Nuova serie - XIV /2 - 1996
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO & ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO CATANIA
ProprietĂ letteraria riservata
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Tipolitografia Galatea
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INDICE
Sezione teologico-morale PROFEZIA E DENUNCIA DEI MALI SOCIALI NEL LIBRO DEL PROFETA AMOS (Angelo Passaro). LA LAVANDA DEI PIEDI. li coinvolgimento dci discepoli nell'esodo di Gcsi:J 1ncdiantc l'amore (Attilio Cange111i) A. Struttura letteraria di Gv 13,l-5 B. Il testo di Gv 13,1-5 Parte pri1na: Analisi esegetica di Gv 13, ! Parte seconda: Analisi esegetica di Gv 13,2.3
7
27 29 32 34 65
CHIERICI ED EROS NEL MEDIOEVO LATINO. Eros ed agape nelle traduzioni latine dello Pseudo Dionigi (MaurizioA!iotta) Introduzione delle opere di Dionigi in occidente Status quaestionis Il quadro d'insie1nc Il testo dcl libro IV dei "No1ni divini" e le sue traduzioni Conclusioni
I 24 127 132 147
LA DINAMICA ATTUALE DELLA GIUSTIZIA TRA POVERTÀ E SOLIDARIETÀ (Mario Cascane)
149
I. Il tragico paradosso 2. 3. 4. 5. 6.
L'interdipendenza n1ultipla La questione sociale Dall'interdipendenza alla solidarietà Dalla solidarietà alla con1unione Nell'orizzonte della fede
!21 ! 22
151 152
154 156 159 162
Sezione miscellanea con documenti e studi NOTE SULLA FACOLTÀ DI TEOLOGIA DELL'UNIVERSITÀ DI PALERMO (Francesco Conig/ioro) Pre1nessa I. Preistoria dell'Università degli Studi di Palenno e della sua Facoltà di Teologia 2. La classe teologica LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA ( 1869-1890) (Adolfo Longhitono) J. Il Vescovo Giuseppe Benedetto Dusmct (1867-1894) 2. L'attività dcl Dus1nct nelle relazioni «ad li1nina». 3. Giudizi sul Dus1net Testo tradotto delle relazioni «ad li1nina» . Testo originale delle relazioni «ad li1nina)>.
163 165
173
213 226
237 243 275
COSCIENZA INPELICE E INVOCAZIONE SOTER!OLOG!CA NEI PERSONAGGI Dl ITALO SVEVO (Safiy1tore Piscione) Introduzione Senilità
Una vita Il vecchione Riflessioni conclusive
317 318 328 332 335
Note e commenti PRESENTAZIONE DELL'OPERA «CHIESA E SOCIETÀ IN SICILIA,,
(Vietar Saxer, Cosùno Se111eraro, Jea11-Do111inique f)urand)
337
Recensioni
357
A. LJPl'l, Elezione e pass;one, Torino 1996 (Sa/votare Arnone); M. SIGNORE, Questioni di etica e di filosofia prat;ca, Lecce 1995 (Giuseppe Schi/faci),· G. SGUBB!, Metafisica ed etica del!a non-violenza, Roma 1995 (Giuseppe Sc/Jif/aci); J. BECKER, Jesus von Nazareth, Berlin-Nc\V York 1996 (Roberto Osculati).
Presentazioni
369
G. Sc!-llLLACI, Relazione senza relazione, Acireale 1996 (Francesco Venturino); G. CESAH:! - M. L. Dr PIETRO, L'educazione della sessualità, Brescia 1996 (Maurizio A!iotta).
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO
379
Sezione teologicodrnorale
Synaxis XIV/2 {I 996) 7-25
PROFEZIA E DENUNCIA DEI MALI SOCIALI NEL LIBRO DEL PROFETA AMOS
ANGELO PASSARO'
O. È opinione ormai consolidata che nell'Israele antico il profetismo occnpa un posto centrale e svolge una funzione rilevante dal momento che esso incide profondamente sulla religione, sulle istituzioni politiche e su quelle sociali. Senza voler, infatti, esasperare il rnolo dei profeti e tenuto conto che i presupposti metodologici dell'impostazione del problema del rapporto fra profezia e società nell'Israele antico sono stati chiariti 1, è evidente che nella profezia classica si assiste al superamento della dicotomia fra ambito religioso e ambito sociale e politico'. Anzi, i profeti sono positivamente i testimoni del tentativo vigoroso di riunire l'ambito religioso e quello sociale. Un tentativo che ha una motivazione che gli conferisce una portata che va aldilà di quella dell'azione politica, nonostante le sue evidenti ricadute nella sfera sociale: il riconoscimento appunto della importanza decisiva della parola rivelatrice di YHWH che opera per stabilire la giustizia nella storia3 •
~ Docente dì Esegesi biblica 1 Cfr. L. EPSZTE!N, Lll justice
nella Facoltà Teologica di Sicilia, a Palenno. sociale dans le Pl'oclie Orient A11cie11 er le peupfe
de la Bib/e, Paris 1983, 149-170. 2 Cfr. J.L. SKA, Alc1111i principi esse11zia!i deffa teologio veterote.çfan1e11taria, in La Civiltà Cottolica, 1996, Il, 457-470. J Ctì·. S. AMSLER, Les proplières et la po!itique, in Rev11e de théofogie et phi/osophie 23 ( 1973) 24.
Angelo Passaro
8
In questo quadro di riferimento si capisce perchè il terna della giustizia sociale non venga espresso solo occasionalmente e si chiarisce lo statuto teologico del "travail d'enquete" e della "rnission d'avertissernent"·1 dei profeti riguardo ad essa. Essa fa parte delle esigenze poste da YHWH nella sua rivelazione nella storia ed è elemento costitutivo della fedeltà del popolo alla sua vocazione. I profeti, cioè, vengono a far rilevare come la relazione solidale tra YHWH e il suo popolo non si esprime in un legarne di tipo rnisticomagico, ma riposa su una base etica, sulla giustizia5 .
I. Il presente contributo si soffermerà sul profeta Amos come
testimone esemplare ed efficace di una parola profetica che, mentre delinea con pochi ma vigorosi accenni la situazione della società del Regno del Nord nell'ottavo secolo, ne denuncia e condanna i limiti e le prevaricazioni. Nostro intendimento, perciò, è quello di presentare una sintesi sul terna della critica sociale di Amos. Questa opzione è motivata da due considerazioni, tra loro interdipendenti, che la rendono ragionevole e possibile. La prima fa riferimento alla ormai riconosciuta coerenza letteraria del libro di Amos alla quale corrisponde una coerenza ternatica6 • La seconda si basa sul fatto che in Amos più che negli altri profeti, il terna della giustizia sociale non è un terna fra i tanti, una istanza fra le altre. Esso è di fatto l'unico soggetto, il motivo unificante, del libro, Infatti, diversamente dagli altri profeti che denunciano in Israele la trasgressione dei comandamenti essenziali della legge, Amos denuncia e condanna un solo tipo di male, appunto l'ingiustizia verso i deboli, nella quale vede compiersi la perversione
4 L. W!SSER,
Jérén1ie, crilique de la vie sociale. Justice sociale et connah:;sance
de Dieu daos le !ivre de lérén1ie, Gcnève 1982, 128,133. 5
6
Cfr. L. EPSZTEJN, lajusrice socia/e, 110.
Cfr. soprattutto l'importante commentario di P. BoVATI-R. MEYNET, Il libro di Anios, Roma 1995, al quale simno debitori in massiina parte, sia per le proposte esegetiche sia per l'impostazione del problema; anche P. R. No13LE, The literary Structure o/ A111os: A Then1atic Ana/ysis, in SBL J 14 (1995) 209-226; R. H. O'CONNEL, Te/escopù1g N+l pallerns in the Book of A111os, in VT 46 (1996) 56-73.
Profezia e denunòa dei mali sociali nel libro del profeta Amos
9
delle esigenze fondamentali della legge e delle istituzioni di Israele, perché essa diviene un sistema di vita che svuota di significato la dimensione storica della rivelazione.
2. Lo studio della strnttura del libro di Amos rivela una organizzazione del materiale in tre grandi sezioni (1-2; 3-6; 7-9) all'interno delle quali gli oracoli sono strutturati in maniera bipartita: alla denuncia del crimine segue l'annuncio della sanzione. Ora, la parola di Amos è rivolta a Israele (I, l ), ma nella prima sezione egli presenta, ponendo in atto un confronto, la colpa delle nazioni, che prende forma nel prevalere del forte sul più debole, e la sanzione corrispondente. Questo blocco letterario viene poi contrapposto a quello concernente Israele. La funzione di questo confronto è duplice. Da una parte, mostrando ciò che accomuna e diversifica Israele e le nazioni, si pone in risalto, per contrasto, la natura e la radice della colpa di Israele; dall'altra si afferma che c'è un aspetto di completezza e di totalità nelt1esercizio della ingiustizia, perché essa segna sia 1 rapporti internazionali sia quelli civici. Inoltre ciò che di Israele viene presentato in questa sezione, viene ripreso e sviluppato, con sfumature e toni diversi, nel resto del libro. Di fatto, "nonostante la varietà dei generi letterari, delle figure retoriche e degli accorgimenti stilistici, la parola del profeta di Tekoa ribadisce continuamente i tnedesimi concetti" 7. Questo fenomeno della ripetizione aggiunge all'aspetto di totalità quello della definitività, della irreversibilità della situazione che il profeta denuncia e condanna. Questa fonna letteraria va tenuta presente per cogliere la ricchezza del contenuto della profezia di Amos. Ora, il dato apparentemente paradossale è che negli oracoli contro le nazioni, brano con cui si apre la denuncia di Amos, Israele è presentato come vittima di ingiustizia. Eppure non c'è semplicemente
7 P. BOVAT!-R. MEYNET,
op. cit., 423.
!\ngeio Passaro
IO
la preoccupazione per l'ingiustizia perpetrata contro lsraele, perché esso non è l'unica vittima. Il fatto che Edom in 2,l-3 sia presentato come vittima di violenza da parte di Moab, mentre è complice di Gaza 111 l ,6-8, provoca l'effetto di evitare ogni possibile illusione
etnocentricail da parte di Israele che, essendo presentato coine vitti1na dell' ingiustizia delle nazioni, poteva vedere ristabilito il suo diritto nel verdetto irrevocabile di condanna delle nazioni da parte di YHWH. Israele vittin1a nei confronti delle nazioni è artefice di ingiustizia al suo interno. È un n1odo per indicare che non c'è nessuno che sia soJatnente vittin1a dell'ingiustizia. Chiunque può trasforrnarsi da vittin1a a soggetto di violenza e ingiustizia quando il forte prevale contro il più debole. È questo che acco1nuna Israele e le nazioni con1e artefici di ingiustizia. Anche se per le nazioni - e questa è la nota specifica che le riguarda - c'è ingiustizia quando i rapporti di fraternità 9 , di vicinanza e di prossin1ità, scritti, sanciti e regolati nei traltati di alleanza, n1anifestati nel rispetto dei confini, vengono infranti con violenza in no1ne di interessi e 1notivazioni econon1ico-politici che nascondono la volontà di do1ninio e la considerazione del vicino co1ne oggetto di possibile sfrutta1nento 111 • A1nos, infatti, pur non citando la guerra - se non nell'annuncio della sanzione - con1e stru111ento di violenza, fa riferi1nento ad essa perché solo attraverso di essa si affer111a il proprio incontrastato dominio sul territorio ( l, 13) e ci si procura ricchezza, dal momento che essa ha coine conseguenza la deportazione in 1nassa degli sconfitti che diverranno schiavi, oggetto di scan1bio co1nrnerciale. Nel sorpruso e nella violenza on1icida 11 An1os coglie, perciò, il denominatore comune di tutti i delitti pcrpretati dalle nazioni. La presentazione di tutti i crimini con lo stesso vocabolo,
ft·' -delitto-,
8 Cfr. P. BOVi\Tl-R. MEYNET, op. cii., 72. Anche J.L. SICRE, Con !os pobres de la tierra. La j11stich1 socia/ en los profeta.i· de lsrae/, Madrid J 984, J 02. 9 Cfr. br;/f /7)'777 -alleanza tra rratel!i- in l ,9 e l rdprvb(lrb l!Vf.V-pcrché ha inseguito con la spada suo frntello- in l, l l. 10 J.L. S!CRE, Con los pobres, 101, corn1ncnta "El pccado dcnunciaclo por An1os no es produclo del cspiritu con1ctcial, sino dcl odio". 11
crr. I.e ..
Profezia e denuncia dei mali sociali nel libro del profeta Amos I I
inserito in una sorta di leit-motiv J !Hs/1 ps y w J Jbh /' sybnnw -per tre delitti di ... e per quattro non ammetto revoca- rivela la volontà del profeta di presentare l'unijònnità dei crimini e la perficacia nel com1netterli. Si tratta, in fondo di un 1nedesi1no crin1ine co111mcsso ri petu tarnen te 12 • Di fronte a una situazione così drammatican1ente e definitivamente con1pron1cssa, il profeta annuncia la risposla non indifferente di YHWH''· La medesima sanzione, irrevocabile'\ si abbatterà su tutte le nazioni e con essa la giustizia verrà ristabilita. L'immagine del fuoco" che divora le mura della città, le case e i palazzi, simboli questi ultimi del potere palatino, insieme a quella della deportazione e della soppressione di coloro che costituiscono la classe dirigente, veicolano l'idea di una giustizia retributiva, perchè YHWH retribuisce ciascuno secondo le sue opere. In questo modo Amos sottolinea che la storia è lo spazio della esecuzione della sentenza emessa da colui che giudica i giudici del inondo 16 •
3. Lo schen1a cri111inc-sanzione interpreta anche la denuncia di Amos contro Israele, nonostante che, diversamente dalla pericope 1,32,3, nella sezione 2,6-16 all'accusa non segua in1n1ediatan1ente la sanzione. Infatti, prin1a di questa, in contrasto con i cri1nini di Israele contro i deboli, si ricordano una serie di azioni di Dio a favore di Israele (2,9-1 O): l'uscita dall'Egitto e, con la distruzione dcll'Amorreo, il dono della terra. Si fa riferimento all'azione di Dio nel dono che a
12 Cfr. P. BOVAT!-R. MEYNET, op. cit., 73. Cfr. J.L. SICRE, op. ci!., 102.
13
1 ~ Sull'espressione 11'.~ybnnrv-non ainrnelto revoca- (1,3.6.9.11.13; cfr. J.A. SOGG!N, li prc~feta A111os, Brescia 1982, 56. 15 Cfr. 1,4.7.10.12.14; 2,2. 16 Cfr. P. BoVAT!-R. MEYNET, op. cit., 96; J.L. STCRE, op. cit., 102s.
2,l.4.6)
Angelo Passaro
12
·~~~~~~~~~~~~-
Israele viene fatto dei naz1re1 e dei profeti; realtà che sono state depotenziate e occultate da Israele. A questa presentazione fa pendant l'annuncio dell'azione di Dio contro Israele che viene presentata 1nediante le i1nn1agini del carro che affonda (2, 13) e della fuga (2, 14 ). Al centro del brano risalta perciò una domanda - llp 'yn z't bny
y5z'I -non è così, figli d'Israele?- (2,11) - che, riferendosi alla totalità del testo 17 , se1nbra richiedere la necessità di co1nprenderc la radice e la natura della colpa di Israele e di spiegare l'aspetto di necessità e di consequenzialità della durissima sanzione divina. In effelti una condanna così grave di azioni non gravissime, anzi di attività che sembrano perfettamente legittime e legali 18 , sembra sproporzionata se non ingiustificata. Ma l'originalità della parola di denuncia di An1os sta appunto nel fatto che il profeta svela, 1nettendola in luce, Jlingiustizia nascosta di Israele, la perversione della giustizia. Cerlo è legittin10 che un creditore faccia applicare una sentenza di vendita: che per recuperare il proprio denaro prestato, venda come schiavo il suo debitore o ciò che gli appartiene (2,6.8). Sono azioni proceduralmente corrette e perfettamente legali, come comminare una multa in vino. Ma Amos da un lato stigmatizza il fatto che anche in ciò che è legale la legge non viene osservata sia perché si applica una sanzione quando non c'è colpa, si applicano cioè criteri giuridici là dove c'è un innocente 19 , sia perché si co1nn11nano sanzioni sproporzionate alle colpe rendendo schiavi degli uomini per un debito
17 Cfr. P. BOVAT!-R. MEYNET,
op. cit., 97. Cfr. A. BONOR!\,A111os difensore del diriffo e della giustizia, in Testh11oniiu11 Christi. Scritti in onore dì J. Dupont, Brescia 1985, 72. JI riferiinento è alla schiavill! per debito, attestata sia nei codici che nei testi narrativi (Es 21,2.7ss.; Dt l5,12ss.; 2Re 4, I; etc.). Non crcdian10 che A1nos porti la sua critica a questa pratica (così SJCRE, op. cit., 106-7), perché nella società Israelitica questa schiavitù non è intesa in senso etico e 1norale; essa è se1nplicernente un risnrciinento. In qualche n1odo si prevedono sanzioni per chi turba l'istituto dcl prestito. )') Cfr. 2,6 1/ mJ:/n1 bf:sp ..!>ddq -perché vendono per denaro l'innocente-. 18
Profezia e denuncia dei mali sociali nel libro del prof'eta Amos 1 3
rninin10 20 , Dall'altro rivela come all'interno della presunta legalità si nasconda l'ingiuslizia, dal mo1nento che le rivendicazioni dei poveri 111
sede giudiziaria vengono distorte21 . Attraverso la presentazione di atti di valore simbolico viene denunciata la n1ancanza di garanzia del diritto nei riguardi dei poveri in favore degli interessi dci potenti, i guaii non accettano gli atti di pietà dei poveri 22 • Prende forma nelle parole di Amos il riconoscimento e la denuncia di un organico co111plesso siste111ico prevaricatore. Non si presentano fatti clan1orosi di ingiustizia, n1a si denuncia una cosciente e voluta interpretazione della legalità che non è confanne alla giustizia. La colpa di Israele è inso1nn1a quella di co1npiere una ingiuslizia che 1nentre rimane nascosta, vuole 1nostrarsi giustificata, avallata dalla sfera giurisdizionale e legittin1ata e consacrata dalla religione. Infatti "a motivo della specificità ciel vocabolario utilizzato, sembra che l'insieme della denuncia del peccato si collochi nel contesto religioso del pcllegrinaggio'' 2-'. La casa di Dio diviene il punto di arrivo di un itinerario che prende le mosse dalla porta della città, luogo della an11ninistrazione della giustizia, e si conclude, appunto, nel santuario dove i protagonisti dell'ingiustizia, le autorità e i potenti, snaturano il senso dell'azione cultuale per il 1nanteni1nento dei loro interessi. Così ciò che era espressione dell'ingiustizia perpetrata diviene occasione e strun1ento di una festa religiosa che non può avere con1e
20
È l'interprelazione corrente ùa Girolan10 fino ai co111111entalori 1noùerni dell'espressione cli 2,6 rvib)1IY!l ffbrvrrll_ym -e l'indigente (vendono) per una questione cli sandali-. M<1 .I. PONS, L'oppression dans !'Ancienr Tes/a1nc111, Pnris 1981, sostiene che il sandalo è il sin1bolo cli transazioni !cg<1li che riguardano il ca1nbio di propietà. Il sandalo significherebbe il possesso (c!"r. Sal 60,!0). Dunque i poveri sarebbero venduti con1e schiavi a causa cli pennute di terreno. 21
Sull'espressione cli 2,?b rvdr/: rnI+)/177 J'/trv -e il ca1111nino dci poveri distorcono- cfr. P. BOVATI, l?ista/Ji/ire la giustizia, Ro1na 1985, ! 72-173. 22 È questo il senso probabile di 2,7a che si riferirebbe al gesto dei poveri cli porre !n testa sulla terra co1ne richiesta cli pietà. 2.ì P. BovAT!-R. l\1EYNET, op. cit., 99.
Angelo Passaro
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centro e termine il Dio dell'esodo ma il godimento della propria vita che raggiunge il suo cuhnine nel far diventare una ragazza, probabilmente venduta dai genitori ai signori 21 , oggetto cli prestazioni sessuali (2,7c), mentre la legge impone l'astinenza sessuale per chi entra in contatto con la santità di Dio 25 • In questo n1odo si profana il nome di YHWH"'. Nel primo oracolo contro Israele, che sintetizza i contenuti della denuncia dell 1 ingiustizia di Israele, An1os coglie perciò con estren1a lucidilà la inatricc e la dimensione econo111ica dcll 1ingiustizia, n1a con altrettanto realismo sottolinea il fatto che essa diviene sistema nella n1isura in cui si appoggia ad altre forn1e di natura giurisdizionale, politica e religiosa. Si coglie già in questo prin10 oracolo il carattere di radicalità della denuncia di Amos. li profeta svela sia la caduta di sensibilità sociale che produce ingiustizia e dunque divisione tra gli uomini e nella società, sia quegli abusi che sono 111anifestazione di una ingiustizia legalizzata che travisa e perverte il senso delle istituzioni e delle leggi. Questa visione sistcn1ica della ingiustizia sociale viene ripresa e, con caratteristiche e accenti nuovi, illustrata nel resto del libro. A1nos ribadisce la 1notivazionc econo1nica dell'ingiustizia. Nel desiderio del possesso se1nprc maggiore di denaro, nella ricerca del massimo profitto, si compie l'asservimento dei poveri (3,9; 4,1; 5, 1112; 8,4-6)" per realizzare uno stile di vita segnato dal lusso e dal
2-1 Non c'è riferin1cnlo a una prostituta sacra. Ainos usa nfr/1 e non q~/J. Cfr .
.l.L. VESCO, A111os dc Teqoo, 25 26
d(~fc11se11r
de l'ho111111e, in RB 87 (1980) 491.
Cfr. _Es !9,15; Lv J5,l8; 22,3; I Sani 21,5. Si coglie nell'uso di JJn /lii in 2,7d In pesanle ironin di A1nos. Si va ::il
11011 per lodare (JJn /n) 27 Con il lcrmine povero
il non1c di YH\Vl-11na per "profanarlo". si vuole indic;_1rc la persona che viene ingiustarnente vessala. I lcnnini usali dn Ainos per indicare le villirne dell'ingiustizia, infalti, sono v;11i: 'nw(2,7; 8,4), sdda (2,6; 4,1; 5,12), 'b)"Wh (2,6; 4,1; 5,12; 8,4.6), lei (2,7; 4,1; 5, ! ! ; 8,6). Questa varie!J è segnale che Ainos non vuole riferirsi a una categoria sociale deriniln, nonostante sia evidente che l'ingiustizia è dire!lan1e1He proporzionale alla diseguaglianza di potere rra Je parti che co1npongono la società. Cfr. A. BONORA, op. cii., 72-73. tcn1pio
Profezia e denuncia dei mali sociali nel libro del profeta Amos I 5
benessere che si manifestano nella ricchezza delle abitazioni (3,15), nella smodata abbondanza di cibi sulle tavole imbandite, nella aristocraticità dei divertin1enti e nella ricercata cura dell'aspetto esteriore (6,4 - 6). A1nos condanna la situazione di ostentata ricchezza di un gruppo di agiati bencstanti 28 , perché in essa scorge Pesito della rapina, del sorpruso e della prepotenza. Non c'è una condanna tout court della ricchezza, 1na l'illustrazione della sua proble1naticità quando ad essa si acco1npagnano o, peggio, la sua ricerca crea, situazioni di estren1a povert~t e di asservì1nento. Nella esibizione delia ricchezza si esalta e si celebra, perciò, l'ingiustizia (4, l-9)n È evidente, con1e si diceva, la connessione che An1os svela tra l'ambito economico e quelli giurisdizionale e politico. Questi due ullirne realtà 111 qualche 1nodo istiluzionalizzano l'ingiustizia, giustificano l'oppressione. Letterarian1ente questo lega1ne si coglie neil 'uso del tern1ine lrnnf'n - palazzo -"',simbolo pubblico dcl potere e della ricchezza ingiusti 11 , perché sede del potere politico che protegge e beneficia dell'ingiustizia che si attua in can1po econo1nico. Infatti, il taglieggiamento e il def'raudamcnto della popolazione sono funzionali a quel progetto di grandeur della nazione che si realizza attraverso campagne n1ilitari di conquista~ 2 che sono segno di forza e
di potere-'J.
28 Cfr. P. BOVATl-R. MEYNET,
op. cit., Ll27. J-1. DONNEf<, /)ie Sozia/e Botschaft Lichtc der Gesellschr{/fsord111111g ù1 lsrocf, in Ori\11 2 ( l 963) 229243, sostiene, invece, elle la critica sociale di A111os è indirizzala csclusivan1cntc conlro la con1ronentc c<1n<111en e la burocrnzin cananeiLzata di Sainaria. iVla con1c per le viltin1c dcH'ingiustizia anche per gli oppressori A1nos 11011 offre inc!ienzioni chiare che aiutino n detern1inarnc !'idcnlitìl. Egli Li riferi1nento alle istituzioni e alle azioni nelle quali si concretizza l'ingiustizia e !'oppressìone. 29 Cfr. A. SPH.EAFICO, A!lros: str11!!11rofon11a!c e spunti ptr 1111a interprelaz.ione, in RiFB 29 (1981) 156. ·1 F, un tennine ccnln1!e nella denuncia di Ainos. La su<.l in1porlanza si coglie anche dalla sua frequenza: ricorre 33 volte in tutto l'Antico Testrnnenlo, 12 volte in
dcr Prophete11
i111
°
An1os. ·11 Cfr. A. BONORA,
op. cit.,
76.
Anche J.L.
Madrid 1979. -'
2
1 -'-"
Cfr. 6, ! . Cfr. P. BONATl-R. l\1EYNEI', op. cit., 428.
SJCf{E,
Los dioses o!vi11odos,
Angelo Passaro
16
Si può a ragione affermare che "l'ingiustizia si costrnisce le sue illusorie fortezze, sia private sia pubbliche, simboli ingannevoli di superba sicurezza: ogni oppressore sogna il suo castello"'·'. Il profeta è, allora, colui che apre le porte dci palazzi per smascherare ciò che è difeso e occultato all'interno, per denunciare che chi dispone dell'autorità non impedisce l'ingiustizia, anzi lascia cadere ogni promozione della giustizia cosicché la porta della città da luogo della amministrazione della giustizia si trasforma in luogo dove si compie la violenza, l'odio contro i poveri e i loro diritti e le loro rivendicazioni messi a tacere (5,10-13)". Insomma, ogni ambito della vita umana, ogni spazio della vita sociale, è segnato dalla ingiustizia. Anche il tempio diviene luogo di copertura, prolezionc e consacrazione della ingiustizia. Il profeta coglie e denuncia il legame tra l'ingiustizia nei palazzi e il culto come ribellione al tempio (3,14; 4,4). Le cerimonie cultuali moltiplicate nei momenti di grave pericolo per il popolo non sono, infatti, occasione di ca1nbian1ento, di abbandono dì un sisten1a di vita violento, ina, di fatto, richiesta a YHWH di approvazione della condotta iniqua che esprime un sistema di valori opposto a ciò che il culto stesso vuole significare. Amos esprime, perciò, il rifiuto di YHWH nei confronti di un culto che, nelle fonne sontuose in cui si manifesta, presenta con1e surrogabile l'agire retto, consentendo così uno sdoppiamento della coscienza (5,21-24)'6 . Condanna cioé, la strumentalizzazione della religione in funzione antisociale .
4. È dunque l'ingiustizia percepita e compresa come totalità che Alnos denuncia e condanna con vigore. Un vigore determinato dalla
3
~
A. SONORA, op. cit., 77. Cfr. anche Mie 3,1-4.9-10. 36 Cfr. P. BoVATl-R. MEYNET, op. cii., 428. M. WE!SS, Co11cen1ù1g A111os' Rep11dìatio11 t~f the C11/t, in D. P. WR!GHT - D. N. FREEDMAN - A. 1-IURVITZ (eds.), Po111egra11ates and Golden Bel!s: Studies in Hib!ica/, lewish a11d Near Easrern Rit11al, L(f\V and Litera/ure in !-!onor of Jacob Mi/gron, Ninona L::ikc 1995, 119-214. -' 5
Profezia e denuncia dei mali sociali nel libro del profeta Amos I 7
coscienza che il profeta ha che il suo parlare non si fonda sulla ragionevolezza delle affermazioni ma sul rimando a Dio stesso. La dialettica presente nei primi versetti del capitolo primo dove ali' espressione
dbry
'mws - parole
di
Amos
(I, 1)
segue
YHWH ... wmyrwS!m yttn qw!w - YHWH ... da Gerusalemme emette la sua voce - (1,2), dice l'unità delle due voci, quella, appunto, di Amos e quella di YHWH. Riposa in questa dialettica l'autorità della parola profetica e dunque la libertà del profeta nella sua denuncia. La parola profetica non è legata ad alcuna autorità che non sia quella di YHWH che 'parla da Si on' (I, 1), cioè dal luogo che significa la sua fedeltà all'elezione. Il profeta nella sua vigorosa denuncia, perciò, ri-dice la fedeltà di Dio di fronte alla quale si staglia chiaramente la colpa di Israele. Nella denuncia dei mali sociali di Israele si scontra l'autorità di YHWH e del profeta da una parte e l'autorità dei potenti di Israele che tentano di legare la parola profetica ad una realtà geografica ben delimitata (7, 12-13)37 o, quando non è possibile limitarla o asservirla38 , ridurla al silenzio (2, 11-12). Ora, se la perversione del culto di fatto maschera la volontà di pervertire il senso della storia'", dal momento che il pellegrinaggio come atto cultuale significa ripetere per attualizzarla la storia che YHWH ha fatto con Israele, ridurre al silenzio la parola profetica è volontà di eliminare l'unica possibilità di interpretazione imparziale e definitiva della storia passata, perché essa svela che YHWH dirige la storia di Israele e che è inutile tentare cli opporsi ad essa.
-~ 7 È di fallo il senso dell'ingiunzione rivolta da A1nasia ad An1os. Seppur l'intervento ùi Arnasia è in linea con la sua regolare funzione di sacerdote dcl culto regale. Cfr. I. JARUZELSKA, A111asya!t - préte de Béthe! - fo11ctio1111aire roya! (essai socio-éco110111iq11e préli111inaire), in Fo 31 (1995) 53-69, ·18 Cfr. Nu111 22-24. Ne]](] sloria di Balaarn vengono presentale tre figure paradig1natiche: un re, un profeta, la divinità. Il re tenta di trascinare il profeta dalla sua parie (22,6.41; 23,13.27) n1cntre questi è legato ad Elohi1n. Un profeta straniero obbedisce n El oh i in non a! re, a forfiori un profela di Israele. La storia perciò 1noslra l'opposizione tra il potere regale e Elohi1n sull'atlivit8 del profeta. 9 J Cfr. P. BOVATl-R. MEYNET, op. cir., JO!s.
Angelo Passaro
18
Una storia nella quale YHWH ha guidato il popolo verso una
terra che è diventata sua eredità40 , distruggendo I' An1orreo, figura per eccellenza del prepotente, mentre nel presente questa figura viene riproposta all'interno di Israele nel sistema di violenza che i forti esercitano contro i deboli, contro quelle persone che pure sono riconosciute tradizionalmente oggetto della cura di YHWH". Far tacere i profeti è dunque rinunciare alla dbr YHWH - parola di YHWH - come referente autoritativo, unico e normativo per la vita di Israele. Di più, significa che ciò che YHWH fa Israele lo fa tacere, allontanandosi in questo modo dalla fedeltà a Lui, misconoscendo che la forza è solo nel Signore·12 , sottoponendo e asservendo la parola di Dio ad altre autorità. Nel silenzio imposto al profeta YHWH è ridotto al silenzio. In questo An1os ravvisa il con1pùnento della ingiustizia, perché far tacere la parola profetica è rifiuto della storia quale azione divina e, in quanto negazione di ogni possibilità di critica, perversione totale perchè non solo si cornn1ettc il male ma si 1ncttono a tacere le voci che potrebbero denunciarlo. Così tutto il 1na!e è giustificato e ogni autorità u1nana "non è più riferita ad un'altra autorità che la sorpassa e la controlla" 4 -'. Perciò nel silenzio della parola e' è l'eliminazione dcli' unico motivo di speranza per il futuro. Questo significa, d'altra parte, che nelle parole di Amos viene ribadita l'assoluta necessità i/ella JJarofa profetica quale unica possibilità di svelamento dell'ingiustizia e delle sue radici", quale elemento di contrapposizione radicale a quelle istituzioni, sacerdozio e n1onarchia, che invece di essere luogo di giustizia sono luogo della sua perversione, che invece di significare Dio nella storia del popolo, si servono di una parola, certo autorevole e an1n1antata di sacralità, che diviene strumento di giustificazione e
° Cfr. Snl
1 ' 1 " 42
68,Sss. Cfr. Sai 68,6ss. Cfr. in 2,11 il riferin1cnlo ai nazirci, testin1onionza dì forza e coraggio, che vengono avvinazzali , desncralizzati e ricondotti all'interno del siste1na dei potenti. 4-ì P. BOVATl-R. MEYNET, op. cit., 102.
"Cfr. 1,1-2; 3.1-8; 7,1-6.
Profezia e denuncia dei mali sociali nel libro del profeta Amos I 9
protezione dell'agire ingiusto e favorisce la creazione di un "regno di violenza"'°, espressione del decadimento e del disfacimento della società'1r'. A1nos prcsenla e denuncia, dunque, "un 1nondo in cui non solo si co1nn1ettono numerosi atti di ingiustizia, 1na in cui soprattutto la parola - anche la più autorevole e sacra - diventa stru1nento di giustificazione, di avallo e protezione deII'agire violento. Che si tratti dell'ideologia politica, delle sentenze emesse dai tribunali che diventano come diritto consuetudinario, della teologia legata al santuario e alle sue cerirnonic cultuali, questo insien1e di parole è diametralmente opposto alla parola di YHWH"". Al fondo della situazione di Israele descritta da Amos c'è allora una colpa di idolatria intesa da un lato co1ne una situazione di menzogna'", un atto di sostituzione cosciente della parola di Dio, della legge, con una parola 1nenzognera, dall'altro come il non riconoscin1ento di Dio con1c Dio. Attingendo alle tradizioni sapienziali 49 , An1os riconosce e denuncia una ingiustizia che non è solo negli atti, nia che s1 caratterizza come un non conoscere50 , con1e una atteslazione del rifiuto di lasciarsi guidare dalla volontà di YHWH che si esprime in un agire non retto 51 •
15 •
È questo i! senso preferibile dell'espressione di 6,3 Sh/ /Jms. Cfr. A. BONORA, op. cii., 70. 17 ' P. 80VATl-R. MEYNET, op. cit., 419. 48 Nell'oracolo contro Giuda (2,4-5) che articola le due sezioni co1nprcnclenti g!i on1coli contro le nazioni e contro Israele, gli idoli sono presentali con una tcrn1i11ologia - kzb;dln1 !e loro 1nenzogne - che dice ordine alla psrola. Cfr. P. ROVATl-R. ivlEYNET, op. cii .. 77. 4 '> Sulla discussione riguardo la niatrice della denuncia sociale di Ainos cfr. J.L. S!CRE, Con /os pohres, 159-!66. Di recente interessante la riflessione di J. A. SOGCìlN, An1os and iVisdo111, in J. DAY et nl (eds.), \Visdollt in A11cie11t !srae/. Essays in f/onor r~f .I. A. E111crton, Crnnbridge 1995, I J 9-123. 511 Cfr. 3,9-12; soprattutto il v. !O: rvf;/drv ~{rvt nk/;11 - non conoscono !a dirilluri.l dcl frire -. 51 Gere1nia, in rnaniera particolare, sviluppefà questa dirnensionc della denuncia della ingiustizia sociale. Cfr. L. WlSSER, Jéré111ie, li 9- I 34. '16
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Questa stortura della mente è espressione della sicurezza che si fonda sulla presunzione di un indiscusso rapporto con Dio, dell'appartenenza a Lui come popolo sancita nella berit, come se l'impegno 52 e la comunanza di vita5 -ì che essa significa ed esige non richiedessero con1e conseguenza necessaria 11esercizio del diritto e della giustizia. Perciò la denuncia del profeta è lo svelamento di una falsa idea di Dio e la rivelazione della presenza non pacifica di YHWH nel cammino del popolo ( 3, 14; 4,4-5; 5,4-6). Nel mostrare che la giustizia fa parte delle esigenze poste da YHWH nella sua rivelazione nella storia ed è elemento indispensabile della fedeltà del popolo alla sua vocazione, Amos si colloca fuori dall'orizzonte di una profezia che profetizza nella menzogna" perché fa ricorso a una parola che "announce à tort le shalon1"5 5, accelta una situazione di sfruttamento e difende il manteni1nento dello status quo, divenendo essa stessa espressione di un sistema da condannare 5r'.
5. Il profeta è, invece, colui che annuncia la piena corrispondenza tra la irreversibilità della situazione constatata e la irreversibilità del giudizio giusto, equo e definitivo di Dio, nel quale la condanna dei colpevoli significherà la salvezza per le vittime dell'ingiustizia. In questo modo "il popolo di Samaria viene a conoscere chi è il suo Signore e cosa è la vera giustizia" 57 , perché è
52 Sul concetto di berft con1e in1pcgno si può vedere E. KuTSI!, br;1 t, in DTAT
I. 296-305. 5·' Cfr. P. BUIS, La 11orio11 d'alliance dnns /'A11cie111 Tesf(1111e111, Paris 1975.
s.; Cfr. Ger 5,31 a: nbirv bSqr - profetizzano nella 111enzogna -; Gcr 6, 13-15: 8.10-12; Mie 3,5. 55 L. WtsSEI~, Jéré111ie, l 31. 56 Cfr. A1n 8,4-7 dove si denuncia la n1enzogna con1e stru1ncnto di ingiustizia. L'azione ingiusta dci n1alvagi ri1nanda al loro dire: il rrwlvagio froda e "annienta il povero servendosi della parola" (P. BOVATJ-R. MEYNET, op. cii., 350, nota 10). Cfr. anche Os !2,8-9; I\1ic 6,10-12. 57 P. BOVATl-R. MEYNET, op. cit., 431.
Profezia e denuncia dei mali sociali nel libro del profeta Amos 21
YHWH stesso che interviene a ristabilire la giustizia (3, 1-2. I 4; 4, 12; 6,11; 9,1.4.19). A1nos annuncia, perciò, una sanzione che nelle diverse forn1e che assume si configura come uno sconvolgi1nento cosmico che produce morte e distruzione. Viene presentata con un carattere di totalità e definitività che fa pendant con l'aspetto di totalità e di recidività della colpa di Israele: è la risposta che YHWH dà allo sconvolgimento del diritto e della giustizia in Israele. Alle immagini del terremoto, della siccità, del fuoco'", sì accompagnano quelle della catastrofe militare (3, I I), del lutto in tutto il paese (8,9-10), della scomparsa violenta di Israele dalla faccia della terra (9,8), cosicchè "la catastrofe de la naturaleza se convierte én catastrofe n1ililar, con su secuencia de invas1on, 1nuerte,
de portaci on Hs<J. In questo intervento della giustizia di YHWH nell'esercizio della ingiustizia dì Israele, Amos presenta il carattere rivelatorio della sanzione: "essa svela non solo la gravità del cri1nine, n1a la specifica modalità attraverso cui l'ingiustizia è stata perpetrata" 60 . Le diverse
forme che la sanzione assume, mentre assolvono alla funzione di presentare l'aspetto distributivo della giustizia di YHWH, sono manifestazione della complessità della ingiustizia di Israele, dì tutte le sue sfaccettature e delle sue componenti. Scon1parirà perciò tutto ciò che segnala e significa ricchezza e
benessere. Non solo i palazzi grandi e spaziosi, le case d'avorio, quelle climatizzate per l'estate e per l'inverno (3,15). Anche la te1rn, dimora del popolo perché dimora che YHWH ha scelto per sè, sarà devastata e la nazione asservita a un)altra più potente.
Ali' esercizio violento della forza, alla sopraffazione sistematica e cosciente del debole, del povero, alla volontà di dominio, il profeta contrappone, come atto di ristabilimento della giustizia, la distruzione
58
Ele1nenlo che caratterizza la sanzione nella sequenza degli oracoli contro le nazioni (1,3-2,3). 59
J.L. SJCRE,
60
P. BOYATl-R. MEYNET, op. cit., 432.
op. cit., 158.
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totale e irreversibile della istituzione monarchica. Il re sarà ucciso (7, 11) e con lui i figli del sacerdote (7, 17). Insieme alla regalità, anche il tempio, il santuario sarà distrntto (9,1-4). Non ci sarà più possibilità di legare l'ingiustizia ai tempi cultuali"', cli pcrprelarla nella ipocrita osservanza del dettato religioso. "Chi fa l'ingiustizia dice mataj (4,5) aspettando con fiducia la ripetizione del cielo cultuale. Ma ormai e' è la fine che rompe questo ciclo. Per questo le feste sono cambiate in 'ebel (4, I 0)" 62 • YHWH interviene a rendere inconsistenti le feste su cui si costruisce l'ingiustizia perché esse ca1nbiano la giustizia.
6. Amos, dunque, si fa portavoce di una sentenza definitiva, inappellabile, sulla storia cli Israele. La parola di giudizio è certo centrale nella sua profezia. Nondi1ncno la sua denuncia se1nbra sfociare in uno scetticismo totale"\ non solo perché nella parola cli Amos non sembra esserci spazio per alcuna possibilità di cambiamento, ma anche perché la catastrofe sociale se1nbra abbattersi su tutti, dal momento che nessuno - individui e società - sen1bra essere in grado di fer111are il processo di disgregazione6-1 • Ma "decir que Amos no cuenta con una posibiliclad de futuro para el pueblo en su totalidad resulta injusto""5 • Infatti, l'aver sottolineato esplicitamente I<\ dimensione punitiva del ristabilimento della giustizia da parte di YHWI-I, Paver n1ostrato Puniversalità della sanzione, l'aver annunciato la fine delle istituzioni di Israele, non significa necessariamente la fine del popolo.
61
crr. hbdS
62
A.
e h.~bb/ in 8,5.
SPREAFICO, op. cif., 172-173. 6 .1Cfr. J.A. SOGG!N, Il profeta A111os,
33: "i! popolo, incapace co1n'è stato c!i realizzare nel proprio seno delle struLLurc che corrispondano alla sua vocazione, è orinai votalo alla distruzione". 64 Cfr. H. SJMIAN-YOFnE, Povertà, rh:chezza e ingiustizia nel pensiero profetico, in V. LIBERTI (a cura di), Riccliez.z.a e povertà nella flibhia, Rorna 199 l, 109-133. (, 5 J.L. SJCRE, op. cit., 159.
Profezia e denuncia dei mali sociali nel libro del profeta Amos 23
Aldilà della nota di speranza nell'immagine dell'uomo nudo che fugge (2,16), al centro del libro vibra un imperativo drsw 't YHWH wfly/J - cercate il Signore e vivrete - (5,6), che è insieme comprensione
dcl passato e apertura al futuro. Per Israele, ricondotto nel giorno dcl giudizio a riprendere coscienza del suo essere "piccolo Giacobbe" (7,2), si aprirà un tempo in cui diventerà capace non solo di abbandonare il male ma di cercare il Signore; capace non solo di fare il bene ma di aderire, in una rinnovata relazione di prossi1nità, a colui che è il principio della giustizia. E nella pericope conclusiva dcl libro si dice che questo futuro è già con1inciato. La denuncia di Amos si articola, perciò, In una qfnah che ha carattere definitivo e irreversibile66 e in una esortazione che riconduce Israele alla verità dcl suo essere popolo di Dio che si concretizza e si n1anifesta nella plantatio iustitiae.
7. Lo scopo della denuncia di Amos non è semplicemente quello di trascinare l'individuo in un itinerario di reale conversione del cuore 67 • Egli sen1bra essere molto lontano da una concezione individualistica delle cause dell'ingiustizia('~. La denuncia di Ainos non ha il suo tennine in un pietismo individualista che renderebbe innocua la parola profetica 69 . Lo svelan1ento del peccato di Israele è critica di un complesso sistemico, della prevaricazione delle istituzioni, del tentativo cosciente, programmato e diffuso di opprimere la
66 Cfr. 5, 1-3. 67
Cfr. 1-1. W. WOLFF, !Jie eigent!iche Botschajider K!assichen Prophetcn, in Beitriige z.ur i\!11esta111e111!ische11 Theo!ogie. Fe.1·fs()1r(ft1v. Zi111n1erli, GOttingen 1977, 547-577. Diversan1enle J. VERMEYLEN, les prophètes de la conversion /ace au.r traditions sacra/es de l'!srael ancien, in RTL 9 (1978) 5-32. 6 ·~ Cfr. invece P. KLEJNERT, !Jie Prophe!en lsroels in sozJa!er Beziehung, Leipzig 1905, 35, citalo eia J.L. S!CRE, op. cit., 153: :'No el echo, sino !a n1ancra, lo personal, la aclitucl injusla por parle de los privilcgiaclos y poderosos es quc I o convìcrtc esas cosas cn objccto dc su ataquc y su conc!ena. Y, a su vez, son solo los afctos n1as intirnos y pcrsonalcs, an1or dcl bicn y odio dcl n1al, los quc haran posible la cxistcnxia y pcnnanencia de csc scntido socia! quc cxige Arnos". 69 Cfr. J.L. SICRE, O/). cit., 155.
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persona, non semplicemente riprovazione di singoli individui. L'ingiustizia, il male sociale, è un male oggettivo radicato nella società che può originarsi in un individuo o anche in un gruppo, ma in Israele raggiunge livelli e consistenza tali che lo rendono indipendente dagli individui1<1. Questo non significa che nella sua denuncia il profeta voglia offrire una nuova teoria della giustizia o
proporre una riforn1a
strutturale della società. Egli non difende una categoria sociale contro un'altra. Il profeta smaschera e stigmatizza situazioni e comportamenti che danno corpo all'oppressione, più che interessarsi della posizione sociale degli oppressi". In questo senso la sua llenuncia non è generica. Sia perché fa riferin1ento a situazioni e problen1i concreti che investono la società di Israele72 e che si configurano come condotta oppressiva attraverso la quale si disprezza l'essere un1ano e si nega la sua dignità, sia perché non si limita a una se1nplice registrazione dei mali sociali, ma ne svela
la dimensione occulta di pervertimento. Ciò che si denuncia non è solo il male che si compie, ma il tentativo di mettere a tacere quelle voci che, 1nentre interpretano autentican1ente la volontà divina recuperando le esigenze fondamentali della relazione YHWH-popolo, sottolineano che i rapporti di giustizia dipendono oltre che dall'osservanza della legge anche da coloro che esercitano potere e influsso sulla società7.1. C'è una chiara attitudine al real isino e una altrettanto chiara distanza da prospettive utopiche. La denuncia di Amos è infatti frutto della storia ed è generatrice di storia. E' insieme lamento e richiesta di giustizia; accusa e istanza fatta al popolo di agire secondo il diritto e la giustizia che sono dono e volontà divini. In questo modo Amos "fa risaltare la dimensione antropologica della rivelazione. Per difendere l'umano Amos fa appello al divino,
°Cfr. H. S!MIAN-YOFRE, op. cit.,
7
71
129.
Cfr. A. BONORA, op. cit., 72-73.
72 Per un elenco dettagliato cfr. J.L. SrcRE, 73
Cfr. H. S!MIAN-YOFRE, op. cit., 127.
op. cit., 143.
Profezia e denuncia dei mali sociali nel libro del profeta Amos 25
alle esigenze di Dio e non a una teoria sociologica o a una concezione filosofica della società. Non contrappone alla realtà sociale un proprio programma particolareggiato, ma nemmeno resta neutrale e tantomeno evade dalla realtà con sogni utopici" 74 , quale quello di un ritorno al passato che, da un punto di vista sociologico e religioso, significherebbe ritorno all'ideale tempo del nomadismo 111 contrapposizione al tempo della sedentarizzazione". li profeta invece è colui che sa e annuncia che un tempo si è chiuso e un altro porta con sè nuove esigenze.
74 75
A. BONORA, op. cii., 89. A. CAUSSE, /)11 groupe elhique à la co1111111111auté religieuse. Le problèn1e socio/ogique de la refigion d'!srae!, Paris 1937, 75, sostiene, invece, che la denuncia di A1nos contro l'influenza disaggregante della civiltà cananea sarebbe espressione cli una attitudine conservatrice che desidera mantenere una cultura pfin1itiva e una organizzazione palriarcule.
Synaxis XIV/2 (1996) 27-120
LA LAVANDA DEI PIEDI IL COINVOLGIMENTO DEI DISCEPOLI NELL'ESODO DI GESÙ MEDIANTE L'AMORE
ATTILIO GANG EMI"
Nel contesto solennissimo di Gv 13,1-5 l'evangelista introduce una serie di azioni di Gesù (vv.4.5). Queste avvengono sullo sfondo di un banchetto, durante il quale Gesù si alza da tavola, depone le vesti, si cinge di un asciugatoio; poi, versata acqua nel catino, con1incia a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui era cinto. Benchè l'evangelista direttan1ente non offra alcuna spiegazione, si percepisce subito il valore simbolico di queste azioni. L'azione di Gesù dì lavare i piedi ai discepoli non è isolala nel contesto del vangelo dì Giovanni; essa ne richia1na un'altra analoga: quella compiuta su di lui da Maria sorella di Lazzaro, descritta specifica1nente in 12,3 e menzionata anticipatamente in 11,2 1. Bcnchè I1azione di Maria richia1ni e probabihnente dipenda dalla lradizione sinottica, essa da Giovanni è descritta e reinterpretala in 1nodo suo proprio'.
Professore di Esegesi biblicn nello Studio Teologico S. Pnolo di Catania. Dove, in n1odo assai singolare, l'azione di i\1<lria è presupposta gi8 nvvenutn; cfr. i due participi aoristi sotto un solo articolo 7] dA€ll/;aaa ... f-Kµdfaua. 2 Mnt!eo e Mnrco riferiscono l'unzione in Bctnnia in casa di Siinone il lebbroso (Mt 26,6-13; Mc !4,3-9); Luca riferisce l'unzione da p<lrte di una donnn peccatrice nella casa "del fariseo" (Le 7,35-50), il cui norne è Sin1one (vv.40-43). Giovanni per alcuni aspetti concordn con M'1tteo e Mnrco, per al!ri con Luca. Con -t
1
Atti/;o Cangemi
28
Due elementi letterari precisi permettono cli stabilire una relazione tra l'azione di Maria verso Gesù (12,3) e l'azione cli Gesù verso i discepoli ( 13,5)', il verbo ècµacmElV (asciugare) e il termine rr68a5' (piedi). Il primo verbo, quello che
riguarda direttamente l'azione di lavare, nei due testi però è diverso: in 12,3 (cfr 11,2) si legge il verbo à:td<j>w (ungere), in 13,5 invece si legge il verbo virrTw (lavare). I termini uguali e la relazione in entrambe a Gesù4 , rendono le due scene simili e, in certo senso, anche parallele'. Prescindo in questa ricerca dalla considerazione dell'azione di Maria, benchè uno studio più completo esigerebbe un confronto tra le due azioni. Mi limito solo a notare che l azione di Maria verso Gesù in 12,3 praticamente conclude la prima parte del vangelo (cc.1-12), l'azione di Gesù verso i discepoli apre invece la seconda (cc.13-21): le due azioni sembrano costituire un anello che lega le due parti del vangelo 6 • 1
Matteo e :t\1arco concorda nel luogo, Betania, e nello sviluppo seguente che prevede la reazione dei discepoli a quella azione: in Giovanni c'è la reazione di Giuda. Discorda nel rauo che l'unzione, secondo i due evangelisti, avviene sul capo. Con Luca Giovanni invece concorda nel fatto che l'azione riguarda i piedi; concorda inoltre nell'uso dei due verbi iKµdaaELvdÀEÙf>w. Peculiarit[1 giovannea è l'identificazione della donna (Maria) e la determinazione dei personaggi della casa (Lazzaro-Marta). Inoltre peculiarità giovannea è la n1enzione di Giuda, benchè nelln 1ncnzione dci poveri concordi con Matteo e Marco. -'li richiaino a Betania ( 12, 1ss) è già proposto da MATEOS J.~ BARRETO J, El Evangelio de Jua11, Madrid 1979; cd. it. Il vangelo di Giovanni, Cittadella, Assisi 1982, 556, che si lirnitano però a richiainarc, senza notare le differenze. 4 Gesù-oggetto in ! 2,3 (cfr. 11,2); Gesli-soggetlo in l 3,5. 5 Si può notare analogo 1novin1ento strullurnlc tra i due testi: 12,3 13.5 ... lavare ... unse i piedi i piedi diGeslÌ dei discepoli
asciugò con i cnpcl!i 6
Si può notare la relazione: 12,3: Maria Gesù 13,5: Gesù discepoli
asciugare con l'asciugatoio
La lavanda dei piedi
29
A. STRUTTURA LETTERARIA DI GV I 3, I -5
Benchè non senza relazione a ciò che precede', il testo di 13, 1 detern1ina un nuovo inizio. Si ha una indicazione cronologica che colloca l'azione seguente nella prospettiva della festa pasquale; l'ora di Gesù è caratterizzata co1ne l'ora llel suo passaggio da questo inondo al Pallre; si introduce in modo n1assiccio 8 la tc1na1ica dell 1an1ore con il verbo àyarrétw, con soggetto Gesù'. Il termine di tutta la sezione deve essere necessaria1nentc individuato in 13,38. Il testo di 14.1 infatti cambia prospettiva: Gesù cessa di rivolgersi esclusivamente a Pietro, co1ne fino al v.38, e si rivolge, al plurale, ai discepoli, i quali resteranno i fondamentali interlocutori fino a tutto il c.16. All'interno dcl c.13 111 , una pri1na relazione può essere stabilita tra 13,12-20 e 13,31-35. ln entrambe le parti parla Gesù, in entrambe gli che richiama analoga diruin1ica di personaggi nel vangelo; cfr. 2,lss (MaùrcGcsù-discepoli); 4, 7-38 (donna-Gesù-discepoli); l 9,25-27 (l'v'iadre-Gesl1-disccpolo). Inoltre entrnn1be le scene sono collocnte nello sfondo di un ba11che110. li tcnnine
8élrrvov lega le due scene; si ha anzi l'iinprcssione che il Bélrrvov di !3,2, collo nel suo divenire (yLVO/lÉvov), trovi il suo inizio in 12,3 (drro{17aav). 7
Cfr. In particella & cli !3,1, non senza relazione alla particella oùv di
crr.
12,SOb.
inoltre il lega1ne stabilito dai termini K6uµo5' (12,45.47.47;
rraTf/p (12,49.SO·,
13,1) e
13,l) e la con1ple1nentarieth tra le espressioni Ei5' T0v K6uµov
iÀ(/ÀvOa ( 12,45) e Yva /1ETaj3ft ÉK ToV K6u11ov ToVTov( I 3, I). 8
Due usi di dyarrdw ne! v. I.
9
L'u!tin10 uso di dyarrdw con soggello Gesl1, è in ! 1,5. Le divisioni del c.13 proposte dagli interpreti sono varie. Ne citinn10 alcune solo a titolo csen1plificativo. CULPEPPEH R.A, The .loha1111i11e HYPODE!Glv!A. A Readi11g ofloh11 13, Scrnein 53(1991), 133-152 divide: vv.1-5: introduzione; vv.6-1 J: pri1no clinlogo ln1 Gesù e Pietro; vv.21-30: Gesli-(ìiuda; vv.31-38: seconda convers<izione con Pietro. In questa divisione però i vv.31-38 andrebbero più accurata1nenle distinti, perchè in effelli nei V\'. 31-35 Gesù non si rivolge a Pie1ro. MANNS F. Le fr11,e111e11t des pieds. Fssai sur la s1rucf11re e! la sig11iji'ca1io11 dc .Jean 13, RvSR 55( J 981 ), 149-169 distingue 7 unità (vv.l-3; 4-1 l; 12-15; 16-20; 21-30; 31-35; 36-38). La divisione tra i vv.12-15 e i vv.!6-20 è n1olto forzala, costituendo i vv.12-20 una precisa unità; pure forzala è la divisione tra i! v.3 e i vv.4-5, ricollegandosi questi ulti1ni alla serie di participi dei vv.2.3. Quesla strutrura Je!leraria è seguita eia N!CCACCI A, L'1111itrì letteraria di Cv 13,/-38, EuntDoc 29(1976), 291-323. Pure MATEOS J.-BARRETO J. El El'ange!io de Juan, cit., cd. it. I! l'angelo di Gio1•a1111i, cit., 551, distinguono nei vv.l-20, un prea1nbo!o (v.1), la lavanda dci piedi (vv.2-5), !a resistenza di Pietro 111
Attilio Gangemi
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ascoltatori sono i discepoli, entrambe contengono un monologo di Gesù 11 • Si possono evidenziare inoltre più specifici elementi letterari e strutturali. Entrambe le parti contengono una introduzione narrativa, caraHerizzata dalla stessa costruzione sintattica con
DTE
e 11 aoristo,
introdotta dalla particella oùv 12 ; entran1be le parti contengono una dichiarazione di Gesù espressa con il verbo 8ii5wµ1, che stabilisce una relazione tra i rispettivi oggetti im6&qµa (v.15b) e €vrn,\rj (v.34)'', il cui contenuto è espresso mediante [va e il congiuntivo; in entrambe, il contenuto,
rispettivamente
dello
1rrr63nyµa
e
della
Évrn,\rj,
è
(vv.6-11), l'istruz,ionc di Gesli (vv.12-15), gli avvisi (fedel18-tradin1cnto-frutlo) (vv.!6-20). E' arbitraria la separazione dci vv. 1-20 dai vv.21-38; 1nn è pure forzala la divisione tra i vv.12-15 e i vv.16-20. f\10LONEY F.J., /\ Sacrr1111entol Reading qf' John 13,1-38, CRQ 53(1991) 237-256, distingue sette unità lettenirie strutturate secondo uno sche1na concentrico (vv. 1-5; 6-11; 12-17; !8-20; 2l-26a; 26b-30; 31-38). E' forzal<1 la distinzione ln1 i vv. 12-17 e 18-20 e anche tra i vv.21-26a e 26b-30; n1a opportunaincnte si introdurrebbe una divisione tra 31-35 e 36-38. L'autore confessa (p. 13, nota in nsterisco) di dipendere da SIMOENS Y., Lo gioire di aù11er. Stn1ct11res styfisriq11es et i11fe11Jrétatil'es dans le discours de fa Céne, J11 13-17, AnBib 30, H.01ne 1981, 8 l-104. La divisione di NICOL G.G., les11s'washi11g fhe Feef (~{ the Disciples: A Ai/ode! for lohanni11e Christology, ExpTi1n 91(1979) 20-21 è più teologica che non letternria. Si fa l~llica infine ad accettare l'individuazione, proposta da SEGOVIA F.F., Love Relarionship in the .loha1111i11e Tradition. Agapé/i\gapfìn in I John a11d the Fo11rth Gospel, Jl3L, Dissertation Series 58, XIII, Chieo 1982, 135s, di una unità letteraria eia 13,31 a 14,31: pur non senza relazione, si detern1ina in 14, I un nuovo inizio; \VOJC!ECHO\VSKI M., Lt1 source de Jeun 13,1-20, NTS 34 (1988) 135-141, partendo clnl presupposto che prin1itivi sono i vv.4-5, n1entre nei vv. 1-3 !o stato prin1ilivo è stato oscurnto, ricostruisce un testo secondo uno schen1a concentrico in 12 elen1e111i (p. 139); arbitraria1nenle però depenna i vv.(1).2.3.7.10-l l.13-16.1820. 11 Benché Gesù si rivolga ni discepoli, questi appaiono corne se1nplici ;_ìscol!ntori. Di essi non si introduce alcun<1 parola. Dopo le rispettive introduzioni narrative (v.12 e v.3!a) il discorso di Gesù continua ininterrotto rispettiva1nente fino al v.20 e al v.35. 12 Cfr. la seguente relazione: v.!2: quando dunque lavò .. disse v.31: q11011do dunque uscì .. dice 1 -' Cfr. la seguente relazione: v. l 5: un 111odeffo (Vrr68€L yµa) ho dato a voi v.34: un co111a1ula111e11ro (ivroÀrj) .. dò a voi
La lavan[/a [/ei pie{/;
31
confrontato, mediante una comparativa (KaBW<;), con l'esempio di Gesù 1-<. Parallelamente stanno m relazione i vv.6-11 e 36-38. La loro relazione fondamentale sla nel fatto che entrambe le parti, scomparsi tutti gli altri discepoli, costituiscono un dialogo esclusivo tra Gesù e Pietro: Pietro domanda - Gesù risponde. Nei vv.6-11 il dialogo è triplice, nei vv.36-38 invece è duplice. L'intreccio tra i due dialoghi è più articolato e con1plesso. I vv. 21-30, dal punto di vista del genere lctlerario, sono compositi: parti narrative si intrecciano a parti dialogiche; l'evangelista narra 15 e fa parlare i suoi personaggi, anche se non offre un diretto dialogo a due come nei vv.6-11 e 36-38. Nemmeno si ha un monologo come in 12-20 e 31-35: non parla infatti solo Gesù"' e le persone interpellate non sono prive di reazione 17 , anche se non dànno diretta risposta al loro interlocutore 18 . Inoltre n1 questa parte l'evangelista introduce altri due personaggi che, aln1eno con1c diretti protagonisti, non aveva ancora introdotto: Giuda 19 e il discepolo che Gesù atnava. Così in questa parte interagiscono cinque personaggi:
11 · Tra
il v.15 e il v.34 si può stabilìre una duplice relazione, rispe1tivan1e~1le concentrica e alternnla, detenninala dalla duplice espressione lva dyarrarE dAA1Aovs- dcl v.34: I. (v.15) a. co111e io feci a_ voi b. [1,erchè]. .. anche voi .facciate (v.34) b'. che l'i a111iate gli 1111i 1::fi altri n'. CO/Ile (////(/i l'Oi 11.(v.15) a. co111e io feci a t•oi b. r111che voifaccìate (v.34) n'. co111e an1ai i•oi b'. onche 1 oi Fi a111iate gli 1111i gli altri 15 Cfr. vv.21n.22.23.2Ll<L25n.26b.27n.28.29.30: lo sfondo è narrativo. l('(ìesl1 (vv.2lb.26a.27b), Pietro (v.24b), il discepolo (v.25b). 17 I discepoli si guardav:ino l'un l'allro (v.22), il discepolo si chinn sul fianco di Gesl.1 e si rivolge a lui (v.25), Giuda esce (v.30). IN Le parole di Gesti dcl v.27 (dTTOKp(vETal), più che una diretta risposta :.11 discepolo, appaiono coine il culn1ine di un processo che parte dalla reazione dei discepoli nel v.22, anzi dall'annunzio cli Gesù nel v.21. 19 Nel v.2 Giuda è 1nenzionnlo <1nche con una certa enfasi. Il soggetto però non è lui, bensì il diavolo. 1
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Gesù - Pietro - discepoli - Giuda -discepolo. Possiamo definire questa parte: la vicenda del traditore. Otteniamo così cinque parti che concentricamente SI corrispondono sia nell'indole letteraria che nella dinamica dei personaggi: A. (vv.6-11): dialogo tra Gesù e Pietro B. (vv.12-20): monologo di Gesù ai discepoli - lo ùrr68Eiyµa. C. (vv.21-30): il problema del traditore (Gesù-discepoloPietro-discepoli-Giuda ) B'. (vv.31-35): monologo di Gesù ai discepoli - la Évro;\rf. A'. (vv.36-38): dialogo tra Gesù e Pietro. In questo sche1na i vv.1-5, intera1nente narrativi, assutnono un carattere introduttivo a tutta la vicenda, sviluppata nelle cinque parti, il cui centro è costituito da quella riguardante il traditore (vv.21-30) e, più precisamente, dalle parole e dalla azione di Gesù nel v.26.
B. IL TESTO DI GV 13, 1-5 Nei vv .1-5 20 possiamo individuare due brevi unità letterarie, contenute rispettivamente nei vv.1 e 2-5. Esse presentano all'interno analoga articolazione strutturale. Co1nprendono entran1be: una
211 L'indole di questi versi
è stata varirnncntc carnttcrizzata. DODD C.1-l., 1-!istoricul Traditio11 in lhe Fo11r1h Gospel, London 1963, ed. it. U1 tradizione storie{/ nel q11orto 11a11gelo, Brcscin 1983, 82, ritiene che il bn1no, svincolato dal co1nrnento dell'cvangelisu1, può essere un scinplice racconto in cui Gesù viene presentalo co111e escn1pio cli 1011i/1ù e di scrl'izio. Il senso principale dcl racconto (p.85), ruota attorno all'idea della ù11i1a1io Christi. Secondo NICOL G.G., Jesus' washing the Feet (~/' the J)isciples: A /\/lode! for Joha1111i11e Christology, ExpTin1 91 (1979) 20, Gv 13,2-12 pare seguire lo schema cristologico discendente e ascendente che caratterizza cli versi inni dcl NT. Nello schcn1a globsle discendente e ascendente del vamgelo, questi versi caratterizzano l'un1iliazione in tcrrnini cli cristologia del Verbo, n1a assurnono pure un caratlerc di Lransìzione. STRA'IHMANN H., Das E1 1angelù1111 11ach Joha1111es, GOLtingen 1968 10 , ed. it. li vangelo secondo Giovanni, Brescia 1973, 324, ritiene che, per la costruzione pesante e non n1olto chiara dcl testo greco, clifficiln1ente essi sono stati scritti di getto.
33
La lavanda dei piedi
proposizione cronologico-circostanziale 21 , due participi, di cui uno,
1n
entrambe, è €li5w5' 22 ; il verbo diretto 2 J. Le due parti inoltre sono legate dall'unico soggetto dei verbi diretti
o 'Jrycw0;, espresso una
sola volta
nel v.l. Si può stabilire così il seguente confronto strutturale: v.I vv.2-5
1. rrpo i5€ TTJ5' ÉopTTJ5'... &i rrvov ytvoµ€vov ·
circostanza
2. €li5w5'
(3c:f3ÀTJKOT05'
partici pi
3. dyam)o-a5'
di5w5'
participi
4. fjyclTTTj!YéV
tyiì.pam [ ... ] fjp!;arn
verbi
I due participi sono usati in modo inverso: nella prima unità
r:l8Ws- è seguito da un participio cli azione, nella seconda invece è precedutoH. La relazione tra i participi suggerisce una relazione tra i rispettivi verbi 25 .
21
v. l: pri111a de/la festa di pasqua
v.2; 111entre ce11a1Y1110 pili cronologica la prin1a, pili circostanziale la seconda. 22 v. I: sapendo - avendo rnnato vv.2.3: avendo geuato - sapendo 2
-'
v. I: vv.4-5:
a111ò
si alza - pone - aFendo prese.. si cinse - l'ersa ocqua - co111i11ciò a
la1Y1re i piedi e ad asciugare All'unico verbo diretto nella prhna unilh, ne corrisponde una serie nella seconda parte. 21 · I quatlro participi insicn1e detenninano una struttura concenLrica;
1. El8W:;-
2. dyamjua:;3. (3c(3ÀryK6TOS4. El8W:;I soggetti dci quattro participi variano. Il soggello di El8W:;- è Gesù e così pure
cli dyamjua:;-, il soggcllo cli j3Ej3ÀryK6ro:;- è invece il diavolo. 25 I vv.1-5 appaiono così unitari. Gli interpreti hanno tentato di individuare varie tappe redazionali ne! c.13. BROWN R.E., The Gospel according lo fohn, II, Nc\v York 1970, ed. il. Giovanni, Cittadella, Assisi 1986, 670 individua varie tappe redazionali nel c.13. Alla pri1na redazione assegna i vv.2-IOa; i vv.lOb-l l possono essere una aggiunta corrispondente ai vv.18-19, inseriti quando furono aggiunti i vv.12-20 che conlcngono un'altra interpretazione dc!!a lavanda dci piedi coinc ese1npio di u1nillà da essere iinitato dagli altri. BULTMANN R., Das EFangeli11111 des .Johannes, Gotti ngen l 978 20 (rist. ! 985) 352-353 ritiene difficil!nente originali i
34
Parte
Attilio Gangemi
prin1a: ANALISI ESEGETICA DI
(;v 13,l
"11rilna llello .f'esta di pasqua, sapentlo Gesù che giunse la sua ora lii passare da questo inondo al JJaclre, avenllo a111ato i suoi, quelli che nel 1nondo, a co1npùnento li a111ò"
1. Relazione di 13,1 ai cc. 13-17 La relazione ovvia1nente si stabilisce per il verbo àyarrdw. Esso, espresso all'aoristo, in forma diretta e assoluta (ryyarrryaEV), richiama altri tesli dove lo stesso verbo, all'aoristo, è usato in fonna diretta e assoluta. Anzitutto 15,9. l O, dove leggiamo la duplice espressione
co1nparativa: "co1nc an1ò (1Jyd7TTJO-EV) ine il Padre, anch'io voi an1ai (ryydrrryaa)". Gli usi di riyarraw in questo testo sono due, nel contesto di una proposizione co1nparativa (KaeWs-... Ka[), dove si stabilisce, in un confronto di uguaglianza, una scaletta tra due soggelli, il Padre ( 6 Jlan)p) e Gesù (Kriyw). L'azione ciel Padre verso Gesù è modello dell'azione cli Gesù verso i discepoli: per il fatto che il Padre lo ha a1nato, Gesù ha an1ato i discepoli. L'indicazione "prù11a delh1 festa di pasqua" dovrebbe legarsi a OE{TTvov y1.vopivov, cd cntra1nbc le indicazioni carallerizzano il verbo ÉyE{pETal. Secondo MUSSNEI~ F., !Jie F11ss\1'asch1111g (.!oh 13,1-17), GcislLeb 31(1958), 26, (ìiovanni elabora tradizioni, anche se queste non sono individuabili. La loro presenza appare dal fatto che, nello sviluppo, la lnvanda dci piedi assun1e due o tre sensi. SCHNACKEN13URG R, !Jas Joha1111eseva11ge/i11111, Freiburg-Basel-Wien I 965(I), I 971 (I I), I 979 3 (III), ed. iL //vangelo secondo Giovanni, III, Brescia 198!, 19, ritiene che i vv.l-30, nella loro fonna altuale, non sono privi di dillieollà. Finisce (p.29) per assegnare allo stadio fonclan1ent<:ile dell'Evangelista il v.l, l'inizio dcl v.2, il v.4 e i vv.5-10.12a. ! vv.2b-3 apparterrebbero ad aggiunte redazionali di secondaria in1porlnnza. SEGOV!i\ P.P., fohn 13.1-20. The Foo!washing in thc Joh(l1111i11e Tradition, ZNW 73(1982) 3442, clistingue due strali in 13,1-20: li pili !lntico (vv.la.5.6-lOa.IOb-l J) e l'aggiunta posteriore (vv.1b-4.12-!7. 18-20). Secondo SP!TT1\ F., !Jas Joha1111cs-e1 (111geli11111, ols Quelle der Geschichte Jesu, Gòttingcn 1910, 286, il confronto tra i due ElON:;- elci vv.1.3 1nostra !a 1nano del recl!lllore che nel v.3 ainpliò la prospettiva. Spiega perciò che non è i! v. l un duplicalo del v.3 (corne vuole SCH\VARTZ, I, 344, n.2), 1na il contrario. vv.2.3.
1
La lavanda dei pie,/;
35
Inoltre si richiama anche 17,23-26, dove il verbo ayamiw, all'aoristo, si legge quattro volte, sempre nella forma ljyaITT)lJaS', avendo come soggetto il Padre. A differenza però di 15,9.1 O, dove Gesù è insieme soggetto e oggetto, qui Gesù è solo oggetto, in rapporto di uguaglianza con discepoli'"· Benchè l'oggetto preponderante sia Gesù, il verbo ayamiw, in 17,23-26, ha due oggetti, Gesù e i discepoli: il Padre è l'unico soggetto dell'amore che raggiunge due oggetti, Gesù e i discepoli 27 •
I tre testi, oltre il verbo àya7Tdw a1I1aoristo, hanno un altro denon1inatore coinune, il fatto che i discepoli appaiono sempre e nel ruolo di destinatari-oggetto 28 • Gesù e il Padre invece non appaiono sempre. In 13, I il Padre è assente ed è soggetto solo Gesù; in 15,9 sono presenti entrambi come soggetto, benchè Gesù sia anche oggetto; in 17, 23-26 Gesù, almeno come soggetto, non compare, ma solo il Padre29 . I tre testi, nel rapporto Gesù-Padre, presentano un crescendo, insien1c progressivo e inverso. In lettura progressiva i tre testi presentano quasi un camrnino ascensionale da Gesù al Padre: in 13, I compare solo Gesù come soggetto; in I S, 9.1 O Gesù e il Padre co1npaiono insien1c con1e soggetto, benchè in 1nodo subordinato; in 17,23-26 il soggetto è solo il Padre. In lettura inversa si nota invece un cammino quasi discendente dal Padre a Gesù: in 17,23 il soggetto è solo il Padre; in 15,9.10 il soggetto è ancora il Padre, ma con lui, in modo subordinato, anche Gesù; in 13, I il soggetto è solo Gesù. Le due letture, progressiva e inversa, insien1e, 1nanifestano la circolarità dell' dyci7TTJ, che parte dal Padre, passa a Gesù e da lui raggiunge discepoli; risale poi ancora, sen1pre attraverso Gesù, a! Padre.
2r,
Cfr. l'espressione "hsi an1ato esse co1ne 111c hai ainato". In questa espressione, strutturata in for111n concentrica, la parlice!Ja coinparativa tca0liJ5' occupa un posto centrale. 27 'rrc oggetti su qunllro riguardano Gesti (ɵf- - µÉ - µf-). 2HCfr. 13,l: aUroVS"; 15,9: Vµéi5'; 17,23: aVroVS". 29 D<d punto di vista dell'indole dei testi, si noUJ pure un progresso. In l 3, 1 narra l'evangelista, in 15,9.10 Gesù istruisce i discepoli, in 17,23-26 Gesù prega il Pnclre.
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2. Relazione di 13,1 a 13,34 Anche in 13,34 leggiamo una forma di aoristo del verbo dyamiw (Ka8rk rjyd7T'1CJ'a), con soggetto Gesù; ma, a differenza deJle
forme di 13,1; 15,9s; e 17,23-26, non si tratta di una forma diretta, bensì di una comparativa (Ka8rk) dipendente dalla proposizione precedente
espressa con
e il
?va
congiuntivo
(?va
dyarran
dk\Jj,\ovs-). La relazione però non è diretta ed esclusiva con 13, I, ma passa attraverso 13, 12-15 e 13,5 30 , testi riguardanti la lavanda dei piedi". Si ottiene così il seguente schema:
1. (v. I): ryyd7T'1CJ'éV 2. (v.5): la lavanda dei piedi
3.(vv.12-15): lo vrr6i5nyµa di lavare i piedi: 1wOws- rjrroiry!Ja vµLv 4. (v.34): la ÉVTOÀrj di amarsi a vicenda:
mOrk ryyd7T'1CJ'a vµàs-
3. Relazione di 13.l a 19,28-30 La relazione di 13, I a 13,28-30 è st.abilita non più dal verbo dyarrdw, come per le altre espressioni, ma dall'espressione éls- TÉÀos-
che richiama il duplice verbo TaÉÀwmL di 19,28-30. La relazione emerge soprattutto dal fatto che il termine TÉÀoS" si legge solo in 13, l nel vangelo di Giovanni, mentre i soli due usi del verbo nÀÉw in tutto il vangelo si leggono appunto in 19,28.30".
J 11
Ho già nornto sorrn !a relazione tra 13,34 e 13,15. Sono pure relazionati la
ÉvroATj e lo Vrr68€t yµa. JI Nel v. l S direumnentc non si porla della lavunda dei piedi, 1na se ne parla nei
vv.12-14, a cui dìrcttan1ente si ricollega lo Vrr68Elyµa del v.15.1
vv.12-14,
che
evocano ìl co1npi1nento dell'azione di lavare i piedi (0Té EvujJEv ... ) si ricollegano nl
v.5 dove si legge che Gesù con1i11cià a !c11 are (v[1TT€lv) i piedi . .1 2 Nel vangelo si legge però 5 volte anche il verbo 17,4.23; 19,28). 1
T€ÀEL6uJ
(4,34; 5,36;
La lavanda dei piedi
37
La molteplicità di relazioni mostra la centralità del testo di 13, 1. Nel presente lavoro non considero però tutte le relazioni: è sufficiente soltanto averle già indicate. Non è necessaria nemmeno la considerazione dei testi di 15,9 e 17,23-26, che, oltre il fatto che hanno uno sviluppo proprio e autonomo, costituiscono lo sfondo più ampio dove 13,1 si colloca. Nè è necessaria la considerazione di 13.12-15 e 13,34, che costituiscono lo sviluppo applicativo fatto da Gesù stesso delle azioni da lui compiute. Al momento interessa soprattutto caratterizzare il contenuto dell'azione di Gesù Els- TÉÀoo; ~ydTTT]acv
che, per le relazioni sopra indicate, deve essere cercato in 13,2-5 e J 9,28-30, entrambi testi narrativi. Più precisamente interessa il senso dell'azione di Gesù di lavare i piedi che si colloca nella
prospettiva dell' éls- TÉÀos- l)yd.1Tl)CJ!'V e ne costituisce il contenuto.
4. Lettura analitica di Gv 13,1 33 Come già ho indicato, il v. I comprende quattro elementi: I. una indicazione cronologica-circostanziale (prima della festa di pasqua). 2. due proposizioni participiali circostanziali (sapendo ... avendo aniato ), legate da un elen1ento letterario comune, il termine K6uµoS'.
3. la proposizione principale (a compimento li amò). Si ottiene il seguente schema concentrico e progressivo insieme: 1. prima della festa di pasqua 2. sapendo 3. avenllo a1nato 4. a co111pùnento arnò
:u Pure sull'indole del v.l gli autori sono divisi. Cfr., a ritolo esen1plificativo, BEECKMANN P., L'évangi/e se/011 S. Jean, Bruges 1951, 285, che cita LEPIN M., lii valeur historique du quatrièine évangile, I, Paris 1910, 423-450, e ritene che il v. l introduce tutta la 2J\ parte del vangelo e non solo la lavanda dei piedi; TASKER R.Y.G., The Gospel according lo St. John, London 1960 (rcpr. 1992) 153, invece separa il v. I da ciò che segue.
Attilio Gangemi
38
In questo sche1na Ja circostanza cronologica si lega direttan1ente alla proposizione principale. Il senso emerge più lineare: prima della festa di pasqua, sullo sfondo delle due circostanze participiali, Gesù atnò fino a compi1nento.
4.1. Prima della festa di pasqua La circostanza cronologica ]Jrùna lle/la festa di 11asqua, alla luce di tutto il contesto del vangelo, appare singolare. Giovanni è l'evangelista che più di tutti parla di una festa~ 4 e più di tutti n1enziona specificamente la pasquaJS. La nostra espressione poi è peculiare per due aspetti. Per la costruzione anzitutto del termine rrét.uxa con la particella rrp6: essa rappresenta un progresso rispetto ai testi precedenti verso una misteriosa pasqua che l'evangelista dircttan1ente
non
descrive-'('. Inoltre per I1accostamento tra il tern1ine Éopd; e il tennine
-14
In Giovanni il rennine Éopnj si legge 18 volte (contro le 8 nei vangeli sinoLLici), di cui ben 16 usi concentrati nei pri111i 12 capitoli. f)a! c.13 in poi si legge solo due volte, appunto nel c.13, nel noslro testo e nel v.23. :is 10 volte nel vangelo (4 v. in Matteo; 5 v.in rv1arco; 7 v. in Luca). Quasi scn1prc è riferito a!!a festa; in 18,38 può riferirsi alla vittirna pasquale o al banchetto. _v,Prirna cli 13,l rrduxa si legge altre 6 volte in testi che si rivelano studiati. Il lesto in1n1ediatainente precedente è !2,1: "sei giorni pri1na di pasqua". Tra gli eventi che narra e la pasqua, l'evangelista interpone sci giorni. Da questo punto di visla 13, I pare n1pprescntarc un progresso: l'espressione "priina della festa di pasqua" ci riporla al ten1po irn1necliarn1ncntc preccdenle. Prirna ancora si legge lre volte l'espressione "fa posqua dei giudei" (2,13; 6,4; 11,55), di cui la pili enfatico appare quella cli 6,4, che !'evangelista an1plia con i 1 lern1ine ''.f"esta". Il tennine ÉyyVç lega i tre tesli. Si ottiene così il seguente schen1a: I. 2, 13: vicina era lo posqua dei giudei 2. 6,4: era 1'ic:i11a fa pasqua la festa dei giudei 3. Il ,55: era Ficina la pasqua dei giudei 4. 12, I: prf!na di sei giorni di pasqua 5. ! 3, I: prÌlna della festa di pasqua l pri1ni tre testi riguardano la festa dei giudei, di cui si indica la vicinnnza, i I teslo di 12,1 non parla pili della pasqua dei giudei, 1na della pasqua, in assoluto, che però colloca a distanza di sci giorni; nel nostro testo invece sian10 nell i1nr11cdiata prospettiva. Dopo 13,1 la pasqua è 1nenzionnta in passaggi forse n1eno centrali: 18,28.39, poi in 19,14 legata al termine rrapauJ<EVrf. Dopo, il tenninc rrduxa non si 1
La lavanda dei piedi
39
miuxa. Il termine Éopn), che dipende direttamente dalla particella 7Tp6, pare il tern1ine più spccifican1cntc inteso nel nostro testo. Siamo quindi nella prospettiva di una festa di pasqua che deve celebrarsi 17 , sul cui sfondo Gesù compie l'azione indicata dal testo. L'espressione "prilna della j'esta di pasqua si rivela non una semplice e generica indicazione cronologica, ma cspnn1e un 1nomento inter1nedio verso una festa pasquale. Essa indica l1i1n1ninenza delJa festa, nel cui sfondo si colloca, e in certo senso anche la esige, l'azione cli Gesù. Sembra che l'azione cli Gesù verso i discepoli sia un elemento indispensabile per questa festa pasquale. Nella sua i1n1ninenza, anzi con1e ulti1110 atto che in1rnediatan1ente la precede 38 , Gesù la co1npic. 11
4.2. Sapendo Gesù che giunse la sua oro
La prima proposizione participiale circostanziale è introdotta dal participio
él8fro,
proposizionale
seguito
introdotto
dal dalla
soggetto particella
o
'fT)uoÌc;,
on,
dall'oggetto
seguita
eia
una
proposizione introdotta da l1/a e il congiuntivo, che caratterizza il ter1ninc
iJ
tlipa, soggetto della proposizione oggcttiva 39 •
legge più, n1a si legge aHrc ùuc volte il tcrn1inc rrapaaKEvrf (19,31.42).
Nella
prospettiva della rrapaaKEvrf dci giudei si chiude la narTa7.ionc della passione. 17 Secondo LE DEAUT R., La 1111it pasca/e, PIB, Ron1e ! 963, 330, uno dci sensi
rossibi!i della parola ebraica è passaggio; spiega poi che Gesi:J, con1e nuovo Mosè, prende la guida dcl nuovo popolo di Dio che conduce al Padre. Ma già in questo senso si era espresso AGOSTINO, /11 .loa1111is El'ange/i11111, Tract LV, PL xxxv, col. 1785, secondo cui rrdaxa significa tro11sito, realizzandosi così la figura dell'esodo. ·' 8 L!I par!icell!I rrp6, senza ulteriore detenninn7.ione, in relazione anche a 12, 1, sen1bra indicare l'in1n1ediata i1n1ninenza . .l'l Secondo 1ERE1Vl!AS J., Die Abc11d111ahlsworte .les11, GOttingen 1967..i, ed.fr. La dernière cène. Les paro!e.1· de .lésus, Ccrf, Paris 1955, 87, Gesl1 sapeva (Ei8u5:;) prin1a della festa di Pasqua che la sua n1orle era i1nn1inenle. In questo senso cita BAUER W., !Jas Joha1111esevangeliu111, Ttibingcn 1933 3; BULTMANN R., !Jas E1'a11ge/iu111 des .lohannes, GOttingen 1978 20 (rist 1985); ZAllN Th., [)as Hva11geli11111 des Johannes, Lcipzig 1921 5 - 6 (rist. Wuppcrtal 1983).
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La forma participiale El/X(;c; s1 legge tre volte nel vangelo di Giovanni 40 , sempre riferita a Gesù. Il secondo uso, dopo il nostro, è ancora nel nostro contesto; il terzo uso si legge in 18,4, nel contesto degli eventi al Getsemani". L'oggetto del participio Eli5{(;;
Ort ?jA8Ev aVroV
~
è costituito dalla proposizione
4xz.
L'aoristo i]ABEv è certamente ingressivo'12 : esprime il momento iniziale della manifestazione dell'ora. Essa è l'ora di Gesù''.
4.3. Di passare da questo mondo al Padre L 1ora riguarda il passaggio di Gesù da questo mondo al
I~adre.
Questo passaggio è espresso con il verbo µ<'mf3aivw", insolito per
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Un quarto uso è al plurale (cl86TE5"), in 21,12, riferito però ai discepoli.
41
Il participio cl8W5' costituisce un legaine tra I 3, ! ; ! 3,3; 18,4. 42 L'aoristo i]ABcv non è critican1cntc certo: è ritenuto da! Cod B e da altri tra cui O 8 e anche da Origene e Crisostomo. Altri codici leggono al perfetto €Arjilv8cv. Probabihnente però la lettura al perfetto è una armonizzazione sui due perfelli di l 2,23 e 17,1: nulla autorizza tale arn1onizzazione. I due testi di 12,23 e 17,1 hanno in co1nunc il tema della glorificazione. Specificai11entc, dell'ora di Gesl1 si parla diverse volte nel vangelo. Fino al c.l l si parla di un'ora non ancora venula (2,4; 7,30; 8,20). Dal c.12 in poi l'ora di Gesù è dichiarata giunta, pili diretta111entc in tre testi: 12,23; 13,1; 17,l. 11 prirno e il terzo testo (12,23; 17,!), con il verbo Epxoµat al perfeLLo, sono riferiti alla glorificazione; il secondo Lesto (13,1), con il verbo Epxoµal all'aoristo, è riferito all'ora di Gesù di passare da questo nlondo al Padre. Quale sia la relazione di 13,1 a 12,23 e 17,1, non rientra nel presente lnvoro stabilirlo; è sufficiente soltanto notare la differenza te1natica che irnpedisce di annonizzare l'aoristo r]A8€v sui due perfelli i).-,j).v8€v. In ogni caso l'aoristo TjA8€V, alla luce dci
due tf).-,j).v8€v, appare la lectio di[ficilior. 41 · Allre volle un prono1nc personale caratterizza l'ora cli Gesli: 2,4 (µov); 7 ,30 (aVroif); 8,20 (aVroif). L1 peculiarità del nostro testo è che il prono1ne aVroV è
anteposto a! sostantivo Wpa, rìcevendo così una nuova enfasi. A riguardo dell'ora, BARRE'ITC.K., The Gospel accordi11g lo St. John, London 1985 (Third Iinpression), 438, nota che essa ha una connotazione escatologica; indica l'orn della soffefenzn di Gesù, ma anche l'anticipazione degli ultimi evenli. 44 Nel NT csprin1c il passaggio da un luogo a un altro (Mt 8,34; 11, I; 12,9 .. ). In I Gv 3, 14 è usato in senso spirituale: "sia1110 passati (µ€raj3€j3f;Kaµ€v) dn 1norle a
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esprimere il ritorno di Gesù al Padre45 ; altre volte è indicato con i verbi TTopcVoµat 46 , Vrrci.yfJ1n, anche dvaj3a[vw 48 , e raramente anche Epxoµat
49 .
L'uso del verbo µfTa(Jaivw può essere suggerito dal precedente termine rrauxa e l'uso dello stesso verbo in 5,24 può tacitamente suggerire che tale passaggio è un passaggio da morte a vita. Esplicitamente però nel nostro testo tale passaggio è verso ii Padre (rrpo5' TOV rraTÉpa) 50 Di esso, con diversi verbi e diverse espressioni, Gesù parla anche altrove 51 , ed è la parabola ascenllente di Gesù, che corrisponde alla parabola discendente, Ja sua venuta nel mondo 52 • Le due parabole sono espresse insieme in 13,3 5 ' e 16,28". Nell'uso di µaaj3aivw l'evangelista non pare dipenda dai LXX; si può pensare che egli lo abbia introdotto in relazione al precedente tern1ine rrciaxa 55. In ogni caso però esso nel nostro testo non s1 riferisce direttamente al cammino verso il Padre, ma al passaggio di questo mondo, orientato però verso il Padre.
vita ... ". Nel vangelo di Giovanni è usato co1nplcssivan1cnte tre volre: in senso spirituale in 5,24: "è passato (µETa/3É/31]KEv) dn n1orte a vita"; in 7,3 il senso è più materiale. 5 <1 Anche nei LXXµEraj3a{vw è 1nolto raro; in tutto è usato S volle, di cui 2 nel libro della Sapienza (Sap 7,27; 19,19) e in 2Mc 6,!.9.24, senza alcuna relazione con i! nostro testo. "'Cfr. 7,35.35; 14,2.3.12.28; 16,7.28. 47 Cfr. 7,33; 8, 14.14.21.21.22; 13,3.33.36.36; 14,4.5.28; 16,5.5. I 0.17. "Cfr. 3,13; 6,62; 20,17.17. 49 Cfr. 17,l l.13; anche drrr!pxoµat in 16,7.7. 5 FABRIS R., Giovanni, Ron1a 1992, 726, non esclude un esplicito riferi1ncnto alla pasqua co1ne passaggio. 51 Con Vrrdyw: 7,33; 13,3; 16,5.10.17; con rropEVoµat: 14,12; 16,28; con
°
dva(Jafvw: 3,13; 6,62; 20,17.17.17. 52
Cfr. 8,42; 16,27.28.30; 17,8; soprattu!lo con il verbo Epxoµat: J ,9.11;
3,19; 4,25; 6,14 ... ; anche i[Kw (8,42) e Karn(Ja{vw (3,13; 6,38.42.50.51 .58). 53 "da Dio uscì e a Dio va". 54 In questo resto la parabola è più con1picta, costituita da quattro elen1cnti: I. sono uscito dal Padre 4. vado ai Padre 2. sono venuto nel 111011do 3. lascio il 111011do S.'i Il tenni ne no!J però nei LXX è sernpre traslitteralo con rrdaxa o rjJaaEK (2Cr 30,1.2.5.15 ... ), il verbo
rltì!l
(6 volte nel TE), rnai è tradotto con µEraj3a{vw.
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Nel passaggio si indica il tnoto da luogo: da questo
111.onllo.
L cspressione €1< ToV t<6aµov ToVTov assume nel testo una funzione 1
molto importantesr'. Tutti gli usi del termine Kooµo<;, dal c.1 al c.12 si ricollegano meglio al movimento clisccnclenle di Gesù verso il monclo57 ; lutti gli usi dal c.13 in poi si ricollegano meglio al suo movimento ascendente". Nei cc.1-12 fondamentalmente emerge il movimento di Gesù dal Padre al mondo, nei cc.13-17 invece il movimento ascendente dal mondo al Padre. La prospettiva dci cc. 1-12 però si conclude negativamente; in 12,31 Gesù dichiara il giudizio di questo mondo, con l'esclusione giudiziaria del suo principe. Si può notare che il testo cli 12,31 non è molto distante eia 13, 1: il passaggio di Gesù da questo mondo al Padre avviene nella prospettiva cli un giudizio già compiuto, dopo cioè che il principe di questo mondo è stato gettato ruori e Gesù ha attirato tutti a sè-"9 •
56 JJassarc da questo 111011do può significa.re anche 111orire, cfr. in questo senso gli csctnpi della letteratura rabbinica proposti ckl STf{ACK 1-1.L. BJU.ERBECK P., Kon1111enf(//" z11111 11e11e11 Testa111en !lllS Ta/11111d 1111d k!idrash, II, 556. Ma non è questo il senso della nostra espressione inolto pili pregnante, benchè sappian10 che tale passaggio di Gesù da questo n1ondo al Padre avviene attraverso la porla dcl!n sua 1norlc. LJNDARS B., The Gospel of .fohn, Grane! R<1pids 1986, 448, richian1a !o ha'olrnn haz-zeh (crr. !2,25); l'azione di Gesù così è un evento escatologico che nnticipa il inondo futuro (hn-'olain hab-ba). 57 Cfr. l'espressionc Ei5' TÒV 1<6crµo1; (l,3.17a.19; 6,14; 8,26; 9,35; 10,36; 11,27). Altri testi parlnno delln presenza di Gesli nel 111onclo ( I , I O. I O. ! O; 7 ,4; 9, 5). Altre espressioni si riconducono 1neg!io nd un dinnn1isn10 di5cendente: l,29; 3, ! 6; 4,42; 6,33; 8,12 (crr. 9,5; 1 l,9). In 8,23 l'espressione Ò< ToU K6cr11ou TDVTou indica provenienza o origine. 5 ~ I vari testi di questa seconda parie si leggono 1neglio nella prospettiv<1 di Gesù che lascia il n1011do. Per la prospettiva ascendente si può citare 15, 19; 16,28; n1a la prospe1tiv;1 roncla111entale onnai è quella cli un aperto antagonisrno trn Gesù e il n1ondo (cfr. ! 4, 17.19.22.27.30; 15, 18; [ 6,8.11.20; soprattutto 16,33). 59 Questa prospettiva è co11tCrn1ata da I 6,33: ho 11i11to il 111011do, con cui si conclude il discorso di Gesù ai discepoli. Gesl1 passa da questo inondo al Padre dopo overe vinto i! 1nonclo.
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Ma il testo di 12,31 richiama 12,24"'', dove Gesù si paragona al chicco di grano che, se muore, porta molto frutto. Subito dopo aggiunge che, chi ama la propria vita la perde, nia chi odia la propria vita in questo 111onllo, per la vita eterna la custodisce. Odiare la propria vita pare coincida con morire'''· I due testi di 12,24.25 e 12,31 hanno
in coinune l'espressione 6 1c6aµo5' ofJTo::; (v.25 Cv TYJ K6aµ{(J T0Vr41; v.31: rnli Kwµov rnvrnv). Nel primo testo questo mondo è il luogo dove si odia la propria vita e perciò si n1uorc, nel v.31 questo n1on(fo, insieme al suo principe, è oggetto di giudizio. Tutto ciò prin1a di tutto vale per Gesù: questo 111011t!o, da cui egli si accinge a passare per andare al Padre è il luogo dove egli non ha a1nato la propria vita, 1na dove, caduto co111e il chicco di grano, egli è n1orto. Ma è anche la realtà contro la quale si è verificato i! giudizio, è la realtà dalla quale Gesù ha subito ostilità. In 15,18, a proposito dell'ostilità che i discepoli subiranno da parte del mondo, Gesù richiama che prima di loro esso lui ha odiato; inoltre in 16,33,
60 I due testi si richia1nano per le espressioni co1nplcrnentari: caduto a terra (éÙ; Tljv yi}v) (v.24) - sarò innalzato da terra (€1< Tip yip) (v.31). fnoltrc si richian1ano per il verbo drroevijaKw, per cui si può stabilire la seguente relazione: I. caduto a terra
2. drroOdvlJ 3. sarò innalzato da terra 4. drroevrfaKEtv Ma è possibile stabilire un'allra relazione pili 1en1aticn: I. venuta dci greci (vv.20-23a) 2. 8ofaa8c)(v.23b)
3. v</@Bw (v.32) 4. tutti atlirerò ... (v.32) 61 Si può notare infatti il seguente n1pporto: I. se non ... 111uore 2. 111a se 11111ore 3. chi a111a la sua vita 4. chi odia la sua vita
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predicendone l'ostilità, esorta i discepoli alla fiducia, avendolo egli
vinto 62 • Possiamo perciò concludere che il passaggio di Gesù da questo mondo al Padre avviene attraverso l'ostilità del mondo. Questo ha odiato Gesù e Gesù ha odiato la propria vita. Come il chicco di grano è caduto a terra ed è morto, n1a a terra non è ri1nasto. E' stato innalzato da terra ed ha attirato a sè. Ciò per il mondo e il suo principe si è risolto in giudizio di condanna. Non pare quindi trattarsi nel nostro testo di un semplice passaggio materiale, ma della vittoria sul mondo da Gesù riportata, dopo averne subito l'ostilità. Andando al Padre, egli ha superato l'ostilità del mondo e definitivamente lo ha vinto.
4.4. Avendo a111ato i suoi, quel!; che nel 111011do Questa seconda proposizione participiale è caratterizzata da una forn1a del verbo dyaJTétw. L 1uso di queslo verbo determina, con la seguente proposizione principale é<; TÉA05" !)yaTIT/CJEV aùrnv<;, una relazione più stretta, anche se non esclusiva. Tra le due proposizioni, participiale e principale, si può stabilire infatti anche una relazione strutturale:
l . ayamjoa<; rnis l8iov<;
verbo-oggetto
2. TOVS' iv Ti;; KWµ[fJ
complemento
3. €15" di.o<;
comp Iemento
4. !)ya17T/CJ€V aÙTOV5"
verbo-oggetto
I due complementi però sono cli diversa indole. Il primo, TOV5"
,Y
J<wµw, è complemento di stato in luogo e caratterizza i TOV5"
T(:i
i8[ov5'; El5' TÉÀ.os; invece, nella sua fonna letteraria, appare 1neglio
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Si può notare una relazione tra i due testi: A B (12,25): chi odia .. .in questo inondo (15,18): 1nc per pri1no ha odiato (12,31 ): i/ giudiz,io ... di questo inondo (16,! !): ... è stato giudicato (16,23): ho vinto il mondo (12,31): sarà gettato fuori
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come un complemento di moto a luogo; più precisamente è un complemento modale che caratterizza il verbo rjydrrryaév. Il participio ayamjaaS" e ii verbo diretto rjydTTl)rYéV permettono di stabilire un' altra relazione strutturale:
I. ayarrryaa> 2. TOVS" i8iov> 3. rnv>
tv ri/!
1<6aµcy
4. EiS" TÉÀOS" ryyaTTl)rYéV
S. avrov>
In questo schen1a l'espressione TOÙS' Èv r{fl J(éxJµr.µ sta al centro. Dell'amore di Gesù (soggetto) si parla anche altrove nel NT". Il nostro testo è l'unico dove si introduce una dislinzionc tra dyarrl]aaS' in assoluto e él5" TÉÀo> rjydTTl)aé//. Altrove l'autore parla dell'amore di Gesù senza alcuna distinzione 6 ~. L'azione di Gesù di arnare nel vangelo di Giovanni inoltre si colloca nello sfondo più ampio dell'amore: da
lui inizia e in lui culn1ina un dina111is1no di a1nore 65 . I rnv> i8foVS' sono i propri, quelli cioè che appartengono a sè. Nel vangelo di Giovanni gli ol L8fot sono menzionati un'altra volta, in un testo negativo, in I, J 1: sono quelli che non accolsero Gesù (rrapÉÀa(3ov)'' 6 • Resta da stabilire la relazione tra gli l8[o1 che non
6.i Cfr. Mc 10,21; Rn1 8,37; Gal 2,20; Ef 5,2.25; Ap l,5; 3,9. Con il tenninc
dydJTrycfr. Rn1 8,35; Col 1,13; ITn1 1,14; 2T1n 1,13. ri-1 Cfr. 13,34; !5,9.12. Inoltre con l'in1pcrfetto rjydrra cfr. 11,5; 13,23; 19,26; 21,7.20. 65 Del Padre che a1na si parla in diversi tesli: nel vangelo: 3,16.35; 10,17; 14,21.23; 17 ,23a.24.26; soprattutto 15,9 dove si stabilisce la scalettn cli scendente: Padre - Gesù - discepoli. 66 111 10,3 si parl<1 di rà Y8ta rrp6j3ara, cfr. in diversa sfu1natura 10,12. Nel
v.4 leggi<:11no solo rd l'8La, n1a sempre con riferi1nento alle rrp6j3ara. Altri usi nel NT dell'espressione ol l'8tol, nel senso propria cerchia o al proprio an1bìto, 2!\1c 11,23; Sir J J ,34. In Giovanni proprie cose): Gv !,Il; 8,44; 16,32;
di "i propri", quelli cioè che appartengono ;_1Jla sono in At 4,23; 24,23; lTn1 5,8. Nei LXX cfr. si legge anche !'espressione neulra rà l8La (le 19,27; anche Le 18,28; At 21,6. Cfr. anche nei
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accolsero la parola venuta 1c6CFµ41
Ei5'
rd l&a, e i roiS I8loV5' roùs- Év
Tf;J
che Gesù, avendo amato, €15' TÉÀ05' ~ya7TT)CFEV.
4. 5. A co11111ùne11 to li arnò
L'espressione ElS' TÉÀDS', relazionata ali' l]ydJTT}aEv, è unica nel vangelo cli Giovanni. Da sola si legge però, benchè raramente, nel NT"7, ma anche, e più frequentemente, nell'AT (LXX) 68 • Si discute sul senso di questa espressione, se essa abbia un valore cronologico o qualitativo-intensivo"- Nel primo senso significherebbe LXX !Es 5,46; 6,31; Est 5,10; 6,12; 2Mac 9,20; 3Mac 6,27.37; 7,8; Pr 11.24. In Gv l 5, 19 leggian10 TÒ l'Otov. <' 7 Cfr. r\!JL 10,22: "colui che rirnarrà saldo fi'/10 o fine (él5' TÉÀoS") sarà snlvo". L'espressione può riferirsi a! le1npo che durano le ostilità (fino alla fine), 111a puù riferirsi anche all'intensità: fino al punto culnline delle ostilità. Cfr. la stessa espressione in l'vH 24,13. Intensità esprirne invece in !Ts 2,16: l'ira di Dio che sui giudei si è riversata({/ 111assh110 grado. In Eb 3,14 si legge µÉXpl TÉÀOVS'; in Eb 6,11 e
Ap 2,26 si legge éixpl TÉÀOVS'. Queste espressioni si leggono n1eglio in senso intensivo. r,N I LXX traducono €l5' rO TÉÀ05', (con l'articolo) l'espressione fl\J)J:J'J nei titoli dci Salini, che indica probabilinente il capo coro a cui il saln10 è clesti1H1to (Sali 4.5.6.8.9.1O(11 ).1 I ( 12).12( J 3) ... Traducono pure €i5' rÉÀOS' l'espressione fl\J)J, che propria1nentc significa in perpetuo, al!'indefi11ito, per sc1npre. Probabil 1ncnte !'espressione dci LXX si riferisce all'azione che, portala al suo cuhnlne, assun1e un carallere di perpetuità. In ogni caso difficiln1cnte l'espressione dei LXX può significare fino alla linc (Sai 9,7.19.32; 43144], 23; 48[49].10; 5l[52],7: 67[68],17; 73174j,l.l0.17 ... ). Un senso cronologico potrebbe avere l'espressione f!w5' Ei5' TÉÀOS'che traduce O)JFflY, 1na forse n1cglio l'espressione si riferisce non alla fine cli un tcn1po, nu1 all'esaurimento clell'oggcllo (Dt 31,24.30; Gs 10,20; Nun1 17,13[28]). Nel senso di co1npin1cnto cli azione (con1pleta1ncnle), l'espressione cl5' TÉÀOS' si legge in Gen 46,4; Gdt 7 ,30; 14, 13; Gb 6,9; 20,28; Sal 17[ 18],36; Sir I O, 13; 12, l l; Ani 9,8; Ab 3,13; Ez 15,4.5; Dn 3,19 (Th).34; 2Mc 8,29 (per sc111pre). Senso di intensità e cli co111pin1e11to di azione pare abbia /lÉXPl TÉÀOVS' in Qo 3, 11; Sap 16,5;
19, 1. Forse senso cronologico potrebbe avere l'espressione €l5' TÒ rt"Àos· in Dn 11.13 (Th). 69 Gli interpreti a riguardo si dividono. Alcuni ritengono l'aspcllo intensivo: cfr. tn1 altri: J\tvHv!ONlOALl.:SS, Frag111e11!0 in S. loa1111e111, PG l,XXX, col. 1481: Gesl1 n1anifcslò perfetta111ente il suo ainore verso gli uon1ini; BALL R.M., S. lohn ond the !nstit111io11 (~/" the Eucharist, JSNT 23(1985) 59ss; BELSER J.E., Das E1'c111geli11111 des
La lavanda dei piedi
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/leiligen Johannes, Freiburg i. J3r. 1905, 286, ;_1J pili alto grado (cita Polibio e lt1 lettera di Barnaba [ 19, J ! J); BERNARD J.H., 1\ Criticai and E.Yegetica/ Co111111en1r11)' 011 thc Gospel occording lo S.John, II, Edinburgh l 928, 454-455 nota che il senso cronologico (fino alla ji'ne cfr. ML I 0,22) non si nclaLLa qui; BONAVENTUH!\, Co111111e11tarius in Eva11ge/ù1111 S. .!oonnis, in S. Bo11a1·e11111rae Oper(/ 011111ia, VI, Col!. S. Bonaventurae, Ad Clarns Aquas, 1893, 424: lune praecipua signa ciileclionis ostencliL; FJLUON L, Cl, La Sainte bihle, Taine VII, Paris 1903-1, 556: jusqu'i'i la pcrfcclion; GNJLKA 1., Jo/la1111ese11a11ge!iu111, Wli17:burg !983, 106: bis zur Vol!cndung; GODET F., Co111111e11taire sur /'éva11gi!e de Saint Jean, Neuchiltcl l 903'1, 227-228: il senso intensivo è CJUello riù corrisrondente all11 greciL~1; IIENDRJKSlN W., The Gospel(~( St. Joh11, London 1959 (repr. 1969): fino al 1nnssi1no; l-IOSKYNS E.C. DAVEY F.N., The Fourth Gospel, London 1947 2 , 436: l'an1orc cli Dio trova cornple!a espressione nella 1nortc ciel Figlio; HUl3Y J., Le discours de Jés11s après fa (:ène, Bcauchesne, Paris l 932, l 4; KNABlNBAUEH J., Con1111entari11s in Hl'r111ge!i11111 secund11111 Joa1111e111, Parisiis 1906 2 , 412: exin1iu1n dedit arnoris docu1ncntu1n (cfr p.413); LAZURE N., Les iyife11rs 111orales de fa Théologie Joh({1111iq11e, Paris 1965, 43: perfe1.ionc e pienezza; MAJER G., Joha11nese1'angeli11n1, Il, Neu!1ausen-Stu!tgart, 1986, 63: nella lavanda dci piedi si cspri111e una profondità di a1norc n1ai raggiunta; MICHAELS J.R., .fohn, Peabody, Massachusell 1984, rist 1989: thc full extcnt of bis love; RurEJrro Dr DEUTL, Co!l1111c11tari11s in Joa1111e111, Pr. CLXIX, col. 677: portò l'an1orc al punto r11nssi1110, cioè alh1 rnorle; SCl!LAITER A., Dcr El'ongclist Joha1111es. Stullgarl 278: nella pienezza cle!!'arnore Giovanni vede il senso e il frullo della crocifìssionc di Gesù; SC!-!NEfDEl< J., Das 1:·1·a11ge/i1011 nach Johannes, Bcrlin J 978'2 , 242; SEGALI.A G., Giovanni, Ron1a 19907 , 363: fino a con1rin1cnto; STI<ATHJ'dANN H., Da.1· Hva11geli11111 nach Joh({1111es, G6ttingen !968!0, cd. it. li vangelo secondo Giovanni, 325: pofferà a co111pin1cnto l'ainore nel "consun11natu1n est"; 'fi\SKER R.V.G., The Gospel r1ccording lo St . .fohn, London 1960 (rcpr. 1992) 154: li an1ò con1pletan1cnlc donando la vit<1; TEOflLATro, Enarralio in f:'l'a11geli111J1 Joa1111is, PG CXXIV, col. JLl5: intensitù n1a in allro senso: niente 01nise di ciò che conviene rare. Al!ri interpreti privilegiano l'aspetto intensivo, senza però escludere quello cronologico. Così AGOSTINO, In Joa1111is E1•a11ge!i11111, traci LV, PL xxxv, col. 1785, cl1e scrive '' ... quia Lantu111 dilexit cos ul n1orcretur proptcr eos ... ", però poi aggiunge (aspello cronologico): "ila sane non prohibe1nus intelligi ... usquc ad 1nortcrn il!un1 dilcctio ipsn perc!uxit". Pili o n1e110 co1ne Agostino è anche BED/\ YEN, 111 S.Joannis h'Fa11geli11111 e.rpositio, PL XCII, e.Xlii, col. 800. Jnoltre ancora B1\REE'IT C.K., The Go.'>pel according to St. John, London 1985 (Third lrnrrcssion), 438; BEECKl'di\NN P., L é\!a11gile se/on S. Jean, Bruges 1951, 289 che, per il senso cronologico, cila JoOoN P., L'él'angile de notre Seigne11r Jés11s Christ, Beauchesnc, Paris 1930, 542, n1a preferisce (p. 290), con Lagrangc e Huhy (Le f/;sco11rs de Jés11s apn's la Céne, 14) l'aspetto intensivo ("le coinhle dc l'arnour au terme de l'existence"); Er.us P.F., Thc Genius <~/' John, Collegeville-fVIinncsola 1984 2 (rist. 1985) 212.213; LAGR1\NGE M.J., f;11a11gile sefo11 S.Jean, Pnris 1947 7 (rcpr. 1964) 349-350: ncll'dea di perfezione è contenuta anche C]Uel!a cronologica; PLUJVHvJER A., The Go.\'f'el according !o St . .fohn, C;_1n1bridgc l9l2 (ultirna ristan1p;i), 26 I; SCHNACKENBURG R., f)as Joha1111ese1,a11geli11111, III, Frciburg-Basel-Wien I 979.Ì, ed. it. li l'angelo secondo Giovanni, III, Brescia 1981, 32. Altri ancora ritengono ugualn1enLe possibili, e anche coesistenti, i due aspetti. A C]Uesta (erza categoria appartiene un nun1ero relativamente pili alto di interpreti: 1
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Attilio Gangemi
fino alla fine, e in questo senso potrebbe anche orientare la Volgata (in finem). Ciò significherebbe che Gesù, avendo nella sua vita amato, amò fino alla fine della vita. In questo modo però si è costretti a introdurre nel testo un nuovo concetto, la fine della vita, che il testo in nessun modo esprime. Certo il concetto di fine potrebbe essere implicato anche da un altro punto di vista, non come fine della vita ma della propria attività: siamo infatti nella prospettiva del passaggio di
Gesù da questo mondo al Padre e I' El;; rÉÀos- ~yriITT)onJ apparirebbe come l'ultima opera di Gesù in questo mondo prima del suo passaggio al Padre. Ma nemmeno questa pare la prospettiva fondamentale del testo.
BAUER W., !Jas John1111eseva11ge/iu111, TUbingen 1933\ 167, che cita per enlra111bi i sensi tcstin1onianzc hiblichc cd extrsbiblichc; BRAUN F.M., Évangi/e se/on Saint
Je(ln, in: PIROT L.-CLAtvlER A., La Sainte Bible, To1nc X, Paris 1950 (nouvelle édition), 418; BRO\VN R.E., The Gospel according lo John, Il, Nc\V York 1970, ed.il. GioFanni, Ciltadella, Assisi, 1986, 653; BRUCE F.F., The Gospel (~( John, Grand Rapids 1983 (repr. 1984) 278; CRISOSTOMO G., In Joa1111e111 /unni/ LXX (al LXIX), PG L!X, col. 383; niente trascurò <li ciò che un a1nante <leve fare: Perseverò nel!'arnore e questo è il segno di amore fervente; Dooo C.H., The l11terpretatio11 of the Fourth Gospel, London 1953 5 -1965, ed. it. L'i11te1pretazio11e del quarto vangelo, Brescia 1974, 496; FAl3!{JS R., Giovanni, Ro1na 1992, 727: la sovraj1posizione dei due sensi è suggerila dalla ripresa di questa terrninologia al 1no1ncnto della rnorLe (cfr. 19,28-30); FLANAGAN N.M., The Go.1pe! accordi11g 10 John, Col\egeville-Minnesota !983, 64; GUlLLEML·-rrE N., Hungri 110 111ore. fohn, Makati 1989, 169; J-IUBY J., Le discours de Jésus aprè.1· la Céne, Beauchesnc, Paris 1932, 14; KYSAR R., John, f\1inneapolis.Minnesota 1986, 207; LTNDARS B., The Gospel of John, Grand Rapids 1982, 448; f\1ARSH J., The Gospel of St. fohn, Baltin1ore-London 1971 2, 483; MATEOS J.-BARf{ETO J., h:t E1Y111ge/io de J11a11, Madrid 1979, ed. it. Il vangelo di Giova1111i, Cittadella, Assisi 1982, 549; MtCHAELS .l.R., Joh11, Pcabody, Massachusett !984, rist. 1989, 245; f\1onRIS L., The Gospel according to Joh11, Grand Rapids 197!, 614 n.8: è un esen1pio del doppio senso tipico dì Giovanni; SCHJWY G., /)as Eva11geliu111 11och Johannes, Wiirzburg J 968 2 , ! 14; STRABONE W., Glossa (Jrdinaria, El'ang .foan, PL CXIV, col. 404: l'mnore lo parlò alla n1ortc; WE!SS B., Das Joha1111eseFc111J?elit1111, G6tLingen 1902 9 , 248 n. I; W!KENHAUSER A., Das /E\l{f11geli11111 nach Johannes, Regcnsburg 1957 2, cd. il. i/ \!angelo secondo Giovanni, Brescia 1962, 342. Altri infine, pochi, sen1brano optare per il senso ten1porale: BRUNO D'ASTI, Co111111enlari11s in Joa1111e111, PL CLXV, col. 555: fino alla fine n1ostrò con quanto an1orc aveva ainato; JOOON P., L'évangi!e de notre Seig11e11r Jésus Chrisl, Beauchesne, Paris 1930, 542; LENSKI R.C.H., The !111e1pretatio11 of SI. John's Gospel, Colu1nbus.Ohio 1942, 902: nota però che il testo va oltre il singolo atto, includendo Lutlo ciò che Gesli fece per i discepoli fino alla fine.
La lavanda dei piedi
Diversi elementi, qualitativa-intensivo:
rn
realtà,
suggeriscono
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meglio
l'aspetto
I. L'assenza dell'articolo (Ei:; TÉÀo:;) anzitutto rimanda meglio all'aspetto qualitativo intensivo che non a guello concreto cronologico. 2. L'enfasi particolare che nel testo l'espressione El:;
TÉÀo:;,
collocata prima del verbo, assume. 3. Nel testo la relazione è stabilita tra I' ér.yarr(pa:; e I' El:; TÉ,.\o:; T;yétTTTJG'EV: ELS' TÉÀOS' non riguarda il soggetto ma la sua azione; non
è
il soggetto che conduce ElS' TÉÀo:;- la sua azione, n1a l'azione del soggetto che raggiunge il suo TÉÀo:;. Si dà un
ér.yam)ua:; ali' El:;
rÉ,\o:;
progresso dall'
1jyér.7T7)aEv mediante il guale l'azione espressa
con dyaJTdw raggiunge il suo culn1ine 70 • 4. Si può infine notare che l'unico uso di TÉÀo:; in lutto il vangelo non può non stabilire una relazione con i due soli usi di TEÀÉw,
in
19,28.30,
che difficilmente
possono
avere un
senso
cronologico è finito, n1a intensivo: è stato jJortato a con1p;,11ento 71 • Il problema sarà poi guello di
caratterizzare i due stadi di ér.yarrdw
espressi nel nostro testo.
70 Secondo iv1ATEOS J.-f3/\RRETO J., El E1 a11gelio de Juc111, Madrid 1979, cd. ir. 1
li l'angelo di Gio1'c11111i, CiLtadella, Assisi 1982, 549, il prin10, dyarrrjaas-, è co1nplessivo e abbraccia tul!o il len1po precedente; i! secondo, ~ydITT]aE//, si riferisce ad un futuro i1nn1edi;_1to. Spiegano (p. 552) che l'ainore di Gesti si è 111ostrato nell<1 vit8, llHl riplenderÌ\ nella n1orle. 71 L'aspetto cronologico, nel senso cli fine, è escluso dalla stessa forn1a al perfetto, TéTIÀéaTal, la quale, trn !'altro, pare dipenda dallo stesso verbo in ls 55, 11, dove certo non ha il senso di finire, bensì di port<Jre a co111pù11e11to. Cfr. i! 1nio studio, L'utilizzazione del c. 55 del libro di Isaia nel \!angelo di Giovanni, in Synaxis 7 (1989) 68-73.
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4.6. Relazione tra "avendo a111ato i suoi, quelli che nel 1norulo 11 e "a co111pùnento li an1ò ". 4.6.1. A compimento Ii amò
A caratterizzare I' El5' 111
TÉÀOS' l]ydTn]uEv intensivo, in se stesso e
relazione all 1 àyaTTiJrraç precedente, ci vengono in aiuto due testi,
uno richiamato dal verbo dyamiw, l'altro dal termine TÉÌ\05-. Quello richiamalo da dyamiw è 15,13 72 , quello richiamato da TÉÌ\oç è 19,2830 già cilato 71 . Il testo di 15,13 segue al testo di 15,12 che definisce la Évrn,\1): essa consiste nel!' amarsi gli uni gli altri, sul suo stesso modello
(mew,
~yaJTT)ClO
vµas). Subito dopo, nel v.13, Gesù introduce e
definisce la µd(ova dy6.TTT)v che consiste nel porre la propria vita per
gli an1ici. Dal
n10111ento che non
si dà dyciTTTJ superiore a quella
descritta in 15, J 3, si può stabilire una relazione tra J1 ~YGTTT)ClEV
Ei5'
TÉÀ.05'
del nostro testo e la µd (ova dy6.7TT) di 15, 13. Il porre la vita 1
per qualcuno, che nel c. I O caratterizza l opera pasloraJeH, richia1na la 1norte, non però la morte in se stessa, ina quella da cui scaturisce un effetto positivo per (v7TÉp) gli altri. II testo di 19.28-30 presenta degli elementi strutturabili secondo uno schema concentrico e alternato insieme: 1. sapendo chc ... tutto è stato portato a con1pùnento
(TETÉ,\EaTOL) 2. perchè si adempisse la Scrittura, disse: ho sete
n
crr.
l'espressione µE{(ova .. dydITT]// oV8éi5' Exél.
