — dico onze 1.437 — — — dico onze 616,18 — — dico onze 30 — — —

dico onze 342 — — — dico onze 1.125 — — — per onze 57 — — —

dico onze 155,21 — — dico onze 50,3 — — onze 6.233,12 — —

[fol. 393v] riporto onze 6.233,12 — —

gabellati per onze ottantacinque l’anno Item le decime de vettovaglie di questa predetta città e suo territorio si ritrovano attualmente gabellati per onze quattrocento in denari l’anno Di più salme centottantadue e tumuli otto {di} frumento, che a raggione di onze 1, 18 salma un anno per l’altro

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dico onze 85 — — — dico onze 400 — — — onze 200 — — —


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Item la dogana di questa città di Catania si trova attualmente gabellata per onze trecento ottanta l’anno Item la dogana della città di Iaci Reale al presente gabellata per onze 15 l’anno Item la doganella di Trecastagni al presente gabellata per onze 14 l’anno Item la tintoria della seta di questa predetta città al presente gabellata per onze cinquantasei l’anno Item li teggoli e mattoni di questa predetta città e suo territorio al presente gabellati per onze duodeci l’anno Item le picare di pescari al presente gabellate per onze 4, 10 l’anno Item l’ova di Cifali al presente gabellati per onze centocinquantasei e tarì venti l’anno Item il vignale dell’avena solito gabellarsi onze due l’anno Item la fiera di mezzo agosto al presente gabellata per onze 40 l’anno Item le decime de’ vini solino gabellarsi in onze cinquanta l’anno Item il molino di Cifali al presente gabellato per onze 31, 24 l’anno

dico onze 380 — — — dico onze 15 — — — dico onze 14 — — — dico onze 56 — — — dico onze 12 — — — dico onze 4,10 — —

dico onze 156,20 — — dico onze 2 — — —

dico onze 40 — — — dico onze 50 — — — dico onze 31,24 — —

onze 7.680,6 — —

[fol. 394r] riporto onze 7.680,6 — —

Item il farinato, scannaria e bilancia di Misterbianco gabellate per onze 8, 24 Item il farinato, scannaria e bilancia di S. agata gabellato Item il farinato ut supra del Trappeto gabellato Item il farinato ut supra di S. gregorio gabellato Item il farinato ut supra di gravina e S. giovanni di galermo gabellato Item il farinato ut supra di S. Pietro gabellato Item il farinato ut supra di Camporotondo gabellato Item il farinato ut supra di Massa annunciata gabellato Item il farinato ut supra di Mascalucia gabellato Item il farinato ut supra di Tremestieri gabellato Item il farinato ut supra di S. giovanni la Punta gabellato Item il farinato ut supra di viagrande gabellato Item il farinato ut supra di Trecastagni gabellato

dico onze 8,24 — — per onze 0,24 — — per onze 1,13,12 — per onze 1,26 — — per onze 7,12 — — per onze 1,18 — — per onze 1,3 — — per onze 4,10 — — per onze 23,9,19,3 per onze 4,10 — — per onze 5,15 — —

per onze 11,6,11 — per onze 27 — — —

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Item il farinato ut supra della Pedara gabellato Item li cenzi diversi dovuti da diverse persone in tutto alla somma di onze 275

per onze 10,20,2 — dico onze 275 — — —

onze 8.064,16,4,3

Pensioni perpetue che si pagano attualmente sopra li sopradetti effetti e rendite in somma di onze 5.968,5,5 nell’infrascritte partite cioè:

In primis onze 120 alla cappella di S. Pietro nel Sacro Regio Palazzo della città di Palermo Item onze 240 al venerabile collegio della città di Messina Item onze 953, 10 alla basilica di S. Maria Maggiore di Roma Item onze 20 per la festa della gloriosa S. agata Item onze 69 per la condilora della Chiesa Cattedrale Item onze 400 al Rev.mo Capitolo di detta Chiesa Cattedrale

dico onze 120 — — — dico onze 240 — — — onze 953,10 — —

dico onze 20 — — — onze 69 — — —

dico onze 400 — — —

onze 1.802,10 — -—

[fol. 394v] riporto onze 1.802,10 — —

Item onze 70 alla musica di detta Chiesa Cattedrale Item onze 40 alli quattro cappellani delle quattro chiese sacramentali Item onze 70, 13, 12 alla venerabile casa del seminario Item onze 200 all’opera grande di detta Chiesa Cattedrale Item onze 40 al Padre Predicatore Item onze 227 alla sacristia di detta Chiesa Cattedrale per prezzo di rotuli vent’otto, ed oncie ventidue di cera lavorata al mese, cafisi tre di oglio al mese, onze quattro e tarì cinque per giocali al mese, ed onze 2, 20 alli quattro sacristani per suo salario al mese Item tarì 12 al venerabile monasterio di S. giuliano Item onze 15 al venerabile ospidale di S. Marco per compra di tanta calcina a titolo di elemosina Item onze 2, 15 al venerabile collegio della Compagnia di gesù di questa città di Catania Item onze 3, 5, 9 al sudetto venerabile ospidale per cenzo

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dico onze 70 — — — dico onze 40 — — — dico onze 70,13,12 —

dico onze 200 — — — dico onze 40 — — — dico onze 227 — — — dico onze 0,12 — — dico onze 15 — — — dico onze 2,15 — — dico onze 3,5,9 —


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Item onze 3, 8 per carnaggio di porco ed alosi al Rev.mo Capitolo della Chiesa Cattedrale Item onze 3 al sudetto rev.mo Capitolo per cenzo Item onze 10 alla dignità d’arcidiacono Item onze 200 per elemosina alli poveri, per il pane che si distribuisce giornalmente, a raggione di tumuli otto di formento al giorno, che pigliano la quantità di salme 182,8 frumento, raggionato ad onze 1, 18 un anno per l’altro Item onze 60 per conzi e ripari nell’affitto di Mascali, nonostante essere gabellato, devono farsi sopra la raggione di detto affitto Item onze 140 un anno per l’altro per li fossati nello4 affitto della piana e Mezzocampo

dico onze 3,8 — —

dico onze 3 — — — dico onze 10 — — — dico onze 200 — — — dico onze 60 — — — dico onze 140 — — —

onze 2.887,4,1 —

[fol. 395r] riporto onze 2.887,4,1 —

Item onze 400 un anno per l’altro per l’inesigibilità delle parate che si lasciano d’esigere per l’inabilità delle persone Item onze 120 all’amministrazione della Mensa vescovale Item onze 24 all’esattore Item onze 12 all’algozirio Item onze 40 al depositario Item onze 181, 27, 4 alla tanda ecclesiastica Item onze 31, 13, 8 all’illustre deputazione del Regno per conzo di ponti, torri, e regenti Item onze 183, 12, 12 alla Regia Corte per la concessione del vescovato Item il Rev.mo vescovo suole pagare onze 8 al notaro per salario Item onze 60 al contatore Item onze 24 all’agiutante di contatoria Item si pagano onze 1996, 8 per pensioni vitalizie all’infrascritte persone cioè:onze 28,24 all’abbate D. Cristofalo bolletti Item onze 200 al clarissimo D. Pietro francesco bussi Item onze 823, 2 all’Eminentissimo Cardinale D. alvaro Cienfuegos 4

dico onze 400 — — — dico onze 120 — — — dico onze 24 — — — dico onze 12 — — — dico onze 40 — — — dico onze 181,27,4 — dico onze 31,13,8 — onze 183,12,12 —

dico onze 8 — — —

dico onze 60 dico onze 24 — — — dico onze 28,24 — — dico onze 200 — — — dico onze 823,2 — —

nello] fossati aggiunge e poi cancella

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Item onze 400 al Rev. D. Mario Mellini Item onze 80 a D. Teodorico Rejnesio Item onze 68,24 al clarissimo D. francesco beleredi Item onze 200 al canonico fra D. gaspare luzan Item onze 57, 6 a D. filippo Ernesto Item onze 80 a D. Emanuele de Torres Messia Item onze 44 al Rev. D. giovanni Pisano Item onze 14, 12 al Rev.do Canonico D. andrea antonelli

dico onze 400 — — — dico onze 80 — — — dico onze 68,24 — — dico onze 200 — — — dico onze 57,6 — — dico onze 80 — — — dico onze 44 — — — dico onze 14,12 — —

onze 5.968,5,5 —

Onde in fede del vero ho fatto la presente scritta [fol. 395v] e sotto scritta di mia propria mano per valere a’ suoi giorni, luoghi, e tempi. In Catania, oggi, che corrono li 26 agosto, settima indizione, 1729. Diego Papa, Maestro Notaro Senatus clarissimae et fidelissimae urbis Catanae de consilio S.C.C.M. et ad bellum armorum Capitaneus fidem facimus suprascriptam fidem fuisse et esse subscripta manu propria supraditti Didaci Papa, Magistri Notarii huius curiae Regii Secreti huius predittae Urbis ut supra, cui ideo tanquam authenticae in iudicio et extra omnimoda est adhibenda fides et in testimonium praemissorum has praesentes fieri iussimus sub parvo nostri Senatus sigillo quo utimur in pede munitas. Datum Catanae, die decimo sexto septembris, octavae indictionis, millesimo septingentesimo vigesimo nono, 1729. franciscus Maravigna, Notarius Curiae». [fol. 427r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori5,

ho saputo dalla lettera ricevuta dalla benignità delle Eminenze vostre, che è stato accolto benevolmente il resoconto delle mie fatiche nella visita della diocesi. Porgo vivissimi ringraziamenti e, se mi basteranno le forze, prometto di impegnarmi ancora di più, non appena le necessità del mio gregge lo richiederanno. la mia relazione non ha trattato del seminario dei chierici perché, nel raccontare i fatti della mia visita, me ne sono dimenticato. Ora, per soddi-

5 Sul dorso si legge la nota: «Catanien. visitatio SS. liminum. Episcopus circa seminarium existens. Uniatur» (fol. 428v).

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sfare nel migliore dei modi il mio obbligo, scriverò fedelmente e con verità tutto ciò che si vuole sapere sul seminario fin dalla sua fondazione. Il 18 aprile 1572 antonio faraone, mentre reggeva come vescovo questa diocesi, volendo istituire il seminario, fece accantonare alcune rendite per il suo sostentamento; ma, essendo sopravvenuta la morte, il vescovo non poté portare a compimento il suo progetto. Il vicario episcopale, mentre la sede era vacante per la morte del suddetto vescovo, nel 1573, I indizione, comprò una casa nella quale alloggiò alcuni chierici, secondo le disposizioni date dal vescovo defunto; ma il nuovo istituto rimase in funzione solo per sei anni. Dopo la sua chiusura fu ricostituito al tempo della visita regia di Pietro Manriques y buytron che, in forza dell’autorità regia di cui era investito, ordinò la rifondazione del seminario e la designazione dei suoi superiori. Emanò disposizioni sull’edificio, sulla disciplina, sul rettore, il ministro, il procuratore e i prefetti, sulla formazione e le regole di vita, sulle suppellettili, il patrimonio e tutte le altre circostanze utili per una ordinata convivenza [fol. 497v]. Da quell’anno, e cioè il 1581, il seminario continuò ad operare fino alla visita regia di filippo de Iordi che nel 1614, fra l’altro, visitò il seminario di Catania. avendo constatato che era alloggiato nelle stanze dette dei canonici, per ragionevoli motivi lo trasferì in un altro edificio, vicino alla cattedrale, dove rimase fino all’eruzione dell’Etna del 1669 che, per grazia di Dio, lo lasciò intatto; nel terremoto del 1693, però, esso crollò assieme a tutta la città. Nel periodo successivo, per qualche tempo, fu collocato sulle mura della città in baracche di legno, fino a quando fu ricostruito in migliore forma dalle fondamenta poco più oltre, come al presente si può vedere. Dopo aver completato la visita della cattedrale, mi sono recato nel seminario predetto, dove ho ispezionato prima di tutto la cappella, poi i dormitori, il refettorio, le aule, la cucina, i laboratori e tutta la suppellettile. ho visitato il carcere, previsto per punire le mancanze più gravi, i locali interni e quelli esterni e non ho trovato nulla da correggere. Nel seminario c’è la biblioteca, già appartenente a giovanni battista De grossis, canonico di questa collegiata, uomo eminente per erudizione e per i libri dati alle stampe. Dopo la sua morte fu data in eredità al nipote Santoro Oliva, canonico di questa cattedrale, che la donò al seminario. Il mio predecessore andrea Riggio l’arricchì di molti libri ma, al tempo dell’interdetto, essa subì parecchi smembramenti e fu privata di non pochi 537


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volumi. Oggi compio ogni sforzo per restaurarla, come pure per completare l’edificio, che è così necessario per accogliere i numerosi chierici. In seminario sono accolti i convittori, che si distinguono dagli alunni per il prefetto a cui sono affidati, per l’abito che indossano e per la retta che pagano; per tutto il resto essi condividono sia lo studio sia la vita di ogni giorno; pagano ogni anno 45 once. gli alunni portano la veste talare di colore ceruleo e pagano ogni anno 30 once; sia questi che i convittori non hanno un numero prestabilito; di solito sogliono essere 80. alcuni alunni vivono gratuitamente in seminario e le somme necessarie sono pagate da alcune città della diocesi; attualmente ci sono 6 alunni provenienti da Catania e 6 dagli altri centri della diocesi. Il seminario ha le proprie regole, che disciplinano la vita spirituale e temporale [fol. 428r]; secondo le attuali esigenze dei tempi le ho riformate ed accresciute e ho preparato le tabelle che indicano distintamente le ore da dedicare alle pratiche di pietà e allo studio. ho dato mandato di apprestarne altre per segnare con estrema chiarezza le ore dei pasti ed esse sono state già predisposte. gli introiti del seminario provengono dalla mensa vescovile, da alcuni benefici ecclesiastici che gli sono stati assegnati, dalle offerte della città e della diocesi; ma essi sono ritenuti appena sufficienti per il suo sostentamento. Nel seminario abbiamo: il rettore, al quale spetta il governo spirituale e temporale; il ministro, che provvede alla casa e al vitto; il procuratore, che ha il compito di riscuotere e pagare; 2 prefetti, uno per i convittori, l’altro per i chierici, che devono accompagnare gli alunni quando escono dal seminario; 2 maestri sacerdoti, che aiutano i chierici nello studio delle discipline insegnate nel collegio della Compagnia di gesù: grammatica, retorica, filosofia, teologia speculativa e morale. gli alunni due volte al giorno, dinanzi ai suddetti maestri, ripetono alcune materie e una volta la settimana si fa l’esercitazione scolastica di compendio. Poiché in questa città sorge l’Università degli studi alcuni convittori studiano in essa la legge civile, altri la legge canonica; per questi alunni viene in seminario un esperto di diritto che fa le suddette esercitazioni. Oltre ai suddetti ministri servono in seminario: il portiere, 2 cuochi e 1 cameriere e fanno tutti vita comune. Sia costoro che gli anzidetti, nei limiti del possibile, sono scelti per la loro età matura e per i costumi irreprensibili. 538


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hanno cura del seminario 4 canonici del capitolo cattedrale, chiamati deputati, di cui 2 sono di solito scelti fra le dignità e 2 fra i canonici; costoro, una volta al mese, si riuniscono in seminario con il rettore, controllano l’amministrazione e provvedono alle necessità ; se succede qualcosa di rilevante ne discutono con me. ho voluto riferire con chiarezza queste notizie per compiere il mio dovere; prego Dio perchÊ conservi in buona salute le Eminenze vostre, delle quali bacio riverente i lembi della porpora. Catania, 1 ottobre 1734 Prostrato ai piedi delle Eminenze vostre, o Eminentissimi Signori Pietro, vescovo di Catania agli Eminentissimi Cardinali della Congregazione del Concilio Roma

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1737 – Relazione del vescovo Pietro galletti, relativa al 51° triennio, scritta il 31 luglio 1737 e presentata nel mese di agosto dal procuratore Pietro Profeta, canonico della cattedrale di Catania1.

[fol. 430r] beatissimo Padre, per esporre alla Santità Tua lo stato della mia diocesi in questa terza visita, così come il mio ufficio richiede, ritengo fare anzitutto due rilievi. la diocesi di Catania, escluso il capoluogo, ha diverse città: Piazza, Enna o Castrogiovanni, Calascibetta, San filippo d’agira e acireale; ma ha anche diversi paesi governati dai baroni di questo Regno: Paternò, adernò, biancavilla, Regalbuto, aidone, Pietraperzia, barrafranca, valguarnera, leonforte, assoro, Centuripe, belpasso, Motta Sant’anastasia, Trappeto, Tremestieri, viagrande, Trecastagni, Pedara, Nicolosi, Mompileri, Camporotondo, San Pietro, San giovanni galermo, gravina, aci San filippo, aci Sant’antonio, acicatena con le frazioni. a questi antichi paesi della diocesi, da alcuni anni, si sono aggiunti due piccoli villaggi: Mirabella e Ramacca. ho iniziato la mia visita dalla cattedrale il 13 marzo 1736 con i riti stabiliti dal Pontificale Romano. Questo massimo tempio, notissimo in tutto il Regno, fu ricostruito dalle fondamenta dal vescovo mio predecessore D. andrea Riggio, ma negli altari era privo di ornamenti. Di mia iniziativa e a mie spese, con l’aiuto di Dio, l’ho arricchito di nuovi quadri dipinti con straordinaria bravura e adornati da cornici indorate, di cappelle restaurate con nuovi colori, di due organi decorati con oro e dipinti. E poiché mancavano anche paramenti e faldistori per le grandi solennità, vi ho provveduto ordinando che venissero fatti con seta ricamata d’oro. Nella mia cattedrale il capitolo è costituito da 5 dignità, 12 canonici,

Rel Dioec 207 a, fol. 430r-434r. al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera al papa senza data: «beatissimo Padre, il vescovo di Catania, umilissimo oratore della Santità vostra, desiderando visitare i Sagri limini per il corrente triennio 51° supplica umilmente la Santità vostra a volersi compiacere dargli facoltà di poter fare la presente visita per mezzo del sacerdote Pietro Profeta, canonico della sua cattedrale, presente in curia. Che della grazia, ecc.» (fol. 429r) con la nota della Congregazione: «Ex audientia SS.mi die 13 aprilis 1737. Santissimus annuit. Die 27 augusti 1737 fuit data debita attestatio pro 51° triennio» (fol. 438v); 2) due attestati della visita delle basiliche romane del 21 aprile 1737 (fol. 436r-437r). 1

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altrettanti beneficiati o ebdomadari e 8 mansionari. Per amministrare i sacramenti ai fedeli il capitolo si serve del maestro cappellano, coadiuvato da 4 sacerdoti. vi sono 18 cappelle, fra le quali quella insigne dedicata al Crocifisso, che possiede delle rendite per garantire ogni anno la dote a delle ragazze orfane che devono sposare. Ci sono il canonico penitenziere e il pubblico docente di teologia morale della Compagnia di gesù, il quale ogni giovedì tiene una lezione a tutto il clero [fol. 430v]. Subito dopo mi recai nella insigne collegiata intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, nella quale si trovano 3 dignità e 18 canonici con le loro prebende, che al momento sono esigue; tutti costoro indossano la cotta e la mozzetta; vi sono anche 8 mansionari distinti da un diverso tipo di mozzetta. Il sabato e nei giorni di festa celebrano con grande impegno la messa solenne e recitano in coro le ore canoniche. la cattedrale ha anche altre chiese filiali: Sant’andrea apostolo, San biagio o Sant’agata alla fornace, San filippo apostolo, Santa Marina, Santa Maria dell’Itria, Sant’agata fuori le mura e Santa Maria della Concordia, di recente da me istituita per una più efficace cura delle anime. I loro cappellani hanno la facoltà di amministrare tutti i sacramenti, ma non hanno quella di ricevere il mutuo consenso nel matrimonio che, per consuetudine immemorabile, è concessa solo dal vescovo, in quanto unico parroco della città2. Successivamente ho visitato tutte le confraternite e le congregazioni; fra di esse ho trovato anche quella, una volta famosa, dei Santi martiri Cosma e Damiano, nella cui chiesa il popolo si radunò fuori dalle rovine del terremoto del 1693. a suo tempo fu riparata alla meglio; oggi è lesionata e pericolante, minaccia di crollare da una momento all’altro. Tuttavia, da alcuni introiti distinti da quelli che costituiscono la dote, la confraternita ha l’obbligo di soddisfare alcuni legati pii. Su richiesta dei suoi rettori ho deciso, con la firma di pubblici documenti, di sospendere i legati per cinque anni3, considerato che con i 30 scudi di rendita, sufficienti appena a mantenere il culto, non era possibile riparare la chiesa e impedirne la rovina. Mi recai nel seminario dei chierici, per il cui edificio, ormai completo nella sua struttura, nominai i deputati, e negli edifici dell’Università degli studi, che il vescovo di Catania presiede con il nome di gran cancelliere. Dopo alcuni giorni visitai i monasteri femminili: San giuliano, San 2 3

In margine il testo è evidenziato dalla Congregazione. In margine il testo è evidenziato dalla Congregazione.

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benedetto, San Placido, Sant’agata, Santa Chiara e Santissima Trinità. Non senza gioia spirituale del mio animo ho constatato che le monache di questi monasteri si dedicano con tutte le loro forze al culto divino e osservano con scrupolo le loro regole; le ho confermate nella perseveranza con mie esortazioni. visitai pure altre 2 case: quella delle orfane [fol. 431r] e quella delle donne che sono ricondotte a penitenza in questa casa dopo la caduta; e che ho vivamente obbligate alle norme emanate nella precedente visita. Non solo ho raccomandato l’insegnamento dei primi rudimenti della dottrina cristiana ai cappellani delle chiese sacramentali, che ho esortato vivamente, ma ho istituito una nuova congregazione di sacerdoti, i cui soci assumono questo impegno; ad essi ho assegnato la chiesa della Madonna della lettera nella quale, ogni domenica, si riuniscono nel pomeriggio al suono della campana; indi a due a due si recano nelle chiese sacramentali per aiutare i cappellani in questo salutare compito di insegnare il catechismo. Perché i fanciulli e gli incolti apprendano e ritengano facilmente, spiegano ad alta voce e in dialetto le verità insegnate. ho stampato a mie spese un compendio della dottrina cristiana sempre in dialetto e l’ho diffuso ampiamente fra i cappellani curati di tutta la diocesi. Ritengo sufficiente aver esposto brevemente alla Santità vostra queste notizie sulla cattedrale, le parrocchie, le monache e i luoghi pii della città di Catania; ora passerò in rassegna quel che riguarda le città e i paesi della diocesi. Il 21 giugno 1736 partii per visitare la città di Piazza. ho trovato, lungo la strada, un villaggio di poca importanza chiamato «Ramacca». Nella sua chiesa ho amministrato il sacramento della confermazione; dopo aver messo in ordine tutte le cose che riguardavano questa chiesa e che mai erano state prese in esame dal suo vescovo, giunsi nel paese di aidone, dove più volte ho amministrato il sacramento della confermazione; dopo aver ispezionato tutto quello che ha attinenza al governo spirituale e temporale delle chiese, delle congregazioni, delle confraternite e del monastero delle benedettine e delle clarisse, pervenni a Piazza. In questa città la chiesa madre ha un tempio molto grande e una collegiata costituita da 3 dignità, alle quali compete la cura d’anime, 18 canonici e altrettanti beneficiati; tutti recitano le ore canoniche. Poiché per colpa dei rettori laici, che amministrano i beni temporali, a distanza di tanti anni non è stata ancora portata a termine la costruzione del tempio, ho dato ordine ai rettori di dare ogni anno, dagli introiti della chiesa, 200 once della moneta siciliana a quattro incaricati [fol. 431v] da me scelti fra i canonici, 542


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per affrettare il completamento del suddetto tempio con l’obbligo di informarmi spesso, per lettera, sullo stato della fabbrica. la matrice ha 5 chiese sacramentali filiali, nelle quali si amministrano i sacramenti dai cappellani, amovibili a discrezione del vescovo. C’è pure la chiesa di Santa Domenica, con una collegiata che è costituita da 2 dignità, 12 canonici e 10 mansionari. Ci sono 3 monasteri di monache benedettine: San giovanni Evangelista, Santissima Trinità {e Sant’agata}; uno di clarisse intitolato a Santa Chiara, infine uno di agostiniane intitolato a Sant’anna; inoltre una casa per orfane, l’ospedale per infermi e il monte di pietà per venire incontro all’indigenza dei poveri. Piazza ha molte congregazioni e confraternite con le loro chiese; altre chiese si trovano dentro e fuori le mura della città; le ho visitate tutte con molta diligenza, lasciando varie ordinazioni per promuovere il culto divino e amministrando a molti fedeli il sacramento della confermazione. Son partito per barrafranca e Pietraperzia e ho visitato le 2 chiese madri assieme alle filiali e alle congregazioni; per promuovere il culto divino ho lasciato opportuni rimedi e ammonizioni. al clero tenni una conferenza in privato; nominai un lettore perché tutti si istruissero nella teologia morale e un prefetto per insegnare ai bambini la dottrina cristiana; ho amministrato più volte il sacramento della confermazione. Salii alla città di Enna, chiamata Castrogiovanni. ho ispezionato attentamente la chiesa madre, già eretta in collegiata, ricca di rendite, di suppellettili, di vasi sacri d’argento e di reliquie di Santi. I 4 parroci per la cura delle anime sono le dignità del capitolo; vi sono, inoltre, 12 canonici e 8 beneficiati, che durante il giorno recitano le ore canoniche e celebrano messe solenni. la città è divisa in 9 parrocchie, i cui parroci sono scelti per concorso, ed ha 3 monasteri femminili che osservano la regola benedettina (San benedetto, San Marco e San Michele) ed altrettanti con la regola carmelitana (Santa Maria del Popolo, Santa Chiara e Santa Maria delle grazie). C’è anche un istituto per donne pentite [fol. 432r] che vivono in clausura intitolato all’Immacolata Concezione e un orfanotrofio femminile, intitolato a Santa Chiara. In un ospedale per la cura degli ammalati sono anche accolti, nutriti e battezzati in un apposito fonte bambini abbandonati, i genitori dei quali sono ignoti. Ci sono pure molte congregazioni e confraternite con le loro chiese; entro e fuori la città hanno sede anche molte altre chiese minori, che ho visitato tutte lasciando ammonizioni scritte. Più volte ho amministrato 543


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il sacramento della confermazione; ho nominato un prefetto per la dottrina cristiana e un lettore per la teologia morale e, dopo aver tenuto una istruzione in privato a tutto il clero, sono partito per Calascibetta. Questa città ha 2 chiese madri: Santa Maria e San Pietro apostolo, con 8 canonici ed altrettanti beneficiati che prestano servizio, a mesi alterni, nelle due chiese; gli stessi amministrano a turno i sacramenti parrocchiali. Ci sono pure: una chiesa sacramentale filiale intitolata a Sant’antonio, confraternite, congregazioni e un monastero femminile intitolato al Santissimo Salvatore. ho visitato tutto e son partito dopo aver istruito il clero con una istruzione privata, conferito ai fedeli bisognosi il sacramento della confermazione, nominato il lettore di teologia morale per istruire gli ecclesiastici e il direttore della dottrina cristiana per assegnare i punti. lasciata Calascibetta mi sono recato a leonforte. Sono rimasto ammirato per aver trovato tutto in ordine nelle cose che riguardano il culto divino e l’amministrazione della chiesa madre. ho ispezionato le chiese filiali e le congregazioni e in esse non ho trovato alcun disordine. le bambine erano bene istruite nei primi elementi della dottrina cristiana ad opera delle vergini del Collegio di Maria, fondato da pochi anni dalla religiosità e dalla munificenza del principe di Scordia, signore del paese, che è di grandissimo giovamento spirituale e temporale. ho tenuto al clero in privato una conferenza ed ho nominato un lettore di teologia morale per la sua istruzione e un prefetto per l’insegnamento della dottrina cristiana ai bambini incolti. Partii per assoro dopo aver amministrato il sacramento della confermazione ai fedeli che ne avevano bisogno. In questo paese visitai la chiesa madre, dove un capitolo di canonici esercita la cura delle anime; è costituito da 3 dignità [fol. 432v], 12 canonici e 8 beneficiati. Mi sono molto rallegrato per il gran numero di sacre suppellettili e la bellezza del culto divino. Mentre al contrario, la chiesa di Santa lucia era molto povera e, per quanto ho potuto, l’ho aiutata. visitando il monastero femminile, che porta il nome e osserva la regola di s. Chiara, l’ho esortato ad osservare le istruzioni lasciate nella mia precedente visita. Infine ho amministrato il sacramento della confermazione ai bambini e agli altri fedeli che ne avevano bisogno, ho tenuto una istruzione al clero, ho nominato un lettore di teologia morale dei francescani riformati e un sacerdote di buone qualità come prefetto della dottrina cristiana. Indi sono partito per San filippo d’agira. Questa città ha 4 chiese collegiate sacramentali: Sant’antonio di Padova, Santa Maria Maggiore, Santa Margherita e Santissimo Salvatore. 544


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Non c’è una chiesa madre; ognuna delle suddette collegiate è servita da 3 dignità, delle quali la prima è il prevosto che esercita la cura delle anime, 12 canonici e 8 mansionari. Sono 3 i monasteri femminili, di cui 2 sotto la regola di s. benedetto: Santa Maria la Raccomandata e Santa Maria annunziata, mentre il terzo porta il nome e osserva la regola di s. Chiara. la chiesa di quest’ultimo è quasi pericolante ed ho ordinato che venisse riparata. C’è l’abbazia regia intitolata a San filippo d’agira, governata da priori e cappellani insigniti ed esenti dalla mia giurisdizione. l’abate commendatario è nominato dal re. ho visitato parecchie confraternite, congregazioni e chiese e, dopo aver conferito il sacramento della confermazione, aver lasciato le necessarie istruzioni per il retto governo delle chiese e aver tenuta in privato una conferenza al clero, sono partito per Regalbuto. In questa città c’è la chiesa madre, ove prestano il loro servizio i cappellani, eletti dal vescovo e amovibili a sua discrezione, che amministrano i sacramenti parrocchiali. C’è un’altra chiesa sacramentale filiale intitolata a Santa Maria della Croce; ed anche in essa i sacramenti sono amministrati da cappellani eletti dal vescovo. Si trovano anche 2 monasteri femminili [fol. 433r] che osservano la regola di s. benedetto (Santa Maria delle grazie e San giovanni battista); un terzo, di cui ho visitato la clausura, osserva la regola di s. agostino ed è soggetto alla giurisdizione degli agostiniani. ho ispezionato molte confraternite, congregazioni e le altre chiese minori, lasciando a tutti istruzioni scritte. a molti ho conferito il sacramento della confermazione; al clero ho tenuto una istruzione in privato e, dopo aver riordinato l’insegnamento della teologia morale per gli ecclesiastici e del catechismo per gli incolti, mi sono avviato per Centuripe. In questo paese ho ammirato la chiesa madre costruita di recente, le altre chiese filiali e le congregazioni, prendendo gli opportuni rimedi quando le necessità lo richiedevano. ho trovato che il clero era poco preparato nella teologia morale e i bambini non conoscevano bene i primi elementi della dottrina cristiana. ho provveduto all’uno e all’altro nominando i prefetti, come avevo fatto altrove. Dopo aver conferito il sacramento della cresima a molti che lo chiedevano, mi sono recato altrove. Il 5 settembre ho raggiunto acireale. In questa città c’è una chiesa madre collegiata, costituita da 3 dignità, 12 canonici e 6 mansionari; tutti prestano servizio e assistono nell’amministrazione dei sacramenti, recitano le ore canoniche e cantano le messe solenni. 545


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la chiesa madre ha altre 5 chiese filiali per l’amministrazione dei sacramenti, sono rette da cappellani eletti dal vescovo. C’è un solo monastero femminile che osserva la regola di s. benedetto ed è intitolato a Sant’agata vergine e martire. ho visitato il conservatorio femminile, l’ospedale per gli infermi, il monte di pietà per recare sollievo agli indigenti, le altre chiese minori, le confraternite e le molte congregazioni con le loro chiese, nelle quali ogni anno si danno parecchi legati di matrimonio a ragazze povere. anche se il clero era bene istruito nella teologia morale, con una conferenza privata l’ho esortato a continuare a studiare e a vivere santamente [fol. 433v]; più volte ho amministrato il sacramento della confermazione; indi mi sono recato alla visita dei comuni di Paternò e adernò. Entrambi hanno la chiesa madre con una collegiata, costituita da 3 dignità, alle quali compete l’esercizio della cura d’anime, 12 canonici e 8 mansionari. Nella terra di Paternò ci sono un solo monastero femminile, che osserva la regola di s. benedetto ed è intitolato a Santa Maria annunziata, ed un ospedale per curare gli infermi; in quello di adernò ci sono 2 monasteri femminili: uno che osserva la regola delle clarisse ed è intitolato a Santa Chiara vergine, l’altro che osserva la regola benedettina ed è intitolato a Santa lucia vergine e martire. Questo monastero, per la cattiva condotta di alcune monache, ha dato non poco scandalo al popolo; perciò, con tutte le mie forze mi sono impegnato a riformarlo. ho istruito le monache con diversi corsi di esercizi spirituali di s. Ignazio, predicati dai padri della Compagnia di gesù inviati appositamente da me; ho proibito i colloqui con i secolari e gli ecclesiastici, ad eccezione dei consanguinei in primo e secondo grado che potevano avvenire solo una volta la settimana; ho fatto apporre alle finestre le grate di ferro più strette di quelle che già c’erano; dopo avere stabilito la pena ai trasgressori ho esortato tutte all’osservanza delle regole. Nel territorio c’è anche un reclusorio femminile che dà al popolo un esempio non disprezzabile di virtù. I suddetti comuni hanno diverse confraternite, società, chiese minori che ho tutte visitato. ho istituito il lettore di teologia morale ad utilità e beneficio degli ecclesiastici e li ho esortati in una riunione privata; ho incaricato alcuni sacerdoti per l’istruzione degli incolti, soprattutto bambini, nei primi elementi della nostra santa fede cristiana. Conferito a molti fedeli che ne avevano bisogno il sacramento della confermazione mi sono recato altrove. Per la visita dei paesi, che ho elencato all’inizio di questa mia relazione, non ho trovato nulla di rilevante per la Santità vostra; tutti sono stati 546


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da me visitati e sufficientemente istruiti con i necessari documenti [fol. 434r]. Più volte ho amministrato in essi il sacramento della confermazione; come nelle altre città e paesi, ho usato gli opportuni rimedi per il decoro del culto divino e il bene delle anime a me affidate. Infine umilmente prostrato ai piedi della Santità vostra presento la relazione sulla mia diocesi di Catania, pregando di volerla accogliere benignamente. Il Signore gesù conservi a lungo la Santità vostra alla Chiesa militante e benedica me e il mio gregge. Catania, 31 luglio 1737. Dopo il bacio dei beati piedi, o beatissimo Padre al bacio dei piedi della Santità vostra Pietro, vescovo di Catania

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1739 – Relazione del vescovo Pietro galletti, relativa al 52° triennio, scritta il 26 settembre 1739 e presentata nel mese di novembre dal procuratore Pietro Profeta, canonico della cattedrale di Catania1.

[fol. 442r] beatissimo Padre, Ti invio umilmente, o Santissimo Padre, la relazione sulla quarta visita della mia diocesi, pregando la Tua beatitudine di accogliere benevolmente la conoscenza di questa mia fatica e di rafforzarla con la Tua benedizione. Sono stato spinto a portare a termine un’opera così lodevole dallo zelo per le anime del mio gregge; è stato questo zelo a dare forza alla mia salute malferma e cagionevole, quando ho capito con chiarezza che questa visita era attesa con vivo desiderio da tutti. Pertanto, il 4 maggio dell’anno in corso 1739, lasciai la città di Palermo, dove la Santità Tua ha voluto che io dimorassi per svolgere l’ufficio di inquisitore generale contro gli eretici in questo regno; l’11 dello stesso mese, con l’aiuto di Dio, giunsi nella mia diocesi. Ritengo opportuno esporre fin da principio come ho fatto questa mia visita e le decisioni che ho preso per portarla a compimento. I bisogni del mio gregge e il dovere che sento per la sua cura, nel corso della mia precedente visita, fatta il 15 maggio 1736, mi hanno spinto a istruire il clero nella teologia morale; perciò, dovunque ho istituito lettori di questa disciplina e ho comminato pene a quei chierici che non partecipavano alle lezioni. Inoltre, nei luoghi in cui ho constatato che i bambini ignoravano i primi elementi del catechismo, ho deciso di nominare come prefetti della dottrina

Rel Dioec 207 a, fol. 442r-446r. al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera al papa: «beatissimo Padre, Mons. galletti, vescovo di Catania e Supremo Inquisitore del Santo Officio nel Regno di Sicilia, umilissimo oratore della Santità vostra, rappresenta qualmente, dovendo visitare i Sagri limini per il corrente triennio 52° e non potendo sodisfare in persona dett’obligo, supplica umilmente la Santità vostra a degnarsi dispensarlo e permettere che in luogo suo sodisfi a detta sagra visita il sacerdote Pietro Profeta, canonico di quella cattedrale, suo diocesano deggente a Roma. Che della grazia, ecc.» (fol. 439r) con la nota: «Ex audientia SS.mi, die 25 novembris 1739. SS.mus annuit» (fol. 450v); 2) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio giacomo gulli, il 22 settembre 1739, per il can. Pietro Profeta (fol. 440r-441v); 3) due attestati della visita alle basiliche romane rilasciati in data 30 novembre 1739 (fol. 448r-449r); 4) la nota della Congregazione: «Die 5 novembris 1739 data fuit attestatio pro 52° triennio» (fol. 450v). 1

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cristiana persone che si distinguevano non solo per dottrina e integrità di costumi, ma per prudenza ed esperienza di vita, e di erigere una congregazione di presbiteri per assolvere questo compito [fol. 442v]. Oggi a tutti è noto il vivo desiderio per lo studio del catechismo che c’è nella mia diocesi, anche nei giovani della campagna. Non mancano operai evangelici dediti al difficile compito della loro istruzione; abbandonate le città e i paesi, si recano nelle abitazioni dei pastori e fanno di tutto per preparare i giovani della campagna non solo a ricevere i sacramenti, ma a istruirsi nei cinque capitoli fondamentali della dottrina cristiana, nei quali il nostro catechismo cattolico si compendia. Credo, perciò, che questi bambini possano a ragione essere paragonati al granello di senape, che è il più piccolo fra i semi degli ortaggi, ma è destinato a diventare un grande albero {cfr Mc 4, 31} per la diffusione della sacra dottrina e dei misteri della fede presso gli stessi parenti. I sacerdoti della mia diocesi hanno la scienza che garantisce loro di svolgere nel modo più degno un così grande ministero, soprattutto quando siedono nel tribunale della penitenza. Perciò ho stabilito che i presbiteri e i chierici devono essere promossi agli ordini, alla cura delle anime o alle dignità solo se hanno l’approvazione e il documento scritto di presenza del rispettivo professore. In ogni città o paese più volte ho amministrato il sacramento della confermazione e ho promosso agli ordini minori alcuni giovani perché, con il loro ministero, fossero di utilità alle chiese che ne avevano bisogno. Inoltre ho illustrato chiaramente, ai presbiteri e ai chierici [fol. 443r] di ogni città o paese, i doveri e le manchevolezze mediante l’istruzione privata di un mio teologo; né ho trascurato di rimproverare con particolari esortazioni e con aspri richiami gli ecclesiastici che conducevano vita disordinata. Ora illustrerò su ogni città o paese quelle cose che ritengo meritevoli di essere conosciute. ho visitato la mia cattedrale osservando le cerimonie previste dal Pontificale Romano. In essa si trovano 5 dignità, 12 canonici che costituiscono il capitolo ed inoltre 12 beneficiati e 8 mansionari. I sacramenti sono amministrati dal maestro cappellano con l’aiuto di 4 sacerdoti, che hanno il privilegio di indossare le insegne. le prescrizioni stabilite nella precedente visita sono attentamente osservate. la chiesa collegiata intitolata a Santa Maria dell’Elemosina ha 3 dignità, 18 canonici, che indossano la cotta e la mozzetta, 8 mansionari, distinti da una mozzetta di diverso tipo; tutti, nei sabati e nei giorni festivi dell’anno, recitano le ore canoniche e celebrano le messe solenni. 549


