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La formazione dei futuri presbiteri e la cura del presbiterio sono da sempre la preoccupazione della Chiesa e di ciascun vescovo nella propria diocesi; così è stato per Mario Sturzo, vescovo di Piazza Armerina. Nel suo lungo episcopato (1903-1941) ha visto l’avvicendarsi di eventi sociali, svolte culturali e cambiamenti profondi; in questo agone complesso il prete è chiamato ad esercitare il suo ministero con competenza teologica e culturale, ispirato a valori umani e morali alti. Da un clero nuovo, preparato e rispondente alle esigenze culturali del tempo deve venire la riforma della vita religiosa e sociale del popolo. Non un prete per il sacro né tutto per il sociale ma un vero ministro di Dio al servizio della gloria di Dio e del bene del popolo; la sua attività pastorale è per il bene della persona. L’impegno ecclesiale, socio-politico, culturale lo rendono ad immagine di Gesù. Queste intuizioni di Sturzo sono diventate programma di vita, di spiritualità e di ministerialità pastorale per i suoi preti: alcuni di essi lo testimoniano con alcuni scritti presi in esame in questo studio.
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Pasquale Buscemi Preti per una società nuova
Pasquale Buscemi (Niscemi, 1961) è presbitero della diocesi di Piazza Armerina dal 1986. Ha conseguito il dottorato in Teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana della Pontificia Università Lateranense (1990), successivamente ha conseguito la laurea in filosofia presso la II Università di Roma (1992). È docente di Teologia morale presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania e altri Istituti di Scienze Religiose.
Pasquale Buscemi
DOCUMENTI E STUDI DI SYNAXIS
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Preti per una società nuova Identità e ministero presbiterale secondo il vescovo Mario Sturzo e alcuni del clero siciliano del primo ’900
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Documenti e Studi di Synaxis 28 Ricerche per la storia delle diocesi di Sicilia 6
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Pasquale Buscemi
Preti per una società nuova Identità e ministero presbiterale secondo il vescovo Mario Sturzo e alcuni del clero siciliano del primo ’900
Città Aperta Edizioni
Studio Teologico S. Paolo / Catania
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Premessa
In questi ultimi anni si parla spesso di ministero presbiterale, di identità del presbitero nella Chiesa e nel mondo contemporaneo e di problematiche legate al prete. Si è alla ricerca di modelli concreti rispondenti alle nuove istanze socio-culturali del tempo presente. A volte si inaspriscono aspetti negativi o si sottovalutano ambiti propri del ministero che andrebbero invece maggiormente presi in considerazione, perché costituiscono il proprium specifico del presbiterato. I temi dibattuti oggi e le problematiche affrontate in ambito di riflessione teologica contemporanea corrispondono essenzialmente a quelli presenti circa un secolo fa, agli inizi del ’900. Anche se il contesto storico, sociale e religioso è differente, allora come oggi, ci si chiedeva che tipo di prete occorresse formare e preparare culturalmente e teologicamente; quali aspetti pastorali egli dovesse curare e quali modalità seguire per una pastorale adeguata ai tempi e rispondente alle aspettative della Chiesa e della stessa società ed infine come dovesse essere il prete: dedito al culto? Prete sociale? Prete del popolo? Lo studio qui presentato raccoglie il contributo di quattro testimoni vissuti nello stesso periodo storico e nella stessa area geografica. Ho preso come punto di riferimento il pensiero di un autorevole vescovo siciliano che esercitò il suo ministero episcopale dal 1903 al 1941 nella diocesi di Piazza Armerina: è mons. Mario Sturzo. Questi si preoccupò fin dall’inizio del suo episcopato a formare e curare i suoi collaboratori. La sollecitudine per il seminario, quale realtà formativa per i futuri sacerdoti e la premura verso questi ultimi furono delle costanti del lungo episcopato. Si preoccupò di avere sacerdoti preparati culturalmente e spiritualmente per esercitare il ministero con competenza, santità di vita e con spirito missionario nei confronti di un mondo che era cambiato. Mons. Sturzo visse e operò in un contesto di forti cambiamenti epocali e fermenti sociali e culturali di notevole importanza. La sua 5
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formazione risente molto della dottrina sociale della Chiesa e rispecchia i reiterati inviti del papa Leone XIII che desiderava che il clero agisse a favore della società e fosse impegnato in quel rinnovamento sociale capace di instaurare il Regno di Dio, fondando tutto sui valori intramontabili offerti dal messaggio cristiano. Per mons. Sturzo il prete dev’essere santo: è un uomo di Dio a servizio della sua gloria, della Chiesa e dell’intera società umana. Non può essere prete a metà, cioè diviso in se stesso. Ripieno di Dio è chiamato per essere mandato nel mondo a portare agli uomini la salvezza operata da Cristo, attraverso la predicazione, i sacramenti e il suo stile di vita impregnato di preghiera e di desiderio insaziabile di santità. Il suo agire di pastore e missionario è a beneficio delle persone e quindi della promozione dell’intera società. Gli altri tre contributi sono tratti da altrettanti sacerdoti contemporanei di mons. Sturzo, facenti parte dello stesso presbiterio di Piazza Armerina: rappresentano una verifica delle idee e dei programmi pastorali elaborati dal Magistero di Leone XIII e dal vescovo Sturzo. Tutti e tre risentono del clima di fermento e di grandi novità che caratterizza questo particolare ambito della Chiesa subito dopo l’invito della Rerum Novarum di «uscire di sagrestia» per scendere nella storia concreta dell’uomo contemporaneo. I tre presbiteri che lavorarono nello stesso contesto e si lasciarono molto illuminare dalle idee nuove maturate alla luce dell’insegnamento del papa della dottrina sociale, possono essere definiti tre preti sociali o leoniani che offrono tre riflessioni diverse che aiutano a cogliere l’identità e la ministerialità del presbitero. Il primo dei tre, il can. Disca, riflette sullo specifico del prete all’interno del movimento della democrazia cristiana e sugli apporti che offre l’esercizio del proprio ministero all’interno di detto movimento e per la promozione della vita sociale. Il sacerdote è uomo di Dio per il popolo; il suo ministero ha necessariamente una dimensione sociale; infatti egli lavora per la rigenerazione della società e fa le scelte degli ultimi e dei poveri sull’esempio di Gesù. È il ministro della carità e il dispensatore della grazia divina. In quanto consolatore degli ultimi ed educatore delle coscienze morali delle persone è anche fautore del rinnovamento morale della società auspicato da tutti. La sua realtà è paradossale: è uomo di Dio, ma rimane uomo con i limiti e difetti propri che vanno compatiti; in quanto ministro di Dio e per la dignità di cui è ricoperto e per la preziosità del suo ministero, va comunque e sempre rispettato. 6
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Il secondo contributo è ricavato dallo scritto del can. Placenti il quale sottolinea il ruolo prezioso del prete in politica. L’attività politica è intesa non come adesione e militanza in un partito, ma come missione a trasformare la società umana in Regno di Dio, che si costruisce attorno al bene comune attraverso l’esercizio del ministero nella politica. Il prete non può essere estraneo alla politica, che si fonda sulla legge morale naturale, in quanto è lui che illustra le esigenze concrete di tale legge, poiché fondamento della legge morale naturale è Dio. Se la politica si prende cura della società e del bene comune il prete non si può estraniare dalla politica, ma il suo ruolo all’interno di essa consiste nel guidare la persona a realizzarsi in quanto soggetto etico che cerca di raggiungere il bene morale per sé e per gli altri. Il prete in politica ricorda tale esigenza ed aiuta tutti a fare queste scelte morali doverose. Il ministero sacerdotale non può espletarsi in sacrestia, poiché la persona è al centro delle preoccupazioni pastorali del prete. L’uomo, così com’è, è via alla Chiesa, ma anche via per il ministero presbiterale. Il modello di ogni prete è Gesù, il quale esercitò il suo ministero messianico non nel tempio, ma per le strade dove incontrava l’uomo e in modo particolare l’uomo contrassegnato da alcune caratteristiche come la povertà materiale, morale e fisica: incontrò i poveri, i peccatori, gli ammalati, gli indemoniati. Utilizzando una frase presa dal Concilio Vaticano II (evento celebratosi circa sessant’anni dopo la stesura dei documenti che sono oggetto di questo studio), a proposito della Chiesa solidale con l’uomo di oggi e in dialogo con esso, possiamo dire «che non c’è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore […], in quanto le gioie e i dolori, le speranze, le tristezze e le angosce dell’uomo di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo»1.
Il terzo contributo viene offerto da un panegirico pronunciato dal Parroco Galesi in occasione della prima messa di un novello sacerdote. L’oratore rivolgendosi al novello sacerdote lo esorta a considerare l’alta dignità di cui è rivestito, avendo ricevuto l’ordine sacro. 1
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes, 1.
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La grazia divina a lui conferita attraverso l’ordinazione lo assimila al Cristo il quale si autodefinisce via, verità e vita. Per il Parroco si crea una perfetta analogia tra il Cristo e il prete: ciò che appartiene per natura al Signore viene partecipato per grazia al sacerdote che, come Gesù, può dire; io sono la via, la verità e la vita. Il ministero salvifico di Gesù assicura salvezza a tutti; quello del prete continua l’opera di Gesù e assicura il progresso morale della persona e dell’intera società. Il sacerdote è per il popolo: è formatore di persone; esercita la sua paternità spirituale verso le persone attraverso l’esercizio del suo ministero. Il modello per ogni prete è il Signore Gesù. Il prete sarà forte, capace e competente se si adeguerà al suo modello, se saprà vincere tutte le avversità, ma anche se saprà cambiare i cuori delle persone e il volto della società, non perché possiede mezzi materiali, che di fatto non ha, ma perché dotato di quella grazia che rende efficace la sua fatica pastorale. Nei quattro autori presi in considerazione emergono alcune caratteristiche proprie del prete. La spiritualità alla quale si deve richiamare il prete è cristocentrica. Cristo Signore è il modello di ogni prete e questi si deve conformare a lui per diventare sempre di più ciò che già è per grazia: ministro di Dio. Come Gesù si autodefinisce via, verità e via per l’uomo e la società, così il sacerdote lo diventa se conforme a lui. Il maestro va imitato da ogni prete e ogni prete si ispirerà in tutto al modo di essere e di agire di Gesù. Se vengono rispettate queste condizioni, il prete diventerà ministro di Dio e ministro dell’uomo. Come Gesù glorificò il Padre celeste, così il prete mette Dio al primo posto e il culto che eserciterà per il popolo sarà il culto di lode a Dio. Come Gesù scelse gli ultimi e ha fatto la scelta preferenziale per i poveri, così il sacerdote realizza le parole di Gesù quando svolge il suo ministero tra la gente ed esce fuori dalla sacrestia: «mi ha mandato ai poveri ad annunciare la lieta notizia» (Lc 4,18). Se l’esercizio del ministero lo porta a fondarsi su Cristo che per lui è modello, la sua spiritualità è cristocentrica, in quanto è alimentata di Sacra Scrittura. I testi sacri rivelati sono alimento per la sua vita sacerdotale. La sua vita spirituale riceve linfa vitale dallo studio della Sacra Scrittura, dei Padri e degli scritti di tanti santi che hanno offerto alla Chiesa la loro testimonianza. La lettura di buoni testi di teologia è una raccomandazione co8
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stante che ritroviamo nei quattro autori, ma è anche un aspetto testimoniato dai essi. I loro discorsi sono ricchi di citazioni scritturistiche, di riferimenti ad opere di santi e di valenti studiosi. Un altro elemento importante che viene sottolineato riguardo al ministero e identità del prete, è la preoccupazione di dialogare con l’uomo contemporaneo ascoltando le sue istanze, preoccupazioni e provocazioni; ma soprattutto riflettendo sulle critiche serrate che questi gli presenta, perché a volte l’uomo di oggi è condizionato o strumentalizzato da ideologie anticlericali e anticristiane come la massoneria, il socialismo, il liberalismo. Perché il prete sappia dialogare con gli indifferenti o gli ostili è necessario che conosca le principali correnti di pensiero contrarie alla Chiesa. L’atteggiamento del prete non può essere soltanto di difesa, apologetico, aspetto che non può essere trascurato, ma missionario: deve presentare il messaggio centrale del cristianesimo a tutti, ai semplici e ai dotti, ai vicini e ai lontani. L’impegno nel sociale, nella politica è in vista della realizzazione di questo ministero di evangelizzazione e santificazione della realtà temporale. Non militerà in un partito politico, ma nella politica non farà mancare la sua parola di sacerdote. Un altro aspetto importante che vediamo presente nei quattro autori è la dimensione ecclesiologica che caratterizza il ministero presbiterale. Siamo ancora lontani da una riflessione ecclesiologica così come verrà elaborata a partire dal Concilio Vaticano II, però ci sono alcune sottolineature che anticipano nel tempo ciò che verrà sancito chiaramente dal Concilio. Il prete è ministro di Dio, ma anche ministro della Chiesa, cioè è a servizio della Chiesa, la quale si costruisce come “popolo regale, gente santa, stirpe sacerdotale” grazie al servizio del sacerdote che con l’annuncio del Vangelo e i sacramenti edifica la Chiesa come tale, cioè comunità dei salvati che ha il compito di lodare Dio e testimoniare i valori evangelici nella società. Il sacerdote non può esimersi dal compito di educare i cristiani e formare le loro coscienze; l’obiettivo principale è: “instaurare omnia in Cristo” (restaurare ogni cosa in Cristo Gesù). Per il prete è importante ascoltare il Magistero della Chiesa e sentirsi illuminato dalle parole ispirate del papa e del proprio vescovo. Il papa viene denominato “duce”, cioè condottiero e comandante di questa schiera di cristiani militanti. Il papa guida la Chiesa, a lui il Signore ha dato poteri speciali e carismi particolari, per cui va ascoltato e seguito dai preti. 9
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La Chiesa è stata pensata dal suo divino Fondatore per essere nel tempo custode di tanti doni da lui lasciati e questo lo fa con e per mezzo dei sacerdoti, i quali attualizzano tutto ciò con la Parola e i sacramenti. La disponibilità del prete verso la Chiesa ancor prima di essere regolata dalla promessa di obbedienza fatta durante l’ordinazione è determinata dal fatto che il sacerdote ne è il ministro, cioè è a servizio della Chiesa di cui il vescovo è il pastore e la guida. L’obbedienza unisce il sacerdote al vescovo e lo rende disponibile a servire la Chiesa lì dove il Pastore lo invia per esercitare il suo ministero. Addirittura mons. Sturzo fonda la Congregazione sacerdotale degli Oblati di Maria che avevano l’impegno particolare di obbedienza illimitata al proprio vescovo e disponibilità totale verso la Chiesa. Il voto di povertà configura il prete a Cristo povero ma soprattutto libero da cose e persone per dedicarsi interamente alle cause del Vangelo. Il vescovo di Piazza Armerina era favorevole anche ad una vita comunitaria dei preti. I preti stavano insieme per essere fraternamente uniti e per edificarsi reciprocamente, per condividere le ansie pastorali e portare avanti le opere della Chiesa. Voleva che condividessero anche i proventi che ricavavano dall’esercizio del loro ministero costituendo una cassa comune, in modo da evitare disuguaglianze, ma soprattutto per evitare di dipendere dalle famiglie. La preghiera comune era anche un aspetto importante da condividere nella fraternità sacerdotale, avendo a cuore i ritiri mensili e gli appuntamenti periodici con il vescovo. La spiritualità presbiterale maturata in questo periodo e testimoniata dai quattro autori è eucaristica e mariana. Il prete vive di Eucaristia, non celebra solamente per gli altri, ma innanzitutto per sé. Il suo ministero è in funzione dell’Eucaristia di cui è ministro, la sua vita si nutre di quello che celebra. Dall’Eucaristia attinge quella forza dinamica che lo rende capace di realizzare il ministero presbiterale come rendimento di lode e continua gratitudine a Dio. Infine la spiritualità del prete così come è vista da questi autori è anche mariana. Maria di Nazareth viene identificata come madre e maestra dei sacerdoti. Mario Sturzo fonda la Congregazione degli Oblati di Maria: già nel titolo ritroviamo il programma che l’oblato deve realizzare nella sua vita sacerdotale: vivere avendo in sé le vir10
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tù di Maria, non solamente quelle teologali, ma anche tutte le altre virtù morali, quali l’umiltà, l’obbedienza, la prudenza, il coraggio per scommettere sempre su Dio e fondare tutto su di Lui, la capacità di servire, quindi di essere un oblato di e come Maria2. Il prete, per i nostri quattro autori, è ministro di Dio impegnato nel sociale perché realizza il mandato che Gesù affidò alla Chiesa di annunciare a tutti il lieto messaggio, per cui non c’è angolo della terra o ambito di vita umana che possa essere considerato dal prete come estraneo o da scartare, perché non consono alla sua dignità e al suo ministero. Il prete è per il popolo, cioè vive il suo ministero pastorale nella totale disponibilità verso quelli che la Chiesa gli affida ed è a immagine del Buon Pastore, anzi continua il ministero di Gesù che ha dato la vita per gli uomini. Come Gesù è vissuto tendendo la mano a tutti ed offrendo il dono della salvezza ad ogni uomo di buona volontà e avendo attenzione verso i poveri, gli ammalati, i diseredati, così è il sacerdote e la sua missione. E proprio la continuità di stile e di prassi tra l’operato di Gesù e quello di qualunque prete è il denominatore comune del pensiero degli autori oggetto di questo studio.
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Cfr. M. STURZO, La devozione alla Madonna Santissima, Asti 1934.
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Capitolo I
Il ministero ordinato in Mario Sturzo: formazione e spiritualità sacerdotale
Introduzione Il rinnovamento voluto dal papa della Rerum Novarum, Leone XIII (1878-1903), esigeva la concreta e fattiva collaborazione del clero, il quale necessitava di una formazione adeguata alle esigenze socio-culturali presenti nel XIX sec.; la Chiesa non poteva rimanere indifferente di fronte alle nuove istanze e alle sempre frequenti provocazioni. Mons. Sturzo era convinto che la crisi fosse frutto anche della disorganizzazione del sistema parrocchiale siciliano e della distribuzione anomala del clero nel territorio, condizionata ancora da vecchie strutture municipali e familiari che lo legavano al proprio paese d’origine. Da un clero nuovo, dedito al ministero della Parola e dei sacramenti e all’impegno sociale, doveva venire la riforma della vita religiosa del popolo. L’episcopato siciliano guidato dai cardinali Nava e Lualdi e da vescovi come Giovanni Blandini di Noto e Mario Sturzo di Piazza Armerina, rimaneva ancorato alla linea di una pastorale sociale e culturale della Chiesa nella società siciliana. L’appoggio al clero e al laicato democratico cristiano era vivo, così come era viva la speranza di una rigenerazione della Chiesa a partire dal popolo1. Si avvertiva il bisogno di rinnovamento. Se a partire dai moti risorgimentali e poi con l’unità d’Italia, la Chiesa si era chiusa in se stessa, come una roccaforte, continuamente minacciata da movimenti anticlericali e massonici che proponevano uno stato liberale, laico, svincolato da condizionamenti religiosi e da infiltrazioni clericali, nondimeno si difendeva da questi attacchi impedendo ai cattolici di impegnarsi in politica; proibiva di collaborare per la organizzazione della giovane nazione che così nasceva all’insegna di movimenti anticlericali, i quali favorivano sempre più la crescita e la maturazione di atteggiamenti, mentalità e prese di posizioni antieccle1
Cfr. F.M. STABILE, L’episcopato siciliano, in F. FLORES D'ARCAIS (cur.), La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, I, Caltanissetta-Roma 1994, 157-158.
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siali. Si assisteva sempre più a un continuo scollamento tra Chiesa e popolo, tra Chiesa e istituzioni civili, tra Chiesa e cultura, tra Chiesa e società. Il fenomeno della secolarizzazione, già in atto in pieno Ottocento era favorito da questo clima di attrito e di lotta. In questo periodo la coscienza cattolica si ribellava alla prospettiva di una emarginazione della Chiesa nella società e di una riduzione della religione allo spazio della interiorità individuale2. La Chiesa siciliana si adoperò in una vasta attività di formazione religiosa attraverso la rieducazione catechistica e morale e la testimonianza della carità ad opera di diversi sacerdoti che diedero vita a numerose congregazioni e istituti religiosi con finalità caritative. Essa scese anche sul terreno dell’organizzazione sociale e politica e s’impegnò a riaffermare il valore di tale presenza in un momento particolare della vita nazionale, allorché offrì il suo sostegno ai ceti popolari sui quali pesavano le conseguenze negative di una economia precaria3. Ci fu uno sforzo di purificazione della vita cultuale come anche il desiderio di un impegno in campo politico e sociale dei cristiani.
1. I fermenti culturali al tempo dell’episcopato di Mario Sturzo Se agli occhi di Sturzo “l’ora presente appare desolante” è perché consapevole del grave fenomeno in atto anche nella sua diocesi con sintomi che lo preoccupano in quanto pastore: la secolarizzazione che offre una reinterpretazione globale del messaggio cristiano4. Il processo di secolarizzazione5 ha permeato la cultura del mondo moderno: se da una parte ha indicato come l’esperienza religiosa debba necessariamente inserirsi nel ritmo quotidiano dell’esistenza ed individuare forme sempre nuove di presenza e di azione, dall’altra ha aggredito violentemente il modo di concepire la fede, consentendo l’insorgere di una mentalità antitetica e pervenendo a 2 Cfr. R. LA DELFA, Linee ecclesiologiche nel pensiero di mons. Mario Sturzo, in C. NARO (cur.) Mario Sturzo. Un vescovo a confronto con la modernità, Caltanissetta-Roma 1994, 187. 3 Cfr.ibid., 188. 4 Cfr. A. PARISI, Il ruolo pubblico della religione, in V. SORCE, Un vescovo per il nostro tempo, Caltanissetta 2007, 15-30. 5 Su questo argomento Cfr. H. LUBBE, La secolarizzazione. Storia e analisi di un concetto, Bologna 1970.
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una visione “autonoma” dell’uomo nel mondo, senza altri riferimenti di natura religiosa. In contrapposizione ai processi di sacralizzazione che avevano ritualizzato ogni aspetto delle realtà temporali, la progressiva rivendicazione di libertà del mondo immanente lascia intravedere nuovi orizzonti di comprensione dell’esistenza, senza il disincanto di rinnovate mitizzazioni. Il termine secolarizzazione alla fine dell’Ottocento ha inteso esprimere il distaccarsi dalla cultura ecclesiastica e il permanere di impulsi cristiani nel contesto sociale e spirituale della modernità: si chiama in causa la questione del ruolo pubblico della religione, ossia del posto che la fede cristiana, il Cristianesimo e la Chiesa occupano nella società moderna. La secolarizzazione si presenta come un processo storico di profonda trasformazione dell’uomo e del mondo, del modo con cui l’uomo si rapporta a se stesso e al mondo. Con il progredire della secolarizzazione viene meno anche l’idea di un ordine trascendente e si cerca di fondare tutto sulla realtà umana senza Dio6. Il vescovo Sturzo è convinto, fin dai suoi primi anni di episcopato, che non si trova a lottare contro il male in quanto male, «in quanto funesto retaggio della colpa di origine che condanna la società umana di tutti i tempi e di tutti i luoghi; per nostra sventura ci troviamo di fronte alle conseguenze di lunghi rivolgimenti più gravi dei primi e più disastrosi dei primi. Il cristiano oggi, quasi svegliandosi da lungo sonno, mentre crede di trovarsi nella stessa società, in seno alla quale si era addormentato, in vetta di colpe varie gravi, se vuolsì, ma cristiana, se non in tutto l’ordinamento dei rapporti, almeno nello spirito: si trova invece in una società nuova, cristiana ancora nel nome, ma pagana nello spirito; nella quale i cristiani vivono già la nuova vita senza quasi sentirne il disagio […]; mentre l’opera di chi per missione, avrebbe dovuto impegnare tutte le sue forze a salvare la coscienza di coloro che si tenevano fedeli alle tradizioni cristiane, si era ridotta spesso a un ministero senza vita, nella compiacente convinzione che il male sarebbe stato spazzato via […] e che il popolo avrebbe conservata inviolata la fede. Ed ecco che […] salta il bisogno di un lavoro organico e profondo […] che deve mirare a costruire una vita nuova, rispondente ai nuovi bisogni: la quale sia cristiana nello spirito nell’essenza, rispondente ai nuovi bisogni»7.
Mario Sturzo avverte la gravità del momento storico, da buon studioso ha chiare le cause, ha studiato gli effetti ma da buon pasto6 7
Cfr. A. PARISI, Il ruolo pubblico della religione, cit., 15-18. M. STURZO, II Lettera Pastorale, Piazza Armerina 1904, 4.
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re ricerca le soluzioni; è preoccupato di identificare nuovi metodi per un lavoro pastorale idoneo. Nel ministero presbiterale identifica una provvidenziale soluzione del problema, infatti così afferma: «I sacerdoti attendano alle solite opere: che vuol dire tanta depravazione insieme a tanta operosità? È l’ambiente sociale corrotto o che corrompe. Il lavoro dei sacerdoti non è qual dovrebbe essere, non basta a salvare la società, forse basta appena a salvare pochi fortunati»8.
Da qui l’invito formulato da Leone XIII e fatto proprio da questo vescovo leoniano: «Uscite di sacrestia»: il motivo di questa scelta pastorale consiste nel cercare la pecorella smarrita e nel vedere il ministero in una dimensione missionaria e non preoccupato solamente dell’aspetto religioso-sacrale, ma anche sociale9. Mario Sturzo, prima ancora di diventare sacerdote, nella sua Caltagirone si era preoccupato di inserirsi in modo attivo in questo agone culturale. All’interno delle parrocchie istituisce circoli culturali atti a creare una nuova mentalità e a formare una nuova coscienza sociale e morale nei cristiani. La stessa preoccupazione lo accompagna nell’impegno al di fuori dell’istituzione ecclesiale. Da giovane sacerdote, nominato docente e formatore in seminario, si preoccupa di adeguare gli insegnamenti attraverso le discipline impartite in modo da offrire ai futuri presbiteri formazione e strumenti idonei per un efficace esercizio del ministero. In vista anche di una nuova mentalità collabora per la divulgazione della buona stampa, perché tutti potessero appropriarsi di quel patrimonio di vita e di pensiero contenuti negli insegnamenti evangelici custoditi dalla Chiesa. La problematica sopra descritta viene avvertita da Mario Sturzo in modo molto chiaro l’indomani della sua ordinazione episcopale avvenuta nel 1903, quando viene mandato a Piazza Armerina: lì si rende conto della mole di lavoro che l’aspetta e della situazione nuova nella quale si trova e verso la quale destinare le sue risorse di pastore e di padre10.
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ID., I Lettera, Piazza Armerina 1904, 26. Cfr. ibid., 26. 10 Cfr. ibid., 3-4. 9
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2. La formazione teologica, culturale e spirituale dei sacerdoti L’11 ottobre del 1903 prende possesso canonico della diocesi di Piazza Armerina e scrive una lettera a Pio X per implorare il conforto di una speciale benedizione e per manifestare al papa la profonda venerazione e l’illimitata obbedienza. Il papa risponde offrendo al giovane vescovo, che ha appena 42 anni, consigli e obiettivi da raggiungere: tra questi vengono menzionati il seminario e il clero. Sturzo così scrive al papa nella sua I Lettera pastorale: «Comincerò dal seminario, come Vostro Beatissimo ha prescritto, il clero sarà la mia cura suprema; con l’aiuto del quale potrò, piacendo a Dio, concorrere, benché in minima parte, all’attuazione della Democrazia Cristiana, e Vostro Beatissimo a imporre parole così sapientemente delineate, cioè alla restaurazione della società in Cristo Gesù. Beatissimo Padre, io sono giovane e indegno dell’alto mandato, e perciò sento il bisogno di stringermi alla cattedra di San Pietro e di vedere avvalorata l’opera mia da una benedizione specialissima di Voi Beatissimo»11.
Mario Sturzo è convinto che il clero e la sua formazione debbano essere messe al primo posto: è la sua prima preoccupazione, in modo da avere collaboratori zelanti e concordi. Invita a pregare per il seminario e per le vocazioni12. Sturzo nella sua I Lettera parla di opera di restaurazione, intesa come riedificazione del bene dell’uomo e domanda la fattiva collaborazione di tutti in modo particolare dei sacerdoti della diocesi invitandoli a essere suoi coadiutori, allo stesso modo di lui che si percepisce tale all’interno del piano divino13. È sua convinzione che la Chiesa, espressione della nuova umanità, abbia una missione religiosa spirituale e sociale; infatti essa vive nel mondo e ha come obiettivo la felicità eterna di ciascun individuo: la sua missione consiste nell’influire sull’umana società perché si organizzi secondo i due ambiti speciali garantiti dalle leggi di natura e da quelle di grazia14. La Chiesa realizza all’interno della società quella missione im11
Ibid., 31. Cfr.ibid., 31. 13 Cfr. ibid., 5-6. 14 Cfr. ibid., 17-18. 12
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portante che viene identificata dal suo fondatore con le immagini evangeliche del sale e del lievito. Anche se combattuta e avversata, essa si manifesta come madre, che a sua volta combatte non contro la società civile, ma contro il male che la corrompe. Da questa missione, secondo Mario Sturzo, deriva l’inesauribile fecondità del suo apostolato, la sua perenne giovinezza e la virtù di intendere tutte le civiltà, di prevenire ogni progresso e di adattare la sua potenza informatrice e trasformatrice alle condizioni speciali dell’umanità15. Sturzo parla della testimonianza resa dai primi cristiani a Roma: irrompevano da apostoli ad annunciare la nuova morale e la nuova religione. Per il rinnovamento della società, la Chiesa deve certamente svolgere la sua missione. Alla fine dell’Ottocento era la questione sociale che agitava gli animi come prima era stata la rivendicazione di libertà per i popoli con il liberalismo, e adesso con il socialismo. La Chiesa ha la missione di tenere i popoli fedeli a Gesù Cristo: da qui la necessità di scendere in campo sociale e di aiutare la società a uscir fuori dai mali che tali movimenti hanno causato, proponendo un sistema conforme allo spirito del Vangelo. Tale sistema è la Democrazia Cristiana, intesa come una cospirazione di forze sociali, giuridiche ed economiche rivolte a proteggere, rispettare, elevare il popolo: essa viene vista come attuazione sociale del Cristianesimo16. La Chiesa rispetto a tutte le altre istituzioni è animata e mossa da un fine più alto: il bene spirituale dell’anima, l’eterna salvezza, per cui il suo operare appare più disinteressato ed efficace, come più apostolica deve apparire la sua opera17. Mario Sturzo prende in esame l’operato dei sacerdoti, definiti nel corso della sua I Lettera “buoni”, perché non hanno cessato di attendere alla santificazione delle anime. E ciò nonostante la vita cristiana andasse scadendo, la fede attenuando, i costumi degenerando e la pratica religiosa scemando. Gli appare desolante la panoramica culturale nella quale vive la Chiesa: «Tanta depravazione ma tanta operosità da parte dei sacerdoti i quali attendono alle solite cose, utilizzando le campane che annunziano le solite feste»18. 15
Cfr. ibid., 19. Cfr. ibid., 22-23. 17 Cfr. ibid., 26. 18 Ibid., 26. 16
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Queste testuali parole espresse dal vescovo giovane entusiasta, ma certamente consapevole del momento storico in cui vive e delle problematiche che deve affrontare, ci aiutano a identificare la prassi pastorale del tempo, la vita ecclesiale e il ministero svolto dai sacerdoti. Per un verso in essi c’è la preoccupazione viva di mantenere il senso religioso portando avanti le attività pastorali che vengono svolte secondo criteri e modalità del tempo ormai anacronistiche; in modo particolare è viva l’attenzione verso quella religiosità popolare propria dell’ambiente in cui è vissuto Mario Sturzo fatta di processioni, novene, suoni di campane che annunciano le feste realizzate con solennità e grande afflusso di popolo. Per altro verso ci si rende conto che tutto ciò non è più sufficiente. La formazione catechistica viene giudicata come lacunosa perché i ragazzi del catechismo identificati come “tanti angioletti”, prendono “la via larga” e si perdono con molta facilità. Anche le donne, custodi all’interno delle mura domestiche di una religiosità trasmessa di generazione in generazione, sono svogliate e mostrano indifferenza. Per Sturzo il momento presente è veramente preoccupante, utilizza un termine che esprime tutto il pathos del pastore: «l’ora presente appare desolante» perché la gente scappa da tutte le parti19. Sturzo accusa la grave carenza di una pastorale condizionata da tanti problemi, bisognosa di un rinnovamento ed adeguamento alla nuova sensibilità culturale e sociale. È una voce che si aggiunge a quella di tutto l’episcopato del tempo che manifestava lo sforzo nel purificare la vita cultuale e le feste religiose. Tanti documenti importanti vengono pubblicati da Pio X come quello sulla musica sacra e il nuovo catechismo destinati a rinnovare il volto della Chiesa e la vita della comunità. Si stabiliscono norme per la formazione del clero alla liturgia; si danno indicazioni per la partecipazione del popolo alle celebrazioni. Si vuole fare della Chiesa l’ambiente privilegiato della preghiera, proibendo tutto ciò che aveva visto una degenerazione. Una particolare attività di cura pastorale per il popolo si individuò nella riforma delle confraternite e nella condanna della stampa pornografica con la creazione di associazioni per la diffusione della buona stampa20. Nel 1916 si tiene la prima conferenza preparatoria al Concilio Plenario Siculo che si sarebbe realizzato nel 1920 dove si definisco19 20
Cfr. ibid.. Cfr. F.M. STABILE, L’episcopato siciliano, cit., 163-164.
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no sempre più i modi per la partecipazione del popolo alla liturgia; si ribatte la necessità delle missioni popolari e la presenza di missionari itineranti come gli Oblati in alcune diocesi del Nord21. Il vescovo, così, delinea i tratti del ministero presbiterale: non può preoccuparsi soltanto del sacro (= sacrestia), né realizzare una pastorale destinata a conservare quanti si trovano dentro il perimetro sacro della Chiesa, ma un ministero da esercitare al di fuori dell’area sacra (= “uscite di sacrestia”) e che possa entrare nel mondo ormai distante dalla fede, da vero protagonista attivo, sapendo di svolgere una parte importante e necessaria per l’economia salvifica dei singoli, della Chiesa e della società. Non viene identificato solamente un modello di sacerdote prettamente sociale, dedito a curare le molteplici attività che servono a rendere la vita dell’uomo sempre più umana, promuovendo l’attività e realizzando progetti che lo associano quasi alla figura dell’operatore sociale. L’obiettivo della missione presbiterale è prettamente pastorale: il presbitero infatti è il pastore che esce di sacrestia, cioè dal luogo proprio legato al suo ministero, per cercare la pecorella smarrita e riportarla all’ovile, cioè al sicuro. Il preoccuparsi della pecorella da riportare a Dio significa fare attenzione alla vita della persona e a tutto ciò che la caratterizza. L’espressione “pastore in traccia della smarrita pecorella” ha un matrice culturale biblica: siamo di fronte a una categoria cristologica che serve a identificare Gesù. Adesso tale categoria, applicata al ministero presbiterale, rende chiaro l’obiettivo al quale vuole pervenire Mario Sturzo: il presbitero è come Gesù, nel ministero presbiterale è Gesù che continua la sua missione salvifica. Il pastore di oggi parte da una consapevolezza ancora più grave rispetto a quella presente nel vangelo, perché le pecore al sicuro sono poche; il resto del gregge, che corrisponde alle tante masse che vivono ormai al di fuori e non più si identificano con esso a causa di scelte di vita, di sistemi etici e filosofici non più conformi ai principi evangelici e agli insegnamenti della Chiesa, è più numeroso rispetto a chi condivide tutto questo. Da qui l’invito accorato rivolto ai suoi diretti collaboratori, ma indirettamente a tutta la diocesi: «Scendiamo tutti con zelo in mezzo alle turbe, raccogliamole in associazione all’ombra della croce, rechiamo loro lo spirito di Gesù Cristo. Il peccatore oggi difficilmente cerca il sacerdote. Come ieri il liberalismo ci 21
Cfr. ibid., 163-165.
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alienò le classi abbienti, così oggi il socialismo ci aliena il popolo. Quando avremo fondato delle associazioni e avremo aiutato il popolo a risorgere dalla miseria che l’opprime; quando l’avremo fatto nostro e noi ci saremo fatti suoi salvatori, allora, dopo trattati gli interessi del corpo, ci sarà agevole trattare gli interessi dell’anima. Creeremo nelle nostre associazioni un ambiente nuovo, pieno di fede, di Gesù Cristo»22.
È interessante notare come Sturzo leghi l’impegno pastorale presbiterale alla promozione di una cultura nuova fondata su valori evangelici in vista di una società nuova, più equa, moralmente sana dove esistono rapporti armoniosi, dove vengono superate divisioni, sfruttamenti, distinzione di classi: una società di fratelli che viaggia verso la patria del cielo, in vista di quella unità e comunione con il Padre comune che è Dio. L’impegno per il sacro, per una pastorale sacramentale non può essere disgiunto dalla promozione umana e culturale, perché l’opera di evangelizzazione porta a sentirsi missionari fuori dalle mura della Chiesa, lì dove vive l’uomo23.
3. La missione e l’identità del sacerdote Se il ministero del sacerdote si svilupperà adeguatamente e sarà una costante proposta del messaggio evangelico, esso avrà come conseguenza e come effetto la demolizione di ciò che Mario Sturzo chiama «la congerie degli errori, dei falsi sistemi che impediscono l’attuazione sociale del Cristianesimo: ricostruire l’edificio del bene socialmente, come uno dei mezzi per richiamare al bene gli individui»24.
È chiaro l’invito che Mario Sturzo fa a tutti e in modo particolare ai sacerdoti: è lo stesso invito pronunciato solennemente da Leone XIII: «Uscite di sacrestia»; anzi nel corso della sua I Lettera non esita a dire «Usciamo»25. Il bisogno di scendere in campo e di svolgere il suo mandato episcopale al di fuori dei luoghi tradizionali, e di buttarsi in prima persona nell’agone culturale e sociale del tempo viene avvertito come 22
M. STURZO, I Lettera, 27. Cfr. ibid., 24. 24 Ibid., 26. 25 Ibid., 27. 23
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urgente anche per la sua persona. È convinto che il suo ministero non possa ispirarsi al modello di vescovo chiuso nel suo episcopio, distante dal popolo, indifferente alle gravi situazioni in cui versa la sua gente, incapace di far sentire la sua voce di apostolo mandato a evangelizzare, santificare e governare il popolo a lui affidato: in poche parole non si può preoccupare solamente dei suoi interessi e di quelli interni alla gestione della diocesi. Da qui poi l’impegno personale che maturerà quando comincerà a pensare alle lettere pastorali, al bollettino mensile diocesano, alle lettere circolari indirizzate ai suoi sacerdoti, ai convegni, ai sinodi, alle continue visite pastorali come occasioni per scendere tra la sua gente; non si sottrarrà ai continui inviti a predicare interi quaresimali perché bisogna “uscire di sacrestia”. Da questo punto di vista Mario Sturzo può essere considerato un antesignano della realtà mediatica di oggi perché utilizza tutti gli strumenti a sua disposizione per essere vicino alla gente, per entrare in ogni famiglia, in ogni associazione e parrocchia e far sentire la sua parola di pastore e maestro. Delinea chiaramente le modalità per realizzare il ministero ordinato, perché ha davanti a sé una situazione culturale diversa dalla precedente, con prospettive, difficoltà e possibilità che sono da attenzionare. «Ciò che più si lamenta oggi è che i più si rimangono tappati in se stessi, a impegnare tutta la loro attività per poche donne, buone per altro, ma poche e donne. Ciò è desolante. Usciamo di sacrestia, per rendere la società tutta un gran tempio»26.
L’esercizio del ministero presbiterale non si può limitare solamente a quanto si realizza dentro le mura della Chiesa, ma ci sono ben altri ambiti e modalità che non si possono trascurare, altrimenti si rischia di snaturare l’identità del sacerdote e soprattutto la missione stessa della Chiesa. Nel corso della sua I Lettera rivolgendosi ai parroci, così afferma: «Voi parroci avete il principale dovere di farvi apostoli della restaurazione sociale in Gesù Cristo. Quando avete passato delle ore confessando e fatta l’omelia e i dì festivi e dato il segno di Gesù Cristo a chi nasce e benedetto a chi crea famiglia e a chi si diparte da questo mondo, voi non avete compito il vostro dovere, se parte di vostri parrocchiani sta lontano da Dio. Con nuovi e anche più gravi disagi siete tenuti a recare la ca26
L.c.
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rità di Gesù Cristo ai figli peccatori che né vi invocano, né vi vogliono. Neanche quando tutti gli sforzi vi sarebbero riusciti vani, potreste posarvi, perché allora vi resterebbe di vegliare le notti ai piè di un crocifisso nella preghiera e nel pianto»27.
I parroci in forza del loro ministero hanno questi compiti mai pienamente soddisfatti; non di meno i sacerdoti che non sono in cure d’anime, sono esenti da questi doveri che comunque scaturiscono dal sacramento dell’Ordine, a prescindere dalle forme giuridiche e dalle modalità pastorali in cui si possono esercitare. Nel corso della sua I Lettera si rivolge a questi e ribadisce la necessità di un impegno missionario serio: «Anche a voi che non avete cura d’anime è rivolta la nostra parola. Il sacerdote non è di sé, né della famiglia, né peggio poi, del mondo»28.
