Quaderni di Synaxis 22 SYNAXIS XXVI/2 - 2008
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO CATANIA
Frate Gabriele Maria alleGra tra Cina e SiCilia bibbia e Spiritualità atti del Convegno di studi organizzato dall’Ordo Fratrum Minorum provincia Siciliae “Sanctissimi nominis Jesu” e dallo Studio teologico S. paolo
acireale 29-30 novembre 2007
a cura di SalvatOre COnSOli e CarMelO FinOCChiarO OFM
inDiCe
preSentaziOne (Carmelo Finocchiaro)
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l’Opera bibliCa Di Fra’ Gabriele Maria alleGra (Roland Jabłoński) . . . . . .
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linee Di StOria Della MiSSiOne Dell’OrDine Dei Frati MinOri in Cina (Pacifico Sella) . . . . . . . . 19 le traDuziOni CineSi Della bibbia nella StOria ( Roland Jabłoński) . . . . . . 1. le traduzioni antiche della bibbia in Cina . . 2. le traduzioni cattoliche della bibbia in cinese . 3. le traduzioni protestanti della bibbia in cinese .
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linee teOlOGiChe Della Spiritualità Di p. alleGra (Mario Torcivia) . . . . . . premessa . . . . . . 1. p. allegra discepolo di Giovanni Duns Scoto . 2. la devozione a Maria . . . . Conclusione . . . . . .
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il COnteStO Della Santità etnea: Fra’ ManGanO (Salvatore Consoli) . . . . 1. Gabriele allegra e la famiglia . 2. Gabriele allegra e lucia Mangano . Conclusioni . . . .
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Gabriele alleGra e luCia . . . .
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beneDettO D’aCquiStO e aGOStinO aMOre: Due FiGure eMinenti Della prOvinCia Del SantiSSiMO nOMe Di GeSù Dell’OrDine Dei Frati MinOri Di SiCilia (Benedetto Lipari) . . . . . . . . 103 1. benedetto D’acquisto . . . . . . 103 Conclusioni . . . . . . . . 109 3. agostino amore . . . . . . . 110 Conclusioni . . . . . . . . 118 COnCluSiOne
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appenDiCe: «MiO DiO. MiO tuttO!» (Gabriele Maria Allegra) .
bibliOGraFia eSSenziale
preSentaziOne l’idea di organizzare un Convegno di studio sul venerabile fra’ Gabriele allegra è andata maturando gradualmente. Col passare del tempo l’esigenza è venuta via via crescendo sempre di più. in effetti, la conoscenza frammentaria che si ha di questo Francescano, figlio della nostra terra, vissuto per quarant’anni in Cina; le sollecitazioni che ci sono pervenute da diverse parti perché si mettessero in evidenza la santità della vita, la forte personalità, la spiccata intelligenza, la vasta cultura biblico-teologica, la conoscenza delle lingue, antiche e moderne, che gli permisero di tradurre integralmente la bibbia dai testi originali nella difficile lingua cinese, hanno reso improcrastinabile l’impegno a cui oggi mettiamo mano, in fraterna collaborazione con lo Studio teologico “San paolo” di Catania. l’Opera di traduzione dell’intera bibbia in lingua cinese, corredata da ampio commentario, è il motivo principale, non unico, per il quale viene ricordato il venerabile allegra. essa, con l’efficace cooperazione di alcuni Confratelli, venne portata a compimento negli anni che corsero tra il 1935 e il 1961. Fin dal suo apparire fu oggetto di cordiale accoglienza e si rivelò di tale sorprendente significato da meritare al venerabile confratello l’appellativo di “San Girolamo dell’oriente”. il venerabile allegra, però, non si dedicò soltanto alla traduzione della bibbia, anche se questa rimane la testimonianza più grande e più importante della sua attività, ma fu altresì un “pastore” solerte e zelante, attento e servizievole, soprattutto verso quelle categorie di persone più deboli e bisognose di aiuto. Furono suoi amici poveri e malati, specialmente i lebbrosi del lebbrosario di Coloane, con i quali amava trascorrere i suoi brevi tempi di riposo. venne frequentemente richiesto di guidare corsi di esercizi spirituali al Clero, a religiosi e religiose di svariate Congregazioni. in diverse parti del mondo dettò conferenze su argomenti di
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Presentazione
teologia, di Sacra Scrittura, di Spiritualità, etc. Mantenne rapporti con anglicani, Ortodossi e protestanti e, ancor prima del Concilio vaticano ii, fu promotore di incontri ecumenici tra i cristiani, sempre nel rigoroso rispetto della verità e della carità, e diede autorevole impulso al dialogo interreligioso e interculturale. un ambito, pressoché a noi sconosciuto, nel quale la personalità del nostro venerabile si distinse fu quello della inculturazione, che gli consentì di mantenersi in contatto con il mondo della cultura e della letteratura cinese. Si interessava di poesia, di musica e di arte cinese e di questo interesse resta testimonianza in alcuni poemi cinesi da lui tradotti e pubblicati in lingua italiana. Fu un cultore appassionato della “Divina Commedia” di Dante alighieri, della quale scrisse un commento teologico-spirituale, oggi all’esame di alcuni specialisti del settore. un altro mondo ancora inesplorato è l’epistolario che il venerabile allegra curò sempre con particolare attenzione e puntualità e che custodisce, pensiamo, testimonianze preziose del suo animo e del suo intelletto. questo Convegno, organizzato nell’ambito delle celebrazioni del 1° Centenario della nascita del venerabile fra’ Gabriele allegra vuole essere il primo, ma non l’unico, serio appuntamento con cui vogliamo meglio conoscere e far conoscere la personalità, la spiritualità, la profonda umanità, la santità, la grande cultura teologico-biblica e lo spirito francescano del nostro venerabile. Ci auguriamo che il presente Convegno apra altre strade e nuovi percorsi di ricerca per dare il risalto che merita alla personalità del ven. allegra in modo da poterci arricchire della sua testimonianza e del suo insegnamento e riservargli la giusta collocazione nella storia della Chiesa, dell’Ordine Francescano, della nostra provincia Minoritica siciliana e in quella del popolo cinese. una ricerca storica, curata dal prof. vittorio De Marco, docente di storia contemporanea presso l’università del Molise, è in procinto di essere mandata alle stampe. essa ci offrirà un ulteriore contributo per conoscere il contesto storico, culturale, ecclesiale nel quale il nostro venerabile è nato, si è formato, ha operato e lavorato in terra cinese, fronteggiando non poche difficoltà nella conduzione dello Studio biblico, prima a pechino e poi a
Presentazione
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hong-Kong, a motivo della lingua, di dolorose vicende belliche, di sconvolgimenti sociali, di incomprensioni sostenute a vari livelli, di non lievi fatiche causate dal lavoro intenso e dalla salute malferma, etc. affidiamo alla vergine immacolata, di cui fra’ Gabriele era fortemente innamorato, la buona riuscita di questo Convegno e il lavoro che ci attende ancora per i prossimi anni. e preghiamo il Signore perché, nella sua ineffabile provvidenza, affretti il tempo della sua “beatificazione”, in modo che possiamo invocarlo come speciale protettore e possiamo contare sulla sua particolare intercessione presso il padre celeste, dal quale discende sugli uomini, incessantemente, «ogni buon regalo e ogni dono perfetto» (cfr. Gc 1,17). Fr. Carmelo Finocchiaro oFM Ministro provinciale
l’Opera bibliCa Di Fra’ Gabriele Maria alleGra rOlanD JabŁOŃSKi OFM*
o Verbo Eterno, Parola del mio Dio, io voglio passare la mia vita ad ascoltarti! Voglio ascoltare Te, in cui sono nascosti tutti i tesori della Sapienza di Dio; Te, che hai mandato il Tuo Spirito, affinché m’introducesse nella cognizione di tutta la verità, Tu che sei la Verità: ego sum veritas… Dissipa, o Verbo glorioso del Padre, le tenebre dello spirito mio, affinché io, illuminato da Te, faccia sempre la volontà del Padre, e desideri solo quello che Lui brama.
Desidero rivolgere un mio sentito ringraziamento a sua eccellenza mons. vescovo di acireale pio vigo, per la sua presenza paterna. ancora desidero ringraziare il preside dello Studio teologico S. paolo di Catania, mons. Salvatore Consoli, per aver contribuito nell’organizzazione di questo covegno. ringrazio altrettanto cordialmente il ministro provinciale dei Frati Minori di Sicilia, p. Carmelo Finocchiaro per l’invito, e naturalmente, per la stima che mi ha mostrato con questo suo invito. questa preghiera di p. Gabriele allegra che abbiamo pregato insieme ci guidi, insieme all’intercessione stessa di p. allegra, alla comprensione a alla intelligenza dell’opera del Servo di Dio. il 26 dicembre saranno passati cento anni dalla nascita di Giovanni Maria allegra. possiamo dire che la sua nascita è anche la nascita di un sogno, e lo diceva lo stesso p. allegra (ricordando una massima letta da qualche parte) che: «una bella vita è un sogno di gioventù realizzato nell’età matura». *
Docente di nuovo testamento presso lo Studio biblico Francescano di hong Kong.
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Roland Jabłoński
Ma quale era il sogno che ha coltivato un frate minore diventato missionario e che visse per quasi mezzo secolo in estremo Oriente? questo sogno lo deduciamo dalle sue stesse parole: «Se i protestanti per amore della parola di Dio hanno tradotto la bibbia in cinese, perché i cattolici non possono fare altrettanto? tale lavoro dev’essere tanto più facile ai cattolici, che confidano nella Sedes Sapientiae. andrò in Cina a tradurre la Sacra Scrittura!».
questo suo desiderio lo espone anche alla Santa vergine nella chiesetta della ravanusa con queste testuali parole: «penso alla chiesetta della ravanusa (…), lì, nel 1939 esposi alla Madonna tutto il piano della bibbia cinese dicendole: Maria, sis mihi propitia!».
in occasione della prima Messa, celebrata nel paese nativo, il 15 agosto 1930, nella festa della Madonna assunta, egli scrive: «nella chiesetta della ravanusa, feci alla Madonna una promessa: che avrei lavorato sempre e sino a quando non avessi ultimato la versione cinese della S. Scrittura. Dissi alla Madonna i miei problemi, che non sapevo greco, ebraico, cinese, che non sapevo organizzare il mio tempo per impegnarlo nello studio».
a questo punto questa chiesetta diventa per lui quello che la porziuncola è stata per San Francesco, è quello che fino a poco prima era un sogno, adesso diventa un piano vero e proprio, racchiuso nel motto di questo missionario: «volere poco, ma volerlo ad ogni costo». tutto comincia a casa, a San Giovanni la punta, in quella che è «una famiglia di santi», la famiglia degli allegra. un ambiente di preghiera, di fede, di amore per Dio e per Maria. qui nasce la vocazione del piccolo Giovanni. i suoi fenitori erano custodi del santuario di ravanusa e un giorno la madre domandò a lui e ai suoi fratelli: «anche voi volete fravi fraticelli?» l’unico che rispose senza esitare fu Giovanni il quale disse: «Sì, ma quando, mamma?» qualche anno dopo lo vediamo tra gli studenti del Collegio Serafico qui, ad acireale. Giovanni qui si preparava tramite la preghiera, lo
L’opera biblica di fra’ Gabriele Maria Allegra
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studio, la vita comunitaria ad entrare nell’Ordine dei Frati Minori. Durante l’anno di noviziato nel convento di bronte si concretizza, a quanto pare, la sua vocazione missionaria. nel 1926 approda a roma al Collegio di S. antonio per formarsi per la vita missionaria. in questo periodo le lettere dei generali, i quali esortavano alla disponibilità per la missione in Cina, il centenario di S. Giovanni da Montecorvino, che come sappiamo fu uno dei primi frati minori a recarsi in Cina, il dialogo avuto con un confratello cinese, rafforzano la sua vocazione missionaria. anche il momento della sua ordinazione sacerdotale rappresenta un momento di conferma di questo suo desiderio di tradurre la bibbia in cinese. tanto è vero che scriveva al delegato apostolico in Cina, mons. zanin: «Confesso che ho pensato alla traduzione della Sacra Scrittura in cinese sin dall’anno della mia ordinazione sacerdotale, spinto dal desiderio di giovare alle anime di questa porzione eletta della vigna di Cristo, re dei secoli».
nel 1931 finalmente riceve la comunicazione di dover partire per la Cina con l’incarico di direttore spirituale del seminario di heng Yang e quasi contemporaneamente gli giunge l’obbedienza dell’allora ministro generale p. bonaventura Marrani di partire per il vicariato apostolico di heng Yang. nello stesso anno si imbarca da brindisi alla volta della terra cinese. quattro anni dopo, nel 1935, il suo sogno comincia a concretizzarsi, nel giorno della festa di Maria Santissima addolorata, incomincerà quello che sarà un lavoro monumentale di traduzione della Sacra Scrittura in lingua cinese dai testi originali, senza l’aiuto di nessuno, almeno all’inizio, traducendo anche alcune opere classiche per esercitare la sua lingua cinese. per la stesura di questo suo lavoro colossale si servì di alcuni criteri che tra l’altro denotano non solo il desiderio di tradurre la bibbia, ma anche di farlo nel migliore dei modi possibili. i criteri sono stati i seguenti: 1) traduzione dai testi originali pubblicati criticamente, cioè della volgata, dell’itala, della traduzione dei Settanta e della peshitto; 2) la consultazione delle versioni principali allora moderne, e citandone solo alcune, la bibbia italiana del pib, la bonner bibel, la revised bible, la Sainte bible, e altre;
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Roland Jabłoński
3) lo studio serio del testo, facendo tesoro delle argomentazioni dei critici sia cattolici che non cattolici; 4) scrittura di una corposa introduzione per ciascun libro della bibbia e brevità per quanto riguarda le note (che su richiesta di molti vescovi, sacerdoti e fedeli si trasformarono invece in un vero e proprio commentario). per riassumere l’opera di p. allegra e per dare l’idea della complessità dell’importanza e della mole di lavoro svolto, vi sottopongo velocemente uno specchio delle sue opere: 1946 – pechino – i Salmi – 572 pagine. 1947 – pechino – i libri Sapienziali – 624 pagine. 1948 – pechino – pentateuco – 930 pagine. 1949 – hong Kong – primo volume dei libri Storici dell’antico testamento – 784 pagine. 1950 – hong Kong – Secondo volume dei libri Storici dell’antico testamento – 930 pagine. 1951 – hong Kong – primo volume dei profeti – 570 pagine. 1952 – hong Kong – Secondo volume dei profeti – 736 pagine. 1954 – hong Kong – terzo volume dei profeti – 1716 pagine. 1957 – hong Kong – i vangeli – 1378 pagine. 1957 – hong Kong – atti degli apostoli e lettere di S. paolo – 1436 pagine. 1959 – hong Kong – lettere Cattoliche e apocalisse – 678 pagine. 1961 – hong Kong – i vangeli (ed. minore) – 486 pagine. 1962 – hong Kong – antologia biblica – 642 pagine. 1968 – hong Kong – Sacra bibbia (ed. grande) – 2061 pagine. 1971 – hong Kong – Sacra bibbia (2 edizione) – 2061 pagine. 1972 – hong Kong – Sacra bibbia (ed. minore) – 2061 pagine. 1975 – hong Kong – Dizionario biblico – 1353 pagine. avviandomi verso la conclusione mi piace farvi partecipi di un episodio che si verificò a roma proprio mentre p. allegra era nel pieno del suo lavoro. trovandosi in necessità di consultare alcuni dizionari presso la
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biblioteca del pontificio istituto biblico, si imbatté in un frate gesuita (probabilmente un insegnante) che gli pose questa domanda: «Ma come mai ha potuto tradurre la bibbia in cinese essere privo di questi sussidi necessari?». non abbiamo notizia di una sua risposta a questo professore, ma certamente questa risposta la possiamo dedurre da una sua preghiera che recita così: Dammi, Te ne supplico, o Padre, l’intelligenza della Sacra Scrittura. Fammi comprendere per essa la pedagogia divina con la quale Tu conduci non solo un popolo, ma l’umanità intera a Te a al Tuo Cristo. Fa che il, come S. Bonaventura e il mio caro fratello, il Beato Giovanni Scoto, sappia mutare lo studio in continua preghiera, e studi soltanto per diventare discepolo della Sapienza, cioè, per conoscerti meglio e per amarti di più!
e ancora: Sto alla porta e picchio. Vorrei l’intelligenza del mistero di Cristo, vorrei comprendere per quanto è possibile a un povero peccatore pentito, le investigavili ricchezze del Cuore di Gesù, l’eminente scienza della sua carità, la sua regalità assoluta.
non dimentichiamo che anche la presenza materna della Santa vergine ha segnato profondamente tutte le tappe della sua vita: l’infanzia, la sua giovinezza, la sua vocazione alla vita francescana, alla vita sacerdotale, alla vita missionaria e, non ultimo, a questo lavoro immenso di traduzione e alla sua felice conclusione. la seguente preghiera è un chiaro esempio della devozione di p. allegra alla vergine Santissima:
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Roland Jabłoński o Maria Sede della Sapienza, illumina la mente di tutti i tuoi figli, specialmente di quelli che devono spiegare alle anime il Verbo fatto libro – ὁ λόγος ἐμβιβλός. Tuus Tibi sum, Mater!
Ma, per capire meglio e per fare il modo che anche noi ci domandiamo come è riuscito a fare questo lavoro, penso che sia importante vedere con i nostri occhi in modo plastico la sua fatica. nel vedere questo lavoro desidererei che capissimo anche lo spirito e la fatica con le quali p. allegra lo ha affrontato, per questo vi offro anche questo suo pensiero, che descrive chiaramente il suo stato d’animo: «la bibbia cinese va avanti in mezzo alle lacrime e al sangue. lo so che non poteva essere diversamente, ma, a volte, ripeto le parole del curato d’ars: se avessi saputo quello che dovevo soffrire ad Ars, invece di farmi prete, mi sarei fatto trappista».
lo stesso p. allegra attesta: «questa Santa bibbia cinese è proprio la figlia del dolore». «Si tratta — scriveva al Ministro Generale p. perantoni — di un lavoro duro e oscuro, che esige la pazienza di Giobbe. […] Ogni parola viene pesata, ogni nota discussa e ogni aoristo o perfetto o participio anatomizzato, e tutto ciò facciamo come se preparassimo (e difatti credo che stiamo facendo questo) le armi della verità contro colui che è mendace e padre della menzogna e per di più sin dal principio».
Scrivendo al Delegato Generale dell’Ordine per l’estremo Oriente, p. alfonso Schnussenberg, dice: «la traduzione cattolica della bibbia in cinese deve essere opera di pietà e di sana scienza biblica. poiché si tratta del ‘verbo fatto libro’, e necessario avere la stessa pietà, dignità, sapienza con le quali il sacerdote di Cristo sull’altare celebra il Santo Sacrificio della Messa».
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una testimonianza autorevole sul lavoro di traduzione la troviamo in Mons. paolo Yu bin, arcivescovo di nanchino, che in occasione della pubblicazione dell’ultimo volume della bibbia cinese disse: «la traduzione della bibbia è l’opera più grande compiuta in Cina dalla Chiesa Cattolica. la storia della Cina d’ora innanzi si potrà dividere in due periodi: prima e dopo la versione della bibbia fatta dai francescani».
COnCluSiOne Ideo multum tenemur Ei — perciò molto dobbiamo a lui! Con le parole che p. Gabriele Maria allegra riporta nelle sue Memorie, ripercorrendo in questo modo i diversi periodi della sua attività, sale a Dio il nostro ringraziamento per la vita e l’opera del suo servo — apostolo della parola. naturalmente l’opera di p. allegra non si esaurisce in questo intervento. infatti, molto dobbiamo al Signore noi tutti qui riuniti per celebrare il centenario della nascita di colui che diceva: «la mia vita è questa: essere missionario, e missionario francescano». Deve molto a Dio l’Ordine dei Frati Minori, che si appresta a celebrare l’ottavo centenario della sua fondazione, e che ha potuto offrire «il dono più prezioso fatto dai francescani al popolo cinese», ovvero la bibbia tradotta nella lingua di questa grande nazione. Gli deve molto lo Studio biblico Cinese, fondato da p. allegra, guidato da lui, che lo ha coadiuvato nella sua opera, per i 60 anni e più del suo ininterrotto lavoro per la Chiesa in estremo Oriente. Gli deve molto l’isola natia del Servo di Dio, ove sembrano risuonare ancora le parole di Giovanni paolo ii: «Sii felice, Sicilia, sii felice, Catania, patria di Sant’agata e di molti altri Santi e beati. Sii felice, sii riconoscente a Dio per questi tesori di santità e di cultura». e allora: sii felice Sicilia, patria di p. Gabriele! il pontefice continuava: «penso al padre allegra, un figlio della vostra terra, che tanto efficacemente ha contribuito al progresso del dialogo fra Cristo e la Cina».
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Roland Jabłoński
infine, mi sia permesso di aggiungere, devo molto a Dio anch’io perché sono certo che sia stata proprio l’intercessione di p. allegra a farmi comprendere e abbracciare la mia vocazione missionaria che oggi mi vede a taiwan per prepararmi all’annuncio del vangelo in lingua cinese. Ideo multum tenemur Ei. e, bisogna aggiungere ancora: dobbiamo molto a Colei di cui p. allegra scrive: «la Madonna è stata la mia sola guida»; a Maria Santissima, venerata qui, nel Santuario di ravanusa, e invocata dal futuro missionario così: Maria, sis mihi propitia! alla protezione unica della vergine immacolata egli stesso attribuiva l’esito della monumentale opera biblica compiuta insieme ai suoi collaboratori: «Ma, infine, come potevo meglio ringraziare il padre Celeste, e godere dell’opera buona fatta per grazia sua, che con le parole del Magnificat, facendo cioè miei, anzi, nostri i sentimenti espressi dalla Madre Celeste quando per la prima volta recitò mossa dallo Spirito Santo: il Magnificat? Mi pare che questo cantico della Santa vergine comprenda tutti i sentimenti che io volevo esprimere».
Con le parole di Maria desideriamo ringraziare il Signore della storia per questi 100 anni passati dalla nascita di p. Gabriele Maria allegra, perché ha fatto «grandi cose per noi», per la terra di mezzo e per la Chiesa universale: Magnificat anima mea Dominum!
linee Di StOria Della MiSSiOne Dell’OrDine Dei Frati MinOri in Cina paCiFiCO Sella OFM*
tutto ebbe inizio in quei tragici anni in cui le formidabili armate mongole, condotte dal gengiscanide batu e dall’astuto generale Sübötei, irruppero nell’europa slava polverizzando gli eserciti feudali dei vari potentati (russia, polonia, ungheria) che strenuamente, ma inutilmente, vi si opposero. erano gli anni 1240-1241. le avanguardie mongole, nel tentativo di prendere il re béla iv d’ungheria, giunsero perfino sulle coste dell’adriatico, incendiando Cattaro e saccheggiando Spalato. la minaccia d’invasione dell’europa occidentale era imminente e non si era ancora consapevoli della gravità del pericolo mongolo, per effetto del conflitto armato che vedeva schierati da una parte papa Gregorio ix assieme ai Comuni e dall’altra Federico ii. quando l’imperatore riuscì a raccogliere faticosamente un esercito tedesco che facesse fronte al nemico, ecco che i mongoli, così com’erano improvvisamente apparsi, improvvisamente svanirono, tanto da far sembrare la cosa agli occhi della Cristianità un vero miracolo. Che cosa era successo? il Gran Khan Ögödei era morto l’11 dicembre 1241 e la notizia del suo decesso era stata in breve tempo comunicata alle sue armate impegnate in europa. ne conseguiva che i principi mongoli, soprattutto quelli discendenti da Gengis-Khan, erano stati avvisati della convocazione in patria dell’assemblea (quriltai) che doveva eleggere il nuovo gran khan. Dopo lo stallo paralizzante in cui la Chiesa era caduta con la morte improvvisa del successore di Gregorio ix, Celestino iv (novembre 1241), si giunse finalmente nel giugno del 1243 all’elezione dell’energico *
verona.
Docente di Storia del francescanesimo presso lo Studio teologico S. bernardino di
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Pacifico Sella
Sinibaldo Fieschi che prese il nome di innocenzo iv (1243-1254). per rispondere alle principali urgenze che angustiavano la Chiesa, innocenzo iv convocò un concilio ecumenico da tenersi a lione per il giugno del 1245. il concilio avrebbe dovuto elaborare delle risoluzioni nei confronti di cinque massimi assilli che turbavano la pace della Chiesa: la crociata per il recupero della terra Santa, la deposizione dell’imperatore Federico ii, le condizioni dell’impero latino d’Oriente, l’unione con le chiese orientali, e la minaccia tartara. È proprio in ordine a quest’ultima vicissitudine che papa Fieschi decise di inviare suoi legati ai mongoli con l’incarico di conoscerne le intenzioni e indurli alla pace, ma anche di raccogliere quante più informazioni possibili sulla loro vita e “arte” militare. a questo compito assai difficile e delicato furono chiamati i frati dell’Ordine francescano e dell’Ordine domenicano. il primo dei Francescani ad essere scelto dalla Sede apostolica fu frate Giovanni da pian del Carpine. egli lasciò lione il 16 aprile 1245 e transitando per la polonia, la russia e l’asia centrale giunse, dopo più di un anno di cammino, alla capitale dell’impero mongolo, qaraqorum. ivi, ebbe modo d’incontrare personalmente il Gran Khan Güyük (1246-1248). questi, dopo diversi incontri, diede al frate una lettera in risposta alle missive papali. la lettera, che era scritta in persiano e tuttora conservata nell’archivio Segreto vaticano, ingiungeva al papa e a tutti i principi cristiani la resa incondizionata e nel contempo criticava l’affermazione papale dell’unica verità predicata dalla Chiesa cattolica. Frate Giovanni da pian del Carpine fece ritorno dalla sua missione diplomatica giungendo a lione il 18 novembre 1247. il suo viaggio e le informazioni relative all’organizzazione della società mongola, sono riportate nella sua Historia Mongalorum, un’opera che schiudeva alla mente dei medievali un mondo nuovo e sconosciuto, limitando la paura assoluta esperimentata dall’Occidente nei confronti dei mongoli. un secondo francescano alla corte del gran khan fu Guglielmo di rubruck e il suo compagno frate bartolomeo da Cremona. questo secondo viaggio si caratterizzerà più per l’intento missionario che per quello diplomatico. a questi due francescani stavano infatti a cuore la conversione dei mongoli e le condizioni di abbandono in cui versavano i cristiani europei deportati in Mongolia. Dopo aver preso commiato da re luigi ix, che fra’ Guglielmo di rubruck aveva accompagnato alla crociata in palestina, parti-
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rono da S. Giovanni d’acri e, passando la Crimea e attraversando il qipciaq e tutte le steppe dell’asia centrale, giunsero a qaraqorum il 27 dicembre 1253. Furono ricevuti più volte in udienza dal Gran Khan Möngke. purtroppo le privazioni del viaggio di andata avevano troppo indebolito frate bartolomeo da Cremona; gli sarà concesso di potersi fermare stabilmente a qaraqorum. e così Guglielmo di rubruck, dopo sei mesi di permanenza, ripartirà dalla capitale mongola per fare rientro in palestina senza il suo compagno; fisserà le sue memorie nell’avvincente Itinerarium ad terras orientis. Di fra’ bartolomeo da Cremona, invece, non si avranno più notizie. egli fu il primo francescano missionario a risiedere stabilmente presso i mongoli di qaraqorum, recando certamente i conforti della religione ai deportati cristiani e predicando, come meglio poteva, l’evangelo ai tartari. l’autentico protagonista della missione cattolica in estremo Oriente nel periodo medievale è frate Giovanni da Montecorvino (1247-1328), primo vescovo di Khanbaliq (pechino). la sua figura giganteggia sulla storia delle missioni ad gentes. egli è considerato l’artefice eroico della fondazione della missione francescana nel grande impero governato dalla dinastia mongola degli Yüan, la quale per un secolo (1260-1368) dominerà tutta l’asia orientale dall’indocina alla Corea. Dopo 15 anni di permanenza a Khanbaliq, prodigandosi nell’evangelizzazione dei locali, nel 1309-1310 giunse in Cathay il primo gruppo di missionari francescani a dargli man forte, tra cui quattro vescovi inviati da papa Clemente v. Giovanni venne subito consacrato arcivescovo. ebbe così il suo inizio ufficiale la missione cattolica presso tutte quelle popolazioni che costituivano la pluriformità etnica del Cathay. a ben considerare, sarebbe riduttivo definire Giovanni da Montecorvino come il fondatore della Chiesa in Cina: è il fondatore della Chiesa in estremo Oriente. in effetti, in un primo tempo la sua giurisdizione comprendeva tutta la tartaria (dalla Corea al Mar nero), poi, nel 1318 con la pubblicazione della bolla Redemptor noster, fu ridotta da papa Giovanni xxii alla parte orientale del continente asiatico, praticamente ai confini politici del grande impero del Cathay. in seguito al favore goduto dagli imperatori Yüan, i missionari francescani, su disposizione di Giovanni da Montecorvino, si insediarono a hang-chow (la famosa quinsay di Marco polo), a Yang-chow e a ts’ienchow (a quel tempo chiamata zaitun), quest’ultima sarà subito elevata a diocesi: tutte città ricche della costa dove risiedevano stabilmente nuclei di mercanti latini, sopratutto genovesi e veneziani.