Bll rifcriincnlo a TETiÀEaTal di 19,28.30 è notalo da diversi autori. Cfr. Lra altri BALL R.ìvl., S. John and tlic !11slil11/io11 of the /:'11charist, JSNT 23 (1925) 59; MATF.OS J.-BARRETO J., h'/ /c.'1y111ge/io de J11a11, Madrid 1979, ccl. it., // \Yl//ge/o di Giova1111i, Ci11nclella, Assisi 1982, 549; ScHNEIDER J., Das Eva11geli11111 nach Johannes, Berlin 1978 2 , 242; Sl'llTA F., Das Joha1111es-e1Y1nge/i11111, als Quelle der Gcschichte Jesu, Gi.HLingen 1910, 285. 7·1 Cfr. 10,! !.15.17.18; e anche 13,37.
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[v.29: l'azione dell'aceto] 3. tutto è staio portato a compimento (TETÉÀEoTat) (v.30) 4. diede lo Spirito Dal punto di vista dell'azione dell'aceto (v.29), il brano presenta uno schema concentrico. Le quattro frasi dei vv.28.30 invece, in se stesse sono strutturate secondo uno schema alternato. La pri1na e la terza si richia1nano per il verbo
TETÉÀEaTaL,
la seconda e la quarta
stabiliscono invece una relazione tra il verbo 8uj;W e J1espressione 7TapÉ&!KEV TÒ 7TVEvµa. Il compimento a cui Gesù allude mediante il
pe1fetto TETÉÀEOTOL consiste in un dinamismo che parte dal verbo
8upw
e cui 1nina nel 7Tap€8wKEV rO rrvr:ùµa. L' Ei5' TÉÀo5' l)yéarryrxv richiama così due aspetti: il dono della vita e il dono dello Spirito75 . Questi due aspetti si trovano accostati in 19,33.34: "quando videro che era morto (TEBVf)KOTa) ... uscì sangue e acqua" 7 (', in un rapporto quasi di consequenzialità, attraverso le due azioni dei soldati, negativa di non spezzare le gambe e positiva di aprire con la lancia il costalo. 4.6.2. Avendo amato i suoi quelli che nel mondo Caratterizzato così I' El5'
TÉÀOS'
l]yciT!T)UEV,
bisogna adesso
1
caratterizzare 1dyamjuas-, e questo anche in relazione ai To/;s- l8[ovs-,
i quali, a loro volta, sono definiti con1c ToVs-
ÉJ/
Tr;J Kfxrµfj).
Nella soluzione a questi problemi parto dall'espressione TOV5' Év T(J.J K6aµrjJ,
che è peculiare per due 1notivi: sia per la sua posizione
centrale nell'espressione da riyam]uaS" a 1rdm7uEv, sia anche per la relazione che stabilisce con l'espressione precedente É1< ToV 1<6uµov.
75 JOOON P .. L'éva11gile de notre Seigneur Jés11s Cltrist, Bcauchcsnc, Paris 1930, 543, vede in questa espressione una allusione all'Eucaristia. 7 r, Per Ja relazione acqua - .S/)irito, ciì·. il n1io studio, L'utiliz.zazJone de! c.55 del lihro di Isaia nel 1Y111r;e/o di Giova1111i, in Synaxis 7 (1989) 45-49.
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Posta al centro dei due verbi dyarrdw (dyamjcm:; ... ryydTTl)uEv) l'espressione rov:; Év r{fi KWµfy sembra costituire il punto di convergenza di due movi1nenti, rispettivan1ente c/;scenclenti e ascendenti, costituiti, e anche contenuti ancora, nelle due forme di
dyarrdw: dyamjua:; ed ryyaTTl)UEV. L' dyamjua:; si ricollega ed esprime un dinamismo discendente che culmina nel mondo, mentre I' El:;
n'Ao:; ryyd.TTl)UEV si colloca in un dinamismo ascendente che parte dal mondo. Alla stessa prospettiva conduce anche il confronto n1enzionc del n1011clo nell'espressione precedente ÉK
con la
roV K6uµov. Le
due 111enzioni del inondo, nelle due espressioni participiali, nonostante qualche differcnza77 , presentano una relazione di complen1entarielà78 . La prima è relazionala al Padre (rrpO:;
rov rraTÉpa), collocandosi
chiara1ncntc in un dinamis1no ascendente di
Gesù;
rnenzione invece è relazionata ai roVS' dinamismo discendente di Gesù.
collocandosi in un
{8[ov5'
la seconda
La nostra conclusione è che le due espressioni ayamjcm:; roù:;
li5iov:; - El:;
TÉÀo:;
ryyd.TTl)UEV auro{!:; caratterizzano
due momenti
diversi dell'azione di Gesù espressa con l'unico dyarrd.w. li primo, più generale, è espresso dal generico verbo dyarrd.w al participio, il secondo,
specifico, è caratterizzato,
più
oltre
che
da
ayarrd.w
all'indicativo, dall'espressione El:; TÉÀo:;. Il pnmo s1 colloca nella
prospettiva di un car111nino discendente dì Gesù verso i discepoli definiti come i
rnvs- l8iov:;,
il secondo si colloca invece nella
prospettiva di un ca1n1nino ascendente di Gesù verso il Padre.
77 Nella prin1a n1cnzio11c leggiarno il pronorne din1ostralivo ToVTov, assente nelln seconda. 78 Si può notare una relazione anche dal punto di vista strutturale: a. da questo 111011do b. al Padre c. i suoi d. che nel 111011do
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4. 7. !! cammino discendente di Gesù (dymrryaas-) In tutto il quarto vangelo, come già ho avuto modo di notare, il cammrno di Gesù è caratterizzato da una duplice parabola, discendente e ascendente. Le due parabole, insien1e, sono delineate già nel nostro contesto, nel v.3 e, in modo più ampliato, in 16,28 79 •
È chiaro che l' dyarrryaas- non si riferisce alla stessa venuta di Gesù nel mondo: questa infatti è riferita all'amore di Dio che ha donato l'Unigenito 81 '. Esso si riferisce meglio alla presenza di Gesù nel mondo dopo la sua venuta"'. Nasce però il problema in che modo Gesù, venuto nel mondo, abbia an1ato i suoi di un a1nore distinto da quello culmine éls- Té'Aos- 82 • 4.7.1. II confronto con Gv 15,12-17 A caratterizzare il verbo dyamjua:; del
nostro testo, ci aiuta
ancora il testo di Gv I 5, 12-17 già citalo"'. In I 5, 12 Gesù introduce la definizione del!' dydTTI): essa consiste nel!'
[va dymraTE aÀÀryÀovs-
sul modello da lui offerto o in base al comando da lui stesso dato:
79
Altrove la
parabola
3,2.19.3l; 4,24; 5,43; 6,l4; 12,13.15.27.46.47; l6,28;
discendente è cspressn con: fpxoµac 7,27.28.3l; 8,14.42; 9,39; 10,10; 18,37; 20,l9.26; Kam(Jaivw:
1,9. I 1; I 1,27; 3.13;
6,33.38.41.42.50.51.58; <'ftpxoµm: 8,42; 13,3; 16,27.28.30; 17,8. La parnbola a.1·ce11denfe èesprc.ssa invece con: Vrrdy(;J: 7,33; 8,14.14.21.22; 13,3.33.36;
14,4.5.28; 16,5.5.10.l7; rropcvoµai: 7,35;
14,2.3.12.28;
l6,7.28;
dva{3a{vN: 3,13; 6,62; 20,17.17; €pxoµac 17,11.13; drrtpxoµat: 16,7.7.
°
8
Cfr. 3, 16: "così Dio a111ò (rjydITT]aEv) il 111011do, da dare il suo Figlio unigenito ... ". 81 Ciò è suggerito anche dallo stato in luogo: "quelli che nel inondo". 82 Secondo BRO\VN R.E., The Gospel according lo Jo/111, Il, New York 1970, ed.il. Gio\'anni, Citlade!la, Assisi 1986, 653, con1prendc tulto il 1ninistero pubblico. H_, Il rìchiaino ad esso da parte del nostro testo è suggerito dai suoi stessi clementi: il verbo dyarrdw anzitutto (cfr. vv.12.12.17), il tcnnine K6aµos (vv.18.19.19.19.19.19);
non c'è l'espressione ro/):; l8{ovs, 1na c'è il singolare
neutro (rò l8tov) riferito al n1ondo nel v.19.
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Attilio Gangemi
come amai voi. Nel v.13, in forma di principio generale, si parla della µd(ova aya77TJV che si concretizza nel fatto di porre (8rJ) la propria
vita per gli amici. Nei versi seguenti si leggono diverse espressioni che richiamano altrettante azioni di Gesù. Così nel v. I 5, in contrapposizione alla condizione del servo che non sa ciò che fa il suo padrone, Gesù dichiara di avere detto (ElpryKa) suoi amici i discepoli, motivando con il fatto che ciò che ha udho (ijKovaa) dal Padre ha reso noto (Éyvwpwa) a loro. Nel v.16 Gesù introduce poi il terna dell'elezione:
non sono stati i discepoli a scegliere lui, ma lui ha scelto (€!;EArcl;aµryv) loro e li ha costituiti perchè andassero e portassero frutto e il loro frutto rimanesse. Nel v.18 si introduce la tematica del mondo e della sua ostilità; il mondo odia i discepoli e Gesù ne rivela la causa: egli li ha scelti (€!;drcl;aµryv) dal mondo. Torna ancora il terna della elezione, stavolta
però in forma negativa: Gesù ha scelto i discepoli dal mondo, Ii ha cioè sottratti ad esso, ha impedito che da esso fossero coinvolti ed entrassero nella sua intin1ità. II tema dell'odio del mondo verso i discepoli si protrae fino al v.25. Esso si concretizza nella persecuzione (€i5!w!;av) come per Gesù: ciò avviene perchè gli uomini del mondo non hanno conosciuto nè Gesù nè colui che lo ha n1andato. Questa non conoscenza è peccato, perchè di fatto Gesù è venuto (cfr. v.22:
ryÀ8ov) ed ha parlato.
Avendo egli parlato, l'odio del mondo risulta gratuito (v.25: i5wprcav). Nel v.22 si introduce il tema della venuta di Gesù. II testo di Gv 15, I 2-25 è molto complesso e si intrecciano diverse prospettive. Si possono distinguere due grandi blocchi: i vv.12-17 e i vv.18-25, il cui soggetto sono rispettivamente, ma in contrapposizione, Gesù e il mondo, entrambi nei confronti dello stesso oggetto: i discepoli. Gesù amò (1)ya77TJO"EV) i discepoli, il mondo Ii odia (µwé.). Ritengo che il verbo 1ra77TJO"O di I 5, I 2 sia comprensivo di una serie di azioni di Gesù, descritte nei vv.12-17, e che affondano le loro
La lavanda dei piedi
55
radici nei vv.18-25. Esse emergono meglio in una lettura inversa del testo. Nel v.25, in prospettiva negativa, Gesù menziona la sua venuta: se non fosse venuto e non avesse parlato, non avrebbero peccato; di fatti egli è venuto, e ciò rende ingiustificabile la non conoscenza di lui e di colui che lo ha mandato. Nel contesto dell'ostilità del mondo (v.19) Gesù ha scelto (É(;EAd;étµryv) i discepoli dal mondo (éc
mv
Kocrµov), li ha liberati da esso'", li ha sottratti al suo coinvolgimento, ha
impedito che fossero il TÒ
'l8wv del
mondo; conseguentemente
questo, non avendo potuto accoglierli nella sua intimità (<jJLÀÉw), li ha odiati. Ma la scelta di Gesù non è stata solo negativa, come sottrazione al n1ondo, n1a anche positiva, come finalizzazione ad un frutto che bisogna portare. A coloro che ha scelto, Gesù ha reso noto (Éyvufpwa) ciò che ha udito dal Padre: così facendo, li ha dichiarati amici; per gli a1nici, come µEf(ova dydTTT]v, egli dona la propria vita. Si delinea così tutto un can11nino di Gesù: viene, sceglie sottraendo al n1ondo e finalizzando ad un frutto, rende noto ciò che ha udito dal Padre, ha dichiarato an1ici, per essi dona la vita. Tutto ciò può riassu1nersi nel I'
JjyétTrl)CTEV del
v.12. Avremmo così descritto tutto un itinerario che
parte dalla venuta di Gesù nel mondo e culmina nel dono della sua
vita. Il nostro testo di Gv 13, I, nell' Els- TÉÀoo; JjyétTrl)CTEV coglie solo l'ultimo momento di lutto un cammino che parte dalla venuta nel inondo e passa attraverso i vari stadi sopra indicati 85 •
81 ' 85
Cfr. In costruzione con iK e i! genitivo. Gli aspetti evidenziali dagli interrreli sono diversi. BALL R.M., S. .fohn and the !11stit11tion c~fthe Eucharist, JNST 23 (1985) 61, iclenlifica il supren10 alto cli a1nore con l'istituzione dell'Eucaristia; secondo BERNARD J.1-1., A Critica! and Exegeth·a! Co111111e11tary 011 the Gospel according lo S.John, Il, Edinclurgh 1928, 455, può significare "111ostrò il .1·110 a111ore"n1ediantc una a7,ione senza precedenti, quella propria cli uno schiavo verso il suo padrone; CARSON D.A., The Gospel accordi11g to .fohn, Grand Rapicls 1991, 461, rimanda alla lavanda dei piedi co1ne un atto di an1ore che anticipa la croce; secondo KYSAR R., fohn, ~1inneapolis, Minnesola 1986, 207,
56
Attilio Gangemi
4. 7 .2. Confronto con Gv IO Tutto questo cammino corrisponde a quello delineato, con altro linguaggio, nel c. I O. Il pastore entra attraverso la porta nel recinto delle pecore (v.2a), queste la sua voce ascoltano, egli le proprie (ra
Z&a)" pecore chiama e le fa uscire (v.3). Nel v.4 si descrive il cammino dopo l'uscita: quando il pastore fa uscire tutte le proprie (ra Z8w), davanti a loro cammina e le pecore lo seguono. I vv.3.4 delineano un duplice cammino che si può definire come la relazione del pastore alle pecore (v.3) e la relazione delle pecore al pastore (v.4); o meglio ancora la relazione tra le pecore e il pastore dentro il recinto (v.3), e la relazione tra il pastore e le pecore fuori dal recinto (V .4 )"'. Si possono così individuare quattro elementi in questi versi del c. IO: l'intervento del pastore nel recinto delle pecore (entra per la porta), il reciproco riconoscimento del pastore e delle pecore (la sua
voce
ascoltano - le chiama per nome), l'uscita (€i;ayEL - f"K(Jd,\n), il
cammino ( rropEvEmL - a1wÀov@EL). Nei vv. 7-18, incentrati attorno alle due duplici definizioni cli
e(Jpa e rro1µr)v, Gesù, in contrapposizione al icÀErrrr)s-, definisce lo scopo della sua venuta: egli è venuto perchè le pecore abbiano vita e l'abbiano abbondante1nente. Nelle due definizioni riguardanti il rrDLµr)v, Gesù definisce e caratterizza appunto il pastore come colui
che pone la sua vita per le pecore (vv.11.15.17.18). Nel v.27, in una
indica il singolo alto della n1orte; per MOJH<IS L., The Gospel according to fohn, Gn:md Rapids 1971, 614 n.9, esprirnc un rnnore 1nostrato in un solo allo, non una continuità di an1ore. 86 Cfr. nel nostro testo TOV5' { 8{ov5'. 87 Le due serie di azioni tc1naticarnente si ricllimnano secondo uno schen1a concentrico: I. !e pecore la sua voce ascoltano soggetto !e pecore 2. e le proprie pecore chian1a per no1ne soggetto i I pastore 3. le conduce fuori 4. le proprie lutte .fa uscire 5. davanti a loro cam1nina soggetto il pastore 6. {e pecore a lui seguono soggetto !e pecore
57
La lavanda dei piedi
espressione quasi riassuntiva, Gesù
dichiara
che
le
sue
pecore
ascoltano la sua voce, egli le conosce ed esse lo seguono ed egli dà a loro la vita eterna.
Lo schema così si allarga, e si delinea così tutta la vicenda del pastore nei seguenti elementi: I. il pastore entra nel recinto delle pecore 2. pastore e pecore reciprocainente si riconoscono 3. le fa uscire 4. si determina una reciproca relazione tra il pastore e le pecore: egli cammina davanti a loro e queste lo seguono 5. egli dà a loro la vita eterna. In questo schema dovrebbe entrare anche l'opera del pastore di porre la vita per le pecore. In quale momento della vicenda globale ciò si attua? Il compito del pastore di porre la vita per le pecore è delineato attorno alle due autodefinizioni del 1701µr)P (vv.11-18). Il confronto con le due autodefinizioni della
evpa (vv.7-10),
ricollegate
piuttosto al tema di un cammino orientato verso il pascolo (J.'Oµr)P v.9) o verso la vita (v.10), suggerisce che il dono della vita dcl pastore avvenga prima che le pecore escano dal recinto e intraprendano un can1mino. In ciò la prospettiva concorda con quella dell'esodo,
secondo cui (Es 12) l'immolazione dell'agnello avviene pnma dell'uscita dall'Egitto e del cammino attraverso il deserto verso la terra pro1nessa.
4.7.3. Confronto tra Gv IO e Gv 15,12-17 L'intreccio del c. I O è molto più complesso, nè a noi adesso interessa
considerarlo
specifican1ente.
Si
può
tentare
però
un
confronto tra il testo del c.10 e quello del c.15 sopra indicato. Secondo il e.IO, il pastore entra nel recinto delle pecore, secondo il c.15 invece Gesù è venuto nel mondo. Nel recinto delle pecore queste ascoltano la sua voce ed egli le chian1a per norne; nel n1ondo Gesù
sceglie i discepoli dal mondo e li costituisce perchè vadano e portino frutto, rende noto quanto ha udito dal Padre, li ha dichiarati amici.
Attilio Gongen1i
58
Secondo il c. IO il pastore pone la vita per le pecore, in 1S,12 Gesù dichiara che nessuno ha a1nore più grande di chi pone la vita per 1 suoi an1ici. Si può stabilire così il seguente schen1a ten1atico:
c. IO I. il pastore entra recinto delle pecore (v.2)
c. I 5 nel I. Gesù mondo
è
venuto
nel
2. le pecore ascoltano la sua 2. ha scelto dal mondo voce ed egli le chiama per non1e (v .19) cd ha scelto perchè (v.3) discepoli portino frutto (v.16). 3. ha reso noto ciò che ha udito dal Padre (v. I 5) 4. ha dichiarato arn1c1 (v.15) 3. dona la propria vita 5. ha posto la vita a111a11(/o (vv.I 1.15.17.18) di più grande amore (v. I 3) 4. le fa uscire (vv.3.4) 5. ca1nn11na davanti alle pecore e queste lo seguono (vv.4.27) 6. verso il pascolo (v. I O) e la vita eterna (v.27; cfr. v.10)
Riassumendo, il c.15 pare ci descriva, sotto la tematica cieli' ~yd7T7]cra
Vµéi5' tutla una vicenda che va dalla venuta di Gesù nel
mondo fino al dono della sua vita. Essa corrisponde ad una parte della vicenda globale descritta con diverso linguaggio nel c. I O, e che implica anche l'uscita del gregge e un cammino di sequela, dietro il pastore, che conduce alla vita eterna.
La lavanda dei piedi
59
4.7.4. Confronto tra Gv 10/15,12-17 e Gv 13,1 Pare che il c. I S specificamente descriva quello che in modo più generico è descritto nel nostro testo n1ediante i due verbi dyaJTdw:
àyarrrym5-. .. Els- TÉÀos- ?jy6Jr77uEv. In realtà nel!' l)r6.TTT/ua di 15, 12, con1e ho notato, si può con1pendiare tutta la vicenda che va dalla venuta di Gesù nel mondo fino al dono della sua vita. Il nostro evangelista però in 13, I più specificamente intende descrivere I' Els-
TÉÀOS' ?jyét.TTT/UEV, il compimento dell'opera di amore. Non potendo però separare I' Eis- TÉÀOS' ?jyét.TTT/UEV da tutte le altre opere precedenti di cui è il culmine, le recupera introducendo il participio dyarrryuas-'·'. I due
verbi dyarrdw ci descrivono così tutta la vicenda di Gesù nel
1nondo89 • Nel nostro testo non è assente però Io sche1na più atnpio del
88
Nell'introduzione delle due fonne del verbo dyarrdUJ si potrebbe pensare
anche ad un certo inOusso di Ger 31(38),3: "di a111ore elenio (dydrrryatv a/{J)v{av) ti ho r1111ato (rjydTTT]ad CTE)". L'influsso sarebbe stato cvcn1ual1nentc sul piano letterario. Tra il testo cli Gere1nia e il nostro Lesto cli Giovanni ci sono 1nolte differenze, il nostro evangelista però probabilincntc non ignora questo teslo; i I passaggio di 12,31: at!irerò lufli a 111e (rrdvTa5' ÉÀKV<Jw rrp(s ɵavT6v) può
richian1are Gcr 38(31),3: ti ho a/lirato in be11evo!e11z.a (éL\Kvud UE élç oiKTlp17pa). Si possono richian1arc altri tesli dcll'AT dove l'an1orc cli Dio è hl inotivazione e la causa ciel suo intervento di salvezza. Cfr. DL 4,37, dove dyarrdw sta in relazione alla elezione e alla liberazione; 7,8; J0,15; inoltre Dt 23,6; 2Cr 9,8; Os I 1,4. Una relazione !rn l'elezione e !'an1ore da parte cli Dio è stabilita nnche in <1lcuni testi dcl Deuleroisaia: Is 41,8; 43,4; 60,10; in fs 63,9 l'n1nore è la causn della salvezza. In 1nodo più an1pio la prospeLLiva dcl nostro evangelista si fonda nell'AT. lN l due verbi dyarrdw si possono inserire nel telaio della storia di Gesl1 offerlo in 16,28: l. sono uscito dal Padre 6. vado al Padre 2. sono venuto nei 111011do 5. di nuovo !ascio il inondo 3. dyarrrfuaç 4. Efç TÉÀ05' IJydTTl]U€V Gesl1 è uscito dal Padre ed è venuto nel inondo. Nel inondo ha cornpiuto un'opera di an1orc progressiva fino al suo culrnine, espresso da Eiç TÉÀoç. Giunto al con1pi1ncnto, Gesù lascia i! inondo e torna a! Padre. Si tral!a dello schen1a suggerito da ls 55.10.11, secondo il quale la parola che esce dalla bocca di Dio, con1c la pioggia che scende dal cielo, non torna senza avere prima portato a con1pi1nento (<JV//TEÀEa8-Q l.v.TEÀéu8ij) ci<'> che Dio ha voluto.
Attiho Gangemi
60
c. I O, riconducibile allo schema dell'esodo, secondo il quale il gregge esce dal recinto o il popolo esce dall'Egitto e si incammina dietro il pastore.
4.8. Rilettura sintetica di Gv I 3,1 L' EÌS" TÉÀoç ryydTTTJCIEV di 13,1 si colloca così nella duplice prospettiva della festa di Pasqua e della coscienza di Gesù della venuta della sua ora di passare da questo n1ondo al Padre. fJasqua indica il passaggio e l'autore lo esprime usando l'insolito verbo µEm(JaiPw: il passaggio si traduce in un camn1ino da questo inondo al Padre. Rileggendo il testo all'inverso, si può ricostruire la seguente storia: 1. Gesù an1a El:; TÉÀo::;. 2. si celebra pasqua, cioè si opera un passaggio, 3. si intraprende un canllnino da questo 111ondo al Padre In questa lettura inversa il passaggio da questo mondo al Padre riguarda Gesù; ma egli è pure il soggetto dell'azione EiS" ~ydTn]CTEV
riferita ai suoi che nel
111011(/0.
TiÀoç
Ciò suggerisce che il
passaggio da questo n1ondo al Padre, almeno nel senso da stabilire, non riguarda solo Gesù, 1na anche i suoi che nel
111011[/o,
che egli El5'
TÉÀoç ryyaTTTJCIEV. 4.8. I. Tovç loiovç In questo contesto è possibile comprendere l'espressione rnuç
ioiovç rnvç Év Ti/! 1<wµlf), nei suoi due aspetti: rnuç iofovç e rnuç Év T(jJ 1c6aµ(fl.
Chi sono gli t8w1 di Gesù? Certo quelli che gli appartengono"''; possian10 dire i rd YBLa rrp6j3aTa e i Tà l'Ola rrdvTa di cui si parla in
90 Per LINDARS B., The Gospel of John, Grane! Rapids 1986, 448, sono tutti i credenli e non solo i discepoli; per SUGGIT J.N., John 13,1-30, The Myslery qf the
La lavanda dei piedi
61
I 0,3.4. Abbiamo notato che l'espressione ai li5w1 si legge in un altro testo, in I, 11, n1a con diversa a1npiezza. Scrive l'Evangelista: "tra le sue cose
(Eis- Ta 'ti5w) venne, ma
(rrapÉAafJov)".
Nella
frase
i suoi (ai
precedente
li5101) non lo accolsero
però
leggiamo
un'altra
11
espressione triadica: era nel 111ondo, il mondo fu fatto per 1nezzo di esso (sci. 6 A6yo5'), il mondo non lo conobbe". Nel primo elemento si esprime la presenza della Parola nel mondo, nel secondo però si risale all'origine dcl mondo per mezzo di essa (Oi avrnv). Benchè il primo clen1ento sia appunto al primo posto, in reallà logica1nente si colloca al secondo posto. Si avrebbe allora il seguente progresso storico: l. il mondo fu fatto per mezzo cli esso (6 ,\6yos-) 2. era nel inondo 3. il mondo non lo conobbe" Gli elementi dell'espressione del v. 11 si possono logicamente inserire tra gli elementi dell'espressione dcl v. I O secondo l'ordine che abbiarno cercato di ricostruire. L 1espressione Ei5' TG l3La ~ÀBEv si può inserire tra l'espressione KWµ0
f}v,
l'espressione
6 1<6aµoS' 8L ' aVToV éyÉvETO e al
l8tol
aVTO//
oU
Év
TrfJ
7TapÉÀaj3ov s1 può
collocare tra Èv T('°J l<énµt;J f}v, secondo il testo ricostruito, e 6 K6a"µo:;
aUr01,1 0V1< Eyvw 92 •
/ncan1atio11 and r~l the E11c/i{lrist, Neotest 19 ( 1985) 65, sono quelli che Gcsl1 ha scelto e hanno risposto nella fede. 'JI L'ordine proposto dall'evangelista vuole evidenziare il contn1sto Irti la presenza della Parola nel mondo e la risposta paracJoss<1Je del n1ondo, contrari::1 alla sua stessa origine. La ricostruzione logica cvicJen7,ia invece la vicenda dran11natica della Parola che incide nella creazione dcl rnonclo. che è presente nel 1nonclo, nia clic J;:ll 111ondo è rifiutnla. 92 Secondo i! seguente schcn1a: V. f () V' I I il n1ondo per n1czzo di lui avvenne \'e1111e
nel 1no11do era i suoi
i I mondo non lo conobbe
11011
lo accolsero
62
Attilio Ga11gemi
Si può cosi ricostruire tutta la vicenda della Parola. Essa esercitò una causalità nella creazione del mondo, di modo che questo divenne
Tà 'i8ta, e la Parola venne El5' Tci' l8ta. Era nel inondo e, per questa presenza, quelli del mondo possono definirsi
oI 1owL, ma questi non
lo accolsero (rrapÉÀaf3ov). Si può così concludere che il mondo non pervenne ad una conoscenza della Parola (où1c l'yvw). Questa
situazione
però
non
è universale;
nel
v .12,
111
contrapposizione (BÉ), l'evangelista parla di quelli che lo accolsero
'"[3OV " ( OCYOL. .. E/\G
''); GVTOV
a questi, che sono definiti que!li che crec/0110 nel suo norne, la Parola ha dato il potere di diventare figli di Dio. Sullo sfondo di un rifiuto globale del mondo, risaltano quelli che hanno accolto. Prospettiva analoga, 1na diversa e co1nplen1entare, appare in I S, 18-25, nella sezione in cui Gesù parla dell'odio del mondo verso i discepoli. Questo si è scatenato proprio per il fatto (v.19: Su'i rouro) che Gesù li ha scelti dal 111ondo, in1peclendo che essi fossero suo
18wv) 91 • In entrambi i testi (I, I 0-11; I 5, I 8ss) trovian10 una prospettiva analoga: sullo sfondo di un rifiuto (I, I Os) o di una ostilità (15, I 8s) da parte dcl mondo, emerge una categoria di persone che si trovano in antitesi con il n1ondo e sono con Gesù. L'antitesi è detenninata da cause diverse 1na co1nple1nentari. Secondo I, I Os, costoro sono in antitesi perchè hanno accollo peculiare possesso (v.18: ro
(E:\af3ov), secondo 15, 19 lo sono perchè Gesù li ha scelri (ÈfdEfaµl)v). Questa calegoria di persone che hanno accolto Gesù e che Gesù ha scelto, e che pertanlo sono distanziati dal inondo, sen1brano essere i
roV:; lO{ov:; che Gesù ha scelto, contro i quali il inondo esercita la sua ostililà9-+.
<JJ Nel v. !9 è forlcn1cntc sol!olineala questa sottrazione dei discepoli al Jìlondo eia parte di GesLL Non senza una ridondanza 111olto significativa, il tennine lf6crµos- si
legge ben 5 volte, di cui 3 volle nell'espressione €1< roV lf6aµov. <J.J Cfr. anche l 6,20 dove la loro tristezza è gioia per il Jìlondo.
La lavanda dei piedi
63
4.8.2. I TOVS' Év TI/) KWµI/) I TOVS' liS{ovS' sono def'initi come
TOVS' Év TI/) KWµù(. Questa
indicazione deve essere letta nella duplice prospettiva del rapporto tra i discepoli e il mondo sopra delineato, e dcl passaggio al Padre. I discepoli sono nel mondo, n1a allineati ad esso nel rifiuto di Gesù, e Gesè1 li ha scelti n1cttendoli in conflillo con esso. Ma adesso è giunta l'ora passare da questo mondo al Padre. Anche per i discepoli questo 111011clo
di Gesù da non si sono dal mondo per Gesù di si prospetta
così un esodo da questo 111ondo al Padre. Della presenza dei discepoli nel mondo si parla anche nel c. 17. Nella prospettiva più ampia dei discepoli dati a Gesù da parte del Padre dal 111onllo (ÉK ToV K6a-µov), la cui negativilà è 111anifestata nel fatto che per esso Gesi1 non prega (v.9), nella prospettiva che i discepoli non sono dal mondo (v. l 4), cioè non traggono dal mondo la loro origine, Gesù afferma, nel v.l l, che egli non più (oùdn) è nel
mondo (Èv Ti/i Kwµ11), mentre i discepoli sono nel mondo; Gesù invece va al Padre. Che Gesù vada al Padre, da lui stesso è ribadito nel v. l 3; che i discepoli poi siano nel mondo, è riespresso nel v. I S, dove Gesù chiede al Padre che non li tolga dal mondo, ma che li preservi dal maligno. La prospettiva del c.17 è diversa rispetto a quella dcl c.13. ln
13,1, i rois
liS{ovS' rois
Év
Ti/i Kwµù(, alla luce dell'espressione
precedente '{va µaaf3ii, riferita al passaggio di Gesù al Padre, sono quelli che hanno accolto Gesù 95 e Gesù li ora, essendo nel n1ondo, debbono essere Gesù da questo inondo al Padre, attuando esodo. Nel c. l 7 invece !'espressione del
ha scelti dal mondo e che coinvolti nel passaggio di anche loro, con Gesù, un v.11: "non p;IÌ sono nel
'> 5 Il verbo EAaf3ov di I, 12 si legge ancora in l 7,8, legato al verbo
TTlO"Tt:VtJ).
Attilio Gangemi
64 11
in bocca a Gesù, rivela che tale esodo è già avvenutow' e Gesù è orientato verso il Padre. Con Gesù anche i discepoli hanno fatto quest'esodo e, come tutla la preghiera globalmente rivela, sono orientati anche loro verso il Padre. C'è però una differenza lra Gesù e i discepoli. Mentre Gesù va al Padre anche fisican1ente, dire1nmo cosmica1nente, di 1nodo che egli, in questa di1nensione, non è più sulla terra, i discepoli invece solo spiritual!nente. Pur orientati al Padre, essi sono ancora sulla terra. Vi sono perchè nel inondo hanno una n1issione: Gesù Ii invia nel n1ondo analogan1cnte a co1ne lui vi è stato inviato. Sono nel n1ondo, non pcrchè da esso non sono usciti, 1na perchè da Gesù hanno ricevuto una missione analoga a quella che lui ha ricevuto dal Padre (v. 18). Essi hanno il con1pito di realizzare nel mondo la loro unità in analogia a quella tra il Padre e Gesù (v.21), perchè il mondo pervenga alla fede 111ondo
,
(mJTEVOTJ) il Padre ha mandato Gesù; debbono realizzare una unità
con Gesù e, attraverso Gesù, con il Padre (v.23), perchè il mondo pern1anga nella conoscenza il Padre ha 1nandato Gesù ed ha an1ato i discepoli come ha amalo lui. Pur essendo nel mondo, i discepoli appartengono al Padre, per questo a lui egli li affida (v.15) chiedendo che li preservi dal maligno. Nel c. 17 si attua ciò che in I 0,28.29 Gesù ha dichiaralo, che le pecore sono in 1nano sua e nessuno può rapirle dalla sua 1nano. Subilo dopo però dichiara che le pecore sono in n1ano al Padre e nessuno può rapirle dalla sua mano. In Gv 17 (cfr 10,28.29) i discepoli hanno già co1npiuto un esodo e spiritualn1cnte hanno già raggiunto il Padre; in 13, I, pur appartenendo a Gesù, i discepoli non hanno ancora operato un esodo. Sembra che l'azione di Gesù éls- dAos- ~ya77T)CY€V sia finalizzata ad operare tale esodo.
Wi
Cfr. anche !e parole cleJ v.4: "io ti glorificai
(llO\<l
]'aoristo É86faua i Il
relazione al co1np!e1ncnto Érrl ~~ ~ e all'espressione de! v.5: Ka[ vVv) avendo cornpiuto l'opern che hai dato a inc ùa cornpierc".
La lavanda dei piedi
Parte seconda:
ANALISI ESEGETICA DI
65
Gv 13,2.3
11
111entre cenavano, avenllo il diavolo gettato nel cuore lli tradirlo Giuda di Simone Iscariota, v.3: sapendo che tutto diede a lui il Padre nelle mani e che da Dio uscì e a D;o va ... v. 2:
11
Nei
vv.2.3
l'evangelista
introduce
altre
due
propos1z1orn
participiali (j3Ej3À17K6rn;;- - El&:;,), corrispondenti, in rapporto inverso, alle due del v. I (Eiow;;- - ayamjaa5').
l. Mentre avveniva il banchetto (8drrvov ytvoµÉvov)
C'è anzitulto una circostanza non strettan1cnte cronologica, n1a piuttosto an1bientale
BE{JTvov
yu/oµÉvov:
1nentre si svolgeva
il
banchetto 97 •
I. I. Critica testuale Di questa circostanza il primo proble1na che en1erge è di critica testuale. 11 participio presente
yLvoµÉvou
non
è universahnente
attestato"'; si dà lettura variante al participio aoristo yEvoµÉvov. Il
97 Discutono gli interpreti se questo banchetto storicarnente sia quello che i Sinouici presentano con1e banchetto pasquale. Sia su!Ticicntc solo qualche ese1npio; Secondo MATEOS J.-BARRETO J., El E1 a11gelio de .lua11, l\1aclrid 1979, ccl. il., Il vangelo di Gio1'c11111i, CitLadclla, Assisi 1982, 549, l'assenza dell'articolo dcnotn che non si lraUa dcl banchetto rituale pasquale; così anche WE!SS B., Das .loha1111eseva11geli11111, GOtlingcn 1902 9, 249. Al contrario è ritenuta l'identificazione da SCHICK E., Das H1 a11gefiu111 11ach .lohannes, Wlirzburg 1956, J 23. 98 È ritenuto da BEECKlvlANN P., l~·vangi/e selon S.Jean, Brugcs 1951; BRAUN F.l\1., É'vangile se/on Saint Jean, in: P!ROT L.-CLAlvlER A., !11 Sai111e Bible, Ton1c X, Paris l 950 (nouvelle édition), 418: per l'autorith dei codici e per il fallo che la cena non è ancora finita; BnUCE F.F., The Gospel of }o/in, Grand Rapids 1983 (repr. J 984) 279, cotne suggeriscono i vv. ! 2-30; BULTMANN R., Das Eva11gelil1111 des .!o/Jannes, GOtlingcn 1978 20 (rist. 1985) 354 n.I suggerisce però che y{voµat ha un senso pili 1
1
AttUio Gangemi
66
muta1nento grafico è n1inimo9'-1, rna il senso e la prospettiva risultano profondamente modificati. Se si legge infatti il participio presente (ylVoµÉl/OV), la prospettiva è quella del banchetto nel suo svolgersi e
Gesù avrebbe compiuto quelle azioni mentre si svolgeva il banchetto, interrompendolo; se si legge al participio aoristo (yEvoµÉvov)'"", la prospettiva è quella del termine dcl banchetto: Gesù avrebbe compiuto le azioni al suo tern1ine1111.
In
relazione
alla
lettura
yLvoµÉvov,
Merk 102
elenca
Ta
(Diatessarono di Taziano), B S (prima rnanus), I/IL, 579, W, 1582, largo ed indica una circostanza: "i11 occasione di un /Janchetto"; rv101uus L., The Gospel (/ccording lo John, Grancl Rapicls 1971, 514 ii.IO, co1ne appare anche dal v.26; SCIJAN'l P., Ko1111ne11tar ii/Jer das Eva11ge!iun1 des heiligen Johannes, Tlibingen 1885, 455, secondo il quale però indica l'inizio dcl banchello; TEOFJL/\TIO, h'nllrrafio ù1 l~\ 1 a11geli11111 Joa1111is, Po CXXIV, col. 146: Gesl1 sceglie il n101ncnto durante i I banchetto per sottolineare !a ùisun1anilà cli Giucln; WEISS B., /)as .lolia1111csel'a11gcli11111, (ìOttingen I 902'i, 248. Secondo LENSKI R.C.H., Tlie lnlcrprelotio11 <~l St .lohn's Gospel, Co!urnbus.Ohio 1942, 906, fa poca differenza ylvoµÉvov o ['Cf-'oµévov: si esprime solo una circostanza molto generica, ~;cnza specificare cli pili. 'JlJ Si traila so!lanlo del 1nulainento cli uno iota in epsilon o viceversn. Tnle 1nulaincnto, in assoluto, potrebbe essere addebitato anche ad un errore scribale, nlln frettolosa lettura di una vocale non chiaran1entc indicala nel 1nanoscritto precedente. wo La lcllun.1 a! participio aoristo è seguili:! eia AGOSTINO, !11 ./oa1111is Evangeli11111 Trac/ L\I, PLXXXV, col. 1787: spiega però elle si tratta non di cenafi11i/(1, ma gii1 preparala e porlnt<l all'uso dcl con1111ensali. Così si espri1nono anche ALCUINO, Co111111c11tarion1111 in Joo1111e111, PL e, col. 925; ArvfJVIONlO ALESS, Frag111e11ta in S . .loa1111e111, PG LXXXV, col. 1481; 13EDA VEN, /11 S. loa1111is !'.'va11gc/i11111 expositio, PL XCI!, col. 801; BRUNO D'AST!, Co111111cntari11s in ioo1111e111, PL CLXV, col. 556. Spiega CORNELIO A LAPIDI::, Co111111e11taria in Joa1111e111, in: Co111111c11tf1ria in Socn1111 Script11rf1111, To1nus VIII, I, in quat11or EFangclia, editi o rcccns, ìvlelitae 1849, I 067, che ciò avvenne dopo la cena con1une, prin1a di istituire l'Eucaristia. La lav<:1nda dci piedi infatti è una lozione sacra1ne11talc che prepara a ricevere l'Eucaristia. I noltrc ;.111cora GODET F., Co111111e111aire sur f'é\!ongile de Saint Jean, II, Neuchfitcl 1903·1, 229, il presente sarebbe un aclattnincnto del copisln su Éyt:ipt:Tal. La lavanda dei piedi deve essere avvenuta alla fine, in rel<tzionc a!!a di.spula riferita nlla fine in Le 22,24.-27 (p. 233); LOISY A., Le q11otrièi11e é1 a11gi/e, Paris 1921 2, 383.384; WELLHAUSEN J., Das f.\·a11gcli11111 Joho1111is, Bcrlin 1908, 526, ritiene che i! presente sia una correzione: è strano infatli che si i11lerro1npa il banchelto; ZAHN Th., [)os h'l'angeli11111 des Joha1111es, Leipzig 192! 5 .(', risi. Wuppcrtal !983, 526, parla pure di una correzione; osserva però che 'Y€V0/1Évov non necessariarnente rin1anda alla fine del banchetto (aoristo completivo), 1na anche al!'ìnizio (aoristo ingressivo). 101 Cfr. la Volgata: et coena facfa. 102 !'v1Elì.K A., 1Vo1 11111 Tcsta111e11!11111 (Ìraece et Latine, PJJ.l, Ro1nae !992 11 . 1
1
La lavanda dei piedi
67
1588, I 293, X, 713, d , la versione Siropalestinese, la versione armena e la versione giovannea subachmimica; alla lettura ytvoµÉvov sono
assegnati tutti gli altri codici e versioni 111". Dal punto di vista quantitativo, la testimonianza dei codici farebbe propendere per la lettura y1voµÉvov, dal punto di
vista
qualitativo i codici si controbilanciano. In genere le edizioni critiche accolgono la lettura y1voµÉvov, e ciò a ragione; applicando infatti il principio della lectio difficilior, è più facile passare da yL1,1oµÉvov a yr:voµÉvov che non il contrario 101 • Si comprenderebbe meglio infatti l'azione di Gesù al termine del banchetto che non durante: essa richiede un certo tempo e ciò 111alc si adatterebbe durante il banchetto, implicando l'interruzione del pasto assieme ad altri disagi per i commensali. Inoltre la lettura yçvoµÉvov potrebbe essere suggerila da Luca che, in 22,20, diversamente da Matteo e Marco, esplicitamente prevede µaà
TO
i5arrv~um (dopo
avere banchettalo) l'azione cli Gesù con il calice. In effetti tutta la prospettiva del c.13 esige che il banchetto ancora continui. Lo esige il v.12 che esplicitamente nota che, dopo avere lavato i piedi, Gesù sedette (dvhrçuçv) di nuovo; Io esige soprattutto
l'azione
di
Gesù
verso
Giuda
con
il
TO
<j;wµfov
111 ·'
S'ynopsis Q11a!f11or FFa11ge!ior11111, Al contrario, ALANIJ K., \VUrtteinbcrgische Bibelanstall, SLullgart 1969 6 indica i codici che leggono yEvoµivov, soslanzialrnen!e il P66 , il S (corretto), i codici della recensione anliocheno-cosuintinopolitana, A. D
r
L1
e,
la fmnigJia dci codici 1ninori elencata
eia Lake (,\)e quella elencata da Perrar (rjJ), il 1ninuscolo 33 e inol!i a!Lri. Cfr. anche NESTLE E.-ALAND K., Nov11111 Tesh1111e11t11111 Groece, Wlirllernbcrgische Bibelanstalr, Slultgart 1968 25 che accanto al P 66 , ai Code!. LI 833, alla Volgata e altri, globaln1enlc cita la recensi<)llC Antiocheno-Costantinopolitana. Altri codici cli n1inorc in1portanza per cnlrainbe le letture sono indicati da ALAND K.-BLACK ìvl.-MART!Nl C.M.-l\1ETZEGER B.M. snd W!KGREN A., The Grcek New
Testa111e11t (TGNT), Unitcd Bible Socictics, l 983 3 wrr. 111 1 · Anche dal punto di vista grafico si passa più facil1nente da uno iota non chiaro ad una epsilon, che non viceversa.
Attilio Gangemi
68
(vv.26.27.30), lo esige la menzione dci commensali (vv.23 1"'.28""'), lo esige,
111
minor gradoi<", l'espressione del v.J 8 6 Tpwywv µov TÒv
éfprov w·. Inoltre la lettura ytvoµ€vov sarebbe più in linea con la tradizione sinotticaio9 , secondo la quale l'azione di Gesù con il pane e il 11
calice avvenne mentre 111011giava110 (r!aBLoVTWV aùnZiv 11 ") (Ml 26,26; Mc 14,22) 111 •
1.2. /?e/azione ai vangeli sinottici Il problema che emerge immediatamente nel nostro lesto è se questo banchello di cui si parla in 13,2 sia quello slesso cli cui parlano i vangeli sinottici, da Gesù compiuto prin1a della passione, nel corso del quale egli isliluì l'Eucaristia. A prima vista sembrerebbe di no: quel banchello nei vangeli sinollici è caratterizzalo come To
miaxa (Mt 26, 17. I 8. 19;
Mc
14, 12. 14. 16; Le 22,7 .8.11. I 3. l 5); Gesù intende 111angiare ( cj>ayé/J1) lo
pasqua (Tò miaxa) (Mt 26,17; Mc 14,12.14; Le 22,8.11.15) 11 ' e i discepoli prepararono (ryrniµaoav) la pasqua (Mt 26, 19; Mc 14, 16; Le 22, l 3)m In Giovanni l'espressione rpayc-1v TO JTaaxa si legge solo
1115
dval<E{µEvos- riferito al discepolo.
Tt~11 dvaKEl/lÉVù!V riferito ai discepoli. Per il suo carattere cli citazione. 108 Sganciata però dal Sai 40[41],10 per il passaggio eia iaB{wv a rpWytùV e da 1116
107
dprouç a rOv dprov. 1119
Senza pertanto stabilire relazioni tra la cena dei Sinoltici e il banchetlo ùi
Gv 13,2. 1111
Cfr. Le 22,14 ( ... d1;ÉrrEaEv), nella cui prospettiva si colloca aln1eno ! '<1zione con il pane (v. J 9) e una preceùenle azione con il calice (vv. ! 7. ! 8). 111 Si nola però una differenza ùi prospettiva: nei vangeli sinottici sono sottolineati i soggetti che n1angiano, in Giovanni i! banchetto che diviene. 112 Cl'r. anche !'espressione TTOlf,;) TÒ rrdcrxa. 1 1 1.
In Marco e Luca si legge l'espressione fJ(;w rò rrdaxa (f\1c 14,12:
rrdaxa Eevov) (Mc 14, ! 2; Le 22,7).
rò
La !ovanda dei piedi
69
una volta, in 18,28, ma con due differenze: appare come un banchetto ancora da celebrare 114 , inoltre è riferito ai Giudei, non a Gesù. D'altra parte delle precise circostanze suggeriscono che il banchetto 1nenzionato in Gv J 3)2, storica1ncnte sia quello narrato dai vangeli sinottici (Mt 26,17-30; Mc 14,12-26). C'è anzitutto l'annunzio del tradimento nel contesto del banchetto, sia secondo i van gel i sinottici (Mt 26,21-25; Mc 14,18-21; Le 22,21-23) che secondo Giovanni (cfr. Gv 13,21-30). Inoltre con Luca Giovanni concorda nell'annunziare, nel corso della cena, il rinnegamento di Pietro (Le 22,31-34; cfr. Gv 13,36-38), che Matteo e Marco collocano invece nel cammino dal cenacolo al Getsemani (Mt 26.31-35; Mc 14,27-31) 115 •
1.3. Peculiarità giovonnee Stabilita l'identità tra il banchetto a cui allude Giovanni e quello narrato dai vangeli sinottici, si possono nolare tre aspetti peculiari della nostra descrizione. È collocata anzitutto nella prospettiva della festa pasquale. Si direbbe quasi neIJ'i1n1ninenza 11 r'. Si tratla quindi di un
11 ~ Si tralla del problcina cronologico tra Giovanni e i sìnottici. Secondo questi ulti1ni il banchetto pasquale è celebrato !a sera nvanti della passione, secondo Giovanni al 1non1ento. della n1orte di Gesù. deve essere ancora celebrato; cfr. il tenni ne 11apaaKEVf}in 19,!4.31.42, riferito al ten1po della n1ortc e sepoltura. In ciò può concordare anche Mt 27,62; Mc !5,42; Le 23,54. I vangeli sinottici concordano con Giovanni nel caratterizzare il lcinpo clelh:i n1orte e scpohura cli Gcsi:1 co1ne la parascel'e e con1e il te1npo che introduce i1n1ncdiatan1ente il sabato. Rin1ane il problerna pcrchè Gesl1 abbia celebrato questo banchello. Il proble1nn è complesso ina esso clirettan1enle non riguarda il nostro scopo. 115 Luca e Giovanni concordano nel 1nenzionare l'influsso di Satana su Giuda (Le 22,3; Gv 13,2.27). Ma questo ele1nento non neccssarian1entc porta a concludere sulla identità dei due banchetti. Su di esso dovren10 ancora tornare in seguito. Bcnchè Giovanni e Luca concordino non solo nell'annunzio ciel tradin1ento, 111a anche in quello dcl rinnegmnento, Giovanni, nell'annunzio dcl trac!i1nento, è più vicino a Matteo e Marco. 116 La particella rrp6 è nlolto generica: indica i! te1npo prin1a senza stabilirne la quantit~1. Alla luce però cli 12, I, che stabilisce 6 giorni pri1na della pasqua, nel nostro testo la prospettiva è quella dell'i1n1ninenza. Nè si dà nitra indicazione fino tl 19, 14.31.42, dove è 1ncnzionata fa parasceve.
Attilio Grmgemi
70
banchetto che si compie prima della festa pasquale 117 , ma non è caratterizzato come TO m1axa: questo termine in Gv 13,1 indica non il banchetto, bensì la festa 118 • Si riduce
inoltre solo ad una vaga
indicazione 8E[ JTvov ytvoµÉvov, senza riferire nulla di ciò che narrano i vangeli sinottici, in particolare a riguardo dell'azione di Gesù con il pane e il vino.
Infine il genitivo assoluto &iTTvov y1voµÉvov non
coglie i co1n1nensali n1entre mangiano, n1a il banchetto n1entre si svolge 119 • Quanto alla prima peculiarità, si può notare che nel vangelo di Giovanni sia il termine Éopn-} 1211 , sia il tcnnine
JTcio;ra
121
,
sia anche il
loro accostan1ento 122 , presentano un proprio intreccio. Non interessa entrare in questa tematica. E' sufficiente notare che i vari testi rivelano che la ÉopTr/, e speciricamentc la fopTr/
mv TTér.O);Cl, è qualcosa di
più
della semplice ricorrenza cronologica giudaica. Quanto alla seconda peculiarità, non si può dire in effetti che Giovanni riduca tutto al vago 8Ei rrvov yLvoµÉvov. Abbiamo già notato come il vero inizio dcl banchetto deve essere cercalo in I 2,2. Abbiamo stabilito anche la relazione tra il nostro testo e l'unzione di Bctania
117 Si può notare il senso differente ciel tern1inc rrdaxa rispetto ngli usi dcl
racconto dei sinottici. In questi rrdaxa indica: a. il banchetto pasquale in genere (Mt 26,17.!8.19; iv1c 14,12.14.16; Le 22,8.11.13.15) b. hl vil!in1a pasquale (Mc 14,12; Le 22,7) 1na anche 1<1 festa di pasqua (f\1t 26,2; ~1c 14, I; Le 22, I; cfr. anche 2,41 ). 118 Co1ne sen1prc dcl resto (2, 13.23; 6,4; l l ,55.55; 12, 1; l 8,39; 19, J 4) nella penna dell'evangelista e ancl1c in bocca a Pilato (18,39). In bocca ai giudei indica invece il banchetlo pasq1n1lc. Si dà rerciò una festa pasquale, nc!!<i cui prospettiva si con1pic un banchetto. 119 Si può notare l'espressione €a016vTcuv aVrWv in Mt 26,26 e Mc 14,22 che coglie i conl!nensa!i 1ncntre 1nangiano. 1211 Ben 18 volle nel vangelo (2,23; 4,45.45; 5,1; 6,4; 7,2.8.8.10.10.1 !.14.37; 11,56; 12,12.20; 13,J.29). La n1nggior parte degli usi sono cornpendiati nei ce.1-l 2. Nel c.7 è riferito non alla pasqua, 1na alla festa della CTKT]//OTTT}y{a. 121
Ben IO volte nel vangelo (2,!3.23; 6,4; ll,55.55; 12,l; 13,!; 18,38.39;
122
5 volte i due tern1ini sono relazionati. 2,23; 6,4; 11,55.55; 13,1.
19, 14.
La lavanda dei piedi
71
(12,1-8) che Giovanni separa con diversi episodi contenuti in ben 42 versi, 1nentre nei vangeli sinotlici è quasi accostata alla narrazione della cenai 2 -'.
1.4. Il banchetto di 21,12-14 Ma di una cena imbandita da Gesù si parla in 21,12-14, la cui relazione al racconto giovanneo dei pani (6,1-15) e soprattutto ai racconti sinottici della cena ho avuto 1nodo già di nolare 1N. A questo banchetto, incluso tra due verbi ripwTaw (vv.12.15), rimanda, per contrasto, l'azione di Gesù a Giuda in 13,26 125 • Si direbbe che in 13,26 Gesù compie in prospettiva negativa per Giuda quanto in 21,13, in prospettiva positiva compie per i discepoli 126 .
I due verbi >.aµf!6.vw-
8[8wµt (prendere - (fare), presenti in 21, 13, sono comuni sia ai racconti dell'istituzione co1ne ai racconti dei pani. Ai racconti dei pani rin1anda la menzione dei pesci. Tre elementi però suggeriscono la priorità dei racconti delI1istituzione: la n1enzione dcl pane al singolare con
12.1 In lvfalleo (26,6-13) è separata dai vv.!4-16, in Marco (14,3-9), dai vv.!011; Luca lrasrerisce l'unzione in 7,36-50. 12 1 · crr. il 1nio studio: I racconti /ìOS/jJ(/Sq11ali nel \!(/llgelo di s. Giovan11i, III, Galatea, Acireale 1993, 357~363. 125 Per la relazione Lra le <izioni di Gesli a Giuda in 13,26 e le azioni di Gesli in 21,13, cfr. il 1nio studio: I rocconli po.1·t1H1sq110/i nel vangelo di S'. (;iova1111i, III, cit., 370s. IHi Si può notare co1ne Giovanni nel racconto dell'annunzio dcl Lradi1nento, pare riprendere, pur fortc1ncnle personalizzandolo, il racconto di Matteo e Marco. Cfr. per esen1pio l'espressione identica dµì]v ÀÉyr_,; Vµlv Orl él5' lç Vµi:Jv 7Tapa8tJaéL Ainpliatri in Giovanni solo da un secondo dµrjv. Anche il duplice j3d7TT0 si ricollega allri tradizione Malteo-marciana (cfr. v.26). La prospettiva però è fortcincnlc 1nodificata: non Giudn-soggclto che, con Gesù, intinge, rna Gesl1 che intinge. Inoltre nei sinottici c'è un luogo dove si intinge: Év (Mc: él5') T<~ rpvf3Àlrp; in Giovanni ciò
flé.
è on1esso, rna con1parc l'oggetto (rO 1Huµ[ov) e la persona al cui vnntaggio (<5) si con1pie. La sequela dci lre verbi Bdt/Ja5'-Àaµf3dvt:l-8[8{iJO'll.J richia1na i tre verbi di 21,13: EpXETaL-Àaµf3dvEl-8[8tiJCJlV. In 13,26 la presenza cli Àaµf3dv{ù è discussa cl::il punto di vista della critica testuale. Ma la lettura 111igliore pare quella che ne attesta la presenzn.
72
Attilio Gangemi
l'articolo (Tov dprnv), i discepoli destinatari 127 , il fatto che la menzione del pesce è relegata in posizione molto marginale, risaltando così in posizione centrale e privilegiata il pane. La nostra conclusione è che l'azione di Gesù, in 21,13, non senza relazione al banchetto del c.13 '", riprende elementi dei racconti dei pani, ma riletti alla luce del racconto sinottico dell'istituzione che formalmente Giovanni non narra. Si potrebbe obiettare che non è menzionato il vino. In realtà il vino è 1nenzionato, non qui però ma a Cana. rrrc ele1nenti, tutti compendiati in 21, 14, permettono di stabilire una relazione con l'episodio di Cana: l'avverbio Tpfrov, il verbo cpm/Ep6w, l'espressione ÈyEpBé<;- ÉK vcKpwv. Questi tre elementi, con lo stesso ordine, sono
distanziati nel c.2. Il primo ( Tpfrov) corrisponderebbe all'espressione
Tf! fiµcpçi Tf! TpLT(l del v.I, il secondo (cpavEpOù.!) 12 '' si legge alla fine dell'episodio di Cana (2, 11 ), il terzo (ÉyEpB€Ì5' É!< vcKpwv) corrisponde all'espressione fiyi'p!Jl) ÉI< VEKp1;Jv del v.22, al termine dell'episodio della purificazione del tempio e della disputa del nuovo tempio cost1uito in tre giorniu0. Si può stabilire così una relazione tra quattro testi: 2, 1-11; l 2,2ss; l 3,2ss; 21, l 3ss 111 , secondo uno schema concentrico. I testi cl i I 2,2ss e 13,2 si richiamano per il termine 8drrvov, la menzione della pasqua, l'azione sui piedi, la menzione di Giuda. I testi di 2, 1-1 I e 2I,13 poi si richia1nano per l'allusione alla resurrezione. Si ottiene così il seguente schema:
127 Con1e nei racconti dell'istituzione; non dci pani dove sono solo 1ncdiatori. 128 Agli ele1nenli sopra indicati si può aggiungere che in entra1nbi i Lesti segue rispettivan1cntc un triplice dialogo tra Pietro e Gesl1 (13,6-l l) e tra Gesl1 e Pietro (21,15-17). 129 Con la 1nenzionc dci discepoli. 130 Si ouienc così la seguente relazione: l. ii terzo giorno (2,1) questa terza volta (2I,14) 2. É<pavrypwHv (2, 11) É</Javrypwery (21,14b) 3. quando resuscitò da 111orte (2,22) resuscitato da 111orte (2l,14c) ni 13,2 richian1a 12,2s e 21,13; 21,13 richia1na 2,1-Jl.
La lavanda dei piedi
I. (2, 1-22):
i!
73
vino: il terza giorno - manifestò - risuscitò da
1norte
2. (12,2): prima di sei giorni di pasqua - fecero ... un banchetto - unse i 11iedi ... e asciugò 3. (13,ls): prima della festa di pasqua - un banchetto divenendo - cominciò a lavare i piedi ... e asciugare 4. (21, 13.14): i! pane: questa terza volta - si manifestò - risorto
da morte Le relazioni tra le varie parti risultano di complementarietà. Tra 12,2s e 13,ls si nota anzitutto un progresso cronologico 112 , inoltre un progresso di azione dal punto di vista del banchetto''', ancora una comple1nentarietà di azioni in relazione ai piedi: Gesù è oggetto di una azione che parte da Maria, ma è soggetto di una azione che lui compie verso i discepoli. Nel contesto di entrambe le azioni, compare Giuda, con la stessa carallerizzazione: aveva il yÀwCJCJ61<0µ01/ (I 2,6 e
I 3,28)"'· La complementarietà tra le azioni di 2 I, I 3 e 2, 1-11 poi appare bene: in 21,13 Gesù dona il pane, in 2,1-11 il dinamismo è quello di procurare il vino. Si può notare un 1altra caratteristica ancora tra i quattro testi; nei primi due domina la figura di una donna, in 2, 1-11 la madre interviene nel problema del vino; in l 2,2s una donna unge i piedi a Gesù. Negli altri due testi il rapporto è direttamente di Gesù ai discepoli: in 13,2 è lui che lava i loro piedi, in 21,13 è lui che dona loro il pane. I quattro testi, in 1nodo concentrico, si possono leggere anche in rapporto inverso; il secondo testo sì può leggere in rapporto progressivo al terzo e il quarto testo in rapporto progressivo al primo: 4. 2, 1-1] 2. l 2,2ss 3. l 3,2s
132
sei giorni prù11a di pasqua ( 12, l) - prùno della fes/a di pasqua ( 13, I). n.i ! 2,2: inizio del banchetto; 13,2: divenire del banchetto. u~ 12,6: rO yÀw<Ja-6Koµov lxcuv
13,29: TÒ yÀWO"CJ6Koµov €lX€V
Attilio Gangemi
74 ]. 21 ,13.
In ! '.2,2 si indica l'inizio del banchetto relazionato all'azione della donna, in I 3,2s se ne indica la continuazi9nc, caratterizzata dal le azioni di Gesù ai discepoli. Non interessa approfondire ulteriormente questo sviluppo. E' sufficiente dire che la nostra circostanza 8Eirrvov yLvoµÉvov non è isolata) n1a si colloca in una dimensione che pratica1ncnte abbraccia tullo il vangelo. Ma un elemento già indicato è in1portante non din1enticare: l'espressione 8Elrrvov yLvoµ€vov non si colloca dal punto
cli vista dci com1nensali, 1na del banchetto: non guarda cioè ai co1nmensa1i che progrediscono nel mangiare, 1na al banchetto che progredisce nel suo divenire. Certo dal punto di vista storico il progresso del banchetto coincide con il progresso del n1angiarc: ciò è anche presupposto iydpErnL éc mv &tTTvov nel v.4. Ma dci con11nensali non si dice nulla: bisogna attendere fino a 21, 12 per trovare l'invito di Gesù a n1ettersi a Invola~ Si direbbe che il banchetto non i1nplichi solo l'azione di 1nangiare, 1na anche degli eventi precisi che preparano e pern1eltono l'azione di 1nangiare. Si possono così costruire tre quadri progressivi: J. si fa un banchetto e Maria unge i piedi 2. progredisce il banchetto e Gesù lava i piedi 3. si in1bandisce la n1ensa e Gesù invita a n1angiarc. dall'espressione
In questo senso il nostro testo, con il &iTTvov y1voµ€vov, è la seconda di una serie di eventi che partono da Betania e culminano nel lago di Tiberiade, donde poi rifluiscono nell'episodio di Cana.
2. Prima proposizione participiale (TOV owf36,\ov fjoT) (3E(3;\T)/COT05") Dopo la menzione del banchetto, l'evangelista introduce un'allra circostanza, ancora 1nediante la costruzione al genitivo assoluto:
La lavanda dei piedi
avendo il diavolo gettato (mv 8wf36Aov (/i traclirlo, Giuda di Sùnone lscoriotans.
rpry
75
{3Ef3Àry1<orns-) nel cuore
2.1. Critica testuale Questa espressione
tcstualc
presenta
anzitutto
proble1ni
di
critica
1Y':
I. Anzitutto il termine 'Ju1<apulJTT)5', letto al nominativo da P''''. dai codd. B. Al genitivo ( 'fompulJrnv) leggono molti altri: L I/I O 124. 1241, la Volgata, la versione armena, Origene. 2. Ma il problema più importante riguarda la trasposizione delle parole 'lva
rrapaool. avT6v, trasponendo avT6v prima
ciel verbo
rrapaooi, dopo il nome '/ oU8as- [ ... ] '/ 0Kap1WTT)5'. In questo modo si detennina una nuova relazione sintattica: il no1ne 'I oV8a.)... non è più soggetto rispetto al verbo rrapaool., bensì specificazione rispetto al termine 1cap8ia. Tale trasposizione è operata da diversi codici: A K Ll
8 H f" la famiglia dci manoscritti greci elencata da Lake: 28.33.700. 892. 1009. 1071. 1079. 1195. 1216. 1230 (1242*
traspone 'lva
rrapa&;i GVTOV tra '/ ov8a e Dµwvos- ... ). 1242'. I 344.
1365.
1546.
1646.2148. 2178, la maggior parte dei manoscritti bizantini, i lezionari, la Sirosinaitica, Siro peshitto, la Siro hcraclcnsc e più o 1neno la Siro palestinese, la Copto-Sahidica e la copto subachimimica, la
ns J\ riguardo nota KYS/\R R., fohn, Minncapolis.Minncsota 1986, 207, che il contn1sto tra J'arnorc di Gesù nel v. I e l'intenzione di Giuda a tradirlo è 111ollo vivido e patetico. Al contrario, SPITTA F., /Jas Joha1111es-eva11ge/i11111, als Quelle der Geschichte Jes11, GCHtingcn 1910, 287, osserva che la sollolineatura di Giuda rivela la sua non originarieti1. La sua rnenzione è piuttosto un runpliamcnto sulla base dci vangeli sinottici secondo i quali Giuda <ivcva fatto già la proposta di consegnare Gcsì:i. 136 Stranrnnentc non notati da MERK A., Nol'u111 Testc1111e11tu111 graece et latine, PIB, Ron1ac 1992 11 .
Attilio GangenJ.i
76
versione etiopica, la georgicai:n. Più o meno anche Origene, sia greco che latino, più o meno anche Cirillo. II testo così come sta è riferito da B e S; il testo così come sta, mutando però rrapa8o7 in TTapao{/;, si legge in p"'' S' L
W X O124 e
pochi. La lettura !ovoa<; 2:[µwvo<; lrwap1WTr}5' è ritenuta da P"" B (Y/ foKaptwTr}) X 118 , la versione copto-bohairica che legge però };[µuw, la
georgica, Origenerw. Riassumendo, nel testo possiamo distinguere le seguenti letture: I. La lettura 2:[µovo<;
à<;
rlw Kap81av [va rrapa8o1 avrov 'Iowa<;
'I uKaptWTr}5' ( B S*): '/ mcaptWTr)<;: P'''' S B (W) X, le versioni
copto bohairica e georgica, Origene. Su questa lettura abbiamo le seguenti modifiche: a. rrapaoi;) (p 61• S' L W X O124 e pochi altri) b. !mcaptwmv (L Y 0124. 1241. Volgata, Armena, Origene) 2. L'inversione degli elementi EiS' Iiµovo<;
Ti;P
'foKaptwmv [va avrov rrapao{/; A k
.l(ap8fau Ll
e
H
'! oU8a~ i codici
elencati da Lake, i cc.28.33. 700.892.1009.1071. I 079 1195 1216 1230 1242' I 344 1365 I 546 1646 2148 2178 le versioni siriache (Sinaitica, Pcshitto, heraclense, Palestinese), la Copto sahidica, sub achmimica, etiopica, georgica, Cirillo e molti altri codici della tradizione antiocheno-costantinopolitana. NESTLE-ALAND '"' attribuisce Jlinversione alla tradizione antiocheno-costantinopolitana, ai
137 Allre letture sono più secondarie. Così la Vctus Latina (a, più o 1neno ff2), leggono Scarioth, q legge Scariothe, lt f legge Scariotis. UH La VeLus latina legge Scariolh (r 1), Scariote.1· ( b ), Scariotis (Vg w"'). LW On1cttono '/ oV8a5' e traspongono (.Elµovo5' '[ (Y/Capu.Jrov l'va aVrOv
rrapa86j) la farnig!ia 13, i inanoscriLLi descritti ùa Ferrar, ii caci e della Vetus Latiru1, i 1nanoscrilli della Copto-boairica, pili o 111eno Origcnc nella versione Ialina, l'An1brosiastcr. I! Cod D e Jt(DJ.e scrivono '/ oV8a J;[µovo5' àrrO /(aptu5rov l'va rrapa8ol aùr6v. 140 NESTLE E.-ALAND K., Novtm1 Tesfc1111e11tu111 graece, Wtirttcn1bcrgische BibelansLalL, Stuttgart 1968 25 .
La lavanda dei piedi
77
codd D 8, molti altri, alla Italica, Siriaca, mentre il testo è attribuito alla tradizione Esichiana, a pochi altri, alla Volgata e al P 66 • Dunque
il testo che propone alla fine il soggetto '/ ovoas-
IXµwvos- '! mwp1r/JTT/5' (ov) è offerto da pochi codici della tradizione Esichiano-Egiziaca, soprattotto da B S*, a cui si aggiungono anche più o meno con qualche piccola modifica, P 66 e la Volgata. Tutti gli altri, la maggior parte, invertono l 1ordine, ponendo, in caso genitivo, l'espressione 'fovoas- IXµwvos-
'JaKapu{rrov'", dopo il termine Kap3iav,
prima dell'espressione verbale LJ/a rrapa8ol. avT6v. li proble1na non è di secondaria in1portanza: la trasposizione risolve un equivoco che può ingenerare il testo precedente: di chi è il cuore? Postponendo i termini '/ ovoas- ... dopo il termine 1cap8iav, il senso è chiaro: il cuore è quello di Giuda: Satana gettò nel cuore di Giuda. Nel testo tramandato invece, che pone '1 ovoas- ... alla fine, come soggetto del verbo rrapa8oì, la domanda potrebbe nascere: si tratta dcl cuore di Giuda o di Satana? E' nel cuore di Giuda che Satana ha gettato, o ha gettato nel suo stesso cuore, cioè ha concepito nel suo cuore che Giuda tradisse Gesù? 1-12
141
Benchè il nominativo sia lectio dUficilior, MATEOS J.-BARRETO J., Hl Ev({ngelio de J11a11, Msdrid 1979, cd. il. li \Y111gelo di Giovanni, CiLtsdella, Assisi, 1982, 549, preferiscono leggere'/ oV8a al genitivo, rcr tre 1notivi: la costruzione
f3dAJtu El:; esige un termine esterno, Kap8{a 1nanca di possessivo, !'indole dell'azione dcl diavolo che ispira una condotta. 142 A!cuni interpreti ritengono che il cuore sia quello del diavolo: Br<UCE F.F., The Gospel ofJoh11, Gnind R<:1pids 1983 (repr. 1984) 279: il diavolo ha concepito in 1nente che Giuda trndisse; l'esecuzione è descritta nel v.27a; CARSON D.A., The Gospel according lo John, Gran<l Rapids 1991, 461-462: discute entran1be le possibilità, il cuore di Giuda e Satana; non è chiaro però per qunle ipotesi eg!i optì. In ogni cnso sollolinca che ora Giuda e Satana cospirano insierne per portnre nlla croce Gesi:1. Altri invece ritengono che sia il cuore di Giuda: GODIT F., Co111111entaire sur l'évangi/e de Saint .lea11, Il, Neuchàtel 1903 4 , 230: esclude i! cuore del diavolo; LlNDARS B., The Gospel of Joh11, Grand Rapids l 986, 449: benchè preferisca la lettura cli Be S, il senso è quello dcl Tcxtus rcccptus; LOISY A., Le quatriè111e évangile, Paris 1921 2 , 384: n1eg!io accettare la lettura attuale del testo; la correzione può spiegarsi col fatto che solo in 13,27 si dice che il diavolo entrò nel cuore di Giuda; SC!-!Li\TrER A., Der Evangelist Joha1111es, Stultg<:1rt 1930, 280, nota che un cuore piegato <la
Attilio Gan.gemi
78
Dal punto di vista dei codici si nota la sproporzione: quelli che non invertono, co1ne ho notato, sono molto pochi, quelli che invertono invece sono una lunga fila. Tra i pochi codici però trovia1no il Valicano e il Sinaitico nella prima 1nano: l'esiguità viene compensala dalla qualità. Anche il Sinaitico fa propendere per la lettura non invertita: esso rivela che nella pri1na n1ano non è sotto l'influsso di una tradizione, 111a Io è nella sua correzione. Esso ha tutta l'aria di presentarsi come letlura originale, che però i correttori avrebbero poi
adattato alla tradizione più seguita. Ma qui soprallulto può essere invocato il principio della lectio di[(icilior. E' più chiaro infatti il lesto con gli elementi trasposti che non senza la trasposizione. E' più facile che una tradizione 1111r1 a rendere più chiaro un lesto oscuro che non viceversa. In effetti il testo viene deformato dalla trasposizione, senza la quale è stilistican1enle perfetto. Possia1no infatti notare il seguente schc1na strutturale:
I.
rnv 2.
i5wf36:\ov
ryory {3é{3ÀryKOTO> 3.
ELV
njv rnpi5iav
4. lva rrapa8ol aùr6//
5. 'Iovi5a> J.:[µwvo>
'! mcapir!JTrJ>
Questo schema offre dei vantaggi e delle enfasi che vengono annullate nella trasposizione e che appartengono bene alla finezza, e talora anche, alla sottigliezza giovannea 1 ~-'. S<ltana vuole ciò che Satana vuole, per questo segue I'va e non 0Tl; SP6RRI G., D(/s
Eva11geli11111 nacli Johannes, Il, ZOrich 1950, 280, spiega che il n1u1ainen!o di alcuni codici con rircri111cnlo al diavolo è dovuto !li fatto che si pensò che tale azione anticipasse ciò che era dello nel v.27; WESTCOTI B.F., Tlie (;ospe/ accordi11g to Sr. Jolin, London 1968, rcpr. Grand R!lpicls 1981, 190, giudicn in1possibile che il cuore sia quello dcl diavolo. i ..n BRO\VN R.E., The (7ospe/ accordi11g to Joh11, Il, Ne\v York 1970, ed. it. GioFanni, Ci1u1clella, Assisi 1986, 653-654, conserva la lettura ciel Tex/11s receprus, llKI ritiene goffa la costruzione; inoltre ritiene un probleina senza i in portanza se si tratta dc! cuore cli Giuda o del diavolo; SCHNACKENBURG R., Das .loha1111e.1·eva11geli11111, lll, Frciburg-Bascl-Wicn 1979\ ed. it. li vangelo secondo Giovanni, III, Brescia !981, 34, attribuisce questa indicazione al reda!lore, dal ino1nenlo che si accorda inale con ! 3,27.
La lavanda dei piedi
79
1. Si stabilisce anzitutto una relazione anche strutturale tra due soggetti: il cUavolo - Giucla. Anche nella trasposizione la relazione tra il diavolo e Giuda rimane, n1a non una relazione soggettuale; la soggettualità di Giuda praticamente regredisce per dare spazio guasi esclusivo alla soggcttualità del diavolo. In realtà all'autore interessano le due soggetlualità intimamente connesse: non la soggettualità dcl diavolo senza Giuda, ma nemmeno guella di Giuda senza il diavolo. 2. Si stabilisce una relazione struHurale pure tra le rispettive azioni anche enfatizzandole. L'opera di Satana è {3Ef3;\T/J<OT05', l'opera di Giuda è data dal rrapa8o1. Anche nell'inversione emerge la relazione
tra le due opere, 1na in questo caso la seconda è ridotta a sen1plice oggetto della pri1na. Anche ne Ilo schcn1a non invertito J1opcra cl i Giuda appare sintattican1ente con1e oggetto dell'opera di Satana, n1a essa non ri1nanc con1e un se1nplicc proposito inoculato da Satana 1..i..i, lna viene anche sottolineata co1ne opera di Giuda nella sua precisa di1ncnsione storica. L'evangelista non allude solo al proposito suggerito da Satana, 1na anche alla concreta realizzazione operata da Giuda 1 ~ 5 •
3. Nello schema proposto il termine T~l/ J<ap8ial/ assume
un
posto centrale. La centralità strutturale corrisponde alla centralità cli prospettiva. 4.
Viene
infine
sottolineata l'espressione '/ oV8a::;
J;[µw//OS'
'I a1captWTov, la cui enfasi è dcterininata da tre elen1enti, la sua lunghezza, la sua posizione finale, la sua rormulazionc sintattica gran1n1aticale al 1101ninativo. Tutta l'espressione presenta così un duplice n1ovimento cuorecentripeto - cuore centrZfugo. Il primo n1ovin1ento è centripeto, parte dal diavolo, passa attraverso l'azione di gettore, culn1ina nel cuore; il
C!'r. l'va con il congiuntivo oggetto ùi j3Ej3Àl)i(dT05'. Secondo .JoOoN P., f)él'a11gife de nostre Seigneur Jés11s Christ, Bcauchesne, Paris 1930, 543, gellnre ne[ cuore, nel senso di ispirare, è un ara1nais1no. L. 'espressione ebraica, nel senso di ispìrarl', è niet/ere 11e! cuore (cfr. Ne 2,!2; 7,5); cfr. nnclle dello slesso autore, quelq11es aran1afa111es so11s-jace11ts a11 grec dcs é1Y111giles, RsR 17 ( 1927) 210-229 (per Gv 13,2 cfr. pp. 228-229). l·l·l 1
~5
AttUio Gangemi
80
secondo 1novi1nento è centrifitgo, parte dal cuore, passa attraverso l'azione di tradire, culmina in Giuda di Simone Iscariota. Questo duplice movimento, il cui senso è da determinare esegeticamente, e che corrisponde bene allo stile dell'evangelista, si perde nell'inversione degli elementi, come anche si perde la pregnanza di tutta l'espressione che la composizione strutturale lascia intravedere, riducendosi il suo aspetto solo ad uno, l'azione del diavolo nel cuore di Giuda. Quanto all'altro elemento di critica testuale, se leggere cioè
1 mcap1wT175'
o
'fcrKapiwrov, il problema si rivela più incerto. La
differenza di senso tra le due letture si percepisce bene. La lettura al norninativo riferisce il tennine
'/ u1capLWTl]s- apposizional1nente a
'/ ovi5aç, la lellura al genitivo lo riferisce a I:{µwvoç, il padre. Che il termine 'fcrKap1wT175'
possa riferirsi a '/ ovi5aç, appare
bene dai testi dove il nome paterno LYµù.woç non si legge. Così in 12,4 e 14,22'"'· Appare invece meno chiaro dai testi dove tra !ov!5aç e
'l mcapLWT175'
si introduce il nome I:i11wvoç: solo due casi in Giovanni
e in tutto il NT, oltre il nostro lesto, 6,71 e 13,26. Essi però presentano analogo proble111a di critica testuale. Come dicevo, il problema non è di facile soluzione"'· Non posso però nascondere la n1ia propensione, nonostante l'an1biguilà dei
codici 1·1\ per la lettura 1 CJKaptWIT]5', ahneno nel nostro testo. Ciò per alcuni n1otivi:
146
Cfr. onche ML !0,4; Mc !4,43; Le 22,3. '[ aKap{_(.Jrov, con riferirnenlo a Si1none, leggono MATEOS J.-13/\RgETO J., El E1Y111r:elio de l11a11, Msdrid 1979, cd. it. Il Vangelo di Gio1Y1nni, Cittadella, Assisi i982, 549; 'Jcf/captWr175' invece, con riferin1ento a Giuda, leggono BRAUN F.l\1., É1 1a11gile se/on Saint .lean, in: PJROT L.-CLAlvllR A., La Sainte Bible, Torne X, Pnris 1950 (nouvelle édition); BRO\VN R.E., The Goc\pel according lo .fohn, Il, Ne\V York !970, ed. it. Giovanni, Cittadella, Assisi 1986, 654; LENSKJ R.C.H., The 111terpreto1io11 of St . .lohn's Gospel, Co!un1bus.Ohio 1942, 909, che ritiene però il problen1a secondario. 1 18 • f\1olti per la lettura '/ uKaptWrov, pochi, ma autorevoli (P 66 S B ... ) per la i-1 7
lettura 'I aKaptWT7]5'.
La lavanda dei piedi
81
a. per il principio della lectio difficilior. E' più facile infatti concordare '/ oKaplWTl)5' con il più vicino genitivo J;[µwvo5' che non con il più lontano '/ oV8a5'. II genitivo si potrebbe spiegare con l'influsso del precedente genitivo. Ne guadagna anche il suono: è di più facile assonanza infatti la lettura al genitivo che non la lettura al nominativo. Si potrebbe dire che la concordanza con '/ oV8a5' avvenga sotto l'influsso di 12,4 e 14,22; ma in questi testi manca ;>;[µwvo5': il confronto si poneva meglio con i testi dove ;>;[µwvo5' è presente, se dal punto di vista della critica testuale fossero stati certi. b. La lettura 'I mcapufJTov enfatizza ;>;[µwvo5', la lettura r OKOplWT/)5' enfatizza invece'/ oV8a::;. Tale enfasi pare non inopportuna in un testo che si rivela centrale nel contesto di usi che, dal punto di vista strutturale, appaiono ben studiati 149 • Preferisco tuttavia lasciare aperto il proble1na chiedendo magari luce all'analisi esegetica.
2.2. li termine Kap8[a Passando alI1analisi esegetica dei vari elen1enti, partia1no prima di tutto dal termine Kap8iav. Difficilmente anzitutto esso può essere riferito al diavolo; sarebbe stata una azione riflessiva che poteva opportunan1ente essere evidenziata 1nagari 1nediante un pronon1e
1·19 I cinque usi del Lcnninc '/ (J"/(aptWTTJ5' nel vangelo appaiono strutturati nel seguente inodo: I . (6, 7 l ) 'I oVBas- 2lµluvo5' 'I aKapuJ TOV 2.(12,4) '!oV8a5' 6 'laKaptWT7]5' 3.( 13,3) 'I oV8a5' J;fµwvoS' 'I aKap1WTl]5' 4.( 13,26) 'I oV8a5' J;fµwvo5' 'I aKaptWTov
5.(14,22) '/oV8a5' oVK & 'faKaptWTT]5' I cinque testi presentano uno sche1na strulluralc concentrico.
insicn1c
alternnto
e
Attilio Ga11ge111i
82
Éavrnu'5!', essendo il verbo (3a>.>.w un verbo attivo che esige un oggetto e un termine al di fuori della persona. Il termine Kap8[a nel vangelo dì Giovanni non è 1nolto raro; si
legge sette volte e, benchè i suoi usi dal punto di vista strutturale appaiano interessanti 151 , nessuno di essi, aln1cno diretta1nente, serve ad illuminare il nostro. Forse è meglio chiedere luce al resto del NT e anche ali' AT. Nel!' AT diverse volte si legge di una azione nel cuore, benchè nessun testo dircttan1ente possa essere ricondotto all'azione di Satana. Così Dt 11, I 8 esorta a porre (ɵ{JaÀEl TE) nel cuore e nell'anima tutte le parole che Mosè ha detto. Secondo 2Cr 9,23 nel cuore di Salomone Dio pose (f&!tcE//) sapienza (cfr. 2Esd 7,27). In !Esd 8,25 ancora s1 legge che Dio pose (6 8ovs-) nel cuore del re tutto ciò che concerne la glorificazione della sua
casa 15 ~. 1
Ma il testo che, per contrasto) pare soggiaccia all azionc del diavolo nel cuore è Ger 31 [38],3 l, dove Dio dice "porrò (i51!5ois &:xRù) le mie leggi nel loro intimo e sui loro cuori (Kapoiais-)
li scriverò". La ripresa di Ger 31 [38], 3 I non è estemporanea al nostro contesto, e pertanto può essere possibile. Infatti in I 3, I sì parla cieli' 15 ·1
ds- d,\os- r)yarrr;on/ avrnvs-. In 13,34 e 15,12 I' r)yamwa avrovs-è il
151
i Cfr. Ml 5,28; 24,4S; l'v1c 2,6.8; 3,5; Le 2,19; 3,15; anche Gv J 2,40; 14,1.27; !6,7.22; anche 2Escl 7,10: Ne 17,5. 151 I selle usi <lppaiono dal punto di vista ten1atìco progressivan1cntc ordinati, da un aspe!lo pili negativo ad un aspello più posilivo. ! primi tre usi (i due cli 12,40 e il nostro) sono co111plctan1cntc negativi, descriventi rispcllivan1ente la chiusura dcl cuore dci (~iudci e l'azione di Satana nel cuore di Giuda. Pure il quarto e i! quinto uso (14,l.27) sono negativi, bcnchè di diversa negativith, nella prospettiva però del supermnento: enrrarnbe le volte Cìesl1 esort<1 i discepoli a superare il turbainento ciel loro cuore. li sesto (16,6) e il scttin10 (16,22) propongono una antitesi relativa <1l cuore dci discepoli: il loro cuore è stato riempito di tristezza all'annunzio della partenza di Gesù ( 16,6), n1a esso gioirà quando egli li vedrà di nuovo (16,22). 152 Altri testi an<1loghi sono 2Esd 7,10; Gb 22,22; Sa! 4,8: Pr 7,J; Sir 45,26; 50,28; iv'll 1,1; cfr. anche 2,2.2; Is 40,2; (ìcr 511281,50; inoltre Ger 31[38], 35; 511441.21; Bar 2,30; Lam 3,21; Ez 3.10; 14.3.4. 15 -' A ciò si può aggiungere Gcr 32139], 40: "il 111io ti1norc porrò nel loro cuore".
La lavanda dei piedi
83
fondamento della ÉPTOÀI) che in l 3,34 è definita mLVrj. L' éls- TÉÀOS" rjya7TT)UE// implica una ÉPToÀrj, che, nel contesto,
è descritta non m
continuità ma in antitesi. Questa ÉPrnÀry, alla luce dell'oracolo di Geremia 15-+, per Ia nuova alleanza è prevista scritta nel cuore 155 • Tacitamente l'evangelista dice che il diavolo ha impresso nel cuore una ÉVTO;\ry.
2.3. Relazione tra ii diavolo e Giuda Non insistendo ulteriormente sul rapporto con Gcr 31 [38],33, possiamo considerare i protagonisti e la loro relazione, ii diavolo e Giuda. Nella relazione tra il diavolo e Giuda il nostro evangelista non è originale. In tal senso si era espresso già Le 22,3: entrò Satana 111 Giuda, che però è più parallelo a 13,26 che non al nostro testo'sr'.
15 -1 Dove però (LXX) non si legge il tenninc ivroAri bensì v6µovç. 155 Di u1u1 azione generica da parte di Dio ne! cuore urnano si arla in At 16, 14. Diversi lesti dc! NT si possono però ricondurre all'onicolo di Gerc1nia, cilalo csplicitarnente in Eb 8,7-12 e Eb J0,16 e rielaborato in 2Cor 3,2.3111 non senza l'influsso di Ez 36,26ss. Cfr. ancora Rin 5,5; JCor l,22; Gal 4,6; Ef3,17; Col 3,15. I! nostro testo però è antitetico a tutti questi: non si ha una a7,ione positiva con1piuta da Dio, n1a negali va con1piuta da Satana. 156 Le 22,3: Eia-17Aeév 8€ ZaTavéiS' él5' '/ oV8av Ei5' É Kélvov J;aTavéiS' Gv 13,27: T6Té Ela-i}Aeév Si danno però delle differenLe di prospettiva trn l'espressione lucana e quella giovannea. In Luca sta ;:dl'inizio cd esprin1c la causa che induce Giuda a con1picre il passo verso i sacerdoti e i capi per stabilire il 1nodo (TG rrt:i5') con1e consegnare a loro
Gesl1; in Giovanni, dopo l'espressione fléTd TÒ l.jJwfJ{ov, l'ingresso cli Satana in Giuchl appare con1e il culn1ine di lutto un processo che passa attraverso ]'(]Lione di Gesli coinpiula in relazione n Giuda. Sulla causa perchè Satana entrò in Giuda, nella quale invece indugia (Jiovanni, Luca non ha nulla, n1a insiste sugli effetti, il tentativo del tradi1nento. In questo senso Luca è più vicino al nostro testo cli Gv 13,2, che descrive appunto la conseguenza clell'open1 de! dinvolo nel cuofe ùi Giuda. Cfr. Le 22,4; TG
TT{J:; aVTolS' rrapa8r;l aVT6v, e Gv 13,2; l'va rrapaOol aVT6v. Si deve però not<irc chel3,2 e 13,27 non sono gli stessi; secondo Gv 13,2 il ùiavolo gettò nel cuore, secondo 13,27 Satana entrò in Giuda. Tra i due lesti esiste un progresso la cui de!enninazione però esorbita dal nostro lesto.
At1ilio Gangemi
84
L'azione del diavolo nel nostro testo è espressa con il participio perfetto di {JriJJ.w. Tale verbo è insolito 157 ed è difficile comprendere perchè l'evangelista lo usi, dato il suo senso anche ostile che esso talora ha''"· Tuttavia altre volte il verbo {JaÀÀw ha un senso violento o ostile'"·
2.4. Tau i5wf36Aov Il soggetto che compie tali azioni è il &af30Ào5'. Tale termine è frequente nel NT 160 e si legge anche nei LXX 161 dove in genere traduce )ùl'J 162 • In Giovanni si legge tre volte: 6,70; 8,44; 13,2. Ma è usata nel NT 16 ·' anche la traslitterazione grecizzata del ter1nine ebraico, craTavCis-, più rara nei LXX'"· In Giovanni tale termine si legge solo in 13,27. Il verbo ebraico )\J\'.J significa insi[fiare, 11erseguire ostihnente, avversare (Sai 71, 13; 109,4.20.29; 38,21; Le 3, I); il sostantivo )ùl'J significa avversario (Nm 22,22.32; lRe 5,18; 11,14.23,25; ICor 21,1), anche accusatore (Sa! l 09,6). 11 tenni ne greco 8Ldj3oÀor; deriva dal
31.a+{JriJJ.w, che significa gettare attraverso, far passare attraverso. Riferito a persone, nella lingua greca, significa gettare attraverso, cioè sconvolgere, colpire, trafiggere, disunire: anche trafiggere con parole, e quindi accusare, colunniare, screditare, n1a anche ingannare, indurre in errore. verbo
157 Diversi verbi sono uscili nei LXX in relazione al cuore (É(arroa-rÉÀÀriJ, 0[8ruµL, rle,,µ1., f-µrrE{yvvµL, EpxoµaL,
y[yvoµaL ... ), n1ai
BdAAw; però è usato
dµf3dÀ1\lu (Nn1 22,38; Dl l J, 18; Pr 22, 18) e anche avµf3dÀÀtu (Le 2, 19). J)H crr. 7,44; 8,7.59; 15,6; Talora rerò ha i! senso pili n1aterialc di gettare
(5.7; 12,6; 21,6.7).
159 Cfr. l 8, 1 l. Altri usi nel vangelo in 19,24; 20,25. 37 volle. 161 22 volte. 162 In Es 7,4 si legge però rfc. 16 1 · 36 volte. 16.; Solo 3 volte (!Re I l,14.I4r25J.23), corrispondendo al termine 1\Jl!J. 160
La lavanda dei piedi
85
Nel NT 8ui(3oÀo5' è usato quasi sempre m senso tecnico, riferito al diavolo, eccetto in I Tm 3, 11; 2Tm 3,3; Tt 2,3, dove è usato in senso più etin1ologico: essere inclini ad accusare, calunniare 165 • Il verbo
8w(3dUw poi si legge una sola volta (Le 16,1), nel contesto della parabola del fattore infedele, chiaramente nel senso di accusare'"'· Non interessa in questo studio la figura del i5Ld(3oÀo5' in quanto tale, ma per quello che appare nel vangelo di Giovanni, soprattutto in relazione a Giuda. Come ho già notato, il termine i5ld(3oÀo5' si legge tre volte (6,71; 8,44; 13,2) e il termine 21xmva5' una volta in 13,27. E' significativo il fatto che l'unico uso di 21xmva5' nel vangelo è relazionato a Giuda: dopo il boccone, Satana entrò 111 Giuda; ma anche dei tre usi di 81d(30Ào5' ben due sono relazionati a Giuda (6,71; 13,2) 1" 7 • Prescindendo dagli usi riferiti a Giuda, che vanno studiati singolarmente, il testo che forse ci interessa di più è 8,44, dove dcl
ir,s ZORELL F., Lexicon graec1m1 Novi Testcune111i, LeLhielleux, Parisiis 1961 ~ S. V.
IMi Nei LXX 8taj3dÀÀN è usato nel senso di porre 1111 ostacolo (N111 22,22), accusare, delazionarc (Dn 3,8 Lxx; Th; 6,24[25 J); forse nel senso di diffondere una diceria in 2Mac 3,11. In lCr 21,1 8tdj3oÀoç avrebbe il senso più <li i11ga1111arore, avFersario, accusatore (Est 7 ,4; 8, 1; Sai 109[108],6), avversario in I Mac 1,36. Quasi coine nome proprio, designante una figura concreta, in Gb I ,6. 7. 7. 9. I 2. l 2; 2, 1.2.2.3.4.6.7: Sap 2,24: Zc 3, 1.2.3[2]. 167 La relazione tra il nostro testo di 13,2 e 6,70.71 è chiara, cornc appare dal seguente scheina: 6,70.71 13,2
8Ldj3oÀOS TÒV '/ oVBas [ ... ] '/ CIKapLWTov rrapa8L86val
8tdj3oÀos rrapaBol '/ oVBas
I .. ] 'I rrKapLWTrys
Gli ele1nenti co1nuni presentano anche una certa relazione strutturale. I! testo di 6,70.71 sembro segnare un progresso il cui senso andrebbe spccifican1enle chiarito. Nel nostro testo si parla dell'azione del 8tdj3oÀos nel cuore, in 6,70.71 Giuda
è definito 8tdj3oÀos. Si direbbe che Giuda abbia assunto l'identità dcl 8tdj3oÀoç.
Attilio GangenJ.i
86
diavolo in relazione ai giudei si sottolinea una paternità 168 , lo
s1
definisce omicida dall'inizio (àv0pW7TOKTOV05' aTT' apxij>), e si indica la sua inti1na nalura di !1'lentitore (</JEVCJT15'), per il fatto che nella verità 11011 stette, donde la conseguenza che quando parla, dice la 1nenzogna (TÒ ij;EV005')"' 9 •
Questi aspetti possono aiutare a comprendere ulteriormente il senso dell'azione dcl diavolo in 13,2. Nel cuore di Giuda il diavolo getta la sua brama (€m8vµfa) che è quella omicida (àv0pwrroKr6vo>) e di fatto il tradimento di Giuda mira alla morte di Gesù. Se il richiamo antitetico a Ger 31[38],33 è valido, la €m8vµfa del diavolo arriva nel cuore di Giuda con1e un con1anclo che, iscritto nel cuore, si traduce in volontà (cfr. 8,44: et,\Eff TTOLELv); in ciò Giuda rivela la sua stessa origine, che è quella stessa dcl diavolo (éc
rnv
rraTp6'
rnv
8w(36Aov), la cui brama egli vuole compiere. In ciò che getta nel cuore
di Giuda, il diavolo agisce da ij;EvoTI)> e inocula il rò
ij;EW05'. In
questo senso il diavolo agisce da civ8pwrrot<T6vo:;, non solo di Gesù, nìa anche e forse soprattutto di Giuda. Si ripete l'inganno genesiaco a cui si allude forse in 8,44 che portò (cfr. Gen 3, I) i primi uomini alla morte (cfr. Gen 2,17) e alla cacciata dal giardino dcli' Eden (Gen 3,22). In Gv 13,27 infatti si descrive il giudizio di esclusione e di condanna di Giuda che è morte (cfr. 8, 12 e I 2,44ss). In questo modo
168
Prescindo dalla espressione enig1nalica TOV
rraTp(s
ro V 8laf36).,ov che,
alla luce dell'espressione gal O rran]p aVToV, difficihnente può intendersi con1e genitivo cpesege!ico. Giovanni rcaltnente pensa ad un padre dcl diavolo di cui !a tradizione· bìblica non dice nulla, o si tratta di un procedin1enlo letterario in rapporto analogico e antitetico alla relazione tra il Padre e Gesli? 1<'9 A Gv 8,44 rin1andano anche MATEOS J.-BA!{RETO J., El evange!io de J11a11, Madrid 1979, ed. it. Il vangelo di Giovanni, Cittadelln, Assisi 1982, 553, senzn però opprofondire la relazione a Giuda.
La lavanda dei piedi
87
il diavolo si rivela quello che è, 8wf36Ào5', cioè avversano non solo di Gesù ma anche di Giuda che esegue le sue concupiscenze 170 •
2.5. L'opera del diavolo e di Giuda Ciò che Satana ha immesso nel cuore di Giuda è di tradirlo ('{va rrapa8o1 avT6v), tradire cioè Gesù. Il verbo rrapa8{8wµ1 significa dure
affidare, consegnare. Può trattarsi di favorevole 11 i, n1a anche di una consegna ostilc 172 •
pre.vso,
una
consegna
Nel NT il verbo rrapa8i8wµ1 è quasi tecnico per indicare il
tradin1ento o, più gencricatnenle, la consegna di Gesù 17 '. Più specifican1ente esso è riferito a Giuda 17 •1 che da esso trae quasi una definizione 175 • In Giovanni 17 <' il verbo è usato più frequentcn1ente:
no Forse questo potrebbe essere il n1otivo dell'uso dcll' insolito verbo j3dÀÀtv (/3cf3),J7K6To5'), presente nella radice di Oldj3oÀo5' (!5La-j3d),),M): il diavolo hn gettato nel
cuore di Giuda la sua Érnevµla 0111icicla; in ciò ha ingannato cd ha agito cln avversario. 171 Cfr. Mt 11.27; 25,14.20,22; Mc 4,29; 7,13; Le 1.2 ... l7l In carcere (Mt 4,12; Mc l,44 ... ); ìn-giudizio (Mt 5,25; 10,17.19 ... ); n 1norlc (ML 10,21; Mc 13,12 ... ); ai torturatori (l\1t 18,34; Le 12,58); alla tribolazione (Ml 24,9). Inoltre Al 7,42; 21,11; 28,17; Rm 1,24.26.28; lCor 5,5; lTm 1,20; 2Pl 2.4. in Cfr. al passivo: sarà consegnato, nelle predizioni cli Gesù della passione, senza specificare però eia parte di chi (lV1t 17,22; 20,!8; 26,2.45; l\1c 9,31; 10,33; 14,21.41; Le 9,44; !8,32; 24,7), o all'attivo: lo conses11era11110 (r"vll 20,19; l\1c I 0,33). Talora è riferito ai Giudei in relazione a Pilato (ML 27 ,2. 18; l\1c I S, 1.1 O; Le 20,20; 24,20) o a Pilato in relazione ai Giudei (ML 27,26; Mc 15,15; Le 23,25). 17 -1 ln rnodo più allusivo nell'annunzio ciel rinnegainenlo (f\1t 26,2 l .23.24; Mc 14,18; Le 22,21.22), esplicitamente (Ml 26,15; 27.4; Mc 3,19; 14.10.11; Le 22.4.6; 22,48). 175 O rrapa8oV:; (all'aoristo) (Mt !0,4); O rrapa8180Vç (al presente) (l\1t 26,25.46.48; 27,3; Mc 14,42.44). 176 È usato anche nel NT, riferito ni giudei che consegnano a Pilalo (At 13,3) o al passivo in relazione a Gesl1 (fii co11seg11ato; ICor I !,23; Rin 4,25). È 1nolto interessante la rilellura paolina: Gesl1 consegnò se stesso (Gal 2,20; Ef 5,2.25), o: i! Padre co11seg11ò Gesù (Rn1 8,32).
Attdio Gangemi
88
1. è riferito a Giuda (6,71; 12,4; 13,2), definito
futuro) (6,64); Tov
rrapai51i56vrn (13,11);
o
o rrapai5wuwv(al
rrapai51i5ovc; (18,2.5;
o
rrapai5ovc; (19,11). 21,20); 2. è riferito ai Giudei che consegnano a Pilato ( 18,30.35);
3. al passivo (µry rrapai5o01;!) Gesù accenna alla sua consegna a1 Giudei (18,36) 4. a Pilato che consegna Gesù ai giudei (19,16); 5. a Gesù che consegno lo Spirito (19,30) Tutti gli usi sembrano studiati dal nostro evangelista. Prima del nostro uso in 13,2, il verbo rrapai5[i5wµ1 si legge solo tre volte in prospettiva futura 177 , tutti riferiti al tradimento cli Giuda. Poi si legge nel c.13, ma in modo ravvicinato, nella duplice prospettiva della conoscenza (v.11), dell'annunzio cli Gesù (v.21) e dell'opera di Satana (vv.2.27). Pare che da 13,2 178, paradossalmente dall'opera di Satana, parta un dinamismo, ruotante attorno al verbo rrapai5[i5wµ1, che culmina in 19,30, nel rrapÉi51vKéV TO rrvEvµa, da parte di Gesù. Questo dina1nis1no passa, co1ne
una scala, attraverso vari gradini:
parte
dall'opera di Satana nel cuore di Giuda, passa attraverso la consegna di Giuda ai giudei, poi attraverso la consegna dei giudei a Pilato, quinci i ancora di Pilato ai giudei, e culmina nella consegna da parte di Gesù del clono dello Spirito. Paradossalmente l'azione di Satana nel cuore di Giuda culmina e, oserei dire, determina e rende possibile, l'azione di Gesù di donare lo Spirito.
177
6,64 (O 7Tapa8u5awv); 6,71
(#µéÀÀéV
rrapa8u56vat);
12,4 (6 µiMwv
rrapa8t861/at). ng lva
rrapa8ol; rrapa8ol;
per rrapa8i(; Griechisch, Ruprccht, GOttingen 1970 11, 95,2; cfr. anche Mc 14, I O. l ! ). Tale testo, mentre enfatizza, con la sua flessione su! dittongo al, il congiuntivo
DEl3RUNNER A., Gra111111atik des 11eutesta111e11tliclien
1naggiore assonanza all'espressione 1Tapa8ol aVT6v.
(cfr.
BLASS
F.-
& fonna nel nostro Vandenhoeck
verbo, conferisce
La lavanda dei piedi
89
Il nostro testo però non può non richiamare la vicenda descritta net vv.21-30 179 , soprattutto nel v.27. Senza volere stabilire un accurato e approfondito confronto, la relazione è determinata dai seguenti elementi: il verbo TTapa8{8wµl (v.21), ancora il nome completo 'I oV8a5'
11µwvo5' 'I mcapLwmv (v.26), la menzione di Satana (v.27) 18". Entrambi i testi (v.2 e vv.21-30) concordano nel fatto che non descrivono l'azione concreta del tradimento, ma i presupposti personali di Giuda che portano al tradimento. Nel v.28 Gesù esorta Giuda a fare presto quanto egli deve fare. Segue nel v.29 l'interpretazione varia dei commensali e l'uscita di Giuda. Qui l'evangelista, con l'indicazione che era notte, conclude (v.30) la sua narrazione. Di Giuda non parlerà più fino a 18,4, al Getsemani, alla guida di coloro che debbono catturare Gesù. Il vero per l'evangelista si gioca nella vicenda personale di lradi1nento Giuda 1H1; J1azione concreta di consegnare sgorga coine conseguenza da questa vicenda personale. Ci si può chiedere che rapporto c'è tra l'azione del diavolo che getta nel cuore, l'atteggiamento di Giuda di fronte all'azione con lo
179 I vv.21-30 costituiscono una unità che parle da! Lurban1ento di Gesì:1 e l'annunzio del traditnento (v.21) e cullnina nella inenzione dell'uscita di Giuck1, con L:i relativa indicazione che "era notte"(v.30). 180 J tre clen1enti possono ricevere anche una relazione strutturale: v. 2 !. roU 8Laf36ìlov 2. rrapa8ol
3. '/ oV8q I{µwvoç 'J oxapLWrryç v.21 v.26
4. rrapa8u5at:L 5. 'JoV8aç J;{µwvoç 'faKaptWrov
v. 27 6. I:aravri5' e1nerge lo scherna tipico cli Giovanni, alternato e concentrico insie1ne. Dal runto cli vista ùe!la relazione di Giuda alla sua azione, lo schen11.1 è alternato (rrapa8ol'f oV8aç - rrapa8t/JaEL - 'f oV8aç), dal punto di vista della relazione di Giuda al diavolo,
lo sche1na è concentrico (8tdf3oÌ\oç-'f oV8aç-'f oV8aç- L:aravàç). 181 Il verbo rrapa8{8wµt si legge nel v.21 e non viene ripetuto in tutta la descrizione fino alla incnzionc che era nolle.
Attilio Gangemi
90
i/Jwµfov, e il fatto che dopo il boccone Satana entrò in lui. La relazione è più complessa: mi limito solo a qualche suggestione. La menzione di Giuda'"', nel contesto dell'unzione dei piedi cli Gesù da parte di Maria 18\ la sua duplice rnenzione nel contesto del discorso sul pane de1Ia vita, specifica1nenle in relazione a1 ol TTLOTEVovTE5'
in 6,64
18
.i
µ~
e in chiara antitesi alla professione di fede di
Pietro in 6,71 dove è caratterizzato con1e
8Ldj3oÀo::;, la relazione tra
l'azione con il rò i/Jwµ(ov in 13,26 e quella con il
TOJ/
aprov in 21, J 3
e il precedente atteggiamento dei discepoli confermati nella Fede che O f(VpL6:;
€OTLvrn\ tutto ciò
indica che, alineno nella prospettiva
giovannea, il tradi1nento cli Giuda non si concretizza nel fallo n1atcriale di avere dato Gesù ai giudei: quesla invece è la conseguenza del vero tradimento che si compie davanti al
ro
fwµfov. Proprio
davanti ad esso si co1npie la piena apostasia e Giuda diventa possesso di Satana 186 • Dopo, Giuda esce, 1na all'evangelista non interessa dove va, interessa invece il fatto che esce, assun1endo quell'uscita, resa più dran1n1atica dalla recezione dcl
TO
<J;wµ[ov 1.~ 1 • un
carattere
cli
esclusione giudiziaria. L'evangelista infatti si pren1ura cli notare che era 11otte 11rn.
INl
Solo Giovanni mcnzionn esplicilmnente Giuda nell'episodio dell'unzione cli
Bctanin. IN_, Si nota il tenni ne dalla radice 111o!to significali va TTLUTLJ((j, caratterizzante l'unguento usato da Maria. 18 ~ Entrarnbi oggello del verbo fjBEl rirerito a Cesl.1:
Eiul V al µ1} TTLUTEVovTES' 6 TTapa8Wawv aVT6J/ 185 A riguardo clell'nspelto cli rede in 2l,l2, crr. il n1io studio: I rocconti postpasqua!i nel i1r111gefo di S. Gio1Y11111i, III, cit., 350-356. 1.% Si noli la slreltissirna relazione stabilita in 13,27 trn le particelle µErd e rfve;
TiS'
€UTlV
T6TE. 187
Cfr. il p<lrticipio Aaj3cJv che richiaina lo stesso verbo nelln fonnula clell'islituzione ne! vangeli sinottici. 188 Cfr. 12,35-36.
La lavanda dei piedi
91
Ma è importante l'espressione di 13,27: "e dopo il boccone allora entrò in lui Satana". L'espressione è forte1nente allusiva e anche complessa; interessa solo il fatto che Satana entrò in Giuda. Si richiamano per antitesi espressioni co1ne 14,23: "se qualcuno nzi a111a, la inia parola custodirà, e il Padre mio Io amerà e a lui verren10 e di1nora presso di lui farcmo 11 • Ma si richiama anche 14, 15: "se qualcuno 111i arna, i n1iei co111anda111ent; osscrverà 1' ; 1na si richian1a ancora 15,4: 11 ri1nanele in n1e e io in voi"; ancora I 5, 1O: "se osserverete i n1iei con1andamenti, rùnarrete nel mio amore". Tutti questi testi si richian1ano e pennellano di ricostruire il seguente camn1ino: chi ama Gesù, osserva i suoi co1nandan1enti (14,15), chi li osserva, ri1nane in Gesù ( 15, I O); conseguentemente Gesù e il Padre vengono in lui. Antitetica111ente, se Satana entra in Giuda, vuol dire che Giuùa ha raggiunto Satana e ri1nane in lui; se ri1nane in lui, vuol dire che ne ha osservato il comandamento iscritto (v.2) nel suo cuore. I testi di 13,2 e 13,27 permettono di ricostruire tutto l'iter di Giuda: il diavolo ha immesso un comando nel suo cuore e questi lo ha accolto; si è radicato in Satana e Satana è entrato in lui. Concludendo, l'espressione cli 13,2 appare molto densa e ricca di passaggi sottintesi. Co1ne abbiamo notato, da essa con1incia un movimento che culmina nell'uso del verbo 1Tapai5!8wµL riferito a Gesù in 19,30. Satana ha immesso nel cuore di Giuda di tradire Gesù. E' ovvio, alla luce cli 8,44, che vi ha immesso la sua €1neuµ[a 01nicida: uccidere Gesù; ciò si realizzerà con l'azione concreta di consegnarlo ai Giudei. Alla luce di 13,21-30 però appare lo lj;Evi5o5' di Satana. Pcrchè possa
consegnare
Gesù,
Giuda
deve
implicitamente professata davanti al TO
arrivare
all'incredulità
lj;wµiov che lo porta al coinvolgimento cli Satana in lui e al giudizio di condanna. In ciò Satana ha 1nentito: si è servito di Giuda per uccidere Gesù; in realtà ha ucciso Giuda. L'azione di Giuda invece condurrà Gesù alla glorificazione (13,31) e al dono dello Spirito ( 19,30).
Attilio Gangemi
92
2. 6. '!owaç Jlµwvoç 'foKap1wTT)5" A conclusione della sua descrizione sul diavolo e la sua azione nel cuore di Giuda, l'evangelista, in posizione 1nolto enfatica, introduce il nome di Giuda. L'enfasi è data da tre elementi: la sua pos1z1one finale 189 , la sua lunghezza 190 , la sua co1npletezza. Dal punto di vista della completezza, il nome propno '! ovi5aç è seguito dal nome patronimico L,lµwvoç
e dal nome che designa
ongme o provenienza '! mcapLWTT)5" 19 '. Che Giuda fosse lskariote, lo sappiamo anche dai vangeli sinottici 192 • Forse esso poteva essere un soprannome familiare senza alcun lega111e attuale ad una città concreta. In Giovanni però questo tennine sen1bra avere una maggior sottolineatura che non nei vangeli sinottici 19 .1: evidenten1ente a Giovanni interessa un tennine che richian1a Jlorigine di luogo. Che poi Giuda fosse figlio di un certo Simone, lo sappiamo solo da Giovanni,
'! ovi5aç Xiµwvoç '! crKap1wTT)5" deve essere ino!to significativo, se lo ripete ben 4 volte e in momenti pecu!iar! 19 ~.
per il quale il trinomio
189
La sua posizione finale deve avere un senso nella con1rosizione della frase; la posizione dcl non1e sarebbe stata più ovvia infatti, con1e si è detto, dopo il tennine Kap8{a e prin1a del verbo rrapa8ol. 190 È il soggetto della frase costituito da ben tre parole: tre parole su lredici. Se è valido il co1nputo delle lettere, esso con1prende quasi un lerzo delle leltere globali utilizzate (23 su 75). Si può notare anche un progresso sillabico che enfasizza più sreci rican1ente !'ultin1a parola 'I aKaptu5rryç: '/ oV8aç coni prende due sillabe, I{µwvoç tre,'/
aKaptb5Tl]5" q11aflro. 191
da '/ aKaptuJ(), uon10 cli Qerioth. Qerioth è una città antica di Giuda, 1nenzionata in Gs I 5,25 e, tra le città n1oabite, in Ger 48,24. Cfr. ZORELL F., Lexicon Graecun1 Nol'i Testa111e11ti, LeLhielleux, Parisiis I 961 3• 19 "Ioxap1ùiT~5" (Mt 10,4; 26,t4; Mc 14,43; Le 22,3) o 'farnpuJe (Mc 3,19; t4,10; Le 6,16). 193 È 1nenzionato 5 volte nel 4° vangelo: 4 volte direltatnentc (6,71; 12,4; 13,2.25) e unn volta indiretta1ncnte (14,22: Giuda non /'iskariota); contro le due volte di Matteo (Mt 10,4; 26,14), le tre di Marco (Mc 3,!9; 14,10; 14,43) e le due cli Luca (Le 6, t 6; 22,3). 19 ~ In contrapposizione alln professione di fede di Pietro (6,71), in contrapposizione all'azione di Maria che unse i piedi a Gesù ( 12,4); nel nostro testo in relazione a! diavolo (13,2), in relazione, ovvian1enle di orrosizione, alla azione di
La lavanda dei piedi
93
Cosa evocano i due appellativi? Certo due aspetti particolari: una paternità terrena e una origine di luogo terrena. Di una paternità terrena si parla diverse volte nel vangelo di Giovanni. Si dice di Pietro 195 e anche di Gesù'"', oltre che di Giuda. Tre personaggi concretan1ente sono definiti a partire dal no1ne proprio: Pietro, Gesù, Giuda'"· A riguardo di Pietro, la sua condizione a partire da una paternità terrena, è dichiarata e insien1e superata da Gesù mediante il conferimento dcl nome K T)rpéì,; ( 1,42) e l'affidamento pastorale (21, 15-17) 198 • A riguardo di Gesù si nota un contrasto in 1,45 e 6,42; in 1,45 la dichiarazione della paternità terrena sembra il punto di partenza ~li un ca1n1nino che culn1ina nella professione di fede di Natanaclc (1,49) 19'', in 6,42 la paternità terrena appare come 11a1nbito dove i giudei vogliono relegare Gesù di fronte alla sua pretesa di essere sceso dal cielo. Di Giuda invece la paternità terrena è direttamente affennata clall1evangelista e non 1nessa in bocca a qualcuno dei personaggi, inoltre è enfaticamente espressa: si direbbe che essa rappresenta l'ultimo stadio e la condizione definitiva a cui Giuda perviene. Ad illuminare questo aspetto e a cogliere il carattere negativo della paternità terrena, possono aiutare alcuni testi. Già I, 13, che contrappone la generazione da Dio a quella da volontà cli carne o di
GcslJ che dona lo l/Jluµ{ov. Viceversa in 18,2.3.5. dove è 1nenzionato '/ oVOa:;, non si legge nè ZfµNvo::;, nè '/ crKaptWTT]5', evidcnte1nenle all'autore in questo contesto questi norni non interessavano, se Lenia1no presente che nei prin1i quattro t·esti li ripete consecutivainenle e talora a breve distanz'1 (12,4; l 3,2.26). 195 Gv 1,42; 21,!5.16.17; rispeltivainente prin1a di annunziargli il 11on1e nuovo f(TJ</JG::; e prin1a di affidargli il gregge. iw, Due volle: in 1,45 (in bocca a Pi!ippo verso Natanuele) e in 6,42 (in bocca ai giudei). 197 Si po!rebbe citare anche 21,2 ol roV ZEj3E0a{ov. Per quesln espressione, pili generica ne! contesto di una pili 1ninuLiOS'1 elencazione, cfr. il n1io studio; I racconti postpasq11ali ne/ 1•angc!o di S. Gio1,a11ni lii, cit., 81-84. l'lH ZiµNv '/ Ndf/J/OV è orientato verso le dpv{a- rrpoj3dTLa- rrp6j3aTd µov. Si può notare il contrnsto tra i due possessivi che includono le tre frasi ( '/ Ndvvov -11ov). 199 Si noti la relazione: 1,45: Gcsl1 figlio di Giuseppe (Filippo) ! ,49: tu sei il figlio di Dio (Natanaelc)
94
Allilio Gangemi
uomo 200 • Si può richiamare ancora 3,6, dove si contrappone una nascita dalla carne e una nascita dallo Spirito 201 • Ma un testo più significativo è 8,39-44, dove, alla crescente pretesa dei giudei di essere figli di Abramo (8,39) e poi figli di Dio (v.41), Gesù contrappone la vera realtà: essi provengono dal padre del diavolo proprio per il fatto che, non solo non amano Gesù (v.42), ma vogliono anzi ucciderlo (v.43). La nostra conclusione è che c'è una paternità terrena che viene superata verso una paternità superiore in forza della fede in Gesù 202 • L'increclulità non solo non pern1ette questo passaggio, n1a confer1na nella condizione terrena, la quale però non rin1anc scn1plicen1enle tale, 1na sfocia nel diavolo ed è quasi espressione di una origine da lui. La stesso si può dire per il termine foKapLWTT)5', che richiama il luogo di origine. li c.8 ancora ci viene in aiuto 20·': in 8,23 ai giudei Gesù dichiara: "voi dol basso siele, io dall'alto sono, voi da questo nzondo siele, io non sono dn questo n1011t!o 204 .
In altre parole, i due nomi J.:iµwvoS' e !m<aplwTT)5' convergono nell'esprimere la condizione terrena cli Giuda, nella quale è nato, dalla quale non è uscito, nella quale si è radicato. Avrebbe dovuto operare una nuova nascita che invece non ha operalo 2115 ; nella fede 206 , avrebbe
2110 La contrapposizione indica probabi!n1cn(c supcra111cnto: la generazione da Dio supera la generazione secondo la carne. 201 L<1 neccssità di una nascila eia!!' alto (dv6J8fv) è espressa in 3,3; in 3,5 si specirica clic si tralla di una nascita da acqua e da Spirito. 202 Cfr. l,12 e anche 8,45. Si può citare il passaggio dci genitori nell'episodio dcl cieco 11n10. In 9,20.2! essi sanno che è il loro figlio e che è nalo cieco, n1a non S({ll!IO con1e ora vede o chi gli ha aperto gli occhi. Si insinua che i genitori lo sono dc! Ciglio nato cieco, non di quello pervenuto alla luce. Si insinua pure, da parte del cieco pervenulo alla luce, il supcran1cnto di una paternità terrena. Ciò è confcnnato anche da! fntto che i genitori pigliano da lui le distanze, succubi dcl timore dci giudei (vv.22.23). 20 -' Si pub citare anche 3,31: "colui che è claJI[] tcrrn, dalla terra è e dalla terra parla". 204 L'origine terrena è a!lcrn1ala in 1,45 da Filippo nella prospettiva però del suo superan1en10 da parie di Natanaele. 205 Cfr. in 3,3 l'sccostainento dcl verbo yfvv17e,i] e dell'avverbio cli luogo
Ovcuecv.
La lavanda dei piedi
95
dovuto coinpiere un esodo che invece non ha co1npiuto. Egli ha preferito restare in quel 111onclo dal quale è stato tuttavia chian1ato 207 e al quale onnai a pieno titolo appartiene. Si è lasciato condizionare da Satana e a Gesù non è pervenuto, anzi di quello ha condiviso
l'hn!Juµia omicida. Antitetica1nente, la posizione di Giuda può essere confrontata, oltre che con quella del discepolo pienamente radicalo in Gesù'" 8 , anche con quella di Pietro, dei discepoli, dcl cieco nato. Pietro ha pure una condizione terrena dichiarata da Gesù stcsso 209 , ina da essa egli esce: Gesù gli preannunzia il nuovo nome KT/</Ja<; (1,42) e gli affida il gregge (21, 15-17). Pietro perviene alla professione di fede che radicaln1ente lo distanzia da Giuda 210 • I discepoli sono stati scelli dal n1ondo 211 ; al n1ondo non appartengono 212 , e sono pure oggetto della sua ostilità21 \ Gesù ha pregato pcrchè siano preservati dal 111aligno 21 ..i-. Nel passaggio dalla cecità alla luce, si può ravvisare una nuova nascita del cieco nato 2 i 5 , I tentativi dei giudei, non riusciti a staccarlo da Gesù, culininano nella sua cacciata (v.34), al contrario dei genitori che, per non essere cacciati dalla sinagoga, si dìstanziano dal figlio (v.22). li cieco nato pervenuto al !a luce non appartiene più al mondo dei giudei ccl è espulso.