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la mia chiesa cattedrale ha 8 chiese filiali, nelle quali i cappellani amministrano i sacramenti, ma non hanno la facoltà di ricevere il mutuo consenso degli sposi, che è loro conferita dal vescovo, in quanto unico parroco. ho ispezionato attentamente i monasteri femminili: San giuliano, San benedetto, San Placido, Sant’agata vergine e martire, Santa Chiara e Santissima Trinità [fol. 443v]; e 2 case che accolgono le orfane e le donne che si sono pentite dopo essere cadute. Infine ho visitato il seminario dei chierici, le confraternite, le congregazioni e tutte le chiese rurali. In alcuni casi, con mia grande soddisfazione, ho notato che avevano osservato le mie prescrizioni lasciate nella visita precedente; in altri ho dato nuove norme perché svolgessero con più decoro il culto divino. Portata a compimento la visita di Catania mi diressi verso la città di Pietraperzia e il paese di barrafranca, dove ha sede un monastero femminile che osserva con molto scrupolo la regola di s. benedetto ed è intitolato alla Santissima Trinità; è stato fondato nel 1737 e da allora ha fatto tanti progressi, sia nelle virtù sia nel patrimonio. Subito dopo mi recai nella ricchissima città di Piazza, che si gloria di un’insigne collegiata, costituita da 3 dignità, alle quali spetta la cura delle anime, 18 canonici, altrettanti beneficiati; tutti, ogni giorno, recitano le ore canoniche. Questa chiesa, che per diversi anni era rimasta incompleta, ora è portata a termine celermente con le offerte di alcune persone nobili e pie, che ho esortato a ultimare un’opera così grandiosa. C’è anche un’altra collegiata, intitolata al Santissimo Crocifisso, con 2 dignità, 12 canonici e 10 mansionari. ho visitato 3 monasteri femminili che osservano la regola di s. benedetto [fol. 444r]: San giovanni Evangelista, Santissima Trinità e Sant’agata vergine e martire; un quarto che osserva la regola e porta il titolo di s. Chiara, un quinto che osserva la regola di s. agostino ed è intitolato a Sant’anna. Ci sono, pure, un orfanotrofio femminile, l’ospedale per la cura degli infermi e il monte di pietà. Il 23 maggio dell’anno in corso, dopo aver emanato il regolare editto e aver proceduto all’esame, ho tenuto in questa città l’ordinazione generale, dopo di che ho visitato le chiese delle congregazioni e delle confraternite. I fidecommissari, i nobili, i canonici e i cittadini mi pregarono insistentemente di costruire un Collegio di Maria con il patrimonio che un testatore aveva per la fondazione di un monastero della regola di s. Teresa, visto che le somme disponibili non sono sufficienti per costruire il monastero. ho 550


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accettato con gioia questa richiesta e ho indirizzato i richiedenti alla Sacra Congregazione, perché sia essa a decidere su un’opera così degna, gradita a Dio e vivamente desiderata dalla città. Mi recai alla città di aidone, dove esortai all’osservanza della regola, con un discorso veemente, le monache dell’unico monastero di domenicane intitolato a Santa Caterina da Siena, lasciando anche delle istruzioni scritte. ho fatto il mio dovere anche nel paese di valguarnera. Dopo aver impiegato alcuni giorni alla visita di queste città e paesi, mi sono incamminato verso Enna, città costruita al centro del Regno, che può essere considerata inaccessibile per l’altezza del luogo in cui sorge. Tuttavia alla sommità di questo sito altissimo c’è una pianura con acque perenni e tutta la città è circondata da rupi scoscese [fol. 444v]. ho ispezionato in essa la chiesa madre, eretta dalla Santa Sede in collegiata, con 4 dignità che esercitano la cura delle anime, 12 canonici e 8 beneficiati; è molto ricca di reliquie di Santi, di sacre suppellettili, di vasi e utensili d’argento. Enna ha 9 parrocchie, 3 monasteri femminili che osservano la regola di s. benedetto, ed altrettanti di monache clarisse. C’è un altro istituto di donne convertite, che vivono in clausura sotto la regola di s. Chiara, ma è povero; ho messo tutto il mio impegno per aiutarlo e ho dato, anche, qualcosa del mio per venire incontro alla loro indigenza. visitai il reclusorio delle ragazze, l’ospedale, diverse confraternite, congregazioni, chiese rurali, lasciando le opportune istruzioni. Dopo aver visitato le città di Calascibetta, assoro e leonforte, mi recai nella città di San filippo d’agira, nella quale si trovano 4 chiese collegiate sacramentali: San’antonio di Padova, Santa Maria Maggiore, Santa Margherita e Santissimo Salvatore; in ognuna di esse ci sono 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari. Si trovano pure 3 monasteri femminili della regola di s. benedetto, molte società, confraternite e chiese. Questa città è resa famosa dal corpo di s. filippo di Costantinopoli2, nel cui celebre tempio l’onnipotenza divina, per l’intercessione di detto santo, opera straordinari e rari miracoli. la chiesa ha il titolo di abbazia regia, non amministra i sacramenti parrocchiali, è retta da priori e cappellani, che hanno il privilegio delle insegne e sono esenti dalla giurisdizione dell’ordinario; l’abbate commendatario è nominato dal re [fol. 445r]. Nella chiesa madre della città di Regalbuto i sacramenti sono ammi-

2 S. filippo d’agira non è originario di Costantinopoli ma della Tracia e non era di cultura greca ma siriaca.

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nistrati da cappellani nominati dal vescovo e amovibili a sua discrezione. C’è un’altra chiesa sacramentale filiale, intitolata alla Santa Croce ed altre chiese minori, che lodevolmente celebrano il culto divino. Questa città si fregia di 2 monasteri femminili, che osservano la regola di s. benedetto: Santa Maria delle grazie e San giovanni battista; un terzo osserva la regola di s. agostino ed è soggetto all’autorità dei frati dello stesso ordine; ho visitato la sua clausura. Nella città di Centuripe ho trovato completa la chiesa madre che, nella mia precedente visita, stavano ancora costruendo. Questa città, una volta famosa, oggi è in gran parte diroccata; ha poche chiese minori e il numero degli ecclesiastici è proporzionato ad esse. l’antichissima città di adernò ha una chiesa madre con una insigne collegiata, nella quale ci sono 3 dignità che esercitano la cura delle anime, 12 canonici e 8 mansionari. Si hanno 2 monasteri femminili: uno ha la regola e il titolo di Santa Chiara, l’altro professa le costituzioni benedettine ed è dedicato a Santa lucia vergine e martire. Nella mia precedente visita mi ero impegnato, con tutte le mie forze, a ricondurre all’osservanza delle regole questo monastero, che la cattiva condotta di alcune monache aveva discreditato. Quando mi fu riferito che, di proposito o per caso, erano state divelte le grate di ferro strette che io avevo fatto apporre alle finestre, volli che venissero rafforzate con il piombo [fol. 445v] e ho comminato la scomunica perché nessuno più osasse rimuoverle. C’è un altro reclusorio di ragazze dedicato ai nomi di gesù e Maria, che non poca utilità arreca alla suddetta città. Subito dopo ho visitato il paese di biancavilla e la città di Paternò. In essa c’è una chiesa collegiata con 3 dignità che esercitano la cura delle anime, 12 canonici e 8 mansionari; c’è un solo monastero femminile, che è intitolato alla beata vergine Maria annunziata e osserva gli statuti di s. benedetto; l’osservanza della regola rifulge in esso. Nelle chiese di biancavilla e Paternò non ho trovato nulla di contrario alle mie istruzioni passate. Da queste città mi recai ad acireale, nella cui chiesa madre ha sede una collegiata costituita da 3 dignità, 12 canonici e 6 mansionari; i quali tutti si prestano all’amministrazione dei sacramenti. Ci sono anche 5 chiese filiali per l’amministrazione dei sacramenti, con cappellani eletti dall’ordinario e amovibili a sua discrezione. Su tutte le chiese spicca quella di San Sebastiano martire, sia per la sua ampiezza sia per la sua bellezza. Questa città ha un solo monastero femminile benedettino, intitolato a Sant’agata vergine e martire; e ho constatato che in esso vige l’osservanza delle regole. 552


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Ci sono pure il monte di pietà, l’ospedale e un reclusorio per le ragazze; la città conta molte confraternite e chiese, nelle quali ogni anno sono dati non pochi legati perché le ragazze possano sposarsi onestamente [fol. 446r]. ho visitato, infine, i paesi posti alle falde dell’Etna: Misterbianco, Motta Sant’anastasia, belpasso, Nicolosi, San Pietro, Camporotondo, Trecastagni, viagrande, Massannunziata, Santa lucia, gravina, San giovanni galermo, San giovanni la Punta, Sant’agata, Trappeto, Tremestieri, bonaccorsi, aci Sant’antonio, aci San filippo o Catena, Trezza e, infine, acicastello; nei suddetti paesi non ritengo che ci sia qualcosa di rilevante da riferire alla Santità Tua, essendo stati istruiti a sufficienza con decreti e istruzioni. Non mi resta che passare ai voti con i quali prego Dio Ottimo Massimo, con tutto l’affetto del mio cuore, che a te conservi e accresca ogni felicità, mentre ti chiedo di dare a me la Tua santissima e paterna benedizione. Catania, 26 settembre 1739. Dopo il bacio dei beati piedi, umilissimo e obbedientissimo servo Pietro, vescovo di Catania e inquisitore generale

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1744 – Relazione del vescovo Pietro galletti, relativa al 53° triennio, scritta il 22 luglio 1744 e presentata nel mese di settembre dal procuratore Pietro Profeta, canonico della cattedrale di Catania1.

[fol. 454r] beatissimo Padre, l’attento desiderio di visitare il mio gregge ha preso il mio animo a tal punto, che volentieri, quantunque ottuagenario e afflitto da non poche malattie, mi recherei in tutte le città soggette alla mia cura pastorale se il parere unanime dei medici non me lo avesse proibito, la mia cadente età e l’evidente pericolo di vita non l’avessero del tutto impedito. Pertanto per soddisfare il compito affidatomi incaricai il vicario generale nelle cose spirituali e temporali a visitare la diocesi con la sua consueta sollecitudine e prudenza. Il vicario e visitatore generale attuò il mio progetto e il 10 giugno 1743, per la quinta volta, si recò per me in cattedrale per visitarla. In essa vi sono 12 canonici e 5 dignità (il priore, prima dignità, il cantore, il decano, il tesoriere e l’arcidiacono), che costituiscono il capitolo; vi sono, inoltre, 12 ebdomadari o beneficiati e 8 mansionari. Il capitolo, per amministrare ai fedeli i sacramenti, si serve del maestro cappellano, coadiuvato da 4 presbiteri che godono il privilegio di portare le insegne canonicali. la cattedrale è arricchita di 18 cappelle, la più nota delle quali è quella dedicata al Crocifisso; con le rendite che si ricavano dal suo patrimonio [fol. 454v], ogni anno, dà la dote per consentire a non poche ragazze orfane di contrarre matrimonio. fa parte del capitolo dei canonici il peni-

Rel Dioec 207 a, fol. 454r-456r. al testo della relazione sono acclusi: 1) una lettera al papa senza data: «beatissimo Padre, Mons. galletti, vescovo di Catania, umilissimo oratore della Santità vostra, volendo sodisfare al suo obbligo di visitare i Sagri limini per il corrente triennio 53° supplica umilmente la Santità vostra a compiacersi dargli facoltà di poter fare la presente visita per mezo del sacerdote Pietro Profeta, canonico della sua medesima cattedrale, presente in curia per suo aggente, come appare per mandato di procura che si dà qui annesso. Che della grazia, ecc.» (fol. 451r), con la nota: «Ex audientia SS.mi, die 2 septembris 1744. Sanctissimus annuit» (fol. 460v); 2) procura in forma pubblica redatta a Palermo dal notaio Stefano Sardo e fontana, il 7 maggio 1744, per il can. Pietro Profeta (fol. 452r-452v); 3) due attestati della visita alle basiliche romane, in data 20 settembre 1744 (fol. 458r-459r); 4) la nota della Congregazione: «Die 25 septembris 1744 data fuit attestatio visitationis pro 53° triennio» (fol. 460v). 1

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tenziere; inoltre, nei giovedì dell’anno, il pubblico lettore di teologia morale della Compagnia di gesù tiene una lezione a tutto il clero. le istruzioni lasciate nella precedente visita sono state tutte osservate. Il 20 giugno dello stesso anno il visitatore generale si recò nella insigne chiesa collegiata dedicata a Santa Maria dell’Elemosina. In essa vi sono 3 dignità (prevosto, tesoriere e cantore), 18 canonici, che sono rivestiti della cotta e della mozzetta, 10 mansionari, distinti per un diverso tipo di mozzetta e un cappellano, dedito all’amministrazione dei sacramenti. Inoltre la mia cattedrale ha come filiali altre chiese: Sant’andrea apostolo, San biagio o Sant’agata alla fornace, Santa Maria dell’Itria, Santa Marina, San filippo apostolo, Sant’agata vergine e martire fuori le mura e Santa Maria della Concordia. I loro cappellani hanno la facoltà di amministrare ai fedeli tutti i sacramenti, ma non quella di ricevere il mutuo consenso nel sacramento del matrimonio, che solo dal vescovo da tempo immemorabile è data, in quanto unico parroco. Nella predetta città furono visitate con ogni sollecitudine 33 confraternite e 5 congregazioni. Subito dopo fu la volta del seminario dei chierici; per la conservazione dell’edificio già ultimato e per il maggiore progresso dei giovani nella formazione spirituale e intellettuale, furono dati validissimi decreti. Dal 15 luglio al 5 settembre furono visitati i monasteri femminili: San giuliano, San benedetto abate, San Placido martire, Sant’agata vergine e martire e Santissima Trinità, tutti della regola di s. benedetto [fol. 455r], oltre a quello di Santa Chiara che osserva la regola francescana. Con grandissima gioia del mio animo le monache di questi monasteri sono dedite al culto divino e osservano minuziosamente le loro regole; ed io ho pregato Dio con insistenza perché le aiutasse a perseverare. Nelle 2 case per le orfane e per le donne indotte alla penitenza dopo la caduta, che qui chiedono asilo, non si contravviene alle mie disposizioni. fin qui le notizie sulla cattedrale, le parrocchie, le monache, i luoghi pii. Ora esporrò le cose che riguardano le città e i paesi della diocesi. Il 13 maggio 1743 il mio visitatore generale partì per visitare Piazza, nella quale Marco Trigona, uno degli abitanti più illustri, nobile, vecchio, cieco e ricco, principe della città, con testamento lasciò erede del suo ricchissimo patrimonio la chiesa della Madre di Dio, successivamente eretta in collegiata, costituita da 3 dignità (prevosto, cantore e tesoriere) alle quali è affidata la cura delle anime, 18 canonici, altrettanti presbiteri beneficiati; tutti recitano le ore canoniche. Poiché, a causa della negligenza dei rettori 555


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laici, che amministrano il patrimonio, la chiesa non è stata ancora ultimata, il mio visitatore generale ha stabilito che si osservasse scrupolosamente il mio decreto, emanato nella visita del 1736, il 21 giugno, con il quale davo le indicazioni per il completamento del tempio. In questa visita mi è giunta notizia che le somme lasciate per la celebrazione di messe, legati di matrimonio e altre pie disposizioni o non possono essere più esigite o lo possono solo con grande difficoltà, perché le somme predette sono state deposte presso amministratori diversi e dilapidate o per la loro malvagità o perché, con la loro morte, esse sono andate perdute [fol. 455v] e i loro eredi non intendono reintegrarle. Pertanto, con un efficace decreto ho stabilito che tutti i capitali destinati alle opere pie venissero chiusi in una cassa con tre chiavi, che questa venisse custodita nel monastero di Sant’anna e che solo con il permesso della curia si potesse prendere il denaro quando ciò fosse stato necessario. la chiesa madre di Piazza ha 5 chiese sacramentali filiali, nelle quali si amministrano i sacramenti da cappellani nominati dal vescovo e amovibili a sua discrezione. C’è pure una chiesa intitolata a Santa Domenica, che vanta una collegiata intitolata al Santissimo Crocifisso, in cui si trovano il prevosto e il cantore, 12 canonici e 10 mansionari. Nella città sorgono 3 monasteri con la regola di San benedetto: San giovanni Evangelista, Santissima Trinità, e Sant’agata vergine e martire; uno che osserva le costituzioni francescane, intitolato a Santa Chiara; un altro intitolato a Sant’anna, che obbedisce alle regole di s. agostino vescovo; inoltre un orfanotrofio femminile, un ospedale per la cura dei malati e un monte di pietà per venire incontro all’ indigenza dei poveri. la città di Piazza ha anche 31 confraternite con oratori pubblici, e 54 chiese, inclusi gli oratori, dentro e fuori la città; essi sono stati visitati con molta diligenza e per essi sono state lasciate diverse istruzioni per promuovere sempre di più il culto divino. Il visitatore generale, il 20 giugno, giunse al paese di aidone e visitò tutto ciò che riguarda il governo spirituale e temporale di 12 chiese, 2 parrocchie, 3 confraternite e un solo monastero femminile, intitolato a Santa Caterina vergine, che osserva le regole di s. Domenico e indossa il suo abito bianco; dopo fece ritorno alla città di Piazza per raggiungere le altre città [fol. 456r]. Ma gli fu portata la notizia della grave malattia contagiosa che era scoppiata a Messina; e poiché la pestilenza si diffondeva sempre di più e aveva colpito tutti i messinesi, le altre città siciliane furono prese dal ter556


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rore del contagio (soprattutto la mia diocesi, che confina con Messina) e costituirono delle scorte armate con il compito di controllare gli ingressi ed evitare che la malattia dei messinesi contagiasse i loro abitanti. I religiosi con le prediche incoraggiavano le popolazioni atterrite e ricordavano loro la necessità di pregare e temere Dio. Il popolo è esortato a fare pubbliche preghiere e a piangere per chiedere perdono; si predispongono riti penitenziali; si va in processione a piedi scalzi, vestiti di nero, cosparsi di cenere; versando, insieme, lacrime e sangue i penitenti chiedono perdono e misericordia a Dio; si distinguono soprattutto i padri della Compagnia di gesù, che aprono e chiudono le processioni, ma anche gli altri religiosi che, con opportune esortazioni, fanno capire quanto sia grande l’ira divina per suscitare forti reazioni emotive. In queste condizioni, essendo venuta meno la speranza di completare la visita pastorale della diocesi, il visitatore generale, con tutta la sua curia, fece ritorno a Catania. Ma io non ho perduto il desiderio di raggiungere le città della diocesi non ancora visitate; ho consolato con lettere il mio popolo afflitto e ho comunicato ai vicari foranei le indicazioni che mi sembravano utili per il governo della diocesi. Prostrato ai sacri piedi della Tua Santità espongo quest’ultima relazione sullo stato della diocesi di Catania, pregando umilmente di accettarla con paterna benevolenza, mentre prego Dio che conceda alla Santità Tua di vivere felicemente in terra e, ancora più felicemente, in cielo. Palermo, 22 luglio 1744 Dopo il bacio dei beatissimi piedi della Santità vostra Pietro, vescovo di Catania

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1746 – Relazione del vescovo Pietro galletti, relativa al 54° triennio, scritta nel giugno del 1746 e presentata nel mese di settembre dal procuratore Pietro Profeta, canonico della cattedrale di Catania1.

[fol. 464r] beatissimo Padre, invio umilmente alla Santità Tua la relazione della quinta visita di questa diocesi di Catania affidata alla mia autorità pastorale; essa non è stata fatta da me personalmente per l’impossibilità di fare un così lungo viaggio, a causa delle molte infermità dalle quali sono affetto e dell’età avanzata. Questi motivi non mi hanno consentito a suo tempo, con mio grande dispiacere, di lasciare Palermo, anche se ho fatto comunque il mio dovere e son venuto incontro alle necessità del mio gregge con ardente zelo per le anime e per le chiese, sollevandolo dalle miserie delle quali è afflitto. Proprio per controllare se erano state osservate le norme emanate nella precedente visita circa la correzione dei costumi depravati, lo stato clericale, un maggiore zelo nel culto divino, ho incaricato il mio vicario generale, il Rev.mo dottore in utroque iure D. vincenzo Paternò Trigona. È noto che egli, il 16 marzo 1743, dopo la chiesa cattedrale ha visitato con ordine le altre chiese minori, i monasteri, le parrocchie, le confraternite; inoltre ha ispezionato tutte le città e i paesi di questa diocesi [fol. 464v]. Ritengo opportuno ripetere la relazione della visita fatta alla mia predetta cattedrale, nella quale 5 dignità e 12 canonici costituiscono il capitolo; vi sono pure 12 beneficiati, chiamati comunemente secondari, il maestro delle cerimonie, 8 mansionari e, infine, il maestro cappellano con 4 sacer-

Rel Dioec, 207 a, fol. 464r-467r. al testo della relazione sono acclusi: 1) una lettera al papa senza data: «beatissimo Padre, Mons. galletti, vescovo di Catania, umilmente espone alla Santità vostra qualmente, avendo ultimato la visita della sua Diocesi a tenore della relazione che presenterà in Sagra Congregazione del Concilio, e non potendo per la sua grave età portarsi di presenza in Roma, supplica la Santità vostra degnarsi aggraziarlo che il sacerdote Pietro Profeta, canonico della sua cattedrale presente in curia, possa adempire alle sue veci nella visita dei Sagri limini. Che della grazia, ecc.» (fol. 461r), con la nota: «SS.mus annuit» (fol. 472v); 2) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio giacomo vincenzo gulli, il 1 luglio 1746, per il can. Pietro Profeta (fol. 462r-463r); 3) due attestati delle visite alle basiliche romane rilasciati in data 7 settembre 1746 (fol. 468r-469r); 4) la nota della Congregazione: «Die 23 septembris 1746 data fuit attestatio pro 54° triennio» (fol. 472v). 1

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doti amovibili a discrezione del vescovo, che provvedono in modo esemplare all’amministrazione dei sacramenti. le istruzioni date nella precedente visita sono state tutte scrupolosamente osservate. Nella insigne chiesa collegiata, intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, ci sono 3 dignità, 18 canonici, che hanno il privilegio di indossare decorose insegne, 8 mansionari, il cappellano e il maestro delle cerimonie, che indossano le mozzette; insieme, nei sabati e nelle domeniche dell’anno e nel periodo della quaresima, esse recitano le ore canoniche e celebrano le messe solenni. In questa città ci sono 8 parrocchie o chiese filiali, nelle quali da vice parroci in esse nominati sono amministrati i sacramenti; ma bisogna richiedere al delegato del vescovo, in quanto unico parroco, la facoltà di ricevere il mutuo consenso nel matrimonio. Sono i cappellani e i prefetti della dottrina cristiana ad insegnare a tutti i giovani i primi elementi della fede cattolica. furono visitati in particolare i monasteri femminili, nei quali sono manifesti i frutti delle virtù; essi occupano il loro posto secondo un criterio di precedenza temporale: primo è il monastero di San giuliano, seguono quelli di San benedetto, San Placido, Santissima Trinità, Sant’agata vergine e martire, Santa Chiara. I primi 5 osservano la regola di s. benedetto, il sesto, intitolato a Santa Chiara, osserva la regola del serafico ordine di s. francesco [fol. 465r]. Per il seminario dei chierici, le confraternite, le congregazioni, le chiese rurali e gli altri luoghi pii sono state date le norme da osservare; gli enti trovati in regola con le istruzioni date sono stati lodati. Si è seguita questa procedura nelle chiese e nei luoghi pii di tutto il bosco e nei paesi che sorgono alle pendici dell’Etna, cioè a San Pietro, a Camporotondo, Pedara, Trecastagni, viagrande, Santa lucia, gravina, San giovanni galermo, San giovanni la Punta, Sant’agata, Trappeto, Tremestieri, bonaccorsi, aci Sant’antonio, acicatena, Trezza e acicastello; in tutte queste terre sono stati emanati i provvedimenti necessari. la città di acireale ha una chiesa madre collegiata con 3 dignità, 12 canonici e 6 mansionari, che indossano le insegne canonicali concesse dalla Santa Sede; a tutti furono rilasciate le istruzioni che si ritennero necessarie. In 5 chiese filiali i cappellani amministrano i sacramenti. C’è un solo monastero femminile, soggetto alle regole di s. benedetto e dedicato a Sant’agata vergine e martire, venerato con molta ammirazione per la esemplarità dei costumi e per l’osservanza delle regole. 559


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Il monte di pietà, l’ospedale e il conservatorio delle ragazze sono bene governati. le chiese e le confraternite si distinguono per l’ordinata amministrazione delle cose che riguardano il decoro del culto divino e la distribuzione dei legati, istituiti per il matrimonio delle orfane. Dopo aver fatto queste cose lo stesso rev.mo Paternò Trigona, mio vicario e visitatore generale, si recò nella città di Piazza. In questa ricchissima città visitò in modo particolare l’insigne collegiata, costituita da 3 dignità che esercitano la cura delle anime, 18 canonici [fol. 465v] e altrettanti sacerdoti beneficiati, che recitano in coro le ore canoniche; visitò pure un’altra collegiata intitolata al Santissimo Crocifisso, alla quale sono addetti 2 dignità, 12 canonici e 3 mansionari. Nella città sorgono, inoltre, 3 monasteri femminili che osservano la regola di s. benedetto: San giovanni Evangelista, Santissima Trinità, Sant’agata vergine e martire; un quarto è sotto la regola e il nome di s. Chiara, un quinto osserva la regola di s. agostino ed è intitolato a Sant’anna. Questi monasteri furono visitati assieme al conservatorio delle ragazze, l’ospedale per gli infermi e il monte di pietà. Dopo di essi furono visitate le altre chiese site dentro e fuori le mura della città, le congregazioni, le confraternite; furono conservate le antiche istruzioni e ne furono date altre, utilissime, soprattutto circa l’adempimento dei legati. Partito per la città di aidone, il vicario visitò l’unico monastero esistente sotto la regola di s. Domenico, intitolato a Santa Caterina da Siena, le cui monache vivevano con grande esemplarità. lasciò istruzioni per i fedecommissari delle opere pie ed esaminò con cura i loro registri; diede disposizioni su altre materie concernenti il culto divino e su alcune cose che bisognava fare con metodo salutare. fu proprio dopo aver portato a termine questa parte della visita, secondo le prescrizioni canoniche, che lo stesso vicario generale Trigona, a causa della pestilenza che colpì (così permettendo Dio) la città di Messina, per osservare le disposizioni emanate per il bene di tutto il Regno dalla deputazione della sanità, non fu più in grado di proseguire e fece subito ritorno a Catania [fol. 466r]. Nel 1745, avendo il Paternò Trigona rinunziato all’ufficio di vicario generale, in sua vece, e per portare a termine in tutta la diocesi la visita pastorale già iniziata, ho scelto il Rev.mo dottore in utroque iure D. andrea vernagallo, canonico della cattedrale. Egli, con tutta la diligenza e l’attenzione possibile, secondo un certo ordine, si recò nella città di Paternò, dove 560


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visitò la chiesa madre collegiata, costituita da 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari. Nel monastero dedicato alla beata Maria vergine annunziata, che obbedisce alla regola di s. benedetto, trovò una esemplare osservanza delle regole. andò a visitare la città di biancavilla e constatò che le precedenti istruzioni erano state osservate anche qui. Per la città di adernò resta da dire che in essa c’è la chiesa madre eretta in collegiata e costituita da 3 dignità con l’obbligo di esercitare la cura delle anime, 12 canonici, 8 mansionari. Ci sono pure 2 monasteri: uno osserva la regola e porta il nome di s. Chiara, l’altro, intitolato a Santa lucia, è soggetto alle costituzioni di s. benedetto. Con paterno zelo ho messo tutto il mio impegno e non ho lasciato nulla di intentato per riportare in questo monastero una più stabile disciplina e osservanza delle regole. C’è un conservatorio di ragazze, intitolato a gesù e Maria, che è stato aiutato nella sua indigenza. la città di Centuripe ha la chiesa madre ed altre chiese minori, nella cui visita, fra le altre cose, si trattò di ciò che bisognava riformare. la chiesa madre della città di Regalbuto è servita da cappellani scelti dal vescovo; c’è pure un’altra chiesa filiale intitolata alla Santa Croce [fol. 466v]. Sorgono in questa città 2 monasteri che osservano la regola di s. benedetto (Santa Maria delle grazie e San giovanni battista) ed uno soggetto alla regola di s. agostino e sottoposto alla giurisdizione dei frati dello stesso ordine. Nella città di San filippo d’agira ci sono 4 chiese collegiate sacramentali: Sant’antonio di Padova, Santa Maria Maggiore, Santa Margherita e Santissimo Salvatore, tutte costituite con lo stesso numero di 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari; sono state sottoposte tutte alla visita assieme a 3 monasteri ivi istituiti e soggetti alla regola di s. benedetto, ed alle altre chiese, congregazioni e confraternite. Nelle città di Calascibetta, assoro e leonforte, così come si era fatto nelle precedenti, si provvide con giusti rimedi nelle cose in cui si ritenne opportuno intervenire. Subito dopo fu visitata la città di Enna, che ha una chiesa eretta in collegiata dalla Santa Sede con 4 dignità, che esercitano la cura delle anime, 12 canonici e 8 beneficiati; ha pure 9 parrocchie e 6 monasteri, dei quali 3 osservano la regola di s. benedetto e gli altri vivono sotto la disciplina di Santa Chiara. In questa città sorgono: un monastero di clausura per donne pentite, soggetto alla regola di s. Chiara, un conservatorio per ragazze, un 561


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ospedale per gli infermi e altre congregazioni; le chiese rurali e i luoghi pii sono stati aiutati con istruzioni. Infine fu visitato il villaggio di valguarnera, dove furono prescritte le norme ritenute importanti. Riassumendo, in tutta la diocesi regnano, con la grazia di Dio, la virtù, la pietà cristiana e la vera religione; a lui siano rese grazie [fol. 467r]. fra gli altri provvedimenti presi dopo il mio ritorno a Catania da Palermo, per attuare in modo ordinato le norme sui legati pii, stabilite dai sacri canoni, dal Concilio di Trento e dalle costituzionali sinodali diocesane e perché, in un tema così delicato, si intervenisse con sollecitudine e non solamente sotto lo stimolo degli altri problemi che si presentano al tempo della visita pastorale, in forza della mia potestà ordinaria ho nominato vicario generale, per le cause pie nella città e nella diocesi, il rev. dottore in utroque iure e professore D. antonino Sindona, canonico della predetta collegiata di Catania. a tutti gli effetti di legge e con regolare procedura sono stati emanati editti perché i fedeli rivelassero i legati pii, in particolare quelli tenuti nascosti, e tutte le circostanze utili ad essi connesse; al presente lo stesso vicario generale, deputato a questo compito con particolare cura, si dedica con diligenza al suo ufficio. Per concludere, genuflettendomi con il doveroso e umile ossequio, tutto sottometto al giudizio della Santità Tua e prego la divina munificenza che, per la maggiore stabilità della fede cattolica, conservi a lungo la Tua beatitudine; ti prego, inoltre, di confortarmi con la Tua pontificia benedizione. Catania, giugno 1746 Dopo il bacio dei beatissimi piedi, umilissimo e obbedientissimo servo Pietro, vescovo di Catania

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1751 – Relazione del vescovo Pietro galletti, relativa al 55° triennio, scritta il 26 marzo 1751 e presentata nel mese di aprile dal procuratore Pietro Profeta, canonico della cattedrale di Catania1.

[fol. 476r] beatissimo Padre, il desiderio di visitare la mia diocesi di Catania in questo Regno di Sicilia mi entusiasmava a tal punto (sebbene sia più che ottuagenario e affetto dall’angustia di non poche malattie) che sarei partito più che volentieri per le città e i paesi se non fossi stato impedito dall’unanime parere dei medici e dall’evidente pericolo di vita. Pertanto, per fare quello che era in mio potere, ho nominato un vicario generale per le cose spirituali e temporali perché, con l’abilità di cui è dotato, con l’aiuto e la potestà che egli ha, visitasse la diocesi ad eccezione di questa città, sede della mia cattedra epi-

1 Rel Dioec 207 a, fol. 476r-477v. al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera al papa senza data: «Santissimo Padre, Mons. galletti, vescovo della città di Catania, umilissimo oratore della Santità vostra, rappresenta di non aver potuto compire la sua visita ad Sagra limina per il triennio spirante del cinquantacinque e perciò supplica la benignità della Santità vostra per la grazia della proroga di altri mesi sei, nel giro de’ quali spera compire al suo obbligo. Che della grazia, ecc.» (fol. 470r), con la nota: «Die 5 octobris 1750. ad sex menses» (fol. 471v); 2) una seconda lettera al papa senza data: «beatissimo Padre, Mons. galletti, vescovo di Catania in Sicilia, umilissimo oratore della Santità vostra, rapresenta di non aver potuto compire la relazione dello stato della sua Chiesa, sperando mandarla nel termine delli sei mesi di proroga ottenuti dalla Santità vostra. Ma perché si trova avere eletto per suo procuratore, ad visitanda sacra limina, il sacerdote Pietro Profeta, canonico della sua cattedrale presente in curia e non può molto trattenersi in Roma, supplica la benignità della Santità vostra abilitarlo a far detta sagra visita, nonostante che mancasse la detta relazione dello stato di detta sua Chiesa. Che della grazia, ecc.» (fol. 473r), con la nota: «Ex audientia SS.mi die 27 ianuarii 1751. SS.mus annuit, dummodo intra sex menses transmittat relationem» (fol. 481v); 3) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio giacomo vincenzo gulli il 25 dicembre 1750 per il can. Pietro Profeta (fol. 474r475r); 4) due attestati di visita alle basiliche di San Pietro e di San Paolo rilasciati in data 26 aprile e 1 marzo 1751 al can. Pietro Profeta (fol. 478r-479r); 5) la nota della Congregazione: «Die 29 aprilis 1751 data fuit attestatio pro 55° triennio» (fol. 481v). Dopo il testo della relazione si trovano gli atti di un’ultima visita, che il vescovo non poté compiere perché sopravvenne la morte: una lettera al papa senza data: «beatissimo Padre, Pietro galletti, vescovo di Catania, umilissimo oratore della Santità vostra supplica della proroga della visita ad Sagra limina. Che della grazia, ecc.» (fol. 482r), con la nota: «Die xI decembris 1756. ad sex menses» (fol. 483r).

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scopale, che ho cercato di visitare personalmente per quanto era nelle mie possibilità. Il vicario generale ha portato a compimento il mandato della visita affidatogli. Pertanto io stesso, il 3 luglio 1746, superando tutti gli ostacoli della mia infermità, ho visitato questa mia cattedrale intitolata a Sant’agata vergine e martire catanese, fondata dai re e famosa in tutto il Regno. In essa operano 12 canonici, 5 dignità (il priore prima dignità, il cantore, il decano, il tesoriere e l’arcidiacono), che costituiscono il capitolo assieme a 12 ebdomadari o beneficiati e 8 mansionari. Il capitolo per l’amministrazione dei sacramenti ai fedeli incarica un maestro cappellano al quale si aggiungono 4 presbiteri ausiliari. la cattedrale si adorna di 18 cappelle, nelle quali è inclusa quella dedicata al Crocifisso, ricca di legati annui per permettere a diverse ragazze orfane di contrarre matrimonio. Nel capitolo c’è il canonico penitenziere e ogni giovedì un pubblico lettore di teologia morale, della Compagnia di gesù, tiene una lezione a tutto il clero. le ordinazioni annotate dal mio cancelliere nella precedente visita sono felicemente osservate. Il 14 luglio dello stesso anno mi recai nella insigne chiesa collegiata Santa Maria dell’Elemosina. In essa esercitano il ministero 3 dignità: il prevosto, il tesoriere, il cantore, 18 canonici e 12 mansionari con il cappellano per l’amministrazione dei sacramenti. la mia cattedrale ha altre chiese filiali: Sant’andrea apostolo, San biagio vescovo o Sant’agata alla fornace, Santa Maria dell’Itria, Santa Marina, San filippo apostolo; fuori le mura: Sant’agata vergine e martire, Santa Maria della Concordia e Santa Maria nel quartiere chiamato «Cifali». I loro cappellani hanno la facoltà di amministrare ai fedeli cristiani tutti i sacramenti, ma non quella di ricevere il mutuo consenso per il sacramento del matrimonio che, per consuetudine immemorabile, è concessa solo dal vescovo, in quanto unico parroco [fol. 476v]. Nella predetta città furono visitate con ogni diligenza 33 confraternite e varie congregazioni. Infine fu visitato il seminario dei chierici; ho emanato decreti validissimi per la conservazione dell’edificio già ultimato e per il maggior progresso spirituale e intellettuale dei giovani. Il 4 agosto ho visitato i monasteri femminili: San giuliano vescovo cenomanense2, San benedetto abate, San Placido martire, Sant’agata vergine e martire, Santissima Trinità, soggetti alla regola di s. benedetto, Santa Chiara, che osserva la regola di s. francesco; tutti sono soggetti alla mia 2

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vescovo di le Mans.