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la missione francescana del Cathay si estinse in seguito alle malaugurate contingenze che costituirono come un impedimento insormontabile all’afflusso di nuovi missionari. innanzitutto l’islamizzazione dei khanati tartari occidentali (qipciaq e ilkhanato di persia) comportò un ostacolo insormontabile per tutti i cristiani che avessero dovuto passare attraverso quelle terre per recarsi in estremo Oriente. i tentativi non si contano e i martiri neppure. inoltre non sono trascurabili le conseguenze della caduta degli Yüan e l’ascesa della dinastia cinese dei Ming che, refrattaria agli influssi esterni, chiuse le frontiere del nuovo restaurato impero Celeste. una chiusura che, causa l’isolamento in cui cadde la Cina, si mantenne fino alla seconda metà del sec. xvi, quando i primi missionari gesuiti poterono approdare su quella stessa costa cinese su cui sbarcarono, più di due secoli prima, i primi missionari minoriti. Si inaugurava così un’epoca nuova per le missioni cattoliche in Cina, ma iniziava un’epoca nuova anche per la stessa Cina, se non altro per aver sbloccato il proprio isolamento internazionale e culturale. l’arrivo dei Gesuiti fu subito seguito da quello dei Francescani. i primi si impegnarono nell’evangelizzazione dell’alta società cinese; i secondi diressero fondamentalmente la loro azione apostolica verso le classi più popolari. Dopo la fallita spedizione missionaria spagnola del 1579-1585, causa l’ostruzionismo coloniale portoghese, fu solo nel 1633 che si ripresentò l’opportunità per i Francescani di riprendere l’evangelizzazione dei cinesi. Con l’aiuto dei missionari domenicani, due frati minori spagnoli fr. Francesco bermudez e fr. antonio Caballero riuscirono a stabilirsi nel Fukien. negli anni successivi, fr. antonio Caballero con alcuni suoi collaboratori si sposterà verso nord fino ad arrivare a pechino. intenzionato di impiantare la missione in Corea, fu invece convinto da due gesuiti, residenti a pechino, dell’impossibilità del loro fine. la cosa migliore da fare era di riprendere l’evangelizzazione dello Shantung, sospesa anni addietro dagli stessi Gesuiti per difetto di sacerdoti. era l’ottobre del 1650, quando i primi frati minori guidati da p. Caballero si stabilirono definitivamente a tsinanfu, capitale della provincia dello Shantung. qui il p. Caballero battezzò più di 5000 cinesi. nel 1665 scoppiò una persecuzione contro i missionari presenti nel regno. i primi ad essere coinvolti furono i Gesuiti presenti a corte e si estese poi a tutti gli altri. tutti furono processati e, incatenati, furono trasferiti a
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Canton e ivi trattenuti nella casa dei Gesuiti. lì nel maggio del 1669, assistito dal suo amico p. Johannes valat (SJ), il p. Caballero spirò. al tempo della scomparsa di p. Caballero risiedevano in Cina 25 gesuiti e 8 domenicani. Causa l’occupazione olandese di Formosa (1642), i frati minori spagnoli residenti stabilmente nelle Filippine furono impossibilitati a rinforzare efficacemente la loro presenza in Cina, e dopo la prima persecuzione subita dai missionari, a nessun frate fu permesso di rimanervi. tuttavia dal 1672 ricominciò l’invio di religiosi dell’OFM Si ricominciò tutto da capo: frati minori spagnoli con a capo p. agostino da San pasqual e alcuni domenicani si insediarono nel Fukien e da lì, negli anni successivi, si ritornò nello Shantung, riprendendo così la missione fondata dal Caballero. Mentre si stava consolidando l’azione missionaria francescana nello Shantung, i frati spagnoli provenienti dall’europa si stabilirono saldamente a Canton espandendo la loro azione nella provincia di Kwangtung e fondandovi varie case di suore e altre residenze. quindi sul finire del ’600 i Frati Minori erano saldamente radicati nelle province del Fukien, Shantung e Kwangtung alle quali, in quegli anni, l’espansione missionaria dei Francescani raggiunse la provincia del Kiangsi per opera del messicano fr. petrus de piñuela. nel 1690 fu creata la diocesi di pechino e p. bernardino Della Chiesa († 1721), della provincia riformata umbra, fu il suo primo vescovo. Così quella grande diocesi, nata per l’opera apostolica del minorita Giovanni da Montecorvino nel 1310, per opera di un altro francescano ritornava a vivere dopo la sua estinzione canonica decretata nel 1410. nel medesimo tempo fu eretta la diocesi di nanking e fu affidata allo stesso Della Chiesa, il quale vi acquisì una casa facendovi risiedere il suo vicario, il francescano riformato veneto fr. basilio brollo (†1704) da Gemona. Sarà ceduta in seguito ai frati spagnoli che nel 1705 la metteranno a disposizione del legato apostolico in Cina. il brollo nel 1696 fu nominato vicario apostolico dello Shensi con sede a Sian-fu, adoperandosi perché la missione si espandesse verso il Kansu. nel 1698 l’organico cattolico complessivo ammontava a 16 frati minori (12 spagnoli e 4 italiani), 38 gesuiti, 9 domenicani, 5 agostiniani e 7 sacerdoti delle Missioni estere di parigi, tutti insieme costituivano un corpo di 75 missionari. nel ’700 la missione francescana in Cina viene ulteriormente conso-
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lidata dall’apporto di nuove forze provenienti specialmente dall’italia. la presenza dei missionari italiani, direttamente dipendenti dalla Congregazione di propaganda Fide, si localizzerà soprattutto nello Shantung occidentale, nello Shensi e nello Shansi sotto la giurisdizione del vescovo di pechino, bernardino Della Chiesa, e del vicario apostolico di Sian-fu, basilio brollo; più o meno rimarrà tale fino agli anni ’50 del xx secolo. i Francescani spagnoli invece erano direttamente soggetti al Ministro provinciale di Manila e la loro presenza era sparsa in molte province e principalmente concentrata nello Shantung sotto la giurisdizione del vescovo di pechino. il xviii secolo viene a caratterizzarsi anche per la questione dei “riti cinesi”. Già iniziata a metà del secolo precedente, non ebbe fino allora a interferire più di tanto con il lavoro missionario. in questo secolo la problematica assurse ad una tale contesa che destò gran scandalo anche presso i locali. basti pensare che vi intervenne anche l’imperatore K’ang-hsi (†1722) contro le decisioni che la Santa Sede aveva assunto in merito: sospensione delle preghiere compiute all’interno della liturgia a favore dell’imperatore e dei defunti, giudicate da roma come una pratica superstiziosa. ne conseguì che nel 1707 furono espulsi dalle autorità cinesi una trentina di missionari, tra cui anche due francescani, che si erano opposti alle dichiarazioni imperiali. nonostante il clima di tensione causato da questa contesa, la cristianità cinese cresceva oltre le aspettative dei missionari stessi. nel 1723 i cristiani cinesi erano oltre 300.000 dei quali 100.000 nelle missioni francescane. Ma quell’anno fu anche l’anno in cui scoppiò una dura persecuzione — sorta più per questioni politiche che religiose — nei confronti di tutti i cristiani e che proseguì, con i suoi alti e bassi, fino alla metà del secolo xix. tutti i sacerdoti, eccetto quelli presenti alla corte di pechino, furono espulsi dall’impero Celeste e dovettero riparare a Canton. Ma i Francescani italiani, imitati dai confratelli spagnoli e poi dai Gesuiti francesi, dopo essere stati condotti a Canton dai magistrati cinesi, facevano di tutto per ritornare nei luoghi di missione. tra questi brillarono per il loro apostolato eroico i vescovi antonio laghi, Francesco Saraceni, Francesco M. Garretto e Francesco Jovino. in questo modo i missionari, che prima per la grande tolleranza delle autorità esercitavano il loro apostolato nei centri maggiori, ora invece si insediarono in contrade remote, montane o palustri, dove diffi-
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cilmente i magistrati cinesi li avrebbero raggiunti. e così facendo i missionari francescani non solo poterono mantenere parte delle missioni precedentemente iniziate, ma l’avversità delle autorità li costrinsero a espandersi ulteriormente nel territorio fondando nuove comunità. nel 1736 l’imperatore Ch’ien-lung (†1796) comminò la pena di morte nei confronti dei missionari che fossero stati scoperti nel territorio cinese. e così il sangue dei primi martiri incominciò a scorrere. nel 1746 nel Fukien furono martirizzati sette missionari, cinque domenicani e due gesuiti. e sebbene la persecuzione negli anni successivi crudelmente infierisse, i missionari francescani non furono uccisi. per esempio ci fu il caso di alcuni frati spagnoli che incarcerati, riuscirono ad evadere e a far ritorno alle loro comunità parrocchiali. altri invece furono trattenuti in carcere per un anno o due e poi condotti a Macao per essere espulsi dal paese. nel 1784 l’opposizione delle autorità cinesi al cristianesimo incrudelì. Continuarono le carcerazioni e le espulsioni e in questo contesto sei sacerdoti, tra cui tre francescani di propaganda Fide, morirono di stenti nelle carceri di pechino. Furono perseguiti anche i sacerdoti cinesi: 4 morirono in carcere e altri 5 furono esiliati nel deserto dell’ili (Kazakistan orientale). Di quest’ultimi, tre sopravvissero e poterono fare ritorno alle loro missioni dopo vent’anni di esilio. la missione francescana dello Shensi resistette grazie ai nuovi sacerdoti cinesi arrivati da napoli, dove erano stati inviati tempo addietro dai frati italiani al fine di esservi formati e istruiti al Collegio della Sacra Famiglia. la missione nello Shantung fino al 1819 rimase invece senza sacerdoti. il nuovo imperatore Chia-ch’ing (1796-1820) fu meno intransigente del suo predecessore. Sebbene la legge che condannava i missionari non fosse stata abrogata, egli fu molto tollerante con i cristiani, almeno fino al 1805. purtroppo in quest’anno si riaccese la persecuzione che aveva segnato il periodo precedente. la causa che fece riaccendere l’avversione delle autorità fu l’intercettazione casuale di una carta geografica in dotazione ai missionari. in essa erano configurati i confini geografici tra i territori di competenza dei missionari portoghesi e di quelli italiani. le autorità giudicarono tali confini come una spartizione dell’impero tanto che pensavano che i missionari svolgessero un servizio spionistico in favore dell’inghilterra. Così fu rinnovata l’applicazione delle vecchie leggi persecutorie. tutti i missionari residenti in pechino furono subito espulsi, cosa
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che prima mai avvenne. nel 1816 il francescano ligure fr. Giovanni da triora fu catturato nello hunan; condannato subì il martirio mediante strangolamento. Fu il primo tra i missionari francescani in Cina ad essere ascritto nel catalogo dei beati da papa leone xiii nel 1900. in seguito all’infausta guerra dell’oppio (1841-1842) si ebbe la sottoscrizione di un trattato di pace tra i cinesi e gli inglesi, cosicché nel 1846 furono anche abrogate tutte le leggi di condanna del cristianesimo. Dopo 120 anni la persecuzione ebbe così a cessare. Dietro l’impulso dato da papa Gregorio xvi si poté riordinare l’intera missione cattolica. Furono fondate diocesi e vicariati apostolici, ma ebbero a nuocere gli ineliminabili legami agli interessi politici ed economici delle potenze europee, le quali mortificarono l’opera missionaria facendola apparire agli occhi dei cinesi come un’azione di propaganda della cultura e della politica occidentale. i Frati Minori furono impegnati direttamente, per iniziativa di propaganda Fide, nella cura di tutte le missioni presenti nelle province di Shantung, Shansi, Shensi, Kansu, hupeh e hunan, per un totale di 26 religiosi. Con pio ix, nel 1856 la Congregazione di propaganda Fide, prese la definitiva direzione delle missioni in Cina, svincolandole una volta per tutte dai diversi patronati regi e dalla direzione delle diverse province dell’Ordine che vi erano a livello missionario implicate. nonostante qualche locale ventata vessatoria (per es. nello Shantung, an. 1862, fr. Giovanni M. Molina subì il martirio insieme ad altri suoi cristiani) a danno dei cristiani, la presenza dei missionari e del clero locale ebbero sempre più a incrementarsi. Originatasi come ultima conseguenza dei movimenti popolari nazionalisti che volevano limitare la prepotente ingerenza delle potenze coloniali europee, la rivolta dei boxer colpirà principalmente i cristiani, quali capri espiatori, considerati come la concreta conseguenza dell’occupazione straniera. ne seguirono orribili massacri. nello Shantung furono distrutte più di duecento stazioni missionarie, più di 10.000 cristiani dispersi di cui più di duecento uccisi causa la loro fede. peggio nello Shansi e nell’hunan. basti ricordare che furono inoltrate più di 1.500 cause di beatificazione di cristiani appartenenti alle comunità dello Shansi settentrionale. Di questa moltitudine il 1° ottobre del 2000 ne furono canonizzati 120, già beatificati da pio xii nel 1946. tra i 120 nuovi santi, ve ne sono 29 appartenenti alla famiglia francescana, uccisi il 7 e 9 luglio 1900, tra questi il glorioso gruppo animato dal vescovo
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Gregorio Grassi, comprende 3 vescovi, 4 sacerdoti, 1 fratello religioso, 7 suore Francescane Missionarie di Maria, 14 laici cinesi (5 erano seminaristi) e 11 terziari francescani. Fallita la sollevazione dei boxer, con la conseguente e rinnovata prostrazione della nazione cinese da parte delle potenze occidentali, le missioni francescane ripresero a crescere. Si riempirono i vuoti lasciati dai sacerdoti uccisi e si ricostruirono le chiese distrutte. i seminari furono riaperti. Sebbene la situazione politica fosse molto difficile, la crescita della Chiesa cinese fu incredibile, anche perché essa cercò in tutti i modi di sovvenire alla deplorevole miseria in cui la popolazione era caduta a causa delle sollevazioni popolari e delle scorrerie dei banditi. emblematico rimane l’esempio del frate francescano della provincia belga di S. Giuseppe, fr. Marcellus Sterkendries: a King-chow (nell’hupeh) salvò dalla fame migliaia di cinesi. Dal 1900 al 1912 nello Shantung furono battezzati 105.000 adulti. Sempre nel 1912 nell’hunan, la più difficile tra le missioni, i cristiani erano 13.112. le condizioni del paese dal 1911 diventarono veramente difficili per la caduta dell’impero con il conseguente sgretolamento politico della nazione cinese, la proclamazione della repubblica e da lì a poco la prima guerra mondiale che comportò l’isolamento dei missionari dalla Chiesa in europa. Sebbene fossero accadute tutte queste cose e la società cinese entrasse sempre più in una pericolosa spirale di disagio economico, nel 1924 dopo il Sinodo di Shangai furono fondati in tutto il paese nuovi seminari, di cui tre (hankow, tsinan-fu e taiyüan-fu) furono affidati ai Frati Minori. non si contano le iniziative umanitarie e sociali portate avanti da tutto l’OFM nella Cina travagliata di quegli anni. la guerra civile scoppiata tra il Kuomintang (partito nazionalista Cinese) di Chiang Kai-shek e il partito Comunista di Mao tse-tung e la sconfitta di quest’ultimo e il suo arroccamento a Yenan nello Shensi nel 1935, costituì una realtà pregna di incognite per il futuro della Chiesa cattolica visto che i Francescani spagnoli, operanti nello Shensi occupato dai comunisti, furono subito espulsi da quel territorio. Ma la situazione per la Cina si aggravò con la guerra cino-nipponica (1937-1945) che determinerà una temporale alleanza tra i comunisti e i nazionalisti al fine di far fronte all’avanzata delle fortissime armate giapponesi. Durante il secondo conflitto bellico a pechino il frate minore siciliano fr. Gabriele allegra (proclamato venerabile il 15 dicembre del 1994) fonda lo Studio biblico il cui fine sarà
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quello di tradurre tutta la bibbia in lingua cinese. in seguito all’ascesa dei comunisti al potere, lo Studio biblico verrà ad essere trasferito ad hong Kong, dove tuttora risiede. nel 1946 la Santa Sede giudicò maturo il tempo in cui la Chiesa in Cina potesse essere retta da una regolare gerarchia ecclesiastica: essa venne divisa in venti province ecclesiastiche tutte sottomesse alla direzione degli arcivescovi e nel contempo i vicariati apostolici furono elevati alla dignità di diocesi. in seguito a ciò l’OFM ricevette l’incarico di assistere cinque archidiocesi, tredici diocesi e nove prefetture apostoliche. in breve: nel 1948 in Cina operavano 706 frati minori, di cui circa 150 cinesi, distribuiti in 28 conventi per una cura pastorale di più di 400.000 fedeli. Con la proclamazione della repubblica del popolo Cinese, il primo ottobre 1949, tutti i missionari stranieri, dopo molte umiliazioni e pubblici processi, furono espulsi. iniziò così un esodo che durò fino al 1957. l’ultimo frate minore ad essere espulso dalla Cina fu lo statunitense fr. Fulgentius Gross nel maggio del 1957. i sacerdoti e i frati cinesi furono tutti incarcerati ed inviati nei campi di rieducazione; di molti di loro non si seppe più nulla. ancora una volta, la storia della Chiesa in Cina attende di ricominciare dalla sofferenza dei martiri.
LE TRADUZIONI CINESI DELLA BIBBIA NELLA STORIA ROLAND JABŁON ´ SKI OFM*
Quando arrivò in Cina la Sacra Scrittura? Quando fu tradotta in cinese e in quali dialetti? Quando uscì la prima Bibbia in lingua cinese? Le traduzioni cinesi della Bibbia sono unite strettamente alla storia delle missioni in Cina. La storia della traduzione della Sacra Scrittura nella “Terra di mezzo” comincia con i nestoriani. Andando avanti abbiamo la traduzione di p. Giovanni da Montecorvino OFM, che purtroppo non è arrivata fino a noi. Quindi la traduzione ad opera dei protestanti. Va detto su queste traduzioni che soltanto quelle tardive furono fatte dai testi originali. Infine arriviamo alla traduzione del nostro p. Allegra con le caratteristiche di cui si parlerà dopo. Attualmente la diocesi di Hong Kong ha approvato come traduzione ufficiale da usare anche per i testi liturgici quella dello Studio Biblico Francescano Cinese. La storia della Bibbia in Cina può essere divisa in tre periodi: 1) L’epoca delle dinastie Tang, Song, Yuan e Ming (fino all’inizio della dinastia Qing), approssimativamente mille anni; 2) Dalla dinastia Qing alla proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, circa 150 anni; 3) Dalla fondazione della RPC al momento presente, quasi 60 anni.
1. LE TRADUZIONI ANTICHE DELLA BIBBIA IN CINA Durante il periodo Han alcuni ebrei erano già arrivati in Cina. Non è chiaro però, se le Scritture giudaiche siano state portate da loro. *
Membro dello Studio Biblico Francescano di Hong Kong.
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È confermato che quando la «religione luminosa di Daqin» (il nome cinese per il Cristianesimo nestoriano) fu entrata in Cina, un missionario siriano, Alopen, venne nel 635 (l’anno quinto dell’imperatore Zhenguan della dinastia Tang) a Changan (attualmente Xi’an), passando per l’India. «Egli, portando le vere Scritture e le immagini da lontano, arrivò all’alta capitale per presentarle». Le “vere Scritture” ossia “Scritture” si riferiscono alla Bibbia, scritta in lingua siriaca, assieme ad altri scritti teologici e dottrinali. Le “immagini” invece riguardano i ritratti di personaggi biblici. La Bibbia portata da Alopen contava «ventiquattro santi che comunicavano la prima legge» e «le nuove dottrine, al di là delle parole, sulla forza purificatrice della Trinità». I “ventiquattro santi” fanno riferimento all’Antico Testamento in cui Mosè è il primo dei ventiquattro profeti. “La prima legge” significa l’Antico Testamento o la legge veterotestamentaria. “Le nuove dottrine” si riferiscono al Nuovo Testamento che consiste di ventisette libri, oppure alle dottrine neotestamentarie rivelate dallo Spirito Santo, definito «la forza purificatrice del Dio Triunico». Ecco come la Sacra Scrittura in siriaco fu introdotta in Cina. I cristiani nestoriani venuti in Cina nel VII secolo fondarono diverse chiese e ricevettero il permesso di predicare il Vangelo. Il Cristianesimo nestoriano svanisce durante un movimento anti-buddista tra l’841 e l’845, per riapparire alla corte mongola qualche secolo dopo. Durante la dinastia Yuan, quando il vasto territorio della Cina fu sotto il controllo dei Mongoli, vennero i mercanti veneziani, i fratelli Maffeo e Niccolò Polo con il figlio di quell’ultimo — Marco. Quasi contemporaneamente, nel 1294, arrivarono in Cina i Frati Minori, tra cui Giovanni da Montecorvino, il primo traduttore cattolico della Bibbia in cinese. Egli tradusse il Nuovo Testamento e i Salmi, purtroppo andati perduti a causa delle persecuzioni. Con l’arrivo dei commercianti portoghesi e spagnoli nel XVI secolo, i cinesi vennero in contatto con i missionari gesuiti. La storia della Bibbia in Cina deve includere le numerose versioni primitive attestate dalla testimonianze storiche, sebbene nessuna di esse purtroppo sia soppravvissuta dal periodo prima del Settecento.
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2. LE TRADUZIONI CATTOLICHE DELLA BIBBIA IN CINESE I missionari del XIII secolo, come Giovanni da Pian del Carpine, Giovanni da Montecorvino e Willem van Ruysbroeck, menzionano le traduzioni cinesi della Bibbia esistenti a quell’epoca. Tuttavia, anche se una forma di stampa fu corrente già nel 952, sembra che nessuna delle prime versioni cinesi fosse pubblicata. Nell’arco del Cinquecento arrivarono in Cina i missionari gesuiti, i quali cercarono di ricevere il permesso dalla Santa Sede per tradurre la Scrittura in cinese classico. Benché le loro traduzioni non apparvero immediatamente, i missionari cattolici del secolo XVI furono coinvolti attivamente nella traduzione e pubblicazione della letteratura cristiana cinese. Può essere difficile stabilire se Marco Polo menzionando la Bibbia tre volte nei suoi Viaggi si riferisce alla versione siriaca oppure alla versione cinese Jing Jing. Tuttavia una cosa sembra certa, cioè dalla fondazione della dinastia Yuan, per lo meno il Nuovo Testamento e i Salmi furono largamente diffusi sia tra la famiglia reale che tra la gente comune. In uno dei riferimenti egli menziona che a Pasqua: «Il grande imperatore Yuan convocò tutti i cristiani davanti a sé e chiese che portassero il libro che conteneva i Quattro Vangeli. Poi ordinò di offrire solennemente in sacrificio l’incenso. Egli baciò il libro e chiese agli ufficiali della corte di fare lo stesso in segno di riverenza».
Il libro di cui si tratta è con tutta probabilità la Bibbia in siriaco incomprensibile per gli ordinari mongoli. Il secondo riferimento parla di «astronomi cristiani che possiedono un libro dei Salmi e spesso cantano certi salmi considerandoli effecaci per l’esorcismo». Questi “astronomi cristiani” furono probabilmente arabi che portarono con sé la Bibbia in siriaco o in arabo. Il terzo riferimento, particolarmente degno di nota, parla della Chiesa cristiana di Hangzhou, del gruppo di cristiani, di un libro (dei Salmi) e della fede cristiana preservata per settecento anni: «Maffeo e Marco, due maestri che venivano ogni giorno in quel luogo, li conobbero bene. Dopo averli indagati, vennero a sapere che essi erano cristiani. I due maestri, Maffeo e Marco, avendo tradotto il libro trovato
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Roland Jabłoné ski presso di loro, parola per parola, scoprirono che esso conteneva i Salmi. […] La fede professata dai cristiani locali sarebbe stata preservata in mezzo ad essi per settecento anni. I fedeli non avevano sentito nessuna predica da molto tempo, perciò mancavano loro le conoscenze di base».
Marco Polo sarebbe stato capace di leggere la Bibbia in siriaco oppure la traduzione cinese Jing Jing. Per gli ordinari fedeli la Bibbia doveva essere resa in cinese. Siccome essi non furono capaci di leggere quello che avevano portato i mercanti occidentali, la loro Bibbia probabilmente era scritta in siriaco. Contando settecento anni indietro uno arriva precisamente al tempo quando «la religione luminosa di Daqin» venne in Cina. I fedeli conosciuti da Marco Polo, sembrano essere discendenti dei siriaci, sinicizzati nel corso di questi settecento anni. Quando l’imperatore Chengzong Timur assunse il trono nel 1294, il legato del papa, Giovanni da Montecorvino OFM (1274-1328), portò le Scritture greche e latine nella grande capitale della dinastia Yuan – Jingcheng (oggi Pechino). Più tardi, nel periodo di circa dieci anni, egli tradusse il Nuovo Testamento e i Salmi in mongolo: «La lingua tartara è la lingua più comunemente usata tra la popolazione ed è largamente compresa. Il Nuovo Testamento e i cento cinquanta capitoli delle Preghiere (l’antico nome del Salterio o dei Salmi) sono stati già tradotti in questa lingua».
Questa fu la prima traduzione mongola della Bibbia in Cina (il Nuovo Testamento e i Salmi). La Chiesa cattolica aveva riconosciuto solamente la Bibbia latina (Volgata), la “traduzione vernacolare” di San Girolamo, non mettendo in rilievo l’importanza di altre traduzioni. Questo si può vedere chiaramente nell’attività dei missionari cattolici durante l’epoca tardiva Ming e nella prima fase della dinastia Qing. Essi preferirono scrivere le versioni cinesi del catechismo, spiegazioni scritturistiche, la vita e le parole di Gesù, ecc. Queste opere scritte, pur contenendo dei testi biblici, non furono traduzioni complete di nessun libro della Bibbia. Xu Guangqi – Paul Xu (1562-1633), una volta fece cenno di aver tradotto la Bibbia, anche se senza risultato. Secondo la ricerca testuale di
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A. Wylie, «l’intera Bibbia potrebbe essere già tradotta, però non pubblicata», come suggerito dai commenti di uno studioso italiano, il dott. Careri, dopo il suo ritorno da Pechino: «Dopo aver tradotto gli scritti di S. Tommaso e la Bibbia, essi stamparono cinquecento copie dell’opera che li aveva impegnati per quasi un secolo, intitolata La Legge di Dio».
Le parole di J. Wherry convalidano pure l’ipotesi di Wylie: «Al momento vi è un manoscritto del Nuovo Testamento in cinese nella biblioteca di Roma, complessivamente in sette parti. Questo può essere classificato come parte degli scritti dell’epoca (primo Qing)».
