PER UN'EDIZIONE DEL "DISCORSO ENCOMIASTICO" DI EPIFANIO DIACONO DI CATANIA I. LA VERSIONE LATINA DI ANASTASIO BIBLIOTECARIO IN DUE CODICI VATICANI
CARMELO CRIMI *
In una precedente annata di questa Rivista 1 ho richiamato l'attenzione su di un testo letterario che ci testimonia, tra l'altro, il livello della cultura ecclesiastica raggiunto nella Sicilia bizantina dell'VIII secolo, e precisamente sul Discorso encomiastico, pronunciato, nel corso del Concilio Nioeno II (787), dal diacono catanese Epifanio, che partecipava al sinodo stesso in qualità di legato di Tommaso, arcivescovo di Sardegna. Il testo in questione - di cui preparo un'edizione critica fu per la prima volta pubblicato, sulla base del Mare. Gr. 166 (M) 2 dell'ultimo venticinquennio del XIII secolo 3, nel tredicesimo tomo della grande collezione conciliare di Giovanni Dome!.
* Professore associato di Civiltà bizantina nell'Università di Catania. 1
Il «Discorso encon1iastico» di Epifanio diacono di Catania al secondo
Concilio di Nicea (787), in Synaxis 2 (1984) 89-127. 2 Cfr. C. CRIMI, Ideologia e retorica nel «Discorso encomiastico» di Epifanio diacono di Catania al Niceno Il, in AA.VV., Il Concilio ecu1nenico Niceno I I e il culto delle innnagini. Atti del Convegno Internazionale, Mes-
sina 23-25 settembre 1987 (in corso di stampa), soprattutto nota 4. Il Discorso enco1niastico è tràdito ai ff. 456v-463v di M, 3 Cfr. E. M10NI, Bibliothecae Divi Marci Venetiaru1n Codices Graeci manuscripti, I, Thesaurus antiquus, codices 1-229, Ist. Poligr. e Zecca dello Stato, Roma 1981, 245 s. Ulteriori dati sul Mare. Gr. 166 mi sono stati gentilmente forniti dal collega prof. P. Eleuteri, che qui ringrazio.
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nico Mansi 4 e di poi ristampato nella Patrologia Graeca 5• La tradizione manoscritta del Discorso appare - sulla base di un'indagine ch'è tuttora in corso e i cui risultati non son quindi da considerare definitivi - molto scarna 6 • Infatti, la stragrande maggioranza dei codici contenenti gli Acta del Concilio Niceno II non fa posto all'opera letteraria di Epifanio 7 • E' prematuro, allo stato attuale, avanzare delle ipotesi circa codesta omissione. Probabilmente, soltanto quando verrà ricostruita, nella trama complessiva e nei particolari, la storia del testo degli Acta .del Niceno II se ne potranno appieno comprendere le ragioni. Tanto più valore, ai fini della constitutio textus del Discorso di Epifanio, sembra quindi assumere la tradizione indiretta, ch'è rappresentata dalla versione in lingua latina approntata, nei primi anni '70 del IX secolo, da Anastasio Bibliotecario 8• Questo 4 J. D. MANSI, Sacrorum Conciliorun1 Nova et Amplissfrna Collectio, XIII, A. Zatta, Florentiae 1767. coll. 442-458. 5 Voi. 98. coli. 1313-1332. 6 Oltre ad M, contengono il Discorso encomiastico il Vat. Ottob. Gr. 27, del XVI sec., ff. 206v-213v (si tratta, come credo di poter affermare [cfr. C. CRIMI, Ideologia ... , cit., soprattutto note 8-9], di un mero apografo, ahneno per quanto riguarda il testo di Epifanio, di M) e l'Athous Laur. 215, del sec. XVI. ff. 335r-366r (descritto, sotto il nurn. 1077, in SPYRIDON LAURIOTES -S. EUSTRATIADES, Catalogue of the Greek Manuscripts in the Library of the Laura on Mount Athos, Cambridge Mass. 1925 [fotorist. Kraus, New York 1969], 166), che mi è rimasto finora inaccessibile. 7 Il testo di Epifanio come ho potuto accertare - non è contenuto nei seguenti mss. degli Acta del Niceno II: Taur. B. II. 9, del XIII sec.; Val. Gr. 836, del XIII sec.; Vralislav. Gr. 437, del XIV-XV sec.; Londin. Royal 16. D. XV, del XVI sec.; Vat. Gr. 660, del XVI sec.; Val. Gr. 834, del XVI sec.; Val. Gr. 1181, del XVI sec.; Vindob. Hist. Gr. 29, del XVI sec. 8 Su questo personaggio vd. G. ARNALDI, Anastasio Bibliotecario, in Dizionario Biografico degli Italiani, III, 1961, 25-37; l'importanza di Anastasio è stata, tra l'altro, ben messa in rilievo di recente da J, -M. SANSTERRE, Les moines grecs et orientaux à Rame aux époques byzantine et carolingienne (milieu du VI• s. - fin du IX• s.), I. Bruxelles 1983 (=Académie Royale de Belgique. Mémoires de la Classe des Lettres, Con. in - 8°, 2" série, T. LXVI, fase. 1-1983), soprattutto 69 ss. Non dedica alcuna attenzione ad Anastasio TH. F. X. NoBLE, The Declining Knowledge of Greek in Eighth - and Ninth · Cenlury Papa/ Rame, in Byzanlinische Zeilschrift 78 (1985) 56-62.
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infaticabile traduttore, infatti, tra altre cose 9, volse in latino gli Acta del Niceno II 10 , ivi compreso anche lo scritto del diacono catanese 11 • La v·ersione nasceva - come veniamo a sapere chiaramente dall'epistola dedicatoria che vi si legge in testa 12 - dall'esigenza di divulgare maggiormente gli Acta di un importante concilio, che i lettori di lingua latina potevano, fino a quel momento, co9 Una rassegna de11a sua attività di traduttore in A. LAPÒTRE, De Anastasio Bibliothecario sedis apostolicae, Picard, Lutetiae Parisiorum 1885, 329 ss. (=ID., Etudes sur la papauté au JXe siècle, I, Bottega d'Erasmo, Torino 1978, 453 ss.), ma soprattutto in A. SIEGMUND, Die Vberlieferung der griechischen christlichen Literatur in der lateinischen Kirche bis zum zwolften Jahrhundert, Filser Verlag, Miinchen- Pasing 1949, 189-192 e passim e, più di recente, in W. BERSCHIN, Griechisch-Lateinisches Mittelalter. Van Hieronymus zu Nikolaus van Kues 1 Francke Verlag, Bern-Milnchen 1980,
199-204.. 10 La versione anastasiana si legge, oltre che nelle grandi raccolte conciliari precedenti, in J. D. ·MANSI, op. cit., XII, A. Zatta, Florentiae 1766, coli. 981-1154 e XIII, cit., coli. 2-480, a fronte del testo greco degli Acta del Niceno II, nonché in PL 129, coli. 195-512. 11 Anastasio, nei Tituli che premette alla sua versione, menziona rapidamente, tra i documenti conciliari da lui volti in latino, un Sermo laudatorius, che va identificato, con certezza, col Discorso di Epifanio: Septima
porro circumfert actio terminum sanctae synodi huius, subscriptiones episcoporum, epistolam synodi lmperatoribus missam. Item aliam ad clerum Constantinopolitanum, sermonem laudatorium, et canones ab eadem synodo promulgatos ... (J. D. MANsI, op. cit., XII, col. 984E e in PL 129, col. 200A). Quindi nell'esemplare degli Acta che Anastasio utilizzò per la traduzione, il Discorso di Epifanio figurava tra due altri documenti conciliari, e precisamente tra l'epistola del patriarca costantinopolitano Tarasio al clero (J. D. MANSI, op. cit., XIII, coli. 407D414A) e i canoni ecclesiastici promulgati dal Concilio (ibid., coli. 417C440E). Proprio questa è la collocazione del Discorso encomiastico sia nel Mare. Gr. 166 sia nei due manoscritti vaticani, B e V, su di cui verte il presente contributo (vd. infra). 12 L'epistola gode da tempo di un'edizione critica: ANASTASIUS BIBLIOTHECARIUS, Epistolae sive Praefationes (da qui; AN. BIBL., epp.), recensuerunt E. Perels et G. Laehr, in Monumenta Germaniae Historica, Epistolarum tomus VII (Karolini Aevi V), Weidmann, Berolini 1928, 415418: su di essa vd. l'analisi di G. LAEHR, Die Briefe und Prologe des Bibliothekars Anastasius, in Neues Archiv der Gesellschaft fii.r ii.ltere deutsche Geschichtskunde 47 (1928) 416-468: 429 ss.
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noscere solo attraverso un'infelice ed illeggibile traduzione precedente 13 • Anastasio dedicò la sua versione a papa Giovanni VIII (872-882), probabilmente nel corso del primo anno del pontificato 'di questo 14 . Poco meno di un secolo separa, quindi, codesta versione dall'epoca di composizione del logos epifaniano. Già di per sé, questa circostanza suggerisce quanto possa essere utile, ai fini testuali, un rigoroso esame della versione anastasiana. Essa, infatti, deve rispecchiare uno status della storia .del testo che precede, di secoli, quello testimoniatoci dal più antico manoscritto greco che ci tramandi il Discorso del diacono catanese, il Mare. Gr. 166, il quale risale, come s'è detto, all'ultimo venticinquennio del XIII sec. 2.1. Chi opera un confronto ravvicinato tra l' editio princeps ( = Mansi) del!' originale greco di Epifanio 15 e la relativa versione anastasiana nel testo a stampa che viene più frequentemente usato e citato (=LtMansi) 16 , ha modo di constatare l'esistenza di numerose "dissonanze' tra runa e l'altra. Non sempre, cioè, esiste una buona - o, almeno, soddisfacente - corrispondenza tr.a il testo di partenza e la relativa traduzione latina. In taluni casi, ciò sarà da addebitare al fatto che il traduttore ha inteso il testo epifaniano in maniera diversa che noi, sì da sfiorare, talora, un'interpretazione arbitraria o addirittura cadere nell'errore 17 • 1
13
AN. BIBL., epp., 416, linn. 18 ss.
14
Cfr. A. LAPÒTRE, op. cit., 330 (=454); G. LAEHR, art. cii., 429; G. ARNALDI, art. cit., 34. Per un quadro della cultura romana al tempo di Giovanni VIII vd. G. ARNALDI, Giovanni lmmonide e la cultura a Roma al tempo di Giovanni VIII, in Bullettino dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano 68 (1956) 33-89. 15 In J. D. MANSI, op. cii., XIII, coli. 442-458. 16 Ibid., coll. 441-457. 17
Cfr. G. LAEHR, art. cìt., 465: «Aber ein Philologe war er [se. Anastasio] nicht, wie denn auch scine Ubersetzungen den modernen Philologen wenig Freude bereiten. [ ... ] Auch grobc Irrtiimer finden sich, und bisweilen hat man den Eindruck, dafi er den Sinn ciner griechischen Textstelle tibe1haupt nicht verstanden hat». Per un'esauriente bibliografia sui criteri adottati da Anastasio nel tradurre e sulla qualità delle sue versioni cfr. C. LEONARDI, Anastasio Bibliotecario e l'ottavo Concilio ecumenico, in Studi Medievali
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E' farne legittimo, in qualche altro caso, ipotizzare ch'egli avesse dinnanzi agli occhi un testo di Epifanio diverso da quello che oggi la tradizione diretta ci presenta. Ma non è possibile che almeno alcune di codeste "dissonanze" siano in realtà "apparenti"? siano, cioè, scaturite da mend·e, più o meno cospicue, pre· sentate dalle edizioni a stampa del testo greco e (o) della versione latina? Ho di già avuto modo di notare altrove 18 che I'editio princeps del testo greco di Epifanio, basata su di una trascrizione non del tutto soddisfacente di M, contiene delle mende tipografiche e non - .di un certo rilievo, che talora ne sfigurano la fisionomia 19 • In più punti, occorre, infatti, risalire direttamente ad M per attingere il testo genuino di Epifanio 20 • Non sarà questa, per caso, la situazione in cui versa, mutatis mutandis, anche la versione del Bibliotecario? 2.2. Della versione anastasiana degli Acta del Niceno II non possediamo, a tutt'oggi, un'edizione critica. Ci chiediamo, a questo punto, se questa mancanza, di per sé metodologicamente pregiudizievole, è comunque grave al punto da compromettere irrimediabilmente qualunque utilizzazione di codesta tradizione indiretta ai fini della constitutio textus del /ogos di Epifanio. In altri termini, è possibile usare, serie III, 8 (1967) 59-192: 126 nota 222 (su questo fondamentale contributo LoHRMANN, Bine Arbeitshandschrift des Anastasius Bibliothe· carius und die Vberlieferung der Akten des 8. Okumenischen Konzils, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 50 [1971] 420-431). Conosce;e la ratio che Anastasio adopera nel tradurre è conditio sine qua non per poterne utilizzare le versioni a fini di critica del testo. Rimangono valide, a tal proposito, le osservazioni e le analisi di C. DE BooR, Theophanis Chronographia, Il, Teubner, Lipsiae 1885, 401 ss. e di H. GELZER, Leontios' van Neapolis Leben des heiligen Iohannes des Barmherzigen, Erzbischofs van Alexandrien, Mohr, Freiburg i. B. - Leipzig 1893, XXXV-XL. Osservazioni sulla traduzione anastasiana degli Acta del Niceno II in L. WALLACH, Diplomatic Studies in Latin and Greek Documents from the Carolingian Age, Cornell Univ. Press, lthaca-London 1977, 136 ss. 18 Cfr. C. CRIMI, Ideologia ... , cit., nota 10. 19 Qualcuna di esse è stata sanata nella ristampa in PG (cfr. C. CRIMI, ibid., nota 11). 20 Cfr., ad es., C. CRIMI, ibid., note 56-57. vd. anche D.
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peraltro con le dovute cautele, come testimonio della tradizione il testo a stampa ( = LtMansi) della versione anastasiana, ovvero le condizioni in cui esso si trova son tali da viziare radicitus i da ti che se ne possono trarre? Si vogliono ora offrire elementi utili ad una risposta. Verranno, a tal fine, messi qui in luce i risultati di un sondaggio - circoscritto, naturalmente, al Discorso .di Epifanio - che è stato operato su due venerandi codici vaticani che contengono la versione anastasiana del Niceno II. 2.3. I codici in questione sono i seguenti: B
Vat. Reg. Lat. 1046, saec. X: il Discorso è tràdito ai ff. 166vb170rb 21 •
V
Vat. Lat. 1329, saec. X: il Discorso è tràdito ai ff. 177r-l82v 22 •
In via preliminare, è opportuno precisare che B e V sono due testimoni indipendenti l'uno dall'altro. La reciproca indipendenza di B e V appare assicurata dagli errores separativi che ognuno di essi peculiarmente presenta rispetto all'altro. Sono da considerare sicuri errores separativi di B contro V i seguenti 23 : 44 lC, !in. 5 plebibus V LtMansi] pedibus B; 444A, lin. IO discutiendus V LtMansi] discutientibus B; 448E, !in. 12 si V
21
Sul codice vd. AN. BIBL., epp., 415; A. SrnGMUND, op. cii., 159; L op. cit., 126; G. DuMEIGE, Nicée Il., e.d. de l'Orante, Paris 1978, 278 (che assegna il cod. al IX sec.). 22 Sul codice vd. A. SIEGMUND, I. c.; L. WALLACH, l. c.; G. DUMEIGE, l. c. (che assegna il cod. al IX-X sec.). 23 Da qui in poi, oltre i sigla M(arc. Gr. 166) B e V, verranno utiliz~ zate le seguenti abbreviazioni: Mansi = editio princeps del testo greco del Discorso encon1iastico in J. D. MANSI, op. cii., XIII, coli. 442-458. LtMansi = testo della versione latina di Anastasio Bibliotecario, ibid., coll. 441-447 (da cui si cita, da ora in poi, con la semplice indicazione della colonna e della[e] linea[e]). LtMansimro = variae lectiones vel coniecturae in margine a LtMansi. WALLACH,
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LtMansi] sed B; 449D, !in. 2 erroribus V LtMansi] om. B; 449D, !in. 3 per V LtMansi] om. B; 452A, !in. 9 in se Spiritus V LtMansi] in Spiritu B; 452B, !in. 8 mulier V LtMansi] om. B; 452C, !in. 3 errore V LtMansi] dolore B; 456E, !in. 9 ostentes V LtMansi] ostendentes B; 457 A, !in. 11 enuntia V. c. LtMansi] enuntiaui B. Errores separativi di V contro B: 445A, !in. 7 affatum recte 24 B LtMansim"] affectum V LtMansi; 445B, !in. 1 beatissime recte 25 B] beate V LtMansi; 448C, !in. 10 Dei B LtMansi] om. V; 448E, !in. 1 gaudii recte 26 B LtMansim''] gladii V LtMansi; 453B, !in. 10 confessionis recte 27 B] conuersionis V conuersationis LtMansi; 453E, !in. 10 horthodoxae fidei recte 28 B orth. fid. LtMansirn"] horthodoxiae V orth. LtMansi; 456A, !in. 13 largissima recte 19 B LtMansi] legitima V. 3.1. Come si è detto al punto 2.1., il confronto tra i due testi a stampa, contenenti l'uno l'originale greco (=Mansi) e l'altro la versione (=LtMansi), ,fa registrare numerose "dissonanze" tra i due. Molte .di queste - come si vedrà - sono soltanto "apparenti" 3<l: l'indagine estesa alle tradizioni manoscritte dell'uno e l'altro testo permette di sanarne un buon numero. In alcuni casi, la "dissonanza" tra originale e versione è dovuta al fatto che LtMansi presenta un testo sicuramente scor24
O magni doctoris aflatun1! di B rende in modo soddisfacente W
-rl\ç 'l:ou 8toa.erxaÀou µryaÀ 'l']yoplaç di M. 25 ,µa:xa.pLW'tct't'E M. " xapiJ.ç M. 27 qµ,oÀoylaç M. 28 1:1\ç òpi)oo6~ou ,,;lO"-towç M. 29 oat!itÀÉO't M. 30 Formeranno l'oggetto di altro contributo quei passi in cui, tra ori· ginale e traduzione, si manifestano delle 'dissonanze' reali confermate, nella sostanza, dall'indagine sulla tradizione manoscritta di ambedue. Non sono del tutto infrequenti, infatti, nella versione del Discorso encomiastico, dei passi in cui Anastasio ha interpretato il testo di partenza in modo differente da quanto ci si potesse aspettare, o perché lo ha frainteso ovvero perché il manoscritto che aveva dinnanzi a sé gli offriva un testo diverso da quello a noi oggi noto. Sul codice greco degli Acta del Niceno Il utilil'.zato da Anastasio vd. L. WALLACH, op. cit., 10 ss.
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retto. L'utilizzazione dei codici BV consente di ristabilire quello genuino, che, di norma, corrisponde ad unguem al testo di Epifanio quale ci è tràdito da M. Alcuni esempi: a 445A, linn. 1-3 Audi igitur Paulum magna voce claniantem, et veritatem islam corroboranten1: «Deus ma~ nifestatus est in carne [ ... ]»li, islam di LtMansi è sicuramente deterior rispetto ad istis di BV: quest'ultima lezione aderisce perfettamente al greco 1'0V1'0Lç 32 (446A, lin. 8). Un' apostrofe a S. Paolo (445B, linn. 1-5): lmbue et nos ex arcanis i//is vocibus, quibus in abditis 33 paradisi imbutus es. lmbue etiam nunc praedicatione, cuius creditus es in omnes gentes praedicator et aposto/us fieri. Al posto di imbue ... praedicatione, BV hanno concordemente incumbe ... praedicationi: si tratta di una resa, accettabile, del greco 7tpOO'TYJilL ... -roù x'Y]puyµo:i:oç (446B, ]in. 10), che va certamente ripristinata nella versione di Anastasio. L'imbue ... praedicatione che si trova nell'edizione a stampa è dovuto ad errore di perseverazione: il periodo precedente a quello che comincia con incumbe ... praedicationi inizia, infatti, con imbue e si conclude con imbutus es. 448D, linn. 1-4: Quomodo enim Deus omnipotens, potens et fortis pater adhuc dicatur, si quae sua sublata sunt virtute, subdita inimicis sunt effecta? Invero, BV hanno concordemente: Quomodo enim Deus omnilenens, potens et fortis pater adhuc dicatur, quasi a sua sublatus uirtute, subdita inimicis suis effecta? ch'è resa certo più esatta e perspicua del testo greco: Ilwç yèt.p G>Ebi:; 7tav-roxprl:rwp Ouva:i:Oi:; 't'E xcd. to-xupOç ò 7ta"t'Ì)p E-rt À.Éyot"t"o, 't"i]ç tolo:ç W0'7tEp <Ìcp1Jp'Y]µÉvoç ouvti.µEwç xo:l Ù11:o XELPO: 1'WV O'cpwv hilpwv yEyEV'Y]µÉvoç; (447D, lin. 13-E, lin. 3). Si noti, peraltro, che Ana-
stasio sembra tradurre come se, nel testo che a.veva sotto gli
'' 1 Tm 3,16. Che può esser così inteso: 'in questi termini', 'con queste parole'. 3.1 abditis è menda del testo a stampa: aditis ha V e adytis B, in perfetta consonanza con I' b.OU'toLç tràdito da M (perperam ò:.<f>VX"t'OLç Mansi). Si tratta di uno di quei casi in cui sono in errore ambedue i testi a stampa, sia quello dell'originale che quello della versione anastasiana (cfr. infra, al punto 3.3.). 32
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occhi, fosse omesso il xrxl dopo ovv6;µEwç e, anziché yEyEv1]µÉvoç, si trovasse YEYEV1]µÉv1]ç. Dobbiamo .dedurne che Anastasio leggeva qui un testo lievemente dissimile da quello a noi oggi noto oppure, come appare più probabile, la non grave "dissonanza" tra greco e latino è da attribuire a .deliberata e non infrequente volontà di variatio da parte del traduttore? A 452A, linn. 10-12: Cuius rei gratia et divinus David multis
prius gentibus immobilitatem fieri 34 ab i/la exhibitae praedicans asserebat [ ... ] 35. Al posto di gentibus, BV danno, concordemente, generationibus, che ben rende il yEvmiç di partenza (451C, linn. 4-5). A 456D, linn. 8-9 leggiamo, in riferimento alla Theotokos, Dei genitricis matris Christi che è resa, lacunosa, di 't'fjç 1:00 ... Xpccnou ilrnµ1\1:opoç xrxl aELncxpilÉvov ,µ1]-rpoç (458A, linn. 11-12). Invero, l'omissione della traduzione di xrxl aELnrxpilÉwv non è da imputare ad Anastasio: in BV è tràdito concordemente, dopo genitricis (genetricis B), un et semper uirginis, che andrà restituito alla versione del Bibliotecario. 3.2. Talora, l'origine della "dissonanza" tra testo greco e versione latina va rintracciata in qualche menda dell'editio princeps (Mansi) di Epifanio. Così, ad es., a 444C, linn. 8-9 ove si afferma che il Verbo nostram perfecte induisse naturam, si riscontra un'imperfetta corris·pondenza con -r+iv o/iµwv -cEÀElrxv aµcpLacrrxcrìlrxL cpucrLv (443C, !in. 12). In effetti, la genesi della discrepanza è da cercare nell'operato dell'editore princeps del testo greco. In M non si ha -cEÀElrxv, bensì -rEÀElwç, giustamente reso da Anastasio con perfecte. Chi trascrisse il testo .di M confuse, con ogni verosimiglianza, il segno abbreviativo di wç con quello di cxv, dando così origine all'errore. A 448D, !in. 7, la versione latina presenta un rursus che non fieri è, chiaramente, lezione erronea: già in LtMansfmrr; troviamo annotata quella corretta, fidei, ch'è tràdita concordemente da BV e trova corrispondenza coll'originale 7tpÒç 1."'Ì}v 7tlCT't'LV (451C, lin. 5). 35 Seguono le citazioni di Sa! 45,6 e Sa! 95,10. 34
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ha riscontri in Mansi. Basta, peraltro, dare un'occhiata a M per accorgersi che qui, nel passo corrispondente, è tràdito un n<iÀcv (ante nvEuµacn, a 447E, !in. 7), ch'è stato tranquillamente omesso nella stampa. 3.3. In qualche altro caso, infine, risultano contemporaneamente fallaci sia Mansi che LtMansi. Un solo esempio, ma particolarmente stringente. Come versione del testo greco (454B, !in. 13-C, !in. 2) LvnopEUo-WµEv oÈ 1w:l "TI mxpou<Yn LEpq 7t0.V1'JYUPEL, '1;0 'xa.cpE' whn 7tpO<Ycjii'lEyy6µEVOL, wç -ri'jç xa.pii.ç ppa.prni;1'Jpcov, si legge (453A, linn. 1-3): Praeterea choros
ducamus cum praesenti sacro commercio, ave il/i affati tamquam gaudii bravium tribuentes. E' evidente la "divaricazione" tra originale e traduzione: non c'è corrispondenza tra ppa.PEvi:1'Jpcov - un sostantivo non attestato altrove - e bravium tribuentes, che farebbe, invece, presupporre nel testo di partenza un nominativo plurale. Invero, ambedue i testi a stampa sono in errore: infatti, M non ha ppaprni:1'Jpcov, bensì ppaPrni:pla. 36 e cioè; con l'ovvia aggiunzione di iota sottoscritto ( - lq), il dat. di ppaPEu-rpca. Questo hapax ("colei che giudica, che assegna il premio"), di conio impeccabile 37 , appare perfettamente inteso nella versione anastasiana, quale ci è tràdita da BV. Qui, infatti, lo troviamo ben reso con brauium tribuenti. L'intero passo andrà così inteso: «Uniamoci, esultanti, anche noi a questa sacra festa ad essa rivolgendo il nostro gioioso 'salve', perché ci offre in premio la gioia». 4. Il caso testé esaminato mostra, con singolare e, direi, scolastica evidenza, ]'opportunità di rivolgere un'attenzione costante e rigorosa ai dati della precoce tradizione indiretta, costituita dalla versione di Anastasio Bibliotecario, ai fini della constitutio
Il primo -p- di ~pct~EV't'pla è inserito supra lineam. Esso è formato attraverso il produttivo suffisso -'t'pLCX. (cfr. G. N. HATZIDAKIS, Einleitung in die neugriechische Grammatik, Breitkopf & Hartel, Leipzig 1892, 179; S. B. PsALTES, Grammatik der byzantinischen Chroniken, Vandenhoeck & Ruprecht, Giittingen 1913, 269 s.). 36
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textus .del Discorso encomiastico di Epifanio. Gli esempi sopra addotti, che confermano e, talora, aiutano ad intendere conettamente il testo greco, ne mostrano, con sufficiente chiarezza, la qualità e l'importanza. Con pari evidenza emerge, peraltro, dalla collazione di B e V col testo a stampa più correntemente usato della versione anastasiana (LtMansi), quanto questo sia carente e, in un numero di casi ben superiore a quanto non si sia qui mostrato, malsicuro. Pertanto, la traduzione del dotto romano, nelle condizioni in cui oggi la si legge, non può sic et simpliciter essere utilizzata per raffronti col testo greco di Epifanio che diano sufficienti garanzi·e di attendibilità. Nell'assenza di un'edizione critica .della versione anastasiana del Niceno II, chi ne voglia - appieno e correttamente - utilizzare il contributo dovrà, evitando il ricorso desultorio e rapsodico a singoli testimoni che la tramandano, indagare piuttosto sulla sua tradizione manoscritta, ricostruire, nei limiti del possibile, i rapporti intercorrenti tra i singoli codici e, nel!' operare una rigorosa examinatio del testo che se ne ricavi, procedere ad un continuo confronto con la tradizione del testo greco, risalendo .dalla versione all'originale per discendere poi da questo a quella. Sarà così resa possibile una valutazione corretta di quegli apporti che, soprattutto a livello di conferma del testo greco, la versione del Bibliotecario non manca di offrire a chi la esamini attentamente.
IL BEATO BERNARDO SCAMMACCA O. P. (1430 · 1487) DUE BIOGRAFIE INEDITE DEL '600
ADOLFO LONGHITANO
1.
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Agiografia e discipline storiche
E' noto il posto che occupa l'agiografia fra le discipline storiche; più che un'appendice della storia della Chiesa, le vite dei santi sono ritenute documenti di indubbio interesse dei quali S'i serve la storia nel suo insieme per la comprensione di un periodo e di una società. Gli elementi rilevanti per la 'storiografia non sono solamente quelli che riguardano la pe11sona, H pensiero, l'opera svolta da un santo nel particolare contesto storico-sociale in cui è vissuto. Vanno considerati attentamente anche l'interesse e il significato che assume il suo modello di santità per il biografo e le pe!1.Sone alle quali è proposto. Si comprendono pertanto sia gli studi critici che mirano a stabilire il testo autentico di un'agiografia, l'autore e la data di composizione, il fine che lagiografo si propone, le persone alle quali è diretta, sia la lettura socio-reHgiosa dei testi agiografici per individuare il significato che assume un certo modello di santità in una determinata epoca o in un particolare contesto sociale'· * Docente di Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. ' In tema di agiografia vedi: R. GREGOIRE, Manuale di agiologia. Introduzione alla letteratura agiografica, Monastero San Silvestro Abate, Fabriano 1987 e la bibliografia in esso indicata. Per una lettura socio-religiosa dei
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Di •sol'ito la produzione delle opere agiografiche diventa più copiosa in periodi' di in!ensa vita religiosa; tuttavia la forma e i contenuti variano secondo l'indole del tempo: è ovvio che le vite dei santi scritte all'inizio dell'era cristiana hanno stile e finalità diverse di quelle scritte nel medioevo, durante il periodo della controriforma o in epoca contemporanea. L'utilizzazione storiografica delle vite dei santi va oltre la loro verità storica; non basta accertare se un santo è realmente esistito, se il biografo ha trascritto fedelmente i fatti così come sono accaduti, se un determinato testo agiografico appartiene al genere erudito, popolare o devozionale, se è scritto con intenti apologetici o rigorosamente biografici. E' necessario individuare allo stesso tempo sia la matrice antropologica e teologica dell'agiografo e della società in cui egli vive, sia lo stUe del suo scritto, sia le finalità che egli si prefigge, per cogliere in un testo i riflessi culturali e sociali di una determinata epoca. 2.
Agiografia e controriforma. Le «Vitae Sanctorum Siculorum» del gesuita Ottavio Gaetani
Il periodo della controriforma è fra i più fecondi di opere agiografiche. NeL!a produzione e nella raccolta delle vite dei santi si distinguono in particolare i gesuiti. All'inizio del '600 in diverse regioni d'Europa la Compagnia di Gesù sembra assumersi il compito di coltivare ·Con modalità diverse questo filone storico. Nel 1607 incominda in Belgio il padre Eriberto Rosweyde (1569-1629), che annuncia il suo progetto nel saggio Fasti sanctorum quorum vitae in belgicis bibliothecis manuscriptae asservantur. La morte non gli consentì di portare a compimento la sua opera, ma il progetto fu consegnato a Giovanni Bolland (1596-1665) che, con un gruppo di confratelli, iniziò la pubblitesti agiografici vedi: G. DE RosA, Chiesa e religione popolare nel Mezzo· giorno, Laterza, Bari 1978, 3-20; lo., Santi popolari del Mezzogiorno d'Italia fra Sei e Settecento, in AA.VV., Storia vissuta del popolo cristiano, (a cura di J. Delumeau e F. Bolgiani), SEI, Torino 1985, 615-659; G. GALASSO, L'altra Europa, Mondadori, Milano 1982, 64-120.
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cazione della monumentale opera Acta Sanctorum. La scuola, che da lui prese il nome (i bollandisti) e che fissò la sua sede a Bruxelles, divenne la massima autorità in campo ;rgiografico '· Accanto all'opera dei bollandisti, nello stesso periodo, si ebbe una fioritura di produzioni agiografiche di diverso genere. Nella maggior parte dei casi il riferimento aHa souola dei gesuiti di Bruxelles è possibile solo per la materia trattata, non ver il metodo, lo stile e le finalità: «Vige sempre la tecnica dell'antologia di testi agiografici regionali, accanto all'agiografia degli ordini religiosi e di personalità religiose note per una fama di santità. La ricerca della oggettività è evidente, pur con una insistenza su un aspetto particolare del personaggio. Si vuoìe adesso imporre un modello di santo e una interpretazione della santità, in conformità agli ideali religiosi promossi dalla controriforma. In questo senso si può legittimamente sospettare il pericolo della parziaHtà e della artificialità; l'insistenza su determinati elementi (come l'eroicità di tutte le virtù e l'autenticità di taluni miracoli) sta alla base di un'agiografia che, in qualche modo, allontana il santo dalla mentalità popolare e ne crea quasi un mito, un ideale troppo lontano per essere accessibile ai più» 3 • Negli stessi anni in cui il Roswey.de raccoglieva il materiale agiografico e pubblicava il saggio con il progetto della sua opera un gesuita siciliano, il padre Ottavio Gaetani, si interessava ad un lavoro analogo per i santi di Sicilia. Ottavio era nato a Siracusa il 22 aprile 1566 da Barnaba Gaetani e da Gerolama Perno dei ma•rchesi di Sortino e dei principi di Cassaro'. As-
' R. GREGOIRE, op. cii., 38-41. 3 lbid., 41. 4 Notizie sulla vita e le opere del Gaetani sono riferite da A. MONGITORE, Bibiiotheca Sicula, Il, ex typographia Didaci Bua, Panarmi 1714, 110-111; E. AGUILERA, Provinciae Siculae Societatis I esu ortus et res gestae ab anno 1612 ad annion 1672, pars secunda, ex typographia Angeli Felicella, Panarmi 1740, 114-121; C. SOMMERVOGEL, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, Oscar Schepcns, Bruxelles, Alphonse Picard, Paris 1892, 1086-1089; E. CIACERI, Un dotto cultore della storia dell'antica Sicilia nel sec. XVI (P. Ottavio Gaetani di Siracusa), in Archivio Storico per la Sicilia Orientale 3 (1906)
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sieme ai fratelli Costantino e Alfonso, che lasciarono anch'essi un'impronta di rilievo neJ.la società del tempo, Ottavio si orientò alla vita religiosa: mentre il fratello maJggiare Costantino entrò fra i benedettini cassinesi, egli con il fratello minore Alfonso entrò nella Compagnia di Gesù 5• Dopo aver trasçorso gli anni della formazione nella casa di Messina, si trasferì a Roma, dove compì gli studi umanistici e reologici al Collegio Romano. Ricevuta l'ondinazione sacerdotale, mentre svolgeva il proprio ministero nei collegi siciliani della Compagnia di Gesù, il Gaetani maturò il progetto di pubblicare le vite dei santi e beati di Sicilia, progetto che delineò in un volumetto edito nel 1617 6 • Già dal titolo di questo libro (Idea operis de vitis Siculorum Sanctorum famave sanctitatis illustrium) si può dedurre J.o schema che il Gaetani intendeva seguire; ma in diverse pagine del volume spiega chiaramente il suo progetto: un'opera in due parti; la prima doveva raccogliere le vite dei santi venerati con culto pubblico, la seconda quelle delle persone venerate
288-291; S. PRrcoco, Da Fazello a Lancia di Brolo, Osservazioni sulla storiografia siciliana e le origini del cristianesimo in Sicilia, in AA.Vv., Il cristia· nesimo in Sicilia dalle origini a Gregorio Magno, Edizioni del Seminario, Caltanissetta 1987, 19-39: 28-31. 5 Il fratello Costantino nacque a Siracusa il 29 ottobre 1560; entrò nel monastero di San Nicola l'Arena di Catania, dove emise la professione religiosa il 29 ottobre 1586. Fu nominato da Paolo V abate di San Baronzio nella diocesi di Pistoia e più tardi fu chiamato a Roma e nominato custode della Biblioteca Vaticana e addetto agli archivi pontifici. Ideò ed eresse il collegio gregoriano di San Benedetto di cui fu presidente. Scrisse diverse opere, fra le quali alcune biografie di benedettini illustri. Morì il 17 settembre 1650 (A. MONGITORE, op. cii., I, 143-145; J. RUYSSCHAERT, Costantino Gaetano O.S.B., chasseur de manuscrits [ ... ],in AA.Vv., Mélanges Eugène Tisserant, VII, Città del Vaticano 1964, 261·326). L'altro fratello Alfonso, nato a Siracusa nel 1578, entrò nella Compagnia di Gesù ed esercitò il ministero nelle case di Messina e di Palermo; scrisse la vita del gesuita Francesco Gaetano; morì il 7 gennaio 1647 (A. MONGITORE, op. cit., I, 21-22). 6 O. CAIETANI, Idea operls Siculorum Sanctorum famave sanctitatis illustrium Deo volente, bonls iuvantibus in lucem proditurl, apud Erasmum Simeonem et Socios, Panarmi 1617.
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con culto pdvato o che comunque godevano fama di santità 7• I volumi con le vite dei santi avrebbero dovuto essere preceduti da una introduzione (isagoge) sulla storia religiosa e profana della Sicilia, per. evidenziare la positiva influenza della religione cristiana e dei santi nella storia dell'umanità 8 • Delineato il progetto, il Gaetani riporta gli indici delle due parti dell'opera: «Index prior alphabeticus Sanctorum Siculorum ex antiquis actis fastisque sacris» 9 • «Index alter alphabeticus Si· culorum Hominorum fama Sanctitatis illustrium» 10 • Completano il volumetto altri indici: uno che distingue i santi e le persone morte in fama di santità a partire dal luogo di origine o di morte 11 ; un secondo che li distingue per famiglie religiose 12 ; un terzo cronologico 13 ; un quarto generale di tutti i santi siciliani 14 ; dà un elenco delle chiese più famose della Madonna venerate in Sicilia, di cui si riprometteva di scrivere un breve profilo storico 15 ; dporta irnfine il «martyrologium siculum» 16 •
1 «Sanctorum igitur hominum, quod ad rem pertinet, ratio duplex; plures cultu publico colimus, nonnullos privato; illum vetere instituto, Romanae Ecclesiae auctoritas et decreta Pontificum firmavere; hunc vero concepta in hominuro animis opinio induxit sanctitatis, quam vitam quis traduxit, clausitque miraculorum gloria, aut certe virtutum splendore con~ spicuo. Hinc distributio operis in partes duas; priore Sanctorum hominum vitae continentur, quibus divinos honores in Sicilia publice largimur; parte altera, qui praecipui fama sanctitatis multique etiam Beatorum elogio clari, memoriam apud posteros meruere» (ibid. 1 4-5). a «Ad omnes vitas, viam ante muniat labor noster, haud vulgari paratu; enimvero praeluditur isagoge ad historiam universam illustrandam, illuc rei Siculae cognitionem praecipue sacram, profanam etiam interdum transtulimus; unde Religionis Cristianae utilitas, ac decus ostendebatur et historiae lux praefulgebat» (ibid., 5). 9 lbid., 10-20. 10 Ibid., 32-36. Alla fine di questo indice si trova un'appendice contenuta nelle pp. 37-47. Il lbid., 58-03. 12 lbid., 63-70. 13 lbid., 70-71. 14 Ibid., 81-97. 15 lbid., 98-101. 16 lbid., 101-147.
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Attraverso questi indici il Gaetani sollecita anche i lettori ad aiutarlo nella ricerca di nomi e di vite di santi a lui sconosduti, al fine di dare alla sua opera la maggiore completezza possibile 17 • In vista della realizzazione di questo progetto, da .diversi anni il Gaetani aveva incominciato a raccogliere il materiale riguardante i santi e i beati delle diverse epoche: agiografie esistenti in greco e in latiil1o che egli, con l'aiuto di alcuni collaboratori, trascrisse in forma corretta e tradusse in latino, notizie sparne che sviluppò scrivendo brevi profili, secondo il modello agiografico del tempo 18 • Il Gaetani, essendo occupato nell'ufficio di superiore nei collegi e nelle case della Compagnia di Gesù di Palermo, Messina e Catania, non poté dedicarsi a tempo pieno in questa ricerca. Solo nel 1616, dopo un primo avvi.so del male che avrebbe posto fine ai suoi giorni, fu liberato da ogni altro impegno e p·er un quadrien,nio manrdò avanti il suo lavoro senza, tuttavia, portarlo a compimento. Morì 1'8 marzo 1620 19 • Il ma-
n «Oui me, et institutum meum amas, si forte monumentum, quod a re mea est, penes te habes, vel aliqua in bibliotheca abditum esse cognoveris, fac me amabo certiorem. Iam diu, multumque colligenda historia, a me collaboratum est, datis etiam ad amicos literis in exteras, longeque dissitas provincias; nec praetermissum tabularia ac bibliothecas haud paucas pervestigare, exaratos manu codices permultos veteresque rnembranas pervolvere [ ... ]» (ibid., 148). 18 Il lavoro di elaborazione dei testi fu fatto prevalentemente dal Gaetani. L'aiuto che ricevette da alcuni confratelli fu limitato alla revisione dei testi greci e alla loro traduzione in latino: «Pauca quidem a Iacobo Sirmondo Gallo et Francisco Raiato, plurima ab Augustino Florio sicu1is sacerdotibus in graecae latinaeque linguae peritia bene eruditeque versatis» (0. CAIETANI, Vitae Sanctorum Siculorum ex antiquis graecis latinisque monumentis, et ut plurimum ex M. S. S. Codicibus nondun1 editis collectae, aut scriptae, digestae iuxta seriem annorun1 Christiane Epochae et Animadversionibus illustratae [ ... ]. Opus posthumum et diu expetiturn, cui perficiendo curam contulit R. P. Petrus Salernus [ ... ], Tomus primus et secundus, apud Cirillos, Panarmi 1647, proemio del padre Pietro Salerno all'inizio del primo volume; pagine non numerate). 19 Gli storici della Compagnia di Gesù, che ci hanno tramandato le notizie biografiche del Gaetani, usano anch'essi nei suoi confronti il ge-
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teriale raccolto negli anni delle sue ricerche solo in parte fu riordinato e pubbHcalo in tempi diversi dai suoi confratelli: Pietro Salerno pubblicò nel 1647 i due volumi delle Vitae Sanctorum Siculorum 20 e, in appendice al secondo, l'opuscolo Origines illustriwn aedium Sanctissimae Deiparae Mariae 21 ; Andrea Massa nel 1707 pubblicò la Isagoge ad historiam Sacram Siculam: assieme alla Isagoge ad historiam profanam, che non è stata mai pubblicata, avrebbe dovuto costituire l'introduzione alle Vitae Sanctorum Siculorum ''. Il curatore delle Vitae Sanctorum Siculorum rispettò il piano originario dell'opera e nel proemio indica i criteri con i quali selezionò il materiale raccolto dal Gaetani: pubblica solo la prima parte in due volumi contenenti le vite dei san ti e dei
nere agiografico dcl teinpo, descrivendolo come un uomo segnato da Dio fin dall'adolescenza, che scrisse la sua opera fra prodigi e segni di gradimento da parte di tutta la corte celeste: decise di entrare nella Compagnia di Gesù quando, ancora adolescente, vide ardere una fiamma sul capo del Crocifisso; dopo aver respinto con decisione in diverse occasioni chi voleva insidiare la sua virtù, ebbe più volte familiari colloqui con i santi dei quali scriveva la vita. Un suo confratello assicura di aver visto nel 1608, fra una schiera di santi che assistevano il Gaetani mentre celebrava la messa, la Vergine Maria porgergli Gesù Bambino fra le braccia. Un altro riferisce di aver visto i santi assisterlo nella sua cella, mentre di notte scriveva la loro vita. Quando nel 1616 giunse in punto di morte fu avvertito in sogno dagli stessi santi che gli restavano ancora quattro anni di vita; doveva per· tanto affrettarsi per portare a compi1nento la sua opera (E. AGUILERA, op. cii.). 20 O. CAIETANI, Vitae Sanctoru1n Siculorum, cit., frontespizio. ' 1lbid., li, 281-301. L'opuscolo fu anche pubblicato a parte: O. CAIETANI,
I cones aliquot et origines illustrium Aedium Sanctissimae Deiparae Mariae quae in Sicilia Insula coluntur, apud Cirillos, Panormi 1657. Et iterum ex Typographia Petri de Isola, Panarmi 1663. li p. T. Tamburini nel 1664 la tradusse in italiano e la pubblicò con il seguente titolo: Ragguagli degli
ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveri· scono in varie chiese nell'isola di Sicilia. Opera postuma del P. Ottavio Cajetano della Compagnia di Giesù. Trasportata nella lingua volgare, apud Andream Colicchia, Palermo 1664. 22 O. CAIETANI, Isagoge ad Historiam sacram Siculam. Opus posthumum et diu expetitum nunc primum prodit cum duplici indice, apud Vincentium Toscanum collegii panormitani Societatis Jesu typographum, Panormi 1707.
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beati che la Chiesa venerava con culto pubblico. Per la seconda parte, poiché il Gaetani non era riuscito a scrivere le vite di tutte le persone delle quali si era prefisso di occuparsi, si limita a rinviare ai diversi indici della Idea operis 23 • L'opera del Gaetani per certi aspetti è datata; solo per le agiografie più antiche può essere paragonata agli Acta Sanctorum; non a caso i bollandisti hanno inserito nella loro opera diversi documenti delle Vitae Sanctorum Siculorum 24 • A parte qualche suo limite, l'opera è quanto mai preziosa per i documenti e le notizie che contiene 25 • 23 (<Ex duabus vero huius historiae partibus, altera illos complectitur, quos sacris ac publicis honoribus ia1ndiu coluit, et colit Ecclesia, praeclara Sanctorun1 aut Beatoru111 nomenclatura, centum saltem ab hinc annis, publice condecorans; in altera recensendi sunt, qui opinione sanctitatis illustres fuere, sed adhuc Ecclcsiae suffragio publicum deferente cultum carent. Et prima quidem pars in duos distinctos tomos nuc prodit; pro altera catalogus eiusmodi ho1ninum diligenter Auctor contexuit in huius operis Idea iam typis impressa anno 1617i> (O. CAIETANI, Vitae Sanctoru1n Siculorum, cit., proemio). 24 Troviamo alcune agiografie raccolte dal Gaetani nei seguenti volumi degli Acta Sanctorum: <(Aprilis, tam. II, 470; Junii, tom. II, 241; Julii, tam. VII, 177; Augusti, tom. Il, 174; Septembris, tom. II. 387-394» (C. SOMMERVO· GEL, op. cit., 1087). 2s Il Gaetani non intendeva limitarsi alla sola pubblicazione dei tèsti raccolti ìn anni di pazienti ricerche; assieme ai documenti agiografici preparò anche una serie di note critiche che ci danno la misura della serietà delle sue intenzioni. Le Anin1adversiones sono state pubblicate in appendice ai due volumi con la seguente introduzione: «Collegi, ut potui, per summum laborem Sanctoru1n Siculorum vitas tot, tantisque implicitas difficultatibus, quot longa rerum antiquitas, scriptorum seu penuria seu negligentia, tam multae urbium clades ac direptiones pepererunt. Nunc vero easdem illustrandas, explicandasque suscepi, ut quam possem, tantis in tenebris, tibi lucem praeferretn. Scio eni1n nonnulla velutf claudicare, alia haerere, repugnare alia, 01nnia omnino peculiarem aliquam animadeversionem desiderare: cum multoruin exen1pJo, quos idem, et in prophanis, et in sacris historijs fecisse vidimus, tum etiam ne historia series inter~ turbaretur, coactas in unum notas edidimus; sic enim tuis commodis, magis consultum credidimus. Vale» (O. CAIETANI, Vitae Sanctorum Siculo· rum, cit., I, Animadversiones, 3). L'Aguilera scrive nella sua opera: {(De Octavio Caietano magna cum laude men1inerunt Bollandiani scriptores» (E. AGUILERA, op. cit., 121).
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Chiunque voglia occuparsi di agiografia siciliana non può prescindere dalle ricerche del Gaetani; tanto è vero che in diverse occasioni e da persone autorevoli è stato manifestato il proposito di curare una riedizione aggiornata e accresciuta delle Vitae Sanctorum Siculorum 26 • Il primo materiale da aggiungere in una eventuale riedizione di quest'opera è quello che è stato scartato, perché ritenuto insufficiente a completare il piano concepito dal Gaetani. Si tratta di manoscritti provenienti dalla sua biblioteca personale, che oggi si trovano cornservati nella Biblioteca Regionale di Palermo e che attendono di essere pubblicati e utiHzzati per la storia della Sicilia. 3.
Le due biografie del Beato Bernardo Scammacca
I documenti che pubblichiamo provengono dai manoscritti inediti del Gaetani 27 • Sono due vite del beato Bernardo Scammacca, al secolo Antonio, un domenicano vissuto a Catania fra il 1430 e il 1487 "- Appartenente a una delle famiglie catanesi più 26 L'idea di una riedizione delle Vitae Sanctorum Siculorum del Gaetani è stata avanzata più volte nei convegni di studi bizantini e da P. Halkin, in Analecta Bollandiana 66 (1948) 289. Di recente una precisa proposta è stata fatta da S. CosrANZA, Per una nuova ediz.ione delle "Vitae Sanctoru111 Siculoru1n", in Schede Medievali (1983) 313-325. 27 Le due vite che pubblichiamo sono contenute nella sezione manoscritti, volume II E 13, ai fogli 274r-281r (testo italiano) e 737-747v (testo latino). 2s Sul beato Bernardo Scammacca vedi le biografie di M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo Scan1111acca patrizio catanese dell'ordine dei predicatori, tipografia la Fulgur, Catania 1925; A. BARILA.RO, Beato Bernardo Scan11nacca. Profilo storico, Pròvincia domenicana di Sicilia, Palermo 1980, e gli atti del convegno di studio tenutosi a Catania nei giorni 18-19 dicembre 1987 sul tema: Bernardo Scan11nacca e la Catania del '400, di prossima pubblicazione. Il testo latino che è pubblicato in appendice dà la seguente data di n1orte dello Scam1nacca: «Ante die1n III idus ianuarias, anno post Virginis partum CCCCXXCVI supra millesimum)>. Si tratta chiaramente di una svista; l'autore avrebbe dovuto scrivere: «anno ab incarnatione Don1ini>>. Pertanto 1'11 gennaio, quando il beato Bernardo morì, secondo il computo in uso a quel tempo si era ancora nel 1486; il 1487 avrebbe
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influenti, dimost<rò di essersi ben inserito nella società del suo tempo, se all'età di diciassette anni ricoprì l'ufficio di acatapano. Per quanto educato cristianamente, il suo comportamento era tutt'altro che esemplare e un giorno, in seguito ad un duello o una rissa con il nobile Giovan Fernando Platall'lone, figlio dell'ex viceré Battista Platamone, subì una ferita alla CÒscia e fu colpito da bando. Dopo circa un anno di esilio, il provvedimento fu revocato per ordine di Alfonso il Magnanimo e il giovane Antonio Scammacca ebbe la possibilità di rientrare a Catania e riprendere la vita di prima. Essendosi proposto di corteggiare una donna che frequentava la chiesa di S. Domenico, anch'egli fu costretto suo malgrado ad ascoltare le prediche del beato Pietro Geremia, il promotore in Sicilia dell'osservanza domenicana; sembra che ne sia rimasto talmente scosso da decidere di cambiare vita e chiedere di entrare nell'ordine di S. Domenico. Per la sua conversione èsemplare, per l'austerità della vita ispirata al modello del religioso osservante, per la completa dedizione al prossimo fu considerato un santo e a distanza di alcuni decenni dalla sua morte ebbe inizio una forma di culto pubblico da parte dei fedeli, che fu riconosduto ufficialmente il 5 luglio 1824. Le due biografie, scritte con diversa grafia, una in italiano e l'altra in latino, non furono selezionate da Pietro Salerno fra il materiale destinato alla pubblicazione nei volumi delle Vitae Sanctorum Siculorum. Il motivo di questa esclusione va individuato nella mancanza di un culto pubblico centenario del beato Bernavdo. Infatti il suo corpo, che si conserva tutt'ora nella chiesa annessa al convento dei domenicani di Catania, solo a <partire dal secolo successivo alla sua morte incominciò ad essere venerato dai fedeli. I due testi attingono alla medes.ima fonte: gli atti del processo di beatificazione celebrato dalla curia di Catania dal 27
avuto inizio il 25 marzo; ma secondo il computo moderno il 1487 era già iniziato il primo gennaio (per il problema posto da questa data vedi M. CONIGLIONE, op. cii., 119-121).
Due biografìe del '600 del beato Scammacca
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settembre al 9 novembre del 1600 29 , ma hanno un diverso sviluppo; non si può dire che l'uno sia la traduzione dell'altro. Quasi certamente le due biografie hanno per autore il Gaetani, che ebbe la possibilità di consultare gli atti del ,processo canonico durante la sua permanenza a Catania (1607) nel collegio dei gesuiti 30 • Il documento latino sembra successivo a quello italiano, sia perché più completo, sia perché redatto nella lingua delle biografie che furono poi pubblicate. Lo stile del documento in lingua italiana è chiaro e scorrevole; mentre quello in lingua latina è alquanto ricercato, secondo l'uso dei latinisti che si collocano fra il rinascimento e l'età barocca; in quakhe punto pone problemi di comprensione. Certamente il testo non aveva ancora ricevuto l'ultima revisione 31 • Il modello agiografico al quale l'autore si ispira è chiaramente quello de1la controriforma: il beato Bernardo con le sue disavventure giovanili, la conversione e l'ingresso in convento diventa quasi un pretesto per fare un discorso edificante sui temi car,i alla predicazione di quel periodo: la vanità delle gioie del mondo, la necessità di allontanarsi ,da esse con decisione, il dovere della penitenza, il culto dei santi e l'attenzione al modello di vita da loro proposto. La santità è considerata soprattutto per gli elementi straordinari che sembra debba necessariacmente comportare: visioni soprannaturali, miracoli, guarigioni, sogni profetici ... Bernardo Scammaoca più che essere considerato nel contesto del tempo e della società del '400 è descritto come un Gli atti originali degli interrogatori si trovano nell'ARCHIVIO DELLA Beatificazioni. Una copia di essi è stata pubblicata in appendice alla biografia di A. BARILARO, op. cit., 63-89. 30 E. AGUILERA, op. cit., 115. 31 Il Gaetani negli ultimi anni della sua vita si preoccupò di rivedere dal punto di vista linguistico i testi che aveva abbozzato durante il primo periodo delle sue ricerche. Scrive a tal proposito l1Aguilera: «Opus litteris latinis inchoatum elegantiam desiderabat et concinnitatem quarn otium afferret et supremae limae assìduitas. Quare cubiculo abditus et curis omnibus vacuus plenum triennium ea in re collocavit consideravitque duo ingenta volumina, quae etiam animadversionibus illustravit» (ibid., 118). Probabilmente non riuscì a portare a compimento l'opera di revi~ sione. 29
CURIA ARCIVESCOVILE DI CATANIA,
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santo che ha fatto proprio il progetto cdstiano della controriforma 32 • I due documenti sono inediti e quasi del tutto sconosciuti: il ipadre Matteo Coniglione aveva utilizzato il manoscritto latino e ne aveva riportato alcuni brani nella sua biografia del beato Berna11do 33 ; non fa alcuna menzione del manoscritto in lingua italiana. Per tutte queste considerazioni e per la varietà di elementi contenuti, ritengo di notevole interesse i documenti che offro all'attenzione degli storici. Nella loro trascrizione mi sono limitato a rivedere, secondo i criteri moderni, la punteggiatura, i capoversi e le maiuscole. Vengono utilizzati i segni < .. .> per indicare integrazione di parole necessarie al senso, mentre è racchiuso fra { ... } ciò che va eliminato. Ringrazio il prof. Carmelo Crimi per i suggerimenti e il prezioso aiuto nella revisione dei testi.
32 Vedi a tal proposito la relazione: A. LONGHITANO, Gli ordini religiosi a Catania nel '400, negli atti del convegno Bernardo Scammacca e la CaM tania del '400, di prossima pubblicazione. 33 M. CONIGLIONE, op. cii., 46, 54, 61, 64, 67, 120, 138, 139, 145, 156.
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PALERMO, BIBLIOTECA CENTRALE DELLA REGIONE SICILIANA Ms. II E 13, ff. 274r-28lr
VITA DEL BEATO BERNARDO CATANESE --- Autore incerto-..... Il Beato Bernardo Scammacca, non picciolo ornan1ento dell'inclita città di Catania sua patria, se bene per altro fa1nosa e chiara tra !'altre tutte della Sicilia, nacque di genitori secondo il secolo assai honorati e nobili, da' quali dovette essere con ogni bona cura allevato nello studio così delle lettere come dc' boni costumi. Apena uscito dall'età tenera della fanciullezza, quando l'ho1no sta nel punto di pigliare la bona o la n1ala piega, che a!lettato dall'aggetti sensibili inescato dalla sensualità, acceso dall'ardore giovanile, s'incaminò per la strada larga e spatiosa della pcrditione, passando il fiore della gioventù con un tenore di vita 1nolto libero e licentioso, sequendo gl'aggi e passaten1pi in compagnia di tnalandrini, servendo alle pon1pe, maneggiando il ferro e !'anni, 1nettendosi a continovi rischi del corpo e dell'anima. Ma piacque alla divina clemenza di ri1nirare il giovane con occhi pietosi e benigni eritrarlo da' veloci passi co' quali all'abisso del baratro infernale precipitosa1nente ne correva, pennettendo che il fiero garzone, di natura ribelle et indo1nita, 1novendo un giorno non so che briga, restasse gravemente ferito in una gamba; dalla quale percossa risanato nell'anirno o pure da altro sinistro accidente che ben spesso somiglianti disaventure sole sono bastevoli ad abbattere l'orgoglio e rintuzzare l'ardire della sfrenata gioventù, che non han potuto am1nanzire né speranza di pre1nii, 11é spaventi di minacce. Comunque la cosa sia passata, fC 274v] quasi per volere divino, dalla ricevuta ferita un giorno entrato in sé, facendo un poco di riflessione alla passata vita, volle flre seco i suoi conti sopra di quella; poscia assiso co1ne arbitro a se stesso così diceva: «Ecco Bernardo lo stipendio è che adesso tu riporti dall'havere tanti anni malamente i1npiegati a servigii del demonio, sotto la bandiera dell'ingannatore e fallace inondo, a quanti gravi e continovi pericoli espone i suoi seguaci per un poco di vana e sciocca gloria, doppo una gocciola di miele quanta gran copia d'assentio e fiele li dà a gustare, in un poco di gusto appare11te di piaceri sensibili e buggiardi quanta an1aritudine e ra1narichi di animo ha insieme 1nescolato. Forsennato e pazzo che tu sei che le speranze e disegni tuoi hai riposto in un an1ico instabile e mentitore, anzi in un inimico traditore. Dimmi un poco: che pensi a!la fine di trarre dall'amor terreno se non perpetui affanni e cordogli? E da scapestrati giovani finti, non già 1 veri an1ici suoi, che soccorso speri tu havere ne' maggiori bisogni, quando ail'ultin10 della tua vita si tratterà il n1aggiore e più importante negozio della perditione e salute eterna? Rientra in te stesso provedi a' casi tuoi, pensa alla pietà irreparabile che tu fai. Non vedi manifesta1nente che cotesto tuo 1nodo di vivere reahnente puzza d'inferno? Ricordati che non sempre le frondi si conservano nella sua verdura, né li fiori nella sua bellezza, che ben spesso in un tratto questa svanisce, quella tnarcisce. Siano a te di esempio 1 non già J aggiunge poi espunge parola illeggibile Cod.
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e cautela tanti e tanti che o vero in estren1a necessità, abbandonati da ogn'uno, hanno i giorni loro n1iseran1ente finiti o con estre1n<i angoscia inquietati da serie di travagli, agitati da borrasche di persecutioni, oppressi da infermità di corpo alla fin fine, privi dell'aggiuti opportuni alla salvatione loro, disgratiataincnte, con inorte di ferro violenta o altra ria sciagura si sono so1nmersi nel profondo lago dell'eterna dannatione. Quessi sono i frutti che dal servire al n1ondo [f. 275rJ si raccolgono. Quando altro nonni sia, tu porti pur teca te stesso, né potrai scappare il cruccio e ri1nordimenti della tU<l inala coscienza che tuo malgrado con la n1ernoria delli cominessi n1isfatti, a guisa di crude] e avoltoio con acuto rostro si consumerà perpetua1nente il petto. Lascio stare l'ingiuria che co' deporta1nenti cattivi ogni giorno caggioni al tuo lignaggio, annegrendo il suo splendore con le tenebre di sì perversi et invecchiati costumi; purtroppo ti sei lasciato trasportare, ineschinello, dal torrente delle tue 111ale consuetudini, quando sarebbe ineglio che lasciate le vanità attendessi a correggere i passati falli in quessi pochi giorni che avanzano della tua peregrinatione. Desiati dunque una volta e leva su il capo, che fin hora hai tenuto i1nrnerso nell'acque torbide delli vezzi e pompe n1ondane». Queste e son1iglianti cose ru1ninava seco stesso Bernardo o per rneglio dire con tali scintille di desiderii andava pian piano i! padre di lunlÌ disponendo il core del giovane per attaccarli !e fia1n1ne 2 del suo santo spirito. Pronta1nente si accese in quel petto, co1ne in sorda 1nateria, un sì tenue et ardente foco di carità verso Dio, che non senza gran stupore di quanti lo conoscevano, senza induggiare, sprezzato il mondo, determinò di servire per ogni n1odo !a interna voce e consiglì del Son1n10 Pastore; de repente di rapace lupo trasfOnnato in 1nansueto agnello. Itnparino adesso coloro i quali, traviati dal dritto sentiero, tirati dal fervore giovanile, corrono a briglia sciolta dietro la pazza gloria del inondo attendendo alla sensualità, alle lascivi e, alle feste, alli conviti, a non essere ritrosi a' celesti moni1nenti, quando le occulte inspirationi vengono tocchi e sti1nolati ;1d abbandonare le vanità e fallacie del inondo, ad esen1pio del nostro convertito barone, il quale, volgendo con horrore g!'occhi alle passa!'e sue attioni, arrossito per la vergogna delle colpe, senza più diferire, deliberò cangiare inani ere e consecrarsi a Dio, con1e fece nella nobilissin1a famiglia dei Padri Predicatori, fondata dal glorioso padre San Don1enico, [f. 275vj risolutissi1no di !asciare il secolo e seguire prontamente gli a\'visi evangelici. Nella quale egli, doppo haver ridotto a fine la cominciata pratica con so1n1na allegrezza di tutto il convento, con le debite cerin1onie, fu vestito dell'habito novo della religione, deposto il vecchio co' slloi atti e ferocia; nlutatione veran1ente della destra dell'Eccelso e di stupore degna. Da quessa sì franca e fondata risolutione facil111ente esplicare non si può quanto in quell'anin1a benedetta si ;1ccrebbe di fervore e di spirito. Amrnesso già il valoroso guerriero nella spirituale palestra, cominciò viri!tnentc ad entrare in battaglia contro gl'inimicì invisibili, dando crudi assalti alla sensualità, tagliando a fatto col coltello della 1nortificatione tutte le vezze e n1orbidezze, risecando coraggiosa1nente ogni sensllalc appetito, vincendo la propria carne et allo spirito rendendola soggetta et ubedicnte, debellando di 1nano in nlano le altri potenti e spirituali nequitie, de' quali se1npre riportava gloriosa vittoria et honorati trofei. Nella quale scola, sendosi egli affìnat·o molto nelle vere e solide virtù, rendendosi ogni giorno più degno e più capace di nove grati e, giudicorno i supe2
fiamme J soprascri'lle su parola illeggibile Cod.
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riori, <lappo alcuni anni 3 spesi bene nella religione con grande odore di santità, doverlo proinovere agl'ordini sacri, a ciò in quel stato potesse più da proposito, co11fOnne all'infocato zelo della salute de' prossimi che nel suo cuore bruggiava, iinpiegarsi alla salute et all'aggiuto di quelli. Promosso già alla degnità sacerdotale, co1ninciò egli con grandissima riverenza a trattare quei sacrosanti e divini misteri, attendeva a sodisfare l'obligo de' divini offìcii con singolare divotione e raccogli1nento delle potenze tutte et è cosa non meno gratiosa che mirabile quel che di lui si trova scritto in questa 1nateria tra le cose memorabili di quel convento. Un giorno, per certa occupatione, non essendosi ritrovato in coro a cantare il divino officio in compagnia degl'altri frati, come ordinariamente era solito, si ritirò per recitarlo privatamente nel giardino dcl convento. Et ecco conforme al suo costu1ne, [f. 276r) dato bando ad ogni altro pensiero, havendo sonato raccolta a tutte le potenze interne dell'anima, mentre con molto aff'etto e tenerezza se ne stava saln1eggiando, lodando Dio, gli augelletti invitati dai suoi dolci e suavi accenti, a schiere a schiere, di sopra gli arboscelli, a volo scendevano sul capo del santo e dibattendo l'ali hor su gl'on1eri, hor sur le inani, piacevolmente svolazzavano in 1naniera che si potevano facilmente prendere; poscia con vezzosette maniere a gara cantando non si dipartivano, prùna che dal servo di Dio con la beneditione fossero licentiati. E benché in ogni virtù con la divina gratia procurasse di diventare eccellente, nondi1neno con particolare studio attendeva se1npre alla domestichezza e fa1niliarità con Dio per mezzo della sani-a oratione, alla quale con particolare sollecitudine si applicava, co1ne quegli che molto ben sapeva quanto fosse necessario il soccorso del cielo per in1petrare favori e gratie da Dio. Hora avvenne un altro fà.tto degno di non nlinore 1neraviglia. Una notte, finito il divino officio, mentre ciascuno si ritira nella propria can1era a riposare alquanto il corpo stracco per le notturne veglie, il servo di Dio, pigliando occasione dell'opportunità dcl te1npo, guadagnava quel silentio della notte spendendolo a meditare e trattare con Dio, ordinò il Priore ad un frate che chiamasse a sé Bernardo per non so che occorrenza. Va questi senz'altra dimora e doppo haver picchiato una e due volte la porta, non essendoli stata data risposta, torna al superiore a rif'erirli che Bernardo o non era ancora ritornato alla cella o pure si era posto a giacere per riposare, molto differente di quello che in fatti la cosa passava, posciaché il servo di Dio, intento in altri affari di nlaggior momento pertinenti a Dio, astratto dall'opcrationi de' sensi esteriori, non havea sentito ciò che di fuori occorso fosse. E rirnandato di novo il n1esso a cercarlo in ogni 1nodo e se fosse stato bisogno a destarlo anca dal sonno, torna questi [f. 276vj un'altra volta et in quel buio della notte vede tralucere dalla porta della can1era di Bernardo certi raggi di luce di straordinario splendore, dal quale invitato si accosta curiosamente per vedere dalle fissure ciò che il santo facesse. Guarda dentro, vede Bernardo divota1nente ginocchioni con un libro aperto nelle n1ani quale stava leggendo, a cui con un torchio assisteva un giovane da esso non conosciuto, di aspetto bellissi1no, che dalla faccia sfavillava scintille di meravigliosa 4 chiarezza, d'incredibile vaghezza e leggiadria. Se ne corre subito attonito al Priore a narrarli quanto visto havea, et a ciò un'acci3
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anni] aggiunge nell'interlinea Cod. meravigliosa] bellezza at,giunge poi espunge Cod.
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dente sì nobile non res!asse sepolto nella cogniLionc d'uno o doi sola1ncnte e per 1naggior certezza della verità, fece il Priore in un tratto chia1nare a sé tutti i frati del convento et inviatisi verso la cella di Bernardo, quanto più tacita1nente potevano con passi lenti e sospcti, facendosi innanzi l'un doppo l'a!rro dietro la porta, si chiarirono della verità del fatto, pigliando indicibile contento della visione piena di gaudio e di meraviglia insieme. Non men novo et inaudito fu quell'altro che dell'istesso si riferisce. In te1npo che egli fu Priore del convento, una mattina fra !'altre, si avvicinava l'ora di desinare et in casa non vi era pane da mangiare. Era trascorsa alquanto l'hora solita della refettione, con tutto ciò non si .~entiva segno alcuno di ca1npane. Si sparse il ru1nore della tardanza caggionata dal 1nancamento del vitto. Alcuni di quei frati, un poco più deboli nel spirito degli altri, co1ninciorno a borbottare e la1nentarsi, talhora incolpando il superiore con notarlo di poca accortezza e providenza, come fa.cihnente può accadere in sinlili avvenimenti a persone, le quali con il freno della santa n1ortifìcatione non hanno ancora in1parato a pieno di tenere sottoposto lo sfrenato affetto del crudo esattore dell'ingordo ventre, che ben spesso con molto nostro dispendio di varie e diverse 1naniere [I"~ 277r] ci sollecita, detenninorno d'accordo andare a dolersi col Priore a ciò vedesse di ritrovare alcun rimedio. Cercava il santo di fargli buon ani1no et un cuor grande 1netl'endoli innanzi la Divina Providenza, la quale nelle necessità è stata solita dare aggiuto e sovvenire a' suoi fedeli servi. Ma non am1nettendo quelli consolationi di parole, si ritirò il servo di Dio in cella facendo ricorso all'arn1e solite dell'oratione, nel valore de!la quale egli confidava 1nolto. Assai tosto si vidde in effetto l'efficacia grande di quella: si ritrovano n1iracolosa1nente su le tavole del refettorio doi grandi cesti pieni di pane 1nolto delicato e bianco, senza sa persi né donde, né chi l'havesse port<ltO. Corse frettolosamente uno per dare avviso a Bernardo della copiosa e rnen'aspettata provisione e nell'entrare che fa in cella ritrova l'homo di Dio in ginocchione innanzi una devota in1agine del Crocifisso, sospeso da terra nell'aria buona pezza, con se1nbianza più angelica che hu1nana. Attonito per la prima 1neraviglia assai più per questa seconda si partì a dare contezza agl'altri fniti di tutto il successo, appresso i quali si acrebbe 1naggionnente la sti1na e concetto di santità che del loro pastore conceputo haveano. Non saprei facilinente giudìcare per qual palato sia più al proposito questo cibo o per coloro che governano o per quelli che ubidiscono; ag!'uni et agl'altri è necessario il pane di boni documenti: quelli a ciò intendano senza pregiudizio delle dovute diligenze non do~ versi tanto confidare nell'industrie e diligenze hu1nane ne' loro bisogni quanto nell'aggiuto divino e col vivo esempio delle virtù dover più pro1novere e reggere la greggia con1n1essali per mezzo delle continue e focose orationi che col valore o prudenza naturale, conciosiaché non sono inco1npatibili nella n1edesi1na persona, come altri pensano, molto .~pirito e molto governo; questi a ciò i1nparino con franchezza e prontezza d'ani1no a tolcrare [f 277vJ con pazienza, quando talhora occorre, gl'effetti della santa povertà et il manca1nento delle co1111nodità e necessità ten1porali, né essere così Facili a brontolare e detrahere contro la persona del proprio loro padre, nel che ben spesso possono occurrere offese 1nolto gravi di Dio, tanto più pesanti quanto 1neno conosciute. Tornia1no al nostro Bernardo, al quale né anco n1ancò la dote della profezia, co1ne dal fatto sequcnte si può conietturare. Un certo giovane di sangue nobile, acceso dall'ardore della concupiscenza, andava dietro una gentile e pudica 1natrona tentando con diverse 1na-
Anoni1no. 11 Beato Bernardo Scan11nacca (tela di proprietà della fà1niglia Scan11nacca) (/òto A. Cafa)
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--------------------------niere et <H1i <li srnoverla dalla sua virtù et honest<ì, a! quale, havcndo ~en1pre questa con 11101ta costanza di animo dato ripulsa, alla fine si risolse 1nanifestare il fatto al servo di Dio,
aciò vedesse egli prudente1nente di provedcre di ri1nedio e di stornare quel rnisero da pensiero sì brutto et o~Teno, et insieine liberare lei da!la n1olla sollecitudine che di ciò l'afflj. geva.
Se ne va Bernardo corne pietoso 1nedico più volte a casa del povero infern10 per n1edicarc l 'incaclcnita piaga, che il n1eschino a n1orte ne conduceva; e coine quegli havcsse subodorata la cura ad esso non tnolto grata, che il santo veniva per darli, non fu n1ai possibile Li.~ sciarsi ridurre 5 di a1nmetterlo all'udienza sua. Final1nente il servo di Dio vedendosi così deluso e burlato, disperata già la salute di quell'infrlice huomo, innanzi b porta della sua stessa casa prostratosi in oratione et in quella astratto da' sensi, doppo buon sp;1tio di tempo ritornato in sé, rivolto al cornpagno disse: «Già è stato provi~to d:illa Divina Giustizia quanto spetta alla causa di yues!o cavaliere; non li restano più che !re giorni di vita». Né fu v:ino il prognostico; incontanentr è assaltato da una gagliarda febre la quale, a puntino con1e il santo havea predetto, il terzo giorno li tolse l"f. 278rj !a vita. E queste poche cose siano con1e per un saggio delle molte che egli operò 1nentre visse. Venghia1no adesso J quelle che occorsero doppo la sua 1norte. Già erano trascorsi quindeci anni della sua donnitione, quando piacque alla Divina Previdenza palesare al 1nondo questo sì ricco e nobile tesoro tanto lungo tetnpo nascosto nelle viscere della terrrt. lJna notte in sogno cornparisce Bernardo al Priore del convento in questa guisa parlandoli: «Buon;i pezza di ten1po che il 1nio corpo è slato sotterra privo di ogni honore e riverenza, sappia non essere volontà di Dio che più sia rinchiuso nella sepoltura sconosciuto e senza no1ne; perciò vuole che cavato sia dall'oscura fossa, si 1nanifesti al rnondo per sua 1naggior gloria e beneficio de' 1nortali; a te tocca quanto pri1na metl"ere in esecutione il volere di L1io, qual'io da sua parte ti fo intendere». Ciò detto disparve. La tnattina seguente il Priore, fatti ragunare tuHi i frati, pieno di ineraviglia, li racconta quanto in sogno dal Beato Bernardo l'era stato ordinato. Si stupirono non poco i circostanti e da quanto udito haveano, co1nprendendo il divin volere, di con1mun parere detern1inorno andare in processione a cavare fuori dalla sepoltura il beato corpo. Et ceco dell'altre meraviglie n1aggiori, in confermatione de! divino beneplacito, le ca1npane da se sole, per occult-a istigatione, in segno di allegrezza, di repente, co1ninciano festivan1ente a suonare cotne se da huo1nini eccitate fossero. Quelle benedette ossa per tutto spirano un'odore suavissirno di paradiso; si cavano fuori con 1nolta devotione le sante reliquie et in pub!ico honorevolrnente si ripongono. Si divulgò in un subito per tutta la città la faina di sì stupendo miracolo. Alla nova della inaudita n1eraviglia, svegliate le genti, lasciato ogni altro negotio, a spessi branchi co1ninciorno a correre in gran multitudine al convento de' frati. Tra !'altri un cavaliere capriccioso n1olto principale, [f. 278v] spento non già.da devotione o <iffetto pio 1na di spirito di contraddi:tione, beffàndosi delle cose che udite havea carne di sogni e n1inzogne di bizoccari, che con fini inventioni e finte arti volessero acquistare credito e fon1a di santoni appresso il popolo, 1nontò a cavallo per andare anca egli curiosan1ente <J vedere ciò che passava e chiarirsi della verità. Non tardò tnolto la Divina Giustitia a farli provare il n1eritato castigo. Già si avvicinava alla chiesa de' frati; non molto 5 ridurre] da aggiunge e poi e.1punge Cod.
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lungi da quella cade da cavallo e se li rompe una ga1nba. Non si fennò qui la sua sciagura e portato a casa vengono i medici, toccano la parte offesa, considerano l'enfìaggione, trovano che il male havea fatto passaggio in un'altra più grave e quasi incurabile, che foco di Sant'Antonio volgarmente vien chia1nato. Ra veduto il 1nisero dell'essere et in se stesso rientrato, accertò d'onde il 1nale fosse cagionato; né fu difficile, conosciuta l'infermità, applicare il rin1edio. Si rivolta hu1nilmente con una copiosa pioggia di lacrime all'intercessione del santo; ditnandando con calde prieghe e sospiri perdono del suo fallo, si dole della tniscredenza, lo supplica si degni mirarlo con occhio di padre pietoso, che fin allora giustamente da severo chirurgo s'era abastanza deportato. 1n un tratto alla gatnba è restituito il suo pristino vigore e fermezza antica. Simile a questo è quell'altro che si racconta essere accaduto a doi gentilhomini altresì honorati; anca questi si burlavano e ridevano de' miracoli che si riferivano del santo, con tacciare di leggierezza vana quei padri venerandi, che con tanta facilità havessero sparso simil grido e, quel che è peggio, fo1nentatolo appresso il volgo ignorante dando segni di festa, fatto strepito di campane. Di questi saliti sopra doi cavalli, per altro 1nansueti e trattabili, s'inviorno verso il convento a trastullare e godere il ruinore e false superstitioni che loro chiainavano. Ma non durò molto sì licentiosa incredulità. Q~asi fu le porte della chiesa dove il Beato Bernardo giaceva, precipitati, all'uno se ii ruppe [f. 279r] una ga1nba, all'altro se li slocò un piede, non senza gravi stimoli di dolore di ambidoi. Onde condotti a case loro, ravvistisi dell'ingiuria e scherno fatto al santo, con nlolto dispiacere gen1endo e sospirando si racco1nandorno humilmente alle sue orationi, J.al quale con 1nolta liberalità ricevettero la desiderata salute. Un mastro legnaiolo, che con molta pietà si era affaticato nel lavoro dcll'arca 6 nella quale furono riposte le benedette ossa del santo, salito su la cima d'un' alta scala, per rassettare quelle in luogo eminente et honorevole dentro una cappella, cadde a piombo d'alto ;1 basso in maniera che, sconnesse tutte le giunture del corpo, se ne giaceva steso in terra fracassate le membra e da' circostanti stimato quasi morto. Non fu bisogno andar molto lontano a procurarsi rimedii e medicamenti: «O Beato Bernardo - gridò ad alta voce - mi sono con molto affetto impiegato tutt'oggi a' vostri servigii, porgetemi voi !a vostra benigna mano in questo mio estremo bisogno». A pena hebbe ciò detto, in un subito si rizza in piedi da se solo, leggero e snello, co1ne se in molli piu1ne caduto fosse. Il sacristano del convento era solito accendere una lampada innanzi il corpo del Beato Bernardo, attesa la commune divotione e riverenza che il popolo tutto a quelle sante reliquie portava. Fugli una volta intin1ato dal Priore che dismettesse quell'usanza, non essendo per allora stata data ancora dechiaratione nessuna dalla Sede Apostolica intorno alla vita del santo. Esseguì colui prontamente l'ordine del superiore datoli. Ecco la sequente notte li compare in sogno il Beato Bernardo in questa maniera parlando: «Accendimi pure la la111pada, come per il passato hai costumato et agl'altri santi sei solito fare; né di ciò habbia scrupolo nessuno». Il buon frate per satisfare al comanda1nento del santo, la sera seguente, accende la lampada come prima; dall'altro canto per compire con l'ordine del superiore vi pose dentro tanta poca quantità d'aglio che fra poco dovea [f. 279v] naturalmente amn1orzarsi; si pose doppo in l'osserva e, fuori d'ogni aspettatione, oltre la notte 1nantenne il lume acceso anca il giorno tutto intiero. 6 dell'arca] della aggiunge e poi espunge Cori.
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Giovanni di Vega, prcncipe di virtù hcroiche, che inolli anni governò l'isola di Sicilia con sodisfattione co1nune di tutte le città e terre, sendo egli viceré, si ritrova oppresso da una infennità nella gamba, n1olto fJ.stidiosa, detta della lupa. Li vennero a notitia li 1no!tì 1niracoli che Dio operava per 1nezzo del suo servo Bernardo, laonde si risolse far ricorso al suo patrocinio per la bran1ata salute. Con1inciò a visitare spesso con gran pietà e devolione il sepolcro del santo offerendoli humili prieghi; né tardò 1nolto a speri1nentare il suo favore, poscia che miracolosatnente dall'invecchiato male illeso ne sca1npò. Una fanciulla di membri attratta, la quale in nissun 1nodo pot-eva reggersi in gain bi non che prevalersi di quelli, condotta innanzi la bara dove giaceva il corpo del santo, in toccandola subitan1ente guarì. Un'altra fanciulla aggravata da n1alattia rnortale, un'altra parimente che nella fanciullezza havea persa la favella, una donna hidropica, un'altra travagliata da un fJticoso 1nale di quartana, tutte, al sen1plice tatto dcl corpo beato, furono da ogni 1nalattia liberate. Ad un religioso sacerdote che havea la vena del petto rotta sL::ignò la gran copia del sangue che di continuo versava dal petto col mettersi in testa il capuccio che il Beato Bernardo havea in capo tenuto. Alla sorella di costui, pur l'istesso capuccio posato sopra il sto1naco, li tolse via un gravissirno dolore di ventre, che per spatio d'un tnese non l'havea n1ai lasciato riposare. Il cottone col quale si toccava il corpo del santo o l'acqua con la quale si bagnava alcuno di membri erano rimedii di grandissima efficacia e virtù contro la n1alignità di qualunque tnorbo, benché incurabile o mortale si [f. 280rJ fosse. Con quello si 1nitigò !a furia di un'eccessiva dolore di fianco, che insietne con una febre cocente affligeva una meschina donna, tosto che sopra la parte offesa 7 fu applicato. Con questa, bevuta che !'ebbero due donne, l'una da un crudo tnal di terzana dal quale parecchi 8 giorni era stata travagliata, l'altra da una pericolosa febre accompagnata da flusso di sangue rettornò sana. Un povero contadino, caduto sopra una grossa catasta di legni accesi, di già se li era consu1nato un braccio intiero, con inanifesto pericolo di struggersi il ritnanente del corpo tutto, invoca con molta fède et affetto grande il Beato Bernardo et in un subito si ritrova il braccio sano co1ne se in fresche rose fosse caduto. Un fa1noso giocatore che per l'invecchiata inala usanza del gioco havea consumato li beni e quelli pochi arnesi rin1asti in casa, desideroso di metter freno all'in1moderato appetito, giudicò di essere efficace mezzo dare la parola al Beato Bernardo con voto di volersi per l'avvenire astenere da tal vitio, quale fece con molta solennità, ginocchione con le paline delle n1ani giunte innanzi il corpo del santo. Si scordò ben presto e quasi all'istesso giorno il 1neschino della pron1essa fatta e, postosi di novo a giocare, le paline delle inani si unirono tra loro tanto stretta1nente come se l'una dentro l'altra fosse penetrata non che con tenace colla attaccate, appiccate insieme 9 si fOssero, in n1aniera che non era possibile con gran violenza e fOrza staccarsi. Si avvide l'infelice del castigo e ciò esserli accaduto per haver venuto meno de!la parola data al santo. Se ne corse frettolosamente al convento di San Domenico et allagando le strade di lacrime, einpiendo il cielo di sospiri, come fuori di sé, andava chiedendo perdono 7
offesaJ soprascri11e s11 parola illeggibile Cod. parecchi] soprascrive su parola illeggibile Cod. 9 appiccate insieme J aggiunge nell'interlinea Cod.