2116 Questa chiusura alla JCJe sembra esprimere la rc<1zione di Giuda alla azione di l\1aria in 12.49. 207 Questo in ultin1a analisi pare il senso dell'azione Ji (ìesli con il TO <jH.UfJ[ov in 13,26s con efretto però dian1elra!Jnen!e opposto: l'ingresso in lui di Satana (v.27) e J'usciln clnl luogo dove è Gesli verso la notte (v.30). 211 ~ Crr. l'espressione !511 T]ydrra ò 'Jryao/S (13,23; 19,26: 2!,7.20). In 13,23, dopo l'<t111u1nzio ciel rinnega1nento, è presentato (c!'r. 21,20) con1e colui che è radic<tto in Gesù (er(f gi(fcente ... ), al quale Pietro si rivolge con1e Lrarnite a Gesù. 2119 Non è senza significato il fatto che la condizione terrena Ji Pietro sia 111enziona1a da Gesti ( ! ,42; 21, J 5-J 7); gi~i questa 1ncnzione appare con1e quella voce di Gesl1 che arrivn a Pietro e lo invita a uscire (crr. !0,3). 210 Non è senza significato la rnenzione di Giucln e la sua definizione [ildj301\oç in 6,70.7 l, in relazione alla professione d! fede di Pielro (6,68.69). 11 ' Clr.15,19; 17,6. 212 Cfr. 15,19.19; 17,14.16. 2 1 1. Cfr. 15,18.19; !6,20; !7.IL!. 21 -i Cfr. 17,!6. 215 Cfr. V.7: si faw) ... e \!t!!lllC 1'Cde11do (cfr. 3,5).
Attilio Gangemi
96
La piena appartenenza di Giuda al mondo però si risolve in morte. Oltre che nel coinvolgimento nel giudizio di esclusione del mondo"'', la prospettiva della morte espressamente appare in 8,21, dove Gesù dichiara: "io vado, mi cercherete e nel vostro peccato morirete". Subito dopo, nel v.23, Gesù esprime quasi la causa di questa morte nel peccato, il fatto che i giudei sono di quaggiù (ÉI< Twv 1aiTw), mentre Gesù è di lassù (ÉI< Twv avw); i giudei sono da questo
mondo (ÉI<
rnvrnv rniì Kooµov), Gesù invece 11011 è di questo mondo
(€K TOV 1c6uµov TOVTov). Tra i Giudei e Gesù si
abisso invalicabile
217
è determinato un
•
Possiamo così concludere che l'espressione
'[ ov8a5' I[µwV05'
faKap1i!JT175' in 13,2 rappresenta l'ultimo stadio dcl cammino di Giuda:
egli è pervenuto al pieno inseri1nento in questo inondo per il quale non resta che il giudizio21~. Ma l 1evangelista pare voglia dire qualcosa ancora di più. Sian10 nella prospettiva del passaggio di Gesù da questo mondo al Padre, nel cui sfondo egli
él5' n'Ào5' r)yri7Tl)OEV. Essa riguarda
rn/Js' l8iov5'
rn/Js' b/ Tt;J Kwµ41, non Giuda che si può definire lx rnv Koaµov. I
li(> crr. 12,3!: "<1clesso giudizio è di questo 111ondo, adesso il principe di questo inondo sarà gettato Ji1ori (E(ui)", n1a soprattutto 16,8, dove si indica l'opera dello
Spirito nei confronti dcl rnon<lo, quello di convincere e di accusare (EÀiy(Et), su tre aspetti: il peccoto, la giustizia, il giudizio. Ernerge un progresso Lernatico legalo a questi Lrc e!e1nenli: J'increclulìtà verso Gesl1, i! ritorno di Gesl1 al Padre che in1plica orn1ai la sua assenza ("non pili vedete 111c"), il giudizio cli condanna verso i! inondo. In questo giudizio di esclusione è coinvolto Giuda: con1c si è detto, la sua uscita in J 3,30 quasi dipende dallo t/Jluµ{ov ed è relazionata (15É) all<1 notte. 217 Si può notnre il progresso inverso in 21-30: i.I. Gesl1 dichiarn che quando innalzeranno il figlio dell'uoino, conosceranno che "io sono" (v.28). b. Nel v.24 Gesù esprin1e la necessità dellél fede che "io so110" per non inorire nei propri peccati. c. Se nel v.2! Gesli dichim·a "inorirelc nei vostri peccati", vuol dire che i giudei alla fede in Gesù non sono pervenuti. 218 Questa prospetliva tcn1atica confenna la posizione finale dell'espressione
'! oUOa:; Llµwvo:; '] aKaplu5T77:;.
La lavanda dei piedi
97
mis ii5iolJ5' mvc; Év Ti/J KéXIµ&,J saranno coinvolti nel passaggio da questo 1nontlo al Padre, non però Giuda che ormai si è inserito piena1nentc nel 1nondo 219 • A lui Gesù non lava i piedi 220 •
3. Seconda proposizione participiale (Eii5w5') Dopo
questa
propos1z1one
participiale
circostanziale,
l'evangelista torna ancora al participio éléiwc;. A differenza però del precedente participio che regge un solo oggetto, il secondo ne regge due, coordinati, entrambi così ha due oggetti:
introdotti da
é5Tt 221 •
La conoscenza di Gesù
€l&J, che (on) tutto diede a lui il Padre nelle mani che (on) da Dio uscì e a Dio va. 3.1. Il primo oggetto: "che tutto (TTdvTa) diede ({éirvKE//) a lui il Padre nelle mani (dc; nk X€Lpac;) Il primo oggetto esprime la conoscenza di Gesù che tutto il Padre ha dato a lui nelle 1nani 222 .
21 1 '
Torna ancora In prospettiva di 8,2! e, prin1a ancora, cli 7,34-36.
220
Azione questa che esige una globnle purith previa (cfr. v.JO: 1<a8apO:; OA.oç), n1a che, supposta tale purità, è sufficiente (crr. v.10: t:l 11/;)che si lavino solo i piedi. In questa puri lit globale si trovano tu!li i discepoli, anche Pietro, 1na non i I trnclilore (cfr. v.11). Questa purìth globale è determinata (cfr. 15,3) dalla parola che Gesl1 ha detto. Se Giucl<l 11011 è Ka0ap65', vuol dire che non ha accollo la parola che Gesl1 ha detto. 221 Gli interpreti sottolineano la piena coscienza cli Gesli: BEECKtvlANN P., L'é1'a11gi!e se/on S.Jean, Bruges 1951, 290, Gesù lava i piedi nella piena coscienz:a della 111aes!b. della sua persona; BERNARD J.H., A Criticai and l~~regetica/ Con1111e111ary 011 rhe Gospel accordi11g lo S. .fohn, Il, Edinburgh 1928, 456, Gesù dà lezione cli un1iltà nella piena coscienza che è uscito da! Padre e va al Padre. 222 A riguardo nola AGOSTINO, !t1 Joa1111is e1•a11ge/ii1111, traci LV, PL xxxv, col. 1787: "locuturus quidc1n de Lanta Don1ini /11011i!itate, prìus celsilucline1n ejus voluit
Attilio Gangemi
98 3.1.1. Critica testuale
Dal punto di vista della critica testuale si segnalano due divergenze tra i codici 22 3. La prin1a riguarda l'indroduzione esplicita del soggetto, altrimenti sottinteso, 6 Irwovo;, dopo il participio ,c/or!Js-. Questa introduzione è operata dai codici della recensione antiocheno-
costantinopo/itana, dal cod A, dai codd
r
L1
8 0124, dai codici
minori elencali da Lake (À) e da molti altri. La seconda divergenza riguarda la forma del verbo o[owµi: al perfetto (8€8w1ffv) leggono il P"',
i codici della recensione antiocheno-costantinopolitana, il Cod A, i cocl Dr L1 8, i codd. elencati da Ferrar (</>), i minuscoli 33 118 209 1241 e molti altri. Le edizioni critiche, alineno le più usuali 22 ~, non recepiscono queste varianti. Probabilmente a ragione. L'introduzione del soggetto 6 /17uoV,, dopo c-lfxis, si può spiegare come armonizzazione sul v.l, oppure si trovò più logico riesprimere il soggetto 6 /17uoV, dopo la n1enzione nel verso precedente di Satana e di Giuda. In realtà l'autore sen1bra esprimere la tendenza verso l'unico uso iniziale del soggetto. Esso infatti non si legge più fino al v.7, nel dialogo tra Gesù e Pietro. L'unicità del soggetto conferisce un legame molto stretto a tutta la serie di azioni che Gesù compie. Anche
il
perfetto
OÉ&!KéV
s1
può
spiegare
come
una
arn1onizzazionc soprattutto a Gv 3,35. Tuttavia questo aspetto è più co1nplesso nel vangelo di Giovanni, dove assistian10, con il verbo 8[8wµ1, con soggetto il Padre e oggetto logico Gesù, ad un intreccio tra
forme all'aoristo e forme al pcrfetto 225 Ritengo però che, per il motivo
co1nn1endare"; cfr. LINDARS B., Thc Gospel l~/" John, Grand Rapids evidenzia ancora di pili in questo 111odo l'esen1pio di un1iltì1. l2J Riferiti da NESTLE~ALAND, (Synopsis). 22
J
986, 449: si
~ MERK, ALANI.), (Sy11opsis), NESTLE-ALAND, TGNT.
225
Con soggeuo il Padre e oggetto logico Gesù, 8{8Luµt si legge all'aoristo in 5,26.27; 14,31; 17,2.6.6.8. Si dà però lettura variante al perfetto, aln1eno in 17,6.8. Al perfetto si legge in 3,35; 5,22.36; 6,39; 10,29; 12,49; 17,2.4.7.9.11.12.14.22.22.24.24; 18,9.11. Si dà però lettura variante all'aoristo almeno in 5,36; 12,49; 17,9.ll.12.14.22.22.24b; 18,9.11.
La lavanda dei piedi
99
dell'armonizzazione con 3,35 226 , l'unico testo direttamente parallelo al nostro, la lettura migliore sia all'aoristo. Probabilmente si può aggiungere il motivo della lectio difficilior, tenendo conto anche dell'uso più massiccio del verbo i5[i5wµL al perfetto con soggetto il Padre e oggetto Gesù, soprattutto nel c.17 227 • Rimane il problema di caratterizzare il giusto senso della forma all'aoristo nel nostro testo.
3. l .2. La composizione dell'espressione Tutta l'espressione comprende cmque elementi: un oggetto (rrd.vrn), il verbo i5[i5wµL (i!i5wKéV), il dativo (aVT\;j), il soggetto
lo
l!an)p), un complemento (éi5' TOS XELpa5'). L'espressione dal punto di
vista strutturale pare ben studiata228 • Al centro emerge il dativo atrrif;, riferito ovvìa1ncnte a Gesù, ma en1ergono anche i due co1nplen1enti collocati alle due estremità; tutta la stessa struttura della frase non è priva di una certa enfasi: il verbo e il soggetto sono posti rispettivamente al secondo e al quarto posto. 3.1.3. L'espressione 8[8wµL él5' T05' X€Lpa5'
Dare nelle inani qualcosa, significa certo conferire un potere su quel determinato oggetto: chi lo ha nelle mani può disporre a suo
226 In 3,35 i! perfetto 8€8wKEV pare crilicaincnlc certo. variante nei diversi Lesti ciel v.17 (cfr. v.2) non pare dclcrn1inante. 228 La struttura non segue l'ordine nonnalc con soggello al prì1no posto e con il verbo i1n1ncdiatarncntc seguente. Gli elen1enti paiono strutturati secondo uno sche1na concentrico: 227 La !eLLura
rrdvra -
fOwKéV -
aVrr1J - 6 rranjp - élç ràç xclpas-.
Il prln10 e quinto elen1enti si riehia1nano per il loro carattere di coinp!e1nento, co1ne pure il secondo e il quarto, rispettivainentc verbo e soggeuo. Al centro risalta i I prono1ne aVrr{J che pare l'cle1ncnto pili enfatico di tutta l'espressione.
Attilio Gangemi
100
piacere di esso. In questo senso, respressione è usata nel NT229 e anche nell' A T'"'· Le espressioni del NT, quando sono riferite a Gesù'", hanno due caratteristiche: Gesù anzitutto non è il soggetto che riceve nelle mani 212 , ma l'oggetto che è dato nelle mani; inoltre il loro senso è sempre ostile'''. Nel nostro testo invece Gesù è il soggetto che riceve e la prospettiva è positiva. Il parallelismo più diretto, come dicevamo, è con il testo di 3,35 2 ' ' , con il quale però si d'nno sei differenze che determinano anche un 1nutan1ento strutturale235 . Anzitutto il Padre è menzionato al primo posto, è soggetto di un'altra azione verso il figlio (aymrii)'"', il figlio è esplicitamente menzionato ed è oggetto di una duplice azione
22 '! rrapa6[8oa8at Elç XElpaS'(Mt 17,22; 26,45; Mc 9,31; 14,41; Le 9,44;
14,7; At 21,l !; 28,17). Al contrario, in Al 12,l I: liberare (ifEAc[r6 µe ÉK xctp6ç). DO Con diverse fonnulazioni nei LXX: 8[8wµt clç rdç xclpa5' (Gen 39,8; llCr 11,10.10 ... ); 8{8wµL cis XElpaç (i Re 22,6.12; iCr 5,20 ... ); 8i8{uµt cls- Tiy /'(Elpa (Gcn 42,37); 8[8cuµt ciç xclpa (I Re 20[2lJ,28 ... ); Q[Q(;Jµl €v Talç XEpu[v (Es 4,21) .. 2 1 "' Nei vangeli sinottici. In AL 21,! J e 28,17 l'espressione è riferita a Paolo. 2 12 · Di un potere claLo a Gesl1 si parla in ML 28, 18 con il verbo Q[Q(;JµL, n1a non
con il Lennìne XE{p; inoltre in Ml 4,9 e Le 4,6, 111a con1c potere prornesso da Satana. 2-n Nel contesto si è annunziata !a passione (f\1t 17,22; 26,45; f\1c 9,31; l 4,41; Le 9,44) e pure la passione è rievocata in Le 24,7. 2-1.! li parallclisino tra i due tesLi cn1erge bene: 3.35 13,3 I. 6 rraTrfp (dyarri;t . . )
2 . rrdvra
2. Kai rrdvra
3. f8tù/(éV
3. OiO(;JKéV 4. lv rfj XElp[
5. aVrr]J I. 6 TTaTrfp
5. aVroV
4. éiç ràç XElpaç
2 5
Il tesLo di 3,35 si afticola in due frasi coordinale cli tre elcinenti ciascuna. Al cenLro cli enLran1be c'è il verbo: _i
A O rraTrfp
B rrdvra
ciyarr<;t TÒV VL6V 23
8É8MKEV
iv
rii
XEtp{ a Uro v
<' Prescindo dalla relazione Lra i! presente dyarr{j. e il perfetto 8É8UJJ<EV.
La lavanda dei piedi
101
ciel Padre (dyarrl;i. .. OÉOwKEY), il pronome avr6s- riferito al figlio è posto alla fine al genitivo, il verbo OÉ&ùlffv è al perfetto, l'autore preferisce l'espressione più statica e al singolare Év
TfJ
XELp[,
diversa da quella
più dinamica e al plurale és- ràs- xépas- di 13,3. Evidentemente il testo di 3,35 contiene una sua peculiarità che solo in parte interessa al nostro lavoro. Tuttavia i due testi di 3,35 e 13,3 permettono di stabilire una relazione strntturale che evidenzia ulteriormente il legarne tra di essi: A. 3,35: I. il Padre ama il figlio 2. e tutto ha dato (8diw1cEv)
3. nella mano di lui b. 13,3:
4. tutto diede (€8wKEv) a lui
5. il Padre 6. nelle mani In entrambi i testi il termine xdp sta alla fine; gli altri quattro
cle1nenti sono strutturabili secondo uno sche1na concentrico. I due testi permettono di stabilire una relazionc237 • Non si può però slabilire una corretta relazione se non si tiene conto di un altro testo dove sono inenzionate le inani di Gesù e dove nel contesto si legge ancora il verbo 8{8wµi: Gv 10,28-30, dove Gesù dichiara che alle pecore egli dà la vita eterna e queste non periscono mai; dalle sue mani nessuno può rapirle. Subito dopo (v.29) Gesù risale al Padre, definito come colui che ha dato a me; egli è più grande di tutti e nessuno può rapire le pecore ([alla sua 1na110. Conclude Gesù dichiarando che egli e il Padre sono una cosa sola.
Entra1nbi i testi possono contenere una allusione a Gen 39,8, a Giuseppe cioè in casa dell'egiziano Putifar, il quale "tutto (rrdvra) quanto è a lui, diede nelle 111ie DJ
///(//li
(€BwKfV El5' Tà5' xélpa5' µov)". Inoltre anche Gen 39,22: "e diede (EBwKEV) i I
carceriere a Giuseppe (lctt. per n1ano di Giuseppe: Blà XElp05' '/ wm]ef>) .. tuffo quanto (rrdvra Oaa) ... "; 39,23: "tutto (rrdvra) era in
111a110 a Giuseppe ... ". L'allusione a Giuseppe è più probabile perchè Giuseppe è n1enzionato nel vangelo di Giovanni, benchè in allra prospettiva, in 4,5. Si può citare però, alineno dal punto di vista letterario, anche 2Cr 36,17; Gb 1,12, n1a senz.a reale relazione al nostro testo.
Attilio Gangemi
102
Il testo di Gv 10,28-30 in se stesso tematicamente è molto complesso. Esso però permette di rilevare una particolare struttura letteraria molto significativa al nostro scopo: 1. e io dò ad esse la vita eterna e non periranno mai 2. e non rapirà alcuno esse dalla inia n1ano
3. il padre mio 4. che ha dato a me ( éi 8diwKÉv µ01) 5. di tutti migliore è 6. e nessuno può rapire dalla mano dei padre 7. io e il Padre una cosa sola siamo.
Al
centro ci sta
il verbo 8É&ùKEv 2-rn, incluso tra due
n1enz10111
delle mani, rispettivamente di Gesù e del Padre. Al centro dal punto di vista strutturale, il perfetto
8É&!KEV
pare stia pure al centro di due
movimenti: è il punto di arrivo di un ca1nn1ino verso Gesù e di un cammino di Gesù verso il Padre. Fer1nandoci soprattutto al primo aspetto, i1 can1mino verso Gesù, esso più precisamente è il cammino dell'azione dcl Padre verso Gesù. Il verbo 8f&J1<EV
segue a due azioni, una positiva e una
negativa. Quella positiva è il fatto che Gesù dà la vita eterna, l'azione negativa sta nel fatto che nessuno può rapire dalle mani di Gesù . Tra le due azioni si può percepire un progresso: donando Gesù alle pecore la vita eterna, esse si radicano nelle n1ani di Gesù, in 1naniera però così salda che nessuno può rapirle dalla sua inano; n1a quando le pecore sono saldamente radicate nelle mani di Gesù, allora l'azione dcl Padre che ha dato diventa stabile, definitiva, duratura, così come suggerisce la forma 8É8w1ffv al perfetto. Ma nella lettura del e.IO si può risalire ancora fino al v.17, dove Gesù dichiara: "per questo il Padre mi ama, poichè io pongo la mia
238
Dal punto di vista della critica testuale, la fonna nl perfetto sostanzial!nentc non è intaccata. Il cod. D legge al participio 8E8wKt.Jç; all'aoristo €8wKEV leggono i I p 66 e, i codd. M U e Crisosto1no.
La lavanda dei piedi
103
vita" 239 : Risalendo però ancora a I O, 11 240 si arnva allo scopo della venuta di Gesù: pcrchè le pecore abbiano vita. Si può così ricostruire tutta l'opera di Gesù: egli è venuto a dar la vita (v.10), dona la propria vita (i/Jvxr)v: v.17), dona la vita eterna (v.28). Ciò rende le pecore stabili nelle sue mani e rende stabile e definitiva l'opera del Padre di dare le pecore in mano a Gesù. Alla luce di queste osservazioni e alla luce del confronto di 13,3 con 3,35 e 10,28.29, si può rileggere la nostra frase di 13,3. In due elementi l'espressione di 13,3 diverge: I. nella fon11a verbale: in 13,3 è usato l'aoristo E&JKEv, mentre 111 3,35 e 10.28.29 è usato il perfetto oÉoWKEV. 2. nell'espressione riguardante le n1an1:
è usata l'espressione dinamica E{S' Tit5' xélpa5', che espri1ne tensione verso; lll
3,35 è usata l'espressione statica iv acquisita241 •
rii
111
13,3
XELPi che esprime posizione
2-''l A risalire al v.17 autorizza lo stesso testo di 3,35, che pennette due relazioni, al v.17 e, assie1ne, al v.28. La relazione nl v.17 è suggerita dalla n1cnzione dell'an1orc dcl Padre. Le cluc espressioni sono legate da particolare relazione strutturale: 3,35 1. i{ Padre 2. a11u1 (dyarrçi') 3. il.figlio 1O,17: 4.111e 5. il Padre 6. a111a (dyarrçi) I due testi esprin1ono una stnittura insie1ne alternala e concentrica, tipican1ente giovannea. La relazione a I 0,29, assie1ne a 1O,17, si 1nanifesta ne! seguente parallelisino: 3,35 1O,17.29 1. i/ Padre c1111a il Figlio I. 111e il Padre a111a (v.17) 2b. dalla 111ia 111ano (v.28) 2a. tutto ha dato 2b. nella sua 111ano 2R il Padre ha dato (v.29) 240 Al v.10 rin1anda il termine (wrj: v.10: perchè vita abbiano - v.28: e io do ad esse \lita eterna.
241
Con questa espressione concorda bene quella opposta di ÉK Tip XElp65': è
stata acquisita una posizione (Év) e da quella posizione non si recede (ÉK).
Allilio Gangemi
104
La nostra conclusione è che il verbo l!&JKEV è un aoristo ingressivo che espri1ne l'inizio di una azione, n1a che deve divenlare
azione
pienamente
e
definitivamente
compiuta
(i5€8'vKEV);
1
L espressione ElS' Tb.ç XEtpaS' esprnne un dinamistno e una tensione che devono diventare posizione acquisita (Év
rii
XELp{), dalla quale
non si recede. Ciò è confermato da quattro indizi: il primo è in 3,35: dopo il verbo iX&!KEv con Év
rii
XELp[ non si parla più di alcuna azione del Padre o di Gesù, ma si introduce la condizione da parte dell'uomo per avere la vita eterna, la fede (o irwTEvwv); il secondo indizio si trova in 10,28.29: il verbo 8f8w1CEv al perfetto segna il culmine di una serie di azioni di Gesù che partono dalla sua venuta (v.10), passano attraverso il dono della propria anima (10,17), culminano nel dono della vita eterna. Il terzo è in 17,2 dove, separate da solo sette parole, leggiamo due diverse forme verbali di 8[8wµ1, rispettivamente all'aoristo (/!&!KEv) e al perfetto. Ritengo che il passaggio dall'aoristo'"' al perfetto &&!Ka5' sia determinato dalla glorificazione del Padre da parte di Gesù, mediante il compimento dell'opera che il Padre gli ha dato da compiere, di cui si parla nel v.4" 1. Il quarto indizio emerge dal nostro testo di 13,3: dopo l'espressione i!&!KEV ... EÌ5' TU5' XELpa5', l'autore introduce una serie di azioni di Gesù.
2 12 • 243
Ancora ingressivo. L'uso cli un altro perfetto di 8{8wµt (6i8wKaç) nel v.4 non ovvio tra due
verbi indiretti (TEÀEluiaa::; - TTocijuUJ) e preceduto ùa un aoristo ùirello (€8u5faaa) co1ne nel v.2. Inoltre la struttura letteraria che si ricollega concretaincnte a! v. J e al v.5, incentra il v.3 e stabilisce una relazione tra il v.2 e il v.4. Cfr. la peculiare struttura letteraria tra il v.2 e il v.4: v.2:
I. rrav 0 8É8&JKGS°
v.4:
2.8'50J7 3. éJ 8É8&JKGS° 4. TTOlTp&J
La lavanda dei piecli
105
Concludendo, ritengo che l'azione del Padre che dà a Gesù ha due stadi, uno incipiente (€&!KEV ... Ei5' ras XELpas-), l'altro definitivo
(OÉ&!J<EP b rTl XElpi). Il Padre ha dato tutto nelle mani a Gesù in modo incipiente; tocca a lui rendere questa azione del Padre stabile, definitiva, e irreversibile nelle sue mani. Ciò Gesù lo attua compiendo l'opera del Padre; questa, con diverso linguaggio e prospettiva, è indicata in 10,10-29, in 13,4-5; in 17,2-4. In 3,35 si indica invece la condizione da parte dell'uomo per rendere stabile e definitiva questa sua posizione in mano a Gesù 244 . Il fatto che il Padre ha dato tutto in niodo incipiente in 1nano a Gesù, deve indurre Gesù a con1piere un'opera n1ediante la quale ciò che il Padre gli ha dato diventi in n1ano sua possesso stabile e definitivo, che non conosce altra finalizzazione se non le mani del Padre (cfr. 10,29).
3.2. Il secondo oggetto "da Dio uscì e a Dio va" lìipendenle come oggetto dallo stesso participio El8Ws-, 1na introdotta da una nuova particella 0Tt, segue una nuova espressione co1nposta da due proposizioni coordinate da un B A
arra
Oéoi.i
i(ryÀ@EV
Ka{
e parallele:
rrpds- rov ec:6P lmayc:1
1
Se badia1no al1 articolo davanti a 8E6v nella seconda proposizione, dobbian10 dire che questa riceve n1aggiore enfasi. Gesù
2-+4 Cfr. !n re!n7.ionc tra 3,35 e l 0,28-29:
I. tutto ha doto 2. nella 1110110 3. chi crede hn vita eterna I 0,28: 4. do nel esse l'ifa eterna 5. da!ia 111ia 111a110 6. ciò che ha dato La stabilità in 1nano a Gesù è detenninata da parte sua dalla sua opera, n1a da parte dcll'uon10 n1cdianle la fede. 3,35:
106
At1ìlio Gangemi
ha piena e acquisita coscienza della sua origine da Dio e della sua destinazione a Dio 2·1.1 • Simile duplice dinamisn10, co1ne ho notato, è espresso un 1altra volta nel vangelo e in modo più completo in 16,28, dove si aggiunge relen1ento nuovo del 111017(/0, co1ne tern1inc del n1ovin1cnto discendente di Gesù dal Padre, e come punto di partenza del suo rnovi1nento ascendente verso il Padre. C'è però una differenza di prospettiva tra i due testi: in 13,3 la duplice parabola è considerata in relazione alla persona e all'opera di Gesù stesso, in 16,28 è considerata invece in relazione al 1nondo 2·16 e soprattutto ai discepoliw. La parabola discendente di Gesù altrove nel vangelo è espressa con diversi verbi: I. con lo stesso verbo ÉfÉpxoµm: 8,42''"; 16,27.30; 17,8: ad essa deve corrispondere l'accoglienza di fede ( 16,27) e di amore (8,42) da parte degli uomini.
H5 Gli interpreti notano ancora il contrasto tra l'esen1pio di u1niltà e la grandczzn cli Gesù; cfr. ALCUINO, Co111111e11tarionm1 in Joan11e111, PL e, col. 925; DODD
C.H., The !nterpretalion (~l the Four!h Gospel, London 19535, ed. il. L'i11fe1pre/({zio11e del quarto vangelo, Brescin l 974, 531: si evidenzin ancora di pili l'uiniliazione cli Gesù che con1pie il gesto di uno schinvo; LiGHTfOOT R.H., St .loh11's Gospel, Oxford 1956, (repr. 1983), 263: Gesù ha autorità con1e rappresentante di Dio, da cui viene e a cui va; questa autorità egli 1nostra prendendo lo stato e il cornpito Je! servo; TASKER R.V.G., The Goseel according to St . .fohn, Lonclon 1969, (repr. 1992), 155: Gesl1 con1pic l'az:ione nella coscicnz:a della sua divina origine e destinazione. 2 6 ~ La duplice rnenzione dcl n1ondo non può non richiamare gli altri lesti dove cli esso si pnrla, soprallutto nel c.16. Se ne parl<1 in prospelliva dcl tutto negativa: esso è oggello di una azione giudiziaria operata dal Pctraclcto che cuhnina nel giudiz:io di conùsnnn del suo princìpe (16,8-! I); è in piena antitesi con i discepoli, a tal punto che la loro tristezza sadi la sua gioia (16,20); in esso i discepoli sono tribolali, n1a su di esso Gesl1 ha riportato definitiva (vévlKEKa) vittoria. 2 7 ..i L'espressione è inserita tra la rnenzione della loro destinazione al Padre e della loro fede che Gesù è uscito da Dio (v.27) e la loro dichiarazione della slessa fede (v.30). 2 18 ' Dove è usato anche il verbo fpxoµal (venire) e dJToaTÉÀÀUJ (inviare) con soggetlo il Padre.
La lavanda dei piedi
I 07
2. con il verbo i'pxoµat: 1,9.11; 3,2.19.31; 4,25; 5,43; 6,14; 7,27.28.31; 8, 14, a cui dovrebbe corrispondere l'aeeoglienza degli uomini (1,11; 3,19; 5,43; 7,31) e l'amore (8,42) 3. con rnmf3a[vw (3, 13; 6,33.41.42.50.51.58) 4. eon !f1cw (8,42)'"' Diversi testi assegnano uno scopo alla venuta di Gesù. Con il verbo i'pxoµat lo scopo è l'annunzio di ogni cosa (4,25 250 ), per cornpiere una azione giudiziaria (9,35), perchè le pecore abbiano vita e l'abbiano in abbondanza (1 O, I O), perchè, essendo luce, chi crede non rimanga nella tenebra (12,46), non per giudicare ma per salvare il mondo (12,47), per rendere testimonianza alla verità ( 18,37). Più significative sono le motivazioni espresse con il verbo Kam(3a[vw. Gesù è il pane che scende dal cielo e dà vita al mondo
(6,33). Secondo 6,38 Gesù è sceso dal cielo non per compiere la sua volontà ma la volontà di colui che ha mandato Gesù. Secondo il v.39 questa consiste nel fatto che tutto ciò che il Padre ha dato a lui non perda, ma resusciti nell'ultimo giorno. li v.40 precisa che la volontà del Padre è che chiunque vede il figlio e crede in lui abbia vita eterna. Quest' ultimo testo di 6,38-40 sta al centro di molteplici relazioni. Anzitutto con il nostro, sia per il verbo 1cam{3É/3r)l<a251 che per
2.i9 A!Lrc volte scn1plice1nente 6 Wv(S,47). 250 In bocca alla San1aritana questo testo è riferito generica1nentc al Messia. 251 Il verbo è diverso: Karaf3a{vw, rispello al verbo lflpxoµat, 111a il clina1nis1no cliscendenlc è analogo. Inoltre si può notare un certo parallclisn10 trn le due frasi. 6,38: l(GTG/3É/3TJKG drrò mii oVpavoV I 3,3: d7TÒ 8Eoii €ti).0ov Le due espressioni per una peculiare slrullura che !e lega: 6.38 l. KaTaj3É/3TJKG 2. drrO m V oVpavov J
3,3
3. drrò 0Eoii
4. é/;iAeov pern1ettono una reciproca integrazione: il verbo ifijAOEv specifica il verbo
/(GTaj3É/3T/Ka: è sceso precisa1nente perchè è uscito da Dio. Al contrario, KaTaj3Éf3TJ!(a
Attilio Ga11gen1i
108
il verbo 8É8w1ca 252 • Inoltre con 4,34 25 -' e infine con 17 ,4 25 ~. L,a relazione
tra questi testi ci permetle di ricostruire nel seguente inodo: Gesù è uscito da Dio ( 13,3 e I 6,28ss), è disceso dal cielo per compiere la volontà del Padre (6,38s), parlare cioè a con1pin1ento la sua opera (4,34; 17,4). La volontà del Padre è che Gesù dia la vita eterna divenendo oggetto di contemplazione e di fede. Per diventare oggetto di contemplazione e di fede, Gesù deve lasciarsi innalzare (3, 14-16). In ulli1na analisi, Gesù è sceso dal cielo per lasciarsi innalzare e, quando si sarà lasciato innalzare, attirerà tutti a sè (12,31).
concretizza €-(ijAOEv: è uscito da Dio nllo scopo di scendere. L' espressione drrO eEoV precisa l'espressione àrrO wV oVpavoU; Gesù è uscilo non dal generico cielo, 1na precisa111enle da Dio. Le due espressionì si richiamano ancora di pili se ricondotte alla loro probabile con1une n1nlrice Is. 55,10.11 ls 55,10.11 Gv 6,38: KaTaj3€j3ryKa scende (1<aTaj3Q) la pioggia ..
Gv I 3,3:
ÉK ro V 0Upa1;0U
É1r ro V aVpaPoV
dTTÒ 0EoV
la n1ia pnrola se esce (t!ff71\0lJ) dalla inia (ÉK rov) bocca
li;i)!.Bcv
252 li verbo 8É8wKa è al perfetto: quelli che i! Padre gli ha dato, Gesù non deve perdere, 1na resuscitare nell'u!Li1110 giorno. Nel v.40 si esprirne una condizione cb parte clell'uon10 che pennella cli avere la vita etern<i e a Gesù di resuscitare nell'u!tin10 giorno: \'edere (0 BEcupu5v) il figlio e credere (TTlaTEVMv). Si presuppone però una azione che pern1clte al figlio di essere oggello cli visione e cli fede. Quest<l deve essere ricercata in 3,14-!6, l'esaltazione, dnta la relazione tra 3,!4-16 e 6,38-40. Ernerge ancora una azione cli Gesù che giustifica i! verbo 6É8tUKEV al perfetto. 25
·'
Per l'espressione Yva TToliia{U rO BÉAryµa roV TTɵtj;avr6ç µE.
oVK Yva rrou;J .. (d1\Àd) TÒ 8ÉÀ7]µa .. 25
~
crr.
6,38:
ToV tj;ɵtj;avT&; f-!E.
Solo inclirett!l1ncnre però nllraverso 4,34, per l'espressione TÒ lpyov
TEÀELWaaç:
4,34. l'va TTOLl]aW TÒ OÉAryµa
6,38: oVK l'va rrotW.. TÒ 8€).ryµa
4,34: TEÀEu.Juw aVroV TÒ lpyo11 17,4: TÒ lpyov TEÀEu.Jaaç Le due espressioni cli 4,34 stru!lurnln1en1e sono parallele; le due espressioni cli 6,38 e 17,4 sono slrutturabili secondo uno scherna concentrico: 6,38 l. oVJ( /'va rrotW .. d ÀÀa 2. TO BÉÀryµa
17,4
3. TO €pyov
4. TEÀELWuaç La volontà ciel Padre è che Gesl1 porli a con1pi1nento la sua opera.
La lavanda dei piedi
109
Il ritorno di Gesù al Padre, poi, è pure descritto nel vangelo con diversi verbi:
inrdyw, più frequente, usato pure nel nostro testo (7,33; 8, 14.14.21.21.22; 13,3.33.36.36; 14,4.5.28; 16,5.5.10.17). Da questo ritorno sono eselusi i giudei (7,33-35; 8, 14.21.22.22), mentre ai discepoli il coinvolgimento nel ritorno cli Gesù è dilazionato (13,33); poi Gesù rivela dove va e per loro sì rivela come via ( 14,4.5). Alla sua partenza seguirà un ritorno ( 14,28). 1. con lo stesso verbo
2. con il verbo aJ.'a(3a{vw (3, 13; 6,62; 20, 17 .17)25 5 3. con il verbo rropdJOµat (7,35.35; 14,2.3.12.28; 16,7.28). Ancora una volta con questo verbo si espri1ne un aspetto negativo: Gesù se ne va e i giudei non lo trovano (7,35) 25 ''· Soprattutto con questo verbo si esprimono degli scopi della partenza cli Gesù, due soprattutto: la preparazione di un posto per i discepoli ( 14,2), e quando egli avrà preparato un posto, lorncr8 e prenderà i discepoli con sè perchè anche essi siano dove lui è (v.3)" 57 , l'invio del Paracleto (16,7); per questo ai discepoli conviene che Gesù vada''"· 4. con il verbo émc!pxoµm 25'' 5. con il verbo l!-pxoµat
2611
•
Ritengo che al nostro scopo siano più i1nportanli i testi con il verbo Vrrdyr.v, sia perchè è lo stesso verbo usato nel nostro testo, sia
255 Da questi usi però non dcduciaino alcunchè che possa illun1in<lrc il lesto cii 13,3. f<'orse in 20,17, nel!c parole che (ìesù affida alla i\1adclalena per i rratel!i: "sa/f!,o(dvaf3aivcu) al Padre inio e Padre vostro ... " si può ravvisare l'istanza a coinvolgersi nel can1111ino di Gesl1 di ascesa al Padre e a Dio, che è anche P<1dre e Dio loro. 256 Qui il verbo rropEVoµal è usalo in bocca ai giudei; nello slesso contesto
però, in boccn n Cìesì:1, è usato i! verbo Vrrdycu (v.33). 257 Per questo la partenza di Gesù deve essere 1notivo di gioia per i discepoli (14,28) 25
1'
Nello stesso verso, assie1ne a rropEVoµat, lrovia1no due usi dcl verbo
drripxoµat. 259
Due soli usi in questo senso in 16,7 (cl'r. nota precedente). Due soli usi nel c. J 7 (vv. Il. I 3). L' orienta111ento cli Gesù verso il Padre inol!re è espresso in 1,!.2 (rrpOç rOv 8E6v) e in 1,18 (ElS' rOv KOÀrr6v). 260
110
Attilio Ga11ge111i
anche perchè alcuni usi con imétyw, nel contesto del c.13, aiutano ad illuminare il nostro contesto. In 13,33, rivolgendosi ai discepoli in modo affettuoso (TE/Cvia),
Gesù affenna di essere ancora poco ternpo con loro 261 • Aggiunge subito dopo: "111; cercherete" e rifacendosi a parole dette ai giudei "dove io vlldo voi non potete venire" 262 , specifica che anche a loro dice
adesso (apn). La seconda parte delle parole di Gesù /CaL vµlv Myw éipTL, è alquanto oscura. A che cosa si riferisce l'avverbio éipTL, al ratto che Gesù dice anche ai discepoli ora ciò che prima ha detto ai giudei o al fatto che l'i1npossibililà a venire riguarda solo il 1no1nento presente? Probabilmente ad entrambe le cose'"· Ai discepoli Gesù prospetta la
261 Ancora per poco con voi sono; cfr. 7,33 dove si aggiunge il soslanlivo /(p6vov. 262 L'allusione chianuncntc è n 7,34 e 8,21. fl rifcr!n1enlo più diretto è 8 8,2 ! , dove !'in1possibilitù a venire riguarda dove Gesù 1Y1 (VrrdyN), 11011 dove Ges!Ì è (Elµ{) co111e in 7,34.36. I due testi appaiono però con1p!en1entari. in 7,34.36 si aggiunge l'espressione 11011 rro1,erere, in 8,21 invece 111orirete nei l'Ostri peccati. Non trovare Gesl1 signi rica 1norire nei propri peccati. In 8,23 si indica il n1odo con1e evitare di 1norire nei propri peccati, credere (cfr. però la forn1a ipotetica negativa: se 11011 crederete ... ). 26 ~ Il prin10 senso è suggerilo dalla correlativa Ka8r.Js-.. 1<a[ e Ja una relazione strutturale tra !e due espressioni: co111e ! .dissi 2. ai giudei 3. a voi anche 4. dico adesso ll secondo senso è suggerito dall'uso dello stesso avverbio in 13,37 che chian1111enle si rirerisce all'irnpossibiliti1 delhi sequchi al 1no1nenlo presente; n1n è suggerito anche dal diverso epilogo dci giudei e dci discepoli. Per i pri1ni l'epilogo è 11011 troi·are (7,34.36) e n1orire nei propri peccati (8,21), ai secondi invece è prospettata la 1<atv1 ivroAr] (13,34). Si può 8ggiungere un Lerzo 1nolivo strutturale.
L'avverbio é!prl, nella relazione strulturalc sopra proposta tra "co111e dissi ai giudei'' e "anche dico a voi ... ", sta fuori. Può essere adattabile un'nltra relazione strutturale: J. co111e dissi ai giudei 2. che dove io vado [ .. J 3. anche a voi dico 4. adesso (C/prl) In questo n1odo é!prl sarebbe oggetto dcl verbo ,\ÉyN. Bisogna però riconoscere che entrainbi i n1odi sono possibili e rorse l'evangelista li intese
La lavanda dei piedi
11 I
stessa impossibilità a venire che prospettò ai giudei; nello stesso tempo però si suggerisce che ciò riguarda solo il momento presente. La
Évrn,\rf dell' dymrav dAAr)Aov.) (v.34) sarà il loro punto di riferimento. Nei vv.36-38 il verbo imdyw è ripreso da Pietro e Gesù precisa che dove lui va egli uon può seguire ora (vvv), seguirà poi. Il dialogo però è negativo: culn1ina infatti nell'annunzio del rinnegamento 2 <1 ~. Volendo adesso riassumere, pare che alla parabola discendente
drrò ernv t6;Aeccv sia legata un'opera che Gesù deve compiere: è uscito da Dio ed è disceso dal cielo per compiere un'opera, quella che il Padre gli ha dato da compiere. Alla parabola ascendente rrpÒS' TÒv
0E0v VrrdyEL invece è legato il ca1nmino degli uon1ini verso il luogo dove Gesù va. Da questo cam1nino sono esclusi i giudei 265 ; per i discepoli viene solo dilazionato. Pare che quest'opera che Gesù deve con1pierc sia la diretta causa che abilita i discepoli a con1piere tale can1n1ino 2Mi; essa nel contesto se1nbra global!nente coincidere con I' €ÌS' TÉÀoS' ~ydrrryua di
13,12"'·
entran1bi. I discepoli rcr un verso concordano coi i giudei, per l'altro divergono. Concordano nell'in1possibilith a venire, divergono però nel fatto che per i giudei l'in1possibilità a venire è definitiva per la loro incredulitii, per loro è solo 1no1ne11Lanca: hanno bisogno dcli' rjydJTryaa Vµèi:; che faccin loro superare /' c111p{1sse e li incan11nini nel luogo dove Gesù va nella strada della KalvT, ÉvToÀ.rj. 26 ~ Non entro in n1erilo alla relazione Ira !3,33-35 e 13,36-38, tra la vicenda dci discepoli e quella di Pietro. I due testi appniono paralleli e antitetici. Ma la vicenda di Pietro si risolverà in 1nodo positivo (cfr. il triplice di<1logo in 13,6-l l e il triplice dialogo in 21,15-17 con le parole di Gcsl1 in 21.18-19). 5 H> Per la loro incredulità, co1ne si deduce dal contesto di 7 ,33-35 e da tutto il
c.8. 26 <' Cfr. !a stretta relazione tra I' l}ydrrryaa
Vµèi:; e la ÉJJTOÀ.rj (cfr. 15,9. ! 0) che si
concretizza nel!' dyarrGv dAArj,\ovs- ( 13,33 e 15, I 2s). 267 Pili precis<1n1entc l'opera che Gesù deve co1npiere pare consista nel dono dcll<1 vita eterna (3,14-16; 5,24-30; 6,40.54; 17,2.3). !Via alla vita eterna, il cui conscguirnen!o si ottiene 1necli<1nle la fede (cfr. lesti citali), si perviene qunnclo si raggiunge attraverso Gcslt il Padre (cfr. I 0,28-30; 17,2-3). Per potere raggiungere il Padre bisogna n1ettcrsi nel ca111n1i110 cli Gesli (14,6) e il punto di partenza che rende possibile questo can1111ino è <1ppunto I' T}ydITT]OEV cli Gesù (cfr. il clinarnisrno clell'
rjydTTT]aa fino al Padre deline<1!0 in 15,9.10). Trova precisa concretizzazione la Scrillura ancora v<1g<1 di ls 55,10.11. Per l'uso di questo lesto nel vangelo di Giovanni,
Arri/io Gangemi
112
4. Rilettura sintetica dei vv.1-3 Rileggendo globalmente quanto fin qua abbi.amo analizzato, i quattro participi concentrican1ente strutturati si collocano nello sfondo di due indicazioni cronologico-circostanziali: prhna della festa (/i pasqua - mentre si svolgeva il bancherro. Dal punto di vista storico le due circostanze non vanno separate: si tratta di un banchetto celebrato nell'imminenza della festa di pasqua. Dal punto di vista letterario l'autore s1ne111bra le due circostanze, creando due parti distinte pur relazionate dall'unico participio r:l8Ws- e dalla struttura concentrica dei quattro participi. Sull'indole di questo banchetto abbiamo già parlato e dovremo tornare ad esso alla fine ciel presente lavoro. E' sufficiente adesso dire che l'autore non lo identifica se1nplicen1ente con la pasqua co1ne i vangeli sinottici e ne1nmeno però da essa lo separa. Le due indicazioni tendono verso un termine. La prima, prima della fesra di pasqua, tende verso la festa cli pasqua, la seconda 111entre si svolgeva un bonchetfo, tende verso il suo compi1ncnto. La relazione lra le due indicazioni suggerisce la coincidenza nel loro tennine: la festa di pasqua coincide con il tern1ine del banchetto, rna al tern1ine del banchetto si celebra la festa di pasqua. Si sta svolgendo un banchetto al lern1inc del quale si celebra la festa di pasqua. Nella prospettiva della in1111inente festa pasquale, !1evangclista an1bienta una azione di Gesù ElS' TÉÀos- ~rdJ7T/CTEV, sullo sfondo di due proposizioni participiali. La pri1na, introdotta da El&J:;, espri1nc la
coscienza di Gesù di essere sul punto di operare un passaggio. In questa espressione possian10 vedere la vera celebrazione della pasqua coine passaggio. L espressione ha due caratteristiche: riguarda anzitutto Gesù, è la sua pasqua, il suo passaggio; la seconda riguarda il tipo di passaggio, che consiste nel passaggio da questo mondo al Padre. Nella pri1na espressione .si delinea il 1novin1cnto ascendente di Gesù, visto con1c un passaggio pasquale da questo n1ondo. La seconda 1
cfr. il 1nio studio: L'11tilizz.(1z.io11e del c. 55 de! libro di Isaia nel vangelo di Gio1,a1111i, in Synaxis 7 (1989) 7-90.
La lavanda dei piedi
113
espressione circostanziale (r/rdTTT/aaS') non riguarda più il rapporto di Gesù con il Padre, bensì con i discepoli, definiti come
rais
ÉI-' TI/) 1
1céaµ01: Gesù li ha runati. Abbian10 già notato con1e quest ultin1a indicazione si riferisca a tutta l'opera di Gesù fin dalla sua venuta nel n1ondo, fino alla distanza che egli detennina tra loro e il inondo. Avendoli scelti, egli li ha sottratti al mondo e li ha fatti suoi. Li ha f'atti diventare roVS' l8{ov:; e, pur essendo essi ancora nel mondo, ad esso tuttavia non appartengono. Gesù è entrato nel mondo e da esso li ha liberali. In questo senso li ha amati. Adesso deve portare a compimento (éiS' TÉÀOS') quest' opera cli amore, benchè l'evangelista
non spieghi in che cosa essa consista, nè in che n1odo essa si attui. I quattro elementi che costituiscono il v. 1268 , s1 possono strutturare secondo uno sche1na concenlrico 269 • Al centro risaltano le due espressioni participiali, relazionate ancora di più per il ter1nine
KwµoS'""· Tutto il v. I presenta un dinamismo progressivo, una tensione verso l1espressione El::; TÉ1\o::; rly6.T17]aE//. L'unico soggetto è Gesù nella sua duplice relazione, al Padre, verso il quale deve operare un passaggio, ai discepoli, oggetto di un amore che raggiunge i I suo culmine. Il progresso da dydrrryaaS' ad r/YdTTT/aEv si nota bene; meno si nota invece il progresso da Ei8u55' ad étyd1TTJaa::; 271 • In realtà il participio dydTl7}aa::; si legge n1eglio in progresso inverso. Esso si riferisce ad
una azione passata o iniziata nel passato 272 ; il parlicipio El8W:; invece espri1ne la coscienza attuale e presente di un'
26
g
La circosl<lll7.a
cronologica,
proposizione principale. zr, 9 pri11u1 della festa di Pasqua (A) COlll/)Ùl/el/fo (/11/Ò 270
le
ora già arrivata.
due circostanziali
participiali,
la
sapendo (B) - a1 endo (//11ato (B') - a 1
(A').
sapendo.. aFendo r1111a10..
ÉI<
ToV K6a;1ou
Év Tr;; 1c6(Jjl(.V
271 Bene si o!Lerrebbe il progresso da él8u'Jç ad T;ydT17]0EV, 1nettenclo tra parentesi dydrr77(JG5' .. Nulla però autorizza ta!e isola111ento cli espressione. 272 Cfr. il valore di aoristo ingressivo cli dydrr77(Jaç.
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Attilio Gangemi
Logicamente il participio éi&(o, con il suo contenuto, starebbe bene tra dydmwaç ed ryydmynv. Il senso emergerebbe abbastanza bene ed abbastanza coerente: Gesù ha amato i suoi che erano nel mondo, nel modo già indicato (dydmymç), ora, nella coscienza (él8Ws-) della venuta dell'ora di un passaggio, porta a compimento (Eiç TÉÀoç) la sua opera di amore verso i discepoli (dycimym5'). La relazione inversa che si può stabilire tra i due participi (éloWsdycimwaç) suggerisce una lettura inversa di tutto il verso nei suoi
quattro elementi 27 '. ln questa lettura inversa emerge una vicenda che riguarda non solo Gesù ma anche i discepoli, delineala tra le righe, il cui punto di partenza è Ei5' d,,\oç ryyctITT)D"éV: Gesù ha portalo a con1pin1enlo l'opera dì amore verso i suoi, con essa li ha raggiunti nel mondo (Év T!/J KOaµ(u). Nell'espressione introdotta da éi&(o non si fa alcun accenno ai discepoli, ma il testo tacitamente suggerisce che Gesù, avendo con la sua opera di an1ore raggiunto i suoi nel 1nondo, li ha coinvolti nel suo passaggio Ja questo mondo al Padre. Non è solo Gesù che passa da questo mondo al Padre, ma anche i discepoli. Il testo così presenta due 1novi1nenti, uno discenllente, direttamente descritto, quello di Gesù verso il compimento della sua opera di amore, l'altro ascendente, tra le righe insinuato, quello di Gesù con i discepoli verso la festa di pasqua, dopo avere operato un passaggio da questo mondo al Padre. Ma l 1espressione ÉK ToV K6crµov richia1na il suo corrispondente antitetico Ei5' T6v 1c6aµov214 • Lo schema così si allarga: il passaggio di Gesù da questo mondo richia1na la sua venuta nel 1nondo275 • Si può
27 -' Tale lettura inversa è legilli1nata anche per il progresso inverso che si può
stabilire tra l'espressione iv rrf; K6uµtp cd i-K roV K6uµov. 21 1 · Cfr. 16,28: "sono venuto nel (€lç) rnondo- lascio il 111ondo .. ". Cfr. i testi in cui si parla ùi u1ir1 venuta di Gesli nel inondo (3, 17.19; J 6, 14; 9,35; l 0,36; 12 ,45; 17.18; 18,37). 275 Si può ricostruire il seguente schen1a I. (Elç r6v 1<6crµov) 3. ÉK roV K6crµov
La lavanda dei piedi
I IS
ricostruire così tutta la vicenda espressa, sottintesa e allusa in 13,l. Gesù è venuto nel mondo ed ha amato i suoi nel mondo; li ha sottratti cioè al mondo e li ha fatti suoi. Adesso, nell'imminenza del suo passaggio pasquale da questo mondo al Padre, porta a compimento la sua opera di an1ore. Non si dice ancora in che cosa essa consista, n1a tra le righe, in lettura ascendente, si insinua che 1nediante essa Gesù intenda coinvolgere i suoi nel suo esodo, compiuto il quale si celebra la festa di pasqua. Nei vv.2.3 la prospettiva si restringe. Siamo durante lo svolgimento del banchetto. C'è un evento negativo che si è verificato: il diavolo ha gettato nel cuore di Giuda di tradirlo; è una situazione 2u, che caratterizza lo svolgimento del banchetto 277 • C'è però una duplice coscienza di Gesù, il fatto che il Padre gli ha dato tutto nelle mani, co1ne azione incipiente che deve tradursi in posizione stabile e definitiva, il fatto dell'origine (da Dio) e della destinazione (a Dio) che esige il compimento di un'opera, quell'opera per cui Gesù da Dio uscì e venne nel inondo, dopo la quale può tornare a Dio. Quale sia quest'opera, esigila dalla duplice coscienza di Gesù, dal testo direttamente non appare. Si può però intravedere nella prima coscienza di Gesù: essa consiste nel passaggio da una azione incipiente (€8w/CEV) ad una situazione definitiva (8É8w/CEV), da una tensione (Ei5' TÒS' XE'ipa5') ad una posizione pienamente acquisita (c'v
Ti)
XElp[).
Le due espressioni participiali dei vv.2.3 278 possono entrare 111 relazione con le due dcl v.1 27 ". La seconda del v.I sta in relazione con
la prin1a dei vv.2.3. Stanno a confronto i TOVS' l8lovS' con loWa:;, entran1bi infatti sono oggetto dell'azione di una persona,
2. Èv Tr;J 1<6aµ<v Gesù è venulo nel inondo - ha a1nato i :::.uoi nel inondo - lascia il rnondo. 276 Cfr. il perfetto {3E{3ÀTJK6Tos- che esprin1e una azione passala divenuta siluazione presente. 277
Cfr. la reJa7,ione tra il participio presente yu/oµÉvov e il participio perfetto
/3t:{3ÀT)K6Tos-: il banchetto si sta svolgendo all'on1bra di una azione che al presente pennane con1e situazione. 278
{3€{3À7]K6To5' - Ei8W5'
279
ci8W5' - dyd1TT)aa5'
Attilio Gangemi
116
rispettivamente però di Gesù e del diavolo. L'antitesi tra Gesù e il diavolo detennina una antitesi tra i ToVs l8{ov:; e' loV8a5'. Giuda non appartiene ai rnv:; iofov:;, anzi l'influsso di Satana determina in lui una azione contraria e antitetica a quella di Gesù: Gesù è soggetto di una azione positiva serso i suoi (ày6.Tl7)CJa:;), Giuda è soggetto di una azione contraria verso Gesù 2H11 • Il primo participio del v. l e il secondo dei vv.2.3, i due Eio"5
cioè, stanno invece in relazione cli continuità e di an1p!ian1cnto. Il secondo EiiSW:; amplia la prospettiva contenendo degli elementi in parte assenti dal prin10 c:l8Ws 21>i. In entra1nbi si cspri1nc un n1ovi1nento ascendente, n1a il secondo El84; an1plia la prospettiva considerando anche il movimento discendente di Gesù eia Dio. I due oggetti del secondo Eio1(J:; permettono di stabilire un progresso. Gesù ha avuto tutto dal Padre nelle n1ani e perciò esce da Dio e poi to1na a Dio. L'uscita da Dio sernbra trovare la sua cau.sa nel
Si può notare il para!lclis1no: i suoi Lraclirc fui Lo schcn1a però forse si può allargare: I. avendo an1ato i suoi 2. quelli nel inondo 3. il diavolo giù avendo gettalo 4. cli tradire /11i Se questo scherna è corretlo, Giuda non solo è nel 1nonclo, n1a appartiene al inondo, essendo sotto l'influsso elci suo principe. WI Si può notare nel pri1no oggetlo del secondo ElB{(;S' il lennine rranjp che richian1a i! rraTÉpa del pri1no El8cJ'}; inoltre i due BE6'} ciel secondo og:gelto dcl .secondo El8ù)'}: lHO
avendo a1nato
rraTÉpa - rranjp - drrO 13EoV - rrp0'} TÒ !3E61;
L'espressione rrpòç del v. I:
µETG/36 rrpOç TO BE6v rrpò:; TD 0E6v VrrdyEt
TOÙ
0E6v dcl v.3 richian1a l'espressione rrp05'
TO Oc6v
La lavanda dei piedi
Il 7
fatto che il Padre gli ha dato tutto nelle mani. Ma tra la sua uscita da Dio e il suo ritorno a Dio, bisogna presupporre una azione che permetta il passaggio da un potere incipientemente dato a un potere definitivamente acquisito, cioè il passaggio da €8w1<Ev a &!8w1CEY e da cls- xctpa5'a Év
Tf;
X€tp[282 . Co1npiula questa azione, Gesù può tornare
a Dio. Ma qual è la relazione tra la pri1na espressione participiale ( ToV &af36Aov f3E/3Xf}1<6roç) e la seconda (€l8u}c;) con i due oggetti? La
relazione può emergere da un rapporto strutturale che in due modi lega le due espressioni; il duplice modo contrappone rispettivamente Satana al Padre 2io, Giuda al Padre 28 ~. Satana e Giuda concorrono
282
Si può presupporre il seguente schcrna: l. tutto diede (€8rt1KéV) a lui il Padre nelle inani (Ei5' rà5' XElpaS') 2. che da Dio uscì (i{f;ABév)
3. (tutto diede [h'€8r11KEVI a lui il Padre nella !nano [ÉY rii XEtp[]) 210 L'antilcsi trn il Padre e Satana c1nerge dalla seguente relazione strutturale: I. i! diavolo 2. avendo gettato ne! c11ore
3. di tradire lui 4. tutto 5. ha dato 6. il Padre 11e!le 111a11i
che può essere semplificata nel seguente 1nodo: 1. il diavolo 2. avendo gettato 3. nel c11ore 4. diede 5. il Padre 6. nelle 11u111i 284 L'antitesi tra il Padre e Giuda e1nerge dalla seguente relazione strutturale: 1. rrapa8ol oppure l. rrapa8ol
2.aVr6v
2. aùr6v
3. 'I oV8as-
3. '!oV8as4. f'8WKEV
5.aùrc!J 6. b llan)p
4.
rrdvra
5. /8wKEV 6. 6 llanjp
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Attilio Ga11gen1i
nell'opera del tradimento, l'uno isp.ii"ando, l'altro realizzando. Il tradimento rende storicamente possibile la passione 285 • In realtà la passione non è determinata nè da Satana nè da Giuda, bensì dal Padre. Essa è l'opera esigita dal fatto che il Padre ha dato tutto nelle mani ed è l'opera per la quale Gesù da Dio è uscito, dopo la quale egli torna a lui. La menzione dell'azione di Satana nel cuore di Giuda e la menzione del suo tradimento hanno così due scopi, indicare in questo avveni1nento l'inizio storico dell'opera di Gesù, inostrare nello stesso tempo che essa non è determinata nè da Satana nè da Giuda, bensì dal Padre: da essi e dalla loro opera Gesù rimane profondamente libero. Un terzo aspetto nella menzione del tradimento di Giuda si può facilmente evidenziare: essendo sotto l 1intlusso on1icida di Satana, Giuda ri1nane escluso dall 1opera di Gesù; auto1naticamente è destinato alla morte. Alla luce di tutte queste osservazioni, possiamo rileggere il testo fin qua considerato, soprattutto quello gravitante attorno ai quattro participi. ! due participi Ei8W:; ci offrono un triplice sfondo che costituisce anche la coscienza di Gesù: l'ora di operare un passaggio da questo mondo al Padre, il fatto che il Padre ha dato tutto in mano a Gesù, il fatto che da Dio è uscito e a Dio va. Questi tre aspetti, oggetto dei due d&i;-, facilmente possono ricongiungersi in una prospettiva globale unitaria, in duplice lettura lliscenllente e ascendente. In modo discendente, l'imminenza dell'ora di passare da questo mondo al Padre esige che Gesù compia una azione che gli permetta di rendere definitivo e stabile in mano sua tutto ciò che il Padre gli ha dato. Questo è lo scopo per cui egli da Dio è uscito, compiuto il quale, può tornare a Dio. In lettura ascendente, Gesù è uscilo da Dio ed è venuto nel mondo per compiere un'opera, dopo la quale egli può tornare a Dio. Il compimento di quest'opera gli permette di rendere stabile e
285 Si intravede che l'opera che Gesl1 deve co1npierc è la passione.
La Lavanda dei piedi
119
definitivo nella sua mano quanto il Padre gli ha dato. Dopo ciò, egli può operare un esodo, un passaggio da questo mondo, ovviamente non da solo, ma assieme a quelli che, in modo stabile e definitivo, sono nella sua n1ano. Al centro, gravitanti attorno ai due participi centrali, àyamjaa<;-
f3cf3ATJKOT05', ci stanno i due personaggi antitetici, gli iOfov<; di Gesù e Giuda, gli uni oggetto dell'opera di Gesù (àyamjaa5'), l'altro oggetto dell'opera di Satana (/3E/3ATJICOTO<;). I primi stanno in relazione al passaggio pasquale di Gesù, si pongono in continuità con questo evento, suggerendo l'evangelista che essi in questo passaggio sono coinvolti; il secondo invece sta in relazione più diretta al fatto che il Padre ha dato tutto nelle mani di Gesù. Si pone però non in continuitit ma in opposizione a questo evento, suggerendo l'evangelista che dalle mani di Gesù è escluso, coinvolto nel giudizio di esclusione dcl principe di questo mondo. Questo dualismo antitetico dei TOV5' LSfov<; e di Giuda, richiama altre antitesi. Anzitutto il duplice potere antitetico dato a Gesù di dare la vita e di compiere il giudizio, delineato nel c.5: ai rov<; l8fov<; Gesù darà la vita, contro Giuda compirà il giudizio. Inoltre si richia1na 12,31, dove da una parte Gesù dichiara che ora si compie il giudizio di questo mondo e il suo principe sarà gettato fuori, dall'altra (v.32) annunzia che quando sarà innalzato da terra, altirerà tutti (rrdvTas-) a sè. Si richiama infine 17, 12 dove Gesù dichiara di avere custodito
quanti il Padre gli ha dato e nessuno è perito (à7TWAETO) se non il figlio della perdizione ( T~5' àmv?.Eia<;) 286 • Rimane ancora da sapere qual è l'opera che Gesù
deve
1
compiere. Essa è stata generican1ente indicata nell espressione ElS' rÉÀo<; ryya7TT)<IEV del v.l, ma, per il parallelismo che si stabilisce tra
questa espressione e la serie dei verbi dei vv.4-5, essa deve essere
W6
Cfr. gli usi di dJTcJ).)vµt in J 0,28, dove Ja perdizione è esclusa per le pecore alle quali Gesù dà la vita eterna e che nessuno può rapire dalla sua n1ano; e in 3, ! 6 e 6,39 dove la perdizione è evitata 1nedianle la fede.
120
Attilio Gan.gemi
cercata in questa serie di verbi, n1a deve essere cercata anche nel contesto della narrazione della passione 287 • (continua)
287 Aù essa ci rin1anda già i! tcnninc TÉÀ05' di 13,1, che richian1a i due usi cli TÉÀE6J
in !9,28.30. Ad essa riinandano anche i due participi di olOa (él8W5'). Il
partici pio El8u5ç, ollre i due nostri testi ( ! 3, ! .3), si legge anche in l 8,4 e I 9, 28, all'inizio cioè e quasi alla fine della narrazione della passione. Un nitro uso però è in 6,61, e ci{) rende n1eno cogente la relazione tra i due usi cli 13,l.3 e quelli cli 18,4 e 19,28. Si può notare però che nel contesto di J 8,4 è 1nenzionato Giuda e nel contesto di 19,28 si legge il verbo T€ÀEW. Sì cletennina tra i quattro usi di cl0W5' una relazione letleraria-strutturale nel seguente rnodo concentrico: l. (13, I): sopendo ... a co111pi111en10 ainò 2. ( 13,2.3): Gh1da ... sape11do
3. ( 18,3.4): Giuda ... sapendo 4. (19,28-30): sapendo ... tutto è stato co111piuto - è sia/o co1npiuto Negli usi in rel::rzione a Giuda (2.3) El8Ws-, riferito alla conoscenza di Gesù sta dopo, negli usi relazionati al cornpi1nento ( l .4) sta pri1na. Si può notare con1e i I termine rrdvTa, oggetto di l8wKEV che costituisce l'oggetto di El8Ws- in 13,3, si legge anche in 18,4 e 19,28, sen1pre co1ne oggetto globale di El8Ws-: l 3,3: sopendo che flllte le cose diede 18,4: sapendo tutte le cose che dovevano accadere 19,28: sapendo ... che tutto era stato conipiu!o Non entro in 111erito, aln1eno per ora, ai testi di 18,4 e 19,28, n1a è sufficiente dire che nello sviluppo eia 18,4 a 19,28 deve essere cercata l'opera di Gesù insinuata in
13,3. A riguardo anzi si può notare che gli usi di Ei8u5s- in 13,3 e 19,28 stabiliscono una duplice relazione cli Gesl1, al Padre ( 13,3) e allo Spirito ( ! 9,30). Gesù st<r al centro tra il Padre e lo Spirito, in relazione passiv<r al P<rclre (cl<r lui riceve), attiva rispetto a!lo Spirito (che dona). In 19,30 bisogna cercare il vero cuhnine del!'opcra cli Gesl1 insinuata in I 3,3.
Synax;s XIV/2 (1996) 121-148
CHIERICI ED EROS NEL MEDIOEVO LATINO En.os ED AGAPE NELLE Tf{ADUZJONI LATINE DELLO PSEUDO DlON!G!
MAURIZIO AL!OTIA'
A tutti è noto quale sia oggi il campo semantico del termine eros e dei suoi derivati. Si tratta di un codice linguistico ben caratterizzato, a volte esaltato a volte guardato con sospetto, soprattutto in a1nbito teologico. Questa caratterizzazione è tipica della cultura occidentale odierna, mentre una siluazione diversa troviamo là dove è ancora viva una tradizione culturale legata alresperienza spirituale del cristianesimo orientale. Mentre la tradizione occidentale tende progressivan1ente a contrapporre eros ed agape, quella orientale cerca di vederne la conciliabilità. In altri termini s1 tratta della contrapposizione o integrazione di an1ore u111ano e an1ore divino. La letteratura teologica degli ultimi decenni si è occupata della natura dell'eros, nella sua presunta contrapposizione all'agape. Si tratta di tentativi che cercano di avallare la contrapposizione 1, oppure di mostrare che essa è tipica solo dell'Occidente, ma 11011 dell'Oriente cristiano 2, o ancora tentativi di rinnova1nento della cultura teologica occidentale recuperando la tradizione orienlale\ o di nuova sintesi 4 .
Professore
di Teologia doginatica nello Sludio Teologico S. Paolo di
Catania. 1 A. NYGREN, Eros e agape. L1 nozione cristiana dell'mnorc e le sue trasfonnazioni, trad. it., Il Mulino, Bologna 1971. 2 F. FAROS, i.Li natura dell'eros, traci. it., Cens - Interlogos,. l\1ilano-Schio
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Maurizio Aliotta
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In questa sede voglio osservare che un certo dibattito intorno alla natura della relazione tra eros e agape non è solo di oggi. Già all'epoca cli Dionigi Areopagita la conflittualità tra eros e agape dovette essere posta se quest'ultimo sentì il bisogno di giustificare l'uso che faceva di questi termini. Poiché le opere cli Dionigi si diffusero in Occidente mediante numerose traduzioni latine tra il IX ed il XII secolo, ritengo che lo studio di esse ci possa aiutare a verificare come in Occidente si percepì il dibattito nei centri culturali di allora: la corte franca, i n1onasteri e le scuole. Ritengo che una verifica dell'uso della terminologia adottata dai traduttori tra il IX e il XII secolo, confrontata con quella corrente del loro ambiente, possa costituire un utile contributo al dibattito attuale sulle radici della odierna concezione occidentale dell 'a1nore un1ano e de Il' a1nore
divino. Accennerò, perciò, innanzi tutto ai motivi dell'introduzione cli Dionigi in Occidente attraverso le traduzioni latine, poi allo status quaestionis nell'opera dionigiana, in ultimo darò uno sguardo d'insierne ai testi
latini.
lntrorluzione delle opere di Dionigi in Occillente E' probabile che la cronaca delle versioni latine del Corpus tlionys·incu1n ricevette un i1npulso fonda1nenlale per 1notivi politici, legati al regno Franco. Nel VI secolo, infatti, furono trasferite nel monastero benedettino di St. Denis, presso Parigi, le ossa di Dionigi, vescovo di Parigi e santo protettore del regno dei Franchi. Ma a partire l 993. Per certi versi cfr. C. Y ANNARAS, Variazioni sul Cantico dei Cantic·i, traci. i t., Ccns - lntcrlogos, Milano-Schio 1992. 1 J. BASTAIRE, Hro.1· redento, tra(\. it., Qiqajon Comunità Ji Bosc, Magnano (Ve) !99!. Cfr. pure, L'e!ic(/ dell'eros tra.1jig11rafo, a cura dcl Centro Aletti, Lipa, Ro1na (cli prossi1na pubblicazione). 4 E. C. VACEK, s.j., Lol'e, !Iu111a11 and Divine: The !ieart of C/11·istians Ethics, Gcorgcto\vn University, Washington 1994. L'autore distingue tre generi dell'ainore cristiano: possian10 mnarc l'an1ato per mnorc dcll'an1ato (agape), per il nostro ainorc (eros), per a1nore della relazione che si ha con l'an1alo (philia). L'mnore u1nano è cornpleto quando i Lre generi sono co1npresenli e ognuno di esso può essere una fonna di cooperazione con Dio.
Chierici ed eros nel Medioevo latino ~~~~-~~~~-
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dal IX secolo egli fu identificato col presunto autore del Corpus in questione, Dionigi Areopagita, discepolo di Paolo. Queste opere, dunque, assunsero un particolare significato per i Franchi, tanto che Carlo il Calvo' indusse Giovanni Scolo Eriugena a tradurle, nonostante vi fosse già la versione di Ilduino abate di St. Denis6 E' anche probabile che fu proprio per desiderio di Ilduino che le opere di Dionigi furono consegnate da una delegazione dì Bisanzio giunta a Compìègne nell'827, in occasione della crisi iconoclasta. Esse, poi, furono tradotte tra 1'832 e 1'835 7 • Successivamente il Corpus fu nuovamente oggetto di traduzione, quasi ad intervalli regolari. Intorno al 1167 sì cimentò nell'opera Giovanni Saraceno, tra il 1237 e il 1243 Roberto Grossatcsta, tra il XIV e XV l'umanista camaldolese Ambrogio Traversari, poi ancora
5 Tra i gruppi di intellettuali che operarono durante il rinasci1nento carolingio, il piì:1 nu1ncroso ru quello della corte di Carlo il Calvo, dove operò Giovanni Scolo Eriugena, dagli anni '40 agli anni '60 dcl secolo IX. Si tr<1tla di un gruppo 111o!to vivncc, stlinolato dallo stesso Carlo a cui furono dedicate una cinquantina di opere. La cosiddelta terza fase della rinascenza carolingia fu pili varia di quella cli Ludovico il Pio. Non vi sono solo gra1n1natici scolastici, n1a anche filologi e un1anisti dotati cli sapere universale, co1ne Lupo cli Ferrières (diocesi cli Scns), Heirie di Auxerre e Giovanni Scolo. Anche la poesia annovera esponenti di rilievo, tra cui Sedulio Scolo, Milo di S. An1and, Godescalco, Wandalbert di Pril1n. Oltre le ar!es, gli autori coltivano anche l'esegesi biblica e la poesia religiosa, con l'introduzione, per opera di Otfrid, nell'antico alto tedesco dc! verso quaternario con rin1a finale usato nella poesia latina conte1nporanea. Buona attenzione ricevettero storia e agiografia. Alle corti del regno franco ccnlrale e occidentale, la lingua greca fu studinta e conosciuta in particolare dai due irlandesi Giovanni e Sedulio Scoto. Per il quadro culturale generale della rinascenza carolingia, cfr. E. E\VIG, LL1 Chiesa occide111a/e dalla 111orte di Ludovico il Pio alfa fine de/l'epoca carolingia, in Storia de/la Chiesa. IV. Il pri1110 111edioevo, a cura di J-1. Jedin, trad. it., Jaca Book, f\1ilano 1972. 6 La traduzione di Ilduino lasciò così poche tracce che J. De Ghel!inck, M. Grabrnann e altri ritennero che l'arcicappcllano di St. Denis non avesse con1pletato la traduzione (cfr. P.G. THERY, Etudes dionysie1111es, I, [«Etudes dc Philosophie Médiévnle», XVI], Vrin, Paris l 932, 13). La vera conoscenza di Dionigi si ebbe con la traduzione di Giovanni Scolo. Secondo M.-D. Cl-IENU, LL1 teologia nel A1edio Evo. La Teologia nel sec. Xli, trad. il., Jaka Book, Milano 1972, 137 - 143, la leLLura di Dionigi divenne alliva nel secondo terzo del secolo XII (ibid., 137). Per !a presenza del Corpus dio11ysiac11111 fino a quell'epoca, cfr. J. DE GHELLINCK, Le 111ouvc111c11t 2
théologique au XI( siècle, Vrin, Paris 1947 • 7 Sulla presenza di elcrncnli greci nell'educazione i1npartita nelle scuole del regno franco, cfr. B. BISCHOFF, Das griechische h'/en1e11t in der abe11dlii11dische11 Bild1111g des Mille!alters, in Byzantinische Zeitsc/11·(fr 44 (1951) 27 - 55.
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Maurizio A/iolla
Pico della Mirandola'. Noi fisseremo la nostra attenzione soprattutto sulle prin1e quattro traduzioni per tentare di cogliere se esiste una certa evoluzione nell'uso dei tehnini con cui i traduttori latini resero il testo greco. L'csan1e sarà parziale, co1ne è ovvio, perché considererà la traduzione di soli due terrnini del Corpus, particolannente significativi per la problematica che sottendono: eros e agape.
Status quaestionis Uno dei problemi che i traduttori medievali delle opere di Dionigi Areopagita si trovarono di fronte fu quello di rendere 111 latino i tennini usati nella discussione sui "no1ni" divini, la cui dottrina è esposta nel libro IV del trattato sui "Nomi divini". Si tratta sostanzialn1entc della possibilità cli attribuire a f)io alcuni "non1i" che noi usiamo comunemente nel nostro linguaggio. Nella prima parte del libro IV, Dionigi riflette sul nome Bene (e altri affini), ispirandosi alle note pagine del Convivio platonico'). Nella seconda parte si considera il rapporto tra il niale e la causalità universale e la provvidenza divina, cioè a dire il problema della consistenza ontologica del male. Nella prima parte, dove si raggiunge un tono lirico molto elevato, !'eros platonico è identificato con ragape cristiana ed è visto nel significato
s Lo studioso dispone di una sinossi dcl testo greco e delle tredici tn:icluzioni latine conosciule, a cura di PH. Cr·JEVALIEl<. l)ionysiaca. Recucil clonnan! J'ense1nblc ùcs traùuctions latincs des ouvragcs a!lribués au Denys dc l'Aréopagitc, 2 voi! .. Desclée dc Bouwer, Paris 1937 - 1950. I testi di llduino, Scoto Eriugena, Giovanni Sar;.1ccno, Roberto Grossatesta e Ainbrogio Traversari sono disponibili in CD-ROtv! edito da CETEDOC LJL\RARY OF CJIRJST!AN LATJN TEXTS dell'Universith Cauolica di Lovanio (Lovanio Nuova), Brepols, Turnhout l99LJ. Le singole opere di Dionigi saranno così indicate: "I no1ni divini" : : : : No; "L<1 gerarchia ccclesias!ica"::::::: EG; "La gerarchia celeste"::::::: CG; "L'epistolario" : : : : E. I testi citali sono tr<1lti ch:illa sinossi di Chevalier e saranno indicatì in sigla con l'indicazione della divisione interna dell'opera a cui si riferiscono e la pagina della sinossi. 9 A. M. Rillcr ritiene lo Pseudo Dionigi «forse il più inOucnte anello di congiunzione tra la teologia della chiesa e la filosofia platonica» (Ha11db11ch der Dog111e11- 1111d Theofogiegeschichte, Giittingen, I, 279).
Chierici ed eros nei Medioevo lotino
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125 _____ _ _ ,,,
di un uscire da sé (eros ekstatikòs), in molteplici direzioni in relazione al grado di essere in cui i singoli an1anti si collocano. Proprio l'identificazione di eros e agape o la loro netta contrapposizione diventano ele1nenti caratterizzanti due rnodi di concepire la realtà dell'a1nore u1nano e divino e le loro 1nutue relazioni. Senza voler indulgere a sen1plicistiche sche1natizzazioni, potren1mo dire che nella linea dell'identificazione s1 1nuove buona parte della tradizione greca, n1entre nella direzione della contrapposizione buona parte di quella occidentale. Basti qui citare il pensiero, che ha fatto scuola in 1nolti a1nbicnti, dell'autore scandinavo luterano A. Nygrcn, il quale riteneva che «non si può stabilire nessuna analogia diretta fra eros e agape» 111 • Invece, il teologo greco ortodosso F. Faros sostiene la conciliabilità dell'agape con l'eros, se rettamente inteso secondo la tradizione patristica greca 11 • Comunque, oggi, si tenta di equilibrare la concezione occidentale con la riscoperta e la valorizzazione del pensiero orientale greco da parte dei teologi latini e con la ricerca storica delle radici con1uni ad Oriente e Occidente che hanno gcrn1ogliato in piante più nun1erosc di quanto non si creda 12 • Per questo l'esame delle versioni latine delle opere dionigianc e del loro an1biente può risultare utile. Nella scella dei tern1ini latini per
10 !\. NYCifU:N, OJJ. ci'!., 13. Non è estr:.1nea alla posizione dell'autore la sua appartenenza conrcssionale. 11 F. FAJH)S, OJJ. cii. L'interesse di questo libro sta pure nella critica conciolla al pensiero occidentale, elle avrebbe proprio snaturalo la natura dell'eros riducendolo a fatlo 1nerainente istintuale, contrarian1cn1e all<1 tn1dizionc patris1ica greca. 12 Così potè dire un autorevole studioso cal!olico: «Taluni studi 111oderni, brillanti, ricchi di considerazioni illun1i11anti, n1a troppo in1bcvuli cli un sislen1atis1no che la storia non conosce e che è vn110 volere imporre ad cssn, hanno preteso di carnllcrizzare l'evoluzione spirituale del cristiancsin10 p<llristico con1c un passaggio dalla religione profetica <l una religione mistica: vi si mostra l'irnrnersione progressiva dcl tenia ev;1ngelico dc!!'tigope ne! terna ellenistico del!' eros, essendo presupposto o priori che n1istica cd ellenis1no !"rlccian tu!t 'uno» (L. BoUYER, W spiritiolit<Ì dei Padri. (III-VI secolo) Ivlonachesin10 antico e Padri, Lracl. il., Eon, 2 Bologna 1986, 279 [lii. or., Paris 1966 ]. E' un'autorevole critica alla storia" Lesi! La critica di Bouyer era rivolta allo stesso Nygrcn. Per i tentativi recenti cli distinguere agape, eros ephilia, non per contrapporli, 1na per integrarli in una visione organica, cfr. nn. 3 e 4.
126
Maurizio Aliotta
mutamenti culturali e gli tradurre sia eros che agape s1 scorgono orientamenti dei traduttori. L'uso del tennine eros e la sua identificazione con l'agape era per Dionigi pienamente legittimo, sebbene già con Origcne si manifesta una certa cautela perché nella traduzione greca dei LXX delle Scritture ebraiche e negli scritti neotestan1entari mai si usa il sostantivo l'pùJS' riferito a Dio ("Dio è amore") e solo due volte il verbo ÉpaaGat è impiegato per dire che gli uon1ini devono "an1are" Dio. I termini usati comunemente erano il sostantivo dydTTT] e il verbo
dyarrdv che nel greco non biblico avevano un significato diverso 1.-i. Per questo Dionigi spiega i motivi per l'uso che egli fa di l'pw5'. Egli è convinto che nella Sacra Scriltura questo terrninc non è usato solan1ente perché abitualinente il tern1ine viene adoperato con un senso volgare. Così in alcuni passi della Genesi si adopera una diversa terminologia anche per designare il legame tra gli sposi. Ma se il tern1ine è in1piegato correltan1ente, cioè non con1e slancio verso falsi beni, n1a verso i veri beni, esso ha ]o stesso significato di dydnr1 e si può riferire a Dio e alle creature superiori, così come hanno fatto alcuni 1naestri. Così inteso, l'eros come il bene penetra tutto l'universo ed è per sua natura estatico.
13 ((Agape infatti sen1bra tern1inc accolto dai Setlanta a causa dell'avvertita inadcgualc?:za dei tennini greci éros, storgé e pili/io. I Seua11ta /o avrebbero ricav<ito dnl verbo agapao, che non aveva proclollo nella lingua classica un sostantivo corrente 1... 1. Non pare estranea alla forn1azione del lennine agape, o per lo 1neno alla sua diffusione, la sua assonan?:a con la parola ebraica 'ahaba, che era forse gi?1 staia notata al ternpo dei prin1i rapporti tra i Greci e i Sc1niti, soprattutto Penici [_ ... ]. Co1ne non è secondario il fatto che, in urca greca classica, i! verbo axapao non avesse la carica de1noniaca di eran e nen1n1eno il calore, tullo un1ano, di phileio, bensì indicasse un ainorc che discerne e che conserva il suo oggetto. Sicché, se 'era11 nel suo significalo più alto e\iprirne l'anelito dell'uon10 verso il soprasensibile, !'an1ore per il divino', 'ogapan, ìnvecc, indica piu!loslo l'ainore che si irradia eia Dio, !'ainore dcl potente che solleva l'u1nilc e lo innalza al di sopra degli altri' [ ... I» (L. PJZZOLJ\TO, L'idea di a111icizia nr:I 111011do antico classico e cristiano, Einaudi, Torino 1993, 216217). Cfr. E. STAUFfER, Agapao, axape, in G. KlTfEL, Grande Lessico de! Nuol'o Testa111e11to, I, trac!. it., Paideia, Brescia 1965, coli. 57 - 146.
Chierici ed eros nel Medioevo latino ~~~~~~~~
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127
Il significato dell'amore così inteso è quello di uscire da sé, con un movimento che può procedere dall'alto verso il basso o verso gli altri esseri del medesimo ordine, o dal basso verso l'alto, presentandosi ora con1e provvidenza, ora come solida1~ietà, ora co1ne conversione. Vengono di seguito presentati, dapprima, i risultati dell'indagine globale sui testi del Corpus e, in un secondo momento, la discussione particolare sul testo del libro IV dei "Nomi divini".
Il quatlro d';,1sie111e
Dall'insieme delle prime quattro versioni latine del Corpus dionigiano emergono questi dati: Nella traduzione più antica, quella di Ilduino, eros (ND) è tradotto con cupiditas (32 volte); agape con caritas. Si ha perciò la coppia
eros/cupidilas - agape/caritas. Nelle traduzioni di Scoto, Saraceno, Grossatcsta eros è tradotto, invece, con amor (32 volte); agape con dilectio. Si ha perciò la coppia eros/amor - agape/dilectio. In verità Ilduino usa anch'egli i termini an1or e lhlectio, 1na per tradurre rispettivamente philia (9 volte) e agape (4 volte). Una volta egli usa cupiditas per tradurre lo stesso agape. In questo modo: mentre eros è tradotto da Ilduino sempre con cupiditas, agape è tradotto con tre termini: caritas (3 volte), cupiditas (1 volta), di lectio (I volta). Scolo, Saraceno, Grossatcsla traducono eros sempre con amor; agape è tradotto da loro sempre con dilectio. E' evidente che la terminologia con Scolo si stabilizza: an1or traduce eros,
dilectio traduce agape. IVIentre in llduino qualche volta trovia1no il terr11inc caritas, negli altri tre n1ai.
Fornian10 di seguito i quadri statistici analitici delle traduzioni. EPDX in ND - amor
Maurizio Aliotta
128
La forma €pw5' in ND è tradotta con
cupiditas
32 volte da Ilduino (quando è in coppia con
dyf/mry [caritas], cfr. tabella dilectio) an1or
32 volte da Scolo, Saraceno, Grossatesta, (in
coppia con éqc!.JTry [di lectio], cfr. tabella)
Con amor llduino traduce la forma rpiAla (9 volte), che Scoto traduce societas (2 volte) e arnicitict (6 volle + I an1icu111) - Saraceno tnnicitia (6 volte + I 0111ictnn), Grossatesta arnicitia (6 volte + I on1ic11111).
Le forme cponKfi5' (1 volta) ed épacnòv sono tradotte: llduino Scolo
Saraceno Grossa testa
cupit!iolis a1natoriae a111ativi
cupidiale a111abile a111abile
a111ativz1111
arnatun1_
La forma rrpouJTa0cia5' (1 volta) è tradotta da Ilduino
a111ore (111aterialiur11)
La forma JT60ip (I volta) è tradotto da Ilduino: Scolo: Saraceno: Grossatesta:
a111ore
desitlerio desiderio desiderio
Chierici ed eros nel Medioevo latino
129
In sintesi: Ilduino:
cupiditas
traduce
l!pUJS'
a1nor
traduce
<f>dla rrpomra@da5'
rr6e4! Scolo:
an1or
traduce
Saraceno: Grossatesta:
AGAPH nei ND: riferito a Dio, DILECTIO Le forme Aydrrry e dydrr17cn5' ricorrono 8 volte in ND.
Aydrrry è tradotto con di lectio (sempre) da Scolo Eriugcna Giovanni Saraceno Roberto Grossatesta
caritas
(4 volte) da
Ilduino
(3 volte) da
Ilduino
cupiditas (I volta) da Ilduino
* dunque,
la tern1inologia di dydTT17, in riferin1ento al c. IV della
p. I dci ND, in Scolo, Saraceno, Grossatesta è stabilizzata (dilectio). Solo in llduino è variabile (di/ectio, caritas, cupiditas). Quando àydm7 è in coppia con €pw5' si hanno le seguenti traduzioni:
dilectio - arnor
sempre
111
Scoto
Maurizio Aliotta
130
*
(16 volte)
Saraceno Grossa testa
caritas - cu11iditas
3 volte
111
Ilduino
dilectio - cupiditas
3 volte
111
Ilduino
dunque, Ilduino traduce /!pw5' con cupiditas, mentre dyriTTT)
con caritas e di!ectio. Quando dyriTTT) è da solo, una volta è tradotto con cupiditas, con1e sinonimo di €pw:;. Gli altri traducono /!pw5' =amor e dyriirry =di lectio.'"
L'cspressione'EpwTucd5' 8rnì.oy[a5' (l'amore di Dio) è tradotta u1 modi diversi dai cinque traduttori, anche se sostanzialinente coerenten1ente con quanto sopra: Ilduino: cupidiales theologias, Scoto: amatorias theo!ogias, Saraceno: nrnath1is theologiis, Grossatesta: theologias amationes,
AGAPH in EG e E. Vlll
La forma dyriirry in EG ricorre 4 volte e I volta in E. VIII. E' tradotta con se1npre da Scoto, Saraceno, Grossatcsta di lectio 3 volte da Ilduino (una volta lo omette)
1.+A!tra
C!l.
traduzione ce !a fornisce Pico della Mirandoln: caraos - a111or. Testo in Dyonisiaca, I, 209.
CHEVALIER,
Chierici ell eros nel Mellioevo latino
13 l
caritas
l volta da Ilduino ncll'E. VIII
Con dilectio
I volta Scolo traduce rptAav8pwrriao;
Ilduino: "libcralitatem"; Saraceno: "benignitaten1"; Grossatesta: "philantropian1"; Tabella ricpi}?gativa dilc~b_o, amor, c~ri~~ Oi/cctio ND EG CG E
4
3
8
4
G. Saraceno
8
4
R. Grossatesla
8
4
Ilduino
!--------· ---Scoto Eriugena
A111or NDEGCGE
11
3 1 2
1
28
7
1
28
12 6
27
15
5 2
C11rit11s NDEGCGE
3
1
1
1
e
D
A
7
17
5
13
42
1
13
47
12
47
----------
1
--
-----
Ta~~lla
Forma
àyd1Tl)
5
2
2
riepilogativa vocabolario dell'amore di Dio Ilduino
Scoto
Saraceno
Grossa testa
caritas (3)
dilectio
di lectio
dilectio
ainor
a1nor
cu11or
cupiditas (!) dilectio (4)
(pù!S" rplÀia
cupiditas ;:i1nor (9)
socictas (2)
;u11icitia (6)
an1icitia (6)
a1nicitia (6)
an1icu1n (1)
an1icun1 (l)
benignitaten1
philantropia
amore
philantropi;:in1
an1icu1n (1)
cplAav8pwrriaS"
liberalitate1n
dilectione111
cj>tAavepwrr[av
cle111entian1
hu1nanitate1n
hon1inu1n ÉpWTlldj5'
cupidialis
amatoriae
a1nativi
an1ativu1n
ÉpaarOv
cupidiale
an1abile
amabile
a1natu1n
rrpoarra8E{a5'
a1nore
rr6841
a1nore
desiderio
desiderio
desiderio
Maurizio Aliotta
132
Perché agape è sempre tradotto, con la sola eccezione di Ilduino, con llilectio, mai con an1or o caritas? Solo Ilduino talvolta traduce agape con caritas (altre volle con dilectio e, una volta sola, con
cupiditas). Perché il tern1ine anzor è riservato ad eros? (Ancora una volta con l'eccezione di Ilduino che traduce eros con cupiditas, mentre amor è riservato a philia). E' ovvio che la traduzione di Ilduino fa storia a sé, mentre quelle di Saraceno e Grossatesta, in diverso n1odo si ricollegano a Scoto Eriugena. Particolar1nenle significativo si rivela perciò l'ambiente semantico dell'opera di quest'ultimo. Si potrà poi verificare se l'uso dei termini nelle traduzioni corrisponde a quello della letteratura teologica compresa tra il IX e il XII secolo. Punto di partenza sarà il testo del libro IV dei "Nomi divini".
!I testo del libro IV dei "Nomi divini" e le sue traduzioni «Ma perché non sembri che io dica queste cose nell'intento di sovvertire la Sacra Scrittura, le ascoltino coloro che accusano il
[t"pwrn5']: Anwla, dice, e ti salverà, abbracciala e ti esalterà, onorala affinché ti afferri tutto (Prov 4, 6-8), e qualsiasi altro passo in cui venga celebrato lamore di nome
dcli' Amore
Dio [ipwnKèl5' ernAoyia5']. Inoltre, alcuni autori sacri [l€poA6yo1] nostri hanno creduto che il nome del!' Amore [fpw5'] sia più vicino di quello della Predilezione [ dydm7]. Scrive appunto il divino Ignazio:
"Il
11110 amore è stato
crocifisso" [O iµOs; €plV5" ÉaraVpwrat, Kal oÙK EaTtv lv ɵol
rrUp q)tA6iiÀov] 15 , e nei libri sacri che introducono ai 111istcri potrai trovare un uomo che dice della divina sapienza: lo 1ni sono innamorato della sua bellezza (Sap 8, 2).
15 IGNAT!US, Epistula ad Ro111anos, VII, 2 (Funk I, 220). Il testo di Ignazio di Antiochia è citalo da ORIGENE, Co111111e11to al Cantico, Prologo (ed. Baehrcns [Gcs
331, 71, 25-26).
Chierici ed eros nel Medioevo l_a_/1_·11_0______~1~33
Perciò non temiamo il nome dell'Amore [mv l'pwmc; ovoµa] e non ci turbi alcun discorso che crei dubbi intorno a ciò. A 1ne sembra che i sacri autori diano lo stesso senso ai nomi di "amore"
[/'pwmc;] e "predilezione"
[dydm7]; e
se
più
volentieri attribuiamo il vero amore [f'pwrn], ciò è dovuto al pregiudizio strano di siffatti individui. Infatti, pur essendo il vero amore [mv ovmc; l'pwmc;] celebrato in maniera degna di Dio, non solo da noi, ma anche dalle stesse Scritture, il volgo non comprende il senso unico del nome dell'amore dato a Dio, e, in 1naniera confanne alla sua ignoranza, si lascia andare verso l'amore parziale, corporale, diviso; il quale non è il vero an1ore, rna un'in11naginc o piuttosto la perdita del vero amore. Infatti, al volgo rimane incomprensibile il senso dell'unità dcli' Amore divino e uno [Kai Évòc; €pwmc;]. Perciò, dal momento che questo nome appare piuttosto molesto ai più, viene posto nella divina sapienza per sollevare e ricondurre il volgo alla cognizione del vero amore [mv ovmc; €pwmc;] e affinché venga liberato dalla dil'l'icollà insita nel nome. [ ... ] i sacri autori usano con lo stesso significato il nome di predilezione [dyd7Tl)c;] e di amore [/'pwrn] secondo le interpretazioni divine»". Sinossi delle traduzioni di Ilduino, Scolo Eriugcna, Giovanni Saraceno, Roberto Grossatesta:
16 ND IV 11-12, traci. it. di P. Scazzoso in DIONIGI AHEOPAGITA, Tutte le opere, Rusconi, Milano 1991, 308 - 309; !Jyonisiaca, I, 208 - 210 (Pg 3, 708B-709).
Maurizio Aliotta
134 Dionysius Areopagita see. Hilduinum De diuinis
nominibus colon : 4
pag.:
207,
Ucrurnlamen ut non i>la dicerc pulemur stcul diuinos sermones mnouentes, audiant ipsam thcologimn <jllÌ cupìditalis
çognominatim obtrectarn: ''concupisce" inquil "ip~am cl scruabil te, pastina carn et exalrnbit te. honoririca eam ut cornplcclalur le",
et
quaecumquc
sccundum
ali a
cupidialcs
· theo!ogias hymninmlllr. Atqui p)acuit quibusdam nostrorum sanisermooatorum et diuinius
esse
cupiditali:;
nomcn carilalis. Scribit au1Crn el diuinus Ignatius "mea cupiditas crncifixa esl". El m prnelaris sennonibus rnuemes
diccntcrn sapientia:
de
qucrndam diui11a
"cupidus fui pulchrilmlinis eius" ilaque istud rnpidilatis nomen non tuncamu,, nequc quis nos tumulluc! sermo hinc datus. Mihi enim pulanlur theologi cornmune quidcm errnrn1re cari tal" el cupiditali' nomell, propler hoc sed cl diuini magis cxponere ueram cupìdirnlem, proplcr illicitam talium uirorum praerogaliuam. Deodccenter enim ucra cupidirns non nobis tantum sed et a scnnonihus eornm hymnidicitur, prnpler quod multiludine non segregames urnu1sum cupidia!i.1 quue dci nnminalionis, proprium ;ed scipsos ad pamtum et a corpori decoro ad diuisum clapsos, sicut non e.Il uera cupidita,, sed idolurn aul magi; runrn uere cupidilatis. lncapabile enim est multimdinc unialis diuinae cl unius cupidirnus. Ideo (sicut difficilius 11~1men multis pulalur) in dmma '<lpientia srnlutum, et anagogen eornm cl reknlam eHislenlis cupiditatis scicmiam, lamquarn dimilli ipsa focililate. Unde el a nobis ilerum illicitum 'luid mullotics aul intclligi humilia, sccumlmn opmarnem amcm fauorabiliorcm: "ceddir (qui,; inquit) cupidi1as tua super me sinn cupidilao mulicrnm". In matutu11s namque diuinorum aud1torihus in ipsa uirlute constiluilur apud sacrns theo!ogos carilalis et cupiditatis nomcn, secundum diuina~ demonstrnlinnes.
Diunysius Areopagita sec, luharmem Sculum Oe diuinis rwminibus pag. 207, colon : 4 Uerum1amcn Ul non haec dicere putcmur larnquam diuina clo4uia submoucnl~s. audiant hanc a1noris norninalionern crirninontes: "anrn eam, inquit, et cusrodict te, ;1mplcxarc emn et exaltabit le, honorn emn 11!
"
comp1c!1endat". Et 4uaecurnquc alia 'ecundum anrnlnrias lhcologia> laudan1ur. El quidcm uisum est quilmsdam nostris lllcologi> et diui11ius esse nomcn anwris quarn dilcclionis. Scrihit autem cl diuinu' lgnatius rne11s arno1 cnicifixtis est, El in ipsis inlror!uçlionibus eloqmorum mucmes quemdam dice11tem dc diuirm sapiemia: "m11ator factus sum formae illius" ltaque Jwc amori., nomen ne limeamus, nequc quis conlllrbcl senno de hoc disceprnns. Milli enim uidC!ltur theologi commune quìdcm di~isse dilcclionis et arnoris . nomen, proptcrca autem dmnus nrngis referre arnorern. propler i11cor1scquenten1 1alium uirornm adarnalionem. Pulchre enim ucro amore non a n<>hi> t;imum scd ab eloquiis 1ps1; h1udalo, multi!ud\nes non capientes uniforme ama1oriac diuinae nomina!ionis. proprie ad semetipsos in panibilc cl corporale et diuiduurn labcfeccrnnl. com non >it uerns amor, sed urnbfa aut magi~ casus a ""'o amore Rcrnotum est en1m nrnltimdinc 'ing11l~1c diuiTii et 1mius amori.I. Ideo, cl sic difficilius nomen nrnltis putalum. in diuirrn ,,apienria statuitur, cl ad reduclionem corum el restittHioncm in ueri amori., notnìam, e l ita ut absolualur in ipso difficulrns. [... ] In eluccscc11tihus diuinis suhlirnilalibus 111 eadem uirlutc s!aluitur a sacris theologis dilectionis cl rnnon' nomcn, secu11durn di11inas rnanifesl;ltioncs.
Diooysius Areopagita scc. lohanncm Sarracenum De diuini.~ nomioibus pag. : 207, colon : 4 Sul 111 non i~tu dicere uidcamur sictH diuina eloquia pernencn!es, audianr illa 'Jlli amoris norni11ationem accu.<,ant: "ama eam", dicit, "cl seniabit te, complexarc 1psam el cxaliabit le, honorn ipsilm ut le comp1chendat". et 'JUaecumqt1c aliil "111 amal1u1S !hcologii_, laudantur. Quanrnis 111.1um fuir quihusdam nostrnrum sancto.1 sermcmes diccntium diuinius c~se amons nomen nolllinc dilcctioni.,. Scribi! autem e! diuinus lgnalius "mcu_, ;1mo1 crucifixus est", et in inlroductionibus eloquiorum inuc-nies qucrndmn diccmcm de dinina 'apientia: "amator fac:tus rnm pukhritndinis cius" Quare hoc 'JUÌdem a111ori.1 nomen ne 1imcamus, neque aliqui_~ l1irbet nos ,;ermo de hoc duhilmis. Mihi ernm uidentu1 theologi comnmnc quidcm d11cere di!eclionis et amori., nomcn, pwpler hoc diuini' apponi uernrn arnorem, p1opler inco11ue11ienlern talium uironnn acceptio11cm. Nam lit dcum decel uero amore non a nobis solum sed ab eloquiis 1ps1s laudalO, multitudrnes 11011 capicnles uniforme ammiuac dci norninationis, iux!u fami!iaritatcrn ,umn ad diui_1ihilem e! corpori conucnicnlc'll\ el diuisc prolapsae sum, qui 11on e;t ucrus amor, >ed idolum aut milg1s casus iiero amore. Non cnim uulel capi a mulliludinc unilivum d1uini el unius amoris. f'rop!CI' '-JLIO<l et SlC rnolestìus nornen nwltis apparen.,, in diuina sapìcntia onlinmum est, ad surntmrnctioncm ip_,(1'1llll e! suscil;i!ionem ad ueri amorìs cog11itio11ern, et ut a molestia absoluanlllr quac in ipso est. I... ) Ab audie11tih11> aurem recte diuina lii eadem uirlute recte ordrnmur a sanctis lheolo11i dileclionis el amons no1nen, sccumlum diuinas manifc.1talinnes
Dion,\'.~ius Areopagita sec. Robertum Gross\'frste - De diuinis nominihus pag. : 207, colon : 4 Ucrumrnmen ut non hacc dicere uidcainur ut diuina elo4uia pcruerlenle;, aud1anl 1psa amorrn cog11orninalio11em delrnhcrnes: "ama ipsam", ait, "ei seruabil te, circumfolla 1psam et exal1abì! te, honora ipsam Ul le comprchendat". el quaccum4ue alia sccundum rhcologicas amationcs laudanlur. Et 'JLiidem UJSU!ll C>I quibusdrnn eo1um q111 sect1ndt1m nos sacrologornm diuinius e'5e il!lloris nomen eo quod dilcctionis Scrihit amcrn cl diuim1s lgnatius "1neus amor crucitixus e~1". et in ipsis inlroductionibus cloquinrurn mucme> quemdarn dicentem dc diuina sapiciltia: ':amator Jaclu' 'urn pulchrlludrnrn ipsius". UI el hoc utique amoris 11ome11 mm rimeamus, ncque aliqui_, nos !Urbe! .,ermo de hoc disceplan~. Mìlli enim uidcn!ur lheologi comu1une quìdcm du.'i"e dilectionis et amorìs nomen, prnptcr hoç :mtem diui11is 1nagi; rcpo11ere uernm amorern, proptcr mccmuenicn1<'1H u1rorum ;içceptioncm. Dcodcecnler enim eo qui uerum amorc!ll mm a nob"1s solum s~d el ab cloquii_, ipsis laudato. muli illldincs nun capientcs uniforme ama11uae dci nomurnuorns, proprie sibi ipsis ad panicularern el corporidecentem el di11isum prolap.1ae sun1, qrn non e_,I uerns amor, sed ido!urn uu1 nmg1s ~~cidenlia ab co qui uert amore Jncapabilc enim est mulliludincm unllum dei cl u11iu_~ amoris. l'roptcr quod, et Ul difficili11s 1101nc11 mullis uisu111, in diuina sapic11lia 01dinatur, ad reductioncm ipsorurn et cxtcnsio11em in cius 'JU' uere amori.I cognitioncm, et ul absolui ah ea quac m 1p.<o diffi<·ullale. l ... j In rec!e diuina uudientibus Hl eudem uirlute ordinatur a sacri., thcologis dileclionis et amon~ nomcn. sccund11m diuina' manifcstationes
Chierici ed eros nel Medioevo latino
135
Un indice significativo per l'analisi delle versioni latine è costituito dalle traduzioni delle citazioni di Prov 4, 6-8 e Sap 8, 2. La Volgata legge rispettivamente: «Ne dimittas eam, et custodiet te; dilige eam (LXX, ÉpaufJT]n aùri)5' ), et conservabit te.
Principium sapientiae, posside sapientiam; et in omni possesione tua acquire prudentiam. Arripe illam, et exaltabit te; glorificaberis ab ea cum eam fueris amplexatus». «Hanc amavi, et exquisivi a juventute mea, et quaesivi sponsam mihi eam assumere, et amator factus sum (LXX,
ÉpauT~5'
ÉyEvÒµT)v) formae illius».
Orbene i nostri traduttori non seguono la Volgata: Ilduino traduce le citazioni contenute nello Pseudo Dionigi con concupisce 1psam (Prov.) e cupidus fui (Sap.). Gli altri tre: ama eam (Prov.) e amator fili (Sap.). E' evidente che essi hanno seguito, per quanto possibile, una coerenza interna alla loro versione, staccandosi se necessario dalla versione latina del testo biblico, che presumibilmente conoscevano. Così, Eriugena, Saraceno, Grossatesta traducono il testo greco di Prov 4, 6 con ama e non con dilige; il testo di Sap 8, 2 con amator. Ilduino, coerentemente con la sua traduzione, traduce Épau8T/TL con concupisce e Épau~5' con cupidus.
Alla luce dell'uso recepito di cupiditas e di quello successivo, che non è di vox n?edia ina tende ad assu1nere una connotazione negativa 17 diversamente da desiderium non solo quantitativamente ma
17
Una causa di ciò può essere ricercata nell'uso di cup;ditas nelle traduzioni di 1 Tim 6, 10: «Radix enim 01nniu1n malorutn est cupiditas (/;{(a yàp rrdvrwv rr;JlJ
f] ifylÀapyvp[a)». Il testo fu ripreso e commentato molte volte nel corso di tutto il medioevo. Già Gregorio Magno lo fa più volte in Mora/ia in lob, 14, 53. 15, 18. 20, 10. 24, 25 e nella Regula pastora/is I, 11. In questi testi cupiditas ha il senso fortemente negativo di "cupidigia". Ancora all'inizio del XII secolo, Aelredo KaKW// ÉCJTlV
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anche qualitativamente, sembra che Ilduino, traducendo eros con cupiditas 18 (e i termini con-elati), accentui la distinzione all'interno della coppia eros/cupiditas - agape/dilectio/caritas. Tanto più che in Dionigi la distinzione è posta proprio per giustificare la legittimità dell'uso del nome eros per indicare il "vero amore". Quindi, forse Ilduino piega di più il testo di Dionigi all'esigenza di coerenza del testo tradotto con il suo ambiente semantico e concettuale. Gli altri quattro traduttori utilizzando a loro volta amor, e non dilectio (e i rispettivi verbi), forse sono più fedeli all'intenzione di Dionigi pur cercando di renderlo intelligibile al lettore latino. Perché la tendenza comune è, dunque, quella di tradurre eros con amor? Quale valore semantico gli si attribuisce e quale quello attribuito a dilectio e caritas? Non sono tre termini neutri, né univoci nel loro uso. Per questo la loro scelta per tradurre i due termini eros ed agape non fu senza problemi. Forse è vero che la vera domanda è di sapere cosa si intendeva nel medioevo per "amore". La risposta all'insieme delle domande non può essere semplicistica, perché in realtà i singoli autori presentano al loro interno delle varianti non trascurabili. Scoto Eriugena, per esempio, in un contesto libero da preoccupazione di traduzione è meno rigido nella distinzione dei tre termini, amor, dilectio e caritas. Nel "Commento al vangelo di Giovanni" ce ne offre un esempio non trascurabile. Definendo la "legge naturale", nel commento a Gv I, 28, designa l'amore reciproco col termine dilectio", che però nello
di Rievaulx lo adopera con lo stesso senso, tanto da usare il testo paolino in un contesto dove cupiditas è esplicita1nente contrapposta a carùas: «radix onu1iu111 1nalorun1 est cupiditas, et radix omniu1n bonorum caritas» (Co111pendiu111 speculi caritatis 16, ed. A. Hoste et C. H. Talbot, CccM 1, Brepols, Tournholti 1971, 198). Jl contesto i1nmediato di questo passaggio di Aelredo è interessante per la distinzione che l'autore stabilisce tra cupiditas, an1or e caritas nel quadro dell' electio. Anche Ugo di San Vittore cita 1 Tiin 6, IO contrapponendo cupiditas e caritas, quasi co1npletanclo il testo paolino: «Ergo duo sunt rivi qui de fonte dilectionis emanant cupiditas et caritas et omnium malorum raclix cupiditas et 01nnium bonoru1n radix caritas» (De substanaa dilectionis, 1, in HUGES DE SAINT-VICTOR, SLr opuscules spirituels, éd. R. Baron, Se 155, Cerf, Paris 1969, 82). Cfr. pure De laude charìtatis, PL 176, 973C. 18 Così traduce anche la citazione del testo di Ignazio ai Romani. 19 «Lex naturae est guae in1perat omnes hominis se invicem aequaliter diligere
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stesso testo viene usato per indicare l'amore che Dio ha per noi 20 • Anche la forma verbale diligere è usata nella doppia accezione 21 • Il termine caritas è usato solo due volte con lo stesso senso di dilectio 22 • Nel "Commento alla Gerarchia celeste" il termine amor è usato liberamente per designare l'amore di Dio23 e philantropia è spiegato come amor humanitatis24 , mentre nella traduzione delle opere di Dionigi è tradotto con di!ectio 25 • Inoltre nel "Commento alla teologia mistica" si parla di verus anior26 • E' stato osservato che «le modalità del passaggio del termine e del concetto di carità nella cultura latina sono istruttive. Perché laddove la voce agape rivestiva nei Settanta un'accezione amorosa (ad esempio, nel Cantico dei cantici), essa verrà resa con amor [... ], termine di cui però è avvertita la pericolosità, tanto che in area cristiana viene accompagnato da una opportuna aggettivazione per consentirgli di esprimere livelli concettuali più elevati [... ], e s'impone assai lentamente nell'uso diffuso [... ]. Sarà Agostino a dargli maggiore cittadinanza, forse perché egli fu il primo autore cristiano a far entrare la carità in un sistema filosofico dell'amore, grazie alla sua predilezione per la dottrina platonica [... ]»n In verità il riferimento al Cantico può essere ridimensionato perché in esso agape è tradotto in
ut, que1nadmodu1n una eademque natura 01nnibus iden1, ita et co1nn1unis 01nniu1n ab 01nnibus dilcctio fiat» (Co1n1nento a Giovanni I, XXX, in Conunentaire sur !'Evangile de Jean, Se 180, Cerf, Paris 1972, 164). 20 ~<Dilectio itaque patris causa est humanae salutis, qui in tantu1n dilexit mundum ut Jiliu111 s11un1 11nigenitun1 daret ... » (ihid. III, VI, Se 180, 230). 21 «In eis quarentibus et diligcntibus se deus "seipsu1n" manifestar» (ibid., I, XXV, Se 180, 124); «Lex gratiae est quae docct non sohnn hon1ines se invicen1 diligere, et virtutcs et viLia discen1it, verum etia1n supra haec - quod .<>oli clivinae gratiae possibile est - pro hominibus, non solum bonis, veruni etian1 et 1nalis, si necesse est, 111ori1> (ibid., I, XXX, Se 180, 166). 22 Cfr. ibid., I, XXX e VI, IV, Se 180, 164.346. 23 Cfr. Expositiones super !erarchian1 caeleste1n S. Dionysii, cap. 1, 2, ed. J. Barbet, CeeM 31, 11 (dove la Provvidenza è detta an1or dil'l'nus) e ihid., cap. 1, 3, Cec1vr 31, 15 (dove, nello stesso contesto, si usa il verbo a1nare). 24 /bid., cap 1, 3, CecM 31, 18. 25 Cfr. tabella sopra. 26 Cfr. Expositiones in n1ystican1 theologian1 S. Dionysii, cap. 1, 1 in PL 122, 271 d. 272. 27 L. PIZZOLATO, op. cit., 216.
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modo equilibrato con amor, di/ectio e caritasis. Anche la convinzione che in ambito cristiano la traduzione più comune di agape sia stata all'inizio caritas può essere discussa. E' vero che in questo termine non si vedeva la connotazione sensuale che poteva avere an1or. Anzi Tertulliano si limita ancora alla semplice traslitterazione di agape dal greco 29 • Il termine caritas si imporrà per esprimere l'amore teologale soprattutto grazie alla tradizione ciceroniana accolta dai teologi cristiani, a partire da Ambrogio 30 • Un ruolo non secondario giocò l'errato legame etimologico che venne stabilito con il greco charis. Questo legame contribuì indubbiamente a considerare caritas un termine privilegiato per indicare l'amore divino''· Tuttavia poiché il termine dilectio (dal verbo di uso comune diligere) fu impiegato per tradurre agape negli scritti neotestamentari esso fu valorizzato nella letteratura cristiana antica e poi medievale, anzi da alcuni autori fu ritenuto il termine più adatto per esprimere l'amore di Dio e del prossimo 32 • Dilectio esprime, poi, in maniera più chiara di caritas il carattere elettivo dell'amore e quindi il riferimento alla volontà. Ciò significa che «può prestarsi a esprimere l'atto libero di amore che scorre dal Dio cristiano personale ali 'uomo; però può esprimere meno facilmente il carattere obbligatorio della carità cristiana. Senza contare che dilectio conserva sempre, nei suoi connotati di elettività un valore di vox n1edia, risultando cioè valido a indicare una scelta in direzione
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Agape, che traduce l'ebraico 'hv, nel Cantico dei cantici è tradotto due volte con an1or (2, 5; 5, 8), due volte con dilectio (8, 6.7) e tre volle con caritas (2, 4: 3, 10; 8, 7). Inoltre sembra i1nproprio assegnare al Canrh·o un significato profano: ciò è vero per la storia delle forme, 1na 11011 per i co1n1nentatori antichi ebrei e cristiani. 29 Per es. nel De oratione: «Hanc de toto corde devotan1, fide pastain, veri tate curatam, innocentia integra111, castitate munda111, agape coronata111 cum pompa opcrum bonorum i11ter psalmos et hymnos deducere ad Dei altare debemus omnia nobis a Deo i1npetraturan1>l (28, 4, ed. G. F. Diercks, in Tertu!!ia11i Opera. Pars I. Opera catholica. Adversus Marcio11en1, CcsL 1, Brepols, Tournholti 1954, 273). Cfr. pure Ad 1nartyras 2, 7, in ;/1id., 4; De baptis1110 9, 4 in ibid., 284. 30 La caritas generis hu1na11i del De ji'11ibus V, 65 di Cicerone indica una generale relazionalità sociale; così pure in Seneca, De beneficiis V, 9,1; Epistulae ad Luci!i11111 14, I; 121, 24. Per la bibliografia relativa L. PIZZOLATO, op. cit., 220. Cfr. ISIDORO DI SIVIGLIA, De dijferentiìs 1erboru1n, I, 17 in PL 83, 12. 31 Il latino caritas deriva da carus, dalla radice *ka=bra1nare. 32 Cfr. ISIDORO DI SIVIGLIA, Ety1110/ogiae VIII, 2,6-7 in PL 85, 296. 1
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sia del bene sia del male, al modo di amor e a differenza di caritas (Isidoro, Diff., II,42)» 33 • Se consideriamo le fonti principali della tradizione spirituale medievale e della sua teologia possiamo verificare gli ambiti semantici delle traduzioni considerate e il complesso percorso semantico dei tre te1mini amor, dilectio, caritas nell'area linguistica latina. Già nella prefazione dell'edizione latina del Commento di Origene al Cantico dei Cantici, caritas e dilectio vengono usati come sinommi e considerati più adeguati del termine eros per esprimere la realtà dell'amore divino. Anche in Agostino i tre termini vengono usati insieme, ma con le opportune distinzioni. Così nel Commento ai Salmi: «L'amore quando è perverso si chiama cupidigia o libidine, quando invece è retto dilezione o carità» 34 • Amor indica generalmente un sentimento d'amore nel senso più ampio, che si può piegare verso una direzione o verso un'altra, cioè o di/ectio o cupiditas, libido. Caritas indica soprattutto l'amore teologale, l'amore che viene da Dio cioè. Questa preoccupazione di distinguere nettamente i tre termini, invece, non sembra emergere troppo in alcuni testi di Gregorio Magno 35 • Sia Agostino che Gregorio sono indubbiamente due delle fonti della tradizione spirituale e teologica dell'Occidente latino.
33 L. PIZZOLATO,
op. cit.,
218.
34 «Pes ani1nae recte intellegitur amor; qui curn pravus est, vocatur cupiditas aut libido; cu1n autem rcctus, dilectio vel caritas» (Enarrationes in Psa/1nns 9, 15, ed. E. Dekkers - I. Fraipont, CCSL 38, Brepols, Tournholti 1956, 66). Che col tcnnine "amore" si possa indicare una passione violenta lo sostiene pure nel De Trinitate: «Et si tam violenta est ut possit vocarì amor aut cupiditas aut libido, etiam ceteruin corpus ani1nantis vehe1nenter afficit, et ubi non rcsistit pigrior duriorque 1nateries in simile1n speciem colorem que com1nutat» (XI, 5, ed. W. J. Mountain - Fr. Gioire, CcsL 50, Brepols, Tournholti 1968, 339). 35 Nei testi che seguono a111or, caritas e di/ectio sono usati co1ne sinoni1ni: «Sed quia duo sunt praecepta caritatis, dei videlicet amor et proximi, ut dilectione1n proxilni exsolveret impedit filiis luctum, ne dilectionem dei deseret, explevit inter gemitus adorationenl)> (Moralia in !oh II, XVI, ed. M. Andriaen, CCSL 143, Brepols, Tournholti 1979, 78). «Quae si perfecte in ai11ore caelestis patriae rapitur, plene etia111 in proximi dilectionc solidatur; quia cu1n nulla terrena desiderat, nihil est quod eius erga proximum caritati contradicat» (l'bid., V, XLVI, CcSL 143, 283). Cfr. pure i'h1'd., VI, XXXV!l; XXVIII, XXII.