Se i cambiamenti culturali e sociali in atto all’interno di una società creano fermenti, disagi, novità al vissuto del singolo come dell’intera società, è importante stabilire quali devono essere i fondamenti ontologici della persona, perché dalla chiarezza di tale identità dipende la ricerca o l’adeguamento delle modalità di realizzazioni concrete e quindi la dimensione morale che ognuno nella propria condizione di vita realizzerà nella quotidianità. La questione ruota attorno alla domanda fondamentale: Chi è il sacerdote e che visione di Chiesa si ha perché il ministero presbiterale si svolga nella Chiesa, per la Chiesa e per la società? Le modalità di realizzazione del ministero presbiterale o i ruoli e le funzioni del sacerdote dipenderanno dalla risposta data a tale questione. Se dovessimo affermare che il sacerdote è solamente l’uomo del culto o è chi si fa carico dei problemi della comunità affidatagli, avremo certamente identificato aspetti importanti del ministero presbiterale, ma non completamente esaustivi; se fermiamo l’attenzione a un aspetto, potremmo ridurre il presbitero all’ambito del sacro, tutto dedito al culto; nell’altro caso il sacerdote potrebbe essere identificato con un operatore sociale, preoccupato a sovvenire alle necessità del suo popolo e a studiare forme e modalità per aiutare la sua comunità nei bisogni concreti. Modelli diversi di ministero presbiterale, che 27 28
Ibid., 27-28. Ibid., 28.
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hanno riferimento a visioni ecclesiologiche; modelli che storicamente si sono realizzati perché sollecitati da situazioni storiche particolari e quindi rispondenti a istanze ecclesiali o sociali particolari. Leone XIII affermava nella Rerum Novarum che bisogna uscire dalla sacrestia e impegnarsi in favore della società, del mondo operaio, dei ceti sociali deboli e creare una società restaurata dall’opera redentrice di Cristo, caratterizzata dalla presenza di valori cristiani, i quali venivano trascurati dalle nuove ideologie e quindi dal nuovo contesto culturale che si era venuto a formare. Queste affermazioni leoniane, destinate a sottolineare l’impegno della Chiesa nel sociale, presuppongono una nuova concezione ecclesiologica: non una Chiesa chiusa in se stessa, curante del culto e poco attenta ai problemi dell’uomo, ma una Chiesa più preoccupata del sociale, che sia fermento della stessa società e faccia sentire alta la sua voce, che svolga la sua missione evangelica in modo da costruire una società fondata su veri valori, restaurata in Cristo. È evidente che il ministero del presbitero si realizzerà e maturerà tenendo conto di questi nuovi impulsi, nuove istanze teologiche ed ecclesiologiche e nuovi fermenti culturali. Ma chi è il sacerdote per mons. Mario Sturzo? Fin dalla sua I Lettera del 1903 rivolgendosi ai sacerdoti identificati come suoi essenziali collaboratori, egli afferma: «Il sacerdote non è di sé, né della famiglia, né peggio poi, del mondo. Egli è l’uomo di Dio per il bene degli uomini: pro hominibus constitutur (Eb 5,1). Anche voi stringe il dovere di tornare Gesù Cristo a regnare nelle anime della società. I teologi, dopo di aver studiato il caso, se il sacerdote non ancora abilitato alle confessioni perché gli manca la dottrina, abbia o no il dovere di rendervisi idoneo, e, dopo aver difeso e combattuto le varie opinioni, son concordi in ultimo nell’affermare, che se c’è urgente bisogno di confessori ha certo grave obbligo di rendersi idoneo alle confessioni, appunto perché sacerdote. Generalizziamo il caso. Non urge il dovere solo quando i figli chiedono il pane di vita eterna e non c’è chi lo spezzi; urge anche di più quando i figli sono divenuti stolti che non solo non chiedono il pane, ma lo respingono. Oggi adunque nessuno potrebbe dire con buona coscienza di non lavorare per non avere obbligo di giustizia. C’è la carità che ci spinge forse con più forza: caritas Christi urget nos. Nei tempi anormali, adunque, il semplice sacerdote, con debiti riguardi può considerarsi non obbligato. Quando l’opera dei parroci non basta più, ogni sacerdote diviene un parroco e come nei casi di estrema necessità anche il semplice sacerdote ha l’obbligo di soccorrere all’altrui anima anche col pericolo della propria vita; così nei casi di grave necessità ha l’obbligo proporzionato di cooperare al bene dei
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popoli. E che si sia nella grave, lasciate che ripetiamo grave necessità, nessuno è che ne dubita»29.
In questa citazione è chiaro il riferimento non all’esercizio solamente del ministero, ma alla dignità e identità del sacerdote e al dovere che scaturisce dall’essere sacerdote e che consiste nel non rimanere indifferente di fronte all’urgente necessità di esercitare il proprio ministero, perché il momento storico viene definito come veramente delicato. Il clero chiamato ad essere in comunione con il pastore, ma unito anche a tutto il laicato ha una sola preoccupazione: rendere la diocesi una Chiesa viva. È interessante la concezione ecclesiologica presente in Mario Sturzo e la sottolineatura insistente sull’aspetto comunionale: laici e chierici costituiscono la realtà della Chiesa. «Anche a voi del laicato è rivolta la nostra parola, perché anche di voi abbiamo bisogno per l’opera della restaurazione sociale in Gesù Cristo, che ridonda principalmente a vostro vantaggio temporale e più, spirituale. Voi delle classi alte, voi delle classi umili, voi spiriti eletti, dedicati allo studio, voi anime semplici consacrate al lavoro manuale, tutti appelliamo, tutti vogliamo cooperatori, tutti stringiamo al seno come fratelli e figli in Gesù Cristo. L’opera vostra e quella del clero disposta, renderanno presto, codesta illustre diocesi l’oasi fortunata in mezzo al deserto della odierna desolazione»30.
Il rinnovamento della società auspicato da Mario Sturzo esigeva una nuova formazione di coscienze: questo è soprattutto il compito del sacerdote: «Aggiungiamo subito che la formazione delle coscienze deve stare in cima a tutti i pensieri e quindi che ogni associazione, qualunque sia per essere la sua indole e il suo fine prossimo, deve assegnare un posto segnalato alla cultura non solo religiosa, ma anche civile e sociale […] i sacerdoti in modo speciale e i buoni laici ai quali Dio concede la grazia di questo apostolato, nella esuberante carità del loro cuore, sapranno trovare e moltiplicare i mezzi di cultura e formazione della mente e del cuore. Ma, come evidente, per formare gli altri, bisogna prima aver formato se stessi. Per quel che riguarda i doveri religiosi c’è poco da osservare. Essendo in essi ogni sacerdote maestro; non è così per l’altra parte di cultura; quindi vogliamo che in ogni comune della diocesi si fondino circoli di 29 30
Ibid., 28-29. Ibid., 29.
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cultura aventi principalmente ed anche esclusivamente il fine di formare dei veri e propri apostoli propagandisti»31.
Per Mario Sturzo l’idea di un clero formato, aperto a comprendere le provocazioni culturali della società in pieno fermento, è assillante. E se riconosce che ogni sacerdote è maestro per ciò che concerne i doveri religiosi, per altro verso si accorge che non è così per la formazione culturale. Da ciò si evince che il vescovo abbia l’impressione di avere un clero competente su ciò che riguarda il sacro, sulla pastorale sacramentale, sul culto, mentre lo stesso clero è difettoso e incompetente in altri ambiti, perché privo di una formazione culturale adeguata. Il bisogno di fondare circoli di cultura, di istituire biblioteche parrocchiali con buoni libri di formazione e con la diffusione della buona stampa è determinato dal bisogno di creare un nuovo ambiente culturale. La buona stampa è destinata a combattere lo spirito ateo e pagano che va avanti attraverso una colluvie di libri, opuscoli, giornali che ormai sono presenti dappertutto, corrono per le mani di tutti, penetrano nelle famiglie e diventano pascolo quotidiano delle tenere vite che dovrebbero schiudersi alla luce del vero. È necessario diffondere la buona stampa. I sacerdoti sono invitati a diventare apostoli della buona stampa con la parola e con l’esempio32. Mario Sturzo scommette continuamente sull’assistenza amorosa e illuminata del clero in vista di un’opera di santificazione da realizzare per tutta la diocesi. Nelle sue prime lettere, Sturzo manifesta la profonda convinzione che la soluzione del problema dello sviluppo della Sicilia e della sua promozione fosse innanzitutto una questione culturale, morale, religiosa, per cui manifesta l’impegno per fare recuperare una nuova dimensione pastorale alla missione del suo clero in modo da far rinascere nel popolo una fede motivata da cui far derivare coerenti atteggiamenti morali. Sturzo è convinto che per operare una riforma profonda di costume e mentalità tra la gente bisogna iniziare dal prete. Delinea già la figura di un prete culturalmente preparato, spiritualmente formato, pastoralmente attivo, vicino alla gente, pronto ad interessarsi della salvezza integrale dell’uomo, sull’esempio di Cristo. La missione sacerdotale se non si riduce ad essere so31 32
M. STURZO, II Lettera, 5. Cfr. ibid., 5-6.
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lo un mestiere redditizio per accrescere il prestigio sociale ed economico del proprio parentado, da molti preti è sprecata nell’organizzazione di feste rumorose di sapore barocco, e in interminabili liti di sacrestia. Tutti questi condizionamenti ambientali, aggravati dal mantenimento di condizioni anacronistiche, accettate dalla maggior parte dei preti in modo acritico, influiscono negativamente sui sacerdoti33.
4. Il Seminario L’8 dicembre 1902 Leone XIII pubblica una lettera enciclica rivolta all’episcopato italiano dal titolo Fin da principio34 sulla formazione del clero in Italia. Di fronte alle mutate condizioni sociali Leone XIII considera urgente il dovere di curare l’educazione del clero, per restaurare la vita cristiana nel popolo. La preoccupazione del papa è quella di preservarlo da influenze perniciose, richiamando i veri principi che debbono regolare l’educazione ecclesiastica e tutto il ministero sacro. Viene ribadito il principio che il sacerdozio cattolico, divino nella sua origine, soprannaturale nella sua essenza, immutabile nel suo carattere, non sia adattabile alle opinioni e ai sistemi umani. Il sacerdozio è una istituzione soprannaturale, superiore a tutti gli istituti terreni, è partecipazione al sacerdozio eterno di Gesù, istituito per perpetuare la sua missione. Il mandato del sacerdote è operare la salute eterna delle anime. Il sacerdote viene definito come un “altro Cristo”, “legato”, “ministro di Cristo”, “dispensatore dei suoi misteri”, “intermediario tra il cielo e la terra”, “maestro”, “medico”, “pastore delle anime che guida a un fine che supera il tempo presente”. Il clero si deve adeguare ai bisogni del tempo e non cedere a correnti deplorevoli quali il naturalismo, il socialismo e il fascino di ogni novità. A tal fine viene raccomandata la cura dei seminari che sono destinati a preparare i giovani non ad uffici umani ma all’alta missione di ministri di Cristo. Leone XIII invita ad attenersi agli studi filosofici e teologici così come stabilito dalla Santa Sede; a ospitare in seminario solamente coloro che devono consacrarsi al ministero i quali, separati da tutti, devono evitare contatti con l’esterno. 33 Cfr. M. PENNISI, I movimenti laicali in Sicilia. Sturzo e la Sicilia, in La Chiesa di Sicilia., cit., 906-907. 34 LEONE XIII, Lettera Enciclica sulla formazione del clero in Italia Fin da principio, 08.12.1902.
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Si parla di espulsione di coloro che manifestano tendenze poco convenevoli alla vocazione e per l’ammissione dei candidati si domanda di essere ponderati. La cura e la formazione viene estesa nei primi anni di ordinazione; i giovani candidati devono essere pure ammaestrati su questioni sociali e sulla Democrazia Cristiana. Di cura di vocazioni sacerdotali e della pastorale destinata a far maturare germi vocazionali parla pure Mario Sturzo in una lettera del dicembre del 1940 dal titolo La Vocazione35, che scrive dopo aver ricevuto una missiva della Congregazione dei Seminari con la quale si invoca l’opera a favore delle vocazioni, perché di anno in anno diminuiscono. Il motivo della crisi viene identificato da mons. Sturzo principalmente nello scadimento della vita cristiana in famiglia. Il lavoro di apostolato deve comporsi a unità. Il punto specifico di questa unità è la vocazione: vocazione al cielo, vocazione alla santità alla quale siamo tutti chiamati, vocazione al sacerdozio e al matrimonio36. Per avere vocazioni sacerdotali mature e motivate è importante la cura dell’ambiente e di una sana educazione, così afferma pure nella lettera L’educazione nelle sue ragioni supreme: «Chi abbraccia lo stato religioso lascia il mondo, esce dal mondo. Così si dice comunemente […] e si dice anche di quelli che in realtà restano nel mondo, come sono i preti secolari […] restano nel mondo e ciò nonostante escono dal mondo, perché si separano almeno con lo spirito, non solo dalle vanità del mondo, ma anche dai suoi raggi, da una serie di beni che non sono il meglio e di cui fruiscono e godono quelli che non abbracciano nessuno stato religioso»37. La buona educazione prepara la scelta vocazionale, perché essa è educazione al cielo e poi educazione alle varie scelte particolari38.
Nella sua I Lettera mons. Sturzo manifesta la volontà di prestare attenzione ai presbiteri, che sono i suoi diretti collaboratori e al Seminario, semenzaio di speranza per tutta la diocesi. La preoccupazione del vescovo viene anche avvalorata dall’invito del papa ad attenzionare clero e Seminario. Da notizie ricavate da documenti inediti e da lettere riservate, si sa che negli ultimi anni di episcopato del vescovo Mariano Palermo (1887-1903), predecessore di mons. Sturzo, la diocesi tutta aveva vissuto un periodo di rilassamento genera35
M. STURZO, La Vocazione, in Alla scuola di Gesù, Torino 1941, 233. Ibid., 234-235. 37 M. STURZO, L’educazione nelle sue ragioni supreme, Torino 1938, 132. 38 Cfr. ibid., 125-128. 36
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le, a causa dei cambiamenti culturali e sociali in atto: siamo nella seconda metà dell’Ottocento, dopo i fatti legati all’unità d’Italia, la presa di Roma, la confisca dei beni ecclesiastici e la soppressione di tanti ordini religiosi, conventi e attività sociali legati all’ambiente ecclesiastico. Si respira un forte clima di ostilità e indifferenza verso la Chiesa. Il Seminario non è esente da questi forti contrasti e accese contraddizioni. La responsabilità della formazione dei futuri sacerdoti viene affidata da mons. Mariano Palermo a un suo nipote, Biagio che, secondo testimonianze orali ricevute, non avendo le capacità idonee a tale ufficio, porta l’intera comunità del Seminario a un rilassamento generale e a un declino ormai irreversibile. Molti che entravano in Seminario avevano altri interessi che quello di diventare sacerdoti e quindi uomini di Dio; altri guardavano solamente ai vantaggi materiali che ne venivano per se e per le famiglie e la possibilità di una sistemazione economica sicura; altri attenzionavano il prestigio sociale che ne derivava per l’interessato o per la famiglia qualora uno di essi accedesse al sacerdozio; c’erano però quelli che volevano fare sul serio e ricevere una formazione spirituale, teologica, culturale idonea allo svolgimento del ministero per il quale si sentivano chiamati e per accedere al sacerdozio con competenza, dignità e serietà. Il nuovo vescovo, al suo arrivo in diocesi, ha chiara la situazione in cui versa il Seminario: vede la gravità del problema e il pericolo immane che ne deriva. L’unica decisione da prendere con urgenza è quella di purificare e rinnovare il Seminario: questa è l’occasione per cui scrive una delle sue lettere pastorali più toccanti e sofferte che ci aiuta a comprendere la concezione di presbitero che mons. Sturzo ha, le caratteristiche fondamentali che deve possedere, l’iter di formazione spirituale, teologica e umana che il futuro presbitero deve seguire e gli obiettivi importanti che il ministero ordinato deve raggiungere nella e per la Chiesa. La decisione di rinnovare e riordinare il Seminario comportava l’atto di epurarlo e per arrivare a ciò occorreva licenziare i seminaristi e chiudere temporaneamente, in attesa di una nuova riorganizzazione interna. I seminaristi che erano in sacris continuarono il loro corso di formazione e di studi, mentre tutti gli altri furono dimessi. La decisione di mons. Sturzo fu molto sofferta, perché sollevava un gran polverone di proteste, di lamentele; prestava il fianco ad 29
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amari attacchi e velenose critiche violente nei suoi confronti: un gesto che a distanza di tempo, si può considerare profetico, altamente terapeutico, profondamente coraggioso, ma certamente indispensabile in un momento particolare. Prima di prendere una tale decisione si preoccupa di informare la Santa Sede, il Capitolo della Cattedrale, i Superiori e gli insegnanti del Seminario. È una decisione grave, un atto di coraggio forte che il vescovo compie nei confronti del suo Seminario; tutto ciò fatto con amarezza, profondo dolore, spirito di fede e preghiera. Nella lettera scritta per l’occasione manifesta tutto ciò apertamente: «Intenti al riordinamento del nostro Seminario in un lavoro continuo, intenso, trepido, erano […] trascorsi i primi mesi del nostro episcopato; quando ad un tratto la nostra mano, che tutti i giorni si era levata benedicendo con affetto paterno i giovani leviti, la parte prediletta del nostro gregge, si dovette ancora levare, non più per benedire, ma per firmare un decreto di generale espulsione. Quale sia stato lo schianto del nostro cuore non riusciamo ad esprimerlo; come non riusciamo, senza che lo schianto non si rinnovi, a ripensare che giovani, i quali s’avviano al sacerdozio della mitezza e della carità, abbiano potuto insorgere contro quell’Autorità, che è posta dallo Spirito Santo a governare la diocesi, ed alla quale avrebbero più tardi dovuto promettere obbedienza e riverenza»39.
La decisione di chiudere il Seminario è un atto sofferto, che amareggia il vescovo perché molti seminaristi e molti familiari di essi, non comprendendo il provvedimento, si ribellavano protestando accanitamente e spesso con violenza. Tuttavia Mario Sturzo ha la convinzione che il Signore sappia trarre da tutto ciò un beneficio per la sua Chiesa, per questo motivo chiede consiglio e invoca preghiere non solamente dal papa, ma anche dai suoi collaboratori, a cominciare dal Capitolo dei canonici, per arrivare ai parroci. Da costoro ha ricevuto unanime consenso e grande solidarietà, tanto da fargli dire: «I vostri telegrammi, le vostre lettere singolari o collettive, lo slancio col quale vi siete stretti attorno al vostro Pastore, quasi per sostenere l’opera sua, ci hanno edificato e commosso. Ringraziato sia Dio! Vediamo bene che la diocesi tutta riconosce il dovere che noi abbiamo di dare alla Chiesa sacerdoti pii ed illuminati»40. 39 40
M. STURZO, Il Seminario, Roma 1905, 3-4. Ibid., 6.
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Il degrado nel quale è pervenuto il Seminario corrisponde al degrado che si constata nella società; le cause possono essere diverse, ma alla fine si possono sintetizzare in una sola: l’egoismo. «Per via dell’egoismo è possibile che venga smarrito l’ideale del sacerdozio e capovolti i termini: — a misura che il puro ideale del sacerdozio viene smarrito, è impossibile che la società non se ne risenta più o meno profondamente: — ogni corruzione del pensiero umano in quanto etico o avente relazione con le fila della vita, trova la sua origine naturale nella corruzione dei sacerdoti»41.
A causa di questo male, nel tempo si è affievolito il vero ideale che deve accompagnare qualunque percorso educativo e formativo, per cui è venuta meno anche la volontà di colui che deve prepararsi al sacerdozio, non avendo motivazioni chiare e forti. Scade di tono l’iter formativo e degenera la tipologia del sacerdote da incarnare nella Chiesa e nella società. L’umanità tutta è soggetta alla legge della corruzione e purtroppo anche il sacerdozio non ne è esente, e perciò spesso viene sfigurato sia nella mente che nel vissuto dei singoli. Secondo mons. Sturzo a volte capita di trovare individui che scelgono il sacerdozio come una professione tra le altre, come possibilità e mezzo per accumulare ricchezze ed onori o per pervenire ad un livello sociale più felice: il sacerdozio per l’individuo e per i suoi vantaggi e non l’individuo per il sacerdozio42. Sturzo pensa che delineare l’ideale del Seminario sia un suo «gravissimo dovere»43. «L’ideale di ogni Seminario non è e non deve essere che il Sacerdozio: come l’ideale del sacerdozio non è che la gloria di Dio e la salvezza delle anime»44.
Alla luce di questo principio teologico ed ecclesiologico del ministero ordinato esamina e verifica le diverse concezioni di sacerdozio realizzate nella storia, espresse da tipologie differenti, per cui chi differisce da tale visione o ideale alla fine si può considerare 41
Ibid., 13. Cfr. ibid., 7. 43 Ibid., 6. 44 Ibid., 7. 42
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condizionato e strumentalizzato da questi traviamenti che sono retaggio della corruzione45. Sturzo afferma che nel passato erano tanti quelli che cercavano il sacerdozio per motivi esclusivamente personali e materiali, come i grandi onori o le pingue prebende. Coloro che arrivavano al sacerdozio con queste motivazioni dovevano arrivarvi già con gli animi corrotti, guasti e incapaci di adempiere i doveri legati al proprio stato di vita, per cui si ebbero nella Chiesa le piaghe della simonia e del concubinato46. Le ripercussioni si ebbero anche all’interno della società; in quel periodo storico è facile che la nobiltà fomentasse la corruzione. La Chiesa ebbe grandi eroi, ma il male inquinava anche la stessa società fino a provocare scissioni, apostasie e ateismo. È evidente il bisogno d’un ministero che continui l’opera di Gesù Cristo, che abbia la funzione speciale di derivare sugli uomini i tesori della Redenzione47. Proprio perché l’umanità è decaduta a causa del peccato, il Signore ha pensato al sacerdozio e mons. Sturzo utilizzando la 1Cor 4,1 ed Eb 4,1-3 lo definisce quale continuazione del ministero salvifico di Cristo e indica i sacerdoti quali dispensatori del mistero di Dio48. Al fine di sottolineare il dovere del chiamato di conformare tutta la sua vita all’ideale abbracciato, mons. Sturzo fa una distinzione tra il sacerdozio-ministero e il sacerdozio-apostolato. Per quanto riguarda il sacerdozio-ministero, il sacerdote con la sua bontà o malvagità in nulla modifica l’essenza del sacerdozio, ragion per cui la Parola e i sacramenti amministrati da un sacerdote cattivo producono gli stessi effetti e hanno lo stesso valore di quelli celebrati dal sacerdote giusto. Potremmo dire che la efficacia sacramentale non dipende dall’ex opere operantis, ma dall’ex opere operato, cioè dal mistero stesso e non da chi amministra in quel momento la parola e i sacramenti49. Però il sacerdozio è anche apostolato, non è un fatto meccanico, che produce i suoi effetti indipendentemente dalle disposizioni o dalla volontà degli uomini. Il sacerdote è un mediatore, perché placa e
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Cfr. ibid., 7-8. Cfr. ibid., 8. 47 Cfr. ibid., 15-16. 48 Cfr. ibid., 16. 49 Cfr. l.c. 46
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rende propizio Dio ed impetra le grazie; nello stesso tempo dispone gli uomini perché ricevano le grazie e liberamente cooperino con Dio50. «Anche la sua missione per riguardo agli uomini è quella di indurli a conoscere e volere»51.
Egli compie questa parte della sua missione o ufficio in due modi: con l’esempio e le opere di zelo. Per quanto riguarda l’esempio va notato che il sacerdote ha il doppio dovere di non porre ostacolo alla corrispondenza degli uomini alla grazia e di renderla più agevole e anche di concorrere a determinarla52. Per mons. Sturzo queste distinzioni non sono superflue, perché il sacerdote ha l’obbligo grave di adoperarsi per la salvezza delle anime e anche di non causare nessun danno ad esse. Non tutti i sacerdoti intendono il dovere di conformare la loro vita all’ideale del sacerdozio; per questo mons. Sturzo sottolinea l’amara constatazione di parecchi sacerdoti che manifestano contraddizioni e forti contrasti tra quello che sono e quello che fanno, tanto da divenire di ostacolo alla corrispondenza dei fedeli. Se molti non hanno un vissuto coerente, ciò non attenua il dovere che abbiamo tutti a corrispondere tanto che Gesù mette in guardia i discepoli (Mt 23,2-3) dal non imitare gli scribi e i farisei, a non badare alla loro vita, ma al loro insegnamento, cioè alla loro dottrina. Cita pure Rm 14,13-15.19-20 che mette in guardia dal provocare scandali. Mons. Sturzo sintetizza quanto detto con una frase: «Il Vangelo del popolo è la vita dei sacerdoti»53. Per il popolo la vita dei sacerdoti diventa testimonianza efficace e credibile di quello che annunciano e quando ciò non accade, si viene a formare qualche scandalo ed è lo stesso popolo allora che afferma: «Fanno perdere la fede»54. Viene così dimostrato il contrario: tanto più l’insegnamento è avvalorato dalla testimonianza coerente del sacerdote tanto più il suo ministero è efficace ancora di più. 50
Cfr. ibid., 16-17. Ibid., 17. 52 Cfr. l.c. 53 Ibid., 18. 54 Ibid., 19. 51
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«Anzi possiamo affermare che l’influsso della grazia cresce in proporzione dell’accostarsi della vita dei sacri ministri all’ideale del sacerdozio. Di modo che quando la corrispondenza è piena, abbiamo anche la pienezza dell’apostolato, che commuove i popoli, li fa quasi uscir di sé, li rigenera; lasciando di sé tracce luminose ed imperiture»55.
Se il ministero sacerdotale consiste nel disporre gli animi a ricevere le grazie, senza l’opera del sacerdote i divini misteri da nessuno sarebbero ricevuti, per cui è fondamentale l’esercizio di tale ministero e sarebbe un gravissimo errore pensare che la vita del sacerdote sia superiore ai divini misteri, ma il sacerdote e il suo operato sono in funzione dei divini misteri, per cui tutti i sacerdoti hanno i medesimi poteri e nelle mani di ciascuno di loro stanno i tesori della grazia56.
5. Caratteristiche e attitudini del seminarista nella lettera pastorale Il Seminario L’esercizio del ministero sacerdotale è così importante che Gesù stesso invita a farne oggetto di preghiera. Cita Mt 9,36-38 in quanto l’esempio della messe richiama alla mente la necessità dell’opera dell’agricoltore, del pastore che guida il gregge stanco o facile a smarrirsi. Il sacerdozio è idoneo alla santificazione se vi sono dei sacerdoti zelanti, così come insegna Paolo in 2Tm 4,2; di conseguenza la corruzione dei sacerdoti è una delle più funeste cause di pervertimento sociale che rende difficile l’opera di restaurazione in Cristo Gesù. «Il sacerdote, come continuatore dell’opera di Gesù Cristo non potrà corrispondere convenientemente alla sua missione, se prima non farà suo lo spirito di quell’opera sovrumana»57.
Per Sturzo «Il sacerdozio ha la missione di convertire e santificare le anime; […] la società secondo lo spirito del Cristianesimo; missione alla quale non potrà corrispondere, se non concepirà il sacerdozio come apostolato del 55
Ibid., 19. Cfr. ibid., 19-20. 57 Ibid., 22. 56
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tempo, in cui si svolge. Il quale concetto però non deve prendersi come parziale, ma come integrale, perché riguarda tanto la vita individuale, quanto la collettiva»58. «Ed è per questo che la religione cattolica non fu e non potrà mai essere un affare personale e privato, né potrà mai perdere la sua virtù trasformatrice anche dei rapporti che restano nei rapporti del puro naturale: ciò posto non sarà mai fruttuoso un apostolato, se non riguarda l’umanità nella sua sintesi e non si adopera a santificare la vita collettiva. I santi Pietro e Paolo andarono a Roma per esercitare nella città capitale del mondo il loro apostolato. È questo un fatto provvidenziale che spiega a meraviglia quel che noi diciamo. Perché il cristiano che non avesse rigenerato tutta l’umanità nell’esplicazione di tutti i rapporti della vita, dal campo speculativo, al pratico; dalla famiglia allo stato; sarebbe rimasta una religione sterile, destinata a perire. Infatti l’uomo come essere razionale è anche socievole; e come socievole, non può non vivere la vita della collettività»59.
Per il vescovo di Piazza Armerina il concetto di sacerdozio è importante perché determina la concezione del Seminario60. «L’uomo in questo cammino dal tempo all’eternità, trova aiuto o contrasto, è portato avanti o spinto verso l’abisso dalla forza dell’ambiente. Quindi il sacerdote per essere l’apostolo della restaurazione in Gesù Cristo degli individui per sé, dell’ambiente per gli individui, deve di necessità essere l’apostolo del suo tempo»61.
La missione del sacerdote è la santificazione delle anime, purtroppo molti intendono ciò in modo ristretto e si crede che quando si è annunziata la legge evangelica o se ne è inculcata l’osservanza o in modo generico si è segnalato il male, non ci sia altro da fare. «Se pure la costoro attività non si consumi in rimpiangere il passato, condannare in blocco senza distinzione, tutto il presente, scusare la propria inerzia col gelato “non si può far nulla”; contenti di occuparsi senza troppo affanno dei pochi o delle poche, che chiedono l’opera loro sacerdotale; convinti che la fede del popolo cercanti feste più esterne, che interne, più civili, che religiose, più spettacolo che feste, sia vera fede e non piuttosto espressione tradizionale d’una fede seppellita nel fondo del cuore, languida, senza luce, senza coscienza, adagiantesi comodamente a parte58
Ibid., 24. Ibid., 22-23. 60 Cfr. ibid., 25. 61 Ibid., 28-29. 59
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cipare, così alla festa di un Santo, come ad una dimostrazione contraria alla religione del Dio dei santi; fede che potrebbe essere ravvivata da una vero apostolo, ma che potrà essere spenta del tutto da un soffio più violento del male»62.
Abbiamo così due tipi di sacerdoti: «Il primo si limita alla scienza di un tempo, credendo che essendo scienza assoluta, si corrompa con il moto; il secondo, distinguendo nella scienza di ciò che è assoluto da ciò che è relativo, si muove con il pensiero, con l’umanità, con lo spirito di Dio che lo conduce: derivando da ciò che è assoluto […] le nuove applicazioni per la restaurazione di ciò che è relativo […] Il primo è come il contadino, che si affatica solo a tagliare le male erbe; il secondo è come l’agricoltore, che strappa le male erbe sin dalla radice e si adopera nel medesimo tempo alla cultura generale e scientifica dei campi. Il primo guarda come nemica la società che gli sta attorno; il secondo come inferma; il primo vorrebbe, se fosse possibile, staccare gli individui dalla società, il secondo si adopera a ricomporre la società secondo le leggi di carità e di giustizia, affinché gli individui gli possano esplicare tutte le attività di natura e di grazia; il primo rimpiange il passato; il secondo prepara l’avvenire; il primo vive con i morti; il secondo si immola per i vivi; il primo volendo creare eroi, non crea neanche cristiani veri; il secondo, attenendo a formare i cristiani nello spirito e nelle opere, prepara anche la via agli eroi; il primo è come straniero in mezzo ai cittadini; il secondo diviene il primo dei cittadini. La conseguenza è, per la legge del moto la società si allontana dal primo; mentre il secondo non solo si muove con quella, ma riprende il posto che gli tocca per missione, di precederne e di indirizzarne il cammino. Il sacerdoteapostolo mette con Pietro il dito nelle ferite sanguinanti dell’umanità; entra con Paolo nell’areopago; affronta Attila con Leone; incivilisce il barbaro con Benedetto; anima alla liberazione del Santo Sepolcro con Pietro l’Eremita; entra negli ospedali e proclama in un secolo egoista la legge di carità con Vincenzo de’ Paoli; si spinge con i figli del popolo con Don Bosco; con la Rerum Novarum in mano, si mette alla testa degli oppressi con Manning […] ed il primo? Che cosa gli resta da fare, se non fa tutto questo?»63.
Nel corso della lettera si parla del sacerdote-apostolo in questi termini: «Il sacerdozio è così connesso con l’umanità che, se non la santifica, la corrompe o se la vede corrompere da sé come corpo, dal quale si sia separato il principio vitale; che non ha da sé la virtù santificatrice, ma che è di62 63
Ibid., 29-30. Ibid., 30-31.
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spensatore dei tesori santificanti della Redenzione ed ha la missione di disporre gli uomini a riceverli; che la sua azione è diretta alle anime per sé ed alla società per le anime; e finalmente che il suo apostolato non è ordinato alle anime ed alle società astrattamente prese; ma a date anime ed a data società; che è quanto dire, che egli è l’apostolo del suo tempo»64. «Ed ecco sgorgar spontanea la necessità del tirocinio e la convenienza che questo tirocinio sia corso con disciplina e con sistema: l’origine, la convenienza, la morale necessità, l’ideale dei seminari»65. «Essendo il sacerdozio per sé, per gli effetti che produce, per le disposizioni e le corrispondenze che richiede, tutto un insieme di grazie e di doni; non possiamo parlare d’apparecchio e d’abilitazione, senza tener conto della divina vocazione»66,
per cui Sturzo afferma che come nell’ordine della natura dispone la natura e l’uomo vi si abilita con le forze della stessa natura, così per l’ordine della grazia dispone la grazia. Sturzo utilizza due categorie importanti: “vocazione e grazia” che a suo parere si connettono intimamente, richiamandosi. A tutti Dio concede le grazie necessarie per convertirsi e ricevere la fede, perché tutti gli uomini sono chiamati già alla fede. La grazia è un dono gratuito, non conseguibile con le forze della natura, tuttavia non viene da sé senza il concorso della volontà dell’uomo, che consiste non nel semplice consenso o accettazione, ma nella cooperazione, al punto che la grazia e l’uomo divengono come unico fattore delle opere soprannaturali. Il concorso umano non si avrà mai senza la vocazione67. «Or fate che in Seminario entrino giovani senza vocazione, che cosa avverrà? Che essi non saranno capaci di disporsi alle grazie necessarie del sacerdozio. Ciò posto, l’opera dei superiori, che soprattutto consiste nel concorrere a tale disposizione, sarà senza frutto. La conseguenza inevitabile è che si avranno giovani cattivi, chierici nell’abito che indossano, ma non nel cuore; neanche capaci di una bontà comune, come quelli che per la via presa, sono obbligati a una bontà speciale, e per non essere vocati, sono rei di tentata violenza ai disegni di Dio»68.
64
Ibid., 31-32. Ibid., 32. 66 Ibid., 33. 67 Cfr. ibid., 33-34. 68 Ibid., 34. 65
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Sturzo non soltanto sottolinea il male che costoro si provocano con tali disposizioni inadeguate nel tempo presente e in quello futuro; ma parla pure del male arrecato al Seminario. Distingue tre categorie di seminaristi: • coloro che entrano in Seminario per studiare, non per giungere al sacerdozio, ma per avere una buona educazione; • coloro che vanno in Seminario per giungere al sacerdozio ma non per propria scelta, ma per scelta dei parenti; • coloro che per propria scelta vogliono accedere al sacerdozio non solo per fini naturali69. Per quanto riguarda la prima categoria di seminaristi molti pensano che la scelta non sia negativa specialmente in quelle città sprovviste di altri istituti di educazione. Per Sturzo ciò è da condannare perché si verifica uno stridente contrasto di ideali in quanto il cammino educativo del Seminario è orientato alla formazione sacerdotale e non a un ideale generico di vita; qui infatti il tenore della disciplina è speciale sin dal principio e gli anni dell’infanzia sono i più preziosi come i più plasmabili in vista dell’impronta da offrire70. A tal proposito cita i canoni del Concilio di Trento dove si parla di ammettere al Seminario solamente quei giovani disposti a servire Dio e la Chiesa. Per quanto riguarda la seconda categoria di seminaristi che stanno in Seminario per volontà non propria ma dei familiari, questi vedranno il sacerdozio come una vera condanna, andranno vagheggiando altri ideali e nella lotta tra il dovere e la viltà, saranno sempre dei vili, dei pusillanimi; la categoria di seminaristi che stanno in Seminario per motivi e fini umani, è la peggiore, perché umanizza un ideale tutto soprannaturale71. «I primi insegneranno ai compagni a odiare il sacerdozio; i secondi a sfigurarlo; dai primi usciranno più facilmente gli apostati; i secondi, se non giungeranno a tanto, saranno piaga non meno fatale alla Chiesa e alla società: i concubinari, gli usurai, i trafficanti, in una parola i corruttori d’ogni legge umana e divina»72.
Per Sturzo c’è un’altra considerazione da fare. Il Seminario ha il 69
Cfr. ibid., 35. Cfr. ibid., 36. 71 Cfr. ibid.. 72 Ibid., 36-37. 70
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compito di far maturare ancora di più i germi delle vocazioni attraverso la serenità dell’ambiente, illuminato da unica luce e riscaldato da unico fuoco. Ragion per cui mons. Sturzo può affermare che c’è una certa analogia tra sacerdozio e Seminario, per cui come è speciale il sacerdozio, così deve essere speciale l’educazione che deve dare il Seminario. Il giovane non vocato non sarà in grado di conformarsi a un tale ideale che richiede un tirocinio costante di abnegazione. Morire a se stessi, avanzarsi verso una vita di sacrifici non è un fatto di eroismo, ma è un fatto normale: «Giungere quasi spiritualizzato a un ministero, tutto spirituale, superiore alla stessa virtù angelica, partecipazione al sacerdozio eterno di Gesù Cristo: sarà per lui l’esercizio di ogni giorno»73.
Per Mario Sturzo il popolo esige che la vita del sacerdote sia esemplare, per essere guidato non da uomini ma da angeli. Quello stesso popolo per effetto di egoismo, quando si ritrova ad avere parenti chierici scorretti e viziati, si affanna a invocare la legge del compatimento, si appella alla storia della fragilità umana, insiste perché i superiori del Seminario ammettano ai sacri ordini anche quelli privi di virtù ed è in grado di maledire vescovo e superiori giudicandoli senza cuore, capricciosamente rigorosi74. Per Sturzo il sacerdote deve vivere nel mondo il suo apostolato. In tempi di pace si potrebbe anche tollerare un chierico che non abbia se non il minimum delle virtù necessarie, ma in tempi difficili, perché tempi di lotta o di persecuzione, come è il presente, il minimum non risponde al bisogno, sia perché il sacerdote verrebbe travolto dal male e circondato di miserie, e poi perché non si sarebbe atti a nutrire la corrente santificatrice del bene della società. Sturzo fa l’esempio dei lottatori, tanto più aspra è la lotta, tanto più robusti si cercano i campioni. A tal proposito Gesù Cristo impetrò dal Padre una speciale infusione di Spirito Santo75.
6. La formazione dei seminaristi e il curriculum studii Dopo aver trattato del bisogno di motivazioni forti e mature e di un vissuto virtuoso all’altezza della dignità e missione del sacerdo73
Ibid., 37. Cfr. ibid., 38. 75 Cfr. ibid., 38-39. 74
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te, mons. Sturzo tratta della formazione che chiama scienza e alla luce di questo tema legge Mt 5,15-16 e attribuisce al ministero sacerdotale il compito di essere sale e luce del mondo. Gesù «con la parola “siete” accennò alla natura del sacerdozio; col dire “sale e luce” insegnò che il sacerdozio sarebbe stato ministero di cooperazione e di dispensazione; col dire “così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini”, indicò che la vita sacerdotale deve corrispondere alla natura del sacerdozio; con l’unire nel medesimo discorso le due immagini di sale e luce, con unificare le ultime conseguenze in una sola: “acciocché gli uomini vedendo le vostre buone opere”, glorifichino Dio (cioè operino anch’essi bene)”; mostrò che non la sola bontà basta, non la sola dottrina; ma che in tutto il sacerdote deve essere luce»76.
Per mons. Sturzo l’immagine di luce è la più espressiva e comprensiva; la scienza e la pietà nel sacerdote non sono mezzi di abilitazione durante il tirocinio clericale, ma vanno congiunte e integrate, oggetto di quotidiano e perenne esercizio in vista sempre di un continuo perfezionamento, necessarie alla propria e altrui salvezza. Egli chiama l’impegno verso la propria formazione “scienza”, che considera un dovere fondamentale e così concepito illumina l’ideale del Seminario ed offre l’idea di come non sarà mai esagerata la sollecitudine che si ha per rendere buoni e dotti gli alunni, e per generare in loro l’abito dell’orazione e dello studio77. Mons. Sturzo dà orientamenti ben dettagliati per l’organizzazione della formazione del seminarista. «La scienza propria del sacerdozio è la sacra; quindi le scuole proprie del Seminario son quelle delle scienze sacre. Questo però non esclude la forma normale del tirocinio […] che per essere completo e rispondente al suo fine deve avere tre stadi: le lettere, le scienze umane, le divine»78.
