Nuova serie XIX/2 - 2001
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO & ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO CATANIA
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INDICE
INTRODUZIONE (Ado(IO Longhitano)
219
POTERE REGIO E POTERE ECCLESIASTICO NELLA SICILIA DEL '500 UNA DIFFICILE RIFORMA (Gaetano Zii o)
I. Una corona privilegiata
227
2. Una Chiesa "legata"
235
3. Una rifonna contestata
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VESCOVI E SINODI NELLA SICILIA DEL '500 LE COSTITUZIONI SINODALI EDITE (Adolfo Lo11ghita110)
I. Vescovi e sinodi diocesani nella Sicilia del '500 2. li sinodo di Patti (1537) celebrato prin1a dcl Concilio di Trento
3. I due sinodi celebrati negli anni della sospensione del Concilio di Trento
249 261 263
4. I sinodi celebrati nel prin10 ventennio successivo alla conclusione dcl
Concilio di Trento
267
5. I sinodi celebrali nel secondo ventennio dalla conclusione del Concilio di Trento
272
Conclusione
278
SINODI SICILIANI E ITALIANI NEL '500 (Salvatore Marino)
281
L'ORDO DEI SINODI (Michele Miele)
287
SINODI SICILIANI E RIFORMA TRIDENTINA (Nunzio Capiz:d)
1. li sinodo della diocesi di Siracusa ( 1553) 2. Il sinodo della diocesi di Catania ( l 565) 3. Il sinodo della diocesi di Patti ( 1567) 4. li sinodo della diocesi di Mazara (1575) Conclusione
305
307 310 314 316
331
LA PREDICAZIONE
(Salvatore Consoli) I. La situazione di ignoranza 2. Lo scopo 3. I contenuti 4. Il dovere di predicare 5. ll 1netodo
335
337 338 344 347
6. Il sentire ovvero il cuore del predicatore 7. I sussidi consigliati Conclusioni
349 351 353
IL CLERO (Giuseppe Ba turi) 1. Chierici e riforn1a in Sicilia . 2. «Cora111 Deo .. conun popolo»
3. La n1odestia clericale: l'aspetto, i gesti, i co111portamenti 4. La n1odcstia dcll 'aspetto 5. II 1nestieri vietati 6. La Lutela della castità sacerdotale 7. Il culto e i sacrmnenti 8. I libri e la cultura 9. «De i1nn1unitatc clcricorum» 1O. L' ainn1issione agli ordini 11. La residenza 12. La vigilanza 13. Alcune note
355 358 362 365 367 370 372
374 375 377
379 380 380
I PECCATI RISERVATI (Ado{!O Longhitano)
I. I peccati riservati nell'ordinarnento cattolico 2. Utilizzazione storiografica degli elenchi di peccati riservati . 3. Analisi dei peccati riservati nei sinodi siciliani Conclusioni
383 386 388 397
LA CHIESA E GLI INFEDELI (.Flavia Ferreffo)
1. La schiavitù in Sicilia nel secolo XVI 2. Le nonne sinodali sugli schiavi Conclusione
399 400 406 411
PRESENTAZIONE
413
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO
417
Seminario interdisciplinare «I sinodi diocesani siciliani del '500»
Synaxis XIX/2 (200 I) 219-225
INTRODUZIONE L'interesse per lo studio dei sinodi diocesani da alcuni decenni è andato oltre la cerchia ristretia dei cultori di storia della Chiesa e delle istituzioni ecclesiastiche. Chi conosce la natura di questo istituto giuridico e le finalità che si propone di raggiungere è in grado di valutare la particolare rilevanza delle costituzioni sinodali come fonte per la storia sociale e religiosa e per le ricerche delle diverse discipline teologiche. Nelle intenzioni del legislatore canonico il sinodo diocesano costituiva il momento più significativo per la vita di una Chiesa locale. TI vescovo, con l'aiuto del suo clero e a volte anche di tutta la comunità diocesana, era chiamato a prendere coscienza della situazione della diocesi e a predispone e promulgare le norme per l'azione pastorale e per la vita del clero e dei fedeli. In queste condizioni, le costituzioni sinodali diventano lo specchio più o meno fedele di una Chiesa in un determinato periodo storico. Uno specchio che può diventare rivelatore soprattutto nei periodi di crisi, quando le autorità ecclesiastiche guardano al sinodo diocesano come a uno degli strumenti principali di controllo e/o di riforma. La scelta di promuovere un se1ninario di ricerca sui sinodi siciliani del '500 è nata dalla volontà di analizzare questa rilevante fonte storica in uno dei secoli più travagliati per la Chiesa e la società: le conseguenze del grande scis1na d'occidente, i 111ovi1nenti cattolici di rifonna) la riforma protestante e il Concilio di Trento hanno segnato profondamente anche le Chiese di Sicilia. Si tratta di un quadro storico molto complesso che vede una molteplicità di protagonisti, di fermenti e di attività meritevoli di analisi e di approfondimento. Le possibilità di studio offerte da una fonte così ricca erano molteplici e non era possibile coglierle tutte. Si è optato per la scelta di alcuni aspetti ritenuti significativi, tenendo conto della disponibilità e delle competenze dei docenti dello Studio Teologico San Paolo. li seminario di ricerca si avvia con uno studio introduttivo di Gaetano Zito sulla particolare configurazione giuridica che assume nella Sicilia del
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Adolfo Longhitano
'500 il rapporto fra autorità politica e religiosa. I re di Spagna avevauo ottenuto dai papi numerosi privilegi, che consentivano loro nei propri domini pesanti ingerenze in materia ecclesiastica. Nel '500 Giovan Luca Barberi, esponente di punta di una classe di funzionari servili e calcolatori, con un'abile operazione politica, offrì al re gli strnmenti giuridici per rafforzare questi poteri: un 'interpretazione di comodo del privilegio di legato pontificio, concesso da Urbano Il al Conte Ruggero con la bolla Quia propter prudentiam tuam (I 098). Quello che nelle intenzioni del pontefice doveva essere un privilegio ad personam e limitato, nella interpretazione del Barberi divenne un privilegio enfatizzato e perpetuo che tutti i re di Sicilia avrebbero potuto esercitare. In tal modo in Sicilia non si aveva più una diarchia di poteri (il potere civile e il potere religioso) ma una monarchia, perché il solo re esercitava entra1nbi i poteri: uno iure ]Jroprio e uno iure legationis. In forza di questo privilegio il re reclamava per sé l'esercizio dell'autorità che il papa esercitava sui vescovi e sulle Chiese in tema di vigilanza, di appelli, di disciplina sugli ordini religiosi esenti ... Per attuare questa potestà lì.i creato il Tribunale della Regia Monarchia, il cui giudice esercitava una giurisdizione ecclesiastica in nome e negli interessi del re,
lasciando ai vescovi e agli ordini religiosi esenti un,autonon1ia inodesta e rigidamente controllata. Il Concilio di Trento non riuscì a contrastare l'interpretazione regia data al privilegio della Legazia Apostolica di Sicilia e così nella seconda metà del '500 il rapporto autorità politica/autorità religiosa nella società siciliana si trovò ad essere molto più sbilanciato a favore della prima di quanto non fosse in altri regni. Il secondo contributo di Adolfo Longhitano passa ad analizzare il quadro generale dei vescovi e dei sinodi nella Sicilia del '500. Attraverso un'indagine statistica sulle dieci diocesi siciliane di questo secolo, accerta preliminarmente il numero dei vescovi di origine siciliana, spagnola o di altre regioni per individuare le conseguenze derivanti sul governo delle diverse Chiese, sui rapporti fra le autorità civili e religiose, sulla funzionalità delle strntture ecclesiastiche, sull'efficacia dell'azione pastorale ... Successivan1ente passa ad esaminare i sinodi celebrati dai vescovi siciliani nel '500 per individuare le cause che hanno determinato la maggiore o minore frequenza nella loro celebrazione. Conclude con la presentazione dei dodici sinodi siciliani editi e disponibili, oggetto di questo seminario. Strettamente collegata a questa ricerca è quella di Salvatore Marino, che fa un breve confronto fra il numero dei sinodi siciliani del '500 e quello dei sinodi delle altre regioni italiane.
Introduzione
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Michele Miele si propone di individuare l'orda synodi seguito dai vescovi siciliani. È noto che non si tratta di un problema fonnale, perché il modello liturgico e giuridico può aiutarci ad accertare la concezione ecclesiologica di un vescovo e di una comunità ecclesiale. I testi sinodali presi in esame non hanno il supporto dalla coffelata documentazione d'archivio, come si ha per alcune diocesi della Campania. Tuttavia, da alcuni elementi contenuti nei testi editi, è possibile stabilire se il vescovo sentiva il bisogno di coinvolgere il clero nella celebrazione del sinodo e nell'approvazione delle costituzioni sinodali, oppure se lasciava ai membri dell'assemblea sinodale il semplice ruolo di spettatori. Il tema dell'attuazione della rifo1ma tridentina nelle Chiese di Sicilia è affrontato da Nunzio Capizzi. Considerata la vastità dell'argomento e i limiti in1posti da una ricerca a più inani, l'autore si è limitato a prendere in esame solo le citazioni esplicite dei decreti tridentini nelle costituzioni di quattro sinodi celebrati nei diversi periodi di questo secolo: Siracusa (1553), Catania e Patti (1567), Mazara (1575). Le citazioni dei testi conciliari nei sinodi presi in esame riguardano: la predicazione, l'interpretazione e l'uso della Scrittura, la celebrazione dei sacramenti (e in particolare la pubblicazione del decreto Tametsi sul matrimonio), l'istruzione sul loro valore e sul loro significato, la residenza dei pastori in mezzo al popolo loro affidato, il comportamento dei preti, l'adozione del messale e del breviario di Pio V, i benefici ecclesiastici, l'istituzione dei seminari e la vita monastica femminile. Dalle scelte fatte dai vescovi nei riferimenti ai testi conciliari è possibile individuare non solo la particolare situazione delle diverse diocesi, ma soprattu!to la sensibilità ecclesiologica di un vescovo e della sua Chiesa. Inculcare ai pastori d 'anime il dovere di istruire i fedeli con la predicazione e la catechesi e dare le opportune indicazioni normative per assolvere questo dovere sono due dei compiti più significativi che si prefigge un sinodo diocesano. Salvatore Consoli, che affronta questo argomento, fa notare che i vescovi, nel formulare le costituzioni sinodali, fanno riferimento al Concilio di Trento, ma allo stesso tempo non perdono di vista le condizioni in cui si trova la maggior parte dei fedeli delle loro diocesi. Per il Tridentino la predicazione doveva contrastare il diffondersi dell'eresia luterana; per i sinodi siciliani, invece, doveva aiutare i fedeli a superare lo stato di ignoranza generalizzata sulle verità di fede e sui precetti della morale. I contenuti della predicazione, indicati dalle costituzioni sinodali, sono vari: la Scrittura, le verità di fede, i principi morali, la prassi e la disciplina della Chiesa. È indicativo il metodo che suggeriscono ai pastori d'anime: evitare lo sfoggio di dottrina e i vuoti esercizi di parole per un
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Adolfo Longhitano
linguaggio semplice, adatto alla cultura e alle condizioni dei fedeli. Non 111anca un richia1110 ai sentitnenti che deve avere il predicatore quando espone ai fedeli le verità di fede e i principi della morale. Fra gli strumenti consigliati prevale il riferimento al Catechismo romano, promulgato nel 1566 per offrire ai parroci un'esposizione sicura dei principi dottrinali fonnulati dal Concilio di Trento. Le norme che disciplinano la vita del clero sono prese in esame da Giuseppe Baturi. Nella formulazione di questo capitolo delle costituzioni sinodali i vescovi erano agevolati dalle analoghe norme contenute nel Decreto di Graziano e nelle Decretali: bastava seguire lo stesso schema e adattarlo alle situazioni locali. li quadro delle condizioni del clero che deriva dalle indicazioni contenute nei sinodi siciliani di questo secolo è desolante; tuttavia, proprio perché i vescovi più che alla realtà delle loro diocesi facevano riferimento alle norme dcl Corpus Juris Canonici, non si può dare per scontato che i sinodi costituiscano lo specchio delle condizioni del clero siciliano. L'ecclesiologia soggiacente alle norme sul clero delle costituzioni sinodali siciliane è quella sintetizzata dal noto testo «duo sunt genera christianorunrn, attribuito da Graziano a S. Girolamo ma derivato dai testi apocrifi della riforma gregoriana. Il chierico è in una condizione separata e superiore a quella dei laici. Tn questo contesto bisogna leggere le numerose indicazioni che i chierici devono osservare per essere fedeli alla propria vocazione e all'ordine sacro: uno stile di vita modesto e temperato, il divieto di unifonnarsi alle abitudini "secolari" o di esercitare attività non confacenti alla loro condizione, l'osservanza dell'obbligo del celibato, il dovere di indossare l'abito ecclesiastico e di portare la tonsura, l'insistenza nell'evitare la contaminazione fra culto e superstizione, la proibizione di ogni forma di mercificazione del sacro. C'era, però, una situazione di fondo che rendeva difficile l'attuazione di questa riforma: la mancanza di una seria formazione culturale e morale (dei seminari c'è una traccia debolissima e ininfluente), le "i1nn1unità" che invogliavano 111olti a scegliere la condizione di chierico non per vocazione ma per godere dei numerosi privilegi che la societas chrisliana riconosceva al c1ero. ln questo contesto viene presa in esan1e anche la presenza del clero religioso accanto a quello diocesano. È noto che il clero religioso esercitò un ruolo di supplenza nei confronti del clero diocesano. Si tratta di un aspetto del problema che merita di essere approfondito per comprendere meglio le condizioni della società siciliana. Gli elenchi dei peccati, la cui assoluzione era riservata alla competenza del vescovo, sono presi in esame da Adolfo Longhitano, per offrire elementi utili alla determinazione dei compmiamenti etici del popolo
Introduzione
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siciliano di questo secolo, e per individuare le trasgressioni ritenute più gravi e più frequenti nelle diverse Chiese di Sicilia. l rapporti Chiesa/infedeli analizzati da Flavia Ferreto riguardano il fenomeno degli schiavi musulmani presenti nelle famiglie siciliane del '500. La preoccupazione prevalente che muove le assemblee sinodali a dare precise norme su questo argomento è quella della salvaguardia della societas christiana della Sicilia cinquecentesca. Non mancano, però, le norme che si prefiggono di umanizzare la condizione di vita degli schiavi, invitano i cristiani a comportamenti più coerenti con la propria fede e cercano di assicurare ai servi un forma iudi1nentale di evangelizzazione. Deve essere considerato parte integrante di questa ricerca lo studio di Adolfo Longhitano pubblicato in Synaxis come contributo al seminario sulla religiosità popolare'. ll seminario sui sinodi siciliani del '500, più che esaurire lo studio di un tema, intende segnalare una pista feconda per ulteriori ricerche. I nodi da sciogliere sono diversi: la situazione delle Chiese e della società prima del Concilio di Trento, le prime reazioni dei vescovi che parteciparono all'assise ecumenica, le difficoltà incontrate nell'attuare la riforma tridentina, la ncez1one di una riforma voluta dall'alto, non sempre attenta ai condizionamenti della mentalità e della religiosità popolare. Non è possibile affrontare temi così complessi limitandosi alla sola fonte dei sinodi diocesani; ma è fuor di dubbio che dal loro studio possa derivare un contributo di particolare rilevanza. AdolfiJ Longhitano Nota Per facilitare il compito degli autori e la lettura dei saggi del seminario si indicano per esteso in questa nota i titoli delle costituzioni sinodali, oggetto della ricerca. Nei diversi contributi le citazioni riferiranno solo la città e l'anno di celebrazione del sinodo: 1) Patti 1537: Constitutiones sinodo/es edite a rev.1110 domino Don Arnaldo Albertino u.i.d., Episcopo Pac/ensi, in synodo episcopali celebrata apud Ecc!esian1 Pactense111 in n1ense se11te111bris 153 7, ind. Xl. Et 11ostea innovate ]J!uribus necessariis acldictis pridie kalenc!as augusti 1542, inc!. ,..\7V apud dictam Ecc/esiam, [senza indicazione di luogo e di anno della stampa];
1
A. LONGJUTANO, A1arginalità della religione popolare nei sinodi siciliani del '500, in Synaxis 16 (1998) 371-402.
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Adolfo longhitano
2) Siracusa 1553: Synodales constitutiones Syracusanen. Ecclesiae ex scri}Jfuris canonibusque sacris decerptae per rev.111u1n h1 Christo patre clon1inun1 Don l-fieronin1z11n Bo11011it11n, eiusden1 Ecc!esiae A11tistiten1, jJ/ena synodo promulgatae, die oc/avo mensis septembris I 553. Ac nuper per eunde11'1 rev.111un1 c!on1inz1111 eclitae. Additis excon11nunicatio11ibus papa!ibus et episco1Ja/ibus ex co17Jore iuris depro111ptis, bulla in Coena Don1ini, canonihus poenitentialibus, aliìsque clec!arationibus cfe 1ninori excon11nu11icatione. Cun1 repertorio acl 111aterias quascunque invenienc/as amplissimo, Panhormi anno Domini 1555; 3) Monreale 1554: Constitutiones synodales metropolitanae Ecc/esiae civifatis Montis Rega!i.s· aeditae de 1na11dato ill.n1i et rev.111i don1ini Don Alexanclri, tituli sancti Laurentii in Da111aso {fiaconi Cardinalis, de Farnesio vulgariter 1111ncupati, SR. E. Vicecancellarii et praedictae Ecclesiae Monti Rega/is per11etui adtninistratoris 11er rev. in Christo patren1 llo1ninun1 I. A. Antoniun1 Phassidern, E11iscoJJU1n Chrisfopolitanesen1 et eiusde111 Sl(fji·aganeun1 ac vicarizan generale111, ex sanctorzan Patrun1 dictis, canonici,\' instifutis, longo rerzon usu collectae et in unu111 rellactaei in civitate Montis Regalis, anno Domini 1554, ultimo novembris. Antoninus Anay excndebat; 4) Catania 1565: [Costituzioni sinodali dei vescovo Nicola Maria Caraccio!o ], in A. LONC>HJTANO, Le costituzioni sinodali del vescovo di Catania Nicola Maria Caracciolo (/ 565), Synaxis 12 (1994) 167-215; 5) Patti 1567: Synoda!es constitutiones Pactensis Ecclesiae ab illustri et rev.1110 drnnino Don Bartholon1aeo Sebastiano, eiusdetn Ecclesiae Antisfite, editae et ;1rornulgatae in .sy11oclo celebrata anno a Christo nato 1567, clie 26 ianuarii, Pactis, Messanae, apud Haeredes Petri Spire, 156 7; 6) Mazara 1575: Constitutiones et decreta condita in piena synodo cfioecesana sub ili. et rev.1110 lfon1i110 Don Antonio Lo111barclo, EjJiscopo Mazariensi, Regio Consialiario. Cun1 citationibus ex Sacra Scr1]1tura, iure Pont{fìcio, Jn11Jeriali, Constitutionibus Regni, et Sacro C'oncilio Tricientino excerptis. Per excellente111 clon1inun1 Nicolan1 lle lacalonis U.l.D. exil11iun1 ludicen1 et assessore1n clicti ili. et rev.n1i Don1ini. Adiuncto titulorun1, capitulorun1 et n1ateriaru111 indice a111plissin10, Panhorn1i, apud Ioannem Matheum Maydam, 1575. 7) Cefalù 1584: Sanctiones .1ynoda/es aeditae ab ili.mo et rev.1110 llon1ino D. Octaviano Praeconio, Episcopo Ce11halude11si Regioque Consiliario, in dioecesana congregatione habita in C"e11haludensi ecclesia, Panhormi, apud loannem Franciscum CaJTaram, 1584; 8) Mazara 1584: Constitutiones et decreta synodi dioecesanae Mazariensis, qua111 ad111odun1 illustri.\' et rev.11n1s don1inus Don Bernardus 1
Introduzione
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Gasco, Dei et A11ostolicae Sedis gratia sanctae Ecclesiae Mazariensis
Episcopus, Regius Consiliarius, celebravit anno 1584 in festa Nativitatis Sanctissùnae l/frl-;inis Nfariae, octavo se1Jte111bri, Panorn1i, apud Ioannem Franciscum Carraram, 1585; 9) Patti 1584: Constitutiones synodales ad ecc/esiasticam er christianan1 llisciplinan1 ]Jertinentes ill.n1i et rev.111i don1ù1i Don Gilberti, Episcopi Pactentis, in dioecesana synollo pro1nu!gatae anno Don1ini I 584. Adiectus est À]Jj>enllix co11stUutionun1 Canonicorzun C'atheclrahs Ecc!esiae S. Bartholon1aei et a!ioru111 regulariiun quae sùnul in eaden1 S)ì/Jodo pro111ulgatae sunt. Sunt ]Jraeterea lfuo indice.~': unus capitulorun1, alter 11otabiliu111. Cun1 .fàcultate Superiorun1, Panorn1i, apud Ioanne1n Franciscum Carrararn, 1584; 10) Palermo 1586: Conslitutiones ili.mi et rev.mi domini D. Caesaris Marulli, Archie11isco;Ji Pa11orn1itani, in dioecesana 5,')ìl10C!o pronnt!gatae die 13 iunii anno 1586, Panonni, apud loannern Franciscum Carraram, 1587; 11) Messina 1588: Constitutiones synodales ili. mi et rev. mi domini D. Antonii Lon1harllo, Archiepisco11i Adessanen., in c/ioecesana S')JJ10lfo promulgatae die 17 mensis augusti 1588, Messanae, ex Typographia Fausti Bufalini, 1591; 12) Agrigento 1589: Constiruriones et decrera piena .synodo dioecesana orsrigentina cligesta et per ill.1nu111 et rev.1nun1 clon1inun1
D. Dydacum
Haedo,
Dei
et Aposro/icae
Sedis
!{rafia
Episcopum
Agrige11tinu111 Rcgiznnque Co11siliariu111, ,5a11cita, Pano1111i, apud loanne1n Antonium de Franciscis, 1589.
Synaxis XIX/2 (2001) 227-247
POTERE REGIO E POTERE ECCLESIASTICO NELLA SICILIADEL'500. UNA DIFFICILE RlFORMA
GAETANO ZITO'
I. Una corona JJrivi/egiata
Già dalla fine del Quattrocento, la politica ecclesiastica di Ferdinando II si connota, soprattutto, per la libertà di scelta degli inquisitori concessagli da Sisto IV (1471-1484), per la facoltà di nomina dei vescovi e dei prelati ottenuta da Innocenzo Vlll (1484-1492) e per il patronato sulle nuove colonie delle Americhe accordatogli da Giulio II (I 503-1513). Condizioni che assicurano al sovrano un'ampia giurisdizione sulla vita della Chiesa nei territori soggetti alla sua autorità. Inoltre, a fronte dei tentativi romani di limitare il diritto di nomina dei vescovi, il Cattolico re nel J 507 vietò sia di farne richiesta al pontefice, quanto l'esecuzione di quelle effettuate autonomamente dal papa. Non che questo dovesse intendersi co1ne autono1nia da Ro1na 1na, osserva Peri, «la riverenza al pontefice si arrestava al punto in cui poteva divenire lesiva degli interessi della Corona»'. In questo clima, Giovan Luca Barberi compie una doppia operazione: a) con i suoi Capi brevi ( 1508), pur senza che essi siano mai stati dichiarati atto ufficiale dello Stato, avvalora il diritto di regio patronato su tutti i benefici ecclesiastici del!' isola e consegna alla corona spagnola una fonte autorevole e imprescindibile anche per dirimere tutte le questioni inerenti al diritto ecclesiastico per la Sicilia. E ciò, indipendentemente dalla dinastia che abbia assunto nel corso dei tre secoli successivi la corona dell'isola; b) riesuma, in special modo, il privilegio della Legazia Apostolica come indiscutibile origine delle prerogative regie in materia ecclesiastica. Inserisce, pertanto, la bolla Quia propter prudentiam 1110111 di Urbano Il (1098) nel De regia Monarchia e ne teorizza il principio in un'apposita *Ordinario di Storia della Chiesa nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 I. PERI, in G. L. BARBERI, Benejìcia ecclesiastica, a cura <li I. Peri, I, Palern10 1962, I O.
Gaetano Zito
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premessa, De Monarchia, alla raccolta di documentazione sui Ben4ìcia Ecclesiastica. A Ferdinando viene offerta, così, la prova documentale e gli argomenti per avvalorare le prerogative regie sulle Chiese siciliane e per garantirle in futuro, assicurando al sovrano un cumulo di facoltà ecclesiastiche'. Barberi, nondimeno, si preoccupa di affennare sistematicamente che non è sua intenzione introdurre novità alcuna, bensì far valere diritti e consuetudini in passato praticati e però non sufficientemente asseriti negli ultimi tempi. A tal fine, grazie ad una artificiosa lettura della storia dell'isola, dimostra l'ininterrotto esercizio del privilegio urbaniano e la sna implicita conferma da pmie di tutti i successivi pontefici. A nulla valsero le opposizioni ideologiche e le critiche mosse all'autenticità e all'interpretazione della bolla. Di fatto, forse nessun altro come Barberi ha introdotto nella storia siciliana un secolare e fortificato predominio del sovrano sulla vita della Chiesa. In sostanza, sembra possa affermarsi che Giovan Luca Barberi, da devoto ufficiale del sovrano, ha offerto su un vassoio, alla corona spagnola e in essa alle successive dinastie, uno stabile e singolare privilegio che ha detenninato rappmii unici, intricati e litigiosi tra il potere statale e il potere ecclesiastico, con un'innegabile condizione di subordinazione del secondo al primo. Aver riesumato la bolla di Urbano 11, e averne dato una rigorosa ed efficace interpretazione regalista, è stata una scaltra operazione politica e giuridica palesemente ideologica e strumentale, dettata da piaggeria interessata e in certo modo da una visione sicilianista, che ba reso l'isola sottomessa alla corona in temporalibus e/ in spiritualibus. Operazione dalla quale al Barberi e alla sua famiglia vengono copiosi benefici, e all'isola un supporto singolare per l'ideologia del "regno" prima e della "nazione" in seguito. Barberi, tuttavia, non si presenta sulla scena siciliana di fine '400 inizio '500 cotne un isolato avventuriero e neppure co1ne un ingenuo idealista. Appartiene all'apparato statale e fa parte di quei fonzionari regi che servilmente sostengono tutti i diritti possibili del sovrano per rafforzarne I' aucroritas itnperiale, fino a teorizzarne magari una visione provvidenziale. In cambio si attende, ed ottiene, un prestigio sociale che lo fa assurgere a 2
Su tutto, si veda La Legazia Apostolica. c:hiesa, potere e società in Sicilia in età n1edievale e n1oderna, a cura di S. Vacca, Caltanissctta-Ron1a 2000, dove alle pp. 115-166 ho avuto n1odo di trattare pili an1pia1ncnte l'argon1ento, su cui ho in corso la stesura di uno studio ben più an1pio.
Potere regio e potere ecclesiashco
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personaggio di assoluto rilievo nel regno, con conseguenti privilegi e favori che rimpinguano le sue casse e quelle dei membri della sua famiglia. In considerazione del contesto sociale siciliano dei primi anni del secolo XVI, sembra che il Barberi «fosse affetto da un complesso di inferiorità nei confronti dei feudatari, soprattutto se nobili, e cercasse di superarlo con una rivincita in sede patrimoniale» 3 • La sua vicenda è esemplare di quella aristocrazia ci!tadina che viene a consolidarsi nelle città siciliane a cavallo tra questi due secoli, e che ha proprio nel ministero togato, nei burocrati fedeli servitori della corona e nei giurisperiti i ceti sociali e1nergenti4 • Queste motivazioni trovano, inoltre, un valido sostegno in una doppia eredità. Nell'affermazione del principio medievale rex est impera/or in regno suo 5 - consacrato dal conflitto tra Bonifacio Vili e Filippo IV di Francia, detto il Bello 6 - , che risente ora delle note vicende dello scisma d'Occidente, che favoriscono un ampio potere ai laici nella vita della Chiesa, magari con un ruolo di supplenza per le debolezze mostrate dalla gerarchia ecclesiastica. Nella dottrina giuridica meridionale e siciliana di fine Quattrocento - inizio Cinquecento, che all'autorità monarchica tende ad attribuire una giurisdizione sempre più ampia, come conseguenza della titolarità del clrJ111inh1111 directun1. TI sostegno giuridico maggiore viene dalla teoria del giurista siciliano Guglielmo Perno. La superiorità del monarca è difesa con affermazioni piuttosto radicali: il sovrano è da considerarsi «deus terrenus», e pertanto fonte di ogni dignità e giurisdizione. «Nell'interpretazione del Perno, dunque, la potestà monarchica - scrive Mario Caravale - è al centro del sistema, da lei dipende l'esistenza degli ordinamenti particolari: ma una volta che ha deciso di far vivere giurisdizioni particolari, essa è obbligata a
3 E. MAZZARESE FARDl-:LLA, Introduzione genera/e, in (ì-. L. BARBERl, Liber de Secretiis, a cura di E. Jvlazzaresc Fardella, Milano 1966, XXJIJ. 4 D. LIGREST!, La 11ohiltà "doviziosa" nei secoli ,\T' e XVI, in É!ites e potere in Sicilia dal 111edioevo ad oggi, a cura di F. Benigno e C. Torrisi, Ro111a 1995, 47-61; C. TRASSELLI, Sici/ianifìn Quattrocento e Cinquecento, l'vlessina 198 ! , 159-186. 5 Per il suo significato nella storia del diritto, cfr E. CORTESE, Sovranità (storia), in
Enciclopedia del diriffo, 43, Milano 1990, 205-224; M. CAR./\. VALE, ()rdina111enti giuridici dell'Huropa 111edievale, Bologna 1994, 519-523. 6 E. DUPIU~ THESETDER, Bonijltcio v111, in Dizionario biogrqfìco degli italiani, l2, Ro1na 1970, 146-170 (bibliografia 167-170); B. GUILLEMAIN, Bonffacio VI!! e la teocrazia pon!({tcia, in La crisi del Trecento e il papato avignonese, a cura di D. Quaglioni, Cinisello Balsaino 1994 (Storia della Chiesa iniz. da A. Flichc e V. Martin, Xl, trad. it.), 130-174.
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rispettarle e può violarle solo nei casi eccezionali imposti dai superiori motivi dell'utilità generale,,'. In questo clima culturale si comprende, allora, come si potesse facihnente sostenere l'estensione di un'ampia giurisdizione regia anche all'ambito ecclesiastico. Essa, grazie al Barberi, si fonda in Sicilia su un istituto giuridico appropriato, la Regia Monarchia appunto, che lo stesso sovrano non potrà abrogare o sminuire, poiché avrebbe intaccato la "utilità generale" del Regno. Il Cinquecento vede, così, i1npiantarsi e progressiva1nente in1porsi in Sicilia una cultura !egaziale. Cultura vicina alle posizioni dell'ecclesiologia gallicana ma non ad essa assimilabile. La limitazione nell'isola della piena giurisdizione pontificia non è finalizzata ad un'autonomia ecclesiastica ed assicura, comunque, una devota obbedienza a Roma. ln tal senso, 111i pare possa più agevolmente parlarsi di ecclesiologia !oca!ista, nel senso di tutela delle prerogative locali e non di contrapposizione all'ecclesiologia romana". Avvertendo che, ovviamente, la connotazione di "locale" per l'ecclesiologia non è da intendersi secondo l'accezione dei pri1ni secoli del cristianesin10, oppure nell'assunzione che ne ha fatto l'ecclesiologia del Vaticano Il. Al contrario di quanto accadeva negli Stati in regime di societas christiana, dove vigeva il principio della diarchia, cioè della doppia giurisdizione, civile ed ecclesiastica, dal secolo XVI in Sicilia si consolida ed avvia con modalità nuove rispetto al passato il diritto di monarchia. In forza del privilegio di Legazia, per nascita e non per nomina "ad personam", ritenuto perpetuo e non per un tempo definito, oltre che considerato irrevocabile, il sovrano ha esercitato la giurisdizione civile iure JJlYJJJrio e la giurisdizione ecclesiastica e spirituale iure legationis. Le cause ecclesiastiche come il controllo della vita della Chiesa si cii iana erano demandate al giudice della Regia Monarchia, del quale il sovrano determinava unilateralmente le competenze, e che dal Cinquecento sarà un
7
M.
CARA V t\LE,
Ordinan1enti giuridici, cit., 641-64 7: 64 7.
~ Che non vi sia alcuna tendenza gallicana nella difesa della Legazia Apostolica è confennato dalla spiegazione che Andrea Gallo, noto regalista, dà del tennine Monarchia:
«Questo non1e e questo titolo non dee in nessuna n1aniera concepirsi, né fu 1nai inteso, co1nc quello che in1portasse la Supre1na autorità Ecclesiastica in un capo indipendente dc! Son11110 Pontefice, n1a solo venne introdotto per significare l'autorità che tiene il Re sopra gli Ecclesiastici del suo regno con1e Legato nato della Sede Apostolica in Sicilia, insieinc con quella di Sovrano ed indipendente Principe ne! 1e1npora!e»: A. GAI.I.O, Codice Ecclesiastico Sico/o, II, Palenno 1846, 241n.179.
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ecclesiastico costituito in dignità, con ufficio stabile e magistratura apposita, il Tribunale della Regia Monarchia. Di fatto è accaduto che a partire dall'opera di Barberi si è sviluppato, fino alla definitiva soppressione della Legazia Apostolica nel secondo Ottocento, un sistematico conflitto tra Chiesa e Stato, tra coloro che hanno difeso i diritti dell'una o dell'altro, e abitualmente identificati con l'appellativo di curialisti e regalisti. La presentazione del De Regia Monarchia alla corte spagnola non ebbe, però, effetti immediati. Le tesi esposte dal Barberi, sulla condizione del re quale alter ego del papa in Sicilia, suscitarono delle perplessità negli stessi ambienti della corte spagnola, al punto che è possibile registrare un replicato "apparente disinteresse" 9 di Ferdinando il Cattolico verso il privilegio della Legazia, così ampiamente ripropostogli dal suo solerte funzionario siciliano. Un primo segnale di presa in considerazione del privilegio, allo stato a!tuale delle fonti, è possibile registrarlo nei primi mesi del 15 l 2. Probabilmente per la pressione esercitata dai regalisti, Ferdinando fa chiedere al viceré Ugo Moncada un parere circa l'autenticità del privilegio pontificio e la sua interpretazione 10 . La posizione della corte spagnola, in merito alle prerogative della corona sulla Chiesa siciliana, vennero compendiate dal Moncada nella sua risposta. La Monarchia, intesa come privilegio per cui «i'abitatori del regno predetto non avessero per cause spirituali et ecclesiastiche a litigare fuori del regno», veniva riconosciuta «concessa al Conte Ruggiero et a suo figlio Simone». In seguito, con i Capitoli del Regno, «impetrati per li tre brachii», era stato disposto che le cause venissero giudicate dall'ordinario diocesano in prima istanza, in appello dal metropolita e in terza e ultima istanza da un giudice ecclesiastico presso il Tribunale della Regia Gran Corte. Il privilegio riconosceva al sovrano di Sicilia il potere di giudicare tutti i prelati, gli esenti dalla giurisdizione degli ordinari spirituali, gli ecclesiastici che non avessero nell'isola il loro superiore e le cause ecclesiastiche e spirituali. Ma tale privilegio, secondo la chiarificazione data da Moncada al sovrano, gli veniva riconosciuto soltanto nel caso che il 9
F. LTOTTA, Note in 111argine all'edizione dei "Benefìcia Ecclesiastica" di Giovan Luca Barberi, in Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell'Università di Roma 5 ( 1965) 213, 220-223. 10 La lettera di Moncada a Ferdinando il Cattolico, Palern10 15 tnarzo 15 !2, edita in A. FORNO, Storia della Apostohca Legazione annessa alla corona di Sicilia che va sotto il volgar non1e di Regia }donarchia, a cura di Ci. M. Mira, Palenno 1869, 263-267.
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processo si fosse istruito «innanzi gli Ordinari spirituali del regno», per cui la causa non si poteva più trasferire presso un tribunale esterno al territorio, si trattasse pure della S. Sede. Qualora si fosse presentato appello alla sentenza di prima istanza, soltanto allora veniva fatto valere il privilegio della Regia Monarchia e il viceré delegava per il giudizio un ecclesiastico, che avrebbe giudicato avvalendosi del consiglio del Tribunale della Regia Gran Corte e di altri dottori in legge. Ma se prima di iniziare la causa ecclesiastica nel Regno una delle parti avesse presentato ricorso a Roma, allora diveniva competenza del papa, che delegava liberamente un giudice, e la prima sentenza non poteva appellarsi più alla Monarchia ma soltanto allo stesso pontefice. Ma per il viceré il privilegio si fondava sostanzialmente su una consuetudine ormai inveterata, più che su un'esplicita volontà dei pontefici di concedere ampia giurisdizione in spirilualihus ai sovrani della Sicilia. Moncada, come Barberi d'altronde, intende tutelare le consuetudini proprie dell'isola. Mentre il Barberi sosteneva, però, che nessuna innovazione era data dal suo De Regia Monarchia; il viceré asseriva invece che l'accentuazione della Legazia Apostolica avrebbe costituito una novità inopportuna, non rispettosa delle tradizioni siciliane e, di conseguenza, avrebbe provocato non pochi contrasti con la curia ron1ana. Ma il parere espresso dal viceré viene, in verità, a collocarsi nel1' alveo
di una più complessa situazione del rapporto tra la corte spagnola, l'isola e lo stesso Moncada. Questi, infatti, veniva accusato da più parti di atteggiamenti troppo deferenti verso la Chiesa e di essere scarsamente sollecito degli interessi della corona, oltre che della Sicilia. Al viceré, specialmente dai baroni, venne pure addossata la responsabilità principale della crisi politica, sociale ed economica dell'isola alla fine del regno di Ferdinando Il. A seguito dell'opposizione tra nobiltà isolana e blocco di potere del viceré, composto da consiglieri e ministri - altra causa che vedrà l'isola per alcuni anni in rivolta-, nel 1516 Moncada viene espulso dalla Sicilia''. Con la fine di Moncada e l'avvento al trono di Carlo V, il regalismo siciliano si avvia a consolidarsi. Ancora una volta trova nel ceto en1ergente
dei giurisperiti e del ministero togato i più strenui difensori delle prerogative regie nell'isola. L'atteggiamento di fondo continua ad essere non tanto la tutela della giurisdizione del sovrano sulla Chiesa per motivi ideologici, 11
Cfr
G.
GIARRIZZO,
La Sicilia dal Cinquecento a//'UnUà d'Italia, in
V.
D'ALESSANDRO - G. (iJARRlZZO, La Sicilia dal Vespro a/l'Unità d'Jtaha, Torino 1989 (rist.
1997), 121-135.
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quanto la funzionalità di questa preminenza in favore della sicilianità, c10e della autonomia e della non assimilabilità della Sicilia ad altri territori della christianitas e dei do1nini spagnoli. È all'interno di questa logica che si muove Antonio Montalto, avvocato fiscale del Regno, nell'invitare Carlo V ad eliminare, di comune accordo con la curia romana, ogni dubbio sulla Legazia apostolica. A suo parere bisognava chiarire definitivamente che il privilegio concesso a Ruggero era da intendersi esteso a tutti i successori; e che, urgeva un'esplicita e inequivocabile conferma della concessione da parte del papa". L'esigenza avanzata da Montalto rivela, in fondo, la discutibilità del privilegio legaziale. Posizione che, però, non influisce su Carlo V che, al contrario, decide di rafforzare nell'isola l'esercizio della giurisdizione regia in spiritua/ibus, con il potenziamento dell'istituto delle sacre regie visite. Per cui, al viceré compete, oltre all'amministrazione della giustizia, la «protezione, e debita cura delle cose spirituali, in nome della Magestà Cesarea, corno Monarca in esso regno» 13 • li visitatore regio, un ecclesiastico in qualità di delegato straordinario, riceveva ogni tàcoltà per esan1inare la lecita proprietà dei beni ecclesiastici e la loro corretta amministrazione, per contrnllare gli arredi e le suppellettili sacre, per rendersi conto del servizio ecclesiastico in ciascuna diocesi. In nome del re legato apostolico, poteva emanare decreti per eliminare abusi e ristabilire la disciplina. li controllo sulla loro retta esecuzione veniva, poi, demandato alle magistrature ordinarie del Regno. La gran parte di sacre regie visite di cui si ha notizia sono state compiute proprio nel secolo XVI: ben 14 su 22. Delle altre 8, 2 lo erano state nel '400 e 6 lo furono nell'arco dei successivi 200 anni, tra il 1603 e il 1804. Le visite possono essere assunte ad indice della situazione ecclesiastica paiiicolarmente delicata, ma in special modo della necessità di affermare i diritti della corona, determinati dalla Legazia Apostolica, in un periodo in cui se ne delineavano nuovi connotati. Le tensioni provocate da questa crescente ingerenza della corona nel mondo ecclesiastico siciliano non vengono attenuate dai decreti di riforma 12
CJ. B. CARUSO, Discorso istorico-apologetico della Monarchia di Sicilia co1nposto d'ordine di Vittorio A1nedeo, per la prin1a volta pubblicato ed annotato per G. lVL Mira, Palermo I 863, 244-253. 13 Così si esprin1c il viceré Cìiovanni De Vega nel decreto di no1nina per (Jiacon10 Arnedo, IO dice1nbre, 7a indizione, 1552: A. GALLO, Codice, cit., I, Palenno 1846, 134-135; P. COLLURA, Le sacre regie visite alle Chiese della Sicilia, in Archiva Ecc/esiae 22-23 (1979-
1980) 443-45 I.
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del Concilio di Trento. Le ingerenze, piuttosto, tendono ad ampliarsi ulteriormente, divenendo motivo di sempre nuove polemiche. Né potevano restar foori dalla delicata fase delle vicende che, negli anni successivi al Concilio di Trento, danno vita a lunghe ed estenuanti controversie tra Filippo II di Spagna, Pio V e il suo successore Gregorio XIII. Nell'ambito di queste controversie, ovviamente, non può non entrare in gioco anche il privilegio dell'Apostolica Legazia. Da parte pontificia si vuole difendere la libertà della Chiesa e limitare in Sicilia il potere della Regia Monarchia. A tal fine, il pontefice propone di commutare la condizione dei re legati nati con la nomina di appositi nunzi apostolici per la Sicilia, attribuendone però al sovrano il potere di designazione. Da parte regia, al contrario, si punta verso il potenziamento del potere della corona nell'isola, in modo indiviso e assoluto. Ed espressione peculiare è ritenuta proprio la piena giurisdizione in ambito ecclesiastico' 4 . I rapporti tra Filippo 11 e i due papi, già difficili per contrasti nei territori spagnoli di Milano e Napoli, si mantengono molto tesi a maggior ragione per la Monarchia di Sicilia. L'opposizione pontificia, forte dei decreti di riforma emanati a Trento, a partire dal pontificato di Pio V, diviene ora più energica e persistente' 5• Roma riesce ad ottenere da Madrid una certa disponibilità a cedere su questioni ecclesiastiche nei territori italiani. Ma non consegue alcun ridimensionamento della Regia Monarchia, né a seguito della legazione del card. Michele Bonelli, detto lAlessandrino, inviato a Filippo II da Pio V e conclusasi con la cosiddetta Concordia Alessandrina (1571); né con i negoziati tenutisi a Roma tra il 1578 e il 1581. In questo secondo caso, per l'intransigenza di Gregorio Xlii, dettata dalla rivendicazione della libertà della Chiesa, e per la mancata concessione pontificia alla Spagna del sussidio delle galere, Filippo II decide di troncare definitivamente i negoziati e a inasprire il suo regalismo 16 • 14
Per i rappot1i tra Spagna e S. Sede, e la questione della Regia Monarchia, negli anni del pontificato di Pio v, cfr L. VON PASTOR, ,)'toria dei papi dallafìne del A!fedio Evo. 8: Storia dei papi nel periodo della riforina e restaurazione cattolica, Pio V (1566-1572), Ron1a 1924, 263-313. Negli anni del pontificato di Gregorio XITI, cfr ibid. 9: Gregorio Xl// (1572-1585), Ro1na 1925, 248-255; e in special 111odo G. CATALANO, Controversie giurisdiz;nnali tra Chiesa e Stato nell'età di Gregorio Xl!! e Filippo 11, Palenno 1955. Sulla condizione generale della Sicilia durante il regno di Filippo li, cfr G. GJARJUZZO, La Sicilia, cit., 193-261. Della dovizia di studi disponibili su Filippo ll Ini lin1ito a citare M. FERNANDEZ ÀLVAREZ, Felipe li y su tie1npo, Madrid 1998; M. RlVERO RODRÌGUEZ, f<'e/ipe 11 y el gobierno de Italia, Madrid 1998. 15 Alcuni interventi di protesta segnalati da G. CATALANO, C'onlroversie, cit., 79, n. 3. 16 Tutta la vicenda dei negoziati ibid, 95-227.
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2. Una Chiesa "legata"
Di pari passo allo sviluppo della teoria legaziale si assiste ad una crescente ingerenza del potere laico, esercitata dal viceré in nome del sovrano e con il supporto del ministero togato dell'isola, nella sfera di giurisdizione dei vescovi. Per cui, a coloro che non si sottomettono del tutto e compiono atti autonomi, ritenuti lesivi delle prerogative regie, si arriva a comminare anche eclatanti condanne, che siano di monito per tutti. Valgano alcuni casi riferiti dal viceré Giovanni de Vega a Carlo V 17 • Bartolomeo Sebastiàn, vescovo di Patti, per aver «occupata la Real iurisditione, et preheminenza della Regia Monarchia», nel 1555 fu processato e carcerato. Per difendere le prerogative della Monarchia il viceré Ettore Pignatelli conte di Monteleone fece carcerare il vescovo di Siracusa, Ludovico Platamone, il vescovo di Patti, l'abate di S. Nicola di Fico, e diversi altri prelati. Il viceré Simone Ventimiglia, marchese di Gerace, tenne in carcere Giovanni Cellina, nunzio apostolico inviato nel Regno di Sicilia, per aver tentato di compiere atti di giurisdizione ecclesiastica nell'isola. Il viceré Ferdinando Gonzaga fece carcerare il vescovo di Cefalù «et diversi altri sono stati castigati, per bavere tentato contravcnire, e far atto in di1ninutione della Regia Monarchia, et in ten1po nostro, per quello che ha toccato al servizio di sua Maestà, non abbia1no inancato di usare ogni re111edio perché detta Monarchia si avesse conservato, co111e per lo passato».
Giovanni de Vega pretendeva spiegazioni per il loro operato dal vicario generale di Palermo e da don Giovanni di Bologna priore di Delia; fece mettere «in strette carceri» il fratello del cardinale arcivescovo di Messina, Mercurio, e il suo vicario «per aver voluto usare certa scon1unica Apostolica, senza haver ottenuto executoria». Quest'ultimo caso, in particolare, ebbe un'eco così vasta che lo stesso papa Giulio lii si sentì in dovere di intervenire per la loro liberazione. Nella prospettiva del de Vega, gli interventi sui vescovi, per quanto dolorosi, diventavano inevitabili per far valere anche su di loro la pienezza 17
Il testo della lettera del 3 ottobre, 14 3 indizione, 1555, in A. GALLO, Codice, cit., Il, 35~37. Il viceré De Vega, ne! 1556, al fine di obbligare i funzionari dc! Regno in Sicilia a salvaguardare le preininenze della corona, fece raccogliere in duplice copia tutti i diplo1ni relativi al diritto dcl re nelle cause spirituali e sulla vita della Chiesa siciliana: una da inviare alla corte di Spagna e l'altra da tenere presso i! protonotaro del Regno: A. GALLO, Codice, cit., I, 207, note 44-45.
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della giurisdizione regia. Ed è interessante notare quale v1s10ne, in forza della cultura regalista del suo tempo, il viceré abbia dei vescovi in rappo1to al sovrano dell'isola: «Voi, come Prelati, et feudatari di sua Maestà, et boni vassalli, non solamente
conosciriti quel che tocca al servitio della Corona reale, ma tenerete per bene tutto quello, che per noi si ha provisto; certificandovi che non si ha 1nancato
inai, né si mancherà tenere lo rispetto, che conviene alla dignità apostolica; però non si deve, né par honesto, che sotto colore del Vescovato si habbia a derogare, et causare diminutione alla Real preheininentia, et regia Monarchia;
al cui augrncnto, et defensione sono obbligati, co1nc boni vassalli, tutti Prelati, et personi Ecclesi~stici di questo regno» 18 •
La situazione creatasi nell'isola, a causa soprattutto dei provvedimenti adottati dai viceré avverso i vescovi, non può non provocare ricorsi anche presso la corte spagnola. De Vega, pertanto, nel 1555, viene invitato a presentare a Carlo V una relazione sullo stato e sulle modalità di esercizio della Regia Monarchia". li viceré, anzitutto, si premura di far presente a Carlo V che il privilegio della Legazia inibiva al papa l'invio in Sicilia di legati apostolici con il potere di esercitare giurisdizione ecclesiastica, ed obbligava i prelati ad ottenere il regio placet e l'exequatur prima della pubblicazione ed esecuzione di documenti ecclesiastici, prodotti in Sicilia, o provenienti dalla curia ron1ana. De Vega, p01, esplicita quale fossero, sostanzialmente fino all'istituzione del Tribunale di Regia Monarchia quale magistratura stabile (1579), gli ambiti di competenza e la procedura seguita per l'esame delle cause ecclesiastiche. Nella sfera di competenza regia rientt·ava l'esame di tutte le cause relative a persone ecclesiastiche, di qualsiasi grado e condizione, già definite in prima istanza da tribunali ecclesiastici dell'isola, e che per il diritto canonico fossero pe1tinenza della S. Sede. Qualsiasi causa spirituale o ecclesiastica iniziala nel teITitorio del Regno doveva concludersi con sentenza della Regia Monarchia. Poteva giudicare tutti i prelati, «li quali non hanno superiore in regno», e cioè gli arcivescovi, i vescovi, gli abati esenti e ogni altra persona religiosa o ecclesiastica, «et po' procedere a sententia di excomunicacione». Jbid., 35-37. G. CATALANO - F. MARTJNO, Potestà civile e autorità spirituale in Italia nei secoli della r!fònna e controrijòrrna, Milano 1984, 53-55. IS
19
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Per ognuno di questi casi, il viceré delegava per il giudizio un ecclesiastico, che emetteva sentenza avvalendosi del voto del Tribunale della Regia Gran Corte e del parere di altri dottori in legge. Parallelamente allo sviluppo della teoria legaziale dal Barberi in poi, si ampliano sempre più gli ambiti di ingerenza dcl potere regio in materia ecclesiastica. Al contempo, lievitano progressivamente pure le rimostranze, fatte pervenire a Filippo II, per le attribuzioni del potere "monarchico" a dei laici, oppure a dei chierici non prelati della corte viceregia. Da essi, infatti, «sotto lo scudo di questo non1e di Monarca, si pro1nulgan gli editti, leggi, e tutti i giudizi, ed anche le censure contro Vescovi, ed Arcivescovi, e che alcune volte arriva il negozio a tal segno che si procede altresì contra gl'Jnquisitori, e le persone de' Cardinali con tanto pubblico scandalo della religione, e disprezzo dell'ordine Ecclesiastico» 20 •
In considerazione, quindi, degli eccessi di intervento laico e degli attriti accaduti, come pure del permanere molto fluida la fisionomia di questa magistratura, si evidenzia la necessità di definire con esattezza ambiti e procedura del Tribunale di Regia Monarchia. Nel 1579, con provvista esecutoriata in Sicilia nel 1581, Filippo 11 decide che, per il futuro, il Tribunale di Regia Monarchia sia una magistratura stabile e che la mansione di giudice sia da attribuire soltanto ad un ecclesiastico costituito in dignità, non più nominato dal viceré per singoli casi. Eserciti un'attività abituale di controllo e di giudizio sulla sfera ecclesiastica, con attribuzioni se1npre crescenti, assegnategli dai sovrani, oppure avocate a sé in specifiche situazioni e in seguito istituzionalizzate. J1 giudice, nella qualità di abate, riceve il diritto di sedere nel parlamento siciliano tra i membri del braccio ecclesiastico e, quale appannaggio, in un primo tempo gli viene assegnata l'abbazia di S. Filippo il Grande e, in seguito, l'abbazia di S. Maria di Terrana 21 • Inoltre, gli impiegati
°
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Filippo Il al duca di Terranova, presidente del Regno, Madrid 28 dice1nbre 1571: A. Codice, Il, 199-200. 21 La pri1na abbazia era basiliana, sita ad alcune n1iglia da Messina, con una rendita annua di 80 onze nel 15 ! I; la seconda era benedettina, distante 12 111ig!ia da Caltagirone «intus feuda nuncupata de Terranm>, e nel 1513 il reddito annuo era di 150 onze: G. L. BARBERl, Beneficia ecclesiastica, cit., 78-80; 164-167. Nel 1560 il Fazello registra un censo annuo di 500 onze d'oro per la pri111a e di 237 onze d'oro e 18 tarì per la seconda: T. FAZELLO, De rehus sicu/is decades duae, Panonni 1560, d. li, I. X. GALLO,
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del Tribunale, come i contadini dei feudi abbaziali annessi al beneficio, godono dell'immunità del "foro""Primo giudice viene nominato il nobile ecclesiastico catanese Nicolò Stizzia 21 • A lui seguono, nel corso del secolo XVI: lo spagnolo Giovanni de Grado (1584-1587); il palermitano Francesco Bisso (1587-1589); lo spagnolo Emanuele Quero Carrillos (1589-1595), successore dello Stizzia nella diocesi di Cefalù (1596-1605); Giovanni Torres de Osorio (15961613), successivamente vescovo di Siracusa, dal 1613 al 1619, e di Catania dal 1619 al 1624". La decisione, lungi dall'ottenere l'effetto auspicato con le rimostranze a Filippo Il, sviluppa una peculiare fonna di giurisdizione laica in ambito ecclesiastico, per di più esercitata tramite un prelato. Questi, nominato giudice dal sovrano, presta giuramento di fedeltà alla corona e alle prerogative regie proprie del Regno di Sicilia. Per cui, contribuisce a rendere sempre più salde le pertinenze della Regia Monarchia, a scapito di ogni
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G. CATALANO, Le ultilne vicende, cit., 9~!0. 23 G. B. CARIJSO, Discorso, cit., 308-312. Stizzia è tra i più noti lettori di teologia all'università di Catania, autore di scritti teologici e di epigrai111ni (M. CATALANO, L 'lfniversifà di Catania nel rinoscilnento, in Storia della [!niversità di Ca!ania da/le origini ai giorni nostri, Catania 1934, 72). Riscuote il gradi1nento dell'aristocrazia ciltadina, dalla quale per due volte viene segnalato co1nc vescovo della diocesi: alla 1n01ie del vescovo Antonio Faraone ( 1572) e a successore del vescovo (Jiovanni Orosco ( 1576). In quest' ultiina occasione è eletto Vincenzo Cute!li: con lui i giurati della città e lo Stizzia entrano ben presto in un insanabile conflitto che detennina la sconfitta del vescovo, grazie anche al ruolo giocato dallo Stizzia da giudice de! Tribunale di Regia Monarchia (cfr A. LONGHITANO, Oligarchie .fà111iliari ed ecclesiastiche nella controversia parrocchiale di Catania r~ecc. XV-XVI], in Chiesa e società in Sicilia. I secoli Xf!-XVI. Atti del II Convegno internazionale organizzato dall'arcidiocesi di Catania, 25-27 nove1nbre 1993, a cura di G. Zito, Torino 1995, 298-299 e 317). Nel 1586 il visitatore generale Gregorio Bravo de Soton1ayor 11on1ina Stizzia - ora abate di Nuovaluce e non più giudice di R.egia !Vlonarchia - delegato per la visita a Ivlessina e gli n1anifesta viva gratitudine per l'attiva e la disinteressata collaborazione (cfr P. BURGARELl.A-G. FALLICO, L "archivio dei visitatori generali di Sicilia, Roina 1977, 53; e 9293). Negli anni '70, tra i suoi introiti, è indicata una pensione annua, prin1a di 150 e poi di 200 ducati, sulle rendite della 1nensa vescovile di Agrigento. Nel 1591 gli è conferito l'archin1andritato del SS. Salvatore in Messina (G. LAUDIGINA, Cenni sulla giurisdizione ecclesiastica della A1onarchia di Sicilia, Palenno 1840, 217-2 ! 8). All'età di 52 anni, nel 1594, da Filippo Il viene presentato per l'episcopato: ordinato sacerdote a 24 anni, aveva conseguito i! dottorato in utroque iure. È vescovo di Cefall1 fino ai 1596, anno della sua 111orte (cfr Hierarchia Catho/ica 1nedii et recentioris aevi, 111, MUnster 1923, 99 n. 7 e 9, 163; IV, Mtmster 1935, 146). 24 G. LAUDJGJNA, Cenni sulla giurisdizione ecclesiastica, cit., 218-219.
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possibilità di intervento della curia romana nelle vicende ecclesiastiche del!' isola. L'istituzione di un giudice stabile chiede, inoltre, di rivedere la procedura per l'esame delle cause presentate innanzi al Tribunale della Regia Monarchia. Anche perché non mancano controversie e abusi, determinati da frequenti ricorsi al Tribunale da funzionari regi colpiti da censure e scomuniche per conflitti di giurisdizione, più che per ragioni di fede o di morale". Cosicché, nel 1583 il viceré Marco Antonio Colonna ritiene indispensabile emanare nuove norme procedurali. Colonna accetta la richiesta che l'esame delle cause ecclesiastiche in prima istanza si tenga presso gli ordinari diocesani e in seconda istanza presso i rispettivi arcivescovi metropoliti. L'intervento del Tribunale della Regia Monarchia viene prescritto nel caso in cui sia il viceré ad avocare a sé la causa; oppure qualora, per via gravan1inis, si sia presentato ricorso conh·o le disposizioni adottate dall'ordinario"'. Il Colonna, in qualche modo, tende ad a1111onizzare il privilegio della Regia Monarchia, almeno nella prescrizione di non potersi esaminare cause ecclesiastiche fuori del regno, e canoni di riforma del Concilio di Trento". Il canone 20 de refimnatione della sessione XXIV concede, infatti, l'esame delle cause di competenza del foro ecclesiastico soltanto agli ordinari, in prima istanza. Inibisce ad ogni altra autorità, anche ai legati, sia pure a latere, ai nunzi apostolici e ai governatori ecclesiastici, di in1pedime ai vescovi l'esan1e e di arrogarsene la giurisdizione. Proibisce, inoltre, di 25
Dal 1577 era iniziato un aspro conflitto tra Marco Antonio Colonna e gli inquisitori: V. ScJUTJ Russi, Astrea in Siciha. Il n1inistero togato nella società siciliana dei secoli XVI e XVI!, Napoli 1983, 151-157. 26 A. FORNO, Storia, cit., 282-285. Al Tribunale si appellano anche i n1onasteri fe1nn1inili per via grava1ninis contro le sentenze dell'ordinario diocesano, alla giurisdizione del quale il Concilio di Trento le ha sottoposte. Paradign1atico può considerarsi i! decennale conflitto (1581-1591) tra !e n1onache di Santa Lucia di Adrano e le consorelle dell 'on1oni1no 1nonastero di Catania per detern1inarc a chi spettasse la gestione del patrimonio: L. SCALJSI, ()bhedie11tissin1e ad ogni ordine. Tra disciplina e trasgressione: il 111011astero di Santa Lucia in Adrano, secoli XVI-XVIII, Catania 1998, 48-55. 27 L 'acceltazione, almeno in parte, di quanto prescritto dal Concilio di Trento avrebbe pesato nell'accusa di antispagnolisn10 1nossa al Colonna? Ulteriori indagini potrebbero accertare se e quale influenza le disposizioni en1anate sulla Regia Monarchia, insien1c al conflitto con gli inquisitori, abbiano potuto avere sulla vicenda con1p!essiva del Colonna, al punto da cadere in disgrazia presso filippo li: V. SCIUTI Russi, Astrea in Sicilia, cit., 157-164; un suo profilo biografico in F. PETRUCCI, (7o!onna A1arcantonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 27, Roma 1982, 371-383.
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procedere contro chierici o ecclesiastici senza che il vescovo sia preventivamente avvertito, a meno che questi si fosse mostrato negligente nell'esan1e della causa 28 .
Il potere regio sulla vita della Chiesa siciliana, frattanto, si è però ulterionnente consolidato, grazie ad una prammatica sanzione del 1579. In forza di essa, qualora il viceré o il luogotenente generale prende pmie ad una solenne celebrazione liturgica, in qualsiasi chiesa dell'isola, il suo trono sia collocato tre palmi più alto di quello del vescovo, o dell'arcivescovo presente"- In tal modo, la preminenza spirituale del re, e per lui del suo viceré, deve essere inequivocabilmente manifesta a tutti e garantita proprio nel momento della massima espressione dell'esercizio delle fì.mzioni sacerdotali; fonzioni attribuite anche al legato secondo una singolare lettura del privilegio concesso da Urbano Il ai sovrani dell'isola.
3. Una riforma contestata
Eppure, la logica dei decreti di riforma approvati a Trento, pur con tutli limiti, si era mossa in altra direzione. Il problema dell'esercizio della potestà ecclesiastica, libera da ingerenze dell'autorità civile, è una delle questioni fondamentali per i vescovi maggiormente attenti alle esigenze di riforma generale della Chiesa. Ma è proprio al concilio che la questione della Regia Monarchia acquista una valenza nuova: si affaccia sulla scena della Chiesa universale, attraverso il grande palcoscenico offertale proprio dall'assise conciliare. Ed essa contribuisce ad alimentare l'attrito tra sostenitori e oppositori di prerogative nazionali, in special modo negli altri territori italiani sotto il dominio della Spagna. A Napoli lo scontro è determinato dalla condiscendenza di vescovi del regno a non sottoporre al regio exequatur i documenti pontifici e a far valere la bolla In Coena Domini; dalle facoltà attribuite al cappellano maggiore; dai poteri del nunzio apostolico in materia di spogli; dalla competenza nei reati mixti fori. A Milano il conflitto è di più ampia portata e riveste un interesse
XXIV, can. 20, de re_l A. GALLO, Codice, 11, 14. Insie1ne ad assidersi sul trono pili elevato, il legato nato può indossare anche abiti e insegne propria1nente sacerdotali, per espri1nere la pienezza del potere spirituale sulla Chiesa e sul clero: L. GIAMl'ALLARI, Discorso sulle sagre insegne de' re di Sicilia, Napoli I832. lR 29
Sess.
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tutto particolare per ciò che accade, per la lunga durata (circa vent'anni) e per il personaggio che ne è il principale protagonista: Carlo Borromeo 30 • Anche in questo caso, le ragioni del dissidio sono determinate dalla fe1mezza del governatore spagnolo nel far valere i diritti della corona. Tra essi, in fmma prioritaria, il placet alle disposizioni pontificie, la possibilità per i sudditi di appellarsi al potere laico contro presunti o reali abusi del potere ecclesiastico, il potere dell'inquisizione spagnola. Non minore è la fermezza del Bon-omeo nell'impon-e l'opera rifmmatrice, al fine di restaurare la disciplina e imprimere una forte impronta pastorale, e nel reclamare la libertà della Chiesa, appellandosi alla bolla In Coena Domini. In particolare, il privilegio del foro, la potestà dei tribunali ecclesiastici, il mantenimento di una propria guardia armata per reprimere soprattutto le iln1noralità, l'autonomia in materia inquisitoriale con la no1nina di un milanese ad inquisitore, la piena autorità episcopale specialmente sui chierici e sui benefici curati. Ragioni per le quali l'arcivescovo entra in conflitto anche con il senato milanese e viene avversato dagli un1ìliati e dai canonici di Santa Maria della Scala. Le posizioni si iITigidiscono al punto che nel 1573 Borromeo scomunica il governatore di Milano, il presidente e il cancelliere del senato per aver mortificato la libertà della Chiesa e non essersi presentati innanzi all'autorità ecclesiastica a scagionarsi. L'attrito si ammorbidisce a seguito dell'intervento di Filippo II, che trasferisce nelle Fiandre il governatore Requeséns, e di Gregorio Xlii che, quale contt·opartita, concede l'assoluzione agli scomunicati. Solo più tardi le tensioni si mitigano e i rapporti tra Borromeo e il governo spagnolo migliorano, tanto da poter affermare che «gli ultimi anni di S. Carlo videro l'athiazione di una completa collaborazione nella quale il potere dell'arcivescovo era divenuto altissimo in Milano, talmente da essere egli considerato come il vero governatore dello Stato» 11 • 30 G. CATALANO, Controversie, cit., passiln; A. Borroineo, Le controversie giurisdiziona1i tra potere laico e potere ecclesiastico nella A1ilano Spagnola sul finire del Cinquecento, in Alfi dell'Accade1nia di San Carlo 4 (1981) 43-89; L. PRosnocnvn, Rffonna borro111aica e conservatoris1110 politico. Dalle controversie di giurisdizione alla convergenza, in San Carlo e il suo ten1po. Afli del convegno internazio11ale nel n' centenario della 111orte (/I.ii/ano 21-26 1naggio 1984), Ron1a 1986, 691-708; M. FERNANIJEZ ALVAREZ, San Carlo Borro1neo nei suoi rapporti con !a Spagna, ibid, 709-725; M. RlVERO RooRiGUEZ, Fe!ipe II, cit., 90-91. 31 P. PRODI, S Carlo Borron1eo e le trattative tra Gregorio XJJI e Filippo Il sulla giurisdizione ecclesiastica, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia 11 (1957) 195-240: 227.
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Ben diversi dalla Sicilia, dunque, i risultati della controversia tra potere regio e potere ecclesiastico a Milano. Qui la forte personalità del Bonomeo impone il libero esercizio della sua autorità che, proprio grazie alla celebrazione di diversi sinodi, gli pennette di impiantare e consolidare la rifo1ma sancita a Trento. Ai vescovi siciliani, al contrario, nemmeno la decisione di sollevare la questione della Regia Monarchia al concilio riesce di aprire uno spiraglio significativo sul pieno esercizio della loro giurisdizione. A Filippo II fanno pervenire da Trento un cahier de doléance sulle ingerenze dei viceré nell'esercizio dei loro diritti. Chiedono, pertanto, un energico intervento correttivo, in difesa della loro dignità e potestà. Al contempo, i vescovi sollecitano il conferimento dell'ufficio di giudice di Monarchia non più ad un laico, o ad un chierico, bensì ad un prelato dottore in diritto, in segno di deferenza verso di loro". Al concilio la questione della Monarchia di Sicilia emerge con forza nell'ultimo periodo, quando ai padri conciliari, nell'ottobre 1563, viene sottoposto un gruppo di 20 canoni di riforma per l'esame e l'approvazione. In essi, tra l'altro, si prevede di demandare al pontefice l'esame e il giudizio delle cause criminali più gravi riguardanti i vescovi, invalidando così ogni ingerenza del potere regio, <mon obstantibus quibuscumque privilegiis et consuetudinibus, etia1n i1n1ne1norabilibus» 33 . Tra i vescovi siciliani, l'arcivescovo di Messina, Gaspare Cervantes, propone che le cause 111inori dei vescovi siano esaminate dagli arcivescovi, con l'intervento di altri vescovi. Una posizione radicale, a favore dell'assoluta autonomia di giudizio del pontefice e dell'autorità ecclesiastica, 32
Di un'altra situazione i vescovi si !a111enlano con Filippo li. Accade spesso che, grazie alla con1plicità di f3lsi testin1oni, anche i chierici poveri vengono ingiustan1ente accusati per eslorccre loro quanto possiedono: ufficia!Jnente in favore del fisco, di fatto in IJvorc del giudice e dci suoi con1p!ici. Da parte dei vescovi si chiede pure l'abolizione della Pra111111aNca c~atalana (concessa da Alfonso V nel 1452, prescriveva che i funzionari regi e i n1agistrati dell'isola non potevano essere sco1nunicati senzH i! previo consenso del viceré) richiainata in vigore nel 1556 con lettera del viceré de Vega all'arcivescovo di Palern10, card. Pietro Tagliavia (G. B. CARUSO, Discorso istorico-apolor;etico, cii., 253-260). 33 Co11ci/iu111 Tridentinr1111, cd. Societas Goerresiana, 1x/6, Friburg in1 B. 1965, 908 (=CT). Anche nelle storie dcl Concilio di Trento, edite poco ten1po dopo la sua conclusione, viene registrata la controversia sulla Regia Monarchia di Sicilia e l'intervento spagnolo perché se ne 1nantengano illesi i privilegi. Si veda, ad ese111pio, P. PALLAVICJNO SFORZA, Istoria del (~oncilio e/; Trento, I. XVJJJ, cap. VJ, Roma ! 656, 11, 468-469. La ricostruzione dell'iter del decreto di riforn1a e l'esan1e degli interventi dei padri conciliari, in H. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, rv/2, trad. it., Brescia J 981, 201-234.