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Naturalmente s1 possouo distinguere ambiti dove la loro ricezione è diversa; si pensi per esempio alla cosiddetta teologia monastica e alla teologia scolastica. Indubbiamente là dove maggiore è la sensibilità ali' esperienza, ali' atfectus rispetto alla ratio, più facilmente si è vicini alla tradizione di Gregorio Magno o del!' Agostino del!' "ama e fa ciò che vuoi". Il linguaggio di Gregorio Magno esprime la sua concezione dell'amore fonte di conoscenza e del desiderio radice dì questa conoscenza36 . L'identità tra a1nore, dilezione e carità è espressa proprio nel contesto dell'affermazione del!' amore come fonte dì conoscenza 37 • Noi, infatti, conosciamo attraverso l'amore più che per la fede 38 • Già prima di Gregorio, Giovanni Cassiano in un testo suggestivo delle sue "Conferenze" usava i tre concetti insieme, nella loro forma verbale e sostantiva, interscambiando ì soggetti: «La pe1fetta dilezione con cui "Dio ci ama (diligere) per pri1no" passerà nei nostri cuori col compin1ento della preghiera del Signore, che credian10 non sia vana. Ecco quali ne saranno i segni: Dio sarà tutlo il nostro a1nore (an1or), il nostro desiderio, tutto il nostro studio, tutto il nostro sforzo, ogni nostro pensiero, tutta la nostra vita, tutto ciò che diciamo, ciò che
respiriamo, e quell'unità che è ora del Padre col Figlio e del Figlio col
36
J. Lcc\ercq, lnitiation 011x auteurs 111011astiques du Moyen Age. L'a1nour des 2 lettres et le désir dc Dieu, Cerf, Paris 1957 , 30ss chiama Gregorio Magno "dottore del desiderio" . 37 «Sive igitur doctof seu sacrun1 cloquiu111 vel certe fides portae no1nine signetur, in 1nensura ulliusquc cubiti carilas non inconvcnienter accipitur, quru.11 illc vere praedicat qui dei ac proxi111i mnore1n docet, et ipsa est certa scientia, qumn caritas aedificat, et fidcs robusta est, quae se in dilcctione dei ac proximi exercet» (Hon1iliae in /-liezechie!en1 propheta1n, lib. 2, hom. 4, ed. M. Andriaen, CcsL 142, Brepols, Tournholti 1971, 260). 38 «Per amore111 agnosci111us» leggian10 nei Moralia in lob, X, VIII, CcSL 143, 546 e nei Con1111enfi ai Vangeli: «Scitis autc1n dico, non per fiden1, sed per an1orc111. L... ] Dun1 enin1 audita supercaelestia an1an1us, mnata iain novi1nus, quia amor ipse notitia est» (Xl hon1ilian1111 in evange!ia libri duo, I, ho111 14, 4. II, hon1 27, 4 in PL 76, 1129b.1207a). Poco dopo il lesto citato delle "01nelie sui vangeli" l, 14, prosegue: «Ac si dicat: In hoc constat quia et ego agnosco Patren1, et cognoscor a Patre, quia anima111 mean1 pono pro ovibus 111eis; id est, ea charitate qua pro ovibus 111orior quantum Patrem diliga1n ostendo» (PL 76, 1129b). Si noti come caritas indica l'an1ore di Cristo per il gregge e di/igere l'an1ore di Cristo per il Padre.
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Padre ci sarà comunicata nel sentimento e nello spirito, cioè come Dio ci ama (diUgere) di una carità (caritas) vera e pura e che non muore, gli saremo se1npre uniti per l'indissolubile unità di dilezione (dilectio)» 39 •
La distinzione tra amor e dilectio ritorna nelle Etimologie di Isidoro di Siviglia. Dilectio è considerato la traduzione latina del greco caritas'° e esprime l'aspetto volitivo, di scelta, dell'amore: «L'amare è insito in noi per natura, il diligere per scelta» 41 . Nel XII secolo ritroviamo sia la distinzione dei tre termini sia la loro assimilazione. Le distinzioni, in ogni caso presentano delle varianti rispetto ad Agostino ed Isidoro. Così Guglielmo di SaintThierry li spiega nel Prologo al Commento del Cantico dei Cantici: «Questo libro del re Salotnone s'intitola dunque "Cantico dei Cantici" [... ].Tratta infatti dell'a1nore di Dio: o di quello con cui Dio è an1ato o cli quello per cui Dio stesso viene detto An1ore; che entra1nbi siano detti an1ore o cc11·i1à o dilezione non i1nporta se non per il fatto che con il non1e di a111ore setnbra indicarsi un certo qual tenero affetto (qtfectus) di colui che an1a, anela e circuisce; con il no1ne di carità, invece, una ce1ia qual affezione (a.tfecHo) spirituale o la gioia di chi fruisce; con dilezione, poi, l'appetito naturale di ciò che provoca diletto; cose tuttavia, queste, che nell'amore dello Sposo e della Sposa sono operate tutte dall'unico e rnedesimo Spirìto» 42 .
39 «llla dei perfecta dilectio, qua prior nos ille dilexil (I Ioh., 4, 10), in nostri quoque Lransierit cordis affectuin hac dotninica oratione conpleta, quain credimus nullo 1nodo posse cassari. Quod ita fiet, cum 01nnis ainor, 01nne desiderium, on111e studium, on1nis conatus, 01nnis cogitatio nostra, 01nne quod vivi1nus, quod loqui1nur, quod spiramus, deus erit, illa que unitas quae nunc est patris cun1 filio et filii cun1 patre in nostrun1 fuerit sensun1 n1cnte1n que transfusa, id est ut quen1ad1nodun1 nos ille sincera et pura atquc indissolubili diligit caritale, nos quoque ei perpetua et inseparabili dilectione iungan1ur>> (Co//ationes, coli. 10, 7, Se 54, Cerf, Paris 1958, 293). 40 «Caritas Graece, Latine dilectio interpretatur, quod duos in se ligel. Nam dilectio a duobus ìncipit, quod est a1nor Dci et proxi1ni» (Ety111ologianan si1'e Origin11111, VIII, 2,6 in PL 83, 296). <1Karus Graecun1 nornen est, sicut et caritas, unde et caristia» (ihfr/., X, 154 in PL 83, 383). ' 11 <<Alii dixerunt an1are nobìs naturaliter insituin, cliligcre vero electionex, (De differentiis 11erhon11n I, 17 in PL 83, 12). 42 GUGLIELMO DI SAINT-T!-IIERRY, Con1111e11to al Cantico dei Cantici, Prologo 5, QJQAJON, :t\1agnano (Ve) 1991, 47. Nell'ediz. crit. curata da M.-M. Davy Prologo 6: «Liber ergo hic Salo1nonis regis canticuin canticoru1n inscribitur l ... ]. Agit enùn de
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Questo significato della distinzione è ripreso nella Lettera d'oro: la volontà «quando si associa alla verità e si muove verso l'alto è amore; quando, perché avanzi, viene allattata dalla grazia è dilezione; quando apprende, conserva, fruisce è carità, è unità dello spirito, è Dio. Dio infatti è carità» 43 • Nel De natura et dignitate amoris aveva distinto amore e carità in 1nodo diverso: «l'amore illuminato è carità; l'amore che è in Dio, da Dio, verso Dio, è carità. Ma la carità è Dio: Dio - dice - è carità» 44 • Il punto di partenza è costituito dal desiderio, che in maniera graduale viene trasformato in sapientia, attraverso i passaggi obbligati della dilectio, dell'amor e della caritas. Avviene dunque una trasformazione dell'iniziale desiderio, legato alla natura umana, alla saggezza a cui Dio chiama. Si tratta quasi di una precisazione, con spiegazione dei termini, della dottrina espressa nel De contemplando Dea, che lo precede cronologicamente. Qui, infatti, pone ancora più chiaramente il legame di amor e caritas con lo Spirito, che è l'amore tra il Padre e il Figlio. Donandosi all'uomo diviene lo stesso amore dell'uomo. La carità è appunto l'amore di Dio che viene a noi45 • Il trattato sulla "Contemplazione di Dio" è in realtà una riflessione sull'amore di Dio, perché per a1nore Dei, vel quo Deus a1natur, vel quo ipse Deus amor dicitur, qui utrun1 mnor dicatur, an caritas, an dilectio non refert, nisi quod in mnoris no1nine tener quidain a1nantis
indicari videtur affectus, tendentis ve! a1nbientis, in non1ine vero caritatis spiritualis quedrun affcctio, vel gaudium fruentis; in dilectione auten1 rei dclectantis appetitus naturalis: que tmnen 01nnia in amore Sponsi et Spanse unus atque ide1n Spiritus operatur» (GUILLAUME DE SAINT-THIERRY, Con11ne11taire sur le Cantique des cantiques, Texte, notes critiques et trad. par M.-M. Davy, Vrin, Paris 1958, 36). '13 «Cun1 sociatur varitati, et 111ovctur ad altiora, amor est; cun1, ut pro1noveatur, lactatur a grafia, dilectio est; cun1 apprehendit, cun1 tenet, cun1 fruitur, carìtas est, unitas spiritus est, Dcus est, Deus enim caritas est» (Epistola ad Fratres de Monte Dei, 235, ed. J.- M. Déchanet, Lef!res aux Frères du Mont-Dieu (Lettre d' or), Se 223, Ccrf,
Paris 1985, 332). 44 De natura et dignitatis arnoris 5, 12, ed. cr. M.-M. Davy, in Deux traités de I' an1011r de Dieu. De la ro11ten1plation de Dieu. De la nature et de la dignité de /' an1011r, Vrin, Paris 1953. 45 ((Sic enim ipse spiritus sanctus tuus, qui an1or dicitur patris et filii et unitas et voluntas, per gratia1n su111n in nobis inhabitans, et dei in nos caritatem co1nmendans, et per ipsain ipsum nobis conciliain, deo nos unit, per inspirata1n nobis bonarn voluntaten1» (De conten1plando Deo 11 in GUJLLAUI\1E DE SAINT-THIERRY, lL! 2 ronten1platio11 de Dieu, par J. Hourlier, Se 61, Cerf, Paris 1968 , 96).
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Guglielmo la contemplazione è essenzialmente incontro nel!' amore dell'uomo con Dio. Il linguaggio che l 'abbate di Saint-Thierry usa esprime precisamente la sua concezione e la sua esperienza della contemplazione: un amare Dio, un "toccarlo" nella sua umanità del Verbo incarnato"'. La dimensione cristologica della contemplazione di Guglielmo lo colloca snl versante della valorizzazione della "umanità" di Dio e gli fa sottolineare più ciò che unisce che ciò che divide il Dio trascendente dall'uomo creatura. Il suo linguaggio mostra il superamento della perplessità dell'uso del termine amor per indicare l'esperienza dell'incontro con Dio. Superamento dovuto al fatto che, occorre ribadirlo, in lui la contemplazione è l'incontro dell'uomo con Dio grazie al! 'Incarnazione e al dono dello Spirito santo - l'amore del Padre e del Figlio - all'uomo che è reso così quasi "connaturale" a Dio e dunque gli consente un'esperienza di un incontro reale d'amore. L'amore già come realtà naturale possiede la dignità dell'essere inserito nell'uomo dalla volontà di Dio-17 • Soggetto al peccato è "salvato" dalla grazia, dal dono dello Spirito che conduce alla sapientia attraverso la dilectio e la caritas. Questa prospettiva di Guglielmo è diversa di quella del suo maestro San Bernardo48 • Anche per questi l'amore deve essere diretto dalla grazia, ma perché esso a came incipia/49 , e coincide con la cupfrlitas, che è an1or rnundi, distinta dalla caritas che è invece an1or Dei50 . Talvolta, però, lo stesso Bernardo usa il ter1nine an1or come vox media. E' il caso del testo in cui parla dei cinque sensi spirituali:
46 «Vel sicut Tho1nas ille vir desiderioru111 totun1 eun1 desiderio videre et tangere, et non solu1n, sed accedere ad sacrosanctu1n lateris cjus vulnus, ostiu1n archae quod facnun est in Ialerc, ut non tantun1 1nitta111 digitu1n vel totan1 1nanu1n, sed totus intrem usque ad ipsu1n cor Ihesu» (De co11ten1pla11do Deo 3, Se 61, 64). 47 L'an1or naturaliter insitu è ripreso da Isidoro di Siviglia. 48 La dipendenza di Guglie1110 da Be1nardo, negli ultin1i decenni, è stata ridefinita fino a parlare di una sua influenza su Bernardo, cfr. M. B. PENNINGTON, Two Treatises on Love, in Studia Monastica 22 (1980) 274 - 285. 49 Cfr. Epistulae, Ep. 11,8 in Opera 011u1ia, vol. VII, Ediliones Cistercienses, Ro1nae 1974, 58; cfr. De di!igendo Dea 39 in ihid., voi. III, Romae 1963, 119 - 154. 5 Cfr. Sententiae, scr. 3, dist. 76 in ihid., voi. VI,2, Ron1ae 1972, 116.
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a1nore parentale, a1nore sociale, an1ore naturale, amore spirituale e a1nore di Dio; attraverso di essi la carità vivifica 1'anima51 .
Anche nell'ambiente dei canonici regolari troviamo un uso articolato e non univoco dei tre termini. Così Ugo di San Vittore utilizza amor come vox media, sottolineando il senso teologale di caritas nell'opposizione con cupiditas. La cupidigia è l'amor mundi, la carità è I' an1or Dei: «L'unica fonte della dilezione (di/ectio), che zampilla dall'inte1110, alin1enta due rivi. L'uno è l'an1ore del inondo (an1or n1undi), la cupidigia;
l'altro è l'amore di Dio (an1or Dei), la carità (caritas). Nel mezzo sta il cuore dell'uo1no, da cui sgorga la fonte dell'amore (fans an1oris). Quando per l'appetito (appetitus) scorre verso le realtà esteriori, si parla cli cupidigia, quando il desiderio si orienta verso le realtà interiori, si parla di carità. Vi sono dunque due rivi che emanano dalla sorgente della dilezione, la cupidigia e la carità e tutti i mali hanno come radice la cupidigia e tutti i beni la carità» 52 .
In questa dialettica di matrice agostiniana tra cupidigia e carità P. Sicard vede «il punto preciso in cui si può penetrare nel pensiero vittorino» 53 . Vi s1 ripropone, infatti, la dialettica, non la contrapposizione, tra opus conditionis e opus restaurationis 54 • Il linguaggio di Ugo riflette questa concezione teologica non dualistica, con la conseguenza di un uso "dialettico" di a111or, di/ectio e caritas. Nel breve trattato in "Lode della carità", citando Ct 8, 6 (jortis ut mors dilectio), il Vittorino parla di virtù di dilezione e spiega che la dilezione è forte come la morte perché come questa distrugge i sensi
51
Cfr. ibid., dist. 73, in ibid., 109.
52
«Unus fans dilectionis intus saliens duos rivos infundit. Alter est an1or 1nundi: cupiditas, alter est ainor Dei: caritas. Mediu1n quippe est cor hon1inis unde fans an1oris enunpit et cu1n per appeti1u1n ad exleriora dcctnTi! cupiditas dicitur cun1 vero desidcriu1n suu1n ad interiora dirigit caritas nominatur. Ergo duo sunt rivi qui de fonte dilectionis cnuinanl cupiditas et caritas et on1nium 1nalorun1 radix cupiditas et on1niun1 bonon1111 radix caritas» (De substantia dilecrionis I, 5-13, in HUGES DE SAINT-VICTOH, Six opuscules, cit., 82). 53 P. SJCARD, Huges de Saint- Victor et son Eco/e, Brepols, Tournhout I 991, 92. 5
~/bid., 92-95.
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della carne, così quella i moti della concupiscenza della carne 55 • Il testo continua riferendosi alla forza dei martiri, che veniva loro dal!' amore (amor), nell'andare incontro alla morte 56 • Ritornando alla tradizione spirituale cistercense, merita una menzione Baldovino di Ford57 . Soprattutto in un piccolo trattato sulla vita comune, il De \ ita coenobitica seu con11nuni, si nota che I 'autore usa i tre termini con grande libertà, talvolta amor e caritas sono equivalenti, talvolta si distinguono. Di/ectio denota la dimensione volitiva, come già in Isidoro di Siviglia. Opportunamente il traduttore italiano di questa opera rileva che questa libertà contribuisce a dare allo scritto di Baldovino un movimento che non sempre è possibile rendere nelle versioni dal latino: «Amor e charitas designano spesso realtà equivalenti, e sono usati di volta in volta anche in dipendenza del versetto biblico citato nel contesto. Tuttavia nei cc. I e II del Trattato XV la charilas sembra essere quella realtà profonda di Dio e dell'uomo che per così dire si concretizza, si spiega attraverso l'amor, e si muove verso di esso, ad esso tende. [... ] Quanto a dilectio e diligcrc, in Baldovino indicano per lo più un movimento voluto, non spontaneo, frutto di una scelta interiore, e sono quindi usati quasi sempre a proposito dell'an1ore umano» 58 • Dunque in questo scritto dilectio, non amor, s1 riferisce alla dimensione antropologica dell'amore; 1nentrc an·1or è assimilato a caritas senza la preoccupazione che esso contenga un aspetto di sensualità naturale. Il linguaggio di Baldovino di Ford esprime la sua convmzione 1
55 «Mors eteniin viventes cxstinguit [ ... ]. Dileclio aute1n ut n1ors fortis est, quia sicu! illa scnsun1 carnis, sic ista affectun1 concupisccntiae carnalis perinlit» (De laude charitatis, PL 176, 97lc). 56 Inollre si applica ai inartiri la dialettica cupidigia - carità: «Trahebat eos [n1artyres] charitas, et ideo nec rctrahebal cupiditas, nec terrcbat adversitas. Currebant ergo, 1nundun1 post se reliquerant, Dernn ante se habebant [... ] O charitas, quon1odo illis sapiebas, quan1 dulcis cis fuisti, quos tanta proptcr te sustinerc coegisti!)) (ibid., 972 a-b). 57 Abate di Ford e poi vescovo di Worcester nel 1181 e di Canterbury nel 1184; 1nuore a Tiro, durante la terza crociala, nell'ottobre del l 190. 58 BALDOVINO DI FORD, Pe1fetti nel!' an1ore. Tract. XV - De vita coenobitica, seu conununi. Tract. XVI - Perfecton1111 re/igioson1111 encon1iun1, Intr., trad. e note di E. A. Mella, Qiqajon, Magnano (Ve) 1987, 24. Testi latini in PL 204, 545 - 572.
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fondamentale sull'importanza della comunione, come elemento strutturante la vita di fede, un tema centrale di tutta la sua opera. Il tema dell'amore (amor/caritas) identificato con lo Spirito santo è presente e nell'ambiente monastico e nell'ambiente scolastico. Su questo punto, infatti, Guglielmo di Saint-Thierry, Ruperto di Deutz (c. 1070 - 1129/30)59 , Aelredo di Rievaulx (c. 1110 1167)60 Baldovino di Ford61 si possono accostare a Pietro Lombardo (c. 1095 1160)62 , Bonaventura (1217/18 - 1274)63 e altri 64 •
59 «Spiriturn sanctus diciinus Patris et Filii caritatcm sive amorem» (De sancta trinitate et operibus eius, De operibus Spiritus Sancti I, 3, ed. R. Haacke, CCCM 24, Brepols, Tournholti 1972, 1825);« Spiritum sanctum dici1nus an1orem Patris et Filii nihilo1ninus consubstantialem et coaeternum» (liher de di1'i11is o.fficiis 11, 7, cd. R. Haacke, CccM 7, Brepols, Tournholti 1967, 375). 60 (<Quod enim nobis Do1ninus noster Tesus Christus potuit n1aius suae dilectionis praebere indiciun1, quain Spìritun1 Sanctu1n, qui est a1nor et unitas Patris et Filii, nostris ingerere mentibus, ut ea unitate et ea caritate, qua ipsi essentialiter unun1 sunt, nos quodam1nodo unum efficere1nur in ipso et cu1n ipso, non identitate substantiae, sed spiritus adhaesione, secundun1 illud Apostoli: Qui adhaeret unus spiritus cum eo efficitur?>) (Sern1nnPs, sermo 42, CccM 1). 61 ((Hanc diffusione1n caritatis in dilatatis cordibus nostris operatur caritas Dei, Patrìs scilicet vel Filii, operatur autem per Spiritun1 sanctu1n qui datus est nobis, qui et ipse Patris et Filii amor est, ambo1um que connexio» (Sennones, sermo 21, 15, ed. D. N. Beli, CccM 99, Brepols, Tournholti 1991, 326); ((Spiritus sanctus con11nunio est, et comn1unionen1 in tantu1n amat, ut velit ipse dari. Ipsa enim benignitas est. Ncc contentus est sua dare, nisi et seipsum dederit; sed his quos tanti doni acceptione dignos ipse fecerit» [Lo Spirito santo è comunione; ama tanto la comunione da voler lui stesso essere dato. Egli è la benevolenza stessa. Non è pago di dare ciò che è suo, vuole dare tutto se stesso: tuttavia solo a quanti egli ha reso degni di accogliere un sì grande dono. Poiché egli è dono: fin dall'eternità è stato il più grande bene, il più grande donol (Trac!. XV in PL 204, 560). 62 Le affermazioni del Lombardo vanno situate nel contesto dell'esa1ne sul rapporto tra dono increato e doni creati. In 1 Se11tentiae d. 17 sembra opporsi all'idea che l'a1nore divino sia un dono creato, piuttosto si deve identificare con lo Spirito santo che abita in noi. Lo Spirito santo è la carità data in dono ai credenti: «Dat enim se ipsum nobis spiritus sanctus; et ex hoc sensu dicfun1 est quod caritas ab ipso est, in nobis scilicel; et tan1en ipsa spiritus sanctus est» (I Sententiae, dist 17, c. 6, 6, ed. I. Brady). 1 termini arnor, di lectio e caritas vengono usati senza distinguerli: «Nunc vero quod incepimus ostenderc curen1us, scilicet spirilu1n sanctum dilectionem esse si ve a1nore1n patris et filii, quo scilicet pater filium et filius patrenv) (ihid, dist. 10, cc. 2, 4, ed. I. Brady), «Spiritus sanctus amor est sivc carilas sive dilectio patris et filii» (ihid., dist. 10, cap 1, 2, ed. I. Brady). 63 Bonaventura non accetta la posizione di Pietro Lombardo e nel "Co1nmcnto alla Sentenze" dice di voler seguire una sententia securior. Tuttavia alcune sue espressioni sono linguisticamente si1nili al cancelliere parigino, non solo nel suo
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Conclusioni Mi sembra che i traduttori, a partire da Scoto Eriugena, abbiano colto l'intenzione di Dionigi traducendo eros con amor, Infatti nella letteratura teologica latina dal IX al XIII secolo, amor indica sia l'amore u1nano, con una connotazione sensuale, sia l'a1nore divino che è dato all'uomo dallo Spirito e che l'uomo esperimenta nei confronti di Dio. Il De di/igendo Deo di Bernardo avrebbe potuto essere nello stilo di un altro cistercense de amando Dea. Non è possibile assolutizzare l'uso di amor (eros) come contrapposto a dilectio (agape). Gli autori medievali avevano già colto le implicanze psicologiche dell'esperienza dell'amore (umano e divino) e l'inseparabilità della dimensione trascendente e di coscienza
Com1nentario, dove si potrebbe pensare ad una se1nplice contiguità linguistica estrinseca, data la natura dell'opera, ma nel Bre1 1i/oquiun1, quando espone la dottrina dell'unità della natura divina nella 1nolteplicità delle appropriazioni: «et ideo summe unum Patri, qui est origo personaru1n; su1n1ne verum Filio qui est a Patre ut verbum; su1nn1e bonun1 Spiritui sancta qui est utroque ut amor et donum» (Brc1•iloquit11n, pars 1, c. 6, in Opera 011111ia, I. V, Quaracchi 1891, 215). In un testo centrale del Prologo al Brevi!oquiu111, Bonaventura usa a111or, assieme a caritas, con una chiara connotazione teologica. Allo scopo di raggiungere il fine delle Scritture, che è 1' "eterna felicità'', dobbia1no con vera fede avvicinarci «ad Patre1n lu1ninu1n [ ... l, flectendo genua cordis nostri, ut ipse per Filium suurn in Spiritu sancta del nobis vcra1n notitiam lesu Christi et cum notitia a111ore1n eius, ut sic ipsu1n cognoscentes et a111a11tes, et tanqua1n in fide solidati et in caritate radicati, possin1us ipsius sacrae Scripturac nascere latitudine1n, longitudinen1, altitudinern et profundum, et per hanc notitia1n pervenire ad plenissimam notitia1n et excessiv11111 an1ore111 beatissimac Trinitatis, quo Sanctorun1 desìdcria tendunt, in quo est status et co1nplementu1n omnis veri et boni» (Bre1 iloq11iun1, Prologo in Opera 011111ia I. V, 202). 6'1 Ricordo soltanto a titolo d'esen1pio il Con11nentari11111 in Ruth e codice Genovefensi II (b), 20, ed. G. De Marte!, in CccM 81, Brepols, Tournholti 1990, 173-174: «Nichilo1ninus etian1 propinquus fil, cum diligentes se diligit, cun1 mandata eius custodientibus in sincero internae dulcedinis guslu ostendit sen1etipsutn illis, cun1 Patre ad eos veniens eoque 1nodo apud eos 1nansionen1 facicns, quo in Patre potenter peccato resistanl, in Filio sapienter in n1undo vivant, in Spiritu sancto qui Patris et Filii a1nor est et bcnignilas, Deun1 ainent et proximuin, alterun1 in altero vencrantes». In questo e altri passi del inedesi1no Con1n1entario si usa la fonna verbale "ainare", a cui nella letteratura teologica n1edievale si prefe1isce la do1n1a di!igere. Nel Liber Quare si legge: «Spiritus Sanctus a1nor Patris et Filiì)> (Appendix II, additio 72, ed G. P. GOtz, CccM 60, Brepols, Tournholti 1983, 219). Tom1naso di Chobam (+ c. 1333/1336): «Set hodie dedit nobis spirilum suum, id est amorem suun1, quia Spiritus Sanctus est atnor Patris et Filii>) (Sennones, serrno 14, ed. F. Morenzoni, CCCìvl 82A, Brepols, Tournholti 1993, 144). 1
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di sé che contiene. A ragione Chenu sc1iveva che nell'esperienza dell'amore l'estasi non è in verità una perdita di sé, ma uu ritrovarsi pienamente perché l'amore estatico è un congiungersi con la pienezza dell'essere e quindi un ritrovare la propria identità65 . Accanto a questo tentativo di cogliere la globalità dell'esperienza dell'amore, resta peraltro la consapevolezza di uno scarto tra la caritas e le altre forme di amore.
65
Cfr. M.-D. CHENU, Il risveglio della coscienza nella civiltà 1nedieva/e, trad.
il., Jaca Book, Milano 1991, 39.
Synaxis XIV/2 (1996) 149-162
LA DINAMICA ATTUALE DELLA GIUSTIZIA TRA POVERTÀ E SOLIDARIETÀ MARIO CASCONE.
La dinamica della giustizia nella società attuale va letta necessariamente nell'ottica della complessità, ossia di quella categoria t1p1ca del pensiero post-moderno, consistente nell'intreccio inestricabile delle diverse posizioni che regolano la cultura ed il sitcma sociale. La co1nplessità ovviatnente si oppone al pluralisnzo, nel senso che, mentre quest'ultin10 consiste in una varietà di posizioni ben definite e confrontabili fra loro, la complessità è caratterizzata dal costante intersecarsi dei sistemi e dell'impossibilità di definire con chiarezza quali sono gli elementi comuni, che connotano l'identità di un popolo o di un gruppo sociale'. Sarebbe qui fuori luogo approfondire questo tema. Tuttavia va chiarito che esso sta alla base della corretta lettura della dinamica sociale attuale, e quindi del problema della giustizia. Nella società complessa la realtà sociale appare ai singoli come un semplice sfondo esteriore della vita personale, co1ne una convivenza puran1ente convenzionale, retta neccssarian1ente da una serie di regole, le quali,
Professore di 1'eologia n1oralc nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Cfr. B. MARRA, Società co111plessa ed etica, in !?assegna di teologia 33 (1992) 571~574. Qui si fa una sintesi del XV Congresso Nazionale dei teologi 1noralisti, tenutosi ne! sel\e1nbrc 1992 sul seguente tcn1a: «Società co1nplessa ed etica».
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però, non hanno come fondamento assiologico il bene della persona, ma solo l'utilitaristico stare insieme gli uni accanto agli altri. La società complessa risente dcl principale problema filosofico, che caratterizza questa nostra epoca post-1noderna e c1oe la dislocazione dell'essere dalla natura ontologica della persona alla sua singolarità individualistica. Evidentemente questa impostazione produce un tipo di società, di stampo neo~illuministico, intesa come somma di individui, ciascuno dei quali persegue il suo interesse privato; una società che si regge su una sorta di egoisn10 razionale, nella quale i rapporti diventano sempre più frettolosi, anonimi, carichi di sospetto, e quindi bisognosi di continue regolamentazioni giuridiche'. La società co1nplessa è caratterizzata dai rcgola1nenti, dai contratti, dagli adempimenti burocratici. In essa la giustizia sociale non viene considerata come una virlù) ossia co1ne qualcosa che promana dall'impegno etico, ma come il tentativo di distribuire equamente diritti e doveri, vantaggi ed oneri; tentativo che, naturahnente, risulta sen1pre imperfetto, generando una per1nanente litigiosità sociale, in quanto i vantaggi ottenuti da uno si scontrano, quasi inevitabilmente, con quelli desiderati da un altro. Rischia cosl cli prevalere la legge del più forte o del gruppo di pressione più potente, soprattutto perché manca un parametro valoriale sul quale poter misurare equamente la giustizia degli ordinamenti giuridici'. In questo contesto, infatti, le leggi tendono ad essere una semplice regolamentazione dell'esistente, al solo fine di garantire un'ordinata convivenza sociale. A tal fine, talvolta, le leggi non ternano di aval1are qualche privilegio di parte, che finisce col ripercuotersi inevitabihnente sulle classi sociali più disagiate, le quali non trovano una coscienza etica con1une che si prenda carico dei propri proble1ni, se non a livello di qualche gruppo cli volontariato. Le leggi cosl intese, infatti, non poggiano su un fondan1ento assiologico, n1a rischiano di essere concepite solo in una chiave utililaristica; il che produce l'esercizio di una legalità, che, nel 1nigliore dei casi, consiste nella sola
'Cfr. C.M. MARTINJ, Educare al serl'izio, EDB, Bologna J 988, 77-9 l. 'C.E.L, Educare alla h!galità, n. 8-9.
La dinamica attuale della giustizia
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obbedienza formale alla legge, mentre in tanti casi si traduce nella ricerca della maniera migliore di aggirare la legge'.
1. Il tragico paradosso Questo sfondo etico-culturale della società complessa postmoderna si proietta in modo paradossalmente tragico sul problema della giustizia sociale. Il paradosso e la tragedia sono dati dal fatto che, in questo tipo di realtà sociale, le strutture economiche, politiche e cultura] i sono necessaria1nente intrecciate tra loro, senza però poter contare su un fondamento valoriale chiaro, definito e a loro comune. Conten1porancamente abbian10 la presenza di un'interdipendenza st1utturale e l'assenza di un fonda1nento etico comune, che faccia da supporto alla ricerca e ali' attuazione della giustizia sociale. Qui è il proble1na cruciale e qui va ricercata ovviamente la soluzione. L'assenza del fondamento valoriale poggia, come già si è detto, sulla dislocazione dell'essere dalla natura all'individualità soggettiva. Questa dislocazione, che ha i suoi prodromi nella cultura illuministica, si è consu1nata in quesla nostra epoca del posfanzotlern.o, che è caratterizzata, quindi, dalla sostanziale dissoluzione della classica questione dell'esistenzialis1no, che era la tensione tra l'essenza e l'esistenza. Questa tensione si è rivoHa a favore dell'esistenza, per cui l'uomo post-moderno si trova come svuotato di essere e si percepisce come un semplice esserci qui ed ora: l'i11soste11ibile leggerezza dell'essere, come l'ha definita M. Kundera; cioè un essere divenuto leggero, fluido, inconsistente, privo di un apparato valoriale che ne delinei l'essenza, e quindi catapultato in un n1ondo in continuo divenire, senza un peso specifico ontologico ed etico; un uomo che non sa chi è, da dove viene e dove va, nia che pure è costretto a scegliere in un'intricatissima rete di possibilità, senza avere le basi per poter operare; un uomo, quindi, che possiede una libertà quasi
Cfr. gli articoli del Forun1 Lega!ità-111oralità, in Rivis1a di Teologia 111ora/e 95 (1992) 281-316.
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esclusivan1ente formale e n1odale, in cui conta non tanto il contenuto della scelta, ma il come questa scelta venga fatta. Da qui passa facilmente al relativismo e al soggettivismo etico, o comunque di etica descrittiva, che non riescono a supportare adeguatan1ente un progetto di giustizia sociale'.
2. L'interdipendenza multipla
L'inadeguato apparato valorialc della cultura post-moderna si scontra tragica1nente con quella, che è stata definita dai sociologi
l'interdipendenza 1nultipla, che caratterizza la nostra società''. Noi sia1no passati da un'ccono1nia statica e di sussistenza ad un'economia dinamica, che produce molto cli più di quello che serve per sopravvivere. Questo passaggio non è stato affatto indolore, perché è largamente avvenuto sulla pelle dci Paesi poveri, scardinando gli equilibri economico-socio-cullurali, che, pur nell'estrema precarietà dell'esistenza, si erano costruiti nella civiltà agricola. Un'econornia guidata dalla pura logica dcl profitto ha finito con I'accun1ulare la ricchezza nelle n1ani di pochissime persone, generando un processo per il quale i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri. Tutto questo sì è verificato mentre scoppiava il problema demografico, soprattutto nei Paesi del Terzo e ciel Quarto Mondo. Si è avuta così la situazione di una produzione econo1nica, che è cresciuta 1neno della crescita den1ografica. In altri tennini: la crescita della popolazione è avvenuta a ritina n1aggiore deJla crescita produttiva, generando un' econo1nia sotlosviluppata. La constatazione di questo divario ha fatto abbassare ulteriormente il livello della produzione, causando un abbassa1nento ulteriore del livello di vita e generando, specie nei Paesi in via di sviluppo, livelli intollerabili di fame e di miseria. In una parola si può dire che questo modello diabolico di
'Cfr. G. V ATTIMO, Al di là dcl soggelfo. Nietzsche, Jleidegger e l'en11ene111ica, Fcltrinclli, Milano 1984. , S. Mosso, Il problen1a della giustizia e il 111essaggio cristh1110, PictfO Moretti, Roma 1982, 37 ss.
La dina111ica altuale della gù1stizia
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sviluppo non solo ha innescato un n1eccanismo di sottosviluppo, nia addirittura si è nutrito di esso'. Ciò è potuto avvenire soprattutto per l'inter(/;pendenza oggi esistente tra i vari fattori sociali e tra i diversi Paesi del mondo. I fattori sociali non sono più leggibili isolatamente, perché sono strettamente connessi tra loro: Peconon1ia, la cultura, l'educazione, la n1orale interagiscono costante1nente; anche all'interno di questi n1ondi ci sono interconnessioni strutturali ineludibili. Lo sc10pero della categoria degli autotrasportatori finisce col paralizzare l'intero Paese nel breve volgere di due o tre giorni. La super-specializzazione nel mondo prodotti vo richiede il massimo di organizzazione e di compresenza, pena il blocco del processo stesso. Le scelte ccono1niche, dunque, sono condizionate da mille fatlori e, a loro volta, condizionano la politica, la cultura, la 1norale. È assurdo oggi pensare di parlare di giustizia sociale settorializzando questi n1ondi. L'interdipendenza è ancora più evidente, se si passa dalla vita interna di una nazione al panoran1a internazionale. Tutti oggi si rendono conto del fatto che il destino dell'umanità è unico, che la giustizia va pensata in tern1ini inondiali, che nessun Paese può pretendere di isolarsi dagli altri. Si è scoperto, infatti, che anche i Paesi 1ncno ricchi possiedono n1aterie prin1c, e prin1a fra tutte il pelrolio, che sono necessarie ai Paesi ricchi per il loro sviluppo. Si è scoperto, inoltre, che il meccanismo infernale di questo sviluppo, che si fonda sull'interdipendenza n1ultipla, i~l sì che alcuni svantaggi si ritorcano inevitabimente contro gli stessi Paesi ricchi. La crisi degli alloggi e la crescente disoccupazione sono solo due dei tanti esen1pi, che si possono addurre a questo riguardo. Si è scoperto, infine, che quell'intreccio diabolico tra i diversi fattori dello sviluppo, quando non è sorretto e guidato da un parametro etico, finisce col generare un circolo diabolico, che annulla la dignità stessa dell'uomo. Il circolo è dato dalla costante concatenazione tra produzione e consu1no: si produce per consu1nare, si consu1na per produrre. Per 1nantenerc in vita questo n1eccanismo, è necessario pianificare dei bisogni artificiali)
' /bi d.' 29-36.
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che spingano le persone a consun1are in ogni caso, anche quando non lo vorrebbero o non lo potrebbero. Ciò indubbiamente reprime in modo vistoso la libertà del l'uomo, coartando anche la funzione critica della sua ragione. Uno degli studiosi della Scuola di Francoforte, M. Horkeimer, dice che la società di oggi è simile ad una macchina, che corre a pazza velocità e che ha sbalzato l'uomo dal suo posto di guida, rendendolo strumento dell'ingranaggio da lui stesso prodotto'.
3. La questione sociale Il risultato di questi processi è che la questione sociale non si identifica più oggi con la sola questione operaia. Il problema della giustizia sociale si pone oggi a livelli più ampi, addirittura planetari, e tocca non solo la sfera dell'avere, ma anche quella dell'essere. Parlare di giustizia sociale nel mondo complesso ed interdipendente significa certamente ancora parlare delle povertà materiali, della disoccupazione, della farne, della marginalità. Sono povertà che non vanno di1ncnticatc in nome delle cosiddette nuove povertà: è possibile, infatti, che questi nuovi JJoveri ci inducano nella tentazione di dimenticare i veri poveri, quelli di sempre, quelli che non riescono a soddisfare le esigenze essenziali''. Ma questo riferi1nento non è oggi sufficiente per capire la portata dei problemi della giustizia sociale e soprattutto per ricercare le cause di questa povertà. La questione sociale abbraccia oggi altre aree, che sono deter1ninanti per tentare di risolvere complessivamente il problema della giustizia. Pensiamo all'irrazionale sfruttamento delle risorse del creato ed alla conseguente questione ecologica: essa non è una sorta di 011tional per coloro che hanno lhobby della difesa della natura, ma uno dei nodi più grossi da sciogliere per una ridistribuzione equa delle
M. 1-!0RKHEIMER, Eclisse della ragione, critica della rogione stnunentale, Einaudi, Torino 1969, I 13. 'G. MATTAI, Proble111i della l'ila eco11on1ica, in T. GOFFI - G. P!ANA (n cura di), C'orso di 1norale, Qucriniana, Brescia 1984, voi. III, 447.
La dinamica attuale della giustizia
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ricchezze e addirittura per la sopravvivenza dell'umanità su questo pianeta. Pensiamo alla questione demografica e al suo legame con la valutazione o svalutazione della vita umana. Non è forse la tutela della vita umana il primo passo ineludibile per la promozione della giustizia sociale? E tale tutela si restringe alla sola appassionata condanna dell'aborto e dell'eutanasia o non impegna piuttosto a creare condizioni sociali ed econo111iche, che rendano possibile condurre una vita veran1ente un1ana? Non fa forse parte di questo ambito anche la questione degli anziani e, di conseguenza, del sistema previdenziale e della cultura dell'efficienza, che tende di fatto ad emargina1·e chi non produce materialmente? Infine non possiamo non pensare oggi alla questione etnica ed ai nuovi e vecchi razzismi, che paradossaln1ente slanno ricn1ergcndo proprio mentre siamo nel villaggio globale e nel sistema dell'interdipendenza multipla. È facile pensare che la rinascita di questi particolarisn1i etnici e razziali sia dovuta a quella 1nancanza di base ontologica ed etica, a cui facevamo riferi1nento prima, per cui si è preteso o si vuole ancora pretendere di fondare l'unità tra le nazioni solo su uno sfondo econo1nico o istituzionale, senza pensare al fondamento etico e culturale di questa unità"'. Dagli accenni fatti si evince che la questione della giustizia sociale si presenta oggi in tutta la sua ampiezza, investendo il concetto stesso dello sviluppo. Quale sviluppo? Questo è uno dei problemi cruciali su cui interrogarsi. Il Papa, nella Sollicitudo rei socialis, ha chiarito che lo sviluppo vero dell'uo1no non può essere inteso con1e pura accu1nulazione dei beni n1ateriali, perché, se la massa delle risorse 1nateriali non è retta da un intendi1nenlo n1orale, si ritorce contro l'uomo per opprimerlo". Un supersviluppo così inteso rende gli uon11n1 schiavi del possesso e del consu1no, sfociando 111 un materialismo crasso, che è alla base delle cosiddette nuove povertà:
Ibid .• 443-45 l. GIOVANNI PAOLO II,
Sol/icitudo rei socia/is, nn.
27-28.
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l'insoddisfazione, la solitudine, l'insicurezza, il bisogno di affetto, il rifugio nella droga o nel sesso. È chiaro, perciò, che il vero sviluppo deve essere sorretto da un paran1etro interiore, che serva a sintonizzare la crescita dell'avere sul valore dell'uomo, sulla sua dignità fondamentale".
4. Dall'interdipendenza alla solidarietà
Di fronte a questa enorme problematica della giustizia sociale le risposte della vecchia 1norale non sono più sufficienti. La vecchia n1oralc, infatti, si occupava quasi csclusiva1nentc della giustizia con1n1utativo, ossia di quel tipo di giustizia particolare che regola i rapporti tra singole persone o tra singoli gruppi, fondandosi su un criterio di uguaglianza arit1netica, ossia di detern1inazione esatta di quanto uno deve all'altro per essere giusto. Questo tipo di giustizia, che si occupa dei contratti, dei furti, dell'usura, non è più sufficiente a rispondere ai vastissi1ni problemi della giustizia sociale di oggi" Siarllu tutti convinti del fatto che i nuovi poveri non si possono aiutare né con l'intervento dci singoli né con una prospettiva settorialistica: sarebbe co1ne continuare a predicare ai poveri la rassegnazione e ai ricchi I'elen1osina e la generosità, per venire incontro, in qualche n1odo, ai bisogni dei poveri. Tutti si rendono conto della palese insufficienza di uno sche1na di questo genere, che, aiutando n1ale i nuovi poveri, quasi inevitabihnente finisce col rigenerarli. Decisan1cnle la strada da i1nboccare è quella indicata da Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei sociali.i·. Il Papa prende coscienza del fatto che oggi il destino dell'un1anità è unico, in quanto lo sviluppo dei popoli è fondato su una interdipendenza strutturale. Egli, perciò, propone di dare un non1c etico a questa interdipendenza, suggerendo che tale nome può essere quello della solidarietà.
,. lbid.,
11. 29 . . Cfr. M. Cozzou, Giustizia, in Nuovo Dizionario di Teologia Paoline, Cinisello Balst11no 1990, 503-505.
fil/orafe,
La di11an1ica attuale della giustizia
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Giovanni Paolo II chiarisce che la solidarietà non va, però, intesa con1e «un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone». Così, in effetti, buona parte della gente la intende nella sua accezione più co1nune. Il Papa, invece, afferma che la solidarietà «è la detern1inazione ferrna e perseverante di i1npegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano vcrainente responsabili di tutti»". Si nota subito 1n questa definizione che l'elen1enlo fondamentale dal punto di vista etico è il bene co111une. È su cli esso che va fondata la giu ..;.;tizia sociale, quella che San To1n1naso chian1ava giustizia generale o lego/e, opponendola alla gh1s1izia particolare, che con1prcnde la giustizia con111u1tativa e quella distribuliva". Secondo San Tomn1aso la giustizio generale, che si può chia1nare anche giustizr'ct sociale, ha con1e obiettivo il pcrsegui1nento del bene con1une, ossia di quel bene che la persona è chian1ata a perseguire in quanto essere sociale, quindi vivente in relazione con il bene di tutti. Il bene co111u11e non è la se1nplice so1nn1a dei beni individuali, n1a quel bene che si produce in forza delrinterdipendenza esistente tra il singolo e tutti gli altri uon1ini"·. Ogni persona, infatti, è strutturaln1ente legata alle altre persone, sia nel bene che compie, sia nel n1alc: il bene o il 1nale, che uno coinpic, ridonda inevitabihnente sull'intero corpo sociale. Ecco perché San Ton1n1aso, oltre che parlare di bene con1une, parla coercnten1ente di 11eccato co1nune, ossia di quel peccato, che la persona compie pensando egoistica1nente solo alla propria realizzazione e trascurando addirittura volontarian1enle escludendo la
"GIOVANNI PAOLO 11, So!/icitudo '.' S. 111., Il-ti, q. 58, <W. I, 5, 6.
rei socia!i.1·. n. 38.
Ecco con1e si espri111e in proposilo Snn Ton1n1aso: ((È evidente che lulli coloro che fanno p<lrle di una con1unità si rapportano nlla con1unità conie le p8rli a! tulto. La pmte è ciò che è, in quanto è elen1ento del tullo; rerciò qualsiasi bene della parte dice rlrerin1e11lo a! bene dcl lutto. Di conseguenza il bene a cui tende ogni singola vinl1, sia che essn regoli 11 cornporla1ncn!o de!!'uorno nei confronti sen1pliccincnle cli se stesso, sia che essa regoli i! suo con1portnn1enlo nei confronti di <Jltrc persone singo!nnnente prese, vn sc1nprc con1unque valutalo ìn n1pporto al bene co1nune, verso il quale la glustizin necessrtrian1entc orienl<l» (S. T!i .. 11-Il, q. 58, a. 5).
158
Mario Cascane
realizzazione degli altri". Anche il peccato comune, perciò, non va inteso come la somma dei peccati individuali, ma come un peccato qualitativamente diverso da quello che la persona compie contro Dio o contro se stessa. Il peccato comune è precisamente quello che l'uomo co1npie in quanto essere sociale, cioè in quanto persona che vive in relazione con le altre persone. Il peccato comune è, dunque, ciò che si oppone al bene comune, generando l'ingiustizia sociale e quelle, che la teologia contemporanea chiama le strutture di peccato". Queste ultime non sono da intendersi co1ne elementi staccati dalla persona, ma come il prodotto diabolico del peccato comune, che ha sede sempre nel cuore della persona. Non esiste peccato, se non nella persona, e quindi nel suo egois1no, nel suo orgoglio, nella sua bra111a di potere o di avere. Questi peccati generano delle strutture JJeccan1ù1ose, che indubbiamente influiscono in negativo sull'esercizio della giustizia sociale. Esiste, purtroppo, una solidarietà di peccato, che condiziona pesantemente la dinan1ica della giustizia sociale. Esiste, però, anche la possibilità di una solidarietà orientata al bene con1une, e quindi capace di promuovere la giustizia. Tale solidarietà si fonda sulle risorse sane, che ci sono in ogni uon10, sulle potenzialità che ognuno possiede di compiere il bene. Ecco perché la solidarietà non schiaccia la persona, 1na anzi ne valorizza l'autonon1ia creativa. In altri tennini, la solidarietà non equivale affalto al collettivismo, che ha costituito l'errore antropologico più grave del siste1na marxista. Nella Centesinurs annus il Papa spiega che il comunismo è crollato proprio in forza di quell'errore antropologico, per il quale si è negata la soggettività creativa delle persone e quindi la loro preziosa originalità. Al fondo di quest'errore, secondo il Papa ce
--------------------,Y. Th., II-II, q. 58. Cfr. S. !\!fosso, Bene co1n1111e, str11tt11ra di peccoto, so!idcll"ietà. Categorie ce11troli del 111ogistero sociale della Ch;e$a (I}, in La c;l';/fà ca!fo!ica, 1992, lii, 355-364. '' Cfr. S. tv1osso, Bene co1111111e, str11!f11ra di peccato, (Il), in La Cil'iltà ca!folica, 1992, III, 475-485; V. !\1AURO, Peccato sociale, in Rii ista di Teologia 111orale 74 ( 1987) 23-38; S. DE GUIDI,// peccato personale e il peccato del 111ondo, in Rivista di Teologia 111orale 25 (1975) 49-79. 1
La dinamica attuale della giustizia
159
n'è un altro: l'ateis1no. La negazione di Dio porta quasi inevitabilmente alla negazione della dignità dell'uomo". La solidarietà che tende al bene comune è, invece, fondata sulla valorizzazione degli apporti creativi delle singole persone, ossia è fondata sull'altro grande pilastro della dottrina sociale cristiana, che è la sussidarietà. In forza di questo principio, lo Stato non deve n1ortificare le iniziative dei singoli e dei gruppi intennedi, ma anzi deve favorirle, in modo che i frutti di queste iniziative si ripercuotano positivamente sull'intero corpo sociale. I can1pi di applicazione cli questo principio sono, ovvia1nente, molteplici: da quello educativo-scolastico a quello familiare. In campo una concezione econo1nico esso fonda non strettan1ente individualistica della proprietà privata, la quale deve essere intesa con1e un possesso, che ha una destinazione universale. In altri ter1nini: non si possiede solo per possedere o per raggiungere il proprio bene individuale, tna si possiede sempre in ordine al bene comune'".
5. Dalla solidnrietà alla co111unio11e
La solidarietà, fondata sulla sussidarietà e orientata al bene comune, è quella base etica, che volevan10 ricercare per risolvere il tragico paradosso di una società, che si presenta caratterizzata ad un tempo dall'intreccio delle strutture e dal rifiuto di fondamenti valoriali. In lingua teologica la solidarietà ha un altro nome: guello di conzunione, che richiama addirittura la relazione d'an1ore fra le Tre Persone divine. Ad in1n1agine della Trinità è fatto l'uon10, il quale vive con1c relazione d'a1nore, trovando in que,sto il fondan1ento di tutto il suo agire etico. Concrctan1cnte questo significa che l'in1pcgno per la giustizia non può non essere vivificato dalla carità. Che relazione e' è tra giustizia e carità? Una risposta a questa don1anda può essere
,,, GIOVANNI PAOLO
'" !hid., nn. 30-43.
li, Ce11/esi11111s annus, 1111. 13, 24, 41.
A1ario Cascane
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desunta dall'enciclica Dives in 1nisericorclia. In essa il Papa an1metle che oggi si è risvegliato il senso della giustizia, n1a non se1nprc esso è inteso in n1odo veramente costruttivo. Molto spesso, infatti, su quest'idea cli giustizia prendono il sopravvento altre forze negative, quali: il rancore, l'odio, la lotta di classe, che può arrivare perfino alla privazione dei più elen1cnlari diritti un1ani. Di conseguenza la giustizia da sola non basta e anzi può essere annientata, «Se non si consente a quella forza più profonda, che è I'an1ore, di plas1nare la vita un1ana nelle sue varie di1nensioni»" Un'ulteriore specificazione di questo rapporto ci viene fornita dal docu1nento della C.E.I. Evange/izzazt'one e testhnonianza rie/la carità. Qui si affenna che la carità è chian1ata anzitutto a vivificare la giustizia, liberandola dal burocratisn10, daII'anonirnato e dal legalismo, e immettendo in essa le note della gratuiti! e del rapporto interpersonale" Non basta in1pegnarsi a creare servizi sociali e strutture di giustizia. È necessario che al cuore di questi elc1nenti operi scrnprc l'uon10 con la forza dell'an1ore. Probabiln1ente, ad una carit~l senza giustizia, praticata in passato per lo più nel privato, ha finito per corrispondere oggi una giustizia senza carità, praticata nel pubblico''. La giustizia va dunque anin1ata e vivificata dalla carità, la quale serve la persona in un orizzonte più vasto di quello della giustizia. Tuttavia bisogna evitare se1npre il pericolo cli 1nini111izzarc le esigenze della giustizia o, peggio, di concedere sotto fonna cli carità quello che invece è dovuto per giustizia. In questo senso la carità va pensata in grande e si traduce anche in in1pegno politico, teso a creare un ordine sociale giusto. La carità è in grado di individuare i bisogn; scn1pre nuovi, che la rapida evoluzione della società fa c1nergcre, e si in1pcgna a farli riconoscere con1c rh"ritti, affinché siano tutelati dall'organizzazione sociale. La carità, in particolare, aguzza la inente
Il, L>i\!CS i11111isericoJ"dio, n. 12. : C.E.1., EiY111gc/izz(lz.io11e e 1estii11011ia11z.o dello corità, n. 38. ,, Cl. Pl1\NA, Lo carità nel socio/e e nel politico, in Ril'ista di Teologia 23 (1991) 37-"0. "GIOVANNI PAOLO
1110/'a/e
/_,a dùunnica attuale della giustizia
16 I
del credente per abilitarlo a cogliere tutta la sfera del st1t1111, che è l'oggetto proprio della giustizia'. Quest'i1npegno di anin1are la giustizia sociale con la forza dell'a1norc va portato avanti, tentando di sconfiggere due tentazioni, che sono sempre ricorrenti nella nostra prassi ecclesiale: la privatizzazione della carità e la delega. Spesso la carità viene ancora intesa come singolo atto di beneficenza da condursi nel privato e tale da non coinvolgere l'intera con1unità ecclesiale. Nel cli1na dell'interdipendenza strutturale, questa maniera di praticare la carità non solo non è sufficiente, 1na rischia di coprire, con il 1nanto della 111isericort!ia, palesi fanne di ingiustizia. Quella, che a livello sociale è l'interdipendenza e a livello etico è la solidarietà, deve diventare, a livello teologico, la comunione. Abbian10 già anticipato che il rnodello di questa comunione fonda !a relazione d'amore tra le persone, non annullandone l'originalità, rna anzi valorizzandone la diversità. La carità con1unionale ci insegna che la diversità è ricchezza e che l'unità non è unifonnità. In concreto quesro deve portare a costrnire il nuovo ordine sociale con il contributo prezioso di tutti, 1na anche tenendo conto dei bisogni differenti, che hanno le diverse persone. Questo vuol dire che la giustizia sociale, ani1nata dalla carità, non può rinunciare alla pratica della ghtsf;zio distributiva, che regola i rapporti tra la società e i singoli. È che le persone si trovano in rapporti differenti con la società cd hanno diversità di ineriti, di capacità, di bisogni. È necessario, pertanto, che ci sia una diversa distribuzione elci beni e degli oneri, che tenga conto di questa diversità delle persone nella società. Il sisten1a fiscale, il sisten1a previdenziale e tante allre strutture dell'organizzazione sociale vanno, dunque pensate alla luce di questo pr1nc1p10.
'·c. ivlATT/\I, Rapporto carità-giustizia, ibid., 41-44.
Mario Cascane
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6. Nell'orizzonte della fede
La luce della redenzione di Cristo si proietta anche sulla questione della giustizia sociale. Attraverso l'incarnazione, il Verbo cli Dio diventa il modello esemplare dell'uomo, il primogenito dell'umanità nuova, l'uomo perfetto in grado di rappresentarci nel niigliorc dei 1nodi l'essenza e l'esistenza di ogni uomo sulla terra. La luce di Cristo, redentore dell'uomo, smaschera tutte le forme di ingiustizia csistenli oggi nella società e le denuncia con la forza profetica, rimettendo sempre in discussione ogni sistema ed ogni ideologia. Non ci sono sistemi econo1nici e politici assoluti. L'unico Assoluto è Dio, che riflette lo splendore del suo essere nel volto dell'uomo, in particolare dell'uomo povero. Il povero è il segno della stessa presenza interrogante di Dio nella società. Ecco perché la presenza dei poveri è una don1anda inquietante per ogni siste1na economico, sociale e politico. Forse è per questo che i poveri li avremo sempre con noi (cfr. Cv 12,8): perché continuino ad interrogarci nell'inti1no, costringendoci a scegliere tra la linea dcl privilegio egoistico e la capacità di uscire da noi stessi, sulla scia della liberti! nuova introdotta da Cristo. Di più: la presenza dei poveri costringe gli stessi sistemi socio-politici a scegliere tra la logica cli privilegiare il più forte e la logica di partire dai più deboli, per garantire a tutli i diritti un1ani fondan1entaii''. Nell'epoca della complessità e cieli' interdipendenza multipla, mentre il inondo si fa se1npre più uno, pur sentendosi 1ninacciato dai rigurgiti degli etnicis1ni, il Cristo Risorto viene a n1anifestarci il suo proposito di fare dcll'u1nanità una fraternità universale. TI criterio morale, chiamato a guidare questo progetto, non può più essere quello di un'cco1101n1a incentrata sulla n1assin1izzazionc dell'utile individuale, ma deve essere quello di far convergere le ricchezze individuali verso il bene comune.
,, S. Mosso, art. cit., 485.
Sezione miscellanea con documenti e studi Sy11axis XIV/2 (1996) 163-212
NOTE SULLA FACOLTÀ DI TEOLOGIA DELL'UNIVERSITÀ DI PALERMO
FRANCESCO CONIGLIARO'
Pre1nessa Le varie facoltà dell'università degli studi di Palermo hanno ricevuto dalla storia la possibilità ed il compito di evolversi e di incre1nentarsi, sia secondo le esigenze intrinseche ai vari an1biti del sapere, sia secondo le esigenze estrinseche degli interessi delle forze operanti e dominanti nello spazio socio-politico. I medesimi fattori hanno giocato un ruolo decisivo anche sulla facoltà di teologia, ma, a partire dalla creazione dello Stato unitario italiano, hanno avuto efficacia solo le ragioni estrinseche. Quelle intrinseche, infatti, sono state fagocitate da qucst'ultime, fino al punto da non avere più alcuna possibilità di imporsi: come emerge dal dibattito intorno alla soppressione delle facoltà teologiche nelle università statali, le discipline propriamente teologiche sono state contestate anche nella possibilità stessa di avere un statuto episte1nologico specifico 1; n1a,
l'aspetto più inquietante della questione è che le difficoltà di ordine
' Docente cli Storia della Teologia presso l'Università di Palcrn10. 1
Cfr. l'intervento de! senatore G. Finali al senato dcl regno, in Affi Parla111e11tar1: Sena/o, Discussioni, XI" Legislatura, 2" Se.çsione, tornata del I 6 gennaio 1873, 1332.
164
Francesco Conigliaro
epistemologico scaturiscono da quelle di tipo ideologico o risultano sempre collegale con esse. Quando diciamo esigenze estrinseche, intendian10 fare riferimento sia alla posizione ufficiale della Chiesa cattolica, sia al comportamento dei cattolici nell'ambito del dibattito culturale e politico, sia, infine, all'azione delle forze politiche della sinistra e della destra, che si sono impegnale in modo diretto ed articolato nel medesimo ambito. Tutti e tre gli aueggian1enti hanno provocato, in un 1nodo o in un altro, la scon1parsa delle facoltà di teologia dalle università statali italiane. Quello della sospensione fu un esito doloroso, ma fu anche una sorta di naturale conseguenza del con1portan1ento dci protagonisti appena indicati. Ma si tratla di una storia lunga. In questo nostro breve lavoro intendiamo fcrn1are la nostra attenzione sul la vicenda della facoltà di teologia del!' ateneo palennitano, e lo faren10 seguendo tre piste: tcntere1no un'analisi dci clocun1enti cl'archivio 2 , dare1no indicazioni sulle personalità più significative e circa il tenia teologico più vivacc1ncntc dibattuto e faremo un accenno alla soppressione delle facoltà di teologia nelle università italiane, che ha travolto anche quella del nostro ateneo. I clocu1nenti che ci sono pervenuti ci consentono cli accedere alla conoscenza di diversi momenti della storia della facoltà di teologia e di risalire alle tre diverse istituzioni alle quali essa è appartenuta di volta in volta, e cioè al Collegio Massimo della Compagnia di Gesù, alla Reale Accademia degli studi ed alla Regia Università degli studi.
2 Quanto ai dati d'archivio, è necessario osservare previmncntc che ~i dispone di una docunientazione superstite. Ciò significa che si può attingere ;1 docun1enli che riguardano solo alcuni n1on1enti, alcuni ratti ccl alcune persone. Circa tutto il resto, o ci si conlentn di notizie generiche ccl indirette o, se non si vuole fare riferin1cnto ad esse, non si è ìn grado di ricn1pire gli spazi vuoti con vicende e con ratti. Questa, che in linea di 1nassin1a è la condizione degli incar1a1ncnti concernenti tu!te le facollit dcll'a!enco palennitano, in inodo particolare è la condizione archivistica della racolth di teologia, che, da! 1873, anno della soppressione, ha, per così dire assistito alla propria scon1parsa ed all'assorbi1ncnto di tutte le proprie carte da parie degli archivi gencruli, prirna dell'ateneo e poi dello Stalo.
Note sulla Facoltà di Teologia dell'Universilà di Palermo
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1. PREISTORIA DELL'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO E DELLA SUA FACOLTÀ DI TEOLOGIA
Nel lungo arco di tempo che precede la fondazione dell'università degli studi di Palermo e delle sue varie facoltà, arco di te1npo che ci piace chiamare "preistoria", possiaino distinguere due fasi: la prima, che va dagli iniziali progetti concernenti lo S!udium Generale all'istituzione della Real Accademia degli studi dell'anno 1779, è caratterizzata da alcune vicende ora illuminate dalla speranza e dall'attesa fervida, ora segnale dalla disillusione; la seconda, che ricopre il breve tratto di tempo che intercorre tra il 1779 ed il 1805, vede il sorgere della Real Accademia degli studi e la sua graduale evoluzione fino al rango sostanziale e forn1alc di universitù degli studi. Prima che si possa parlare di facoltà di teologia e di tutte le prerogative pertinenti dai punti di vista sostanziale, operativo e sin1bolico, è necessario parlare di studi di teologia e di lauree in teologia. Essi si presentano sulla ribalta stessa della storia dell'università di Palermo.
I.I. Dagli inizi al 1779 Rispetto ad altre città i.solane, quali Catania 3 e Messina\ Paler1no, Regni Capul, vide sorgere la sua università con non pochi secoli di ritardo. Una tale situazione, però, non può essere interpretata con1e
3
L'università degli studi di Catania, Siculorwn Gy11111asi11111, fu istituita daglì
aragonesi, che prediligevano la citlà etnea, e da papa Eugenio IV nel 1444; cfr. AA.
Vv., Storia della 11niJ1ersità di C'atania da/le origini oì giorni nostri, Catania 1934. ~L'università degli studi di Messina fu inaugurata il 3! dicernbre 1569; in precedenza, rna solo a partire da! !548, era operante, con1e scuola a livello accadcn1ico, il collegio dei gesuiti. Il A1essa11e11se St11di11111 Generale fu soppresso nel 1679, dopo la rivoluzione filo-francese, e venne ripristinato nel 1838. Sull'università dì Messina cfr. A. ROMANO, ((Pr/!1111111 ac Prototyp11111 C'ollegi11111 Societatis lesu» e «Messa11e11se Sr11di11111 Generale)). L 'insegna111e11to universitario a Messina nel Ci11q11evento, in AA. Vv., St11di e dirilfo nell'area 111editerro11ea, Saveria f\1annelli 1993, 123-151; D. NOVARESE, Istituzioni politiche e studi di dirilto .fra Cinque e Seicento, in AA. Vv., !I "Messanense St11diu111 Generale" tra politica gesuitica e istanze ege111011iche cittadine, Milano 1994.
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J?rancesco Conig!iaro
segno del disinteresse della città per il problema degli studi supenon ed accademici. In verità, fattori estrinseci si dimostrarono più forti ed efficaci dell'interesse della cittadinanza palermitana. Lo Studium Generale, concesso dal re Ferdinando II nel 1498 in seguito ali 'antica petizione del pretore dcl 1312, non poté essere istituito a motivo del!' opposizione delle città di Catania e di Messina. Per provvedere alla necessità di studi superiori in Palermo, intorno alla metà del secolo XV venne aperto, presso il convento palermitano di San Doinenico, uno studiunz pubblico, in cui venivano tenuti alcuni insegnamenti, quali teologia, casi di coscienza, esposizione della Sacra Scrittura, filosofia ed altri ancora5 . Nella prima metà del secolo XVI vennero introdotte anche le cattedre di medicina e di diritto. Tale istituzione ebbe breve durata, in quanto la responsabilità dell'insegnamento superiore ben presto venne assunta dalla Compagnia di Gesù, che, dopo la sua fondazione nel I 540 ad opera del prete spagnolo Ignazio di Loyola, si era affermata dovunque in Europa, ed anche nel Regnum. Nel I 552 l'imperatore Carlo V fondò il collegio dei gesuiti, che nel 1553, in onore del fondatore, venne chiamato Collegio Imperiale. Ebbe la sua sede prima nella badia di Santa Maria della Grotta, ricostruita come Collegio di Casa Professa, e poi nel Collegio del Cassaro, inaugurato nel 1588 e denominato Collegio Massimo. Vi si conferivano le lauree in filosofia e teologia in forza di un breve di Pio V del 19 agosto 1560, confermato da Gregorio XIII il 7 maggio 1578 e mandato ad esecuzione nel regno il IO settembre 1583. Vi conseguivano la laurea anche gli alunni del seminario di Palermo, istituito dall'arcivescovo Marullo m ottemperanza alle disposizioni del Concilio di Trento, ma ancora pnvo di scuole proprie.
5Cfr. A. MONGITORE, Storia dei conFenti e 111011asteri, 1nanoscritto qq. E 6 della Bibliotccn Comunale di Palern10; cfr. anche L. SAMPOLO, i.Li R. Accaden1ia degli Studi
di Pa/enno. Narrazione storica, Palcnno 1888, ristainpa anastatica con presentazione di G. La Grutta e introduzione di R. Giuffrida, Palerrno 1976, 12.
Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo
167
In seguito alle istanze, presentate rispettivamente dal rettore del Collegio Massimo dei gesuiti nel 16326 e dal senato per mezzo del viceré il 26 giugno 16357 , il re Filippo IV, in data 15 settembre 1637, emanò un decreto istitutivo. Sennonché, a causa di una lite sorta tra il rettore del Collegio Massimo e l'arcivescovo palermitano, cardinale Giannettino Doria, per l'attribuzione della carica di cancelliere, la questione dell'università cadde in dimenticanza. Nell'intero Regnum l'insegnamento superiore rimase sotto l'esclusiva competenza dei gesuiti dal 1552 al 1767, anno della loro espulsione. Tale disavventura, avvenuta a motivo dell'influenza e del potere enorme da essi conseguiti in ogni parte dell'Europa, non provocò contraccolpi traumatici nell'insegnan1ento superiore del Regnum, in quanto si continuò a far uso delle stmtlure già appartenute ai gesuiti e degli ordinamenti degli studi da essi progettati ed attuati. Infatti, se è vero che, nella notte del 20 novembre 1767, quando venne mandato ad esecuzione il decreto di soppressione della Compagnia di Gesù nel regno di Sicilia, Palermo contestualmente venne a trovarsi priva del collegio universitario che conferiva lauree in filosofia e teologia, è anche vero che qualche settimana dopo, e cioè il 22 dicembre del 1767, il Collegio Massimo venne riaperto sotto la responsabilità di una Suprema Giunta contro gli abusi o Giunta di Educazione, di cui erano componenti, tra gli altri, l'arcivescovo di Palermo, Serafino Filangeri, e l'arcivescovo di Monreale, Francesco Testa. La giunta curò la riorganizzazione degli studi superiori in Palermo e fece risorgere l'antica Accade1nia di lettere e scienze dei gesuiti, anche se ne cambiò l'indirizzo 8 .
6 Cfr. f)ispaccio regio col quale si chiede il parere dei Presidenti e Consultore sulla do111a11da del rellore del Collegio dei gesuiti di aprirsi ù1 quel Collegio 1111a U11ive1:~ità di studi, in Archivio Con1unale di Palcrn10 (= ACPA), Consulte del senato. Anno 1775-7, dar. 388 a L 393, in L. SAMPOLO, op. cit., doc. V, XIX-XXII. 7 Cfr. Istanza del senato al Viceré perché al re si spedisca la Consulta dei Presidenti e Consultore per la erezione de//'u11iversi1à degli studi, in ACPA, Consulte del senato. Anno 1775-7, in L. SAMPOLO, op. cit., doc. VI, XXII ss. HCfr. L. SAMPOLO, op. ci!., 67.
Francesco Conigliaro
168
1.2. Anno 1779: la fondazione della Real Accademia deg/; studi Il momento preciso in cui il progetto di istituzione di una università a Paler1no venne forn1ulato in 1naniera concreta e programmata fu il 5 marzo 1777. In tale data il senato palermitano fece pervenire al re Ferdinando III una petizione volta ad ottenere sia la concessione all'accademia di Palermo della facoltà di conferire le lauree in filosofia e teologia, co1ne al tempo dei gesuiti, sia l'erezione di una università nella capitale". Il J O agosto 1778 il re comunicò che presto avrebbe provveduto alla riorganizzazione generale degli studi di Palermo; quanto, però, alla possibilità di conseguire lauree in istituzioni della città, la risposta del sovrano fu negativa, «trattandosi del pregiudizio del terzo che è la città di Catania per la privativa che ne gode quella sua pubblica Università degli studi»'"· Nel contempo la Deputazione dei Regi Studii SI orientò con detern1inazione a favorire l'erezione in Palern10 di una università. A tale scopo presentò un progetto 1nassin1ale di studi superiori con 33 cattedre. Ma, essendo insufficienti i fondi assegnati dal governo, essa presentò un altro progetto, questa volta minimale, con 26 cattedre, e cioè 5 per le discipline sacre, 5 per quelle giuridiche, 6 per quelle mediche e chirurgiche, I O per quelle filosofiche e letterarie. La proposta de!Ia Deputazione aveva altre i1nplicazioni circa la retribuzione, che era differenziata in tre livelli 11 , e circa il passaggio da un livello all'altro, che veniva deciso sulla base degli anni di servizio".
9 Cfr. Petizione del senato di Pa/en110 con la quale si chiede !a erezione di l/fl(/ co111piuta UniFersità di studi, in AcrA, Consulte del senato. Anno 1775-7, in L.
SAMPOLO, op. cit., doc. VIII, Appendice XXXI-XXXVIff: alla Periz.io11e vengono allegati il Dispaccio regio di Filippo IV e l'Istanza del sena/o ciel 1635, gib ricordati. 1 Cfr. Alla Deputazione de! regno, in L. SA!VIPOLO, op. cit., doc. JX, Appendice XXXIX. 11 La retribuzione prevista era di onzc 80 per i pri1ni olio professori, di onze 70 per un secondo gruppo di otto, e di onze 60 per i rirnanenti (cfr. L. SAMPOLO, op. cit.,
°
81). Può essere significativo considerare che all'universilù di Napoli gli stipendi erano di ben altra consistenza; infatti, le classi di retribuzione crnno le seguenti: ducati 800, ducali 400, ducnti 300, ducati 200, ducati 120; l ducato equivaleva a I O tarì e 30 tarì equi valevano ad I onzn.
Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo
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Per le discipline sacre la Deputazione fece le proposte seguenti: cinque cattedre, e cioè: la Scrittura Sacra, 2a teologia dogn1atica, 3a teologia dogmatica, 4" teologia morale secondo il testo di s. Tommaso, 511 storia e disciplina della Chiesa1.1 ; oltre i professori titolari, anche sei lettori soprannu1nerari, il cui compilo era di supplire i professori assenti e di "leggere" una volta la setti1nana; inoltre, in caso di cattedra vacante, venivano preferiti per la successione 14 • Il re, con regio decreto del I 0 maggio 1779, diede un assetto definitivo agli studi, approvando, salvo alcune eccezioni, le proposte della Deputazione. Per quel che concerne le cattedre, ne furono approvate solo tre, e cioè: 1a teologia dog1natica, 2a teologia 111orale, 3n
storia ecclesiastica; venivano escluse la cattedra di Sacra Scrittura e la 2a cattedra di teologia dogmatica; la teologia n1oralc veniva concepita con1e autonon1a rispetto al pensiero di s. To1n1naso; le istiluzioni canoniche venivano 1nutuatc dalle discipline giuridiche 15 • Veniva respinta la proposta dei professori soprannutnerari e veniva accolta quella relativa alla retribuzione 16 • Il regio decreto stabilì la nonna che i canonici non potessero essere lettori e non potessero ricoprire alcuna altra carica nel collegio degli studi, ma, appena se ne constatò l'insensatezza, fu abolita; cosa che accadde il 3 ottobre 1787 17 • In tal modo, il 5 novembre 1779 ebbe in parte compimento il voto della città di Palermo, approvato a suo tempo da Filippo IV e non ancora mandato ad esecuzione a n1otivo di beghe private e n1unicipali. Ma il can1mino verso la creazione dell'università non si arresta. Infatti, nei primi mesi del 1781 il senato palermitano chiede al re Ferdinando di accordare alla Real Accademia degli studi di Palermo la 12 Cfr.
L. SAtvlPOLO, op. cit., 82. Cfr. i/Jid., 81. I~ Cfr. ibid., 83. 15 crr. ibid. ir, L'approvazione della proposta di retribuzione prevedeva anche l'eccezione della confern1a degli stipendi dci lettori già in carica n! Collegio Mnssi1no, che, quanto alle discipline sacre erano i seguenti: teologia don1n1alica: onzc 100: pror. Francesco Carì; teologia cstcchetica: onze 100: pror. Vincenzo Flercs; liturgia: onze I 00: prof. Francesco Pensabene; storia sncra e profana: onze 100 (cfr. L. SAMPOLO, op. cit., 83). 17 Cfr. il1id., 84. 13
Francesco Conig/;aro
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facoltà di conferire le lauree in teologia e filosofia, come al tempo in cui era operante il collegio dei gesuiti, in quanto «Il privilegio di tali due dottorali non fu concesso alle persone dci suddetti Padri, ma al luogo ed al pubblico beneficio di questi cittadini»". Il re Ferdinando aderì alla petizione del senato con dispaccio del 5 aprile 1781 e, oltre a dare all'accademia la facoltà di conferire le lauree richieste, ai laureati concedeva anche alcuni privilegi, quali l'anello, la toga di color cremisi per i teologi e di color verde per i filosofi, la cintura sopra gli abiti civili ed il fiocco al cappello, ancora di color cremisi per i teologi e di color verde per i filosofi 19 • L'accaden1ia era governata secondo norme, e le più antiche rimontano agli anni I 781 e 1783"'- A questi anni risale quanto segue: la definizione delle classi o facoltà, che sono quattro (teologica, legale, medica e filosofica) e dei collegi, che sono tre, in quanto la classe teologica e la classe legale ne formavano uno solo; la durata dei corsi, che per la filosofia, la giurisprudenza e la medicina è triennale e per la teologia è quinquennale; le ore delle lezioni: tre ore al giorno; la distinzione in corsi obbligatori e facoltativi; la determinazione delle 1natcrie d'insegnamento, che per il corso teologico sono: teologia dogmatica (per lUtto il quinquennio), diritto canonico (per tre anni), storia ecclesiastica (per tre anni), teologia morale (per due anni), lingua greca (per due anni) e lingua ebraica (per due anni); la denominazione dci titoli accaden1ici, che per la classe teologica sono: baccellierato (alla fine del 2° anno), licenza (alla fine del 3° anno) e
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Cfr. Petizione del senato(/; Palenno con cui si chiede il priFilegio di potersi dalla R. Accaden1ia degli st1ull co1if"erire la laurea ù1 filosofia e teofogia, in ACPA, Palcnno li 30 (n1anca l'indicazione Jcl 1nese) del 1781. 19 Cfr. !Ji:-,paccio con cui si accorda alla R. Accade111ia deg/; studi il privilegio di co1!ferh·c i gradi do!!orali in .filosofia e teofogfr1, in Archivio di Stato di Palern10 (::::: ASPA), Reali Dispacci - registri di ordini Reali e \liceregi, voi 16, 76; cfr. anche L. SAtvlPOLO, op. cit., 94. 211 Cfr. Istruzioni per gli studenti della facoltà teologica, legale, 111edica e jilo.w~fica de/fa R. Università di Palenno disposte d'ordine della !Jeputazione dei Regi Studi del Regno di Sicilia e del Convilto Reni Ferdinando nell'anno 1783: cfr. L. SAMPOLO, op. cit., 133-! 39; per i dati concernenti la classe teologica cfr. ibid., 135 s s.
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laurea (alla fine del corso di studi); le norme concernenti gli esami per conseguire i vari titoli accaden1ici 21 • I successi ottenuti, e soprattutto la possibilità di concedere i titoli accademici, spinsero i membri dell'accademia ad attribuire in qualche circostanza alla loro istituzione il titolo di università, ma questo fatto provocò dei risentimenti. Sicché, il 17 marzo 1783 il re fece divieto all'accademia di Palermo di fregiarsi del titolo di università, privilegio esclusivo di Catania22 • Tra i fatti che risultano degni di attenzione, lungo il cammino che porta alla creazione dell'università di Palermo, ricordiamo la rassegna degli studenti, il cui numero non solo atte.stava il prestigio dell'istituzione di appartenenza ma costituiva anche un motivo valido di pressione per ottenere ulteriori concessioni2\ e la riapertura, in
21 Le nonne concernenti gli csaini sono articolate con1e segue: per il baccellierato: una prova scritta della durata di otto ore con un teina di teologia ed uno di diritto canonico; gli studenti bocciati potevano ritentare la prova nell'aprile del terzo anno; quelli bocciali ancora, dovevano rico1ninciare i! corso di studi; per la licenza: una prova scrilla, della durata cli otto ore con un teina di teologia cd un tenia di diritto canonico, ed una prova orale, consistente in un colloquio sopra gli scritti; g!i studenti respinti potevano riprovare nell'aprile dell'anno seguente; quelli bocciati una seconda volta potevano affrontare ancora una volla gli esrn11i di licenza a condizione di seguire un altro anno di corso; per la laurea: una prova scrilla su tre argo1ncnti cli teologia e di diritto canonico; una prova orale consistente in un colloquio di un'ora con la con11nissione cli laurea; gli studenti n1igliori avevano la facoltà di sostenere gli esaini di !aurea all'inizio dcl 5° anno; nei casi degli studenti pili 1neritevoli !'esmne di laurea poteva essere sostenuto alla presenza della Deputazione degli Studi. 22 Cfr. Ordine Sovrano che vieta darsi il titolo di Università alla R. Accade111ia degli Studt, in L. SAMPOLO, op. cit., ciac. XXIV, Appendice LXIII. v 11 30 aprile 1800 la deputazione inviò al re una rassegna degli studenti con annessa !a nota elci professori. I clati generali sono i seguenti: facoltà teologica: studenti 84; racolt~1 legale: studenti 336; facoltà tnedica: studenti 152; facoltà filosofica: studenti 324. Professori e studenti per cattedra, della facoltà teologica: teologia do111111atica: prof. Paolo Filippone, studenti 40; teologia 111ora!c: pro r. Rosario Corso, sludenti 12; storia ecclesiastica: prof. Vincenzo Fontana, studenti 32; giure ecclesiastico: prof. Raffaele Drago, studenti 80 (efr. Lettera del 30 aprile 1800 della Deputazione degli Studi al re con l'annessa Rassegna dei Discenti delle Scuole Superiori li 26 aprile 1800 i11 questa Real Accade111ia di Palenno, in L. SAMPOLO, op. cii., doe. XXVlll, Appendice LXX s).
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seguito alle vicende napoleoniche, delle porte del regno ai gesuiti, espulsi nel 1767".
1.3. Anno J/!05: l'università degli studi di Palermo Jn data 3 settembre 1805 il re restituì ai gesuiti, richiamati l'anno precedente, il Collegio Massimo ed assegnò alla Real Accaden1ia la casa dci tcalini di via Maqueda, elevandola nel conte1npo ad univcrsith degli studi 25 . Contestualmente, in data 7 settembre 1805, venne pubblicato un regolan1ento, che accoglieva le norn1ative precedenti, apportando anche qualche ovvia variazione: Regolrunenli generali per la Reale Università nuovrunente eretta nella città rii Palern10. Ele1nenti particolarn1ente rilevanti riguardano i professori: la loro scelta si faceva per titoli; se si doveva scegliere tra candidati privi di pubblicazioni, si procedeva con csan1c da sostenere davanti a1 deputati, al rettore cd al collegio; i professori erano ordinari e straordinari; gli straordinari, che leggevano nei giorni di vacanza, se lo facevano con lode, in caso di vacanza della cattedra, diventavano ordinari: pralica1nente, così venne accolta la proposta dei professori soprannu1nerari, che era stala respinta nel I 779; i sostituti venivano non1inati dal rettore. 1 rego/a111enti dei 1805 non ebbero 111ai piena esecuzione. Infatti, i professori non furono scelti per 111erito, 1na per concorso, cd i collegi in realtà non vennero 1nai costituiti.
l.J Ferdinando IV di Borbone, rientralo D Napoli dopo la r:rnfenlesi napoleonica, richiainò i gesuiti; il Papa inviò il suo Breve il 13 luglio 1804, cui seguì il regio exequatur i! 7 agosto 1804 (cfr. L. SAIVJPOLO, op. cii., 187 s). 25 Cfr. l)ispaccio del 3 seffe111bre 1805 col quale si ordù1a il tra.~feri111ento ne/fa Cas({ dei PP. Teatini a S. Giuseppe della Accade111i({ degli studi, e questa ,ç'inna/za ad Università, in ASPA, f:;isc. 2, I, 8: Ministero Luogotenenziale Riparliinenlo Interno, 2. carico dell'anno 1841, filza 2288, in L. SAMPOLO, op. cit., 191 e doc. XXfX, Appendice LXXIV ss.
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2. LA CLASSE TEOLOGICA
Le notizie che ci sono pervenute sul la facoltà di teologia o classe teologica dell'università di Palermo sono, come abbiamo già rilevato, molto fra1nn1entarie. Esse concernono la vita ordinaria e straordinaria della facoltà e ci consentono di venire a conoscenza delle attività espletate e dei problemi da essa affrontati circa le cattedre d'insegna1nento, le procedure, concorsuali e non, per accedere ad esse 26 , i progran11ni degli studi, le lauree a regi1ne sia ordinario che straordinario, la partecipazione della cornponente studentesca.
26 L'accesso nllc cattedre è sottoposto alle nonne contenulc nei vari rcgolan1c11ti vigenti ed aJoua1i in linea orn provvisoria ora dcrinilivn sia ncll'nccadcn1ia che nell'universitù. Per quel che concerne l'accesso alle calledre dcl!a c!assc tco!ogica, avre1no 1noclo, quando ci occupereino delle vicende concorsuali e non, concernenti le varie calleclre, di riferire una parte dei dalia noi pervenuti. Adesso desidcrian10 fcnnare In nostra attenzione su alcuni casi rireritl dalle fonti supcrslili e che, data la loro peculiariti1, possono anche clcst<ire l<i nostra rneravig!ia. 1 n pilrticolare, so110 degne di n1enzionc le richieste di cattedre senza alcunn specificazione, se si ccce!lua l' indica7.ione delle cornpelenze del richieclenlc, o anche le richieste con dispensa eia regolare concorso. Il teatino (~aetano Mechinel chiede al re elle gli venga data, appena possibile, una catteclr<i di filosofia o di teologia do1n1natica in Palcnno, adducendo corne 11101ivazione il fntto che ha già insegnato presso i! Sen1inario arcivescovile di l\1essina. Con lettera del 12 inarzo 1780 Stigliano C!lh1n1ia si rivolge alla Dcpulazlone dei Regi Studi e fa 1ncnzione dcl dispaccio reale concernente !a supplica dcl l\1echinel, affinché se ne facci<l un uso opportuno (cfr. ASl'f\, Pubblica lstruLione (cit. PI) busta 93, fase. 42). In data 12 gennaio 1788 Carlo Maria Lensi delle Scuole Pie invia una supplica al re, affinché, quando se ne presenterà l'occasione, gli si conceda una cattedra cli filosofia o cli Matenuirica o cli teo!ogiu, in quanlo tulle e tre sono congeniali ai suoì studi. li Principe di Caran1anico con lettera ciel 30 gennaio 1788 cfa con1unicazionc alla Deputazione dei Regi Studì della supplica presentala dal Lensi allo scopo di ottenere un posto cli lettore all'università cli Pa!ern10 (cfr. ASPI\, PI busta 93, h1sc. 42). Ne! corso del l 836 viene giubilato e 1ncsso a riposo il professore "proprietario" della caltecln1 di diritto canonico, Stefano Di Chiara, e, pertnnlo, la cattedra ri1nane vacante. Il docuinento ufficiale con cui il /vlinistero e Reni Segreteria di Stato presso i I Luogotenente Cìeneralc giubila il prorcssorc Stefano Di Chiara reca la Ù<1La dc! 26 1naggio 1836 (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2); ina già Luigi Ginrnpallari si ern dato eia rare ripetute volte per ottenere, senza concorso, 1<1 caLLeclrn cli clirillo c<111onico. Il /vtinislero e Real Scgretnrìa di Stato presso il Luogotenente Generale ùei Reali Do111ini <il di lù ciel Faro in data 16 marzo 1836 tr!ls1nclle al!a Corn1nessionc per la Pubblica Istruzione una supplica dcl Ginn1pallari, allegal!l ad un suo docu1nento, e chiede che .se ne raccìa l'uso pili opportuno. Sullo stesso docu111cnto si trova un an'notazionc del 28 rnarzo nella quale si dice che il richiedente presenti lo scritto dirilfo Ecclesiastico
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I dati generali concernenti la classe teologica possono essere desunti dai vari regolamenti sia proposti che approvati e, questi ultimi, ora provvisoria1nente ora definitivan1ente, da qualche altro tentativo di riforma degli studi superiori e da altri documenti. Si tratta dei regolamenti del 1805 27 , della riforma del I 825' 8, della proposta di Sica/o al reHorc, e questi !o faccia esan1inarc da Di Chinra, Ci!Juffo e Di Stefano. Il 1 8 aprile Luigi Gimnpallari presenta un'altra supplica al re per avere senza concorso la cattedra di diritto canonico. Il congresso dell'università dcl IO dicc1nbre I 836 stabilisce che l'opera del Gimnpa!lari si dia ad csaininarc, invece che al profcssocc ivlnlvagna, defunto, ed al professore Lo Presli, 1nalaLo, al professore Garajo ccl al professore Vagona, affinché ne prcsenlino unn relazione a! rettore (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2). In dnli.l 8 ottobre 1836 Giovanni Gallina rrcsenla richiesta di ottenere sen7,a esa111i la cattedra di diritlo canonico. Tra i titoli annovera l'opera seguente: J\!la11ualc di affari Hcc/esiaslfrD sica/i. Il Ministero e Real Segreteria di Stato, in data 7 novcn1brc 1836, tras111ettc la pratica, con l'annessa don1anda dcl Gallina, alla Con1n1essione per la Pubblica Istruzione ed Eduenzione. Nel fratte1npo, il Gallina, con un docu111ento dcl 20 ottobre 1836, chiedeva fonnal111entc l'apertura dc! concorso e, con un altro docun1ento (s. d., 111a recante una annotazione clell 'ufficio dcl 20 ottobre 1836), chiedeva l'esen7,ione dal concorso, n1a aggiungeva che, se l'esenzione richiesta non poteva essere concessa, si procedesse pure a bandire il concorso (cfr. AsPA, PI husla 495, fase. 2). 27 Dei Rego/a111e11ti Generali per la Reale U11h ersilà 1111011a111e11te ere!la nella Ci11à di Palenno del 7 sellen1bre 1805 ci sen1brano degni di atten7,ione i dati concernenti le classi, !e cattedre, i gradi, i collegi ed i privilegi: paragr. 3: art. 13: qu<1t!ro classi o facollà: classe teologica, legale, 1ncdica, filosofica e cli Arti; arL. l 4: ciascuna delle classi prescntn nlla depula7,ione i regola1nenti circa i libri da spiegare e le dottrine dn insegnnre, a! fine di ottenerne l'approvazione; paragr. 4: divisione delle cattedre: art. l: classe (facoltà) teologica: quallro cattedre: I" teologia dogn1atica, 2" teologia n1orale, 3" luoghi teologici, 4" storia ecclesiastica; (la cattedra di diritto canonico è attivata presso la facoltà legale [cfr. L. SJ\!v!POLO, op. cii., LXXX s]); pnr;_1gr. 7: dci gradi: ari. 3: baccellierato: dopo il 2° anno; licenza: dopo il 3° anno; laurea: sci inesi dopo il con1plctmnento del corso di laurea; paragr. IO: ari. l: le quattro classi fonnano Ire collegi, in quanto Jc «Callcclre ecclesiastiche e di giurisprudenza» ne fonnano uno; paragr. 15: i privilegi: i privilegi dell'università di Paler1no sono uguali a que!!i clell'univcrsiU1 di Napoli (cfr. Archivio cli Stato cli Pa!ern10, Co1nn1essinne Supre1na per la Pubblica istruzione ed Educazione [cit. ASPA, PI I. bus la 153 11822], fase. 2). 28 11 l 7 sctternbre 1825 il re con un Sovrano rescritto avvi(} un riassetto degli studi superiori neJJ'inlero territorio del Reg1111111, con il duplice intento di soppri1ncre nelle Accademie di talune cillà non universitarie, co1ne Siracusn, Trnpani, Caltagirone, Pia7za Annerina cd Acireale, alcuni insegnainenti, sostituendoli con altri che erano ritenuti pii) opportuni per il livello delle scuole e che richiedevano lo stesso irnpegno finanziario, e di concentrare quelli soppressi nelle università. L'unica vari;_1nte è costituita <lugli insegnan1cnti teologici, d1e venivano nnch'essi soppressi nelle accaclen1ie cli livello non universitario e che, oltre che nelle università, potevano essere in1partiti nei sen1inari diocesani. In particolare, si è trallato di un intervento su 1
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cattedre cli insegnainento di teologia, diritto civile e canonico e cli n1cdicina e chirurgia, prececlcnlernente istituite al di ruori delle universitll e dei scn1inari nelle città di Siracusa, Trapani, Callagironc, Piaz7,a Arn1crina cd Acireale. Per quel che concerne gli stuclì teologici, inette conio ricordare che la Co1n1ncssionc per la Pubblica Isl!uzione cd Educazione non propose l'abolizione delle cattedre di teologia nelle università, ina solo di quelle delle scuole di teologia di Siracusa, Trapani, Ca!Lagironc, Piazza e Acireale, per la ragione che scuole analoghe erano operanti, oltre che nelle università, nei sc1ninari vescovili. Il Sa1npolo (L. SAMPO!.O, op. cit., 86 s, nota 1) così riferisce il fallo: «Gli insegnarnenti di teologia e di diritto civile e canonico e di 1nedicina, istituiti in Siracusa, Trapani, Caltagirone, Pi<1zza e Acireale vi durarono fino al 1825. Ln Con11nissione di pubblica istruzione, che a!ln Deputazione dei Regi Studi era succeduta, co1nprese che !e cattedre di 1nedicina e di chirurgia e quelle di diritto civile e canonico, si ricollegano con le altre nffini e si debbono nece.ssarimnente studiare nelle università, e che la teologia si insegna anche in queste, nonché nei serninari vescovili, e però ne propone l'abolizione, e allrc cattedre sostituì a quelle per rendere co1npiuto il corso di lettere, filosofia e 1natc1natica; i! re .sanzionò le proposte rifanne>) (cfr. Sol'rnno rescrif!o del !7 setteinbre 1825, cornunicato i! 16 ottobre !825 al presidente della Con1n1essione di Pubblica Istruzione cd Educazione; cfr. anche il I'ia110 di r{/(Jr111a che d{l/fo Co111111essione s11pre1110 di Pubblica Istruzione ed educaz.ione si propone cii Governo per le Accade111ie e Collegi dell'Isola). In ogni caso, le lauree, anche quelle in teologia, potevano essere conseguite soltanto nelle università. La rifonna, approvata dal re, non poteva non essere attuata, 1na non 1nancarono le difficoltà, co1ne risulta dalla docun1entazione supcrstile. In data 2 l giugno 1825 la Co1n1nessio11c per la Pubblica Istruzione cli Trapani infarina i! Luogotenente Generale che sta ristrutturando l' Accade1nia in Liceo, secondo il piano di rifonna dcl 17 setlcn1bre !825 circa Accaden1ie e Collegi dell'lsola (cfr. ASPA, PI busta 32 [ 1822-1827], n. 502, pp. 117 ss). In data 5 aprile 1826 eia Trapani perviene a! Governo il «Progetto dcl Consiglio Provinciale per lo stabi!i1ncnto di nuove Cattedre eia ridursi in Liceo qucll' Acc<1den1ia», nel quale, tra le tante allre cose, si dice: «Perché S. f\1. ne!l'<1pprovare con R. Decreto dcl 17 selte1nbre ultin10 il piano di rifor111a per le Accaclcn1ie, Collegi di questa parie dci Suoi Do1nini, per le ragioni un1iliate dalla Con11nessione col Rapporto dc! 16 ottobre 1824 abolì nelle Accadc1nie le CaLLeclrc di Legge, di !Vledicina e di Teologia, per sostituirsi colle son1n1c corrisponclenli quelle che sono più necessarie allo inseg1u11nento della gioventl1. 1... 1 Da quanto si è un1iliato se111bra chiaro, che non possano risprlstinarsi le cattedre cli Teologi!l perché debbono studiarsi ne' Se1ninari Vescovili sotto la sorveglianza dcl Vescovo, cli Medici1H1, e cli Legge, perché sono state proibite nelle Accaden1ie col prclodato Decreto dcl 17 scllernbre 1825; e !e 111eclesin1e debbono studiarsi nelle universitf1 fuori delle quali non si potrà ottenere la corrispondente !aurea)) (ASPA, PI busta 33, n. 652). La Deputazione clel!e Regie Scuole di Nicosia l n una clocun1entazione inviata, in clala 8 cliceinbre 1831, alla Co1nn1essione per la Pubblica Istruzione ed Educazione in Pa!enno, cspri1ne delle la1nentelc circa le conseguenze negative ciel Piano di Ri!Onna approvato cla! Sovrano con il real decreto dcl 17 sctten1bre 1825 (cfr. ASPA, PI busta 606).
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regolamento del I 826 29 , del regolamento provvisorio delle tre Università di Sicilia del I 840"', della richiesta di ristrutturazione degli studi del 1852", del prospetto degli studi della facoltà di teologia per
29 Sotto la responsabilità della Deputazione lc1nporanca, venne proposto, in data 11 febbraio 1826, un A'110Fo rego/cu11e11to de!/'Universitù di Pa!en110, dopo il 1805 e suff(/ base di quel regola111ento (crr. ASPA, PI busta 168 [J 824-1826], fase. l ). In esso si 1rovano alcuni dati concernenti la struttura e la clinaniica della classe teologica: art. l: le classi o fucollà sono cinque: teologica, filosofica, legale, 1ncdic:.1 e letlcrarin; nella classe teologica vengono incluse le caHcdre di luoghi teologici, pro111essa ne! purngr. IV del regola111e1110 del 1805, e quella di lingu(] ebraica, già esistente, con in pili l'obbligo di "leggere" due volte la settin1ana h1 Scrillura; art. 6: i collegi corrispondenti alle varie classi sono cinque, tn1 i quali è quello teologico, separato d;1 quello legale, al quale era stato congiunto con «unione poco propria)) nell'art. I de! panigr. 10 de! rego/a111enfo del 1805; art. 7: il collegio decanale è JOnna(o dai decani delle cinque classi; art. 10: l'accesso alle cattedre vacanti avviene per concorso; art. I l: i gradi accadeinici vengono conferiti secondo il regola1nento dell'univcrsitù cli Napoli, approvato con regio decreto il 27 dicen1bre I 815: approvazione, licenza, laurea. 0 -' Dc! rer;ola111e1110 delle tre U11il'ersiffì di Sicilia, npprovn!o dal re provvisorian1c11te e finnalo dal Ministro Segretario di Stato Santsnge!o il 3 ! rnaggio 1840 (cfr. ASPA, PI busta 451 [1841-1846/, riportia1no alcuni datì sulla faco!Là di teologia: titolo IV: Delln dislribuzionc delle cnlledre: art. 68: facoltà teologica: cinque cattedre: !"teologia do1n1nalica, 2" teologia rnoralc, 3a diritto canonico, che fa anche parte della facoltà di giurispruc!en?;n, 4" sloria ecclesiastica, 5a lingU<l ebraica e spiegazione della Sacra Scrittura (può essere intcrcssanle a questo proposito n1e11zion;:1rc le cattedre della clnsse Leologic<l delle univcrsili1 cli Catania, Messina e Napoli: l'acoltà di teologia dell'università di Catania: {]Uattro cattedre: l" reologia do1111na1ica, 2" n1oralc cristi<111a, 3" storia sacra e concili, 4" canoni e disciplina, che fr1 anche parte della facoltà legale; facoltà di teologia deJJ'università di Messina: tre cattedre: la teologia clon1n1;itica, 2" storia ecclesiastica e elci concili, 3a dirillo crn1onico, che fn parte ancora della facoltà legale; facoltà teologica dell'universilù cli Napoli: cntledrc nel decreto di Ferdinando IV dcl 22 111arzo 18 ! 6: sci c<1lledrc: la Sacra Scriltura. 2" teologia don11natica, 3" verità della religione cattolica, 4" istituzioni cli diritto canonico, 5u storia dei concili, 6" trattati c;:inonici); titolo V: art. 78: i I "possediinento" dcllil cattedra è perpeluo; lifolo VII: art. !02: ogni facolti'l ha un collegio di professori e, perciù, i collegi dell'ateneo con1pJessivan1ente sono cinque: 1° teologico, 2° legale, 3° n1cdico, 4° delle scienze fisiche e 1natcn1a1iche, 5° filosofico e lelterario. 1 ·' Con lettera dcl 30 nove1nbrc 1852 il re!lorc dell'universi1ì1 di Pa!enno porla, Lra l'altro, a conoscenz<1 della Co1111nessione per la Pubblica Istruzione ed Educazione in Sicilia la situazione di insufficienza degli studi universitari e ne chiede l<l ris1rulLurazionc. Vengono dichiarati insufficienti gli anni cli studio per i vari corsi di !aurea: 3 anni per h1 teologia, 3 anni per la giurisprudenza, 4 anni per la 111edicina, 3 anni per l'arcl1itcttura, 2 anni per la 111aten1atica, 2 anni per le scienze naturali, 2 anni per la chi1nica, 2 anni per 1<1 botanica, 2 anni per la fannacia (cfr. ASPA, Pl bust·a 513).
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l'anno 1859-1860", del l'elenco delle ca li ed re del 1861-1862'' e delle cattedre superstiti, della soppressa facoltà di teologia, nell'anno 18861887".
L. a durau1 dcl corso di studi cli teologia nel 1852 ha già subito una variazione, e c1oc e di tre anni, rispetto alla durata stabilila negli anni 1781 e 1783, che è di cinque anni (cfr. Istruzioni per gli studenti della facoltà teologica, legale, 111edica e ji'!osofica della R. Università di Palen110 disposte d'ordine della Deputazione dei Regi Studi del Regno di Sh:;/ia e del Convif!o Real Ferdinando 11e!/'a11110 1783: cfr. L. SArvlPOLO, op. cii., 133-139; per i cl"ti concernenti la classe teologic;1 cfr. ihid., 135 ss). Non sian10 riusciti a stabilire la data dcl ca1nbian1enlo. 12 · I dati dcl Prospetto del 1859-1860 sono significativi. Le cattedre sono cinque: la teologia don11naticn, 2" teologia 1norale, 3a dirillo canonico che ra anco rarte della raco!tiì cli giurisprudenza, 4a storia ecclesiastica, 5a lingua ebraicn, e spiegazione della Sacra Scrittura. L'orario è così organizzato: I" ora: teologia clogn1alica, 2a ora: teologia n1oralc, 3" ora: diritto canonico, lingua ebraica e Sacra Scrittura, 4" ora: storia ecclesiastica. I prograinini sono s!rullurali nel n1odo seguente: teologia do1n1nalìca: Pror. An!onino Criscuoli, Testo: P. M. GAZZANIGA, Praelectìones Theologicae, voli. 2, Venctiis !808 (ciel Gazzanica si conoscono altri scritti: P. 1\1. GAZZANJG1\-G. BLHTIFR!, Theologia dog111atica in systeina redacta, voll. 4, Neapoli l 829-1830), trattalo: de gralia; teologia 1non1lc: Pror. Don1enico Cil!u Ilo, Testo: nessunn indicazione, Argon1cnto: de sacra111e11!0 baptis111i, co11.fin11ationis, c11caristh1e cl poeniten/i(/e; clirillo canonico: Prof. S<1lvatore Ragusa, Testo: le istituzioni ciel Rossi (si tratta di F. Rossi e cli una delle sue due opere seguenti: Praelectiones juris ecclesiastici, voli. 2, Neapoli 1853 6 ; Ele111e111i di dirilfo C(l!lonico ... Prin1a versione dal latino [cli Giovanni Tron1bcltal arricchila delle note dcl prof. can. Di Chiara, Palenno 1859). Delle numerose opere ciel Rossi ricordian10 solo quelle di interesse giuridico: J11ris cil'ilis Neopo/itani praelectiones, To1nus I, Neapoli 1803; Fonnolario teorico protico degli atti notaria/i più .frequenti, Napoli 1819; Saggio sullo scie11z.a ed arie 110/ariale, Napoli 1820 2 ; /)e/l'attuale opporl1111ità e delle
condizioni di 11110 storìa del diriffo ro111ano e cenni s/orìci intorno agli antichì ìtaliani sicco111e 11otiz.ìe prelil11i11ari della storia del dirillo italico pri111itil•o e del susseguente dirillo ro111a110, l\1Iilano l 853; /11/orno al dirillo italiano pri111itivo. La società etrusca, Milano l 854); lingua ebraica e spicga7.ionc dclL.1 Sacra Scrittura: Prof. Don1enico Turano, Argo1nenti: per la Scrittura: Genesi, per la lingua ebraica: Sahni; storia ecclesiastica: Prof. Paolo Cultrera, Testo: J. B. Alzog (dcll' Alzog non viene indicalo il lesto; verosi111iln1entc si 1ralta dcl prin10 voluinc della nutrila bibliografi<1 alzogiana, che circolava in traduzione italiana: J. B. ALZOG, Co111pe11dio di storia ecclesiostico dalla l/oscila dì Gesù Cristo sino ai 11ostri gìor11i, voi!. 2, Nlonza 1850; Pregio della storia ecclesiastica de/l'A/zog, l\1lantova !853; Storia universo/e della Chiesa crì.1·1ù11u1, voll. 4, Torino I 854, voi!. 5, Torino 1855'; lntrod11zione scie11t1fica e istorù:a olla storia 1111iversale della Chiesa cristiana, Milano 1858; Storio universolc dello Chieso cal/olica, voi!. 3, Torino I 887), Argon1enlo: Storia dci Concili generali e cli quelli particolari, che hanno relazione con essi (cfr. ASPA, PI busta 513). \ì Nell'Elenco delle Cat!edrc de/la.facoltà teologico per f'a11110 1861-1862 si trovano le cinque seguenti: teologia doginatica, teologia n1oralc, storia ecclesiastica,
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2. J. Cattedre
Quanto alle cattedre della facoltà di teologia, sulla base delle notizie generali da noi raccolte, dobbiamo rilevare che esse hanno avuto, lungo il corso degli anni, una diversa configurazione, con1e risulta dalla seguente presentazione analitica dei dati che le riguardano 15 •
diritlo canonico, Sacra Scrittura e lingua ebraica (cfr. L. SAMPOLO, op. cit., Appendice
LXXX-LXXXVI). '.l.f Ca!!edre superstiti, della soppressa facoltà di teologia, nel!'anno 18861887: hl fr1coltà di Lco!ogia non figura pili nell'elenco delle facoltà; la lingua ebraica è attivata presso la facoltà di filosofia e letlere (cfr. L. SAMPOLO, op. cit., Appendice LXXX-LXXXVI). 15 - Al fine di dare la possibilità di vedere in un quadro d'insieme la storia delle cattedre della classe teologica, prcscntiaino sinteticamente il variare della strutturazione verificatosi nel corso degli anni: Real Accadcn1ia degli Studi, !779, facoltà teologica, tre cnttedre: tcologio dog1natica, teologia morale, storia ecclesiastica; la cattedra di istituzioni canoniche è attivata presso la facoltà legale; Regia Università degli studi, 1805, facollà teologica, quattro catLedrc: teologia dogn1atica, teologia 1norale, luoghi teologici, storia ecclesiastica; la caLtedra di diritto canonico è attivata presso la facoltà legale; Regia Università degli studi, !841, facoltà teologica, cinque cattedre: teologia dogn1atica, tcologin n1orale, storia ecclesiastica, diritto canonico, lingua ebraica e spiegazione della Sucra Scritlura; Regia Università degli Studi, 1861-1862, facoltà teologica, cinque cattedre: teologia dogn1atica, teologia 1norale, storia ecclesiastico, diritto canonico, Sacra Scrittura e lingua ebraica; Regia Università degli studi, 1886-1887: la lingua ebraica, essendo stata soppressa la facoltà di tcologin, è attivata presso la facoltà di filosofia e lettere (cfr. L. Si\fv!POLO, op. cit., LXXX-LXXXVI). Di alcune delle caLtcdrc sopra elencate si parla, n1a non risulla che siano state istituite; di altre si conoscono in qualche 1nodo le nttivilà, senza che risultino ulTicialn1ente istituite, con1e ad ese1npio "teologia sin1bolica". Può essere fonnulata un'ipotesi intepretativa dcl fcnon1cno: verosi1nil1nenle si trnlla di corsi interni alle cattedre ufficiali, tenuti dai docenti soprannu1ncrari, che per stntuto avevano l'obbligo di "leggere" una volta In selti1nana. Questa categoria di docenti, proposta dalla Deputazione dei Regi Studi nel 1778 e non approvnla dal re ne! 1779, in occasione dell'istituzione della Real Accade1nin di Palenno (cfr. L. SAfvlPOLO, op. cii., 82 s), fu effettivan1cntc istituita nel ! 805, quando venne fondata l'università di Palcnno (cfr. ibid., 20 ! ). Con il te1npo la tenninologia per designare i docenti si fissò nel n1odo seguente: "proprictnrio" (si tratta dell'ordinario), "interino" (così venivn chian1ato l'aggiunto) e "sostituto".
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2.1.1. Teologia dogmatica La cattedra di teologia dogmatica è esistita fin dall'inizio. Nell'ordinamento degli studi teologici costituisce certamente la cattedra più prestigiosa e qualificante. E ciò risulta tanto più vero se si considera sia la retribuzione del professore di teologia dogmatica, la più alta tra quelle stabilite il 4 ottobre 1779"• (ma questo è soltanto un dato marginale) sia il fatto che, ad un certo momento, si sentì l'esigenza di chiedere al re l'istituzione di una seconda cattedra di teologia dogmatica 17 . La richiesta non ebbe esito positivo'"; ma il fatto merita di essere preso in considerazione, in quanto è rivelatore di una situazione e di una consapevolezza. Quanto alle vicende della cattedra, disponiamo di una documentazione frainmentaria circa i programmi di studio, gli orari delle lezioni ed i concorsi. Dei programmi abbiamo notizie solo per gli anni 1821-1822 e l 859-1860. Il professore Giacomo Lo Presti informa, m data 6 luglio l 821, il rettore dell'università intorno al corso che avrebbe tenuto l'anno successivo: il testo adottato è quello di P. M. Gazzaniga, Praelectiones Theologicae, (voli. 2, Vcnetiis 1808); i trattati da svolgere sono una parte dell'antropologia teologica (creazione in genere, de OJJ~ficio sex dieru111, cle angeli,\', cle pri1110
J(i Libro di Appu11tan1enti. Per conto dcll'lll.111a Deputa7.ione de' Studi e Convitto Real Ferdinando. Congresso ciel 4 ottobre ! 779: Scelta di professori per le varie cattedre di Palcrrno e relativa retribuzione: teologia don1n1atica: Nicolò Cento: 100; storia ecclesiastica e concili: Rosario Bisso; 80; lingua greca e ebrea: Tiziano Dc Stefano: 80; istituzioni canoniche: Ludovico Marullo: 60; teologi<1 n1or<1lc: Rosario Corsi: 60 (cfr. ASPA, PI busta 480). J 7 Nel corso del 1778 !a Deputazione dei Regi Studi, nel contesto della proposta falla <1] re di erigere <1 Palcnno un<1 università vera e propria, chiese l'attivazione di due cattedre di teologia dog111atic<1 (cfr. L. SAMPOLO, op. cit., 81). 38 Cfr. ibid., 83.
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hon1ine, de peccato originali) e la prima parte del trattalo sull'incarnazione, cioè (fe persona Chrisrrw. Nel prospetto degli studi dell'università di Palermo per l'anno 1859-1860 si trovano anche notizie essenziali circa il corso di teologia dogmatica: il professore è Antonino Criscuoli; il testo è ancora quello di P. M. Gazzaniga; il lrattato è il {/e gratia~ 0 . Quanto agli orari delle lezioni, si conoscono i dati circa l'anno 1844" e l'anno l 859-1860", nei quali la lezione di teologia dogn1atica viene tenuta per l'intero corso di studi tutti i giorni dedicati allo svolgin1ento dei corsi alla prima ora. I concorsi a cattedra per la classe teologica dell'università di Palermo hanno le medesime vicende di quelli delle altre facoltà. Un dato peculiare è costituito dal fatto che talora tra i candidati si trovano alcuni soggetti che avanzano titoli n1aturati al cli fuori dclI'università, e cioè nei sen1inari diocesani, nei quali le scienze teologiche venivano insegnate pure a livello accademico. I concorsi sono di diverso tipo e livello, a seconda del grado del professore che si intende sostituire. Infatti, può trattarsi di un "proprietario", di un "interino", o anche di un "sostituto". Dalla docu111entazione esistente, già parziale ed incompleta, non sempre è possibile capire di che tipo di concorso si tratti. La cattedra di teologia dogmatica figura spesso negli elenchi delle cattedre vacanti ed in attesa di provvista del professore. In alcuni n1on1enti e per alcuni casi è anche possibile seguire le vicende concorsuali. Si ha notizia dei bandi di concorso del 23 maggio l 839" e del 27 giugno 1840'', cli quelli dell'anno 1845, che sono stati diversi", ccl
19 Cfr. ASPA, PI husta 147 (1821) . .iocfr. ASPA, Pl busta 513 . .J-I Crr. ASPA, PI busta 477. 42 Cfr. ASPA, PI busta 513 . .J-J La Co1nn1essione per la Pubblica lstru7,ione ed Educazione, con 111anifeslo del 23 111aggio J 839 niclte a concorso alcune cattedre dell'universitì1 di Palerrno, tra le
Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo
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ancora di quelli degli anni 1851, 1853, 1857 41' e 1858 47 . I bandi di concorso, stando alla docun1entazione a noi pervenuta, hanno avuto una diffusione capillare in tutto il territorio del Regnunr". quali si trova la teologia dognwtica, per la quale presentano le loro clon1ande Antonino Criscuoli (nella don1anda, per altro non datata, di Antonino Criscuoli si trova la richiesta dì avere la catleclra senza concorso; essa è alleguta ad un docu1ncnto della
Luogotenenza Generale del 27 giugno 1839 fcrr. ASPA, PI busta 513]) e Salvatore Calcara (con la sua don1ancl.1 Salvatore Calc[tra, proressorc di teologia dogn1atic<1 presso il se1ninario arcivescovile, chiede al re di essere non1inato professore della
n1edcsin1a disciplina presso l'universiU1 di Palcnno). Ne! congresso dcl 20 nprilc 1839 si chiede cli dare parere favorevole olla richiesta ciel Calcara (cfr. ASPA, PI busta 506). La clo1nanda del Calcara si trova allegata ad un docun1ento della Luogotenenza Generale dcl 3 giugno 1839 (cfr. ASPA, PI bustn 513 [1841-1860]. Una annotnzione segnata sulla clotnn.ncla e datata 21 agosto l 840 dice «provvedere a norn1a della sovrana disposizione» !crr. ASPA, PI busta 506_]). 44 La Con11nessione per la Pubblica Istruzione cd Educazione in Sicilia, con 1nanifesto dc! 27 giugno !840 1nelle a concorso alcune catledrc dell'università di Palenno, e tra esse si trova anche quella di teologia clogn1atica (cfr. ASPA, PI busta 513 ). Nel quadro sinottico, concernente i concorrenti <Jlle cattedre vacanti dell'università di Pa!cnno e preparato dalla cancelleria dell'università il 25 settc1nbre 1841, si trovano nnche i concorrenti per la teologia dog1nalica: Antonino Criscuoli (interino clclìa cattedra di leologia clogn1atica dal Novc1nbrc 1837 in poi; sostituto della stessa cattedra dal 1836 al 1837), Salvatore Ragusa, Michelangelo Voibondi, Angelo Meseo, Gregorio Onofrio Ugdulena, Salvatore Calcara (cfr. ASl'A, PI busta 506). 45 Gli incarta1nenti ci consentono di prendere visione cli altri dati concernenti le vicende della cnttedra cli teologia clog1natica: Francesco Borgia AHardi, in data 2 9 n1arzo 1845, chiede cli essere arn1nesso al concorso per sostituto, che, dunque, deve essere stato bandito; e, co1ne lui, Pietro Majo (cfr. ASPA, PI busta 506); in riferi111ento al bando di concorso dcl 30 giugno 1845, pubblicato dalla Con11ncssione per ln Pubblica Istruzione ed Educazione, Francesco Di Sterano chiede di essere an11ncsso al concorso per supplente (cfr. ASPA, Pl busta 506); in seguito al Bando, e111a110/o dalla Co111111issio11e per fa Pubblica Istruzione ed Ed11cazio11e, di Concorso per sostituti del (n1ancn l'indiC87.ione de! giorno) dice111hre 1845, nello stato dei concorrenti n
sostituti delle cattedre della Regia Università, si trovano indicazioni sui concorrenti per la cattedra di teologia dogrnatica: Francesco Di Stefano, Francesco Borgia Attardi e Pietro t\1ajo (cfr. ASPA, PI busta 506). Una nota della cancelleria dell'università del 9 febbraio J 846 infonna che, lra le clo111ande pervenute, se ne trovano alcune per 1naterie teologiche, inclusa la teologia dogn1atica; e sì tratta delle don1ande di Francesco Di Sterano, Francesco Borgia Attardi e Pietro Majo (cfr. ibid.). 46 Cfr. ASPA, PI busta 477. 47 La teologia dogmatica si trova nel bando di concorso del 30 ottobre 1858': per professori sostituti. 48 Docun1entazione proveniente dalle vnrie province e valli di Sicilia concernenti il bnndo di concorso notificato dalla Con1111issione cli Pubblica Istruzione cd Educazione in data 27 giugno 1840. La docu1nentazione proviene dnlle intendenze della Valle di Catania, della provincin di Catania, della provincia cli Calt<Jnissetta,
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La vicenda concorsuale più documentata per la cattedra di teologia dogmatica è quella di Antonino Criscuoli. Questi è professore "sostituto" di teologia dogmatica nel 1836, in quanto il professore "proprietario" della cattedra, Giacomo Lo Presti, è infermo, e nel 1837, quando il Lo Presti viene a morire e si è in attesa del successore. Il Ministero e Real Segreteria di stato presso il Luogotenente Generale nei Reali Domini al di là del Faro, Dipartimento dell'Interno, I 0 ripartimento, in data 15 giugno 1837 nomina Antonino Criscuoli professore "interino" della cattedra di teologia dogmatica49 • In seguito al concorso per professore "proprietario" bandito il 27 giugno 1840, la cattedra viene vinta da Antonino Criscuoli nel 1842·10 • Gli orientamenti liberali e l'atteggiamento tenuto durante i moti rivoluzionari del I 848 produssero un qualche rischio alla carriera accademica del teologo palermitano, come già a quella di altri preti di sentire variamente liberale, quali Gregorio Ugdulena e Don1enico Turano, n1a la soluzione nel suo caso non fu dra1n1natica. I! 7 marzo 1850 il Luogotenente Generale scrive all'arcivescovo Pianeta, presidente della commissione, dichiarandosi d'accordo con il rifiuto opposto dalla commissione alla richiesta di rimuovere il Criscuoli dalla cattedra di teologia dogmatica".
della provincia di Messins, delh1 Val di Noto, dcl/n Vul di Palcnno e della provincia di Girgenti e contengono i certificali inforn1ativi di vnri co1nuni di loro pertinenza circa la pubblicità data al bando di concorso. Il docu1nento più cornpleto è quello provcnienlc da! con1une di Girgcnli e recante la data 7 luglio I 840, che nomina anche le cnttedrc 1nessc a concorso, tra le quali si trovano: teologia clogn1atica, storin ecclesiastica e lingua ebraica (cfr. ASPA, PI busta 538 [1837-1840]). '19 Cfr. ASPA, PI busta 506 (1841-1860). 50 Disponian10 della seguente docurnenla?;ione: decreto di Ferdinando II di nornina del Criscuoli a professore di teologia don1n1atica, in data 9 ottobre 1842; atto di giuran1ento dcl Criscuoli del 24 noven1bre 1842; il 24 nove1nbre l 842 la cancelleria dell'università elegge A. Criscuoli professore di teologia dom1natica (cfr. ASPA, PI busta 506). 5I Cfr. ASPA, PI busta 506.
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2.1 .2. Teologia morale Anche la cattedra di teologia morale è una di quelle istituzionalmente più tradizionali nel corso degli studi teologici. Il suo rango era di certo confrontabile con quello della teologia dogmatica, tanto è vero che aveva un uguale nun1ero di ore di lezione 52 , ma il docente non sempre riceveva lo stesso compenso del collega di dogmatica5 '. Dei programmi di studio ci sono pervenute solo poche notizie, e precisamente per gli anni 1821-1822 e 1859-1860. Il professore Domenico Cilluffo, in data 28 giugno 1821, comunica al rettore Raimondo Palermo il programma per l'anno scolastico seguente: il testo adottato è Pietro Colet, istituzioni morali; i trattati da svolgere concernono la morale sacrainentaria: rie socrrunentis poenitentiae, extrernae uncaonis, ordinL\· et 1na1ri11J.011ii5·1. Il prospetto degli studi dell'ateneo palermitano per l'anno 1859-1860 fornisce informazioni sul la teologia morale: il professore è Domenico Cilluffo; non si trovano indicazioni circa i testi; gli argomenti vengono tratti dalla morale dei sacramenti: de sacrr1111ento baptisn1i, confirnJ.ationis, Eucaristiae et poenitentiae55 . Nei prospetti dell'orario delle lezioni per gli anni 1844 e 18591860, i soli di cui disponiamo, la teologia morale è prescritta per
52 Questo può essere affcrn1alo con certezza per gli anni 1844 e 1859-1860, per i quali si dispone di una docu1nentazione (cfr. ASPA, PI Buste 477 e 513) e, per logica conseguenza, per gli anni intenncdi e per gli anni successivi al 1860. Per i! resto, possian10 solo dire che non disponian10 di fonli e che, rispetto alle nonne risalenti agli anni I 78 I e 1783, secondo le quali i! corso di teologia 1norale era biennale, a differenza di quello di teologia dogn1atica, che era quinquennale, erano stati apportali delle 1nodifiche nonnative a favore della teologia 1nora!e (cfr. Istr11zio11i per gli studenti della facoltà teologica, legale, 111edica e filo.w~fica della R. Università di Palenno disposte d'ordine della !Jeputazione dei Regi S1udi del Regno di Sicilia e del Convitto Real Ferdinando nell'anno 1783, in L. SAMPOLO, op. cii., 133-139; per i dati conccrnenli la classe teologica cfr. ibid., 135 ss). 5-1Cfr. ASPA, PI busta 480: vedi supra nota 36. 5 --icrr. ASPA, PI busta 147. 55 Cfr. ASPA, PI busta 513.