Gli “scritti” significano qui la “traduzione”. Guardando mille anni indietro, includendo le dinastie Tang, Song, Yuan e Ming, che rappresentano i quattro periodi in cui la Bibbia fu introdotta in Cina, si nota la presenza delle Scritture siriache, ebraiche, greche e latine e una traduzione delle Bibbie dell’epoca Tang e Ming in mongolo durante la dinastia Yuan. Tuttavia, non c’è traccia, fino ad oggi, di qualsiasi Bibbia di queste quattro dinastie in nessuna parte della Cina. Alcune possono ancora giacere in qualche grotta, altre furono distrutte dal fuoco o dall’acqua, altre ancora rubate oppure vendute in paesi stranieri. Il gesuita francese N. Trigault si recò a Roma nel 1601 per chiedere che fosse concesso ai missionari in Cina il permesso di tradurre la Bibbia in cinese. Papa Innocenzo X approvò la sua petizione, però la dichiarazione non fu formalmente spedita a Pechino. Questa è anche la ragione principale per cui Matteo Ricci, Giulio Aleni e gli altri non tradussero la Bibbia e non publicarono le traduzioni già completate. Nonostante ciò, alcuni missionari ebbero opinioni differenti e, all’inizio del secolo XVIII, La Comte scrisse a re Luigi XIV: «sulla base dell’approvazione papale […] abbiamo intenzione di fare un’accurata traduzione della Bibbia […] eppure per molte ragioni importanti ovviamente non siamo riusciti a completare la traduzione integrale della Bibbia da rendere disponibile per tutta la popolazione».
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La medesima ragione indubbiamente spiega il fatto di non aver pubblicato la traduzione cinese del Nuovo Testamento, depositata in una delle biblioteche di Roma. Nel 1615 i gesuiti ricevettero il permesso di assumere l’incarico di tradurre la Bibbia in cinese. Tuttavia, per vari motivi, furono pubblicati alla fine solo alcuni brani scelti della Bibbia, quasi tutti a servizio dell’insegnamento catechetico o della liturgia, inseriti nelle preghiere, prediche, ecc. Le parti più grosse, pur essendo tradotte, non videro mai la luce. Le ragioni di ciò sono complesse: da un lato derivano dal divieto di pubblicare le traduzioni della Bibbia, arrivato da Roma più tardi; dall’altro, invece, hanno origine nelle diverse priorità riguardo alle traduzioni, stabilite dai gesuiti stessi. Sebbene abbiano perso chiaramente un’opportunità importante all’inizio del Settecento, essi eseguirono tuttavia diverse traduzioni scritturistiche ed esegetiche da varie opere scritte in latino. Comunque, il lavoro missionario di tradurre la Bibbia in cinese continuò con passo veloce. Il Nuovo Testamento depositato nel British Museum contiene la sinossi dei Vangeli, gli Atti, le lettere paoline e il primo capitolo della lettera agli Ebrei. Questo è il manoscritto di J. Basset della Society for Foreign Missions of Paris, tradotto all’inizio del XVIII secolo da Hodgson dell’East India Company e offerto a H. Sloane, il quale lo donò al British Museum. Perciò il manoscritto di Basset viene anche chiamato con il nome di Sloane. Il missionario battista inglese J. Marshman assieme a R. Morrison della London Missionary Society tradussero l’intera Bibbia circa allo stesso tempo, ed entrambi consultarono il manoscritto di Basset quando arrivarono al Nuovo Testamento. Alla fine dell’Ottocento il gesuita L. De Poirot tradusse l’intero Antico Testamento e la gran parte del Nuovo Testamento dalla Volgata in cinese vernacolare. La sua traduzione però non fu pubblicata. Questa versione rende il termine “Dio” come Tianzhu invece di Shangdi oppure Tian, termini proscritti dall’editto papale del 1704. Quando i missionari cattolici vennero in Cina per la terza volta alla fine del secolo XIX, J. Dejean tradusse il Nuovo Testamento nel cinese letterario, di cui solo i Quattro Vangeli furono pubblicati nel 1892. Anche L. Li tradusse il Nuovo Testamento in cinese classico. La sua versione apparve nel 1897. A quell’epoca i biblisti cinesi cominciarono il lavoro di traduzione. Nel 1875 T. Wang tradusse i Quattro Vangeli in mandarino colloquiale. Nel 1883 egli fece la traduzione degli Atti degli Apostoli in
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mandarino. Un sacerdote di cognome Xin tradusse i Quattro Vangeli in cinese letterario. Nessuna di queste tre traduzioni fu pubblicata. Ma Xiangbo preparò la sinossi dei Vangeli nel 1923 e tradusse i Vangeli nel 1937, ambedue le versioni in cinese classico. La sua traduzione dei Vangeli fu pubblicata nel 1948. L’ex ambasciatore della Repubblica di Cina presso la Santa Sede, Wu Jingxiong, basatosi sulle traduzioni inglesi e francesi, tradusse e pubblicò i Salmi e il Nuovo Testamento rispettivamente nel 1946 (“Sacred Poetry”) e 1949 (“Complete New Testament”). La sua traduzione fu molto letteraria, in particolar modo nei Salmi, tradotti in stile poetico antico. Nel 1945 a Pechino fu fondato lo Studio Biblico Cinese, trasferito poi nel 1949 a Hong Kong. I membri dello Studium Biblicum, biblisti sia cinesi sia stranieri, lavorarono per sedici anni (1945-1961), per fornire la Bibbia tradotta dalle lingue originali al cinese moderno, con sezioni introduttive, note esplicative e appendici. Dopo cinque anni di revisione, questa traduzione fu pubblicata a Hong Kong in undici volumi. Oltre ad usare il termine Tianzhu per Dio, questa versione tradusse Yahweh come Shangzhu. Nel Nuovo testamento invece, Kyrios venne tradotto come Zhu. La diocesi di Shanghai sotto la guida del suo vescovo, Jin Luxian, pubblicò il primo volume della “Nuova Bibbia” (i Quattro Vangeli), tradotto dalla Jerusalem Bible. Questo progetto è ancora in corso.
3. LE TRADUZIONI PROTESTANTI DELLA BIBBIA IN CINESE I missionari cattolici del XVIII secolo non tradussero la Bibbia nella sua interezza in cinese. I missionari protestanti, invece, si impegnarono vigorosamente a tradurre la Sacra Scrittura fornendo entro la fine dell’Ottocento tre diverse complete Bibbie cinesi, oltre alle numerose traduzioni parziali. Queste ultime furono rese non solo in cinese classico, ma anche in una grande varietà di lingue parlate. Le traduzioni protestanti della Bibbia possono essere divise in cinque categorie: scritte in mandarino, oppure in cinese classico elevato, nonché in cinese classico semplificato, le versioni che usano i dialetti regionali come anche le lingue delle minoranze nazionali. Le traduzioni pubblicate includono i singoli libri come pure le diverse combinazioni: il Nuovo
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Testamento, il Nuovo Testamento con i Salmi, la Bibbia completa, versioni bilingue inglese-cinese, ecc., tutto sommato più di mille versioni, comprese le Bibbie in alfabeto braille. L’arrivo dei missionari protestanti nell’Ottocento diede un nuovo impulso allo sforzo di tradurre la Bibbia in cinese. Le difficoltà che incontrarono i missionari furono enormi. Il governo di Pechino vietò ai sudditi sotto la pena di morte l’insegnamento del cinese agli stranieri. Quando le versioni della Bibbia diventarono sempre più abbondanti in ogni parte del paese, le autorità decretarono la pena capitale per ciascun europeo accusato di preparare o disseminare la letteratura cristiana. La seconda metà del secolo XIX vide la preparazione di numerose traduzioni nelle lingue vernacolari della Cina. La storia delle versioni protestanti della Bibbia in Cina comincia nel 1807. In quell’anno arrivò a Canton R. Morrison, membro della London Mission Society, il quale si mise subito a tradurre la Bibbia in cinese. Lavorando in mezzo a gravi difficoltà, Morrison riuscì a terminare la traduzione di tutto il Nuovo Testamento nel 1813. Egli tradusse pure l’Antico Testamento da solo, eccetto i libri del Deuteronomio, il I e II libro di Samuele fino a quello di Giobbe, i quali furono tradotti con l’aiuto di W.C. Milne, missionario della medesima società. Nel novembre del 1819 la traduzione dell’intera Bibbia in cinese fu completata e uscì nel 1823 a Malacca sotto il titolo “Shentian Shengshu” (神天聖書 [– letteralmente: “Heavenly God’s Holy Book”]).
La versione di Marshman (馬殊曼譯本) Otto anni prima dell’arrivo di Morrison in Cina, J. Marshman della Baptist Society of England aveva già predicato il Vangelo nelle province settentrionali della Cina. Nel 1807 egli venne a Serampore in India per intraprendere il lavoro missionario e tradurre la Bibbia in cinese. Per quanto riguarda quest’ultimo progetto, fu il suo assistente J. Lassar a tradurre prima la Bibbia inglese in lingua cinese paragrafo per paragrafo. Basandosi sullo studio delle lingue originali della Bibbia, Marshman in seguito rivide la
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traduzione frase per frase. Un cinese che non sapeva parlare inglese aiutò poi a raffinare la traduzione. Secondo alcuni studiosi contemporanei ci sarebbero state molte similarità e addirittura delle espressioni identiche tra le traduzioni di Marshman e quella di Morrison. A quanto pare, ambedue le versioni originariamente si basarono su una traduzione del missionario cattolico J. Basset, finita verso il 1700, il cui manoscritto si trovava al British Museum.
La Four-Membered-Group Version (四人小組譯本) Nel 1835 fu istituito un gruppo di quattro membri con lo scopo di rivedere la versione di Morrison: W. H. Medhurst della London Missionary Society, K. Gutzlaff della Netherlands Missionary Society, E. C. Bridgeman dell’American Board of Comissioners for Foreign Missions e John R. Morrison, figlio di R. Morrison. La loro traduzione del Nuovo Testamento fu pubblicata nel 1837 a Batavia (oggi Giacarta) sotto il titolo “Xinyi Zhaoshu” (新遺詔書), mentre l’Antico Testamentu uscì nel 1840 assieme alla revisione del Nuovo Testamento fatta da Medhurst.
La Delegates’ Version (委辦譯本) Nel 1842 molti missionari in Cina furono dell’opinione che fosse opportuno cooperare a pubblicare una migliorata traduzione cinese della Bibbia, usando i termini concordati da diverse denominazioni. Nel agosto del 1843 quindici delegati delle società missionarie britanniche e americane si incontrarono a Hong Kong per la prima conferenza missionaria e decisero di organizzare una comissione centrale con delle sottocomissioni regionali con lo scopo di tradurre la Bibbia. I manoscritti creati in ciascuna sottocomissione regionale dovevano essere rivisti da rappresentanti di altre sottocomissioni e approvati dalla comissione centrale. Il Textus Receptus fu la base per le traduzioni. Le differenze denominazionali causarono il ritiro della delegazione
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battista dalla seconda conferenza missionaria e la decisione di permettere a diversi editori di usare sia Shen (神) o Shangdi (上帝) in referimento a Dio. Nel 1850 furono pubblicati I Quattro Vangeli, seguiti dal Nuovo Testamento, apparso nel 1852 e dall’Antico Testamento, pubblicato nel 1854.
La versione di Bridgeman Ritiratosi dalla comissione, Bridgeman si unì a M.S. Culbertson della Chiesa Presbiteriana negli Usa per fornire una nuova traduzione della Bibbia. Essi pubblicarono il Nuovo Testamento nel 1859 e l’Antico Testamento nel 1862. La loro versione, rispetto alla più sciolta “Delegates’ Version”, fu più utile ai sacerdoti e seminaristi che avevano bisogno di approfondire la conoscenza della Scrittura.
La versione di Goddard Siccome l’espressione “zhan” (蘸 – “immersione”) fu preferita dai missionari battisti a “xili” (洗禮 – “lavanda rituale”), essi invitarono J. Goddard a fare una revisione della versione di Marshman. Il Nuovo Testamento fu pubblicato nel 1853, mentre l’Antico Testamento apparve nel 1868 (con E.C. Lord e W. Dean che sostituirono l’indisposto Goddard dal Libro dei Numeri in poi). Questa versione fu generalmente considerata più letterale che la traduzione dei Quattro uscita nel 1837, senza sacrificare la scioltezza in cinese. Per quasi 25 anni dall’inizio dell’Ottocento le versioni cinesi della Bibbia vennero pubblicate in stile classico semplificato in conformità con i tempi. Questo fu uno stadio intermedio nella transizione dallo stile classico a quello vernacolare della traduzione.
La versione classica semplificata di Griffith John Considerando lo stile classico troppo difficile per il grande pubblico, mentre la lingua ufficiale risentiva dei vari dialetti, Griffith John tentò di
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seguire una via intermedia adottando lo stile semplificato classico. Egli assunse un principio simile al successivo concetto di “equivalenza dinamica”, abbracciato da E. Nidas. La traduzione del Nuovo Testamento di Griffith John fu pubblicata nel 1885, mentre quella dell’Antico Testamento (dalla Genesi ai Cantici) – nel 1905.
La versione classica semplificata di H. Blodget e J. S. Burdon H. Blodget dell’American Board of Commissioners for Foreign Missions e J. Burdon della London Missionary Society seguirono Griffith John adottando lo stile classico semplificato nella loro traduzione. Pubblicata nel 1889, la loro versione del Nuovo Testamento non gode dell’ampia diffusione come quella di John.
La versione classica semplificata di Schereschewsky Inabilitato da una severa paralisi nel 1881, S.I.J. Schereschewsky, exvescovo di Shanghai della Chiesa protestante episcopale negli Usa, ritornò in America per il recupero. Con il movimento limitato alle due dita, egli usando la romanizzazione trascrisse la sua traduzione della Bibbia in stile semplificato classico. Soprannominata ironicamente la “Two-Finger Version”, fu stampata in Giappone nel 1902. La lingua usata dal governo centrale e dagli ufficiali locali, chiamata guanhua oppure guoyu (mandarino), era il vernacolo usato quotidianamente da più del 90% della popolazione. Per andare incontro ai bisogni del pubblico generale, i missionari cercarono di tradurre la Bibbia in mandarino.
La versione mandarina di Medhurst e Stronach Il primo misssionario a usare il mandarino per tradurre la Bibbia fu Medhurst. Egli cooperò con J. Stronach della London Missionary Society
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a rescrivere il Nuovo Testamento della “Delegates’ Version”. Questa traduzione fu pubblicata nel 1857.
La “Peking Mandarin Version” del Nuovo Testamento Alcuni famosi sinologi di quel tempo, cinque missionari britannici e americani: J.S. Burdon, J. Edkins, H. Blodget, W.A.P. Martin e S.I.J. Schereschewsky, intrapresero una congiunta traduzione della Bibbia. Basandosi sulla versione mandarina di Medhurst e Stronach, essi si impegnarono a fare la traduzione separatamente, consegnandone i risultati ad una comissione composta da letterati cinesi per la valutazione e recensione del loro lavoro. La loro versione della Bibbia fu pubblicata nel 1866 dopo 8 anni di lavoro e riveduta nel 1872. A causa delle diverse opinioni sulla corretta traduzione del termine “Dio”, furono scelte 3 forme: Shen (神), Shangdi (上帝) e Tianzhu (天主). Prima che la Mandarin Union Version fosse pubblicata, questa traduzione ebbe la più ampia circolazione nelle provincie settentrionali della Cina.
La traduzionie dell’Antico Testamento di Schereschewsky Usando lo stile letterario della Peking Mandarin Version of the New Testament, Schereschewsky terminò la sua traduzione dell’Antico Testamento nel 1875 che fu pubblicata in seguito dall’American Bible Society. Nel 1878 la British and Foreign Society unì la sua versione insieme alla Peking Mandarin New Testament in una sola Bibbia.
La versione mandarina di Griffith John Pensando che la Peking Mandarin New Testament con i suoi colloquialismi delle province settentrionali avrebbe difficilmente guadagnato popolarità nel sud, le British and Scottish Bible Societies invitarono Griffith John a preparare una traduzione più adatta ai lettori delle province
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meridionali. Egli riprese la sua prima versione del Nuovo Testamento (in stile classico semplificato), adattandola per la pubblicazione in mandarino. Questa versione uscì grazie alla National Bible Society of Scotland.
La versione nel guoyu (guanhua), detta “Union Version” Dalla pubblicazione della versione di Morrison – Shentian Shengshu nel 1823 fino all’ultimo decennio del Novecento, le versioni cinesi della Bibbia d’uso comune in ogni parte delle province settentrionali e quelle meridionali ammontavano a più di dieci. Contando pure le traduzioni con l’uso dei dialetti locali, il numero delle versioni poteva superare addirittura trenta. Nel 1890 i delegati dalle diverse società missionarie si riunirono a Shanghai per discutere sulla traduzione della Bibbia. Durante la conferenza fu approvata una risoluzione che autorizzava l’inizio della traduzione della Union Version – un’uniforme e comune versione per la Chiesa cinese. La conferenza aveva deciso all’inizio di pubblicare tre versioni in diversi stili letterari per incontrare i bisogni dei lettori di diversi livelli di educazione. Ciononostante, dopo aver completato il Nuovo Testamento in stile classico come pure in quello classico semplificato, i delegati decisero invece di fornire una versione unica. Tuttavia, il piano di pubblicare una traduzione in guoyu fu portato avanti senza cambiamenti. I sette missionari occidentali parteciparono a questo progetto, però al momento in cui il Nuovo Testamento fu completato nel 1906, uno di loro era già morto, mentre un altro si era ritirato. I cinque rimasti furono: C.W. Mateer, C. Goodrich, G. Owen, F.W. Baller e S. Lewis. Quando uscì la Guanhua Union Version (chiamata poi ‘Guoyu Union Version’ e infine ‘Chinese Union Version’ – CUV), nel mese di febbraio 1906, Goodrich fu l’unico dei sette a sopravvivere e a vedere ultimata la pubblicazione di questa versione. Nel corso dei ventisette anni della traduzione il testo fu minuziosamente rivisto molte volte prima di essere pubblicato congiuntamente dalle British, Scottish e American Bible Societies. Dopo neanche dieci anni dalla pubblicazione, il volume delle vendite superò quello di tutte le altre versioni cinesi. Non solo fu stimato dalle comunità protestanti come “canone divino”, ma anche venne considerato un “capolavoro accademico”.
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Il suo contributo ed impatto sulle Chiese cristiane è ineguagliato da qualsiasi altra versione cinese. Nel 1988 le United Bible Societies pubblicarono la Union Version with New Punctuation (CVNP) in linea con lo sviluppo della lingua cinese. Mentre questa traduzione segue l’originale della Union Version quanto al testo, sono state fatte delle appropriate revisioni riguardo alla punteggiatura ed ad alcuni nomi propri, toponimi e altri termini.
La traduzione del Nuovo Testamento di Wang Xuanchen (王宣忱的新約全書) La pubblicazione della Mandarin Union Version segnò la fine della partecipazione dei missionari nella traduzione della Bibbia in cinese. Con il progresso costante dei cristiani cinesi nel comprendere le dottrine della Bibbia e la comparsa di un certo numero di biblisti cinesi, nacquero diverse versioni della Sacra Scrittura tradotte dai cristiani locali. La prima traduzione fatta esclusivamente da un cinese fu il Nuovo Testamento di Wang Xuanchen. Essendo portato per l’inglese nonché per le lingue bilbiche, egli assisté C.W. Mateer nella traduzione della Mandarin Union Version. Dopo la morte di Mateer, Wang perseguì gli studi seminaristici durante i quali decise di ritradurre il Nuovo Testamento e raccolse diverse traduzioni come riferimento. La sua traduzione del NT fu completata nel 1933 e pubblicata dalla Chinese Christian Church di Qingdao.
L’intera Bibbia ritradotta da Zhu Baohui (朱寳惠的重譯新舊約全書) Zhu Baohui aveva cooperato prima con il missionario americano A. Sydenstriker nel tradurre il Nuovo Testamento per pubblicarlo in un volume unico nel 1929. Essi capirono poi l’importanza di una nuova traduzione. Però, poco dopo l’inizio del nuovo lavoro di traduzione, Sydenstriker morì. Zhu lavorò per conto proprio, traducendo anche l’Antico Testamento. La sua traduzione fu completata nel 1939 sotto il nome 重譯新舊約全書 (The Whole Bible Retranslated).
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Il tesoro della Bibbia – l’Antico e il Nuovo Testamento di Zheng Shoulin e H. Ruck (鄭壽麟 、陸亨理的 國語新舊約庫譯本) Questa traduzione dell’intera Bibbia fu fatta da Zheng Shouling e il missionario H. Ruck. L’Antico Testamento fu pubblicato a Pechino nel 1939, mentre il Nuovo Testamento assieme ai Salmi – a Hong Kong nel 1958.
Il Nuovo Testamento di T. E. Xiao (蕭鐡笛的 新譯新約全集) T. E. Xiao cominciò la sua traduzione della Bibbia nel 1959. Con l’assistenza del pastore T. S. K. Zhao (趙世光) finì di tradurre il Nuovo Testamento in cinque anni, che fu pubblicato da Spiritual Food Publishers (靈糧出版社) a Hong Kong nel 1967.
La Bibbia di Lü Zhenzhong (呂振中的 《新舊約譯本》) Nel 1940 a Pechino Lü Zhenzhong cominciò a tradurre il Nuovo Testamento, basandosi sul testo greco elaborato da A. Souter dell’Oxford University. La traduzione fu finita nel 1946 e pubblicata dall’Università di Yanjing. Tre anni dopo, Lü diede inizio alla revisione della sua versione, usando la 17a edizione del testo greco di Nestle, pubblicata a Würtemberg. La revisione fu completata nel 1952 e pubblicata a Hong Kong sotto il nome Xinyue Xinyi Xiugao (新約新譯修稿). La traduzione dell’Antico Testamento durò più di dieci anni e fu pubblicata nel 1970. La comparsa delle traduzioni fatte dai cinesi aprì un nuovo capitolo nella storia delle versioni della Bibbia in cinese. Nei decenni seguenti la lingua cinese si sviluppò ancora di più. Molte espressioni diventarono antiquate e fuori uso; i nuovi segni di punteggiatura aumentarono gradualmente; alcuni termini, pur essendo scritti nella stessa maniera di prima, assunsero
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un altro significato. Diverse traduzioni cinesi della Bibbia ebbero origine conformemente ai bisogni della nuova epoca.
Today’s Chinese Version Questa versione fu tradotta e riveduta dai membri delle associazioni bibliche di Hong Kong e Taiwan assieme ai biblisti delle United Bible Societies. Il procedimento di traduzione fu il seguente: il traduttore rendeva prima la Today’s English Version in cinese, poi otto biblisti dovevano esaminare la traduzione basandosi sulle lingue bibliche. Questa traduzione mise in rilievo il principio di ‘equivalenza dinamica’ e aspirò a rendere il significato del testo e non solo quello delle parole. Siccome alla revisione dei testi tradotti parteciparono anche tre biblisti cattolici, questa traduzone può essere considerata come frutto di un lavoro di collaborazione interconfessionale tra protestanti e cattolici. Il Nuovo Testamento apparve nel 1975, mentre la completa Today’s Chinese Version fu pubblicata nel 1979, sessant’anni dopo la pubblicazione della Mandarin Union Version. La traduzione adottò la lingua cinese corrente, ormai distante da quella della Mandarin Union Version, di cui molte espressioni erano diventate oscure e difficili da capire per i lettori contemporanei. Per aiutare i non cristiani a leggere la Bibbia per conto proprio, senza troppa difficoltà, questa versione raramente usa termini teologici o gergo religioso difficilmente comprensibile. Inoltre, i segni di punteggiatura sono quelli d’uso comune e ciascun libro ha una breve introduzione e un sommario del contenuto. In più, i disegni incorporati nel testo come anche un glossario dei termini aiutano a comprendere meglio il significato della traduzione. La seconda edizione riveduta fu pubblicata nel 1985. Oltretutto, con il consenso e l’autorizzazione della Chiesa Cattolica, uscì nel 1976 la versione cattolica del Nuovo Testamento. A parte la sostituzione dei termini riguardanti il nome di Dio (Tianzhu – 天主 invece di Shangdi – 上帝, Shengshen – 聖神 invece di Shangzhu – 上主 invece di Yehehua – 耶和華), il resto è esattamente uguale alla versione protestante.
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Living Chinese Bible Questa versione è basata sulla Living Bible di K. Taylor e fu tradotta da un gruppo di biblisti cinesi. Taylor rese l’intera King James Version in lingua inglese corrente. La sua traduzione puntò ad ottenere una versione che potesse servire come uno strumento potente per evangelizzare i non credenti, nonché per alimentare i nuovi cristiani. La sua traduzione del Nuovo Testamento apparve nel 1967, mentre l’intera Bibbia fu pubblicata nel 1971. In seguito Taylor fondò “The Living Bible International” per promuovere e sovvenzionare le traduzioni della Bibbia nelle diversi parti del mondo. Nel 1972 a Hong Kong fu aperto un ramo della suddetta associazione allo scopo di tradurre la Bibbia ‘senza aggiungere nulla o togliere qualcosa, mirando a produrre una versione scorrevole e facilmente comprensibile’. Il Nuovo Testamento fu pubblicato nel 1974 e l’Antico Testamento nel 1979. La Bibbia intera apparve sotto il nome di “The Living Chinese Bible”. Subito dopo, questa versione fu pubblicata anche in caratteri semplificati, adempiendo così ulteriormente il suo compito di evangelizzazione.
The New Chinese Bible Iniziata e sostenuta dalla Lockman Foundation of America, questa traduzione fu fatta dai biblisti cinesi basandosi sulle lingue originali della Bibbia. Nel 1971 i rappresentanti della fondazione si incontrarono a Hong Kong con i capi delle denominazioni cristiane per discutere il piano di rendere una nuova traduzione cinese della Scrittura. A tal fine si stabilì nel 1972 la New Chinese Bible Commission. Nel 1976 fu completato e pubblicato il Nuovo Testamento. La Bibbia intera apparve nel 1992. I traduttori adottarono due principi: la fedeltà per quanto possibile alle lingue bibliche e l’uso del cinese moderno. Il primo principio aiutava ad assicurare la coerenza tra l’originale e la traduzione quanto alla sintassi e alla struttura delle frasi. Il secondo, invece, assicurava che la traduzione avrebbe incontrato i bisogni dell’epoca odierna nell’uso dei termini e delle espressioni. Di conseguenza, la traduzione è a volte legata dalla struttura
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delle frasi originali e risulta meno scorrevole della Chinese Union Version o della Today’s Chinese Version. Tuttavia, è una traduzione più fedele all’originale ed è di sicuro vantaggiosa per i predicatori nella loro esegesi oppure nella preparazione delle omelie, nonché per i fedeli in generale nel loro studio della Bibbia.