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espnme invece il vescovo di Catania, Nicola Maria Caracciolo; pos1z10ne condivisa anche dai vescovi di Patti e di Teano: «Omnes causae criminales episcoporum cognoscantur tantu1n a Sanctissi1no; ceterae autem causae ta1n episcoporutn quam archiepiscoporum cognoscantur a concilio provinciali» 34 •
La mozione non era di poco conto. Per la Sicilia impmia una forma di autonomia della Chiesa dalla corona. La posizione di Caracciolo costituisce, dunque, un energico attacco alle prerogative della Legazia, rese operative con la Regia Monarchia. Ai partecipanti al Concilio fu subito chiaro che la questione non riguarda soltanto l'isola. Immediata, infatti, è la reazione da parte degli spagnoli e dei francesi. L'ambasciatore di Filippo li a Trento, il conte de Luna, si premura a consegnare ai sedici membri della deputazione conciliare un testo redatto dal vescovo di Lerida, Antonio Agustin 35 , e apertamente regalista. Dai consultori del concilio viene giudicato inaccettabile «essendo pen1iciosissi1no et dishonestissin10. Perché se ben pare che in esso si salvi l'autorità della Sede Apostolica, notano però ché il Papa non potrà mai valersi di quella autorità, et per conseguente non potrà 1nai conoscere alcuna causa senza derogar espressa1nente a questo Concilio Tridentino, il che dicono non esser da fare per non 1netter il Papa in questa servitù, essendo conveniente ch'egli possa conoscere alcune cause autoritate propria et ordinaria».
li de Luna si mostra irremovibile e «ha detto assai ape1iamente che se non ha questo capo delle cause nella forma che vuol esso, non verrà in Sessione, né lascierà venirvi alcuno dei suoi Prelati». Altrettanto decisa e
drastica è la reazione del card. Morone e degli altri legati: assicurano il conte de Luna «che quando egli non lasci venire li suoi Prelati in Sessione, et pensi 3
~
918-919 a Sa1:agozza net 1517, studiò ad A!calà, Salan1anca, Padova e Bologna. Uditore di Rota (!544), nunzio apostolico in Inghilterra (1555), vescovo di Alife (BN) e nunzio apostolico presso 1' in1peratore ( 1557), vescovo di Lerida ( 156 l) e arcivescovo di Tarragona (1567), 1norì quivi nel 1586. Rifonnatore austero ed c1ninente erudito (si interessò di Jilologi<i classica, nun1is1natica, araldica, storia, diritto ro1nano e diritto canonico), è considerato il fondatore delta storia delle fonti della legislazione ecclesiastica: E. l\1AGNIN, Antoine A ugustin, in Dictionnaire de Droit C'anonique, I, Paris 1935, 628-630. Su di lui cfr S. KUTTNER, SrJlne Ro111an 1\Januscripts q[Canonical Collections, in Bulletin of'Jvledieval Canon Law, Nevv Series 1 (1971) 7-29, edito pure, con alcune Retractationes, in ID., A1edieval Councils. Decretals, and C'ollections of· Canon Law. Se/ected f,~çsqy, London 1980, 1-2; e la bibliografia segnalata in H. COING, Handbuch der Quellen und Literatur der Neueren Ruropdischen Privatrechtsgeschichte, l!: Neuere Leit (1500-1800), Milnchen 1977, 483. 3 -"
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per questa via d'indurre il Concilio a far a modo suo, non gli riuscirà perché noi ce ne anderemo con Dio» 36 • Anche con i francesi lo scontro non è da meno poiché, a parere del card. di Lorena, Carlo di Guisa, la richiesta dei siciliani costituisce un chiaro attacco alle prerogative gallicane. La situazione venutasi a creare nel corso dei lavori viene distintamente notificata dal vescovo di Nicastro, Giovanni Antonio Facchinetti (15601575) - Innocenzo IX, papa per gli ultimi due mesi del 1591 - , al duca di Parma e Piacenza in data 8 novembre 1563, proprio il giorno dell'intervento del cardinale di Guisa: «Un'altra dissensione è tra Francesi e i vescovi di Sicilia et del regno di Napoli, perché si fa un canone, nel quale si dispone, che nissun possa conoscere delle cause cri111inali de i vescovi se non il Papa, per ri1nediarc all'abuso della Monarchia di Sicilia e de i Viceré di Napoli, et i Francesi dicono, che prciudica alli privilegi del regno loro. Il Sgr cardinal di Loreno
ha detto sta 1nattina, che esso con tutti i vescovi francesi in sessione diranno di non consentire a detto canone per la chiesa Gallicana, che è cosa di 37 111alissi1no esse1npio» .
Poiché la maggioranza del concilio insiste nel voler demandare al papa le cause dei vescovi, i francesi presentano una protesta formale per conto del loro re, in difesa degli interessi della corona sulla Chiesa 38 • li dissidio, così) si inasprisce ulteriormente 39 e il card. MoronL per trovare una -'li Relazione al card. Carlo Borro111eo da parte dei legati pontifici al concilio: copia de!!a lettera del 1° noven1bre 1563, in ARC:Jl/\110 SEGRETO VATICANO (=ASV), Carte Farnesiane, voi. 13, !I 567v e 569-570. 37 ASV, Carte Farnesiane, vol. 3, [ 292: edito in CT, 952 n. 3. In precedenza il vescovo di Sens aveva già nlinacciato «l'astensione dei vescovi francesi dalla sessione, perché questo capitolo ledeva le libertà gallicane ed era addirittura in contraddizione col diritto eo1nune»: H. JEDJN, Storia, cit., 216. 38 Pao!o Sarpi registra l'intervento degli ainbasciatori francesi: «l'intenzione del re essere che si opponessero a! quinto capo e al secondo, in quanto !e persone e cause di Francia per virtù di quelle potessero esser tirate a litigare fuori del regno». Per Carlo IX di Francia bisogna arn1oniz:;::are fedehà alla Chiesa e fedeltà alle prerogative gallicane: «SÌ con1c egli voleva perseverar nell'unione e obbedienza della Chiesa, cosi voleva insie1ne inviolabiln1cntc conservar le ragioni della sua corona)): P. SARPI, Istoria del Concilio Tridentino, l. VIII, cap. Vlll, Firenze 1966, II, 993 e 1014. 39 li Sarpi annota la reazione avutasi in concilio dopo l'intervento francese: «Si dolevano li padri che trattandosi di reforn1ar, con1c sen1pre s'era detto, tutta la Chiesa nel capo e nei n1e1nbri, in fine !i principi non volessero alcuna riforn1a se non per l'ordine clericale, i! qual anco non poteva esser reforn1ato, se li prelati erano i1npediti nel far li carichi loro e se
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soluzione cd accelerare i lavori in vista della conclusione del concilio, il I O novembre convoca a casa sua i deputati per i canoni di riforma e un certo numero di padri conciliari: «Quare cogitavimus ad hoc, ut sessio celebretur bona concordia, ut ainoveatur a decreto clausula non obstantibus etc., ut Galli non disscntiant a synod0>>. E, pur riaffermando il pensiero del papa per il quale, salvo alcune eccezioni, le cause dei vescovi possono esaminarsi da altri vescovi, il Moroni invita i padri conciliari ad una n1aggiore concordia e a trovare una soluzione adeguata, poiché non si trattava di articoli di fede 40 . L'indomani, 11 novembre, nella XXIV sessione vengono approvati i canoni di rifo11na e il 5° di essi sancisce la posizione curialista: nelle cause crirninali dei vescovi, per quelle più gravi la con1petenza è esclusivan1ente del papa, n1entre per quelle 1ninori viene de1nandata al concilio provinciale.t 1• Il canone, di conseguenza, intacca l'esercizio della Regia Monarchia. J_,a conclusione del concilio in Sicilia non ha certo, con1e conseguenza, un seppur lieve ridimensionamento del potere regio in ambito ecclesiastico. Al contrario, la stessa applicazione del tridentino viene sottoposta all'approvazione regia, non in forza del giurisdizionalis1110, così co1ne accadde in altri territori soggetti alla corona spagnola, n1a proprio co1ne affermazione della Legazia Apostolica, ed esplicitamente pretesa dai ministri siciliani del re. Il Sacro Regio Consiglio di Sicilia si rifinta, infatti, di apporre l'exequatur - a cui aveva diritto perché nelle sue con1petenze è anche l'applicazione di leggi e ordini reali - alla prammatica del 17 luglio 1564 con la quale Filippo Il ingiunge al viceré duca di Medinaceli di inserire nella legislazione ecclesiastica dell'isola gli atti del concilio. In particolare, non si accetta che ai legati, ai nunzi apostolici, ai patriarchi, ai prin1ati e ai n1etropoliti sia concesso di accettare appelli per qualunque causa: canone giudicato di grave pregiudizio, a 111aggior ragione perché abolisce ogni altra risoluzione, consuetudine o privilegio contrari (scss. XXII, can. 7, de re/); che l'ordinario possa giudicare, in quanto delegato della Sede Apostolica, le cause delle persone esenti dalla sua giurisdizione abituale (sess. XXIV, can. 11, de rel); che gli ordinari, qualora non er<i conservata la libertà ecclesiastica; e pur tuttavia lì principi, che n1ostrava110 desiderar rifonna, si opponevano a quel decreto che res!ituiva loro la libe11à e la giurisdizione necessaria per rifonnare. Li legati si scus<ivano che non potevano 1nancar di dar qualche sodisfàzione alli prelati»: /. c. .fil CT 917 1 "' C~n~il;'on1111 ()ecu111e11icor11111 Decreta, 8 cura di (3. Alberigo - al., edizione bilingue, Bologna 1991, 763-764.
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lo ritengano opportuno, possano comminare liberamente e a chiunque la
scomunica, «nervus sit ecclesiasticae disciplinae et ad continendos in officio populos valde salutariS>>: canone che in particolare svilisce il privilegio della Prammatica Catalana (sess. xxv, cap. 3, de re/} L'intervento dei ministri siciliani obbliga Filippo II ad emanare, il 24 ottobre successivo, una nuova prammatica correttiva della precedente, con la quale dichiara la giurisdizione della Regia Monarchia superiore ai decreti tridentini. Viene prescritta, dunque, la fedele esecuzione soltanto di quei decreti che non ne compromettono in alcun modo il libero e integro
esercizio, e non consentono che «se pierda un punto de nuestra preen1inencia>f12 • Di fatto, la riforma tridentina nel!' isola trova non poche difficoltà ad in1piantarsi. Basti pensare all 'in1possibilità in cui si viene a trovare il vescovo di Catania, quel Nicola Maria Caracciolo che in concilio si è pronunziato a favore dei ricorsi al papa, per erigere canonican1ente le parrocchie in diocesi ancor prima della conclusione dell'assise tridentina: il Tribunale di Regia Monarchia accoglie le rimostranze dell'aristrocrazia cittadina avverso il decreto del vescovoH. Ancor più rigida è, invece, l'applicazione del privilegio di Legazia nel caso dei sinodi diocesani e dei concili provinciali: non solo per la convocazione rna anche per i decreti viene prescritta l'approvazione regia. Per tale ragione il vescovo di Mazara, Bernardo Gasco, nel I 584 lamenta che per ben due volte ha dovuto rinunziare alla celebrazione del sinodo diocesano, per il divieto oppostogli dal sovrano". E Ludovico Torres, arcivescovo di Monreale, nel 1594 fa presente alla curia ro1nana che, né lui né gli altri due arcivescovi dell'isola (Palermo e Messina), ha potuto convocare il concilio provinciale per le pretese connesse con la Lcgazia Apostolica" . 2
A. (ÌALLO, C'odice, cit., 1, 7-8; G. CJ\T1\LANO-f. MARTINO, Potestà, cit., 15, 66-69. È da notare che n1entre la reaLione alla pran11natica di Filippo li fu in11nediata, la lettera del Sacro Consiglio è infatti del 23 agosto 1564, !'esecutoria per !'applicazione del Tridentino fu rinviata fino al 20 luglio 1566: ihid, 69 . .tJ A. LONGHlTANO, La parrocchia nella diocesi di ('(l/ania pri1na e dopo il C'oncilio di ll·ento, Palenno 1977. Va notato, però, che 111entre il c·oncilio di Trento si conclude, i! giudice della Regia Monarchin sostiene il lcgittin10 esercizio della giurisdizione del vicario generale di Catania contro i benedettini e lo autorizza a procedere a norn1a dei canoni: Tn., Co1?f7itti di co1npetenza .fra il vescovo di Catania. i benedettini e gli ordini 111endica11ti nei secoli XV-XVI, in Benedictina 31 (1984) 375 . .t.J Mazara 1584, p. 4. 45 l'vL MIELE, I concili provinciali del Alezzogiorno in età 111oder11a, Napoli 2001, 224. .t
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In tale contesto è la riforma della vita del clero e dei religiosi che in special modo ne soffre. Per molti di loro è agevole sfuggire alla giurisdizione episcopale, o dei legittimi superiori, grazie ai ricorsi presentati al giudice della Regia Monarchia avverso le rispettive ingiunzioni, che anzi vengono abitualmente ribaltate a favore dei ricorrenti. Già alla conclusione del concilio ne lamenta gli abusi il provinciale dei gesuiti in Sicilia, Girola1no IJ0111énech) in un me1noriale al suo generale, Diego Lainez, sulla condizione religiosa dell'isola. Proprio l'abitudine di ricorrere al 1~ribunale di Regia Monarchia JJer via111 gravan1i11is et appellatirmis, pennette di evitare la pena inflitta dai rispettivi superiori, favorisce nei puniti un atteggiamento di spavalderia e quasi il diritto di perdurare in comportamenti scorretti. Tuttavia, da spagnolo fedele alla corona, condivide il parere di coloro che ritengono utile il privilegio e auspica che il sovrano ne chieda al papa un 'esplicita confe1111a, «attenta la necessidad que ay della, en esto Rcyno, masque en otro ninguno» "'. Così, mentre il mondo cattolico avvia il percorso di riforma della Chiesa, indicando proprio nel sinodo diocesano e nel concilio provinciale lo strun1ento principe «pro 1noderandis 1noribus, corrigendis excessibus) controversiis con1ponendis, aliisque ex sacris canonibus pern1issis»-1 7 , in Sicilia si effettua un percorso inverso, che nioi-tifica la stagione sinodale proprio quando essa, anche nell'isola, tende a stabilizzarsi. Con una duplice conseguenza di non lieve portata: il pesante ridin1ensiona1nento deJ n1odello episcopale tridentino, identificabile nel sinodo diocesano oltre che nella visita pastorale; il definitivo assoggetta1nento del vescovo al potere regio, dalla nomina all'esercizio della giurisdizione ecclesiastica. Gli interventi di rifonna saranno dcter1ninati, in assoluta autonon1ia, dal 111011arca legato apostolico, sovrano dell'isola. ·
-16 li 1ne1noriale, che offre una panormnicH sulla condizione religiosa dell'isola, venne invialo da l\1essina il 7 diccn1bre !563 a Trento: M. SCADUTO, La vita rehgiosa in Sicilia secondo un 1ne111oria!e inedito del 1563, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia 28 (1974) 563-581: 575.
-17 Scss.
XXIV,
can. 2,
de re.f.
Synaxis XIX/2 (2001) 249-279
VESCOVI E SINODI NELLA SICILJA DEL '500. LE COSTITUZIONI SINODALI EDITE
ADOLFO LONGHITANO*
I. VESCOVI E SINODI DIOCESANI NELLA SICILIA DEL '500 Lo studioso, che scone le numerose raccolte di prammatiche e di leggi e1nanate dai sovrani succedutisi nel J?egninn Sici!iae) ha l'impressione che si dia per scontata la persistenza dell'ordinamento giuridico fondato dai non11anni nel secolo xr 1• In realtà, dietro una for1nale continuità dinastica e giuridica, molteplici vicende hanno contribuito a mutare profondamente gli iniziali rapporti di forza fissati dai conquistatori fra popolazioni di razza, religione e lingua diverse, fra l'aristocrazia, il potere cenlrale e la Chiesa, nelle istituzioni religiose, nell'economia, nei rapporti con gli altri Regni. Ai carnbian1enti introdotti dai sovrani della dinastia normanno-sveva si devono aggiungere quelli degli angioini, degli aragonesi, dei castigliani, fino agli asburgici e ai borboni. Negli otto secoli di vita di questo Regnum le mutazioni più significative si ebbero durante la don1inazione spagnola 2 • ln seguito all'unificazione della corona di Sicilia con quelle di Aragona e di Castiglia prima e con quelle di Germania e d'Austria dopo, la Sicilia fo staccata dalle altre regioni dell'Italia continentale e divenne la provincia periferica di un in1pero: gli organi decisionali risiedevano altrove; era retta da un viceré con co1npiti pili di a1nn1inistrazione che di governo; le sue risorse servivano per
* Ordinario di Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1
Per l'ordina1nento dato dai Norn1anni <11 Regn11111 Siciliae si vedano: E. CASPAR, Ruggero 11 e la fòndazione della 111011archia nonnanna in Sicilia, trad. il., Bari l 999; M. CARAVALE, li regno nonnanno di Sicilia, Milano 1966; S. TRAJ'v10NTANA, La Sicilia dall'insedia111ento nonnanno al Vespro (1061-1282), in Storia della Sicilia, 111, Napoli 1980, 177-304; ID., La n1onarchia nonnanna e sveva, Tori110 1986. 2 La Sicilia spagnola è studiata in particolare da V. D'ALESSA1'.1DRO, La Sicilia dal Vespro a Ferdinando il Cattolico, in Storia d'f/alia, diretta da G. Cialasso, xvr, Torino 1989, 3-95; G. GIARRIZZO, La Sicilia dal (7inquecenfo ali' Unità d'f/alia, ibid., 99- 793; 99-367.
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Adolfo Langhirano
finanziare progetti politici di scarso rilievo per gli interessi dei siciliani. La nobiltà spagnola occupò man mano feudi, uffici e organi direzionali. L'ordinan1ento della res ]Jublica christiana in generale e il singolare ordinamento della Sicilia in particolare riconosceva al potere politico ampi poteri di intervento nella nomina dci vescovi e dei titolari dei principali uffici e benefici ecclesiastici 1. Questo spiega il prevalere di clementi della nobiltà spagnola anche nel!' ordinamento ecclesiastico: i vescovi anzitutto, ma anche gli inquisitori, gli arcidiaconi, i vicari generali, i canonici ... A volte la nomina a vescovo segnava il corona1ncnto di una carriera iniziata in Spagna; a volte si conferiva un ufficio o un beneficio in Sicilia quale pre1nessa alla nomina vescovile. Guardando il curricu!u111 dci vescovi siciliani del '500 si può affermare che per molti una tappa intermedia della carriera episcopale era costituita dall'ufficio di inquisitore. Una circostanza che ci induce a riflettere sul modello di vescovo comune in quel periodo. Se si tiene presente che, soprattutto prima del Concilio di Trento, nella nomina dei vescovi e dei titolari dei principali uffici e benefici ecclesiastici prevalevano criteri di natura politica, nepotistica e clientelare, la situazione dell'episcopato siciliano del '500 non ci appare particolarmente felice: il papa e i cardinali di curia, il re di Spagna e i suoi 111inistri destinavano i benefici più ricchi ai loro parenti, a persone che volevano ingraziarsi o che dovevano rico1npcnsarc. Anche le diocesi spesso venivano assegnate a persone che continuavano a vivere a Ro1na o in Spagna e si li1nitavano a riscuotere le rendite delle 111ense vescovili senza preoccuparsi di osservare l'obbligo della residenza•.
3
G. LE BRAS, Le istit11zio11i ecclesiastiche della cristianità n1edievale, in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Ivlartin, Xi!/l-2, trad. it., Torino 1973-74; S. FooALE, Con1es et legatus S'iciliae. Sul privile[.{fO di [frbano 11 e la pretesa Apostolica !.egazia dei flonnanni di S'icilia, Palermo 1970; ID., L'Apostolica Legazia e altri studi su Stato e Chiesa, Messina 1991; A. LONGHITANO, La parrocchia nella diocesi di Catania, pri111a e dopo il (~onci!io di Trento, Pa!enno 1977; 7-19; Chiesa e società in Sicilia. L'età 11or111anna. Atti del 1 Convegno intern;.1zionale organizzato dall'arcidiocesi di Catania, 25-27 novcn1bre 1992, a cura di CJ. Zito, Torino 1995; Chiesa e società in Sicilia. I secoli Xll-XV!. Atti dcl ll Convegno internazionale organizzato dall'arcidiocesi di Catania, 25-27 noveinbre 1993, a cura di G. Zito, Torino 1995. 4 Nel 1532, a dodici anni, il card. Ippolilo dei i\1ed"1ci, nipote di Leone x e Cle111ente VII, era stato non1inato an11ninistratorc di i\1onreale. Carlo V aveva ordinato che gli venissero date le rendite dcl beneficio vescovile fin dal!a data di inorte del suo predecessore. Nel 1536, all'età di sedici anni, gli successe nello stesso ufficio Alessandro Farnese, nipote di Paolo lll {R. PIRRT, Sicilia Sacra, 1, Panorn1i 1733 3 , 470).
Vescovi e sinolli
251
Una delle richieste ricorrenti che il parlamento siciliano rivolgeva al re riguardava l'assegnazione ai siciliani dci benefici ecclesiastici di regio patronato. Alla base di qnesta petizione c'era il desiderio dell'aristocrazia e del clero di non essere esclusi dai privilegi economici e sociali derivanti dai benefici più redditizi; ma c'era anche il desiderio di essere governati da vescovi che parlavano la stessa lingua, provenivano dalla stessa cultura, risiedevano sul posto e potevano più facilmente comprendere e risolvere i problemi della gente. Se si tiene presente che nel '500 in Sicilia la lingua del popolo non era il toscano ma il siciliano, è facile immaginare le difficoltà di comunicazione che incontrava un vescovo spagnolo o di altre regioni nell'esercizio del ministero in generale e nella predicazione in particolare. In una petizione del parlamento al re Ferdinando II del 1514 si legge: «Ite1n supplica lu dictu Rcgnu a vostra Altecza, che perché clanunenti si vidi in ]u Regnu predictu di111inuirisi lu cultu divinu, li Ecclesii et lochi sacri veniri ad ruina, et li introiti et renditi di quilli non si convcrtiri in reparationi et orna111cntu di dicti Ecclesii, nia transportari intra lochi fOra di lu dictu f{egnu, la qual cosa procedi per concedersi <lieti benefici ecclesiastici a persuni exteri di lu dictu lZegnu; perché standu absenti li loru Prelati, qui non pascent gregen1 eìs con11nissun1, li Cittati proprio pastore carent et li Ecclesii sù viduati suo antistite, et ut pluri111un1 insurginu inulti enorn1itati et disordini; per tantu lu dictu l:Zcgnu supplica vostra Altecza [... ] si digni concediri et providiri che <le caetero tutte Prelatie dignitati et beneficii Ecclesiastici di lu dictu IZegnu non si possanu né digianu dari, né concediri ad ex1cri di lu dictu IZegnu, scd solun1 a Siciliani, oriundi tanlu111 di ]u dictu Rcgnu [ ... ])) 5 ,
li re si guardò bene dall'accogliere una domanda che avrebbe limitato notevolmente la sua discrezionalità. Per non deludere le attese del parlamento si impegnò ad usare il criterio dell'alternanza: nella provvisione dei benefici di regio patronato una volta su due avrebbe scelto un siciliano per offrire ai locali la possibilità di dedicarsi agli studi 6
5
Cap;flda Regni Siciliae, a cura di F. Testa, 2 voli., Panonni 1741, I, 536. «Placet Rcliiae Maiestati, ut det n1aioren1 occasionen1 Siculis servicndi et vacandi studiis !i1teraru111, on1niun1 bcneJlciorun1 pracdicti Regni, quae sunt dc iure patronatus suac Maiestatis, concedere altcrnativain, ita quod de duabus electionibus quon1n1cu111que beneficioruin praedicti Regni, guae sunt de iure patronatus suae Nfoiestatis, unain elcctionein faciet in personan1 alicuius Siculi, qua1n sua Maiestas idonean1, habilen1 et sufficicnte111 iudicabit; eique, ut 1noris est, providebit aut praesentabit» (ibid, 537). 6
252
Aclo{fu Longhitano
ll parlamento non desistette dal suo proposito e chiese al re di abolire il criterio dell'alternanza insistendo non tanto sui vantaggi economici quanto sui benefici pastorali: «Lo dicto Regno supplica, attenti li raxuni prcsuppositi di Io da1nno, che rcsulta a li Ecclcsii et al I.Zcgno per la absentia di li Prelati, voglia dari li prelatii, che sLì di la raxuni di sò ius patronatus, ad Siciliani soi et ancorché hagia pron1iso [ ... J concedirili ad Siciliani alternis vicibus, lo <lieto Regno lo tonia et supplica che sia per sernpri et non di oinni dui vacanti darindi una ad Siciliani sola1nenti, per esseri li Ecclesii n1eglio servuti et augun1entati et li dinari restari in lo Regno et li servituri et li frdelissi111i vassalli di Vostra 7 Maiestù re111unerati» .
11 re questa volta respinse la richiesta, rinviando alla risposta precedcnte8 • Ma la stessa legge dell'alternanza, che i sovrani si erano iinpegnati ad osservare, veniva puntuahnente disattesa: al par]an1ento non restava che ricordare l'i111pegno assunto; i re si li1nitavano ad una generica n1anifestazione di buona volontà ad accogliere le richieste dei sudditi". Per l'analisi di un fenon1eno di particolare rilevanza per la storia sociale e religiosa della Sicilia, riferiamo i dati relativi alla provenienza dei vescovi del '500' 0 • Agr;gento: Giovanni de Castro, spagnolo,
1479~ 1506;
(ì-iuliano Cibo,
Genova, 05.10.1506; Pietro Tagliavia, Castclvetrano, 28.05.153 7; Rodolfo Pio, 7
Jbid., 578. L.c. 9 La richiesta di osservare l'ahernanza fu fatta nel 1520 a Carlo V (Capitula Ref.{ni Sici/iae, cit., TI, cap. 12, 13), fu rinnovata ne! 1523 (ibhl., cap. 53, 41), nel 1526, (ibid., cap. 105, 75) e nel I SLIO (ibid., cap. l 87, 138). Nel ! 535 si chiese che fosse osservata anche per la diocesi di Monreale Uhid., cap. 161, 120). Queste stesse petizioni furono rivolle a Filippo Il nel 1559 (ibid., cap. 3, 234; cap. l l, 246), nel 1563 (ibid., cap. 13, 247), nel 1575 Uhid., cap. 4 l, 268) e nel ! 585 (ibid., cap. 83, 292), specificando che la nonna fosse applicata non solo in caso di 1norte del prelato, 1na in lutti i casi di nuova provvisione. 10 La serie dei vescovi siciliani de! '500 è desunta da R. PIRRì, Sicilia Sacra, 2 voll., Palenno 1733-\; Jiierarchia catholica n1edii aevi, a cura di C. Eubel, li, l\ilonaslerii 1914"'; !Jierarchia catho!ica 111edii et recentioris aevi, a cura di G. van Gulik, C. Eubel e L. Schn1itzKallenberg, JJJ, ìvlonasterii 1923; Hierarchia catholica 111edii e/ recentioris aevi, a cura di P. Gauchat, IV, Patavii 1967. Fra i no1ni indicati dal Pirrie dalla Hierarchia Catho/ica si hanno alcune varianti dovute alle diverse fonti ai quali gli autori hanno altinto; per qualche non1e non si hanno dati con1p!cti o 1nanca la sicurezza della 1101nina. La serie degli inquisitori siciliani è ripo1iata da V. LA MANTIA, Origine e vicende dell'h1quisizio11e in Sicilia, Palcnno 1977, 220-222. 8
Vescovi e sinodi
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Carpi, 10.10.1544; Luigi Suppa, Catania, 13.04.1565; Giovanni Battista de Hogeda o Oxeda, spagnolo, 27.08.1571; Cesare Marullo, Messina, 14.07.1574; Giovanni Roias, Cuenca, 09.10.1577, inquisitore in Spagna e in Sicilia; Antonio Lo1nbardo, Marsala, 30.03.1579; Diego dc Haedo, Cantabria, 23.01.l585, inquisitore in Sicilia; Francesco del Pozzo, Messina, 23.01.1591; Giovanni Orosco de Covarruvias, 1594. Vescovi siciliani 5, spagnoli 5, di altre regioni 2. 6
5 4 3 2 1
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
Catania: Diego R_arnirez de Guzn1an, Siviglia, 26.06.1500; Giacon10 Ramirez, spagnolo, 1501; Giacomo Conchillcs, Granada, 25.05.1509; Gaspare Pou, spagnolo, 04.05.1513; Matteo Schiner, svizzero, OI. I 1.1520; Pompeo Colonna, Roma, 27.02.152.1; Marino Caracciolo, Napoli, 18.01.1524; Scipione Caracciolo, Napoli, 24.07.1524; Luigi Caracciolo, Napoli, 09.03.1530; Nicola Maria Caracciolo, Napoli, 08.01.1537; Antonio Faraone, Messina, 09.02.1569; Giovanni Orosco de Arzes, spagnolo, 11.08.1574, inquisitore in Sicilia; Vincenzo Cutelli, Catania, J 1.09.1577; Giovanni Corrionero, spagnolo, 26.03.1589, inquisitore in Sicilia. Vescovi siciliani 2, spagnoli 6, di altre regioni 6. 8 · r.-···-·· --·----- -- ....... -·----- ·---- •·· ... -· -- - - -· -- ---
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Vescovi siciliani
spagnoli
di altro regioni
Cefalù: Rainaldo de Montoro, Noto, 1496-1511, inquisitore in Sicilia; Giovanni Rcquesens, Urgei, 08.01.1512; Giovanni Sanctius de Benescha, Saragozza, 04.11.1517; Guglielmo Raimundus card. de Vich, Valenza, 22. l 0.1518;
Ado(fò Longhitano
254
Francesco dc Aragonia, Taranto, 07.06.1525; Antonio Faraone, Messina, 17.04.1562; Rodcrico dc Vadillo, spagnolo, 09.02.1569; Ottaviano Preconio, Castroreale, 11.08.1578; Francesco Gonzaga, Mantova, 26.10.1587; Nicola Stizzia, Catania, 23.05.1594; Emanuele Quero Turillo, spagnolo, 15.12.1596. Vescovi siciliani 4, spagnoli 5, di altre regioni 2. 6
5 4 3
2 1
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
LijJari: Giacon10 Carduini, Napoli, 1489-1506; Francesco o Luigi, vescovo di Rapolla, 19.09.1506; Antonio Zeno (Genonius), Napoli, 26.01.1515; Pietro (?), 1530; Gregorio de Megalottis, Roma, 23.08.1532; Baldo Fcrratini, Amerinus, 20.8.1534; Annibale Spatafora, Messina, 1553; Filippo Lancia, Catania, 13.04.1554; Antonio Giustianiano, Chio, 12.05.1564; Pietro Cavallcrii (Cancellari), Pistoia, 03.10.1571; Paolo Bellardito, Lentini, 17.10.1580; Ma1iino dc Acunia, Siviglia, 11.12.1585; Giovanni de Mendoza Gonzalcz, (spagnolo), 07.06.1593; Alfonso Vitale, spagnolo, 1598. Vescovi siciliani 3, spagnoli 3, di altre regioni 7. 8
7 6
5 4 3 2 1
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
Vesc(n1; e sù1odi
255
A1azara: Giovanni Castrioto, Napoli, 1486~1503; Giovanni de Villa Maria, Napoli, 1503; Agostino dc Francesco, Napoli, 21.07.1525; Gerolamo de Francesco, Palermo, 12.12.1526; Giovanni Homodei, Palermo, 14.12.1530; Gerolamo de Tcrminis, Palermo, 06.08.1543; Giacomo Lomcllino, Rodi, 17.04.1562; Giovanni Beltrami, Toledo, 24.09.1571, inquisitore in Spagna; Antonio Lombardo, Marsala, 16.01.1573; Bernardo Gasco, Toledo, 30.03.1579, inquisitore in Spagna; Luciano de Rossi, Patti, 23.04.1589. Vescovi siciliani 5, spagnoli 2, di altre regioni 4. 6 5 4 3 2
1
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
Messina: Mattino Calaon-a, 04.12.1500; Pietro Bellorado, Burgos, 16.3.1502, inquisitore in Spagna e in Sicilia; Pietro card. Sueglics, Messina, 151 O; Bernardino Bologna, Palermo, 23.01.1512; Antonio de Lignamine, Messina, 24.04.1514; Innocenzo card. Cibo, (ìcnova, 14.06.1538; (ìiovanni Andrea de Mercurio, Messina, 30.05.1550; Gaspare Cervantes, spagnolo, 19.11.1561; Antonio de Cancellariis, Nicosia, 28.04.1564; (Jiovanni de Reitana, Vittoria, 22.06.1569, inquisitore in Sicilia; Antonio Lombardo, Marsala, 23.01.1585; Francesco Vilardi de la Cuenca, 01.02.1599, inquisitore in Spagna. Vescovi siciliani 6, spagnoli 5, di altre regioni l. 7 6 5 4 3 2 1
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
256
Adolfo Longhitano
Monreale: Giovanni Borgia, spagnolo, 1483-1503; Giovanni de Castelar, Valencia, 1503; Alfonso de Aragonia, spagnolo, 24.01.1505; Emico de Cardona, Barcellona, 23.01.1512; Pompeo Colonna, Roma, 14.12.1530; Ippolito de Medici, Firenze, 26.07.1532; Alessandro Famese, Roma, 1536-1573; Ludovico Tones, spagnolo, 09.12. 1573; Ludovico Tones, spagnolo, 22.01.1588. Vescovi siciliani O, spagnoli 6, di altre regioni 3. 7
6 5 4 3 2 1
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
Palern10: Pietro de Fuxo, spagnolo, 1485-15] 1; Francesco card. IZen1olino, spagnolo, 23.01.1512; Giovanni Carandolet, Bcsan莽on, 19.12.1519; Pietro Tagliavia, Caslelvetrano, 1O.l0.1544; Francesco Orosco dc Arzes, Toledo, 15.3.1559, inquisitore in Sicilia; Ottaviano Preconio, Castrorcale, 18.03.1562; Giovanni Cengria, spagnolo, 16.09.1569; Giacomo Lomellino, Rodi, I 0.01.1571; Cesare Marnllo, Messina, 11.09.1577; Diego de Hacdo, Canlabria, 14.08.1589, inquisitore in Sicilia. Vescovi siciliani 3, spagnoli 5, di altre regioni 2. 6
5
4 3 2
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
Patti: Michele de Figueroa, Saragozza, 04.09.1500; Francesco de Un路ies, spagnolo, 21.06.1518; Arnaldo Albertino, Maiorca, 12.09.1534, inquisitore in
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Vescovi e sinodi
Sicilia;
Girolamo Sigismondo, Catania,
14.12.1545; Bartolomeo SebastiĂ n,
Saragozza, 09.01.1549, inquisitore in Sicilia; Antonio Maurino, Compostella,
17.09.1568; Gilberto de !sfar y Cmyllas, Palermo, 23.0l.J 579. Vescovi siciliani 1, spagnoli 6, di altre regioni O. 7 6 5
4 3 2 1
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
Siracusa: Dalrnatius, Catalano, 1470-1511; Guglielmo Raimondo, Valencia, 04.06.1512; Pietro de Urrca, Valencia, 28.09.1516; Ludovico de Platamone, Siracusa, 18.02.1518; Girolamo Bologna, Palermo, 29.04.1541; Giovanni Orosco de Arzes, Toledo, 06. l l.1562, inquisitore in Sicilia; Gilberto !sfar y Cmyllas, Palenno, 11.08.1574; Giovanni Castellano, Siviglia, 26.06.1579. Vescovi siciliani 3, spagnoli 5, di altre regioni O. 6
5 4 3 2 1
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
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Ado(fò Longhdano
Tutte le diocesi: vescovi siciliani 32, spagnoli 48, di altre regioni 27, per un totale di 107 vescovi. 60 50
40 30 20 10
o Vescovi siciliani
spagnoli
di altre regioni
L'esan1e di questi dati ci pern1ette alcune considerazioni: - non tutte le diocesi si trovano nelle stesse condizioni: la 1ninore presenza di vescovi siciliani si nota nelle diocesi che hanno un n1aggior reddito (Catania, Monreale, Palermo); --- la scelta del vescovo di Palermo, oltre che dal reddito del beneficio, era condizionata dalle funzioni di natura politica che spesso egli era chian1ato a svolgere; - la maggiore presenza di vescovi spagnoli si ha nelle diocesi di Patti e Siracusa; - troviamo vescovi spagnoli nati in Sicilia; appartengono a fan1iglie immigrate dalla Spagna dopo aver ottenuto feudi siciliani; a Monreale non risulta alcun vescovo siciliano. l vescovi, appartenenti alle famiglie della piÚ alta aristocrazia spagnola e italiana (Borgia, Colonna, Medici, Farnese), riscnotevano le rendite della mensa vescovile e governavano la diocesi mediante vicari generali; - la diocesi di Catania sembra costituire un feudo della famiglia napoletana dei Caracciolo: Clemente VII l'aveva data in commenda al cardinale Marino Caracciolo - no1ninato da Carlo V governatore di Milano - , in segno di riconoscenza per i servigi resi alla S. Sede. Con il diritto alle laute rendite della n1ensa vescovile il c:aracciolo aveva ottenuto il privilegio dell'accesso e del recesso, cioè il diritto di presentare un vescovo di sua fiducia per il governo della diocesi e di subentrare ogni volta che la sede si fosse resa vacante. In forza di questo privilegio presentò prima il fratello
259
Vescov; e sinodi
Scipione (1524), poi l'altro fratello Luigi (1530) ed infine il nipote Nicola Maria (1537)". - in Sicilia su un totale di I 07 vescovi solo 32 sono siciliani mentre 75 provengono dalla Spagna o da altre regioni. Da queste cifre si deduce che nella presentazione dei candidati alle sedi vescovili non si osservava neppure la regola dell'alternanza stabilita da Ferdinando Il nel 1514; -- per il '500 non è rilevante il fenomeno, molto comune nel secolo precedente, del ritardo nella nomina dei vescovi e del governo delle diocesi affidato per lunghi periodi ai vicari capitolari. Solo a Monreale questa prassi sembra ancora perdurare; le laute rendite della mensa vescovile, che nei periodi di sede vacante erano percepite dal re, inducevano i sovrani spagnoli a ritardare la presentazione dei candidati. - la presenza di vescovi che avevano svolto o svolgevano l'ufficio di inquisitore è notevole: ne trovian10 tre a Messina, due nelle diocesi di Agrigento, Catania, Mazara, Palermo e Patti; uno nelle diocesi di Cefalù e Siracusa; nessuno nelle diocesi di Lipari, Monreale. li particolare ordinamento della Sicilia e la situazione dei vescovi del '500 hanno ce1iamente influito sulla frequenza con cui sono stati celebrati i sinodi diocesani, che in Sicilia non è particolannente elevatai.2, secondo i dati esposti in questa tabella. Agrigento Cefalù Catania Lipari !Vfazara Messina Monreale l'alermo
Patti
1510
1524
1575*
f-
J 584*
1588* 1554* 1555 !553*
11
1590 l 590
1565'~
1533,1539
1537*
Siracus;i
1589* 1584*
1567
])69 1560, 1564 * 1567* 1567
1575
1593,1597 l 586~ 1584* 1587
-
1594
A. LONGl-JJTANO, le costit11::ioni sinodali del vescovo di Catania l\Ticola A4ario Caracciolo ( 1565), in 5)111c1xis 12 ( 1994) 167-215. l:ò Un confronto fra i dati siciliani con quelli delle altre regioni d'Italia è fatto nel saggio di S. MARINO, Sinodi siciliani e italiani nel '500, in questo stesso se1ninario di ricerca, Si noti, tuttavia, che l'autore preferisce rifarsi all'opera di S. DA NAIJRO, Sinodi diocesani italiani, (7atalogo bib/iogrqfìco degli atti a stc11npa 153411878, Città dcl Vaticano 1960, i cui dati differiscono da quelli riportati dallo studio di F.(Ì. SAVAGNONE, Concili e sinodi di Sicilia, Palenno 1910, al quale tàccio riferin1ento.
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Adolfo Longhitano
In tutto il secolo sono stati celebrati complessivamente 29 sinodi diocesani 13 (dei quali solo 13, indicati con l'asterisco, sono stati pubblicati)". Come si può notare, la quasi totalità dei sinodi è stata celebrata sotto l'influsso del Concilio di Trento (1545-1563): prima della sua convocazione nelle dieci diocesi siciliane erano stati celebrati solo 5 sinodi. Nell'intervallo fra il primo (1545-1551) e il secondo periodo del concilio (1562-1563) ne sono stati celebrati 3. 1 restanti 21 sono stati celebrati dopo la sua conclusione. Il maggior numero di sinodi (5 in un secolo) sono stati celebrati nelle diocesi di Catania e Monreale; a Palermo e Siracusa ne sono stati celebrati 4; ad Agrigento e Patti 3; a Cefalù e Mazara 2; a Messina I; a Lipari non è stato celebrato alcun sinodo. ln tutto il '500 in Sicilia non risulta celebrato alcun sinodo provinciale 15 • L'interpretazione data dai sovrani spagnoli al privilegio della Legazia Apostolica ostacolò la regolare convocazione dei sinodi diocesani e provinciali. Nelle costituzioni sinodali di Mazara del I 584 il vescovo Bernardo Gasco scrive che, in obbedienza agli ordini del re, per ben due volte aveva rinunziato al progetto di riunire un sinodo diocesano 16 • Non sappiamo come si configurava una interferenza del re o della corte con la volontà di un vescovo di convocare il sinodo diocesano; forse la sua celebrazione veniva subordinata all'espletamento della visita regia alla sua Chiesa. In tema di sinodo provinciale, il parlamento del 1563 ricordava al re Filippo li che le norme canoniche stabilivano la sua celebrazione annuale. «Ad emenda!ione et correttione di tutti eccessi et mali costumi, et in questo Regno sono infiniti», suggeriva al re di prescrivere che tale celebrazione venisse fatta ogni tre anni, quando vescovi e prelati erano convocati per partecipare alla riunione del parlamento. Nel clima di tensione che c'era in 13 Ai sinodi indicati nell'opera di Savagnone, citata alla nota precedente, bisogna aggiungere quello celebrato a Catania nel 1539 dal vescovo Nicola Maria Caracciolo (A. LONGHJT ANO, Le costituzioni sinodali, ciL, 176). 1 ~ Anche se non voglimno far rifcri111ento al Concilio di Basilea, che prescriveva la celebrazione annuale del sinodo diocesano e triennale dcl sinodo provinciale, l'indice di frequenza dei sinodi sicili{lni risulta co1nunquc molto basso. Per ii profilo giuridico del sinodo diocesano si veda A. LONGllITANO, La nonnativa sul sinodo diocesano. Dal concilio di Trento al codice di dirUto canonico, in La Scuola Cattolica 115 (1987) 3-31 e in Il sinodo diocesano ne/la teologia e nella storia, Acireale 1987, 33-85. 15 Nello studio del Savagnonc in Sicilia risultano celebrati solo tre sinodi provinciali: nel !373 a Monreale e a Palermo, nel 1388 a Paienno (G. SAVAGNONE, Concili e sinodi, cit., 122-125. 16 Mazara 1584, p. 4.
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quegli anni con la S. Sede, Filippo II considerò prematura e di difficile attuazione la proposta del parlamento; rispose che avrebbe preso una decisione dopo 1natura riflessione 17 . Timori analoghi, anche se di segno opposto, inducevano la S. Sede a non sollecitare agli arcivescovi siciliani la convocazione dei sinodi provinciali: in forza dell'autorità che i re pretendevano di esercitare, in quanto legati-nati del romano pontefice, i sinodi provinciali prima di entrare in vigore avrebbero dovuto essere approvati dal re; e questo per la S. Sede era inaccettabile.
2. IL SINODO DI PATTI (1537) CELEBRATO PRIMA DEL CONCILIO DI TRENTO
Il vescovo Arnaldo Albertino, dottore in utroque iure, consigliere regio e inquisitore generale della Sicilia, originario dalla diocesi di Maiorca, celebrò il sinodo nei giorni 11-13 settembre 1537, nella chiesa cattedrale di Patti'". Nella prima sessione, secondo le prescrizioni del Pontificale, tenne ai presenti il suo sermone commentando Genesi 37. Nella seconda sessione, dopo le esortazioni previste, il nobile Raffaele Mir, notaio della curia vescovile, dall'ambone lesse metà delle costituzioni sinodali. Nella terza ed ultima sessione, dopo la prescritta esortazione, il notaio lesse la seconda metà delle costituzioni. Il vescovo di tanto in tanto si era soffermato a spiegarle perché fossero comprese dai presenti. Anche se non è detto esplicitamente, si presume che dopo la lettura - secondo le prescrizioni canoniche le costituzioni siano state forn1aln1ente approvate dall'assemblea sinodale. Alla fine si diede a tutti la possibilità di esporre le prop1ie lagnanze per i torti subiti". La celebrazione del sinodo era stata preceduta dalla visita pastorale, costata al vescovo non poca fatica, in considerazione del ten·itorio montuoso della diocesi. Durante la visita il vescovo si era impegnato a rendere la vita dei suoi sudditi conforme alle leggi divine e canoniche, versando come il buon samaritano olio e vino sulle piaghe. Si era anche prodigato a risolvere 17
Capitu/a Regni Siciliae, cit., 11, cap. IO, 245-246. Nel 1594 !'arcivescovo di
Monreale Ludovico Torres inforn1ò la curia romana che i tre arcivescovi dell'isola (Palern10, tv1essina, Monreale), non avevano potuto convocare il concilio provinciale per le pretese connesse con la Legazia Apostolica (M. MIELE, I concili provinciali del Mezzogiorno in età 111oderna, Napoli 2001, 224). 18
Patti 1537.
19
Ibid., if. 3v-4r.
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Adolfo Longhilano
le liti pendenti. A conclusione della visita, il vescovo si era preso una grave malattia, della quale non era ancora del tutto guarito. Per evitare che le nonne promulgate nel sinodo fossero dimenticate, aveva deciso di pubblicarle ed esortava i sacerdoti a leggerle di frequente e non superficialmente limitandosi a guardare i fogli e le parole scritte, ma cercando di comprenderne il significato"'ll testo delle costituzioni era stato apprezzato dai prelati siciliani ed esteri ai quali era stato inviato. Nel 1543, quando già si aspettava l'indizione di un concilio ecu1nenico per estirpare la zizzania nella Chiesa, il vescovo aveva deciso di ripubblicare le costituzioni aggiungendo alcune norn1e co1ne antidoto ai mali del tempo". Da quanto è scritto nelle pagine introduttive, non si può dedu1Te che le nuove nor111e siano state inserite nel contesto di un secondo sinodo, celebrato a sei anni di distanza dal precedente. Nell'ultima pagina del volume si legge che le costituzioni sinodali del vescovo Albertino furono stampate il 17 giugno 1544, a spese del sacerdote di Maiorca Lorenzo Mager, suo collaboratore e co1nn1ensale 22 • Le I 36 costituzioni sono scritte una dopo l'altra senza essere divise in titoli o capitoli. Si può individuare uno schema non molto rigoroso, perché alcuni argomenti sono ripresi più volte e diverse nonne danno l'in1pressione di essere dcl tutto autonome: I. li culto e i sacramenti: Eucaristia, battesimo, unzione degli infe1111i, oli santi, vasi e para1ncnti sacri, libri liturgici e patTocchiali, confessione, 111atrin1011io, 1nessa; 2. I chierici, i laici, le confraternite; 3. li suono delle campane, i luoghi sacri, i benefici e l'amministrazione dei beni ecclesiastici; 4. La cura delle anime; 5. Le costituzioni sinodali. Per facilitare la lettura e la ricerca degli argomenti il volu1ne è co1Tedato di un indice analitico, redatto secondo i criteri del ten1po. Il testo delle costituzioni, che il Savagnone non era riuscito a trovare", costituisce una preziosa <locun1entazione per conoscere prassi e nor1ne della Sicilia pre-tridentina2". 20
Jhid., ff 1v-2r. Jbid., !I 2v-3r. n lbicr, f. 52r. 23 F.G. SAVAGNONI.:, Concili e sinodi, cit., 132-135. 24 Ad eseinpio si vedano: la nonna che proibisce la nota prassi dell'episcopello: si sceglieva un bainbino o adolescente, i! quale nella festa dei Santi Innocenti, dopo aver indossato gli abiti vescovili, andava in giro per le strade e nelle chiese 111i111ando i gesti del vescovo e pronunziando parole e frasi sconnesse per suscitare l'ilarità dei presenti (n. 29); la nonna che stabilisce !'obbligo dei libri parrocchiali priina ancora delle prescrizioni tridentine (n. 33); le nonne sulla celebrazione del 1natri1nonio (nn. 46-50, 59, 66-69); le nonne che disciplinavano l'esercizio della cura delle anin1e in alcune chiese della diocesi o stabilivano il 21
Vescovi e sinodi
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3. I DUE SINODI CELEBRATI NEGLI ANNI DELLA SOSPENSIONE DEL CONCILIO DI TRENTO
3. I. li sinodo di Siracusa (I 553)
Girolamo Beccadelli di Bologna (indicato nena forma più breve Girolamo Bologna), cadetto di una nobile famiglia palermitana di origine bolognese, abbracciò la carriera ecclesiastica entrando nen'ordine dci minori conventuali. La professione religiosa non gli impedì di ricevere una vera pioggia di benefici. Il 29 aprile 1541, su presentazione di Carlo V, fu nominato vescovo di Siracusa e come tale partecipò ane prime due sessioni del Concilio di Trento (1545-47, 1551-52), dove fece alcuni interventi di rilievo anche sulla questione tanto dibattuta della giustificazione". Dopo il suo rientro in diocesi, nei giorni 8-10 settembre 1553, riunì il sinodo diocesano nella chiesa cattedrale"'. Nel discorso introduttivo, pronunziato in lingua italiana, affrontò il tema di grande spessore teologico della sinodalità nena Chiesa, maturato durante le assemblee tridentine"- Avvia le sue riflessioni dal brano di Matteo 18,20: «Dove sono due o tre riuniti nel mio no1nc, io sono in inezzo a loro»: «De qui è nata la 111olto laudabile e santa institutione dei concilii et synodi, con1inciati prin1a111ente per li Santi Apostoli, fondan1cnto della nostra catholica Chiesa, confinnata et aumentata con 111olto tèrvorc e gran zelo, de Ili santi antiqui et soi soccessori ilhnninati dal Spirito Santo per cognoscersi di quanto necessario frutto doveranno essere questi agiunta1nenti et queste conciliare congrcgationi alla Chiesa 1nilitante, sì per insegnare bone doctrine, rapporto fra chiese parrocchiali e chiese no11 parrocchiali (nn. 63, 102, 112, 116-! 17, 120124); le nonne che disciplinavano !'an11ninistrazionc della giustizia da parte degli arcipreti (n. 8 l-83); la nonna che 1nirava a far cessare la prassi delle "rcputatrici" (o prefiche), sotto pena di fustigazione per le donne di bassa condizione (n. 119). Segnaliai110 due note conclusive al testo de!!e costituzioni sinodali: !'affcrn1azione e la difesa, con riferin1enti dottrinali, del principio della gratuità degli atti dc! suo n1inistero episcopale (ibid., ff. 42r-43r); l'elenco delle monitiones da leggere all'inizio della quarcsi1na con le principali nonne che i fedeli dovevano osservare e le scon1uniche per gli abusi più gravi (ibid., ff. 4Jr-44v). 15 Sulla figura di questo vescovo cfr: R. P11nu, 5ìici/ia Sacra, cit., I, 639-641; Ifierarchia catho!ica, cii., lll, 307; R. ZAPPERl, Beccadel/i di Bologna Giroh11no, in Dizionario Biografico degli Italiani, VII, Ro1na 1970, 415-417. La sua partecipazione al Concilio di Trento è docu1nentata da H. .IEDJN, Storia del concilio di Trento, IJI, trad. it., Brescia I962-I98I, 37, 255, 373, 388, 40I, 462, 476, 503. 26 Siracusa 1553. 17 !bici., pagine introduttive non nuinerate.
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Adolfo longhitano costun1i catholici et santi co111e per estirpare et radicaln1ente togli ere via Ii vitii et errori, che in essa sempre semina il nemico dell'umana generatione».
Spetta al vescovo il compito di conoscere i problemi dei suoi sudditi, di correggere e porre un freno ai loro costumi corrotti, seguendo le indicazioni che la Sacra Scrittura dà ai veri pastori delle anime. «A san Pietro, capo della santa Chiesa et pastore dclii pastori, mai fu detto né ammazza, né radi o tosa le tue pecorelle, ma sì ben pascile)). Dio stesso insegna ai suoi pastori quel che è necessario per il bene del loro gregge «quando li trovarà tra la sua gente e i suoi popoli, animandoli, insegnandoli, co11"eggendoli, guidandoli, defendendoli dai continui imminenti pericoli)). Sono questi i motivi che lo hanno spinto a celebrare il sinodo. «Per la qual cosa miei molto reverendi fratelli, vedete e considerate [... ] quel che più ci conviene e più sia il servigio di Dio e meglior governo di questo vescovado, che questo è il mio principal intento et non di usare rigori o altri miei particolari interessi)). Il vescovo aveva fonnulato personalmente le costituzioni sinodali negli intervalli di tempo libero del Concilio di Trento per evitare l'ozio' 8• Le aveva promulgate durante la celebrazione del sinodo, dopo aver osservato le solennità previste dal Pontificale, facendole leggere dall '8 al I O settembre dal can. Leonardo Cipria U.1.D., decano della cattedrale. A conclusione della loro lettura, il cancelliere e segretario vescovile Nicola de Spetiis ne aveva chiesto l'approvazione ai sinodali inteffogandoli uno per uno". Le costituzioni, che costituiscono uno dei primi documenti per la storia dell'introduzione della rifonna tridentina in Sicilia, sono divise per titoli e capitoli secondo questo schema: I. La vita e l'onestà dei chierici; 2. La celebrazione dei divini uffici; 3. La celebrazione delle messe; 4. Il battesimo; 5. Le penitenze e le assoluzioni; 6. La procedura da osservare nell'ordinazione dei chierici; 7. Gli sponsali e i matrimoni; 8. I curati delle chiese e i loro doveri 30 ; 9. La custodia delle cose sacre e la loro venerazione; IO. La predicazione della parola di Dio; 11. L'immunità delle chiese; 12. La riverenza dovuta ai chierici; 13. I beni delle chiese che devono essere conservati e non alienati; 14. Le decime; 15. 1 testamenti e i legati pii; 16. 28 29
L.c.
lhid., f. I40r-v.
° Fra gli obblighi dei curati c'è anche quello di esporre in inodo visibile i principi
3
della dottrina cristiana, cioè un piccolo catechismo in lingua italiana, che viene riportato nel volume (ibid., ff. 63v-7lr) e che ebbe molta fortuna in tutta la Sicilia (R. ZAPPERI, Beccadelli di Bologna Girolan10, cit., 416).
Vescovi e sinodi
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L'obbligo della residenza dei chierici; I 7. La potestà dei vicari foranei e dei canonici soprannumerari; 18. I chierici che pretendono di essere esenti, gli sconosciuti, i forestieri o coloro che hanno abbandonato gli ordini religiosi; 19. Repressione degli eretici, dei delinquenti e delle superstizioni; 20. L'usura; 21. L'osservanza delle feste; 22. Le confraternite laicali; 23. La dottrina cristiana; 24. I poveri e i miserabili; 25. I collettori di offe1ie; 26. La sentenza di scomunica; 27. li sinodo diocesano; 28. Argomenti vari 31 ; 29. Le pene e la loro applicazione; 30. Le costituzioni sinodali e la loro interpretazione. La formulazione delle costituzioni dal punto di vista giuridico sembra abbastanza curata, perché in margine sono indicati i riferimenti alle fonti; fra di esse troviamo anche i decreti tridentini, formulati nel primo periodo ma non ancora formalmente promulgati 32 • Si notano alcune affinità con le costituzioni del sinodo di Patti del 1537. In appendice sono ripmiati documenti diversi: l'elenco delle scomuniche papali ed episcopali desunto dal Corpus iuris canonici, la bolla In Coena Domini, i canoni penitenziali ed altre dichiarazioni sulle scomuniche minori. Chiude il volume un ricco indice analitico.
3.2. Il sinodo di Monreale (1554) Alessandro Farnese, nipote di Paolo 111, a quattordici anni fu nominato amministratore perpetuo della diocesi di Panna e a sedici di quella di Monreale (15 maggio 1536) per disporre delle ricche rendite delle loro mense vescovili. Nel concistoro del 1534 era stato creato cardinale e l'anno successivo gli fu atììdato l'ufficio di cancelliere di Santa Romana Chiesan La diocesi di Monreale di fatto era governata dal vicario generale Giacomo Antonio Fassari, vescovo titolare di Cristopoli 34 •
31
Le rappresentazioni teatrali nelle chiese, le "reputatrici" (o prefiche), le lettere anoni1ne infamanti, il suono delle campane, la sciogii111ento dal vincolo dcl giura1nento, sull'obbligo di evitare le cospirazioni e le congiure. 32 Si vedano in particolare le indicazioni tridentine ai parroci per la predicazione don1enicale (ibid., ff. 54v-55r); sulla disciplina della predicazione (ff. 58v-59r; 80r; 81 v); sulle questue (f. l 14r); sugli abusi nel citare le Sacre Scritture (f. 13lv). 33 Sulla figura di questo prelato cfr C. ROBERTSON, Farnese Alessandro, in Dizionario biografìco degli italiani, 45, Ro1na 1995, 52-70. 34 R. PIRRl, Sicilia Sacra, I, cit., 470-473; Hierarchia catholica, cit., 111, 250; 340.
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Adolfo longhitano
Il sinodo diocesano 35 fu convocato dal vicario generale su invito dcl cardinale Farnese. Nelle pagine introduttive il vescovo Fassari scrive che l'arcidiocesi di Monreale era ricca di beni materiali ma povera di beni spirituali; la reggeva da sedici anni, prima come collaboratore del card. Ippolito dei Medici e poi come vicario del card. Farnese; da cinque anni si era adoperava con tutte le forze per risollevare le condizioni della diocesi ma aveva incontrato non poche difficoltà 16 , subiva le calunnie e le persecuzioni di molti nemici e per non soccombere aveva anche presentato le dimissioni. Il card. Farnese inizialmente le aveva accolte, poi lo aveva invitato a riprendere il suo ufficio di vicario 37 • Dalle pagine introduttive del volume risulta che le costituzioni furono redatte dal vescovo Fassari, sulla base delle sue conoscenze giuridiche e della sua esperienza pastorale; non risultano la data e le modalità di celebrazione del sinodo 1". Le costituzioni sono divise in titoli secondo questo schema: I. I sacramenti della Chiesa e il loro uso; 2. La penitenza e l'assoluzione; 3. La santa Eucaristia; 4. gli sponsali e il matrimonio; 5. La confermazione; 6. li sacramento dell'ordine; 7. L'estrema unzione; 8. Le reliquie dei santi; 9. La messa e la sua celebrazione; IO. L'ufficio divino; 11. La celebrazione delle feste; 12. Le processioni; 13. La vita e la moralità del clero; 14. L'ufficio dei curati; 15. li digiuno; 16. I benefici; 17. li divieto di alienare i beni ecclesiastici; 18. La giurisdizione del vicario foraneo; 19. Il foro competente; 20. T testamenti e i legati; 21. Lo stato dei religiosi; 22. Gli ospedali; 23. I maestri di scuola; 24. La scomunica; 25. Le pene; 26. L'immunità ecclesiastica; 27. Le costituzioni sinodali; Appendice: formulari in lingua volgare per l'istruzione dei fedeli prima della celebrazione dei sacramenti e 35
Monreale 1554. 6 ~ Il Savagnone scrive che le difficoltà incontrate dal Fassari riguardavano il conflino fra benedettini e clero diocesano nella cattedrale e nella diocesi. Il vescovo stava dalla parte dcl clero diocesano (F.G. SJ\VACTNONt:, Concili e sinodi, cit., 137). Lo stesso autore afTenna che il vescovo aveva in1piegato cinque anni per redigere le costituzioni sinodali. In realtà l'indicazione data dal Fassari si riferisce agli sforzi per risolvere i problcn1i diocesan'1, che si infransero contro il 111uro dell'opposizione dei suoi avversari. Solo nel foglio successivo accenna alla decisione di celebrare il sinodo diocesano, chiesta con lettera dcl card. Farncse (Monreale 1554, f. 3r). 17 - lbid., ff. 2v-3r. Jg Probabiln1ente il sinodo fu celebrato durante la quaresin1a, cioè nei 1nesi di febbraio o marzo (la pasqua nel 1554 cadeva il 25 111arzo). In fondo al volu1ne il nulla osta alla pubblicazione - rilasciato per ordine dell'inquisitore Bartolon1eo Sebasti3-n, vescovo di Patti - porta la data del 10 aprile 1554 (ihid., f 139r). La sua sta1npa fu ulti1nata il 30 nove1nbre 1554 (ibid., ultin10 foglio non nun1erato).
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Vescov; e sinoch
in alcune circostanze dell'anno liturgico. Non risulta che il vescovo Fassari abbia pmiecipato al Concilio di Trento e nel sinodo solo una volta si citano i suoi decreti 39 • Tuttavia le costituzioni dimostrano un notevole equilibrio e una rilevante sensibilità ecclesiologica e pastorale.
4. I
SINODI
CELEBRATI
NEL
PRJMO
VENTENNIO
SUCCESSIVO
ALLA
CONCLUSIONE DEL CONCILIO DI TRENTO
4.1.11 sinodo di Palermo (1564) Il 18 marzo 1562 fo nominato arcivescovo di Palermo il minore conventuale Ottaviano Preconio, originario dalla diocesi di Messina, già più volte ministro provinciale della Sicilia, teologo, predicatore e visitatore di altre province. Avendo svolto il suo ministero anche in Spagna, la sua fama era giunta alla corte e Carlo v lo chiamò a far pmie dei cappellani e confessori. Nominato vescovo di Monopoli nel 1546, fo trasferito ad Ariano nel 1561. Nel 1562 fu segnalato per la sede di Cefalù ma, in seguito alla morte dell'arcivescovo di Palermo, fo presentato per succedergli"'. Al ritorno dal Concilio di Trento 41 riunì nella cattedrale un sinodo diocesano. Le costituzioni, che sottopose all'approvazione dell'assemblea e che pubblicò l'anno successivo", non si trovano nelle biblioteche siciliane, né nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Il Savagnone quando scrisse la sua opera ebbe in mano il volume e fece notare che le costituzioni erano desunte in gran parte dai sinodi di due suoi predecessori: Pietro Tagliavi a ( 1555) e Francesco Orosco ( 1560). Erano divise in tre parti. Prima parte: il culto divino. Seconlla jJarle: l 'am1ninistrazione dei sacran1enti. Terza 11arte: la vita e l'onesto con1portan1ento dei chierici. Le tre parti non erano suddivise né per titoli né per capitoli. L'osservanza di queste costituzioni sinodali sembra sia stata condizionata da un duro scontro del vescovo con il capitolo della _w lbid., tit. 11, c. 29, f 24r. ..\OR. PIRRJ, Sicilia Sacra, cit., !, 200-203; Jfiernrchia catho!ica, cit., Jll, 117, 248, 269; P11. CAGLIOLA, Ahnae Siciliensis provinciae ordinis 1ninoru111 co11venf11ali11111 S. Francisci 111anf/Cstatio11es novissi111ae, a cura di F. Rotolo, Palcnno 1984, 170-171 . ..ii Per la sua attiva partecipazione al Concilio di Trento cfr H. JEOJN, Storia, cit., 1v/l, 198, 262, 305, 306; IV/2, 155, 161, 216, 248, 319, 320. 42 Decreta habita in cathedrali ecclesia huius fòe!icis urbis Panonni per [. .. ] Octavianion de t~recone Archiepiscp11111 { .. ], apud loannen1 Matthaeu111 Maydai11, Panornli 1565.
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Adolfò longhitanu
cattedrale a proposito del criterio restrittivo da lui stabilito nella ripartizione delle distribuzioni eorali 43 .
4.2. !/sinodo di Catania (I 565) Il vescovo Nicola Maria Caracciolo"' aveva già celebrato un sinodo diocesano nel 1539. Nel 1565, dopo la sua partecipazione al Concilio di Trento e la promulgazione dei decreti conciliari, ne celebrò un secondo, che non può essere considerato un semplice aggiornamento del primo (di cui peraltro non abbiamo il testo), perché le sue costituzioni risentono molto dell'esperienza conciliare e del progetto di rifonna promosso dai decreti tridentini. li testo mutilo delle costituzioni che possediamo"' e la docu111entazione coeva conservata nell'archivio storico diocesano di Catania non ci pe1111ettono di stabilire la data e le modalità di celebrazione del sinodo. Dei 153 canoni che formavano le costituzioni del Caracciolo possediamo poco meno della metà: mancano i primi 80 che trattavano dei diritti e doveri dei chierici e avviavano la trattazione dei co1npiti spettanti ai parroci'°. Nei restanti canoni si sviluppa questo argomento e si affrontano i temi dell'amministrazione dei sacramenti, della predicazione, dei registri parrocchiali, degli oli santi, dell'assistenza agli infermi, della cura all'infanzia abbandonata, dell'impegno ad eliminare nel popolo le superstizioni, della disciplina dei luoghi sacri, della penitenza e della scomunica, della for1na tridentina di celebrazione del n1atri1nonio, 43
F.G. SAVJ\CTNONE, Concili e sinodi, cit., 141-145. Per la figura del vescovo Caracciolo cfr A. LONGl!JTANO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit.; ID., le costituzioni sinodali del vescovo di Catanht Nicola 111aria Caracciolo (1565), cit. La sua paiiecipazione al Concilio di Trento è docu111entata da I-I. JEDIN, Storù:t, cit., Jv/2, 249, 264, 266, 268. 45 A. LONGl IJT ANO, le costituzioni sinodali del vescovo di Catania Nicola Maria C'aracciolo ( 1565), cit. ~ 6 In una lettera con cui il vescovo risponde ad alcuni quesiti del vicario di Piazza e interpreta il significato di alcuni c<1noni n1ancanti sappiamo che il can. 8 stabiliva l'obbligo per i sacerdoti e i diaconi di partecipare a tutte le prediche che si tenevano ogni anno nelle chiese; il can. 14 proibiva ai sacerdoti e ai diaconi di indossare abiti di seta; il can. 18 proibiva ai chierici di portare anni; il can. 54 stabiliva che tutte le funzioni festive che si celebravano nelle chi'ese e negli oratori delle confraternite dovevano concludersi al levar del sole per consentire ai fedeli di recarsi nelle proprie parrocchie; il can. 62 stabiliva per il clero l'obbligo di partecipare alle processioni (ibid., ! 83). 44
Vescovi e sinodi
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dell'amministrazione dei beni ecclesiastici. In appendice c'è un primo elenco di casi riservati compilato dal vescovo Caracciolo e un secondo da uno dei suoi successori, il vescovo Vincenzo Cutelli. Leggendo quel che ci resta delle costituzioni sinodali del Caracciolo, si nota che non sono state concepite in modo organico, secondo uno schema rigoroso. Si ha l'impressione che il vescovo abbia messo insieme i vari provvedimenti fatti negli ultimi anni del suo governo pastorale per attuare la riforma voluta dal Concilio di Trento, senza badare ad un rigoroso ordine sistematico. Si tratta comunque di un documento di notevole rilevanza, scritto in lingua volgare, con un linguaggio efficace e ricco di spiritualità, che ditficilmente troviamo in un testo normativo. Il Caracciolo era un esponente dcll'evangelis1no cattolico, che per tanto ten1po aveva condiviso con le correnti più avanzate l'ideale della rifonna e che aveva scelto di ri1nanerc all'inte1110 della Chiesa quando i 1novimenti più radicali avevano deciso di andare per la propria strada. Dal punto di vista teologico egli, pur non allontanandosi dalle scelte del concilio sull'eflìcacia dei sacramenti nel causare la grazia, sottolinea la necessità della fede in coloro che li celebrano e li ricevono. Poiché il Caracciolo aveva posto la parrocchia al centro della sua azione pastorale, protagonista de11c costituzioni sinodali e interlocutore ideale del vescovo è «il ininistratore dei sacra1nenti».