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l'intero corso di studi, e la lezione viene tenuta tutti giorni previsti alla seconda ora 56 , Quanto ai problemi legati alla provvista della cattedra di teologia 1norale, le poche notizie che ci sono pervenute incrociano sen1pre la figura e le vicende del professore Domenico Cilluffo 57 e talora evocano avvenimenti di una certa vivacità. li fatto è che il Cilluffo, benché fosse diventato giudice di 1nonarchia, non intendeva rinunziare alla cattedra universitaria. È in tale contesto che egli propone la nomina di Michelangelo Cara1nazza a professore interino di teologia morale 58 . Il tentativo di Mario De Micheli di subentrare al Cilluffo nella cattedra, con il motivo della r111unz1a del titolare, fallì co1npletamente: la stessa università dovette dichiarare che la cattedra di teologia morale risultava provvista di professore proprietario'"- Solo
56 Cfr. ASPA, PI buste 477 e 513. 57 Do1ncnico Cilluffo fu un professore universitario, 1na soprattullo un prete di carriera, fino al consegui1nento della dignità episcopale ed all'assunzione della carica prestigiosa ed irnportante di Giudice di Monarchia. Nelle prin1e fasi della su;1 carriera fu certainente uon10 cli fiducia dei cardinali arcivescovi di Pa!enno. Nel 1823 i I professore di teologia 1norale D. Cilluffo chiede il rennesso di accon1pagnare i! cardinale Gravina in un viaggio fuori dci regi dornini (cfr. ASPA, Ministero Affari cli Sicilia, Interno, filza 29, fase. 86, anno 1823). In data 15 ollobre !835 è lo stesso cardinale Gact<Jno Maria Trigona, arcivescovo di Palcnno, ml inol!rarc n! principe di Malvagna Ja ricI1iesta di avere co1ne accoinpagnatore per la sncra visita il can. D. Cilluffo, professore di teologia n1ornle (cfr. ASPA, PI busta 506). 58 Dornenico Cilluffo, giudice di Monarchia e professore titolare di teologia 1norale, chiede che sia non1inato professore interino di teologia 1norale Michelangelo Canunazza. Questi presenta una richiesta, che per altro è senza datn, nella quale dice cli essere sostituto già dal 1830 della cattedra di teologia n1orale c chiede di essere confcnnato, a 1notivo dcl fatto che il can. Cilluffo, propriet<lrio della cattedra, è stato non1inato giudice della regia Monarchia. Il Ministero e la Real Segreteria presso i I Luogotenente Generale nei Reali Don1ini a! di là dcl Faro il 7 novernbre 1837 destina il Cara1nazza ad interino cli teologia 1norale. In data 13 nove1nbre 1837 1<1 Con1n1essionc per la Pubblica Istruzione ed Educazione approva il Cara1nazza qu;_1Je "professore interino" (cfr. ASPA, PI busta 506). s<>circolando la notizia che la cattedra di teologia 1norale era rin1asta vuota per il ritiro del professore, Mario Dc Micheli presentò nl re la don1anda per ottener!n senza concorso, a 1notivo dci suoi peculiari 1nerili. Il docu1ncnto il 14 agosto l 853 venne tras1nesso alla Deputazione per l'Universilà di Palenno, la quale, in data 30 sctten1hre I 853, diede parere contrario, dicendo che la cattedra era provvista di professore proprietario (cfr. ASPA, PI busta 506).
Noie sulla Facoltà di Teologia de/L'Università di Palermo
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nel 1860, a motivo di un impedimento del Cilluffo, la cattedra poté avere un sostituto nella persona di Cesare Cuzzaniti(·0 • La teologia morale si trova nell'elenco delle cattedre vacanti ed in attesa di provvista di docente titolare, aggiunto e sostituto negli anni 1839, J 851, 1853 e 1857, per i quali non si dispone di notizie particolari 61 •
2.1.3. Diritto canonico La cattedra di diritto canonico è ritenuta in1portante per la formazione culturale degli ecclesiastici, e non soln di essi. La cattedra era presente anche nell'ordinamento della classe legale, dalla quale la classe teologica spesso la n1utuò(12 • L'in1portanza della cattedra si spiega, ollre che per la particolare sensibilità fonnatasi nella Chiesa cattolico-romana soprattutto ne! corso del II millennio, anche per la particolare configurazione giuridico-canonica che l'istituto delia Legazia Apostolica, fondato al tempo dei normanni, dava alla Chiesa siciliana, per la mentalità giuridica dovuta all'antica tradizione latina, riattivala dai norn1anni, cd alla concezione giuridica gennanica, importata in qualche modo dagli Hohenstaufen, e per lo sviluppo particolare di una riflessione e di una prassi che avevano dato vita a
60 Nel congresso del 24 gennaio 1860 la Deputazione dell 'Univcrsità di Pa!enno dà parere favorevole <1lla non1ina cli Cesare Cuzzaniti a professore sostituto di leologia 1nora!c. li Nlinistcro e Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale il 23 n1arzo 1860 no1nina Cesare Cuzzaniti professore sostituto cli 1eologia rnorale, essendo i1npcdilo il titolare (cfr. ASPA, PI busla 506).
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Cfr. Asi' A, PI busta 506 ( 1841-1860) e busto 4 77 (1850-1860).
Talora !a cattedra di diritto canonico, co1ne ad esc1npio risulta dalle nonne del 1779 concernenti In Real Accade1nia degli Studi e da! regoh1111e11to delle tre Università di Sicilia dcl 1840, ha falto parte csclusivarncnte della faco!Ut di giurisprudenza e !a facoltà di teologia ln rnutuava eia essa (crr. L. SAMPOLO, op. cit., 8 3 e Appendice LXXX; cfr. anche ASPA, PI busta 451 ).
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quel peculiare corpo di leggi ecclesiastiche che era il Codice ecclesiastico sicolo 63 • Ciò non toglie, tuttavia, che la retribuzione del professore di diritto canonico, come risulta per l'anno 1779, fosse inferiore a quella del professore di teologia dogmatica'', e, stando alle notizie che abbiamo per gli anni 1844 e 1859-1860, il corso fosse soltanto biennale, e cioè solo nei primi due anni di studio, e la lezione s1 svolgesse aila terza orar.5 . La deno1ninazionc dell'insegna1nento nel corso degli anni subisce de11e variazioni. Infatti, viene chian1ato ora "diritto canonico"(' 6, ora "sacri canoni"<' 7, ora "canonica" 61\ ora "istituzioni canoniche" 6'\ ora "giure ecclesiastico" 70 • Disponiamo dei programmi di studio per gli anni 1821-1822 e l 859- l 860. Il professore Stefano Di Chiara, in data 20 luglio J 821, dà notizie al rettore Rain1ondo Palcnno intorno al corso dcll 'anno scolastico seguente: il Jibro di testo è quello di Giulio L,orcnzo Selvaggi, Istituzioni
canoniche 71 ,
6.ì Cfr. G. LAUDICINA, A1onuale teorico pratico della procedura ecclesiastica di Sicilia, Pa!enno 1843; A. GALLO, Codice Ecclesiastico Sicolo, Palcnno 1843. Cfr. anche G. SAVAGNONE, LL.1 cal!cdra di diriflo canonico a Palen110 nella prùna 111età del secolo XIX, in Il diriffo ecclesiastico 3-4 (1967) 266-284; F. SCADUTO, Stufo e Chiesa 11e/le due Sicilie, Pa!cnno 1969; S. FODALE, Co11res et legatus Siciliae. Sul privilegio di Urbano Il e la pretesa apostolica legazia dei Non11a1111i, Pa!crn10 1970; ID., l'apostolica legazia e altri studi su Stato e Chiesa, Messina l 99 l; G. CATALANO, S111di sulla Legazh1 apostolica di Sicilia, Reggio Calabria J 973. <'-ICfr. ASPA, PI busta 480. 65 CCr. ASPA, PI buste 477 e 513. 66 Cff., ad cscn1pio, ASPA, PI busla 477. 67 Cfr. ASPA, PI bus!t1 147. c,s Cfr. ASPA, PI busta 93, fase. 51. 69 Cfr., ad csc1npio, L. SAtvlPOLO, op. cit., Appendice LXXX. 7°Cff. L. SAMPOLO, op. cii., 186. 71 Cfr. G. L. SELVAGGI, !11stit11tio1111111 ca11011icanon libri tres, voli. 2, Panonni 18!7. Delle Istituzioni canoniche del Rossi si conoscono allrc due edizioni riviste: !11stil11tio11111n ca11011ican1111 libri tres .. Cuin ani1nadversio11ibus atque addila1ncntis Giuseppe Ro1nano, voli. 3, Neapoli 1839 2 , 1846 3 .
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l'argomento del corso è costituito dalla seconda parte, relativa a materie ecclesiastiche72 • Il prospetto degli studi dell'università di Palermo per l'anno 1859-1860 presenta alcune notizie sul corso di diritto canonico: il professore è Salvatore Ragusa; il testo è costituito dalle istituzioni del Rossi 7'. Le vicende concorsuali della cattedra di diritto canomco sono abbastanza documentate. Per l'anno 1787 si ha notizia sia delle domande presentate da Giovanni De Franeisci" e da Giuseppe Levante", sia delle lettere di presentazione inviate dal viceré Principe di Caramanico ali' università. Nel corso dcl 1836 viene giubilato il professore proprietario di diritto canonico, Stefano Di Chiara, la cattedra rimane vacante76 e, pertanto, si pone il problema della successione77 • Intanto il Di Chiara
72 Cfr. ASPA, ncrr. ASPA,
PI busta 147. PI busta 513. Per le opere ùi F. Rossi vedi supra nota 32. 74 Giovanni Dc Francisci in data 18 n1arzo l 787 inoltra supplica al re per ottenere la cattedra di diritto canonico. Il Principe di Caran1anico scrive, in data 13 aprile 1787, alla Deputazione dei Regi Studi, facendo presente che il Dc Francisci ha presentato do1nanda per la cattedra di diritto canonico (crr. ASPA, PI busta 93, fase. 51 ). 75 1I 20 ottobre 1787 i! don1enicano Giuseppe Levante inoltra una supplica per ottenere la cattedra di diritto canonico presso !a Real Accadc1nia di Pa!enno. In dala I nove1nbre 1787 il Principe di Carainanico, invia alla Deputazione una lettera in cui si fa riferi1nento nl real dispaccio concernente la do1nanda dcl don1enicano Giuseppe Levante per ottenere la cattedra di diritto canonico (cfr. ASPA, PI busta 93, rase. 51 ). 76 1! Ministero e Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale il 26 rnaggio J 836 esonera, giubilandolo, il professore Stefano Di Chiara dal titolo cli professore proprietario di diritto canonico (cfr. ASPA, PI busta 495 f 1838-1846], fase.
2) 77 Gli aspiranti alla successione, di cui ci sono pervenuti i nomi gih nel l 836, sono Luigi Giainpallari e Giovanni Gallina. Elenchia1no i dati cli archivio a noi pervenuti in successione cronologica. Il Ministero e Rea! Segretaria di Stalo presso 11 Luogotenente Generale deì Reali Don1ini al cli là del Paro in data 16 n1arzo 1836 tras1nette allegata alla Co1nn1essione per la Pubblica Istruzione una supplica presentatn eia Luigi Gian1pallari al re al rine di ottenere senza concorso la catteclrn di diritto canonico e chiede che se ne fnccia l'uso più opportuno. Sullo stesso docun1ento si trovn un annotazione del 28 tnnrzo nella quale si dice che il richiedente presenti lo scritto diritro Ecclesiaslico Sico/o al rettore, e questi !o raccia esan1inarc da Di Chiara, Cilluffo e Di Sterano. Il 18 nprilc 1836 Luigi Giainpal!ari presenta al re una supplica dello stesso tenore della precedente. In cinta 8 ottobre 1836 Giovanni Gallina presenta
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Francesco Conigfiaro
muore ed il J O gennaio I 837 la Commessione per la Pubblica Islruzione ed Educazione bandisce con un n1anifesto il concorso per "Professore proprietario" di "istituzioni canoniche". In attesa dell'espletamento di tale concorso, il 9 febbraio I 837 viene bandito il concorso per professore provvisorio 78 . Nel I 841 il posto di sostituto di diritto canonico si trova in due documenti della Commessione per la Pubblica Istruzione ed Educazione in Sicilia, e cioè in un n1anifeslo del 31 1naggio79 ed in un
richiesta di oltencrc senza csmni la cc1ttcdra di diritlo canonico. Tra i titoli presenta l'opera seguente: !i1anuu/e di r![/ari Ecclesiosfico-sicoli, Palenno 1835. Il Ministero e Rea! Segreteria cli Stato presso i! Luogotenente Gcncr<1!e, in data 7 noven1brc 1836, trasn1c!le la pratica, con l'annessa clo1nanda ciel Ga!lina, alla Co1111nessione per la Pubblica Istruzione ccl Educazione. Il congresso dcll'universith ciel !O dice1nbrc 1836 stabilisce che l'opera dcl Giainpallari si dia ad csarninarc, invece che al professore f\/Ialvagna; defunto, ed al professore Lo Presti, n1alato, al professore Gan1jo cd a! professore Vagona, affinché ne presentino una relazione al rettore. J1 20 ottobre 1836 Giovanni Gallina chiede fornialn1ente che si apra il concorso; con a!Lro clocu1ncnlo (s. cl., 1na recante una annotazione dell'ufficio del 20 ottobre 1836) chiede l'esenzione dal concorso, 1nn aggiunge che, se l'esenzione richiesta non può essere concessa, si proceda pure a bandire il concorso (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2). 78 Alfa Con11nessione per la Pubblica Islruzione ed Educazione pervengono varie domande: 20 inarzo 1837: don1anda e docurnentazione di Giovanni G1_1!Jina cli Alin1en<1, 20 111arzo 1837: don1anda e docun1entazione di Rosnrio A1nodci cli San1buca, 27 n1a17,o 1837: do1nanda e docun1entazione di Michele Dc Micheli cli Cianciana per diventare da interino professore titolare di diritto canonico, 27 1narzo 1837: don1anda e docun1entnzionc di Nicolò Zito di Chiusa, 27 1narzo l 837: cloinanda e clocuinentazionc di Giuseppe Nicolosi di Ca!tabellotla, il 4 aprile J 837 Luigi Gian1pallari, canonico della catledralc cli Palerino ed autore ciel volu111e dirilfo Ecclesiosfico Sico/o, chiede la cattedra cli diritto canonico sen1:a concorso; il 17 aprile 1837 i! Giarnpa!lari presenta una supplica al re a!lo stesso scopo; sulla do1nandn si trova una annotazione de! 13 1naggio ! 837, una annotazione dran11natica, per un verso, e carica cli ironia, per un altro verso: «essendo il ricorrente all'ospizio dei paz1:i, si conservi, finché torni in senno»; il Minislero e Real Segreteria di Stato presso Il Luogotenente Generale in dala 8 nove1nbre !838 (fin11a dcl l\1inistro Santangelo) con1unica al!a Con1n1essione per la Pubblica Istruzione cli essere stato infonnato da! Gia111pallari che sta scrivendo l'opera Sacro diri!!o in voli. 4 e chiede che, in caso di vacanza della caLLeclrn di diritto canonico, se ne tenga conto (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2). Di L. Giainpa!lari si conoscono i seguenti scritti: dirilfo Ecclesiasrico Sico/o, voli. 4, Palenno !828-1829; Discorso s1t!le sagre i111111agini de' re di Sicilia, Napoli 1832; Sacro dirirro, voli. 4 (dalle fonli si sa che nel 1838 era in preparazione); Discorso sulle sagre i1111nagi11i de' re di /t(i/ia, Napoli 1897. 79 Cfr. ASPA, PI busta 513.
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bando del 28 giugno"''. La commissione si occupa delle domande presentale, tra le quali si trova quella di Antonio Colletti-". Il diritto canonico si trova in un bando di concorso per sostituto del dicembre 1845. Tra le domande si trova ancora quella di Antonino Colletti". Nel 1846 muore il professore di diritto canonico Michele Di Michele e, in vista della successione, viene presentala una serie di don1ande, 8 ·' tra le quali la Co1nn1essionc per la Pubblica Istruzione nel congresso dcl 28 marzo 1846 sceglie a maggioranza quella di Salvatore Ragusa, canonico della Palatina e già professore sostituto di
~ 11 Cfr.
B(/ndo, en1u11c1to dalla Com111essio11e JH!r /a Pubblica JstruzJonc cd di Concorso per soslit11ti dcl 28 gi11gno 1841, in ASPA, PI busta 506. ~ 1 La Con11nessionc per la Pubblica Istn11:io11e cd EUucazionc il 2 ottobre 184 ! delibera di avviare !e procedure per an1111etlere al concorso di sostituto ciel diritto canonico dell'universilìi di P8lern10 i candidati seguenti: Antonio Collelli e fn111ccsco Pno!o Basile e Filipponc, elci quali erano pervenute le do1nande e gli attestati religiosi e civili favorevoli (cfr. ASPA, PI busta 495, f8sc. I). Nello st8to degli aspirnnli sostituii a norn1a dell'avviso del 28 dice1nbrc !841 si trovnno anche i candidali per il dirillo canonico, e sono: Antonio Colletti e frrn1cesco Paolo Basile e Filippone (crr. ASPA, PI busta 506). I! Ministero e Real Segreterin di Stato presso I! Luogotenente Generale nei Reali Do1nìni al di là del Faro, Dipartimento dell'Interno, 1° Rìpani1nento, in data 31 clice1nbre !841 prende ntto del fatto che 1<1 Coinincssìone riconosce che le pratiche sono an1n1issibili e, dunque, dichiara che si può procedere al concorso (cfr. Asi' A, PI busta 495, fase. I). ~ 2 Cfr. Bando, e111011010 daf!a Co111111issio11c per lo Pubblica Istruzione cd Hducaz.ionc, di Concorso per sostituti del (rnanca l'indicazione de! giorno) dice111bre 1845 (cfr. ASPA, PI busta 506). La cancelleria dc!l'univcrsith con una sua nota dcl 9 fcbbrnio 1846 co1nunie<:l che tn1 le clornancle pervenute se ne trovano alcune per le n1atcric teologiche e, in particolare, due per il diritto canonico: Antonino c:ol!etti, Frnncesco Pnolo Bnsile (cfr. AsrA, PI busta 506). g_, Il 13 in<1rzo l 846 il professore di storia ecclesias!ica En11nanuc!e Vnccaro chiede il passaggio alla cattedra cli diritto canonico; n!trc dornande sono quel la cli Antonio Glorioso di Palizzi, presentata il 23 1narzo l 846, quelle di Giaco1no Giordano, Giro!an10 Gianclalifl e Mario De ivlicheli, fratello del derunto ivlichelc, presentate il 24 n1arzo 1846, e quella cli (Jiuseppc Nicotra, prescn!Jta il 26 111n17.0 1846 (crr. ASPA, PI busta 495, rase. 2). li 27 1narzo 18Ll6 il Congresso non mn1nettc i! passaggio richiesto dal Vaccaro. Il 22 aprile 1846 il' Ministro Sanlangelo, avendo ricevuto un n1c111oriale, in cui si contesta al Vacc'1ro, profCssorc di storin cccle.siaslica, il passaggio nlla cattedra cli diritto canonico e si 111ellc in evidenza l'opporluniti'1 cli fnre il concorso, trasn1ettc le carte alla con11nissione perché provveda in 1nodo conveniente al caso (c!i·. ASPA, PI busta 495, fnsc. 2). li 10 giugno 1846 il Ministro Sanlangclo, in rifcrin1ento nd un n1ernoria!e identico al precedente, rivolge il 1nedesi1no invito alla co1nn1iss!onc (cfr. ASPA, Pf busta 495, fase. 2). f~'d11caz.io11e,
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Francesco Conigliaro
teologia dogmatica e di teologia morale, ma a condizione che il nuovo professore non interpreti il servizio reso come titolo per il concorso ad ordinario 84 • Intanto il I 0 maggio 1846 esce il bando di concorso per il sostituto di diritto canonico, e tra le domande torna a figurare quella di Antonio Colletti 8s Nel 1847 la cattedra di diritto canomco è ancora vacante'°, si accresce il numero delle domande per il concorso a professore sostituto, tra le quali s1 trova quella dell'agrigentino Vincenzo Crisafulli 87 , e, in attesa dell'espletan1enlo dei concorsi, Salvatore Ragusa viene conferinato come professore provvisorio 88 •
84 Cfr. ASPA, Pf busta 495, fase. 2. Il Ministro per gli Affari Interni di Napoli N. San!agclo in data ! I novernbrc !846 approva co1ne provvisorio Salvatore Ragusa per la ca11cdn1 di clirillo canonico (cfr. ibid.). 85 Cfr. Bondo, e111anoto dalla Conl!11essio11e per la Pubblica lstr11zio11e ed Hducr12io11e, di Concorso per sostituti del 1° n1aggio 1846: tra le cattedre sono diritto canonico, lingua ebraica e spiegazione della Sacra Scrillura, storia ecclesiastica (cfr. AsrA, PI busta 506; cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2). La cancelleria dell'università I' 8 agosto l 846, sulla base delle do1nande ricevute e della docurnentazione ecclcsiasi-ica e civile pervenuta, stende lo stato dei candidati ai concorso per la cattedra di diritto canonico. La Comincssione per ls Pubblica Istruzione, da parle sua, in data I 7 noven1bre l 846, in forza della docurnentazione in suo possesso, valuta i candidati alla cattedra di diritto canonico, disponendoli in ordine secondo i titoli ed i n1eriti: I. Sai valore Ragusa da Palenno; 2. Giuseppe Nicotra da Caccrnno; 3. Giuseppe Fiorenza da Bisacquino; 4. Antonio Colletti da Palcrrno; 5. Agostini Franco da Mezzojuso; 6. Rosario A111oclei da Sainbuca; 7. Antonino Glorioso da Polizzi; 8. Luigi Clen1enli da Polizzi; 9. Mariano Sottile da Geraci (cfr. ASPA, PI busts 495, fase. 2). u, I1 3 maggio l 847 la Corn1nessione per la Pubblica Istruzione ed Educazione, avendo preso allo della letlera proveniente in data 13 dcl 1847 (n1anca l'indicazione ciel n1csc) clnlla cancelleria dell'università di Palcnno circa le cattedre vuote, invia una coinunicazione al Minìstro Segretario di Stato per gli Afl:1ri Interni, al fine cli provvedere. Tra !e cattedre vuote si trova quella di clirillo canonico (cfr. ASPA, PI busta
451) 87 Nel fratte1npo, vengono presentate altre do1nandc per la cattedra cli dirilto canonico. Si tratta di quella di Vincenzo Cdsafulli di Agrigento, dcl 19 n1aggio 1847, e cli quella cli Giuseppe Eutera di Castronovo, che il 25 giugno l 84 7 il Luogotenente Generale lrasn1ettc alla Co1nn1cssione (cfr. ASPA, PI busta 495, rase. 2). 88 Salvatore Ragusa in data 8 luglio 1847 chiede in "proprietà" la cattedra di diritto canonico. Intanto, seguendo le sue procedure, la Con11ncssione degli Studi, ne! congresso dcl 9 luglio J 847, approva il Ragusa quale professore provvisorio di diritto canonico (cfr. ASPA, PI busta 495, rase. 2).
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Nel 1850 si ha notizia della domanda di Giacomo Giordano, che chiede di essere tenuto presente in occasione della nomina del sostituto di diritto canonico", e di quella di Vincenzo Crisafulli, che si candida a sostituto di una cattedra all'universitit di Palermo"'. Il primo non ha successo91 , ma il secondo, dopo un esa1ne attento e prudente della docu1nentazione da lui presentata, viene 1101ninato "per merito" sostituto di diritto canonico92 .
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Il Ministero e Real Segreteria il 17 gennaio 1850 Lrasn1ettc a!!a Con11nessionc di Pubblica Islruzionc il parere sull'opera di G. GIORDANO Tral/a!o sul corredato d({/fe disposizioni dei diritto siculo, Pa!cnno 1846, a! fine di tenerlo presente nella circostanzn della 1101nina dc! soslituto di dirillo canonico (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2). 90 Il Ministero e Rea! Segretaria di Stato il I O dicen1bre ! 850 invia una lettera alla Co1nn1essione per la Pubblica Istruzione, ne!!a ciuale si fa riferirnento ad una clo1nunda di Vincenzo Crisafulli, inoltrata per proporsi coine cnnclicluto a professore sostituto di unn cattedra dell'università di Palcnno, e se ne chiede il parere (crr. ASPA, PI busla 495, f;:isc. 2). 91 Il 23 giugno 1852 la "rettoria" dell'università di Palenno con1unica alla Con1111essione per la Pubblica Istruzione il parere espresso dal collegio cornpetentc sull'opera di Giacon10 Giordano Trol!a/o s11/ 111atrÌ111011io; il pnrere è favorevole, 1na, ciunnto alla caltedra di sostituto di diritto canonico, si precisa che il governo ha giìl provveduto. Il Ministero e Real Segreteria scrive a!!a Co1nrnessione per la Pubblica Istruzione facendo riferì111ento alla do1nanda presentata da Giacon10 Giordano per professore sostituto di diritto canonico (crr. ASPA, PI busla 495, fase. 2). 92 II 21 (senza indicazione di n1ese) dcl 1851 la Co1nn1essione per la Pubblica Istruzione in una lelteni al governo fa una relazione circa la do111anda del Crisafulli ad ottenere, senza concorso, una delle seguenti cattedre: diritto canonico, stori8 ecclesiastica, eloquenza latina. Considerali i titoli del candidato, si dii parere favorevole e lo si propone per la cattedra cli diritto canonico. Il lVIinistro e Re81 segretaria di Stato in data 6 n1arzo !851 scrive alla Co111n1cssione per la Pubblica Istruzione chiedendo che, per la noinina di Vincenzo Crisafulli a sostituto di diritto canonico, si osservino !e nonne prescritle dai rcgolainenti. In data 22 n1arzo 1851 la Co1n1nessione per la Pubblica Istruzione con1unica a! governo che, nelle procedure di 11on1ina cli Vincenzo Crisafu!!i a sostituto di diritto canonico, si sono osservate le nonne dei regolainenti. !! Ministero e Real Segreteria cli Stato, in data 6 1naggio 1851, in rifcrin1ento alla proposta di eleggere "a n1erito" Vincenzo Crisafulli quale professore sostituto di diritlo canonico, chiede che gli siano inviati gli scritti del candidato. In data I giugno l 851 Vincenzo Crisafulli invia al presidente della Con11nessione per la Pubblica Istruzione una lettera cd alcuni suoi scritti: Studi s11//'Apostolica Sicola Legaz.ia, vo!. l, Palenno !850; Congregazione dei i esc0Fi di Sicilia: art.; Ta/101i oggetti di nfonn(/ ecclesiastico: art. Il Ministero e Real Segreteria cli Stato in data 11 agosto l 851 co1nunica alla Con11ncssione per !a Pubblica lslruzione l'elezione di Vincenzo Crisafulli all'ufficio di sostituto di diritto canonico. Questi il 10 oltobrc 1851 presta il giura1nento richiesto per ricoprire l'ufficio di 111atrù11011io
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Intanto, il Crisafulli ottiene un incarico a Napoli, presso il Ministero degli affari di Sicilia, e la sua cauedra di sostituto di diritto canonico attira l'attenzione di qualche aspirante alla successione. È così che nel 1853 ci si imbatte nella domanda di Nicolò Basile"·' e negli anni 1856 e 1857 Antonino Colletti, che in precedenza aveva presentato prn volte la domanda per la stessa cattedra, tenta ripetutamente di subentrare al Crisafulli. Ma questi, benché di fotto assente, non intende nnunz1are alla cattedra di sostituto e, di conseguenza, tutte le autorità intervenute sulla questione, dal Tninistro al congresso dell'università, si dichiarano incompetenti a procedere alla sostituzione di un professore che ha ottenuto la cattedra " a erito" 91 • li confronto tra il Crisafulli ed il Colletti continua ancora per qualche ten1po 95 . professore sostituto di diritto canonico. Il Ministero e Real Segreteria cli Stato co1nunìc<1, in data 5 dicc1nbre 1851, alla Co1nn1cssionc per la Puhblica Istruzione di avere ricevuto l'alto di giurarnenlo del Crisafulli (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2). 91 - Il IO 1narzo !853 Nicolò Basile presenta la don1anda per essere non1inato sostituto provvisorio di diritto canonico. Il 6 npri!e 1853 la Deputazione della Regia Universitù di Pnlenno si rivolge alla Co111111cssione della Pubblica Istruzione, facendo riferin1enlo alla do1nanù<1 presentala da Nicolò Basile per ottenere il posto di sostituto provvisorio cli diritto canonico (cfr. ASPA, Pf busta 495, fase. 2). <>~li lV1inistero e Real Segreteria di Stato in data 14 giugno 1856 lrasn1elle alla Co1111nessione per la Pubblica Istruzione la don1anùa presentala da Antonino Collelli per i! posto di sostituto di diritto canonico, affinché si pfenda un<J decisione. Si dispone anche di un appunto, recante la data 3 luglio 1856, circa fa don1anda di Antonino Colletti. Il 3 scttcrnbre 1856 Ja Deputazione dcll'Univcrsit1t di Palcnno scrive alla Co1nn1essione per la Pubblica Istruzione e, raccndo riferin1ento <1lla domanda presentata cb Antonino Colletti per essere cletlo "a n1erito" sostituto della callcdra di dirillo canonico <tl posto di Vincenzo Crisarulli, che si Lrova a Napoli presso il n1inistero, dichi<tra, senza entrare nel inerito dci !itali ciel CoJlelli, cli non volere prendere alcuna decisione se prima il posto non viene dichiarato vacante. !I 26 set1en1bre 1856 i! congresso dell'universit~1, in rifcri1nento alla do1nancla cli Antonino Colletti presentata per ottenere il posto di sostituto di diritto canonico, dichiara cli non potere procedere fino a quando il posto non viene dichiarato vacante. 11 15 novcn1bre 1856 il congresso dcll'universitit esnn1ina la clornanda presentata d;1 Antonino Colletti per ottenere l'ufficio cli sosliluto di cliri!lo canonico al posto di Vincenzo Crisarulli, sostituto Ji ruolo e, cli fa!lo, assente. Il !Vlinistcro e Real Segreteria di St<t1o in cbta 10 gennaio 1857 scrive alla Con1111cssione per la Pubblica Istruzione e, facendo rifcrin1cnto alla do1nanda presentata da Antonino Colletti per ottenere l'incflrico di sostituto di diritto canonico, doinanda 111otivatn dal fallo che il Crisafulli, eletto "a merito" per tnle posto, è stato chian1a10 presso il ininislero, chiede il parere della Con1111essione, tanto più che il Crisafulli, eletta "n inerito'', intende conservare i privilegi di professore. Il 16 setten1bre 1857 la Deputazione dci
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Nel 1857 il diritto canomco figura ancora tra le cattedre vacanti 96 • Nel 1858 il frate cappuccino Gesualdo da Bronte presenta una domanda corredata da titoli allo scopo di ottenere senza concorso la cattedra di sostituto di diritto canonico97 , ed il Ministero e Real
Regi Studi dichiara di avere esaininato le dornandc di Antonino Colletti a sosliluto di dirillo canonico, n1a essendo stato già duto "a n1erilo" l'incarico di sosliluto di diritto canonico a Vincenzo Crisafulli e desiderando questi conservare i privilegi di professore di tale inscgnan1ento, non dà l'incarico al Col!elli (cfr. ASPA, PI busta 495, rase. 2). 95 II dirillo canonico si trova ncl!'clcnco delle cnttedrc vacanti de! 1857 (cfr. ASPA, PI busta 477 [1850-1860!). Tra le donurnde per ollenerc Ju callcdra trovian10
quelle di Vincenzo Crisafulli di Girgcnti e di Giuseppe Butera da Castronovo. Nel congresso dell'università Jc! 19 ottobre 1857 viene csan1inata, per il posto di professore sostituto di diritto canonico, la do1nancla cli Antonino Colletti, i cui titoli vengono ritenuti insufricienti e, pertanto, il posto di sostituto viene conservato al Crisafulli, tanto pili che è già stnto attribuito a qucst'ulti1110 "a n1erito" (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2). Il Ministero e Real Segreterin, in data 2 gennaio l 858 co1nunica alla Con11nessione cli Pubblica Istruzione di avere ricevuto le clo1nande di Antonino Collelli e di Vincenzo Crisafulli per il posto di proressore sostituto di diritto ca11onico, e precisa che i titoli dci Colletti sono ritenuti insufficienti per ottenere il posto, anche perché il Crisafulli è stato eletto sostituto "a inerito" (cfr. ASPA, PI busta 495, fosc. 2). 96 Cfr. ASPA, PI busta 477. 97 Il frate cappuccino Gesualdo da Bronte presenta la do1nanda (s. d., ina reca un'annotazione cli data 9 ottobre 1858) per essere norninato, senza concorso, prorcssore sosliluto cli diritto canonico, «per dettare le lezioni in ogni 1n1111canza ciel proressore proprietario», adducendo con1e titoli i seguenti dati: I) è stato professore cli diritto canonico a! Collegio Borbonico di Bronte, 2) è stato presenlato dalla Deputazione dell'Università di Catania con1e professore di teologia dog1nalica, 3) un elenco di scrillì. Dcl frate cappuccino Gesualdo da Brontc esiste una seconda pratica, che tuttavia contiene nella sostanza gli stessi dati della precedente. Il "catalogo delle opere pubblicate" ci sen1bra pili accurato del precedente e lo riportiarno: I. Ossen 1azio11i critiche al!(/ Nil'isra sulla I>issertaz.ione di Padre Placido P11gfisi, Napoli 1843, pp. ! 16; 2. La \len. Cappella di S. Maria dei !vfiracoli considerata nel drillo di j)(lfronaro, Rc)!na !848, pp. 30; 3. [)ritti del /11i11istro (ìenera/e dei Cappuccini nella convocazione dei Capitoli Pro11inciali, Napolì 1849, pp. 32; 4. Ciurisdiz.ione J:.'cc/esiastica sul Ca111posa11to di Poggioreale, Napoli I 849,
pp. 48; 5. /)riffi del Clero regolare nei funerali dei Frati 111orti j/1ori chiostro, Né1poli 1849, pp. 64; 6. Il Concilio Sociale a 111en!e dei Sacri Ca11011i, Calania 1852, pp. I08; 7. li /)ri!fo di proprietà ne!l'i11seg1u1111e11to e nei .fatti della Cat!olico Chiesa, Catania ! 853, pp. 326;
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Francesco Conigliaro
Segreteria presso il Luogotenente Generale in data 21 ottobre 1858 ne dà notizia alla Commessione per la Pubblica Istruzione"'. Gli incartamenti continuano a parlare de11a docutnentazione presentata da frate Gesualdo, anche dopo il bando di concorso per sostituto del 30 ottobre 1858, in cui si trova anche la cattedra di diritto canonico". Le fonti ci forniscono alcuni altri dati sulle vicende della cattedra di diritto canonico. Il Ministero e Real Segreteria presso il Luogotenente Generale in data 6 agosto 1859 dà notizia che il parroco Giovanni De _Francisci ha presentato la do1nanda per diventare professore sostituto di dirilto canonico 100 • La Deputazione della l{cgia Università nel congresso del 24 gennaio I 860 informa che il professore di diritto canonico, Salvatore Ragusa, è infermo ed il rettore dell'università ha chiarnato il parroco Giovanni De Francisci a supplirlo per otto giorni, e che, protrattasi la malattia, il De Francisci
8. C'enno critico al 111etodo oratorio di Card. C(lsini, di A1ons. Turchi e di Padre Segneri e sul vero 1nodo di co111porre i panegirici, Messina 1853; 9. Ce11110 Necrologico pe/ colera di !vlessina, nel «Giornale Pcloritsno» l 854; 10. I Dri!fi !Jivino ed U111ano nei loro principi e rapporti, vol. I, Cntania 1855, pp. 336; Il. I/ Santuario di Gibih11a1111a, Cntania 1855, pp. 146; 12. I Dritti f)il'ÙIO ed U111a110 nei loro principi e rapporti, vol. II, Palenno 1857, pp. 325; 13. Cenno a11a/itico sulla distinzione del dritto dall'etica, nel «Giornale clell 'Accaden1ìa Gioeni<1» ! 858, 80. 4) alcune lettere cli con1plirnenti per i suoi scritti (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2)
'lNCrr. ASPI\, PI busta 495, rase. 2. 'J<J La calledra per sostituto cli diritto canonico si trova nel bando di concorso ùel 30 ottobre 1858 (cfr. ASPI\, PI bustn 485 [1840-1860]). li lVIinistero e Real Segreteria presso il Luogotenente Generale in data 4 nove1nbre I 858 dà notizia alla Cornn1essione per la Pubblica Istruzione che il rratc cappuccino Gesualdo da Rronte ha presentato la don1anda per diventare professore sostituto di diritto canonico. Il fnlle cappuccino Gesualdo da Bronte presenta la don1anda per essere no1ninato senza concorso professore sostituto di diritto canonico (la clornnncla è s. cl., n1a reca un'annotazione di data 6 novcn1bre 1858). L'8 noven1bre 1858 la Deputazione della Regia Università df1 notizia che per il posto di professore sostituto per la "calteclra di Canonica", per cui sono stati già pubblicati gli avvisi, è pervenuta l<1 clo1nancla del padre cnppuccino Gesualdo eia Bronte. Il 29 noven1bre 1858 la Deputazione della Regia Università dà nolizia che per il posto cli professore soslituto per la «cattedrn cli canonica», per cui sono stali già pubblicati gli avvisi, è pervenuta la clon1anda dcl frate cappuccino Gesualdo da Bronte (cfr. ASPA, PI bustn 495, fase. 2). IOOCfr. ASPA, Pl busta 495, fase. 2.
Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo
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ha chiesto una proroga, chiedendo ai superiori competenti di decidere in merito. In data 31 gennaio 1860 la Deputazione dell'Università decide di deliberare nel senso della richiesta del De Francisci. La Deputazione della Regia Università, nel congresso del 14 marzo 1860, approva il De Francisci come sostituto provvisorio di diritto canonico ed il Ministero e Real Segreteria presso il Luogotenente Generale, da parte sua, in data 31 marzo 1860 approva laffidamento provvisorio della cattedra di diritto canonico al De Francisci'"'· Un dato significativo, così per il diritto canonico come per le altre discipline, è costituito dalle relazioni inviate alla co1nmissione dalle a1nn1inistrazioni di alcune delle Valli siciliane con le annesse documentazioni dci vari comuni circa la pubblicità data al bando di concorso. Si dispone soltanto della documentazione concernente il concorso del 1837 1112 •
2.1.4. Storia ecclesiastica L'impegno per l'inserimento della storia ecclesiastica nell'ordinamento degli studi accademici è direttamente proporzionale alla consapevolezza della sua in1portanza. In ogni 1nodo, all'università di Palenno, a differenza di quanto è accaduto nei scn1inari diocesani, 10.:i
101 Cfr. ASPA, PI busta 495, fnsc. 2. Dc! Dc Francisci ci sono pervenute le opere seguenti: Elogio funebre del ca\'. don Sfrfano Airo!di Gral'Ù1a dei J\!laretesi di S. Co/0111/Ja de' duchi E111illas, Pa!enno 1850; Per /'esequie di Filippo Ro1Y1g110/i celebrate nel santuario di Maria SS. della Prov11idenz.a soffo fa chiesa di S. Giuseppe, Palenno 1853; Pei solenni .f/111era/i di kfiche/e Platan1ore principe di Lordaria. Orazione, Palcrn10 1858; Pei solenni .fì111erali di 111011sig11. Ciov. Battista Scasso. Oraz.ione, Palerrno 1858. 102 Elenco delle relazioni pervenute alla co1n111issio11e nel 1837: relazione della Valle di Siracusa (s. cl.); relazione della Valle di Catania in data 16 1narzo 1837, relazione della Valle di Trapani in data 21 febbraio 1837; relazione delln Valle di Girgenli in data 19 febbraio 1837, relazione dell'Intendenza di t\1essina in data 27 inarzo 1837 (cfr. ASPA, PI busta 495, fase. 2). 111 -' Se si csan1ina l'articolata proposta di riforn1a degli studi ecclesiastici falla dal Di Carlo, canonico della cattedrale di Palern10, negli anni l 848~ 1849 (cfr. N. DI
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Francesco Conigliaro
è entrata presto, e c10è fin dalla fase che abbiamo
chiamato "preistorica" 10-1• Con la teologia dogn1atica si riscontrano solo differenze di retribuzione del professore""· Quanto alla durata dell'insegnamento, nell'ipotesi di studi teologici quinquennali, come accadeva negli anni I 871 e 1873, per la storia ecclesiastica sono previsti tre anni di corso n1entrc per la teologia dogn1atica ne sono previsti cinquew6, 1na già nel 1844 non si riscontra più alcuna differenza""· L'ora cli lezione, come risulta dai prospetti degli anni 1844 e 1859-1860, è sempre la quarta in tutti i giorni previsti dal I' ordina1nento 10H. CAl~LO,
Cenno di alcune r{f"onne agli studi ecclesiastici. Cinque discorsi sul clero di Sicilia. Discorso prin10, Palcnno 1849; ID., ])e/ progresso e de/l'o.fficio sociale degli studi ecclesiastici. Cinque discorsi sul clero di Sicilia. Discorso secondo, Palcnno 184-9), si hn n1oclo cli notnre che la storia ecclesiastica ha un posto inollo
significativo. Tuttsvia, !'episcopato siculo, che pure diceva di non potersi sottrarre agli interrogativi posti dalla novit8 dci tempi cd agli sti1noli provenicn!i dai nuovi Lentalivi di riflessione, e, pri1no rra tulli, quello de! canonico Di Carlo, nctlu congregazione generale, celebrala il giorno del Co17J11s Do111i11i dell'anno 1850 a Pnlenno, non prese neppure in considerazione l'esigenza dell'insegna1nento della storia ecclesiastica, limitandosi a dare indica1:ioni sulla storia universale, unn disciplina di stainpo prellarncntc illun1inisLico (cfr. Co/lectio Lacensis, VI, 8! l-826). Nel 1869 G. Coco Zanghì, vicario generale dell'arcivescovo G. B. Dus1net di Calanin, rorinulò una proposta di studi ecclesiastici ricca di stin1oli e di fascino. All'interno dell'intero corso di studi sen1inariali dc!!a durala cli quattordici anni, ed in particolare degli studi teologici, dclh1 durata di sci anni, si trovava la storia ecclesiastica, da studiare sotto il profilo della storia sacra e Ja sviluppare con1e storia delle chiese particolari (cl'r. G. Coco ZANGHÌ, L'educazione della giol'entù studiosa. Progra111111a proposto per il Se111i11ario Arcil'esco\!ile di Catania, Catania 1869, 12-20). Se si tiene conto del fatto che la storia ecclesiastica venne introdotta nel se1ninario di Catanin nell'anno 1877-1878, e cioè con un secolo di ritardo rispetto alla sua introduzione (1779) nella facolt8 di teologia dell'università, la proposta dello Zanghì acquista per la diocesi catanese un particolare significato storico. Tuttavia, la deputazione del sen1inario, per incarico dell'arcivescovo Dus1nct, che a partire dal 1868 si era occupala ciel riorclinainento degli studi ecclesiastici, nel 1872 decise di riorganizv.1re gli studi teologici <1tlorno alle cattedre seguenti: teologia clogn1atica, teologia 1nora!e, clìrillo canonico, esegesi biblica, lingua ebrnica, liturgia (sacre ccrin1onic) e canto gregoriano, non tenendo in nessun conio la proposta del vicario generale Coca Zanghì. 111 1 · Ad cscn1pio, si trova già negli elenchi delle 111aterie ecclesiasliche dcl 4 ollobre 1779 (cfr. ASPA, PI busta 480 11788-18041). ws Cfr. ASPA, PI busta 480. 1116 Cfr. L. SA/'.,.fPOLO, op. cit., 135 ss. 107 Cfr. ASPA, PI busta 477 e bus!a 513. 108 Cfr. ASPA, PI busta 477 e busta 513.
Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo
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Quanto ai programmi di studio, le fonti, pervenuteci in modo frammentario, ci danno notizie per gli anni 1821-1822 e 1859-1860. Il professore Stefano Pipitone, in data 6 luglio 1821, dà con1unicazioni al rettore Palern10 circa il corso che avrebbe lenuto
lanno successivo: il testo è quello di Lorenzo ecclesiasticae N. J. 1119,
Berli, Breviariunz
historiae
l'argomento da trattare, tenuto conto del fatto che l'anno precedente ci si era fermati sulle vicende della Chiesa dcl secolo IX, era la storia della Chiesa dal secolo X in poi''"· Per l'anno 1859-1860 circa il corso di storia ecclesiastica si hanno le seguenti nolizie: il professore è Paolo Cultrera; il testo è quello del!' Alzog"'; l'argomento è costituito dal la storia dei concili generali e di quelli particolari, che hanno relazione con essi 112 • La storia ecclesiastica si trova tra le cattedre vacanti cd in attesa di provvista di docente ora proprietario, ora aggiunto ed ora sostituto in vari momenti della vita della facoltà di teologia dell'università. Le prime notizie che le fonti ci danno sulle vicende concorsuali della storia ecclesiastica riguardano l'anno 1837: il Ministero e Real Segreteria presso il Luogotenente Generale dei Reali Domini al di là del Faro in un suo documento si occupa della domanda presentata da Nicolò Buscemi"'. In seguito al manifesto di concorso pubblicato dalla Commessione per la Pubblica Istruzione ed Educazione in Sicilia il 23 inaggio 1839 11 -1, accade la stessa cosa con la don1anda con la quale En11nanuele Vaccaro chiede di avere la cattedra come
109 Per l'esattezza, i dali bibliografici concernenti il testo di storia sono i seguenti: L. BERTI, Ecclesiasfic{/C historine breviari11111, Bassani 1803, 1824\ voli. 2. llOCrr. ASPA, PI busta 147. 111 Per le opere di J. B. Alzog vedi supra nota 32. 112 Cfr. ASPA, PI busta 513 (1841-1860). 1 1.1 Cfr. AsrA, PI busta 5 ! 3. l l-1 Cfr. ASPA, PI busla 513.
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proprietario, senza concorso, e cioè I' 11 luglio 1839 la Luogotenenza Generale se ne occupa con un suo docun1ento 115 . La storia ecclesiastica compare in vari bandi di concorso resi noti dalla Commessione per la Pubblica Istruzione ed Educazione in Sicilia: in quello del 27 giugno 1840 116, in quelli per sostituto del 1841 117 ,del 1845, in seguito al quale si presenta un solo candidato, Giuseppe Fiorenza"", e del I 846 119 • La si trova ancora tra le cattedre
115 Cfr. ASPA, PI busta 5 ! 3. llf'Cfr. ASPA, PI busla 513. 117 In seguito al bando di concorso per sostituto ciel 1841, per la sloria ecclesiastica si presentano ì seguenti concorrenti: Niccolò Mnggiore, Niccolò Buscctni, Emanuele Vaccaro (cfr. ASPA, PI busta 506). 118 Cfr. Bando, e111a11ato dalla Co111111essio11e per la Pubblica !str//ZÙ)l1e ed educazione, di Concorso per sostituti del [n1anca l'indicazione ùc! giorno] dice111bre J845: tra le cattedre si lrova storia ecclesiastica. Nello slalo dci concorrenti a sostituii delle cattedre della regia università, secondo l'avviso del dicen1brc 1845, per la storia ecclesiastica si trova Giuseppe Fiorenza (crr. ASPA, PI busta 506). In una nota della cancelleria dcll 'università dcl 9 febbraio l 846 vengono date notizie circa le don1ande pervenute e si precisa che tra esse se ne trovano alcune per materie teologiche; per la storia ecclesiastica l'unica do1nanda è quella di Giuseppe Fiorcnzn (cfr. ASPA, PI busta 506). Del Fiorenza ricordia1no alcuni scritti: Per la solenne co11sacrazio11e di 111011s. d. d. Do111enico Cilluffo, Palenno 1842; Disserta/io .. eloq11e11tiae poesis e! !itteraturae lati11ae, Panorn1i 1843; Genealogia della 110/J;/e fa111ig!ia C11telli, Palcrn10 1844; Voto u11(j(H·111e alla sentenza del 3 111aggio 1850 della curia arci11escovile fiorentina agitata fra i nobili signori Teresa Ristori ne' Marte/li e Marco klartelli, Firenze l 850; li clero e la sua 111orale in relazione a/le potestà civifi, Firenze 1859; Sopra i concordati. OsserFazioni, Firenze 1860; Esperùnento poetico ... Versi ira!iani, lath1i e greci, Palerrno 1864; Versi, Monreale 1868; A Napofeone Bonaparre. Canzone, Palern10 1869; Religione e 11111sica. /11110, Pslenno l 874; Flores poetici, Panonni 1878; Nei solenni funerali di s. e. r. 111011s. are. Giuseppe /11ario Paupardi, Palenno
1883; Per la sentenza contro la propaganda. Un grido, Palcr1no 1884; /)e stabi!itate dogn1atu111 quoad s111011 l111111a11iorisque c11ft11s profect11111, in «Attì del l'Accademia Caltolica Palerrnitana» 2 ( 1886-J 887) 37-48; M11sae Montirega/ensis obseq11i11111 ob Leonis pont. 111ax. L an111m1 ab ini!o sacerdotio bene, feliciter, fauste, .fortunate explet11111. Cannina, Senis 1888; Vita della serva di Dio suor Maria Trucco, terziaria don1e11ica11a da Monreale, Siena 1890;
Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università. di Palermo
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vacanti ed in attesa di provvista di docente proprietario, o aggiunto, o sostituto negli anni 1851, 1853, 1857 121 ' e 1858"'· Esiste anche una docuinentazione circa la propagazione nel territorio del Regnum del bando di concorso notificato il 27 giugno 1840>22, Le fonti ci presentano una documentazione completa sulla
vicenda accaden1ica del professore
di storia ecclesiastica Paolo
Cultrera: dalla presentazione come sostituto da parte del professore Emanuele Vaccaro, proprietario della cattedra, alla no1n1na ad ordinario 1L\
H/ogio funebre del canonico parroco Giuseppe Soldano, recitato il 5 11ove111bre 1890,
Palermo I890;
insie1ne a G. MILLUNZJ, Dieci quesiti riguardanti i co11dizio11i. Studio, Siena 1892. 119
se111inari if(lfiani nelle attuali
Cfr. Bando, e111a11ato dalla Con1111essio11e per fa Pubblica !stn1z.io11e ed Educazio11e, di Concorso per sostituti del / 0 111aggio 1846. Tra le cattedre si trovano diritto canonico, lingua cbraicn e spiegazione della Sacra Scrittun:i, storia ecclesiastica (cf. ASPA, PI busta 506). 1211 Cfr. ASPA. PI busta 477. 121 Cfr. ASPA, PI busla 485. 22 Le fonti ci forniscono una docun1entazionc proveniente dalle varie province i e valli di Sicilia concernenti i! bando di concorso notificato dalla Co1n1nessione cli Pubblica Istruzione ed Educazione in data 27 giugno 1840. La docurnentazionc proviene dalle intendenze della Valle di Catania, della provincia cli Catania, della provincia di Caltanissetta, della provincia di Messina, dc!!a Val dì Noto, della Val di Palcnno e della provincia di Girgcnti e contengono i certificati infonnalivi cli vari con1uni cli loro pertinenza circa la pubblicità data al bando di concorso. Il docun1cnto più con1pleto è quello proveniente dal cotnunc di Girgenti e recante la data 7 luglio 1840, che nornina anche le cattedre 1nesse a concorso, tra le quali si trovano: teologia clog1natica, storia ecclesiastica e lingua ebraica (cfr. ASPA, PI busta 538 r1837-1840]). 12 .1 In data 20 settc1nbre 1851 ìl canonico E1nanuele Vaccaro, professore cli storia ecclesiastica, chiede un sostituto e propone i! teatino Paolo Cultrera. In data 4 ottobre 1851 il professore Vaccaro si lan1enta per l'indugio cd in.sisle nella sua richiesta. In data 5 diccn1brc 1851 il rettore dell'università nppoggia la richiesta dcl Vaccaro presso il Presidente clelln Co1111nessionc di Pubblica Istruzione ed Educazione. Don1ancla di Paolo Cultrera per conseguire il posto cli professore sostituto <li storia ecclesiastica, corredala dai titoli e dal c11rric11!11111. Congresso dell'univcrsi(à di Palcrrno in data IO diccn1bre 1852, nel corso del quale si approvn la richiesta di Paolo Cu!trera, in ntto sosliluto cli storia ecclesiastica, <li diventare titolare della n1cdcsin1a caLLeclra. Dornanda del Cultrcn1 per ollenerc «la proprietà della catLedra» di storia ecclesiaslica. Docun1enti vari di presa d'atto del Ministero presso ìl LuogolenenLe, in data 5 giugno 1855, e della Deputazione per l'Università in data 6 luglio 1855 cd in dala 12 sette1nbrc 1855. Giura1ncnto del Cultrcra con n1ano sul Vangelo, in data 31 n1arzo 1856. Decreto dì Ferdinando II cli non1ina del Cultrcra a professore titolare delln
F'rancesco Conigliaro
200
2.1.5. Lingua ebraica e spiegazione della Sacra Scrittura L' 11 febbraio 1826 vede l'istituzione della cattedra di lingua ebraica, anche se in tale data risulta già esistente; contestuahnente all'istituzione, alla cattedra è fallo obbligo di "leggere" due volte la setti1nana la Sacra Scrittura 12 ~. Prima di conseguire una stabilizzazione nell'ambito dei corsi della classe teologica, la cattedra di lingua ebraica ha avuto vicende di istituzione, di denominazione e di associazione con la Sacra Scrittura. Nel 1778 la Sacra Scrittura si trova nell'elenco delle "Discipline sacre", proposte dalla Deputazione dei Regi Studi congiuntamente alla richiesta di istituzione dell'accademia, ma viene esclusa dal re con lo stesso regio decreto dcl l 0 maggio 1779 con il quale istituisce I'accade1nia di Palern10 125 • Nel congresso del 4 ottobre 1779 la "lingua ebrea", che costituisce un'unica caltedra con la lingua greca, viene inserita nell'elenco delle discipline retribuite; infatti, al professore Tiziano De Stefano, che ne è titolare, viene assegnato uno stipendio di once 80 126 . Nel I 783 la iingua ebraica, che è un corso biennale, si trova tra le materie della classe teologica 127 • Nella rassegna degli studenti per cattedra, inviata al re il 30 aprile 1800 dalla università, la lingua ebraica non viene messa in rapporto con professori e studenti della facoltà teologica e, pertanto, non si trova più negli elenchi pertinenti, ma si trova trasferita in quello cattedra di storia ecclesiastica in data 3 n1arzo 1856. La Deputazione della Regia Università degli Studi di Pa!crrno in data 29 agosto 1857 dà notizia dcl giurnrnenlo dcl Cultrera. Dichiarazione in data 29 <igosto 1857 da parte del ìv1inistcro e Rea!
Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale nei Reali Do1nini al di là dc! Faro, Dipartimento dell'Interno, 1° Ripartin1cnto, di nvere ricevuto il verbale dcl 25 ngosto 1857 del giura1nento di Paolo Cultrera, eleHo professore di storia ecclesiastica. Paolo Cultrcra, professore di storia ecclcsiastic<l, in data 31 rnarzo 1858, per conto del Ministero e Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente (ìenera!e nei Reali Don1ini al di là dcl Faro, ouiene il pennesso di recorsi a Napoli per i111portanti affari cli
famiglia (cfr. 12
..i
ASPA,
PI busta 505 [1838-1858]).
Ctì·. Nuovo regofa111e11to de!l'Uni\!ersitù di Palen110, dopo il 1805 e sulla
base di quel regolan1e11to, Il febbraio 1826, arl. 1. 125 Cfr. L. SAMPOLO, op. cit., 81-83. 126 Cfr. ASPA, PI busta 480 (1788-1804). 127 Cfr. L. SAMPOLO, op. cit., 136.
Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo
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della facoltà filosofica, dove è congiunta in un'unica cattedra con la lingua greca 128 • Nei Regolamenti generali del 1805 la classe teologica dispone di cinque cattedre, ma tra di esse non si trova quella di lingua ebraica 129 . E non si trova neppure, co1ne invece era accaduto in altri momenti, tra le cattedre della facoltà filosofica. Nell'art. I del Nuovo regolamento de/l'Università dcli' 11 febbraio 1826 si dice che la lingua ebraica è già esislenteu0 . Nel Regolamento per le tre Università di Sicilia del 31 maggio 1840 tra le cinque cattedre della facoltù teologica al quinto posto si trova "lingua ebraica e spiegazione della Sacra Scrittura" 1-11 • Nel prospetto degli studi e nelle tavole dei corsi, che c1 sono pervenuti per due anni accademici, 1844 e 1859-1860, la lingua ebraica e spiegazione della Sacra Scrittura si trova alla terza oraLn; e, secondo le indicazioni della tavola del 1844, l'insegnamento ha la durata di un solo anno1.u. Le fonti ci forniscono dati anche sul program1na di "lingua ebrea" per l'anno 1821-1822. Il professore Giovanni Vagona, in data 2 luglio 1821, informa il rettore Raimondo Palermo circa il corso dell'anno seguente: per i "principianti" l'argomento da svolgere consiste nei rudin1enti della lingua ebraica con l'aiuto del testo di Giovanni Vagona, Gran1111atica, o di qualsiasi altra gran1111atica;
128
crr.
Rassegna degli si udenti di\!isi per facoltà, nel prÌlno
{//Il/O
del secolo
XIX, in L. SAMPOLO, op. cit., Appendice, Docun1cnto XXVIII, LXX-LXXIV. 12 'J Cfr. Regola111enli Ce11erali per la Reale U11iFersità n1101Y11ne111e ere/la nello Città di Palenno, 7 scttcrnbrc 1805, paragr. 4, art. l, in ASPA, PI busta 153, fase. 2. 1 0 ~ crr. ASPA, PI busta 168, rase. l. ni Cfr. Rego/a111e1110 delle tre Università di Sicilia, tit. IV, art. 68, in ASPA, PI busta 45 l. Ll2Cfr. ASPA, PI busta 513 e busta 477. 13 -1 Tavola dei corsi per la Regia Univcrsitù degli Studi di Pnlenno, orari e vacan7.e (cfr. ASPA, PI busta 477): «Regia Università degli Studi di Palermo. Tavol;:1 dci corsi per ottenere i gradi accaden1ici nelle diverse facoltà cogli analoghi rischiarainenti aggiuntovi il regolainenlo dell'orario e la nnla delle vacanze. Palern10, Dalla Reale Stainpcria, 1844. Corso Teologico: anno l" ora 2" ora 3a ora 4a ora: I 0 Tcol. òon11n. Tcol. morale Dir. Can. Storia Ecci.; 2° Teol. Do1nrn. Teo\. n1oralc Dir. Can. Storia Ecci.; 3° Teo!. Domin. Teo!. 1noralc L. ebraica Storia Ecci. e sp. S. Scr».
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per i "provetti" il corso è volto alla conoscenza ciel "genio della lingua" e degli "usi di ebraismo" nella Sacra Scrittura ccl il testo è quello di Giovanni Vagona, Socra Filologia1.•~. Le vicende concernenti la provvista della cattedra di lingua ebraica cd concorsi comunen1entc sono di ordinaria atnministrazionc, 1na qualche volta, per fatti collegati con il I~isorgin1ento italiano, raggiungono livelli dra1nn1atici. TI 27 maggio 1833 la Commessione per la Pubblica Istruzione ed Educazione con un suo 1nanifesto propone di unificare le Cattedre cli lingua araba e di lingua ebraica sotto la denon1inazione "cattedra delle lingue orientali" con compenso unitario di once 80; ma, dato che per il 1nomento la cattedra di lingua ebraica aveva un professore titolare in Vincenzo Mortillaro, la proposta sarebbe diventata operativa appena la cattedra di lingua araba fosse ri1nasta vacanteD5 • La lingua ebraica si trova nei bandi di concorso ciel I 8331l<·, ciel l 837rn, del 1839'", del 1840'" e del 1841 1, 0 , Al concorso del 1841
13 ~ Cfr. ASPA, Pl busta 147 (1821). rncrr. ASPA, PI busta 496 (1787-1861). l.' 6 Nel 1833 viene bandito il concorso per alcune ca1tedrc, tra le quali si trova quella di lingua ebraica. Le don1ande pervenute sono dci seguenti studiosi: Giuseppe Caruso, Bartolon1eo Faiga, il quale chiede di avere attribuitn la cattcdrn senza concorso. Negli incarta1nenli si trova una annotazione, che esprin1c parere favorevole; so!o che non s"1 riesce a capire se il parere è favorevole ad entran1bi i richiedenti o soltanto nl Faiga (cfr. ASPA, PI busta 498). in Negli incartan1enli dcl 1837 si trova la do1nanda prescnt<Jtn il 14 agosto l 837 per la lingua ebraica da Cesare Pasca (cfr. ASPA, PI busta 513); e, se esiste una do1nanda, ccrfa1nente è stato bnndito il concorso. I.lx La Co1nrnessionc per la Pubblica Istruzione cd Educazione con un suo n1anifesto dcl 23 1naggio 1839 n1elte a concorso alcune catleùrc universitarie, tra le quali si trova miche quella di lingua ebraica (cfr. ASPA, PI bustn 513). Per la lingua ebraica e spiegazione della Sacra Scrittura presenta ln do1nanda Giuseppe Caruso, datata 8 luglio 1939 (cfr. ibid.). n 9 Il 27 giugno ! 840 la Con11ncssione per la Pubblica Istruzione cd Educazione in Sicilia con un suo n1anifcsto rnette n concorso delle cattedre, tra le quali si trova quella di lingua ebraica (cfr. ASPA, PI busla 513). li 1nanifcsto ha una diffusione capillare in tulli i co1nuni ciel Reg11u111. La docun1cntazione proviene dalle intendenze della Valle di Catania, della provincia di Catania, della provincia di Caltanissetta, della provincia di Messina, della Val di Nolo, della Val di Palcnno e della provincia di GirgenLi e contengono i certificali infonnativi di vari co1nuni di loro pertinenz<J circa !a pubblicilù data a! bando di concorso. Il docun1cnto più cornpleto è quello
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prendono
parte, tra gli altri, Don1enico Turano e Gregorio ma la cattedra viene vinta da quest'ultin10, il quale il 2 7 luglio 1843 viene nominato "proprietario" dal re'"· Tra il dicembre 1845 ed il maggio 1846 vengono pub bi icati ripetutamente bandi di concorso per sostituto per la cattedra di lingua ebraica, ma non si presenla alcun candidato 14 -'. Il Ministero e Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale, in data 17 luglio 1850, dispone che, a motivo ciel fatto che Gregorio Ugdulena è stato "dimesso d'ufficio""', si deve procedere al bando del concorso per la cattedra di "lingua ebraica e della Sacra Scrittura". Pervengono le domande seguenti: Agostino di Franco di Mezzoiuso e rettore del Seminario Greco di Palermo, Antonio Ferrara, Antonio Pagano, Giacomo Sortino e Do1nenico 1"urano. La cattedra è vinta da Do1nenico Turano, n1a non senza difficoltà 1•15 • Ugdulena 1 ~ 1 ,
proveniente dal cornunc di Girgcnti e recante la d8ta 7 luglio !840, che non1i11a anche le cattedre n1cssc a concorso, tra le quali si trovano: teologia clognultica, storin ccclcsiaslica e lingua ebrnica (cfr. ASPA, PI busta 538). 140 Ne! 18'1 I viene bandito un concorso per alcune cauedre universitarie, tra le quali si trova la lingua ebrnica. Le don1andc presentate sono dei seguenti studiosi: Giuseppe Caruso, in atto professore di lettere arabiche, Giovnnni Fortuna, Antonio Fcrran1, che non viene a1nn1esso al concorso, Francesco Cnstngnn, in atto professore sostituto di nrnbo, Giuseppe Crispi, Rosario Parisi, Giacomo Sortino, Francesco Co1npagnone, Gregorio Ugdulena (c!'r. ASPA, PI busta 498). 141 Nel quadro sinottico dci concorrenti nlle cnrtedrc vuole dell'universiti:1 di Pnlermo, prodotto a cura della cancellerin dell'università i! 25 sette1nbre 1841, si trovano i candidati per In lingua ebraica e spiegazione della S!lcn1 Scrittun1: Bartolon1co Saja, Francesco Cornpagnonc, Don1enico Turano, Antonio Ferrara, Ugclulena, Francesco Castagna, Antonio Martinez (cfr. ASPA, PI busta 506). 1 12 ' Cfr. ASPA, PI busta 498. 14 1 · Nello stato dci concorrenti a sostituti per varie caHeclre clelln Regia Università degli studi cli Palern10, in seguito all'avviso ciel clicc1nbrc 1845, per !a lingua ebraica e spiegazione della Sacra Scrittura non si trova alcun candidato (cfr. ASPA, PI husla 506). Una nota della cancelleria clell'univcrsità dcl 9 febbraio 1846 prende atto sia elci fatto che per la lingua ebraica e spiegazione della Sncrn Scrittura non si è presentato alcun candidato, sia dell'urgenza di ripetere l'avviso (cfr. ibid.). 11 posto cli sostituto per la calledra di lingua ebraica e spiegazione delln Sacra Scrittura resta vagante. Di conseguenza, si trova !lncora un bando cli concorso per sostituti c111analo dalla Co1n1nessione cli Pubblica Istruzione ccl Educazione il l 0 n1aggio I 846 (cfr. ibid.). 144 L'Ugdulcna, con1c si sa, aveva preso pnrte, da liberale, ai n1oti rivoluzionari antiborbonici dcl 1848. 1 5 ~ Cfr. ASPA, PI busta 498. Il fascicolo, in cui si trova In clocun1entazionc concernente il Turano, tra l'altro contiene: la lellera riservnta, che reca la data 1 8
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La lingua ebraica si trova ancora tra le cattedre vacanti degli anm 1851, 1853, 1857'"' e 1858"7 •
2.1 .6. Luoghi teologici La cattedra denon1inata "luoghi teologici" 14 s ha co1ne ambito di studio un settore particolare della teologia fondamentale, e precisa1nente i "luoghi" nei quali il discorso teologico trova le sue 1notivazioni iniziali, i suoi contenuti ed suoi finì. Lo scopo
dicen1brc 1850, de! prercLto di polizia, il quale Con1rnessionc della Pubblica Istruzione cd Educazione vicende siede tra i P;:iri nel Parlan1ento, e si permise te1npo, [_ ... ]dove per la imperiosità delle circostanze; in
inrorn1a il presidente della che il Turano, <~nelle passate predicare col linguaggio dcl seguito di che venne fi1nosso
eia un ul'ficio che aveva nella Cappella Palatina»; i! decreto reale, datato: Caserta 17 febbraio 1851, cli attribuzione della cattedrn; l'a!testalo dcl giurarncnto prestato il 21 1narzo 1851; la co1nunicazionc dc! 27 marzo 1851 della cancelleria dell'univcrsith alla Corn1nessionc di Pubblica Istruzione dc! giuramento prestato dal Turano; il Ministero e Real Segreteria di Stato con1unica, C\lll lettera dcl I O aprile 185 l, di avere ricevuto i! verbale ciel giuran1cnto prestato eia! Turano; il Ministero e Real Segreteria di Stato trasn1ctlc, in data 17 n1arzo 185 ! , al Presidente della Co111n1cssionc cli Pubblica Istruzione copia conforn1c dcl decreto reale cli nornina de! Turano (cfr. ASPA, PI busta 498). 146 Cfr. ASPA, PI busta 477. 147 Nel rescritto del re ciel 30 ottobre 1858, c111aiu1to per il concorso per soslituti, si trova anche "lingua ebraica e Sacra Scrillura" (c!'r. ASPA, PI busta 485). l~K La teologia ha attinto la teoria dci foci theologici al!a topica di Aristotele (cfr. Al<l.STOTELES, Tdrrot) e cli Cicerone (cfr. t\1. T. C!CEl~O, Orafor; Io., De Oratore). t\1a, n1entre le due topiche classiche hanno rispcttivainentc una prospettiva dialettica ed una prospettiva retorica, !a topica teologica si propone di individuare le fonti generali della riflessione teologica (cfr. l\1. CANO, /)e !ocis lheo!ogicis libri d11odecù11, Salarnanca 1553, I. I, c. III). Le topiche teologiche, con1c gU1 quelle classiche, sono di diverso orientan1cnto. È così che sull'argo1nento ci è per\~enuta una serie di trattati, tra i quali sono n1olto noti quello di Agricola (cfr. R. AGRICOLA, /)e i11ve11tio11e dialec!ico, Colonia l 527) e quello di Mclantone (cfr. Pl-l. MELANCHTHON, Loci co111111unes rer11111 theo!ogican11n sc11 hypotyposes theo!ogicae, Witte1nberg 1521). Ccrtarnente il lratlato più celebre e pili fecondo è quello del Cnno, già ricordato. A titolo orientativo clian10 un'indicazione bibliografica: A. LANG, J)ie Loci !heologici des M. Cano 1111d die Methode des dog111atische11 !Jeweises, Miinchen 1925; A. GARDEJL, Lieux théologiques, DThC IX, I, Paris 1926, 712-747; E. MARCOTrE, Ut nature de la !héologie d'après lvlelchior Cnno, Otlawa l 949; FEDEl~ICO DELL'ADDOLORATA, Luoghi teologici, in E11ciclopedia Cal!o!ica, VII, Ro1na 195 ! , 1695ss; \V. KASPER, !Jie Me!hodcn dcr Dog111atik, Mtinehen 1967; E. HAIBLE, Loci theologici, in Sacra111e11tu111 lvfundi, ed. it., IV, Brescia 1975, 837-842.
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dell'insegnamento è soprattutto quello di produrre !'"intelligenza della fede" a partire dal Sitz. im Leben del suo stesso discorso. Se si pensa ad un teologo palermitano più recente, Salvatore Di Bartolo, che è vissuto fin oltre l'inizio del secolo XX, che ha concentrato la sua ricerca e la sua riflessione su questo argo1nento e che ad esso deve la sua fa1na 1.i 9, ci riesce facile comprendere l'interesse per una tale cattedra in terra siciliana. Melchiorre Cano ripartisce i foci theo!ogici nel modo seguente: propri: I) costitutivi (Scrittura e tradizione); 2) interpretativi (Chiesa, concili, papa); 3) testimoni della fede (padri e teologi); impropri: ragione naturale, filosofia e storia. li Di Bartolo, di1nostrandosi 1naggiorn1ente sensibile ai luoghi teologici storici, csperienzial i e psicologici ed adottando un 1netodo critico, così concepisce i luoghi teologici: T. Chiesa docente (situazione storica, situazione psicologica, aulono1nia dcl soggetto credente); IL concili generali; III. ron1ano pontefice ex catherlro; IV. credenza universale (liturgia, prassi); V. insegnan1enlo in forn1a positiva; VI. insegna1nento in fonna 1legaliva; VII. precetti dottrinali; VlJI. tradizione (patristica, agiografiù, epigrafia, arte, storia dei decreti 1nagisteriali, storia delle eresie, storia del pensiero religioso non cristiano); IX. Sacra Scrittura; X. Chiesa, tradizione, Scriltura (ecun1enis1110). Le vicende della cattedra cli luoghi teologici sono piuttosto torn1entate e n1isleriose, in quanto si tratta di una cattedra la cui istituzione è richiesta ripetutamente, è raccon1andata dal viceré alla università, è attuata n1a non attivata, finalinentc è attivata e, infine, è disattivata. La cattedra in un pri1110 ten1po non è presa in considerazione. Infatti, non si trova né nell'elenco delle discipline sacre presentato al
1 ~'> Cfr. S. DI BARTOLO, I criteri teologici. La storio del dog//1(1 e la libertà delle qffen11az.io11i, Torino 1888. L'opera, condannata all'Indice nel !89!, fu e1nendC1!a e rista1npata con il tilolo seguente: N1101•a c.rposiziane dei criteri teologici, Ron1a J 904. L'edizione del 1888 fu tradotta in frC1nccse con il ti Lo] o Les critères 1héolor;iq11es, Paris 1889. Le traduzioni latina, tedesca ed inglese, già in corso (crr. S. DI BARTOLO la cura di], Giudi'zi .rol'ra i criteri teologici del Ca11. Sa/Fa/ore /)i Bano/o [edizione fuori con11ncrcio e di uso n1eran1entc privato], Torino 1891, 89), furono
bloccale Jalla condannC1.
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re dalla Deputazione dci Regi Studi nel 1778 150, né in quello contenuto nel regio decreto del 1° maggio 1779 15 '. E neppure compare nell'elenco delle discipline della classe teologica del!' anno 1783'"· Stando agli incartamenti a noi pervenuti, la cattedra compare per la prima volta in un memoriale del 26 giugno 1786 del beneficiale Raffaele Ciresi volto alla istituzione della cattedra di "luoghi teologici" ed al conferimento di essa al richiedente, in sostituzione di quella di Sacra Scrittura. Ma, essa certamente è stata fatta oggello di attenzione già in precedenza, in quanto il Principe di Caran1anico, nello stesso 26 giugno 1786, scrive alla Deputazione dei Regi Studi e fa riferimento al dispaccio reale concernente la doppia richiesta del Ciresi 15 \ Il 6 dicembre 1786 il Ciresi inoltra un ulteriore memoriale, ed il Principe di Caramanico, in data 29 dicembre 1786, ne parla alla Deputazione dei Regi Studi e raccomanda di procedere. A quanto pare, la Deputazione aveva difficoltà a prendere una decisione, ed il beneficiale Raffaele Circsi puntualmente I' 8 (manca l'indicazione dcl mese) 1790 presenta un'altra richiesta allo scopo di ottenere sia l'istituzione che il conferimento della cattedra di luoghi teologici) in soslituzione di quella di Sacra Scrittura 15 "'. Non sia1no riusciti a raccogliere dati circa l'esito della persistente azione del Ciresi, n1a la cattedra non figura nella rassegna
1.~ 11 crr.
L. SAlv!POLo, op. cit., 81. Cfr. i bi d., 83. 152 Cfr. !str11zio11i per gli studenti della focoltà teologh·a, legale, 111edico e filo.w~/ico di!lla R. Università di Palen110 disposte d'ordine della /)ep11tazio11e dei Regi S111di del regno di Sicilia e de! Co11l'itto Rea! Ferdinando 11el/'an110 1783, L. St\MPOLO, op. cit., 135s. 15 1 · Cfr. ASPA, PI busta 93 (!780-1810), fase. 42. Lo stesso Principe di Cara1nanico in una lettera alla Deputazione dei Regi Studi dcl 21 (1nanca l'indicazione dcl rnese) 1786 parla della richiesta di istituzione della cattedra di luoghi teologici, ùa conferire, in sostituzione di quella cli Scrittura Sacra, al beneficiale Raffaele Ciresi (cfr. ibid.). 15·1Cfr. ASf-'t\, PI busta 93 (1780-1810), fase. 42. isi
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degli studenti e della loro distribuzione per cattedra fatta dalla università il 30 aprile 1800'". Nei Regolamenti generali ciel 1805 la cattedra di luoghi teologici si trova elencata tra le quattro della classe teologica, 1na non viene effettivamente istituita 156 • Nella proposta di Nuovo regolamento del 1826 nella classe teologica viene inclusa anche la cattedra di luoghi teologici, promessa nel paragr. IV dei Regolamenti generali del 1805 ed ancora non attivata 157 • Ciononpertanto, essa non è nell'elenco delle cattedre contenuto nel Regolamento del 1840 11 ·"; né lo è nel prospetto degli studi dell'anno 1859-1860'19 ; e neppure negli elenchi dell'anno 18611862 e, ovviamente, del!' anno 1886-1887 1''".
2.2. Titoli accarle111ici e benefici ecclesiastici La laurea in teologia, analoga1nente alle altre conseguite nelle varie branche della scienza e del sapere, era prevista per le ragioni più ovvie, cd in particolare per essere inseriti nei ruoli accadcn1ici e per accedere ai benefici ecclesiastici. Non sempre gli studi vengono cornpiuti nell'accade1nia che concede la Iaurea 1(il. Può anche accadere che i corsi regolari siano stati
15 -'iCfr. Lettera inviata dalla Deputazione dei Regi Studi a! re il 30 aprile 1800 con l'annessa Rassegna dei J)iscenti delle Scuole Superiori{/ 26 (/f)ri/e 1800 in questa Real Accade111ia di Pa!er1110, in L. SAtvlPOLO, op. cii., doc. XXVIII, Appendice LXXI. 156 Cfr. Regolan1enti Generali per la Reale U11iFersi1à 11t1ol'a111e111e eretta nella Ci!!ù di Palenno, 7 setten1bre 1805, paragr. 4, art. I, in ASPA, PI busta ! 53, fase. 2. 157 Cfr. NuoFo rego/a111e11to de//'UniFersirà di Palenno, dopo il 1805 e sulla base di quel regoh1111e11to, 11 febbraio 1826, art. I, in ASPA, PI busta 168, f'asc. I. 15 xcrr. Regoh1111ento delle tre UniFersifrì di Sicilia, 31 n1aggio !840, TiL. IV, art. 68, in ASPA, PI, busti.l 45 I. 159 Cfr. ASPA, PI busta 513. l(111 Cfr. L. SAIVIPOLO, op. cit., Appendice LXXXIII e LXXXV. 161 Approrittia1no di questa occasione per dire che i laureandi pagavano i "diritti di segreteria". Si dispone di qualche notizia circa ! diritti cli segreteria per i laureali ciel 30 ottobre 1839, Lra i quali si trovano anche i seguenti "teologhi": Vito Giacalone, Antonio Ciancio e Filippo Passalacqua (cfr. ASPA, PI busta 537).
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compiuti presso i se1ninari diocesani, o presso gli studentati degli ordini religiosi. In alcuni casi si chiede la laurea e nello stesso te111po la dispensa da un corso regolare di studi. Non tutti i benefici ecclesiastici richiedevano una laurea in teologia, n1a talora accadeva di dovere sanare una situazione. Si danno anche dei casi di soggetti già i1nn1essi nei vari ruoli dell'insegnan1ento accade1nico presso la classe teologica senza essere in possesso dci titoli accadc1nici e la soluzione viene trovata nella concessione della laurea "a n1erito". L,a docun1entazione superstite ci consente di prendere visione di tutli questi casi. Tale docu1nentazione si trova presso l'Archivio di Stato cli Palermo, nei fondi della Deputazione dei Regi Studi, buste 92 e 470. La busta 92 contiene pratiche cli laurea in teologia per gli anni 1780-1790. La busta 470 contiene c1rca ottanta richieste di an1n1issione alla laurea in teologia, presentate nel corso degli anni 1834-1841, da studenti in corso della facoltà teologica, ma soprattutto da titolari di benefici, in atto e potenziali, che per conservnre o per ottenere un beneficio ecclesiastico hanno bisogno cli conseguire il titolo accademico. Si tratta di domande provenienti dalle diocesi cli Cefalù, Girgenti, Mazara, Monreale e Palermo, ed anche dalle lontane diocesi di Catania, Patti e Siracusa. La questione elci titoli accademici per il conferimento dei benefici ecclesiastici è 111olto sentita, fino al punto da diventare una vera e propria querelle. Ma una siffatta situazione, inentre attesta il dato della norn1a, è sinto1no della continua violazione di essa. Ferdinando Il, con un suo decreto del 16 novembre 1849, conferma nelle linee generali il precedente decreto del 27 dicembre 1815, art. 14, concernente l'obbligo dei cittadini di conseguire i gradi accaden1icì richiesti per essere an11ness1 agli uffici, anche ecclesiastici 1('2 • Lo stesso re l·"erdinando, con un decreto dell'8 giugno 185 I, proroga per lanno in corso i termini circa l'obbligo cli
i('2
Cfr. ASPA. PI busta 450 ( 1848-1855).
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prendere i gradi accademici prescritti per accedere agli uffici"•'. Il 13 marzo 1854 il re interviene ancora sulla questione con un decreto dello stesso tenore dei precedenti"''. La questione dei gradi accademici degli ecclesiastici, stando alla documentazione superstite, era stata sollevata a livello accademico almeno in due circostanze. Una lettera del 16 gmgno 1852, proveniente dall'università di Catania ed indirizzata all'arcivescovo titolare di Damiata, Diego Pianeta, presidente della Commessione per la Pubblica Istruzione ed Educazione, ha come argomento i gradi accademici degli ecclesiastici. Riferendosi ali' art. 14 del regio decreto del 27 dicembre 1815, dice che sono tenuti alla laurea gli arcivescovi, i vescovi, gli abbati 11ulli11s, i vicari, le prime dignità delle chiese cattedrali, i canonici penitenzieri, i canonici teologi, i parroci di parrocchie con più di J 0.000 abitanti; sono tenuti alla licenza i canonici delle cattedrali, i parroci di parrocchie con meno cli I 0.000 abitanti, i professori delle facoltà teologiche dci seminari 165 • Il presidente della Deputazione della Reale Università degli studi il 26 febbraio 1959 invia a mons. Benedetto D'Acquisto, presidente della Commessione Suprema per la Pubblica Istruzione ed Educazione in Sicilia, una lettera con allegata delibera della Deputazione per l'Università di Palermo ciel 18 febbraio 1859 contenente le decisioni prese sull'obbligo per le "esercenti cariche ecclesiastiche" di munirsi dci titoli accademici in teologia"''· Il congresso di facoltà del 19 luglio 1859 prende atto di quanto è stato deciso nelle sedi istituzionali con1petenti 1(' 7 •
Facciamo solo qualche esempio: nel congresso del 20 dicembre j 834 si concede al canonico arcidiacono Gaetano Dessi, anche se ha studiato teologia privatan1ente, di conseguire la laurea in teologia, richiesta per conseguire un beneficio ecclesiastico 1('8 ; il congresso del
l 6-'
crr.
ibid. ibid. 165 Cfr. i bi d. 166 crr. i bid. J<, 7 Cfr. ibid. 168 Cfr. ASPA, PI busta 470 (1834-1841). 16
~crr.
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4
22 giugno 1835 esamina la richiesta di ammissione alla laurea in teologia, presentata da Vincenzo Culì, al fine di ottenere un beneficio ccclesiastico 169 • Della ulteriore tipologia delle richieste dei titoli accademici presentate alla segreteria della classe teologica desideriamo solo dare delle indicazioni sintetiche: domande di laurea con dispensa da corsi regolari'"', domande di laurea presentate da candidati che hanno compiuto gli studi in altre istituzioni ni, laurea richiesta da candi dati che hanno compiuto gli studi nell'istiluzione precedente l'accaden1ia e l'universilà 172 , laurea richiesta da accade1nici che ne sono privi 17 \ con1uni domande di laurea 17 .f, do1nande di trasferimento all'università
169 Cfr. ibid. 170 Ricordian10 le do1nande presentate da Raffaele Circsi, da Giovanni Parisi e da StcL1no Tn1inu (cfr. ASPA, PI busta 92, fase. 12). 171 A tale proposito, ricorc!ian10 le don1ande ino!Lratc cfa Stef8no Di Chiara, da Giuseppe Don1inici (cfr. ASPA, PI busta 92, fssc. 12), da Ignazio Avolio, Francesco Pancan10 e dai sc1ninaristi di Agrigento (crr. ASPJ\, PI busta 470). Interessante è i I caso delle lauree dci religiosi: il Principe di Cara1nanico, in data 28 1narzo 1790, scrive al vescovo di Eraclea, Giudice di Monarchia, e, facendo rifcrin1cnto al dispaccio reale del l 5 1narzo l 790, co1nunica che i rclìgiosi possono conseguire !e lauree in filosofia, teologia e diritto canonico solo presso le pubbliche università (cfì·. ASPA, PI busta 92, fase. 12). A titolo di ese1npio, facciaino rnenzionc delle don1andc di !aurea presentate dal frate conventuale Felice Susinno e dal frate agostiniano Prospero An1ico (cfr. ibid.). 172 I preti Francesco Bono1nolo, Giuseppe Paladino e Gaetano Barrii e, lettori delle scuole inferiori della Regia Università degli studi di Pa!enno, presentano al re una supplica dcl presente lenorc: avendo con1piuto gli studi regol;ui al ten1po della soppressa Giunta gesuitica e, dunque, prin1a delhi rifonna e della istituzione della Deputaz.ione dei Regi Studi, chiedono la concessione delle lauree in filosofin cJ i 11 teologia (cfr. AsrA, PI busta 92, fase. 12). ID Cff. AsrA, PI, busta 92, fase. 12. Molto particolare è i! caso del professore Michele de l\1ichcle, il quale, dopo essere stato per otto anni lettore cli diritto canonico (qualtro anni con1e sostituto e quattro anni con1c interino), con reale decreto del 7 dicernbre 1839 viene no1ninato professore proprietario di diritto canonico e, in da!a 30 n1arzo l 840, chiede la "laurea franca" in diritto civile, dirillo canonico e teologia, adducendo con1c 1notivi sia il fallo che appartiene al collegio teologico, sia il fatto che, per ragioni di ufficio, è chia1nato ad esan1inare i laureandi (cfr. AsrA, PI busta 470). i 7.-1 Ricordian10 le clon1ande di Giovanni Belardinelli e di Vincenzo Caracciolo (efr. ASPA, PI busla 92, fase. 12).
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di Catania, allo scopo di conseguirvi la Iaurea 175, domande di dispensa dall'obbligo di seguire i corsi presso l'università di Catania e di autorizzazione a conseguire la laurea presso l'accademia di Palerrno 176 •
2.3. Attività degli studenti Le fonti non dànno informazioni circa l'esistenza di club di studenti in qualche modo confrontabili con gli attuali organismi e 1novi1nenti studenteschi, che operano in seno agli atenei. rfuttavia, leggendo alcuni docurnenti con attenzione, si può venire a conoscenza di qualche episodio, che ha come protagonisti gli studenti, degno di nota. Certamente, non deve essere di1nenticato quanto riferisce il La Grulla a proposito delle "bordale di fischi" che "assai spesso" venivano indirizzate verso gli agenti di custodia che presidiavano l'università e, in definitiva, verso il rettore che se ne serviva per 1nantenere la disciplina e l'ordine 177 ; rna si tratta, co1ne è facile capire, di episodi di goliardia. Di ben altra portata, sia per la 1netodologia seguita che per i contenuti, sono invece gli episodi che ci accingiaino a ricordare. Nel corso del 1787 gli studenti che seguono il corso di diritto canonico presentano al viceré una fonnale richiesta affinché la cattedra di diritto canonico venga data allo stimato pre-111aeslro Marullo, che, a quanto si sente dire, dovrà lasciare la cattedra ad altri; si aggiunge anche una precisazione: se proprio non è possibile dargli la cattedra, almeno gli si faccia finire il corso. li viceré F. D'Aquino il 23 dicembre 1787 appone al testo della richiesta una nota con la quale dà incarico alla
175
12).
Ricorùia1no il caso di Pietro Cinppina di Gangi (cfr. ASPA, PI busta 92, fase.
176 A 1no' di cscrnpio ricordiarno il caso di Angiolo Motta (cfr. ASPA, PI busta 92, fase. 12). 177 Cfr. G. LA GRUTTA, Presentazione a L. SAMPOLO, op. cii., IX.
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Francesco Conig!iaro
università di prendere la decisione più opportuna 178 • Durante il 1788 gli studenti della "cattedra di canonica" fanno pervenire al viceré un memoriale, nel quale, dopo avere ricordato che il precedente lettore svolgeva il corso leggendo con profitto il testo del Cavallari' 79 , chiedono che il nuovo lettore usi il medesimo testo e non detti scritti propri. Il viceré D'Aquino il 20 settembre 1788 con una sua nota esorta, anche questa volta, I' università a prendere la decisione che ritiene lnaggiorn1ente conveniente. II lettore di canonica invia alla università una sua lunga nota, purtroppo senza data, con cui difende la sua posizione e dice, tra l'altro, che il suo metodo di leggere da scritti propri è già in uso presso I'accaden1ia di Palermo 180 • Sui due episodi riferiti le fonti non ci dànno altre informazioni, anzi è lecito pensare, soprattutto per il secondo caso, che le soluzioni sono state trovate lungo linee diverse rispetto alle indicazioni date dagli studenti, ma è importante il fatto che alla fine del secolo XVIII in un paese ancora feudale gli studenti prendono posizione circa le persone dei loro professori e le dottrine da loro insegnate.
(continua)
In Cfr. ASPA, PI busta 93, fase. 5 l. 179 Si lra!La dcl testo seguente: D. CAVALLAn!, !11stit11tio11es juris canonici q11ib11s vetus et 1101•a Ecc!esiae disciplina e111a11at11r in 11s11111 pri1Y1fi a11dilorù conscriptae, Nellpoli !803-1804'. Del Cavallari si conoscono altre opere: /11stit11fiones juris ron1r111i, voli. 4, Ncapoli 182 I 2; Istituzioni civili tradotte in italiano dall'avvocato Mattia Spano, voli. 4, Napoli 1825~1826; /11stit11tio11es Juris Ro111a11i sec11ndu111 ordine111 !11sti111rio111on Justiniani digestae, voli. 2, Neapo!i 1851 2 • 11mcfr. ASPA, PI busta 93, fase. 51.
Synaxis XIV/2 (1996) 213-316
LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1869-1890)
ADOLFO LONGHITANO''
1. IL VESCOVO GIUSEPPE BENEDETTO DUSMET (1867-1894) I. I. Personalità,
110111ina
vescovile
I .1. I. Giuseppe Benedetto Dusmet fra i vescovi di Catania è quello di cui biografi e storici si sono occupati maggiormente. L'abbondante letteratura sulla sua persona non è legata solamente al processo di beatificazione', introdotto trentotto anni dopo la sua morte, ma soprattutto all'azione pastorale da lui svolta in un periodo particolannente delicato della storia italiana 2 • La sua ricca personalità,
'' Professore di Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 La biografia più antica è quella di G. AMADIO, Il Cardinale D11s111et, Galatola, Catania 1926, della quale fu pubblicata una seconda edizione nel 1928, se1npre a Catania, dalla casa editrice L'arte Sicula. L1 postulazione della causa ne pubblicò una seconda: Il servo di Dio Giuseppe B. D11s111et. Monaco, Arcivescovo, Cardinale, Montecassino 1935. La più arnpia e docu1nentala è quella di T. LECCJSOTT'l, //Cardinale /)11s111et, OVE, Catania 1962. Alia vigilia della sua beatificazione ne è stata curatn un'altra dì carattere divulgativo da A. LIPARI, D11s111et: una carità senza confini, Abbazia San Martino delle Scale, Palenno 1988. 2 A. CICALA, Monsignor Dus111et e gli inizi del 111ovùne11to caffolico a Ca!ania (1867-1880), in AA. Vv., Chiesa e religiosi!à in Italia dopo l'Unità (1861-1878). ALLi del quarlo Convegno di Storia della Chiesa. La Mcndola 31 agosto - 5 setle1nbre 1971, Co1nunicazioni, I, Vita e Pensiero, Milano 1973, 101-121; G. Dr FAZIO, f)usn1e! a Catania ( 1867-1894): Chiesa e 111ovù11e11to ca!tolico, in Archi Fio Storico per la Sicilia Orientale (=Asso) 73 (1977) 89-138; G. ZITO, la cura pas!orale a Catonia negli anni de/l'Episcopato D11s111et (1867-1894), Galatea, Acireale 1987; Io., Du.Hnet
214
Adolfo Longhitano
che ha saputo coniugare la spiritualità monastica con una intensa attività apostolica, ha richiamato l'attenzione degli storici, che lo hanno considerato fra i vescovi più rappresentativi dell'Italia postunitaria. Il Dusmet era nato a Palermo il 15 agosto 1818 dall'ufficiale della marina borbonica Luigi Dusmet de Smours una nobile famiglia napoletana di origine fiamminga - e da Maria dei marchesi Dragonetti, anche lei napoletana. Al battesimo, conferitogli nel giorno stesso della nascita, gli erano stati imposti i nomi di Giuseppe, Maria, Giacomo, Filippo, Lupo, Domenico, Antonio, Rosolino, Melchiorre, Francesco di Paola, Benedetto, Gennaro'. In famiglia era chiamato Melchiorre, in religione Giuseppe Benedetto. Secondo la tradizione delle nobili famiglie palermitane, il piccolo Melchiorre, fin dall'età di cinque anni, fu affidato ai benedettini di San Martino delle Scale per ricevere la prima educazione e istruzione. Dopo il compin1cnto dei primi corsi scolastici, il giovane fu portato dai genitori a Napoli; ma volendo egli seguire la vocazione monastica, che aveva avvertito durante gli anni della sua prin1a for1nazione, chiese ed ottenne dal padre di tornare a San Martino delle Scale, dove nel 1840 emise la professione solenne e nel 184 l ricevette l'ordinazione sacerdotale'. 1.1.2. L'abbazia San Martino delle Scale accoglieva in quegli anni una co1nunilà di n1onaci di diversa provenienza ed esperienza: accanto a coloro che si erano dedicati ad una intensa vila ascetica e contemplativa, c'erano quelli che si erano impegnati nello studio o nell'attività apostolica; alcuni provenivano dalle province continentali del Regno, dove avevano conosciuto gli sconvolgimenti della rivoluzione napoleonica. La maggior parte dei religiosi era stata e /'episcopato be11edef(ù10 sicifiano tra i barboni e l'unità, in AA. Vv., Chiesa e società in Sicilia. I secoli XVl!-XJX, a cura di G. Zito, SEI, Torino 1995, 59-96; G. MONSAGRATI, D11s111et Giuseppe Benedetto, in Dizionario biografico degli italiani, 42, Trcccani, Ron1a 1993, 237-240. Non prefiggendoci in questa introduzione di traccinre un profilo del Dusn1et, per una trattazione pili approfondita delle innumerevoli problematiche riguardanti il periodo dc! suo rninistcro a Catania rinvian10 alla letteratura citata. 3 ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Processus Datariae, 229 (=PD), f. l47r. 4 lbù/., f. l43r; T. LECCISOTfl, op. cit., 5-27.
Le relozioni «a(f lùnina» clella (fiocesi (li Catania
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formata secondo quel modello comune agli ordini monastici del tempo, che aveva co1ne caratteristiche fonda1nentali: una soda pietà, la pratica della carità, l'accettazione della concezione tradizionale di Chiesa e di società, fondate sul principio dell'autorità legittimamente costituita. Il Dusmet aveva fatto proprio questo modello formativo, ma aveva avuto la possibilità di confrontarsi con alcuni monaci più sensibili alle nuove concezioni teologiche e politiche, penetrate anche ali' interno del chiostro'. Una delle note caratteristiche della sua personalità, che lo contraddistinguerà nel rapporto con gli altri e nella sua azione pastorale, sarà quella della fermezza nelle proprie convinzioni e del rispetto delle convinzioni altrui, che lo porterà a dialogare e a sforzarsi cli collaborare anche con le autorità cittadine e governative di matrice liberale, socialista o comunque anticlericale. 1.1.3. Le prime esperienze di ministero del Dusmet, dopo la professione e lordinazione sacerdotale, furono varie: docente di filosofia e di teologia agli studenti dell'abbazia, segretario dell'abate, priore prima nei monasteri dei Santi Severino e Sosio a Napoli ( 1850) e poi a Santa Flavia a Caltanissetta (1852), infine abate nel monastero di San Nicola l'Arena a Catania (1858) 6 • li monastero San Nicola aveva svolto un ruolo determinante nella vita religiosa, culturale cd econornica della città. Anche se negli ultin1i anni non tutti i monaci brillavano per l'osservanza delle regole monastiche, Ja loro presenza nella vita cittadina non era n1ai venuta meno 7 • Proprio durante il periodo di governo del Dusmet si verificarono gli avvenimenti che segneranno la fine del glorioso istituto. Due anni dopo la sua no1nina, lo sbarco di Garibaldi con i Mille a Marsala portò all'annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d'Italia. Negli anni successivi il
5 6
lbid., 27-33.
PD, f. 143r-v; T. LECC!SOTTI, op. cii., 34-52. M. GAUDIOSO, l 'abbaz.ia di San Nicolò !'Arenn di Catania, in Asso 25 ( l 929) !99-243; C. NASELLI, Lelferatura e scienza ne! conve11to benedet!ino di S. Nicolò !'Arena di Catania, ibid., 245-349; G. ZITO, La vita del 111011astero catanese S. Nico/o l'Arena da/le inedite disposizioni dell'abate /)11s111et, in Synaxis 4 (!986) 477-534; F. BERTUCCI, Catania e i! suo 111011astero. S. Nicolò !'Arena 1846 (a cura di G. Giarrizzo), Main1one, Catania l 990. 7
216
Adolfo Longhitano
nuovo governo si pose il problema di ridurre gli ordini religiosi e di disporre del loro patrimonio, che in Sicilia era particolarmente consistente'. ln un primo momento, per prevenire il provvedimento di soppressione, ai benedettini era stata fatta la proposta di trasformare i monasteri in aziende agricole. Il Dusmel si oppose ali' attuazione di questo progetto, che avrebbe avuto come conseguenza il travisan1ento della regola di s. Benedetto"; e quando la legge divenne operativa, con profondo dolore ma con grande dignità, gestì la consegna del n1onastero alle autorità civiliw. 1.1.4. La proposta di nominare arcivescovo di Catania il Dusmet s1 concretizzò nel 1867. La diocesi dal 1861, dopo la morte del vescovo Felice Regano, era ri1nasta vacante ed era retta da un vicario
8 Contrarian1cnte a quanto era avvenuto nelle altre regioni, in Sicilia non si era avuta la soppressione napoleonica. fl patriinonio ecclesiastico fu incainerato in gran parte dalle leggi dello Stato uniturio. «La vendita dci beni incmncrati in Sicilia, coinpiuta dal dcinanio lra i! 1866 e il 30 giugno 1906, fece afnuirc alle casse dell'erario L. 155.589.541,93, cioè un quinto e sci deci1ni dcl totale nazionale, calco!nto in L. 873.815.703,81>> (G. ZITO, La cura paslorale, cit., 295). Sul tc1nn vedi in particolare A. SINDONI, L'eversione dell'asse ecclesiastico, in Storia della Sicilia, JX, Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Palern10 1978, 203-220. 9 Il rifiuto del Dusn1et a Lutte le proposte che rniravano n dare un diverso ruolo sociale ai 111onasteri benedettini per salvarli dallo scioglin1ento, secondo l'indirizzo che il governo italiano si apprestava a seguire, non può essere consideralo frutto di una visione angusta della storia e di una 1nnncanza di lungin1iranza. Chi conosce la natura e la funzione degli ordini 1nonastici sa l'iinportanza che ha per i n1onaci la fedeltà allo spirito dcl fondatore. Per il Dus1net la trasfonnazione ipotizzala per i monasteri, anche se avesse avuto co1ne risultato i1nrnecliato la salvaguardia del patri1nonio i1n1nobiliarc, avrebbe co1nporlato il riconoscin1ento cli fallo della inutilità dci 1nonasteri benedettini costituiti secondo la regola di s. Benedetto e la ricostituzione di una realtà nuova di difficile defini;>;ione (T. LECClSO'fTI, op. cit., 971 15). 10 !bid., I 16-123. Nelle lettere testirnoniali per l'episcopato, scritte dall'ubbate di S<1n Paolo Angelo Pcscite!li, procuratore generale dci benedettini, trovian10 forn1ulato questo giudizio sugli anni trascorsi con1e abate a San Nicola 1' Arena: «Incredibile dictu est quanta prudentia, dexLeritate ac ani1ni fortitudine usus sit hisce prneserti1n salebrosis te1nporibus. Per noven1 annos Catanensi 111onasterio praefuit, et Spiritus fonna gregis verbo et exen1p\o 01nnes ad pietaten1, ad regularcn1 observantiam, ad sacras disciplinas excìtavit. Hisce autern turbulentis Lemporibus et politicis in11nutationibus adeo prudentia ac anin1i robore enituit, ut ab on1nibus, et etiam ab Ecclesiae hostibus in honore et vcncra!ione habcretur et esset» (Po, f. 148v).
Le relazioni «ad limùza» della diocesi di Catania
217
capitolare. Il governo italiano, di1nostrandosi poco coerente con i princìpi liberali che diceva di professare, non volle rinunziare agli antichi privilegi dei re di Sicilia di presentare al papa i nomi dei nuovi vescovi. Una prima proposta, di trasferire a Catania Ludovico Ideo, vescovo di Lipari, fu respinta dalla Santa Sede, che giudicava il candidato troppo devoto al governo. Nelle trattative che seguirono si fecero i nomi di Mons. Giuseppe Maria Pappardo e di Mons. Giulio Arrigoni, vescovo di Lucca, fino a quando le parti non si trovarono d'accordo sul nome dell'abate Giuseppe Benedetto Dusmet. Pio IX nel concistoro del 22 febbraio 1867, fra gli altri vescovi, annunciò anche la nomina del Dusmet per la sede di Catania. L'eletto fu consacrato a Roma il I O marzo e fece il suo ingresso in diocesi l' 8 aprile 11 •
1.2. Situazione della diocesi e progetto pastorale del Dusmet 1.2.1. La diocesi di Catania attraversava un periodo particolannente difficile. I'\fei riordino delìe diocesi siciiiane, atiuato dai borboni nella prima metà del secolo XIX, i suoi confini erano stati drastica1nente ridimensionali: parte del suo territorio era stato attribuito alle nuove diocesi di Piazza Armerina, Nicosia e Caltagirone. La bolla di erezione della diocesi di Acireale, emanata il 27 giugno 1844, non era stata ancora eseguita per la tenace opposizione dei vescovi cli Catania e di Messina; perciò il popolo dei comu111 già assegnati alla nuova diocesi viveva in un atteggiamento di insofferenza e di aHesa 12 • Dal punto di vista socio-politico la situazione era instabile: dopo le rivoluzioni del 1837 e del 1848, in cui tutta la città si era trovata
li T. LECCJSO'\Tl, op. cit., 168-173; G. ZITO, 12
G.
CONTARINO,
L.fl curo pastora/e, ciL., 58-68. Le origini della diocesi di Acireale e il prù110 vescovo,
Galatea, Acireale 1973, 41-58. Secondo quanto scrive un cronista del ten1po, nella chiesa 1nadre di Acireale, alla notizia della 1norle ciel vescovo di Catania Felice Regano, invece dci riti funebri si cantò il Te Deiun e si fece un triduo di ringraziatnento (B. CRISTOADORO, Storia di Catania dal 1807 al 1893, 8 aprile 1861, manoscritto conservato nella Biblioteca Regionale di Catania).
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Adolfo Longhitano
unita nel porre fine al rcgnne borbonico 1', lo sbarco di Garibaldi a Marsala aveva suscitato quasi un'attesa n1essianica di rinnovan1ento 14 • I fatti di Bronte e di Biancavilla (1860) vanno letti nel contesto cli una secolare domanda di pane c di libertà, che le classi più emarginate si illusero di avere a portata di 1nano con l'avvio del nuovo corso politico". La dura repressione di Nino Bixio e le successive scelte del governo liberale provocarono delusione e malcontento soprattutto nel proletariato agricolo ed urbano. A Catania c'era una forte tradizione liberale e de1nocratica. Gruppi consistenti di cattolici avevano appoggiato la rivoluzione liberale, plaudendo lannessione all'Italia del Regno delle Due Sicilie. L'iniziale entusiasmo si tran1utò 1nan mano in delusione ccl ostilità quando, con il prevalere fra i liberali della componente anticlericale e n1assone, il governo assunse un atteggia1nento ostile alla Chiesa, attuando in 1nodo affrettato e poco producente due delle riforme più attese: una distribuzione più razionale dcl clero soprattutto regolare e della proprietà 16 ecclesiastica • L'enonne n1assa di terreni agricoli, espropriata agli ordini religiosi e in11nessa sul 1nercato, favorì l'aristocrazia e la borghesia e1ncrgente che l'acquistarono ad un prezzo irrisorio, 1na non placò la secolare faine di terra dei contadini siciliani 17 . 1.2.2. In una condizione generale di crisi e di sconvolgimenti sociali, la città di Catania manifestò una certa vivacità i1nprenditoriale ed econnmica che servì da richiamo alla popolazione della provincia e
1.1 A. LoNGlllTANO, Le relazioni ((ad /i111ina» della diocesi di Catania ( 18441856), in Sy11axis 13 (1995) 439-502: 459-461. l-1 F. M. STABILE, li clero p(l/en11ita110 nel prùno decennio de!/'1111ilù d'ltali(/ ( 1860-1870), Istituto Superiore di Scienze Religiose, Palenno 1978, 42-48. 15 B. RADICE, Me111orie storiche di Bronte, ristan1pa, Banca 111utun popolsre, Bronle J 984, 427-5 19; G. (]!ARl~JZZO, Un co111!111e rurale del/a Sicilia etne(I (Biancal'illa 1810-1860), Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, Catania 319-374; S. F. RorvJANO, klon1e111i del Rh·orgi111e1110 in Sicilia, D'Anna, Messinn Firenze 1952, I 09-262; D. MACK Stv!ITH, L'insurrezione dei contadini siciliani, in
Q11ade111i del k!eridio11e 1958, 132~155; 253-275; F. RlNDA, Storia del/a Siciha dal 1860 al J 970, I, SelJerio, Palcr1110 1984, l 55- I 66. l(i G. DI f'AZIO, op. cii., 96-99. 17 A. SINDONI, op. cit.
Le relazioni «ad /imina» della diocesi di Catania
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delle città vicine". Il notevole incremento demografico, che pose Catania al primo posto fra le altre città della Sicilia 19 , testimonia un costante processo immigratorio, che negli anni obbligò i catanesi a ritrovare una propria identità culturale e a ristabilire un difficile equilibrio sociale. Negli anni che seguirono l'unità d'Italia diventerà sempre più forte il contrasto fra l'aristocrazia e la borghesia da una parte, gli operai, i contadini e i senza lavoro dall'altra. Mentre i primi occupavano il centro storico, che perseguiva il 1nodello di una città ricca e opulenta, gli altri si accalcavano nelle nuove periferie, dove le strade erano a fondo naturale e i servizi essenziali mancavano del tutto. La situazione dei diversi partiti o movimenti politici era molto fluida: si co1nponevano e si sco1nponevano con estre1na facilità sulla base più di rivalità personali che di posizioni ideologiche: 'garibaldini', repubblicani, monarchici, legittimisti, moderati, clericali, radicali) socialisti ... si scontravano nei dibattiti cittadini, nelle elezioni a1nn1inistrative e nazionali, dando vita a n1aggioranze precarie per il governo della città o a rappresentanze diverse nel parlamento nazionale 20 . La presenza dci cattolici in un contesto così difficile era tutta da inventare: 1nancava un chiaro progetto sociale e politico; 1na l'attenzione prevalente, più che alla costruzione di una nuova società, era rivolta alla difesa dei diritti o dei privilegi, che la nuova classe politica dava l'impressione di non voler rispellare21 . Dal punto di vista religioso c'era da far fronte all'istruzione e all'assistenza dei fedeli, che affluivano nelle affollate periferie urbane, e da riorganizzare il clero secolare e regolare, sconvolto dalle leggi eversive; c'era da dare una risposta in11ncdiata ai vecchi e ai nuovi poveri, che continuavano a ricorrere alla Chiesa per un aiuto che consentisse loro di sopravvivere. Dal punto di vista sociale, dopo il crollo dell' oncien régime, bisognava trovare una diversa presenza della Chiesa e dei cattolici all'interno
18 G. G!ARRIZZO, Catania, Laterza, Bari 1986, 3-122. 19 lbid., 3-10; G. LONGHITANO, La di11a111ica de111ograji'c:a, in AA. Vv., Le regioni dall'unità a oggi. La Sicilia, Einaudi, Torino 1987, 983-1020. 20 G. G!ARR!ZZO, Catania, cit., 10-12. 21 G. Dl FAZIO, op. cit., l 12-!22.
Adolfo Langhirano
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~~~~~~~~~~~~~-
della società. Il problema non era di facile soluzione; perciò si spiegano in questo periodo iniziative incerte e contraddiuorie: ritorni al passato, tentativi di aprire al futuro, atteggiamenti integralistici, un generale appiattimento sulle direttive che giungevano da Roma".
1.2.3. Il Dusn1et aveva inco1ninciato a conoscere questa situazione negli anni ciel suo governo del rnonastero San Nicola. Tuttavia i continui cambian1enti che si verificavano all'interno della società lo obbligavano ad assumere un atteggiamento allo stesso ten1po attento e prudente. La prin1a lettera pastorale inviata da Ro1na si ricollega proprio alla sua precedente esperienza catanese di abate e di n1onaco cacciato dal n1onastero e accollo an1orevohnenle dal clero. Non era nelle sue intenzioni tracciare un programma pastorale; tuttavia non è difficile leggere fra le righe le direttrici che egli intendeva seguire dopo aver accettalo con sofferenza e trepidazione cl i svolgere il 1ninistero di vescovo a Catania affidatogli dal papan. A) li clero
Fra i punti nodali del programma pastorale dei vescovi, quello del reclutamento e della formazione del clero assumeva un significato di rilievo. Infatti, considerato il ruolo che avevano i sacerdoti come collaboratori del vescovo nella fonnazione cristiana dei fedeli, solo un clero che fosse all'altezza delle sfide poste alla Chiesa dalla società dcl tempo poteva indurre il vescovo a guardare il futuro con ottin1is1110. Nella prima lettera pastorale del Dusmet non possiamo trovare indicazioni sui criteri che egli intendeva seguire per il reclutan1ento
22 fhid., 96-1l2; l 22- ! 28; A MONT!CONE, J \!escovi 111eridio11ali: J86 I -I 878, ìn AA. Vv., Chiesa e religiosità in /t{i/ia, cit., Relazioni, I, 59-100; ID., L'episcopato italiano dall'unità al Concilio Vaticano Il, in AA. Vv., Clero e societrì nell'Italia
conte111pora11ea, a cura di M. Rosa, Lalerza, Bari 1992, 256-330: 262-269; S. Profilo di storia della Chiesa italiana dal/'1111itcì ad oggi, MarieUi, Torino 1980, 11-23. 2-' G. B. DUSMET, Lel!era pastora/e al clero cd al popolo della arcidiocesi di Catania, Stan1pcria della S. C. dc Propaganda Fide, Ron1a 1867, 3-4. TRArv!ONTIN,
Le relazioni «ad !imina» della diocesi di Catania
221
del clero; affronta però in primo luogo quello della sua formazione'". Cercando «una parola improntata di attualità, una parola non dotta n1a cordiale, adatta alle condizioni nostre e della arcidiocesi a1natissin1a», egli la trova nella esortazione alla concordia: «La nostra bandiera, che sian1 sicuri sarà quella di voi rispettabili sacerdoti, è
la concordia [ ... ]. Salutatela, fratelli n1iei dileLtissi1ni, questa bandiera, salutatela coll'cntusiasn10 dei veri credenti. Nella concordi8 è la vcrilù nella concordia è la for;>;a, nella concordia è la felicità)> 25 .
Segue il richia1no ad un con1portan1ento missione da svolgere:
coerente con
la
«Persuadetevi, fralelli, a concilìflrvi con la pubblica sti1na; a 111enar vita n1eno tn1vag!iata altro 111czzo non v'ha che star contcn1i alle dolcezze dcl vostro slalo, senza cercarne altrove, senza spandervi al cli fuori, tenendovi strettan1cnte uniti fra voi. L'atn1osfera della politica, delle asse1nb!ee, dei partili, delle dissensioni, non è respirabile dal ceto ecclesiastico. Farsi tirare a riinorchio dai capricci delle opinioni e dalla vers<Jlìlilà delle un1anc teoriche non si addicc ad uo111ini collocali facci<1 a faccia all'eterniti1. Elevarsi nl di sopra dei terreni avvcnin1cnti, dissetarsi a!ln sorgente delle divine grazie, collocarsi ne! centro dc!la luce, tale è con1pilo ciel Sacerdozio» 26 .
La visione che egli ha della società in cui vive non è certan1ente ottimistica; perciò invita il clero a stare lontani, 1na non a separarsi dal inondo. In ogni caso l'anna vincente contro i n1ali del secolo deve essere quella della carità: «Lontani dunque, lontani dal secolo che oggi pili di n1ai pur troppo vn di traverso. Lontani ahbian1 dello, non separati, non intrattabili, non sordi e ciechi sulle necessitfa di questi stessi rig!i del secolo agitati cd agitatori ad un te1npo. No, 111iei fratelli, 1nille volte no: in un'epoca d'indifferenza religiosa e sociale è mestieri si rinnovino alla giornata i prodigi di carità crìsliann segnati ad ogni pagina degli annali della Chiesa Callolica» 27 .
2.f Su! lcn1a vedi G. ZITO, Lo cura pastorale, cit., 167-175. G. B. Dusrv!ET, Le!!era pastorale, cii., 5. 26 l/Jid., 6. 21 L. c.
25
Adolfo Longhitano
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Infine non manca l'esortazione per affrontare correttamente uno dei problemi più difficili del momento: il rapporto con i politici e le pubbliche autorità, spesso ostili alla Chiesa: «[ ... -1 csortandovì a non baratt<Jre il vostro sacro carattere con quello di politici, di n1cstatori e si1nili, Noi non intcndiarno inibirvi di conservare colle autorità governative i rapporti necessari: invece è nostro desiderio che essi sien n1antcnuti lealinente ed onoratmncnte. Non sia di voi il creare in1barazzi cd ostacoli nl buon anda111ento della cosa pubblica. Stranieri a!ia riprovala teoria che il fine giustifica i 1nczzi, vogliate pure all'occorrenza slirn1nati7-zare e respingere qualunque sforzo, qualunque 1nassi1na, che sotto specie di tniglior bene porti seco il Lurban1cnto dell'ordine I .. ]. Che se i diritti e le leggi ùi Santa Chiesa, cui giuraste ùi ubbidire, esigessero di resa, fatela pure senza paure codarde, senza esorbitanze, senza sconfinare dal buono, dal giusto, dal retto dall'onesto, Calcio con rinnovata scn1plicità, per convinci1nento, con tale urbanità, con lai bel garbo da sforzare i vostri avversari a rispettarvi, stare1n1no per dirvi ad an1arvi» 28 •
B) Il popolo TI Dusmet conosceva i cambiamenti che si erano verificati negli ultimi decenni. Alla societas christiana, in cui I cittadini s1 identificavano con i cattolici, incominciava a subentrare una società in cui si manifestavano i segni incipienti di un pluralismo ideologico e religioso: gli intellettuali mostravano simpatia per le 'nuove' dottrine, la borghesia si sentiva lusingata dai nuovi n1ovin1enti politici e dai circoli 1nassonici, l'aristocrazia era incerta fra la fedeltà alla tradizione e le possibilità che offriva il nuovo assetto socio-politico per evitare di essere completamenle travolti nel rican1bio gencrazionale29 • Restava il popolo, che doveva affrontare la dura battaglia quotidiana della sopravvivenza ed era esposto ai facili richia1ni dei novatores. Pur se distinto in diversi ceti, tutto questo popolo era stato affidato alle sue cure di pastore ed egli doveva garantire la possibilità dell'assistenza religiosa in una chiesa faciln1enle accessibile per i diversi quartieri,
w lbid., 7. 2
'J
En1b!c1natica in tal senso la descrizione de!!a società catanese fatta F. De
Roberto nel suo noto ro1nanzo I Viceré.
Le re/az;oni «ad lùnina» della l/iocesi lii Catania
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sacra1ncnti, l'aiuto 1noralc e l'istruzione catechistica, il culto e materiale ... Distinguendo nella sua lettera pastorale due categorie di popolo, scriveva ai ceti più elevati e agli intelleltuali non senza una bonaria 1ron1a: «Alla classe soprallutto che discute e scrive, e ca1111nina sernprc e non mTiva rnaì a quel rneglio dielro cui s'infian1111a e si precipita a capofillo, faccirnno un solo invito: Venite ad 111e 011111es. Le sale dcl nostro episcopio sono apene per voi. J_,8 se vi piaccia converserc1no insicine I .. 1-10 .
Agli altri diceva: «L'altra classe de! popolo pili nun1eroso che non discute, non scrive, non con1prende le teorie dc! giorno, nu.1 doinanda pane e fede, oh ~'ii affidi pure tutta intera al nostro a1nore cli padre. Sin a quando avren10 un panettcllo, noi I o diviclcre1no col povero. La nostra porta per ogni rniscro che soffra, sarà sen1pre ;;1pcrta))"11 •
Ma nel bino1nio «pane e fede» egli non intende solan1ente fermarsi a considerare il primo termine. Il suo primo compito di vescovo è quello cli trasmettere e conservare la fede nel suo popolo: «Ma !a fede .. ah il nostro buon popolo vuol conservala la fede, e inco1nbc a noi che la gli si conservi. A quest'oggetto e a nessun altro Dio ci ha disposti senlinel!a avanzata sugli spalli d'Israello. Inculcheren10 quindi senza posa 1nai, che rendendosi a Cesare quel ch'è di Cesare, si renda intien11ncnle a Dio, quel ch'è di Dio. Non tollererc1110 per un istante solo una Religione aulica, officiale, rotiniera la quale soffochi sul labbro la verità, inceppi ogni 111ovin1cnto, e infeudi a profiLLo dello Staio la giurisdizione ecclesiastica)) 32 .
C) I rapporti con le autorità civili Il Dus1net, fin da quando era abate a San Nicola,. aveva din1ostrato di voler in1postarc nella 1nassin1a chiarezza e nel rispetto reciproco 1 rapporti con le autorità civili. Era stato questo uno dei 1notivi che aveva indotto il governo italiano ad acceltare la sua
10 -
.\I _12
G. B. DUS!v!ET, Lei/era pasfora{e, cit., 9 Jbid., 10. L. c.
candidatura alla sede di Catania. Nel 1862 non aveva avuto difficoltà a dare ospitalità a Garibaldi e alle sue trnppe nel monastero e in altre occasioni aveva accolto i principi di Savoia"- Quando erano diventate operative le leggi che soppnmevano gli ordini religiosi e ne confiscavano i beni, lrattò la cessione del monastero con correttezza e dignità. Perciò egli può far riferimento alla propria esperienza personale nel dare precise direttive: «Più di una fiala in questi len1pi fortunosi ci fu forza contraddire, e protestare e negarci nd esigenze ripugnanti alle leggi della Chiesa. Ebbene aden1pir111no a tal dovere senza arnbagi, colla dignità del carallere sacerdotale e coll'un1iltà della cocolln, renni sul terreno dci princìpi. Che ne avvenne? Gli oppositori furon ragionevoli e sinceri e Noi cogliaino la presente occasione per porgere loro i nostrì ringrnziainenti; essi con1prescro che can1n1ilrnr d'accordo su quel terreno non ci era in nessuna guisa possibìlc, e che altrin1enli con1portandoci sare1111110 stati e vigliacchi e spergiuri. La nostra coscienza restò quieta, i
diritti della Chiesa restarono saldi, e i riguardi di questi signori non ci vcnncr n1cno, si accrcbbero»:i-1-.