La Chinese New Version (CNV) (新譯本) Fu completata nel 1992 dalla Worldwide Bible Society con l’ausilio della Lockman Foundation. Originariamente portò il titolo “New Chinese Version”, ma il nome inglese e l’abbreviazione furono cambiati per evitare confusione con la “New Century Version”, pubblicata in inglese. È disponibile sia in caratteri tradizionali che in quelli semplificati.
linee teOlOGiChe Della Spiritualità Di p. alleGra MariO tOrCivia*
preMeSSa la mia relazione, nell’economia del presente Convegno di studio, vuole esporre le linee teologiche, specificamente cristologiche e mariologiche, che informano l’esperienza spirituale del credente in Cristo Gabriele Maria allegra, presbitero siciliano appartenente all’Ordine dei Frati Minori. recatomi al convento acese di S. biagio, luogo nel quale è sepolto il ven. p. allegra, per consultare l’archivio della vicepostulazione1, confesso di aver provato un po’ di smarrimento per l’abbondante materiale trovato, bisognoso, indubbiamente, di una catalogazione rispondente ai contemporanei criteri archivistici e di una più serena fruizione per gli studiosi2. letta tanta parte del materiale di e su p. allegra, mi sono fatto una profonda convinzione: p. Gabriele è riuscito a fare unità nella propria vita di credente e, quindi, nella vita spirituale, proprio nel suo essere frate francescano. profondamente innamorato di Francesco e abbondantemente nutrito dagli scritti di tanti membri dell’Ordine, la sua riflessione su temi teologici e le coordinate della sua vita spirituale si collocano pienamente all’interno di quella che è passata alla storia col nome di Scuola francescana. p. Gabriele è stato un discepolo innamorato di bonaventura da bagnoregio, Giovanni Duns Scoto, bernardino da Siena, eminenti francescani medievali che hanno scritto profondissime pagine su Cristo e su Maria, i due grandi amori di san Francesco. *
Docente straordinario di teologia spirituale presso lo Studio teologico S. paolo di
Catania. D’ora in avanti: aGMa (archivio Gabriele Maria allegra). tra questi mi auguro che ci sia quanto prima un frate minore della provincia di Sicilia che, con impegno, dedizione e amore verso la figura di p. allegra faccia conoscere sempre più l’autentico pensiero teologico e spirituale del frate siciliano. 1 2
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e fra’ allegra ha vissuto profondamente l’amore per Cristo, evidenziando il suo primato, e ha amato teneramente il Cuore immacolato di Maria, facendo sì che questi due aspetti della riflessione cristologica e mariologica costituissero le linee teologiche capaci di informare pienamente la propria vita spirituale di frate minore, desideroso altresì di contribuire all’autentico rinnovamento dell’Ordine in anni travagliati quali quelli postconciliari. primato di Cristo, Cuore immacolato di Maria e rinnovamento dell’Ordine francescano rappresentano così i tre argomenti principali, ed intimamente connessi tra loro, degli interessi teologici del frate siciliano. argomenti che, come lo stesso frate confessa quasi al termine delle sue memorie autobiografiche scritte nel 1975, avrebbero dovuto costituire l’oggetto di tre libri, se il lavoro biblico non lo avesse assorbito del tutto: «nel campo della teologia mi sento attratto dalle verità sul primato di Cristo e sul Mistero della Madre immacolata, direi meglio sui misteri dell’immacolato Cuore. […] Ma non ho potuto scrivere quei due o tre libri che avrei voluto perché il lavoro biblico mi ha assorbito tutto il tempo. e Dio sia benedetto! uno di questi tre libri avrebbe dovuto avere per titolo Vado ad Patrem e contenere la teologia del verbo increato e del verbo incarnato e paziente, esempio e vita dei cristiani. il secondo: Maria Mater, Madre di Dio, Madre della Chiesa e madre di ogni singolo membro della Chiesa anzi madre pietosa di tutti gli uomini, anche degli eretici, dei senza Dio, dei peccatori. il terzo libro, che avrei voluto scrivere, sarebbe dovuto essere consacrato al carisma o, per dirla più semplicemente, alla vocazione dell’Ordine»3.
alcune notazioni metodologiche, infine, prima di entrare in medias res. per rientrare nei limiti temporali assegnati ad una relazione, ho operato la scelta di soffermarmi soltanto sui primi due temi: primato di Cristo e mistero del Cuore immacolato di Maria4. 3 S. OppeS, Le memorie di fra’ Gabriele M. Allegra oFM il “san Girolamo” della Cina, Città del vaticano 2005, 187. il testo curato da Oppes è stato editato vent’anni dopo la prima edizione delle memorie del frate siciliano: S.M. GOzzO OFM (cur.), “Memorie” autobiografiche del P. Gabriele M. Allegra oFM Missionario in Cina [Ideo multum tenemur Ei, Hong-Kong 1975], roma 1986. 4 tralascio pertanto di esporre il tema del rinnovamento dell’Ordine francescano sul
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riguardo alle fonti, ho scelto di attenermi e di citare, in questo modo, soltanto gli scritti di p. allegra e, più precisamente, quelli editati negli anni 1966-1976. la scelta non è casuale perché, in questo decennio, p. Gabriele ha pubblicato alcuni opuscoli su tematiche che gli stavano particolarmente a cuore e ha redatto le memorie autobiografiche. accanto a questi testi stampati ho considerato, tra i manoscritti presenti nell’aGMa, soltanto le pagine dei Diari scritti in questo arco di tempo — anche se non completi — tralasciando volutamente di consultare le lettere scritte e ricevute, le omelie pronunciate, i ritiri predicati e gli esercizi spirituali dati, pur consapevole della loro importanza per conoscere la personalità e cogliere lo spessore spirituale del frate siciliano5. Suddivido la mia relazione in due punti, cui seguiranno alcune note conclusive. nel primo punto presenterò lo stretto rapporto esistente tra p. Gabriele e il beato Giovanni Duns Scoto soffermandomi poi sul dialogo intercorso col gesuita francese p. teilhard de Chardin sul primato di Cristo. il secondo punto scandaglierà la riflessione mariologica, specificamente sul Cuore immacolato di Maria, del frate siciliano. 1. p. alleGra DiSCepOlO Di GiOvanni DunS SCOtO il beato Giovanni Duns Scoto, «difensore dell’immacolata, Dottore del primato di Cristo»6, fu talmente amato e venerato da p. allegra che costituì, insieme alla devozione alla Madre immacolata, uno dei «due argomenti che sono fondamentali per la vita spirituale dello Studio (biblico cinese, ndr.)»7. quale p. allegra scrisse due libretti correlati tra loro: S. Francesco ha lasciato il Paradiso. Cause e rimedi degli odierni sbandamenti espressi in forma dialogica, Guardia d’onore del Cuore immacolato di Maria, repubblica di S. Marino [1969] e Peregrinantibus et iter agentibus, Macau 1970. i due testi sono stati ripubblicati in un solo libretto: l. anaStaSi OFM (cur.), Deviazioni dottrinali e morali (cause e rimedi), acireale (Ct) 1993. 5 Mi auguro che alcuni di questi testi, soprattutto l’epistolario, vengano stampati quanto prima perché arricchirebbero notevolmente la conoscenza di p. Gabriele. 6 S. OppeS, Le memorie, cit., 110. 7 Ibid., 108.
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il 21 agosto 1966, a tokio, p. allegra scrive una memoria su Le ragioni per le quali lo Studio Biblico elesse il B. Giovanni Duns Scoto quale suo celeste patrono8. pur consapevole che lo Scoto non è ricordato quale esegeta delle Scritture, quanto perché «Cavaliere dell’immacolata e […] teologo del verbo incarnato», allegra volle che il frate fosse il patrono secondario — il principale fu la SS.ma vergine addolorata — dello Studio biblico per una serie di motivi: grazie a lui ogni frate «partecipa della grande passione dell’Ordine, la passione per l’immacolata», la devozione che alcuni frati (Gemelli, balić, bello, ecc. ) avevano verso il frate scozzese, i libri scritti su di lui che «mi hanno sempre più innamorato di Fra Giovanni, questo novello Giovanni di patmos», specialmente quelli scritti dai padri pauwels e Mariotti9 e le due encicliche del padre Generale leonardo M. bello, quella «sul primato assoluto di Cristo (1933) e [quella] sulla Mediazione universale di Maria (1938?)»10. alla luce di tutto questo, «quando nella primavera del 1941 giunsi a pechino, ero ormai in possesso di un mio sistema, direi meglio di una mia contemplazione teologica basata sul mistero dell’incarnazione, il “maximum opus Dei”: gli anni che sono trascorsi hanno forse aumentato il bagaglio delle notizie erudite, ma il pensiero teologico rimane quello».
e continua: «vivevo del pensiero Scotiano» — frutto anche dello studio, fatto nel 1944, delle opere di san bernardino da Siena, cui seguì la composizione di una preghiera all’allora ven. Giovanni Duns Scoto che divenne in seguito la preghiera dello Studio biblico al suo futuro compatrono11 — anche se 8
in Quaderno “Iter Japonicum pro Conventu Biblico”, ii, tokio, 1966, 45-54, in
aGMa, MS xxiv/5.
p. pauWelS, I Francescani e la Immacolata Concezione, roma 1904 e C. MariOtti, L’Immacolata Concezione di Maria ed i Francescani. In occasione del cinquantesimo della dogmatica definizione, quaracchi 1904. 10 De Universali Christi primatu atque regalitate (29/10/1933) e De B. Maria Virgine omnium gratiarum Mediatrice (17/04/1938). 11 Cfr. De doctrina s. Bernardini Senensis circa universalem mediationem gratiarum B. V. Mariae, in Collectanea Commissionis Synodalis 17 (1944) 5-6, 201-235. 9
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«tutto questo interessamento per il pensiero scotiano, rimaneva e rimane in fondo in fondo un diversivo, una ricreazione, ché il mio vero lavoro consisteva nella versione della Sacra Scrittura».
Fondato lo Studio biblico il 2 agosto 1945 «nella casa dell’università Cattolica di fronte alla Domus Franciscana nel discorso inaugurale lo scrivente proclamò il beato Giovanni Duns Scoto compatrono dello Studio, inserì questa scelta negli Statuti dello Studio e introdusse l’uso di recitare ogni giorno una preghiera al b. Giovanni».
venti giorni dopo la compilazione della suddetta memoria, p. allegra si reca in Gran bretagna per partecipare al Congresso internazionale di Filosofia e teologia Scolastica (9-17 settembre 1966) celebratosi in occasione del settimo centenario della nascita del frate scozzese (1265-1965)12. il 12 settembre, ad Oxford, il frate siciliano pronuncia, come egli stesso affermerà il successivo 8 novembre a palermo, «un discorso sul primato assoluto di Cristo in San paolo e il ven. Giovanni Duns Scoto, secondo le conversazioni che egli stesso (allegra, ndr.) ebbe a pechino col p. teilhard de Chardin S.J. la breve relazione da me tenuta ad Oxford non era che uno scarno riassunto di un opuscolo13, per quanto denso e scarno anch’esso, tuttavia più ampio, nel quale in forma di dialogo, tratto dello stesso sublime argomento»14.
nella succitata conversazione palermitana dell’8 novembre — nella quale il frate minore avrebbe trattato delle «soavi e intime relazioni che passano tra il ven. Giovanni e lo Studio biblico cinese» — allegra porta a 12 in occasione del suddetto centenario, papa paolo vi scrisse il 14 luglio 1966 una lettera apostolica ai vescovi della Gran bretagna — Alma Parens (in aaS 58 [1966] 609614) — nella quale il pontefice definiva Duns Scoto “il perfezionatore” di san bonaventura e “il rappresentante più qualificato” della Scuola francescana. 13 p. Gabriele M. alleGra O. F. M., Il Primato di Cristo in S. Paolo e in Duns Scoto. Dialogo col P. Teilhard de Chardin S.J., palermo 1966. l’opuscolo venne stampato appena pochi giorni prima della conversazione palermitana di cui nella nota seguente, ndr. 14 Conversazione tenuta a Palermo per commemorare il settimo centenario della nascita del Ven. Giovanni Duns Scoto: 1265-1965, in aGMa, MS x/9.
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conoscenza dell’uditorio innanzitutto come il ven. Duns Scoto abbia ricevuto dall’Ordine serafico, insieme al beato Giovanni da parma, il titolo di Angelus faciei Jahve il titolo si rivela quanto mai adatto alla figura del grande francescano «perché ripeté agli uomini con eroica fedeltà il messaggio del suo Signore senza mai lasciarne la presenza, e ciò mediante una serafica contemplazione; perché oggetto immediato della sua contemplazione e del suo insegnamento era il verbo incarnato; perché illuminato da quel Sole di giustizia, egli disdegnò gli argomenti umani e con audacia, che solo un amore personale, serafico per il Cristo Gesù poteva dare, e una sicurezza che solo dalla contemplazione del volto di Cristo, su cui rivolge la gloria del padre, poteva nascere, a viso aperto, egli difese primato o regalità universale di Cristo, l’immacolato Concepimento di Maria e i diritti inviolabili della Chiesa e del suo Capo visibile, il papa, contro le pretese di Filippo il bello».
in seguito, il frate siciliano lega la relazione tenuta un mese prima ad Oxford con quanto avrebbe da lì a breve detto per «completare per quanto lo riguarda, la di lui commemorazione centenaria cominciata ad Oxford; e perciò come ad Oxford abbozzai lo schema del pensiero del p. teilhard circa l’argomento principe del pensiero scotiano: il primato assoluto di Cristo, così oggi in familiare conversazione vi parlerò delle relazioni spirituali esistenti fra il ven. Giovanni Duns Scoto e il nostro modesto Studio biblico, in altri termini fra il ven. G. Duns Scoto e l’opera della bibbia cinese».
pur riprendendo quanto già scritto all’inizio del paragrafo circa la “stranezza” della scelta di Scoto quale patrono dello Studio, allegra si domanda: «poteva il ven. Giovanni incendiare, come cantò lo hopkyns, il cuore dei fedeli di amore per l’immacolata, senza una meditazione delle Sacre Scritture al tempo stesso profonda e carismatica? i contemporanei sentirono che le sue audaci concezioni […] altro infatti non erano che l’esplicitazione del senso profondo delle Divine Scritture […] Or qual fine si proponeva e
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si deve proporre lo Studio biblico cinese se non quello di manifestare i misteri delle Divine Scritture: Scripturae abdita pandere?»15.
la lettura della lettera apostolica di papa paolo vi Alma Parens offre inoltre lo spunto ad allegra per esporre una profonda convinzione: «Si, è possibile che passino ancora dei decenni, ma io non dubito punto che il ven. G. Duns Scoto abbia un giorno a rifulgere come un sole nel firmamento della Chiesa. io son convinto, ormai da 25 anni, che la sua dottrina come s’impose per il trionfo dell’immacolata — ricordiamoci che veniva chiamata “opinio scotistarum” — così s’imporrà ancora per il trionfo di Cristo re. Si, questa dottrina del primato assoluto di Cristo, chiamata anche oggi da numerosi manualisti “opinio Scoti”, diverrà secondo l’espressione cara al p. teilhard, la teologia cosmica, la teologia dell’avvenire».
nella seconda parte della conversazione palermitana16, allegra gioisce per la legittimità accordata dal pontefice alla Scuola francescana che, insieme a quella tomista mai e poi mai potrà pensare di contenere ed esaurire tutte le ricchezze della teologia. Concludendo, il frate siciliano invita «a imitare le virtù del ven.le G. Duns Scoto, a immergersi nella investigazione del suo pensiero o meglio del suo spirito ardimentoso e umile nella ricerca della verità. e ad innamorarsi, come lui fece di Cristo re, dell’immacolata e di Madre Chiesa, e delle Divine Scritture».
quattro anni dopo la partecipazione al Congresso internazionale di Filosofia e teologia Scolastica, il 2 marzo 1970, il presidente della Societas Internationalis Scotistica, il frate minore p. Carlo balić scrive a p. allegra per comunicargli la nomina a socio ordinario dell’associazione e consegnargli la relativa tessera17. Significativo dello spessore spirituale del frate siciliano, quanto scritto alcuni giorni dopo in una pagina del diario: 15 a questa motivazione si aggiungono tutte le altre personali sulle quali mi sono già soffermato all’inizio del paragrafo. 16 pubblicata col titolo Il teologo del Primato di Cristo, in Crociata del Vangelo 19 (1966) 11, 22-24. 17 Cfr. aGMa, MS ii D/3, 76bis-77.
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«ho risposto al p. balić per ringraziarlo della nomina a “socius ordinarius” della SiS (Societas internationalis Scotistica). il punto più serio e vantaggioso per me consiste solo in questo: santificare lo studio come il b. Giovanni Giovanni Scoto cercando perciò di far mie le sue disposizioni nel lavoro intellettuale, che senza dubbio, furono: mirare alla gloria di Dio, al bene delle anime, al dovere che ha ogni uomo di lavorare onde guadagnarsi il pane col sudore della propria fronte, cioè: laborent fideliter et devote. imitare in altri termini le virtù del b. Giovanni, e ricorrere a lui nelle difficoltà, nelle tribolazioni, nelle ansietà. tu mihi in desiderio es»18.
tre anni dopo, siamo nel 1973, allegra scrive nel Diario: «Stamani ho preso, come la memoria me lo suggeriva, alcuni appunti per scrivere una lettera alla postulazione Generale OFM per la causa del Dottorato e della Canonizzazione equipollente del b.G. Duns Scoto, e per una possibile vita del medesimo della quale stesi lo schema nella festa del Serafico padre 1950»19.
nelle memorie autobiografiche, trattato il primo argomento, considerato fondamentale per la vita spirituale dello Studio biblico cinese, e cioè la devozione alla Madre immacolata, allegra presenta il secondo argomento, anch’esso fondamentale: la devozione al ven. Giovanni Duns Scoto: «Detto questo (quanto scritto precedentemente sulla Madonna, ndr.) si capisce la mia fraterna amicizia, devozione, confidenza per il Cavaliere dell’immacolata, per il Dottore dell’immacolata, e oso dire per il Martire dell’immacolata: il beato Giovanni Duns Scoto»20. Diario: 16 marzo 1970, in aGMa, MS ii D/3. Diario 25 dicembre 1972 - 13 maggio 1973: 11 gennaio, in aGMa, MS ii D/5. lo schema della vita, alcune preghiere e un saggio bibliografico su Duns Scoto (Duns c. 1265 – Colonia 8 novembre 1308) si trovano in Diario 25 dicembre 1972 – 13 maggio 1973: 18 e 19 febbraio, in aGMa, MS ii D/5. le Note da inviare al P. Postulatore delle Cause dei Santi oFM e appunti da completare sistematicamente per la vita del Beato, si trovano in aGMa, MS x/14. ricordo infine come due decenni dopo, precisamente il 6 luglio 1991, si è avuto il decreto vaticano di conferma di culto nei riguardi di Duns Scoto, confermato ulteriormente il 20 marzo 1993. 20 S. OppeS, Le memorie, cit., 110. 18 19
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e poco oltre, allegra si lascia andare in un vero e proprio devoto omaggio al frate scozzese: «ecco io vorrei avere per il b. Giovanni Scoto la devozione che ebbero per lui tanti umili fratelli laici dell’Ordine, come il b. umile da bisignano, S. Carlo da Sezze, il ven. innocenzo da Chiusa e il servo di Dio fr. Diego Oddi… essi senza dubbio non compresero umanamente le sublimi speculazioni di fra Giovanni della Scozia, ma sapevano che egli era il difensore di Maria immacolata, il suo cavaliere, il suo Dottore, il suo martire e questo bastava per riempirli di devozione e di fraterno amore per lui. lui pertanto scegliemmo come patrono secondario dello Studio […]. in suo onore lo scrivente compose una preghiera che per parecchi anni recitammo ogni giorno in comune e un giorno traccerò lo schema di una vita che fosse come la Storia di un’anima, cioè la Storia dell’anima mistica e mariana del mio amabile e amato frate Giovanni della Scozia. So bene che arriverò in paradiso dopo molti e molti anni di purgatorio, ma spero che S. pietro mi metta accanto a frate Giovanni della Scozia! il mio dolce e forte soldato di Gesù: difensore dell’immacolata, Dottore del primato di Cristo, difensore del vicario di Cristo, per cui soffrì l’esilio, e teologo della Chiesa di Gesù, che egli chiama Societas maxime vera! verità queste menzionate che è tanto dolce e confortante ricordare in questi tempi di arida e litigiosa contestazione. Oh! veni, Domine Jesu!»21.
più avanti, sempre nelle memorie autobiografiche, allegra presenta Duns Scoto come profondamente animato dalla sapienza divina e del prezioso influsso esercitato in lui da sant’agostino, da san Giovanni evangelista, da san paolo apostolo e, soprattutto, dall’immacolata, la Sede della Sapienza: «la sapienza […] è un dono dello Spirito Santo, il dono della Madre Celeste ai suoi figli; ché attraverso la Madre Celeste, lo Spirito di Gesù concede ai figli di adozione ogni grazia e ogni bene. È proprio della sapienza la conoscenza soprannaturale della rivelazione, dei misteri di Dio e del suo Cristo, della Chiesa e di Maria Madre della Chiesa. […] per mezzo del suo amico e servo Francesco, Gesù, il verbo incarnato, ribenedisse tutto il creato, 21
Ibid., 110.
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l’uomo e tutte le sue sante attività umane, e quindi anche la scienza. Ma ciò non basta. Mediante l’incarnazione si compie come una seconda creazione, mediante l’incarnazione, Gesù ridona all’uomo, che vi si dispone, il dono della Sapienza, dono di cui egli arricchisce specialmente coloro che devono essere i maestri del suo popolo, il popolo di Dio. questa Sapienza essendo un dono, non la si acquista nelle sale delle biblioteche o davanti alle cattedre dei sommi Maestri, ma nella preghiera, davanti all’eucaristia, pregando umilmente e fiduciosamente la Madre del verbo. Così il b. Giovanni Duns Scoto ottenne il dono della Sapienza. preparò il suo cuore con una purezza angelica, con una carità serafica, e la chiese in umiltà a Colei che è sede della Sapienza, e Dessa lo spinse a chiederla, come Mosè, direttamente a Dio, l’autore della Sapienza e il munifico donatore di essa. Come nel vangelo di S. Giovanni evangelista, io almeno ci sento la rivelazione del verbo incarnato attraverso la mente e il cuore di Maria immacolata, la Madre di Gesù, così nelle ardenti, dolci e sublimi speculazioni di fra Giovanni della Scozia, io vi scorgo il dono della sapienza che egli ottenne da Maria Sede della Sapienza e Madre di Gesù. insomma io mi spiego le sublimi speculazioni di Giovanni Scoto attraverso S. agostino, il suo Dottore prediletto, attraverso la luce di Giovanni evangelista e di S. paolo, ma specialmente mediante il dono della Sapienza ricevuto dall’immacolata. Si legge negli annali del Waddingo che fra Giovanni nell’ultima notte di natale che passò su questa terra […] ebbe la visione della Madre Celeste, che pose nelle sue braccia Gesù bambino. Ora io son convinto che il dono della Madre immacolata non si limitò a dare a fra Giovanni per qualche po’ di tempo il suo pargolo Gesù, ma esso consiste piuttosto nel concedergli l’intelligenza del mistero di Cristo, del verbo incarnato. e perciò egli si assomigliò a Giovanni evangelista, che a patmos ricevette le folgoranti rivelazioni dei misteri di Cristo […]. Così io vedo il Dottore dell’immacolata, di Cristo re dell’universo, della Chiesa Sposa di Cristo e quindi società “maxime vera”, il difensore del vicario di Cristo, il serafico scrutatore del mistero dell’eucaristia… a lui sempre debbono guardare per imitarne le virtù, la devozione, il coraggio, l’umiltà, l’obbedienza, la povertà, i figli del p. S. Francesco, che dispensano ai fratelli la parola di Dio, e vorrei dire specialmente i membri di questo umile Studio, di cui egli è il dolce e celeste patrono, a lui tengano rivolto lo sguardo»22.
22
Ibid., 197-199.
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in seguito, il frate siciliano ritorna ancora sul perché del titolo Angelus Faciei Jahve attribuito a Duns Scoto: «angelus Faciei Javhe o Domini, questo titolo nelle Cronache dell’Ordine viene dato a due fratelli sacerdoti, amici di Gesù: il b. Giovanni da parma e il b. Giovanni Duns Scoto. applicato a Giovanni Duns della Scozia questo titolo ne indica quasi totalmente il carattere, la missione, l’ardore. l’angelo rimane sempre alla presenza del Signore anche quando viene inviato agli uomini; l’angelo vede sempre la Faccia del Signore, nutre per lui un amore gaudioso, umile, forte e ardente; l’angelo ama, protegge e difende quanto è amato e protetto. angelo del Signore Gesù è fra Giovanni della Scozia, perché sulla terra stette sempre per le virtù teologali alla sua presenza, e ora in cielo vi sta ardente di carità; perché sulla terra ebbe e ora in misura immensa possiede un amore serafico per Gesù, anzi ha il cuore riempito di amore ardente da Gesù medesimo, amore per il padre Celeste, amore per la Madre immacolata, amore per la Chiesa, e per il Capo visibile della Chiesa, il vicario di Cristo»23.
agli inizi del gennaio 1976, pochi giorni prima della morte, invitato a scrivere la premessa ad un poemetto di un confratello su Duns Scoto24, p. allegra, si mostra convinto della centralità della riflessione cristologica nel frate scozzese anche in ordine alla riflessione mariologica ed ecclesiologica: «fu bene il suo amore a Cristo e la meditazione della dignità suprema del Figlio di Dio fatto uomo, che gli permise di contemplare e di illuminare il mistero di Maria e quello della Chiesa. Si tratta di un carisma che chiamerei, con san bonaventura, sursumactio, che spiega e la fecondità e l’irresistibile forza del pensiero dell’umile e santo fra Giovanni di Scozia»25, la cui dottrina è stata sempre apprezzata nell’Ordine serafico: «Velut alter Joannes in Patmos mysteria Domini Jesu et Immaculatae Matris contemplatus es et docuisti»26.
23 24 25 26
Ibid., 201-202. a. CaSini, Giovanni Duns Scoto. Carme, [Genova 1976]. Ibid., 5. Ibid., 13.
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1.1. Il dialogo col p. Teilhard de Chardin parlare del rapporto tra allegra e Duns Scoto significa ricordare e tratteggiare un importante dialogo intercorso nel secolo scorso. nella pechino degli anni 1942-45, seppur non in modo continuato, si incontrano un biblista francescano italiano, allora poco noto, fra’ Gabriele M. allegra, e uno scienziato gesuita francese, di certo più conosciuto dal grande pubblico, p. teilhard de Chardin. l’occasione è la richiesta di mons. Mario zanin, Delegato apostolico in Cina, al frate siciliano di analizzare Le Milieu Divin, opera composta dal gesuita francese negli anni 1926-27, in vista della concessione del nihil obstat considerato che i censori gesuiti si rifiutavano di darlo. letto il manoscritto, il frate lo censurò negativamente. Mons. zanin desiderò però che allegra si recasse dal p. teilhard per comunicargli de visu i motivi della censura non positiva. l’incontro tra i due uomini si rivela subito un incontro fecondo per lo scambio di riflessioni teologiche e scientifiche, considerata la competenza dei personaggi. in occasione di uno dei primi dialoghi p. allegra ebbe modo di manifestare al padre gesuita come alcune sue idee facessero parte dell’insegnamento tradizionale della cosiddetta Scuola francescana, alla quale apparteneva Duns Scoto, provocando un vero e proprio moto di gioia e di curiosità nello scienziato francese e tutta una serie di incontri nei quali p. allegra ebbe modo di esporre il pensiero del frate scozzese sul primato universale e assoluto di Cristo. nonostante i ripetuti inviti a pubblicare quanto detto nei dialoghi, soltanto nel 1966, su insistenza del p. balić, presidente della Societas Internationalis Scotistica, p. allegra, come egli scrive nelle pagine d’introduzione al libretto, si risolse a scrivere in forma di dialogo quanto emerso negli incontri pechinesi «limitandomi principalmente e quasi esclusivamente allo argomento del primato di Cristo»27 ed assicurando «il lettore che mi sono sforzato con tutta onestà di riprodurre se non le parole, cosa impossibile, certamente il senso dei nostri colloqui di rue labrousse»28, anche se, chiosa p. allegra al termine dell’introduzione, «quanto scrivo in queste
27 28
p. Gabriele, Il Primato di Cristo, cit., 10. Ibid., 11.
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pagine è un pallido ricordo di quanto ci dicemmo in quegli anni sul primato assoluto di Cristo […]»29. nel dialogo si nota ampiamente la convergenza tra la riflessione teologica del gesuita sul Cristo alfa e Omega, centro e fine dell’universo, le “Grand Christ”, e la tradizionale dottrina francescana, espressa magnificamente da Duns Scoto, sull’incarnazione del verbo di Dio indipendentemente dal peccato dell’uomo. Secondo p. allegra, infatti, «i Francescani sono rimasti quasi soli nella difesa del primato assoluto di Cristo, ovvero della dottrina della incarnazione non occasionata dal peccato […] ovvero: [la dottrina della] regalità universale di Cristo»30,
pur essendo ancorata, tale dottrina, nella grande tradizione ecclesiale. per allegra soltanto Duns Scoto tentò la sintesi tra il primato assoluto di Cristo e la redenzione quale fine dell’incarnazione, verità ambedue affermate dalla Sacra Scrittura. tentativo che, invece, per il frate siciliano sarebbe proprio della Sancta Theologia. esponendo il testo di Col 1,15-20, allegra spiega, presentando così la riflessione scotiana, come «paolo parla del Figlio di Dio incarnato e redentore, voluto assolutamente dal padre iddio prima della costituzione del mondo, come egli insegna nella lettera agli efesini»
e conclude affermando che «il Cristo non è entrato nell’universo creato occasionalmente, a motivo del peccato di adamo, ma al contrario è l’universo che esiste per il Cristo, in vista di lui. È il Cristo, vorrei dire, che è l’occasione dell’esistenza dell’universo, che in lui ha consistenza. lui il rivelatore, lui il Glorificatore del padre, lui il Capo della Creazione, che in virtù della sua incarnazione è stata consacrata e continua ad essere consacrata dalla sua Chiesa, che è il Cristo continuato, trascendente il tempo e lo spazio; anzi tirando le estreme conseguenze del pensiero paolino: la Creazione è peren29 30
Ibid., 12. Ibid., 17.20.