Lo studio delle lettere non è fine a se stesso, ma per la vita. Il sacerdozio non ha la missione dell’arte né della scienza, ma è per Dio: il vero e il bello sono impegnati a cantare le lodi di Dio. Tuttavia il sacerdozio ha bisogno dell’arte e della scienza come mezzo e come sussidio. Mons. Sturzo sottolinea l’importanza di tale bisogno che appartiene al sacerdozio e non alla Parola di Dio. Ed 76
Ibid., 39. Cfr. ibid., 40. 78 L.c. 77
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anche se la parola rozza di un ignorante converte e santifica meglio di quella di cento dotti, ciò non significa che bisogna condannare l’arte e la scienza, ma lo spirito del mondo e dimostra che la natura aiuta gli individui a disporsi a ricevere le infusioni della grazia. L’architettura della Chiesa come anche la liturgia si sono serviti dell’arte, della musica, della poesia anche se tutto ciò è sussidiario. In tempo di persecuzioni le conversioni avvenivano grazie alle testimonianze coraggiose dei primi cristiani. Nella vita normale però il sacerdote che volesse trascurare di proposito questi sussidi, peccherebbe. La grandezza di Dio richiede che la sua parola, i suoi misteri, le sue grazie siano trattate col massimo decoro e che la natura si inchini al suo trono e che dove è Dio o si trattano le cose di Dio, l’uomo senta come un’aura di austera bellezza, veda che tutto alla presenza di Dio si colora e si abbellisce79. Mons. Sturzo afferma che nel Seminario gli studi letterari vanno curate con sano discernimento per rendere gli alunni idonei ad avvalersi del sussidio dell’arte, ordinatamente però al fine del sacerdozio. La preoccupazione di garantire un’adeguata formazione agli studenti è motivata dal fatto che molti lasciando il Seminario possano trovare difficoltà nell’essere ammessi in altre scuole. Dopo il ginnasio e prima del corso di teologia c’è un tirocinio di due-tre anni dedicato allo studio della filosofia. Tale tirocinio viene chiamato da mons. Sturzo “perfezionamento” e non liceo, proprio perché dev’essere specifico, cioè ordinato al sacerdozio: dev’essere visto come completamento del corso ginnasiale e di avviamento agli studi teologici80. La disciplina principale e lo studio preponderante è la filosofia, propedeutica alle sacre scienze, infatti in questa scienza il fondamento scientifico è altamente filosofico: speculativo nella dogmatica, pratico nella morale. Il diritto canonico e l’ermeneutica sacra si governano con criteri misti. Da qui la necessità dello studio della filosofia in tutti i suoi rami, dalla logica alla sociologia; altrimenti non si avrebbe più studio scientifico, ma catechismo di cattivo stampo. Inoltre lo studio della filosofia è utile per acquisire una parte di quella cultura generale che conferisce decoro al sacerdozio e che lo rende più idoneo a svolgere la sua missione sociale81. 79
Cfr. ibid., 42-43. Cfr. ibid., 43-44. 81 Cfr. ibid., 44-45. 80
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Mons. Sturzo sottolinea la necessità di avere non un biennio ma un triennio dedicato al corso di perfezionamento82. Egli dopo aver affermato ciò, passa subito a parlare del corso teologico con lo studio delle scienze sacre. Punto di partenza è l’affermazione chiara che il possesso di tale disciplina corrisponda al patrimonio intellettuale dell’ecclesiastico e che lo studio di essa dev’essere inteso come un vero e proprio corso universitario, al termine del quale ognuno dev’essere considerato un vero e proprio maestro e dottore. Ragion per cui lo studio va considerato con sacro rispetto e non lo si può giudicare alla leggera, quasi come il rifugio degli ignoranti o dei reietti delle comuni università dalle quali non si apprende che la scienza della vita presente, che è molto fugace83. È scontata la necessità di studiare tutte le discipline. «Così come non ci sarebbe neanche da temere che qualche spirito piccolo potesse più sognare, che per essere sacerdote basti un po’ di teologia morale appresa malamente […] È pur fermo la teologia morale cattolica comprende verità da credere, leggi da osservare; onde chi conoscesse solo queste ultime e in modo incompleto, al più potrebbe giudicare delle opere. Ma oh che giudizi! E quanto al resto cosa potrebbe fare? Chi non ha parole di vita eterna, come potrebbe chiudere la bocca ai nemici della religione? Come spezzerebbe ai popoli affamati il pane della vita, chi appena sa che quel pane esiste? Resterebbe privo delle grazie del sacerdozio, che egli ricevette contro l’ordine stabilito da Dio, non maestro in Israele, non lampada sul candelabro, non l’angelo del Dio degli eserciti; ma come paralitico tra i nemici; tra i fedeli come estraneo»84.
Mons. Sturzo parla di eccezioni che si potrebbero fare a questi orientamenti offerti per la formazione dei seminaristi; le eccezioni non interessano gli individui aspiranti al sacerdozio, ma soltanto qualche città sprovvista di sacerdoti85. Né si può obiettare affermando che la vocazione potrebbero averla anche le intelligenze limitate. Egli risponde a tale obiezione facendo un’osservazione teologica fondamentale: Dio che procede in tutto con sapienza ed ordine, quando chiama ad uno stato dà le grazie e i doni convenienti e tra questi l’intelletto è uno dei doni indispensabili per il sacerdozio. 82
Cfr. ibid., 45. Cfr. ibid., 45-46. 84 Ibid., 46-47. 85 Cfr. ibid., 47. 83
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Nel caso in cui si dovessero avere tali difficoltà, allora per mons. Sturzo si dovrebbe parlare non di vocazione al sacerdozio ma alla vita religiosa, al convento. Se si dovesse fare un’eccezione è solo per venire incontro ai bisogni degli altri; tuttavia occorre intendere il tutto con attenzione e molta limitazione, perché da una parte il candidato dovrebbe compensare la scienza che gli manca con un’esuberante santità; dall’altra non dovrebbe essere privo di quella che i teologi chiamano “sufficienza”, la quale consiste nell’essere in grado di risolvere i casi comuni e di dubitare negli ordini nei quali si invocherebbe il sussidio di libri o dei maestri86. E se di eccezioni bisogna parlare, per mons. Sturzo, i casi del genere non possono limitarsi solamente a studiare la teologia morale trascurando la dogmatica o altre discipline essenziali. Secondo mons. Sturzo per fare un serio discernimento vocazionale per il Seminario, in vista di un presbiterio maturo e fortemente motivato, occorre un lungo lavoro di formazione della coscienza in modo tale che i candidati come il popolo abbiano modo di concepire il sacerdozio nella sua interezza. Dopo aver fatto questo lungo lavoro di formazione, nessuno troverebbe lungo il corso degli studi; giudicherebbe duri i criteri del vescovo; nessuno sognerebbe di pensare al corso di studi per metà o per un terzo. Tutti guarderebbero il sacerdozio con profonda venerazione e sul punto di avviarsi al sacerdozio o di pervenirvi si proverebbe una specie di sacro terrore. Inoltre le vocazioni non diminuirebbero, al contrario verrebbero purificate e per la virtù fecondatrice della santità, sarebbero moltiplicate; e sbarrando il cammino ai non vocati, sarebbe regolato quello dei vocati87. A conclusione della lettera, il vescovo si rivolge al suo presbiterio con espressioni altamente commoventi e toccanti. In tali parole è facile leggere la concezione che il vescovo ha sul sacerdozio. Intanto chiede la collaborazione dei suoi sacerdoti; da qui la convinzione che il vescovo necessariamente è unito al suo presbiterio e questi senza il vescovo non può sussistere, è convinto che la comunione tra vescovo e presbiterio è previa a qualunque piano pastorale o riforma pastorale che si voglia attuare in una Chiesa locale; ciò
86 87
Cfr. ibid., 47-48. Cfr. ibid., 48.
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è dimostrata dal fatto che il vescovo prima di intraprendere la decisione di riformare il Seminario interpella gli organismi addetti a collaborare con lui per la gestione delle diocesi, quale il Capitolo dei canonici, i parroci, gli insegnanti del Seminario. A conclusione della lettera si rivolge ai suoi sacerdoti chiamandoli a collaborare in modo da raggiungere il fine; chiede collaborazione affinché le disposizioni e il desiderio di rinnovamento siano condivisi dal popolo88.
7. I compiti del sacerdote nella lettera pastorale Il Seminario Il sacerdote è colui che vive la vita di Gesù Cristo: se la vita in Dio è offerta a tutti con il battesimo e per mezzo dei sacramenti celebrati e vissuti nella Chiesa, il sacerdote a maggior ragione vive tale mistero, perché ogni giorno si nutre delle carni santissime di Gesù, è l’uomo che vive di Eucaristia, non solamente perché celebra ma anche perché è a diretto contatto con questo dono. È il ministro della Parola, a servizio di quella Parola che è nutrimento per la propria e altrui mente. Attraverso la predicazione è colui che tratta i misteri divini ed è quindi dispensatore di tali doni e di tanta ricchezza agli altri. È l’uomo di preghiera; respira aria di paradiso quando prega pubblicamente, durante la preghiera liturgica o da solo; conosce i segreti palpiti del cuore amatissimo di Gesù, sa quali sono i progetti e i sentimenti presenti nel cuore del Figlio di Dio ed ha la cura immediata di quelle persone affidategli dal vescovo, perché è suo collaboratore. Il sacerdote è tale per il carattere impresso dal sacramento, ma anche per lo spirito che da lui è posseduto; ha viva questa autoconsapevolezza, per cui viene invitato ad aiutare il vescovo in questa opera che serve a formare i successori dei sacerdoti89. Mons. Sturzo presenta con l’autorità che gli proviene dal suo essere vescovo alcune indicazioni che hanno un carattere non più parenetico, ma imperativo, e le fa in vista del fine che vuole raggiungere: riformare il Seminario. Per il bene della Chiesa, avere sacerdoti dotti e santi, ministri autentici di Dio. Domanda aiuto per rea-
88 89
Cfr. ibid., 47-48. Cfr. ibid., 49.
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lizzare uno dei compiti propri del vescovo che consiste nel curare questa parte prediletta del suo gregge, che è il Seminario90. Offre quattro indicazioni ben precise. 1. Far maturare nelle menti la convinzione che il sacerdozio sia quanto di più alto, di più profondo, di più immenso, di più santo, di più potente si possa immaginare. Perché si generi tale convinzione i parroci e tutti i sacerdoti devono spiegare al popolo la lettera pastorale. 2. Adoperarsi perché gli indegni e i non vocati si allontanino dal Seminario. Le possibilità per realizzare questo obiettivo un sacerdote in cura di anime ne ha tante, come per esempio la confessione, la direzione spirituale, il dovere di avvisare personalmente il vescovo sulle motivazioni al sacerdozio del candidato o di familiari o sul comportamento dei chierici prima di entrare in Seminario o durante le vacanze trascorse in famiglia. Mons. Sturzo giudica peccato gravissimo, la cui assoluzione è riservata al vescovo, la costrizione nei confronti del giovane a entrare in Seminario e ciò non solo per la moralità dell’azione, ma anche per il danno recato alla Chiesa e alla società. 3. Incoraggiare la pastorale vocazionale diocesana, che deve discernere, agevolare il nascere e lo svolgersi delle vocazioni. Ogni parroco ma anche ogni zelante sacerdote istituisca il gruppo di fanciulli e si prenda cura perché si evitino cattive compagnie o altre occasioni di corruzioni; si favorisca la loro crescita spirituale attraverso il catechismo e quella umana attraverso il gioco e oneste ricreazioni in modo da generare il senso e il gusto della cristiana pietà. Dove queste associazioni sono presenti i frutti secondo mons. Sturzo sono certi. Nelle singole parrocchie si abbia cura di coloro che mostrano segni certi di vocazione e «si istituisca una specie di probandato, lungo il quale i giovanetti, previo nostro permesso, porteranno il collare, ascolteranno la Messa tutti i giorni ed assisteranno alle funzioni parrocchiali. Noi, normalmente, non riceveremo nel nostro Seminario chi non abbia fatto almeno un anno di lodevole probandato»91. 4. Invitare i sacerdoti a collaborare perché le vocazioni siano favorite anche materialmente, bussando presso le case dei bene90 91
Cfr. ibid., 3. Ibid., 51.
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stanti per far passare un po’ della loro ricchezza verso il Seminario, al fine di santificare le loro ricchezze, permettendo di fare un bene che servirà a sfamare chi manca del pane della vita eterna. Il benestante deve pensare al povero affamato di pane, ma anche all’indigenza spirituale inoltre l’elemosina fatta in ordine al soprannaturale rifluisce copiosa anche sulla natura. Avere sacerdoti santi, agevolare la loro formazione significa cooperare perché l’umana famiglia sia restaurata secondo lo Spirito di Cristo Gesù. A tal proposito istituisce la colletta annuale da farsi in tutte le Chiese a favore del Seminario e spesso nelle sue lettere pastorali menziona l’importanza della giornata pro-seminario, della colletta a suo favore, della associazione pro-seminario92. Compone una breve preghiera per il Seminario da recitarsi dopo la benedizione eucaristica, tutt’ora utilizzata. Alla fine della lettera mons. Sturzo offre indicazioni per il curriculum studii in vista dell’ordinazione: a – Stabilisce che il corso di perfezionamento sia di tre anni e quello delle scienze sacre di 4 anni. I corsi siano organizzati in modo tale che siano adeguati alle esigenze del tempo presente, che non manchi nessuna materia. • Ciascun alunno deve studiare tutte le materie e di essi sostenere gli esami. Le eccezioni saranno valutate direttamente dal vescovo, dopo aver ascoltato il consiglio scolastico e quello disciplinare. • Il suddiaconato sia conferito alla fine del II anno e il presbiterato alla fine del IV anno. Per essere promossi agli ordini sacri si deve dare esame speciale davanti al vescovo o a un suo delegato. Ed offre anche le indicazioni sulle materie da presentare all’esame e sulle qualità. • Prima di essere ammessi agli esami della sacra ordinazione gli alunni devono presentare il certificato di promozione. • Nei casi particolari si dispensa in tutto o in parte dagli esami di ordinazione coloro che si saranno resi meritevoli di tale grazia. b – I parenti accettino i regolamenti disciplinari e scolastici. c – Le borse di studio normalmente siano date previo concorso e in parità di meriti morali ed intellettuali, siano preferiti i più poveri.
92
Cfr. M. STURZO, La via della salute, Catania 1934, 66.
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d – Il vescovo desidera e ordina che siano scrupolosamente osservate le leggi pontificie: circa l’azione cattolica esterna, frequentare università laiche, la lettura dei giornali. e – Che nessuno chieda o faccia chiedere al vescovo i sacri ordini; il chiederli sarà considerato come rendersene immeritevoli. Il Seminario per mons. Sturzo non può che essere concepito così e non si è liberi di mutare e sfigurare l’opera di Dio; infatti esso è tale perché trae la sua forma dal sacerdozio che è tutta opera di Dio. Il vescovo è convinto che davanti a sé ci sono tanti e non lievi difficoltà, ma è certo di essere appoggiato dal suo presbiterio e dalla preghiera di tante buone persone; confida nell’aiuto di Dio. La cooperazione e la benedizione divina avranno per effetto l’esclusione e l’allontanamento dei giovani non vocati, prima cagione dei mali di ogni Seminario. Così resteranno solo coloro che hanno avuto la grazia della vocazione e che sapranno corrispondere meglio alle cure degli educatori. Nella lettera il vescovo si dimostra addolorato per la situazione presente, ma anche speranzoso, poiché intravede il ripopolamento del Seminario di «Novelli Samueli, dall’anima pura, dagli ideali santi, dai palpiti infuocati, vagheggianti il sacerdozio con quel senso di fede, che umilia e solleva: che fa guardare la polvere, dalla quale si è tolti, per meritare il soglio della gloria al quale si è destinati; che fa scomparire l’uomo e sorgere l’apostolo: noi li vediamo docili e diligenti, assetati di virtù e di sapere, impazienti di spingersi tra il popolo, non per posarsi e godere gli agi del sacerdozio, ma per infondere quella vita di totale abnegazione, che tutta si consacra al bene del prossimo»93.
Al Seminario dedicò tutte le cure necessarie perché ogni candidato possieda quel patrimonio spirituale, teologico e culturale necessario per lo svolgimento del ministero presbiterale. Assiste personalmente agli esami di fine corso, partecipa ai momenti liturgici o di festa; ricerca superiori e docenti idonei e tante volte personalmente si impegna nell’insegnamento di discipline filosofiche e teologiche. Il Seminario per mons. Sturzo è così importante che lo nomina suo erede universale.
93
Ibid., 55-56.
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8. La Congregazione degli Oblati di Maria Se la formazione teologica, spirituale e culturale dei presbiteri sta tanto a cuore a mons. Sturzo, altrettanto forte è il desiderio di istituire una Congregazione dei preti diocesani Oblati, al pieno servizio del vescovo e della diocesi, sull’esempio di congregazioni sorte fuori dell’isola e di iniziative condivise anche da altre diocesi. Anche nel 1939 la Conferenza Episcopale Siciliana affronta il tema e studia il progetto di uno statuto di Congregazione di preti Oblati o missionari diocesani da adottare in tutte le diocesi dell’isola94. L’iniziativa è mirata non solamente a un maggiore inserimento del clero nella vita pastorale, ma anche ad una sua migliore preparazione in modo che sia libero da vincoli familiari, pronto ad accorrere in ogni parte della diocesi secondo il volere del vescovo, al quale è legato da un voto speciale di obbedienza. Si delinea un modello di prete devoto, supportato da una vita ascetica di distacco e di abnegazione, ma nello stesso tempo pieno di amore per le anime, per la Chiesa, per Gesù Cristo. Un prete sempre più legato alla vita parrocchiale, all’altare e alle iniziative interne della Chiesa, più che attento alla vita sociale95. Gioacchino Federico, uno degli Oblati, e primo superiore così scrive: «Perché le parrocchie siano ben fornite di pastori d’anime, il Vescovo pensa ad essi: a formare una schiera di sacerdoti che siano disposti ad andare ovunque lo richieda il bisogno e legati al Vescovo col voto e non solo con la promessa di ubbidienza. Li chiamò “Oblati” fin dal 1918 e attese alla loro formazione con costante intelletto d’amore»96.
In una lettera del 1937 inedita, dattiloscritta ma firmata ed indirizzata a tutti gli Oblati così scrive: «La Congregazione degli Oblati nacque pel bisogno della diocesi di vita più veramente e profondamente cristiana. A tal fine l’azione ordinaria in una mediocrità di vita spirituale non basta; occorre la vera santi94
Cfr. C. NARO, Mario Sturzo, le Chiese di Sicilia e il mondo moderno, in: ID. (cur.), Mario Sturzo. Un vescovo a confronto con la modernità, Caltanissetta-Roma 1994, 35-37. 95 Cfr. M.F. STABILE, L’episcopato siciliano, in La Chiesa di Sicilia, cit., I, Caltanissetta-Roma 1994, 176. 96 G. FEDERICO, Il vescovo Sturzo, Caltanissetta 1960, 29.
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tà. Né questa si promuove con un semplice cenno della volontà, ma creando nuclei d’anime, nuclei di apostoli di potenzialità superiori. Così fece Sant’Agostino nell’Africa, San Benedetto e San Francesco in Italia […] gli uomini formati alla loro scuola […] avviarono quelle correnti di riforma che poi si propagarono in tutta la società. La Congregazione degli Oblati in questa diocesi dev’essere quello che furono i religiosi … di tutti i santi formatori e riformatori. Ma quei religiosi furono potenti in opere e in sermone, unicamente perché vissero in modo più perfetto nell’unione con Gesù Cristo, dell’unità delle loro congregazioni, nella più piena sottomissione e adesione ai propri superiori. Voi, figli miei, siete appena venti, però se saprete attuare l’ideale veramente cristiano e sacerdotale in voi, sarete più che bastevoli alla riforma del clero e santificazione della diocesi. E voi genererete col vostro esempio e colla vostra parola nei vostri confratelli sacerdoti e nel popolo la volontà dell’unione con Gesù Cristo e la perfetta conformità di sentire e volere col Vescovo. Affinché però questa parte dell’apostolato, che è la principale, riesca veramente efficace, dovete darne voi l’esempio spinto fino alle più alte forme di eroismo»97.
Nel corso della lettera pastorale per la Quaresima del 1934 alla fine si rivolge agli Oblati, definendoli figli di predilezione, speranza della diocesi, corona del povero vescovo che è negli ultimi giorni della sua vita terrena, milizia scelta, guardia del corpo ai cenni del pastore, senza desideri, ambizioni e preferenze. «Voi sarete quali il Signore vi vuole, quali vi sogna il vostro Vescovo, quali vi aspetta la diocesi, solo se saprete essere sacerdoti di orazione […] sacerdoti tutti di Dio, così uniti tra voi in Dio da formare una cosa sola come Gesù Cristo […] da non cercare che la gloria di Dio […] e la salute delle anime»98.
Nella lettera circolare per gli Oblati del 07.10.1940, Mario Sturzo afferma: «Gli Oblati in quanto la loro Congregazione è stata ordinata secondo lo spirito di San Carlo Borromeo […] il quale volle che i suoi Oblati fossero riconoscibili al solo vederli per lo spirito interno della loro santità e delle loro vive virtù sacerdotali, volle […] che fossero così abnegati da essere contenti d’aver nella Congregazione garantiti il pane come cibo, l’acqua come bevanda, e la paglia come letto […] essi sono le membra di un corpo spirituale il cui capo è il Vescovo. Devono dunque spogliarsi 97 98
M. STURZO, Lettera inedita agli Oblati del 1937, in Archivio personale. ID., La via della salute, 64.
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misticamente della loro personalità, cioè del loro giudizio e della loro volontà, per vivere del giudizio e della volontà del Vescovo»99.
La Congregazione degli Oblati istituita da Sturzo in diocesi accoglie nel suo seno i sacerdoti diocesani che vogliono vivere in modo più perfetto; hanno il solo voto di ubbidienza e la vita comune, tranne per quei sacerdoti che il vescovo destina altrove. Don P. Giuliana in una sua opera su Sturzo riporta la coroncina della Madonna degli Oblati dove sul retro si legge: «La Congregazione degli Oblati di Maria in Piazza Armerina è la prima che sorge in Sicilia e risponde a un bisogno urgentissimo della religione. Il prete in casa è stato sempre fuori posto, e oggi più che per il passato. Secondo il concetto cristiano il sacerdote è per il popolo e per essere tutto per il popolo è necessario che non sia di nessun altro. Gli Oblati non sono sacerdoti secondo il puro concetto cristiano, ma hanno qualcosa di più e di meglio “il voto di obbedienza al Vescovo”. Non sono monaci, ma non sono più preti secolari nel senso usuale, sono la milizia scelta, e per le diocesi che hanno la fortuna di averli, come per esempio Milano, sono una delle più grandi benedizioni del cielo. Fu fondata il 19.01.1921; la casa madre fu cominciata a fabbricare nel febbraio dello stesso anno»100.
Sono brevi note, offerte dal libretto di preghiere, certamente di propaganda, destinate a far conoscere la Congregazione, e invitare a pregare per essa; in essa abbiamo in sintesi quanto Sturzo aveva già scritto nella sua pastorale Il Seminario: il sacerdote, uomo di Dio, consacrato per il popolo, unito spiritualmente al vescovo col voto di obbedienza, libero da vincoli affettivi e familiari, per essere disponibile in modo completo e radicale alla Chiesa, pronto ad andare lì dove il bisogno pastorale lo richiedesse. La Congregazione fu per mons. Sturzo motivo di sano orgoglio e di profonda gratitudine al Signore. In una lettera scritta al fratello Luigi afferma: «Oggi si è chiuso il primo capitolo generale degli Oblati di Maria e del ritiro annuale dei padri Oblati, nel quale io ho fatto le istruzioni. Posso dire con San Paolo: Superabundo gaudio. La Congregazione ha ormai le sue costituzioni, almeno le fondamentali, ha i suoi superiori […] il capitolo mi ha rassicurato sul buon spirito dei padri e sulla concordia degli animi e attaccamento alla Congregazione e al Vescovo. Più grande misericordia il buon Dio non poteva osare a me e alla diocesi, l’avvenire del99
ID., Lettera inedita agli Oblati del 07.10.1940, in Archivio personale. P. GIULIANA, Mario Sturzo. Vescovo e uomo di Dio, Caltanissetta 1993, 224.
100
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la quale posso reputare assicurato. Il Seminario è tutto in mano degli Oblati; i seminaristi in gran maggioranza aspirano alla vita di Oblati. Gli Oblati sostengono e rallegrano la mia vecchiezza. La diocesi gode un’insolita pace. Anche gli altri sacerdoti, e segnatamente i parroci, sentono l’influsso benefico della Congregazione. Il popolo cerca di preferenza gli Oblati. Prostrato nella polvere del mio nulla, ringrazio il Signore e adoro i suoi arcani […] il mio spirito è tutto pieno del grande evento […] ringrazia con me il Signore»101.
Leggendo le costituzioni della Congregazione, approvate nel 1932, che constano di tre capitoli e un’appendice, ci sono alcuni elementi che vanno sottolineati: • La Congregazione istituita il 29.05.1920, canonicamente l’08.01.1929, rientra in quelle associazioni previste dal Codice di Diritto canonico; l’essenziale di questa Congregazione è il voto perpetuo di obbedienza. I suoi fini sono la santificazione dei suoi membri e il servizio spirituale della diocesi in modo più organico in stretta dipendenza dall’Ordinario diocesano. Essa ha per fine anche il servizio al Seminario. Il mezzo fondamentale per il raggiungimento di questi fini è la vita comune. Supremo superiore e moderatore della Congregazione è il vescovo. • Si parla dell’ordine e del funzionamento della Congregazione, la quale comprende: aspiranti, novizi, Oblati e coadiuvatori. Gli aspiranti sono i seminaristi che chiedono di essere ammessi e sono animati dallo spirito di castità e obbedienza: ogni anno faranno questi voti. Essi si distinguono per virtù ed intelligenza; l’aspirantato finisce con il suddiaconato. L’aspirantato è periodo di prova e di formazione, per cui si richiede un maggiore impegno di vita interiore e una maggiore diligenza nello studio. I risultati favorevoli ottenuti sia nell’ambito della formazione spirituale che culturale sono la prova richiesta durante questo periodo. Si richiede che essi compiano i propri doveri non per timore ma in coscienza. Gli aspiranti devono possedere alcuni atteggiamenti fondamentali come l’obbedienza, il silenzio che favorisce il raccoglimento, la bontà con tutti e la cortesia. Eviteranno la caparbietà, l’arroganza, l’orgoglio, il campanilismo. Non ambiranno ad onori e cariche e si dediche101
M. STURZO, Lettera al fratello Luigi dell’08.10.1932, in P. GIULIANA, Mario Sturzo. Vescovo e uomo di Dio, cit., 229-230.
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ranno a letture formative; eviteranno amicizie particolari e anche in famiglia si dimostreranno distaccati in modo da far sentire ai familiari che essi appartengono alla famiglia di Dio. Si sottolinea pure che gli aspiranti in quanto seminaristi, non sono a se stanti, ma assieme agli altri costituiscono lo stesso corpo. Il noviziato dura almeno sei mesi, vi si accede dopo aver ricevuto il suddiaconato; il novizio emette voto di obbedienza temporaneo. Gli Oblati normalmente sono sacerdoti preparati alla vita Oblatizia nel Seminario diocesano. I coadiuvatori sono coloro che emettono i voti perpetui di castità e obbedienza attendendo al servizio e alla vita di pietà102. • Vengono offerte indicazioni e suggerimenti per organizzare il cammino spirituale degli Oblati, al punto da dare indicazioni dettagliate sulla giornata tipo dell’oblato. I padri si alzino alle 5.30. Prima della celebrazione della Messa fanno almeno mezz’ora di orazione mentale. Dopo il pranzo fanno la visita al Sacramento; l’esame di coscienza due volte al giorno; la lettura spirituale verso la metà della serata su di un libro approvato e scelto dal superiore. Si confessano di regola una volta alla settimana. Almeno una volta al mese sentiranno i consigli del loro direttore spirituale e faranno in comune il ritiro103. • Nel III capitolo della costituzione si parla anche dello spirito degli Oblati: essi fanno il voto di obbedienza, ma devono possedere altre virtù, non solamente perché sacerdoti, ma perché chiamati a lavorare per un efficace rinnovamento del clero e della diocesi. Essi non devono voler altro che la gloria di Dio e delle anime; saranno distaccati da tutto: dai parenti, dai beni materiali, dagli onori, dalla patria, da se stessi e ogni cosa ameranno in e per Dio. Non chiederanno cariche, ma non le ricuseranno, non avranno preferenze tranne che per il loro sacerdozio custodito puro di ogni scoria mondana. Saranno prudenti, caritatevoli, ordinati di tutto e puntuali, osserveranno il silenzio e le regole di buona creanza. Essi si ameranno, compatiranno, assisteranno, correggeranno. Eviteranno l’ozio e non trascureranno mai lo studio, soprattutto della Sacra Scrittura, della Teologia Dogmatica, della Teologia Morale e dell’Ascetica. Nessuna giornata passerà senza avere dedicato almeno un’ora 102 103
Cfr. P. GIULIANA, Mario Sturzo. Vescovo e uomo di Dio, cit., 229-237. Cfr. ibid., 237.
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allo studio. Si invita a non aver familiarità con donne e con secolari: verso i superiori avranno cuore di figli e verso i confratelli e ogni altra persona cuore di fratelli104. • Per quanto riguarda l’esercizio del ministero, gli Oblati annunzieranno la Parola di Dio qual è, in semplicità, umiltà, carità, brevità. Nelle prediche come nei discorsi l’unica preoccupazione è la gloria di Dio, non il proprio vantaggio ma il bene della propria anima e di quello degli altri. L’oblato si preparerà sempre, sia quando predica o tiene conferenza o lezione per sperare di parlare bene; nulla fa per vanità e nulla tralascia per timore della vanità. Avranno una preferenza per gli uomini di cultura, perché di essi non si occupa nessuno e perché a volte la cultura porta ad essere ostili alla religione. Con i non credenti non devono avere atteggiamenti di sapientoni, e non confidino nel potere dell’umana sapienza. Gli Oblati cercheranno prima di tutto le vie del cuore sull’esempio di San Francesco di Sales105. • Per quanto riguarda la gestione economica, viene aggiunta una postilla nell’ottobre del 1933 dove viene affermato che l’economia della Congregazione non va vista come pura materialità ma va esaminata alla luce della spiritualità. Gli Oblati non emettendo il voto di povertà, conservano la libera amministrazione dei propri beni patrimoniali, invece quanto guadagnato con l’esercizio dell’attività ecclesiastica è da offrire alla Congregazione. Lo spirito della Congregazione consiste nella perfezione cristiana, che è spirito di disinteresse, di carità, di fraternità, di previdenza, che si oppone all’egoismo, all’invidia, alla cupidigia e alla imprevidenza. Tutti i padri e tutti i coadiuvatori sono nella condizione di parità che consiste nella sicurezza circa i momenti di sventura. La Congregazione è considerata come una famiglia dove ci sono persone efficienti, valide, ma ci possono essere anche invalidi, anziani e ammalati. La carità fa superare le disuguaglianze e tutti godono della stessa considerazione e tutti lavorano con lo stesso ardore come se tutto dipendesse dalla propria diligenza e previdenza, senza lasciarsi vincere dall’accidia. Il fine principale della Congregazione è la rigenerazione integrale del clero, per cui deve essere resa agevole e possibile la vita interiore, l’ordine di lavoro, lo studio. 104 105
Cfr. ibid., 238. Cfr. ibid., 239-240.
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Anche la parte economica deve essere ordinata, facendo sì che il vero economo della Congregazione sia il buon Dio. Le costituzioni parlano di vocazione Oblatizia che comporta il pieno distacco da ogni cosa che non sia la Congregazione. Come è Dio che chiama, così è Dio che orienta verso i fini della Congregazione. Dio che per natura ci lega ai parenti e alla patria, per grazia quando chiama ce ne separa. Gli Oblati se sono chiamati non possono pensare al bisogno dei parenti, perché è Dio che li chiama e anche Dio che provvede. L’oblato che lascia tutti e si distacca da tutti per Dio, sa che lascia tutti sotto l’amorosa provvidenza di Dio. Essi devono restare estranei a tutto ciò che riguarda la parte economica, ma responsabili del lavoro e dei compiti da svolgere con competenza. La Congregazione è come una grande madre che si occupa della realtà spirituale e temporale della famiglia106.
9. L’identità sacerdotale e la spiritualità degli Oblati Il vescovo oltre ad essere il superiore della Congregazione è anche il responsabile della formazione. Costruisce la casa madre attaccata all’episcopio e al Seminario, detta le meditazioni durante il ritiro o durante le conferenze quindicinali di formazione e a quanti non potevano essere presenti perché residenti altrove, invia le lettere circolari. Queste ultime sono dei veri e propri trattati sul sacerdozio, sul cammino di formazione e sulla spiritualità sacerdotale. In una lettera del 17.12.1937 così scrive: «Corro spesso col pensiero a voi che lavorate nella diocesi lungi dagli occhi del pastore e dai confratelli che formano il nucleo principale della Congregazione. Sento tutta la pena della lontananza e la mia pena si fa maggiore, perché non posso far udire a voi la mia povera parola, come la faccio udire ai padri che dimorano in questa, non perché io conti sulla mia povera parola, ma perché io parlo loro in nome di Dio e loro comunico la stessa Parola di Dio. Quel che non posso fare in modo immediato, sento il bisogno di farlo almeno per lettera […] parlai loro dell’essenza della santità che consiste nella perfetta conformità della nostra volontà alla santissima volontà di Dio […] questo dissi ai vostri amatissimi confratelli e questo scrivo brevemente a voi affinché ne facciate oggetto delle vostre meditazioni. I padri Oblati tengano presente nella mente e più nel cuore
106
Cfr. ibid., 240.
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che devono essere santi, non solo perché ciò è dovere dei sacerdoti, ma perché uno dei fini della Congregazione è quello di adoperarsi con l’esempio e con la preghiera alla rigenerazione del clero diocesano. E perciò i padri Oblati si guardino […] non solo dall’obbedire […] ma anche dal discutere l’ordine del superiore […] noi non solo saremo santi, ma saremo santificatori, perché saremo potenti in opere et sermone»107.
Alla fine della lettera raccomanda che si legga in comune, ma ciascuno la conservi per poterla rileggere e rinnovare i santi propositi. In un’altra circolare del 29.09.1940 dopo aver parlato della fede per vivere e avere uomini di fede nel tempo presente, uniti a Gesù Crocifisso, così afferma: «Se voi sapete fare in modo conveniente con ogni generosità, il sacro ritiro per voi sarà la nuova Pentecoste: dal medesimo voi uscirete come uscirono gli Apostoli dal Cenacolo dopo la discesa dello Spirito Santo, e riprodurrete, ciascuno nel campo del vostro lavoro, le meraviglie dei tempi apostolici»108.
In un’altra lettera del 03.10.1940 parlando dell’abnegazione e della Croce afferma: «Fratelli e figli del mio cuore, il tempo del ritiro spirituale […] è anche tempo di esame di coscienza […] voi dovete non solo cercare il male che può annidarsi … ma anche le cause prossime e remote del male […] è chiaro che io parlando ai sacerdoti Oblati non credo dover considerare lo stato di colpa grave, perché contrasta troppo col sacerdozio. Il solo pensarvi io tremo, perché mi suonano forte nell’anima le parole dell’antico padre: Peccasti in sacerdotio, periisti. Però non posso non accennarvi per dirvi che, se il sacerdote peccatore si volge a Dio con cuore veramente contrito, non perirà, perché Dio è infinitamente misericordioso e perché Gesù Cristo si rivestì anche dei peccati dei poveri sacerdoti»109.
Nel corso delle lettere spesso richiama situazioni di vita di alcuni sacerdoti per correggere o anche rimproverare severamente; la motivazione è legata sempre alla santità di vita del sacerdote il quale deve offrire tutto a Dio e portare tutto nel sacrificio eucaristico: «Se io vi dico, figli miei amatissimi, che voi non avete mai considerato il dovere di sacerdoti Oblati in questa luce, non credo di farvi ingiuria, perché non rivelo nessun segreto: le opere parlano. Nei primi anni della 107
M. STURZO, Lettera inedita agli Oblati del 17.12.1937, in Archivio personale. ID., Lettera inedita del 29.09.1940, in Archivio personale. 109 ID., Lettera inedita del 03.10.1940, in Archivio personale. 108
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Congregazione, che furono anni di maggiore fervore, d’ogni parte della diocesi si facevano le lodi dei padri Oblati, e tutte le parrocchie avrebbero voluta l’opera dei medesimi. Quali giudizi si facciano oggi di voi non sarò io a dirvelo, perché ve lo dice l’intera diocesi. Umiliamoci nella polvere del nostro nulla e piangenti diciamo: Pater, peccavi. E allora nessun oblato più si permetterà di dire: Non osservo tale articolo delle costituzioni […] voi figli miei questo dovete fare perché Dio, come più volte vi ho ripetuto, dà il velle et perficere; […] volgete l’occhio alla Congregazione degli Oblati […] mediterete […] parte dell’insegnamento del grande Vescovo di Milano che voleva che d’ogni intorno spirasse la santità della vita e le vive virtù sacerdotali che mostrasse degni dell’unione col proprio Vescovo […] dico a voi: meditate sopra la dignità della vostra vocazione di Oblati sopra la sovrumana altezza, sopra lo splendore della sua luce e concluderete la vostra meditazione col dire: se Dio non mi ha respinto da sé per le mie grandi miserie e invece mi ha chiamato alla più trasumanante unione con il mio Vescovo affinché più perfetta e più santificante sia la mia unione con Gesù Cristo, non voglio resistere più alla grazia, […] costi pure la vita»110.
A conclusione della lettera pastorale La via della salute dove parla della preghiera che assicura la via della salvezza, si rivolge agli Oblati, quali figli di predilezione e speranza della diocesi: «Oh voi avete nel sacerdozio scelto la parte migliore, avete lasciato la famiglia e la patria, avete rinunziato a tutte le cure terrene, vi siete consacrati a Dio e alla diocesi […] siete la milizia scelta, la guardia del corpo ai cenni del pastore […] pensate che voi sarete quali il Signore vi vuole, quali vi sogna il vostro Vescovo […] solo se saprete essere sacerdoti d’orazione […] sarete sacerdoti tutti di Dio, così uniti a Lui, […] tra voi […] da non cercare che la gloria di Dio e […] la salute delle anime»111.
L’esperienza introdotta in diocesi della Congregazione degli Oblati è determinante e segna la spiritualità sacerdotale di quelli che vi aderiscono, ma anche di tutto il presbiterio. Sono tanti i sacerdoti che si lasciano ispirare da questo tipo di formazione; molti degli Oblati ricoprono incarichi importanti in diocesi promuovendo sempre il rinnovamento e la rigenerazione del clero diocesano, proposta da Mario Sturzo. La Congregazione cessa di esistere con la morte del vescovo Sturzo e soprattutto con l’avvento del nuovo vescovo. Diversi pos110 111
L.c. ID., La via della salute, 64.
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sono essere i motivi come il legame forte alla persona del vescovo, per cui morto il fondatore si sfalda il gruppo; o il fatto che il successore di Sturzo volesse impostare e organizzare in modo nuovo il presbiterio diocesano; forse perché i tempi cambiavano e quindi si richiedeva il rinnovamento del clero. Forse perché all’interno della diocesi si era creata una spaccatura tra chi aderiva alla Congregazione e chi non aderiva, per cui si desiderava creare unità nel presbiterio e renderlo più armonioso. Difficile identificare la soluzione per spiegare tale fenomeno, sta di fatto che la Congregazione degli Oblati si esaurì.
10. La spiritualità sacerdotale nel pensiero di Mario Sturzo Così scrive in una lettera del 07.10.1940 dove si parla della preghiera che alimenta la spiritualità sacerdotale, ed è essenziale per la vita interiore del sacerdote, e per la sua santità che è l’unione con Dio. «Io, figli miei amatissimi, credo poter dire in due parole quale debba essere la vostra orazione, affinché sia conveniente al vostro stato e vi meni efficacemente e rapidamente alle vette della santità: dev’essere finalistica ed eucaristica […] deve mirare all’unione con Gesù Crocifisso […] questo perfezionamento per sé lo fa l’Eucaristia […] la santità cristiana consiste nell’unione con Gesù Crocifisso. Questa unione è iniziata dal Battesimo e perfezionata dall’Eucaristia. I sacerdoti devono tenerlo presente quando adorano l’Eucaristia e celebrano il sacrificio della Santa Messa, affinché essi si tengano nelle condizioni corrispondenti al fine del sacramento […] La finalisticità è nella natura elevata e santificata dalla grazia; l’Eucaristia è tutta nella grazia […] i sacerdoti devono reputarsi gli eredi più genuini dello spirito apostolico […] affinché […] diventino sacerdoti santi, capaci di operare miracoli di santificazione, devono tenersi sotto gli sguardi di Dio in atteggiamento di orazione finalistica ed eucaristica tutta la giornata […] voi per poter vincere in modo assoluto l’insidia dell’amor proprio, dovete diventare anime eucaristiche. Quando siete alla presenza della Santissima Eucaristia, dentro e fuori della Messa, dovete domandare come grazia principale che l’unione dell’anima vostra con Gesù Crocifisso diventi d’ora in ora sempre più intima e perfetta […] a questo fine Gesù diede l’Eucaristia; per l’attuazione di questo fine voi eserciterete il culto eucaristico»112.
Il sacerdote vive di Eucaristia ed è a servizio dell’Eucaristia: 112
ID., Lettera inedita agli Oblati del 07.10.1940, in Archivio personale.