L'accresciuta stin1a nei suoi riguardi da parte delle autorità, per la linea di rispetto reciproco adotlata nel suo rninisteru, Io porierà neile relazioni a{f /;,nina a dare al papa un lungo elenco di realizzazioni, operate d'intesa con le autorità civili, che in altre città o in un cli1na diverso sarebbero state probabihnente in1pensabili~ 5 .
D) Amore per la Chiesa e per il papa La figura del papa aveva acquisito un ruolo particolare nella formazione dei religiosi e dei sacerdoti. Alla centralità di tipo teologico, che gli aveva conferito l'ecclesiologia della controriforma, negli ultin1i anni si era aggiunta una centralità di tipo emotivo, sorta come risposta agi i attacchi convergenti del razionalisn10, del liberalis1no e dalla niassoneria. Il papa veniva considerato co111c l'ulti1no baluardo attorno al quale dovevano serrarsi i cattolici per
:n T. LECCISOTTJ, op. cit., 81-85. 1 - -1-
G. B. Dusrvit:T, op. cit., 7-8 .
.1."i
Rei. 1881, 278v-279v.
Le relazioni «Od limina» della diocesi di Cotonio
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difendere la propria fede e la civiltà cristiana; perciò si spiegano le iniziative dirette a far conoscere il suo pensiero, i movimenti di opinione in favore delle sue prese di posizione su temi teologici, politici o sociali, le preghiere indette per invocare l'aiuto divino nei momenti difficili, la raccolta di offerte per aiutarlo nelle sue necessità dopo la perdita dello Stato pontificio" ... Il Dusmet aveva fatto propri i princìpi di questa formazione e nella sua lettera pastorale scrive: «l'vlanlerren10 sc111prc stretti i nodi tra i figli e la Madre, tra le Chiese p<irlicolari e la Chiesa ro1nana. Dipendercn10 dal rncnon10 cenno del Successore di Pietro; a lui con1e a centro e n1acslro avrcn1 ricorso nelle dubbiezze e nei rroblen1i difficili a risolvcrsi»~ 7 •
Seguirà questa direttiva manifestando verso il papa un atteggiamento non servile di venerazione e di obbedienza. l::;'urono 1nolteplici le iniziative prese per con1unicare al clero e ai laici i suoi stessi sentimenti-1 ~. 1.2.4. L'arcivescovo Dusmet governò !a Chiesa di Catania fino al 4 aprile del 1894, ricevendo incarichi e attestati di stima per la sua personalità e la sua azione pastorale. Mentre svolgeva il suo 1ninistero episcopale, i I 18 gennaio 1885, fu nominato da Leone XIIl am1ninistratore apostolico della diocesi di Caltagirone, rirnasta vacante in seguito alle dimissioni del vescovo Giovanni Battista Bongiorno; ufficio che ricoprì con plauso del clero, ciel popolo e delle autorità civili fino al 27 giugno dello stesso anno'". Il 4 dicembre 1885 dallo stesso papa fu incaricato di predisporre il necessario per riaprire il
·16 Sulla linea seguila da!!a ecclesiologia in questo rcriodo vedi: Y. CONGAR, L'h}!,!ise de saint A11g11sti11e à /'époquc 111oden1e, Ccrf, Paris 1970, 412-458; (J. ALBEfUGO, L(/ Chiesa nella sforh1, Paidcia, Brescia 1988, 240-253. l riflessi di qucsla dottrina nell'azione dei cattolici sono csa111inali eia G. l'\1!CCOLI, /<ìn 111ito della cristianità e secolarizz(lzione, Mariclli, Casale Monferrato I 985, 64-81 ; D. MENOZZJ, La Chiesa caffolica e la secolarizzazione, Einaudi, Torino 1993, 43-55 . .1 7 G. 13. DusrvtET, op. cit., 10. :ix G. ZITO, La cura pastorale, cil., 68-89. w T. LEcc1son·1, op. cit., 327-337; M. PENNISI, IJ11s111et a111111i11istratore apostolico a Caltagirone, in AA. Vv., Chiesa e società in Sicilia, cii., 97-118.
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collegio Sant' Anselmo di Roma; progetto che si concretizzò il 4 gennaio l 888""· Nel concistoro cieli' 11 febbraio del 1888 Leone XIII gli conferì la porpora cardinalizia'11 • A conclusione dei processi canonici, il 15 luglio 1965 fu emanato il decreto sulla eroicità delle sue virtù·12 e proclamato beato da Giovanni Paolo II il 25 settembre 1988''.
2. L' ATTJVIT À DEL DUSMET NELLE RELAZIONI «AD L!MINA»
2.1. Le quattro relazioni inviate alla Santa Sede seguono lo sche1na consueto: la prin1a, inviata a Ro1na nel 1869, due anni dopo l'ingresso in diocesi del Dusn1et e a conclusione della sua prin1a visita pastorale, è ampia e dettagliata perché il nuovo arcivescovo doveva offrire alla Congregazione un quadro esauriente della situazione in cui aveva trovato la diocesi all'inizio del suo 1ninislero pastorale. Nelle altre tre - inviate rispettivamente nel 1873, nel 1881 e nel 1890 - il Dusn1et non risponde analitican1ente alle don1ande del questionario, n1a si li1nita a descrivere le novità verificatesi dopo l'invio della precedente relazione. I quattro documenti, pur nella loro diversilà fonnale, ci offrono non pochi elen1enti per ricostruire la situazione in cui si trovò la diocesi di Catania dopo l'unità d'Italia e per conoscere le concrete iniziative pro1nosse dal Dusn1et durante uno dci periodi più difficili 1na interessanti della storia catanese 44 .
40 T. LECCISOTTI, op. cii., 139-154. " !bid., 469-492. ·12
A. LIPARI, op. cii., 155-159. N. Cii\NCJO, Il card. D11s111et nella gloria degli altari, in Bolle11i110 ecclesiastico de/l'arcidiocesi di Caf(lnia 91 ( 1988) 129-13 I. 44 Mentre la prima è stat<J già pubblicrila da (1. DI FAZ!O, op. cii., 129-138 in appendice al suo saggio, le altre sono inedite, 1na note e in parte utilizzale (A. LONGf-l!TANO, l.a parrocchia nella diocesi di Catania priina e dopo il Concilio di Trento, Istituto Superiore di Scienze religiose, Palern10 1977, 142-145; G. ZITO, La cura pastorale, cit., 553). 41
Le relazioni «ad lùnina» della diocesi di Catania
227
2.2. La preoccupazione del Dusmet di riparare i guasti prodotti dal governo liberale, ripristinando nei rapporti Chiesa-Stato la situazione esistente prima del 1860, sembra costituire il filo conduttore della sua prima relazione e uno dei punti fondamentali del suo progetto pastorale. Si tratta di una linea di azione con1une ai vescovi del tempo, in parte sollecitata dagli interventi di Roma. Tuttavia mentre· allri vescovi n1anifestavano sentirnenli legilti1nisti o preferivano assumere con le nuove autorità politiche e a1nm1111strative un atteggiamento intransigente e di rottura, egli fin dal primo momento si era prefisso la via della legalità e del dialogo. L'attenta lettura delle quattro relazioni ci permette di concludere che questa linea di azione alla fine risultò vincente. Infatti il Dusn1et se non sempre riuscì a riavere i beni confiscali o i privilegi perduti, con il suo prestigio personale ottenne comunque condizioni molto favorevoli per l'esercizio del suo ministero pastorale. Nei seguenti paragrafi prima ci Iin1itian10 a riassumere sche1naticamente i principali ele1nenti rilevabili dalla sua prin1a relazione, poi indichere1no i fatti nuovi che il Dus1net riferisce nelle altre tre relazioni. A) Ordinamento diocesano Il particolare ordinamento di Catania, che non conosceva parroci perpetui ma semplici cappellani sacramentali, ai quali il vescovo - unico parroco - affidava a sua discrezione (ad n.utu1n) la cura delle annne, se1nbra costituire per il Dus1net un dato provvidenziale da difendere e da proporre come modello per le altre diocesi: «Va notato che in questa arcidiocesi, se si eccettua il comune di Bronlc da poco incluso nel!n sua circoscrizione, che ha una chiesa parrocchiale (per la cui provvista si bandisce il concorso secondo le indicazioni del Concilio cli Trento, scss. 24, de f'(j:, c. J 3 e la costituzione cli Benedetto XIV, Cu111 il/ud), in nessun altro luogo c'è un vero e proprio parroco. Tuttavin n1olti soprattutto le dignità di alcune collegistc - pur non avendo il diritto di rilasciare il contrahatur, si fregiano di un titolo privo di contenuto. A tal proposito, poiché si hanno non poche !ili pron1osse contro l'Ordinario, la cui autorità è rappresentata nei diversi luoghi dai vicari foranei, considerati vice parroci ;:11novibili ad 11111u111 dcl vescovo, sarebbe auspicabile abolire le parrocchie di cluhbia istituzione, oppure trasforrnare in ainovihili i loro parroci
Adolfo Longhitano
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o ahneno auinentare i! nu1nero dci rnotivi per i quali questi sacerdoti possono essere privati a buon diritto delle loro chiese, o ancora slabilirc una procedura
n1cno rigida perché si possa giungere alla giuslizia» 45 .
privozionc,
fatta
salva
la
Alcune motivazioni, che stavano alla base del convincimento del Dusmet sui particolari vantaggi che assicurava questo particolare
ordina1nento, sono esposte dallo stesso arcivescovo46 ; altre possono essere facilmente dedotte dalle situazioni che si verificarono negli anni del suo governo pastorale: egli, facendo valere il titolo di unico parroco della diocesi, aveva rivendicato dal de1nanio i beni confiscati alle collegiate, sostenendo che dovevano essere considerati a tutti gli effetti beni parrocchiali; le autorità governative, che pretendevano di interferire nella no1nina dei parroci, non avevano il titolo giuridico per opporsi alla non1ina dei cappellani sacran1entali; l'a1novibilità dei cappellani sacrainentali costituiva per il vescovo un'arn1a efficace per esigere dagli interessati un atteggiamento di maggiore disponibilità e obbedienza. La Congregazione, considerando gli effetti positivi ottenuti dal Dusn1et, non s1 sentì di richia1narc l'arcivescovo all'osservanza delle norme tridentine sulla erezione delle parrocchie autonon1e e sulla nomina dei parroci perpetui; 1na si guardò bene dal considerare ideale il modello catanese e di proporlo per le altre diocesi'17 . B) Il clero e il seminario Il problema del reclutamento e del sostentamento del clero era fra le pri1ne preoccupazioni del Dusmet. Le necessità del 1ninistero erano molteplici; ma egli sapeva che un candidato poteva essere
.is 4
Rcl. 1869, 236r.
Si veda in particolare qumlto scrive il Dusrnet nella seconda rel!lzione del 1873, 263v-264r. ~ 7 La risposta della Congregazione su questo argo1nento è a! fo!. 249r-v, dopo il testo originale della prin1a relazione. Per questo problerna si veda A. LONGH!TANO, La parrocchia, cit., 142-145; lo., Hvo/uzJone socfrde e giuridica delle parrocchie, in AA. Vv., La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano Il, Sciascia, Caltanissetla Roms 1994, 405-482: 437-440. ù
Le relazioni «ad limina» della diocesi dì Catania
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an1n1esso agli ordini sacri solo se aveva un titolo canon1co, cioè un beneficio o un patrimonio proprio. Non doveva essere raro il caso di sacerdoti, ordinati per il servizio di una chiesa detenninata, andassero alla ricerca di benefici più pingui. Per stroncare questo abuso il Dusmet proponeva alla Congregazione che le pene ferendae sententiae, stabilite dal Concilio di Trento, fossero inflitte latae sententiae. Nel caso poi dei candidati che erano stati a1n1nessi agli ordini perché avevano ricevuto un patrimonio sacro dalla diocesi, proponeva che fossero privati auton1atican1ente dì questo 48 sostenta1nento nel caso che si fossero allontanati senza pennesso . L'unica iniziativa prevista dalle norn1e canoniche per la forn1azionc pcrn1anente del clero era quella dei casi 1norali e liturgici. li Dusmet scrive che in molti luoghi della diocesi questa prassi era stata interrotta; 1na egli si propone di ripristinarla al più preslo49 • Sebbene non fosse ancora riuscito a risolvere i casi difficili di alcuni sacerdoti, incorsi nelle censure per conflitti avuli con il vicario capitolare durante il periodo di sede vacante 511 , il giudizio che il Dusmet dà sul clero è sostanzialmente positivo: «Si chiede: quali sono i costu1ni dcl clero diocesano? Dice il profeta: «co1ne i I popolo così il sacerdote» {Os 4, 9). Tuttavia devo ringraziare Dio: rnolti sono 1ncdiocri, pochi buoni, alcuni callivi. Per reprin1ere questi ulti1ni, il regnante pontefice nell'enciclica ciel 9 nove1nbre !846 ha raccon1anclalo con1e ri1neclio efficace solan1ente la pazienza e una costante avveni1ncnti dci nostri giorni hanno di1noslralo» 51 •
dolcezza,
con1c
11101 li
Trattando del seminario, si limita a scrivere che l'istituto accoglieva 220 alunni 52 ; n1a nella pri1na relazione non accenna al problema dei 'foristi', cioè degli alunni esterni che risiedevano nelle proprie case e venivano in sen1inario solo per frequentare le lezioni e fare assien1e agli altri il passeggio. Trovia1no un cenno all'argo1nento
.rn Rei. 1869, 239r-v. 19 · Jbid., 240r. Riprenderà il teina nell'ullin1a relnzionc dcl 1890, 287r-v. 50 !bid., 237v-238r; G. ZITO, La cura pastorule, cil., 43-52. 51 Rei. 1869, 240v. 52 /bid., 241r. Tuttavia nella stessa relazione a! rol. 236v aveva scritto 200 nlunni.
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nella relazione del 1890, segno che questa prassi nmase m vigore durante lepiscopato del Dusmet53 .
C) I religiosi Uno dei problemi più delicati che il Dusmet fu obbligato ad affrontare al suo ingresso in diocesi fu quello dei religiosi che erano stati costretti ad abbandonare i monasteri e i conventi soppressi. La n1agg1or parte di essi si erano inseriti nel clero diocesano; alcuni avevano abbandonato il ministero. L'arcivescovo nutre poche speranze che questi ultin1i possano essere richia1nati ali' osservanza degli impegni assunti; perciò scrive alla Congregazione che la sua preoccupaz1one principale era quella di assicurare agli altri le condizioni necessarie per vivere e per svolgere il ministcro 5..i. Per le n1onache i problen1i erano di natura diversa: a Catania solo il 1nonastero della Santissi1na Trinità era stato convertito in educandato e le monache obbligate a cercare rifugio rn altri monasteri 5·'i. Le altre non erano state disturbate. Tuttavia, con l'eversione dei beni ecclesiastici, tutti i monasteri erano rin1asti privi di sostentamento". Si deve presumere che vivessero della carità dei fedeli. Un interrogativo che si poneva la Chiesa subito dopo la soppressione degli ordini monastici riguardava l'atteggian1ento da assu1nere nei confronti delle iniziative di fondazione cli nuove congregazioni religiose femminili. Il Dusmet sembra incline a sostenere gli antichi istituti e a scoraggiare le nuove fondazioni: «in tal n1odo si eviterebbe i! rischio di far credere che nella Chiesa su questo argornento si vogliano inlrodurre carnbin1nenti radicali o che i santi fondatori degli ordini religiosi, così bene1nerili verso la Chiesa e la socictù civile, dalle persone ignoranti siano tenuti in poca considerazione. Nondilneno è n LuLLi
53
Rei. 1890, 288r; G. ZITO, La cura pastorale, ciL., 161-167. Rei. 1869, 240v. G. ZITO, La cura pastorcile, cit., 274-293. lbid., 236r-v. 56 lbid., 24Jr. 5
-' 55
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nota la necessità di apportare qualche innovazione pili consona ai problcrni dcl no.stra 1e1npo agli istituti rcligio.si, il cui rine non è più .soslenibile>1 57 •
D) li popolo: iniziative di formazione, assistenza e apostolato
L'atteggiamento ostile assunto dal governo nei confronti della Chiesa, la libertà concessa ai predicatori di altri culti e il favore dato alla pubblicazione cli una stampa dichiaratamente antireligiosa ponevano il problen1a di dare ai fedeli una istruzione più solida e una formazione più niatura. Alla tradizionale catechesi per i ba1nbini, che si teneva ogn1 domenica nelle chiese sacran1entali 51', bisognava aggiungere altre iniziative idonee alla nuova situazione della società: «Nelle parrocchie e in alcune chiese più frequentate della cillà è stato conrerilo l'incarico agli esponenti pili c1ninenti dell'uno e l'altro clero di spiegare ogni settimana al popolo 1<-1 Sacra Scrittura contro le nuove teorie e di tenere opportune istruzioni in un periodo così difficile co1ne il nostro. Per quanto riguardn la predicazione non c'è dubbio che occorre adoperarsi per dare alle prediche quella serietà che li renda i1nn1uni dalla vanità e dal desiderio cli novitÌI; ino!Lre se ogni dottrina che viene insegnata ai fedeli è contenuta nella parola cli Dio, deve essere attinta da!!a Sacra Scrittura e dalla tradizione. Ma non bisogna passare sollo silenzio che a volle è ritenuto necessmio prendere a nostra difesa le anni che per la loro appariscente noviU1 scn1brano idonee a sconfiggere gli orgogliosi nemici. Per In qual cosa se da una parte non bisogna abbandonare la fonte della verità che è una sola, dall'altra bisogna adallare la fonna cli questa verità ai ten1pi che bisogna co1nba1Lere. In questo 1no1nento i I 111ctodo critico è quello vincente; perciò nella rorn1azionc è necessario preparnrc i chierici a questo 1netoclo di lotta con il quale gli avversari sono ridotti al silenzio» 59 •
L'introduzione del matri1nonio civile, considerata dai vescovi co1ne una funesta novità in grado di detcrn1inare il disfacin1ento delle famiglie cristiane"'', poneva delicati problemi pastorali: quale atteggiamento assu1nere 11c1 confronti di quei cristiani che si sposavano solamente al 1nunicipio? E se i coniugi civili si fossero
L. c. lbid., 239r-v. 59 !bid., 238r-v. s1
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G. ZITO, La c11ra pastorale, cit., 428-446.
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separati e avessero chiesto di contrarre matrirnonio religioso con altre persone, bisognava accogliere la loro richiesta? Per dare una risposta a questi interrogativi il Dusmet propose di attenuare la rigidità della norma sulla forma obbligatoria del matrimonio e di ripristinare, entro certi limiti, la prassi antica della Chiesa: riconoscere valido il 1natrin1onio dei nubendi nel caso in cui avessero 1nanifestato il consenso con gli sponsali e fosse seguita la copular' 1• La Chiesa non poteva più contare su tutte quelle opere che 111 passato le avevano consentito dì esercitare l'assistenza e la carità: confraternite, ospedali, orfanotrofi, monti di pietà ... quasi tutte sottratte alla giurisdizione ecclcsiasticab2 • Perciò era urgente istituire nuove fanne di associazionisn10 laicale e più incisive iniziative di carità per evitare che i cattolici venissero relegati all'interno degli edifici di culto e delle sacrestie. Questa problematica, che verrà sviluppata soprattutto negli anni successivi, trova solan1enle alcuni cenni nella pri1na relazione: l'istituzione delle scuole serali gratuite per istruire i ragazzi di ogni condizione('\ la fondazione di due associazioni: una che si prefiggeva fini liturgici e un'altra che riuniva i domestici di una ccrla esperienza e capacità e li garantiva presso i padroni 6-'. E) La giurisdizione ecclesiastica e il rapporto con le autorità civili Il Dusrnet non sembra farsi più molte illusioni sul nuovo corso introdotto dal governo liberale. Per rispondere al questionario proposto dalla Congregazione egli deve elencare gli antichi privilegi perduti e i casi in cui non era più riconosciuta l'esclusiva co1npetenza della Chiesa su determinate materie: il privilegio dcl foro, le opere pie,
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Rei. 1869, 243r. Sull'antica prassi della fuga consensuale (ln f11itina), ancora viva in Sicilia, e sui problen1i pastorali che coinportava sopnlttutto al te1npo del Dusn1ct, vedi il dossier pubblicato in Synaxi.1· 13 (1995) 7-98. 62 Rei. 1869, 242r. 6J lbid., 238r. Per un quadro pili con1plelo dell'associazionis1no caltolico al tcrnpo del Dusinct vedi G. ZITO, La c11rn pastorale, cit., 470-486. <·-< Rei. 1869, 242r.
Le relazioni «all lùnina» tiella tliocesi t!i Catonìa
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i cin1iteri, il inatrin1onio 65 ... Nonostante lutto, egli si sente di poter affern1are: «la Chiesa nella propria giurisdizione gode ancora di una propria libertà»('6 • Uno dei fini che si prefiggeva con la sua azione pastorale era quello non far venir meno la presenza della Chiesa nelle strutture della società attraverso il suo prestigio personale e i buoni rapporti stabiliti con le autorità civili. 2.3. I fatti nuovi che si verificano negli anni seguenti e i successi ottenuti con la sua azione pastorale sono indicati dal Dus1net nelle relazioni del I 873, I 881 e I 890. Una delle più importanti novità riguarda l'esecuzione ( 1872) della bolla di erezione della diocesi cli Acireale ( 1844 ), che pose fine alle decennali contese da una parte fra il clero e il popolo della nuova diocesi e dall'altra fra gli arcivescovi cli Catania e Messina('7 . Da quella data i confini della diocesi di Catania non subiranno più altre modifiche. La convinzione del Dusmet sulla validità dell'ordinamento diocesano che considera il vescovo unico parroco e i cappellani sacramentali suoi delegati si rafforzò dopo la sentenza definitiva della Cassazione che restituì i beni delle collegiate, considerati con1c parrocchiali: ((Ritenendo superlluo ripetere anche in questa relazione le notizie scritte nella prin1a e nella seconda sui grandi benefici che co1nporta ~ srecialincnte ai nostri tc1npi - l'antica e particolare costituzione della Chiesa cli Catania, nella qunle !'arcivescovo è l'unico parroco della cillà e della diocesi, nii li1nito a nu1nil'estarc la n1ia soddisrazione per la sentenza che ho avuto dal tribunale della Supren1a Cassazione di Ron1a con la quale 1ni ha restituito, riconoscendoli con1c parrocchiali, parte dei beni di questa 111ensa vescovile già perduti, e 1ni conrerì il dirillo di rivendicare preso i tribunali civili le proprictù di tutte le chiese parrocchiali della n1ia diocesi. Proprio nei giorni scorsi rern1nndo1ni a Ron1a, con la particolare protezione di Dio, ho vinto un'altra grande controversia sui beni della rnin 1nensa vcscovile» 6H.
'' 5
!bid., 237v, 240r, 242r, 243r. c.r, lbid., 237v. 67 Rei. !873, 263r-v; (ì. CONTt\RlNO, op. cit., 73-93. 68 Rei. t 881. 277v.
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Anche altre questioni, aperte dopo l'unità d'Italia con il governo liberale, si ha l'impressione che si siano risolte 1nan n1ano secondo i desideri dcli' arcivescovo. Non solo nessuna delle chiese esistenti in diocesi fu chiusa al culto, 111a a Catania si riuscì anche ad erigere lre nuove chiese, rivelatesi provvidenziali per lo svolgirnento di un'efficace azione pastorale nei rispettivi quartieri: Santa Maria della Mercede, Santa Maria della Salette e Santa Maria della Guardiam II Dusmet evitò anche la soppressione della maggior parte dei Collegi di Maria e riuscì a far affidare alle Figlie di Maria Ausiliatrice quelli cli Trecastagni e cli Bronte70 • Se da una parte molte opere pie erano state sottratte alla giurisdizione ecclesiastica, dall'altra l'arcivescovo ottenne che nella direzione di diversi ospedali ccl istituti di assistenza avessero un ruolo in1portante alcuni istituti di suore: «[due n1aggiori ospedali di qucsla citLù sono stali affidati alla direzione delle suore delle "della carili1", le quali sono state inc<iricalc di dirigere il grande ospizio 1nunicipaJe dci poveri f... I. A dirigere l'ospizio di Adrano sono state chiainate le suore di S. Anna. Inoltre i! conservatorio delle cosiclclet(e "proiette settenarie" di Catania di recente è stnto affidnto alle suore della cari tà>> 71 •
A questi istituti soggetti alle autorità civili bisogna aggiungere quelli eretti dal Dusmet per l'assistenza dci poveri, degli anziani, degli orfani: ((Ho istituito un altro ospizio per gli anziani poveri dell'uno e dell'altro sesso, diretto dalle suore dei poveri chin1natc dalla Francia, nel quale sono giù nccolti circa 80 ricoverati, n1anlenuti dalla carità dci fedeli. L1 casa nelle quale attualn1ente sono accolli è stata presa in affitto a inie spese; rna al più presto sarà cos!ruito un grande edificio di proprieUi delle suore, che potrà accogliere 200 poveri t... ]. Un'altrn nuova casa ho assegnato rane suore della caritit], in cui è stato istituito un collegio per l'educazione delle ragazze cli civile
69
Rei. 1873, 264v; rei. 1881. 277r. Rcl. 1869, 236v; re!. 1881, 278r-v. L'opera svolta dalle Figlie di Maria Ausiliatrice nell';:111lico Collegio di Maria di Trecastagni è analizzala da G. ZITO, /vladdale11a /v!orano nella diocesi di Catania jit1 D11s111et e Francica Na1Y1, in AA. Vv., Sulle frontiere del! 'educazione. A1adda!ena /vlorano in Sicilia ( J 881-I908), Las, Ro1na 1995, 29-77. 71 Rei. 1881, 279r-v. 711
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condizione. Pertanto nello spazio di tre anni in diocesi sono stati istituiti I O istituti, affidati a suore di vari ordini » 72 .
Le scuole gratuite per i poveri, delle quali aveva informato la Congregazione nella prima relazione, continuarono a funzionare durante gli anni del governo pastorale dcl Dusmet73 • Di altre opere sociali, istituite negli ultimi anni, lrovian10 menzione nella relazione del 1890: « Da quattro anni ho aggiunto una nuova iniziativa di carit8, cioè un donnitorio per i roveri dell'uno e l'altro sesso, eretto a n1ic spese e dedicato a S. Giuseppe. Nello scorso 1nese di inaggio ho dato vita ad una nuova opera di caritiì per curare e nutrire i poveri inferrni a don1icilio, que!!i cioè che non possono essere ricoverati negli ospedali della città. Ilo istituito quest'opera badando bene n non incorrere nella nuova nonna civile che stabilisce !<1 rirnozionc dei parroci dalle opere di carità; dando, cioè agli stessi parroci (da noi si chianu1no curati) la direzione dell'opera. Qua.si tutte le nobildonne della città sono iscritte a questa pia opera e tutti sperano Ja loro aiuti e favori» 7·1.
Riteniamo che basti solamente qualche cenno al terna dell'assistenza e della carità svolta dal Dusmet quotidianamente e in alcuni eventi dolorosi verificatisi nei corso ùei suo governo pastorale: le epidemie di colera del 1867 e del 1887, i terremoti e le eruzioni dell'Etna del 1878 e del 1886, l'alluvione del 1880, il ciclone ciel 1884... Si tratta di temi che sono stati ampiamente sviluppati dai biografi 75 e che trovano qualche riscontro anche nelle relazioni atl
1;1nino76 • Merita, invece, di essere rilevato lo stile di austerità e di sobrietà con cui svolse le visite pastorali: non solo non pretese nulla dalle chiese e dal clero a titolo di rimborso spese, ma proibì ogni forma di inutile spreco nell'accoglienza dell'arcivescovo e del suo seguito:
72
L. c. L. c.; G. DI FAZIO, op. cii., 106-108. 7'1 Rei. 1890, 288v; T. Lt.::CCISOTTI, op. cit., 387-395. 75 G. AlvlADIO, op. cit., 204-264; T. LECCJSOTrl, op. cit., 352-468; A. LIPARI, op. cii., 92-97; I 04-108. 7c, Rei. l 869, 237r; rei. 1890, 286r. 73
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«In consiùcrnzionc della povertà e delle ristrellezze cli qunsi tulle le chiese, in questa visita co1ne nelle prccedcn!i, non ho preso nulla dal clero o dalle stesse chiese, né per gli alin1cnli, né per il viaggio, né per q1H1lsi::isi a!Lro 1notivo, nHl ho porlaro lutto a co1npin1cnto a inie spese, avver!cndo tu!Lavia che da qucsla 1ni;:1 rinunzia non doveva nm;ccre prcgiudi7jo alcuno per i n1ici successori e per i loro diriui. Anzi poiché nelle due precedenti visite ho riscontralo che crnno siate fatrc diverse spese per u1u1 pili solenne nccoglicnza e ricezione del vescovo visitatore, ho einanato rigide proibizioni ai vicarì fornnei sull'uso cli ca1T07.ZC, bande 1nusicali cd altro con i quali, in segno cli ossequio e cli an1ore, si anelava incontro al visitatore. Mi sono recato nei singoli luoghi da solo, <:1ccon1pagnato dal cancelliere, dal segretario e dal do111eslico, affittando un<1 sola carrozza; nessuno ini è venulo incontro. Queste indicazioni, che Ilo ordinalo venissero rigorosan1ente osservate, non furono cli ostacolo a suscitare la religiosità dci fedeli; an7,i n1i n1anifestarono 1n<1ggiore riverenza e 1ni diedero segni evidenti d! an1ore e cli i1npegno» 77 .
2.4. Chi ha una certa fa1niliarità con l'archivio storico diocesano cli Catania di questo periodo e conosce la grafia del segretario del D11s1net, il benedettino p. Luigi Della Marra, noterà che la terza relazione del I 881 è stata stesa da lui. Questa osservnzione, che potrebbe sen1brare di scarsa rilevanza, ci obbliga, invece, ad interrogarci sui collaboratori del nostro arcivescovo. Rinviando agli scritti degli storici catanesi per un giudizio sulla figura dcl rettore del se1ni11ario e vescovo ausiliare Antonino Caff, dei due vicari generali Giuseppe Coca Zanghì e f-•'rancesco Castro 71\ ci lin1itia1no a dare solamente qualche cenno sul p. Luigi Della Marra. G. Zito lo definisce una «figura tra le più singolari, 1na anche fra le più di1nenticate, nell'àrnbito ecclesiale e culturale di Catania» 79 e riassun1e così la sua azione svolta a fianco del Dus1net: «Per tutlo il lcn1po dcl suo episcopato Dusn1ct trovò in Della Marra: il fedele infefprcte dcl suo pensiero, che lo seppe nlleviare dalle preoccupazioni d! carattere !1urocratico nel governo del/a diocesi, pcrn1eltendog!i cli dedicarsi
77
Rei. l 88 J, 275v. G. ZITO, La cura pastorale, cit., 123-140. 79 G. ZITO, Per {o sto rio del! 'università di Caf(lnia: f 'A rchil'io Arcil'e.w.:ovife e i I podre Luigi Della 1l1arru, in AA. Vv., /11segnan1e11ti e professioni. L'1111iFcrsità di Catonia e !t: cif!à di Sicilia, Tringale editore, Catania 1990, 9-54: 14. 78
Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania
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precipuarnenle agli i1npegni pastorali; l'intelligente ed instancabile collaboratore per le direttive da c1nanarc e nelle ini7,iativc cd opere da lui pron1osse; per la sua arnpia erudizione, il pron1otore dei ricorsi, preparati con solide 1notivazioni giuridiche, che pcnniscro a! suo abate-arcivescovo cli riportare facili vittorie presso i tribunali civili nelle liti intcnla!c per la difesa dci clirilti della Chiesa catanese, sopraltu!lo quelle di can1ttere econon1ico. A lui il Dusinel conrcrì incarichi diocesani di non lieve rcsponsabilit8: la guida e l'organizzazione cli 111olle attività caritative e del Con1ilalo diocesano dci circoli cattolici; i! co1npito di cancelliere della curia arcivescovile eia! 29 cliceinbre l 876; le facoltà di vicario generale dal I O novernbrc I 893, poiché non crcdctlc opportuno no1ninare un successore al defunto vicario Castro; la redazione ciel giornale La Ca111pa11a, organo ufficiale dci circoli ca!tolici diocesani e clelln curin» 80 •
Si tralta di un personaggio che svolse un'intensa e 1nolteplice attività ponendosi co1ne criterio di lavorare all'o1nbra del suo arcivescovo, evitando il rischio dcl dualisn10 o della contrapposizione. Un'accurata ricerca nell'archivio storico diocesano potrebbe aiutarci a chiarire il ruolo avuto dal p. Della Marra nelle diverse iniziative proinosse durante il governo pastorale dcl Dus1net.
3. GIUDIZI SUL DUSMET
3.1. «Pane e fede». li binomio con il quale il Dusmet nella sua prima lettera pastorale sintetizzava la sua azione pastorale per il popolo, secondo G. Giarrizzo, 1nanil'esta una «rassegnata accettazione della polarità sociale», che vede nella «risposta 'generosa' del ricco al suo appello» l'unica strada ritenuta praticabile dalla Chiesa di Catania per risolvere la difficile situazione della città. li Dusmet più che un pastore sarebbe un buon parroco, che interviene sul sociale in tern1ini di 'carità'. Ben altra sarebbe stata la risposta dei vescovi leoniani 81 • 11 giudizio sul Dus1net e sul suo progetto pastorale, n1anifestato dal noto storico catanese, anche se fondato su alcuni elen1enti obiettivi, non sen1bra tener conto di altri, che non possono essere sottovalutati.
80
G. ZITO, La cura pastorale, cit., 134-135. ~ 1 G. GJARRIZZO, Catania, cil., 52-55.
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Il modello di vescovo al quale si ispirò il Dusmet all'inizio del suo governo pastorale fu certamente quello di Pio IX (1846-1878) 82, un modello che privilegiava una concezione gerarchica della Chiesa e un rapporto conflittuale e intransigente con la società in generale e con i governi liberali in particoiare 83. Ma fu proprio questo aspetto che il Dusn1el rifiutò, perché non in sintonia con la propria personalit~1, con la forn1azione ricevuta e con la conoscenza dei proble1ni della città, acquisita durante il governo dcl monastero di San Nicola. Il Dusmet fu figlio del suo tempo ed operò nello spazio offertogli dal suo tempo; tuttavia per certi aspetti (il rifiuto dell'intransigentismo) non solo precorse, 111a andò anche ollre le idee e gli atleggian1cnti più avanzati, n1aturati nel periodo leoniano 8-+. Si vedano a tal proposito il giudizio critico del Dusmet sull'Opera dei congressi e la sua 'disobbedienza' al divieto di incontrare il re d)Italia85 • In ogni caso la scelta prioritaria della carità nel suo progra1nn1a di governo non può essere identificata
~ 2 Dopo i! Concilio di Trento era slato delineato il modello del buon vescovo,
aggiornalo rnan niano a partire dnlle condizioni genernli e locali ne!!e quali il singolo pastore era chia1nato ad operare. Gli aggiornan1enti derivavano dalle indicazioni di Ro1nn, 1na anche dalle scelte personali cli ognuno, che doveva valutare l'opportunità di f:ir prevalere alcuni indirizzi piuttosto che altr!. Il vescovo prirna di ogni cosa è un pastore, elle deve avere una chiara visione della situazione in cui è chinn1ato ad operare per pro1nuovere e coordinare l'azione apostolica: la predicazione, la catechesi, i I cullo, la rorn1azionc dei 111inislri sacri, In scel!a opportuna delle iniziative per con1ba!lere il peccato in tulle le sue fanne e favorire ia vita cristiana, l'esercizio delln caritù.. (I-I. JEDJN - G. ALBERIGO, // t1/>o ideo/e di Fesco1 0 secondo la r{fonna C(1/fofica, !rad. it., Morcel!iana, Bresci(] 1985; G. DE ROSA, Giuseppe Crispino e !o troffatistica sul b11011 J'esco1'0, nel suo volun1e Chiesa e religione popolare nel IY/ez:.ogùJr110, Lalerza, Bari 1978, 103-143). ~J Sul tenl(] si vedano in partico](]re: R. AUBERT, Il ponti:fi'cafo di Pio IX, in A. FucHE- V. MARTIN, Storia della Chiesa, XXI/1-2, traci. it., SAIL:, Torino l 976 e i tre volumi di G. MARTINA, Pio IX { 1846-1850), PUG, Ro1na 1974; Pio IX ( 1851-1866), Pur,, Ro1na 1986; Pio IX (1867-1878), Pur,, Ron1;1 1990. H-l Per i rapidi ca1nbia1ncnti verificatisi nelle Chiese e nell'episcopato italiano nella seconda metà ciel secolo XIX vedi: R. AUBERT, L'f~'gfise en Jtalic aJ1r111f et oprès Vatican I, in AA. Vv., Chiesa e religiosità in Italia, cii., Relazioni, I, 3-31; F. FONZJ, I \!escovi, ibid., 32-58; A. MONT!CONE, I \!esco1'Ì 111eridio110/i: 1861-1878, ibid., 581
100. ~ 5 I! 14 gennaio 1881 (Leone XIII era già pnpa da tre anni), durante ia visita di
Un1herto I a Calania, ì vescovi di Catania e di Acireale furono i pri1ni ad essere ricevuti dnl re (G. ZITO, L(/ cura pastora/e, cit., 83-84).
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Le relazioni «ad lin1ù1a» (fella {fiocesi di C'atania
con l'ele1nosina al povero. L'ele1nosina è solo una delle 1nanifestazioni di quell'an1ore che costituisce ed edifica la Chiesa 86 . 3.2. Il giudizio sul Dusmet, formulato dai coordinatori dell'Opera dei congressi e da alcuni storici del 1novi1nento cattolico 87 , segue l'abusato criterio n1etodologico di ritenere valida solo l'azione pastorale di un vescovo che corrisponde al modello personalmente condiviso. È noto l'aueggia111ento intransigente che contraddistinse l'azione dcl movimento laicale confluito nell'Opera dei congressi"'. Alla progressiva laicizzazzione della società e delle istituzioni, promossa dai liberali, si ritenne necessario reagire con un attcggia1nento aggressivo cd intransigente, che rn1rava a far riconquistare alla Chiesa il ruolo sociale e politico svolto nell'ancien régilne. L'Opera dei congressi si organizzò a livello nazionale secondo un n1odcllo centralizzato, che aveva i suoi co1nitali regionali, diocesani e parrocchiali. Uno dei rilievi ricorrenti fatti dai responsabili nazionali era la scarsa incidenza che l'Opera aveva in Sicilia in generale e a Catania in particolare. Gottardo Scotton, in una delle sue visite, n1anifestò un giudizio 1nolto severo sul _Dusn1et e sul suo segretario il p. Luigi Della Marra8'\ non rendendosi conlo che il
~(,ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA,
/)e caritate ecc/e.si(/. Il principio (/lllOre" e la chiesa, Edizioni Messaggero, Paclovn 1987. 87 S. TRAIVIONTIN, SocieflÌ, religiosità e 1110Fil11e1110 caflolico in Italia n1eridiona!e, La Goliardica, Ro111a 1977, 161-192. 88 G. D1~ ROSA, Il 111ovii11e11to ca/folico in ltcilia. D({//a restaurazione all'età gioliffiana, Latcrza, Bari 1976, 69-!09; 143-166; ivl. RElll~HSC!l1\K, Lf1 spiritualità dell'Opera dei congressi nel s110 periodo for111atil'o (I 871-1878), in Chi e so e religiosità in Italia, cii., Con1unicazioni, Il, 217-238; G. PENCO, Storia della Chiesti in lhilia, li, Jnca Book, Milano 1978, 359-376; S. TRAMONTJN, Opera dei congressi e dei co111itati cattolici in Italia, in Diz.ionario storico del 111ovin1e11!0 caffolico in ltolic1 (a cura cli r. Traniello e G. Can1panini), 1/2, Marielli, Torino 1981, 336-347; F. PONZI, U1 Chiesa e lo Stato i1a/ia110, in A. FuCHE - V. l\1ARTJN, Storia della C'hieso, XXII/I, SAJE, Torino 1990, 292-294. ~ 9 «Qui purtroppo le cose prosperano poco o nulla. Ebbi una lunghissin1a conferenza con il Cardinale, il quale però non volle che si adunasse persona. f\1i pro1nise che entro due 1nesi, dopo le reste dcl Giubileo Papale, il Con1itato diocesano sarebbe l'orinato di 1101ne con1e esisle di l~llto e per ulteriori spiegszioni 1ni rin1ise al segretario, che dice pili infonnato; e lo è di fallo, perché è lui che fs a Catanin il sole e la pioggia. Anche qui tante belle parole, tante 1nagnifiche pro111csse, 1na pochi e 11
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111ancato sviluppo dell'Opera dei congressi a Catania non poteva essere considerato un segno di inettitudine del vescovo o giustificare comunque un giudizio negativo sulla sua azione pastorale. Il Dusmet, per una precisa scelta pastorale, aveva preferito sviluppare le stesse iniziative dell'Opera a livello diocesano, secondo uno spirito che egli riteneva più costrutlivo nella situazione in cui operava. In altre parole: non condivideva l'atteggiamento aggressivo e intransigente che i dirigenti dell'Opera dei congressi volevano esportare in tutte le diocesi d'Italia senza tener conto della diversità delle situazioni locali 90 • Non è escluso che, oltre alla 111otivazioni espresse nella sua lettera, il Dusmet possa essere stato indotto a fare questa scelta anche da altre circostanze: una personale tendenza al1'acccntra1nento, una certa difficoltà di confrontarsi con situazioni diverse, il particolare ordinan1cnto parrocchiale vigente nella diocesi e nella città cli punto ratti. Se i! Con1itato si fa61, sarà un Con1ilato che potrà portare il non1e dell'Opera nostra, n1a non av61 i nostri Statuti 1... ]. Se si racesse nnche un Con1italo diocesano, non nvrernino n1ai i co1nìtali pnrrocchiali; così si nvrcbbero i capitani senzn l'esercito. A Catania si fanno 11101Le apparenze, poca sostnnza ... ])> (S. TRA/v10NTIN, Società, cii., l 82). 911 Si veda in t<il senso la lettera scritta dallo stesso Dus111et a Mons. Do1nenico Lancìn cl! Brolo, vescovo ausiliare cli Palermo, nella quale fa conoscere i 1nolivi che !o avevano indotto a n1antenere un ntteggian1enlo cli clislnceo nei confronti Je!! 'Opera dei congressi: «Riconoscendo sicura l'utilità generica di mli Co1nitati, debbo pren1ettere a V. E. Rev.n1a che per circostanze speciali son obbligato non a rifiutare n1a a studiare poncleratmnente la istituzione di qualunque nuova opera. Non posso affidare alla penna !a serie delle ragioni precipue che ini rnuovono a dir questo. Solan1enle n1i lin1ilo a farle notrire In serie di opera ca!lo!ichc, i1npiantale qui eia un pezzo, cd inforrnrite rillo spirito e alle lendcnze locali della popolazione non riceverebbero vantnggio di sorta da un nuovo indirizzo che loro dovrebbesi dare, e ciò 1ni dà 1nolto a pensare. È indubitato che l'unione fa la for7.a, e che l'azione disgregata è se1nprc debole. Ma a 1ne vescovo interessa n1oltissi1110 che le opere diocesane ricevano unico i1npu!so eia unico centro. Pili cli una volta ho dovuto indugiare l'esecuzione dì talune proposte che utili in unri città non lo sarebbero in altra. Catania, su questo riguardo, ha una posizione speciale. Qui per grazia di Dio non c'è escn1pio cli chiese chiuse a! culto, e destinale ud uso pro!'ano; qui pern1ettono processioni, e rispctlano surficientcn1cnte l'autorità diocesana; qui !e lolle alla starnpa callolica rivestono un carnttere cli mitezza speciale; qui non osteggirino nspran1enlc, e 1nolle cose posso fare senzn opposizione. Tutto questo, V. E. lo vedrà cerio, rende difficile la iclentitft di azione con riltre citth che potrebbero non trovarsi in ugual posizione. Replico, ciò non vuol dire negativa o ririulo. Vuol dire solnn1cnte n1aturità cli riflessione, e non precedere le altre diocesi, bensì tenere lor dietro, e cercare unn combinazione che valga ad evitare le difficoltà esposte e quello che non posso esporre)) (CATANIA. ARCl-l!\110 STORICO DIOCESANO, J\1ovù11e1110 Ca110/ico, <~Opern dci congressi», 1875-1887, Lellera ciel 2 1narzo l 881 ).
Le relazioni «ad !imina» de!!a diocesi di Catania
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Catania ... Tuttavia, per evidenti carenze metodologiche, non possono essere accolti i giudizi del tutto personali dello Scotton e quelli espressi dagli storici che si sono serviti solo dell'archivio dell'Opera dei congressi. 3.3. Se teniamo conto dei dati contenuti nelle relazioni e dell'abbondante letteratura esistente sul Dusmet, non è difficile esprin1ere un giudizio sulla sua personalità e sulla sua opera pastorale. Per giungere a delle conclusioni accettabili non serve il ricorso all'abusalo binomio 'conservatore-progressista'. Il modello di Chiesa al quale egli fa riferimento è certamente quello della controriforma e del Concilio Vaticano 191 • Tuttavia i criteri ai quali egli si ispirò per formulare e attuare il suo progetto pastorale (la volontà cli agire nell'amore e nel rispetto delle persone e delle leggi) servirono ad elin1inare /'intransigenza, I' intoileranza e l'angustia 1nentale che caratterizzarono n1o!ti uon1ini di Chiesa del suo tempo. Alla sicurezza dei princìpi in cui credeva, corrispondeva nell'azione un atteggiamento prudente, benevolo e di dialogo. A ragione si può affermare che egli abbia incarnato la figura del vescovo-padre o del vescovo-parroco, in cui l'approccio della carità diventa prevalente per conoscere e valutare fatti, avvenimenti e persone. Il 'mito' del Dusmct non è nato solamente nei quartieri poveri della Salette o del Corso, a lui tanto familiari, ma nelle vie, nelle piazze e nelle case dei catanesi, negli edifici pubblici, dove spesso si trovavano uomini di opposte idee politiche o di diverso credo religioso, che, tuttavia, seppero apprezzare la sua persona! ità forte e allo stesso ten1po aperta alla comprensione e al dialogo. L'azione pastorale dcl Dusmet non può essere ritenuta poco incisiva perché priva di una forte connotazione politica. Fa notare G. Monscgrati che il suo attivismo «non assun1c connotati politici, se non nella rnisura in cui il n1odcllo di
società perseguito dal Dusrnet si poneva natura!n1cntc in antitesi con lo Stato,
91 Ne! Concilio il Dusrnet ru fra i pili convinti soslenitori della infallibilit~l pontificia (T. LECCISOTTI, op. cit., 300-307).
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co1nbattuto, in quanto usurpatore dci diritti
di Ron1a,
non con
intenti
lcgillimistici n1a solo sul piano dcll'affennazione di valori trascendenti di
fronte ad una classe politica che aveva con1piuto a suo dire la "deificazione della natura e della ragione"! .. ]. Nel Dusn1et c'era la convinzione che se la Chiesa avesse raccolto una sfida puran1ente politica sarebbe scesa sullo stesso terreno dci suoi ncn1ici e ne avrchbe acccllalo i n1etocli; quindi la vera reazione consisteva nel frenare il declino inorale del clero, rilanciare le vocazioni, esercitare !a carità verso il prossin10 e restaurare la spiritualit~l>> 92 .
Il monumento erettogli dalla città a piazza San Francesco ha voluto privilegiare uno dei tanti aspetti della sua carità: la condivisione di un «panettello col povero»; 1na sarebbe riduttivo intendere la carità cristiana solo nel significato di elcn1osina9 -\
'>2 G. MONSEGRATI, op. cit., 238. Su quesln stessa linen si vedano i giudizi convergenti di storici di diversa provenienza e fonnazione: F. RENDA, !I 111ol'in1e11fo contodino nella reo!tù sici/ia1u1, Ed. Sicilis al lavoro, Palern10 1956, 106; lo., M111a111e11ti nella chiesa siciliana del secondo '800, in// Segno IO (1984) 109-124: 120-121; A. !VIONTICONE, I vescovi 111eridionali, ciL, 62-64; G. MARTINA, lii situazione degli istituti religiosi in Italia intorno o! 1870, in A/\. Vv., Chiesa e religiositù in Italia, cii., Relazioni, J, 194-335: 196. 9·' Con la pubblicazione dei quattro docu1nenti inviali a Ro1na dall'arcivescovo Giuseppe Benedetlo Dus1net chiudinn10 la pubblics7.ionc delle relozioni ad li111i110 della diocesi di Calanin, iniziata nel 1983. La rifanno della Curin roinana, introdotta da Pio X nel !908, detern1inò notevoli crnnbia1nenti nel n1odo di redigere le relazioni. Mentre in passato il vescovo, pur dovendo seguire uno schcn1a era libero di stendere le risposte, in seguito alla rironna obbligato a scrivere la risposta dopo ogni do1nanda di un dettngliato questionario predisposto dalla Congregnzionc Concistoriale. Pertanto le risposte dei vescovi, oltre a risul!are 11101!0 pili brevi e concise, possono essere con1presc solo dopo aver !ella la rclalivn do1nanda. Jn poche parole: !a pubblicazione delle risposte dci vescovi obbliga di volta in volta alla pubblicazione del volu1ninoso questionario. È nelle nostre intenzioni, se Dio ci darù i! len1po e le forze, riunire in uno o piì:1 volu1ni le relazioni finora pubblicate, dopo un'atlenta revisione elci testi, dei criteri n1etodologici e la co1npiln2ione di adeguati indici nnalitici. Ringraziaino intanto coloro che con le loro osservazioni ci hanno aiutato o vorranno aiutarci a portare a con1pin1ento l'edizione definitiva di una fonte così interessante per la storia della Chiesa di Catania e delle altre Chiese che do essa sono nate.
ru
Le relazioni «acl lùnina» clella diocesi cli Catania
243
XLII 1869
Relazione scrilla il
15 agosto
1869 dall'arcivescovo Giuseppe
Benedello Dusn1et9.t.
[234r] Relazione sullo stato della Chiesa di Catania, presentata alla Congregazione del Concilio nell'anno 1869 della nostra redenzione, dopo la prima visita pastorale fatta dal sottoscritto. Io sottoscritto, per grazia di Dio e della Sede Apostolica, Arcivescovo di Catania, in quest'anno 1869 dall'Incarnazione del Signore, nono del mio n1inistero pastorale, con l'aiuto di Dio, di sua Madre e di S. Agata, con il plauso e la gioia di tutto il popolo, ho portato a termine la prima visita pastorale di questa piccola vigna, nella quale, senza alcun merito personale rna per la sola degnazione della sua n1isericordia, sono stato posto da chi ha detto «il l=>adre 1nio è l'agricoltore» (lo 15, I } . Pertanto per obbedire agli ordini dei Sommi Pontefici, in particolare di Sisto V, mi affretto a trasmettere alla cattedra apostolica, capo e maestra di tutte le Chiese, la relazione della diocesi che ho visitato. Questa relazione, perché sia redatta secondo lo schema proposto dalle istruzioni di questa S. Congregazione, viene sviluppata nei seguenti punti, quasi in parti distinte [234v].
Cap. I sullo stato materiale della Chiesa I. Quando venne la pienezza del tempo ( cfr. Gal 4, 4} e la fede 1n Gesù Cristo fu propagata in tutto il n1ondo, la città di Catania, fa1nosa anche neil'antichità, accolse con eslren10 interesse i primi sen1i di quella divina parola, sparsi dal Vescovo S. Berillo, inviato nell'anno 44 da S. Pietro, principe degli Apostoli. In seguito a questo evento, incon1inciò a rifulgere di una luce nuova soprattutto per l'an1piezza e per lo ~plendore dei sacri ten1pli. J=ira i più noti per la loro antichità, se escludiamo i due eretti in onore della B. V. Maria (che da soli
9.i Sul dorso della relszione si legge: «A1n1nessa tanto per li passati quanto per il corrente triennio 95». ((Di questa diocesi non si ha dopo il 18 l 6 alcuna relazione, tranne la presente». «I O sette1nbre ! 869».
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dimostrano inconfutabilmente guanto srn antica la devozione dei catanesi per la Madre di Dio), troviamo prima di ogni altro guello dedicato a S. Agata, vergine e martire. Alla quale, affermandosi sempre di più la sua devozione fra i fedeli, la pietà del piissimo conte Ruggero, alla fine del secolo Xl, consacrò e arricchì di molte rendite un altro più grande e splendido tempio, quale sede della cattedra vescovile e capo della città e della diocesi. II. La diocesi di Catania, sita ai piedi dell'Etna e un tempo 1nolto estesa, oggi ha i seguenti confini: ad oriente il 1nare Ionio, a settentrione la Chiesa di Messina, ad occidente e mezzogiorno è Ii1nitrofa a tre diocesi: Erbila o Nicosia, Caltagirone e Siracusa. III. La Chiesa di Catania è stata arricchita cli molte bolle e privilegi da Re e Pontefici, in particolare dal Papa Alessandro III; ma i suoi più antichi e i1nportanti privilegi - con1'è possibile riscontrare negli antichi scrittori [235r] di storia patria (come De Grossis nel Decocordo, Antonino Amico, i diplomi delle Chiese di Monreale, Siracusa e Catania, la Collectanea dei privilegi della Chiesa cli Catania, etc.) - sono in gran parte decaduti per le ingiustizie e le alterne vicende dei tempi. Fra i quali a ragione bisogna enumerare molti diritti feudali concessi al Vescovo di Catania dal conte Ruggero, dal Re Alfonso e da altri principi, e l'uso ciel pallio concesso dal suddetto Pontefice; questi dispose allo stesso tempo che la Chiesa di Catania non doveva essere soggetta a nessun'altra se non al Romano Pontefice. IV. Questa diocesi comprende 29 con1uni, quale che sia la loro grandezza: città, paesi, villaggi, ecc., e conta circa 250.000 anime. V. In questa Chiesa arcivescovile vi sono cinque dignità, alle quali un ten1po era annessa una certa potestà; poiché oggi essa è quasi del tullo sco1nparsa, a ragione da qualche scrittore di diritto canonico sono chian1ate "dignità ventose"; nell'ordine sono: priore, cantore, decano, tesoriere e arcidiacono. Costoro hanno i pri1ni posti nel capitolo, che è composto da altri 12 canonici e altrettanti n1ansionari. Bisogna far notare che l'istituzione delle prebende dcl teologo e del
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penitenziere è rimasta un progetto fin ad oggi non realizzato", nonostante le prescrizioni dei visitatori delle Chiese di Sicilia, come Iordio nel 1604 e De Ciocchis nel 1743. Frattanto per evitare che le norme emanate dal Concilio di Trento su questo argomento diventassero prive di significato [235v], di recente ho disposto che un frate francescano riforn1ato, fra i più illustri teologi e i più noti predicatori, tenesse nella stessa chiesa una . . pubblica lezione di teologia"". Tutti 1 canon1c1 indistintan1ente assolvono il compito spettante al penitenzieren VI. Le collegiate sono 12, delle quali una nella cittit, costituita da 4 dignità, 18 canonici e 12 1nansionari; le altre hanno sede nei con1uni minori dell'arcidiocesi e cioè le collegiate di Acireale, Adrano, Biancavilla, Paternò, Belpasso, Viagrande, Trecastagni, Aci Catena, Aci San Filippo, Aci Santa Lucia e Nicolosi. Quasi tutte sono prive della prebenda del teologo, hanno 4 dignità (ad eccezione di una che ne ha 3), e hanno non nieno di 8 canonici e 4 111ansionari, incluso, con1e di
consueto, il maestro di cerimonie. Per delle istituzioni già soppresse o che lottano contro la soppressione sono sufficienti le notizie date. VII. Nell'ambito di questa arcidiocesi sorgono 4 I 3 chiese, più o meno fornite di sacre suppellettili; non è facile sapere quale sia oggi il loro reddito previsto per la fabbrica. Anzi si può affermare che solo la chiesa cattedrale ha un reddito per la sua fabbrica, che ascende a circa 3.570 lire; tutte le altre chiese ne sono prive e compensano in vario modo [236r]. Va notato che in questa arcidiocesi, se si eccettua il comune di Bronte da poco incluso nella sua circoscrizione, che ha una chiesa
parrocchiale (per la cui provvista si bandisce il concorso secondo le indicazioni del Concilio di Trento, sess. 24, de ref:, c. 13 e la costituzione di Benedetto XIV, Cwn il/ud), in nessun altro luogo c'è
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un vero e propno parroco. Tuttavia molti - soprattutto le dignità di alcune collegiate pur non avendo il diritto di rilasciare il 98 contrahatur , si fregiano di un titolo privo di contenuto. A tal proposito, poiché s1 hanno non poche liti promosse contro l'Ordinario, la cui autorità è rappresentata nei diversi luoghi dai vicari foranei, considerati vice parroci an1ovibili acl nutu1n del Vescovo, sarebbe auspicabile abolire le parrocchie di dubbia istituzione, oppure trasformare in an1ovibili i loro parroci o almeno aumentare il numero dei motivi per i quali questi sacerdoti possono essere privati a buon diritto delle loro chiese, o ancora stabilire una procedura meno rigida perché si possa giungere alla privazione, fatta salva la giustizia99 • VIII. Tutti i monasteri femminili (già soppressi), ad eccezione di uno che è francescano, sono benedettini e tutti soggetti alla giurisdizione dell'Ordinario. Complessivamente sono 9, dei quali quattro sorgono nei comuni dell'arcidiocesi e quattro nella città. A Catania se ne contavano 6 pri1na che il 111onastcro della SS.n1a Trinità, per le ingiustizie perpetrate m questo nostro tempo, vemsse trasforn1ato in un educandato fen1111inile 11111 , le monache venissero espulse [236v] ed accolte in due altre case dello stesso ordine. Non è il caso più di occuparci dei 38 istituti religiosi maschili (tutti esenti), in quanto chiusi dopo la loro soppressione. Abbiamo ancora 9 collegi di Maria, che fino ad oggi sembra siano riusciti ad evitare la funesta bufera della soppressione. IX. Il seminario dei chierici, con il plauso di tutti i fedeli, è stato riapertoHll; in esso sono accolti e for1nati più di 200 giovani, sui quali darò in seguito notizie più accurate. Frattanto mi limito ad informare che è difficile distinguere nelle rendite del semmano quelle provenienti da tasse e quelle derivanti da benefici uniti all'istituto;
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Le relazioni «ad limùw» della diocesi di Catania
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infatti da diversi anni sono state atnministrate unitariamente come
introiti. X. Il numero degli ospedali, delle collegiate, delle confraternite e degli altri luoghi pii è di 301. Quanto è stato detto per il seminario vale anche per le rendite di questi istituti; tuttavia c'è da notare che, contro le prescrizioni della S. Congregazione dell'immunità, essi non sono più soggetti alla giurisdizione dell'Ordinario, non esclusi i monti di pietà dei quali scriverò appresso. Xl. Dei due monti di pietà ne è rimasto solo uno, il cui palrin1onio, derivante da una donazione
del n1io predecessore, il
Vescovo Corrado Maria Deodata, assomma a circa 8.478 lire. L'altro monte è stato depredato durante la guerra e per così dire distrutto [237r].
Cap. li sullo stesso Arcivescovo I. Con l'aiuto di Dio e senza tentcnna1nenti
ho
osservato
l'obbligo della residenza anche mentre infuriava l'epidemia di colera; se mi sono assentato per venire a visitare le tombe degli Apostoli o Sacri Limini, ciò è stato fatto con il permesso della Santa Sede. li. Come ho già detto, ho portato a compimento la prima visita pastorale dell'arcidiocesi, la cui relazione viene qui presentata. III. In un biennio ho tenuto cinque ordinazioni di n1inistri sacn;
molte volte nella città e nella diocesi ho amministrato il sacramento della confermazione nel corso della visita pastorale. IV.L'Arcivescovo di Catania, essendo privo di suffraganei, fino ad oggi non ha riunito il sinodo provinciale. In passato non essendo di fatto soggetto ad alcun metropolita, più volte ha indetto il sinodo diocesano; a tal proposito si devono ricordare i sinodi Torres {1622} e Bonadies { 1668}, i decreti dei quali in parte ancora sono in vigore. Tuttavia la nonna del Concilio di Trento, che prescrive di riunire ogni
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anno il sinodo, non è stata perfettamente osservata 102 e forse non senza quel grave motivo sul quale Benedetto XIV richiama la nostra attenzione. V. La parola di Dio è predicata dal!' Arcivescovo e in caso di un suo impedimento da persone idonee. VI. Poiché il suddetto sinodo Bonadies, che aveva stabilito molte pene pecuniarie, è in vigore solo in parte, non esiste più chi riscuote e amministra le somme derivanti da queste pene [237v] e non possono più essere destinate ad usi piill 13 , VII. Nella cancelieria arcivescovile è osservata la "tassa innocenziana"; tuttavia i Vescovi della Sicilia hanno già fatto rilevare che le somme previste non sono più sufficienti per il sostentamento delle persone addette. VIII. In tema di ostacoli posti all'Arcivescovo nell'esercizio del suo ministero bisogna sottolineare che la Chiesa nella propria giurisdizione gode ancora di una propria libertà, con1e quando, durante la sede vacante, elegge il proprio vicario capitolare; tuttavia sulla procedura da seguire nei processi di appello, soprattutto quando si tratta di cause 111atrin1oniali, non è più possibile osservare le norn1e stabilite dal breve Peculiaribus, al quale dall'attuale governo civile non è stato concesso lexequatur. Pertanto fino ad oggi voluta1nente evitia1no queste cause. Un problema non lieve bisogna affrontare a proposito della i1nmunità dei cimiteri. Infatti in essi non vengono osservate le norn1e stabilite dal Rituale Romano e dai sacri canoni per la sepoltura dci bambini morti prima degli anni della discrezione e soprattutto quelle che prevedono un luogo separato - in greco Broucoiacas - per i cadaveri degli eretici e degli scomunicati; i defunti sono seppelliti in modo così confuso che solo la prudenza può suggerire quale fossa sia
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opportuno benedire o meno, secondo il decreto della S. Congregazione. La Santa Sede non ignora quante e quali difficoltà ho incontrato fino ad oggi sul seminario e sulla parrocchia di Bronte. Sa pure che quell'incendio fu provocato da una scintilla: la deposizione dall'ufficio da parte del vicario capitolare, fatta durante la sede vacante ex inforn1ata consc;entia. Provando rincrescimento per questo spiacevole episodio, nonostante le prescrizioni del Concilio di Trento e ciel breve [238r] Peculiaribus, mi sono impegnalo con tutte le mie forze a risolverlo. A tal proposito non è sconveniente fare qualche rilievo sull'applicazione di qùesta pena: in futuro non si faccia ricorso ad un simile procedimento se non dopo aver consultato il Sommo Pontefice; agli stessi contun1aci bisogna far presente che non saranno
assolti in perpetuo se non ricorrono alla Santa Sede. IX. Recentemente, con l'aiuto di Dio, è stata realizzata qualche iniziativa in favore ciel popolo e del clero. Sotto gli ausp1c1 dell'autorità ecclesiastica -
competente per questa 1nateria, secondo
quanto prescrivono i decreti dei concili, specialmente il Concilio di Trento, e le pontificie commissioni come quelle di Leone X ~ sono state aperte scuole serali gratuite per istruire i ragazzi di ogni condizione, che perciò sono stati divisi per classi distinte. È stata fondata una nuova confraternita di laici che si prefigge di raccogliere
fondi necessari per l'esposizione quotidiana del SS. Sacramento nelle quarantore e per altre opere di carità. Nelle parrocchie e in alcune
chiese più frequentate della città è stato conferito l'incarico agli esponenti più eminenti dell'uno e l'altro clero di spiegare ogni settin1ana al popolo la Sacra Scrittura contro le nuove teorie e di
tenere opportune istruzioni in un periodo così difficile come il nostro. Per quanto riguarda la predicazione non c'è dubbio che occorre adoperarsi per dare alle prediche quella serietà che le renda in1111uni
dalla vanità e dal desiderio di novità; inoltre [238v] se ogni dottrina che viene insegnata ai fedeli è contenuta nella parola di Dio, deve essere attinta dalla Sacra Scrillura e dalla tradizione. Ma non bisogna passare sotto silenzio che a volte è ritenuto necessario prendere a nostra difesa le anni che per la loro appariscente novità sen1brano
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idonee a sconfiggere gli orgogliosi nemici. Per la qual cosa se da una parte non bisogna abbandonare la fonte della verità che è una sola, dall'altra bisogna adattare la forma di questa verità ai tempi che bisogna combattere. In questo momento il metodo critico è quello vincente; perciò nella forr11azione è necessario preparare i chierici a questo metodo di lotta con il quale gli avversari sono ridotti al silenzio 10.i. Ma dobbiamo ritornare al punto dal quale siamo partiti. Se non erro è con il ricorso ai suddetti rin1edi che possiamo opporci ai 1nal i dci quali si parla nel Sillabo delle questioni proposte ai Vescovi dalla Santa Sede. E questo tanto più deve essere tenuto presente quanto più si ritiene necessario dare un efficace antidoto al veleno che si 1nescola al latte della prima istruzione, come ha stabilito opportunamente la S. Congregazione di Propaganda Fide sulla questione dell'Irlanda.
Cap. Il I sul clero secolare I. I canonici e gli altri che sono obbligati al coro nella cattedrale e nelle collegiate generalmente non mancano al loro dovere. In cattedrale la recita è quotidiana; n1a i canonici sono presenti a turno, a setti1nane alterne; nelle collegiate si segue un diverso sisten1a: secondo la disponibilità delle rendite [239r], tutti sono obbligati ad essere presenti ininterrottamente, tranne nel tempo cli quaresin1a e cli avvento, nel quale anche loro prestano servizio a turni settin1anali. II. Oltre alla recita delle ore canoniche, nella chiesa metropolitana e nelle collegiate c'è pure la celebrazione della messa conventuale. Tuttavia, essendomi accorto che su questo argo1nento erano stati introdotti alcuni abusi, per estirparli mi è sembrato utile raccogliere e pubblicare alcune an1111onizioni giuridico-inorali. III. La messa conventuale è sempre applicata per i benefattori. IV. Ogni capitolo ha le proprie costituzioni confermate dai sinodi diocesani e osservate più o n1eno feclelinente.
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V. Come ho già fatto notare, mancano le prebende del teologo e del penitenziere. VI. In questa arcidiocesi, come ho già detto, nessuno può ritenersi parroco al cli fuori dcli' Arcivescovo. Pertanto in ogni comune c'è un vicario foraneo che è allo stesso ten1po vice parroco. Tuttavia coloro che con diverso nome hanno la cura delle anime risiedono nelle loro circoscrizioni. VII. L'autorità diocesana vigila attenta1nente perché i curati tengano in ordine e con diligenza i registri di matrimonio e di battesin10 che, a nonna del Riluale Ro1nano, devono essere conservati. VIII. Ovunque è necessario istituire coadiutori; non è possibile immaginare che non ci siano operai sufficienti all'abbondante 1nesse del Signore. Pc1tanto per ovviare a tale inconveniente [239v], i chierici pro1nossi al presbiterato devono essere obbligati a non abbandonare - spesso distolti da un turpe guadagno - la Chiesa per la cui utilità sono stati ordinati""· A tal fine è opportuno che le pene stabilite dal Concilio di Trento, sess. XXIII, c. 16, contro coloro che abbandonano il proprio domicilio all'insaputa del Vescovo, siano inflitte /atae sententiae e non ferenlloe sententiae; tutto questo deve essere detto con chiarezza ai chierici nel giorno della loro solenne ordinazione. Anzi, secondo il responso della S. Congregazione del Concilio dcl 21 luglio 1821, possono essere istituiti alcuni patrimoni con questa clausola: i loro possessori ne saranno privati qualora dovessero abbandonare la diocesi senza il pern1esso del Vescovo. Nondimeno poiché ai sacerdoli non può rnancare il necessario per vivere, nei limiti del possibile è auspicabile che si proceda alla ordinazione di quei sacerdoti che la Chiesa per la quale sono ordinati può mantenere; per coloro poi che hanno un patrirnonio proprio, in un len1po co1ne il nostro soggetto a i1nposte di ogni genere, bisogna stabilire un 1naxùnur11 di tassa diocesana, che dal concordato per il Regno di Sicilia del 1818 è stato fissato a f. 340.
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IX. Coloro che esercitano la cura delle anime, quasi ovunque, nelle domeniche e nei giorni di festa, personalmente o mediante persone idonee, istruiscono nelle verità della fede e nei precetti morali i fedeli loro affidati, spezzando il pane della parola di salvezza nella forma più idonea alle condizioni degli ascoltatori. X. Nelle stesse domeniche e giorni di festa si impegnano con tutte le forze a dare ai bambini le prime nozioni della fede cristiana. A tal fine alcuni hanno trovato un nuovo metodo per raggiungere più facilmente e [240r] più sicuramente lo scopo prefisso. Xl. Tutti coloro che esercitano la cura delle anime - se è stato loro affidato veramente questo ufficio - secondo gli obblighi stabiliti nelle tavole di fondazione, applicano la messa per il popolo loro affidato nelle domeniche e nelle feste di precetto. XII. Nessuno è an1messo alla prin1a tonsura o agli ordini n1inori se non si ha la speranza che rin1anga fedele alla divina chian1ata ricevuta e che possegga la pietà, la formazione dottrinale e il necessario per sostentarsi. Per il conferin1ento degli ordini soprattutto dei maggiori - oltre ai requisiti previsti dalle norme giuridiche, si esige la partecipazione ad un corso di esercizi spirituali. XIII. Sebbene quasi tutti i chierici indossino sempre la veste talare, non possono più far valere il privilegio del foro, che dal governo civile è stato gradualtnentc svuotato di contenuto e oggi quasi del tutto abolito. XJV. In molti luoghi di questa arcidiocesi sono venute meno le conferenze di teologia morale - chia1nale anche casi di coscienza o dei riti liturgici - un tempo molto fiorenti. Spero quanto prima di riprenderle, dopo aver promulgato un opportuno editto, com'è possibile leggere nel programma degli studi appena pubblicato. XV. Si chiede: quali sono i costumi del clero diocesano? Dice il profeta: «come il popolo così il sacerdote» ( Os 4, 9). Tuttavia devo ringraziare Dio: 1no!ti sono 1nediocri, pochi buoni, alcuni cattivi. Per reprimere questi ultimi, il regnante Pontefice nell'enciclica del 9
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novembre 1846 ha raccomandato come rimedio efficace solamente la pazienza e una costante dolcezza, co1ne n1olti avvenin1enti dei nostri giorni hanno dimostrato [240v].
Cap. IV sul clero regolare Poiché tutti i regolari dopo la legge di soppressione vivono nel mondo fuori dai conventi si possono fare solo pochi rilievi: alcuni di loro si sono incan11ninati per la via del n1ale ed è tenue la speranza di indurli ad emendarsi, tanto più che, incoraggiati dai tempi difficili in cui vivian10, non sembrano prendere in seria considerazione la potestà cli diversa natura conferita all'Ordinario dalle nonne canoniche. Per la qual cosa è n101to più producente occuparsi dei religiosi che s1 sono impegnati ad esercitare la cura delle anime in qualche luogo. Cap. V sulle 111onache
Ho già accennato al numero delle monache (cap. I, n. VIII); su questo argotnento posso solan1cnte aggiungere: in diocesi è caduta in desuetudine la norma che prescrive di dare alle monache due o tre volte l'anno il confe.ssore slraordinario 106, non c'è più il confessore nominato dai nostri predecessori per le singole n1onachc o confcr111ato dagli stessi per mancanza di sacerdoti idonei o dalla S. Congregazione dopo il triennio. Ho trovato alquanto rilassata anche la disciplina sulla vita co1nune 107 • Con la pubblicazione di opporluni editli ho cercato con tutte le mie forze [241 r] di estirpare questi ed altri abusi, come ad esempio la consuetudine di dare piccoli doni ai confessori. La clausura è pienamente osservata. T niona.steri, in seguito alle leggi di soppressione, non hanno più alcuna risorsa. Stando così le cose, c'è da augurarsi che le 1nonache viventi in clausura si in1pegnino a vivere sen1pre più intensan1ente la vita religiosa, per essere di buon ese1npio a coloro che fra non niolti anni potranno essere raccolte nella nuova schiera di religiose dal nostro santissin10 e supren10 capo, il So1n1110 Pontefice. Setnbra infatti preferibile - se non ci ingannano le
1116 La notizia è evidenziata al 1nargine. 1117 Lw notizia è evidenziata al n1argìnc.
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apparenze - mantenere in vita gli antichi istituti religiosi approvati dalla Chiesa e rinnovare le persone, piuttosto che istituire e formare nuove congregazioni maschili e femminili che si prefiggono lo stesso fine di quelle esistenti; in tal modo si eviterebbe il rischio di far credere che nella Chiesa su questo argomento si vogliano introdurre cambia111enti radicali o che i santi fondatori degli ordini religiosi, così benemeriti verso la Chiesa e la società civile, dalle persone ignoranti siano tenuti in poca considerazione. Nondimeno è a tutti nota la necessità di apportare qualche innovazione più consona ai proble111i del nostro tempo agli istituti religiosi, il cui fine non è più sostenibile. c~ajJ.
\!/sul se1ninario
Ho già dato alcune notizie sul se1ninario; devo tuttavia aggiungerne altre. Gli alunni in esso accolti sono 220, educati nella pietù secondo tutte le prescrizioni del Concilio di Trento e istruiti nelle diverse discipline [241 v] (com'è possibile constatare nel citato programma cli studi redatto nei punti 7 e 8 sulla base delle domande poste dalla Santa Sede). Nei giorni festivi sono tenuti a prestare servizio in cattedrale o in altre chiese n1inori secondo le necessità. L'Ordinario, visitando il seminario con il consiglio di due canonici più anziani, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento, si adopera perché tutto sia ordinato reltan1ente e vengano osservate le costituzioni. Sempre secondo le indicazioni dello stesso Concilio, l'Arcivescovo, con il consiglio di quattro deputati, vigila sul!' atnn1inistrazione; conserva persona!Jnente gli introiti; 1na non c'è più 1nen1oria della tassa specifica stabilita in favore del sen1inario, considerato che sulla sua origine, essendo stata confusa - con1e si è eletto -- con gli altri introiti non si ha più notizia certa. Del resto questa Congregazione conosce benissi1no la grande controversia sostenuta fino ad oggi con impudenza eia un sacerdote già rettore del sen1inario, per evitare di rendere conto della sua gestione.
Cap. VII sulle chiese, le confmtemite e altri luoghi pii In tutte le sagrestie, a guanto mi risulta, c'è esposta la tabella degli oneri delle messe e degli anniversari, secondo le prescrizioni del
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decreto di Urbano VIII; durante la visita pastorale mediante un editto ho provveduto a far soddisfare con maggiore sicmezza questo impegno [242r]. Non bo più alcuna autorità sulle confraternite, le scuole, gli ospedali e le altre opere pie; il rendiconto dcl loro patrimonio (se ne è rimasto) non viene fatto a me, secondo il decreto del Concilio di Trento, ma è esibito ogni anno ad un organis1no laicale, chian1ato "])epurazione provinciale". Tuttavia in questo nostro tempo sono state istituite nuove confraternite, che si prefiggono il bene della Chiesa o della società civile. Fra di esse - come abbiamo già detto - dobbiarno enumerare quella che provvede ad accrescere le candele e le altre cose necessarie nella esposizione delle quarantore. Inoltre si spera cli istituire un'altra associazione con il con1pito di riunire i clon1estici di una certa esperienza e capacità e cli garantirli presso i loro padroni, nel caso in cui questi ultin1i dovessero chiedere all'associazione un nuovo do1nestico cli sicura bontà cristiana. Da questa iniziativa non potrà derivare un aiuto offerto alle fa1niglie cristiane contro i 1nolti inali provenienti da do1nestici appartenenti a sette condannate, eretici o di condotta im1norale? Per quanto riguarda il monte di pietà, 1ni risulta che il suo patrimonio è appena sufficiente per pagare gli stipendi agli impiegati e a sostenere le spese necessarie; l'interesse del So/o, con il per1nesso della S. Sede, è richiesto a coloro che non avendo denaro vengono a chiederlo all'istituto [242v].
Cop. VIII sul popolo Bisogna tenere presente che nel ten1po in cui vivian10, se fosse possibile, anche gli eletti sarebbero indotti in errore {cfr. Mt 24, 24}; luttavia il divino Agricoltore, che ha in n1ano il ventilabro, separa il frnmento dalla pula {cfr. Mt 3, 12). Perciò non bisogna meravigli arsi se i costu1ni dci popoli sono corrotti; n1a si spera che con la grazia di J)io e la dolce bontà e prudenza della S. Sede saranno corretti. Pertanto non è necessario chiedere altro all'infuori di quello che 111 passato la stessa suprema Sede, ispirata dalla divina grazia, annunziò in sette punti e propose nel giugno del 1867, attraverso la S. Congregazione del Concilio. Fra di essi è necessario sottolineare il
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1°, il 2°, il 3° e il 4°, ai quali bisogna dare qui una risposta, visto che a tutti gli altri si è già provvisto nei fogli precedenti. 1°. Per quanto lo permettono le nostre forze e le circostanze, sono osservate le prescrizioni canoniche che proibiscono agli eretici e agli scismatici di esercitare l'ufficio di padrino nel battesimo. Infatti i genitori con le buone 1naniere sono invilati ad escludere sin1ili co1npari e su questo punto l'autorilà ecclesiastica spesso riesce a raggiungere l'obiettivo che si propone. Per le persone di dubbia fama, la cui incredulità o il cui cattivo comporta1nento possono essere clissi1nulati, se il 1ninistro non è in grado di intervenire, c'è da provvedere solamente alla dignità del sacramento, secondo quanto suggerisce la prudenza [243r]. 2°. Il giudizio sullo stato libero dei fidanzati che chiedono il
n1atrin1onio è riservato al vicario generale, in quanto responsabile della curia; gli atti preparatori al inatrimonio sono portati a tern1ine tenendo presente l'istruzione emanata il 21 agosto 1670 per mandato di Clemente X. Se vengono osservate le indicazioni date in questo documento, il problema può considerarsi risolto. 3°. Per impedire i mali provenienti dal cosiddetto matrimonio civile si può ricorrere alla prevenzione, ove ciò sia possibile, vale a dire istruendo i fedeli a non separare l'atto civile da quello ecclesiastico e 1ninacciando il ricorso alle censure, ove fosse necessario. N ondi1neno se, dopo la celebrazione del matrimonio civile, uno dei due coniugi separatosi osasse celebrare un altro 1natrin1onio canonico, per ovviare a tanto n1isfatto sorgono alcune don1ande che qui umilmente espongo. In questo caso, secondo la prassi vigente nella Chiesa prima del Concilio di Trento, può essere considerato valido il n1atrimonio se agli sponsali de .fì1turo è seguita la copula? Oppure con l'autorità della Chiesa Ron1ana, pur riconoscendo pieno vigore alla nor111a che considera necessaria l'assistenza del parroco al Inatri1nonio, il caso proposto può essere tollerato cotne una eccezione alla nonna tridentina conlro i n1atri1noni clandestini, così co111e ha fatto la Chiesa nei confronti della causa di divorzio dei greci? Infatti sebbene il contratto civile - in quanto azione disonesta - non produca alcun
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effetto giuridico, c'è da chiedersi se la promessa scambiata dalle parti [243v] prima di contrarre il matrimonio civile non possa assumere la rilevanza degli sponsali. 4°. Rara1nente si hanno in diocesi matrimoni n1isti; infatti i cattolici detestano simili unioni. Tuttavia non è rara la celebrazione di 1natriri1oni nei quali una delle parti non è propriamente eretica, ma è iscritta a sette segrete e tenebrose e vuole accostarsi ai sacra1nenti della penitenza e dell'Eucaristia. Per evitare mali maggiori, è opportuno celebrare di sera e senza la benedizione solenne questi matrin1oni sostanzialmente misti. Per altro su tutti questi problemi lasciamo la decisione ultima alla suprema Sede Apostolica, limitandoci a glorificare Dio nell'ubbidienza della nostra confessione.
Cap. IX e ultimo sulle richieste Dopo la mia esposizione, nella quale ho risposto anche alle diciassette do1nande poste ai Vescovi dalla Santa Sede, per il buon governo di questa Chiesa devo porre alcune domande sulle monache che ancora vivono dentro i 1non<:L"teri e sull'an1nlinistrazione del sacramento della confern1azione: I 0 Nonostante la legge civile della soppressione, dopo aver raggiunto un'intesa sugli alin1enti, è possibile an11nettere le aspiranti alla vestizione del!' abito religioso e le monache alla professione solenne per assicurare le continuità? 2° Poiché l'amministrazione del sacramento [244r] della confern1azione sottrae rnolto ten1po agli altri i1npegni pastorali, è opportuno che la suprema Santa Sede conceda al Vescovo ad fJ·;enniu1n la facoltà di delegare un sacerdote costituito in una ecclesiastica dignità all'an1n1inistrazione di questo sacran1ento? Sono queste le cose che, secondo le mie capacità e le possibilità di tempo, ho vi.sto e ho consideralo in questa parte del mistico gregge in cui la mia indegna persona è stata posta dallo Spirito Santo a governare la Chiesa di Dio perché io potessi provvedere liberamente e non per costrizione {cfr. I Pl 5, 2). Le due ultime parole che ho ritenuto opportuno sottoporre all'attenzione del Principe degli
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Adolfo Longhfrano
Apostoli devono essere tenute presenti soprattutto nel periodo storico che stiamo vivendo. Sappiamo infatti che Dio è potente, a lui nulla può resistere [cfr. 2 Cr 6} e presso di lui nulla è impossibile (cfr. Le I, 37); tuttavia tutto dispone fermamente ma soavemente [ cfr. Sap 8, 1}, ora con dolcezza, ora con paterna severità, sempre tuttavia con fortezza, sovrabbondando in grazia al momento opportuno. Per questo motivo non ritenendomi offeso dalle poche macchie del mio gregge, ho cercato di allontanare i lupi dagli agnelli e dopo averli liberati dalle spine, non 1ni sono li1nitato a seguirli, 1na con tutte le n1ie forze ho cercato di indirizzarli alla giusta strada. Dio mi sia di aiuto allo stesso modo con cui, confidando nella sua n1isericordia, ho cercato di assolvere ai n1iei doveri. Spero, pertanto, che in futuro non solo non 1ni allontani dalla strada stabilita per i sacri pastori, 111a che i 111iei passi possano procedere sen1pre sicuri ( cfr. Sai 17, S}. Dio è carità [ 1 lo 4, 8}, perciò pregherò il Padre perché me la conceda [244v], in modo che, rivestito di questa corazza [ cfr. I Ts 5, 8) a poco a poco possa vincere tutti e con il suo aiuto slanciarmi sulle mura [ cfr. 2 Sam 22, 30}. Per ottenere più faciln1ente lutto questo, prostrato un1iln1ente sulle tombe degli Apostoli, mentre espongo questi rilievi, chiedo e ardentemente desidero la benedizione apostolica dal supremo Pastore cl i tutti. Catania, 15 agosto 1869. Giuseppe Bencdetlo, Arcivescovo di Catania 10 x
8 !0 La risposta della Congregazione è riportata in appendice nl le.sto originale della relazione.
Le relazioni «ocl lùnina» e/ella diocesi di Catania
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XLIII 1873 - Relazione scritta il 1 diccn1brc 1873 Benedetto Dus1net 109 ,
dall'arcivescovo Giuseppe
[263r] Relazione sullo stato della Chiesa di Catania lo sottoscritto, per grazia di Dio e della Sede Apostolica, Arcivescovo di Catania, obbedendo ai precetti dei Sommi Pontefici, soprattutto di Sisto V, quest'anno 1873 dall'Incarnazione del Signore, tras1netto la seconda relazione sullo stato di questa diocesi alla Cattedra Apostolica capo e maestra di tutte le Chiese. Ho quasi portato a compimento la seconda visita della diocesi, iniziata nel l 8 71 "", ispezionando la città di Catania e le altre l 4 città minori. Mi recherò nelle altre 8 che restano subito dopo aver risolto alcune vertenze 1nollo in1portanti che ho promosso contro i n1inistri del governo - senza badare a spese - per difendere i beni delle chiese e della inensa vescovile e che nii costringeranno a rimanere in città per tre o quattro mesi"'· Tuttavia a queste 8 città della mia diocesi ho già fatto pervenire utili decreti di questa sacra visita, che in seguito confermerò con la inia presenza. Ritengo superfluo ripetere le notizie date nella mia precedente relazione 111 distinti capitoli, secondo l'istruzione della S. Congregazione. Riferirò sinteticamente le novità che ho potuto annotare, seguendo lo stesso ordine. L'arcidiocesi di Catania in seguito all'erezione della nuova diocesi di Acireale comprende 23 comuni, infatti 6 sono quelli che ormai fanno parte della predetta diocesi e cioè: Acireale, Aci Castello, Aci San Antonio, Aci Catena, Aci San Filippo e [263v] e Aci Bonaccorsi.
109 Sul dorso della relazione si legge: «A1nn1essa per il corrente». «Catanen. Visita Sanctorun1 Li1ninun1». «96° triennio». «16 dice1nbrc 1873. 12 1naii 1875. Fuit responsun1». 1 w La notizia è evidenziata a! inarginc. 111 La notizia è evidenziata al n1argine.
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Adolfo Longhitano
Le collegiate non sono più 12, ma per lo stesso motivo sono diventate 8, essendo venute meno quelle di Acireale, Aci Catena, Aci Santa Lucia e Aci San Filippo. Riottenuta gran parte dei beni delle collegiate di Catania, Paternò, Adrano, Belpasso, Nicolosi e Trecastagni, sottratti dal governo civile in seguito alla ingiusta occupazione demaniale, n1i sono adoperato con tutte le inie forze a ricostituire i loro capitoli e in gran parte ho già portato a compimento questo lavoro, anche se fra i canonici della collegiata di Paternò ho trovato un oppositore insidioso e di ani1no cattivo. Questa S. Congregazione, a quanto si dice, possiede alcuni scritti di questo canonico che eccelle in cattiveria e in menzogna contro l'Arcivescovo, che egli considera un usurpatore dei beni della chiesa di Paternò. Non ho ancora presentato a questa S. Congregazione una relazione su questa 1nolestia, perché ho ancora la fondata spe1:anza con la carità e la pazienza di ricondurre alla verità e all'obbedienza, quell'oppositore che cerca di resistere con tutte le sue forze alla mia
volontà. !{itengo opportuno esporre ancora una volta a questa S. Congregazione quanto ho scritto nel capitolo VII della precedente relazione a proposito dci vicari foranei, i quali, non essendoci ab ;n11ne1norabili veri parroci, da n1olti secoli nelle singole città 1ninori dell'attuale circoscrizione di questa diocesi (non è il caso che n1i occupi delle chiese erette in tempi più recenti e aggregate alle nuove diocesi), esercitano la cura delle anime con1e vice parroci an1ovibili oll nutum del Vescovo. Infatti ho potuto sperimentare i mirabili effetti e i grandi benefici derivanti alla diocesi sul piano spirituale e temporale, soprattutto in questi nostri ten1pi, da questa sua speciale e antichissin1a costituzione [264r]. lnfatti qui non si dà il pretesto al governo civile di i1111nischiarsi nella elezione e nel possesso dei parroci e al cosiddetto econon1ato è tolta l'occasione di inlron1ettersi ncll'an11ninistrazione delle parrocchie vacanti; inoltre dai preposti alla cura delle aniine si presta una maggiore obbedienza all'Ordinario e così molto più faciln1ente si 1nantiene nelle città l'ordine e la disciplina. Sorgono ancora tre n1onasteri fen11ninili nella diocesi (infatti il quarto di cui scrivevo nella precedente relazione oggi appartiene alle
Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania
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diocesi di Acireale) e cinque nella città, non essendosi lamentata fino ad oggi nessuna violenta occupazione. Alcuni Collegi di Maria che, secondo quanto ho esposto nella precedente relazione, erano riusciti ad evitare il nefasto turbine della soppressione, sono giunti ormai all'estremo limite e difficilmente potranno sfuggire alle insidie dei riformatori. Il seminario dei chierici in cui sono educati 160 giovani (nella precedente relazione erano oltre 200, ma non era stata ancora eretta la
nuova diocesi cli Acireale) non ha incontrato ostacoli da parte del governo circa la disciplina e l'istruzione e, con l'aiuto di Dio, gode cli piena libertà. Confermo quanto ho scritto nella precedente relazione sull'obbligo della mia residenza, sull'amministrazione della cresima, sul sinodo diocesano, sulla cancelleria arcivescovile e sul ci1nitero. L'ordinazione dei rninistri sacri si è tenuta ogni anno e a volte anche due volte nello stesso anno [264v]. Lo stesso si dica relativamente al capitolo III della relazione sul clero secolare, al IV sui religiosi, al V sulla monache, al VI sul seminario, al Vll sulle confraternite. Per quanto riguarda i capitoli delle collegiate non ho omesso nulla perché, nonostante l'iniqua legge della soppressione, restino in vita e continuino a prestare servizio ne11a
chiesa. Pertanto in molti capitoli si è felicemente proceduto alla nuova elezioni di canonici e sto pensando di prendere al più presto altri provvedimenti. Relativamente al capitolo VIII sul popolo non ritengo opportuno ripetere le richieste già fatte a questa S. Congregazione. Fra le diverse opere di pietà, che sembrano fiorire sempre di più nel popolo affidalo alle mie cure, penso di accennare a cinque: 1°. L'apostolato della preghiera, che diffonde il culto al S. Cuore cli Gesù, al cui sono iscritti oltre 20.000 fedeli. 2°. L'opera della propaganda della fede che og111 raccoglie offerte più di ogni altra diocesi della Sicilia.
anno
3°. Il terz'ordine francescano cli penitenza, al quale molti sono scritti nelle singole città e perseverano nelle buone opere.
Adolfo Longhitano
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4°. Le associazioni dei bambini da poco istituite in tutta la diocesi e poste sotto la protezione di S. Luigi. 5°. Il circolo dei Selle dolori della B. Vergine Maria, che conta molti soci. Non penso che si debba passare sotto silenzio lo zelo dci catanesi per il culto di Dio e per la conservazione delle chiese; infatti non solo in diocesi non esistono chiese erette e chiuse al culto, anzi tutte risplendono per nuove, ricche e sante suppellettili, ma di recente in città sono state costruite due nuove chiese: uno (grande e 1naestoso) intitolato alla Madonna della Salette, l'altro dedicato alla Madonna della Guardia. Non penso, nella debolezza delle mie forze, di aver trascurato una qualsiasi occasione per accrescere e difendere la Chiesa e il gregge affidato alle mie cure in questi tempi difficilissimi. Mi aiuti Dio con la sua grazia perché in futuro non venga meno. Per ottenere questa grazia, prostrato in ginocchio dinanzi alle tombe degli Apostoli, mentre espongo umilmente queste notizie, chiedo al supremo Pastore di tutti l'apostolica benedizione. Catania, I dicembre 1873. Umilissimo ed obbedientissimo Giuseppe Benedetto, Arcivescovo di Catania 112 •
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La risposta della Congregazione è rirortata in appendice al testo originale
della relazione.
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XLIV 1881 - Relazione scrilta il 23 dicembre 1881 dal! 'arcivescovo Giuseppe Benedetto Dusrnet e presentata a Ro1na personalinentc 11 \
[275r] Relazione sullo stato della Chiesa di Catania dopo la terza visita pastorale fatta dal sottoscritto, da presentare alla S. Congregazione del Conci li o nel I 881. lo sottoscritto, per grazia di Dio e della Sede Apostolica, Arcivescovo di Catania, obbedendo ai precetti dei Sommi Pontefici, specialmente di Sisto V, in quest'anno 1881 dall'Incarnazione dcl Signore, presento umilmente alla Cattedra Apostolica, capo e maestra di tutte le Chiese, la terza relazione sullo stato della mia diocesi, che, dopo aver ottenuto il permesso di questa S. Congregazione, invio in ritardo per cause in nessun modo dipendenti dalla mia volontà; con l'aiuto di Dio spero di recuperare questa dilazione quando giungerà il tempo di presentare le altre relazioni. Per quanto riguarda l'obbligo della visita ai Sacri Limini, ho osservato scrupolosamente le prescrizioni di questa S. Congregazione e per gli anni passali ho fatto il mio dovere. I-lo portato a compimento la visita pastorale di cui ho riferito nella seconda relazione, anzi ho con1pletato anche la terza iniziata tre anni fa [275v] visitando tutti i comuni della diocesi. In considerazione della povertà e delle ristrettezze di quasi tutte le chiese, in questa visita come nelle precedenti, non ho preso nulla dal clero o dalle stesse chiese, né per gli alimenti, né per il viaggio, né per qualsiasi altro 1notivo, ma ho portato tutto a compimento a n1ie spese, avvertendo tuttavia che da questa mia rinunzia non doveva nascere pregiudizio alcuno per i miei successori e per i loro diritti. Anzi poiché nelle due precedenti visite ho riscontrato che erano state fatte
ID Sul dorso della relazione si legge: « Cfltanen. Visitatio Sanclorun1 Li1ninun1». «30 ianuarii 1882. Die 30 deccn1bris 1882 fuil responsun1». «A1n1nessa per i passati trienni 97 e 98 e per corrente 99 che spira il 20 dice1nbre 1882».
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diverse spese per una più solenne accoglienza e ricezione del Vescovo visitatore, ho emanato rigide proibizioni ai vicari foranei sull'uso di carrozze, bande musicali ed altro con i quali, in segno di ossequio e di amore, si andava incontro al visitatore. Mi sono recato nei singoli
luoghi da solo, accompagnato dal cancelliere, dal segretario e dal domestico, affittando una sola carrozza; nessuno 1ni è venuto incontro. Queste indicazioni, che ho ordinato venissero rigorosamente osservate, non furono di ostacolo a suscitare la religiosità dei fedeli; anzi 1111 1nanifeslarono n1aggiore riverenza e 1ni diedero segni evidenti di amore e di impegno. Ritengo superfluo ripetere quel che ho già scritto nelle mie precedenti relazioni [276r], per capitoli distinti, secondo le indicazioni della S. Congregazione; aggiungerò solamente le novità che ritengo necessario far rilevare. Quanto al cap. I della relazione sullo stato materiale della Chiesa, non ho nulla da aggiungere alle notizie già inviate circa la fondazione, i confini, i privilegi, il numero delle città e lo stato della cattedrale. ln cattedrale ho portato a compimento diverse opere di abbellimento, tra le quale il bellissimo organo, costruito in Francia, del quale da tempo si sentiva la necessità, spendendo del mio 36.000 lire. I capitoli delle collegiate di Catania, Paternò, Biancavilla, Adrano, Be!passo, Nicolosi c Viagrande svolgono liberamente la propria attività secondo i propri statuti, con1e se non ci fosse mai stata alcuna legge di soppressione. La rivendicazione dei loro beni è stata portata a compimento. In quest'opera ho avuto l'aiuto e la solidarietà di tutti i canonici di tutte le collegiate, ad eccezione di quella di Paternò, nella quale ho subito molte e gravi contrarietà, ad opera di un solo canonico, lo stesso dì cui ho dato notizia nella precedente relazione, al quale questa S. Congregazione, sette anni fa, per evitare scandali, impose il perpetuo silenzio. Questa S. Congregazione conosce gli ultimi violenti tentativi con i quali il predetto canonico con la pubblicazione di nuovi scritti e con discorsi privi di fonda1nento ha cercato di rompere il silenzio e ha osato ordire altre trame in modo subdolo e insolente contro l'Arcivescovo e il capitolo della collegiata;
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per questo suo comportamento egli è stato punito da questa S. Congregazione con la privazione della voce attiva e passiva. Tutti speravamo che questa lezione salutare potesse giovare di insegnan1ento al can. Antonino Russo Signorelli; 111a invano! Con un'audacia senza !in1iti egli rispose alle prescrizioni di questa S. Congregazione pronunziando nuove falsità e ritenendo
scioccamente di privare il rescritto della sua efficacia. Per questo motivo questa S. Congregazione il 3 dcl corrente mese di dicembre inviò un altro rescritto, nel quale respinse i sofismi e gli errori del predetto sacerdote e lo amn1onì severan1ente a ravvedersi. C'è il ti1nore che egli, facendosi sen1pre più trascinare dalla superbia, giunga
alla definitiva defezione; ma questo potrebbe essere imputato unicamente a lui; infatti non può essere tollerato che un solo sacerdote in tutta la diocesi [277r], che si comporta senza badare a regole e punizioni, sconvolga la disciplina ecclesiastica e dia agli altri un
pessimo esempio di disobbedienza e di disprezzo dell'autorità. Di tutte le chiese della diocesi neppure una, per mirabile disposizione divina, è stata fino ad oggi sottratta al culto e chiusa. Anzi
nella città, oltre alle due nuove chiese erette in onore della B. Maria Vergine della s,llelle e della Guardia - delle quali ho scritto nella precedente relazione -
ne è stata costruita un 'altra bella e spaziosa in
onore della B. Maria Vergine della Mercede e adibita alla cura delle ani1ne, al posto di una più antica, piccola e assolutamente inidonea,
che gli amministratori cittadini hanno demolito per pubblica utilità, dopo aver pagato una so1n1na conveniente.
Ho trovato molte chiese nei divesi comuni della diocesi, specialmente a Paternò, Adrano e Bronte, così restaurate e splendidamente decorate da poter affermare a ragione che nei fede! i catanesi lo zelo per la casa di Dio è inestinguibile {cfr. Sai 68, 10) [277v]. Ritenendo superfluo ripetere anche in questa relazione le notizie scritte nella pri1na e nella seconda sui grandi benefici che con1porla -
specialmente ai nostri tempi - lantica e particolare costituzione della Chiesa di Catania, nella quale l'Arcivescovo è l'unico parroco della città e della diocesi, mi limito a manifestare la mia soddisfazione per la sentenza che ho avuto dal tribunale della Suprema Cassazione di
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Ro1na con Ja quale mi ha restituito, riconoscendoli co1ne parrocchiali,
parte dei beni di questa n1ensa vescovile già perduti, e rni conferì il diritto di rivendicare presso i tribunali civili le proprietà di tutte le chiese parrocchiali della mia diocesi. Proprio nei giorni scorsi fermandomi a Roma, con la particolare protezione di Dio, ho vinto un'altra grande controversia sui beni della n1ia n1ensa vescovile. Nulla di nuovo sui monasteri femminili. Le monache della città vivono pacificamente in S monasteri della città [278r], che ho elencato nella precedente relazione; altrettanto si elica per le monache di Paternò, Adrano e Bronte. Da quando ho assunto il governo della diocesi non si è verificata nessuna usurpazione dei suddetti n1onasteri e, sebbene essa sia slata 1ninacciata ora per l'uno ora per l'altro, fino a questo 11101nento con l'aiuto di Dio sono riuscito a sollrarli a questo pericolo. Non si è verificato nulla di spiacevole per 1 Collegi di Maria negli ultimi sette anni. Spero di poter richiamare in vita quello cli Catania, i cui beni erano stati già sottratti.
Per un altro conservatorio di ragazze sia civili che povere nel coinune di Trecastagni sono riuscito ad evitare il pericolo di una imminente soppressione. Infatti, con il sostegno dell'autorità civile detta "tutoria" ed eludendo i tentativi del consiglio comunale, ho affidato quel conservatorio alla Figlie di Maria Ausiliatrice (opportunamente soggette all'autorità dell'Ordinario) [278v] per fondare un bellissimo istituto femminile di educazione. Un altro istituto simile è stato fondato nel comune cli Bronte ed
affidato alle stesse suore, che sono state chia111ate anche a Catania per dirigere un'altra casa di educazione dipendente da privati. li seminario dei chierici gode sempre dello stesso stato di prosperità; quantunque i chierici della diocesi di Acireale che fino a
poco ten1po fa vi dimoravano, rccente1nente (cioè da circa quattro 1nesi) siano stati accolti nel proprio scn1inario, abbia1no più di 130 seminaristi che alloggiano nell'istituto, oltre a molli altri chiamati
"foristi", cioè quelli che din1orano nelle proprie case, vengono in sen1inario per frequentare la scuola, partecipare alla Messa e agli altri esercizi
di
pietà e, sotto
la guida
di
speciali
prefetti,
uscire
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quotidianamente a passeggio per le vie della città. L'attuale rettore, che è anche priore e prima dignità della mia chiesa cattedrale, cioè il rev. Antonino Caff, nello scorso anno fece costruire a sue spese una grande e bellissima casa, sita in campagna, destinata ad accogliere tutti gli alunni durante le vacanze autunnali. In tal modo i chierici durante le vacanze non sono costretti a rientrare nelle proprie case; quest'anno 80 chierici con i loro educatori e confessori s1 fermarono per circa due inesi nella nuova casa. Sugli ospedali e le altre opere pie sono molto lieto di dare alcune notizie che saranno certamente gradite a questa S. Congregazione. I due maggiori ospedali di questa città sono stati affidati alla direzione delle suore dette "della carità", le quali sono state incaricate di dirigere il grande ospizio municipale dei poveri. Inoltre ho istituito un altro ospizio per gli anziani poveri dell'uno e dell'altro sesso, diretto dalle suore dei poveri chiamate dalla Francia, nel quale sono già accolti circa 80 ricoverati, n1antenuti dalJa carità dei fedeli. La casa nelle quale attualmente sono accolti è stata presa in affitto a n1ie spese; n1a al più preslo sarà costruito un grande edificio [279v] di proprietà delle suore, che potrà accogliere 200 poveri. A dirigere l'ospizio di Adrano sono state chiamate le suore di S. Anna. Inoltre il conservatorio delle cosiddette "proiette settenarie" di Catania di recente è stato affidato alle suore della carità; un'altra nuova casa ho assegnato a queste stesse suore, in cui è stato istituito un collegio per leducazione delle ragazze di civile condizione. Pertanto nello spazio di tre anni in diocesi sono stati istituiti I O istituti, affidati a suore di vari ordini. Bisogna ancora pensare ad estendere l'istruzione dei bambini; pertanto alle scuole serali gratuite, alle quali ho accennato nella prin1a relazione, spero di aggiungerne altre: è già pronto il sito in cui saranno istituite. Quanto al cap. 11 confermo ciò che ho scritto sull'obbligo della lnia residenza, sulla cancelleria arcivescovile, sul cin1itero, su1l'a1n1ninistrazione della cresin1a, sul sinodo diocesano. Lo stesso discorso vale per le sacre ordinazioni [280r] che ho tenuto ogni anno.
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Quanto al cap. III sul clero secolare mi preme ripetere due rilievi: ho trovato il clero docile ad osservare le norme ed i consigli da me dati, soprattutto quelli che riguardano il servizio ecclesiastico. Quanto ai religiosi, dei quali tratta il cap. IV, ritengo di dover far rilevare che, per quanto ho potuto, riconoscendo i loro diritti sulle proprie chiese, ho cercato di affidarle agli stessi, astenendomi dal visitarle. Tuttavia sarebbe auspicabile che i superiori ai quali compete questa visita non la trascurino. Infatti in diocesi esistono diverse chiese di regolari che non sono state visilate né dall'Ordinario, né dai superiori dell'ordine, e lutto questo con loro grave danno. Non ho altro da aggiungere ai capitoli V, VI e VII. Sul cap. VIll bisogna far notare che tutte le opere pie elencate nella precedente relazione [280r] conservano il primitivo fervore; altre se ne sono aggiunte, anche se non 1nolte. Infatti non ritengo opportuno moltiplicare le stesse opere, quanto conservare, rafforzare e perfezionare quelle esistenti. Fra le nuove merita di essere ricordata l'associazione dei sacerdoti per il servizio gratuito nelle chiese prive di ogni aiuto durante l'esposizione delle quarantore; questa istituzione ha dato buoni frutti, se si considera che risultano ad essa iscritti 50 fra i sacerdoti migliori della città. Per non tacere le cose di cui sono a conoscenza è giusto che accenni anche ad un fenon1eno non 1nolto lieto che spero a poco a poco possa cessare e cioè l'eccessiva facilità con cui alcuni, ingannati dall'ignoranza o dall'errore, osano contrarre il cosiddetto matrimonio civile, trascurando ingiustan1ente e colpevol1nente il sacrosanto sacran1ento della Chiesa. Mi adopero strcnua1nente, facendo ricorso ai discorsi persuasivi e anche agli aiuti economici, per eli1ninare questo abuso e il numero di questi concubinati legali diminuisce sempre più [28lr]. Bisogna anche non poco rammaricarsi per un'altra facilità, quella con cui i tribunali civili osano dichiarare nulli i matrimoni, che la Santa madre Chiesa considera validi. Da ciò deriva che i con1ug1 ritenuti liberi daII'autorità civile siano an1n1essi, senza alcuna riparazione, a celebrare altri 1natri1noni civili, che in realtà devono
Le relazioni «ad lùnÙlll» della diocesi di Catania
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essere considerati una cosa ripugnante e disonesta. Tuttavia si hanno pochi esempi di questo gravissimo scandalo, che i fedeli condannano. Molli di coloro che hanno acquistato illecitamente i beni ecclesiastici hanno fatto la dichiarazione secondo le direttive della S. Penitenzieria; pertanto sono stati assolti dalle censure. Ma alcuni ne sono ancora irretiti, perché ignorantemente temono di perdere i beni acquistati se fanno la dichiarazione, anche se il loro numero va
diminuendo sempre più. Ripeto quanto ho già scritto nella precedente relazione: non ho trascuralo nessuna occasione, nella debolezza delle mie forze, di custodire e difendere le chiese e il gregge affidato alle mie cure. Che Dio 1ni aiuti a non 1nancare in futuro a questo mio dovere.
Perché possa conseguire più facilmente questo fine, prostrato in ginocchio dinanzi i Sacri Limini degli Apostoli, chiedo umilmente e imploro la benedizione apostolica dal Supremo Pastore. Roma, 23 dicembre 1881. Giuseppe Benedetto Dusmet, Arcivescovo di Catania' 14 •
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La risposta della Congregazione è riportata in appendice al testo originale
della relazione.
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XLV 1890
~
Relazione scrilla il I dicembre 1890 dall'arcivescovo Giuseppe
Benedetto Dus1net e presentala a Ro1na personahncnle 115 •
[286r] Io sottoscritto {Giuseppe Benedetto} Dusmet, Cardinale presbitero di S. Romana Chiesa, per grazia di Dio e della Sede Apostolica Arcivescovo di Catania, obbedendo alle norme dei Sommi Pontefici, specialmente di Sisto V, m quest'anno 1890 dall'Incarnazione del Signore presento la quarta relazione sullo stato di questa diocesi ali' Apostolica Cattedra, capo e maestra di tutte le Chiese. Questa S. Congregazione non ignora i n1otivi che n1i hanno obbligato a prorogare fino ad oggi la presentazione della relazione che avrei dovuto far pervenire da cinque anni. Essendo stato no1ninato nel 1885 Amministratore apostolico nella diocesi di Caltagirone, sono slato costretto per i sei mesi di quell'anno e per alcuni dell'anno successivo a fermarmi in quella città. Pertanto, dovendo badare al governo delle due chiese, mi fu impossibile in quel periodo (da luglio a dice1nbre) iniziare la sacra visita pastorale. Appena feci ritorno da Caltagirone (maggio del 1886) abbiamo subìto una furiosa eruzione dell'Etna e per un mese intero ho dovuto più volte visitare le zone di questo monte, ai piedi del quale sorgono i comuni della diocesi. Alla fine dello stesso anno (l 886) sono stato chiamato dal Papa a Roma e solo alla fine del mese di giugno (1887) ho potuto far ritorno in diocesi, dove infuriando il colera fu necessario spostanni nei diversi comuni. Nel mese di novembre dello stesso anno ( 1887) per un altro invito dcl Papa sono stato chia1nato a Ro1na una seconda volta, dove
115 Sul dorso dells relazione si legge: «Catanien. Visitatio Sanctorun1 Li1ninun1». «24 dece1nbris 1890>>. «Die 7 aprilis !891 fuit responsun1». «A1n1ncssa per i passati trienni 100 e 101 e per corrente 102 che spira il 20 dicen1bre 1890». <<Expcclila dic 8 1naii 1891».
Le relazioni «ad limino» della diocesi di Catania
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sono rimasto per sette mesi a disposizione della Santa Sede e solo poco prima del mese di luglio (1888) sono stato congedato [286v]. Di ritorno nella mia diocesi, ho dovuto interrompere per altri tre mesi la sacra visita pastorale della città, appena iniziata, perché chian1ato una terza volta a I~on1a per la pron1ozione al cardinalato, con cui il n1unificentissimo Pontefice, per la sua bontà ha voluto insignire 1ne, minimo fra i poveri. Trascorse le feste pasquali (1889) mi sono adoperato a continuare la visita pastorale della diocesi, anche se non in modo continuo, perché dovevo risolvere alcuni gravi problen1i in episcopio, che non 111i pennettevano di allontanarn1i a lungo dalla città. Ritengo opportuno far presente a questa S. Congregazione che durante i miei soggiorni a Roma, spesso ho discusso su questa rnia relazione che non rispetta la scadenza prcvisla; ini è stato risposto che il ritardo non era i1nputabile alla n1ia volontà 1na agli incarichi affidatimi dalla Suprema Potestà, che hanno determinato il differin1enlo della visita pastorale. Peraltro giova ricordare che p1u volte ho visitato personalmente i Sacri Lin1ini anche per il triennio che scadrà il 20 dicembre 1894. Ed ecco le notizie che intendo sottoporre a questa S. Congregazione. Ritengo superfluo descrivere minutamente i dati forniti nelle relazioni precedenti sul cap. I: I 0 circa la prassi seguita fenna1nente fino ad oggi di non chiedere o ricevere nulla dalle chiese e dal clero nella visita pastorale, né per gli alimenti né per il viaggio, ma di fare tutto a inie spese; 2° circa lo stato n1aterinle della Chiesa e cioè la istituzione, i confini, i privilegi, il numero delle città e lo stato della cattedrale; 3° circa i capitoli [287r] delle collegiale i beni delle guaii ho in gran paiie riavuto dal den1anio; 4° circa la particolare costituzione della Chiesa di Catania, in cui l'Arcivescovo è l'unico parroco della città e della diocesi; 5° circa i monasteri femminili dei quali soltanto per uno dall'inizio del 1nio governo si lamenta l'occupazione: quello di Santa Chiara di Adrano, in cui erano ri1naste soltanto 3 monache; 6° circa gli ospedali, i conservatori per le fanciulle, in gran parte affidati di recente alle suore della carità.
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Sul cap. II confermo quanto ho scritto sull'obbligo della mrn residenza, sull'a cancelleria arcivescovile, sui cimiteri, sull'amministrazione della cresi1na, sul sinodo diocesano. Lo stesso si dica sulla ordinazione dei 1ninistri sacri, che ho tenuto ogni µnno. Sul cap. III che tratta del clero diocesano, confermando quanto ho scritto nelle precedenti relazioni, mi preme far notare che ho trovato quasi tutti i sacerdoti docili ad eseguire gli ordini e i suggerimenti dati, specialmente quelli riguardanti il servizio ecclesiastico. Devo aggiungere una piacevole novità circa le riunioni per la soluzione dei casi morali. Come ho già avevo scritto, queste riunioni si tenevano nella chiesa di Santa Maria della Lettera, 111a non tutti partecipavano. Da cinque anni le ho trasferite nel palazzo vescovile, dove i confessori dell'uno e l'altro clero, anche i canonici, ogni terzo giovedì del 1nese, si riuniscono puntuahnente alla 111ia presenza; inizio sen1pre la seduta con una proficua lezione sui doveri dei sacerdoti. Le soluzioni per ogni caso proposto vengono date pri1na da due sacerdoti estratti a sorte durante la riunione, e poi dal solutore ufficiale, che è il docente di teologia 1norale e di diritto canonico del seminario [287v]. La riunione si chiude con una dissertazione tenuta da un confessore da me designato. Secondo le prescrizioni del la S. Congregazione, il segretario prende nota degli assenti e se è a conoscenza che qualcuno è vera1nente i1npedito, lo scusa ad alta voce quando il suo nome viene estratto per leggere la soluzione. Posso assicurare questa S. Congregazione della grandissi111a utilità otlenuta con le conferenze e della reale sollecitudine dei partecipanti a preparare e ad ascoltare le soluzioni. Sul cap. IV che tratta dei regolari non solo ritengo di ripetere quanto ho scritto nella precedente relazione sulle chiese degli stessi religiosi dispersi, che non sono visitate da rne per non pregiudicare i loro diritti, né dai superiori dei loro ordini, che raran1ente possono 1nuoversi, n1a penso di aggiungere qualche osservazione di n1aggior rilievo. Per 24 anni (dal I 866 al I 890) i religiosi dispersi sono rimasti quasi tutti sotto l'autorità dell'Ordinario, fuori i conventi, lontani da ogni controllo _dei superiori, al punto che solo l'Ordinario può conoscere il genere di vita da loro condotto e giudicare se sono degni
Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania
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di ricevere onorificenze o uffici. Succede che uno o l'altro di essi dai superiori venga pron1osso senza neppure consultare POrdinario, con grande meraviglia dei fedeli e danno per la disciplina ecclesiastica. Al presente vive a Catania un religioso del quale non ho mai udito nulla di buono e spesso anche qualcosa di meno buono. Se - che Dio ci guardi - egli sarà no1ninato, come si vocifera, provinciale, cosa dovrò fare considerato che non l'ho potuto accettare come rettore della chiesa del suo ordine? [288r] Questa S. Congregazione veda se si può trovare un qualche rimedio ad un male così grave e allo stesso tempo provveda agli altri regolari dispersi, che hanno lasciato l'abito del proprio ordine e vorrebbero appartenere ora al clero regolare e ora al clero secolare. Nella propria chiesa si sforzano di difendere i diritti dei religiosi sui funerali e fuori della chiesa si pongono sotto la croce del clero secolare e partecipano alle sue retribuzioni funerarie. Non ho nulla da aggiungere sul cap. V. Sul cap. VI, cioè sul seminario dei chierici, alle notizie già date bisogna aggiungere quella che riguarda il decreto pubblicato di recente sui cosiddetti chierici "foristiH. Costoro, infatti, per un'antica consuetudine, risiedevano nelle proprie case e venivano in seminario solo per frequentare le lezioni e fare assieme agli altri il passeggio. Ora, invece, pagando solan1ente 1O lire al n1esc vivono in seminario e cioè cenano e pernottano, 1na hanno un'ora libera per andare a pranzare a casa propria; trascorso questo ternpo devono rientrare in se1ninario. Tutli hanno in se1ninario una speciale din1ora delta "camerata". I chierici residenti in scn1inario quest'anno sono stati I 50, 40 dei quali nei mesi di settembre e di ottobre trascorrono insieme la villeggiatura nella casa costruita dal rettore, il Vescovo Antonino Caff, come ho già detto nella precedente relazione. Sul cap. VII, che riguarda le chiese, le confraternite e i luoghi pii, tutto il nostro impegno ha come scopo cli sottrarci, per quanto è possibile, al rigore delle leggi non risparmiando fatiche e iniziative. Non ho nulla da aggiungere sul cap. VIII [288v]. Prin1a di sottoscrivere la relazione posso inforn1are con gioia questa S. Congregazione che tutte le opere descritte nelle precedenti hanno 1nantenulo il loro pri1nitivo fervore. Da quattro anni ho
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Adolfo Longhitano
aggiunto una nuova iniziativa di carità, cioè un donnitorio per i poveri dell'uno e l'altro sesso, eretto a mie spese e dedicato a S. Giuseppe. Nello scorso mese di maggio ho dato vita ad una nuova opera di carità per curare e nutrire i poveri infermi a domicilio, quelli cioè che non possono essere ricoverati negli ospedali della città. Ho istituito quesf opera badando bene a non incorrere nella nuova norma civile che stabilisce la rimozione dei parroci dalle opere di carità; dando, cioè agli stessi parroci (da noi si chian1ano curati) la direzione del l'opera. Quasi tutte le nobildonne della città sono iscritte a questa pia opera e tutti sperano da loro aiuti e favori. Secondo le prescrizioni dcl Sommo Pontefice tutti i sacerdoti quest'anno sono stati chia1nati a Catania e ad altre sette città delle diocesi per gli esercizi spirituali. Co1ne per le altre relazioni così anche per questa sono 111olto contento di chiuderla chiedendo al Supremo Pastore di tutti rapostolica benedizione. Catania, 1 dicembre 1890. +Giuseppe Benedetto Cardinale Dusmet, Arcivescovo di Catania''''·
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La risposta della Congregazione è riportat8 in appendice al testo originale
della relazione.
Le relazio11i «ad limi11a» della diocesi di Cata11ia
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XLII [234r] Relatio status Ecclesiac Cataniensis anno a rcparaLione salulis MDCCCLXIX. Post pri1nain eiusdcin Ecclesiac visitationc1n ab infrnscripto peractarn Sacrac Congregationi Concilii exhibita.
Ego subscriptus Dei et Aposlolicae Sedis gratia Archiepiscopus Calaniensis hoc anno ab Incarnatione Domini rnillesi1no octingentesimo sexagesimo nono pro muneris mei officio primae sacrae visitationis cursun1, Deo, Deipara atque Diva Agatha opitulanlibus necnon plaudentibus ubique prae sancto gaudio populis, in hac Iesu Christi vincola perfcci; in qua nullis mei meritis sed sola dignatione misericordiae suae posuit 1ne qui dixit: «Pater 1neus agricola est» [lo 15,1 ). Quapropter Summorum Pontificum el praesertim Sixti V, ul mandato obtemperem, mmc temporis ad Apostolicam Cathedram omnium EcclesiarLnn Caput ac n1agistra1n, visitatae archidioceseos relationem propero transmilti pede quanlocius curo. Quae relalio, ut ex ordine procedat iusta Sacrae 1st1us Congregationis instructionem, brevibus veluti inclusa membris ad sequentia distincla capita reducilur [234v].