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giurisdizione. le monache di questi monasteri sono dedite anzitutto al culto divino e osservano con scrupolo le loro regole; con grande gioia del mio animo ho pregato Dio di rafforzarli nella santa perseveranza. Subito dopo ho visitato 2 case: una di orfane, l’altra di donne ricondotte alla penitenza dopo la caduta, che chiedono questo asilo. I miei precetti in esse sono osservati. C’è inoltre un altro conservatorio di poche ragazze, posto fuori le mura, che è sostentato con le elemosine di alcuni nobili. Questo è quanto riguarda la cattedrale, le parrocchie, le monache e i luoghi pii. Riferirò ora ciò che si riferisce alle città e ai paesi della diocesi. l’8 ottobre 1746 il mio visitatore e vicario generale si avviò per visitare il paese di aidone; prima di giungervi visitò la chiesa parrocchiale Santa Maria delle grazie, costituita per la popolazione della contrada chiamata «gabella». Nella città di aidone visitò la chiesa madre ma, poiché in quel momento c’erano dei lavori in corso, per evitare mancanze di riverenza fece trasferire il SS.mo Sacramento nella chiesa intitolata a Santa Maria. Per l’osservanza delle regole nell’unico monastero femminile, intitolato a Santa Caterina da Siena e soggetto alla regola di s. Domenico, lasciò in iscritto prudentissime ordinazioni; si comportò allo stesso modo visitando le altre chiese e confraternite. Il 15 ottobre dello stesso anno giunse alla città di Piazza, nella quale Marco Trigona, nobile e facoltoso principe, con il suo testamento nominò erede del ricchissimo patrimonio la chiesa dedicata alla Madre di Dio. In seguito questa chiesa fu elevata in collegiata insigne; consta di 3 dignità (prevosto, cantore e tesoriere), alle quali è affidata la cura delle anime, 18 canonici, altrettanti sacerdoti beneficiati; tutti costoro ogni giorno recitano in coro le ore canoniche. Questo tempio, per la negligenza degli amministratori laici che amministrano i beni temporali, nella mia precedente visita non era stato ancora ultimato; perciò avevo stabilito che si osservasse fedelmente il mio decreto che ordinava di portarlo al più presto a compimento. In questa visita, con l’aiuto di Dio e per la gioia di tutto il popolo, si è constatato che i lavori erano finiti. la chiesa madre di Piazza ha 5 chiese sacramentali filiali, nelle quali i sacramenti ai fedeli sono amministrati da cappellani eletti dal vescovo e amovibili a sua discrezione. C’è anche un’altra chiesa collegiata intitolata a Santa Domenica e al Santissimo Crocifisso, costituita da 2 dignità (prevosto e cantore), 12 canonici e 10 mansionari. Poiché erano in corso delle riparazioni, il mio vicario generale, per motivi di decoro, ordinò che le sacre funzioni venissero celebrate nella chiesa intitolata all’angelo Custode. 565


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I monasteri femminili soggetti alla regola di s. benedetto sono 3: San giovanni Evangelista, Santissima Trinità e Sant’agata vergine e martire; un quarto, dedicato a Santa Chiara, osserva la regola di S. francesco; un quinto porta il nome di Sant’anna ed è soggetto alla regola di s. agostino. Ci sono pure: 1 orfanotrofio femminile, intitolato a Santa Rosalia, 1 ospedale per sollevare gli infermi e il monte di pietà per aiutare i poveri. Questa città è ricca di 21 confraternite, che hanno il proprio oratorio, e di 54 chiese, chiamate oratori, che sorgono dentro e fuori le mura. Il vicario visitò pure il villaggio di Mirabella, ove c’è una chiesa in cui si amministrano i sacramenti ed un solo oratorio di confraternita [fol. 477r]. Il 14 novembre 1747 il mio visitatore generale visitò i paesi situati alle falde dell’Etna: Misterbianco, belpasso, Camporotondo, San Pietro, Nicolosi, Pedara, Trecastagni, viagrande, bonaccorsi, San giovanni la Punta, Trappeto, Sant’agata, valverde, San gregorio, Tremestieri, Santa lucia, gravina, Massannunziata, aci Sant’antonio. Nei suddetti paesi non penso sia stato trovato qualcosa che possa interessare la Santità vostra; comunque essi sono stati provvisti abbondantemente di necessari decreti da parte del mio visitatore. Il 3 dicembre 1747 il mio vicario generale visitò la città di acicatena. In essa c’è una chiesa collegiata, le cui dignità sono state insignite dalla Santa Sede della mozzetta e del rocchetto; ci sono pure altre 2 collegiate, una intitolata a San filippo, l’altra a Santa lucia, nelle quali i canonici, le dignità e i mansionari indossano la mozzetta nera; ad essi è stata affidata la cura delle anime secondo le indicazioni contenute nella bolla apostolica e nel decreto del vescovo. Dopo aver visitato le congregazioni e le chiese minori, il 13 febbraio 1748, il mio vicario generale visitò la città di acireale. In essa c’è la chiesa madre collegiata, costituita da 3 dignità, 12 canonici e 6 mansionari; tutti sono addetti all’amministrazione dei sacramenti osservando un apposito turno. Ci sono 5 chiese filiali nelle quali i sacramenti sono amministrati da cappellani eletti dal vescovo. fra le altre chiese spicca per grandezza e bellezza quella di San Sebastiano, molto frequentata dai fedeli. Questa città ha un solo monastero femminile, soggetto alla regola di s. benedetto e intitolato a Sant’agata vergine e martire; in esso si osservano fedelmente le regole. Ci sono pure: un conservatorio per ragazze intitolato a Santa venera, vergine e martire, il monte di pietà e l’ospedale. la città ha molte confraternite e chiese, nelle quali ogni anno si distribuiscono non pochi legati alle ragazze per contrarre matrimonio o entrare in monastero. 566


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Il 22 aprile 1748 il mio visitatore si diresse verso la città di Pietraperzia e il paese di barrafranca. In questo luogo c’è un monastero femminile, soggetto alla regola di s. benedetto e intitolato alla Santissima Trinità, nel quale le monache sono fedeli all’osservanza delle leggi monastiche. Il visitatore ispezionò le chiese parrocchiali e filiali dei due centri abitati; dopo aver lasciato opportune istruzioni per il progresso spirituale delle anime il 1° maggio salì verso Enna, chiamata comunemente Castrogiovanni. visitò attentamente la chiesa madre, da tempo eretta in collegiata, ricca di rendite, suppellettili, vasi sacri d’argento e reliquie di Santi; in essa si trovano 4 parroci, che sono le dignità con cura d’anime, 12 canonici e 8 mansionari; tutti, ogni giorno, recitano le ore canoniche e celebrano messe solenni. Si hanno pure 9 parrocchie, i cui parroci sono nominati per concorso. Si contano 3 monasteri femminili soggetti alla regola di s. benedetto (San benedetto, San Marco e San Michele arcangelo), altrettanti soggetti alla regola carmelitana (Santa Maria del Popolo, Santa Chiara e Santa Maria delle grazie), un monastero per donne convertite con clausura, che osserva le regole di Santa Chiara ed è intitolato all’Immacolata Concezione, un orfanotrofio femminile, un ospedale affidato ai frati di s. giovanni di Dio, nel quale sono anche accolti ed educati i bambini abbandonati. Ci sono molte congregazioni e confraternite di laici con propri oratori ed altre chiese minori dentro e fuori la città; il mio vicario le ha tutte visitate ed ha lasciato istruzioni scritte. Il mio visitatore generale, il 12 maggio dello stesso anno, si recò nel paese di leonforte. Nella chiesa madre parrocchiale, nell’altra intitolata alle anime del Purgatorio e in molte altre chiese minori la cura delle anime e il culto divino si svolgono in modo corretto. Trovò le bambine bene istruite nei primi elementi della fede, ad opera delle vergini che operano nel Collegio di Maria, fondato da qualche tempo dalla munificenza del principe di Scordia, signore temporale di questo paese, per l’utilità spirituale e temporale delle anime. Subito dopo si recò nel paese di assoro, la cui chiesa principale ha un collegio di canonici con cura d’anime; in esso si trovano 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari. Ci sono pure: un monastero femminile che osserva la regola e porta il nome di Santa Chiara vergine, una parrocchia intitolata a Santa lucia, un Collegio di Maria per l’educazione delle ragazze, un conservatorio femminile intitolato allo Spirito Santo, dove le ragazze sono educate [fol. 477v] con diversi esercizi spirituali e temporali; fu eretto negli 567


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anni passati dalla munificenza del principe di valguarnera, signore di questo paese. Il visitatore esortò all’osservanza delle norme emanate nella precedente visita. 17 maggio. Nella città di San filippo d’agira il vicario visitò 4 collegiate, nelle quali si amministrano i sacramenti ai fedeli: Santa Margherita, Sant’antonio di Padova, San Salvatore e Santa Maria Maggiore. Non c’è chiesa madre. Ognuna delle suddette chiese collegiate ha 3 dignità, la prima delle quali è il prevosto, al quale compete la cura delle anime, 12 canonici, 8 mansionari. Ci sono 3 monasteri femminili: Santa Maria la Raccomandata e Santa Maria annunziata sono soggetti alla regola di s. benedetto, mentre il terzo osserva la regola e porta il nome di Santa Chiara vergine. Inoltre si contano molte confraternite, congregazioni e chiese; il vicario ha lasciato opportune istruzioni secondo le necessità di ognuna di esse. Infine c’è la chiesa chiamata «abbazia regia», intitolata a San filippo d’agira confessore, che è retta da priori e cappellani, insigniti con il rocchetto e la mozzetta ed esenti dalla giurisdizione del vescovo. l’abate commendatario è nominato dal re. Nel corso della visita la città di Regalbuto ha avuto la sua ispezione. C’è la chiesa madre, dove svolgono il ministero amministrando i sacramenti parrocchiali cappellani eletti dal vescovo e amovibili a sua discrezione. Si ha un’altra chiesa sacramentale intitolata alla Santa Croce, con il privilegio delle insegne; qui i cappellani eletti dal vescovo amministrano i sacramenti ai fedeli. Si contano 2 monasteri femminili soggetti alla regola di s. benedetto: Santa Maria delle grazie e San giovanni battista; di un terzo, soggetto alla regola e alla giurisdizione degli agostiniani, è stata visitata la clausura. allo stesso modo si è provveduto a venire incontro alle necessità delle altre chiese minori, delle congregazioni e delle confraternite. Il visitatore si è recato nel paese di Centuripe, dove di recente la chiesa madre è stata eretta in collegiata con un indulto della Santa Sede; in essa si trovano 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari. Sono state date opportune istruzioni, secondo le loro necessità, a questa e ad un’altra chiesa filiale, alle congregazioni e alle chiese. la visita di adrano, biancavilla e la città di Paternò si protrasse fino al 4 giugno; esse hanno chiese madri con collegiate, costituite da 3 dignità, alle quali spetta la cura delle anime, 12 canonici e 8 mansionari. Nel paese di adrano sorgono 2 monasteri femminili: uno sotto il titolo e la regola di Santa Chiara vergine, l’altro soggetto alle regole di s. benedetto ed intitolato a Santa lucia vergine e martire. Questo monastero mi ha creato non 568


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poche difficoltà a causa dell’inosservanza di alcune monache; ma, con l’aiuto di Dio, tutte sono intente ad osservare le leggi monastiche. C’è anche un altro conservatorio per ragazze, che offre al popolo un non disprezzabile esempio di virtù. Nel paese di biancavilla si ha un conservatorio di ragazze e un ospizio dei frati di s. francesco di Paola. Infine, nella città di Paternò c’è un solo monastero femminile, intitolato a Santa Maria annunziata e soggetto alle regole di s. benedetto. Ci sono inoltre: l’ospedale per gli infermi, parecchie confraternite, congregazioni e chiese minori, visitate con la dovuta riverenza. Negli altri piccoli centri della mia diocesi non c’è nulla che meriti di essere riferito nella presente relazione. Ricevi, o beatissimo Padre, questo debito del mio ufficio, cioè la relazione della mia diocesi. Non mi resta che pregare Dio perché conservi incolume la Santità Tua per il bene di tutto il mondo cattolico, perché questo tuo pontificato duri per moltissimi anni e realizzi i Tuoi desideri, e perché la Tua vita possa scorrere serenamente. Catania, 26 marzo 1751 Dopo il bacio dei beati piedi, umilissimo ed obbedientissimo figlio prostrato ai piedi della Santità vostra Pietro, vescovo di Catania

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SalvaTORE vENTIMIglIa (1757-1771) 1. la fIgURa

fra gli esponenti del nuovo clima culturale, affermatosi in Sicilia a partire dalla fine del secolo xvII, il vescovo Salvatore ventimiglia può essere considerato uno dei personaggi più rappresentativi. gli storici che, a diverso titolo, si sono occupati di questo periodo, se da una parte si sono sentiti obbligati ad interessarsi della sua figura e della sua opera, dall’altra hanno incontrato non poche difficoltà ad inquadrare la sua personalità nei molteplici movimenti culturali del tempo1. Poiché il ventimiglia non ha lasciato scritti di rilievo2, l’unica possibilità di ricostruire le matrici del suo

1 fra coloro che si sono occupati del ventimiglia nel tratteggiare i fermenti culturali del secolo xvIII ricordiamo, in particolare: D. SCINà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, a cura di v. Turone, 3 voll., Palermo 1969; C. MUSUMaRRa, La cultura a Catania tra la fine del sec. xViii e la prima metà del sec. xix, in aSSO 54-55 (1958-1959) 65-122; M. CONDOREllI, note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani del secolo xViii, in il Diritto Ecclesiastico 68 (1957), I, 306-385; g. gIaRRIZZO, Giovanni Agostino De Cosmi, in illuministi italiani, vII, Milano-Napoli 1965, 1079-1111; ID., illuminismo, in R. ROMEO (cur.), Storia della Sicilia, cit., Iv, 711-815; ID., La Sicilia dal Viceregno al Regno, in ibid., vI, 495-554; f. RENDa, Dalle riforme al periodo costituzionale (1734-1816), in ibid., 183-297; g. bENTIvEgNa, Filosofia e politica della tradizione nella Sicilia del primo Settecento, in aSSO 91 (1995) 35-141. 2 l’elenco ci è dato da uno dei suoi biografi: «1) Reggio Pietro M. della Compagnia di gesù, rettore del Convitto de’ nobili: sua laudazione funebre, detta in purgato latino dal convittore Salvatore ventimiglia di anni 12, composta dal P. Emm. aquilera, Palermo 1734 […]; 2) aquilera Emmanuele, storico della Compagnia di gesù. Elogio funebre del suo discepolo Salvatore ventimiglia, Palermo 1740 […]; 3) Orazione funebre per la morte del D. francesco Notar bartolo Duca di villarosa, Palermo 1750 […]; 4) Discorso sopra l’epoche felici pe’ Principi protettori delle arti e delle scienze, letto nell’accademia del Duca di Pratameno in Palermo 1755 in 4°; Salvatore ventimiglia ex Princ. belmontis Panormi; 5) De Christi resurgentis gloria. Oratio in sacello pontificio habita, Romae 1774 […]; 6) la suddetta lettera pastorale [del 27 dicembre 1757]; 7) l’ufficio e la Messa propria di s. Euplio […]; 8) Il Catechismo della Dottrina Cristiana […]; 9) le preghiere giornaliere o l’orazione comune da farsi la mattina e la sera stampate nella tipografia del Seminario di Catania l’anno 1768; 10) affetti d’un’anima penitente che si apparecchia alla morte cioè luoghi scelti della Divina Scrittura da suggerire da’ sacerdoti, dati alla luce in Palermo l’anno 1796; 11) l’apologia a difesa della iscrizione Decemviri Procuratorum da lui fatta e data alla luce sotto

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pensiero era costituita dalle scarne testimonianze dei contemporanei o dalla sua intensa attività di promozione culturale e di riforma, che caratterizzò il governo pastorale di Catania e gli anni palermitani successivi alle sue dimissioni. Non si può affermare che queste ricerche abbiano dato risultati di particolare interesse. Di solito non si è andati oltre a generiche classificazioni che, se permettono di cogliere particolari aspetti della sua personalità, possono anche indurre a darne un quadro tutt’altro che obiettivo ed esauriente. Sulla base di elementi non sempre chiari e convergenti, il ventimiglia è stato definito di volta in volta giansenista, illuminista, muratoriano, genovesiano, leibiniziano, wolfiano, massone… Non disponiamo, comunque, fino a questo momento di uno studio esauriente su questo vescovo riformatore, che ha segnato con la sua opera la vita culturale siciliana del secolo xvIII3. I profili che ci hanno lasciato i contemporanei o gli storici del secolo successivo, quando non assumono uno stile marcatamente apologetico, si limitano ad illustrare alcuni momenti salienti della sua vita e della sua attività riformatrice4. Soprattutto nell’ultimo decennio sono stati pubblicati alcuni saggi su aspetti particolari dell’attività pastorale del ventimiglia5. I documenti che pubblichiamo possono

nome alieno 1779, in 4°; 12) Un’altra iscrizione scrisse Mons. ventimiglia, trovandosi in Palermo nel 1774 […] (P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 122-125). 3 Nell’anno accamedico 1974-1975, relatore il prof. S. leone, è stata discussa presso la facoltà di lettere dell’Università di Catania la tesi di laurea da I. DENaRO, Salvatore Ventimiglia Vescovo di Catania (1757-1772), il cui testo dattiloscritto può essere consultato presso la biblioteca regionale universitaria. anche se sono stati utilizzati alcuni documenti degli archivi della curia arcivescovile e del capitolo cattedrale, la figura del ventimiglia è delineata prevalentemente sulla base delle notizie e dei giudizi formulati negli studi preesistenti. 4 g. SaRDO, Elogio accademico di Mons. D. S. Ventimiglia de’ Principi di Belmonte, già Vescovo di Catania, Catania 1797; {S. ZaPPalà gRaSSO}, Memoria intorno alle più cospicue azioni di Mons. Salvadore Ventimiglia già vescovo di Catania e poi arcivescovo di nicomedia, Palermo 1797; g.E. ORTOlaNI, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Napoli 1817, (senza numerazione di pagine); P. CaSTORINa, Elogio storico, cit. 5 a. gaglIO, Lettere di Mons. Ventimiglia, in aSSO 38-39 (1942-1943) 171-183; g. DI faZIO, Salvatore Ventimiglia e il rinnovamento della catechesi nell’italia del Settecento, in Orientamenti sociali (1981) 1, 63-102; ID., il grande inquisitore e l’eremita, in Synaxis 1 (1983) 261-293; ID., Vescovi riformatori e cristianizzazione della società nella Sicilia del Settecento, in Synaxis 2 (1984) 447-472; R. aZZaRO PUlvIRENTI, La rinascita del tomismo in Sicilia nel secolo xix, Città del vaticano 1986, 56-69; P. SaPIENZa, il rilancio del seminario di Catania durante l’episcopato di Mons. Salvatore Ventimiglia (1757-1772), in Synaxis 7 (1989) 329-372.

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dare un notevole contributo alla comprensione della sua personalità e una risposta ad alcuni interrogativi posti dai suoi biografi6. a) nascita, formazione, ministero palermitano

Il nostro vescovo nacque a Palermo il 15 luglio 1721 da vincenzo ventimiglia e da anna Maria Statella7, una famiglia di antica nobiltà che, nel corso dei secoli, aveva avuto un ruolo preminente nelle vicende siciliane8. Il primogenito giuseppe Emanuele, che ricoprì incarichi di rilievo nella città di Palermo e alla corte di Napoli9, aveva acquisito dal nonno francesco il titolo di principe di belmonte. I pochi dati sicuri che ci hanno tramandato i primi biografi di Salvatore ventimiglia non ci permettono di delineare il quadro completo della sua formazione personale. frequentò a Palermo il collegio Carolino

6 Nonostante l’importanza degli elementi provenienti dai documenti che pubblichiamo, restano ancora da chiarire molti aspetti della personalità del ventimiglia. Sarebbe auspicabile trovare il suo archivio personale per avere elementi utili sulla sua formazione culturale e sugli anni palermitani prima della consacrazione episcopale e dopo le sue dimissioni. 7 Dal certificato di battesimo, accluso al processo informativo per la sua nomina vescovile, risulta che fu battezzato lo stesso giorno della nascita nella parrocchia San Nicolò alla kalsa e gli furono imposti i nomi di Salvatore, Ignazio, Rosolino, Enrico, francesco, gaetano, Carmelo, gaspare, baldassarre, Melchiorre, girolamo, giovanni, Cristoforo, Nicola, giuseppe e Mariano (Proc Dat 134, fol. 503r). 8 la famiglia ventimiglia «secondo alcuni autori trae origine dai conti di ventimiglia di liguria, discendenti dai lascari, imperatori di Costantinopoli; secondo altri autori discende in linea retta mascolina dai principi Normanni, dominatori della Sicilia. Si crede che il primo a passare in Sicilia sia stato un guglielmo, conte di ventimiglia, nel 1242» (v. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare, cit., vI, 854-857). 9 Nato a Palermo nel 1716, giovanissimo fece il suo ingresso nella vita pubblica nel 1736 con la nomina di capitano di giustizia, alla quale seguì, nel 1744, quella di pretore (capo dell’amministrazione civica), cariche che ricoprì una seconda volta nel 1748 e nel 1757. a una chiara visione della cosa pubblica rispondeva la capacità di assumere pronte iniziative, come ad es. quelle disposte nel campo della difesa militare e della sanità pubblica (coordinò i servizi sanitari della Sicilia durante l’epidemia colerica di Messina). Nel 1750 e nel 1758 fu deputato del Regno. Nel 1760 fu nominato ambasciatore straordinario a venezia e al suo ritorno (1761) svolse le mansioni di maggiordomo di camera del sovrano, maggiordomo maggiore della regina (1767) e del re (1769); nel 1771 ebbe la nomina di grande di Spagna di prima classe. Morì il 2 marzo 1777 (f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, I/2, cit., 82; v, 106-107; g. SCICOlONE, Belmonte, Giuseppe Emanuele Ventimiglia e Statella principe di, in DbI, vIII, Roma 1966, 20-22).

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dei gesuiti, dove ebbe come maestro il p. Emanuele aguilera10. la sua personalità appare molto complessa: dotato di una spiccata intelligenza e spinto da un vivo desiderio di allargare le sue conoscenze, accettò gli innumerevoli stimoli culturali che gli offrivano il suo ambiente e il suo tempo11; tendente alla solitudine e alla vita contemplativa, aveva una intensa vita interiore e appariva tormentato dalla convinzione della sua indegnità e dai suoi peccati12. Non siamo in grado di stabilire il periodo e i motivi che lo indussero ad allontanarsi dall’ambiente dei gesuiti per passare a quello dei domenicani, ai quali probabilmente si deve il diverso indirizzo dato alla sua vita. Uno dei punti più sicuri di riferimento, che possono aiutarci a ricostruire questo momento delicato della sua formazione, è il p. antonino lo Presti o. p., suo consigliere e direttore spirituale13. Probabilmente sotto la sua guida compì le scelte più importanti della sua vita.

Il noto umanista della Compagnia di gesù «l’addottrinò nelle greche lettere e latine con tale meraviglioso profitto, che appena pervenuto all’età di 12 anni distese in purgato latino, recitò con grazia e diede alle stampe una bene ragionata orazion funebre per la morte del p. Pietro Maria Reggio. Non trascurò in quei suoi verdi anni lo studio dell’ebraica lingua, applicatosi pure alle lingue volgari della nostra Europa, e massime a quella nel cui linguaggio trovansi libri dell’arti, delle scienze d’ogni maniera, la quale sapea a perfezione né più né meno che un nazionale medesimo» (S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 7-8). 11 Il ventimiglia non appare come il frutto del caso. va sottolineato che in questo periodo l’ambiente culturale ecclesiastico della città di Palermo fu in grado di produrre personaggi di altissima levatura come g.b. Caruso, M. Settimo, l. gioeni, g. longo, i fratelli Di blasi, f. Testa, g. Di giovanni, a. Pantò… (D. SCINà, Prospetto, cit., I, 133-158; II, 147179; M. CONDOREllI, note su Stato e Chiesa, cit.; g. gIaRRIZZO, illuminismo, cit., 712-815). I primi biografi del nostro vescovo evidenziano il suo impegno per lo studio delle varie discipline: «continua era la sua applicazione su i libri, che recavasi fin nei diporti e nella medesima mensa e specialmente spendea su di essi tutto il tempo della notte, giacché era di breve sonno. Proceduto poscia negl’anni avanzossi troppo avanti nello studio delle scienze: filosofia, teologia, sacri canoni, padri, istoria profana e specialmente ecclesiastica, disciplina antica e moderna della Chiesa e soprattutto la Sacra Scrittura furono oggetto continuo della sua infaticabile applicazione ed imperciò acquistossi una gran fama di letterato e fu sempre tenuto per uno de’ più dotti uomini del nostro Regno» (S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 8). 12 Questo suo atteggiamento ricalca l’indirizzo proprio del rigorismo agostiniano e domenicano, che sottolineava la grandezza di Dio e il nulla dell’uomo. Nella lettera pastorale, inviata dopo la sua nomina, si vedano le espressioni di confusione e di trepidazione che egli manifesta verso le responsabilità assunte con l’ufficio di vescovo (P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 112-122). Potrebbero essere considerate parole di circostanza o di falsa modestia se non trovassero riscontro nelle motivazioni addotte per le sue dimissioni. 13 Nato a Cammarata nel 1698, prese l’abito domenicano nel 1724, dopo aver compiuto gli studi ecclesiastici ed essere stato ordinato sacerdote. Completò la sua formazione 10

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Il ventimiglia, in un primo tempo, si indirizzò alla vita contemplativa. all’età di 21 anni (verso il 1742) si rifugiò nella certosa di Santo Stefano del bosco in Calabria, ma dopo undici mesi di permanenza un violento terremoto lo indusse a ritornare a Palermo14. Per circa un anno, fino all’ordinazione sacerdotale (16 agosto 174415), dimorò nell’oratorio di San filippo Neri detto dell’Olivella16. la permanenza del ventimiglia in una casa dell’oratorio può avere una particolare rilevanza per delineare la sua personalità, se si tiene presente che gli oratoriani facevano parte del fronte antigesuita e si collocavano fra i cattolici illuminati17. I suoi biografi non ci teologica nelle scuole dell’ordine e conseguì la laurea a Roma nel 1735. Insegnò per diversi anni ad agrigento nel seminario e nel collegio dei Santi agostino e Tommaso, resse lo studio teologico dei domenicani di Palermo. Il suo rigore morale e il suo temperamento polemico lo indussero a partecipare attivamente ai dibattiti e alle controversie che caratterizzarono l’ambiente palermitano di quegli anni: in una pubblica lettera condannò gli spettacoli teatrali che si tenevano nel monastero benedettino di San Martino delle Scale, in uno scritto difese contro gli attacchi dei gesuiti l’opuscolo del Muratori Della regolata divozione de’ cristiani (1747). Morì nel 1784 (M. CONIglIONE, La provincia domenicana di Sicilia. notizie storiche documentate, Catania 1937, 473-474; D. SCINà, Prospetto, cit., II, 147, 150-151). Il Catalano e il Cigno ritengono che sia dovuto al suo insegnamento nel seminario di agrigento il ‘filogiansenismo’ del De Cosmi (E. CaTalaNO, Liberalismo economico e religioso e filogiansenismo in G.A. De Cosmi, Milano-Roma-Napoli 1926, 30-31; g. CIgNO, Giovanni Andrea Serrao e il giansenismo nell’italia meridionale (secolo xViii), Palermo, 1938, 338-344). la presenza del p. lo Presti è costante nella vita del ventimiglia, che se ne servì come consultore durante il suo governo pastorale a Catania (Tutt’Atti 1765-1766, fol. 195v-200v); sembra, inoltre, che il padre domenicano abbia avuto una certa influenza nelle sue dimissioni (P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., xlIx-l) e lo troviamo a Palermo, al tribunale del S. Uffizio, mentre il nostro vescovo era inquisitore generale (v. la MaNTIa, Origine e vicende dell’inquisizione in Sicilia, Palermo 1977, 142). 14 S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 4. 15 Proc Dat 134, fol. 505. 16 S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 39. Il Cigno sostiene che il ventimiglia fosse un filippino (g. CIgNO, Giovanni Andrea Serrao, cit., 344); ma questa affermazione, oltre che dai biografi, è smentita dalla documentazione acclusa al processo informativo per la nomina a vescovo di Catania, dove egli è indicato come appartenente al clero palermitano e non all’oratorio di San filippo Neri. 17 Sebbene ci sia una sostanziale differenza fra l’oratorio francese e l’oratorio italiano, tuttavia anche in Italia si nota una netta presa di posizione di questi sacerdoti contro le tesi dei gesuiti e una simpatia verso la teologia agostiniana. Si veda quanto scrive il Dammig a proposito del circolo che si riuniva alla chiesa Nuova di Roma (E. DaMMIg, il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo xViii, Città del vaticano 1945, 194-212; E. PRéClIN – E. JaRRy, Le lotte politiche e dottrinali nei secoli xVii e xViii (1648-1789), in Storia della Chiesa, iniziata da a. fliche – v. Martin, cit., xIx/2, 788-790).

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dicono nulla sul decennio trascorso dalla sua ordinazione fino alla laurea in utroque iure, che conseguì alla Sapienza di Roma (8 novembre 175318). Neppure della sua permanenza a Roma e del suo corso di studi giuridici abbiamo notizie di particolare utilità, al di fuori dei puncta discussi nell’esame di laurea e del suo relatore19. Possiamo ritenere probabile che a quel tempo il suo orientamento culturale fosse già ben definito, se si tiene presente che il ventimiglia conseguì la laurea all’età di trentadue anni. Inoltre, considerando la posizione conservatrice che il nostro vescovo dimostra di avere sui rapporti Chiesa-Stato, c’è da ritenere che gli studi fatti alla Sapienza non siano stati determinanti nella sua svolta culturale20. a distanza di qualche anno dal suo rientro a Palermo dopo il conseguimento della laurea, l’arcivescovo Marcello Papiniano Cusani, nonostante la sua giovane età, lo nominò vicario generale21. Questa scelta, se da una parte è indicativa per la stima di cui godeva il ventimiglia, dall’altra ci consente di acquisire altri elementi utili per delineare la sua personalità. Il Cusani, infatti, non era un personaggio di secondo piano22. Il giovane pre-

Proc Dat 134, fol. 506r-v. Nel diploma di laurea accluso alla documentazione del processo informativo per la nomina vescovile leggiamo: «[…] puncta sibi assignata in iure canonico, cap. 1, de fideiussionibus, et in iure civili L. empti actio Cod. de evictionibus […]» (ibid., fol. 506r). Relatore fu Paolo francesco antamori che, oltre ad essere docente, ricopriva diverse cariche nella curia romana. Nel 1760 fu nominato rettore dell’Università; esercitò quest’ufficio per venti anni, fino alla nomina di cardinale e di vescovo di Orvieto (11 dicembre 1780) (Antamori Francesco Paolo, in g. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, cit., I, 161; M. DE CaMIllIS, Antamoro Paolo Francesco, in Enciclopedia Cattolica, cit., I, 1422; R. RITZlER – P. SEfRIN, Hierarchia catholica, cit., vI, 33 e 426). 20 le aperture che si erano avute alla Sapienza con l’insegnamento affidato a personaggi che gravitavano nell’area dei cattolici illuminati (vedi la nomina di g. bottari per l’insegnamento di storia ecclesiastica e di controversie e quella di P. giorgi per quello di Sacra Scrittura), non avevano toccato le facoltà giuridiche, nelle quali l’insegnamento seguiva la dottrina tradizionale. la riforma del 1748 di benedetto xIv, oltre a sancire la prassi dei concorsi per i lettori, ridusse i corsi di giurisprudenza per creare due corsi scientifici di chimica e di matematica superiore (E. DaMMIg, il movimento giansenista, cit., 66 e 155; M.R. DE SIMONE, La “Sapienza” romana , cit., 130-138). 21 Il teste fr. luigi da Catania, nel processo informativo per la nomina di vescovo, depone: «Egli quasi sino al presente è stato vicario generale dell’arcivescovo di Palermo, essendosi in questo impiego portato non solo lodevolmente ma anche prudentemente e con piacere di tutta la città» (Proc Dat 134, fol. 501r). 22 Il Cusani era nato nel beneventano il 17 febbraio 1690. Compì gli studi giuridici e teologici a Napoli dove, frequentando i circoli antigesuiti e antispagnoli, conobbe e frequentò personaggi di spicco nella cultura europea del tempo: giannone, vico, galiani, genovesi… 18 19

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lato, negli anni trascorsi accanto a lui, avrà avuto più di un suggerimento per il suo futuro ministero episcopale di Catania. le qualità morali ed intellettuali e le buone capacità di governo dimostrate dal ventimiglia indussero Carlo III a presentarlo al papa come vescovo della diocesi di Catania (19 novembre 1757), vacante per la morte di Pietro galletti23. b) identità culturale

la principale difficoltà, che si è incontrata per delineare la matrice culturale del ventimiglia, è strettamente legata all’«intricatissimo problema» dell’individuazione storica del giansenismo italiano24. l’eccessiva polarizzazione del binomio gesuiti-giansenisti, dovuta alle polemiche e alle reciproche accuse che si scambiavano, da una parte, i difensori della scolastica e della controriforma e, dall’altra, coloro che si prefiggevano un rinnovamento a partire dalla più antica tradizione della Chiesa e dalle nuove

Dopo avere insegnato diritto civile e canonico a Napoli e Torino, accettò la nomina di arciprete ad altamura (1746), dove si distinse per una riforma ispirata al cattolicesimo illuminato e all’agostinismo: riqualificazione culturale e pastorale del clero, attuazione del catasto onciario, istituzione del monte moltiplico, fondazione di una Università degli studi… Nel 1752 fu nominato arcivescovo di Otranto, dove rimase pochi mesi, perché nel 1754 fu promosso alla sede di Palermo dove, accolto con entusiasmo dall’accademia del buon gusto, diede vita ad una vasta attività di riforma, avendo come suoi collaboratori francesco Testa e Salvatore ventimiglia: riordinò gli studi giuridici e filosofici del clero, introducendo la conoscenza di locke e assumendo un marcato indirizzo antigesuitico; fu di sostegno all’affermazione del potere sovrano sui particolarismi feudali, preparando il terreno alla futura riforma del Caracciolo. Per questa sua linea politica entrò in contrasto con i gesuiti e la nobiltà siciliana. afflitto da una incipiente cecità si dimise nel 1762 e si ritirò a Napoli, dove morì nel 1766: a. gISONDI, Cusani (Cusano) Marcello Papiniano, in DbI, xxxI, Roma 1985, 502-505. 23 Nella presentazione del re leggiamo: «hallandose vacante en mi Reyno de Sicilia la Iglesia y obisbado de Catania […] he eligido y nombrado para ella a D. Salvador ventimiglia, vicario general de la Iglesia de Palermo, por su doctrina, y religiosas costumbres, y por su acertada conducta en el desempeño de dicho empleo de vicario general, por esperar que, mediante esto, serà por el la referida Iglesia de Catania bien regida, y administrada […]» (Proc Dat 134, fol. 509r). Il gisondi afferma che fu lo stesso Cusani a proporre la nomina di f. Testa e di S. ventimiglia per le sedi di Monreale e di Catania: a. gISONDI, Cusani (Cusano) Marcello Papiniano, cit., 504. 24 l’espressione del Codignola è indicativa della complessità della questione e della fatica con cui si è giunti a delle conclusioni ormai pacificamente accettate: E. CODIgNOla, illuministi, giansenisti e giacobini nell’italia del Settecento, firenze 1947, vIII.

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correnti filosofiche, non aiutarono la storiografia dei secoli seguenti alla individuazione dei diversi movimenti culturali che caratterizzarono il secolo xvIII25. Solo dopo l’ultima guerra si fece notare con insistenza che non era possibile comprendere sotto la qualifica di ‘giansenismo’ le molteplici correnti di pensiero che si contrapposero ai gesuiti26. le soluzioni prospettate sono diverse: c’è chi definisce «illuministi cattolici» coloro che, pur contrapponendosi ai gesuiti, non possono essere qualificati come giansenisti27; altri, invece, preferiscono l’espressione «catholiques éclairés» o «cattolici illuminati»28; altri ancora, servendosi di un’espressione introdotta dalla storiografia tedesca, parlano di Aufklärung (rischiaramento) con l’aggiunta dell’aggettivo «cattolico», che non intende restringere il fenomeno ad una sola confessione, escludendo il mondo riformato, ma sottolineare che le forze trainanti di una più generale Aufklärung cristiana sono in sostanza cattoliche29. Naturalmente non si tratta di una semplice questione terminologica. anzitutto c’è da individuare con chiarezza questo movimento cattolico, in

25 Jemolo, nel tentativo di scrivere la preistoria del giansenismo italiano, non riuscì a segnare con chiarezza la linea di demarcazione fra i ‘così detti’ e gli autentici giansenisti (a.C. JEMOlO, il giansenismo in italia prima della rivoluzione, bari 1928). E. DaMMIg, il movimento giansenista, cit., fin dal titolo del suo volume (il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo xViii) ci fa intuire che intende eludere il problema, perché l’espressione ‘movimento giansenista’ può comprendere sia i giansenisti veri e propri, sia coloro che, in qualche modo, sono ritenuti simpatizzanti delle loro dottrine. Comunque, nel corso della trattazione, egli si serve della distinzione filogiansenisti-giansenisti senza, tuttavia, preoccuparsi di approfondire l’argomento. Sul giansenismo italiano e la relativa storiografia vedi anche E. PRéClIN – E. JaRRy, Le lotte politiche e dottrinali, cit., xIx/1, 408-426. 26 Il giansenismo «va distinto non solo dall’illuminismo laico, dalla massoneria, dal giacobinismo unitario, ma anche dall’illuminismo cattolico, dal cristianesimo giacobino, oltre che dal cattolicesimo liberale della restaurazione» (E. CODIgNOla, illuministi, cit., vIII). 27 ibid., 45-58. 28 E. aPPOlIS, Entre jansenistes et zelanti. Le “tiers parti” catholique au xViiie siecle, Paris 1960. Si deve soprattutto a questo autore se l’argomento è affrontato e sviluppato fino alle sue ultime conseguenze. la storiografia più recente, anche se gli rimprovera di avere formulato uno schema eccessivamente ampio e onnicomprensivo, gli riconosce il merito di avere individuato la soluzione del problema. 29 E. PRéClIN – E. JaRRy, Le lotte politiche e dottrinali, cit., xIx/1, 60-69; xIx/2, 10581061, 1081-1094; M. ROSa, Politica e religione nel ’700 europeo, firenze 1974; ID., introduzione all’Aufklärung cattolica in italia, in Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, Roma 1981, 1-47; D. MENOZZI, «Aufklärung» delle Chiese cristiane e «chrétiens éclairés». in margine ai lavori della terza sezione del Congresso C.i.H.E.C. di Varsavia, in Critica storica 16 (1979) 150-161; M. baTllORI, L’illuminismo e la Chiesa, in Problemi di storia della Chiesa nei secoli xVii-xViii, cit., 191-202.

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modo da poterlo distinguere dal giansenismo; poi c’è da scegliere fra le diverse denominazioni proposte quella che è ritenuta più idonea30. Per appolis i cattolici illuminati o «terzo partito» non sono i figli spuri del giansenismo; i due movimenti hanno una comune origine nella concezione agostiniana della libertà e della grazia e nella volontà di riformare la Chiesa a partire dal modello idealizzato della primitiva comunità cristiana. Si tratta di un movimento culturale già presente al Concilio di Trento, che si trovò in minoranza nelle scuole per la soverchiante presenza dei gesuiti. fra i suoi promotori e sostenitori troviamo gli agostiniani, i domenicani (in un secondo tempo anche i benedettini e gli oratoriani) e le grandi Università della Sorbona e di lovanio. I tratti di questo movimento caratterizzano in francia i cattolici ferventi ancor prima della nascita del giansenismo: l’importanza riconosciuta al fattore della grazia, il rigorismo morale, l’ascetismo, il pessimismo…31. Il giansenismo nasce in seguito alla contrapposizione frontale fra la dottrina molinista sulla grazia sostenuta dai gesuiti e il rigorismo degli agostiniani e dei domenicani32. giansenio intende rafforzare con la sua dottrina il fronte antigesuita. Tuttavia il radicalismo delle sue tesi e la successiva condanna finirono per screditare anche quel movimento rigorista, esistente prima di lui, che non aveva condiviso le sue conclusioni e non aveva assunto un atteggiamento di ribellione nei confronti delle autorità ecclesiastiche33.

30 l’espressione «illuminismo cattolico» non piace a molti: ritengono che l’aggettivo ‘cattolico’ non può far assumere al termine ‘illuminismo’ un significato del tutto nuovo e per certi versi contraddittorio. «Cattolici illuminati» ha un significato molto più sfumato, perché punto di partenza è il sostantivo ‘cattolici’; l’aggiunta dell’aggettivo ‘illuminati’ non obbliga a recepire tutto il significato del termine ‘illuminismo’. Aufklärung evita anche il lontano riferimento all’idea dei ‘lumi’. 31 E. aPPOlIS, Entre jansenistes, cit., 1-3. 32 Sul giansenismo vedi tra gli altri: l. CEySSENS, Jansenistica, 4 voll., Mechelen 1950-1962; ID., Jansenistica minora, 13 voll., Mechelen 1950-1979; J. ORCIbal, Les origines du Jansénisme, 3 voll., louvain 1947-1948; E. PRéClIN, Les Jansénistes du 18e siècle et la constitution civile du clergé, Paris 1929. Per una visione critica degli studi di Ceyssens vedi I. vaZQUEZ, L’oeuvre littéraire de Lucien Ceyssens sur le jansenisme et l’antijansénisme devant la critique, Roma 1979. Per un approccio immediato alle varie problematiche si possono consultare E. PRéClIN – E. JaRRy, Le lotte politiche e dottrinali, cit., xIx/1, 303-341; l. COgNET, La vita della Chiesa in Francia, in Storia della Chiesa, diretta da h. Jedin, cit., vII, 28-66, 442-492. 33 Illuminante in tal senso l’intervento di Innocenzo xII che nel 1694, in un breve ai vescovi dei Paesi bassi, proibisce di chiamare con l’odioso appellativo di giansenista chi non ha sostenuto almeno una delle cinque proposizioni condannate. In tal modo il papa cercava

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la distinzione fra cattolici illuminati e giansenisti va individuata anzitutto a partire dall’accettazione o dal rifiuto delle tesi sulla grazia condannate dalla Santa Sede; ma bisogna anche tener conto del comportamento di questi cattolici: i giansenisti sono passionali e settari; malgrado le loro reiterate affermazioni contrarie ad ogni forma di scisma, di fatto sono disposti a rompere i vincoli della disciplina ecclesiastica; per difendersi dalle condanne pongono dei limiti all’autorità della Chiesa o del papa e sostengono volentieri il regalismo o il giurisdizionalismo se prevedono un appoggio da parte delle autorità civili. I cattolici illuminati, al pari dei giansenisti, vogliono la riforma della Chiesa e preferiscono rifarsi alla dottrina dei Padri, amano una liturgia sobria e una pietà meno condizionata dalla superstizione, sono molto critici verso il culto indiscriminato dei santi e delle reliquie, aborriscono i facili accomodamenti morali; ma, al contrario dei giansenisti, rifiutano le tesi radicali sulla grazia, riconoscono e rispettano le autorità ecclesiastiche, nelle controversie con le autorità civili difendono con prudenza i diritti della Chiesa34. anche in Sicilia troviamo questa stessa situazione. Si nota qualche sfumatura diversa in tema di rapporti Chiesa-Stato. Il privilegio dell’apostolica legazia aveva fatto assumere ai cattolici illuminati di Sicilia un atteggiamento di gelosa difesa del particolare ordinamento della Chiesa siciliana35; ma per il resto essi non mettevano in discussione l’autorità del papa e non dimostravano simpatia per il radicalismo teologico dei giansenisti. Tuttavia gli storici che hanno analizzato questo periodo non sono riusciti a liberarsi dalla contrapposizione gesuiti-giansenisti, con la conseguenza che si sono trovati a qualificare come giansenisti o filogiansenisti di proteggere gli agostiniani dalle calunnie dei loro avversari (E. aPPOlIS, Entre jansenistes, cit., 6-47). 34 ibid., 5-45. fra i personaggi che appolis indica come esponenti tipici dei cattolici illuminati è sufficiente ricordare Prospero lambertini (poi benedetto xIv) e ludovico antonio Muratori. Quest’ultimo, in molti casi, assunse un atteggiamento critico, ma non di rottura, verso prassi non condivise dei privati o delle autorità ecclesiastiche: si pensi alla discussione sul voto sanguinario all’Immacolata, che proprio a Palermo raggiunse toni particolarmente accesi, o alle pretese pontificie sul territorio di Comacchio (ibid., 115-119, 126, 155-176, 334-338; per le polemiche sul voto sanguinario vedi anche C. NaSEllI, il Muratori contro il “voto sanguinario” e le superstizioni popolari, in Miscellanea di studi muratoriani, Modena 1951, 456-470). 35 M. CONDOREllI, note su Stato e Chiesa, cit., 305-310.

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gli spiriti più aperti, che volevano attuare il rinnovamento della Chiesa prendendo le distanze dalla scolastica e dalle posizioni dei gesuiti. Come caso emblematico di questo errore di prospettiva possiamo citare proprio il vescovo Salvatore ventimiglia. lo Scinà, affrontando il tema degli studi ecclesiastici in Sicilia nella seconda metà del secolo xvIII, al probabilismo dei gesuiti contrappone la dottrina dei giansenisti sulla grazia, non tenendo conto dell’esistenza di una scuola teologica che va distinta dai gesuiti e dai giansenisti36. In quest’ottica il nostro vescovo, come tutti gli altri personaggi del suo tempo, che non si riconoscevano nelle posizioni dei gesuiti, è considerato giansenista37. Non si allontanano da questo schema gli storici che affrontarono in modo specifico il tema del giansenismo in Sicilia. Emanuele Catalano non ha dubbi sul giansenismo del ventimiglia, anche se si mostra incerto nella scelta della qualifica più appropriata: semigiansenista, filogiansenista, giansenista ortodosso38. giustino Cigno, afferma che i vescovi delle principali diocesi della Sicilia (Cusani e filangeri a Palermo, Testa a Monreale, Di blasi a Messina, ventimiglia a Catania) «tutti favorirono le tendenze antigesuitiche e filogiansenistiche»39. lo stesso Mario Condorelli, che accetta la nozione di illuminismo cattolico del Codignola, non la applica poi con

36 «Ciascuno sa, che i teologi a dichiarare in che modo opera la grazia, senza che ingiuria rechi all’umana libertà, sonosi in vari sentimenti divisi e in più partiti, che aspramente han tra loro disputato. I gesuiti seguendo il Molina o il Suarez ci hanno recato una cotal grazia sufficiente, col favor della quale può l’uomo, se vuole, operare il bene […]. altri per lo contrario hanno in sì fatta grazia sufficiente riconosciuto al più la potenza, non mai l’atto di operare il bene […]. È questo sistema della grazia intrinsecamente efficace, e della dilettazione, che con bruschezza annunciato e con severità sostenuto ha dato origine ai giansenisti ed a’ Portorealisti. Per lo che le opinioni de’ gesuiti e de’ giansenisti sono opposte per diametro, l’una che tiri ad offender la virtù della grazia, e l’altra il pregio della libertà, e sono i loro partigiani nemici naturali e irreconciliabili, ambidue si tassano d’eresia, ed ambidue senza carità si sono in ogni tempo perseguitati» (D. SCINà, Prospetto, cit., II, 153-154). 37 «Salvadore ventimiglia venne in quel punto da vicario del Cusani innalzato alla sede vescovile di Catania, ed ivi richiamò nel seminario i buoni studi, le discipline ecclesiastiche a sodezza ridusse, e secondo che alcuni si affermano, ammirazione prendea del sapere e dell’eleganza degli scrittori di Portoreale, e pietà delle loro traversie» (ibid., 159). Per un quadro dell’episcopato italiano di questo periodo vedi C. DONaTI, Vescovi e diocesi d’italia dall’età post-tridentina alla caduta dell’antico regime, in M. ROSa (cur.), Clero e società nell’italia moderna, bari 1992, 321-389. 38 E. CaTalaNO, Liberalismo economico. cit., 28. 39 g. CIgNO, Giovanni Andrea Serrao, cit., 330.