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«Se il dovere di vivere di Gesù Eucaristia per amarlo, onorarlo, consolarlo, conoscerlo, farlo conoscere, cibarsene, fa che tutti se ne cibino frequentemente, riguarda principalmente i sacerdoti, li riguarda in modo speciale per la funzione che essi compiono nella Chiesa di ministri dell’Eucaristia […] l’unico vero maestro delle anime è Dio […] solo Lui salva le anime; pure in via ordinaria Egli non le salva che pel ministero d’altri uomini, e, in modo ufficiale pel ministero della Chiesa e dei sacerdoti […] il sacerdote è come un canale. Affinché l’acqua divina della grazia arrivi alle anime, è necessario che nei canali non trovi impedimento […] affinché i sacerdoti possano al cospetto del Padre, rappresentare la persona di Gesù Cristo, devono in tutto essere conformi a Lui, devono essere rivestiti di Lui, anzi devono essere totalmente morti a se stessi, da non vivere in loro che Gesù Cristo»113.
Per questo tipo di spiritualità sacerdotale che è cristologica ed eucaristica, come anche per l’esercizio di un apostolato sacerdotale veramente efficace, Mario Sturzo rimanda all’orazione mentale intesa come contemplazione acquisita che è dono gratuito del Signore che porta ad avere quei doni importanti perché il sacerdozio venga vissuto come dono per gli altri: un canale perché l’acqua divina arrivi fino alle anime e non trovi impedimento nelle imperfezioni e nei peccati del sacerdote114. Il sacerdote è come Gesù, buon pastore, che raccoglie le pecore disperse, custodisce il gregge affidatogli dal vescovo, chiama tutti con la parola e con la testimonianza a conversione, indica a tutti la meta alla quale il Signore chiama che è la santità, propone i mezzi per raggiungere tale obiettivo: tutto questo il sacerdote lo fa attraverso il ministero al quale è chiamato e con il suo stile di vita. «La domanda angosciosa che anima […] tutto il mio lavoro episcopale è sempre una: Come dar le ali a chi si contenta semplicemente di correre […]? Come dar la volontà del progresso alle anime intristite […]? Come dar la volontà della penitenza alle anime che giacciono nel peccato senza più avvertire i gemiti dell’anima dolorante? Come dare la volontà di volerci udire a coloro che, perduta la grazia col peccato e la fede coll’errore, respingono la nostra parola e ci voltano le spalle? Il lavoro di formazione ambientale […] metterà le anime nella situazione di fatto propizia ad accogliere la grazia che il Signore comunica per mezzo dei suoi Apostoli, a misura che questo lavoro di apostolato collettivo sarà efficace e profondo, a misura che renderà unita a quelli che si consacrano a questo apostolato più coerente e più armonico tra il lavorare 113 114
ID., Orazione e adorazione, in ID., Per la vita interiore, Torino 1940, 3.7-8. Cfr. ibid., 8.
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per la propria santificazione e il lavorare per l’altrui […] la vita cristiana è santità […] diverse potranno essere le vie, le vocazioni, le rinunzie, unica è e sarà la sostanza. La santità di cui parlo, importa l’attuazione fedele dell’insegnamento di Gesù Cristo contenute in quelle tre divine parole: abnegazione, croce e sequela […] così Gesù Cristo disse a tutti […] noi ameremmo le anime a noi affidate come la pupilla dei nostri occhi […] ameremmo più le anime affidate al Signore, ma sotto un altro aspetto imiteremo il buon pastore del Vangelo […] il quale non si dà requie né si dà pace sino a che non avrà trovata la pecorella smarrita […] i peccatori ostinati, i pubblici peccatori […] quelli che hanno perduta la fede […] siano oggetto delle nostre apostoliche, amorose preferenze. Amiamoli compatendoli, compatiamoli nella carità di Cristo che trasforma il compatimento in confidenza. Non ci diamo tregua sino a che non avremo trovato le vie del cuore […] i peccatori ostinati sono nella Chiesa di Gesù Cristo le piaghe più purulente […] nel campo del nostro apostolato pubblici peccatori non ce ne dovranno essere e noi dobbiamo lavorare per raggiungere questo fine […] noi, lavorando per la salute delle anime, diremo a noi stessi […] non sono io che lavoro, per me lavora Cristo Gesù e a me non resta che stare strettamente unito a Lui […] il nostro apostolato sia quello dei primi Apostoli: intensa applicazione all’orazione e all’apostolato […] non avrà vera efficacia se la nostra vita non avrà vera santità»115.
Il sacerdote ha avuto affidato per divina misericordia il dono inestimabile del sacerdozio e ha ricevuto la missione della Parola e dei sacramenti. L’opera del sacerdote non fallisce se questi è santo, cioè ripieno dello Spirito del Signore116. Mario Sturzo invita i sacerdoti a preoccuparsi della propria santificazione e di quella altrui. Propria santificazione significa innanzitutto prendersi cura della propria vita interiore. Ciò comporta il preoccuparsi di studiare con il cuore la Parola di Dio per saperla insegnare a tutti, iniziando dalle scuole di catechismo. Anche gli adulti hanno bisogno della Parola di Dio che offre l’oggetto della fede e le norme per l’azione, per cui i sacerdoti hanno il compito di organizzare anche il catechismo per gli adulti117. Il sacerdote è ministro dell’Eucaristia: per il suo ministero si perpetua nel mondo la presenza reale di Gesù Cristo e solo per mezzo del sacerdote i fedeli ricevono la Santa Comunione. Il ministero 115
ID., Il mistero della conversione, in ID., Alla scuola di Gesù, Torino 1941, 133.141.166-167. 116 Cfr. ID., La pastorale collettiva, Asti 1935, 53. 117 Cfr. ibid., 53-56.
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della Parola esige che il ministro sia santo, a maggior ragione il ministero dell’Eucaristia118. L’altare è il primo pulpito e la predicazione che meglio santifica i fedeli è la predicazione dell’esempio all’altare. «La scuola di tutti gli altri doveri sacerdotali, la fonte da cui si attinge la forza per compiere fedelmente sono la Parola di Dio e Dio nella sua Parola, lo studio della Scrittura, il culto dell’Eucaristia, la meditazione della prima, la meditazione per la seconda, il culto della predicazione della Parola di Dio, il culto della celebrazione della Messa. Attendete a questi due supremi doveri […] e saprete attendere a tutti gli altri doveri e, così facendo santificherete voi e le anime affidate alla vostra comunità»119.
Il sacerdote è reso partecipe dell’unico sacerdozio di Cristo, separato dal mondo per diventare porzione eletta per Dio e per le anime. «Quando si posarono sul vostro capo le mani […] e fu invocato lo Spirito Santo; quando le vostre mani furono unte del sacro olio, voi foste separati dal mondo e resi partecipi dell’eterno sacerdozio di Gesù Cristo. Da quel felice istante voi foste trasformati in altri uomini, a voi fu dato per ministero l’orazione, la predicazione, l’amministrazione dei sacramenti. Foste sottratti alla materia dello Spirito […] alle vanità del tempo per i beni dell’eternità; foste fatti sacerdoti, la vostra porzione irrevocabilmente fu Dio, e per Dio, furono le anime. Dio vi diede al sacerdozio, e voi foste consacrati sacerdoti in eterno, il vostro sacerdozio non sarà mai tolto da voi pel peccato»120.
Il sacerdozio sarà fecondo per l’orazione, per cui la preghiera assume un carattere tutto speciale e diventa un dovere che, se dovesse mancare, rende il sacerdote sterile o incompleto. Il sacerdote che non prega corre maggiore pericolo degli altri, di avere una vita tiepida o addirittura traviata; le cose sante fatte dal sacerdote possono diventare fredda consuetudine. La recita del breviario come la meditazione della Sacra Scrittura invitano alla preghiera e il sacerdote senza preghiera è sacerdote senza carità, è un mondano che ha seppellito il suo talento121. Il sacerdote che prega diventa santo e la santità è la nota impor118
Cfr. ibid., 57-59. Ibid., 59. 120 ID., La via della salute, 59. 121 Cfr. ibid., 59-61. 119
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tante richiesta da Gesù al Padre durante la preghiera del giovedì santo; quella santità che è vera e consiste nella vita interiore, per la quale l’anima si dà a Dio e Dio si dà all’anima122. Il sacerdote è chiamato a vivere la preghiera e a dedicarsi alla predicazione, la quale non sarà efficace senza la preghiera, perché la preghiera unisce a Dio e Dio a tutte le anime123. La fecondità del sacerdozio non dipende solamente dal sapere intellettuale del sacerdote e dai sani ragionamenti che saprà fare, ma solo dalla luce dello Spirito e dai miracoli che il sacerdote saprà sprigionare: i miracoli delle resurrezioni o delle guarigioni che avvengono quando Dio vuole e per mezzo di cui Egli vuole. Ma i sacerdoti non possono confidare in questi miracoli ma in quelli della vita interiore124. Certamente il sacerdote risente della grave crisi religiosa del tempo in cui vive e opera; di fronte a tale crisi potrebbe prevalere lo scoraggiamento. Così scrive: «Ho udito la desolante risposta: Il popolo non viene! È un fatto! Il popolo ha perduto il gusto della predicazione eucaristica […] gli altri che sono i più, uomini principalmente, non vanno più a predica, non vanno più a Messa, non più frequentano i sacramenti, e sempre pochi quelli che fanno la Pasqua. Che mezzi ci rimangono per richiamare il popolo in Chiesa? […] La nostra non è missione puramente umana; principalmente è missione divina. Se noi faremo con fede e amore la nostra parte, Dio farà il resto, anzi Dio farà tutto. Ai reverendissimi parroci […] dico: Vengono solo poche persone […] sempre le stesse? Non disperate per questo […] perseverate fidenti nel compimento di questo che è uno dei principali doveri; perseverate anche se al vostro catechismo venga una sola persona, […] questo singolare modo di procedere non resterà ignoto nella parrocchia […] la vostra fede, la vostra carità non lascerà indifferente Dio […] a tal fine rendete la vostra vita sempre più interiore, sempre più mortificata, sempre più santa»125.
Il sacerdote testimonia con la sua vita e traduce quello che insegna con la vita: «Il popolo ha bisogno che la legge del Signore sia tradotta in vita; esso ha bisogno di leggere nel vostro esempio la legge del Signore prima di dirla
122
Cfr. ibid., 61-63. Cfr. ibid., 63. 124 Cfr. ibid., 63-64. 125 ID., La pastorale collettiva, 12-13. 123
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al vostro labbro o di leggerla nel catechismo. Il popolo ha bisogno di trovare l’Eucaristia nel vostro cuore prima di trovarla nell’altare […] o meglio ha bisogno di trovare la legge del Signore nel vostro esempio e nel vostro labbro e nel catechismo in modo congiunto […] il popolo ha bisogno della vostra santità per santificarsi con la Parola rivelata e con la Santissima Eucaristia»126.
Rivolgendosi ai fedeli invita a prendersi cura dei propri sacerdoti, sapendo che dove essi mancano, manca anche l’Eucaristia. I fedeli devono ammirare nel sacerdote il sacerdozio, venerare i sacerdoti tutti indistintamente, pregare per loro. «Ma dovete anche aiutarli a vivere. Essi lavorano per voi, son tutti consacrati a questo lavoro […] perché questo è il loro dovere, perché per questo son sacerdoti. Essi non sono più del mondo, non son più della famiglia, non son più di se stessi; son per voi son tutti per voi, hanno tutto lasciato per essere tutto per voi. Chi penserà al loro sostentamento […]? chi serve l’altare è giusto che vive dell’altare […] ma oggi l’altare è nudo […] i nostri sacerdoti mancano del pane quotidiano»127.
Invita i fedeli ad essere caritatevoli verso il sostentamento dei propri sacerdoti perché Dio non si lascia vincere in generosità128.
Mons. Mario Sturzo (1861-1941), vescovo di Piazza Armerina.
126
Ibid., 78-79. Ibid., 65-66. 128 Cfr. ibid., 67. 127
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Capitolo II
Il prete e il movimento democratico cristiano nel can. R. Disca
Introduzione Il tema viene sviluppato alla luce dello scritto del can. R. Disca, un prete leoniano, il cui ricordo è vivo nella città dove è vissuto anche a decenni dalla morte. Illustre sacerdote della locale collegiata, studioso di storia del territorio, romanziere e latinista ricercato, predicatore ed oratore preparato e tanto ascoltato di quaresimali e novene in paese come anche al di fuori, saggio maestro e padre spirituale di tante generazioni di uomini impegnati nella vita ecclesiale e sociale, promotore e pioniere di tante iniziative in un periodo storico particolarmente segnato da profonde crisi economiche, sociali e morali. Nasce a Niscemi il 04.11.1875; è ordinato presbitero da mons. Mariano Palermo, vescovo di Piazza Armerina, il 26.12.1898 e muore a Niscemi il 10.11.1952. Don Disca assieme ad altri due canonici, A. Riggio e R. Placenti, si impegnò nel sociale fondando la Cassa Rurale Maria SS. del Bosco. Per diversi anni fu consigliere comunale e con il permesso del vescovo M. Sturzo assunse anche l’incarico di assessore comunale. Ricoprì la carica di Preside presso il locale Liceo Classico “Lo Piano”, scrisse e pubblicò diverse opere: Margherita Branciforte, Duchessa di Mondragone, Gela 1932; La Confraternita del SS. Crocifisso e la Chiesa di Maria Addolorata di Niscemi. Ricordi storici, Caltagirone 1946; Plaga Calvisianis, Caltagirone 1949; Maria SS. del Bosco, Patrona di Niscemi. Note storiche, Caltagirone 1949; in fase di pubblicazione un’opera riguardante la storia della città di Niscemi dal periodo greco alla seconda guerra mondiale. Inoltre ha scritto composizioni poetiche sia in latino che in italiano, di cui purtroppo non si conservano i testi interamente. Ho avuto in dono dalla nipote alcuni manoscritti di questo illustre studioso e tra le carte ingiallite dal tempo ho trovato una interessantissima conferenza manoscritta, composta di nove fogli redatti in modo fitto, con una grafia chiara dal titolo Il prete nella democrazia cristiana. Purtroppo mancano alcuni elementi importanti: 63
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la datazione e i destinatari di questa conferenza. Il contenuto può orientare nello stabilire il periodo in cui la conferenza fu pronunciata: siamo certamente sotto il pontificato di papa Leone XIII (1878-1903), quindi siamo tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900. I concetti espressi rimandano a diverse encicliche di papa Pecci: la Rerum Novarum (15.05.1891), la Graves de communi (18.01.1901), un’enciclica che limita il concetto di democrazia a quello di “benefica azione a favore del popolo” concetto centrale elaborato nella conferenza; Istruzioni sull’azione popolare cristiana o democrazia cristiana in Italia (27.01.1902) della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Difficile pure stabilire i destinatari della conferenza; le diverse citazioni fatte di filosofi, sociologi e teologi del tempo come J. Balmes, il card. J. Gibbons, Rossely de Lorgues, il card. C. M. Lavigerie, il card. Manning1 e l’uso di concetti che hanno un retroterra nella filosofia di Marx e di filosofi che si ispirano a Marx, ci porta a identificare i destinatari della conferenza in soggetti che abbiano un livello culturale elevato, rispetto alla popolazione e alla gente comune; molto probabilmente i destinatari possono essere stati uomini culturalmente impegnati della città, oppure i confratelli del paese che periodicamente si riunivano per trattare argomentazioni teologiche, morali e sociali inerenti il ministero presbiterale, secondo il desiderio del vescovo di Piazza Armerina, diocesi dalla quale la città dipende. Di sicuro è da escludere la gente comune o i fedeli che frequentavano gli ambienti ecclesiali in quanto agli inizi del ’900 la cittadina dove visse Disca aveva un’economia agricola e contava circa 20000 abitanti, con un livello culturale e di scolarizzazione molto basso, però con un clero numeroso e con diversi sacerdoti preparati, dediti all’insegnamento e alla predicazione. I vescovi sotto i quali visse e operò il sacerdote Disca furono: Mariano Palermo (1887-1903), Mario Sturzo (1903-1941) e negli ultimi anni di vita del canonico, Antonino Catarella (1942-1970). È così interessante il contenuto della conferenza e la tematica ivi trattata che ritengo possa essere considerato un contributo importante nella riflessione sul ministero sacerdotale. 1
Cfr. G. MARTINA, La Chiesa nell’età del totalitarismo, Brescia 1987; C. NARO, La Chiesa di Caltanissetta tra le due guerre. I cattolici nella società: la politica, l’economia, la cultura, Caltanissetta-Roma 1991; J.D. DURAND, La Chiesa alla ricerca dell’Italia perduta, in P. STELLA (cur.), Storia del Cristianesimo. Religione, politica, cul-
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1. I fermenti storici e culturali all’inizio del ’900: i preti leoniani Il 15.05.1891 papa Pecci scrisse la Rerum Novarum, enciclica che indirizzò i cattolici di tutto il mondo a non assistere inerti, ma operosi agli sviluppi degli eventi politici e sociali e avviò quelli italiani verso l’uscita dal vicolo cieco in cui si trovavano da diversi decenni a causa delle vicende politiche in seguito all’unità d’Italia e alla famosa questione romana2. La lettera enciclica si rifaceva a quanto già era presente sul piano internazionale in ambito cattolico. Dagli Stati Uniti d’America il card. Gibbons chiedeva al papa di difendere la causa dei Cavalieri del lavoro, sindacato in lotta contro i monopoli. A Londra il card. Manning aveva partecipato alle trattative per la rivendicazione dei caricatori portuali. Leon Harmel dalla Francia aveva guidato in Vaticano interi treni di pellegrini operai, ricevuti in udienza dal papa. Leone XIII era partecipe di tutti questi fermenti ma anche attento alla questione sociale e dimostrò come la Chiesa non poteva starsene indifferente, ma doveva scendere in campo; impiegare tutte le sue forze materiali e spirituali. L’importanza storica dell’enciclica sulla questione sociale sta nel fissare questo compito della Chiesa, rappresentandolo insieme come elaborazione della dottrina sociale cristiana, ma anche come sviluppo del movimento sociale cattolico3. Alcuni concetti presi dalla Rerum Novarum ci aiutano a capire la valenza teologica, morale, ma soprattutto innovativa del documento: «Ciò che per il bene della Chiesa e per la salvezza comune degli uomini abbiamo fatto altre volte […] per confutare errori funesti, pensiamo di dover fare adesso per i medesimi motivi sulla questione operaia. Quest’argomento […] lo affrontammo già più di una volta, ma la coscienza del nostro apostolico ministero ci muove a trattarlo ora e compiutamente, allo scopo di mettere in rilievo i principi con cui, secondo giustizia e equità, risolvere la questione. Entriamo fiduciosi in questo argomento, è di nostro diritto, perché si tratta di questioni di cui non è possibile trovatura, XI, Roma 1993, 541-558; J. GADILLE, L’apogeo dell’anticlericalismo. Le strategie di Leone XIII e di Pio X, in Storia del Cristianesimo, cit, 418-540. 2 Cfr. F. RENDA, Profilo storico e società in Sicilia dall’unità al Concilio Vaticano II, in F. FLORES D'ARCAIS (cur.), La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, I, Caltanissetta-Roma 1994, 46. 3 Cfr. ibid., 46-48.
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re soluzione valida senza ricorrere alla religione e alla Chiesa. E siccome la cura della religione e la distribuzione dei mezzi che sono in potere della Chiesa è affidata principalmente a noi, ci parrebbe di mancare al nostro ministero, tacendo. Certamente la soluzione di questo problema così difficile richiede il concorso e l’efficace cooperazione anche di altri […] ma senza nessuna esitazione affermiamo che, se si prescinde dall’azione della Chiesa, tutti gli sforzi risulteranno inutili. Infatti la Chiesa è quella che trae dal Vangelo dottrine atte a comporre o, certo, a rendere assai meno aspro il conflitto. Che ciascuno faccia la parte che gli spetta, e senza indugi. Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai l’opera sua»4.
Queste affermazioni sono fondamentali e segnano la storia della dottrina sociale della Chiesa: il papa non solo rivendica il diritto di interessarsi di questioni sociali, ma invita a impegnarsi nel sociale, perché la Chiesa possa dare il proprio contributo e possa tradurre la dottrina sociale in questo ambito che veniva avvertito come grave e urgente. Ne seguiva l’impegno dei cattolici a farsi soggetto politico della moderna vita sociale e del clero ad uscire dalle sacrestie e vivere con il popolo. Il parroco non può limitarsi ad essere ministro del culto, guardiano della fede, ma dev’essere l’amico e il consigliere del popolo, anche dei suoi interessi terreni. Il recupero di questa funzione sociale e politica del clero segnò tutto il cammino storico del movimento cattolico, con l’obiettivo di conferire il carattere cristiano al movimento democratico5. Di fronte all’attenzione chiesta da Leone XIII per “le cose nuove”, il clero si impegnò a realizzare modalità nuove di presenza attiva all’interno della società, in modo particolare verso la difesa degli interessi delle classi più emarginate del popolo. Con la Rerum Novarum nasceva una consapevolezza nuova nell’impegno pastorale del clero. Dove il movimento socialista aveva allontanato gli operai e i contadini dalla Chiesa, adesso le unioni professionali, le federazioni operaie e contadine, le Casse Rurali diventano il nuovo campo d’azione del clero più zelante per riportare gli operai e i lavoratori nella Chiesa. La meta e l’obiettivo finale era la riconquista cristiana della società, instaurare omnia in Cristo. 4
LEONE XIII, Rerum Novarum, 2, 13, 45. Cfr. F. RENDA, Profilo storico e società in Sicilia dall’unità al Concilio Vaticano II, cit., 48-58. 5
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L’impegno nel sociale da parte del sacerdote era una risposta alla sfida che la società poneva alla Chiesa6. Queste idee presenti nella Rerum Novarum, come in altri documenti del Magistero di Leone XIII trovarono in Sicilia un terreno assai fertile, perché la democrazia cristiana isolana ebbe fra i suoi artefici i fratelli Sturzo, ma ci furono tanti militanti parroci e preti e anche vescovi. I legami con Romolo Murri furono molto intensi e fruttuosi. La conquista del protagonismo sociale cattolico fu inizialmente caratterizzata dalla costruzione di un’amplissima rete di Casse Rurali che servivano non solamente a tradurre nella prassi le intuizioni della Rerum Novarum e della Graves de communi, circa l’impegno della Chiesa nel promuovere la giustizia sociale e nell’aiutare le classi meno abbienti, come i contadini, gli operai e i tanti salariati, ma venivano viste anche come un’occupazione per il clero numeroso e con pochissimi proventi e come possibilità di finanziare istituzioni ecclesiastiche e iniziative pastorali nelle varie diocesi (sostentamento del Seminario, congressi e opere ecclesiastiche). In tale campo il movimento siciliano svolse una funzione imitativa delle Casse Rurali lombarde o venete7. Il nostro canonico Disca, assieme ad altri preti della città, era molto vicino ai fratelli Sturzo, sia quando questi operavano a Caltagirone, paese poco distante da Niscemi, sia quando Mario divenne vescovo di Piazza Armerina. Assimilò le idee e le innovazioni del movimento democratico cristiano e divenne in paese promotore di iniziative sociali e caritative. La scelta dei poveri è una scelta di azione sociale, caritativa, assistenziale da perseguire sul piano della spiritualità, mediante la fede che ha come obiettivo quello di restaurare la società. Il nesso sacerdozio-impegno sociale e servizio ai poveri è un imperativo assoluto che determina una nuova tipologia di sacerdote e una nuova qualificazione dell’impegno caritativo cristiano, inteso nel suo significato morale di presenza all’interno della società moderna, ma più ancora nel suo valore religioso nel modo di essere ministri della fede.
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Cfr. G. ZITO, Clero e religiosi nell’evoluzione della società siciliana, in F. FLORES (cur.), La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, cit., 287-293. 7 Cfr. ibid., 58-61.
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2. La conferenza “Il prete nella democrazia cristiana” di don Disca Il testo è un manoscritto di nove fogli uso bollo redatto con grafia molto fitta ma chiaramente leggibile, divisa in due parti non equamente distribuiti, in quanto la prima parte occupa sette pagine, la seconda appena due. Il titolo dato è Il prete nella democrazia cristiana. All’inizio dello scritto c’è una citazione evangelica di Lc 4,18, è il versetto evangelico ispiratore e illuminativo di tutta la tematica trattata dal conferenziere: “Evangelizare pauperibus misit me”: l’obiettivo che intende raggiungere il nostro autore consiste nel confrontare ed identificare la missione sacerdotale e l’apostolato concreto del presbitero a quello messianico di Gesù. Con il famoso proclama messianico di Lc 4,18 a Nazareth, Gesù si appropria delle parole di Is 61,1-2 per autodefinirsi Messia e per descrivere le modalità con cui avrebbe realizzato il suo ministero. Il ministero del sacerdote è come quello di Gesù; nell’oggi della Chiesa realizza il ministero messianico e tra le opere che compie vi è l’evangelizzare i poveri; come Gesù, così il sacerdote è vicino ai poveri per porgere il Vangelo. La divisione in paragrafi del seguente studio non appartiene al testo, ma è stata realizzata per sottolineare i concetti presenti nella conferenza.
3. L’istituzione del sacerdozio: il sacerdote uomo di Dio per il popolo La conferenza inizia con il riferimento all’opera del Creatore, il quale avendo creato ogni cosa, manifesta e diffonde la sua bontà attraverso tutta la creazione. «L’universo intero è il tempio di Dio, e l’uomo ne è il sacerdote»8. In questa opera voluta dal Creatore che testimonia la grandezza e la bontà del suo Creatore, l’uomo è stato pensato non solo come re dell’universo, ma anche come sacerdote che deve prestare il culto dell’adorazione e dell’amore. È interessante il riferimento alla creazione come a un grande tempio voluto da Dio, che diventa testimonianza, segno visibile e luogo sacro dove poter incontrare Dio, suo Creatore. All’interno di 8
R. DISCA, Il prete nella democrazia cristiana. Manoscritto, 1, in Archivio perso-
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questa grande opera, che canta la grandezza del suo autore, l’uomo è stato creato non soltanto per essere il dominatore, nel senso che deve ricoprire una responsabilità grande di amministrazione, ma anche il sacerdote che ha il dovere del culto che consiste nell’adorazione e nell’amore. L’uomo è religioso fin dall’inizio del suo essere, legato a Dio e con un impegno sacerdotale da realizzare, il culto, il quale non è esteriore perché è un culto di adorazione e di amore, quindi riguarda la vita e tutta l’esperienza umana, che a loro volta diventano l’oggetto del culto da offrire a Dio. La realtà del peccato compromette l’identità di questa creatura, per cui l’uomo si dimentica del dovere dell’adorazione e ferma la propria attenzione alla sola terra. Se il peccato fa dimenticare la lode, l’amore e l’adorazione da donare a Dio, questi non abbandona l’uomo a se stesso, non si nasconde dal volto dell’uomo, né si priva della sua creatura, ma «elesse e consacrò il suo particolare sacerdote»9. Chi è il sacerdote? A questa domanda inizialmente risponde il can. Disca con una serie di termini che ci aiutano a comprendere la realtà del sacerdote: è un uomo prescelto che, sollevato dalla massa degli uomini, è destinato all’adorazione dell’unico Dio fino alla consumazione dei secoli. Il suo ministero non è svolto a titolo personale, ma adora Dio a nome di tutte le generazioni. È uno del popolo, scelto per adorare, glorificare, amare e lodare Dio a nome di tutto il popolo. È uno che partecipa alla liturgia celeste, in quanto unisce la sua voce al canto degli Angeli ed offre l’incenso che si innalza fino al cielo, frammischiandolo ai profumi soavi «che dalla terra vaporano al Creatore e all’Agnello immacolato»10. Il sacerdote, con l’esercizio del suo ministero, collega il cielo alla terra, fa da ponte, come e con Gesù che è il sommo ed eterno pontefice: «nato il sacerdote, la Terra si strinse in dolcissimi vincoli col cielo»11. Se il ministero del sacerdote è rivolto verso Dio e lo lega al cielo, rendendolo “mediatore” come Gesù, il can. Disca si pone l’interrogativo: «Ma forse il sacerdote, stando perennemente con gli occhi levati a Dio, 9
L.c. L.c. 11 L.c. 10
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non ha ancora un vincolo con gli altri uomini? Non avrà egli anche una missione a favore di tanti suoi fratelli e compagni di peregrinazione nella via del dolore e della prova? Sì, la missione del sacerdote riguarda Dio, cui deve offerire il sacrificio dell’adorazione, e riguarda anche gli uomini che deve guidare, consolare e salvare, pei quali ha anche il sacrifizio dell’espiazione e della preghiera. È questa la sua missione di tutti i tempi, di tutti i giorni, di tutte le ore»12.
Se il sacerdote è uomo di Dio, cioè consacrato per Dio, per la sua gloria e la sua adorazione, nondimeno è anche uomo di Dio per gli uomini, cioè destinato a svolgere il suo ministero a favore degli uomini. È legato agli uomini, perché è stato scelto tra gli uomini e la sua missione è a favore degli uomini: è un fratello tra fratelli e un compagno di pellegrinaggio. Egli deve guidare, consolare e salvare: tre verbi utilizzati che rimandano ai benefici prodotti dall’esercizio del ministero sacerdotale, perché esercizio dell’unico sacerdozio che è di Cristo il quale è guida, consolatore e salvatore. Il sacerdote così diventa anch’egli con l’esercizio del ministero sacerdotale colui che guida, consola e salva. È un ministero, cioè un servizio a favore degli uomini. L’icona molto bella del sacerdote “compagno di peregrinazioni” è carica di significati ed ha un retroterra biblico notevole: infatti il sacerdote è l’uomo che condivide la strada assieme agli altri uomini, come Gesù che si è fatto compagno di viaggio con i due discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13ss.); ma prima di farsi compagno di peregrinazioni e condividerne la fatica con gli altri, personalmente è uno che è in cammino: è il camminare del discepolo che vuole seguire il Maestro, il quale va avanti ed è seguito dai suoi. È il seguire concreto del chiamato di tutti i tempi, il quale avendo incontrato Gesù si lascia invitare da quella parola forte: “Vieni e seguimi” (Mt 19,21). È il discepolo che, conquistato dalle parole e soprattutto dall’incontro con il Maestro, lascia tutto e segue Gesù mettendosi in cammino con gli altri. È l’uomo che, essendo vicino agli altri uomini che camminano come lui e con lui, è chiamato a condividere dolori, prove, ma nel cammino è posto accanto agli altri per essere guida, consolazione e strumento di salvezza. La missione del sacerdote è continuazione della missione di Gesù.
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Ibid., 2.
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4. Il sacerdote e la democrazia cristiana: la dimensione sociale del ministero sacerdotale Il suo ministero è di mediazione, perché a favore degli uomini egli offre a Dio il sacrificio di espiazione e della preghiera. La sua missione non si limita solamente a questi ambiti perché: «il sacerdote ancora ha una missione a favore degli uomini ed è il dovere di guidarli e perfezionarli nelle loro progressioni e giuste tendenze, secondo il progresso vario dei tempi: salvi però i principii e le dottrine divine, delle quali egli è il depositario, il custode e il maestro. È questa la sua missione sociale»13.
Il nostro canonico attua un passaggio nella presentazione del sacerdote: dall’ambito puramente religioso, legato al culto e alla cura della realtà spirituale passa alla dimensione sociale. Tutto ruota attorno al tema del sacerdote compagno di pellegrinaggio degli uomini. Nel pellegrinaggio il sacerdote non può trascurare la dimensione e gli aspetti della vita concreta, morale, culturale e sociale, di coloro che camminano con lui e del progresso sociale nel quale ognuno si trova. La missione di guida abbraccia anche l’ambito della vita culturale e sociale. Tenendo conto della saldezza ai principi e agli insegnamenti divini, delle quali è custode, depositario e maestro, ha il compito di guida verso l’identificazione e il progresso delle giuste tendenze che aiutano l’uomo a raggiungere il perfezionamento al quale aspira. Le novità in ambito sociale e culturale sono evidenti; il progresso di cui parla, cioè la nuova situazione alla quale fa riferimento è la nascita di una tendenza nuova legata al mutamento culturale dei tempi: la democrazia, «un nuovo risveglio commuove il popolo e i lavoratori, i quali si impegnano in una lotta sociale, al fine di ottenere giustizia per tutti e il diritto di godere di un modesto benessere come conviene a creature ragionevoli»14.
La questione sociale sollevata da movimenti politici e sindacali, smuove anche le “masse cristiane”, cioè la Chiesa, per ottenere quel13 14
Ibid., 1. Ibid., 2.
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la giustizia che assicura a tutti un adeguato benessere. Anche se non viene citato, è esplicito il riferimento che si fa a Leone XIII il quale con la sua Rerum Novarum non solamente percepisce il grido e la sofferenza del popolo e si schiera dalla parte degli operai, ma benedice le giuste domande del mondo operaio e la nuova tendenza: «Ed ecco la democrazia cristiana, solenne manifestazione del cattolicesimo nei nostri tempi. Ecco dunque il sacerdote cattolico nel mezzo della democrazia cristiana: qual sarà la sua missione sociale? Risponderò: il Sacerdote duce e patrocinatore della democrazia cristiana: ecco la sua missione, la sua gloria nei tempi presenti […] Vi annunzio un argomento di suprema importanza: farò l’apoteosi del sacerdote che vive in mezzo al popolo e agli operai: perché egli per me è il vero conduttore di uomini in questi tempi solenni che la Chiesa attraversa»15.
È la percezione di un grande cambiamento epocale, di svolte sociali radicali davanti alle quali la Chiesa non è rimasta indifferente: il papa Leone XIII con la sua enciclica, ma soprattutto con quello che è sorto all’interno della Chiesa a favore della classe operaia e per l’affermazione della giustizia sociale e di una nuova cultura e morale ne sono una viva testimonianza. «Oggi infatti la democrazia sfolgora come sole innanzi agli occhi dei popoli: è l’idea nuova, che splendida di felici speranze, attira i cristiani lavoratori, li rigenera nella fede e nella religione, assicura i loro diritti, rende facile l’esercizio dei loro doveri. La diciamo democrazia, perché si vuole l’ordinamento della società in forma popolare, promosso dal popolo con la sua forza e la sua organizzazione; è cristiana, perché si mette a base di ogni diritto, a guida di tutto il movimento, a temine di ogni benessere civile, economico e politico la religione di Gesù Cristo. Gli ideali dei democratici cristiani si compendiano in questa formula: il popolo vuole la giustizia, la pace; vuole che siano riconosciuti i suoi diritti come uomini, cittadini e cattolici; promette l’adempimento più scrupoloso dei suoi doveri; tende ad una organizzazione cosmopolita, il regolamento della quale sia la legge del Vangelo e la parola del Papa»16.
Il movimento della democrazia cristiana è intravisto come difesa del mondo operaio, attenzione agli ultimi della società e difesa dei loro diritti fondamentali, ma anche come movimento che rigenera la società nella fede e nell’esperienza ecclesiale. Al tempo del cano15 16
L.c. L.c.
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nico Disca si pensava che il socialismo avesse estraniato il mondo operaio dalla vita di fede e dalla Chiesa, la democrazia cristiana invece deve rigenerare gli operai e tutta la società e riportare gli uomini ad un impegno serio di fede e di scelta religiosa. Il rimando a Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, è evidente: infatti si deve a lui e alla sua lettera enciclica gli inizi e lo sviluppo di questo movimento. I fermenti iniziati con il papa Leone XIII, vengono, nell’oggi, considerati come realtà attraverso il movimento della democrazia cristiana che si fa portavoce e promotrice dei principi cristiani di uguaglianza, di fraternità, di libertà. L’autore non può non riconoscere che tali principi siano stati promossi da altri movimenti che hanno prodotto anche rivoluzioni; come per esempio quella francese del 1789: sono principi che hanno provocato un continuo lavoro di rinnovamento e rigenerazione della società, attraverso il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, il godimento di una libertà esente da tante restrizioni, tuttavia che porta ad una piena attuazione e a un completo riconoscimento di tali diritti è la democrazia cristiana, la quale ha tendenze sociali ed insieme sacre e religiose.
5. Il sacerdote e la rigenerazione della società: la scelta dei poveri e la democrazia cristiana Il promotore di questi ideali, l’animatore di questo movimento e il condottiero del rinnovamento sociale è il sacerdote cattolico. Disca così afferma: «Infatti, appartiene al sacerdote guidare l’uomo nella sua vita religiosa e sociale. Nella vita religiosa, perché egli è mandato sulla Terra a mantenere i dolcissimi vincoli tra Dio e gli uomini, mercé l’esercizio del culto. Nella vita sociale ancora, perché l’uomo tra i suoi simili è stretto da diritti e doveri, è tenuto alla soggezione all’autorità: e dal retto esercizio di questi atti emerge l’ordine e la sua relativa felicità»17.
È interessante notare come il can. Disca giustifichi il legame profondo di due ambiti del ministero sacerdotale: la vita religiosa e la promozione della società nel rispetto della persona con i suoi diritti inalienabili e valori essenziali legati al suo essere persona. Due ambiti che non possono scindere senza compromettere il mi17
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nistero sacerdotale: l’esercizio del culto senza la preoccupazione di promuovere la persona e la sua realizzazione all’interno della società, diventa sterile e fanatico pietismo; così come l’attenzione alla persona senza curare il vincolo che lo lega a Dio, diventa vuota filantropia o attivismo esasperato senza il raggiungimento della felicità della persona e della costituzione di una sana società umana. Il motivo per cui il sacerdote è considerato il condottiero del movimento democratico cristiano è perché è formatore della coscienza morale della persona. La persona nella sua coscienza, come anche nel relazionarsi con gli altri è determinata da diritti e doveri, è tenuta alla soggezione all’autorità, tanto che dal retto esercizio di questi atti emerge l’ordine nella società e la relativa felicità dell’uomo. Nel suo argomentare fa riferimento allo studio di alcuni filosofi che affermano che il diritto, il dovere, la sottomissione alle autorità sono cose sacre, cioè hanno ispirazione e origine in Dio e legano la coscienza per l’ordine della società. Il sacerdote è formatore di coscienze; è compito specifico del suo essere e del suo ministero educare le coscienze, per cui egli è custode di quest’ordine sociale, è colui che guida e vigila perché quest’ordine sociale non sia turbato. Il sacerdote è democratico: questa è una caratteristica che scaturisce dal suo essere sacerdote e dall’esercizio del suo ministero. L’opera del sacerdote mira di preferenza alla democrazia, perché i principi del cristiano sono del tutto democratici. Il Visconte di Chateaubriand dice: «Cristo nacque dal popolo, si rivolse, guardò, parlò al popolo e ai poveri: i suoi insegnamenti furono affatto conformi alla sua vita; d’onde ne viene che il cristiano è di indole popolare»18.
È interessante questo passaggio fatto con una citazione appropriata di Chateaubriand: il cristiano è popolare, è democratico, perché Cristo si rivolse al popolo, agli ultimi. Inoltre i destinatari privilegiati dell’opera della Redenzione furono gli ultimi della società, tanto deprezzati e bistrattati dalla società a causa dell’istituto della schiavitù che aveva portato l’uomo e la sua nobile dignità all’ultimo segno dell’umano degrado. L’opera della Redenzione compiuta da Cristo riabilita, riqualifica e nobilita la persona umana nella 18
Ibid., 3.
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sua integrità, a prescindere dalla condizione sociale e culturale in cui si trova. «Difatti, il concetto stesso della Redenzione, abbraccia di preferenza gli umili, la cui abiezione nel paganesimo, con la schiavitù, aveva raggiunto l’ultimo segno dell’umana degradazione; sta a provarlo tutto lo svolgimento storico della Chiesa primitiva, che dagli Apostoli, ai Padri, ai Dottori, altamente rivendica la personalità giuridica e la libertà dell’uomo. San Paolo chiama col dolce nome di fratello lo schiavo Onesimo: linguaggio inaudito allora, quando lo schiavo non valeva più di un giumento. Ma Onesimo più tardi, esempio sublime dell’ascensione degli umili nella Chiesa, fu elevato alla dignità di vescovo»19.
La storia del cristianesimo testimonia questi passaggi importanti: non viene riconosciuta solamente la personalità giuridica dell’uomo o la libertà intesa come passaggio dalla condizione sociale di schiavitù a quella di uomo libero capace di fare quello che vuole. Con il cristianesimo c’è lo sforzo di riconoscere l’uomo per quello che è, in quanto uomo, a prescindere dalla identità sociale e culturale che detiene, fosse anche povero, schiavo, ignorante, è uomo; fino ad arrivare al punto di offrire la possibilità ad uno schiavo, qual è Onesimo, di diventare vescovo. «La Chiesa […] è aperta a tutti, tutti sono uguali in faccia ad essa; o piuttosto essa difende i deboli e gli oppressi»20.
La concezione ecclesiologica che sottostà a quella del ministero ordinato è fondamentale: la Chiesa non ha confini culturali, economici, sociali. Essa è aperta a tutti: quindi non una Chiesa di élite, di privilegiati che predilige le classi agiate sotto tutti i punti di vista; non la Chiesa societas perfecta costituita da perfetti, ma la Chiesa popolo che nel suo seno accoglie tutti e ogni persona in quanto tale ha cittadinanza al suo interno. Non è una Chiesa che faccia opera di promozione verso i poveri, i deboli, gli oppressi, come se questi fossero altro da lei; ma una Chiesa che difende i deboli e gli oppressi perché questi appartengono a lei, sono parte, membra della Chiesa.
19 20
L.c. L.c.
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«Son questi, o signori, i principi del Cristianesimo, e da questi principi io deduco la legittima conseguenza: Il sacerdote che sposa gli interessi del Cristianesimo, ed è obbligato a farne osservare i principii, per ragione del suo ministero è democratico, è della democrazia il più valido e più forte sostegno»21.