De J>rùno relationis capite cui statu1n Ecclesiae 111aterialen1 pertinente I. Cum venìt plenitudo temporis {cfr. Gal 4, 4), disseminata per orbe1n Christi fide, pri1na illius divini seminis grana urbs Catana, priscorum etian1 gloria tcn1porum illustris, per Sanctum Antistitern Beryllum ab Aposlolorum Principe illuc anno salutis 44 m1ssu111 avidissi1nc cxcepit. Exinde coepit nova luce fulgere sacraru1n praesertin1 aediu111 nitore ac n1agnitudinc. Quas inter etiam vetustate illustriores, duo si ten1pla excipiantur Virgini Deiparae dicata, (quae Catanensiun1 pietas quan1 sit antiquior in Dci Genitricem Iuculentissi111e den1onstranl) aedes in honorem Beatae Agathae virginis et n1artyris erecta, facile princeps invenitur. Cui, crescente in dies Divae Agathae nomine, aliud ampi ius ac magnificentius templum utpote sacrae cathedrae sedes,
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urbis ac dioecescos caput, pientissimi Rogerii Comitis devoti extrcmo sacculo undecimo suffecit, nullisque redditibus lucupletavit et auxit. II. Cataniensis archidioecesis sub Aetnae sita radicibus, etsi olim latius pateret, nunc vero temporis ad orientem litus mari Ionio praebet, ab aquilone lapidcs tenninales Messanensis Ecclesiae finibus consignat, et ad occidenle1n 117 ac 1ncridie1n tres habet finitin1as 11 ~
dioeceses Herbitae videlicet, Calatac Hieronis atque Syracusaru111. III. Ecclesia Cataniensis mullis olim Regum atque Pontificum praesertim Alexanclri Papae Tertii, cliplomatibus honeslata est. Sed eius privilegia vetusta ac illustria, ut penes patrios [235r] scriptores videri licct (veluti De Grossis in Decachordo, Antoninum Amico, diplomata ad archiepiscopalem Ecclesiam Monteregalensem, Syracusarum et Catanensem pertinentia, Collectanea pr;vilegiorurn Ecclesiae Catanensis, etc.) tc111porun1 vicissitudine ac iniuria in desuetudine1n fere omnia abierunt. Inter guae n1erito inulta 1ura fcudalia recensebantur a Comite Rogcrio, ab Alphonso Aragonum Rege et aliis principibus Episcopo Cataniensi donata, necnon usus pallii eide1n a praedicto Papa aliquando concessus, qui etiam hoc statuit ut nulli nisi I~o1nano Pontifici Cataniensis Ecclesia subiiceretur. IV. Haec archidioecesis co1nplectitur con1munitates noven1 et viginti, cuiuscurnque ipsae sint latitudinis, urbes scilicet, oppida, terrulas, etc.; el ani1nas bis centena et quinquaginta n1illia circiter conti net. V. In hac archiepiscopali Ecclcsia sunt quinquc clignitatcs, quibus aliqua potestas antiquitus adnexa erat; sed nunc cum fere nulla ea sit, iure ac 1nerilo a quodan1 iuris pontificii scriptore ÂŤdignitales ventosaeÂť appellantur. Eas vero obtinenl, ordine quo nu1nerantur: prior, cantor, decanus, lhesaurarius et archidiaconus. Hi prin1u1n sibi vindicant gradun1 in capitulo, quod insuper duodeci1n constat
117 occidenten1 J orientern. 118 finitirnas] prĂš11a finitibus poi corregge.
Le relazioni ÂŤad !iminw> della diocesi di Catania
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canon1c1s ac totide1n mansionariis. Notandu1n tamen est institutione1n praebendarum poenitentiariae ac theologalis in votis hactenus
remansisse 11 '>, non obstantibus etian1 visitatorun1 decretis pro Siciliac Ecclesiis, veluti !ordii anno l 604 et De Ciocchis anno 1743. Interim vero, ne Tridentina Synodus hac in re floccifieri vidcrctur, in eadem Ecclesia ad publicam theo- [235v] logiae instructionis lectionem unum ex praestantioribus 120 theologis, necnon verbi Dei praeconum apud nos notissimum fratrem ordinis Seraphicae reformatae familiae noviter adhibui 121 â&#x20AC;˘ Munerc aute1n praebendae paenitentiariae promiscue funguntur 122 â&#x20AC;˘
0111nes
canonici
VT. Duodecim hic sunt collegiatae, quarum una m urbe quatuor constat dignitatibus, canonicis decem et octo et quatuordecim 1nansionariis; ceterae in archidioecescos inferioribus civitatibus sitae sunt, videlicet collegiatae Acis Regalis, Hadrani, Albae villae, Paternionis, Pulchri Passus, Viac n1agnac, Triun1 Castanearum, Catenae, Sancti Philippi, Sanctae Luciae ac Nicolosorum. Quae theologali carentes praebenda fere omnes, quatuor habent dignitates (una tantum excepta cui tres illae sunl) et ad mini1nun1 canonicos octo et quatuor mansionarios, co1nprehenso, ut 1noris est, caerin1oniarum 1nagistro. Sed hoc de illis iam suppressis ve! prac suppressione colluctantibus satis est dixisse. VII. In ambitu huiusce archiepiscopatus tredecim et quater centum extant tempia, quorum sacris supellectilibus aliud alio magis instructum est; sed iis quinam sint redditus pro fabrica assignati difficile est nunc temporis scitu. Quinimmo operae pretium est
1nanifestu1n fieri certos cathedrali ecclesiae solun11nodo annuos esse redditus fabricae suae addictos, qui ad annuas libellas 3.570 circiter
119 Notandun1 120
121 122
~
re1nansisse] evidenzia al 111argine.
praestantioribus] praesnntioribus. frntrurn - adhibui] evidenzia al 111argi11e. Muncrc- funguntur] evidenzia a/ 111argine.
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ascendunt, caeteris vero ecclesiis plus 1ninusve eos dccsse et aliis redditi bus compensari [236r]. Ad haec animadvertendum est 111 <lieto archiepiscopatu, praeterquam in communitate Brontis nuper illi unita, ubi parochialis est ecclesia (in cuius provisione habetur concursus ad tra1nite1n Concilii Tridentini, sess. 24, de reform., c. 18 et constitutionis Benedicti XIV, Cum lllud), presbyterum vere parochum nullibi inveniri 12 -1. Multi tamen iure in con.trahatur carentes 124 , titulu1n passi1n ostentant sine re, praeserti1n quarun1dan1 collcgiatarum qui obtinent dignitates. Quo in negotio cum non pauca occurrant dissidia adversus Ordinarium promota, cuius personam ubicumque archidioeceseos vicarii gerunt foranei tanquam vice parochi ad nutun1 a1novibiles; dignum est quod ab omnibus desideretur omnes parochias dubiac institutionis penitus abolcri, aut parochos amovibiles reddi, ve! saltem numerum augeri causaru1n quibus illi ecclesiis suis iure privari possint, necnon et procedendi formam laxius praestitui qua ad huiusmodi privationes f'acilius, salva iustitia, possit deveniri 125 . VIII. Monasteria (iam suppressa) praeter unurn seraphicum 126 universi1n sunt benedictina, et 01nnia Ordinario piene subiiciuntur. Nun1ero ipsa sunt noven1 127 , quorum quatuor in archidioecesi et quinque habentur in urbe. Ubi sex ian1 nu1nerabantur antcqua1n monasterium benedictinurn sub SS. Trinitatis titulo in collegiurn pro educandis puellis, currentis aevi iniuria nuper com1nutaretur 128 , et ciectae sanctimoniales [236v] feminae in duabus ex aliis eiusdcm instituti domibus hospitaliter colligerentur. De triginta et octo monasteriis virorum (quorum nonnullum fuit exemptum) parum interest ser1nonen1 haberi utpote prae suppressione clausis. Igitur
12 -' Aù hacc - Ecclesia] eFidenzia al 111argine. 124 Multi - csrcntes] evidenzia al 111argi11e. 125 ad huiusn1odi - faci!ius] evidenzia al 111argù1e. 126 seraphicun1] saraphicuin. 127 nove1n] prùna decen1 poi corregge. 128 nupcr corninutaretur] evidenzia al 111argine.
Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania
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novem collegia sub S. Mariae titulo hic insuper memorantur quae nefastum suppressionis sidus videntur hactenus effugisse. IX. Clericorum seminarium mmc, plaudente christifìdelium coetu, denuo apertu1n est 129 , ubi plus quan1 bis centu1n aluntur iuvenes, de quibus inferius dicemus. Interim vero quod sequitur notandum est. Pro eodem seminario priscis quae fuerit temporibus statuta taxa quotque ei beneficia fuerint unita, difficulter investigaretur, nullis ab hinc annis cun1 omnia in eiusdem sen1inarii redditibus pennixta sint. X. Numerus hospitalium, collegiorum, confraternitatum et aliorum locorum piorum heic unu1n est et terccntun1. Idem vero monitum, quod supra pro seminariis, etiam repctendum est pro rcdditibus talium operum, quae tamen loci Ordinario, contra Sacrae Congregationis Immunitatis praescriptum, minnne subduntur, montibus pietatis, de quibus inferius, haud cxclusis. XI. De duabus unus re1nansit pietatis 1nons ex donatione bonae n1emoriae Conradi Mariae Episcopi decessoris mei, ascendunt ad libel!os vero mons bellici furoris tcmpore direptus est piene prorutus [237r].
cuius annui redditus, Deodati Cataniensis 8.478 circiter. Alter atque, ut ita dicam,
De secundo relationis ca1;ite ad ÌJJStfln Archiepisco11u1n pertinente I. Residentiae praeceptum etiam m mediis grassantibus epidemiae pcriculis, Deo adiuvante, non segniter adimpletum est; et si abesse, Sacra Apostolorum Limina petendi ergo, aliquando contigerit, hoc non nisi ipsius Apostolicae Sedis licentia factum est. II. Prima archidioeceseos visitatio nunc, ut innuimus, expleta est, cuius relatio heic perhibetur. III. Sacro111111 ministrorun1 ordinalio quinquies in biennnio habita est. Confinnationis vero sacramentu1n inultocics in sacrae visitationis discursu in urbe atque archidioecesi administratu111.
129
denuo - est] evidenzia al 111argi11e.
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IV. Cataniensis Antistes, nunc Archiepiscopus suffraganeorum expers, synodun1 provincialen1 hactenus non cocgit. Anteactis vero temporibus'"' nulli in facto Metropolitae subiectus synodos dioecesanas non semel indixit, quas intcr Synodus Torre.1路 [ I 622] ac Synodus Bonadies { 1668) annumerantur, quarum decreta ex parte mmc vigent. Verumtamen !ex S. Concilii Tridentini de synodo dioecesana quotannis cogenda numqua1n ad atnussi1n servata estD 1, et forsan non sine 1nagni ponderis causa, iuxta quod Benedictus XIV nos admonct. V. Dei verbum per Archiepiscopum, eoque impedito, per idoneos viros praedicatur. VI. Cun1 praelaudata Synollus Bonallies quae 1nultas pecuniarias poenas sanciverar1-1 2, non atnplius nisi in quibusdan1 nunc obtineal, hiusmodi pecuniae depositario, nec non eiusclen1 ad pios usus conversioni [237v] arnplius locus non est. VII. In archiepiscopali cancellaria observatur taxa innocentiana, de qua tamen conquesti sunt aliquando Siciliac Episcopi pro sufficienti suorun1 1ninistroru1n sustentatione. VIII. Circa archiepiscopalis officii obicern dicendum est, quarnquam Ecclesia haec aliqua in iurisdictione sua polleat libertate, veluti cu1n in sede vacante suu1n cligit Vicariu1n Capitularem, in ea tarnen quoad procedendi et appellandi modum, causas agi, praesertirn n1atrimon矛ales non an1plius iuxta breve Peculiaribus posse, cui a praesenti civili Gubernio exequatur ade1nptnn1 est. Quapropter huiusrnodi causas ex industria hucusque effugirnus. De coe1neteriorun1 etian1 i1n1nunitatc ncc leve occurrit negotiurn. In illis enim, quin distincta sint loca, iuxta Rituale Romanu1n et sacros canones, pro parvulis ante discrctionis annos dernortuis et praecipue pro fidelibus ab omni ereticorurn ve!
uo ten1poribusj aggiunge utpotc poi espunge.
131 nun1qua1n - esl] evidenzia al 1nargine.
n 2 quae - sanciverat] evidenzia al 111argi11e.
Le relazioni «etd lùnina» della diocesi di Catania
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excomunicatoru1n cadavere, graece Broucolacas, segregandis, 01nnia ita permiscentur, ut ad decretum Sacrae Congregationis trarnitem, unaquaeque fovea an benedicatur necne, sola 111 casu prudcntia suggerat. Caeteroquin quanta qualiaque pro sen1inario et paroccia Brontis hucusquc sim passus hanc supreman1 Sedcn1 111inime latet. Quae elian1 novit illi incendio extitisse veluti favillam Depositionem ab officio in sede vacante per Vicarium Capitularen1 ex ù~f'ornJ.ata conscientia latam. De qua rei gravari senlientes, Concilio Tridentino, brevi [238r] Peculiaribus etc. non obslantibus, nisi sunl lolis viribus ea1n propulsare. Qua de causa non incongrue aliquid circa lrniusce pocnae applicationem sedulo animadvertendum est, ne 111 postcrum, inconsulto Summo Pontifice, temere hoc fieri contingat, neve contumaces etiam sub poena denegatae in perpetuun1 veniae1.1J nisi ad Apostolicam Sedem in casu recurrunt. IX. Aliquod pimn opus, Dei aspirante gratia, pro papula et pro clero nuper peractum est. Sub ecclesiasticae auctoritatis auspiciis, cui per dccrela Conciliorum praesertim Tridentinae Synodi, ac pontificias constitutiones veluti Leonis X, huiusmodi potestas competit, scholae publicae serotinae apertac sunt omn1110 gratuitae pro pueris cuiuscumque conditionis in literis instituendis, et ideo in distinclos gradus distributis. Nova etiam laicorum confraternitas inslilula est pro congruis ad quotidiana1n Santissi1ni expositione1n expensis in circulo 40 horaru1n, necnon ad alia charitatis n1unia obeunda. In parochialibus autem atque in aliis principalioribus urbis ecclesiis viris de utroque clero pracstantioribus officiu1n co1nn1issu1n est unaquaque hebdomada tum Sacrum Volumen populo contra neo teorias explanandi, tum alias conc1ones habendi ten1poru1n calamitatibus opportunas. Circa vero Dei praeconium nulli certe dubium est quin sit enitendum ut sacrac conciones ea gravitate habeantur ut ab omni vanitatis et novitatis spiritu praeserventur
Ln vcniac] aggiunge non poi espunge.
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immunes, itemgue [238v] omms doctrinae ratio, guae lraditur fidelibus, in verbo Dci reipsa conlineatur, ideogue ex Scriptura et traditionibus sicut decet hauriatur. Sed silentio non practereundum quod ferat aliquando necessitas suini pro arn1is defcntionis nostrae ea, quorum fucata novitate freti hostes congredi videntur. Quamobrem si fons vcritatis, qui revera unus est, nunquam derelinguendus, eiusdem vero veritatis forma temporibus oppugnandis n1axi1ne aptanda est. Nunc critices methodi tempus labitur, et ideo istiusmodi praeliandi genus in clericorun1 institutione praeparari 134 oportet quo adversariis silentium indicatur. Sed eo undc discessimus revertamur. Supradictis hisce rcmediis illis, ni fallimur, morbis mederi videmur de guibus in Syllabo guaestionum a Sancta Sede Episcopis propositarum sermo est. Et hoc eo 1nagis quo cxinde fiat ut veneno quod cu1n lacte pri1nae instructionis hauritur congruuum antidotun1 afferatur, prout S. Congregatio dc Propaganda Fide super Hyberniae negotiis providc
sancivĂŹt. De tertio relationis capite a([ clert11n saecularenz pertinente I. Canonici caeterigue choro addicti in cathedrali ecclesia et collcgiatis non desunt, generatim, officio suo. Quod unaquague die m cathedrali alternis choristarum vicibus per hcbdomadam habetur; m collegiatis vero non sic; sed identide1n, reddituun1 iuxta n1ensura1n, et tunc tenenlur omnes [239r] simul interesse, exceptis temporibus quadragesimae et adventus, in quibus vice sua etiam ipsi per heddomadam funguntur. IT. Praeter horas canonicas Missa conventualis in 1netropolitana et coilegiatis non omittitur. Verum hac in re quaedan1 cutn visae sint abusiones irrepsisse, ad eas de medio tollendas, Monita iuritlico moralia collecta typisque mandata proponi utile visum est. III. Missa conventualis semper pro benefactoribus applicatur.
IJ~ praeliandi - praeparari]
el'idenzia aĂŹ 11u1rgi11e.
Le relazioni ÂŤad liminaÂť della diocesi di Catania
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IV. Unumquodque capitulum suas habet proprias constitutiones dioecesanis Synodis confirmatas, quae plus minusve adamussim observantur. V. Dcsunt praebendae theologalis ac poenitentiaria ut supra
1nnuunus. VI. In hac archidioecesi, ut dictum est, nullus generatim praeter Archiepiscopum, parochus sustineri videtur. Quamobrem 111 unaquaque archidioeceseos co1nmunitate vicarius extat foraneus qui eodem tempore vice parochus est. Attamen qui sub diverso nomine cura1n habent animaru1n in locis suis resident. VII. Libros matrimonii et baptismi aliosque libros qui ad norma1n ltitualis Romani servari debent, ut curati rite diligenterque teneant, suprema pastoralis cura sedulo incumbit. VIII. Passim urge! necessitas coadiutoria instituendi, et nusquam 135 fieri potest ut ad inultam Domini messen1 sufficientesn6 operari i non desint. Quapropter huic malo [239v] occurrendi ergo, clcrici ad sacerdotiu1n evecti coerceri debenti.-11 ut Ecclesia1n pro cuius utilitate ordinati sunt, nunqua1n, alio turpis lucri gratia non raro abstracti, deserere audeant. Ideoque poenas canonicas iuxta Concilii Tridentini, sess. XXIII, c. XVI etc. in eos qui, inconsulto Episcopo, locum sui domicilii dese111crint, ipso facto incurrendas, n1ini1ne vero per sententian1 ferendas esse iuvat; quasquc clericis in ipso ordinationis solemni die patefieri insuper fas erit. Quinimmo iuxta Sacrae Congregationis Concilii responsum 21 iulii 1821 possunt aliqua patri1nonia approbari cum clausula ut eorunde1n possessores ipso facto eadem amitterent, si dioecesim sine Episcopi licentia relinquerent.
n 5 nusquam] nuspiain. sufricientes] safficientes. coerceri debent] evidenzia al 111argine.
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Verun1tamen suppetiae cum ad vitae necessaria sacerdotibus deesse non possint, maxime optandum est, quoad fieri potest, tum non plures ad sacerdotiun1 evehi 138 quam ab Ecclesia, pro qua ordinantur, ali possint, tun1 qui titulo patrin1onii fruuntur, pro iis rnaxilnunz diocccsanae taxae hac nostra aetate innumeris obnoxia vectigalibus stabiliri, quod per concordatum pro Siciliae Regno anno 1818, ad libellas 340 redactum est. IX. Animarum curae qui invigilant fere ubigue singulis dominicis et festis diebus plebes sibi commissas ve! per se ve! per alios idoneos pascunt in doctrina fidei ac 111011Jn1, verbi salutaris pane1n pro audientium captu frangentes. X. Iidcm dominicis aliisgue festis diebus ad pueros fidei rudirnentis in1bucndos tolis viribus inctnnbunt. Quocirca novu1n aliqui systema moliuntur, ut securius ac facilius [240r] hac in re possint optatam cursu contingere 1netam. XI. On1nes qui cura1n habent an1maru1n, s1 qui vere sint, iuxta propriae fundationis onera, singulis dominicis festisque diebus de praecepto Missam applicant pro populo sibi commisso.
XII. Nemo ad prin1an1 tonsuran1 ac n1inores ordines adinittitur qu1n spes affulgeat eu1n divina vocationc qua vocatus est pern1ansuru1n, pietate, literis, ac honesta sustentatione callenten1. Ordinu1n aute1n collationi, praesertin1 1naioru1n, praetcr caetera iuris requisita semper spiritualia exercitia pren1ittuntur. XIII. Quamguam clerici fere omnes iugiter vestes defcranl clericales, tamen fori privilegio ius nullum est, guod sensim per civilis Gubernii decreta deminutum, mmc penitus obsolevit. XIV. Multis in locis huiuscc archidioeceseos conferentiae lheologiae moralis scu casuun1 conscentiae necnon sacroru1n rituun1, quae oli1n florebant, nunc tcn1poris consenuerunt; sed praeviis edictis
138
non - evchi] evidenzia al n1argi11e.
Le relazioni «ad Limùw» della diocesi di Catania
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spes certa arridet eas quantocius restauratum iri, ut in progra1n1nate studiorum nuper edito videre est. XV. Quaeritur quinan1 sint clericoru1n saeculariu1n 1nores? «Sicut popolus - ait propheta - sic sacerdos» ( Os 4, 9}. Atta men Dea gratiae habendae, in n1ultis est inediocritas, in paucis bonitas, in nonnullis iniquitas cui facilius coercendae nullu1n hisce temporibus remedium efficacius inventum est, a regnante Summa Pontifice commcndatum in enciclica 9 novembris 1846, guarn longanirnitas cum Ienitate non ren1issa, prout in dies non rari eventus probaverc
[240v]. De quarto capite ali cleruni regulareni pertinente Hac de re, cu1n regulares 0111nes cxtraclaustra ob suppressionis lege1n, nunc aevi degant, perpauca digna sunt observatu: scilicct nonnullos ex illis lubriciori via ad n1alun1 properare non sine ex1gua spe correclionis, cun1 temporis freti nequitia, potestaten1 in illos a sacris canonibus Ordinario quo1nodocun1que1.19 tributa1n non n1agn1 pendere videanlur. Quan1obrcn1 fas erit in reguiares precipue ani1nun1 intendere qui curan1 an1n1arun1 alicubi 111 hac archidioecesi exercuerint.
De quinlo capite ad 111011ia/es pertinente De monialium numero paulo superius sermo factus est (cap. I, n. VIII); cui nunc seguenti a addenda sunt. Lex 1·10 de confessario extraordinario bis vel ter in anno rnonialibus offerendo heic pene exolevit 141 , singulis fcre 1nonialibus confessario per decessores nostros concesso, et per ipsos o b 142 idoneoru1n sacerdotun1 defectu1n ve! per Sacra1n Congregatione1n ultra trienniun1 confirn1ato. Disciplina etian1 circa vitam communcn1 aliquantulun1 collapsa inventa est 14 -'. Quae abusiones et aliac circa 1nonialiu1n 1nunuscula confessariis dari solita,
IY> quon1docun1que] quon1odoru1nque. 140 Lex] prilna legern poi corregge.
141 1nonialibus - cxolcvit] ei 1idenzJa al 111argi11e. ob] ab. 14-1 vitan1 - est] eFidenz.ia al 111argi11e.
142
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si guae irrepserint, ut pene [241 r] delercntur pro viri bus per opportuna edicta provĂŹdi. Clausura omnino custoditur. Redditus ob suppressionis legcm nulli sunt. Quae curn ita sint sperandurn est fare ut sancti1noniales feminae adhuc in clausura degentes n1agis ac magis religiosae vitae studeant, quo facilius digne haberi possunt guae in novas religiosoru1n phalanges cooptentur a Sanctissimo Supre1no Capite Pontifici rnaxirno non rnultos post annos congregandas. Videtur enim expedire, ni specie recti decipi1nur, ut, 1nonialibus antiquis religiosae vitae institutis ab Ecclesia approbatis, personae innoventur potius quam novae tu1n 1nulieru1n tu1n virorun1 congregationes eunde1n propc finem habcntes constituuantuur ac efforn1entur; ne radicitus hac in parte Ecclesiae spiritus inutari censeatur, neve piissimi ac celeberrin1i religiosorun1 ordinun1 fundatores optirne de Ecclesia degne civili societate meriti, vulgo parvi pendi incipiant. \Terun1ta1nen omnibus con1pertun1 est aliquid in religiosis institutis pro ternporurn congruentis addendurn esse, quorum finis non an1plius sustinelur.
De sexto re!ationis capite sen1i11ariunt respiciente De clericorurn seminario aliquid supra dicturn est, nonnihil la1nen hic acldendun1. Alumni sunt in eo bis centun1 et viginti, qui in pietate et 01nnibus a Tridentino praescriptis necnon et aliis disciplinis [241 v] eruditi (prout in citato programmate videre licet, quod iuxta duas, scii icct T' et 8' ex guestionibus a Sancta Sede propositis exaratum est) festis autern diebus cathedrali et aliis, ubi opus fuerit, rninoribus inservire ecclesiis iubenlur. Ordinarius cu1n consilio duorum canonicorun1 senioru1n ad rnentern Tridentinac Synodi seminario visitando dat opcrarn ut ibi per on1nia bonun1 regin1en habeatur utgue con.stitutiones propr1ae aclirnpleantur. Ad trarnitem ipsiusrnet Concilii idern Archiepiscopus cu1n guatuor deputalorun1 consilio ad1ninistralionen1 advigilat cuius exactionc1n penes se retinet, et in qua nihil de statuta taxa n1e1noratu dignu1n occurrit, cum illa n1ultis abhinc annis cu1n omnibus se1ninarii rcdditibus confusa, ut diximus, non amplius dignosci potcst qualis ab incepto processerit.
Le relazioni ÂŤad liminaÂť della diocesi
,i;
Catania
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Caeternm Sacram Congregationem Concilii minime late! magna quaestio quam audacter hucusque fovet praesbyter quidam eiusdem seminarii iam rector ut de gestione sua (quidam autumant) perfectam reddituum rationem penitus effugiat.
De septilno ca11ite ad ecclesias, CO!{fraternitates ac loca jJia pertinente In omnibus sacristiis, quantum sapio, exposita est tabella onerum Missarum el anniversarium ad mentem decreti Urbani VIII, quibus oneribus ut tulius satisfierel, in sacrae visitationis discursu per edictum provisum est [242r]. Auctoritate polleo fere nulla wper confraternitatcs, scholas, hospitalia aliaque pia opera quorum reddituum ratio, si qui supersint, non n1ihi iuxta Tridentini decreturn, vcru1n cuidatn laicoru1n consessui, vulgo De11utazione provinciale quotannis exibctur. Nihilo1ninus novae nunc te1nporis confraternitates instituuntur alieni civilis societatis ve! Ecclesiae bono prospicientes. Quas inter, ut 1nnuin1us, congregatio pro lu1ninibus caelerisque necessariis in expositione 40 horaru1n augendis inerito annu1neratur; necnon spes affulget forc ut aliud sodalitiu1n iamian1 appareat cuius niaxi1ne referat servos heri expertos suslentare atque pro iis apud heros spandere, dun1111odo hi a tali congregatione novu1n servum petant dc cuius christiana bonitate non an1bigitur. Nonne poterit exinde opportunu1n orir1 re1nediu1n inalis pennultis a domestico famulato provenientibus, quem familiis catholicis praeslant personae ve! sectis proscriptis aut heresi addictae, vel saltem turpiter viventes? Ad 1nontcn1 vero quod attinet pietatis, scio redditus eius 1nini1ne n1inistrorun1 sustentationi aliisque neces5;ariis expensis superabundare; et foenus 5% habita S. Sedis venia exigi ab eo qui pecunia carens, ean1 illuc veniat petitum [242v].
/)e octavo re/otionis capite oc! po11ulun1 pertinente Anin1advertendu1n est istius1nodi esse te1npus praesens in quo, si fieri posset, etiam electi in errorem inducerentur {cfr. Mt 24, 24): atta1nen coelestis agricola, cuius ventilab1un1 est in 1nanu sua, scgregat frumentum a paleis {cfr. Mt 3, I 2}.
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Mirum igitur esse non debet si corrupti videantur populi mores; secl spes arridet eos Dei gratia Santaeque Sedis melligena benignitate ac pruclentia correctum iri. Qua de re nihil occurril postulanclum praeter ea quae in antecessum, divina aspirante gratia, ipsa Suprema Secles septemdecim quaestionibus annuntiavit ac proposuit per Sacram Concilii Congregationem in mense iunio anni 1867. Quas inter notandae !", i 3' et 4' quibus heic respondendum est, cu1n satis per praedicta caeteris factum sit.
!''.
Iuxta v1res ac temporum vicissitudines canon1cae praescriptiones accurate servantur quibus 01nnino interdicitur quominus hacrctici vel schisinatici in administratione baptis1ni patrini munere fungantur. Arcentur enim dulciori modo quo quis potest genitores ab huius1nodi con1patribus habendis, et circa id ecclesiastica auctoritas voti con1pos per saepe afficitur. Quoad vero dubiae fa1nae personas quarum nequilia ve! incredulitas aligua potest tergĂŹversatione celari, per 1ninistru1n aliud agcrc non valentem, prout prudentia suggesserit, sacramentorum dignitati consulenclum est [243r]. 2". Super status sponsorum libertate pro 1natri1noniis contrahendis iudiciun1 heic Vicario Generali tanquan1 magnae curiae capili reservatur et 01nnia pio n1atrimonio contrahendo peraguntur, habita praesertim prae oculis instructione, die 21 augusti 1670 sanctae n1en1oriae Cle1nentis X auctoritate edita. Quae si adan1ussin1 ubique executioni 1nandatur, abundc ad re1n sufficere videtur. 3'. Aci impedienda mala ex civili, quod appellant, matrimonio provenientia, praeservationis, si quae sint, remedia adhiberi possunt, vcluti fideles monendo ne civilis actus ab ecclesiastico seiungatur, et censuras, ubi opus fuerit, 1ninitando. Verumla1nen, 111atri1nonio civilitcr conlracto, si civilium coniugun1 pars altera recedens ad alias nuptias corani Ecclesia transire audeat, tanto facinori occurrcndi ergo aliquot oriuntur quaestiones, quac hic hu1niliter exponuntur. Potestne hoc in casu 1natrin1oniun1 praesun1i contractun1, habita ian1 copula post sponsalia de futuro, prout Ecclcsiae usus ante Conciliun1 Tridentinum ferebat? Auctoritate Ecclesiae Ro1nanae, doctrina in suo robore n1anente super necessitale parochi 111atrin1onio
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assislenlis, potestne casus huiusmodi tolerari velut exceptio legis a Tridentino latae contra clandeslinitalem, eo modo quo Ecclesia erga graecos in causa divortii se gessit? Etsi cnirn turpis cum esset contractus mere cilivilis in fideliun1 coniugiis, nihil pariat iuris, lamen quaeritur an 1nutua pron1issio partiu111 dc contrahendo matrin1onio habita ante [243v] civilern solemnilalem ulla sponsaliurn vi expers iugiter cxistimanda sit, necne? 4". Matritnonia vere mixta raro apud nos oblinent fideles en11n catholici ab huius1nodi connubiis abhorrent. Potius vere non infrequens est talia celebrari matrimonia quoru1n pars altera contrahens, si non est catholica, tan1cn secretis tenebricosisquc societatibus cu1n nomen dederit, confessionis ac Eucharistiae sacra1ncnta effugere censetur. Quae con1ug1a, utpote salte111 materialiter mixta, ad inaiora vitanda 111ala vespertinis horis absquc solernni benedictione celebranda expedirc videntur. Caeterurn Supre1nae Apostolicae Sedi iudicìun1 quoacl omnia reservetur, nobis 1n obedientia confcssionis nostrae Deum glorificantibus.
De nono sive ultilno relationis capite ad «fJOstulata» JJertinente Praeter ea quac dixi quìbus etiam septemdecim quaestionibus a Sancta Sede Episcoporurn cetui propositis obiter respondi, pro huiuscc Ecclesiae regi1nine quaedan1 ren1anent postulata facienda) videlicet circa 1noniales hactenus intra secta 111onasteriorum degentes et circa sacrac confinnationis adrninistrationen1. Quaeritur l 0 : non obstante suppressionis Jege in foro civili, possuntne, con1positis circa ali1nenta negoliis, adn1itti puellae reclusae ad religionis habitu1n el n1oniales ad solen1nen1 profcssionen1 pro eoruin successione pron1ovenda? Quacritur 2°: cum sacra1nenti confir111ationis ad1ni- [244r] nistratio n1ultu111 adin1at te1nporis caeteris pastoralibus negotiis, expeditne per Sanctarn Suprema Sedem Archiepiscopo dari ad triennium potestas illius sacran1enti adn1inistrationen1 alieni sacerdoti cornmitlendi in ecclesiastica dignitale constiluto? Haec iuxta vires ac te1npus vidi ac speculatus sum in hac 111istici grcgis parli in qua posuit me indignurn Spiritus Sanctus regcre
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Ecclesiam Dei, ut providerem non coacte sed spontanee {efr. I Pt 5, 2). Quae duo extrema Prineipis Apostolornm verba digna duxi mcrnorata, quaeque prae oeulis mmc praesertim aevitatis habenda sint. Enirn vero potens quamquarn sit Dorninus cui nullus resistere valeat {cfr. 2 Cr 6} et apud quem non sit impossibile ornne verburn {efr. Le I, 37), attamen cuneta forliter suaviterque dispones {efr. Sap 8, I } nunc in dulcedine, nunc in paterna asperitate, semper auten1
in
fortitudine, congruis temporibus abundat. Haec fuit in causa cur ego paucis hucusque gregis mei maculis non offensus, agnos a lupo arcere et a vepribus extractos quo eundurn non qua itur conducere putavi, ac totis viribus enixus su1n. Sic me Deus adiuvet quen1adn1odu1n, in sua 1nisericordia confisus, hactenus on1ne punclu1n tulisse n1ihin1etipsi visus sin1;
ideoque spero fare ul in posternm luto gradu a Sacri Pastoris cursu non aborrc1n, quini mino gressus n1ei in sen1ita sua pcrficiantur { cfr. Sai l 7, 5}. Deus est charitas { I Io 4, 8), quapropter roga bo Patrcm ut rnihi eam largiri [244v] dignetur; qua lorica indutus (cfr. I Ts 5, 8) pauilatin1 on1nia vincere possin1 alque in Deo n1eo transgredi n1u1Trn1 {cfr. 2 Sarn 22, 30}. Cuius rei gratia facilius obtinendae
ante Sacra Sanctorun1
Aposlolorurn Limina in genua provolulus, dum haec humiliter expono a Supremo 01nnium Pastore Apostolicam Benedictionen1 in1petranda111 itcrun1 atque iterun1 concupisco.
Catinae, XVlll kalendas septernbris MDCCCLXIX. loseph Benedictus, Archiepiscopus Cataniensis.
*** [245r] Archicpiscopo Catanen. Perlibenler a S. Congregationc Tridentinis legibus tuendis addicta exceptae sunt literae quibus Amplitudo Tua Catanensis
Le relazioni ÂŤall litninaÂť della l!t'ocesi di Catania
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Ecclesiae statum et conditionem dccimoctavo kalendas proxime supcrioris septembris exhibuit. Admissae vero sunt eae literae tam pro triennis anteactis, quam pro dccurrenti nonagesimoquinto, quod d ie 20 deccmbris 1870 explicit. Habe nunc [245v] guae Eminentissimis Patribus eas diligenter expendentibus, animadvertenda sese obtulerunt. Dolent 1mprnnis tecum miseram cladem, quam sacrum patrimonium, religiosi ordines Ecclesiae guae iura subiere. At tu Dei 1nisericordia fretus ne paliare, animum tuu1n hisce cahnitatibus obrui, scd quo graviora inlata sunt damna, eo acrius ad ea reparanda omnes caritatis et industriae nervos intendcs, accitis [246r] in huiusmodi instaurationis opus omnibus tan1 ex clero quan1 ex laicatu viris, qui et ingenio et voluntate et operibus pluris esse videantur. Nequc vero frustra id se E1ninentissimi Patres a 1''e expectare putant, cuius episcopalem animum et excolendi grcgis studium perspectum faciunt residentiae lex religiose servata, dioecesis perlustrati o diligenter obita, verbum Dei [246v] crebris concioni bus populo annuntiatu1n et quaecun1que sunl boni pastoris propria solerter adn1inistrata. In his duo praccipue eisde1n placuerc: pri1num, quod sacras literas singulis hebdomadis populo explanandas pluribus in ecclcsiis curaveris; conciones vero ipsas ita aptari volueris, ut tcmporum hominumguc necessilatibus responderent. Alterum, quod scrotinas scholas adolesccn- [247r] tulis sub cleri ductu instituendis aperuens, in quibus non dubitatur qu1n chrislianae cathechesi potioren1 partc1n tribueris, in idquc praecipuu111 studiun1 collocaveris, ut pueri contra grassantes errores mature ac sedulo lnuniantur, utque laqueis tenebricosartnn sectaru111 cavendis instruanlur. Cun1 diocccsanae !eges ultima synodo dictae partin1 111 desuetudinem abierint, parti111 te1nporun1 ncccssitatibus [247v] non sint an1plius accon1111odatae. Tute vides qua1n opportunu1n sit, novas synodales Jeges condere, ut ingruentibus necessitatibus occurralur. Veruni si ad n1eliora tempora huiusn1odi opus differre prudentiae tuae videalur, supplere interim poteris iis rationibus, quas Benedictus XIV, De Synodo dioecesana, lib. I, cap. 2, n. S proponit. Nihil vero utilius hanc in rem expcrire, quam clerum universum adquiri [248r] spiritualia exercitia advocare, praesertin1 vero eos qui ve! curam gerunt
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ani1na1urn, vel confessarii munere funguntur, vel rem1ss1us quomodolibet vivere videantur. Neque vero dubitandum, quin ista etiam in insula, si prudens ab Episcopis constantia perpetuo adhibeatur, ea impedimenta quae ecclesiasticae iurisdictioni adhuc obsistcre 14•1 deploras quaeque innumera Ecclesiac mala pepererunt, Dco irnprimis ac Deipara [248r] faventibus, sinl tandem aliquando superanda. Bene fecisti, quod ad chorale servitium accuratius exigendum, opportuna 1nonita typis edenda curaveris. Licet non sine laetilia Eminentissi1ni Patres audierint, deputatos a Te fuisse idoneos ecclesiasticos, qui S. Scripturam populo explicent, et 01nnes canonicos n1etropolitanae ecclesiac confessionibus excipiendis operam navare, alque ita theologi el poenitcntiarii rnuneribus satisfacturn quodam- [249r] modo videri, nihilominus Te vehemcntcr hortantur, ut guae Tridentini patrcs, sess. 5, cap. I et sess. 24, cap. 8 de ref, dc utraguc praebenda decreverunt, guaegue Benedictus XIII sua constitutionc guae incipit Pastorolis ojj;cii pro tota Italia et insulis aciiacentibus sanxit, ea ubi prin1un1 per te1npora ìicueril, cxcculioni demandes. Quae de parochiis islius dioecesis refers, gravissimi 1no1nenti visa sunt, nec quidguam circa [249v] illas in praesens Eminentissimi Patres statuendu1n esse censent; scd cu1n laetiora Ecclcsiac tempora affulscrint, tun1 plena1n poteris de illaru1n natura, conditione, rcditibus, aliisguc ad rem facientibus, notitiam S. Congregalioni cxhibcrc, ut ipsa, guae in l)o1ni110 1nagis expedirc iudicaverit, seria et accurata deliberatione, prachabito aniini tui vòto, et auditis 01nnibus iis guorun1 intcrcst, dcccrnat. Quae statuit Tridentina Synoclus, sess. 23, cap. 16 [250r], de ref:, ad cocrccndos eos sacerdotes, qui inconsulto Episcopo Ecclesia1n deserunt, pro cuius ulilitate ve! necessitate ordinati sunt, quoadusgue Snpremae Ecclesiae Auctoritati aliter visu1n non fuerit, religiose servanda erunt. Circa nu1neru1n vero eornn1 qui sacris initiandi sint, tuu1n prudens iudiciu1n esto, cui singularun1 dioecesis ccclesiarun1
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obsistere - ] prÌl11t1 scriFe obslitcrunl cl poi corregge.
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necessitates prout et reditus cogniti esse debent. Ceterum optimum profecto esset ut ab aliquibus piis fundatoribus [250v] quaedarn sacra patrin1onia instituerentur, ea adiecta conditione, ut qui propriam Ecclesiam desereret, ea stati1n amitteret; guae certe patri1nonia S. haec Congregatio prouti fecit in causa Montispolitiani JJllfrùnonii sacri, 21 iulii 1821, quac a Te allegatur, auctoritatc sua roboraret. Quod ais, parochos de inducenda nova cathechesis tradendae ratione cogitare, qua facilius puerilis aetas fidci rudi1nentis i1nbui possit, id non nisi sub tuis auspiciis [251 r] et post agnitam a Te planeque perspectam rei utilitatem factum iri confidunt Eminentissimi Patres, tibiquc auctores sunt, ut in hanc re1n prae oculis habeas guae Benedictus XIV, lnstitutiones ecclesiasticae, 9, docuit, quaeque 111 sua constitutione guae incipit Etsi 11zh-1ùne statuit. Missan1 pro populo ab ani1naru1n curatoribus non solun1 iis diebus feslis, qui de praecepto nuncupantur, sed iis etia111 qui suppressi audiunt, applicari pro certo habetur, iuxta encyclicas literas Ss.mi domini nostri [251 v] qua e incipiunt A man tissimi Redemptoris. Quod ad cleri culturam provehendam sacerdotales conventus quaestionibus n1oralibus ac liturgicis enuncleandis instaurari iusseris, id recte factum est. Restat nunc, ut quod iussisti, id ea, quo plurimum vales industria exequendum cures. De iis regularibus, qui post m1quam suppress10111s lege, effraene1n vitam traducunt, Iicet corun1 resipiscentia pene desperata videatur, non tarnen omnem curarn abiicere, sed vestigia [252r] sequutus supremi Pastoris, qui venit quaerere et salvum facere quod perierat ( cfr. Le 19, IO], nullam occasionem praeterlabi sines, ut eos ad bonan1 frugem revoces. Id ipsun1 dictu1n volunt E1ninentissimi Patres de sacerdotibus saecularibus, si qui sint, qui eandem perditionis viam calcant. Bene est, qua abusus, qui in sacrarun1 virginun1 asceteriis invaluerunt, convellendos curaveris. Circa confessarios vero s1ve ordinarios sive extraordinarios, cun1 agatur [252v] de gravissin10 disciplinae capite, ornnem a Te diligentiam adhibendam esse confidit S. Congregatio, ut guae sacri canones, quaeque praesertim Benedictus XIV sua constitutione Pastoralis curae sanxerunt, ea adamussim servanda iubeas.
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Cura quam de Seminario naviter geris, facit ut Eminentissimi Patres mm1me necessanum ducant tibi illud pluribus vcrbis commendare. Probe enim per Te nosti populi religionem a sacerdotum scientia ac [253r] sanctitate maxime pendere: hos vero nonnisi ex optin1a seminarii disciplina et institutione expectari posse: ad quam proinde assequendam, nunquam Episcopi se nimios labores nimiamque industriam impendisse dolebunt. Ad populi religionem ac pietatem fovendam optimo sane consilio novas sodalitates praesentibus necessitatibus respondentes inducendas curas. Ut autem vigilias [253v] nostis super gregem tuum, sicut bonun1 decet pastorem, custodias, tuun1 erit idcntiden1 sive verbo sive scripto illa errorum monstra ei fugiendo proponere, quae Ss.rnus dominus noster suis encyclicis literis Quanta cura adnexoque Syllabo 145 [254r] confixit 146 â&#x20AC;˘ Quae respiciunt quaestiones a S. Sede omnibus Episcopis propositas atquc in Oecumenica Synodo agitandas, ea e tuis literis excepta sunt, ut in augustis illis comitiis eorum ratio habeatur [254v]. Ad postulata quod attinet, primum quod est de admittendis puellis ad religiosarn professionem ad S. Congregationem Episcoporum et Regulariurn, alterurn quod agit de deleganda alicui sirnplici sacerdoti potestate conferendi sacramenturn confirrnationis, ad Suprernarn Congregationern S. Offici i, cuius est ea de re iudicare, deferre poteris. Haec tibi S. Congregationis [255r] nornme a me erant respondenda. Nunc vero 111ihi pergraturn est i1npensum 1neu1n studiun1 polliceri An1plitudini Tuae cui fausta quaeque ac salutaria precor a Don1ino.
145 Sy!labo] scrh'e tun1 sole1nniter poi esp1111ge. l.J 6 conficit] scrive Tu1n vero cu1n Dei miserantis auxilio absolutun1 fuerit, quod rnodo in Vaticana 13asilica cclcbratur, Occun1enicun1 Conciliu111, ad spirituale1n fidcliun1 utilitatctn, 1norun1 corrcptionc1n cl fidei incren1entun1 eius canones ac decreta adamussi1n custodiri atque observari n1andabis poi espunge.
/_,e relazioni «acl lùnina» della diocesi di Catania
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XLIII [263r] Rc!atio slalus Ecclcsiac Cataniensis.
Ego subscriptus Dei et Apostolicae Sedis gratia Archiepiscopus Cataniensis, Summorum Pontificum et praesertim Sixti V mandatis obten1perans, hoc anno ab Incarnatione Domini millesimo octingentesimo septuagesimo tertio, ad Apostolicam Cathedram omnium ecclesiaruin Caput et Magistram, secundam de huius dioecesis statu relationem humillime transmitto. Visitationem praedictae dioecesis ab anno 1871 iterum inchoata1n pene 01nnem perfeci 147 , Catana ne1npe ac aliis quatuordecim inferioribus civitatibus perlustratis. Ad alias quae supersunt octo quain cito pergatn, statim ac nonnullas inagni ponderis Iites, quas pro ecclesiaruin ac huius n1ensae bonis contra gubernii n1inistros, nullis parcens sumptibus, intendi, quaeque me in urbe necessario per tres quatuorve n1enses dimorabuntur 148 , ad fine1n perduxerim. Ad has allamen octo meae dioecesis civitates quae utilia duxi huius S. Visitationis decreta iatn trans1nittere curavi, mea post1nodu1n praesentia qua1n prin1um confirn1anda. Quae in praecedenti 1nea relatione, iuxta S. Congregationis instructionen1, per distincta capita exposui, supervacaneu1n arbitrar iterare. Quae vero de novo adnotanda reperi, eodem servato ordine, compendiose referan1. Cataniensis Archidioecesis post erectionem novae dioecesis Acis Regalis vigintitres cornplectitur communitates, sex namque videlicet Acis Regalis, Acis Castelli, Acis S. Antonii, Acis Catenae, Aci S. Philippi et [263v] Acis Bonaccursi pertinent ad praediclam novarn dioecesi1n. Collegiatas non duodecirn sed eadem de causa nunc habet octo, quatuor sublatis videlicet: Acis Regalis, Acis Catenae, Acis S. Luciae et
147 148
inchoatain - perfeci] evidenzia al 111argi11e. per - de1norabunturl evidenzia al 111argi11e.
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Adolfo Lo11ghita110
Acis S. Philippi. Vindicatis magna ex parte ab iniusta occupatione, ul aiunt, demaniali bonis collegiatarum Catanae, Paternionis, 1-ladrani, Pulchri Passus, Nicolosi ac Triumcastanearum, ad carum capilula reconstituenda enixe incubui, et parlim opus hoc feliciter iam absolvi, quamvis inter canonicos Paternionensis collcgiatae insidioso ac inalo ani1no repugnantem invenerim. Extant, prout affirmant, apud ista1n
Sacram Congregationem scripta guaedam praedicti canonici, probro et 1nendacio maxi1ne praeslanlia, in Archiepiscopum Cataniensem quasi
in usurpatorem bonorum ecclesiae Paternionis. Nondum de hac molestia praedicto S. Ordini relationem obtuli, adhuc spem habens charitate et patientia reluctantem illum, qui pro suis viribus 1neis
obsistcre voluntatibus conatur, ad veritatem et obcdientiam adducere. Quae in praecedenti relatione cap. VII humiliter protuli circa vicarios foraneos qui, multis abhinc saeculis, in singulis inferioribus civitatibus praesentis huius dioecesis (de aliis nan1que successive ereptis et novis dioecesibus aggregatis non est hic locus) tamguam viceparochi ad nutum amovibiles, pene nullibi ab immemorabili existentibus veris parochis, necessariuin puto iterun1 isti S. Ordini submittere. Mirabiles etenim ex hac speciali et antiguissima constitutione huic dioecesi utilitates praeberi magnumgue bonum ex ca bisce praesertim temporibus affluere in lemporalibus et spiritualibus, experientia compertum est [264r]. Nulla namgue ve! mini1na civili gubernio hic datur occasio parochoru1n electioni ac institutioni se in11niscendi, 01nnis economatui, ut vocant, aufertur aditus ad ad1ninislrationen1 bonoru1n parochiarutn vacantiu1n capessendatn; ma1or Ordinario a praepositis curae annnarun1
obedientia praestatur, sicgue facillime in singulis civitatibus orda ac disciplina servantur. Sanctin1onialiu1n 1nonasteria adhuc tres in dioccesi (quartun1 namque de quo in praecedenti relatione feci verba nunc ad Iacensetn
dioccesim perlinet) guingue in urbe habenlur, cum nulla eorum sese abhinc annis deploretur violenta occupatio. Nonnulla vero ex collegiis sub titulo S. Mariae, guae, ut in praecedenli relatione exponebam, nefastum suppress10111s sidus effugerant, ad exlremum paene
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discrin1en perducta sunt nec facile potcrunt novatoru1n insidias effugere. Clericorum seminariu1n in quo centum et sexaginta 1uvencs aluntur (in praecedenti relalione plus quam bis centum recensiti inveniuntur, sed nonduin nova Acis Regalis dioecesis erecta fuerat) nullam hactenus passum est quoad disciplinam et instructionem a gubernio civili contradictionem, ac piena libertate, Deo favente, fruitur. Quae in secundo capite praecedentis relationis exposu1 circa meae residentiae praeceptu111, confinnationis adn1inistrationen1, synodum dioecesanan1, archiepiscopalem cancelleriam et coen1eteria, nunc iterum affirmo. Ordinatio sacroru1n 111inistroru1n quolibet anno habila est et saepe bis in anno [264v]. Ite1n dicendum est de tertio relationis capite ad clerun1 saecularem de quarto ad regularcm, de quinto ad moniales, de sexto ad seminarium ac de septimo ad fraternitates pertinentibus. Ad capitula collegiatarum quod attinet nihil praetennisi, prouti supra dicturn est, ut, non obstante iniqua lege suppressionis, vitan1 habeant et ecclesiae deserviant. Ideoque in inultis capitulis ad novas canonicorun1 electioncs ia1n feliciter deventu111 est, et nunc ad alia quan1 pri111un1 provvidenda maximopere studeo. Circa caput octavu111 ad populu111 pertinens nonnulla guae tunc huic S. Ordini exposui postulata repetere minin1e necessariu111 puto. Inter varia pietatis opera quae inter plebe1n 1neae curae co1nm1ssa1n vidcntur· feliciter in dies adaugeri quinque recenscnda existi1110. I 0 • Aposlolatus orationis, quo Sacri Cordis Iesu Christi cultus pro viribus firmatur et crescit, cuique plusguam vigintimilia fidelium nomen dederunt.
2°. Opus de propaganda fide quae 1na1ores prae aliis Siciliae diocccsibus collectas quolannis affert. 3°. Tertius franciscanorun1 ardo de paenitentia, cui pluri1ni singulis civitatibus sunt adscripti in bonis operibus perseverantes.
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4째. Congregationes pucrorum nuper in tota dioecesi institutae
sub protetione Divi Aloysii. 5째. Circulum, ut aiunt, SS. Yirginis Septem Dolorum, qui multos nun1erat socios.
Maximam autem Cataniensium pietatem erga cui- [265r] tum Dei et ecclesiarun1 conservationem haud praetereundurn censeo cun1 non solun1 nulla reperiatur in tota dioecesi ecclesia divino cultui erepta
et clausa, omnes immo splendent nova, multa et sancta supellectili, sed duo in civitate tempia a fundamentis mmc eriguntur, unum (spatiosum et dccorum) B. V. de "la Salette", alterum B. M. V. sub titulo "della Guardia" sacrata.
Nullam puto pro mearum infirmitatc virium praetermisissc occasione1n servandi, augendi ac clefendcndi Ecclcsiam et oves n1ihi
creditas difficillirnis hisce temporibus. Sic Deus sua gratia me adiuvet, ne in posteru1n defician1. Ad
ipsa1n
vero
conscqucnda1n
ante
Sacra
Sanctoru1n
Apostolorum Lirnina in gcnua provolutus, durn haec hurniliter expono a Supre1no on1niu1n Pastore Apostolican1 Bendectione1n suppliciter
impetro. Daturn Catanae, kalcndis Decembris anno 1873. Hurnillimus, addictissirnus
+ Ioseph Benedictus, Archiepiscopus Catanien.
*** [266r] Archiepiscopo Catanen. 12 rnaii 1875 S. Congregatio Concilii Tridentini Fuit responsum.
Le relazioni «ad limi11a» della diocesi di Catania
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Perlibenter a S. Congregatione Tridentinis legibus tuendis addicta exceptae sunt literae, quibus ab Amplitudine Tua Catanensis Ecc!esiac status et conditio secundo describitur, admissaeque sunt pro triennio 96, quod die 20 decembris 1873 expiravit. Habe mmc quae Eminentissimi Patres, tum has turn superiorcs literas tuas expendentes animadvertenda censuerunt. Qua1nvis dolenda maxin1e sit clades quain sacrum patri1noniun1, religiosi ordines et Ecclesiae iura subiere, laetati ta1nen sunt Te acrius damnis reparandis incubuisse, quo graviora illa visa sunt, 1nultaque Ecclesiae iura 1·19 ian1 csse 150 vindicata, vel qua1n pri1num a te esse vindicanda 151 • Iliud ctiam 1nirandum visun1 fuil, miseris hisce temporibus non solum nihil istic desiderari, quod ad divini [266v] cultus decorem spectet, sed nova etiam tempia a fundamentis erigi, populun1que tuu1n, Te hortatorc et auspice, surnptibus non parcere, ut bona opera provehantur. Episcopalen1 vero ani1nu1n tuum, studiu1nque excolendi gregis, qui Spiritus Sancti nutu Tibi obtigit, perspectum faciunt rcsidentiae !ex religiose servata, dioecesis diligenter iterumquc perlustrata, vcrbunì Dci crcbro sive per Te sive per idoneos precones annuntiatun1. Placuit etiam, quod sacras literas singulis hebdomadis explanandas pluribus in ccc1esiis curaveris; conciones vero ipsas te1nporu1n hominun1quc necessitatibus aptari volueris. Serotinas scholas sub cleri ductu institutas uberes benedictionis fructus daturas speratur [267r], si praesertim christianae catechesi potior pars tributa fecerit, et pueri de erroribus vitiisque, quae magis hodie grassantur et tenebricosarum sectaru1n laqueis cavendis accurate prae1noneantur. Cum dioecesanac leges ultima synodo dictae partim 111 desuetudinem abierint, partim ternporum necessitatibus non sint amplius accomodatae, Tute vides quam opportunurn foret novas synodales leges condere. Verum si Tibi ad meliora tempora huiusmodi opus differre prudens videatur, interim supplere poteris iis
149 iura] scrive ve! poi espunge. 15o ian1 esse] aggiunge al 1nargi11e. 51 1 vindicanda] scrive a Te esse poi espunge.
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rationibus quas Benedictus XIV, De Synodo dioecesana, lib. I, cap. 2, n. 5, proponit. Optimam vero Tibi occasionen1 ad opportuna 1nonita, guae synodi loco sinl, clero tradenda praebcbunt spiritualia exercitia. Quae cum incredibile [267v] sit quantopere conducant ad cleri morcs emendandos, sperant Eminentissimi Patrcs Te inter cetera, quae in istius dioecesis bonun1 instituisli, huius1nodi etian1 sacros recessus esse inducturun1 ad quos universus clerus cerlis redcuntibus ten1poribus, stabili ratione, licet alternis vicibus, ne cura ani1narun1 detrin1entun1 patiatur, advocetur. Monita quae ad chorale servitiu1n accuratius praestandun1 typis edenda curasti, felicem exitum habitura esse speratur. Licet non sine laetitia, ut supra dictum est, Eminentissimi Patres audieri'nt, deputatos a Te fuisse ecclesiasticos viros, qui Sacran1 Scripturan1 populo explicent, et 1nsuper 01nnes canon1cos inetropolitanae ecclesiae confessionibus excipien~is operan1 navare, atquc ita theologi et poenitentiarii muneri- [268r] bus satisfacturn quodan11nodo videri, nihilominus Te vehen1enter hortantur, ut quae Tridentini Patres, sess. 5, cap. I el sess. 24 cap. 8, de ref, de utraque praebenda decreverunt, quaequc Benedictus XIII sua constitutione quae incipit Pastorali.i路 officii pro tota Italia et insulis adiaeentibus sanxil, ea ubi primu1n per tempora licueril, executioni den1andes. Si 1nodus, quo anin1a111n1 cura islic inslituta est, n1agnas hiscc praesertim temporibus Eeclesiac utilitates afferl, nihil interim immutandum est. Si quid vero ab ecclesiasticis legibus abnorme videatur, opportuno tempore huic S. Congregationi deferre poleris. Quae statuit Tridentina Synodus, sess. 23, cap. 16, de re/, ad coercendos eos sacerdotes, qui inconsulto Episcopo Ecclesiam deserunt, pro cuius utili tate [268v] ve! necessitate ordinati sunt, eo quoadusque Supren1ac Ecclesiae auctoritati aliter visu1n 152 fuerit, religiose, uti vides, servanda sunt. Circa numeru1n vero eorun1, qui sacris initiandi sunt, tuum prudens iudiciun1 esto, cui singularu1n dioecesis ecclesian1m necessilates, prout et reditus cognili esse debent. Ceterum optimum profeeto esset, ut ab aliquibus piis fundatoribus
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visurn] scrh1e non poi espu!lf;e.
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sacra patri1nonia instituerentur, ea adiecta conditione, ut qui propr1am ecclesian1 desereret, ea stati1n amitteret; guae certe patritnonia haec S. Congregatio prout fecit in causa Montispolitiani patri111011ii sacri, 21 iul. 1821, quae a Te allegatur, auctoritate sua roborarct. Quod ais parochos de induccnda nova catechesis tradendae [269r] ratione cogitare, gua facilius puerilis aelas fidei rudirnentis in1bui possit, id non nisi sub tuis auspiciis, et post agnitan1 a Te planegue perspectarn rei utilitatern factum iri confidunt Eminentissimi Patres, Tibique auctores sunt, ut in hanc ren1 prae oculis habeas quae Benedictus XIV, lnstitutiones Ecclesiasticae, 9, docuit, quaeque in sua constitutione apostolica incipiente Etsi 111i11hne statuit. Missan1 pro populo ab animarun1 curatoribus non solu1n diebus festis qui a<lhuc de praccepto servantur, sed iis etia1n qui e festorun1 albo dispuncti sunt, adplicari pro certo habetur iuxta encyclicas literas Ss.mi don1ini nostri, clie 3 n1aii 1858 datas, quac incipiunt An1a11tissh11i
Redemploris. Quod ad cleri culturam provehendam sacerdotales conventus [269v] questionibus moralibus ac liturgicis enucleandis instaurari iusseris id rccte factun1 esl. Magno Tibi in hanc ren1 adiun1cnto erunt quae a Benedicto XIV, lns/itu/iones Ecciesiaslicae, 32, 102 el 103 traduntur. De iis regularibus, qui post iniqua1n suppressionis legetn effrene1n vita111 ducunt, licct dc coru1n resipiscentia pene despcrandun1 esse videatur, noli tainen on1ne1n curan1 abiicere, sed vestigia scquutus Divini 153 Pastoris, qui venit quaerere et salv11111 facere quod perierat {cfr. Le 19, 10}, nul!an1 occasione1n practcrlabi sinas, ut eos ad bonan1 frugen1 revoces. Id ipsurn dict11n1 volunt En1inentissin1i Patres dc sacerdotibus saecularibus qui ea111den1 perclitionis via1n calcant si qui sint. Bene est, quod abusus qui1.5 ~ in sacrarun1 virginu1n asceteriis [270r] invaluerunt, convcllcnclos curaveris. Circa confessarios vero sive ordinarios sive cxtraordinarios, cun1 agatnr dc gravissin10
15 -' Divini! prùna supre1n! poi correge e sopra.1·cri\!e. 1 5 ~ qui] aggiunge 11el/'i11terli11ea.
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disciplinae capite, omnem diligentiam a Te adhibendam esse confidit S. Congregatio, ut quae sacri canones, quaeque praesertirn Benedictus XIV sua constitutione quae incipit Pastoralis curae sanxerunt, ea ada1nussi1n servanda iubeas. Cura, quam de se1ninario naviter geris, facit ut E1ninentissi1ni Patres mmune necessariurn ducant Tibi illud pluribus verbis commendare. Probe enim nosti, populi probitatem ex optimorurn saccrdotu1n exemplo potissimu1n esse repetendani. Opti1ni aute1n sacerdotes, nisi a teneris annis 155 ad 01nne1n scientiam ac pietaten1 inforn1entur, frustra sperari potcrunt. In hanc igitur re1n nun1qua1n Episcopi [270v] nimios labores, nimiamque industriarn se impendisse dolebunt. Ad populi fidem custodiendam pietatemque fovendarn plurima 156 proderunt piae illae sodalitates, quas inducendas curasti. Maxime autem advigilabis, ne errores qui hodie, laxatis habenis, impune debacchantur, gregem tuurn inficiant. Ante omnia vero Tibi En1inentissi1ni Patres iuvenile1n aetaten1 co111rnendant, quae facilius dccipi et in laqucos tcnebricosarum sectaru1n incidere solet. Quae postulas de admittendis puellis ad religiosam professionem et de deleganda alieni simplici sacerdoti potestate conferendi sacra1nentun1 confinnationis, poteris, re1n cum 01nnibus adiunctis el rationu1n ¡ 1no1nentis enarrando, circa prin1un1 S. Congrcgatione1n [271 r] Episcoporum et Regularium adire, circa secundum S. Congrcgalionem S. Romanae et Universalis Inguisitionis. Mihi modo nihil aliud superest, nisi ut impensum studium n1eum pollicear Arnplitutini Tuae, cui fausta quaeque ac salutaria prccor a Don1ino.
l55 annĂŹs] aggiunge al 111argine. 156 pluriinal prĂš11a 111axirna poi corregge e soprascrive.
Le relozioni ÂŤad li111inaÂť della diocesi lii Catania
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XLIV f275r] RelaLio stntus Ecclcsiac Catanensis post tcrtian1 eiusden1 Ecclesiae visitalione1n ab infrascriplo peractan1 Sacrac Congregationi Concilii cxhibcnda anno Do1nini !88!.
Ego subscriptus, Dei et Apostolicae Scdis gratia, Archiepiscopus Catanensis, Sun11norun1 Pontificun1 et praesertim Sixti V 1nandatis obtemperans, hoc anno ab Incarnatione Do1nini 1nillesimo octingentesimo octogesimo pnmo, ad Apostolicam Cathedram omniurn Ecclesiarun1 Caput et Magistran1, tertian1 de dioecesis meae statu rclationem humiliter exhibeo, guae, obtenta a S. Congregatione facultate, et cx causis a mea voluntatc nullo modo dependentibus aliquantulun1 passa est 1norae; quam facillime, Deo opitulantc, medebor, cum posterae relationis adveniet tempus. Quocl autem ad sacrorun1 lin1inun1 visitatione1n attinet, accurate istius Sacri Ordinis pracscriptionibus prorsus obtcn1peravi, et n1eo munere in antccessun1 sun1 functus. Visitatione1n, dc qua in secunda relatione, pcrfeci, in11no et alteram, tribus abhinc annis inchoatam [275v], feliciter absolvi, omnibus dioecesis universitatibus itcrum ian1 peragratis. Considerans ccclesiarun1 pene on1niun1 cgcstaten1 et angustias, in ista visitatione sicut et in praecedentibus, nihil oinnino ab iisden1 ecclesiis et a clero accepi, neque alin1entorun1 neque viatici aut quocu1nque alio titulo, secl omnia meo sun1ptu perfeci, advertens nihilo1ninus ne ullum ex hac ren1issione succcssoribus 1neis eoru1nquc iuribus inducerctur praeiudici11n1. Quinin11no cu1n 111 duabus praeccdentibus visitationibus varia invcneri111 expensa pro sollcn1niori Archiepiscopi visitanlis receptionc et suslenta, rigidas hac vice vicariis foraneis inhibitiones in1posui erga currus et n1usice1n et alia cun1 quibus, in obsequii et affectus signum, praedicto visitatori obviam ibant. Solus nan1que, cun1 cancellario, cubiculario et fa1nulo, unico locato curru, ad singula loca, nen1ine occurrcnte perrexi. I-Iaec vero, guae stricte obscrvanda praecepi, mini1ne obfuerunt ad excitanda1n fidelium pietatem, guinimmo maiorcm fideles ipsi mihi exhibucrc
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reverentiam, claraque quam max1me dederunt amoris et studii pignora. Quod 111 praecedentibus me1s relationibus, iuxta [276r] S. Congregationis instructionern per distincta capita cxposm, supervacaneun1 arbitror iterare, adiician1 solun1modo guae de novo adnolanda videntur. Et pri1no, super pri1no relationis capite ad statun1 Ecclesiae materialern pertinente, nihil est addendum ad ea quae tunc protuli circa institutionem, confinia, privilegia, nu1neru1n civitatu1n et statu1n cathedralis. Varia ornatus opera in ipsa cathedrali perfeci, inter quae pulcherrirnurn, quod iampridem desiderabatur organum, 111 Gallia coslructum, expensis ad hoc ex meis redditibus, triginta sex millibus libellis. Capitula collegiatarum Calanae, Paternionis, Albavillae, Adernionis, Pulchripassus, Nicolosi el Viae Magnae iure suo libere agunl ac si nulla extaret suppressionis lex, eorun1que vindicatio bonorurn esl propernodurn cornpleta. Ornnes praedictarurn collegiatarnm capitulares ad eam profĂŹciendarn parentes adiutores habui, si Paternionen1 demas, in qua 1nultas et graves perpessus sun1 contrarictates, unius canonici opera, illiusmet ne1npe de quo in praeccdcnti relatione mentioncm feci cm- [276v] que ista S. Congregatio, septe1n abhinc annis, ad evitanda scandala et da1nna, perpetuun1 silentiun1 in1posuit. Novit iste Sacer Ordo recentiores eius acerrimos conatus, quibus et praedictun1 silentiu1n novis in luce1n editis falsiloquiis, run1pere, et alia callide et in1pudenter in Archiepiscopu1n et capitulare111 collegium ausus est intentare; ob quae privatione vocis activae et passivae ab eoden1 Sacro Ordine fuit 1nulctatus. Salutari hac leclione sperabamus 0111nes can. Antoninun1 Russo Signorelli cdoctun1 iri, sed eheu frustra! Maxi111a eni111 et effrenata audacia praescriptionibus istius Ordinis respondit, novas proferens falsitates ad rescriptun1 e1 transn1issum inscite labefactandum. Qua de causa aliud ipsarnet S. Congregatio sub die 3 currentis decembris edidit rescriptum, quo sophismata erroresque praedicti presbiteri reiecit, ipsumque graviter ad1nonuit ut resipiscat.
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Pertimescendum vero est, ne superbia do111inatu 1nagis magisque insolescens ad extrcmam defectionem deveniat; quod ipsi solummodo in1putandu111 foret, cu1n inini1ne tolerandu1n sit) unu1n in tota dioe[277r] si sacerdotem, absque coercitione et irrefrenate se gerentem, disciplina111 ecclesiastican1 evcrtcre) et gravissi1nun1 aliis praebcrc inobcdientiae et spretus auctoritatis exen1plu1n. On1niu111 ecclesiaru1n civitatis et dioecesis ne una quide1n, mirabili Dci dispositìone, fuit usque adhuc sacro cultui erepta et clausa. Quini1nn10 in civitatc) praeter duas novas ecclesias in honore1n B. M. V. dc "la Salette" et "della Guardia", de quibus in praecedenti relationc facta est 1nentio) altera pulchra et spatiosa pro ani1narun1 cura est nuper a funda1ncntis erecta, in honore1n B. M. V. de Mercede, in locu1n vetustioris, parvae et n1inirnc aptae, qua111 publicae utilitatis causa, civitatis ad1ninislratores, soluto pretio) dernoliebantur. P/uri1nas per dioecesin1 ecclesias, praescrtin1 Paternionis, I-ìadrani et Brontis rcstauratae et ita splendide decoratas inveniri, ut vere dici possit, zelum pro decore domus Dei apud fidcles Catanensis dioecesis inextinguibilc1n esse {cfr. Sai 68, I O} [277v]. Supervacaneun1 ducens et hic rcpetere, quae in prin1a et secunda rclatione exposu1, circa n1agnas quas affert, hisce praesertin1 ten1poribus) utilitates, anliqua et specialis Catanensis Ecclesiac constitutio, qua Archiepiscopus univcrsalis civitatis et dioecesis extat parochus, sane gaucleo de sententia) quan1 a Su11re1na ~ uti vocant C'assazione l<.01nae iudicante obtinui, verba facerc quippe quae parte1n bonorun1 huius archiepiscopalis rncnsae ia1n perditan1 tan1qua1n bona parochialia rata habens et renuntians 1nihi restituiC et ius insuper n1ihi acldìdit, pcnes laica tribunalia on1niu1n ecclesiarun1 parochialiu1n 111eae dioecesis rationes vindicandi. Alia1n, quae adhuc supererat) n1agni pondcris lilen1 circa bona archiepiscopalis n1ensae, Deo n1irabiliter peculiari n1oclo favente, I<..on1ae adhuc n1ancns, nuperrin1e vici. Quoad n1ulicrun1 1nonasteria, nil novi. Moniales civitatis pacificc adirne degun! in qnin- [278r] quc monasteriis, guae in praecedenti rciatione nun1eravi; el sic sin1iliter 1noniales Patcrnionis, I-Iadrani et Brontis. Ex quo clioecesis gubernacula suscepi, nulla deploratur dictoru1n n1onastcriorun1 invasio) et quan1vis nunc uni nunc alteri ex
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ipsis 1ninantur, omnia ta1nen usque 1nodo, Deo auxiliante, a periculo eri pere po tu i. Collcgiis sub S. Mariac titulo, septcm abhinc annis, nil cvcnit triste. Quod Catanae extat, cuiusque redditus iampridem fuerant abstracti, spero iterum ad vitam redueere. Felicitcr etiam mihi nupcr evenit, ut et aliud conservatoriutn pro puellis civilibus et pauperibus in co1n1nuni Triu1ncastanearu1n exĂŹstens, vere a proximo subversionis periculo tuitus sin1. Favente na1nque etian1 auctoritatc civili ut vocant tutoria, et elusis conatibus illius consilii co11uu1alis, ipsun1 conservatoriu1n con1n1isi sororibus S. Mariae de Auxiliis (ab Ordinario commode dcpendentibus) [278v] ad constituendum pulcherrin1u1n foe1ninac educationis institutun1. Aliud similli1num crectun1 esl in con1111uni Brontis, ipsisque sororibus co1n1nissum, quae etiam Catanan1 vocatae sunt ad alia1n regenda1n educationis dornum privati patronatus. Clericoru1n sen1inariu1n eode1n semper guadet prosperitatis gradu, et quan1vis clerici Accnsis dioeceseos qui in eo usque adhuc dcgcbant, ad propria nuperrime (sciiicet quatuor ab hinc mensibus) sint revcrsi, clericos haben1us plusquan1 centu1n triginta in nostro seminario con1111orantes, praeter alios 1nultos don1i inanentcs, quos vocant .foristi, qui seminarii scholis, Missae, caeterisque spiritualibus exercitiis adsistunt, et coniunctim sub specialibus praefcctis deambulationern per urbem quotidie conficiunt. Hodicrnus rector, qui et prior prima dignitas meae cathedralis ecclesiae, rev. scilicet Antoninus Caff opus, elapso anno, suis su1nptibus pcrfecit 1nagnificun1 et laudabile [279r], amplissimam domum, ruri positarn, ad cunctos recipiendos sen1inarii clericos ten1pore vacationis autumnalis apta1n. Ex quo fit ut clerici, tempore praedictae vacationis, minime dornurn redire cogantur, et hoc anno octoginla clerici cun1 eorun1 instilutoribus et confessariis in nova do1no, ruslicationis causa per duos fere 111cnses 111anserunt. Quoad hospitalia et alia pia opera pergratum mihi est quaedam exponere quae et Sacro isto Ordini iucunda erunt. Duo 111aiora Catanensis civitalis hospitalia sororibus, ut vocant, Charitatis data sunt
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regenda, quibus etiam et magnum municipale hospitium pauperum est comn11ssu111. Aliud praeterea institui pro senioribus utriusque sexus pauperibus hospitium a Parvis pauperum Sororibus e Gallia vocatis administratum, in quo fere octoginta iam habentur recepti et solis fidelium oblationibus sustentati. Domum, quam adhuc incolunt, meo sumptu locavi, sed magnum quamprimum a fundamentis aedificium surget [279v], quo bis centum recipiantur pauperes, quodquc erit carumde111 sororun1 proprietas et don1inium. Sorores praeterea S. Annae ad regendu111 hospitiun1 Hadranense vocatae sunt. Conservatoriun1 1nsuper, ut vocant, }Jroiectaruni septenlu-;artfln Catanae sororibus C'haritatis nuperri111e datu111 est regendu111; alia111que de111un1 eisdern dedi nova111 domum, in qua collegium institutum est ad educandas civilis conditionis pucllae. Triu111 ergo annorum spatio, decc111 in dioecesi instituta sororibus variorum ordinum data sunt dirigenda. Adirne provvidendum est pro latiori pucrorun1 institutione, ideoque ad scholas serotinas graluitas, de quibus in praececlenti relatione clictum est, alias diurnas adiecere mihi est in votis, rnmquc locus ad ipsas instituenclas propemodum est paratus. Quoad caput secundu1n, quae circa residentiae meac pracceptu111, cancellerian1 archiepiscopalem, coen1eteria, confirmationis ad111inistrationem, Synodum dioecesanam exposui, itcrum affirmo. Similiter et de orclinatione sacrorum ministro- [280r] rum, guam guolibet anno habui. De tertio capite, guoad clerum saecularem pertinet, opere pretium duo iterum significare, dociles invenisse sacerdotes pene ornnes ad exequenda n1andata et consilia ipsis proposita, iIIa pracscrti111 quae ad servitium ecclesiasticun1 speclanL Quoad rcgulares, dc guibus in capite quarto, adnotandum puto, quod eorum iura super proprias ecclesias rccognoscens, ipsas ccclesias, quoad polui, eisdem regularìbus consignandis curavi, et a visitationc caru111de1n ine abslinui. Sed optandum est, ut ipsorutn ordinun1 superiores provideant, ne dieta visitatio ab iis guibus pertinet, omittatur. Sunt enim in clioecesi regulares ecclesiae nonnullae, quae
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ia1ndudun1 nec ab Ordinario, nec a supcrioribus orclinis visitantur, et hoc cum rnagno earumdem detri1nento. Super quinto, sexto ac septimo capite, nil addendum puto. Circa caput octavuin adnotandu111 est, quod 01nnia pia opera 111 praecentibus relationibus expres- [280r] sa pristinum servant fervorem, et quod alia addita sunt sed non inulta. Mini1ne enin1 proficuun1 ciuco eadern opera saepe 1nulliplicare, sed polius quae 1an1
fundata sunt accurate conservare, fovere ac perficere. Inter nova digna est quae adnotetur congregatio sacerdotu1n pro gratuito servitio ccclesiarun1 0111111 ope carentiu111 111 solcn1ni cxpositione quadraginta horarun1, guae congrcgatio ubcrcs declit fructus, cun1 quinquaginta intcr clcctiores presbyteros civitatis ipsi operi sint iam adscripti. Ne quid reticean1 quod scia1n, oportet et de re iniucuncla verba faccrc, quae atta1nen ut spero paullati1n evanescet, de nin1ia scilicet facilitate qua quida1n, ignorantia ve! errore decepti, inatrin1oni, uti vocant, civile contrahere audent, n1atri111oni sacrosanctu1n Ecc!esiac sacrarnentu1n iniuriose et culpabiliter negligentcs. Suasionibus et auxiliis etia1n pecuniariis ad tantu1n tollendu1n abusun1 enixe labaro, et numerus legalium concubinatuum quotidie decrescit [28 Jr]. Su1n1nopere praeterea est dolendun1 et de alia f'acilitate, qua apud civilia tribunalia audacter nulla et irrita declarantur 1natrin1onia, quae Sancta Mater Ecclesia valida retinet et rata. Ex quo fit, ut coniuges a civili potestate tan1quam liberi ad alia contrahenda civilia n1atri1nonia, abon1inabilia revera et inhonesta, absque reparationis re1nedio, admittantur. I-Iuius gn1v1ss1n11 scandali paucissnne nihilo111inus habenlur exempla, a quibus populus fidelis abhorrel. Plerique ex iis qui bona ecclesiastica illicite adquisiverunt, iuxta S. Poenitentiariae praescripta, declaratione1n e1niserunt, ideoque a ccnsuris absoluli. Sed aliqui sunt aclhuc irretiti, stulto tin1ore correpti an1ittendi, si declaratione1n en1iltant, bona acquisita. Etian1 et istorun1 nun1erus paullatin1, Deo f-'avente, 1ninuitur. Sicut et in praecedenti relatione, etian1 in praesenti affirn10, nulla1n, ut puto, prae- [281 v] terrnisisse occasione111, pro n1earu1n
Le re/azion; ÂŤO{f fhninaÂť della {/iocesi lii Catania
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infirmitate viriun1, scrvandi ac defendendi ecclesias et oves mihi creditas. Sic Deus sua gratia n1c confinnet, ne in posteru1n defician1. Quod ut facilius assequar, ante sacra sanctoru1n Apostolorun1 li1nina 111 genua provolulus, a Suprcn10 Pastore Apostolica1n bcnedictionem humillime imploro et flagito. Romae, die 23 decembris 1881.
+ Ioseph Benedictus Dusmet, Archiepiscopus Catanensis.
*** [282r] Archiepiscopo Catanensi Die 30 clecembris 1882 fuil responsum. Quae de Catanensi Ecclesia relata fuit ab Amplitudine Tua datis literis die 23 decembris 1881, ea ab Congregationis Patribus Concilio Tridentino interpretando et iudicando praepositis excepta sunt pro lrienniis 97, 98, 99 quorum poslerius die 20 decembris interlabentis anni expirabit. Pergratum n1odo n1ihi esl, Tibi significare E1ninentissin1os eosdem Patres, laudes quas Tibi de bene gesto episcopali munere iam docueverant, confirmasse, cum nihil a Te de pristina sedulitale qua grcgi tuo advigilas illiusgue spirituale incrementum provehendum curas an1issun1 fuerit. Laetati insuper fuerunt audientes divinun1 cultu1n, novis extructis ten1plis, ve! veteribus ornatis, auclu1n fuisse, et populun1 istun1, Te duce, largitate Tua eidem an1plificando praesto esse. Maiori etia1n iiden1 consolati fuere quae de se1ninario refers, nani in eo tota pene dioe- [282v] cesis spes sita sit. Gratulantur denique Tibi ex ani1no, quocl puellis instiluendis aegris ac pauperibus iuvandis sacras virgines praeficcrc 1naxi1no cun1
Adolfo Lo11ghita110
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animarum emolumento datum Tibi fuerit; quodque' 57 scholas in quibus una cum civili cultu timorem Domini adolescentcs doceantur non paucas iatn 158 aperueris et plures etiam aperiendas a Te esse lucres: guibus tuis ceptis Dcum propilium futurum confidimus, guemadmodum Tibi adfuit Tua et Ecclesiae iura vindicasti. Restat nunc ut institutu1n cursun1 constanter teneas clero animum addas per spiritualia potissimun1 exercitia, ut anin1is lucrandis, erroribus repellcndis, vitiisque insectandis perpetuo insudet; populum a venenatis pascuis arceas ac speciatim a 1nonstro ilio deterreas, quod civile coniugium appellatur, nihilque intcntatum reliquas ut grex iste ab huius sacculi contagiane incolun1cn servas, habitis prae oculis quae Ss.mus dominus nosler suis cncyclicis lilteris incipientibus Etsi Nos sapientissime suggerit. Mihi modo pergratum sit impensum studium meum polliceri Amplitutini Tuae cui bona cuncta precor a Domino.
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quodque] scril'e pucronun poi espu11ge. iaml scrive initi poi e.\punge.
Le relazioni ÂŤad liminaÂť della diocesi di Catania
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XLV [286r] Ego subscriptus S. R. E. Prcsbyter Cardinalis Dusmet, Dei et Apostolicae Sedis gratia Archiepiscopus Catanensis, Summorum Pontificum et praesertim Sixti V mandatis obtemperans, hoc anno, ab Incarnatione Domini millesimo octingentcsimo nonagesi1no, ad Apostolicam Cathedram omnium ecclesiarum Caput et Magistram, quartam de huius dioecesis statu relationem humiliter exibeo. Non latet isti Sacro Ordini, quibus de causis, relationc1n qua1n quinto abhinc anno miltere debuissen1, ad hunc necessario prorogaven1n. Missus pr1mum, ineunte anno millesimo oclingentesi1no octogesimo quinto, ad Calathaieronensem dioecesim uti Administrator Apostolicus, necesse habui per sex continuos n1enses illius anni et per aliquot posterioris anni ibi manere. Impossibile itaque mihi evasit, ob duaru1n dioeccsiun1 curam) sacram visitationern intern1edio te1nporc (a mense iulio ad decembrem) aggredi. Stati1n ac a Calathaierone secundo reversus cram (mense n1aio 1886) Aetnae montis incendium furenter saevientis sustinuimus, et per integru1n mensem regiones ipsius montis, quibus magna pars dioecesis con1ponitur, pluries visitavi. Eodem anno ( 1886) labente, Romam pontificio iussu accersitus, nonnisi extremis iunii ( 1887) diebus redire potui, ubi per duos menses, grassante indica lue, Ime illuc mihi fuit discurrendum. Mense novembri eiusdem anni ( 1887) ex novo Summi Pontificis praecepto Romam iterum reversus, per septem alios menses ad nutum Sanctae Sedis ibi mansi, solum appropinquante iulio ( 1 888) dimissus [286v]. Vix redux ad sedem n1ean1 hanc, sanctam visitationem in cĂŹvitate inchoavi, quam intern1itterc postea debui, per alios tres menses, Romam tertio vocatus ob honorificam ad Cardinalatum promotionem, qua 1nunificentissimus Pontifex sola sua benignitate tne inter pauperes minin1un1 dignatus est decorare. Peractis Paschalibus festis (1889), sacram dioecesis visitationem de1nu1n prosegui curavi, ctian1 per dioecesin1, quamvis interrupte, ad
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gravia quaegue in hac sede expedienda negolia, guae diulinan1 1nean1 a civitate absentiam 1nini1ne sinebant. Mea interest isti Sacro Ordini patefacere, me saepe saepius, clum Romae commorarcr, verba fecisse de inorata hac relatione, responsionemquc habuisse, 1nora1n hanc non n1eae voluntati adscribendam esse, scd officiis a Suprema Poteslate mihi commissis, quae visitationem dioecesis necessario differre dcbebant. Praeterea n1en1inisse iuvat, n1e Sacra Li1nina iterato personaliter ian1 visitasse, etiam pro triennio clie 20 clecembris anno 1894 expiraturo. Et nunc en quae isto Sacro Ordini subn1ittenda censeo. Supervacaneum puto iterun1 hic n1inutatin1 describerc quae in praecedentibus rclationibus exposui, quoad prin1un1 relationis caput: I 0 • Circa consueludinen1 qua1n finna1n usque hodie retinui, nihil ab ccclesiis et a clero petendi et accipiendi in sacra visitatione) ncque ali1nentorun1 neque viatici titulo, secl 01nnia 111eo sun1ptu perficicncli; 2°. Circa statu1n ecclesiae 1natcrialem, scilicet circa institutionen1, confinia, privilegia, numeruu1n civitatun1 et statun1 cathedralis; 3°. Circa capitula col- [287r] legiatarum, magna ex parte a demanio vindicata; 4°. Circa specialem Catanensis Ecclesiae constitutione111, qua Archiepiscopus unicus et universalis extat civitatis et dìoeceseos parochus; 5°. Circa n1ulieru1n rnonasteria, quoru1n unun1 tantun1, ex quo dioecesis gubernacula suscepi ùeploratur invasio, S. Clarae Hadrani, in quo tres tantun1 moniales ren1anserat; 6°. Circa hospitalia, conservatoria pro pucllis, ex 1nagna parte sororibus Charitatis et aliorun1 recentiun1 ordinuin co1nmissa. Quoad caput secundu111, quae circa resiùentiae n1eae praeceptum, cancellaria111 archiepiscopalen1, coc1neteria, confir1nationis adn1inistralionen1, synodun1 dioecesanan1 exposui, iterum afrirn10. Si1niliter de ordinatione sacrorun1 1ninistroru1n quan1 quolibet anno habui. De lertio capite, quoad clerun1 saecularen1 pertinet, confirn1ans guae exposui in praecedentibus relationibus opere praetiun1 ciuco iteru1n significare, dociles invenisse sacerclotes pene on1nes ad exequenda mandata et consilia ipsis proposita, ea pracsertin1 quae ad servìtiu1n ecclesiasticu1n spectant.
Le re/az;oni «ad lùnina» della diocesi rii Catania
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Aliquid tamen novi et iucundi hic addendum est, circa conferentias ob casuuin n1oralium solutione1n. Sicuti ian1 dixera1n, hae conferentiae tenebantur in ecclesia S. Mariae "della Lettera", sed non 0111nes conveniebant. Quinque abhinc ann1s ad palatiun1 archiepiscopale cas transtuli, ubi confessarii 01nnes utriusgue cleri, etiam cathedralis canonici, tertia feria quinta cuiuslibet n1ensis, accurate conveniunt, rne praeside, qui conferentia1n se1nper incoho perutili dc sacerdotum muneribus lectione. Rcsolutioncs pro quolibct casu dantur prin10 a binis sacerdotibus durante conferentia sortitis, et postea a dircctore solutionun1, in hoc se1ninario theologiae n1oralis et ca- [287v] nonum professore. Conferentiae conclusio est brevis dissertatio ab uno ex confessariis a mc designato con1posita. Iuxta Sacrae Congregationis praescritioncs, secretarius signat singulos absentes, et si scit al iquos re vera i1npcditos, eos alta voce excusat quoties ipsorun1 no111ina ad solutione1n casuu1n sortiri contigeril. Possum revera istu1n S. Ordinem certioren1 recidere de 1naxin1a utilitate a conferentiis obtenta et de reali adsentiun1 sollicitucline ad solutiones perficiendas et suslinendas. De quarto capite, quoad rcgulares, non solun1 ea iterun1 adnotanda pulo, quae in praecedenti relationc significavi de ecclcsiis eoru1nden1 regulariu1n dispersorum, quae nec a Ine visitantur, ne illorun1 iura parvipen<lere videar, nec ab ordinis superioribus qui raro circun1ire possunt; sed aliquid n1aioris n1on1enti addendu1n puto. Per annos viginti quatuor (ab anno 1866 ad annum 1890) regulares dispersi dcgcrunt fere on1nes sub Ordinarii disciplina, extra claustra, ab 0111ni superioru1n suorun1 vigilantia ren1oti, ita ut Ordinarius solus nascere possit de ipsorun1 vitae ratione et si digni honoribus et officiis sint necne. Evenit interea ut unus ve! alter ex his supcrioribus ordinun1 ad n1a1ora pro1noveantur inconsulto Ordinario, n1agna cun1 adn1iratione fideliun1 et disciplinae detrin1ento. · Unun1 habeo in praesens religiosu1n Catanae, de quo nihil boni un1quan1 audivi et inulta saepe non recta. Si, quod Deus avertat, ipse ad 1ninistrun1 provinciale1n, ut fertur, pron1overi contigerit, quid facian1, cun1 1psun1 nec in ecclesia sui ordinis rectorem tolerare potui? [288r] Videat, quaeso, iste Sacer Orcio, si tanto malo aliquod possit rcmcdium afferri, simulque provvideat quoad alios regulares dispersos,
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Adolfo Longhitano
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qui habitu ordinis dimisso, cuperent simul nunc veluti regularis cleri men1bra retineri, nunc saecularis. In propria ecclesia, iura regulariun1 circa funeralia satagunt tueri, et exlra ecclesiam sub cruce cleri saecularis convenientes istius emolu1nenta funeraria iten1 percipere. Super quinto capite nihil addendum. De sexto capite, scilicet dc clericoru1n Seminario, ad ca quae iarn cxposuera1n addendun1 est novun1 de clericis foristis, uli vocant, editum nuper decretun1. Hi nan1que, ex veteri consuetudine, do1ni degentes, ad seminarii scholas conveniebant, et ad deambulationem insimul faciendam. Nunc vero, solutis tantummodo deccm libellis pro quolibet mense, in seminario omnino degunt, coenant, pernoctant, horan1 unan1 lantu1nn1odo libera1n habentes ad prandendu1n 111 propria do1no, ita ut, peracto horac spatio, ad sen1inariun1 recto trarnitc reverti debeant. 01nnes hi specialia habent in se1ninario don1icilia, vulgo ca1111nerate. Clerici in sc1ninario degentes hoc anno fuerunt centumquinquaginta, ex quibus quaclraginta mmc mense septembri et octobri rure insin1ul 1norantur, in domo extructa, ut dixi in praecedenti relatione, a rev.mo rectore Episcopo Antonino Caff. Super capite scptimo ad ecclesias, confratenitates, et loca pia pertinente, 01nne studiun1 nostrun1 in eo nunc situ1n est ut novarun1 Icgu1n asperitatem, in quantun1 possumus, cvadan1us, non Iaboribus parcendo nec industriis. Circa caput octavum et novum nil addendum [288v]. Antequam huic relationi me subscribam, laeto animo isti Sacro Ordini affinnare possu1n, omnia pia opera n1 praecedentibus relationibus descripta, pristinun1 retinuisse fervoren1. Quatuor abhinc annis novum addidi charitatis opus dormitorium namque pro pauperibus utriusquc sexus, quod meis sumptibus erexi et Divo Ioscpho dicavi. Nunc denique, mense 1na10, noviss1111a1n aggressus su111 publican1 charitatis opera1n, pro curandis et alendis infir111is pauperibus a domicilio, illos ncmpe qui in hospitalibus civitatis mini1ne curari possunt. Hanc studui quoda1n1nodo instituere ad corrigenda1n parochon1n1 amotione1n a novis legibus statutan1 circa opera charitatis, dando scilicet ipsis parochis (apud nos curati) omnem
Le relazioni «ad lùnina» della (/iocesi di Catania
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novi operis directionem. Fere omnes civitatis matronae habeo ad pium opus socias, multaque omnes ab ipsis auxilia sperant et commoda. Iuxla Sum1ni Pontificis praescripta 01nnes sacerdotes hoc anno vocati sunt Catanan1 et .ad septem alias dioeceseos civitatcs ad spiritualia exercitia. Sicuti praecedentes relationes ita et hanc absolvere mihi pergratum est, exposcens a Supre1no 01nniun1 Pastore Apostolican1 benedictionem. Catanae, kalendis decembris anni 1890.
+ Ioseph
Benedictus
Cardinalis
Dusmet,
Archiepiscopus
Catanien.
*** [292r] Eminentissimo Archiepiscopo Catancn. Litterae ab Eminentia Tua super Catanensis istius Ecclesiae statu Sacrae Congregationi porrectae iucundissimae obvenere En1inentissimis Patribus Tridentino iuri interpretando ac vindicando praepositis, qui eas tum pro praeteritis I 00 et I OI trienniis, tum pro vertente I 02, guod die 20 proximi decembris expirabit, lubentissime ad1niserunt. Si guidem 159 Te prout optimum"'" catholicae Ecclesiac Praesulcm decct gregi tibi a Domino concrediti emolumento Iaborare, singulisque 161 pastora1is n1inisterii partibus egregia sedu1itatc satisfacere ia1n ex pracccdentibus relationibus notun1 esset 162 Sacro Ordini qui tua gesta egregia uberrimosque aeternae salutis fructus
1.w quidc1n] scrive Eminentiarn Tuan1 poi esp1111ge. 160 161
162
opti1nu1n] scrive Episcopun1 poi esp11nge. singulisque] scrive apostolici poi espunge. esset] scrive E1n.is Palribus poi espunge.
lido!fo Longhitano
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tuan1 1<'-' paterna1n sollicituclinen1 co1nitantes pluries 1neritis laudibus exornavit [292v]. Licct vero nuperrin1ae litterae fere in 01nnibus ad praececlcntes rclationes se rel'erant, tan1en Erninentissin1is Patribus gaudio fuit ex iisdem excipere Te fi/iorun1 tuoru1n pietaten1 1 <'~ novis incita1nentis fovisse, aperuisse se111inarii aedes iis quogue clericis qui don1i degebant, curasse ut saccrdotcs tui spiritualibus exerciliis in aliqua pia do1no alternis vicibus vacantes ecclesiasticu1n spirilun1 e 111undano pulvere excuterent 165, quo opti1norun1 quancloque etian1 corda sordescent 1<16 , ad pauperes den1u1n aegrosque iuvandos nova hospitia nun1qua1n satis laudabili 1nagnani1nitate fundasse. Quae vero de abusibus 1r• 7 in religiosoru111 claustris n1iserritne vigentibus exposuisti ad Sacra111 Congregationen1 Episcoporun1 et H. cgulariun1 ad quan1 pcrtincnt sunt rc1nissair,~ ab ea igitur suo ten1pore opportuna quae 169 invo-[293r] cas ren1edia suscipics. Id unu111 ab E1nincntiac tuae con1itate 170 Sacri Ordinis no1nine, ut scilicel proxin1a relatio in iis quae ronnale111 eiusdem parten1 attingunt, plenior sit atque singulis benedictinae constitutionis postulatis concinne rcspondeas. Du111 aute1n mihi gratu111 est dc honorifico hoc Sacri Ordinis tcstin1011io Te certioren1 rcddcrc quo par est obsequio E1ninentiae Tuac 111anus hu1nilli111e deosculor.
16 1 -
lLrnn1I scri1•e tlpostolicac poi esp1111ge. pictatcn1] pril11a devo1ione1n poi corregge e soprascrh'e. 165 exculerenl] prùna purgarcnt poi co1Teg,;e e so1n·t1scril•e. 16 n quo - sordcsccnt] aggiunge ul 111argi11e. ir,7 abusi bus] scril•e vitiisque poi esp11ngc. ii;H re1nissa] scril e nec ipsa quiùcrn poi csp1111ge. 169 quac] scrii'e 111ittet opporlUlltl quae in re eas re1nedia suscipcrc tibi quac suo ten1porc n1anifesttlrc poi c"\p1111ge. 170 con1ilatcj scrive cxopt poi esp1111ge. ir,.;
1
Synaxis XIV/2 ( 1996) 317 - 336
COSCIENZA INFELICE E INVOCAZIONE SOTERIOLOGICA NEI PERSONAGGI DI ITALO SVEVO S. PISCIONE°
ln t roduz.i one Scopo del presente studio è la verifica e l'approfondimento delle intuizioni di un nostro precedente lavoro su Svcvo 1• Il Cosini de La coscienza di Zeno più che l'inetto cli cui sovente ha parlato la critica ci è apparso, e ci appare lultora, un 1101110 tonncntato, dalla coscienza inquieta, n1a anche abile e, a volte, geniale nel ri1nuovcrc le cause della sua angoscia. 1 suoi sensi di colpa, ascrivibili a conflitti con la figura paterna, 1na anche alla più generale difficoltà, anzi in1possibilità di mettere in pralica la legge 1noralc (cosa che per altro verso sottolinea anche la tradizione paolino-agostiniana, se non vi è l'aiuto liberante della grazia), coslituiscono a nostro 111odo di vedere, il n1otore segreto del suo agire, a prin1a vista così inspiegabile, spesso contorlo e risibile e sen1pre oggetto di 1nalinconica ironia ed autoironia. Se quesle inluizioni sono vere occorre verificare se anche i protagonisti degli allri due ro1nanzi, nonché i ten1i degli scritti n1inori, lealrali e narrativi 2, sono in linea con quanto noi sosienian10. In altre
Doce11le di Lettere nei Liceì. S. P!SC!ONE, Leff11ra "agostinion(/" di
1 Cfr.
1111 1"0111a11::.o
di SFcvo. Contributo
per !'interpreta:u'one de "La coscicnu1 di Zeno" in Srnaxis 6 (1988) 45-62. 2 Ci proponinmo di analizzare i testi teatrali i1.1 uno studio n parte.
Salvatore Piscione
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parole Emilio Brentani di Senilità, o Alfonso Nitti di Una vita, o tanti altri personaggi minori della produzione del Nostro, possouo considerarsi sul piauo psicologico fratelli di Zeno? Procedian10 con ordine e a ritroso, 1netlendo a confronto Senilità con La Coscienza di Zeno, per scoprirne le costanti e le lnotivazioni profonde del raccontare sveviano per poi verificarne la presenza o meno uegli altri scritti e iu particolare nel primo enig1natico romanzo, Una vha, che tante zone d'ombra presenta nell'interpretazione dcl protagonista, di cui non facilmente s1 comprende qual è la molla interiore che lo spinge prima alla rinuncia dell'amore e della scalata sociale e successivamente al suicidio. Cogliere l'intimo legame che accomuna i tre protagonisti equivale a cogliere la chiave di lettura per un'intelligenza con1plessiva dell'intera opera del narratore triestino.
Senilità Non c'è dubbio che la critica ha finora sottolineato una certa affinità tra i protagonisti dei due più riusciti romanzi, il Brentani ed il Cosini. In entrambi è possibile leggere la proiezione di alcuni tratti biografici dell'autore stesso: Zeno ed Emilio vivono a Trieste, una città di cui lo scrittore sottolinea il febbrile attaccamento al lavoro; entrambi inal si adattano al ruolo di in1piegati in ufficio e sembrano non integrarsi con il inondo del lavoro; in ca1nbio, e quasi a con1pensazione del loro disagio, coltivano n1anie letterarie ed artistiche: Zeno compone favole e suona il violino; di Emilio più volte si sottolinea il suo habitus di letterato e scrittore. "L'abito letterario gli fece pensare il paragone fra quello spettacolo e quello della propria vita"i. E altrove è detto: "Altre volte, in quelle ore, egli aveva studiato. l suoi libri dallo scaffale gli si offrivano invano. Tutti quei titoli annunziavano della roba morta, non bastevole a far din1enticare neppure per un istante la vita, il dolore ch'egli sentiva muoversi nel
3 1. SVEVO, Senihtà, Dnll'Oglio, Milano 1978.
C'oscienzo infelice e invocazione soteriologica...
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seno"'-1. Entra1nbi hanno passione per la 1nusica; e se Brentani non suona il violino, ha però un passato di critico n1usicale: "Il Sorniani si meravigliava che Emilio, conosciuto in altra epoca per aver Fatto la critica musicale avveniristica [... ] non fosse stato a teatro"5 . Entra1nbi poi sono spiriti analitici ed acuti osservatori che soprattutto anato1nizzano i loro sentimenti, spesso con grande penetrazione. Tutti questi ele1nenti comuni ai due protagonisti, rinviano al profilo stesso dell'autore. L'affinità psicologica dcl Brentani con il Cosini secondo la critica consisterebbe però, soprattutto nella volontà di entrambi cli autoingannarsi, e in que!Io stato di passività, per cui non vivono, 1na subiscono la vita. In particolare l'inettitudine a vivere del Brentani sarebbe data dalla sua volontà di crearsi una donna inesistente, un angelo, quale l'amante reale non è, e non sarà 1nai. E1nilio è co1ne accecato dalla bellezza solare e luminosa di Angiolina, dalla sua fe1nn1inilità vitale ed irrompente, per cui in lei non sa vedere una donna reale, coi suoi limiti e difetti, n1a il concretizzarsi dell'ideale feìnminile, quale lui vorrebbe che esistesse. Dunque la sua ìnalattia sarebbe il rifiuto della realtà, per dare corpo ai fantasmi dei suoi sogni. Anzi in tal senso tutto il romanzo si polrebbe leggere co1ne una serie cli messaggi che il mondo reale invia al protagonista per svelargli il volto infido e moralmente volgare della donna che egli crede un angelo ("Ange" appunto la soprannomina), messaggi che il protagonista, pur tra mille tormenti e gelosie, sistematicamente censura, perché dolorosi e duri da accettare. Questa incapacità di aderire al reale e questa volontà di autoinganno se1nbrano confern1ati dalla conclusione del ro1nanzo, in cui Etnilio, pur costretto a riconoscere l'in1n1oralità di Angiolina, se ne inventa un'altra, a suo uso e consu1no, bella e perfetta, inna1norata di lui, 1na anche pensosa e triste, donna in cui rivivono le qualità 1nigliori dell'amante e della sorella Amalia.
4 5
Ibid., 115. Ibid., 139.
Salvatore Piscione
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"Angiolina subì una n1eta1norfosi strana. Conservò inalterata la sua bellezza, 111<1 acquistò anche tulle le
qualil~1
di An1alia [ ... ]. Egli la vide
dinanzi a se cornc un altare, la personificazione del pensiero e dcl dolore e l'a1nò sen1pre [... ].Ella rappresentava Lutlo quello di nobile ch'egli in quel periodo avesse pensato od osservato" 1'.
Tuttavia c1 sembra riduttivo vedere nella di1nensione dell'autoinganno dettato da an1ore, e nell'incapacità di aderire al reale da parte di Emilio la chiave di lettura dell'opera; anche perché da che n1onclo è 1nondo gli inna1norati fanno fatica a non idealizzare l'an1ata. Basti pensare alle an1arc pagine di Lucrezio nella conclusione del IV libro ciel De reru111 natura sulla cecità degli a1nanti, o all'Angelica dcl 1-'°urioso, quale appare agli occhi dì Orlando inna1norato e alle resistenze psicologiche del paladino prima di riconoscere l'an1ara realtà del tradin1ento; oppure a quanto Leopardi sostiene in Aspasia: gli inna1norati non an1ano una persona in carne ed ossa, n1a quclPideale perfetto cli donna che vive nel loro cuore e di cui hanno se111prc nostalgia. In tal senso il ron1anzo Senilifà apparirebbe poco originale nella ten1atica, niente più di un'opera sentin1entale, tardoro1nantica. A nostro avviso le ragioni della n1alattia niorale di En1ilio vanno, invece, cercate altrove, a livelli più profondi, anche perché il protagonista non scn1pre si lascia ingannare; in pii'! di un'occasione si rende chiaran1ente conto di che tipo di donna sia Angiolina, grazie alle sue doti cli acuto osservatore, che egli volontarian1entc e con acutezza sa usare, qualità che gli consentono di vedere ciò che non appare a pri1na vista. "Con1prese subito che non era il freddo che le faceva desiderare d'andarsene. Lo colpì inoltre di trovarla vestita con 1naggior accura!ezza del solilo. Un vestito bruno, che non le aveva 1nai visto, clegan!issin10, sen1brava tirato fuori per qualche grande occasione; anche il cappello gli
(i
Jbid., 250.
Coscienza
ù~f'elice
e invocazione soteriologica...
32 I
sen1brò nuovo, e osservò persino delle scarpine poco adatte per ca1n1ninare a Sanl' Andrea con quel te1npo" 7 •
Queste osservazioni, attente e puntuali, non possono essere quelle cli chi volutamente vuol chiudere gli occhi cli fronte alla realtà 8 • E ancora in un altro passo dice: "... gli porse le braccia al collo; le maniche larghe le lasciavano dcl tutto nude ed egli le sentì scottanti di febbre. Ella aveva gli occhi lucenti e le guance arrossate. Un sospetto orribile gli passò per la mente [... ] Emilio non aveva alcun dubbio: ella usciva dalle braccia di un altro ... "'>. E alla fine del romanzo scopre che la famiglia Deluigi è del tutto inventata, che da sempre Angiolina lo ha tradito. Qual è allora la radice profonda della malattia di Brenlani, per cui non può fare a nieno di Angiolina, anche se la conosce quale perfida e traditrice? Il suo rapporto con la donna non è unica1nente legato ai sensi o all'istinto sessuale; egli in fondo non desidera il congiungin1ento carnale con l'a1nata; potrebbe contentarsi dei soli suoi baci e delle sue effusioni di tenerezza: "... egli aveva una soddisfazione completa dal possesso incompleto di quella donna, e tentò di procedere oltre solo ... per ti1nore di venire deriso da tutti quegli non1ini che lo guardavano" 10 • Se chiede di possederla è perché se ne fa quasi un dovere, per din1ostrare al Balli e a se stesso quanto sa essere spregiudicato e cinico. La sua senilità, che non è un dato anagrafico, nia un niodo di rapportarsi dinanzi alla vita, "un dolore, un rin1pianto continuo, delle ore intenninabili d'agitazione, altre di sogni dolorosi e poi l'inerzia, il vuoto, la n1orte della fantasia e del desiderio, uno slalo più doloroso di qualunque altro" 11 , questo stato cli
7
lbid., 228.
8
Cfr. inoltre ibid., 192: "Acuto osservatore. E1nilio s'accorse benissi1no che ruui quei dubbi erano finti e che la vecchia doveva snpere che Angiolina non sarebbe venuta tanto presto". Ed ancora ibid., I 88: "Non convinse E1nilio. onnai sicuro ch'elln era st::1ta lullo quel carnevale frequentatrice nssidua dci veglioni .. "
lbid., I 68. ]() lbid., 38. I I fbid., 168.
<>
Salvatore Piscione
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vecchiaia e di passività viene da molto lontano, dai suoi sensi di colpa, legati ad un rapporto conflittuale col padre, che rappresenta ai suoi occhi l'imperiosità della legge morale, che egli non sa rispettare, né tanto n1eno fare propria interiorizzandola, 1na nemineno rifiutare, perché intin1a111ente legata alla sua coscienza. La coscienza e la n1orale sono un grave fardello di cui farebbe ben volentieri a meno, se solo sapesse sbarazzarsene. A differenza de La coscienza di Zeno in Senilità apparentemente non si fa menzione del rapporto del protagonista con il padre, e dell'educazione che quest'ultimo gli ha impartito. Tuttavia a ben guardare non manca qua e là qualche piccolo indizio che conferma quanto andiamo sostenendo. La sua malattia si è fatta più acuta alla morte del padre e solo l'esercizio dell'arte lo ha parzialn1ente sottratto alla sua abulicità. "Sentiva e si doleva d'essere inerte, e ricordava che, anni prin1a, l'arte gli aveva colorita la vita soltracndolo all'inerzia in cui era caduto dopo la n1ortc dcl padrc" 12 ,
E in un altro passo è detto: "La sua vita era stata seinpre poco lieta, ina dalla 1norte ciel padre in poi, rnollo tranquilla (leggi abulica) e il suo organisrno soffriva del nuovo regi1ne"L1.
Co1ne non vedere in E1nilio, che cerca la salvezza nell'esercizio letterario, una grande affinità con Zeno, che scrive le sue nien1orie per attenuarne le ansie, legate al pensiero ossessivo di aver desiderato e voluto la niortc del padre? Del resto vi è nell'opera un'altra spia dell'educazione oppressiva e 111oralistica del genitore, quando Svevo parlando di An1alia, eccitata e gioiosa per la scoperta de1l'an1ore, con un .flashback richiama l'educazione giovanile della donna, che non
12 1.1
!bid., 147. lbid., 71.
Coscienza infelice e invocazione soteriologica...
323
deve essere stata dissimile da quella di Emilio, se in entrambi i casi ha sortito lo stesso effetto di una vita scialba e senza slancio, tristemente ripiegata su se stessa. "Ella aveva parlalo allrc volte d'a1nore, rna altriinenti, senz'indulgcnza, perché non si doveva. Co1ne aveva preso sul serio quell'itnpcrativo che le era stalo gridato nelle orecchie sin dall'infanzia. Aveva odialo, disprezzato coloro che non avevano obbedito e in se stessa aveva soffocato qualunque tentativo cli ribellione. Era stata truffata! Il Balli era la virtù e la forza, il Dalli che dell'arnorc parlava tanto scrcna111ente, dell'ainore che per lui non era stato n1ai un pcccato"I·1•
Se Amalia supera i suoi sensi di colpa proiettando nel sogno i desideri o (il che è la stessa cosa) vivendoli nell'oblio dell'etilismo, Emilio ha una trovata più geniale: negare radicalmente la stessa legge morale; ridere di lei come di cosa angusta e superata, inadatta agli spiriti superiori; indossare l'abito del cinico spregiudicato, che vuole vivere intcnsan1ente e senza alcun i1npcgno etico il rapporto con la donna, usandola e sfruttandola a suo piacimento. "Egli s'era avvicinato a lei con l'idea di trovare un'avventura facile e breve, di quelle che egli aveva sentito descrivere lanto spesso e che a lui non erano toccate rnai. .. " 15 •
In tal modo si libera non solo dai tormenti ciel rimorso, ma può anche dare corpo ai suoi sogni di 1negalon1ania, perché, al pari di Zeno, si è sen1pre in11naginato un grande uomo, ma come in potenza, tutto ancora da realizzare 1''. Egli si crede, forse sulla scorta delle letture di Nietzsche, l'uomo superiore che dall'alto della lucida razionalità può fare a 111cno di ogni principio etico: "che cosa era l'onestà a
Ibid., 73-74. lbid., l l. 16 Cfr. I. SVEVO, La coscienza di Zeno, in Ro111a11zi, a cura ùi P. Sarzana, Mondadori, Milano 1985, 657. i.i
15
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questo mondo? L'interesse! Le donne oneste erano quelle che sapevano trovare l'acquirente al prezzo più alto, erano quelle che non consentivano all'amore che quando ci trovavano il loro tornaconto" 17 • Dicendo queste parole egli si sente l'uomo immorale superiore che
vede e vuole le cose come sono. "La potente n1acchina da pensiero ch'egli si riteneva era uscila dalla sua inerzia. Un'onda di orgoglio gli gonfiò il petto". L'immoralità lo fa sentire pienamente libero, gli dà la percezione della sua grandezza intellettuale, che lo distanzia dalla folla degli uomini comuni. Addirittura si propone di dare lezioni di cinisn10 alla fragile ed ingenua fanciulla, che vuole ingannare e corron1pere. "Non sarebbe slalo n1cglio dì renderla 1ncno onesta e più astuta?
educare lui quella fanciulla f ... l diretta eia persona abile avrebbe potuto essere villoriosa nella lotta della vita"
18
con1c
era lui,
•
Maliziosamente lo scrittore co1nmcnta: "per insegnarle il vizio, assunse l'aspetto austero di un n1aestro di virtù" 19 • In questo paradosso del vizio che si pone come virtù è il nucleo stesso dell'agire incoerente di En1ilio: il cinico nel corso dcl ron1anzo rivela inevitabilmente il suo irriducibile fondo di moralista. Egli sarà stritolato dalla sua stessa trovata ed i ruoli si capovolgeranno. Senti1nentale inguaribile appare alla ricerca di un lega1nc affettivo puro e fedele, che abbia il disinteresse dcll'a1nore 1naterno. Perciò in Angiolina vuol vedere la donna sublime, proiezione della figura della n1adrc: "Gli parve d'essere an11nalalo, gravc1ncntc senza ri111edio, e che Angiolina fosse accorsa a curarlo. Le vedeva la con1postezza e la serietà della buona infc1n1icra dolce e disinteressata. La sentiva n1uoversi nella can1cra, a_J ogni qual volta ella si avvicinava gli apportava refrigerio, toccandogli con la inano fresca la fronte scollante, oppure baciandolo, con lievi baci che
17
I. SVEVO, Senilità, cit., fbid., 23. 19 L. c. IN
25.
Coscienza infelice e invocozione soteriologica...
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non volevano essere percepiti [ ... ]. I.;effettuazionc di quel sogno sarebbe stato il vero possesso" 20 •
Per questo fondo di moralismo, che vuole la donna fedele, sempre disposta e disponibile verso l'amato, si indigna aspramente tulle le volte che scopre il tradimento. "L'aveva an1ata [ ... ]con tulta l'anin1a, tanto che una prin1a offesa falla al suo an1ore l'aveva ferito in 1110Jo da rinunziare a lei" 21 .
Brentani vuole per sè lo scioglin1cnto da ogni vincolo 1norale, n1a lo impone agli altri, specialmente alla donna an1ata, segno evidente che i principi etici fanno parte del suo mondo, delle sue convinzioni più profonde, anche se li sente dei vincoli opprimenti. Egli è convinto che la legge 1noralc è giusta, 1na non è capace di osservarla. Co1ne l'uomo biblico, di paolina memoria, si compiace della legge in se stessa, n1a deve prendere atto che vive al di fuori di essa, perché non ha la forza d'anin10 per osservarla. Da qui i suoi tonnenti, le sue fantasie n1orbosc. "Aveva sognato in sua vita persino il furto, l'on1icidio, lo stupro. Del delinquente aveva sentito il coraggio e la rorza e la perversità, e dei delitti aveva sognato i risultati, l'in1punità prin1a di lutto. Ma poi, soddisfatto dal sogno egli aveva ritrovati in11nutati gli oggetti che aveva voluto distruggere, e s'era chetato la coscienza tranquilla. Aveva con1111csso il delitto n1a non v'era danno" 22 •
In Senilità, speciahnenle nell'ultin1a parte, sono nu1neros1ssin1e le spie di questo conflitto interiore che riecheggia quello descritto da Paolo di Tarso nella lettera ai Ron1ani.
211 21
22
lbid., 157-158. lbid., I 03. lbid., 42.
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326
"Io trovo dunque in inc questa legge: quando voglio fare il bene, il 111ale è accanto a n1e. Infatti acconsento nel n1io intirno alla legge di Dio, n1a nelle inie me1nbra vedo un'altra legge, che n1uove guerra alla legge della inia 1nente e mi rende schiavo della legge del peccato. Sono uno sventurato! Chi 1ni libererà da questo corpo votato alla lnortc?" 23 .
Proviamo a citare (1na i passi sono nun1erosissi1ni) 24 alcune espressioni che confermano i suoi lancinanti sensi di colpa e le strategie, messe in atto per rimuoverli. Quando nella stanza vicina alla sua percepisce i vaneggiamenti della sorella, il suo rimorso si fa cocentissimo: "che male ci sarebbe stato a lasciar continuare quei sogni innocenti?". Ma poi quel rimorso finì col mutarsi in una grande compassione di se stesso. Da colpevole si trasforma in vittima. "Quella notte dunque il rimorso gli fece trovare il sonno" 25 . Anticipa quei meccanismi di rin1ozione della colpa, che ne La coscienza di Zeno appariranno davvero geniali, fino a tal punto che il Cosini si autopercepisce come benefattore del suo peggior nemico, o si intenerisce per Augusta, sua moglie, mentre spudoratamente la tradisce con un'altra donna. Ugualmente, quando Amalia, dopo una giornata di malumori reciproci, gli risponde con 1nitezza, sente d'essere stato perdonato e ne prova "una soddisfazione vivissima e dolce tanto che gli si inumidirono gli occhi,, 26 e solo allora riesce a dormire, beato come un bambino. Egli coscientemente sceglie
23
Crr. Ron1. 7, 18-24. Citiamo alcune allusioni ai sensi di colpa del protagonista: "!a vicinanza della fame (leggi desiderio) turba là dove ci si vuol divertire" J. SVEVO, Seni!itò, cit.; "per tranquillizzare la propria coscienza inquieta, egli sarebbe staio capace di qualunque sacrificio" ibid., 14; "il più forte dolore che allora provasse era di aver offeso la sorella [ ... ]. Avrebbe voluto chiederle scusa" ibid., 14; "Ricordò quanto quella scena fosse sonligliantc a questa, e sentì un nuovo peso pio111bare sulla propria coscienza" i bi d., I 36; "se si fosse in1battuto in Angiolina, avrebbe trasalito Jo!orosaincnte, solo perché quella vista gli avrebbe ricordata la propria colpa" ibid., 204; "non so se provare n1aggior dolore o ri1norso" ibid., 206; "Oh, se egli avesse saputo che nella sua vita c'era una inissionc tanto grave con1e quella di Lutc!nre una vita affidala unicarnente a lui ... Pianse in silenzio, neli'on1bra, an1aran1cntc" ibid., 217. 25 J. SVEVO, op. cit., 128. 26 !bid., 140. 24
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il Inale, e tuttavia sa inventarsi delle scuse con cui, pur in mala fede, appare innocente ai suoi stessi occhi. La sorella sta per morire, Ina non rinuncia all'incontro con I'a111ante, lasciando la moribonda neIIe n1ani di estranei. Questo grave atto di abbandono, frutto di morbosa passione, viene da Jui trasfonnato nel suo esatto contrario: un sacrificio perché la sorella sia salvata. "La sua presenza in quella stanza non giovava a nessuno, 1ncnlrc andando da Angiolina egli portava subilo un o!ocausLo ad An1alia" 27 •
È un meccanismo dettato da "malizia", che San Tommaso ha individuato e descritto a proposito della responsabilità morale, quando l'intelletto sotto la pressione della volontà perversa presenta come bene ciò che percepisce co1nc n1ale. Meccanis1110 che in qualche modo, su basi diverse e a livelli inconsci, non è ignoto alla psicanalisi. Potrern1110 continuare a lungo con citazioni che attestano questo gioco sottile di ri111orsi e ri1nozioni; ina deve apparire ormai chiaro che la malattia di Brenlani, la sua senilità, è la stessa di Zeno. Non per nulla tutti e due dinanzi ad un intimo parente che muore (il padre o la sorella) se ne sentono responsabili e vivono scene analoghe, soprattutto nei confronti dei medici curanti, nelle cui diagnosi leggono un preciso allo di accusa. Così fa Zeno, così fa Emilio. Non resta che negare l'evidenza e cullarsi nell'illusione che i medici siano degli ignoranti presuntuosi. E1nilio, però, fa più fatica a riinuovere i suoi tormenti; Cosini sa farlo invece con arte più matura e con sottile ironia. Anche sul piano dello stile'" si notano nei due romanzi delle caratteristiche che ben si adattano alla tematica centrale dello scrittore: il sottile gioco di spostamenti di piani, di attese deluse, di repentini capovolgimenti psicologici, attesta l'intensa dinamicità della vita
27
lbid., 222. Per lo stile di Svevo cfr. t\1. GUGLIEl..MINETTI, Struttura e sintassi nei ron1anzi di Italo Sl'evo, in S!rulf/1ra e sintassi del ro111a11zo italiano del prùno No1 1ece11!0, Silva, Milrino 1964. 28
S'alvatore Pt'scione
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psichica dei due protagonisti, caratteristica che sul piano stilistico si trasforma nella cifra dell'ossimoro, una costante tipica della pagina
sveviana, in cui ansie e rasserena1nenti, gioie e dolori, ri111orsi ed innocentizzazioni convivono nello stesso episodio, a volte nello stesso periodo, e financo nelle singole espressioni.