4.3. Il sinodo di Patii(! 567) Il vescovo Bartolomeo Sebastian, che dal 1549 resse la diocesi di Patti, deve essere considerato un personaggio d1 prin10 piano nella Sicilia del '500. Dalla diocesi di Saragozza si era trasferito a Palenno, dove aveva ottenuto una prebenda canonicale. Nel 1546 era stato nominato inquisitore generale per il Regno di Sicilia, ufficio che esercitò fino al 1555, anche dopo la non1ina a vescovo di Patti. Questi incarichi non lo niisero al riparo da una fo1ma di persecuzione che il viceré Giovanni de Vega esercitò nei confronti di alcuni vescovi siciliani, rei di non rispettare le competenze del tribunale della Regia Monarchia, secondo la particolare interpretazione che in quegli anni dava aH'istituto delia Legazia Apostolica la corona spagnola. 11 viceré nel 1555 processò il vescovo Sebastian, gli sequestrò i beni e lo fece chiudere in carcere. In seguito alle lagnanze dell'arcivescovo di Palermo, Filippo 11 avocò a sé il caso e ingiunse al viceré di non intromettersi più nel
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Adoffo Longhitano
processo al prelato". Nel 1562 il vescovo Sebastian prese parte al Concilio di Trento""· Nel 1565-66 per tre volte tU nominato presidente del Regno di Sicilia, durante l'assenza del viceré Garcia de Toledo'". Il 19 agosto 1567 consegui la laurea in utroque iure ne11o Stucfh1111 Siciliae generale di Catania50 • In quello stesso anno fece ritorno in Spagna come arcivescovo di Terragona (I ott. 1567). li vescovo Sebastian celebrò il sinodo nella cattedrale di Patti il 26 gennaio 1567 e pubblicò le costituzioni nello stesso anno a Messina". Nelle pagine introduttive informa che diversi motivi lo avevano distolto in passato dal proposito di convocare un sinodo diocesano; tuttavia non aveva 0111esso durante le visite pastorali e in altre occasioni di promulgare norme per la vita della diocesi. Ora si era deciso a raccogliere e ordinare queste norme e a sottoporle all'approvazione del sinodo". Le costituzioni sinodali del vescovo Albe1iino restavano in vigore in quelle materie che non contraddicevano le nuova nonne 53 • Le costituzioni sono ordinate in titoli, in capitoli e in paragrafi progressivi. Non sono segnate le pagine: 1. La somma Trinità e la fede cattolica; 2. Le sacrosante chiese; 3. Le costituzioni; 4. I rettori e i curati; 5. La predicazione della parola; 6. La vita e l'onestà dei chierici; 7. L'ordinazione dei chierici; 8. li battesimo e la sua efficacia; 9. La celebrazione delle messe; IO. L'osservanza delle feste; 11. Le reliquie e la venerazione dei santi; 12. I censi e i redditi delle chiese; 13. Le decime e le primizie; 14. I testamenti e i legati per cause pie; 15. Le "reputatrici" (o prefiche); 16. L'immunità delle chiese; 17. Gli sponsali e i matrimoni; 18. La penitenza e l'assoluzione; 19. L'usura; 20. La sentenza di sco1nunica; 21. Le pene. Nel titolo sui rettori e i curati sono ripo1iate in lingua italiana le istruzioni che i sacerdoti devono dare nelle domeniche ai fedeli, le preghiere 47 R. PJRRl, Sicilia Sacra, cit., 11, 786-787; fiierarchia catho!ica, ciL, 111, 266; G. ZJTO, La Legazia Apostolica nel Cinquecento: avvio delle controversie e delle po/e111iche, in La
Legazia Apostolica. Chiesa, potere e società in Sicilia in età 111edievole e 111vder11a, Caltanissetta-Roma 2000, 115-166: ! 33. 48 Per la sua attiva pa1tccipazione al concilio cfr I-I. JElJJN, Storia, cit., 1v/l, !88, 22!, 234, 268, 359, 369; 1v/2 155, 193, 222, 249, 267, 282. 49 G.E. Dl BLASI, Storia cronologica de' Viceré, Luogotenenti e Presidenti del Regno di Sicilia, il, Palern10 1974, 135-153. 50 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO. CA'] t\N!A, Tutt 'Atti 1566-1567, ff. 489v-493v. 51 Patti l 567. 52 Ibid., 1: 3r. 5 ·' Jbid., De cosNtutionibus, c. 1 § 32.
Vescovi e s)nodi
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del cristiano e le formule essenziali del catechismo". Nelle costituzioni sono frequenti le citazioni dei decreti del Concilio di Trento.
4.4.11 sinodo di Mazara (1575)
li vescovo di Mazara Antonio Lombardo costituisce uno dei pochi casi in Sicilia di sacerdoti che svolsero il ministero episcopale nella stessa diocesi di origine. Nato a Marsala, fu fra i collaboratori del vescovo Girolamo Termini che Io inviò come suo delegato alla corte di Madrid per risolvere alcuni problemi. Negli ambienti di corte si fece apprezzare per le sue qualità e, dopo aver ricevuto alcuni benefici particolarn1ente ren1unerativi, tornò in Sicilia dove svolse prima l'ufficio di arcidiacono ad Agrigento e poi quello di vicario generale a Mazara durante l'assenza del vescovo Giaco1no Lomellina per partecipare al Concilio di Trento. Dopo il trasferimento di quest'ultimo alla sede di Palermo, Antonio Lombardo fo nominato vescovo di Mazara (16 gen. 1573). Il 30 marzo 1579 fu trasferito alla diocesi di Agrigento e il 23 gennaio 1585 alla diocesi di Messina, dove celebrò un altro sinodo che prenderen10 in esa1ne 55 • TI sinodo diocesano celebrato a Mazara dal 1O al 14 marzo 157 55(' è un raro ese111pio di pieno coinvolgi1nento del clero sia nella preparazione e nella celebrazione, sia nella for1nulazione e nella pro111ulgazione delle costituzioni sinodali. Nelle pagine introduttive il vescovo scrive che progettò la convocazione di un sinodo dopo aver espletato la prima visita pastorale della diocesi, dopo un'accurata inchiesta fra il clero sui problemi più urgenti che bisognava risolvere e dopo aver chiesto il parere ai canonici, ai parroci e a tutti coloro che per legge o per tradizione sono chiamati a costituire l'assemblea sinodale57 . Nel docu111ento conclusivo si info1111a che il sinodo fu celebrato nello spazio di qua!tro giorni, secondo le indicazioni previste dal Pontificale. Le costituzioni furono elaborate da uno dci collaboratori del vescovo, in conformità alle proposte ciel clero e dell'assemblea sinodale, furono lette nell'assemblea e approvate con voto unanime. Perché venissero a conoscenza di tutti fu decisa la loro pubblicazione 58 • Le nuove 1101111e,
54
!bid., De rectoribus et curatis, c. 2, §§ 41-43. R. Puuu, Sicilia ,)'aera, cit., Il, 856-857; Hierarchia catholica, cit., Hl, 239; 99; 242. 56 Mazara I 575. 57 Ibid., pagine introduttive non nu1nerate. 58 !bid., f[ 126v-127v. 55
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proprio perché ispirate ai decreti dcl Concilio di Trento, sostituivano quelle e1nanate in precedenza 59 . Le costituzioni sono divise in quattro parti; ogni parte è divisa in titoli e in capitoli. La prima parte affronta temi diversi, non sempre riconducibili ad un ordine sistematico rigoroso: la professione di fede; i chierici; il capitolo della cattedrale, la celebrazione della messa e la recita del breviario; ordinamento della cura delle anime in alcuni centri della diocesi; i curati; l'insegnamento della dottrina cristiana; i maestri di scuola; la predicazione; la Sacra Scrittura; i libri consigliati e proibiti; i registri pairncchiali. Seconda parte: i sacramenti; le iin1nagini, le reliquie e il culto dei santi; le superstizioni; i rapporti con gli infedeli; comportamenti ritenuti contrari alla fede cristiana; il culto eucaristico; le processioni. Terza 11arte: le in1munità delle chiese, degli altri luoghi sacri e dei chierici; i beni ecclesiastici; le opere pie; la scomunica. Quarta parte: le monache e le educande.
5. l SINODI CELEBRATI NEL SECONDO VENTENNIO DALLA CONCLUSIONE DEL CONCILIO DI TRENTO
A vent'anni dalla celebrazione del Concilio di Trento sì nota già un ca1nbiamento di stile nelle costituzioni sinodali: se i vescovi che avevano partecipato al concilio o che avevano vissuto il clima conciliare di1nostravano una certa sensibilità ecclesiologica e una spiritualità 1nutuata dall'evangelismo cattolico, quelli del secondo ventennio accentuano l'elemento giuridico/disciplinare, facendo propno l'indirizzo della controriforma che ha come principale protagonista il papato e la curia ron1ana 60 .
5.1. Il sinodo di Cefàlù (/ 584) Non si hanno inolte notizie sul vescovo Ottaviano Preconio, che nel 1584 celebrò il sinodo diocesano nella diocesi di Cefalù. La sua famiglia proveniva dalla diocesi di rvtessina, 1113 egli apparteneva al clero palenniiano ed era nipote dell'omonimo arcivescovo di Palermo, che celebrò un sinodo 59 lhid., pagine introduttive non nun1eraie. 60 H. JEDlN, R{fònna cattolica o contror(fònna?, traci. it., Brescia 1967; G. MARTINA, La C'hiesa nel! 'età della R{fonna, Brescia 1986, 139-200.
Vescovi e sinodi
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diocesano nel 1564. Il nostro tì.1 nominato vescovo di Cefalù l' 11 agosto 1578 e morì 1'11aprile1587 all'età di 44 anni. Nelle costituzioni sinodali"', pubblicate nello stesso anno della celebrazione del sinodo, non si dice nulla sulla data e sulle modalità della sua celebrazione. Le costituzioni, abbastanza contenute, sono divise in due titoli e in capitoli: I. La vita e l'onesto compotiamento dei chierici; 2. L'uso dei sacramenti nella Chiesa. Questo secondo titolo è diviso in otto sottotitoli, uno per ogni sacra1nento, più uno conclusivo sui tninistri e le persone nella Chiesa: i curati, l'arcidiacono, i canonici) i religiosi e le regole di precedenza, le confraternite laicali.
5.2. Il sinodo di Mazara (I 584) Il vescovo Bernardo Gasco, originario dalla diocesi di Toledo, già inquisitore in Catalogna e in Sicilia) no1ninato vescovo di Mazara il 30 marzo 1579, celebrò il sinodo diocesano I '8 settembre 1584 e l'anno successivo pubblicò le costituzioni"'. Nelle pagine introduttive scrive che, in obbedienza agli ordine del re, per due volte era stato impedito di attuare il progetto di convocare il sinodo diocesano. Questo ritardo non ha provocato danno perché il vescovo, avendo fatto per tre volte la visita pastorale, aveva acquisito una più profonda conoscenza dei problemi della diocesi e una maggiore esperienza pastorale. Le costituzioni erano state promulgate «consilio et conscnsu (matura deliberatione)» del vicario generale, della prima dignità del capitolo, dei canonici, degli arcipreti, dei parroci che costituivano l'assen1blea sinoda1e 63 • A conclusione della celebrazione, ai presenti, che avevano ascoltato la lettura delle costituzioni fatta intellegibili voce, era stato chiesto di n1anifestare il proprio parere e tutti, all'unanimità, avevano dato il proprio placet'". Le costituzioni sono divise in sei partii ognuna delle quali è suddivisa in titoli non numerati e in capitoli. Prima parte: la professione di fede cattolica, co1npendio della dottrina cristiana in lingua latina, i sacra1nenti. c)econc/a ]Jllrfe: il sinodo diocesano, gli esatninatori sinodali, la visita pastorale, la vita e 1) onesto con1po1ian1cnto dei chierici, le decìtne e le 61
Cefalù 1584. Mazara 1584. (,_J Jbid., p. 7. 6 ~ Jbid., p. 18 l. 62
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Adolfo LonghUano
. pnm1z1e, i testamenti, le sepolture e i funerali, i questuanti e gli erem1!1. Terza parte: le chiese pmrncchiali e i luoghi pii, l'immunità ecclesiastica, proibizione di alienare i beni della Chiesa, il seminario, gli ospedali, le confraternite e il monte di pietà, le monache. Quarta parte: la celebrazione delle messe e i divini uffici, il coro nella cattedrale, le riunioni del capitolo, l'archivio diocesano, le reliquie, il culto dei santi, l'osservanza delle feste e dei digiuni. Quinta parte: i rescritti e i delegati, il vicario generale, gli arcipreti e i parroci, i vicari foranei, gli ufficiali di curia, i maestri e i predicatori, il sagrista, co1npctenze della curia vescovile e loro divisione. ,__)esta ]Jarte: gli eretici e gli infedeli, le besten11nie, l'usura, i concubini, la sentenza di scomunica, le pene, osservanza delle costituzioni e loro interpretazione, dichiarazione di obbedienza alle autorità ecclesiastiche e ringraziamenti.
5.3.11 sinodo di Patii (I 584) TI vescovo Gilbe1io !sfar y Cruyllas era nato a Palermo, ma apparteneva ad una delle tante fa111iglie spagnole venute aJ seguito dei re e che si erano stabilite in Sicilia dopo aver ottenuto feudi o uffici di prestigio. l parenti di Gilberto erano i baroni di Siculiana ed egli, dopo essere stato nominato vescovo di Siracusa nel I 574, era stato trasferito a Patti nel 1579''5 • li sinodo diocesano6(' fu celebrato nei giorni 26, 27 e 28 agosto 1584, in conformità alle prescrizioni del Pontificale e a conclusione della visita pastorale della diocesi 67 • Le costituzioni, lette in assemblea''" e promulgate dai sinodali'", furono pubblicate nello stesso anno. Erano divise in quattro parti e suddivise in capitoli. Parie prima: il culto da rendere a Dio. Parie seconda: alcune opere in pa1iicolare che riguardano il culto divino, cioè la n1essa, l'ufficio divino, la preghiera e le processioni. Parte terza: i sette sacra1nenti della Chiesa. Parte quarta: la rifonna dei costun1i e la disciplina ecclesiastica. AjJ]Jencfice: l'osservanza dei religiosi.
65
R. P!i{RJ, Sicilia Sacra, ciL, lì, 787; Hierarchia catholica, cit., TH, 266 e 307. Patti J 584. 67 lhid., fogli introduttivi con propria 1unnerazione, f. 2v.
66
68 69
I.e.
Nelle conclusioni delle costituzioni si legge: ((Hac sunt Constitutiones [ ... ] in dioccesana synodo vobis pron1ulgandas» (ibid., f. 70r).
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5.4.11 sinodo di Palermo (I 586) Cesare Marullo, del clero di Messina, aveva avviato la sua rapida carriera ecclesiastica alla corte di Madrid come cappellano. Nel 1574, su presentazione del re Filippo II fu nominato vescovo di Agrigento. Lo stesso re Filippo 11 lo volle visitatore regio per le diocesi della Sicilia e subito dopo lo presentò per la sede arcivescovile di Pale1mo (nomina dell' 11 settembre 1577)"'. TI vescovo nel 1585 aveva pensato di dar nuovo vigore alle costituzioni sinodali del vescovo Ottaviano Preconio e il 1 ottobre le aveva fatte leggere dinanzi al capitolo della cattedrale. I canonici contestarono l'iniziativa del vescovo e presentarono reclamo alla Congregazione del Concilio. Da Roma giunse al Marullo il suggerimento di convocare un nuovo sinodo 71 , che fì.1 celebrato nella cattedrale il 13 giugno 1586 e pubblicato l'anno successivo". TI capitolo della cattedrale non si rassegnò a subire 1' iniziativa del vescovo e presentò un nuovo ricorso a Roma. Il ricorso fu accolto e il papa incaricò il card. Carafa di rivedere e correggere le costituzioni 73 . Secondo la nota che si legge in fondo al volume'\ le correzioni probabilmente riguardavano il criterio per ripartire fi·a i canonici le distribuzioni quotidiane, tema che era stato oggetto di controversie fra vescovo e capitolo anche al tempo del predecessore Ottaviano Preconio. li vescovo Marullo nelle pagine introduttive scrive che da diverso ten1po aveva progettato di riunire un sinodo, che considera fondamentale per la vita della Chiesa. Infatti negli Atti degli Apostoli si trovano le prime tcstin1onianze dì una sinodalità che poi si è espressa a diversi livelli: nei sinodi generali, provinciali e diocesani7 5 • Si affenna in n1odo generico che si è attenuto alle prescrizioni del Pontificale, ma non si danno elementi utili per conoscere le modalità seguite per coinvolgere l'assemblea sinodale nella fomrnlazione e nella promulgazione delle costituzioni. Si ha l'impressione 70
R.
PlRRJ,
Sicilia Sacra, cìt.,
J,
206 e 719; }/ierarchia catholica, cit.,
111, 99
e 269.
L 'uflìcio di regio visitatore risulta dalla docun1entazionc acclusa al saggio di P. CoLLURA, Le sacre regie visite alle chiese della Sicilia, in Archiva Eclesiae 22-23 (1979-1980) 445-451. Probabill11ente è dovuto all'ufficio di regio visitatore il penncsso concessogli dalla S. Sede nel 1576 di prolungare la sua assenza dalla diocesi, clocuinentato dalla Hirrarchia Catholica. 71 F.(J. SA VAGNONE, Concili e sinodi, cit., 142-145; 154-157. 72 Palenno 1586. 73 A conclusione delle costituzioni si legge: «Recognita et correcta iussu Santissin1i Do1ninì nostri. Antonius Caral'a cardinalis)) (ihid., p. 184). 74 lhid., post p. l 86. 75 /hid., pagine introduttive non nu1nerate.
Adolfo longhitano
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che non siano state lette e che tutto si sia svolto in modo formale. Per facilitare in futuro l'osservanza della nonna che prescrive la celebrazione annuale del sinodo diocesano, il vescovo nelle costituzioni lo convoca semel pro semper nella seconda domenica di Pasqua e acclude anche il fonnulario di un avviso da scrivere a lettere cubitali e da affiggere alle porte delle chiese un n1ese prima, perché nessuno possa addurre l'ignoranza co1ne pretesto della sua assenza 76 . Il Savagnone ritiene che fra i sinodi post-tridentini siciliani quello del vescovo Marullo costituisca un modello ineguagliato, perché riesce ad attuare localmente, con una normativa dettagliata ed esauriente, la riforma voluta dal Concilio di Trento 77 . In realtà lo studioso che legge le costituzioni sinodali pale1rnitane del 1586, pur apprezzando la loro bellezza formale, ha l'impressione di trovarsi dinanzi ad un modello ideale che appare molto lontano dal vissuto quotidiano. Le costituzioni sinodali si dividono in cinque parti e si suddividono in capitoli. Prilna JJOrfe: la fede cattolica e i ten1i ad essa pertinenti. r.;econcla }Jarte: i sacra1ncnti. Terza JJarte: alcuni uffici degli ecclesiastici. Quarta JJarte: la chiesa cattedrale, le sue persone e la vita dei chierici. Quinta JJarle: !'ordinan1ento della diocesi, i religiosi e le n1onache (in questa parte C 5 è un capitolo dedicato al sen1inario dei chierici).
5.5. li sinodo di Messina (1588) li vescovo Antonio Lombardo, dopo aver retto le diocesi di Mazara e di Agrigento, il 23 gennaio 1585 fu trasferito all'arcidiocesi di Messina. Egli, fin dall'inizio dcl suo ininistero nella nuova diocesi, aveva pensato di convocare un sinodo per pro111uovere la disciplina del clero e la vita cristiana dei fedeli. L'assemblea sinodale fu convocata nei giorni 17, 18 e 19 agosto 1588, secondo le indicazioni del Pontificale'"- 1 lavori furono avviati nella cattedrale e proseguiti nella chiesa di San Nicola, annessa all'episcopio. Nei tre giorni dcl sinodo il segretario Don Antonio Ricciardi lesse le costituzioni che il vescovo pron1ulgò, dopo aver avuto il parere favorevole dei i11en1bri
76
Jbid., v pars, c. 4,\Jp. 153-J 57. F.G. SA V AGNONE, Conci/i e sinodi, cii., n Messina 1588.
77
154.
Vescovi e sinodi
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dell'assemblea". Nella parte finale delle costituzioni si stabilì la norma di celebrare il sinodo ogni anno nella seconda domenica di ottobre'°. Le costituzioni sinodali sono divise in quattro parti. Prima parte: la fede della Chiesa cattolica e apostolica. Seconda parte: i sacramenti. Terza parte: la vita e l'onesto comportamento dei chierici. Quarta parte: argomenti vari sul governo della diocesi. L'ordine sistematico prescelto per distribuire gli argomenti trattati non appare molto felice, perché nella prima e nella terza parte troviamo riuniti temi molto diversi che avrebbero potuto essere distribuiti in modo più chiaro e coerente. Le costituzioni nella formulazione ricalcano quelle del sinodo di Mazara, celebrato nel 1575 dallo stesso vescovo.
5.6. I/ sinodo di Agrigento (1589)
Diego de Haedo, nato in Cantabria, dopo aver esercitato l'ufficio di inquisitore in Spagna e in Sicilia, il 23 gennaio 1585 fu nominato vescovo di Agrigento, su presentazione del re Filippo II". Convocò il sinodo diocesano nella cattedrale, nei giorni 28 e 29 maggio 1589, seguendo le prescrizioni del Pontificale 82 . Le costituzioni furono lette dal cancelliere Agostino Galeone e alla fine furono approvate dall'assemblea nemine discrepante"'. Furono pubblicate nello stesso anno, quando il vescovo era già stato designato per la sede arcivescovile di Palermo"'. Le costituzioni sono divise in cinque parti. Prima parte: il culto divino. Seconda parte: i sacramenti. Terza parie: la cattedrale, le persone che vi prestano servizio, le monache. Quarta parte: il governo generale della diocesi, la vita dei chierici. Quinta parie: alcune questioni particolari, comportamenti delittuosi, il sinodo diocesano. All'interno di questo schema le materie tratiate non sono disposte in modo logico e coerente.
79
80 81
Jbid., pp. 1-4. Jbid., p. 164. R. PIRRI, Sicilia Sacra, cit., I, 207 e 720; !Jierarchia catho/ica, cit., Hl, 99 e 269.
82
Agrigento 1589.
83
Jbid., p. 155. L.c.
84
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Conclusione
Il saggio non si proponeva di affrontare nella sua complessità il tema del rappmio vescovi/sinodi diocesani, né tanto meno di utilizzare gli elementi contenuti nelle costituzioni sinodali per ricostruire la storia sociale e religiosa della Sicilia. Alcuni temi pmiicolari sono sviluppati negli altri contributi di questo seminario di licerca. Per concludere il discorso avviato possiamo limitarci a qualche rilievo generale. li fenomeno della nomina di vescovi provenienti dalla Spagna o da altre regioni, lamentato dal parlamento siciliano, poteva incidere sull'osservanza dell'obbligo della residenza o sul tipo di rapporto che il vescovo stabiliva con il suo popolo; da solo non può spiegare la poco frequente celebrazione dei sinodi diocesani nella Sicilia del '500, perché i sinodi presi in esame sono stati celebrati da vescovi siciliani, spagnoli o provenienti da altre regioni. Lo stesso rilievo
vale per un giudizio sulla validità dell'azione pastorale svolta da questi vescovi: nelle diverse diocesi trovian10 vescovi originari dalla Spagna o da
altre regioni che svolsero un fruttuoso e intenso ministero. Anche in tema di rappmio vescovi/autorità politica, l'origine spagnola di alcuni vescovi non costituisce a priori un argomento per affermare la loro facile accondiscendenza alla politica ecclesiastica attuata in questo periodo dai re di Spagna, perché fra gli oppositori che i viceré punirono severamente troviamo anche lo spagnolo vescovo di Patti Bartolomeo Sebastiàn. La presenza nell'episcopato siciliano di ex inquisitori può suscitare più di un interrogativo, che non possiamo risolvere sola1nente con I' esa1ne delle costituzioni sinodali da loro promulgate.
Uno degli interrogativi più pressanti di chi si propone di studiare i sinodi diocesani riguarda la sensibilità sinodale dei vescovi nella convocazione/celebrazione di un sinodo e il coinvolgimento del clero sia nella fonnulazione sia nell'approvazione delle costituzioni sinodali. I vescovi che avevano pa1tecipato al Concilio di Trento o che avevano vissuto anche indirettan1ente I'esperienza conciliare conoscevano l 'in1portanza della
sinodalità nella Chiesa e si sforzavano di applicarla nella celebrazione del sinodo diocesano. Sono indicativi in tal senso: il discorso introduttivo tenuto in lingua italiana dal vescovo di Siracusa Girolamo Bologna nel sinodo diocesano del 1553 e l'accenno alla sinodalità della Chiesa che troviamo nel sinodo di Palermo del 1586 del vescovo Cesare Marullo. Pili complesso è il tema del coinvolgimento del clero nella decisione di convocare il sinodo e nella formulazione e approvazione delle costituzioni sinodali. In alcuni casi troviamo affcnnazioni esplicite su questo argomento; si vedano: il sinodo di
Vescovi e sinodi
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Patti del 1567 (celebrato dal vescovo Bartolomeo Se bastian) e i due sinodi di Mazara del 1575 (celebrato dal vescovo Antonio Lombardo) e del 1584 (celebrato dal vescovo Bernardo Gasco). Tuttavia non siamo in grado di determinare il grado di coinvolgimento del clero. Per la mentalitĂ del tempo poteva essere ritenuta sufficiente la formale richiesta di un consiglio prima della convocazione o il voto finale dell'assemblea dopo la semplice lettura delle costituzioni sinodali. Uno degli interrogativi di fondo che si pone lo studioso dei sinodi diocesani riguarda la loro ricezione da parte delle Chiese per le quali sono stati promulgati. La risposta difficilmente si trova negli stessi sinodi; va ricercata in altre fonti storiche coeve. Questo rilievo ci ripo1ia alla nota
questione metodologica che lo storico deve tenere sempre presente: per quanto una fonte (come quella dei sinodi diocesani) sia particolarmente rilevante, deve essere esaminata nel contesto delle altre fonti dello stesso periodo storico.
Synaxis XIX/2 (2001) 281-285
SINODI SICILIANI E ITALIANI NEL '500
SALVATORE MARINO*
Già il Concilio Lateranense V nella sua X sessione (4 maggio 1515) con la Bolla di Leone IX «Contro gli esenti» imponeva, come momento di rifmma della Chiesa, quanto già per altro era stato decretato nei precedenti concili fino a Basilea, che i vescovi «per la correzione dei costu1ni, per la definizione delle controversie, per l'osservanza dei con1anda1nenti di Dio, debbono celebrare i concili provinciali e i sinodi diocesani, correggendo ciò che si è corrotto; gli inade1npienti saranno sottoposti alle pene canoniche [ ... ] noi in1ponia1no rigorosa1nente, non ostante qualsiasi privilegio in contrario [ ... ] di osservare inviolabihnente i canoni relativi alla celebrazione di questi concili e di questi sinodi. Quanto al concilio provinciale esso deve essere celebrato ogni tre anni» 1•
L'impegno per i sinodi è confermato anche dal Tridentino in vari canoni, ma soprattutto nella sessione XXIV del!' 11 novembre 1563. Nel secondo dei canoni dedicati alla riforma della Chiesa si affetma: «Se in qualche posto è stato omesso, sia ristabilito l'uso di convocare i sinodi provinciali per regolare i costumi, comporre le controversie e per le questioni conten1plate nei sacri canoni. Perciò i metropoliti stessi[ ... ] non trascurino di riunire il sinodo provinciale ahneno entro un anno dalla fine del presente concilio, e, in seguito, almeno ogni tre anni ( ... ]. I sinodi diocesani si celebreranno ogni anno>> 2 •
L'insieme del canone tuttavia appare cmTispondente Lateranense, anche se nel capitolo
II
meno pressante del del decreto di riforma
*1 Docente di Storia della Chiesa nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.
C'oncilioru111 Oecun1enorun1 Decreta, a cura dell'Istituto per le scienze religiose,
Bologna 1996 (ed. bilingue), 631. 1 Ibid., 761.
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Salvatore Marino
generale, approvato nella sessione (XXV) di chiusura del 3-4 dicembre del 1563, si afferma in modo deciso che quanti sono tenuti a partecipare devono «accettare pubblica1nente nel pri1no concilio provinciale, successivo alla fine dcl presente concilio, tutto ciò che è stato definito e stabilito da questo santo concilio; cli pron1ertere e professare vera obbedienza al som1no pontefice ron1ano; e insie111e di respingere pubblican1ente e colpire con anatc1na tutte le eresie condannate dai sacri canoni e dai concili generali, speciahnente da questo» 3 .
La normativa sembrerebbe rigida, ma proprio il fatto che venga, in vari luoghi e più volte, ripetuta e che si ipotizzi che già sia stata disattesa fa comprendere come nella Chiesa non vi sia stato un vero impegno generale di rifor111a. In relazione alla presente ricerca di ordine quantitativo e di confronto, osservando l'andamento dei sinodi a stampa', balza subito agli occhi come in Italia vi sia stata una diversa risposta nell'ambito ecclesiale dopo il Concilio Lateranense e dopo il Concilio Tridentino. A mio parere, essendo le situazioni storiche di fondo sin1ili, la diversa risposta va spiegata a partire sia da una differente volontà politica di impegno da parte del papato, sia a partire da una n1aggiore presa di coscienza della necessità di riforn1a in seno all'episcopato italiano. lnfatti lo Jedin afferma che nel Concilio Lateranense v ( 1512-1517) «n1ancò quella 111ano forte senza la quale nessun ca1nbia111ento era possibile (iJ?falti) neppure il 1nodcsto contenuto dci decreti lateranensi divenne realtà, perché 111ancava la tenna volontà di tradurli coerentcn1ente in atto e di non farli intaccare da dispense accordate alla leggera» 5.
La riprova della suddetta affermazione è che in Italia, dopo il concilio, s1 celebrano soltanto otto sinodi e tutti a pa1iire dal pontificato di Paolo Il! 3 !bid., 785, si può utilmente consultare li sinodo diocesano nella teologia e nella storia, Quaderni di Synaxis 3, Acireale 1987. ~ La presente ricerca tà riferi1ncnto al testo di S. DA NADRO, Sinodi diocesani italiani, Catalogo bih/iogrqfìco degli atN a stan1pa J534!187N, Città del Vaticano 1960. (L'opera successiva dello stesso autore ID., Sinodi diocesani italiani. Catalogo bib!iogrqfìco degli alfi a sta1npa 187911960 con un 'appendice sui sinodi anteriori al 1534, Milano 1962, non aggiunge
notizie significative per la presente analisi). 5 H. JEDIN, Breve storia dei concili, Ro1na-Brescia 1983, 125.
Sinodi siciliani e italiani nel '500
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(1534-1549) quando si comincia a respirare aria di riforma. I sinodi infatti sono celebrati dal 1535 al 1547, con un massimo di tre sinodi nel 1542. È da notare che la diocesi siciliana di Patti in questa attuazione della rifmma fa la parte del leone in quanto vi si celebrano ben tre sinodi: negli anni 1536, 1537, 15426 . Questa particolarità siciliana emerge ulteriormente se si considera che il periodo di tempo che va dal 1553 al 1562, il periodo cioè legato alla ripresa e conclusione del Concilio di Trento, vede la celebrazione di altri otto sinodi, di cui la metà, quattro, in Sicilia: Siracusa (1553), Monreale (1554), Palenno (1555, 1560). In ogni caso mi sembra importante fare notare che in questa prima metà del secolo su sedici sinodi, quasi la metà, ben sette, sono stati celebrati in Sicilia. La risposta dei vescovi italiani ai decreti tridentini però diventa ben diversa dopo la conclusione del concilio, quando la spinta della riforma intrapresa comincia a diventare operativa. Nel periodo che va dalla conclusione del concilio 1563 al 1570 si celebrano in tutta Italia 47 sinodi, l'anno che registra il maggior impegno è il primo 1564 con 13 sinodi celebrati, a partire da questo però tutti gli anni successivi vedono una celebrazione decrescente di sinodi fino al 1570, quando se ne celebrano 3 soltanto. Stranamente però in Sicilia in tutti questi anni si celebrano soltanto due sinodi: Palermo (1564), Patti (1567). Facendo una sintesi di questi anni e1nerge una n1edia di quasi sei sinodi annuali, n1a se si estende la proporzione all'intero decennio, per poi poter fare un confronto con i decenni successivi, si ha una media di 4,7 sinodi annuali. Nel decennio successivo 1571-1580 si celebrano complessivamente 51 sinodi, l'anno con meno sinodi è il 1573, cioè l'anno successivo all'elezione di Gregorio XIII, in questo anno si celebra soltanto il sinodo di Vercelli. Quasi come reazione e forse sulla spinta già del nuovo papa nel 1574 si ha il massimo di sinodi del decennio 10. L'andamento del decennio è allalcnante con una media complessiva di 5, I sinodi annuali. Invece in Sicilia si celebra soltanto un sinodo, quello di Mazara 1575. Nel decennio successivo 1581-1590 la politica papale di riforma ha un buon successo, tanto che si celebrano 76 sinodi, l'anno più intenso è il 1584 con 12 sinodi, il meno prolifico è il 1587 con soli 5 sinodi, la media del 6
In questa ricerca è però da rilevare una notevole dilTercnza quantitativa in relazione ai sinodi siciliani con quanto è affcn11ato da G. SAVAGNONF, Concili e sinodi di Sicilia, Palenno 1910. In questa opera si elencano in Sicilia, per il secolo qui esan1inato, ben 27 sinodi, che però evidcnte1nente non sono tutti a stan1pa. Tuttavia dovendo tàre una co1nparazione generale 1ni è sc1nbrato più corretto partire da un testo, che, pur potendo non essere con1pleto, ha il pregio di avere lo sguardo rivolto a tutta l'Italia.
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Salvatore Marino
decennio risulta essere quindi di 7,6 sinodi annuali. Emerge quindi per tutto il decennio una ceria stabile costanza, infatti anche l'anno con meno sinodi è quasi vicino alla media. Anche in Sicilia in questo decennio si fa il massimo di celebrazione di sinodi diocesani, se ne celebrano infatti ben sei: Cefalù (1584), Mazara (1584), Patti (1584), Palermo (1586), Messina (1588), Agrigento (1589). Nell'ultimo decennio del secolo 1591-1600 si raggiunge in Italia il massimo splendore, si celebrano infatti ben 90 sinodi, l'anno più intenso è il 1594 con 15 sinodi, il meno intenso è il 1598 con 4 sinodi. In un decennio che vede la media più alta, ben 9 sinodi annuali, non si celebra alcun sinodo in Sicilia. Raggruppando i sinodi per gli anni di pontificato dei singoli papi emerge che con Pio IV (1559-65) si celebrano 21 sinodi, con Pio V (1566-72) 30, con Gregorio XIII (1572-85), pur non essendo il pontificato più lungo, si celebrano ben 81 sinodi, con Sisto V (1585-1590) 37, tralascio i successori di questo papa perché siedono per troppo breve tempo sulla cattedra di San Pietro, poi con Clemente Vlll (1592-1605) fino al 1600, si celebrano 80 sinodi che arrivano a 101 al momento del sua morte. Si può qnindi in generale affermare che c'è una crescita progressiva dell'impegno del papato per l'attuazione della riforma tridentina a partire dalla celebrazione dei sinodi. Mi sembra utile rilevare ancora che di questi 280 sinodi celebrati sia prima che dopo il Concilio di Trento ben 34 sono pubblicati in italiano ed uno in spagnolo (quello di Alghero del 1572!) Cercando di considerare la celebrazione dei sinodi a partire dal contesto geografico colpisce subito l'assenza di sinodi celebrati a Roma, di contro ai 18 (con molteplici edizioni) celebrati a Milano. Per le altre città più significative abbiamo il seguente andamento: Venezia 5, Torino 3, Bologna 3, Firenze I, Napoli 2, Palermo 4. Raggruppando le diocesi in modo molto generale e per quanto mi è stato possibile rielaborare, nell'Italia del nord si celebrano lungo il secolo 138 sinodi, nell'Italia centrale 85 (di cui 21 in Toscana e 64 nello Stato della Chiesa), nel regno di Napoli si celebrano 57 sinodi (di cui 16 in Sicilia). Possiamo quindi ricavare le seguenti proporzioni, quasi la metà dei sinodi italiani, i cui atti sono stati pubblicati, si tiene nel nord Italia (49,30%), si sente evidentemente forte l'influsso della diocesi di Milano dove si celebrano, come più sopra sottolineato, ben 18 sinodi (il 13,04% considerando soltanto l'Italia del Nord, invece si ha il 6,42% di tutta l'Italia, più dell'intera Sicilia). Nell'Italia centrale si ha il 30,35% dei sinodi, con
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questa sottodivisione: il 7,50% dei sinodi è celebrato in Toscana e il 22,85% nello Stato della Chiesa. L'Italia meridionale, con il Regno di Napoli, celebra il 20,35% dei sinodi. Se consideriamo in 16 il numero dei sinodi celebrati nel corso del secolo in Sicilia, si ha in proporzione il 28,07% di quelli celebrati nel Regno di Napoli e il 5,71 % in relazione a tutta l'Italia, (se invece consideriamo soltanto quelli da noi studiati, cioè 12, abbiamo rispettivamente il 21,05% e il 4,28%). Mi sembra che da questa breve analisi quantitativa emerga che la rifmma voluta dal Concilio di Trento si sia affermata, pur tra alterne vicende, in modo molto più deciso e significativo che non quella del Lateranense.
Per ciò che riguarda la Sicilia, possiamo notare che, dopo una buona prima metà di secolo, in cui vi si celebra quasi la metà dei sinodi di tutta l'Italia, nella seconda abbiamo una lenta ripresa con il culmine di sei sinodi nel decennio 1581-1590 c con la stranezza di nessun sinodo celebrato nel decennio successivo, che è il decennio d'oro dei sinodi in Italia. Soltanto restringendo la nostra visione all'interno del Regno cli Napoli con il 28,07'Yo (o con il 21,05%) possiamo affermare un ruolo più significativo della Sicilia nella celebrazione dci sinodi nel '500. Agli altri studi della presente ricerca una più accurata analisi del contenuto dei sinodi di Sicilia.
Synaxis XIX/2 (2001) 287-303
L'ORDO DEI SINODI SICILIANI DEL '500
MICHELE MIELE'
L'espressione «Ordo ad synodum)) compare nelle edizioni del Pontificale Romano anteriori a quella classica del 1596 dovuta a Clemente VIII' e fa da cappello a una lunga rubrica in cui venivano regolati i vari momenti che avrebbero dovuto contraddistinguere l'avvenimento più itnpegnativo di una circoscrizione ecclesiastica. L' Ordo suggeriva quindi gli elementi per inquadrare correttamente il sinodo dal punto di vista ritualeliturgico, forniva cioè la traccia che esso doveva seguire nella cattedrale in cui di solito aveva luogo se chi lo presiedeva e i vari partecipanti volevano mantenersi ligi alla tradizione della Chiesa. È difficile pensare che i sinodi siciliani del Cinquecento non si siano attennti al suo dettato, anche se solo qualcuno fra essi, a differenza di quanto è accaduto per qualche analogo raduno della tc1rnferma che lo ha richiamato abbastanza spesso', vi ha fatto un rapido cenno 3• Ma non è questo il problema in discussione. Nei casi di cui intendo qui occuparmi, più che l'Ordo liturgico, interessa la sostanza di quello che la liturgia voleva sottolineare con la sua solennità, sostanza che evidentemente andava al di là dei bei riti, dei discorsi d'occasione più o meno riusciti, delle messe dello Spirito Santo, degli insoliti inviti del cerimoniere o di chi per lui, dei canti che deliziavano i presenti, delle acclamazioni finali che solevano concludere il tutto. Nel sinodo, cui la relativa liturgia alludeva e faceva da cornice, si trattava soprattutto di affrontare con regolamenti appositi i grandi problemi organizzativi e pastorali di una o più diocesi, di farli accogliere da chi di dovere e quindi di impegnare il futuro di una zona pastorale più o meno
* Docente di Storia della Chiesa nella Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (Napoli). 1 Per la storia del Pontificale, che nelle edizioni cui potevano f'ar riferin1cnto i nostri sinodi porla il titolo ufficiale di Pontijìcalis /iber (la pri1na edizione con tale titolo risale al 1520), cfr A. BUGNJNl, Pont(fìcale, in Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano 1952, coli. I 745-1750. 2 Mi riferisco in particolare ag!i Acta del sinodo diocesano di Napoli del 1565, di cui si parlerà più avanti. 3 Per es. in quello di Patti 1537, per il quale cfr i11fi·a, nota 9. Il cenno è al f. 4r.
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vasta. A tutto questo il cerimoniale dei vescovi dedicava necessariamente cenni estremamente sobri, che poi toccava ai singoli responsabili riempire di contenuti concreti. li Pontificale si limitava infatti a parlare di ascolto delle «querelae», di lettura delle eventuali «constitutiones» da approvare, della loro accettazione o meno con il «placet» o il «non placet» da parte dei «padri» sinodali, della chiamata nominale di quanti erano tenuti per diritto o consuetudine ad essere presenti al sinodo ecc. Quali furono, al di là dei momenti liturgici, all'interno e al di fuori di essi, le tappe che, documenti alla mano, i sinodi siciliani riuscirono a percorrere? Che rilievo ebbero in concreto gli aspetti menzionati nel Pontificale ora citati e quelli connessi, senza escludere lo stesso allestimento dei Decreta e il tipo di consenso finale che i convenuti, o almeno i più rappresentativi fra essi, diedero alle decisioni del sinodo? Individuare e mettere sufficientemente in luce un itinerario del genere non è un compito semplice. Anzitutto perché la documentazione che lo riguarda complessivamente è scarsa. Si limita in effetti quasi esclusivamente alle stesse nonne emanate da questi consessi diocesani al più alto livello, nonne per giunta conservate,. ahneno in un caso, in fonna inutila4 • Si sa d'altra parte che raccolte del genere di per sé non comportavano notizie precise sul cammino fatto per giungere alla formulazione dei testi, che, in 1nancanza di altre infonnazioni, potrebbero essere concepite anche co1ne un parto del tutto autonomo dei vari vescovi interessati, e di essi soltanto. È questo, del resto, che sembra affe1mare, almeno a prima vista, uno dei loro autori, Girolamo Beccadelli di Bologna, vescovo di Siracusa, quando, nel presentarsi al sinodo da lui tenuto in questa città nel 1553, afferma d'averne approntato il testo nei ritagli di tempo che gli erano rimasti durante i lavori della fase bolognese del Concilio di Trento: «Has pracsentes synodales constitutiones in ipso te1nporis residuo quod nobis in concilio Tridentino supercrat, fugato ocio, tàciendas duximus easde1nquc pro viri bus co111pilavimus» 5 •
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È questo il caso del sinodo di Catania 1565, il cui testo risulta privo dei pri1ni 80 co1n1ni. Cfì· A. LONGH!TANO, Le costituzioni sinoda/; del vescovo di (~atonia Nicola Afaria Caraccio/o (1565), in Synaxis 12 (1994) 167-215. Di queslo autore occorre tener presente anche La nonnativa sul sinodo diocesano dal Concilio di Trento al codice, in Il sinodo diocesano nella teologia e nella storia. Atti del convegno di studi, Catania 15-16 n1aggio 1986, Acireale 1987, 33-85. 5 Siracusa 1553, carte iniziali non nuineratc. Sulla sua figura e l'attività nelle prin1c due sessioni del Concilio di Trento cfr R. ZAPPERI, Beccade!!i di Bologna Giro/a1110, in
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La Sicilia purtroppo non dispone di verbali a stampa che qualche fortunato sinodo dell'Italia continentale dello stesso secolo ci ha lasciato. Alludo in particolare al sinodo diocesano di Napoli del 1565, tenuto dal giovane cardinale Alfonso Carafa, eccellentemente coadiuvato in veste di vicario generale, propriamente di «locumtenens», dal futuro cardinale Giulio Antonio Santoro. Basta dire che i soli verbali o Acta, pubblicati tre anni dopo dal successore insie1ne ai Decreta emanati nella stessa occasione, occupano ben 103 fitte pagine, e che essi forniscono !ntti i possibili dettagli sugli incontri pubblici tenuti nelle otto sessioni del sinodo, anche i più delicati: dai lavori della commissione teologico-giuridica chiamata di tanto in tanto a dare un parere autorevole sui problemi più spinosi' alla lunga serie delle «querelae» presentate ai padri sinodali, dalla soluzione delle stucchevoli e mai esaurite questioni di precedenza a un problema di non facile soluzione come quello della riduzione delle feste locali, dall'ormai indilazionabile restrizione dei casi riservati al divieto della vendita di dolcetti nei locali delle chiese, dall'accettazione o meno delle denunce anonime alla pretesa dei canonici della cattedrale di conferire i sacramenti in tutta la città senza il previo consenso dei parroci, dai grossi risvolti economici della invocata riforma degli accompagnamenti funebri alla troppo rinviata regolamentazione del monastero regio di S. Chiara, dalle misure pratiche per risolvere il problema della fondazione del seminario diocesano al reintegro di una monaca nel monastero del Gesù che un grnppetto di sue consorelle intendeva a tutti i costi continuare a tenere lontano ecc. Il verbale riporta anche due episodi emblematici: quello riguardante una zona periferica in forte crescita (Calvizzano) che richiese di trasferire la propria chiesa parrocchiale da una contrada all'altra: «postulahant [... ] concedi liccntiam eanden1 ecclesiam una cum 01nnibus lapidibus, lignis et 1nateria a fundamentis usque ad superiora tccta, necnon reddìtibus et pertincntiis transferendi intra vel prope villae habitationes»,
cosa che venne subito acolta perché la domanda fu ritenuta «rationabilis» e rispondeva pienamente alle finalità pastorali perseguite dal Concilio di Trento, e quello concernente un prete, il pairnco di Mugnano di Napoli Pirro Dizionario Biogrqfìco degli Italiani, VII, Ro1na 1970, 415-417; I-1. JEDlN, Storia del Concilio di Trento, tll, trad. it., Brescia 1962-1981, 37, 255, 373, 388, 401, 462, 476, 503. 6
La con1missione contò ventuno 111c1nbri, tra cui diversi esperti provenienti dal laicato. li più eininente fra questi ultin1i fu indubbian1ente Scipione Buccino, in quel 11101nento presidente della Regia Catnera della So1nn1aria.
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Antonio Penetta, anestato dì fronte a tutti in pieno sinodo e tradotto nel carcere arcivescovile per aver falsificato le sue lettere dimissoriali 7 • Non per niente il raduno venne assi1nilato a un vero e proprio concilio provinciale e, anche per la grande libertà di parola che lo caratterizzò e il fatto di aver riguardato pure i laici, rimase nella memoria collettiva per secoli. Anche le Constitutiones o Decreta riinastici dei concili provinciali 1neridionali sono in genere sprovvisti di verbali. Anche in questo caso però si hanno delle felici eccezioni. Alludo, questa volta, al caso del Concilio di Taranto del 1595, la cui docu1nentazione rimase però incdita 8• Ma tutto questo non impedisce allo studioso dei sinodi siciliani del Cinquecento di saperne di più. Basta che egli sfrntti adeguatamente quel poco che gli stessi Decreta offrono. Alludo in particolare a ce11i elementi allegati in genere alla pai1e introduttiva o conclusiva di ciascuna raccolta. Indubbiamente i sinodi cinquecenteschi dell'isola di cui si conservano le decisioni operative sono in forte percentuale - sei su dodici - , anche in questa visuale ristretta della documentazione che li riguarda, decisamente non molto eloquenti sulla propria storia. ll sinodo pretridentino di Patti del 1537, radunato e presieduto da Arnaldo Albertino, un vescovo proveniente dall'isola di Maiorca e quindi legato direttamente a11a corona spagnola, si ìimita ad affermare che la relativa procedura assembleare era consistita essenzialmente nel leggere le costituzioni già belle e pronte e nel chiarirne in certi casi il senso ( «fuerunt lectae constitutiones et, quando opo11ebat aliquas ex illis exponcre, sua Dominati o exponebat, ut ab omnibus perfecte intelligerentur» ), cui si era unito l'ascolto delle «querelae» che alcuni astanti avevano presentato al sinodo. Nessun accenno, di conseguenza, sia all'autore o agli autori della loro compilazione, sia a una qualche approvazione da pai1e dei numerosissimi presenti («praesentibus toto clero civitatis et dioecesis Pactensis, necnon quan1plurin1is laicis utriusque scxus eiusde1n civitatis» ), al dire di un altro testo dello stesso sinodo, o dei più autorevoli fra essi". Nel
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Acta et decreta .SJ;nodi Neapolitanae, Neapoli 1568. !I sinodo durò undici giorni. Ape1io il 4 febbraio 1565, si chiuse infaiti il 14 seguente. Per una visuale d'insieine sui suoi lavori cfr M. MIELE, li prilno sinodo di Napoli dopo il Concilio di Trento, in Januarius 60 (1979) 104-115. 11 M. MIELE, l concili provinciali del A4ezzoKiorno in età 111oderna, Napoli 2001, 237247. 9 Patti 1537, ff. 4r, 45v. [J prin10 sinodo di cui il prelato parla nel !542 ai iT. 2v-3v («in priore synodo») è verisi1niln1ente quello del 1537. Anche la revisione dcl 1542 venne f8-tta probabilinente nel corso di un sinodo. Sulle origini spagnole di Albertino cfr Hierarchia
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sinodo di Monreale del 1554, tenuto in nome e per conto del cardinal Alessandro Farnese, titolare dell'archidiocesi, dal vicario generale Giacomo Antonio Fassari dopo tutta una serie di non specificate ma tenaci difficoltà, non si parla neppure di questa lettura, di questi chiarimenti e di queste «querelae». Questa volta l'impressione che tutto sia calato dall'alto è ancora più netta, soprattutto se si ha cura di leggere le ultime battute del titolo dato alle costituzioni 10 • L'assenza di ogni cenno sulla procedura seguita dal sinodo di Catania del 1565, tenuto dal filovaldesiano Nicola Maria Caracciolo, presente a Trento nella terza fase del concilio", è slata già rilevata da Longhitano: «non disponendo della docu111entazione relativa alla celebrazione del sinodo, non sia1no in grado di conoscere le procedure seguite dal vescovo, il tipo di consultazione stabilita con il clero, il criterio seguito nella fon11ulazionc delle costituzioni sinodali» 12 ,
Quanto alla distinzione del Caracciolo tra «pubblicazione» e «promulgazione», segnalata dallo stesso studioso", non avrei perplessità alcuna. li senso preciso dei due termini si ricava, del resto, dal linguaggio usato da altri sinodi siciliani contemporanei. La «pubblicazione» era la procedura con la quale tramite la lettura si notificava al pubblico presente in aula il testo delle decisioni da far varare dal sinodo come tale", la «promulgazione» alludeva alla confenna, alla ratifica e all'approvazione finale data ai testi dal vescovo, il naturale presiqente dell'assemblea. La «pubblicazione» di cui si parla qui non aveva quindi nulla a che fare con la successiva stampa delle costituzioni affidata all'editore. Catholica, III, a cura di G. van Gulik, C. Eubel e L. Schtnilz-Kallenberg, Monasterii 1923~, 266. 10 Monreale 1554. 11 Sul senso da dare al tern1ine «filovaldesiano» si è già espresso Longhitano nello studio citato nella precedente nota 4. Per la partecipazione a! Concilio di Trento cfì· I-I. JEDIN, Storia, cil., 1v/2, 249, 264, 266, 268. 12 A. LONGJ l!TANO, Le costituzioni sinodali, cit., 181. l.ì Jhid., 179, in nota. Su tale distinzione l'autore fa riferi1nento anche a quanto scrive F. G. SAVAGNONE, Concili e sinodi in Sicilia. Struttura giuridica, storia, Palenno 1910, 6466. 1 ~ I sinodi più chiari su questo preciso significato dell'espressione sono quello di Messina 1588 e quello di Agrigento 1589, che ne parlano nei rispettivi vei·bali annessi con i quali ne riassuinono i lavori. Sui relativi testi cfr il1fi·a, all'altezza delle note 22 e 23, Ma anche il n1lH.lo di csprin1crsi del sinodo di Siracusa 1553 è suflìcienten1cnte chiaro. Cfr infra, all'altezza della nota 24
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Con il sinodo di Patti del 1584, presieduto dal vescovo della diocesi Gilberto ]sfar y Cruyllas, si torna in certo modo al primo sinodo di Patti del 1537. Anche in questo caso infatti, nelle cmic che precedono le vere e proprie Constitutiones e in cui si fa la cronaca dei tre giorni del sinodo, ci si limita a parlare di «lettura», di «promulgazione» e di ascolto delle «querelae» dei presenti, quasi che non ci sia stato altro da patte di questi ultimi. li prelato a sua volta si contenta, nella presentazione iniziale, di far notare che le costituzioni erano costituite da un materiale precedente disperso e di non facile comprensione, cui si era voluto aggiungere del nuovo per la promozione del culto e la rifmma del clero e del popolo 15 • Il sinodo di Cefalù, tenuto lo stesso anno dal palermitano Ottaviano Preconio vescovo della città dal 1578, a sua volta, fa riandare al sinodo di Monreale del 1554. Anche in questo caso infatti il silenzio più totale su ogni tipo di partecipazione dell'assemblea potrebbe, qui pure, dare l'impressione che tutto sia sceso dall'alto'". Il sinodo di Palermo del 1586, tenuto dal rispettivo arcivescovo Cesare Marullo, presenta invece aspetti che solo in parte possono essere allineati con i casi finora esaminati. Nell'Ordo che il prelato vi dedica nel capitolo consacrato alla «Synodo dioecesana» infatti vengono sottolineati in maniera fmte sia la data e il luogo del sinodo annuale (la seconda domenica dopo Pasqua in cattedrale), sia la serie di pratiche preparatorie che dovevano
dare la carica alla diocesi che si apprestava a celebrare tale evento (avviso in ogni parrocchia trenta giorni prima, tre giorni di preghiere, studio del Concilio di Trento specialmente su alcuni punti, digiuno e suono delle campane la vigilia, messa e comunione la 111attina del giorno stesso dell'apertura dell'assemblea sinodale). Ma quanto alla paitecipazione vera e propria ai lavori, ci si limita a menzionare aspetti tutt'altro che vitali (la prassi liturgica, il discorso del vescovo, gli obblighi dei presenti, le acclamazioni finali, il bacio del capo della diocesi). Nessun accenno quindi, a parte le direttive relative alla nomina dei testi sinodali documentate subito dopo, agli altri tipi di coinvolgimento da patie dei presenti, anche se la solenne formula finale del testo («Acta sunt haec ac definita in piena synodo in ecclesia cathedrali in loco consueto quo synodus cogi solet») non esclude alcuna ipotesi 17 . La situazione si presenta alquanto diversa in altri quattro sinodi, nei cui testi la partecipazione e il consenso dei presenti sono supposti esplicitamente, sia pure senza molte spiegazioni o particolari. 15 16
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Patti ! 584, 6-9 delle carte iniziali non numerate. Ceiàlù 1584. Palenno 1586, v pars, cc. 4-5, pp. 153-159.
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Il sinodo di Patti del 1567, presieduto dal suo vescovo Bartolomeo Sebastian, originario di Saragozza e presente anche lui a Trento ove fu molto attivo'", si limita a richiamare il consenso dato dal sinodo sull'unione di alcune piccole parrocchie già operata in passato («quam ordinationem et unionem seu suppressionem praesenti constitutione synodali consensu capituli nostrae matris ecclesiae necnon totius synodi confirmamus ac noviter stabilimus») 19 . Più chiaro è il sinodo di Mazara del 1584, presieduto dal suo vescovo Bernardo Gasco, originario di Toledo. Lo è nell'indirizzo iniziale rivolto dal prelato spagnolo al sinodo («Ideo, fratres in Christo dilecti, ad hoc vos 01nnes per nostra aedicta vocavin1us: ut una nobiscu1n quae ad Dei gloria1n animarumque salutem pertinent provideanturn ). Lo è ancor più nel resoconto finale («Postquam, Dei gratia suffulti, ad desideratum finem huius nostrae synodi pervenimus, et coram omnibus, alta et intelligibili voce, quae decreta fuerant) recitari fecimus, ac on1nes praesentes interrogati, si eis placerent, responderunt unanimiter per verbum placent, nihil aliud superest, nisi ut omnes se subscribant. .. ») 20 . li sinodo di Messina del 1588, tenuto da Antonio Lombardo, un veterano in materia in quanto aveva già avuto a che fare col sinodo convocato a Mazara nel 1575 mentre era vescovo di quella ciltà 21 , è più contenuto nelle espressioni, ma queste sono sufficientemente esplicite. Anzitutto a proposito del sinodo come tale, per l'approvazione del quale il vescovo usa questi termini: «Nos Don Antonius Lon1bardus [... l, requisito prius consilio rcverendissimoru1n vicarii nostri generalis, dignitatun1 capituli, abbatu1n, prionnn, archiprcsbyteroru1n et 01nniu1n concuratonim nostrorum, in hac plena dioecesana synodo, ad Dei gloriam et animarun1 salute1n, quae scquuntur statuin1us atque sancin1us».
In secondo luogo a proposito dell'erezione del seminario diocesano, ripresa dal sinodo:
18 Sulle origini spagnole di Sebastiiln cfr Hierarchia Catho/ica, III, cit., 266; sulla sua paiiecipazionc al Concilio di Trento: H. JEDIN, Storia, cit., 1v/l, 188, 221, 234, 268, 359, 369; JV/2, 155, 193, 222, 249, 267, 282. 19 Patii 1567, De sacrosantìs Ecclesiis, c. 13, § 30. 20 Mazara 1584, [indirizzo iniziale del vescovo], pp. 4~5; VI pars, De protestatione et gratiaru111 actione, c. 2, p. 181. 21 Cfr il?fra, all'altezza della nota 25.
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«pro cuius rei exccutione quampri1num rcgiminis nostri cura1n (Dco t'avente) susccpi1nus, coacto capitulo et clero, de co1n1nuni 01nniu1n consilio et consensu, ut opus hoc sanctum suun1 reipsa sortiretur cffectu1n, ( ut publicato actu constat) toto aniino et pastorali sollicitudine intendimus et eligitnus, 1101ninavi1nus et deputavilnus viros strcnuos et satis idoneos [... ], quos etia1n in praesenti piena synodo dc novo (quatcnus opus est) eligimus, no1nina1nus et deputainus ... )) 22 •
Gli abbondanti testi del sinodo di Agrigento del 1589, tenuto dal suo vescovo Didaco de Avedo o Haèdo, già inquisitore nell'isola, infine, ci riportano alla chiarezza dcl sinodo di Mazara del 1584. L'allusione alla collaborazione tra il vescovo e il sinodo è fatta ripetutamente nel verbale riassuntivo finale, che riporta anzitutto le formule con cui venne richiesto l'assenso del sinodo e quelle con cui questo lo diede: «Vas de111um -- chiede il vescovo - attente ho1ian1ur, ut in horu1n 0111niu111 testi1noniu111 vestris subscriptionibus propria vota confinnantes, nobis, cu1n on1nipotenti Deo Patri et Filio et Spiritui Sancto, qui dedit et vel1e cl haec perficere, gratias reddatis, cui sit laus, horror et se1npitcrna gloria. A111en, an1en, a1ncn. Dydacus, cpiscopus Agrigentinus; confinnationcm dioecesanae synodus per haec verba petiit: Placctne vobis omnibus reverendis do111inis, dioecesanac synodus praesentibus, quod in constitutionibus Iectis et distincte pronunciatis, statutu1n, sancitu1n et ordinatum est, in rei testi111onium 1nanu propria subscribere ac vota confirn1are? Responde1unt unanin1iter placet, et ob id propria 1nanu se subscripscrunt, 01nnia laudando, approbando et confinnando, prout infra COJUlll subscriptionibus patet r... J. Die 28 1naii secundae indictionis 1589 [... ] incepta fuit publicatio praesentis dioecesanae synodus, cuius unaquacque constitutio alta voce lecta, pron1ulgata et enunciata fuil per 1ne Don Augustinu1n Galeonu1n, canonicu111 Agrigentinum, cancellaritnn ad id electun1 et deputatum, et ab 0111nibus intellecta, confinnala et nen1ine discrepante acceptata» 2·1•
Ai quattro sinodi esaminati da ultimo vanno ora uniti quello di Siracusa del 1553 e quello di Mazara del 1575, convocati e diretti rispettivamente dai loro vescovi Girolamo da Bologna e Antonio Lombardo, tutti e due già da noi incontrati. Si tratta dei sinodi che in materia di stretta collaborazione tra il vescovo e l'assemblea la sanno più lunga, fino al punto da far pensare, nel secondo di essi, a una specie di insistenza maniacale sulla 22 23
Messina J 588, [decreto iniziale di approvazione], pp. 3-4; Agrigento !589, v pars, tit. X, pp. 151-155.
IV
pars, c. 15, p. 127.
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cosa. E pensare che il responsabile del primo, Girolamo da Bologna, avendo preparato i suoi testi durante il periodo bolognese del Concilio di Trento, potrebbe di per sé far pensare, come si è rilevato in precedenza, a un sinodo tutto calato dall'alto! A rendere particolannente importanti i testi dei due sinodi è soprattutto il fatto che il «consensus» non è chiesto solo all'assemblea come tale, ma anche ad ogni singolo componente di essa. Ecco, in concreto, come ci si espri1ne nel resoconto inserito alla fine delle Constitutiones siracusane del 1553: «Congrcgatis et coadunatis si1nul ad synodun1 et in synodo [... ] don1ino I-lieronymo Bononio [... ] episcopo Syracusano, necnon [... j canonicis et capitulo [ ... ] aliisque vicevicariis, rectoribus, curatis et caeteris 01nnibus qui praetàtae synodo interesse consueverunt civitatis et dioecesis Syracusanae, in eaden1 ecclesia cathedrali, ut 1noris est fieri sitnili die [... 1, reverendissin1us do111inus episcopus [... ] suprascriptas synodales constitutiones edidit, editasque solcn1niter publicavit scu publicari fecit per inagnificu1n [... ] Leonardutn Cypriun1, unun1 ex canonicis cathedralis ecclesiae 1nen1oratae, per trcs continuatos dies. Quibus lectis et publicatis fuit per eundc1n facta requisitio an constitutiones iam lectae et publicatae eis placercnt. Qui 0111ncs incontinenti, sigillati111 interrogati per 1ne infrascriptun1 Nicoiaun1 de Spetiis, episcopale1n cancellariu1n et secretariun1, responderunt per vcrbu111 placet, eis placerc».
Seguono le firn1e 2'1• Il sinodo di Mazara del 1575 affronta il problema del lavoro sinodale come tale più di una volta. Anzitutto nell'indirizzo iniziale rivolto dal vescovo all'assemblea. Ogni tipo di sinodo (l'ecumenico, il provinciale e il diocesano) afferma il presule è «praecipuum refonnationis re1nediu1n». «ln sacris nan1que congregationibus viri religiosi ratiocinando investigare conantur quae collapsa indigent reparatione, quidve in tnoribus appetendis fugiendisque latitet, ut retOrn1andi et bene vivendi tnodus ipsis ratiocinandi regulis certa connexione trahcretur, te1nperatissin1as leges invenientcs quac ho1nincs ad catholicae fidei conservationem astringercnt eoru111que i1nn1odcratos i1npetus cohibercnt, ut hu111anae societatis conciliatio, tuta pacis tranquillitate, sub custodia iustitiac, laetaretur et sun11110 bono ad quod nascitur post ingressu1n universae carnis potiretur». Perciò, «exp\eta pri1na 24
Siracusa 1553, tit. xxx, c. 5, ff. 140r-14 l r.
296
Michele Miele visitatione totius dioecesis, et singulis civitatibus, ten·is et locis tàcta diligenti inquisitione et a primatibus habita plena infonnationc honun guae indigent reforn1atione, post notificatas dignitates et capitulu1n nostrae cathedralis,
abbates [... ] archipresbyteros, parochos curatos, cappellanos et alios qui de iure vel consuetudine ad synodum venire tenentur [... ] convocaviinus et in hunc locu1n convenimus, quorum consilio, assensu et deliberatione pro
refonnandis mori bus [... ] decreta constituemus [... ]. Ad tollendam [... ] confusionein et capitulorum multiplicatione1n, abolitis tot dioecesis capitulis et ordinationibus [... ]ex necessitate, ex sacris canonibus, concilio Tridentino et praedecesso1u1n nostrorum constitutionibus et decretis, praesenti synodo, n1atura deliberatione, necessaria excerpendo, quac sequuntur decreta edi [ ... ] et [... ] publicari curabi1nus. Quae etia1n praevia 0111niun1 discussione et inatura deliberatione statue111us, ab 0111nibus cuiuscu111que status [ ... ] observari horla111ur ... >1 25 .
li discorso sulla cooperazione tra i partecipanti al sinodo e il loro presidente è ripreso più volte nel testo delle Constitutiones vere e proprie: «Nos Antonius Lombardus [... ] episcopus Mazariensis, cun1 deliberationc, consilio et assensu reverendoru111 vicarii generalis, dignitatu1n capituli, prioris, archipresbyteron1n1 et omniun1 concuratorum nostroru111, 1n dioecesana piena synodo Mazariensi [... ] statui1nus et decernimus» 26 . «Cutn rationi non congruat, ut iis qui absentes sunt absque eo qui convoccntur, du111 quid universale concludendu111 proponitur, praeiudicium paret, quia dioecesis non est ni1nium an1pla et 0111nes co1111node in breve spatiu1n posse venire videmus, statuimus et tnanda111us per capituhnn ecclesiae nostrae cathedralis, cum aliquod ncgotiun1 tangens universonun interesse dioecesis nostrae tractare deliberat, singulos archiprcsbyteros et curatos, pariter et cleros dioecesis, convocare non pigeat. .. »27 •
E a proposito del sinodo da tenere annualmente l'ultima domenica di aprile: «oportuna re111edia his quae de novo e111ergunt et nova indigent reparatione cu111 concilio fratrun1 et concuratonun nostrorun1, plena synodo saepius
25 Mazara 1575, carte iniziali non nun1erate. lbid., I pars, f. I r. 27 !hid., III pars, c. 38, f. 99r. 26
L'Orda dei sinodi studentes
f... ]
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sacri concilii Tridentini decreta sine diminutione observare
proponim us» 28 •
Gli stessi concetti sono ripetuti più volte nella sintesi notarile posta in calce alle constitutiones: «Sub spe divini favoris opus incaeptum [... ] ad exitum peroptatum [... ] perduximus nostras constitutiones synodales edendo et sigillatùn recitari alta voce legi et publicari faciendo. Et quia singulariter interrogati si placerent, per verbu1n placent, eis placere prompte et unanimiter responderunt, reliquu1n est ut, postquan1 01nnes qui presentes fue1unt se subscripserint, Deo gratias agan1us ... ». «Quae statuenda, reformanda et restauranda, consulta deliberatione et voto unanilni diffinierunt, in constitutioncs et decreta, secundun1 subiecta1n inateriam et dioecesis necessitaten1 praescripserunt easque praescriptas, conclusas et post discussionern definitas, dictus illustris et reverendissi111us do111inus [... ],ne earu111 executio retardetur, exhibi ostendi, alta voce perlegi et sollen1niter publicari ac prornulgari 1nandavit. Quas quide1n per dies quatuor continuos, a prin1a constitutione usque ad ulti1na111, post earu1n tractatum et conclusioncn1. Ego Gas par Paganellus secretarius (. .. ] alta voce perlegi et publicavi, eisque lectis et sigillatiln protnulgatis in dieta ecclesia cathedrali, dictus [... ] dorninus omnes et singulos praefatos requisivit et inte1rogavit si esset quid addendutn, minucndum, itnn1utandum vel detrahendu1n, et si eis dictae constitutiones placcrent; qui alta voce nen1ine discrepante eis placere protulen1nt placent respondendo; unde per dictu1n [... ] do1ninu1n fùit mandatum quod 01nnes et singuli qui praesenti synodo interfucrunt se subscriberent prout se subscripserunt. .. »29 •
L'analisi dei Decreta dei dodici sinodi siciliani del Cinquecento m base alla chiarezza crescente dei loro testi sul modo di intendere la sinodalità, sul percorso concreto cioè fatto insieme da tutta una serie di chiese locali sotto la guida dei rispettivi vescovi in un momento particolarissimo della loro storia, è sufficiente a circoscrivere con precisione l'idea che se ne facevano i contemporanei? Probabilmente no. I testi riferiti a proposito dell'ultimo sinodo esaminato, quello di Mazara del 1575, ci indicano qual è l'anello mancante: la visita pastorale. Spesso e volentieri infatti la visita pastorale venne considerata come la premessa indispensabile,
'
8
29
lbid., c. 41, f. lOOv-IOlr. lbid., IV pars, c. 31, Actus conc/usionis, ff. 124v~l27r.