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gridando misericordia, finché giunto alla presenza del santo, prostrato in terra con 1nolti geiniti, l'ottenne e, sciolto dalli lega1ni invisibili che tenevano forten1ente non solo le mani ma anche lo spirit·o legato, libero si partì. /f. 280vj Quello che adesso sicgue, che servirà per chiudere il nostro discorso, è non n1eno me~ raviglioso che gratioso. Da una fa1nosa città di Sicilia si havea fatto condurre a Catania un certo honorato barone per far riverenza al santo e chiedergli gratia della salute del corpo. Era costui arido nel corpo, privo dell'uso di quasi tutte le 1nembra dalla lingua in poi, tanto che nella 10 lettica dove era portato più presso un sin1ulacro di cadavere spirante che d'huorno vivente sembrava. Si fa menare dentro la cappella dove il corpo di Bernardo erariverito, vi volle restarsi la notte a riposare con animo di non voler prima partire che la sanità ricuperata bavesse. Né fu vano il suo disegno, la mattina risorge vivo da dove per dir così morto si era posto la notte a giacere, vede l'uso restituito a' inembri essercitare i loro officii con agevolezza, !e ga1nbe attratte, le mani assiderate con facilità e leggicrczza in qualunque luogo bisognasse pronta1nente 1noversi. Hor questi, doppo le rendute gratie del singolare beneficio, fece ritorno alla patria dove, per esser persona di molto conto e valore, fu accolto con quella festa et allegrezza che possiamo credere si farebbe ad uno che, liberato dalla prigione della morte, alla libertà della vita fosse restituito, ché poco o niuna differenza penso vi fOsse stata dalla conditione 1niserabile nella quale prima si ritrovava con lo stato infelice di defOnti. Passato alcun tempo, spinto da certo pio affetto, con1e si può giudicare quantunque indiscreto, li venne il pensiero di voler andare a rubbare ii corpo del santo per provedere alla patria sua nelle reliquie di Bernardo d'un ottin10 e perito medico, co1ne quegli che havea virtù tale di curare inali inremediabili e disperati, dove !'arte della medicina non può arrivare. Perciò commodamente fare unì a sé un squadrone di quei più confidenti e cari a1nici a' quali havea co1nunicato l'intento. Si ordisce la tela con molta secretezza, appuntano il giorno, il 1nodo con l'altre circostanze necessarie per effettuare il disegno, se ne venegono al convento de' 11 [f. 28lr] frati, entrano la notte con molta destrezza dentro la chiesa, pigliano il corpo di Bernardo, si apparecchiano alla fuga. Fra questo mentre dietro le porte delle celle andava uno bussando le porte per svegliare i frati dicendo: «lo sono fra Bernardo Sca1nn1acca levatevi su da letto, correte presto alla chiesa che vi sono tnasnadieri venuti per rubbare». Ciascuno s'i1naginò che ciò fosse sogno o gioco della fantasia, come suole accadere nel dormire. Non passò molto le catnpane da se sole cominciorno a sanare, a far strebito. Poscia svegliati i frati all'insolito sogno l'un l'altro di1nandandosi che cosa 12 ciò 13 significasse raccontavano insieme qualche poco fa sentito o sognato haveano. Si risolsero finaln1ente di scendere in chiesa et ecco ritrovano troppe di genli che duravano gran fatica per trarre fuori della chiesa il corpo beato, ma indarno si affaticavano, havendoli per divin volere venuto n1eno le forze e la lena, e l'arca nella quale il corpo del santo era riposto divenuta più che piombo pesante. Scoperte le frodi de' congiurati, pieni di vergogna e rossore, posero in un tratto ['aie alli piedi. Per simili effetti sopra natura operati dalla divina potenza per mezzo del suo santo, 10
li 12 13
nella J lingua aggiunge e poi espunge Cod. de'] de' ripete Cod. che cosa J aggiunge nell'interlinea Cod. ciò] che aggiunge e poi espunge Cod.
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1ncritamen1e et il suo servo et egli in lui è celebrato, tnolto 1naggiorn1ente per haver lasciato al mondo un vivo esen1plare di perfetta esercitatione a tutti coloro i quali, avvedutisi dcl~ l'ingannevoli lusinghe della carne, de!le finte speranze del mondo, dell'astute insidie del demonio, hanno rivolto il pensiero a beni immarcescibili e sempiterni, là dove hanno di godere perpetuamente Dio, al quale sia beneditione e gloria e rendimento di gratic. A1nen.
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PALERMO, BIBLIOTECA CENTRALE DELLA REGIONE SICILIANA
Ms. II E 13, ff. 737r-747v
<Incerti Auctoris> BEATI BERNARDI SCAMMACCAE VITA Bernardus, cui Antonio parentes ab infantia feccre no1nen, Catinac loco nobili natus est. Cui ubi excessit ex ephebis, tatnetsi parentes non 1nediocriter in eo elaboraverint ut iis potissi1num artibus Ă&#x152;nstituerctur a puero, guibus vel se ceteris conspicuum fo_ceret vel suu1n certe no1nen honcstaret; ta1nen, guae n1ulta nobis natura dcdit iis blandi1nentis adolescen~ tiae connivcns, usque eo progressus est ut iam suimet oblitus no1ninisque sui, posthabitis salutis aeternac rationibus, guotidie in sun11nu1n veniret vitae discri1nen nec minus 1 animac acciperet detrin1entun1. Ergo iuvcnis utcuinque verecundiae fines seinel transierat neque conscientiae sti1nulis concitabatur, quippe callun1 sensi in obduxerat diuturna scelerun1 consuetudo, ita stipatu~ ag1nine flagitiosorun1 hon1inun1 quos celeriter similitudo contraxerat, voluptatibus parere, pudicitiae neque suae neque alienae parcere, probos iuxta atque i1nprobos circun1venire, sacra profB.naque 01nnia promiscua habere. Sed nullo pacto superis visun1, exi1nia spe su1nn1ae v!rtutis adolescente1n praecipitein inde porro ad aeterna foedaque <le1nonu1n servitia cadere, quo ian1 illu1n initus vitae cursus si ne ulla controversia trahebat. Eni1n vero quod Marcus Tullius fere sic fieri solere conten<lit ut inulti sun1n1i et clarissitni cives fuerint quorum, cun1 adolescentiae cupiditates deferbuissent, exiiniae virtutes firmata ia1n aetate extiterunt: id ipsu1n huic homini divino piane consilio incidisse accepin1us. Narn cun1 saepius ipse graves, ut consueverat, cu1n viris pri1nariis quibusda1n initnicitias gessisset, foedu1nque inde certan1en exortun1 essct a satis 1niti principio, con1bibones sui, qua erant erga illum [f. 737v] fide ho1nines altercationc congressi certainine iraru1n ad caede1n vertuntur; ibi in turba ictus Antonius, du1n rcs gladiis districtis geritur, luculenta1n in feinore accepit plagam, ut declarat cicatrix, qua1n adhuc in defuncto corporc videre est. Jsquc videlicet prirnus fuit veluti nuncius ad hon1ine1n 1nlssus, a quo n1oneretur, scopuloso difficilique in loco {in} qua1n 1nultae offendissent naven1 versari sua1n. Cui quiden1 ille non responsuin niodo, sed ne aures quidcn1 vanas tantispcr dcdit, dum loquerctur. Enin1 etia1n a vestigio, ubi vires revocavit, redit ad se atque ad rnores suos: hoc amplius nec nocte nec interdiu conquiescere potest. Angebatur nirnirun1 ferox illc animus, et se intimis conscientiae vinculis contineri, quominus optata perficcret nec suas persegui iniurias posse. Sed debebatur, ut opinar, divinae pietati nova et adinirabilis nec usitata hon1inis convers10. Mulicr erat cun1 sane honesta, tu1n niira pulchritudine corporis, cuius spectata castitas et fon11a vehcrnenter Antonium ad illius a111orem incitaverat. Is ut erat corporis voluptatibus apprin1e deditus, rcrn ornnino transigere cum rnuliere atque expedire cupiebat. ltaque cu1n saepius tc11tatun1 esset si qua posset ratione conveniri mulier, idque paru1n processis1 1ninus] n1inore1n Cod.
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set, alio vertit sui consilii rationen1. Duplex cxinde fa_n1a est: alii co nùselhun a ceco cupidinis furore impulsum esse iuvcnem tradunt, ut Dominicanae familiae nomen dare decreverit, eo consilio, ut quoniam mulier ad illud frntasse coenobiuin itaret, ipse aliquando, cum sors sese dedisset, cum ea communicare posset, ac dc suo illius ingenti amore confiteri; ali i fratrum illoru1n ac religiosoruin ho1ninum exemplo motum 738r], cum mulieris causa frequenter eo veniret, a 2 diaboli rationibus ad Christum descivisse. Utcu1nque res fuerit, certe eum in Do1ninicana familia ad Christi caussam adiunxisse sese constat intcr omnes. Qui homo coenobium ingressus, speciem quidem ille atque habitum religiosi viri prae se ferebat, mentem vero adhuc perversam moresque flagitiosissimi hominis aeque servabat ac sapientes illi, quos dictitant pallio tenus fuisse philosophos. Nec diu versatus est in errore: etenitn dum omnia periclitatur 01nnesque caussas quaerit conveniendi loco tnulieris, divina illa Bonitas, guae de im1nerentibus optime mereri saepe consuevit, haud amplius hominem, quem ex ceteris ad partem aeterni regni obtincnda1n optaverat, nocte in difficilli1nis locis passus est errare; sedei facem 1naturrime praetulit, vel quo ineptu1n ad patriam iter arriperet, vel certe quominus ut antea offenderet, aut usquan1 incurreret. Qui quidem ut sensit longe quam abesset, quin ipse porro praecipitaret, vesaniensis animi tenebras erroresque detestatus: «Me miserun1, exclamat, satin ego sanus 1nentis? Satin ego oculis plane video? Quo te malum ! Cita tua furiosa mens rapit? Eheu quid postulas? Quid tandem aggrederis? Deum tuu1n offendere, qui tamen quotidianis te officiis prosegui non dcsistet?». His atque aliis id genus semetipsum increpitans vi1n magna1n lacrymaru1n effundebat. Et quo impcnsius sese colligens ante oculos si bi proponebat inultoru1n hominun1, qui bus cum ipse diu vixcrat, infelices exitus suu1nque reputabat serio, et quidnam adhuc tantis laboribus, curis vlgiliisque collegerit, qua1n tande1n sibi mercedulam [f. 738v] tribuerit mundus cui ipse diuturnam servitutem servivisset; hoc 1nagis magisque in dies indignabatur atque in semetipsun1 iusto odio saeviebat. Ad ultimun1 circumspectis rebus omnibus rationibusque subductis, quoniam se mala mens furorque eo i1npulerit, pravaqua consilia bene evenerant, quod per summa1n infamiam aggressus esset, id per virtuten1 conficere consilium fuit. Age sane ex Antonio repente fit Bernardus et quan1quam iam inde ab ingressu no1nen, nunc tan1en inores etiam antiquos cum nomine demutavit, ac vere tu1n primu1n coepit in christiana 1nilitia stipendia facere: eoque ardentius ac inaiore cum studio vel quod se ad id locorum per ignavia1n cessavisse gravaretur, ve! quominus diuturna1n sibi vita1n ad praeteriti temporis usuram, quod silentio trivisset, nlagnitudine operum im1nortaliun1 sarclendam intelligeret. Novus igitur 1niles uti in eo ca1npo se esse animadvert:it, ubi utrum per fare necessarium videbat, ut aut sibi hostes fugandi perdendique essent aut certe in acie cadendum; non ian1, ut plerique tyronun1 in ipso prolusionis initio, contrahit aut demittit animum, sed cum per sacram totius anteactae vitae confessionem contractas prius animi sordes eluisset, qua ad bellum sesc, quod prope adesse intelligebat, sum1na ape parat, qua vires exercet, qua gladios et arma comparat. Mox cum ia1n viriu1n haud poeniteret, lacessere singularì certamine ferocissimu1n queinque, interdum congredi, saepius in pugnando hostem ferire. Hostis, ubi videt Bernardum contra ac ratus erat summa vi contendere, robustissiinos quoque milites descendere in equun1 iubet, eosque phalange facta in adversariu1n itnpetum facere.
rr.
2
a] ab Cod.
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Qii, cun1 pristinae virtutis ha ud [f. 739r) irn1nen1ores, tun1 vero indignantes, hornunculum qui nuper in suo cxercitu 1neruissct, audacter bellurn sibi inferre, rectius quam unquan1 antea, infertis gladiis ingruunt 1nultu1nque in eo proelio et negotii et peri culi Bernardo faccs-
serunt; quos tamen on1nes, divina ope fretus, brevi fusis ac triumphatis egit. Nec illud ultirnun1 certamen fuit. Miles e bellicosissinlis, cui voluptati no1nen est, tum aegre patiens, se, cuius in orbe terrarum clara pugna adversus reges po!entissiinos virosque fortissi1nos extitisset, nunc ab infinno isto per dedecus superari, tum ne ferendum quide1n videri dictilans, tantos ho1nine1n sibi spiritus, tantam arrogantiam sumere, ut i1nprudenter atquc adeo propalarn iactet se unu1n vereri Deum praeterea ne1nine1n, omnibus copiis connixus, procliu1n redintegrat iteratque. Quod lentius ceteris ac periculosius fuit pluriinu1nque in eo Bernardus negotii habuit, ut propulsaret. la1n egrcgius Christi iniles, tot tantisque pcriculis depulsis devictisque bello hostibus, 1naiores quotidie effeccrat in solida virtute processus, coque pervenerat ut tranquillo otio aliquando FruÏ posse videretur. ~iae res profccto ipsi non cessandi quide1n focultate1n aut 1natcricn1 dedit, scd gui<lquid si bi quietis ab annis a 3 petulanti hoste dabatur, id omne non ad oblivionc1n veteris belli, sed ad co1nparationen1 novi conferebat. Tun1 enim i1npensius ut qua1n n1axi1nus sibi constaret otii fructus, laborare secun1 ipse, uti 4 adversarius pede1n interre desisteret acriter ccrtare, caelestia auxilia circu1nspiccre, ad futurum dcnique teinpus ornni studio ac sollicitudine se rnunire, quo paratior a<l bellu1n si moverelur, ac pron1ptior esse posset. Erat ff. 739v] on1nino Bernardn.~ per omnia expertus, et cunctis egregia virtute cognitus, cum ian1 anno probationis expleto, nunciu1n hu1nanis rebus ali quando re1nittere ulti1nun1 decrevit atque irrevocabili sese obstringere perpetuae paupertatis, castimoniae et oboedientiae volo, ne qua deinde re impediretur guorninus in Dei esse intiinis ac familiaribus posset. Quod religiosi aniini obsequium ac sacrificium gratum etia1n Deo Optiino Maxin10 non modo ratun1 fllisse, ve! ex co intelligas licet quod ilie ex eo tempere ad extremun1 usque Bernardi die1n, ita boin.ine1n complexus est, ut 01nnia, guae in suos conferre soleret, in unurn hunc pro sua bonitate contulerit: guae nos aliquol ordine proseque1nur. Sane sacris initiatus, haud f3cile est exprimere verbis quoties, cu1n ipse sacra obiret, divini a1noris igne succenderetur; illud quide1n certe confinnare possurnus, exinde hon1inem quippe ad apice1n sacerdotii evec1utn a contagiane corporis potissimum abstrahi oportere existi1nabat, subli1nioren1 quendam ite1ngue asperiore1n, qua1n antea, tenuisse vitae cursun1, ut ia1n non 1nodo ve! nihil cuin 1nortalia cuncta iuvarent vel 01nnino sordescerent, verun1 etiain guoad posset¡ oculos hominu1n vitaret: non quo aut fratres vita lpsa sibi cariores, quod utique ad hon1inis apprin1e probi n1oribus abhorrebat, fcrre oculi sui inenti quan1 possent, aut eoru1n sibi consuetudine1n fra udi esse putaret: sed guod ho1ninurn erat ncrno quocurn 5 esset libentius, qua1n cuin summa bono, cui sacpius 1nira quadam spiritus du!cedine Ïungebatur. Hic tnihi guispia1n salutc1n desperel et flagitiosissin1e vixcrit, ac sese in omni genere scelerum diutius volutaverit aul de ceteris per audacian1 praeiudiciu1n faciat, ac sua quide1n sententia IC 740r] conde1nnet, cun1 ho1ninem perditum iam blande etia1n ac benigne sen3 aj ab 1 '
Cori.
uti] ubi Cod. 5 quocun1J quicu1n Cori.
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tiat a caelesti Patre cxccpturn, nedun1 inviturn ex 01nni sacculi iinpetu alquc cx averni ore ac faucibus crcptum esse atque servatu1n; equidcm haud nihil ambigam delectationis ne plus habeat an admirationis i!lud quod monutnentis Dominicanorum annalium mandatum est. Etenim noster Bernardus, cum oli1n nescio quibus occupationibus distineretur eo te1npore, quo reliqui fratrum in choro preccs horarias Dea Optimo Maxiino persolvebant, quo sine ulla interpellatione posset orationi vacare, in hortu1n aedium transiit ibi inambulans; cu1n prius viri bus ani1ni tanquatn receptui cecinisset, per summam delectationem parenti onHliun1 psallebat, ut aves veluti vocis seu cantus dulcedine ac suavitate ductae, de arbori bus undique descenderent hominetnque circumsisterent. Inibi profecto cerneres aviculos illos, perinde atque 1ninime expertes rationis essent, 1nodo super humeros illius mirutn in 111odu1n volitantes, 1nodo super bracchia 1nanusque consedere, nec inde prìus facessere, quan1 et ipsae una cun1 Bernardo co111111unis Domini laudes exornarent et ab eo crucis signo di1nitterentur. Et qua1nqua111 ipse ad omne1n virtutem sese diligenter exercebat, tamen ide1n nunqua1n aeque beatus esse videbatur ac dun1 otnne successivu1n illud, quod sibi te1nporis a ceteris coenobii exercitationibus dabatur, in studio conte1nplationis meditationisque consutnebat et iure quidem opti1110: na1n si gregales et asseclae illi, qui gratiae caussa regibus !enoncinantur, a1que in on1nibus ve! inviti n1ore1n gerunt·, tu1n praeclare et honorifice sccu1n actutn putant, cu1n sen1el ab iis in colloquia adhibentur, quanto beatiores felicioresque haberi convenit eos qui quotidie sennonem cu1n rcgu1n Rege fa111iliarissime iniscere solent! ltaque [f. 740v] navus et industrius ille vir, expletis iam 1natutìnis precibus, du1n fratru1n ad cubicula se quisque refCrebat, ut· fessun1 nocturnis vigiliis caput parun1que quieti n1andaret, totu1n illu<l temporis baud donnitando, ut reliqui, sed assidue arando per su1nn1an1 'anÌlni iucunditale1n transigere consuescebat. Forte Prior nocte quadam haud sua spante credo, sed divino plane instinctu, e fratribus cuidan1 Ìlnpcrat ut Bernardum ad se tnittat: esse quod sibi ab hon1Ìne opus sit. Properat is 1nandata Prioris exequi, ostiu1n sen1el atque iterum pulsat, sed ibi nullum responsu1n redditur. Re imperfecta redit, nunciat hon1inem aut nondu1n e choro cu1n ceteris· ad cella1n recepis·se sesc, aut iam cubitu1n isse. Longe a!i te1- ac se res ipsa habebat. Etenim caelestis ille vir ut prosegui curam sui corporis abiecisset, mire a rebus his inortalibus abstractus in divinaru111 reru1n conte1np!atione tantu1ninodo quiescebat. Mittit denuo nunciu1n Prior, qui diligenter requirat ho1nine1n, atque adeo, ubi quiescat, e son1no excitet. Ac dum ille properat festinatque, videt e1nissus Bernardi cellam per noct·is tenebras insolito quoda1n fulgore lucis e1nicare, qui rei quae caussa esset 1niratus, ac de ea cognoscere cupiens, silcntlus ce!la1n rectus ingreditur, ibique per ostii ruinas medio in cubiculo ingenua provolutu1n ho1ninem spectat devote librum quen1 prae n1anibus habebat lcctitante1n, si1nulque ci praclucente1n iuvencm, quetn exi1nia vcl divina potius pulchritudo haud e n1ortalibus esse liquido declarabat. Advolat continuo frater rei novitate attonitus, ad Priorem quaeq ue viderit refert. Prior quo res nobilior atque illustrior esset, fratres 01nnes per nuncium propere excitos singulos iubet curiose rern observare. Qui quide1n eo cito n1iraculo prae laetitia lacrin1as tenere haud valebant, alii pars ita in co spe- [f. 741r] ctaculo affìxi inhaescrant, ut inde avelli nunqua1n nisi diu n1ultu1nque coacti potuissent; 0111nes ta1nen in eatn verecundiam adducti ut dehinc non Bernardun1 an1plius noinine, sed vulgo sanctu1n appellarent.
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Quo vero te1npore auctoritate 1nagis qua1n imperio fratrun1 stu<lia rcgebat, rcs inci<lit 1nemoratu digna. Cun1 hora prandii propc adesset, neque domi non modo obsonii sed ne panis quiden1 copia ulla suppeteret, Bernardus humanis diffisus opibus ad caelestes, ut par est, confugerat, laetus sese tanden1 dedisse occasioncm, qua fratres suos Divinae Providentiae periculu1n rebus dubiis facere doceret. Sed postqua1n in vulgus fratrum elatum est, idei reo nullum dari signutn, quod domi nihil omnino sit, quo fames toleretur, pars taciti inertiae hominem, pars quoque mussitantcs argucrc, nonnulli etiam qui neque inediae patientcs, ncquc mortificationis, ut aiunt, fraeno pravos ventris impetus coercere didicerant, palan1 in absentem invehi: hominem nihili esse neque dignum profccto, pcncs qucm omniun1 potestas sit ncquc cui omnia deferantur. Priorem consulere omnibus, perspicere fratru1n necessitati bus oportere; ipsun1 vero satis officio sibi factum, ac rcctc muncre functum suo putare, si totos dies in cubiculo abdidcrit sese ncque sui potestate1n fecerit? Mox misccrc, turbare, complere voci bus 01nnia, ut quietos etian1 sollicitarent. Neque sic is improbae hominun1 audaciae finis; Bernardum propcrc conveniunt; vehementer nulla neque aetatis ncquc dignitatis ducta ratione verbis obiurgitant; quemadmodum haec agat videat; etian1 atque etiam ia1n ipsius iniuria, quod ad eam dicm vix semel incidisse tnemoria ulla est, domi passiln turbari idque ob eam caussam, quod nihil ad refectionem corporis paratum [f. 741vJ sit; praeterea in 1nente sibi veniat, quid ncgotii sit, cura1n alioru1n suscipere, pracscrtin1 hominum, qui spetn omne1n in se uno habeant. Ad haec Bernardus suavissimis verbis: 1netu1n deponant, ait; nihil esse, cur vereantur: in Dci praepotentis fide eos esse, cui se ultro n1ancipaverint, qui suos ncque Èalsos unquatn habuit neque destituit. Proinde animum gcrant viris dignu1n, ac brevi confidant fOre, ut qui ipsis adhuc tutclam gcsscrit, idem nunc volens ac propitius perditis ian1 propc rebus adsit. lta poslinodum Deo visu1n, nec irritam sancti voccm esse, qua se inox fratribus futurun1 praesto nuncupavit, ac ten1crariam comprimi 1naledicorum audacia1n. Paucis intcricctis horis, crebrius atque adeo insolentius tractari tintinnabulum auditur. Accurrit illico ianitor neque quemquam offcndit. Miratur quidna1n rei potissimum sit, ac dun1 anin1i dubius n1ulta secu1n agitat, pro1num videt, ex triclinio citato pede insolitisque gestientem gaudiis Priorem recta peterc rogantique sibi; «Satin salvae?». «Salvae», inquit, se modo bono magnos in triclinio cophinos candidissimi panis invenisse duos. Unde aut quis attulerit, ha ud piane nasse. Pergit deinde porro Priorcm dc ca re ccrtiorcm facerc; quen1 in ingressu homincm, o rem miran1! ad cruce1n in pariete defixa1n nixum geni bus ani1nadvertit (elevante spiri tu sarcinam corporis) quattuor ferme cubitis a terra sub limcn, co vultu, ut angelu1n verius quam homincrn diccrcs. Restitit pavidus atque attonito similis protnus, ncc illum interturbare ausus, fratres e vestigio de re monet, quibus turn dcnuo occlusan16 lingua1n fuisse ferunt. Ha ud cquidem fàcile discernerem, in quem illum maxiine convcniat, quod hinc erui documenti potest [f. 742r] in cum potius, qui se regendu1n alienae totum voluntati tradiderit, quam aliorun1 cura1n qui susceperit, ta1netsi affati1n hinc suppetcrc certo sciam unde et uterque, hic quod imitetur capiat; illc pro virili parte, quod vitet. I-Iic ni1nirun1 non tam incertis rebus spcm rei bene gerendae in {per} aevi iudicio, studio diligcntiaquc hun1ana constituendam, quam in unius Dei ape, cx quo salus omniurn pendet et vita; neque religionis navetn, ut scientissìmo gubernatore utatur, ac 01nnibus ornata rebus atque instructa sit, ad 6
occlusam J socclusan1 Cod.
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portu1n bellissi1ne navigare, nequc cursuin conficcre passe unqua1n, nisi secundis venLis Divini Spiritus utatur ille; haud esse religiosi viri, cui quidern quidquid est sapienter atquc adeo fortiter ferendu1n est atque omnibus paupertatis inconunodis eundum obvia1n, quacunque de caussa de scniore detrahere, ubi fortasse tantulum offensum titubatu1nque sit, in quo quidem verba so!ent aliquando, ne dica in saepius, excidere, guae caelestiutn enitn a11imos offendant, coque gravius quo1ninus illud te peccasse intelligas. Sa11e Deus lmmortalis facile pro sua bonitate Bernardum eo quoque dono divinationis ornari passus est; qui profccto iuxta praeterita, ut infra videbitur, ac praesentia providebat. Adolescens est quidam nobili genere natus, hic n1ulierem cum pudicis mori bus tu1n fama praeter ceteras sane honesta, ac liberali 1nisere deperibat; quan1 etsi n1ultotics repulsa1n passus erat, neque minae precesque neque insidiae multum ei processerant, ta1nen ut ne iterum tentaret aggredi, nondun1 ani1num inducebat suum. Mulier cum diu furori ac vi restitisset fortiterque repugnasset, quia nihìlominus petulantius il!e 1niser se gerebat, nec se quotidìe bello petere desistebat, ad Bernar- [f. 742v] duin, cuius iain tun1 inclita iustitia erat, uJique confugit, rem illi, ut erat, exponit. Videat etiam atque etian1, ne quid sua castitas detrimentu1n accipiat, iuvenem esse qui si bi quotidie obstrepat atque adeo probru1n, et vim inferre per i1npudentia1n cogitet. Adeat hominem et cum eo agat, ut ab illa 1nente desistat, ve! aliqua certe ratione ad illa iniuria deterreat. Pollicetur opera Bernardus; ac peropportune ve!uti do1num salutatum venerit, iuvenem convenit; et pri1no quidetn blande ac benigne exceptus, re1n usque sapienter si1nulavit du1n !oca manere hominen1 posset. Qui tantum abfuit, ut ve! viri caritatein acgui bonique faceret ve! de vetere illa diuturnaque sententia depelleretur, ut in deteriorem etiarn raperet partetn, et tun1 max.ime in eaden1 per audacia1n haeresi persisteret; neque deinde ut ad se medicus itaret, medicina1n unquan1 acciperet. Ad ultirnu1n Bernardus, cun1 ia1n vidisset sic ludificari sese neque protècto u!lum unquain esse ren1edium exulceratis vulneribus perditissi1ni iuvenis, quod prodesse amplius posset, poenas ia1ndudun1 illi debitas Dei no1nine denunciat. Id autem sic factu1n accepimus. Cu1n rursus adiisset hoininem neque is ta1nen potestate1n sui fecisset, pro foribus stans ad oratione1n vertitur, ac sensi111 ab his rebus abstractus, in altissi1no quodain exccssu diu persistii-. Max veluti e sanino excitatus haec hon1inis veridicus superum interpres n1initabundus canit: «Perge porro, pergc, 1niserri1ne adolescens, insidiare7 1nulieri, i n1odo age incitatun1, nefaria1n istan1 libidinem explcto. lam iam Deus i1n1no que1n tu res ho1ninu1n minin1e cu- [f. 743r] rare tibi persuades, aeque haec oculis aspicit aeguissi1nis, neque inclitas, inihi crede, suas iniurias patietur esse. lam, ia1n tute tuuin istud corpus, quod 8 ta1n delicate tantaque indulgentia nutriveras, post triduum putridis vermibus con1edendum dabis». Vixdun1 haec dixerat protinus vehe1nenti corripitur febri, guae prius non decessit qua1n triduo, uti praedixerat, iuvenem vita privavisset. Hisce igitur i1nn1ortalibus editis operi bus Bernardus aliisque innumeris, quae ut iniuriis teinporum patent, ita ad nostran1 aetatem nullae pervenerunt, cuin quattuor et triginta annos ab ingressu religionis sancte casteque vixisset, tandem ex his temporurn angustiis ad perpetuos illos divinae bonitatis atnplexus evolavit, ante diem III idus ianuarias, anno ab incarnatione Domini 9 CCCCXXCVI supra inillesimu1n. 7
insidiare] insidiari Cod. quod] que1n Cod. 9 ad incarnatione Doniini] post Virginis partum Cod. (per la discussione ~-u questa data vedi la nota 28 dell'introduzione). 8
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la1n XV a Bcrnardi obitu agebatur annus, curn Divinae Sapientiac visuin, qui obrutus thesaurus satis diu delituisset in terrae venis eu1n defoderc aliquando atque adeo in conspectu1n 01nnium lucemque proferre, quo cuncti inortales intelligerent quantum iis- expediat, qui in Dei praeceptis viri acquiescant, quippc 1nortuis etiam in hac vita maxi1ni habeantur amp!issitnique honores. Nocte quadam dormienti Priori augustissitna specie ac beatissimo lun1ine fulgens Bernardus sese spectandum dedit, increpitans eum, quod suum corpus ta1n diu abditun1 sinc ullo honore fuisse sineret: «Abi, nuncia, inquit, fratribus, Deuin Optimum Maximun1 ita velle ut inde 1neu1n corpus ex com1nuni illa fratrutn sepultura quampriinu1n eruatur et propalan1 in editiore loco qua1n amplissime ponatur». Inde subli1nis abiit. Prior ad priina1n auroran1, ut simul atque otnnes evigilarunt, man- [f. 743vJ datis praevertendum existin1at, fratres illico cogit, quid sibi negotii per quietem Bernardus Dei nomine dederit, enunciat; cu1n rogat, quid in tali re faciendum putent, magnus tum quiden1 fratruin ani1nos incessit tiinor, qui omnes prope una voce haud numinis resistendum voluntati iudicaverunt. Ceterum solemni po1npa du1n procedunt ad extrahendum Beati corpus, ecce sibi sua sponte, vel divino potius instinctu, campanae, ut ipsae quoque con1munìs laetitiae signum aliquod ostenderent, mirandum in modum tinnire incipiunt. Tenet faina, cum iam per urbem ta1n insignis 1niraculi run1or percrebuisset concursusque mortalium undique fìeret ad Beati Do1ninici mirantium quid rei esset, iuvenein ceteroqui nobilein, sed ingenio malo pravoque id rei per licentian1 elisisse atque adeo nullis verboru1n contumeliis dc Dominicanis patri bus pcpercisse: ho1nines esse quaesticulis quibusque attentiores eius1nodi fabulas commentos, ut nin1iru1n vel sanctitatis fan1am aucuparentur ve! hominu1n sibi gratiam conciliarent. Tandem et ipsum, quo erat audacia vir, conscendisse equum et ad coenobium properavisse, non tam studio colendi sacratissin1i corporis, quam uti, siquidem pluribus praesentibus hae res, quas ipse vanas existiinabat, iactarentur, potiore deinde iure et in invidiam apud Catinenses vocare hon1ines sibi liceret, et illustrem sanctoru1n familiam piane perditu1n ire. At praepotens Deus, qui suoruin ve! contra 01nncs hostiu1n impetus propugnationem ha ud unquan1 deposuit, peropportuno te1npore simul vim parat simul co1nprin1it nefaria1n hominis audacia1n. Etcnim ille cu1n admisso equo ad coenobiu1n pervenisset, factum divinitus fuit, ut ex equo repente exci- [f. 744r] deret cadentique plane tibia confringeretur. Tu1n vero fracti simul cum tibia sunt spiritus illi feroces; ut qui antea per itnpudentiam toto loco erectus volitaret neque ullun1 uspian1 vereretur, tum fractus anin10 ac de1nissus hu1ni iaceret neque sublevare sese cx sua parte posset. Nec sat id est n1ali. Domu1n lectica defertur; confèstiin accersuntur undique 1ncdici, qui circun1specto crurc anin1advertunt ia1n morbu1n maiorem in 1nodum auctum esse et in eum quem vulgo sacru1n igne1n appellant, esse conversun1. At iuvenis dun1 lectulo infixus, desperata iam valetudine atrocissi1nisque dolori bus paene confectus, extremu1n sibi in dies i1npendcre fo_tu1n intelligit, divinae lucis radio collustratus, colligit sese diligenterque expendit, unde in se tanta repente labes ingruerit. Haud rarum deinde fuit inventum ren1ediun1, quod adhiberi curiose inspecto vulneri posset. Effusus igitur ad preces lacrymasque, qua propi1-ium nu1nen si bi parat, qua Bernardi gratiam rcconciliat: vere sese gravem in seJnetipsuin co1n1nisisse culpa1n, proinde atrociores bis siquiden1 ita Dei fer1· voluntas, neque deprecari poenas ncque dcprecari n1orten1. Attamen, ubi divinac gloriae animique sui profectui conducat, opern n1isello ferre ne gravctur
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Nec gratuito effusae preccs, nec Bernardus, q uae est anitni dissolutione, diutìus ho1ninem in tormentis passus est esse. Haud rnora morbus caelesti iussu decedit, quen1 antca nec sexccnta 1nedicorum phannaca dcpellere potuissent. I-fine equiden1 tnihi persuadere1n, ho1ninun1 ita stultum 10 fore ncmine1n qui acti cotnpella1n obtrectatoris, magna ipsius 1nercede contu1nacia1n vidcat, !a1nen nihil divinae iustitiae gladium 1norans, pergat et ipse porro per summam audaciam [f. 744v] aegue atque impudcntiam non ferendatn sanctissitni hominis vitae n1anus adinonere. Et quidem duos repertos fuisse hon1ines fèrunt, qui ut acque dari generis viri, sic ambo adeo excordes, ut, sequentes eorum ho1ninum secta1n, qui uti pessun1dent alteru1n verbis, etia1n navem perfOrant, qua ipsi navigent, prudentes et scientcs ad interitum ruerent voluntariun1. Nam cun1 sin1iliter atque illi 11 , religiosos viros ambo iurgiis conviciisque insectando divinu1n numen laedere non horrerent, n10X citatis et i psi equis ad fanun1 adcurrissent, a1nbo poenas il!is dederc, suae quisque tcmeritati <lebitas: alteri enim tibia quoque refracta subito casu, alteri luxatus pes est. Ceterun1 ut prin1u1n Divi ope1n i1nploraverunt, voti co1npotes facti. A<l haec faber lignarius quidan1 n1ultum pro sua animi pietate in extruenda arca, ubi reponi Bernardi corpus quan1 primu1n oportebat, diligenterque elaboraverat. Is ncscio quomodo, parum finniter insistente pede, cum forte scalas conscendisset, praeceps per caput pedesque ad terran1 ivit, ut luxatis artubus corporisque coinpagibus ferme discussis ve! semiani1nis humi iaceret ve! iam n1ortuus a circumstantibus crederetur. Venit interdum ho1nini, du1n proprius periculo est, quam ut hu1nanis 1nedicamentis sanari passe videretur, in mente1n miraculorun1 prodigioru1nque quae multa Bernardus in ho1nines Deo duce patraverat; ac modo tacitus ubi vox torpeat, auxiliu1n petit, modo, quantum se affectun1 corpus sinat, voce contendit: «Respice, pnter atnorosissime, quae tua erga 1nortales est benignitas, 1nisellun1 hominem, qui sua opera in discrimen venit, qua1nqua1n haud ne praeterit quidem, 1ninime me idoneu1n esse [f. 745r] qui hoc impe!Tem. Ac tu ttiae cave ne consu!ueris fa1nae; nam homines quippc non in sua re occupati curiosius res alienas pervestigant observantque ac de illis prout lubet, iudiciu1n faciunt, hanc de te fa_lsan1 a cci pere poterutH opinionen1, te tuos deseruisse in ma!is ac proindc a!ii erunt in 1nora, quominus ad te confugianV•. Dedit opera1n Bernardus iustis fabri precibus, ac peropportune laboranti ferculo opitulatus. Alacer [!le extemplo agilisque absque ulla oHCnsione, perinde atque molle stratun1 cadentetn excepisset, erigit sese nec adeo sine circumstantium adn1iratione optime omniuin ingreditur. Acdituus communem attendens hominu1n devotionen1 dependentes in Bernardi conspectu lychnos accendere fenne quotidie consueverat, sed monitus a Priore ut ne eo portione1n in honorein Bernardu1n honestaret, qui relatis a Ro1nano Pontifice in sanctorum numerum haberi, ut so!itus eade1n nocte Bernardum per somnium videre visus est ex his ferme verbis praescribenten1 sìbi: «Perge porro, ne haesitaveris sanctorum et mihi, ut coepisti, haberc honoren1, lychnos 1nihi accende: itaque gratiam a Deo cui suae ne aegritudine1n parias praecavendu1n ut sedulo, ve! potius anteactae vitae 1naxin1u1n inibis>>. Dieta audiens fuit aedituus: lychnos uti consueverat acccndit, sed ne ex altera parte Prioris i1nperia negligere vi10
stultum] stultu Cod.
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illi] ille Cori.
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deretur, paululun1 lu1nini instillaviL olei, ut paucis horis exstinguendun1 12 appareretu. Sed enim, o rem 1nira1n! tantulun1 illud olei non 1nodo totan1 nocten1 sed die1n etian1 intcgrum enutrivit. Iam vero loannes Vega nulli reru1n gestarun1 gloria in1par, qui plerosque annos Siciliam obtinuit, cuique Siculis 01nnibus discedens iucundam diuturnamque 1nen1oriam iustitiae, [f. 745v] pietatis non1inisque sui reliquit, cun1 longinque ac tabido quodarn in orbo implicitus persaepe Bernardi sepulcru1n pieque viserat, ab eo de valetudine celeriter impetravit. Mulieres quoque quattuor, has et quartana febri et lethali morbo oppressas, illas cum elingues ia1n usque a teneris unguiculis, tum hydropisia laborantes, tac1¡0 du1ntaxat sacro corpore, nequaquam frustrata fides est. Item et P. Bernardo Colnago a Societate lesu, cuius virtutes tot ac tantae extiterunt ut in iis co1nn1endandis imn1ortalitati rnerito scriptorurn 01nniu1n certet industria et sorori eius, haud minime vir!'utis foen1inae, Bernardi cucullus salutem attulit. Alteri enim qucm affatim ex ore sanguine1n abrogata pcctoris vena ac fenne quotidie 1nittebat illico constitit, alteram graviter rnensetn ipsam laboranten1 ex intestinis dolor amplius 1ninime aHlixit. Huc etia1n accedit quod modo gossypium eius corpori tantun11nodo admotu1n, 1nodo aqua guae videlicet tnen1bru1n aliquod lavisset acre 1norbis ut diuturni ac gravissin1i fuerint re1nediu1n fuisse aiunt. Porro paganus quidatn pauperis horti colonus in luculentun1 ca1ninum sors inciderat; is ubi inte!!igit sibi bracchiun1 esse paene flan1mis abruptu1n 14 neque nullu1n periculu1n fore, ne reliqua pars corporis paulatim igni consuineretur, miraculorun1 fan1a pern1otus Bcrnardu1n sibi propltiu1n invocat nec frustra; continuo sibi bracchiu1n restitutun1 videt on1nique ex parte integrum. Iam Catinensis homo e grege illorun1 honlinum qui paterna bona in vino atquc alea !ancinaverunt se suosque ad paupcrtatcm protractos aegre patiens, ludendi n1odu1n a!iquando facere et rei quain 01nne1n expectaverat obsequi decrevit. Verum [f. 746r] quo sibi facilius ten1peraret, iunctis n1anibus ante Bcrnardi arcam nixusque genibus se posthac alea lusurutn nunquam multorum in conspectu recepit. Nec diu mansit pro1nissis homo n1ini1ne 1nalus quin eo ipso die quo voce nuncupaverat ad pristinas iteru111 artes retuli!' sese, scilicet tanta ut corruptela 1nalae consuetudinis, ut per eam ne id quide1n quod sane pervelis praestare unqua1n sibi liceat. Dum igitur aleae addictus, quam de se tÏde1n Bernardo dederat, de ea nihil 01nnino cogitat, ut si bi repente 1nanus 1nirandun1 in modum ambae conglutinantur, ut neque cun1 diu n1ultun1que tentatum csset reglutinari unquam pol'uerint, sensit exte1nplo rniser i usto Dei iudicio suaque 1naxi1ne culpa id si bi incidisse, quod Bernardo verba dederit. Itaque e vestigio ad coenobium advolat; ibi provolutus ingenua venerabundusque ut nequc caput ad caelu1n attolleret demisse pacem ac veniam precatur; ho1nini 1niserri1no, que1n non consilium aliquod aut voluntas scd consuetudo inala pravaque ut plerumque n1ortaliu1n in fraudern induxeri!, qua est prolixa ac benefica natura, opituletur inire; sese 1nini1ne dignum esse qui Bernardi ape sublevetur, cum ne eo quide1n ipso die quo dederat fidem pactus essct; scd tamen bine haud hotninÏs ingratitudini sed suae patissi-
12 exstinguendum] exstincturam corregge e soprrrscri1Je Cod. 13 appareretj aggiunge e poi cancella paro!t1 illeggibile Cori. 14 abruptu1n] abrumptu1n Cori.
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111urn naturae prospiciat quac conservare saepius quarn perdere consuevit. Nec prius aut arare destitit aut abscessit quod inde id quod vellet auferret. Age vero illud quod extremum 1nihi proposueran1, cun1 essen1 de rebus Bernardi dicturus, longe n1ea quidem sententia superioribus antecellit. Commigraverat olim Platia, celeberrima Siciliae urbe atque on1nibus rebus affluenti, Catinam civis e15 primariis [f. 746vJ quidam qui vulgo barones nuncupantur, eo consilio ut Bernardu1n, cuius iam 01nnes Siciliac urbes fiuna pervaserat, sancte veneraretur et sibi proinde ac reliquis, propitium etia1n experiretur. Erat is
omnino arthriticus ac totius paene corporis doloribus obnoxius ut in lectica domi iaceret plerisque spirantis cadaveris potius quam species vivi ho1ninis crederetur. Iubet ergo, ubi multis medica1nentis de!ibutus, tainen rem <in> peius 1nutata1n videt, ad -~acellu1n Bernardo sacru1n deft>rri ibique cogitat usque com1norari dum se ille respiciat. Nec vanum hominis consiliurn. Postridie eius diei fan1iliares eum sui offendunt con!'fa ac rati fuerint e tnisero ilio molestoque malo confinnatu1n. Mirantur pri1no aspectu nec satis credunt, adeo res fide1n exsuperabat illum suuin do1ninum esse, cu1n pridie sero se1ni1nortuum reliquissent. Tande1n actis, ut par erat, prolixc cutnulateque gratiis, alacer sua1nque cum suis f矛delibus do1nu1n ren1eavit, cui cives sui longe ~magna eni1n erat apud illos gratia ~ obvia1n processerunt omnesque qua iter fecit publice legatos gratulatum rnisere. Ha ud satis deinde longo temporis intervallo secum ipse reputare quam opti1ne rebus suis suorun1que civiu111 consuleret si Bernardi corpus 16 apud se haberet: quandoquide1n cum sibi suisque pararet 1nedicu1n qui ve! miserrimis quibusque 1norbis rnederi valeat ve! iam desperatis vita in sa!utemque afferre co1n1nodissimu1n ratus, se suis intin1is quibusque summam rcru1n 01nnium fiden1 habebat, indicare ac de suo consilio confiteri, quos om11es partin1 utilitates maxiinas quae ex re nascerentur, partiin sua beneficia con11nemorando lf. 747r] facile adductus sibi consilii socios adscivit. De rnodo ac die inter eos convenit, quo die alii alio itinere ad certun1 locu1n conveniant. Age sane 01nnibus rebus ad profectione1n coinparatis baro iisque, quibus ipse condixerat, n1agnis itineribus Catina1n, ad Beati Do1ninici contendunt, quo cuin pervenissent te1nplum prinlis se intendentibus tenebris, ingrediuntur, ibi tantisper delitescunt dum omnia quiescant, ac donnientes fratres copia1n sibi faciant qui co1n1nodissi1ne praedatn annectant. Exinde fertur dum illi sese praedae accingerent fuga1nque adornarent eodem te1npore visus esse Bernardus per coenobii atnbu!acra cursitare, cellarum fores pulsare, quemque e somno excitarc: e lectulo quam citissime surgant, ad acdem conferant sese; ita facto 1naturatoque opus esse: fiues perfodisse coenobiu1n, iam 01nnia depopulari, passi1n diripere, cxinanire. Fratres vero rati somniutn fui~se nihil lune quidem hoc run1oris 1norati sunt; sed ubi inox campanae insolenter tinnire audiunt ur, 0111nes confesti1n cvigilant ac a lii ex ali o quacrentes quidnan1 ferat praeproperu1n istud aeris ca1npanac signu1n, 01nnesque quod si bi in somniis Bernardi effigies imperaverit, invice1n enarrantes, quidquid sit haud 1路en1ere esse rentur. Ergo citato gressu ad te1nplun1 advolant; ubi est eo ventu1n, tan1ctsi iissent inclinatis ulla ex parte ad credendum aniinis, cum tatnen {in} eos con1perissent in ingressu, tu1nultuoso crepi tu circa Bernardi corpus trepidantcs, eni1nvero n1anifesta rcs visa patefactaeque coniuratorum fraudes, inibi hon1ines cun1 sua consilia illustrata esse intelligerent, pars tam insigni 1niraculo attoniti quod tot viri ipsam noctetn 01nnibus viribus connixi ne onus qui15 ci vis e] e ci vis Cod. 16 corpus] compararet aggiunge e poi espunge Cori.
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de1n corporis illius /f. 747v] substincre unquan1 - sic enin1 divinitus gravescebat - nedu111 avcrterc valuissent, pars ne e fratribus 1nanifesti iam latrocini i rei con1prehcndcrcntur, 1nagno suffusi pudore, alius alia via sese dedit in pedes. Tun1 fratrcs 1noesti siinul !aetique n1oesti quod nisi co1npertis insidiis parutn abfu첫set quia sibi tatn insignis publice privatirnque decoris 1nateries surriperetur; laeti quod iam caelesti 1nonitu exciti tc1npori neforiae hominun1 audaciac restitissent - sacratissimum corpus ha ud sinc lacryrnis, prolixaque gratiaru1n actione suo loco apte rcposuerunt ac propria 1nercede docti diligentius posthac in tutela sacri corporis excubuerunt.
Il corpo del Beato Bernardo Scan1111acca (chiesa S. Do1nenico, Catania)
(foto A. Ctl/Ă )
LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1702 • 1717)
ADOLFO LONGHITANO *
1. IL VESCOVO ANDREA RIGGIO
Il 26 agosto 1692 la diocesi di Catania era rimasta vacante per la morte del vescovo Francesco Antonio Carafa 1• Per il cattolicissimo re di Spagna Carlo II, che godeva del diritto di presentazione e di patronato, non sembra che ci siano stati problemi nell'indicare alla Santa Sede il nome del successore. Infatti nel gennaio dell'anno seguente Andrea Riggio, giovane rampollo di una delle famiglie emergenti della nobiltà palermitana, a'll'età di appena trentatrè anni, si recava a Roma per essere nominato vescovo di Catania e ricevere la consacrazione episcopale'.
* Docente di Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 A. LoNGHITANO, Le relazioni «ad lùnina}> della diocesi di Catania (1691), in Synaxis 5 (1987) 339-382. 2 Gli storici siciliani scrivono che 1'11 gennaio 1693, giorno del disa~ stroso terremoto che distrusse Catania e gran parte della Sicilia orientale, -·Andrea Riggio si trovava in Calabria, mentre si recava a Roma per ricevere la consacrazione episcopale (A. MONGITORE, Siciliae Sacrae [ ... l D. Rocchi Pirri additiones et correctiones, Typis A. Felicella, Panarmi 1735, 136; V. M. AMICO, Catana illustrata, II, ex typografia S. Trento, Catanae 1741, 513). In realtà il Riggio era stato semplicemente presentato da Carlo II per essere no1ninato vescovo di Catania. Il processo informativo fu istruito il 7 marzo e la bolla di nomina porta la data del 9 marzo 1693 (ARCHIVIO CURIA ARCI· VESCOVILE, Tutt'Atti [ =TA] 1693-1694, 215r-217v).
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La famiglia Riggio aveva raggiunto una certa notorietà verso la metà del secolo, quando nei tumulti popolari del 1647, in assenza del pretore, Stefano Riggio era stato chiamato a far parte dei quattro governatori della città, in uno dei momenti più critici per la dominazione spagnola 3 • La dimostrazione delle sue capacità, data in quei giorni difficili, gli spianò la stra.da ad una brillante carriera e alla nomina di principe di Campofiorito. Suo figlio Luigi, a sua volta, nel 1680 fu nominato principe della Catena'. Dal matrimonio di Luigi con Francesca Saladino nacquero fra gli altri: Stefano, futuro principe di Aci dei Santi Antonio è Filippo, Andrea, che sarà vescovo di Catania dal 1693 al 1717, Ignazio, che dopo aver ricoperto l'ufficio di vicario generale del fratello, ebbe la prebenda ,di arcidiacono a Siracusa, Gioacchino, e fra Carlo dei quali non abbiamo notizie precise'. Andrea nacque a Palermo il 10 marzo 1660 e, come figlio cadetto, si avviò alla carriera ecclesiastica 6 • Dal processo in3 I. LA LUMIA, Giuseppe D'Alesi o i tumulti di Palermo del 1647, in Storie Siciliane (jntr. di F. Giunta), IV, Edizione della Regione Siciliana, Palermo 1969, 7-143: 29. 4 F. M. E. VrLLABIANCA, Della Sicilia nobile, I, nella stamperia dei Santi Apostoli, Palermo 1754, 140-142. s Il Villabianca, scrivendo sui principi di Campofiorito, indica solo i figli primogeniti che succedono nel titolo (l.c.). Andrea Riggio è indicato come figlio del «Signor Principe di Campo Fiorito D. Luigi Riggio» nel processo informativo per la sua nomina episcopale (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Processus Datariae [=PD],70, 101v). Si fa menzione di un fratello di Andrea Riggio nell'atto di procura, redatto a Roma il 12 marzo 1693, con cui il neo vescovo conferisce ampi poteri al padre Luigi e in sua assenza al fratello Stefano (TA 1692-1693, 217v-221v). In una lettera del 5 set· tembre 1702 Andrea Riggio scrive al papa Clemente XI per raccomandare il conferimento dell'arcidiaconato di Siracusa a «fra D. lgnatio Riggio» suo fratello e vicario generale (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Lettere diverse de' signori Vescovi, Prelati e Governatori, Vescovi [=LT), 95, 261v). Nello ARCHIVIO DEL CAPITOLO CATTEDRALE DI CATANIA, Lettere di cardinali, vescovi e altri personaggi dirette al capitolo, troviamo le lettere dei fratelli Gioacchino e fra Carlo, scritte in occasione della traslazione della salma di Andrea Riggio da Roma a Catania (maggio 1727). Pertanto su cinque figli maschi, tre si erano avviati alla carriera ecclesiastica. 6 Negli atti del processo informativo non troviamo acclusa la docu-
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formativo per fa sua nomina a vescovo di Catania risulta che egli conseguì la laurea in utroque iure nell'università la "Sapienza" di Roma e fu ordinato sacerdote verso il 1688 7 • Riteniamo, pertanto, che egli abbia ricevuto la sua formazione umanistica e teologica a Palermo e a Roma. Negli otto anni ,di ministero sacerdotale, come incarico di rilievo nella diocesi di Palermo, svolse l'ufficio di delegato per i monasteri femminili 8, una es·perienza alla quale non mancherà di richiamarsi nelle relazioni ad limina che pubblichiamo 9, a)
La sua personalità e la sua formazione
Uno dei più autorevoli storici di Catania così ce lo descrive: «Fu di statura piccola e di fisionomia piena, di carattere allegro, faceto, accogliente, affettuoso. Sino dai primi anni soggetto aI mal caduco, era la musica, che egli estremamente amava, che mitigava il suo male e raddolciva spesso l'amaro dei suoi affari» 10 • E di amarezza nei suoi affari ne ebbe molta se teniamo 1presenti le tumultuose vicende del suo governo pastorale che lo costrinsero a morire esule a Roma. Considerato il notevole spessore della sua personalità e il periodo critico in cui svolse il ministero episcopale, riteniamo che si assuma un compito tutt'altro che facile chi volesse scrivere la biografia del vescovo Riggio. La gran mole di documenti di cui ·disponiamo, nell'archivio della curia di Catania, nell'archivio vaticano e negli archivi di Stato italiani e spagnoli, co-
mentazione con l'atto di battesimo di A. Riggio. I testi nella loro deposizione si limitano a dire che nel 1693 il candidato aveva ((trentatrè anni in circa» (PD, 101v). La data di nascita è indicata da A. MONGITORE, op. cit., 139. 7 Il teste Giovanni Battista Sidoti depone nel processo informativo: «Saranno da otto anni che è sacerdote» (Po, 101v), «egli è dottore dell'una e l'altra legge e ne ha preso il grado nella Sapienza di Roma» (ibid., 102r). B «Non so che habbia havuta altra carica che di deputato delli monasteri della città di Palermo et ho anco inteso dire che in detta carica si sia portato lodevolmente» (ibid., 103v). ' Relazione 1712, 152r. rn F. FERRARA, Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, dai tipi di L. Dato, Catania 1829, 226.
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stringerebbe il biografo ad un lavoro di ricerca e di studio, anzitutto per ricostruire i fatti 11 • E poiché i fatti salienti nei quali egli è stato protagonista o è stato comunque coinvolto sono molti, si .dovrebbe procedere gradualmente e distinguere momenti e periodi diversi ;della sua vita e del suo governo: la famiglia di provenienza, la sua formazione, l'inizio del suo ministero pastorale e il difficile impatto con le autorità cittadine, i problemi legati alla ricostruzione della città, la riorganizzazione. della diocesi, le controversie giurisdizionali, i suoi rapporti con la corte di Palermo e la Santa Sede, la controversia Uparitana. Solo dopo un esame approfondito di questi fatti è possibile avere un quadro esauriente della sua personalità e confrontarsi con i giudizi, non sempre spassionati, che ci hanno tramandato gli storici locali o chi si è occupato deila controversia liparitana 1'. ' Non essendoci prefissi in questa sede di scrivere la biografia del Riggio, possiamo limitarci ad abbozzare un suo profilo, A parte gli atti del suo governo, che si trovano nei fondi usuali (Tutt'atti [ =TA], Visite [=V], Editti [=E] ... ), c'è da tener presente il volume n1iscellaneo che all'esterno porta il titolo Le glorie del fu /il.mo e Rev.mo Monsignor vescovo di Catania Don Andrea Riggio nell'anno 1693 e all'interno Libbra rosso seu collettanea di lettere, scritture et altri fabbricato nel tempo del governo dell'Jll.mo e Rev.1no D. Andrea Riggio, vescovo di Catania e di suo ordine [=LR] ed in circa mille fogli riporta un gran numero di lettere originali e di documenti in copia dell'episcopato Riggio. Si conservano alcuni registri con atti del suo governo anche nell'ARCHIVIO DEL CAPITOLO CATTEDRALE DI CATANIA (Raccolte di copie duplicate di vari atti del governo di Mons. Andrea Riggio; Rivendicazioni di diritti di immunità ecclesiastica fatta dal vesClJVO di Catania Mons. Andrea Riggio c_ontro l'amministrazione comunale della stessa città; Rivendicazione di diritti giurisdizionali da parte di Mons. Andrea Riggio contro il capitano di giustizia di Catania). Ci ripromettiamo di affrontare in uno studio successivo il ruolo avuto da questo vescovo nella controversia liparitana. 12 Vedi, da esempio, il giudizio sul Riggio, for1nulato mentre infuriava la controversia liparitana, dall'abate Del Maro Daria, regio incaricato di Vittorio Amedeo di Savoia a Roma: <,Ignorante, borioso, violento, operante senza fine preciso» (V. E. STELLARDI, Il regno di Vittorio Amedeo Il di Savoia nell'isola di Sicilia dall'anno MDCCXIII al MDCCXIX, II, tip. Botta, Torino 1863, 130-131). 11
dell'ARCHIVIO DELLA CURIA ARCIVESCOVILE DI CATANIA
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tentando di delineare il suo carattere e di individuare le matrici ,culturali alle quali egli si ispirò nella sua azione. Gli elementi dei quali dobbiamo tener conto credo siano essenzialmente quattro: una intelligenza acuta ma di tipo analitico, una iIJJdubbia capacità di governo, la malattia di cui soffriva (il mal caduco) e la formazione culturale che risente dell'ambiente palermitano e degli insegnamenti ricevuti all'univernità la "Sapienza" di Roma. Andrea Riggio nei suoi scritti e nei suoi interventi dimostra di conoscere i problemi; la sua intelligenza, tuttavia, sembra più incline all'analisi che alla sintesi: un'analisi che dà l'impressione ,cli non far riferimento ad un orizzonte aperto e di ampio respiro, ma di aver bisogno di certezze elementari, nelle quali sono esclusi il margine di dubbio e la possibilità di sfumature diverse 13 • La sua capacità di governo si dimostrò soprattutto nell'opera di ricostruzione e di riorganizzazione della diocesi dopo il terremoto del 1693. Al difficile compito della ricostruzione materiale deHe chiese e degli istituti religiosi bisognava aggiungere anche quello della riorganizzazione delle forze superstiti. Occorreva individuare le realtà vitali che andavano incoraggiate e potenziate e le realtà non più rispondenti alle diverse condizioni sociali. Il quadro del!' organizzazione diocesana, che troviamo dopo H terre~oto, ci presenta una Chiesa più organica e più viva, priva di molti rami secchi che la bufera del terremoto e la capacità di governo ,del Riggio avevano contribuito a far cadere definitivamente. Ma l'intelligenza e la capacità di governo del nostro vescovo erano condizionate dal suo stato di salute e dalla sua formazione culturale. Considerato che il Riggio ricevette regolarmente gli ordini sacri, bisogna concludere o che non soffrisse
13 L'angolo di visuale dal quale egli sembra considerare i problemi pare sia solamente quello del prestigio suo e della Chiesa; un prestigio legittimato dalle dottrine sull'immunità ecclesiastica divulgate da una par· te della cultura teologico-giuridica del tempo. Su questo tema vedi la nota 24.
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di una forma grave di epilessia o che avesse ricevuto una regolare dispensa 14 • Tuttavia sembra fuor di dubbio che questa malattia abbia esercitato un'influenza determinante sulla sua personalità e possa spiegarci due tratti caratteristici del suo comportamento: l'aggressività e la caparbietà 15 • Questa sua menomazione lo avrà spinto a cercare la sicurezza di una Chiesa forte, di una dottrina solida, di una tradizione che potesse evitare le incertezze caratteristiche di posizioni culturali avanzate. Il clima culturale palermitano alla fine del '600 e all'inizio del '700 era tutt'altro che statico e omogeneo. Le polemiche sull'apostolica legazia, che si erano accentuate all'inizio del secolo XVII, dopo la pubblicazione del noto saggio del card. Cesare Baronia 16 , avevano inizialmente assu.nto un carattere spiccata-
14 Le affermazioni del Ferrara «sino dai primi anni soggetto al mal caduco)> ci inducono a credere che il Riggio soffrisse di questa malattia sin dall'infanzia. Le norme canoniche proibivano il conferimento degli ordini sacfi agli epilettici e limitavano l'esercizio del ministero a chi era affetto da questa malattia (Decreto di Graziano, I, Dist. XXXIII, c. 3; II, C. VII, q. 2, cc. 1-2). Ma a certe condizioni era possibile ottenere dalla Santa Sede la dispensa da questa irregolarità. Del resto, anche in epoca a noi più vicina, non mancano esempi di persone che giunsero al vertice della ge· rarchia ecclesiastica pur essendo affette da questa malattia. Si pensi al caso di Pio IX, messo in evidenza dallo studio di A. B. I-'.!ASLER, Conte il papa divenne infallibile. Retroscena del Vaticano I, trad. it., Claudiana, Torino 1982, 95-113, il quale tuttavia nelle sue conclusioni va oltre i limiti di una sana critica storica. 15 Chi è cosciente di avere una menomazione è portato ad assumere nei confronti degli altri un atteggia1nento di difesa e a far valere il proprio punto di vista come forma inconscia di rivalsa. In questi casi l'aggressività e la caparbietà possono diventare sintomo di insicurezza che cerca riferimenti certi per evitare l'angoscia della propria fragilità emotiva e . psicologica. Il rapporto di causalità fra la malattia del Riggio e il suo com~ portamento era stato già ipotizzato dal senato di Catania in una lettera inviata al re di Spagna (S. BoscARINO, Catania: le fortificazioni alla fine del Seicento ed il piano di ricostruzione dopo il terremoto del 1693, in Quaderno dell'istituto dipartin1entale di architettura ed urbanistica. Università di Catania 8 [1976] 69-102: 99, nota 55). 16 11 saggio sulla <<male piantata Monarchia» fu pubblicato in Annali Ecclesiastici, XI, ex Typ. Vaticana, Roma 1605 1 677-710.
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mente politico fra regalisti, che sostenevano la validità della posizione assunta dalla corte e curialisti che facevano proprie le ragioni della Santa Sede. Verso fa seconda metà del secolo, sotto l'influenza delle dottrine cartesiane e gianseniste, la controversia incominciò ad affrontare anche tematiche teologiche. Riscoprendo l'or,dinamento della Chiesa antica, si incominciò a sottolineare l'identità e la autonomia delle diocesi in contrapposizione al rigido centralismo della Santa Sede. In quest'ottica l'apostolica legazia veniva considerata un istituto che conferiva una particolare identità ed autonomia alfa Chiesa siciliana n Una posizione che si trovò convergente con quella che aveva come matrice le dottrine gallicane 18 • Questa concezione più aperta si contrapponeva alla dottrina tradizionale della scolastica, che in ecclesiologia faceva proprie le tesi della ·controriforma e per definire li rapporto fra Chiesa e Stato si rifaceva ai modelli ierocratici degli autori medievali, riveduti dal Bellarmino 19 • Andrea Riggio appare schie-
17 Questa concezione non mancava di una certa ambiguità; infatti non era del tutto evidente che fosse proprio l'assolutismo monarchico a garantire alle Chiese di Sicilia l'autonomia negata dal centralismo romano. Inoltre l'istituto dell'apostolica legazia, più che attuare la riforma e la purificazione della Chiesa, finiva col creare una Chiesa parallela, che esautorava i vescovi e favoriva la permanenza di situazioni aberranti nel clero secolare e regolare. Sul tema vedi le riflessioni di F. M. STABILE, Il clero palermitano nel primo decennio dell'unità d'Italia (1860-1870), Istituto di Scienze Religiose, Palermo 1978, 175-200. 1s Per il clima culturale che c'era in Sicilia e a Palermo alla fine del '600 e all'inizio del '700 vedi M. CONDORELLI, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani del secolo XVIII, in Il diritto ecclesiastico 68 (195'7) I, 306-385. Il saggio è particolarmente interessante per conoscere le matrici ideologiche alle quali si ispiravano i diversi personaggi coevi al Riggio. 19 Per l'analisi delle dottrine e delle circostanze storiche che determinarono la nascita della cristianità vedi in particolare: G. LADNER, The concepts of «Ecclesia» and «Christianitas» and their relation to the idea of papa! «Plenitudo potestatis)} from Gregory VII to Boniface VIII (Totius collectionis n. 52), in AA.Vv., Sacerdozio e Regno da Gregorio VII a Boni~ facio VIII, PuG, Roma 1954, 49-77; F. KEMPF, Das Problem der Christianitas
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rato fra i più accesi sostenitori delle dottrine curialiste e della concezione ecclesiologica romana. Una posizione che si sarà rafforzata e avrà trovato le giustificazioni teologico-giuridiche nel corso di studi aH'università romana la "Sapienza" 1per conseguire la laurea in utroque iure. Sappiamo che nel secolo XVII le università europee erano in crisi. Dall'originario modello improntato alla libera ricerca e all'autonomia si era passati man mano a forme di controllo autoritario, che finiva con l'esautorare progressivamente le antiche magistrature accademiche e ridurle ad eseguire solo compiti formali 20 • Negli atenei dei domìni ecclesiastici l'atmosfera era più soffocante che altrove e risultava poco idonea alla libera ricerca o alla ,fioritura di i.dee nuove. La "Sapienza", inserita com'era nell'ordinamento di uno Stato legato ancora a schemi medievali e sostanzialmente chiuso agli influssi della cultura moderna, «continuava a porre ancora al centro della visione politica il grande ideale unitario .della Res publica christiana, ignorando sia sul piano ,della realizzazione concreta, sia a livello di teorizzazione, l'esistenza, ormai da tempo affermatasi, del modello organizzativo dello Stato moderno, fondato proprio sulla rottura di quello schema»". Era ovvio che nelle facoltà giuridiche si insegnasse agli alunni la dottrina che faceva da supporto a questo ideale e si dessero per scontate le tesi più intransigenti sostenute dalla curia romana in ecclesiologia
im 12. u. 13. Jahrhundert, in Historisches Jahrbuch 79 (1960) 104-223; Y. CoNGAR, L'ecclésiologie du haut Moyen-Age, Cerf, Paris 1968; Io., L'Eglise de saint Augustin à l'epoque moderne, Cerf, Paris 1970; AA.VV., La cristiaD nità dei secoli Xl e XII in Occidente: coscienza e struttura di una società, Vita e Pensiero, Milano 1983; AA.Vv., Chiesa, diritto e ordinamento della "Societas christiana" nei secoli XI e XII, Vita e Pensiero, Milano 1986; atti del colloquio tenuto a Idice nel maggio del 1983 sul tema «Forme e problemi attuali della cristianità)) pubblicati in Cristianesimo nella storia 5 (1984) 29-166; G, ALBERIGO, La Chiesa nella storia, Paideia, Brescia 1988 e la bibliografia indicata in quest'ultimo volume. 20 M. R. DE SIMONE, La «Sapienza)) romana nel Settecento, Edizioni dell'ateneo, Roma 1980, 15-61. 21 Ibid., 24-25.
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e in tema di rapporti fra autorità ecclesiastica ed autorità civile 22 • Secondo l'insegnamento ricevuto, Andrea Riggio assunse un atteggiamento -di incondizionata e acritica sottomissione alle direttive pontificie e si preoccupò di mantenere un continuo rapporto epistolare con il papa e la curia romana, sia per conoscere e attuare le loro direttive, sia per informar.li dei suoi progetti e delle sue decisioni "- Per lui era fuori discussione l'egemonia dell'autorità ecclesiastica nell'ordinamento della società; le diverse forme di immunità accordate in epoca medievale alla Chiesa e agli ecclesiastici diventavano diritti inalienabili per i quali valeva la pena battersi rischiando anche la morte o l'esilio 24 • Comprendiamo, pertanto, 1perché egli abbia
22 E' probabile che al tempo in cui Andrea Riggio conseguì la laurea in utroque iure, in tema di rapporti fra Chiesa e Stato si insegnasse alla «Sapienza>} la dottrina del Bellarmino, che aveva abbandonato le posizioni intransigenti di Egidio Romano e di Giacomo da Viterbo sulla potestà diretta della Chiesa in temporalibus, per affermare invece una potestà indiretta. Per una esposizione delle diverse dottrine sull'argomento vedi A. OTTAVIANI, Institutiones iuris publici ecclesiastici, II, Typis Polyglottis Vaticanis 19604, 100-168. Sulla posizione assunta dal Bellarmino: S. TROMP, De
evolutione doctrinae potestatis indirectae Romani Pontificis in res temporales, in Acta Congressus iuridici internationalis, III, Romae 1936, 95-107; J. CouRTNEY MURRAY, Robert Bellar1nin on the indirect power, in Theological Studies 9 (1948) 491-535. Tuttavia fa notare il Congar che se il Bellarmino, rischiando l'indice dei libri proibiti, ruppe con la dottrina tradizionale nel sostenere con i domenicani che Gesù Cristo come uomo e il papa suo vicario non hanno il dominio temporale sull'universo, quando invece passò a spiegare il concetto dì potere indiretto del papa in temporalibus sotto il regime di un principe cattolico, finì col rifarsi al modello medievale della cristianità, nella quale il potere ecclesiastico e il potere civile costituiscono un'unica realtà, come l'anima e il corpo costituiscono l'uomo. (Y. CONGAR, L'Eglise ... , ci!., 374-375). 23 Questa frequente corrispondenza sarà stata agevolata dalla conoscenza degli ambienti della curia e dai rapporti personali di amicizia instaurati con diversi prelati influenti durante la sua permanenza a Roma per il conseguimento della laurea. 24 Dai canonisti del tempo l'in1munità ecclesiastica era definita: il diritto con cui le chiese, gli altri luoghi sacri, le persone ecclesiastiche e i beni di loro proprietà sono liberi e immuni dalle prestazioni, dagli oneri
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posto come primo obiettivo del suo governo pastorale la difesa delle cosiddette immunità ecclesiastiche, impegnando tutte le sue risorse personali nella realizzazione di un modello sociale già in gran parte superato. b)
L'ingresso in diocesi e il programma di governo
La bolla di nomina di Andrea Riggio a vescovo di Catania porta la data del 9 marzo 1693 25 • In essa leggiamo l'esortazione a ricostruire la cattedrale e l'episcopio 26 • Il 15 successivo, .domenica delle palme, gli fu conferita la consacrazione episcopale con l'ingiunzione di raggiungere al più presto la città di Catania 27 • Per il suo ingresso in diocesi non poteva essere osservato il consueto protocollo, che comportava l'incontro alla porta di Aci e il corteo per tutta la via della Luminaria fino alla
secolari e dagli :ftti che contrastano con la santità e la reverenza loro dovuta. Si distingueva, pertanto, una imn1unità locale, reale e personale. Alla base dell'affermazione di questo diritto troviamo una concezione teocratica della società, che si giustificava con il prevalente riferimento ai testi dell'Antico Testa1nento (si legga ad esempio il brano del Concilio Lateranense IV riportato dalle decretali di Gregorio IX, III, 49, c. 4). Per la trattazione dell'argon1ento vedi la voce lm1nunitas ecclesiastica in L. FERRARIS, Pro111pta bibliotheca canonica, iuridica, n1oralis, theologica, IV, Migne, Paris 1858, 317-406. " TA 1692-1693, 215r-217v. 26 (<Volun1us autcn1 quod ccclesia cathedralis et domus episcopalis reparationibus et respectivc rcedificationibus pro viribus incumbas» (ibid., 217r}. Appare strana, nella situazione in cui si trovava la diocesi di Catania, l'altra raccomandazione di istituire le prebende del teologo e del penitenziere: «Necnon theologalein et penitentiaria1n prebendas ad prescriptum concilii Tridentini instituas)), e quella di erigere il monte di pietà <<montemque pietatis erigas conscientiam tuam in his oncrantes» (Le.). Si tenga presente che l'esistenza di questo istituto era già documentata nella relazione ad lilnina del 1612 del vescovo Bonaventura Secusio (A. LONGHITANO, Le relazioni <(ad lin1ina)> della diocesi di Catania [1590-1632], in Synaxis 1 [1983], 251). 27 A. MoNGITORE, op. cit., 136. Questo autore scrive che al Riggio furono condonate le tasse dovute alla camera apostolica con l'obbligo di impegnare le somme equivalenti nella ricostruzione della cattedrale.
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cattedrale 28 ; imfatti, anche se fin dal mese di febbraio era stato già aperto un varco per collegare la porta di Aci con le rovine della cattedrale, non era pensabile un corteo fra le macerie in una città completamente distrutta, mentre i superstiti erano accampati alla meglio in baracche fuori le mura 29 • C'era, comunque, in tutti la ferma volontà di ricostruire al più presto la città e la presenza del nuovo vescovo costituiva un ulteriore motivo di speranza. Andrea Riggio si mise subito al lavoro e in una lettera scritta al papa il 29 maggio 1693, a distanza di un mese dal suo ingresso in diocesi, diede un primo resoconto della sua attività. Dopo una difficile navigazione era giunto a Catania, do-
2s A. MERLINO, Cronaca siciliana del secolo XVI, a cura di V. Epifanio e A. Gulli, Stabiliinento tipografico Virzì, Palermo 1902, 153. Andrea Riggio con una procura del 12 Inarzo 1693, redatta dinanzi al segretario della camera apostolica, conferì al padre Luigi, principe di Campofiorito, tutti i poteri, con1preso quello di nominare il vicario generale e i vicari foranei (TA 1692-1693, 217v-221v). In forza della procura ricevuta, il padre, il 24 marzo 1693, incaricò il principe Don Antonio Paternò e Sigona di prendere possesso della diocesi per conto del figlio Andrea (ibid., 222r-222v) e nominò vicario generale il can, Giuseppe Cclestre e Venthniglia (l.c.), uno dei pochi superstiti fra i canonici della cattedrale, che si era prodigato per dare i pri1ni soccorsi dopo il terremoto e per convincere i suoi concittadini ad iniziare al più presto l'opera della ricostruzione (F. FERRARA, op. cit., 211). Il vescovo giunse in diocesi il mese successivo. Il primo atto da lui firmato porta la data del 22 aprile 1693 (TA 1692-1693, 246v·247r). 29 {(Il duca di Camastra era riuscito appena dopo alcuni giorni nel pieno dei problemi del primo soccorso ad eseguire le due strade lungo le quali i "cavalieri" potevano ricostruire le loro case [ ... ]. Le strade realizzate già alla fine di febbraio erano [ ... ] la via Uzeda (oggi Etnea), che collegava la provenienza nord-sud da Messina tramite la porta di Aci con la platea magna, la piazza dove sorge la cattedrale, e l'altra che rappresentava il collegamento est-ovest tra la pianura e questa piazza. Tale collegamento fu assicurato da due strade: via San Filippo (oggi Garibaldi) posta in asse con le absidi del duomo normanno superstiti e la via detta di San Francesco o del Corso (oggi Vittorio Emanuele), che, pur non essendo parallela alla prima, segue lo stesso percorso e serviva a collegare, attraverso la porta dell'Arcora, le ricche zone agricole della pianura, da cui la città riceveva alimenti e ricchezza, con il centro urbano» (S. BoSCARINO, op. cit., 82-83).
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ve fu accolto con g10ia dagli 8.000 abitanti dei circa 22.000 che contava la città prima del terremoto. Fuori le mura della città fece costruire delle baracche da adibire come cattedrale e come sua abitazione. Il giorno successivo riunì il popolo per confor. tarlo e impartirgli la benedizione. Il suo primo pensiero fu rivolto alle monache su11erstiti: le riunì in un unico monastero, ma riservando ad esse ambienti distinti, secondo l'istituto di appartenenza. Fece richiamare le monache che erano state ac· colte presso parenti a Palermo o dal vescovo di Messina. Fece il giro dei singoli comuni della diocesi e, constatando che le case e le chiese delle due città di Aci, di Mascali e dei paesi vicini erano state distrutte, ordinò di costruire delle chiese provvisorie in baracche per l'amministrazione dei sacramenti. Nella città di Agira riuscì a comporre una delle tante liti che da tempo contrapponevano i membri delle quattro collegiate. Af· fidò alla cura dei vicari foranei le monache superstiti, dando disposizioni di informarlo ogni quindici gionni del loro stato. Ridusse al minimo le tasse di curia e distribuì i proventi ai poveri 30 •
Jo {(Beatissime Pater, ad pcdes Beatitudinis Vestrae provolutus, 1nemor observantiae sanctis pcdibus debitae el beneficiis benigne mihi collatis, de meo appulsu Catanam scdem episcopalem Beatitudinem Vestram certiorem facio. Appuli, Deo favente post laboriosam navigationem incolumis, Catanam a civibus hilaritcr exceptus, qui ad octo mille cum exteris ex viginti duobus millibus et ultra extra urbis ambitum superstites extant in domibus tabulatis. Cathedralem ecclcsian1 extra muros trabibus ac tabulis excitavi, statim curavi propeque can1 hospitium n1ihi tabulis componi; postridie populun1 in cadem ccc\esia benedixi'. Deinde moniales adivi ex tredecin1 monasteriis superstites easque conclusas uno ambitu sed unoquoque monasterio, tabulatis domibus distincto, ibique una cum 01nnibus constitui quae fores clausurae observaret. Postmodum advocari moniales mandavi, quae ve! a consanguincis Panormum delatae ve! auxilio destitutae ad Messanensem archiepiscopum confugerant ab eo benigne acceptac et ab eodem monialibus adiunctae. Postea ad dioecesim conversus, ecclesiarum statu perquisito, utriusque Acis ecclesias item ac domos et circum iacentium pagorum omnino dirutas inveni et Mascalis item huius episcopatus patrimoniun1 in his omnibus et a1iis urbibus et pagis, quibus aliquod malum a terremotibus illatum, dum adhuc frequentes terremotus instant, ecclesias tabulis conficiendas et in illis ministranda sacra-
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Ma nell'ottobre successivo inviò al papa una lettera di tutt'altro tenore, nella quale si delinea sin dall'inizio il suo difficile rapporto con le autorità e la nobiltà cittadine: «Beatissimo Padre, giunto a pena in questa città di Catania ad esercitare la carica di prelato, da Vostra Santità benignamente concessami, trovai invece di accoglienze solite in ogni parte, un apparecchio numeroso di calunnie ed inquietudini, originate solo dal genio de' catanesi, non ad altro proclive che a perseguitare i loro vescovi dal giorno dell'entrata fin alla morte, come si sperimentò di Cutelli, Gussio, Massimo, Branciforti, Astalli ed ultimamente Caraffa, miei predecessori e riflettendo che caggione delle lor pcrsecutioni è solamente l'animo invitto con che hanno atteso al maggior accerto del servitio divino ed ad estirpare li vitii e coltivare le virtù, guardando con occhio destro l'immunità ecclesiastica che qui pretendono di opprin1erla ed annullarla dall'intuito, mi diedi ad imitar coraggiosan1entc li miei anteccssori cd ad espormi a qualunque continova turbatione per compire colla mia coscienza e coll'obbligo di quel impiego che indegnan1ente sto esercitando. Ho applicato a moltissimi assurdi scandali e peccati che giornaln1ente correvano, quei ripari che per non tediare l'alta mente di Vostra Santità ho data incombenza all'abbate Giovanni Battista Sidoti, che li rappresenti a suoi santi piedi ed
menta indixi. Dissidentcs inter se quatuor collegiatas erectas in urbe Sancii Philippi Argirlonis composui, advocatis a me quatuor prioribus collegiatarum et assignatis unicuique partibus et legibus in posterum scrvandis hilares ad patriam cum magna illorum civium letitia dimisi. Vicariis locorum monialium cura enixe commendata, quae servanda esseni et quae ad meam notitiam scribenda singulis quindecim diebus statuì. Proventus ex negotiis curiae ad veterem normam idest modicam redigi et de eis in dies pauperibus distribuì volui, Beatitudinis Vestrae pauperum patris exe1nplo edoctus. Haec hactenus Deum precor ut Sanctitatem Vestram propter fideliun1 omnium gaudiu1n incolumem servet ac pedibus vestris humiliter provolutus, eos revcrenter osculans, paternam benedictionem precor benigne largiri dignetur. 29 maii 1693. Andreas, episcopus Catanensis» (Lr, vol. 83, 112r-112v). Segue una postilla con le indicazioni per la risposta. «Dalla Segreteria di Stato, 24 luglio 1693. Si contenterà Mons. Fabroni di rispondere all'annessa lettera di Mons. Vescovo di Catania, compatendo le disgrazie che rappresenta e lodando il suo zelo». La lettera fu scritta il 25 luglio 1693. Il card. Spada si fece portavoce dei sentimenti di comprensione e di stitna del papa per la situazione in cui il vescovo si era venuto a trovare e per l'opera da lui iniziata (TA 16931694, 3r-3v).