C’è una stretta correlazione tra la Chiesa e l’impegno per gli ultimi: la Chiesa si interessa dei poveri e degli ultimi perché questi appartengono a lei, per cui si fa solidale con gli ultimi, lavora e collabora per la promozione degli ultimi. La Chiesa allora è per la democrazia e i principii della Chiesa portano alla democrazia. Il sacerdote ha la missione di far osservare i principii della Chiesa e non può che essere democratico, ma non perché sceglie, preferisce e predilige per motivi e sensibilità personali, ma «per ragione del suo ministero è democratico»: quindi per il fatto di essere sacerdote non può che essere democratico, anzi è un valido e forte sostegno del movimento democratico. «Avanti ancora, o signori, esaminiamo i principii della democrazia e il ministero del sacerdote»22. Avendo dimostrato che la Chiesa e la democrazia si richiamano a vicenda e i principii della Chiesa sono i principii della democrazia, il sacerdote non può che essere democratico e il suo ministero non può che essere un sostegno forte e convinto alla democrazia. La domanda centrale in questo argomentare che porta avanti il nostro conferenziere è: Cosa è la democrazia? «La democrazia è il popolo dei lavoratori: sono i poveri che fecondano col loro sudore la terra; sono le masse diseredate che con le loro quotidiane fatiche producono la ricchezza e gli agi della vita. Oggi esso è un popolo immiserito che ha solo il diritto di lamentarsi e piangere, levando gli occhi e le mani al cielo, speranzoso in una giustizia futura, in una felicità che non è terrena. Eppure Gesù Cristo aveva delle preferenze per loro: le sue simpatie erano per i poveri, per gli umili. Egli elesse i suoi discepoli negli ordini meno elevati della società; non predicava che sacrifici, allontanamento dalle pompe del mondo, dai piaceri, dalla possanza; preferì lo schiavo al padrone, il povero al ricco, il lebbroso all’uomo sano, chi piangeva o era aggravato dalle sventure, derelitto dal mondo, per lui era tra i predestinati. La potenza, la fortuna, la felicità, per lo contrario, erano da lui minacciate»23. 21
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Da queste affermazioni possiamo notare come il concetto di democrazia non sia il governo del popolo come l’etimologia greca del termine indica, ma il movimento che raccoglie i lavoratori, i poveri, le classi meno abbienti della società. Questo popolo di lavoratori angariati e condannati alla miseria che ha solo doveri e pochi diritti, che sono da compendiare in quegli atteggiamenti che esprimono la sofferenza dell’uomo povero: lamentarsi, piangere e aspettare dal cielo una giustizia che sulla terra non si può avere, ma che bisogna attendere per il futuro e nell’altra vita: questo è il movimento democratico-cristiano e la Chiesa si affianca ad esso. La Chiesa è solidale con i poveri; con i disagiati a causa della miseria, perché Gesù Cristo ha svolto il suo ministero messianico verso di questi. Gesù aveva preferenze e simpatie nei confronti dei poveri, si è scelto quali amici e compagni di cammino, durante la sua vita terrena i poveri e gli ultimi della società, i malati, gli sventurati. Le persone disprezzate e scartate dalla società, sono state scelte e predilette da Gesù, il quale ha avuto preferenza verso questi e ha minacciato invece la potenza, la fortuna, la felicità. È interessante l’utilizzo del verbo minacciare, che corrisponde al mettere in guardia, indica un’azione che mette paura, intimorisce, per evitare un male, un pericolo. Per il nostro canonico Gesù non condanna i potenti, i fortunati, gli uomini felici in quanto tali, ma li mette in guardia, contro il rischio che questi atteggiamenti comportano: la possibilità di salvezza per un potente, un fortunato, uno che si sente pienamente appagato è meno rispetto a chi non vive questi atteggiamenti. Se Gesù ha svolto il suo ministero nella direzione dei poveri e degli ultimi e se le sue preferenze sono state per queste categorie di persone, di conseguenza il sacerdote non può che muoversi in questi ambiti ben definiti e il suo ministero non può che privilegiare i poveri sull’esempio di Gesù. «Or bene, o signori, quelle preferenze che ha avuto Gesù Cristo, deve averle anche il sacerdote cattolico, perché il suo cuore deve essere formato sul cuore del divin Maestro. Ecco dunque il sacerdote in mezzo ai poveri e agli operai: egli si aggira tra questi diseredati, ed è l’angelo del conforto e della consolazione. Il sacerdote ripete: Evangelizare pauperibus misit me: il mio elemento è là, fra i poveri, i diseredati; patrocinare la loro causa: ecco la mia missione»24.
24
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Il continuo confronto tra Gesù Cristo e il sacerdote, tra missione messianica e missione sacerdotale è utile non solamente per sottolineare la continuità che c’è tra Gesù e il sacerdote, ma la necessità che il ministero sacerdotale si conformi a quello di Gesù e le modalità di realizzazione di questi rispecchino quelle di Gesù. Gesù ha riferito a sé le parole: Evangelizare pauperibus misit me; il sacerdote fa sue quelle stesse parole, perché il suo cuore deve conformarsi a quello del Maestro, ragion per cui il sacerdote si indirizza verso i diseredati e sarà l’angelo del conforto e della consolazione, patrocina la causa dei poveri. «Ed egli parla e i popoli lo ascoltano; si interessa dei bisogni degli operai e dei poveri, ci si mette in mezzo, rimane con essi in un contatto diretto. Non sa nulla di aristocratico e d’inaccessibile; tutti lo possono vedere, tutti gli possono parlare, specialmente i poveri e gli afflitti, ai quali ripeté il conforto di Gesù Cristo: Beati i poveri, perché il regno della felicità appartiene a voi»25.
Qui emerge la descrizione non del sacerdote specialista del sacro, rinchiuso nel tempio, dedito al culto e curante solamente di quelli che sono al sicuro, dentro al perimetro sacro, ma quella del sacerdote che come Gesù, è uomo di tutti, apre la bocca per parlare e il suo messaggio è rivolto a tutti, è in mezzo alla gente, si relaziona con tutti e si fa compagno di cammino di tutti, specialmente dei poveri e di quanti sono considerati gli ultimi della società. Tra la gente è colui che annuncia il messaggio delle beatitudini; per cui se è accanto ai poveri e ai diseredati e si fa patrocinatore delle loro cause, non è come un sobillatore che spinge alla lotta e alla violenza. È molto evidente il riferimento alla dottrina socialista della lotta di classe quale metodo per cambiare la società; la rivoluzione fino alla lotta quale antidoto ai mali sociali e alle ingiustizie provocate dai ricchi e dai borghesi «che anzi frena i loro (=dei poveri) sdegni, i loro impeti imprudenti e ingiusti, quando fremendo vorrebbero impegnare anche una lotta civile, e predica loro: Siate sottomessi per dovere, non per timore, ma per convinzione, per coscienza: Non solum propter iram, sed etiam propter conscientiam: e li conforta nella mansuetudine con quelle parole: Beati mites, quoniam ipsi possidebunt terram»26. 25 26
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Il sacerdote, secondo il nostro conferenziere, fa di più rispetto a quanto fin qui descritto. Forte della parola evangelica, con franchezza e coraggio, si presenta impavido davanti ai ricchi e ai potenti, ricordando loro che essi non sono i privilegiati dinanzi a Dio, perché non hanno ascoltato le parole della Religione e sfruttano i poveri. «La ricchezza, la potenza non costituisce una forza presso Dio, perché al suo cospetto non vi è giudeo né greco, non servo né libero: innanzi a Dio siam tutti uguali […] Né vi è lecito succhiare il sangue del povero impadronendovi di tutto il frutto dei loro sudori; ma quello che sopravanza ai giusti vostri bisogni è dei poveri […]; e all’operaio, all’artiere rendete una giusta, una ragionevole retribuzione»27.
6. I disagi e le difficoltà degli avversari Come si può notare, il nostro canonico abbonda di citazioni scritturistiche e richiama l’insegnamento evangelico sulla giustizia sociale quale dottrina originalissima, ma attuale e idonea a risolvere l’annosa questione sociale. Per il nostro autore, prima che la legge del Vangelo brillasse sull’orizzonte dell’umanità, nessun legislatore, nessun politico, nessun sovrano aveva parlato a favore dei poveri, aveva perorato la loro causa e provveduto ai loro bisogni: «Fu Gesù Cristo, e dopo di Lui i sacerdoti che predilessero e difesero i poveri. Il mondo non usato a simili avvenimenti, guardò come spettacolo i seguaci del Nazareno, spettacolo i sacerdoti, che a ragione possiamo chiamare gli apostoli della carità e della beneficenza. Né crediate, o miei signori, che le parole e le fatiche del sacerdote rimangano senza frutto: oh, tutt’altro; più altri ingegni ne vanno riconoscendo la verità; e quelli che rifiutano di soggettarsi al sacerdozio, ne confessano almeno l’importanza e l’utilità; e considerandolo come la istituzione del maggior interesse, son già persuasi che il buon ordine e la felicità delle famiglie e dei popoli dipendono da esso»28.
Tra le righe si può leggere la tendenza del pensiero filosofico di fine ’800 segnato dalla fiducia illimitata alla ragione, alla scienza, al progresso tecnologico, a discapito di qualunque fenomeno religioso che richiamasse Dio, etichettato come non degno di essere preso in considerazione perché al di là delle possibilità conoscitive dell’uo27 28
Ibid., 4-5. Ibid., 5.
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mo, in quanto bisogna creare una religione che fosse entro i limiti della ragione e non al di là, alla maniera kantiana. È proprio di questo periodo il sorger di correnti di pensiero che combattono l’idea di Dio fino a proclamarne la morte. Prevale ancora l’idea marxista della lotta alla religione, perché considerata “oppio dei popoli”; o dell’idea di Dio e della vita eterna come proiezione delle frustrazioni umane o alienazioni della persona e quindi orientamenti, movimenti che distraggono gli uomini dai veri problemi della società29. Contro questi filosofi che hanno avuto atteggiamenti di profeti in quanto propugnavano la morte di Dio e vaticinavano una società senza religione, ci sono quelli favorevoli a riconoscere l’importanza e la funzione determinante del sacerdote e sono anche disposti a riconoscere i vantaggi del ministero sacerdotale per il buon ordine e la moralità delle famiglie e della società e per la loro felicità, intesa come raggiungimento di pienezza di vita autenticamente umana. Il nostro autore riconosce che gli apprezzamenti che il pensiero filosofico contemporaneo attribuisce al sacerdote e quindi alla Chiesa, è Dio a permetterli per la conservazione del sacerdote e della Chiesa stessa; a questo lavoro umano di conservazione e promozione del ministero sacerdotale corrisponde il contributo che viene dal Cielo, cioè da Dio, che viene paragonato alla pioggia che scende dal cielo per fecondare il ministero sacerdotale. «In mezzo ai tumulti di un mondo indifferente e corrotto, si slanciano di continuo uomini privilegiati, la fronte dei quali ha toccato la fiamma della ispirazione, acceso il cuore dal fuoco della celeste carità; ed affrontando gli scherni e le ingratitudini, si consacrano al sollievo dell’umanità infelice, e all’istruzione dell’infanzia»30.
Sono molto toccanti le espressioni utilizzate dal nostro canonico: il sacerdote è un uomo coraggioso; nonostante i grandi disagi e condizionamenti che gli vengono dall’ambiente sociale e culturale in cui è inserito, fa la scelta radicale di consacrarsi alla missione sua propria. Il mondo nel quale oggi vive il sacerdote è definito tumultuoso: una espressione non certo positiva che ci aiuta a comprendere i forti conflitti sociali e culturali presenti nella società agli inizi del ’900.
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Cfr. I. Kant, F. Nietzsche, K. Marx, S. Freud. R. DISCA, Il prete nella democrazia cristiana, cit., 5.
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Il mondo tumultuoso al quale rimanda il nostro autore è caratterizzato da indifferenza e corruzione: fenomeni legati ad una crisi profonda che è religiosa, ma anche morale; in quanto crisi religiosa provoca anche una moralità contrassegnata dalla crisi, cioè da quello spaesamento e smarrimento di valori morali per cui alla fine c’è la corruzione della società. In un contesto del genere di disorientamento e di tumulti morali e religiosi il sacerdote è un uomo coraggioso perché affronta scherni ed ingratitudini per consacrarsi alla missione sacerdotale. Viene definito un “uomo privilegiato” che si “slancia” verso la missione: il verbo “slanciarsi” è usato per indicare la determinazione nel fare la scelta radicale del sacerdozio, la volontà forte di uscire anche in modo drastico da una corrente trainante di corruzione e di indifferenza verso principi, mete, valori ed esperienze di vita fuori dalla normalità della società corrente; lo slanciarsi assomiglia allo spiegarsi delle ali di un uccello che ha chiari gli obiettivi da raggiungere e vuole distaccarsi in modo risoluto dalla situazione contingente, anomala e pericolosa nella quale si trova. Il coraggio dimostrato da chi va verso il sacerdozio lo rende anche un uomo privilegiato. La condizione di uomo privilegiato è determinata dal fatto che «la sua fronte ha toccato la fiamma dell’ispirazione», cioè la sua intelligenza ha sfiorato la conoscenza di quella verità che è come una fiamma che ispira, illumina; il suo cuore, cioè la sua dimensione interiore, essenziale del suo essere persona, è stato «acceso dal fuoco della celeste carità».
La carità divina, cioè l’amore che Dio ha per noi, che motiva l’amore che noi uomini abbiamo per Dio, è paragonata al fuoco che infiamma; per cui chi si orienta verso il sacerdozio è un uomo privilegiato perché la sua mente è stata illuminata dalla comprensione della verità e il suo cuore, è stata infiammato dalla carità. Il sacerdote è un uomo coraggioso, perché forte di questi doni che gli vengono offerti e garantiti da Dio, il quale illumina con la sua Verità e infiamma i cuori con la sua carità. Egli, ripieno di questi doni che lo rassicurano sulla chiamata divina al sacerdozio, può affrontare “scherni e ingratitudini”. Vive all’interno di una società che privilegia ben altri orizzonti culturali rispetto a quelli entro i quali vive il sacerdote ed è guidato da criteri assiologici completamente diversi rispetto a quelli che sono in auge nella società. 81
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7. Il sacerdote è l’uomo della carità cristiana e dispensatore della grazia multiforme divina Nonostante quello che subisce dalla società, il sacerdote si consacra «al sollievo dell’umanità infelice e all’istruzione dell’infanzia». Il nostro autore fa un confronto tra le opere di carità e la beneficenza promossa dal sacerdote e quindi dalla Chiesa e quella di chi non è mosso dall’amore di Dio: diversi sono gli atteggiamenti, diversi sono i mezzi e diversi sono gli obiettivi e quindi necessariamente diversi sono i risultati. «Il sacerdote si consacra al servizio e al sollievo dell’umanità infelice. Certo, non con lo spreco di tante sostanze e non col concorso dei principi, ma con la liberalità della beneficenza operosa, e col fuoco della carità. Risulta agli occhi di ognuno, o signori, come negli ordinamenti sociali manca quella beneficenza operosa e tutta cristiana, che crea miracoli e sollievo dell’umanità sofferente. Forse talora la beneficenza si esercita, ma come politica o filantropia: e in conclusione son tutte ciance, che non possono mai consolare e sollevare le masse diseredate: che anzi fanno arrossire chi viene beneficato in questo modo»31.
La sottolineatura fatta dal nostro conferenziere è utilissima per comprendere lo specifico del ministero sacerdotale. Il sacerdote è uomo di Dio ed è anche fratello di tutti e il suo ministero è a servizio di tutta l’umanità: è servo dell’uomo. Egli consacra se stesso per sollevare l’umanità infelice. Il Disca nota come all’interno della società manca questo tipo di beneficenza operosa che è tutta cristiana, cioè mossa e guidata da valori e principi cristiani. Questo tipo di carità assicura miracoli, cioè fatti straordinari a beneficio dell’umanità sofferente. Quando mancano queste motivazioni la carità si riduce a semplice filantropia o viene fatta per motivi politici: così essa non può mai essere di consolazione e sollievo per le classi diseredate; anzi quando mancano queste motivazioni, le cosiddette “opere buone” non sono di aiuto, ma fanno arrossire chi viene beneficiato. In poche parole non è sufficiente porre in atto l’opera buona a favore dei diseredati, è fondamentale curare lo spirito per cui si opera, diremmo che bisogna fare attenzione alle motivazioni che spingono ad agire, all’atteggiamento della persona che pone in atto un’azione buona. Se tutto è 31
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spinto dalla beneficenza operosa cristiana e dal fuoco della carità, l’agire della persona sarà come un miracolo, solleverà e consolerà l’umanità sofferente; se mancano questi principi e ve ne saranno altri come la pura filantropia o il vantaggio politico, lo stesso agire della persona farà arrossire, cioè mortificherà i poveri. «Per buona sorte è tuttavia sulla Terra il fuoco della carità: e questo fuoco sacro si alimenta nel petto del sacerdote cattolico; e se i tristi lasciassero libera l’opera sua, si toccherebbero meglio con mano i salutari effetti della sua beneficenza e della sua carità»32.
La presenza della beneficenza operosa del sacerdote testimonia il fuoco della carità cristiana presente nel mondo. Il sacerdote è promotore di questa carità. Tuttavia non mancano coloro che fanno opera di ostacolo nei confronti dell’agire del sacerdote: questi vengono definiti “tristi”. Sono certamente oppositori dell’opera del clero e della Chiesa: il rimando è ai tanti anticlericali e massoni che remavano contro la Chiesa e i sacerdoti. Conseguenza di questa opera di opposizione o contrapposizione all’opera caritativa del sacerdote è l’indebolimento degli effetti della beneficenza e della carità testimoniate dal sacerdote. La lotta anticlericale è a discapito non dei preti, ma dei destinatari del beneficio, cioè dei poveri. L’associazionismo dei laici, che sono “cristiani viventi nel secolo” è importante e risponde alle esigenze di tanti poveri, ma la testimonianza di coloro che si sono consacrati a ciò, è indubitabile, perché efficace e benefica. «Ecco dunque il sacerdote. Nelle sue mani Gesù Cristo pose, oltre al deposito della dottrina, i tesori dei sacramenti; gli diede a campo dell’apostolato, oltre il tempio, la Terra tutta, e gli intimò: Vanne a nome mio, benedici, consola e salva. Onde il prete nella democrazia è Epifanio Vescovo che riscatta le plebi rapite dai Borgognoni; è Agostino che catechizza i fanciulli; è Giovanni l’elemosiniere che veste gli ignudi e pasce gli affamati; è Carlo Borromeo che conforta i morenti di peste; è Francesco di Sales che riconduce gli erranti alle dolcezze della fede»33.
L’argomentare del nostro conferenziere è chiaro, profondo e molto coerente. Il sacerdote ha ricevuto nelle sue mani una ricchez32 33
Ibid., 5. Ibid., 6.
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za straordinaria, di cui è solamente amministratore e mai può considerarsi padrone. È Gesù Cristo che ha messo nelle sue mani, quindi gli ha affidato il deposito della dottrina, per cui è un custode delle verità che la Chiesa professa da duemila anni, da quando le ha ricevute da Gesù Cristo; è amministratore di quella grazia divina che arriva all’umanità attraverso la celebrazione dei sacramenti; nelle sue mani ci sono i tesori che scaturiscono dalle azioni salvifiche, cioè i sacramenti, che Cristo ha lasciato alla Chiesa e che questa affida ai sacerdoti. Inoltre ha ricevuto il compito di esercitare il suo ministero e il suo apostolato non solamente dentro il tempio, ma su tutta la Terra; ha ricevuto il mandato di andare in tutto il mondo, a nome di Gesù, per “benedire, consolare e salvare”. Il ministero sacerdotale continua quello di Gesù, il quale opera oggi attraverso il sacerdote, per cui quest’ultimo ha il compito di benedire, consolare e salvare. Fa un’elencazione di nomi illustri di santi sacerdoti e vescovi che hanno operato esercitando il loro ministero e diventando strumenti di salvezza per le persone che hanno beneficiato della loro azione. Ognuno di questi sacerdoti e vescovi citati oltre a svolgere il compito specifico di sacerdote, è stato anche per il tempo in cui è vissuto protagonista di una nuova civiltà, fautore di una nuova cultura contrassegnata da valori e principi cristiani. «Ecco la necessità e la bellezza del sacerdote in mezzo al popolo. I grandi esempi di un Vincenzo de Paoli, che è l’angelo del conforto e della consolazione nella Francia; di un Giovanni di Massa, che in mezzo ai turchi nell’Asia e nell’Africa dà la libertà e la vita ai prigionieri e agli schiavi abbandonati nella loro ignominia […] si sono ripetuti ai nostri giorni […] in Don Giovanni Bosco che si circonda di migliaia di fanciulli abbandonati, e li sostiene, e li forma onesti padri di famiglia, bravi lavoratori, cittadini esemplari, o nuovi santi del cielo; si sono ripetuti in quell’angelo di Benedetto Dusmet, consolatore degli afflitti, padre di una grande famiglia di poveri, benefattore di un popolo»34.
Il nostro conferenziere cita nomi di sacerdoti e vescovi del passato, ma anche del suo tempo, mettendo in risalto le caratteristiche personali di ognuno e l’agire eroico realizzato che ha sortito effetti speciali per l’ambiente in cui vissero, promuovendo quel bene che all’interno della società ha migliorato le condizioni sociali dell’umanità. 34
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8. Il sacerdote consolatore ed educatore di coscienze: la rigenerazione morale della società Se è prezioso il contributo offerto da questi sacerdoti alla società, c’è un ambito proprio che è esclusiva competenza del sacerdote: è il cuore dell’uomo, ferito dal peccato e dal male. «E che dire, o signori, di alcuni interni dolori che talora amaramente affliggono i nostri cuori? Oh, quando l’anima è spezzata dal dolore, solo il sacerdote deve entrarvi; perché si danno lagrime che egli solo può asciugare, dolori che egli solo può comprendere e consolare; piaghe che nessun’altra mano può toccare e guarire. Una sola parola del sacerdote rianima e consola il nostro cuore in mezzo ai più cocenti dolori, ed egli non nega mai questa parola di consolazione a chi ricorre a lui nel giorno dell’afflizione»35.
La trattazione sul sacerdote entra nel vivo delle competenze esclusive del ministero sacerdotale: il suo agire allevia le pene e le sofferenze del cuore dell’uomo; sono competenze esclusive del sacerdote; è l’uomo della consolazione che non viene negata a chiunque la ricerchi; è l’uomo della pace, perché porta tale dono nel cuore di coloro che sono nella tribolazione. La missione del sacerdote cattolico consiste nel sollevare l’umanità infelice: così è stato nel passato, così è oggi ed egli si prepara a viverla così per il futuro. Vengono ancora messi in luce altri aspetti legati al ministero sacerdotale, preziosi ed utili come quelli finora menzionati, che hanno benefiche conseguenze nella società e nella promozione dell’uomo verso il quale il sacerdote è consacrato e per il quale offre il suo servizio ministeriale. «Il sacerdote, ho detto ancora, si consacra all’educazione e all’istruzione della classe più numerosa […] Un illustre filosofo (Balmes) dice: “Sarà inutile e fors’anche dannoso, fondare delle scuole che abbiano per base la Religione; e questa base non sarà che di nome, se la direzione di quella non appartiene ai ministri della religione medesima”. Sublime pensiero!»36.
È interessante quest’altro aspetto del ministero sacerdotale che il nostro vuole presentare: il sacerdote è educatore e non si dà vera 35 36
L.c. Ibid., 7.
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educazione che non si fondi sulla religione: ragion per cui il sacerdote ne ha la competenza. «Per effettuare la rigenerazione sociale-religiosa, il sacerdote – siatene persuasi – deve farsi ministro delle scienze e del progresso, come lo è già della pace e della consolazione. Ecco il bisogno del secolo: ecco il divino comandamento. Seme di ogni progresso, di ogni civiltà, di ogni franchigia, il cristianesimo impone al sacerdote una missione di intelligenza, di civiltà e di progressiva franchigia, per cui il divin Maestro disse ai suoi discepoli: Voi siete la luce del mondo»37.
Al cambiamento dei tempi e davanti al sorgere di nuove idee che caratterizzano il ’900, dove le scienze e il progresso a volte sono considerati come tanti miti che impongono nuovi sistemi di vita e criteri di valutazione difformi dalla verità, il sacerdote deve farsi ministro delle scienze e del progresso, in vista anche della rigenerazione sociale e religiosa della società. Il rinnovamento sociale e religioso della società è possibile a condizione che il sacerdote cattolico se ne faccia promotore, perché a lui compete il compito di educare, attraverso le scienze e il progresso. Il compito educativo che spetta al sacerdote, corrisponde al mandato che Gesù Cristo ha dato alla sua Chiesa, che consiste nell’insegnare e nella missione affidata ai discepoli di essere luce del mondo. In tale insegnamento si ritrovano i germi di ogni progresso, di ogni civiltà, di ogni libertà. Il sacerdote è colui che si fa carico della missione educativa della Chiesa: è una missione di intelligenza, di civiltà, di progressiva libertà. È interessante la visione ecclesiologica del nostro conferenziere che costituisce come fondamento della concezione del sacerdozio: la Chiesa educa, svolge il suo compito di luce del mondo attraverso i suoi insegnamenti: chi si fa carico della missione della Chiesa e traduce concretamente il suo mandato è il sacerdote che, come la Chiesa è luce, per analogia, egli, in qualità di ministro, illumina il cammino educativo del singolo e della società; ecco perché non ci può essere vera rigenerazione sociale e religiosa della società senza che il sacerdote si faccia ministro delle scienze e del progresso. «Onde ogni luce è figlia della fede cattolica; e dove non rifulse la luce del sacerdozio cattolico diffusa su la croce, simbolo della libertà, stanno le 37
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tenebre e la tirannia. Pertanto la necessità dell’opera del sacerdote nella democrazia cristiana è di tale importanza che solo può disconoscerla chi chiude gli occhi all’evidenza dei fatti»38.
Il sacerdote è portatore di quella luce che promana dalla croce di Cristo, per cui ogni luce è figlia della fede cattolica, rimanda alla verità che illumina la Chiesa e l’umanità intera. Dove manca la luce c’è solamente tenebra, per cui il compito del sacerdote di illuminare è fondamentale per la democrazia cristiana e per tutta la società. «Una missione grande è affidata al sacerdote: la rigenerazione del paese. Rigenerazione prima morale, indi materiale per necessaria conseguenza. Egli deve estirpare la corruzione, internandosi negli ordini infimi, cioè nelle basi della società; ispirare l’amore all’evangelica libertà, sempre concorde con l’ordine costituito e con la potenza che lo garantisce, e a questi beni seguiranno necessariamente il benessere materiale e l’abbondanza. Sarà questa l’opera del sacerdote nella democrazia cristiana»39.
La missione del sacerdote è alta; in quanto uomo di Dio è a servizio della consolazione e della pace, ma è educatore e promotore della rigenerazione morale della società. La rinascita del Paese, promossa dal sacerdote, è innanzitutto morale e poi di conseguenza sarà anche materiale. Il suo compito consiste nel combattere la corruzione, estirpandola come se fosse una cattiva pianta, fin dalle sue radici, cominciando dalle basi della società, cioè partendo dagli ultimi, dalle persone che contano poco al suo interno. Ha come compito quello di ispirare l’amore all’evangelica libertà, intesa non come libertinismo (cioè poter fare quello che si vuole in base a ciò che l’individuo ritiene buono o utile), ma come libertà che è sempre concorde con l’ordine costituito, cioè una libertà guidata dalla verità che orienta l’umana ragione e con la potenza che lo garantisce, cioè la forza della verità, che rimanda a Dio, fondamento della verità. Il benessere materiale e la ricchezza di una società dipendono da questa rigenerazione sociale, di cui il sacerdote è ministro. All’interno delle masse cristiane l’opera del sacerdote è grande ed è salutare; i frutti che il suo ministero offre ai popoli, alla patria, alla Chiesa sono tanti. La nuova democrazia cristiana non può fallire se il sacerdote l’affianca e ne è la guida. Il nostro conferenziere 38 39
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previene le obiezioni dei nostri uditori, i quali potrebbero pensare che il discorso fatto sia semplice teoria o sogno che rimarrà sempre un pio desiderio. «No, o signori, in Francia, nel Belgio e in Italia non la pensano così; l’edificio è più che a metà innalzato, e la rigenerazione sociale religiosa speriamo si compia in breve. Sacerdoti volenterosi, personaggi illustri e disinteressati, hanno riunito in un fascio i loro sforzi, perché l’idea nuova trionfi del tutto; e trionferà di sicuro, perché è la Chiesa che combatte. Io nominerò alcuni di questi prodi sacerdoti, ed invio a loro, nella loro dimora del cielo o della terra, l’omaggio di tutta l’anima mia»40.
L’obiezione di coloro che giudicano la proposta della democrazia cristiana come illusoria e priva di possibilità di attuazione viene superata dalla dimostrazione della storia. Vengono citate nazioni dove lo sforzo di realizzazione di tale progetto si è compiuto e quindi la speranza di vederlo realizzato è sicura. Si fa riferimento a persone generose e a sacerdoti illustri presenti nel tempo presente o del passato che hanno favorito e hanno lavorato per la rigenerazione della società come: O. Ketteler di Magonza che difese gli operai di Germania; Lavigerie d’Algeri, redentore di un popolo di schiavi; Manning di Westmister, padre e consolatore degli inglesi diseredati; Freland di S. Paolo; Gibbons di Baltimora; Leone XIII di Roma che viene definito primo patrocinatore e sostegno della democrazia cristiana. L’elenco di questi nomi serve a dimostrare che l’opera del sacerdote è essenzialmente democratica e che il trionfo della nuova democrazia è possibile, è sicuro41.
9. L’obiezione anticlericale sulla presenza del prete nel movimento democratico Potrebbe anche nascere l’obiezione di qualcuno che in modo “spudorato” protesta contro questo tipo di democrazia e soprattutto contro la presenza del prete come animatore e guida di questo movimento. «Ma che democrazia, che prete […], il prete se ne vada, non abbiamo che farne del prete. Stolti e infelici! Il prete è continuatore dell’opera di Gesù Cristo nella Chiesa: e se la Chiesa durerà sino alla fine dei secoli vin40 41
Ibid., 8. Cfr. l.c.
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citrice sempre e sempre benefica, secondo la promessa di Cristo, anche il sacerdote, nonostante tutte le guerre che gli si muovono contro, la durerà sino alla consumazione dei secoli; perché non si dà religione e Chiesa senza ministri»42.
L’anticlericale vede fuori posto la presenza del prete in contesti che non sono legati specificatamente al sacro, ma alla società e al movimento democratico: chi pensa così viene definito dal nostro conferenziere come “stolto e infelice”. La stoltezza porta alcuni a definire superflua o addirittura nociva la presenza del prete all’interno del movimento democratico, per cui si invita il prete a lasciare il campo, viene cacciato fuori dalla situazione socio-culturale e dal movimento che avrebbe dovuto promuovere la rigenerazione della società. Per don Disca questa è una posizione sbagliata, per cui parla di “stoltezza”, ma è anche una posizione nociva per la società, perché non promuove quel rinnovamento e quella rigenerazione della società tanto auspicata dai tempi moderni; ragion per cui il nostro conferenziere definisce colui che difende tale posizione come “infelice”, cioè non vive la condizione ideale tanto desiderata dagli uomini che è la felicità. Se la posizione difesa dagli anticlericali porta a considerare inutile, anzi nociva la presenza del prete, tanto da richiedere che venga allontanato, il nostro ci aiuta a riconoscere l’importanza del sacerdote: “è il continuatore dell’opera di Gesù Cristo nella Chiesa”. La Chiesa è stata istituita e pensata da Gesù come quella realtà che continua nella storia la sua opera salvifica destinata a tutti gli uomini. Il sacerdote all’interno della Chiesa è il continuatore dell’opera di Gesù Cristo, per cui la sua presenza e l’esercizio del suo ministero sono fondamentali per l’opera di Gesù nel tempo presente, cioè per la salvezza degli uomini. Il nostro canonico fa un confronto importante tra Chiesa e sacerdote: la Chiesa durerà fino alla fine dei secoli e nonostante le lotte mosse contro, sarà vincitrice sempre e continuerà la sua missione preziosa che è il rendere presente l’opera di Gesù Cristo, che reca benefici agli uomini. Qui abbiamo un’eco del brano del Vangelo di Mt 16,18-19 dove Gesù promette che le forze degli inferi non prevarranno contro la Chiesa di Pietro. Così anche il sacerdote, nonostante tutte le guerre che gli si muovo42
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no contro e tutti i movimenti che si oppongono alla sua presenza e al suo ministero, come la massoneria, l’anticlericalismo, il liberalismo, il socialismo, alla fine sarà un vincitore e resisterà a tutte le intemperie, fino alla fine dei secoli, cioè fin quando ci sarà la Chiesa e la religione di cui egli è ministro. Difatti non ci può essere Chiesa senza ministri: il motivo è che il sacerdote nella Chiesa è il continuatore della missione e dell’opera di Gesù Cristo. «Pure ammettiamo che il sacerdote se ne vada. Ma il sacerdote è il sostegno dei poveri e degli operai: e tolto lui, i poveri e i diseredati saranno sprezzati, o almeno abbandonati alla loro miseria. È questa una verità dimostrata dall’illustre filosofo Balmes che dice: Nessuno potrà negare che ovunque non è stato il cristianesimo; col suo sacerdozio il popolo fu vittima dei pochi i quali non rendevano ai sudori che un oltraggioso disprezzo. Oh, signori, il prete cattolico è gittato via? Son dunque gittati, dissipati al vento i più stupendi prodigi della divina carità»43.
Il sacerdote, essendo il difensore e consolatore dei poveri e dei diseredati, è un ministro prezioso per queste categorie di persone, di cui nessuno si prende cura. Chiaramente i servizi sociali e l’assistenza verso i poveri nel giovane stato italiano erano scarsi o inesistenti e molte iniziative a sostegno e a favore dei poveri erano promosse dalla Chiesa, come anche l’educazione e la formazione culturale, intellettuale e sociale dei giovani; per cui allontanando il prete da queste opere venivano mortificate le stesse istituzioni a discapito dei fruitori che sono i poveri, il mondo operaio e quello giovanile. I poveri sono così condannati ad una miseria ancora più umiliante, perché oltre a mancare del necessario, non c’è nessuno che si prende cura di loro. Il nostro conferenziere si avvale anche della citazione del filosofo Balmes per affermare quanto ha detto. Il filosofo spagnolo afferma che nella società dove il cristiano con il suo sacerdozio non ha avuto spazi operativi e la sua presenza è stata poco incisiva, il popolo è stato vittima di pochi, i quali sfruttavano i lavoratori, fino al disprezzo delle fatiche umane. Così il canonico Disca fa una critica serrata al sistema capitalista, che non viene menzionato esplicitamente nel corso della conferenza; tale sistema non curante dei principi cristiani, non ha operato per il bene comune, ma per interessi di parte, di quei pochi che si sono arricchiti a svantaggio di molti condannati alla miseria e degli operai e lavoratori che sono stati sfruttati. 43
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Se il prete cattolico è cacciato via, di conseguenza sono buttati al vento e quindi vanificati “i più stupendi prodigi della divina carità”, perché l’agire del sacerdote garantisce i frutti della carità che ha la sua sorgente nella carità divina, in quanto egli è testimone dell’amore divino, agisce per amore di Dio ed è continuatore dell’opera benefica di Cristo Gesù. «E così, chi resterà a consolare i nostri dolori, chi sarà il vero educatore dei fanciulli, il conforto dei poveri? Chi ci monderà le anime dalle nostre colpe quotidiane, chi ci rinforzerà con una nuova benedizione in ogni nuovo passo della nostra vita? Forse quei signori che vorrebbero bandire il sacerdote? Ahimè! O signori sarebbe davvero triste e dolorosa la condizione di dover cercare conforti e aiuti da un Lutero che sogghignando agli umani dolori, dice: Cani, morite! Da un Voltaire che ha un sorriso di sarcasmo ad ogni nostra sventura; da una Rousseau menzognero e ipocrita; da un Renan che in Il mio Redentore, non riconosce altri che un mio pari»44.
Interessante il riferimento a tutti quei filosofi razionalisti, figli del secolo dei Lumi, che hanno passato tutto al vaglio della ragione, negando Dio e la sua realtà viva all’interno della società. Le loro posizioni di ateismo teorico alla fine non hanno fatto un buon servizio alla società. La loro testimonianza di vita e il loro pensiero e atteggiamento verso i poveri sono giudicati scandalosi perché hanno riso delle sventure umane e hanno trattato i poveri come tanti cani. Tra questi razionalisti critici e polemici verso la religione e verso le classi meno abbienti, il nostro canonico annovera anche Lutero, il riformatore tedesco che, se non ha niente a che vedere con il periodo storico e con il pensiero degli altri filosofi razionalisti, è tuttavia accomunato a questi per l’atteggiamento dispregiativo verso i poveri. Certamente siamo di fronte a un argomentare di tipo apologetico, fatto in modo superficiale e approssimativo, che serve a mettere in luce il ministero del sacerdote, infatti spetta a questi consolare, educare, confortare, purificare e perdonare le anime dopo le colpe commesse, benedire il cammino delle persone. Il sacerdote è colui che svolge il suo ministero di consolazione, educazione ed aiuto di tutti e in modo particolare dei poveri. Il modo di impostare il ragionamento, seguendo tutti questi interrogativi retorici rende ancora più chiara, direi scontata, la risposta che l’interlocutore vuole e deve dare e che permette di identificare meglio chi è e che cosa fa il 44
Ibid., 8-9.
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sacerdote; la preziosità del suo ministero e l’insostituibilità del suo essere e fare. Se qualcuno volesse offrire figure alternative al sacerdote, deve saper di avere a che fare non con persone che svolgono un servizio incompleto o limitato, ma con soggetti che hanno atteggiamenti di sarcasmo verso le sventure umane.
10. Amare – rispettare – compatire il sacerdote in quanto uomo di Dio Da qui l’invito, anche se non esplicitato chiaramente, a volgere verso il sacerdote la propria attenzione, la propria fiducia e, in modo particolare le attese delle classi svantaggiate e sventurate, in quanto il sacerdote ha il compito di farsi compagno solidale dell’uomo in cammino. Egli è un dono di Dio agli uomini. «Ah, benedetto il sacerdote cattolico: egli è un dono dell’amore di Dio. E s’io vedo questo sacerdote in mezzo al popolo spargere benedizioni e conforti, s’io lo vedo entrare nei tuguri e nelle casipole con un pane sotto il manto, o almeno con una parola di conforto sul labbro; s’io lo vedo insomma in mezzo alla democrazia cristiana a perorare la sua causa, il mio cuore esulta di santa gioia, e benedico la Provvidenza che nel Sacerdote ci ha dato e ci conserva un vero prodigio di carità e di beneficenza»45.
La conferenza tocca livelli alti e profondi nel definire il sacerdote: è un dono dell’amore di Dio. È una frase straordinariamente densa di valore teologico: rimanda al mistero dell’amore di Dio che si offre all’uomo in modo smisurato e gratuito: che si concretizza ed è presente oggi nella persona del sacerdote. Di fronte a tanta grazia e alla testimonianza dell’amore di Dio il conferenziere non poteva non avere una conclusione di tipo eucologico con una preghiera rivolta a Dio che nella sua Provvidenza offre agli uomini nella persona del sacerdote un vero “prodigio di carità e di beneficenza”diremo una prova concreta dell’amore e delle opere di bene che hanno la sorgente in Dio. Nel considerare il ministero sacerdotale che si svolge in modo semplice ma efficace nei confronti dei poveri e in mezzo alla gente umile, recando il pane cioè aiutando a soddisfare una primaria necessità e spargendo benedizioni o recando una parola di conforto, il nostro canonico non può trattenere la sua commozione e fa trasparire dalle parole la 45
Ibid., 9.
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profonda gioia che prova, per cui il suo cuore “esulta di santa gioia” per il prodigio di carità e di beneficenza che è il sacerdote. La conclusione della conferenza è destinata ad esortare i suoi ascoltatori ad amare, rispettare e comprendere il sacerdote. «Signori, amate dunque e rispettate il sacerdote per il suo carattere, la sua dignità e la sua missione; amate quest’uomo dalla veste nera, perché rappresenta Dio, con il suo spirito di beneficenza; sappiate anche compatire e nascondere i difetti, perché anch’egli come uomo può errare; e ricordate sempre che egli vi prepara in un vicino avvenire, quel benessere morale e materiale che vi fa beati nella vita presente, felici nell’eternità»46.