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il passaggio obbligato, il primo coinvolgimento della diocesi, sul quale poi doveva innestarsi quel coinvolgimento finale e decisivo che era il sinodo. Era nel corso della visita pastorale che si faceva in maniera efficace la prima consultazione del clero e degli stessi laici, come tiene a farci sapere, come si è visto, Antonio Lombardo per Mazara («singulis civitatibus, teJTis et locis facta diligenti inquisitione et a primatibus habita piena informatione hornm quae indigeni reformatione» ). Ma dire questo vuol dire anche far saltare in parte la scala stabilita in precedenza. Diversi sinodi inclusi nel novero di quelli a scarso o a medio rilievo "sinodale" infatti hanno avuto una o più visite alle spalle, come tengono a far sapere i rispettivi vescovi. Alludo al sinodo di Patti del 1537 («post visitationem totius episcopatus a dominatione sua completam»)][', a quello di Patti del 1567 («quamplures tamen ordinationes tam visitando dioecesim nostram quam alias [... ] fecimus. Nunc vero [... ], synodo congregata, constitutiones quas in visitationibus et alias fecimus [... ] a sancta synodo approbatas publicare ac typis excudendas mandavimus») 31 , a quello di Mazara del 1584 («Sancte ab Ecclesia ordinatum est [... ] ut singulis annis tota dioecesis visitetur, quod hucusque adimplevimus ... ») 32 e a quello di Patti del 1584 («lncipiunt constitutiones editae in synodo episcopali [ ... ], post totius episcopatus visitationem a reverendissi1na don1inatione sua expletan1» )33 • Nulla dunque impedisce di vedere nella santa visita, per alcuni vescovi almeno, il primo momento forte, sia pure informale, del sinodo da essi tenuto successivamente, tanto più che più di una volta gli editti emanati in tale visita vengono ripresi e resi più vincolanti nella successiva assemblea sinodale. Questa li fa suoi conferendo loro un consenso generale che prima non avevano. Nei sinodi siciliani che stian10 esan1inando l'abbinamento si verifica chiaramente almeno in due casi: nel sinodo di Mazara del 1575, di cui si è già parlato, e in quello di Patti del 1567. Il sinodo di Patti del 1567 non si limita a far appello alle ricche esperienze acquisite nelle sante visite che l'hanno preceduto, ma riprende i decreti en1anati in ahneno una di esse e li corrobora di nuova forza vincolante. Mi riferisco in paiiicolare alla sistemazione data al capitolo 30
Patti 153 7, f. 4r. Patti 1567, cmic iniziali non nu1neratc. 32 Mazara 1584, !I pars, De visitatione, c. 1, p. 60. Nell'indirizzo di saluto rivolto al sinodo aveva precisato che gli «Obsequia» del re gli avevano in1pedito due volte di tenere il 31
sinodo, 1na nel frattcn1po era riuscito a tenere tre visite che erano riuscite più utili per il suo gregge: <(Cu1n ex tribus totius nostrae dioeccsis visitationibus per nos factis inulto n1aiora et utiliora (expericntia n1agistra) percipcre potui1nus» (ibid., p. 4). 33 Patti ! 584, ca1ie ini1.iali non nu1nerate.
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cattedrale, costituito ab immemorabili da monaci benedettini che avevano ormai assunto le abitudini comuni ai canonici secolari 111a non al punto da dismettere il proprio legame con l'Ordine, di cui conservavano l'abito, i voti e la liturgia. La riforma varata dal sinodo consiste sostanzialmente nell'accogliere quanto stabilito dal vescovo nelle precedenti visite in materia di professione, di noviziato e di abito, tutti aspetti che fin allora avevano lasciato a desiderare, insieme a un tipo di vita privata su cui il presule aveva posato il suo occhio critico solo in un secondo momento, cosa che però Roma aveva preferito avallare con un'apposita bolla". L'utilizzazione delle sante visite in strettissima connessione col sinodo non sembra rientrare fra le eccezioni nella prassi del Cinquecento. A fare altrettanto nelle diocesi del Sud continentale erano state le diocesi di Napoli, Salerno e San!' Agata dei Goti, per riferirmi ai casi da me studiati direttamente: la prima nell'impmiantc sinodo diocesano del 1565, di cui si è già ampiamente parlato, la seconda nei due successivi sinodi del 1585 e del 1587, la terza nei tre sinodi diocesani e nei due concili provinciali che il rispettivo arcivescovo, lo spagnolo Gaspare Cervantes, tenne a tamburo battente negli anni l 565-1567 35 • Per il sinodo napoletano del 1565 basterà riprendere quanto ha scritto Romeo De Maio: «Il sinodo del febbraio 1565 si pone nel mezzo della visita come verifica e discussione della inchiesta personale dell'arcivescovo sullo stato della diocesi e come organica soluzione dei problemi prospettati»". Sui sinodi salernitani di Cervantes rinvio a quanto ho scritto altrove37 . Fermiamoci invece un 111omento sul caso di Sant' Agata dei Goti, diocesi governata dal 1583 al 1588 dal domenicano valtellinese Feliciano Ninguarda·'". Si tratta di un grosso personaggio della Riforma Cattolica del Cinquecento, all'interno della quale qualche storico non ha esitato, grazie alle sue visite pastorali, a collocarlo al fianco di S. Carlo Bo!1"omeo 39 • A dargli tutto questo rilievo furono soprattutto i suoi grossi impegni in terra 34
35
Patti 1567, De sacrosantis Ecc/esiis, cc. 1~I O, §§ 10-22.
Per qucst'ulti1110 caso cfr M. MIELE, I sinodi diocesani post-tridentini dell'arcivescovo spagnolo di Salerno Ga~pare Cervantes (1564-1568), in Parola e spirito. Studi in onore di Settilnio Cipriani, 11, Brescia 1982, 1107-1153. 36 R. DE :rv1AJO, Al/Onso Carajà cardinale di 1'lapoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961, 163. 37 Cfr supra, nota 35. J.'i M. MIELE, Le iniziative pastorali di Feliciano Ninguarda nella diocesi di Sant'Agata dei Goti (1583-1588), in Feliciano Ninguarda rffonnatore cattolico, a cura di (J. Perrotti - S. Xeres, Sondrio 1999, 109-160. 39 Cfr C. DONATI, Vescovi e diocesi d'Italia dall'età tridentina alla caduta dell'antico regiine, in Clero e società nell'Italia 111oder11a, a cura di M. ROSA, Roma-Bari 1992, 346.
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tedesca, ma anche ciò che egli fece in seguito a Sant' Agata dei Goti e a Como, due diocesi che gli furono assegnate successivamente dopo aver constatato che i suoi problemi di salute non gli consentivano più di portare avanti gli impegni massacranti per salvaguardare, in qualità di semplice rappresentante papale prima (si pensi a ciò che fece per la celebrazione e l'applicazione dei due concili di Salisburgo, di cui fu l'anima) e di nunzio poi, la fede cattolica nei territori gennanici non ancora egemonizzati dal protestantesimo. I due sinodi menzionati in precedenza'° furono tenuti all'interno di una serie di sante visite, fatte da lui direttamente o dai suoi collaboratori, visite che praticamente non cessarono mai negli anni in cui Ninguarda fu a San!' Agata dei Goti, come testimoniano i ricchi verbali ancora inediti conservati nel relativo archivio diocesano. li collegamento tra il primo ciclo di visite pastorali e il sinodo del
1585 traspare in tutta evidenza nel testo che di questo venne edito nel 1588. Ninguarda, per oltre la metà dei suoi decreti qui stampati, non fa che riprendere quanto volta per volta aveva n1esso su carta con vari editti nei
suoi giri pastorali fatti fino a quel giorno in diocesi. La strategia da lui seguita aveva uno scopo preciso: i partecipanti al sinodo, dichiarando che i decreti erano di loro gradimento e andavano eseguiti, si assumevano un
impegno che fino a quei giorno era mancato. E questo anche se Ninguarda, in più di un caso, si era premurato di far precedere i singoli editti emessi anteriormente al sinodo dall'assicurazione che i destinatari avevano già prestato preventivamente il loro consenso sulla cosa. Né quest'ultimo può essere messo in dubbio dal fatto che non conosciamo meglio, come spesso nel Cinquecento, il meccanismo partecipativo interno al sinodo stesso per ottenerlo. Ovviamente il sinodo dell'85 aggiunse anche altre costituzioni a quelle allestite in precedenza con questa tecnica. Il sinodo dell'87 seguì la scia di quello tenuto due anni prima. Anche in questo caso quindi una buona parte dei decreti venne prelevata tal quale dallo stock degli editti emanati nel corso del secondo ciclo di visite pastorali. Le sante visite, anche questa volta, divenivano la prima grande tappa per far sì che poi il clero accettasse collegialmente e solennemente certe cose, per raggiungere cioè il successo dato dall'autorevolissimo consenso del sinodo41 . 4
°
Constituliones et statuta pro civitate et dioecesi Sanctae Agathae Gotonon, provinciae Beneventanae, decreta et pub/icata in duabus ,<;ynodis dioecesanis Argenti anno Do1nini AfDLXXXV de n1ense octobri et in praedicta civita!e cathedrali in su11111u1 ecclesia anno Do111ini l•JDLXXXVJJ de 111ense aprili celehratis suh reverenl/;ssilno don1ino Feliciano eiusde1n Ecclesiae episcopo, Romae 1588. 41 M. MIELE, Le iniziative pasforali, cit., 126-154.
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Possiamo ora tornare ai nostri sinodi di Sicilia, sui quali è opportuno, a questo punto, tentare una sintesi alla luce di quanto si è cercato di dire finora. Il cammino fatto in comune, l'ardo da essi seguito, comprese con ogni probabilità tutta una serie di lavori preparatori e di riunioni ad hoc, suscitò dei contrasti fra le forze in campo, mise in atto delle procedure nella fonnulazione dei decreti, provocò discussioni più o meno impegnate, fece approdare a modalità diverse per coagulare il consenso finale dell'assemblea. Molti di questi passaggi non sono sufficientemente attestati dalla documentazione riportata in precedenza, altri sembrano più o meno sottaciuti. Siamo per esempio quasi del tutto all'oscuro su quanto riguarda i momenti di partenza, il modo in cui si anivò alla fonnulazione dei decreti, le possibili riunioni di commissioni collaterali, le discussioni in aula e i loro effetti. I verbali a sé stanti del sinodo diocesano di Napoli del 1565 non hanno segreti, si può dire, su tali questioni. Quelli ridotti e annessi ai decreti dei sinodi siculi invece non danno risposte chiare, per lo più neppure sulla questione vitale del modo come si arrivò al consenso finale chiaramente verbalizzato dal segretario. Il sinodo di Siracusa del 1553 e quello di Mazara del 1575 sono unici, come si è visto, e solo nel secondo di questi due casi c'è una inequivocabile e ripetuta allusione alla discussione che preparò la richiesta del consenso finale («In sacris namque congregationibus viri religiosi ratiocinando investigare conantur [... ]. Quae etiam praevia omnium discussione [... ] statuemus [... ] observari hortamur [.. .]. Quae statucnda [... ] in constitutiones [... ] post discussionem definitas ... »), richiesta di consenso che non escludeva una ulteriore discussione («requisivi! et interrogavi! si esset quid addendum, minuendum, immutandum ve! detrahendum» ). li che non vuol dire che, anche per quest'ultimo, non ci siano lati oscuri su cui vorremmo saperne di più. Per esempio sulla partecipazione dei laici, che a Napoli forano ampiamente coinvolti. Gli atti preparatori e il consenso, in particolare, vanno però illustrati anche con quello che si è detto nelle ultime battute: nella visuale di alcuni pastori del Cinquecento, in Sicilia e fuori, il sinodo veniva strettamente congiunto alle visite pastorali. Era nelle visite pastorali che si cominciavano a conoscere i veri bisogni del gregge e contemporaneamente ci si dava da fare per creare nei soggetti interessati quel consenso che poi veniva intelligentemente utilizzato nella fase finale del sinodo. Poteva trattarsi, ovvian1ente, di un consenso più o n1eno convinto, ma il dibattito, la discussione di cui tener conto, non era solo quella imbastita in sede strettamente sinodale. Prima di giungere a questa, più di un vescovo aveva già fatto tutto un prezioso lavoro di convincimento e di persuasione accostando con garbo i canonici, gli arcipreti e i parroci nel corso delle sante visite. Il consenso espresso nel sinodo era solo un reimpegno, una specie di
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giuramento solenne di tutta la diocesi, non l'unica assicurazione fornita al suo capo ex abrupto in quel momento. A questo va aggiunto, inutile dirlo, che sarebbe enato cercare nei sinodi di questi secoli la sensibilità tutta particolare del nostro tempo per la democrazia, da confrontare con quella altrettanto particolare della prima età moderna (l'età dell'assolutismo) nei riguardi dei vari gradini che fmmavano la scala sociale del tempo, senza dire che, allora come oggi, l'unico vero legislatore del sinodo era il vescovo e che il sinodo diocesano restava sempre soprattutto un incontro del clero, non di tutti i credenti. Il vescovo legislatore, d'altra parte, non può essere assimilato al maggiore responsabile o presidente del concilio provinciale, in cui a legiferare in senso pieno erano anche tutti quei colleghi della metropolìa sui quali gravava la responsabilità di una diocesi. Ci resta da dare uno sguardo all'orda che i dodici sinodi diocesani tenuti sul!' isola nel Cinquecento e provvisti di Decreta hanno dato a queste decisioni a carattere definitivo, quelle uscite dai rispettivi incontri. È possibile anzitutto rinvenire nei relativi testi una linea co1nune, ahneno su certi aspetti caratteristici? In che modo hanno distribuito le loro prese di posizione su questo o quel punto traducendole in leggi diocesane per i rispettivi territori? Una risposta è possibile, ma purché non si scenda troppo nei dettagli. Una semplice rassegna dei temi tt·attati fa capire che al primo posto è messa quasi sempre la fede, comunque poi questo tema venga svolto, suddiviso o integrato. Un altro tema attorno al quale facilmente si concentra l'impegno unitario è quello dei sacramenti. In pratica tutti i sinodi non hanno difficoltà a occuparsi unitariamente dei sette sacramenti, ai quali talora aggiungono un'appendice sui sacramentali. Un altro tema ancora che induce i padri sinodali a non disperdersi è quello dei regolari. Non sempre però i sinodi hanno interesse a trattarlo. Per il resto è difficile trovare un filo che dia una spiegazione razionale al modo come sono state distribuite certe prescrizioni. La confluenza su alcuni temi sembra dettata talora dalla ripartizione per sommi capi che ne è fatta, ripartizione indicata più di una volta con titolo a parte in testa alle singole ripartizioni. Ma si tratta di titoli che ingannano perché poi il corpo di ogni parte contiene per lo più anche altro. " Il fatto è che i sinodi, nella Sicilia del Cinquecento come altrove allora e in seguito, ham10 difficoltà a razionalizzare tutto. Va detto d'altt·a parte che è bene non dare alla cosa troppa importanza. Nello studio dei concili provinciali" ho notato la stessa difficoltà, anche se spesso la confluenza è 4
~ M. MIELE, I concili provinciali, cit.,passfJn.
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staia trovata e ci si è incanalati in un filone più o meno tradizionale con molti elementi comuni. Quando però, tra la fine del Seicento e il primo Settecento, arriva il turno dei concili dell'Orsini, che si distinguono per la loro brevità e incisività, Oh'lli ordinamento tradizionale salta. Neanche il tema della fede è conservato al primo posto. Se le cose stanno così, è probabile che il loro principale responsabile, più che non accorgersi di aver imboccato strade diverse dal passato, aveva visto in esse solo delle camicie di forza. Di conseguenza ne aveva fatto volentieri a 1neno. E senza che la sostanza del messaggio che voleva con1unicare agli interessati venisse a n1ancare. Per non dire il contrario. L'apparente disordine non ha se1npre, necessarian1ente, valenza negativa. Come si fa, per esempio, a giudicare negativamente la perspicua ricchezza delle costituzioni del sinodo messinese del 1588, che, a giudicare solo dall'ordine in base al quale ce1ii commi sono stati inseriti nell'insieme, potrebbero essere ritenute prive di logica'>
Synaxis XTX/2 (2001) 305-333
SINODI SICILIANI DEL '500 E RIFORMA TRIDENTINA
NUNZIO CAPIZZI*
Introduzione Il presente studio ha lo scopo di fornire una lettura analitica delle costituzioni di alcuni sinodi siciliani del '500, contemporanei o successivi alla celebrazione del Concilio di Trento (13 dicembre 1545 - 4 dicembre 1563), con i suoi periodi di crisi e di interruzioni (1547-1562). Ciò appare necessario, al fine di prendere atto dell'applicazione della riforma tridentina' nelle Chiese di Sicilia, attraverso le assemblee sinodali diocesane. Per tale lettura, ci si lascerà guidare dalle citazioni letterali dei testi tridentini, nonché dai riferimenti espliciti a questi, nelle costituzioni sinodali delle vane diocesi. Pio IV, il 26 gennaio 1564, con la bolla Benedictus Deus, diede confenna e rese esecutivi tutti i decreti del Concilio di Trento. Tuttavia, considerato il legarne tra Chiesa e Stato in tutti i paesi della cristianità, l'applicazione delle decisioni del concilio necessitava di una previa ratifica da parte dei competenti organi istituzionali dello Stato. Per i territori di dominio spagnolo, di cui faceva parte la Sicilia, Filippo II accettò il concilio il 17 luglio 1564, precisando, tuttavia, che non venissero attuati i decreti contrari ai diritti regali'. Come si vedrà in seguito, però, in Sicilia, già nel
* Docente di Teologia dogn1atica nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.
1
Per le questioni connesse a questo concetto, con1e anche a quello di controrifonna, rinvio ai seguenti studi di sintesi: G. ALBERIGO - P. CAMAlANI, R(fonna cattolica e controrifonna, in Sacra111entu1n nn111di, VII, a cura di K. Rahner, trad. it., Brescia 1977, coll. 38-67: 38-40; P. COLLINSON, Refònnation, in The Oxford Con1panion to Christian Thought, a cura di A. Hastings- al., Oxford 2000, 601-602; K. (iANZER, Katho/;sche Re.fonn, in Lexikon fiir theologie und Kirche v, a cura di W. Kasper - al., Freiburg-Basel-Ro1n-Wien 1996, coH. 1358-1360; G. MARON, Katholische RejOnn und Gegenrefonnation, in Theologische Realenzyklopddie, XV!ll, a cura di G. Miiller, Berlin-Ncw York 1989, 45-67; A.D. WRIGHT, Counter-Re.fonnation, in The OxJOrd C'on1panion to Christian Thought, 140-141. 2 Cfr M. VENARD, il Lateranense V e il Tridentino, in Storia dei concili ectanenici, a cura di G. Alberigo, Brescia 1993 2 , 321-368: 357.
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Nunzio Capizzi
I 553, il sinodo della diocesi di Siracusa aveva permesso l'entrata in vigore di alcuni aspetti della rifonna tridentina. Lo scopo principale del Concilio di Trento, continuamente ripreso e sottolineato, era quello di difendere e precisare la dottrina cattolica nei confronti dei rifo11natori. Si pensi, ad esempio, tra i tanti decreti e1nanati, a quelli sulla lettura e la predicazione della Scrittura, sulla giustificazione e sui sacramenti. Contemporaneamente, il secondo scopo del concilio consisteva in un'opera disciplinare e riformatrice nella Chiesa. In questo senso, si devono considerare, fra l'altro, l'orientamento di tutta l'istituzione ecclesiastica nella prospettiva della salvezza delle anime o la fissazione delle condizioni di validità del matrimonio, con il decreto Tametsi'. Come si noterà nella successiva lettura delle costituzioni sinodali, per l'applicazione del Tridentino, i decreti disciplinari sono più considerati di quelli dogmatici. Pertanto, tenendo presente soprattutto l'ambito dell'opera disciplinare e riformatrice, l'interrogativo preciso che accompagna la lettura delle costituzioni riguarda i punti essenziali dell'applicazione della riforma tridentina nelle Chiese di Sicilia. Per rispondere alla domanda posta, i sinodi diocesani che dovrebbero essere presi in csan1e, in base al criterio cronologico sopra stabilito, sono con1plcssiva1ncnte undici. Di questi, due - Siracusa ( ì 553) e Monreale (1554) - sono stati celebrati durante il periodo di sospensione del concilio, n1entrc gli altri sono stati tenuti nei decenni successivi alla conclusione del Tridentino. In particolare, due nel primo decennio: Catania ( 1565) e Patti (1567); sette nel secondo e nel terzo decennio: Mazara (1575), Patti (1584), Mazara (1584), Cefalù ( 1584), Palermo (I 586), Messina ( 1588), Agrigento (1589)'. L'impossibilità di esaminare nel presente scritto tutti i testi sinodali citati impone l'esigenza di delimitare l'ambito dello studio soltanto a quattro costituzioni. Per quanto riguarda i sinodi conte111poranei alla celebrazione del Concilio di Trento, sarà considerato soltanto quello della Chiesa di Siracusa e non quello della Chiesa di Monreale. Il motivo dell'esclusione di quest'ultimo è dovuto alla mancata esplicita menzione del Tridentino, tanto 1
Cfr K. ScHATZ, Storia dei concili. La (~hiesa nei suoi punti.fòca/i, trad. it., Bologna 1999, 166-199; M. V.ENARD, !/Lateranense ve il Tridentino, cit., 346-353. Per ulteriori indicazioni bibliografiche sul Concilio di Trento, rinvio a! recente elenco bibliografico, curato da A. Zani, in I concili ecu111enici, a cura di P.-T. Cmnelot - al., traci. it., Brescia 2001, 456459. 4 Cfr A. LONGHITANO, A1argina/ità della religione popolare nei sinodi siciliani del 500, in Synaxis 16 (1998) 371-402: 372-374. 0
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nei suoi titoli e nei suoi capitoli, quanto nelle note in margine ai singoli fogli. Saranno, altresì, considerate le costituzioni di due sinodi del primo decennio successivo al Tridentino: Catania e Patti (1567). Infine, saranno prese in esame le costituzioni di Mazara del 1575, primo sinodo del secondo punti essenziali decennio. Una sintesi conclusiva farà risaltare dell'applicazione delle riforme tridentine.
I. Il sinodo della diocesi di Siracusa (1553)
Nella diocesi di Siracusa, il sinodo è stato celebrato, dal vescovo Girolamo Bologna, 1'8 settembre 1553. Due anni dopo sono state promulgate le costituzioni sinodali. In queste, troviamo subito un esplicito richiamo al Tridentino nelle parole mediante cui esse vengono introdotte dal Bologna: il vescovo, senza dire nulla di preciso dal punto di vista cronologico, ma lasciando intendere chiara1nente di essere stato presente alle sessioni conciliari, affenna di aver pensato alla preparazione delle costituzioni, già nel tempo che a lui rimaneva durante il concilio'. Proseguendo, poi, nella lettura dei testi, troviamo delle citazioni letterali dei decreti del Tridentino in quattro titoli delle costituzioni: De curatis ecc/esiarum (VIII), De Praedicatione Verbi (X), De quaestoribus (XXV) e De variis poenis et earum applica/ione (XXIX). La lettura analitica dei titoli indicati, dal punto di vista delle citazioni del Tridentino, in essi contenute, farà emergere alcuni punti nodali di carattere pastorale, riguardo ai quali il Bologna ha voluto applicare quanto stabilito dai decreti del concilio.
5 Cfr Siracusa !553,fògli introduttivi: «Has praesentes synodalcs constituliones, ipso te1nporis residuo, quod nobis in concilio Tridentino supererai (fugato ocio) faciendas duxin1us, easden1que pro viribus co1npilavin1us». Per infonnazioni sulla partecipazione del Bologna al concilio, fino all'anno precedente il sinodo siracusano, è utile consultare la No1nina praesenti111n delle singole sessioni del Tridentino, otìèrta dal Mansi, per ognuna delle priine sedici, eccettuate la Xl, Xl I e XVI. Risulta che il Bologna (a) è stato presente a tutle le sessioni del concilio, dalla 1 ( ! 3 dice1nbre 1545) alla IX (21 aprile 1547) e dalla XIII (11 ottobre 1551) alla xv (25 gennaio 1552), (b) non è stato presente alla X (2 giugno 1547): cfr J. D. MANSI, Sacroru111 Concilioru111 nova et an1plissiina col/ectio, 33 (ristan1pa anastatica), Graz 1961, coli. 9, l 6, 19, 21, 26, 47, 50, 63, 64, 90, Hl7, 11 l (= Mansi). Per la partecipazione alle sessioni X!(\ 1naggio 1551 ), Xli (1 sette1nbre 1551) e XVI (28 aprile 1552), il Mansi - co1ne ho già detto - non dà alcuna indicazione.
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a) La prima citazione, nel titolo VIII, riguarda i curati delle chiese e i loro doveri. Essa si colloca nel contesto della descrizione del compito, domenicale, della spiegazione del vangelo, dell'annuncio delle feste dei santi e dei digiuni, da celebrare o da osservare nel corso della settimana. Al termine dell'esortazione alla predicazione, rivolta ai rettori delle chiese, sulla base della disposizione del Concilio di Trento, nelle costituzioni viene integralmente ripmiata una parte del secondo decreto della sessione V, Super /ectione et praedicatione6 • Si tratta del testo, nel quale viene richiamato agli arcipreti, ai pievani e a quanti si trovano in cura d'anime, nelle parrocchie o altrove, il dovere della predicazione, da assolvere personalmente o per mezzo di persone idonee. Tra l'altro, viene detto che chi si dovesse sottrarre a tale dovere può essere ammonito dal vescovo e incorrere, se del caso, nelle censure ecclesiastiche, qualora, dopo tre 1nesi dall'a1n1nonizione, non avesse 111ostrato segni di ravvedin1ento 7 •
b) Ancora alla predicazione - e nel titolo X esplicitamente dedicato a questo tema - sono connesse altre tre citazioni letterali dai decreti del Concilio di Trento. La prima può essere colta nelle pagine in cui si ribadisce che, per i predicatori, e pmiicolarmente per i religiosi, è necessaria una lettera di approvazione del vescovo. P.J riguardo, vengono riportate le disposizioni del Tridentino. Queste, dalle costituzioni, sono attribuite alla «sessione quarta», ma di fatto appartengono alla sessione V e, precisamente, al decreto Super !ectione et praedicatione. Secondo quest'ultimo - che, in pmie, si rifa' al decreto sulla predicazione del Lateranense V del 1516 e alla costituzione terza del Lateranense IV del 1215 -per le chiese del loro ordine, i religiosi, dopo un esame e un'approvazione dei loro superiori e solo con il permesso di questi, devono presentarsi al vescovo, per ricevere se1nplice1nente una benedizione. Diversamente, per le chiese che non sono del loro ordine, i religiosi, ollre alla licenza del loro superiore, hanno bisogno anche di quella del vescovo".
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Per i titoli dati ai singoli decreti, seguo !a raccolta Concilion1111 (Jec11n1enicon1111 Decreta, ed. G. Alberigo - al., edizione bilingue, Bologna 1991 ("" COcD). 7 Cfr Siracusa 1553, tiL vm, c. 2, ff. 53v-55v. Cfr Cane. Trid., sess. v, Decr. Super
!ectione et praedicatione, COeD, 669-670. Ora e in tutti i casi successivi, per il testo e la traduzione italiana dei decreti del Tridentino, citati nei sinodi, rinvio a COeD. 8 Cfr Siracusa 1553, tiL X, c. l, ff. 78r-79r. Cfr Cane. Trid., sess. v, Decr. Super !ectione et praechcatione, COeD, 669-670.
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La seconda volta viene riportato un brano dal secondo decreto, Recipitur vulgata edirio bibliae praescribirurque modus interprelandi sacram scripturam, della sessione IV, nel capitolo riguardante gli argomenti su cui i predicatori avrebbero dovuto insistere, quali l'osservanza dei comandamenti o l'educazione cristiana nelle famiglie. In tale contesto, la preoccupazione delle costituzioni sta nel suggerire ai predicatori di fondarsi (innilantur) sulle interpretazioni dei santi e degli antichi dottori della Chiesa 9 • Per questo preciso motivo, viene citato il seguente brano del Tridentino che, nei confronti dei predicatori, stabilisce: «Praeterea ad coerccnda petulantia ingcnia deccrnit, ut nc1no, suae prudentiae innixus, in rebus fidci et n101u1n, ad aedificationetn doctrinac christianae pertinentiu1n, sacran1 scripturatn ad suos sensus contorquens, contra eu111 sens1n11, que1n tenuit et tenet sancta 1nater ecclcsia, cuius est iudicare de vero sensu et interpretatione scripturan1111 sanctarun1, aut etia1n contra unaniinc1n consensum patrun1 ipsa111 scripturan1 sacran1 interprctari audcat, etia1nsi huiusn1odi interprctationes nullo unquan1 tempore in lucem edcndae forcnt. Qui contravenerint, per ordinarios declarentur et poenis a iure statutis puniantun> 10 •
Infine, all'interno del titolo X, l'ultimo richiamo di un brano del concilio è legato alle denuncie nei confronti dei predicatori che danno scandalo. Il Bologna asserisce che qualora dei predicatori dovessero condurre una vita scandalosa o divulgare false dottrine, immediatamente, essi devono essere denunciati al vescovo (o anche al suo vicario), perché egli possa intervenire per il bene dei fedeli affidati alla sua cura pastorale". Tale affennazione ha con1e suo fondamento ultit-no, in senso cronologico (novissime), quanto è scritto nel secondo decreto della sessione V del concilio, nei confronti del predicatore che dà scandalo: «Si vero (quod absit) pracdicator cn·ores aut scandala dissc111inaverit in populun1, etiam si in 1nonasterio sui vel alterius ordinis praedicet, episcopus ei predicationem interdicat. Quod si haereses pracdicaveril, contra eun1 secundu111 iuris dispositionc1n aut loci consuetudincm procedat, etia1n si 9
Cfr Siracusa 1553, tit.
X,
c. 2, ff. 79r-80r.
°Conc. Trid., sess. IV, Decr. Recipitur vulgata editio bib/iae praescrihiturque 111odus
1
inte171retandi sacra111 scriptura111, COeD, 664. 11 Cfr Siracusa 1553, iit. x, c. 4, ff. 81 r-82r.
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Nunzio ('ajJizzi praedicator ipse generali ve! speciali privilegio exen1ptun1 se esse praetenderet. Quo casu episcopus auctoritate apostolica et tamquam sedis apostolicae delcgatus procedat. Curent auten1 episcopi, ne quis pracdicator vel ex falsis infonnationibus vcl alias calu1nniosc vexetur iustan1vc de eis conquercndi occasione1n habcat» 12 .
e) li decreto Super !eclione et praedicalione della sessione V del concilio viene richiamato, altrcsì, nel titolo xxv delle costitnzioni sinodali, sui questnanti. Per questi ultimi, nella parte finale del decreto, viene previsto il permesso dì chiedere l'elemosina, ma non quello di predicare. Va notato che gli atti sinodali, come già è stato evidenziato sopra per un altro caso, sostengono che il testo citato è della «sessione quarta», quando, invece, di fatto, è della sessione v 11 • d) Infine, il titolo XXIX, a proposito della condanna circa gli abusi fatti nei confronti della Sacra Scrittura in momenti di gioco o di irriverenza, contiene una citazione letterale dell'ultimo paragrafo dcl secondo decreto della sessione IV, nonostaute, nelle costituzioni, si legga che il brano riportato sia contenuto nella «sessione tertia>>. Per il concilio, nel paragrafo citato, gli uomini che utilizzano per fini riprovevoli -- fra cui, ad esempio, le superstizioni -·- le parole dcl1a Scrittura, devono essere puniti dai vescovi o con pene previste dal diritto o con pene giudicate oppmiune dagli stessi'"-
2. li sinodo della diocesi di Catania (I 565)
Il primo sinodo siciliano celebrato subito dopo la conclusione del Tridentino fo quello del vescovo di Catania, Nicola Maria Caracciolo. Questi ebbe modo di pmiecipare solamente all'ultimo periodo del concilio, dopo la liberazione dalla prigionia di Tripoli, seguita al sequestro da pmie del pirata/rais Dragut. Pio IV, con una lettera del l 0 dicembre 1562, dopo essersi congratulato per la sua liberazione ed averlo esortato a prendersi un periodo di riposo, lo invitò a partecipare al concilio 15 • Nelle costituzioni sinodali, 12
Conc. Trid., sess. v, Decr. Super lectione et praedicatione, COcD, 670. Cfr Siracusa 1553, tit. xxv, c. 3, fI 1l3v-!14r. CfrConc. Trid., sess. v, Decr. Super lectione et praedicatione, COeD, 670. 1 ~ Cfr Siracusa 1553, tit. XXIX, c. 14, f. 131 v. Cfr Conc. Trid., sess. IV, Decr. Recipitur vulgata editio bibliae praescribiturque 111odus inte17Jretandi sacrarn scriptura111, COeD, 665. 15 Sulle vicende del vescovo Caracciolo e !a lettera di Pio IV si veda A. LONOIUTANO, Le costituzioni sinodali del vescovo di C'afania }/;cola AJaria Caracciolo (1565), in Synaxìs 13
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completamente scritte in lingua volgare e pervenuteci prive dei primi 80 canoni, sono stati individuati tre richia1ni espliciti e nu1nerosi riferi1nenti impliciti ai decreti tridentini 16 . Il lettore delle costituzioni, lasciandosi guidare dai titoli dei singoli canoni, può scorgere alcune piste per una lettura analitica guidata, in vista di una sintesi conclusiva. Si possono ravvisare ahneno le seguenti tre piste: l'istruzione in generale e la predicazione; l'istruzione a proposito dei sacramenti e la loro celebrazione; i beni temporali. a) TI primo riferimento, al secondo decreto della sessione V e al canone 4 del decreto de refòrmatione della sessione XXIV, riguarda il dovere di insegnamento del «administratore di sacramenti» nei confronti dei fedeli. Insegnamento che deve avere ad oggetto, in particolare, la preghiera, ' comandamenti, gli articoli di fede, i sacramenti 17 • Un elemento delle costituzioni del Caracciolo fa pensare subito a quelle del Bologna. lnfatti, trattando della predicazione, si afferma, in base al quarto canone del decreto de refimnalione della XXIV sessione e al decreto SujJer lectione et 11ruet!icatione della v sessione, rispettiva1nente, la necessità del pem1esso del vescovo perché si sia ammessi a predicare e il dovere di denunciare i predicatori che, in qualche modo, dovessero recare scandalo. Al decreto della sessione XXI\', le costituzioni si riferiscono, ancora, quando ai preti viene ordinato di predicare «0gni dominica et festa comandata infra li solenni della 1nissa» 18 • Come prescritto dai decreti della xxv sessione del concilio, sul digiuno e sul culto dei santi, i sacerdoti hanno altresì il compito di raccomandare ai fedeli l'osservanza dei digiuni'" e, al fine di fronteggiare la
12 (1994) 167-215: 178, nota 35. Sulla partecipazione dcl Caracciolo al concilio, cfr Mansi, 201, ove il vescovo di Catania risulta nell'elenco dei presenti, e J-I. JEDIN, Storia del concilio di Trento, rv/2, trad. it., Brescia 1962-1981, 249, 264, 266, 268. 16 Per la storia e il testo di questo sinodo, cfr A. LONGl!lTANO, Le costituzioni sinodali, ciL Con la considerazione dei riferin1cnti in1pliciti, la n1ia lettura delle costituzioni dcl Caracciolo là un'eccezione, rispeuo a quella delle altre costituzioni sinodali. L'eccezione diventa con1prensibile, se si pensa che riprendo lo studio critico giil fatto da Longhitano. 17 Cfr Catania 1565, c. 83. Cfr Conc. Trid., sess. v, Decr. Super !ectione et praedicatione, COcD, 669; scss. XXIV, Decretun1 de refonnatione, COeD, 764. 18 Calania 1565, c. 102. Cfr Cane. Trid., s~ss. xxiv, Decretu111 de re.fonnatione, COeD, 763-764. 19 Cfr Catania 1565, c. 105. Cfr Cane. Trid., sess. xxv, De de/ectu ciboru111, ieiuniis et diebus.festis, COcD, 797.
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crescente superstizione, di orientare verso Dio la devozione ai santi, di n1odo che «in quello santo adorino et reveriscano a Dio» 20 • b) Molli rinvii possono essere individuati nei canoni sui sacramenti. In generale, in connessione con il teina già accennato dell'insegna1nento, sulla base del canone 7 del decreto de refimnatione della sessione XXIV, si dice che il «ministratore» deve istruire i fedeli sul!' opera della grazia nella celebrazione dei sacramenti, in modo che essi «credendo et intendendo)), possano «pa1iecipar dela gratia di Christo Salvator nostro»". Nel caso del sacramento del battesimo, si legge - cogliendo un'eco del decreto sul peccato originale della sessione V - che l'istruzione riguarda, fra l'altro, la ren1issione dei peccati e il rivestirsi di Cristo, con la conseguente vita nuova. Contro l'abuso di battezzare in «acqua rasala o vino o altro simile liquore)), il Caracciolo richiama la necessità dell'uso di acqua naturale, con un chiaro riferimento al secondo dei canoni tridentini sul battesimo". lnoltre, alla luce del decreto Tametsi della XXIV sessione, viene ordinato ai sacerdoti l'uso del libro, nel quale scrivere i nomi dei bambini battezzati e dei loro padrini, al momento della celebrazione 23 • La presenza reale - «chi sutta quelli visibili specii del pane et del vino si sia il vero corpo et sango di Christo» - , la preparazione necessaria per ricevere degna111ente !'Eucaristia, la comunione e la confessione dei peccati ahneno una volta l'anno costituiscono i ten1i essenziali del! 'istruzione sul sacramento del! 'Eucaristia, connessi, rispettivamente, alla sessione Xlll (decreto e canoni sull'Eucaristia) e alla sessione XIV (decreto sulla penitenza) 24 • In maniera sintetica, la dottrina sul sacramento della penitenza, del decreto della sessione XIV del Tridentino, viene proposta come il perno dell'istruzione del «n1inistratore dei sacramenti» che voglia «ben contìssari» e «istruiri il penitenti». Precisa1nente, vengono sottolineati rassoluzione 20
Catania 1565, c. 117. Cfr Conc. Trid., scss. xxv, De invocatione, veneratione et reliquiis sanctor11111, et de sacris ilnaginibus, COeD, 774-776. 21 Catania 1565, c. 85. Cfr Conc. Trid., scss. XXIV, Decretu1n de re.fònnatione, C()eD, 764. 22 Cfr Catania 1565, c. 122. Cfr Conc. Trid., sess. Vll, Canones de sacrcnnento baptis111i, COeD, 685. 23 Cfr Catania 1565, c. 115. Cfr Conc. Trid., sess. XXIV, Canones super re_fonnatione circa 111atrir11011iz11n, C()cD, 757. È la pri1na volta, nella lettura del testo delle costituzioni, in cui si rinvia esplicitan1cnte al «sacro Consiglo Tridentino». 21 · Cfr Catania 1565, cc. 91, 92, 94. Cfr Conc. Trid., sess. Xlll, Decretun1 de sanctissi1no eucharistiae sacran1ento, COeD, 693-694.696.698; sess. XIV, Doctrina de sanctissilnis poenitentiae et extre1nae unctionis sacra111entis, COeD, 707.
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amministrata dal sacerdote e gli atti del penitente (contrizione, confessione e soddisfazione)". Come stabilito dal canone 15 del decreto Super reforn1atione della XXIII sessione) le costituzioni asseriscono che i confessori devono essere ritenuti idonei dal vescovo, n1ediante un esame 26 • Un ultin10 cenno al decreto sul sacramento della penitenza viene fatto, prima dell'elenco dei casi riservati, nei confronti di quanti presun1ono assolvere li nostri sudditi da li casi a la Sede Apostolica o a noi reservati». Ad essi viene ricordato che ci sono dei peccati, la cui assoluzione è riservata alla Sede Apostolica o al vescovo diocesano''. A proposito del matrimonio, richiamandosi alla sessione XXIV, si ordina che «in li 1natri1noni contrahendi s'osservi diligentimenti lo decreto del sacro Concilio Tridentino» 28 • L'istn1zione per il n1atrimonio, in continuità con la dottrina della suddetta sessione, deve tenere presente il tema dell'amore reciproco tra marito e moglie e quello dell'indissolubilità". c) Gli ultimi canoni delle costituzioni sinodali del Caracciolo, dedicati ai beni temporali, fanno riferimento al decreto de refòrmatione della sessione XXII. In particolare, vengono presi in considerazione, in prin10 luogo, i problemi connessi all'usurpazione dei beni ecclesiastici da pmie di laici e di chierici; in secondo luogo, il rendiconto annuale dell'amministrazione di qualsiasi chiesa e dei luoghi pii, da presentare al vescovo o al vicario, nonché l'esecuzione fedele delle disposizioni testarnentarie 30 •
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Cfr Catania 1565, c. 96. Cfr Conc. Trid., sess. XIV, Doctrina de sanctissilnis poenitentiae et extre111ae unctionis sacra111entis, C()cD, 703-709. 26 Cfr Catania 1565, c. 137. Cfr Conc. Trid., sess. XXIII, Decreta super refònnatione, COcD, 749. 27 Cfr Catania 1565, c. 141. Cfr Conc. Trid., sess. xrv, Doctrina de sanctissilnis poenitentiae et extre111ae unctionis sacra111entis, COeD, 708. 28 Catania 1565, c. 143. Cfr Conc. Trid., sess. XXIV, C'anones super refònnalione circa 1nafri1nonh1111, COeD, 755-757. Si tratta dcl secondo rinvio esplicito al Tridentino. 29 Cfr Catania J 565, cc. 98-99. Cfr Conc. Trid., sess. XXIV, Doctrina de sacrcnnento 111atrin1onii, COeD, 753-754. 3 Cfr Catania 1565, cc. 149-152. Ctì· Cane. Trid., sess. XXll, Decre/11111 de refònnatione, COeD, 740-741. Nel c. 151, si trova il terzo rinvio esplicito al Concilio di Trento.
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3. Il sinodo della diocesi di Patti(! 567)
Come il vescovo di Catania, anche quello di Patti, Bartolomeo Sebastian, è stato presente all'ultimo periodo del Tridentino 31 • l titoli delle costituzioni del sinodo, celebrato dal Sebastian nel 1567, contengono nun1erosi riferimenti espliciti ai decreti del concilio, insieine a lunghe citazioni letterali. a) TI titolo De Summa Trini/ate et fìde catholica, avvalendosi di un linguaggio quasi letteralmente identico a quello della sessione 111 del Tridentino, rinvia ad essa soltanto per introdtme la citazione del testo del simbolo di fede. In pa11icolare, viene spiegato che la professione di fede, «quo Sancta Ro1nana Ecclesia utitur», costituisce il principio intorno a cui si radunano i credenti in Cristo e il solido fondamento contro il quale le porte degli interi non prenderanno il sopravvento 32 • b) Con il secondo riferimento, nel titolo De constitufionibus, il Sebastiàn si limita a ordinare in generale l'osservanza dei decreti del Concilio di Trento, soprattutto in quel periodo in cui necessitavano la rifor111a dei costun1i e la correzione degli abusi 33 . e) Nel titolo De praedicatione Verbi Dei, come nei sinodi di Siracusa e di Catania, facendo riferin1ento alla sessione V del Tridentino, in pri1no lnogo, viene foori la questione della predicazione, nei termini che ad essa non devono essere a1nn1essi se non coloro che hanno la licenza del vescovo 34 . Successivan1ente, co1ne nel sinodo di Siracusa, viene detto che, una volta ammessi, i predicatori devono spiegare il Vangelo, basandosi (innitantur) sulle interpretazioni dei santi e degli antichi dottori della Chiesa 35 . d) Parlando degli ordini, il testo sinodale, preliminarmente, afferma:
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Cfr Mansi, 202. Cfr Patti 1567, De Si1111111a Trinitate et.fìde catholica, c. I,* 2. Ctì· Conc. Triei., sess. 111, Recipitur sy111boh1111fìdei catho!icae, COeD, 662. 33 Cfr Patti 1567, De Constitutionibus, c.!,§ 31. 3 ~ Ctì· Patti 1567, De praedicatione Verbi Dei, c. 1, § 50. Cfr Conc. T!'id., sess. V, Decr. Super lectio ne et praedicatione, CC)eD, 669-6 70. 35 Cfr Patti 1567, De praedicatione Verbi Dei, c. 2, § 53. Cfr Conc. Triei., sess. JV, Decr. Recipitur vulgata editio bib!iae praescribit11rq11e 111odus interpretandi sacra111 script11ra111, COeD, 664. 32
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«caetera vero guae in Concilio Tridentino in vigesin1a tcrtia sessione circa Clericos ordinandos, sancita sunt, observare conabimur» 36 •
In calce a tali direttive viene previsto, nei confronti dcl notaio, con un richiamo al decreto de r~formatione della sessione XXI, l'obbligo di non esigere una tassa dall 'ordinando37 • e) li titolo De baptismo e/ eius ~tfìcacia si avvale di una lunga citazione letterale dal secondo capitolo del decreto Tametsi, sulla parentela spirituale che si contrae a motivo del battesimo 38 . f) Nel titolo dedicato alla celebrazione della messa, come nel caso precedente sul battesimo, a proposito delle cose da osservare e da evitare nella celebrazione della messa, le costituzioni sinodali si limitano a riportare letteralmente il decreto tridentino, De observandis et vitandis in ce/ebratione 111issarun1, della XXII sessione 39 • Più avanti, le costituzioni rinviano allo
stesso decreto citato, per comandare che non si celebrino messe nelle case private40 .
g) Connesse, rispettivamente, al problema del pagamento delle decime e dell'offerta delle primizie, nel titolo De decimis et primitiis, troviamo una citazione letterale e un riferimento. Nel primo caso, quando ai predicatori è ricordato di esortare il popolo al pagamento delle decime, viene letteralmente riportato il testo del capitolo 12 del decreto De refimnatione generali, della XXV sessione, nel quale leggiamo che non è ammissibile che alcuni, con vari espedienti, sottraggano le decime alle chiese"'. Nel secondo caso, le costituzioni sinodali si riferiscono al canone 13 del decreto De refimnatione, della XXIV sessione, per affermare che è compito del vescovo, e non dei laici, provvedere alle parrocchie con scarse rendite, mediante l'assegnazione di prin1izie o di decin1e o in altri n1odi 42 •
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Patti 156 7, De ordinatio11ib11s clericoru1n, c. l, § 64. Cfr Patti 1567, De ordi11ationib11s clericon11n, c. 2, § 66. Cfr Conc. Trid., sess. XX!, Decretu111 de refònnatione, COeD, 728 . .>s Ciì· Patti 1567, De baptis1110 et eius e.ffìcacia, c. 3, §§ 74-78. Cfr Conc. Trid., sess. XXIV, Canone.1· super re.fonnatione circa 111utri111011i11111, COeD, 757. 39 Cfr Patti 1567, De celebra/ione A1issanon, c. 2, §§ 83-94. Cfr Conc. Trid., sess. XXII, Decretu111 de observandis et vitandis in ce/ebratione 111issan1111, COeD, 736- 73 7. 4 Cfr Patti 1567, De celebratione 111issal'l1111, c. 5, §§ 98-99. 41 Cfr Patti 1567, De decilnis et pri111itiis, c. 3, §§ 143-144. Cfr Conc. Trid., sess. xxv, Decret11111 de rçfònnatione generali, COeD, 792. 42 Cfr Patti 1567, De deci111is et pri111itiis, c. 4, § 146. Cfr Cane. Trid., sess. XXIV, Decretu111 de refònnatione, COeD, 767-768. 37
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Nunzio C'apizzi
h) Nelle pagine sul sacramento dcl matrimonio, all'interno del titolo
De sponsali bus e/ matrimoniis, troviamo la più lunga citazione letterale di un decreto del concilio tridentino. Si tratta del primo capitolo del decreto Tcanetsi, intera1nente riportato, pri1na, in lingua latina e, poi, in lingua volgare'1 . La citazione è immediatamente preceduta da due cenni, fatti sempre sulla base dello stesso decreto, sulle pubblicazioni da fare prima che venga contratto il matrimonio e contro i matrimoni clandestini. i) L'ultimo riferimento delle costituzioni di Patti è al decreto Super reformatione della sessione XXIII e richiama alla memoria del lettore il sinodo di Catania. Nel titolo De poenitentiis et remissionibus, infatti, trattando della nomina dei confessori si parla del prete che, per ascoltare le confessioni, deve aver ottenuto un beneficio parrocchiale e deve essere stato ritenuto idoneo dal vescovo, mediante un esan1e44 .
4. Il sinodo della diocesi di Mazara (1575)
Le costituzioni del sinodo celebrato nella cattedrale di Mazara nel marzo 1575, dal vescovo Antonio Lombardo, si distinguono da quelle sopra esa1ninate, per i nu1ncrosi rifcrin1cnti espliciti e per le abbondanti citazioni letterali dei decreti del Tridentino, riscontrati nella quasi totalità delle pagine. Fra queste, infatti, solo alcune fanno eccezione. Di conseguenza, la successiva lettura delle costituzioni sinodali si annuncia più impegnativa rispetto alle precedenti. Al fine di renderla più sco!1'cvole, verranno distinti quattro argomenti, corrispondenti alle quattro parti in cui si dividono le costituzioni: la vita e il ininistero dei chierici; i set.te sacramenti; alcune questioni an1111inistrative e la vita n1onastica fern1ninile.
4.1. La vita e il ministero dei chierici
cenno
Nei capitoli della prima parle delle costituzioni sinodali, dopo un alla professione di fede dcl Tridentino", all'accettazione e
43 Cfr Patti 1567, De sponsa/ibus et 111atrilnoniis, cc. 2-3, §§ 161, 165, 166~176. C1ì· Cane. Trid., sess. XXIV, Canones super re.fonnatione r.)rca 111atri111oni111n, COeD, 755-757. H Cfr Patti 1567, De poenitentiis et re1nissionih11s, e. 2, § 185. Cfr Cane. Trid., sess. XXlll, Decreta super refònnatione, COeD, 749. 45 Cfr Mazara 1575, I pars, c. 1, p. I. Cfr Cane. Trid., sess. 111, Recipitur syn1boh1111 jidei catho!icae, COeD, 662.
R~for111a
tridentina
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all'ubbidienza verso i suoi decreti 46 , i riferimenti espliciti ai testi conciliari riguardano questioni connesse alla vita e al ministero dei chierici. Nel capitolo 8, De clericis concubinoriis, viene affrontata la questione - completamente assente negli altri sinodi - dei chierici che vivono nel concubinato e dell'eventuale loro punizione. I termini, nei quali viene stabilita quest'ul!ima, rinviano al capitolo 8 del decreto Tametsi e al capitolo 14 del decreto De refòrmatione generali della XXV sessione: «Qui trina precedente 1nonitione non resipuerit, praeter benefìciorun1, fructuu1n an1n11ss1one1n, ve! privationen1 dictoru1n beneficioru1n, cxco1n1nunicationis sententiac iuxta decretun1 Sacri Concilii Tridentini subiaceat» 47 •
b) Nel capitolo 18, De breviario et 111issa!i noviter editis et aJJ]Jrobatis
tantum habendis, in base a uno dei decreti, promulgati nella sessione xxv del concilio, sulla revisione del messale e del breviario, viene ordinato ai sacerdoti di fare uso della nuova edizione di questi libri liturgici48 . e) Molto spazio viene, poi, riservato a una serie di suggeri1nenti pratici per la celebrazione della messa. Si tratta di indicazioni che, pur riprendendo il decreto De observanclis et vitanclis in celehratione n1issarun1 della sessione XXII 4'\ non si lin1itano semplice1nente a riportare di peso il testo conciliare, come nelle costituzioni sinodali pattesi, ma in molti casi (come si vedrà di seguito) lo ampliano in una maniera creativa che tiene conto dei proble1ni reali della diocesi. Nel capitolo 20, De modo sfm1lli in ecc/esio et de tollendis omnibus pertubationihus divinorzan qffìcioru111i il Lo1nbardo va oltre ciò che viene esplicitamente detto dal decreto del Tridentino, aggiungendo: «Irrefì-agabili ideo constilutione 1nandan1us, ctia1n ta1nquan1 Apostolicae Sedis Delegati, authoritatc Sacri Concilii Tridentini, ut de cetero durantibus 1nissis, predicationibus, et divinis offi.ciis, nullus ta1n Clericorun1 quam 6
Cfr Mazara 1575, I pars, c. 1, p. 1; c. 2, p. 2. Mazara 1575, 1 pars, c. 8, p. 5. Cfr Cane. Trid., scss. xxiv, Canones super refOnnatione circa 1nafril11011iu111, C()cD, 758-759; sess. xxv, Decret11111 de rejònnatione generali, COeD, 792-793. ,.ig Cfr Mazara 1575, f pars, c. I, p. 1. Cfr Conc. Trid., sess. 111, Rec1jJit11r syn1bo!un1 .fìdei catholicae, COeD, 662. 9 -1 Cfr Nlazara 1575, J pars, c. 1, p. I; c. 2, p. 2. -1 -1
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layconun curae nostrac pastorali co1nmissorum, audeat in ecclesia Dei dea111bulare, confabulari, nugari, clan1arc, et ccteris profanis, et vanis actibus, et colloquiis intendere, ncc sedendo hu1ncros ad Sanctissitnu1n Sacra111entu111 eucharistiae vertere, nec ante ianuas sedere, vcl i1111norari, nec altaribus vel fontibus aquae benedicte, seu baptis111atis, cubitis inherere, neque cun1 n1ulieribus suspectis etian1 de lenocinio alloqui aut aliud populo scandahun generans perpetrare sub pena excon1municationis» 50 .
In tal modo viene sancito il divieto, sia per i chierici che per i laici, di camminare, chiacchierare, gridare o assumere determinate posizioni del corpo, all'interno della chiesa, durante la celebrazione della messa, le predicazioni o l'ufficio divino. Anche il divieto sulla musica da evitare costituisce un ampliamento delle proibizioni del Tridentino. A riguardo, infatti, nel capitolo 21, De prohibitione musicae lascivae, si può leggere: «Otnnes cantationes lascivas, inusicas vanas et i111puras, prorsus abijcientes sub paena carceris arbitraria praecipin1us, et 111anda1nus, ut nulli ho1ninun1 liceat, Clerico vel Layco, profana cantica, ve! n1ottcctos, instru1nento 1nusico, ve! sine, etia1n organo in Ecclesiis, vel Ci1nitcriis, ve! Ecclesiaru111 nostrae dioecsis platcis decantare, ve! cis durantibus divinis officiis inuniseeri» 51 .
Oltre i comportamenti e la musica, i provvedimenti sinodali riguardano il luogo della celebrazione eucaristica. Così il capitolo 23, De loco congruo ad 111;ssa111 celebra11Llan1, stabilisce che questa non può svolgersi nelle case private 52 • In tal senso si era mosso anche il sinodo di Patti. Per la celebrazione eucaristica, dopo quella del luogo, vengono affrontate le questioni del celebrante e delle messe per i legati dei defi.mti. Per la prima, il capitolo 26, De c/ericis vagantibus, stabilisce che nessun sacerdote, estraneo alla diocesi di Mazara, possa celebrare la messa, senza la licenza del vescovo 51 • Riguardo alla seconda questione, il capitolo 27, De augend;s e/e1110S)i1Jis 1nissarun1, prevede che, in base al decreto De rejòrmalione generali della xxv sessione del concilio, la celebrazione delle
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Mazara 1575, 1 pars, c. 20, p. 12. Mazara 1575, 1 pars, c. 21, p. 12. Cfr Mazara 1575, r pars, c. 23, pp. 13-14. Cfr Mazara 1575, I pars, c. 26, p. 15.
Rijòrn1a tridentina
messe, per seguente:
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legati a favore dei defunti, debba essere disciplinata nel modo
«Missaruin nu1nerun1 variis testantiun1 relictis, et devotorun1 clcemosynis auctu1n, ut illis diebus nequeant satislìeri, quibus testatores, ve! donatores, prcscripscrunt, ad alios dies imn1uta1nus, vcl arcta1nus ad nu1neru1n, quo possint coinmode celebrari, previa taxactionc pracdicta>! 5 ~.
d) Dopo le indicazioni per la celebrazione della messa, si trovano due interventi a carattere chiaramente amministrativo. Anzitutto, nel capitolo 32, De unione parochiae Sancii Matthei Civitatis Marsa!iae, in adempimento del canone 5 del decreto de refimnatione della XXI sessione, il Lombardo procede all'unione perpetua della pmrncchia S. Matteo, in Marsala, con la chiesa madre dello stesso paese 55 • Successivamente, nel capitolo 33, De tollencla SUSJJÙ,'ione silnoniae, il vescovo si n1ostra preoccupato di evitare il sospetto della simonia, legato alla richiesta di denaro in occasione della celebrazione dei sacramenti. Pertanto egli stabilisce che, da parte dei fedeli, si provveda in diverse modalità (ad es.: con le collette) al sostentamento dei pa1Toci e dei curati, T,a decisione trova la sua base nel canone 13 del decreto de refòrmatione della sessione XXIV e nel canone IV del decreto de rC;forn1atione della XXI sessione 56 • e) Nel capitolo 34, De residentia, le costituzioni sinodali si limitano ad affermare l'obbligo della residenza per quanti hanno l'incarico della cura d'anime. Al riguardo vengono richiamati ben quattro testi conciliari: in ordine, il canone I del decreto Super rejormatione della XXIII sessione; il canone 12 del decreto de refimnatione della XXIV sessione; il capitolo 1 del decreto De reshlentia episco11orun1 et a/iorun1 il~f'erioru111 della VI sessione e, infine, ancora una volta, il canone I del decreto de rejòrmatione della sessione XXIII 57 .
54 Mazara 1575, l pars, c. 27, p. !7. Cfr Cane. Trid., sess. xxv, Decretu111 de refònnatione generali, COeD, 786-787. 55 Cfr Mazara 1575, I pars, c. 32, p. 18. Cfr Conc. Trid., sess. XXJ, Decre/11111 de ri:;fònnatione, COeD, 730. 56 Cfr Mazara 1575, r pars, c. 33, p. 19. Cfr Cane. Trid., sess. XXI, Decretun1 de refon11atio11e, COeD, 729-730; scss. xxiv, Decretu111 de refònnatione, C()eD, 767. 57 Cfr J\1azara 1575, I pars, c. 34, pp. 20-2 l. Cfr Cane. Trid., sess. XXIJI, Decretu1n super re.fonnatione, COeD, 744-746; sess. XXIV, Decreturn de refònnatione, COeD, 766-767; sess. VI, Decreftm1 de residentia episcopon11n et a!ion1111 il1fèrion1111, COeD, 681-682.
Nunzio Capizz;
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f) I riferimenti ai testi conciliari abbondano ulterionnente, quando il testo sinodale passa a considerare il ministero della predicazione. Nel capitolo 35, De officio curatorum, il canone 4 e il canone 7 del decreto de refìmnatione della XXIV sessione danno gli elementi per sottolineare l 'impmianza dell'istruzione dei fedeli, e in particolare dei ba1nbini, nei ruclùnenfa Fidei catholicae. In base a uno dei decreti del secondo giorno della sessione XXV, poi, i pastori vengono esortati ad ammonire i fedeli sulla scelta dei cibi, sui digiuni e sui giorni di festa. Co111e a parvulis ]Janen1 jJetentihus, gli arcipreti, i paffoci e i cappellani, nelle domeniche e nelle feste più solenni, devono dare ai loro fedeli il nutrimento della parola di Dio. Questo è quanto stabilito dal numero 11 del decreto Super lectione et praedicatione della sessione V, riportato letteralmente nel capitolo 36, e dal canone 14 del decreto super refOrn1atione della sessione XXIIJ 58 • TI capitolo 39, De praedicaloribus, ricorda che i contenuti della predicazione devono co111prendere anche la "sana" dottrina sul purgatorio. Essa va insegnata diligenter e secondo le indicazioni provenienti dal decreto conciliare, appositamente riportato per intero dal testo sinodale59 • Successiva1nente, nel capitolo 41, De non ad111itte11clis praedicatoribus sine nostra iice111ia, oltre alìa necessità <leìla lii..:enza del vescovo per un predicatore, viene asserito, co1ne nei sinodi di Siracusa e di Cataniai con il numero 15 del decreto Super /ectione et praedicatione della V sessione, che deve essere interdetta la predicazione a quanti se1ninano errori o scandali in 111ezzo ai fedeli 60 . L'ultimo rinvio ai testi del Tridentino, nella prima parte delle costituzioni sinodali, si trova nel capitolo 43, De mulieribus distinguendis et popu/is admonendis. Sulla base del canone 4 del decreto de refòrmatione della sessione XXIV, viene 1nesso in evidenza un preciso con1pito degli arcipreti e dei curati nei confronti del popolo: «Populos etiam assidue
58 Cfr Mazara !575, 1 pars, cc. 35-36, pp. 22-23. Cfr Conc. Trid., scss. XXIV, Decrc:tu111 de rejònnatione, COel), 763-764; scss. xxv, De de!ectu cibor11111, ieiuniis et dieb11s fèstis, COeD, 797; scss. v, Decretun1 sf'c1111d11111: super /ectione et praedicatione, COeD, 669; sess. XX!ll, IJecrettm1 super refònnatione, COeD, 749. Indicazioni analoghe, ancora riguardo alla predicazione, in Mazara 1575, I pars, c. 37, p. 23. 59 Cfr Mazara !575, I pars, cc. 39-40, pp. 26-27. Cfr Conc. Trid., sess. xxv, Decretu111 de purgatorio, C<)cD, 774. 6 Cfr Mazara 1575, r pars, c. 41, p. 27. Cfr Conc. Trid., scss. v, Decre/11111 secundu1n: super !ectione et praedicalione, COeD, 670. Si veda anche Mazara 1575, I pars, c. 39, p. 26.
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monere, propriam Parochiam ad conc1ones audiendas, et officia divina frequentare non desinant» 61 .
4.2. I sette sacramenti a) La seconda pmie delle costituzioni del sinodo di Mazara ha ad oggetto i sette sacramenti. In essa, il primo riferimento al Concilio di Trento riguarda un problema che, per alcuni aspetti, è stato già incontrato nelle costituzioni della diocesi di Patti: la trascrizione dei nomi e dei cognomi dei padrini nel registro del battesimo, come stabilito nel capitolo 2 del decreto Tametsi. Rispetto al testo sinodale di Patti, la caratteristica di quello di Mazara sta nel fatto che i padrini, oltre sulla parentela spirituale contratta con il battezzato e con i suoi genitori, vanno informati anche sull'obbligo di istruire il battezzato nella fede e nei costumi. Nel capitolo 5 delle costituzioni, De ac/J11011itio11e co1111JafrzHn et eis cfescribendis, si può leggere: «Con1patres et con111atres pro susccptione et lava111ine baptizati, cognatione1n spiritualen1, et obligatione1n cun1 instruendi Fidei rudi1ncnta, et bonos inores, edocendi contraxisse, distinctc cxplicent» 62 •
b) Dopo il battesimo viene considerato il sacramento della penitenza. Come già i sinodi di Catania e dì Patti, questo dì Mazara stabilisce che tutti i confessori, sia secolari che religiosi, devono avere la licenza scritta del vescovo. L'affennazione si trova nel capitolo I 3, De confèssoribus approhandis, publicandis et annotandis, ed è basata sul canone 15 dei decreti super refòrmatione della XXlll sessione". Nel contesto, il capitolo 22, Ne conf'essarii absolvant a casibus reservatis, asserisce che, eccetto il caso di pericolo di n1orte, nessun sacerdote deve assolvere una persona dai casi riservati alla Sede Apostolica o al vescovo. Ciò in confmmità al capitolo 7 della dottrina sul sacramento della penitenza, della XIV sessione". 61
Mazara 1575, J pars, c. 43, p. 28. Cfr Cane. Trid., scss. XXIV, Decretu111 de refOnnatione, COeD, 763. 62 Mazara 1575, Il pars, c. 5, p. 34. Cfr Conc. Trid., sess. xxiv, C'anones super re,fonnatione circa 111atrilnoniu111, COeI), 757. 63 Cfr !Vlazara 1575, Il pars, c. 13, p. 37. Cfr Cane. Trid., scss. XXIII, Decreta super refòrrnatione, COeD, 749. 64 Cfr Mazara 1575, Il pars, c. 22, p. 47. Ctì· Conc. Trid., sess. XIV, Doctrina de sanctissin1is poenitentiae et extre1nae unctionis sacra111enlis, C()eD, 708.
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Nelle pagine dedicate al sacramento della penitenza, per tre volte si fa riferi1nento al decreto De invocatione, veneratione et re!iquiis sanctor111n, et de sacri.1· imaginibus, della XXV sessione del Concilio di Trento'". Anzitutto, nel capitolo 25 della seconda parte delle costituzioni sinodali, De imaginum venera/ione, per ribadire che i fedeli devono essere istruiti a venerare chi, nelle immagini, è rappresentato. Il capitolo 26, De imaginibus pingendis, proibisce che vengano dipinte e adornate immagini con procace bellezza. Infine, il capitolo 29, De reliquiis sanctorum, vieta l'accoglienza di nuove reliquie senza il giudizio e l'approvazione del vescovo66 • c) Al sacramento della penitenza fa seguito quello dell'Eucaristia. I riferimenti al Tridentino sono soprattutto nel capitolo 49, De sacramento sanctissùnae Eucharistiae, pri1no degli otto dedicati a questo sacran1ento. 11 primo rimando è al capitolo 4 del decreto De sanctissimo Eucharistiae sacran1ento, della sessione XIII, e conce111e la transustanziazione: «Salvator nostcr Apostolis tradidit, et in 1nen1oriam passionis eius sub specie panis, et vini vcrborum prolationc Sacerdotis consccrantis, in C:orpus, et Sanguine1n, et vcru1n Christu1n, in carne anin1a, et deitate Sacraincntaliter transubstantiati, assidue fì·equentari instituit».
Dopo poche righe del brano appena riportato, le costituzioni sinodali rinviano al canone 7 del decreto De reformatione della sessione XXIV e al capitolo 1 del sopra citato decreto della sessione XIII. Con questi due riferimenti, viene i111posto ai parroci di spiegare ai fedeli, in lingua volgare, durante le celebrazioni solenni, l'eccellenza del sacramento dell'Eucaristia, in quo Christus sun1itur verus Deus67 • Nel capitolo 52, De loco conservandi Sanctissilnun1 Sacrcnnentu111 et 111odo de.fèrendi acl aegrofos, le costituzioni fanno ancora un riferin1ento al concilio e, precisamente, al capitolo 6 del decreto De sanctissimo Eucharisliae sacramento, della sessione XIII. li rinvio ha soltanto lo scopo di ribadire che il tabernacolo è il luogo per la custodia dell'Eucaristia 68 • 65
Cfr Cane. Trid., sess. xxv, De invocafione, veneratione et re1iquiis sancfon1111, et de sacris i111aginibus, COeD, 774-776. 66 Cfr l\1azara l 575, li pars, c. 25, p. 49; c. 26, p. 49; c. 29, p. 51. 67 f\1azara 1575, 11 pars, c. 49, p. 63. Cfr Cane. Trid., sess. Xlii, Decretun1 de sanctissilno eucharistiae sacra1ne11to, COeD, 693, 695; sess. XXIV, Decretun1 de refònnatione, COeD, 764. 68 Cfr Mazara [ 575, !I pars, c. 52, p. 64. Cfr Cane. Trid., sess. Xlii, Decret111n de sanctissilno eucharistiae sacra111ento, COcD, 696.