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ho procurato di ristorar al possibile la libertà della Chiesa come lo se· guirò fin che vivo. Da qua si è mossa la nobiltà catanese a mandare più e più memoriali firmati con nomi supposti e di tal uno (che non si ha havuto mai notizia non che pensiero di farli) contro li n1iei andamenti, così al vicerè come anche al giudice della Monarchia; se ben (1ncrcé gratia di Dio) non sol da questo, che alla fine è ecclesiastico, ma dal duca d'Usseda, ch'è governante secolare, son venute tutte approvate e lodate le mie opcrationi. Intendo ora che gli stessi n1ernoriali ed in 1naggior numero siano passati a cotesta Sagra Congregatione, firmati pure, secondo lo stile che insinuano que· ste falde di Mongibcllo, da non1i di persone che tutt'altro han pensato che di scriversi. Io prendo da ciò 1naggior cuore a difendere l'onor di Dio e della sua Santa Chiesa ed a ben custodire le sue spose ne' monasteri ed a guardar le loro rendite e patrin1oni co' quali erano avvezzi a vivere il più cli questi cavalieri, sapendo di cefto che dal supremo zelo di Vostra Santità che porta le veci di Cristo, 1ne ne sarà con tutta clemenza e pietà retribuita la difesa, non solo in quello che fin oggi han rappresentato ma in tutto quel che saran per rappresentare, per tenermi esercitato mentre havrò vita. E qui adorando hun1ilmente Vostra Santità a' suoi santi piedi prostrato la supplico con ogni riverente ossequio a benedirmi. Catania, 28 ottobre 1693. Di Vostra Santità humilissimo et obligatissimo servo, Andrea, vescovo di Catania» 31,
In queste due lettere possiamo individuare il programma di governo, che Andrea Riggio si prefiggeva di attuare durante gli anni della sua permanenza in diocesi, e la difficile situazione che si venne a creare nel suo rapporto con le autorità e i notabili della diocesi. Il suo programma può essere sintetizzato nei
JI Lr, val. 83, 334r-335r. Alla lettera del Riggio sono annesse due note: «Dalla Segreteria di Stato. Prin10 diccn1bre 1693. Mons. Altoviti visto che havrà il tenor dell'annessa lettera di Monsignor Vescovo di Cattania, sarà contento avvisare in Segreteria di Stato se vi sia alcun ricorso contro di lui et in che consista, con ri1nandar la 1nedesin1a lettera. Dalla Segreteria dei Vescovi e Regolari. 3 dice1nbre 1693. Tempo fa comparve un men1orialuccio cieco di cui non fu fatto conto alcuno e da allhora in qua non vi è stato altro ricorso. Altoviti» (ibid. 333r). F. Fichera accenna ad un do" cumento da lui consultato nell'archivio comunale «pieno di vituperii e dileggi contro il vescovo, che vi è presentato in una collana di quaranta peccati, tutti quelli inortali compresi>> (F. FICHERA, Una città settecentesca, Soc. editrice d'arte illustrata, Roma 1925, 9).
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seguenti punti: la ricostruzione materiale delle chiese, dei mo· nasteri, del seminario, degli istituti pii; la riorganizzazione e il governo della diocesi; la difesa delle immunità ecclesiastiche a partire dalla concezione che egli ha della Chiesa e del suo ruolo nella società. La difesa delle immunità ecclesiastiche, più che un punto del suo programma, deve essere considerata la preoccupazione dominante che condizionerà il comportamento del vescovo dall'inizio del suo episcopato fino agli anni dell'esilio. Dalle espres· sioni che usa nell'ultima lettera si intuisce che egli concepisce il suo ministero in termini .di conflitto: in una società ritenuta ostile, che si prefigge di limitare o annullare del tutto !'immuni· tà ecclesiastica, egli si sente investito del compito di difenderla con coraggio, anche a costo di mettersi in contrasto con tutti e di andare incontro a persecuzioni. -
La ricostruzione
L'opera di ricostruzione materiale delle chiese e degli isti· tuti religiosi, alla quale si dedicò ·subito con impegno 32, fu con· 32 Per la ricostruzione della città dopo il terremoto e in particolare degli edifici religiosi vedi: B. GENTILE CUSA, Piano regolatore del risana~ n'lento e per l'a1nplian'lento della città di Catania, Tipografia C. Galatola, Catania 1898; F. FrcHERA, op. cit.; Io., G. B. Vaccarini e l'architettura del Settecento in Sicilia, I, Reale Accademia d'Italia, Roma 1934; S. BoscARINO, Le vicende urbanistiche, in AA.VV., Catania conte1nporanea. Cento anni di vita econoniica (a cura di A. Petina), Ist. di storia econotrdca dell'università, Catania 1976, 103-182; Io., Catania ... , cit., questo saggio è particolarmente importante perché scritto sulla base di un'ampia ed inedita documenta· zione raccolta negli archivi di Spagna; A. GUIDONI MARINO, Urbanistica e "Ancien Régime" nella Sicilia barocca, in Storia della città 2 (1977) 3-96; G. DATO, La città di Catania. Ponna e struttura 1693-1833, Officina edizioni, Roma 1983; H. RAYMOND, De l'urbanistique baroque à l'urbanistique des lumièrs: la Sicile urbaine au 18ème siècle, in La Sicilia nel Settecento. Atti del convegno di studi tenuto a Messina nei giorni 2-4 ottobre 1981, Il, Università degli studi, Messina 1986, 637-673. Quest'ultimo autore ritiene che gli storici mentre hanno sopravvalutato l'influenza degli ecclesiastici nella prima fase della ricostruzione (la definizione dei progetti), l'hanno sottovlautato nella seconda (la scelta dei terreni per l'edilizia religiosa).
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!rassegnata da questo atteggiamento di forza che egli assunse nei confronti delle autorità cittadine. Nel suo comportamento dava l'impressione di non conoscere limiti: assunse un ruolo di protagonista all'interno della commissione costituita per stabilire i criteri della ricostruzione ll, fece appello ai diritti che il vescovo di Catania vantava al tempo dei normanni sulla città come signore feudale 34 , non accettava i vincoli urbanistici generali e i criteri stabiliti per la riedificazione della città, il suo dinamismo sembrava rasentare la violenza e l'arroganza 35 • Se non tutte le sue pretese furono accolte, riuscì comunque ad assicurarsi una situazione di privilegio nell'assegnazione dei terreni per l'edificazione delle chiese, degli istituti e delle abitazioni private del clero 36 • Per poter disporre delle ingenti somme necessarie alla rie-
33 Consiglio ed Can1astra, col voto reedifìcazione della 217-225. 34 V. M. AMICO,
35
s.
BOSCARTNO,
istruzioni fatte dal vicario generale duca, che fu di dell'ill.1no senato e corpo ecclesiastico per la nuova città di Catania, in F. FrcnERA, G. B. Vaccarini, cit., op. cit., 513; B. GENTILE CusA, op. cìt., 46. Catania .. ., cit., 99, nota 55; A. GUIDONI MARINO, op. cit.,
36-39. 36 A proposito della ricostruzione della città si è fatto notare giustamente: «Molti degli storici che si sono occupati più o meno direttamente delle vicende della ricostruzione della città di Catania sottolineano, con una visione idealistica della «comunità che risorge», la capacità quasi "miracolosa" delle cosiddette "forze cittadine" di procedere, in tempi relativamente brevi, alla riedificazione urbana. Nel cumulo delle "forze cittadine" vengono collocati sia la nobiltà ed il clero che i ceti popolari, tutti egualmente intenti, al di sopra degli interessi della propria classe di appartenenza, ad un fervore di opere per la ricostruzione della città che segna inequivocabilmente tutto il primo Settecento. In realtà i soggetti principali della ricostruzione sono la nobiltà ed il clero·, favoriti nelle loro iniziative edificatorie dalie disposizioni generali dettate dal governo di Madrid sulla esenzione delle gabelie da concedere a tutte le città terremotate» (G. DATO, op. cit., 30), «L'alleanza nuova che si stabilisce è quella fra il clero e le borghesie urbane, con la partecipazione di alcuni baroni illuminati, primo fra tutti il principe di Camastra, l'isolamento della parte più retriva e conservatrice della classe aristocratica (molti comunque seguiranno "a rimorchio" questa iniziativa), l'annullamento della volontà e d;g·u interessi del popolo» (A. GUIDONI MARINO, op. cit., 29).
Andrea Riggio (busto tnarmoreo del 1nausoleo eretto dallo stesso vescovo nella cattedrale di Catania) (foto A. Cajii)
Iscrizione del n1ausoleo (cattedrale di Catania)
(foto A. CafĂ )
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dificazione, chiese e ottenne dalla Santa Sede l'autorizzazione ad utilizzare i frutti di legati, messe, cappellanie che con la morte delle persone e la .distruzione degli istituti non potevano più essere impiegati per i fini voluti dai testatori 37 • Al fine di
37 Il rescritto originale della Santa Sede si trova in LR, 126r, ed è stato ampiamente utilizzato dagli storici nella trascrizione poco accurata di V. CASAGRANDI, La risurrezione della Catania religiosa dopo il terremoto del 1693, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale (=Asso) 3 (1906) 8HS, dove il numero complessivo dei morti a causa del terremoto da 93.000 diventa 930.000, una cifra del tutto improbabile, recepita acriticamente dalla letteratura successiva (A. GUIDONI MARINO, op. cit., 39). L'autrice di questo stesso saggio sembra non distinguere i frutti dei legati, di cui i vescovi possono disporre in seguito al rescritto pontificio, e «i beni dei morti» che nessuna autorizzazione pontificia poteva rendere utilizzabili da parte dei due vescovi siciliani (ibid., 29). <(Beatissimo Padre, li vescovi di Catania e Siracusa, humili oratori della Santità Vostra, reverentemente l'espongono le deplorabili miserie del Regno di Sicilia e sopra tutto delle loro diocesi oppresse dal terremoto, che tuttavia va seguitando con fierissime scosse, l'ultima delle quali sono seguite il primo e a 16 di aprile, contandosi sin al presente 700 chiese rovinate, 250 tra conventi e monasteri distrutti, 22 collegiate, 2 cattedrali e 49 tra terre e città desolate, con il lacrimevole eccidio di 93.000 persone morte. Dalla quale universale desolatione si son rese affatto ineseguibili le pie dispositioni dei fedeli nelli legati, messe, cappellanie e sopra tutto otiose l'entrate seu rendite delle chiese, monasteri, confraternità et altre communità religiose e per esser la maggior parte di esse distrutte e le monache in numero di 2.000 e più in campagna, oltre innumerabili altri religiosi, li quali non possono convivere nelle loro osservanze per difetto di conventi e chiese, supplicano perciò la paterna carità della Santità Vostra volerli dar facoltà che passino applicare li frutti di detti legati, dispositioni pie, cappellanie et entrate in ristoratione delle chiese più necessarie, come sono la cattedrale, parrocchie, monasteri e conventi ad effetto che, riedificate le chiese, passino col ten1po rendersi eseguibili le pie volontà dei fedeli. Il tutto sperano dalla pietà della Santità Vostra rimettendosi all'arbitrio delli oratori, acciò havute le facoltà necessarie, passino provedere a quel miserabile gregge. Che, etc. Die 2 maii 1693. Sacra Congregatio Eminentissimorum S. R. E. cardinalium Concili Tridentini interpretum ad quam Sanct.mus Dominus noster supplicem hunc libellum remisit pro voto, rescripsit sccretario cum Sanctitate sua pro facultate obtinenda. Et facta per eundem secretarium de praemissis relatione, in audientia habita diebus 9 et 23 currentis maii, Sanctitas Sua petita1n facultatem episcopis oratoribus benigne concessit per quinquennium proximu1n tantum, vocatis interesse habentibus, si qui supersunt, et
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conoscere le disponibilità economiche sulle quali poteva contare, ordinò un censimento dei beni ecclesiastid 38 • Nei ,documenti dei primi mesi di governo si nota chiaramente la decisa volontà del Riggio di procedere con sollecitudine al lavoro di ricostruzione; perciò sprona gli ecclesiastici e i responsabili degli istituti pH
dummodo redditus praefati in causarn expressam pro erectione et respective restauratione monasteriorum, parochialium et piarum domorum erogentur. G. Card. Mariscottus, Proprefectus Sacrae Congregationis Concilii. R. Patti, Secretarius. Gratis etian1 quoad secreteriam» (LR, 126r). 38 «Per le robbe perse per il terremoto. Andreas Episcopus, etc. Perché monsignor mio ili.mo e rev .mo mi ha ve ordinato come buon pastore d'attendere et invigilare alla celere reedificatione e pronta reparatione delle chiese, monasterii, conventi, colleggi et altre case religiose di tutta Ja città di Catania distrutti per causa del terremoto occorso al1'11 del tra" scorso inese di gennaro 1693, tanto necessarie per il mantenimento et osservanza della fede cattolica nelJa quale questa sudetta città sempre si ha mantenuto, il che è la cosa più principale per la salvezza dell'anime, e volendo noi mettere in essecutione l'ordini di detto ili.mo e rev.mo monsi" gnore, habbiamo stimato necessario di sapersi prima tutti l'effetti, rendite, denari, oro, argento, ra1no, robbe mobili e suppellettili, cosi di chiese come di tutte le altre occurrenze e necessità et altre di questa sorte e saperne ancora le perdite havute per causa di detto terremoto e tutti l'obblighi e legati pii et altri che hanno tutte le suddette chiese, monasteri, conventi, colleggi et altre case religiose. Che però in virtù del presente nostro pub" blico editto si notificano tutti l'officiali o superiori, abbati, priori, vicari, rettori, governatori, amministratori et a tutti e qualsivoglia altri officiali che al presente sono di tutte le suddette chiese, monasteri, colleggi con" venti e altre case religiose di tutta questa suddetta cità che fra il termine di giorni quindici vogliano ed abbiano et ogni uno di loro voglia ed abbia revelare et haver revelato in scriptis nella nostra Gran Corte Vescovile tutti !'effetti, rendite, denari contanti, oro, argento, ramo et ogni altra sorte di metallo, robbe mobili o supellettili, cosi di chiese come di tutti !'altri servizii et occurrenze et altri di quessa sorte senza però niente escludere, corompere <et> revelare tutto quello che hanno perso cosi di stabili, rendite et altri simili some di mobili annesa a tutti l'obblighi o legati pii che hanno tutte le suddette chiese, monasteri, conventi, colleggi et altre case religiose etc. sotto la pena di interdetto delle chiese, carceratione delle persone ed altre pene ad monsignor Hl.mo e rev.mo commisse. Datum Catanae, die 8 iunii, II ind., 1693. D. Ioseph Celestre, vi· carius generalis. Antoninus Tiranti, magister notarius» (E 1679·1694, 81v~ 82v).
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a procedere nel lavoro di sgombero per la ricerca «delle robbe forse sotto le rovine rimaste», in modo che «da quale ritardamento» non si venisse «ad impedire l'avanzarsi la bramata reedificazione di città e chiese suddette» 39 • In un altro editto il vicario generale invita il clero a presentarsi a lui entro quindici giorni per avere assegnato il terreno per la costruzione della casa, prima che altri potessero occupare i luoghi più idonei
39 «Andreas Episcopus Catanensis, Perché preme ed importa molto al servicio dcl Signore e del suo divino culto come pure al servicio di Stia Maestà e di questo publico catanese che si- sollecitasse la reedificatione di Catania secondo le regole e n1isure con tutta attentione stabilite, con quelle chiese, parrocchie, oratorii, lochi pii ed altri necessari al divino culto. E perché da molti ecclesiastici si è ritardato scavare e disterrare le sue robbe forse sotto _le rovine rimaste da quale ritardamento si viene ad inl_~ pedire l'avanzarsi la .bramata- reedificatione di città e ·chiese stidile:tte. E perché pure si vede che per lo spatio di tanti mesi non hanno curat9 scavare· e distcrrarc !'ecclesiastici le ·suddette robbe· D.onostante ogni.. ap~. pretto e sollecitudine da noi per rriblto tempo postaci. Per tanto noi_ .l:::>.ra-_ masi di vedere le case del Signore in pos_se da darsi in quelle il cibo -€d" alimento spirituale dell'anime conformemente esigge la nostra pastora'l~ cura per soUecitare ditti eccles_iastici al scavame11tò e disterraril~rito ai loro robbe, c'è parso fare il presente editto per lo Ci_uale s'ordina, pt.ùvede e comanda che tutte e singole person_é ecClesiastiche di qualsiasi Stato:, grado e condizione fra lo spatio di giorni quindici cursuri dalla pubbli:Ca:tione del presente editto habbiano, vogliano e debbiftno ed ognuno -di loro habbia, voglia e debbia scavare e disterrare et haver scavato e ·disterrato le loro robbc forse sotto le rovine rimaste ad effetto di non reSta·r impedito il publico nelle sue procedure di reedificatione della città; .chiese et altre; quali robbe di chiese suddette o proprie di ecclesiastichi Scav:atì saranno, possa ogni ecclesiastico liberamente tenersi, ed in caso. _di à.lcqna differenza si disporrà da noi secondo si faranno costare_ e sarà di gìll~_th tia, altrimente, detto tèrmine elapso, sarà perme_sso cory.formemente no~ pern1ettemo scavarsi· dette robbe e, riconosciuti- da noi. esser di _ecc1~.!ii_à. stici, habbiamo consultamente stabilito darne. la metà a quelle thies(! .o ecclesiastici de quali ni _costerà esser dette robbe ed altra _metà per-tfòvargli dc scavatori, assistenti n1aestri ed altro attineliti al" pubblico, acciò j:.>er questo mezzo a tutto potere s'avanzasse e sollecitasse la ree~ifici;l.-tione della città con sue parrocchie, monasteri., oratorii, lochi .pii ed altri. ·necessari al culto divino. D. Ioseph Celestre, vicarius generalis. Antoninus. Tiranti, magister notarius)) .(E 1679-1694, 87v-88r). L'editto è senza data; ma dovrebbe essere stato pro1nulgato nel settembre 1693.
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e impedir foro di svolgere comodamente il serv1z10 divino 40 • Infine il 7 febbraio 1694 lo stesso vicario generale si fa portavoce, per gli ecclesiastici, delle norme emanate dalle autorità civili per la riedificazione della città 41 •
40 «Per rifabrica della città. Editto. Andreas episcopus Catanensis, etc. Perché i preti nostri sudditi puoco hanno curato di farsi assignare i luochi per fabricarsi le loro case nella nova recdificatione della città e dovendo noi invigilate per togliersi ogni inconveniente che potrebbe accadere in caso che altri si havessero occupato i luochi, che l'ecclesiastici- potessero pretendere. Per tanto habbiamo risoluto promulgare col presente editto che fra il termine di giorni quindici ogni ecclesiastico che volesse fabricare case venghi da noi per assignarci il luogo che li sarà assignato e principalmente alli signori digni_tà e canonici, benefitiali ed insigniti della cattedrale e collegiata I'assigneremo luoghi contigui alle dette chiese per poter con più commodità assistere al servito della chiesa e non haver motivo di dolersi ed escusarsi d'esser lontani dalla loro chiesa, Datum Catanae, die 23 septembris 1693. D. loseph Celestre, vicarius generalis. Antoninus Tirant~, magister notariusn (E 1679-1694, 87r-87v). Il solo titolo di canonici della cattedrale o della collegiata assicurava il diritto di avere assegnato rm terreno nel quartiere residenziale della città. Da notare che non si trattava di case canoniche, che sarebbero state utilizzate stabilmente dalle persone addette al culto delle chiese, ma di case private, che solo agli immediati proprietari avrebbero potuto garantire il vantaggio della vicinanza al luogo di culto. 41 «Editto della nova reedificatione di questa clarissima città di Cata~ nia. Noi D. Andrea Riggio per la Dio gratia e della Santa Sede Apostolica vescovo di questa clarissima e fidelissima città di Catania, del coiisiglio di Sua Cattolica Maestà, conte di Mascali, dell'almo studio d'essa città cancelliera e cavaliera dell'ordine di Calatrava. Necessitando ogni dovuta appellatione di questa clarissima città di Catania per servigio di Sua Maestà (che Dio guardi) e di questo publico, accioché si reducesse nel pristino decoro, si devono intanto prestare !'opportuni rimedi all'inconvenienti <che> succedono, per potersi colla celerità possibile ogni- Contro per devenire al desiato fine della fabricatione suddetta e darsi gl'ordini opportuni. Pertanto in virtù del nostro presente publico editto s'ordina, provede e comanda che qualunque persona ecclesiastica cossì secolare come_ regolare di qualsivoglia foro, che tengono e possedono case proprie i_n detta città, benché destrutte, habbiano vogliano e debbiano nello spazio di giorni 15, da correre doppo l'ultimo giorno della festa della gloriosa Sant'Agata the starà esposta su l'altare, declarare nella nostra, Gran Corte Vescovile in scriptis per suo memoriale se vogliono rifabricare i loro casi e palazzi, magazzini, botteghe o altra sorte di fabriche destrutte esistenti
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Era inevitabile che l'atteggiamento del Riggio incontrasse in alcuni casi l'opposizione delle autorità cittadine. Per comprendere la sua personalità è emblematico il comportamento assunto nella ricostruzione del seminario e del monastero San Benedetto. Prima del terremoto il seminario sorgeva sulla piazza Grande, nei locali della chiesa di San Martino. Dopo la in detta città, con doverli descrivere tutti li suoi confini e contratti e questo come prima del terremoto esistessero e al presente sono, -altrimente, detto termine elapso e detta dichiarazione non fatta, allora et in tal caso ipso iure ipsoque fatto s'intendono esclusi di poter fabricare dette case, palazzi con perdere, come per il presente .editto si dichiara haver perduto, tutto il ius e dominio che tengono nella fabricatione delle suddette case e delle fabriche remaste non rovinate dal terremoto, puzzi a tratto e d'altra in dette case esistenti benché proprie, restando per il padrone principale di dette case il censo tantum del suolo. E perché a la detta dichiarazione de. vono corrispondere gli effetti, pertanto nel caso che le dette persone eccle_· siastiche come sopra, che sono padroni di dette case esistenti in detta città, declarassero in detto termine che si ha disposto di sopra voler rifabricare uno o piò delle loro proprie case, palazzi, magazzeni e bottegh_e _o altra sorte. di fabrica, all'hora ed in tal caso habbiano; -vofiliano e debbiano fra lo spazio di mese uno e giorni 15 compresi dal giorno del fine di detto primo termine di giorni 15 incominciare le loro fabriche e soltanto nel detto termine dovessero finire e spedire il recinto e circuito del loro compreso, dichiarato ut supra con un muro d'intorno saltem alto di terra palmi quattro in circa colla disposizione di Don Giovanni Battista Vespro inci· gniero ad effetto che li dii la retta delimitatione e le dirigga le linie, giu· sta la disposizione della nova pianta di detta città, accioché non si defor· massero le stÌ"ade ordinarie e designate, secondo la detta pianta, e si ~e· stinguano le case patrona te e si parti-Ssero li siti che al _presente restano compresi, altrimente ditto termine elapso di mese uno e giorni 15, non havendosi fatto dalle suddette persone ecclesiastiche come--sopra il detto recinto di muro d'intorno della sua casa d'altezza di palmi quattro incirca, allora et in tal caso s'intenda perdere et haver perduto il ius 'di _ poter rifabricare le proprie case, benché fossero dichiarate e tlltte le fabriche in essa esistenti a tratto, puzzo ed ogni altra cosa,_ fuorché del sopr_adetto censo del suolo e nel caso che qualche persona ecclesiastica ut supra. con·.travverrà al presente nostro p_ublico editto circa al fabricare il suo recinto senza la diliniazione fattaci dal suddetto incignero Don Giovanni Battista Vespro sotto pena d'haversi reducere le fabriclie malamente fatte nel pristino stato. Datum in urbe clarissima et fidelissima Catanae, die septimo februarii 1694. Don Ioseph Celestre, vicarius generalis. Antoninus Tiranti, magister notarius" (E 1679-1694, 92r-93r).
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distruzione della città, per dare una diversa sistemazione urbanistica alla piazza Grande e alle vie adiacenti, fu necessario utilizzare gran parte del terreno di proprietà del seminario 4'. Si pose pertanto il _problema di cercare un luogo idoneo per la sua Ticostruziohe. Fra-ttanto l'apertura della strada Uzeda (l'attuale via Etnea) aveva -diviso in due il terreno in cui sorgeva l'episcopio .. n .vescovo ebbe l'idea di utilizzare una parte di questo terreno per edificare il seminario; ma all'attuazione di q_uestq progetto si opponeva il senato, che si richiamava alla proibizione di costruire edifici privati sulle mura cittadine per il rischi& -che essi comportavano in caso di guerra. Nel 1697 il vescovo riuscì a .spuntaFla sul senato della città facendo ricorso al viceré, che accolse la sua richiesta 43 • Una situazione analoga si ebbe nella riedificazione del monastero San Benedetto. Il terreno in cui doveva sorgere il mo42 A. LONGHITANO, La parrocchia izella diocesi di Catania prima e dopo il" Concilio di Trento, Istituto superiore di scienze religiose, Palermo 1977, 157, note 27 e 28. 43 «Carolus Rex, Jllustris et spettgbilis regii fideli diletti. Con vigJietto del nostro secretario in resulta dì consulta fattane dal Tribunale del Real Pati:-imol;1io habbiamo disposto lo che siegue~ Con consulta de 25 del pas· Mcto passa V. I. a notitia del Duque mi sefior lo que di6 el Secreto de Catania de estar fabricando a quel prelado de calci arena las barraccas del -~eminario sobre el baluarde y damus dc los Canales, y por-que el Secréto considera ser dicha fabrica preiudicial a la custodia de la ciudad en caso de imbasion rapresenta a V. I. se haya redusir el baluarte a su prin:ier stato. V. I. en respuesta me manda S. E. decir a V. I. se ha inform-ado en esso y no es de incombeniente Jo que fabrica el obisbo sobre el baluarte. Dio guarde a Vuestra Illustrisima merced. A Palermo, a 11 de abril 1697. D. Francisco de Obregon. Al Tribuna! del Real Patrimonio: in dorso Panorn1i 16 aprilis 1697. Reg. in margine consultationis et detur orda. In exequtione di che vi incarichiamo et ordinamo che stante non apportare inconveniente veruno la fabrica del seminario che cotesto rev!mo vescovo sta facendo sopra il baluardo e dammuso delli Canali non dobbiate né facciate darli impedimento veruno come ne lo compromettiamo dal nostro zelo ed attenzione. Datum Panarmi, die 30 aprilis 1697. El Almir:ante Paquez, R. Ioppolo presidente, Ioppolo magister rationalis, Torre- rri'agister rationalis, Valdes magister rationalis, Fernandez magister rationalis, Castìllo magister rationalis, De Vio magister rationalis, Carace çp,n~iliarius_,._Mira fisci -patronus» (LR1 739r-v).
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nastero era diviso in due parti da una strada (l'attuale via Crociferi), che non permetteva di costruire un unico corpo di fabbrica.· L'abbadessa aveva chiesto di unire le due parti con un ponte per utilizzare tutto il terreno nella edificazione del monastero. La proposta non trovò il gradimento delle autorità cittadine, che opposero difficoltà di natura militare, estetica e viaria. Fu soprattutto il castellano ad apporsi alla proposta dell'abbadessa. «sotto pretesto che saria di detrimento a cotesto castello» 44 , cioè la costruzione dell'arco creava problemi di natura militare. La questione fu portata dinanzi al tribunale del real patrimonio, dove anche un certo canonico Don Pietro Corsaro chiese di far «sospendere la fabrica sudetta» 45 • Ma la risoluzione presa dal tribunale fu favorevole alle monache: «Intanto vi passiamo la notifica che con altre rtostre della data di questa s'ha ordinato a cotesti deputati alle fabriche afinché dovessivo permettere al detto monastero di prosequire la fabrica sudetta senza darli im· pedimento veruno, per non apportare detrimento al regio castello. Perciò vi exortamo che, non ostante qualsiasi oppositione che vi_ fosse in cona trario, permettirete di poter detto monastero prÒsequire la fabrica sudetta per essere materia già risolta e determinata in questo tribunale [ ... ]» 46,
44
Dalla lettera del viceré al senato dì Catania, TA 1702-1703; 255r.
4s
L. c. L. c. Su questo episodio è nata una leggenda popolare alla quale ha
4fl
dato credito lo storico catanese Cordaro Clarenza: per superare l'opposizione delle autorità cittadine, il vescovo e l'abbadessa in una sola notte fecero costruire il ponte da una squadra di muratori di loro fiducia, ai quali Andrea Riggio aveva dato la -tonsura per sottrarli, in quanto chierici, alla giurisdizione civile e metterli al riparo da sanzioni penali (V. CORDARO CLARENZA, Osservazioni sopra la storia di Catania, IV, S. Riggio, Catania 1834, 78-79. Da notare che questo autore non indica la fonte alla quale ha attinto la notizia). Tuttavia bisogna far notare: il tribunale del real patrimonio si era già pronunziato in favore della costruzione dell'arco, pertanto non si spiegherebbe l'opposizione del senato; inoltre non è pensabile che l'arco sia stato costruito in una sola notte; infine di questo episodio non si trova traccia negli archivi della curia e del monastero di San Benedetto, in cui il Policastro ha fatto accurate ricerche (G. POLICASTRO, Catania nel Settecento, SEI, Catania 1950, 260). Probabilmente la leggenda ha trovato
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Lo scontro frontale fra il vescovo e le autorità cittadine non si verificò nella ricostruzione del collegio dei gesuiti. La Compagnia di Gesù era venuta a Catania nel 1556, durante. H governo del vescovo Nicola Maria Caracciolo. Come prima.sede per la. casa e il collegio erano stati dati i locali dell'ospedale del!' Ascensione, rimasti vuoti dopo la sua fusione con quello di San Marco 41 • Si trattava di locali che i gesuiti ritenevano di non facile accesso e poco idonei alla realizzazione delle loro opere 48 ; perciò i padri avevano accarezzato l'idea di spostarsi sulla via della Luminaria. Per realizzare questo progetto nel 16.21 acquistarono i locali della casa degli orfani, appartenenti al credito perché fondata su alcuni elementi obiettivi: il carattere risoluto del Riggio e le sue continue controversie con le autorità civili, l'iniZiale opposizione delle autorità cittadine alla costruzione dell'arco, la circost_an~ za che il principale artefice di esso, Alonzo Di Benedetto, fosse chierico. Egli però aveva ricevuto la tonsura dal vescovo Bonadies e non dal Rig~ gio; questi solo il 31 dicembre 1704 (quando l'arco era già stato costruito), accogliendo una sua richiesta, gli consentì di entrare a pieno titolo nella categoria dei chierici coniugati (TA 1704-1705, 105v-106r). Un giornalista ha scritto ingenuamente che questo abuso «può essere considerato come il primo csen1pio di costruzione illegale a Catania» (L. SCIACCA, Rlg'gùJ, vescovo di ferro. Fu a111ato soltanto dopo la 1norte, ìn La- -sicilia, 15 novembre 1987, 14). 47 M. CATALANO, La fondazione e le prùne vicende del collegio dei gesuiti a Catania (1556-1579), in Asso 13 (1916) 34-80; 14 (1917) 145·186; A. LON· GHITANO, La parrocchia, cit., 57; 159, nota 33;· -166, nota 73. 48 Il rettore del collegio nella lettera che scrive al vescovo Riggio_ calca un po' la mano nel descfi\'erc i disagi ai quali andavano incontro i fedeli che volevano frequentare la chiesa e il collegio dei gesuiti: «[ ... ] la maggior parte della nobiltà,_ popolo e gente di ogni altra conditione non __ si poteva prevalere comn1odan1ente delli ministerii di ditti padri di essa compagnia di Gesù tanto per le confessioni, prediChe e servitii apostolici, congregationi, consigli, scuole, assistenza ai moribo_ndi quanto per ogni altro aiuto che danno al publico ditti padri giusta il loro pio e lodevole instituto; e la causa di essere privi di dftti ·aiuti era l'incomodità e_ ~atìg3. tanto per le donne quanto per l'homini di salire in alto al luogho dove habitavano ditti padri prima delli terren1qti-del 1693. Le persone suddette e paiesane o forastiere, doppo d'haver venuto da lontane parti di es.Sa città sino all'ultin10 del piano ed in tempo d'inverno e di està ·e di notte e di giorno, riusciva molto incommoda e stentata la salita-}} (TA 1693-1694, !52r).
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monastero della Santissima Trinità, e cominciarono a costruirvi la chiesa di Sant'Ignazio e i locali del collegio, contando sui cospicui aiuti del senato, del vescovo e dei fedeli. Durante la cris·i economica, che investì la Sicilia nella prima metà del secolo XVII, vennero meno gli aiuti economici esterni e i gesuiti si trovarono nella impossibilità di continuare la fabbrica del nuovo collegio 49 • Con H terremoto del 1693 e il successivo piano di ricostruzione della città, i gesuiti ripresero il progetto sperando di utilizzare il terreno di loro proprietà e di poter usufruire del diritto a fare «l'isola», cioè a godere di una serie di meccanismi di appropriazione dei terreni circostanti le loro proprietà, fino a completare il blocco edilizio delimitato dalle strade 50 • Ma
49 <((, .. ] Per tale causa anteposta ottenne <lieto ill.mo senato d'allora il dare grosse elemosine in più anni per compra del nuovo sito e frabriche da farsi nel piano; e furono emanate lettere da Sua ~ccellenza per via del Real Patrimonio di potersi comprare giustamente le case di qualsisia persona, forzando li padroni alla vendita di esse case comprese in ditto nuovo sito; et a cdrrispondenza dell'ill.mo vescovo d'allora pur concedette che la casa dell'orfanelli inclusa in detto sito si trasportasse altrove e si principiò la fabrica di detta nuova chiesa di Sant'Ignatio nel basso con la porta nella strada principale della Luminaria, dove adesso vi è gran parte esistente et anco passò il corniccione e parte è stata demolita per farsi la strada principale nuovamente chiamata Osseda. Poi per varie calamità_ di _tempi non corsero più l'elemosine del senato, e del publico, né del medesimo Hl.mo vescovo, né il collegio poteva separare gran somma dalli suoi proventi per applicarla nelle fabriche e compra di maggiore s-ito, mentre manteneva tanti soggetti necessari al servigio di tanta nobiltà e popolo all'hora presente e cossì si differì per tanto lungo tempo [ ... ]» (TA, 1693-1694, 152r-152v). so «[ ... ]_Ultimamente però, stanti le ruine universali e di detto collegio chiesa, congregationi, scuola e d'ogni altro, li ditti padri e superiori maggiori, fatie le solite e molte consulte, determinarino di reedifìcare nel basso, perché se allora volea il senato e publico che lasciassero per il bene comune ditti padri la chiesa, habitationi, officine, scuole, ordini, congragationi ed ogni altro, molto più al presente che si dovea ogni cosa ricominciare da capo a rifabricarsi si dovea rifare in sito basso opportuno al facile servitin e commodo del publico; e però trattano di havere il sito dell'isola che verso levante haveva nella fera mercato del lunedì la porta del palazzo del marchese di Monte Rosato, D. Girolamo Stella e da parte di mezzogior-
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incontrarono delle difficoltà, perché l'wpertura della strada Uzeda (l'attuale via Etnea) occupò parte del terreno in cui era stata costruita la chiesa di Sant'Ignazio; in più i gesuiti ebbero notizia che «vogliono alcuni maestri manuali ed altre persone atte alle fabriche demolire una fabrica fatta fare dal detto padre rettore per commodità del nuovo collegio sito e posto in detta città e piano della Fiera nova [ ... ], sotto pretesto et colore di voler fare coprire una strada olim cominciata e poi sospesa, perché venia ad essere nel sito di canni cinquanta assignato ad esso esponente» s1.
Il rettore del collegio invitò il vescovo a intervenire per impedire la demolizione delle case «il che è contro la disposizione di Sua Eccellenza ed immunità ecclesiastica» 52 • Riggio accettò l'invito e pubblicò un editto di proibizione munito di censure: «[ ... ] monimo, inhibimo ed intimamo a tutti e singuli maestri manuali, figlioli ed altre persone atti a murare e frabbricare, arrovinare e far rovi~ nare le fabriche sudette cossì nove come antiche, quae in ditto preinserto memoriale, e questo stante essere sito del collegio sudetto e fatto nel compreso di detto sito e come tale essere robba propria de sue, delle quali spetta a noi, e questo sotto pene e censure fulminate dalli sacri canoni, Sacrae Congregationis Immunitatis, bolle, decreti pontifici e precise quelle della bolla Coenae Domini»S3,
Il suo intervento questa volta non servì allo scopo, perché
il collegio dei gesuiti non fu ricostruito vicino al piano della Fiera nuova, ma nel vecchio sito 54 •
no Ja linea colla porta del palazzo del barone delli Ficarazzi, D. Giovanni Battista Paternò e da parte di ponenti la linea della porta del palazzo del quondam D. Giuseppe Tedeschi e da parte della tramontana la linea della nova strada chiamata Camastra [ ... ]» (ibid., 152v-152r). 51 TA 1694-1695, 119r-119v. 52 Ibid., 120r. 5J Ibid., 120v. 54 All'attuazione del progetto dei gesuiti si opposero sia i domenicani, che nella zona dovevano ricostruire il convento di Santa Caterina da Siena (oggi sede dell'Archivio di Stato) (G. POLICASTRO, op. cit., 61), sia i responsabili dell'università, che non gradivano avere come vicino nella stessa
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A parte le polemiche, gli scontri e le controversie leg~li, l'opera di ricostruzione procedeva con straordinaria celerità. Basta pensare che nel giro di pochi anni furono portati a termine: la cattedrale, l'episcopio, il seminario, le chiese sacramentali, i monasteri, i conventi e gli istituti pii. Andrea Riggio nelle relazioni ad limina sottolinea con compiacimento l'azione da lui svolta nell'opera di ricostruzione della città, non trascurando di indicare le somme personali da lui impiegate 55 • -
La riorganizzazione della diocesi
Parallelamente all'opera di ricostruzione procedeva quella di riorganizzazione della diocesi. Nella città c'erano da stabilire il numero e i confini delle chiese sacramentali, il numero, le reildite e il regime giuridico dei monasteri .femminili, dei conventi ... Per le chiese sacramentali non si ebbero cambiamenti di rilievo 56 • Con un decreto del 20 gennaio 1702 Andrea Riggio fissò i nuovi confini della cattedrale e delle chiese sacramentali, il numero delle quali rimase invariato 57 • piazza della Fiera nuova il collegio dci gesuiti. Per ì conflitti che si erano avuti fin dal secolo XVI fra le autorità cittadine e i gesuiti sul monopolio dell'istruzione secondaria a Catania vedi M. CATALANO, op. cit., 14 (19~7) 151-159. ss Relazione 1702, 115r; 1705, 122r; 1709, 133r; 1712, 144v-148v. 56 Prima del terremoto a Catania, oltre alla cattedrale, si avevano sei chiese sacramentali dentro le mura: Collegiata, -san Tommaso, San Biagio, San Filippo, Santa Marina, Santa Maria dell'Itria (vedi la relazione ad limina del vescovo Bonadies del 1668, in .4... LONGHITANO, Le relazioni ((ad limina» della diocesi di Catania [1668-1686], in Synaxis 4 [1986] 351-476: 391/437) e una nel quartiere del Borgo, eretta dal vescovo F. Carafa nel 1673 per l'assistenza ai profughi dei centri distrutti dall 1erµzione del 1669. s7 A. LoNGHITANO, La parrocchia, cit., 133-134. Nel decreto del Riggio sono indicate le seguenti chiese sacramentali dentro le mura della città: Sant'Andrea (già San Tommaso), Collegiata, San Biagio, San Filippo, San Giacomo o Santa Marina, Santa Maria dell 1Itria, oltre a quella di Sant'Aga~ ta al Borgo fuori le mura. La chiesa sacramentale di San Biagio, che pri· ma del terremoto sorgeva dentro le mura (ibid., 163), dal vescovo ·Riggio fu trasferita nella chiesa della fornace di Sant'Agata, da lui riedificata con particolare impegno (relazione del 1705, 122r).
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Un cambiamento radicale si ebbe, invece, per i monasteri femminili. In città esistevano ben quattordici monasteri, la maggior parte dei quali si trovavano in difficoltà e non solo dal punto di vista economico 58 • Andrea Riggio, il 20 giugno 1693, chiese ed ottenne dalla Congregazione del Concilio di riunire il patrimonio dei monasteri esistenti per costruirne solo tre o quattro 59 • La congregazione nell'accettare la proposta del Riggio pose come unica clausola che fossero prima ascoltati coloro che erano interessati all'unione. Il vescovo, convocata una commissione di ecclesiastici e di laici, dopo matura discussione, decise di riedificare sei monasteri: San Giuliano, San Piaci.do, Sant'Agata, San Benedetto, Santissima Trinità e Santa Chiara e di assegnare ad ognuno di essi la somma annuale di seicento scudi, ritenuta sufficiente per la loro riedificazione e il mantenimento 60 •
ss ·Nella relazione ad limina presentata dal vescovo Carafa nel 1691 è indicato solo il numero di dodici monasteri (A. LoNGHITANO, Le relazioni «ad limina" della diocesi di Catania [1691], cit., 339-382: 373/379), che possiamo enumerare: Monte Vergine, San Girolamo, Santa Chiara, Porto SaJA vo, Santa Ma.ria Maddalena, Santa Caterina, Santa Lucia, San Giuliano, San Placido, San Benedetto, Santissima Trinità, Sant'Agata. Gli altri due monasteri probabilmente esistevano solo giuridicamente ma di fatto erano stati chiusi da tempo. Si potrebbe trattare dei monasteri benedettini Santa Maria del Soccorso, chiuso nel 1601, e del monastero di Sant'Orsola, unito nel 1558 a quello di Santa Lucia. '' TA 1693-1694, 3r-v. 60 {{Die duodecimo augusti, primae indictionis, millesimo sexcentesimo nongentesimo tertio. Quia virtute diplomatis apostolici dati Romae die 20 iunii 1693 et exequuti in hoc regno die, etc. fuit ill.mo et rev.mo episcopo Catanensi data facultas co1nulandi omnes redditus quatuordecim monasteriorum monialium, quae ex terremotu solo aequata et penitus destructa remanserant, ad effectum cum eis denuo edificandi et dotandi tria vel quatuor monasteria, in quibus collocari possent moniales quae vivae ex terremotu evaserant. In cuius quidem facultatis exequutione, convocatis nonnullis ecclesiasticis et secularibus viris huius urbis Catanae civibus et cum eis super rehedificatione dictorun1 monasteriorum facta matura discussione, fuit tandem conclusum rehedificari debere sex monasteria, unum nempe sub titulo S.ti Iuliani, aliud S.ti Placidi, aliud S.tae Agathae, aliud S.ti Benedicti, aliud SS.mae Trinitatis et aiud S.tae Clarae, quapropter ut officiales dictorum monasteriorum sequantur opus iam conclusum construendi et rehedificandi dieta sex monasteria, dictus ill.mus et rev .mus
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Dei sei monasteri riedificati, cinque erano soggetti all'autorità del vescovo, uno (quello di Santa Chiara) dipendeva dai frati minori dell'osservanza. Il 4 ottobre 1708 le monache inviarono al vescovo una lettera nella quale denunziavano la difficile situazione che si era creata a motivo della loro dipendenza dai religiosi e chiedevano di essere sottomesse alla sua autorità 61 • La richiesta era sottoscritta dalla maggioranza delle mo-
dominus D. Andrcas Riggio Dci et Apostolicae Sedis gratia episcopus clarissimac et fidclissimac urbis Catanae, regius consiliarius, comes Mascalarum ac almi studii urbis Catanae cancellarìus equusque ordinis Calatraviae, sponte, vigore praesentis actus on1nique alio mcliori nomine et modo voluit, ordinavit et n1andavit ac vult, ordinat et n1andat quocl otnnia sex monasteria edificanda unumquodque ex eis habcat et conscquenter cx redditibus omnium supradictorum monasteriorum sexcentas annuales, tum in redditibus, tum in bonis stabilibus. Et hoc stante quod cum assignatìonc predicta satis possunt monastcria preditta manuteneri ac rehedificari. Qui quidem actus scriptus fuit et est de ordine et mandato supradicti ill.mi et rcv.mi d.ni episcopi Catanensis, presentis et in scriptis mandantis, unde, etc. Scribatur. Andreas, episcopus Catanensis)) (TA 1692-1693, 363v-364r). Negli anni successivi, a richiesta dei singoli monasteri, si 1nodifìcò con altri provvedimenti il criterio di distribuzione della massa patrimoniale dei monasteri soppressi. (Decreto del Riggio in data 11 marzo 1694, TA 1693-1694, 164v-165v; rescritto della Congregazione del Concilio del 14 novembre 1699, TA 1699-1700, 64r-64v; altro rescritto della stessa congregazione del 15 giugno 1709, LR 140r-141v). 61 Il documento, che trascriviamo nella parte centrale, è molto lucido nel denunziare la situazione di disagio in cui si trovavano le 1nonache e nell'individuare la causa di queste difficoltà. «[ ... ] Sappia dunque V.S. ill.ma che noi habbiamo lasciato il mondo e parenti e posto sito in questo chiostro per salvarci l'anima e per mezzo della religione viver con quella esemplarità che si conviene. Ma perché questo governo di regolari si è di niun profitto alla nostra salute eterna, non essendo proprio loro governare moniali, né havendo quel peso che si deve per estirpar !'inconvenienti e li scandali e forse alcuni di loro regolari li permettono havendone le loro convenienze, che per modestia tralasciamo di dire, riservandone a bocca quando verrà qui a visitar la clausura di spiegarci le miserie nostre spirituali e temporali et il modo che siamo governati per lo più di questi regolari, tralasciando il scandalo publico che V .S. ill.ma ben sa ed a tutta la città si è palese delle amicitie alle grade, che V.S. ili.ma col suo zelo ha procurato di parare e non ha possuto perché ci ritroviamo esenti noi altri di dentro, per tanto havendo da più mesi et anni domandatovi que-
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nache e la Santa Sede non ebbe difficoltà ad accogl.ierla. Il rescritto che sottrae il monastero di Santa Chiara alla giurisdizione dei frati minori dell'osservanza e lo sottomette al vescovo di Catania porta la data del 24 novembre 1708 62 • Andrea Riggio considerò questo avvenimento un fatto rHevante per la vita della diocesi e sembra che volesse assoggettare alla sua giurisdizione anche altri monasteri di religiose esenti. Se per il monastero delle clarisse di Adernò raggiunse il suo scopo 63 , ,;] tentativo fatto per un monas!ero di agostiniane si concluse con una lite"La riduzione dei monas!eri di clausura diede al Riggio la possibilità di gestire un patrimonio notevole, che gli consentì di risolvere il problema del patrimonio del seminario, di chiamare in diocesi i ministri degli infermi (i crociferi) e di accrescere il patrimonio di altre opere pie. Il seminario era stato fondato dal vescovo Antonio Faraone nel 1572; ma non avendo una sede propria e rendite consistenti, per molto tempo era stato alloggiato alla meglio nella canonica della cattedrale, dove era in grado di accogliere uno sparuto numero di alunni. Solo nel secolo successivo il vescovo Astalli lo aveva dotato di una rendita annua di 800 scudi, il vescovo Secusio gli aveva dato una sede propria nella piazza Grande sta ispiratione e ben consideratala tutti noi professi oggi, giorno del nostro padre San Francesco, buttati a terra supplichiamo la carità di V.S. ill.ma a degnarsi di riceverne per suoi figli e sudditi volendo in ogni cosa star soggetti all'ordinario che si è V.S. ill.ma ed all'ill.mi vescovi suoi successori [ ... ] .. (LR, 13lr-131v). "LR, 129r-131v e TA 1709-1710, 3r-3v. 63 LR, 136r· 137v. 64 Nel 1710 c'era stata un'aspra controversia fra il vescovo e gli agostiniani di Regalbuto dai quali dipendeva il monastero fen1minile della stessa regola (TA 1709-1710, 234v-235v; 239v-240v). Non sappiamo se il tentativo del Riggio di assoggettare questo inonastero alla sua giurisdizione avesse origine da questa controvcr,c;ia o da una situazione di obiettive difficoltà in cui si trovava da ten1po lo stesso monastero (vedi la relazione ad lilnina del vescovo Ottavio Branciforte del 1640, 279r~279v: A. LONGHITANO, Le relazioni «ad li111ina)} della diocesi di Catania [1640-1646], cit., 341 /418). Nella relazione ad ii mina del 1712, 147v il Riggio, oltre a darci notizie su questo episodio, ci fa conoscere il suo pensiero -sull'argomento.
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e i canonici, durante il periodo di sede vacante, avevano stabilito di devolvere in suo favore i proventi delle pene 65 • Andrea Riggio, oltre a costruire una sede degna sul terreno del vecchio ·episcopio, decise di assegnare al seminario i proventi del soppresso monastero Santa Lucia 66 • Ai crociferi non solo mise a disposizione la chiesa e l'annessa casa religiosa, ma assicurò una rendita dal patrimonio dei monaster.i soppressi 67 • Alla soppressione dei monasteri femminili avrebbe dovuto far riscontro un analogo provvedimento per i monasteri e i conventi maschili e per la riduzione del numero dei chierici. Era la richiesta avanzata dal viceré, che voleva cogliere l'occas.ione offerta dal terremoto per realizzare una riforma già proposta dal Concilio di Trento, ma che non era stata affrontata seriamente dalla Santa Sede 68 • Si trattava, però, di un problema che esulava dalle competenze di un vescovo e il viceré, appoggiato dalla corte di Spagna, lo affrontò direttamente con la curia romana presentando un piano in cinque punti: 1) per venti anni non dovevano venire nei conventi siciliani altri religiosi se non per sostituire coloro che man mano sarebbero morti; 2) non si doveva ricostruire alcun convento che non fosse in grado di sostenere dodici religiosi; 3) gli altri dovevano essere soppressi e le loro rendite impiegate nella ricostruzione dei conventi distrutti; 4) per com-
65 G. PoLICASTRO, Il seminario arcivescovile di Catania, in Asso 44 (1948) 53-85. Nelle relazioni ad lùnina del secolo XVII leggiamo che il seminario aveva quindici alunni, un nuillero irrisorio rispetto ai chierici che si preparavano al sacerdozio nelle parrocchie (A. LONGHITANO, Le relazioni «ad Zimina» della diocesi di Catania [1668-1686], cit., 370, nota 49). "' V. M. AMICO, op. cit., 515. 67 L. c. 68 Sulla situazione in cui si trovavano gli ordini religiosi in questo periodo vedi: E. BOAGA, Aspetti e proble1ni degli ordini e congregazioni religiose nei secoli XVII e XVIII, in AA.VV., Problen1i di storia della Chiesa nei secoli XVII-XVIII, Dehoniane, Napoli 1982, 92-135. Sui provvedimenti di soppressioni pontificie di ordini o conventi religiosi vedi: Io., La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1971; C. A. NASELLI, Soppressioni pontificie, in Dizionario degli istituti di perfezione, VIII, Ed. Paoline, Roma 1988, 1783-1786.
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battere l'abuso dei patrimoni simulati si doveva stabilire nel regno di Sicilia che nessuno poteva rkevere gli ordini maggiori a titolo di patrimonio proprio senza informare preventivamente le autorità cittadine o indicare il luogo in cui ~isiedevano i parenti, che legittimamente avrebbero potuto avanzare diritti sui beni del patrimonio; 5) coloro che avevano ricevuto la pr.ima tonsura, se dopo due anni da quando avevano mggiunto I'età idonea non ricevevano gli ordini maggiori, non potevano più godere dell'esenzione dalle gabelle. Era notorio infatti che molti ricevevano la tonsura solo per godere dei privilegi annessi allo stato clericale, per frodare il regio fisco e condurre poi una vita licenziosa 69 • Si trattava di una proposta seria, che comportava però una riforma di ampio respiro, difficilmente realizzabile solo per le diocesi colpite dal terremoto. Se il piano non fu preso in considerazione dalla Santa Sede è probabile che i vescovi interessati abbiano espresso parere negativo; nella mentalità del Riggio il progetto del viceré poteva essere considerato come un tentativo di limitare il numero dei religiosi e del clero e di condizionare la vita e la libertà della Chiesa. Il nostro vescovo si mostrò particolarmente sensibile ai problemi del clero, per il quale fondò, nella chiesa della fornace di Sant'Agata, l'associazione dei Sette Dolori della B. V. Maria, che ai consueti fini di formazione e di culto univa anche quello dell'assistenza in caso di malattia, di inabilità e di carcere per debito civile: concetti che denotano nel Riggio una certa apertura a tematiche sociali, non comuni per quei tempi 70 •
69 Il documento originale è trascritto da S. BosCARINO, Catania .. ., cit., 101, nota 96. 70 Nelle «Regole da osservarsi dai fratelli della nuova congregatione sotto titolo dei Sette dolori della Vergine SS.ma eretta nella chiesa sagramentale di Sant'Agata la Carcarella fondata da Monsignor Hl.mo D. Andrea Riggio, vescovo di Catania» (TA 1709-1710, 60v-64r) si legge ({che essendo pure fundata questa congregazione pur anche al riparo della necessità temporale ed a mantenere il decoro ecclesiastico, quale per accidente di povertà a che tutti stiamo soggetti potrebbe languire con discapito del nostro stato, sia obligato ogni fratello che vorrà annoverarsi in
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Ste1nn1a del vescovo Andrea Riggio (cattedrale di (~atania)
(foto A. Cafa)
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Le controversie in tema di immunità ecclesiastica
Andremmo oltre i limit,i di questa introduzione se volessimo riferire sommariamente tutte le controversie in tema di immuni!~ ecclesiastica che Andrea Riggio ebbe con le autorità cittadine ·e centrali durante gli anni del suo governo. La gran mole di documenti esiStenti sull'argomento si spiega sia con le molteplici tematiche comprese sotto l'espressione "immunità ecclesiastica", sia con la tenace volontà del Riggio di non cedere di una virgola tutte le volte che si poneva in discussione quello che egli riteneva un diritto inviolabile della Chiesa 71 •
questa congregazione di pagare nell'entrare nella medesima onze una per ceppo e tarì uno il mese» (cap. IV, 61v), da questo capitale e dalle rendite patrimoniali si garantiva «ad ogni fratello che si trovi ammalato. con febre [ ... ] tarì due il giorno per tutto il tempo che dura la febre con la fede che ne farà il medico e dal giorno che non è più febre [ ... ] un carlino al giorno» (cap. V, 61v). Inoltre «conoscendo la nostra congregazione la necessità che tiene l'infermo non solo dell'elemosina sopradetta, ma pure che sia assistito qualsisia fratello da medico di sfera e medicamenti esquisiti, vole la congregazione che s'eligga in perpetuum un medico di prima riga e non di seconda classe per contribuire maggiormente alla carità dovuta al fratello ammalato, il quale medico habbia da esser salariato ad anno [. .. ]. E che l'aromatario sia dei migliori salariato col terzo anticipato [ ... ] con l'obbligo di dare tutti e qualsisia sorte di medicamenti ai fratelli, anche i più pretiosi ed esquisiti che tiene nella sua speciaria, secondo la ricetta del medico e se non le tiene che sia in obligo di procurarle d'altre speciarie con obligo di riconoscerli il medico della nostra congregazione» (cap. VI, 62r). Altre norme precise riguardano il caso di infermità senza febbre o che colpisce il frateJlo fuori del territorio di Catania (cap. VII, 62r), il caso di 1nalattia cronica «cioè gocciola, paralesia o altro morbo sopraveniente che si fa abituale sii in obligo la congregatione di darci grani <ludici al giorno sino alla morte o sino che sani di ditta infermità abituale» (cap. VIII, 62v) e infine nel caso che il fratello sia «Carcerato per debito civile sia obligata la congregazione di darci grana <ludici il giorno mentre è carcerato e pagare le spese di carceri>) (cap. IX, 62v). 71 Ci limitiamo solamente ad elencare le risultano dalla documentazione contenuta nella rosso: controversia con il senato di Catania dell'Etna (1693); controversia con il senato a Riggio che proibiva ai fedeli di mascherarsi
principali controversie che miscellanea Riggio o Libbra sulla proprietà della neve proposito di un editto del «con l'occhiali» durante le
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L'immunità ecclesiastica riguardava una serie di privilegi che esentavano gli ecclesiastici o i familiari del vescovo dalla giurisdizione dei magistrati ordinari, dall'osservanza di alcune leggi, dal pagamento di tasse e gabelle; che riconoscevano al vescovo la competenza di punire determinati reati; che permettevano ai suoi dipendenti di portare armi ... Alcuni di questi privilegi erano stabiliti dal diritto comune, altri erano riconosciuti alle singole persone. Si trattava di . tutta una serie di temi spinosissimi sui quali non si era mai raggiunta unanimità di giudizio fra le autorità ecclesiastiche e civili. Mentre da parte ecclesiastica si esigeva il riconoscimento e il rispetto di questi privilegi, da parte civile si tendeva a negarli o a interpretarli riduttivamente. Le controversie erano frequentissime e i vescovi si preoccupavano di far approvare da ogni nuovo re che saliva al trono il pacchetto di privilegi di cui godevano, per essere in grado di esibire alle autorità locali un documento che servisse a chiudere in partenza le inevitabili contestazioni 72 • Una delle battaglie che Andrea Riggio volle combattere fin dall'inizio del suo episcopato riguardava l'esenzione degli ecclesiastici dalle tasse e dalle gabelle dovute sulla vendita e l'acquisto dei prodotti alimentari e di generi vari. Il problema era
feste di S. Agata (1695); controversia con il capitano di giustizia di Catania che aveva carcerato due officiali di curia che svolgevano delle indagini con le armi (1696); controversia con il senato di Catania per la variazione del percorso della processione di S. Agata (1698); controversia con il senato sulla competenza a scegliere iJ quaresimalista per la cattedrale (1700); controversia con il capitano di giustizia per la carceraiione di un dipendente del vescovo (1702); controversia con il senato per la nomina del soprintelldente alla fabbrica dell'università degli studi (1703); controversia per la carcerazione di un Jettighiero (1704) e di un bottegaio del vescovo (1707); controversia con il rettore del monte di pietà sull'autorità esercitata dal vescovo sull'istituto (1711). A queste bisogna aggiungere le numerose controversie sostenute per difendere le diverse forme di esenzione dalle tasse per gli ecclesiastici. Non sappiamo in seguito a quale controversia il nostro vescovo nel 1698, temendo per la sua vita, fu costretto a rifugiarsi per qualche tempo ad Acireale (A. MoNGITORE, op. cit., 137). 72 L. FERRARIS, op. cit.; A. LONGHITANO, La parrocchia, cit., 43-47.
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molto complesso: gli ecclesiastici (preti, frati, monache) erano numerosi e possedevano un numero rilevante di proprietà dalle quali si produceva buona' parte dei prodotti alimentari in commercio. Inoltre il rischio di frodi non era ipotetico: era possibile far credere che si trattasse di merce esente, perché acquistata o venduta per conto di un monastero, mentre in realtà il destinatario era un privato non soggetto all'esenzione; le merci sulle quali gli ecclesiastici pretendevano l'esenzione erano molte 73 ed erano in diversi ad avere interes'5e all'abolizione
73 Un lungo elenco di merci e di tasse cì viene dato in appendice ad un editto emanato da Andrea Riggio il 24 maggio 1704. Il documento è di particolare rilevanza perché ci consente di farci un'idea non solo sul significato economico che assumeva l'esenzione ecclesiastica, ma sulle imposte e sulle merci che venivano vendute a Catania all'inizio del secolo XVIII: «[, .. ] In primis sopra la carne di genco e di jinizza grana 4 per rotulo. Item sopra li frutti e foglia per ogni grana dieci un grano e tre piccioli. Item tarì navi sopra ogni cantaro di formaggio che importa grano uno e piccioli quattro e mezzo per rotulo. Item per la gabella del pelo tarì uno per onza. Item sopra la gabella del ferro e sarda di franchezza se la comprano a barile o fresca o salata tarì tre o pesa ogni pezzo seu barile e se si comprano a rotulo, grano uno e piccioli dui per rotulo. Il ferro sopra ogni cantaro tarì cinque di franchezza. Item sopra la pasta che esce tarì cinque sopra ogni cantaro, che importa grano uno per rot_ulo. Item sopra ogni salma d'orgia a ininuto tarì sei e grana otto, che importa grana otto per ogni ton1ino, che importa due grana per ogni mundello o grano uno per ogni mezzo mondello. Item sopra ogni cantaro di frutti grana dodici. Item sopra ogni salma di castagne, noci et ulive grana dodici. Item sopra ogni cantaro di ferro quando entra o esce per mare tarì <lui. Item sopra ogni cantaro di ferro che si compra o resta in città grana dieci. Item sopra ogni cantaro di ferro che esce per terra grana cinque, oltre li grana dieci di quando si compra. Item sopra ogni grana cinque di pesci o salume piccioli tre. Item sopra ogni salma di musto o vino che entra in città dal territorio di Catania tarì uno; da fuori territorio tarì sei. Item sopra ogni quartuccio di vino piccioli dui e questo per li tarì dui e grana otto che si paga per ogni salma per la gabella delle due aquile. Item sopra ogni cantaro di sarda fresca per la gabella dell'orologio, tarì cinque per cantaro. Item sopra ogni onza che si compra di mercia tarì uno. Item sopra ogni pesa di lino e cannavo grana due seu tarì due per ogni cantaro. Item sopra ogni cantaro di zuccaro tarì novi che importa grano uno, piccioli quattro e mezzo rotulo. Item sopra ogni cantaro di sapone tarì dui che importa grana due per ogni pesa. Item sopra ogni salma di mortilla tarì dui e
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di questo privilegio: le autorità cittadine, che vedevano assottiglia11si gli introiti per le spe,se pubbliche; coloro che avevano preso fo appalto o in gabella la riscossione delle tasse e venivano a perdere una percentuale non indifferente di guadagno. Da questo intreccio di interessi è facile intuire la frequenza delle controversie e l'animosità dei contendenti. La misura ,dell'impegno del Riggio per far concludere a proprio favore questa controversia ci viene data da una lettera in duplice copia inviata al papa e alla Congregazione per l'Immunità il 31 agosto 1696: «Beatissimo Padre, tre secoli son trascorsi dacché in questa città s'introdusse un abuso di far pagare le gabelle dell'università da tutti gli ecclesiastici e non è mai stato possibile di sradicarlo. Io da tre anni in qua, che sono indegno prelato, ne ho contestate innanti a più tribunali più liti. Finalmente da quello del Real Patrimonio ne ho avuta la sentenza a favore, che con fatica non picciola l'ho fatta qui presentare ed esseguire per la contrarietà innata che tengono i catanesi co' vescovi della lor chiesa. In materia tanto importante ha contribuito moltissimo l'autorità vicereggia del duca di Veraguas, che ha mostrato grandissimo zelo e pietà nell'aiutarmi. Mi conosco in debito di darne umilmente ragguaglio a Vostra Beatitudine per sua consolazione e per vedere insieme la finezza
grana dieci, che importa grana tre per turnino. Item sopra ogni coiro di bove tarì tre. Item sopra ogni coiro di vacca et altri animali minuti tarì due. Item sopra ogni catasta di summacco tarì <lui e grana deci, che im~ porta grana tre per turnino. Item sopra ogni rotulo di carne di porco grana due. Item sopra ogni rotulo di carne di crasto grana due. I te1n sopra ogni rotulo di carne di ciavarello o agnello grana due. Item sopra ogni salma di sale tarì tre, che importa grana tre e piccioli quattro e mezzo per t'Ummino. Item sopra ogni cafiso d'aglio tarì tre. Item sopra ogni catasta di legni grana cinque. Item per ogni salma di carbone grana sei. Item per ogni cantaro di tabacco per la gabella che esige questa città once 4, stante che per l'altra gabella regia tutti gl'ecclesiastici sono schiavi. Item per raggiungere il cantaro sopra ogni cantaro d'ogni sorte e specie di robbe che entrano in Catania tarì uno, grana due e piccioli tre. Item sopra ogni ~cantaro di candele di sevo tarì tre ed uno rotulo di candele che va colla gabella del martilletto. Item sopra ogni turnino di farina grana quattro. Item sopra ogni onza di panni o sete tarì tre che importa grana due per ogni tarì. Item sopra ogni onza di tutte le suddette cose ove sono le gabelle tarì tre per ogni onza che importano grana dui per ogni tarì, che sono per la gabella del martilletto [ ... ]» (E 1703-1704, 15r-17r).
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del viceré e la mia attenzione in ciò che spetta al servitio ed immunità della Chiesa et adorando con divotissimo inchino Vostra Beatitudine bacio con riverente ossequio Ii suoi santissimi piedi. Catania, 31 agosto 1696. Andrea, vescovo di Catania» 74,
Accluso alla lettera c'è un biglietto di lumi che il vescovo invia per informare la Santa Sede dell'atteggiamento benevolo assunto dal viceré nei confronti delle tesi sostenute dal Riggio e per sollecitare un riconoscimento papale verso la persona del duca di Veraguas: «Notitie cavate dalle lettere di Mons. Vescovo di Catania. Giunto che fu in Palermo, il nuovo signor viceré accolse con tenerezza d'affetto e con sentimento di gran stima il vescovo di Catania, che si era ivi portato per riverirlo, et in presenza di molti cavalieri gli disse che la Santità di Nostro Signore gli haveva caldamente raccomandato la di lui persona, onde voleva, che egli in ogni occasione ne havesse esperimentare l'effetti. Continuò poi a farle molti favori per tutto il tempo che esso vescovo sì trattenne in Palermo e mediante l'autorità e protettione di Sua Eccellenza riportò da quel Tribunale della Monarchia le sentenze favorevoli in molte cause ivi pendenti. Ordinò poi al senato di Catania che si facessero i nuovi giurati a contentamento di esso vescovo; il che ha operato, che tutta la nobiltà di Catania gli porta bora un sommo rispetto e sono affatto cessate tutte le vessationi e disturbi sofferti per il passato per causa dell'immunità e giuridittione ecclesiastica. E finalmente perché da trecento e più anni non si erano mai date nella ditta città di Catania le franchigie all'ecclesiastici, monsignor vescovo, dopo tre anni di continue instanze, ha finalmente conseguita per sentenza del Real Patrimonio le dette franchigie, nel che ha molto contribuito il sommo zelo del detto Signor Viceré duca di Veraguas. Desidera bora Monsignor Vescovo che Sua Santità di Nostro Signore o la Sacra Congregatione dell'Immunità faccino penetrare al medesimo Signor Viceré il gradimento che hanno di quanto si è compiaciuto operare)) 75.
74 Lr, 88. 351r-351v. La lettera di identico contenuto inviata aJla Congregazione dell'Immunità si trova ai ff. 352r-352v. 75 Ibid., 353r. Alla lettera del Riggio fa riscontro la risposta del card. Carpegna nella quale non mancano gli elogi per l'operato del vescovo: ({Illustrissimo e Reverendissimo Signore, le agitationi che V.S. Ill.ma ha sofferto per il servizio della sua Chiesa con una costante fermezza in sostenere l'immunità non poteano che riuscirle d'honore e di gloria, come io sempre sperai, sul fondamento che Dio non manca di consolare quei
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Fatto accogliere il princ1p10, il Riggio emanò le norme di applicazione per evitare il pericolo di frodi: «[ ... ] Vogliamo, come per questo nostro editto comandiamo, che circa la consecutione di ese franchezze habbiano per togliere ogni pretesto di frode nel comprare le dette robbe così con1mestibili e portarli come ogni altro dove ni è gabella da far le polize con la firma sottoscritta di loro propria mano, secondo la quantità delle robbe che comprano o vendono, e quelle consignare alli bottegari, credenzieri, colJettori, gabellati o altre persone a chi spetta, per essere ogni mese a noi portate per riconoscersi se le dette persone ecclesiastiche havessero commesso frodi nel comprare o vendere. Nel qual caso, fatta detta prova di frode commessa, s'intendono incorsi nella pena di once 20 per ogni controventore, cioè d'applicarsi once 10 o altri che poneranno in chiaro detta frode et once 10 alle chiese sa" gramentali di questa predetta città [ ... ]» 16.
Ma si comprende facilmente che si trattava di norme di difficile attuazione e inaccettabili dal 'punto di vista delle autorità civili, che venivano esautorate in un settore molto delicato dell'amministrazione pubblica. Infatti il vescovo si assumeva da solo la responsabilità dei controlli per evitare le frodi; inoltre il sistema di verifica da lui escogitato non dava molto affidamento, perché esigeva un'efficiente équipe di funzionari onesti e preparati, in grado di verificare il movimento quoti-
che operano per la giustizia. Ma godo singolarmente che s'habbia da con" siderare in lei la dimostratione di questa verità, necnon lo spirito dello zelo, è stato assai felice di levare l'abuso continuato per tre secoli di far pagare le gabelle dell'università agli ecclesiastici della sua diocesi; e deve ella giubilarne per sé e per l'esempio che ha dato agli altri di imitarlo; se V.S. III.ma havesse ceduto ai disturbi caggionatili nel governo passato non haverebbe nel presente, tanto diverse per la pietà e per la raggione, la soddisfatione di haver un protettore in luogo dell'oppressore che sopportò ella; me rallegro però di cuore con V.S. !Il.ma e per mio maggior gusto lo loggioverò alla Santità di nostro Signore con leggerli l'istessa sua lettera ben degna d'essere udita da Sua Beatitudine e per l'importanza del fatto e per la modestia con cui ella lo rappresenta; e con pregarla di credermi per sempre obligato e servirla mi ratifico. Roma, 22 settembre 1696. Di V.S. III.ma e Rev.ma servitore il card. Carpegna. <A> Mons. Vescovo di Catania» (ARCHIVIO CAPITOLO CATTEDRALE CATANIA, Documenti vari del governo di Mons. Andrea Riggio, carte non numerate). 76 E 1703-1704, 15r-17r.
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diano delle vendite e degli acquisti da parte di tutti gli ecclesiastici della città. A questo punto, proprio quando dal punto di vista teorico si poteva credere che fosse venuto meno il motivo del contendere, le controversie continuarono più accese che mai, perché i problemi non erano stati risolti e i contendenti erano particolarmente abili nel trovare gli appigli utili all'affermazione del proprio punto di vista 77 • In tema di immunità ecclesiastica un'altra clamorosa controversia ebbe come conseguenza per il Riggio un richiamo da parte del re e l'invito a recarsi alla corte di Madrid per spiegare i motivi del suo comportamento. Il :fatto che fu ali' origine della vicenda si verificò a Catania il 29 aprile del 1699 e possiamo leggerlo nel racconto che lo stesso vescovo fa al papa, al quale si rivolge per aiuto il 16 maggio 1699: «[ ... ] Conducevasi al patibolo un tal Gioseppe Serafino di questa città, condannato alla morte per un omicidio come assassino. Essendo questi vicino alle forche, occorsi che passava per la medesima strada il cappellano sacramentale di Santa Marina, che processionalmente ritornava alla chiesa dopo haver dato il Santissimo Viatico ad un infermo. A sì fatto incontro cominciarono prostrati a terra i popoli a gridare: "Gratia, gratia" e postosi anche i ministri di giustizia in adoratione et abassato a terra lo stendardo riale, che era a vista di quel del Santissimo come anche inginocchiatosi il reo che pure gridò: "Gratia, gratia», restò il medesimo unito con tutto quel popolo che accompagnava e stava attorno corteggiando il Santissimo viatico, formando realmente un corpo, una Chiesa et unica processione. Atterrito il rifirito cappellano per le strida del popolo, si fermò senza saper che risolvere. Quindi fattosi nel medesimo istante dal mio vicario generale un viglietto, acciò il reo dalle carceri regie cui era stato ricon~ dotto si restituisse alle mie vescovili, non meno per raggioni di immunità ecclesiastica e perché si togliesse il dubio dell'esecutione della sentenza di morte in dette carceri laicali in dishonore del Sacramentato Signore, ma anche per togliere il scandalo che compariva nelli animi de' fedeli,
77 Sulle controversie sostenute da Andrea Riggio per affermare l'esenzione dalle tasse per gli ecclesiastici nella co1npravendita della carne, degli ortaggi, del mosto e del vino, troviamo una notevole quantità di documenti
dal 1696 al 1707 nella miscellanea o Libbro rosso.
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quali stimavano vilipesa la maestà di Cristo sacramentato se il delinquente non si metteva in tuto nelli carceri vescovali, acciò si dichiarasse del vescovo il "gaudeate la liberatione'', mentre la vista di un principe supremo e terreno fa qui godere la gratia e l'esentione da qualsivoglia pena, e non mancava qualche balordo di dire che non havrebbe più creduto a tal sacrosanto mistero se non ne havvesse veduti gli effetti della liberatione. Per questo dunque, da villa ove mi trattinivo per ristoro di mia salute mi portai in questa, acciò difendessi la giurisdittione ecclesiastica colla costanza e pastorale sollecitudine che richiedeva sì grave affare. Per que-
sto dunque, da villa ove mi trattinivo per ristoro di mia salute ritornato come dissi alla città, dopo haver usato tutte le convenienze con li mena tovati ministri, acciò mi restituissero il soprannominato delinquente, fui forzato procedere alli monitorii con intimargli le censure, quando non mi fosse restituito nel termine prefissagli, per timore delle quali mi fu poi restituito [ ... ]» w.
Il vescovo, avuto il png10niero, invece di tenerlo nelle carceri ecclesiastiche, pensò di risolvere definitivamente il problema inviandolo libero a Malta 79 • Come era prevedibile, il capitano di giustizia, e i giudici del tribunale locale denunziarono il fatto al viceré, che disapprovò il comportamento del Riggio e pensò di punirlo con l'esilio"'. Per evitare questa eventualità il Riggio chiese l'intervento del papa in sua difesa: «Prostrato dunque ai piedi della Santità Vostra humilmente la supplico a degnarsi ordinare al suo nuntio in Spagna che intraprenda la mia difesa appresso il Re e di far riconoscere l'annesso scritto per lo quale apparisce non essermi io mosso leggiermente nel caso presente» 81 • Il vescovo fu costretto a recarsi alla corte di Madrid; ma quando vi
78 LT, voI. 91, 129r-129v, 134r. Copia delle lettere monitorie inviate dal Riggio al capitano di giustizia e ai giudici del tribunale locale si trovano in LR, 45Ur-452v. 79 F. FERRARA, op. cit., 220-221. so Lo stesso vescovo riferisce al papa i sentimenti e i propositi del viceré nei suoi confronti dopo questo episodio: «Il quale perciò si è mosso a consultare al Re mio signore con vivo inchiostro che debbia io essere esiliato da questo regno e ne anela gli ordini per eseguirlo» Lr, vol. 91, 134r. 81 L. c. Alla lettera è accluso un voto nel quale il Riggio difende il suo comportamento con motivazioni giuridiche e auctoritates (ibid. 1 130r-132r).
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giunse il re era già morto e il suo successore non ebbe difficoltà ad accettare i suoi chiarimenti 82 • La morte di Carlo II era avvenuta a distanza di pochi giorni dalla morte di Innocenzo XII. La notizia del decesso del re di Spagna determinò in conclave l'elezione del cardinale Gian Francesco Albani, proposto dal gruppo .degli zelanti, che scelse il nome di Clemente XI. Il nuovo pontificato cominciava con la minaccia di una nuova guerra europea per la successione
82 Il vescovo in un'altra lettera del 20 agosto 1701 informa il papa dell'esito del suo viaggio: (<Beatissimo Padre, per sincerare la corte di Spagna, sinistramente informata sopra le mie procedure in sostenere l'immunità ecclesiastica, stimo giovevole <al> la santa memoria d'Innocenzo XII il mio passaggio in Spagna. Ed io con la gita prontamente ubbidii e l'evento rese vana la di lui e mia speranza poiché sebene non trovai vivo il Re, portatomi a' confini della Francia ad ossequiare il successore, questi, accoltomi con ispeciale stima del mio carattere restò ben persuaso esser state le mie operationi a dovuta difesa ed onore della mia Chiesa, permettendomi il ritorno con espressioni pari all'animo suo non men pietoso che cattolico e con la speranza di far diversamente rispettare il dritto della' Chiesa di questo regno. Di tutto ciò n'avrei di persona fatto pieno rapporto alla Santità Vostra, ma sendomisi vietato per alcune urgenze della mia diocesi, sono astretto umilmente pregare la Santità Vostra gradirne questo abbozzo per argomentare il religiosissimo naturale di Sua Maestà Cattolica)) (Lr, voL 93, 560r-561r). Il card. Paolucci rispose il 17 settembre congratulandosi con il vescovo per il felice esito del suo viaggio e incoraggiandolo nelle sue battaglie in favore dell'immunità ecclesiastica: ((Illustrissimo e Reverendissimo Signore. Di sommo compiacimento è riuscito a nostro Signore l'aviso participatogli ossequiosa1nente da V. S. del suo feJice ritorno a cotesta sua Chiesa, della sotisfazione c'ha seco recata d'haver havuta benigna udienza ai confini di Spagna del Re oggi regnante e delle speranze riportatone ch'in avvenire sia per esser più rispettata in cotesto Regno l'immunità e giurisdizione ecclesiastica, in difesa della quale avendo eJla dimostrato il suo zelo e costanza e patito l'incommodo del viaggio a Madrid ha reso il proprio merito grande appresso Dio e nel concetto di Sua Santità [ ... ]» (LR, 779r). Il Catalano, riferendo una versione dell'episodio, tratta dal manoscritto Vera e distinta notitia della vertenza liparitana, scrive che il Riggio, pur essendo stato invitato alla corte di Madrid per chiarimenti, non vi andò (G. CATALANO, Studi sulla legazia apostolica di Sicilia, Ediz. Parallelo 38, Reggio Calabria 1973, 80, nota 28). Questo particolare suscita qualche perplessità sulla serietà delle informazioni dell'anonimo autore del manoscritto citato.
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al trono di Spagna e con i chiari sintomi di un irrigidimento dei rapporti fra il papato e la casa imperiale. Le vicende che si verificarono negli anni successivi, tutt'altro che fortunate per il papato, confermarono Clemente XI nella linea di difesa intransigente dei propri diritti e tutto questo ebbe un riflesso negativo anche all'interno delle diverse ,diocesi 83 • Il vescovo Rìggio avrà avvertito con soddisfazione che il nuovo indirizzo voluto da Roma era perfettamente in sintonia con i princìpi nei quali aveva creduto da sempre e che erano alla base del suo programma ;:iastorale. Intanto il 2 ottobre 1709 si verificò un altro clamoroso episodio, che assieme alla controversia liparitana costituì il movente 'del decreto di espulsione dal regno del vescovo Riggio. I fatti sono narrati nel decreto di scomunica del capitano di giustizia Giovan Battista Paternò, barone di Ficarazzi, emanato il giorno successivo dal vescovo: «[ ... ] Poiché ritornando noi hieri li dui del corrente, verso hora una di notte, doppo alcuni giorni di villiggiatura, alla residenza della nostra cattedrale ed essendo stati presentati a noi e nostro vicario generale e ministri per strada, con dovuti atti di religiosa pietà, dal capitano della terra di San Gregorio quattro rifugiati nella Chiesa dei rev. padri benedettini del luogo chiamato "la Licatia''. come quelli che furono estratti prima con nostra licenza dal medesimo capitano per tenerli carcerati nelli nostri carceri a nome della Chiesa, n1entre li portavano a fianchi della nostra carozza, nell'entrare in città di Catania hebbe ardire il capitano della medesima spett. D. Giovan Battista Paternò, barone di Ficarazzi, con gran numero di gente armata assaltare ed assediare la carozza nella quali s'havevano ricovrato li rifugiati suddetti con arrestarla e circondarla da tutte le parti con armi nude e scopette inserragliate, domandando ad alta voce e con schiamazzi li rifugiati suddetti e facendo fronte con dette armi nude alla nostra gente con atto di colpirla et urti datili et altre sifatte violenze, come il tutto è notorio, oltre le plene informationi prese nella nostra Gran Corte Vescovile. Laonde essendo stata lesa così orribilmente la Chiesa <e> la sua immunità per l'attentato di pigliarsi li rifugiati dal riferito di Paternò spett. capitano e nostra giuriditione e finalmeTite per la violenza usata alla nostra persona e del nostro vicario generale, che si trovava con noi nella medesima carozza ed alli nostri preti
83 H. 155-161.
JEDIN,
Storia della Chiesa, !rad. it., VII, Jaca Book, Milano 1975,
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e altra gente di corte quali ci accompagnavano, caso già mai sortito nel Regno, non si potendo considerare maggiore irreverenza e violenza alla Chiesa ed al proprio pastore, perciò invocato noi il nome e l'aggiuto divino devenimo alla presente nostra dichiarazione con la quale publicamo a tutte e qualsivoglia persone di qualunque sesso e condizione per escomunicato vitando di scomunica maggiore, contenta in vari sacri canoni e bolle pontificie, il suddetto D. Giovanni Paternò spett. capitano di Catania, barone di Ficarazzi, precettando gravemente sotto pena di scomunica anche maggiore a noi reservata in virtù del nostro presente editto a tutti e singoli fedeli dell'uno e dell'altro sesso acciò vogliano e debiano appartarsi dalla conversatione di detto spett. capitano e quello tenere, trattare e reputare per escomunicato [ ... ]» 84,
Di questo stesso episodio, abbiamo però una versione diversa, attinta probabilmente alle dichiarazioni fatte dal capitano di giustizia nel successivo processo: «Il capitano Giobattista Paternò Abbatelli barone delli Ficarazzi mandò soldati per arrestare alcuni banditi che trovavansi nella chiesa dei benedettini alla Licatia poco fuori Catania, dopo aver saputo dallo stesso Abate che la chiesa era privata e non capace di im1nunità. Mentre erano condotti s'incontrarono con il vescovo che ritornava dalla campagna, e ne domandarono la protezione come presi sulla chiesa. Arrivato il capitano volle dire la sua ragione al vescovo, ma malgrado i suoi sforzi i rei di tanti delitti entrarono in carrozza con il vescovo in città, e il giorno 3 di ottobre comparvero per Catania i cedoloni che dichiaravano per scomunicato vitando il barone di Ficarazzi» ss.