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nemente consacrata dall’eucaristia, sia in quanto sacrificio, che perpetua misticamente l’oblazione del Calvario, sia in quanto sacramento, che perpetua sino alla seconda venuta del Signore misticamente la sua presenza, che è il gran segno della sua presenza, il pegno indiscutibile che lui è davvero l’emmanuele: il nostro Dio con noi! père teilhard, questo sembra a me il pensiero di S. paolo […]»31.
Da ciò emerge che: «l’incarnazione è la massima opera di Dio, quindi irripetibile, cui tutto converge: il tempo e lo spazio; ora il verbo incarnato detiene il primato su tutti gli esseri, che a lui, ciascuno secondo la propria natura, devono l’esistenza, la grazia e la gloria […]. la ricapitolazione — traduzione infelice della parola greca — non mi pare che sia da intendersi in senso puramente soteriologico, ma bensì cosmico (Ef. 1, 10) […]»32.
allegra si mostra in seguito convinto, e p. teilhard sottoscrive pienamente tale idea, che «nel campo della teologia il Cristocentrismo o Cristofinalismo paolinogiovanneo dovrebbe non soppiantare ma integrare il sistema dottrinale soteriologico in una visione più ampia e più degna della missione del Cristo. in tale integrazione la Soteriologia tradizionale non solo rimarrebbe intatta, ma ci presenterebbe, ne son certo, in modo più fulgido e ardente l’amore di Cristo per il padre suo e verso gli uomini suoi fratelli. Occorre per questo coordinare in una sintesi armoniosa tutti i dati della rivelazione: il domma trinitario, vita intima di Dio, primato assoluto di Cristo e mistero della Croce, con l’altra luce, pur essa divina, che promana dalla scienza. […] la costruzione di un sistema teologico completo, che non metta a fuoco solo un aspetto, ma tutti gli aspetti della rivelazione, tutta la “verità che tanto ci sublima”, è il compito impreteribile della teologia del prossimo avvenire»33.
31 32 33
Ibid., 34-35. Ibid., 35. Ibid., 37-38.
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nella parte terza del dialogo, infine, p. allegra, grazie ad alcuni testi di studiosi scotisti, presentata l’affermazione principale della riflessione del frate scozzese — «Dio è essenzialmente l’amore infinito […] lei quindi vede cosa segue per tutta la teologia da questo principio: in esso è contenuto il primato assoluto di Cristo e la redenzione per puro, ardente, infinito amore»34
— espone al gesuita francese i principi fondamentali del cristocentrismo scotiano, evidenziando e spiegando cinque frasi-chiave della dottrina del primato assoluto di Cristo e della redenzione frutto del puro amore di Dio35: 1) l’incarnazione di Cristo non è stata occasionata dal peccato dell’uomo; 2) «il Cristo è stato voluto da Dio padre, perché essendo l’infinito amore, è avido di infinito amore. [… e] questo amore sommo solo il verbo incarnato poteva renderlo a Dio-Carità»36; 3) «“tutte le testimonianze delle Scritture e dei padri che sembrano affermare il contrario, cioè che il Cristo non si sarebbe mai incarnato se adamo non avesse peccato, possono essere intese nel senso che Cristo non sarebbe venuto come redentore, se l’uomo non fosse caduto; forse in tal caso non sarebbe venuto in carne passibile, non essendovi necessità che l’anima di Cristo, da principio gloriosa e preordinata a Dio a gloria così grande, fosse unita a corpo passibile”, in questo asserto, dico, si ha la sintesi dei due dati rivelati: primato assoluto di Cristo, fine primario dell’incarnazione, e redenzione del genere umano, fine secondario»37; 4-5) «il mistero della Croce è addirittura immerso nelle più ardenti e tenere fiamme del divino amore. […] ne segue che i dolori del Figlio di crocifisso furono voluti da Dio: “ad alliciendum nos ad amorem suum… et quia voluit hominem amplius teneri Deo”. Cioè furono, questi inenar34 35 36 37
Ibid., 51. Cfr. ibid., 52-53. Ibid., 56. Ibid., 57.
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Mario Torcivia rabili dolori, voluti dal padre celeste per attirarci al suo amore e perché così l’uomo amasse maggiormente Dio; e perciò, continua lo Scoto, nessuna grazia concernente la salvezza concede la SS.ma trinità all’uomo viatore, se non per il merito di tale oblazione di Cristo, consumata sulla Croce da una persona dilettissima: il Figlio, e dal massimo amore: l’amore del Figlio. in tal guisa in questa sintesi cristologica Cristo è ovunque il primo, è Colui che primeggia in tutto — proteuon en pasin —»38.
pertanto, prosegue allegra, «alla luce di questa dottrina, che ha per sfondo sempre presente la tesi cristocentrica, il dramma della redenzione da dramma di giustizia si muta in dramma di purissimo e ardentissimo amore. Mi pare […] che a un piano di giustizia si sostituisca un piano di salvezza perfetto, sottratto ad ogni influsso esterno, radicato solo nell’amore del padre per il Figlio e nell’amore del Figlio incarnato, il Cristo Gesù, per il padre e per l’uomo. […] Mi pare ancora che dalla luce di questa dottrina, il Cristocentrismo e la redenzione per puro amore, ne segua logicamente l’immacolato Concepimento di Maria e il valore della sua Compassione di Corredentrice. e infine ne deduco che per l’uomo non resti che attuare quel corollario quanto mai semplice e impegnativo: ideo multum tenemur Ei. per il che molto siamo obbligati a Cristo: noi potevamo essere redenti diversamente, ed egli volle redimerci così!»39.
nel dicembre 1966, infine, viene pubblicata un’intervista a p. allegra sui dialoghi pechinesi con p. teilhard. È la felice occasione in cui il frate siciliano mette a raffronto la concezione scotiana e quella teilhardiana sul primato di Cristo: «se si paragona questa concezione teilhardiana con quella di Duns Scoto, si notano somiglianze e divergenze. Divergenza principalmente per la loro origine, che in Scoto è unicamente la rivelazione, mentre in teilhard è la scienza e la rivelazione, o più precisamente la scienza e i concetti paolini, che egli traeva dall’intero sistema teologico di S. paolo, forse senza avvertirlo pienamente. la somiglianza, invece, è data dal fine; infatti ognuno dei due tende alla glorificazione del Cristo. vorrei dire che Scoto e teilhard 38 39
Ibid., 58-59. Ibid., 60-61.
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camminano per vie parallele; ma, mentre la via della speculazione scotista rimane incessantemente sotto la luce della rivelazione celeste, quella teilhardiana soggiace talvolta alla obnubilazione dell’intelletto umano, un grande e prodigioso intelletto, ma sempre intelletto umano»40.
2. la DevOziOne a Maria accanto al Cristo, Maria ha occupato certamente un posto centrale nella vita di p. allegra. a lei va ricondotto lo stesso pluridecennale lavoro biblico portato avanti dal frate siciliano: «dovevo restare fedele alle mie promesse, specialmente alla promessa fatta alla Madonna (quella di ravanusa, venerata nel paese di S. Giovanni la punta; la promessa fu fatta il 15 agosto 1930, ndr.) che avrei lavorato sempre sino a quando non avessi ultimato la versione cinese della Sacra Scrittura»41.
e quando, com’è normale che avviene, vi furono dei momenti di oscurità, il pensiero e la preghiera di p. allegra andarono a Maria: «Domani celebrerò secondo l’intenzione della Madonna. essa sa i nostri bisogni, come io ben riconosco che se lo Studio è arrivato a questo punto, la colpa è mia. Sono nell’incertezza, nell’oscurità. la pregherò che dissipi le tenebre della mia mente, che mi faccia conoscere la divina volontà e che mi dia la forza di compierla nell’umiltà. […] Madre SS.ma, illuminami»42.
nel 1973 p. allegra pubblica un opuscolo sul Cuore immacolato di Maria43, culto G. alleGra OFM, Le mie conversazioni a Pechino con Teilhard de Chardin, in Missioni Francescane 42 (1966) 13. 41 S. OppeS, Le memorie, cit., 71. 42 Diario lug.-dic. 1969: 14 settembre, in aGMa, MS ii D/2. 43 Il Cuore Immacolato di Maria. Via a Dio. Pensieri per un itinerario Mariano dedicato alla Guardia d’onore. edizione curata dalla Direzione Generale della Guardia d’onore in italia, repubblica di S. Marino presso il Santuario del Cuore immacolato di Maria 1973. 40
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Mario Torcivia «voluto da Dio stesso, giacché, per noi, esso ha per fondamento la dottrina delle sacre Scritture, il magistero della Chiesa e l’esperienza della vita di grazia»44.
per allegra la comunità ecclesiale tutta non può non onorare, amare e imitare Maria «vuoi per l’esempio di Gesù, vuoi per l’insegnamento delle Divine Scritture, sia per il magistero della Chiesa e per la consapevolezza che abbiamo di essere amati dalla vergine Santissima […] questi tre elementi formano l’essenza della devozione e del culto, che la Chiesa presta alla Madre del Signore»45.
inoltre, «essendo operazione dello Spirito Santo, mai questo culto potrà essere in contrasto con quello, che dobbiamo e prestiamo al nostro Salvatore; né mai potrà […] essere eccessivo […]. al contrario il culto di Maria rafforza e intensifica quello che prestiamo al Signore Gesù e al padre Celeste»46.
per questo, in anni nei quali v’era stato un calo della devozione mariana, allegra può affermare che «dove si trascura la Madonna, ivi pure si trascura Gesù; e dove la si scaccia, ivi pure si scaccia Gesù […]»47.
Mi riferisco volutamente a questa edizione non solo perché la prima ma anche perché le altre — Il Cuore Immacolato di Maria. Via a Dio. Pensieri per un itinerario Mariano dedicato alla Guardia d’onore. edizione curata dalla Direzione Generale della Guardia d’Onore in italia, rep. di San Marino presso il Santuario del Cuore immacolato di Maria 1974² [a cura di p. alberto Ghinato] e p. bernarDinO anaStaSi OFM (cur.), Il Cuore Immacolato di Maria (Dottrina e Spiritualità), acireale (Ct) 1991³ — sono state ritoccate non dall’autore ma dai curatori. la prima edizione è, pertanto, quella che presenta il pensiero autentico di p. allegra. 44 G. M. alleGra, Il Cuore Immacolato di Maria, cit., 32. 45 Ibid., 34. 46 Ibid., 35. 47 Ibid., 36.
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parlando poi specificamente del culto al Cuore immacolato di Maria, allegra si mostra convinto che tale festa «comprenda tutto il mistero di Maria e cioè l’amore di Maria per il Dio vivente, per il verbo incarnato, suo Figlio, e suo e nostro Salvatore e l’amore di Maria per i membri del mistico Corpo di Cristo […]. Sì, il mistero dell’immacolato Cuore di Maria è il sommario di tutti i suoi misteri, consente di meditare e di contemplare tutto il mistero di Cristo e di contemplarlo per l’amore del Dio vivente, del padre celeste, nei cuori degli uomini, delle anime purganti e degli stessi beati Comprensori. e siccome l’amore sostanziale di Dio è lo Spirito Santo-amore e il mistero di Maria o del Cuore immacolato di Maria è strettamente congiunto con quello dello Spirito Santo, oso dire che il Cuore di Maria è il candido e affocato raggio di questo Divino amore: l’amore che è Dio, Dio che è amore»48.
numerosi sono i santi e i testi di mistici citati dal frate siciliano per supportare le affermazioni sull’importanza del culto, privato e pubblico, al Cuore immacolato di Maria: arnaldo di bonavalle, brigida, Giacomo da Milano, Goffredo admontensis, Gertrude, Mechtilde, ubertino da Casale, bernardino da Siena, sino ad arrivare a Giovanni eudes, ad antonio Maria Claret e a papa pio xii il quale, nel 1942, istituì per tutta la Chiesa la festa del Cuore immacolato di Maria, da celebrarsi il 22 agosto. un posto particolare occupano poi le apparizioni della vergine a Fatima che «segnarono l’aurora del trionfo universale della devozione al Cuore di Maria»49 e che, per p. allegra, costituiscono l’occasione per focalizzare alcuni punti fermi in ordine al suddetto culto: «leggendo la storia delle apparizioni di Fatima, per me sono evidenti alcuni punti e cioè: a) che quelle apparizioni sono l’aurora dell’apostolato mondiale del Cuore immacolato, della diffusione universale di questa celeste devozione; b) che questa devozione è evangelica, apostolica e irresistibile come il fuoco del paraclito; c) che essa è la via luminosa, certa, dolce, pure essendo martirizzante, che conduce a Dio; è insomma la “via Matris”, la via percorsa dalla Madre celeste e da lei additata ai suoi figli; d) che alla “via Matris” corrisponde la “via filiorum”, la via dei figli, il 48 49
Ibid., 38-39. Ibid., 46.
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cammino cioè, che questi devono percorrere per andare al padre, perché essa fu la via di san Giovanni, il discepolo beneamato di Gesù e il figlio prediletto di Maria; e) che tale devozione è avvalorata dalle più dolci promesse della vergine benedetta…: “quanti onoreranno il mio Cuore immacolato, in punto di morte io verrò a coglierli come fiori olezzanti e li presenterò al trono di Dio»50.
nel capitolo sui fondamenti dottrinali della devozione al Cuore immacolato di Maria, p. allegra, tratta del culto da rendere: «il cuore carneo della vergine benedetta è venerabile, in quanto fin dal primo istante della sua formazione, divenne il tabernacolo dello Spirito Santo e dai suoi battiti, durante nove mesi, dipese la vita del nostro Salvatore. Ma questo cuore carneo noi lo veneriamo specialmente in quanto esso è il simbolo dell’amore perfetto, di cui Maria era accesa, verso Dio e verso il prossimo. […] però ciò non è tutto. il nostro culto al Cuore di Maria va oltre il cuore carneo e anche oltre il simbolo; esso si dirige al Cuore della Madre Celeste, in quanto è il principio totale della sua vita interiore, vita affettiva naturale, così pura e santa, vita spirituale o soprannaturale, che è come dire la vita della grazia della Madonna; grazia che, essendo vita, si sviluppò e si accrebbe sino a raggiungere altezze note solo a Dio; vita soprannaturale che comprende tutte le virtù, i carismi dello Spirito, insomma le ricchezze di Cristo, onde fu ed è ripieno questo amabile Cuore»51.
pertanto, prosegue il frate siciliano: «quando parliamo di devozione al Cuore immacolato, per CuOre s’intende il principio della vita psichica, spirituale e soprannaturale della vergine beata e cioè l’amore e la carità di Maria verso Dio e verso il prossimo, e le virtù tutte che, secondo san paolo, da tale carità derivano (1 Cor. 13) e che con essa sono sempre inseparabilmente congiunte; in una parola, tutti i misteri dell’immacolata Madre, dal suo Concepimento sino alla sua assunzione gloriosa, anzi sino all’eternità dell’eternità, perché in eterno durerà il regno di nostro Signore Gesù Cristo […]. alla luce di questi principi concludo: il culto, la devozione, la teologia del Cuore immacolato di 50 51
Ibid., 50-51. Ibid., 54-55.
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Maria è la somma di tutti i misteri, il compendio di tutte le grandezze, di tutte le virtù, di tutti i carismi della Madre immacolata. Diciamo “Cuore immacolato” per esprimere tutto ciò che è Maria nei riguardi della Santissima trinità e nei riguardi della Chiesa e di ogni singolo figlio della Chiesa. Col titolo di Cuore immacolato, la Chiesa intende parlare del suo Cuore di vergine immacolata, di Madre di Gesù, nonché madre di tutti i membri del corpo mistico del Signore e ancora del Cuore di Colei che è regina del Cielo e dell’universo: Regina Coeli, Mundi Regina»52.
interessante si presenta poi, alla luce di una citazione patristica, il rapporto che secondo p. allegra lega il Cuore di Maria alla trinità: «Già sant’ireneo chiamava la Madonna “nostra consolazione: emetera paraclesis”, cioè consolatrice, confortatrice e avvocata nostra, quasi come il paraclito. questo titolo ci inoltra nei dolci recessi del Cuore di Maria. […] mi pare che questo titolo affermi l’inseparabile e incomparabile unione di Maria col paraclito, introducendoci nella vita intratrinitaria della immacolata Madre di Gesù. lo Spirito Santo è l’amore sostanziale del padre e del Figlio, l’immacolata è l’amata e l’amante del Dio vivente, nello Spirito Santo, arsa dallo Spirito Santo-amore. per questo il suo Cuore ci si rivela somigliante, quanto è possibile a una pura creatura, al padre, al Figlio e al paraclito»53.
e sempre sul rapporto tra le singole persone della Santissima trinità e Maria immacolata, p. allegra dedica diverse pagine del suo opuscolo, citando continuamente quanto scritto da santi e mistici, diversi dei quali francescani, fino a parlare, trattando del rapporto tra Maria e lo Spirito, di una mistica identità esistente tra i due: «al di sopra di tutti i Santi l’azione dello Spirito è efficace di una indicibile efficacia in Maria. tra lo Spirito Santo e l’immacolata Maria esiste più che una intima e forte unione; esiste una mistica identità: l’azione santificatrice dello Spirito Santo è unita all’azione di Maria; dove c’è lo Spirito, ivi c’è Maria; dove opera lo Spirito, ivi opera Maria. tale azione materna di Maria 52 53
Ibid., 56-57. Ibid., 58.
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Mario Torcivia è il soffio della vita dello Spirito Santo nei membri del Corpo Mistico di Cristo. per opera dello Spirito il verbo si fece carne e nacque da Maria vergine; per l’azione congiunta dello Spirito Santo e di Maria nascono i figli di adozione. Dopo il Cuore di Gesù, il Cuore di Maria è il più pieno della carità di Dio e di tutti gli altri doni dello Spirito Santo»54.
terminata la trattazione della parte dottrinale, allegra parla della Via Matris «Con questo titolo […] si intende l’amore, l’azione di Maria Santissima, vuoi per la Chiesa, il Corpo mistico di Gesù, vuoi per ogni singolo membro di esso Corpo Mistico e anche per coloro che ancora non ne fanno parte, perché non hanno ricevuto il battesimo, ma che la immacolata Madre ama ugualmente, perché sa bene che tutti gli uomini sono amati da Gesù e sono redenti dal suo Sangue prezioso»55.
nella Via Matris, p. allegra presenta le verità riguardanti Maria, consapevole che la loro spiegazione «a volte per i dotti è un po’ laboriosa, ma il popolo cristiano, i figli devoti di Maria, ben sovente comprendono per istinto di fede, quei misteri che i teologi non arrivano subito a capire. Forse non fu così per il Dogma dell’immacolata Concezione? eppure, mentre i teologi disputavano — e anche ciò fu provvidenziale — mentre essi a volte polemizzavano, i pii fedeli credevano e vivevano di questa verità, onde giustamente l’illustre p. balić poté sostenere che in questo caso il senso del popolo cristiano fu la guida dei teologi. Così è oggi per la Mediazione universale di Maria; i teologi non hanno ancora finito le loro indagini, che d’altra parte sono necessarie, ma i fedeli vivono di questa dolce verità»56.
in ordine poi alla santificazione delle anime, allegra presenta il ruolo di Maria, luce e calore della via purgativa, illuminatrice della via illumina54 55 56
Ibid., 81. Ibid., 87. Ibid., 90.
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tiva e, infine, agente nella via unitiva, cioè nella trasformazione dell’anima in Gesù. a proposito di quest’ultimo ambito, allegra si mostra fermamente convinto che esiste l’«unione mistica col Cuore di Maria e, nel Cuore di Maria, col verbo di Dio»57 perché «il fatto che alcune sante anime hanno ricevuto il dono dell’unione mistica con Maria e nel Cuore di Maria, con Dio e col verbo incarnato, è innegabile»58. e, concordando col domenicano p. Garrigou lagrange, che segue il Montfort, allegra afferma come «tale unione mistica con Maria si risolve in una maggiore intimità dell’anima con Gesù, nel partecipare alla purità e all’umiltà di Maria, dalla quale l’anima riceve il dono dell’amore puro e una fiducia immensa in Dio, padre e amore infinito. insomma si può dire che tali anime amino Gesù col Cuore di Maria, e che si trasformino in lui, praticando specialmente quelle virtù del Cuore immacolato, che rapirono e rapiscono il Cuore di Dio vivente: padre, Figlio e Spirito Santo: la purezza, l’umiltà, la fiducia, la carità»59.
anche in queste pagine numerose sono le citazioni che il frate siciliano fa di santi e mistici che hanno scritto bellissime pagine di pietà mariana: luigi Grignion de Montfort, Stanislao Kostka, Juan Diego, Cirillo d’alessandria, Giovanni eudes, Francesco di Sales, antonio Maria Claret, leonardo da porto Maurizio, Giovanni bosco, Francesco d’assisi, ignazio di loyola, teresa d’avila, teresa del bambino Gesù, Maria d’agreda, raimondo lullo, bernardino da Siena, alfonso de’ liguori, Gabriele dell’addolorata, Massimiliano Kolbe, lucia Mangano, ecc. Sull’unione mistica col Cuore di Maria e, in Maria, col verbo incarnato, poi, allegra cita una terziaria carmelitana fiamminga, Maria di Santa teresa — «che, a mia conoscenza, è l’autrice più copiosa, per quanto riguarda l’unione mistica dell’anima con Maria»60 — concludendo: Ibid., 139. Ibid., 140. 59 L.c. 60 Ibid., 143. Dobbiamo al ven. Michele di Sant’agostino (1621-1684) le notizie sull’esperienza spirituale di Maria petyt (1623-1677), la più grande mistica mariana che si conosca. D’altra parte l’opera principale del carmelitano belga della riforma di touraine, Vita mariaeformis et mariana (tr. it.: Vita mariaforme, edizioni monfortane, roma 1982), 57 58
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Mario Torcivia «È dunque un fatto che l’anima vive in Maria e Maria nell’anima, operando, dirigendo, inclinando le facoltà di essa anima, affinché diventi perfettamente una novella creatura per Dio, una lode della sua gloria: laus gloriae! per tali anime vivere è Maria, e morire è un guadagno. Comunicando il suo Spirito a questi “figli dilettissimi”, Maria distribuisce loro i doni dello Spirito Santo-amore, secondo la vocazione dei singoli: a quelli chiamati alla vita attiva comunica i doni dell’azione, o (direi meglio con san bonaventura) della “sursumactio”, dell’operazione che nasce da Dio e che ritorna a Dio, e cioè lo spirito di grazia e di preghiera, il dono della fortezza e il dono della Sapienza; alle anime contemplative comunica piuttosto i doni della contemplazione, che sono tanto simili e tanto diversi, tanto vicini a noi e tanto sublimi, quasi simili alla scala di Giacobbe, che dalla terra saliva e giungeva al cielo. a tutte le anime però, siano esse chiamate alla vita attiva o alla contemplazione, Maria comunica una devozione tenera, dolce, adorante per la Santissima eucarestia e un amore forte, intrepido e sapiente per Madre Chiesa»61.
nella Via filiorum allegra, trattando dei doveri dei figli alla Madre, come corrispondere cioè al suo amore materno, presenta la «Guardia d’Onore del Cuore immacolato di Maria, che, assieme alla legione di Maria e alla Milizia dell’immacolata, è un movimento nato da poco dopo le apparizioni di Fatima, direi per iniziativa del Divin Salvatore, il quale vuole che i suoi fedeli trovino nel Cuore immacolato pace, consolazione, conforto. È proprio la via filiorum, il cammino dei figli, che conduce al padre Celeste»62.
allegra visse intensamente la devozione al Cuore immacolato di Maria anche perché pio xii spesse volte aveva invitato i Francescani ad dipende pienamente proprio dagli scritti spirituali di Maria di S. teresa, da lui diretta. Oltre alle voci dei dizionari, sul carmelitano rimandiamo al più recente testo edito in lingua italiana: S. pOSSanzini, La dottrina e la mistica mariana del Venerabile Michele di Sant’Agostino, Carmelitano, roma 1998; su Maria di Santa teresa, rimando a a. Deblaere, Maria Petyt, écrivain et mystique flamande, in Carmelus 26 (1979) 3-76. 61 G. M. alleGra, Il Cuore Immacolato di Maria, cit., 146-147. 62 Ibid., 150-151. la Guardia d’onore, fondata nel 1917 a Monaco di baviera dal frate minore p. bonaventura blattman, annoverò tra gli aderenti e sostenitori mons. eugenio
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esserne i promotori e l’allora ministro generale p. leonardo M. bello, il 31 maggio 1943, aveva inviato all’intero Ordine la lettera enciclica Cor Immaculatum: «questa lettera indica ai Francescani come ben si addica ad essi, che per tanti secoli furono i principali difensori dell’immacolata Concezione, che si consacrino a propagare il culto del Cuore immacolato di Maria […]»63.
per tutto questo il frate siciliano si adoperò perché i fedeli si consacrassero al Cuore immacolato di Maria: «l’espressione: consacrazione al Cuore immacolato di Maria indica soltanto più chiaramente e più soavemente la “fornace ardente di amore per Dio e per gli uomini, che è il Cuore di Maria (san bernardino) ed ancora il fascino celeste che incanta l’anima consacrata, cui ricorda ogni momento: Sii per la Madre un altro Gesù!»64.
ed ancora: «Sta ben qui l’essenza della consacrazione: guardare bene, attentamente, sempre alla Madre immacolata; il solo suo sguardo ci dirà i suoi desideri, ci aiuterà a metterli in pratica; e così compiremo generosamente e lietamente la volontà del padre»65.
alla luce di quanto finora detto, la conclusione dell’opuscolo mariano scritto dal frate siciliano non poteva essere che questa: «amare Gesù col Cuore dell’immacolata e amare l’immacolata col Cuore di Gesù!»66. pacelli, allora nunzio apostolico in Germania. Divenuto papa col nome di pio xii, la approvò nel 1931. Del movimento p. allegra fu un innamorato, estendendolo in Oriente. lo stesso frate fu anche promotore del Santuario del Cuore immacolato eretto nella repubblica di San Marino. 63 G. M. alleGra, Il Cuore Immacolato di Maria, cit., 164. 64 Ibid., 168. 65 Ibid., 169. 66 Ibid., 191.
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anche nelle memorie autobiografiche scritte un anno prima della morte, varie volte, e in diversi momenti, incontriamo riflessioni di p. allegra sul tenero rapporto e l’affettuosa devozione che lo legano alla Madre del Signore. È lei, infatti, che gli ha manifestato sempre perdono e consolazione, perché Madre dei peccatori, nonostante il frate siciliano sia stato infedele nel corrispondere a tale grazia: «Se sino ad oggi nonostante la mia debolezza, le tentazioni, gli scoraggiamenti, non sono diventato un reprobo, credo fermamente che sia una speciale grazia della Madonna, la quale mi ha sempre perdonato, mi ha consolato, mi ha confortato. Sono convinto di non aver corrisposto a tanto amore, anzi di essere stato ingrato, sordo, trascurato, negligente… eppure spero di morire perdonato, in pace col mio Salvatore, spero di assolvere ancora prima della mia morte l’opera che il Signore mi ha affidato, unicamente perché credo che la Madre di Gesù è la Madre mia, anzi perché la Madre di Gesù è la Madre dei peccatori, la scala, il rifugio dei peccatori. Confesso che se avessi corrisposto un po’ a questa grazia di sentire che la Mamma di Gesù è la nostra madre, sarei un sacerdote fedele e proteso verso la perfezione mentre sono la miseria in persona… eppure io credo nell’amore della Mamma Celeste, io credo nel suo Cuore immacolato, io voglio morire abbandonandomi alla misericordia ineffabile di questo Cuore dolcissimo… io spero sempre di cominciare un bel momento a vivere per piacere a questo Cuore immacolato, a vivere in questo Cuore immacolato per sempre»67.
pur memore di come tale devozione a Maria gli sia scaturita dai suoi religiosissimi genitori e pur consapevole che lo stesso Ordine francescano sia l’Ordine di Maria, p. allegra non tace su come il suo fervore mariano si sia un po’ affievolito quando cominciò a studiare il cinese ed iniziò il lavoro biblico «ma dopo l’inaugurazione dello Studio biblico — 2 agosto 1945 — mi pare che questo fervore sia tornato ed è mio desiderio che esso cresca sino alla morte»68. 67 68
S. OppeS, Le memorie, cit., 108-109. Ibid., 109.
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numerose poi sono state le persone, come anche i libri letti, che hanno reso il frate siciliano un fervente innamorato di Maria: «Mezzi umani o visibili che in parte spiegano tale fervore Mariano sono l’esempio della Serva di Dio Madre lucia Mangano e di alcune sue consorelle come la Signorina Maria Scalia […]. ad essa devo aggiungere l’esempio di mio padre […] e poi la lettura di certe opere mariane che mi colpirono profondamente come Le Glorie di Maria di S. alfonso dei liguori, il Trattato della vera Devozione di S. luigi Grignion de Montfort, le opere di Don Fausto Mezza e i libri del pauwles e Mariotti sulla immacolata Concezione e i Francescani, e la trilogia del Campana: Maria nel Domma e Maria nel Culto, e soprattutto l’opera del p. ludovico da Castelpiano: Maria nel Consiglio dell’Eterno… e in seguito gli atti dei Congressi internazionali promossi dal r.mo p. C. balić vere miniere di scienze e di pietà mariana»69.
per quanto riguarda poi quale aspetto di Maria, quale titolo della vergine gli fosse stato particolarmente a cuore, continua: «non sono mai stato nei riguardi della Madonna limitato a una forma o un’altra di culto: tutta la gloria e tutte le ricchezze della Madre appartengono ai figli. tuttavia non posso negare che sino al 1941 fui attratto specialmente dai dolori della Madonna e poi dall’immacolata e poi mi pare di aver trovato nel Cuore immacolato di Maria tutte le grandezze, le perfezioni, la missione, il mistero anzi tutti i misteri di Maria. non sarei francescano se non vedessi nel centro di tutti i misteri di Maria il mistero dell’immacolata, e anche oggi che mi sento a volte come preso per incantamento, come affascinato dalla Madre Celeste, dal suo Cuore di Madre, di vergine, di regina, in fondo si tratta del di lei Cuore immacolato, dell’immacolata!»70.
e parlando specificamente del Cuore immacolato di Maria, p. allegra non esita ad affermare che tale titolo può essere definito realmente la somma di ogni devozione mariana:
69 70
Ibid., 109-110. Ibid., 110.