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Rifòrn1a tridentina
d) Nelle pagine delle costituzioni sui sacramenti, un numero consistente di citazioni e di riferimenti al Tridentino riguarda il matrimonio. Già il capitolo 58, che dà inizio alla sezione sul sacramento in questione e che precede la citazione letterale del decreto Tametsi, nelle sue prime righe stabilisce: «In matrin1oniis contrahcndis rcgulas Sacri Concilii Tridentini ab on1nibus obscrvari, et quater in anno vulgari eloquio per Curatos inter Missanun sollc1nnia populis deccrnin1us cxplicari, qui 01nni ex parte Decretun1 J{_efonnationis conten1pscrit obscrvare, praeter paenas per Conciliu1n infliclas, severa ani1nadversionc plcctatun> 69 •
Dopo il capitolo l (Tamelsi) dei Ca11011es super refòrmatione circa 111atri111011iu111, della XXIV sessione del concilio, per tre volte, le costituzioni sinodali fanno riferimento ai capitoli successivi. In primo luogo, il capitolo 6 l delle costituzioni riporta letteralmente il capitolo l O del testo conciliare in cui vengono proibite le nozze solenni, nel periodo dall'avvento all'epifania e dal mercoledì delle ceneri all'ottava di pasqua compresa, e si raccomanda che, per tutti gli altri tempi dell'anno, il matrimonio sia sempre celebrato con n1odestia e dignità 70 • Secondariamente, il capitolo 65 delle costituzioni (De infòrmatione JJarochi quando n1atrù11011iun1 contrahitur cun1 .fòrense) a1nn1onisce gli arcipreti e i parroci della diocesi ad essere attenti nel prendere accurate informazioni riguardo ai vagabondi, senza fissa dimora, che vogliono contrarre matrimonio. Rispetto alla disposizione tridentina - contenuta nel le costituzioni 111azaresi capitolo 7 dei canones sopra 1nenzionati aggiungono quanto segue: Praccipin1us et 1nanda1nus on1nibus Archipresbyteris, et Parochis nostrae Dioccsis, quatcnus dc cactero nulh1n1 Exterum ad Matrimoniun1 contrahendum cun1 diocesana nostra ad111ittere praestunant, nisi per eos tàcta diligenti Inquisitionc per testcs Idoneos Iuratos ad 111inus quatuor constiterit,
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i\1azara 1575, Il pars, c. 58, p. 67. 1575, u pars, c. 61, p. 70. Cfr Cane. Trid., scss. reforinatione circa 1natrilnonilon, COeD, 759. 'l
° Cfr Mazara
7
XXIV,
Canones super
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Forensen1 esse solutu1n, bonae vitae, et fÈln1ae, et per annu1n in loco ubi contrahit Matrin1oniu1n habitasse» 71 •
In terzo luogo, il capitolo 69 delle costituzioni (De concubinariis) mette a fuoco il problema del concubinato nella diocesi di Mazara. Il Lombardo esprime l'intenzione di richiamare gli errantes sulla retta via, ma per evitare che il male si possa diffondere per contagio, intende trattare gli ostinati secondo la qualità del crimine. Alla posizione del vescovo, fa seguito la citazione letterale dell'intero capitolo 8 dei canones, nel quale vengono indicati i rimedi nei confronti del concubinato. Tra questi, le citate costituzioni prediligono la scomunica dei concubini dopo una triplice ammonizione. Tuttavia, ove persista lo stato di concubinato per ancora un anno, viene riconosciuta all'ordinario competente la facoltà di procedere nei confronti dei soggetti interessati secondo le qualità del crimine 72 • e) Il penultimo sacramento tra!tato è l'ordine, per il quale le costituzioui di Mazara richiamano più abbondantemente il Tridentino. li capitolo 76 del testo sinodale (De sacramento ordini.1·) si apre con un semplice rinvio ai capitoli 1 e 2 della dottrina tridentina sul sacramento dell'ordine, della sessione xxm. Quanto basta per dire che il sacramento dell'ordine è per consacrare, offrire e distribuire il corpo di Cristo e per l'utilità spirituale dei frdelin. li primo argomento che viene tenuto presente, nel capitolo 77 (De 11ub!icatione orllinanclor11111), è l'indagine che il parroco, per incarico del vescovo, deve condurre su coloro che chiedono di accedere ai singoli ordini maggiori. A questo riguardo, vengono citati i canoni 5 e 7 dei decreti super refòrmatione della XXIII sessione del concilio 74 • Al canone 4 dei decreti appena menzionati, viene fatto riferimento nel capitolo 78 (De prima tonsura et ordinibus minoribus). Qui si parla della prima tonsura, nel contesto del divieto, per gli arcipreti e i parroci, di dare la cotta e di ammettere al servizio nelle chiese quanti non hanno ricevuto la 71
t\1azara 1575,
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pars, c. 65, p. 72. Cfr Conc. Trid., sess.
rej(1n11atio11e circa 111atri111011iu1n, COeD, 758.
XXIV,
Canones super
71 Cfr Mazara 1575, lf pars, c. 69, pp. 74-75. Cfr Cane. Trid., sess. XXIV, Canones super re.fòrn1atione circa n1atri111oniun1, COeD, 758-759. 73 Cfr Mazara 1575, Il pars, c. 76, p. 78. Cfr Cane. Trid., scss. XXIII, Vera et catholica doctrina de sacra1nento ordinis ad conde11111andos errores nostri te111poris, COcD, 742. Cfr anche Mazara 1575, Il pars, c. 83, p. 80. 7 ~ Cfr Mazara 1575, Il pars, c. 77, p. 78. Cfr Conc. Trid., sess. XX!ll, Decreta super re_fonnatione, C()eD, 746- 74 7.
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pri1na tonsura. Per ricevere questa, poi, secondo il canone h·identino, bisogna che si sia ricevuta la confe1mazione, si sia istruiti nella fede, si sappia leggere e scrivere e si abbia il desiderio autentico di servire Dio 75 I canoni dei decreti super refòrmatione della XXIII sessione vengono menzionati ancora tre volte, in tre diversi capitoli delle costituzioni. Nel capitolo 80 (De minoribus ordinibus exercendis), sull'esercizio degli ordini minori, è detto che, secondo il canone 17, esso compete non a chiunque, ma soltanto a chi ha ricevuto gli stessi ordini. Questi, dal testo sinodale, vengono specificati nel modo seguente. L'ostiario deve accogliere i fedeli in chiesa e allontanare gli scomunicati. Il lettore deve proclamare i brani della Scrittura nelle celebrazioni. Ali 'esorcista tocca cacciare i demoni dai corpi degli ossessi e all'accolito, infine, accendere le candele e preparare le ampolline con l'acqua e il vino per la celebrazione della messa 76 . li capitolo 81 delle costituzioni (De aetate ordinandorum et interstitiis), sulla base del canone 12 dei decreti super reformatione, ricorda i limiti minimi di età: ventidue anni per il suddiaconato, ventitré per il diaconato e venticinque per il sacerdozio"- Il capitolo 82 (De qualilatibus ordinandorum) richiede, con il canone 14, che gli ordinandi si devono distinguere per pietà e purezza di costun1i 7H. Tuttavia, per coloro che devono ricevere gli ordini, non hasta soltanto la pietà e la purezza dei costumi. Basti considerare, a riguardo, quanto afferma il capitolo 84 delle costituzioni (De patrimonio c/ericorum ), mediante cui viene introdotta la citazione letterale del canone 2 del decreto de reformatione della XXI sessione. In tal modo, nel testo sinodale, viene ribadita la disposizione del Tridentino, secondo la quale non si può essere a1n1nessi agli ordini sacri, senza il possesso di un beneficio ecclesiastico, sufficiente per il proprio onesto sostentamento"'L'ultimo argomento considerato, riguardo al sacramento dell'ordine, è la preparazione degli adolescenti e dei giovani nei seminari diocesani. In questi, deve essere curata l'educazione religiosa e Pistruzione nelle 75
Cfr Mazara 1575, II pars, c. 78, p. re.fonnatio11e, COeD, 746. 76 Cfr Mazarn 1575, li pars, c. 80, p. rejOnnatione, COeD, 750. 77 Cfr Mazara 1575, li pars, c. 81, p. re,fonnatione, COeD, 749. n Cfr Mazara 1575, n pars, c. 82, p. refbnnatione, COcD, 749. 79 Cfr Mazara 1575, IJ pars, c. 84, pp. rejOr111atio11e, COeD, 728-729.
79. Cfr Cane. Trid., sess. XXlil, Decreta super
79. Cfr Conc. Trid., scss. XXIII, [Jecreta super 80. Cfr Cane. Trid., sess.
XXIII,
Decreta super
80. Cfr Conc. Trid., sess.
XXIU,
Decreta super
80-81. Cfr Cane. Trid., sess.
XXI,
Decretunl de
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discipline ecclesiastiche. A tale proposito, il Tridentino aveva già dato disposizioni precise nel canone 18 dei decreti super refimnatione della sessione XXIII. Ora, il testo sinodale, nel capitolo 86 (De seminario clericorum), ordina che venga attuato quanto stabilito dal concilio. Nelle costituzioni, inoltre, vengono resi noti i nomi dei membri del clero che, per disposizione del concilio, dovranno assistere il vescovo nel provvedere alle necessità economiche del seminario. Due di essi appartengono al capitolo della cattedrale e due al clero della città: rispettivamente, Don Manfredo Cremona e Don Giovanni Antonio de Curti, Don Giovanni Maiorana e Don Nicolò de Maritato 80 • f) L'ultimo sacramento considerato, e per il quale si può trovare un solo e generico rinvio al Tridentino, è l'estrema unzione. A questa le costituzioni sinodali dedicano soltanto il capitolo 87 (De sacramento extren1ae unctionis). In esso vengono ripresi i ter1nini che nel testo tridentino fanno da proemio alla dottrina sul sacramento dell'estrema unzione, per asserire che il Redentore, con tale unzione, vuole proteggere la fine della vita dei fedeli dalle ultime tentazioni dei demoni. Per i temi dottrinali, fra cui ad esempio, l'istituzione e l'effetto del sacramento, il testo sinodale si limita a rimandare ai capitoli 1, 2 e 3 della dottrina dcl concilio".
4.3. Alcune questioni amministrative Ad una lettura dei capitoli della terza parte delle costituzioni sinodali di Mazara, e1nergono iclu oculi le seguenti questioni a1nn1inistrative. a) In primo luogo, nel capitolo 2 del testo sinodale (De ecc/esiis re1Jarancfis ve! tran5ferendis), vengono prese in esa1ne due questioni amministrative: la prima concerne la riparazione delle chiese; la seconda il trasferimento alle chiese madri (o ad altre) dei benefici di quegli edifici di culto per diversi n1otivi andati in rovina. Ci si trova, pertanto, davanti a una disposizione sinodale che riprende il canone 7 del decreto de refimnatione della XXI sessione del Tridentino"'.
so Cfr Mazara 1575, Il pars, c. 86, pp. 81-82. Cfr Cane. Trid., sess. XXlll, Decreta super re_fonnatione, COcD, 750-753. 81 Cfr Mazara 1575, JJ pars, c. 87, p. 82. Cfr Cane. Trid., sess. XXIV, Doc/rina de sanctissin1is poenilenth1e et exlre111ae unctionis sacra111entis, COeD, 71O-711. 82 Cfr Mazara 1575, III pars, c. 2, p. 83. Cfr Cane. Trid., sess. XXl, Decretu111 de refOnnatione, COeD, 731.
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b) Proseguendo la lettura, emerge il secondo problema su cui il sinodo di Mazara - come già aveva fatto anche quello di Catania - porta l'attenzione, ossia l'usurpazione dei beni ecclesiastici, da parte dci laici e dei chierici. La questione viene presentata nei capitoli 17 (De invasoribus et occupatoribus bonorum Ecc/esiasticorum) e 18. Quest'ultimo riproduce letteralmente il canone 11 del decreto de refòrmatione della XXII sessione conciliare, relativo alle diverse pene in cui incmrnno tutti coloro che usurpano i beni ecclesiastici. Il testo sinodale, poi, impone ai parroci della diocesi di spiegare ai fedeli, ogni anno, nella prima e nella terza domenica di quaresitna, vulgari eloquio, il decreto tridentino 1n. c) Il capitolo 20 delle costituzioni sinodali (De decimis integre perso!vendis) solleva la questione delle decime, già emersa nel sinodo della diocesi di Patti. Il concilio, nella sessione XXV e precisamente nel capitolo 12 del decreto De re/orma/ione generali, aveva stabilito il dovere di pagare le decime per soccorrere i vescovi e i parroci preposti alle chiese più povere, con i beni ricevuti da Dio, pena la scomunica. Il testo sinodale, dopo aver preso atto che non tutti, nella diocesi di Mazara, erano fedeli al loro dovere, sanziona con la scon1unica tutti coloro che sottraevano le decin1e o ne impedivano il pagamento. Va notato, tuttavia, che, nonostante i toni severi, nelle costituzioni è evidente l'intento di mettere in guardia da quella tOnna di avarizia che porta a tenere per sé quanto, invece, si deve dare a Dio 84 . d) Un ulteriore problema era costituito dai cercatori di elemosine. Di essi il testo sinodale si occupa nel capitolo 32 (De quaestorihus et a!iis importzmis exactoribus), riprendendo la posizione del canone 9 del decreto de refimnatione della XXI sessione conciliare. Secondo il canone tridentino, doveva essere abolito il nome e l'impiego dei cercatori di elemosine. Diversamente dal testo conciliare, che ne parlava genericamente, nelle costituzioni sinodali di Mazara, i cercatori assu1nono, invece, una precisa confignrazione, legata ai problemi concreti suscitati dai membri di alcnne confraternite. C'erano dei confi'atres, infatti, che non si preoccupavano di altro che di raccogliere soldi, girando per le strade, schiamazzando e suonando stru1nenti 1nusicali 85 • S} Cfr rvlazara !575, Ili pars, cc. 17-18, pp. 89-90. Cfr Conc. Trid., sess. XXJJ, Decre/11111 de refOnnatione, COeD, 74!. Si veda anche Mazara 1575, lii pars, c. 19, p. 90; c. 22, p. 92; c. 24, p. 93. 84 Cfr Mazara 1575, III pars, c. 20, pp. 90-91. Cfr Cane. Trid., sess. xxv, Decret11111 de refOnnatione generali, C()cO, 792. RS Cfr Mazara 1575, 111 pars, c. 32, p. 96. Cfr Conc. Trid., sess. XXI, Decre/11111 de refonnatione, COeD, 731-732.
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e) Fra le questioni amministrative, nel capitolo 35 (De examinaloribus), le costituzioni sinodali contengono l'elenco degli esaminatori presentati, per avere il gradimento del sinodo e la sua approvazione. Essi devono aiutare il vescovo nella scelta dei parroci o dei rettori di una chiesa. Tutto ciò per athrnre quanto disposto dal Tridentino, nel canone 18 del decreto de refòrmatione della XXIV sessione 86 . f) Un'altra questione amministrativa è la celebrazione annuale del sinodo diocesano. TI capitolo 41 delle costituzioni (De indie/ione .1ynodi ce/ebrandae singulis anni.1') riprende il canone 2 del decreto de rejòrmatione della XXIV sessione conciliare e stabilisce che il sinodo diocesano sarà celebrato ogni anno, nella cattedrale di Mazara, nell'ultima domenica del mese di aprile. Vale la pena soffermarsi sulla modalità di partecipazione all'assemblea sinodale e sulla pena prevista per gli eventuali assenti; mentre i partecipanti sono invitati a essere personalmente interessati, per gli assenti si legge: «Sub pena unciaru1n dccc1n, fabricae cathedralis Ecclcsiac nostrae applicanda, et aliis pro nostro arbitrio inf1igendis, nisi legiti1nc in1pcditi de huius111odi i1npcdimcnto publicis probationibus nos faciant ccrtiorcs» 87 •
g) La penultima questione amm1mstrat1va concerne le pie disposizioni. li capitolo 43 (De officio et diligentia Rectorum Ecclesiarum et Piorum locorum) del testo sinodale vuole eseguire quanto disposto dal concilio, nel canone VIII del decreto De refòrmatione della sessione XXII. In concreto, per il vescovo, si tratta di infor1narsi, ad esen1pio, sulle elen1osine, sugli ospedali, sui collegi, sulle confraternite, sui monti di pietà o di carità e, inoltre, di fare eseguire ciò che è stato istituito per il culto, l'apostolato e il sostenta1nento dei poveri 88 . h) Infine, viene data qualche indicazione sul modo di rendere pubbliche le ammonizioni e le scomuniche. In merito, il testo sinodale si basa sul capitolo 3 del decreto De rejòrmatione generali della xxv sessione conciliare. Rimandando ad esso, il capitolo 62 delle costituzioni (De 86
Cfr l\!fazara l 575, 111 pars, c. 35, pp. 97~98. Cfr Conc. Trid., sess. XXIV, Decretu111 de re.fònnatione, COeD, 770-772. 87 Mazara 1575, Jll pars, c. 41, pp. 100-101. Cfr Cane. Trid., sess. XXIV, Decret11111 de refonnatione, COeD, 761. 88 Cfr Mazara !575, Hl pars, c. 43, pp. 101-102. Cfr Conc. Trid., sess. XXll, Decretu1n de re.fonnatione, COeD, 740.
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111011itoriis et sententiis exco1111nu11icationis in pub!icis plateis .fàciendis et profèrendis) dà una precisa direttiva per quanto concerne le scomuniche precedute dalle ammonizioni, a motivo di cose perdute o rubate: all'interno della chiesa, vanno pronunciate soltanto le sentenze di scomunica, inentre per le ammonizioni sono più adatti i luoghi pubblici"'.
4.4. La vita monastica femminile La quarta parte delle costituzioni sinodali si occupa delle monache. li testo del concilio Tridentino a cui, continuamente, nei singoli capitoli della quarta parte, il lettore viene rimandato è il decreto De regularibus et 111onialibus della sessione xxv"0 • a) Nelle battute iniziali dell'intera quarta parte, il capitolo I delle costituzioni (De sanctùnonialibus) si limita a fare cenno all'importanza della vita monastica. In particolare, si parla dello splendore e del vantaggio che, per la Chiesa di Dio, deriva dalla vita monastica condotta nei monasteri piamente istituiti e rettamente governati. Ci si trova davanti a espressioni che riportano letteralmente le prime righe del capitolo I del decreto tridentino". b) Un'altra citazione quasi Jetterale dal Tridentino è contenuta nel capitolo 2 delle costituzioni (De numero monialium), laddove viene fatta propria l'indicazione del capitolo 3 del decreto conciliare. Riguardo al numero delle monache, il testo sinodale stabilisce che esso non deve essere superiore a quello che può essere mantenuto con i redditi propri dcl n1onastcro o con le consuete elen1osine(j2 • c) I capitoli 4 e 5 delle costituzioni trattano la rinuncia alla proprietà dei beni. In particolare, nel capitolo 4 (De abdica/ione proprietalis), il Lo1nbardo tnostra la sua a111arezza per un rilassa1nento della vita inonastica nei confÌ"onti della povertà. Esso scaturisce anche da una inancata rinuncia alla proprietà dei beni personali, notata, da parte del vescovo, nella prima 89
Cfr Mazara 1575, 111 pars, c. 62, p. 111. Cfr Conc. Trid., sess. xxv, Decretu1n de rcjònnatione generali, C()cD, 785-786. 90 Nel testo, nelle righe seguenti, per quanto concerne il decreto De regu!aribus et 111011ia!ihus (a) non si ripeterà di volta in volta, il titolo e la sessione del decreto, (b) n1a saranno citati soltanto i singoli capitoli dcl decreto stesso. 91 Cfr Mazara 1575, IV pars, c. I, p. 111. Cfr Conc. Trid., sess. XXV, Decretun1 de regularibus et 111onialiun1, COeD, 776. 92 Cfr Mazara 1575, JV pars, c. 2, p. 112. Cfr Conc. Trid., sess. xxv, Decretun1 de regu!aribus et 111onia!iu111, COeD, 777.
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visita alle monache. A motivo di tale rilassamento, nel capitolo 5 delle costituzioni, viene letteralmente citato l'intero capitolo 2 del decreto conciliare, perché sia integralmente osservato. In esso, chiaramente viene ribadito che a nessun religioso, sia uon10 che donna, è pe11nesso possedere o tenere, come propri, beni mobili o immobili 03 • d) Il capitolo 2 del decreto tridentino, appena menzionato, viene richiamato ancora nel capitolo 9 del testo sinodale (De inquisitione Abbatissae). Tuttavia quest'ultimo contiene una novità rispetto al primo: con una modalità non esplicitamente prevista dal decreto conciliare, infatti, il Lombardo stabilisce che ogni mese la badessa deve visitare di!igenter le celle delle monache. Nel caso qualcuna di queste dovesse essere trovata in possesso di qualcosa di cui non è stata portata a conoscenza la badessa, questa deve applicare le pene previste dal decreto tridentino, ossia la privazione del voto attivo e passivo per due anni e le punizioni previste dalle costituzioni dell 'ordine ~. e) Come si è appena visto, la badessa ha un compito di vigilanza sulle cose di cui sono in possesso le monache. Nel capitolo I O (De ojfìcio Ahbatissae), le costituzioni mazaresi considerano un altro aspetto della vigilanza: esortare le monache a confessare i loro peccati e a ricevere l'Eucaristia, aln1cno una volta al ìnese, come stabilito dal capitolo 1O del decreto del concilio 95 • f) La questione degli ingressi nei monasteri viene presentata nel capitolo 13 delle costituzioni (De ingressu et regressu monasterii et a!/o.culione monia/ium), sulla base del capitolo 5 del decreto tridentino. Riguardo alle monache, il vescovo stabilisce che nessuna, dopo la professione, potrà uscire dal monastero. In tale disposizione, il Lombardo si mostra più rigoroso del decreto tridentino che prevede delle eccezioni per motivi approvati dal vescovo diocesano. Per quanto concerne gli ingressi degli estranei nel monastero, invece, in perfetta linea con il decreto conciliare, viene ordinato che ognuno abbia l'autorizzazione scritta del vescovo o del superiore, sotto pena di scomunica ipso.facto% 9
93
Cfr Mazara 1575, IV pars, cc. 4-5, pp. 112-113. Cfr Conc Trid., sess. xxv, Decretun1 de regularibus et 111011iali11111, COcD, 776-777. 94 Cfr Mazara 1575, iv pars, c. 9, pp. 115. Cfr Conc. Trid., sess. xxv, Decret111n de regularibus et 111oniali11111, C()eD, 776-777. 95 Cfr Mazara 1575, rv pars, c. 10, p. 115. Cfr Conc. Trid., sess. xxv, Decretu1n de regularibus et 111011ialiu111, COeD, 779-780. 96 Cfr Mazara 1575, IV pars, c. 13, p. 116. Cfr Conc. Trid., sess. xxv, Decre/11111 de regularihus et 111onialiun1, COeD, 777-778.
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g) L'ultima questione, per la quale le costituzioni mazaresi citano il Tridentino, si ha nel capitolo 17 (De tempore professioni.1·), in cui viene trauato il problema della professione. Nella preoccupazione di eseguire le disposizioni conciliari, il Lombardo, sulla base del capitolo 17 del decreto tridentino, afferma che nessuna fanciulla può ricevere l'abito religioso se non dopo i dodici anni. Subito dopo, il testo sinodale riprende, dal capitolo 15 del decreto, la disposizione secondo cui una ragazza non può essere ammessa alla professione prima del compimento del sedicesimo anno di età e solo dopo che abbia fatto almeno un anno di probazione, in seguito alla vestizione. Infine, in linea con il capitolo 16 del decreto, viene ordinato che, dopo un anno di noviziato, i superiori a1n1nettano al 1nonastero le novizie ritenute idonee e dimettano quelle ritenute non idonee 97 •
Conclusioni
Com'è stato detto nelle righe introduttive del presente st11dio, l'interrogativo che ha accompagnato la lettura analitica delle costituzioni sinodali ha riguardato i punti essenziali dell'applicazione della riforma tridentina nelle Chiese di Sicilia. In tnaniera esen1plificativa, a grandi linee e senza molto ordine, si può adesso ricordare che essi riguardano la predicazione, l'interpretazione e l'uso della Scrittura, la celebrazione dei sacramenti (e in particolare la pubblicazione del decreto Tametsi sul matrimonio), l'istruzione sul loro valore e sul loro significato, la residenza dei pastori in mezzo al popolo loro affidato, il comportamento dei preti, l'adozione del messale e del breviario di Pio V, i benefici ecclesiastici, ]'istituzione dei se1ninari e la vita n1onastica fe1nminile. Volendo tentare una sintesi conclusiva che tenga conto dello sviluppo delle supenon tematiche nei singoli sinodi celebrati in Sicilia contemporaneamente o succcssiva1nente al Concilio di Trento, si può concludere nel modo che segue. a) Il sinodo celebrato dal vescovo Girolamo Bologna ha messo in evidenza due ambiti privilegiati dell'applicazione dci decreti del Tridentino (fino al 1552) nella Chiesa di Siracusa: la predicazione, quale elemento essenziale della cura d'anime, e l'interpretazione della sacra Scrittura. Sulla base dei dati considerati, emerge l'inti1na relazione tra i due temi, nonostante 97 Cfr Ivlazara 1575, IV pars, c. 17, p. 118. Cfr Conc. Trid., sess. xxv, Decretun1 de regu/aribus et n1011ialiu1n, COeD, 781.
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la maggiore importanza accordata alla questione della predicazione rispetto a quella dell'interpretazione della Scrittura. In particolare, tale relazione si rende palese quando si accenna a un'interpretazione ecclesiale della Scrittura, da parte del predicatore. Questi, infatti, nella sua predicazione, deve interpretare i testi secondo il senso che «tenuit et tenet sancta mater ecclesia, cuius est iudicare de vero sensu et interpretationc scripturarum sanctarutn» 98 . b) Nelle costituzioni sinodali mutile del vescovo Nicola Maria Caracciolo, sono stati individuati tre ambiti privilegiati dell'applicazione dei decreti del Concilio di Trento nella Chiesa di Catania. Per questa, come per la Chiesa di Siracusa, il primo ambito è dato dalla predicazione e dall'istruzione. Quest'ultima è ritenuta talmente importante da ritornare continuamente, anche nel secondo ambito che, in modo speciale, attiene alla celebrazione dei sacra1nenti: si asserisce che i fedeli devono essere ishuiti, ad esempio, sull'opera della grazia nella celebrazione dei sacramenti o, nel caso dell'Eucaristia, sulla presenza reale. li terzo ambito è costituito dalle questioni legate all'amministt·azione dei beni temporali. Le costituzioni sinodali catanesi, diversamente da quelle del sinodo siracusano, non fanno alcun cenno all'interpretazione della Scrittura. e) Le costituzioni del sinodo della Chiesa dì Patti, celebrato dal
vescovo Baiiolomeo Sebastian, si aprono con la professione di fede -·- nei termini della sessione III del 4 febbraio 1546 - e con l'ordine di osservare i decreti tridentini. Ad una lettura delle costituzioni pattesi emerge la somiglianza, relativamente ad alcune questioni nodali, con i sinodi delle Chiese di Siracusa e di Catania. Si pensi alla questione della predicazione, benché essa, nel sinodo di Patti, venga trattata in modo più sintetico rispetto ai due precedenti. Infine, nell'ambito della sezione dedicata alla predicazione, un cenno alla questione dell'interpretazione della Scrittura da paiie dei predicatori viene fatto dalle costituzioni pattesi, come da quelle di Siracusa e non da quelle di Catania. Altri punti nodali sono, in qualche modo, vicini alle costituzioni del sinodo di Catania, come viene colto nel caso dell'attenzione rivolta alla celebrazione dei sacramenti e, in particolare, del battesimo, dcli 'Eucaristia e del matrimonio o nel caso del giudizio di idoneità, dato dal vescovo, nei riguardi del confessore. L'accenno al sacramento dell'ordine e la questione 98
Cane. Trid., scss. IV, Decr. Recipitur vulgata editio bib/iae praescribiturque 111odus
inte11Jretandi sacra1n scripturan1, COcD, 664.
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amministrativa del pagamento delle decime, invece, sono tipici del sinodo pattese. d) Con il sinodo di Mazara, il vescovo Antonio Lombardo ha introdotto nella diocesi il complesso della rifonna tridentina. Le costituzioni mazaresi, come quelle di Patti, si aprono con la professione di fede - nei te1mini della sessione III del 4 febbraio 1546 - e con l'ordine di osservare i decreti tridentini. Anzitutto, nella Chiesa di Mazara, l'applicazione della riforma tridentina riguarda la vita e il ministero dei chierici. Il testo sinodale, al riguardo, dà alcune indicazioni precise. Esse riguardano, anzitutto, i preti che vivono da concubini, i quali, ove non si emendano, verrebbero privati per
sempre di tutte le dignità e di tutti i benefici ecclesiastici ricevuti e potrebbero incorrere nella sco1nunica. Relativa1ncnte al n1inistero, viene
imposto l'utilizzo del messale e del breviario di Pio v; ancora devono essere repressi gli abusi nei confronti della celebrazione eucaristica, fra i quali, ad esempio, le forme di irriverenza o la celebrazione nelle case private. Vengono, infine, ribaditi il dovere della predicazione - come negli altri sinodi considerati - e l'obbligo della residenza per quanti hanno l'incarico di cura d'ani111e. Per quanto concerne la questione relativa ai sacramenti, le costituzioni
di Mazara, diversamente da quelle di Catania e di Patti, disciplinano tutti e sette i sacramenti. Nella tral!azione va evidenziato il sacramento dell'ordine a cui, nei testi sinodali esa111inati, è stato accordato uno spazio soltanto in quello di Patti. Il sinodo di Mazara appmia una novità, quando fa propria la richiesta del Concilio di Trento della fondazione di un seminario per la formazione dei futuri candidati al sacerdozio. Si è visto ancora come l'applicazione della riforma tridentina abbia riguardato la Chiesa di Mazara, relativamente ad una serie di questioni amministrative legate, ad esempio, ai benefici ecclesiastici, alla raccolta delle elemosine o all'esecuzione delle pie disposizioni. Infine, sulla vita monastica femminile, le costituzioni di Mazara hanno dato alcune indicazioni precise, quali, ad esempio, l'esercizio della povertà da parte delle monache, l'autorizzazione scritta del vescovo o del superiore per l'ingresso degli estranei nei monasteri, nonché la professione religiosa a sedici anni compiuti, dopo ahneno un anno di noviziato.
Synaxis XIX/2 (2001) 335-353
LA PREDICAZIONE NEI SINODI DEL '500
SALVATORE CONSOLI''
La predicazione nei sinodi siciliani è intimamente legata a quanto sn di essa ha detto e legiferato il Concilio di Trento'; lo stesso vale per quanto riguarda il tipo ideale di parroco a cui viene attribuito il grave dovere della predicazione e della catechesi', Non si può negare che con Trento nasce una nuova era per la predicazione e la catechesi: «esso ha suscitato nella (~hiesa una notevole organizzazione della catechesi; esso ha stitnolato i chierici ai loro doveri di inscgnan1ento catechetico; esso ha prodotto, grazie all'opera di santi teologi, quali san Carlo Bo1Ton1eo [... ] la pubblicazione di catcchis1ni che in rapporto al loro te111po sono dei veri
111odelli» 3•
A tal fine lo stesso concilio ha voluto la rifon11a intclleUuale e morale del clero e un n1anuale, il Catechisn1us ron1a11u:.,' 1, ad uso della pastorale.
l, LA SITUAZIONE DI IGNORANZA
Gli interventi giuridici e pastorali dei sinodi sono frutto dell'analisi o derivano dalla percezione della situazione: quanto viene stabilito circa
*Ordinario di Teologia 111orale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Per la predicazione al Concilio di Trento vedi G. ALBJ-.:J{IGO, l vescovi italiani al C'onci!io di Trento (1545-1547), Firenze 1959, 291-335. 2 Per il tipo ideale di parroco secondo la riforn1a tridentina vedi (ì.G. l\llEERSSEl'vlJ\NN, Il Concilio di Trento e la rifonna tridentina, !, Ron1a-Friburgo 1965, 27-44. 3 (il O VANNI PAOLO !l, Esortazione a posto I ica C'atechesi Tradendae, [ 3, Enchiridion Vaticanion, 6/1788. 4 Cathechis111us ex decreto C'onci/ii Tridentini ad parochos Pii V iussu editus, Ro111ae 1566
(=Cathechis111us ron1anus).
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Salvatore C'anso/i
l'insegnamento religioso e la predicazione è finalizzato al superamento dello stato di ignoranza del popolo cristiano. Ciò che subito e maggiormente viene rilevato nei vari documenti sinodali è proprio l'ignoranza dei cristiani circa la fede e la morale: «Item, cum n1anibus nostris tetigcriinus, et oculis nostris cognovin1us: maxin1am ignorantiam vigere co1nuniter in laicis huius nostri Episcopatus, ignorantibus quid crcdendum, quid agcndu1n, quidve fugicndun1: tractantibus potius guae sunt huius seculi transitorii quarn alterius scculi, ubi perpetuo est in11norandunn) 5.
L'ignoranza, che viene definita massima, riguarda non solo la conoscenza dei contenuti della Scrittura e della fede, ma anche l'agire caratteristico e proprio del cristiano. Qualche sinodo, oltre a rilevare che l'ignoranza è comune alla maggior parte dei fedeli, ne specifica ulterionnente l'oggetto che riguarda persino le fonnule principali della preghiera cristiana: «Vidimus enim dioecesim discmTendo, quam plures agricolas et mercenarios, etiam patres familias, septuagenarios, (quod mcntis dolore reccnsemus) ignorare orationem dominicam et symbolum Apostolorum» 6 • Qualche altro, oltre l'estensione, ne annota anche la conseguente pericolosità per la salvezza eterna: «cum plerique ex utt·oque sexu qui nec orationen1 Don1inica1n nec doctrina1n Christiana1n didicerint reperiantur, non sin e suarun1 ani1narurn gravi iactura» 7. Altrove si presenta l'ignoranza co1ne un pericoloso viru.s che serpeggia e con1e un disonore per la dignità cristiana che dilaga sempre di più 8• Mentre il Concilio di Trento insiste sulla necessità dell'insegnamento e della predicazione al popolo per la preoccupazione di contrastare la diffusione dell'eresia9 , ritengo che i sinodi siciliani vi insistono maggiormente per superare l'ignoranza religiosa che rilevano preoccupante sia a livello quantitativo che a livello qualitativo.
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Patti 1537, c. 92, !: 27v. Mazara 1575, r pars, c. 37, fI 23r-24 r 7 Cefalù 1584, De 111i11istris Ecc/esiae, c. 5, f. 35 r. 8 Cfr Palenno 1586, 1 pars, c. 7, p. 15. 9 Cfr sess. XXIV, de re/, c. 7, Concilioru1n (Jecu111enicor111n Decreta (=CoeD), a cura dell'Istituto per le scienze Religiose, Bologna 1991, 764; sess. xxv, ibid, 797; cfr pure C'atechin111s ro11u111us, Prooen1iu1n, nn. 3-4 6
La predicaz;one
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2. LO SCOPO
I sinodi non mancano di richiamare, in modo più o meno 1notivato biblicamente e teologicamente, quali siano le finalità dell'insegnamento religioso. Primo scopo della predicazione è suscitare e incrementare la fede: «Cum nullo poti ori medio (Apostoli testimonio) quam verbi Dei praedicatione fides nostra cordibus feratur, sumnque susc1piat incrementum» 10 , la fede, infatti, nasce dall'ascolto per poi annidarsi nel cuore. Come ogni vita, anche la vita della fede necessita di essere nutrita: essa non può che essere alimentata dalla parola del Verbo che è parola di vita: «Verbi doctrina pasce!, si spiritualem escam da bit in tempo re suo, verbum vitae praedicans»"; ed è allo stesso tempo stimolo e sostegno nell'imitare gli esempi di vita che Cristo ha dato: «omnem Domini nostri Tesu Christi actionern ad humanarn institutionem deducendo»"Altro scopo che viene indicato è quello di correggere i vizi dato che il pastore di anime «debe essere agro riprendituri di vitii et essendo posto, come dice el propheta, acciò annuncii al popolo le sue scelerità (cfr ls 58, I )» 13 ; e si ribadisce che è suo compito specifico, innanzitutto, ricondmTe sulla retta via i fuorviati e, poi, esortarli al bene: «ad bonuin hortari, et siquos en·antes viderit in viam reducere» 14 • Lo scopo della predicazione viene ben sintetizzato al positivo in quadri etici come: «ad amorem Dei populum trahant; vitia dctestentur, ad virtutem semper populo pcrsuadeant» 15 , dove l'accento è messo sulla caratteristica del cristianesimo, cioè l'a1nore, e sulle virtù che vengono indicate dal Vangelo e vissute da Cristo. E, meglio ancora, in quest'al!ro: «Extitnulent populos, ad frequentioren1 sacra111entoru111 susceptione1n, ad bonoru1n 0111niun1 operun1 tuin spiritualium, tu1n etiatn corporaliu111, exercitium, ad decimaru1n solutioncn1; et demu111 ita on1nium anin1os
10
Palcnno 1586, I pars, c. 4, p. 8. Monreale [ 554, tit. xrv, c. 2, f. 79v. 12 Siracusa 1553, tiL Vili, c. 3, L 55v. 1.i Catania 1565, c. 82. 14 Patti 156 7, De rectoribus et curatis, c. I, § 7. 15 Patti !567, De praedicatione Verhi Dei, c. 2, § 6. 11
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Salvatore Consoli confinnent, ut cuncti, qui christiana professione censcntur, cu1n titnore, pariter, et an1ore, in Dei, et proximi dilectione ambulent» 16 ,
dove la vita cristiana, pur compmiando diversi impegni personali ed ecclesiali, viene ricapitolata nell'amore di Dio e del prossimo. I sinodi sono in linea con il Concilio di Trento le cui intenzioni si trovano ben ricapitolate nel Catechismus romanus quando dice che lo scopo della predicazione della parola divina è che «i fedeli si nutrano di sana e incorruttibile dottrina, come di pascolo vitale, e vi si confermino» 17 e che «le cure del dottore della Chiesa tenderanno principalmente a far sì che i fedeli bramino ardentemente di conoscere Gesù Cristo, e Gesù Cristo crocifisso (I Cor 2,2), e si persuadano e credano con intin1a e pia religione del cuore» 18 .
3. I CONTENUTI
3.1 La Scrittura Il concilio, oltre a presentare la Sacra Scrittura quale fonte di ogni verità salvifica e alin1ento della vita cristiana, ne prescrive anche il inodo di inteq1retarla 19 : i sinodi ne costituiscono certa1nente la risonanza. L'insistenza che si trova in tutti i testi è, innanzitutto, di predicare il Vangelo. Il sinodo di Siracusa, nel capitolo intitolato significativamente «Hortatio ad sacerdotes super Evangelio praedicando», es01ia pressanten1cnte i sacerdoti «ut singulis diebus Do1ninicis et festis, Evangeliun1 Christi non erubescentes infÌ"a n1issaru1n solennia r... 1 explanare dcbcant» 20 : è, inf-àtti, loro con1pito specifico e gioioso annunziare il Vangelo e farlo comprendere alla gente. Il sinodo di Monreale ricorda che il pastore di anime deve pascere il gregge «Verbi doctrina» 21 , dato che «Evangeliun1 (... ]est pabulu1n anin1ae» 22 : il nutrimento della vita cristiana non può che essere il Vangelo, parola del Verbo venuto proprio per esse la luce di vita per gli uomini. 16
Messina l 588, J pars, c. 22, p. 45. Catechis11111s ro111a1111s, Prooe1niun1, n. 3. 18 Jbid., Il. 5. 19 Ctì· scss. 1v, decr. 1-2, COeD, 663-664. 20 Siracusa 1553, tit. v111, c. 3, f. 55v. 21 Monreale 1554, tit. XIV, c. 2, f. 79v; cfr anche Cefalù 1584, f. 35r. 22 Patti 1567, De rectoribus et curatis, c. 2, § 9. 17
La predicazione
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11 sinodo di Mazara, nell'apposito capitolo, esorta i predicatori affinché <mtiliter Sacram Scripturam explicent, et interpetrentur, eo sensu quo sanctorum patrum auctoritas interpretatur, et Sancta Catholica Romana Ecclesia comprobat»'3; la spiegazione cioè deve essere in grado di far cogliere l'utilità della Scrittura per la vita dei cristiani. E il sinodo successivo della stessa diocesi insiste <mt semper vigilent, circa explicationem sancii Evangelii occurrentis» 24 ; si indica un'at.tenzione pastorale a voler e a saper rendere sempre alimento di vita il Vangelo proclamato nella liturgia che si celebra. li sinodo di Messina, parlando ai predicatori, ricorda loro di volere aderire alla parola di Dio così come è stata consegnata dalla tradizione: «sed pura Sanctì Evangelii explicatione contenti, castis, Sacrarum Scripturarum eloquiis, sanisque Sanctorum, et Catholicorum Doctorum expositionibus ab Ecclesia approbatis inhaerere» 2\ la Scrittura, cioè, deve essere predicata così come è stata interpretata dai dottori e dalla Chiesa e come è stata sperimentata dai santi nella loro vita. li sinodo di Agrigento così precisa il dovere che hanno paffoci e curati di predicare: «ut saltern diebus dorninicis inter Missarum solemnia [... ] populo diurnum Evaugelium rnoraliter declarent» 26, oltre al «diurnmm> cioè al Vangelo del giorno, va evidenziato il «moralitern, cioè che dal Vangelo non bisogna tralasciare di cogliere e presentare gli aspetti esistenziali, fOrti indicazioni per la vita cristiana.
3.2. Le verità di.fede
11 Concilio di Trento, oltre a definire i principali articoli della dottrina cristiana, ha ritenuto opportuno insistere sull'istruzione dei cristiani intorno ai rudimenti della fede e, a tal fine, ha voluto la pubblicazione di un catechismo a cui potessero attingere coloro ai quali spetta il dovere di istiuire il popolo cristiano 27 : i sinodi si inseriscono in questa linea tracciata dal concilio e ne recepiscono le indicazioni.
23
Mazara 1575, l pars, c. 39, f. 25v. Mazara 1584, v pars, De 111agistris et praedicatoribus, c. 9, p. 160. 25 Messina 1588, 1 pars, c. 22, p. 44. 26 Agrigento 1589, J pars, tit. 11, c. 9, p. 8. 27 Cfr sess. XXIV, c. 7, COeD, 764; sess.XXV, COeD, 797. 24
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Salvatore Consoli
Per quanto riguarda il contenuto della predicazione, infatti, si dice spesso che bisogna insegnare «articulos fidei» 28 e si fa l'elenco delle verità di fede «super quibus insistere debeant praedicatores» 29 , come pure si legge che bisogna insegnare «rudimenta fidei catholicae» e «necessaria ad salutem explicare» 30 ; e altrove si parla di esporre «totius christianae doctrinae compendium» 11 • In tutti i sinodi si insiste, anche, sul fatto che la predicazione non deve mai omettere di parlare dei sacramenti. Il sinodo di Monreale contiene modelli di «admonitio» in lingua volgare di natura teologica e, in qualche misura, mistagogica sul battesimo 32 , sul 1natrimonio 33 , sull'Eucaristia 34 e sull'estrema unzione 35 che si possono ritenere un buon indice della pastorale sacramentaria. li sinodo di Catania insiste molto sui sacrameuti. Innanzitutto si vuole espressamente che «Il 1ninistratore de sacra1nenti debbia instruire il popolo di quello che si fa nel dare ciaschiduno sacramento, acciò per questi externi signi di sacra1nenti si vegna ad excitarc la devotioni dcli fedeli in Dio, et credendo et intendendo il divino 1ninisterio del sacra1nento vcgnino ad partecipar dela gratia di Christo Salvator nostro» 36 •
Si tratta di una chiara indicazione di catechesi mistagogica allo scopo di favorire la partecipazione di fede spiegandone l'efficacia attraverso i segni con i quali si compiono i sacramenti. All'inizio della presentazione di ciascun sacramento si trova se1npre la frase «Il 1ninistratore circa questo sacramento debia instruire el popolo ... » o altra simile 37 : in questo modo si vuole che i fedeli vengano aiutati a ricevere al meglio il dono di grazia del sacra1nento.
28
Cfr ad es. Patti 1567, De rectoribus et curatis, c. 2, § 9; cfr anche Mazara 1584, De 111agistris ef praedicatoribus, c. 9, p. 160. 29 Cfr Patti 1567, De praedicatione verbi Dei, c. 2, §§ 2-7. 30 Mazara 1575, 1 pars, c. 35, f. 22v; cfr anche Agrigento 1589, I pars, tit. li, c. 3, p. 6. 31 Mazara 1575, I pars, c. 39, f. 25v. 32 Monreale 1554, Ex!ra titulos, c. 7, ff. 128v-13lr. 33 !bid., ff. 131r-134v. 34 Ibid., ff. 133r-135r. 35 lhid, [[ 135r-136v. 16 Catania 1565, c. 85. 37 Cfì· ibid., c. 86; c. 91; c. 96; c. 98.
La ]Jredicazione
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Il sinodo di Patti, in un capitolo significativamente dedicato a «Administrans Sacramentum Baptismi declaret virntem et eius efficaciam», dopo aver illustrato la necessità e gli effetti del sacramento, afferma: «Hacc igitur et alia eade1nque pertinentia, curati de virtute huius Sacra1nenti plebcm ad1noneant, ac de reliquoru111 etia111 Sacra1nentoru1n virtute, cu1n te1npus et occasio postulabunt, aliquid populo explicent, quo magis ad a1nore1n, et cultum Divinarun1 re1u1n, illoru1n animi accendantur» 38 •
Quanto viene detto del battesimo viene esteso a tutti gli altri sacramenti: la convinzione è che la partecipazione fruttuosa è strettamente legata alla catechesi sacramentaria. Il successivo sinodo della stessa diocesi parla esplicitamente del! 'Eucaristia: «Curati doctrinam de excellenti Sacramento Eucharistiae [... ] assidue populum doceant, sicut in Sacro Concilio Tridentino expositam invenient» 39 , alla frequenza deve acco1npagnarsi un 'assidua istruzione eucaristica. li sinodo di Messina ha delle chiare preoccupazioni di tipo mistagogico: «Divinissin1i huius sacra111enti excellentian1, et fructus vulgari idiomate populus inculcare, admonentes ut qua decet praevia dispositione ad Regias Christi carnes manducandas accedant» 40 , da notare Ja correlazione che viene stabilita tra catechesi e previa disposizione nel ricevere l'Eucaristia, oltre all'indicazione dell'uso della lingua volgare allo scopo di favorire una maggiore comprensione da parte del popolo cristiano. li sinodo di Palermo contiene una indicazione chiara sulla cresima: «Confirmandos, et compatres praeviam tanto Sacramento religionem, pietaten1que edoceat, fructus inde proficiscentes salutares pronunciet» 41 : l'istruzione, da farsi ai cresimandi e ai padrini, oltre ad illustrare gli effetti del sacramento deve insegnare l'atteggiamento e i sentimenti con cm riceverlo. Non manca l'indicazione di invitare i fedeli alla frequenza dei sacran1enti: «Populos ad sanctissin1an1 Confessionen1, et Eucharistia1n, oportuna re1nedia recuperandae gratiae frequenter, in eoru1n Parochiis,
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Patti 156 7, De baptisn10 et eius eJJìcacia, c. I, § 8. Paui 1584, 111 pars, c. 5, f. 2 ! r.
Messina 1588, II pars, c. 8, p. 83. Palenno 1586, Il pars, c. 3, p.43.
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Salvatore C'onso/i
invitare non praetermictant»42 , in modo particolare della confessione e dell'Eucaristia, frequenza motivata dal fatto che sono rimedi alla debolezza e alle cadute proprie dell'esperienza cristiana. Si vuole esplicitamente che tale frequenza si faccia nella propria parrocchia.
3.3. La morale
L'insistenza da pm1e di tutti i sinodi è innanzitutto sui «dccem mandata»: chiara l'indicazione secondo la quale «sia admonito el administratore di sacramenti erudire la plebe di precepti dela lege [... ], con qualchi breve declarationi» 41, oltre a ricordarli, bisogna spiegarne la natura, l'obbligatorietà e le modalità ne Il 'osservarli. 11 sinodo di Siracusa riproduce, in lingua volgare, la «predica, a tutti li fideli christiani, estratta dal libro della vita del Nostro Signor Giesu Christo crucifisso per amor nostro»: dopo una introduzione vi è «La declaratione delli diece comandamenti»; «Li sette peccati mortali con li suoi rami, et ogni peccato ha sette rami, ma la superbia ne ha quattordici»; «Le opere della misericordia»; seguono le virtù teologali, i precetti della Chiesa": come ben si vede, si tratta dei contenuti di quelJa che sarà la teologia morale dei 111anuali. In tutti i sinodi, anche se in modo vario e in luoghi diversi, oltre gli elementi della dottrina cristiana che bisogna predicare o insegnare, si trovano elencati i punti principali della morale". Il modo di concepire la morale, sostanzialmente univoco, presenta tuttavia qualcbe varietà. Qualche sinodo presenta la tnorale in prospettiva minin1ale: «decen1 praecepta custodiri, et septc1n peccata 1nortalia evitari» 46 , la fa consistere, cioè, nell'osservanza dei dieci comandamenti e nell'evitare i sette peccati mortali. Qualche altro invece la presenta in chiave più positiva: «vitia, quac eos declinare, et virtutes, quae sectari oporteat; ut pacna1n aeterna1n evadere, et caelcsten1 glorian1 consequi va1eant» 47 , e precisa1nente nell'evitare i vizi e nel praticare .ci Mazara 1575, I pars, c. 39, C 26r; per quanto riguarda l'Eucaristia cfr Palcnno 1586, Il pars, c. 5, p. 53. 43 Catania ! 565, c. 83. 41 • Siracusa 1553, tit. Vlll, c. 19, II 63v-69r. 45 Cfr ad es. Monreale 1554, tit. XIV, c. 10, f. 82r-v; Cefàlù 1584, De 111inistris Ecc!esiae, c. 5, ff. 35r-38r. 6 ~ Patti 1567, De rectoribus et curatis, c. 2, § 9. 7 g Mazara 1575, I pars, c. 36, f 22v; cfr anche Agrigento 1589, I pars, tit. 11, c. 3, p. 6.
La predicazione
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le virtù, e c10 non solo per evitare l'inferno ma, soprattutto, per prepararsi alla gloria eterna. Altrove si dice che compito della morale è «nonnam religiose vivendi audientibus tradendo»'", vale a dire l'insegnare ai cristiani la norma di co1ne vivere la propria condizione religiosa. Altrove ancora: «Parochi id optime nosse sibi proponant, guae in populo, vitia, peccatave potissimum evellenda, guae vi1tutes in primis disseminandae sint; eogue 01nne1n vin1 praedicationis suae maxin1e intendant» 49 , oltre che nello svellere, l'impegno della predicazione consiste, innanzitutto, nel seminare le virtù.
3.4. La prassi e la disciplina Tutti i sinodi dicono quello che, la domenica, chi ha cura di a111me deve ricordare o insegnare. Il sinodo di Mazara è preciso: «Quando non ftt pracdicatio, finito Credo 111aioris Missac, ipsi, ve! alius pro eis dicant coram populo vulgari lingua, Credo, Pater nostcr, Ave Maria, dece1n praecepta Dci, quinque praecepta Ecclesiae, septe111 peccata 111ortalia, et Sacra1nenta Ecclcsiae, tres virtutes Theologales, et quatuor C:ardinales, alta, et intellegibili voce, pausatiin, et generalen1 confessione1n» 50 •
Si ha la saggia preoccupazione che i cristiani conoscano sia le preghiere essenziali sia i doveri principali che caratterizzano la loro prassi. Il sinodo di Patti prescrive: «Ut quilibet in sua parochia et ebdo1nada in diebus do111inicis: post lcctu111 evangeliu111 et cantato sin1bolo fidei 1naiore: antequa111 dicat lavabo n1anus 111eas, apodiet se ad altare et dicat festa: et ieunia occurrentia in illa cbdo1nada, et decetn mandata Dei sitnbohnn fidei 1ninus, pater noster ac septen1 peccata tnortalia, et ulti1110 loco confessione111 generaletn CLllll absolutione, in forn1a Ecclesiae consueta sigillatitn: et cu111 spacio con1petenti, taliter quatn populus ignorans possit illa discere, et t11e1noriae
48 Mazara 1575, I pars, c. 39, f. 25v. 49 Pa!crn10 1586, I pars, c. 5, p. 14. 50
Mazara J 584, V pars, De archypreshyteris, et a/iis cura111 anilnarun1 habentibus, c. 13, p. 151.
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Salvatore Consoli con1endare: ex his enin1 procurabitur salus anitnaru1n, et tendct in exonerationem conscientiarum dicto1un1 sacerdoh1n1» 51 •
Oltre ad aggiungere di notificare le feste e i digiuni che ricorreranno durante la settimana, dà delle indicazioni di tipo didattico per facilitare l'apprendimento del popolo, di cui il sinodo conosce lo stato di ignoranza. Dietro una insistenza che potrebbe sembrare formale, ritengo che bisogna scorgere una preoccupazione di tipo essenziale: sapere le cose necessarie alla salvezza; e di tipo identificativo: sapere le cose che specificano l'essere cristiano e l'appartenere alla Chiesa.
4. IL DOVERE DI PREDICARE Come ampiamente dimostra lo Jedin, il Concilio di Trento, nell'intento di superare l'ignoranza religiosa del popolo cristiano, fa di tutto per elevare la conoscenza teologico-biblica dei vescovi e dei curati e impone loro l'obbligo della predicazione". Non bisogna dimenticare che, nel periodo precedente il concilio, gli ordini mendicanti, nel provvedere alla predicazione ordinaria voluta dal Concilio J_,atcranense IV 53 , suppliscono al vuoto del personale ecclesiastico": a Trento prevale la linea pastorale che, giudicando l'esenzione del ministero pastorale dei religiosi come un ostacolo alla «cura ani1naru1n», ritiene in1portante dar vita ad una figura di pastore che fosse, al contempo, di vescovo o pa!1'oco e di predicatore «per ricon1porre quella che appariva una vera e propria trattura nel ministero pastorale» 55 • li Concilio di Trento configura meglio e definisce ulteriormente l'ordinamento che già, nel periodo della Riforma, fa perno sulla circoscrizione parrocchiale e sulla figura del parroco il cui compito è di predicare e spiegare nei pomeriggi della domenica i dieci comandamenti, gli articoli della fede e il Padre nostro". -------------51
Patti l 537, c. 92, ff. 27v-28r; cfr anche Monreale 1554, Extra titulos, c. I O, f. 82r-v. 52 Cfr H. JEDIN, li C'oncilio di 7Ì'ento, Il, Brescia 1962, 119-146; cfr anche Catechis1nus rtJ111unus, Proocn1iu1n, 4; R. SPIAZZI, La catechesi nel nostro te1npo, Rovigo 1980, 84. 5 -' Cfr Cost. I O, COeD, 239-240. 54 Cfr voce Predicazione, in Dizionario degli Istituti di perfezione, VIJ, Roina 1983, 536-539. 55 Voce Predicazione, cit., 546. . 56 Voce Predicazione, cit., 542-543.
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Sulla stessa onda del Tridentino", quello di predicare è un dovere grave imposto da tutti i sinodi con una te1minologia che non lascia spazio a possibili fraintendimenti. Il sinodo di Patti è molto preciso; si tratta di un dovere che riguarda quanti hanno cura di anime e da assolvere ogni do1nenica: «statui1nus, et districte pricipi1nus sub sententia exco1nunicationis omnibus et singulis sacerdotibus parrochialibus, ut quilibet in sua parochia et ebdomada in diebus dominicis» 58 , la pena della scomunica comminata è segno chiaro sia della volontà del legislatore sia del valore che si vuole salvaguardare attraverso la nonna. Il sinodo di Mazara afferma chiaramente che «Precipuum Curatoru111 111unus esse dignoscitur, Parochianos eorun1que filios, excellentia Christianae Religionis instruere, et rudin1enta Fidei catholicae erudire [... ] sacri Concilii Tridentini dccretu111 proponin1us, et inden1inute exequi 1nanda111us, diebus scilicet don1inicis, et sole111nibus fcstivis, populos sibi conunissos pro eon.un sufficientia, et astantitnn capacitate, salutari verbo Dei pascere, et sern1onc vulgari necessaria ad salute1n explicare, si nostratn districtan1 ultione1n cupiunt evitare» 59 •
Quelìo òeìla preùicaziun~, dunque, è uno dei con1piti principali della cura pastorale che va fedelmente osservato secondo la norma tridentina. TI successivo sinodo della stessa diocesi dice che tale dovere si può assolvere per mezzo di altri: «Curent diligenter, ut per se vel alios in do111inicis diebus anni, et aliis sole1nnitatibus verbun1 Dei publicc proponahir populo, et sccundun1 capacitaten1 audientiun1, quae sunt utilia, saluti anin1aru111 in explicatione S. Evangelii» 6t1.
Questa possibilità da un lato rivela l'importanza che si annette alla predicazione per la vita della comunità cristiana, dall'altro è un preciso indicatore che non tutti i pastori sono all'altezza di assolvere dignitosamente tale compito. 57
Cfr scss. v, decr. 2, COeD, 667-668; sess. XXIV, de re_f, c. 4, COeD, 763 e 7, COeD, 764. Patti 1537, c. 92, t 27v. 59 Mazara 1575, 1 pars, c. 35, f. 22v-r; c1ì· anche il cap. 36, fT. 22v-23r. 60 Mazara 1584, v pars, De archipresbyteris, et a/hs c111·a111 anì1nano11 habentibus, c. 5, p. 150. 58
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Il sinodo di Palermo insiste sul dovere che ha il parroco di predicare e di insegnare" e aggiunge: «Quo studiosius Parochi in ea1n cura111 incun1bant, optan1us, ut in singulis parochiis doctrinae Christianae sodalitas instituatur, guae in eo inunere ipsos Parochos dominicis, festisque diebus adiuvet; et ut pro111ptiori animo fideles ad han e cura in subeunda1n alliciantur ... >> 62 •
Perché l'impegno dell'istruzione religiosa sia compiuto nel modo migliore possibile (studiosius) e tutte le domeniche; si auspica inoltre il costituirsi di associazioni che aiutino veramente ed efficacemente il parroco in tale compito. Il sinodo di Siracusa, dopo aver richiamato in modo forte la indicazione tridentina sul dovere che hanno i parroci di predicare 63 , al capitolo successivo cambia tono: «Cu111 in populo Dci saccrdotes doctoru1n vice fungantur, unde sacerdotcs quasi sacra doccntes dicuntur, horta111ur sacerdotes on1nes, praccipuc pcritos, ut singulis dicbus Do1ninicis et festis, Evangeliu1n Christi non erubcsccntes infì·a 1nissaru1n solennia [... 1 explanare debent [... ] Jmperiti vero, et si aliud dicere ncscirent una cun1 propheta excla111ent, Divertite a inalo et facite bonum, Diligite Deu1n ex toto corde, ex tota n1ente, ex tota anin1a, et ex lotis viribus vestris, et proxin1os vestros sicut vos tnetipsos, et quod vobis non vultis, aliis ne feceritis, haec ipsos sacerdotes sin1plices et iinperitos, a peritioribus et doctioribus sacerdotibus, ea quae decct hun1ilitate discere ne pudeat» 64 •
Come ben si vede l'esortazione è rivolta pmiicolannente ai sacerdoti che ne hanno la capacità. Nel caso o nella situazione previsti, di sacerdoti cioè non all'altezza di predicare, si danno delle opportune indicazioni sulle cose indispensabili che possono limitarsi a predicare: ritengo che ci si trova davanti ad un chiaro sintomo che «la figura del parroco/predicatore,
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Palenno Pa!enno Siracusa Siracusa
1586, I pars, c. 5, p. 8, 13. 1586, I pars, c. 8, p. 16. 1553, tit. VIII, c. 2, ff. 53v-55r. 1553, tit. Vlll, c. 3, f. 55v.
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delineata dalla riforma tridentina, nmane, di conseguenza, ancora nell'ambito ideale» 65 • I sinodi, pertanto, se da un lato, recependo l'indicazione h·identina sull'importanza della predicazione, ne fanno un dovere grave ai patToci di assolverlo, dall'altro lato si trovano davanti al fatto che non tutti coloro che sono in cura di anime ne hanno la capacità: da qui il suggerimento a farsi aiutare come pure l'offerta di modelli da usare nell'assolvere tale grave dovere.
5.
!L METODO
I sinodi, avendo di mira l'elevazione spirituale e morale del popolo cristiano, unitamente al dovere di predicare danno anche delle indicazioni metodologiche sul come assolvere tale compito per raggiungere al meglio lo scopo. Particolarmente ricco e significativo è il sinodo di Mazara; innanzitutto dice che bisogna istrnire «populos sibi commissos pro eorum sufficientia, et astantium capacitate, salutari verbo Dei pascere, et sermone vu1gari necessaria ad saluten1 exp!icare» 66 , dove risulta evidente la preoccupazione sia dell'adattamento alla capacità degli uditori sia di una risposta adeguata al loro bisogno. L'indicazione dell'uso della lingua volgare è in funzione di tale necessario adattamento. La stessa preoccupazione torna nel capitolo seguente quando affenna che «annunciandoque eis cum brevitate, et tàcilitate se11nonis vitia, quae eos declinare, et virtutes, guae sectari opo1teat; ut paena1n aeten1a1n evadere, et caelestem glorian1 consegui valeant» 67 , la brevità e la chiarezza sono richieste in vista della 1norale cristiana da vivere e della salvezza eterna da conseguire. E insiste sul dovere di adattare la predicazione alle singole categorie di persone: «normam religiose vivendi audientibus tradendo. Patribus, et filiis fa1nilias, don1inis, servis, fàn1lllis, n1agistris, discipulis, et caeteris on1nibus cuiuscumque sexus, pro sua aetate, et qualitate, propriu1n n1unus assignando, et modum illud implendi docendo» 68 ; da notare, inoltre, l'indicazione di tipo didattico in vista dell'esperienza cristiana: il predicatore 65
Voce Predicazione, cit., 546; sull'ignoranza di cciii sacerdoti cfr anche C'atania 1565, c.
102. 66
67 68
Mazara 1575, I pars, c. 35, f. 22v. Mazara 1575, I pars, c. 36, f. 22v; cfr anche Agrigento 1589, I pars, tit. Mazara 1575, I pars, c. 39, ff. 25v-26r.
li,
c. 9, p. 8.
348
Salvatore Consoli
cioè deve sapere assegnare a ciascuna categoria il da fare e il modo come realizzarlo. Complessivamente qnindi l'insegnamento religioso si configura come iniziazione all'esperienza dei valori e delle nonne propri dell'etica cristiana. Quanto mai significativa, per la preoccupazione di accultnrare e di personalizzare la predicazione, è l'insistenza snll'opportunità di conoscere le debolezze e i peccati caratteristici degli uditori: «Praecipimus etiam praefatis Curatis, et Vicariis, concionatores instruere vitia, scelera, et peccata, quae sepius ibi frequentanturn 69 , questo compmia un lavoro di sinergia tra il predicatore e il pastore di anime che ben conosce lo stato spiritnale dei suoi parrocchiani. Opportune e significative le indicazioni che lo stesso sinodo dà su quanto i predicatori debbono evitare: «Abstinentes se a iactantia, et doctrinae ostentatione, adulatione; levitate, poeticis, facetiis, ridiculis, fabulis, et verbis otiosis, ad nsun1 et non ad devotionen1 et luctt1111 provocantibus. Obscuritatibus etia1n, et nilnia subtilitate non gaudere» 70 •
La predica non deve essere concepita dal sacerdote come occasione per far mostra di sé, dando luogo a sfoggi di tipo culturale o oratorio, ma come un servizio efficace al popolo cristiano. TI sinodo di Messina mette un accento particolare sul dovere di adattarsi alla capacità di apprendimento di ciascuno e, particolarmente, al popolo u1nile: «potissin1un1 uniuscuiusque, et praesertin1 plebis 111dis, se captui accomodent, ut fiant omnibus omnia» 71 • Significativa anche l'indicazione: «pueros 1ne1noriter recitantes libenter audiant» 72 , la 1nen1oria, capacità particolarmente viva nei fanciulli, costituisce certamente uno strumento di cui la pastorale deve con_ intelligenza saper fruire per far scendere nella mente le verità di fede e nel cuore le virtù cristiane da vivere.
69
Mazara 1575, I pars, c. 41, f. 27r; sull'opportunità di conoscere i difetti particolari del popolo per poter dare !'aiuto a debellarli cfr anche Siracusa 1553, tit. X, c. 3, tl 80v-8lr; cfr anche Patti 156 7, De praedicatione verbi Dei, c. 2, § 6. 70 Mazara 1575, 1 pars, c. 39, f. 25v. 71 Messina 1588, I pars, c. 22, p. 44; sul dovere di adattarsi al popolo ignorante cfr anche Patti 1537, c. 92, ff. 27v-28r. 72 Messina 1588, Il pars, c. 20, p. l O.
La predicazione
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Uno dei sinodi di Patti presenta un formulario in lingua volgare, lungo, dettagliato ed obbligatorio 73, naturalmente allo scopo di fornire aiuti e suggerimenti al fine di adattare la predicazione all'uditorio. La predica popolare intesa dai sinodi è quella voluta da Trento: oltre ad essere fatta in lingua volgare, servendosi di un linguaggio appropriato e di opportuni gesti, deve essere in grado di scuotere il pubblico e di comunicare un contenuto morale 74 • La predica deve sapere adattare le verità di fede e le norme etiche alla capacità di comprensione e all'esperienza dei fedeli 75 . Quanto all'istruzione del popolo cristiano, i sinodi sono chiaramente in consonanza con il concilio sul metodo da seguire: «Occorre infatti calcolare l'età, le capacità, i costu1ni, la condizione degli
ascoltatori [... ] non creda egli [il predicatore] che gli affidati alla sua custodia appartengano tutti alla 1ncdesi1na categoria, si che possa ishuire ed educare alla vera pietà tutti i fedeli, 1nediante un 1netodo unifonne e costante [... ] a
ciascuno offra quel cibo dottrinale che accresca le forze dello spirito ... » 76 • È da ritenersi saggia l'insistenza dei sinodi sulla necessità di raggiungere il cristiano nella sua individualità e nella concretezza della vita, cioè sul tener conto della sua capacità intellettuale, dei suoi bisogni spirituali e delle sue condizioni concrete. Il metodo chiaramente indicato per la predicazione e per la catechesi è l'adattamento pedagogico: «adattare la dottrina allo spirito e all'intelletto degli ascoltatori» 77 •
6. IL SENTIRE OVVERO IL CUORE DEL PREDICATORE
I sinodi, oltre ad insistere sul dovere e sul metodo, danno delle indicazioni sui sentimenti che deve nutrire il predicatore per assolvere evangelicamente il suo compito. Il sinodo di Siracusa è molto preciso:
73
Patti 1567, De rectoribus et curatis, c. 2.
74
Cfr voce Predicazione, cit., 539-542. Catechis1nus ro1nanus, Prooe1niun1, n. 4.
75
76 77
Jbid.' L.c.
Il.
6.
350
Salvatore Consoli «Horta1nur sacerdotes 01nnes, praecipue peritos, ut singulis diebus dominicis et festis, Evangeliun1 Christi non erubescentes infra missarum solennia, prout sibi Don1Ìnus tribuet, qui solet dare verbu1n evangelizantibus vi1iute n1ulta, illud populo in charitatc et cordis sitnplicitate explanare debeant>/8 .
Oltre ad avere fiducia in Dio, es011a ad assolvere l'annunzio con un atteggiamento di carità e con un cuore pieno di semplicità: quello della predicazione, infatti, è un servizio impossibile senza l'aiuto divino e poco significativo se non fosse frutto dell'amore e non fosse fatto con retta intenzione. Il sinodo di Catania, nella stessa linea, ricorda che Dio «sole dare la gratia sua et con mol!a virtù a quelli chi predicano lo evangelio suo santo» 79 , Dio, infatti, non lascia senza il suo aiuto i ministri del suo vangelo. Indica pure con quali sentimenti bisogna assolvere tale mandato: «debiano explanare al popolo lo evangelio con carità et simplicità de cori>> 80 • E il sinodo di Mazara es01ia con insistenza i predicatori ad assolvere il loro ministero: «eo dilectionis ardore, et vehementia charitatis exolvere, ut populos ab errori bus compescant, et centuplum semen afferenl»"', solo una vera carità e un grande zelo faranno sì che il predicatore ricerchi non se stesso 1na il bene dei fedeli, cioè Ia conversione e l'in1pegno nella vita virtuosa e nelle opere di bene. Il sinodo di Cefalù, dopo aver ricordato che Cristo ha affidato il gregge a Pietro dopo la triplice promessa di amore, affenna che: «Ne1no piene facere poterit nisi prius Christu1n et Christi charitate grege1n dilexerit verbi doctrina, operis exemplo [... ] pascendo l ... ] diligitur aute1n proximus cu1n verbi doctrina pascitur [... J Diligitur secundo proxi1nus operis cxemplo ut populus videns opera bona parrochi ducen1 habeat que111 sequatttr>J 82 •
È chiara la convinzione che solo chi ama Cristo può assolvere tale ministero e solo chi possiede l'amore di Cristo sente l'urgenza e il dovere di annunziare la parola e di sostenerla con l'esempio della propria vita. 78
Siracusa 1553, tit. Vili, c. 3, f. 55v. Catania 1565, c. l 02. so L.c. 81 Mazara 1575, I pars, c. 39, f. 25v. 82 Cefalù 1584, De sacran1e11toru111 Ecc/esiae usu, c. l, f. 7r. 79
La predicazione
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Perché la predicazione raggiunga lo scopo, viene ribadito che il ministro deve ricercare «non sua, sed guae Christi sunt» 83 , cioè deve saper comunicare la vera dottrina di Cristo ed avere lo zelo per le anime per le quali Cristo ha dato il suo sangue. Come pure deve ricercare ciò che «plus utile est animabus» 84 , mettendo al centro non se stesso ma gli altri, ciò che veramente è utile agli altri. E viene, inoltre, ricordato che, solo adattandosi alle capacità e alle esigenze degli uditori, il predicatore diventerà secondo l'indicazione del!' Apostolo «omnibus omnia» 85 I sinodi, nell'insistere sulla carità quale anima della predicazione, sono nella linea del Tridentino, così bene espressa dal catechismo romano: «Se la Sapienza del Padre discese in persona sulla terra per trasmetterci, nell'abbassamento della nostra carne, i precetti della vita eterna, chi non sarà spinto dalla carità di Gesù Cristo (2Cor 5,14) a farsi piccolo tra i propri fratelli? (!Tes 2,7)» 81'.