Il racconto del Riggio sembra, comunque, più credibile; se si tiene presente che è inserito in un editto emanato il giorno successivo all'avvenimento e nella facile previsione che sarebbe stato impugnato. Infatti il capitano di giustizia fece ricorso al giudice del tribunale della monarchia che annullò la scomunica 86• " TA 1709-1710, 24v-25r. " F. FERRARA, op. cit., 222; G. CATALANO, op. cit., 80, nota 30. 86 F. FERRARA, op. cit., 222. Lo storico catanese non riferisce con esattezza le date dell'episodio. Inoltre, ignorando del tutto la controversia liparitana, indica questo fatto come causa dell'esilio del Riggio. In questa svista è seguito dal Fichera (F. FICHERA, Una città settecentesca, cit., 9) e dal giornalista L. SCIACCA, op. cit.,
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Nel giugno del 1711 una circolare della curia romana dava ai vescovi siciliani alcune direttive in terna di immunità ecclesiastiche. Andrea Riggio nella risposta che dà alla Santa Sede ci fa conoscere il loro contenuto: «Non pagarsi annualità veruna di pensione [ ... ],non perrnette11si riforma di franchezze [ ... ], non concedersi tassa d'ecclesiastici a favore de' regi o accomodo di denaro» 87 e assicura la sua piena adesione alle direttive pontificie: «Accerto all'Eminenza Vostra che mercé all'aggiuto divino dal primo giorno del mio governo sin oggi non ho sofferto che l'immunità fosse in cosa alcuna, ancorché leggerissima, pregiudicata così ne' capi cennati, come pure in ogni altro che ha occorso e così spero col favor d'Iddio seguitare molto più adesso che sono avvalorato da tanti precetti di Sua Santità» 88 • Il Riggio non aveva certamente bisogno di incoraggiamenti nel suo atteggiamento di sfida verso le autorità civili; ma le nuove direttive pontificie lo convinsero della bontà delle sue scelte e della opportunità di continuare senza tentennamenti per la strada intrapresa. Solo tenendo presenti queste circostanze possiamo spiegare il precipitare degli avvenimenti successivi e l'atteggiamento da lui assunto nella controversia liparitana 89 • Il 22 gennaio 1711 due guardie annonarie avevano sequestrato a Lipari nella bottega di Nicola Buzzanca due libbre e mezzo di ceci (circa 800 grammi) di proprietà della mensa vescovile, come equivalente della tassa comunale. Il vescovo di Lipari (il benedettino catanese Nicola Maria Tedeschi) fece le sue rimostranze perché era stata violata l'immunità ecclesiastica. Le due guardie restituirono subito i ceci sequestrati; ma il vescovo non si ritenne soddisfatto e pretese che i giurati del
vol. 117, 66r. as L. c. 89 Sulla controversia Jiparitana vedi in particolare: F. J. SENTIS, Die "Monarchia Sicula". Eine historisch-canonistische untersuchung, Herder, Freiburg im Breisgau 1869; I. LA LuMIA, op. cit., 210-288; F. SCADUTO, Stato e Chiesa nelle due Sicilie (introd. di A. Jemolo), I, Ed. Regione Siciliana, Palermo 1969, 136-155; G. CATALANO, op. cit., e la letteratura indicata da questi autori. 87 LT,
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comune di Lipari gli presentassero pubbliche scuse. Dinanzi al loro rifiuto fece pubblicare i cedoloni di scomunica per le due guardie, che presentarono ricorso al tribunale della regia monarchia. Il giudice, prima sospese la scomunica ad cautelam per consentire ai due di difendersi, poi li assolse riconoscendo ingiusto l'operato del vescovo di Lipari. Questi cercò di coinvolgere i vescovi della Sicilia in un'azione comune contro la legazia apostolica e chiese l'intervento di Roma, che non si fece attendere: il 15 agosto 1711 la Congregazione dell'Immunità, in una lettera al vescovo di Lipari, dichiarava nulla per difetto di giurisdizione l'assoluzione data alle due gual'die dal tribunale della monarchia e il 16 gennaio 1712 inviava una lettera circolare invitando i vescovi siciliani a rendere pubblico il giudizio formulato sul rnso delle guardie di Upari "'.
90 {(Adì 16 gennaio 1712. E' giunto a notizia di questa S. Congregatione, che molti di cotesto Regno, li quali vengono dichiarati dagli ordinarii con publici cedoloni incorsi nella scommunica maggiore riservata al Sommo Pontefice per causa di lesa libertà, giurisditione o immunità ecclesiastica, si facciano lecito dì ricorrere a tribunali di cotesto Regno ed ottenere l'as~ solutione da detta scomn1unica ad cautelam con reincidenza dopo qualche tempo, sotto pretesto di poter comparire in giuditio e dedurre ivi la da loro pretesa ingiustitia di dette censure; e perché dalle censure riservate al Sorn1no Pontefice non è permesso a cardinali legati a latere, né agli arcivescovi e vescovi ordinarii de luoghi, né a qualunque altro tribunale, ancorché sia quello di Monsignor Uditore della Reverenda Camera Apostolica, il concedere assolutione alcuna, anche con reincidenza e cautela, né può da essi riconoscersi in grado di appellationi la validità e giustitia di dette censure, spettando ciò a Nostro Signore et a questa S. Congregatione, a tal effetto deputata da Sommi Pontefici, perciò la medesima, con approvatione di Nostro Signore, ha ordinato doversi scrivere a V.S. che per render nota a tutti li fedeli di cotesta città e diocesi la nullità di detta assoluzione per difetto di giurisditione et in conseguenza l'obligo che per ciaschedun fedele corre di vitare ed escludere tali censurati da ogni consortio e commercio secondo il prescritto de Sacri Canoni, debba ella ciò. notificare con publico editto, ad effetto che non possa da alcuno allegarne l'ignoranza, né suffraghi loro alcuna buona fede o altro specioso pretesto, di trattare e conversare con detti censurati, fino a tanto che da medesimi non sarà fatto ricorso alla Santa Sede per l'assolutione o venga da questa S. Congregatione riconosciuta e dichiarata la da loro pretesa ingiustitia di dette censure. Doverà pertanto ella così esseguire con fare
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I vescovi sapevano che la pubblicazione del documento della Santa Sede avrebbe comportato l'estensione della controversia a tutte le diocesi siciliane e la rottura dei rapporti con le autorità civili. Infatti, secondo la prassi vigente, tutti i documenti della Santa Sede prima di essere resi pubblici dovevano essere eseguiti dal re. I presuli siciliani non assunsero un atteggiamento unanime: alcuni chiesero al viceré l'exequatur (che fu negato), altri •scrissero alla Santa Sede chiedendo chiarimenti, tre (i vescovi di Catania, Girgenti e Mazara) il 21 marzo 1712 pubblicarono il documento senza chiedere il regio exequatur 91 • Il leader indiscusso di questo gruppo di intransigenti era Andrea Riggio, il quale nello scontro corale fra i vescovi e le autorità civili vedeva l'occasione di una rivincita sul tribunale della monarchia ''. La pubblicazione del documento pontificio senza l'exequatur fece precipitare gli avvenimenti; dopo una serie di scomuniche e di a·ssoluzioni il viceré Carlo Spinola marchese di los Balbases, il 22 marzo 1713, fece pubblicare a stampa un voto sotto-
affiggere la presente dichiaratione e notificatione ne' luoghi soliti di cotesta città e mandare in S. Congregatione publico documento deJJ'affissione e le prego dal Cielo ogni felicità» (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Albani [=AL],
voi. 57, 62r-6Tv). 91 Appena il viceré fu informato della pubblicazione del documento pontificio senza il regio exequatur scrisse ai tre vescovi una lettera nella quale chiedeva la revocazione dell'editto, da farsi entro otto giorni (TA
1711-1712, 171r·171v). I tre, secondo le istruzioni della Santa Sede, risposero con una lunga "consulta" nella quale si legge che non potevano revocare l'editto senza disobbedire ad un ordine stesso di Dio. Copia delle tre ri-
sposte si trova in TA 1711-1712, 177v-182r (Mazara), 182r-187v (Girgenti), 182r-191v (Catania). 9Z Fra il Riggio e i vescovi di Girgenti e Mazara c'era una regolare corrispondenza che denota unità di intenti e i1 proposito di tenere un comportamento comune. Nei Tutt'Atti della curia di Catania, si trovano registrate parecchie lettere della curia ron1ana o della corte di Palermo indirizzate al vescovo di Girgenti, che il Riggio riceveva per conoscenza (TA 1712-1713, 53v, 54r, 56v-57r, 133v). Erano anche frequenti i contatti che i tre vescovi avevano con la Santa Sede. Il cardinale Paolucci impartiva precise direttive sulJlatteggiamcnto che i tre avrebbero dovuto tenere nell'ipotesi di richiami o di provvedimenti punitivi da parte del viceré.
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scritto da cinquantanove teologi siciliani in difesa .del tribunale della regia monarchia e dichiarò nulli tutti gli atti di provenienza estera che non avessero ricevuto l'exequatur 93 • Riggio reagì immediatamente: il 9 aprile 1713 dichiarò nullo il bando del viceré e condannò la dottrina in esso sostenuta 94 • Per rinG. CATALANO, op. cit., 79. Il documento è particolarmente interessante perché costituisce una sintesi della concezione che il Riggio ha della Chiesa e del suo rapporto con la società e perché determinò il provvedimento di esilio per il vescovo catanese: «Noi Don Andrea Riggio, ecc. 'Videte ne quis vos seducat' (Matthei, cap. 24). Essendosi questa mattina senza barlume di notizia publicata ed affissata col titolo di bando in questa città di Catania una scrittura in stampa destruttiva dell'ordine della S. Congregazione dell'Im~ munitàc>'ecclesiastica, sotto la data delli. 16 gennaro 1712, publicato da noi con ordine premoroso di nostro signore Clemente XI regnante in un nostro editto insertovi l'ordine suddetto, per il quale si notificava ai fedeli alla nostra cura commessi che qualsisia censura riservata al Sommo Pon~ tefice da lui solo e per esso la Sagra Congregatione dell'Immunità spettare privative l'assoluzione, dichiarando non tenere tal facoltà nessun altro tribunale anche dilegato o di auditore della Reverenda Camera Apostolica e che tutti i censurati di dette censure riservate a nostro signore s'intendessero e riputassero invalide assoluti e da riputarsi per scomunicati e ritrovandoci noi indegno pastore dell'anime alla nostra cura addossate, delle quali dobbiamo dar stretto conto al Divino Fattore se lasciamo dispiegare loro le dottrine evangeliche e le massime d'eterna verità che le conducono alla salute eterna e del lume che terremo porgerlo a loro per non invilupparsi nel cupo oscuro dell'eterna perdizione, per tanto in virtù del presente editto semo a dichiararci che siccome come vassalli devesi contribuire le sostanze e la vita in servigio del Re nostro signore Filippo Quinto, che tanto per la sua dolcezza e gratitudine merita di vantaggio, così l'anima dei cattolici deve soggettarsi per necessità di salute agl'ordini pontificii dirizzati al nostro bene spirituale col precetto da Cristo dato a S. Pietro e per esso ai suoi successori nel 'Pasce oves meas'. E perciò si dichiara a tutti i fedeli dell'uno e l'altro sesso, così regolari come secolari di qualsisia stato, grado e conditione, così di questa città di Catania come di tutta la nostra diocesi, che a detto bando non deve darsi credenza veruna e che dobbiamo tutti ubbidire al Sommo Pontefice con eseguire quanto ci comanda, cioè che dette censure riservate non possano assolversi se non dal medesimo o pure dalla Sagra Congregazione dell'Immunità alla quale ha dato l'istesso Sommo Pontefice tale autorità, non valendo a ditti scommunicati dichiarati di censura riservata né sagramenti, né suffragii publici della Chiesa, né onore di sepultura ecclesiastica, né 93 94
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carare la dose riprese il discorso sulla sentenza di assoluzione del barone di Ficarazzi, pronunciata tre anni prima dal tribunale della regia monarchia, e la dichiarò invalida 95 •
altro ai suddetti trasgressori di detto ordine pontificio, oltreché si annoderanno di nuova censura riservata in Bulla Coenae con violare l'autorità apostolica quelli che si ritrovano caduti in qualche altra riservata al Sommo Pontefice se si fanno absolvere d'altro tribunale, quali tutti sono dichiarati dal Sommo Pontefice insussistenti e che non tengono tal auttorità con aborrire quella temeraria, orrorosa, scandalosa e perniciosa dottrina del jus gentium in ditto bando riposta, mentre la potestà del Supremo Pontefice è indipendente da ogni autorità temporale, et tali capiti omnia membra subduntur intendersi l'istesso qualsisia altro bando, ordine o editto che per l'avvenire si facesse che sia pregiudiziale all'auttorità apostolica, non potendo darseli credenza veruna. Ed acciò questo nostro presente editto sì necessario per la salute dell'anin1e dei fedeli si conservasse affissato, s'ordina sotto pena di scomunica maggiore a noi reservata ipso facto incurrenda di non poterlo qualsisia fedele dell'uno o l'altro sesso di qualsisia grado e conditione si fosse levare, rompere o cancellarlo. o con1andare l'antedetto, ed ai regolari sotto pena ipso fatto d'interdetta per· sanale. In Catania, 7 aprilis 1713. Andrea, Vescovo di Catania. De affixione suprascripti constat per 1ne subdiaconum D. Petrum Profeta, magistrum notarium» (TA 1712-1713, 223v-224r). 95 Il vescovo aveva già ripreso il discorso sul barone di Ficarazzi il 24 ottobre 1712 con un editto di scomunica: «Declarazione cattolica. Sappiano tutti i fedeli cristiani così dell'uno come dell'altro sesso, secolari e re· golari e specialmente tutti i miei dilettissimi figli e figlie come di sopra di questa cattedrale e diocesi che Don Giovanni Battista Paternò et Abbatelli, barone di Ficarazzi, è stato ed è publico scon1municato vitando no· minatim denunciato, n1entre dopo la publica dichiarazione d'essere incorso nella censura in Bulla Coenae riservata a Sua Santità anche ad reincidentiam, come per l'ultin10 decreto della Sagra Congregatione dell'Immunità viene confermato, non è stato assoluto dalla Santa Sede, perloché si ordina e si proibisce a qualsisia fedele dell'uno e dell'altro sesso così secolare con1e regolare di non poter parlare né conversare col detto pon Giovanni Battista Paternò et Abbatelli, barone di Ficarazzi, sotto la censura seu scoinunica posta nei canoni a chi ardisce parlare o conversare con publici scomunicati vitandì nominatim denunciati, con haverlo a riguardare come membro putrido della Chiesa, privato dell'uso dei santi sacran1enti, dei publici suffragi della Chiesa e dal convitto dei fedeli, ma anche privato da ecclesiastica sepultura e questo s'intende sino che dalla Santa Sede Apostolica sarà assoluto. Ad oggetto di che si ordina a tutti i fedeli così secolari come regolari di osservare e. dai superiori far osservare
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Di fronte alle provocazioni del nostro vescovo, il viceré ritenne inevitabile il ricorso agli estremi rimedi e il 18 aprile 1713 Andrea Riggio fu espulso dal regno di Sicilia 96 ; lo stesso provve-
tutto quello prescrivono, ordinano e definiscono i canoni e costituzioni pontificie colli scomunicati vitandi, non solo di non poter parlare e conversare col suddetto don Giovanni Battista Paternò et Abbatelli, barone delli Ficarazzi, ma s'entra in qualsisia chiesa senza eccezione di alcuna di qualsisia stato, forma e condizione haverlo da cacciare e di non poter celebrarsi l'uffici divini, tra i quali s'intende il santo sacrificio della messa inanzi del medesimo, dichiarandosi interdetta quella chiesa dove si esercita sì orrendo sacrilegio, oltre le pene spirituali inflitte ai fedeli e<l agli ecclesiastici così secolari come regolari in questa materia se non osservano il metodo di come devonsi governare colli scomunicati vitandi no1ninatirn denunciati, mentre la carità paterna e pastorale dopo d'haverlo avvisato di star ritirato ad altro non ha servito che a disprezzarne gli avvisi e far poco conto del fulmine delle censure. Ed acciò l'antedetto venga in cognitione d'ogni persona, si è fatta la presente dichiarazione con fissarsi ai luoghi publici e consueti di questa città e diocesi. In Catania, 24 ottobre ad hore ventitrè e rneza. Andrea, vescovo di Catania. De affixione constai per me subdiaconum D. Petrum Profeta, magistrum notarium» (TA 17121713, 222v-223r). Poiché il Paternò, secondo la prassi consueta, si era fatto assolvere dal tribunale della monarchia e aveva continuato a comportarsi come se nulla fosse accaduto, il Riggio ribadì la scomunica 1'8 aprile 1713, il giorno successivo alla pubblicazione dell'editto con il quale respingeva le direttive date dal viceré (ibid., 233v). Pertanto furono questi due editti che determinarono la reazione del viceré. % G. CATALANO, op. cit., 81. Nel decreto emanato a Messina, il 18 aprile 1713, dal viceré Carlo Spinola, marchese di los Balbases, si legge testualmente: «Siendo ya intollerables los irregulares procedirnientos de V.S. en agravio de las regalias y preherninencias, que S. M. tiene en este Reyno pues con inconsiderada terneridad parece che va buscando todas las occasiones de periudicarlas y de mostrar su mal afecto al servitio de S. M. con notable pertubaciòn de sus fieles vasallos y de la quietud publica quem esta a me cargo; y non conveniendo al real servicio de S. M. ex resguardo a todas estas consideraciones que le mantenga en este reyno un Prelado que ha dado tantos motivos de sospecha y de sconfianza al Rey, al Reyno ya a todos sus naturales; por tanto usando de la potestà que tengo come Vyrrey y capitan genera! y de la especial que para este caso me ha conferirlo S. M. prevengo a V.S. que dentro de viente y quatro horas del recivo de esto orden salpa de essa ciutad y de dos dias de todo este Reyno de Sicilia podiendo V.S. ir a desernbarcarse librernente in quelquiera parte que non fuere· infecta de inimigos y si V.S. pretendiexe justificarse de
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dimento fu adottato .il 6 agosto per il vescovo di Girgenti, Fran·cesco Ramirez. I due vescovi, prima di lasciare la •sede, lanciarono numerose scomuniche contro gli esecutori del provvedimento ·e promulgarono !'interdetto per tutto il territorio della loro diocesi"', interdetto che fu subito annullato ,dal tribunale della monarchia. La situazione precipitò sempre di più perché nessuna delle due parti sembrava disposta a cedere, anzi faceva ricorso a provvedimenti polemici che rendevano più difficile l'ipotesi di una soluzione. Il viceré con la forza cercava di obbligare sacer-
esta resuloci6n puede recurrir con la misma Jibertad a la Real Corte de S. M. con apercevimiento de que si V.S. non lo executare dentro del termino referido se le obligarà a ello immediatamente con la authoridad real que permitc la regalia y la conservaciOn del Estado. Mecina, 18 de abril de 1713. I. Carlos Felype Antonios Spinola Capitanus Generalis. Al Obisbo de Catanea». (AL, vol. 58, 34v-35r). Il vescovo dichiara: {(Lettera del Viceré di Sicilia a 1ne consegnata dal sergente maggiore D. Gioseppe La Rosa con ordene del medesimo viceré, secondo il suo asserto, di darmela innanzi de testimoni che furono: il capitano della città, alcuni giurati e sindico di essa, ritrovandosi presenti pure alcuni miei servitori. Andrea, vescovo di Catania confermo come sopra}> (ibident., 33v). <n Il decreto nel quale contestualmente si pronunzia la scomunica per coloro che eseguirono il decreto del viceré e !'interdetto per la diocesi è scritto in uno stile fermo e conciso: «Andrea, ecc. Perché voi sergente Don Giuseppe La Rosa con orroroso ardire avete passato a forzarmi di partire con avvisarmi, che se non parto da questo Regno passa alla violenze, tanto che io indegno ministro di Cristo son tenuto cedere alle violenze, assaltandomi voi con squadra di soldati il palazzo ed intimatomi la detta partenza ed esilio da questo Regno, dove per la gratia di Dio e della Sede Apostolica mi ritrovo indegno Vescovo di Catania; pertanto in virtù del presente cedolone vi dichiaro publico scomunicato vitando in Bulla coenae ed al capitano e soldati che mi hanno assediato il palazzo puranche incorsi nella detta censura. Come anche per ordine di nostro signore Clemente XI di porre !'interdetto così alla mia cattedrale come in tutta la diocesi per essere viduata dal suo pastore, che sotto la divina indignazione devesi osservare inviolabihnentc. Catania, 20 aprile 1713. Andrea, vescovo di Catania. Suddiacono Don Pietro Profeta, mastro notaro}> (ibid., 40r). Sembra strano che a subire la scon1unica del vescovo siano degli ignari subalterni che si limitarono ad eseguire gli ordini e non il viceré che li aveva emessi; ma naturalmente né la Santa Sede né il Riggio avrebbero osato indirizzare così in alto i loro strali.
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doti, religiosi e monache a celebrare i sacri riti o a parteciparvi per svuotare di significato ]'interdetto; chi opponeva resistenza o solidarizzava con i vescovi esiliati, veniva punito con l'esilio"· La Santa Sede, in risposta a questi provvedimenti, proibì ai vescovi di Sicilia di pubblicare la bolla della crociata i cui rilevanti proventi andavano nelle casse dello Stato, scomunicò il giudice del tribunale della monarchia, proibì agli ecclesiastici di pagare i tributi e infine, con bolla del 20 febbraio 1715, Clemente XI dichiarò estinta la legazia apostolica di Sicilia 99 • Intanto a Roma si era formato un nutrito numero di esuli siciliani che non esercitavano sulla curia un'azione moderatrice. Andrea Riggio aveva fra tutti un ruolo di primo piano: riferiva al papa le notizie che giungevano con le navi dalla Sicilia, era richiesto di esprimere il suo parere prima delle principali decisioni sull'argomento, presentava memoriali e studi giuridici per controbattere le tesi regie. In riconoscimento .del suo operato, il 13 gennaio 1715 ebbe la nomina di patriarca di Costantinopoli, che gli conferiva un puro titolo di onore, anche se di un certo prestigio 100 •
98 A proposito della evidente perdita del buon senso anche da parte delle autorità civili fa notare La Lumia: «La Giunta [ ... ] in luogo di ser· bare i propri rigori a' materiali attentati contro la sicurezza e la tran· quillità dello Stato, avrebbe preteso scender nell'intimo delle private co· scienze, non limitandosi a vietare ciò ch'era aperta ingiuria alle leggi, ma spingendosi a prescrivere a tutti il da farsi, anche contro i convincimenti propri di ognuno. Insomma, se era bene il sostenere, il proteggere, il cercar d'ingrossare Ja parte amica e ben affetta del clero; se era bene ugualmente il vegliare e contenere ne' debiti limiti la parte più inchinevole a Roma che al buon diritto e alla patria, non era bene di certo l'impegnarsi nel forzare quest'ultima a mentire a se stessa, a far contro le persuasioni sue proprie, e il venire così a conferirle quel prestigio', di cui ogni persecuzione violenta non manca (a ragione o a torto) di circondar le sue vittime. Le tartane che scioglieano dal molo, partivano stivate di preti e di frati» (I. LA LVMIA, op. cit., 237). Il Catalano scrive che all'inizio del 1716 nella sola diocesi di Girgenti «erano oltre ottocento i sacerdoti e i monaci espulsi inviati al confino, o addirittura datisi alla macchia)) (G. CATALANO, op. cit., 98). 99 lbid., 82-99. IOO ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Segreteria Brevi, 2539, 320r-321v. Nella
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Mentre accadevano questi fatti, in seguito al trattato di Utrecht (13 luglio 1713), la Spagna era stata costretta a consegnare la Sicilia a Vittorio Amedeo II di Savoia 101 • La Santa Sede, sperando di approfittare della nuova situazione, si mostrò sempre più intransigente e non volle accettare le proposte di soluzione avanzate man mano dal re sabaudo. I tentativi di definitiva composizione della controversia non fecero molti progressi dopo il breve ritorno .degli spagnoli in Sicilia (1718); tuttavia il 7 aprile 1719 si giunse ad un primo accomodamento, che spianò la strada alla definitiva soluzione della controversia 102 • Dopo questo accordo fatto con il re di Spagna, il regno di Sicilia passò sotto il dominio dell'imperatore d'Austria Carlo VI, al quale toccò affrontare la definitiva -soluzione della controversia liparitana. I colloqui fra le due parti si trascinarono fra alterne vicende fino al 1728, quando fu firmata la cosiddetta "concordia benedettina", che riaffermò il privilegio del tribunale della regia monarchia, sia pure con qualche limitazione 103 •
bolla si legge la formula consueta: «[ ... ] Consideratis grandium virtutum meritis quibus persona tua illarum largitor Altissimus multipliciter insignivit [ ... ] ». 101 I. LA LUMIA, op. cit., 145-352. 102 <(L'accordo, firmato dal cardinale Acquaviva per la Spagna e dai cardinali Albari, Corradini, Tessar.i e Paolucci per la Santa Sede, era indubbiamente lesivo del prestigio della corona spagnola, che accettava quelle stesse richieste della Santa Sede che più volte aveva respinto Vittorio Amedeo II. Il Re si impegnava infatti a far osservare gli interdetti (art. 1); a riconoscere l'efficacia delle scomuniche (art. 6); ad annullare le elezioni dei capitoli monastici, che avevano avuto luogo negli anni della controversia (art. 5); a richiamare tutti gli esiliati restituendo loro ogni avere (artt. 2 e 3); a permettere il trasloco e la tumulazione nelle rispettive cattedrali delle salme dei vescovi di Catania e Girgenti, morti in esilio (art. 7). La Santa Sede prometteva soltanto di favorire la concessione dell'assoluzione agli scomunicati penitenti e di togliere al più presto gli interdetti (artt. 4 e 10)» (G. CATALANO, op. cit., 113). 103 Ibid., 116-127. La concordia benedettina è presa in esame dallo stesso autore (ibid., 137-155). Viene spontaneo chiedersi quale vantaggio abbia conseguito la Santa Sede dall'aver provocato una controversia che per diversi anni procurò numerosi e gravi disagi alle Chiese di Sicilia e sostanzialmente lasciò immutata la situazione precedente. Tutta la vi-
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Frattanto alcuni dei protagonisti erano già morti: Andrea Riggio morì esule a Roma il 17 dicembre 1717 104 , la stessa sorte era toccata al vescovo di Agrigento Francesco Ramirez il 27 agosto 1715 105 . Clemente XI morì il 19 marzo 1721 106 La riconciliazione con la città di Catania, che il vescovo Riggio aveva tanto desiderato in vita, avvenne dopo la sua morte. La sua salma il 30 aprile 1727 fu traslata a Catania, dove fu accolta dalle autorità cittadine e da una folla commossa 107 ,
cenda deve essere considerata come uno dei tanti momenti di crisi che preludono alla nascita di una nuova coscien7a sulla natura della Chiesa e dello Stato. 104 A. Mongitore ci informa che Andrea Riggio morì improvvisamente di notte «rcumate quo afflictari consueverat» (A. MoNGITORE, op. cit., 138). Il Ferrara scrive, invece, che morì a causa di un colpo apoplettico (F. FERRARA, op. cit., 226). Per rispettare un suo voto fu seppellito nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove una lapide ricorda la sua tumulazione temporanea. Il card. Paolucci, nel trasmettere al nipote principe di Campofiorito il testamento di Andrea Riggio, scrive il 18 dicembre 1717: «[ ... ] Le degnissime qualità di lui applaudite da tutta questa corte gli avevano conciliato di maniera l'affetto e la stima di Nostro Signore, che ha la Santità Sua dimostrato un publico sentimento della perdita che se n'è fatta. Ha però voluto che siano celebrate con ogni pompa le di lui essequie nella basilica di Santa Maria Maggiore, a similitudine di quelle che sogliono farsi per i cardinali» (LR, fogli aggiunti non numerati). Nel testamento del Riggio non troviamo elementi di grande rilievo: manifesta la volontà che prima di tutto siano pagati i suoi creditori e coloro che da lui erano stati «aggravati, vessati, ed ingiustamente dannificati con pagare non solo quello che se l'avesse tolto, ma anche pagare il lucro cessante e danno emergente, secondo hanno patito)>, dà disposizioni sul feudo di Pisano, già costituito patrimonio del beneficio abbaziale di San Giuseppe nella località omonima (TA 1694-1695, 149r-161v), istituisce un conservatorio per ragazze orfane ad Acicatena (LR, I.e.). 10s A. MoNGITORE, op. cit., 173. !06 Gli storici, facendo un bilancio del lungo pontificato di questo papa, sono d'accordo nel ritenere fallin1entare l'impostazione da lui data alle questioni politiche e politico·ecclesiastiche (A. PLICHE- V. MARTIN, Storia della Chiesa, !rad. it., XIX/I, SAIE, Torino 1974, 40-43; H. JEDTN, op. cit., 160). 107 Il feretro fu temporaneamente posto nella chiesa Santa Maria di Nuovaluce (nell'attuale quartiere di Monte Po) da dove, il 12 maggio, fu solennemente trasferito in cattedrale con la partecipazione del capitolo cattedrale, del clero, delle confraternite e del senato cittadino (A, MoNGI-
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e definitivamente seppellita nel mausoleo che egli stesso si era preparato nella cappella di S. Agata 108 • 2. LE RELAZIONI «AD LIMINA» DEL VESCOVO RIGGIO
Le sei relazioni ad /imina che pubblichiamo hanno forma e contenuti diversi: le prime sono alquanto brevi, ripetitive, non descrivono lo stato di tutta la ,diocesi ma si limitano a dare qualche notizia che il vescovo riconosce degna di essere riferita alla Santa Sede. Il Riggio, impegnato com'era nell'opera di ricostruzione della diocesi e avendo continui contatti con Roma, non avrà considerato primario l'obbligo di inviare ogni tre anni una lunga relazione per descrivere lo stato della diocesi. La quarta è più ampia ma non può essere paragonata, per ricchezza e completezza di notizie, a quelle di alcuni suoi predecessori 109 • Le ultime due hanno una particolare fisionomia, op. cit., 138). L'elogio funebre, tenuto dal benedettino R. M. Rizzari nello stile ampolloso del tempo, fu pubblicato negli anni successivi (R. M. RrzzARI, La contesa di Ro111a e Catania per il trasporto delle ceneri dell'ìllustrissitno e reverendisshno monsignore Don Andrea Riggio, vescovo di Catania e patriarca di Costantinopoli, nelJa regia stamperia Chiararnonte e Provenzano, Messina 1727). 108 La scelta del luogo in cui costruirsi il mausoleo, se da una parte costituisce una ulteriore dimostrazione dell'alto sentire che Andrea Riggio aveva di sé, dall'altra provocò l'ennesima controversia con il senato che si oppose al progetto e richiese il parere favorevole del viceré. Questi scrisse al vescovo il 19 giugno 1705: «[ ... ] Abbiamo incaricato a cotesto ili. senato a non darvi molestia alcuna per l'eretione del tumulo che intendete fare in detta cappella [ ... ],, (TA 1704-1705, 233r-233v). La stessa iscrizione del mausoleo è indicativa della considerazione che il Riggio aveva della sua persona e della sua opera: «Ill.mus et Rev.mus D.nus D. Andreas Riggio an. sal. 1693, quo exitiali terremotu urbs tota e fundamentis quatitur, Episcopus Catanensis, divina nuciatus providentia, veluti in lapidem ad universam sacrarum aedium instaurationem erectus, ut in caput anguli fieret. Ad huius sacelli ornamentum atque ad aeternum Divae Agathae cultum hanc sepulchralem sibi struxit molem. Anno MDCCV». rn 9 Vedi ad es. quelle di Ottavio Branciforte (A. LoNGHITANo, Le relazioni «ad limina" della diocesi di Catania [1640-1646], in Synaxis 2 [1984] 281-446), di Marcantonio Gussio {A. LoNGHITAN01 Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania [1655], in Synaxis 3 [1985] 257-356) e Michelangelo Bonadies TORE,
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perché scritte mentre il Riggio si trovava in esilio a Roma; da esse traspare da una parte la volontà di ricordare alla Santa Sede che egli ha sofferto il disonore dell'esilio per obbedire ai comandi del papa, dall'altra l'amarezza e la delusione di un vescovo che si sente abbandonato e tradito dal suo clero e dal suo popolo. Possiamo considerare gli elementi più rilevanti che questi documenti ci offrono a partire dallo stesso schema seguito per l'analisi del programma di governo di Andrea Riggio. a) La ricostruzione
A distanza di nove anni dal terremoto, quando nel 1702 Andrea Riggio scrive la sua prima relazione, afferma genericamente che la cattedrale e le chiese sacramentali sono state ricostruite in forma più elegante di prima. Egli non omette di sottolineare che ciò è avvenuto per il suo impegno e i suoi personali contributi (1702, 115r). Nelle relazioni successive offre qualche dettaglio in più: la ricostruzione della cattedrale non è stata ancora ultimata ed è stata per il vescovo motivo di preoccupazione; ma avendo già acquistato il materiale necessario, è sicuro che essa sarà portata a compimento in forme più ampie e più eleganti di prima (1709, 133r; 1712, 144r) 110 • Nella (A. LoNGHITANO, Le relazioni ({ad lin1ina» della diocesi di Catania [1668-1686], cit.). 110 Andrea Riggio nelle sue relazioni scrive con insistenza che la cattedrale era stata ricostruita in forma più ampia della precedente. Questa espressione assume solamente un significato retorico. 11 terremoto, infatti, aveva risparmiato le absidi e le mura perimetrali e la commissione che stabilì i criteri per la sua ricostruzione si trovò d'accordo nel rispettare le fondamenta esistenti: «E similmente il risarcimento del Duomo di Sant'Agata che si haverebbe rifatto nella sontuosità primiera con non tanto grande interesse quando per farsi da pedamenti com'era ci volevano dei milioni» (Consiglio ed istruzioni, cit., 220). Inoltre si tenga presente che anche dal punto di vista volumetrico il nuovo tempio non era più ampio del precedente, se si considera che nella ricostruzione succes~ siva al terremoto il pavimento fu innalzato di quasi un metro rispetto al precedente e che le colonne antisismiche venivano ad occupare uno spazio maggiore delle agili colonne normanne.
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quarta relazione scrive che la cattedrale è stata già ultimata e consacrata; per la sua ricostruzione ha speso 50.000 scudi (1712, 144v). Nella quinta informa che è stata portata a compimento la costruzione della cupola, iniziata quando egli era in sede (1714, 157r) 1ll. Dall'ultima relazione sappiamo che nel 1717 non era stato ancora posto in opera il pavimento di marmo; il vescovo prima del suo esilio aveva già tutto il materiale predisposto, ma nessuno si era preoccupato di iniziare i lavori {1717, 163v). Sulle altre chiese non dà notizie più dettagliate, ad eccezione della chiesa di Sant'Agata alla fornace, per la cui ricostruzione egli non ha esitato a spendere 5 .000 scudi del suo denaro, per non contare le spese sostenute per le pitture e l'arredamento (1705, 122r). Riprende il discorso su questa chiesa nella relazione del 1712 per scrivere che le spese complessive per la ricostruzione e l'abbellimento avevano raggiunto la cifra di 7.000 scudi (1712, 145v). Scrivendo sui monasteri ci informa che ha contribuito a sue spese per ricostruire in forma più ampia e più bella la chiesa e il monastero di Santa Chiara (1712, 163v). Il seminario, che era ancora in costruzione nel 1712 (1712, 146v-147r), nel 1717 pare fosse già ultimato, anche se il vescovo lamenta che in sua assenza nessuno più provvedeva alla fabbrica (1717, 163v-164r).
111 L'abate Amico ci descrive le dimensioni di questa cupola, costruita dal Riggio e distrutta dal vescovo Corrado Maria Dcodati per far posto a quella più grande che oggi si an1mira: «Tholus aute1n tabulis plumbeis contectus palmis CL totiusque basilicac [ ... ] elevatur)) (V. M. A.rv1rco, op. cit., III, 101). In un opuscolo stampato da D<omenico> P<rivitera> in difesa del vescovo Corrado Maria Deodati si legge: «Ouella cupola innalzata dal Riggio [ ... ] su di un piè inelegante e basso si è diggià demolita dal coraggio di Deodata e si erge in sua vece una cupola di molto più sublime, più galante e regolare, di pietra viva [ ... ]i> (Lettera ad un a1nico per servire di relazione sullo staio attuale della basilica di Catania e di supple1nento alla storia di essa, senza indicazione di tipografia di luogo e di anno; si legge una data scritta a penna prima della sigla finale: «Lì 18 ag. 1804. Obb.mo e servid. ed amico D. P.»). Ringrazio l'amico V. Anastasi che mi ha segnalato l'opuscolo.
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b) La riorganizzazione e il governo della diocesi
Nelle sue relazioni Andrea Riggio descrive l'organizzazione della cura delle anime esistente: nella città di Catania egli è l'unico parroco (1702, 115r); i cappellani amovibili amministrano a tutti i sacramenti, ma non possono ricevere il mutuo consenso degli sposi nel matrimonio (1712, 145v). Meraviglia che non abbia cercato di trasformare in parrocchie autonome le cappellanie sacramentali esistenti. Infatti nelle sue relazioni fa rilevare alla Santa Sede che il clero di Enna è più colto e dedito allo studio perché stimolato dai concorsi per le parra<> chie (1702, 115v; 1705, 122v; 1709, 133v) e che si deve alla penuria dei benefici conferiti per concorso la mediocre preparazione culturale dei sacerdoti della diocesi (1709, 133v) 112 • Solo in due relazioni abbiamo notizie utili per conoscere le condizioni di vita del seminario. In quella del 1712 il Riggio si limita a descriverne l'ordinaria amministrazione: «Vigilo attentamente perché i ragazzi di buona indole siano istruiti, imparino la grammatica e le altre scienze, sotto la guida del rettore, un sacerdote maturo, distinto per virtù, scelto dal capitolo della cattedrale. NeIJd domeniche e nei giorni festivi, secondo la norma del Concilio di Trento, prestano servizio nella cattedrale. All'amministrazione del seminario ho preposto i deputati e gli altri superiori, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento;> 113,
Nella relazione del 1717 il vescovo si trova già in esilio a Roma e vuole evidenziare le tragiche conseguenze derivate dal suo forzato allontanamento aalla diocesi: ((Il seminario già sufficientemente fornito dalla sua erezione, era stato da me arricchito di rendite; quando io ero in diocesi aveva cinquanta
u 2 Le motivazioni che avranno indotto il vescovo Riggio a lasciare in1mutata la situazione preesistente al terremoto possono essere varie: la difficoltà di reperire i patrimoni necessari per costituire i benefici, l'opposizione che avrebbe potuto aspettarsi da parte delle autorità civili, la convenienza di una organizzazione centralizzata, che nelle difficoltà in cui si trovava la diocesi dopo il terremoto, poteva comportare vantaggi i1on indifferenti per il vescovo. 113 Relazione 1712, 146r. I brani delle relazioni sono citati nella nostra traduzione.
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alunni, istruiva molti convittori e si ergeva per la stupenda mole dei suoi edifici; ora nessuno provvede né alle fabbriche, né ai giovani. Infatti in esso sì ospitano solo nove alunni (e sarebbe da augurarsi che anch'essi fossero assenti, perché sono i primi che disprezzando l'interdetta, partecipano ai divini uffici con gli scomunicati vitandi. Gli altri, ispirati dalla grazia di Dio, hanno abbandonato il seminario) e tuttavia, per quanto sia ricco di tante rendite, è pieno di debiti)> 114.
Da queste testimonianze possiamo dedurre quanto stesse a cuore al nostro vescovo il se1ninario, che aveva avuto una sede degna, un patrimonio invidiabile e aveva raggiunto un numero di alunni superiore a quello riscontrato negli anni precedenti 115 • Nella relazione del 1712 il nostro Riggio riferisce con soddisfazione che solo in parte è riuscito a realizzare la riforma del regime giuridico dei monasteri femminili: i monasteri delle clarisse di Catania e di Adernò da poco sono passati sotto la giurisdizione del vescovo (f. '147v e !Slv), ma egli non è riuscito ad ottenere lo stesso risultato con le agostiniane di Regalbuto (f. 152r). Un tema, che il nostro vescovo affronta in tutte le relazioni, riguarda l'impegno a conoscere e far pagare i legati che gravavano sulle proprietà dei privati. Molti fedeli, nel fare testamento, lasciavano alle chiese o agli istituti pii somme di denaro o altri oneri, che gli eredi facevano il possibile per nascondere agli interessati per non essere obbligati a pagare. Il problema sembra che si ponesse in modo più acuto nella città di Piazza e Andrea Riggio lo affrontò con il suo temperamento per nulla incline allo scoraggiamento o al compromesso: «Poiché le proprietà dei cittadini e soprattutto dei nobili sono onerate da innumerevoli legati, nell'ultima visita pastorale mi sono impegnato con tutte le mie forze nel pretendere il loro pagamento. Perciò emanai pubblici
Relazione 1717, 163v-164r. 11s Gli alunni del seminario negli anni precedenti non avevano mai superato il numero di quindici {A. LONGHITANO, Le relazioni «ad lin1ina» della diocesi di Catania [1668-1686], cit., 370-371; Io., Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania [1691], cit., 368). 114
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editti, muniti di censure, per conoscere le scritture e i documenti che dimostrano l'esistenza dei legati medesimi» 116,
Uno dei richiami che la congregazione soleva fare ai vescovi riguardava l'istituzione nella cattedrale della prebenda del teologo e del penitenziere, secondo le norme dettate dal Concilio di Trento. Al Riggio la raccomandazione era stata fatta nella bolla di nomina; ma l'officiale di curia incaricato a scriverla non si era reso conto che, nelle condizioni in cui si trovava la diocesi di Catania dopo il terremoto, difficilmente il vescovo avrebbe potuto prenderla in considerazione. Andrea Riggio solo nella relazione del 1712 (f. 145r) scrive che, in attesa di erigere la prebenda del canonico teologo, in cattedrale ci sono il vicepenitenziere e il pubblico lettore di teologia morale, una soluzione che già avevano trovato i suoi predecessori 117 • Troviamo infine qualche riferimento alle sue iniziative pastorali: l'istituzione dell'associazione di mutua assistenza del clero (1712, 146r); quella di un'altra associazione, che egli chiama segreta, aperta a tutti i fedeli, che ha per fine il culto dell'Addolorata e la garanzia delle esequie dopo la morte; l'apertura della nuova rnsa religiosa dei ministri degli infermi (i crociferi) (1712, 148r). Particolarmente interessanti sono alcuni giudizi che egli formula sul clero o il popolo di alcune città. Abbiamo già preso in esame il giudizio positivo che formula sul clero di Enna e quello non molto favorevole che dà sul clero della diocesi in genere. Descrivendo le condizioni della città di Acireale scrive che i suoi abitanti sono inclini al culto della religione (1702, 1 lSv) e nelle relazioni successive informa la Santa Sede che il clero acese spicca per esemplarità e buoni costumi (1705, 122v; 1709, 133v), mentre il popolo è tanto numeroso quanto dedito alle opere di religione (1705, 122v).
116 Relazione 1702, 115v. Sullo stesso argomento vedi anche le relazioni 1705, 122v; 1709, 133r. 117 Vedi la relazione del Bonadies del 1668, 17v-18v (A. LONGHITANO, Le relazioni «ad lùnina» della diocesi di Catania [1668-1686], cit., 365).
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Adolfo Longhitano c) Le controversie sull'immunità ecclesiastica
Nelle prime relazioni Andrea Riggio non dà molto spazio alle numerose controversie che fin dall'inizio del ·SUO episcopato lo avevano contrapposto alle autorità civili. Si limita solamente ad affermare che egli, per promuovere la riforma della dio· cesi, si era impegnato sop·rattutto nella difesa dell'immunità ecclesiastica (1702, 116r; 1705, 122v) e accenna alla lite con i rettori del monte di pietà di Catania, che volevano sostenere di dipendere dalle autorità civili e non da quella .del vescovo. Egli, dopo tante fatiche e non poche spese, vinse la causa e per affermare il suo diritto chiese il resoconto ed emanò delle precise disposizioni per regolare il rapporto dell'istituto con il vescovo (1712, 147r). Ma era inevitabile che affrontasse il tema dell'immunità nelle ultime due relazioni scritte durante il suo esilio. Questi documenti risultano particolarmente interessanti, perché ci consentono .di conoscere il giudizio che Riggio dà della diocesi di Catania dopo il 'SUO forzato allontanamento e lo stato d'animo in cui egli si trova durante gli anni del suo esilio. Abbiamo vi·sto che la situazione in cui vennero a trovarsi le diocesi siciliane al tempo della controversia liparitana non era felice; le difficoltà erano maggiori in quelle diocesi che, mentre i vescovi erano stati mandati in esilio, si trovarono colpite dall'interdetta. Ma Andrea Riggio, nel formulare un giudizio sul suo clero e .sul suo popolo, si lascia prendere dalla retorica, fino al punto da farci credere che la situazione si sia improvvisamente capovolta. Se precedentemente aveva ,scritto che il clero, sebbene non eccellesse per dottrina, possedeva tuttavia le cognizioni richieste per svolgere il suo ministero (1702, llSv), e il popolo non ·solo fosse molto osservante della vera fede cattolica ma anche molto dedito alla pietà (1712, 152v), non si riesce a capire come mai all'improvviso nel suo scritto i sacerdoti diventino buoni solo per condurre le anime all'inferno e la città di Catania debba essere considerata il mercato delle iniquità (1717, 163r - 163v). A parte la retorica delle due ultime relazioni, il disorientamento del clero e dei fedeli negli ultimi anni del governo epi-
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scopale di Andrea Riggio fu notevole. Contrariamente a quanto egli si era aspettato lasciando la diocesi, !'interdetto non veniva osservato (relazione 1714, 157r) e questo equivaleva ad una sconfessione dei princìpi che lo avevano guidato in tutto il suo comportamento. I più si saranno chiesti se la linea intransigente voluta dal papa e attuata con tanto zelo dal loro vescovo fosse quella che bisognava seguire. In ogni caso gli anni dell'interdetto e dei disordini che ne 'Seguirono non furono indolori per la diocesi di Catania. E' necessario che se ne ricordino gli storici quando prendono in esame la situazione della diocesi e delle sue istituzioni negli anni successivi all'episcopato Riggio.
3. CRITERI METODOLOGICI SEGUITI NELLA PUBBLICAZIONE DI QUESTI DOCUMENTI
Non variano i criteri seguiti nella pubblicazione delle precedenti relazioni: assieme al testo integrale latino dei documenti è stata data una libera traduzione in lingua italiana. E' stata riportata la numerazione meccanografica segnata nei documenti ,del fondo dell'Archivio Segreto Vaticano, in cui è conservato il testo originale delle relazioni"'. La trascrizione è stata fatta nel rispetto sostanziale del testo: le abbreviazioni più difficili sono state sciolte, le maiuscole e la punteggiatura sono state adattate il più possibile ai criteri moderni. In nota sono state trascritte anche le sottolineature e le osservazioni dei prelati della congregazione riportate in margine o in calce al testo; esse ci permettono di conoscere le impressioni e i criteri di lettura di, questi documenti da parte degli officiali della Santa Sede. Vengono utilizzati i segni < ... > per indicare integrazione di parole necessarie al senso.
us
ARCHIVIO
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SEGRETO
VATICANO,
Relazioni
«ad limina»,
Catania, A,
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xx 1702 - Relazione scritta il 14 aprile 17021 dal vescovo Andrea Riggio e presentata a Roma per il procuratore abate D. Pietro Riggio, suo nipote i.
[115r] Beatissimo Padre, prostrato umilmente ai piedi della Vostra Beatitudine per liberarmi del peso della visita ad limina, esporrò lo stato di tutta la diocesi di Catania, così come lo consente un breve discorso. Iniziando dalla cattedrale, bisogna tenere presente che essa è coadiuvata da sette chiese sacramentali; ma solamente io sono il parroco della città. Fra di esse spicca per dignità la chiesa di S. Maria dell'Elemosina, dove ha sede un antichissimo
1 Il vescovo Andrea Riggio aveva già fatto la prima visita ad limina nel 1693, mentre si trovava a Roma, subito dopo la consacrazione episcopale; ma non era stato in grado di consegnare la relazione perché non conosceva ancora Io stato della diocesi. I documenti relativi a questa sua prima visita sono: 1) una lettera al papa: «Santissimo Patre, il moderno vescovo di Catania prima di portarsi alla residenza desidera di compire alla visita ad Iimina delli Santi Limini per il corrente 36° triennio che spira in fine del presente anno, come per il venturo 37° che con1incia nel 1694. Supplica humihnente la Santità Vostra della facoltà e gratia, etc.» (109r) <'Alla Santità di Nostro Signore Papa Innocenzo XII» (112v) e la nota di accogli111ento della domanda; {(Die 13 ianuarii 1693 Sanctissimus annuit» (112v); 2) due attestazioni della visita alle basiliche romane (110r e lllr); 3) la nota deIIa Congregazione del Concilio: <(28 febr. 1693 fuit data attestatio pro 36° et 37° triennio}> (112v). 2 Al testo della visita sono acclusi i seguenti documenti: 1) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio Francesco Pappalardo, il 13 aprile 1702, per l'abate D. Pietro Riggio, nipote dcl vescovo, che risie· deva a Roma e ricopriva l'ufficio dì referendario delle due Segnature (l13r-114r); 2) due attestati della visita alle basiliche romane (117r e 118r); 3) la nota della Congregazione: <(27 maii 1702 fuit data attestatio pro 39° triennio» (116v).
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capitolo di canonici. Il capitolo della cattedrale è costituito da dodici canonici, altrettanti presbiteri e cinque dignità: il priore, il cantore, l'arcidiacono, il tesoriere e il decano. Le suddette chiese e gli altri templi e oratori della città, sebbene siano stati distrutti dal memorabile terremoto, oggi tuttavia, con il mio impegno e i miei contributi, nei limiti delle mie possibilità, sono stati ricostruiti in forma più elegante di prima. Tutto questo [115v], con l'aiuto di Dio e la pietà dei fedeli, è stato realizzato anche nelle altre chiese di tutta la diocesi. La circoscrizione diocesana comprende quaranta città e paesi, fra cui le principali sono: Piazza, Enna o Castrogiovanni, Aci, San Filippo, Adernò e Paternò. Piazza, che spicca fra le città più illustri di tutto il regno e il cui popolo si dedica con ammirevole impegno alla pietà, è insignita di un cospicuo capitolo di canonici, dotato con un ricco patrimonio da Marco Antonio Trigona. Tuttavia, poiché le proprietà .dei cittadini e soprattutto dei nobili sono onerate da innumerevoli legati, nell'ultima visita pastorale mi sono impegnato con tutte le mie forze nel pretendere il loro pagamento. Perciò emanai pubblici editti, muniti di censure, per conoscere le scritture e i documenti che dimostrano l'esistenza dei legati medesimi. Ho messo lo stesso impegno nella ricerca della documentazione anche per gli altri paesi della diocesi. In essi il clero è numeroso e, anche se non eccelle per dottrina, tuttavia ha le cognizioni richieste in un periodo così tempestoso come il nostro. Enna o Castrogiovanni ha il maggior numero di sacerdoti dotti e preparati nelle discipline ecclesiastiche, perché il clero di questa città aspira a partecipare all'esame sinodale indetto con pubblico editto per la provvista delle parrocchie. La città di Aci è adornata di un capitolo di canonici. al quale di recente la Sede Apostolica ha concesso l'uso della mozzetta e del rocchetto. I suoi abitanti sono numerosi e inclini al culto della religione. San Filippo d'Agira, Regalbuto [ 116r], Adernò, Paternò e le altre città meno illustri della diocesi hanno chiese bene
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adorne, dove il clero, fornito di una discreta dottrina, svolge con impegno i riti e le cerimonie sacre ed esercita la cura delle anime. Per promuovere la riforma di tutta la diocesi mi sono impegnato soprattutto nella difesa dell'immunità ecclesiastica, nella correzione dei costumi e nella prevenzione dei pubblici e più gravi delitti. Intanto con incessanti preghiere alla suprema saggezza della Santità Vostra chiedo aiuto e la santa benedizione, perché possa sostenere con entusiasmo un così oneroso ufficio pastorale con l'aiuto di Dio e di sua madre Immacolata. Catania, 14 aprile 1702 Andrea, vescovo di Catania
XXI 1705 - Relazione scritta il 1 maggio 1705 dal vescovo Andrea Riggio e presentata a Roma per il procuratore, abate Alessandro Della Torre, nello agosto del 1705 3•
[122r] Beatissimo Padre, umilmente prostrato ai piedi della Santità Vostra per soddisfare l'obbligo della santa visita ad limina, mi accingo a descrivere brevemente lo stato della Chiesa di Catania. Iniziando dalla cattedrale, informo che essa è coadiuvata da sette chiese sacramentali; ma sono solamente io il parroco di
3 Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera del vescovo al papa: «Beatissimo Padre, il vescovo di Catania devotissimo oratore di Vostra Santità riverentemente gli espone avvicinarsi
il tempo della visita dei Santi Limini per il triennio quadragesimo e considerando esser a lui impossibile, non meno per la staggiane avanzata che per la poca sicurezza delle strade e navigatione respettivamente ne' presenti tempi di guerra dì adempire questo debbito per se stesso o per mezzo di uno dei suoi capitolari, supplica umilmente Vostra Beatitudine d'am-
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tutta la città. Sebbene le chiese sacramentali siano state rase al suolo dal terribile terremoto del 1693 tuttavia, con la mia opera e a mie spese, nei limiti delle mie possibilità esse sono state riportate in ottimo stato. Lo stesso ho cercato di fare, con l'aiuto di Dio e con il soccorso della pietà dei fedeli, in tutti gli altri centri della diocesi. Sulle altre chiese si distingue a Catania il tempio, eretto dalle fondamenta fuori le mura, in onore di S. Agata, nel luogo in cui si dice che l'invitta 111artire sia stata bruciata sui carboni ardenti. Per portare a termine quest'opera non ho esitato a spendere 5.000 scudi del mio denaro; a parte le spese necessarie per le pitture e gli addobbi interni con i quali ogni giorno mi sforzo di adornare questa chiesa, perché un così celebre santuario non rimanga nascosto agli occhi ,e alla devozione dei buoni fedeli. La cattedrale è insignita di un capitolo, costituito da dodici canonici e altrettanti beneficiali, e da cinque dignità: il priore, l'arcidiacono, il cantore, il tesoriere e il decano. Similmente, nella chiesa parrocchiale intitolata a S. Maria dell'Elemosina, è rinomato per lo splendore e il culto un antico capitolo di canonici, soggetto all'ordinaria giurisdizione del vescovo [122v]. Tutta la diocesi comprende sessanta centri abitati, fra i quali i principali sono: Piazza, Enna, Aci, San Filippo, Regalbuto, Adcrnò e Paternò. Piazza, che è fra le città più illustri di tutta la Sicilia, supera in splendore gli altri centri. La sua popolazione è molto zelante nella pietà. E' adornata di un cospicuo capitolo di canonici dotato di un ricco patrimonio da Marco Trigona. Ma poiché le proprietà dei cittadini e specialmente dei nobili
mettere per suo procuratore all'antedetta visita la persona dell'abbate Alessandro della Torre, sacerdote romano. Che, etc.» (119r) «Alla Santità di Nostro Signore Papa Clemente XI}) (126v) e la nota di accoglimento della domanda: «Sanctissin1us annuit)) (126v); 2) procura in farina pubblica, redatta a Catania dal notaio Francesco Puglisi l'8 luglio 1705 (120r121v); 3) due attestati della visita alle basiliche ro1nanc (124r e 125r); 4) la nota della Congregazione: «c.He 8 augusti 1705 data fuit attestatio pro 40° triennio» (123v). Copie di questa relazione si trovano in TA 1704-1705, 184v-185v e in LR 78lr-782v.
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sono gravate da molti legati, con ripetute visite mi sono adoperato, mediante pubblici editti, perché essi venissero rivelati e rpagati. La stessa sollecitudine ho avuto negli altri centri della diocesi. Tutto il clero della diocesi, sebbene non brilli per dottrina, possiede tuttavia le nozioni richieste per lo stato sacerdotale nel tempestoso periodo in cui viviamo. Enna o Castrogiovanni spicca per un clero più preparato e più dotto, perché aSipira a partecipare ai concorsi parrocchiali, che vengono indetti con pubblici editti. La chiesa madre di questa città ha un antichissimo capitolo di canonici, che da molti anni si è ridotto a soli quattro membri, più il priore; nelle ultime visite pastorali mi sono adoperato a riportarlo al numero di dodici. Anche la città di Aci è arricchita di un'insigne collegiata, che di recente 1dalla Sede Apostolica è stata fregiata della mozzetta e del rocchetto. Il clero di questa città spicca per esemplarità e per buoni costumi. Anche il popolo è tanto numeroso quanto dedito alle opere di religione. A San Filippo, Regalbuto, Adernò, Paternò e gli altri centri meno noti della diocesi il clero è sollecito nella cura delle anime, nelle cerin1onie e nei riti sacri e possiede una discreta dottrina. Per attuare la riforma di tutta la diocesi mi sono adoperato a riparare le offese all'immunità ecclesiastica e a combattere gli sfrenati usi di chi si è disabituato ai buoni costumi. Intanto con insistenti preghiere chiedo l'aiuto e la santa benedizione alla Santità Vostra, perché possa portare a termine felicemente il inio ufficio pastorale e un così oneroso peso non adeguato alle mie spalle con la sollecitudine e l'entusiasmo dovuti. Catania, 1 maggio 1705 Andrea, vescovo di Catania
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XX I I 1709 " Relazione scritta il 6 novembre 1709 dal vescovo Andrea f{jggio e presentata a Roma dal procuratore can. Giovanni Battista Sciacca della collegiata di Piazza nel dicen1bre del 1709 4•
[ 133r] Beatissimo Padre, essendo grn trascorso un triennio da quando avevo fatto la visita ad limina, a norma delle costituzioni pontificie, mi accingo a descrivere ancora una volta lo stato della mia diocesi per una nuova visita. Inizio dalla cattedrale che è costituita da dodici canonici, da altrettanti beneficiali e da cinque dignità. Ho constatato che essa è ben fornita della suppellettile e degli altri oggetti necessari al culto divino. Tuttavia, quanto allo stato materiale, dopo le rovine deJ .. l'ultimo terremoto del 1693, si ritrova non meno bisognosa di
4 Al testo della relazione sono acclusi i seguenti docu1nenti: 1) una lettera del vescovo alla Congregazione del Concilio: «Eminentissirni Si gnori, il vescovo di Catania non potendo conferirsi alla visita de Sacri Limini per il triennio 41° cadente, né rnandare persona del suo capitolo di far questo atto in sua vece, supplica le E,minenze Vostre degnarsi dì prorogargli il tempo prefisso per altri sei rnesi. Che, etc.» (127r) «Alla S, Congregazione del Concliio» (130v) e la nota di accoglimento della don1anda: «die 15 decembris 1708. Ad sex Inenses» (128v); 2) una seconda lettera alla Congregazione del Concilio: «En1inentissiini e Reverendissi1ni Signori, essendo stata da questa S. Congregazione concessa la proroga di sei mesi al vescovo dì Catania per portarsi personalmente alla visita de Santi Lin1ini per il caduto triennio 41° o pure mandare qualched'uno del suo capitolo, atteso che ne' ten1pi correnti la navigazione et anche le contrade di terra restano infestate da corsari e da banditi, e stando questa per terrninare e continuando le rnedesime cause con aggiungervisi anche la stagione avan· zata a far sirnili viaggi, supplica un1ilmente le Eminenze Vostre a volergli concedere la proroga per altri sei 1nesb> (129r) «Alla S. Congregazione del Concilio)> (130v) e la nota di accoglimento della domanda: «Die prima iunii 1709. Ad 12 menses»· (130v); 3} procura in forma pubblica, redatta a Catania dal notaio Francesco Puglisi il 6 novembre 1709 (!3lv·132v); 4) 0
due attestati della visita alle basiliche romane (!3Sr e 136r); 5) la nota della Congregazione: «7 decembris 1709 fuit data attestatio pro 41" triennio» (!34v).
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una ingente somma di denaro, quanto priva di ogni umano aiuto. Questa afflizione ha provocato in me, nel tempo, una grandissima preoccupazione; per la qualcosa, sebbene per la debolezza delle mie misere forze fossi atterrito all'idea di portare a termine un'opera così grande e di assumere un carico così pesante, tuttavia, confidando nell'aiuto e nella protezione divina, dopo aver comprato una grande quantità di calce e di altro materiale necessario, ho iniziato a riedificare dalle fondamenta, con una nuova e più elegante ·forma architettonica e in un sito più grande, un tempio che era già il maggiore della Sicilia. Piazza, che è la principale fra le città di questa diocesi, è stata da me attentamente ispezionata nell'ultima visita pastorale, che ho portato a termine di recente. Per quanto le mie forze me lo hanno consentito, mi sono impegnato ad esigere soprattutto l'esecuzione dei legati [ 133v]. Infatti nella sua insigne collegiata non ho trovato nulla da correggere quanto alla suppellettile e al governo. L'antichissima città di Enna o Castrogiovanni, eminente per un nuovo capitolo di canonici, è abbastanza ricca di un clero colto; infatti, essendo distinta in molte parrocchie, i rettori di esse sono scelti con un esame sinodale fra i concorrenti più preparati. Aci, distante poche miglia da Catania e insignita di un altro collegio di canonici, spicca soprattutto per la pietà e i costumi esemplari del suo clèro. Adernò e Paternò, anch'esse primeggiano per le antiche collegiate e sono ben disposte al culto divino, che i loro abitanti rendono a Dio con spiccata pietà e buoni costumi. Le altre città minori e i villaggi sono in tutto trentaquattro e ricevono dai cappellani sacramentali e dai nostri vicari il necessario per la cura e l'istruzione del gregge di Cristo. Sebbene fra i chierici non sia molto diffuso lo studio delle lettere e delle arti liberali per la penuria di benefici, soprattutto di quelli che vengono conferiti per concorso e costituiscono per loro uno stimolo, tuttavia non manca la dottrina necessaria per l'amministrazione dei sacramenti e la prima istruzione del popolo. Mi sono sforzato di difendere i monasteri femminili usando per tutta la diocesi la massima vigilanza. Nel loro governo e nel
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promuovere la loro perfezione ho provato una felicità così grande, che non potrò ringraziare abbastanza la misericordia di Dio [134r]. Ho già informato la Santità Vostra in un'altra lettera che il monastero di Santa Chiara, vicino alla cattedrale, indotto da una buona isipirazione, spontaneamente ha chiesto di sottostare alla giurisdizione del vescovo. Alle sacre vergini di questo monastero, oltre ad aver lasciato alcune istruzioni e aver nominato alcuni ottimi ministri per provvedere al loro buon governo, in breve tempo ho edificato una nuova chiesa abbastanza grande e adornata per celebrare il culto divino. Intanto prego e umilmente supplico la Santità Vostra perché santifichi la diocesi con un'amplissima benedizione, mentre mi prostro umilmente ai suoi piedi. Catania, 6 novembre 1709 Della vos~ra Beatitudine Andrea, vescovo di Catania
XXI I I 1712 . Relazione scritta il 12 settembre 1712 dal vescovo Andrea Riggio e presentata a Roma dal procuratore, sacerdote Giuseppe Aiello, nell'otto~ bre 1712 S.
[ 144r] Beatissimo Padre, la quinta visita alle tombe degli Apostoli sollecita il mio impegno pastorale sì ch'io mi dimostri figlio obbedientissimo s Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera alla Congregazione del Concilio: «Eminentissimi e Reverendissimi Signori, il vescovo di Catania devotissimo oratore delle Eminenze Vostre, riverentemente espone haver compito alla visita de Sagri Lirnini per il triennio 41° in dicembre 1709, in virtù di proroghe a lui benignamente concesse da questa Sagra Congregazione. Hor, essendo scaduto in dicembre 1711 il triennio 42°, non ha avvertito di farsi prorogare il tempo ad visitandum, già che non ha potuto per i pericoli della navigatione revenire per se stesso, né mandare alcuno de gremio capituli a compire a questo suo debito, supplica pertanto le Eminenze Vostre concederle ad cauthelam
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delle costituzioni apostoliche e dei precetti della Santità Vostra. Poiché le tante guerre che dila:gano e le mie precarie condizioni di salute, a motivo di alcuni disturbi, mi impediscono di venire l'assolutione delle censure nelle quali talvolta fosse incorso in non chie·· dere opportunamente la dilatione ad visitandurn et in oltre di prorogarle il ten1po a sei rnesi prossirnL Che, etc.» (137r) «Alla Sagra Congregazione dcl Concilio)) (138v) e la nota di accoglimento della dornanda: (<3 febr. 1712. Sanctiss.irnus annuit. fHe 20 februarii 1712 data fuit absolutio et proro gatici ad sex 1nenseSJ>; 2) una lettera al papa: <(Beatissirno Padre, il vescovo di Catania espone hu1niln1ente alla Santità Vostra che essendo, dopo l'ultirr1a visita de Sacri Lin1ini, fatta in suo non1e sotto li sette novernbre 1709, scorso il triennio, ottenne dalla S. Congregazione del Concilio, sotto li 20 febra.ro del corrent'anno, 1712, la lettera facoltativa al suò padre spirituale d'assolverlo dalle censure incorse per havere egli orr1essa nel tempo debito l'altra visita et insien1e anche la proroga di sei n1esi per adempierla. Ma perché, stanti Ii notorii irnpedil.nenti di 1nare, non è stato perrr1esso al vescovo oratore d'adempiere tal debito né per se stesso né per rnezzo d'alcun sacerdote suo diocesano et è già scorsa la proroga di detti sei mesi calcolati dal giorno che terrriinò il triennio, supplica pertanto nuevernente la Santità Vostra a degnarsi di benignaraente concederH altra sin1il grazia di assolutione e di proroga, Che il tutto, etc._)) (139r) «Alla Santità di Nostro Signore Papa Clemente XI}) (140v) e la nota di accogli~ n1ento della domand:.'c ({die 8 februariì 1712. Sanctissimus annuit ..Die 25 februarii 1712 data fuit prorogatio ad sex menses curn absolutione» (140v); 3) una seconda lettera al papa: «Beatissirno Padre, essendo spirato il termine di visitare li sacri Limini al vescovo di Catania per causa di pro~ pria infermità e de pericoli che poteva correre per il viaggio del n1are, ottenne dalla S. Congregatione del ConciUo l'assolutione e proroga per detta visita. C»ra, essendo prossima a spirare la detta proroga e ritrovan° dosi quel mare più pericoloso di pri1na a causa delle presenti guerre, non puote arrischiarsi se non con pericolo della propria vita venire a Roma, Oratore devotìssirno della Santità Vostra hurr1ilmente la supplica vuoglìa degnarsi (ritrovandosi in Rorna il sacerdote Giuseppe Aiello della città ~ii Catania) concedere licenza al medesìrno di fare la visita delli ditti sacri limini a suo norne. Che della grazia, etc.)) (141r) (<Alla Santità di .Nostro Signore Papa C1ernente XI)> (156v) con la nota di accoglimento della do·· n1anda: ((die 20 octobris 1712. Sanctissimus annuit1> (L56v); 4) procura in forn1a pubblica redatta a Catania dal notaio Giuseppe il 12 settembre !712 (l42r-143r); 5) due attestati della visita alle basiliche romane (154r e 155r); 6) la nota della Congregazione: ((24 octobris 1712 data fuit attestatio pro 42" triennio» (153v). In LR si trova una copia di questa relazione (14Ar-21Av) e la lettera con cui la S. Congregazione infor1na il vescovo di aver ricevuto il documento (22Ar), 0
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personalmente ai piedi della Beatitudine Vostra, avendo ottenuto il permesso dall'apostolica clemenza, mi sia lecito, in un obbligo così importante, servirmi dell'aiuto e dell'opera del sacerdote catanese D. Giuseppe Aiello. La diocesi, oltre la città cattedrale di Catania, comprende diverse città e cioè: Enna, Piazza, Calascibetta, San Filippo d'Agira e Aci. Le terre soggette alla potestà dei baroni sono: Paternò, Adernò, Regalbuto, Pietraperzia, Aidone, Barrafranca, Valguarnera, Leonforte, Assoro, Centuripe, Biancavilla, Belpasso, Motta Sant'Anastasia, Misterbianco, San Giovanni la Punta, San Gregorio, Sant'Agata, Trappeto, Tremestieri, Viagrande, Tre· castagni, Pedara, Nicolosi, Mompileri, Camporotondo, San Pietro, San Giovanni Galermo [144v], Gravina e Aci San Filippo con le sue frazioni. A questi antichi centri abitati della diocesi nei nostri tempi così travagliati si sono aggiunti due altri piccoli villaggi: Mirabella e Ramacca. Dopo aver dato queste notizie inizierò a trattare della cat· tedrale. Il tempio, che prima delle rovine del terremoto era considerato per ampiezza il maggiore della Sicilia, essendo stato distrutto dalle fondamenta, sollecitò e sostenne a tal punto la mia preoccupazione pastorale, da farmi sentire stretto da angustie e apprensioni. Pur trovandomi privo di ogni aiuto umano, ma confidando nella provvidenza del Creatore dell'universo, nello spazio di tre anni l'ho fatto ricostruire con grande perizia tecnica, in uno spazio più ampio e in forme architettoniche più belle. Consultando i registri e i mandati di pagamento, si è constatato che la spesa complessiva ha raggiunto i 50.000 scudi. Con l'aiuto della grazia divina ho già celebrato la sua solenne consacrazione nella vigilia della festa dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, con uno straordinario concorso di cittadini festanti e di altri abitanti di tutto il regno di Sicilia. In questo tempio, dedicato alla concittadina e patrona S. Agata, le reliquie del cui corpo, racchiuse in scrigni d'argento [145r], sono conservate nello stesso tempio e venerate con particolare devozione assieme alle insigni reliquie di altri santi, prestano servizio dodici canonici e cinque dignità (il priore, il cantore, il decano, il tesoriere e l'arcidiacono), che indossano il rocchetto e la mozzetta, dodici beneficiali e otto mansionari,
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insigniti della mantelletta. Il maestro cappellano, aiutato· ..da quattro collaboratori, amministra i sacramenti ai fedeli. La cattedrale ha diciotto cappelle laterali, delle quali .la maggiore è quella dedicata a Gesù Crocifisso; è arricchita di rendite per aiutare ogni anno alcune ragazze orfane a contrarre matrimonio. Queste nozze sono celebrate nella stessa cattedr.ale il 3 maggio. I beni di questa cappella sono amministrati fedelmente da tre rettori scelti ogni anno a sorte dal senato. L'amministrazione di questa cappella e delle sue rendite è soggetta in tutto e per tutto alla giurisdizione del vescovo. Inoltre in questa cattedrale, fino a quando non sarà eretta la prebenda del canonico teologo, ci sono il vicepenitenziere e il pubblico lettore di teologia morale. Ogni volta che il vescovo celebra la messa solenne in cattedrale [ 145v], i primi sei canonici a turno svolgono l'ufficio di diaconi, gli altri sei quello di suddiacono. Ho trovato questo tempio ben provvisto di suppellettili e di altri .oggetti necessari per il oulto. La chie:;a cattedrale ha cinque altre chiese sacramentali coadiutrici, da me edificate in forma più ampia ed elegante dopo il terremoto del 1693. I loro cappellani possono amministrare tutti i sacramenti, ma non ricevere il mutuo consenso degli sposi nel matrimonio. Questa facoltà, per consuetudine immemorabile, viene concessa dal vescovo in quanto unico parroco o da altre persone alle quali egli stesso dà questo potere. Queste chiese sacramentali sono: Sant'Andrea Apostolo, San Biagio, San Filippo Apostolo, Santa Marina e Santa Maria dell'Itria con gli stipendi elargiti dal vescovo ai sacePdoti cappellani che vi prestano servizio. Ho ricostruito di recente il tempio della predetta chiesa sacramentale San Biagio, spendendo circa 7.000 scudi e adornandolo della ricchissima suppellettile necessaria per il culto divino. Ho fatto questo perché il culto dei fedeli possa disporre di questo tempio grandioso e venerare la fornace nella quale S. Agata si dice sia stata straziata [ l46rJ. A questo tempio di S. Agata ho annesso una congregazione di numerosi ecclesiastici. La sua istituzione si prefigge questo scopo: quel luogo sacro deve essere venerato una volta· 1a set-
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timana dai suoi soci; infatti negli statuti della predetta associazione è stabilito che bisogna recitare determinate preghiere a S. Agata. Tuttavia il fine specifico di questa congregazione è quello di venire incontro all'indigenza dei soci, soprattutto in caso di malattia, attingendo ai loro contributi e alle pingui rendite delle quali l'ho dotata. Ho istituito, inoltre, un'associazione segreta in una rnppella laterale di questo tempio e ho consacrato i soci alla Madonna Addolorata con l'obbligo di condurre ogni mese in processione la sua s,;cra immagine. Ho eretto questa pia opera sia per consentire ai soci di lucrare le indulgenze benevolmente concesse dalla Santità Vostra, sia per celebrare le esequie nel giorno della morte, dietro pagamento di un'esigua quota. Un gran numero di fedeli si è iscritto a questa pia opera con non poco vantaggio spirituale per le loro anime. In questa città c'è anche la collegiata, sotto il titolo di Santa Maria dell'Elemosina, con tre dignità [146v]: prevosto, tesoriere, cantore e diciannove canonici con le loro prebende, oggi molto tenui, che indossano la cotta e il cappuccio o mantelletta; assieme ad altri otto mansionari insigniti della mantelletta prestano servizio in chiesa nei giorni di festa partecipando aHa messa cantata e recitando le o.re canoniche. In questa chiesa sono amministrati i sacramenti parrocchiali dal cappellano, ap· provato dal vescovo e amovibile ad nutum. C'è anche il seminario dei chierici, fondato secondo le pre· scrizioni del Concilio di Trento. Vigilo attentamente perché i ragazzi di buona indole siano istruiti, imparino la grammatica e le altre scienze, sotto la guida del rettore, un sacerdote maturo, distinto per virtù, scelto dal capitolo della cattedrale. Nelle domeniche e nei giorni festivi, secondo la norma del Concilio di Trento, prestano servizio nella cattedrale. All'ammini· straziane del seminario ho preposto i deputati e gli altri superiori, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. Poiché il terremoto del 1693, fra gli altri danni, provocò anche la totale distruzione del seminario, fino a poco tempo fa ho alloggiato i chierici nelle baracche [147r]. Ora, invece, ho già provveduto a far costruire .la grandiosa struttura del seminario che, con l'aiuto di Dio, conto di ·portare a termine fra pochi anni.
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C'è pure il monte di pietà, istituito sotto l'autorità del vescovo e con il comune contributo dei fedeli per dare gli aiuti necessari alla vita dei poveri, degli orfani e dei bisognosi di ogni specie. Lo governano sette rettori, dei quali il primo è perpetuo (il priore della cattedrale), gli altri sono estratti a sorte dal senato ogni anno. r suddetti rettori si rifiutarono di sottoporsi alla mia visita pastorale, sostenendo che il detto mon· te fosse esente dalla giurisdizione del vescovo, in quanto posto sotto la protezione del senato. Questo fatto provocò un'asipra controversia, che si protrasse per ainni. Alla fine, dopo tante fatiche e non poche spese, con l'aiuto .di Dio, ho vinto la causa. Per eseguire la sentenza ho chiesto subito il rendiconto delJ'am. ministrazio·ne, ho emanato alcune istruzioni da osservare in tema di visita e ho posto altri atti per confermare la perpetua sottomissione dell'istituto al vescovo. C'è pure l'ospedale intitylato a San Marco, in cui sono cu· rati gli infermi poveri e i ragazzi orfani [147v]. E' governato da tre rettori; di essi uno è perpetuo (il priore del convento Santa Maria la Grande dei paidri domenicani), l'altro è estratto ogni anno a sorte fra i senatori, l'altro è scelto fra gli artisti. Tutti presentano il resoconto dell'amministrazione al vescovo, quando ne vengono richiesti. In città sorgono cinque monasteri femminili, soggetti a]. l'autorità del vescovo, che osservano la regola del santo padre Benedetto: San Giuliano, San Benedetto, Santissima Trinità e Sant'Agata; un altro, intitolato a Santa Chiara, osserva la regola di San Francesco e da poco è passato sotto la giurisdizione del vescovo. Ho constatato con mia grande consolazione che le monache di questi sei monasteri si dedicano al culto divino e os'Servano la disciplina religiosa. Alle monache di Santa Chiara, che avevano una chiesa piccola e non bene strutturata, ho CO· struito a mie spese una chiesa molto ampia e altri locali ad uso delle monache. Sorgono altre due case, di cui una accoglie fino alla data del matrimonio le ragazze orfane o e9poste al pericolo a causa della povertà, l'altra ricovera donne che, dopo la caduta [148r], fanno penitenza e cercano rifugio in questa casa con grande vantaggio spirituale di tutta la città.
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In città sono state fondate diciannove case religiose ma· schili: benedettini, domenicani, che hanno due conventi, cappuccini, anch essi con due case poste fuori le mura, minori francescani, r11inori conventuali, del terz'ordine di S. Fran.cesco,minori dell'osservanza, riformati di S. Francesco, agostiniani, carmelitani dell'antica osservanza e riformati, minimi di S. Fran· cesco di Paola, riformali di S. Agosti.no, gesuiti, minorili con due case, Santa Teresa e Sant'Anna, i padri della redenzione degli schiavi, sotto il titolo di Santa Maria della Mercede, e in· fine i chierici regolari ministri degli infermi che, con il pennes· so della Santa Sede, ho fatto venire a Catania assegnando loro alcune rendite dei monasteri soppressi. C è, inoltre, u11 pio rornitorìo chiarnato «la Mecca», situato in un luogo distante, a circa mezzo miglio dalla città, in cui sacerdoti e chierici abitano, cfoscuno nella propria cella distinta da quella degli altri. Tuttavia hanno in comune un grande 're· cinto [ 148v], custodito da mura e da porte e una chiesa in cui celebrano la messa e fanno i loro esercizi di pietà. Vivono del loro lavoro e di alcune rendite. Hanno nn superiore eletto ogni auno da loro stessi e confermato dal vescovo. Sulle associazioni e le confraternite di questa città mi basta dire questo alla Santità Vostra: tutte si sono presentate a me per rendere conto dell'amministrazione; ho dato loro alcune disposizioni utili e necessarie e ho raccorr1andato ai loro supew riori spirituali di preoccuparsi del nitore degli oratori. Fino ad oggi tutto è andato per il meglio con grandissimo profittu del culto divinu. Ritengo che le notizie date sulla città di Catania, sulle sue parrocchie, sulle monache e i luoghi pii siano sufficienti per la Santità Vostra. Continuo nella descrizione delle altre città della diocesi, dei paesi e dei villaggi. 1
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Prima di tutto tratto della città cli Enna o Castrogiovanni. In questa città c'è la chiesa madre, già eretta in collegiata, ricca di rendite, .di suppelletili d'argento [149r], di relìquie, di vasi sacri d'argento, decorata e ornata. In essa presta110 servizio con cura d'anime quattro parroci, chiarnati dignità o rettori della predetta collegiata, assieme ad altri sedici canonici sacer·
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doti, insigniti della mantelletta; tutti ogni giorno recitano le ore canoniche e celebrano la messa solenne. Ad essi ogni anno .è _ distribuito un congruo salario. La città ha eretto nove parroc-' · chie, i cui parroci sono nominati per concorso. I monasteri femminili, che osservano la regola di S. Benedetto, sono tre: San Benedetto, San Marco, San Michele; uno di carmelitane: Santa Maria del Popolo; due di clarisse: Santa Chiara e Santa Maria delle Grazie. Altri due 1stituti: uno intitolato a Maria Immacolata per donne pentite, che vivono jn clausura e osservano la regola di S. Chiara, l'altro per ragazze orfane. Un ospedale per gli infermi accoglie e nutre anche i bambini abbandonati, di ignoti parenti; perciò sono battezzati in un fonte battesimale appositamente eretto. I conventi di religiosi sono otto: domenicani [149v], francescani, agostiniani, carmelitani, riformati dell'osservanza, cappuccini, minimi di S. Francesco di Paola, gesuiti, fatebenefratelli di S. Giovanni di Dio. Le confraternite e le as•sociazioni con le loro chiese sono numerose; come pure sono numerose le chiese minori dentro e fuori la città, che ho tutte visitato. Un particolare di rilievo, che ritengo opportuno esporre alla Santità Vostra prima di chiudere questa mia relazione sulla città di Enna, riguarda il monastero di San Benedetto, venerato per l'osservanza religiosa, la straordinaria abnegazione di sé e l'abbondanza delle virtù. Nell'ultima visita l'ho trovato ancor più ricco di impegno nel perneguire la perfezione, tanto da essere spinto a emanare alcune istruzioni, che si potrebbero chiamare più propriamente pro memoria delle osservanze e dei pii esercizi che le monache osservano per. una certo spontaneo impegno. Srpero che gli inizi di una così fervente devozione e pietà mantengano sempre la freschezza originaria per il vantaggio delle loro anime e la maggior gloria di Dio. La città .di Piazza ha una chiesa madre ampia e ammirevole [150r] in cui c'è un collegio di canonki, composto da quattro dignità, alle quali è affidata la cura delle anime: il prevosto, il cantore, il decano e venti canonici, che sono adornati alternativamente della cappa magna violacea, del rocchetto e della
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mozzetta, con altri quattordici sacerdoti beneficiali insigniti della mantelletta nera. Prestano servizio ogni giorno recitando le ore canoniche, ·cantando le messe e ascoltando le confessioni dei fedeli. La chiesa madre ha cinque chiese sacramentali coa.diutrici, nelle quali alcuni cappellani sacramentali, nominati dal vescovo e amovibili ad nutum, amministrano i sacramenti parrocchiali. Nella chiesa di Santa Domenica c'è un'altra collegiata intitolata al Santissimo Crocifìsw, che ha due dignità: il prevosto e il cantore e dodici canonici. Tutti, come nella collegiata di Catania, indossano la cotta e la mantelletta; altri dieci mansionari sono insigniti della mantelletta, secondo le norme contenute nella fondazione fatta da un certo don Matteo Calascibetta nel 1678. Tre monasteri femminili osservano la regola di S. Benedetto: San Giovanni Evangelista, Santissima Trinità e Sant'Agata; ce n'è uno di clarisse intitolato a Santa Chiara; uno di agostiniane intitolato a Sant'Anna [lSOv]; infine un istituto per ragazze orfane. C'è anche l'ospedale per la cura degli infermi e il monte di pietà per alleviare la povertà degli indigenti. . Gli istituti di religiosi sono nove: benedettini oassinesi, domenicani, francescani, conventuali, minori dell'osserva1nza1 riim formati, cruppuccini, carmelitani, gesuiti, teatini, agostiniani .. Questa dttà ha molte confraternite e associazioni con le loro chiese, e alcune chiese minori dentro e fuori la città che ho visitato. La città di Calascibetta ha due chiese madri: Santa Maria e San Pietro, nelle quali i sacramenti parrocchiali sono amministrati a turno da dodici cappellani insigniti della mantelletta e nominati dal vescovo. In questa città sorgono pure: una chiesa sacramentale coadiutrice intitolata a Sant'Antonio, tre conventi di religiosi (cappuccini, carme li tani e mercedari), un solo monastero di mona.che benedettine di clausura intitolato al Santissimo Salvatore. Ci sono infine diverse confraternite, associazioni e chiese minori che ho già visitato.