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«dalla Germania il p. beniamino leong mi inviò del materiale riguardante la Guardia l’onore del Cuore Immacolato di Maria. ne fui letteralmente preso come per incantamento. le preghiere riportate nel Manuale tedesco della Guardia d’Onore avevano la soavità, la dolcezza, l’ardore degli antichi mistici tedeschi medievali, come S. Gertrude, S. Mechtilde, il b. enrico Suso, Fra David d’augusta… non solo ma la devozione al Cuore immacolato mi apparve come la somma di tutte le devozioni verso la Madre del Signore, come la devozione che comprendeva tutti i misteri, anzi tutto il mistero di Maria. la Guardia l’Onore del Cuore immacolato non possedeva un regolamento rigido come la legione di Maria, consisteva piuttosto nell’essere per Maria dei figli fedeli, amorosi, obbedienti. […] all’edizione sia inglese, sia cinese del Manuale [della Guardia d’Onore], premisi una prefazione, che feci anche stampare in Vita Minorum, col desiderio che l’Ordine secondo i paterni voti di S. Santità pio xii si facesse apostolo di questa devozione, che non succedeva a quella dell’immacolata, ma l’aggiornava, la completava, la rendeva, se così si può dire, più conforme ai bisogni dei tempi, e soprattutto conforme ai desideri del Cuore di Gesù, che per salvare il mondo ha voluto stabilire nel mondo questa devozione»71.
ecco perché la propagazione della devozione al Cuore immacolato di Maria rappresenta per il frate siciliano l’apostolato mariano da portare avanti oggi: «l’apostolato Mariano: per quasi 6 secoli fu quello dell’immacolata Concezione, oggi e per una conseguenza diretta della passione e della dottrina mariana dell’Ordine, mi pare debba essere quello indicatoci da Gesù per mezzo del suo vicario pio xii, quello del Cuore immacolato di Maria. […] Si può, o almeno si poteva parlare senza esagerazione della passione mariale dell’Ordine. passione Mariale che ebbe la sua suprema manifestazione durante sei secoli nel privilegio dell’immacolata Concezione. il Domma profumato dall’aroma del paradiso, che ebbe i suoi grandi martiri nel b. Giovanni Scoto e nel beato Massimiliano Kolbe… Ora a me pare che se l’Ordine vuole seguire la sua missione mariana deve proclamare, predicare, celebrare, la dignità, la missione, i misteri del Cuore immacolato di Maria. O patriarca S. Giuseppe fate comprendere questa dolce verità a tutti i figli di S. Francesco!»72. 71 72
Ibid., 124. Ibid., 189.197.
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Strettamente congiunto a tale devozione è, infine, la nascita del santuario sanmarinese, grazie all’opera del confratello p. leonardo tasselli, nel quale p. allegra ben volentieri avrebbe desiderato concludere i suoi giorni: «Mio solo contributo all’attività della Guardia è la recita della coroncina al Sacro Cuore di Gesù composta da p. pio da pietrelcina, in cui si domandano al Divin Salvatore le grazie più urgenti o che più ci stanno a cuore: ora per me la prima grazia che chiedo è quella che riguarda la Guardia d’Onore, specialmente il Santuario del Cuore immacolato di Maria a S. Marino, accanto a cui ci sarà la Sede Centrale per la Guardia per l’italia, poi passo alla grazia delle vocazioni sacerdotali e religiose, e in ultimo chiedo le grazie di cui abbisogna lo Studio biblico. Certo sono stato un servo cattivo e neghittoso della Madre immacolata. possa essa far nascere i suoi veri figli, i suoi apostoli come il b. Massimiano Kolbe, il p. bonaventura blattmann, p. pio da pietrelcina…! non mi diffondo a parlare di questo dolcissimo argomento avendo pubblicato un lungo articolo su vita Minorum (1959?) e l’anno scorso la seconda edizione aggiornata del mio opuscolo: Il Cuore Immacolato di Maria via a Dio! Confesso che quando nel 1973 tornai in italia mi seduceva il pensiero di finire la mia vita accanto al Santuario del Cuore immacolato a S. Marino, ma le insistenze dei padri dello Studio e il mio stesso modo di vedere che mi spingeva a far sempre e solo l’obbedienza, mi fecero tornare a hong Kong»73.
COnCluSiOne innanzitutto evidenzio come, nonostante il progetto di scrivere tre libri sul verbo increato e incarnato, su Maria, e sull’Ordine francescano, p. allegra ha trattato del primo tema soltanto in occasione del congresso scotistico del 1966, riprendendo, come egli stesso scrive, quanto emerso nel dialogo con teilhard de Chardin degli anni 1942-45, pur avendo manifestato, come abbiamo avuto già modo di dire, l’11 gennaio 1973, nel suo Diario, il desiderio di scrivere una biografia del Doctor subtilis. tale opera avrebbe
73
Ibid., 143.
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costituito sicuramente per il frate siciliano la felice occasione per fissare in modo compiuto anche la propria riflessione sul pensiero di Duns Scoto. le ultime pubblicazioni di p. allegra riguardano pertanto il rinnovamento dell’Ordine francescano (1970) e la mariologia (1973), a parte ovviamente le Memorie (1975) inerenti allo Studio biblico, alcuni articoli sul lavoro scritturistico portato avanti e alcune prefazioni a testi scritti da alcune figure spirituali a lui contemporanee, quali Maria valtorta74 e don Dolindo ruotolo75. nonostante l’assenza di un testo su Scoto, è indubbio che p. allegra sia stato pienamente discepolo del francescano scozzese, al punto che possiamo affermare tranquillamente come tale discepolato abbia costituito per il frate siciliano uno dei fattori di unità della sua vita e della sua spiritualità. ho presentato infatti l’intimo rapporto che ha legato questo frate del Medio evo con il lavoro scritturistico portato avanti dallo Studio biblico cinese. abbiamo visto anche come la centralità scotiana del mistero dell’incarnazione abbia costituito l’ossatura teologica — e quindi anche spirituale, per la profonda unità di vita realizzata — di p. allegra sia in occasione dei dialoghi col p. teilhard, sia in ordine alla profonda devozione nei riguardi dell’immacolata. Mi sembra interessante notare, e mi rifaccio al commento di p. Gabriele dopo la nomina a socio della Societas Internationalis Scotistica, anche l’apporto della devozione del frate siciliano nei riguardi di Giovanni Duns Scoto in ordine a quella che potremmo definire la sua concezione sulla spiritualità del lavoro. per p. Gabriele, infatti, tale tematica era concretizzata in grande parte dalla santificazione dello studio. riguardo infine al dialogo col gesuita francese, possiamo senza ombra di dubbio affermare che gli incontri pechinesi del 1942-45 rappresentino il luogo nel quale p. allegra ha avuto modo di esporre dettagliatamente la concezione scotiana del primato assoluto di Cristo e della redenzione dell’uomo per gratuità di amore divino. temi che costituiscono il punto centrale della riflessione e della spiritualità cristologica del frate siciliano. presentazione a: M. valtOrta, Il poema dell’Uomo-Dio, in Bollettino d’informazione della Tipografia Editrice M. Pisani, isola del liri (Frosinone) n. 6 (set. 1972), 1-4. 75 prefazione a: D. ruOtOlO, Il piccone che scava i brillanti, Sessa aurunca (na) 1974. 74
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Mi piace evidenziare come la riflessione scotiana sul primato assoluto di Cristo sia oggi percepita come complementare a quella redentiva del peccato umano di tommaso e dei tomisti: «Cristo, quale verbo incarnato, è il fine di tutto l’universo, è il centro della storia umana e il compimento di tutta la rivelazione. l’incarnazione in tal senso acquista il valore di primato sulla creazione e sulla redenzione; ha valore in se stessa come capolavoro dell’infinita sapienza di Dio. essa è stata pensata e voluta da Dio fin dalle origini prima di ogni altra opera. tuttavia ciò non deve attenuare il fatto fondamentale che il verbo si è incarnato per la nostra redenzione, per riscattare l’umanità dal peccato. l’incarnazione, come si è realizzata concretamene, è ordinata alla salvezza degli uomini. questo non comporta che l’incarnazione sia subordinata alla salvezza degli uomini e al loro peccato, quasi che il verbo incarnato dipendesse dal peccato dell’uomo. Cristo è la salvezza e la pienezza della vita; e lo è principalmente e solo perché egli è il Figlio di Dio fatto uomo. la volontà salvifica di Dio si è realizzata in Cristo e per Cristo; e tutto il resto è frutto e conseguenza di quel dono iniziale e fondamentale. tale verità è stata affermata sia dalla Scrittura, la quale ha congiunto i due aspetti, sottolineando il rapporto che esiste fra la prima creazione e la redenzione, fra il primo adamo caduto nel peccato e il nuovo adamo, che ha liberato e trasformato l’uomo; sia dai padri della chiesa, sia dalla professione di fede che la chiesa ci propone: è disceso dal cielo per noi uomini e per la nostra salvezza. a questo punto si può capire come la causa e il fine dell’incarnazione vadano ricercate sia nell’opera di Cristo per liberare l’umanità dal peccato, sia nell’attuazione del suo primato su tutte le cose. questi due aspetti, che sono complementari della stessa finalità divina, non sempre sono stati considerati in questo rapporto di complementarietà»76.
per quanto riguarda la riflessione mariologica, e specificamente sul Cuore immacolato di Maria, mi colpisce la tenera e affettuosa devozione che ha legato p. allegra alla Madre del Signore e la consapevolezza che tale culto non solo non attenta quello nei riguardi del Signore Gesù ma lo rafforza e lo intensifica. Mi impressiona positivamente il gran numero di autori, francescani e non, che allegra cita per supportare l’importanza della devozione al Cuore 76 r. lavatOri, L’Unigenito dal Padre. Gesù nel suo mistero di «figlio», bologna 1983, 292-293.
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immacolato di Maria, somma di ogni devozione mariana e, per questo, apostolato mariano contemporaneo per eccellenza. Sono autori che hanno scritto delle bellissime pagine di devozione mariana che hanno nutrito abbondantemente il frate siciliano e che gli hanno permesso di arrivare a parlare di mistica identità esistente tra lo Spirito Santo e Maria e dell’unione mistica che si realizza tra il credente e il Cuore di Maria e, in esso, con lo stesso verbo di Dio. Sempre parlando della devozione mariana in p. allegra sottolineo la fedeltà al Magistero che, anche in questo campo, ha contraddistinto il frate siciliano. Se il papa chiede all’Ordine francescano di essere promotore della devozione al Cuore immacolato di Maria e se il Ministro generale si fa eco dei desiderata papali, allora non si può che prestare, volentieri e con gioia, obbedienza. tenerissime, infine, le considerazioni su Maria scala che permette ai peccatori di raggiungere il cielo. Certo sono consapevole che alcune espressioni possono oggi risultare un po’ al limite rispetto al linguaggio che il Concilio ed alcuni documenti mariani — penso, ad esempio, alla Marialis cultus di paolo vi — invitano ad avere per manifestare in modo conveniente la devozione dei cristiani nei riguardi di Maria. Ma p. allegra è pienamente frate francescano e per questo avvinto da quella “passione mariale”, come egli stesso la definisce, che caratterizza l’intero Ordine. Mi auguro, quindi, che alcune sue considerazioni, modi di orazione e forme di devozione mariana non offuschino l’autenticità dello spirito mariano di p. allegra. Molto saggiamente dobbiamo sapere cogliere il nocciolo delle affermazioni anche se le formulazioni linguistiche possono sembrarci oggi — e forse lo saranno — obsolete. Credo, infine, che si possa serenamente affermare, senza paura di smentite, che tutte le altre dimensioni della spiritualità di p. Gabriele — presbiterale, missionaria, della parola, del lavoro, ecc. — promanino e afferiscano a quella cristologica e mariologica perché Cristo e Maria hanno costituito per il frate siciliano i due pilastri fondanti e portanti l’edificio teologico-spirituale della sua vita di credente e di frate francescano. p. allegra ha vissuto infatti in modo unificato preghiera e studio, solitudine e missione, amore per Cristo presente nella parola e amore per Cristo presente nei fratelli, specialmente quelli maggiormente bisognosi.
Linee teologiche della spiritualità di p. Allegra
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Concludo con una notazione personale e con la citazione di una pagina di p. Gabriele che manifesta bene il suo ricco spessore spirituale. avevo sentito parlare di p. allegra quand’ero piccolo, perché da adolescente — saranno stati gli anni 1975-1980, se non ricordo male — ho fatto parte del settore giovani di Crociata del vangelo, il movimento ecclesiale di ispirazione francescana fondato da p. placido rivilli. la mia conoscenza di p. Gabriele era pertanto parziale perché relativa soltanto alla notizia della traduzione in cinese della Sacra Scrittura. Desidero ringraziare, pertanto, lo Studio teologico S. paolo che mi ha invitato a tenere la presente relazione in occasione di questo Convegno di studio su p. allegra, perché la conoscenza della sua vita e dei suoi scritti mi hanno fatto incontrare un frate siciliano, piccolo per altezza, ma grande per fede, speranza e carità, che ha vissuto autenticamente la sequela Christi nell’Ordine fondato da san Francesco, donandosi totalmente allo studio, ma anche alla predicazione, all’assistenza dei malati, alla direzione spirituale, perché uomo di assidua preghiera. penso che p. Gabriele abbia realizzato così in modo pieno il motto del beato leopoldo da Gaiche, frate minore perugino del xviii-xix secolo, che tante volte ritroviamo tra gli scritti del nostro conterraneo: «in solitudine Deum quaerere et in medio populi tui salutem operari». ed ecco infine la citazione, epifanica del suo essere uomo evangelico. Siamo nel gennaio 1970, a Macau: «quando l’anima si è stabilita nella pace, cioè vive nella grazia, non le resta che un ideale, che solo nella Casa del padre potrà attuarsi pienamente: crescere nella cognizione e nell’amore del Signore Gesù. tale cognizione e tale amore per Gesù è inseparabile dall’amore e dalla cognizione per il padre, ed è un dono dello Spirito Santo amore, e dello sforzo generoso dell’anima. “per te sciamus da patrem noscamus atque Filium. teque utriusque Spiritum credamus omni tempore.” preghiera allo Spirito, pia meditazione della Sacra Scrittura che ci rivela sempre più pienamente Gesù, pratica del vangelo — qui scit veritatem venit ad lucem — ecco i mezzi per crescere nella conoscenza e nell’amore del Salvatore. Ma fra essi il principale che ci riguarda è questo: fare la verità, cioè: praticare il vangelo»77.
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aGMa, MS ii D/3,
7 gennaio [1970].
il COnteStO Della Santità etnea: Fra’ Gabriele alleGra e luCia ManGanO SalvatOre COnSOli*
Fra’ Gabriele Maria allegra, conosciuto per il suo impegno in Cina e per la sua attività biblica oltre che per la santità della vita, ebbe un forte legame con l’ambiente familiare ed ecclesiale in cui visse e del quale fu una luminosa manifestazione: questa comunicazione guarda con particolare interesse a tale contesto nel quale egli fonda le sue radici e al quale ha consapevolmente attinto durante tutta la sua vita. l’intervento, innanzitutto, darà uno sguardo alla famiglia di p. allegra; poi si soffermerà sul suo rapporto con la venerabile lucia Mangano, sua concittadina, senza tralasciare la rete di relazioni con la chiesa locale, di cui si coglierà qualche aspetto significativo. il venerabile allegra, oltre ad arricchire la chiesa di Sicilia, e particolarmente quella che si estende alle falde dell’etna, ne è un figlio devoto e un frutto prelibato. questa comunicazione ha la presunzione, attraverso ovviamente la auspicabile amplificazione del convegno, di indicare nuovi percorsi alle ricerche che certamente non mancheranno sulla figura e sull’opera di p. allegra. 1. Gabriele alleGra e la FaMiGlia 1.1. I genitori ritengo vera e, quindi, da prendere in seria considerazione, la convinzione di p. leone Murabito, cugino e intimo di p. allegra, sulla neces-
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Docente ordinario di teologia morale presso lo Studio teologico S. paolo di Catania.
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sità di mettere in luce «la esemplare, semplice, umile, luminosa vita dei suoi genitori»1: ciò perché «È nella famiglia che gli ha dato la vita che van cercati la radice, il germe, il segreto della sua stupenda crescita umana e spirituale e, soprattutto, l’anima della sua spiritualità […] la vita e la santità di p. Gabriele si illuminano e meglio si comprendono attraverso la vita, la spiritualità e la santità dei suoi genitori»2.
Giovanna e rosario allegra hanno vissuto il matrimonio come luogo e via alla santità, facendo della loro casa una chiesa domestica a motivo della fede, della preghiera, della lode, del sacrificio che vivevano e che trasmettevano ai loro figli: con la parola e con l’esempio hanno educato i loro figli iniziandoli ai valori della vita cristiana. hanno vissuto la «santità ordinaria», cioè nella vita di ogni giorno in modo semplice e umile3: il loro matrimonio e la loro famiglia si possono ben leggere alla luce dell’insegnamento che ha dato il vaticano ii sulla «Chiesa domestica» e sulla santità4. i genitori, con la loro fede profonda e viva, con la testimonianza delle virtù crearono quell’ambiente nel quale regnava realmente il Signore e si respirava un’atmosfera di alta spiritualità5; è dovuto proprio a questo se p. Gabriele scriverà: «Certi altri santi hanno fatto diversamente, ma io voglio essere uno di quei santi che amano i loro parenti e manifestano il loro amore»6.
egli è rimasto legato alla famiglia, ed è proprio questa radice che gli ha consentito di portare i frutti che la Chiesa ammira e gode. Fra’ Gabriele allegra è stato opportunamente descritto come un cristiano dalla l. MurabitO OFM, P. Gabriele M. Allegra oFM nei miei ricordi, pro manuscripto, 1. L.c. 3 Cfr. ibid., 43-44. 4 Cfr. ad esempio: Lumen gentium, 40-42; Gaudium et spes, 48-50. 5 per quanto riguarda la vita di fede e l’educazione cristiana della famiglia allegra se ne veda la descrizione in: Positio super virtutibus, xv teste rev. p. leone Murabito, 346-350. 6 lettera ai genitori, 24 febbraio 1930. 1 2
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«unitarietà armonica […] capace di amare Cristo e la Madre immacolata con un amore nutrito della teologia di Scoto, ma anche della pietà semplice imparata da fanciullo; capace di amare per tutta la vita i genitori e gli altri familiari, gli amici […] un uomo che riesce ad amalgamare la eccezionale cultura con la santa semplicità […] “piccolo grande siciliano”»7.
erano in parecchi ad avere la convinzione che «la famiglia degli allegra è una famiglia santa»8: era un ambiente fervido di spiritualità dove i figli crescevano poveri di mezzi ma ricchi di Dio. Fra’ Gabriele scriverà un giorno: «Siamo figli di santi. io, i miei genitori li metterei nelle litanie dei santi»9; e ancora: «Certo che nel santo paradiso ci sono tanti santi che mi vogliono bene e che mi aiutano e fra essi il primo è il nostro amato padre»10.
la coscienza di quanto doveva alla famiglia è bene espressa nel saluto che soleva dare ai familiari ogniqualvolta ripartiva per la Cina: «Siamo figli di santi, facciamoci santi!»11. Fra’ Gabriele parla sempre della devozione della sua famiglia alla Madonna ed espressamente attribuisce la sua all’esempio di suo padre12: chiama la Madonna della ravanusa «la mia Madonna, la Madonna, verso la quale la nostra famiglia tuttora nutre tanta devozione»13. ed è a questa “sua” Madonna che fa «un discorso parecchio arruffato, nel quale io promettevo di lavorare alla traduzione della bibbia, ma le facevo pure presenti […] le mie deficienze: 7 G. CarDarOpOli, Presentazione a u. CaStaGna, La parola è seme. Vita di P. Gabriele M. Allegra francescano, assisi 1997, 13. 8 a. CaSini, P. Gabriele M. Allegra oFM Il S. Girolamo dell’estremo oriente, repubblica di San Marino 1978, 19. 9 u. CaStaGna, La parola è seme, cit., 34. 10 lettera del 23 agosto 1948, in Lettere del P. Gabriele Allegra ai genitori, pro manuscripto, presso p. l. Murabito OFM, 218. 11 l. MurabitO OFM, P. Gabriele M. Allegra oFM nei miei ricordi, cit., 1. 12 S. OppeS, Le memorie di fra’ Gabriele M. Allegra oFM. Il “san Girolamo” della Cina, Città del vaticano 2005, 109. 13 Ibid., 71.
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Salvatore Consoli non conoscevo ancora abbastanza bene l’ebraico […] che non sapevo nulla di cinese […] mi parve che essa mi comprendesse, mi benedicesse e mi promettesse la sua materna assistenza»14:
p. Gabriele attribuisce la riuscita de «l’opera della mia vita: la versione della bibbia in cinese»15 espressamente all’intervento della Madonna, supplicata a tal fine oltre che dai suoi familiari anche da lucia Mangano16; sente pertanto il bisogno di ringraziarla al compimento di ogni tratto del lavoro. in una lettera ai familiari p. Gabriele scrive: «la nostra famiglia è stata ed è amata dalla Madonna»17. afferma con convinzione: «il Signore vuole che la nostra famiglia sia come la famiglia di lazzaro, vuole in una parola essere l’assoluto padrone di casa, facciamolo fare!»18.
e ancora scrive «Cari genitori, la nostra famiglia assomiglia a una di quelle galilee che ai tempi di Gesù ebbero la sorte invidiabile di vedere il Maestro, di accoglierlo sotto il tetto, di ascoltare da lui parole di vita e di consolazione. Gesù visita anche oggi la nostra casa con grazia sopra grazia, ascoltiamolo»19;
e continua: «ringrazio sempre il buon Gesù che mi ha dato genitori così cristiani e lo prego che vi benedica, genitori amatissimi, affinché la nostra casa sia come la casa di lazzaro, Marta e Maria a betania dove egli trovava immancabilmente dei cuori amici»20.
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Ibid., 71-72. Cfr. ibid., 61. Cfr. ibid.,158, 165. Ottobre 1926, in Lettere del P. Gabriele Allegra ai genitori, cit., 20. novembre 1926, in ibid., 26. 16 marzo 1929, in ibid., 61-62. 18 novembre 1929, in ibid., 80.
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e insiste: «Gesù vuole che la nostra famiglia sia una famiglia di suoi amici intimi affinché scacciato da tanti cuori trovi nei nostri l’amore che cerca invano altrove»21.
evocando il papà scrive alle sorelle: «noi siamo figli di santi e non conviene che serviamo il Signore con tiepidezza, ma dobbiamo farlo con fervore e con generosità»22.
parlando della sua permanenza a S. Giovanni la punta nel suo ritorno in italia nel 1949, annota che «soprattutto mi edificò la semplice e robusta fede di mia madre, di mio fratello Sebastiano e di tanti cari parenti»23:
mamma Giovanna, che ha vissuto una vita santa, diceva al figlio fra’ Gabriele «facciamoci santi!»24. il legame spirituale tra p. Gabriele e i membri della famiglia si manteneva e si approfondiva attraverso una corrispondenza epistolare frequente, viva e dai chiari contenuti biblici e spirituali; abbondano anche la partecipazione di esperienze di vita spirituale, di attività apostoliche e le informazioni sull’andamento della traduzione della bibbia e la continua richiesta di aiuti spirituali per il compimento di tale opera. per quanto riguarda la vita cristiana dei fratelli e sorelle di p. Gabriele si veda la descrizione che ne fa il cugino p. leone25.
21 lettera del 30 dicembre 1930, in ibid., 109; una sintesi delle lettere nelle quali p. allegra esprime il giudizio sulla vita santa della sua famiglia si trova in l. MurabitO OFM, P. Gabriele M. Allegra oFM nei miei ricordi, cit., 81-82. 22 lettera del 10 gennaio 1948, in Lettere del P. Gabriele Allegra ai genitori, cit., 214. 23 S. OppeS, Le memorie di fra’ Gabriele M. Allegra oFM. Il “san Girolamo” della Cina, cit., 116. 24 Cfr. l. MurabitO OFM, P. Gabriele M. Allegra oFM nei miei ricordi, cit., 33. 25 Ibid., 26s.
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1.2. Il fratello Gioacchino Gioacchino26, il fratello minore, seminarista, muore diciannovenne: a motivo della sua bontà e della sua pietà ha fatto dire di sé che era un altro s. luigi Gonzaga, un altro s. Stanislao Kostka e un altro s. Giovanni berchmans27. i Superiori del Seminario di Catania ne hanno parlato come di un “angelo”, di un “santo”, di un “ambasciatore” presso Dio28 e analoga presentazione risulta dalle testimonianze dei familiari29. p. Gabriele lo seguì da lontano, con delle lettere semplici e affettuose30: gli è più vicino nella sua permanenza in italia dal giugno 1939 all’ottobre 194031. la stima di p. allegra per il fratello la troviamo manifestata in una lettera: «l’epigrafe posta sulla tomba del nostro indimenticabile Gioacchinello è bella ma non mi è piaciuto quell’accenno a me che non lo merito affatto. Magari la Madonna mi conceda di poterlo imitare nelle sue virtù […] e la nostra buona sostituta è andata pure in Cielo! Sarà nostra protettrice assieme al nostro caro Gioacchino»32.
e in un’altra lettera ai familiari scrive uno dei suoi borbottamenti con la Madonna nel quale esprime i suoi sentimenti profondi: «Madre mia, tu sai che sono un povero peccatore. non ti sbagliare, io non
26 ultimo figlio della famiglia allegra, nasce il 5 settembre 1925 a S. Giovanni la punta dove muore il 21 aprile 1944 27 Cfr. a. CaSini, P. Gabriele M. Allegra oFM, cit., 20. 28 vedi le testimonianze in l. MurabitO, Un dono di Dio alla Chiesa. Gioacchino Allegra seminarista, pro manuscripto, 8-11. 29 Cfr. l. MurabitO OFM, Riflessioni e ricordi dei familiari, pro manuscritpo; cfr. anche iD., P. Gabriele M. Allegra oFM nei miei ricordi, cit., 163. 30 Cfr. le lettere di p. allegra in Lettere e testimonianze, pro manuscripto presso p. l. Murabito OFM. 31 Cfr. l. MurabitO, Un dono di Dio alla Chiesa, cit., 30-31. 32 lettera dell’1 marzo 1947, in Lettere del P. Gabriele Allegra ai genitori, cit., 208.