7. l SUSSIDI CONSIGLIATI
A seguito dell'impulso dato da Trento alla predicazione si n1oltipiicano i sussiài aà uso àei predicatori, moìti ùei 4uali si ispirano a Carlo Borromeo" 7 • li concilio vuole un manuale a cui i panaci e i predicatori possano attingere per predicare e catechizzare, e vuole che sia un testo unico e uniforme così come lo è la regola della fede"": nel I 566 viene pubblicato, per ordine di S. Pio v, il catechismo romano 89 • li catechismo è una sintesi della dottrina teologica e morale allo scopo di facilitare i pastori nel loro ministero pedagogico: viene raccomandato da molti sinodi'0 , compresi quelli siciliani. Il sinodo di Cefalù, partendo dalla analogia con i medici che hanno il dovere di studiare i libri che presentano le medicine, indica in tutta la sua
8 ·' s4 85
Mazara 1584, v pars, De 1nagistris et praedicatoribus, c. 9, p. 160.
L.c.
Messina 1588, I pars, c. 22, p. 44. Cathechisnnts ronu111us, Prooe1nium, n. 6. 87 Cfr voce Predicazione, cit., 545-547. 88 Cfr sess. XXIV, de re,f, c. 7, COeD, 764; sess. xxv, COeD, 797. 89 Cfr C. TESTORE, Catechis1110, in Enciclopedia Cattolica, 111, Città del Vaticano 1949, 11181125. 9 Cfr E. MANGENOl, Catéchisn1e, in Diclionnaire de Théologie Catho!ique, 1112, Paris 1905, 1895-1968: 1913-1918. 86
°
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Salvatore Consoli
gravità il dovere di studiare, proprio di quanti sono m cura di anime, ed indica anche quali sono le fonti alle quali attingere: «Crimine, ce1ie non leve erit si Sacerdotes curam anin1arun1 habentes, assidue libris sanctorun1 inedicinalibus ani111aru1n, in quibus anin1as in aete1num victuras sanare edocetur studere neglexerint: [... ] videant diligenter, et actente legant su1nma1n Angelicam, [... ]. Parochus vero sen1per fere prae1nanibus habere secundan1 secundae Divi Tho111ae Optima referit: etia1n Catechis1num Ro1nanu111, vel su1n111an1 Sacra111entoru111 nuper aedita111, negligentes vero poena carceris nostro arbitrio 111ultent11n> 91 •
La pena comminata è un evidente segno dell'importanza che si attribuisce alla predicazione e, pertanto, costituisce un forte richiamo alla indispensabile preparazione, che i pastori di anime debbono necessariamente premettere. li sinodo di Messina è ancora più preciso: «Nihil tnagis Clcricos decet, qua1n divinac Scripturae, ac Sanctorun1 Patru1n volun1ina saepis evolvere, ex quibus Christianae vitae tònnula, et prohoru111 inoru1n exe1npla hauriuntur; ea propter 01nnes clcricos, cuiuscunque ordinis, ac dignitatis, praetcr Missale, ac Breviariun1, et Cathechis1nu1n, nuper editun1, Conciliu1n Tridcntinu111, ut apud se habeant hortan1ur; Curati vero praeler haec Pastorale Divi Gregorii, Su1111na1n Sancti Antonini, Silvestru1n, et alios si conunode fieri potest libros ad eorum officiu111 pe1iinentes per Sanctan1 Ecclesian1 approbatos habeant» 92 •
Stando a queste indicazioni si vuole che il sacerdote conosca la Scrittura e la Tradizione, abbia dimestichezza con i libri liturgici e conosca il pensiero della Chiesa. Si indicano pure i manuali e le summae che in quel periodo erano maggionnente dif!Usi. Le predette indicazioni sono in linea con la convinzione tridentina bene espressa dal catechismo: «La somma della dottrina che deve essere comunicata ai fedeli è racchiusa nella parola di Dio, ripartita nella Scrittura e nella tradizione. I pastori perciò trascorreranno notte e giorno in meditarle ... »93 • Secondo i sinodi, pertanto, al grave dovere di predicare è 91
Cefàlù 1584, De sacran1e11to poenilenliae, c. 13, f l 6v. Messina 1588, r pars, c. 4, p. 11. 93 Catechisnn1s ro111an11s, Prooemiu1n, n. 7.
92
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legato l'altrettanto grave dovere della dovuta preparazione per assolvere tale compito specifico del ministero pastorale.
CONCLUSIONI
I. Si può serenamente affermare che i sinodi del '500 hanno totalmente recepito per la vita delle Chiese di Sicilia quanto il Concilio di Trento ha stabilito sulla predicazione e sull'insegnamento religioso in genere. 2. Mentre per il concilio, più che l'ignoranza dei cristiani, costituiva preoccupazione principale l'miodossia, ritengo che i sinodi abbiano invece recepito il dettato tridentino finalizzandolo soprattutto al superamento dell'ignoranza del popolo cristiano, percepita con evidente preoccupazione. 3. La riflessione dei sinodi sulla predicazione è abbastanza ampia e completa: dopo averne presentato lo scopo e indicato i contenuti essenziali, si sofferma sul dovere di predicare, proprio dei pastori; indica il metodo, gli atteggiamenti e i sentimenti spirituali che il predicatore deve avere per assolvere al meglio tale grave compito; e, per concludere, insiste sulla necessaria preparazione e sulle fonti alle qualì il predicatore deve attingere. 4. li dettato sinodale , pur nella sua specificità di natura giuridica, non è arido ma è soffuso di un afflato chiaramente spirituale. Le abbondanti argomentazioni sono spesso di natura biblica. 5. Una difficoltà, qua e là balenante, è che quanti sono in cura dì anime non sono sempre all'altezza di assolvere con dignità e competenza il necessario e grave dovere della predicazione. 6. Questa breve analisi dovrebbe essere logicamente seguita e completata da un'altra di tipo storico, che faccia vedere se e come queste indicazioni sinodali sono concretamente entrate nella prassi della predicazione e dell'insegnamento religioso delle varie diocesi della Sicilia. Per una completezza maggiore bisognerebbe, inoltre, affiancare un'altra ricerca sulla preparazione che si dava, sempre nell'Isola, a quanti venivano amn1essi al 111inistero della cura pastorale.
Synaxis XIX/2 (2001) 355-382
IL CLERO NEI SINODI SICILIANI DEL '500
GIUSEPPE BA TURI'
La questione del clero, della sua orgauizzazione e riforma, fo uno dei pm importanti capitoli dell'intera attività sinodale del Cinquecento. Intervenendo sulla loro forma di vita, le costituzioni sinodali contribuirono a delineare l'ideale di santità proposto ai chierici, e in pat1icolare ai preti, nell'età moderna e a determinare i mezzi per perseguirlo efficacemente'. Proprio in questo sforzo le norme sinodali rivelano la «fonna mentis ecclesiastica>> dell'epoca'.
I. Chierici e riforma in Sicilia
Per mohi aspetti la questione dei clero era «un problema di fondo della vita sociale e religiosa»' del Mezzogiorno e della Sicilia del XVI secolo. Erano tempi in cui andava «resfriandose la charidad, y crescendo la malizia», come annota il gesuita spagnolo Girolamo Doménech nel memoriale sulla vita religiosa dell'isola, scritto nel 1563, destinato a Filippo Il e giunto a Trento a concilio già concluso'. Molti dei muchos abuso.1· *Docente di Diritto Canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Cfr G.G. SARZI SARTORI, Il sinodo diocesano nella storia, in E. Cappellini - G.G. Sarzi Sartori, li sinodo diocesano. Storia, nonnativa, esperienza, Cinisello Balsan10 (MI) 1994, 115. 2 G. DE RosA, «introduzione» a Clero e 111011do rurale nel sh1odo di Policastro del 1633, a cura di G. De Rosa, Venosa (Pz) 1987, 9. 3 M. ROSA, La Chiesa 111eridionale nell'età della controriforina, in La C'hiesa e il potere politico dal 111edioevo all'età conte111poranea, a cura di G. Chittolini e G. Miccoli, Storia d'Italia, Annali 9, Torino 1989, 293-294. ·l Cii· M. SCADUTO, La vita religiosa in Sicilia secondo un n1en1oria/e inedito del 1563, in Rhiista di Storia della Chiesa in Italia 28 (1974) 563-581. li 1nen1oria!e, scritto dal Do1nénech insien1e ad altri due gesuili spagnoli, era stato co1nmissionato dal viceré Juan de !a Cerda, duca di Medinaceli. Sulla figura e l'attività svolta in Sicilia dal padre Don1énech, cfr M. CATALANO, La .fondazione e le prùne vicende del collegio dei gesuiti in Catania (15561574), in Archivio Storico per la Sicilia Orientale 13 (1916) 34-80; 14 (1917) 145-186; D.
356
Giuseppe Baturi
denunciati nel memoriale riguardavano proprio il clero. Era anzitutto evidente che molti prendevano la prima tonsura e vestivano l'abito talare per sottrarsi alla giustizia secolare o per altri progetti temporali, «y corno e! animo no es religioso, ta1npoco es la vida, y assi, vienen a hazer rnuchos des6rdenes de que e! pueblo grandemente se escandaliza» 5 • In secondo luogo, il memoriale denuncia che nel clero siciliano «reyna grande ygnorancia» 6 • Erano anche ammessi al sacerdozio «gente inetta a leggere il messale e a pronunciare la formula dell'assoluzione»'. Terzo problema: tutto sembrava condizionato dagli interessi. In alcune parti dell'isola «se vcnden los Sacramentos» 8, nel senso che soprattutto il matrimonio e l'estrema unzione venivano celebrati solo dietro corresponsione di una certa somma di denaro, con la conseguenza che a molti poveri tali sacramenti erano di fatto negati; esistevano grandi differenze di condizioni economiche tra i chierici, cosicché quelli più poveri erano costretti a cercare nelle più diverse occupazioni quanto necessario per vivere 9; capitava inoltre che le non1ine fossero fatte per soddisfare gli appetiti più vari e che fossero venduti con facilità i beni della chiesa 10 . In quaito luogo, il clero siciliano è rimproverato di disattendere i doveri pastorali, soprattutto quello di predicare la parola di Dio, compito «tan importante y necessario» per l'educazione religiosa del popolo 11 • Infine, e in connessione con tutte le questioni sopra elencate, era
Novarese, Istituzioni politiche e studi di diritto ji·a Cinquecento e Seicento. Il "A1essanense Studiu111 (ienera1e" tra politica gesuitica e istanze egetnoniche cittadine, Milano 1994, ad indice1n; S. CUCJNOTTA, Popolo e clero in Sicilia nel!a dialettica socio-religiosa fra CinqueSeicento, Messina 1986, 156. 5 Cfr M. SCADUTO, La vita religiosa in Sicilia, cit., 577. Anche il sinodo di Patti dcl 1537 era ben cosciente che n10Jti divenivano chierici per poter godere delle in1munità e privilegi, specie delprivi/eghon.fori: Patti 1537, c. 56, f. l6v. 6 Cfr M. SCADUTO, La vita religiosa in Sicilia, cit., 577. 7 !hid., 570. Capitava che in alcuni centri, soprattutto dell'interno dell'isola, non vi fossero per questo sacerdoti in grado di confessare. Cfr A. LONGHITANO, La parrocchia nella diocesi di Catania prin1a e dopo il Concilio di Trento, Pa!enno 1977, 60. 8 M. SCADUTO, La vita religiosa in Sicilia, cit., 576. 9 Su!la disparità di risorse tra i chierici siciliani, cfr L. SCALISI, La controrijònna, in Storia della Sicilia, 3. Dal 1350 al 1650, a cura di F. Benigno - G. Giarrizzo, Roma-Bari 1999, 75. Le funzioni ecclesiastiche pili in1portanti, inoltre, erano spesso offerte dal re a dei non siciliani, non residenti ne!J'isola. Cfr C. M. StvHTH, Storia della Sicilia n1edievale e 111oderna, Roina-Bari 2000, 205-206; S. CUClNOTTA, Popolo e clero in Sicih"a, cit., 285-287. 10 Per un'idea delle rendite de! clero secolare siciliano, cfr S. CUCJNOTTA, Popolo e clero in Sicilia, cit., 288-298. 11 Cfr M. SCADUTO, La vita religiosa in Sicilia, cit., 563-581. Neanche i vescovi più attenti obbligano i sacerdoti a predicare, attività spesso lasciata alla buona volontà del clero.
Il clero
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vivo il problema morale del clero. Anche se i casi più gravi riguardavano «convivenze illecite, frequentazione di prostitute, esercizio di professioni non consentite»", il disordine morale imputato agli ecclesiastici era configurato sotto molteplici «categorie cnmmose», il cui lungo elenco era «nella tradizione giuridico-canonica dell'epoca dilatato e specificato minutamente» 13 • È un quadro che «dà propriamente il senso di una profonda desolazione»" e che dimostra bene la centralità che la questione del clero rivestiva per la rifmma della Chiesa e per la riuscita della sua azione pastorale. L'urgenza della rifonna poneva gravi questioni circa i soggetti, le iniziative, le idee e gli strumenti adatti a realizzarla. I sinodi mettevano in evidenza, insieme all'ambiguità della loro azione 15 , il ruolo e la responsabilità dei vescovi: poiché compito proprio del pastore è la rifonna dei costumi dei suoi sudditi, al vescovo maxime appartiene la responsabilità della riforma del clero 16 • In rapporto a questo compito, i sinodi forano visti
Cfr G-. MANDALÀ, Il vescovo e la chiesa locale. Vita liturgica e pastorale a Bronte nelle Visite dei due Torres (1574-1598) arcivescovi di lvfonrea!e, Caltanissefta-Ron1a 1997, 223. 12 /hid, 121. 13 G. GRECO, f'ra disciplina e sacerdozio: il clero secolare nella società italiana dal Cinquecento al Settecento, in Clero e società ne/l 'Jtalia n1oderna, a cura di M. Rosa, Ron1aBari, 1997 2, 46-47. Giuseppe Giarrizzo scrive di un clero «per lo più in1preparato e culturalmente assai 1nodesto, privo di significativi 1nodc!li di pietà e cura pastorale, e inoltre 1nal distribuito tra la ressa urbana e le 1nag\ie larghissin1e del ministero rurale»: G. G1ARRIZZO, La Sicilia dal C'inquecento all'Unità d'Italia, in V. D'ALESSANDRO - G. GJARRIZZO, La Sicilia dal Vespro all'Unità d'Italia (Storia d'Italia, 16) Torino 1989, 190. In n1odo analogo anche L. SCALISI, La controrifonna, cit., 75. 14 G. ALBERIGO, I vescovi Italiani al C'oncilio di Trento ( J545-1547), Firenze 1959, 11. 15 Cfr G. GIARRIZZO, La Sicilia dal Cinquecento all'Unità d'ftalia, cit., 146. Sulle iniziative dei viceré, cfr C.M. SJVUTH, Storia della Sicilia n1edievale e 111oderna, cit., 203; M. SCADUTO, La vita religiosa in Sicilia, cit., 563-569. 16 Significative alcune delle espressioni iniziali dei titoli De vita et honestate clericoru111: «ecclcsiaru1n practatonnn propriu1n 111unus [est] rcformandis moribus prudenter intendere, et subditoru1n vitia paterna charitate corrigere 1naxi1ne clericoru1n»: Mazara 1575, I pars, c. 2, f. Iv; «Cun1 ad nos Clcricorun1 mores 1naxime refonnare pertineat, haec circa eonnn refonnationern adiungere visu1n est>l: Patti 1584, IV pars, c. 6, f. 40v. Che la riforma dei chiet·ici fOsse uno dei doveri principali dei vescovi, era opinione conll111e ne!la canonistica dell'epoca. Cfr P. LANCELOTTI, Jnstitutiones iuris canonici, I. l, tit. Xli, [pri1na edizione Perugia 1563J Venetiis 1630, 42-43. Sui sinodi diocesani quali strumenti della rifonna, cfr A. KAKAIU:Ko, La rifonna della vita del clero nella diocesi di Vilna dopo il Concilio di Trento (1564-1796), Roma 1996, 53-58.
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-- e vissuti - come fonna rafforzata della potestà legislativa dei vescovi piuttosto che prassi di partecipazione del clero alla sua determinazione 17 •
2. «Caram Dea .. coram papula» Vero è che i «sinodi non elaborarono un modello di vita sacerdotale ma si accontentarono di formulare delle norme disciplinari che sopprimessero alcuni abusi nella vita dei pastori d'anime»'", ma è fondato pensare che un tale modello risulti comunque presupposto e difatti esso emerge, anche se in abbozzo, nei capitoli introduttori dei titoli che stiamo esa1ninando. La riforma della vita dei chierici esige ch'essi siano sempre memori della loro vocazione'". Quale? L 'ajjìcium dei chierici - espone il sinodo di Monreale del 1554 - è duplice: essi sono costituti perché preghino per il popolo loro affidato e perché siano maestri nella religione e sale della te1rn (cfr Ml 5,13), «verbo et exemplo»'°. In forza di questo ministero di intercessione e di cura pastorale, i chierici sono chia1nati a vivere, co1ne punto di 1nediazione e di incontro, «inius coran1 Deo... extra cora1n populo» 21 • I chierici sono costituiti «in sortem Domini». Lo stesso nome del clero è significativo della sua vocazione. Esso deriva dal greco k/eros, che significa sorte, paiie d'eredità, possesso e designa quanti, avendo per sorte Dio, loro «parte di eredità» ( cfr. Sai 15), sono consacrati al servizio di Dio e
17
Anche i ire gesuiti redattori del 1l1e1noriale del 1563 suggerirono il ripristino della consuetudine, «antiqua y tan provechosa», della celebrazione dei concili provinciali e sinodali, al fine di dare «1nayor fuerza y auctoridad de la ordinaria» alla «vigilancia y solicitud» dei vescovi: M. SCADUTO, La vita religiosa in Sicilia, cit., 576. Nello slesso anno il Concilio di Trento prescrisse la celebrazione annuale dei sinodi diocesani: scss. XXIV, de ref:, c. 2, in Concilion11n Oec111nenicon11n Decreta, a cura dell'Istituto per le scienze religiose, Bologna 1991 (=COeD), 761. Sui riflessi nella prassi e nella nonnativa sinodale dell' «irrigidin1ento dcl concetto di autorità» verificatosi nel periodo post tridentino, cfì· A. LONGHJTANO, La nonnativa sul sinodo diocesano. Dal Concilio di Trento al codice di diritto canonico, in La Scuola Callolica 115 ( 1987) 11-17. 18 A. KAKAREKO, La rifonna della vita del clero, cit., 113. 19 «Men1orcs perpetuo vocationis sint, qua eos vocare dignatus est Do1ninus nosten>: Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 132. 20 Monreale 1554, tit. x111, c. 2, f. 67v. 21 Messina 1588, Il! pars, c. 1, p. 104.
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della Chiesa". Il riferimento è alla condizione dei leviti scelti per il servizio alla tenda del Signore e dei quali il Signore stesso è parte e possesso in mezzo agli Israeliti (cfr Nm 18,20-24; Dt 18, 1-8). La santità, per i chierici, è vivere tra i fratelli avendo solo Dio per possesso: «sicut tribus levitica [... ] sic clerici>>2 3 ; essi sono chiamati ad essere santi in ragione di questa appartenenza esclusiva al Signore'". Legato a questo, i sinodi enunciano un secondo tema. I chierici devono partecipare della sacralità di tutto quello che appartiene a Dio e al cui servizio sono chiamati: «Qui sancta tangunt [... ] sanctos oportet esse, et sine repraehensione» 25 • La sacralità di ciò che i chierici tangunt deve passare ai loro costumi, secondo un modello che assume a riferimento la concezione della purità dell'antico Israele (cfr Es 29,37; 30,29) e che incorpora già l'idea della separazione dagli altri fedeli e della vocazione ad una superiore perfezione". «Coram populo», i chierici «sunt lux, et speculum»n A loro infatti, nella persona degli apostoli, è riferita l'immagine di Gesù di Mt 5,14-16'". La riforma dei costumi dei chierici corrisponde, quindi, all'esigenza che la lucerna sia posta sul lucerniere «Ut populus in domo Dei lumen videat» (cfr Mt 5, 15)"'. Sull'esempio di Gesù Cristo che, potente in parole ed opere, prima fece e poi insegnò (cfr Le 4), i chierici devono conformare la loro vita ~ 2 «Cierici ad sorten1 Do1nini assu1npti proprie dicantun>: Agrigento 1589, IV pars, tit. 111, c. I, p. 119. Cfr Mazara 1575, I pars, c. 2, L lv; Messina 1588, Ili pars, c. 1, p. 104; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 131. L'argo111ento a definitione risale a S. Girolamo ed è raccolto, per il tran1itc di Isidoro, da Graziano in D.21 e.I. Cfr anche J. GAUDEJ'vfET, Storia del diritto canonico. Ecclesia et Civitas, Cinisello Balsan10 (Ml) 1998, 84-85. 23 iv1onrca!e 1554, tit. XIII, c.!, f. 67r. 24 «In sorten1 Don1ini vocati sunt, ita vitain et 1nores co1nponere debent»: Patti 1584, IV pars, c. 6, f. 40v; «tales igitur exhibere se debent, ut et ipsi possideant Do1ninu1n, ve! possidcantur a Doinino»: Monreale 1554, tit. Xlii, c. 1, f. 67r. 25 Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate clericoru111, c. 1, p. 71. 26 «Sacris in Ecclesia Dei 1ninisteriis sunt addicti, vasa Doinini tractantes per quan1 lucenti vita, candidisque tnoribus, coeteris praestarc tenentun>: Messina !588, 111 pars, c. 1, p. l 04. Si con1pie così il «passo dagli oggetti "separati" perché destinati al culto, alla persona "separata", per la stessa ragione»: M. (iUASCO, Storia del clero in Italia dal/ 'Ottocento a oggi, Roma-Bari 1997, I 0-11. 27 Messina 1588, Hl pars, c. 1, p. 104. «Clcrici [ ... J !ux n1undi nuncupati [sunt])>: Agrigento 1589, IV pars, tit. III, c. I, p. 119. Cii· Cefalù 1584, De vita e! honestate clericorun1, c. 1, f 2v; Monreale 1554, tit. xnr, c. 2, f. 67v. 28 «Christus do1ninus Salvator 01nniu1n Apostolis in persona on1niun1 religiosoruin loquens ait vos acstis lux 1nundi ergo sic luccat lux vestra corani ho1ninibus ut videant opera vestra bona, et glorificent Patrein vcstru1n qui in caelis est (cfr Mt 5)»: Cefalù 1584, De vita et honestate c!ericonon, c. l, L 2v. Stesso rifcri1nento in Monreale 1554, tit. XIII, c. 2, f. 69r. 29 Monreale 1554, tit. XIII, c. 5, f. 69r; Agrigento 1589, IV pars, tit. 111, c. 1, p. 119.
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a ciò che insegnano 10 • L'esempio della vita è infatti il modo migliore di istruire i laici 31 , «quae plus exemplo destruat quam verbo aedificet» 32 • In caso contrario, non solo i chierici sono destinati a perdere d'autorità presso il popolo cristiano ma rischiano di ostacolarne il camminoD Le ragioni appena dette radicano la concezione del prete come mediatore tra Dio e il suo popolo e per questo in una posizione separata rispetto a quella degli altri fedeli. I chierici sono priores del popolo nella dignità e nell'ordine, devono perciò esserlo nella vita e nei costumi 34 • Come il sacro ordine, continua il sinodo di Palermo del 1586, separa i chierici dagli altri uomini, così il loro genere di vita deve essere separato da quello dei fedeli comuni, e rispetto al loro superiore35 • In fondo, le norme sinodali miravano a dare alla vita dei chierici una forma distinta e separata da quella degli altri fedeli 36 • 30 «Cu1n Christus caeperit pri1nun1 facere et inde docere, qui potens fuit in opere et
sennone curandun1 in prin1is putan1us, ut sacerdoiis 1nanus et os confor111ent, neque aliter loquantur et al iter vivant»: tvlonrcale 1554, tit. Xlll, c. 4, f. 68v. 31 «Cu111 clerici ad sortein Don1ini assu1npti proprie dicantur, et lux 1nundi nuncupati sint, exen1plo Do1nini vita, et 1noribus eoru1n !aicos 0111nes instruere debent, ut luccant on1nibus qui in don10 Don1ini sunt. .. >>: Agrigento 1589, TV pars, fil. III, c. 1, p. l 19. 32 Monreale 1554, tit. Xlll, c. 4, f. 68v. 33 Messina 1588, lll pars, c. 1, p. 104. l laici potrebbero rivolgere ai chierici l'antico adagio: «n1edice cura tcipsu1n»: Siracusa 1553, tit. J, c. I, f. 1r. Per i chierici, quindi, la «necessilas bene vivendi» si radica nella necessità di pascere il proprio gregge con i[ «bonun1 excn1plunu>, con il «vitae bonus odor»: Patti 1567, De vita et honestate c/ericonon, c. l, § 59. Cfi· anche Mazara 1575, I pars, c. 2, f. Iv; Patti 1567, De vita et honestate c/ericoru111, c. l, § 59. Si ricordi la frase, bella e fainosa, di Giovanni Crisogono riportata in D.40, c.12: «Bene vivendo et bene docendo populun1 instruis». È questo uno dei principi cardine della rifOrn1a voluta da Trento: cfÌ' L. MEZZADRI, «introduzione» a A lode della gloria. 11 sacerdozio nell'éco!efi<c1nçaise. XVJJ-XX secolo, a cura di L. Mezzadri, Milano 1989, I I. 34 «Clerici in sortem Do1nini assun1pti, uti populo dignitate, ac ordine sunt priores, sic 1noribus, et vita esse debent»: Palenno 1586, JV pars, c. 15, p. 131. 35 «Sicut sacro ordine a reliquis ho111inibus seiuncti sunt, ita co111n1unis fideliun1 vitae usu seiuncti praecipuun1 quoddmn, atque hoc praestantius vivendi genus sequantur; quo ordinis dignitate praecellunt»: Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 132. 36 I diritti e i doveri dei chierici sono definiti all'interno dellapersonaru111 divisio che divenne predo111inante a patiire da un fmnoso brano attribuito da Graziano a S. Girolan10, nia derivato dai testi apocrifi della riforn1a gregoriana: «Duo sunt genera Christianoru1n», i chierici e i laici: i pri111i sono dediti a Dio e al culto, e per questo tenuti a po1iarc segni esteriori della propria consacrazione e ad astenersi «ab omni strepitu te1nporalium», ai laici sono consentite le cose profane, e per questo possono guadagnare la salvezza «si vicia tainen benefaciendo evitaverint»: C.12, q.1, c.7. A testi1nonianza dell'influenza che ebbe il brano di Graziano nella definizione del de iure personaru111, cfr P. LANCELOTTI, lnstitutiones iuris canonici, l. r, tit. IV, Venetiis 1630, 16.
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Le norme sinodali «de vita et honestate clericorun1» assunsero il valore di un programma per la loro riforma 37 • L'espressione vita et honestas indicava la vita onesta in quanto confmme alla fede e alle leggi cristiane e quindi «il complesso di virtù soprattutto esteriori e di carattere morale» 18 . Le nom1e dovevano disciplinare la forma di vita (modus et ardo )39 dei chierici, quegli aspetti del loro vivere che sembravano, agli occhi dei legislatori, maggiormente significativi della loro vita interiore40 • Per questo le norme dovevano riguardare i costumi e la dottrina, il corpo e il vestito'", «ut vita conveniat doctrinae» 42 • Sintetizza il sinodo di Palenno: «In incessu, statu, gestu, ila se praebeant, ut ab ordinis, guae susceperint, nomine, et ratione nullo sane modo discrepent» 43 •
17 11 titolo De vita et honestate cfericonon, all'interno dcl quale trovarono posto la gran pat1e delle norn1e sinodali riguardanti il clero, risale al (-:orpus iuris canonici. Per una conoscenza de! rnaleriale nonnativo tradizionaln1ente raccolto nel titolo De vita et honestate c/ericonan, cfr L. FERRARJS, Clericus, in Pron1pta bibliotheca canonica, iuridica, 111orulis, theologica, li, editio novissi111a, Ro1nae 1886, 297-359. 38 A. KAKAREKO, La r[fònna della vita del clero, cii., 42. Per l'interpretazione tradizionale dell'espressione, cfr F.X. WERNZ, Jus decretaliu111, t. Il, pars I, Ro1nac 1906, 265. Nei Decreti di rifonna del Concilio di Trento l'espressione honestas fu adoperata in modo equivalente a integritas 111orz1111, vitae integrifas, 111ores. Cfr A. KAKAREKO, La rifònna de11a vita del clero, cit., I 0.42. 39 La vita di cui si parla è «n1odus, et ordo quidan1, secundtun quein quis vivere debet et secundun1 hoc dici1nus alian1 esse vita1n clericoru1n, alian1 laicorum», e dell'honestas, «intellige de honestate 1norun1»: P. LANCELOTTI, Jnstitutiones iuris canonici, I. I, tit. Xll, note k e 1, Venetiis 1630, 42-43. 40 Gli cle1ne11ti esteriori sono oggetto diretto dell'attenzione delle nonne in quanto 1nanifestazione di quelli interiori. «f'v1entis qualitate1n extcrior corporis con1positio indicat»: Monreale 1554, lit. XIII, c. 5, f. 69r; «Per cxtrinsecan1 modestiam intrinseca ostendatun>; Mazara 1575, I pars, c. 4, f. 2v; «per exteriora interiora cognoscuntur»: Monreale 1554, tit. XIII, c. 5, f. 69r. Tcnnini analoghi in Siracusa 1553, tit. I, c. 2, f. lv. 41 Agrigento 1589, IV pars, tit. nr, c. 1, p. 119; Monreale 1554, tit. XIII, c. 5, f. 69r; Patti 1567, De vita et honestate clericorun1, c. 1, §§ 58-59. 42 Monreale 1554, tit. XIII, c. 4, f. 68v. Aggiunge il canone: «neque aliter !oquantur et aliter vivant [ ... ]ne sit vita doctrinae contraria». 43 Pale11110 !586, IV pars, c. 15, p. 134.
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3. La 1nodestia clericale: l'aspetto, i gesti, i co11111ortan1enti
Ai chierici «decet ex doctrina apostoli sobrie, et iuste, et pie vivere, et [... ] religiosum, et modestum pensare»". I caratteri fondamentali del comportamento dei chierici devono essere pertanto la modestia e la temperanza, virtù che rivelano l'interiore religione del chierico". Va formandosi !'«immagine stereotipa di prete "testa inclinata, occhi bassi"» 46 • Ogni suo gesto, infatti, deve «gravitatem ostendere». I sinodi iniziano col richiamare il chierico alla modestia nell'incedere, nel parlare, nel guardare"'. Nell'incedere egli deve evitare qualsiasi incompostezza e mostrare onestà e pudore. Nel linguaggio, deve essere modesto perché è dalla qualità del discorso che si riconosce la qualità della persona'". E poiché l'impudicizia dell'occhio è testimone dell'impudicizia del cuore 49 , i chierici sono tenuti a conservare «mentis oculum purum [... ] [et] corporis oculum pudicum» e ad evitare la «indecens oculoru1n vagatio» 50 . La temperanza si manifesta, inoltre, nella sobrietà del vivere e nell'attenzione ad evitare luoghi ed occasioni equivoci o secolari. È vietato 44 Mazara 1575, J pars, c. 6, f. 4r. Il riferi1nento è a Col 3. Cfr anche Monreale 1554, tit. Xlll, c. 3, f. 67v-68v; Cefalù 1584, De vita et honestate clericoru1n, c. 1, f. 2v. Nulla di inondano è perciò loro consentito. «Ab 0111ni splendido apparatu, pompaquc seculari abstineant»: Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 136. ~ 5 «In verbis et factis de1nostrent Clerici 111odestian1, et honestate1n, et gravìiate1n»: Mazara I 584, II pars, De vita et honestate clericorun1, c. 7, p. 72; «Clericoru1n vita ten1perata esse debet»: Monreale 1554, tit. XIII, c. 6, f. 69r. Cfr Cefalù 1584, De vita et honestate clericorian, c. 1, [ 2v; Palermo 1586, IV pars, c. 15, p. 132; Messina 1588, III pars, c. 5, p. 108. 46 M. GUASCO, Storia del clero in Italia da/l'Ottocento a oggi, cit., 26-27. 47 «De incessu, sennone, et oculo». Siracusa 1553, tit. I, c. 2, f. lv; Monreale 1554, lit. XIII, c. 5, f. 69r; Mazara 1575, I pars, c. 5, f 3v; Patti 1584, IV pars, c. 6, f. 40v; Palenno 1586, IV pars, c. 15, pp. 134.136.138. Cfr D.23, c. 3; D.41, c. l; D.36, c. 19. 48 «Senno enim hominun1 vitan1 indicat»: Monreale 1554, tit. XIII, c. 5, f. 69r. D'altra pai1e, «verborun1 obscaenitatem non minus quan1 operun1 execrentun>: Siracusa 1553, tit. J, c. 2, f. lv. Cfr Monreale 1554, tit. XIII, c. 5, f. 69r. Riassun1e il sinodo di Palenno del 1586: «Nihil scurriliter, nihil iocose, nihil indecore, nihil turpiter loquantur. Absinl ab eis 1nale dieta, obtrectationes, curiositas, Jevitas, assentationes, ac nugae»: Palenno 1586, JV pars, c. 15, p. 136. Non sono consentite le tì·ivolczze perché «nugae in saccularibus, nugae sunt: in ore sacerdotu111, b!asphe1niae»: Patti 1584, IV pars, c. 6, f. 40v. 49 «ln1pudicus oculus, iinpudici cordis rest] nuncius»: Siracusa 1553, tit. I, c. 2, f. lv. 50 Siracusa 1553, tit. I, c. 2, f. 1v. Il sinodo di Paler1110 raccomanda che tutti i sensi, e non solo la vista, siano diretti a Dio: «sit igitur eorun1 oculoru1n aspectus si111plex, et pudicus, aurirnn sensus castus, et prudens, casta mens, casti 0111nes sensus»: Palern10 1586, IV pars, c. 15, p. 137.
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ai chierici entrare nelle taverne, se non per la necessità del viaggio, e di frequentare gli alberghi disonesti"; partecipare ai banchetti di nozze e ai conviti, tranne che per qualche festa particolare, ma sempre con sobrietà e senza dissipare il patrimonio di Cristo 52 ; tenere o partecipare a spettacoli e rappresentazioni teatrali, in chiesa o in altro luogo, soprattutto se in eloquio volgare o con la partecipazione di donne 53 ; cantare con laici e fuori casa 54 , e suonare stnnnenti non onesti55• In tutto ciò, infatti, vi è pericolo di peccato 56 • Comune è anche il divieto di andare di notte per le vie e le piazze, senza una causa giusta e necessaria 57 • Preferisce la notte, infatti) e odia la luce, solo chi fa il male (cfr Gv 3,20) 58 . Andare in giro di notte - ripetono i sinodi rende vile la dignità sacerdote e offre occasione alle mormorazioni 59 e alle risse 60 • Per la stessa ragione, anche di giorno i chierici sono tenuti a non fermarsi nelle piazze senza una causa legittima 61 •
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Monreale 1554, lit. Xlii, c. 24, f. 73v; Mazara 1575, 1 pars, c. 6, C 4r; Mazara 1584, pars, De vita et honestate c!ericoru1n, c. 21, p. 75. Cfì· X.lll.1.15. 52 Monreale 1554, tit. XIII, c. 25, f. 73v. 53 Monreale 1554, tit. Xlll, c. 25, f. 73v; Mazara 1575, I pars, c. 6, ff. 3v-4v; Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate c/ericorion, c. 20, p. 75; Patti 1584, IV pars, c. 6, f. 41v; Pa!enno 1586, IV pars, c. 15, p. !36; Messina 1588, III pars, c. 6, pp. 108-109; Agrigento 1589, 1v pars, tit. 111, c. 10, p. !22; c. 22, p. 125. Tra gli spettacoli impudichi, sono anche 111enzionati quelli degli ani1nali teroci e dei tori: Patti 1584, IV pars, c. 6, f. 41 v. 54 CeiJlù 1584, De vita et honestate clericorz1111, c. 7, f. 3v. Cfr anche ibid., c. 14, f. 5v. 55 «Clericis proibentur aliqua instrumenta nlusica!ia)): Cefalù 1584, De vita et honesfafe clericorz1111, c. 14, f. 5v. 56 Mazara 1584, II pars, De vita et honestate clericonan, c. 20, p. 75. 57 Siracusa 1553, tit. 1, c. 11, f. 5r; Monreale 1554, tit. XIII, c. 6, if. 69r-69v; Cefall1 1584, De vita et honestate c/ericonan, c. 7, f. 3v; Mazara 1584, II pars, De vita et honestate clericoru111, c. 10, p. 73; Palenno 1586, JV pars, c. 15, p. 135; Agrigento 1589, IV pars, tit. nr, c. 13, pp. 122-123. 58 Siracusa 1553, tit. 1, c. 11, f. Sr. I decreti sinodali offrono alla nostra iinmagine un quadro alquanto curioso: è vietato ai chierici alzarsi nel cuore della notte e andare per le vie e le piazze delle città in abiti indecenti, con struinenti n1usicali, e a volte con anni, spesso in con1pagnia di laici, a cantare cose turpi o serenate lascive! Il peggio è che di tutto ciò potrebbe essere data atnpia docu1nentazione: A. LONGHlTANO, La parrocchia nella diocesi di (~atania, cit., 62, nota 70. 59 Agrigento 1589, IV pars, tit. III, c. 13, p. 123. 6 Cefalù 1584, De vita et honestate clericorun1, c. 7, f. 3v. 61 Agrigento 1589, IV pars, tit. III, c. 13, p. 123. A testi111onianza del fatto che il pericolo della rissa non fOsse irreale, un ahro sinodo punisce il chierico che provoca una lite ingiuriando i laici: Mazara 1584, II pars, De vita et honestate c/ericonon, c. 33, p. 78. II
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È anche vietato ai chierici, soprattutto in sacris, prendere parte a giochi, specie se d'azzardo". Proibiti furono soprattutto i giochi delle carte e dei dadi, considerati turpi e disonesti perché causa di perdite di tempo, nel migliore dei casi, e di risse, bestemmie ed avarizia nei peggiori. Alcuni sinodi consentono il gioco degli scacchi, «ad recreationem et moderate» 63 e soprattutto «non cum laicis» 64 • Mentre qualche sinodo proibisce ai chierici la stessa possibilità di essere venatores 05 , la maggioranza di essi proibisce solo le forme illecite di caccia 66 . È vietato però mantenere cani e uccelli da caccia, attività che potrebbero mm1ificare l'adempimento dei doveri clericali 67 • I chierici ricordino - nota con arguzia il sinodo di Messina del 1584 - di esser stati chia1nati alla cura anùnaru111 non anùna/iz1111! 68 . È sempre rinnovato il divieto per i chierici, soprattutto in sacris, di portare anni, sia offensive che
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Patti 1537, c. 53, f. !Sv; Monreale 1554, tit. Xl!f, c. 21, f. 73r; Cefalù 1584, De vita et honestate clericorun1, c. 4, [ 3r; Mazara 1584, 11 pars, De vUa et honestate clericorun1, c. 8, p. 72; Patii 1584, IV pars, c. 7, f. 41v; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 136; Messina 1588, JIJ pars, c. 6, p. 109. Cfr x.nr.I.15; X.IJLl.14. Sull'avversione ai giochi, cfr G. DE ROSA, «Introduzione», cit., 12. 63 Mazara 1575, I pars, c. 6, f. 4r. 64 Per il sinodo di Messina dcl 1588 è possibile giocare agli scacchi, nla «parce ta1nen, et 1nodera1e in do1nibus, et inter ipsos Clericos, et causa animi rccreandi, et non cun1 laicis, neque in plateis, aliisquc pubiicis locis»: Messina 1588, III pars, c. 6, p. 109. Sono puniti anche coloro che si li1nitano ad ospitare giochi nelle proprie case: Monreale J 554, tit. XIII, c. 22, [ 73r. 65 Mazara 1584, JJ pars, De vita et honesfate clericoru1n, c. 11, p. 73. 66 Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 136; Messina 1588, Ili pars, c. 6, p. 109. Ne! CotJJUs iuris canonici era, infatti, consentito ai chierici andare a caccia in modo se1nplice e per utilità; era invece vietato in quaresi1na, per prodigalità e con 1nutc di cani: D.86; x.v.24.1. 67 Mazara 1575, I pars, c. 6, f. 4r; Cefalù 1584, De vita et honestate clericorzon, c. 3, f 3r; Mazara 1584, II pars, De vita et honestate clericoru1n, c. 11, p. 73; Patti 1584, IV pars, c. 7, f 43r; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 136; Messina 1588, III pars, c. 6, p. 109; Agrigento 1589,IVpars,tit.ITJ,c.11,p. l22. 68 Messina 1588, III pars, c. 6, p. l 09.
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difensive69 . Il clero non deve militare, ripetono i sinodi, con le armi carnali, le sue armi devono unicamente essere «lachri1nae et orationes» 70 • Anche il vitto dei chierici deve essere modesto". Soprattutto i sacerdoti devono evitare le gozzoviglie, che appesantiscono i cuori (cfr Le 21,34), e l'ebrietà, che conduce alla lussuria (cfr Ef 5,18) 72 : «frugali mensa contenti sint»"- L'abitazione del sacerdote deve essere modesta e congrna con la dignità dell'ordine, modeste le suppellettili e pie le immagini esposte o conservate 7 ~. Ai chierici era inoltre prescritto di non occuparsi di malefici e di superstizioni, di sortilegi o divinazioni 75 e di avere rapporti solo con uomini probi 76 •
4. La modeslia del/'a.1petto
Costante è la preoccupazione dei sinodi a disciplinare l'aspetto dei chierici. Essi urgono l'obblìgo di portare la tonsura che, fin dal IV secolo, rivestiva un particolare valore simbolico e giuridico, compiendo l'aggregazione allo stato clericale ed esprimendo la distinzione-separazione
69 «De arn1is non poi1andis a clericis»: Patti 1537, c. 54, [ l6r; Siracusa 1553, tit. 1, c. 10, 1T. 4r-5r; Monreale 1554, fit. Xlll, c. 18, f. 7lr; Mazara 1575, 1 pars, c. 7, ff. 4v-5r; Cefall1 1584, De vifa et honestate clericoru1n, c. 3, f 3r; Mazara 1584, lJ pars, De vita et honestate c!ericon1111, c. 9, pp. 72-73; Patti 1584, JV pars, c. 6, f. 41 r; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 135; Messina 1588, lii pars, c. 7, p. 110; Agrigento 1589, IV pars, tit. lll, c. 8, p. 12L Durante i viaggi «per suspecta loca» era consentito portare un'anna difensiva. Erano considerate o1Tensive le balestre, le frecce, i pugnali, i coltelli lunghi, e le pri1nc anni da fuoco, le scopeffae e gli archibuxi, e difensive le piccole spade necessarie per la difesa personale. 70 Messina 1588, Hl pars, c. 7, p. 110; Mazara 1575, J pars, c. 7, fL 4v-5r; Siracusa 1553, ti!. 1, c. 10, f. 4r. L'espressione è tratta da C.23, q.8, c.21 §2. 71 Monreale 1554, tiL Xlll, c. 31, f. 75r. 71 l'v1onreale 1554, lit. Xlll, c. 6, f. 69r; Cef3lù 1584, De vita et honestate clericoru111, c. 10, f. 4v; Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate cfericor11111, c. 21, p. 75. Patti 1584, 1\1 pars, c. 6, f. 41v. 73 Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 135. 7 ~ Palcnno 1586, IV pars, c. 15, p. 135. Nei li1niti della parsi1nonia possono essere accolti degli ospiti, purché questi siano testi1noni della frugalità sacerdotale piuttosto che della sontuosità dei loro conviti! !bid., c. 15, p. 136. 75 Monreale 1554, tit. XIII, c. 31, f. 75r. 76 «Clerici pravoruin hon1inu111 conso11ia fugiant: et cun1 aliis, qui boni cxen1p!i sunt, converscntun>: Patti 1584, IV pars, c. 7, f. 42r; Agrigento 1589, IV pars, tit. Ili, c. 17, p. 124; Siracusa 1553, lit. I, c. 3, tT. 1v-2r.
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da quello dei laici 77 • La cura della corona clericale era in gran parte h·ascurata, per questo i sinodi sono puntuali nel richiamarne il dovere e il significato: essa è «in signo militiae spiritualis, et stigma clericalis ordinis, quo a secularibus [... ] segreganturn 78 • La chierica deve essere congruens, abrasa e visibile". Sempre per garautire al chierico un aspetto diverso da quello dei laici, i sinodi sono concordi nel rinnovare l'antico divieto di far crescere la barba e i baffi, soprattutto «seculari modo»"°. La norma, che intendeva in origine sottolineare la differenza tra chierici e laici, nel tempo venne anche connessa, per ciò che riguarda i peli «circa labia» (o «mustatia» ), al rispetto dovuto al sangue di Cristo, che i sacerdoti devono assumere e che i baffi rischiano di intralciare e profanare 81 • Particolare attenzione è riservata all'abito dei chierici". Mentre il Concilio di Trento si era limitato ad esigere un abito confmme allo staio clericale e diverso da quello dei laici"', le nonne sinodali dettagliarono con puntualità i capi di abbigliamento, i colori e i tessuti vietati, permessi e
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«Dc tonsura deferenda»: Patti 1537, c. 73, f. l 7v; Siracusa 1553, tit. 1, c. 4, f. 2r; Monreale 1554, tit. XlJ!, cc. 7-8, ff. 69v-70r; Mazara 1575, I pars, c. 3, ff. 2r-2v; Mazara 1584, li pars, De vita et honestate clericoru111, c. 2, p. 71; Patti 1584, JV pars, c. 6, f. 40v; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 135; Messina 1588, IV pars, c. 3, p. 105. Cfr L. THJCJJET, La tonsure. Vie et n1ort d'une pratique ecc!ésiastique, Paris 1990. 78 Mazara 1584, u pars, De vita et honesfate clericonan, c. 2, p. 71. Sulla corona quale elen1ento di distinzione visibile dai laici, cfr anche Monreale 1554, tiL Xlll, c. 7, f. 69v. 79 Nel sinodo di Monreale del 1554 la congruità de!la corona è in relazione agli ordini ricevuti: «ad instar n1agnae hostiae» per i sacerdoti, «pau!o n1aior parvula hostia ( quan1 pa1ticu!a1n vocant))> per gli ordini 1ninori: Monreale 1554, tit. Xlll, c. 7, f. 70r. Sulla di1nensione della corona, cfr anche Pa!enno 1586, IV pars, c. 15, p. 135. 80 «De barba c!ericorun1>): Patti !537, c. 73, f. 21v; Siracusa 1553, tiL J, c. 8, iT. 3r-3v; Mazara 1575, I pars, c. 3, fL 2r-2v; Cefalù 1584, De vita et honestafe clericoru111, c. 15, L 6r; Mazara 1584, li pars, De vita et honestate c/ericon11n, c. 3, p. 71; Patti 1584, IV pars, c. 6, f. 40v; Palenno l 586, IV pars, c. 15, p. 135; Messina 1588, IV pars, c. 3, p. 105; Agrigento 1589, iv pars, tit. III, c. 2, p. 119. 81 Ce1i31L1 1584, De vita et honestate clericoru111, c. 15, f. 6r; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 135; Siracusa 1553, Lil. 1, c. 8, L 3v. 82 «De habitu clericonun»: Patti 1537, c. 73, f. 21 v; Siracusa l 553, tit. I, cc. 5-6, fC 2r3r; Monreale 1554, tit. Xlii, cc. 9-17, ff. 70r-2r; Mazara 1575, 1 pars, c. 4, 1T. 2v-3v; Mazara 1584, li pars, De vita et honesfate c/ericoru111, cc. 4-5, pp. 71-72; Patti 1584, JV pars, c. 6, ff. 40v-4lr; Palern10 1586, IV pars, c. 15, pp. 134-135; Messina 1588, IV pars, c. 4, pp. 106-107; Agrigento 1589, 1v pars, tit. III, cc. 3-6, p. 120. 83 Scss. XIV, de re,(, c. 6, in COeD, 716-717. Per una storia dell'abito clericale, cfr L. TRICHET, Le costu1ne du e/ergé, Paris 1986.
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comandati. Manifestando la sincerità e l'onestà dei costumi"', l'abito deve essere congruo con la dignità dell'ordine clericale, decente, né troppo vile né h·oppo sofisticato, tale da evitare sia l'eleganza e la vanità, che la negligenza e la meschinità"'; soprattutto, l'abito dei chierici deve essere diverso da quello che è «proprium secularium hominum» 86 • Emerge talvolta anche il timore che i presbiteri, per l'avidità di ben vestire, si indebitino pericolosa111ente 87 . Se alcuni sinodi si lin1itano a prescrivere una veste congrua, onesta e decente 88 , altri obbligano la veste talare 89 . Sono vietati gli abiti bianchi, rossi o di alh·o colore vivo 90 e i capi di seta; le camicie devono essere semplici e modeste, il ben-etto consentito è solo quello clericale, a croce. È fallo inolh·e divieto di pm1are fibbie ed anelli, tranne che lo richieda la dignità dal chierico'"- Anche i parati sacri devono essere modesti".
5. I n1estieri vietati Sono nun1erose le nonne che proibiscono ai chierici l'esercizio di mestieri ed attività diverse da quelle proprie del ministero 93 • Tra i divieti principali vi è, soprattutto per i chierici in sacri.1·, quello di esercitare la inercatura in qualsiasi forn1a 94 . 1 chierici devono evitare anche altre 8
~ Siracusa 1553, tit. I, c. 5, f. 2r. Cfr C!e1n. 2.111.1: «per decentian1 habitus cxtrinseci n1on1n1 intrinsccan1 honestate1n ostcndant». 85 Mazara 1575, I pars, c. 4, f. 2v; Monreale 1554, tit. Xlii, c. !O, f. 70v; Patti 1584, IV pars, c. 6, f. 41r; Palenno 1586, IV pars, c. 15, pp. 134-135. 86 Patti 1584, !V pars, c. 6, f. 41r. 87 Agrigento 1589, JV pars, tit. ili, c. 4, p. 120. 88 Patti !537, c. 73, L 21v; Mazara 1584, Il pars, De vi/a et honestate clericoru111, cc. 4-5, pp. 71-72. 89 Ai chierici poveri, o «itineris causa», è pennesso indossare una veste più corta, fino a!!c ginocchia, purché decente, onesta e di color nero. L'obbligo della talare fu fissato, nella legislazione universale, da Sisto V con !a costituzione Cu111 sacrosancta111 del 9 gennaio 1589, in Codicis iuris canonicifòntes, a cura di P. Gasparri, n. 167, I, Ron1ae 1947, 314-317. 90 Solo ai dottori, e a coloro che sono insigniti di una qualche particolare dignità, è consentito vestire con segni di colore roseo. Anch'essi sono con1unque invitati ad evitare che il vestito sia segno di vanità e di an1bizione. Cfr Siracusa 1553, lit. 1, c. 5, ff. 2v~3r. 91 La concessione riguarda, ad esen1pio, i canonici della cattedrale o i dottori: cfr Agrigento 1589, IV pars, tit. lll, c. 4, p. 120; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 135. 92 Agrigento 1589, IV pars, tit. 111, c. 5, p. 120. 93 Sulla storia delle proibizioni, cfr J. GAUDEJVIET, Storia del diritto canonico, cit., 1O1- l 03.564-565; A. KAKAREKO, La rifonna della vita del clero, cit., 16-17. 94 «Clcrici 11011sint1nercatorcs»: Patti 1537, c. 76, f. 22v; Siracusa 1553, tit. 1, c. 14, ff 5v-6r; Monreale 1554, tit. Xlll, c. 30, ff. 74v-75r; Mazara 1575, l pars, c. 9, ff. 6r-6v;
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occupazioni secolari 95 , quali quelle del macellaio e del taverniere; del medico e del chirurgo; del notaio, del procuratore e dell'avvocato 96 • Alcuni sinodi rinnovano l'antica norma che proibiva ai chierici di proferire, o di collaborare con la consulenza o l'arbitrato, a sentenze di sangue, di morte o di a111putazione 97 . Perché queste diverse attività furono ritenute incompatibili con 1' ardo clericale? Sono diversi i temi che si intrecciano. li primo sembra di ordine pratico: evitare che lo svolgimento di certi lavori impedisca al chierico lo svolgimento del proprio ministeron li secondo è di ordine culturale, legato alla valutazione di cetii mestieri come indegni del sacerdozio ed ha come riferimento «non il lavoro in sé ma l'immagine sociale dello stesso, il modo in cui la cultura del tempo lo considera»". Si pensi all'agricoltura o ai mestieri che implicano lo scorrere del sangue, come la macelleria e la chirurgia 100 . Il terzo n1otivo è di tipo 1norale e riguarda sia l'intenzione con cui certi mestieri sono praticati sia la pericolosità di attività nelle quali «difficile est non intervenire peccatu111» 101 . L'attività co1n1nerciale è in Cefalù J 584, De vita et honestale c!ericon1111, c. 4, f. 3v; Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate clerh·oru111, c. 13, p. 73; Patti 1584, 1v pars, c. 6, f. 42v; Palern10 J 586, IV pars, c. 15, p. 137; t'v1essina 1588, lll pars, c. 9, p. I 12; Agrigento 1589, JV pars, tit. 111, c. 7, p. 12!. Naturaln1entc i sinodi snnzionano pure l'usura praticata dai chierici: Cefalù 1584, De vita et honestate clericon1111, c. 4, f. 3v. La questione dell'usura era particoiarn1ente viva in Sicilia. Cfr CUCJNOTTA, Popolo e clero in Sicilia, cit., 160-162. 95 «Dc prohibita clericis secularium artiu1n exercitatione»: Patti 1537, cc. 74-75, f. 22r; Siracusa 1553, tit. l, cc. 14-15, ff. 6r-6v; Monreale 1554, lit. XIH, cc. 27-29, tl 74r-74v; Mazara 1575, i pars, c. 9, f. 6r-6v; Cefalù 1584, De vita et honestate clericon11n, c. 5, f. 3r; c. l 6, ff. 6r-6v; Mazara 1584, !I pars, De vita et honestate clericonon, cc. 14-17, pp. 73- 74; Patti 1584, IV pars, c. 7, tl 42v-43r; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 137; !Vtessina 1588, Ili pars, c. 9, p. J 12; Agrigento 1589, IV pars, lit. Ili, c. 9, p. 121; c.12, p. 122; c. 14, p. 123. 96 Il Concilio Lateranense Jll, al c. 12, penncttcva ai chierici in sacris di esercitare l'avvocatura per la difesa della propria causa, della chiesa e dci poveri: in COeD, 218. L<i partccip<izione dei chierici ai giudizi secolari conosceva anche altri lin1itazioni: Patti 1537, c. 103, f. 30v; Maz<ira 1575, 1 pars, c. 9, f. 6v; Cefalù 1584, De vita et honestate clericoru111, c. 16, JT. 6r-6v; l'vfazara 1584, 11 pars, De vita et honestate clericorzon, c. 16, p. 74; Agrigento l 589, iv pars, lit. 111, c. 14, p. 123. 97 Mazara 1584, Il pars, De vira et honestate clericon1111, c. 17, p. 74. Sul clivielo per i chierici di intervenire in un iudiciu111 sanguinis e cli e1nettere una «sentenz<i crucnt<i», cfr J. GAUDEMET, Storia del diritto ca11011ico, cit., 565-566. 98 La pratica dcll<t nlcrc<1tt1r<1, ad ese111pio, rischiav<i di sottr<irre il sacerdote alla pratica liturgica e al servizio ai poveri: Siracusa 1553, tit. J, c. 14, f. 6r. 99 M. GUASCO, Storia del clero in //(dia dal/ 'Ottocento a oggi, cit., 19. wo Cfr J. GAUDEMET, Storia del diritto canonico, cit., 566-567. 101 M<izara 1575, 1 p<irs, c. 9, f. 6r. «Vix negotia si ne pecc<ito exerceri valcnt»: Mazar<i 1584, Il pars, De vita et honestate clericonon, c. 13, p. 73.
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particolare considerata rischiosa, per suo essere fonte di risse e soprattutto di cupidigia""; di scandalo per il popolo e di disordine nella vita dei sacerdoti' 0J. Il quarto tema si fonda sull'incompatibilità dei mestieri con la missione del sacerdote. È il caso dell'avvocatura, considerata «opprobrio ecclesiasticae dignitatis»"" perché contraria al compito dei chierici di portare la concordia e la pace tra i fratelli'° 5 ; della cooperazione alle «sentenze cruenti» di n1orte o di a1nputazione, contraria al dovere dei chierici di non uccidere nessuno 106 e di offi·ire sen11nai il proprio sangue per la giustizia 107 ; della mercatura, spesso presentata come incompatibile con il dovere dei sacerdoti di seguire Gesù' 0 " e di imitarne l'esempio di pove1ià"J9· li quinto motivo sotteso alle norme sulle professioni e i mestieri, è il più radicale: i chierici non devono occuparsi di ciò che è secolare, secondo le parole dell'Apostolo: <memo militans Deo implicet se negociis secularibus» (2Tm 2,4)" 0 • È il prevalere di quest'ultima prospettiva che determinò una interpretazione restrittiva delle nonne antiche verso una progressiva e rigorosa astensione dci chierici dalle occupazioni co1nuni 111 . 102
«[Clerici] ne pecuniac, lucrive avidi sint»: Palcnno ! 586, IV pars, c. 15, p. 137. Cfr Siracusa !553, lit. J, c. 14, f. 6r; Monreale 1554, tit. X!ll, c. 30, f. 75r; Mazara 1575, r pars, c. 9, f. 6r; Cefalù 1584, De vita et honeslate c!ericon11n, c. 4, f. 3v. 103 «Dun1 avaritia crevit, periit lex a sacerdote>>: Monreale 1554, tit. Xlll, c. 30, f. 75r. Chi è povero è pertanto invitato a non cercare la ricchezza (sic!), perché !a sete di guadagno è fonte di disordine e di avarizia: Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. l 3 7. I(H Mazara 1575, l pars, c. 9, f. 6r. 105 «Discordantes ad concordian1, clcrici redducere tenentur»: Monreale 1554, lit. Xlii, c. 28, f. 74r; Cefalù 1584, De vita et honestate c/ericoru111, c. 5, f. 3r. 106 Cfr S. T!JOi\1AS, S11n1111a 'I'heologica, JJ-11, q. 8, c. 30. 107 Cfr A. KAKAREKO, La rifònna della vita del clero, cit., 31, nota ! 36. 108 «Non seculi n1ercatore.s, non Mmn1nonae n1inistri sint, sed Christi nlercatores, nolint thcsaurizare sibi ipsis thcsauros in terra, sed bonoru1n operun1 abundantia, cun1 charitatc coniuncla 1àciant thesaurus in coelis»: Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. !37. Altre volte è ricordata la cacciata dei 111ercanti dal ternpio: Mazara 1575, I pars, c. 9, f. 6r. 9 lll «Studeanl lucrari ani111as Dco, et coeleste horreun1 i111plere. Si pauperes sunt, ne cupiant divites fieri, ne incidant in tcntationes, el in laqueos Diaboli, ne paupertatc111 n1olestc ferant hanc docuit, et dilcxit Chrislus coelestis 1nagistcr, qui nascens in presepio ponitur, et in cruce inoritun>: Pa!enno !586, IV pars, c. 15, p. 137. 110 Per il modo in cui il diritto canonico 1nedievale considerò la 1nassi111a di 2Tn1 2,4, cfr J. (ÌAUIJEMET, Storia del diritto canonico, cii., 564-565. Nello stesso senso, il più volte richian1ato decrelo di Graziano: vedi nota 36 111 Nel Ctnpu,\' iuris canonici, ad esen1pio, non era proibita ogni tOnna di 111ercatura («negotiari vero aliquando licel aliquando non licet)): D.88, e.IO) 111a, per i chierici e sotto pena della scon1unica, quella iàtta per lucro o disonestan1ente (X.!f!.1.15; x.111.50.6. Cfr D.88, c.2; D.91, c.3-4). Per l'interpretazione tradizionale di queste nonne cfr f.X. WERNZ, Jus decretaliurn, 11, Ro1nae 1906, 323. Un'eco di queste possibilità si incontra solo nella
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6. La rurela della castità sacerdorale
Gravi, naturahnente, le disposizioni circa i chierici concubinari o anche sospetti di concubinato, corrispondenti d'altra parte alla gravità della situazione come appariva agli occhi di chi intendeva riformare la vita del clero 112 • I chierici sono invitati a vivere nella continenza, a non scandalizzare il popolo, a ricordare le parole della Scrittura sulla purità dei sacerdoti (cfr Ml 2, 13; Sof 3,4) 113 • li concubinato dei preti è peccato turpe e indegno per chi è chiamato ad essere come lampada posta sopra il candelabro per il bene del popolo"' e perché i figli non siano testimoni dell'incontinenza dei padri, i sinodi proibiscono ai figli spurio.1· dei chierici di esser ammessi nella chiesa dei loro padri per il servizio all'altare e di ricevere benefici o pensioni nelle chiese nelle quali questi avevano un beneficio ecclesiastico 115 • concessione ai chierici poveri di esercitare un lavoro onesto non incongruo con la dignità clericale: Cefalù 1584, De vita et honestate clericon1111, c. 12, f Sr-Sv. Mestieri «onesti» erano l'artigianato e l'agricoltura. 112 «De clericis concubinariis aut suspectis concubinatus»: Monreale 1554, til. XIII, cc. 33~37, ff. 75v-77r; Mazara !575, I pars, c. 8, 1I 5r-6r; Cefalù 1584, De vita et honestate clericor11111, c. 8, ff. 3v-4r; Mazara l 584, li pars, De vita er honestate clericor11111, c. 23, pp. 7576; Patti 1584, IV pars, c. 7, 1I 42r-42v; Palern10 1586, IV pars, c. 15, pp. 136-137; rvlessina 1588, lll pars, c. 8, pp. I I 0-11 l; Agrigento 1589, IV pars, tit. 11!, c. 19, p. 124. Sulle nonne circa il celibato dei chierici, cfr E. JOMBJ\RT, Célibat des clercs. !. En droit occidental, in Dictionnaire de droit canonique, 111, Paris 1942, 132-145; A.M. STJCKLER, Il celibato ecclesiastico. La sua storia e suoi fondan1enti teologici, Città del Vaticano 1994. Quando i sacerdoti concubinari vennero messi in carcere, in qualche paese, nel periodo pasquale non rin1ase nessuno per confessare ed arnn1inislrare i sacra1nenti! Il dato ditnostra la rilevanza statistica dcl feno1neno e, a contrario, con1e esso fosse stato a lungo tollerato dai vescovi e dai fedeli. Cfr A. LONGlllTANO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 61; (Ì. GRECO, Fra disciplina e sacerdozio, cit., 57; R. B1zzocc1-ll, Clero e Chiesa nella società italiana allafìne del A1edio Evo, in Clero e società nell'Italia n1oderna, a cura di M. Rosa, Ron1a-Bari, 1997 2, 8. 113 Mazara 1575, I pars, c. 8, f. 5r; Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate c/ericorl11n, c. 23, p. 75; Messina 1588, Ili pars, c. 8, pp. I ! 0-111. 11 ~ Cef31ù 1584, De vita et honestate clericorurn, c. 8, ff. 3v-4r. l sinodi si inseriscono nella struttura delle sanzioni già disposte nel diritto universale (cfr X.111.2.2.3.4.6; Concilio di Trento, scss. XXIV, de ref.', c. 14, in C()cD, 793), per 1nodulare varimnentc !e pene e le procedure della loro applicazione. Cfr ad ese1npio Agrigento 1589, IV pars, tit. 111, c. 19, p. 124; Mazara 1584, 11 pars, De vita et honestate clericoru111, c. 23, pp. 75-76. Se il concubinato è con adulterio le sanzioni possono esser raiTorzate: Agrigento 1589, lV pars, tit. III, c. 20, p. 125. 115 Siracusa 1553, lit. Jll, c. 11, f. 18r; Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate clericorun1. c. 30, p. 77; Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 138; Agrigento 1589, IV pars, tit. !Il, c. 16, p. 123. Alcuni sinodi fanno divieto ai chierici di esser presenti al battesi1no e a! 1natrin1onio dei figli illegittin1i: Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate c/ericon1111, c. 26, p.
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Le norme si preoccupano non solo della repressione del concubinato, ma anche del suo sospetto e di tutte le circostanze che possano essere occasione di peccato. I chierici, di ogni ordine e grado, non devono perciò frequentare in alcun modo donne sospette, e sempre per non destare sospetti, è loro vietato locare parte della casa in cui abitano a donne o a uomini sposati"'. Bisogna essere cauti, infatti, perché «ubi enim foerit mulierum cohabitatio, ve! frequens conversati o, antiqui hostis stimuli non desunt» 117 • Il sinodo di Monreale non manca di punire chi ospita «ancillas mauras vel turchas, ad quas facilis est lapsus, et mai or libe1ias»! 118 • I chierici possono ospitare in modo continuo solo la propria madre, sorella, zia, o altre donne anziane 119 e non possono frequentare abitualmente i 1nonasteri fem1ninili 120 • Tra i vizi di libidine, i chierici devono evitare «maximc illo, quod contra naturam diciturn, per il quale la punizione comminata è riduzione allo stato laicale 121 •
76; Agrigento 1589, IV pars, tit. 111, c. 16, p. 123. Cfr Concilio di Trento, sess. xxv, de r~f, c. 15, ìn COeD, 793-794. 116 l'v1onrea]e 1554, tit. XIII, c. 37, f[ 76v-77r. 117 Mazara 1575, r pars, c. 8, f. 5v. Per la stessa ragione venne proibita la pennanenza della donne in chiesa, anche per le pulizie: «pericuolosa est 10e1ninarun1 cu1n ho1ninu1n co1n1nerciun1»: Mazara 1584, !Il pars, De in1111unitatc ecc!esiastica, c. 14, p. 97. Lo stesso sinodo, inoltre, bolla con1c niolto turpe e disonesto per i chierici servire le donne, condurle per 1nano o a cavallo, partecipare con esse alle feste e insien1e ad esse cantare o suonare; ibid., c. 18, p. 74. IJS Monreale 1554, lit. X!ll, c. 34, fT. 75v-76r. Non stupisca questo riferi1nento a serve turche e 1nore: in Sicilia vi erano fiorenti n1ercati di schiavi, specie 1nussuln1ani, riforniti dalla pirateria e spesso gestiti da società legaln1ente costituite. Cfr S. CUC!NOTTA, Popolo e clero in Sicilia, cil., 209-21 O. Sul Len1a si veda in questo se111inario di ricerca F. FERRETO, La Chiesa e gf; i17/Cde/i nei sinodi siciliani del '500. 119 Agrigento 1589, IV pars, lit. JJJ, c. 18, p. 124; Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate clericoru1n, c. 24, p. 76. Cfr E. JotvrBART, Cohahitation, in Dictionnaire de droit canonique, 111, Paris 1942, 970-982. 120 li sinodo di Mazara 1584, giunge a ininacciare la scon1unica in caso di contun1acia: Mazara 1584, Il pars, De vita et honestate c/ericon11n, c. 25, p. 76. Tra i 1nezzi per custodire la castità dei chierici, il sinodo di Palern10 dcl [ 586, nello stesso canone, annovera la lettura frequente del De singu!aritate clericorzon di S. Cipriano inaiiire e dell'epistola di S. Girolan10 Ad 1'lepotia1111111: Pa!enno 1586, !V pars, c. 15, p. 137. 11 De singu/arifate clericor111n non è più considerato scritto autentico dcl vescovo cartaginese, anche se «saturo del pensiero di Cipriano»: B. ALTANER, Patrologia, Casale Monferrraio (AL) 1977 7, 179. 121 Patti 1584, IV pars, c. 7, f. 42r.