Una vita Anche il prin10 ro1nanzo, Una vita, apparente1nenle diverso dai due successivi, presenta (se non sul piano stilistico-formale, ancora legalo ad un i1npianto verista, alineno nei contenuti), notevoli affinità con gli scritti che abbiamo analizzato. Tale opera è incentrata anch'essa su un personaggio che 1nal si adatta al ruolo di in1piegato e cerca con1pensi alle sue fruslrazioni in sogni di grandezza letteraria e filosofica. Nitti, il protagonista, si nutre delle impegnative letture degli idealisti tedeschi ed è convinto che dalla sua penna uscirà un'opera grandiosa di filosofia n1oralc. "Avrebbe lui fondato la moderna filosofia italiana con la traduzione di un buon lavoro tedesco e ... con un suo lavoro originale ... " 29 • In realtà è un giovane di campagna, sradicato dall'ambiente cli origine e in conflitto col mondo cittadino; ma soprattutto il suo conflitto è di natura affettiva, legato all'immagine femminile, dì cui la madre ai suoi occhi è il 1nodello perfetto. La sua coscienza conosce gli acuti morsi dci sensi di colpa, quando l'istinto sessuale lo porta a profanare l'altissimo ideale di donna, che vive nel suo spirito. "Ebbe qualche avvenlura d'amore, n1a non appena iniziala la soffocava con abbandoni bruschi per un risveglio della sua coscienza n1oralc ed anche per non aver da sacrificare all'an1ore le ore di sludio""' 11 •
29 10 -
I. Svr::vo, Una 11;1a, in Ro111a11zi, cit., 99. !bhl., 80.
Cosc;enzo ;nfelice e invocazione soteriologica...
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Spirito nlegaloinane fa coincidere il suo senso cli superiorità con l'alto ideale etico, che gli altri non condividono, anzi fanno oggetto cli scherno. "Per lui essere cittadino equivaleva ad essere fisican1ente debole e n1oraln1entc rilasciato, disprezzuvu le loro ubiludini sessuali, J'an1orc alla donna in genere e la facilità dell'a1nore ..
Non aveva conosciuto 18
sensu8lità che nell'esaltazione del sentin1ento. La donna era per lui la dolce con1pagna clell'uo1110 nata piuttosto per essere adorata che abbracciala ... ebbe l'intenzione cli serbarsi puro per porre ai piedi di una dea lutto se slesso"-11 •
Tuttavia avverte nella sua carne slimoli nieno nobili, "da ragazzo vizioso"_ì~, che lo spingono a correre per le vie clielro a "un piedino calzato in eleganti scarpette lucide" o ad "un collo dalla pelle bianchissin1a". Anche in Nitti vi è, dunque, co1ne nei protagonisti degli altri ron1anzi, un contrasto di natura etica, che gli genera tensioni e conflitti: "aveva dei desideri ch'egli sapeva rcpritnerc soltanto con grandi sofferenze"-n. Specular111ente opposta all'in1n1agine 111aterna è Annetta, la figlia del padrone, di cui subisce il fascino, ma che in fondo giudica fredda e vana, anche se non priva di intelligenza. Per lunghi n1esi intreccia con lei una storia d'a1nore, intessuta di discussioni letterarie, cli baci rubati e di qualche 11101nentaneo abbandono. Tuttavia la passione di Alfonso è un po' cerebrale, quasi frutto di volontà. "Per quanto in sua presenza non sentisse desideri, ne era lutlnvia preoccupato. Anzitutto era quasi ncklolorato cli non sentirli e cercnva cli provocarli studiava quel volto per vedere cli n1cllcrci l'espressione della passione che 1nancava a far perfetto il suo sogno"-'.J-.
!bid., 78. Cfr. ibid., l 28. ·'·' lbid., 78. JI 2
"
3
~/bùl.,
!31.
Salvatore l)iscione
330
Egli è certamente innamorato di Annetta, ma, nel volere a tutti i
costi apparire audace nelle sue avances fa violenza a se stesso, perché è piena1nente appagato dall'affetto della ragazza, senza cercare congiungimenti sessuali. Parlare con lei, ascoltarla, sentire la dolce modulazione della sua voce soddisfa pienamente Alfonso, che null'altro desidera. "Non parlava di an1ore, 1na tutto quanto egli diceva ad Annetta veniva alterato dal suo sentin1ento".1 5. Sentiva fondersi la voce di lei "in una dolcezza di cui non l'aveva saputa capace e la dichiarazione era così chiara, tanto ardita da se111brargli una presa di possesso, che lo scoteva tutto nell'ebbrezza dcl sogno realizzato". Se spinge, però, il gioco d'an1ore fino al congiungin1ento fisico con la donna, lo fa in parte cedendo alle pressioni del mondo circostante, che mal comprende quel suo ideale di amore casto, e in parte perché si lascia andare ai suoi stessi istinli di "ragazzo vizioso''. Fu un possesso frettoloso e brutale, "in apparenza ... un tradimento, un furto"'°. È l'inizio però, della fine del suo amore, non perché per Alfonso, come spesso ripete pigramente, la critica marxista sia il paradigma dell'intellettuale borghese, il quale nella sua lucida alienazione ha paura della scalata sociale che il 1natri1nonio con la figlia del Maller gli fa intravedere", ma perché il protagonista percepisce acutamente la sua colpa, che gli appare un cedimento della volontà. Soprattutto è deluso nel vedere crollare il suo rapporto ideale con la figura fen1rninile, ai suoi occhi non più una creatura perfetta da adorare, ma un essere freddo, sensuale e vanitoso. L'an1ore si converte in disprezzo. Inquieto e disgustato, rinunzia alla donna e ad ogni prospettiva cli benessere economico.
·15 !bid., l 64. _'.\(, lbid., 226. 17 · Fra i critici di rnatrice inarxista che si rifanno alla teoria dcl rispccchian1cnto cli Lukacs ricordian10 A. Leone dc Castris, G. Luti, R. Luperini. Di ben altra idea G. Prnnploni che nei rornanzi cli Svevo nega ogni volonli1 di denuncia antiborghese, sottolineando nella narrativa dello scrittore "un'esperienza individualistica esasperata".
Coscienza ir1felice e invocazione soteriologica...
"Non era così ch'egli avrebbe voluto ottenere la
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ricchezza ... Si
ra111n1entava di aver sperato di raggiungere il 111edesirno scopo per tutt'altra via. Annella avrebbe dovuto dichiarargli scrcnan1cnlc ch'ella lo an1ava e .. <li non saper porre il proprio destino in 1nigliori inani che nelle suc":u;.
Ammettere la propria debolezza di fronte alla seduzione dei sensi 1netle in crisi la sua supposta superiorità. "Era stata una felicità strana, una soddisfazione continua del suo orgoglio a scoprire qualche debolezza in altrui di cui egli andava in1111unc ... Cotnprcn<lcva e con1pativa le debolezze altrui e tanto più superbo andava
della propria superiorità ... Ora invece quei lottatori ch'egli disprezzava lo avevano attirato nel loro inezzo ... egli aveva avuto i loro slcssi desideri, adoltalo le loro arrni"J 9•
Per un megalomane come Nitti (e come in fondo sono gli altri protagonisti della narrativa svcviana) è un fatto intollerabile, che n1ina l'intero suo equilibrio. Meglio rinunciare alla donna, che adesso non è più una dea, 1na ai suoi occhi appare Ja maggiore responsabile della colpa. "Annetta era la più colpevole fra i due perché le scuse ch'egli aveva trovate per se, per lei non sussistevano. Ella aveva agito per sensualità e per vanità, dal principio alla fine" 40 .
Vi è giù in nuce quel meccanisn10 dì deresponsabilizzazione, che viene portato ad un grado di cstren1a finezza dai protagonisti dei successivi romanzi. Alfonso, invece, è ancora alle prime armi nell'arte dell'autoinganno e non sa nascondersi il disgusto che prova per se stesso; solamente vorrebbe attenuarlo, convincendosi che il suo gesto
J~
I. SVEVO, Ro111anzi, cit., 236. Jbid., 232-235 . .JO !bid., 236. J<J
332
non ha generato odio o risentimento presso il Maller e soprattutto presso l'a1nata. Per questo cerca di ricompensare il padrone con un grande rendin1ento nel lavoro e soprattutto desidera un colloquio chiarificatore con Annetta, di cui è ancora inna1noralo. È vero la reputa una "donnicciuola" che avrebbe abbandonato il pron1esso sposo "con la stessa rapidità con cui gli si era data" 41 ; tuttavia per attenuare le sue ansie vuole riscattarsi agli occhi di lei ed assicurarla della sua "dirittura 1norale", farle sentire "ch'egli non era ]'avventuriere ch'ella supponevan·n. Per tulla risposta viene umiliato ed offeso dal fratello di Annetta e sfidato a duello. All'idea di apparire "quale un nemico spregevole, sospettato di voler danneggiare" l'an1ata, egli non è in grado di reggere e conclude la breve esistenza col suicidio. Alfonso non sa perdonarsi le proprie colpe e vivere col tormento dei ri1norsi; in ciò è rnolto sin1ile ad E1nilio Brentani e a Zeno Cosini, n1a, a differenza di questi ulti1ni, n1olto più sprovveduto: non ha in1parato a pieno l'arte dell'autoinganno e dclrautoassoluzione, proprie sì di una coscienza infelice, ina anche in n1ala fede e alla ricerca di una qualche via di salvezza.
Il vecchione Ben altrimenti reagisce al sentimento delle proprie colpe il protagonista dell'ulti1no incon1piuto ron1anzo, Il vecchione; in esso l'autore torna a1npian1ente sulla stessa ten1atica, sui n1edesin1i 1neccanis1ni di rin1ozione della colpa e sugli inevitabili conflitti che avvengono in famiglia, soprattutto tra padri e figli. Il protagonista di questi fog}j.JJè ancora Zeno, n1a più vecchio e n1aturo, che non "incia1npa più sulle cose", anzi ostenta una sua disincantata saggezza di settantenne, anche se deve pur sempre
41
fhid., 322. Jbid., 396 . .u ll ron1anzo, inco1npiulo per la 111orlc i1nprovvisa dell'autore, è allo stato ùi <lppunti o abbozzi provvisori. 12 •
Coscienza infelice e invocazione soleriologica...
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do1ninare i conflitti interiori e 1neltere a tacere i morsi della coscienza. A volte gli affiorano i ricordi impuri della giovinezza, di cui sente ancora la seduzione e speri1nenla un violento contrasto tra virtù e libertà. "Porse n1i farò anche pili virtuoso e a/Tcttuoso. Appassionatan1entc virluoso 111agari, rna sarà virtù vcra1ncntc rnia e non csattan1ente quella prc<licata dagli altri che quando l'ho indossata n1'oppri111e invece cli vcstinni"~- 1 •
In tale prospettiva il bene 1norale coincide con !'inerzia e la non vita: più si è virtuosi e più ci si sente n1orti. Abbastanza illun1inanti sono le pagine in cui Zeno parla del suo rapporto con i figli. Egli che è stato oppresso dall) autoritarisn10 paterno, assun1c nei confronti di Alfio, il figlio, un attcggian1enlo di assoluto rispetto, che sconfina addirittura nel disinteresse, 1nascherato di liberalisn10 pedagogico. Grande è la sua sorpresa quando scopre che il figlio nutre nei suoi confronti lo stesso rancore, che egli ebbe verso suo padre. Zeno, che si giudica un genitore 1nodello, ancora una volta ha n1entito a se stesso: è incapace di accettare l'alteritù di un figlio che lo contesta e lo pone sotto accusa. I ruqli, ironia della sorte, si capovolgono: Cosini si trasforn1a in un padre oppressivo, pur continuando a dire a se stesso che è estren1a1nenle disponibile nei confronti cli Alfio. Coglie tutte le occasioni per accontentarlo, gli fa dei doni, 1na in effetti non Io an1a; non lo ha inai perdonato e cerca soltanto di assolversi dalla peggiore accusa che gli si possa fare: so1nigliare terribiln1entc al proprio padre. È vero che non gli rifiuta del denaro e gli rivolge parole dolci, 1na è sen1pre n1osso da un profondo scnlin1enlo di rancore.
·1-1 !. SVEVO,
I Rucconti, Fratelli Me!ita Editori, La Spezia 199 l, 471.
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"Certo dovevo avere un aspetto strano poco affettuoso. Intanto che l'accm·czzavo urlavo dentro di mc: 'Come sono buono, corne sono buono!'''45 .
Ma la vera natura dei suoi scntin1enti verso Alfio viene ben presto fuori, quando con compiacimento giudica il figlio una "personalità sbilenca"~ 6 con1e i colori disordinati della sua pittura. Allora può infliggergli (lui padre dolce, non autoritario) la peggiore delle punizioni. "Dovetti arrivare alla conclusione che se la rnia agonia e la rnia n1ortc
avessero dovuto essere una grossa punizione per Alfio, egli la punizione l'aveva vcra1ncntc 111eritata. Potevo avvianni alla n1orle con grande tranquillilà"~ 7 •
Catliveria profonda ed autoassoluzione convivono nella coscienza contorta di Cosini-padre. Egli per vivere tranquillo, per acquistare Ia sua saggezza e il suo equilibrio deve dunque acquisire un'arte suprerna, quella, co1ne andian10 sostenendo nei nostri saggi, di nnparare a non avere r11nors1. Aperta1nente e senza più veli, Zeno Io confessa a se stesso quando è disposto a pagare la forte tassa sulla caccia per acquistare il diritto di far soffrire gli anin1ali e di uccidere, senza restarne 1nini111a1nente turbato. Solo allora potrà fu1nare l'ulti1na sigarett<'.r 18 •
45
lbid., 416. L. c. ~ 7 L. c . .rn Il n1otivo ùell'ultinu1 sigaretta è an1pian1cnte svolto nel precedente ron1anzo La coscienza di Zeno. Averlo ripreso in quest'ultima opera è co111e averne voluto offrire una più approfondita chiave di lcttun1. Per una lettura complessiva dci romanzi dcl Nostro è opportuno confrontare anche M. JEULAND MEYNAUD, Zeno e i suoi fratelli. La creazione del personaggio nei ro111a11zi di Italo SveFo, Patron, Bologna 1985. 46
Coscienza inj'elice e invocazione soteriologica...
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"Mi pareva tanto i111portante la inia pritna azione violenta contro gli ani111ali che fun1ai una quantità di sigarette diccndorni che poi conquistato il forte volere quello dell'assassino non ne avrei fumale altre"·19 •
Riflessioni conclnsive L'opera narrativa di Italo Svevo ha una sua coerente linea tc1natica, che l'autore va approfondendo per scavi successivi, ritornando quasi ossessiva1nentc sugli stessi proble1ni, segno di una sua intensa e sofferta partecipazione ad essi. Anche gli scritti minori insistono sugli stessi motivi. La novella del buon vecchio e della bella fanciulla, dietro un titolo ironicamente da favola, racconta di un anziano egoista che corro1npe una giovinetta) 1na poi, in preda agli scrupoli, cerca di attenuarli, teorizzando in un suo scritto i doveri dei giovani verso gli anziani, nel tentativo di confondere la sua colpa con quella di niille allri vecchi viziosi. Ugualn1ente nel racconto giovanile L'assossinio r/; via Belpoggio l'autore di un efferato 0111icidio per giustificarsi si autoconvince di averlo con1piuto per sostentare la vecchia n1adre) la quale) invece, era già n1orta alcuni giorni prin1a del suo delitto. Tale linea tematica, onnipresente negli scritti del Nostro, non attesta, a nostro giudizio, la crisi dell'intellettuale borghese, che, alienato da una società n1alata e disperato di costruirne una nuova e più un1ana, è incapace di aderire alla lotta per la vita) e perciò si rinchiude in uno splendido e morboso isola111ento; crisi che, con1e è stato detto, trova il suo corrispettivo letterario nel tipo dell'"inetto" di tanta letteratura del primo Novecento. Svevo coglie invece un dato di fatto non storicistico, 1na proprio dell'uon10 perenne, incapace da solo di salvezza. È una te1natica cara a San Paolo e al Nuovo Testa1ncnto. L)uo1110 sveviano vuole porre da sé la sua giustizia e coine il fariseo della parabola disprezza gli altri e si autoesalta, incapace cli ammettere le proprie colpe. Lo scrittore
·i'IJ. SVEVO, Romanzi, cit., 412.
Salvatore JJiscione
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triestino s1nonta questa pretesa autosufficienza, n1ettendo a nudo la "coscienza infelice" dell'uorno n1oderno, 1na non arriva (la sua visione laica glielo in1peclisce) a/l'invocazione soteriologica dcl pubblicano. Questa centralità nell'opera sveviana della legge morale, della Torah dell'A.T., deriva anche dall'origine ebraica del nostro autore, per altri versi ampian1entc sottolineata dal critico Dc Benedetti. È il falli1ncnto della vecchia alleanza, in cui la legge è avvertita con1e peso ossessivo che schiaccia l'uo1no sotto la sua responsabilità. Non si è realizzata ancora la pron1essa di Geren1ia 50 di una nuova alleanza, in cui la legge, interiorizzata, diventa "la delizia" dcl cuore. Con Paolo, Agostino e la tradizione cristiana il peccato può diventare "felix culpa'', che invoca e speri1ncnta una risposta di salvezza, esperienza che a Svevo è negata per i n1otivi su accennati. Non resta che un'apparente salvezza nell'esercizio, sen1pre più scaltrito, della 51 pagina letteraria, ironica e tagliente densa di ossi1nori e quasi terapeutica. Ma la soluzione più vera, co1ne è attestato nelle pagine conclusive dc La C'oscienza di Zeno, è la distruzione totale del 1nondo, un'apocalisse senza parusia a confern1a di questa invocazione soteriologica che non trova risposta. T_,o scrittore triestino tuttavia a ben guardare ha l'indiscusso pregio di togliere alla presunzione un1ana ogni piedistallo di autosufficienza, denunciandone la condizione di vita non autentica. Tutto ciò non è cosa da poco.
511
Cfr. Gcr. 3 J, 33. All'ossin1oro sen1bra nl!uclere nel titolo il snggio, di GJOi\NOLi\, Un killer dolcissiino. !ndugine psicounulitica s11// opcrn di Italo Svc1•0, Il Melango, Genova 1979. 51
1
Note e commenti
Synaxis XIV/2 ( 1996) 337-355
li 15 marw 1996, ne/i 'aula magna del re/lorato del!' Università lleg/i Studi (/i Catania, è stata presentata l'opera GAETANO ZITO (a cura di), Chiesa e società in Sicilia. 1. L'età normanna. 2. 1 secoli Xfl-XVl. 3. I secoli XVII-X/X, SEI, Torino 1995, rispettivamente pp. 214, 367, 40 I.
I tre volun1i sono il .frutto rU tre convegni organizzati sul te111a "La Chiesa di Catania e il suo territorio" e celebrati tra il 1992 e il 1994: ad essi lo Studio Teologico S. Paolo aveva dato il suo }Jatrocinio. I convegni sono stati suscaati dalla concon1itanza rii alcuni anniversari-centenari: la r{fondazione tiella diocesi nel J 092, al tempo di Urbano 11 alla fine dell'occupazione saracena; !'apertura al culto llel rluo1110 11or111an110 nel 1094; il disastroso terren1oto riel 1693 che colpì il Val di Noto e la successiva ricostruzione della città di Catania; la 1norte del carclinale Dus111et nel 1894, arcivescovo che ha lasciato un. }Orte ricorrlo fino cui oggi. È la virtù delle cornrnen1orozio11i a s11ingere le ricerche storiche; aver saputo unire questi quattro eventi cosl {/iversi e senza legan1i GfJ]Jarenti è un indubbio inerito di questi convegni, che hanno dato vita ai voh11ni che qui vengono JJresentati, e oi quali un qual(ficato contributo è venuto da alcuni docenti dello Studio S. Paolo.
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Note e conunenti
l. L'età norn1anna Il titolo di questo volume nello stesso tempo abbraccia geograficamente tutta l'isola: Chiesa e società in Sicilia e restringe la visuale cronologica a L'età nornJ.anna. In realtà, dell'isola intera si parla poco ed è maggiormente contemplata la città e la diocesi di Catania. La focalizzazione geografica è dovuta, come penso, agli organizzatori del convegno che sono catanesi e che colgo l'occasione di ringraziare per la ricca documentazione messa a disposizione degli studiosi. Quanto all'arco cronologico normanno, parecchi contributi l'allargano per transennrun o sistematica1nente non solo al periodo arabo immediatainente precedente, 111a anche a quello bizantino e ro1nano anteriori, sicché il titolo e il sottotitolo tni sono apparsi rispondere piuttosto a una necessità editoriale che al contenuto del volume, di cui voglio brevemente sottolineare i pregi, prima di dire alcune riflessioni che mi ha suggerito. Molti infatti sono gli aspetti della storia catanese in esso csan1inati. È norn1ale che la storia propriatnente ecclesiastica vi occupi un posto di rilievo. In un quadro purtroppo ristretto è tracciata dal compianto Francesco Giunta la storia della prima Chiesa di Catania in epoca romana e bizantina fino all'invasione araba. Cositno Damiano Fonseca ricolloca la riconquista norn1anna delPisola nel contesto più ampio del doppio fenomeno che caratterizzò l'intero Mezzogiorno d'Italia dalla metà dell'XI ai primi decenni del Xli secolo, cioè da una parte l'erezione di nuove diocesi, dall'altra la costruzione o ricostruzione di cattedrali, e di colpo è allargata la visuale gcogrnfica, 1na lin1itala la visuale cronologica dcl discorso agli inizi del periodo normanno in Sicilia. Il discorso di Horst Enzcnsberger è ancora più chiara1nente direi centripeto, quando concentra la sua - e la nostra attenzione dalla riorganizzazione ecclesiastica dell'intera isola alla situazione specifica di Calania. La Chiesa catanese non ricupera il titolo archiepiscopale che era stato il suo alla fine del dominio bizantino e sarà sotto1ncssa al nuovo centro dcl potere in Sicilia occidentale e dal 1183 in poi a Monreale. Inoltre non coincidono perfettamente i disegni di politica ecclesiastica del papa e del gran conte: Urbano 11 si riferisce chiaramente alla cosiddetta riforma
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Note e conunenti
gregoriana ed agisce 111 virtù della cunctarum sollicitudo ecceliarum, mentre Ruggero I si conforma all'uso vigente sotto la dominazione araba, unendo nella stessa persona dell'abate Ansgerio la direzione di un monastero con quella della diocesi. Che questa divergenza dei disegni tra papa e conte abbia sollevato qualche difficoltà, lo mostra bene Salvatore Fodalc, anche se il cronista del tempo Goffredo Malaterra lo passa volutamente sotto silenzio. Una crisi si verificò nel
l 098, quando il papa, con la nomina di un legato pontificio in Sicilia, affermava la sua volontà di controllare da più vicino l'episcopato siciliano creato dal conte. La reazione di costui fu immediata ed energica, poiché il legato fu schiettamente arrestato e impossibilitato di esercitare le sue funzioni. Perciò si finì laddove si sarebbe dovuto con1inciarc, cioè con un accordo tra le due parti sulle future nornine
dei legati. Con lo studio di Norbcrt Kcmp lasciamo la storia ecclesiastica di stampo tradizionale per quello dei suoi interessi più recenti e in primo luogo per l'esame dell'origine sociale e della formazione spirituale dei vescovi di epoca nonnanna. Ora, con la riconquista norn1anna
iniziò un processo di latinizzazione dcli' isola dopo parecchi secoli di presenza e di cultura bizantina, cultura che sopravvisse anche durante
il dominio arabo. Di questa svolta culturale importante, i vescovi scelti dal conle e dai suoi successori furono gli artefici più attivi. Si capisce quindi che fossero stati tutti in origine di provenienza straniera e spesso precisan1ente nor111anna o inglese e che in un secondo tempo
provenissero dai monasteri benedettini e dai capitoli fondati nella pri1na generazione. Henri Bresc si è interessato a un altro aspetto, quello econo1nico,
della rifondazione
della diocesi
di
Catania.
Ha
sfruttato
una
documentazione con1plessa di atti riscritti e 1nanipolali in assenza degli originali perduti. Due cartine pern1ettono di fissare topografican1ente, da una parte lo spazio Jo1ninato dal vescovo nei secoli XI e XII,
dall'altra lo spazio sfruttato da lui nei secoli posteriori dal Xlll al XV. Si nota una rete più continua d'insedian1enti dall'una all'altra cartina.
Interessantissimo è lo studio di Catania nelle fonti arabe, dovuto a Adalgisa De Simone, la quale mette a disposizione dello studioso
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Note e conunenti
senza din1estichezza con la lingua e la letteratura araba un ricco materiale di vario interesse geografico, onomastico, sociologico e via dicendo. Poi, sotto il titolo di «Il vescovo la città e il regno», Enrico Pispisa studia nel caso cli Catania il ruolo del vescovo nel passaggio dal do1ninio 1nusuln1ano alJlegcn1onia ecclesiastica. In questo passaggio sono da sottolineare alcuni capisaldi. Dopo il lungo episcopato del prnno vescovo normanno Ansgerio (1094-1124), un pnmo avvenimento importante fu nel 1126 la traslazione da Costantinopoli delle reliquie di S. Agata che saldò, come nuovo palladio della cittù, una nuova solidarietà tra i suoi con1ponenti, e nel 1169 1' eruzione dell'Etna che ne distrusse edifici, uomini e cultura, segnando definitiva1nente a Catania la fine del periodo normanno. Dci due contributi seguenti, di Giovanni Spinelli sul 1nonachesin10 benedettino in Sicilia orientale, di Ansehno Stefano Lipari sulla spiritualità n1onastica, il prin10 passa in rassegna gli studi sull'argomento dopo il libro fondamentale di Lynn Towsend White del 1937 fino alia sua traduzione italiana dei i 984 sotto il titoio di /Vlonachesùno fatino in Sicilia 1101711a1111a, nlentre nel secondo si applicano alla Sicilia le feconde idee di Jean Leclercq nel suo Le désir de Dieu et f'runour rles /et/re. lnitiotion aux auteurs 1nonastiques rl11 Moyen /\ge, precisandolo ed illustrandolo con l'apporto degli studi italiani relativi alla te1natica monastica. L'ultin10 contributo di Salvatore Tramontana è una puntualizzazione del ruolo che ebbe il culto cli S. Agata nella vita religiosa della Catania norn1anna. Il nionastero fondato sotto il no1ne della san la ri1nase un ardente focolare cli religiosità e di cultura, un vivaio dove si formarono nu1nerosi vescovi siciliani del te1npo di Ansgcrio, finché la già nienzionata eruzione vulcanica del I I 69 distn1sse convento, scrittoio e biblioteca. Nel fratte111po, le reliquie della n1artire, conservate nella cattedrale dopo il loro trafugan1ento da Costantinopoli funsero da efficace catalizzatore della religiosità popolare e servirono ad avvicinare, più efficacemente che la teologia dotta dei n1onaci di S. Agata, le mentalità cristiana e n1usulr11ana, così profondamente divergenti in partenza.
Note e con11nenti
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Questa 1nia relazione non dà che una povera idea della ricchezza di contenuto, di dati e di spunti di riflessione offerti da questo volume. Per tale motivo credo di dover notare guanto sarebbe utile uno studio altrettanto particolareggiato del primo versante di questa storia che si estende dalle origini fino all'invasione araba. Da questo punto di vista, il primo contributo che ho recensito ha fornito un sunto utile, ma rin1ane un con1pendio che 1nerilerebbe di essere ripreso e particolareggiato. Mi sono venuti in mente alcuni suggcrin1enti che 1ni sia permesso solloporre alle vostre riflessioni. Una storia della Chiesa e società dalle origini all'invasione araba la vedrei articolata in questo modo. Un primo periodo va fino all'ulti1na persecuzione e alla pace della Chiesa del 313. Le fonti letterarie sono pochissime ed alcune pagine basterebbero a n1etterle in opera. Più ricca di gran lunga è la documentazione archeologica, soprattutto se estesa all'intera isola. Perciò faccio una do1nanda: non sarebbe venuto il tempo di dare una presentazione sintetica ed aggiornata, criticamente valutata, delle catacon1be siciliane, basala sulle ricerche elle dal secolo scorso ai nostro che sta per finire fecero i Flihrer, Orsi, Agnello padre e figlio e altri ancora più recenti? Non sarebbe n1aturo il tempo di uno o parecchi volumetti del !Cf sulle iscrizioni cristiane della Sicilia? Nel frattempo serviranno le pubblicazioni di p. Antonio Ferrua, delle guaii basta qui ricordare le due estreme: Epigrafia sicula pagana e cristiana (RAC, XVI!l, 1941, p. 151-243) e Note e giunte alle iscrizioni cristiane antiche della Sicilia (Sussidi allo studio delle antichità cristiane, VIII, Città del Valicano 1989). Per il secondo periodo, un primo problema potrebbe essere quello del suo limite cronologico il più vicino a noi. Se il suo inizio è pacifico, quando invece fissare la sua fine? All'occupazione gotica, vandalica o bizantina? Alcuni propendono per quest'ultin10 tcr1nine. Tuttavia con l'arrivo dei Bizantini non can1biò lo stile di vita ecclesiastica che subì invece modifiche profonde intorno agi i anni 3 O dell'Vlll secolo, quando alla Sicilia fu imposto il rito bizantino nella liturgia, l'isola fu riattaccala alla giurisdizione dcl patriarca di Costantinopoli mentre prima dipendeva dal papa di Roma, il
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Note e conunenfi
patrimonio siciliano della Chiesa romana fu confiscato e il greco divenne l'unica lingua culturale. Allora finì ecclesiasticamente il periodo romano e prevalse quello bizantino. Di questo periodo romano si è privilegiata finora non solo la storia propriamente ecclesiastica, ma anche quella dottrinale con i riflessi in Sicilia delle grandi controversie ccclesiologico-dommatiche: donatis1no, arianesimo, errori cristologici e scis1na tricapitolino. Anche qui è venuto il momento di rinnovare le prospettive e gli interessi degli studiosi. Le lettere dei papi, di Leone Magno, Gelasio I e soprattutto di Gregorio Magno offrono un ampio materiale documentario. Nella corrispondenza di quest'ultimo, scientificamente pubblicata un secolo fa nelle MGH e che contiene intorno a 170 lettere del papa relative alla Sicilia, si vede la Chiesa dell'isola non disputare di problemi di alta teologia, ma vivere ogni giorno la sua vita quotidiana, i suoi vescovi, monaci, sacerdoti occuparsi del popolo di Dio e richiamati ai loro doveri dal papa che esercitava con vigilanza il suo compito di primate dell'isola, una Chiesa preoccupata dei più poveri in favore dei quali Gregorio interviene parecchie volte. Questo ricco n1ateriale è stato
utilizzato da Lancia di Brolo. Bisognerebbe riprenderlo con dei criteri aggiornati di valutazione, per trarne un'immagine meno teorica ed idealizzata del passato. C'è poi in fine l'ultimo periodo dell'antichità in Sicilia, quello bizantino, al quale pose fine solo la riconquista nonnanna. È purtroppo quello che è più lontano dalle mie preoccupazioni e co1npetenza e nel quale enlro con una certa reticenza. Ma ho, l' i1npressione che in questo can1po ci sia ancora da fare. In pri1no
luogo nel censimento delle fonti. Al di fuori dell'opera di Albrecht Ehrhard, Bestand und Oberlieferung der hagiogrophischen und homiletischen Literatur der griechischen Kirche e ben inteso della Bibliotheca hagiographica graeca dei Bollandisti e i cataloghi di singole biblioteche, non vedo un censimento analogo della letteratura liturgica, innologica, inonastica ecc., per limitar1ni alla mia specialità. Da un altro verso, se ci sono buoni studi agiografici su santi singoli, 1ni
sono stupito di non vedere finora uno studio sintetico sull'agiografia siciliana nell'impresa internazionale di Guy Philippart, Hagiographies,
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Note e conunenti
di cui due volumi sono stati pubblicati nel Corpus christianorum di Brépols. Non sarebbe venuto il tempo, anche qui, di riprendere con aggiorna1nento critico l'opera di Ottavio Gaetani Vitae S'anctortun Siculorum? Similmente perché non pensare a una storia della Chiesa in Sicilia estesa a tutta l'Antichità fino al e compresovi il periodo bizantino, con particolare attenzione ad aspetti di questa storia ai qual i ho già fatto allusione, cioè non solo una cronotassi episcopale o una storia delle istituzioni ecclesiastiche, come nella collana Fliche-Martin tradotta in italiano da P. A. Frutaz, ma una storia sul modello di quella che si sta pubblicando in Francia sotto il titolo di Histoire du christianisn1e e che io chian1erei volentieri una Stor;a del jJopolo cristiano? Con quest'ultima domanda credo di poter chiudere il mio intervento.
Vietar Saxer
2. I secoli Xli-XV!
L'attenzione al cristianesi1no italiano co1ne fenomeno unitario è 111olto recente, successiva sicuramente alla seconda guerra mondiale e soprattutto al concilio Vaticano II. I tentativi svolti da più parti per costruire una storia della chiesa 'dal basso' o co1ne storia del vissuto religioso sono ancora 1nolto insoddisfacenti e ben lontani dal realizzare una conoscenza adeguata nel ten1po e nello spazio delflesperienza crisliana come co1nunione di comunità locali. Fu certamente un evento editoriale quando, non molti anni fa, la SEI di Torino pubblicò Storia vissuta del popolo cristiano, dove diversi studiosi - francesi, italiani, spagnoli, polacchi - guidati da Jcan Dclumcau analizzavano i vari livelli della vita religiosa, dal culto delle tradizioni all'influenza di grandi fenomeni culturali nella formazione di nuove attività ecclesiali. Nessuno, infatti, può oggi negare il significato e i vantaggi del rilevante apporto derivante dalla storiografia locale: storia di diocesi e di parrocchie, storia di
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Note e conunenti
confraternite e di conventi, storia di monasteri e di tanti altri luoghi di vita cristiana. La chiesa italiana come tale è purtroppo ancora in gran parte un pianeta sconosciuto; se ne conoscono tante notizie, tante inforn1azioni, numerosissime esperienze, lna la reale possibilità di considerare questi dati unitariamente è ancora 1nolto precaria anche a causa di una perdurante storiografia religiosa troppo chiusa in se stessa, carente di collegamento o riferimenti con le circostanze, lambiente, le psicologie, le mentalità, le condizioni politiche, quasi paventando che le troppo strette correlazioni sociali tradiscano il nucleo più puro della trattazione. Inoltre, si aggiungono le difficoltà di circoscrivere e identificare in 1nodo non pretestuoso l'area del cristianesi1no italiano. Infatti, parallelamente alla frammentazione politica e culturale, l'Italia ha vissuto anche una frammentazione ecclesiastica e non n1eno una dipendenza di ampie aree da centri ecclesiastici posti fuori dai propri confini geografici, dall'Italia bizantina (Ravenna, Puglia, Calabria, Sicilia) alle aree di influsso spagnolo (Sardegna, Napoletano, Sicilia) alle influenze francesi in Piemonte sino a quelle austro-tedesche (Lombardia, Trentino, Alto Adige e Venezia Giulia). La stessa esiguità della letteratura storica sulle vicende del cristianesimo m Italia conferma questo dato di fotto. Risulta, allora, estren1an1ente prezioso l'apporto di convegni e di pubblicazioni che siano frutto di indagini e di accurate analisi di studio su segmenti importanti della realtà ecclesiale, come è infatti una diocesi, attraversata nel corso delle varie epoche da una miriade di avveni1nenti che sono costitutivi ai fini della ricostruzione fisionon1ica della Chiesa di cui è parte "locale" viva. Un "avvenirnento" quando è veran1ente tale ed incide seriamente, in profondità nella vita di una comunità umana diocesana si trasforma, nella ricorrenza degli anni, in "anniversario", cioè in qualcosa da ricordare e finirà poi per ricoprire il significativo triplice ruolo di testimonianza per il passato, di verifica per il presente e di stimolo per il futuro. I tre convegni di Catania fra il 1993-95 hanno permesso un proficuo e sereno confronto tra esperti di levatura internazionale e noti
Note e conunenti
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studiosi locali. E, pur senza alcuna pretesa di copertura totale dei periodi storici presi in esatne, le relazioni, risultato di nuove ricerche archivistiche e bibliografiche, di fatto offrono una funzionale buona conoscenza globale di nove secoli di storia della Sicilia. La ricchezza di risultati delle ricerche effettuate in preparazione ai convegni viene ora consegnata agli studiosi con la splendida pubblicazione di tre riuscili volumi. Una efficace meta resa possibile grazie alla Società Editrice Internazionale (SEI) di Torino, che ha messo a disposizione di questa iinpegnativa operazione culturale il pregio della sua riconosciuta preparazione tecnica e il 1narchio di garanzia contenutistica. Infatti, ne è prova lo stesso inserin1ento dell'opera, a ragion veduta, nella collana «Storia» che, fin dal suo nascere, ha perseguito - nella scelta di autori e argon1enti - il criterio della più an1pia esperienza di scan1bio di conoscenze a largo respiro cl i epoche e di territori e che, inoltre, vanta già al suo atlivo un rassicurante entroterra di autori e di titoli particolannente selezionati e attenti alla valorizzazione sia dell'avanza1nento delle alluali conoscenze nel ca1npo della ricerca storica sia della trasinissione de! patrin1onio culturale da un'epoca all'altra, da un popolo all'altro, da una regione all'altra. Questa recente impresa editoriale della SEI è, quindi, di proposito tesa ad aggiungere, nel panorama già comprensibilmente atnpio e articolato della letleratura slorica e religiosa siciliana, ulteriori tessere al grande mosaico delle vicende dell'Isola e in particolare del territorio catanese, se1npre però in intima connessione con il pili grande quadro degli avvenimenti e dei personaggi sia italiani che europei. È grazie al recupero delle radici e dci grandi valori della più genuina tradizione civile e religiosa di questi paesi, che sarà possibile cogliere nel travagliato presente una poderosa spinta adatta a progettare un futuro n1eritevole d'essere vissuto in pienezza e nel più a1npio contesto 1nondiale. Le relazioni degli studiosi offrono un'abbondante materia cli studio, che non è difficile individuare come frutto di accurate riletture, reinterpretazioni, nuove ricerche e spunti originali riguardanti il vivace e mosso caleidoscopio dei vari elementi costitutivi della realtà sociale e
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Note e con11ne11ti
religiosa della Sicilia nell'arco della sua esistenza, dalla prima Chiesa Ron1ano-Bizantina al maturo secolo XIX. Ci soffermiamo al secondo volume I secoli Xli-XVI. Grazie agli interventi di numerosi esperti - come Pierre Toubert, Agostino Paravicini Bagliani, Lucia Sorrenti, Biagio Saitta, Manlio Bellomo, Giuseppina Nicolosi Grassi, Emanuele Boaga, Federico Martino, Antonio Cortese, Mario Caravale, Antonio Garcfa y Garcfa, Vittorio Scinti Russi, Francesco Migliorino, Adolfo Longhitano e Gert Melville - affronta con positivi risultati la ricostruzione della ricca storia di Catania n1edievale che fino a questo n1on1ento è stata per varie ragioni relegata in gran parte ncll' ombra. Anzitutto perché tra Ottocento e Novecento è 111ancala quell'attenzione per la 1nicro storia locale che altrove ha celebrato i suoi migliori decenni e in secondo luogo per il disastroso incendio che in tempi recenti all'interno del Palazzo di città ha distrutto definitivamente la serie più ricca delle fonti storiche cittadine. Fortunatan1ente rin1ane l'Archivio Storico Diocesano, ove è possibile trovare preziose docu1nentazioni non solo per le vicende della Cattcclralc, del Capitolo e del clero catanese, ma anche dell'Università degli Studi e di altre istituzioni cittadine. Catania ha avuto nel n1ediocvo una sua Chiesa, n1a la Chiesa di Catania non è stata
una Chiesa diversa e separata dalla Chiesa universale; Catania ha vissuto particolari stagioni nella sua religiosità o attorno alla sua religiosità, ina in nessuna stagione si è 1nai lacerato o incrinato il rapporto fondan1entale con I~on1a, anche se per l'esistenza del !a «Apostolica Legazfa di Sicilia», o «Regia Monarchia», il rapporto si dispiegava ad ampiezze europee secondo linee istituzionali del tutto eccezionali nella cristianità 1ncdievale. ()gni contributo di questo secondo volume ha in sé il germe di questa idea: infatti, la storia di un vescovo che a1n1ninistra giustizia è già di per sé storia europea; la storia di un vescovo che da Cancelliere è a capo di uno .)tudhrn1, con1e di un papa (Eugenio IV, nel 1444) che fonda il "Siciliae Studiurn Generale", è già di per sé storia europea. La storia di religiosi e di laici che, attorno alla Chiesa della città e dentro cli essa, portano tutti i germi e i lieviti della cultura europea non è storia cli un 1nicrocosn10 chiuso
Note e commenti
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in se stesso: ogni interazione produce frulli maturi nel segno di un'unitit imprescindibile di intenti, di valori, di civiltà. L'insieme dei contributi di questa sezione offre, quindi, per la prima volta nella storiografia siciliana, una diversa nuova lellura del panorama
storico ampio ed
estremamente
complesso
della
vita
religiosa de II 'Isola. Se da un lato questo tipo di indagine ripe1·corre con rinnovali strumenti documentali le già note forme istituzionali di religione e di cullo, le grandi esperienze di vita spirituale, gli aspetti della riflessione dottrinale, il patrimonio delle fonti artistiche e iconografiche, dall'altro direttamente o indirettamente sollecita l'attenzione del lettore più avvertito verso la religiosità vissuta fuori delle sedi istituzionali e verso le più diverse e disparate modalità di porsi da parte della Chiesa e della società civile davanti al sacro e alle conseguenti fonne cli pietà e di religiosità nella loro vana fenomenologia. Risulta così ricostruito il tessuto sociale, politico, ecclesiale, religioso e culturale degli eventi che hanno determinato l'ingresso della Sicilia nell'età moderna. Questo secondo volume, però, che pur annuncia nel titolo il XVI sec. purtroppo manca in realtà di proporzionato spazio della vita della Sicilia civile e religiosa in concomitanza di quell'evento a1naro e dra1nn1atico che fu la rottura del cristianesi1no occidentale, co1ne pure in concomitanza dello straordinario conseguente evento del Concilio di Trento già preparato e prodotto da un vasto dinamisn10 di correnti spirituali e ascetiche riformatrici; tolto il suggestivo e ben documentato «Eresia e trasgressione nella Sicilia spagnola», (sarà interessante avere
poi in una preannunciata pubblicazione il quadro definitivo dei risultati di V. Scinti Russi), ci sono ampie campate di silenzio; è già un sintomo della marginalità sofferta dalla Sicilia in tale periodo? È noto, infatti, che il concilio tridentino e la sua susseguente irradiazione magisteriale e disciplinare non poté penetrare nel vissuto religioso siciliano, ingessato com'era nelle vecchie, anchilosate strutture della Chiesa norn1anna. Particolare soddisfazione va espressa per le ultime parti di indici analitici dell'opera funzionalmente corredata dall'Indice dei luoghi e dal lIndice dei nomi, della cui praticità ed evidente utilità gli studiosi e
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Note e con11ne11ti
i lettori più avvertiti non saranno n1ai paghi di ringraziare il Curatore e la SET di Torino. In conclusione, se non è possibile ricondurre ad ulteriore sintesi tutti gli elementi emergenti da questo interessante volume abbiamo tultavia la certezza che rappresenti una tappa significativa per una migliore conoscenza del proCilo della storia religiosa della diocesi catanese, della stessa intera Sicilia e, quindi, per un suggestivo modello di storia civile e religiosa delle altre regioni italiane e non.
Cosùno Serneraro
3. 1 secoli XVlf-XJX Questi volun1i danno una buona testin1onianza del clina1nis1no delle ricerche di storia religiosa in Italia, e particolarmente in Sicilia, dove lavori cli grande qualità tendono a moltiplicarsi e sono per gli storici del religioso punli di riferenza insostituibili. Si può pensare alle pubblicazioni di Cataldo Naro sulla diocesi di Caltanissetta, ai convegni che ha curato, alla Collana "Studi del Centro A. Ca1nn1arata", ricca già cli più cli venti volun1i tra i quali nun1erosi sono gli studi di storia religiosa della Sicilia. La vitalità di questo tipo di ricerche è notevole nelle grandi università dell'Isola (Facoltà cli Teologia, Università di Staio): a Palcrn10 con Eugenio Guccione, Cataldo Naro, Francesco Michele Stabile, a Messina con Sindoni, a Catania con Gaetano Zito.
Angelo
La storiografia italiana è 1nolto ricca, abbondante; non inancano le n1onografie locali. Ma paradossahnente la storia delle diocesi non è un tipo di ricerca molto sviluppato. La storia delle diocesi di
Lon1bardia è un'in1prcsa nello stesso ternpo siste1natica per la Lo1nbardia, tna lin1itata a questa regione, anche se tentativi esislono per il Veneto. La storia di una diocesi, con1e Cataldo Naro l'ha concepita per la sua tesi su Caltanissetta, non si è affennata con1e in Francia dove si dispone di nu1nerose ed eccellenti monografie diocesane, per i periodi medievale, 1noderno con1e contemporaneo.
Note e co111111enti
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Questa osservazione ci permette di sottolineare rintcresse e l'i1nportanza dei volumi che presentian10, ma anche la loro originalità perché fondati sulla storia locale, non si limitano agli studi locali. Ma capila l'importanza della storia locale come verifica della storia generale, questi volun1i ci offrono un va e vieni continuo ricchissin10 di prospettive tra la Sicilia - particolannente la diocesi di Catania Roma e il resto dell'Italia, senza trascurare le prospettive europee, indispensabili quando si prende in considerazione un periodo che va dal Seicento all'Ottocento. Nel terzo volume della trilogia, quello sui secc. XVIII-XIX, abbian10 una scelta n1etodologica particolarmente suggestiva, che offre un approccio assai nuovo della storia. Il curatore ha difatti risolutan1ente voltato !e spalle alla tradizionale interruzione tra il periodo moderno e quello contemporaneo, da una parte e dal l'altra della Rivoluzione francese e dell'Impero di Napoleone. In Francia, questa interruzione tra i due periodi ha un valore, direi canonico. Ma questa scelta della lunga durata, integrando gli eventi rivoluzionari, n1i pare n1olto convincente. Dapprin1a perché la Sicilia sf'ugge alla bufera rivoluzionaria, resta 111 n1arg1ne alle rotture provocate dalla Rivoluzione e dalle conquiste napoleoniche. Ma nello stesso tempo, indubbian1ente, non le ignora, e subisce !e conseguenze degli sconvolgin1enii provocati dal terren1oto che sconvolge l'Europa tra 1789 e 1815. Ci sono quindi tratti, nello stesso tempo, di continuità e di rottura, che questo volun1c sottolinea in n1odo n1olto sfu1nato e nuovo su nu1nerosi punti nell'insistere sul peso delle .strutture (istituzioni, organizzazione ecclesiale, tradizioni) e sull'azione degli uon1ini, particolannente di alcuni vescovi. I.. . a pesantezza delle strutture, il peso degli uomini, ecco i due terr1i principali che, 111i se1nbra, corrono attraverso questo volun1e nel suo insie1ne, aldilà della diversità dei contribuenti, e che ne fanno l'unità. Vorrei così sottolineare la proble1natica dell'azione degli uo1nini dinanzi a .strullure che si deve o si vuole, a volte, riforn1arc, e alle vicissitudini della storia.
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Note e con1111e11ti
In quasi tutti i contributi del volume, si trova più o meno direttamente, enunciata la questione delle strutture. Vorrei tentare di tracciarne un abbozzo di tipologia. Ho notato quattro tipi di problemi. I. Ci sono le pesantezze socio-economiche. Lungo tutto il volume si incontra l'importanza delle strutture sociali, tradizionali, che impongono alla Chiesa i suoi orientamenti. È sufficiente pensare all'influenza, fino all'unità del paese ed anche dopo, delle grandi famiglie, della nobiltà che alimenta il corpo episcopale nell'insieme ciel periodo studiato, e questo è verificato anche fino ai cardinali Dusmet e Celesia. Bisogna notare ancora il peso particolare delle famiglie cittadine, nobili o della borghesia emergente, nei comuni con1e nei capitoli di canonici. E c'è la linea di lettura, poco sviluppata in questo volume, ma ben conosciuta, che è stato già l'oggetto di numerosi studi, della quale si conosce l'in1portanza: voglio dire la questione particolarn1ente acuta del1a terra. La terra fu un 1nezzo di potere e di potenza considerevole per la Chiesa durante i secoli. Ma ha dato pure una capacità di azione sociale che ha perduto con l'Unità e le leggi anticlericali. Vito D'ondes Reggio, poiché le proprietà di Chiesa avevano vocazione alineno in teoria - a ritirare profitti destinati ad aiutare i poveri, domandava che nella ridistribuzione delle terre, questi ricevessero un cotnpenso. Se, come lo n1ostra bene Salvatore Lupo, la vendita delle terre de1naniali ha consentito soprattutto nelle zone costiere, e particolarn1cntc nella provincia di Catania, un notevole sviluppo della frutticoltura, nelle altre zone, l'isola resta a confronto con il giudizio severissimo cli Sonnino del 1876: "all'unico n1czzo efficace di produrre una rivoluzione sociale cd econon1ica cli una n1età d'Italia, e di far ciò senza 1nulan1cnti politici, senza disordini, né odi, né ingiustizie, 1na con vantaggio di tutti e auirandosi le benedizioni di 1nigliaia e 111igliaia di fa1niglie, che ora sono una n1inaccia continua per la stessa civiltà, e invece potevano diventare un appoggio sicuro per il nuovo ordine di cose ed una forza per il paese!"
Con la terra, è tutta la questione sociale che appare, e sì sa quanto nella seconda rnetà dell'Ottocento, così ricca in can1bian1enti,
Note e con11ne11ti
diventa acuta e inabilita la Chiesa di Catania col suo pastore Dusmet. Già, come abate di San Nicola l'Arena ( 1858-66) segnato la sua azione coll'attenzione ai poveri. A 1nonte di novarrun, appariva già co1ne uno tra i più in1portanti vescovi d'Italia.
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Mons. aveva Rerun1
sociali
2. Un secondo tipo di pesantezza alla quale la Chiesa locale si trova a far fronte, viene dalle sue relazioni con le strutture ain1ninistrative e politiche. Nei co1nuni, la posizione, anche geografica, in termini di occupazione dello spazio, è cli estre1na sensibilità. Lo confennano le analisi di Marce! Chappin quando attraverso il suo studio dei beni culturali della Chiesa come fonte storiografica, propone una riflessione sul patrimonio culturale ecclesiastico. Lo conferma anche E. Iachello a proposito del controllo dello spazio urbano, che è un terreno cli scontro molto difficile per i vescovi, con i poteri pubblici locali, scontri dai quali soltanto i più abili e1nergono. La ricostruzione di Catania dopo la catastrofe del 1693, al tempo del vescovo Andrea Riggio, ha visto l'istituzione ecclesiale salire 1nollo rapidamente in prin1a linea per controllare l'organizzazione della città. Avremn10 potuto pure interrogarci, in questo volume sul controllo dello spazio mediante le processioni, i pellegrinaggi, le feste religiose, che sono un 1nezzo cli occupare il terreno, 1na a seconda di proble1natiche differenti secondo che si trovi in te1npo di cristianità, o al contrario di fronte alla politica anticlericale dello Stato unitario o di lale potere municipale. Su queste questioni appassionanti, il cui esatnc non è esauriente, un richian10 alla cartografia dci co1nuni sarebbe evidentcn1ente assai utile. Le relazioni con lo Stato e i suoi responsabili sono una grande preoccupazione per i responsabili ecclesiastici. Qui l'attenzione alla cronologia s'impone particolannente: la situazione è inollo differente salto lAntico Regime o al tempo del concordato del 1818 che segue la riforn1a an11ninistrativa del 1817 che ha visto lintroduzione dell'intendente, e nelle città, del Decurionato; il concordato ha accentuato il giurisdizionalismo. Questo è probabilmente il periodo quando la Chiesa si trova più stru1nentalizzata dal potere politico e amtninistrativo. Iachcllo cita rcsen1pio significativo dell'ordinanza
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Note e conunenti
dell'Intendente prevedendo che il Giornale dell'Intendenza, giornale ufficiale, fosse letto ai fedeli in chiesa dopo la messa del primo giorno festivo successivo alla sua pubblicazione. Più tardi l'arrivo di Garibaldi e il ricongiungimento della Sicilia all'Italia doveva aprire altri tipi di rapporti, fatti di conflitti latenti e finalmente, forse, di una più grande libertà reciproca. 3. Il peso delle strutture ecclesiali non sono le n1eno trascurabili. Il peso di Roma, la questione delle relazioni dei vescovi con la Curia rornana e il Papa, sebbene sen1pre presenti, non sono molto sviluppati nella presente opera, n1a l'utilissi1na puntualizzazione di Charles Burns, "L'Archivio Segreto Vaticano per la storia delle Chiese locali della Sicilia" sottolinea guanto la storia di queste Chiese locali non può evitare Ro1na, né l'Archivio Segreto, le cui risorse considerevoli sono indispensabili per la loro conoscenza. Si prende così una buona n1isura della realltt della centralità romana. Nello stesso tempo, il volume permette di ben capire le diversità delle strutture diocesane, ahneno attraverso gli squilibri econon1ici ben visibili dacché si paragonano le diocesi tra loro (è sufficiente pensare alla potenza della diocesi di Monreale). Ma ci si può domandare se il peso delle diocesi non si trova controbilanciato da quello dei monasteri. Bisognerebbe fermarsi un lungo momento sull'influenza dei benedettini per esempio, a proposito dei quali Gaetano Zito richian1a che hanno dato 11 dei 95 vescovi siciliani no111inali tra l'inizio dell'Ottocento e il 1903. Questi monasteri sono nello stesso ten1po centri spirituali, luoghi di forn1azione religiosa e di sviluppo culturale, 111a anche centri di potenza ccono1nica. Sen1bra che !'autorità dei vescovi si trovi controbilanciata da quella delle slrullure tradizionali, che hanno preso in Sicilia e nel Mezzogiorno d'Italia un'in1portanza specifica, con1e le confraternite o i capitoli canonici. Per illustrare tale suggerin1cnto, si può pensare all'opposizione dei canonici della cattedrale di Caltagirone a Mons. Bongiorno. La crisi qui è .ese1nplare anche se quest'ultin10 non ha dato din1ostrazione di abilità. Ma precisan1entc, è in questo che le disgrazie di Mons. Bongiorno sono interessanti per lo storico, rivelano che la funzione episcopale non assicura al suo delentore un'autorità
Note e conunenti
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naturale; e questa, co111e lo clin1ostra al contrario lesercizio del potere da parte di Mons. Dus111et, deve essere conquistato quasi ogni giorno. li problema delle strutture è tanto più acuto qui, in rapporto alla Alta Italia, per una specificità n1olto particolare: la struttura parrocchiale ignora le parrocchie autono111e come stabilito dal Concilio cli Trento, rna poggia su un sisle1na di parrocchie affidate in so/id11n1 a una coinunia o al corpo dei canonici. Accon1pagnanclo questa struttura parrocchiale un po 1 con1e sua on1bra, c'è l'cnorn1e questione della riforn1a che nun1erosi vescovi, sotto la pressione di l~orna, hanno sottolineato con1e una vera necessità, che alcuni più coraggiosi o te1nerari, con1e Mons. Ventin1iglia, hanno affrontato, n1cntrc altri, i prudenti, co1ne il suo successore, Mons. Deodato, hanno ricusato, stin1anclo che il sisle1na era irrifondabilc. 4. Lin1itato da pn siste111a parrocchiale particolare, dai canonici, dalle grandi famiglie che controllano il potere comunale, il potere del vescovo lo era ancora dcl peso delle tradizioni. Cosirno Seincraro, fennandosi su "Alcuni elernenli tipici della vita cristiana", n1ostra l'in1portanza, nello stesso tcn1po, dei pellegrinaggi locali, dcl culto delle reliquie, delle superstizioni, il ruolo delle confraternite che esprin1ono una spiritualità popolare 1na anche un vero contropolere intraecclesia!e, all'interno della Chiesa, con1e lo 1nostrano le analisi dcl segretario dcl Cardinale Dusn1el, cancelliere della Curia catanese, Luigi Taddeo l)clla Marra, in questo docu1nento così illu111inantc che è la sua analisi delle confraternite. ln base alle dilTicoltà nate da certe strutture specifiche questa Storia della Chiesa in Sicilia rivela bene l'azione particolare di uon1ini che riescono con più o 111eno successo a i111pri1nere la loro in1pronta, ad orientare qualche riforrna. Nel quadro ncccssarian1ente li1nitato del Convegno sono soprattutto le figure episcopali che sono trattale qui. Nell'insien1e si osserva il rafforzan1ento della loro autorità negli anni della seconda n1età dcl Settecento, conseguenza di preoccupazioni pastorali e di riforn1c che hanno teso a dare alle parrocchie responsabilità più grandi. È l'effetto ancora, con1c lo vede bene Mario Rosa nella sua prospettiva generale, dell'evoluzione di una Chiesa più attenta alla formazione del clero (nel 1727 Benedetto Xlii
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crea la Congregazione dei Seminari) e all'istruzione del popolo cristiano. È l'effetto dell'evoluzione del secolo, sotto l'influenza dei Lumi e degli eventi caotici della Rivoluzione Francese e della I~estaurazione.
Così il riavvicinamento compiuto da Adolfo Longhitano dei due vescovi settecenteschi, Ventimiglia (1757-1771) e Deodata (17731813), è ricchissimo di insegnamenti, e permette di insistere sulla diversità dei temperamenti e delle politiche episcopali. Il primo è figlio dei Lumi e ha aderito alle tendenze generali di riforma nella Chiesa venute dal continente; si vuole riforinatore e cerca di adattare Puniversità e gli istituti di formazione ai quali presta un'attenzione più vigile, ai bisogni del tempo. Il suo episcopato porta in lui il rinnovo legato alla ricostruzione di Catania dopo il 1693. Da parte sua, Mons. Deodata, il cui episcopato non è durato n1eno di quarant'anni, ha una matrice culturale più tradizionale e ha dovuto far fronte alla bufera rivoluzionaria. L'uomo è prudente e vuole resistere all'aria delle riforme, anche sulla delicata questione delle parrocchie nonostante il favore riformatore di Ro1na. Ali' altra estre1niti1 del nostro arco cronologico, Mons. Dusn1et e Mons. Cclesia sono tutti e due della stessa generazione (nati, il primo nel 1818, il secondo nel 1814); sono entrambi benedettini, arcivescovi e cardinali. Lasciano im1nagini nettan1ente differenti, n1a anche assomiglianti, del loro rispettivo episcopato. Il primo, Dusmet, acco1npagna il 1novin1ento unitario senza aderirvi, e accoglie Garibaldi a Catania; intransigente senza dubbio, sa essere niediatore, e non ha 1nai 1nancato di lealtà nei confronti del governo delJlltalia unita; sa difendere i diritti della Chiesa, senza negare radicaln1ente la 111odcrnità. Grande an1111inistralore e negoziatore co1ne lo rivela la sua gestione della diocesi di Caltagirone come amministratore apostolico tra il 1885 e il 1887, dopo il disastroso episcopato di Mons. l3ongiorno. La sua competenza può trovare un riassunto nelle parole riportate da Michele Pcnnisi nella sua relazione: col Consiglio comunale, diceva il Dusmet,
"ho lottato ed esso ha lottato con 1ne, n1a la lotta è stata reciprocanJ.ente lotta {li buon volere condito rh cortesia, lotta a chi
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potesse 111eglio riuscire negli accorlli, senza nulla sacrificare né alla giustizia né alla rispettiva llignità".
Sotto il suo episcopato, Catania si è affermata come una vera capitale culturale, come ne testimoniano i dibattiti assai aperti, eccezionalmente aperti in questo tempo, per esempio sul darwinismo, come in un campo diverso, le ultime opere liturgiche del grande musicista, oggi troppo dimenticato, Pietro Antonio Coppola. Michelangelo Celesia, vescovo di Patti, poi arcivescovo di Palermo si è dapprima distinto per il rifiuto dell'Unità nazionale e del suo governo al punto di non poter occupare la sua sede di Patti, e fu espulso dal suo palazzo episcopale nel 1872. Ma dopo queste esperienze infelici, ha saputo rendere meno rigido il suo atteggiamento in transigente. Dus1net co1ne Celesia hanno portato una grandissi1na attenzione
alla formazione del clero, alla rifonna delle parrocchie, alla trasmissione della fede (è Mons. Dusmet che accoglie Maddalena Morano in Sicilia, venuta dal Piemonte nel 1881, che introduce la tradizione educativa salesiana), alla questione sociale, inserendo la loro diocesi nel 111ovimento cattolico italiano. Sono, certo, i 1nigliori
rappresentati della migliore tradizione spirituale del monachesimo benedettino siciliano. Questa dialettica proble1natica strutture/vescovi/ riforn1e, 1nessa in
evidenza qm troppo rapidamente, permette di sottolineare sinteticamente l'importante contributo di questa storia religiosa di Catania alla conoscenza della storia della Sicilia. Si deve sottolineare di nuovo le ricchezze ed esprimere il voto che sia prolungata da un u!ti1no volu1ne dedicato al Novecento. Jea11-Do1ninique Duranrl
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Synaxis XIV/2 (I 996) 357-368
ADOLFO LIPPI, Elezione e passione. Saggio di teologia dell'ebraismo, LDC, Torino 1996, pp. 152.
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ascolto
Un testo da meditare ed approfondire per accogliere l'invito profetico del Magistero recente al dialogo interre I igioso con l'cbraisn10. Per presentarne il contenuto si può ricorrere ad un apologo di K. Gibran. Si narra che ogni cento anni, presso un monte del Libano, sì diano appuntamento il Gesù dei cristiani ed il Gesù ebreo. Discussioni anin1ate ed intern1inabili per arrivare ad un "accordo". Invano! I due si lasciano con la speranza ... "Dobbian10 aspettare altri cento anni?!".
La Lettera apostolica Tertio Millennio Atlveniente di Giovanni Paolo II è un grido di speranza. Un documento che imbeve di speranza. Specialmente quando il Papa propone il 1999 - l'anno del "Padre che è nei ciel i" - quale terzo ed ultimo anno preparatorio al grande Giubileo del 2000. Con una precisa "consegna": lorizzonte che la Chiesa di Gesù Cristo è chiamata ad abbracciare si allarga non solo a tutti i cattolici (nn. 49-50) .. ., ai poveri e agli emarginati dcl mondo (n. 51) ... ma pure al mondo secolarizzato (n. 52), ... ai fedeli dì tutte le religioni monoteiste e non monoteiste (n. 53). "Mai senza l'altro" (M. dc Certeau, ed. Qiqajon, 1993), soprattutto quando l'altro è il nostro fratello maggiore! La sua presenza ineludibile e inalienabile ha fallo subire alla nostra vita (di noi cristiani) quel lléra11gen1ent irréductible catalizzato dal Concilio
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Vaticano II. "Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe dì Abramo" (Nostra Aetate, n.4). La dichiarazione conciliare (del 28.10.1965) non voleva essere, e non è, una sorta di politically correct, non voleva essere, e non è, un prontuario di atteggiamenti linguistici 11011 ~tfending! Invoca piuttosto una "nuova" ortodossia per una "nuova" ortoprassi: .. .la Chiesa di
Cristo, infatti, riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il 1nistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè, nei Profeti (cfr. NA 4). La nostra rachce è ebraica (cfr. Rm 9-11). Dobbiamo ringraziare padre A. Lippi (passionista, direttore della cattedra di teologia della croce presso il Pontificio Ateneo di Roma e della rivista teologica Sapienza della Croce) per questo libro denso e appassionato, che si inserisce "nel vivo dialogo ebraico-cristiano".
Chi ha preso sul serio K. Barth quando affermava che il primo ecumenismo non è quello con gli Ortodossi, con i Protestanti, ma con gli Ebrei e con l'Ebraismo? "La civiltà cristiana, assalita dal nuovo paganesin10, non può sopravvivere se non attingendo ancora una volta,
ma con discernimento, al fondo sacro di Israele" (R. Aron, cit., p. 5). Un'altra piccola parabola per cogliere il senso dell'intento del testo: "Dio e l'un1anità sono con1e due a1nanli che hanno sbagliato il luogo dell'appunta1nento. Tutti e due arrivano in anticipo sull'ora fissata n1a
in due luoghi diversi. E aspettano, aspettano, aspettano. Uno è in piedi, inchiodato sul posto per l'eternità dei tempi. L'altra è distratta e impaziente. Guai a lei se si stanca e se ne va" (S. Weil). Il popolo ebraico con
la sua "elezione
e passione"
scongiurerà
questa
"impazienza" (e stanchezza) perché "Dio non ha respinto il suo popolo che ha scelto e amato sin dall'inizio" (Rm 11,2). Auguriamo al libro di p. Lippi una larghissima diffusione, soprattutto nelle comunità cristiane, per colmare quel "gap" che s1 vede, si sente, si tocca, tra il vertice che corre e la base che arranca. Salvatore Arnone
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MARIO SIGNORE, Questioni di etica e di filosofia pratica, Milella, Lecce 1995, pp. 196.
L'Autore di questo saggio intende pensare un'etica per il futuro dell'uomo attraverso un precorso articolalo e nel complesso non del tutto lineare, che è, tra l'altro, quanto scaturisce dal dibattito della filosofia contemporanea da Lévinas a Jonas, da Weber ad Habermas. L'uon10, nonostante siano venute meno le Jnetafisiche forti, rileva Mario Signore, «ha continuato a vivere, ad operare nel sociale, a produrre, a sperin1entare, a confrontarsi con la natura, ad interrogarsi
sul problema del dolore e della morte, a cercare la felicità» (p. 7). In questo clima di fine millennio, in cui se da un lato la filosofia sembra rinunciare alla metafisica classica dall'altro sembra imporre "la forza della debolezza", bisogna tuttavia rilevare la sempre più crescente attenzione all'etica, alla sua fondazione e alla sua normatività. Un'attenzione da non relegare in un esclusivo piano teorico, n1a da
scorgere invece nella complessità dei problemi di carattere pratico. Mario Signore in questo quadro che egli definisce "a rischio" mette in particolare evidenza le proposte di alcuni orientamenti del pensiero
occidentale che
puntano
l'attenzione
sul
superan1ento
dell'etica della soggettività per approdare ad un'etica della responsabilità. In tale contesto i due filosofi di origine ebraica Lévinas e Jonas sono stati avvicinali dal!' Autore nella prospettiva di poter «vagliare la praticabilità di altre vie dell'etica» (p. 26). Sono loro che sostituiscono i principali interlocutori della prima parte dcl saggio, in cui si sottolinea questo passaggio ali' etica della responsabilità, senza che per altro venga taciuto il punto di partenza della riflessione dei due filosofi: Auschwitz. Questo perché «Auschwitz ha costituito per entrambi un evento senza possibilità di ritorno. Tale evento non è solo storico, n1a diventa filosofico: esso ha una diretta incidenza sulla
costituzione e sulla ricerca di nuove forme di etica» (p. 27). La responsabilità etica, non relegata nell'ambito teoretico, viene vista da Mario Signore - che prende le mosse da uno studio di Ritter su Meta.fisica e politica - nella sua concretezza, realizzata nel politico. A
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J?ece11sio11;
tal fine oggetto della seconda parte sono una serie di studi su responsabilità e potere politico. La discussione a questo punto, ha con1e rifcrin1ento i luoghi della responsabilità lì dove entrano in gioco libertà personale e burocrazia. li problema è quello posto eia Max Weber: il rapporto tra razionalizzazione e libertà. Un problema che secondo Mario Signore - non è solo politico, è anche pedagogico, per cui bisognerebbe «coinvolgere le istituzioni educative, nella già ribadita convinzione che per sconfiggere la logica della violenza silenziosa e indolore di chi detiene un potere (quale quello burocratico) fondato sulla spoliticizzazione delle n1asse, è necessario, per così dire, "requisire" tulti gli spazi in cui sia possibile educare alla partecipazione den1ocratica, o addirittura fare esperienza di autonon1ia, di autonomizzazione cli scelte di impegno soggellivo e di gruppo, vissuto in n1odo allernativo rispetto alle "urgenze" del sisten1a» (p.
125). Il rapporto tra razionalità e responsabilità nella cultura europea, che avrebbe 1neritato, forse, più spazio per un n1agg1ore approfondin1cnto, ci sembra essere una delle tc1nalizzazioni più interessanti di questo saggio. L'Autore vede in questo rapporto un luogo per 1neglio identificare la cultura europea. L'uon10 europeo, occidentale, si co1nprende a partire dalla cultura greca. Il pensiero greco infatti sta dentro quelle culture considerate più alte perché «si distinguono dalle altre culture proprio per le loro capacità teoriche, che si espri1nono nella fonna dcl volere e ciel prefiggerci uno scopo» (p. 148). Una particolarità dell'uomo europeo è il suo spirito critico «nella doppia valenza: con1e esigenza di 1neltere in questione tutto e co1ne tendenza a cogliere ciò che è universale. Esso si è n1anifestato nella sua pienezza e fecondità nel pensiero greco, in Socrate, nei Sofisti, in Platone, in Aristotele. E'cco perché non si può scindere l'essere europei rlal/'essere grech) (/.c.). La razionalità europea, sia nei 1non1enti in cui si rivolge contro se stessa, nel suo atteggian1cnto critico, sia anche quando nel corso della sua storia appaiono e sen1brano prevalere l'irrazionalisn10 e il nichilismo, conserva quel dinan1isn10 che le pennette di recuperare quella n1a1rice greca capace cli ricondurre le nuove razionalità dentro
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la via unica della ragione. Questo, forse, perché l'uo1no europeo va perdendo, conclude l'Autore del saggio, «il concetto sacralizzato di 'ragione occidentale', che si presenta sotto le mentite spoglie della ragione tecnica, e si ritrova spoglio e a mani vuote, richia1nato alla sua responsabilità, avviato ad una co1nunicazione senza appoggi 1nctafisici e teologici, Qui la grande responsabilità storica dell'Europa, con i suoi rischi, nia anche con l'avvio esaltante di una nuova avventura culturale che ritrova i1nprevedibili spinte innovalive proprio nelle grandi risorse della ragione» (p. 149). Il saggio si chiude con quattro brevi appendici che vanno dal se1npre problen1atico "soggetto" che vive la con1plessità, alle degenerazioni del potere politico, alla crisi della natalità per giungere al problen1a dell'eutanasia. I...' Autore con questo saggio ha voluto prendere in esa1nc alcune questioni di etica e filosofia pratica cercando cli delineare corne nello s111arrin1ento ciel senso si ingenera la confusione, la n1ancanza cli responsabilità, e, più ancora, quello che dovrebbe allertare le coscienze, la sollornissione a 1neccanis1ni di potere che inettono in serio pericolo la stessa convivenza un1ana. Solo attraverso una ripresa del senso e cli un riferitnento ai valori, che e1nergono in particolare nella pri1na parte del saggio, - secondo Mario Signore - è possibile scorgere l'origine dci inali in cui l'uon10 europeo oggi si dibatte. Purché i tanto invocali valori non sia1no considerati nella astrattezza teorica, nia siano posti con1e oricntan1cnti concreti dell'esistenza dell'uon10: «Se, infatti, parlian10 del vissuto degli uo1111n1, diventa ineludibile ed in1procrastinabile il riferin1ento ai valori, ed una ripresa cli quella tradizione u1nanistica ed estetica, non priva tra l'altro cli valori religiosi oltre che laici, che conteneva in se stessa la forza di conv1nz1onc orientante verso l'adesione a norn1e» (p. 191). Questa ripresa etica de! senso e dei valori sono il presupposto per una 1naggiore presa di coscienza dcl principio cli responsabilità nei confronti delle generazioni future. ln ultimo atto questo comporta la ricerca di un orizzonte con1prens1vo più an1p10, un orizzonte 111etafisico che pennette di capire e regolare i con1portan1enti dell'uomo. È proprio in questo orizzonte metafisico - conclude
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pertinentemcnte l'Autore - che l'uomo si riconverte «al segreto di una intelligenza più profonda, capace di cogliere nella sua stessa vita un significato dallo spessore più profondo, e dalle valenze allusi ve e di rinvio, che facciano trasparire il richia1no ad un fine e ad un senso non se1nplice1nente storici e Tnondani. Che è co111c dire ridare all'uomo, e, perché no, ai giovani in quanto destinatari e operatori di speranza , il coraggio della trascendenza» (p. 192).
Giuseppe Schillaci
GIORGIO SGUBBI, Metafisica ed etica della non-violenza. Discussione sul.fideismo, Città Nuova, Roma 1995, pp. 288.
Il saggio di Sgubbi si inscrive dentro l'antico e sempre nuovo dibattito tra ragione e fede. Questo studio bisogna leggerlo, in modo particolare, in seno alla discussione sullo spazio da dare alla fede così co1ne viene fuori dalle provocazioni di Dario Antiseri, il quale scorge nella inetafisica la tentazione di voler costituire degli assoluti terrestri e così facendo sostituire la fede con la ragione: voler fare della ragione quasi ciò che è in grado di "salvare" il Salvatore. La metafisica ha una sua ragion d'essere per il pensiero scientifico, n1a risulta dannosa per la fede, in una parola non si può pretendere di fondare la fede sulla ragione (cfr. D. ANTISERI, Perché la metafisica è necessaria per la scienza e rlannosa jJer la fede, Queriniana, Brescia 1980; ID., Gloria o miseria della metafisica cattolica italiana?, Armando, Roma 1987; ID., Teoria della raz.iona!ità e ragioni della .fede, Edizioni San Paolo, Milano 1994). La posizione di Sgubbi in proposito è chiara ed inequivocabile: il sapere «è intin10 alla fede ed è richiesto co1ne condizione essenziale dell'esercizio della libertà nei confronti di una proposta di salvezza: la fede non può attingere forza dall'ignoranza, così come, allo stesso n1odo la grazia non è tanto più forte e vincente, quanto più sottrae ed esclude l'ambito dell'umano nell'integralità delle sue espressioni» (p.
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I O). Alla conflittualità fede-ragione di Antiseri, lAutore contrappone la relazione di incontro in cui c'è l'autonomia e la distinzione delle due, ma in vista di un effettivo concorso. Il che vale a dire che il «rapporto fede-inetafisica non deve essere 'risolto', 111a inantenuto e co1npreso, capendo che la non ancora raggiunta pacificazione dci termini è probabilmente essa stessa il messaggio e l'epifania di una profondità che, nel gioco stesso e nella stessa vitalità del rapporto, non si oscura e si sottrae, 111a, al contrario si 111anifesta. Alla dialettica dell'incompatibilità o della conflittualità, ci sembra cristiano opporre una metafisica dell'integrazione, dove l'assoluta gratuità del dono divino si crea nell'essere» (p. 13). Questo saggio si presenta quindi come un elogio del discorso metafisico che è inscritto all'interno del dinamismo dell'atto di fede. Come primo passo Sgubbi considera il rigore del discorso metafisico fondato sulla natura dell'oggetto della metafisica stessa. Il problema è quello di sapere cosa è la ragione e come questa, più che essere con1presa nella sua debolezza, debba invece essere vista nella sua autentica possibilità che è apertura alla ricchezza della realtà. In tal senso il discorso metafisico è da intendere come «sapere a.o;;soluto e definitivo, n1a al te1npo stesso di una definitività prospettica, aperta, volta a significare più un can11nino da compiere, che non la sosta in1n1obile e disi1npcgnata nelle proprie acquisizioni. Certezza e variet~t non significano affatto immobilità» (p. 35). Questa fondamentale apertura alla ragione, secondo l'Autore, diventa il presupposto per concepire in modo radicale la non-violenza che consiste nel pensare 1'essere con1c ciò che è e non può non essere. L'apertura all'essere delle cose rivela la possibilità di conoscere la verità così co1ne essa è, per cui il soggetto è luogo di accoglienza dell'oggetto cioè «possibilità di un rapporto non pre-giucliziale o violento, ina rispettoso e sincero. Non solo a parte cognoscentis, n1a anche a parte cogniti c'è la garanzia di poter coininciarc ad esser presso l'altro senza dover rinunciare a cessare di essere presso di sé, con la propria identità: il 1nassin10 che un oggetto può chiedere ad un soggetto, è di non essere 'violento', cioè cogente, di lasciare che l'oggetto - nell'atto di essere per un altro - non debba rinunciare ad
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essere se stesso» (p. 60). La violenza è gucll'alto che porta anche solo a livello conoscilivo a n1odificarc l'oggetto perché questo venga accolto dal soggetto. In tal n1oclo viene adulterata la natura etica dcl soggetto stesso il quale per accogliere deve modificare. La inetafisica è un discorso essenzialn1cnle non violento, in quanto a fondan1cnto vi è la conoscenza dell'essere che pensa nella sua radicalità l'esistente co1ne dono. Il discorso razionale in questa prospettiva è cssenzialn1ente relazionale in cui è il soggetto a riconoscere l'altro con1e prossi1110. Il pensiero e la razionalità acquistano quindi senso dalh1 prossi1nità: «Solo una conoscenza dell'altro che si lasci originarian1entc dcrcrn1inare dall'altro, che non lo anticipi con dei 'giudizi a priori', può giungere alla verità dell'altro, chiunque esso sia; la n1etafisica, che aiuta la conoscenza a sapersi originarian1ente e radicaln1ente dctenninata da questa capacità, i1npedisce che conoscere voglia necessaria1ncntc dire allontanare, estraniare, alienare o deforn1are. Conoscere vuol dire co1ninciare a conoscere colui che si conosce sen1pre e solo a partire da lui stesso: il conoscere 1netafisico garantisce quindi la n1assin1a prossin1ità, non potendo n1ai anticipare il conosciuto, n1a potendo garantirgli un luogo in cui esso possa abitare senza dover rinunciare anche solo a una piccola parie di sé» (p. 67). La razionalità è relazionalità nel senso di prossi1nità per cui già afferrnare l'esistente signirica af'fennare l'Altro co1ne Originale dell'esistente. T.... e vie dell'esistenza di Dio non sono altro che la testin1onianza della creatura di essere originata da un Altro: «L'esistente è il linguaggio razionale clell' Altro: esso, oltre ad affcnnare che l'Origine è, affenna anche J'()rigine deve essere 'altra': diversan1ente non affermerebbe affatto, e - di conseguenza distruggerebbe anche se stesso. Affern1arc lJio è - n1etafisica1nenle parlando - l'unico 1nodo cli a!Tern1arsi: non s1 va all'infinito non perché si rinunci all'in1presa perché si decida arbitraria1nenle di fennarsi, 1na perché "tcrn1inare" è intrinseco cd essenziale alla conoscenza razionale dell'esistente» (p. 74). Giorgio Sgubbi in questo saggio si discosta dall'analisi cli Anliseri, anche perché qucst'ulti1no sen1bra rin1anere legato alle
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pren1essc kantiane secondo ie quali la relazione con Dio si risolve nella pensabilità: «Se a presiedere la conoscenza è un concetto univoco di ragione, che identifica conoscere ed avere contenuti 1nentali, reali o 'prodotti' che siano, avere fede non potrà significare altro che "pensare" Dio o "pensare a Dio"» (p. 84). È il tema ciel capitolo, Metafisica e fede cristiana: kantisn10 o scienza del concreto? (pp. 89119), in cui !'Autore prende decisamente le distanze dal pensiero kantiano che rin1ane legato ad una filosofia del cogito che vorrebbe costituire a priori una realtà già intelligibile, per radicarsi nella solida filosofia di To1n1naso in cui il soggetto si relaziona ad una realtà intelligibile creata la quale rin1anda uhin1an1ente a i)io. Il saggio si chiude con un esan1e di filosofie contcn1porancc dcl rappono fede~ragione: Giovanni Paolo 11, Karl Barth, Ebcrhard Jungel. Altraverso l'accosla1nento cli queste figure Sgubbi si prefigge di n1oslTare l'i1nportanza della ragione e della razionalità non in contrapposizione alla fede, ma in forza della fede stessa. I~ la fede stessa che richiede la ragione purché quest'ultin1a venga pensata non co1ne dina1nis1110 appropriantesi di oggelti, n1a co1nc originaria apertura e disponibilità ad accogliere l'essere co111e dono e grazia. ln questa prospettiva il discorso n1etafisico è allora visto con1c scienza del concreto esistere. Un autentico discorso n1etafisico non deduce l'esistere concreto, 111a lo accoglie. Questo saggio è una difesa della ragione, della 1netafisica, contro il pericolo del ficleisn10. Questa difesa appassionata della 1netafisica in questo studio di Giorgio Sgubbi più che salvaguardare la fede ci pare piuttosto un tentalivo di recupero della tradizione inetarisica, perché l'uon10 nella sua apertura ali' Assoluto non precipiti nell'idolatria, rischio sen1pre incornbentc soprattutto se si affennasse la pretesa della ragione "debole" secondo la quale non vi sarebbero più certezze nssolute. Bisogna in conclusione - secondo Sgubbi - «rico111prcnclcrc, nel solco clell.:1 grande traclizìone classico-cristiana, che il rapporto fede e ragione non viene creato dalla speculazione, n1a con1preso co111e possibilità insita nell'essere stesso che si rileva così luogo cli attesa e di rivelazione, non nella previsione della necessità, nu1 nella certezza della possibilità. Per questo la 1ncraviglia che accon1pagna la filosofia nel
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suo nascere non viene abbandonata né superata di fronte alla rivelazione della Bontà di Dio. Il rapporto metafisica-fede cristiana non potrà mai essere considerato co1ne il superamento o l'abbandono della meraviglia, che caratterizza il sapere teologico rispettivamente contro il rigore o la n1eccanicità di quello inetafisico, ma con1e il passaggio da una n1eraviglia ad una ineraviglia ancora più grande» (p. 192). Giuseppe Schillaci
JORGEN BECKER, Jesus van Nazareth, dc Gruyler, Berlin-New York 1996, pp. 460.
La teologia tedesca, sia cattolica che protestante, sembra oggi 1nolto preoccupata di individuare la figura cli Gesù nella sua concretezza storica. Gli esegeti delle diverse confessioni cristiane convergono anche qui verso un fondamentale consenso, che supera il lungo conflitto tra un atteggiamento razionalista cd uno soprannaturalista. Nello stesso teinpo ci si allontana, ahneno in apparenza, dalla sfiducia proclamata da Bultn1ann nei confronti di una possibile ed utile conoscenza delle dottrine caratteristiche cli Gesù. Jiirgen Bccker, professore evangelico a Kiel, ci offre una densa e circostanziata ricerca, frutto della sua attività accade1nica. Il suo Gesù {/i Nazareth fa seguito ad una eccellente monografia su Paolo, uscita in seconda edizione nel 1992. L'autore è soprattullo preoccupato cl i ricostruire la versione teologica caratteristica di Gesù e di distinguerla, quanto più accuratan1ente possibile, dalle successive convinzioni della con1unità che lo considerarono quale n1essia, giudice escatologico e universaie salvatore. Per operare questa cernita si fa ricorso ai rnctodi di analisi dci testi evangelici, sopraltutlo dei sinottici, oggi usuali tra gli esperti e breven1ente riassunti all'inizio del volu111e. La dottrina di Gesù viene esposta attraverso una serie di prospettive co1nplementari. La più generica riguarda la corruzione di Israele. Giovanni il Battista è i I profeta del giudizio imminente sul popolo infedele, che si affida a
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certezze aulomaliche, nia ignora la conversione del cuore e delle opere. TI messaggio di Gesù si fa luce in questo orizzonte profetico e critico e insiste sulla responsabilità decisiva che ognuno si assu1ne. Ma l'accusa veemente del predicatore del deserto è completata dalla fiducia positiva nella misericordia e nella fedeltà di Dio verso gli umili e i penitenti. Egli è pronto a con1picre opere nicravigliosc, che rinnovino e perfezionino quelle della creazione. La colpa, la rnorte, generata dal potere del diavolo, non fanno parte del disegno divino. Possono essere distrutte definitivan1ente da un'azione di grazia che trasfonna i cuori ed i corpi. La signoria divina, che giudica il n1ale eli111inandolo, rnette in secondo piano, nell'insegnan1ento di Gesù, altre nozioni della religiosità biblica: la legge, il culto, la speculazione apocalittica. L'attesa del futuro si abbrevia in un presente di misericordia e cli grazia per chi è disposto ad accoglierle. Il lungo processo della storia giunge al suo tennine e si inanifesta la verità pri111ordiale e ultima, superando lutle le 1nenzogne della superbia un1ana e dell'inganno diabolico. La teologia del regno in11ninente si congiunge con quella della creazione buona. Le parabole, la co111unione di niensa con i peccatori, le guarigioni niiracolose, mettono Israele di fronte alla grazia delle origini e della fine. Le attese n1essianiche correnti e la visione apocalittica del figlio dell'uo1no devono essere reinterpretate secondo la visione dcl regno purificato dal male. Da qui nasce 1'etica predicata da Gesù. È scoperta gioiosa di un valore ultin1ativo, decisione senza con1pron1cssi per quel regno in cui la fa111iglia, il lavoro, il denaro, lo stato, le gerarchie e i riti saranno aboliti. Alla 111isericordia gratuita dcl divino deve corrispondere l'in1itazionc umana. Il carattere cultuale e legale della religione si affievolisce di fronte alla con1passione, all'ì1npegno soccorrevole. Infine la signoria divina apre la visione della fa1niglia universale degli esseri un1ani chia1nali alla giustizia ulti1na. Il volu111e si chiude con un'analisi degli uhi111i giorni cli Gesù a Gerusale111111e. L'evento della resurrezione esce ormai dalla sua sloria e fa parte dell'esperienza religiosa della comunità poslpasquale.
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Questo volun1e, seno, accuratissin10 e non racilc, vuole individuare quel nucleo doltrinario originario da cui sboccerà la fede cristiana. Un fervido lavoro interpretativo farà sorgere nella coscienza collettiva i! Cristo della fede, quale principio universale di salvezza. Spogliato dall'er111cneutica e dalla dogn1atica ecclesiastiche, il Gesù della storia, co1ne è presentato eia Becker, potrà se1nbrare i! prodotto cli un'esegesi ipercritica e cli una visione etica della vita urnana. I[ tentativo, però, cli ascoltare l'insegnamento vivo dell'uomo di Nazareth n1ette cli fronte i caraileri della fede biblica cli cui egli si nutrì e a cui diede, con le parole e con ie opere, un'interpretazione travolgente. Il lega1ne tra l'una e l'altro è un continuo processo ern1eneutico cli attualizzazione di un n1cdesin10 cn1pito teologico e salvif'ico. Non per nulla lutto il Nuovo Testan1cnto attribuisce sia l'un1anità storica di Gesù sia la presenza glorificata nel suo n1istico corpo al n1edcsi1no Spirito. J?oberlo (Jsc11/or;
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Synoxis X!V/2 ( 19%) 369,378
(}lLJSEPPl~
SC:ì-ilLLAC:I, J?elrn:ione senza relazione. li rhrorsi e il darsi
di Dio co111e itinerario 111etr~fì'sico nel pensiero di Lévinas, Galatea Eclìirìce, Acireale 1996, pp. 418.
Si potrebbe definire il l:ivoro del prof. Schillaci il frutto cli un «incontro>> (p. 386) con un aulore contcn1pora11eo ul qurtlc egli pone
una don1anda fond11n1cniale, che poi dornina la ricerca accurata fatta dent1·0 le sut:- opere., ncl tenlativo di dare una sisten1azionc teoretica ad
un pensiero che si pre:;enta intcnzionaln1ente aporetico. L,a clon1anda è giù fin dall'inizio così fonnulata: «se una rottura
con la grande tradizione occidentale possa avvenire al cli fuori delle cafcgorie occident;1Ji che costituiscono il pensare stesso, cioè la filosof'ia in qw11110 lcrie» (p. 89). I~évinas vuole ron1pcrc con la nosrra tr;:1dizionc filosofica e, in particoh1re con i! pensiero di I-Tciclcggcr, che :.1 suo dire, sono clon1inl1ti cJaJ!a qucsf-iO!lC de!J;1 CO!lOSCC'.!ì/,il e, quindi d;:1Jla probJen1atica conseguente dcll<ì rel;1zione tr;t soggetto e oggeuo: in essa, in!~1tti, '11 questione dell'essere è rlcondo1i;:1 dentro quella dt:! sapei·e. Pertanto si chiede: ((se h1 nostra prin1;1 r:iliiiudine., di fronte ;_1] reale, debba essere quella cl! un;:1 contc1np];J1.!onc teoric:i» (p. :L'i); o se piuttosto il prob!enia dcli" essere non si cll:;bba porre cornc il problen1a cieli' uscito Lh11!'esscre concepito co1ne autosufficienza (pp. 56 ss.), divenendo, così, la questione cenlrale della filosofia quella della possibililiì e della rnochditù di questa uscito.
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Ma che cos'è l'essere? Secondo Lévinas questa domanda non ha inai avuto risposta: «L'essere è senza risposta. La direzione ne11a quale questa risposta dovrebbe essere cercata è assoluta1nente impossibile da esaminare. La domanda è la manifestazione stessa della relazione con l'essere. L'essere è essenzialmente estraneo e ci urta. Subiamo la sua morsa soffocante come la notte ma lui non risponde. È il mal d'essere. Se la filosofia è la domanda dell'essere - essa è già assunzione dell'essere. E se essa è più di questa domanda lo è soltanto in quanto la filosofia permette di oltrepassare la domanda e non cli rispondervi. Se vi è più della domanda dell'essere, non è la verità ma il bene» (p. 66). In queste proposizioni è prefigurato tutto il cammino filosofico dell'autore francese, che Schillaci tenta cli descrivere cogliendolo nella sua unitarietà, «nonostante l'arco di teinpo non sia ridotto e abbraccia anche momenti storici non trascurabili» (pp. 17 172, n. 407). L'Autore n1ostra come itinerario dcll' uscita dal!' essere da se stesso passi - secondo Lévinas - attraverso quell'essere che ha la coscienza di sé, cioè l'Io che lungi dall'essere quel "Medesimo" coslretlo ad occuparsi di sé, perché in relazione a sé e non ad altro da sé, è un io che vive. E «la vita è arnore alla vita, rapporto con dei contenuti che non sono il niio essere, lna più cari che il n1io essere: pensare, inangiare, donnire, leggere, lavorare, riscaldarsi al sole. Distinti dalla inia sostanza, 1na cosliluendola, questi contenuti dànno valore alla mia vita» (p. 98). È l'affermazione, dunque, dcli' unicità dell'io che vive nel rapporto con ciò che è altro da sé, contro una identità che tenderebbe a ridurre a sé ogni differenza. «La differenza entra nel cuore stesso dell'identità conducendola fuori di sé, denucleandola» (p. 116). Da qui, in dichiarata rottura con la filosofia occidentale, Lévinas tenta un percorso che porli l'uomo oltre a quell'Io che è prima della conoscenza, cioè il «Senso stesso della vita)) (p. 122). Si tratta di una filosofia con1e «esperienza», che è «ca1nn1ino esodalc del pensiero stesso» (p. 131) verso l'origine del senso, che prende da Abramo la figura dell'uomo che è chiamato ad uscire fuori da se stesso «verso ciò che è al di là dell'essere» (p. 149), che dà senso
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all'essere, e che si colloca - secondo Schillaci - nella scia della tradizione anti-intellettualista francese (p. 151). «La filosofia del nostro Autore - egli scrive - procede da un effetto di rottura provocato dall'alterità etica la quale in quanto alterità si assolve eia ogni relazione, questo significa, come sembra ribadire Ricoeur, che 'rompe con la rappresentazione come Kant sottrae la ragion pratica al regno della ragione teorica'» (pp. 145-46). Abbandonata, dunque, la filosofia prima co1ne ontologia, Lévinas si dirige verso una concezione differente cli filosofia prima, che sarebbe l'etica (p. 170). Il principio che fonda l'essere sarebbe l'autrement qu'etre. La relazione con autrui verrebbe e1nergendo in una fase particolare del pensiero di Lévinas e si porrebbe come un movimento verso il Bene (cfr. p. 171, n. 407). «L'altro in quanto autrui è colui che io non sono, e colui con il quale io non posso coincidere» (p. 176). La relazione con autrui non è dunque ontologia, n1a incontro. Parlo a qualcuno non mi i1npossesso di un altro co1ne oggetto di conoscenza. La se1Jarazione è la condizione della relazione tra il medesimo e l'altro (p. 179): una infinita distanza che non distrugge la relazione, con1c la relazione non distrugge questa distanza (p. 188). Giusta1nente Schillaci fa notare come la filosofia levinassiana riveli un' inesauribile ulterioraà, connolandosi con1e un continuo rinvio, con1e un discorso che si ri1nanda sempre, 1nai concluso (p. 199). E, a questo punto del suo lavoro, egli ci offre un ampio paragone con il pensiero di Deridcla, Marce!, Buber, F. Jaques, Kierkegaard, Leibniz e Cartesio. Ma da dove nasce per Lévinas questo n1ovin1ento verso ciò che è altro da sé e dell'essere stesso? Da un'alterità che è nel medesimo (p. 217): «il desiderio tende verso tutt'altro cosa, verso /'assolutamente altro» (pp. 221-22). Esso è, infatti, bisogno di chi non ha più bisogni, bisogno di un Altro che è Autrui (p. 222); e in quanto tale cresce quanto più si cerca di appagarlo. E qui lAutore evidenzia quella fenomenologia dei desiderio, che appare nel pensiero levinassiano.
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L'infinito, irriducibile a un hleatu1n, indica una tensione inscritta nel cuore del soggello stesso, che però nello stesso tempo loltrepassa: da cui «l'intrigo», «la divina con1mcdia». «L'infinilo è un'esperienza senza concetto, che oltrepassa infinitamente il tentativo clclla conoscenza di in1padronirsi, presentandosi co111e a!tez.za. L'epifania cli un'altezza da non n1anipolare 1na da ascoltare e rispettare» (p. 238). Ma l'infinito non eh-coscrivibile si inscrive in una storia, in un detto, in un libro (p. 243): la traccia è il segno di questa irruzione nel! 'infinito, dcl!' J/leilà, nel campo del!' esperienza del l'uomo, «è una epifania proveniente da un non so dove, da un altro n1ondo» (/.c.). La tmccia è quello spazio nel tempo (p. 236) per cui irrompe nella mia esistenza uno sconosciuto, l'enigrna (p. 269). A11tr11i, con1e volto entra nel mio mondo e lo si può incontrare (p. 273). Il volto si sottrae al mio possesso (p. 276) perché è manifestazione dell'infinito (p. 278); anzi invoca il n1io aiuto nella vedova, nell'orrano e nello straniero (p. 279). L' 11/eità irrompe nel mondo esigendo una mia risposta. Li soggettività è inquictatr.1 da un "altrove" che la chian1t1 alla soggez.ione (p. 285). La responsabilità costituisce la struttura essenziale della soggettività co1ne soggezione che si espri1ne nel dire "cccon1i !" (p. 293). A questo punto Schillaci si avvia ad alcune conclusioni. La pri1na riguarda la possibilità di accedere a l)io. Contraria1nente ad Heicleggcr, Lévinas non pone n1a1 csplicitan1entc il problen1a filosofico cli Dio: vuole arrivare a Dio «altrimenti» (p. 304), perché Dio non si lascia imprigionare (p. 305): occorre lasciare, dunque, la visione che n1ira al possesso, per porsi in un allrn atteggiamento, quello dc//'asco/10 (p. 305). Si accede a Dio «lasciando l'essere» per avvicinarlo attraverso il suo No1ne: «avvicinare Dio attraverso i! suo Non1c - scrive Lévinas - è affcrrnarc la rivelazione
con1e una n1odalità in cui si preserva la trascendenza di cìò che si n1anifcsta» (p. 314). Si traila, dunque, cli unn «relazione clivcrs;1 dei ia teinatizzazione», di una «Relazione senza relazione» (p. 316), cotne fa chian1a icastican1ente Schillaci. Il n1ovin1cnto che 1ni conduce a T)io, infatti, non si dispiegherebbe senza la prioritaria irruzione di l)io stesso, della sua contrazione nel finito, della sua kènosi, senza il suo
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dire in un detto. A Dio si accede, dunque se si accetta di entrare in questa relazione che non è più di carattere conoscitivo, n1a piuttosto di natura ctict1, che co1nincia nel 1non1cnto in cui sono obbligato ad un atto etico, che considero sempre comandato da Dio (p, 337, IL 8 I 3), Si accede a Dio nella dimensione del Bene (p, 339), e quindi, secondo la concezione ebraica, grazie alla Legge (I" 341 ), La seconda conclusione concerne la don1anda che Schillaci aveva posto all'inizio della sua ricerca circa la possibilità cli sviluppare un pensiero filosofico in rollura con la tradizione occidentale al cli fuori delle categorie ad essa proprie. A tale interrogativo l'Autore risponde sostenendo che Lévinas rin1ane sostanzialn1ente dentro due categorie fondamentali, quella della nozione di infinito e quella di Bene. L'infinito in noi, con1e eccedenza rispetto al finito che noi sian10, genera una tensione ad uscire tì1ori di noi verso un Bene che è altro da noi. Per cui il pensiero levinassiano si presenta co1ne un «pensiero che pensa più di quanto non pensi», perché pensare a partire dalla vita non porla «alla negazione dcl pensiero n1a alla sua inscindibilità di quest'ultin10 dalla esistenza u1nana»: essa è relazione con l'infinito, quella apertura che costituisce ogni uomo, una relazione che è andare verso il Bene (pp. 364-65), La critica stessa di Lévinas che ha per oggetto l'ident~ficazione di essere e conoscenza, a cui si sotto1netterebbe la filosofia occidentale, per Schillaci si inscrive nella autentica tradizione n1etafisica che «ha sc1nprc conosciuto la ricerca di un al-di-là cli ogni dicibile e persino di ogni pensabile» (J" 39 l) e trova riscontro nella filosofia scolastica che «in ulti1na analisi, ha privilegiato il dinan1isn10 stesso della indicibilità attraverso l'introduzione della onologia entis» (I.e.).
Francesco Ventorino
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GIUSEPPE CESARI - MARIA LUISA DI PIETRO, L'educazione della sessualità, La Scuola, Brescia 1996, pp. II+203.
La pubblicistica sulla sessualità si arricchisce di un altro testo che, con un linguaggio diretlo e semplice, fornisce agli educatori un prezioso sussidio pedagogico. Il libro associa rigore scientifico e sobrietà espositiva, sì da raccomandarsi ad un pubblico vasto. Nella prefazione di Giuseppe Vico si dà atto agli autori di manifestare «in modo chiaro la loro visione personalista della sessualità umana» e di assun1ere «le posizioni conseguenti» (p. 8). Si riconosce, inoltre, co1ne non sia possibile separare «l'educazione sessuale e il suo compimento nell'educazione della sessualità dalla considerazione del lintegrale sviluppo della persona umana. La di1nensione etica e, per chi crede quella etico-religiosa, assun1ono una valenza peculiare» (ibid.). Il libro si compone di due parti: la prima di G. Cesari, in quattro capitoli, sugli«Aspetti psicologici dell'educazione della sessualità» (pp. 17-54); la seconda di M.L. Di Pietro, in cinque capitoli, sugli «Aspetti etico-pedagogici dell'educazione della sessualità» (pp. 57-200). Nella premessa comune gli autori forniscono la chiave di lettura del testo spiegandone il titolo. Poiché la sessualità è una realtà presente nell'essere umano fin dall'inizio e con lui si sviluppa gradual!nente, è più appropriato «parlare di educazione della sessualità, nell'accezione sia di perfezionare - e non creare ex novo - , che di intervenire a favore della persona intesa nella sua globalità: fisica, psichica e spirituale» (p. 12). Altre espressioni sono riduttive o ambigue, per es. "educazione sessuale" indica generalmente una scn1plice informazione sulla sessualità, oppure "educazione alla sessualità" indica qualcosa che ancora non e' è. Nel suo saggio G. Cesari mostra che la sessualità non è altro da noi, 1na si configura entro la nostra storia e contribuisce a creare la nostra identità. Per questo è sempre opportuno sottolineare il legame tra sessualità u1nana e cultura, nel suo rapporto con la natura: «ogni essere un1ano non ha una essenza particolare che sia soltanto genetica o soltanto culturale; non è una sovrapposizione, quasi geologica, dello
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"strato culturale" su quello "biologico": è il risultato dell'interazione tra la sua costituzione biologica e la sua forn1azione culturale» (p. 21 ). Natura e cultura sono due elementi di uno stesso fenorneno che si chia1na "vita umana"; riguardo la sessualità, ciò significa che essa in se stessa è uguale in ogni paese cd in ogni tempo, ma il "vissuto" dipende da moltissimi fattori propri di un certo tipo di società nella quale la sessualità è agita (cfr. p. 24 ). Una conseguenza del rapporto natura-cultura è che l'identità sessuale si fonda su dati oggettivi e soggettivi e si può correttan1ente parlare «non tanto lii un corpo che abbiamo quanto, piuttosto, di un. corpo che siamo. Un corpo che definisce e fa essere - in n1odo specifico e unico - ogni umano individuo. Un corpo che, esprimendosi, esprime il soggetto che in quel corpo si riconosce» (p. 31). Si comprende quindi l'importanza di un intervento educativo nella sfera sessuale. L'a. inette bene in evidenza il quadro generale entro cui comprendere e la peculiarità della sessualità umana e la necessità di un intervento educativo su di essa. L'uomo si distingue dagli altri viventi per il "bisogno di significato" (p. 27), si richiede quindi una ricerca di senso e una sua fondazione. Infatti, se una ragazza o un ragazzo non vedono questo significato tendono a negarne uno particolare alla sessualità agita gcnitalmente. Il risultato è una fruizione del "sesso" in modo strnmentale come una pulsione incontenibile e fuori da ogni contesto una attività ad relazionale, riducendosi fo ndamen tal men te 1nasturbatoria. «La fruizione in1mediata e la esclusiva ricerca del solo piacere - considerato come unico "valore" - rende indifferente ed ininfluente l'identità e la dignità del partner: ed il tutto si riduce ad una prestazione» (p. 29). Sulla base della distinzione/relazione tra natura e cultura e della ricerca di "significato" quale peculiarità dell'uomo, l'a. può distinguere tra sesso e sessualità: il sesso indica l'appartenenza di ogni individuo ad una delle espressioni dell'unica natura umana (cfr. p. 30 ss.); la sessualità indica l'agito, che non è sempre solo e necessariamente genitale (cfr. p. 35 ss.). In questo contesto si sviluppa il concetto chiave di sublimazione. Da un punto di vista psicologico con "processo di subli1nazionc" si intende «Un processo jJsico-
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Presenta;)on i
organico, prevole11te111e11te h1 atto in gn.ido di consentire l esplicazione di ogni attività u1nana: da quelle vitali clcn1cnU_H·i (respirare, n1etabolizzare, ecc.) a quelle "superiori'' delta rnentc e dello spirito» (p. 35). Si comprende come molta parie cli questo proècsso sia inconscia e che riguarda non solo la sfera sessuale n1a tutti.i "l'energia vitale" dcll)uon10. Così sublin1are «vuol clirc utilizzare, secondo necessità, quella energia vitale che ogni soggetto ha a disposizione; e che in n1odo deviante e riduttivo viene chian1ata ''sessuale"» (p. 36). Questo concetto è decisivo in can1po educativo perché se si vuol aiutare un soggetto, speciain1entc giovane, ad utilizzare posiiivnn1cntc la sua "energia vitale'', bisogna n1etterlo in grado di "canalizzarla", cioè di orientarla alla luce del significato che sì attribuisce alla vita. Ciò concretan1ente con1porta il snscitJre interessi che possano coinvolgere !"'energia vitale" del giovane e consentirgli una crescita an11onica di tutte le dirncnsioni. Quando l'agire è n1otivato e vi è un "interesse" a guidarlo, allora se ne ricava "piacere". Questo piacere non è solo cli natura "fisie;:i", 111a può essere "spirituale", "pneun1atico", "psicoesistenziale". Così nella sessualità ;;1gita, se se ne coglie la din1ensionc oblativa, si coglie non solo il piacere fisico, 11111 anche quello psicocsistenziale. Detto diversan1ente, «chi a111a e sa an1are riconosce nella di1nensione "oblativa", rh oppartenenza o//'o!tro, la pienezza del piacere e della gioia d'an1ore» (p. 37). La seconda parie clcl libro presenta un progetto di educazione della sessualità attraverso l'educazione globale della pcrso11;1, seguendo elci percorsi che vanno dall'educa;donc all<1 vita e all'an1ore all'educazione 111ora!e. Il punto di parlenza fonda1nentale è costituito dall'antropologia personalista da cui discende tutto !'i111pianto dcl progetto educativo, proposto <.~ltorno alla cornprensionc del fa sessualità con1e "energia vitale" (cfr. parte I). In quanto energia, ìa sessualità è «din1ensione strutlurale della persona da cui riceve ronna, n1odo di essere e capacità di agire» (p. 146). In altre p<irolc non è il sesso che dà significalo alla persona, n1a la personLl Lll sesso. Nat11raln1enle ciò non deve essere inteso clualistican1ente, con1e se i! sesso fosse una realtà estranea alla persona. Al contrario !'a. 111ette ben in evidenza l'unitarietà dell'essere u1nano con1e persona e quindi si prcscntt.1 la
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sessualità con1e "rorza cornplessa e integrante della persona
un1<:in~1'·
(p. 146).
Questi itinerari prendono l'avvio dalle radici di LlllLl cduc<.izione sessunle diffusa (cap. 1) per n1ostrare poi, in positivo, un n1oclcllo pedagogico adegualo (cap. TI), che trova i! suo con1pin1ento nell'educazione dcl sentimento morale (cap. lii). 1n questo modo si può facilincntc riafrcrn1are che una autentica educazione della sessualità si re;;ilìzza solo nel contesto dcll cdncazione globale della persona, che è vista clall'a. sen1pre nella sua concretezza. In ;iltre parole, l'educazione della persona è vista sia 111 relazione afl'cvoluzionc psicologica individuale, n1eitendo in evidenzr1 le peculiarità delle fasi dell'età evolutiva, sia in relazione al!'an1bicnte dove ogni individuo si viene a trovare, in particoLirc la fan1iglia e la scuola. li ruolo educativo dì questi an1bientì è soltolinct1lo ripctutan1cntc. F);:1rticolannente significativo è il loro ruolo nclI'cclucazionc alla differenza sessuale e, perciò, nella costruzione clell'iclcntità sessuale (cap. IV). Particolare i1nporianza, nell'econon1ia del testo, riveste qucst'ullin1a prob!en1atica. I critici più actHi hanno già da ternpo evidenziato la tendenza ad abolire le "differenze" quasi a "clcsessualizzare la sessualitù" (p. 156). Ciò accresce la clifficollà ad una n1aturazione equilibrat;1 e senza "clisoricntan1enti" del!a sessualità, soprattutto negli adolescenti di oggi. Denc, pc.rciò, ha fallo l'a. a sottoline;_1re !'in1portanza del con1pito educativo dci genitori e degli educatori delle altre agenzie educative 1n relazione all'acquisizione cli una identitù sessuale chiara e coerente con il proprio essere 1naschile o f'en1rninile. Perché il discorso non resti vago e si conduca un'a7,Ìone educ~1tiva n1irata, rispettosa della pcrson;1, bisogna tenere conto che «con1e il "fattore biologico" agisce in fasi e in situazioni critiche ben circoscritte e individuabili [ ... ] anche per il fattore educativo o "induttore psico-sociale" possono essere 1ncssi in cvidcnz<:1 due specirici livelli di azione, ovvero et~t critic;_1111entc sensibili: l'infanzia e l'adolescenza» (p. 155). Si comprende bene I' in1porlanza assegnala al l'educazione, agli aspetti psicologici e 5
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Presentazioni
pedagogici ed anche all'importanza della maturità degli educatori (p. 159). Poiché l'identità sessuale si costituisce fin dall'infanzia, mentre le preferenze sessuali si 1nanifestano a partire dalla pubertà, l'a. si
sofferma pure sul dibattito intorno all'influenza di natura e cultura sullo sviluppo sessuale e sulla costruzione dell'identità sessuale. In modo molto equilibrato si sostiene che «la posizione più realistica nell'affrontare il problema della strullurazione dell'identità sessuale sia quella di chi sostiene la concomitante presenza dei fattori biologici e dei fattori educativo-ambientali, fermo restando che non è possibile, allo stato attuale, scindere la parte dovuta alla natura da quella dipendente dalla cultura» (p. 152). Si capisce subito l'importanza cli questa posizione nell'affrontare questioni particolari, per es. quella dell' on1osessualità.
li libro si rivela uno strumento utile perché gli educatori assolvano meglio il loro compito, che è quello di aiutare «il bambino e il fanciullo, prima, e l'adolescente poi a vivere in modo libero ma responsabile la propria sessualità: questo è uno degli scopi dell'educazione 1norale da intendere [ ... ] non come una serie di divieti
ma quale autentica promozione dcli 'uomo e della sua dignità; ed è morale non solo il comportamento di chi si limita a non fare il male, ma anche quello di chi si impegna a fare il bene, anche quando è difficile e costoso da realizzare» (p. 145). Maurizio Aliot/a
Synaxis XIV/2 ( 1996) 379-383
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO
1. Inaugurazione dell'anno accademico 1996-97 Il 4 ottobre 1996 lo Studio Teologico S. Paolo ha inauguralo il suo 27° anno accaden1ico. La concelebrazione eucaristica è stata
presieduta dal vescovo di Noto, Salvatore Nicolosi; a salvaguardia del dovuto decoro liturgico il numero dei concelebranti è stato limitato e determinato per rappresentanza. É seguita linaugurazione della nuova segreteria e, nell'aula magna dello Studio, il saluto del Moderatore, mons. Luigi Bommarito, e la relazione dcl Preside, Salvatore Consoli, sulla vita dello Studio nel precedente anno accademico e nei progetti futuri. La prolusione accaden1ica è stata tenuta dal prof. Maurizio Aliotta, nuovo docente stabile del S. Paolo, su Chierici ed eros nel Medioevo latino.
2. Licenziati in Teologia 111orale I-Ianno conseguito
il grado
accademico
della Licenza
111
Teologia morale, il 28 giugno 1996: C. LA PORTA, Essere fidanzati e stare insieme. Implicazioni etiche ne/! 'uso di queste e5pressioni
(relatore prof. M. Cascane) A. ROMEO, li valore della vita umana nel!' ethos siciliano alla luce dell'enciclica «Evangelium Vitae» (relatore prof. M. Cascane)
380
il 19 sellernbre 1096: M. ZACCARO, Lafr1111iglio do oggetto o soggetto ne/111 Chiesa: sncra111e1110 e
pastorule con particolart
r~fer;n1enfo
o/lo «Gau{/;,1111 e!
S;Jes»
(relatore prof. M. Aliot!a)
3. lJoccc/fieri in '/'eo/ogio
I-fanno conseguito il grado acc;:ide111ico del Baccalaureato in Teologia il 20 setlcrnbrc 1996: S. FARINATO, //dorsi dc/l'essere nello cd.eltem sul/'umm1ismrn• cli A1artin 1-Jeidcgger (relatore prof. G. Schillaci) il 17 o!lobrc 1996: D. CANDIDO, I wedicati participio/i di J/111'11 nel Deutero.fsaio. 7'ipo!oghr !et/eroriu, lessico e oriz.:::.onfe teologico (relatme prof. A. Minissale)
4. /\l!nsfer in Tco!ogio della 1·ita consacrota I-ìa conseguito il 1\!Iaster in 'fcologia della vita consacrata il 6 novembre 1996: A. M. GC)NZÌ\LEZ, Lo vida consagrodo y evonge/izocion a fa
/11z t!e !os docu111entos episcopados la1ino-r11nericono (relatore prof. S. Consoli)
5. fJre1nio n1ons. l(occo J?apisar(fa
A conclusione delle annuali sess10111 di csan1c per il conseguiniento dci titoli <.1ccadcn1ici è staro assegnato il Pren1io Mons. l?occo f(opisordo. La va!uta7ione dcl curricu/11111 accaclen1ico e delle
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tesi discusse ha fai-to assegnare il pren1io per il Baccal<:n1rc:;1to a Salvatore Garro, dell'arcidiocesi di Sirncus;;1, e per la Licenza n Carn1elo La Porla, laico.
6. -/\/uovo Jvloderofore (~on
lettera del 9 ot1obre 1996 l'arcivescovo cli C~att1ni~1 e Moclcr:.1tort; clc!lo Studio, l~uigi J3on1n1arito, ll:i conn1nicato al F)rcside !ci decisione unani111e dci vescovi responsabili clcllo Studio «per doveroso spirito di avvicend;_l!ricnln l ... l di lT;_1sn1eltetc ad Jllro conffatcllo l'ufficio di Moderatore dello Studio S. Paolo». J-\ ta!e ul'ricio è stato designato il vescovo di J\licosia, Pio Vigo. J! S. Paolo ha espresso ìl suo vivo ring\';1zì;_1n1en10 a n1ons. :Bornn1arito e l't.nigurio cli operosa collaborazione a 1i-1ons. \/igo.
7. Lectio
con111111!lis
dcl!
.·,,e111es/rc
P~nche
per i! T scn1estrc di questo nuovo ;inno nccnde1nico og11i corso ha progran1111~1to ];1 Lectio conu111111is. J)a qucst'c1nno, al fine di nssicurare
un
nìagg1orc
coordin<uncnio
scien1ifico,
responsabili
del l'iniziativa sono i prof'cssori s111bi Ii. Al propedeot ico, guidata dn 1 prof. Antonino J\/liniss;1!e, si è le1n1t;1 su !?apporfo tru feo!ogio cd espertCf/Z.JI l(/l/{1/7({; al ff propedcu!·ico, guÌLÌ<Hil daJ prof. J\tliJio (Jangc111i., su l?opporto rr1gìo11e-ft.:de; al 'friennio tt;o]ogico, guidata dal prof'. l\!lallrizio Aliolt<1, su L./i11c11/t11roz')u11c dello 1Jih/1ir1 u!lo luce rii un 11orogrt(/o del docu111e11ro dello Po1111j/'ci(/ C'o111111issio11e l?i/;/ico «l,'interpre102:ione dello J]i/Jbio».
I\Jclla colh1na «.l)ocu1nen1i e studi cli Synaxis>) è st<:Uo pubblicalo il 6° volurne: è !n tesi di dolion.ito in filosofia alla Cìrcgorf;1na dcl
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nostro prof. G. SCHILLACI, Relazione senza relazione. Il ritirarsi e il darsi di Dio co1ne frinerario 1netafisico nel pensiero cli Lévinas. É di imminente pubblicazione, in collaborazione con le Edizioni San Paolo, il vol. 11° della collana «Quaderni di Synaxis»: Chiesa e vangelo nella cultura siciliana, contiene gli atti dell' omonin10 convegno tenuto dallo Studio Teologico con l'Università degli Studi di Catania e l'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo.
9.
s~enzinario
interdisciplinare
Contestualmente alla pubblicazione degli aHi su Chiesa e mafia (Synaxis XIV/I) si è avviato il lavoro del successivo seminario su La cultura del clero siciliano, coordinato dal prof. Gaetano Zito. I contributi saranno editi su Synaxis XV/2.
IO. Bibliotecari ecclesiastici di Sicilia Concordata tra i due Bibliotecari della Facoltà Teologica di Sicilia, quello di Palermo e quello cli Catania, è stato promosso il prin10 incontro tra i Bibliotecari ecclesiastici di Sicilia che si è tenuto il I O dicembre 1996, ospiti dcl Seminario Arcivescovile cli Catania. I partecipanti
hanno
avuto 1nodo di confrontarsi
sul
lavoro
che,
isolata1nente fin' ora, si sta facendo da ognuno e hanno espresso piena
clisponibil ità ad avviare una proficua col laborazionc. Ali' incontro hanno partecipato pure don Giuseppe Tabarelli SclB, che negli anni '80 è stato tra i promotori del progetto URBE (Unione Romana Biblioteche Ecclesiastiche), appositamente fatto venire per questo incontro, e Don Michele Pennisi, consigliere cieli' ABEi (Associazione Bibliotecari Ecclesiastici Italiani).
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11. Informatizzazione della Biblioteca Formalmente il 12 dicembre 1996 s1 è avviata la informatizzazione della nostra Biblioteca. Sono stati schedali i primi libri con il software specifico CDS-ISIS e con le prime schede stampale si è avviata la progressiva sostituzione di quelle già presenti nello schedario. Al contempo, è stata attivata la connessione via Internet al fine di permettere a docenti e alunni la possibilità cli effettuare ricerche bibliografiche in altre Biblioteche.
12. Ricordo di mons. Santi Pesce
Ad un anno dalla n1orte, gli cx-Fucini e lAssociazione dei Medici Cattolici cli Catania, per i quali è stato a lungo guida spirituale, hanno voluto esprimere l'affetto e la riconoscenza per mons. Santi Pesce, nostro professore di Teologia do1nn1atica negli ulti1ni anni della sua docenza, donando un ritratto a<l olio, che sar~l collocato nella Sala dei professori, e istituendo un "Premio Mons. Pesce" per la migliore tesi di Baccalaureato e di Licenza.
rinilo cli ;,[an1pare nel n1csc cli Dice1nhre l 99(1 cl;1ll;1 Tipolitografia CĂŹ1\LATEJ\
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