Più che una conclusione è una vera esortazione, ma molto sentita e commovente. Se il sacerdote è quello che è stato detto, un dono di Dio offerto agli uomini, testimone della consolazione e del conforto di Dio agli uomini, è un rappresentante di Dio, egli dev’essere amato e rispettato non soltanto per la missione, ma anche per la sua alta dignità e per il suo carattere. Il sacerdote è un rappresentante di Dio tra gli uomini e le opere di beneficenza da lui compiute testimoniano la beneficenza divina, cioè Dio che vuole il bene di ognuno e di tutti. Tuttavia egli rimane un uomo, pur indossando l’abito talare. In quanto uomo può avere anche difetti, limiti, povertà personali. Non è un essere divino che non appartenga al mondo degli uomini e non abbia le caratteristiche ontologiche e morali dell’uomo; egli è un uomo e può errare: tuttavia coloro che hanno preso in considerazione e compreso le caratteristiche personali, l’alta dignità e la missione benefica del sacerdote hanno il dovere di “compatire e nascondere i difetti”. La compassione porta a considerare il sacerdote come un uomo che può errare e se sbaglia bisogna avere compassione; il nascondere i difetti serve non a negarli ma a leggerli alla luce dell’alta dignità e della straordinaria missione del sacerdote: ci sono le ombre, che alla fine testimoniano di essere non davanti a un essere divino, ma al rappresentante di Dio, quindi è diverso da Dio, il solo perfetto e impeccabile. Il sacerdote va amato, rispettato e compatito perché è colui che prepara il benessere morale e materiale che fa felici adesso e per l’eternità: non è solamente colui che promuove il bene morale, cioè una vita degna di essere proposta e vissuta dall’uomo in quanto figlio di Dio, ma anche quella materiale perché l’uomo è unità di ani46
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ma e corpo e la Chiesa non può disattendere i bisogni anche materiali della persona: queste sono le premesse per una vita felice adesso e beata per l’eternità.
Conclusione Il tema Il prete nella democrazia cristiana presentato dal canonico Disca nella sua conferenza è molto interessante ed attuale: è un contributo prezioso alla riflessione sul sacerdote, destinata a comprendere la sua identità e ministerialità, in un contesto di crisi, di polemiche legate a rigurgiti di anticlericalismo latenti nella società di allora come di oggi, ma anche di attese di rinnovamento e di una presenza del sacerdote qualificata e promotrice. Il contributo del nostro Conferenziere è quanto mai prezioso in questo ambito. Ci aiuta a considerare il sacerdote quale uomo di Dio, scelto per essere dispensatore di doni e favori spirituali, mandato per evangelizzare e santificare il popolo. Il ministero del sacerdote è a servizio di Dio e degli uomini, in modo particolare degli ultimi, di cui nessuno si occupa in modo pieno; egli rende presente l’opera di salvezza iniziata e compiuta da Gesù, la quale viene oggi messa nelle sue mani. Il sacerdote si fa solidale con l’uomo per rendere presente l’opera di consolazione, di guida, di salvezza e di istruzione di Gesù; infatti è scelto da Dio per essere in mezzo al popolo, a fianco dei poveri e degli ultimi della società con lo stesso spirito e lo stesso programma di Gesù: consolare, guidare e salvare il popolo. Egli per sua natura e per il ministero ricevuto è l’uomo della democrazia cristiana, colui che promuove quella benefica azione a favore del popolo che ha come obiettivo la restaurazione cristiana della società. È l’uomo che testimonia la carità la quale, se attuata promuove la rigenerazione della società e la sua moralizzazione. Il sacerdote è l’uomo di Dio che occorre senz’altro compatire qualora la sua umanità fragile e povera lo richieda, ma che bisogna soprattutto amare e rispettare per l’alta dignità e la preziosa ministerialità di cui è rivestito.
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Can. don Rosario Disca (Niscemi 1875-1952).
Manoscritto della Conferenza “Il Sacerdote nella democrazia cristiana” del can. Disca.
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Capitolo III
Il prete e la politica in uno scritto del can. R. Placenti
Introduzione Il tema che verrà svolto è un commento a uno scritto del can. R. Placenti di Niscemi. Avendone sentito parlare come predicatore bravo e preparato, ma soprattutto organizzatore di attività socioculturali-politiche di notevole importanza, delle quali a distanza di diversi decenni è vivo il ricordo, ho pensato di studiare tale personaggio, ricostruendone il suo pensiero sociale e politico, attingendo a qualche fonte diretta ed indiretta, in modo da poterlo inserire in quel periodo aureo che è l’inizio del ’900 ricco di fermenti sociali e culturali presenti nell’area della diocesi di Piazza Armerina che risente degli influssi dei fratelli Sturzo. Nell’indagine sono stato fortunato perché ho ritrovato tra le carte dell’archivio diocesano un manoscritto del Placenti indirizzato al vescovo Mario Sturzo. Il testo manoscritto molto ordinato, redatto con una grafia chiara e lineare, con un argomentare molto accattivante e ricco, mi ha subito spinto ad approfondirlo, gustandone la bellezza dei concetti ivi espressi, nonché l’originalità del pensiero, vedendo in tutto ciò un contributo notevole alla riflessione sul ministero presbiterale e sull’apporto che esso può dare alla politica.
1. L’autore: brevi cenni biografici Il can. Placenti è tra i preti che caldeggiano la speranza di tempi migliori e sposa fino in fondo la causa sociale: fu per diverso tempo responsabile della Cassa Rurale, consigliere comunale. È nato il 31 ottobre 1872 a Niscemi e venne ordinato sacerdote da M. Palermo il 24.12.1898. Canonico della locale comunia e rettore della Chiesa di S. Antonio, frequentatissima, che restaura e fa affrescare negli anni 1924-1925; muore il 05 giugno 1937. È stato un ricercato predicatore, dall’oratoria semplice ma efficace, istruita e incisiva su tutti. Lo cercavano per la sua bontà sia le persone semplici sia gli uomini di cultura. Spesso è fuori città per rispondere agli 97
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inviti di predicazione in occasione di quaresimali e feste patronali. È stato un prete formato alle idee nuove, frutto di quel rinnovamento auspicato e favorito dal papa, ma condiviso e realizzato in diocesi dai fratelli Sturzo, i quali caldeggiavano iniziative sociali, culturali, religiose rispondenti alle esigenze del tempo. Il nostro canonico è tra quelli che si occupa di opere sociali, si impegna con e per il popolo, in modo particolare con i contadini, i braccianti agricoli, i disoccupati e i tanti poveri che visita personalmente nelle loro abitazioni: svolge il proprio ministero sacerdotale per le strade della città e tra la gente. Pagherà di persona i fallimenti di determinate iniziative; infatti a causa della crisi economica e della stessa Cassa Rurale gli furono pignorate tutte le proprietà, compresa la casa e tutti i risparmi; si dovette fare una colletta per i funerali e le sorelle ridotte alla povertà dovettero vendere a privati mobili e libri del fratello per poter sopravvivere.
2. Il testo Lo scritto del can. Rosario Placenti viene sottoposto all’attenzione di mons. M. Sturzo il 15 ottobre 1904. In una lettera manoscritta che accompagna tale riflessione vengono esplicitate le motivazioni che spingono lo scrivente a portare avanti il suo lavoro, come anche i desideri che nutre nel suo cuore. È molto interessante la constatazione iniziale di natura storicosociologica che introduce il lavoro: «I tempi che corrono sono abbastanza difficili e pericolosi per il Clero». Il rimando è al clima storico segnatamente caratterizzato da forme evidenti di anticlericalismo e di rigurgiti di polemiche antiecclesiali di matrice massonica. Tali fenomeni anticlericali sono anche causati da nuovi fermenti che nascono all’interno della Chiesa e tra lo stesso clero. Al bisogno di rinnovamento promosso dal pontificato di papa Leone XIII, alla nuova sensibilità sociale e culturale maturata grazie alle intuizioni del papa della Rerum Novarum e di tanti sacerdoti impegnati a studiare il fenomeno sociale e ad identificare nuovi modelli di pastori dediti non solamente al culto e alle cose sacre, ma anche al rinnovamento della società, alla ricostruzione di una società cristiana attraverso il movimento della Democrazia Cristiana, si contrappone la lotta anticlericale e le polemiche fortemente lesive nei confronti della Chiesa e del clero. Tali fenomeni in Sicilia sono avvertiti in modo forte sia nelle grandi città, come nei cen98
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tri periferici, come poteva essere la città di Niscemi (di cui abbiamo già parlato nel precedente capitolo a proposito del can. Rosario Disca). I nuovi fermenti sono sostenuti e incoraggiati a livello regionale dai fratelli Sturzo e da tanti che ruotano attorno al loro programma culturale e sociale legato alla dottrina sociale della Chiesa. Nella città di Niscemi sono parecchi i preti che escono fuori dalle sacrestie con idee nuove, proposte sociali efficienti ed efficaci sul territorio, come la Cassa Rurale, iniziative a favore delle classi meno abbienti di contadini e operai, attività culturali e catechetiche nuove: si organizzano conferenze, settimane di predicazione in occasione di feste patronali o parrocchiali che sviluppano temi e argomenti di dottrina sociale. Tutto questo, ancor prima che Sturzo venisse consacrato vescovo di Piazza Armerina (1903). Le aspettative del clero erano tante e in modo particolare da parte del cosiddetto “clero leoniano”. La nomina di Sturzo a vescovo sembrò per molti un vero evento e un grande segno che faceva ben sperare in un rinnovamento ecclesiale e socio-culturale notevole. Ho ritrovato nell’Archivio storico della diocesi tante lettere di auguri e felicitazioni per il neo-eletto vescovo, come don Valora, che nel 1903 vede nell’elezione di Sturzo un segno del cielo e benedice gli sforzi di rinnovamento promosso con tanti sacrifici da parte della Chiesa e portati avanti dal clero1. Molti di questi preti leoniani del paese erano in buoni rapporti e profondi legami spirituali a causa dei frequenti contatti con i fratelli Sturzo, sia per le idee che venivano condivise in modo pieno che per la vicinanza geografica di Caltagirone, paese natio degli Sturzo. Nel presentare al vescovo il lavoro che intende pubblicare, don Rosario oltre a sottolineare il momento storico particolarmente delicato e difficile per il clero, sottolinea la necessità di rispondere ai tristi e pericolosi attacchi contro il clero con lo scrivere e il diffondere libri e opuscoli destinati a difendere e mantenere alto il prestigio del clero. L’obiettivo di questo suo scritto è di natura apologetica: alle accuse diffamanti e agli attacchi denigratori occorre reagire scrivendo libri, cioè favorendo la nascita e lo sviluppo di nuove idee, capaci di creare una nuova cultura, veicolata dagli scritti e di favorire una immagine vera di prete. 1
Cfr. Manoscritti vari, in Archivio Diocesano di Piazza Armerina, Carpetta Niscemi, 1904.
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Da quanto scrive si evince che l’autore è un collaboratore di giornali locali presso i quali ha già pubblicato qualche articolo su questo argomento e menziona le testate giornalistiche: La Croce di Costantino di cui direttore era stato lo stesso vescovo, quando si trovava a Caltagirone e L’Aurora di Caltanissetta: due giornali locali, voce ed espressione del movimento democratico cristiano della zona del Calatino e del Nisseno. Il progetto che ha in mente consiste nel mettere insieme questi articoli e ricavarne un opuscoletto da pubblicare. «Presa questa determinazione, ho pensato di sottoporre l’intero iscritto a S. E. Rev.ma per la necessaria approvazione dandole larga facoltà di tagliare e correggere quanto al finissimo intuito e alla vastissima cultura di S. Eccellenza piacerà modificare e sopprimere»2.
L’autore riconosce nel vescovo Sturzo non soltanto colui cui spetta dare un giudizio sul contenuto dello scritto, ma anche la persona autorevole competente in materia; per questo motivo autorizza il suo lettore privilegiato a correggere, ma anche a fare i dovuti tagli necessari in quanto al vescovo riconosce un finissimo intuito e una vastissima cultura. E sempre nel corso di questa lettera, il can. Placenti confessa al vescovo il desiderio di dedicargli questo opuscoletto, definito «povero frutto dei miei studi» perché il Vescovo che «per tacere di molti altri meriti, tanto si distingue negli studi sociali cristiani»3.
Nel supplicare il vescovo perché voglia gradire la dedica del suo lavoro e darle l’approvazione e così «metterlo sotto la sua alta protezione» chiede la benedizione del Pastore, il quale è così lungimirante nel preoccuparsi di formare una nuova mentalità con idee nuove e rispondenti ai tempi che «con tanta benignità incoraggia e benedice gli scrittori che lavorano nel campo della Democrazia Cristiana»4.
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R. PLACENTI, Il clero e la politica. Manoscritto. in Archivio Diocesano di Piazza Armerina, Carpetta Niscemi, 1904, 1. 3 L.c. 4 L.c.
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Mons. Sturzo nel corso della lettera è presentato come un vescovo aperto e sollecito verso la questione sociale, per cui favorisce, incoraggia e benedice quanti lavorano in questa direzione e si impegnano a scrivere per diffondere idee sane e buone. Lo scritto porta un titolo: Il clero e la politica ed è diviso in due parti, introdotte da una premessa. Ogni parte è divisa in articoli: la I parte consta di tre articoli, la II parte di cinque. Purtroppo la prima parte è andata smarrita e dopo aver fatto accurate ricerche mi sono dovuto rassegnare e tirare la conclusione affermando che è impossibile averne idee chiare se non attraverso i titoli degli articoli: I questione elettorale; II ancora sullo stesso argomento; III astensione o partito di centro. I titoli testimoniano la problematica viva del tempo riguardo ai cattolici in politica e al partito dei cattolici nella politica. Il nostro canonico era favorevole a un partito di centro, così scrive ne La Croce di Costantino nel luglio 1905: nel corso di questo articolo egli afferma: «Il popolo è stanco di assistere al pericoloso continuo dualismo che da lunga pezza regna tra i due partiti che si contendono il potere […] La costituzione di un partito di centro è reclamata dalla tranquillità cittadina, turbata spesso dall’aspra lotta dei partiti estremi che ha creato dei tumulti»5.
L’articolo si conclude con un invito: «Coraggio, dunque avanti. Il partito cattolico faccia da sé, sfidi pure l’opinione pubblica sicuro di trovarla favorevole, ingaggi questa nuova lotta»6.
I titoli ci permettono di avere un’idea della prima parte dello scritto mancante: viene trattata la questione elettorale con il relativo contributo che il cristiano in quanto cittadino è chiamato a dare per la costruzione dello Stato e per la realizzazione del bene comune all’interno della società. Il Non Expedit di papa Pio IX aveva impedito ai cattolici di essere presenti nella vita politica della società con la conseguenza di aver favorito la costruzione della giovane nazione senza il contributo dei cattolici. La grave controversia se en5 6
La Croce di Costantino, luglio 1905, 5. L.c.
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trare in politica o meno era vissuta in modo forte e in particolare durante il pontificato di Leone XIII quando si aprono un po’ le maglie del Non Expedit offrendo spiragli nuovi ai cattolici in vista di un impegno socio-politico motivato e serio; nonostante i fermenti nuovi non mancavano coloro che erano per un astensionismo dalla vita politica o altri favorevoli per una posizione di centro tra le opposte tendenze politiche. Dalla premessa all’opuscoletto si deduce con facilità che il nostro canonico è favorevole all’idea che la Chiesa e quindi il Clero debba scendere in campo e impegnarsi anche politicamente, creando un partito di centro, capace di mediare le opposte tendenze; usa toni e termini forti con espressioni a volte piccanti per combattere le posizioni opposte. «Fra le tanti colossali castronerie spifferate dagli avversari del Clero ve ne è una abbastanza ridicola. “I preti non devono parlare né trattare di politica, ma soltanto chiudersi nelle sagrestie e nelle Chiese a profondere lagrime e preghiere a Dio”»7.
Il Nostro non ha remore nel definire che questa posizione è in netto contrasto con le indicazioni offerte da papa Leone XIII e con i principi difesi dal movimento democratico cristiano per il quale bisognava invece uscire di sacrestia per immettersi nella società con la forza, i valori e le idee del Vangelo, al fine di restaurare la società in Cristo. Gli anticlericali impongono un modello di prete, ministro del sacro e dedito esclusivamente al culto; pensano che il servizio del prete sia legato al tempio e alle cose sacre. Non è accettabile, per loro, il modello del prete destinato a impegni diversi dal culto. La critica verso questa posizione è semplice e molto generale: la tesi sostenuta è contraria alla mentalità dei tempi moderni, dove si parla di “perfetta libertà” e di “completa uguaglianza di diritti in tutte le classi sociali”8. La tesi affermata e difesa dagli anticlericali è dichiarata dal Placenti “anacronistica” e “incoerente nel pieno senso della parola”; cioè siamo di fronte a posizioni che oggi sono superate perché il progresso culturale ha determinato l’acquisizione di determinati valori che sono condivisi da tutti: la piena libertà e l’uguaglianza tra i cittadini. 7 8
R. PLACENTI, Il clero e la politica. cit., 1. L.c.
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Certamente il riferimento è ai principi della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fraternità, che hanno determinato il sorgere della società moderna, frutto anche di quella cultura illuminista e razionalista che trova nel secolo dei lumi il suo apogeo. Nel corso della premessa il Placenti ironizza con le posizioni anticlericali affermando che potevano valere mezzo secolo fa, ma non certamente adesso, dopo che le società moderne nate dopo la Rivoluzione francese, sono state illuminate da questi principi fondamentali. «Ma che? Si è fatto tanto scalpore in Roma per proclamare la libertà del pensiero ed ora si vuole negare al Clero la libertà di pensarla come gli piace o per meglio dire come è giusto? Bella coerenza davvero dei moderni pensatori!»9.
La libertà di pensiero viene definita una grande conquista da parte della società moderna; il negarla è un grande errore. Il canonico non parla semplicemente della libertà di pensare quello che piace: questa sarebbe non libertà, ma puro libertinaggio; negare ciò è definita pura incoerenza dei moderni pensatori; egli parla della libertà di dire quello che è giusto; qui siamo nell’ambito morale della libertà: non fare o dire ciò che piace, ma ciò che è giusto dire o fare. È un aspetto della libertà umana che non può essere negato con facilità, perché appartiene all’uomo in quanto tale; questa libertà permette all’uomo di essere soggetto etico che agisce correttamente in quanto è dotato di essa e tale libertà è orientata non a ciò che piace (visione edonistica), né a ciò che conviene (visione utilitaristica) ma a ciò che è giusto, perché è vero e quindi è buono e corrispondente allo stesso uomo (visione morale). Se tale libertà è un dato ontologico, per cui noi diciamo che la persona è essere libero e può agire, pensare liberamente; essa è anche un valore riconosciuto, promosso e apprezzato molto dalla società contemporanea e dai pensatori moderni. Tante lotte sono state sostenute per aver riconosciuto tale diritto di libertà nel passato; adesso ciò lo si vuole negare al clero; è una vera incoerenza: si nega ciò che è dovuto e va riconosciuto ad ogni uomo. Secondo don Rosario l’argomento trattato nel suo opuscoletto è molto attuale e lo sarà fin quando gli anticlericali non rispetteranno tale libertà al clero. 9
L.c.
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3. I nemici della politica del clero Il titolo del I articolo entra nel vivo della questione: presentare i nemici che ostacolano il clero nella collaborazione al movimento democratico cristiano. La politica promossa dal clero corrisponde a ciò che Leone XIII definiva come compito e impegno prioritario dei cristiani verso la fine dell’800: restaurare ogni cosa in Cristo, e quindi costruire una società che avesse nella dottrina sociale della Chiesa le fondamenta per la sua ristrutturazione; coloro che si oppongono all’attività politica in senso lato e quindi all’attività sociale del Clero, sono coloro che combattono soprattutto tali principi, difesi dalla chiesa e propagandati e promossi dal clero. Il clero non ha un partito politico da propagandare, né ci sono interessi di un partito da difendere, ma deve presentare il programma della restaurazione della società alla luce di Cristo, sotto la guida della Chiesa. All’inizio del presente articolo si pone la domanda cruciale che troverà risposta nel corso dello stesso articolo: «Chi sono quei tali che negano al Clero il diritto di impicciarsi di politica?»10. È sottinteso che ci siano gruppi e movimenti contrari all’impegno politico e sociale del clero. La storia passata dimostra quanto sia stata feroce tale lotta contro la Chiesa e il suo clero. Il nostro canonico prende in considerazione alcuni gruppi che hanno fatto di tutto non solamente per separare Stato e Chiesa, ma anche per emarginare la Chiesa dalla vicenda politica e socio-culturale, fino a estraniarla dalla società. Il canonico identifica nella massoneria una delle realtà più accanite contro la Chiesa. Dall’unità d’Italia fino a quando egli scrive, la massoneria è stata al governo ed ha progettato «per combattere la Chiesa e rovinare la Patria». Per il Placenti ci sono coloro che fanno pressioni presso i governi per la politica del non intervento, il motivo è dettato dal desiderio di abbandonare il papa in mano dei suoi nemici, per strapparlo dal cuore del mondo: questi sono anche favorevoli a non far scendere il Clero in politica; la ragione che spinge a ciò consiste nel provocare la distruzione dello stesso Clero. «La politica del non intervento pei governi e l’astensione dalla politica 10
L.c.
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pel Clero, sono le due cause su cui pesa la responsabilità di tutti i mali presenti»11.
Ecco già identificate due cause che hanno conseguenze gravi per la realtà sociale contemporanea. Il nostro canonico usa espressioni gravi nel definire i fautori di queste idee: “figli di satana”. Pertanto il clero non può sottrarsi al grave impegno di lottare contro tutto ciò per porre un argine al male che imperversa nella società, né può prestare orecchio a queste insinuazioni perniciose. Nel corso di questo articolo, il canonico fa riferimento a idee che sono frutto della rivoluzione e che si possono sintetizzare in questo motto: «Prete ambizioso che vuoi governare ad un tempo questo mondo e quello di là, lascia reggere la terra a mio talento, né poni più a repentaglio il tuo celeste carattere col contatto delle cose umane»12.
Anche se non è esplicito il riferimento, la rivoluzione della quale si fa cenno è quella liberalsocialista che separa religione e stato, potere temporale e potere spirituale, per attenzionare la realtà temporale più che quella spirituale, relegando il prete nel mondo del sacro e lasciando libero il campo della realtà politica e sociale all’uomo dotato “di talento”, cioè guidato dalla ragione. Per il nostro canonico tali idee non sono portate avanti per difendere e salvaguardare il clero, quanto invece per avere libero il campo in modo da operare lo sfacelo totale della società. Con molta ironia il nostro autore definisce tale lavoro come una corsa vertiginosa per distruggere la religione: un’impresa portata avanti con tutte le sue subdole ed infernali arti, che però come è successo per il passato, farà un buco nell’acqua nel presente13. Proprio per questo il clero ha il dovere di impegnarsi in politica: «Al clero però incombe l’alto dovere di impegnare l’arma della politica e freddare il nemico»14. Portare avanti un lavoro del genere per distruggere la religione è impresa fallimentare. A queste idee della rivoluzione socialista, si aggiungono pure quelle dei liberali: 11
L.c. L.c. 13 Cfr. ibid., 2. 14 Ibid., 2. 12
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«essi dicono: In questi tempi nuovi lo spirituale è separato dal temporale e in conseguenze ciò che si dà al primo si separa dal secondo»15.
Per il nostro canonico queste idee non sono nuove e quindi sono superate, né si può dire che sono sconosciute al clero. «I nemici del clero debbono persuadersi una buona volta che il prete non è un ilota o un pari escluso dal diritto comune. Intanto sappiano i liberali che non bisogna confondere principio con principio e che nulla avvì nel cristiano né tampoco nelle costituzioni ecclesiastiche che autorizzi una simile enormezza»16.
L’intento del Nostro consiste nel difendere la dignità del prete, soprattutto la sua condizione di persona, riconoscendone i diritti a prescindere dalla sua condizione e ministero. La stessa difesa va fatta nei confronti del papa. I liberali negavano al papa, in quanto autorità spirituale, di avere poteri anche temporali, possedendo beni temporali. Anche quest’ultima è una questione ormai superata, oltre che tanto sfruttata dalle polemiche provenienti dal liberalismo: è la famosa questione romana che viene chiamata in causa. Il Nostro giudica già superata tanta polemica nei confronti del papa e del clero da fargli parlare di tramonto del liberalismo e delle sue utopistiche teorie che provocano il popolo e ne stordiscono le sue orecchie. Saluta il tramonto del liberalismo come un bene per la società, perché esso «vuole la separazione dello Stato dalla Chiesa, la laicizzazione della scuola, della famiglia, della società; nell’ordine etico l’autonomia della ragione, delle leggi, del governo, la morale indipendente e senza Dio; nell’ordine politico la sovranità popolare in luogo della divina, il potere sociale derivato dal popolo ed esercitato in nome del popolo, e nell’ordine economico il principio del “lasciar fare e lasciar passare”, il clero, dico, farà orecchio da mercante non solo ma starà in guardia contro sì feroce nemico che legittimò ogni sfrenata concorrenza, ogni monopolio, ogni usura, ogni ingiustizia sociale e inaugurò da una parte il regno del capitalismo e dall’altra la schiavitù del proletariato»17.
La posizione dei liberali è giudicata molto pericolosa per la so15
L.c. Ibid., 3. 17 Ibid., 4. 16
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cietà, perché introduce quella separazione, che non è distinzione, ma contrapposizione fino a diventare opposizione tra società e Chiesa. Il clero non può rimanere indifferente o sottovalutare la questione, ma è invitato a stare in guardia in quanto il nemico viene giudicato feroce. Attribuisce la responsabilità del capitalismo e dello sfruttamento del proletariato e di tutte le ingiustizie sociali al liberalismo. Per il can. Placenti il fenomeno della secolarizzazione già in atto nella società è opera del liberalismo e delle sue teorie utopistiche, concorrenziali e per nulla rispettose di quell’ordine che garantisce la giusta armonia all’interno della società e fonda in modo serio la moralità della persona, cioè Dio: infatti fondamento di tutto è Dio. Il clero deve stare in guardia contro tale sistema non solamente perché combatte Dio, esiliandolo dagli orizzonti della società, ma anche perché la società che si costruisce su tali idee legittima le più terribili ingiustizie sociali, come lo sfruttamento dei poveri e una moralità non più rispondente alle esigenze della persona. Così si comprende ciò che dice il canonico quando afferma che il tramonto del liberalismo viene salutato come un bene per la società, in quanto è esso a causare tanti e gravi mali alla persona e alla società tutta.
4. Il clero e la politica L’affermazione di fondo che diventa la tesi da dimostrare è la seguente: «Il clero può e deve trattare di politica, di quella politica, s’intende, voluta dal suo duce e maestro, il Papa»18.
Il nostro Conferenziere distingue per lo meno due tipologie diverse di politica: una è quella voluta e insegnata dal maestro, che è il papa e quindi diventa materia che il clero deve conoscere e trattare in quanto il papa ne è il “duce”, cioè il fautore, il maestro e la guida; un’altra politica che non fa riferimento al papa e non si ispira al suo insegnamento, non è materia che interessa il clero, poiché non si ispira all’insegnamento della Chiesa e del suo Magistero. Da buon Conferenziere è importante dare una definizione di 18
Ibid., 5.
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politica per poi identificare le caratteristiche specifiche che porteranno a dire che essa non è materia estranea al clero, ne può distogliere il clero dai suoi impegni prioritari specifici legati al ministero ecclesiastico. La politica viene definita così: «il complesso degli atti umani in quanto si aggirano intorno al governo degli uomini e della cosa pubblica e alla sicurezza dello stato»19.
La politica potremmo dire è l’agire umano destinato al governo degli uomini, della cosa pubblica e alla sicurezza dello stato. In quanto agire umano esso è regolato dalla legge morale, poiché non esiste agire umano che non abbia come obiettivo il perseguire il bene morale, la felicità dell’uomo. La legge morale vieta all’uomo di fare il male e lo orienta a volere e fare il bene sempre, per sé e per gli altri. Se la politica è guidata dalla legge morale e ad essa sottostà a sua volta la legge morale si trova nel campo della religione. Il nostro canonico concepisce la legge morale alla maniera scolastica20. Dio è il fondamento di tutto e quindi anche della legge morale che orienta l’agire morale di ogni uomo. Essa è una legge non scritta, quindi è una legge non normata, ma normativa. L’autore di questa legge è Dio: di conseguenza la politica sottostà a Dio in quanto è guidata dalla legge morale. «E siccome tutto ciò che appartiene alla religione deve essere amministrato dal Prete, dunque la politica che trovasi nel campo della religione, deve essere presieduta dal Prete»21.
Il ragionamento è logico, lineare e consequenziale: la premessa che la politica sottostà alla legge morale, la quale è una legge divina, la conclusione non può che essere la seguente: il clero deve interessarsi di politica, anzi è il prete che deve presiedere tale attività. Il Nostro si avvale anche del ragionamento di un autore, che definisce non proprio un clericale, il Marchese Alfieri di Sostegno22 che in un articolo23 ha detto che le regole della morale cattolica si 19
L.c. Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, qq 92-93. 21 R. PLACENTI, Il clero e la politica. cit., 5. 22 Marchese Carlo Alfieri di Sostegno (1827-1897); senatore nel 1870. 23 Cfr. ALFIERI DI SOSTEGNO in Gazzetta d’Italia, 1 ottobre 1871. 20
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applicano agli atti politici come a qualsiasi altro ambito: ragion per cui la politica non può essere separata dalla Religione, poiché la morale non è altro che la religione pratica24. Conclusione della disquisizione: il prete deve parlare e trattare di politica. La motivazione dell’affermazione è esclusivamente teologica: la politica in quanto attività è guidata ed orientata dalla legge morale, la quale è di natura divina, per cui il prete non può essere estraneo a tutto ciò, deve parlare e trattare di politica. L’uomo, secondo il Placenti, è contemporaneamente religioso e cittadino della società, cioè legato a Dio e appartenente alla città terrena, diremmo con S. Agostino25 ha una doppia cittadinanza e anticipando la Gaudium et Spes possiamo affermare citando alcuni paragrafi di questa Costituzione: «la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d’ordine politico economico e sociale: […] è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini […] Così pure, dove fosse necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anch’essa può, anzi deve, suscitare opere destinate in servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi, come per es. opere di misericordia e altre simili»26.
Ed ancora viene detto: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono cittadini dell’una e dell’altra città di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli secondo la vocazione di ciascuno. Al contrario però non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente negli affari della terra, come se questi fossero estranei del tutto alla vita religiosa, la quale consisterebbe secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali. Il distacco che si constata in molti tra la fede che professano e la vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo […] Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso e mette in pericolo la propria salvezza eterna»27. 24
Cfr. R. PLACENTI, Il clero e la politica. cit., 5-6. AGOSTINO D’IPPONA, De Civitate Dei, I, 1, 15,22-23; XXI, 11; XVIII, 2-54. 26 CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes, 42. 27 Ibid., 43. 25
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Le idee del Placenti vengono formulate settant’anni dopo dai documenti conciliari, ma esse sono presenti e fortemente sottolineate dai preti leoniani che agli inizi del ’900 si batterono per la testimonianza e la presenza dei cristiani in politica come impegno che scaturisce dal proprio essere cristiano, affermando, come il Nostro, che non ci può essere separazione tra politica e religione; il principio della filosofia politica del liberalismo che affermava tale separazione invece, è un assurdo sia in ambito di riflessione filosofica che di politica. «Finché il Vangelo sarà norma della giustizia […] e la politica parte di questa, a noi preti correrà l’obbligo strettissimo di trattarne»28.
Richiama una frase significativa di mons. Radini Tedeschi29: «Il prete deve assolutamente entrare nella vita sociale, deve coraggiosamente lottare per entrarvi; deve, una volta entrato, mantenere il suo posto conquistato. È missione sua e dovere sommo, è necessità estrema. Questo è parlare chiaro»30.
È molto interessante la citazione presa da Radini Tedeschi, così come sono appropriati e molto efficaci gli aggettivi utilizzati: infatti si parla di impegno sociale che va assolutamente assunto dal prete; tale impegno viene visto come un compito che richiede coraggio e determinazione nella lotta. Il posto occupato dal prete nella società e in politica corrisponde alla sua missione di pastore e quindi è uno dei doveri sani da realizzare: per cui è una necessità estrema impegnarsi in politica. Non poteva mancare il rimando a Leone XIII, definito «gran Pontefice: il quale esorta sapientemente i cattolici e il clero all’azione sociale, in modo da sottrarre le masse al dominio dei socialisti; il clero non si tenga estraneo a codesta azione, che anzi vi si getti dentro, come a un dovere della sua missione pratica che lo ispiri e lo guidi»31. 28
R. PLACENTI, Il clero e la politica. cit., 6. Mons. Giacomo Radini Tedeschi (1857-1914) fu attivo fin 1883 nell’Opera dei Congressi e dei comitati cattolici; collaborò con la Segreteria di Stato in importanti missioni; nel 1905 fu fatto Vescovo di Bergamo ed ebbe come segretario Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII. 30 R. PLACENTI, Il clero e la politica. cit., 6. 31 Ibid., 6-7. 29
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Con la Rerum Novarum del 1891, Leone XIII tracciava la via di impegno sociale al cattolico militante, come al clero con il famoso motto: «è tempo di uscire di sagrestia» e «non bastano semplici opere buone adesso: bisognano atti virili»32. Ritornano con insistenza le idee-chiave della Rerum Novarum di Leone XIII, così come è comune il frasario utilizzato dai preti leoniani che si ispira al Magistero del papa sociale: il nostro canonico ne è una vera testimonianza. Se l’invito della Rerum Novarum offre orientamenti nuovi sia ai cattolici che al clero per quanto riguarda l’impegno nel sociale e la preoccupazione di inserirsi nell’agone socio-culturale a pieno titolo in quanto cittadini e quindi membri della società e come cristiani, e quindi discepoli del Maestro, che testimoniano il messaggio evangelico nella società, tuttavia il Placenti ci tiene a sottolineare che non va menomata «l’importanza del Santuario poiché quivi, come sempre, dall’alba purissima della Chiesa cattolica, debbono raccogliersi le ispirazioni dell’anima sacerdotale, quivi più che mai deve affermarsi l’azione ravvivatrice e necessaria del clero. Ma le parole del Pontefice si riferiscono ad una maggiore attività, ad una più potente affermazione del clero unito al popolo nella vita sociale»33.
I nuovi orientamenti del Magistero leoniano non vogliono svilire l’importanza della preghiera, di una prassi liturgica e pastorale già esistente, perché come dirà il Vaticano II «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa; è insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù […] la liturgia spinge i fedeli, nutriti di sacramenti pasquali, a vivere in perfetta unione e domanda che esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede»34;
quindi è importante il “Santuario” perché qui si trovano le ispirazioni e le motivazioni per l’esercizio del ministero sacerdotale, ma qui il clero trova la forza per rinnovare la società e per entusiasmarla con il Vangelo.
32
Ibid., 7. L.c. 34 CONCILIO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium, 10. 33
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L’invito del Pontefice a uscire di sagrestia si riferisce ad una più marcata e qualificata attività del clero e dei cristiani nei confronti della società; tra impegno pastorale e impegno sociale non ci può essere conflitto, né l’uno esclude l’altro, ma sono l’unico impegno che unisce clero e laici per il raggiungimento dello stesso obiettivo: il rinnovamento della società. Il nostro canonico sottolinea la profonda sinergia che ci dev’essere tra clero e laici impegnati. La reciproca collaborazione porta a realizzare il progetto di una nuova società segnatamente cristiana, ma essa richiede che il clero lavori con i laici e questi con il clero al fine di ottenere i risultati sperati. Non mancano nel corso dello scritto i riferimenti a Leone XIII, definito “immortale”: il Pontefice aveva espressamente raccomandato ai futuri sacerdoti di volgersi con particolare attenzione al popolo, che è stato sempre oggetto delle cure del clero, a maggior ragione nel periodo contemporaneo al nostro canonico le raccomandazioni pontificie sembrano ancora più pertinenti. Il motivo viene subito spiegato quando viene detto: «Intanto questo popolo è completamente invaso dalla politica e dico meglio è assassinato da una politica falsa e nemica dell’anima e del corpo di questo popolo istesso, dunque il clero che deve rivolgere le sue amorose cure al popolo, deve per necessità di cose parlare e trattare di politica se non vuole sciupare indarno le sue fatiche» 35.
Visto il pericolo di una politica definita falsa e nemica dell’uomo, che è una minaccia per il popolo, in quanto provoca la morte dello stesso, “lo assassina”, il clero è non soltanto giustificato nel trattare di politica, ma ha l’assoluto dovere di soccorrere il popolo e di andare incontro alla classe operaia, in aiuto dei meno abbienti della società. Nessuno può accusare la Chiesa di ingerenza in faccende sociali, economiche ed industriali perché «verrebbe meno per milioni di anime a questo suo ufficio affidatole da Gesù Cristo, se ignorasse la questione sociale e si limitasse a combattere i pericoli col consueto esercizio del suo ministero»36.
Il dovere della Chiesa di trattare e interessarsi di politica è dato dal fatto che l’insana politica del tempo, «non cessa di rubare alla 35 36
R. PLACENTI, Il clero e la politica. cit., 7-8. Ibid., 8.
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classe operaia quanto di più bello possa avere: la fede dei padri suoi»37. La questione operaia è avvertita come un problema serio. Il canonico si domanda quale sia il contributo della Chiesa nell’affrontare e risolvere tale problematica. Molti affermano che la Chiesa deve mantenersi estranea a tali problemi, che non le competono e addirittura combattono la Chiesa per questo motivo. «Intanto per chi nol sa diciamo subito che solamente la religione può sciogliere il problema sociale, poiché essa sola considera l’uomo intieramente a sé, da un lato solo essendo esclusiva proprietà del cristiano operare la trasformazione interna dell’individuo sulla mente e sul cuore mediante le nuove dottrine recate dal cielo e l’altra trasformazione esterna ne l’ordinamento sociale, derivata dall’influsso delle nuove credenze sulla vita comune»38.
È solo il cristianesimo che può dirimere la complessa problematica sociale perché il suo operare è diretto a trasformare l’uomo dal suo interno attraverso il messaggio evangelico. Se la questione sociale non è ancora risolta è perché i mezzi finora usati lasciano la religione da parte; è necessario escogitarne altri e nuovi: «e questi mezzi io li trovo nella politica. Quel che interessa è di dare un giusto indirizzo alla politica odierna, in poche parole renderla cristiana. E tale non può farla se non il clero con la sua sapienza e con la sua prudenza»39.
La soluzione del problema sarà fattibile a condizione che il clero intervenga con la sua prudenza e sapienza. La politica viene vista come uno strumento nelle mani del clero adatto a risolvere tale questione: questa è anche la missione sociale della Chiesa. Chiaramente gli avversari del clero, cioè gli anti-clericali, si oppongono a queste idee e si difendono affermando che il prete non deve occuparsi di politica. Se è lecita tale osservazione nascono spontanee le risposte: «Ma di grazia, il prete non è forse cittadino? Non ha anche egli i suoi diritti sociali? Certo che sì. Dunque, siccome ogni altro, ha il pieno diritto di esprimere il suo pensiero sulle questioni politiche del giorno e di leva37
L.c. Ibid., 9. 39 L.c. 38
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re alta la voce contro gli innumerevoli abusi che un pugno di arruffoni senza genio hanno introdotto. Anzi nel clero io vi scorgo non solo il diritto, ma anche il dovere avuto riguardo alla sua missione sulla terra»40.
È interessante l’obiezione sollevata dalle tesi degli anti-clericali: il prete prima ancora di essere quello che è, è un cittadino e quindi un membro appartenente alla società, in quanto tale ha il diritto di parlare, criticare, lottare contro idee sbagliate e proporre idee buone e quindi è libero di esprimere il suo pensiero su questioni politiche; poi in quanto prete ha il dovere di fare tutto ciò, perché deve lottare contro i principi empi e sovversivi che caratterizzano la politica del tempo, ma deve illuminare la politica con i principi inviolati della morale, della giustizia, della religione41. Gli anti-clericali si richiamano al Machiavelli che viene citato nel corso dello scritto come: “il troppo famoso Segretario Fiorentino”, il quale difendeva il principio che la politica dev’essere senza morale. Tale dottrina, definita “funesta ed empia” viene adottata da tanti governi, propugnata da pubblicisti e giornalisti, ma è anche vero che l’intervento del clero in politica «è tanto più necessario e opportuno in quanto che in tutte le questioni attuali vi si trova l’elemento religioso assai palese»42. Se questa è una verità dimostrata dalla storia e dai fatti si capisce così lo sforzo fatto dai rivoluzionari: «di secolarizzare tutto, di bandire la religione dagli affari pubblici e privati e di lasciare ad essa solamente le Chiese calunniando il prete e creandone delle graziose in verità, ma ridicole nel vero senso della parola»43.
Gli anti-clericali non sono soltanto coloro che calunniano i preti, lottando contro di essi, ma sono visti come i fautori di quel fenomeno grave che è la secolarizzazione, che sfocia con facilità nel secolarismo che consiste nel bandire la religione come istituzione che abbia peso sociale e valenza nella vita del singolo: la religione, se dovesse essere riconosciuta, va vista solo come affare privato e individuale. 40
Ibid., 10. Cfr. l.c. 42 L.c. 43 Ibid., 11. 41
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Il nostro canonico conclude l’argomentazione con una citazione esplicita di un autore che lui stesso definisce “bravissimo”, ma di cui non dà il nome, né il riferimento bibliografico: la citazione è efficace perché presenta un insieme di domande retoriche che conducono alla conclusione che è la tesi dimostrata. “Però tralasciando ogni altro argomento, domando io con un bravissimo scrittore: «Con la politica si possono non solo ideare, ma anche organizzare e compiere ribellioni contro i legittimi sovrani? Con la politica si possono tradire promesse fatte, ingannare i galantuomini, rubare a man salva dovunque e comodamente? Con la politica si possono scristianizzare i popoli, si può imporre l’ateismo nelle scuole, legalizzare l’immoralità e sfacciatamente offendere la Chiesa e il suo augusto Capo? Con la politica si possono opporre ostacoli ai Sacerdoti di Gesù Cristo nello svolgimento dei loro doveri? Ai Vescovi nel compiere la loro missione fra i fedeli, al Papa nel governo universale della Chiesa? In una parola, con la politica si può fare del male? La risposta agli avversari. Ma essi, son sicuro, non la daranno giammai»44.