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coerenza e assieme al Cigno considera giansenisti il ventimiglia e gli altri vescovi di spicco del suo tempo40. In realtà, anche da un sommario esame della documentazione esistente sul vescovo ventimiglia, appare evidente che egli possiede i tratti distintivi del cattolico illuminato. Dai suoi scritti e dagli atti del suo ministero pastorale non appare mai una parola o un gesto che possa esprimere accettazione o simpatia verso la dottrina dei giansenisti sulla grazia. Il suo catechismo è molto equilibrato sia quando affronta il problema del perdono dei peccati41, sia quando tratta della devozione alla Madonna e ai santi42. Studia i Padri e si rifa’ volentieri al modello della Chiesa antica43. Nei con-

M. CONDOREllI, note su Stato e Chiesa, cit., 347-348. l’atto di contrizione segue il modello proposto dalla teologia agostiniana che, al contrario dei gesuiti, ritiene non sufficiente il pentimento determinato dalla paura delle pene dell’inferno ed esige un atto di amore perfetto verso Dio. Per i testi vedi g. DI faZIO, Salvatore Ventimiglia, cit., 98. 42 Si afferma che è cosa santissima e utilissima pregare e onorare i santi che sono in cielo, in particolare la vergine Maria, perché è la Madre di Dio. Tuttavia bisogna evitare di fare la Madonna e i santi uguali a Dio: Dio si adora i santi si venerano e si onorano; Dio è il creatore, la Madonna, i santi e gli angeli sono creature. Inoltre bisogna guardarsi dalle devozioni esteriori. Il culto delle immagini è legittimo perché nei quadri o nelle statue non ci sono gesù Cristo, la Madonna e i santi, ma solamente le immagini che servono a richiamare alla mente le loro persone (ibid., 100-101). 43 Nei suoi editti il ventimiglia non manca di fondare le norme disciplinari o le riforme sull’autorità dei Padri. Nel 1769 scrive al papa per informarlo che si è «impiegato a promuovere il culto del glorioso martire e diacono di questa Chiesa s. Euplio» e che aveva «disteso un ufficio proprio per la di lui solennità intieramente composto da’ sentimenti e dalle parole delle Divine Scritture». la sua iniziativa non è dettata solamente dal desiderio di fare conoscere un santo locale, ma dal proposito di valorizzare un martire della Chiesa antica, i cui atti dagli storici erano ritenuti esemplari per sobrietà ed autenticità: «non occorre che io esponga diffusamente a v. Santità quanto sia celebre nella Storia Ecclesiastica il nome e la memoria di questo illustre Testimonio di gesù Cristo. gli atti del suo martirio, per providenza di Dio conservati sinora senza alcuna alterazione fra quei pochissimi che ci restano sinceri ed autentici e rapportati da tutti gli scrittori come uno de’ più preziosi monumenti della Chiesa, spirano la pietà primitiva del Cristianesimo, confermano i dogmi più importanti della fede e accendono gli animi dell’amore di gesù Cristo» (Principi 251, fol. 335r-v). Nel decreto con cui egli dichiara s. Euplio patrono della città di Catania e della diocesi troviamo uno dei pochi saggi della sua erudizione: «cuius martirii acta proconsularia autographa, syncera atque incorrumpta non sine speciali Numinis providentia servata sunt, quae tamquam exquisitissima clarissimae antiquitatis monumenta ab iis omnibus laudantur et retinentur qui rerum Ecclesiae hystoriam recensuere: ab Em.mo baronio, Theodorico Ruinazzo, Ioh. baptista Cotelerio, sociis bollandianis, Sebastiano Tillemantio, Claudio fleury, adriano builetto, Em.mo Orsio, aliisque optimae notae christianarum rerum scriptoribus» (Tutt’Atti 1769-1770, fol. 113r-114v). Si tratta di autori rappresentativi di tutte le scuole, anche se non sempre in sintonia fra di loro. 40 41

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fronti del papa dimostra rispetto e venerazione44. Sul problema delle immunità ecclesiastiche, contrariamente a quanto lascia intuire il Catalano, fa proprio l’atteggiamento tradizionale di difesa dei curialisti45, anche se non mancano scelte ispirate ad un concreto pragmatismo. I modelli, ai quali si ispira nel suo governo pastorale, ricalcano fedelmente i progetti di riforma della Chiesa dei cattolici illuminati: una soda istruzione religiosa dei fedeli a partire dalla Sacra Scrittura, dai Padri e dalla sana teologia; disciplina delle forme tradizionali della religiosità popolare e del culto dei santi; riforma del seminario per garantire la formazione culturale e religiosa del clero; riduzione del suo numero, riorganizzazione della cura delle anime, disciplina dei benefici e dei capitoli di canonici…46.

a conclusione della lettera, che pubblichiamo in appendice, il ventimiglia adopera nei confronti del papa le espressioni tipiche di coloro che lo considerano il portavoce di Dio e chiedono che faccia conoscere il suo pensiero per prestare piena obbedienza: «Sopra de’ quali aspetto gl’oracoli di vostra Santità e riconoscerò sempre ne’ suoi comandi la voce di Dio e lo Spirito del Principe de’ Pastori. Si compiaccia adunque la Santità vostra d’indirizzar le mie vie, di sollevar le mie dubiezze e d’impormi tutto ciò che il Padre de’ lumi le ispirerà alla mente e mi troverà ubbidientissimo e fedele in ogni cosa » (Principi 247, fol. 26v-27r). 45 Il Catalano critica, a ragione, le posizioni assunte dal Di giovanni e dal Castorina verso il ventimiglia e il De Cosmi, «presentati quasi nella veste di quegli ecclesiastici di vecchio stampo, più papalini del papa» (E. CaTalaNO, Liberalismo economico, cit., 28), tuttavia non si rende conto che non è possibile collocare sempre sullo stesso piano due personaggi, per il solo motivo che si stimano a vicenda e che assumono atteggiamenti simili su alcune questioni particolari. Nel documento indirizzato al papa, che il ventimiglia spedisce a Roma poco prima della relazione ad limina, troviamo un’accurata analisi delle violazioni e degli abusi commessi dalle autorità civili nei confronti della Chiesa di Catania e dei vescovi di Sicilia. Nella sua esposizione egli dimostra di condividere il tradizionale atteggiamento di difesa della giurisdizione, delle immunità, della libertà e del patrimonio della Chiesa e di opporsi a qualsiasi forma di regalismo o giurisdizionalismo. 46 Si tratta di temi che il ventimiglia affronta nella sua relazione e che approfondiremo tenendo presenti anche i provvedimenti presi per disciplinare queste materie. In tema di religiosità popolare è interessante il divieto per i flagellanti: «Editto di sospendersi coloro che son soliti di battersi a sangue nelle processioni della prossima Settimana Santa. Si ordina a tutte e singole persone tanto ecclesiastiche come secolari di qualsivoglia stato, grado e condizione che non abbiano, non vogliano, né debbano, siccome non presumino d’intervenire in tutte quelle processioni che si faranno nel corso della Settimana Santa con istrumenti da battersi a sangue; siccome si ordina a tutti gl’officiali e superiori delle confraternità che non permettano, né presumino di far intervenire nelle di loro rispettive processioni persone che si battono a sangue. E questo sotto le pene a noi ben viste ad ogni contraventore; ed acciocché la presente nostra ordinazione e disposizione venghi alla notizia d’ogn’uno, per non allegarsi ignoranza abbiamo ordinato di affigersi il presente nostro editto ne’ luoghi publici e consueti di questa sudetta città. Dato in Catania nel nostro palazzo vescovile in discorso di 44

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Nelle classificazioni, con le quali si è cercato di identificare la matrice culturale del ventimiglia, ha influito non poco la scelta dei suoi collaboratori e la frequenza dei circoli catanesi o palermitani. Si tratta di gesti molto indicativi degli orientamenti culturali del ventimiglia e della sua volontà di rinnovamento. Tuttavia, per il fatto che egli inviti all’insegnamento in seminario o nell’Università un De Cosmi, un gambino, un bandiera, o che egli frequenti i circoli di Ignazio biscari o del principe di Cerami, non si può affermare una sua piena identità di vedute con i propri collaboratori ed amici e una condivisione delle loro idee e dei loro programmi47. Strettamente legato a questo problema c’è quello dell’asserita appartenenza del ventimiglia alla massoneria. Se per le altre classificazioni si poteva far riferimento solo a testimonianze indirette o a illazioni, per la qualifica di massone c’è un documento conservato nell’archivio Segreto vaticano, pubblicato per la prima volta nel 1938 e riletto negli anni successivi dagli storici della massoneria48. Sorprende notare la mancanza di una sana critica storica in coloro che hanno consultato e pubblicato il documento originale49. Un documento,

sagra visita, oggi che sono li 27 marzo 1760. Salvadore ventimiglia, vescovo di Catania. giuseppe longo, mastro notaro» (Editti 1752-1761, fol. 66v). 47 Sulle posizioni filosofiche del ventimiglia si possono fare solamente delle illazioni. Riteniamo che sia fuor di dubbio il suo abbandono della scolastica; l’opzione per i filosofi del suo tempo può essere affermata solamente per la stima che nutriva verso coloro che condividevano le dottrine di Cartesio, leibniz, locke e Wolff e per l’invito all’insegnamento nel seminario o nell’Università rivolto ad alcuni di loro. In tal senso dovremmo intendere le espressioni usate dal Sardo nell’elogio tenuto dopo la sua morte (g. SaRDO, Elogio accademico, cit., 11 e 34). Da sottolineare che il Sardo non conobbe personalmente il nostro vescovo. Non riteniamo particolarmente rilevanti le argomentazioni addotte dal Catalano a proposito delle opere dei più noti esponenti dell’illuminismo francese presenti nella biblioteca del ventimiglia (E. CaTalaNO, Liberalismo economico, cit., 29): non basta avere il libro di un autore nella propria biblioteca per affermare che se ne condividono le idee. 48 Il documento è stato pubblicato per la prima volta parzialmente da P. SavIO, Devozione di Mgr. Adeodato Turchi alla Santa Sede. Testo e DCLxxVii documenti sul giansenismo italiano ed estero, Roma 1938, 90-91. lo pubblicarono integralmente M.P. aZZURRI in Lumen Vitae (1959) 54-56 e C. fRaNCOvICh, Storia della massoneria in italia dalle origini alla rivoluzione francese, firenze 1974, 416-418. fondandosi su questa testimonianza il ventimiglia è ritenuto massone tra gli altri da g. CIgNO, Giovanni Andrea Serrao, cit., 345; M. CONDOREllI, note su Stato e Chiesa, cit., 348; g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, cit., 461. 49 Considerato che il testo pubblicato da azzurri e francovich contiene alcune sviste, ne diamo un’edizione più corretta. «[fol. 1r] Catalogo de’ liberi Muratori di Sicilia. {1}

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per essere riconosciuto attendibile ed essere utilizzato come fonte storica, deve essere analizzato attentamente a partire dall’autore, dalla data, dal destinatario, dal fine per cui è stato prodotto. Il documento in questione si trova in una carpetta che raccoglie alla rinfusa fogli sulla massoneria di varia natura e di varia provenienza (c’è anche il foglio a stampa della bolla

{francesco d’aquino}, Principe di Caramanico, viceré di Sicilia. {2} D. francesco Carelli, Segretario del governo. {3} Il marchese Dragonetti, Conservatore e Consultore interino. {4} Il Cav. D. Stefano airoldi, fu Presidente della gran Corte, dalla prima fondazione della loggia in Palermo. {5} Il Presidente grasiellini, Maestro Razionale. {6} D. Paolo leone, giudice della gran Corte. fu venerabile. {7} Il Principe di Paceco, governatore dell’armi interino. {8} Il Principe di Campofranco, fin dalla prima fondazione. {9} Il Duchino di Casoli, figlio del Signor viceré. {10} Il Duchino di Sicignano, nipote del Signor viceré; {11} Il Cav. Michereux. aiutante Reale del Signor viceré. {12} Il Colonnello Everardo, Colonnello del Reggimento del Re. fu venerabile. {13} li due Capitani de’ Pachetti Regali Cianchi e Ratti. {14} Il Marchesino e D. giuseppe virtz, figli del Tenente generale di questo nome e generalmente quasi tutti gli officiali della truppa a riserba di pochi vecchi. {15} Il Marchese bajada. fu venerabile. {16} Il Marchese di villareale, la greca e Talamanca. {17} baroncino Palumbo. Infermiere. {18} Principe di villarmosa. fu venerabile. {19} Il Duca della ferla. fu venerabile. {20} l’avvocato forcella napoletano. agente del Duca di Monteleone. fu venerabile. {21} Un Chevalier francese. {22} Il Principe del Cassaro. {23} Il Principe di valguarnera. {24} D. Corrado ventimiglia. {25} Principino di aragona [fol. 1v]. {26} Principe di villadorata. {27} Principe di Niscemi. {28} Il baroncino Pucci. {29} Primogenito del Marchese Merlo. {30} baldassarre Palese. Console di venezia. {31} Dottor in medicina D. giambattista Meo. {32} Dottor in medicina Poeta D. giovanni Meli. {33} D. federico Travia. {34} l’abbate Scrofono, in cui casa teneasi una loggia. {35} l’avvocato D. benedetto Meli. {36} Dr. D. francesco Corvaja. {37} Computista D. francesco graffio. {38} Il barone d’Italia Marsalese. {39} Il Dottor Todero Todero di Trapani. {40} Il Dottor Rossi. {41} D. gaspare lione. Ecclesiastici. {42} Monsignor ventimiglia, fu vescovo di Catania ed Inquisitor generale, fin dalla prima fondazione. {43} Monsignor airoldi, giudice della Monarchia. {43} Monsignor Santa Colomba, abbate di Santa lucia. {45} Monsignor {francesco} vanni, vescovo di Cefalù, eletto per questo merito, due anni sono, da Caramanico. {46} Monsignor D. bernardo bologna. {47} Un Sacerdote… di cognome Ruffo. {48} Un Sacerdote… di cognome lo Cascio. agente del Principe di Paternò. Monaci. {49} Il Padre Maestro levante, domenicano, Maestro Scozzese e Tesoriere della Società. {50} Il Padre Maestro Dominici, Domenicano. {51} Il Padre Michinelli, Teatino [fol. 2r]. {52} Il Padre Piazza, Teatino. lettore di astronomia nella Università. {53} Il Padre Sterzingher, Teatino. bibliotecario della Regal biblioteca. {54} li due fratelli benedettini Spucches. {55} Il Padre Monti, Scolopio. lettore di Rettorica nella Università. {56} Il Padre berengario gravina, benedettino, attualmente vicario del vescovo di girgenti, che briga in Napoli per la vacante Chiesa di Mazzara, briga in Roma per un titolo in partibus» (aSv, archivio Concistoriale, Acta Miscellanea, arm. xv, 237). Si potrebbe ipotizzare che di questo documento esistano due copie identiche, perché il francovich, che cita azzurri, lo colloca nel vol. xvIII dell’appendice Napoleonica (C. fRaNCOvICh, Storia della massoneria, cit., 416). Ma nel fondo citato (più correttemente: Epoca napoleonica. italia, v. xvIII) non si trova. È più facile che si tratti di un errore di citazione.

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di condanna di Clemente xII). ha come titolo Catalogo de’ liberi muratori di Sicilia, ma non porta né intestazione, né data, né firma, né indirizzo50. Non c’è alcuna lettera di accompagnamento o altro foglio che possa aiutarci a individuare chi ha compilato l’elenco, a chi era indirizzato e quali scopi si prefiggeva51. Il francovich gli riconosce una certa attendibilità per il fatto che «vi figurano molti personaggi che compaiono anche nel diario di Münter»52. Ma il Münter fu a Palermo nel 1785, quando ancora il ventimiglia era in vita, e non accenna alla sua persona; ne parla invece durante il suo viaggio a Catania (23 dicembre 1785 – 6 gennaio 1786); tuttavia tesse i suoi elogi (con qualche inesattezza) non come ‘fratello’ ma come persona illuminata e mecenate degli studi, allo stesso modo di leonardo gambino e di giuseppe Recupero, che non risultano in nessun elenco di massoni53. Se dovessimo prestar fede a questo documento, il ventimiglia avrebbe fatto parte della massoneria fin dalla fondazione della loggia di Palermo (probabilmente durante il soggiorno palermitano successivo alle sue dimissioni). Premesso che prima della rivoluzione francese la massoneria si proponeva finalità culturali e non aveva un atteggiamento ostile alla Chiesa, non riteniamo che si abbiano elementi determinanti per affermare che il ventimiglia fosse un massone.

50 la sua data può essere stabilita da un’indicazione che troviamo nel documento: «{45} Monsignor vanni, vescovo di Cefalù, eletto per questo merito, due anni sono, da Caramanico». Poiché questo vescovo fu presentato il 28 gennaio 1789 e nominato il successivo 10 marzo (R. RITZlER – P. SEfRIN, Hierarchia catholica, cit., 160), l’elenco dovrebbe essere stato composto nel 1791. 51 Riteniamo verosimile che si tratti di una denunzia anonima, inviata alla Santa Sede, per mettere qualcuno in cattiva luce (si pensi alle polemiche fra curialisti e regalisti, progressisti e tradizionalisti). Si tenga presente che la massoneria era stata già condannata da Clemente xII e da benedetto xIv. Non si ha alcun elemento per affermare che l’elenco possa essere stato compilato da un ‘pentito’ ben informato. 52 C. fRaNCOvICh, Storia della massoneria, cit., 416. 53 «Detta Università […] era in grandissima floridità a’ giorni del passato vescovo Monsignor ventimiglia, degno, e molto illuminato Prelato, il quale con ogni zelo richiedeva il progredimento delle scienze; e non solo ordinava mai alcun giovane, che studiato non avesse con diligenza nell’Università, e di sufficienti cognizioni non fosse provveduto. Ugualmente così attento era costui nell’accordare prebende. Catania perdè questo Prelato assai presto, per esser egli stato nominato grande Inquisitore, ed in conseguenza recarsi dovette in Palermo. Egli, mentre era vescovo, la sua ben ricercata e vasta libreria lasciò in legato al paese, perché non volle profittarsi affatto di ciò, che gli aveva fatto acquistare la rendita del vescovato»: f. MüNTER, Viaggio in Sicilia, a cura di f. Peranni, II, Palermo 1823, 7-8; sul tema vedi anche M. NaSEllI, Dai “Diari” di Federico Münter (il soggiorno in Catania), in aSSO 37 (1941) 86-92.

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c) nomina, consacrazione, ingresso in diocesi; la difficile eredità del vescovo Galletti

a distanza di poco più di sei mesi dalla morte del galletti, il 19 novembre 1757, Carlo III presentò al papa il nome di Salvatore ventimiglia come suo successore alla guida della Chiesa di Catania54. la bolla pontificia di nomina porta la data del 19 dicembre 175755. Il nostro vescovo fu consacrato a Roma il 27 dicembre dal card. giustino ferdinando Portocarrero56, prese possesso del suo ufficio il 16 gennaio 175857, tramite il priore del capitolo cattedrale giovanni Rizzari, che nominò suo procuratore e vicario generale58. Il ventimiglia fece di fatto il suo ingresso in diocesi il giorno di pentecoste, 14 maggio 175859. la sollecitudine con cui si agì e la scelta operata sono indicative della volontà delle autorità civili ed ecclesiastiche di correre ai ripari per risanare la drammatica situazione in cui si trovava la diocesi di Catania. Nella relazione del ventimiglia troviamo una descrizione tanto lucida quanto impietosa: la Chiesa di Catania da circa settant’anni doveva considerarsi priva di vescovi, perché dal tempo della controversia liparitana, dopo l’esilio di andrea Riggio, i vescovi o non avevano mai raggiunto la sede o erano morti senza avere il tempo di iniziare l’attività pastorale. «Infine al governo di una Chiesa prostrata e quasi distrutta venne Pietro galletti, già sfinito per la vecchiaia, che esercitò il suo ufficio per ben vent’otto anni. Se dopo tante calamità e miserie qualcosa era rimasta intatta, fu

Proc Dat 134, fol. 509r. Il testo della bolla è trascritto in Tutt’Atti 1757-1758, fol. 242r-245v. In essa si legge questa ingiunzione: «volumus autem quod tu Montem Pietatis erigi cures conscientiam tuam super hoc onerantes». In realtà il monte di pietà esisteva a Catania, anche se aveva una vita molto grama. 56 R. RITZlER – P. SEfRIN, Hierarchia catholica, cit., 156. 57 Il vicario capitolare, in un editto del 16 gennaio 1758, informa la diocesi dell’arrivo della bolla di nomina del nuovo vescovo (Editti 1752-1761, fol. 44r). Il verbale della presa di possesso si trova in Tutt’Atti 1757-1758, fol. 246v-247r. 58 l’atto di procura fu redatto a Roma dal notaio girolamo amodeo Paoletti il 20 dicembre 1757 (ibid., fol. 247v-249v). In pari data il ventimiglia nominò vicario generale il priore Rizzari (ibid., fol. 250r-250v). Nel giugno 1760 subentrò in questo ufficio bonaventura gravina, che lo esercitò sino alle dimissioni del ventimiglia. 59 Un editto del vicario generale invita il clero e i fedeli a partecipare al corteo dalla chiesa della Consolazione (o dei Santi Cosimo e Damiano) fino alla cattedrale, dove il nuovo vescovo avrebbe celebrato il solenne pontificale (Editti 1752-1761, fol. 45v-46r). 54 55

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distrutta e saccheggiata (e mi sia lecito parlare e sfogarmi liberamente con voi, Sapientissimi Padri). Dopo aver visitato di corsa una o due volte la diocesi, il vescovo, preso dallo sconforto per la vecchiaia, per la malferma salute, per l’abbassamento della vista e dell’udito, rimase a letto quasi morto. gli uffici ecclesiastici furono conferiti ai parenti, gli amplissimi diritti e privilegi che i vescovi di Catania avevano difeso furono sminuiti; in alto tutto fu sconvolto dalla licenza dei malvagi, tutto fu posto nelle mani di parenti, domestici e persone senza scrupoli. fu istituito il mercato dei benefici, gli ordini sacri furono messi all’asta, svenduti e messi alla portata di tutti; nel loro conferimento non si tenne in nessun conto della preparazione culturale e del comportamento morale dei candidati»60.

le conseguenze di questo malgoverno si ebbero soprattutto fra il clero: una massa incredibile di persone tanto ignoranti quanto inette, che non poteva essere occupata nelle strutture ecclesiastiche ed era costretta ad arrangiarsi svolgendo le attività più disparate pur di guadagnarsi ogni giorno da vivere61. «furono accolte da ogni parte, nel clero, persone ignoranti, dissolute, prive del legittimo patrimonio, senza vocazione e senza alcun esame: furono promosse solo dietro il pagamento di una certa somma. Perciò il numero dei sacerdoti crebbe a tal punto che il villaggio di viagrande, nei pressi di Catania, pur contando non più di 600 anime, ha 60 presbiteri; costoro, tuttavia, solo di nome sono sacerdoti e si riconoscono come tali perché portano attorno al collo una stoffa di lino. Poveri, laceri, mendicanti, raramente racimolano l’elemosina per la messa; spesso sono assunti per svolgere lavori spregevoli. Si impiegano a servizio dei signori come responsabili delle dispense e delle cantine, come custodi delle vigne e dei campi, come esattori di gabelle e di tributi, come accompagnatori armati dei viaggiatori, come guardie; mi vergogno di riferire le altre attività indecenti. I più fortunati redigono gli atti di compra-vendita, dirigono lo scambio delle merci, prestano denaro, prendono in appalto la riscossione delle pubbliche imposte, si danno al gioco, alla caccia e all’ozio»62.

Rel. 1762, fol. 11v. la situazione sulle condizioni del clero descritta dal ventimiglia non si distacca dal quadro generale delle diocesi italiane. Sul tema vedi x. TOSCaNI, il reclutamento del clero, cit. 62 Rel. 1762, fol. 11v-12r. la descrizione del ventimiglia delle penose condizioni in cui trova la diocesi hanno un puntuale riscontro nella documentazione pubblicata assieme alle relazioni del vescovo Pietro galletti (vedi supra il suo profilo). 60

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alla base di questa situazione del clero, oltre alla mancanza di selezione, c’era una serie di carenze, fra le quali il ventimiglia sottolinea: l’inefficienza del seminario, affidato a superiori incapaci, e la prassi di ammettere fra il clero diocesano i religiosi, la cui professione veniva dichiarata invalida da officiali di curia senza scrupoli, in violazione delle norme stabilite dal Concilio di Trento. In seguito alle proteste dei fedeli e ai reclami presentati alla corte, i re, per ovviare in qualche modo a tanti mali, inviarono tre visitatori: un rimedio che si rivelò peggiore del male, perché le loro disposizioni, dettate da evidente giurisdizionalismo, o non furono messe in pratica o ebbero come scopo di spogliare le Chiese del loro patrimonio e dei loro diritti. Questa stessa politica fu seguita dalle autorità civili durante i mesi di sede vacante e il nuovo vescovo non fu in grado di far valere le proprie ragioni63. 2. Il gOvERNO PaSTORalE

l’azione riformatrice del ventimiglia è caratterizzata da una chiara visione della situazione e dalla volontà di andare alla radice dei mali. In sostanza il nostro vescovo, invece di limitarsi a emanare i soliti provvedimenti disciplinari, che avrebbero provocato solo benefici limitati e transitori, si prefisse una riforma strutturale, che aveva come punti qualificanti: la formazione del clero (riforma del seminario per preparare i futuri sacerdoti, riqualificazione di quelli esistenti), la riforma degli organismi preposti alla cura delle anime (parrocchie, capitoli dei canonici), l’attuazione delle norme stabilite dal Concilio di Trento per il conferimento dei benefici, la formazione dei fedeli mediante una catechesi rispondente alle loro condizioni culturali e alle esigenze dei tempi, la riforma della curia per farne un valido strumento di collaborazione. a questi temi di natura generale bisognava aggiungere la soluzione di alcuni problemi particolari: il completamento della ricostruzione della città, che risentiva ancora delle ferite provocate dal terremoto del 1693, la riforma dell’Università degli studi, di cui il vescovo di Catania era cancelliere, l’attuazione delle disposizioni testamentarie di Mario Cutelli, che aveva disposto la fondazione di un collegio per la nobiltà. 63

Rel. 1762, fol. 12r-12v.

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a) Riforma del seminario

Il ventimiglia era cosciente del fatto che una svolta decisiva nella difficile situazione della diocesi fosse possibile solamente se essa disponeva di sacerdoti preparati sia sul piano intellettuale, sia su quello morale e spirituale. Per raggiungere questa finalità rinnovò il seminario istituendo nuovi corsi di insegnamento secondo le esigenze dei tempi64.

«Il seminario dei chierici ha assunto una nuova fisionomia: dopo aver invitato da Palermo e da altre città d’Italia i professori e i maestri, affrontando a tale fine non poche spese, ho istituito 6 cattedre: di teologia dogmatica, di teologia morale, di filosofia, di geometria, di sacra eloquenza, di lettere latine e greche»65.

I professori e i maestri, che egli invitò da Palermo e da altre città d’Italia, assieme ad altri che scelse a Catania fra il clero diocesano o regolare, e dei quali si servì come suoi collaboratori e consiglieri anche nel governo della diocesi, segnarono un’epoca nuova nella cultura catanese e siciliana: alessandro bandiera66, giovanni agostino De Cosmi67, i dome-

64 l’argomento è sviluppato da P. SaPIENZa, il rilancio, cit., che pubblica in appendice tre editti del ventimiglia sul seminario. Il rinnovamento dei seminari costituiva uno dei punti-cardine dei vari progetti di riforma formulati dai cattolici illuminati: M. gUaSCO, La formazione del clero: i seminari, in g. ChITTOlINI – g. MICCOlI (curr.), La Chiesa e il potere politico, cit., 629-715; g. gRECO, Fra disciplina e sacerdozio: il clero secolare nella società italiana dal Cinquecento al Settecento, in M. ROSa (cur.), Clero e società nell’italia moderna, bari 1992, 45-113. 65 Rel. 1762, fol. 13r. 66 Nato a Siena nel 1699, entrò a vent’anni nella Compagnia di gesù e vi rimase fino al 1740, quando ne uscì per passare ai servi di Maria, non concordando con i metodi d’insegnamento dei gesuiti. Insegnò in diverse città d’Italia latino, greco e Sacra Scrittura, facendosi promotore di un metodo che alla necessità dello studio della lingua latina univa l’apprendimento della migliore tradizione toscana. Il ventimiglia lo fece venire a Catania da Roma nel 1758, per affidargli la riorganizzazione degli studi nel seminario e l’insegnamento di sacra eloquenza (D. SCINà, Prospetto, cit., II, 187-188; C. MUTINI, Bandiera Alessandro, in DbI, v, Roma 1963, 679-681). 67 fra coloro che il ventimiglia invitò a Catania, il De Cosmi può essere considerato il personaggio di maggior rilievo, che svolse una lunga e intensa attività culturale in diverse città della Sicilia. l’inizio della collaborazione fra il De Cosmi e il nostro vescovo probabilmente avvenne per la mediazione dei domenicani, maestri dell’uno e consiglieri dell’altro. l’invito, come scrive il De Cosmi, fu fatto dal ventimiglia nell’aprile del 1762 «con lettere assai onorifiche», mentre il vescovo si trovava a Piazza per la visita pastorale (nello

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nicani agostino Corsaro e ludovico Marullo, leonardo gambino, vito Coco, l’agostiniano gaetano garrasi, girolamo Pistorio, giuseppe Recupero, antonino Tusa, giuseppe Sciacca, Raimondo Platania, Sebastiano Zappalà grasso68. Questi docenti fecero del seminario un’istituzione culturale, che disponeva di una propria tipografia per la pubblicazione di testi classici, e che, per il livello degli studi, poteva gareggiare con l’Università69. «Da questa famosa scuola uscirono […] valenti letterati, dotti ecclesiastici, scienziati di gran nome, magistrati integerrimi, i quali alla loro volta furono i maestri di un’avventurata falange di uomini grandi»70. Il seminario, oltre a garantire la formazione culturale, doveva dare ai giovani anche la formazione morale e spirituale. «Come rettore del seminario ho nominato un uomo nobile e tenace promotore della disciplina più severa, al quale ho conferito, meritatamente, una dignità nel capitolo della cattedrale. Di recente ho designato un censore dei costumi e un altro a cui ho affidato la responsabilità della cura delle anime e degli esercizi di pietà. ho disposto camerate separate per i chierici delle diverse età, tutte sottoposte alla vigilanza dei sorveglianti e degli incaricati. la cappella del seminario è frequentata ogni giorno per le pratiche di pietà

stesso periodo scrisse la relazione ad limina che pubblichiamo). Il De Cosmi fu nominato direttore spirituale del seminario ed esaminatore sinodale. Nel 1765 fu rettore del collegio universitario, istituito dal nostro vescovo, ma durato appena un anno. In questo stesso periodo conseguì la laurea in utroque iure. Nel 1768 fu nominato canonico della cattedrale (Tutt’Atti 1767-1768, fol. 53v-54v). Nel 1780, con la venuta del Caracciolo in Sicilia, fu chiamato a Palermo come suo collaboratore e nel 1786 ebbe l’incarico di direttore generale della riforma delle scuole. Continuò nella sua attività di organizzatore culturale e di studio fino alla vecchiaia. Morì nel 1810 (g. gIaRRIZZO, Giovanni Agostino De Cosmi, cit., dove si pubblicano, tra l’altro, le sue memorie autobiografiche; b.M. bISCIONE, De Cosmi Giovanni Agostino, in DbI, xxxIII, Roma 1987, 571-575). In una discessoria rilasciata dalla curia il 28 luglio 1772 troviamo il curriculum del De Cosmi (Tutt’Atti 1771-1772, fol. 247r-v); probabilmente dopo la morte del ventimiglia egli aveva deciso di lasciare Catania per trasferirsi in altra diocesi. 68 Su questi personaggi vedi: v. PERCOlla, Biografie degli uomini illustri catanesi, Catania 1842; v. CORDaRO ClaRENZa, Osservazioni sopra la storia di Catania cavate dalla storia generale di Sicilia, Iv, Catania 1834, 209-220; P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 141183; C. MUSUMaRRa, La cultura a Catania, cit., 72-73. 69 D. SCINà, Prospetto, cit., II, 187-189; P. SaPIENZa, il rilancio, cit., 345-349; g. balDaCCI, La stamperia del seminario di Catania, in aSSO 87 (1991) 147-201. 70 P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 185; vedi anche il giudizio espresso da f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 241-242.

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quotidiane: le preghiere comuni, la meditazione mattutina, l’esame serale sul giorno trascorso, la recita comunitaria dei salmi per i chierici maggiori. Ogni settimana si insegna il catechismo; ogni mese, per un intero giorno, sospeso lo studio ci si dedica agli esercizi di pietà. Otto giorni l’anno sono dedicati agli esercizi spirituali e i giovani, inoltre, sono istruiti nei riti sacri e nel canto. Spesso essi dimostrano i loro progressi nello studio con la pubblica discussione di tesi prestabilite e con scritti messi a disposizione di tutti»71.

Una volta creata questa struttura, il vescovo volle che servisse alla formazione di tutto il clero della diocesi e non solamente di un piccolo gruppo di sacerdoti, così come era avvenuto per il passato. Perciò rese obbligatoria la frequenza del seminario per tutti coloro che volevano ricevere gli ordini o conseguire in futuro un beneficio. Era convinto in tal modo di poter operare un’attenta opera di discernimento oltre che di formazione.

«fin dall’inizio di questo nuovo corso ho stabilito la norma che vieta il conferimento degli ordini sacri e della stessa tonsura a chi non venga giudicato idoneo in seminario o non vi abbia trascorso non solo un breve periodo per ricevere gli ordini, ma l’intero corso di dieci anni. In tal modo si ha la possibilità di vagliare attentamente le capacità intellettuali e il comportamento dei candidati. Ogni anno, dopo uno scrupoloso esame, sono conferiti i singoli ordini minori; per gli ordini maggiori si osservano gli interstizi prescritti; l’ordinazione sacerdotale si dà dopo il completamento di tutto il corso teologico»72.

Il ventimiglia sapeva che l’attuazione di questo suo progetto comportava sacrifici e andava incontro a critiche e malcontenti; ma, convinto della bontà della scelta, continuò per la sua strada e attese fiducioso i risultati, che non tardarono ad arrivare.

«Queste condizioni, a prima vista, potrebbero sembrare troppo severe; ma poiché la diocesi non ha bisogno tanto di sacerdoti, quanto di ministri dotti e irreprensibili, ho tenuto fermo questo proposito e non mi sono mai lasciato distogliere da preghiere e raccomandazioni. Con la stessa fermezza d’animo ho sopportato, o non ho preso in considerazione i fastidi che mi hanno pro-

Come rettore fu prescelto Matteo Scammacca (Tutt’Atti 1759-1760, fol. 325v-326r). Rel. 1762, fol. 13r-13v. Il ventimiglia va oltre l’indicazione del concilio provinciale romano del 1725, che per i candidati al presbiterato prevede la presenza in seminario per almeno sei mesi (Concilium Romanum, Romae 1725, tit. 30, cap. 2, 106-107). 71

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curato gli antichi superiori, ai quali il vescovo galletti tutto aveva permesso. alla fine i miei voti si sono realizzati e in questo momento vivono in seminario 80 alunni esemplari e di buona indole, che mi fanno ben sperare sulla riforma dell’infelice diocesi»73.

Per garantire il funzionamento di questo istituto assicurò i finanziamenti seguendo le indicazioni date dal Concilio di Trento: una tassa sugli introiti di tutti i benefici ecclesiastici, l’unione di benefici semplici74. Rese l’edificio funzionale alle nuove esigenze ampliandolo nelle sue strutture75. b) Formazione e riqualificazione del clero

la dolorosa situazione del clero, descritta in modo così lucido dal ventimiglia nella sua relazione, non poteva indurre a sperare in cambiamenti immediati. Il vescovo ne era cosciente; tuttavia non desistette dal fare quello che era nelle sue possibilità. Il 24 febbraio 1761 emanò un editto in cui obbligava i sacerdoti di tutta la diocesi a riunirsi ogni settimana nelle chiese parrocchiali per partecipare a conferenze morali e liturgiche76. Nel suo documento il vescovo,

ibid., 13v. L. c. la norma del Concilio di Trento è stabilita nella sess. xxIII, de ref., c. 18 (COeD, 750-753) e ribadita nel concilio provinciale romano del 1725 (Concilium Romanum, cit., tit. 30, cap. 1, 105-106 e appendice, 287-294). Nella diocesi di Catania, oltre ai benefici annessi alle parrocchie e alle chiese sacramentali, c’era un gran numero di benefici semplici fondati dai fedeli o per assicurare determinate opere di culto, o per suffragare la propria anima o quella dei propri cari. Il ventimiglia, man mano che le condizioni glielo consentivano, procedeva all’unione di alcuni di questi benefici al seminario per assicurare le risorse necessarie al suo funzionamento. Si veda, ad esempio, l’unione al seminario di due benefici semplici eretti ad acireale nelle chiese di Santa Maria la Scala (Tutt’Atti 1770-1771, fol. 138v-139v) e Santa Maria dei Miracoli (ibid., fol. 302v-303r). 75 Rel. 1762, fol. 13v. Mentre con il vescovo galletti si era portato a compimento il progetto iniziale, redatto da andrea Riggio dopo il terremoto del 1693, con il ventimiglia si procedette ad un ampliamento dei locali per rendere il seminario idoneo ad accogliere tutti gli aspiranti al sacerdozio della diocesi. 76 «Salvadore ventimiglia etc. al clero di questa città salute in gesù Cristo. venerabili fratelli. Siccome ci riconosciamo nell’obligo preciso di rendervi vivissime grazie per la pietà ed ubbedienza da voi mostrata nell’assistere con tanta nostra edificazione al sagro ritiramento da noi proposto e da voi religiosamente eseguito ne’ scorsi giorni dell’avvento del Signore, così la stessa esattezza ed esemplarità, che abbiamo in voi riconosciuta, incoragisce il nostro zelo pastorale a proporvi de’ nuovi mezzi da conservare lo splendore e la santità del vostro 73 74

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stato e da rendervi perfetti nell’esercizio del vostro eccelso e divino ministero. abbiamo noi sommamente a cuore la vostra perfezione, poiché servir dovete d’esempio e di regola a tutto il clero della mia vasta diocesi e ci ricordiamo di quanto scrisse s. bernardo al Pontefice Eugenio III a proposito del clero di Roma negl’aurei libri De consideratione: “Clerum illum ordinatissimum esse decet ex quo precipue in omnem ecclesiam cleri forma processit. Interest gloriae santitatis tuae ut quos pre oculis habes ita ordinati, ita sint informati quatenus totius honestatis et ordinis ipsi speculum, ipsi sint forma. Inveniantur prae caeteris oportet expediti ad officia, idonei ad sacramenta, ad plebes erudiendas solliciti, circumspecti ad sese custodiendos in omni castitate”. ad ottenere un fine così sublime tra gl’altri mezzi che giudichiamo più necessari si è quello che oggi proponghiamo alla vostra pietà con tutto l’impegno e fervore del nostro spirito, cioè l’uso delle conferenze morali, che intendiamo di stabilire in questa città per servir d’esempio ad ogni altro paese e luogo della diocesi con certa fiducia che, secondando voi le nostre vive premure, contribuirete in tal guisa a vantaggi di tutto il clero e al ristabilimento dell’ecclesiastica scienza e dell’esatta disciplina. vogliamo adunque che in tutte le chiese parrochiali, che qui sotto si noteranno, si tenga la conferenza degl’ecclesiastici, che abitano nel distretto e compreso d’ognuna di esse e che si raduneranno nella medesima ogni giovedì doppo pranzo, cominciando dal primo giovedì del prossimo marzo, che caderà a cinque di quel mese. Presederà a ciascuna un ecclesiastico, che noi destiniamo prefetto e direttore di essa, e questi averà la cura di proporre otto giorni prima della conferenza due o tre casi di morale, scrivendoli in una carta, che dovrà affiggersi nella sagrestia o in altro commodo luogo, quelli che dovranno poscia discutersi e risolversi nella conferenza, dandosi a ciascheduno luogo e facoltà di parlare, purché ciò siegua senza alcuna contenzione e in lingua volgare e in maniera semplice ed istruttiva, ciocché s’intende di coloro che vorranno farlo volontariamente e senz’alcuna obligatione o necessità, rimanendo il carico al prefetto d’esporre con tutto l’apparato delle autorità e delle raggioni i dubii proposti, quali curar dovrà circa un trattato stesso di moral teologia a sua elezzione, passando doppo compito un primo trattato a proporre un secondo, e così di mano in mano; ciò si pratticherà in tutti i giovedì, a riserva dell’ultimo d’ogni mese, nel quale vogliamo che la conferenza s’aggiri unicamente intorno ai riti e ceremonie della Chiesa, sotto il medesimo prefetto e direttore, che tratterà in tal giorno delle materie liturgiche ed in quanto concerne la celebrazione dell’augustissimo Sacramento e de’ divini ed ecclesiastici uffici. avrà ciaschedun prefetto un aiutante o vicario similmente da noi prescelto per supplire alla sue mancanze in caso di necessità o d’assenza, non volendo noi che manchi la conferenza per qualsivoglia merito; contentandoci solamente che possa vacare in tutti i giovedì del mese di ottobre, nel giovedì doppo la sessagesima, nel giovedì santo, nel giorno della festa del ss. Sagramento e nel giorno dell’ottava della medesima sollennità, nelli giovedì che cadessero fra i giorni qui destinati alle due feste della gloriosa protettrice e concittadina s. agata e nel giovedì in cui cadesse la festa del Santo Natale o quella della Concezzione della ss. vergine Madre di Dio. In tutti gl’altri giovedì dell’anno non mancherà mai la conferenza né potrà dispensarvicisi senza nostra espressa licenza. Non crediamo doverci valere della nostra autorità e molto meno delle minaccie di censure e di castighi, come per altro siamo stati costretti di fare in altri luoghi della diocesi per indurre ogn’uno di voi ad intervenire e non esentarvi sotto qualsivoglia pretesto. la vostra docilità e la esattezza della vostra ubbidienza, l’impegno che in voi ravvisiamo di incontrare da per tutto il vostro genio e secondare tutte le nostre risoluzioni ci persuadono che senz’altro stimolo concorrerete a gara e con ogni studio e puntualità a quanto abbiamo prescritto, riconoscendo in noi la voce non solamente del vostro servo e

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più che rifarsi a norme giuridiche, tentò il discorso persuasivo: ringraziava il clero per aver partecipato al ritiro spirituale promosso in occasione dell’avvento e, appellandosi all’autorità di s. bernardo, lo invitava ad essere specchio di onestà e di disciplina per i fedeli e a conseguire il massimo della qualificazione per svolgere bene il proprio ministero. l’iniziativa proposta dal ventimiglia sembra superare la prassi dei casi morali seguita dai suoi predecessori, secondo l’insegnamento caro ai gesuiti77. Nel suo decreto egli parla di «conferenze» e accenna a un metodo particolare che prevede man mano l’esposizione di tutti i trattati di teologia morale da parte di uno specialista e l’intervento libero dei presenti «purché ciò siegua senza alcuna contenzione e in lingua volgare e in maniera semplice ed istruttiva». la riunione dell’ultimo giovedì di ogni mese era riservata alla trattazione di temi liturgici riguardanti la celebrazione della messa e dei sacramenti. Nella formazione del clero dimostra, in tal modo, di avere quella particolare sensibilità liturgica, che era una delle caratteristiche dei cattolici illuminati. Naturalmente il ventimiglia non si illudeva di raggiungere lo scopo prefisso solo con i mezzi persuasivi e nella relazione informa il papa che avrebbe fatto ricorso alle pene e al carcere «perché i malvagi, trattenuti da questi provvedimenti più che dalle catene, si pentissero dei loro misfatti e confessassero i loro peccati»78.

ministro quale ci costituisce il nostro carattere, ma ancora quella del vostro padre e pastore. Con tutto ciò ordiniamo che si notino i nomi di tutti coloro che interverranno in ogni giovedì alla conferenza in un libro che si terrà dal cancelliere della medesima e noi non trascuraremo d’esser presenti di quando in quando ora in una, ora in altra delle chiese designate, locché similmente si farà dal mio vicario generale. Né minor cura avranno d’assistere a questo così profittevole esercizio i nostri venerabili fratelli che compongono il capitolo della nostra santa chiesa cattedrale, i quali siccome a tutti gl’altri precedono nel grado e nelle dignità, così preceder debbono nell’esempio e nell’edificazione, potendo ogn’uno d’essi scegliere a proprio arbitrio quella chiesa che le riuscirà più commoda ad intervenirvi. le chiese destinate e li prefetti che abbiamo in esse costituito sono le seguenti: 1. nella chiesa collegiata di Santa Maria dell’Elemosina il ven. cantore giuseppe Recupero; 2. nella chiesa di San filippo il rev. D. Domenico guglielmino; 3. nella chiesa de’ Santi andrea e Tommaso il rev. D. Michele D’angiolo; 4. Nella chiesa di Sant’agata alla fornace il rev. D. francesco Zappalà; 5. Nella chiesa di Santa Marina il rev. D. francesco Sardo; 6. Nella chiesa di Santa Maria dell’Itria il rev. D. Cirino Quattrocchi; 7. Nella chiesa di Santa Maria della Concordia il rev. D. Mauro Sapienza; 8. Nella chiesa di Sant’agata del borgo il rev. D. Salvatore Savia. Dato in Catania, li 24 febbraio 1761. Salvadore ventimiglia, vescovo di Catania. giuseppe longo, mastro notaro» (Editti 1752-1761, fol. 74v-76v). 77 vedi quanto è stato scritto supra nel profilo del vescovo Pietro galletti. 78 Rel. 1762, fol. 15r.