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ho le virtù di Madre lucia, o di mio fratello Gioacchino, e quindi se non vuoi vedermi impaziente, vienimi in aiuto!»33.
e scrive ancora: «l’indomani dell’assunta è la festa dello zio parroco e del nostro caro Gioacchinello. la mamma nell’ultima sua lettera mi parlava ancora di lui con tanta commozione che se io, finita la pubblicazione della S. Scrittura, avessi a tornare in italia voglio scrivere una piccola vita di questo angioletto»34.
1.3. La sorella Sarina Sarina allegra35, il cui ricordo è ancora vivo nella stima di amici e conoscenti che la considerano come modello di vita cristiana, ebbe come padrino al battesimo il fratello Giovanni mentre si preparava a diventare frate minore. Fin dalla preparazione alla prima comunione ha avuto vicino lucia Mangano che tanto influsso ha avuto nella sua vita: la Mangano e il fratello Gabriele le propongono la meta della santità e la incoraggiano e la sostengono in tale cammino36. il fratello che le ha indicato la vetta del Calvario come meta della sua vocazione e del disegno di Dio su di lei, l’assiste con molta delicatezza in tale dolorosa salita, come chiaramente si evince dalla ricca e profonda corrispondenza che intercorre tra di loro37: le lettere rivelano l’intimo delle loro anime e i segreti dei loro cuori: pur vivendo lontani e in situazioni diverse erano animati dagli stessi ideali evangelici e sostenuti dalla stessa fede e dallo stesso amore. lettera del 27 febbraio 1950, in ibid., 228. lettera del 10 agosto 1951, in ibid., 245. 35 nasce il 7 febbraio 1917 a S. Giovanni la punta dove muore il 18 gennaio 1970, è la quinta figlia della famiglia allegra. 36 Cfr. l. MurabitO OFM, Il canto della volontà di Dio. Profilo spirituale di Sarina Allegra, pro manuscripto, 4-12. 37 Cfr. lo stralcio delle lettere di Sarina al fratello Gabriele e quelle di lui alla sorella in ordine cronologico in l. MurabitO OFM, Il canto della volontà di Dio, cit., 80-94; 95-103; 33 34
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note particolari della sua vita sono state il mistero della sofferenza in conformità a Cristo Crocifisso e l’abbandono alla volontà di Dio: «preferisco essere un verme facendo la volontà di Dio che un angelo nel Cielo facendo la mia»38 ha scritto al fratello Gabriele. «Fare la volontà di Dio» è l’eredità che Sarina lascia al fratello Gabriele, dopo averne fatto la ragione della sua vita e la forza del suo operare: lei che sempre aveva chiesto, ottenendola, luce al fratello, ora la ricambia prendendola dalla pienezza della sua pace e della sua gioia39. il suo letto di dolore e la sua morte diventano una cattedra non solo per quanti la vanno a trovare ma anche per il fratello che si trova in Cina; p. allegra riassume la vita e la spiritualità di Sarina scrivendo «Si sforzò di compiere sempre la santa volontà di Dio»40: è logico che abbia ereditato dalla sorella tale insegnamento per la propria vita. p. Gabriele ad un mese dalla morte di Sarina annota nel suo diario: «Come mai questa animuccia piacque tanto al Signore? Senza dubbio perché si sforzò di compiere sempre la sua volontà […] ha lasciato dietro di sé l’odore delle virtù evangeliche»41.
la stima che ha di Sarina la esprime nella convinzione della sua capacità di intercessione: «Colui che ci ama, per la di lei intercessione mi libererà dal male passato, presente e futuro. Cioè mi accorderà il perdono delle colpe, l’amore alla volontà di Dio e una santa morte. È questa l’unica via di diventare quel buon sacerdote che essa pensava che io fossi…»42.
cfr. pure la raccolta di lettere curata da l. Murabito, pro manuscripto; cfr. ancora ad esempio viCe-pOStulaziOne, Epistolario, tomo 36, 58-63. 38 lettera del 19.21marzo 1947, in l. MurabitO OFM, Il canto della volontà di Dio, cit., 84. 39 Cfr. l. MurabitO OFM, Il canto della volontà di Dio, cit., 38-39. 40 Ibid., 76. 41 Ibid., 69. 42 lettera del 1 febbraio 1970, in l. MurabitO OFM, Il canto della volontà di Dio, cit., 69.
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1.4. Lo zio parroco: mons. Gioacchino Guglielmino43 p. allegra parlando della sua permanenza in italia nel 1939-1940 dice che: «lasciando l’italia portai nel cuore la dolce e segreta convinzione di aver conosciuto una santa e dei sacerdoti piissimi e fra questi lo zio teneva il primo posto, per la sua pietà intessuta di poche belle parole e di molte buone opere […] Detta convinzione mi si ribadì nel cuore ancora di più nel 1949, quando venuto in italia […] passai in Sicilia e quindi accanto allo zio una ventina di giorni […] rapido fu il mio soggiorno nel ’60, ma tale da accrescere la mia persuasione che lo zio sotto il suo modo di fare dimesso e faceto, fosse un sacerdote santo […] nel ’66 passai tre settimane con lo zio. egli era già fisicamente stanco, ma il cuore gli restava giovane, anzi ringiovaniva ogni giorno sempre più […] Sempre, ma specialmente nel ’66 cercai di non perdere nessuna delle sue parole e delle sue prediche, perché mi pareva che lui spiegasse così, con profonda semplicità il vangelo, perché lo viveva»44.
p. Gabriele confessa: «benedico il giorno in cui mi proposi, e ciò fu nel 1955, di conservare le lettere dello zio, giacché sentivo un segreto presentimento che forse un giorno sarebbero state utili per tracciare il profilo di questo sacerdote secondo il cuore di Dio, di questo umile e fedele ministro del vangelo […] purtroppo parecchie le ho perdute»45.
per il venerabile la motivazione di questa continua corrispondenza è duplice: «e l’affetto che ci lega e il desiderio di confortarci a vicenda nel divino servizio»46. 43 nasce a S. Giovanni la punta il 14 dicembre 1893 dove muore il 25 febbraio 1969. Ordinato presbitero il giorno 8 settembre 1917, sarà parroco a S. Giovanni la punta per un quarantennio. 44 G.M. alleGra OFM, … Memoriale tuum in desiderio animae, in Lucia Mangano, Selezione, quinto quaderno dedicato a «Mons. Gioacchino Guglielmino parroco della Serva di Dio», istituto delle Orsoline, S. Giovanni la punta 1970, 30-31. 45 Ibid., 32-33. 46 Ibid., 33.
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nelle lettere dello zio, pur essendo brevi, il nipote fra’ Gabriele trova «la misura e la manifestazione della sua vita interiore, senza fantasticherie e senza involuzioni, per me queste lettere posseggono il fascino inconfondibile della semplice verità e della vera semplicità. È l’anima di un pio sacerdote che pur scrivendo sempre in fretta e senza alcuna pretesa stilistica, vi si disvela luminosamente»47.
per quanto riguarda la spiritualità dello zio parroco fra’ Gabriele annota: «lui non appartenne a nessuna scuola spirituale all’infuori di quella del vangelo e cioè cercò sempre di compier la volontà di Dio, su cui batteva di continuo […] esercitandosi nella soda umiltà e nella pazienza […] ricorreva alla Madonna con la fiducia di un bimbo […] il suo amore per la Santa Madre Chiesa, la devozione al papa, la filiale obbedienza al vescovo mi meravigliavano […] si parlava delle tribolazioni dei sacerdoti e mi disse che questi erano i mezzi, anzi i tesori messi a portata di mano per santificarci e per santificare»48.
p. allegra trascrive uno stralcio delle lettere dello zio in ordine cronologico49 da dove appare la sua anima presbiterale, le esortazioni che dà al nipote a vivere il suo ministero e il sostegno a che porti a compimento l’opera della traduzione della bibbia in cinese. emerge ovunque come p. allegra abbia ricevuto un significativo influsso per la sua vita cristiana e per il suo impegno ecclesiale proprio dallo zio parroco: attraverso un esame attento dell’espistolario ritengo che si possano evidenziare le note caratteristiche ereditate dallo zio.
Ibid., 35. Ibid., 35-36. 49 Cfr. G.M. alleGra OFM, … Memoriale tuum in desiderio animae, cit., 37-79; cfr. pure alcune lettere in viCe-pOStulaziOne, Epistolario, tomo 26, 1-75. 47 48
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2. Gabriele alleGra e luCia ManGanO p. Gabriele fa risalire la sua conoscenza di lucia Mangano alla sua fanciullezza legandola alla chiesa della ravanusa «la chiesa della nostra Madonna, vorrei dire della Madonna della nostra famiglia», dove lucia assisteva alla Messa servita da lui: e gli rivolgeva la domanda: «“Giovanni, cosa farai quando sarai grande”? ed io: “mi farò sacerdote”. a questa risposta seguivano sante parole e un luminoso sorriso»50.
Da studente francescano durante le vacanze si recava spesso da lucia e parlavano di vita religiosa, dei mezzi della perfezione e afferma: «Mi pareva che essa seguisse la mia vocazione […] Oggi posso dire che più che seguirla, la salvò […] devo confessare che mi sentivo come attratto da lei»51.
nel mese di agosto del 1930 p. allegra, dopo l’ordinazione presbiterale, si reca a S. Giovanni la punta e annota: «Durante quelle poche settimane che rimasi in Sicilia per la festa della prima Messa, potei conoscere meglio la profonda cristiana pietà dei miei genitori, della nonna materna paola […] ma soprattutto conobbi, non del tutto anzi non molto, ma tanto quanto bastò a farmi convinto della sua speciale santità, Madre lucia Mangano […] mi condusse lo zio parroco a visitarla. non so, ma ebbi la sensazione di trovarmi di fronte a un’anima straordinaria […] la Madre lucia era un angelo in carne. Scrivo con immenso piacere queste parole di ricordo per dire che le preghiere della Serva di Dio mi aiutarono e forse mi ottennero la vocazione sacerdotale e poi, […] che la Madre mi ha aiutato con le sue preghiere nell’opera della traduzione della bibbia in cinese, di cui potè vedere il primo volume cioè i Salmi, manifestando tanta gioia; pochi giorni dopo il 10 novembre 1946 essa moriva»52.
G.M. alleGra OFM, I miei ricordi di Lucia Mangano, pro manuscripto, Gerusalemme 24 aprile 1955, 2. 51 Ibid., 3. 52 S. OppeS, Le memorie di fra’ Gabriele M. Allegra oFM, cit., 69-70. 50
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nel primo periodo della sua permanenza in Cina, in mezzo alle nascenti immancabili difficoltà confessa: «mi consolava e mi stimolava fortemente il sapere che le Orsoline pregavano per me e che Madre lucia domandava assiduamente mie notizie e mi assicurava l’aiuto delle sue orazioni»53.
lucia Mangano per lo spazio che ottiene nel cuore di p. Gabriele spicca indubbiamente tra le persone che sostengono lui e la sua missione54. nel 1939, nel suo ritorno in italia, a S. Giovanni la punta annota p. allegra «ebbi la gioia di parlare a lungo con la Serva di Dio Madre lucia Mangano […] la Madre esultava per l’opera della versione cinese della Scrittura […] discretamente e dolcemente cercava di farmi crescere nella conoscenza e nell’amore della Madre Celeste […] mi disse: se lei si fa apostolo della Madre addolorata non passerà per il purgatorio»55.
Se in modo particolare fino al 1941, come lui stesso confessa, fu attratto specialmente dai dolori della Madonna, ciò si deve certamente all’influsso di lucia56. parlando della sua devozione alla Madonna, p. allegra riconosce che «mezzi umani o visibili che in parte spiegano tale fervore mariano sono l’esempio della Serva di Dio Madre lucia Mangano e di alcune sue consorelle come la Signorina Maria Scalia, sorella di Mons. G. Scalia primo direttore della Serva di Dio»57.
G. M. alleGra OFM, I miei ricordi di Lucia Mangano, cit., 4. Cfr. u. CaStaGna, La parola è seme, cit., 114. 55 S. OppeS, Le memorie di fra’ Gabriele M. Allegra oFM, cit., 91-92; cfr. anche G. M. alleGra OFM, I miei ricordi di Lucia Mangano, cit., 6. 56 Successivamente la sua devozione si concentrerà maggiormente prima sull’immacolata e, poi, sul Cuore immacolato di Maria. 57 S. OppeS, Le memorie di fra’ Gabriele M. Allegra oFM, cit., 109; cfr. anche G. M. alleGra OFM, I miei ricordi di Lucia Mangano, cit., 9. 53 54
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Fra’ Gabriele allegra annota ancora che fu invitato dalla Mangano a recitare il breviario passeggiando lungo il viale di Casa S. angela nel quale, come saprà successivamente, avevano camminato Gesù e la Madonna insieme a lucia58: tale episodio è segno della stima che la Serva di Dio nutriva per il nostro venerabile. nel dicembre del 1940 «celebrai alla casa di Sant’angela e al vangelo parlai dell’addolorata. la Madre ne rimase commossa, mi ripetè: “predichi sempre così!” Mi promise l’aiuto delle sue preghiere […] ci salutammo […] Mi sfolgorò il suo celestiale sorriso, spero che mi abbia benedetto, e partii. quando tornai nell’autunno del ’49 dovevo pregare sulla sua tomba»59.
Dopo aver appreso la notizia della morte di lucia, p. allegra confessa: «Cominciai a ripensare ai nostri colloqui del 39/40 a certe sue parole semplici e profonde, che acquistavano un senso quasi nuovo: così mi si svelò almeno in parte il suo mistero»60:
conseguentemente «nelle conferenze spirituali, che davo ad alcune comunità religiose […] cominciai a parlare di lucia, a diffondere la sua dolcissima preghiera alla Madonna»61.
e non esita ad affidare lo Studio biblico anche a lucia Mangano «per ottenere tutte le grazie di ordine materiale, sanità fisica, gioia fraterna, elemosine per soddisfare ai debiti […] nella sala principale dello Studio feci appendere una bella immagine di Madre lucia»62. 58 59 60 61 62
Cfr. G. M. alleGra OFM, I miei ricordi di Lucia Mangano, cit., 8. Ibid, 10. Ibid., 11. L.c. Ibid., 11-12.
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in una lettera all’arcivescovo G.l. bentivoglio, parlando del processo di beatificazione di lucia, dice «che ebbi la fortuna di conoscere e da cui fui tanto beneficato e amato»63. nel suo ritorno in italia nel 1949 va in Sicilia, egli dice «per pregare sulla tomba di mio padre e di Madre lucia Mangano. la Serva di Dio era già stata tumulata nella Cappella della Casa di S. angela, dove si sarebbe detto che era ancora viva, tanto fortemente si sentiva il suo spirito e il suo esempio»64
e passa i giorni di permanenza a S. Giovanni la punta soprattutto in compagnia dei direttori spirituali della Mangano. Della Mangano p. Gabriele confessa: «mi è impresso profondamente nel cuore il suo abbandono filiale alla volontà santa del padre Celeste e il suo amore per la Croce del Salvatore»65:
si tratta di due note caratteristiche della spiritualità del p. allegra che mutua dalla esperienza cristiana di lucia. in una lettera a p. Generoso in occasione della pubblicazione del secondo volume della vita di lucia Mangano, p. allegra sottolinea, al di là degli aspetti mistici, gli elementi essenziali della vita cristiana della Serva di Dio che possono essere di esempio al popolo cristiano: «niente di esoterico, niente di intricato, pure in mezzo a tante sfolgoranti rivelazioni, ma l’eterno insegnamento del vangelo e della Chiesa: penitenza, amore a Gesù Crocifisso e alla Madre addolorata, fiduciosa preghiera, filiale abbandono alla volontà di Dio […] obbedienza alla Madre Chiesa […] in una parola, lucia, sebbene ascesa come San paolo al terzo cielo, ripete, come San paolo, per la “plebs sancta Dei” le parole salvatrici del Signore, quelle parole semplici e sostanziali che non passano e che sono per tutti gli uomini e per tutti i tempi. Ma queste parole intanto posseggono la viCe-pOStulaziOne, Epistolario, tomo 33, lettera del 22.xii.1957, 34. S. OppeS, Le memorie di fra’ Gabriele M. Allegra oFM, cit., 116; cfr. anche G. M. alleGra OFM, I miei ricordi di Lucia Mangano, cit., 11-12. 65 G. M. alleGra OFM, I miei ricordi di Lucia Mangano, cit., 9. 63 64
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forza irresistibile che commuove, anzi fa sanguinare di pentimento i nostri cuori, in quanto ci vengono ripetute da un’anima che parlò col Signore faccia a faccia, come paolo, come Giovanni, come Mosè»66.
Sono degli aspetti che troviamo nella vita di p. Grabriele e che lui certamente ha appreso dalla Mangano67. nel 1955, mentre si trova a Gerusalemme, scrive «i miei ricordi di Madre lucia Mangano»68 che consegna allo zio parroco «affinché ne faccia l’uso che crede, anche quello di cestinarli»69; ed è bello vedere attraverso le lettere che scrive allo zio come segua con attenzione quanto riguarda la Mangano specialmente le biografie e la problematica questione della visione beatifica70: confessa espressamente riguardo al suo interessamento per lucia: «è frutto della mia devozione alla nostra Madre lucia»71. ritengo particolarmente significativo il fatto che in tutte le lettere a mons. C. vota, p. Gabriele si raccomandi sempre alla protezione di lucia Mangano72. nelle lettere alla mamma e a Sarina scrive a proposito di lucia: «quando visitate il suo sepolcro pregatela per me. io l’invoco ogni giorno anzi ho tradotto in cinese e in latino la sua preghiera all’addolorata e la faccio recitare dai cristiani. Ogni sera noi dello Studio biblico prima di andare a letto la recitiamo in comune»73;
e, trovandosi ingolfato nel lavoro e pieno di preoccupazioni, parla della sua devozione e della sua fiducia nella Mangano: viCe-pOStulaziOne, Epistolario, tomo 26, lettera del 13.xii.1961, 34. il pensiero di p. allegra sulla santità della Mangano si trova chiaramente nelle lettere indirizzate a p. Generoso: cfr. viCe-pOStulaziOne, Epistolario, tomo 26, 30-39. 68 Si veda utilmente anche la sua testimonianza nel processo della causa di beatificazione della Mangano in Super virtutibus, 485-487. 69 lettera del 24 aprile 1955. 70 Cfr. ad esempio viCe-pOStulaziOne, Epistolario, tomo 26, 1-75. 71 lettera del 13 settembre 1952. 72 Cfr. ad esempio viCe-pOStulaziOne, Epistolario, tomo 33, 41-45. 73 lettera del 25 aprile 1948, in Lettere del P. Gabriele Allegra ai genitori, pro manuscripto presso p. l. Murabito OFM, 220. 66 67
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la sua convinzione sulla santità di lucia trapela in espressioni spontanee che si trovano nelle sue lettere, ad esempio quando, sostenendo che lo Studio biblico è una benedizione della Madonna così come lo è la Casa Sant’angela di S. Giovanni la punta, dice: «con questa sola differenza che benedicendo la casa di santa angela alla punta, la Madonna ricompensava la virtù eroica di lucia mentre benedicendo lo Studio essa aiuta un povero peccatore. D’altra parte è anche il suo mestiere quello di assistere i peccatori e di amarli con un amore di predilezione»75.
nel 1956 pubblica «Mio Dio, mio tutto! pensieri sull’atto di offerta per i sacerdoti composto dalla Serva di Dio Madre lucia Mangano» motivandone così lo scopo: «avendo conosciuto personalmente la Serva di Dio Madre lucia Mangano e dovendo tanto alle sue preghiere, ai suoi esempi e alle sue esortazione […] È una tenue testimonianza della mia gratitudine»76.
Commentando il … profondamente ti adoro per me e per tutte le creature… della preghiera di lucia, p. allegra scrive: «e non è forse tutta qui la vita, la missione, l’ideale del sacerdote? non sono forse questi i grandi fini della Messa […] il sacerdote adora, adora profondamente per sé e per tutte le creature»77. Ibid., 227. Ibid., 248. 76 Mio Dio, mio tutto! Pensieri sull’Atto di offerta per i sacerdoti composto dalla Serva di Dio Madre Lucia Mangano, Falconara M. (ancona) 1956, 3. 77 Ibid., 25. 74 75
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e nel riflettere su … Vi offro tutto me stesso, non volendo più vivere che di Voi solo… afferma: «Madre lucia nell’atto di offerta composto per i “suoi sacerdoti”, al dovere dell’adorazione perfetta, fa seguire il dovere dell’oblazione completa […] l’offerta è una conseguenza dell’adorazione […] l’offerta è l’attuazione dell’adorazione»78;
l’offerta non può non diventare abbandono: lucia influisce indubbiamente sul modo di concepire e vivere il presbiterato da parte di allegra. e l’influsso della Mangano su di lui è anche evidente quando ad esempio scrive: «Madre lucia vuole che tutti i ministri di Cristo sulle orme di lui, uniti a lui, compenetrati, agìti da lui vadano al padre, e Gli conducano molte, molte anime»79.
e a proposito dell’invocazione Vi offro tutti i miei averi, p. Gabriele annota che lucia «era ben convinta che il sacerdote non può partecipare ai dolori, alla passione e alla morte di Gesù Crocifisso senza un vero amore e una pratica reale della povertà»80.
e aggiunge: «l’atto di offerta è firmato con questo nome luminoso: Lucia. una vergine Sposa del Crocifisso, che amò ardentemente i sacerdoti […] l’anima della vergine amante sente per i sacerdoti una devozione piena di zelo, e brama per essi le ascensioni della carità […] ebbe pure in modo singolarissimo la missione di formare e di proteggere i sacerdoti, e di condurre al Cuore di Gesù i poveri suoi ministri fuorviati»81.
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Ibid., 34. Ibid., 44. Ibid., 69. Ibid., 87-88.
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p. allegra conclude il commento con delle affermazioni che dicono quale era la sua stima nei confronti di lucia e quanto ella abbia influito sul suo presbiterato: «essa è modello e maestra dei sacerdoti […] è il Signore Gesù che ha incaricato la serafica lucia di ripetere ai sacerdoti il suo messaggio […] lucia è pure inviata da Gesù ai suoi fratelli, ai suoi sacerdoti, e altro non dice se non le parole del Maestro. Ma con accento inconfondibile»82.
p. Gabriele fonda quanto ha scritto direttamente sul contatto avuto con lucia: «poche cose e quasi casualmente mi avete detto di quanto formava la missione della vostra vita: la santità dei sacerdoti, ma tuttavia mi pare che voi volevate il sacerdote così: amico dello Sposo, figlio di Maria come un altro Giovanni, affascinato dall’amore Crocifisso, e pronto al combattimento per la Chiesa e per le anime […] Ma soprattutto, Madre lucia, credo di ripetere se non le vostre parole, certo il vostro pensiero, asserendo che per voi il sacerdote deve essere un altro Giovanni: il discepolo che Gesù amava e che amava Gesù, il figlio di Maria, l’apostolo del suo Cuore immacolato»83:
se queste ultime immagini delineano il volto presbiterale di padre allegra, è logico e legittimo affermare l’influsso che su di lui ha avuto la Serva di Dio. nel 1958, nell’anno centenario delle apparizioni a lourdes, il venerabile pubblica un commento alla preghiera alla Madonna composta da lucia e che, da tempo, gli era stato richiesto da p. Generoso, con il vivo e umile auspicio «di poter imparare dalla Serva di Dio ad amare, servire e glorificare la Madonna»84. il commento è veramente profondo, pieno di brani biblici, patristici e teologici ma è tutto soffuso dal ricordo continuo della Mangano come bene esprime nella formula con la quale conclude la premessa «Scripsimus, lucia, tua dulci memoria delectati»!85: alla luce della vita e degli esempi di 82 83 84 85
Ibid., 94. Ibid., 95. G.M. alleGra OFM, Madre mia fiducia mia!, Mascalcia 1958, x. Ibid., xi.
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lucia le varie espressioni della preghiera acquistano una grande forza di persuasione. Come ad esempio quando afferma: «il Crocifisso e l’addolorata sono davvero la nostra indescrivibile, infinita ricchezza, la nostra ineffabile letizia, la ragione di tutta la nostra speranza, la sorgente indefettibile della carità. la serafica lucia tutto questo comprese e sperimentò, e perciò potè scrivere»86;
come pure: «lucia è una di queste cantatrici della misericordia di Maria […] tutta la vita di lucia è una corona di grazie, un effluvio di benedizioni, che Gesù ha riversato in lei mediante il Cuore dolcissimo della sua Madre immacolata»87.
in tutto il commento p. Gabriele sottolinea la confidenza, la fiducia e l’abbandono filiale che animano la preghiera e che hanno caratterizzato la vita di lucia, che «a lei si abbandonava in qualsiasi prova, da lei era confortata, guidata, consolata, ammaestrata»88. Sempre alla luce dell’esperienza della Mangano, che alla Madonna parlò di tutto e chiese tutto, commenta che lucia: «ci insegna, qualunque sia la nostra petizione, come dobbiamo pregare: “prostrata alle tue ginocchia domando al tuo Cuore materno” […] Ci insegna, che dobbiamo pregare con umiltà, con devozione, con fiducia»89.
il tesoro più grande della Chiesa e quindi della Madonna è la passione, Morte e il Sangue di Gesù, ecco perché Madre lucia che ha ben compreso questa verità «prega la Madonna per quello che il suo Cuore ha di più caro: la passione, la Morte, il Sangue preziosissimo del suo Gesù»90.
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Ibid., 38. Ibid., 46. Ibid., 58. Ibid., 60. Ibid., 71.
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e nel commento a quella parte della preghiera nella quale si fa riferimento ai dolori e alle lacrime di Maria scrive: «Sì, il mistero del Crocifisso e dell’addolorata fu il pensiero di tutta la sua vita, fu la sua delizia […] l’addolorata è l’aspetto del mistero mariano, che lucia visse con più fervida carità e che forma, a così dire, l’anima della sua anima»91.
i dolori e le lacrime della Madonna costituiscono la ricchezza dei figli: «lucia congiunge la maternità spirituale di Maria ai Dolori e alle lagrime da lei sparse sul Calvario»92 e noi la supplichiamo in virtù di questi dolori. p. Murabito è convinto che la ricchezza interiore del ven. allegra sia frutto del suo essere puro ed umile di cuore: ed era stata proprio la Mangano a dirgli che «per piacere al Signore bastano la umiltà e la purezza»93. COnCluSiOni 1. la vita santa del ven. Gabriele allegra va meglio capita inserendola opportunamente nell’ambiente di S. Giovanni la punta, dove a lui contestuale si trova un bel grappolo di persone di vita santa: di alcuni se ne parla e se ne scrive — lucia Mangano, mons. C. vota, mons. G. Scalia, mons. G. Guglielmino, il servo di Dio p. Generoso Fontanarosa — di altri non ancora — i genitori, la sorella Sarina e il fratello Gioacchino — ma che certamente hanno vissuto una vita santa nell’umiltà e nel silenzio. È impressionante, ma si deve ammettere, che il Signore suscitò nello stesso tempo e nello stesso luogo una fioritura di santità: è una riprova che nessun albero cresce e fiorisce nel deserto ma nel giardino. 2. inoltre non va dimenticato che p. allegra è sbocciato in una famiglia santa: in essa infatti — vera «Chiesa domestica»94 — ha ricevuto l’educazione alla fede e l’impronta più profonda della vita cristiana: ce ne dà la giusta comprensione Familiaris Consortio quando scrive che 91 92 93 94
Ibid., 75. Ibid., 77. Positio super virtutibus, xv teste rev. p. leone Murabito, 44s. lG, 11.
Il contesto della santità etnea: fra’ Gabriele Allegra e Lucia Mangano 101 «la famiglia dei battezzati, convocata quale chiesa domestica dalla parola e dal Sacramento, diventa insieme, come la grande Chiesa, maestra e madre»95.
particolarmente i genitori sono stati per lui, come dirà il vaticano ii, «testimoni e cooperatori della fecondità della Madre Chiesa, in segno e partecipazione di quell’amore, col quale Cristo amò la sua Sposa e si è dato per lei»96:
da essi è stato sempre spinto e sostenuto a vivere la santità. Ci troviamo davanti a quanto scriverà la Gaudium et Spes: «prevenuti dall’esempio e dalla preghiera comune dei genitori i figli […] troveranno più facilmente la strada di una formazione veramente umana, della propria salvezza e di una vera santità […] i figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure in qualche modo alla santificazione dei genitori»97.