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7. Il culto e i sacramenti La preghiera è uno dei compiti specifici dei chierici"'- Le disposizioni sinodali sono volte a promuovere in essi un atteggiamento devoto e zelante e ad urgere l'osservanza di obblighi già determinati dal diritto universale. Per quanto riguarda l'ufficio divino, è richiesta la recita nella fonna disposta da Pio V, nelle ore e secondo il calendario prescritti 123 È raccomandata la massima compostezza esteriore, affinché la recita sia fatta «attente, pie, decore, supplicique mente»'". In coro, i chierici non recitino l'ufficio privata1nente o tacitan1ente, n1a tutti insie1ne, gli anziani con i più giovani, elevino a Dio salini, inni e cantici 125 . Per quanto riguarda la santa messa, i sinodi raccomandarono una celebrazione frequente, anche infrasettimanale, che andasse incontro alle esigenze del popolo' 26 . Circa il modo della celebrazione è raccomandato il rispetto scrupoloso delle rubriche, per evitare anche i più piccoli errori 127 e l'introduzione di alcunché di nnovo, di disonesto o di indecoroso, come il far cori o il suonare'w Il luogo della celebrazione è la chiesa, ad esclusione delle
122 Monreale ! 554, lii. Xlll, c. 2, f. 67v; Cefalù 1584, De vita et honestate clericoru1n, c. 13, f. 5v. 123 Palcnno 1586, rv pars, c. 15, p. 132-133. 124 Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 133. Bisogna evitare, durante la recita, qualsiasi fonna di negligenza, pigrizia o sonnolenza, vaghezza degli occhi e indecenza del corpo: ibid., c. 15, p. 138. Cfr Cefalù 1584, De vita et honestate c!ericonon, c. 2, f. 2v. 125 Palcnno 1586, IV pars, c. 15, p. !38. 126 Il sinodo di Palenno del 1586 invita i sacerdoti a celebrare la 1nessa saepius e quindi, se lo richiede la cura delle ani111e, aln1eno tre volte durante !a setti111ana: Palern10 1586, IV pars, c. 15, pp. 133.139; il sinodo di Celà!ù del 1584 li invita ad celebrare quotidie e, se chierici ordinati ad sui palrilnonii 1i111lu111, ahneno nelle domeniche e nelle festività 1naggiori: Cefalù 1584, De vita et honestate c!ericonon, c. 13, f. 5v. Cfr Concilio di Trento, scss. XXlll, de ref, c. 14, in COeD, 749. Anche i sacerdoti che non hanno cura d'ani1ne, o altro dovere derivante ex beneficio, sono tenuti a celebrare aln1eno cinque volte all'anno, per le solennità di natale, pasqua, pentecoste, corpus Don1ini ed assunzione della Vergine. Siracusa 1553, tit. III, c. 15, ff. 20r-20v. Lo stesso sinodo punisce con la perdila di parte dc! fru1lo del beneficio i sacerdoti che non celebrano per sei n1esi e che non si confessano da un anno: ibid., c. 3, ff. 14v-15r. 127 Pa!ern10 1586, IV pars, c. 15, p. 133. Non esiste, infatti, gesto, anche 1ninin10, «in quo profundun1 non lateat 111ysteriunu>: Siracusa 1553, lit. nr, c. 1, f. 13v. 128 Mazara 1584, 11 pars, De vita et honesfafe clericon1111, c. 31, p. 77; Siracusa 1553, tit. fil, c. 14, iT. 19v-20r. «On1nes clcrici debent solennia servare»: Cefalù 1584, De vita et honestafe clericorurn, c. 9, f. 4v.
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case private («missae extra ecclesias non celebrenturn) 12 ". Per segnare pm chiaramente la distinzione tra pmrncchie e altri lnoghi di culto, il sinodo di Patti del 1537, dispose che nelle domeniche e nei giorni festivi le messe fossero celebrate nelle chiese parrocchiali, e non anche nelle cappelle 130 • I chierici sono tenuti a co1nunicarsi ahneno in queste occasioni 131 ; i sacerdoti a confessarsi spesso 132 al fine di celebrare il sacrificio della messa «sancte, ac religiose» 133 • Durante le processioni tutti i chierici devono rispettare le precedenze delle dignità 134 e incedere «composite, ac religiose» 135 • I sinodi, infine, vollero disciplinare quella particolare fonte di abusi e di scandalo costituita dalle elemosine per i sacramenti e soprattutto per le messe 111anuali 136 . Da segnalare la censura della prassi, introdotta «ex avaritia sacerdotum», di prendere una duplice elemosina per la celebrazione di una sola messa 137 e la proibizione, al fine di allontanare qualsiasi «avaritia, irreverentia superstitim>, di qualsiasi genere di mercede, di condizioni o patti inoppmiuni, «atque illiberales elemosinarnm postulationes et quidquid
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Patti 1537, c. 52, f. 15v; Siracusa 1553, c. 12, ff. 18r-19r. Il divieto di celebrare nelle case private è anche nel Concilio di Trento: sess. XXll, «Decretrnn de observandis et vitandis in ce!ebratione 111issarun1», in COeD, 736. Cfr G. MANDALÀ, Il vescovo e la chiesa locale, cit., 79. 130 Patti 1537, c. 102, [ 30r. Cfr L. SCAL!Sl, La contror{fonna, cit, 73-74. 131 Concilio di Trento, sess. xx111, de re/.', c. 13, in COeD, 749. 132 Aln1cno una volta la settin1ana per il sinodo di Siracusa 1553, tiL 111, c. 2, r. 14v; o una volta al 1nese, per quello di Cefalù 1584, De vita et honestate c/ericort11n, c. 13, f. 5v. 133 Palenno 1586, JV pars, c. 15, p. 133. Non è pern1esso celebrare n1essa al pubblico peccatore o al 1nanifesto concubinario: Siracusa l 553, tit. 111, c. l I, f. l Sr; Mazara 1584, li pars, De vita et honestate c/ericoru111, c. 29, p. 77. I sacerdoti devono ricorrere a confessori pii e probati, che possano essere anche guide e 1nacstri della loro vita, 1nentre i chierici degli ordini inferiori devono accedere a confessori approvati dall'arcivescovo, e ad essi devono aprire la loro coscienza «integre, fideliterque»: Palenno 1586, IV pars, c. 15, pp. 133.140. 134 Cefalù 1584, De vita et honestate clericoru111, c. 9, f. 4v. 135 Pa!crn10 1586, IV pars, c. 15, p. 140. 136 Quando i! padre Lainez, il generale dci gesuiti che succedette in1111ediatmnente ad Ignazio, giunse nel 1548 a Monreale, dove era stato chian1ato dal vescovo cardinale Alessandro Farnese, si trovò davanti a preti che «per la necessitad tractavan tos sacrainentos conio no debian r ... ] de ager pactos de tanto dinero por tal sacrarnento»: G. IvlANDALÀ, Il vescovo e la chiesa locale, cit., 25. Cfr M. SCADUTO, La vita religiosa in Sicilia, ciL, 576, nota 6. 137 Patti 1537, c. 105, iI 16v-17r.
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huismodi a turpi quaestu non rnulturn est alienum, neque pro m1ss1s celebrandis aliquid pacisci aut exigi a clericis possit» 138 • 11 sinodo di Monreale del 1575 invitò, infine, i sacerdoti a non negare la celebrazione della n1essa «ob tenuem elemosina1n» 139 e prescrisse la gratuità dell'amministrazione degli altri sacramenti'·'°-
8. I libri e la cultura Uno dei malanni più lamentati della chiesa siciliana del tempo è l'ignoranza del suo clero 141 • Diversi sinodi si n1ostrano puntuali nel suggerire ai chierici, anche «sotto pena di essere castigati» 1'12 , i libri da avere e leggere. Oltre alla lettura della Bibbia e di qualche suo buon commento, suggerita dai sinodi di Mazara del 1575 e di Palermo del 1586, è raccomandata la lettura dei decreti del Concilio di Trento, del catechismo romano, delle costituzioni episcopali e dell'opera di qualche padre, come la Regola paslorale di San Gregorio. Soprattutto chi ha cura d'anirne è invitato a leggere di frequente libri che approfondiscano la conoscenza del 111u11us suun1 1 ~ 3 , e quindi i libretti delle cerimonie, le summe sul ministero dei confessori e libri sullo stato
138 Monreale 1568, citato in G. MANDJ\LÀ, Il vescovo e la chiesa locale, cit., 82. Il brano si richian1a quasi lcttcraln1cntc al Concilio di Trento: sess. xxu, «Decreturn dc observandis et vi!andis in celebratione 1nissarun1», in C()cD, 736. Nello stesso senso è la proibizione per i sacerdoti novelli di esigere, o estorcere, una paiiicolare esazione per la !oro prin1a 1nessa: «turpe est initio sacerdotii cupiditatis a/Teclun1 detegere»: Mazara 1575, 1 pars, c. 28. ff. l 6r- l 6v. 09 Citato in G. MANDALÀ, 11 vescovo e la chiesa locale, cit., 82. 140 «On1nia sacrainenta gratis 01nnino achninistrentur, nec quicquain vel no1nine elen1osinae quovis n1odo pctatur sub poena excon1unicationis»: citato in G. MANDALÀ, 11 vescovo e la chiesa locale, cit., 87. Altra fonte di corruptela era la continua richiesta di elen1osine ai fedeli, fatta da chiunque nota il sinodo di Patti 1537 - , per le più diverse cause e, una volta raccolte, distribuite per i più disparati scopi, non esclusi quelli illeciti. I sinodi di Patti riproposero la norma antica che vietava a chiunque, sotto pena della sco1nunica, di chiedere ai fedeli cle1nosine senza la licenza del vescovo o de! suo vicario, che dovevano anche essere ìnfonnati sulla loro distribuzione. Cfr Patti ! 537, c. 105, f. 31; Patii 1584, JV pars, c. 5, tT. 39v-40r. 141 Forse però tali giudizi andrebbero 1neglio deuagliati, se non altro rispetto ai luoghi e alle diverse decadi dcl secolo. La visita episcopale a Bronte del 1597, ad ese1npio, registra un buon livello culturale dcl clero. Cfr G. rvlANDALÀ, li vescovo e la chiesa locale, cil., 121. 142 Catania 1565, c. 114. 14 ·' Palern10 1586, 1v pars, c. 15, p. 133.
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sacerdotale'". Non sappiamo in che misura il clero abbia seguito le indicazione dei sinodi, ma l'elenco dei titoli è già significativo della divulgazione teologica e canonica dell'epoca. Si tratta perlopiù di «manuali di tecnica sacerdotale» 145 e sun11nae casuun1 conscientiae, a conferma dell'orientamento pratico e giuridico delle letture e della cultura del clero nel Cinquecento 146 . Altre iniziative miravano, invece, ad un aiuto comunitario nell'aggiornamento. 1 chierici costituiti in sacris - stabiliva il sinodo di Palermo - per progredire insieme negli studi, dovevano frequentare gli incontri e le lezioni che in città si tenevano nella cattedrale e fuori città nei luoghi indicati dai vicari foranei 147 ; i confessori erano invece tenuti a studiare i casi di coscienza più difficili nelle apposite congregazioni' 48 •
9. De innnunitate c/ericorznn
Quello delle immunità dei chierici è per molte ragioni questione centrale per la Chiesa del Cinquecento e motivo di tensione tra il potere politico e quello ecclesiastico''". Il fatto che tanti fossero interessati a ricevere la tonsura solo per godere dei privilegi clericali poneva certa1ncnte un grave problema alla Chiesa, nei confronti di un clero folto ma
144 Per una dettagliata rassegna delle disposizioni sinodali sull'argo1nento, cfr A. LONGHJTANO, Aiarr;inalità della rehgione popolare nei sinodi siciliani del '500, in Synaxis ! 6 (J 998) 382-384. Sui testi per le confessioni, cfr M. TURR!NJ, La coscienza e le leggi. /\,forale e diritto nei resti per la co1?fèssione della prilna età 111oderna, Bologna, l 99 l. 145 V. Dl FLA VJO, Grado di istruzione del clero reatino nel periodo 1560-1620, in li Concilio di Trento nella vita ,\pirituale e culturale del 111ezzogiorno tra XVI e XIX secolo, Atti del convegno di Maratea, 19-21 giugno 1986, a cura di G. De Rosa e A. Ccstaro, Venosa 1988, 154. 1 6 ~ Cfr M. ROSA, La Chiesa 111eridionale nel/ 'età della contror{fonna, cit., 324-325. 1 7 ~ Palenno 1586, 1\1 pars, c. 15, pp. 133-134. 1 8 ~ Palen110 1586, IV pars, c. 15, p. 134. Ana!ogan1ente a Monreale: (Ì. MANIJALÀ, li vescovo e la chiesa locale, cii., 136-223. 1 9 ~ Ai chierici era riconosciuto i! privi!egi11111 jòri, per il quale erano esentati dalle leggi civili, dalla giurisdizione secolare, dai tributi e dagli obblighi n1i!itari, e il privilegi11111 canonis, che assegnava loro il diritto alla riverenza e alla precedenza da parte dci laici, e per il quale ogni ingiuria reale contro di essi veniva punita con la sco111unica ipso facto. Cfr A. LONGH!TANO, kfarginalità della religione popolare nei sinodi siciliani del '500, cit., 380. In via esen1plificativa, cfr Mazara 1575, lll pars, c. l, fI 83r-83v; Mazara 1584, Ili pars, De i111111unitate ecclesiastica, cc. 1-21, pp. 94-98; Patti 1584, IV pars, c. 4, ff. 39r-39v; Messina 1588, IV pars, c. l 8, pp. 130-131; Agrigenlo 1589, V pars, tit. JV, c. 1-13, pp. 134-138.
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scarsainente controllabile nei comportan1enti e nella fonnazione 150 ; l'autorità civile, da parte sua, lamentava l'inibizione del proprio potere giudiziario e tributario sui chierici a motivo delle immunità ecclesiastiche, spesso abusate per scopi meno che nobili' 51 • La Chiesa del tempo si mostrò però ferma nel difendere le immunità e i privilegi per i propri ministri e beni 152 • Nonostante una qualche preoccupazione per il loro possibile abuso" 3, i decreti sinodali si mostrarono solidali con l'ampliata concezione della libertà della Chiesa promossa da Pio V e rivendicarono il rispetto degli onori, delle precedenze, dei privilegi e delle immunità ecclesiastiche' 54 • Tra i diversi privilegi clericali, particolare menzione merita quello fiscale, che provocò un grave contrasto con il potere politico 155 • Contestando il potere delle autorità cittadine di in1porre ai chierici tributi «instar seculariu1n» 15 6, i sinodi rivendicarono la loro esenzione da qualsiasi gabella e tributo, anche con la ininaccia di severe censure ecclesiastiche contro i «violatores ecclesiasticae libe1iatis» 157 • In connessione alla tutela del diritto d'asilo 158, infine, i sinodi
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15 Cfr M. ROSA, La C'hiesa 111eridionale nell'età della contror(fonna, ciL, 317; Cì. GRECO, Fra disctjJlina e sacerdozio, cit., 91. 151 Tipici i casi dei chierici coniugati e soprattutlo dei chierici selvaggi, sui quali cfr M. ROSA, La Chiesa 111eridiona/e nell'età della contror{fònna, cit., 318. Particolannente vaste erano le in1111unità per i ine1nbri, anche laici, dell'inquisizione. Cfr C.M. S1vnTH, Storia della Sicilia 111edievale e 111oderna, cit., 206. 152 ll n1ovin1enlo di difesa e rivendicazione delle in1n1unità e dei privilegi ecclesiastici trovò il suo 1nanifesto nella Bolla di Pio V In Coena Do1nini (1567-1568). Nonostante che i! viceré Ferdinando d' Ava!os avesse negato a!la Bolla l'exequatur necessario per darle validità in Sicilia, i vescovi !a iècero uguah11ente affiggere e leggere nelle chiese. 1 -'-' Agrigento 1589, V pars, tit. IV, c. 6, p. 135; Mazara 1584, Ili pars, De iln111unitate ecclesiastica, c. 20, p. 98. 154 Mazara 1575, Ili pars, c. 1, n: 83r-83v; Patti 1584, lV pars, c. 4, ff. 39r-39v; Mazara 1584, 111 pars, De i1111nunitate ecclesiastica, c. 2, p. 95; Messina 1588, rv pars, c. 18, pp. 130131. 155 Sugli abusi dell'esenzione fiscale, cfr C.M. SMITH, Storia della Sicilia 111edievale e rnoderna, cit., 204-205. 11 clero era anche esentato con1pletan1ente da inoltc in1poste parlan1entari. Dopo il 1535, il re aveva concesso agli ecclesiastici il privilegio di chiedere il pennesso al papa prin1a di pagare la loro quota, con il risultato che per tali pagmnenti essi si trovarono ad essere se1npre in arretrato. 156 Mazara 1584, 111 pars, De in11nunitate ecclesiastica, c. 18, p. 98. 7 l.'i !Vlcssina 1588, IV pars, c. 18, pp. 130-131. Cfr Patii 1537, c. 99, re 29r-29v; Patti 1584, IV pars, c. 4, f. 39r; Agrigento 1589, v pars, ti1. IV, c. 4, p. 135. L'esenzione fiscale dei chierici fu rivendicata «ex cura pastoraliì>: Messina 1588, IV pars, c. 18, pp. 130-131; e perché essi «liberius Deo servant, et pro peccatis populonnn intercedant>>: Mazara 1584, Jll pars, De in1111unitate ecclesiastica, c. 2, p. 95. 15 ~ Cfr il recente C. LATINI, Il privilegio dell'i111111unità. Diritto d'asilo e giurisdizione nel/ 'ordine giuridico del! 'età n1oderna, Milano 2002.
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fanno divieto ai sacerdoti di accogliere, aiutare o in qualsiasi modo favorire, anche concedendo vitto ed alloggio, sia nelle chiese che nelle case private, i facinorosi o le persone colpile dal bando' 59 . La casa di Dio, dove si chiede perdono dei propri peccati, non può divenire infatti luogo di peccato 160 .
I O.L'ammissione agli ordini Anche i sinodi siciliani documentano la tendenza alla «sacerdotalizzazione» 161 del clero: gli ordini inferiori devono essere orientati a quelli superiori, come una scala da salire «de gradu in gradum» per giungere «ad altiores gradus et sacratissi1na n1ysteria» 162 • Anche per evitare che gli ordini inferiori fossero chiesti solo per godere delle immunità e dei privilegi clericali 163, i sinodi legarono l'ingresso nell'ordine clericale alla necessità della chiesa e alla volontà, o «certa spes», di ricevere il sacerdozio' 64 . Per quanto riguarda l'età ci si attenne alle indicazioni tridentine' 65 ; scarne furono le indicazioni relative alla preparazione agli ordini minori'6('. Fu costante la preoccupazione che ciascun grado dell'ordine Vi'! «De bannilis non recipienùis»: 1v1onreale 1554, tit. XIH, c. 39, [[. 78v-79r; Cefalù 1584, De v;ta et honestale c!ericor11111, c. Il, f. 5r; Agrigento 1589, IV pars, lit lii, c. 23, p. 125. Sanzionata è soprattutto la con1plicità dei chierici nelle 1nalefatte organizzate da persone da essi accolte: Agrigento 1589, IV pars, tit. JJI, c. 23, p. 125. Cfr C.M. SMJTH, Storia della Sicilia n1edievale e n1oderna, cit., 204. 160 Monreale 1554, tit. Xlll, c. 39, f. 78v; Cefa!L1 1584, De vita et honestate clericoru111, c. 11, t 5r. Diverse nonne si incaricano, infine, di fissare i 111odi della reverenza dovuta ai chierici e di tutelare in 111odo speciale i chierici contro ogni n1a!tratta1nento e contro quanti si fossero rifiutati di vendere loro i beni necessari per la vita (carne, pesce, olio, ecc.). Patti 1537, c. 98, f. 29r; Siracusa 1553, tit. xn, cc. 1-2, ff 86v-87v; Patti 1584, IV pars, c. 4, f. 39v; Messina 1588, IV pars, c. 18, pp. 130-131; Agrigento 1589, v pars, tit. lV, c. l 1, p. 137. 161 G. GRECO, Fra disciplina e sacerdozio, cit., 98. 162 Concilio di Trento, sess. XXH!, de ref, c. [ l, in COeD, 748. 163 Patti 1537, c. 56, f. 16v. 164 Patti 1537, c. 56, f. 16v. Cfr G. MANDALA, Il vescovo e la chiesa locale, cit., I 02 e Concilio di Trento, sess. XXIII, de re_l, c. 11, in COeD, 748. 165 Men!re il sinodo di Patti del 1537 prescrisse che fossero an11nessi alla tonsura solo i ragazzi che avessero superato gli anni quattordici, in seguito fu recepito il precetto del Concilio di Trento che fissava in quattordici anni l'età n1ini1na, anche se già tonsurati e ordinati in 111inoribus, per ottenere un beneficio e quindi il privilegio del foro. Cfr Concilio di Trento, sess. XXIJI, de re_j.', c. 6, in COeD, 747; Pa!enno ! 586, IV pars, c. 15, p. 139; Agrigento 1589, IV pars, tit. u1, c. 17, p. 124. 166 Il Concilio di Trento richiedeva che i candidati agii ordini inferiori fossero altncno capaci di con1prendere !a lingua latina: sess. XXIIJ, de re_(., c. 11, in COeD, 748. li sinodo di
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fosse effettivamente esercitato nelle funzioni ad esso inerenti, perciò i sinodi com111inarono sanzioni per i diaconi e i chierici in n1i11oribus che disertavano i loro obblighi liturgici e sacramentali 167 e fissarono un ce1to lasso di tempo tra il conferimento di un grado e l'altro' 68 . Per quanto riguarda le ordinazioni in sacris, i sinodi recepirono le nonne tridentine circa l'età e le procedure per l'acce1tamento dell'idoneità del candìdato 169. I sinodi richiedevano anche un titolo dì ordinazione 170 • In confmmità ad una disposizione risalente al Concilio di Calcedonia, i sinodi ribadivano che il chierico poteva essere an1111esso all'ordine sacro unican1ente «ex necessitate vel ecclesiae utilitate» 171 • Era inoltre richiesta la disponibilità di un adeguato patrimonio, per evitare che il sacerdote ordinato «sine titulo ecclesiastico, vel patrimoniali» fosse indotto dalla pove1tà a dedicarsi a lavori servili e rustici 172 • Marginale fu nel '500 il ruolo dei seminari nella preparazione del clero. Nonostante che l'istituzione dei seminari fosse stata raccomandata a Trento 173 , i sinodi siciliani che ne trattarono forano solo quelli di Pa!enno del 1586 e di Agrigento del 1589 171 , mentre il sinodo di Messina del 1591 Palenno de! 1586 vi aggiunse anche la co11osccnza ùelle istituzioni del diri!lo canonico: Palcnno 1586, IV pars, c. 15, p. 134. Per !e indicazioni di altri sinodi, cfr A. LONGllJTANO, t\dargina/ità della religione popolare nei sinodi siciliani del '500, cit., 381-382, nt 53. 167 Patti 1537, c. 84, f. 25r; Cefalù l 584, De vita et honestate c!ericorurn, c. 13, f. 5v. 168 Se prin1a del concilio, il sinodo di Patti dc! ! 537 prescriveva solo che la lonsura e i quatt1·0 ordini interiori non fossero dati nello stesso giorno, n1a an1n1etteva che questi fossero dati conte111poranea111entc, dopo il concilio la regola fu che si poteva esser pro111ossi al grado superiore alineno un anno dopo dall'an1n1issione nell'ordine precedente. Cfr Mazara 1575, li pars, c. 81, f. 80r. Nell'intenzione di Trento, l'esercizio eneuivo dei n1inisteri e gli intervalli di tc1npo prescrilli dovevano servire a far corrispondere la salita nei gradi dell'ordine con la crescita nell'età, nel!a dottrina e nella virtù. sess. XXHI, de re_[., c. ! 1, in COeD, 748. 169 Cfr Concilio di Trento, sess. XXlll, de re,[., c. 12, in C()cD, 748-749. Per l'accertan1ento dell'idoneità dc! candidato cfr Concilio di Trento, scss. XXlll, de re.f.', cc. 5.7.14, in COeD, 746-747.749. Cfr Pafti 1567, De ordinationibus clericoru111. c. 1, pp. 45-46. 17 Cfr Concilio di Trento, sess. xxnr, de rej.', c. 16, in COeD, 749-750. 11 titolo, che originarimnentc indicava la chiesa per il cui servizio il chierico era ordinato e dalla cui appartenenza doveva trarre il sostenta111ento, venne nel te111po a significare il titolo di 1nanteni1nenlo del chierico. Cfr V. DE PAOl.IS, I beni ten1porali della Chiesa, Bologna 1995, 129-130; A. KAKAHEKO, La rijònna della vita del clero, cit., 22-23. 171 Monreale ! 568, citalo in G. MANDALÀ, Il vescovo e la chiesa locale, cii., 102. 172 Patti 1537, c. 80, f. 24r. Anche Trento si cspri1nerà in ter111ini analoghi: sess. XXI, de re_f, c. 12, in COeD, 728-729. 173 Sess. xx111, de re,[., c. 18, in COeD, 746-753. 174 Palern10 1586, v pars, c. 8, pp. 161-164; Agrigento 1589, lll pars, tit. JX, cc. l-6, pp. 74-76.
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conteneva solo la disposizione di erezione 175 • La dinicoltà derivava da diversi ordini di problemi. Non essendo previsto l'obbligo di frequenza per i candidati al sacerdozio, la quasi totalità dei chierici veniva ancora fonnata nelle parrocchie e il grado di istruzione loro richiesto non era elevato"''. l se1ninari furono così destinati quasi esclusivamente agli adolescenti poveri, incapaci di provvedere in altro modo alla loro fomrnzione 177 • Molto difficoltoso fu inoltre il reperimento delle rendite per la fondazione dei se1ninari e il loro n1antcni1nento, difficoltà cui non furono estranei interessi interni alla Chiesa e ai suoi uomini 1n.
11. La resiclenza
Decisivo per la realizzazione della rifonna del clero fu l'obbligo di residenza dei sacerdoti i1npcgnati nella parrocchia, o in cura d'anin1e, «iuxta ecclesian1» 17'1. L'obbligo corrispondeva ad una delle esigenze pili elen1entari ed importanti che provenivano dalla società. La ratio della norma è infatti indun·e il sacerdote ad esser presente ad ogni necessità della comunità che serve 180 , come pastore che vigila sul suo gregge 181 • I sinodi circondano, perciò, di sfavore i chierici non residenti o che si trasferiscono, spesso
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Messina 1588, rv pars, c. 15, pp. 126-!28. Anche fuori dalla Sicilia i sinodi diocesani prestarono poca attenzione ai problc111i dc! sen1inario. Ctì· M. (.iUASCO, Clero e se111inari nei sinodi pie111ontesi post-tridenti11i, in Studi politici in onore di Luigi Firpo, a cura di S. Rota Ghibaudi e F. Barcia, Il, Milano 1990, 511. 176 Per inaggiori dettagli, cfr A. LUNGI 11 i'ANO, !vlarginalità della religione popolare nei sinodi siciliani del '500, cit., 381-382, nota 53. Per te scuole parrocchiali in Sicilia, cfr S. ClJCINOTTA, Popolo e clero in Sicilia, cit., 95-97. 177 Pa!cr1110 1586, v pars, c. 8, p. 161; Agrigento 1589, Hl pars, tit. IX, c. 2, p. 75. in Cfr S. CUCJNCyr1:A, Popolo e clero in Sicilia, cit., 300-303; (i. MANDALÀ, Il vescovo e la chiesa focale, cit., 49.138-139; L. SCAL!SI, La contror(fònna, cii., 76. Sui scn1inari, cfr M. GUASCO, La fònnazione del clero: i se111inari, in La Chiesa e il potere politico. cit., 631-715 e il recente ed agile, ID., Lafònnazione del clero, Milano 2002. 179 Patti 1537, c. 91, f. 27v; Siracusa 1553, tit. XVI, cc. 1-2, fT. 98r-99v; Mazara 1575, I pars, c. 34, fL 20v-22r; Mazara 1584, li pars, De Archipresb)'teris, et aliis c11ra111 ani111aru111 habentibus, cc. 7.16-17, pp. 150.152; ivlessina 1588, IV pars, c. 2, p. 114. Cfr Concilio di Trento, sess. VI, «Dccrelun1 de residentia episcoporun1 et aliorun1 interionm1», c. 2, in C<)cD, 681-683; sess. XXIII, de re,/, c. 1, in COeD, 744-746. Sull'i111portanza dell'obbligo di residenza, cfr G. GRECO, Fra disciplina e sacerdozio, cit., 69-72. IRO rvlazara 1584, li pars, De Archipresbyteris, et aliis Cl//'(//}/ anùnanm1 habentibus, c. 7, p. 150. 181 Messina 1588, IV pars, c. 2, p. ! 14.
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«avaritiae causa»'"', lontano dalle loro diocesi e chiese 181 . Il sacerdote «vago et ignoto» 11;4 non doveva essere ammesso alla celebrazione dei sacramenti se non dietro presentazione delle lettere commendatizie e senza espressa licenza del vescovo 185 •
12. La vigilanza
l sinodi si preoccuparono, infine, di garantire una organizzazione che rendesse più facile la vigilanza sulla vita del clero e la repressione dei suoi delitti. Il sinodo di Patti del 1537 consentì agli arcipreti, soprattutto dei paesi di montagna, di amministrare la giustizia ai chierici in civilibus fino ad una certa so1nn1a e di carcerare quanti avessero con1messo un qualche grave delitto e fossero sospetti di fuga 186 • La maggioranza dei sinodi riconobbe, invece, tali poteri disciplinari ai vicari foranei, titolari anche di poteri propriamente giudiziari sia in civilibus che nelle cause criminali, lasciando agli arcipreti compiti di vigilanza sul culto e sull'amministrazione dei sacra111enti ~ 7 . 1
13. Alcune note Se è vero che i decreti presentano un grande interesse per il fatto «che rivelano abitudini, comportamenti, usi e costumi, e ancor più abusi ... dei
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Siracusa 1553, tit. xvi, c. I, ff. 99v-99r. Palenno 1586, IV pars, c. 15, p. 138. 184 Concilio di Trento, sess. XXll, «Decre1un1 de obscrvandis et vitandis in celebratione 1nissafun1», in COeD, 736. 185 Siracusa 1553, tit. XVIII, c. 1, ff. I 02r-l 02v; Mazara 1584, li pars, De Vicariis Foraneis, cc. 16-17, p. 156; Palenno 1586, IV pars, c. 15, pp. 138-139. Cfr Concilio di Trento, sess. XX!li, de rçf, c. 16, in COeD, 749-750. Si trattava spesso di veri avventurieri che 1niravano ad appropriarsi delle ele1nosine delle 111esse oppure di sacerdoti irregolari o sco1nunicati fuggiti dalle loro diocesi di appartenenza: Siracusa 1553, tit. XVIII, c. 1, IT. 102r102v; G. MANDALÀ, Il vescovo e la chiesa locale, cii., 81. Sulle radici e lo sviluppo della figura giuridica dei «clerici peregrini», cfr O. CONDORELLl, C!erici peregrini. A.\petti giuridici della 1nohi!ità clericale nei secoli XJJ-XJV, Ronu1 1995. 186 Patti 1537, cc. 82-83, ff. 24v-25r. 187 Siracusa 1553, tit. XVII, cc. 1-3, ff. 99v-100v; Mazara 1584, Il pars, De Vicariis r·araneis, cc. 1-21, pp. 154-157; Palern10 1586, V pars, c. 1, p. 141. 183
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preti e dei vescovi, ai quali bisognava porre rimedio» 188 , più difficile è dire se la visione che essi ci offrono sia realistica ed esaustiva. È chiaro, infatti, che l'elenco dei problemi del clero siciliano non può coincidere con la descrizione esatta di una realtà che si mostra più complessa e ricca 189 • li fatto è che i sinodi affrontano il tema del clero unicamente «attraverso la lente giuridica»"0 delle norme che da secoli fonnavano il diritto universale, e ciò senza alcuna mediazione culturale o consapevolezza storica. La riforma del clero ebbe, in questa fase, come strumenti privilegiati i numerosi divieti offerti dalle leggi canoniche, che vennero ulteriormente dettagliati e dilatati, con la conseguenza che i problemi del chierici vennero letti unicamente sotto il profilo dei comportamenti criminosi ad essi imputabili. Bisogna perciò stare attenti a far propria in modo acritico la «visione criminalizzante dei chierici»'" che risulta dalla lettura delle norme sinodali, che andrebbero, semmai, verificate, per ciò che attiene ai loro presupposti ed effetti, con altre fonti di conoscenze, sia interne alla chiesa, in primo luogo le visite pastorali, sia esterne, come le fonti letterarie e i documenti dell'autorità statale. Preoccupata soprattutto della «forma dell'aspetto sacerdotale del 1ninistero)} 192 , la riforma delineata dai sinodi puntava quasi esclusivamente sui divieti e le proibizioni. Le eccezioni più importanti, volte a delineare in positivo la figura del chierico, riguardavano gli obblighi liturgici e l'obbligo di residenza. In mancanza di una adeguata prospettiva teologica, le nonne sinodali risultarono poco innovative rispetto alla legislazione precedente 191 e 188 M. (l-UASCO, Clero e se111inari nei sinodi pie111011/esi post-tridentini, cit., 503. Analogan1ente, M. STNOPOLI, Rassegna di di~posizioni sinodali sulla vita e onestà dei chierici nei secoli xv1-xv111, in Il Diritto Ecclesh1stico 57 (1946) 192. 189 Sfogliando, ad ese1npio, il libro già citato di Salvatore Cucinolta, venian10 a conoscenza di sacerdoti che, nel Cinquecento, svolsero funzioni di pacificazione e di n1ediazione nei tu1nulti (S. CUCINOTTA, Popolo e clero in Sicilia, cit., 102), che fondarono inonti di pietà a favore dei pili poveri (ibid., 158-165), che crearono ed ani1narono associazioni per l'assistenza di sacerdoti poveri, n1alati, vecchi e bisognosi (ibid., 168-170). 190 G. DE ROSA, «Introduzione)) a Clero e inondo rurale nel sinodo di Po/icastro del 1633, cit., 8. 191 G. GRECO, Fra disciplina e sacerdozio, cit., 69. 192 S. DIANJCH, La teologia del presbiterato al Concilio di Trento, in La Scuola Cattolica 99 ( 1971) 331. 193 Le novità che si lasciano intravedere, dovute o alla necessità di applicare i decreti del Concilio di Trento o di adattare il diritto universale alle specifiche situazioni pat1icolari, hanno il valore di una integrazione del vecchio i1npianto nonnativo e di un suo più dettagliato svolgi1nento nelle fattispecie nonnative, nelle procedure e nella 1nodu!azione delle sanzioni. I sinodi, però, tacciono altre nonne e principi, pure presenti nel diritto universale, soprattutto 111edievale, co1ne quelle relative alla povertà dci chierici, all'uso dei beni ecclesiastici, ai
382 delinearono un disegno di rinnovamento dcl clero quasi esclusivamente affidato alla sua moralizzazione'°'. I sinodi si muovono nel senso della fomrnzione di un clero dedito a tempo pieno ad un 111inistero prevalcntc1nente concepito con1e servizio lihirgico e sacramentale. li suo dover essere di fronte al popolo come esempio di vita da imitare corrisponde alla formulazione dci suoi diritti e doveri all'interno della inarcata clivisio perso11aru111 tra laici e chierici. Ci si può chiedere in che modo un simile progetto incontrava la domanda della gente. È stato spesso sot!olineano che alla gente premeva soprattutto l'esemplarità di vita del suo prete e il suo stare in mezzo a loro, nel paese o nei quartieri; la gente apprezzava il prete «che assisteva e consolava i fedeli con la buona parola e le pratiche di devozione. La gente voleva soprattutto dal parroco la messa e i conforti religiosi al momento del trapasso»""- Proprio rispetto a questa esigenza, sarebbe importante riflettere sulla grande affermazione del clero regolare che assolse ad una sorta di «supplenza missionaria» del clero secolare dell'Isola'". La diffusione dei religiosi, e l'efficacia della loro azione, è infatti connessa alla loro capacità di organizzare i fedeli in associazioni ed aggregazioni, di proporre nuovi modelli di santità e di religiosità popolare e devota, di pensare e realizzare strutture di istruzione e formazione per chierici e laici e soprattutto al loro assiduo impegno nella predicazione. Si tratta di attitudini, e strategie, che seppero cogliere, più di altre, la domanda religiosa della gente e il suo desiderio di un clero che, restituito ad una credibile moralità, sapesse accompagnare la loro quotidianità e gli eventi fondamentali della loro esistenza.
dovere della carità, alla vita in con1unc. Per una rassegna del diritto 1nedievale sui chierici, cfr J. (ì-AUIJEMJ·.l, Storia del diriffo canonico, cit., 540-570. Cfr anche A. KAKAREKO, La r{/Onna della vita del clero, cit., 15-16.26-27. l'J.J Considerazione analoghe potrebbero esser fatte per i decreti di riforn1a di Trento. Cfr G. GRECO, Fra disciplina e sacerdozio, cit., 63-64 e S. DIANJCH, La teologia del presbiterato al Concilio di Trento, cit., 331-358. Sulla frattura tra teologia e diritto canonico nell'epoca moderna, cfr P. PRODI, iVote sulla genesi del diritto nella Chies(/ post-tridentina, in Legge e Vangelo. Discussione su unu legge fOnda111e11tale per la Chiesa, Brescia 1972, 204205. 195 V. 01 fLA\110, Grado di istruzione del clero, cit., !43. Nello stesso senso anche Ci. (Ìl{EC'O, Fra disciplina e sacerdozio, cit., 57. 196 Ci. CilARR!ZZO, La Sicilia dal Cinquecento a//'[lnità d'Italia, cit., 190. Di supplenza dei religiosi alle forti carenze del clero secolare n1eridionale parlano anche M. ROSA, La Chiesa 111eridionule nell'età dt!lla contror((onna, cit., 293-323 e L. SCALISI, La controrifOnna, cit., 76-79.
Synaxis XIX/2 (2001) 383-398
I PECCATI RJSERVATI NEI SINODI SICILIANI DEL '500
ADOLFO LONGHJTANO"'
I. l jJeccati riservati ne/l'ordh1a1nenfo canonico
La nozione di "peccato riservato" è stretta1nente connessa con l'analogia posta nella Chiesa in un determinato periodo storico fra il sacramento della penitenza e il processo giudiziario: il sacerdote non riconcilia il peccatore con Dio sanando la ferita inferta dal peccato, ma "assolve" il reo dalle colpe commesse. li confessore, come il giudice, ha bisogno della giurisdizione per chiudere con una sentenza assolutoria il processo della confessione, giurisdizione che viene concessa con precisi limiti dal superiore gerarchico in forza del "potere delle chiavi" e finisce per condizionare la stessa potestà di ordine richiesta per celebrare il sacramento'. Nel contesto della nozione di "riserva" il papa e il vescovo possono avocare alla propria competenza l'assoluzione di alcuni peccati o di determinate censure 2 • * Ordinario di Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Stabiliva il Concilio di Trenlo: «Quantunque l'assoluzione an1n1inistrata dal sacerdote sia l'elargi;done di un beneficio che proviene da un altro tuttavia essa non si riduce soltanto a un puro 1ninistero di annunziare il vangelo o di dichiarare ritnessi i peccati, 1na, a guisa di un atto giudizi3rio, la sentenza è pronunciata dallo stesso sacerdote in quanto giudice» (sess. XIV, cap. 6, Conci/ion1111 Oec11111e11icon11n Decreta, a cura dell'Istituto per le scienze religiose, Bologna 1991 f=COcDJ, 707). Per !'analogia con il processo giudiziario stabilita dal concilio cfr: J. RAlvJOS-REGlDOR, // sacra111ento della penitenza, Torino-Leun1ann 1971, 184-185; ! 93-224; J. BERNl-IARD, La pénitence, in L 'èpoque de la Rf/Onne et du Conci/e de Trente, Paris 1990, 157-183. ~ Per l'analisi storico-giuridica del teina si vedano: L. T110MASSJN, Vet11s et nova Ecc!esiae disciplina, 1, pars I, lib. ll, cap. 13, Venetiis 1730, 238-245; P. LAJ\-1BERTINJ (BENDEDJCTUS XIV), De SJ'nodo dioecesana, ()pera 011111ia, Xl, Prati 1844, 119-128; L. FERRARJS, Reservatio cas1111111, in Pro111pta hibliolheca canonica, iuridica, n1oralis, theologica, Vl, edizione Migne, Paris 1858, 1517-! 542; A BRIDE, Résen1e. Cas Réservés, in Dictionnaire de Théologie C'atho/ique, XJJJ, Paris 1937, 2441-246 l; A G1·:NTJLE, Riserva e casi riservali, in Enciclopedia Cattolica, X, Città del Vaticano 1953, 965-969; J. GIUSAR, Die RefOnn der "reservatio cas1111111" 1111/cr Papst Cle1ne11s VJJI, in 1\1iscellanea Historiae Pontffìciae 20 (1959) 305-385 e la bibliografia indicata in questi saggi.
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Adolfo Longhilano
Una ulteriore comprensione della nozione di "peccato riservato" fa riferimento al periodo storico in cui questo istituto giuridico ha avuto origine: l'avvio di quel processo di centralizzazione nell'ordinamento canonico, iniziato con la crisi feudale e culminato nel Concilio Vaticano I e nel Codice di diritto canonico del 1917 3 • Non è un caso che i "peccati riservati'' siano sco1nparsi dall'ordinan1ento canonico quando non si avvertì più la necessità di assimilare la celebrazione del sacramento della penitenza al processo giudiziario e di esigere la giurisdizione per la valida assoluzione dai peccati'. Un canone del Concilio Lateranense II ( 1139), incluso nel Decreto di Graziano, costituisce la prima testimonianza della prassi di riservare al papa l'assoluzione di un peccato: «È se111brato uguahnente opportuno che chiunque, tentato dal diavolo, abbia co1n111esso il reato di sacrilegio 1nettendo le inani addosso a un chierico o a
un inonaco, sia colpito da anatema e nessun vescovo osi assolverlo, salvo che in pericolo di morte, pri111a che sia presentato al cospetto del papa e si sia sotto1nesso ai suoi ordini» 5.
li numero dei peccati che il papa riservò alla sua competenza nel corso dei secoli crebbe a tal punto che alcuni concili provinciali o assemblee di clero si sentirono in dovere di chiedere che si restituisse ai vescovi la necessaria potestà per essere in grado di svolgere il proprio ufficio di governo della diocesi'. Parallelamente alla riserva del papa nei confronti dei vescovi si affermò la riserva dei vescovi nei confronti del clero soggetto alla loro giurisdizione. La situazione che ne derivò fu all'origine delle aspre critiche
3 Y. CONGAR, L 'Eglise de saint Augustin à !'époque 111oder11e, Paris 1970. Nel codice pio-benedettino la nonnativa sui peccati riservati era contenuta nei can. 893-900. ~ La Co111n1issionc di riforn1a del codice di diritto canonico fin dall'inizio dei suoi lavori n1anifcstò il proposito di abolire !'istituto dei "peccati riservati" (Con11nunicationes 10 [1978] 49). Per il passaggio dalla potestà di giurisdizione alla facoltà cfr V. DE PAOLIS, Il sacra111e11to della penitenza, in I sacnnnenti della chiesa, a cura di A. Longhitano, Bologna 1989, 163-237: 195-199. 5 COeD, 200. li canone è stato inserito da Graziano nella seconda parte della sua opera: causa XVII, q. 4, c. 29 (Fr., 1/822). 6 A. BRIDE, Réserve, cit., 2450.
I peccati riservati
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mosse dai rifonnatori del secolo XVI', ai quali il Concilio di Trento rispose riaffermando la dottrina tradizionale: «Se qualcuno dirà che i vescovi non hanno il diritto di riservare dei casi, se non in ciò che riguarda la disciplina esterna e che, quindi, la riserva dei casi non in1pedisce che il sacerdote possa assolvere valida111ente dai casi riservati sia anaten1a>> 8•
Per evitare gli inconvenienti lamentati dai riformatori indicò nella "edificazione" e non nella "rovina" il fine della riserva dei peccati: «Giusta1nente i som111i pontefici, in forza del supre1110 potere conferito loro su tutta la Chiesa, hanno potuto riservare al loro particolare giudizio alcune cause relative alle colpe più gravi. Né deve 111ettersi in dubbio (dato che tutto viene da Dio ben ordinato) che in forza dell'autorità loro conferila sui fedeli, tutti i vescovi, ciascuno nella loro diocesi, possano fare altrettanto (per l'edificazione, tuttavia, non per la rovina) nei confronti degli altri sacerdoti di grado inferiore, specie per quelle colpe cui è annessa la censura della sco111unica>/1.
Il concilio dava due indicazioni per la prassi: la riserva doveva riguardare i peccati più gravi oppure quelli ai quali era annessa una censura. La gravità poteva essere valutata con riferimento ai comportamenti possibili oppure poteva riguardare i dati reali e l'inveterata tendenza di un popolo a ripetere certi peccati. La riserva aveva allo stesso tempo un significato pedagogico (indicare ai fedeli le colpe più gravi da evitare) e un significato punitivo (rendere più difficile l'assoluzione). Si pensava che il peccatore venisse scoraggiato dal commettere determinati peccati, al pensiero di non poter essere assolto dai sacerdoti della propria parrocchia, ma di essere costretto a rivolgersi a Roma o al penitenziere della cattedrale. L'elenco dei peccati che il vescovo si riservava costituiva uno degli adempimenti del sinodo diocesano. I canonisti o le summae alle quali il clero
7
Sull'argon1ento sono noti gli interventi di Wiklef e di Lutero (P. (BENEDETTO XIV), De !lJ'l10do dioecesana, cit., 120. 8 Sess. XIV, c. ! I COcD, 713. 9 Sess. XIV, cap. 7 COcD, 708.
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poteva facilmente accedere offrivano numerosi esempi"'. Si trattava di fare una scelta con criteri che potevano riflettere sia la mentalità del vescovo e dei sinodali, sia la situazione oggettiva della diocesi.
2. Utilizzazione storiografica degli elenchi di peccati riservati
Agli storici non è sfuggita l'importanza che può assumere l'analisi dei casi riservati per detenninare il comportamento del popolo di una regione. Fa notare Antonio Cestaro: «l "casi riservati'', a ben considerare, costituiscono altrettante spie per quanto riguarda il co1nporta111ento religioso e le tendenze più diffuse nella società in una detenninata epoca. Il sinodo era la legge, era il 1no1nento legiferante per il clero e per i fedeli. Se in1poncva certe nonne e certi decreti con la co1n111inazione di pene per gli inade111pienti vuol dire che l'assc111blea sinodale pa1iiva da fe110111eni presenti e diffusi nel corpo sociale-religioso che si volevano rin1uovere o correggere. In tal senso, le leggi sinodali non possono essere considerate con1c una generica ripetizione dci decreti tridentini per la salvaguardia della fede e delle sue strutture visibili, 1na vanno viste co1ne la rin1ozione di farti e feno1neni anorn1ali largan1entc diffusi, per cui dalle prescrizioni nonnative per i vari aspetti della vita religiosa si può risalire ad una visione generale anche del con1porta1nento della 111assa dei fedeli in una data diocesi [ ... j. li sinodo, se letto in questa chiave di lettura, acquista il significato di una fonte che non risponde soltanto ad esigenze
10 La Su111111a Annilla, scritta in Ialino da 8a1to!o1neo I''tuno ne! 1554 e tradotta in italiano nel 1581, dava due e!cnchi con cinque casi riserv<11i per ognuno: il primo elenco è tratto dalla dottrina cert8 dci doltori; il secondo dalla consuetudine. Nel prin10 include i seguenti casi: «[Il prin10 è] !a percussione dcl religioso violenta[ ... ]. Il secondo è il peccato per i! quale bisogneria dare e con1n1ettere !a penitenza solenne 1 ... ]. Il terzo è tra gli inccndiarii, i quali havcssero brucciato con anin10 cattivo qualche cosa, o che l'havessero fatta frire o consigliato [ ... ]. Il guaito è la dispensa sopra ogni e qualunque irregolai·ità [ ... ]. li quinto è il peccato dal quale il vescovo non volse assolvere ragionevoln1ente ... ». Nel secondo elenco ne enu1nera cinque: «l10111icidio consu1nato, il peccato de' falsarii [... ]. Ii Lerzo è il peccato di quelli che offendono la libertà ecclesiastica [... ]. Il qu<1rto è quello dei violatori dcll'i1n1nunità et franchigia ecclesiastica [... ]. Il quinto è il sortilegio, la divinatione, incantaiione e sin1ili. Altri pongono altri casi, i qua!i sono dubii, cioè la beste1nn1ia pubblica, il voto, il 111atri1nonio clandestino[ ... ], l'usura 1nanifesta et la restitutione dc!!e cose incerte» (B. FUlv10, S'on11na.An11i//a, Venelia 1581, 58r~v).
I peccati riservati
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religioso-ecclesiastiche n1a anche a più con1plesse esigenze di conoscenza della società civile in tutti i suoi variegati aspct1i» 11 .
Se poi si esaminano i dati di un lungo periodo, non è difficile individuare le variazioni normative che riflettono i mutamenti della società: «Se andian10 a consultare i sinodi dal '500 al '700 notia1no che tra i "casi riservati" sono elencati alcuni fcno1neni riportati al prin10 posto in alcuni periodi storici e all'ultin10 o con1unque in posizione diversa in altri. Il che significa che si applicava una casistica e una specie di graduatoria dei crin1ini più ricorrenti e più diffusi, nei cui contionti era ritenuto necessario ricorrere a provvedin1enti di rigore. Così, per citare qualche esen1pio, nella seconda nictà dcl '500 e nei pri1ni decenni del '600, al prin10 posto tra i "casi rise1ì1ati" risultava indicata l'usurpazione dei beni ecclesiastici, in coincidenza con la fase di centralizzazione, di ricostituzione e tutela del patri1nonio della chiesa, anche rico1Tendo alla sco111unica. Nella graduatoria risultavano poi indicati sen1pre la beste1nn1ia, l'aborto, la violenza ad appartenenti all'ordine ecclesiastico. All'inizio dell"800, invece, al prin10 posto in graduatoria sono collocati di solito gli appartenenti alle società segrete, alle sette carbonare, i divulgatori di libri proibiti, i con1pilatori di lettere anoni1ne (epistolae clausac) essendo diverso il "cli1na" politico-sociale, con i connessi conati rivoluzionari e le relative ideologie di ispirazione antireligiosa e anti e !ericale» 12 .
Nel caso della nostra ricerca il dato può acquistare un particolare rilievo, perché riguarda le costituzioni sinodali siciliane edite del '500. Si ha, pertanto, la possibilità di confrontare i problemi esistenti nelle diverse diocesi e nei diversi periodi di tutto un secolo. Trattandosi di un campione consistente di ricerca, è possibile distinguere l'incidenza che aveva in questo problema la personalità del vescovo, la situazione oggettiva della diocesi e l'indirizzo normativo dato dall'alto.
11 A. C1:·srARO, Sinodi e parrocchie nel! 'Italia 111oder11a (secoli xv111-:ox}, in Il sinodo diocesano nella teologia e nella storia, cil ., l 29-148. 12 lbid., 134. Si veda l'analisi dçi peccati riservati, elencati in un sinodo pugliese del '500, h1tta da L. BERTOLDI Lr:NOCI, Il sinodo di Cìiovinazzo del 1566-1567, in Il Concilio di Trento nella vito .<.JJirituale e culturale del 1'1ezzogio1110 fra ,\'Yi e XVII secolo. Atti dcl Convegno di Maratca, 19-21giugno1986, Venosa 1988, 477-505: 499-500.
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Adolfo Longhitono
3. Analisi dei peccati riservati nei sinodi siciliani
I dati che prenderemo in esame si riferiscono sia alle dodici costituzioni sinodali edite, sia ad un elenco di peccati riservati compilato dal vescovo di Catania Vincenzo Cutelli (1577-1589), che si trova in appendice al sinodo diocesauo del vescovo Nicola Maria Caracciolo del 1565. La notevole differenza esistente fra i tredici elenchi presi in esame appare subito dal solo numero dei peccati riservati: Catania 1565 Cefalù 1584 Palermo 1586 Mazara 1584 Patti 1584 A_Efigento 1589 Monreale 1554 Catania Cute!li Siracusa
Patti 1537 Patti 1567 Messina 1588 Mazara 1575
46 30 26 21 16 16 15 14 12 11 8 8 5
Le cifre che prendiamo in esame vanno dai 46 peccati riservati di Catania 1565 ai 5 di Mazara 1575. Anche se vogliamo limitarci a confrontare gli elenchi che si riferiscono alla stessa diocesi, le differenze non vengono meno: dal sinodo di Catania 1565 all'elenco di Catania Cutelli i casi riservati sono più che dimezzati; nella diocesi di Patti dagli I l del 1537 si passa agli 8 del 1567, per chiudere con i 16 del 1584; nella diocesi di Mazara si passa dai 5 del sinodo 1575 ai 21 del sinodo celebrato nove anni dopo; una certa continuità si trova nel vescovo Antonio Lombardo che nel sinodo di Mazara 1575 aveva indicato solo 5 peccati riservati e nel sinodo di Messina 1588 ne indica 8. I rilievi si fanno più interessanti se passiamo alla tipologia dei casi riservati e alla frequenza con cui il singolo caso appare negli elenchi dei sinodi diocesani. Nella tabella che segue, la prima colonna si riferisce agli elenchi in cui è incluso un determinato peccato, la seconda riporta la diversa tipologia dei peccati riservati.
I peccati riservati
13 12 11 11
9 9 7 13
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omicidio volontario 13 scomunica 14 15 1n~a, sorti!~, abuso dei sacra111enti e dei sacra1nentali 16 rapporti sessuali con monache incendio doloso 17 incesto 18 §Q_ergiuro in_gjudizio 19
Patti 1537, c. 44, f 13v; Siracusa 1553, tit. v, c. 11, f. 34r; Monreale 1554, De penitentita, c. 13, f. 15r; Catania 1565, c. 144, p. 207; Catania Cute lii, c. 7, p. 215; Patti 1567, De poenitentiis et ren1issionibus, c. 4, § ! 92; ~1azara 1575, pars II, c. 22 , f. 48r; Cefalù 1584, De sacran1ento poenitentiae, c. 8, f. l 5r; Mazara 1584, 1 pars, De sacran1ento poenitentiae, c. 45, p. 45; Patti 1584, lii pars, c. 8, f. 25r; Messina 1588, li pars, c. 5, p. 76; Palermo 1586, n. 8, p. 49; Agrigento 1589, I pars, tit. v, c. 7, p. 20. 14 Patti 1537, c. 44, f. 13r; Siracusa 1553, tit. v, c. 11, f. 34r; Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f. 15r; Catania 1565, c. 142, p. 207; Catania Cutelli, c. 1, p. 214; (anche interdetti e sospesi) Patti 1567, De poenitentiis et ren1issionibus, c. 4, § 192; (solo quella 1naggiore) Mazara 1575, pars Il, c. 22, L 48r; Cefillù 1584, De sacra111ento poenitentiae, c. 8, f. l 5r; (n1aggiore non riservata alla Sede Apostolica) Mazara 1584, I pars, De sacran1ento poenitentiae, c. 45, p. 44; Palenno 1586, n. 5, p. 48; Messina 1588, n pars, c. 5, p. 76; Agrigento 1589, I pars, lit. v, c. 7, p. 20. 15 Patti 1537, c. 44, C l3v; Siracusa 1553, lit. V, c. 11, f. 34r; Monreale 1554, De penitentia, c. 13, [ 15r; Catania 1565, c. 142, p. 207; Catania Cutelli, c. 3, p. 214; (sortilegi cx pacto tì11 donne): Catania 1565, c. 142, p. 208; Patti 1567, Depoenitentiis et re1nissionibus, c. 4, § 192; (anche coloro che non denunziano questi peccati) Cefalù 1584, De sacra111e11to poenitentiae, c. 8, t: 15r; (anche l'evocazione del den1onio) Mazara 1584, I pars, De sacran1ento poenitenliae, c. 45, p. 45; (chi fa e chi insegna la magia) Patti 1584, III pars, c. 8, f. 25r; Palenno 1586, n. 3, p. 48. 16 Siracusa 1553, tit. v, c. 11, f. 34r; Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f. l5r; (anche se parlano con 1nonache o entrano nel monastero) Catania 1565, c. 142, p. 207; Mazara 1575, pars fl, c. 22, f. 48r; Cefalù 1584, Desacra1nentopoenitentiae, c. 8, f. 15r; (entrare nel monastero, colloqui turpi o toccamenti) Cefalù 1584, De sacra1nento poenitentiae, c. 8, f. l 5r; Mazara 1584, I pars, De sacra111ento poenitentiae, c. 45, p. 45; Patii 1584, 111 pars, c. 8, f. 25r; (colloqui turpi con 1nonache) Palenno 1586, n. 12, p. 49; Messina 1588, u pars, c. 5, p. 76; Agrigento 1589, I pars, tit. v, c. 7, p. 20. 17 Patti 1537, c. 44; f. 13v; Siracusa 1553, tit. v, c. 11, f. 34r; Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f. 15r; Catania 1565, c. 142, p. 208; Catania Cutelli, c. 9, p. 215; Patti 1567, De poenitentiis et rendssionibus, c. 4, § 192; Cefalù 1584, De sacra1ne11to poenitentiae, c. 8, f. l 5r; Mazara 1584, l pars, De sacran1ento poenitentiae, c. 45, p. 45; Messina- 1588, II pars, c. 5, p, 76. 18 Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f. !5r; Catania 1565, c. 142, p. 207; Mazara 1575, pars II, c. 22, f. 48r; (~efalù 1584, De sacra111e11/o poenUentiae, c. 8, t: !Sr; Maza111 1584, I pars, De sacra1nento poenNentiae, c. 45, p. 45; Patti 1584, Ili pars, c. 8, f. 25r; Palern10 1586, n. 13, p. 49; Messina 1588, li pars, c. 5, p. 76; Agrigento 1589, I pars, tit. v, c. 7, p. 20. 19 Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f. 15r; Catania 1565, c. 142, p. 207; (con interesse della parte) Mazara 1575, pars Il, c. 22, f. 48r; Mazara 1584, I pars, De sacra111ento
Adoljò Lunghi/ano
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7 7 7 7 6 6 5 5 5 5
bestialilà 20 infanticidio volontario o~r n~nza 21 1nancata osservanza dei I~at(pii 22 occ~zione dei beni ecclesiastici 23 on1osessualità 2 ~
aborto 25 silnonia=' 6 comn1utazione di voti e di__g!ura111enti 27
r<:!QP_orti sessuali con infedeli 2R 29 ~rcosse ai_g_enitori
poenitentiae, c. 45, p. 44; Palcn110 1586, n. 7, p. 49; Messina 1588, 11 pars, c. 5, p. 76; Agrigento 1589, ! pars, tit. v, c. 7, p. 20. 20 Monreale 1554, De penitentfrt, c. 13, f. 15r; Catania J 565, c. 142, p. 207; Cefalù 1584, De sacrcnnento poenitentiae, c. 8, f. ! Sr; Patti 1584, Hl pars, c. 8, f 25r; Palern10 1586, n. 11, p. 49; Messina 1588, Il pars, c. 5, p. 76; Agrigento 1589, I pars, tit. v, c. 7, p. 20. 21 Siracusa !553, tit. V, c. 44, f 34r; rvtonrea!c 1554, De penitentia, C, 13, f. 15r; Catania 1565, c. 142, p. 207; Catania Cutelli, c. 6, p. 214; Cefalù 1584, De sacra1nenfo poenitentiae, c. 8, f. 15r; Palenno !586, n. 8., p.49; Agrigento 1589, 1 pars, tit. v, c. 7, p. 20. 12 Patti 1537, c. 45, f.13v; Palli 1537, c. 44, f. 13r; (anche per chi non denuncia i violatori) Catania 1565, c. 142, p. 208; Patti 1567, De poeni!entiis et re111issionibus, c. 4, § l 92; CefJlù ! 584, De sacrc11ne11!0 poenitentiae, c. 8, f. I 5r; Mazara 1584, r pars, De sacrc1111ento poenitentiae, c. 45, p. 45; Patti 1584, 111 pars, c. 8, f. 25r. 23 Patti 1537, c. 44, f. 13v; (anche per chi non denunzia) Catania 1565, c.142, p. 208; Patti 1567, De poenitentiis et ren1issio11ibus, c. 4, § 192; (per chi cainbia i confini delle proprietà ecclesiastiche) CefJlù 1584, De sacra1nento poenitentiae, c. 8, f. I 5r; Mazara 1584, I pars, De sacrarnento poenitentiae, c. 45, p. 44; Palenno J 586, n. 6, p. 49; Agrigento l 589, I pars, tit. v, c. 7, p. 20. 2 ,t Catania 1565, c. !42, p. 207; Catania Cutelli, c. 15, p. 215; Cefalù 1584, De sacrc11ne11to poenitentiae, c. 8, f. 15r; Mazara 1584, I pars, De sacra111e11to puenitentiae, c. 45, p. 45; Patti 1584, Hl pars, c. 8, f. 25r; Agrigento ! 589, J pars, tit. v, c. 7, p. 20. 25 Siracusa 1553, tit. V, c. l 1, C 34r; Catania Cutelli, c. 10, p. 215; Ccfall1 1584, De sacra111ento poenitentiae. c. 8, f. 15r; Patti 1584, JJJ pars, c. 8, f. 25r; Palermo 1586, n. 8, p. 49; Agrigento 1589, 1 pars, tit. v, c. 7, p. 20. 26 Siracusa 1553, tit. v, c. 11, f. 34r; Catania Cutclli, c. IO, p. 215; Ce1à.ll1 1584, De sacrc11ne11to poenitentiae, c. 8, C I 5r; Palti J 584, ili pars, c. 8, f. 25r; Palern10 1586, n. 8, p. 49; Agrigento 1589, l pars, til. v, c. 7, p. 20. 27 Siracusa 1553, lii. v, c. Il, f. 34r; Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f. 15r; Catania 1565, c. 142, p. 207; Catania Cute!li, c. 4, p. 214; l\1azara ! 584, I pars, De sacrcanento puenitentiae, c. 45, p. 45 (esisteva il voto di non chiedere il debito coniugale all'altro coniuge?). ~ 8 Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f 15r; Catania 1565, c. 142, p. 207; CefJ!ù 1584, De sacrc11ne11to puenitenliae, c. 8, f. 15r; Mazara 1584, I pars, De sacra111entu poenitentiae, c. 45, p. 45; Palenno 1586, n. 11, p. 49.
i peccati riservati 5 5 4 4 4 4 4 4 3 3 3 3
29
391
falsificazione di docun1cnti e di bolle 30 violenza sessuale alle ve~ni 31 besten11nia 32 concubinato di laici o~eti 33 1natrimonio clandestino34 usura 35 mancato~inento di decin1e e_Qrimizie-' 6 _Qercosse ai chierici 37 eresia, ~ostasia, scis1na 38 rappo1ii sessuali fra vincolati da_Q_arentela ~irituale 39 offerte illecite (male oblata )40 cri1nini gravi per i quali è prescritta la penitenza f'ltbblica 41
Cata11ia 1565, c. 142, p. 207; Cefalù 1584, De SC1cra1ne11to poenitentiae, c. 8, f. l 5r; Mazara 1584, l pars, De sacra111e11to poe11ilentiae. c. 45, p. 45; Patti l 584, JJI pars, c. 8, f. 25r; Pa!ern10 1586, n. 8, p. 49. 3 Catania 1565, c. 142, f. 207; Patti 1584, Jll pars, c. 8, L 25r; Cefalù 1584, De sC1cra1ne11to poenitentiae, c. 8, f. 15r; Mazara 1584, 1 pars, De sacra1nento poenitentiae, c. 45, p. 45; Palern10 1586, n. 7, p. 49. 1 -' Catania 1565, c. 142, p. 207; Patti 1584, Hl pars, c. 8, f. 25r; (anche a!le 1nogli altrui) Patti 1584, 111 pars, c. 8, f. 25r; Palen110 1586, n. 13, p. 49; Agrigento 1589, 1 pars, tit. V, C. 7, p. 20. 32 Patti 1537, c. 44, f. 13v; Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f. 15r; Cefalù 1584, De sacra1nento poenitentiae, c. 8, f. l 5r; JV!azara 1584, l pars, De sacra111ento poenitentiae, c. 45, p. 45. 33 Patti 1537, c. 44, f. 13v; Catania 1565, c. 142, p. 209; Catania Cutelli, c. 12, p. 215; Patti l 567, De poenitentiis et re111issionib11s, e. 4, ~ 192 . .H Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f. 15r; (clandestino o contro le norn1e canoniche) Catania 1565, c. 142, p. 207; Catania Cutelli, c. 13, p. 2!5; Palern10 1586, n. 13, p. 49. 35 Monreale 1554, De penitentia, c. 13, f l 5r; (anche i notai che fanno contratti usurai) Catania 1565, c. 142, p. 209; Cefalù 1584, De sacra1ne11to poenitentiae, c. 8, f. I 5r; (i notai che fanno contratti usurai o falsi) Patti 1584, 111 pars, c. 8, f. 25r. 36 Cefalù 1584, De sacra1nento poenitentiae, c. 8, f 15r; Mazara 1584, l pars, De sacra111ento poenitentiae, c. 45, p. 44; Palern10 1586, n. 6, p. 49; Agrigento 1589, I pars, tit. v, c. 7, p. 20. 17 Catania !565, c. 142, p. 208; Cefalù 1584, De sacra111e11to poenitentiae, c. 8, f 15r; Mazara ! 584, 1 pars, De sacra111ento poenitentiae, c. 45, p. 44; Palenno 1586, n. 8, p. 49. 38 Patti 1537, c. 44, f. l3v; Catania 1565, c. 142, p. 208; Patti 1567. Depoenitentiis et remissio11ib11s, c. 4, § 192. 19 Cefalù 1584, De sacran1ento poenitentiae, c. 8, f. 15r; MaLara 1584, I pars, De sacraniento poenitentiae, c. 45, p. 45; Agrigento 1589, J pars, tit. V, c. 7, p. 20 . .w Siracusa 1553, lit. v, c. 11, f. 34r; Catania 1565, c. 142, p. 207; Catania Cute!!i, c.
°
14, p. 215.
Adolfo Longhitano
392 3 3 2 2 2
2 2
2 2 2
2 2 2 I I l I
ordinazione~1·· saltun1, di nascosto o senza licenza42
sterilità Q!OCurata a se stessi o agp altri 43 violazione delle chiese con spargilnento di sangue e
se1ne 44 adulterio della donna con inaten1ità Jfil1ota al mari1o 45 rapporti sessuali fra fidanzati pnn1a de!J'unione sacra111entale 46 ratto di donne 47 esposizione di ban1bini pur avendo la possibilità di 1nantenerli48 di~sizione delle cose incerte49 co~razione conh·o il__Q!·incjQ_e o i!J2!·elato 50 l_produzionc di f31si testi1noni con dalUlo di terzi 51 mancata restituzione dei debiti a chiese e lu~hi_Ei 52 111ancata denunzia dei l~atL_2F d"!_Q_arte dei notai53 violazione delle in11nunità ecclesiastichc 54 violazione dell'astinenza dalle can1i in___g_uaresi111a 55 con11nunicatio in sacris con i___g!udci 56 sacril~~o verso le~rsone, i luoghi e le cose sacre 57 fare ricorso a sostanze velenose per evitare il conc~i111ento
41
58
Siracusa 1553, tit. v, c. 11, f. 34r; Catania 1565, c. 142, p. 207; Catania Cutelli, c. 5,
p. 214. 42 Catania !565, c. 142, p. 209; Pa!crn10 1586, n. 6, p. 49; Agrigento 1589, I pars, tit. c. 7, p. 20. 43 Siracusa 1553, tit. v, c. l l, f. 34r; Catania Cutel!i, c. l J, p. 215; Palenno 1586, n. 8, p. 49. 44 Catania J 565, c. 142, p. 208; Patti 1584, 111 pars, c. 8, L 25r. 15 ' Monreale ! 554, De penitentia, c. 13, f 15r; Catania l 565, c. l 42, p. 207. 46 Cefalù 1584, De sacra111ento poenhentiae, c. 8, f. l 5r; Palenno 1586, n. 13, p. 49. 47 Catania 1565, c. 142, p. 207; Patti 1584, llJ pars, c. 8, f. 25r. 48 Catania 1565, c. 142, p. 207; Palern10 1586, n. IO, p. 49. 49 Patti 1537, c. 44, f. 13v; Mazara 1584, I pars, De sacrcnnen!o poenitentiae, c. 45, p. 45. 50 Pa!ern10 1586, n. l, p. 49; Cefalù 1584, De sacrl11nento poenitentiae, c. 8, f 15r. 51 Patti ! 584, Hl pars, c. 8, f. 25r; M cssina 1588, Il pars, c. 5, p. 76. 52 Mazara 1584, ! pars, De sacra111ento poenilentiae, c. 45, p. 44; Agrigento 1589, I pars, tit. v, c. 7, p. 20. 53 Cefalù 1584, De sacran1ento poenitentiae, c. 8, f. l 5r; Palenno 1586, n. 9, p. 49. 54 Catania 1565, c. 142, p. 208; Pa!ern10 !586, n. 6, p. 49. 55 Catania 1565, c. 142, p. 208. 56 lhid., p. 207. 57 Palenno 1586, n. 4, p. 48.