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Nel 1790 ritenne necessario fare un censimento di tutto il clero79. Molti, durante il governo del suo predecessore, avevano ricevuto la tonsura e gli ordini minori solo per godere dei privilegi annessi allo stato clericale, senza più preoccuparsi di chiedere gli ordini maggiori o di dedicarsi al ministero. Con il censimento il ventimiglia intendeva fare chiarezza: coloro che erano entrati a far parte del clero e con un comportamento non confacente agli impegni assunti si erano dimostrati indegni, avrebbero perduto ogni diritto.

79 «Salvadore ventimiglia, vescovo di Catania. Siccome la principale attenzione del sagro nostro ministero dee rivolgersi non solo a coloro che, situati nel secondo grado del sacerdozio di gesù Cristo, sono i nostri cooperatori nel servizio della Chiesa e nella cura delle anime, ricomprate col preziosissimo sangue del Redentore, ma ancora a tutti quegli altri che sono costituiti ne’ diversi ordini del sagro clero e destinati anch’essi nel loro grado minore all’opera dell’ecclesiastico ministero e all’edificazione del mistico corpo del Salvadore, così è nostro preciso dovere il vagliare colla più attenta sollecitudine sulla condotta ed esemplari costumi di tutti, acciocché si sparga da pertutto il buon odore di Cristo. Perciò sin dal principio ch’entrammo (sebbene deboli e miseri e affatto indegni) al regimento di questa Chiesa, siamo stati penetrati nel cuore da un sacro orrore e abiamo mostrato una insuperabile ripugnanza a promuovere alcuno agli ordini minori ed anche alla prima clerical tonsura, se prima non sia stata da noi stessi esaminata la divina vocazione che al suo particolar servizio e al ministero della sua Chiesa lo destinava, facendone per lo più esperienza nel nostro seminario vescovile. Ma nel tempo stesso non abbiamo potuto rimirare senza la più tenera compassione del nostro cuore alcuni altri, fra coloro che trovammo già promossi prima della nostra venuta a qualche minore ecclesiastico grado, i quali, sebbene chiamati alla sorte ed eredità del Signore, non avendo poi potuto o voluto ascendere agl’ordini sacri e maggiori, dimenticandosi perciò totalmente della santità e dignità dello stato da essi eletto per attendere unicamente al culto divino, separati affatto da tutte le cure ed imbarazzi del secolo, si sono in così fatta guisa abbandonati alla depravazione del loro cuore, che non si arrossiscono di esercitare impieghi totalmente mondani e indegni della santissima professione, ritenendo con tutto ciò il sagro abito e la tonsura ecclesiastica con grande disonore del santuario e con ammirazione e discapito della pietà de’ fedeli. Quindi ci ha ispirato il Signore di affaticarci per apportare col suo divino aiuto a questo grave disordine il conveniente riparo; e a tal oggetto riputiamo necessario l’ordinare (come in vigore del presente nostro editto ordiniamo) che tutti coloro che si trovano promossi al chiericato e avendo già passati gl’anni 25 di loro età, senza essere stati promossi ad alcun ordine maggiore prosieguono tuttavia a portare l’abito ecclesiastico anche con nostra licenza e de’ nostri predecessori, nel termine di un mese da correre dalla pubblicazione del presente editto debano presentarsi in questa città al nostro vicario generale e in ogn’altra città o terra della nostra diocesi al vicario foraneo di ogni rispettivo luogo in cui abitano e dare al medesimo nota del loro nome, patria, età e tempo di loro ordinazione e giustificare insieme innanzi al medesimo l’impiego che esercitano ed a qual chiesa sieno addetti per prestare in essa la loro assistenza ne’ divini uffici e nelle ecclesiastiche funzioni, accioché, esaminandosi da noi con diligente attenzione tutta la loro vita e condotta, possiamo deliberare se degni sieno di rimanere nello stato clericale o

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c) norme sulla cura d’anime e sul conferimento dei benefici

Nel descrivere lo stato della diocesi, il ventimiglia non poteva non far rilevare l’anomala situazione che aveva trovato a Catania80: esisteva una pletora di collegiate, erette dai suoi predecessori nelle chiese curate81 ed ai canonici, solitamente, era affidata la cura delle anime; tuttavia, mentre in alcune chiese la responsabilità competeva alle dignità, in altre era affidata a tutti i canonici collegialmente: perciò di diritto tutti erano parroci, di fatto non lo era nessuno82; in molti altri centri, scrive nella sua relazione: «la cura delle anime è esercitata da vicari amovibili a discrezione del vescovo, che è ritenuto unico parroco di tutta la diocesi. Infatti, ad eccezione di Enna né Catania, né Piazza, né altri comuni hanno parroci perpetui, ma semplici cappellani incaricati di amministrare i sacramenti. Per un antico errore le autorità civili della città di Catania si convinsero che i diritti parrocchiali contrastavano con la libertà dei cittadini. a ciò si deve se, in passato, i vescovi hanno tentato inutilmente di istituire i parroci perpetui; oggi questa speranza si è perduta del tutto»83.

debba loro imporsi di deporre assolutamente e per sempre quel abito di cui non custodiscono il decoro e quella sacra professione che è assai più onorevole di tutti i titoli e di tutte le dignità di questo mondo. Dichiariamo però che chiunque mancherà a prestare la dovuta obbedienza a questa nostra ordinazione nel termine prescritto, resterà da quel punto stesso sospeso dall’esercizio de’ propri ordini ed escluso affatto dal numero de’ chierici, né potrà portarne l’abito per l’avvenire; che se ciò non ostante ardisse di portarlo, resterà soggetto ad un mese di carcere ed altre pene a noi benviste e i nostri rev. vicari foranei, se trascureranno nel termine di due mesi dalla publicazione di questo editto di mandarci la distinta nota di tutti i chierici che si saranno da essi presentati coll’impiego che ciascheduno esercita e la chiesa a cui serve, resteranno sospesi dalla loro carica. Piaccia al Signore il concedere a tutti i diversi ordini e gradi della milizia ecclesiastica il vero spirito di pietà e di religione e la grazia di fedelmente servirlo, affinché possano godere dell’eterna mercede che il nostro Signore gesù Cristo principe de’ pastori ha promesso a’ buoni operari e ministri della sua Chiesa. a lui sia gloria ed onore ed imperio per tutti i secoli de’ secoli. amen. Dato in Catania nel nostro palazzo vescovile, a 8 aprile 1770. Salvadore ventimiglia, vescovo di Catania. giuseppe longo, maestro notaro (Editti 1769-1776, fol. 7v-9r). 80 Su questo argomento vedi a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit. 81 la relazione del ventimiglia ci offre i dati relativi alla fondazione di tutti i capitoli della diocesi esistenti al suo tempo. 82 Il ventimiglia fa questa affermazione in particolare per la collegiata di biancavilla (rel. 1762, fol. 9r). 83 ibid., fol. 9v.

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le intenzioni del ventimiglia su questo argomento si leggono facilmente fra le righe: porre il problema alla Congregazione del Concilio per avere l’appoggio necessario a ridurre le collegiate e a nominare parroci personali e perpetui secondo le indicazioni del Concilio di Trento. Il sostegno sperato non arrivò, perché l’officiale incaricato di preparare i rilievi per la risposta fa notare: «la riflessione che fa monsignor vescovo sopra l’abuso che corre in alcuni luoghi della sua Diocesi, dove la moltiplicità de’ canonici produce la moltiplicità de’ curati tamquam aequam omnes curam animarum habentes, potrebbe aver luogo quando si verificasse che tutti eodem tempore esercitassero egualmente la cura, laddove se la cosa succedesse per turno, non ripugna che tutti i canonici abbiano la cura abituale, purché da ciascuno si eserciti ne’ suoi dati tempi. Sarebbe dunque necessario che monsignor vescovo spiegasse meglio il caso proposto, oppure volendo procedere a qualche sollecito rimedio, conviene che si adatti a quelle condizioni che al ius canonicum non si oppongono. Se dunque la cura abituale fosse addetta ai canonici e l’attuale si esercitasse da ciascheduno per turno, quando anche questo pregiudicasse al buon servizio de’ parrocchiani, potrebbe monsignor vescovo trattarne l’accomodamento con lo stesso Capitolo e determinarne qualche innovazione de consensu Capituli. Che se poi l’affare fosse diversamente introdotto, cosicché l’attuale cura istessa eodem tempore da ognuno de’ canonici egualmente si amministrasse, allora e in questo solo caso potrà monsignor vescovo provvedere secondo quello che crederà più opportuno»84.

Nonostante il mancato sostegno della Congregazione del Concilio, il ventimiglia, appena le circostanze lo permisero, incominciò ad attuare il suo progetto di riforma. È indicativo in tal senso il suo intervento del 1769 per la chiesa madre di Regalbuto. In questa città, fin dal periodo antecedente al Concilio di Trento, esisteva una comunia85. Il vescovo durante la visita pastorale si era reso conto che la cura delle anime non veniva esercitata con quella vigilanza, diligenza e dignità che l’ampiezza della città e l’istruzione dei cittadini esigevano. gli stessi fedeli in pubbliche assemblee avevano chiesto al vescovo la nomina di un parroco. Il ventimiglia, accogliendo volentieri questa richiesta, soppresse la comunia e la cura collegiale per nominare un arciprete, come unico responsabile della cura delle anime 84 85

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ibid., fol. 22r-22v. a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 110.


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in tutto il centro abitato, e sei cappellani che prestassero la loro opera sotto l’autorità dell’arciprete. la motivazione, che il vescovo addusse nel decreto per giustificare la sua scelta, può essere riassunta in una semplice considerazione: la cura collegiale non permetteva di individuare con certezza il responsabile; perciò per eliminare i mali riscontrati era necessario procedere alla nomina di un solo parroco o arciprete, che il vescovo — in caso di inadempienza — avrebbe potuto sostituire o al quale avrebbe comunque potuto chiedere conto86. Migliori risultati ottenne con le norme sul conferimento di tutti i benefici per concorso, nonostante l’iniziale opposizione di molte collegiate. Il ventimiglia al suo ingresso in diocesi aveva trovato una prassi inaccettabile, introdotta al tempo del suo predecessore: i capitoli presentavano per ogni prebenda vacante tre candidati; il vescovo poteva scegliere solo fra i nomi presentati. le conseguenze di questa prassi sono descritte dal vescovo: «Erano stati scartati i più degni per offrire le prebende ai parenti, agli amici, ai compari, persone per lo più malviste per la loro cattiva condotta o inconcludenti per la loro ignoranza»87.

«Cum non sine animi Nostri moerore in visitatione venerabilis ecclesiae Sancti viti civitatis Regalbuti, huius nostrae Catanen. dioecesis, inspexerimus integram animarum curam in dicta ecclesia fundata minime fuisse administrata ea diligentia, labore ac vigilantia quam ad illius ecclesiae dignitas, civitatis amplitudo et populorum instructio postulabat, quam ob causam eiusdem civitatis incolae, eternae salutis studio commoti, publicis ad id indictis comitiis parochum sibi idoneum postularunt, a quo imposterum vias Domini docerentur et divinis pascerentur alimoniis. Nos, quibus id muneris precipue a Domino commissum est, ut nostro gregi vel per nos ipsos vel Nobis absentibus per idoneos ministros de spiritualibus pascuis consulamus, animadevertentes nunquam posse illius ecclesiae detrimenta reparari, nec tot malis opportune mederi donec cura animarum penes diversos promiscue residens a nemine iis quibus decet curis certa ac ferenda ratione posse administrari, eidem ecclesiae idoneum parochum preficere decrevimus, qui morum probitate, litterarum peritia, divini verbi praedicatione et assidua sacramentorum administratione, fidelium illorum gregi forma factus ex animo, ipsum tandem ad Christum Dominum pastorem universalem animarum reducere incolumen valeat […]» (aSDC, note 1768-1769, fol. 42r-45r: 42r-v). Il provvedimento del vescovo ventimiglia sarà impugnato presso il tribunale della Regia Monarchia durante il governo del suo successore, Corrado M. Deodato: a. lONghITaNO, Dal modello illuminato del vescovo Ventimiglia (1757-1771) alla normalizzazione ecclesiastica del vescovo Deodato (17731813), in g. ZITO (cur.), Chiesa e società in Sicilia. i secoli xVii-xix, Torino 1995, 41-58. 87 Rel. 1762, fol. 14r. 86

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la riforma voluta dal ventimiglia non poteva essere gradita e si ebbe una serie di ricorsi al tribunale della Regia Monarchia per invalidare le norme emanate dal vescovo88. Iniziarono i canonici della collegiata di adrano, seguiti da quelli di acireale e di altri comuni della diocesi89. I primi ricorsi furono respinti90. gli altri capitoli o li ritirarono spontaneamente o chiesero ed ottennero una transazione91. Questa nuova disciplina ebbe come effetto la qualificazione dei capitoli delle collegiate, ai quali nella maggior parte dei casi era demandata la cura delle anime, e uno stimolo in più per il clero, che si sentì obbligato allo studio e ad un comportamento esemplare per ottenere con più facilità un beneficio, far parte di un capitolo, avere una dignità92. d) Catechesi

«Il mio primo pensiero è stato sempre quello di fugare le tenebre dalla mente degli uomini con la luce della fede, di applicarmi a divulgare gli insegnamenti di Cristo e di istruire i fedeli»93.

Il Concilio di Trento prevedeva l’obbligo del concorso solo per il conferimento dei benefici curati (sess. xxIv, de ref., c. 18, COeD, 770-772), ma non proibiva che ogni vescovo potesse rendere obbligatorio il concorso anche per il conferimento degli altri benefici (per questo problema vedi l. fERRaRIS, Beneficium, in Prompta bibliotheca, cit., I, 1061-1242: 1102-1107; ID., concursus, ibid., II, 878-914). Il ventimiglia contestava la prassi esistente, perché i canonici non potevano vantare un vero e proprio diritto di patronato. 89 Su queste controversie vedi la documentazione contenuta in Tutt’Atti 1758-1759, fol. 242r-249v; Tutt’Atti 1763-1764, fol. 161v-167v; 269r-275v. 90 Rel. 1762, fol. 14r-14v. 91 vedi i documenti riguardanti il capitolo di belpasso con l’atto di transazione finale (Tutt’Atti 1763-1764, fol. 125r-v; 388v-402r) e quelli riguardanti il capitolo di Paternò (Tutt’Atti 1766-1767, fol. 201r-218r). 92 Nei registri della curia si trovano in questi anni i bandi di concorso per i diversi benefici che man mano si rendono vacanti, alcune domande di concorrenti, i risultati con l’indicazione dei partecipanti e della graduatoria finale. vedi il concorso per canonico secondario alla cattedrale del suddiacono vincenzo Zuccarello, che presenta il suo curriculum di studi fatto nel seminario e le attività svolte: prefetto di camerata in seminario, insegnante di lingua greca, musica e canto gregoriano. fra gli esaminatori c’è il can. giovanni agostino De Cosmi u.i.d. (Tutt’Atti 1766-1767, fol. 355r-356r). Nel 1770 si trascrive l’esito del concorso per il prevosto della collegiata di Piazza: fra cinque partecipanti risulta vincitore D. filippo Trigona s.t.d. (Tutt’Atti 1769-1770, fol. 118r-119r). 93 Rel. 1762, fol. 15r. approfondisce questa parte del programma pastorale del ventimiglia g. DI faZIO, Salvatore Ventimiglia, cit. Il concilio provinciale romano aveva dato 88

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l’impegno per l’istruzione religiosa dei fedeli, per quanto prioritario, era subordinato ad un minimo di organizzazione e alla disponibilità di collaboratori e di strumenti idonei. Il primo strumento doveva essere un catechismo che allo stesso tempo avesse il requisito della completezza e quello della facile comprensione. «Poiché non c’era un compendio della dottrina cristiana, redatto in lingua siciliana, che con metodo facile e idoneo contenesse con buona disposizione i primi elementi della fede che è necessario ed utile conoscere (quelli che erano diffusi in Sicilia erano incompleti e scarni), ne ho preparato uno io con un linguaggio semplice e adatto alle persone prive di istruzione: questo ho fatto seguendo le indicazioni e le norme del catechismo del Concilio di Trento, il cui uso è stato raccomandato ai vescovi da Clemente xIII, che in questo momento felicemente presiede la Chiesa cristiana»94.

Predisposto il testo, il ventimiglia diede le opportune disposizioni perché in tutte le chiese sacramentali si insegnasse il catechismo. la ricezione dei sacramenti era subordinata alla conoscenza della dottrina cristiana: «gli ignoranti e i pigri dovevano essere allontanati dall’Eucaristia, dal sacro crisma, dal matrimonio»95. Nello stesso tempo egli progetta di istituire un’associazione della dottrina cristiana «che abbia come fine di riunire, in qualsiasi centro abitato, un certo numero di catechisti per moltiplicare le adunanze di bambini e di costituire gruppi di sacerdoti che, con sollecitudine costante e tenace, con zelo e competenza,

precise norme sulla catechesi, integrate con indicazioni pratiche nell’appendice (Concilium Romanum, cit., tit. I, cap. 4-5, 6-8 e 298-307). Sul problema della catechesi in Sicilia vedi l. la ROSa, Storia della catechesi, cit. 94 Rel. 1762, fol. 15r-v. Il ventimiglia segue la prassi tradizionale di scrivere il testo del catechismo nella lingua parlata dal popolo, il siciliano. Sul tema vedi f. lO PIPaRO, Sicilia linguistica, cit., 733-807; M. D’agOSTINO, La piazza e l’altare. Momenti della politica linguistica della Chiesa siciliana (secoli xVi-xViii), Palermo 1988. Del resto anche la predicazione si faceva nella stessa lingua. Il De Cosmi nelle sue memorie autobiografiche scrive che predicò per la prima volta in toscano nella cattedrale di Catania nel 1765 (g. gIaRRIZZO, Giovanni Agostino De Cosmi, cit. 1108). Il ventimiglia a difesa del proprio catechismo sostenne una controversia con il viceré fogliani, che voleva applicare anche a Catania un ordine reale di usare il catechismo del bossuet nelle chiese ex gesuitiche. Il nostro vescovo riuscì a dimostrare la validità delle sue scelte (g. DI faZIO, Salvatore Ventimiglia, cit., 73-77). 95 L.c.

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si dedichino ad un’opera così importante. abbiamo già preparato gli statuti e siamo certi che quest’opera, per una speciale grazia di Dio, apporterà non poco beneficio»96.

l’organizzazione della catechesi fu portata a compimento nel 1769, quando in un editto il ventimiglia annunziò che aveva istituito venticinque legati di onze sei per i maschi e altrettanti di onze quattro per le femmine da tirare a sorte fra coloro che avessero dimostrato, dopo un esame, di aver imparato a memoria il catechismo97. Per l’istruzione e la formazione dei fedeli si servì delle missioni popolari, un’iniziativa molto diffusa in quel tempo e alla quale si dedicavano diversi ordini religiosi; furono organizzate in tutta la diocesi per rendere più fruttuosa la visita pastorale.

L.c. «Editto. Salvadore ventimiglia, vescovo di Catania. Riconoscendo noi come principal dovere del pastorale nostro ministero il procurare con ogni studio che si dilati e si accresca nel popolo a noi commesso la luce della cognitione di Dio e del nostro Signore gesù Cristo, della verità, de’ misteri e delle massime della nostra santissima religione e scorgendo in questa parte benedetto e prosperato dalla divina misericordia il fervoroso nostro impegno, dacché la prima volta pubblicammo il nuovo compendio della dottrina cristiana, da noi disteso ad uso di questa diocesi, avendo noi ispirato un santo zelo non solo ai reverendi parochi e curati della medesima, m’ancora a tutti i sacerdoti ed ecclesiastici d’insegnarla al popolo, ed al popolo stesso una viva ed ardente brama d’impararla e di istruirsi ne’ doveri del cristianesimo, non dobbiamo ora tralasciare alcun mezzo che da noi possa col divino aiuto mettersi in prattica onde promuovere maggiormente e vieppiù accendere le pietose premure de’ fedeli per questo santo e necessario servizio. a questo oggetto giudichiamo di dovere animare la povera gente bisognosa, che per ordinario suole essere la più inculta e trascurata, anche col mezzo di vantaggi temporali e de’ caritevoli sussidii, che vogliamo che servano di ricompensa e di premio a coloro che hanno bene appreso la dottrina di gesù Cristo, accioché si verifichi quanto scrisse il grande apostolo al suo diletto Timoteo (ad Tim 4,8): “la pietà è utile a tutto, giaché ad essa sono promessi non solo i beni della vita futura, m’ancora della presente”. Quindi abbiamo pensato di destinare la somma di onze ducentocinquanta, dividendola in cinquanta premi o (come volgarmente si chiamano) legati venticinque di onze sei per altretante donne o zitelle e venticinque di onze quattro per altretanti maschi di ogni età che si troveranno avere ben imparato a memoria tutto il nuovo compendio della nostra dottrina. Sei legati cioè, tre per maschi e tre per femine, verranno distribuiti in ciascheduna delle parrocchie più popolate di questa città, le quali sono l’insigne Colleggiata, San filippo apostolo, i Santi andrea e Tommaso apostoli, Sant’agata della fornace, Santa Marina, Santa Maria dell’Itria e Sant’agata del borgo, due legati, cioè uno per maschi e un altro per femine, in ciascheduna delle parrocchie meno popolate, le quali sono la nostra Santa Cattedrale, i Santi angeli Custodi, Santa Catarina della Concordia e Santa Maria delle grazie di Cifali. Provvederanno intanto i reverendi curati che restino informati di questa nostra 96 97

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«In preparazione alla nostra visita ho inviato predicatori seri e preparati, scelti da tutti gli ordini e dalle vicine diocesi, con l’incarico di portare a termine le opere apostoliche chiamate ‘missioni’»98.

e) Riforma della curia e riqualificazione del capitolo cattedrale

Uno dei primi provvedimenti presi dal ventimiglia, subito dopo il suo ingresso in diocesi, riguarda la riforma della curia diocesana99. la tem-

disposizione tutti i fedeli del loro rispettivo distretto e andranno riconoscendo ed esaminando coloro che hanno appreso o apprenderanno intieramente il compendio della dottrina, dovendo poscia produrli per l’esame generale, che si farà da noi o dal nostro vicario generale nella ventura quaresima del prossimo anno 1770, assegnando uno o più giorni per ciascheduna parocchia, nel quale essame tutti coloro che saranno approvati verranno imbussolati e si estraeranno a sorte i legati che immediatamente saranno pagati dal nostro razionale a coloro che saranno estratti o a’ loro genitori se saranno figliuoli. E siccome nello stesso tempo della quaresima, piacendo al Signore, pensiamo d’amministrare il sagramento della confermazione, il quale a tenore de’ nostri precedenti editti non dispenserà ad alcuno che non sappia la dottrina del nostro compendio o almeno la prima parte di esso intieramente e della seconda quanto appartiene al medesimo sagramento della cresima, cossì sarà agevole a’ reverendi curati e cappellani il riconoscere per l’uno et l’altro fine il profitto di ciascheduno de’ figliuoli e figliuole del proprio distretto parrochiale ed attestarlo a noi in altrettante schedule, che consegneranno a tutti coloro che desiderano confermarsi, acciocché a noi le esibiscano, alorché si presenteranno per ricevere quel sagramento senza la quale schedula del proprio curato, sulla di cui coscienza in questa parte riposeremo, non verranno ammessi. Dato in Catania nel nostro palazzo vescovile a 21 novembre 1769. Salvadore ventimiglia, vescovo di Catania. giuseppe longo, mastro notaro» (Editti 1769-1776, fol. 4r-5v). 98 Rel. 1762, fol. 16v. 99 «Editto regulativo pell’amministratione della giustizia e de’ rettori delle due aule civile e criminale. Noi D. Salvadore ventimiglia etc. Essendo l’amministratione della giustizia quella parte del pastoral governo alla quale i presenti bisogni di questa nostra vasta diocesi esiggono, che prima d’ogni altra cosa rivolgiamo tutta l’attenzione dell’animo nostro, dopo matura riflessione siam divenuti alla necessaria riforma di questa gran Corte vescovile erigendo in essa due aule, una criminale, l’altra civile, con tre ordinarii assessori per ciascheduna, innanti a’ quali ne’ giorni da noi stabiliti e alla presenza nostra o del nostro vicario generale tutte le cause e pendenze de’ nostri sudditi, maturamente esaminandosi e decidendosi, ottengano essi non solo le più rette e convenenti providenze, ma ancor la più sollecita spedizione de’ loro affari. Quindi per ritrarre il desiderato frutto di questa nostra opportuna disposizione e darsi un regolato e metodico corso alle procedure giudiziarie ordiniamo col presente nostro editto: 1. Che i vicari della nostra diocesi e tutti i loro assessori, ministri, notari ed altri ufficiali eseguir debbano soltanto quelle ordinazioni che per via della riferita nostra gran Corte vescovile saranno loro intimate. 2. Che in quanto alle cause criminali non s’intromettano d’oggi innanzi nella cognitione e disamina delle medesime per esser tutte a

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pestività dell’intervento è indice della gravità della situazione, che il vescovo descrive nella sua relazione.

«frattanto, disgustato per la corrottissima curia vescovile, che non poteva essere considerata il santuario dei giudizi ecclesiastici ma la bottega dei mercanti, fin dall’inizio del mio governo pastorale ho incominciato a rinnovarla e a riformarla. Infatti nei giudizi il vescovo non poteva contare su assessori certi, né era stata fissata una tassa per la redazione degli atti e delle scritture; per qualsiasi cosa si chiedevano ingiustificate somme di danaro in proporzione alla cupidigia dei responsabili. Il vescovo dava in appalto al cancelliere questa illimitata facoltà di domandare soldi e il cancelliere cercava di ricavare il più possibile nella spedizione degli atti, delle lettere e dei

noi riserbate, ma che soltanto ricevano, nel caso che vi sia istanza di parte, qualunque accusa, relazioni o testimonianze che in prova saranno loro esibite e li rimettano a noi e nostra gran Corte nel modo e forma che qui appresso scrivesi. 3. Conoscendosi necessaria la carcerazione del reo accusato, lo facciano pure in sicure carceri arrestare, come ancora se sarà di bisogno procedere all’inventario o confiscazione de’ beni de’ delinquenti, lo prattichino con fedeltà ed attenzione dandoci conto di tutto. 4. Ordiniamo che una volta al mese, cominciando dall’entrante luglio, ciascheduno de’ nostri suddetti vicari debba indispensabilmente darci distinta ed individual notizia di tutto ciò che occorrerà nelle rispettive città, luoghi e territorii di loro commessa giurisdizione colla rimessa di tutte le istanze, accuse, testimonianze o altri atti loro proposti contro de’ nostri sudditi e tutto ciò che in qualsivoglia maniera l’ecclesiastico nostro foro riguarda, osservando lo stesso anche ne’ casi ne’ quali non vi sia istanzia di parte o che abbiano i delinquenti riportata cessione della parte offesa o accusante o se altro in quel mese non occorresse, trasmettano la fede negativa del mastro notaro della lor corte spirituale. E in questo primo mese rimettano tutte le informazioni, processi ed accuse che mai si trovassero da dieci anni a questa parte, delle quali i rei rubricati non fossero stati ancora provisti. 5. Per ciò che appartiene agl’affari civili, ritrovandosi per legge sinodale di questa nostra diocesi ristretta la podestà de’ vicari locali alle cause che non passano le once sei, noi conformandoci alla riferita disposizione del sinodo, Sess. 4, cap. 2, num. 20, confermiamo ad essi la facoltà di esaminare e risolvere quelle pendenze civili, che avessero il solo imposto delle once sei o meno, ma vietamo loro ingerenza e cognizione in quelle che sorpassano il valore della somma sudetta; nel qual caso doveranno assolutamente le parti indirizzarsi alla nostra gran Corte vescovile. 6. Per via pure della stessa nostra corte e per l’officio del nostro mastro notaro nella maniera sopra espressa, dovranno rimetterci le nomine, che si faranno nelle vacanze de’ canonicati e benefici, riserbandosi soltanto a scriverci per via della secreteria quelli affari che a noi unicamente dovranno communicare. Concorrano pertanto all’ubbidienza e puntuale esecuzione degl’ordini nostri in questo editto contenuti e secondare le nostre fervorose premure per la retta amministrazione della giustizia; e in caso di mancanza e di trascuragine si aspettino da noi quelle pene che, a proporzione delle loro trasgressioni, meriteranno. Dato da questo nostro palazzo vescovile, li 20 giugno 1758. Salvadore ventimiglia, vescovo di Catania. D. giuseppe longo, mastro notaro» (Editti 1752-1761, fol. 46v-48r).

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certificati. Per impedire questo vergognoso commercio e per restituire dignità alla curia scelsi sei giudici assessori, dei quali tre dovevano occuparsi dei processi civili e tre di quelli penali. al cancelliere e ai suoi collaboratori assegnai uno stipendio e diedi ordine di non chiedere di più di quanto prescrivano le cosiddette tasse innocenziane. Se era richiesta un certificazione scritta, secondo l’uso del municipio, ho disposto che si seguisse la prassi della curia di agrigento, che sapevo fosse molto contenuta. attenendomi alle prescrizioni della legge, ho fatto perdere definitivamente ai monaci la speranza di disfarsi del loro saio; infatti non ho mai reputato di avere immaginari privilegi, né di godere di particolari potestà riguardo ai voti dei religiosi, al di fuori di quelle che sono state concesse dal Concilio di Trento e dai decreti pontifici»100.

Il capitolo cattedrale, anche se non aveva più all’interno della vita diocesana il posto di rilievo riconosciutogli dalle antiche norma canoniche, era comunque considerato il senato del vescovo e, per le sue laute prebende, poteva garantire a coloro che lo aiutavano nel governo della diocesi un più che onesto sostentamento. Una sua riqualificazione si ebbe con l’attuazione delle norme sulla concessione dei benefici. Ma era intenzione del ventimiglia concedere le prebende vacanti ai collaboratori che chiamava da altre diocesi e ai sacerdoti più qualificati del suo presbiterio. Nel 1758, alla morte del can. Pietro Profeta, eresse la prebenda del canonico teologo e la conferì a giacinto Paternò bonaiuto dei baroni di Raddusa101. Questi però vi rinunziò nel 1763, perché lusingato dalla possibilità di una più brillante carriera nel tribunale dell’Inquisizione, dove fu nominato inquisitore fiscale, ufficio incompatibile con quello di canonico102. Durante gli anni del suo governo pastorale il capitolo cattedrale accoglierà alcuni dei collaboratori più qualificati del nostro vescovo: giovanni agostino De Cosmi, vito Coco, giuseppe Recupero, antonino Tusa, Matteo Scammacca…103. Rel. 1762, fol. 15v-16r. Tutt’Atti 1757-1758, fol. 450v-451r. Su questo personaggio vedi D. SCINà, Prospetto, cit., I, 134, 176-177; II, 104; v. PERCOlla, Biografie, cit., 277-284. 102 Tutt’Atti 1763-1764, fol. 13v-14v. Il Paternò bonaiuto nel 1767 fu nominato inquisitore provinciale e restò in carica fino alla soppressione del tribunale dell’Inquisizione (v. la MaNTIa, Origine e vicende, cit., 142). 103 Editti 1769-1776, fol. 21r. 100 101

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f) Ricostruzione della cattedrale

l’edificio, a distanza di settant’anni dal terremoto del 1693, poteva dirsi ricostruito. Occorreva portare a compimento il prospetto, secondo il progetto predisposto dal galletti. Il ventimiglia, nella sua relazione, può affermare:

«Perché sia completato occorre sistemare ventidue statue di marmo, che io stesso ho cominciato a realizzare; due di esse sono state ultimate e collocate al loro posto, la terza sarà ammirata fra breve, le altre sono state commissionate agli scultori»104.

g) L’università degli studi

Nell’ordinamento dell’Università il vescovo ricopriva l’ufficio di cancelliere, le cui competenze erano state sempre motivo di discussioni e di scontri fra le diverse autorità responsabili dell’andamento dello Studio catanese. Nelle varie riforme, che si erano succedute nel corso dei secoli, si era cercato di trovare un equilibrio fra il potere del viceré e quelli del senato e del cancelliere, ma non era stato possibile evitare i conflitti di competenza105. Il ventimiglia, in un unico progetto di rinnovamento culturale della città di Catania, oltre al seminario intendeva riformare anche l’Università, per consentirle di stare al passo degli altri Studi d’Italia. I punti qualificanti di questo progetto riguardavano la stabilità dei lettori (sarebbero stati nominati a beneplacito del re su presentazione del vescovo), l’aumento della loro 104 Rel. 1762, fol. 7r. Sul prospetto della cattedrale non erano mancate discussioni e contese. In una lettera del 13 luglio 1758 il marchese fogliani si mostra compiaciuto perché, mediante l’intervento del ventimiglia, «haian tenido termino las differencias del senado y del publico de essa ciudad sobre el prospetto o fachada de essa cathedral» (Tutt’Atti 1757-1758, fol. 452r-v). Su questo argomento vedi v. lIbRaNDO, il «rimarcabile affare del prospetto», cit. 105 M. CaTalaNO, L’università di Catania nel rinascimento, cit.; M. gaUDIOSO, L’università di Catania nel secolo xVii, cit., 101-214; g. PalaDINO, L’università di Catania nel secolo xViii, in Storia della università di Catania dalle origini ai nostri giorni, cit., 217-271; g. SCalIa, il Vescovo cancelliere dello Studio di Catania e la sua funzione sino alla riforma Colonna (1580), in aSSO 30 (1934) 181-234.

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retribuzione, la durata dei corsi, portata a cinque anni, un maggiore potere di controllo del vescovo sull’andamento dello studio106. Contro questa proposta di riforma si schierarono le autorità cittadine, preoccupate per il maggior peso che il vescovo avrebbe assunto nella gestione dell’Università, e il progetto fu accantonato. Il ventimiglia ne riferisce brevemente nella sua relazione:

«Mi riproponevo anche di riordinare e riformare l’Università degli studi di Catania, che è l’unica accademia esistente in Sicilia. Re Carlo sollecitava un’opera così benemerita, che tutti ardentemente desideravano e che era stata affidata al segretario gaetano brancone; pertanto sono stato obbligato a impiegare non poca fatica per formulare le norme e predisporre questo lavoro. Ma, dopo la partenza di Re Carlo per la sua elevazione al trono di Spagna e la morte di brancone, è venuta meno la speranza di riformare l’Università e di promuovere lo studio dei giovani siciliani»107.