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La città di San FiMppo d'Agirn ha quattro chiese collegiate sacramentali intitolate a Sant'Antonio di Padova [!Sir], a Santa Maria maggiore, a Santa Margherita e al Santissimo Salvatore. Non c'è chiesa madre. In ognuna di queste collegiate prestano servizio quattro .dignità, delle quali la prima è il prevosto, a cui spetta la cura delle anime, dodici canonici che indossano la mantelletta e otto mansionari adornati di insegne. Sorgono tre monasteri femminili: due sotto la regola di S. Benedetto (Santa Maria la Raccomandata e Santa Maria An° nunziata), uno di clarisse intitolato a Santa Chiara. I conventi di religiosi sono cinque: agostiniani, carmelitani, rr1inori osservanti, del terz ordine di S. Francesco, cap·pU1Ccini. C'è un'abbazia regia intitolata a San Filippo d'Agira, che è retta da un priore e da alcuni cappellani insigniti ed esenti dalla giurisdizione del vescovo. L'abate commendatario è nomi nato dal serenissimo re. In questa città ci sono 1nolte confraternite, associazior1i e chiese, che sono state .da Jne visitate. 1
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Nella città di Acireale c'è la chiesa madre collegiata che è costituita da tre dignità e dodici canonici insigniti. dalla mozzetta e dal rocchetto; tutti prestano servizio e aiutano nell'amo m,inistrazione dei sacramenti, recitano in coro le ore canoniche, cantano le messe so1e11ni assieme a sei mansionari insigniti della mantelletta. La chiesa madre ha altre cinque chiese sacramentali coadit1trici per J'an1ministrazione dei sacramenti, fatta ·dai cappellani [!Slv] insigniti ed eletti dal vescovo. C'è un solo monastero femminile sotto la regola di S. Beo nedetto, intitolato a Sant'Agata. I conventi di religiosi sono quattro: domenicani, carmelitani, frati n1i,nori dell'osservanza, capp,uccini. C'è ]'ospedale per la cura degli infermi e il monte di pietà per aiutare i poveri. Le confraternite e le associazioni sono molte, insieme con le loro chiese nelle quali si danno, ogmi anno, legati di maritaggio per le ragazze. Ci sono pure altre chie~e che ho visitato. I paesi di Paternò e di Ademò sono soggetti al duca di Montalto; lmnno le chiese madri con le collegiate. In ognuna
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di esse ci sono tre dignità, alle quali spetta la cura delle anime e dodici canonici insigniti del rocchetto e della mozzetta. A Paternò sorgono: un solo monastero femminile, che osserva la regola di S. Benedetto ed è intitolato alla Madonna Annunziata e cinque conventi maschili: ·conventuali di S. Francesco, domenicani, carmelitani, cappuccini, agostiniani riformati e una grancia di monaci cassinesi. C'è l'ospedale per la cura degli infermi. Ad Adernò ci sono due monasteri femminili: Santa Lucia di monache benedettine e Santa Chiara di clarisse (quest'ulti· mo, di recente, è passato alla giurisdizione del vescovo) e quattro conventi di religiosi: domenicani, francescani, minori dell'osservanza [152r], agostiniani e cappuccini. Nella dttà di Regalbuto c'è la chiesa ma,dre, nella quale pre· stano servizio i cappellani eletti dal vescovo e amovibili ad nutum; a turno amministrano i sacramenti parrocchiali. C'è pure un'altra chiesa sacramentale coadiutrice intitolata alla Santa Croce, nella quale sono amministrati i sacramenti da cappellani eletti dal vescovo. Ci sono cinque conventi di religiosi: domenicani, agostinia: ni, carmelitani, cappuccini e agostiniani riformati. I monasteri femminili sono tre: due sotto la regola'cli S. Benedetto (Santa Maria delle Grazie e San Giovanni Battista),uno sotto le regola di Sant'Agostino e la giurisdizione degli agostiniani. Con questi padri c'è in corso una lite presso la Santa Sede o meglio presso la Congregazione dei Cardinali, Vescovi e Regolari per l'autorità alla quale devono essere soggette lémonache. Per provare le mie ragioni ho esibito alla predetta S. Congregazione alcuni documenti pubblici. Mosso da zelo voglio affidare qui, alla Santità Vostra, una sola riflessione: ho con-statalo in tanti anni di esperienza che i monasteri femminili soggetti ai religiosi non solo non progrediscono nella perfèzione,_ anzi vanno sempre più a peggiorare con non poco danno delle anime e della religione. Ho visitato le confraternite, le associazioni e le chiese minori e ho lasciato le necessarie i•struzioni [152v].
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Il paese di Assoro è sotto il domi.nio del principe di Valguarnera; ha la chiesa mwdre collegiata costituita da quattro .dignità: prevosto, tesoriere, cantore e decano, ai quali spetta la cura delle anime, da dodici canonici insigniti della mantelletta e da otto mansionari. I conventi di religiosi sono cinque: agostiniani, carmelitani, frati minori dell'osservanza, terz'ordine di S. FranceS'co. C'è un solo monastero femminile di clarisse, intitolato a Santa Chiara. Non ritengo di avere notizie utili da dare alla Santità Vostra sugli altri paesi e villaggi. Tutti questi luoghi sono stati da me personalmente visitati e più volte esaminati; in essi ho rilasciato le necessarie istruzioni per il maggior nitore nel culto divino e il bene delle anime. Ho trovato gli abitanti di questa diocesi non solo molto osservanti della vera fede cattolica, ma molto dediti alla pietà. Presento questa mia breve relazione sullo stato della diocesi di Catania umilmente prostrato ai piedi della Santità Vostra, perché l'accolga con paterna benevolenza. Intanto prego incessantemente la Divina Maestà perché conservi incolume, assieme a tutta la Chiesa cattolica, la Santità Vostra, elevata per volere divino al soglio di Pietro [153r] e bacio, com'è giusto, i beatissimi piedi della Santità Vostra. Catania, 12 settembre, VI indizione, 1712 Beatissimo Padre della Santità Vostra osservantissimo servo e figlio Andrea, vescovo di Catania
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XXIV 1714 Relazione scritta a Roma il 10 settembre 1714 dal vescovo Andrea Riggio durante ìJ suo esilio e presentata personalmente 6.
[ 157r] Emjnentissimi e Reverendissimi Signori, subito dopo aver assolto e osservato, com'è giusto, il precetto della visita ad limina, sono stato costretto miseramente, violentemente e con disonore a subire l'esilio. per avere difeso i diritti della Sede Apostolica e aver obbedito fedelmente ai 1suoi comandi. Pertanto nella presente visita mi sento obbligato a dire· solamente alle Vostre Eminenze che la costruzione .della cupola nella chiesa cattedrale, iniziata quando io ero in sede, è stata ora portata a compimento. Inoltre è mio dovere narrare anche i dolori e la tristezza dei miei diocesani per l'assenza del pastore. Con somma mia afflizione devo constatare che le pecore, senza la disciplina del pastore, imbevuti di dottrine dannose contro l'osservanza. dell'interdctto, si sono allontanate dalla via della verità, fino al punto che si può dire di me: le madri invocavano. ululando le pecore. Non mi resta che porgere gli ossequientissimi diritti della mia riverenza alle Eminenze Vostre, mentre in ginocchio e pro-
6 Al testo della relazione sono acclusi i seguenti- documenti: 1)"-una lettera alla Congregazione del Concilio: «Illustrissimo e Reverendissimo Signore, Signore e Padrone osservantissimo. Rimetto_ sotto la protettione di Vostra Signoria- Illustrissima l'accluse fedi e lettera alla Sa:cra Con° gregazione della visita ad limina, non potendo dilatarmi a dar quel conto a minuto che riceviarebbe l'ubidienza ed il mio dovere,- per l'assenza di detta mia Chiesa, e solo mi resta di porgerle umili inchini con la devota manifestazione del mio riverente ossequio alla padronanza di Vostra Signoria Illustrissima mantenendomi qual sempre a cenni. Da questa sua casa, 10 settembre 1714. Di Vostra Signoria IllustrissiITia ~ Reveiendissima, Illustrissimo e Rèverendissimo Signore umilissimo e divotissimo servitore che la riverisce e bacia la mano, Andrea, vescovo di _Catania. Illustrissimo e Reverendissimo Mons. Pietro Monsignore» {158r); 2) due attest~t:i della visita alle basiliche romane (159r e 160r).
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fondamente prostrato imploro insistentemente che non si stanchino di pregare Dio per le mie pecore, affinché facendo l'esperienza delle calamità imparino a gustare le cose migliori. Eminentissimi e Reverendissimi signori Roma, 10 settembre 1714 Delle Eminenze 'lir,ostre umilissimo e obbedientissimo servo Andrea, ves·covo di Catania Agli Eminentis,simi e reverendissimi signori della Sacra Congregazione del Concilio
xxv 1717 · Relazione scritta a Roma il 1 agosto 1717 dal vescovo Andrea Riggio durante il suo esilio e presentata personalmente 1.
[ 163r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori, non è ancora trascorso il triennio dalla mia ultima visita ed una seconda volta mi sono recato alla sacre tombe degli Apostoli per soddisfare il mio obbligo, come dimostrano chiaramente i certificati che acclu(lo. Penso di esporre ai vostd chi, allo ,stesso tempo, l'infelice stato della mia Chiesa e le condizioni lacrimevoli della mia diocesi. Da quanti mali sia oppressa la diocesi di Catania, ,di quanti sacrilegi si sia maochiata, in quanti errori sia caduto quel popolo, quale lingua o quale penna può descriverlo? Da quattro anni, espulso con un vergognoso esilio dalla città di Catania e dal regno ,di Sicilia, vivo nell'alma città di Roma vicino a voi. Nelle sciagure di questi nostri tempi quanti vizi di ogni genere, quanti scandali 'Si sono insinuati man mano!
oc-
1 Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) la nota della Congregazione: «31 iulii 1717 fuit data attestatio pro 44° triennio• (164v); 2) due attestati della visita alle basiliche romane (165r e 166r).
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A quali vergogne sia giunta la città di Catania, contaminata dagli usi pagani e non dai costumi ·cristiani, per i quali era fiorente sopra tutte le città della Sicilia, non lo diranno le costruzioni artificiose di parole ma l'abbondanza .delle lacrime di chi racconta [ 163v]. Gli ecclesiastici non sono, secondo le parole di Cristo, il sale della terra per dare sapore o la luce del mondo, perché illuminati e illuminanti, santi e santificanti risplendano davanti agli uomini, ma piuttosto la rete gettata nel mare non tanto per raccogliere, quanto per condurre all'inferno buoni e cattivi, sia con i cattivi esempi della malvagità, sia con i pascoli della pessima dottrina. Catania, che per la grazia di Dio era il teatro di tutte le virtù, ora disgraziatamente è diventata il mercato .delle iniquità. Uno solo è il male che in quella diocesi viene punito: l'obbedienza ai comandi del papa. Tutto il resto è considerato o di poca importanza o degno di plauso, Povero gregge che, privato del suo pastore, non è condotto ai pascoli della salvezza, ma dai lupi è destinato agli eterni supplizi! Riguardo allo stato materiale delle chiese, a stento trovo qualcosa da riferire che sia degno .di lode. Da pochi giorni era stata ultimata la costruzione del magnifico tempio della cattedrale. Per portarlo a compimento mancava solo il pavimento di marmo; avevo lasciato tutto il marmo predisposto perché venisse collocato. Ma chi lo crederebbe? Occuparono la mensa vescovile peKhé con i suoi redditi si potesse venire incontro alle necessità della cattedrale e completare le sue strutture, invece la fabbrica non è stata ancora portata a termine. Il seminario, già sufficientemente fornito dalla sua erezione, era stato da me arricchito .di rendite; quando io ero in' diocesi aveva cinquanta alunni, istruiva molti convittori e si eregeva per la stupenda mole dei suoi edifici [ 164r]; ora nessuno provvede né alle fabbriche né ai giovani. Infatti in esso •si ospitano solo nove alunni (e sarebbe da augurarsi che anch'essi fossero assenti, perché •sono educati non per l'edificazione ma per la distruzione della Chiesa. Sono i prfmi che, disprezzando !'interdetto, partecipano nei divini uffici con gli scomunicati vitandi, Gli altri, ispirati dalla grazia di Dio, hanno abbandonato il se-
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minario) e tuttavia per quanto sia ricco di tante rendite è pieno di debiti. La chiesa madve e collegiata di Piazza, governata da tre fide-commissari secolari, è stata ricostruita in una forma architettonica più elegante e quanto prima sarà ultimata. Nel riferire queste notizie giunte fino a me in questi tempi così difficili, una sola cosa voglio che a voi sia manifesta, Eminentissimi Signori: in nessuna cosa mi sono risparmiato per venire incontro a tante neces,sità spirituali e temporali; infatti la preoccupazione quoHdiana per la mia Chiesa stringe e lacera ogni giorno il mio cuore. Perciò non ho mai desistito dal far pervenire ai miei fedeli consigli salutari ed esortazioni paterne; ma essi, atterriti dal timore dei laici, hanno chiuso le orecchie alla verità, non hanno voluto ascoltare la voce paterna del loro pastore che li esortava <>d agire rettamente. Per non affliggervi ulteriormente con questo mio penoso racconto pongo termine allo scritto, ma non al pianto; vi prego e vi supplico di accogliere gli ossequi della mia servitù. Roma, 1 agosto 1717 Delle Eminenze Vostre obbligatissimo e osservantissimo servo Andrea, patriarca di Costantinopoli e vescovo di Catania Agli Eminentissimi e reverendissimi signori cardinali della Sacra Congregazione del Concilio
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xx [115r] Beatissime Pater, Ad vestrae Beatitudinis pedes humillime provolutus, ut visitationis ad limina onere exonerer, universum Catanensis Ecclesiae statum eo quo decet breviloquio exponam. Atque ut a cathedrali incipiam, ea septem parochialibus ecclesiis, me tamen uno parochi officiu1n praestante, constat; inter quas insigne ac vetustum canonicorum collegium omni decore praestans sub titulo Sanctae Mariae de Elemosyna. Capitulum vero cathedralis duodecim canonicis totidemque presbyteris ac quinque dignitatibus: priore, videlicet, cantore, archidiacono, thesaurario ac decano componitur. Quae quidem enumeratae ecclesiae ceteraque huius urbis tempia seu oratoria etsi memorabili terraemotu devastata fuerint, hodie tamen in optimam frugem meis, quibus potui, expensis industria ac labore redacta · sunt; immo et in ornatiorem formam, quam antea extiterant. Quod idem, divino [115v] aspirante auxilio ac fidelium pietate favente, etiam in aliis totius dioecesis ecclesiis sortitu1n est. "Tota autem provincia quatraginta civitates et oppida complectitur, quarum praecipuae sunt: Platia, Enna seu Castrum Ioannis, Acìs, Sanctus Philippus, Regalbutum, Adernio ac Paternio. Platia inter illustres totius regni civitates eminet, cuius populus pietati satis studens, egregio insignitur canonicorum collegio pingui a Marco Antonio Trigona patrimonio ditato; sed cum innumeris fere legatorum oneribus civium ac praesertim nobilium praedia sint obnoxia, eorumdem exequutioni totis viribus in postremo visitationis discursu haeserarn, publicis enunciatis edictis, censurarurn etiam comminatoriis, pro opportuna scripturarum seu instrumentorum revelatione. Quam quidem sollicitudinem ac inquisitionem per cetera dioecesis loca districta adhibui; in quibus copiosus est clerus, etsi non eminentiori praestans doctrina, eam tamen prae se ferens, quae sacerdotali statuì nostra hac tempestate satis congruit. Enna seu Castrum loannis ornatioribus ac sacris literis magis imbutis excellit presbyteris, utpote qui ad parochialium ecclesiarum certatim aspi~ rant, ad quarum sinodale examen publicis advocantur edictis. Acis insigni canonicorum collegio decoratur, mozeta et rocheto ab Apostolica benignitate nuper ornato, cuius populus satis est numerosus ac religionis cultui non minus proclivis. Sanctus Philippus, Regalbutum [116r], Adernio, Paternio ceteraque dioecesis minus ·clara loca ecclesiarum ornatum 1 sacrarum caeremoniarum
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ritum, animarum curam ac mediocrern doctrinam in ecclesiasticis personis colunt. Ut autem totius provinciae reformationi studerem, ecclesiasticae imM munitati ac morum correctioni in avertendis praesertim publicis ac scanM dalosis criminibus sedulo incubui. Interim e suprema Sanctitatis Vestrae providentia, praeclara auxilia sanctamque benedictionem enixis precibus expostulo ut tantum pastorale onus, eo quo par est studio ac alacritate sustineam, Deo ac Immaculata Deipara faventibus. Datum Catanae, die decimo quarto aprilis 1702 Andreas, episcopus Catanensis
XXI [122r]
Beatissime .Pater,
Ad pedes Sanctitatis Vestrae humiliter inclinatus ut sanctae visitatio¡ nis ad limina oneri satisfaciam universum Catanensis Ecclesiae statum brevi calamo exponere aggredior. Atque ut a cathedrali suma1n exordium, ea septem constat parochialibus ecclesiis, me tamen uno parochi munus praestante. Quae quÏdem sacramentales ecclesiae, etsi horribili terraemotu de anno 1693 fuerint solo aequatae, in optimam tamen frugem meis quibus potui expensis industria ac labore hodie sunt redactae, quod, idem divino spirante auxilio ac fidelium opitulante pietate, in ceteris totius dioecesis locis sortitum esse satis aperte constat. Supra cetera vero templum eminet Catanae e fundamentis erectum in divae Agathae cultum extra moenia dicatum, ubi invictam martyrem ardentibus carbonibus voluta tam esse communis fert traditio. Ad quod sane opus quinque millia scuta de propriis pecuniis erogare non dubitavi, ultra interiora et praesertim picturae ornamenta, quibus in dien1 totam ecclesiam coruscari cogor, ut tam celebre sanctuarium piis fidelium oculis ac devotioni haud obscure pateat. Cathedralis duodecim canonicis totidemque beneficiatis ac quinque dignitatibus: prioratus, videlicet, archidiaconatus, cantoratus, thesaurariatus ac decanatus distinguitur ac insignÏtur. Vetustum item canonicoru1n collegiu1n, in parochiali ecclesia sub titulo Sanctae Mariae de Elemosina ordinariae iurisdictioni suppositum, adhuc pieno vige! ornatu ac cultu. [!22v] Tota autem provincia sexaginta oppida complectitur quorum praecipua sunt: Platia, Enna, Acis, S. Philippus, Regalbutum, Adernio ac Paternio. Platia, quae praeclara totius Siciliae oppida splendore vincit, cuius populus pietati satis est studiosus, egregio canonicorum collegio a Marco
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Trigoria opulenti patrimonio dotato condecoratur. Sed cum civium praedia et praesertim nobilium gravibus legatorum oneribus sint obnoxia, reite· ratis visìtationibus totus inhaesi ut eorum develationem ac satisfactionem publicis etiam edictis assequerer. Qua quidem solertia in ceteris dioecesis locis feliciter usus sum. Universus totius dioecesis clerus, licet eminenti non excellat doctrina, eam tamen prae se fert, quae statuì sacerdotali nostra hac tempestate satis congruit. Enna seu Castrum Ioannis ornatiori magisque docto splendet clero utpote, qui ad parochiarum promotiones certamen aspirat, ad quarum sinodale examen seu concursum publicis advocatur edictis. Illius ecclesia matrix vetustissimo canonicorum numero colitur quae quidero curo multis abhinc annis ad quatuor tantum curo priore redactus fuerit in eurodem numerum duoedecim canonicorum restituere ultimis visitationibus sum assecutus. Acis rursus insigni collegiata decoratur moczetta et rocchetto apostolica benignitate nuper ornata, cuius quidem clerus exemplaritate morum praecellet. Populus vero non minus numerosus quam religionis cultui addictus. Sanctus Philippus, Regalbutum, Adernio ac Paternio cum ceteris fere minus conspicuis locis animarum sollicitudinern sacrarum caeremoniarum rituro ac mediocrem doctrinam in ecclcsiasticis personis fovent. Ut autem totius dioeceSis reformationi operam darem, immunitatis ecclesiasticae laesionibus ac etfrenatis desuetudinum usibus obviam ire sedulo incubui. Interim Sanctitatis Vestrae auxilium sacramque benedictionem enixis praecibus exposco, ut pastorale munus tantumque onus humeris meis impar, ea qua par est solertia ac alacritate, Deo ac Immaculata Deipara faventibus, feliciter sufferam. Datum Catanae, dic primo maii 1705 Andreas, episcopus Catanensis
XXII [133r]
Beatissime Pater,
Exacto iam triennali circulo, quo visitationem Litninum Apostolorum iuxta pontificias constitutiones absolveram, statum. meae Ecclesiae nunc denuo describendum pro nova visitatione breviter aggredior. Atque a cathedrali. exordiar, quae duodecim canonicis totid~mque beneficiariis ac quinque dignitatibus componitur; optime ei provisum comperii de suppellettili aliisque ad divinuin cultum pertinentibus. Quoad materiale tamen ita post postremi terraemotus ruinas anni 1693 tam ingenti pecuniarum pondere non minus indigens reperitur quod omni humano auxilio destituta.
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Quae pressura maximam in dies mihi sollecitudinem 1 incussit ob quam, licet ob rniserarum virium imbecillitatem satis territus videreram tantum opus perficiendum tantamque subeundam rnolem, Dei tamen ope ac praesidio fisus, magna calcis alia 2 necessariae rnateriei congerie iam comparata, nova ac politiori architectura ampliorique situ templum iam tota Sicilia maximum reaedificare a fundamentis coepi. Platiam, quae prÏncipaliter est ceteris huius provinciae locis, ultima visitatione quam nuper absolvi perquisite lustravi, quantum mihi vires sufficere 3, legatorum exequutioni praesertim incubui [133v]. Nam in illius insignis collegiatae aut ornatu aut regimine vix aliquid emendatione dignum conceperam. ¡ Ennae seu Castri Ioannis vetustissima civitas, novo canonicorum collegio~ praestans, satis est eruditorum clericorum coetu dives, quippe qui plurissimis distincta parochiis, quarum rectores, synodali examine indicto, ex concurrentibus digniores in vacantibus deliguntur. Acis 5, paucis milliaribus Catana distans, alio canonicorum collegio insignita, maxime praefulget ob clericorum exemplares mores sive pietatem. Adernio ac Paternio, vetustis etiam collegiatis praecellentes, divino 6 cultui non vulgariter sunt addictae, quo earum populus singulari religione ac bonis moribus erga Deum afficitur. Ceterae vero minus praecipuae civitates ac villae numero 34, quae ad necessariam Christi gregis culturam ac instructionem ex ministris sacra:: mentalibus nostrisque vicariis non avare exhauriunt, licet enim litterarum artiumque studium liberalium non multum generaliter vigeat inter clericos ob beneficiorum penuriam_, praesertim quae oppositionibus conferantur, ex quibus consequendis allici possent, nihilominus necessaria doctrina pro sacramentorum administratione ac generali populi institutione non deest. Quo vero ad monasteria sacrarum virginurn, ea per totam dioecesim maxima sum conatus vigilantia tueri. Quo tanta sum assecutus felicitate in eis moderandis ac in religiosa perfectione promovenda, ut numquam videar congruas posse gratias divinae misericordiae referre. Hinc, bono [134r] spiritu ductum, sacrum coenobium monialium Sanctae Clarae huius cathedralis e regularium subiectione ad ordinarii iurÏsdictionem spante transiisse aliis ineis epistolis Sanctitatem Vestram certiorem feci. Quibus sacris virginibus, ultra nonnullas quas pro illarum 1
sollecitudinem ] solecitudinem Cod. alia ] aliae corregge e soprascrive Cod. J sufficere ] suffecere Cod. collegio ] colleggio Cod. s Acis ] Accis Cod. 6 divino ] divini corregge e soprascrive Cod. 1 illarum ] illo corregge e soprascrive Cod. I
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optimo regimine impendi instructiones optimosque ministros deputavi, novam e fundamentis ecclesiam brevi extruxi non exigua s divini cultus amplitudìne decoratam. Interim Sanctitatem Vestram exoro ac humiliter obtestor, ut amplissima benedictione totam hanc Beatitudinis Vestrae dioecesim santifìcet. Cuius ego pedibus humiliter obvolvor. Datum Catanae, dic sexto novembris 1709 Beatitudinis Vestrae Andreas, episcopus Catanensis
XXIII [144r]
Beatissime Pater,
Quinta ad LiÌnina Apostolorun1 visitatio 1neo instat pastorali n1uneri ut apostolicarun1 constitutionum Vcstraeque Sanctitatis praeceptis videar obcdientissimus filius et cum tot bellorun1 infestationes meaeque valetudinis nonnullis pressae 1norbis infir1nitas personalen1 prohibcnt accessu1n ad Beatitudinis Vestrae vcnerabiles pec\cs, eam propter habita1n Apostolicae clementiae vcnian1, opera ac studio rev. sacerdotis D; Ioseph Aijcllo Catanensis fas sit ad tantu1n opus uti. Dioecesis, praeter catheclralem urbe111 Catanan1, n1ultas a1nplectitur civitates videlicet: Ennam, Piatiam, Calascibettam, San,ctum Philippum de Argirione et Acim; oppic\a vero quamplura sub baronu1n potcstate utpote: Paternioncm, Adernionem, Regalbutum, Pctrapertiam 9, Aidonem, Barrafrancan1, Valguarn'eram, Leonfortem, Assarum, Centuripe1n, Alba1n villam, Belpassum, Mottam Sanctae Anastasiae, Monastcrium Album, Sanctun1 Ioannem la Punta, Sanctum Gregorium, Sanctam Agatam, Trappetum, Tremisterium, Viam Magnam, Tres Castagne, Pedaran1, Nicolosi, Mornpileri, Camporotundum, Sanctum Petrum, Sanctum Ioannem [144v] Galerrnum, Gravinam et Acim Sancti Philippi cum suis quarteriis; quibus quidem vetustis dioecesis locis modernis nostris tempestatibus, duo alia cxigua rura sunt aucta videlicet: Mirabella et Ramacca. Ex quibus, ut a cathedrali sermonem assumam, templum quod ante terraemotus ruinas amplitudine 10 maximum tota Sicilia reputabatur, iam a fundamentis penitus dirutum, meam pastorale1n sollecitudinem ita fovit ac invexit, ut maximis sim angustiis ac curis pressus, omni penitus humano auxilio destitutus, fisus nihilominus Altissimi mundi Conditoris pro-
exigua esigua corregge e soprascrive Cod. Petrapertiam ] Petrapretiam Cod. IO amplitudine ] amplitudinem Cod.
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videntiae, intra trium annorum spatium absolvi, non solum ampliori situ refectum verum etjam et pulchritudine et omni artificii genere elaboratum, cuius expensas quinquaginta millia scutorum attigisse ex librorum notulis ac mandatis compertum est, ubi iam favente divina gratia sollemnia peregi in vigilia Assumptionis Beatae Mariae Virginis, frequentissimo non solum civium verum etiam et totius fere regni incolarum concursu ac tripudianti anin1orum concelebratum. Templo huic divae Agatae concìvi et patronae dicato li, cuius corporis sacratissimae reliquiae inclusae thecis [145r] argenteis eodem templo conduntur ac singulari veneratione coluntur, nonnullis insimul insignibus aliquorum sanctorum monumentis, duodecim inserviunt canonici et quintj_ue dignitates scilicet: prioris, cantoris, decani, thesaurarii et archidiaconi, qui omnes utuntur rocchetto et almutio, totidem insuper beneficiati et octo mansionarii, qui cpitogio sunt insigniti; et quoad sacramenta populis administranda utitur magistro cappellano, cui quatuor adiutores coadiunguntur sacerdotes. Habet cappellas decem et octo, quarum maxima Crucifixo Redemptori dicata, suis locupletatur 12 redditibus ad virgines aliquas parentibus orbatas per singulos annos nubendas, quae omnes die tertio mensis maii inatrimonio in hac eadem cathedrali ecclesia traduntur. Bona istius cappellae fìdeliter adrninistrantur per tres rectores a senatu quolibet anno per sortem electos, cuius quidem cappellae ac reddituum ad1ninistratio in omnibus ac per omnia ordinarii iurisdictioni subiicitur. Extat insuper pro modo in hac cathedrali vicepoenitentiarius et vicelector publicus rnoralis theologiae, donec proebenda theologalis paretur. Si quando vero solemne sacrum episcopus est peracturus [145v] primi sex canonici per turnum diaconi officio funguntur, reliquì vero sex item per turnum subdiaconi. Opthne ei provisum comperio de supellectili aliisque ad divinum cultum pertinentibus. Habet dieta ecclesia cathedralis quinque alias adiutrices ecclesias n, a me ipso post terraemotum anni 1693 de novo politiori ac ampliori forma aedifìcatas, ad omnia administranda sacramenta praeter facultatem mutuum conscnsun1 accipiendi in sacramento n1atrimonii, quae facultas solum ab episcopo, utpote unico animarum paroco ex immemorabili consuetudine conceditur, seu ab hiis quibus ipse dat faculiatem. Ecclesiae hae sacramentales sunt: Sancii Andreae Apostoli, Sancti Blasii, Sancti Philippi Apostoli, Sanctae Marinae et Sanctae Mariae de Itria cum suis en1olumentis ab episcopo sacerdotibus cappellanis inservientibus elargitis. Cuius qui<lcn1 supradictae parochiae Sancti Blasii recens templum erexi, septe1n circitcr n1illia scuta huius 111onetae erogando atque ditissima
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dicato ] dicatum Cod. locupletatur ] locupleatur Cod.
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evidenziato in margine Cod.
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supellectili <ad> divinum cultum exornavi: quod a me est absolutum ut fornaci, in qua diva Agata cruciata fertur, huius templi magnitudine populi cultus adhibeatur [146r]. Atque praefato divae Agatae templo congregationem quamdam eccle~ siasticorum ingenti cumulatam numero adiunxi, cuius instituctio eo tendit, ut un·a die per hebdomadam 14 locus ille sacer venerationi detur per praefatos sodales, et nonnullas praeces divae Agatae persolvi statutum in dictae congregationis capitulis reperitur. Praecipuus tamen huius societatis scopus ille est ut congregatorum inopiae praesertim dum morbo aliquo infinnantur non modo ex cumulo contributionurn dictorum sodalium, verurn etiam ex pinguibus, quibus praefatam sodalitatem redditibus dotaveram subveniatur. Congregationem secretam rursus institui aedifìcato coll~terali eidem ecclesiae sacello, quos quidem socios Beatae Mariae sub titulo Septem Doloium dicavi, sub onere ducendi quolibet mense processionaliter sacram eiusdem Virginis imaginem. Opus tandem pium erexi, tum pro consequen· dis ìndulgentìis a Sanctitate Vestra benigne indultis, tum pro celebrando funere in die obitus, exigua attributa elemosina, cui quidem operi maìor populi numerus non parva animarum utilitate est adscriptus. Extat etiam in hac urbe ecclesia collegiata sub titulo Beatae Mariae de Elemosina cum tribus [146v] dignit~tibus videlicet: praepositura, the· sauraria et cantoria et decem et novem canonicis cum suis praebendis, licet ad praesens tenuissimis, qui omnes superpelliceo et cappuccio seu epitogio sunt insigniti, cum aliis octo 1nansionariis epìtogio decoratìs et omnes diebus festivis in missis sollemnibus horisque canonicis persolven· dis laudabiliter ecclesiae inserviunt. Administrantur etiam in ista ecclesia sacramenta parochialia per cappellanum ab episcopo approbatum et ad eius nutum amovibilem. Extat quoque seminarium clericorum iuxta praescriptum sacri Concilii Tridentini fundatum, ibi ut pueri bonae indolis instruantur, grammaticam aliasque scientias addiscant, rectorem unun1 ex gremio capituli virum gravem, virtutibus praeclarum, omni quo decet studio detinere invigilo. In divinis dominicis festivisque diebus, iuxta eiusdem sacri Concilii sanctio· nem, cathedrali ecclesiae eorum obsequia praestant. Ad illius administra· tionem deputatos aliosque officiales iuxta Concilii Tridentini decreta praeA posui. Et quia inter alia damna terraemotus de anno 1693 fabricam-. praefati seminarii penitus evertit sub capannis usque modo clericos praedictos [147r] alui. Nunc vero tnagnificam aggressus sum eiusdem domus structuram, quam, Dei fisus praesidio, paucos infra annos me absoluturam non despero. Mons item est pietatis ad pauperum usum, pupillorum, aliarumve huius generis miserabilium personarum vitae subsidia, ordinarii aucthoriA
" hebdomadam ] ebdogmadam Cod.
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tate comunibus pariter c1v1um elemosinis institutus. Regimen penes septem rectores residet quorum primus est perpetuus, qui est prior cathedralis, ceteri extrahuntur ad sortem per senatum quolibet anno. Cum vero rectores praefati a me visitati renuissent, ob quod lis acerbissima pluribus distenta annis interiecta est ac praetenderent dictum montem uptote sub Senatus protectione erectum ab ordinaria iurisdictione fare prorsus immunem, tandem post immensos exantlatos is labores immensasque expensas, Deo favente, litis victorian1 sum assecutus quam exequtioni statim mandavi visitando ratiocinia administrationis, nonnullas rursus instructiones pro visitationis argumento observandas tradidi aliaque peregi in signum perpetuae subiectionis ordinarii iurisdictioni. Extat etiam hospitale 16 sub titulo divi Marci in quo et pauperes infirmi curantur et infantes parentibus [147v] orbati aluntur sub regimine trium rectorum, unius perpetui, qui est prior conventus 17 Sanctae Mariae Magnae, ordinis Sancti Dominici, alterius annalis, qui est unus ex senatu per sortem extractus et alterius ex artistis; et hi omnes rationem de eorum regimine rcddunt ordinario quoties requiruntur. Sunt in urbe praeterea quinque monialium monasteria, quae episcopo subiiciuntur videlicet: Sancti Iuliani, Sancti Benedicti, Sancti Placidi, Sanctissimae Trinitatis et SanctĂ e Agathae sub reguJa Sancti patris Benedicti nec non et alterum sub titulo Sanctae Clarae, sub regula Sancti Francisci nuper ordinariae iurisdictioni acquisitum; et moniales in dictis sex monasteriis degentes omnes divino cultui deditas et regularem disciplinam observantes non sine maxima mei animi consolatione inveni, quibus monialibus Sanctae Clarae ego ecclesiam, quae exigua erat, non districta mole, amplissimarn propriis expensis extruxi aliasque aedes pro monialium commodo ampliavi. Sunt etiam aliae duae domus fundatae, altera adolescentularum virginum quae parentibus orbatae sunt aut prae inopia periclitantur quoad usque nubantur, mulierum altera, quae post lapsum ad poenitentiam [148r] reductae ad hanc domurn confugiunt, maximo totius urbis in spiritualibus emolumento. Religiosorum familiae decem et novem in urbe fundatae sunt scilicet: Sancti Benedicti, Sancti Dominici, qui duas incolunt domos, cappuccinorum pariter duobus in locis extra urbem constructis, Sancti Francisci, minorum conventualium, tertii ordinis Sancti Francisci, fratruum minorum de observantia, refor1natoru1n divi Francisci, Sancti Augustini, carmelitarum et eorurn reformatorum, Sancti Francisci de Paula, reformatorum Sancti Augustini, icsuitarun1, minoritarum, qui duas incolunt domos, Sanctae Theresiae, Sanctae Annae, patrum redemptionis captivorum sub
1s exantlatos ] exanthlatos Cod.
" hospitale ] hospidale Cod. 17
conventus ] convenctus Cod.
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titulo Sanctae Mariae de Mercede, denique clericorum regularium m1n1strantium infirmis, quos Sedis Apostolicae indulto vacavi illis assignando aliquos redditus rnonasteriorum suppressorum. Extat insuper dcvotum cremitorium nominatum cda Mecca» situatum in loco remoto prope urbcm ad medium miliarem, in quo habitant eremitae sacerdotes et clerici, in sua quisque habitatione, ab aliis distincta. Habent tamen magnum commune [148v] recintum, muris et ianuis custoditum et unam ecclesiam communem in qua missas cclebrant et sua exercitia faciunt. Vivunt tamen de laboribus 1s et aliquibus redditibus. Habent superiorem qui eligitur per ipsorum vota quolibet anno et confirmatur per episcopum. De sodalitiis et confraternitatibus huius urbis hoc praecipue Sanctitati Vestrac innuendum censco: 01nnibus me occurrissc et temporalium bonorun1 rationem mihi exhibuisse praeccptaque aliqua utiliora et necessaria eis omnibus adhibui ci in spiritualibus oratoriorum nitori superiores praecipue incumberc mandavi, quod optime mihi huc usque processit non sine maximo divini cultus emolumento. Atque haec de urbis Catanae cathedrali deque eius paroeciis, monialibus et locis piis sufficiat Sanctitati Vestrac breviter innuisse. Nunc ad reliquas dioecesis civitates, oppida et pagos describendos progredior. Et prin1um de civitatc Enna dieta Castrum Ioan9is. In ista civitate extat maior ecclesia ia1n erecta in collegiatam redditibus opulcntam, sacris argenteis [149r], reliquiis, supellectilibus copiosis, vasis sacris argenteis decoratam et ornatam, in qua quatuor parochi, qui appellantur dictae collegiatae ecclesiae dignitates sive rectores 19, cun1 cura ani1narum assistunt cum aliis sexdecim canonicis sacerdotibus, epitogio insignitis horas canonicas quotidianas et missas sollemnes quotidie pcrsolventibus et celebrantibus, quibus salarium congruu1n quotannis distribuitur. Novero etiam con~ stituit parochias, quorum parochi per concursum instituuntur. Sanctimonialiu1n monasteria sub regula Sancti Benedicti tria videlicet: Sancti Benedicti, Sancti Marci et Sancti Michaelis; sub regula carmelitarum unum: Sanctae Mariae de Populo; sub regu\a Sanctae Clarae duo: Sanctae Clarae et Sanctae Mariac Gratiarum. I-Iabet etiam mulierum conversarum coenobiun1 unum sub clausura eamde1n rcgulam Sanctae Clarae profìtcntium sub titulo Sanctae Mariae Conceptionis et alterum puellarum orfanarum. tiospitale infirtnoru1n in quo etia1n recipiuntur et aluntur infantes eiecti, quoru1n parentcs ignorantur ideoque baptizantur in fonte baptis1nali ad hoc designato. Religiosoru1n conventus octo scilicct: Sancti Do1ninici [149v], Sancti Francisci, Sancti Augustini, car1nelitaru1n, reformatorum de obscrvantia,
1s 19
laboribus ] laboritis Cod. rectores ] rettores Cod,
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cappuccinorum, Sancti Francisci de Paula, societatis Iesu et Sancti IoannĂŹs de Deo. Confraternitates et societates permultas cum suis ecclesiis necnon et nonnullas 20 alias ecclesias minores intra et extra civitatem quas omnes visitavi. Quod singulariter Sanctitati Vestrae me exponendum censeo, antequam praesentem relationem dictae civitatis Ennae claudam, monasterium scilicet Sancti Benedicti tanta observantia regulari tantaq_ue sui abnegatione virtutum culta, recenti visitatione exornatum atque auctum magno spiritualis perfectionis studio repperi 21 , ut quasdain instructiones seu potius memorias earumdem observationum ac piarum exercitationum, quas ĂŹpsae ex quadam voluntaria subiectione servant, tradere putaverim, ut haec initia tam ferventis devotionis ac pietatis in viridi semper sint observantia in earumdem animarum emolumentum maximamque Dei on1nipotentis gloriam. Platia civitas in qua est matrix ecclesia, cuius templum [150r] satis est amplum et conspicuurn, ubi invenitur ecclesia collegiata constans ex quatuor dignitatibus, quibus animarum cura demandata est scilicet: praepositi, cantoris, thesaurari et decani necnon et viginti canonicis, qui omnes cappa magna violacea, rocchetto et mozzetta alternatim decorantur, cum aliis quatuordecim sacerdotibus beneficiatis nigro epitogio i~signitis." Quotidie inserviunt ad horas canonicas persolvendas, missas decantandas fideliumque confessiones audiendas. Quinque sacramentales ecclesias coadiutrices habet, in quibus sacramenta parochialia administrantur per cappellanos ab episcopo designandos et ad libitum amovibi1es. Extat etiam ecclesia collegiata, sub titulo Sanctissimi Crucifixi, in ecclesia Sanctae Dominicae, constans ex duabus dignitatibus scilicet; praeposito et cantore et duodecim canonicis, qui omnes utuntur superpelliceo et epitogio ad instar collegiatae Catanensis, cum decem mansionariis epitogio insignitis, iuxta fundationem factam a quondam don Matteo Cala-
scibetta anno 1678. Monasteria sanctimonialium sub regula Sancti Benedicti tria videlicet: Sancti Ioannis Evangelistae, Sanctissimae Trinitatis et Sanctae Agatae; sub regula Sanctae Clarae unum sub vocabulo Sanctae Clarae, alterum sub titulo Sanctae Annae sub regula [150v] Sancti Augustini et domum puellarum orfanarum. Extat praeterea hospitale ad infĂŹrmorum curaro necnon et mons pietatis ad egenorum sublevandam pauperiem. Religiosorum novem conventus 22 enumerat nempe: congregationis cassinensis, dominicanorum, Sancti Francisci, conventualium, minorum de 20 21
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et nonnullas ] ripete Cod. repperi ] reperi eod. conventus ] convenctus Cod.
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observantia, reformatorum, cappuccinorum, carmelitarum, societatis Iesu, theatinorum, eremitarum Sancti Augustini. Habet hae civitas confraternitatcs et societates permultas cum suis ecclesiis necnon et nonnullas alias ecclesias ininores intra et extra civitatem, quae omnes fuerunt visitatae. Calascibetta civitas. Duas habet civitas ista ecclesias matrices nempe: Sanctae Mariae et Sancti Petri, in quibus per duodecim cappellanos epitogio insignitos per episcopum electos sacramenta parochialia per turnum administrantur. Habet unam ecclesiam sacran1entalem coadiutricem sub titulo Sancti Antonii, tria coenobia religiosorum: cappuccinorum, carmelitarum et ordinis redemptionis captivorum Sanctae Mariae de Mercede. Unicum monialium monasterium, sub clausura et regula Sancti Benedicti, sub titulo Sanctissimi Salvatoris. Divcrsas tandem confraternitates, sodalìtates ac ecclesias, quas omnes iam visitavi. Civitas Sancti Philippi Argirensis. Habet civitas haec quatuor ecclesias collegiatas sacramentales sub titulo: Sancti Antonini Patavini, Sanctae [151r] Mariae maioris, Sanctae Margaritae et Sanctissimi Salvatoris. Non adest ecclesia matrix; unicuiquc tamcn ex dictis quatuor collegiatis inserviunt quatuor dignitates quarum prima est praepositura, cui animarum cura imminet 23 , duodecim canonici cum usu epitogii et octo mansionarii insigna decorati. Monialium tria extant monasteria, duo sub regula Sancti Benedicti scilicet: Sanctae Mariae vulgo <da Raccomandata)) et Sanctae Mariae Annunciationis, et unum sub regula et titulo Sanctae Clarae. Religìosorum conventus 24 quinque videlicet: Sancti Augustini, carrnelitarum, minorum de observantia, tertii ordinis Sancti Francisci et cappuccinorum. Abbatiam unicam regiam sub titulo Sancti Philippi Argirionis, quae gubernatur per priorem et cappellanos insignitos et exemptos, abbas vero commendatarius nominatur a serenissimo rege. In hac civitate plures sunt confraternitates, socictates et ecclesias, quas omnes visitavi necessariisquc instructionibus perlustravi. Civitas Acis regalis. Extat in ista civitate ecclesia matrix collegiata, quae constat ex tribus dignitatibus et duodecim canonicis rocchetto et mozzetta insignitis, qui omnes inserviunt et assistunt pro administratione sacramentorum, horis canonicis in choro persolvendis et missis sollemnibus decantandis cum sex mansionariis epitogio insignitis. Quinque alias habet ecclesias coadiutrices pro sacramentorum administratione, quae administrantur per cappellanos [151v] insignitos ab episcopo electos. Unum habet monasterium sacrarum monialium sub regula Sancti Benedicti et titulo Sanctae Agatae. 23 24
imminet ] imminent Cod. conventus ] convenctus Cod.
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Religiosorurn coenobia quatuor videlicet: do~inicanorum, carmelitarum, fratruum minorurn de observantia et cappuccinorum. Hospitale pro curandis infirmis et montem pietatis ad sublevandos egenos. Confraternitates et sodalitates permultas cum suis ecclesiis in quibus nonnula erogantur legata quolibet anno pro maritaggio puellarum, alias habet ecclesias, quas omnes visitavi. Oppida Paternionis et Adernionis. Oppida ista, duci Montis Alti subiecta, habent ecclesias matrices cum fundatione collegiatarum cun1 tribus dignitatibus in unaquaque ex eis, quibus animarum cura annexa est, et duodccim canonicis rocchetto et mozzetta insignitis. In illo Paternionis unicu1n cxtat coenobiu1n sacrarum monialium sub titulo Sanctae Mariae Annunciationis et sub regula Sancti Benedicti et quinque conventus videlicet: Sancti Francisci conventualiun1, dominicanorum, carmelitarum, cappuccinorum et rcformatorum Sancti Augustini et gancias monacorum cassinensium et ho spi tale pro curandis infirmis. In illa autem Adernionis duo adsunt monastcria, unun1 Sanctae Luciae sub rcgula Sancti Benedicti et alterum sub regula et titulo Sanctae Clarae, nuper ordinariae iurisclictioni acquisitum et religiosorum familias quatuor nempe: Sancti Dominici, Sancti Francisci, minorum [ 152r] de observantia, Sancti Augustini et cappuccinoru1n. Regalbutum civitas. In ista civitatc adest ccclesia matrix, cui 1nserviunt cappellani ab episcopo clecti ad nutum amovibiles et sacramenta parochialia per turnum administrant. Extat etiam alĂŹa ccclesia sacramentalis et coadiutrix sub titulo Sanctae Crucis, in qua etiarn sacramenta administrantur per cappellanos ab episcopo electos. Quinque conventus religiosorum scilicet; Sancti Dominici, Sancti Augustini, carmelitarum, cappuccinorum et rcformatorum Sancti Augustini. Monialium coenobia duo sub regula Sancti Benedicti nempe: Sanctae Mariae de Gratia et Sancti Ioannis Baptistac, alterum sub regula Sancti Augustini ac sub iurisdictione patru1n augustinianorum, cum quibus pendet et apud ro1nanan1 curia1n, seu Sacram Congrcgationcm E1nincntissimorum Cardinaliuin, Episcoporum et Regularium controversia pro subicctione inonialiu1n, pro qua nonnulla publica documenta praeclictae Sacrae Congrcgationi cxhibui. Unum tantum hic zelo Sanctitatis Vestrae humiliter commicto vidclicet, me conspicue expcrtum fuisse pluriun1 annorum expericntia n1onasteria regularibus subiecta, non solum virtutum exen1plis in dien1 non proficere, verum etiam in deteriorcm frugem non exiguo ani1narum ac rcligionis decremento in pessu1n iri. Confraternitates et societatcs aliasque ecclcsias minores visitavi necessariasque instructiones reliqui [ 152v]. Oppidum Assarus. Assarus oppidum sub dorr1ini9 princ1p1s Valguarnerae habet ecclesiam matricem collegiatam curn quatuor dignitatibus nempe: preeposito, thesaurario, cantore et decano, quibus anirnarum cura
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imminet et duodecim canon1c1s epitogio insignitis cum octo mansionariis. Religiosorum coenobia quinque, Sancti Augustini, carmelitarum, fratrum minorum de observantia et tertii ordinis Sancti Francisci. Unicum monasterium monialium sub titulo et regula Sanctae Clarae. Quo vero ad reliqua oppida et pagos superius nominatos nil dignum notitiae Sanctitati Vestrae existimo. Cum omnia fuerint a me personaliter visitata et instructa ac necessariis instructionibus pro maiori divini cultus nitore ac anìmarum beneficio pluries perlustrata. Huius dioecesis incolas non solum purae ac catholicae fidei observantissimos repperi, verum etiam et pietati maxime addictos. Hanc denique Catanensis dioecesis brevem enarrationem ad Sanctitatis Vestrae pedes humilìter provolutus exhibeo eamdem enixe obsecrans ut illam paterna benignitate amplecti dignetur. Divinam interea Maicstatem indesinenter exoro ut Sanctitatem Ve· stram, suprema eiusdem Numinis providentia ad Beati Petri soliu1n evecta, [153r] incolumen cum universa sua catholica ecclesia praeservet et beafissimos Sanctitatis suae pedes, ut par est, deosculor. Catanae, die duodecima septembris, sextae indictionis, 1712 Beatissime Pater Beatitudinis Vestrae obsequentissimus servus et filius Andreas, episcopus Catanensis
XXIV [157r]
Eminentissimi et Reverendissimi Domini,
Perfuncto munere meo solutoque uti par est visitationis ad limina praecepto, paulo post pro tuitione iurium Sedis Apostolicae ac mandatis eius fìdeliter obtemperatis, miserrime, violcnter et cum dedecore exilium subire coactus fui, ita ut in hac praesenti visitatione nihìl aliud praeter quam tholi constructionem, mea presentio. in ecclesia catthedrali inchoatam, absolutam iam esse, Eminentiis Vestris notum facere mihi praescribitur. Dolores postea et languores, quibus diocesani pro sui pastoris absentia suppetunt, enarrare meae curae est ovesque sine pastoris disciplina, doctrinis noxiis non paucos imbutos in interdicti observationem, viam veritatis aberrantes perpendere summa moerore me afficit, ut apte ad me dici potest quod matres ululant oves. Restat igitur ut obsequentissima reverentiae meae iura Eminentiis Vestris exolvam ac flexis ge"nibus profundeque demissus, uti enixe obsecro, pro ovibus meis ut calamitatibus 0ruditi meliora saperent, Deum exorare non desinant.
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Eminentissimi et Reverendissimi Domini Romae, die 10 septembris 1714 Eminentiarum Vestrarum humillimus et addictissimus servus Andreas, episcopus Catanensis E1nincntissimi et Reverendissimi Domini Sacrae Congregationis Concilii
xxv [163r]
Eminentissimi, Reverendissimi Domini,
Triennali meae visitationis nondum expleto curriculo, iterum ad Sacra Apostolorum Limina ut meo muneri ac iusiurando satisfacerem, me contuli (quod satis aperte inclusa haec comprobant monimenta). Infelicem pariter rneae Ecclesiae statum lacrimabilemque 2s meae dioecesis conditionem vestris oculis exponere rneum arbitrar. At quibus malis prcmatur Cataniensis Ecclesia quot sacrilegiis foedetur dioecesis, quos in errores aberret populus ille, quae lingua quisve calamus attingere poterit? Quatuor abhinc annis Catania dioeccsi regnoque turpi expulsus exilio alma hac in Urbe apud vos maneo. His temporum calamitatibus quot paulatim irrepserint vitiorum genera, quo flagitii non iam christianis quibus supra ceteras Trinacriae urbes efflorebat Catania eiusque dioecesis, at ethnicis foedata moribus pervenerit, non artificiosa verborum textura sed effuse referant lacrymarum [ 163v] copiae. Ecclesiastici non iam, iuxta Christi oraculum, sal sunt terrae ad condiendos putares 26 ac lux mundi ut illuminati et illuminantes, sancti et santifÏcantes luceant coram hominibus, at potius sagena missa in mare non modo ad congregandos sed ad delucendos tum impiis pravitatis exèmplis, cum pestiferis doctrinae pabulis ad inferos bonos ac malos. Catania, quae afflante Deo virtutum erat omnium theatrum, nunc, proh dolor, est iniquitatum emporeum. Unum est quod in illa dioecesi punitur malum: pontificiis obtemperare mandatis. Cetera omnia vel nullius momenti vel piausu digna reputantur. Miserae oves quae, suo viduatae pastore, non ad salutis deducuntur pascua sed a lupis suppliciis 21 deputantur aeternis. Quoad materialia templorum ornamenta vix quod laude dignum exponam reperio. Magnificum cathedralis ecclesiae delubrun1 paucis ante diebus expletum absolutumque fuerat; ad opus autem perficiendu1n marmo-
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lacrimabilemque ] lachrhnabilemque Cod, putares ] putores Cod. suppliciis ] supplicis Cod.
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reum tantum deerat pavimentum, quod ut ornaretur omne praeparatum marmor reliqui. At quis crederet? Episcopalem occuparunt mensam ut ex redditibus ecclesiae occurrerent necessitatibus eiusdemque structuram absolverent, et tamen magna ex parte opus nondum est consummatum. Seminarium, sufficientibus erectum plurimisque a me comulatum redditibus, me praesente quinquaginta alumnos pluresque educabat convictores, eximia itidem extollebatur aedificiorum [164r] mole; nunc nec fabricae nec adolescentum culturae consulitur; nonnisi enim novero alumnos substentant (qui utinam abessent, educantur siquidem non ad Ecclesiae aedificationem sed ad destructionem. Primi enim sunt qui, apostolicum spernentes interdictun1, cum excomn1unicatis vitandis divinis in officiis communicant. Ceteri vero superno illustrati lumine seminarium deseruere) et tamen tot redditibus cumulatum aere non exiguo oneratur alieno. Matrix ecclesia collegiatae Platiensis tribus a fidecommissariis saecularibus gubernata, meliori forma aedificĂŹis restituitur et brevi perficietur. Haec pro temporum angustiis ad me perlata unum hoc vos non latere cupio, Eminentissimi Domini, me nulliuc; peperiisse laboribus ut tantis spiritualibus ac temporalibus occurrerem necessariis, quotidiana enim meae Ecclesiae sollicitudo animum angit ac discerpit. ldeoque et salutaribus consiliis et paternis monitis consulere non destitui. At illi, laicali timore perterriti, a veritate auditum avertentes, paternas voces noluerunt intelligere ut bene agerent. Ne ulteriori tedio ac moestitia lacrymabili hac narratione vos afficiam, finem hisce characteribus, non meis tamen ploratibus, impano meique famulatus obsequia ne dedignemini iterum atque iteruin rogo et obsecro. Romae, calendas augusti 1717 Eminentissimi et Reverendissimi Domini Eminentiarum Vestrarum addictissimus et obsequientissimus servus Andreas, Patriarcha Constantinopolitanus, episcopus Catanensis Eminentissin1i et Reverendissimi Domini Domini Cardinales Sacrae Congregationis Concilii
IL MONASTERO CATANESE DI S. NICOLA L'ARENA TRA IL 1719 E IL 1735
GAETANO ZITO*
I documenti relativi alla vita .del monastero benedettino catanese riportati nel Registro delle disposizioni degli abati e della cronaca del monastero S. Nicola l'Arena dal 1675 al 1863, più comunemente citato in seguito Registro relativamente al sec. XVIII sono piuttosto consistenti. Per tale motivo si è reso necessario pubblicarli a ristretti periodi cronologici, continuandone l'edizione già precedentemente iniziata 'in questo stesso annuale 1• La parte più consistente e significativa della doumentazione edita in Appendice si riferisce agli organigrammi del monastero 2 e alle disposizioni impartite dagli abati al momento di assumere il governo della comunità monastica. La "Nota delli Superiori ed Officiali" del 1732 e del 1735 ci permette, anzitutto, di riempire un vuoto nella lista degli abati, ricostruita da Matteo Gaudioso nel suo saggio su S. Nicola
* Direttore della Biblioteca Agatina del Seminario Arcivescovile di Catania. 1 Cfr. Syna'>is 5 (1987) 277·338. Si ricorda che sono stati pubblicati anche i documenti, riportati nel Registro, relativi al governo dell'abate Dusmet, in Synaxis 4 (1986) 477.534, · :z Di essi si pubblica per intero solamente il primo, quello del 1720, 'annotando le variazioni di rilievo per i successivi, poiché le mansioni, e spesso anche le" persone, sono identiche per gli anni successivi.
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Gaetano Zito
l'Arena.': dopo Ildefonso Arezzi, eletto per due trienni, fu abate del monastero catanese il messinese Domenico Brancati, anche lui per due mandati'. La congregazione cassinese, nel 1620, aveva stabilito per S. Nicola l'Arena un organico di 52 monaci e 16 laici professi o fratelli commessi 5• La "Nota" riporta solamente il nome dei superiori, abate, priori e decani, e non la consistenza di tutta la comunità che si manteneva sempre al di sotto .del numero assegnatole. Dalla documentazione edita in Appendice si rileva, infatti, che in questo periodo, e precisamente nel 1719, 1726 e 1732, a causa della morte di alcuni monaci e dell'età avanzata di altri, venne chiesta alla S. Congregazione sullo Stato dei Regolari l'autorizzazione ad «ammettere all'Abito Monastico altri 10 Chierici Coristi per sostegno del medesimo Monastero»: in tredici anni complessivamente, dunque, trenta giovani 6• La licenza di ammissione era prescritta per limitare il numero .dei professi, e controllare che le professioni monastiche fossero libere, lecite e valide 7• La S. Congregazione, infatti, le autorizzava obbligando ad osservare il decreto di Alessandro VII sul noviziato nella congregazione cassinese 8• J M. GAUDIOSO,
L'abbazia di S. Nicolò l'Arena di Catania,
in~, Archivio
Storico per la Sicilia Orientale 25 (1929) 226. ' Registro, f. !Sir. e 161r. s T. LECCISOTTI, I monasteri cassinesi della Sicilia alla metà del secolo XVII, in Benedictina 26 (1979) 147-160. 6 Registro, 115r., 137r.-v., 159v. Sarebbe interessante poter determinare il rapporto tra nuovi professi e defunti, ma non conosciamo il numero di questi ultimi. 1 II 12 agosto 1719, invece, fu necessario redigere un atto notarile (Registro, ff. 115v.-116v.) che ratificasse la professione di sei giovani, ritenuta illegittima essendo stata emessa durante l'interdetta sulla Sicilia per la controversia liparitana. L'atto notarile è riportato in Appendice, ma per tutta la vicenda cfr. G. ZITO, Il monastero catanese di S. Nicola l'Arena tra il 1675 e il 1719, in Synaxis 5 (1987) 282-286. 338. 8 Il decreto dell'll maggio 1655, stabiliva, per ogni provincia mona1 stica, i monasteri idonei alla formazione dei novizi e il numero di essi: per la provincia sicula S. Martino delle Scale e S. Nicola l'Arena, e quindici giovani; le modalità di ammissione, il tempo del noviziato, gli esami dei novizi, e che il maestro dei novizi fosse un decano dalla vita integer-
Il monastero di S. Nicola l'Arena
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Nelle mansioni assegnate dagli abati ai membri della comunità, o a laici dipendenti del monastero, dal 1720 per la prima volta troviamo la presenza di un sacerdote diocesano, Antonio Cultraro, chiamato a collaborare l'archivista 9 • L'ammissione di un estraneo, in un ambiente e ad una documentazione inaccessibile agli stessi monaci, sembra giustificabile per una spiccata competenza che il Cultraro doveva possedere in tale materia. All'archivio, infatti, potevano accedere, oltre l'archivista e il suo collaboratore, esclusivamente il cellerario e il procuratore. Tuttavia, non solo l'accesso era facile sia per religiosi che per laici, ma venivano anche prelevati documenti in originale~ o in copia, senza alcuna autorizzazione 10 • Al fine di rimediare a tali abusi, per altro già più volte censurati, dal 1732 gli abati imposero agli archivisti l'obbligo di osservar~' esattamente quanto era stato disposto da Benedetto XII, il "papa archivista", a riguardo degli archivi ecdesiastici 11 • Le "Ordinazioni" degli abati, fondamentalmente, possono raggrupparsi attorno a due valori della vita monastica: l'osservanza del voto di povertà e il rispetto della vita comune, nelle ritna, da promuovere al priorato a preferenza di altri se dopo tre anni avesse esplicato bene tale mansione. Il testo del d~creto in Bullarìum Casinense, per D. C. MARGARINUJ\.f, Ex Typ. V. Galassij, Tuderti (Todi) 1670, 591-592. 9 Registro, f. 118r. IU fbid., f. 133r. li lbid., f. 152v. Con la costituzione apostolica Maxùna Vigilantia, del 14 giugno 1727, Benedetto XIII obbligava tutti gli enti ecclesiastici a costi~ tuire e ben mantenere-gli _ archivi; a compilare un particolareggiato inven~ tario, in duplice copia; e- dava esatte norme per la conservazione del materiale archivistico, le chiavi e le visite canoniche all'archivio, e la nomina dell'archivista; prevedeva, pure, la possibilità di concentrare piccoli archivi. Alla costituzione, valifi}a unicamente per l'Italia e le isole adiacenti, accluse una Istruzione in lingua italiana con norme concrete per la sua applicazione. Il testo di ambedue i documenti in Enchiridion Archivorum Eccle-
siasticorum. Docun1enta potiora Sanctae Sedis de Archivis Ecclesiasticis a Concilio Tridentino usque ad nostros dies, quae collegerunt Rev.dus Dom. S. Duca ... et Simeon a S. Familia, Città del Vaticano 1966, 104-116 e 331-336.
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Gaetano Zito
loro variegate espressioni. I monaci, infatti, tendevano a recuperare all'interno del monastero, e soprattutto nelle grande da esso dipendenti a Paternò e S. Maria di Licodia, una vita per quanto possibile autonoma, sia economicamente che gestendo la giornata a proprio piacimento, con conseguente scarsa osservanza anche della clausura 12 e del coro. Gli abati, nonostante richiamassero in vigore le sanzioni previste, non riuscivano ad ottenere la consegna non solo della dichiarazione di «tutto quello che si ritrova avere di Denaro, Bestiame, Frumento, Vino, Argento, Oro, e ogni altro prezioso supellettile», ma degli stessi beni che personalmente detenevano e di cui liberamente si servivano, magari commerciandoli"· E non era raro il caso di monaci che chiedevano all'abate l'esonero da tale obbligo 14 •
12 La clausura si eludeva pur sapendo che, oltre le censure in cui si incorreva automaticamente, era stata posta da Clemente VIII tra i pec· catì riservati, per cui l'assoluzione poteva concederla solo il superiore della comunità o quei monaci di sua fiducia a tal fine delegati: costituiva in realtà uno dei nodi principali dell'osservanza della regola monastica più o meno per tutti i monasteri. La disposizione è contenuta nel decreto Sanctissimus del 26 maggio 1593: cfr. Codicis Juris Canonici Fontes, cura P. GASPARRI editi, I, Typis Polyglottis Vaticanis, Romae 1947, 338-339. 13 Facilmente i monaci si appropriavano dei beni della comunità, fino al punto «Che pure hanno presumuto pigliarsi le sedie della camera del· l'Abbate» (Registro, f. 123r.), e «Che spariscono dal Monastero tutti li piatti della Cucina>} (lbid., f. 133r.). E anche molti laici usurpavano i beni del monastero, nonostante fosse comminata la scomunica nei confronti dei renitenti alla restituzione con apposite periodiche bolle papali. Per gli anni da noi presi in esame, se ne conosce solamente una di Benedetto XIII del 13 aprile 1729: C. ARDIZZONE, I diplomi esistenti nella Biblioteca comunale ai Benedettini. Regesto, Catania 1927, 398. 14 Registro, f. 122r. Nel 1720 l'abate Anselmo Daniele, probabilmente a seguito di forti pressioni da parte dei monaci che chiedevano tale esonero, per giustificarne autoritativamente l'impossibilità, nelle "Ordinazioni", ci· tando Innocenzo III, ricordò loro che neanche lo stesso papa aveva tale facoltà, e quindi a maggior ragione l'abate. Il brano riportato nel testo dal Daniele, in INNOCENTII III, Opera, I, Novesianus, Co!oniae 1552, Decret. Consti!. Lib. III, Cost. CV Cum ad monasterium Sublacense, fol CCCXXIII; è pubblicato pure nel Corpus luris Canonici, Decretali di Gregorio IX, libro III, tit. 35, cap. VI, ed. Friedberg, Il, coll. 599-600.
Il monastero di S. Nicola l'Arena
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La trasgressione del voto di povertà, stigmatizzata in modo estremamente minuzioso al punto da formare la gran parte delle disposizioni abbaziali, segno che le situazioni erano gravi e scandalose, si ostentava poi all'esterno del monastero, anche con un abbigliamento che non manifestava certo "modestia religiosa". Veniva proibito, tra l'altro, l'uso di stoffe «preziose, o di colore vago» sotto l'abito monastico, fasce di seta, tabacchiere d'argento e anelli d'oro alle dita 15 • Altro aspetto degno di nota è l'esortazione a prendere i pasti in comune, e a non buttar via il cibo che avanzava a tavola. Questo, piuttosto, andava inviato al Conservatorio delle Verginelle della città, in ossequio al precetto evangelico del «quod superest date eleemosynam», con una alquanto interessante e discutibile interpretazione di esso: «c'impone l'elemosina non sopra il nostro necessario ma del superfluo» 16• Ai monaci di Paternò e S. Maria di Licodia, oltre a quanto prescritto per la comunità catanese, in particolare si proibiva di ospitare i ricercati dalla giustizia, che nelle case dei religiosi, per il diritto d'asilo, non potevano essere inquisiti; di impegnarsi nella cura d'anime, e per il culto, essendo le chiese di quelle grande sacramentali, e pur mantenendo un sacerdote diocesano in qualità di cappellano, almeno a S. Maria di Licodia; «di conservare la santa pace fra di loro, e la buona esemplarità appresso il publico, con vivere da veri religiosi» 11 • ts Registro, ff. l22v.; 155r. Jbid., f. 12lr.-v. 17 lbid., ff. 134r.-v. Le chiese delle due grancìe erano soggette all'auto· t6
rità del vescovo per la cura d'anime; mentre su di esse esercitava piena giurisdizione temporale l'abate, il quale liberamente nominava un cappel· lano, scelto tra il clero diocesano, per la chiesa di S. Maria di Licodia (Registro, 125v.). Sui conflitti di competenza che ne conseguivano, cfr. A. LONGHTTANO, Conflitti di co1npetenza fra il vescovo di Catania, i benedettini e gli ordini mendicanti nei secoli XV e XVI, in Benedictina 31 (1984) 372-384. Il Registro, tra il 1719 e il 1735, riporta due visite abbaziali alla grancia di Paternò sotto titolo di S. Ma~ia di Valle Josaphat, e alla dipendente chiesa di S. Marco. La prima (ibid., ff. 138r.-143v.) non presenta alcunché di rilevante e, tra l'altro, identiche notizie sono riportate nella seconda (ibid., ff. 171r.-176r.), ben più ampia e dettagliata: per cui si è preferito pubblicare in Appendice questa e tralasciare l'altra.
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Se l'osservanza della regola monastica non era agevole per i monaci che vivevano a S. Nicola l'Arena, dove la presenza dell'abate poteva favorire la moderazione, a maggior ragione nelle grande, con due o tre membri, lontane da ogni autorità superiore, facilmente la vita religiosa lasciava molto a desiderare. La lettura delle "Ordinazioni" rivela il persistere di abusi ben radicati fra i benedettini catanesi, e lascia certo alquanto perplessi l'affermazione de!l'abate Domenico Brancali che definiva S. Nicola l'Arena «esemplarissimo Monastero» 18 • Due altre notizie, ancora, sono degne di particolare attenzione. La prima riguarda più generalmente sia la provincia cassinese napoletana che quella siciliana. Tra gli abati dei vari monasteri delle due provincie sorgevano facili controversie per il vestiario dei monaci che venivano trasferiti da un monastero ad un altro. Il 9 maggio 1732, il capitolo generale cassinese stabilì che i monaci dovevano essere forniti del vestiario loro necessario dal monastero dal quale essi provenivano 19 • L'altra notizia degna di rilievo ci è .fornita dalla copia di una lettera inviata dall'abate Brancali, il 16 dicembre 1735, al sacerdote Leonardo Mercurio, vicario del comune di Mascali. Con ·essa, l'abate lo delegava a prendersi cura di quelle donne che «Domi sese dicare Deo et sub Monialium oblatarum nomine, nostrae Benedictinae Religionis habitum induere»: ammetterle alla professione dopo l'anno di probazione, formarle spiritualmente con la predicazione e istruirle sull'osservanza delle costituzioni benedettine 10 • La presenza di monache oblate, come pure di fratelli oblati, nel territorio su cui esercitava la sua giurisdizione il monastero di S. Nicola l'Arena, ci è testimoniata anche dall'organigramma del monastero: ad un membro della comunità, infatti, l'abate affidava il compito di prendersi cura della formazione spirituale di coloro che vivevano in città 21 • Giuridicamente sono configurabili alla stregua delle monache di casa, più che alle terziarie 1s Registro, f. 154r. " Jbid., ff. 149v.-150r. 10 !bid., f. 170v. 21 lbid., f. 118v.
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degli ordini mendicanti, non previste dalla Regola benedettina. La loro adesione era prevista per spirito di raccoglimento e di distacco dal mondo, in particolare quando ci si trovava nella condizione vedovile. Pur non vivendo in comunità e senza obbligo di coro, venivano ammesse all'abito e alla professione religiosa dai vescovi o dagli abati, oppure da loro delegati là dove non c'erano monasteri, si impegnavano all'osservanza della Regola e dei voti, e prestavano obbedienza all'abate 22 •
Nota previa all'Appendice Nella trascrizione del testo sono stati seguiti i criteri adottati nella precedente pubblicazione. In alcuni casi è stato necessario intervenire sul testo originale per sciogliere le abbreviazioni più difficili, oppure per correggere alcune sviste di registrazione. La documentazione viene edita rispettando l'ordine di registrazione degli atti, che non sempre equivale all'ordine cronologico degli stessi. Inoltre, si tralascia di pubblicare quanto non concerne direttamente il monastero catanese, ma più ampiamente la c~ngregazione benedettina cassinese: il testo omesso viene indicato con puntini di sospensione dentro parentesi quadre.
22 Notizie e bibliografia su questo argomento, in particolare per quanto concerne la loro presenza nella Sicilia orientale, dai testi a me noti, non mi pare che ve ne siano. E' possibile fare riferimento ancora alla pubblicazione del benedettino palermitano P. A. TORNAMIRA, Origine e progressi delle monache oblate dell'ordine del patriarca S. Benedetto, Bisagni, Palermo 1664: la sua pubblicazione può essere indicativa della necessità di regolamentare, in quel tempo, una probabile numerosa presenza di oblate nell'isola.
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APPENDICE [f. 115rJ
Eminentissimi et Reverendissimi Signori
L'Abba te e Monaci del Sagra Monastero di San Nicolò di Catania deIIa Congregazione Cassincse un1iln1ente espongono alle E1ninenze Vostre che fin dall'anno 1708 fu data facoltà con decreto di questa Sagra Congregazione d'ammettere alcuni Giovani all'Abbito Regolare e però trovandosi molto declinato il numero prefisso di Religiosi Professi del Sudetto Monastero si per la morte di alcuni soggetti, come per l'avanzata età d'altri, talmente che verrebbe a n1ancare la dovuta assistenza al Cult'o divino, e Disciplina Regolare. Pertanto gli Oratori supplicano !'Eminenze Vostre d'una nuova licenza ad effCtto di vestire altri soggetti per così al loro debito. Che etc. Sacra Congregatio super Disciplina Regulari liccntiam in1pertitur Supcrioribus Regularibus Monachorum Congregationis Cassinensis ad quos spectat ut hac vice tantum ultra Novitios ia1n conccssos alias decem Clericos seu Choristas ad habitum Probationis recipere in prcfato Monastcrio Sancti Nicolai pro novitiatu approbato et finito tempore Novitiatus ad Profcssioncn1 admittere !icite possint et valeant servatis tamen omnibus et singulis quae continentur in Dccretis dc Mandato Sanctae Memoria e Alexandri VII editis die 2.a 1 Maij 1655 pro Novitijs in eodem ordine rccipiendis nec non huius Sacrae Congregationis sub die 18 Iulij 1695. Roinae 13 Februarij 1719. Joseph Renatus Card. I1nperialis Praefectus Loco + Sigilli
[f. 115v)
Franciscus de Vico Secretarius Dic Duodecimo Augusti Duodecima Ind.nis 1719
Cum bis temporibus practeritis Rev.di Patres D. Anseln1us Corvaia a Ca tana, D. Michael M.a Rizzari a Catana, D. Remigius Statella a Syracusis, D. Johanncs Baptista Platamone a Syracusis, D. Placidus Sca1n1nacca a Ca tana, et D. Maurus Savuto a Patcrnionc ordinis Sancti Bcnedicti Congregationis Cassinensis fà.cto prius per cos et quen1!ibet ex cis anno eorum probationis et No\'itiatus in Venerabile Monastcrio Sancti Bencdicti huius predictae urbis Catanae Divino Spiritu ducti, suam professionem, anin10 finno, et deliberata intentione cnliserint in Monasterio predicto iuxta regulas, et observantias Religionis predictae Sancti Patris Benedicti. Et quia forte dubitari poterit professione1n predictam fore, et esse nulla1n, et invalida1n sub pretestu illam fuisse factan1 tcn1pore in legltimo, quamvis ex parte dictoru1n R.1norum Patruun1 bona fide semper conservati fuere in religione1n predictam cum vera et legitima professione cursumque guae earun1 vitae sub prcdicto habitu, et religione ac regula ad honorem et gloriam Onnipotentis Dei eiusque scmper Virginis Matris Mariae et predicti Patris Sancti Bcnedicti consumere et fallaces ac habiles mundi pompas relinquere. Nihilo1 Il testo riporta 2.a, ma ii giorno esatto è l'll maggio.
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minus ad 1naiorcn1 tamen cautelam pro declaratione anùni eoru111, cuius!ibct ex eis devenire deliberarunt ad infrascriptum actum declaratoriun1 n1odo, et fOrma quibus infra, 01nni meliori modo. Ideo hodic presenti predicta die qua supra No bis Notario et testi bus infrascriptis existcntibus in presentia Ill.tni et Rev.1ni U.J. D.ris, et Sac. D. Joannis If. 116r] Rizzari Pracpositi Vicarii Apostolici ac Generalis Magnae Episcopalis Curiae huius predictac Urbis, et in domo eius solitae habitationis presentcs coram nobis dictoque Ili.mo et R.mo D.no Vicario Generali Apostolico supradicti Rev. Patres D. Ansclmu.~ Corvaia a Catana, D. Michael M.a Rizzari a Catana, D. Remigius Statella a Syracusis, D.Joannes Baptista Platamone a Syracusis, D. Placidus Sca111macca a Ca tana, et D. Maurus Savuto a Paternione interrogati per nos a <lieto Ill.1no et R.mo D.no Vicario Generali Apostolico si ad professione1n ipsam per eos ut supra e1nissan1 cohacte, seu per vim et 1netum, vel voluntarie et cx certa cius scicntia, et deliberatione accesscrunt, et regulam ipsam observare velint, et si fù.isset illa facta vera et legitima, et vivisscnt aliquo scrupulo pro causa ian1 dieta per quos fuit per responsum prout vigore prescntis pro declaratione animi eorun1 et cuiuslibct ex eis declaraverunt, et dcclarant cum iuramcnto [... ] 2 et cuiuslibet ex cis professionern ut supra einissa1n in Monasterio predicto forc, et esse n1agis valida1n rat;un, grata1n, et finnam in omnetn eventun1 sub qua a sui principio intellcxerunt, prout in te \ligunt stare, et acq uiescere ac .<iemper et on1ni futuro tempore vivere in Religione1n predicta1n iuxta regulas, et observantias religionis predictac ac stante obedientiac et disciplinae corun1 superiorutn, usque ad cxitu1n eorun1 vitae in qua finire intendunt i1n1no quodcun1que opus est ad 1naiorem cauthelan1 ut supra professione1n ipsarn per eos et quemlibct ex eis ut supra einissam in Monastcrio predicto a sui principio rathifìcarunt et rathificant, laudarunt et laudant, approbarunt et approbant, et plenissi1ne confinnarunt et confirmant et quilibet cx eis laudavit et laudat, approbavit et approbat, rathificavit et rathificat, et plcnissin1c confirn1avit et confinnat per omnen1 mcliore1n modun1. lurando per presentcn1 nullu1n actu1n preservativu1n et preiudiciale1n presenti actui fuisse, et si aliquae literae tan1 pub!icae qua1n priva tac I f. 116v] et praeiudiciales ut supra apparerent illos per presentcn1 revocarunt et revocant ac annullarunt et annullant, et dc eis et quomodolibet ex eis pro1niserunt et pro1nittunt non uti ncc se laetari solu111 presentcs et non aliorum. Renunciando omnibus et singulis iuribus, actionibus, exceptionibus ren1ediis, Capitulis, observantiis, et aliis fàrte in contrariu1n dictantibus et disponentibu~· dc qui bus pariter pro1niserunt no11 uti nec se laetari per n1odun1 ut supra, omni 1ncliori 1nodo et non aliter et sic iuraverunt. Unde de prae1nissis on1nibus dictus lll.1nus et R.111us D.nus Vicarius Gencralis Apostolicus dictique Rev. Patres rogaverunt rne Viccntiu1n Russo pub!icun1 et Apostolicum Notariu1n huius predictac urbis auctoritate qua fungor, et de huiusmodi dcclaratione presens publicu1n confìccre instrumentum prout confeci suis die, loco, et tempore valiturum, et hoc in praesentia Notarii Nicolai Coltraro, NotariiJoannis Sindona, et Notarii Alexandri dc Paula testiu1n. Unde etc. Joannes Praepositus Rizzari Vicarius Apostolicus D. Anselinus M.a a Catana confirn10 ut supra 2 Non è stato possibile identificare due parole poiché l'inchiostro ha corroso la carta.
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Gaetano Zito D. Michael M.a a Catana confinno ut supra D. Remigius M.a a Syracusis confirmo ut supra D. Joannes Baptista a Syracusis confìrmo ut supra D. Placìdus a Catana confirmo ut supra D. Maurus a Patcrnione confirmo ut supra
Ex actis meis D. Vincentii Russo publici et Apostolici Catanensis Notarii eiusque Dioecesis Collationc Salva [f. 117r]
Nota dclii Superiori e! Qffeciali del Monastero di S. Nico/O tArenafatta a/li 14 agosto nell'anno 1720
R.1110 P.D. Anselmo [Daniele] da Siracusa Abbate M.R.P.D. Graziano da Catania Priore Claustrale M.R.P.D. E1niliano da Palenno Priore di Ciramc [= Ceran1i] M.R.P.D. Severino da Catania Priore di S. Marco P.D. Pietro Maria da Paternò Maestro di Novizij P.D. Alessandro da Palermo Decano titulare P.D. Porfirio da Catania Decano P.D. Bernardo da Catania Decano titulare P.D. Angelo da Paternò Decano P.D. Gregorio da Siracusa Decano P.D. Felice da Siracusa Decano P.D. Onorato da Catania Decano P.D. Celestino da Modica Decano P.D. Romualdo da Modica Decano P.D. Claudio da Mililli Decano P.D. Ferdinando da Catania Decano P.D. Benedetto da Modica Decano P.D. Do1nenico da Paternò Decano P.D. Ludovico da Siracusa Decano P.D. Luigi da Catania Decano
Monastero di S.ta Maria di Licodia M.R.P. Priore di Cirame Rettore P.D. Stefano da Catania Cellerario Alla Cantina del Monastero di Licodia sacristia e lampadi
N.N. Alla Cucina
N.N. [f. 117v)
Alla cura delli Feudi
P. Rettore F. Lorenzo per servire al medesimo P. Rettore
Il monastero di S. Nicola l'Arena
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Alla Grancia di Paterno P.D. Porfirio da Catania, Rettore, quale averà cura de!li Magazzeni P.D. Benedetto da Modica Procuratore, quale averà cura delli Censi, Molini, Eredità di Bcllia, e Chiesa Alla Cucina
N.N. Alla Sacristia di questo Monastero di S. Nicolò
P.D. Bernardo da Catania Vicario D. Augustina da Piazza sacristano 111aggiore F. Giovanni Evangelista sacristano, quale averà cura di sanare il n1ezzo giorno, Ave Maria con tutti li altri segni, e ogni sera porterà le chiavi della sacristia, e chiesa al M.R.P. Priore In S. Nicolò lo Vecchio, Castagneto e Dagala
F. Pietro da Catania Cappellano D. Nunzio di Consolo e D. Pietro T on1asello Alla Celleraria del Monastero P.D. Felice da Siracusa Cellerario P.D. Do111enico da Paternò Concelle1-ario Alla Spesa dcl Monastero F. Ron1ano da Messina, quale darà conto ogni sera al P. Cellerario di casa della spesa e porterà li libri al P. Abbate, e P. Ccllerario Alli Granai, Cantena e Casaria dcl Monastero F. Gregorio da Catania {f. 118,]
Alli depositi del Monastero
M.R.P. Priore di Casa Alla Cassa del Monastero P. Maestro de Novizlj Alla Procura del Monastero P.D. Ferdinando da Catania Alla Procura di Palermo P.D. Celestino da Modica Alla Procura delli Censi D. Filippo da Caltagirone
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Gaetano Zito All'Archivio dcl Monastero P.D. Ludovico da Siracusa
Sig.r D. Antonio Cu!traro All'Infinnaria P.D. Romualdo da Modica Vicario D. Ansel1no da Catania D. Rernigio da Siracusa D. Giovanni Battista da Siracusa D. Tomn1aso da Jaci Alla Frustaria [=Foresteria] P.D. Dornenico da Paternò Vicario D. Vito da Catania D. Michele da Catania Alla Cucina F. R,1ffaele Ma.\saro I;. Mauro
F. Innocenzio Alla Speziaria P.D. Romualdo da Modica, quale averà cura di sottoscrivere il quinterno dclli [f. 118v J n1edicamenti, senza la di cui sottoscrizione non si dovranno dare, ne passare Alla Lczzione delli Casi di Conscienza P.D. Ludovico da Siracusa, quale pure farà la Carità della lczzione spirituale ai Fratelli ed alle Monache oblate Alla Libraria P.D. Gregorio da Siracusa Al Refettorio D. Augustina da Piazza Magazziniere F. M:uiano da Modica, quale darà conto ogni sera al P.D. Augustina di tutto il consu1no, e che non pigli robba dalle cantine senza poliza del P. Magazziniere Alla Rivisìonc de Libri
P.D. Gregorio da Siracusa P.D. Romualdo da Modica
Per fJ.r lcgere li Decre!-i Pontifìcij
M.R. di Casa
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Alla Fabrica del Monastero P. Cellerario priino F. Isidoro
Alti libri de Conti del Monastero P.D. Gregorio da Siracusa
Alla Lczzionc de Sacri Canoni P.D. Ron1ualdo da Modica Alla Lezzi o ne di Te o logia
D. Nicolò Maria [Tedeschi] da Catania
Alla Lezzione di Filosofia D. Romualdo da Catania
Alla Camera del P. Abbate P.D. Luigi da Catania Segretario. Per servire detto P. Abbate F. Stefano da Catania
A servire al M.R. di casa F. Clemente da Catania Alla seconda Porta del Monastero
F. Clemente, quale averà cura di serrarla a mezz'ora di notte Alla Porta prima del Monastero
N.N. A Bombacaro ed Incarrozza
F. Antonino da Catania
Alla Licadia F. Michele Al Magazzeno dell'orgia e cura della sta.ila
P. Cellerario di Casa Per sonare il Pater Noster, battere prima, e sonare la prima Messa Li Fratelli a settimana, eccettuati l'ultitni dui Fratelli, che sonano il rnatutino Per scopare li Donnitorij Tutti li Fratelli due volte la setti1nana il inercoredì e sabbato, e l'ultimi dui fratelli da levare le itnmondezze ogni giorno dalli dormitorij '·All'Inventario delli Monaci, e tutte le officine Il P. Cellcrario primo, P. Cellerario secondo e Frustarario
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[f. 119vJ
Al servizio della Sacristia, Coro, e per sanare li segni della Tavola, silenzio, Matutino la sera, disciplina e spirituale
L'ultimi <lui Clerici Primo Maestro di Cerimonie P.D. Gregorio da Siracusa Coadiutore D. Romualdo Maria da Catania Organista D. Antonino Maria da Catania
[f. 12lr]
Ordinazioni consuete di osservarsi da tutti li Religiosi esistenti nel nostro Monastero di S. Nico/O, sue Grancie, e Corti, Pubblicate nell'anno 1720 da me D. Ansebno da Siracusa, no11antenle deputato Abbate de!tistesso Monastero
1. Si dichiara per clausura del Monastero quanto viene compreso dalle mura per tutto il circuito dell'istesso, ordinando a tutti li Religiosi che in nessun'ora, e tempo passino uscire fuori di detta clausura senza l'espressa licenza del Superiore, e chi controverrà, oltre alle pene arbitrarie al superiore, rifletta alle censure che ipso tunc incorre date da' son1mi Pontefici, et ultimamente poste nei casi riservati da Clen1ente VIII. 2. Che nessuno possa portarsi in Chiesa a parlare con donne, anche che fossero Parenti e Dame, senza l'espressa licenza dcl superiore; questo s'incarica alla conscienza del Religioso a riflettere che la Chiesa è casa di Dio et domus orationis, et non negotiationis, e che lui ci risiede sacramentato, e perciò avcrtino a non fare che la Chiesa fosse loco di scandalo, che Iddio ne prenderà severissimamente castigo, e nell' Anin1a e nel Corpo ricordandosi che se evertit tabulas Nummulariorum, e con flagelli riprese, e cacciò via dall'Atrio del Tempio quelli che vendevano le cose destinate al servizio dell'istesso, che farà di noi quando ci vederà con scandali profanare il suo sacro Te1npio, ove Lui risiede sacramentato. 3. Che ogni uno si contenti della Vita Co1nune intervenendo al refettorio, e contentandosi di quello li dà il Monastero, senza usare particolarità, per rinovando l'uso devoto introdotto dal fu R.mo P .D. Benedetto3 di mandare quello avanza alle Verginelle, il che ridonda in merito proprio, ché ogni [f.121v] uno farà assai grata ele1nosina a Dio di quello l'avanza. Mi assicuro, che tutti i P.P. con la loro Carità Religiosa uniformandosi al precetto Divino datoci da Cristo Signor Nostro in S. Luca 11 dicendoci: quod superest date cleeinosynam; nel che si osserva la discretezza dcl Divino Precetto, che c'impone l'elemosina non sopra il nostro necessario ma del superfluo, guod superest date eleemosyna1n, e così quello che ci avanza del mangiare applicandole all'elemosina, ed Anin1e tanto a Dio grate e neccssitose co1ne sono le Verginelle, ci uniformiremo al Divino volere, altri1nente dovremo temere la Divina Giustizia, che quanto ci dà discreto il Divino Precetto, altre tanto ci minac3
Benedetto Asmundo, abate dal 1708al1711: cfr. G. ZITO, Il monastero catanese, in Synaxù 5 (1987) 332-333.