V,
I peccati riservati
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
fomicatori_E_ubblici 59 rapporli sessuali con chierici 60 s~arazione dei conii!& senza l~tti1na causa 61 lettere infinnanti 62 1nutilazionc63 1nancato rendiconto dei laici nell 'a1nministrazione di llH)ghij_lii 64 denuncia di chierici al foro secolare 65 falso diritto di p(ltronato66 s~oltura di eretici, interdetti o scis1natici nei cùniteri 67 violazione dell'obbl~ di__pslrtare l'abito ecclesiastico 68 assoluzione di sco1nunicati dal vescovo o da peccati 69 riservati celebrazione della messa in una chiesa violata70 celebrazione della n1essa contro le leggi della chiesa 71 confessione a~ga1nento 72 abbandono del 1nonastero da~rte delle monache 7·' rapporti sessuali con coloro che hanno battezzato o confessato 7 ~
1 1
58
violazione del segreto o ncerca di profitti dalla confessione 75 divieto di chiedere il debito coniugale se s1 sono avuti rapporti con consar!_g_uinei del coni~ 76
Catania 1565, c. !42, p. 209. Cefalù 1584, De sacra1nento poenitentiae, c. 8, f. l 5r. 6 Catania 1565, c. 142, p. 207. 61 lbid., p. 209. 62 Cefalù ! 584, De sacran1ento poenitentiae, c. 8, f. 15r. 63 lbid., c. 3, r. 15r. 64 Catania 1565, c. 142, p. 208. 65 L. c. 66 L.c. 67 Jbid., p. 209. 68 !bid., p. 208. 69 CefJ.lù 1584, De sacra111ento poenitentiae. c. 8, f. l5r. 7 Catania 1565, c. 142, p. 209. 71 L.c. 72 Cefalù 1584, De sacra1nento poenitentiae, c. 8, f. 15r. 73 Catania 1565, c. 142, p. 207. 74 Siracusa 1553, tit. v, c. 11, f. 34r. 75 Catania 1565, c. 142, p. 208. 76 Mazara 1584, I pars, De sacra111ento poenitentiae, c. 45, p. 43. 59
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La tipologia dei casi riservati ehe troviamo negli elenchi dei sinodi diocesani ci presenta una società molto complessa e un episcopato attento a colpire un numero alquanto diversificato di peccati. Se per un verso si può affermare che i vescovi nella compilazione degli elenchi attingono alla tradizione e ai trattati dei canonisti 77 , per un altro verso è altrettanto vero che hanno presente la situazione oggettiva della loro diocesi. Dalla frequenza con cui detenninati peccati appaiono negli elenchi possiamo dedmre che c'è nei vescovi la preoccupazione di tutelare allo stesso tempo il comportamento etico dei fedeli, la pubblica moralità, gli interessi dell'istituzione ecclesiastica. Appare scontato al primo posto il peccato di omicidio volontario, se si tiene presente il peso notevole che aveva aneora la vendetta privata in un ordinamento giuridico n1olto carente. La sco1nunica, che trovia1110 al secondo posto, riguarda l'assoluzione da una censura che poteva essere annessa a diversi tipi di peccati. li numero di questi peccati poteva essere rclativa1nente contenuto se si trattava di sco1nunica 1naggiore; molto vasto se con1prendeva anche la scomunica minore, vista l'estre1na facilità con cui si comminavano le pene in quel periodo. Il Concilio di Trento aveva racco1nandato di fare un uso 111oderato de11a scomunica, che ri1naneva «il nerbo della disciplina ecclesiastica))'"; ma per tutto il '500 gli atti del vescovo di Catania sono ancora pieni delle scomuniche decretate contro ignoti per colpire i reati più disparati o per invogliare a restituire al legittimo proprietario chi avesse trovato e trattenuto per sé animali o cose di altri. fino a quando dura questa prassi si può presumere che alla scomunica venisse riconosciuta una ce1ia efficacia nel repri1nere detern1inati co1npo1ia1nenti riprovevoli. Un peccato, a cui fosse stata annessa la sco1nunica anche minore, diventava "riservato" se una indicazione di questo genere era prevista nel sinodo diocesano o nel decreto vescovile. Al terzo posto, trovia1110 due peccati di natura diversa n1a di pari frequenza: la magia e i rapporti sessuali con monache. II primo comprendeva una tipologia molto vasta e allo stesso tempo molto diffusa di peccati: sortilegi, filtri magici, evocazione del demonio, abuso dei sacramenti, dell'acqua benedetta e degli oli santi per fini magici ... Se si considera la 77
Negli elenchi di alcuni sinodi lrovian10 inseriti peccati che riguardano un passato
non pilJ attuale. Si veda il riferiinento ai peccati gravi per i quali è prevista una penitenL:a pubblica in un periodo in cui questo istituto giuridico era da te1npo sco1nparso (Siracusa 1553, Catania 1565, Catania Cutelli), la co111111u11ìcatio in sacri.1· con i giudei, che poteva spiegarsi prinu1 dcl 1492, anno di espulsione degli ebrei dalla Sicilia (Catania 1565, p. 208). 78 Sess. xxv, de ref., c. 3, C()eD, 785-786
I peccafj riserva(;
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componente magica della religiosità popolare meridionale 79 , si può comprendere quanto stesse a cuore ai vescovi l'eliminazione di pratiche e di abusi largamente diffusi fra i fedeli. Il secondo (i rapporti sessuali con le monache o qualsiasi forma di molestia nei loro confronti) ci ricorda la particolare situazione della società del tempo: un gran numero di monasteri femminili accoglieva donne dell'aristocrazia o del popolo, indotte a scegliere la consacrazione a Dio più per esigenze sociali che per vocazione. In queste condizioni si con1prende la preoccupazione dei vescovi di creare un n1uro di cinta morale, co111e ri1nedio ad un pericolo sempre incon1bentc. Al quarto posto si collocano altri due generi di peccati abbastanza frequenti: l'incendio doloso e l'incesto. li primo, assieme all'omicidio volontario, costituisce una spia del sopravvento della vendetta privata nei confronti della giustizia pubblica, la cui am1ninistrazione lasciava n101to a desiderare. L'incendio doloso può essere considerato l'equivalente per il patrimonio del danno che l'omicidio volontario mTecava alla persona. L,incesto, invece, ci riporta ad una società chiusa e repressa, costretta a sfogare la propria sessualità fra le mura domestiche o nell'ambito della parentela. Al quinto posto troviamo cinque generi di peccati molto diversi fra di loro: lo spergiuro in giudizio, la bestialità, l'infanticidio volontario o per negligenza, la mancata osservanza dei legati pii e l'occupazione dei beni ecclesiastici. La riserva di alcuni di questi peccati mirava a tutelare l'istituzione ecclesiastica, che trovava nel quieto possesso delle rendite dei beni e dei legati una delle garanzie per sopravvivere e svolgere la propria missione. Il peccato d'infanticidio comprendeva non solo la soppressione volontaria dei figli, ma anche quella casuale dovuta al loro soffocamento durante il sonno; perciò in molti sinodi c'era l'esplicita proibizione di far dormire i bambini piccoli nello stesso letto dei genitori. La riserva del peccato di spergiuro in giudizio era segno della volontà di salvaguardare allo stesso tempo la santità del giuramento e il buon funzionamento delle strutture della societas christiana. I due peccati che troviamo al sesto posto (l'aborto e l'omosessualità) anche per quel periodo erano fra i problemi etici e sociali che i vescovi cercavano in qualche modo di risolvere e arginare. Al settimo posto si trovano sci peccati molto diversi fra di loro: la si1nonia, la co1n1nutazione dei voti e dei giuran1enti, i rapporti sessuali con 79 Ci. DE RosA, Vescovi, popolo e 111agia nel Sud, Napoli l 983", ad i11dicen1; G. GALASSO, L'altra Europa, Milano 1982, ad indicen1; 11 Concilio d[ Trento nella vita ::,pirituale, cii., ad indice1n.
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Adolfo Longhitano
infedeli, le percosse ai genitori, la falsificazione di documenti o di bolle, la violenza sessuale alle vergini. La riserva del peccato di simonia mirava ad evitare che il clero speculasse sulle cose sacre che trattava quotidianamente, mentre con la proibizione di commutare i voti e i giuramenti si intendeva evitare che la trattazione di un materia molto delicata per l'equilibrio dell'ordinamento ecclesiastico fosse lasciata all'arbitrio di confessori non sempre preparati e pmdenti. Per i rapporti sessuali con gli infedeli mi limito a rinviare alla trattazione specifica del tema fatta in questo stesso seminario di ricerca"°- Con la riserva dei peccati di percosse ai genitori e di violenza sessuale alle vergini si intendeva offrire una tutela alle parti più deboli del tessuto sociale ed ecclesiastico, considerato che solitamente erano i genitori anziani a temere di essere aggrediti dai figli. La falsificazione di documenti e di bolle costituiva una delle piaghe più frequenti, capace di sovvertire l'ordinamento della chiesa e della società. All'ottavo posto si trovano altt·i sei peccati di varia natura: la bestemmia, il concubinato di preti o laici, il matrimonio clandestino, l'usura, il mancato pagamento di decime e primizie e le percosse ai chierici. Quest'ultimo peccato doveva configurarsi in maniera diversa da quello riservato al papa, che aveva avviato l'istituto giuridico della rise1va. Degli altri cinque peccati di questo gruppo merita un commento il peccato del 1natrimonio clandestino, che assun1eva un significato diverso se considerato prima o dopo la promulgazione del decreto Tametsi. li Concilio di Trento
mirava ad arginare un'autentica piaga sociale, stigmatizzata anche dai riformatori. Si pensi che nella societas christiana era la Chiesa a legiferare sul matri1nonio e per la normativa canonica la forma prevista per la celebrazione non era ad validitatem, ma ad /iceitatem. Questo comportava che anche la manifestazione privata del consenso da parte di contraenti poco più che bambini (14 anni l'uomo e 12 la donna) facesse sorgere un vero matrimonio, con la conseguente elusione del controllo familiare e sociale. li problema non fu risolto del tutto dopo il Concilio di Trento 81 • Nei sinodi diocesani post tridentini il peccato è esteso anche alla inosservanza delle norme liturgiche e canoniche che disciplinavano la celebrazione del 1natrimonio. Non andiamo oltre nel commento agli altri peccati riservati, inclusi nei diversi elenchi dei sinodi diocesani; il lettore, anche ad una semplice lettura, 8
°F. FERRETO, La Chiesa e gli infi.?deli nei sinodi siciliani del '500.
81
Su! teina cfr A. LONGHITANO, La fitga consensuale: sopravvivenza del 111atrùnonio c1andesNno?, in Synaxis 13 (1995) 15-57.
I peccati riserva/;
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può avere un quadro della società siciliana del '500 e della sensibilità dei vescovi nell'esercizio della loro missione.
Conclusione La nostra ricerca era limitata all'analisi dei peccati riservati dei sinodi diocesani. Vorremn10 tuttavia avvertire che per avere una visione più completa delle devianze di questo periodo storico, l'esame degli elenchi dei peccati riservati andrebbe completato con quello dei numerosi peccati ai quali era annessa una pena canonica e con le segnalazioni di co1npo1ian1enti considerati riprovevoli contenute nei decreti di indizione delle visite pastorali. Solo a titolo di esempio riferiamo alcuni compotiamenti condannati, che non si trovano negli elenchi dei peccati riservati: abuso della Sacra Scrittura nelle rappresentazioni teatrali, negli incantesimi e negli usi profani", abuso degli abiti religiosi e dei paramenti sacri 83 , bigamia", cospirazione dei chierici" 5, favoreggiamento dei banditi da parte dei chierici 86 , frode nel con11nercio 87 , giochi d'azzardo 88 , lenocinio 89 , prostituzione 90 , profanazione dei cadaveri 91 , superstizionì 92 ••• 82 Siracusa 1553, tit. XXIX, c. 14, 1T. 13lr-v; Messina 1588, pars 1, c. 5, p. 12; Agrigento 1589, v pars, lit. Ili, c. 3, p. 133. 83 Siracusa 1553, tit. XXIX, c. 13, ff. !30v-131r. 84 Mazara 1575, II pars, c. 68, L 74r-v; Mazara 1584, r pars, c. 15, p. 50; Messina 1588, II pars, c. 11, p. 90; Agrigento 1589, li pars, tit. Vili, c. 10, p. 57. 85 Siracusa 1553, tiL XXVIII, c. 6, f. 125r-v. 86 Siracusa 1553, tit. XXIX, c. 18, ff. J34r-l35r. 87 Mazara 1584, 1 pars, De sancta sacran1ento poe1dtentiae, e. 34, pp. 39-40. 88 Mazara 1575, Il pars, c. 39, ff 56v-57r; Messina 1588, I pars, c. 2 ! , pp. 42-43. 89 Monreale 1554, tit. xxv, cc. 23-24, if. l 16v-l l 7r; Mazara 1575, n pars, c. 74, f. 77v; Mazara 1584, Decreto della visita pastorale, p. 68; Messina 1588, 11 pars, c. 13, p. 92. 90 Pene contro i padri che inducono le figlie alla prostituzione: Siracusa 1553, fit. XXIX, c. 18, f. 134r; proibizione per gli osli e i tavernieri di tenere prostitute per gli avventori: Mazara 1575, li pars, c. 73, [ 77r. 91 Messina 1588, Il pars, c. 24, p. I 02. 92 Siracusa 1553, tit. XIX, c. 2, !I l04v-105r; Catania 1565, c. 117, p. 197; Patti 1567, Decelebralione1nissana11, c. 7, §§ 102-103; TV1azara 1575, 11 pars, cc. 32-33, fL 53r-54v; Patti 1584, Il pars, c. 2, f. 12v; ibid., c. 63, f. 7lv; Mazara 1584, Il pars, Decreto della visita pastorale, p. 67; ibid., iv pars, c. 38, p. 132; ibid., VI pars, cc. 11-12, p. 169; Pa!crn10 1586, !Il pars, c. l 1, p. 100; Messina 1588, J pars., c. 39 p. 60; Agrigento 1589, V pars, tit. Hl, c. 6, p. 133;
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A conclusione di questo studio è possibile tracciare un quadro della situazione delle Chiese siciliane sulla base degli elementi raccolti? Nella tutela della moralità pubblica e individuale le preoccupazioni dei vescovi possono essere catalogate a paitire dai grandi temi dell'etica cristiana di quel periodo storico: peccati che compromettevano l'autenticità della fede e del culto; peccati contro la vita e la buona fama del prossimo, peccati contro la visione cristiana della sessualità e della famiglia, peccati contro la proprietà, peccali contro le cosiddette "immunità ecclesiastiche", peccati che turbavano l'ordinamento della società. Fra tutti questi peccati l'attenzione dei vescovi sembra indirizzarsi prevalentemente sui due grandi temi della magia e degli abusi sessuali, anche se restano in primo piano i temi del rispetto per la vita e per l'ordinamento della respublica chrisliana. Questa conclusione, sia che considerian10 il punto di vista dei vescovi sia che ci spostiamo su una valutazione obiettiva, più che portarci foori dalla riflessione degli storici sulle altre regioni italiane o europee, ci consente di pmTe solo qualche accento, in sintonia con l'indole dei popoli meridionali e la cultura di quel periodo. Riteniamo, comunque, che si tratta di dati da analizzare assieme ad altri per giungere a delle conclusioni attendibili.
Synaxis XIX/2 (200 I) 399-411
LA CHIESA E GLI INFEDELI NEI SINODI SICILIANI DEL '500
FLA VJA fERRE'fTO*
Pren1essa
Le norme dei sinodi siciliani del '500 sugli infedeli riguardano i servi musulmani - bianchi o neri - presenti sull'isola, che nella maggior patie dei casi vivevano nella condizione giuridica di schiavi e con1e tali erano considerati dalla normativa civile e canonica. 11 loro nun1ero doveva essere rilevante se otto dei dodici sinodi presi in esame sentono la necessità di affrontare il tema della schiavitù, sia pure indirellamente, con riferimento ad alcuni contesti pmiicolari: la ricezione del battesimo e degli altri sacramenti da pmie di questi infedeli, la loro partecipazione al culto cristiano, il loro con1porta1nento inorale ... 1•
*
Docente di Storia della Chiesa nell'Istituto di Scienze Religiose S. Agostino di
Acireale. 1
Patti 1537, c. 129, C 40r-v: «De non duccndis infidelibus ad divina officia)). Monreale 1554, tit. I, c. 17, f. 6: «Quod nullus 111auros aut alios adultos baptizct sine scitu don1ini archiepiscopi, generalis vicari i, aut foranei»; tit. Xlll, c. 34, f 75v: «Quod non habeanl 1nauras vcl turchas». Siracusa 1553, tiL Il, c. I ! , f. 11 r-v; «De non ducendis inlide!ibus ad divina officia». Mazara 1575, I pars, c. 48, f. 30v: «Dc aqua benedicta propriis non alìenis 111anibus 1naxi1ne infideliu1n sun1enda»; Il pars, c. 36, f 55r: «De proibita con1essatione e dorn1itione cun1 infidelibus»; c. 20, caso 26, f. 44v sugli schiavi spergiuri; c. 37, f. 55v: «De infidc!ibus ab ecclesia respuendis te1npore niissaru1n»; c. 67, f. 73v: «De 111atrin1onio servoru1n>>. Patti !584, I pars, c. 2, f. 4v sull'obbligo dei padroni di 1nandare gli schiavi a! catechisn10. Mazara 1584, ! pars, «De sacrainento paenitentiae et confcssariis)), c. 5, p. 34 sulla negligenza dei padroni nel far confessare e co1nunicare i propri servi; «De Sancto Sacraincnto 1natri1nonii)), c. 22, p. 51 sulla cura che i padroni debbono avere nel far contrarre 1natri1nonio ai servi; VI pars, «De baereticis, et infide!ibus et dc superstitionibus)), c. 6, p. 168 sul divieto di condurre servi o serve infedeli durante la celebrazione della 1nessa; c. 7, p. 168 proibisce il don11ire e il n1angiare insicn1e, il con1111ercio e ogni altra faini!iarità con infedeli; c. l l, p. 168 sui rapporti cli una cristiana con un infedele; c. 1O, p. 169 proibisce la consegna di anni a infedeli. Palern10 1586, I pars,-c. i O, p. 18: «De proibita con1111essatione, clonnitione et co1n1nercio cun1 infidelibus»; c. 11, p. 19: «De infidc!ibus ab ecclesia Missaru111 te1nporc cxpellen<lis)>; lll pars, c. 6, p. 87: «De depravatis consuetudinibus ab ccclcsia mnovendis, ve! tcn1perandis)). Messina 1588, I pars, c. 41, p. 63 obbliga a tare uscire gli infedeli dalla chiesa
400
Flavia Ferretto
Si tratta di norme destinate a regolamentare un fenomeno sociale diffuso fin dall'epoca romana, ehe assumeva un particolare significato nel contesto della societas christiana, perché non c'erano in gioco solo problemi di ordine pubblico, ma la salvaguardia dei valori cristiani ritenuti costitutivi per l'ordinamento siciliano.
I.
LA SCITIAVITÙ IN SICILIA NEL SECOLO XVI
I. I. Origine e tipologia degli schiavi Il fenomeno della schiavitù lll Sicilia' commciò ad assumere proporzioni notevoli soltanto nel XJll sec., quando la reconquista in Spagna e la guerra da corsa in11nisero sul inercato siciliano nu1nerosissi1ni schiavi 1nusuln1ani. 11 XIV sec. vide sul 1nercato schiavista i greci e i tartari, accanto ai saraceni e a nu1nerosi gruppi mauri provenienti dai monti di Barca (Cirenaica) c dall'isola delle Gerbe. Questo secolo fu caratterizzato dal grande saccheggio di intere popolazioni, operato dall'occidente cristiano in una vasta area che andava dalle coste orientali dell'Adriatico (Grecia, Epiro, Albania, Dalmazia) e risaliva verso nord-est, la Bulgaria, la Romania, i monti pontici, le regioni del Caucaso, la Crimea. Nel xv secolo divenne prevalente la presenza del gruppo dci saraceni, per lo più mauri del nord-Africa. I mercanti erano genovesi, pisani e catalani, 1na accanto ad essi agivano i siciliani, in particolare 1nessinesi e trapanesi: i primi erano frequentatori abituali dei porti dell'Adriatico, dove incettavano gli schiavi bosniaci o "boschini", i secondi si rifornivano a Tunisi. Ai n1argini di questo co1n1nercio c'erano poi coloro che si procuravano la per i111pedire loro la derisione; 11 pars, c. 1O, Pp. 89-90: «De coniugio scrvonun»; IV pars, c. 9, p. 122: «De non co1nedendo, vcl donniendo cun1 infidelibus». 2 li fenoineno schiavitù in Sicilia si è protratto dall'età antica fin nell'epoca contctnporanca. Di alcuni aspetti relativi al diritto su questo teina si è occupato M. (JAUDJOSO, La schiavitù do111estica in Sicilia dopo i Nonnanni, Catania 1926. Ahri studiosi si sono serviti di docu111enti d'interesse locale per trarre le loro considerazioni: ad es. C. Avouo, La schiavitù do111estica in Sicilia nel secolo XVI, in Archivio Storico Siciliano, n.s., 10 (1885) 45152; A. FRANCI !INA, Un censùnento di schiavi nel 1565, in ibid, n.s., 32 (1907) 374-420. Studi con1pleti sulla schiavitl1 per il periodo che c'interessa sono: I-I. BRESC, Un rnonde 1nediterra11ée11. Econo111ie et société en Sicilie (1300-1450), 2 voli., Ron1a 1986, 439-475; C. VERLIENDEN, L 'esclavage en SiciUe au has 111oyen age, in Bulle/in de l'Jnstitut historique Beige de Ro1ne, (1963), fase. xxxv, 13-113; G. MARRONE, La schiavitù nella società siciliana del! 'età 1noder11a, Caltanissetta-Rorna 1972.
La Chiesa e gli infedeli
401
"merce" con la gue1Ta da corsa, che allora costituiva una vera e propria impresa co1n1nerciale con investimenti di capitali associati. Il suo esercizio era incoraggialo dagli stessi sovrani che ricavavano guadagni non trascurabili co1ne contropa1iita di alcune esenzioni concesse agli a11natori 3 . Nel XVI secolo il panorama etnico della classe servile in Sicilia diviene più preciso. Mentre il medioevo fu caratterizzato da una schiavitù bianca, l'epoca moderna conobbe la schiavitù essenzialmente nera. Nelle transazioni co1nn1erciali i notai inserivano adesso le qualifiche generiche di servus niger, servus 111aurus, servus saracenus, e ciò testimonia un'evoluzione nella composizione etnica della schiavitù, che dipende dall'enorme diffusione dell'elemento nero. Infatti, le due ultime qualifiche non aggiungono mai indicazioni né di colore né di provenienza. TI termine moro, tanto diffuso, non indica il colore ma la religione: esso equivale a 1nusul111ano o a non battezzato; 1nora bianca significa 1nusultnana bianca 4. Dunque, sì può dire che gli schiavi presenti nel mercato isolano provenissero da due zone: l'Africa del nord, che forniva il gruppo mauro, cioè tripolini, cirenaici e in generale berberi, frutto di razzie e guerre intestine, e l'interno dell'Africa (niger) che forniva i nerì 5 • Inoltre il mercato era alimentato dalle popolazioni abitanti nelle città arabe riconquistate dalla Spagna, finite schiave nei porti del mediterraneo e quindi anche in Sicilia'. Oggi è difficile poter ricostruire un quadro d'insieme della popolazione servile dell'epoca sull'isola; i riveli di beni e di anime sono la fonte principale che ci aiuta a conoscere questa particolare popolazione, la
3
Cfr G. MARRONE, La schiavitù. cil., 9-10; 13-14; 28; 0. CANCILA, Aspetti di
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1nercato sici/;ano. Trapani nei secoli XVJJ-XLY, Cal!anissetta-Ron1a 1972, nola 26: <(La pirateria costituiva la fonte principale del 111ercato degli schiavi. La pirateria cristiana era in Sicilia un'arte co1ne un'altra, regolata dal governo, apprezzata dai 111ercanti cristiani cd ebrei. Per esercitarla bisognava 111unirsi di una licenza, concessa dall'a1nmiraglio dietro pagainento di una certa son1111a e a patto che si rivolgesse contro gli infedeli e rispettasse i sudditi e g!i an1ici del re». Per un approfondin1ento sulla pirateria ne! 111editerraneo cfr F. BRAUDt::L, C'iviltà e in1peri del 1nediterraneo nell'età di Filippo li, trad. it., Torino l 953, 939-971. -4 Cfr G. MARRONE,. La schiavitù, ciL , 33-34; 57, nota 4 l. 5 Cfr ibid., 37-38. Con1n1ercio e razzi<i di questi ulti111i furono in 1nano ai barbareschi fino a quasi tutto i! scc. XV, poi vi si sostituirono i 111ercanti catalani, genovesi, pisani, fiorentini e siciliani che acquistavano in Spagna la 111anodopera nera, qui in1portata direttan1ente dal Portogallo. 6 Cfr J. f-1. ELLIOT, La EspaFia ilnperial 1469-1716, !rad. spagnola, Barcellona 1965, 68: (dn Spagna, poi, la secolare opera di reco11q11ista aveva pennesso ai teologi e agli uoinini politici di fonnulare un codice intorno alla guerra giusta e ai diritti dei vincitori sui vinti, non escluso quello di schiavizzarli».
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cui densità variava da luogo a luogo col variare dell'economia, delle ricchezze dei comuni stessi, della loro vicinanza al mare, dei loro commerci'. Dai riveli è possibile cogliere diverse informazioni interessanti, co1ne ad es. l'obbligo delle famiglie che possedevano schiavi di segnarli sia tra i beni mobili che tra le anime, almeno per tutto il Seicento 8• Inoltre i riveli attestano che nel Cinquecento la presenza di manodopera servile era divenuta esigua; ciò significa che essa non aveva un ruolo deter1ninante nell'agricoltura siciliana, diversamente che per i periodi precedenti. Quindi possiamo dedurre che nel '500 la realtà della schiavitù fosse notevolmente ridi1nensionata; la servitù rustica pareva destinata a scomparire lentan1ente, mentre la proporzione maschi/femmine alla fine del secolo era decisamente a favore delle donne, che superavano dell'80% i maschi. La presenza di non liberi nelle ricche case dei siciliani ci fa pensare a una loro attività domestica, chiaro segno della trasfonnazione della schiavitù da rustica a domestica'. Essi non provenivano più dalla tratta africana, che all'inizio del sec. XVII pare avesse onnai cessato di alin1cntare la schiavitù 111eridionale. Più probabilmente si deve guardare al mondo della pirateria mediterranea e al suo sostanziale n1utan1ento negli ultin1i decenni del Cìnquecento 10 • 11 XVII sec. segnò l'inizio di una lenta 1na progressiva scon1parsa della schiavitù in Sicilia. 11 fenomeno con1inciò a nianifestarsi nei centri 1ninori dell'interno per poi estendersi alle piccole e infine alle grandi città'', certamente conseguenza dcl decadi1nento econon1ico e politico caratteristico del sec. XVII e della prima metà del XVIII. La tratta africana aveva cessato di interessare il mercato dell'isola per i prezzi troppo alti degli schiavi e l'au1nento de1nografico interno, da cui ne derivò la convenienza della 7
Ha fondato il suo studio sui riveli di beni e di ani1ne M. AYMARD, !11 Sicilia: sviluppo den1ogrqjìco e sue differenziazioni geogrqfìche, 1500-1800, in Quaderni storici delle Marche(l971),n.17,417-446. 8 Nel Settecento, invece, lo schiavo figura solo tra le ani1ne, dobbiaino perciò pensare ad un'evoluzione in senso più u1nanitario nei rappoi1i tra schiavo e padrone. Cfi· G. MARRONE, La schiavitù, eit., 53-55. 9 Cfr ibid., 59-61. 1 Cfr F. BRAUDEL, Civiltà e i1nperi, cit., 940: «Nel ìv1cditerraneo la pirateria è un'industria vecchia quanto la storirn>. Certan1entc essa era esercitata da tutte le popolazioni rivierasche, 1na nei paesi cristiani ebbe più n1odeste diinensioni. Solo nella seconda inetà dcl '500 comparvero nel mondo cristiano giganti co1ne i cavalieri di Malta e i cavalieri di S. Stefano che, col pretesto della difesa della fede, portarono la guerra corsara alle di1nensioni di grossa i1npresa co1nn1e1"Cia!e statale. Infatti non si trattava più di pirati isolati.. (Cfr G. MARRONE, La schiavitù, cit., 146ss). I I fbid., 59-6 l.
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manodopera libera. La classe servile cominciò così a diventare un prodotto indigeno, legato cioè alla riproduzione naturale dell'elemento già esistente, accresciuto di tanto in tanto dal bottino derivante dalla guerra corsara''.
1.2. ,_)ituazione rehgiosa e giuriclica
Tra i popoli succedutisi uell'isola gli arabi o saracini, come ti.trono e sono ancora chiamati, sono stati quelli che hanno lasciato più vivo ricordo di sé. Essi furono oggetto della legislazione di Federico III d'Aragona i cui capitoli, dati a Messina il 25 novembre 1296, sono rimasti un corpo immutato nella storia della legislazione servile siciliana 13 • I capitoli regolano la vasta n1ateria dci rapporti tra ebrei e cristiani e tra cristiani e saraceni, distinguendo tra i servi saraceni, detti greci di Romania, delle regioni sottoposte all'imperatore d'oriente, e i greci di Turchia, dei paesi caduti in potere dei turchi. I servi, veri e propri schiavi, si distinguono dai villani, cioè contadini musulmani vincolati alla gleba. Per quanto riguarda i «liberi saracini» le leggi prescrivono che essi portino sulle vesti un segno particolare, una stoffa rossa a farina di bastone, per evitare così la "deprecabile" confusione con i cristiani e la connnixtio di uomini e donne: segno che li si volesse relegare ai margini della società cristiana. Questa non aveva alcun interesse ad assimilarli e convertirli al cristianesimo, n1entre per gli schiavi è evidente l'interesse opposto, tanto che il cap. 59 proibisce di i1npedire loro la conversionc 14 • Nel tempo l'interpretazione giurisprudenziale dell'istituto della schiavitù subì un'evoluzione in senso più un1anitario; infatti, laddove la legislazione fedcriciana stabilisce il principio della discriminazione razziale o religiosa, giuristi come Muta, Cutelli e Mastrilli parlano in generale degli schiavi, indipendentemente dall'origine etnica o dalla fede religiosa, n1ostrando così di tenere presente la loro condizione u111ana. Relativa1nente al trattamento degli schiavi c'interessano i capitoli 60, 62, 63, 65 di Federico
1
~ lbid., 161-162. Su! rapporto tra la decadenza econo1nica della Sicilia e !'andamento clen1ografico cfr M. AYJVJARD, In Sicilia, cit. 13 Cfr C'apitu!a Regni Sicihae, a cura di F. Testa, Palern10 1741, cap. 59-83, 77-87. 14 Lo schiavo infedele non aveva alcuna garanzia contro il padrone, inentre per i cristiani poteva essere diverso; per es. i greci di Ro1nania conve1iiti erano liberi dopo sette anni, così anche la condizione dei saracini convertiti era 111iglìore di quella dei servi 111l1suhnani. Cfr V. TJ rONE, Storia A1ajìa e Cost111ne in Sicilia, Milano 1964, 174-202.
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111 15 ,con i quali s'impone di considerare come fratelli i servi battezzati; si
vieta a chiunque di provocare loro ferite o segnarli sulla faccia e sul corpo e in generale di incrudelire contro di loro, ma si permette che siano messi ai ceppi; si proibisce di chiamare cani rinnegati gli schiavi divenuti cristiani anche quando siano stati ebrei; si vieta ai saraceni e agli ebrei di comprare o di possedere servi cristiani. li cap. 74 16 riguarda la loro salute spirituale, soprattutto se si tratta di schiavi cristiani, cui i padroni debbono guardarsi dal comandare quod sii in Christi opprobriwn. Purtroppo la realtà di fatto era diversa e spesso la situazione di questi infelici doveva variare secondo la natura del loro lavoro e l'umanità dei loro padroni. Solitamente non potevano testi1noniare, ma uno dei rari cas.i in cui ciò era loro consentito contro le persone libere era quando venissero ostacolati di battezzarsi dai padroni. Contro questi la legge procedeva con l'accusa di eresia, tanto più che il battesimo non compmtava la libertà dello schiavo, dunque non ne pregiudicava il possesso al legittimo proprietario. In questo caso non si teneva conto dell'esito della tortura cui erano sottoposti i servi tutte le volte che deponessero contro i padroni 17 • In sostanza, la schiavitù domestica era approvata e diffusamente praticata, però in nessuna parte d'Italia era fonnalmente accettata come pubblica istituzione, tanto che a uno schiavo fuggitivo - e ancora più indiscutibilmente a uno schiavo battezzato - veniva riconosciuto un diritto assoluto alla libertà. In realtà, il diritto dell'Europa cristiana non condannava automaticamente alla schiavitù alcuna classe o razza di uomini. La schiavitù era considerata con1e una condizione provvisoria, il risultato delravversa fortuna di essere catturati in guerra. Essendo provvisoria, non poteva essere ereditata. Inoltre, fu esattamente in quei paesi mediterranei in cui la schiavitù era più in voga - in Spagna, in Francia e in Italia - che la teologia cattolica e il diritto pubblico si accordaronn per garantire ai diseredati il loro diritto, s1a con1e uo1n1111 che con1e cristiani, all 'aflì·anca1nento e all'uguaglianza sociale. Normalmente ciò avrebbe portato alla graduale estinzione della schiavitù in Europa, ma lo sviluppo dell'economia coloniale, che dipendeva dalla manodopera a basso costo, infuse nuova vitalità all'istituzione'". La presenza di schiavi neri, dovuta alla tratta africana, non veniva del resto condannata né dalla S. Sede né dalla maggioranza dei
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Caphula Regni Siciliae, cit., 77-79. lbid., 82. 17 Cfr G. MARRONE, La schiaviflÌ, cit., 233-244. 18 Cfr H. KAMEN, Il secolo di.ferro, 1550-1650, trad. it., Bari !977, 546-554. 16
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moralisti. L'unica preoccupazione dei commercianti, come dei 111oralisti, era
dare il battesimo agli schiavi che altrimenti non potevano essere venduti". Tuttavia, una maniera di limitare il commercio, e quindi rendere più difficile la tratta, da parte delle autorità ecclesiastiche locali poteva consistere nel sottopo!Te al controllo gerarchico l'amministrazione dei sacramenti agli schiavi neri. La vita privata degli schiavi era regolata e condizionata da leggi contraddittorie e lacunose. Nel mondo romano, ad esempio, il matrimonio era interdetto ai servi perché essi non esprimevano una personalità giuridica, ma era lecito il contubernhon, cioè l'unione di fatto, consuetudo servi cun1 serva, ve! etian1 hon1inis liberi cun1 serva aut vicissùn 20 . La 1norale cristiana considerò questo come peccato di fornicazione, perciò il diritto canonico ammise il matrimonio dei servi quando ne fosse stato dato il consenso dai padroni. Nel 1155 papa Adriano IV decretò validi e indissolubili i matrimoni fra schiavi, anche contratti senza il consenso dei padroni e, in seguito, i giuristi affermarono che gli schiavi potessero contra!Te matrimonio anche contro la volontà del padrone. Nella realtà, però, il diritto civile continuò ad esigere il consenso del padrone, non tanto per evitare la nullità dell'atto, ma perché fossero determinale le condizioni del matrimonio e la sorte dei figli. Dal canto loro i padroni vedevano nel matrin1onio degli schiavi una n1inaccia ai propri interessi, per cui spesso gli schiavi rinunciavano a far valere un loro diritto, pur tutelato dalla Chiesa, per paura dei padroni. li matrimonio degli schiavi era controproducente per i padroni, perché i flutti extra 111atrùnoniu111 delle schiave potevano essere venduti più facilmente che se fosse esistito il padre legalmente riconosciuto. Lo sfruttamento degli schiavi, quindi, induceva a negare loro il matrimonio e a tollerare in pratica il concubinato". In Sicilia, poi, era piuttosto diffusa la pratica dell'omosessualità, denunciata come crimen nefandum. Ciò spiega la frequente richiesta di fanciulli nei mercati schiavisti, anche quando non si ebhe più necessità di manodopera servile, nonché talune testimonianze del tempo. Argisto Giuffredi è un esempio: egli nei suoi Avvertin1enti cristiani am1nonìsce circa il pericolo di una precisa relazione tra omosessualità e schiavitù domestica. In Paolo Caggio, prosatore siciliano, l'accusa è formulata in fonna più esplicita contro preti, frati, pedagoghi, pedanti che praticano tale costume.
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CfÌ' G. MARTJNA, La C'hiesa nel! 'età dell 'asso/utisn10, II, Brescia 1986, 246-248.
°Cfr A. ITALIA, Sicilia feudale, Genova 1940, 372. 21 2
Cfr G. MARRONE, La schiavitù, cit., 272-275.
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Perciò le leggi del tempo condannavano con severità il peccato nefando, considerato tra i delitti più infami e oltraggiosi della persona"-
2. LE NORME SINODALI SUGLI SCHIAVI
2. 1. Ambito familiare
I sinodi celebrati a Monreale nel 1554 e a Mazara nel 1584 sentono l'esigenza di intervenire nella questione della convivenza dei chierici con le loro serve, o schiave, turche o africane e dei rapporti sessuali in genere tra cristiani e infedeli. Monreale 1554, tit. 34, proibisce che i chierici abbiano nel servizio di casa e personale serve africane e turche di colore bianco verso le quali è più facile il peccato e maggiore la libertà, esercitando su di esse la potestà. Perciò il sinodo vuole che nessuno dei chierici abbia queste donne in casa se
22 Con AlfOnso il Magnanin10 il parlan1ento riuscì ad ottenere che si procedesse contro un indiziato di sodo1nia per vian1 accusationis, cioè dietro accusa della parte lesa e non per denunzia, anche anoniina, di un de!aton:. 11 capitolo 180 di Alf011so in pratica aveva assicurato così l'i1n1nunità nei casi di nel'nndo. Ma a tale capiLolo ordinò di derogare una pra1111natica di Filippo Il del 18 aprile 1569, per la quale si dovevano colpire con il n1assin10 rigore i ncfandari e si doveva procedere contro di essi per via fiscale. Poiché questo delitto, rendendo l'uo1no siinile alle bestie, offende Dio e la natura un1ana la pena era la stessa stabilita per chi offende la Divina Maestà: «poena 1nortis naluralis et co1nbustionis». Questo provvedi1nento che violava un capitolo del Regno, espressione della !ibe1ià e del patriinonio dei siciliani, è 111olto i1npo1iante pe1· la storia del costun1c in Sicilia. Mentre il capitolo alfonsino non am1netteva denunzie, 1na accuse o querele della parte lesa, la quale si obbligava al!a pena dcl taglione ove la prova non fosse stata raggiunta, dal 1569 si mnn1isero le denunzie e i delatori vennero pren1iati con venti onze tratte dai beni del condannato, naturahnente confiscati; inoltre, si proibiva all'accusato di farsi assistere da avvocati e procuratori e lo si esi1neva dall'obbligo di !irn1are la denunzia. Ma gli schiavi, non avendo personalità giuridica, non potevano testin1oniare pro o contro qualcuno e tanto 1neno contro il proprio padrone. Non doveva trullarsi di pochi casi se il parlainento si preoccupava della questione e se ogni anno a Palenno si pubblicava un bando senatorio in cui si proibiva a fOndacai, tavernieri, osti e albergatori di 1netterc nello stesso letto o cainera uon1ini barbati con giovani o ragazzi sbarbati. Pare poi che nelle carceri vescovili fossero detenuti 1nolti sacerdoti, persone di qualità e dignità, in attesa di giungere alle co111ponende, cioè al pagainento di una so1nn1a per la rcn1issione dcl peccato co1111nesso, con cui spesso si estingueva l'azione penale: ciò vuol dire che i colpevoli venivano perseguiti pili a scopo fiscale che non per ragioni 1norali, persino dal vescovo. Cfr V. TITONE, La società sicifiana softo gli spagnoli e le origini de/fa questione 111eridionale, Palern10 1978, 163-168.
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non vuole essere danneggiato con nota di infamia ed essere punito con la pena di IO once nel caso non volesse mandare via queste serve. Mazara 1584, al cap. 8 e al cap. 9 della parte VI stabilisce che chi aveva conosciuto carnahnente una donna infedele, di ciò era consapevole ed era possibile provarlo, era condannato a pagare I O once con l'ingiunzione di 20 once. In caso di peccato occulto l'assoluzione era riservata al vescovo. Se una donna cristiana ha tollerato di essere conosciuta da un infedele, e c'è prova legittima di ciò, se è di vile condizione va li.Istigata pubblicamente con l'infedele. Se è di altra condizione la sua pena è pagare 20 once e deve pentirsi pubblicamente. Se però il peccato fo occulto l'assoluzione spetta al vescovo. Queste norme ci fanno capire che nella maggioranza dei casi le schiave erano destinate alla prostituzione e al concubinato. Nessuna legge del diritto positivo impediva al padrone di fame tale uso, ma il cap. 71 di Federico lll 21 tendeva a mitigare in generale la durezza della condizione servile, anche se f-àvoriva principalmente gli schiavi greci cristiani, ortodossi di Romania, trascurando gli altri". l riveli del 1593 ci fanno vedere come nelle fa1niglie presso cui vivevano giovani schiave era assai frequente la presenza di veme o figli naturali nati in casa; il gran numero di liberte dimostra che l'affrancamento riusciva loro più facile che agli uomini. Presso il clero secolare, in proporzione, l'clc1ncnto servile era più numeroso; addirittura alcuni ritengono che quasi tutti gli ecclesiastici possedessero schiave". Possediamo in proposito notizie significative: dei 53 schiavi, per es., che nel 1569 vivono a Francofonte ben 15 appartengono ai 12 sacerdoti del paese. Alcuni di questi preti vivono con schiave bianche e nere e hanno conscguente1nente prole bianca e olivastra 26 .
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Capitula Regni Siciliae, cit., 81. La legislazione non raceva alcuna colpa al padrone responsabile della n1alernitù della sua schiava, che rin1aneva tale. Quando però erano altri ad abusare della schiava l'atteggian1ento del legislatore can1biava: in tal caso la legge era sollecitata più che da 111otivi di ordine 1norale dalla necessità di tutelare nella sua integritù i! diritto di proprietà dei sudditi relativo al bene econon1ico che era !a schiava. Così in Sicilia una pran1111alica dcl 1567 cli don Carlo d'Aragona condannava coloro che corroinpevano le schiave a rc1nigare nelle regie galee per ! O anni. La tolleranza delle leggi nei confronti dci padroni aveva co1ne conseguenza con1t111e i! concubinato, condannato sia da! diritto canonico che da que!!o civile, n1a in riferin1ento alle persone libere, n1entre nulla era specificato per i servi, e ciò può interpretarsi co1ne espressione di una ce1ia libertà dei costu1ni. 25 Cfr A. ITALIA, Sici!iaféudale, cit., 364. 26 Cfr M. (JAUDIOSO, 1''rancoj011te. Ricerche e considerazioni storiche con docu1nenti inediti, 11, Palern10 1916, 318. 21 ·
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2.2. Ambito commercia/e Il sinodo di Mazara del 1584, al cap. I O della parte VI, commina la scomunica inaggiore, riservata alla S. Sede, ai cristiani che consegnano ar1ni ad infedeli. La disposizione sinodale non può spiegarsi che con i fenomeni di insicurezza e di destabilizzazione sociale di cui la numerosa presenza degli schiavi era portatrice, tanto da giustificare il detto comune del tempo secondo cui si avevano tanti nen1ici in casa quanti schiavi si possedevano. Inoltre, spesso questi commettevano delitti di ogni tipo per conto dei loro padroni, persone privilegiate e pertanto immuni dalle disposizioni di legge 27 • La nonna contenuta nel sinodo di Palermo, 1586, al can. 10 della parte I proibisce ogni genere di commercio e prende in speciale considerazione il caso della consegna in pegno di ciò che è oggetto di venerazione da parte della pietà cristiana a infedeli. Può desumersi che gli schiavi, o una buona parte di essi, potessero vendere e comprare, disponendo quindi del denaro relativo, e che potessero fare anche gli incettatori di oggetti rubati. Certamente le norme sinodali sono ispirate dalla preoccupazione di
evitare il "contagio'' dei cristiani con una categoria di persone tnai integrata
dalla societas christiana e pertanto avvertita co1ne potenzialmente nernica 28 .
2.3. Il culto e i sacramenti I sinodi di Patti 1537, di Siracusa 1555, di Mazara 1575 e 1584, di Palermo 1586 e di Messina 1588, affrontano il problema della presenza di 27 G. MARRONE, La schiavitù, cit., 202-206. Il banditismo nell'isola fu ali1nentato fin dai tempi più antichi da individui di questa provenienza. La più potente nobiltà dell'isola, infatti, inanteneva intere schiere di schiavi da utilizzare contro le famiglie e le conso1ierie rivali. Quando poi gli individui non erano più atti alle anni, perché 1nutilati, essi finivano nel mercato interno. Dunque, se da un lato la 111anodopera servile rappresenta un ele1nento non trascurabile dell'economia agricola, dall'altro si rivela socialmente pericolosa. 28 Jbid., 199-200. 204-206. Secondo Paolo Caggio, scrittore palern1itano che nel 1552 pubblicò un'operetta dialogata dal titolo Jcono111ica, sul governo della casa e della fan1iglia, gli schiavi oltre ad essere considerati «la più otti1na e principale possessione», costituivano un cle1nento di decoro, testi1nonianza della fortuna raggiunta dal signore. L'autore ci riferisce anche quale fosse l'opinione con1une sugli schiavi: persone inutili, nemici di ogni fruniglia, che se1npre nlordono e borbottano, parlano tra i denti, gente cupa, violenta e ladra, petulante e pigra, smodata nel nlangiare e nel bere, nei cui pensieri si annida sempre il disegno di in1prese cri1ninose, con1e il furto e il delitto, o degli intrighi più pericolosi. Inso1nma, la classe servile è dipinta quasi co1ne una sottospecie un1ana.
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infedeli a messa; questi oltraggiano la religione dei padroni, c10e quella realtà sociale da cui sono emarginati. I sinodi citati fanno divieto ai cristiani di introdune con sé in chiesa servi o serve infedeli mentre è celebrato il sacrificio eucaristico per evitare la possibilità di insulti, oltraggi e derisioni da pai1e degli infedeli, che non comprendono il sacrificio. Colui che celebra deve astenersi dall'ufficio fino a che escano queste persone: esse, dopo due ammonizioni, vengono fustigate; invece t cr1st1ani, che nonostante l'esortazione dei parroci introducono infedeli in chiesa, incmrnno nella scomunica. Tuttavia, gli infedeli sono ammessi e anzi invitati alla predicazione per favorire la salvezza delle loro anime, cioè possono restare in chiesa fino al prefazio. Il sinodo di Mazara 1575, si preoccupa di preservare dal disprezzo e di limitare l'abuso di devozione nei confronti dell'acqua benedetta; pertanto prescrive ai padroni di non prendere di quest'acqua per interposta persona, specialmente se è infedele. Infatti, quest'acqua è un quasi sacramento: essa ha il potere di cancellare i peccati veniali e difendere dal demonio; i padroni che non la fanno rispettare incorrono nella indignazione divina, mentre gli infedeli nella fustigazione. Affinché nessuno possa scusare la propria ignoranza si ordina che il popolo sia ammonito nella solennità della messa. Lo stesso sinodo prevede una norma che tratta lo spergiuro in maniera diversa secondo il suo stato di libero o di servo: il primo deve digiunare quaranta giorni a pane e acqua e per sette anni farà penitenza, il secondo deve digiunare per tre anni. li sinodo di Palenno 1586 esamina il problema dei disordini e clamori che i servi provocano davanti alla chiesa, alla quale accompagnano i signori: non va pe1messo che questi servi turbino l'animo di coloro che partecipano all'assemblea, parlando loro all'orecchio, di lato, stancandoli. Sciolta l'assemblea si deve evitare che questi servi entrino in chiesa e si mescolino con le donne impudentemente, e che appaiano modesti e onesti, ma o aspettino le padrone davanti alla porta oppure, uscita la moltitudine, accompagnino presto i padroni che li aspettano. Il sinodo di Messina 1588, stabilisce che i parroci ammoniscano il popolo di frequente perché, secondo quanto prescritto dal Concilio di Trento, chiunque partecipi nella sua parrocchia alla messa e all'ascolto della parola di Dio nei giorni festivi; inoltre chiede che i paterfamilias abbiano cura di mandare i figli e i servi, occupati a pascere le bestie o a coltivare i campi, alla messa nelle domeniche e nei giorni festivi.
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Da queste disposizioni è possibile avvertire il cambiamento di clima religioso e devozionale, esigilo dalla controriforma"', cbe si esprime nella preoccupazione di fare rispettare il sacrificio eucaristico e l'assemblea. Le nonne sono dirette principalmente ai cristiani per incidere sulla loro consapevolezza di fede, essi devono garantire e preservare la purezza del cul!o usando molta prudenza nel fare accostare gli infedeli al luogo del culto o a ciò che si adora o che è benedetto. In questa prospettiva è importante sensibilizzare i padroni verso la salvezza delle anime dei loro servi, come dei propri figli del resto, avendo cura di favorirne l'ascolto della parola e la partecipazione alla messa festiva. li sinodo tenuto a Monreale nel 1554, al cap. 17 del tit. I, contiene una norma che proibisce di battezzare mauri o altri adulti senza il permesso dell'arcivescovo o del vicario generale o del foraneo, se non in caso di necessità. Ottenuta la licenza, prima si deve verificare se quelli vengono con fede e cuore sen1plice e se hanno imparato i ruclùnenta.fìdei. Il sinodo di Mazara 1584, al cap. 5 della parte I, vuole assicurare ai servi e ai domestici, soprattutto agricoltori o custodi di armenti, il dirittodovere di confessarsi e co1nunicarsi; perciò i padroni negligenti verso i loro servi e verso la chiesa devono pagare un'oncia, altrimenti non possono entrare in chiesa. Il sinodo di Patti 1584, al can. 2 della parte I, richiamandosi alla sollecitudine dei vescovi, vuole che nella chiesa cattedrale e nelle altre chiese siano insegnati i rudimenti della fede ai bambini e ai rudes, almeno la domenica e nei giorni festivi. E, perché tutti apprendano e capiscano facilmente, l'esposizione sia breve, in lingua volgare e chiara. Inoltre i pall'oci debbono ammonire genitori e padroni perché mandino i figli e i servi al catechis1no. Ne consegue che i confessori sono onerati in coscienza a non assolvere facilmente chi non conosce a memoria questi rudimenti della fede. Infine tre sinodi: Mazara 1575, al cap. 67 della pmte 11; Mazara 1584, al can. 22 della parte I, e Messina 1588, al can. 10 della parte 11, affrontano il delicato problema del matrimonio dei servi. A Mazara si precisa che il 1natri1nonio canonico non procura la libertà ai servi né sottrae al padrone la proprietà dei figli procreati. Sia a Mazara che a Messina il provvedimento viene fondato sull'enunciato paolino secondo cui in Cristo non esistono né liberi né schiavi; inoltre tutti e tre i sinodi denunciano come peccato grave il donnire insieme dei servi. Perciò la Chiesa per togliere fornicazioni, adulteri, 29 Cfr G. GIARRlZZO, La Sicilia dal viceregno al regno, in Storia della Sicilia, Napoli I 978, 65-66.
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stupri e ogni altra sorta di peccati ordina ai padroni di consentire che i servi si sposino, anche con altri servi appartenenti a differenti padroni. Questi ultimi, poi, sono richiamati alla loro responsabilità davanti a Dio per i peccati dei servi e rischiano la sco1nunica, oltre a inco1Tere nell'indignazione divina. Anche per l'ambito sacramentale valgono le considerazioni fatte a proposito del culto; dalle ultime norme si percepisce la fatica dei vescovi di volere assicurare agli schiavi una catechesi, sia pure molto semplice; di dar loro la possibilità di accostarsi al sacramento del battesimo e della penitenza, e alla comunione se battezzati. li matrimonio canonico dei servi è percepito dai sinodi anche come fatto sociale, perciò per esso valgono tutte le considerazioni circa il divieto per i cristiani di avere familiarità con infedeli, nonché le norme giuridiche già trattate in precedenza, utili per una visione d'insieme della problematica matrimoniale.
Conclusione La breve analisi e lo studio delle disposizioni sinodali sugli schiavi infedeli di Sicilia rivelano come spesso la legislazione ecclesiastica e quella del regno si richiamino a vicenda. Le disposizioni sinodali riflettono la società cristiana dell'epoca, con la sua mentalità che vede l'elemento politico e quello religioso strettamente compenetrati, soprattutto nei possedimenti spagnoli. La societas christiana della Sicilia cinquecentesca tende alla difesa e all'autoconservazione del proprio ordine; tuttavia le nonne dci sinodi locali tentano anche di umanizzare la condizione di vita degli schiavi: n1irano ad attuare un 'elen1entare cristianizzazione dci costu1ni che riguardano i rapporti tra i cristiani e i loro schiavi e cercano di assicurare a questi i rudin1enti della fede. Emergono, dunque, due atteggiamenti comuni nella società cristiana, contrastanti eppure con1prcsenti: la tendenza a tenere separati cristiani e infedeli e il richiamo alle responsabilità cristiane dei padroni verso i propri servi.
Presentazione Synaxis XIX/2 (2001) 413-415
S. CONSOLI, L'Eucaristia e il presbitero, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 2002, pp. 85
Questo piccolo libro raccoglie le meditazioni tenute dall'autore al clero della diocesi di Noto. Nasce, perciò, da un'esperienza di condivisione spirituale, a cui peraltro S. Consoli non è estraneo per stile di vita e convinzione profonda. L'intenzione dichiarata è quella di «aiutare a riscoprire l'Eucaristia riproponendo, in modo semplice, alla riflessione alcuni temi che sono stati oggetto degli studi teologici negli anni della preparazione al presbiterato, senza approfondirne la problematicità ma cogliendoli nella loro essenzialità e nel significato che assumono per il discepolato» ( 1O). I destinatari naturali del volume sono, di conseguenza, i presbiteri e tuttavia il lettore in quanto tale può trarne una qualche utilità. Per una evidente collocazione eeclesiologica, infatti, le meditazioni si collocano in un orizzonte più ampio della semplice e diretta relazione tra presbitero ed Eucaristia. Dei sette capitoletti che costituiscono il libro i primi cinque riguardano vari aspetti del rapporto tra discepolato ed Eucaristia. La prospettiva ecclesiologica pare chiara: il presbitero non sta di fronte o sopra alla con1unità ecclesiale, in ogni caso in una posizione di "esteriorità" nei suoi confronti, ma si comprende innanzi tutto nell'ambito del discepolato, carattere comune a tutti i battezzati. È, dunque, dal rapporto fondamentale di discepolato ed Eucaristia che nasce la relazione fondamentale e fondante di presbitero ed Eucaristia, al punto che l'autore può dire del presbitero ciò che si dice della chiesa in relazione all'Eucaristia: «Se è vero che il presbitero fa l'Eucaristia, è altrettanto vero che l'Eucaristia fa il presbitero» (67). Nel primo capitolo sull'Eucaristia: compagnia per il vivere del discepolo, si pone l'accento soprattutto sulla dimensione personale della presenza eucaristica, perché nell'Eucaristia «confluiscono e si esprimono i
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due misteri principali della fede: la Trinità, il mistero dell'amore; l'Incarnazione, il mistero della presenza» (16). Amore e presenza sono esattamente due caratteri della relazione personale; d'altronde l'Eucaristia, come rendimento di grazie e benedizione, ha un senso proprio nella din1ensione del dono ricevuto e riconosciuto co1ne dono e quindi suscitatore di un atteggiamento di riconoscenza e lode del Tu da cui proviene. In questo orizzonte supposto si collocano le riflessioni su conte1nplazione e azione. Nel secondo capitolo, Il banchetto eucaristico e la convocazione in Cristo, si approfondisce il mistero dell'unità ecclesiale (senza trascurare la sua valenza antropologica). Ricordando l'insegnamento della teologia scolastica, l'autore ricorda che lo scopo dell'Eucaristia è la chiesa: «La res (effetto) di questo sacramento è l'unità del corpo mistico» (25). li senso e la natura comunionale della chiesa sì radicano qui e nel forte legame col mistero dell'Incarnazione e della Trinità tutta. Il terzo capitolo sull'Eucaristia: hanchetto }Jasquale sorgente e pegno della speranza della Chiesll, sviluppa una bella riflessione sul nesso tra Eucaristia e Pasqua. «L'Eucaristia rende presente in ogni tempo e in ogni luogo il n1istero pasquale, raggiungendo così ogni uo1no: è il 111e111oriale vivo della Pasqua del Signore» (34). Questo modo di comprendere la natura di memoriale dell'Eucaristia valorizza la dimensione personale del rapporto col mistero che si celebra. Può essere un buon antidoto per le tendenze a spiritualizzare l'Eucaristia (riducendola ad un rito senza nessuna relazione con la vita sociale concreta) o per quelle altre che vonebbero l'Eucaristia co1ne sen1plicc 1nen1oria sovversiva del presente. Le riflessioni proposte nel capitolo quarto, L'Eucaristia sacrifìcio di ('risto e ciel/a Chiesa e sacran1e11to della croce gloriosa, aiutano non solo ad avere una co1nprensione teorica del significato di sacrificio, attribuito all'Eucaristia, ma a calare nel vissuto del discepolo ciò che il sacrificio significa. Qui si fa una particolare applicazione alla vita del presbitero. li sacrifico eucaristico deve diventare il sacrificio-donazione di sé. TI paragrafo dedicato a questa considerazione si potrebbe sintetizzare con le parole scritte da un vecchio prete nel suo "breviario": «Il prete è come una lampada che per illuminare gli altri talvolta deve bruciare se stessa». Nel quinto capitolo su L'Eucaristia scuola eh lliscejJo/ato e sorgente di santità, si aniva al nucleo centrale della riflessione proposta da S. Consoli. Con alcune pennellate, brevi ma efficaci, si riprende l'insegnamento tradizionale e del Vaticano II che presenta l'Eucaristia come "vincolo di carità". Sian10 nel cuore dell'esistenza cristiana e, in pa1iicolare, di quella del presbitero. Questi se «vuole vivere in pienezza la legge
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dell'amore, caratteristica del discepolato, senza però incmTere nella delusione del fallimento, nella sorgente che è l'Eucaristia deve attingere l'a1nore e alla scuola che essa è deve imparare cosa significhi amare e co1ne bisogna amare» (63) Col capitolo sesto, L'Eucaristia centro della vita e del ministero del presbitero, si mette a fuoco il ministero proprio del prete. Egli «realizza piena1nentc il suo ministero nell'Eucaristia e sperimenta ogni gio1110 che tutta la sua vita è fatta per l'Eucaristia ed è inadiazione dell'Eucaristia» (67). L'autore in queste pagine fa trasparire il suo personale vissuto rendendo vive le affermazioni che altrimenti potrebbero restare soltanto a livello di enunciati astratti. Vi è il rischio infatti della retorica, ogniqualvolta si parla del rapporto "vitale" tra presbitero ed Eucaristia che celebra. L'unità di vita nel presbitero è individuata in qualcosa che di per sé dice concretezza: la carità, nella sua declinazione di "carità pastorale", cioè a dire la carità soprannaturale dono della grazia assunta nella vita concreta dcl presbitero. L'ultimo capitolo, il più breve, sulla Responsabilità e /'intelligenza JJastorale nel ]Jre:declere ! 'Eucaristia, non è - con1e potrebbe tàr intendere il titolo - solamente una guida pratica per una coffetta e dignitosa celebrazione dell'Eucaristia. Di più, contiene delle indicazioni teologico pastorali sul 1noclo di celebrare che va capito e vissuto tra l'essere in J-Jersona Christi e il servizio alla comunità (cfr 78). Suscitare la pa1tecipazione dei fedeli, far trasparire nella celebrazione la passione per il Signore e per i fratelli, spezzare il pane e la parola con "competenza" non attengono alle rubriche, ma sono il modo di dare attuazione al servizio presbiterale. Ora, essenzial111ente questo servizio è finalizzato a rendere possibile l'incontro col Signore: «Quando le specie sono consacrate il capotavola è Cristo e alla comunione il presbitero diventa solo il capo dei convitati: tutti sono allo stesso modo partecipi di lui e della sua salvezza. TI me minui deve diventare per il presbitero atteggiamento costatabile anche nel modo di celebrare la stessa Eucaristia» (80). In conclusione si può affern1are, senza enfasi, che questo testo che qui breve1nente è stato presentato è flutto di una densa 111editazione teologica, fondata sulla Scrittura e sulla Tradizione. Un cibo solido che costituirà certa1nente un valido aiuto per coloro che ad esso si accosteranno.
Maurizio Aliotta
Synaxis XIX/2 (2001) 417-420
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO
1. Licenziati in Teologia morale
Ha conseguito la Licenza in teologia morale, il 3 ottobre 2001:
Il tentativo di recupero del principio di Oikonomia durante il ponfijìcato di Giovanni Paolo !I (relatore prof. Mario Cascane)
VIZZINI LUIGI,
2. Baccellieri in Teologia Hanno conseguito il Baccalaureato in Teologia, il 5 ottobre 2001: PLA. TA.t~L\
i\GATA, La n1usica sacra a Catania tra ottocento e novecento. L'archivio 111usicale del se111inario arcivescovile di Catania (relatore prof. Gaetano Zito)
TORRISI VINCENZA,
La malattia mortale di Soren Kierkegaard (relatore prof. Giuseppe Schillaci)
Russo MARIA GIUSEPPA, Liturgia dello ore e spiritualità laicale (relatore prof Giuseppe Federico) CELIA FABIO,
La santità: un dono teologico che diventa un impegno etico di
in1itazione
(relatore prof. Salvatore Consoli)
La preghiera della Chiesa. Preghiera liturgica e preghiera personale ne/l'esperienza di Edith Srein (relatore prof Giuseppe Alberto Neglia)
CAMPISI ROBERTO,
Notiziario dello Studio S. Paolo
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ARMENIA DA VIDE, Reazioni alla llichiarazione congiunta tra cattolici e
luterani sulla dottrina della giustijìcazione nelle pubblicazioni teologiche italiane (relatore prof Maurizio Aliotta) GIRELLA GIACOMO,
Il consiglio presbiterale nel CIC e nella diocesi di
Caltagirone (relatore prof Adolfo Longhitano)
La ratio studiorum e i regolamenti scolastici dello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Preoccupazioni e costanti pedagogiche (relatore prof Salvatore Consoli)
MALGIOGLIO MATTEO,
NICITA ALBERTO,
Carmelo Patanè arciprete di Giarre (relatore prof. Gaetano Zito)
LE FA VI FRANCESCO, c~oncilio
li rinnovamento della teologia morale alla luce del r~·ferilnenfo acl alcuni 1T/lll1llllfi (relatore prof. Pasquale Buscemi)
J/aticano [/in
GIOENI ANNA ROSARIA,
"Signore vogliamo vedere Gesù"(Gv 12,21). La
venuta dei greci jJer aclorare e la necessità cii vedere Gesù (relatore prof Attilio Gangemi)
Il banchetto nei Vangeli. Analisi esegetico teologica elci testi evangelici riguarclanti il banchetto (relatore prof. Attilio Gangemi)
AMBATT ]UDE THADEUS,
BAGLIERI J)AVJDE, lvfatrh11011io, c11nore e an1icizia
nel/ 'e.\]Jerienza di l?ùi:oi·sa
e Jacques Maritain (relatore prof. Giuseppe Schillaci) li rituale levitino e la lettera agli Ebrei. Il rito ebraico de/l'espiazione in Lv 16 e la sua ripresa nella lettera agli Ebrei in relazione al sacerclozio di Gesù (relatore prof. Attilio Gangemi)
TIIAIPARAMBIL BABU RA.IU,
Notiziario dello Studio S. Paolo
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La nostra giustijìcazione in Cristo. Analisi esegeticoteologica di Rm 3,24-25 (relatore prof. Attilio Gangemi)
NOVELLO MAURIZIO,
MACALUSO
ADRIANA,
Le
tracfizioni
veterotestan1e11tarie presenti
in
Apocalisse 12, 1O (relatore prof. Attilio Gangemi) MARINO GJOV ANNI NATALE,
La spiritualità del presbitero nel magistero di
GiovanniPaolo II
(relatore prof. Antonino Franco)
3. Inaugurazione anno acct1tle111ico
Il 26 ottobre 2001 si è tenuta l'inaugurazione del 33° anno accademico del S. Paolo. La concelebrazione è stata pressieduta da S. E. Mons. Paolo Romeo Nunzio apostolico in Italia. Dopo la relazione del preside, il prof. Peter Hiinermann, professore emerito di Teologia sistematica presso la Facoltà cattolica dell'università di Tiibingen, ha tenuto la prolusione accade1nica sul teina: .b'siste una SJJiritualità llel Vaticano 11?
4. Convegno di studio Organizzato dallo Studio Teologico San Paolo, martedì 20 novembre 200 I, si è tenuto il convegno di studio su Chiesa locale ed istituti di vita consacrata.
5. Lectio co1111nunis
Nel prin10 sen1estre si sono tenuti i seguenti incontri interdisciplinari:
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I Propedeutico S. Latora - M. Di Pasquale Baranti - A. Gangemi: La .filosofia ellenistica: Plotino e il platonismo eterno Triennio III anno S. Consoli -A. Franco -F. Conigliaro: Dire Dio oggi! IV anno M. Aliotta--A. Gangemi - G. Costa: Salvezza e liberazione ne//'ATe nel
NT Vanno A. Gangemi - N. Capizzi: La Chiesa ne/l'Apocalisse
6. Adesione" convegno Lo Studio Teologico S. Paolo ha aderito e dato il patrocinio al Congresso Internazionale di studi Ruggero I Gran Conte di Sicilia 11O12001, organizzato dall'Istituto Italiano dei Castelli, Sezione Sicilia, Troina 29 novembre 2001.
7. I11co11tro allo Studio Teologico S. Paolo
Il Vescovo di Terni mons. Vincenzo Paglia ha tenuto una riflessione per gli studenti e i professori dello Studio Teologico S. Paolo, il 10 ottobre 200 I, sul tema: La missione della Chiesa nel terzo millennio.
Collane di Synaxis: «QUADERNI DI SYNAXIS»
-AA. Vv., A venti anni dal Concilio. Prospettive teologiche e giuridiche, Edi Oftes, Palermo 1984, pp. 230 -
AA. Vv., Culto delle immagini e crisi iconoclastica, Edi Oftcs, Palermo 1986, pp. 184
-
AA. Vv., Il sinodo diocesano nella teologia e nella storia, Galatea Editrice, Acireale 1987, pp. 192
-
AA. Vv., Manipolazioni in biologia e problemi etico-giuridici, Galatea Editrice, Acireale 1988, pp. 138
-AA. Vv., La venerazione a Maria nella tradizione cristiana della Sicilia orientale, Galatea Editrice, Acireale 1989, pp. 196 -AA. Vv., Chiesa e società urbana in Sicilia (1890-1920), Galatea Editrice, Acireale 1990, pp. 334 -
AA. Vv., Senno Sapientiae. Scritti in memoria di Reginaldo Cambareri 0.P., Galatea Edit1ice, Acireale 1990, pp. 264
-AA. Vv., Oltre la crisi della ragione. Itinerari della filosofia contemporanea, Galatea Editrice, Acireale 199 J, pp. J70 -AA. Vv., La terra e l'uomo: l'ambiente e le scelte della ragione, Galatea Editrice, Acireale 1992, pp. 190 -AA. Vv., Prospettive etiche nella postmodemità, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1994, pp. 136 -
AA. Vv., Chiesa e Vangelo nella cultura siciliana, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1997, pp. 160
-AA. Vv., Inizio efi1turo del cosmo: linguaggi a confronto, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1999, pp. 280 -
AA. Vv., li Cristo siciliano, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2000, pp. 427
«DOCUMENTI E STUDI DI SYNAXIS»
G. ZITO, La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusmet (1867-1894), Galatea Editrice, Acireale 1987, pp. 596 A. GANGEMI, I racconti posf-JJasquali nel vangelo di S. Giovanni. !. Gesù si manifesta a Maria Maddalena (Gv 20,1-18), Galatea Editrice, Acireale 1989, pp. 288
P.
SAPIENZA,
Rosmini e la crisi delle ideologie utopistiche.
Per una lettura etico-politica, Galatea Editrice, Acireale 1990, pp. 158
A.
GANGEMI,
I racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni.
II. Gesù appare ai discepoli (Gv 20, 19-31), Galatea Editrice, Acireale 1990,pp. 294
A. GANGEIVH, J racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni. Ill. Gesù si manifesta presso il lago (Gv 21, 1-14 ), Galatea Editrice, Acireale J 993, pp. 524
G. ScrnLLACT, /?.(dazione senza relazione. II ritrarsi e il darsi di Dio con1e itinerario inetafisico nel pensiero di Lévinas, Galatea Editrice, Acireale 1996, pp. 418
A.
GANGEl\11,
Signore, Tu a n1e lavi i piedi? Pietro e il mistero del-
l'amore di Gesù. Studio esegetico teologico di Gv 13,6-J I, Galatea Editrice, Acireale 1999, pp. 244