La conclusione è che la politica è uno strumento, un mezzo che se usato male, come fanno gli anti-clericali, provoca soltanto disastri culturali, sociali, morali e religiosi; se invece è usato bene serve a costruire una società all’altezza dell’uomo, fondata su valori che garantiscono il benessere sociale e la promozione umana. Ecco perché nel corso della presentazione di questo articolo affermava che occorre riappropriarsi di questo mezzo che è la politica per raggiungere gli obiettivi. La Chiesa nell’uso di questo mezzo ha un contributo notevole, prezioso e indispensabile da offrire: così è chiaro il monito pontificio che invita calorosamente a “uscire di sagrestia” e a impegnarsi in politica, facendo sì che esso diventi un campo prezioso del suo apostolato.
5. Il clero relegato in sagrestia Chi afferma che il posto del clero è la sagrestia, cioè il Santuario, non è certamente uno che vuole prendere le difese del clero mettendolo al sicuro dentro la sagrestia; ma è invece il grido di chi vuole sbarazzarsi del clero isolandolo, rendendolo inefficace nei confronti della società e avere così il campo libero per essere i padroni 44
L.c.
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indiscussi. Coloro che difendono tale tesi allora sono i nemici del clero che così facendo vogliono sconvolgere e distruggere ogni sociale ordinamento, per attentare alla Chiesa, che opera da tanti secoli e durerà fino alla fine dei tempi, disarmandola, per poi decapitarla. Il nostro autore cita le frasi di un certo Alberto Mario45, definito “mente bislacca” e del massone Belga Quinet46 il quale nutriva desideri antipapisti, definiti in modo ironico “pii desideri” perché desiderava «confutare il papismo, estirpandolo; non solo estirparlo ma disonorarlo, non solo disonorarlo ma affogarlo nel fango»47. L’obiettivo degli anti-clericali consiste nel rinchiudere il prete nelle sagrestie, per isolarlo dalla società, per relegare la sua attività dentro un ambito chiuso e limitato, circoscrivendone così l’influenza, paralizzare l’azione e frenandone i successi che da sempre ha riscosso tra il popolo48. «I frutti dell’attività popolare del clero: stampa, associazione, industria, agricoltura, politica, scienza, arte, tutto, hanno dato ai nervi degli avversari. Gli intendimenti grandiosi del clero non di difesa soltanto ma di conquista e i suoi programmi densi di riforma gli hanno creato tanti e sì perniciosi nemici, aspirazioni dei quali non è quella sola di vedere il prete in sagrestia ma scomparso del tutto dalla faccia della terra»49.
L’operato e i risultati del clero nella storia della società umana non si possono nascondere; il nostro canonico parla di “frutti” che sono conosciuti da tutti; infatti non c’è ambito della società e della vita del singolo che non abbia beneficiato del ministero del clero perché esso è destinato a promuovere l’uomo e la società in cui vive. Il clero nei confronti della società non ha avuto atteggiamenti di difesa, ma di promozione umana e di riforma in vista del suo bene. È chiaro che se i frutti sono evidenti è anche comprensibile la reazione violenta dei nemici che alla fine non si battono per circoscrivere l’influenza del clero e arrestarne i successi, ma per annullarlo. L’agire del clero come anche dei cattolici impegnati nel sociale differisce notevolmente dal modo di fare degli anti-clericali, diremmo sono stili di vita, modalità operative differenti, perché determinate da motivazioni intenzionali diverse. 45
Alberto Mario (1825-1883); patriota, politico e giornalista. Edgar Quinte (1803-1875); storico ed intellettuale. 47 Ibid., 12. 48 Cfr. l.c. 49 Ibid., 12-13. 46
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«I grandi genii che lottano nelle file del campo cattolico, gli economisti insigni che vanta il clero non hanno agitato le idee nuove entro i tranquilli silenzi dei loro salotti o tra le mura più o meno squallide di qualche sagrestia, no, sono essi scesi così come una falange a lottare corpo a corpo contro liberali, ebrei, socialisti, massoni col mezzo della stampa, delle associazioni, del mandato politico. Rinnovarsi o morire non c’è via di mezzo»50.
Molto bella è la descrizione che fa quando parla del modo di operare dei cristiani impegnati nel sociale: questi sono come l’anima della società e usando le immagini evangeliche potremmo dire sono come il sale e la luce del mondo (cfr. Mt 5,13-16). Toccante e forte è la sfida che in quel momento storico i cristiani con il clero erano chiamati a valutare: per tempi nuovi e soprattutto diversi rispetto al passato ci vogliono metodi nuovi e adeguati: la società si rinnova ed essa non può essere governata con criteri antichi, per cui occorre che il clero si rinnovi, studiando modalità nuove per proporre il messaggio evangelico, con uomini nuovi e strategie pastorali adeguate. Il nostro canonico parla di rinnovamento della società e fa il confronto con la società di cinquanta anni addietro. «I tempi sono cambiati ed innumerevoli sono i nuovi bisogni della società; il pensiero è abbastanza evoluto e sarebbe sciocchezza enorme adottare oggi i sistemi di cinquanta anni addietro. Il prete che vive in sagrestia farà una vita privata, anche incontaminata; ma egli è fatto pel popolo ed il popolo che deve santificare, ohimè! il popolo gli scappa dalle mani e si perde»51.
Quanto sono attualissime queste frasi scritte parecchi decenni fa, sembra di trovare un’eco profonda di tutte le disquisizioni che si fanno in ambito teologico sull’identità del presbitero oggi in un contesto di forti e contrastanti cambiamenti sociali e culturali, dove è sempre in aumento la percentuale degli indifferenti religiosi, degli analfabeti religiosi e di coloro che non varcano più la soglia del tempio, cioè di coloro che non si identificano più con la Chiesa e vivono in essa52. 50
Ibid., 13. L.c. 52 Cfr. CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio del Duemila (29.06.2001), 40-41. 51
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In questa situazione di fermento sociale il prete non può vivere in sagrestia perché egli è fatto per il popolo che deve santificare. È una affermazione teologica di notevole interesse: il prete non soltanto è scelto per essere uomo di Dio, cioè consacrato a Dio, ma è anche per il popolo: egli ha la missione di santificare il popolo; quindi è chiamato a svolgere il suo ministero nel e per il popolo. È fondamentale allora per lui uscire di sagrestia e andare verso il popolo, il quale gli scappa di mano e si perde: il riferimento è alla crisi determinata dalla secolarizzazione che ha portato alla scristianizzazione, ma anche alla propaganda socialista, che distoglie le masse degli operai dalla vita ecclesiale. «Intendiamolo una volta per sempre, i doveri del clero non si limitano solo a pregare nei templi, a profondere lacrime e a snocciolare rosari. Ma una delle sue più bella glorie […] quella di avere in mezzo al fascino universale conservata intatta la morale politica, di non aver voluto giammai transigere con le ingiustizie e per aver faticato a tutt’uno per raddrizzare la pubblica opinione traviata dal machiavellismo e dalla ipocrisia»53.
Se la preghiera è importante ed è l’anima della vita sacerdotale, dove il prete alimenta sempre più le ragioni del proprio essere consacrato e del proprio ministero, essa tuttavia non è l’unico dovere del prete. Il suo compito consiste anche nell’insegnare e testimoniare quei valori morali che garantiscono una vita autenticamente umana e una società a misura di uomo, dove il fine di tutto è l’uomo e non viceversa e dove si lotta contro le ingiustizie e le ipocrisie.
6. Il clero fuori del tempio Il nostro canonico fa una sottile e sagace ironia quando afferma che secondo i nemici del clero è doveroso che il prete stia nel tempio per salvaguardare la sua stessa dignità perché «egli con la politica compromette seriamente il suo carattere e laicizza e tradisce i supremi interessi delle anime, quindi essi conchiudono che il prete deve stare in Chiesa, se vuole seguire Gesù Cristo»54.
Smontare questa tesi per il nostro canonico è stata un’impresa molto facile in quanto si avvale di citazioni evangeliche come anche 53 54
Ibid., 13-14. Ibid., 15.
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dell’agiografia cristiana, dove è possibile ritrovare indicazioni completamente diverse da quelle sostenute dagli anti-clericali. «Eppure è lo stesso Gesù Cristo che ci comanda di uscir fuori del tempio. Uno sguardo alla sua dottrina, un altro alla sua vita. Predicate super tecta dice il Signore agli apostoli […] Per farsi sentire dalla piazza, Egli dice, predicate dai tetti la vostra fede. Uscite cioè dal tempio ed andate in cerca del popolo. Ite per vicos et plateas dice Gesù ai suoi ministri nella parabola della Gran Cena. Questa parola diretta a formare i grandi Apostoli la intesero un S. Francesco d’Assisi che si aggirava sulle piazze per predicare con l’esempio»55.
Oltre alle citazioni del Vangelo il rimando è anche ai numerosi santi che agirono nella società del tempo come audaci ministri di Dio fuori del tempio, tra il popolo. Il Placenti cita S. Domenico, S. Francesco, S. Girolamo, S. Vincenzo Ferreri, S. Paolo della Croce, S. Giovanni da Capestrano, S. Giuseppe Calasanzio, S. Filippo Neri, S. Giovanni di Dio. Se questa è la testimonianza offerta dall’operato dei santi, non di meno si può tralasciare la testimonianza chiara di Gesù e del suo agire non nel tempio di Gerusalemme, ma al di fuori di esso. Gesù non ha abitato a Gerusalemme e quindi non ha fatto vita di sagrestia. «Egli stava lontano dal tempio e quelle volte che vi si recò, fu di passata, in qualche solennità, come per dire che nel tempio bisogna attingere quella forza che poi deve esplicarsi tra le masse»56.
I miracoli Gesù li ha compiuti fuori dal tempio. Gesù offre questa testimonianza e fa sua questa prassi pastorale: è il salvatore del popolo che vive, cerca ed opera in mezzo alla gente e non nel tempio: la strada è lo spazio geografico dove Gesù vive e opera, perché è nella strada che Gesù incontra i poveri, gli ammalati, i peccatori ai quali si rivolge come salvatore e verso i quali volge il suo operato messianico. «Se Gesù Cristo non fosse andato per le vie, per le piazze che differenza ci sarebbe stata fra lui e i filosofi che dettavano in privato le loro dottrine? Or quello che Gesù fece predicando per le vie, per le piazze, sopra i monti, lungo le rive, trattando con la sinagoga, con i centurioni, con gli 55 56
L.c. Ibid., 16.
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scribi e con i farisei, lo fecero gli Apostoli e i discepoli e quindi Vescovi, preti e frati»57.
Lo stile adottato da Gesù nello svolgimento del suo ministero messianico è diverso da quello dei filosofi del tempo che educavano gli allievi in modo privato e diremmo riservato ai soli adepti. Gesù e dopo di lui gli Apostoli e i loro successori svolgono il loro ministero al di fuori del tempio, tra la gente, a favore del popolo. Il prete deve stare in Chiesa per attingere nuova forza e nuovo vigore, ma quando i doveri del suo ministero lo chiamano fuori, esca prontamente fuori ed eserciti tra la gente il suo ministero58. Il Nostro elenca diverse motivazioni che spingono il prete a rimanere dentro la Chiesa dove svolge il suo ministero di intercessione, di affidamento e supplica al Signore per le grandi, gravi e difficili situazioni da affrontare e questo lo può fare solamente con l’aiuto da domandare al Signore: «Sì, stia in Chiesa quando le mani di ferro si fan sentire dall’esattore, quando del denaro pubblico si vuol fare infame sperpero, quando si vuole conculcare il popolo, quando si grida la croce addosso al Sacerdozio, stia allora rincantucciato in un angolo della Chiesa o sotto il lavabo di qualche sagrestia ed enumeri, se il può i danni che gliene avverranno»59.
Secondo il nostro canonico ci sono alcuni che non vedono bene la presenza del prete in politica e vogliono che questi non si occupi di tale questione perché, a loro dire, il prete deve vivere in pace con tutti e dev’essere padre di tutti, mentre la sua presenza in politica favorirebbe alcuni ed escluderebbe altri60. A tale obiezione risponde il Placenti affermando che il prete si impegna in politica per essere al servizio di tutti ed in questo settore esercita la sua paternità a beneficio dell’intero popolo: quindi l’impegno socio-politico è in effetti esercizio della paternità spirituale del prete e del suo ministero; tutto ciò a maggior ragione nel tempo in cui scrive il Nostro, perché «oggi non è più il popolo che va in cerca del sacerdote, come farà egli a salvarlo se sta in sagrestia? È impossibile convertire il mondo stando in 57
L.c. Cfr. ibid., 17. 59 L.c. 60 Cfr. l.c. 58
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casa: bisogna mescolarsi come sale nella massa, bisogna uscire di sagrestia. Il clero questo sale egli ha avuto da Gesù Cristo il comando di mescolarsi alle masse»61.
Ancora una volta è chiara la motivazione utilizzata dal Placenti che porta a giustificare la presenza del prete in politica: è il padre di tutti che esercita il suo ministero a favore del popolo, ma è il ministro di Dio che ha avuto il mandato da Gesù di dare sapore alla vita degli uomini nella sua concretezza e problematicità esistenziale insaporendola con il messaggio evangelico e con i valori morali che esso veicola e motiva chiaramente. Il prete non può rimanere in sagrestia, ma deve mescolarsi, come il sale, nella massa degli uomini per portare avanti la missione salvifica di Cristo: convertire il mondo, restaurare la società ispirandosi al messaggio evangelico. Questa è la missione del prete, ma anche di tutta la Chiesa che testimonia la presenza del Regno di Dio nella storia, attraverso la politica, la quale è intesa come un servizio privilegiato e la realizzazione della carità.
7. La posizione neutrale del clero in politica Per il Placenti, tra i liberali ci sono quelli che propendono per la neutralità del clero in politica, favorendo l’astensione da qualunque appartenenza partitica e quindi di parte e rimanendo al di fuori delle contese per il potere62. La pretesa dell’avversario viene considerata molto strana, perché se tutti i partiti avessero lo stesso atteggiamento verso la Chiesa, certamente la Chiesa non dovrebbe temere l’esito delle lotte politiche. Invece le cose non stanno così, poiché ci sono diatribe politiche che si traducono in lotte anti-clericali e anti-religione; per questo motivo rimanere neutrali è impossibile: non sarebbe altro che assecondare tali idee e realizzare forme di ingiustizia, tradendo la verità. Il nostro canonico così si esprime: «Ma esigere dal clero […] che si tenga assolutamente estraneo fra chi perseguita e chi difende la Chiesa, fra coloro che predicano l’ateismo e il materialismo e coloro che apertamente professano la fede cristiana, fra
61 62
L.c. Cfr. ibid., 18.
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coloro che vogliono schiacciare la religione dalla scuola, dalla caserma, dall’ospedale e coloro che si propongono conservare l’azione e l’influenza legittima nella vita pubblica e sociale; esigere, dico, dal clero che manifesti l’eguale simpatia per gli uni e gli altri, equivale a chiedergli un’ingiustizia, un tradimento, una viltà»63.
La motivazione che porta avanti il nostro canonico nel combattere la posizione neutrale del clero in politica è di natura evangelica: non si può rimanere indifferenti rispetto a posizioni contrastanti, occorre un serio discernimento che porti a condannare ciò che contrasta valori e messaggi cristiani e invece sposare la causa del bene, della promozione dell’uomo nella società. L’intervento del clero in politica non può essere giudicato dagli anti-clericali come fanatismo, perché è un dovere in vista del bene della società, della promozione della persona e della sua alta dignità. Il Placenti fa le sue osservazioni: «Fanatismo […] altro che fanatismo. Egli è vero che il fango dell’empietà settaria non arriva all’altezza dove poggia il clero, e ai lazzi degli avversari si dovrebbe opporre il silenzio dignitoso, con cui il Salvatore rispose ai sogghigni beffardi della sinagoga»64.
L’invito del Placenti consiste nell’affermare il bisogno di lottare e di mettere da parte la neutralità del clero in politica: di fronte alle ingiustizie che vengono perpetuate a discapito del popolo e del clero, l’impegno della Chiesa non si può tralasciare, perché essa ha il compito di denunciare il male e le ingiustizie sociali, ma ha anche l’obiettivo di proporre il bene morale quale orizzonte naturale di vita. «Fanatismo quello del clero! La Chiesa è oppressa, il clero spogliato e proscritto ed è fanatico se protesta?»65.
È ancora viva l’incresciosa questione romana, come anche la considerazione del papa quale prigioniero dentro le mura vaticane o del clero che vuole garantita la sua libertà, la sua autonomia: essere presente in politica per lottare contro queste posizioni non è 63
L.c. Ibid., 19. 65 L.c. 66 Cfr. l.c. 64
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fanatismo, ma è dovere nei confronti della giustizia e della verità, nei confronti della persona66. «La fede è minacciata, la morale cattolica bandita da un sistema di cose quanto empio e altrettanto settario e ruinoso, il clero protesta, si muove per rimediarvi ed è appellato fanatico? Oh, molto meglio essere chiamato fanatico che ingiusto traditore, vile»67.
Piuttosto che parlare di fanatismo si dovrebbe parlare di intransigenza e di lotta intransigente fino al sangue: «L’intransigente è colui che lotta per la difesa dei principi schiettamente cattolici e degli insegnamenti della fede apostolica, che vuole […] la dottrina soda, la filosofia di S. Tommaso, scioglie le questioni sociali secondo gli insegnamenti del Papa»68.
L’intransigente così come viene definito corrisponde alla persona seriamente motivata, in quanto fonda il suo impegno su verità conosciute, sugli insegnamenti della Chiesa, sulla filosofia di S. Tommaso che viene considerato come un maestro unico e intramontabile; si adopera perché nell’ambito degli eventi politici gli insegnamenti pontifici non restino lettera morta. «Nell’ideale politico-religioso ritiene per saggi ed aderisce pienamente ai consigli che con chiarezza vengono dati a scopo di ordine pubblico ed alla salvezza degli individui e della nazione»69.
Il nostro autore non ha dubbi nel definire la neutralità in ambito politico come una bestemmia, cioè qualcosa di scandaloso e di offensivo verso Dio e verso l’uomo; inoltre il clero è compatto sotto un trinomio, che viene paragonato ad una bandiera, dietro la quale militare e portare avanti la battaglia sociale; le tre realtà importanti sono: fede, pensiero ed azione. È interessante ed originale l’immagine della bandiera sotto la quale militare per la realizzazione di una società a misura d’uomo che si ispiri ai principi e valori evangelici e sia promotrice della restaurazione della società; il trinomio fede-pensiero-azione diventa come un programma da realizzare in vista del rinnovamento della 67
L.c. Ibid., 20. 69 L.c. 70 L.c. 68
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società. La fede, in quanto virtù teologale, è la libera e personale adesione a Dio che crea e salva, chiama e santifica, redime e rinnova l’uomo; essa orienta tutto l’essere della persona a Dio, alla sua gloria. Il pensiero è la capacità dell’uomo di riflettere su di sé, sul proprio destino, sulla propria identità e sulla propria missione: il pensiero illuminato dalla fede corrisponde a quella capacità che l’uomo riceve da Dio di autocomprendersi alla luce del mistero di Dio, come figlio amato da Dio che viene conosciuto come Padre, sorgente di vita e d’amore. L’azione non è solamente il fare dell’uomo ma è l’autorealizzarsi dell’uomo chiamato da Dio a vivere in, con e come Cristo Gesù attraverso il vissuto concreto; il libero agire dell’uomo diventa testimonianza del proprio essere in Cristo Gesù. È l’azione cristiana che scaturisce dalla persona salvata e santificata dal dono dello Spirito Santo che diventa glorificazione di Dio, edificazione del Regno di Dio nella storia, restaurazione della società quale comunità di uomini che ha Dio come Padre, che ha come statuto e precetto unico la legge dell’amore e come fine il Regno di Dio nella storia. «Di fronte ai transigenti, ai quietisti, agli utopisti della pace laica si schierino i veri intransigenti e allora sì che sarà salva la Patria e la Chiesa libera ed indipendente, allora sì che sarà scoccata l’ultima ora per l’empietà settaria, come il moltiplicarsi degli intransigenti di diciannove secoli or sono segnò il crollo dell’empietà pagana»70.
Conclusione La lettura del manoscritto del canonico Placenti è interessante e a conclusione si può anche sottolineare la validità del messaggio e la contemporaneità delle argomentazioni addotte per giustificare la presenza del clero in politica, l’obbligo morale che esso ha di interessarsi di politica, perché senza il contributo del clero la politica sarebbe priva di quell’anima che la rende disciplina e riflessione a servizio del bene della società. Mancando il contributo del clero in politica è come se questi tradisse una delle sue importanti prerogative che corrispondono all’esercizio del ministero presbiterale, e l’obiettivo d’instaurare il Regno di Dio in questo mondo, dove il messaggio evangelico è importante perché svolge il compito di fer71
Cfr. CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità (08.12.1990), 41.
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mento di tutta la società. È chiaro che l’invito rivolto al clero ad interessarsi di politica non consiste nel militare all’interno di un partito, ma nel motivare i cristiani impegnati in politica perché portino in questo ambito privilegiato le ragioni della speranza cristiana e i valori eterni e sempre attuali del Vangelo capaci di regolare la vita sociale e di costruire la stessa società a misura di uomo. La presenza del clero e quindi dei cristiani impegnati in politica, per il Placenti è preziosa; è una presenza doverosa, perché finalizzata a costruire la società modellandola sugli insegnamenti del Vangelo. Queste idee verranno riprese parecchi decenni dopo da un documento della CEI degli anni ’90 quando si afferma che per il cristiano l’impegno in politica è una delle forme privilegiate della carità cristiana71.
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Can. don Rosario Placenti (Niscemi 1872-1937).
Manoscritto “Il clero e la politica” del can. Placenti.
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Capitolo IV
Il sacerdote via, verità e vita per la Chiesa e per la società in un discorso del parroco don F. Galesi
Introduzione Il seguente contributo sul sacerdozio e sul ministero presbiterale nella Chiesa e società nei primi anni dell’episcopato di Sturzo è tratto dagli appunti dell’allora parroco della Chiesa Madre di Niscemi, don Francesco Galesi. Nato a Niscemi il 10.08.1878, da una famiglia numerosa e religiosa, ordinato presbitero il 21.12.1901 da mons. M. Palermo, svolse i primi anni del ministero fuori diocesi; rientrò con la venuta di mons. Sturzo nel 1903 e si dedicò alla predicazione in diverse città della zona. Nel 1931 mons. Sturzo lo nominò Parroco della locale Chiesa Madre e Vicario Foraneo. Curò la vita della parrocchia, dedicandosi alla formazione dei laici con l’Azione Cattolica. Morì il 03.07.1953. Il nipote, prof. Vincenzo Galesi, custode di tanti documenti dello zio e di tanta corrispondenza del vescovo Mario Sturzo con i preti del presbiterio locale, mi ha donato uno di questi scritti. È un’omelia tenuta in occasione di un’ordinazione presbiterale. Il manoscritto, ingiallito dal tempo, che porta il titolo Panegirico sul Sacerdozio. Ego sum via veritas et vita (Gv 14,6), consta di ben tredici fogli, divisi in tre parti che portano i seguenti sottotitoli: Il sacerdote è la via; il sacerdote è la verità; il sacerdote è la vita; il tutto è preceduto da una premessa e seguito da una conclusione. 1. Il testo Siamo dinnanzi ad appunti scritti per un panegirico, cioè per un discorso solenne, elogiativo, pronunciato in un contesto liturgico: la celebrazione della prima messa di un novello sacerdote, di cui non si dice il nome, ma attraverso elementi presenti nella omelia, come il riferimento ai festeggiamenti del papa nel 25° di incoronazione, si può desumere che l’omelia fu pronunciata nel 1903. Infatti in quell’anno si celebrava il giubileo del papa Leone XIII e veniva ordinato presbitero don Vito Falcone (1875-1955), dello stesso paese. 127
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Anche se siamo davanti ad una impostazione che risente delle trattazioni teologiche del tempo, arricchita di citazioni scritturistiche e di nomi di santi illustri e di teologi famosi, tuttavia il carattere liturgico-apologetico non è per nulla trascurato. Il nostro oratore si rivolge al novello sacerdote, perché abbia coscienza della dignità che assume e consideri con attenzione la missione alla quale è destinato: essere in Gesù e con Gesù per il popolo via, verità e vita. Il nostro oratore si rivolge al popolo di Dio che partecipa alla liturgia eucaristica presieduta per la prima volta del neo sacerdote, perché oltre a ringraziare il Signore del dono ricevuto, scopra nel ministro di Dio, un dono divino destinato al suo popolo, il pastore chiamato a guidare il gregge, il maestro che, ad immagine del grande Maestro, è via, verità e vita. Il filo conduttore di tutta la riflessione di don Galesi rimane Gv 14,6 che cita come titolo del suo panegirico e che serve a collegare il ministero di Gesù a quello del sacerdote nella storia. Il compito unico e insostituibile di Gesù Maestro continua oggi con i sacerdoti: tutto ciò che il prete è e tutto quello che opera non è altro che realizzazione e attuazione del ministero salvifico di Gesù di Nazareth. I sacerdoti con modalità diverse e in tempi e luoghi diversi realizzano la stessa opera salvifica inaugurata da Gesù. Se è indispensabile la missione di Gesù, lo è altrettanto quella dei presbiteri che oggi realizzano nella Chiesa e nella storia ciò che Gesù ha iniziato. 2. La dignità incomparabile del sacerdote Nel passato come nel tempo presente l’uomo ha cercato di raggiungere livelli alti di vita: si è preoccupato di raggiungere la grandezza. Ognuno per la sua parte e secondo la propria competenza ha cercato di offrire il proprio contributo in vista di questa maturità da raggiungere o conquistare. «Il filosofo difatti scrutò le cause della grandezza e disse per quali principi, per quali vie metafisiche, l’uomo può elevarsi al vanto di incomparabile tra i suoi fratelli, di sommo e di grande. Il pedagogo sulla vita pratica dei personaggi più illustri, tolse a modellare le tendenze dell’uomo giovine ancora ed imparante, e mentre il moralista pensava a purificare gli affetti, dal pubblico seggio il legislatore proponeva palme e corone ai valorosi per adescare i loro cuori a nobili imprese»1. 1
F. GALESI, Panegirico sul sacerdozio. Ego sum via, veritas et vita, Manoscritto, in Archivio personale, 1901, 1.
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Ognuno di questi studiosi ha offerto il proprio contributo alla persona, facendo sì che l’uomo diventasse grande, eroe, gigante, strappato dalle forze, a volte brute e selvagge della natura. Se questi contributi di studiosi sono stati utili e preziosi in vista di quella grandezza che l’uomo ha raggiunto, «l’uomo veramente grande non venne meglio a formarsi che per attitudine e virtù propria da un lato e per impulso di quella ispirazione divina dall’altro canto, che i nostri buoni propositi regola e governa. Un altro maestro, o signori sorgea difatti or sono quasi venti secoli e si appigliava alla formazione dell’uomo veramente grande»2.
Il maestro di cui parla l’oratore è diverso da tutti gli altri: non esce da una Accademia o da un Areopago e non fa parte della schiera di pedagoghi o legislatori o filosofi che fondano la loro competenza e la loro saggezza sui libri e sullo scibile umano. Il Maestro che vuole presentare il Galesi è Gesù Cristo che viene incontro a noi «con un libro e un legno, cioè il Vangelo e la Croce ed è lui solo che ha potuto proferire quelle sublimi parole: Ego sum via, veritas et vita»3.
L’opera del Cristo e il compimento della missione salvifica sono importanti per la storia dell’umanità, per la realizzazione di una nuova umanità; infatti fu lui a ridonare all’uomo la sua primitiva grandezza, a illuminare la vita umana con la sua dottrina che è come luce che illumina l’umanità che vive nelle tenebre. Il ministero della Redenzione è essenziale per le sorti dell’umanità e prima ancora di concludere la sua missione e di portarla a termine sulla croce, Gesù pensò di perpetuarla mediante il sacerdozio e «quindi dando ad esseri umani podestà divina, elevandoli ad una grandezza superiore a qualsiasi grandezza umana. Il carattere sacerdotale nobilita ed eleva l’uomo ad un grado eminente, anche nell’ordine sociale, imperocché il Sacerdote in virtù del suo carattere addiviene il maestro dei popoli colui che a imitazione del Cristo Redentore deve diffondere la luce del Vangelo»4.
2
L.c. L.c. 4 Ibid., 2. 3
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Interessante questo passaggio perché mette in risalto la grande dignità del sacerdote; infatti grazie al carattere conferito dal sacramento dell’ordine egli perviene ad una grandezza che supera qualunque grandezza umana e lo nobilita. «Alta ed importante è la missione del sacerdote cattolico, quanto alta ed importante è la sua dignità. Giacché se Gesù Cristo divino istitutore del Sacerdozio cattolico nella sua missione evangelizzando le turbe e gli apostoli uscì in quelle enfatiche parole: Ego sum via, veritas et vita; ancora il sacerdote successore legittimo del Cristo dovendo perpetuare la sua missione, può pigliare ad imprestanza le stesse parole e ripetere lui ai popoli: Ego sum via, veritas et vita»5.
È Gesù che associa a sé il ministro ordinato, per cui alta ed importante è la sua dignità: egli, come Gesù, è via, verità e vita. Colui che può appropriarsi di quei tre attributi è solamente Gesù. Il sacerdote lo è per partecipazione, perché è conformato a Gesù, in quanto ministro ordinato, per cui egli diventa via, verità e vita. Da qui la possibilità di sottolineare la continuità tra il ministero salvifico di Gesù e quello del sacerdote, in quanto è successore legittimo del Cristo. È Gesù che istituisce il ministero ordinato, ragion per cui il sacerdote viene definito successore legittimo del Maestro divino e la sua missione è alta ed importante, così come unica ed importante è la dignità di cui è rivestito. I tre attributi che identificano Cristo quale Salvatore degli uomini, vengono applicati dal nostro oratore al sacerdote, prendendoli in considerazione uno dopo l’altro, per cui il suo panegirico si struttura in tre punti: 1) come il sacerdote cattolico è la via che mena al progresso morale: ego sum via; 2) come il sacerdote è la verità che mena al progresso scientifico ed intellettuale: ego sum veritas; 3) come il sacerdote è la vita che mena al progresso sociale: ego sum vita. Prima di passare alla trattazione il Galesi si confessa incompetente nel trattare l’argomento, così importante e così alto per cui chiede, con espressioni commoventi e toccanti, la fraterna compassione sia del novello sacerdote, definito “mio carissimo amico”, sia dei suoi uditori che sono tutti quelli che partecipano alla celebrazione della prima messa. «E tu novello unto del sacro crisma perdona la mia imperizia; lo so le mie forze non sono sufficienti a trattare come si deve il sublime argomento 5
L.c.
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onde infiammarti v’è più di un santo zelo ricordando la grandezza, la sublimità e la missione del sacerdozio da te testé abbracciato; e voi riveriti uditori, accordatemi anche voi il vostro generoso compatimento»6.
3. Il ministero sacerdotale assicura il progresso morale La prima parte dell’orazione è dedicata a considerare il ministero sacerdotale quale via che porta il popolo al progresso morale. Il motivo per il quale il sacerdote è via per il progresso è determinato dalla natura del sacerdozio: esso è di istituzione divina e il suo potere è determinato da colui che lo istituisce, cioè il Cristo, per cui il sacerdote ha un potere sovrumano7. L’ordinazione presbiterale attraverso l’imposizione “delle mani apostoliche” consacra l’eletto e gli conferisce quel “carattere augusto” per cui l’eletto diventa viva voce di Dio. L’ordinazione viene vista come un arruolamento che il Signore fa del nome dell’ordinando alla sacra milizia dei Celesti. L’espressione presa dal vocabolario militare rende efficace l’immagine del sacerdote che, pur essendo un uomo, viene associato alla schiera degli spiriti celesti; cioè il suo ministero è paragonato a quello degli angeli, messaggeri di liete novelle, cioè annunziatori del Vangelo per antonomasia8. Il ministero sacerdotale ha un’efficacia unica sulla realtà umana che di per sé è difettosa, ma per suo mezzo viene nobilitata, santificata e quindi sublimata. Infatti il sacerdote: «Lava le vostre macchie nel mistico bagno della rigenerazione, proscioglie le vostre coscienze dai legami della colpa, segna la vostra fronte col balsamo incorruttibile della fortezza, ciba le vostre anime col pane stesso degli angeli, col viatico dell’immortalità, benedice e santifica le vostre nozze e i vostri figlioli, le vostre case ed i vostri poderi, le fatiche ed i riposi, ogni studio del vostro cammino, dall’alba al tramontar della vita»9.
L’opera del sacerdote è preziosa per le sorti dell’uomo, per il suo essere e progredire; santifica la vita e l’operato della persona in modo costante dall’inizio alla fine, dalla nascita fino alla morte. 6
Ibid., 2-3. Cfr. ibid., 3. 8 Cfr. l.c. 9 L.c. 7
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Il ministero sacerdotale prosegue l’opera salvifica di Gesù Cristo, rendendo attuali e contemporanei i frutti della Redenzione. L’amministrazione dei sacramenti e l’opera di evangelizzazione compiute dal sacerdote santificano la persona, qualificandola come vita cristiana e rendendola sempre più conforme al disegno del Creatore e del Redentore. Il sacerdote è colui che raccoglie i sospiri, le lacrime, le preghiere del popolo e le presenta al Padre della misericordia: «E per tal modo fa di voi, una stirpe eletta, una gente santa, un sacerdozio reale. Egli adunque è come sacrificatore e riconciliatore, perché immagine viva del Mediatore invisibile, del Pontefice eterno, dissigilla ed apre le sorgenti della grazia, i tesori del Regno di Gesù Cristo, volge le chiavi della vita e della morte, le chiavi del Cielo e dell’inferno»10.
L’immagine del sacerdote mediatore che svolge il suo ministero a beneficio del popolo in quanto intermediario tra Dio invisibile e il popolo, è molto interessante. Egli ha poteri straordinari conferiti da Gesù, perché a Pietro Gesù affida le chiavi del Regno dei cieli (cfr. Mt 16,19) e quindi il sacerdote apre e chiude le sorgenti della grazia e i tesori del Regno, perché è un amministratore di tali beni: tutto in vista di quell’obiettivo importante che consiste nel rendere la Chiesa stirpe eletta, gente santa, sacerdozio regale (cfr. 1Pt 2,9). Il nostro oratore non menziona direttamente i brani del Nuovo Testamento dove sono contenuti questi concetti, ma attinge dalla Sacra Scrittura quello che viene presentato nel corso del panegirico. Questo è un aspetto importante: la predicazione del tempo è alimentata dalla Sacra Scrittura; l’approccio ai testi sacri anche se non è esplicito e non può ricevere aiuto dalla esegesi che ancora non si è organizzata come scienza, tuttavia è assicurato; la Sacra Scrittura rimane un prezioso punto di riferimento per la predicazione nel tempo. L’esercizio del ministero del presbitero differisce da quello veterotestamentario, solenne, pomposo, inaccessibile. Esso è solamente prefigurazione e anticipazione di ciò che verrà istituito da Cristo; ma ciò che rende il sacerdote “via al progresso morale” è propriamente legato al sacerdozio di Cristo: quindi se si parla di continuità con l’Antico Testamento è perché prefigura il nuovo: ma c’è assoluta novità e originalità nel sacerdozio del Nuovo Testamento: il sa10
L.c.
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cerdote è via al progresso morale della persona e della stessa società. L’esercizio del nuovo ministero non è imperniato esclusivamente sui riti, ma sul ministero della Parola. «Gesù Cristo colla sua viva parola scosse le menti e i cuori più duri e li avviò al progresso morale, progresso ignorato da tanti secoli perché immersi tutti nel sonno del gentilesimo e del paganesimo, ed il sacerdote ancora lui con la sua parola ricordando i divini precetti dà la strada agli uomini che diritti li mena al progresso morale, alla propria santificazione»11.
Il ministero della Parola, ossia l’opera di evangelizzazione, fa del sacerdote un maestro di vita, perché la Parola annunciata rende il suo ministero capace di orientare i passi dell’uomo verso il progresso morale, permettendogli di passare dall’errore e dall’ignoranza, conseguenze della cultura pagana, al sapere vero e alla promozione umana che scaturiscono dalla Parola annunciata: è la Parola che porta l’uomo al progresso morale e alla propria santificazione. La Parola annunciata parla e fa conoscere Dio; l’uomo senza Dio non può esistere e vivere bene. Il nostro oratore nel corso della sua omelia richiama la tanto famosa e conosciuta frase di Agostino, presente nel I libro del suo capolavoro: Le Confessioni12; questo concetto agostiniano dell’inquietudine esistenziale serve non solamente per giustificare il bisogno essenziale di Dio e di vivere in lui, e di conseguenza anche la depravazione culturale e morale nella quale si viene a trovare l’uomo se non cerca Dio: «Dio per l’uomo è un bisogno […] così l’uomo quaggiù se a Dio non è unito non trova pace, né quiete, ed il suo cuore è come un mare in tempesta, e perciò egli, rottasi con questo Dio l’amicizia, e partita l’innocenza dalla terra, non perdette mai l’idea di lui, se solo si eccettui lo stolto il quale nella sua empietà osò dire: Non est Deus: Dio non esiste. Da ciò l’origine dell’idolatria, perché tralignata la mente, incominciò l’uomo a formarsi Dei a capriccio, e volendo capire i regni a cui inclinava la corrotta natura, se ne formò tanti che sarebbe qui stucchevole di noverare; basta dirvi che ogni cosa sulla terra fa Dio, eccetto Dio stesso»13.
La creatura umana non può stare senza Dio, vive in quella profonda inquietudine che lo porta a realizzarsi non moralmente bene: 11
Ibid., 4. Cfr. AGOSTINO D’IPPONA, Le Confessioni, I, 1. 13 F. GALESI, Panegirico sul sacerdozio, cit., 4-5. 12
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scade nell’idolatria e perde di vista gli obiettivi della propria natura e del proprio essere fino a trovarsi in un degrado morale penoso e preoccupante. Il degrado morale dell’umanità può essere superato solamente grazie all’intervento divino: Cristo Gesù è colui che portò all’umanità corrotta la moralità sana in quanto illumina il cuore e la mente dell’uomo. Grazie al mistero della Redenzione l’uomo ritrova la sua dignità, corrotta a causa della lontananza da Dio. Egli recupera l’innocenza creaturale perduta col peccato. L’opera salvifica del Cristo è indispensabile e i frutti del mistero della Redenzione arrivano all’uomo attraverso il ministero sacerdotale. «Ma non è il sacerdote il ministro ed il successore anzi il continuatore del grande Gesù Cristo vero maestro dei popoli, maestro di moralità e civiltà ancora?»14.
Il sacerdote così è come Gesù, è la via che conduce al progresso morale e se dovessero mancare i sacerdoti o essere insufficienti il progresso morale dei popoli verrà meno perché mancheranno coloro che sono al servizio della promozione del popolo. «Per convincervi della verità che il sacerdote è la via che mena al progresso morale presentatemi […] per un istante la mancanza dei ministri e successori di Cristo. Non più chi sciolga dal tribunale di penitenza le incatenate vostre coscienze. Non più chi vi pascola del pane della vita; non più chi benedice e santifica il vostro coniugio; non più chi accolga ai fonti battesimali la vostra prole; non più chi la salvi crescente dalla corruttela e dal vizio; non più chi custodisca i tesori tutti di religione, i soli, i veri inenarrabili conforti che dal tempio partendo al vostro letto si recano per prepararvi al gran tragitto. Non più chi vi consiglia con viscere di vera carità e di leale amore se dubbiosi, non più chi vi consoli con tenera pietà se afflitti, non più chi la pace vi torni tra le domestiche pareti, e i dissidi ne calmi e le vostre discordie. Non vi accorgete adunque, o signori, come il sacerdote per il suo ministero è la strada del progresso morale? E tu o novello levita rifletti, pensa alla tua missione: questo da te si attende, cioè che sii il maestro, che sii la via alla moralità dei popoli e con la tua parola e con le tue opere. Dio questo da te vuole e pretende ed il popolo questo si attende»15.
14 15
Ibid., 5. L.c.
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Lo svolgimento del ministero sacerdotale è realizzazione dell’opera di Cristo, abbraccia l’uomo e tutte le sue condizioni di vita; si svolge dentro le mura della Chiesa con la celebrazione dei sacramenti ed il servizio della Parola ma si realizza anche al di fuori del tempio, perché destinato a santificare la vita dell’uomo, ad illuminare mente e cuore e a curare le ferite morali e spirituali che egli porta dentro di sé. Questa è la missione del sacerdote, cioè è Dio che vuole e pretende tale ministero dal sacerdote; ma anche il popolo si attende questo tipo di servizio. Si attende che egli sia maestro che insegna con la parola e le opere, e così può essere via alla moralità e al progresso dei popoli ad imitazione dello stesso Cristo. Il nostro oratore si avvale della citazione evangelica di Mt 5,16 per confermare tutto quello che è stato indicato per descrivere la missione del sacerdote: Gesù definisce i suoi discepoli luce del mondo, che devono illuminare in modo che gli altri vedendo le loro opere buone glorifichino il Padre. Il versetto di Matteo viene utilizzato per parlare di una categoria specifica di discepoli: i sacerdoti. In realtà Gesù sta parlando dei discepoli senza nessuna specificazione. 4. Il sacerdote è la verità che assicura il progresso umano Per il nostro omileta la storia sacra e profana dimostra che il progresso scientifico ed intellettuale, le arti e le scienze rendono grande un popolo e non le ricchezze o il numero di abitanti. «Or si voglia o non si voglia i ministri del culto ne sono i promotori, i custodi, i maestri della grandezza di un popolo o di una nazione»16.