Il tentativo di introdurre qualcuno dei princìpi caldeggiati nella riforma fu fatto dal ventimiglia qualche anno dopo, quando riuscì a far nominare a vita, senza concorso, nelle cattedre di matematica e fisica, il palermitano leonardo gambino, dopo la rimozione dei catanesi agostino giuffrida e Rosario Nicotra (6 settembre 1766). Ne seguì un’aspra polemica, che trovò coalizzati contro il ventimiglia le autorità locali, i lettori dell’Università e tutto l’ambiente conservatore guidato da giovanni andrea Paternò Castello; si giunse perfino a chiedere la rimozione del cancelliere108. In questo clima di tensione si trovò un altro motivo di contesa fra il vescovo, i lettori dell’Università e le autorità cittadine: il luogo degli esami di laurea. In un primo momento gli esami si tenevano in cattedrale o nel palazzo vescovile; dopo il terremoto del 1693, quando l’Università ebbe finalmente la sua sede stabile, le autorità cittadine fecero presente l’opportunità di tenerli nella sala appositamente costruita nel nuovo edificio.

g. PalaDINO, L’università di Catania, cit., 235-236. Rel. 1762, fol. 14r. 108 g. PalaDINO, L’università di Catania, cit., 238-239. Nei registri della curia c’è una lettera del re, in data 30 giugno 1767, con cui questi respinge definitivamente il ricorso contro la nomina a vita di leonardo gambino (Tutt’Atti 1766-1767, fol. 521r-v). Per un’analisi dell’ambiente culturale catanese in questo periodo vedi C. MUSUMaRRa, La cultura a Catania, cit.; S. la ROSa, introduzione a v. COCO, Leges a Ferdinando iii ad augendum, firmandum et exornandum Siculorum Gymnasium, Catania 1987, 11-25. 106 107

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Sembra che il vescovo non si sia mostrato d’accordo con la proposta del senato e nel 1763 ci fu un ricorso a Palermo per far dirimere di autorità la controversia109. Nel 1767 la questione rimaneva ancora aperta; infatti agli atti della curia troviamo il memoriale inviato a Palermo da un certo gandolfo, che denunzia un fatto increscioso: il figlio non si era potuto laureare perché, all’orario stabilito, uno dei promotori non aveva voluto recarsi al palazzo vescovile, dove era stato fissato l’esame. Il viceré ordinò di fissare una seconda volta l’esame nello stesso luogo e di deferire alla sua autorità chiunque avesse osato contravvenire ai suoi ordini110. Un’altra iniziativa stava tanto a cuore del nostro vescovo: l’erezione di un collegio universitario per dare agli alunni forestieri facilità di alloggio e di studio. Dopo un’intesa con il viceré egli riuscì nel suo intento: il nuovo istituto fu aperto nell’anno scolastico 1765-1766, nel piano superiore del palazzo dell’Università e la direzione fu affidata a giovanni agostino De Cosmi. Un decreto a stampa del 19 settembre 1765 ci fa conoscere le finalità, l’ordinamento e le condizioni di alloggio: «Saranno distribuiti gli studenti secondo l’età in varie e distinte camerate, ciascheduna sotto l’ispezione di un prete, che invigilerà a’ buoni costumi, gli accompagnerà nell’uscir di casa, e dormirà sotto lo stesso tetto. Oltre lo esercizio della preghiera della mattina e della sera e l’assistenza alla celebrazione del divino Sacrificio, vi saranno altre pratiche di devozione pe’ giorni festivi, ne’ quali ascolteranno un sermone sopra doveri della vita cristiana e saranno obbligati almeno una volta per mese ad accostarsi a’ Sagramenti della Penitenza e della Eucaristia. Per quanto riguarda le lettere dopo le pratiche lezioni della Università, alle quali interverranno continuamente, vi saranno de’ Ripetitori particolari nel Collegio […]. Saranno nel vitto trattati con ogni decenza e pulitezza, in modo che neppure per questo debbano pentirsi di aver preferito il publico convitto alle private abitazioni. Il vestito sarà modesto e uniforme, ed ancorché non vi sia obbligo di portar veste chiericale, dovrà però usarsi abito unito di color nero. Consegneranno al primo ingresso nel Collegio le spade al bidello della Università, che loro le renderà quando ne usciranno per tornare alle proprie case […]. Pagherà ogni convittore per contribuzione onze quindeci […]»111.

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g. POlICaSTRO, Catania nel Settecento, cit., 129-130. Tutt’Atti 1767-1768, fol. 97v-100r. aSDC, Ventimiglia (documenti vari).


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Il nuovo istituto non fu visto di buon occhio dalle autorità locali e non diede i frutti sperati: nel primo anno accolse solo cinque alunni e fu chiuso per difficoltà economiche112. h) Opere di carità

Nella relazione che pubblichiamo non si fa cenno alle opere di carità realizzate dal ventimiglia, in particolare all’albergo dei poveri, che fu ideato nel 1760, ma si sviluppò soprattutto con la grande carestia del 1763 ed ebbe la definitiva costituzione giuridica dopo le sue dimissioni.

«Sostenendo egli particolar pena in veder dispersi qua e là i poverelli, i quali non aveano ricovero di tetti, ed erano costretti di pernottare allo scoverto nelle pubbliche strade e sin anco nell’inverno ne’ luoghi destinati a cuocere vasi di creta per riscaldarsi col calore del fuoco […] fermossi nell’animo, ad insinuazione del zelante p. giuseppe Sacco ministro degli infermi, d’istituire un albergo generale de’ poveri […] nella contrada che noi chiamiamo del Palombo. Ivi il cennato Operario dispose quelle case che gli furono offerte col minor dispendio»113.

Durante la grande carestia del 1763, risultando insufficienti i locali apprestati, il ventimiglia affittò «alcune case particolari e magazzini […] vicino la fabbrica del nostro albergo cominciata pochi anni prima» e per sopperire alle spese non indifferenti richieste per quest’opera diede in pegno la sua argenteria «presso il Sig. loffreda»114. Dopo le dimissioni, il nostro vescovo chiese ed ottenne il regio assenso (1776) «dietro una lunga contradizione (come suole accadere in simili fondazioni per l’invidia del comun nemico)»115. In questo periodo l’albergo ebbe come sede definitiva la ‘casina’ che il ventimiglia possedeva nella contrada ammalati, donata con atto notarile del 6 maggio 1777116.

112 g. PalaDINO, L’università di Catania, cit., 246-247. Il Sardo scrive a tal proposito: «ventimiglia il tentò, ventimiglia lo eseguì; e se la calamità de’ tempi non permise la durata del nuovo Collegio, non si deve defraudare il zelante Cancelliere della gloria di averlo incominciato e sostenuto per lungo tempo» (g. SaRDO, Elogio accademico, cit., 27-28). 113 S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 27. 114 ibid., 28 e 29. 115 ibid., 30. 116 altra donazione fece il ventimiglia nel 1788. Infine, nel suo testamento, egli lasciò

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i) Conflitti con le autorità centrali

Poco tempo prima di inviare la relazione, il ventimiglia aveva fatto pervenire alla Santa Sede un documento in cui lamentava gli abusi e le illegalità commesse dalle autorità centrali nei confronti della Chiesa di Catania e delle altre Chiese di Sicilia117. Nella relazione si limita solamente a richiamarlo e a sollecitare una risposta118. Riteniamo particolarmente rilevante questo documento, che pubblichiamo in appendice per integrare la relazione, non solo perché offre il quadro della politica ecclesiastica seguita dalla corte di Napoli in questi anni, ma perché ci permette di conoscere il pensiero del ventimiglia in tema di rapporti Chiesa-Stato. Il ventimiglia denunzia soprattutto tre gravi abusi nei confronti della Chiesa di Catania: l’alienazione della contea di Mascali e delle dogane, il passaggio della città di Calascibetta dalla giurisdizione del vescovo di Catania a quella del giudice della Regia Monarchia, la sottrazione dal controllo del vescovo del ricco patrimonio della chiesa madre di Piazza. Dopo aver informato il papa dei tentativi andati a vuoto per essere reintegrato nei suoi diritti, egli passa a lamentare gli abusi fatti negli ultimi anni contro le Chiese di Sicilia: si nega ai vescovi la competenza di trattare le cause di misto foro; si aboliscono le franchigie della farina per gli ecclesiastici; si affida ai tribunali laici la trattazione delle cause sugli sponsali e sui reati attinenti al matrimonio; non si riconosce più il diritto di asilo; si fa obbligo, sempre ai vescovi, di ottenere il permesso delle autorità civili prima di pubblicare un editto o di emanare un’ordinazione, mentre gli ecclesiastici che volessero portare armi devono munirsi del loro permesso; ancora ai vescovi si impone di stabilire, per ogni centro abitato, il numero dei chierici e dei sacerdoti e di comunicarlo al governo che, sotto pene gravissime, vigilerà perché esso non venga superato; sono ampliate le competenze del tribunale della Regia Monarchia in violazione della concordia

erede universale dei suoi beni l’albergo dei poveri da lui fondato (P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 51-72). Il Castorina, in appendice alla sua biografia, riporta il regolamento dell’albergo (ibid., 73-97), la cui gestione era affidata ad una fidecommissaria formata da rappresentanti del capitolo della cattedrale. Nell’aCC, Fidecommissaria Mons. Ventimiglia sono conservati gli atti relativi alla sua amministrazione, fino a quando le leggi civili sulle opere pie non ne mutarono lo statuto. 117 Principi 247, fol. 21r-27r. Il periodo coincide con le riforme promosse dai viceré Corsini, viefuille, fogliani e da b. Tanucci, durante i primi anni della reggenza per la minore età di ferdinando Iv (f. RENDa, Dalle riforme, cit., 200-233). 118 Rel. 1762, fol. 16v.

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benedettina, mentre il giudice, a sua volta, tratta i vescovi come suoi dipendenti; non si riconosce alcuna autorità ai documenti pontifici, anche del passato, che non siano stati muniti del regio exequatur. alla base della lucida esposizione del ventimiglia troviamo una concezione rigorosamente curialista, priva delle aperture che avevano altri cattolici illuminati del suo tempo119. Per il nostro vescovo, infatti, la societas christiana ereditata dai normanni doveva essere continuata e sostenuta; la riforma doveva essere gestita da una Chiesa aperta agli influssi culturali della società e forte dei suoi privilegi; il ruolo del principe era quello di difendere la giurisdizione e le immunità ecclesiastiche per il bene comune120; in caso di violazione dei diritti della Chiesa, la scomunica restava sempre uno strumento valido, al quale egli non aveva difficoltà a fare ricorso121.

la posizione del ventimiglia non può essere certamente considerata affine a quelle di giannone, di genovesi, di Caruso o di longo, ma probabilmente egli non condivideva pienamente neppure la concezione muratoriana. 120 Si veda nella relazione l’auspicio formulato dal ventimiglia a proposito dei numerosi piccoli conventi religiosi esistenti in diocesi: «Sarebbe preferibile che le autorità civili li chiudano piuttosto che sopportare un così grave danno alla disciplina religiosa» (rel. 1762, fol. 10r). Il nostro vescovo gradisce l’intervento del re, purché sia a sostegno della disciplina ecclesiastica. Sulle varie posizioni che si trovano fra i cattolici in questo periodo vedi D. MENOZZI, Tra riforma e restaurazione. Dalla crisi della società cristiana al mito della cristianità medievale (1758-1848), in g. ChITTOlINI – g. MICCOlI (curr.), La Chiesa e il potere politico, cit., 767-806. 121 la maggior parte delle scomuniche riguarda percosse di chierici (Tutt’Atti 17591760, fol. 79r; 1763-1764, fol. 228v-229r; 1765-1766, fol. 184r, 184v-185r); qualcuna la violazione del diritto di asilo (Tutt’Atti 1765-1766, fol. 412r). Si veda, in particolare, il decreto del 3 febbraio 1767, che ci ricorda lo stile e la mentalità del vescovo a. Riggio: «Con autorità ordinaria dichiariamo incorsi nella scomunica maggiore riserbata alla S. Sede apostolica Salvadore Mignemi e giuseppe Musulumeni per aver rivolta l’arme di fuoco contro i chierici della ven. casa del nostro Seminario vescovile, come costa per notorietà di fatto; epperciò siamo divenuti a far affissare il presente cedolone, affinché ogn’uno l’evitasse come scomunicati di scomunica maggiore sin a tanto che non otterranno il beneficio dell’assoluzione dalla stessa S. Sede apostolica mediante il lor ravidimento e la dovuta sodisfazione» (Tutt’Atti 1766-1767, fol. 231r; vedi supra il profilo del vescovo andrea Riggio). Su quest’ultimo episodio vedi f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 247-248. 119

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l) Contrasti con le autorità cittadine

ancora più tesi furono i rapporti con le autorità cittadine per una serie di motivazioni di varia natura. anzitutto c’era il vecchio problema del precario equilibrio fra le diverse sfere di influenza delle due autorità. agli occhi delle magistrature cittadine, la volontà innovatrice del ventimiglia e le sue molteplici iniziative per dare nuovo impulso alle istituzioni culturali della città costituivano un continuo attentato alla loro autonomia. ad aggravare la situazione c’erano, probabilmente, la giovane età del nostro vescovo, la sua origine palermitana, la sua volontà di riforma e il tentativo di spezzare, con l’invito di ‘esterni’, il monopolio culturale detenuto dai circoli nobiliari cittadini. abbiamo già accennato ai contrasti sorti per la nomina di leonardo gambino a lettore stabile nell’Università. Un’altra occasione di polemica fu l’istituzione del collegio dei nobili disposta da Mario Cutelli nel suo testamento122. Il ventimiglia lo considerava un prezioso strumento per attuare il rinnovamento della città. le autorità cittadine, da parte loro, temevano che il vescovo mirasse a monopolizzare le istituzioni culturali, avendo sotto la sua giurisdizione il seminario, l’Università e il collegio dei nobili. Sebbene il nostro vescovo, nella sua relazione, scrivesse che la controversia si era chiusa a suo favore con la sentenza di un giudice imparziale, le schermaglie continuarono123. altri motivi di conflitto provocarono, nel 1767, un intervento del re a difesa del ventimiglia contro «insussistenti accuse» di alcuni membri del senato e di altri cittadini. Il re impose una non meglio precisata «mortificazione […] contro i livorosi suoi accusatori»; il nostro vescovo chiese che venisse sospesa e Carlo Di Marco, il 15 agosto, gli comunicò: v. SCIUTI RUSSI, Cutello Mario, in DbI, xxxI, Roma 1985, 529-533. vedi il resoconto che il ventimiglia fa di questa vertenza nella sua relazione (13v14r). Nei registri della curia troviamo i seguenti documenti sul collegio Cutelli: esecutoria delle lettere apostoliche con le quali si rimette all’arbitrio del vescovo la commutazione della volontà del testatore Mario Cutelli (Tutt’Atti 1758-1759, fol. 2r-4v), lettera del viceré fogliani che sollecita la nomina di un arbitro nella contesa fra il ventimiglia e il senato (Tutt’Atti 1761-1762, 124v-126r), convenzione fra il senato e il vescovo sul collegio Cutelli (ibid., fol. 299r-310v), intervento del re nel quale si afferma che il problema dell’amministrazione e del governo del collegio resta aperto, anche se per il momento essi restano di competenza al vescovo (Tutt’Atti 1766-1767, fol. 560r-561v). 122 123

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«mi ha il re comandato di rispondere a v. S. Ill.ma, che la Maestà Sua loda la cristiana condotta di v. S. Ill.ma, ravvisando nella sua rimostranza quello spirito di lenità e di mansuetudine ch’è ad esser propria di un Prelato della Chiesa»124.

Nello stesso tempo, però, il re non sembra disposto ad accettare la proposta del ventimiglia, se in un’altra lettera incarica il fogliani di fargli questa comunicazione: «S. M. mi comanda di rescrivere […] vuole che v. E., oltre la mortificazione data per iscritto al Senato ed agli altri concurrenti all’astiose accuse, gli chiami a sé e faccia loro a voce un’altra mortificante riprensione, con incaricare ad essi di andar a fare un’atto di umiliazione al proprio Pastore; a quale effetto torno a repingere a v. E. i memoriali di essi accusatori per farne l’uso necessario nell’esecuzione di questo reale comando»125.

3. lE DIMISSIONI

fra gli interrogativi che i biografi del ventimiglia e gli storici si sono posti con maggiore insistenza, senza riuscire a trovare una risposta univoca, c’è quello sul motivo delle sue dimissioni. Sostanzialmente le diverse ipotesi finora formulate possono ricondursi a quattro: il nostro vescovo si dimise perché convinto della sua incapacità e per timore di dannarsi l’anima126; fu obbligato a dimettersi per le sue idee gianseniste127; ritenne opportuno tirarsi indietro constatando l’atteggiamento ostile delle autorità cittadine, che non gli consentivano di svolgere serenamente il suo ministero128; la sua vocazione alla vita contemplativa lo indusse ad abbandonare un ministero al quale non si sentiva naturalmente attratto129. I documenti

Tutt’Atti 1767-176, fol. 15r-15v. ibid., fol. 41r-41v. 126 g. SaRDO, Elogio accademico, cit., 35-36; S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 12; g.E. ORTOlaNI, Biografia, cit.; P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., xxII-xxxIII, xlvIII-l; E. CaTalaNO, Liberalismo economico. cit., 31. 127 g. CIgNO, Giovanni Andrea Serrao, cit., 344-345. 128 f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 250-251; v. CORDaRO ClaRENZa, Osservazioni, cit., 210; g. POlICaSTRO, Catania nel Settecento, cit., 131; g. gIaRRIZZO, illuminismo, cit., 764. 129 a. gaglIO, Lettere di Mons. Ventimiglia, cit., 171-172. 124 125

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che pubblichiamo, oltre a consentirci una risposta definitiva a questo interrogativo, ci offrono elementi interessanti per comprendere la personalità del ventimiglia. Il problema fu posto per la prima volta nel 1762, a distanza di appena cinque anni dalla sua nomina vescovile, quando egli denunziò al papa le violazioni della giurisdizione e delle immunità ecclesiastiche da parte delle autorità centrali: «Io certamente, Santissimo Padre, in veduta di tanti e sì gravi mali ho concepito un gran timore, che i miei peccati e la mia indegnità siano caggione delle disgrazie della mia Chiesa e siccome debbo manifestare alla Santità vostra con filial confidenza di essere entrato nel sacro ministero con audacia e temeraria presunzione, senza molto riflettere al peso formidabile che mi addossava, così ad altro oggi non aspiro che a deporlo e sottrarmi alla tempesta in sicuro ricovero, ove possa vivere solamente a me stesso e al grande affare della mia eternità. Priego però caldamente e colle più umili e fervorose suppliche la bontà paterna di vostra Santità a darmene il permesso per riguardo al maggior bene e profitto della mia anima e delle anime ancora di cento cinquantamila fedeli che compongono questa vasta diocesi»130.

Ma anche nella relazione, scritta nel mese successivo, il ventimiglia riprende il tema della sua indegnità all’ufficio di vescovo e dell’errore commesso nell’accettare la nomina «vi confesso, o Eminentissimi Padri, che si trattò di una decisione presa da parte mia con eccessiva disinvoltura e temerarietà, le mie deboli forze non mi permisero di valutare la reale natura delle cose e la gravità della situazione. a me, che risiedevo a Palermo, molte cose erano sconosciute, altre non le avrei mai potute credere o immaginare. Perché non sembri che io vada cercando scuse per i miei errori, confesso ancora una volta candidamente che ho sbagliato, e che mi sono gettato incautamente fra i flutti di un mare in tempesta»131.

Il papa Clemente xIII, nella speranza di sollecitare una soluzione ai gravi problemi denunziati dal ventimiglia e da altri vescovi, il 14 settembre 1762 scrisse una lunga lettera al Re ferdinando, nella quale enumerò 130 131

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Principi 247, fol. 26v. Rel. 1762, fol. 12v.


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tutta una serie di abusi fatti nei Regni di Napoli e di Sicilia132. Il nostro vescovo il 26 novembre, ringraziò il segretario di Stato card. Torreggiani per l’intervento del papa, rinnovò la richiesta di dimissioni e chiese il suo appoggio per ottenerle:

«l’unico ostacolo ai celesti favori (siccome temo con gran fondamento) saranno i miei molti demeriti, pe’ quali supplicai vivamente Sua Santità a rimuovermi dalla cura vescovile, non per affettata umiltà (e ne chiamo Dio in testimonio) ma per vero rimprovero di mia coscienza, e seben nostro Signore non si compiacque di esaudirmi alla prima, con tutto ciò potrebbe esser, che le replicate istanze ottenessero a me questa grazia, se venissero avvalorate dalla protezione dell’Eminenza vostra, che imploro a questo fine, e desidero»133.

Il segretario di Stato rispose il 22 gennaio del 1763 per riferire sulla questione sia il pensiero del papa sia il proprio, considerato che il ventimiglia aveva sollecitato i suoi buoni uffici per ottenere l’accettazione delle sue dimissioni: «Mi son dato l’onore di riferire a nostro Signore i sentimenti di conforto e di filiale riconoscenza che aveva eccitato nell’animo di v. S. l’apostolico suo breve per mezzo del quale, compatendo l’angustie del di lei spirito, le suggerì quelle considerazioni che il paterno suo cuore giudicò più confacevoli al bisogno. ha Egli goduto d’aver con esse conseguito il fine a cui erano dirette e quello specialmente di confermarla nella risoluzione d’opporsi, nella maniera che le leggi della cristiana prudenza lo consentono, ai noti disordini. Onde ne ha retribuito molte lodi al di lei zelo fornito di tal coraggio e molte più grazie al Signore che glielo ispira. Stimerebbe però il S. Padre di attraversare i suoi disegni, se ammettesse l’istanza che Ella rinnova di sgravarsi della cura vescovile, riputandola anzi tanto meglio a lei appoggiata, quanto più Ella ne riconosce l’obbligazioni e ne teme i pericoli. Non pensando io punto diversamente, sono stato bene alieno dal secondare le di lei premure co’ miei uffizi i quali, se impiegherò con prontezza e con piacere in ogni altra sua occorrenza, ho creduto disconvenirmi troppo in questa, ove ne andarà della gloria di Dio e del bene spirituale di cotesti popoli»134.

132 133 134

aSv,

Epistolae ad Principes 159, fol. 55r-66v. Vescovi e Prelati 280, fol. 504r-v: 504v. Vescovi e Prelati 356, fol. 90v-91r.

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la chiara risposta del segretario di stato non servì a rasserenare l’animo del ventimiglia, che negli anni successivi continuò ad insistere nel chiedere le dimissioni. gli ultimi documenti portano la data del 1771. Nella lettera di dimissioni il ventimiglia scrive: «beatissimo Padre, Salvatore ventimiglia de’ Principi di belmonte, odierno vescovo di Catania, con tutto il fervor del suo spirito supplica la Santità vostra che, per sua Clemenza, voglia degnarsi accordargli due grazie: l’una di accettare le sue dimissioni della Chiesa suddetta per le ragioni rappresentate nel rispettivo foglio dell’oratore, che sarà umiliato alla Santità vostra; l’altra di concedergli il titolo di una chiesa arcivescovile in partibus. Che etc. alla Santità di Nostro Signore papa Clemente xIv»135.

Sul dorso di questa lettera troviamo la nota:

«Ex audientia SS.mi. Die 11 decembris 1771 SS.mus annuit pro gratia iuxta petita et assignavit oratori titulum archiepiscopalis Ecclesiae Nicomediae in partibus infidelium. I. de Simone auditor»136.

anche se non si è trovato il foglio nel quale il ventimiglia dice di render note al papa i motivi delle sue dimissioni, non c’è dubbio che siano stati gli stessi che aveva già manifestato fin dal 1762. Infatti nelle lettere inviate da Palermo al suo ex vicario generale, il priore del capitolo bonaventura gravina, dopo le dimissioni continua a ripetere, quasi con ossessione, lo

Proc Dat 148, fol. 222r. Prima della firma di questo foglio, in pari data, nel palazzo del Quirinale, si era avuta la presentazione formale delle dimissioni all’uditore d. gennaro de Simone da parte del procuratore del vescovo d. Pietro antonio Tioli. Nella procura redatta a Palermo l’8 novembre 1771 si legge tra l’altro: «[…] Ill.mus et Rev.mus D. Salvator ventimiglia […] sponte constituit, fecit, creavit et sollemniter ordinavit et ordinat eius verum, legitimum et indubitatum ad infrascripta generalem et generalissimum procuratorem, attorem, fattoremque Ill.mum abbatem D. Petrum antonium Tioli, degentem in alma Urbe licet absentem, tamquam presentem ad vice nomine et pro parte ipsius Ill.mi et Rev.mi D.ni constituentis et pro eo in dicta alma Urbe ob causa animum ipsius Ill.mi et Rev.mi D.ni constituentis digne moventes et per dictum procuratorem declarandas […] refutandum et resignandum Episcopatum praedictum Catanensem ac gubernium ipsius Catanensis Ecclesiae, eiusque dioecesis cum omnibus et singlis suis iuribus, privilegiis, lucris, emolumentis, fructibus tam certis, quam incertis obventionibus tum in pecunia cum in aliis consistentibus, immunitatibus, exemptionibus, praeheminentiis, honoribus, oneribus, et aliis quibuscumque muneri praedicto utcumque annexis […]» (ibid., fol. 216r-218v). 135 136

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stesso discorso. Il priore lo aveva informato di alcune iniziative del nuovo vescovo Corrado Maria Deodato, che egli non condivideva. Il ventimiglia, il 10 agosto 1773, gli scrisse in risposta: «bisogna adorare le disposizioni Divine ed io dal canto mio riconosco ad evidenza che Iddio prosiegue a castigare codeste anime per raggione dei miei peccati»137.

analoga convinzione esprime nelle due lettere successive del 24 agosto e del 7 settembre:

«Il mio gran timore si è che Iddio per castigo dei miei peccati non permettesse che si avanzassero i disordini ed andasse totalmente in rovina quel puoco di bene, che rimaneva nella diocesi»138. «altro io non posso fare che raccapricciarmi al vivo per l’orrore, attribuire il tutto a miei gravi peccati ed implorare la Divina Misericordia»139.

Questi documenti ci fanno intravedere nel ventimiglia uno spirito tormentato da una visione pessimistica di sé e del mondo: egli si sente incapace di svolgere l’ufficio episcopale; imputa al peccato di presunzione, commesso per aver accettato la nomina di vescovo, la difficile situazione che attraversa la Chiesa di Catania. Questo suo convincimento era maturato con l’assimilazione della dottrina agostiniana sulla grazia e rafforzato dalla naturale inclinazione al ritiro e alla vita contemplativa. le affermazioni del suo direttore spirituale, riferite dai biografi, avranno potuto rafforzare una decisione che egli prese in piena autonomia e maturò nel corso degli anni140.

137 bIblIOTECa REgIONalE UNIvERSITaRIa CaTaNIa, Ventimiglia Salvatore, 17 lettere a Mons. Bonaventura Gravina (=Vent Salv), lettera 1. 138 ibid., lettera 2. 139 ibid., lettera 3. 140 In un colloquio con il suo direttore spirituale (il domenicano p. antonino lo Presti), il ventimiglia pare avesse detto: «un vescovo deve fare quello che può»; e il suo interlocutore di rimando: «un vescovo deve fare quello che deve e se non può si dimetta» (g. SaRDO, Elogio accademico, cit., 35-36; P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., xlIx.l). Ortolani sembra convinto che la principale responsabilità delle dimissioni del ventimiglia debba essere addossata ai suoi «fanatici direttori di spirito», che assecondarono la sua coscienza scrupolosa invece di aiutarlo a superare un momento di crisi (g.E. ORTOlaNI, Biografia, cit.). Zappalà grasso non riferisce il dialogo fra il ventimiglia e il p. lo Presti, ma si limita ad affermare: «la dismissione che ne fece, previa la consulta de’ teologi in Palermo (tra i quali il p. m. fr.

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Una conferma di questa sua delicatezza di coscienza si ha nella corrispondenza avuta con d. gaspare Recupero e d. giuseppe Parisi, già suoi collaboratori nella curia diocesana. al primo, in data 26 giugno 1772, chiese di aiutarlo a ricordare se, nei quattordici anni del suo governo non avesse, senza volerlo, danneggiato qualcuno; egli era disposto a riparare «acciocché non potesse mai restarmi alcuna esitazione»141. Nel 1780 chiese la collaborazione del secondo per restituire ai parroci, ai rettori di chiese o ai loro legittimi eredi le somme ricevute a titolo di procurationes nel corso della prima visita pastorale (erano trascorsi oltre vent’anni!). Si trattava di un problema molto delicato, che era costato al suo predecessore una denunzia alla Santa Sede e un regolare processo142. Il ventimiglia, durante la prima visita pastorale, aveva accettato di ricevere queste somme nella misura prevista dalle norme canoniche ma, per non gravare troppo sui bilanci delle chiese, aveva dovuto fermarsi il tempo strettamente necessario. a partire dalla seconda visita, per svolgere il suo lavoro con calma, aveva deciso di rifiutare ogni forma di retribuzione e di vivere a proprie spese143. le somme percepite nella prima visita avranno costituito per lui una fonte di angoscia e di turbamento. Dopo accurate ricerche e una copiosa corrispondenza con i parroci e rettori di chiese, il suo ex segretario d. giuseppe Parisi gli comunicò la somma complessiva delle procurationes percepite, che il ventimiglia gli fece pervenire perché la distribuisse secondo le indicazioni avute144. 4. aTTIvITà PalERMITaNa DOPO lE DIMISSIONI

Contestualmente all’accettazione delle dimissioni, il ventimiglia era stato nominato arcivescovo titolare di Nicomedia. Si trattava di una prassi canonica che consentiva ad un vescovo privo di sede di avere il titolo con-

antonio lopresti da lui sempre amato e venerato da padre ed in Catania collo speciale consiglio del canonico di nostra cattedrale D. antonio Tusa, a’ cui sensi deferiva in tutte la circostanze) tolse alla diocesi il piacere […]» (S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 12). 141 ibid., 22-23. 142 vedi supra il profilo del vescovo Pietro galletti. 143 Rel. 1762, fol. 16r-v. 144 Nell’aSDC, Episcopati, Episcopato Salvatore ventimiglia (1757-1771), si conservano ancora le lettere e la contabilità fatta dal Parisi per stabilire la cifra esatta da restituire ai titolari di chiese ed enti ecclesiastici o ai loro eredi. S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 23-27 riporta un’abbondante documentazione sul tema.

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venzionale di un’antica diocesi scomparsa o non più in comunione con la Chiesa cattolica. Per il conferimento del titolo si seguì la prassi normale del processo informativo145 e della regolare bolla146. Il ventimiglia era libero da specifici impegni pastorali e disponibile ad altri incarichi che la Santa Sede o il re avessero voluto concedergli. Dei venticinque anni trascorsi a Palermo dal ventimiglia dopo le sue dimissioni i biografi ricordano, in particolare: l’incarico di inquisitore generale, la sua partecipazione alla deputazione dei regi studi, i doni all’Università e alla cattedrale di Catania. a) L’inquisitore generale

la nomina di inquisitore generale del Regno di Sicilia ultra pharum147 può essere considerata uno dei tanti paradossi ai quali la storia ci ha abituati: a uno spirito aperto come il ventimiglia si affidò l’incarico di governare l’istituto-simbolo dell’intolleranza religiosa e di gestirne gli ultimi anni di vita prima della definitiva soppressione. gli elementi di cui disponiamo non ci consentono di delineare in modo soddisfacente l’atteggiamento assunto dal ventimiglia nello svolgimento di questo ufficio. C’è chi afferma che egli abbia fatto dell’Inquisizione uno strumento di difesa dei giansenisti148, ma noi non ci sentiamo di condividere questa tesi, fondata su una documentazione poco chiara149:

145 Proc Dat 148, fol. 220r-221v. furono interrogati come testi il sacerdote catanese benedetto Riccioli fu ascanio e il sacerdote romano Domenico bortoloncelli di Clemente, che risposero in modo alquanto formale alle domande poste da mons. gennaro de Simone. 146 la nomina fu fatta nel concistoro segreto del 16 dicembre 1771 «Sanctitate Sua referente» (Acta Cam 37, fol. 153v-154r). la bolla è trascritta in aSv, Segreteria dei Brevi, 3803, fol. 317r-319v. 147 la nomina del 12 febbraio 1776 è trascritta nei volumi della Segreteria dei Brevi, 3835, n. 50, fol. 1r-3v. 148 Condorelli riferisce l’esempio del cappuccino p. luigi da Cefalù che, accusato di giansenismo dal suo vescovo, si rivolse alla suprema Inquisizione di Sicilia, presieduta dal ventimiglia; questi «sottopose le dottrine del frate a diverse commissioni di teologi, formate tutte da giansenisti, ed infine assolse trionfalmente l’accusato con una sentenza in cui dichiarava le sue dottrine, perfettamente gianseniste, assolutamente rispondenti a quelle dei Santi agostino, fulgenzio e Prospero e dei padri della Chiesa in genere» (M. CONDOREllI, note su Stato e Chiesa, cit., 348). 149 Cigno, citando lo stesso episodio, asserisce: «il p. luigi da Cefalù, più che un rappresentante del partito giansenista, dalle notizie riferite mi sembra, piuttosto, un traviato stra-

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riteniamo, infatti, improbabile che il ventimiglia, nell’assumere l’ufficio di inquisitore generale, intendesse stravolgere la natura di questo istituto o svuotarlo di significato per affrettarne la fine. I documenti pubblicati dal la Mantia, relativi alla soppressione dell’Inquisizione, ci fanno invece ritenere che il ventimiglia volesse collocarsi sulla scia della tradizione e osservare le norme che lo disciplinavano150. Se, infatti, il ritardo nella nomina di due inquisitori provinciali, i cui uffici da tempo erano vacanti, avevano fatto diffondere la voce di un’imminente soppressione dell’Inquisizione, in data 23 luglio 1780 due suppliche contrarie alla soppressione furono indirizzate al re dal senato di Palermo e dalla deputazione del Regno151. In entrambe le lettere si faceva notare che, con la soppressione, sarebbero venuti meno molti posti di lavoro e il sostentamento per non poche famiglie. Nella seconda richiesta, che porta anche la firma di mons. ventimiglia, si aggiungeva che l’Inquisizione costituiva uno dei più insigni privilegi concessi dai sovrani alla Sicilia; perciò si chiedeva che venisse mantenuta in vita. Negli anni seguenti due avvenimenti provocarono l’intervento del viceré Caracciolo che segnò la fine dell’istituto. Il primo è del gennaio del 1782, quando l’inquisitore provinciale emanò due editti: un decreto di scomunica da leggersi nelle chiese e un regolamento da osservarsi nella pubblicazione della scomunica. la giunta dei presidenti e del consultore furono d’accordo con il viceré nel non concedere il nulla osta alla pubblicazione di questi documenti152. Il ventimiglia si meravigliò per questo rifiuto: sostenendo la validità dell’Inquisizione, disse di non essere stato messo al corrente dell’iniziativa dell’inquisitore provinciale e si dichiarò disposto ad apportare ai documenti le opportune correzioni. la giunta, in risposta, fece notare che non si trattava di un problema di forma ma di sostanza: i decreti erano incompatibili con i diritti del sovrano e di sommo pregiudizio all’ordine pubblico153. Il secondo avvenimento ebbe come oggetto una sentenza di condanna di un parroco di Enna, emessa dal ventimiglia. Il giudizio era di competenza degli inquisitori provinciali ma, poiché costoro non erano stati ancora nomi-

vagante, a cui gli Annali dei giansenisti toscani vollero dare immeritata risonanza» (g. CIgNO, Giovanni Andrea Serrao, cit., 339). 150 v. la MaNTIa, Origine e vicende, cit., 134-147; 225-333. 151 ibid., 225-227. 152 ibid., 134-135; 231-235. 153 ibid., 234.

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nati, il nostro vescovo ritenne suo diritto sostituirsi a loro154. Il condannato presentò subito un reclamo, perché la procedura seguita gli impediva di presentare appello. le proteste del parroco diedero lo spunto ad una serie di polemiche sulla prassi del tribunale, che si conclusero con il real decreto di soppressione (16 marzo 1782)155. Il ventimiglia, nell’imminenza della soppressione, liberò i carcerati e, quando venne a conoscenza del decreto, chiese che l’archivio riguardante le cause criminali venisse bruciato156. b) Gli interventi per l’università e la cattedrale di Catania

Nonostante le sue dimissioni, il ventimiglia continuò ad avere con Catania un rapporto intenso che si concretizzò in alcuni fatti che i biografi non hanno mancato di evidenziare. faremo qualche breve riferimento all’affetto dimostrato verso la città di Catania in due circostanze: la difesa della sua Università; il dono alla stessa della sua biblioteca e del medagliere e alla cattedrale degli arredi sacri pontificali. l’esclusiva di rilasciare titoli accademici, di cui godeva il Siculorum Gymnasium di Catania, aveva subito nel corso dei secoli diversi attacchi da parte di Palermo, che mal sopportava di dover dipendere, per gli studi, da una città considerata periferica nell’ordinamento del Regno157. Uno degli ultimi attacchi, prima della definitiva erezione dell’Università di Palermo (1805), fu respinto grazie all’appoggio dato dal ventimiglia. Il 5 aprile 1778 i tre bracci del parlamento chiesero un allargamento del numero delle cattedre per l’accademia delle scienze di Palermo e la facoltà di rilasciare il dottorato. l’episodio fu motivo di apprensione e di lacerazioni interne fra le classi dirigenti di Catania. Coloro che si battevano per la difesa dell’esclusiva in favore dell’Università di Catania temevano che il ventimiglia cogliesse questa occasione per dare una risposta a tutti coloro che lo avevano osteggiato durante il suo governo pastorale. «Il ibid., 137-138, 322-329. ibid., 142. 156 ibid., 139-141. 157 M. gaUDIOSO, L’università di Catania, cit., 101-111; g. PalaDINO, L’università di Catania, cit., 222-225; g. la MaNTIa, L’università degli studi di Catania e le pretensioni di Messina e Palermo dal secolo xV al xix, in aSSO 30 (1934) 300-316. 154 155

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vescovo di Nicomedia e inquisitore generale, dimenticando con nobile generosità qualunque risentimento, fu il capo dei difensori»158. le motivazioni che spinsero il ventimiglia a privarsi della sua ricca biblioteca per donarla all’Università sono indicate nell’atto di donazione:

«Desiderando l’illustrissimo e reverendissimo mons. Don Salvatore ventimiglia […] dimostrare alla sua dilettissima Chiesa di Catania, che governò per il corso di anni quattordici, quel costante amore e viva riconoscenza, che sempre per ella ha nutrito […], ha risoluto di donare alla Università degli studi di questa città la sua libraria a vantaggio e profitto degli studiosi per l’acquisto delle scienze principalmente ecclesiastiche»159.

la formalizzazione del dono non fu priva di difficoltà. basta leggere le lettere scritte dal ventimiglia a mons. bonaventura gravina per avere una ricca documentazione sugli imprevisti e sulle lungaggini burocratiche incontrate per fare un’opera di bene a vantaggio della sua città160. Il nostro vescovo, nella bozza dell’atto di donazione, aveva apposto precise clausole che garantissero allo stesso tempo l’identità della biblioteca e la sua funzionalità: doveva rimanere distinta da quella dell’Università, doveva essere accessibile al pubblico; bisognava nominare un bibliotecario responsabile con il personale necessario per la sua manutenzione; una commissione di vigilanza doveva assicurare che queste clausole fossero osservate. Nell’ipotesi di inadempienza la biblioteca avrebbe dovuto essere consegnata al seminario e in subordine al monastero di San Nicola l’arena161. Trattandosi di una donazione ad un ente pubblico il ventimiglia, per maggior garanzia, riteneva opportuno chiedere il regio assenso. Con disappunto notò che la risposta del re non faceva alcun cenno delle clausole da lui apposte162. Il suo progetto alla fine fu realizzato e nelle lettere al gravina

158 f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 254-255; S. la ROSa, introduzione, cit., 12. Il ventimiglia si interessò anche delle riforme dell’Università di Catania del 1779 e fece parte della terna per i concorsi: E. baERI, il dibattito sulla riforma dell’università di Catania (1778-1788), in aSSO 75 (1979) 297-339. 159 P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 1. In questo stesso periodo è più frequente il caso di vescovi che donano la propria biblioteca al seminario (C. DONaTI, Vescovi e diocesi d’italia, cit., 369). 160 Vent Salv, lettere 8, 10, 12, 14, 15, 17. 161 vedi l’atto notarile, redatto a Palermo dal notaio giuseppe Sarcì e Papè il 16 settembre 1783, con le clausole volute dal ventimiglia (P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 1-23). 162 Vent Salv, lettera 8.

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si possono seguire le diverse fasi: dalla firma dell’atto di donazione alla spedizione dei libri, al loro arrivo a Catania e alla nomina del primo bibliotecario nella persona del can. giovanni agostino De Cosmi, accolta con soddisfazione dal ventimiglia. assieme alla biblioteca il ventimiglia donava «due medaglieri con tutte le monete antiche di argento e di rame che in essi si trovano, greche, romane, siciliane et altre, e che anche si trovano in altra cassetta di legno sigillata colle arme di detto monsignore»163.

gli arredi pontificali furono lasciati alla cattedrale di Catania nel testamento164. c) Gli ultimi anni e la morte

Con la soppressione dell’Inquisizione (1782) venne meno per il ventimiglia l’impegno di un lavoro che lo occupava quotidianamente. Continuò per alcuni anni l’attività come membro della commissione per l’Università degli studi di Catania; poi, portate a compimento la dotazione dell’albergo dei poveri e la donazione della biblioteca e del medagliere all’Università, «si diè tutto allo studio ed alla orazione, la quale giornalmente solea praticare avanti il ss. Sagramento nella chiesa de’ pp. agostiniani di Santa Maria della Consolazione […]. Non contento in quella età sua avanzata e di salute mal sana, di tal pio esercizio, solea ritirarsi in una di quelle case di ritiro […]. In questo ritiro concepì quel timore della morte, che l’accompagnò sempre sino alla fine de’ suoi giorni»165.

163 P. CaSTORINa, Elogio storico, cit. 6; a. DE agOSTINO, il medagliere della R. università di Catania, in aSSO 30 (1934) 382-398. 164 «a titolo di relitto particolare lascio alla S. Chiesa cattedrale di Catania tutti li miei sacri arredi pontificali, cioè croce di smeraldi e brillanti, ed anello compagno, argento dorato, piviali, pianete, mitre, tonicelle, dalmatiche, stole, manipoli, gremiali, guante, ed altri ornamenti di diversi colori riccamati, gallonati e semplici, bucolo d’argento lavorato in Roma, camici, ammitti, cingoli, rocchetti, e tutt’altro che appartiene ad uso di pontificale, con la cassa di velluto rosso guarnita di argento per conservarli» (P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 31-32). 165 S. ZaPPalà gRaSSO, Memoria, cit., 37.

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Nel clima di silenzio e di preghiera di questi anni avrà fatto propria la concezione apocalittica della storia, propria di molti cattolici negli anni della rivoluzione francese, se nel 1792 scriveva ad un amico: «preghiamo il Padre delle misericordie ad aver compassione della sua Chiesa, agitata da tante tempeste, che ci fanno credere ormai vicino il fine del tempo»166.