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eia grave la pena in persona dell'istessi Giudei, sogiungendo (Veruntamen vae vobis Pharisaeis, qui etc. praeteritis iudicium, et Charitate Dei). Ed in tanto quelli che servono a tavola la matina, e sera, tutto quello che avanza lo mettine nelli catini, che a tale effetto si metteranno nel Refettorio, co1ne prima si costumava, et il Fratello del Refettorio abbia cura di conservarlo, e mandarlo alle Verginelle. 4. Nell'uscire per città si raccomanda la modestia e gravità Religiosa, riflettendo che tutti ci osservano, e la legerezza e vanità, che si fanno da noi nel Publico, sono gravi e dupplicati peccati di scandalo. 5. Che nessun Religioso tenghi robbe proprie in casa di secolari, anche che fossero Parenti, ne denaro depositato, o altro, come pure che nessuno si faccia depositario di secolari, o di robba o di denari, potendo da questo sortire gravissimi inconvenienti. Il primo sarebbe manifesta proprietà, e così contro il Voto, e con pericolo di perdersi la [f.122r] robba e denaro; et il secondo potrebbe dare grave imbarazzo di lite al Monastero. 6. Ogni Religioso, ancorché fosse Offìciale, che nel termine di tre giorni debba revelare al superiore col metterlo fedelmente in scriptis nel proprio revelo tutto quello che si ritrova avere di Denaro, Bestiame, Frumento, Vino, Argento, Oro, e ogni altro prezioso supellettile, quali si dovranno depositare nelle Cantine, e Magazzeni del Monastero, e nella Cassa del Deposito comune, che secondo le nostre Constituzioni deve stare in potere del M.R. di Casa essendo Lui il depositario commune delli Religiosi. Et facendo taluno altrimente sappiano che incorrono nel peccato della Proprietà, e per ragione nelle cenzure contra proprietarios. Né in questo si potrà taluno formalizzare ottenere licenza dal superiore, o di altre forn1alità, mentre per quello spetta a me confesso non tenere tal facoltà di poter dare simili licenze contro substantiam voti. Come sarebbe di poter tenere appresso di se simili cose disponerne e negoziarle liberamente, con darcene la ragione ed autorità a fortiori dell'istesso Papa Innocenzo III al Capitulo cum ad Monasterium de statu Monachorutn, ove scrivendo al nostro Abbate di Subiaco l'avverte (Nec extimet Abbas quod super ha bendo pro pietate possit cum ali quo Monacho dispenzare, q uia abdicatio proprietatis, sicut et custodia castigatus adeo est annexa regulae Monachali, ut contra eam nec summus Pontifex passi t licentiam indulgere). Or se il Papa dice non tenere tal facoltà, che si ha da credere del superiore? 7. Si proibisce sotto precetto di Santa Obbedienza ogni sorte di gioco di carte, proibendo anche dell'istesso modo di poter trattenere appresso di se le [f.122v] carte, per levare ogni prossima occasione, e scandalo, dovendo riflettere che anche ludus alearum viene severamente proibito dai sacri canoni. 8. Che nessuno Religioso possa prestare denaro ai secolari senza licenza del superiore, né applicare denaro a negozio, essendo questo contro la povertà religiosa e perciò grave peccato. 9. Che tutti li Religiosi osservino uniformità nel vestire con quella modestia religiosa già propria, e consueta di questo nostro Monastero; e precise, che si osservino l'ordini en1a-
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nati nel nostro precedente Capitolo Generale, e confermati in questo passato prossiino. Che si proibiscono ai Religiosi il poter portare cappelli a forma rotonda, berrettini rotondi, tacchi di legno, e fìbiette nelle scarpe, cinturette di oro nelli dita, con tutte quelle pene ivi espressate, che sono ai Clerici la rctardanza ad biennium al sacerdozio, ai sacerdoti la retardanza alla Decania ad biennium et ai Decani la suspenzione ad biennium.
10. S'incarisce ai P.P. Decani di fare le solite cerche, e di tenere spesso capitolo, e ciò con quella carità che ci prescrivono le nostre Constituzioni al cap. XXXI, numero p.mo (Nec utantur superiori tate, et auctoritate sua ad vindicta1n, presertim dicendo verba contumeliosa, et provocantia sub pena a suspcntione a Decanatu per 1nenscm, et amplius secundum qualitatem eccessus, sed omni charitate, et mansuetudine utantur in reprehentionibus, et corretìonibus) e come dice l'Apostolo (argue, obsccra, increpa in omni patientia et doctrina), dovendo nelle correzioni lucrare l'Anima del Religioso, e non provocare ad iracondia e morn1orazioni. IL S'incarisce a tutti li Religiosi di osservare il silenzio nell'ore solite d'intervenire all'atti dell'osservanza Regolare, e fervenza del Coro, come per la Iddio grazia et a sua n1aggiore gloria ho osservato in tutti [f.123r] questi giorni frequentare le Paternità Vostre, et io per quanto ne le ringrazio, altre tanto le priego a perseverare, assicurandogli che Iddio, et il P.S. Benedetto, altre tanto le feliciteranno di beni in questa e nell'altra vita. 12. Che il P. Cellerario primo, secondo e Frustarario faccino un libro d'inventario di tutte le robbe del Monastero, e che prin1a notassero per ordine tutto quello che è del Monastero nelle camere dei Religiosi, inconlÌnciando dalla nostra, e così successivamente di tutti li Religiosi, e sottoscritte dall'istesso. Avertendoli a contentarsi del ragionevole, e rin1ettere il superfluo, che è del Monastero. Mentre alcuni si sono proveduti di quantità di sedie, e Boffette [=tavolini] nelle camere, et adesso restano !'altre can1ere delle Frustarie, Decani e Religiosi senza una sedia. Ne dico che pure hanno prcsu1nuto pigliarsi le sedie della camera dell'Abbate, che si ha voluto provedere con quelle sedie della camera del P. Priore, e quella è rimasta sfornita. Si compiacciano di grazia contentarsi del giusto, e sappiano che tutti eguahnente sono figli del Monastero; ne qui siamo in Palermo, che ci potremo providere di altre robbe simili.
[f: 123v]
Ordinazioni per il Monastero di S.ta Maria di Licodia e Granàa di Paternò
1. La clausura per li Monaci di Licodia sarà tutto il Baglio per ìnsino alli Mergoli, e
strada dietro il forno per insino alla Croce. Il Trappeto e Baglio sono fuori della clausura, n'è lecito ai Religiosi il poter sortire fuori della clausura senza licenza del P. Rettore. 2. Ne il P. Rettore ne altro Religioso in queste corti p_ossino pernottare fuori dcl Monastero senza espressa licenza del P. Abbate, et in caso d'infern1ità si portino in Catania. 3. Che a nessuna persona estera si possa dare alloggio senza espressa licenza del P. Abba te, eccettuato se sortirà per qualche giorno di passagio, e che si usi ogni sorta di carità, et ospitalità con Religiosi, Poveri e Peregrini che saranno di passagio.
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4. Che il P. Rettore abbia cura delli Monaci ivi commoranti, i quali non possono uscire senza pigliare da lui la benedizione, co1nc pure al ritorno. Che li Magazzeni stiano sotto la cura del P. Rettore, tanto in Licodia quanto in Paternò, e che lui abbia ad esercitare tutta la giustizia con li Baglij 4, Incolini, et altre Persone comn1oranti in Licodia, e Feghi. 5. Che nessuna gabella di tenute o altro si faccia con li 3 anni di rispetto, essendo ciò in grave pregiudizio della Chiesa. 6. Che si digiuni in tutti li Vennerdì dell'anno secondo il 11ostro costume. In tutte le Vigilie delle sette feste di Nostra Signora e si cantino le litanie in tutte le sudette Vigilie e Sabbati. 7. Che siano ben tenute e offiziate di Messe le chiese. Si faccino le Feste consuete con tutta devozione e splendore, e si diano l'cleinosine solite da farsi. Si raccomanda a tutti li P.P. esistenti in queste corti a non si appartare in quanto si è ordinato, e non presumere di fare più di quello li spetta senza licenza del superiore, di conservare la pace fra di loro, e la [f. 124r] bona esemplarità appresso il pubblico con vivere da veri Religiosi, e Figli de! Patriarca S. Benedetto.
Pro Monaster;o Catanae P.D. Benedictus a Motyca est effCctus Cdlerarius Monasterii Catanae iuxta forn1am Brevis Alcxandri VII et nostrarun Constitutionun1. Datu1n ferrariae in nostris Conlitijs nlinoribus in Monasterio S.ti Benedicti ha biti~· clic 22 Aprilis 1725. D. Stephanus a Venetijs Abbas et Praesidens D. Desiderius a Parma Abbas et Visitator D. Leopoldus a Venetijs Abbas et Visitator D. Ansehnus a Syracusis Abbas Visltator et Scriba Dietae loco
[f. 125r]
+ sigilli Nota del/i Superiori ed Officiali del Monastero di S. Nicolo l'Arena fattrJ alfi 16 Agosto 1726
R.tno P.re D. Ildefonso (Arezzi] da Ragusa Abbate M.to Rev. P.re D. Giovanni da Messina Priore Claustrale M.to Rev. P.re D. E1niliano da Palermo Priore di Cerami M.to Rev. P.re D. Severino da Catania Priore di S. Marco P.D. Luigi da Catania Maestro di Novizij P.D. Bernardo da Catania Decano Titolare P.D. Angelo da Paternò Decano P.D. Gregorio da Siracusa Decano P.D. Celestino da Modica Decano 4
Esattori laici alle dipendenze dei monaci.
Gaetano Zito
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P.D. Romualdo da Modica Decano
P.D. Claudio da Melilli Decano P.D. P.D. P.D. P.D. P.D. P.D.
[f. 125v)
Benedetto Maria da Modica Decano Pietro Maria da Paternò Decano Domenico da Paternò Decano Lodovico da Siracusa Decano Agostino da Piazza Decano Lorenzo da Messina Decano Monastero di Licodia
P.D. Angelo da Paternò Rettore D. Gioseppe Maria da Paternò Cellerario Prete D. Nicolò Paladini Cappellano [ ... ) Alla Grancia di Paternò
P.D. Claudio da Melilli Rettore, quale averà cura delli Magazzeni D. Michele Maria da Catania Procuratore quale averà cura dclii Censi, Molini, Eredità dì Bellia, e Chiesa [ ... ) [f. 130rJ
Ordinazioni consuete da osservarsi da tutti li Religiosi esistenti nel Monastero di S. Nicolò, sue Grancie e Corti, publicate a di 16 Agosto 1726 da nie D. Ildefonso di Ragusa nova1nente deputato Abbate dell'istesso Monastero
1. Si dichiara per Clausura del Monastero quanto viene compreso dalle mura per tutto il circuito dell'istesso, ordinando a tutti li Religiosi, che in nessun'ora, e tempo, possini uscire per fuori di detta clausura senza l'espressa licenza del superiore. E chi controverrà, oltre le pene arbitrarie al superiore, rifletta alle censure, che ipso tunc incorre date dai so1nmi Pontefici. E sopra tutto si raccomanda che nessuno senza espressa licenza dell'Abbate possa andare, o trattenersi al Portone principale del Monastero, eccetto nell'accompagnare qualche Cavaliero, o Religiosi, essendo questo l'uso inveterato di questo Monastero, e trasgredendo sarà soggetto a pene ben viste al Superiore. 2. Che nessuno possa andare in Chiesa a parlare con donne anche che fossero parenti senza l'espressa licenza del superiore; e s'incarisce alla coscienza dei Religiosi il riflettere che la Chiesa è casa di Dio, et domus orationis, et non negotiationis. E che risiede sagramentato dentro il tabernacolo; e perciò stiano avvertiti a non permettere che il Tempio di Dio fosse loco di scandalo; altrimente Iddio permetterà severissimi castighi nell'anima, e nel corpo di chi opererà diversa1nente; [f.130v] e che la porta della Chiesa s'apra doppo battute le camere, e fornite tutte le nlesse, subbito si serri, e dopo Vespro parimenti si serri. 3. Che ogn'uno si contenti della vita comune intervenendo allo Refettorio, e contentandosi di quello le dà il Monastero, senza usare particolarità alcuna; altriinente obbligaranno il superiore a qualche dovuto risentiinento; e rinovando l'uso divoto e caritativo di mandare quello avanza alle povere Verginelle, il che ridonda in merito proprio, e che
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ogn'uno farà assai grato elcn1osina a Dio di quello l'avanza; pregando tutti li Padri e Fratelli acciò colla loro carità Religiosa s'uniformassero al precetto Divino datoci da Cristo Sig.r nostro colle seguenti parole: quod supercst date elaemosina. Ed intanto s'ordina a quelli che servono a tavola la mattina, e sera, che tutto quello avanza lo mettessero nelli catini, che a tal effetto sono collocati nel Refettorio, e che il fratello del Refettorio abbia cura di conservarlo, e fedelmente mandarlo alle sudctte Verginelle. 4. Nell'uscire per città, siccome per campagna nessuno lasci il compagno, e si raccomanda la dovuta modestia, e gravità Religiosa, riflettendo che siamo osservati da tutti li secolari di ogni nostra minin1a operazione; e che tutte le leggerezze e vanità si commettono da noi nel publico sono gravissin1i e duplicati peccati di scandalo; oltre che chi contravverrà starà soggetto a pene ben viste al superiore secondo la qualità del delitto. [f. 13lr] 5. Che nessuno Religioso tenghi robbe proprie in casa di secolari anche che fossero Parenti; né tampoco denaro depositato, o altri vettovagli, come di grano ecc., come parimente che nessuno de' nostri Religiosi si facci depositario de' secolari di denaro, robba, grano ecc. potendo da questo abuso sortire gravissimo inconveniente, ed in detrimento del Monastero e di più sarebbe una manifesta proprietà per quanto spetta ne' Religiosi di tenere robbe proprie in casa de' secolari ecc. come di sopra; e per buona conseguenza contro il voto della povertà, e di perdersi la robba, denari ecc. E per il secondo punto di tenere robba de' secolari in deposito, potrebbesi dare gravissi1no imbarazzo, e litiggi al Monastero. Et in caso di necessità per l'uno, e l'altro punto dovevasi prendere espressa licenza del Superiore; e tutto si mette in gravissimo scrupolo a' Religiosi, e sotto la pena di scomunica ipso facto. 6. Che ogni Religioso ancorché fosse Ufficiale, siccome li fratelli avessero per qualsivoglia sia titolo, e modo che sia denari, vasi d'oro, e d'argento di valuta, pietre preziose, o legu1ni, vettovagli, bestiame, e qualunque sorte di robba di valuta, e fra il termine prefisso non l'avessero rivelato, se gli concede altre tre dì di proroga ad effetto di rivelare tutto nella propria spropria, e consegnarla a mani del Superiore; e porterà li denari in cassa del deposito de' Monaci; altrimente incorra nella censura della scomunica latae sententiae, oltre le gravissime pene ad arbitrio del Superiore.
[f 13lv] 7. Si proibisce sotto precetto di S.ta obedienz,1 ogni sorte di gioco di carte, e di parata anca con dadi, o di qualsisia altra forma, eccetto quei giochi leciti nei giorni assegnati, e proprii secondo l'uso di questo Monastero, che sol'essero né giorni di ricreazione, proibendo anca sotto il medemo precetto di poter trattenere appresso di se carte, dadi per gioco di parata, ed ogn'altra, ad effetto di levarsi ogni prossima occasione di scandalo, dovendo riflettere che ludus alearun1 viene ~·everamente proibito da' sagri canoni, e che sotto lo stesso precetto viene proibito di poter giocare a' sudetti giochi anche fuori del Monastero. 8. Che nessuno Religioso, o fratello, né Ufficiale alcuno possa prestare denaro, robba di valuta, vettovaglio, ed altro anco a' proprij parenti senza licenza del Superiore; né applicare o fare applicare denaro, e simili vettovaglie a negozio; essendo questo contro il voto della povertà Religiosa, e per ciò gravissimo peccato, e sotto pene ben viste al Superiore.
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9. Che tutti li Religiosi osservassero uniformità nel vestire con quella modestia religiosa a tenore delle nostre sante leggi, ed uso di questo nostro Monastero. E si proibiscono precisamente li cappotti a forma di giamberga, e con fodere d'alcun colore; siccome altre cose simili nella forma di vestire a tenore degl' ordini emanati ne' nostri Capitoli generali, e confennati in questo prossimo passato sotto le pene prescritte che sono: a' Clerici la ritardanza ad biennium al Sacerdozio, a' Sacerdoti la ritardanza alla decania ad biennium, et a' decani la sospensione ad biennium, [f. 132rJ ed altre pene ben viste al Superiore. 10. S'incarisce a' Padri Decani di sodisfare al debito loro con quella probità, e giustizia si richiede, e di fare le solite cerche, e di tenere spesso Capitolo; e ciò con quella carità che ci prescrivono le nostre Costituzioni al Cap. 31 n. I (nec utantur superioritate, et auctoritatc sua ad vindictam, praesertim dicendo verba contu1neliosa, et provocantia) sub poena suspensionis a decanatu per mensem, et amplius secundum qualitate excessus; sed 01nni charitate, et mansuetudine utantur in reprehensionibus, et correctionibus (e come dice l'Apostolo) arguo, obsecra, increpa in omni patientia, et doctrina; dovendo nelle correzioni lucrare l'anima del Religioso, e non provocare ad iracundia e 1normorazione. L'istesso s'intende avvertire a tutti gl'Ufficiali del Monastero che adoprassero tutto il buono costun1e con secolari ne' loro ministerij, ad effetto potessero restare edificati, e non scandalizzati dal nostro Religioso pratticare. 11. Che nessun Monaco, o fratello, né Ufficiale possa tenere legume, aglio, vettovaglio, bestiame, né qualsisia altra cosa, che sia nelli granai, cantine, luoghi e feghi del Monastero, così di Catania, come Licadia, Paternò, Castagneto, S. Nicolò lo Bosco, Bombacaro, Baglio di Licodia, in Carrozza, ed in tutti altri luoghi del Monastero senza licenza espressa del Superiore sotto precetto di santa obedienza, e di scomunica ipso facto. 12. S'incarisce a tutti li Religiosi, ed a tutti li Fratelli, ed Ufficiali, che sotto colorato pretesto, e formalità potessero riportare le cose sopradette espressa te ne' [f.132v] sopradetti luoghi del Monastero sotto nome d'altre Persone etiamdio di Parenti senza licenza del Superiore, e sotto lo stesso precetto, ed altre pene ben viste al Superiore. 13. S'incarisce a tutti li Religiosi, e Fratelli, e precisamente agl'Ufficiali di osservare il silenzio nell'ore solite, e d'intervenire in tutte le Feste all'osservanza Regolare, e molto più al Coro, non intendendo pennettere in tali giorni alcuna esenzione, eccetto che per legitimo impedin1ento nella salute, ed urgenza del nostro Monastero. E però li prego ad osservare il sopradetto, che Iddio, e il P.S. Benedetto altretanto li feliciteranno ne' beni in questa, e nell'altra vita. Li prego di più a non esentarsi dal Refettorio. E contro di chi controverrà, resta ad arbitrio del Superiore il castigo. 14. Che il P.re Cellerario primo, secondo, e Foresterario faccino un libro d'inventario generale di tutte le robbc del Monastero e che prima notassero per ordine tutto quello, che è del Monastero nelle ca1nere de' Religiosi, e che ogn'uno de' medemi debba rivelare in scarico della sua coscienza la robba avuta in uso della sua camera. E facendo diversamente, incorrerà nelle pene ben viste al Superiore. Ed il sudetto inventario dovrà con1inciarsi dalla nostra camera, e così successivamente di tutti gl'altri Religiosi per ordine, e sottoscritte da'
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mede1ni Religiosi in ogni inventario per la sua camera, avvertendoli di contentarsi del ragionevole secondo il suo stato, e rimettere il superfluo, che è del Monastero, giacché taluni si sono [f.133r] proveduti nelle loro camere talmente che restano le altre camere, e precisamente delle forcstarie, e de' decani sprovedute. E però si con1piacciano contentarsi del giusto secondo l'uso del nostro Monastero cd a tenore dcl stato loro. E si ricordino che tutti cguahnente sono figli dcl Monastero. 15. Che nessuno de' Religiosi, e precisamente de' Giovani entri nella camera dell'altro, essendo contro il prescritto delle nostre Costituzioni, eccetto che in caso di bisogno. E parimenti che non s'introducano tanti secolari nelle catnere, e che non hanno che fare in Monastero. 16. Che il P.rc Archìvario non introduca alcuno de' Religiosi, e precisan1ente de' secolari nell'Archivio senza espressa licenza dcl Superiore; eccetto che il P.re Cel!erario, P.rc Procuratore, e Canonico Co!traro sotto Archivario. E che non debba estrarre da detto Archivio la minima scrittura sì originale, come copia senza espressa licenza del R.mo. E tutto ciò debba inviolabilmente osservare sotto i! precetto di S.ta Obedienza, cd altre pene ben viste al R.tno. 17. Che il P.re Sagristano debba far chiatnarc le 1ncsse in tutte le Feste di precetto, e quelle di devozione nel!a Città, ed in tutti li Venerdì di Quaresin1a; acciò si can1ini ordinatamente, e la Chiesa sii servita; e li secolari edificati. E con ciò li Padri Sacerdoti corrisponderanno al gran debbito che tengono. 18. Per togliere il gran disordine corre, che spariscono dal Monastero tutti li piatti della Cucina, s'ordina al fratello [[ 133v] del refettorio, siccotne al Massaro della Cucina, e suoi Giovani che in nessun conto dovessero dare a' secolari alcun piatto della Cucina, e dcl refettorio con robbe lasciate de' Padri. E che li 111edemi secolari se le vogliono, debbano portare li loro piatti, o altra capata. Non però si prega istante1nente tutti li Padri di contentarsi dare per ele1nosina alle povere Verginelle quel tanto c'avanza, co1ne s'è detto di sopra. E tutti !i trasgressori resteranno soggctt'i alle pene ben viste al Superiore; e n1olto più g!'accennati fratelli. 19. Per ultin10 che in tutti li Sabba ti dell'anno, e vigilie della Beatissima Vergine debbano intervenire tutti li Padri, ed Ufficiali senza la 1ninitna eccezione, fuorché di legiti1no impedimento, alla Salve, e litanie cantale della Beatissima Vergine.
[f. 134r]
Ordinazioni per il Monastero di Licodir1
1. Che il P.re Rettore, e Monaci non possano pernottare fuori di Licodia senza espressa licenza del R.mo P.re Abba te e che per causa d'i11fermità debbano portarsi subbito in Catania, se però il n1orbo ce lo permetterà. 2. Che il P.re Rettore abbia cura de' Monaci, et attenda a fare la giustizia agl'lnquilini, e non pennetta siano aggravati da lii Baglij, e che s'osservino le pandette, e costituzioni, e
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consuetudini del loco. E resti in sua cura che li scrvidori, e Baglij vivano cristianamente, facendo che ascoltino la 1nessa, e le dovute com1nunioni, e che né in casa, né fuor di casa s'abbia da giocare alle carte, dadi, et altri giuochi proibiti sotto precetto di S.ta obedienza. 3. Che non si ricevano secolari di qualsivoglia condizione che siano, che v'andassero per ricreazione, o per loro ncgozij senza espressa licenza del R.mo P.re Abbate, eccetto se fosse cosa di passagio; e che sij usata cortesia e carità a' Religiosi, Mendicanti, e Poveri, che passeranno per detto loco. E sopra tutto che non s'ammettano refugiati dì qualsisia loco, molto più per delitti criininali, sotto le pene ben viste al Superiore. 4. La clausura per ii Monaci di Licodia si dichiara per tutto il baglio per insino alli mergoli, e la strada dietro al forno sino alla Croce. Lo trappeto, e baglio s'intendano fuori di clausura, né si ci possa andare senza licenza del P.re Rettore. ff.134v] 5. Che nessuna gabbella di tenute, o altro piccolo loco si passi fare con li tre anni di rispetto, essendo ciò in grave pregiudizio della Chiesa. E che dal P.re Rettore, come anco Ccllerario non si possano fare spese straordinarie senza espresso ordine dcl R.mo. 6. Che si digiuni in tutti li Venerdì dell'anno secondo il nostro costun1e, e consuetudine, siccome in tutte le vigilie delle sette Feste di nostra Signora; e si cantino le litanie in tutte le sudette vigilie, e sabbati. 7. Che sia ben tenuta, ed officiata la Chiesa, e che non si lasci di recitare l'ufficio ogni giorno per la sodisfazione, cd obligo del Coro; siccon1e in Chiesa non si preterisca ogni giorno almeno una messa, considerandosi Chiesa sagramcntale. Si taccino le Feste consuete con tutta divozione, e poinpa, e si diano le solite eleinosine. Si raccomanda anco al P.re Rettore, e ai Religiosi esistenti in detto Monastero ad asservare inviolabiln1ente tutto quello che s'è ordinato, a non presumere di fare più di quello si compete, senza espressa licenza del Superiore; e di conservare la santa pace fra di loro, e la buona escn1plarità appresso il pubblico con vivere da veri Religiosi, e figli del glorioso Patriarca S. Benedetto. 8. Che nessun Religioso tenghi robbe proprie in casa di secolari anche che fossero Parenti, né tampoco denaro depositato, o altri vettovagli, come di grano ecc. E pariinentc che nessuno de' nostri Religiosi si facci depositario [f.135rJ de' secolari di denaro, robba, grano ecc., potendo da questo abuso sortire gravissimo inconveniente, ed in detrimento del Monastero, e di più sarebbe una 1nanifesta proprietà per quanto spetta ne' Religiosi di tenere robbe proprie in casa de' secolari ecc. come di sopra; e per buona conseguenza contro il voto di povertà, e di perdersi la robba, denari ecc. E per il secondo punto di tenere robba de' secolari in deposito, potrebbcsi dare gravissin10 imbarazzo, e litiggi al Monastero. Ed in caso di necessità per l'uno, e l'altro punto si doverà prendere espressa licenza del Superiore. E tutto si inette in gravissimo scrupolo a' Religiosi, e sotto la pena di scon1unica ipso fJcto. 9. Che ogni Religioso ancorché fosse Ufficiale, siccome li Fratelli avessero per qualsivoglia sia, titolo, e modo che sia, denari, vasi d'oro, e d'argento di valuta, pietre preziose, o legumi, vettovagli, bestia1ne, e qualunque sorte di robba di valuta, e fra il tennine prefisso
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non l'avessero rivelato, se gli concedono altri otto dì di proroga ad effetto di rivelare tutto nella propria spropria, e consegnarla a mani del Superiore; e dovrà portare li denari in cassa del deposito de' Monaci; altrimente incorra nella censura della scon1munica latae sententiae, oltre le gravissitne pene ad arbitrio dcl Superiore. 10. Che nessuno Religioso, o fratello, né Ufficiale alcuno possa prestare denaro, robba di valuta, vettovaglio, ed altro anca a' proprij Parenti senza licenza del Superiore; né applicare, né f3.r applicare denaro, e simili vettovagli a negozio, essendo questo contro il voto della povertà [f. 135v] religiosa, e per ciò gravissi1no peccato, e sotto pene ben viste al Supenore. 11. Che tutti li Religiosi osservassero unifàrmità nel vestire con quella modestia religiosa a tenore delle nostre sante leggi, ed uso di questo nostro Monastero. E si proibiscono espressamente li cappotti a forma di giamberga, e con fodere d'alcun colore; siccome altre cose simili nella forma di vestire a tenore degl'ordini en1anati ne' nostri Capitoli generali, e confermati in questo prossimo passato sotto le pene prescritte, che sono: a' Clerici la ritardanza ad biennium al Sacerdozio, a' Sacerdoti la ritardanza alla decania ad bienniun1, et a' decani la sospensione ad biennium; cd altre pene ben viste al Superiore. 12. Che nessuno Monaco, o fratelli, né Ufficiale possa tenere lcgutne, oglio, vettovaglio, bestiame, né qualsisia cosa che sia, nelli granari, cantine, luoghi, e feghi dcl Monastero, così di Catania, come di Licodia, Paternò, Castagneto, S. Nicolò lo Bosco, Bombacaro, Baglio di Licodia, in Carrozza, cd in tutti altri luoghi dcl Monastero senza licenza espressa del Superiore sotto precetto di S.ta obedienza, e di ~Tom1nunica ipso facto.
If.
I36r]
Ordinazioni per fa Grancia di Paternò
1. Che né il P.re Rettore, né il Procuratore, o altro Religioso che fosse in detta Grancia, possano pernottare fuori del Monastero anche che siano di passaggio li Religiosi, o a causa di ripatriare, senza espressa licenza de! R.mo P.re Abbate. Ed in caso d'infermità, si debbano subbito portare in Catania. 2. Che non si debbano in cotesta Grancia ricevere secolari di qualsivoglia condizione che siano, che ci andassero per ricreazione, o per loro negozij, senza espressa licenza del R.1no P.re Abbate, eccetto che se fosse per semplice passaggio; e che sij usata cortesia, e carità a' Religiosi, Mendicanti, e Poveri, che passeranno per detta Grancia. E sopra tutto che non s'am1nettano rcfugiati di qualsivoglia loco, molto più per delitti criminali sotto le pene ben viste al Superiore. 3. Che nessuna Gabella di tenuta, o altro piccolo loco si passi fare con li tre anni di rispetto, essendo ciò in grave pregiudizio della Chiesa. E che dal P.re Rettore, come anca dal Procuratore non si possa fare spesa alcuna estraordinaria senza preciso ordine del R.n10. 4. Che si diggiuni in tutti li Venerdì dell'anno secondo il nostro costume, e consuetudine; siccome in tutte le vigilie deHe sette Feste di nostra Signora. E si cantino le litanie in tutte le sudctte vigilie, e Sabbati.
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5. Che sia ben tenuta la Chiesa, ed ufficiata per quanto spetta, siccome non si pretcrisca ogni giorno almeno una messa, considerandosi Chiesa sagramentalc. Si faccino parimente le Feste consuete con tutta divozione, e [f. 136v] pompa, e si diano le solite elemosine. 6. Che il P.re Rettore abbij cura che li scrvidori di detta Grancia vivano cristianamente, facendo che ascoltino ogni giorno la messa, e le dovute com1nunioni; e che né in casa, né fuor di casa si possa giocare alle carte, dadi, cd altri giochi proibiti sotto precetto di s.ta obedienza. 7. Si raccomanda al P.re Rettore, e Procuratore esistenti in detta Grancia far osservare inviolabihnente tutto quello s'è ordinato, e non presu1nere fare più di quello ci con1pete senza espressa licenza del R.1110; e di conservare la santa pace fra di loro, e la buona esen1plarità appresso il pubblico con vivere da veri Religiosi, e figli del Glorioso Patriarca S. Benedetto. Le altre ordinazioni sono le stesse di sopra espressate per il Monastero di Licodia co1ninciando dal numero ottavo sino ..al nun1cro dodecin10. Che per ciò si vedano ivi.
[f. 137']
Pro Monrts!erio Catanae
Remittimus arbitrio R.mi praefati Monasterij electione111 Capsarij in personam sibi bene visam. Et ideo R.1nus P.r Abbas eiusdem Monasterij eligit in Capsarium Patrem dominum Aloysium a Catana. Datu1n in Comitijs maioribus habitis in Monasterio S. Benedicti de Padolirone 5 die 17 Maij 1726. Pro Monasterio Catanae
Eminentissimi e Reverendissimi Signori L'Abba te e Monaci del Monastero di S. Nicolò di Catania della Congregazione Cassinese umilmente supplicano !'Eminenze Vostre della grazia d'una nuova fàcoltà di potere am1nettere all'Abito Monastico altri 10 Chierici Coristi per sostegno dcl n1edesin10 Monastero, stante trovasi già tenninato il numero concessogli da codesta S. Congregazione con suo decreto fin dall'anno 1719. Che etc. Sacra Congregatio super disciplina Regulari licentiam impertitur Superioribus Regularibus Monachorum Congregationis Cassinensis, ad quos spectat, ut ultra Novitios iam concessos, hac vice tantu1n alias dece1n Clericos, seu Choristas ad habitum probationis reci pere in praefato Monasterio San et i Nico lai pro Novitiatu ab hac Sacra Congregatione approbato, et finito ten1pore Novitiatus, ad prof1:ssionen1 ad1nittere licite possint, et valeant, servatis tan1en omnibus, et singulis, guae continentur in dccretis de mandato sancta 1nemo5 Presso Mantova.
li monastero di S. Nicola l'Arena
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ria Alexandri VII editis dic Xl Maij ibiden1 pro Novitijs [f. 137v] in <lieto Ordine recipicndis, nec non huius Sacrae Congregationis sub die 18 Iulij 1695. Datu1n Ron1ae hac die 4.a Februarij 1726. Joscph Rcnatus Card.lis Imperialis Praefectus Franciscus [de VicoJ Episcopus Elusin. Secrctarius Loco
+ sigilli Pro Monasterio Catanae
Ad petitioncm R.mi Pracsu!is Monasterij S. Nico!ai Catanae, in quo dc idoneo Novitiorun1 Magistro providendutn venit, proptcr altcrius iam in Capitulo Generali rccenter provisi egritudines; Te Patre1n d. Aloysium a Catana Decanu1n, de cuius prudentin, probitate, ac Religionis zelo no bis abunde constat, in Novitiorum Magistrutn praefati Monasterij eligin1us, et institui1nus, auctoritateque, qua fungimur, clectum, et institutu1n tenore prescntiutn declaran1us, on111i interitn necessaria auctoritate ad tale munus rectc exequendu1n impertita, et cunci-is Privilegijs, et Gratiis talibus congrucnlibus tibi quoque concessis. Datum Mcdiolani in Monasterio nostro S. Simpliciani <lie 17 Augustii 1726. Loco + sigi !li D. lulius a Mediolano Abbas, et Praesidcns D. Dominicus a Messana Abbas, et Visitator D. Placidus a Pavia Cancellarius [... ]
[f. 144rj Nos D. Julius a Mediolano Abbas et Praesidens Congregationis Cassinensis Ad petitione1n R.1ni Praesulis Monasterij Sancti Nicolai Catanae ob egran1 valctudinem P.D. Aloysij a Catana providendun1 est de idoneo Magislro Novitioru1n, Te P.D. Romualdum a Motyca nostrae Congrcgationis Dccanun1, eiusdemque Monasterij Professun1, de cuius prudentia, ac probitatc, Religionisque zelo certiorcs facti fuimus, in Magistrutn Novitioru1n pracdicti Monasterij cligi1nus, et instituiinus, auctoritatc, qua fungin1ur, electum, ac institutu1n tenore pre~·entium declaramus usque ad proximum Generale1n Capitulu1n, 01nni interim necessaria auctoritatc ad tale tnunus rite exequendum iinpertita, cunctisquc Privilegiis, et gratiis tali bus competenti bus, Ti bi quoque concessis. Datun1 Mediolani in Monasterio Tnglassiate 6 • Anno 1728 die 12 Maij. D. Ju!ius a Mcdiolano Abbas et Pracsidens D. Joscph Anlonius a Papia Prior Pro-Canccllarius
[f. 144vl Nos D. Julius a Mediolano Abbas et Praesidcns Congregationis Cassincnsis Tibi R.n10 P. Abbati S. Nicolai Catanae, attento i1npedin1cto Nobis exposito Patris Capsarij vi decreti Capituli Gencralis clecti, fàcultate1n conccdi1nus aliu1n ex Monachis laudati Monasterij tibi bcnevisutn substituendi, et talctn a te nominandu1n in Capsariun1, auctoritate qua fungimur, cligimus, dedaramus, et approbamus ad lorrnan1 nostraru1n 6
S. Pietro in Gessate.
Gaetano Zito
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Apostolicarun1 Constitutionun1 usque ad futuruin Congressu1n. Datum Mediolani in Monasterio Inglassiate. Anno 1728 die 12 Maij. D. Julius a Mcdiolano Abbas et Praesidens D. Joseph Antonius a Papia Prior Pro-Cancellarius Et ideo R.1nus P.r Abbas praedicti Monasterij vi supradicti decreti cligit in Capsariun1 P.D. Romualdun1 a Motyca decanun1, et Professum eiusdcm Monasterij, sub hac clic 12 Junij Anni 1728.
[C 145vJ
Nota del/i Superiori ed Officiali dcl 1l1011astero di S. Nicolò l'Arena sollo li 8 Agosto 1729
R.n10 P.re D. Ildefonso [Arezzi] da Ragusa Abbate M.R.P.D. Giovanni da Messina Priore Claustrale M.R.P.D. E1niliano da Palenno Priore di Ceran1i P.D. Ro1noaldo da Modica Maestro de' Novizij P.D. Bernardo da Catania Decano Titolare P.D. Angiolo da Paternò Decano P.D. Gregorio da Siracusa Decano P.D. Claudio da Melilli Decano P.D. Benedetto Maria da Modica Decano P.D. Do111enico da Paternò Decano P.D. Lodovico da Siracusa Decano P.D. Agostino da Piazza Decano P.D. Lorenzo da Messina Decano P.D. Luiggi da Catania Decano P.D. Romoaldo Maria da Catania Decano P.D. lgnazio da Modica Decano P.D. Nicolò Maria da Catania Decano P.D. Giuseppe Maria da Patcrnò Decano P.D. Antonino Maria da Catania Decano P.D. Pietro Celestino da Siracusa Decano P.D. Odoardo da Siracusa Decano P.D. Vito Maria da Catania Decano
lf.
J46c]
Monastero di Licodùt
P.D. Don1cnico da Paternò Rettore P.D. Giuseppe Maria da Paternò Cellcnirio Prete D. Nicolò Paladino Cappellano [ ... ] Granàa di Paternò
P.D. Claudio da Melilli Rettore, quale avrà la cura de' 1nagazzeni
Il monastero di S. Nicola l'Arena
543
D. Michele Maria <la Catania Procuratore, quale avrà la cura delli censi, n1olini, eredità di Bellia, e Chiesa
[ ... ] [f. 147r]
All'Archivio del Monastero
P.D. Lodovico da Siracusa, Sig.r D. Antonino Coltraro
[ ... ] [f. 147v)
Alla lezione di Teologia
P.D. Pietro Celestino da Siracusa
Alla lezione di Filosofia P.D. Vito Maria da Catania Alla lezione di Morale D. Michel Angiolo da Catania
I I [f. 149r]
Alla cura della Libreria
I P.P. Lettori di Teologia, e Filosofia bibliothecari, e che abbiano la cura di farla scopare altneno una volta la settin1ana.
L'Ordinazioni consuete d'osservarsi da tutti li Religio.~i esistenti nel nostro Monastero di San Nicolò, sue Grancic, e Corti, sono le stesse pubblicate nell'ingresso al governo dcl R.mo P.re D. ldelfonso da Ragusa l'anno 1726. Pro Monasterio Catanae Nos D. Bonaventura a Bcrga1no Abbas ac Praescs Congregatìonis Cassinensis tibi P.D. Benedicto M,1ria a Motuca Congregationis Nostrae Decano, qui Cellerarij munere in Monasterio Nostro Catancnsi Divi Nicolai integro sexcnnio cu1n laude functus es, ut ibidem Oeconotni officio, R.n10 Praesule tuo a Nobis postulante, sex adhuc n1ensibus vacare possis, auctoritate qua fungi1nur, nostris hisce litteris nccessarian1 01nnen1 ei rite gcren<lo facu\tatem impertitnur. Datun1 Vcnetijs in Monasterio Divi Georgij Maioris pridie Nonas lulias 1731 D. Bonaventura a Bergamo Abbas et Pracses D. Veretnundus a Venctijs Prior Pro~Cancellarius
[f. 149vJ
Reverendissiini Padri
Li R.111i tanto della Provincia Napoletana, quanto della Provincia Siciliana perché nelle n1utazioni de' Monaci, tanto in tetnpo di congresso, quanto in altri ten1pi, sogliono spesso nascere delle difficoltà tra Prelati de' Monasteri delle due dette Provincie in ordine al!e vestiarie che si devono a' sudetti Monaci, per tanto ricorrano dalle Paternità Vostre Re-
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Gaetano Zito
verendissitnc, acciò si con1piacciano di dare su tal affare qualche provedimen1o per sopire tutte le controversie, che della grazia quain Deus etc. Quoniam R.1ni Presulcs tam Provinciac Napolitanae, qua1n Siculae ut innotescit ex supplici libello no bis porrecto cxposucrunt, varia, eadcmque gravissirna sepenuinero exovivi litigia inter prefatos R.mos in mutationibus Monachorum. Nos Auditores Causarum huic inalo occurrere volentes, decrevimus, nisi R.mis Definltoribus aliter videatur, quod ad huiusce1nodi litigia con1ponenda haec lex perpetuo servctur, vestiariu1n neni pe in predictis mutationibus solvendu1n esse ab illo Monasterio a quo Monachi discedunt, et cui inservicre per spatium prescriptu1n a nostris constitutionibus, volentes etiam, quod si 1nutetur Monachus infra annum solvatur vestiariutn iuxta ratam temporis clapsi a pri1na die Mensis lulij cuiuslibet anni. Datun1 apud S. Pctru1n dc Perusio te1npore Comitiorum Generaliuin die 9 Mensis Maij 1732. D. Idelphonsus a Neapoli Abbas et Auditor Causarum D. Philippus Maria a Neapoli Abbas et Auditor Causarun1 [f. 150r] D. Do1ninicus a Messana Abbas et Auditor Causarum D. Jacobus ab Urbe Abbas et Auditor Causarum D. Carolus a Pcrusio Abbas et Praesidens D. Franciscus a Panonno Abbas et Definitor D. Joseph Maria a Papia Abbas et Dcfinitor D. Bonaventura a Berga1no Abbas et Dcfinitor Scriba Capituli D. Angelus a Neapoli Decanum D. Hieroninn1s a lanua Abbas et Conscrvator D. Antoninus a Panormo Abbas et Conservator D. Florus a Florcntia Abbas et Conservator D. Io. Antonius a Padua Abbas et Conservator
[( !Sh]
Nota del/i Suprriori ed qfficiafi del ll1ontlSfero di S. Niro/O l'Arenafat!a a 14 luglio 1732
Rev.mo P.re D. Don1enico [BrancatiJ da Messina Abbate M.to R.P.D. Ro1nualdo da Modica Priore Claustrale M.to R.P.D. Vito da Catania Co1np.a della Congregazione Cassinese M.to R.P.D. Etniliano da Palcrn10 Priore di Cira1ni M.to R.P.D. Angelo da Patcrnò Priore di S. Marco P.D. Claudio da Melilli Decano P.D. Gregorio da Messina Decano P.D. Pietro da Paternò Decano P.D. Do1ncnico da Paternò Decano P.D. Lodovico da Siracusa Decano P.D. Agostino da Piazza Decano P.D. Luiggì da Catania Decano P.D. Stefano da Catania Decano P.D. Placido Benedetto da Messina Decano
Il monastero di S. Nicola l'Arena P.D. P.D. P.D. P.D. P.D. P.D. P.D. P.D. P.D. P.D. P.D.
[f. !Slv]
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Ro1nualdo Maria da Catania Decano Ignazio da Modica Decano Nicolò Maria da Catania Decano Giuseppe Maria da Paternò Decano Antonino Maria da Catania Decano Vincenzo Maria da Catania Decano Pietro Celestino da Siracusa Decano Odoardo da Siracusa Decano Anselmo Maria da Catania Decano Michele Maria da Catania Decano Ren1iggio da Siracusa Decano
Monastero di L/codia
P.re D. Ludovico da Siracusa Rettore P.re D. Agostino da Piazza Cellerario P.re D. Odoardo da Siracusa D. Nicolò Paladino Cappellano Grancia di Paterno
P.D. Pietro da Paternò Rettore D. Placido da Catania Procuratore quale haverà la cura delli Censi, Molini, eredità di Bellia, e Chiesa [ ... ]
ff.
152v)
All'Archivio del Monastero
P.D. Anselmo Maria da Catania, quale osserverà la Bolla di Benedetto XIII
I I [f. 154r]
Ordinazioni da osservarsi da tutti li Religiosi esistenti nel Monastero di S. Nicolò l'Arena, sue Grancie e Corti, pubblicati nell'Anno 1732 da me D. Domenico di IV!cssina, nova111ente deputato Abhate di detto Monastero
Per sodisf3re in parte a' doveri del mio Ministero, e contribuire a tenore di mia debolezza al vero profitto temporale e spirituale d'ogn'uno, per l'aumento della Gloria di Dio, e mantenitnento dell'Osservanza Monastica, e discipli11a Regolare in questo esen1plarissimo Monastero ho risolto d',1vcrtire le seguenti particolarità, che voglio con distintione particolanncnte osservate, non solo sotto le pene tassate nelle Bolle Pontificie, e nostre S.tc Costituzioni ma ancora sotto quelle che riservo al 1nio arbitrio.
1. A nessuno sia lecito senza espressa licenza del Superiore uscire in qualunque tempo dalla clausura del Monastero; che dichiaro essere la prescritta dalli Abbati n1ei antecessori.
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Gaetano Zito
2. Uscendosi per Città, o per la Can1pagna si stia con la dovuta n1odcstia, e niuno possa andar solo, o 1nutar Compagno, ma si contenti da!l'assignatoli dal Superiore e non ardisca trattenersi a discorrere con Dame in Carrozze per le strade. 3. Senza espressa licenza del Superiore non si possa parlare in Chiesa, e si raccomanda con ogni premura il rispetto quivi distintamente dovuto a Dio.
[f. 154vJ 4. Quanto sarà possibile ne' Dormitorij dcl Monastero s'osservi la tacciturnità e silenzio tanto co1nmcntate dal nostro Santo Patriarca, e per ciò si proibiscono le inutili e vane conversazioni in Camera, dove si stia di modo che non s'inco1n1nodi, o disturbi il Compagno, onde non sia lecito ad alcuno di tenere e usura [sic!] strumenti musicali d'alto tuono, e strepitosi per non divertirsi dalla propria, o in1pedire l'altrui applicazione alle vere virtù e profittevole scienze. 5. Si contenti ogn'uno della vita co1nune, onde si proibisce ogni parlicolarità in Refettorio. Alli Officiali, e Ministri del Monastero si ordina di mangiare alla seconda mensa comune, a tenore del!'ultime Costituzioni Capitulari; e ciò che avanza, si dispensi in elemosina alle Verginelle, giusta il lodevole uso di questo Monastero. 6. Senza espressa licenza del Superiore non possa introdursi, e molto 1neno pernottare Alcuno di qualunque età, stato, e condizione: a riserva delli soli servidori dcl Molto Reverendo di Cerami e P.re Cellerario. 7. Si proibisce affatto il negoziare e tenere robbe preziose, o 1nercantili de' secolari, e molto più denaro proprio, o d'altri; si come all'incontro si ordina di non tenere in casa de secolari n1obili, o denari a titolo di prestito o deposito, ma il denaro che si ha permesso ad uso proprio si porti in Cassa comune de' depositi in potere del Molto Reverendo di Casa. 8. Si proibisce ancora ogni sorte di gioco di dadi e carte si dentro, con1e fuori del Monastero.
[f. 155rJ 9. S'incarisce sopra tutto l'unifonnità nel vestire, e non sia lecito ad alcuno usare nell'abiti di sotto panni, e drappi preziosi, o di colore vago. Proibendosi ancora d'usare fascie di seta, tabbacchiere d'argento, cintorette d'oro alle dita, tacchi di legno e fibiette nelle scarpe, berrettini, e cappelli di forma rotonda. 10. S'avverte alli Padri Cellerario e Ministri di fare respcttivamente l'inventario di tutte le robbe del Monastero e notare in libro distinto li fornimenti di ca1nera e provisioni, che ogn'uno tiene a conto del Monastero, esortando a tutti contentarsi del bastevole, e restituire il superfluo. 11. Si proibisce alli Padri Sacerdoti d'esentarsi in qualunque giorno dal Capitolo delle colpe. Nel sabbato poi vaccorrano tutti li Padri senza eccezione veruna. 12. Si raccomanda per l'ultimo alli Padri Superiori di sodisfare li doveri del loro stato,
Il monastero di S. Nicola l'Arena
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e grado, e di mostrare in tutto il zelo bono, e non di amaritudine, abusandosi di loro autorità, e giurisdizione. Faccino le solite ccrche in Monastero e sue officine, e le doverose correzioni in Capitolo con formale civili, e le più proprie d'una vera Carità, atta a lucrare, e non perdere I' anime dei defettosi a tenore di quanto cotnmenda il nostro Santo legislatore in più luoghi, e specialmente nel Cap. 31 di nostra S.ta Regola; che Dio ci dia grazia di esattamente osservare in au1nento della gloria Sua, e in beneficio dell'Anima nostra.
l f. 155v] Quello poi che particolarmente riguarda il bon regolamento delle Grancie, e Corti di Licodia, e Paternò, io mi rapporto all'Ordinazioni dell'Abbati 1nei antecessori7. E gli Ili.mi e R.mi Monaci componenti la comunità di questo tre volte venerabile Monastero di S. Nicolò l'Arena, decretarono anzi stabilirono a piena voce dicentes: Si scriva nel libro rosso la massima filosofale del dottissimo e sapientissimo Monaco in Christo Jesu Massima
dd Filosofo Monaco ad perpetuam rei memoria1n «Gli onori e gli impieghi fanno cambiare linguaggio» Massin1a che ne i Socrati ne i Pia toni con tutta l'energia delle loro sublime menti seppero mai pensare. Massima che era riserbata ad un Monaco d'alto ingegno e di squisitissimo sapere pronunziare in simplicitate cordis. A1nen. Loco + sigilli Pro mandatu R.mi mei Presulis D. Dominicus 8 a Paternione
[ ... ] [f. 159v]
Eminentissimi e Reverendissitni Signori
L'Abbate, Monaci del Monisterio di S. Nicolò di Catania della Congregazione Cassinese umilissimi Oratori dell'E1ninenze riverite le supplicano della gratia di poter'ammettere all'Abito Monastico dieci Chierici Choristì, per sostegno dell'Osservanza del Medesimo Monastero, che si trova mancante di molti Professi Defonti in pochi anni, pratticandosi in esso l'esatta Osservanza della Regola, e Constituzioni Apostoliche secondo la rettissima mente di questa Sagra Congregazione. Che della grazia etc. Sacra Congregatio super Disciplina Regulari, licentiam i1npertitur Superiori bus Regularibus Monachorum Congregationis Cassinensis, ad quos spectat, ut, ultra Novitios iam concessos, hac vice tantun1 alias decem Clericos, seu Choristas ad habitum probationis recipere in predicto Monasterio S. Nicolai pro Novitiatu ab hac Sacra Congregatione appro7 8
Seguono tre righe cancellate dal compilare del Registro. Il cogno1ne è indecifrabile.
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Gaetano Zito
bato; Et finito tcmpore Novitiatus ad Professionetn adtniltere !icite possint, et valeant: servatis ta1nen on1nibus, et singulis, guae continentur in Decretis de Mandato Sanctae Me1no-
riac Alcxandri VII cditis dic XI Maij 1655 pro Novitijs in dieta Ordine recipicndis; ncc non huius Sacrae Congregationis sub die 18 Iulij 1695. Romae 28 Novembris 1732. Joscph Rcnatus Card.lis In1pcrialis Pracfcctus [f. 160r]
Pro A1onas/erio Catanae
Facultate1n concedi1nus R.1110 Catanae eligendi in Capsariun1 aliquen1 Decanun1 dc fanlilia praedicti Monasterij. Datu111 die 6.a Maij 1735 in Comitijs Majoribus D. Ildcphonsus a Neapoli Abbas et Praesidens D. Carolus a Perusio Abbas et Definitor D. Ioscph Maria a Papia Abbas et Dcfinitor D. Io. Antonius a Padua Abbas et Scriba Capituli
[f. 161']
Nota del/i Superiori ed Officiali del A1onas/ero di S.to Nicolò l'Arena sotto /; 20 Giugno 1735
Rcv.mo P.re D. Domenico [BrancatiJ da Messina Abbate M.to Rev.do P.re D. Vito Maria da Catania Priore Claustrale M.to Rcv.do P.re D. Romualdo da Modica Priore di Castrovillari M.to Rcv.do P.re D. E1niliano da Palern10 Priore di Cirarni M.to Rev.do P.rc D. Angelo di Paternò Priore di S. Marco P.re D. Claudio da Melilli Decano P.re D. Pietro da Patcrnò Decano P.re D. Do1nenico da Paternò Decano P.re D. Ludovico da Siracusa Decano P.re D. Agostino da Piazza Decano P.re D. Luiggi da Catania Decano P.re D. Placido Benedetto da Messina Decano P.re D. Romualdo Maria da Cat;1nia Decano P.re D. Ignazio da Modica Decano P.re D. Nicolò Maria da Catania Decano P.re D. Gabriele da Palenno Decano P.re D. Antonino da Catania Decano P.re D. Vincenzo Maria da Catania Decano P.re D. Anseln10 Maria da Catania Decano P.re D. Michele da Catania Decano [f. 161v] P.re D. Re1nigio da Siracusa Decano P.re D. Placido da Catania Decano P.re D. Michelangelo da Catania Decano A1onas/ero di Licodia
P.re D. Ludovico da Siracusa Rettore P.re D. Michele da Catania Cellerario
11 monastero di S. Nicola l'Arena
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Granàa di Paternò P.re D. Pietro da Paternò Rettore P.re D. Remigio da Siracusa Procuratore, quale avrà la cura delli Censi, Molini, ed eredità per l'Opere Pie. [ ... ]
[f. 162v]
All'Archivio del Monastero
P.re D. Anselino da Catania quale osserverà la Bolla di Benedetto 13 D. Francesco Orsino [ ... ]
[f. 163r]
Alla Lezione di Sacri Canoni e Teologia
P.re D. Romualdo da Catania
Alla Lezione di Filosofia P.re D. Michelangelo da Catania Alla Lezione di Te o logia Morale D. Francesco di Piazza [ ... ]
ff.
164r]
Alla cura della Libraria
P.re Lettore di Teologia, e Filosofia quali avranno la cura di farla scopare una volta la settimana.
[f. 164v]
Ordinazioni d'osservarsi da tulli li Religiosi nel Monastero di S. Nholò l'Arena e sue Grancie, e Corti pubblicate nell'Anno 1735 da me D. Donienico Brancali di Messina Abbate nel sudetto Monaslero
Come l'esatta osservanza delle nostre S. Costituzioni in gran parte dipende dalla puntuale esecuzione di quelle ordinazioni, che sogliono di quando in quando da Superiori prescriversi, per ciò a tenore quel tanto che nel principio del mio governo stiinai opportuno avvertire, nella nuova creazione dell'Ufficiali di questo ese111plarissimo Monastero, in corrispondenza del tnio dovere ho stimato le seguenti particolarità di nuovo alla metnoria di ciascuno insinuare, per essere senza causa o pretesto esattamente osservate sotto le pene nelle Bolle Pontificie, e Costituzioni della S. Regola prescritte, e sotto quelle che riserbo ancora al 1nio arbitrio.
1. A niuno sia lecito senza espressa licenza del Superiore uscire in qualunque ten1po dalla Clausura dcl Monastero che dichiaro essere la prescritta dalli Abba ti 1niei Antecessori; e s'astengano così Monaci, come Commessi di trattenersi al Portone principale del Monastero, o ad altro che corrispone a publica strada, eccetto che nell'accompagnare qualche Persona di distinto riguardo. 2. Uscendosi per Campagna, o per Città s'osservi la dovuta religiosa Modestia, cd a
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Gaetano Zito
niuno sia lecito d'andar solo o accompagnato da qualche Servo senza la espressa licenza del Superiore; e si contenti ogn'uno del Compagno assignatogli senza poter [f. 165r] cambiarlo, e non ardisca chiunque trattenersi a discorrere con Dame in Carrozza per le pubbliche strade. 3. Senza l'espressa licenza del Superiore non si possa parlare nella Chiesa, raccomandandosi con ogni premura il rispetto, e lo Zelo della Casa del Signore. 4. S'osservi ne' dormitorij del Monastero la taciturnità, e silenzio del S.to nostro Patriarca tanto comendato; e per ciò si proibiscono le inutili, e vane conversazioni in Camera, nelle quali stiano i Religiosi senza incommodare con gli strumenti musicali strepitosi, o altri che disturbino il Compagno per non impedirvi le dovute applicazioni alle vere virtù, e profittevoli scienze. 5. Si contenti ogn'uno della vita comune che però si proibisce ogni particolarità in publico Refettorio a qualunque Monaco, Officiale, o Ministro; a ciascuno de' quali s'ordina di dover mangiare alla prima, se sarà spedito, o alla seconda Mensa comune a tenore dell'ultime Constituzioni Capitolari confermate in questo ultimo Congresso; e quello che avanza così la Mattina, come la Sera si dispensi in elemosina alle Verginelle giusta il costuinc lodevole di questo Monastero. 6. Senza espressa licenza del Superiore non possa introdursi, e molto 1neno far pernottare alcuno di qualunque età, stato, e condizione a riserva de' soliti Servidori del Cellerario etc.
7. Si proibisce affatto il negoziare, e tenere robbe preziose, o mercantili di secolari, e molto più denaro [f, 165v] proprio o d'altri, siccome all'incontro s'ordina di non tenere in mano, o in casa di secolari mobili preziosi, o denari a titolo di prestito, o deposito. Ma il denaro che s'ha pern1esso ad uso proprio si porti in Cassa Co1nmune di depositi in potere del Molto Reverendo di Casa. 8. Si proibisce ancora ogni sorte di giuoco di dadi, carte e simili si dentro, come fuori del Monastero. 9. S'incarisce sopratutto l'unifornùtà nel vestire, e non sia lecito ad alcuno usare nell'abiti di sotto panni, e drappi preziosi, o di color vago; proibendosi ancora d'usare fibie nelle Scarpe, fascie di seta, tabbacchiere d'argento, cintura d'oro [al dito] tacchi di legno, berettini, cappelli di forma rotonda di pelo, vesti di camera foderati di cottonino, e simili. 10. Essendo alla modestia religiosa affàtto disdicevole il farsi a vedere da secolari senza l'abito consueto religioso si guardino di non tenere aperte le camere trovandosi senza la T onica, o d'affacciarsi alle finestre, che corrispondono a pubbliche strade. 11. S'avverte alli P.re Cellerario e Ministri di tare rispettivamente l'inventario di tutte le robbe del Monastero e notare in libro distinto li fornimenti di camera, e provisione che
li monastero di S. Nicola l'Arena
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tiene ciascun Monaco a conto del Monastero, esortando a tutti dcl bastevole, e restituire il superfluo.
12. Si proibisce alli PP. Sacerdoti d'esentarsi in qualunque dì dal Capitolo, nel Sabbato poi concorrano tutti senza eccezione, così tenendo Capitolo l'Abbate, come in sua assenza il Priore. Si raccomanda per ultimo alli PP. Superiori di soddisfare li doveri del loro stato, e grado, e di mostrare in tutto il buono Zelo [f.166r] ne abusarsi dell'autorità, e giurisdizione loro. Faccino le solite cerche in Monastero e sue officine, e le doverose correzioni in Capitolo sotto le formale civili, e le più proprie d'una vera Carità, atte a lucrare !'Anime de' difettosi, e non perderle, a tenore di quello ci co1nmanda il nostro S.to Legislatore al Cap. 31 di nostra S. Regola, ed in altri luoghi. Che Dio ci dia grazia d'esattamente osservare in aumento della Sua gloria, e bene dell'Anime nostre. Ordinazioni per il Mona.'ilero di Licod1'a e Grancia di Paternò
1. Che a niuno dell'Ufficiali o altro Religioso sia lecito senza espressa licenza speciale di pernottare fuori del Monastero di Licodia o Paternò, eccetto se per affari a loro offìzi attinenti occorresse che quelli di Licodia abbassassero in Paternò, o all'opposto, e bisognando portarsi nelle terre, o Città vicine per negozij altresì del Monastero, ritornassero se sarà possibile !a sera istessa, e dovendo ivi dimorare a lungo ne ottengano preventivamente dall' Abba te il pennesso; ne possono a motivo di pubbliche feste, rappresentazioni anche per una sola notte dimorare fuori del Monastero. In caso d'infermità permettendolo il morbo debbano subito portarsi in Catania. 2. Che il P.re Rettore abbia cura speciale de' Monaci, Inquilini, e familiari del Monastero facendo che questi vivano cristianamente, frequentino le Chiese, e li Sacra1nenti. 3. Che non si ricevano secolari di qualunque condizione che venissero per ricreazione, o per loro affari senza espressa licenza del Superiore, eccetto che fosse cosa di passaggio; [f. 166v] sii tuttavia usata la possibile carità a' Religiosi Mendicanti, e Poveri che passeranno per detti luoghi. Soprattutto s'i refugiati massi1namcnte per delitti criminali sotto le pene ben viste a' Superiori. 4. La Clausura del Monastero sia la solita prescritta dall'altri Abbati antecessori. 5. Che non possa farsi Gabella delli tre anni che si dicono di fermo, ne possa il P.re Rettore o Cellerario, o Procuratore far delle spese eccessive, ed estraordinarie senza espressa licenza del Superiore. Dipendano tutti l 'Offìciali dal P.re Cellerario primo, e senza il di lui consenso non trattino di ri1narco avvisandolo di tutto. 6. S'osservino al possibile i digiuni regolari almeno il Vene:rdì per tutto l'Anno, e nelle Vigilie delle 7 Feste di Nostra Signora si cantino le Litanie, ne' Sabbati ed in dette Vigilie. S'attenda alla soddisfazione dell'Ufficio Divino nel Coro, ed alla celebrazione delle S.te Messe. Si solennizano con tutta [a pompa, e proprietà religiosa le feste solite celebrarsi, e s'adempiscano esattamente le solite elemosine, osservandosi quanto nella visita di dette Chiese e Monastero su tal particolare fu ordinato.
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7. Si guardino di trasgredire quanto si prescrive in n1ateria di povertà nella nostra S. Regola, e ne' Sacri Canoni sicché non s'attenda da qualunque si fosse a far negozij a propria utilità, ne a prestar denaro a Parenti, o Amici, ne a depositare robba, o denaro, o propria, o dcl Monastero in casa di secolari, ne altresì a tenere in deposito robba, o denaro di secolari senza espressa licenza del Superiore. [f. 167rl 8. Si mandi fra il termine di giorni otto da ciascuno Religioso ed Officiale la spropria o rivelo di tutto quello si trova avere così in denaro robbe preziose, o generi di frumento, bestiame ed altro così ne granari del Monastero e sue officine, come altrove. 9. Del resto s'osservino tutte le altre ordinazioni circa il vestire a' Religiosi in questo Monastero di S. Nicolò prescritte. E siano tenuti i Rettori alineno una volta l'Anno in qualche Festa principale, come in quella del Corpus ChrisLi, o dcl S.to Chiodo d'abbassare in Catania, ancorché per la stessa cagione venisse in Monastero il Cellerario o Procuratore, potendo lasciar la cura nella breve assenza alli Cappellani respettivi de' luoghi. [da f. 167 a f. 169r fogli bianchi]
[f. 169v]
Pro Monasterio S.ti Nico/ai de Arcnù a Catana
Supplici perlecto libello R.mi Pracsulis coeterorun1que Superiorum Monasterij nostri S.ti Nicolai a Catana, nobis adiccto iuramento testantiu111 D. Augustinum Paternò, et D. Ioscphu1n Marletti a Catana legitimis natali bus ortos, circa litteras, aetaten1, vita111, moresque anteactos, Spiritus i1npulsum, fervoremque, ac reliqua Sanctionibus Aposto!icis, Sacrae Congregationis decrctis praescripta sedulo exan1inatos, on1nibus suffragiis probatos fuisse, ac dignos plane idoneosque pronunciatos, ut ad habituin Convcrsionis, annoque probationis exacto ad Profcssionein solemne1n Monasterij eiusdem non1ine excipi queant, si digni adhuc comperiantur, servatis omnino Apostolicis, nostrisque Constitutionibus nec non Concilij Tridentini, et S. Congregationis decretis per hasce litteras facultatem concedimus. Datum Neapoli in Monasterio SS. Severini et Sossij die 12 Augusti 1735. D. Ildephonsus a Neapoli Abbas et Praesidens D. Iulius And1eas a Nola Prior et Procanccllarius
[f. 170r bianco]
ff. 170v] Nos D. Do1ninicus a Messana Abbas Monastcriorum S.tac Mariae de Licodia et S. Nicolai de Arenis Ordinis S. Benedicti Congregationis Cassinensis Ad1nodum Rev.do D. Leonardo Mercurio Vicario Salute1n. Quia in Terra Mascalaru1n sicut et alibi ubi Divinus Cultus viget i1nme1norabilis ac pius invaluit usus Mulieres quasdam 1norum probi tate conspicuas Domi sese dicarc Dco el sub Monialiu1n oblatarum nomine, nostrae Benedictinae Religionis habitum induere; idcirco ti bi Admodun1 Rev. D. Leonardo Mercurio dictae Terra e Mascalarun1 spectatac virtutis, ac scientiae viro facultatem nostra1n delegamus ad nostrum beneplacitu111 duraturan1. Qua earu1ndem oblatarum habitum eiusdcm Terrae Mulieribus dummodo honestae vitae
Il monastero di S. Nicola l'Arena
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sint, et propriis facultatibus vivant tradere possis, illasque elapso probationis Anno ad Professione1n, quam enlittere solent, ad1nittere valeas. Servatis in reliquo constitutionibus nostri Capituli Generalis hac dc re specialiter editis, et consuetis adhibitis Cercmoniis. T eque insuper quantu1n in Domino possumus enixe rogamus, ut Divino verbo eas frequentius pascas, atque ad Regularium nostrarum Constitutionu1n observantiam cohortando in viatn dirigas Salutis Aeternae. In quorum fide1n praesentes Litteras manu nostra subscrittas, ac publico nostro Sigillo munitas dcdimus in hoc nostro Monasterio S. Nicolai de Arenis die 16 Dccembris 1735. D. Do1ninicus a Messana Abbas D. Gregorius a Messana Cancellarius
/Visita abbaziale in PaternO}
[f. 171r]
Die declino IanuarÏj duodcci1nae lnd. Mille~¡Úno septingentesirno trigesin10 quarto
Otnnibus et singulis hoc presens publicu1n Instrumentu1n inspecturis visuris pariter et audituris pateat, et evidenter notu1n sit quod detinens Rev.tnus Pater Abbas Venerabiliun1 Monasteriorum ordinis divi Patris Benedicti Congregationis Cassinensis sub titulo S.tae Mariae de Licodia et S.ti Nicola i de Arenis huius civitatis Paternionis inter coetera privilegia, facultates, authoritates, et praeheininentias ex vi bullarum Apostolicaru1n Sacri Concilii Tridentini decretorum, et Sacraru1n predicti ordinis Constitutionutn Apostolicam authoritaten1 visitandi non solun1 praedicta Venerabilia Monastcria verun1 etia1n omnes alias Venerabiles Ecclesias ipsis Venerabilibus Monasteriis canonice annexas; qua stante Apostolica authoritate cupiens Rev.n1us Pater D. Dotninicus Brancati Urbis Messanae sicuti Abbas ad praesen.~ Venerabilium Monasteriorum praedictoru1n praedictum munus Visitationis, et praedictam Apostolican1 authoritaten1 sibi dclegata111 ut supra exercere quemadmodu1n gestum fuit per omnes alias Rev.mos Patres Abbates respective eoru1ndem Venerabilium Monasteriorum eius Antecessores; quamobretn modo personaliter se contulit hic Paternione animo visitandi iuxta dispositione1n praedictarum Bullarum Apostolicaru1n Sacri Concilii Tridentini decretorum, et Sacrarum Constitutionun1 ipsiusn1et ordinis Venerabiles Ecclesias, unam sub titulo S.tae Mariae de Valle losaphat, et aliam sub vocabulo Divi Marci Evangelistac subiectas iurisditioni tantummodo praedicti Rev.1ni Patris Abbatis, et coniunctas praedictis Venerabilibus Monasteriis, carumquc spiritualia et ut in futuru1n prenlissa, et infrascrittam appareant, et debitun1 effectum habeant camde111 presentem visi tam, et ordinationes in hanc prescntem publicam forman1 statuit reduci facere his itaque expositis omnibusque alis iuxtis I uri bus rationibus et causis et ex vi praedictoru1n eius privilegiorum, et Apostolicaru1n bullarum et pro adi1nplcto eius n1uneris decrevit devcnire ad praesens Instrumentum et prout ad ipsum devenit n1odo, et forn1a quibus infcrius patcfaciendis, et exprcssandis omni 1neliori modo unde etc. Hinc est quod hodie pracscnti pretitulato clic supracitatus Rev.mus Pater D. Don1inicus Brancati Urbis Messanae veluti Abbas praedictoru1n Vencrabilium Monastcrioru111 praedicti Ordinis divi Patris Bencdicti Congregationis Cassinensis sub titulo S.tae Mariae de Licodia et S.ti Nico!ai dc Arenis hic Paternione in cursu visitae modo repcrtus mihi notario cognitus cora1n nobis degens primo loco intus praedicta1n suatn Vencrabilen1 Ecclesiam
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sub titulo S.tae Mariac de Valle Iosaphat et gerens pracdicta1n Apostolicam authoritatcm sacra veste Pastorali indutus Crucem auream pcctore habens iuxta formam praedictarum Bullarum Apostolicaru1n et alioru1n eius privilegiorum et satis et abunde dictu1n est in praescnti superiori narratione, guae pro anteposita repetita et recensita habeantur et censeantur in omni et singulo verbo, parte, dictione, et linea praesentis Instrumenti omni meliori n1odo imperando, et precettando tainen prius Rev.do Patri D. Placido Maria Sca1nmacca eius subdito praedicti ordinis degendi ad praesens in grancia praedictae Venerabilis Ecclesiae praedictorumque Venerabilium Monasteriorum huius praedictae Civitatis procuratorio no1nine eoru1ngue Venerabilium Monastcriorum mihi notario similiter cognito praesenti Cora1n nobis et humiliter praedictum preceptum suscipiendi pro se in <lieto officio quatenus ipse Rev.do de Sca1nn1acca debuissct [f 17lv] procuratorio nomine quo supra inviolabiliterobscrvare, et excqui facere citissi1ne et ad unguam infrascrittas ordinationes per modutn ut infra disponendas omni meliori modo. Et confccta priino loco intus praedictam Venerabilem Ecclesiam sub titulo Gloriosae semper Virginis Mariae de Valle Jo.~aphat debita commemoratione omnium suorum fratruu1n defunctorum postea flexis gcnibus, et illa veneratione qua decet, et devote adoratione debita adimpleta SS.mo Sacran1ento Eucharistiae Cantato Hinno Pange Lingua gloriosi Corporis Misterium, cu1n ipso1net Angclorum Pane, Nos omnemque Populum astantem benedixit. Proinde visitavit SS.tnum Eucharistiae Sacramentu1n existcns in Pixide, et in Sacro Vaso Argentei, et quia dc ìpsis invenìt superioren1 parten1 indeauratam ad formam decreti Sanctac Sedis, propterea enunciatus Rcv.mus Pater Abbas disposuit, et expresse mandavit et 1nandat ut praedicta superior parsa limine intus tan1 Pixidis guam Sacri Vasis deauraretur et de religuis invenit optime disposita. Item visitavit Venerabili Altari tnaius ubi extat praedictum SS.mutn Eucharistiae Sacran1entun1, et invenit optiine ornatum, et accurate dispositu1n excedentem solummodo pallium Altarìs ad altitudinem praedicti Venerabilis Altaris quantumvis in parvula parte, et prout dictus Rev.1nus Pater Abbas disposuit, et expresse mandat ut equiparetur praedìctum palleum Altaris eidem Venerabili Altari circa altitudine1n omni ineliori modo. Itetn visitavit Oleun1 chrisinatis, et extretnac unctionis existens in Vaso argenteo et invenit ipsum bene optimeque detentum solun1n1odo deficiente uno anulo argenteo in parte superiore n1axiinopere necessario pro aperiendo vas et hac cx causa dictus Rev.1nus Pater Abbas disposuit, et expresse mandavit, et mandat ut adi1npleatur praedictum anulus nin1is necessarius. Item visitavit infrasci·iptas reliquias consistentes in Lapidem S.ti Sepulchri Imn1aculatae semper Virginis Mariae, reliquias divae Barbarae Virginis et Martiris nostrae Dominae in duabus partibus collocatas, et in brachio argenteo positos, reliquias divi Bartholomei, divi Placidi, et sociorum, et Lapide1n Sepulchri Do1nini nostri lesu Christi, ac etiam alias reliquias aliorum Sanctorum posita ut dictum in una piangia [sic!j cum multi inghastì argentea, et denique reliquia1n consistentem in Ligno S.tae Crucis Donlini nostri Iesu Christi posita1n ut dictum in un altra piangia argentea ad formam Crucis, et invenire omnes praedictas rdiquias bene opti111equc custoditas, et detcntas. Item visitavit Venerabile Altare Gloriosae divae Barbarae Virginis et Martiris nostrae Dominae erectum in una Venerabili Cappella praedictae Venerabiiis Ecclesiae et invenit ipsum studiose ornatum, et detcntu1n. Item visitavit Venerabile Altare SS.mi Crucifixi positum in alia Cappella eiusdcn1 Venerabilis Ecclesiae et invenit ipsum paritcr detentum diligenter et ornatum.
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Item visitavit Venerabile Altare divi Ioannis Baptistae positum in alia Cappella eiusden1 Venerabilis Ecclesiae et invenit ipsum quoque bene optimcque ornatum, et detentum. Item visitavit Vcnerabile Altare Divi Patris Benedicti existens in alia Cappella et invenit similiter lpsum exquisite ornatum, et dctentum. His non obstantibus diligentiis gestis ut supra sed pro uberiori decore divini Templi enunciatus [f.172r] Rev.mus Pater Abbas approbando, et lodando prius maximam diligentiam, et curan1 ut est operatu1n apud domun1 Dei ab enunciato Rev.do de Scammacca procuratorio nomine quo supra tnandavit et mandat lpsimet Rev.do de Scainmacca procuratorio no1nine praediclo quatenus dignaretur setnper carum habere servitium divinum intus praedictan1 Venerabilen1 Ecclesia1n expressatan1que exquisite et omni cura et studio ornatam detinere, et otto lampades accensas noctuque diuque intus Ipsam Venerabilen1 Ecclesiam nempe quatuor ante praedictum Venerabilem Altare n1aius ubi extat praedictu1n SS.mae Eucharistiae Sacramentun1, et quatuor respcctive ante praedicta Venerabilia quatuor Altari a seu Cappellas non deficcre sed semper persistere si cuti ad praesens adsunt et repcriuntur et pro preterito cx vi ordinationis datae Cursu Visitae per alios Rev.mos Patres Abbatcs respective gestum et operatun1 fuit omni meliori modo. Ite1n visitavit Confessionaria, ac etiatn Sacrarium ut dicitur Sacristia, Calices, Patenas, Missalia, Casu!as, mantilia, palia Altaris et omnia alia Iocalia et orna1nenta pracdictae Vcnerabilis Ecclesiac, et invenit illa optime disposita et 1nagna cum cura detenta ad favoretn, et pro decore praedictae Venerabilis Ecclesiae omni 1neliori n1odo. Ite1n praecitatus Rev.mus Pater Abbas n1andavit et tnandat praefato Rev.do de Scammacca procuratorio nomine quo supra quatenus sedula et magna cura et diligentia ut dictum est serviat praedictae Vcnerabili Ecclcsiae et non deficiat in ipsa quotidic sacrifici a fundata i~tus dictam Venerabile1n Ecclesiatn, et 1naxime illa appellata di S. Nicolò Lo1nbardi del beneficio del!' Alba seu Alca1no, ac etian1 illa sacrificia fundata et legata respective pro quondan1 Rev. Sac. D. Hjeronimuin Bonacquesto, quondam D. Cesariun1 Alaijmo, quondam D. Petru1n Giambruno et Chiana, et quondam Annan1 Farina Alcxandro et Platamone iuxta fonna1n continentiam, et tenorem cuiuslibet lpsorum fundatorun1 ultimae et testa1nentariae dispositionis; et ut faciliter possit praedictus Rev.dus de Scammacca procuratorio nomine quo supra in absentia praedicti Rev.mi Patris Abbatis principalis fidecommissarij et executoris ultimaruin dispositionun1 adimplere, et ad unguem observare ultimas dispositiones tam pracdicti quondatn Rev. de Bonacquesto quam eorumque quondam de Farina, Alexandro et Platamonc decrevit ponere et singillati1n patifacere vi prcsentis eorum bona hercditaria corumque annuales fructus et eorum te1npore ostcnderc onera, et Legata annuatitn adimplendo cum dictis annuali bus fructibus que1nadmodu1n Ipse Rev.mus Pater Abbas vi presentis voluit, et expresse inandat ut adin1pleatur ad ungue1n pro debita executione ulti1narum respective dispositionun1 Ipsorun1 quondam Rev. de Bonacquesto, et quondan1 de Farina confectaru1n per 1nodum ut infra nempe: Sic itaque bona hereditaria praedicti quondain Rev.di de Bonacquesto sunt infrascritta, guae reddunt annuale1n fructun1, et gabellari solent pro infrascrittis pccuniarum summis videlicet In primis vulgariter loquendo pro facti intelligentia una chiusa di Terre no1ninata della noce che si suole gabellare per onze 2.12 Un altra chiusa nominata dell'erbe bianche che si gabella onze 1.18
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Il nostro Venerabile Mona.~tero per frutti di onze 300 di Capitale prestatosi co1ne si scuopre nel primo volume di detta heredità e nelle giuliane antiche della 1... ] 9 onzc 15 [f.172v] Un censo perpetuo dovuto sopra !e chiuse non1inatc le Vigne inchiuse dell'heredi della quondam Margarita Maijneri onze 8 Altro censo dovut·o sopra le 1nedeme chiuse in orzo tumoli 1 prezzo plus minusve un anno per un altro onze O. [tarì] 15 Censo dovuto sopra un molino e chiuse in bella Cortina del Rev.do Sac. D. Prospero Chiaren7.a Savuio onze 13 Censo al presente dovuto da Leonardo Cundurella e Giacinto Callara sopra le di loro case esistenti nel quarteria di S. Cataldo onze O. 16 Censo che paga il Rev. Sac. Can.co D. Barbarino Chisari sopra una casa in detto quarterio di S. Cataldo onze O. 2 Censo che paga il 1nede1110 Rev.do di Chisari dependente di tarÌ 24 sopra altra casa in detto quarteria onze O. 10 Censo dovuto sopra una casa nel quarterio di S.ta Maria dell'ltria onzc O. 11 Tenuta nominata dello Drago seu oliva che solesi gabellare per tu1noli 3-4 di frun1cnto raggionato un anno per un altro ad onze L 18 tarÌ prezzo onze 5. 6 Tenuta di terre non1inata delli Perni seu Serraizzo che si gabella per tun1oli 5 di frumento raggionato corne sopra prezzo onze 8 La suddetta tenuta in orzo tun10!.i. 2 raggionato con1c sopra onze 1 Tenuta nonùnata di poggio rosso che si gabella per turnali 2 di frun1ento raggionato come sopra onze 3. 6 In tutto annuale rendirnento di detta Eredit;Ì di Bonacquesto onze 59. 6 Oltre però dell'annuale loghiero di un Magazzeno posto nel quarterio di S. Gregorio sotto le case dcll'heredi del quondam Rev. Sac. D. Giuseppe Palazzolo da cui fu repudiato che priina solevasi gabellare onze 1. 18 Esito annuale che devesi fare colli sudeui annuali fruul co111e impone fà.rsi in ogn 'anno il succcnnato Rev.1110 Padre Abba te per discarico della sua coscienza cd in esecuzione dell'ultima disposizione del succennato quonda111 Rev.do de Bonacquesto con1e siegue cioè Pri111<Jria111ente per la dote legata dal succennato Testatore alle prime due orfane che si estraeno dal bussulo nella festività dell'Assunzione dell'ln1111aculata sempre Vergine Maria a 15 Agosto in detta Venerabìle chiesa alla raggiane di onze 12 perogn'anno in tutto onze 24 Per la dote della terza orfana che si estrae come sopra. onze 10 Per elemosina da distribuirsi in ogni 15 Agosto in detta festività [f. 173r] a 70 poveri o più o meno secondo la quantità delle povere di rispetto ri1irnte cocne dovrà farne nota in ogni anno il sud etto Rev.do Padre Procuratore, e rìn1etterla al sudetto Rev.n10 Padre Abbate co111e prin1a pratticavasi onze 8 Per distribuirsi ;:dli poveri che vanno ele1nosinando, e si troveranno presenti in detta Venerabile Chiesa in detto giorno di festività alla raggiane di grano uno o più con1e disponerà il sudetto Rev.do Padre Procura(·ore, e secondo la quantità di detti poveri onze 2 Per soddisfdzione delli censi dovuti sopra detti beni ereditarij al nostro Venerabile Monastero come per giuliana di detta hcredii·à nell'Arca 64 del nostro Archivio onze 22.10 9 Il foglio è tagliato sulla parola che, di conseguenza, non è possibile decifrare.