Il riferimento alle pagine della storia serve a dimostrare come non ci sia ambito della ricerca scientifica che non abbia ricevuto il contributo di pensiero e di opere da parte dei sacerdoti e tutto in vista del progresso dell’uomo, della sua promozione, della felicità e realizzazione della persona. La prova di questo impegno concreto e fattivo dei sacerdoti è testimoniata dalle loro opere.
16
Ibid., 6.
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«Ma non vi è bisogno di prove dove parlano i fatti, leggano i nemici della cattolica religione, leggano almeno i frontespizi dei libri … che riguardano le scienze, le arti, i costumi e vedranno che essi per la maggior parte portano il nome di un sacerdote. Sappiate dirmi o signori qual è quel filosofo o cittadino, che per amore della verità, per far sì che la verità sia conosciuta e quindi bandito il vizio sacrifichi se stesso? Noi, o signori, nella casta nostra abbiamo degli uomini che per la verità anche nell’ordine scientifico hanno consumata e logorata la loro vita»17.
Se le prove indicate non dovessero essere chiare soprattutto per quelli che, avendo tanti pregiudizi anticlericali, dovessero negarle, il nostro oratore rimanda alle tante opere sociali di cui i sacerdoti hanno la paternità e sono promotori, come per esempio la cultura, l’istruzione pubblica con le straordinarie biblioteche che conservano testi, manoscritti, papiri e codici di enorme importanza. Si pensi ai tanti collegi e università che offrono i tesori del sapere umano e delle scienze ai nazionali come agli stranieri. Si pensi ai tanti musei e pinacoteche che conservano opere d’arte di straordinario valore che, recuperate dalle rovine del tempo, oggi sono ammirate come veri capolavori che educano il genio dei giovani studiosi18. Il nostro oratore indica anche i nomi di alcuni papi e cardinali e famiglie che hanno dato alla Chiesa insigni e autorevoli ecclesiastici, promotori di progresso culturale, artistico e morale. «Girate or l’occhio da un altro canto e vedrete scuole in cui la carità dei sacerdoti istruisce le teneri menti e l’indirizza al progresso intellettuale. Chi ha occupato le cattedre della scuola se non il prete? È stato ora che il prete è stato cacciato dal campo dell’istruzione, sono stati i suoi nemici spudorati, offesi dalla sua moralità nell’insegnamento e della evidente lucidità delle sue dottrine, essi han guidato via il prete dalle scuole, libertà d’insegnamento, ma se il prete è stato cacciato dalle scuole, la sua penna non l’ha potuto nessuno spezzare, le sue opere, frutto dello studio e delle lunghe meditazioni han riscosso sempre il plauso dei buoni»19.
Da queste semplici frasi si evince l’immagine del prete che è via al progresso e promozione culturale e intellettuale di un popolo. Al tempo in cui scrive il Galesi molti dei sacerdoti erano dediti all’insegnamento e alla scolarizzazione dei fanciulli e degli adulti con le 17
L.c. Cfr. ibid., 7. 19 Ibid., 7. 18
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scuole disseminate anche nelle contrade di campagna, in un paese che contava una percentuale altissima di analfabeti20. La possibilità di avere le prime forme semplici e rudimentali di scolarizzazione veniva garantita dai numerosi sacerdoti del posto e dai frati francescani riformati presenti in città fino alla soppressione degli ordini religiosi avvenuta nel 1867. Con l’unità d’Italia l’istruzione delle giovani generazioni passò in mano al governo e fu assicurata nei paesi dai tanti sacerdoti che erano tra quei pochi che potevano vantare un certo grado di istruzione e di cultura. Il movimento massonico e quello socialista del primi del ’900 di matrice anti-clericale, avevano fatto di tutto per allontanare il clero dalla vita sociale e soprattutto dall’educazione delle giovani generazioni. Il nostro oratore parla di repressione, forse molto forzata, per cacciare fuori dalle scuole il clero; gli avversari se hanno ottenuto l’allontanamento del clero dalla istruzione sociale non hanno potuto impedire ai preti di operare o con gli scritti o con le loro attività in vista di quel progresso e promozione dell’uomo che rientra tra i compiti del loro ministero; per cui sono cambiate le modalità ma rimane sempre vivo l’operato del clero in questo ambito prezioso che è l’educazione, l’istruzione e la formazione intellettuale dei giovani. Inoltre il prete è stato cacciato fuori dalle scuole dai “nemici spudorati” per difendere la libertà dell’insegnamento; uno dei principi importanti dei massoni era la difesa della libertà dello stato da qualunque dipendenza dalla Chiesa e dagli ecclesiastici. Un altro motivo ancora viene sottolineato nell’omelia per quanto riguarda l’allontanamento del clero dalle cattedre dell’insegnamento: la moralità del prete nell’insegnamento e la lucidità, cioè la coerenza e competenza delle sue dottrine; per questo motivo il prete ha riscosso sempre il plauso dei buoni, ma ha recato indirettamente offesa al nemico. Per combattere attacchi così feroci ma anche subdoli, provenienti dal mondo liberale, socialista massone, è necessario che il prete sia ben formato e ben preparato culturalmente, teologicamente, spiritualmente e moralmente. Questi valori fatti propri dal prete lo renderanno inattaccabile, ma soprattutto credibile presso il popolo,
20
Cfr. S. BUSCEMI, In fila per uno. L’istruzione scolastica a Niscemi. Itinerario storico, Caltagirone 2000, 1-20.
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perché renderà presente valori morali e idee che sono intramontabili ed appartengono alla persona in quanto tale. Questi erano anche le idee importanti promosse dal Leone XIII circa la formazione e preparazione del clero, ma questi erano anche i grandi obiettivi di Mario Sturzo, durante gli anni del suo episcopato a Piazza Armerina: preti santi, ben formati, forgiatori di coscienze e maestri presso il popolo di Dio, innamorati e capaci di far innamorare di Cristo gli altri. Essi hanno una grande responsabilità: rendere credibile il mistero di Dio attraverso la loro vita oltre che per mezzo delle loro parole21. Il nostro omileta così si rivolge al novello sacerdote: «Ed oh, novello unto ben sai che a noi aspetta essere la luce dei popoli anche nel campo intellettuale, a noi aspetta essere la verità con la quale menar dobbiamo i popoli al progresso intellettuale: innamorare il tuo cuore dello studio, le tue ore libere da qualsiasi altra necessaria occupazione siano consacrate allo studio, giacché col patrimonio delle tue dottrine potrai financo abbattere i nemici che da ogni lato ci assediano, potrai ancor tu ad imitazione del Cristo dire ego sum veritas, io sono la verità»22.
È un’esortazione fatta con il cuore, come dal padre che affida al figlio i segreti della propria vita e come dal maestro che rivela al suo discepolo i segreti della sua arte, in modo che egli sia bravo quanto lui e diventi un ottimo artista perché eredita gli strumenti e i segreti propri del maestro: è come voler mettere tra le mani del novello sacerdote uno degli strumenti idonei per portare avanti la grande ed importante missione che, se fatta bene, lo conforma a Gesù Cristo fino a poter dire come Cristo: io sono la verità. È lo studio personale, continuo, costante che rende il sacerdote un vero educatore, in grado di farsi chiamare maestro, di presentarsi davanti a tutti quale maestro di verità e di riuscire a vincere i nemici della fede.
5. Il ministero del sacerdote è vita per il popolo Nella terza parte del panegirico viene sviluppata la terza definizione che Gesù utilizza per parlare di sé e che il nostro omileta applica al ministero sacerdotale: il sacerdote è vita. Cita una frase in latino: 21 22
M. STURZO, Il Seminario, Roma 1905. F. GALESI, Panegirico sul sacerdozio, cit., 7.
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«Fu scritto da un antico profeta, che era amatore passionato del popolo suo: Fratrum amator et populi: Questo non è in sostanza, o signori, che l’elogio di ogni sacerdote»23.
In forza dell’ordine sacro e fedele al suo ministero, il sacerdote è servitore del popolo di Dio. Svolgendo il ministero così egli viene chiamato angelo tutelare: questo titolo viene riconosciuto sia da coloro che si identificano con la Chiesa che da quelli che sono ad essa estranei, quindi dalla società24. L’angelo tutelare è colui che esercita la protezione e la vigilanza sulle persone a lui affidate: il sacerdote, come l’angelo, è colui che ama i fratelli e l’intero popolo. Scorgendo le pagine della storia civile e religiosa ci si rende conto di quanto sia stato affermato a proposito del sacerdote: la sua vita, le sue opere, la sua dottrina e i sacrifici inerenti al proprio stato «fanno sì che il progresso sociale non venga meno ma che anzi progredisca»25. Nel corso dell’omelia cita nomi ed episodi famosi come papa Leone Magno che frena le incursioni barbariche promosse da Attila; l’arcivescovo Ambrogio di Milano e il suo operato al tempo dell’imperatore Teodosio26. La storia testimonia abbondantemente di tanti sacerdoti che agirono per il bene e il progresso della società con le opere che tutti possiamo ammirare ma anche con i loro insegnamenti destinati a debellare gli errori e a presentare i veri ed autentici valori che sono umani e cristiani, ed essenziali per il vivere bene dell’uomo nella società. «Lo spirito del sacerdote dev’essere quello di Gesù Cristo suo istitutore e suo capo, per la qualcosa seguendo questo spirito, non può non predicare ed insegnare la giustizia, la moderazione, la concordia e le altre virtù riguardanti la felicità ed il benessere sociale»27.
Per il sacerdote, Gesù Cristo rimane il modello insostituibile che deve ispirare e orientare il suo ministero. Il suo esempio luminoso, le virtù da lui insegnate e testimoniate diventano per qualunque sa23
Ibid., 8. Cfr. l.c. 25 L.c. 26 Cfr. l.c. 27 L.c. 24
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cerdote l’oggetto importante e fondamentale del proprio ministero, patrimonio prezioso per il progresso della società. «Sfogliamo gli annali dei popoli ove troviamo epoche luttuose, interroghiamo la tradizione […] che cosa troviamo? Sconsolate e continue si udivano per ogni intorno domandare la libertà, la presenza dei buoni sacerdoti; sì ingiustamente e con tanto dono al pubblico bene rapiti chi sospirava in essi il suo consigliere; chi il suo tutore, chi l’amico, chi il precettore, chi il padre; i bisogni crescevano sensibilmente col ritardar del soccorso; visibile era il propagarsi dell’ignoranza, per non esservi chi ammaestrasse; visibile lo straripare del vizio, per difetto di chi colla voce e coll’opera gli facesse argine; visibile l’abbandono e la miseria»28.
Secondo il Galesi le pagine della storia testimoniano che il degrado culturale, morale e sociale di una comunità è in stretto rapporto con la mancanza di sacerdoti. Essi vengono definiti consiglieri, tutori, amici, padri, maestri, precettori, e quando mancano sono assenti quei valori importanti da essi promossi e così viene meno il benessere della società e la promozione della persona. Lo sconforto dell’uomo come il degrado della società non potevano durare a lungo e se la storia dimostra tali fenomeni costanti e connessi con l’assenza del ministero sacerdotale, una lettura illuminata dalla fede testimonia come Dio non abbandoni al degrado morale e culturale il suo popolo; nella sua provvidenza si prende cura delle sorti del suo popolo ed interviene suscitando ministri degni e capaci di realizzare tale missione29. Il Signore è provvidente non fa mancare i suoi sacerdoti e a questi concede nuovo impulso per poter risorgere e sollevare la società dal degrado e dalla povertà morale in cui versa. «Volle Iddio che i suoi ministri novellamente risorgessero. Esultarono gli unti del Signore al nuovo impulso divino e dimentichi degli amari frutti con cui gli empi aveano poc’anzi premiato le loro sollecitudini, i loro affanni, appena in istato si videro di riprendere le loro antiche funzioni, sull’ali tosto della più disinteressata e provvida carità recarono a versare in sollievo dei loro concittadini quel resto di vigore e di sanità, che avea trionfato, della rabbia degli uomini e del furore degli elementi»30.
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Ibid., 9. Cfr. l.c. 30 L.c. 29
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Il Nostro fa una lettura positiva della storia: la interpreta alla luce della fede. Il Signore nella sua provvidenza, non fa mancare ciò che è utile per la rigenerazione del suo popolo, anche se le condizioni del popolo sono realmente difficili e tutto sembra destinato al fallimento e alla distruzione. Da questo momento di crisi, dove leggi ingiuste hanno soppresso ordini religiosi e incamerato beni ecclesiastici, il clero esce fuori vittorioso e sempre disponibile ad offrire il contributo prezioso in vista dell’edificazione della società. Nel corso dell’omelia si fa riferimento alle grandiose abbazie, o alle prebende e mense vescovili o alle prebende dei parroci, «che in passato formarono l’erario della loro misericordia: tutto era stato manomesso ed esfilato dalla filantropica capacità dei loro espulsori. E si arrestarono per questo? […] No, non sentirono di una tale privazione, che l’eroico cordoglio della beneficenza delusa nei generosi suoi calcoli; in tutto il resto avverarsi completamente che la carità è la stessa nell’inopia come nell’abbondanza»31.
Se sono venute meno le possibilità materiali per esercitare il servizio della carità a favore del popolo, ai sacerdoti non è mancato ciò che serve per testimoniare in modo pieno la carità che certamente non dipende dai mezzi o dall’abbondanza materiale. La carità realizzata dai sacerdoti differisce dalla beneficenza dei filantropi. La carità del sacerdote non è solo assistenza all’indigente, ma è promozione e liberazione della persona dai tanti vincoli che la incatenano e la rendono incapace di sentirsi realizzato in modo pieno e reale. La carità testimoniata dal sacerdote si esprime come consiglio al dubbioso, consolazione a colui che piange, assistenza al derelitto, riconciliazione e grazia al peccatore32. L’opera del sacerdote è così benefica verso le persone e la società, certamente più dell’oro e dell’argento. «Io credo che neppure la filosofia sarà contenta che restringasi il bene sociale tra sì angusti confini, né vorrà certo escludere dai grandi meriti verso lo stato un travaglio improbo di lunghi anni, diretto a depurare il costume da tutti i germi venefici della corruzione ed a formare gli animi all’amore e alla virtù»33.
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L.c. Cfr. ibid., 10. 33 L.c. 32
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È interessante notare la sottolineatura che viene fatta a proposito della carità che è promozione dell’uomo e della società; il bene fatto dalla Chiesa è destinato a depurare il costume da ciò che è espressione di corruzione, ma la preoccupazione è anche di formare gli animi delle persone all’amore e alla virtù, attraverso una sana educazione. L’Europa intera ha avuto esempi luminosi di grandi testimonianze offerte dai sacerdoti, evidenti a tutti, credenti e non. Questi esempi sarebbero sufficienti a giustificare le ombre che a volte possono apparire in loro, come la codardia, l’egoismo: aspetti che appartengono alla realtà del sacerdote in quanto uomo. Da qui l’invito rivolto al novello sacerdote: «O mio fratello, il sacerdote nel campo sociale dev’essere la vita e il sostegno dei popoli, ad esso far rispettare i suoi diritti, ad esso imporre l’esecuzione dei doveri. Sì è questa la grande questione dei nostri tempi»34.
Il sacerdote è la vita di un popolo, perché il suo ministero è orientato a qualificare, ordinare e motivare il vissuto di un popolo; egli è formatore di persone, guida a vivere secondo verità e seguendo uno stile di vita virtuoso. Se la vita moralmente buona è quella che appartiene all’uomo in quanto persona e se l’operato del sacerdote è destinato a formare gli animi secondo una sana e seria educazione, allora egli è la vita di un popolo; il suo ministero è un vero e proprio esercizio di paternità spirituale verso il popolo, perché è colui che dà la vera vita. Il nostro oratore identifica in questo aspetto del ministero sacerdotale la questione fondamentale che caratterizza il tempo presente. Il tema qui presentato è molto attuale e a distanza di un secolo anche oggi è forte il bisogno di figure sacerdotali che esercitino quella paternità spirituale che li rende maestri indiscussi perché testimoni di verità e forgiatori di coscienze, perché indicano virtù e atteggiamenti che nobilitano la vita della persona rendendola dignitosa. Perché il sacerdote possa svolgere questo aspetto specifico del suo ministero è importante prendere in esame il consiglio che viene offerto al novello unto:
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L.c.
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«Informati ai principi del Nazareno, a noi aspetta regolare i popoli ad evitare perturbazioni e disordini, la società questo da noi aspetta. Iddio questo ci comanda»35.
Lo specifico del sacerdote sta nel lasciarsi illuminare e informare dal messaggio evangelico; la sua missione sortisce effetti positivi sulla società: infatti egli fa evitare disordini e sconvolgimenti sociali. Il ministero del sacerdote è prezioso quindi anche per la società: è orientato a costruire la società a misura d’uomo. La stessa società si attende questo valido contributo. Tutto ciò corrisponde al volere di Dio che vuole la salvezza di tutti e quindi il bene dell’uomo e dell’intera comunità umana. Anche se i tempi sono difficili per il prete, perché combattuto da gruppi anti-clericali che vogliono eliminarlo dalla società ed emarginarlo, si constata nel popolo una reazione che è di segno completamente opposto: «Che cosa troviamo? Sconsolate e continue grida si udivano per ogni intorno domandare la libertà, la presenza di buoni sacerdoti, sì ingiustamente e con tanto danno al pubblico ben rapiti. Chi sospirava in essi il suo consigliere, chi il suo tutore, chi l’amico, chi il precettore, chi il padre; i bisogni crescevano sensibilmente col ritardo del soccorso, visibile era il propagarsi dell’ignoranza, per non esservi chi ammaestrasse; visibile lo straripare del vizio, per difetto di chi colla voce e coll’opera gli facesse argine; visibile l’abbandono alla miseria»36.
Il degrado morale, sociale e culturale di un popolo è evidente quando manca il sacerdote: la società è privata del suo ministero. La storia tuttavia è guidata da Dio e non dagli uomini e Dio, che è provvidente, non abbandona il popolo bisognoso di risollevarsi e riscattarsi; il suo intervento è mediato dal ministero dei sacerdoti: «Signori questo tempo non potea durare molto, la Provvidenza veglia sempre sui popoli e dietro quei disordini veri e reali di cui vi ho parlato per la scomparsa del sacerdote dalla società, volle Iddio che i suoi ministri novellamente risorgessero»37.
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L.c. Ibid., 9. 37 L.c. 36
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Nonostante le privazioni economiche e anche le restrizioni giuridiche a sfavore della Chiesa i preti si diedero con nuovo slancio ed entusiasmo a lavorare per il bene degli uomini e per la gloria di Dio. «Quanto meno la mano potea profondere, tanto più il cuore si dilatò e la carità di quegli angeli si rese più attiva, più tenera, più industre»38.
La Chiesa non fece mancare la ricchezza spirituale di cui essa era dotata, altrettanto preziosa quanto quella materiale; infatti: «Liberal fu pure e prodiga di quel genere di ricchezze che erano in suo potere; liberale di dottrina all’idiota; di consiglio al dubbioso; di coraggio al debole; di consolazione al piangente; di assistenza al derelitto; di riconciliazione e di grazia al peccatore. E si benefica forse con l’argento e con l’oro. Io credo che neppure la filosofia sarà contenta che restringasi il bene sociale tra sì angusti confini; ne vorrà certo escludere dai grandi meriti verso lo Stato un travaglio improbo di lunghi anni, diretto a depurare il costume da tutti i germi venefici della corruzione ed a formare gli animi all’amore e alla virtù»39.
Questo argomentare porta a sottolineare ancora di più e in forma chiara e sintetica il tema di tutto il panegirico: il sacerdote, come Gesù, è via, verità e vita: «Il sacerdote nel campo sociale dev’essere la vita e il sostegno dei popoli […] Sì, è questa la grande questione dei nostri tempi […] Il carattere ricevuto ti sia di forza contro le avversità da incontrarsi e stia sempre fisso nella tua mente che il ministro di Dio colla santità e colla sua dottrina è la via che deve condurre i popoli al progresso morale, che dev’essere la verità che deve condurli al progresso scientifico ed intellettuale, che dev’essere la vita che deve condurre al progresso sociale»40.
Conclusione La missione del sacerdote chiamato ad essere via, verità e vita, si può realizzare facendo attenzione a quel dono straordinario che è conferito attraverso l’ordine sacro: è il carattere che viene impresso con il sacramento, con la grazia di stato che ne consegue per cui il 38
L.c. Ibid., 10. 40 L.c. 39
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prete sarà in grado di realizzare la sua missione che gli garantirà quella santità di vita che lo rende forte contro le avversità e capace di essere come Cristo. Il lungo panegirico, interessante perché contiene molti elementi che ci aiutano a comprendere la concezione del ministero ordinato e la sua realizzazione nella Chiesa e nella società con i benefici che esso apporta, si conclude con una bellissima e commovente esortazione rivolta al novello sacerdote, il quale è invitato a riflettere quanto grande sia la sua dignità e missione e quanto prezioso il contributo che egli offre: è un contributo che va oltre il tempo e lo spazio, poiché tutto passa; regni, regnanti, uomini di cultura e benefattori dell’umanità, culture e promotori di culture, la Chiesa cattolica è presente e viva, a distanza di tanti secoli e con essa i sacerdoti che in suo nome collaborano per la diffusione del Regno di Dio, rendendosi strumenti idonei per la salvezza degli uomini, la promozione dell’uomo e dell’intera società. «Quanto meglio nella Chiesa, o signori, è conceduto all’uomo grande la durabilità della vita […] Signori non vi sembra così di sacri ministri? Sì essi sono grandi e di una grandezza alla quale solamente possono aggiungere i seguaci del Nazareno […] Udiste o mio confratello grande è la nostra dignità, ma grande ancora è il nostro dovere, sì dobbiamo essere noi i maestri dei popoli e col nostro buono esempio, coi nostri buoni costumi, colla santità della nostra vita e con i lumi della nostra dottrina ancora. Solo allora potremo dire: Ego sum via veritas et vita. Ed ora ti approssimi per la prima volta solennemente ad immolare la celeste vittima, ora che la interrotta cerimonia riprende monta sull’ara e sacrifica, ma quando avrai a te dinanzi quel Dio che scenderà dal cielo su quell’ara medesima per la tua parola, prega»41.
41
Ibid., 12.
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Parroco don Francesco Galesi (Niscemi 1878-1953).
Manoscritto del Parroco Galesi “Panegirico sul sacerdozio�.
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Conclusione
Gli autori presi in considerazione in questo lavoro sono testimoni di un cambiamento di modelli sacerdotali e di stili di vita, di nuova prassi pastorale e di comprensione e attuazione del ministero presbiterale. Essi si sono impegnati a realizzare e a testimoniare la vocazione e missione del presbitero nella Chiesa e nella società rispondendo alle attese e alle istanze della Chiesa e della società di allora; ma ciò che essi hanno intravisto e realizzato non appartiene ad alcuna stagione storica bensì costituisce il programma del prete. Costui infatti è un chiamato, che nel periodo della sua formazione, è stato aiutato a rispondere alla chiamata divina, riconoscendone i segni e maturando sempre più gli aspetti della propria personalità in modo da facilitare la risposta a Dio. La famiglia di appartenenza è determinante per la scoperta dei primi segnali vocazionali. Essa non può forzare il giovane a entrare in Seminario se non c’è vocazione: è un peccato grave; né deve ostacolare il giovane nel rispondere alla chiamata, scelta altrettanto grave dei genitori. La famiglia è la prima scuola che educa e crea le possibilità perché venga maturata la scelta vocazionale al presbiterato. Il Seminario è la comunità dove il giovane levita si prepara a dire il suo Sì a Colui che lo chiama e si prepara ad acquisire virtù e attitudini che sono richieste per il futuro ministero. Lo studio delle discipline teologiche viene considerato fondamentale, poiché il prete ha il ministero della predicazione, il servizio verso la Parola. La sua predicazione deve avere contenuti validi fondati sul dato rivelato, sulla Sacra Scrittura, ma anche sul pensiero dei Padri e dei grandi teologi del passato come anche del presente. Lo studio della teologia è determinante per l’esercizio del ministero. Di aiuto alla teologia e di ausilio al prete e al suo servizio della Parola è anche lo studio di tutte le altre discipline idonee a far conoscere il pensiero umano e le problematiche esistenziali, concrete, della persona a cui il prete si rivolge. Non è possibile pensare a un candidato al ministero presbiterale senza l’amore per lo studio; se dovesse mancare la vocazione allo 147
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studio, ciò è segno evidente di non vera vocazione al ministero, in quanto colui che chiama offre anche le buone ispirazioni, gli stimoli e i talenti naturali adeguati per saper rispondere alla chiamata. L’ordinazione sacerdotale conferisce quella dignità speciale ed incomparabile per cui il prete partecipa del sacerdozio di Cristo Gesù, è a lui assimilato e collabora con l’esercizio del ministero all’opera salvifica di Cristo. Tale assimilazione lo porta a vivere unito a Cristo con la preghiera, con i sacramenti, con la meditazione. L’essere di Cristo e il condividere il ministero di Cristo comporta l’essere nel tempio dove celebra il mistero di Cristo, si incontra con lui e unito a lui, diventa, come Gesù, via, verità e vita. Come fu preziosa l’opera di Cristo per la salvezza degli uomini, così lo è il ministero dei sacerdoti che continua nel tempo e nell’oggi della Chiesa ciò che Cristo ha iniziato. Il sacerdote è l’uomo di Dio che vive di e per Dio con la sua totale donazione. Dio per il prete è l’assolutamente primo e unico della vita. Ma come Cristo, anche il sacerdote è dono di Dio per gli altri. Svolge il suo apostolato al di fuori del tempio dove cerca gli uomini da evangelizzare, santificare, sostenere e custodire con i doni che il Signore gli mette nelle mani. Come Gesù fu per tutti così il prete. E se ha avuto delle preferenze, queste furono per i poveri, i peccatori e gli ultimi, allo stesso modo per il sacerdote: non c’è ambito o aspetto della vita dell’uomo che non rientri nelle sue preoccupazioni e nelle sue cure pastorali. Nel mondo ha una missione speciale: restaurare la società, facendosi guida del popolo con le parole, l’esempio e la buona testimonianza. Il suo stile di vita è uno stimolo a interessarsi del bene e a rievocarlo per sé e per gli altri. Non può vivere fuori dalla storia e dai problemi dell’uomo. E come l’evento dell’Incarnazione ha portato Dio nella nostra storia, così l’esercizio del ministero presbiterale porta il prete dentro la problematica concreta di vita dell’uomo. L’impegno socio-culturale e politico è fondamentale per il prete, perché promuove l’uomo e lo rende capace di acquisire valori morali atti a migliorare la vita. Il prete è padre perché educa e apre l’uomo agli orizzonti infiniti del mistero di Dio, ma è anche educatore e formatore di coscienze che aiuta gli uomini a rispondere al tenore alto di vita al quale sono stati destinati fin dal momento della loro creazione e con la Redenzione. 148
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Le accuse degli anti-clericali che giudicano errato l’impegno culturale, morale, sociale e politico del prete nella società sono infondate. Quando il prete non porta avanti tali impegni è da criticare perché non svolge per intero il suo ministero; mentre quando realizza il suo mandato coprendo questi ambiti di vita della persona e raggiungendo tutti gli uomini con le loro occupazioni e preoccupazioni è da elogiare perché sta compiendo il proprio dovere. Il prete non può essere relegato in sacrestia ad occuparsi solo di culto, ma deve preoccuparsi anche dell’uomo e della società in cui vive perché ogni cosa deve essere trasformata alla luce del Regno di Dio, poiché il lievito del Regno è già nella storia e questa deve farsi lievitare in modo che la società si rinnovi. Le critiche mosse dagli avversari del clero non sono accettabili perché non considerano il ministero sacerdotale nella sua ampiezza e profonda essenzialità. I testi presi in considerazione sono unanimi nell’affermare la dignità del prete e la sua fisionomia che rispecchia quella di Gesù, il quale oltre ad essere via-verità e vita, è il messia mandato ad annunciare il Vangelo ai poveri, a proclamare la liberazione dei carcerati e oppressi, a curare le ferite dell’umanità (cfr. Lc 4,17-20). Per combattere tali errate concezioni e per difendersi dagli attacchi degli avversari, il prete ha bisogno di essere culturalmente e teologicamente formato. L’amore per lo studio durante gli anni di preparazione in Seminario e poi dopo l’ordinazione lo renderanno forte nel ministero e capace nel dialogo con chi la pensa diversamente. Per il prete l’impegno a studiare, a formarsi e rinnovarsi culturalmente è fondamentale. Un altro strumento ancora il prete deve utilizzare per essere forte, competente, convincente e capace di conquistare i fedeli a Cristo: la cura della propria spiritualità con la preghiera costante e regolare, con la meditazione aiutata da libri seri e buoni e con la condivisione delle esperienze sacerdotali fatte periodicamente con gli altri confratelli. Senza questi mezzi potrebbe prevalere l’umanità precaria e difettosa che sta sotto ogni abito talare, in quanto non bisogna dimenticare che il prete, oltre ad essere ripieno di doni speciali, che corrispondono alla grazia di stato che lo rende conforme a Cristo, tuttavia rimane uomo con tutto ciò che l’essere uomini comporta. L’invito rivolto ai fedeli consiste nell’aver carità verso i preti, sapendone compatire i difetti e comprendendone l’umanità. 149
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Giunti a conclusione si può affermare che il contributo che questi quattro autori ci hanno offerto sia stato molto prezioso. Essi anticipano concetti e maturano idee che sarebbero sfociate in quel grande rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II. Non penso sia azzardato o fuori posto parlare di riflessioni e provocazioni che hanno una valenza profetica per la riflessione teologica sul ministero ordinato e per la prassi pastorale post-conciliare. In un contesto attuale, contrassegnato da crisi profonde e svolte epocali, dove si ricerca l’identità del prete e le modalità di realizzazione del suo ministero, penso che sia notevole l’aiuto di questi quattro maestri, i quali continuano a ricordarci di come il sacerdote non sia altro che ministro di Dio a servizio dell’uomo concreto.
Foto di gruppo di alcuni preti del primo ’900: sono presenti Disca, Placenti e Galesi.
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La vena poetica del vescovo Sturzo, tanto feconda e ricca, in una poesia dal titolo Il Sacerdote del 07.02.1923, traduce in versi l’identità e la missione del prete con queste belle parole. Il sacerdote Oh beato colui, che al sacro altare Dice ogni giorno le parole arcane, Che trasformano in te del nostro pane Ciò che non pare. Ei parla, e tu dal tuo sublime trono, Signor del mondo, docile rispondi, E l’alterezza del mio cor confondi, Che polve sono. Vieni per animar questa vil polve D’un alito, Signor, di nuova vita, Se al tuo richiamo, l’anima smarrita A te si volve. Al tuo ministro, della tua potenza Comunicasti la virtù, Signore; Egli in tuo nome al ravveduto core Usa clemenza E dà il perdono; e del corpo tuo santo, Che nell’alto mistero ha consacrato, Lo ciba; e quello, in te rinnovellato, Si scioglie in pianto1.
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M. STURZO, Visite e letture, Trani 1923, 38.
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Bibliografia
1. Le fonti sturziane 1.1. Le lettere pastorali Sono qui presentate seguendo la data di pubblicazione originale, quando è stato possibile conoscerla; per tutte le altre seguiamo l’ordine della raccolta in cui sono inserite. I Lettera Pastorale, Piazza Armerina 1904. Il seminario, Roma 1905. Lettera pastorale, Piazza Armerina 1904. Liberazione. Lettera pastorale per la Quaresima del 1912, Piazza Armerina 1912. La vita in Dio, Trani 1928. La via della salute, Catania 1934. Il giorno del Signore, Asti 1934. La devozione alla Madonna Santissima, Asti 1934. La pastorale collettiva degli Arcivescovi e Vescovi della Sicilia dopo le Conferenze dell’aprile 1934 per la Quaresima del 1935, Asti 1935. Suggerimenti sul modo di fare l’orazione, Asti 1935. La santità nell’itinerario dell’anima in Dio, Asti 1935. L’educazione nelle sue ragioni supreme, Torino 1938. Per la vita interiore, Torino 1940. – La pecorella smarrita, pp. 1-6. – Memento homo, 7-20. – La maternità apostolato, 21-47. – Sulla semplicità, 49-86. – Le divine ispirazioni nell’ordine della Divina Provvidenza, 87-108. – L’arcano della perseveranza, ossia lo spirito dei consigli, 109-127.
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– L’ottava beatitudine, 129-148. – Lo spirito dell’ottava beatitudine, 149-182. – Orazione e adorazione, 183-216. – Il santo raccoglimento, 217-292. Alla scuola di Gesù, Torino 1941. – La via del Santo Amore, 169-197. – La preghiera che assicura il Paradiso, 3-120. – La perfezione cristiana e le persone del mondo, 199-229. – La vocazione, 231-317. – Il mistero della conversione, 123-168. – La santa umiltà, 319-363. – L’apostolato dell’umiltà, 365-426. 1.2. Scritti inediti STURZO M., Lettere circolari agli Oblati di Maria. Dattiloscritti, 1941-1942. 1.3. Altre opere sturziane I Congresso della Parrocchialità tenuto ad Enna nell’ottobre del 1937, Torino 1937. Il mio canto, Trani 1932. Il neo sintetismo come contributo alla soluzione del problema della conoscenza, Trani 1928. Il pensiero dell’avvenire, Trani 1930. Il problema della conoscenza. Lezioni di filosofia per i licei secondo i nuovi programmi, Roma 1925. Intorno al culto. Appunti di psicologia della conversione, Piazza Armerina 1914. L’unità evolutiva del processo della conoscenza, Roma 1924. La conquista del fine. Ricerche psicologiche, Roma 1917. La conversione di Leone Tolstoj. Ovvero la patologia di una conversione, Monza 1916. Le voyage du centurion d’Ernesto Psichari, Milano 1916. Luigi Sturzo – Mario Sturzo. Carteggio, a cura di G. De Rosa, voll. I-IV, Roma 1985. Problemi di filosofia dell’educazione, Trani 1930. Rivista di Autoformazione, I e II, Trani 1927.
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Visite e letture, Palermo 1923. 1.4. Opere su mons. Mario Sturzo ALEO M., Mario Sturzo filosofo, Caltanissetta-Roma 2003. BATTAGLIA F., Croce e i Fratelli Mario e Luigi Sturzo, Ravenna 1973. BUSCEMI P., Un vescovo in dialogo con la sua Chiesa: Mario Sturzo e le sue lettere pastorali, Firenze 2008. FEDERICO G., Il vescovo Sturzo, Caltanissetta 1960. GIULIANA P., Mario Sturzo. Vescovo e uomo di Dio, Caltanissetta 1993. In memoria di Mons. Mario Sturzo vescovo di Piazza Armerina, Palermo 1942. LATORA S., Mario e Luigi Sturzo. Per una rinascita culturale del Cattolicesimo, Catania 1991. ID. (cur.), Mario e Luigi Sturzo. Itinerari alla santità, Roma 1996. NARO C. (cur.), Mario Sturzo. Un vescovo a confronto con la modernità. Atti del Convegno di studi. Piazza Armerina 29-30- ottobre 1993, CaltanissettaRoma 1994. STELLA P., Il vescovo Sturzo. Epistolario spirituale, Catania 1977. ZAVATTIERI S. G., Filosofia e sapienza cristiana nella riflessione di Mario Sturzo, Firenze 1988. 1.5. Articoli su mons. Mario Sturzo BRANCAFORTE A., Luigi Sturzo lettore e critico di Mario Sturzo: sette lettere inedite dello statista siciliano, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, LXVII, 334-343. ID., Due lettere inedite di Benedetto Croce a Mario Sturzo, in Sophia gennaio-giugno (1966) 174-177. ID., Benedetto Croce e Mario Sturzo vescovo di Piazza Armerina, in Vita e pensiero 2 (1968), 156-160. LATORA S., Un maestro di pedagogia religiosa: il vescovo Mario Sturzo. L’educazione nella famiglia cristiana, in La famiglia e la scuola, Roma 1983, 167-250. ID., Il neo sintetismo come possibile rinnovamento della filosofia neo scolastica, in Sinaxis 1 (1983) 117-149. ID., Una lettera inedita di don Luigi al fratello Mons. Mario Sturzo, vescovo di Piazza Armerina: 9 gennaio 1926, in Sinaxis 2 (1984) 129-159.
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ID., Un dibattito sul principio del neo sintetismo. Corrispondenza tra Agostino Fagotto e Mons. Mario Sturzo, in Sinaxis 3 (1985) 219-286. ID., Il neo sintetismo e la sua dialettica nel pensiero dei fratelli Mons. Mario e don Luigi Sturzo, in Sinaxis 4 (1986) 235-268. ID., Il neo sintetismo di Mario Sturzo esposto ed interpretato in un articolo del fratello don Luigi, pubblicato in inglese, in Sinaxis 5 (1987) 169-203.
2. Gli Scritti inediti degli altri tre sacerdoti DISCA R., Il prete nella democrazia cristiana. Manoscritto in mio possesso, 1900. PLACENTI R., Il prete e la politica. Manoscritto, in Archivio Diocesano di Piazza Armerina. Carpetta Niscemi, 1904. GALESI F., Panegirico sul sacerdozio. Ego sum via, veritas et vita. Manoscritto in mio possesso, 1901.
3. Lettere pastorali della Conferenza episcopale CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano per il primo decennio del Duemila Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Roma 2002. ID., Evangelizzazione e testimonianza della carità, Roma 1990. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Lettera dell’Episcopato siculo dopo le Conferenze tenutesi in Catania nella villa di S. Saverio dal 16 al 21 aprile 1934, Catania 1935. ID., Lettera dell’Episcopato siculo dopo le Conferenze episcopali dell’aprile 1937: Pro aris et focis. Per la difesa dell’altare e del focolare; studiare e vivere il catechismo, Palermo 1937.
4. Altre opere BUSCEMI S., In fila per uno. L’istruzione scolastica a Niscemi. Itinerario storico, Caltagirone 2000. FLORES D'ARCAIS F. (cur.), La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, Caltanissetta-Roma 1994. LEONE XIII, Lettera enciclica sulla formazione del clero in Italia Fin da principio (08.12.1902). LUBBE H., La secolarizzazione. Storia e analisi di un concetto, Bologna 1990. MARTINA G., La Chiesa nell’età del totalitarismo, Brescia 1987. STELLA P. (cur.), Storia del Cristianesimo. Religione, politica e cultura, XI, Roma 1993.
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Copertina della Lettera Pastorale di mons. Mario Sturzo “Il Seminario�.
Copertina dello Statuto della Congregazione degli Oblati di Maria di mons. Mario Sturzo.
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Indice
Premessa
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Capitolo I
Il ministero ordinato in Mario Sturzo: formazione e spiritualità sacerdotale
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Introduzione 1. I fermenti culturali al tempo dell’episcopato di Mario Sturzo 2. La formazione teologica, culturale e spirituale dei sacerdoti 3. La missione e l’identità del sacerdote 4. Il Seminario 5. Caratteristiche e attitudini del seminarista nella lettera pastorale Il Seminario 6. La formazione dei seminaristi e il curriculum studii 7. I compiti del sacerdote nella lettera pastorale Il Seminario 8. La Congregazione degli Oblati di Maria 9. L’identità sacerdotale e la spiritualità degli Oblati 10. La spiritualità sacerdotale nel pensiero di Mario Sturzo
34 39 44 48 54 57
Capitolo II
Il prete e il movimento democratico cristiano nel can. R. Disca
63 63 65 68 68
Introduzione 1. I fermenti storici e culturali all’inizio del ’900: i preti leoniani 2. La conferenza “Il prete nella democrazia cristiana” di don Disca 3. L’istituzione del sacerdozio: il sacerdote uomo di Dio per il popolo 4. Il sacerdote e la democrazia cristiana: la dimensione sociale del ministero sacerdotale 5. Il sacerdote e la rigenerazione della società: la scelta dei poveri e la democrazia cristiana 6. I disagi e le difficoltà degli avversari 7. Il sacerdote è l’uomo della carità cristiana e dispensatore della grazia multiforme divina 8. Il sacerdote consolatore ed educatore di coscienze: la rigenerazione morale della società 9. L’obiezione alla presenza del sacerdote nel movimento democratico 10. Amare – rispettare – compatire il sacerdote in qunato uomo di Dio Conclusione
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Capitolo III
Il prete e la politica in uno scritto del can. R. Placenti Introduzione 1. L’autore: brevi cenni biografici 2. Il testo 3. I nemici della politica del clero 4. Il clero e la politica 5. Il clero relegato in sagrestia 6. Il clero fuori del tempio 7. La posizione neutrale del clero in politica Conclusione
97 97 97 98 103 107 115 118 121 124
Capitolo IV
Il sacerdote via, verità e vita per la Chiesa e per la società in un discorso del parroco don F. Galesi Introduzione 1. Il testo 2. La dignità incomparabile del sacerdote 3. Il ministero sacerdotale assicura il progresso morale 4. Il sacerdote è la verità che assicura il progresso umano 5. Il ministero del sacerdote è vita per il popolo Conclusione
127 127 127 128 131 135 138 144
Conclusione
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Bibliografia
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