Morì l’8 aprile 1797, pochi mesi prima di compiere 76 anni, «sorpreso tre giorni avanti da un accidente, che gli tolse affatto la parola, senza perdere però gl’interni sentimenti»167. fu sepolto nella cripta del convento dei cappuccini di Palermo168. 5. la RElaZIONE AD LiMinA (1762)

anche ad una lettura superficiale è facile comprendere la notevole rilevanza storica del documento che pubblichiamo. alcuni brani di esso erano già noti, perché citati dagli autori che negli ultimi anni si sono occupati del ventimiglia o del suo tempo. Il vescovo non si limita a trasmettere una serie più o meno completa di dati o a fare il resoconto delle sue visite pastorali: nella prima parte espone i dati relativi alla diocesi con una personale valutazione, nella seconda le linee essenziali del suo progetto pastorale. Ne risulta un quadro quanto mai ricco per comprendere la Chiesa e la società catanese di questo periodo storico. Nei quattordici anni del suo governo pastorale il ventimiglia inviò alla Congregazione del Concilio una sola relazione; forse perché aspettava che da un momento all’altro venissero accolte le dimissioni. assieme al testo della relazione pubblichiamo un documento spedito dal ventimiglia circa un mese prima, per descrivere i difficili rapporti con le autorità politiche centrali169. Invece della risposta ufficiale pervenuta al ventimiglia da

ibid., 40. ibid., 41. 168 l’iscrizione sepolcrale è riportata da P. CaSTORINa, Elogio storico, cit., 228. Questi, scrivendo il suo Elogio storico, si fece promotore dell’erezione di «un monumento in questa cattedrale degno e meritevole di lui, di che vergognosamente manca tuttora» (ibid., III). la sua iniziativa non ha avuto seguito. 169 Principi 247, fol. 21r-27r. 166 167

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parte della congregazione, che in un latino curiale si dilunga a riassumere quanto il nostro vescovo aveva scritto170, si è preferito pubblicare la minuta preparata in lingua italiana dal prelato revisore, che si limita a suggerire al prefetto della congregazione i rilievi da fare al vescovo171.

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Liber Litter Visit 1759-1763, fol. 420r-425r. Rel. 1762, fol. 22r-23v.

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Salvatore Ventimiglia (1757-1771) xxxv

1762 – Relazione del vescovo Salvatore ventimiglia, relativa al 59° tirennio, scritta a Piazza il 12 maggio 1762 nel corso della visita pastorale e presentata nel mese di settembre dal procuratore mons. Pierantonio Tioli1.

1 Rel Dioec 207 b, fol. 6r-16r; 22r-23v. al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera senza data, indirizzata a benedetto xIv, scritta dal vescovo a Roma prima di entrare in diocesi: «beatissimo Padre, Il moderno vescovo di Catania, umilissimo oratore della Santità vostra, avendo trovato esser stata trascurata dal suo antecessore la visita de’ Sacri limini per li trienni 56 e 57, supplica la Santità vostra volerlo assolvere ad cautelam da ogni censura e pena incorsa per detta mancanza e desiderando, prima di portarsi alla sua residenza, di adempire all’obbligo della visita tanto delli suddetti due trienni quanto per il corrente 58°, supplica la Santità vostra dargli il permesso, mentre non mancherà di trasmettere lo stato della sua Chiesa o dentro il suddetto triennio 58 o subbito che averà fatta la visita della sua Diocesi. Che etc…» (Rel Dioec 207 a, fol. 484r) e la nota: «9 gennaio 1758. alla Congregazione del Concilio, dar facoltà necessarie ed opportune. C. boschi, Segretario». «Die 20 ianuarii 1758 data fuit attestatio pro 56, 57 et 59 trinniis cum absolutione et obligatione transmittendi relationem status ecclesiae intra currens triennium» (fol. 487v); 2) due attestati della visita alle basiliche romane in data 19 dicembre 1757 e 2 gennaio 1758 (fol. 485r e 486r); 3) altra lettera senza data alla Congregazione del Concilio con cui chiede una proroga (fol. 488r) e la nota: «die 24 novembris 1759. ad sex menses» (fol. 489v); 4) altra lettera senza data, indirizzata a Clemente xIII: «beatissimo Padre, Salvatore vescovo di Catania, oratore devotissimo della Santità vostra, col dovuto ossequio rappresenta che avendo già visitati personalmente i Sagri limini per l’ultimo decorso triennio, dentro il quale è stato in Roma per la sua promozione e consegrazione non ha poi potuto adempiere l’obbligo ingiuntogli di trasmettere nel corso dello stesso triennio, ch’è spirato nel passato dicembre, la relazione dello stato della sua Chiesa, e diocesi, essendo questa molto vasta ed essendosi ritrovata troppo bisognosa di cure pastorali per essere in poco tempo visitata interamente. Su questo riflesso l’oratore ha domandata e ottenuta una proroga, che gli è stata accordata per soli sei mesi parimenti spirati a giugno passato: per il che, dubitandosi che possa essere incorso ignorantemente nelle censure comminate dalla Costituzione Sistina, supplica ora umilmente la Santità vostra che voglia degnarsi concedergli l’opportuna assoluzione e dispensa ad cautelam, ancorché l’oratore avesse esercitati li pontificali, ed assegnargli un termine congruo per terminare intanto la visita della diocesi e potere soddisfare all’obbligo di mandare la predetta relazione dello stato della sua diocesi. Che, etc» (fol. 490r490v) e la nota «Ex audientia SS.mi, die 26 novembris 1760. Praevia absolutione SS.mus annuit ad alios sex menses»; 5) altra lettera senza data a Clemente xIII dal contenuto analogo (fol. 492r-493v) e la nota: «Ex audientia SS.mi die 19 iunii 1761. Praevia absolutione ac dispensatione SS.mus annuit ad alios sex menses» (fol. 493v); 6) altra lettera senza data indirizzata a Clemente xIII: «beatissimo Padre, Salvatore ventimiglia, vescovo di Catania, non avendo potuto compiere la visita della sua Diocesi per diverse giuste cagioni, tra l’altre per quella di essere stato obbligato ad allontanarsene per accudire a Palermo ad una importantissima causa della sua mensa vescovile, siccome ha già rappresentato umilissimamente alla

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[fol. 6r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori, Sebbene io sia già impegnato da cinque anni a reggere la diocesi di Catania, gravissime e quasi innumerevoli preoccupazioni mi hanno impedito di inviare la relazione sullo stato della mia diocesi alla Sede apostolica, secondo le regole dei padri. Per quanto il Sommo Pontefice Clemente xIII più volte mi abbia concesso la licenza di differire quest’obbligo, tuttavia non ho ritenuto giusto che la nostra situazione rimanesse a lungo a voi nascosta, Eminentissimi Padri. Origine della Chiesa di Catania

la Chiesa di Catania fu fondata da San berillo agli inizi della religione cristiana. Egli fu destinato o dal Principe degli apostoli o da un altro vescovo della sede di Pietro. Questa Chiesa venera diversi vescovi suoi successori, illustri per la santità e per il martirio. anticamente, annoverata con le altre Chiese della Sicilia fra le sedi suburbicarie, era soggetta in modo speciale al Romano Pontefice fino a quando, per somma disgrazia, da

Santità vostra in altra sua supplica nel prossimo mese ed essendo per spirare all’oratore l’ultima proroga benignamente concedutagli a mandare la relazione dello stato della sua Chiesa dovuta per il triennio 58°, ricorre col dovuto ossequio a vostra Santità per la grazia di nuova proroga. Che, etc.» (fol. 494r) e la nota «Die xII decembris 1761. ad alios sex menses» (fol. 494v); 7) altra lettera senza data indirizzata al papa Clemente xIII: «beatissimo Padre, Salvatore vescovo di Catania, al quale corre l’obbligo di mandare la relazione dello stato della sua Chiesa per il triennio 58°, non avendo ancora potuto ultimarla, benché abbia già fatta la prima visita della sua Diocesi e sia per intraprendere la seconda, ora che si è restituito alla sua residenza, dopo tante distrazioni soferte per bisogni urgentissimi della propria Chiesa, ed essendo per spirare alli 12 del prossimo venturo giugno il termine dell’ultima proroga benignamente concedutagli al mandar la predetta relazione, supplica umilissimamente la S. v. a volergli accordare altra proroga dentro il cui termine spera di compiere a questo suo dovere. Che, etc.» (Rel Dioec b 207, fol. 1r) e la nota: «Die 21 maii 1762. ad alios sex menses» (fol. 2v); 8) domanda a Clemente xIII di poter «soddisfare alla visita de’ SS. limini per il corrente triennio 59° mediante la persona di Mons. Pierantonio Tioli» (fol. 3r) e la nota: «Die 2 ottobris 1762 data fuit attestatio pro 59° triennio» (fol. 4v); 9) procura in forma pubblica, redatta a Piazza il 12 luglio 1762 dal notaio giovanni battista Nisi, alla presenza dei testi antonino Tusa e giuseppe Parisi, perché Mons. Pierantonio Tioli, residente a Roma, visiti le basiliche dei Santi Pietro e Paolo e presenti in nome del vescovo Salvatore ventimiglia la relazione al papa o ai cardinali della S. Congregazione (fol. 4r-5r); 10) due attestati della visita alle basiliche romane rilasciati in data 30 settembre 1762 (fol. 20r-21r); 11) otto richieste di proroga per presentare la relazione e visitare i SS. limini dal 1765 al 1770 (fol. 25r-40v).

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leone Isaurico non fu sottomessa al patriarca di Costantinopoli e divenne sede metropolitana. Si ignora quale sorte abbiano avuto le sue istituzioni religiose durante l’occupazione dei saraceni. Tuttavia, dopo la loro sconfitta da parte di Ruggero il Normanno, conte di Sicilia, il piissimo principe la rifondò [fol. 6v], conferendole con grande munificenza onori, proprietà, giurisdizioni e la restituì alla Sede Romana, quasi per un diritto di reintegrazione. la Santa Sede, a titolo di speciale onore, concesse ai vescovi catanesi l’uso del pallio, di cui fino ad oggi potrebbero servirsi se la Chiesa di Catania non fosse stata sottomessa come suffraganea alla sede metropolitana di Monreale, subito dopo la sua erezione; da ciò sono nate fra le due Chiese interminabili liti e discussioni. Il vescovo di Catania, nei parlamenti del Regno, ha il primo posto rispetto agli altri vescovi; ha la potestà di promuovere lo studio delle lettere in tutta la Sicilia; esercita, infine, l’ufficio di gran cancelliere nello Studio del Regno. La diocesi

l’amplissima circoscrizione della diocesi ha per confini ad oriente il mare Ionio, a mezzogiorno la diocesi di Siracusa, ad occidente quella di agrigento e a settentrione la diocesi di Messina. In essa sorgono 14 città principali e cioè: Catania, Piazza, Enna, agira, aci, Calascibetta, assoro, adrano, Paternò, Centuripe, aidone, Regalbuto, leonforte e Pietraperzia. le minori, site sui monti, sono: barrafranca, biancavilla, belpasso, Misterbianco, Motta Sant’anastasia, valguarnera, Mirabella, licodia, Catenanuova, Ramacca, Nissoria. Nel bosco sorgono: aci Castello, aci Catena, Sant’antonio, San filippo, Santa lucia, Trezza, valverde, bonaccorsi, Trecastagni, viagrande, Pedara, Nicolosi, Mascalucia, gravina, San giovanni galermo, Tremestieri, San gregorio, San giovanni la Punta, Trappeto, Sant’agata, Torre del grifo, San Pietro, Camporotondo; alcuni di questi centri sono abbastanza popolati. La cattedrale

la chiesa cattedrale fu costruita a gloria di Dio ottimo massimo dal vescovo angerio e dal Conte Ruggero, sotto il titolo dell’illustrissima mar628


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tire di Cristo e vergine [fol. 7r] Sant’agata; essendo stata distrutta due volte dai terremoti, per due volte è stata ricostruita. Poiché nel 1693 essa fu quasi rasa al suolo, il vescovo andrea Riggio la riedificò con ingenti spese e con incredibile celerità. Per l’ampiezza e per la finezza delle opere d’arte questa cattedrale supera di gran lunga le altre chiese della Sicilia: è ricoperta di marmi, ha idonee cappelle, un’ampia volta e un’altissima cupola e da ogni parte riceve una luce che rincuora. Presso l’altare maggiore si trovano gli stalli del coro scolpiti con maestria. Conserva anche i sepolcri dei re aragonesi di Sicilia. Tuttavia il tesoro più prezioso per la pietà cristiana, che questa chiesa custodisce nel modo più dignitoso possibile, è costituito dal corpo di s. agata e dal suo velo, che tante volte è stato opposto con successo alla lava dell’Etna. I re, i vescovi, i nobili e il popolo hanno fatto a gara per ornare il simulacro della vergine con oggetti d’argento e pietre preziose; una grande quantità di argento è stata adoperata sia per conservare le reliquie della santa sia per costruire il sacro fercolo, con cui esse sono portate in giro per la città. la cattedrale possiede molti vasi d’oro e d’argento finemente cesellati per le celebrazioni liturgiche e le processioni: in poche parole tutta la suppellettile, bellissima e abbondante, necessaria per celebrare la messa. Ogni anno il vescovo paga 625 once d’oro per la manutenzione e 850 per il culto divino; alla raccolta e all’amministrazione di queste somme sono addetti alcuni deputati i quali, poiché devono essere scelti fra i laici, in seguito ai decreti dell’ultima regia visita, si rifiutano di presentare i conti al vescovo, cosa che mai, in passato, si era verificata. Il prospetto principale del tempio, che è volto verso occidente, dalla base fino al frontone è ricoperto di marmo di Carrara e di Sicilia; si fa ammirare per la bellezza dell’architettura e, soprattutto, per le colonne egiziane che vi sono collocate. Perché sia completato occorre sistemare ventidue statue di marmo, che io stesso ho cominciato a realizzare; due di esse sono state ultimate e collocate al loro posto, la terza sarà ammirata fra breve, le altre sono state commissionate agli scultori [fol. 7v]. il capitolo

fino al 1569 prestavano servizio in cattedrale i monaci benedettini, fino a quando, da s. Pio v, non furono sostituiti con il clero secolare. Il capi-

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tolo è costituito da 12 canonici e 5 dignità: il priore, il cantore, il decano, il tesoriere e l’arcidiacono. Quest’ultima dignità fra i monaci era la seconda dopo il priore, ma dal vescovo Nicola Caracciolo, nel 1566, fu soppressa; fu ripristinata nel 1643 dal vescovo Ottavio branciforte, ma collocata al quinto posto. l’arcidiacono è solito partecipare al coro solamente quando il vescovo celebra i pontificali. I divini uffici sono celebrati ogni giorno da 2 dignità e da 6 canonici a settimane alterne; nelle feste da tutto il capitolo. le rendite delle 5 dignità, che provengono dai benefici annessi dal vescovo, sono modeste; quelle dei canonici, invece, sono abbastanza ricche. Tutti i capitolari, dignità, canonici e gli altri ministri sono scelti e nominati a pieno titolo dal vescovo. Uno dei canonici esercita l’ufficio di penitenziere, un altro è stato da me nominato teologo. Oltre ai canonici si hanno 12 secondari; anche loro, a settimane alterne, partecipano al coro e assistono i canonici nelle celebrazioni. Per l’amministrazione dei sacramenti nella cattedrale sono incaricati 5 sacerdoti, il primo dei quali è chiamato maestro cappellano. altri 12 sacerdoti, chiamati mansionari, partecipano con le insegne ai pontificali. Il sagrista maggiore, aiutato da 6 minori, si occupa della custodia e della pulizia dell’edificio e delle suppellettili. Infine i musicisti sono pagati dal vescovo per suonare nei giorni festivi durante la celebrazione dei divini uffici. Le chiese collegiate

Oltre alla chiesa cattedrale, nella diocesi sono stati eretti 23 capitoli di canonici, il primo dei quali nel 1446 da Eugenio Iv nella chiesa Santa Maria dell’Elemosina della città di Catania. In esso la prima dignità è il prevosto, al quale [fol. 8r] spetta la cura delle anime annessa alla parrocchia, la seconda è il cantore, la terza il tesoriere, la quarta il decano. I canonici sono 18, i mansionari 14. I canonici indossano il rocchetto e la mozzetta di colore cenerognolo, i mansionari l’almuzio nero; tutti svolgono i divini servizi con una modesta retribuzione, ma con grande zelo e nelle pubbliche celebrazioni precedono il capitolo della cattedrale. Il prevosto è eletto dalla Santa Sede, le altre prebende dallo stesso capitolo con l’approvazione del vescovo. Nella città di Piazza operano due capitoli di canonici, il primo dei quali fu eretto da Clemente vIII con il patrimonio di Marco Trigona nella 630


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chiesa madre dedicata a Maria Santissima. le dignità sono 4: prevosto, cantore, tesoriere, decano, ai quali spetta la cura delle anime; i canonici 22, i secondari 18; tutti costoro sono nominati dalla Santa Sede o dall’ordinario secondo la divisione dei mesi. la chiesa è mirabile per bellezza, per mole e per ornamenti; gli uffici sacri vi sono svolti con grande diligenza; sarebbe auspicabile che venissero impiegati a questo scopo congrui proventi. Infatti, sebbene il patrimonio di questa chiesa sia ricchissimo, i ministri regi, senza alcun diritto e con pessimo esempio, hanno rivendicato la sua amministrazione. Un secondo collegio, intitolato al Crocifisso, è costituito da canonici e da dignità forniti di una modesta rendita; fu eretto dal vescovo Riggio nel 1703. lo stesso Riggio istituì un collegio di canonici nella chiesa madre di Enna, dedicata a Santa Maria. È formato da 4 dignità che, nel nome e nell’ufficio, sono simili a quello di Piazza; 8 canonici e 10 secondari. Il patrimonio della chiesa, un tempo ricchissimo, oggi è dilapidato e saccheggiato dagli intrighi di cattivi amministratori, ai quali non ci è possibile portare rimedio, considerato che i ministri regi rivendicano la potestà di amministrare questi beni e si oppongono all’esercizio della nostra potestà ordinaria. Il collegio di Paternò, fondato nel 1670 dal vescovo Michele bonadies nella chiesa Santa Maria dell’alto, ha 4 dignità, prevosto, cantore, tesoriere, decano, 17 canonici, 8 mansionari [fol. 8v]. Per volontà del vescovo francesco Carafa fu eretto ad adrano nel 1690 il capitolo, nel quale il prevosto esercita la cura delle anime. le altre dignità sono il decano e il tesoriere; i canonici sono 12, altrettanti i secondari. ho trovato quasi del tutto decaduto il capitolo di assoro, sia per il numero di canonici sia per le rendite; era stato eretto dal vescovo bonadies nel 1684. Mi sono adoperato di ripristinarlo con nuovi statuti e con una forma più idonea di tributo; ho affidato al solo prevosto la cura della anime, mentre ho riservato al cantore, al tesoriere, agli 8 canonici e ai 6 mansionari la recita dell’ufficio divino. In nessun luogo ho trovato un numero maggiore di canonici che nella città di agira, dove sorgono 5 capitoli. Il primo, nella chiesa di Santa Margherita vergine, è composto dal prevosto, dal cantore, dal tesoriere, dal decano, da 12 canonici e 6 mansionari. Il secondo, nella chiesa di Sant’antonio di Padova, è in tutto simile al primo. Il terzo, nella chiesa del Santissimo Salvatore, è costituito dal prevosto, dal cantore, dal tesoriere, da 631


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5 canonici e da 2 mansionari. Il quarto, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, ha le stesse tre dignità del precedente: 4 canonici e 2 mansionari. Questi 4 capitoli furono istituiti insieme, nel 1689, dal vescovo Caraffa, che nelle singole parrocchie assegnò solo ai prevosti la cura delle anime. I primi due, cioè quelli di Sant’antonio e di Santa Margherita, si raccomandano per lo zelo dei ministri e per una discreta rendita. Credo che gli altri due, quanto prima, si estingueranno per la esiguità delle rendite. Un quinto capitolo, esente dalla giurisdizione del vescovo, è istituito nella chiesa di San filippo, un tempo dei padri benedettini, oggi affidata ad un abbate commendatario; attualmente è l’Em.mo Cardinale girolamo Colonna, che ha il diritto di designare il priore e gli 8 canonici. Dovrei enumerare l’antico capitolo che sorge a Calascibetta nella chiesa di San Pietro; ma da un decennio [fol. 9r] ci sono stati disordini per impedire che i vescovi di Catania facessero valere in quei luoghi la loro giurisdizione che, da oltre settecento, anni vi avevano esercitato ininterrottamente. Non ritengo opportuno fermare l’attenzione delle Eminenze vostre su questo argomento, perché ho già inviato una lettera al Santo Padre Clemente xIII, nella quale ho descritto accuratamente gli attacchi dei ministri regi contro i diritti della chiesa e, allo stesso tempo, ho chiesto cosa fosse necessario fare e proporre per far cessare lo scisma, nel quale un gran numero di anime è in grave pericolo di perdere la salvezza eterna. ad aidone il vescovo Pietro galletti fondò un capitolo nella chiesa di San lorenzo; l’arcipretura, a cui un tempo era affidata la cura delle anime, fu trasformata in prepositura; inoltre egli istituì il cantore, il tesoriere, il decano, 8 canonici e sei mansionari. Sempre ad iniziativa dello stesso galletti sorse un capitolo a biancavilla nel 1754, con lo stesso numero di dignità e con l’aggiunta di 12 canonici e 6 mansionari. Ma, fatto grave e contrario alle norme, affidò a tutti i canonici la cura delle anime; ne segue che questa piccola chiesa ha 18 parroci di nome e nessuno di fatto. Sul modello di questo e nello stesso periodo il galletti istituì un altro capitolo a Centuripe, un tempo città nobilissima, con 4 dignità, 8 canonici e 6 secondari, tutti incaricati di esercitare la cura delle anime. Con gli stessi criteri giuridici il vescovo Caraffa, nel 1691, aveva istituito un capitolo ad acireale, popolosa e ricca città. Infatti affidò alle 3 dignità (prevosto, cantore, tesoriere) e a 12 canonici la cura delle anime, che ognuno di loro doveva esercitare a turni settimanali; ad essi assegnò una congrua rendita dal patrimonio della chiesa e aggiunse 6 mansionari. 632


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vicino ad acireale, nei paesi confinanti, sono state istituite di recente, dal vescovo galletti, tre collegiate [fol. 9v]. la prima si trova nel comune di acicatena, la seconda ad aci San filippo, la terza a Santa lucia. Ognuna di esse ha il prevosto, il cantore e il tesoriere. le prime due hanno 9 canonici e 6 mansionari; la terza, invece, ha 7 canonici e 6 mansionari. la cura delle anime è esercitata dal prevosto. Restano da elencare tre collegiate: una a belpasso, fondata dal vescovo Riggio nel 1700, con le stesse dignità nel nome e nell’ordine delle precedenti, 12 canonici e 6 dignità. le altre sono state istituite dal vescovo galletti nei villaggi di Nicolosi e Trecastagni. la prima è del tutto simile a quella di belpasso, la seconda ha le stesse tre dignità, ma 8 canonici e 2 secondari; entrambe hanno un’esigua rendita. Molte delle collegiate elencate usano il rocchetto e la mozzetta; tre (quelle di Piazza, Enna e Paternò) hanno in più la cappa magna; le altre solo l’epitogio o almuzio. La cura delle anime

In tutti gli altri centri abitati della diocesi la cura delle anime è esercitata da vicari amovibili a discrezione del vescovo, che è ritenuto unico parroco di tutta la diocesi. Infatti, ad eccezione di Enna né Catania, né Piazza, né altri comuni hanno parroci perpetui, ma semplici cappellani incaricati di amministrare i sacramenti. Per un antico errore le autorità civili della città di Catania si convinsero che i diritti parrocchiali contrastavano con la libertà dei cittadini. a ciò si deve se, in passato, i vescovi hanno tentato inutilmente di istituire i parroci perpetui; oggi questa speranza si è perduta del tutto. ad Enna si hanno 8 parroci, che sono eletti per concorso. a leonforte e a Pietraperzia gli arcipreti sono presentati dai signori del luogo, che godono del diritto di patronato [fol. 10r]. il seminario dei chierici

Il seminario dei chierici fu fondato, dopo il Concilio di Trento, dal vescovo antonio faraone in un modesto edificio e con tenui risorse. Per l’incuria dei vescovi, che si sono succeduti nel tempo, non sono state più 633


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riscosse le tasse sui benefici, prescritte dallo stesso concilio. Dopo il terremoto del 1693 si iniziò la costruzione di un nuovo edificio e il vescovo Riggio aumentò le rendite che, tuttavia, sono del tutto inadeguate per sostentare i chierici poveri di una diocesi così grande. I padri della Compagnia di gesù hanno istituito un altro seminario a Piazza, che oggi è vuoto. Il monte di pietà di Catania ha poche risorse, ancora di meno ne ha quello di aci. In tutta la diocesi si hanno 4 ospedali alloggiati in edifici angusti e provvisti di modeste rendite, ad accezione di quello di Catania, che si ammira per lo splendore del fabbricato e per l’abbondanza delle risorse. Monaci e religiosi

Nella diocesi, che ha una circoscrizione molto estesa, sorgono 95 istituti di monaci e religiosi maschili; di essi 4 monasteri sono dell’ordine di s. benedetto, 4 collegi della Compagnia di gesù, 2 case per gli esercizi spirituali dei fedeli della medesima Compagnia, 2 dei chierici teatini, 3 dei chierici minoriti, 2 degli scolopi, uno dei ministri degli infermi. I conventi dei frati predicatori sono 10, 37 sono quelli dei francescani, dei quali 4 appartengono ai conventuali, 4 agli osservanti, 13 ai riformati, 5 ai frati del terz’ordine, 11 ai cappuccini. Inoltre si contano 11 conventi degli eremitani di s. agostino, 3 di frati della stessa regola, ma scalzi, 9 di carmelitani dell’antica osservanza e uno di carmelitani scalzi. I frati dell’ordine di Santa Maria della Mercede hanno 2 case, e 2 ne hanno i minimi, una quelli dell’ordine della ss. Trinità e una i frati di s. giovanni di Dio. Infine a Catania è sorto un oratorio dei presbiteri di s. filippo Neri [fol. 10v], ai quali io stesso ho procurato un domicilio stabile. Molte di queste case religiose sono piccole e poco decorose per le modestissime rendite; perciò alcune di esse contano appena 6 frati, altre 1 o 2, che vivono nell’ozio e al di fuori di ogni legge. Sarebbe preferibile che le autorità civili le chiudessero piuttosto che sopportare un così grave danno alla disciplina religiosa. La monache

la parte migliore del gregge del Signore è costituita dalle monache, che sono accolte in 31 monasteri. Di essi 16 osservano la regola di s. bene634


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detto, 9 quella di s. francesco, 3 di s. agostino, uno di s. Domenico, 2 delle carmelitane. Tutte le monache sono soggette alla giurisdizione del vescovo, ad eccezione di quelle del monastero di Regalbuto, intitolato ai Santi angeli, che è affidato agli agostiniani. abbiamo anche 13 collegi per accogliere ed educare le ragazze: 3 di essi, chiamati «Collegi di Maria», si dedicano all’istruzione scolastica e ad insegnare le arti femminili, secondo le norme dettate dal cardinale Corradini; gli altri ospitano opportunamente orfane o ragazze che rischiano di perdersi per la povertà delle famiglie. Infine 2 istituti accolgono le donne che, dopo aver perduto l’onore, aiutate dalla grazia di Dio ritornano sulla buona strada. Gli eremiti

alcuni frati abitano negli eremi che sorgono nei boschi o nei monti di Iudica, Scarpello, Torcisi, Rossomanno, Piazza vecchia e di recente a valverde. alla periferia di Catania alcuni sacerdoti conducono vita eremitica in una casa chiamata «Mecca»; un’altra casa è stata costruita a valguarnera, ma attualmente è vuota. Le associazioni laicali

Quasi dovunque si hanno pie associazioni di laici con i loro statuti, gli oratori ben tenuti [fol. 11r] e frequentati. Tuttavia molto spesso esse sono lacerate da discordie interne e creano ai loro rettori tali difficoltà da sembrare la caricatura, più che lo specchio della pietà e delle virtù cristiane. ***

Questo è il quadro esteriore della Chiesa e della diocesi di Catania. Restano da indicare alle Eminenze vostre le manchevolezze incontrate nello stato della Chiesa e nella vita cristiana, le opere che ho iniziato, le difficoltà nelle quali mi sono imbattuto per restaurare i danni alla disciplina e alla religione, i progressi ottenuti con l’aiuto di Dio, le richieste che devo presentare con preghiere insistenti a Dio per portare a compimento l’opera iniziata. 635


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In realtà posso affermare che la Chiesa di Catania, da circa sessantasette anni, è priva di vescovi e che ha sofferto i mali che lamentava il profeta: «Perché hai demolito il suo muro di cinta? Ogni passante ruba i suoi grappoli. viene il cinghiale del bosco e la devasta, vi pascolano dentro bestie selvatiche» {Sal 80, 13}. andrea Riggio, dopo le rovine del terribile terremoto, aveva iniziato appena a far risorgere la città di Catania come da un sepolcro e a ricostruire la cattedrale rasa al suolo con opere grandiose e ingenti spese quando, all’inizio di questo secolo, contrapponendosi la Chiesa e lo Stato con grande animosità, i disordini che ne seguirono posero fine ad opere così eccellenti. Né possono essere ignorati dalle Eminenze vostre i mali che la nostra Sicilia fu costretta a subire: i diritti umani e divini furono calpestati, i religiosi espulsi, i patrimoni ecclesiastici dilapidati, i giudizi emessi con la procedura sommaria, tutto fu amministrato con la rapina e il sacrilegio. a questo si aggiunse l’esilio del vescovo Riggio il quale, nel 1712, essendo stato costretto ad abbandonare la diocesi, pronunziò l’interdetto. Dopo cinque anni morì a Roma, dove aveva trovato rifugio. I legittimi ministri furono sballottati da questa stessa tempesta: alcuni furono espulsi, altri furono chiusi in carcere; al loro posto entrarono dalla finestra i mercenari, o meglio ladri e briganti {cfr gv 10, 7-8}, che divorarono quel che era rimasto in Israele [fol. 11v]. Dopo tanti sconvolgimenti alla fine, quando la Sede apostolica rimise la pena dell’interdetto, la Sicilia sembrò respirare e tuttavia non fu designato subito un pastore per la Chiesa di Catania. Solo nel 1722 fu nominato vescovo il cardinale alvaro de Cienfuegos; questi, dopo tre anni, lasciò la diocesi che mai aveva visto. Illustre per lo studio delle lettere e per le qualità morali, alessandro burgos, che fu designato a succedergli, sembrava idoneo a risanare tanti mali, se non fosse stato colpito da una malattia mortale mentre era in viaggio per raggiungere la sua Chiesa; nella cattedrale, invece di far festa per l’inizio solenne del suo pontificato, si celebrarono i suoi funerali. Non ebbe sorte migliore il certosino Raimondo Rubi. Proprio quando Catania aveva incominciato ad apprezzarlo per l’origine, l’onestà e la prudenza, dopo pochi mesi lo pianse morto. Infine al governo di una Chiesa prostrata e quasi distrutta venne Pietro galletti, già sfinito per la vecchiaia, che esercitò il suo ufficio per ben vent’otto anni. Se dopo tante calamità e miserie qualcosa era rimasta intatta, 636


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fu distrutta e saccheggiata (e mi sia lecito parlare e sfogarmi liberamente con voi, Sapientissimi Padri). Dopo aver visitato di corsa una o due volte la diocesi, il vescovo, preso dallo sconforto per la vecchiaia, per la malferma salute, per l’abbassamento della vista e dell’udito, rimase a letto quasi morto. gli uffici ecclesiastici furono conferiti ai parenti, gli amplissimi diritti e privilegi che i vescovi di Catania avevano difeso furono sminuiti; in alto tutto fu sconvolto dalla licenza dei malvagi, tutto fu posto nelle mani di parenti, domestici e persone senza scrupoli. fu istituito il mercato dei benefici, gli ordini sacri furono messi all’asta, svenduti e messi alla portata di tutti; nel loro conferimento non si tenne in nessun conto della preparazione culturale e del comportamento morale dei candidati. furono accolte da ogni parte, nel clero, persone ignoranti, dissolute, prive del legittimo patrimonio, senza vocazione e senza alcun esame: furono promosse solo dietro il pagamento di una certa somma. Perciò il numero dei sacerdoti crebbe a tal punto che il villaggio di viagrande, nei pressi di Catania, pur contando non più di 600 anime, ha 60 presbiteri; costoro, tuttavia, solo di nome sono sacerdoti [fol. 12r] e si riconoscono come tali perché portano attorno al collo una stoffa di lino. Poveri, laceri, mendicanti, raramente racimolano l’elemosina per la messa; spesso sono assunti per svolgere lavori spregevoli. Si impiegano a servizio dei signori come responsabili delle dispense e delle cantine, come custodi delle vigne e dei campi, come esattori di gabelle e di tributi, come accompagnatori armati dei viaggiatori, come guardie; mi vergogno di riferire le altre attività indecenti. I più fortunati redigono gli atti di compravendita, dirigono lo scambio delle merci, prestano denaro, prendono in appalto la riscossione delle pubbliche imposte, si danno al gioco, alla caccia e all’ozio. Il seminario fu affidato ad alcuni deputati, senza che il vescovo si preoccupasse di esercitare la vigilanza su di esso e di prendersi cura personalmente di questo istituto. lo abbiamo trovato talmente decaduto, disordinato e depredato che non solo veniva trascurato l’impegno per le virtù e la disciplina, ma non veniva celebrata neppure la messa quotidiana per i seminaristi. Immagino che siate al corrente della facilità con cui ai monaci si consentiva di deporre l’abito religioso. Infatti alcuni malfattori avevano occupato la curia e permettevano che si conculcassero e si privassero di contenuto i diritti e i privilegi della Chiesa. Con singolare audacia essi sostenevano che i vescovi di Catania avessero il singolare privilegio di 637


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invalidare a proprio arbitrio la professione solenne dei monaci, qualunque fosse il luogo di provenienza, la diocesi, l’ordine di appartenenza e il motivo che li aveva spinti a rifugiarsi a Catania (e ne venivano numerosi, come se si fossero dati appuntamento). In seguito alle proteste dei fedeli e ai reclami che erano stati presentati alla corte di Napoli, il re cattolico, per rimediare in qualche modo a tali e tanti mali, mandò tre regi visitatori, ma con poco successo. Infatti coloro che furono inviati dal re non vollero o non furono capaci di chiedere e rivendicare i beni ecclesiastici venduti (ed era questo il compito principale che sembrava spettasse ad un regio patrono); quanto, poi, alle cose sacre e alla disciplina, presero molte decisioni che si rivelarono inutili e inefficaci. la visita di giovanni angelo De Ciocchis, arcivescovo di brindisi, non fu fatta per risollevare e restaurare la Chiesa, ma per provocarle una piaga che non si può rimarginare [fol. 12v]. Infatti, con i suoi decreti e le pene inflisse delle ferite gravissime alla giurisdizione ecclesiastica e alla sacra potestà; restrinse da ogni parte e ridusse e ben poca cosa l’autorità dei vescovi; agli amministratori delle chiese, che per il futuro volle fossero laici, allentò i freni e stabilì che venissero date dalle chiese ingenti pensioni perpetue per l’una e l’altra opera o associazione, cosa che non poteva fare senza l’autorizzazione della Sede apostolica. Il vescovo non si lamentò e non oppose alcuna resistenza, né i ministri del re prestarono attenzione a me che successivamente, con lettere e suppliche, chiesi di non approvare gli atti di quella visita o, almeno, di sottoporli prima ad un’attenta revisione. alla fine, nel 1757, morì il vescovo Pietro galletti. Durante il periodo di sede vacante la Chiesa di Catania subì le perdite e i danni maggiori. Come ho già indicato nelle mie lettere al Sommo Pontefice, fu spogliata delle proprietà e delle amplissime giurisdizioni di cui godeva, e cioè la contea di Mascali, che i vescovi avevano posseduto da sette secoli, e la dogana di Catania, di cui aveva il godimento. frattanto fui nominato vescovo di Catania io. vi confesso, o Eminentissimi Padri, che si trattò di una decisione presa da parte mia con eccessiva disinvoltura e temerarietà, le mie deboli forze non mi permisero di valutare la reale natura delle cose e la gravità della situazione. a me, che risiedevo a Palermo, molte cose erano sconosciute, altre non le avrei mai potute credere o immaginare. Perché non sembri che io vada cercando scuse per i miei errori, confesso ancora una volta candidamente che ho sbagliato, e che mi sono gettato incautamente fra i flutti di un mare in tempesta. Dopo essere stato consacrato con rito solenne a Roma, il 27 dicem638


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bre dello stesso anno, di ritorno mi fermai a Napoli dove, avendo esposto senza reticenze a Carlo, principe dall’animo molto religioso, le miserie allora conosciute del gregge affidatomi e il danno inferto alla Chiesa, egli mi promise la sua assistenza e il suo aiuto. giunsi infine a Catania. Ora vi metterò al corrente delle attività che ho svolto. Per frenare la licenza di una moltitudine di sacerdoti, istruire la loro ignoranza, spronare la loro pigrizia, era necessario iniziare, con animo aperto e coraggioso, un lungo e paziente lavoro. a dire il vero da tutto questo non si poteva sperare un miglioramento o un risultato positivo [fol. 13r] e perciò, per risanare la situazione, ritenni che bisognava tentare con urgenza due rimedi: primo formare con cura i giovani per favorire il sorgere di vocazioni allo stato ecclesiastico, educarli sapientemente per preparare in breve un nuovo clero più santo e più creativo, che sostituisse gli anziani man mano che venivano meno; secondo conferire ai più preparati, dopo un regolare concorso e un severo esame, le dignità e i benefici i quali, per quanto modesti per rendite sono tuttavia innumerevoli; in tal modo era possibile spronare gli animi di tutti alla virtù e alla dottrina con la speranza di ottenere i premi stabiliti. Quanto al primo punto, ho già ottenuto grandi risultati e spero di raggiungerne di maggiori in futuro. Il seminario dei chierici ha assunto una nuova fisionomia: dopo aver invitato da Palermo e da altre città d’Italia i professori e i maestri, affrontando a tale fine non poche spese, ho istituito 6 cattedre: di teologia dogmatica, di teologia morale, di filosofia, di geometria, di sacra eloquenza, di lettere latine e greche. Come rettore del seminario ho nominato un uomo nobile e tenace promotore della disciplina più severa, al quale ho conferito, meritatamente, una dignità nel capitolo della cattedrale. Di recente ho designato un censore dei costumi e un altro a cui ho affidato la responsabilità della cura delle anime e degli esercizi di pietà. ho disposto camerate separate per i chierici delle diverse età, tutte sottoposte alla vigilanza dei sorveglianti e degli incaricati. la cappella del seminario è frequentata ogni giorno per le pratiche di pietà quotidiane: le preghiere comuni, la meditazione mattutina, l’esame serale sul giorno trascorso, la recita comunitaria dei salmi per i chierici maggiori. Ogni settimana si insegna il catechismo; ogni mese, per un intero giorno, sospeso lo studio ci si dedica agli esercizi di pietà. Otto giorni l’anno sono dedicati agli esercizi spirituali e i giovani, inoltre, sono istruiti nei riti sacri e nel canto. Spesso essi dimostrano i loro progressi nello studio con la pubblica discussione di tesi prestabilite e con scritti messi a disposizione di tutti. fin 639


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dall’inizio di questo nuovo corso ho stabilito la norma [fol. 13v] che vieta il conferimento degli ordini sacri e della stessa tonsura a chi non venga giudicato idoneo in seminario o non vi abbia trascorso non solo un breve periodo per ricevere gli ordini, ma l’intero corso di dieci anni. In tal modo si ha la possibilità di vagliare attentamente le capacità intellettuali e il comportamento dei candidati. Ogni anno, dopo uno scrupoloso esame, sono conferiti i singoli ordini minori; per gli ordini maggiori si osservano gli interstizi prescritti; l’ordinazione sacerdotale si dà dopo il completamento di tutto il corso teologico. Queste condizioni, a prima vista, potrebbero sembrare troppo severe; ma poiché la diocesi non ha bisogno tanto di sacerdoti, quanto di ministri dotti e irreprensibili, ho tenuto fermo questo proposito e non mi sono mai lasciato distogliere da preghiere e raccomandazioni. Con la stessa fermezza d’animo ho sopportato o non ho preso in considerazione i fastidi che mi hanno procurato gli antichi superiori, ai quali il vescovo galletti tutto aveva permesso. alla fine i miei voti si sono realizzati e in questo momento vivono in seminario 80 alunni esemplari e di buona indole, che mi fanno ben sperare sulla riforma dell’infelice diocesi. Infatti con gli edifici è cresciuto anche il numero degli alunni e, poiché i locali erano molto angusti, ho fatto costruire ambienti più ampi, che abbiamo anche cercato di rendere più belli. Sto predisponendo una nuova tassa sui benefici, considerato che quella esistente, come ho già detto, era caduta in disuso. Con la nostra presenza, con le esortazioni, con i premi ci sforziamo di incoraggiare i giovani studenti e di spronare gli educatori con sollecitudine e amore. Si dà il caso che io possa disporre opportunamente anche di un collegio per l’educazione dei nobili, che il noto Mario Cutelli, nel suo testamento, volle fondare a Catania affidandone la direzione e l’amministrazione al vescovo. ho iniziato con entusiasmo a realizzare quest’opera, che era stata dimenticata, e ho fatto di tutto per rendere funzionale il collegio entro breve tempo. Sarei già riuscito nel mio intento se il senato catanese (che avrebbe dovuto incoraggiare i nostri tentativi) non avesse frapposto ostacoli e difficoltà. la controversia lunga e spiacevole è stata chiusa finalmente [fol. v14r], dopo tre anni, con la sentenza di un giudice imparziale, confermata dall’autorità regia, che mi ha fatto pervenire l’autorizzazione a continuare il lavoro di istituzione e di apertura di questo collegio, che quanto prima sarà avviato con grande vantaggio della società religiosa e civile. Mi riproponevo anche di riordinare e riformare l’Università degli 640