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L'onze sei di Messe che si devono dire nell'Altare sudctto di S. Giovanni che al presente si trovano disposte nella n1a11icra seguente: onze 2 messe le celebrano li PP. Rettore e Procuratore in detto Altare a 3 per uno in ogni 1nese senza prendersi paghe, e questa Costu1nanza è antichissin1a forse per li tanti prestiti che l'Eredità ha fatto a spesa di Patcrnò su~ detlo che importerebbero onze 2. 12 Nu1nero 51 lc celebra in ogni don1enica dell'anno in detto Altare un Cappellano secolare a cui se le pagano ad un tarì e grana dieci per una onze 2.18 Et altre nu111ero 59 mes~·e potranno dirle ali' Altare di S. Giovnnni li PP. Rettore e Procuratore per complitnento di sei n1esi di messe per l'onze 6 dcl Legato alli quali Padri si potran pagare per detto numero 59 rnesse onze 1.29 Numero 11 n1essc si celebrano nella 15.na della Vergine SS.tna dell'Assunta sul fare dell'Alba all'Altare tnaggiore a !arì 1. 10 per una pagandosi l'al1re 4 co1np!i1nento di detta quindicina sopra le Messe di S. Nico!ò dc Lon1bardi onze O. 16. 10 Nu1nero 20 si celebrano a tarì 1. 10 per una il giorno sudctlo della Vergine SS.1na in tu!'ti li sudetti cinque altari onze 1 RegoLunento per la festività sudetta della Vergine Saanctissin1a Assunta Per numero 150 n1ortare1ti, per tnascoloni grandi, e piccoli e per fontane di fuoco, e n1ortaretti per co1ne si pagano alla giornata Per servizio di spolvcrizarsi la chiesa porto, e riporto di scale, e banchi [f 173v] dieda per la torre, incenzo per la 1nessa cantata, nona di Can1pane, ed altro che occorresse onze O.
24 Per tron1bi e tamburri onze O. 12 All'organista oltre il safario della nostra chiesa per la 15.na tnessa cantata e Vespero onze O. 8 Il pranzo solito a darsi alli Preti che assistono alli confessionarij, n1cssa cant;1ta, e Vespero no11 è inlenzionc dcl Testatore onde si potrà regalare per dette fatighe al diacono, subdiacono, e 111aestro di Ceri1nonie a sei Cantori nel Cuoro ed a 4 chierici per rata onze O. 24 Per rotula 4 di cera in squaglio· per detta fèstività e sua 15.na onze 1. 2 Quello che avanzerà dell'entrate di della heredità ordina il sudetto Padre Rev.rno erogarsi parte per ornato di fiori, e candilcrì dell'Altare 1naggiore per solennizzarsi detta fCstività in ogni anno volendo detto Testatore che detta festività si sol!ennizzasse a spese della sua Eredità, e parte resti in Cassa, e res1a sciolto il tnonastero di contribuire onze 6 in de~ naro e rotula quattro di cera in ogni anno per sollennizzarsi la riferita fCstività perché può sortire di avanzare o ininorire li prezzi di frun1ento ed orzi. Intanto devesi dare ogni anno a detta Eredità per officina particolare il suo giusto bilancio ad effetto di supplire nell'anno in cui 1nanca l'Introito con quel denaro che ;JVanza in Cassa, que! denaro in Cassa d'orfane 111ai si possa pre.~tare a spese di Paternò 1na in occasione di accun1ular!o di bona somrna si cerchi di applicarlo in augn1ento di rendit·e a favore di detta Eredità per celebrarne con frutti tante messe nell'Altare di S. Giovanni per suffragio del!'Ani1na del sudctto Testatore con1c dispone per suo Testamento allo quale etc. Li beni Ereditarij delb sudetta quonda111 Ai1na Farina Alessandro e Platamone che coll'annuali frutti di essi si devono sodi-
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Gaetano Zito sfare l'infrascritti Legati secondo la sudetta disposizione Testan1entaria sono li seguenti e rendono l'infrascritto annuale frutto cioè
Pri1naria1ncntc l'Aromataria un te1npo di Filippo Guliti adesso Bottega seu merceria esistente in Cotesta a quarteria delli Canali che esiste gabellata per onze 2. 28. 8 Il riposto di detta Aro1natarìa oggi inia banca che pago in bolla come per !'atti di notaio Vincenzo Archidiacono di Catania a 15 Marzo X indizione 1732 onze O. 16. 12 [f. 174r] Le chiuse dette Custollano un tempo di D. Nunzio Cafarelli esistenti nella contrada di Patellina permutate colla Vigna di Tripi co1nc per !'atti 1niei che soglionsi gabellare per onze 12 Le terre nominate delle Nicolizze che si gabellano onze 8. 15 Per la bolla dovuta in ogni mese di diceinbre Mario Tripi co1ne per !'atti miei onze I. li. 3 In tutto onze 25. 11. 3 Oltre delli sudetti beni vi è una Casa palazzata esistente nel quarteria della Porta che corre a conto delle sorelle Moniali dcl fu Rev.n10 Padre Abbate d'Alessandro e Platatnone lo 1nentre saranno viventi, doppo però la di loro n1orte devesi gabellare a favore di detta eredità per la so1n1na di onze 10 E finahnente due oliveti posti in Cotesto Territorio e Contrade uno nellà contrada nominata di fargione, e l'altro nella contrada no1ninata della Grazia scu Valatelle che corrono pure a favore delle sudette 1noniali sorelle di detto quonda1n Rev.mo mentre persistono in humanis e doppo tnorte a favore di detta Eredità che possono frul'tare pnze 10 Esito annuale che devesi fare col su.detto annuale rendimento secondo la Testamentaria disposizione della sudetta quondam di Farina confinnate dcl quondam Rev.mo Padre Abbate D. Bartolo1neo de Alessandro e Platamone suo figlio in virtù della sua spropria monastica fana nell'ulti1ni periodi di su.a Vita che fù a 4ottobre13.a indizione 1719 transuntata, e ridotta in forn1a pubblica nell'atti di Notar Vincenzo Archidiacono publico di detta Città di Catania a 11 Giugno La indizione 1723 in virtù della quale viene disposto come siegue cioè Primariamente onze dieci per la Celebrazione di cinque n1esse in ogni scttiinana da Celebrarsi cioè nun1ero tre nella su.detta Venerabile chiesa Grancia, e due respective nelle Venerabili chiese della Gloriosa S.ta Barbara, e del Monte della Piet·à di questa predetta Città ed in quelle giornate designate per la riferita quonda1n Anna in virtù del su.detto suo Testamento dico elemosina di Messe onze 10 Onze quattro annuali Vitalizij da pagarsi alle su.dette sorelle [f. 174v] dcl riferito quondan1 Rev.mo Padre Abbate Moniali professe in questo Venerabile Monastero delle Monia li sotto titolo della 55.ma Annunziata per manutenzione delle figlie dcl quonda1n D.r Domenico Truglio Vita come sopra durante detto onze 4 e lo resto di detto rendimento a fJvore di detti Venerabili Monasterij con doversine 10
Il testo non indica la somtna; a f. 174v, tuttavia, è indicato l'introito complessivo.
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però ogn'anno pagare onze 10 per il inaritaggio d'un orfana cstraenda dal bussulo nella sudetta fi:stività dell'Assunzione della nostra Gloriosa sempre Vergine Maria in detta chiesa Grancia detto Legato d'orfana onzc 10
onzc 24 Sotto il dì però 19 Maggio 2.da indizione 1724 in segui la rappresentazione e preghiere fatte conoscendosi chiaramente dal Rev.mo Padre Abbatc D. Anseln10 Daniele che le sudctte onze 4 vitalizie disposte per sustentazione quotidiana delle sue figlie del succennato quondam di Truglio nominate una Giuseppa e l'altra Don1enica non essere sufficienti a potersi sustentare, e 1nantenere nel sudetto Venerabile Monastero delle Moniali ove allora esistevano secondo le di loro qualità e condizione onorata a tal riflesso stimò il succennato Rev.mo di Daniele in discorso di visita commutare detto Legato disposto in Maritaggio d'orfana co!l'assignazione delle medeme onze 10 a favore delle sudette di Truglio come il tulto più distintamente si osserva in detta visita ridotta nell'atti miei a di sudetto 19 Maggio 2.da indizione 1724 alla quale mi rimetto. E pagandone adesso delle sudette onzc 10 assignale con1e sopra solamente onze 5 a detta Domenica stante la morte di detta Giuseppa sua sorella resta d'esito la sola son1ma di onze 19 Ed essendo l'introito con1e sopra alla valuta di onze 25. 11. 3 Pare che restassero a favore di detta heredità onze 6. 11. 3 Se però non fossero minorati dalle infrascritte gravezze dovute sopra li riferiti beni ereditarij respective co1ne infra cioè Pri1naria1nente tarì 15 di perpetuo dovuto alli nostri Venerabili Monasterij sopra dette chiuse in detta contrada di Patellina dette onze O. 15 Un altro censo perpetuo di tarì 4 dovuto alla Venerabile chiesa [f.175r] di S.ta Margarita sopra detta bottega detto onze O. 4 Un altro perpetuo di tutnula cinque di frumento dovuto alla Religione di Malta sopra dette terre nella contrada delle Nicolizzie il quale valutato alli prezzi correnti un anno per un altro come sopra ad onze 1. 18 prezzo onze O. 15 Et finahnente un censo bullale di onze 2. 15 dovuto al sudetto D.r D. Nunzio Cafarelli sopra dette chiuse in detta contrada di Patellina onze 2. 15 Che in tutto ascendono alla somma di onze 3. 19 Onde dedotte le sudctte gravezze dalle riferite onze 6. 11. 3 ne restano di li1npio onze 2. 22. 3 Prova per so1nma onze 6. 11. 3 Et havendosene delle sudette cinque messe Legate come sopra preso sbaglio, ed inscienza di detta disposizione Testamentaria in alcuni anni doppo la morte di detto Rev.mo Padre Abbate D. Bartolomeo sola1nente celebrate quattro messe. Pertanto il succennato Rcv.mo Padre Abbate Visitatore ha stin1ato di giusto in virtù della presente visita obligare come i1npone al sudetto Rev.do di Sca1nmacca Procuratore che si dovesse detto resto d'Introito alla so1nn1a riferita di onze 2. 22. 3 applicare alla celebrazione di tante messe finché restano ad integrum sodisfatte dette tnesse non celebrate dovendosi però p1·ima pagare e ~·o disfare detto Rev.do Padre Procuratore l'onze 4 ha dato in quest'anno a detto di Truglio a conto dell'onze 19 di decorsi devenienti da detta assignazione, e questo ogni qualvolta non
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resta Introito di detta eredità in potere delli riferiti nostri Venerabili Monasterij poiché ciò essendo obliga detto Padre Rev.1110 che si sodisfàccia ad integru1n colla celebrazione di tante rncssc in sodisfazione delle riferite non celebrate, e se avanzerà che s-i applichi tale avanzo alla paga di detti decorsi dovute a detto di Truglio, e non essendoci tale Introito secondo il liquido dovrà fJrsi dal sudetto Rev.do Padre Procuratore per non restare interessata detta ercditù, e togliere ogni ritnorso di coscienza, si devono priinaria1nente sodisfarc dette onze 4 a poscia dette 1nesse non celebrate le quale adempite il riferito avanzo si deve ponerc in Cassa come devonsi pure conservare in Cassa <loppa n1orte le sudette onze 9 che tienino respectlve adesso assignate le sudette d. Alessandro e Truglio, sin1ilmente in caso di rcluizione detto capitale seu prezzo detta banca darne dovuta, e constituto come sopra il capitale di detta bolla di tarì 16.12 e tutto ciò per cumularsi il capitale della riferita bolla di onze 2.15 dovuta al succennato D.r di Cafarelli la quale reluita vuole e dispone detto Rev.1no Padre Abba te Visitatore che si estrahi detta orfana in ogn'anno colla sudeua assignazione di Legato di onze 10 secondo la riferita Testamentaria disposizione quale doppo resta sospesa circa detta estrazione d'orfana per l'addotti giustificati motivi, e non altrimente. ltern supradictus Rev.mus de Brancati Abbas voluit, et vult, ac expresse mandavit [f. 175vJ et 1nandat vi praesentis visitae quod si aliqua orphana aut plures orphanae extractae ex <lieto buxulo detento in <lieto festa Assuinptionis Beatae Mariae semper Virginis in futuru1n antequan1 collocaverint in Matrimoniun1 ipsae ascenderint sive effectuaverint solcn1ne1n cuiuslibet Ipsaru1n legitimi 1natrin1onij in fàciem ecclesiae iuxta dispositionem Sacro sancti Concilii Tridentini ab hac mortali ad eternain vitarn discesserit sive discesserint quod utique tali casu legatun1 illius orphanae defunctae sive orphanarun1 mortuaru1n applicetur et applicari habeat et debcat per dictun1 Rev. Patrem Procuratore1n in maritaggio altcrius orphanae seu orphanarun1 pro quanto fuerint n1ortuae extrahendatur ta1nen in proxin10 subsequenti buxulo ad dictam morte1n in proxìtna seguenti festa predictae Gloriosae sen1per Virginis Mariae una si1nul cum alijs tribus orphanis singulo anno extrahendis ut dictu1n est, et sic observari ha beat et debeat in 01nni casu rnortis ta1n orphanarum non extractarun1 qua1n in futurun1 extrahendarutn quemadn1odu1n observatur casu quo fuerit extracta aliqua orphana, guae carct bonis qualitatibus requisitis 0111nibus orphanis iuxta n1entc1n, et intentionen1 prcdicti quondatn de Bonacquesto fundatoris prcdictorun1 legatorum on1ni n1cliori modo etc. Proinde personalitcr contuli1nus in Vencrabili Ecdesia sub 1-itulo divi Marci Evangelistae extra n1ocnia huius predictac civitatis ex vi praesentis predictae Aposto!icae authoritatis enunciatus Rev.mus Pater Abbas Insignitus et cu1n cruce pectoralc ut supra visitavil ea1nden1 Venerabile1n Ecclesìam eiusque Venerabilia Al1aria, unun1 divi Marci Evangelistae et invenit ipsun1 exquisite detentun1, et alteru1n sub titulo SS.mi Crucifixi et quia de ipso invenit Lapidcm Sacram ut dieta Marmoretta sine debitis rcliquijs. Ideo interdixit prcdictun1 Altarem sub titulo prcdicti SS.mi Crucifìxi usque quo fuerint positae dictae reliquiae curn debita consecratione 01nni incliori 1nodo etc. E1 qui a similitcr inter ceteras authoritates habet lus, et facultatcm predictus Rev.n1us Pater Abbas visitandi computa ad1ninistrationis bonoru1n Venerabilis Ecclesiae novae sub titulo SS.mi Crucifixi huius predictae Civitatis fundatae et dota tac per quondan1 D. Fabritium Bellia 011111 huius predictae Civitatis a quo Ipse Rcv.1nus Pater Abbas clcctus fuit in fìdecommissarium et exequentes ultin1ae dispositionis cun1 ampla potestate facultate authoritate et plenu1n passe cx vi eius T estan1enti con-
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diti apud acta notarii quondam Petri Lo Iiudice olim Regij publici huius predictae Civitatis sub die ad quod, quamobrem dictus Rev.mus Pater Abbas plenum Ius et causam habens ut dictum est visitavit, et accurate [f.176r] examinavit computa administrationis predictoru1n bonorum praecitatae Venerabilis Ecclesiae sub titulo predicto SS.mi Crucifixi confecta, et administrata ab enunciato Rcv.do de Scammacca procuratorio nomine quo supra, et quia invenit predicta administratio bonorum tam circa Introijtum, quam circa esitum predictae Venerabilis Ecclesiae gestam, operatam, et factam ut supra dictum est per dictum Rev. de Scammacca procuratorio nomine quo supra integre, incorrupte, caste, et omni diligentia, studio, sedulitate, industria, et innocentia, et absque aliquo dolo fra ude, omissione, et fallacia ea computa lntroijtus, et exitus iuxta eorum seriem continentiam, et tenorem acceptavit, et acceptat, laudavit, et laudat, approbavit, et approbat et plenissitne confirmat absolvendo, et liberando dicto Rev. de Scammacca circa dictam Administrationem omni meliori modo etc. Et de reliquis omnes alias visitationes, et ordinationes pro praeterito confectas respectivc per omnes alios Rev. Patres Abbates antecessores tam apud acta mea quam apud acta aliorum publicoruin Notariorum sub nonnullis diebus iuxta earum, et cuiuslibet ipsarum continentiam et tenorem supradictus Rev.mus Pater Abbas Visitator virtute presentis confirmavit et confirmat, et hoc quod id tempus sibi benevisum et usque ad novam ipsiusmet Rev.rni Patris Abbatis ordinatlionem et disposittione1n et extra visitam ad cius libitum voluntatis 0111ni 1neliori 111odo etc. et non aliter. Unde ad huius rei futuram memoriam, et ad petitionem et instantiam enunciati Rev.1ni Patris Abbatis Visitatoris confectum fuit, et est praedictu1n actus visitae suis die tempore et loco valiturus. Et praedicta1n attestationem luraverunt Unde Presentibus pro Testibus clerico diacono d. Carn1elo Raimundo, clerico d. Rocco Canfarella, et clerico d. Salvatori Marletta ac alijs. D. Dominicus Brancati Abbas confirmo ut supra Ex Actis mei D. Petro Guido et Maiorca Regij publici Notarii huius Civitatis Paternionis Totiusque Vallis Ne~orum exacta est presens copia Collatione salva
UN DIALOGO FILOSOFICO DI MARIO STURZO «LA FILOSOFIA IN AZIONE,,
SALVATORE LATORA*
INTRODUZIONE
I due fratelli Sturzo, oltre che come autori di articoli, sag· gi, volumi di carattere filosofico, politico, ecclesiale, combattono la loro battaglia di rinnovamento religioso scrivendo anche opere letterarie, commedie, romanzi, drammi; così Luigi, il cui Ciclo della creazione è stato eseguito di recente in musica, così Mario che scrisse questo dramma di carattere filosofico, rappresentato, a suo tempo, a scopo educativo anche in seminario 1• L'opera testimonia, ancora una volta, della fecondità produttiva filosofica e letteraria del Vescovo Sturzo. Educare il popolo e specialmente i giovani attraverso l'ope· ra letteraria e in modo particolare attraverso l'opera teatrale, che fra tutte quelle artistiche è la più completa e quindi la più coinvolgente ed efficace, è cosa conosciuta ed effettuata da tutti gli autori innovativi fin da Platone, che resta immortale per i suoi dialoghi. Il dramma, che ora ripresentiamo integralmente, 'si intitola Filosofia in azione: filosofia è quella idealistica che il vescovo * Docente di Filosofia nei Licei. 1 Il testo che qui presentiamo: M. STURZO, La filosofia in azione, dramma filosofico in due atti, fu pubblicato sulla rivista fondata e diretta da vescovo Rivista di Autofoi-mazione filosofica e letteraria, 1928, Il, 130-194. Nelle citazioni seguiamo la numerazione di quelle pagine,
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conosce bene; in azione perché l'idealismo, specie nella versione gentiliana, si presenta come attualismo, c10e come pensiero che coincide con l'atto, pensiero che diventa azione, realizzazione pratica, sintesi di teoria e prassi. Questo pensiero-tutto, essendo l'unica immanente realtà, ha il compito di rigenerare il mondo, di creare lo stato etico. Ma può reggere nella fase pratica a questo suo compito? Le conseguenze etiche negative, che sono quelle che più interessano l'Autore, generano il dramma, mettono in moto i personaggi e suscitano tutta una serie di critiche fino al ravvedimento e alla conversione del protagonista che, dopo un breve soggiorno a Roma, da idealista fanatico si fa nientedimeno che trappista, riscoprendo una antica vocazione religiosa. Chi sono i personaggi del dramma? Sono sette e tutti maschili. Maurizio, il protagonista, professore di filosofia, idealista convinto, con1e si è accennato, fino alle estreme conseguenze;
Carlo, un 'SUO amico, anch'egli idealista ma con molti dubbi; don Clemente, parroco che cerca la soluzione al problema filosofico del conoscere avvantaggiato, però, dal possesso della verità di fede; il barone Tonio, zio di Maurizio e poi un avvocato di nome Eugenio, un medico che si chiama Fedele e un notaio. Come si vede, i dibattili filosofici circolano solo fra borghesi e nobili; i giovani nelle scuole e le persone del popolo sono i soggetti passivi di quelle idee di cui subiscono le conseguenze. E' certamente un dramma filosofico a tesi, i cui personaggi, piuttosto che esseri in carne ed ossa, sembrano rappresentazioni di idee o simboli, ma esso ha precedenti illustri nei dialoghi platonici, e poi c'è da osservare che anche le idee fanno parte della vita! All'avvocato Eugenio che si esprime dicendo: «Noi siamo spettatori d'un dramma tanto grave quanto sciocco [ ... ]. Per me la filosofia è come la poesia [ ... ] i filosofi come i poeti», don Clemente di rimando: «Ritengo però che la filosofia non sia così innocua, come crede lei [ ... ] anéhe se pochi si occupano sul serio di quelle questioni difficili e forse insolubili. In realtà, pochi fanno della filosofia-scienza, tutti fanno della filosofiavita. I filosofi creano le teorie, i poeti le volgarizzano, l'urna-
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nità le riceve [ ... ]. E tutti viviamo di una qualche filosofia»'. E quando l'avvocato o il medico si chiedono: «·Ci sono uomini che nella pratica credono che tutta la realtà sia pensiero? Ci crederei, se li vedessi mangiar pensiero, viaggiar col pensiero, combattere col pensiero [ ... ]. Insomma se li vedessi sognar sempre [ ... ]», ancora don Clemente risponde: «Iii lor pensiero è la nostra realtà» 3. Il dramma segue la parabola di una conversione, quella del protagonista, il quale a un certo punto, rivivendo nella memoria la sua vita passata, distingue tre periodi: l'idilliaco, il tragico, il filosofico. Il primo periodo è quello dell'idillio quando, professore di filosofia, entusiasta anzi infatuato dell'idealismo vagheggia una certa teoria del bene e la insegna agli altri; un secondo momento è quello della crisi o della tragedia, quando viene destituito dal posto e diseredato delle fortune del1!0 zio; e infine, il periodo del ravvedimento e della conversione tanto clamorosa. C'è da chiedersi a questo punto: quale idealismo professa Maurizio e quali le conseguenze morali del suo insegnamento? Si può agevolmente avere la risposta seguendo i cinque soliloqui del protagonista, che si succedono nel dramma alle pagine 141, 148, 153, 177 e 183. Maurizio è idealista perché, secondo questo sistema filosofico, l'uomo crea e non rispecchia semplicemente la realtà; egli fa riferimento in mo.do particolare all'idealismo italiano che tutto pone come pensiero il quale si fa tutte le cose, e non come pensiero che deriva da una prima idea, com'è in sostanza l'idealismo hegeliano. rr male, secondo questa teoria, è un assurdo, sarebbe come parlare del nulla! Maurizio ribadisce: «Io impazzi·sco quando ancora mi si parla del male come qualcosa di reale [ ... ]. E' una negazione il male [ ... ]. La negazione di un bene che ha perduto la sua attualità. Quando la mia teoria trionferà (e dovrà trionfare) comincerà un'era novella nel mondo. Avverrà qualcosa di simile a ciò che avvenne quando Gesù Cristo annunziò la legge .del-
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Jbid., 169. ,
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L. c.
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l'amore. Sicuramente [ ... ]. Qualcosa di simile [ ... ]. Allora, solo allora, la legge dell'amore si attuerà in tutta la sua pienezza. Delle carceri faremo teatri, dei tribunali chiese [ ... ] Oh! le chiese ci saranno sempre [ ... ] Dio sarà adorato davvero in spirito e verità [ ... ]» '. Ma come del tutto diverne e disastrose le conseguenze sul piano ·dei comportamenti quotidiani! Un alunno offende il professore di fisica; Alberto, il segretario del barone, ruba dalla cassaforte del padrone una grossa somma di denaro: entrambi si giustificano dicendo che, in fondo, non hanno fatto altro che seguire gli insegnamenti di Maurizio, secondo cui il male non esiste! Le ragioni per le quali il sistema idealistico di Maurizio en· tra in crisi sono di ordine etico-morale ma soprattutto di oPdine teoretico. Infatti, il primo nodo da sciogliere è quello, basilare per il sistema, riguardante il concetto di eternità e infinitezza dell'io; ci si chiede aJ.lora: cos'è l'eterno? Chi •può concepire l'eternità? Sono queste meditazioni, sia filosofiche che poetiche, consuete al vescovo Sturzo'. «Se l'eterno è il non •processo, se è
4 lbid., 142. s Nello stesso numero della Rivista di Autoformazione ... viene pubblicata una poesia di Mario Sturzo dal titolo: Il Mistero dell'Infinito che affronta la stessa problematica.
Il mistero dell'infinito Quando tra me ripenso all'infinito, Senza fondo ocean, senza confine, Perenne dì senza principio e fine, Resto smarrito. · Poi quando penso che Dio sta nel cielo, Io penso il ciel siccome un tempio immenso, E che agli eletti Egli si mostri, penso, Senza alcun velo. Ma se Dio è spirto, il Ciel non sarà loco, E se loco non è, che cosa è mai? E come dico: «O Dio che in Cielo stai», Quando l'invoco? Pure lontan da me non sei, Signore Anzi io sono in te, di te respiro
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l'atto puro, l'atto che è tutto e non può nulla acquistare e nulla perdere; l'uomo non è eterno [ ... ] ed è temporale. Data la temporalità, è dato il principio [ ... ].Dato i·l principio, è dato uno che diede il principio alle cose, senza aver esso principio [ ... ]. E' dato Dio [ ... ] il Dio dei cristiani [ ... ]. E' dato il dualismo». Il secondo nodo riguarda il problema della conoscenza, che Mario Sturzo riteneva prioritario per un rinnovamento della filosofia e a cui egli dedicò importanti volumi 6 • «Io non so spiegare la conoscenza, afferma il protagonista Maurizio, come non la sanno ~piegare i dualisti. Pure il dualismo si impone [ ... ]. Per te, Clemente, la conoscenza è espressione; per te Carlo, la sensazione dà i termini e i rapporti. Sento però che le due teorie da sé non risolvono nulla. Conoscere non è un puro rispecchiamento della realtà, perché l'uomo non è uno specchio [ ... ]. E dev'essere espressione relativamente creativa. Che restava? Concepire l'idea come espressione di rapporti. Ecco una teoria nuova che si può chiamare sintetistica o espressionistica o neo-sintetistica» 7 • Lo scopo della nuova filosofia è quello di vedere rinve11dire l'annosa pianta della scolastica e di dare ai filosofi del pensiero cristiano la possibilità di rinnovarsi. Si spiegano così le tante battaglie che il vescovo Sturzo ha sostenuto e il suo avvicinamento critico al •pensiero di B. Croce. «B. Croce sciupa tempo e inchiostro per dimostrare che la scolastica non è veramente una filosofia, perché è una teologia; come se una vera teologia
E vivo; e dove il guardo ansioso giro 1 E dove il core Rivolgo, e dove spingesi il pensiero E' sempre in te, perché sei l'infinito ... Più indago, e men penétra questo ardito Spirto il mistero.
M. S.
' Cfr. M. SruRzo, Il problema della conoscenza, Lezioni di filosofia per i licei, Soc. Ed. Libr. Ital., Roma 1924. lo., Il Neo-sintetismo, Vecchi, Trani 1928; Io., Il pensiero dell'avvenire, Vecchi, Trani 1930. 7 La filosofia in azione, cit., 190-191.
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potesse non essere storia e con ciò potesse non essere filosofia [ ... ]. Io convengo con lui nel far la critica della filosofia fossiJiz. zata, ma non convengo con lui nel modo [ ... ]. Che cosa fanno da più secoli i così detti scolastici? Chiosano S. Tommaso. Lo spiegano anche senza comprenderlo o senza comprendere che S. Tommaso non fece della pura esegesi e fece della filosofia, buona filosofia per quel tempo, e combattè belle battaglie [ ... ] S. Tommaso ha avuto comune con Dante la fortuna e la sven· tura [ ... ] Dante per i pedanti è il mito deBa poesia. S. Tommaso il mito della filosofia. Che si fa di fronte al mito? Si adora! I.I mito è tutto, sa tutto, ha detto tutto, ha pensato e parlato per tutti [ ... ]. Questo è il dantismo, questo il tomismo»'. Appaiono evidenti qui, attraverso le affermazioni del pro· tagonista, le idee di Mario Sturzo e le sue proposte filosofiche neo-sintetiche molto vicine a quelle di J. Maréchal 9 e alle critiche cattoliche al neoidealismo 10 •
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lbid., 148-149.
' Si veda L'Ontologia del giudizio in
J. Maréchal in A. SAVIGNANO, Psicologismo e giudizio filosofico in M. Heidegger, X. Zubiri, J, Maréchal, La
Garangola, Padova 1976, 189-243; G. CALAMBROGIO, Comprensione e giustificazione del primo principio nel pensiero del padre Joseph Maréchal in Teoresi 20 (1970) 25-87 e 161-233. 10 Si veda: A. BAUSOLA, La cultura cattolica e il Neoidealismo in AA.Vv., Il Neoidealismo Italiano, Laterza, Bari 1988, 155-167.
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LA FILOSOFIA IN AZIONE PERSONAGGI Maurizio dei baroni delle Pictrcnere D. Clemente Carlo Il Barone Tonio delle Pietrenere zio di Maurizio Eugenio avvocato Fedele medico Notaio
ATTO I (Studio di Maurizio) SCENA I Maurizio e Carlo Il troppo storpia, caro Maurizio. Te lo ripeto: Il troppo storpia. In filosofia il troppo sarebbe l'errore. Insegno l'errore io? C. Certe verità non possono dirsi sen1pre né a tutti. M. Io non soffro d'ipocrisia. Per me quel che non va mai detto, né molto né poco, è l'errore. Comunque, i tuoi scrupoli non possono riguardare la filosofia che vive in un'atn10sfera tutta propria. C. lo ritengo che anche la filosofia do1nanda prudenza. Nel campo pretesco si nota certa anin1azione che non può lasciar tranquilli. Io ritengo che ti giocheranno qualche brutto tiro. M. Mi faranno trasferire altrove? C. Così io penso. M. Ebbene! Insegnerò la stessa filosofia anche altrove. C. Ma anche nelle altre città troveresti degli arretrati, che ti farebbero la stessa lotta. Non vedi che il tempo s'è mutato a lor favore? M. Non ci credo. Quello è un favore più apparente che reale, il quale non mi preoccupa. C. Via ... Fallo almeno per gli amici. Tu non ci ami, se ti disponi a lasciarci senza una vera ragione. M. Oh Carlo, che tasto mi tocchi! lo amo assai gli amici, e tra tutti amo te, che mi sei amico d'infanzia. Ma via ... non siamo pessimisti. Se i preti hanno le loro aderenze, noi abbiamo le nostre. C. Certo, noi non restere1no indifferenti. lo però, insisto nel mio giudizio, che bisogna temperare l'eccessivo ardore e anche un certo eccesso di pensiero ... Invado il tuo cainpo? ... Non abbia1no fatto insieme lo studio della filosofia? ... E non professo anch'io l'idealismo, come lo professi tu? ... M. Non coinprendo. C. Eh diamine! Tu sei troppo logico. E anche qui il troppo storpia. M. Ah ah ... Mi fai ridere. C. Io ritengo che tu rasenti l'errore. M. Oh sì, questo è parlar chiaro. lo dunque rasento l'errore. Lo rasento solamente?
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C. E forse qualcosa di più. M. Se n1iravi qui, potevi rispanniarti tutta quella introduzione. Io dunque, secondo te, insegno l'errore. C. Senti Maurizio, l'idealismo non è così chiaro in tutte le sue parti, che si possa senza scapito della verità esser troppo logici. M. Lo dici sul serio? C. Sul serio, certamente. M. Lo hai pensato da te o te l'ha fatto pensare qualche altro? C. Se non fossi tu mi offenderei. M. Allora dimmi: È una scoperta che hai fatto ora o hai pensato sempre così? C. Il prima e il poi quando si tratta della verità importa poco. Io sono idealista convinto perché sono convinto che il dualismo non spiega la conoscenza. Ciò non ostante, più studio !'idealismo, e più mi avvedo che ha dci punti oscuri. M. Procuriamo di renderli chiari. C. Poterlo! M. E allora? C. Allora .. mentre cerchian10 la luce, conviene non n1ettere troppo in vista i punti oscuri. Non capisci? L'attacco degli avversari su questi punti potrebbe danneggiarci ... M. Cioè? C. Eh diamine! L'avversario che ti vince su d'un punto, sia pure accessorio, prende ani1no M. Carlo, anche questa è ipocrisia, da cui rifuggo. Se mi si provasse che la mia filosofia non si regge, io avrei bene il coraggio d'abbandonarla. Ma via, sentia1no quali sono i punti, che tu chiami oscuri ... C. Per me è oscura la teoria sulla quale tu di questi giorni insisti con tanto fervore, e che tanta preoccupazione desta nei circoli degli arretrati. M. Vuoi dire la teoria dell'atto morale. C. Precisamente. Io ritengo, e me ne convinco sempre meglio, che se l'idealismo davvero menasse alla negazione del male nel mondo, per questo lato almeno non sarebbe sostenibile. M. Davvero? C. Davvero. M. Proprio davvero? C. Proprio davvero. M. Allora rassicurati, perché da questa negazione l'idealismo riceve forza e non debolezza. Credi tu che il male sia qualche cosa? C. Con1e non crederlo? Quando uno ti dà un colpo di bastone e ti rompe il capo, che non ti fa qualche cosa? qualche brutta cosa? M. Carlo mio, «ritorna a tua scienza», ti dirò con Dante. C. Altro che scienza quando uno ha il capo rotto! M. Ma questo sarebbe il male fisico, che poi non è male che così per dire. Io invece discuto sul mal morale, che non c'è, perché non può esserci. Vorresti tornare al vecchio manicheismo? C. Dunque chi ti assesta un colpo di bastone sul capo, secondo te, fa una bella azione. M. Bella no, perché quella sarebbe praticità, dove non c'è bellezza. C. Fai dello spirito ora!
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M. Faccio della proprietà. Chi mi darebbe un colpo sul capo, farebbe quel che in atto sarebbe capace di fare. Or chi fa quel che è capace di fare, non fa il male, ma il bene. C. Sicché se uno ti rompesse il capo, dovresti ringraziarlo per giunta! M. Panni che abbi co1ninciato a dimenticare la filosofia che studiasti con tne alla stessa scuola. C. Altro che dimenticare! La ricordo tanto, che l'ho tutto giorno presente allo spirito e forse la vado superando. M. Per andare indietro? C. Per andare meglio verso !a verità, che sta sen1pre avanti. M. Tu dunque sei in via di scoprire che il male è qualche cosa che si possa volere agendo. C. Per me il n1ale è qualcosa che si produce agendo. M. Peggio di peggio. Agire è farsi, coi~'è farsi pensare, com'è fan i ogni attività dello spirito. Dunque per te l'uomo, agendo, può fani male. C. Non/arsi male, ma/are il tnale. M. Che poi è la stessa cosa. C. Ma no, per Bacco!, non è la stessa cosa. L'uomo agendo sifa agente, come pensando sifa pensante. Se però, agendo, viola l'armonia dei rapporti razionali con gli altri, fa il male, come se, pensando, viola i rapporti razionali del pensiero, fà l'errore. M. Carlo, io non ricuso nlai la discussione. Discutia1no dunque. Vedo che hai bisogno d'esser ri1nesso sulla retta via. C. Invece io vedo che questo bisogno l'hai tu. M. Non facciamo chiacchiere. L'abbia io, l'abbia tu, la discussione fa sempre dcl bene a tutti. Il concetto del male è seinpre dualistico. L'espressione più tipica si ebbe col 1nanicheismo. A esser logici, i preti dovrebbero professare questa teoria, che pure es~endo assurda, è 1neno assurda dei loro dualis1no aristotelico. C. Che m'importa a me dci preti? M. In1porta, non a noi, ma alla discussione. Dunque il concetto del tnale è sempre dualistico. An1messo, come faccia1no noi, un sol principio, un sol soggetto, uno per tutti, una sola realtà, la sola realtà soggettiva, con ciò è superata la teoria dcl male, sciocca teoria di coloro che ancora non comprendevano se stessi, ed è affermato il nuovo vangelo, cioè, che nel mondo non c'è che il bene. C. Lo dici tu. Invece, a partir da Hegel, che è il vero padre della nuova filosofia, tutti amtnettono il principio di contraddizione, senza dcl quale non si spiegherebbe il processo, il farsi, il divenire. M. Però Giovanni Gentile ha fatto la critica di questo punto del sistema hegeliano, ed ha vittoriosamente provato che, se fosse con1e vuole I-Iegel, tutto l'essere sarebbe da una parte, tutto il non-essere dall'altra, e la scintilla del processo non potrebbe mai accendersi. C. Benissimo! Ma ha anche provato che l'essere e il non essere, il bene e il nlale, il sì e il no, son nello stesso atto, son lo stesso atto, che è attivo, perché è sintesi dei contrari, sintesi di contraddizione. Sicché ha provato, non solo che c'è il 1nale, ma che c'è necessariamente. M. Dunque non è male; perché ciò che c'è necessariamente, è bene e non male. C. Abbi pazienza. Ha provato che il male c'è necessariamente, però c'è per esser superato, per esser condannato, per esser vinto dal bene.
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M. (Ride). C. Oh! che c'è da ridere? M. Pensavo che bizantineggian10. Via, via. Nulla di male; non si tratta che di ricorsi storici. C. No, no; noi non facciamo del bizantinismo. Altro che! ... M. Allora ricorda che lo stesso Gentile, spiegando il suo pensiero, dice che chi fa il male non lo sa, perché se lo sapesse, noi farebbe, «per la contraddizione che nol consente». La reminescenza dantesta è dello stesso Gentile. C. Sì, sì, lo ricordo molto bene. M. E allora? C. Allora son convinto che qui Gentile dice una corbelleria. M. Adagio con le corbellerie quando si tratta di grandi pensatori ... C. Vuol dire che dicon le corbellerie da grandi. Dunque io sto per la prima parte del pensiero di Gentile. Son con lui, quando dice che far il male è fermarsi nel processo dell'agire, non estrinsecare tutta la propria attività. Ciò è certamente qualche cosa, è lasciar prevalere l'elemento negativo della contraddizione. M. lo invece penso che qui Giovanni Gentile va spiegato con se stesso. Quando l'uomo s'arresta a mezza via e lascia prevalere l'elemento negativo della contraddizione, egli non sa che s'arresta a mezza via. Se lo sapesse, non si arresterebbe, perché non potrebbe arrestarsi. Or chi non sa (occorre ripeterlo?), non fa il male, proprio perché non sa. Appena se ne accorge, non resta.più a 1nezza via, perché non ci può restare, e non ci può restare perché il soggetto è farsi. C. Parole, caro Maurizio, frasi! Segno manifesto che le ragioni mancano. M. Quando uno è di cattivo umore, co1ne te, vede tutto nero. C. Magari fosse cosi! M. Perché? C. Perché non dubiterei del sistema, che pure professo. M. Dunque ne dubiti? C. Almeno non ci vedo chiaro. M. Prima non dicevi così. C. Prima, fu il periodo di ricevere; ora invece è il periodo dcl riesame, della critica .. M. Ammetti che il conoscere sia ricevere? Addio casa mia! C. Ricevere, sì, non nel senso antico, n1a in ben altro senso. Cosa fa il maestro, di cui parla Giovanni Gentile quando insegna? M. Attua l'unificazione degli spiriti. C. Nella quale unificazione il maestro trasmette allo scolaro il suo sapere. M. Oh no, no, assolutamente no. C. Come allora si spiega il fatto, del quale anche parla Gentile nello stesso luogo, che, se una mosca si posa sul naso dell'alunno e questo si distrae, poi tornando ad attendere al maestro, non si raccapezza più, perché il maestro è andato oltre nel suo ragionare? M. Si spiega con la interruzione della comunicazione degli spiriti. C. Cioè, con la interruzione della trasmissione. M. Ma no, caro amico, proprio no. Se il conoscere non è creare, addio idealis1no. C. Perfettamente. Però la creazione conoscitiva è agevolata dal maestro o dal libro o simili. Se così non fosse, cosa ci farebbero le scuole? M. Q~esto è vero.
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C. Ed è questo che io chiamo ricevere. Or nel periodo del ricevere, o 1neglio, del creare sotto l'azione del maestro o del libro o della società, non prevale la critica, ma lascoperta, e prevale una certa liricità. M. Non contraddico. C. Molto bene. Q~ando poi la creazione è fatta .. M. Ma la creazione non è n1ai tutta fatta .. C. Lasciami dire. Quando una prima creazione è fatta, il nuovo fare è critica della prima. M. Non sempre. C. Sta bene. Non sempre. Quando succede la critica, spesso succede il superamento. Or io sono in questo periodo. Io vedo che certe affermazioni degli idealisti non si reggono. M. Passi pure. Nessun sistema è itn1nobile. Ci sono però dci punti fermi ... C. Ce ne son davvero? M. Eh dian1ine!. .. C. Allora tu neghi che la filosofia sia processo. M. Non lo nego. Affermo però questo, che la pura soggettività del reale è un punto ferino. C. Che non sarà mai superato? M. Per tornare indietro, no. C. Sia pure. Vuol dire che domani altro sisten1a potrà soppiantare il nostro idealismo. Questo ora io penso e cerco. M. Credo però che la tua critica del concetto di bene non sia il n1czzo più efficace. Senti, Carlo, senti. Benedetto Croce ... Dubiti che Benedetto Croce sia il primo filosofo del tempo? Dunque Benedetto Croce dice, secondo me, la parola che risolve ogni dubbio. Non si tratta di cercare nel principio di contraddizione il bene e il male, ma il bene e il meglio. Noi, abituati a sentir parlare del n1ale (se ne parla da secoli), proviamo ripugnanza ad am1nettere che tutto nel mondo è bene. C. Altro che ripugnanza!. .. M. Di' un po' ... quando Galilei parlò del moto della terra non gli fu dato del pazzo e dell'eretico? C. Quella fu altra quistione. M. Oh no! Tutte le rotture col passato suscitano lotte. Bada a quel che dico. Come oggi, chi parlasse della terra come centro itnmobile dell'Universo, farebbe semplice1nente ridere, così di qui a qualche secolo, farà ridere chi parlerà del mal nel inondo. Il concetto dcl male deriva da un rapporto di differenza. Quando io ero ragazzo ammiravo come belle certe im1naginette dai vivi colori, poi le reputai brutte. Ora mi avvedo che la parola brutte non è propria. La parola sarebbe: meno belle. C. Così per te non c'è nemineno il brutto nel mondo? M. Perfettamente. C. Non ti co1nprendo più. M. Mi co1nprenderai, se mi lasci finire. Quel che gli uomini chia1nano male, è il bene superato, il bene che cessò d'esser attuale, il bene che diede luogo al meglio. Ecco risoluto il mistero. C. Ecco non risoluto nulla. Quando uno ti dà un colpo di bastone sul capo (è l'ese1npio più convincente e perciò ci ritorno) che non è attuare la rottura del tuo capo? M. Fai lo stesso sofisma, e io ti fo la stessa risposta. Quando uno ti dà un colpo di bastone sulla testa, facendo quel che può fare in quel tnomcnto, fa il bene. Quando poi visto
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che ti ha ferito corre al riparo, fà altro bene, che scaturisce dal primo superandolo, che, perciò, chiamiamo, non puramente bene, ma meglio. Alla luce del meglio, il primo apparisce 1nale. Ma allora è uscito dalla sua attualità, si è reso passato. C. Se non mi chiamassi Carlo, vorrei farti provare il benefizio d'un buon colpo di bastone sul capo. M. Se non ti chiamassi Carlo .. Che vuol dir ciò? ... vuol dire che tu hai superato il periodo della ragione della forza e sei entrato nel periodo della forza della ragione. Tu non mi colpisci, non perché non vuoi, ma perché non puoi. C. Non vorrei complicare la discussione, 1na non posso non dirti che tu così neghi la libertà. M. Io? C. Se dici che non ti bastono, non perché non voglio, ma perché non posso, dici che non son libero di scegliere tra l'uno e l'altro. M. Mi sono espresso male, e nli correggo subito. Tu non mi bastoni, perché nella tua attualità non c'è la volontà di bastonarmi. C. Insomma, secondo te, pmso o non posso volere la tua bastorutura? M. Non puoi. C. Allora non si tratta del merito dell'espressione, nla proprio del pensiero. M. Nossignore. C. Hai fOrse escogitato qualche nuova teoria sulla libertà, che faccia il paio con quella del bene? M. Non ancora. C. Sicché? M. Sicché ... tu passi una crisi di pensiero. La libertà, come dice Giovanni Gentile, è lo stesso farsi, invece la necessità sarebbe I' csurfirtto. Più chiaramente. E' libertà il farsi da sé; sarebbe necessità !'esser fatto da un altro. La libertà è 1nonis1no, la necessità sarebbe dualismo. C. Sì, è vero! QlJesto dice Giovanni Gentile, e lo dice anche Benedetto Croce .. M. E ogni altro filosofo della nostra scuola. C. Però concepita così, non è libertà, ma necessità. Lo dicono apertamente tanto Croce, quanto Gentile. Ecco un altro punto oscuro. M. Te ne accorgi ora? C. Proprio ora. Prima non ci avevo badato. M. 11 nostro ragionamento a quel che vedo, su te produce l'effCtto contrario. C. E' un fatto. M. Tirando le sonune, che resta del tuo idealis1no? C. Ben bene davvero che non lo so. M. Voglio augurarmi che si tratti di mal passeggiero. Frattanto ti faccio notare o, se vuoi, t'invito a ricordare che il/arsi, in cui consiste la libertà, è libertJ, perché è immunità da ogni azione esterna sul soggetto, ed è neccssitJ, perché, carne dice Croce, è la legge dello stesso soggetto. C. Vorresti ora dirmi che differenza c'è tra una cane che ti nlorde e un uon10 che ti bastona? Voglio dire: Tra il _determinisn10 che è nel pri1no e la libertà che è nel secondo? M. Nessuna differenza. C. Nessuna differenza tra il bruto e l'uomo? E se invece si trattasse di una pigna che si stacca
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dal pino e, colpendoti, ti uccide ... nen1meno qui ci sarebbe differenza? M. Nemmeno. C. Maurizio! .. M. Ma io non identifico i termini, io li nego. Co1ne diamine hai fatto a dimenticare che animali bruti e piante e cani e gatti e pigne e pini e tutto il mondo fisico e tutta la natura non sono che astrazioni? La realtà vera, l'unica realtà (ne dubiti?) è l'Io. C. Hai ragione. Chi professa idealisn10, deve neccssarian1ente pensar in tal modo. Però sta il fatto che se un cane ti morde, la morsicatura non sarà certo un'astrazione, che si curi con un atto di pensiero, ma una ferita che don1anda l'opera del chirurgo ... M. Tutto sta a saper risolvere in soggettività queste funzioni e1npiriche .. C. Parole! Parole che, vedo bene, non ti escono calde di convinzione come !e altre. M. Menzogna. C. Eh! caro mio! M. Se insisti, mi offendo. C. Non insisto. Desidero però sapere se, quando un cane mi morde, io debba dire che mi son morso da me. M. Ah! ah! ah! Co1ne mi fai ridere!. .. C. Altro che far ridere! Io quasi avrei voglia di piangere. M. Questa poi! ... Ma insom1na non occorre che ricordare che, co1ne dice Giovanni Gentile, il nostro vero corpo, il corpo possente, è tutto l'universo, dal quale non si può togliere nen1n1eno un granellino di sabbia. Se qualcosa si potesse togliere, Lutto andrebbe in rovina. C. Sì, lo ricordo bene. E anche ricordo che lo stesso Gentile rassicura gli avversari, affern1ando che le cose, che chiamiamo fisiche, son proprio là, dove le percepiatno ... Ericordo che Benedetto Croce dice la stessa cosa quando parla delle scarpe del signor tale e del soprabito dcl signor tal altro ... M. E allora? C. Allora, caro Maurizio, si tratta, come ti ho già detto, che questo modo di far filosofia non mi convince più. M. Sicché possiamo smettere .. C. Precisainente ... Senti ... sino a che si vuol parlare della soggettività del reale, credo che ci si possa trovare il verso. M. Di che dunque si parla? C. Mi spiego meglio. Io son ancora idealista, perché questo sisten1a sostiene che il conoscere è creare e non rispecchiare fisicamente la realtà. Punto e basta. ' M. Ebbene?! C. Che poi debba dirsi che ci sia un solo soggetto, uno per tutti, e che tutto sia soggettività, anche il mondo fisico ... un tempo mi parve ammissibile, ora ... (debbo dirlo!) mi ripugna. M. Non dicevo bene, aHermando che minacci di superare le difficoltà tornando indietro? C. lo sogno un supera1nento che concilii il monis1no idealistico col dualismo platonico o in altro modo. M. Cioè, un ritorno al dualismo. C. Non tal quale. M. Il modo importa poco. Q~el che importa è che il dualismo è morto e seppellito.
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C. Se così veramente fosse, rinunzierei di pensare .. M. Oibò! E che faresti senza pensiero? C. Anche il ciabattino. M. Ma anche il ciabattino pensa. C. Pensa, senza sapere che cosa sia pensare. Questo farei io .. Non rifletterei più. M. Poterlo! C. Non mi sento disposto d'affrontare un'altra quistione ... M. Sai che cosa dovresti fare per liberarti dal pensare? C. Che cosa? M. Ammazzarti! C. Ma io son convinto che qualche cosa troverò. M. Cerca dunque. Quando avrai trovato, certo non farai mistero con me. C. Certo, certo. Ora ti lascio con la tua utopia del puro bene. M. Ed io attendo l'esito della tua utopia del conoscere-creare né tnonistico né dualistico.
SCENA II Maurizio solo Povero Carlo, mi fa proprio pietà Ma sarà crisi passeggiera. I-la tanto ingegno ... Oh no! ... indietro non tornerà. Non voglio nemmeno pensarlo. Forse non accetterà mai le mie conquiste ... O ... forse le accetterà ... Son così chiare ... così logiche ... così necessariamente logiche. Il tnale come male! Assurdo! Sarebbe co1ne parlar del nulla! ... Cosa pensiamo noi, quando dicia1no nulla? Niente più che la negazione di qualche cosa. Dunque pensia1no qualche cosa per negarla ... Il 1nale sarebbe il nulla ... lo in1pazzisco quando ancora mi si parla del tnale come qualche cosa di reale ... È una negazione il male ... La negazione d'un bene che ha perduto la sua attualità. Quando la mia teoria trionferà (e dovrà trionfare) comincerà un'era novella nel mondo. Avverrà qualcosa di simile a ciò che avvenne quando Gesù Cristo annunziò la legge dell'amore. Sicuramente ... Qualcosa di simile ... Allora, solo allora, la legge dell'an1ore s'attuerà in tutta la sua pienezza. Delle carceri faremo teatri, dei tribunali chiese ... Oh! le chiese ci saranno setnpre. E le faren10 più belle. La guerra sarà un ricordo storico, un ricordo non lieto. Il vero, il buono, il bello saranno le sole idealità che guideranno gli uomini nel cammino ascensionale del progresso. Le chiese ci saranno sempre ... Ce ne saranno di più. Saranno il luogo della vera elevazione dello spirito. Dio sarà adorato davvero in spirito e verità. Tra canti e suoni ispirati a misticità, e il profu1no degli incensi, l'io si venera sopra se stesso, e contemplerà l'infinito che è il suo essere, la sua vita. L'infinito ... Questo oceano senza confini e... senza forme; questo fre1nito dell'io, che pensando crea e creando pensa ... che crea la sua grandezza, la sua fClicità, senza mai raggiungerla intera, vivendone se1npre come se intera fosse ... La sua grandezza nel pensiero di Dio! Il pensiero di Dio nella sua grandezza ... Dio non sarà più pensato al nlodo antico, che fu idolatrico; sarà pensato senza determinazioni, senza personalità, senza doni da elargire, senza pene da infliggere ... Sarà pensato e non pensato, affermato e negato, negato e riaffennato ... come lo stesso pensiero, che pensa Dio, perché è esso stesso Dio, esso stesso il suo principio e il suo fine, il suo essere e il suo non essere, la ragione del suo 1noto e il moto della sua ragione, il vincolo della fratellanza, perché gli uomini non son tanti uomini, ma un sol uomo, l'uomo universale ...
Mario Sturzo, Vescovo di Piazza Armerina
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SCENA III Maurizio e Don Clemente D. CL. Si può? ... M. Avanti. Oh! chi vedo? ... Che sorpresa? Qual buon vento ti ha spinto a queste parti? .. D. CL. Son di passaggio .. e mi son fatto un dovere di venirti a trovare ... è un bel po' che non ci vediamo. M. Davvero! un bel po' .. D. CL. Cinque anni. M. Cinque anni! Come passa il ten1po. Stai sempre laggiù? .. D. CL. Sempre laggiù. M. Fai se1npre il parroco? D. CL. Sen1prc il parroco. M. E ora? D. CL. Vado a Roma per un affare M. E vedrai il papa? D. CL. Spero. M. Non t'impaccia i! papa con la sua infallibilità? D. CL. Perché mi dovrebbe impacciare? M. Tu non sei uno stupido. Ora per un uomo che pensa col suo cervello, co111e te, l'idea d'infallibilità dovrebbe apparire ripugnante. D. CL. E invece non è. M. Contentarsi ... Parlami un po' delle tue cose. Mi fa sempre tanto piacere sentirne parlare. Tu mi apparisci con1e lo stadio di preparazione all'idealisino. D. CL. Mi fai ridere!.. M. Ridere? È la verità ... Il cristianesimo è l'idealismo in potenza ... D. CL. Sempre le stesse sciocchezze .. M. Altro che sciocchezze!. .. Ma dimmi, ricordi gli anni che studiavamo insieme? Begli anni! D. CL. Se li ricordo! M. Gli anni che facevi l'incredulo! D. CL. Che tasto mi tocchi, caro Maurizio?! M. E dire che io allora facevo il santo. D. CL. Lo facevi sul serio. M. Questo è vero ... Cose del mondo! ... Tu dall'ateisn10 passasti al sacerdozio ... Che salto!. .. Io fui n1eno catastrofico. Da una santità, passai ad un'altra ... D. CL. E io mi ostino nella speranza che un giorno o l'altro tornerai alla fede di priina. M. Ma io ho una fede più perfetta ... D. CL. La fede dei panteisti ... Bella fede in verità. M. No, quella parola non dovresti ripetennela .. Il mio non è panteis1no. D. CL. Cos'è dunque? M. ldealis1no. D. CL. Non pane ... focaccia. M. Il panteis1no è sen1pre emanazionismo; l'idealisrno no. D. CL. Che non è emanazionismo l'idea di Hegel, da cui deriva la molteplice realtà? M. Quello sì; il inio e, diciamolo pure, il nostro, no.
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D. CL. Il nostro? M. Dico quello di noi italiani. Il nostro idealis1no tutto pone come pensiero che crea, come pensiero che si fa tutte le cose, e non come pensiero che emana da una prima Idea. D. CL. Bella fede in verità quella d'un pensiero che è solo se stesso! M. È fede quando si fa fede, con1e è scienza quando si fa scienza ... D. CL. Come è bestia (scusa), quando si fa bestia. M. Senza scuse, perché è proprio così. D. CL. Ah! ah! ah! Come n1i fai ridere!. .. M. Ridi perché non vuoi capire. D. CL. Altro che non capire! M. lo sono certa1nente più santo d'allora, perché allora credevo di fare un po' il bene e un po' il male. Ora invece so che non faccio, né posso, fare che il bene. D. CL. Sei confermato in grazia? M. Anche il concetto della grazia fu una preparazione all'idealismo. Se non che da voi si crede ancora che il bene si faccia per virtlÌ della grazia, mentre da mc si sa che il bene si fa per virtù propria. E perché si fa per virtù propria, non si fa che il bene. Cos'è il male? Lo sai cos'è il male? D. CL. Lo sa anche il ciabattino. M. Credete di saperlo!. .. Il male è il nulla. Senti, Clemente, io vado costruendo un nuovo idealismo, un idealismo più puro, e lo vado insegnando ai tniei alunni. D. CL. Poveri ragazzi! M. Anzi fortunati ragazzi! Io do l'ulti1no colpo all'utilitarismo e affermo una morale più pura della morale evangelica, che restò utilitaria. D. CL. Utilitaria la morale evangelica? M. Certamente, benché in 1nodo n1olto più nobile ed elevato .. D. CL. Sei strano! M. Insegni tu ancora ai tuoi parrocchiani a far il bene per il paradiso e evitare il 1nale per l'inferno? D. CL. E questo per te è utilitarismo? M. Appunto .. perché il bene non è voluto per se stesso, ma per un'altra cosa. D. CL. Ma quell'altra cosa è voluta, perché è bene anch'essa, anzi il vero bene. M. Quasi ti darei ragione, se quell'altra cosa ci fosse. Or proprio qui è il nodo della quistione, che fuori del soggetto non c'è nulla né mondo né anima né vita avvenire né Dio. D. CL. Ne sei proprio certo? M. Come due via due fa quattro. D. CL. Mio Dio! Non credevo, che l'illusione potesse aver mai tanta forza! M. L'ha, proprio perché non é illusione. D. CL. E quelle ani1nucce! Oh quelle animucce che ricevono da te, dal mio Maurizio, il veleno della miscredenza .. Con1e le co1npiango. M. No, no, non dir così. Io insegno loro una religione 1nolto elevata. Se vedessi come pregano! D. CL. Fa' il piacere! M. Tant'è! Il mondo si muove. Dal paganesin10 si passò al cristianesi1no. Ora si passa all'idealismo.
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D. CL. Lusinga, lusinga ... Le eresie, ebbero il lor momento .. Ma non fu che momento. Le eresie son il caduco. Il cristianesimo è l'eterno. M. Ma io non voglio turbare i nostri rapporti, la nostra vecchia amicizia. Ti assicuro che io vivo del bene e al bene indirizzo i miei alunni. E questo dovrebbe bastarti ... Ora parlimo d'altro .. D. CL. I-Io voglia più di piangere che di parlare, tanta amarezza mi hai messo nell'anima! M. Mi rincresce ... Ma, credimi, non l'ho fatto apposta. Dcl resto tu sei prete, e come tale,
comprendi la legge della libertà! D. CL. Della libertà di pensiero .. M. Che è la prima. D. CL. Sì, quando si va per la via della verità.
M. Cos'è la verità? D. CL. Anche Pilato fece la stessa domanda, salvo che non aspettò la risposta, e Gesù gliela poteva dare benissiino. M. Credi ancora alla divinità di Gesù Cristo? D. CL. Ma fai delle domande che, badando al 1nio sacerdozio, non dovresti. M. Il sacerdozio che toglie il diritto di pensare? Ma lasciamo questo. Non solamente fu Dio Gesù Cristo, ma è Dio ogni uomo. D. CL. Per carità non dir bestemmie .. Mi fa troppo male. M. Dico bestemmie io? Non è scritto nel Vangelo l'ego dixi dii estis? D. CL. Mi vuoi proprio torturare ... M. Allora sn1etto. O, se permetti, ti domando una cosa che interessa i miei studi. Credi ancora alle cinque vie di S. Tommaso per provare l'esistenza di Dio? D. CL. Senti, Maurizio, io vado costruendo una inia teoria filosofica, che, se avrà fortuna, rinnoverà la vecchia filosofia e rimenerà sul retto sentiero la nuova. M. Vuoi dir l'idealismo? D. CL. Appunto. M. Sentiatno questa teoria. D. CL. Ora non mi sento disposto .. Le tue affermazioni mi hanno messo il gelo nello spirito. M. Sicché i tuoi pensieri si son congelati? D. CL. Prendi tutto in burla. M. Che forse è il rimedio contro il gel nello spirito. D. CL. (Sorride). M. Ecco, ecco che la burla fa il suo effetto, se ti fa sorridere. D. CL. Ti convertiresti, se io, con la mia teoria, ditnostrassi infondato l'idealismo? M. Certainente! Credi che io faccia filosofia per mestiere? D. CL. Q!.1esto poi no! M. Dunque ... D. CL. Dunque? M. Aspetto che tu nli converta. Frattanto vorresti dirmi se con gli argomenti di S. Tommaso si passa davvero dall'imminente al trascendente? D. CL. Credo di no. M. Benissimo. E chi sa, dacché ti sci messo sulla via delle creazioni filosofiche e hai superata la filosofia come esegesi, che non debba aver io l'onore della tua conversione!. ..
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D. CL. La celia ti piace troppo .. M. Altro che celia! Dunque io pensavo e dicevo tra n1e stesso che Clemente, col suo ingegno, avrebbe dovuto scoprire che il principio di causalità nella ricerca di Dio menerebbe o a un Dio simile al mondo o a un mondo simile a Dio; ma non menerebbe 1nai a un Dio personale e atto puro. Hai scoperto questo con le tue indagini? D. CL. Qualcosa di simile! M. Benissitno! Il primo passo è fatto. D. CL. lo però credo d'aver trovato come rielaborare quei vecchi argomenti e come passare con rigore logico dal mondo contingente a Dio. Te ne parlerò altra volta. Ora, te loripeto, non mi sento ... Ora ti lascio. Ti assicuro però che pregherò e farò pregare assai per la tua conversione. M. Ed io mi preparo all'assalto, sicuro che chi mi debba dare il colpo di folgore sulla via di Da1nasco, ancor non è nato e non nascerà 1nai. D. CL. Credi che Saulo avrebbe pensato diversamente, quando prese quella via? M. Lo credo. D. CL. Procura di non dimenticarlo. E arrivederci. M. Arrivederci.
SCENA IV Maurizio solo Benedetto Croce sciupa ten1po e inchiostro per di1nostrare che la scolastica non è vera1nente una filosofia, perché è una teologia e perché pone un problema fOndan1en tale; con1e se una vera teologia potesse non essere storia e con ciò potesse non essere filosofia; e come se un problen1a fondamentale potesse davvero contrastare al concetto di filosofia! Io convengo con lui nel far la critica della filosofia fossilizzata, ma non convengo con lui nel modo. Chiunque ragiona, in qualunque modo ragioni, fa sempre della filosofia, salvo che fa buona o cattiva filosofia, secondo che ragiona bene o male, fa verità o errore. Ecco tutto. lo credo che i filosofi fossili vadano combattuti, in quanto, abbandonando il libero ragionare, il superare, il creare, si son chiusi come in una cerchia di ferro, e più non fanno che chiosare. Già, Benedetto Croce dice anche questo, 1na non vi dà tutta la luce. Che cosa fanno da più secoli i così detti scolastici? Chiosano S. Ton1maso. Lo spiegano anche senza co1nprenderlo o senza comprendere che S. Totnmaso non fece della pura esegesi e fece della filosofia, buona filosofia per quel tempo, e combattè belle battaglie contro certi aspetti del Platonismo ... Inso1nma affermò una filosofia. I Totnisti invece, più o meno, non fanno che cercar di cotnprendere. Voler tutto trovare in un libro, significa non trovare nemmeno il senso di quel libro. Oh! che pagine avrebbe scritto Benedetto Croce se avesse concentrato il suo pensiero a 1netter in luce questo punto! ... $. Tommaso! Lo leggo volentieri questo filosofo, perché pensa e fa pensare ... Chi glicl'avrebbe detto che avrebbe anche isterilito il pensiero!. .. Egli? .. Distinguo, per sé no; per accidens sì, risponderebbe uno scolastico. S. Ton11naso ha avuto comune con Dante la fortuna e la sventura. Grande coine Dante, come Dante famoso e fecondo; con1e Dante circondato da una rinascente generazione di pedanti, i quali per volerlo comprendere troppo, non lo comprendono pìù. Dante pei pedanti è il mito della poesia, S. Tommaso il mito della filosofia. Che si fa di fronte al 1nito? Si
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adora! Il inito è tutto, sa tutto, ha detto tutto, ha parlato e pensato per tutti; non resta che ricevere tutto, senza speranza che si possa fardiversamente. Questo è il dantis1no, questo è il tomismo; e questo è far della pura esegesi. Ecco la parola che occorre metter in luce: l'esegcsionismo ... Metterla in luce per mostrarne tutto il ridicolo e lo SCIOCCO •.
SCENA V
Maurizio e C~rlo C. Disturbo? M. Carlo non disturba 1nai ... Cosa c'è con quella cera? Cos'è successo? C. Un piccolo pasticcio ... E bisogna correre al riparo. M. Siedi, siedi. Di che si tratta? C. Gino ne ha fatto una delle sue ... M. Ebbene? C. Ha dato dell'asino al professor di fisica ... M. Che non è asino davvero! C. Sarà ... Ma l'alunno ha sen1pre il dovere ... M. Di far il tartufo ... C. No, no, non son cose da prenderle in celia, tanto più che il fatto minaccia di risolversi in tuo danno. M. In nlio danno? C. Odin1i. Fu subito infonnato il preside. Questi chiama il ragazzo, e, dopo d'averlo rin1provcrato aspramente, come recidivo, gli ha intimato l'espulsione dalla scuola per due mesi. Gino ha detto che il castigo era ingiusto, non sentendo d'aver fatto male dando dell'asino al professore perché agì con1e poteva agire, e chi così agisce, fa il bene e sempre il bene. Ha soggiunto esser di ciò convinto per quel che gli è stato insegnato da te ... M. E ha detto bene .. Ha mostrato coerenza e coraggio da 1neritar premio e non castigo. C. Frattanto è stata ordinata un'inchiesta sul tuo insegnamento; e pare che non si sia ben disposti a tuo riguardo. M. Spero di non mostrarmi da meno dcl mio scolaro. C. Sei folle .. Lascianli dir folle. Tu rovini te stesso come hai rovinato la tua classe ... M. Non hai altro da dirmi? C. Ho da ripeterti che bisogna correre al riparo. M. Cioè? C. Ma io non so ... Io però sono convinto, come ti ho detto tante volte, che quella teoria del bene è eccessiva. E parmi sia tempo d'abbandonarla. Tu dunque, quando sarai interrogato, dovresti dire (così io penso}, che i ragazzi non ti hanno con1preso ... M. E poi? C. Poi (s'intende), te1npererai le tue idee .. M. Carlo, non ti dico che mi offCndi, perché so che parli così per errore. C. Ma no, 1na no. So bene quel che dico. Del resto non è !a prima volta .. M. Se insisti, m'offendo davvero .. C. Dunque? M. Dung ue io so che ho una missione da compiere, e ne affronto tutte le conseguenze.
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C. Anche quella di perder la cattedra? M. Anche quella ... C. Do1nani però non ti lagnerai dei colleghi ... M. Non mi lagnerò di nessuno. SCENA VI L'avvocato Eugenio e Detti E. Scusi, professore, ho qualcosa da dirle ... M. S'accomodi, avvocato, s'accon1odi. E. Se il professor permette (rivolto a Carlo). C. Facciano, facciano. Tu però (rivolto a Maurizio) non ti offenderai se faccian10 noi le tue parti ... M. A che prò?
C. E diamine! M. Ma non vedi che non gioverebbe! C. Almeno non ci resterà il rimorso .. M. Lo dici per tentarmi ancora. Io però son fermo. C. Sia pure. A rivederci dunque. M. e C. A rivederci. SCENA VII Maurizio ed Eugenio E. Lo zio desidera parlarle.
M. Ora? E. Ora. M. Vengo subito. E. Devo però prevenirla? M. Di che cosa? E. Che lo zio è un po' turbato. M. Ebbene? ... E. Occorre non contradirlo .. M. Di che si tratta? E. Lei non sa nulla? M. Proprio nulla. E. Stamani entrando nel suo studio, ha trovato la cassa forte forzata. M. Mi vuole per dinni questo? E. Non questo solo. M. Lo zio lo sa che di faccende legali io non mi occupo e non me ne intendo. Cosa vorrà dunque da me? E. Crede che c'entri un po' lei .. M. Come a dire? E. Pare che il furto l'abbia commesso il segretario. M. Alberto? E. Pare! ... Infatti è stato vano aspettarlo e cercarlo. Non si trova. Deve aver preso il volo ... M. Occorre esserne certi ...
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E. Si vedrà. M. Tutti i valori sono stati rubati? E. I titoli no. Sono stati portati via solamente i contanti. E pare che si tratti della bella somma di cinquecentomila lire ... Ma insomma lei vada ... Vada subito .. M. Ma io. E. Cosa vorrebbe fare? .. Non andando, potrebbe far nascere dei sospetti ... M. Oh! per questo .. E. Certamente ... Ma ci son momenti nella vita. Lei intende. M. Io non ho cosa da intendere ... lo non c'entro ... E. Lo zio vorrebbe farcelo entrare per via di quella benedetta teoria del bene ... M. Sì? E. Infatti Alberto ne era infatuato ... M. Allora non vado. E. Io invece le consiglio d'andare. La prego .. E le consiglio di non prendere le parti del segretario .. M. Lo zio 1ni vuol per questo? E. Che so io? M. Ebbene. Se lo zio mi vuol proprio parlare, s,1 dov'è il mio studio .. E. Professore? M. So quel che mi faccio. Non vado. E. Ci pensi un po' .. M. Ci ho pensato abbastanza. E. Io credo che ciò sia un errore .. Un grave errore. M. Sia! E. E me ne lavo le mani. M. Sta bene. E. Dirò dunque? M. Che non posso andare ... SCENA VIII Maurizio solo Sento qualcosa di insolito nel 1nio spirito! Certo che tranquillo non sono ... Cinquecentomila lire ... Diamine! Si tien nella cassa forte tanto danaro!. .. Ma il danaro io non l'ho mai calcolato. Aino mio zio, perché .. 1ni ha fatto sempre dcl bene. Dopo la morte di mio padre, mi ha fatto da padre ... Mi ha promesso la sua eredità .. , Ma io non l'an10 per questo. L'ainerci sempre, anche se regalasse a un altro i suoi nlilioni ... Ma vedi sventura! ... Giusto doveva far questa corbelleria Alberto!. .. E forse non sarà vero ... Certo ... Se il ladro sarà un altro, io non mi dorrò del furto ... Ma nemmeno me ne devo dolere se il ladro è proprio Alberto ... Il ladro! La parola è brutta, perché usata a indicar un male che non c'è, perché male nel mondo non ce n'è. Alberto, se mai, ha fltto un'azione meno buona. Buona però in sé considerata, perché ha fatto quel che poteva in quel inon1ento ... Vero tutto ciò ... Ma ... io non so più sorridere ... Io soffro ... Mi faccio sofferenza; Per questo soffro. E anche questo è un bene, perché è il mio fann;, l'attualità del n1io essere. Cosa succederà? ... Cosa succederà a scuola? ... Cosa succederà in casa? ... Non lo so ... Pensarci è vano, perché il futuro non essendo pre-
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Salvatore Latora sente è nulla ... Ma perché la mia teoria non mi sorride? ... Perché il mio pensiero vorrebbe vederci un male nell'azione di Alberto? Vederci un male? ... Sarebbe rovinare il lavoro di 1nolti anni ... Oh ... sarebbe peggio della morte tornare indietro, tornare alle vecchie teorie del male ... E come potrei sostenere il sogghigno dci miei avversari? .. . Astrazione!. .. Ecco, io ora penso le cose come non sono .. Io gioco d'astrazione .. . Brutto gioco, quando pren1e la verità, la realtà ... Oh! la verità ..
SCENA IX Lo Zio Tonio e Detto T. (Entra sbuffando). Il signore non viene, perché ha da fare .. Al danno, l'insulto. M. Zio! ... T. Non chiamarmi così. Non son più tuo zio ... M. lo però sono e sarò sempre suo nipote ... T. Taci, se non vuoi che faccia uno sproposito. M. Son qui ad ascoltarla. T. Il responsabile del furto sei tu ... Tu ... perché il furto l'ha commesso Alberto .. E l'ha commesso certamente, perché tu gli hai insegnato che qualunque cosa l'uomo faccia, fa il bene. M. Ma se è così. .. T. Taci. Non son venuto qui per sentire i tuoi spropositi. Li conosco abbastanza. Li ho deplorato sen1pre ... Ho sempre detto che avrebbero recato il disordine nella società .. Ecco che ci sia1no .. M. Scusi zio. Lei è tanto ricco. Mi lasci dire .. È indegno di lei perder la pace per un po' di danaro .. T. Sì, sì, son venuto da te per ricevere una lezione di moralità. Sciagurato! .. M. Ma dopo il fatto ... T. Dopo il fatto si cerca il rimedio. E io son venuto per darti i miei ordini. M. Lei parli ... T. Alberto sarà presto catturato ... Ne son certo ... E si farà il processo .. E deve aver la pena che inerita ... Si tratta di furto qualificato ... Tu sarai chian1ato come testimonio .. M. Sta bene ... T. Perché stia bene, tu dovrai far bene la tua parte. M. Ella non ne dubiti. T. lo ne dubito ... Per questo son qui. Divcrsan1ente tu non avresti più veduto la mia faccia. M. Si caltni, zio; per carità ... si calmi ... T. Mi cahnerò quando tu avrai fatto il tuo dovere. M. Io ho fatto sempre il mio dovere. T. Non è vero ... M. Ma sì, che è vero. T. Taci ... Tu avanti il giudice non parlerai della tua teoria ... Tu non parlerai della tua teoria con nessuno, nemmeno coi tuoi scolari, nen1meno nella tua stanza con gli amici .. Tu cangerai filosofia .. M. Non posso ... T. Te lo comando .. M. Lei mi comandi altra cosa ...
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T. Nessun'altra cosa ... Questo solo. Tu al giudice dirai che Alberto non ti ha compreso. M. Oh no, no, assolutamente .. T. Tu mi fai 1norire .. M. Dio guardi! T. Non chiamanni più zio, se non fai quel che io ti comando. Bada. Io te lo comando come se fossi tuo padre ... Te lo comando in nome di Dio ... M. Mancherei al mio dovere, se la ubbidissi .. T. Quando parla il padre, quando parla ... quando comanda in nome della sua paternità ... 111 nome di Dio ... non resta che ubbidire .. M. Anche contro coscienza? ... T. Niente contro coscienza .. M. Non posso .. . T. Non puoi? .. . M. Non posso, perché non devo .. T. Devi ... Obbedisci o ... ti n1aledico .. M. Mi maledica pure!. .. T. Tu mi avveleni la vita .. alla mia età ... dopo il bene che ti ho fatto ... Tu n1i uccidi ... Mi uccidi, scellerato ... Io non so chi oli trattiene ... Io non so che mi faccio ... lo soffro ... Ah! io soffro .. Mi si offusca la vista ... Ahi!. .. ahi! .. Io vengo 1neno ... Ah .. (Si abbandona sulla poltrona svenuto).
ATTO Il (Studio del barone)
SCENA I Lo Zio Tonio e Il Dottor Fedele T. (Sdraiato .Hl d'una grande poltrona) Lei ritiene che questo torpore alla 1nano e alla gan1ba passerà? F. Certamente! T. lo penso ... F. L'a1nmalato non deve pensar troppo, e deve aver fede nel 1nedico .. T. Come si ha fede in Dio? F. Lei celia, signor barone! Buon segno!. .. T. Ma io 1ni sento sempre lo stesso. F. Non è vero. Lei migliora se1npre .. Non comincia a articolare la mano? T. Appena ... F. È già 1nolto .. T. Ma son passati due mesi! .. F. Che le pare!. .. Aver lasciato il letto, e cominciar a muovere le parti offese dopo quel colpo .. È molto, barone mio; mi lasci dir n1olto. Coi suoi settant'anni, se lei non avesse avuto la fibra che ha .. T. Sarei morto, vuol dire ... F. Non parliamo di 1norte. Lei ha reagito coine un giovane .. E lei si rimetterà del tutto ... e vivrà molti anni ancora ... Gliene do fede ... e gliene faccio l'augurio ... T. Grazie, dottore ... Ma ho un certo presentin1ento ... F. Ora mi fa il superstizioso ... Via, via ... Appena l'aria si sarà un po' raddolcita, andrà in
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ca1npagna ... Vedrà che miracoli sa fare l'aria dei boschi .. T. Nei boschi! Così lontano!. .. E se farò una recidiva? .. F. Non farà recidive, glielo assicuro .. T. Non mi sento il coraggio ... F. Ma scusi! Coi nuovi mezzi di trasporto che ci sono più distanze? T. La inia automobile, che è delle più rapide, impiega un'ora dalla mia villa alla città. F. Vuol dire la terza parte di tempo che v'i1npiegava la carrozza. T. Bella ragione!. .. Come se in due ore, tra il venire a prendere il medico e il tornare, uno non possa morire dieci volte! F. Lei mi ffputa ancora, più che medico, amico? T. Oh! per questo! F. Ebbene sappia che Fedele è disposto di tenerle compagnia .. T. Se viene lei tutto è accon1odato ... Ma io non vorrei recar danno alla sua professione ... F. Che danno? T. Lei abbandonerebbe i suoi clienti .. F. Per un malato co1ne il signor barone, si abbandona tutto, si perde tutto se occorre. T. Lei mi confonde ... F. Oh! che non son l'amico! T. Sì è vero .. Ma, dice il proverbio che agli amici si don1anda il giusto .. F. Senta, barone .. Io non son più giovane ... Ho corso la mia carriera con diligenza e a1nore; ho molto guadagnato ... e, modestia a parte, bene ne ho fatto. Ora 1ni tocca il riposo .. Non l'inerzia, perché, grazie a Dio, son ancora forte; ma un certo riposo. Infatti io non faccio più tutte le visite che mi occorrono ... Ho i 1niei a1n1nalati ... E potrò ancora li1nitarne il numero ... Del resto un po' di villeggiatura farà bene anche a me .. T. Quand'è così, accetto senz'altro ... F. Però, se lei permette, vorrei porre una piccola condizione .. T. Tutte le condizioni.. Dal dottor Fedele non posso temer sorprese .. F. E se la condizione che vorrei porre, fosse una sorpresa? T. Purché non sia eccessiva F. Oh! per questo!. .. T. Dunque? F. Dunque, io vorrei pregarla che con noi venga anche .. T. Maurizio? F. Precisamente .. T. Ha lei dimenticato che sono stato sull'orlo del sepolcro proprio per Maurizio? F. Senza sua colpa però .. T. Senza sua colpa? F. Vogliamo dire che Maurizio abbia cotnmesso una colpa? T. Altro che colpa! Una gran colpa! F. L'ha però espiata .. T. Non ancora .. F. Senta, barone ... Io ho fatto del mio n1eglio per salvarla ... Ci ho messo tutta l'anin1a mia ... T. Vegliando al mio capezzale giorno e notte per due intere setti1nane ... Le devo la vita ... Lo so ... e spero ricordarmene sempre ... F. Però se non fosse stato per Maurizio, l'opera mia non avrebbe avuto tutto il suo effetto ..
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Maurizio ha bene espiata la sua colpa ... T. Ha fatto il suo dovere ... F. Verissin10 ... E se non l'avesse fatto? .. Se l'avesse abbandonato su quella poltrona ... se non l'avesse accudito co1nc una 1nadre ... meglio d'una madre ... Senza un infermiere a1noroso e intelligente, il tnedico non val nulla .. T. Pure io non lo posso perdonare ... Sento che non lo posso .. che non lo devo ... F. Noi, barone stimatissi1no, non abbiamo certe idee ... Noi, grazie a Dio, sia1no uomini all'antica ... siamo cristi,1ni credenti e praticanti ... Non dician10 noi ogni giorno a Dio: Rirnetti a noi i nostri debiti, come noi li ritnettia1no ai nostri debitori? T. Sì, a patto che noi ci pentiamo e che i nostri debitori si pentano ... F. Maurizio s'è pentito .. Se not-i si fosse pentito, non avrebbe fatto per lei quel che ha fatto ... T. M'accorgo che lei non conosce il seguito .. F. Forse non lo conosco. Non ero presente quando lei, a inisura che ricuperava l'uso delle facoltà percettive, mostrava di non gradire l'assistenza di Maurizio? ... E quando fu invitato di allontanarsi, non disse a lei e a noi che aveva inteso di co1npiere il suo dovere di nipote grato e affezionatissimo; pronto a tornare al capezzale dello zio a un nlinimo cenno del 1nedesimo? T. Non è questo il seguito di cui io parlo ... Lei in quei giorni stava a letto con l'influenza. Io dunque ritnesso un po' 1neglio, volendo interpretare l'atto di Maurizio col 1nigliorc ottimismo, gli mandai a dire che poteva tornare a casa n1ia, a condizione però di non portar con sé le sue utopie filosofiche. Sa lei che cosa mi fece rispondere? I~. Che cosa? T. Il solito ritornello. F. Ci0è? T. Che non poteva .. via .. via .. Non parliamo più di lui, non ci pcnsian10 più ... È fatale! Sa Dio se ciò mi pesi ... Dopo d'avergli fatto da padre, dopo d'avergli dato una professione onorata e avergli promesso tutti i miei beni ... vederlo ostinato a far cosa che io disapprovo ... perché in1morale; che, perché im1norale, n1i fa dispiacere ... profondo dispiacere ... Ahi, caro dottore, ciò offende Dio e offende me .. F. I filosofi son tutti folli, chi più chi meno ... E bisogna co1npatirli. ll suo torto, scusi se le parlo di torti, fu d'avergli fatto studiare filosofia. T. Non dica questo, per carità .. La filosofia è sapienza ... F. In idea .. T. In idea e ... nel fatto .. Quella di Maurizio però non è una filosofia, tna .. un'utopia .. F. Innocua però ... Chi vuol che prenda sul serio gli utopisti? T. Pure del male ne fanno .. F. Sulla lor coscienza .. T. E passi questo. Se Maurizio non avesse il dovere d'obbedirn1i, potrei lasciar correre .. F. Vuole che faccia una profezia? T. Sentia1no la profezia ... F. Nessuna utopia dura a lungo ... Voglio dire: dura tanto, quanto dura il suo nutrimento .. Si cessi di prenderle sul scrio, e tutte le utopie cadranno da sé. Faccia così con Maurizio. T. E la mia parola? F. Sia vinta dalla sua generosità.