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studi di Catania, che è l’unica accademia esistente in Sicilia. Re Carlo sollecitava un’opera così benemerita, che tutti ardentemente desideravano e che era stata affidata al segretario gaetano brancone; pertanto sono stato obbligato a impiegare non poca fatica per formulare le norme e predisporre questo lavoro. Ma, dopo la partenza di re Carlo per la sua elevazione al trono di Spagna e la morte di brancone, è venuta meno la speranza di riformare l’Università e di promuovere lo studio dei giovani siciliani. Non ho trascurato di realizzare l’altro progetto che, fin dall’inizio, ho ritenuto valido per risollevare le sorti dell’infelicissima diocesi, cioè conferire gli uffici e i benefici solamente a coloro che fossero risultati i più idonei e i più preparati per aver partecipato ad un concorso ed aver superato l’esame. I membri di alcuni capitoli di canonici si opposero alla realizzazione di un così salutare proposito, volendo difendere il privilegio, accordato dal vescovo galletti, di presentare per ogni prebenda vacante tre candidati, in modo che solo fra questi tre nomi il vescovo potesse operare la sua scelta. Proprio in forza di questa consuetudine, erano stati scartati i più degni per offrire le prebende ai parenti, agli amici, ai compari, persone per lo più malviste per la loro cattiva condotta o inconcludenti per la loro ignoranza. Ritenendo di non poter più tollerare questa situazione e convinto che i vescovi non possono concedere privilegi, che costituiscono un pregiudizio per i loro successori e un decadimento della disciplina, ho fatto sapere a tutti che in futuro non avrei più accettato alcuna presentazione, a meno che non venisse fatta da coloro che godevano di un vero e proprio diritto di patronato. I canonici di adrano presentarono contro di me un ricorso al tribunale della Regia Monarchia. Quando questo ricorso fu respinto, i canonici di acireale iniziarono una controversia per difendere il diritto alla presentazione con maggiore impegno e ostinazione [fol. 14v], come se combattessero per le cose più care che avevano. gli altri capitoli, che godono dello stesso diritto, sembrano attendere l’esito di questa causa (che è ancora pendente). Se riuscirò ad ottenere la libera collazione degli uffici e dei benefici non si correrà più il rischio di ottenerli attraverso favoritismi e somme di danaro e non dovrò più sopportare l’ingerenza dei potenti: essi saranno conferiti ai ministri che, dopo un attento esame del comportamento e della preparazione dottrinale, saranno riconosciuti idonei a riformare i costumi dei fedeli. Ma, poiché questi provvedimenti riguardano il futuro e solo in pro641


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spettiva possono far intravedere una riforma, era necessario portare rimedio ai mali presenti e non trascurare, per disperazione, quella moltitudine di sacerdoti che era frutto del caos degli anni passati. volendo, in qualche modo, risolvere questo problema e avviare una certa disciplina, pensai di promuovere riunioni nelle quali discutere le leggi che regolano il comportamento umano e cristiano, i sacri riti e le cerimonie ecclesiastiche. In un apposito editto stabilii il metodo di queste riunioni, il giorno, l’ora, il luogo, i responsabili e gli argomenti da trattare; ordinai a tutti i presbiteri di riunirsi ogni settimana e di discutere insieme su tre questioni prestabilite, oppure di ascoltare coloro che le trattavano. a Catania si tengono sette di questi incontri ai quali, spesso, io stesso partecipo e facilmente, con la mia autorità e con il mio esempio, convinco tutti a prendervi parte. Negli altri centri della diocesi, l’impegno di far partecipare agli incontri i sacerdoti è stato più fiacco e tiepido; ma non tralascerò di cercare altri stimoli per far sì che gli animi dei negligenti siano spronati dall’emulazione o dal desiderio di imparare, in modo che a poco a poco si possa colmare la vecchia lacuna dell’ignoranza. Poiché né le preghiere, né le minacce sono state sufficienti a distogliere i malvagi dai comportamenti peccaminosi e a riportarli sulla retta via [fol. 15r], sarò costretto a servirmi della vigilanza e a far ricorso alle pene, che dovranno servire non solo per punire le malvagità commesse, ma anche per aiutare i delinquenti a cambiare comportamento e a salvarsi. Infatti, assieme alle frequenti prediche e agli esercizi spirituali ho anche provveduto a predisporre il carcere, perché i malvagi, trattenuti da questi provvedimenti più che dalle catene, si pentano dei loro misfatti e confessino i loro peccati. In mezzo a questi danni e devastazioni ho trovato integra e priva di deviazioni la disciplina delle monache e questo, senza dubbio, non è il frutto dell’impegno umano ma della provvidenza di Dio. Con sommo nostro gaudio abbiamo constatato che i santi monasteri e le badie isolate dal consorzio umano sono ben custodite da venerande norme e da una stretta vigilanza. Ci siamo accorti che queste donne elette conducono una vita povera e rigorosa ma piena di godimenti celesti e combattono una guerra dichiarata e senza tregua contro le comodità e le tentazioni della carne. Poiché solo in 3 di questi monasteri veniva osservata in modo perfetto la regola della vita comune, e cioè in 2 ad Enna e in uno a Piazza, nel corso della visita pastorale abbiamo indotto le vergini di altri 4 monasteri alla stessa comunione di vita, che esse con gioia hanno stabilito di accettare e 642


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di vivere. Due di questi monasteri si trovano a Regalbuto, il terzo ad aidone e il quarto ad assoro. Mi sono anche preoccupato delle condizioni del popolo, soprattutto quando ho notato che i bambini e gli adulti non erano istruiti nelle verità delle fede e non conoscevano né Dio né il divino Salvatore; poiché i pastori non li istruivano essi si trovavano in una misera condizione di ignoranza delle cose celesti e facilmente sarebbero caduti ancora più in basso. Il mio primo pensiero è stato sempre quello di fugare le tenebre dalla mente degli uomini con la luce della fede, di applicarmi a divulgare gli insegnamenti di Cristo e di istruire i fedeli. Poiché non c’era un compendio della dottrina cristiana, redatto in lingua siciliana, che con metodo facile e idoneo contenesse con buona disposizione i primi elementi della fede che è necessario ed utile conoscere [fol. 15v] (quelli che erano diffusi in Sicilia erano incompleti e scarni), ne ho preparato uno io con un linguaggio semplice e adatto alle persone prive di istruzione: questo ho fatto seguendo le indicazioni e le norme del catechismo del Concilio di Trento, il cui uso è stato raccomandato ai vescovi da Clemente xIII, che in questo momento felicemente presiede la Chiesa cristiana. ho aggiunto un editto per spronare ad insegnare e imparare: in esso si raccomandava che lo zelo dei parroci, dei sacerdoti, dei maestri, di tutti i parenti doveva essere ardente e che gli ignoranti e i pigri dovevano essere allontanati dall’Eucaristia, dal sacro crisma, dal matrimonio. Non si può credere con quanto impegno, con quanti consensi, con quanta passione quel decreto sia stato accolto; di quanto zelo di insegnare la dottrina cristiana sia stato infiammato il clero, quanto desiderio di imparare si sia manifestato fra le persone di diversa età, sesso e condizione. Si fa a gara per giungere alle scuole di catechismo, i vicari fanno a gara per sottoporre alla nostra attenzione, con lettere e informazioni, il progresso dei discenti. Stiamo predisponendo l’istituzione di un’associazione che abbia come fine di riunire, in qualsiasi centro abitato, un certo numero di catechisti per moltiplicare le adunanze di bambini e di costituire gruppi di sacerdoti che, con sollecitudine costante e tenace, con zelo e competenza, si dedichino ad un’opera così importante. abbiamo già preparato gli statuti e siamo certi che quest’opera, per una speciale grazia di Dio, apporterà non poco beneficio; spero che in futuro, con il suo aiuto e la sua collaborazione, non ci sarà alcuna regione o villaggio, per quanto sperduto, in cui non risplenda la luce divina della dottrina cristiana. 643


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frattanto, disgustato per la corrottissima curia vescovile, che non poteva essere considerata il santuario dei giudizi ecclesiastici ma la bottega dei mercanti, fin dall’inizio del mio governo pastorale ho incominciato a rinnovarla e a riformarla. Infatti nei giudizi il vescovo non poteva contare su assessori certi, né era stata fissata una tassa per la redazione degli atti e delle scritture; per qualsiasi cosa si chiedevano ingiustificate somme di danaro in proporzione alla cupidigia dei responsabili [fol. 16r]. Il vescovo dava in appalto al cancelliere questa illimitata facoltà di domandare soldi e il cancelliere cercava di ricavare il più possibile nella spedizione degli atti, delle lettere e dei certificati. Per impedire questo vergognoso commercio e per restituire dignità alla curia scelsi sei giudici assessori, dei quali tre dovevano occuparsi dei processi civili e tre di quelli penali. al cancelliere e ai suoi collaboratori assegnai uno stipendio e diedi ordine di non chiedere di più di quanto prescrivano le cosiddette «tasse innocenziane». Se era richiesta un certificazione scritta, secondo l’uso del municipio, ho disposto che si seguisse la prassi della curia di agrigento, che sapevo fosse molto contenuta. attenendomi alle prescrizioni della legge, ho fatto perdere definitivamente ai monaci la speranza di disfarsi del loro saio; infatti non ho mai reputato di avere immaginari privilegi, né di godere di particolari potestà riguardo ai voti dei religiosi, al di fuori di quelle che sono state concesse dal Concilio di Trento e dai decreti pontifici. Sono riuscito a raggiungere questi risultati impegnandomi nella visita pastorale della diocesi, che da tanto tempo era stata trascurata per inabilità del pastore e perché richiedeva fatica, diligenza e impegno. Infatti erano trascorsi ventiquattro anni da quando i fedeli avevano visto il vescovo ed era stata amministrata la cresima. Iniziata la sacra visita, riuscii a portarla a termine nell’arco di tre anni senza ottenere grandi risultati (devo confessarlo candidamente) sia per la riforma del clero e dei fedeli, sia per l’inventario dei beni ecclesiastici, sia per la difesa dei diritti delle chiese, fino a credere di non aver concluso nulla o quasi. Infatti non potevo fermarmi a lungo nei singoli luoghi (sarebbe stato troppo gravoso per i sacerdoti, considerato che le spese erano a loro carico) né era possibile venire a conoscenza di tutto o por mano a tutto. Molto tempo era richiesto dal conferimento delle cresime ad un’ingente e quasi incredibile moltitudine di persone: per quanto avessi proibito di chiedere questo sacramento per i bambini che non avevano raggiunto i sette anni di età, tuttavia mi furono presentati complessivamente 75.000 persone da cresimare [fol. 16v]. 644


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Pertanto sto ripetendo la visita della diocesi e per poter fare, dopo maturo esame, ciò che era stato trascurato, fermarmi nei singoli luoghi e nelle parrocchie il tempo necessario a risolvere i problemi più gravi e raccogliere, con l’aiuto di Dio, frutti abbondanti, ho deciso di vivere a mie spese e non con i contributi richiesti al clero. Nessuno deve qualcosa a titolo di imposta, per nessuno la nostra visita sarà motivo di aggravio o di fastidio; non accetto officiali di curia o servitori che non svolgano il loro compito di buon grado e con gioia. In preparazione alla nostra visita ho inviato predicatori seri e preparati, scelti da tutti gli ordini e dalle vicine diocesi, con l’incarico di portare a termine le opere apostoliche chiamate «missioni». Tutto questo volevo riferire a voi, Eminentissimi Padri, sullo stato di questa Chiesa. Dovrei aggiungere molte altre cose e di non poca importanza sulle difficoltà e sui fastidi che mi hanno procurato le autorità civili e i ministri regi. Ma poiché su questo argomento ho inviato da poco, al Santo Padre e Signore nostro, una lettera piena di dolore, di preoccupazioni, di ansie e di angustie, mi sembra più opportuno attendere una sua risposta piuttosto che narrare ancora una volta un’iliade di grandi sofferenze. Spetta a voi, o Padri, correggere chi sbaglia, sollevare chi soffre, ammonire chi si dichiara disposto a ubbidire, aiutare con la prudenza, il consiglio e i precetti. Infine prego e supplico Dio, ottimo massimo, perché vi conservi a lungo in buona salute per il bene della Chiesa apostolica e della società. Piazza, 12 maggio 1762 Eminentissimi Padri della Congregazione del Concilio, Roma Umilissimo e obbedientissimo servo Salvatore ventimiglia, vescovo di Catania

[fol. 22r] Catanen. vis. lim. ventimiglia Il ritardo della relazione non si rileva, perché si cita da monsignor vescovo per accordato dalla Clemenza di Nostro Signore. la riflessione che fa monsignor vescovo sopra l’abuso che corre in alcuni luoghi della sua Diocesi, dove la moltiplicità de’ canonici produce la moltiplicità de’ curati tamquam aequam omnes curam animarum habentes, potrebbe aver luogo quando si verificasse che tutti eodem tempore esercitassero egualmente la cura, laddove se la cosa succedesse per turno, non ripugna che tutti i canonici abbiano la cura abituale, purché da ciascuno si eseciti ne’ suoi dati tempi. Sarebbe dunque necessario che monsignor vescovo spiegasse meglio il caso proposto, oppure volendo procedere a qualche sollecito rimedio, conviene che si adatti a quelle condizioni che al ius canonicum non si

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oppongono. Se dunque la cura abituale fosse addetta ai canonici e l’attuale si esercitasse da ciascheduno per turno, quando anche questo pregiudicasse al buon [fol. 22v] servizio de’ parrocchiani, potrebbe monsignor vescovo trattarne l’accomodamento con lo stesso Capitolo e determinarne qualche innovazione de consensu Capituli. Che se poi l’affare fosse diversamente introdotto cosicché l’attuale cura istessa eodem tempore da ognuno de’ canonici egualmente si amministrasse, allora e in questo solo caso potrà monsignor vescovo provvedere secondo quello che crederà più opportuno. Perché monsignor vescovo possa riscuotere una santa consolazione dal sentire buona opinione di quelli che, ritirati dal mondo si riducono a far vita ne’ romitori, sarebbe cosa utile che avesse in vista quelle ottime disposizioni ordinate già nel Concilio Romano dalla santa memoria di benedetto xIII, a cui fu specialmente a cuore il provedere di alcune regole pur troppo necessarie a chi vive troppo lontano dagl’occhi de’ Superiori Ecclesiastici. Manca la relazione di monsignor vescovo in una parte sostanziale, quale è quella del [fol. 23r] sinodo. forse i sudori sin’ora impiegati nel dare nuova forma ad una Diocesi oppressa da tante replicate rovine, non gli hanno potuto dare un santo ozio da consumare alla convocazione del sinodo; quando però le circostanze di tempo lo permetteranno2 spera la Sagra Congregatione sentire ultimato anche questo necessario mezzo con cui sicuramente potrà monsignor vescovo dar l’ultima benefica mano al totale ristabilimento di quella sua Diocesi. Quanto ai diversi impegni, ne’ quali si trova monsignor vescovo per il contrasto della laica Potestà la S. Congregazione si riporta intieramente a quello che Nostro Signore a dirittura gli ha significato3. Del resto poi si rileva ben giustamente lo zelo instancabile di sì degno Prelato dalla di cui vigilanza, come si vede chiaramente prodotto il gran bene sin’ora portato a quei popoli, così si può attendere continuazione ed incremento in tutto ciò che riguarda la gloria di Dio, il bene della Chiesa ed [fol. 23v] il profitto spirituale di quei suoi diocesani. quando – permetteranno] ma d’ora in poi scrive e cancella. la – significato] sono stati già tutti in foglio a parte communicati a mons. Segretario della Sagra Congregazione del Concilio per indi poi aspettare l’esito, scrive e cancella già noti a N. S. può dirsi a mons. vescovo che la Santità Sua possa … a quei mezzi che stimo… all’opportuno rimedio altra correzione. 2 3

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(Principi, 247, fol. 21r-27r) [fol. 21r] Santissimo Padre l’obbligo gravissimo, di cui sono incaricato di vegliare alla salute delle anime alla mia cura commesse e di custodire le ragioni e i dritti della mia Chiesa, mi astringe a ricorrere per mezzo di questa umilissima lettera a vostra Santità ed esporle i molti e gravi disordini, a’ quali mi scorgo inabile di riparare, confidando nel paterno clementissimo animo di v. S., che mi accoglierà benignamente e si degnerà illuminarmi e dirigermi, compatendo alle angustie della mia coscienza e regolando co’ suoi oracoli la mia condotta. Il primo soggetto di amarezza, che debbo palesare a v. S., è lo spoglio fatto alla mia Chiesa de’ due migliori e più importanti fondi che possedeva, cioè delle dogane della città di Catania e luoghi adiacenti donate alla medesima Chiesa dal piissimo conte Ruggiero normanno di lei ristoratore e dello stato, città e territorio di Mascali, donato alla stessa Chiesa da Re Ruggiero, figliuolo del conte. Questi due fondi, posseduti per sette secoli da’ vescovi di Catania, furono nello stesso anno 1757 dopo la [fol. 21v] morte del mio predecessore Pietro galletti e nel tempo della sede vacante, alienati perpetuamente per di due atti di concessioni enfiteutiche fatte dal Tribunale del Real Patrimonio a favore di Sua Maestà; questi atti il Re di Sicilia come amministradore de’ beni della Chiesa di Catania per la vacanza del pastore concede perpetuamente a se medesimo e a’ suoi successori nel Regno l’uno e l’altro di questi nobilissimi fondi costetuendo un annuo canone, che debba il suo Regio Erario pagare alla Chiesa e vescovi di Catania, cioè onze 2.800 per Mascali di questa moneta, ed onze 450 per le dogane e trasferendo a se stesso ogni dominio, prerogativa e preeminenza, che sopra ambi due questi cespiti aveano i vescovi sin ora goduto ed esercitato. Indi il Re medesimo come patrono della Chiesa approva e ratifica l’una e l’altra di queste concessioni. l’irregolarità di questo procedimento e la nuova insolita forma di questi atti ne’ quali comprendonsi nella stessa persona il concedente e il concessionario per mezzo de’ differenti caratteri, co’ quali comparisce, poiché chi amministra, chi concede, chi riceve in suo favore la concessione, chi esamina, chi approva, è sempre sotto di questi titoli lo stesso soggetto. la lesione enormissima della Chiesa per la sproporzione del censo costituito coll’importo annuale, che i due mentovati fondi rendevano alla Chiesa ed oggi rendono al Real Patrimonio, la sollecitudine con cui si proposero, 647


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trattarono e conchiusero da’ ministri di esso Tribunale le dette concessioni nel tempo sospetto della sede vacante e senza alcun intervento di autorità Ecclesiastica, il cattivo esempio che venne con ciò ad introdursi di alienare a profitto della Corona i beni delle Chiese in tempo che esse rimangono prive di Pastori che le difendono, tutte queste circostanze e altre molte, che qui tralascio, siccome commossero altamente gl’animi di tutti i buoni contro quei ministri, che abusarono in sì strana guisa del nome ed autorità di un Sovrano religiosissimo come è il Re cattolico Carlo III, allora Re delle Due Sicilie, così ne arrivarono a me le universali querele nel tempo, che nominato dallo stesso Monarca ad occupar questa Chiesa, era venuto in Roma per esservi consegrato. giudicai allora mio preciso dovere il ricercare da codesta Santa Sede apostolica i lumi e la regola della mia condotta e informare distintamente [fol. 22r] di questo affare in voce e in scritto il cardinal alberico archinto, Segretario di Stato del Santissimo Pontefice benedetto xIv, predecessore di v. S., e dal medesimo fui rimesso con sue lettere all’arcivescovo di lepanto, Nunzio apostolico alla Real Corte di Napoli, di cui dopo varie conferenze fu risoluto che io dovessi ricorrere alla Maestà del Re, per ottenere giustizia alle ragioni della mia Chiesa e non ottenendola ne dessi conto alla Santa Sede. Esposi perciò a quel piissimo Principe in Caserta le mie lagnanze sopra quanto aveano operato in suo nome i ministri di questo Regno e corrispose alle mie speranze la benignità del Sovrano accogliendo con somma pietà le mie istanze e assicurandomi che era lontanissimo dal voler recare pregiudizio alla Chiesa, e vantaggiare i suoi reali interessi colle facoltà donate da’ suoi gloriosi predecessori al santuario. avendo poscia avanzate in iscritto le suppliche al suo Real Trono accompagnate dalle prove evidenti del gravissimo danno recato al mio vescovado dalle due pretese concessioni, uscì il Regio Decreto segnato a 30 gennaro 1759, con cui si commesse la remissione ed esame delle stesse concessioni al Tribunale del Real Patrimonio, acciocché, ponderate le mie ragioni e quelle del regio fisco, determinar dovesse in giustizia sulla validità di quegl’atti e sulla lesione della mia Chiesa. Or se bene i ministri che compongono quel Tribunale fossero gl’istessi che aveano stipulato gl’atti, de’ quali io reclamava, mi accinsi con tutto ciò a trattar la causa avanti ad essi, confidando nell’evidenza manifesta del mio dritto; poicché non alcuna ombra di giustizia o di utilità della Chiesa gli aveva mossi ad alienare i fondi ma solo l’aver creduto di far con 648


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ciò cosa grata al Sovrano; né alcuna formalità si era osservata nello alienare, anche di quelle che lo stesso Re avea comandato poco tempo prima di osservarsi nelle enfiteusi de’ beni di suo real padronato; e la lesione della Chiesa era già provata con publiche scritture dalle quali apparisce essere i proventi annuali dello stato di Mascali e delle dogane assai più del doppio di quanto venne assegnato di canone nelle con- [fol. 22v] cessioni. Introdotta pertanto immediatamente la mia petizione, stentai due anni intieri ad ottenere che producesse il fisco le sue eccezioni e prodottele finalmente si arringò da’ miei avvocati nel Tribunale e si formò lo scritto per sostenere la invalidità degl’atti e il pregiudizio inferito alla Chiesa. Nulla mancava alla pronta decisione, che già sperava, quando ne’ scorsi giorni intesi con gran sorprendimento che i ministri stessi aveano avanzata rappresentanza alla Real Regenza, che oggi governa questi Regni, con esporre che non potevano definir questa pendenza, perché aveano un secondo ordine del Re cattolico, spedito ad essi poco dopo l’altro da me ottenuto, e contrario affatto al medesimo, dal quale venivano impediti a proseguire nella cognizione della mia causa. In questa guisa, Santissimo Padre, dopo quattro anni di fatighe e di considerabilissime spese e dopo due viaggi da me intrapresi a questo oggetto sino alla capitale, ho veduto delusa affatto qualsivoglia speranza di ristorare le perdite sofferte dalla mia Chiesa, che resterà ingiustamente e perpetuamente spogliata de’ migliori suoi fondi; e quel che è peggio verrà forse col tempo a perdere anche il canone nelle concessioni assegnato, di cui già incomincia a trascrurarsene a poco a poco il pagamento, rimanendo oggi da soddisfare grossa somma del maturato. È dunque questo il tempo, che io rinovi, siccome mi fu imposto, le mie istanze a codesta Santa Sede per ricavarne gli oracoli e dirigere sopra di essi la condotta che io tener debba per l’avvenire. Ma più sensibile riuscirà al paterno cuore di v. S. un’altro pregiudizio fatto a questa Chiesa, che passo ora a manifestarle come quello che non riguarda alcun temporale interesse di essa, ma la salute eterna delle anime redente col sangue di gesù Cristo. Sono ormai dieci anni che la città di Calascibetta, che era sempre stata compresa nella diocesi di Catania e nella quale aveano sempre i vescovi miei predecessori esercitata la spirituale autorità come in ogni altro luogo soggetto alla lor giuridizione, è stata per via di replicati ordini [fol. 23r] reali sottratta a forza e divisa intieramente dalla cura e governo del vescovo senza alcun ragionevole fondamento e per via della sola podestà 649


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secolare. Coll’occasione di un beneficio semplice fondato nella chiesa di quel luogo in tempo de’ Re aragonesi e chiamato il canonicato regio di San Pietro, che solea conferirsi da’ vescovi di Catania a presentazione de’ Re di Sicilia, si pretese nel 1752 da’ Regii ministri dover la cura di tutte le anime di quella città appartenere a colui che fosse dal Re provveduto del canonicato sopradetto e che dovesse questi esercitarla senza alcuna istituzione ecclesiastica in forza della sola elezione del Sovrano. E se bene si fosse opposto a tal novità con varie sue rappresentanze il vescovo mio predecessore, non dimeno si passò di fatto per via di replicati ordini reali a mutare in curato un beneficio, che per sette secoli era stato semplice e si fece istituire il nuovo beneficiario e canonico dal giudice della Monarchia, proibendosi ai vescovi di Catania ogni ingerenza per l’avenire in Calascibetta. Indi con altri ordini reali si attribuì allo stesso intruso canonico l’autorità e giurisdizione vescovile in tutto il paese, cangiatisi da poi di sentimento gli stessi ministri, fu costui per via di altri ordini della Real Corte ridotto allo stato di paroco e la giuridizione vescovile, già data ad esso, fu attribuita al giudice della Monarchia, che si volle riconosciuto per Ordinario del luogo e si diede al medesimo giudice ampia facoltà di visitar le chiese, di custodire la clausura delle sacre vergini, di costituire un vicario per la giurisdizione contenziosa, di approvare i sacerdoti per l’amministrazione del Sagramento della Penitenza, di concedere le dimissorie per le Sacre Ordinazioni e di usare ogni autorità, che esercitano i vescovi sopra le Chiese alla lor cure commesse. Tante profane e sacrileghe novità si sono pel corso di dieci anni esercitate impunemente in Calascibetta e continuano ad esercitarsi, rimanendo quella infelice gente in uno scisma tanto più deplorabile, quanto meno può colorirsi o ad alcun pretesto spezioso appoggiarsi la scan- [fol. 23v] dalosa e violenta sottrazione dall’antico e vero pastore. Quindi una parte di quel miserabile popolo animata dal fervore della fede e della carità, vedesi ridotta a portarsi ne’ dì festivi alla città di Castrogiovanni per tre miglia d’erta e difficilissima salita per trovarvi i legittimi ministri della Penitenza; altri hanno abbandonata la patria, che però oggi è ridotta a scarso numero di abitanti e a lagrimevole miseria; ed a quei che vi restano per lor disgrazia, manca in quel luogo o il valore o il frutto o il buon uso di tutti i Sagramenti istituiti da gesù Cristo per lor salute. In tale stato trovai le cose nel mio arrivo al vescovado e persuadendomi che col ricercare negl’archivi tutte le prove, che dimostravano ad evidenza l’ingiustizia dello spoglio fatto alla mia Chiesa dopo il possesso 650


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incontrastabile di sette secoli e col mostrare al Sovrano le conseguenze funeste di questo spoglio e la spiritual rovina di tante povere anime, avrei forse ottenuto il riparo dell’enorme disordine o almeno l’esame accurato delle mie ragioni e diritti, mi posi a radunar documenti e scritture e quando mi parve di esserne abbondantemente provisto, avanzai al Real Trono una umilissima ma calda e fervorosa supplica, nella quale nulla nascosi degli eccessi, che ho qui accennati nulla delle violenze ed ingiustizie commesse, nulla dell’infelice stato di quel popolo, ma non solamente niuna providenza ho potuto sin ora conseguire e niun conto si è fatto del mio ricorso, ma nemmeno il Segretario di Stato degl’affari ecclesiastici, al quale ho fatto arrivare varie lettere su questo affare, si è mai compiaciuto di darmi alcuna risposta. a questi due gravissimi pregiudizi si è aggiunto il terzo in quest’anno, togliendomisi la cura e governo della chiesa maggiore della città di Piazza, pertinenza della mia diocesi, chiesa assai ricca per una eredità lasciata da un pio cavaliere chiamato Marco Trigona, ad oggetto di fondarsi ivi una collegiata e di più un conservatorio di vergini e molte doti per [fol. 24r] le medesime, ed altre pie opere, che tutte sono state eseguite secondo la volontà del testatore. accesa una briga tra i fidecommissari di quella chiesa per l’elezione del nuovo cancelliere, avendo questi ricorso al governo, fu il ricorso rimesso dal viceré al giudice della Monarchia, e questi consultò che dovesse destinarsi la giunta de’ Presidenti con due avvocati fiscali per esaminare se appartenesse al vescovo di Catania o al governo secolare l’amministrazione dei quell’eredità, e la elezione degl’ufficiali che devono governarla. la giunta de’ Presidenti adunossi, esaminò, decise e riferì al Principe colla maggior sollecitudine; ne uscì un ordine con cui proibissi al vescovo che non più s’ingerisse nella pia eredità e che gl’ufficiali dipendessero intieramente dal governo del Principe, a cui rimettessero i conti, soggettando senza alcuna ragione all’autorità secolare l’amministrazione del divin culto di quella Chiesa, che sin oggi era stata governata dal vescovo di Catania, come tutte le altre della diocesi. Né resta ascoso il principal mottivo di sì strana risoluzione, essendo stato eletto poco dopo un presidente di quei che decisero per amministradore di quella chiesa, al quale si è assegnato sopra la stessa eredità un pingue salario per la fatica di tal sopraintendenza e altri salari a suoi subalterni, che debbano aiutarlo in sì lodevole impresa. Né è giovato a me, né a’ fidecommissari, né a’ canonici di quella chiesa il moltiplicare le rappresentanze e i ricorsi, esagerando lo spoglio dell’autorità vescovile e la certissima dis651


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sipazione de’ beni ecclesiastici; si continua a procedere senza conto alcuno delle nostre querele. Dopo i tre riferiti disordini particolari della mia Chiesa accennerò qui brevemente alcuni d’altri molti e gravi mali, che soffrono in comune tutte le Chiese della Sicilia, ancorché io creda che dagl’altri vescovi miei fratelli ne sia stata la Santità vostra informata. Nell’anno 1749 fu qui ristretto il foro ecclesiastico e levata a’ [fol. 24v] vescovi la cognitione di tutte le cause chiamate di misto foro e l’autorità di procedere contro i laici con pene corporali ne’ delitti di concubinato, di stupro, di lenocinio, di usura, di violazione de’ giorni festivi, di coabitazione di sposi ed altre somiglianti; della quale autorità aveano sempre e senza alcuna contradizione goduto in tutti i tempi con molto vantaggio delle anime; dopo molti ricorsi e molte istanze de’ vescovi avanzate al Real Trono uscì finalmente un decreto nel 1759 in cui accordossi nuovamente dal Re a’ Prelati il misto foro, ma per via di delegazione ristretta ad un sol anno e che dovesse in ogn’anno rinovarsi, tornando a chiederla al Re e con molte restrizioni e limitazioni, e quel che è peggio con dover ogni procedimento de’ vescovi restar soggetto alla revisione de’ Tribunali secolari. Sì fatte condizioni troppo indecenti al nostro sagro carattere ci han fatto ricusare costantemente la Real Delegazione a riserva dell’arcivescovo di Messina, che l’accettò; ci rimangono per conseguenza le mani legate e resta aperta una larga porta alla sfrenatezza de’ costumi ed a’ più gravi e frequenti peccati. Quasi nel tempo stesso della restrizione del foro s’intraprese di restringere e diminuire le franchiggie degl’ecclesiastici e ciò che non era potuto mai riuscire a ministri regi per la costante opposizione de’ vescovi si è veduto finalmente posto in pratica in quest’ultimi anni, riducendosi quasi a nulla le franchiggie della farina e trattandosi i sacerdoti quasi nella stessa guisa del popolo. Si è posta mano dalle corti laiche alla cause de’ sponsali ed or con un pretesto or con un altro, si è andata restringendo a’ vescovi quell’ampia autorità, che hanno qui sempre esercitato in tutto ciò che riguarda o da lontano o da vicino il Sagramento del Matrimonio. Si sono eccitate ancora nuove controversie e se ne risvegliano ogni giorno circa l’immunità del sacro asilo e delle persone ecclesiastiche e molto più de’ beni e [fol. 25r] facoltà delle Chiese. Si può ben dire che la nostra vita sia un continuo combattimento e i litigi che sostenghiamo finiscono quasi sempre colla peggio della nostra spirituale giuridizione; poiché 652


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decidendosi in questo Regno le competenze giuridizionali della giunta de’ Presidenti, composta di quattro ministri laici senza alcuno ecclesiastico, ed essendo inappellabile il giudicio di questa giunta, ci tocca aver per giudici d’ogni sacro nostro diritto e ragione coloro che di ordinario sono i più impegnati contro di noi; e in ogni briga in cui per decisione della giunta va a soccombere qualche Prelato, non si manca d’ordinario di formare subito di quella decisione una legge universale, che obblighi tutti gl’altri vescovi a soffrire lo stesso giogo. In quest’ultimo anno tre perniciosi ordini ci sono arrivati. Si è proibito col primo che non si dia alle stampe alcun editto o ordinazione vescovile senza essersi prima soggettata all’esame di un laico ministro, cosa non mai per l’addietro fra noi praticata e che può essere origine di pessime conseguenze. Si è comandato col secondo che gl’ecclesiastici che volessero portar le armi per propria difesa o per uso di caccia, dovessero ricorrere alla podestà secolare, dalla quale ne sarà loro conceduta la licenza per poco danaro. E col terzo s’impone a’ vescovi di fissare il numero de’ clerici e sacerdoti, che debbansi ordinare per ogni luogo di lor diocesi e tal numero fissato e stabilito debba notificarsi al governo, né possa poi alcuno ordinarsi da essi oltre al numero senza ricercarne il permesso e ciò sotto la pena di sequestro di tutte le rendite del vescovado. E se bene per questi tre ordini abbiamo indirizzate delle comuni rappresentanze al Sovrano con tutto ciò non so lusingarmi che si possa sperare di vederli revocati. Il Tribunale della Monarchia, che eccitò tante contese ne’ principii di questo se- [fol. 25v] colo e fu poi restituito fra noi per una bolla di benedetto xIII, che ne moderò l’esercizio, dovrebbe certamente regolarsi a tenore di quella bolla, che ha forza di concordato e la di cui puntuale ed esatta oservanza è stata comandata con molte Reali Ordinazioni; ma oggi si regola quel Tribunale dalla sola volontà del giudice che vi presiede e si trasgrediscono impunemente molti importanti punti della medesima bolla; poiché prescrivendosi in essa che non vi siano delegati di quel Tribunale se non nelle città vescovili e in altre quattro nominate nella bolla, il presente giudice della Monarchia eligge e mantiene il suo delegato in ogni luogo o grande o picciolo di tutto il Regno e così interpone da per tutto la sua autorità per imnpedire o remorare ogni determinazione degl’Ordinari e ogni delegato ha la sua corte e quei che la compongono sono del foro della Monarchia ed esenti dalla giuridizione del vescovo. Di più proibendosi nella bolla del giudice stesso d’ingerirsi in qualsivoglia maniera in tutto ciò che riguarda la discipplina de’ costumi e di 653


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accettare alcun’appello e gravame dalle ordinazioni de’ vescovi, qualora procedano come delegati della Sede apostolica, ciò non si osserva dal presente giudice e ogni ricorso ed istanza da lui si ammette con grave pregiudizio della buona discipplina e del decoro e santità dello stato ecclesiastico. Essendo inoltre dal Re stata appoggiata al medesimo giudice la cura di far eseguire i decreti della real visita fatta da Monsignor de Ciocchis di tutte le chiese e vescovadi del Regno, da questa commissione ha pigliato egli animo ed intrapreso di mandar lettere circolari a’ vescovi anche a stampa, dove ci tratta da sudditi e si vale di termini di comandare ed ordinare e ci minaccia pene e castighi in caso che contravenissimo a quanto ci impone, del quale ardimento, come cosa non mai veduta e intesa, si è scandalizzato ogn’ [fol. 26r] uno; mentre il Re medesimo e il suo viceré non ha mai usato simili espressioni, scrivendo a’ vescovi, ma si è sempre servito dei termini di esortare e di raccomandare. gravissimo ancora ci riesce il vedere che nello stesso Tribunale e presso tutti i magistrati laici del Regno sia un delitto il citare o l’allegare qualche bolla o decreto pontificio se non sia stato sollennemente munito del regio exequatur. giacché siccome la legge di portarsi ogni rescritto apostolico all’exequatur non fu mai per l’addietro rigorosamente osservata, né prima del 1712 curavano i ministri regi che ciò si praticasse, trovasi che le anteriori bolle e decreti riguardanti la discipplina de’ costumi non sono rivestite di tal formalità. Or queste bolle e i santi regolamenti in esse stabiliti, se bene osservati costantemente nel Regno oggi non possono da noi più allegarsi e per conseguenza ogni suddito può scaricarsi delle più gravi e più importanti obligazioni e il governo ecclesiastico ne soffre un incredibile confusione e perturbamento. Ma vi è di più: si arriva a contrastare l’osservanza del decreto di Urbano vIII intorno all’accesso de’ regolari alle monache della bolla ut in parvis circa la visita de’ piccioli conventi di regolari e dell’altra d’Innocenzo xII Speculatores Domus israel, tuttocché si veggano le medesime inserite in tutti i sinodi diocesani del Regno e questi sinodi siano stampati col permesso dell’autorità reale. Tante e sì pericolose novità ed altre ancora che qui tralascio, sono state prodotte e produconsi giornalmente da un certo spirito che oggi regna di contradire e combattere in ogni cosa la potestà ecclesiastica e i ministri di Dio. Quindi consideri la Santità vostra qual soggetto di scandalo sia questo alla pietà de’ fedeli in un regno catolico nel quale i piissimi Regnanti hanno fondate, arricchite e nobilitate le Chiese, onorato i vescovi e riverito il sacerdozio di gesù Cristo più che in altro luogo del cristiane- [fol. 26v] 654


Salvatore Ventimiglia (1757-1771)

simo e nel quale il popolo è avvezzo a rispettare altamente l’immunità de’ templi e de’ sacerdoti e a riguardare con inviolabile ossequio tutte le ragioni del santuario. Io certamente, Santissimo Padre, in veduta di tanti e sì gravi mali ho concepito un gran timore, che i miei peccati e la mia indegnità siano caggione delle disgrazie della mia Chiesa e siccome debbo manifestare alla Santità vostra con filial confidenza di essere entrato nel sacro ministero con audacia e temeraria presunzione, senza molto riflettere al peso formidabile che mi addossava, così ad altro oggi non aspiro che a deporlo e sottrarmi alla tempesta in sicuro ricovero, ove possa vivere solamente a me stesso e al grande affare della mia eternità. Priego però caldamente e colle più umili e fervorose suppliche la bontà paterna di vostra Santità a darmene il permesso per riguardo al maggior bene e profitto della mia anima e delle anime ancora di cento cinquantamila fedeli che compongono questa vasta diocesi. Che se giudicherà la Santità vostra di non appagare il mio desiderio, è d’uopo che mi prescriva il tenore della mia condotta, e ciò che debba pensare, intraprendere ed eseguire negl’affari sopracennati e particolarmente in quei tre speciali della mia Chiesa. Sopra de’ quali aspetto gl’oracoli di vostra Santità e riconoscerò sempre ne’ suoi comandi la voce di Dio e lo Spirito del Principe de’ Pastori. Si compiaccia adunque la Santità vostra d’indirizzar le mie vie, di sollevar le mie dubiezze e d’impormi tutto ciò che il Padre de’ lumi le ispirerà alla mente e mi troverà ubbidientissimo e fedele in ogni cosa, poiché se bene io mi riconosca altamente beneficato dal Re, che mi volle proveduto in giovane età del primo vescovado di questo Regno e vegga la mia famiglia assai onorata dalla reale corte, pure pre- [fol. 27r] ferirò sempre colla divina grazia ad ogni umano riguardo, gl’interessi della religione e della Chiesa ed eliggerò più tosto l’afflizione e l’umiltà de’ figliuoli di Dio, che le giocondità e gl’onori di questo mondo. E qui prostrato a’ piedi di v. S. imploro col più vivo sentimento del cuore a me e a tutta questa Chiesa, che io servo indegnamente, l’apostolica benedizione. Piazza, 30 aprile 1762 Di vostra Santità umilissimo, devotissimo, ubedientissimo servo e figlio Salvadore ventimiglia, vescovo di Catania 655



I MONUMENTI fUNEbRI DEI vESCOvI

le foto sono di Andrea Cafà



Tav. I: giovanni Corrionero (1589-1592) – Cattedrale di Catania.


Tav. II-III: bonaventura Secusio (1609-1618) – Cattedrale di Catania.


Tav. Iv-v: Innocenzo Massimo (1624-1633) – Cattedrale di Catania.


Tav. vI-vII: Ottavio branciforte (1638-1646) – Cattedrale di acireale.


Tav. vIII-Ix: Marco antonio gussio (1650-1660) – Cattedrale di CefalÚ (foto di giuseppe glorioso).


Tav. x-xI: Michelangelo bonadies (1665-1686) – Cattedrale di Catania.


Tav. xII-xIII: francesco antonio Carafa (1687-1692) – Cattedrale di Catania.


Tav. xIv-xv: andrea Riggio (1693-1717) – Cattedrale di Catania.


Tav. xvI-xvII: Pietro galletti (1729-1757) – Cattedrale di Catania.


Tav. xvIII-xIx: Salvatore ventimiglia (1757-1771) – busto nella biblioteca Regionale Universitaria di Catania.


Tav. xx-xxI: Corrado Maria Deodato (1773-1813) – Cattedrale di Catania.


Tav. xxII-xxIII: giuseppe benedetto Dusmet (1867-1894) – Cattedrale di Catania.




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