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T. Se non fossi il barone delle Pietrenere forse .. F. Ma il barone delle Pietrenere è anche zio ... e padre T. Un ragion di più di tener fern1a la parola ... Dottore, io son già stanco ... e anche commosso ... Io comincio a soffrire ... F. Non se ne parli più ... Spero che non mi voglia male per aver insistito. T. Si rassicuri ... Comprendo bene che lei parla per affetto .. F. Per affetto certamente. T. Con lei non faccio mistero .. La mia decisione è presa ... F. Cioè? T. Di donar i miei beni all'ospedale ... F. Per carità, barone, non dia questo passo ... Solo le montagne non s'incontrano ... T. Maurizio è peggio di una montagna ... Il notaio è già avvisato ... Verrà fra qualche ora ... Certo, non sarò io a pentirmi ... Se poi lei non mi accompagnerà .. rinunzio alla villeggiatura ... F. Oh! no .. lo l'accompagnerò di sicuro .. T. Senza condizioni ... F. Per farle piacere. T. (Si leva, appoggiandosi a Jtn bastone). Passo di là .. a prendere due boccate d'aria nella terrazza. F. L'acco1npagno.
SCENA II L'avvocato Eugenio solo (Posa un fascio di carie sul tavolino) Che cervelli irriducibili! .. per così poco! ... per una teoria che non si regge! Il barone l'ha preso sul serio ... e troppo sul serio l'ha preso il professore! Ma io do più torto al pri1no che al secondo ... Sciocchezze ne dicono tante i filosofi! A prenderli sul serio, ci sarebbe da battagliare tutti i momenti ... Il meglio sarebbe trattarli come i poeti. Sognatori gli uni e sognatori gli altri ... Sicuro! Nel n1ondo non c'è che il bene! ... Ci si viva nel inondo, e si vedrà l'effetto ... È con1e dire che nel mondo non c'è che il soggetto ... il pensiero ... Quando uno va a tavola ... mangia il pensiero! Quando uno è n1alato, lo guarisce il pensiero!. .. Quando viaggia, il treno è pensiero!. .. Tant'è ... il barone s'è impuntato a fJr atto di donazione dei suoi n1ilioni all'ospedale ... Che corbelleria!. .. Io ho dovuto prendere l'atto ... e i documenti ... avvisare il notaio ... E quello sciocco di Maurizio lì duro come un n1acigno ... Se ne accorgerà ... quando non ci sarà più rimedio ... Io non ho rimorsi. Son l'avvocato del barone .. Ma son l'anùco di tutti. Fiato sprecato.. S'è lasciato destituire da professore per !a sua scin1unitaggine .. quando con nulla poteva uscirne bene! E si era così ben disposti verso di lui. E quello, no ... E crea lui lo scandalo, quando si rivolta contro chi lo avrebbe potuto salvare .. inveendo, esagerando ... Credo che più stupidi di così non si possa essere ... Missione! egli ha una 1nissione!. .. Deve riformare il n1ondo, dando ragione a tutti i birboni che fanno il male, perché son birboni, e che, per lui, fJnno il bene!. .. Bel concetto che ha Maurizio del bene!. .. Ma ... lo son qui ... a far il 1nio dovere ... Il barone non pensa che ha il pié nella fOssa ... Deva anche lui posare a salvamondo ... La sua parola! Ne dicono tante parole i parenti!. .. E poi ... ci sono tanti 1nodi d'uscirne bene. Ma egli no ... Egli,
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direbbe Manzoni, è della rea progenie degli oppressori ... cui fu prodezza il numero, cui fu ragion l'offesa, è dritto il sangue, è gloria il non aver pietà... Non aver pietà d'un povero giovane, che ha perduto il posto, che è vittima d'una illusione!. .. lasciarlo sul la.~trico ... per ... una bagattella) .. avvelenarsi la vita ... una vita che sta per spegnersi, per mostrarsi forte ... Come è curioso il mondo!. .. Sì, sì Io zio aggiusterà le storture del mondo col diseredare il nipote; questo le aggiusterà insegnando ai birboni di far più aliegran1ente il male, persuadendoli che anche le birbonate son bene ..
SCENA In Carlo e Detto C. Scusi avvocato, io vorrei tentar l'ultima prova ... E. E con chi? C. Col barone ... E. Provi pure ... C. Non s'è ancora alzato? E. Mi han detto che è nella terrazza col dottore. Occorre aspettare un po' .. Ma non sarebbe stato meglio tentarla con Maurizio l'ultima prova? C. Vengo di là ... E. Ebbene? ... C. Maurizio non cede. E. Crede lei che cederà il barone? Il notaio è stato già avvisato. Fra pochi momenti sarà qui .. C. Che importa? Non si ottiene spesso in un momento, ciò che non si ottiene in più anni? E. Lei mostra di non conoscere bene ll barone. C. Co1nunque ... Io amo assai Maurizio ... Che mi può toccare? Una ripulsa? Cos'è unaripulsa, quando ci tocca per far del bene agli amici? .. 1-:lo poi fatto venir Don Cletnente, al quale il barone ha fiducia ... Jer sera, appena arrivato, abbiamo preso certi accordi ... Ci conto con1e l'ultima ratio .. Si tratta d'una pietosa tnenzogna che lui chian1a restrizione mentale .. E. Di far credere al barone che Maurizio finalmente abbia ceduto? C. Non questo, ma che si è sul puntO d'ottenerlo. E. Che cosa se ne caverebbe? C. Un differi1nento della stipulazione del contratto ... E. E poi non si sarebbe daccapo? ... C. Eh! caro avvocato, non sempre si vince affrontando il nen1ico, e spesso giova più il temporeggiare ... Fabio è passato nella storia come c11nctator. Frattanto non si potrebbe 1nandar l'itnbasciata? .. E. Noi consiglio .. Benché la malattia l'abbia un po' don1ato, pure in fondo, è sempre quello ... sempre il barone delle Pietrenere ... che quando ha parlato ... non si deve più interloquire ... C. E se viene il notaio? E. Che ci si fa? .. Occorrerà rassegnarsi ... Benché poi io creda che anche alla presenza del notaio si potrà tentare ... So bene che nemmeno il notaio è contento di stipular questo contratto ...
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C. Sfido io! È così odioso! .. Se dunque riuscire1110 nel nostro intento, io ho un'altra ragione di sperar bene .. E. Come a dire> ... C. Crede lei che Maurizio persisterà a lungo nella sua utopia? .. E. Lo credo perché è nipote di suo zio, ostinato con1e lui, convinto anche egli che i signori non debbono mai essere ragionevoli, quando hanno preso un partito .. C. Però Maurizio è filosofo .. E. Sarebbe forse meglio d;r·e che è la negaz;one della filosofia .. Eh ... diamine! ... Qumdo uno sostiene che non c'è male in questo mondo, dove la quantità del tnale vince di 1nolto la quantità del bene, non è più il caso di parlar di filosofia .. C. Pure non è così. E in fondo io credo che Maurizio abbia ragione. E. Lei crede questo? ... Sul scrio? C. Io credo che la vera utopia sia l'idealisn10. E. Lo credo un po' anch'io ... Però visto che questo siste1na si affern1a un di più che un altro, e visto che ora lo sostengono un Croce e un Gentile, che, si dica quel che si voglia, son grandi ingegni, bisogna convenire che non debba esser quella sciocca cosa, che noi dilettanti crediamo. C. Ma è proprio Croce che dice che nel giudizio storico non c'è che bene, mentre quel che chiamia1no male, è se1nplicemente un bene meno bene, un bene in rappòrto al 1neglio. Secondo lui, storica1nente, Abele non val più di Caino, la vitti1na non val più del' carnefice. E. Possibile! C. Altro che possibile! È un fatto. Gentile poi dice che l'uomo non fa che il bene, perché non può ffire il male .. E quando fa il male, non io sa, e non lo sapendo, non fa vera1nente il rnale .. E. Ecco. Noi abbia1no il torto di giudicar gli uomini, senza conoscerli bene .. C. È il difetto degli italiani, che non amano troppo le cose serie. E. E io, per essere serio, non dirò mai che il professore abbia ragione, come un po' dice lei. C. Io però non lo dico affermando, n1a spiegando. E. Non co1nprendo. C. Maurizio ha il torto di profCssar l'idealisn10. Una volta accettato questo sistetna, ha ragione, cioè, è coerente, accettandone tutte le conseguenze .. E. Non so che dirle, perché non me ne intendo troppo .. C. Ed è così ... A1n1nesso che non ci sia un oggetto reale del conoscere, e che tutta la realtà sia il soggetto, questo, agendo, non deve poter fare che il bene. E. Sia pure. Il fatto sta, che egli si è rovinato ... e che noi ci adoperiamo invano a salvarlo da questa nuova sciagura.
SCENA IV Il Dottore Fedele e Detti E. Il barone? F. È rimasto di là ... Passerà appena sarà venuto il notaio. C. Non si potrebbe chiamarlo prin1a? F. Credo di no, perché ha detto di non voler esser disturbato. C. Non si potrebbe tentare?
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F. Nol consiglio .. E. Il professor è venuto per tentare l'ultima prova. C. Sicuro, io vorrei .. lo spero .. P. L'ho tentato io l'ultima prova .. e non sono riuscito a nulla .. C. Pure .. F. E mi pento d'averla tentata, perché il barone s'è un po' turbato ... Coi suoi anni e col suo 1nale, nessuna sorpresa ... E ora io, da medico, dico che non bisogna più toccare questo tasto, se non si vogliono assumere delle responsabilità .. C. Quanto 1ni rincresce! Però, scusi se insisto, io ho ragion di credere che la mia parola non lo disturberebbe .. E. Lo credo anch'io .. F. Qual sarebbe, se è lecito, questa parola? .. C. Io vorrei ottenere un differimento .. Questo e non altro .. F. Lei forse non conosce bene l'indole del barone ... C. La conosco un po' .. F. Allora sarà 1neglio non far nulla .. SCENA V D. Cle1nente e Detti D. CL. Non so se arrivo a tempo. C. Lei arriva proprio a tempo ... Dottore, senta un po' il nostro Don Cle1nente, e vedrà che qualcosa c'è ancor da tentare. F. Ma io non c'entro. E. C'entra co1ne inedico ... E lei riconoscerà che la parola di Don C!en1ente, se non otterrà l'effetto desiderato, non otterrà certan1ente l'effetto te1nuto. F. Sentian10. C. Scusi se comincio io ... perché son io che ho chiatnato il nostro amico, che, cotne sacerdote, ha, aln1eno, pel barone, una particolare autorità ... F. Per indurlo a cedere? C. Non dico questo ... Dunque iersera, appena sceso dal treno, ho detto a lui di che si tratta. Tutto visto e considerato, egli ha sicura speranza che Maurizio cederà finalmente. F. Caro signore, il barone non è disposto a credere al fUturo ... A lui bisogna dire che Maurizio ha ceduto .. Se questo non gli si può dire, non gli si deve dir nulla .. D. CL. Noi gli vorremmo dire una terza cosa .. E. Che sorride anche a me ... F. Parli dunque .. D. CL. Gli vorremmo dire che siamo sul punto di trionfare dell'ostinazione del nostro Maurizio .. e che, per riuscirci, ci occorre qualche altro giorno di lavoro ... C. Come vede, non si tratta che di ottenere un differi1nento. F. Quand'è così, io, da parte inia, 11011 1ni oppongo, perché penso che ciò non disturberà l'an1malato, o, alineno, non lo disturberà troppo. D. CL. Sia lodato ìl Signore .. F. Purché, se il barone non cede, non s'insista .. L'insistere lo irriterebbe .. e lo turberebbe. E. Io penso che occorre metter ogni cura a prensentar bene la proposta ... C. Precisamente ... Ma non sarebbe meglio che D. C!en1ente entri dal barone, e gli parli a
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solo? .. Lei, dottore, non vorrebbe provare? ... Il signor barone ha tanta venerazione per lui ... F. Penso che sarà 1neglio aspettare ... D. CL. Aspettian10 dunque ... C. Ridotto l'affare a questi tennini, fOrse la inia presenza si rende inutile ... E. Inutile no .. F. E ... forse sì. .. Il barone potrebbe vedervi eccesso d'apparato ... C. Precisan1ente ... F. Invece restando solainente noi: io che sono il medico, lui, che è l'avvocato, e lei che è il ministro di Dio, non avrebbe da preoccuparsi ... E. L'osservazione è giusta ... Io infatti sono aspettato, è necessario; di lei non si discute, perché vien di là ... La novità sarebbe sola1nente il prete ... Questo è un amico ... che lo assistette nei giorni del pericolo ... del quale il barone ha setnpre parlato ... l'ha anche desiderato. C. Allora io n1i ritiro ... Sarò presente in ispirito ... e attenderò con trepida confidenza ... Arivederci dunque ..
SCENA VI Tutti gli altri meno Carlo E. Com'è noioso aspettare! .. D. CL. E nel caso nostro anche triste! F. E non si è buoni a nulla, nemmeno a leggere .. E. Proprio così.. D. CL. Pure se ci verrà fatto di piegare l'animo del barone, non ci saremo annoiati invano. F. Anzi ... E. Io non mi so dar pace come il barone l'abbia preso tanto sul serio ... Sicuro, il furto fu comn1esso proprio per la teoria del bene ... Dice il proverbio che l'occasione fa_ l'uomo ladro ... F. Come c'entra qui l'occasione? E. C'entra benissin10 ... perché s'è trovato che la cassa forte non fu forzata, ma aperta con le sue chiavi, che il barone, per diinenticanza, lasciò attaccate alla stessa ... D. CL. Possibile! E. Non possibile, ma vero ... L'ha riconosciuto lo stesso barone ... Ma mi ha imposto di non parlarne ... E io non ne ho parlato ... Se ora n1'è venuto detto, so che lor son prudenti .. F. Oh! per questo .. E. Io son l'avvocato del barone, e fo il mio dovere ... Ma non approvo le sue idee ... Meno di meno le approvo in questo triste fatto .. Ora il ladro ha varcato la frontiera e s'è messo al sicuro ... Le spese le pagherà il nipote ... il quale, si dica quel che si vuole, non fa inale a nessuno sognando una nuova era nel n1ondo. F. L'era del puro bene!. .. Ah! ah! C'è da ridere! .. E. Egli è convinto che predica un nuovo vangelo ... Già tutti i filosofi son come lui ... Meno male che nessuno Ii prende sul scrio ... Se non ci fosse stata di mezzo la faccenda del furto, il barone anche lui avrebbe lasciato correre, come aveva fatto per tanto tempo ... F. Lasciato correre veramente no .. E. Inso1n1na, pure dissentendo e disapprovando, in ultimo non aveva detto una di quelle parole che per lui son legge.
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D. CL. Se non dispiace, io vorrei passare nell'antisala a recitare un po' di breviario. F. S'accomodi pure. E. Io invece la pregherei di non abbaàdonare il campo d'azione ... È sempre meglio trovarsi pronti ... Se il barone entrasse, certo noi non la potremmo chiamare, per non gli dar l'impressione d'una pietosa congiura ...
D. CL. Eccomi dunque ... E. Ma, santo Dio, lei che viene di lontano non ha nulla da raccontarci per renderci meno noiosa l'attesa? ... D. CL. Quando si è nelle nostre condizioni, non si è buoni nemmeno a far delle chiacchiere ... Par che il pensiero si spenga ... F. Proviamoci di accenderlo ... E. Proviamo. D. CL. È come dir «State allegri» quando si ha la mestizia nel cuore ... F. È un fatto. D. CL. Crede lei che il barone guarirà? F. Eh caro D. Clemente! c'è il guaio degli anni. Io poi temo che la stipulazione dell'atto, se non si ottiene il differimento, che forse non si otterrà ... io temo che gli debba cagionare una forte commozione ... La cagiona anche a me al sol pensarci ... E. Noi siamo spettatori d'un dramma tanto grave quanto sciocco ... E non n1i so dar pace. F. Nemmeno io. E. Prender così sul serio la cosa più innocua di questo mondo! Ci penso e ripenso, lo dico e lo ripeto ... Per me la filosofia è come la poesia ... i filosofi come i poeti ... D. CL. Io invece ritengo che il barone non prende troppo sul serio la filosofia di Maurizio. Non si tratta di principi per lui, così io penso, ma di fàtti ... Ritengo però che la filosofia non sia così innocua, come crede lei ... F. La credo innocua anch'io. E. Il fatto è che pochi si occupano sul serio di quelle questioni difficili e forse insolubili ... D. CL. Pochi fanno della filosofia scienza, tutti fanno della filosofia vita. E. Benissimo! Per questa seconda però basta il solo bonsenso ... F. Perfettamente. D. CL. Mi permetto di dissentire ... I filosofi creano le teorie, i poeti le volgarizzano, l'umanità le riceve ... E tutti viviamo di una qualche filosofia. E. Per lei dunque ci son uomini che vivono seriamente secondo l'idealismo. D. CL. Ce ne sono assai più che lei non crede ... F. Ci son uomini che nella pratica credono che tutta la realtà sia pensiero? No, caro D. Clemente, oh, nella pratica no! E. Ci crederei, se li vedessi mangiar pensiero, viaggiar col pensiero, combatter col pensiero ... Insoinma se li vedessi sognar sempre ... D. CL. Il loro pensiero è la nostra realtà. F. E allora? .. D. CL. Allora essi ammettono la realtà pensiero, la quale esclude ogni trascendenza. E quindi negano l'anima, Dio, la vita avvenire ... E con ciò fanno il peggior male ... E. Ma no, ma no, essi non negano Dio ... Anzi pretendono di conoscerlo e onorarlo meglio degli stessi preti ... F. Non alziamo troppo la voce ... Il barone ha una sensitività eccessiva, come tutti coloro
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che soffrono del suo male e forse più .. E. Ha ragione ... l'argomento mi appassiona già. F. E le fa passar la noia ... Ma si può appassionarsi, senza gridare ... D. CL. La qual cosa non è molto facile .. E. Dunque appassioniamoci a voce bassa.
F. Lei ora fa dello spirito! E. Passiamo il tempo. D. CL. Sa lei cosa onorano gl'idealisti, quando dicono di onorar Dio? E. Cosa onorano?
D. CL Nulla. F. Nulla!.. D. CL. Nulla di oggettivo, nulla di veran1ente reale, nulla di veramente esistente fuori di noi ... Essi onorano una lor fantasia. E dicon così: Il pensiero pone Dio e l'adora ... E subito dopo, lo nega perché Dio non c'è. E torna a porlo, e torna a negarlo senza fine ... E. Se è così, son matti. F. Ovvero giocano ... Chi li segue in questo gioco? D. CL. Coloro che non pescano troppo a fondo .. E. Ma è proprio così? ... Parmi incredibile .. D. CL. Proprio così no, perché al pensiero si mescola il sentimento .. La lor religione, in ultin10, è un sentimento ... E. Un sentiinento di che cosa? .. D. CL. Un sentin1ento tnistico ... Il quale è possibile, perché Dio c'è realmente e perché l'uomo realmente dipende da Dio, è così legato a Dio, che anche negandolo, non può non sentirne la dipendenza .. F. Dunque in fOndo credono al vero Dio ... D. CL. Questo in fondo lo diciamo noi ... Essi son atei, né più né meno. Son atei come i materialisti, benché per altre ragioni, e creano, come i prin1i, anzi hanno creato, una generazione di atei, che, in ultin10, giura in verba magi.ari. E. Comincio a darle ragione ... Ma così lei non sostiene la causa di Maurizio, anzi la combatte .. D. CL. No, io non sostengo la sua causa, in quanto causa di una filosofia, perché non posso né devo .. lo sostengo la sua causa nei rapporti con lo zio ... F. Se però il caso della filosofia è quello che lei ha detto, il barone avrebbe ragione a pretender dal nipote obbedienza. E. E io quasi sento scrupolo di aver prestato l'opera inia ... D. CL. Meno male che ci ha messo il quasi .. E. Ho detto così per dire, per esprimere tutta la mia sorpresa ... lo m'ero ostinato a credere che fosser due cose distinte e separate la vita e la filosofia .. E ora m'avvedo .. D. CL. Che sono una cosa sola. E. Precisamente. F. Certe cose si dicono, non veramente perché se ne è convinti, ma perché si usa dirle ... L'uso o moda che vogliamo dire, influisce anche sul pensiero ... D. CL. E come!. .. Però, quanto alla filosofia ora veramente se ne parla in altro 1nodo. Loro certamente conoscono le opere di Benedetto Croce ...
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E. Io veramente no ... F. E nemmeno io .. D. CL. Ebbene, questo filosofo sostiene, e a ragione, l'identità di storia e filosofia ... F. Ma se la storia è il fatto e la filosofia l'idea!.. E. Lei approva questa teoria dcl Croce? .. D. CL. Non è tutta sua, né, com'egli la fonnula, si può accettare senza distinguere ... E. Sicché? D. CL. Tolto di mezzo il presupposto idealistico, non solo si può, ma si deve accettare .. F. Cose difficili! D. CL. Non tanto. Non abbiatno detlo che la filosofia e la vita non son due cose distinte e separate? .. Ma la vita cos'altro è, se non la storia? E. Già, l'abbiamo detto, ma ora m'avvedo che la cosa non è così chiara, come credevo. D. CL. Si fa però chiara, se si considera che non c'è fatto uinano senza idee, nè idee senza fatto u1nano ... La società presente, in prevalenza è naturalista. Se ne può dubitare?
E. No. D. CL. Co1ne divenne .naturalista, se prin1a era cristiana? E. Co1ne? D. CL. Per la via della filosofia-storia e della storia-filosofia. F. Non sarebbe questo un circolo vizioso? E. Parrebbe anche a me. D. CL. Niente circolo. Il naturalis1no o umanesin10 fu una teoria efficace, perché fu una storia, perché ogni teoria è storia, ed è tanto più efficace, quanto meglio è vissuta, cioè, quanto meglio è storia. La storia fa la storia, perché la storia è storia di idee e perché le idee son l'anima di lutto l'u111ano agire che è storia ... F. Lei dice cose magnifiche ... Ma ci vuol del tempo e dello studio per coinprenderle a dovere. Intanto il tempo passa .. E. Ne è passato fin troppo. D. CL. Veran1ente. E. Il notaio non si vede .. F. Né il barone si fa vivo. Quasi comincio a preoccuparmi ... D. CL. Ma via .. veda un po' ... Pel 1nedico poi non ci son consegne da prendersi alla lettera .. E. Via, dottore, provi .. F. Proviamo (passa di là). D. CL. Con le idee, quando son vere idee, frutto di vera convinzione, i fatti non giovano; tan!o meno giovano i fatti violenti. Il barone ha fatto 1nalc a impuntarsi ... Av~ebbe dovuto seguire il mio consiglio ... e lasct"ar la cura al tempo e al ragionamento degli a111ici ... Non dico che ci si possa contar troppo ... ma è la sola via .. F. (rientrando agitato) Vengano, vengano subito. Per carità ... vengano.
SCENA VII Il Notaio solo Arrivo con 111olto ritardo ... Ma sento d'arrivar troppo presto ... Certe cose non si vorrebbe farle ... Son tanto odiose ... (posa delle carte sul tavolinetto) .. Nessuno!. .. Pure dovevo essere aspettato ... Del resto se si è mutato parere, tanto meglio ... Mutato parere!
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Salvatore Latora lo non so che cosa darei per non far quest'atto ... Ma il barone non è uomo da mutar parere ... Quando ha presa una decisione, è più saldo del macigno ... Egli dice che è la sua educazione ... È la leggenda della sua nobiltà ... Contar sulla nobiltà a questi chiari di luna! ... Sui diritti della nobiltà... che dà il sangue bleu! ... Buffoni!. .. Si sacrifica l'unico nipote per un puntiglio ... Bella cosa lasciar la roba all'ospedale ... Quando però non ci sono eredi ... O, se mai, far un po' l'uno un po' l'altro. Far come diceva Salomone: Dividatur infans.:. Però non ho da aver rimorsi ... La parte mia l'ho fatta ... sino a parere importuno ... Ma quell'altro sciocco del nipote ... E diamine! ... Allo zio si può benissimo dire una menzognetta ... Non casca il mondo ... Quello no ... più macigno dello zio ... Del resto nipote dello zio ... Nobile anche lui ... anche lui sangue bleu... E poi pretende di far il filosofo!. .. Alla malora i filosofi che ignorano la pratica della vita!. .. Non si fa vivo nessuno ... Forse sarebbe bene piantarli lì ... e buona notte ... lo quasi mi decido ... Se poi perdo un cliente ... confondersi? Manca piuttosto il tempo che i clienti ... No ... non viene nessuno .. Nessuno ... A rivederci dunque.
SCENA VIII Fedele e Detto F. Oh notaio mio, oh .. oh ... N. Cos'è accaduto? .. . F. Oh! oh! il barone ... è morto ... E. È morto! ... F. Mentre aspettavamo lei, gli è venuto un nuovo accesso ... Povero barone! N. Povero barone! ... Ma io quasi ci vedo la mano di Dio.
ATTO III (Lo stesso studio)
SCENA I Carlo ed Eugenio
E. Dunque dobbiamo far l'inventario? C. Precisamente. E. Se mai, l'avremmo dovuto fare subito dopo la morte del barone ... C. Pare anche a me. E. Invece questi sei mesi li ha passati a Roma, senza farsi vivo nemmeno per lettera .. Oraritorna improvvisamente e dà degli ordini, che, secondo me, nascondono un mistero. Possibile che a lei, quando, in sul partire, lo creò suo procuratore, non abbia detto nulla circa l'inventario? C. Nulla!. .. Mi disse solamente che la casa, dopo la catastrofe dello zio, gli sembrava troppo triste ... che il suo spirito era troppo turbato ... che aveva bisogno di dimenticare ... di riaversi ... E credo non aveva torto: troppe co1nn19zioni aveva sofferto ... troppe scosse .. . E. Tutto ciò è vero! Ma, essendo egli l'unico erede .. erede senza contestazioni, a che serve l'inventario? ... Dopo sei mesi a che serve? C. Lo vedremo ... Ora occorre mettersi all'opera subito, perché dice che ha fretta di ripartire ...
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E. Ah! Vuol dunque ripartire subito!. .. C. Così mi ha detto l'altra sera, appena arrivato. E. E non le ha detto altro? C. Null'altro ... Non mi ha parlato di nulla nemmeno ieri ... È come chi ha un pensiero che nasconde anche a se stesso ... E. Non le ha parlato nemmeno di filosofia? C. Nemmeno ... Sapendo che questo è il suo debole, io gli ho rivolto qualche domanda ... Mi ha guardato con certi occhi profondi ... come chi mira a qualcosa di vago e lontano ... ha tentato di sorridere ... E poi ... nulla. E. Chi sa che non senta rimorso della morte dello zio!. .. C. Forse no ... Conosco abbastanza l'uomo ... È però possibile che il riveder il palazzo che fu dello zio .. e che ora è freddo come una tomba, lo abbia turbato ... E. Dunque mettia1noci al lavoro. C. Che non sarà troppo difficile, perché il barone fu un ainministratore accuratissimo ... né io in questi sei 1nesi sono stato ozioso .. Occorre cominciare dei crediti: così mi ha detto ... E. Ecco il libro dei crediti ... Vuol dettare? C. Un momento ...
SCENA II Maurizio e Detti M. A che punto siamo? C. Caro barone, siaino appena al principio. M. Lascia i titoli e... chiamami sempre Maurizio ... Del resto questo titolo l'ho per caso, con1e per caso ho questi beni ... E. È stato però un caso provvidenziale ... M. Sia ... sicché ancora non s'è fatto nulla!. .. C. Sono appena le otto.I. .. M. Le otto? ... Si vede che ho preso un abbaglio ... Ma non è nulla. Lavoreremo in tre .. . E. Perché darsi questa noia? ... Avrà tanto altro lavoro. Basterà che torni fra qualche ora .. . C. Sicuro ... Fra qualche ora. M. C'è un lavoro che non posso far che io .. Vuoi prendere il registro dei crediti? ... C. L'avevamo già preso ... Eccolo. M. Leggi. C. Vincenzo Tronchi .. Deve ... OJianto deve? ... Ah ... ecco ... lire cinquemila. Luigi Alfonsi ... Deve ... lire mille ... Amedeo Frustolo ... lire ottotnila ... Rocco Nazzotti ... lire ventimila .. Sebastiano Cenci ... lire novemila ... Saverio Tuminello ... lire quindicimila ... Stefano Corbaccio ... lire duemila ... E basta ... M. In tutto? C. In tutto ... Cifra tonda ... Cinquantamila lire. E. Una bella sommetta! .. . M. Perché non hanno pagato? .. . C. Perché ... non hanno potuto .. . E. Io volevo procedere ... ma il nostro professore non l'ha permesso. senza prima sentir lei ... M. Con gli atti coattivi che avrebbero pagato?
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E. Sicuramente! C. Però ricorrendo agli usurai .. M. Son buona gente? E. Oh per questo! C. Tutta gente di casa ... che lavora i tuoi campi da n1olti anni con fedeltà e diligenza .. M. Ma i campi rendono ... E. Veramente in questi ultimi anni ci sono state molte contrarietà ... Grandinate insolite e rovinose ... crisi di commercio ... qualche incendio ... C. Gli incendi veramente non li hanno danneggiati pervia delle assicurazioni .. Tutto sommato ... sarà bene concedere delle dilazioni ...
M. Delle dilazioni?! C. Insomma, noi aspettiamo gli ordini .. E. Che eseguiremo puntualmente ... M. Ecco gli ordini: Si diano a tutti senz'altro le quietanze .. E. Puramente e semplicemente? M. Né più né meno. C. Fai davvero un bel gesto ... degno d'un gran signore .. Maurizio, lascia che ti esprima tutta la inia ammirazione .. E. L'ammiro anch'io ... M. Non faccio che eseguire in parte la volontà dello zio, che tutto avrebbe dato all'ospedale, se ne avesse avuto il tempo ... A mo1nenti verrà il notaio ... Ditegli che stenda subito gli atti, perché voglio finnarli in giornata ... Voi frattanto potete passare di là, dove continuerete il vostro lavoro .. e dove riceverete altre comunicazioni.
SCENA III Maurizio solo Le ricchezze non mi seducono .. Non mi hanno sedotto mai .. Son venute quando io m'ero già rassegnato alla miseria ... quando per compire il dovere ero andato incontro alla destituzione e alla diseredazione ... Devo reputarle come non mie ... Carlo e l'avvocato sono rimasti sorpresi dalla mia liberalità ... Ma ... cosa son cinquantamila lire, quando la sorte mi ha mandato parecchi 1nilioni! ... Con quella buona gente parmi d'aver fatto ... come a dire ... un dovere ... Le mie vere ricchezze ... quelle che ho sempre amate con tutta l'anima mia, sono ... il mio pensiero ... Pel pensiero son uo1no ... pel pensiero vivo da uomo ... conosco il bene ... lo faccio ... Oh! il bene! ... È il pensiero vita. E son lieto d'avere pel pensiero fatto del bene a della buona gente, che lavora i ca1npi, che ora son miei ... e li lavora stentando ... pensando anche ... ma non pensando quanto me, che non ho bisogno di lavorare, per vivere ... Oh!. .. come desidero che tutti gli uomini abbiano lo stesso concetto che ho io del bene! ... Solo allora la convivenza umana sarebbe veramente umana ... Il pensiero è armonia di verità ... La verità!. .. Che cosa sarebbe mai senza il calore della bontà? ... Sarebbe cosa morta ... Anzi non sarebbe nemmeno! ... La bontà è pensiero-vita, è vita-pensiero ... Le mie ricchezze ... che son molte ... devono esser bontà con1'è bontà il mio pensiero ... Devono essere spirito .. com'è spirito tutto ciò che l'uomo pensa ... perché pensando, tutto rende spirito ..
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SCENA IV D. Clemente e Detto D. CL. Oh! caro Maurizio! M. Oh! caro Clemente! (si abbracciano). D. CL. Appena ricevuto il tuo telegram1na, ho lasciato tutto e son volato a te ... M. Grazie! Non potevo dubitarne ... D. CL. E così .. Eccomi ai tuoi ordini ... M. Ho tante cose da dirti ... Ma ho anche tante cose da fare ... Questa eredità m'impaccia. D. CL. So che hai nominato tuo procuratore Carlo ... È bravo ... è fedele ... Ti potrà molto aiutare ... M. Oh!. .. Se non fosse per lui ... Dunque ... sono stato sci mesi a Roma ... Non te ne scrissi, perché ... Non lo so nemmeno io il perché. Certi colpi portano una vera rivoluzione negli spiriti. D. CL. Veramente ... Ma da Ro1na avresti potuto ... M. È vero, avrei potuto e avrei anche dovuto scriverti .. Ma nemmeno là io sono stato io ... ll mio pensiero dominante mi ha tutto posseduto ... posseduto in modo da far quasi paura ... E poi son nati altri pensieri ... Bene, bene ... Parlere1no di tutto ... di tutto .. un po' per volta. D. CL. Sicché sei ancora dominato dal tuo pensiero del bene .. M. Più che n1ai caro Clemente .. Forse però con qualche differenza .. D. CL. Oh! ... questo m'interessa assai .. M. Prima che il povero zio finisse così tragica1nente ... nei giorni che seguirono la mia destituzione ... quando tu mi fosti, più che anlico, fratello, tra le altre cose, mi parlasti di una certa tua teoria della conoscenza .. Q. CL. Lo ricordo benissin10. M. Ebbene a Roma, dove non ho fatto che studiare e meditare, io ho pensato molto a quella teoria ... Ha dell'importanza ... Però non credo che sia concludente ... O almeno non credo che sia finita di elaborare. D. CL. Maurizio! Guardami!. .. Che sei sulla via di Dan1asco? ... M. Che cosa vedi in me, per farmi questa domanda? D. CL. Non so! Parmi di trovarti diverso ... Il tuo sguardo ha certa profondità misteriosa .. insolita .. M. Chi lo sa, se sei buon o~·servatore! Dunque .. Parlami della tua teoria ... D. CL. Davvero, caro Maurizio. che t1on ho nulla di nuovo da comunicarti .. La parrocchia mi assorbe fin troppo. M. Da farti dimenticare la filosofia? D. CL. Dimenticar no ... ma trascurare più di quanto vorrei. M. Tu, se non ricordo male, amn1etti che la conoscenza sia creazione ... D. CL. Precisan1ente! M. Ed io ricordo di averti detto che così tu accedi all'idealismo, benché in modo larvato ... D. CL. Io però risposi allora e ripeto ora che la mia creatività è diversa dalla tua ... la tua è puramente soggettiva; la mia è oggettivo-soggettiva. M. Su questo punto ho meditato assai in questi sei mesi. Caro Clemente, occorre esser sinceri con sé e con gli altri. Ne dubiti?
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D. CL. No. M. Tu con la tua teoria non risolvi il vecchio problema della intelligibilità del mondo fisico, preso come diverso da noi ed esterno a noi, come non Io risolvette Aristotele, come non l'aveva prima risoluto Platone, come non lo risolvettero né Kant né Rosrnini. D. CL. Ma io dico ... M. Scusa, tu non dici nulla su questo punto ... il mofido fisico nel dualismo, sarebbe percepibile, perché le attività dei corpi agirebbero sui sensi ... Però non sarà mai intelligibile, perché non c'è niodo di farlo agire sull'intelletto .. . D. CL. E... bisogna cercare ... M. Cercare ancora! Parola troppo mesta se duemila e quattrocento anni non son bastati al bisogno ... Q_uando tanti sommi ingegni in tanto tempo non han trovato il ponte per passare dal fisico all'intellettivo, bisogna concludere che ponte non ce n'è ... D. CL. Ma se l'idealis1no ripugna? M. Poniamoci che ripugni ... D. CL. E perciò bisogna condannarlo ... M. Mettiamoci pure per questa via ... salvo a tornare indietro, se sarà necessario. Dunque condanniamo l'idealismo ... Avremmo con ciò provata la verità del dualismo? D. CL. Certamente avremo fatto un passo avanti ... M. A me invece pare che avremo serrato un uscio, senza aprirne un altro ... Con ciò avremo peggiorato la nostra condizione. D. CL. Perché l'avremo peggiorata? M. Perché non avendo più nessuna soluzione, ci sareino messi sulla via dello scetticismo ... D. CL. C'è pero il buon senso, caro Maurizio, il quale ci assicura della realtà oggettiva del mondo. M. In tal caso occorrerà bruciare tutti i libri di filosofia e tornare allo stato di barbarie ... D. CL. Lasciamo i paradossi ... M. Niente paradossi! ... Neghi tu Che il bonsenso l'hanno anche i barbari? ... D. CL. Sì. .. ma .. . M. Bene, bene ... Torneremo su questo argomento, quando io sarò un po' più libero ... Ora mi preme parlarti di certi miei propositi. Queste ricchezze non mi appartengono ... D. CL. Perché dici questo? ... M. Il perché lo sai ... Ed io penso di liberarmene ... Parte ne darò a te ... D. CL. A me? ... M. Per farne del bene. Ti parlerò anche di questo. SCENA V Carlo e Detti C. Scusa se disturbo ... L'avvocato è andato via per certi affari urgenti ... Il lavoro sarà ripreso nel pomeriggio. M. Sta bene ... Senti, Clemente, tu puoi passare di là. Per far qualcosa, puoi schizzare un po' d'iscrizione per la tomba del povero zio ... che mi farai subito vedere. D. CL. Volentieri ... M. Io mi trattengo con Carlo ... abbiamo tante cose da fare ...
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SCENA VI MAURIZIO e CARLO M. Fu pagato il dottore? C. Sì. .. subito. M. Gli fu dato solamente l'onorario? ... C. Solamente ... M. Penso che sia bene attestargli la mia gratitudine ... C. Vuoi che gli scriva una lettera? M. Una lettera solamente? ... C. Che cos'altro? ... M. Gli si mandi una gratificazione .. C. Se vuoi ... Ma io una vera ragione non ce la vedo. M. La ragione cc la vedo io. Dunque gli si tnandi una bella lettera con dieci1nila lire ... C. Diecimila lire! ... Troppa generosità ... M. È un amico ... E io gli voglio del bene ... C. È però 1nolto ricco ... Mentre ci sono altre persone di casa che stentano M. Penscren10 anche a loro. C. Sicché? .. M. Sicché .. ho detto.. e basta .. C. Come vuoi .. M. Ora parliamo un po' di filosofia .. tu dunque sogni una teoria che tenga del dualismo e dell'idealismo insie1ne? .. C. Precisamente .. M. A che punto son le tue costruzioni? C. Allo stesso punto che le lasciasti sci mesi fa, partendo M. Cattivo segno! C. No, cattivo segno no! ... Non mi hai creato tuo procuratore? M. Non ti ho con questo proibito di far filosofia ... C. Me ne hanno in1pedito i tuoi affari, che non son pochi ... M. Vado pensando al rimedio .. C. Di darmi un aiuto? M. Di dar via la roba che, ripeto, sento che non mi appartiene .. C. Ti appartiene per cento ragioni. M. Modo di vedere ... lo poi maturo certi disegni ... Sì. .. sì. .. certi disegni ... Te ne parlerò ... Anche che tni appartenessero davvero queste ricchezze, io me ne devo liberare .. C. Non ti comprendo ... M. Eh! Carlo amato ... mi comprendo io .. Tu dunque ... se ricordo bene, ammetti la sensa~ zione co1ne originariamente pura ... co1ne l'a1nmetteva Aristotele ... C. È fatale! ... M. Non credo .. Poi amn1etti i concetti a priori, non purainente a priori come Kant, ma a prior; a posterion~ come espressione soggettiva dei rapporti, che darebbe la sensazione ... C. Perfettamente ... M. Ma non vedi che così non sei né dualista né idealista? C. Invece io Credo d'esser dualista, in quanto ammetto il inondo esterno, e idealista, in
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quanto ammetto l'espressività ... M. Parole! ... La sensazione pura è pura praticità ... E, con1e tale, non giova alla teoricità, dove propriamente consiste la conoscenza .. C. Forse non hai tutto il torto .. M. Non ho tutto il torto? .. Di' 1neglio che ho tutta la ragione ... C. Occorre che ci rifl,etta .. né ora mi sento disposto .. M. Riflettici pure ... Vedrai che la tua è una via senza uscita .. Dim1ni ora, quando verrà il notaio per la firn1a delle quietanze? C. Verso l'ave1naria ... M. Occorre che venga o prin1a o dopo.: Àll'ave1naria ho un appuntamento C. Lo farò avvisare subito .. M. Sarà meglio che tu faccia una telefonata ..
C. Vado .. M. Senti, Carlo ... Voglio anche beneficiare le altre persone di casa .. Fammene l'elenco ... mettendo in chiaro la condizione di ciascuno ... C. Vuoi altro? M. Cotne l'elenco sarà pronto ... portalo .. Procura di far presto ... SCENA VII Maurizio solo M'avvedo che questi buoni amici cominciano a guardarmi con preoccupazione .. Occorre svelar loro il 1nistero ... senza ritardo ... Forse non nli co111prenderanno, spccialn1ente Carlo ... Se non mi con1prendono ora ... Tant'è ... la mia decisione è presa ... e ... indietro non si torna ... Tornar indietro? ... Perché dico questa parola? Son deciso ... e so ben quel che faccio ... Ci ho ben pensato ... e meditato ... I-Io sentito la parola del consiglio ... Che uomo era quello! ... Pareva che mi leggesse nel cuore ... Oh! quella sua parola ... quel suo sguardo ... Non credevo che gli uomini potessero acquistar nlai tanta spiritualità ... tanta fOrza di penetrazione ... Di fronte a lui .. io non 1ni sentivo più io .. Mi sentivo lui ... sentivo lui in 1ne ... e me in lui .. sentivo che io e lui faceva1no un solo spirito.. come 1na1.. SCENA VIII Maurizio e D. Cle1nente D. CL. Ecco l'epitaffio. M. Dà qui ... (legge} Sta bene ... sarà subito scolpito .. Ora parliamo di ciò che più n1i preme .. D. CL. Ti ascolto. M. Io in poco ten1po ho fatto un can11nino n1olto lungo sulla via dell'esperienza ... D. CL. Te lo credo ... M. Posso dir d'esser passato per tre stadi: l'idillico, il tragico, il filosofico ... D. CL. Non comprendo. M. Chiamo idillico il prin10 stadio. D. CL. Quando costruivi la tua teoria del puro bene? ... M. Precisamente ... E quando la insegnavo a scuola ... Chiamo tragico lo stadio seguente ... D. CL. Hai ragione .. M. Chia1no filosofico lo stadio che va dalla morte dello zio al motnento presente. D. CL. Perché lo chia1ni filosofico? ...
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M. Veramente non dovrei chiamarlo così, perché un n1omento della vita, che non sia filosofia, 11011 si dà. Co1nunque, ho scelto questa parola per indicare che ora faccio n1eglio della filosofia o nù sembra così. D. CL. (Lo guarda sorridendo) M. Sorridi? .. D. CL. Perché vedo qualcosa che sorride ... M. T'inganni .. D. CL. M'ingannerò, se n1i dici che persisti nella teoria del puro bene .. M. Vi persisto. & D. CL. Sei un mistero, caro Maurizio .. M. Tra breve non dirai più così .. Credi che quello che voi chiamate male, abbia una sussistenza propria? D. CL. No ... io non credo questo ... Per 1nc e anche per i nostri, il 1nale non esiste che nel bene. S. To1nmaso lo dice cspressa1nentc. M. Lo credi sulla parola di lui? D. CL. Che ci sarebbe di male? M. Eh! Caro Clemente!.. Ma lasciamo questo. Amtnesso che il 1nale esiste nel bene, il prin10 passo è fu tto ... D. CL. Non mi pare ... M. Dacché tu 1ni citi S. Tomn1aso, voglio citar S. Ton1maso anch'io. Q!J.eSto autore dice che nessuno agente agisce pel inale, e tutti agiscono pel bene .. E dice che agire pel male non sarebbe possibile ... D. CL. È vero. M. Dunque? .. D. CL. Dunque dire1no che il 1nale è un bene disordinato .. M. Con ciò diren10 che non c'è il male, n1a il bene ... D. CL. Non c'è il male, con1e un essere, co1ne un oggetto .. C'è però il disordine .. che ha la sua entità .. M. Io sono stato idealista .. D. CL. Sono sfato, dicesti? Dunque non sei più? M. Se sono o non sono lo saprai tra breve. D. CL. Perché mi tieni sulla corda? M. Niente sulla corda ... Io seguo il corso del mio pensiero .. e desidero che lo segua anche tu .. D. CL. Ci inetto tutta l'ani1na. M. Passai aH'idcalisn10 .. perché .. (questo perché lo sai) .. perché nessuna delle teorie dualistiche spiega la genesi del concetto ... Io non a1nmetto mezze misure né ho p;1ura delle conseguenze, per catastrofiche che possano se1nbrare ... Accettato un principio, lo accetto intiero, a qualunque tennine 1neni .. D. CL. È giusto. M. Secondo questo siste1na tutto è forn1e: forme del conoscere, forn1e dell'agire, fOrme teoriche, fanne pratiche, forn1e e~tetiche, logiche, storiche, econonliche, 1norali ... cioè, attività spontanee e immediate del soggetto, che producono quella che chia1nia1no realtà con tutte le sue leggi. È così? ... D. CL. Così.
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M. Ecco ora la più logica e, se vuoi, la più catastrofica delle conseguenze ... Se tutto crea il soggetto, tutto sarà vero, tutto buono, tutto beIIo
D. CL. Perché? D. CL. Non lo vedi il perché? D. CL. Non ancora ... M. Perché il soggetto non trova nulla e tutto crea, facend9si tutte le cose e tutte le leggi. Per voi c'è l'errore, il male, il brutto, perché ammettete la realtà esterna come diversa dal soggetto, che perciò da lui può esser conosciuta male, e questo è l'errore, voluta disordinatamente e questo è il male, attuata con deficienze, e questo è il brutto.
D. CL. Hai ragione ... M. Quando uno è nell'idillio, cioè, quando è nell'entusiasmo, succede un fatto curioso, molto simile al fatto che avviene quando uno fa qualche creazione estetica. Dimmi un po': quando uno fa, per esempio, una poesia, nel momento del creare, ne scorge i difetti? D. CL. No ... M. Non li scorge né poco né molto? D. CL. Non saprei ... M. Ne ha certamente un qualche sentore .. che si esprime in certa inquietezza o scontento ... D. CL. Ecco .. sì. .. Hai proprio ragion&. M. Però il suo stato, che è d'entusias1no, e che io chiamo idillico, gl'impedisce di fi:rmar l'attenzione su quelle parti del suo lavoro, e invece lo fa tutto intento alle parti ben riuscite o riuscite meno peggio ... E avviene altro fatto, che è questo: il poeta in certo modo proietta sulla sua opera la luce che irradia il suo spirito ... o, senza metafore, si trova all'unisono con la sua creazione, proprio perché è la sua creazione ... e quindi non vede che bellezza ... Lo stesso avviene al filosofo ... e avvenne a me in quel periodo, che ho chiamato lirico ... D. CL. Meraviglioso! ... Lasciami dir meraviglioso!.. E lascia che io senta tutto l'entusiasmo ... perché prevedo la fine ... M. Gl'intcrni contrasti del sistema non agivano sul mio pensiero, quanto avrebbero dovuto, perché il pensiero era tutto intento alle armonie dello stesso sistema, e sopra tutto, perché io sentivo forte l'entusiasmo della parte che era mia elaborazione, la quale riguardava principalmente il bene. Il bene senza male, senza nemmeno quell'aspetto di male che pure ammettono Croce e Gentile ... Il filosofo per me diyentava sacerdote, il sacerdote dell'éra nuova, che avrebbe dovuto predicare il nuovo vangelo, per insegnare agli uomini a non resister alle attività degli altri, a non reprimerle con le punizioni. La società non avrebbe più dovuto avere né tribunali né carceri ... Quell'éra si sarebbe attuata ... ne ero certo ... E avrei dato cento volte la vita per affrettarne l'avvento. Il resto lo sai ... Vennero poi i giorni della prova .. D. CL. E che prova! M. Quello fu il periodo tragico ... Tragico non pel quel che mi venne dagli uon1ini, ma per quel che mi venne da me stesso ... Disse l'antico filosofo che l'uomo è misura di tutte le cose. Parola profonda, ma allora non ben compresa e fieramente combattuta da Platone ... con quanto scapito della filosofia non sto a dire. Io non ero più quello di pritna, e pure ero quello di pritna. Dico meglio, ero due; quello di prima e queIIo di
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poi, in lotta tra loro .. in lotta inconciliabile ... il nuovo n1e voleva sentire i! inale, affer1narlo, lottar contro di esso, lottar contro gli uomini ... Il vecchio 1ne invece persisteva a veder bene in tutto e in tutti ... e voleva esser contento di quella curiosa forma di bene ... Contento! ... Si può uno far contento, quando il cuore versa sangue? ... Pure io arrivavo se non al contento alla padronanza di mc ... Avevo dello stoico allora ... Sento d'aver vinto, ma non più che da stoico ... D. CL. Ti com1nuovi troppo .. . M. Lascia che mi commuova ... che senta in tutta la sua tragicità la lotta che combattè il 1nio spirito ... Non sarà senza profitto ... Con la morte del povero zio le cose, esternamente almeno, mutarono in meglio ... Nel mio interno però la tempesta non cessò, ma si fece diversa. Un terzo uomo spuntò in mc, il ricco signore, che può far più largamente il bene, 1na che teme più largamente il male. Possedere è conservare ... ed è anche difendere ... ed è anche attaccar l'anima ai beni posseduti, tanto più fortemente, quanto più i beni son copiosi ... Ecco dunque che dalla lotta di due me passo alla lotta di tre me .. l'uno che persiste nell'idillio, l'altro che persiste nella tragedia ... il terzo che tien dell'uno e dell'altro in una realtà molto più complessa e meno definibile ... E corsi a Roma e cercai la solitudine, l'isolamento, la calma ... se, in tale stato, di calma era possibile parlare ...
SCENA IX Carlo e Detti C. M. C. M.
Disturbo? No .. Carlo non disturba mai Ecco l'elenco .. Mettilo là ... Ora ascoltan1i .. stavo facendo al nostro caro D. Clemente certe confidenze ... Ne parlerò anche a te ... Ora continuo. Se non fossi venuto, ti avrei fatto chiamare, perché ho anche bisogno di te. Dunque andai a Roma ... e volli studiare i tre personaggi che vivevano in me ... Ho detto a Clemente che io ero come diviso in tre: L'uomo dell'idillio, cioè, dcl periodo tutto entusiasmo che vagheggiavo la teoria del bene e la insegnavo agli altri; l'uomo della tragedia, cioè, del periodo seguente, che tu COnOSCI .•
C. Purtroppo! M. L'uomo della filosofia, cioè, del periodo che va d;illa tnorte dello zio al presente, il qual periodo chiamo filosofia, perché in esso prevale il lavoro di critica di tutta la mia vita di professore destituito e diseredato, d'inopinato erede delle ricchezze del povero zio. La critica!. .. Ecco la grande parola!. .. In uno stato di discreta serenità ... sotto i colpi della critica l'idealismo è andato a brandelli. D. CL. Magnifico! M. L'idealismo poggia tutto sul concetto d'eternità e infinitezza dell'io ... Eterno!. .. Cos'è l'eterno? Chi può concepire l'eternità? ... Passai più settimane meditando su questo punto ... Oh! se gli altri facessero così. .. Di fronte al concetto d'eternità, tutte le costruzioni idealistiche crollano ... crollano fatalmente ... irrimediabilmente. Dimmi Clen1ente, eterno è sola1nente ciò che non ha principio né fine? ... D. CL. Credo di sì ... M. Tu, Carlo, cosa ne pensi?
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Penso che l'eterno sia l'interminabile. No ... L'eterno non è il non principio è il non fine ... È il non processo. CL. Il processo è svolgi1nento .. Lo svolgimento è len1poralità .. Non è così? CL. Parmi ... L'eterno invece esclude ogni idea di processo, ogni ragione di svolgiinento ... L'eterno non è qualcosa che esce dal tempo, perché il tempo non è qualcosa che esiste da sé, come voleva Gassend .. Il te1npo è lo svolgi1nento .. L'eterno la pura attualità .. C. L'attualità di Gentile? .. M. No ... Quella è svolgimento ... Ed è l'alto atto di se stesso, atto di nessuno .. Cosa inconcepibile .. Eccomi al punto fatale .. D. CL. Ti ascolto con l'ansia nel cuore .. M. Eccomi al punto fatale ... Se l'eterno è i! non processo, se è l'atto puro, l'atto che è tutto e non può nulla acquistare e nulla perdere; l'uon10 non è eterno ... Ed è ten1porale. Data la ternporalità, è dato il principio ... Dato il principio, è dato uno che diede principio alle cose, senza aver esso principio .. È dato Dio ... il Dio dei cristiani ... È dato il dualismo ... D. CL. Stupendo! .. C. Io non comprendo ancora .. M. Comprenderai. Ora lascia1ni continuare .. se no perdo il filo .. Che restava Per tornare alla fi:de dei n1iei primi anni? D. CL. Nulla, caro Maurizio ... Nulla! M. No .. Restava qualche cosa ancora .. D. CL. Che cosa? .. M. Trovare l'origine delle idee .. cioè, spiegare la conoscenza. Ebbene!. .. Questa spiegazione io non la trovavo .. C. E allora? ... M. Allora feci cotne Leone Tolstoi .. Lasciai di ragionare e credetti .. C. Facesti così? ... Ed è possibile che un filosofo fàccia così? .. M. Non è possibile ... perché credere è se1npre ragionare ... Pure io cessai di ragionare .. Anzi no, perché in ultiino, qualche ragiona1nento lo feci anch'io. Dissi: Io non so spiegare la conoscenza, come non lo sanno spiegare i dualisti ... Pure il dualismo s'impone .. sarà un 1nistero la genesi della conoscenza? ... Qualche filosofo lo ha detto ... Sia pure un inistero ... L'esistenza di Dio per me non era più nlistero ... E io credetti in Dio ... e feci altra cosa ... Non volli abbandonare dcl tutto la inia teoria del bene, benché non l'ammettessi più nei tennini di prima, quando ero nell'idillio ... Dissi: nel mondo non ci dovrebb'esser che il bene ... Per questo Dio si fece uotno ... Co1ninciai a frequentar le chiese .. Oh! certe chiese di Rotna! ... Certe sere ... in quelle chiese ... tra quei canti ... Mi pareva che cantasser, non gli uomini, 1na gli angeli ... Andai alla trappa!. .. Lì non si parla più ... Lì si pensa ... si inedita ... e si lavora ... Pensare! ... È la n1ia passione .. Pensar a Dio ... dalla 1nattina alla sera, .. senza che la parola dell'uon10 vi disturbi ... Viver di Dio ... fàcendo il bene, solo il bene, se1npre il bene, se1npre il 1neglio ... ignorando il 1nal del inondo ... ignorando il nlondo ... C. Maurizio?!. .. M. E decisi di farn1i trappista .. D. CL. Proprio?
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M. Proprio ... Presa la inia decisio11c, son venuto qui, per disporre dei miei beni, spoglianni di tutto e tornare dove Dio mi chiama .. D. CL. È sublin1e! .. M. Q!li però mi attendeva come l'ultitno atto del mio dra1n1na ... Qui rinacquero le ansie dcl pensiero ragionante. Ecco perché ho interrogato voi sulle vostre ricerche filosofiche ... Voi però non mi avete fatto trovare nulla di nuovo ... Pure il vecchio delle vostre teorie è stato fecondo per me ... Come ciò sia avvenuto, non lo so ... Penso che le lunghe 1neditazioni di Roma non sono state senza effetto ... C'è un certo fondo dello spirito, dove le idee si fecondano ... A un certo punto balzano fuori con1e rinnovate ... È il momento della scoperta. Per te, Clen1entc, la conoscenza è espressione; per te Carlo, !a sensazione dà i tennini e i rapporti ... Sento che le due teorie, da sé, non risolvono nulla ... Pure ho visto ... l'ho visto ora, che la percezione umana non può essere n1ai pura1nente sensitiva, come affern1ano i vecchi filosofi, perché sarebbe in tutto siinile a quella dci bruti .. E dev'esser atto di senso e spirito, perché ciò richiede l'unità di corpo e ani1na, che fa !'uonio. Se è tale, sta bene che l'uo1no intuisca termini e rapporti insieme ... Conoscere non è un puro rispecchian1ento della realtà, perché l'uomo non è uno specchio ... E dev'essere espressione relativamente creativa ... Son le vostre teorie ... Che restava? Concepire l'idea corne espressione di rapporti ... Ecco una teoria nuova delle idee.. Ecco la teoria che n1i sod.disfa.. è frutto del vostro lavoro .. D. CL. Parn1i di sognare .. C. Parmi di scoprire un nuovo inondo .. Come son felice! .. M. Ne vien fuori una teoria che si può chiamare sintetistica o espressionistica o neo-sintetistica ... D. CL. E tu ne sarai l'apostolo .. C. E noi, se piace, saremo i tuoi collaboratori ... M. No ... lo ho co1npito la mia parte ... Se è Dio che ha ispirato voi, è anche Dio che ha ispirato me ... cd io lascerò tutto .. per trovare tutto in Lui .. D. CL. Maurizio, non precipitare .. che faremo noi senza te? Pensa che si tratta dcl bene della società.. Di questa povera società traviata .. M. Ci penso. C. Bravo! M. Se è Dio che n1i chian1a, io non devo avere altre preoccupazioni. D. CL. Avevi tu fatta questa scoperta a Ron1a? M. No ... L'ho già detto. D. CL. Credi tu che la tua teoria possa riuscire efficace? M. Lo credo .. E credo qualcosa di più .. C. Che cosa? M. Che ora posso con più ragione credere che un'èra novella sia per cominciare .. A tne pare di leggere nel futuro ... Parnli di vedere, quasi di veder con questi occhi .. gli uo1nini che si erano allontanati da Dio in no1ne del pensiero, tornare a Lui in nome dello stesso pensiero ... Vedo rinverdire l'annosa pianta della scolastica. La vedo rifiorire ... Vedo i nuovi filosofi del pensiero cristiano, affermare la nuova filosofia, che è figlia della vecchia ... affermarla trionfalinente ... sulle rovine delle vantate costruzioni n10nistiche di tutte le forme del soggettivismo .. D. CL. Maurizio, ascolta la parola del ministro di Dio.
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Salvatore Latora
M. L'ascolto ... D. CL. Se di ciò sei convinto ... Se vedi il futuro, come se fosse presente, se ciò vedi, perché a te e non a noi Dio si rivela ... è qio ... sì Dio, che vuol te e non noi a capo di questo movimento ... C. E questa anche la mia convinzione ... M. Non è però la mia ... perché vedo, con la stessa chiarezza, che io la mia parte l'ho compita ... e non mi resta che sparire dalla scena del mondo, e seppellirmi nel chiostro ... dei trappisti ... per sempre ... Lasciatemi dire ... Io non abbandonerò il campo, sino a che ci sarà una qualche ragione di non abbandonarlo ... Del resto per dar sesto agli affari ci vorrà del tempo. Io sono convinto che l'apostolo della nuova teoria devi esser tu e non un altro, sia per la tua preparazione filosofica, che è magnifica, sia, sopra tutto, per la tua preparazione teologica. Carlo sarà il tuo braccio destro ... Il capo sarai tu ... D. CL. Ma io son parroco ... M. Rinunzierai ... C. Ed io non ho tutta la preparazione ... M. La farai ... Io lascio a voi i miei beni. Voi fonderete una rivista .. fonderete delle scuole ... Le ricchezze che vi lascio, basteranno al bisogno ... e ne avanzerà ... voi creerete un cenacolo, associerete a voi i migliori ingegni ... Li pagherete bene, di maniera che possano consacrare tutte le loro energie a questo solo lavoro .. D. CL. Scusa Maurizio ... se contraddico ... Io vedo con la stessa chiarezza, che Dio ti ha fatto sentir la vocazione religiosa, solamente per purificare meglio il tuo spirito. Ben altra è la tua vera vocazione ... Credi al sacerdote ... C. Maurizio, credi alla parola del sacerdote .. M. Vorrei ... credetemi, vorrei ... ma ... non posso. Ho troppe colpe sulla mia coscienza ... e devo espiarle ... D. CL. Le espierai combattendo per la verità; ... affrontando tutti i dolori che ogni vero apostolato porta sempre con sé. E sarai il trappista del secolo ... e se vuoi, non parlerai che con i tuoi co1npagni ... e con loro non parlerai che di filosofia ... C. Maurizio, te ne supplico in nome della nostra a1nicizia ... M. Lasciatemi riflettere ... Lasciate che mi raccolga in me stesso ... che senta la voce del cuore ... che invochi Dio ... Invochiamolo insietne D. CL. Sì, Maurizio, invochiamolo insieme ... C. Di': e noi ti seguiremo col cuore ... M. Vedete là quella luce? ... D. CL. No, Maurizio, io non vedo nulla .. C. Nemmeno io vedo qualche cosa .. M. Là ... in fondo .. lontano .. .lontano ... Mi tocca dolcemente gli occhi, ... mi va sino al cuore, ... sino al fondo del cuore ... Sogno? Delirio? ... Ma io vedo ... Oh! Dio! Sei tu? ... mostrati più chiaramente ... Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta ... Son tuo, ... tutto tuo, ... senza riserve ... Tuo è ogni atto del mio pensiero; ... tuo ogni palpito dcl mio cuore; ... tuo ogni anelito dell'anima mia ... Ah!. .. La tua luce illuminò il mondo ... Lo illumina ancora ... Gli uomini, Signore, amarono piuttosto le tenebre che la luce, perché le lor opere erano male ... E tu mandasti i tuoi sacerdoti a convertire il mondo, non per via di puro ragionamento, ma per quel miglior ragionamento che è la tua virtù e il
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tuo spirito ... E tu hai chiamato questo sacerdote, ... e l'hai fatto potente nelle opere e nella parola ... Egli spianerà la via a te, Signore, illuminando la ragione con la filosofia, illu1ninandola meglio con la tua grazia ... Tu che scegli i deboli per confondere i superbi ... tu dunque da me, che son debolissimo e indegnissi1no, non vuoi che il totale sacrificio di me ... di tuU'o il mio essere ... e accetti solo che io consacri al nuovo apostolato questi miseri beni, che tu in modo così inatteso mi hai dato ... Signore, vuoi questo? ... Q!lesto solo? ... Solo per questa via? ... Sci tu che parli? ... Mostrati ... Mostrati a questi tuoi figli, come ti mostri a me ... Signore, ... Signore ... (Una luce viva scende sulla sua fronte e su quella degli altri due, 1nentre si spengono gli altri !toni del pafcoscenico. Tutti e tre Ji proslrano per terra adorando).
IL MISTERO DELL'INFINITO Quando tra ine ripenso all'infinito, Senza fondo ocean, senza confine, Perenne dì senza principio e fine, Resto smarrito. Poi quando penso che Dio sta nel cielo, lo penso il ciel siccome un tetnpio i1nmenso, E che agli eletti Egli si mostri, penso, Senza alcun velo. Ma se Dio è spirto, il Ciel non sarà loco, E se loco non è, che cosa è mai? E come dico: «O Dio che in Cielo stai», Quando l'invoco? Pure lontan da me non sei, Signore, Anzi io sono in te, di te respiro E vivo; e dove il guardo ansioso giro, E dove il core Rivolgo, e dove spingesi il pensiero È sempre in te, perché sei l'infinito ... Più indago, e men penetra questo ardito Spirto il mistero.
Mario Sturzo
CRONACA DELL'ISTITUTO
1.
Assemblea dei soci
Mercoledì 22 febbraio 1989 alle ore 16 si è riunita, a norma dello statuto, l'assemblea .dei soci nella sede dell'Istituto. In tale seduta è stato p~esentato il resoconto delle attività del 1988 ed è stato approvato il bilancio consuntivo 1988 e preventivo 1989; è stato quindi eletto il nuovo Consiglio direttivo che risulta così composto: Presidente: Salvatore Consoli; Vicepresidente: Michele Pennisi; Segretario organizzativo: Adolfo Longhitano; Tesoriere: Filippo Cutuli; Segretario: Giambattista Rapisarda. Revisori dei conti: Franca Carta, Carmelo Crimi, Antonino Franco. Infine sono state programmate le attività per il 1989-1990.
2.
Tavola rotonda: «Informazione: quale libertà?»
Organizzata dal nostro Istituto ha avuto luogo il 3 marzo 1989 alle ore 16,30 nell'Aula magna del Palazzo delle Scienze di Catania una tavola rotonda sul tema «Informazione: quale libertà?». Sono stati invitati a confrontarsi il prof. Sergio Trasalti, redattore capo de «L'Osservatore Romano», il prof. Guido Ziccone, membro del Consiglio superiore della magistratura, il dott. Luigi Accattoli, vaticanista de «Il Corriere della Sera». Dopo il saluto del prof. mons. Salvatore Consoli, presidente del nostro IstHuto, il dott. Salvatore Scalia, caposervizio delle pagine culturali de «La Sicilia», nella funzione di moderatore, ha introdotto il tema citando il decreto conciliare "Inter Mirifica": «Il titolare del potere dell'informazione è il popolo». Da
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Cronaca dell'Istituto
questo assunto ha preso le mosse per trattare .della minaccia che ad esso deriva dalla concentrazione delle "testate" in mani di pochi o dal processo di "sinergia" che comporta un certo risparmio per gli editori ma anche un restringimento della professionalità delle redazioni. Dopo questa introduzione del moderatore, il dott. Accattali ha evidenziato gli aspetti positivi e negativi del fenomeno della "americanizzazione" della nostra stampa, legato alla esplosione del mercato pubblicitario. Il dipendere dell'introito dei giornali sempre più dalla pubblicità .ha posto"il giornalista in un rapporto tale con la proprietà da renderlo «insignificante come categoria professionaJ.e,, e senza alcun peso nella gestione aziendale. La sua libertà viene rispettata solo all'interno dell'articolo, ma il tema e la pubblicazione di esso esulano dalla sua volontà. Il contenuto stesso può però subire anche tino snaturamento rer via della titolazione legata alla logica della spettacolarizzazione della notizia. Ciò che spesso il giornalista esprime somiglia sempre più al classico "messaggio dentro la bottiglia". Il prof. Ziccone ha trattato la problematica dal punto di vista del cittadino il quale, se in nome della libertà di informazione e di stampa deve rinunciare ad una parte della sua privacy, non può tuttavia venire violentato nella propria sfera intima né sottoposto ad un giudizio preventivo o ad una criminalizzazione pubblica, così come, purtroppo, è avvenuto nel passato ad opera di una stampa preoccupata più dello scoop e conseguenti vendite, che della dignità della persona. Tale dignità e la sua garanzia vanno visti, ha affermato, alla luce dell'art. 2 della Costituzione italiana, che in essa indica il bene finale da tenere presente e ritenere preminente rispetto ad ogni altro bene o diritto. Il .dott. Trasalti ha espresso maggior preoccupazione per lo stato della libertà di informazione nel nostro Paese: strapotere economico e sensazionismo esasperato non costituiscono la ga~ ranzia per un modo corretto di gestire l'informazi.one stessa. Citando le parole del. Papa: «Le comunicazioni sociali devono soprattutto sostenere la dignità umana», il relatore ha indicato il punto di riferhnentd per un modo corretto di gestire l'informazione.
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Un interessante dibattito è quindi seguito alle relazioni con interventi qualificati da parte del pubblico presente. L'arcivescovo di Catania, mons. Luigi Bommarito, ha esortato gli operatori dell'informazione a tenere sempre in primo piano «La centralità dello spessore etico dell'uomo».
3.
Convegno di studio «Chiesa e società urbana in Sicilia (18901920)»
Nei giorni 18-20 maggio 1989 nell'Aula magna dell'Università di Catania e nell'Aula magna del Palazzo Sangiuliano si è celebrato il convegno di studi su «Chiesa e società urbana in Sicilia (1890-1920)», promosso in collaborazione dallo Studio Teologico S. Paolo, dall'Università degli Studi e dal nostro Istituto. Dopo il saluto inaugurale del Preside dello Studio Teologico S. Paolo, prof. mons. Salvatore Consoli, il primo giorno è stato sviluppato il tema dell'impegno socio-politico dei cattolici siciliani. Il prof. Francesco Renda, dell'Università di Palermo, ha svolto una relazione su «l cattolici e la politica» e ha evidenziato in questo periodo una fase cruciale della storia siciliana che ha visto nel «fenomeno Sturzo» quel modello di preti sociali che coinvolsero nella presenza politica le stesse autorità diocesane. Il prof. Giuseppe Barone, ordinario di Storia contemporanea nell'Università di Palermo, ha trattato il tema: «Dalla beneficenza alla sanità pubblica. La laicizzazione delle opere pie», delineando in questo passaggio un ammodernamento della rete ospedaliera ma contemporaneamente un allargamento dei circuiti clientelari e della corruzione politica. Il secondo giorno dei lavori è stato dedicato ad un esame attento della situazione delle diocesi dell'isola, analizzando la realtà nelle sue varie componenti. Il prof. Gaetano Zito, dello Studio Teologico S. Paolo e direttore dell'Archivio diocesano di Catania, ha trattato de «L'episcopato siciliano» e con un sguardo storico che va da Leone XIII a Pio X pone l'accento sulle modalità di elezione
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Cronaca dell'Istituto
degli stessi vescovi e sulle motivazioni per le quali venivano proposti. Il prof. mons. Adolfo Longhitano, dello Studio Teologico S. Paolo, nella relazione su «Parrocchia e realtà urbana» ha considerato la realtà urbana della Sicilia dalla visuale della parrocchia, che nell'intenzione del Concilio di Trento doveva costituire un centro di aggregazione culturale e religiosa, di controllo e di direzione della moralità pubblica e privata. Il relatore ha mostrato i difficili rapporti tra parrocchia e realtà urbana in un territorio in profondo e continuo mutamento per cui spesso la parrocchia non possiede la struttura prevista per svolgere all'interno del quartiere una funzione di aggregazione e di guida. Due altre relazioni hanno affrontato l'ambito intellettuale. Il prof. Francesco Stabile, direttore del Centro Studi C. Terranova di Palermo, con la sua relazione «Formazione culturale e presenza del clero», ha mostrato i limiti della formazione del clero isolano con le inimmaginabili conseguenze sull'efficacia apostolica della Chiesa sulla realtà siciliana nel periodo in questione. Il prof. Gaetano Bonetta, dell'Universtià dell'Aquila, ha tenuto una relazione su «Scuola laica e scuola cattolica», rilevando che nel corso dei primi 30-40 anni di storia unitaria la scuola pubblica in Sicilia si sviluppò, benché molto lentamente e fra mille difficoltà, grazie all'apparato delle istituzioni scolastiche religiose di vario ordine. «La presenza sociale dei religiosi» è stato il tema proposto da suor Maria Teresa Falzone, delle Serve dei Poveri, la quale rileva la svolta decisiva della vita religiosa in Sicilia dal 1880 in poi, quando cambia il panorama della vita religiosa che comincia a ricomporsi dopo la crisi dell'unità d'Italia e la vita religiosa risorge in nuovi istituti. E' stato fatto rilevare un certo effetto positivo delle stesse leggi eversive, che contribuiscono a sfrondare i rami secchi e responsabilizzano maggiormente la vita religiosa nei confronti della società. Un'originale ricerca del prof. Cataldo Naro, dell'Istituto Teologico mons. Guttadauro di Caltanissetta, su «Modelli di santità, associazionismo femminile e realtà urbana» ha mostrato come
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le congregazioni religiose femminili di vita attiva, fondate in Sicilia negli anni '80 del secolo scorso, reclutarono i membri in un vasto e ramificato mondo femminile di devota pietà e di ispirazione a un nuovo protagonismo ecclesiale. Il convegno si è concluso il terzo giorno con lesame di due temi particolari ma significativi per il rapporto Chiesa-Società nel periodo in questione. Il prof. Giuseppe Di Fazio, dello Studio Teologico S. Paolo e pubblicista, ha tenuto una relazione su «Stampa cattolica e realtà urbana». Egli ha sottolineato che i giornali cattolici siciliani - dal 1890 al 1920 - costituiscono uno specchio fedele dei fermenti .di novità e delle trasformazioni che si verificarono nel mondo ecclesiale e nella società. Infine, il prof. Marcello Saija, dell'Università di Messina, ha tenuto una relazione su «Chiesa e terremoto: la ricostruzione edilizia a Messina», in cui ha evidenziato il ruolo del mondo ecclesiale in un momento particolarmente doloroso per la Sicilia e le difficoltà tra forze religiose e laiche nel gestire la ricostruzione di Messina. Il convegno è stato chiuso dal prof A. Coco, dell'Università di Catania, e da mons. Luigi Bommarito, arcivescovo di Catania e moderatore .dello Studio Teologico S. Paolo, i quali hanno sottolineato la positività del confronto onesto e scientifico tra le varie componenti culturali, elogiando gli sforzi congiunti di Università e Studio Teologico nella ricerca della verità.
4.
Pubblicazioni
Il nostro Istituto ha curato le seguenti pubblicazioni: 1. Synaxis VI: nel mese di dicembre 1988 è stato pubblicato il n. VI di Synaxis, annuale dell'Istituto. Il volume, composto di 277 pagine, comprende 11 contributi e ricerche di varia natura, di cui 8 interessano fatti e personalità della nostra isola. 2. Quaderni di Synaxis n. 5: nel mese di maggio 1989 è stato pubblicato il n. 5 di Quaderni di Synaxis, edito dalla Galatea di Acireale, dal titolo «La venerazione a Maria nella tradizione
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Cronaca dell'Istituto
della Sicilia orientale». Il volume di 183 pagine pubblica gli Atti della Settimana di studi mariani che lo Studio Teologico S. Paolo e il Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa hanno celebrato a Siracusa nei giorni 5-8 ottobre 1988. 3. Documenti e Studi di Synaxis n. 2: nel mese di novembre 1989 è stato pubblicato il n. 2 di Documenti e Studi di Synaxis: A. Gangemi, I racconti post-pasquali del Vangelo di S. Giovanni. I. Gesù si manifesta a Maria Maddalena (Gv 20,1-18). GIAMBATTISTA RAPISARDA Segretario dell'Istituto
GRAVE LUTTO PER L'ISTITUTO
Un grave lutto ha colpito l'Istituto; dopo circa un mese di coma, lunedì 6 novembre è morto padre Reginaldo Cambareri, O. P., socio dell'Istituto. P. Reginaldo era nato il 7 gennaio 1934 a Gerocarne (Catanzaro). Entrato nell'Ordine dei Frati Predicatori, nel 1951 iniziò il noviziato ad Acireale dove avvenne la sua professione solenne il 20-10-1953 e dove fu ordinato presbitero il 4-8-1960. Presso la Pontificia Università San Tommaso di Roma conseguì il dottorato in Teologia e successivamente, a Catania, si laureò in Filosofia. Oltre che essere il primo preside del San Paolo ne fu uno dei fondatori. Qui insegnò fino allo scorso anno Teologia morale. Nel 1979 fu anche chiamato a Roma ad insegnare la stessa materia all'Università San Tommaso, dove ha svolto il suo magistero fino al giorno della sua improvvisa e mortale malattia. I suoi alunni e i suoi colleghi Io ricorderanno non solo per la sua competenza professionale, la serietà nello svolgere il suo ufficio, ma anche per la grande carica di umanità e per il suo essere attento non solo al profitto scolastico degli studenti, bensì alla loro formazione globale. Per questo motivo era sempre disponibile ad incontri e colloqui fuori dall'orario scolastico. La sua attività scientifica fu guidata da una costante attenzione ai problemi vivi dell'oggi, ma anche dai temi fondamentali della vita morale. A questo proposito ricordiamo il suo Alle radici del male morale. Fondamenti metafisici e genesi psicologica di San Tommaso (1974). Puntuale e qualificata la sua partecipa-
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Grave lutto per l'Istituto
zione alla vita dell'Istituto con i contributi per Synaxis e i Convegni annuali. Ricordiamo: "L'eutanasia nel contesto culturale delle società occidentali", in: Synaxis I (1983);
"I 'Segni dei tempi' nel dibattito conciliare sullo schema XIII", in: A venti anni dal Concilio. Atti del Convegno di studi "Il Concilio Vaticano II venti anni dopo". Catania 21-22 aprile 5-6 maggio 1983, Palermo 1984; "Riflessione etica sulle manipolazioni genetiche", in: Manipolazioni in biologia e problemi etico-giuridici; Atti del Convegno di studi Catania 14-15 maggio 1987, Catania 1988. Rammentiamo inoltre la partecipazione alla tavola rotonda: "L'uomo in provetta". Profili medici, giuridici, morali della fertilizzazione in vitro. Aula Magna Facoltà di lettere e filosofia, Catania 28-2-1986. ' Padre Reginaldo è sepolto, per sua volontà, nella cappella dei padri domenicani del cimitero di Acireale.
INDICE
PRESENTAZIONE (Salvatore Consoli) .
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L'UTILIZZAZIONE DEL C. 55 DEL LIBRO DI ISAIA NEL VANGELO DI GIOVANNI (Attilio Gangemi) I. Il •c. 55 del libro di Isaia . Il. Is 55,1-3 e il vangelo di Giovanni . III. Is 55,10-11 e il vangelo di Giovanni Sintesi generale
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MODELLI ECCLESIOLOGICI NEGLI SCRITTI E NELLA PRASSI PASTORALE DI MONS. GERLANDO MARIA GENUARDI, PRIMO VESCOVO DELLA DIOCESI DI ACIREALE (Domenico Massimino) 1. La prima lettera pastorale . 2. Carattere apologetico dell'ecclesiologia del Genuardi . 3. Uso di categorie biblico-patristiche . 4. Rapporto tra ecclesiologia e cristologia 5. La missione della Chiesa . 6. Chiesa e carità 7. Concetto di diocesi 8. Note della Chiesa 9. Il clero . IO. La società civile 11. La famiglia . 12. Il seminario 13. L'opera catechistica 14. I comitati cattolici 15. Le opere sociali 16. Conclusione
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Indice
ANTROPOLOGIA E MORALE. li pensiero e l'esperienza di Daniele Concina O. P. (Salvatore Consoli) I. Introduzione 2. Necessità di conoscere la natura umana 3. La natura umana 4. La natura umana nello stato decaduto e sue capacità . 5. La morale evangelica a salvezza dell'uomo decaduto . 6. La grazia e l'uomo caduto 7. Conseguenze della grazia: umiltà, preghiera e recidivi . 8. Conclusioni . IL TEMA DEI DIRITTI UMANI IN JACQUES MARITAIN E LA DICHIARAZIONE CONCILIARE SULLA LIBERTA' RELIGIOSA (Enrico Piscione) Introduzione 1. La visione maritainiana dei diritti umani nel contesto plu~ ralistico odierno 2. I due elementi della legge naturale . 3. Fecondità della posizione maritainiana e dato rivelato 4. Sinergia di verità e libertà nella Dignitatis Humanae .
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IL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA DI DIO NELLA FILOSOFIA DI GRATRY (Antonino Franco) Introduzione I. Il problema filosofico di Dio 2. Il procedimento dialettico . 3. Il senso divino .
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MARTIN HEIDEGGER A CENTO ANNI DALLA NASCITA. Filosofo della crisi epocale dell'Occidente, interpretata come storia del!' "oblio dell'essere" (Salvatore Latora) I. Heidegger e la politica 2. Heidegger e la metafisica occidentale 3. Teologia, Religione e Fede in Heidegger .
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LE "FORME" DELLA FEDE NEL GIOVANE HEGEL (Giuseppe Cristaldi) Proemio I. La fede come "forma soggettiva"
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Indice II. La fede come "forma etico-estetica" III. La fede come "forma positiva'' . IV. La fede come "forma dialettica" Epilogo .
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LE NUOVE FRONTIERE DELL'ISLAM. Stato e religione nei Paesi arabo-musulmani (Giuseppe Di Fazio) .
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IL RILANCIO DEL SEMINARIO DI CATANIA DURANTE L'EPISCOPATO DI MONS. SALVATORE VENTIMIGLIA (1757-1772) (Piero Sapienza) Premessa I. Il difficile avvio della riforma del seminario Il. L'articolazione del progetto di riforma III. L'ultimo editto sul seminario: 1770 Spunti conclusivi Appendice
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PER UN'EDIZIONE DEL "DISCORSO ENCOMIASTICO" DI EPIFANIO DIACONO DI CATANIA. I. La versione latina di Anastasio Bibliotecario in due codici vaticani (Carmelo Crimi) .
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IL BEATO SCAMMACCA O. P. (1430-1487). Due biografie inedite del '600 (Adolfo longhitano) 1. Agiografia e discipline storiche 2. Agiografia e controriforma. Le "vitae sanctorum siculorum" del gesuita Ottavio Gaetani 3. Le due biografie del Beato Bernardo Scammacca Vita del beato Bernardo catanese Beati Bernardi Scammaccae vita LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1702-1717) (Adolfo longhitano) 1. Il vescovo Andrea Riggio . 2. Le relazioni «ad limina» del vescovo Riggio . 3. Criteri metodologici seguiti nella pubblicazione di questi documenti Testo tradotto delle relazioni «ad limina» Testo originale delle relazioni «ad limina»
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386 393 397 406
417 470 477 478 501
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Indice
IL MONASTERO CATANESE DI S. NICOLA L'ARENA TRA IL 1719 E IL 1735 (Gaetano Zito) Appendice
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UN DIALOGO FILOSOFICO DI MARIO STURZO. «La filosofia in azione» (Salvatore Latora) Introduzione La filosofia in azione .
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CRONACA DELL'ISTITUTO (Giambattista Rapisarda)
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GRAVE LUTTO PER L'ISTITUTO .
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Finito di stampare dalla Tipolitografia ÂŤGalateaÂť di Gaetano Maugeri nel mese di dicembre 1989