3. Dopo aver ricordato nominalmente i presbiteri che stavano attorno alla Mangano e alcune orsoline di santa vita, p. allegra manifesta una sua profonda convinzione: «le persone sunnominate e tante altre hanno tanto pregato per la bibbia cinese, che mi viene spontaneo il dire: noi ci abbiamo messo il lavoro materiale, ma la costanza nel lavoro […] la pazienza durante le contrarietà e perfino l’intelligenza della parola di Dio, son tutti doni concessici dal padre di ogni bene per l’intercessione di queste sante anime. e accanto ad esse mi parrebbe ingratitudine non ricordare i miei piissimi genitori […] e dopo di essi nomino mia sorella Sarina, spirata santamente il 19 Gennaio 1970»98:
ciò spiega perché al termine della traduzione dei vari libri, oltre a ringraziare personalmente la Madonna, chiede delle celebrazioni di Messe o alla 95 96 97 98
FC, 38. lG, 41. GS, 48. S. OppeS, Le memorie di fra’ Gabriele M. Allegra oFM, cit., 91.
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ravanusa, o a Mascalucia o al tempietto della Casa Sant’angela; è chiaro segno che il suo lavoro lo considera frutto della radice che affonda nella zona etnea99. 4. nelle lettere allo zio chiede sempre notizie e manda i saluti pieni di stima e di rispetto ai sacerdoti di S. Giovanni la punta, e specialmente a mons. G. Scalia, p. Generoso, mons. C. vota: altro evidente segno del suo costante legame con l’ambiente da lui ritenuto e sperimentato vitale. 5. Se è vero che p. Gabriele allegra, come da tempo è noto, è un albero che ha abbondantemente dato i suoi frutti in Cina, non è meno vero che lo deve all’humus dove continuamente alimentava le sue radici, la Sicilia e particolarmente la zona etnea.
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Cfr. viCe-pOStulaziOne, Epistolario, tomo 26, lettere a mons. Guglielmino, 1-75.
beneDettO D’aCquiStO e aGOStinO aMOre: Due FiGure eMinenti Della prOvinCia Del SantiSSiMO nOMe Di GeSù Dell’OrDine Dei Frati MinOri Di SiCilia beneDettO lipari OFM*
1. beneDettO D’aCquiStO 1.1. La vita piuttosto scarse e scarne sono le notizie sulla vita di benedetto D’acquisto: i cui vuoti non sono colmati neppure dalla biografia, l’unica, in verità, che scrisse il nipote F. lorico. nacque a Monreale il 2 Febbraio 1790 da una modesta famiglia: da nicolò e da Maria Di Meo, che all’atto del battesimo gli impose il nome di raffaele. nonostante le umili condizioni, i suoi genitori non erano del tutto illetterati, specialmente la madre, dalla quale raffaele apprese a leggere. quasi nulla sappiamo della sua infanzia, se non che bontà d’animo e intelligenza vivace ebbero a farsi strada nel fanciullo. non essendo la famiglia nelle condizioni economiche di garantirgli una istruzione adeguata alla sua intelligenza, un nobile palermitano si offrì di prendere il giovane quasi in adozione, per assicurargli una istruzione e un avvenire, promettendo nello stesso tempo di elargire alla famiglia un mensile per sopperire al mancato aiuto economico del figlio. i genitori rifiutarono le due proposte; accettarono, invece, l’offerta del canonico b. Signorelli che, a sue spese, inscrisse il giovane nella scuola del seminario di Monreale, ove frequentò il corso di lettere umane, le quali comprendevano lo studio della letteratura italiana, latina e greca.
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Docente di Storia della Chiesa presso lo Studio teologico S. tommaso di Messina.
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in quegli anni era rettore del seminario b. Caruso, grazie al quale lo studio della filosofia e delle lettere latine e greche ritorna all’antico splendore. nel 1806 completati gli studi medi, per soddisfare la sua aspirazione ad una intensa vita spirituale e ad un approfondito studio della filosofia e della teologia, entrò nell’ordine dei frati minori riformati del convento di S. antonino di palermo. Fece il suo noviziato nel convento di S. Maria di Gesù nelle vicinanze di palermo, assumendo il nome religioso di benedetto. in mancanza di una testimonianza certa, siamo dell’avviso che il nome venne assunto non tanto per riconoscenza al suo benefattore Signorelli, quanto per la devozione al beato benedetto da San Fratello, che, sepolto nella chiesa del convento di S. Maria di Gesù, l’anno dopo (1807) sarà canonizzato. Dall’unica testimonianza proveniente dallo stesso protagonista, sappiamo che, finito l’anno del noviziato fu destinato allo studio della filosofia per tre anni e quello della teologia dogmatica e morale per quattro anni. terminato il corso passivo degli studi, dagli stessi superiori dell’ordine, fu incaricato, previo concorso, di dare lezione di filosofia per tre anni e di dodici di teologia, per cui meritò la laurea dottorale della religione. non sappiamo quando fu ordinato sacerdote. Sappiamo dallo stesso protagonista che nell’ambito del suo ordine, occupò successivamente tutti i gradi sino al provincialato, al quale fu eletto nel 1833. Fu molto apprezzato dal suo ordine ed ebbe tra i suoi discepoli, che ne continuarono il pensiero, i suoi confratelli b. lucidi da Sambuca e buonaventura da Mussomeli. affiancò allo studio di platone, aristotele, s. agostino, s. tommaso, s. bonaventura e soprattutto di Miceli il grande pensatore Monrealese della seconda metà del secolo xviii. negli scritti raramente cita autori: preferiva esporre le proprie idee e fare dei suggerimenti generici, soprattutto critici nei riguardi del panteismo, dell’idealismo, dello scetticismo, del materialismo. le sue letture teologiche riguardavano soprattutto gli scritti dei padri della Chiesa; un particolare interesse nutrì per la sacra scrittura, che specialmente negli ultimi scritti è citata abbondantemente. poco meno che quarantenne, frequentò l’università di palermo ove conseguì la laurea in Filosofia e poi quella in utroque iure. nel 1826 era stato bandito, dalla commissione della pubblica istru-
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zione della Sicilia, un concorso di istituzione elementare di ideologia: la commissione deliberò di invitare i maggiori esponenti, che in Sicilia si occupavano di filosofia, a presentare un corso di istituzioni ideologiche per uso delle scuole, promettendo loro di stampare a spese della reggia università degli studi di palermo, quel manoscritto che per materia, per l’ordine e per la lingua, fosse giudicato il migliore, il più adatto ai tempi, il più fornito insomma di tutte le qualità che a un buon libro di istituzione si richiede, per ordinarne la lettura in tutte le scuole della nostra isola. i primi studiosi a mostrarsi interessati al concorso furono G. Orlandini, M. Carrozza, li Donni, S. Mancino e F. pizzolato. Morto Orlandini, disinteressatisi Carrozza e li Donni, si aggiunsero ai due rimasti altri quattro: S. Calcara, b. D’acquisto, a. Mignano, G. Saguti. i sei candidati presentarono nell’Ottobre 1828 i loro manoscritti; la Commissione esaminatrice, riunitasi nell’aprile 1830, essendo del parere che nessuno aveva raggiunto lo scopo desiderato, fece delle osservazioni ai singoli manoscritti e li restituì ai loro autori affinché fossero rivisti tenendo conto delle osservazioni. nel frattempo morto Mignano e non volendo sentire di rivedere i loro manoscritti né Seguti, né pizzolato, ripresentarono i loro scritti Calcara, Mancino, D’acquisto. la commissione premiò l’opera di Mancino non senza che qualcuno se ne risentisse, perché considerava più meritevole l’opera di D’acquisto. Senza dubbio il concorso ebbe il merito di contribuire a far decadere i vecchi manuali in uso nelle scuole, che non tenevano conto del rinnovamento della filosofia che si era avuta nell’età moderna, manuali che erano rimasti estranei all’ideologia, che ormai era l’indirizzo filosofico prevalente in europa. nel 1837 il D’acquisto subentrò al Mancino, passato all’università grazie alla sua vittoria al concorso, nell’insegnamento della filosofia al seminario arcivescovile di palermo. 1.2. Il docente resasi vacante nella facoltà legale dell’università di palermo, la cattedra di Diritto di natura delle genti ed etica, per la morte del titolare G.b. zacco, D’acquisto fu nominato professore.
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per 17 anni dal 1842 fino al 1858 il francescano tenne quella cattedra suscitando grande interesse e ammirazione da parte di numerosi discepoli, molti dei quali ricopriranno posti di primo piano nella vita pubblica dell’italia post unificazione. nel 1848 scoppia la rivoluzione che non lo coinvolse; si isolò per alcuni mesi nel convento di S. Maria di Gesù con l’intento di rivedere il sistema di Miceli, ma ciò si rivelò impossibile poiché per correggerlo bisognava toglierne i principi, e tolti i principi si aveva un altro sistema; fu allora che raccolse il frutto delle sue riflessioni nel Sistema delle “Scienze universali” del 1850, opera di altissimo livello speculativo. Frutto della sua attività di docente universitario furono i corsi di filosofia morale e il corso di diritto naturale o filosofia del diritto, la necessità dell’autorità e della legge, il terzo volume degli elementi di filosofia fondamentale e il trattato delle idee o ideologia. intanto gli venivano conferiti incarichi di grande responsabilità; per i suoi alti meriti culturali, Ferdinando ii re delle Due Sicilie lo insignì dell’ordine di S. tommaso D’acquino 1851, mentre alcune accademie lo annoveravano fra i propri soci come la Società economica del valle di trapani (1833), l’accademia Gioenia di scienze naturali di Catania (1843), l’accademia di Scienze, lettere ed arti degli zelanti di acireale (1846), la Società economico-agraria del Gruppo di Malta (1850) e l’accademia cosentina (1852). 1.3. Arcivescovo il 28 settembre 1858 il pio e dotto francescano veniva nominato arcivescovo di Monreale con decreto del re e a novembre partiva per roma per la consacrazione episcopale. non avendo la somma sufficiente per provvedere ai vestimenti e quant’altro occorreva per il nuovo ruolo, il frate chiese ed ottenne dal re Ferdinando che la mensa arcivescovile, gli anticipasse di una anno la provvisione vescovile, ripartendogliene lo sconto su la congrua degli anni successivi. prima di raggiungere roma, dove era diretto per la sua consacrazione, si fermò a napoli per ringraziare il re della nomina. a roma alloggiò nel convento dei frati minori di S. pietro il
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Montorio, in questo tempo pio ix più volte volle vederlo e ascoltare l’esposizione del suo pensiero per chiarirsi sulla ortodossia delle dottrine del nostro filosofo. questo perché qualche invidia e voce maligna, che non ne mancano mai, aveva insinuato nell’animo di alcuni porporati romani che il D’acquisto fosse panteista. il 2 gennaio 1859, nella chiesa di quel convento francescano, ebbe luogo la consacrazione episcopale e nella stessa data il neoarcivescovo inviò una lettera pastorale al clero e al popolo della sua, nella quale annunziava il suo intento di vivere nell’insegna dell’abnegazione e della carità verso il prossimo ed in modo particolare verso i semplici e i poveri. passarono più di due mesi prima che il neoarcivescovo potesse fare l’ingresso nella sua città natale. era il primo vescovo Monrealese della cittadina normanna. il momento storico nel quale l’arcivescovo assunse la direzione pastorale della sua diocesi, era particolarmente gravido di avvenimenti politici e storici. il 4 aprile 1860 scoppiava a palermo una sommossa antiborbonica, che venne subito repressa. alle fine di maggio i mille si avviarono verso palermo aggirando Monreale. Da parte sua D’acquisto, che non nutriva particolari interessi per la politica, era stato leale verso i borboni finchè questi erano al potere; quando si profilò il loro tramonto non si impegnò per la loro difesa ma si adeguò alla nuova situazione politica. Dopo la cacciata dei borboni a Monreale venne istituita la guardia nazionale e il D’acquisto diede il suo consistente contributo economico, accompagnò il re d’italia vittorio emanuele ii nella sua visita al Duomo di Monreale 1861, ricevette la commenda di S. Maurizio per i suoi studi in campo filosofico e ricevette l’invito a intervenire la pranzo ufficiale a palermo in onore del re. Si diede a restaurare l’edificio del Seminario e a dotarlo di docenti idonei; egli stesso trovava il tempo di insegnare filosofia ai candidati agli ordini. pur preso dall’intensa cura pastorale ristampò un suo precedente lavoro ampliandolo notevolmente — Sulla necessita dell’autorità e della Legge (1861) —, e si occupò di studi teologici : pubblicò un piccolo saggio – Della resurrezione dei corpi (1861) — e un’opera — trattati di Teologia
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dogmatica (1862) —; scrisse il — Trattato dei Sacramenti della legge Evangelica — che la morte gli impedì di pubblicare, completò il manoscritto della — Cognizione della verità —. Economia del disegno di Dio nella creazione dell’uomo. il suo prestigio e la sua autorità era tale che sia i liberali sia i sostenitori del ritorno dei borboni lo volevano dalla loro parte. il 15 settembre 1866, per una serie di provvedimenti, che scontentarono il clero e il popolo e per la delusione della mancata attuazione delle promesse del governo, scoppiò a palermo e a Monreale una rivolta. per gestire e moderare la rivolta ed evitarne le intemperanze, furono costituti due comitati di salute pubblica: uno a palermo, nel quale D’acquisto fu membro; l’altro a Monreale nel quale fu presidente. la partecipazione ai due comitati non aveva per l’arcivescovo alcuna connotazione politica, anche se fu inviso sia ai rivoltosi, per averli invitati alla moderazione, sia alle autorità governative, per la sua adesione a due comitati. repressa, il 22 settembre a palermo, con le armi la rivolta dal generale r. Cadorna che nel suo rapporto al governo accusò D’acquisto di averla e lo qualificò come notissimo reazionario e tanto più pericoloso in quanto uomo di un ingegno superiore. Così inizio una dura reazione contro coloro che in un modo o nell’altro avevano avuto a che fare con la rivolta; il prelato venne tratto in arresto e con lui altri esponenti del comitato di palermo; venne rinchiuso nell’ex convento di Montevergine. l’accusa di reità politica che gli veniva rivolta era così grave da richiedere la corte marziale. a difesa del Monrealese intervenne un suo ex discepolo: G.M. puglia, il quale presentò delle istanze con le quali chiedeva la scarcerazione, la dichiarazione di incompetenza di ogni altro magistrato a giudicare cittadini che non vestivano la divisa militare; accolta l’eccezione di incompetenza l’arcivescovo fu deferito all’autorità giudiziaria ordinaria, che lo mise in libertà insieme agli altri accusati (7 dicembre 1866). a provare che la sua partecipazione al comitato di salute pubblica non era dovuta a maneggi politici, ma al desiderio di salvaguardare l’ordine minacciato dalle intemperanze dei rivoltosi, l’arcivescovo il 21 gennaio 1867 dirama una circolare al clero diocesano invitandolo a collaborare con le autorità. intanto si era fatto sentire il colera che cominciava a mietere vittime
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e qui che il D’acquisto non risparmiò le sue energie, nonostante la salute malferma a favore dei malati e dei bisognosi, tanto di procurarsi la fama di angelo consolatore degli infelici. non resistette a questa snervante fatica, vittima dell’epidemia, il 7 agosto 1867 con la serenità del giusto e la fermezza di un sapiente moriva benedetto D’acquisto. COnCluSiOni tra i pensatori siciliani del secolo xix, sono pochi quelli che possano stare accanto per doti speculative e per profondità di pensiero a benedetto D’acquisto. in tutti i suoi scritti di filosofia teoretica, di filosofia pratica, di teologia, circola un pensiero lucido e lineare, sempre in ulteriore approfondimento, che ruota intorno a Dio e al creazionismo, all’uomo, alle sue doti naturali e ai suoi doni soprannaturali e all’onnicentrismo, sempre nell’ottica di una metafisica dimanicistica che vede nell’essere increato la presenza di una forza vitale che è potenza, sapienza e amore. l’onnipresenza e l’onnipotenza di Dio uno e trino, infinito amore produttore di vita e infinita sapienza, datrice di ordine e legge e infinità bontà donatrice di esistenza, erano per D’acquisto l’unica inesauribile fonte di luce che gli concedeva di addentrarsi nel mistero della creazione e di comprendere e valutare il posto che vi occupa l’umanità e le sue sorti. quelle che sorprende è la grande avvedutezza che, il monrealese, ebbe nell’applicare i principi del creazionismo e dell’onnicentrismo nei vari ambiti del sapere: filosofico teologico, morale e giuridico, abbozzando un sistema, che se non è nuovo per il materiale di cui si è servito, è originale nella sua elaborazione. il suo proposito non era quello di creare un nuovo sistema ma di rinnovare un pensiero che egli considerava antico. la sua può essere considerata una sintesi tra la psicologia cartesiana e il dinamicismo leibnziano da una parte e la tradizione filosofia cristiana che ha nell’interiorismo di s. agostino e nell’ontologismo di s. bonaventura i suoi punti di riferimento dall’altra parte. i temi di cui si è sempre occupato, sono stati: la conciliazione della filosofia con la teologia, della ragione con la fede, del naturale con il soprannaturale.
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2. aGOStinO aMOre Conoscere i santi nella loro vita concreta attraverso la documentazione storica, criticamente vagliata, è la vocazione del carisma del padre agostino amore, religioso dell’ordine dei frati minori, storico agiografo e relatore generale dell’ufficio storico-agiografico della Congregazione per le Cause dei santi. nel 1985 è stata pubblicata in sua memoria, a tre anni dalla morte, la raccolta di 23 contributi di studiosi e di specialisti. Significativamente il titolo della raccolta è Nascere Sancta. i 23 contributi sono divisi in 4 parti, secondo le discipline ecclesiastiche alle quali padre agostino amore ha dedicato attenzione: Storia della Chiesa, archeologia e arte Cristiana, liturgia, agiografia. Sono 704 le voci curate da padre agostino amore sulla santità e i santi della Chiesa: 333 nell’enciclopedia Cattolica e 371 nella biblioteca Santorum. la sua attività scientifica comprende ben 970 titoli, dal 1945 al 1985. il padre agostino amore si è interessato prevalentemente se non esclusivamente di santi. il metodo rigorosamente scientifico, mai l’esaltazione del devoto, fa sì che si possa parlare di connubio tra la storia e la fede e di scientificità a servizio della autenticità della fede. naturale l’approdo del padre amore all’incarico di relatore generale dell’ufficio storico-agiografico della Congregazione per le Cause dei santi dal 13 maggio 1975, per gli ultimi sette anni della sua vita. 2.1. La vita padre agostino amore nasce il 6 luglio 1916 a lentini (Siracusa), figlio di alfio e di Giuseppa Gula, al battesimo ebbe il nome di Filadelfo. Fino a 15 anni rimase in famiglia a lentini, qui frequentò le scuole elementari fino al 1926 e quelle complementari fini al 1929. ad ispica, dove i Frati Minori di Sicilia avevano un collegio per educare gli adolescenti con segni vocazionali alla vita religiosa, compì gli studi medi e ginnasiali che concluse a Siracusa nel 1934.
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il 17 novembre 1931 vestiva l’abito francescano, ed era diventato figlio della provincia francescana e dei Frati Minori del Santissimo nome di Gesù in Sicilia. a Siracusa concluse la formazione classica con il liceo, fino al 1937 e compì gli studi istituzionali e di base in teologia fino al 1941. Commendevole per intelligenza e dottrina, per spirito di pietà e per senso disciplina. questo il giudizio del consiglio scolastico dello Studio Filosofico e teologico di S. Giovanni in Catacombe a Siracusa, era il 16 settembre 1941. i superiori che si sottoscrivevano, presentavano così il padre agostino amore alle autorità accademiche del pontificio ateneo antoniano di roma. il suo grande desiderio era quello di studiare teologia dogmatica che esprimeva al padre provinciale; con lettera del 4 ottobre 1942 si diceva turbato perché gli veniva chiesto di studiare Storia della Chiesa. il padre provinciale e il visitatore gli assicuravano affetto, ne riconoscevano la bravura, ma con chiarezza gli parlavano delle necessità urgenti della provincia: non serviva un docente di teologia dogmatica, ma di storia o di teologia morale. Se non avesse accettato di studiare queste discipline, non avrebbe avuto se non una scelta: ritornare il Sicilia. intanto il padre Giuseppe balestrieri, uno dei personaggi che conteranno molto nella vita del padre amore, conosciuto negli anni dei primi studi ad ispica, chiamava il giovane frate come segretario di visita canonica nelle province di taranto e lecce. era il 1942. lo stesso avverrà nel 1943 per la provincia di Foggia, nel 1948 per l’umbria, nel 1949 per la lombardia. negli anni 1943-44 conseguì prima la licenza e poi la laurea in teologia nella sezione storica del pontificio ateneo antoniano, ora pontificia università antonianum. l’estate del 1944 è il periodo cruciale per il futuro di padre amore come studioso. in una lettera di sostegno e di presentazione di padre benedetto pesci, professore che lo aveva guidato nella tesi di laurea, veniva descritto il profilo morale, con abilità, conoscenze e competenze, ed il possibile sviluppo futuro negli studi del padre amore: «contegno religioso amante dello studio e del sacrificio conosciuto per tre anni», «esito veramente brillante degli esami di laurea, con tesi sull’origine del cristianesimo in Sicilia».
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erano le garanzie perché il padre amore potesse ottenere «una formazione completa per gli studi delle antichità cristiane». la lettera del 13 luglio 1944, era indirizzata al padre provinciale di Sicilia. Continuava così: «dopo roma, non vi è in italia regione più ricca della Sicilia riguardo a monumenti cristiani, ma disgraziatamente, dopo gli stranieri e il grande paolo Orsi, che sul finire del secolo passato e nel primo ventennio del presente se ne occuparono con competenza, solo dilettanti, sia laici che religiosi si sono volti allo studio dei medesimi. il padre amore è pienamente entrato nello spirito dell’antichità cristiana per quanto riguarda i documenti, sarebbe necessario che la sua formazione si completasse per i monumenti con il corso di studi che viene impartito al pontificio istituto di archeologia Cristiana […] la sua formazione poi sarebbe completa se si inscrivesse alla Facoltà di lettere presso l’università, dopo potrebbe attendere specialmente alla parte dell’archeologia classica».
Concludeva la lettera: «il padre amore dovrebbe fare onore all’abito e alla provincia». la lettera fu profetica perché il padre amore ne realizzerà il programma. intanto le necessità dei religiosi francescani in Sicilia e la conseguente volontà dei superiori orientavano diversamente la vita del padre amore. invitato a ritornare nella sua provincia religiosa, si dimostrò disposto ad obbedire, pur manifestando la volontà di proseguire negli studi1. Diceva con lealtà e coraggio: «sono amareggiato dell’incertezza della mia situazione» facendo notare l’opportunità di continuare gli studi, scriveva il 20 agosto 1944 dalla sua lentini, dove stava sostituendo il parroco. presentava così le motivazioni del suo ritorno a roma: «vantaggio sotto tutti i punti di vita, sia personalmente, sia per l’onore della provincia». raccontava ancora della benevolenza del Ministro generale dell’Ordine, di quella dei Superiori e dei professori del pontificio ateneo antoniano e aggiungeva: «cominciavo a godere i frutti di questa benevolenza poiché il p. pesci, uno dei miei professori e collaboratore per la compilazione dell’enciclopedia 1
Cfr. APPS. Cartella P. Agostino Amore. Lettera del 14 luglio 1944.
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Cattolica italiana mi ha affidato parecchie voci ed è rimasto soddisfatto del mio lavoro».
parlava anche di vantaggi economici di questo lavoro “ben pagato”. Citava il Ministro generale che gli aveva scritto: «Concediamo al padre amore di recarsi in provincia e di tornare a roma per motivi di studio». la lettera del 20 agosto 1944 indirizzata al padre provinciale terminava così: «le ho esposto con confidenza tutto il mio pensiero, sperando nella sua paterna e comprensiva bontà. Spero che il mio grande desiderio sia soddisfatto; se non lo può essere sono sempre disposto a fare la volontà del Signore e quella dei Superiori»2.
lo stile della lettera rivela lucidità di proposta, fermezza di prospettiva, ma anche garbo ed umiltà di atteggiamenti. il padre provinciale aveva dato l’assenso per il proseguimento degli studi, anche se a malincuore per le necessità della provincia, ma motivato dall’onore della provincia stessa e soprattutto perché credeva nel valore degli studi3. questa vicenda spirituale e temporale si concluse con l’iscrizione ai corsi di archeologia cristiana nel pontificio istituto ed ai corsi di archeologia classica greco – romana nella università Statale di roma. nel 1945 conseguì la licenza e nel 1948 la laurea in teologia sezione Storica. nel 1956 ottenne il dottorato in lettere all’università di roma. tra il 1944 e il 1948 il dilemma sofferto continuava ed è testimoniato dalla corrispondenza del padre amore con il padre e provinciale. Sono anche ripetute le difficoltà logistiche. Costretto a trasferirsi nel convento francescano di S. lorenzo in panisperna a roma, non aveva soldi per tasse scolastiche, libri e vestiario. una svolta essenziale è il 1948. nel luglio – agosto veniva nominato professore di storia antica nel pontificio ateneo antoniano. rimarrà a roma nell’ateneo francescano per il resto della sua vita.
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Cfr. APPS. Cartella P. Agostino Amore. Lettera del 20 agosto 1944. Cfr. APPS. Cartella P. Agostino Amore. Lettera del 21 luglio 1944.
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2.2. Interessi culturali nella pasqua del 1945, padre amore vedeva pubblicata la sua tesi di laurea nella Facoltà teologica del pontifico ateneo antoniano. Molto significativa la scelta dell’argomento e del titolo: De Primordiis Religionis Christianae in Sicilia. le origini del Cristianesimo in Sicilia4. Sulle origini del cristianesimo in Sicilia, occorreva uno studio che rispondesse alle istanze della storia criticamente fondato, pertanto occorreva rifondare e documentare, soprattutto con fonti archeologiche, quella storia fondata su favole. Scopo del suo lavoro era di raccogliere le fonti, catalogarle e giustificarle criticamente. tesi principale fu che il Cristianesimo in Sicilia si è manifestato fin dal i secolo, tuttavia non ci sono documenti fino all’inizio del iv secolo. Ma solo verso la fine del vi secolo possiamo parlare di Chiesa Siciliana per abbondanza di notizie certe. questo sempre per quello amore alla verità, superiore all’amore per la terra. la povertà di notizie è dovuta al fatto che per i primi dieci secoli di storia cristiana la Chiesa Siciliana è stata sottoposta a continui eventi drammatici . utilizzando fonti agiografiche e archeologiche, queste seconde di grande importanza, padre amore intese realizzare un opera nuova. esempio di ricerca della santità e del rigore scientifico sono le pagine dedicate agli inizi del culto di s. lucia5, alla persona del beato Matteo da agrigento, grande figura del rinnovamento francescano dell’Osservanza, fedele discepolo di s. bernardino. Ci sono tre studi pubblicati in merito: a. aMOre, La predicazione del B. Matteo d’Agrigento a Barcellona e Valenza in Archivum Franciscanum Historicum (= AFH) 49 (1956) 255-335; Nuovi documenti sull’attività del B. Matteo d’Agrigento nella Spagna e in Sicilia in AFH 52 (1959) 12-42; a. aMOre (cur.) B. Mathei Agrigentini oFM Sermones vari, roma 1960. vescovo di agrigento dal 1442 al 1445, il beato Matteo era stato ardente predicatore Siciliano in Spagna, a valenza dal marzo 1427 al 4 Cfr. a. aMOre, De Primordiis Religionis Christianae in Sicilia. excerpta ex dissertatione. pontificium athenaeum antonianum. Facultas theologia. thesis ad lauream n. 26. 5 Cfr. iD., De Primordiis Religionis Christianae in Sicilia, cit., 31-34.
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maggio 1428 e nello stesso anno a barcellona. predicatore efficace e popolare, convertì alla penitenza la corte di aragona, non esclusa la regina Maria. Compì miracoli e vi diffuse la devozione al SS. nome di Gesù. Sono stati oltre 100 i documenti rintracciati da padre amore in biblioteche spagnole. e soprattutto la prima pubblicazione di 67 discorsi e poi di 9 sono di fondamentale importanza per conoscere stile, temi e contenuti della predicazione dei francescani osservanti nel secolo xv. lo studio di padre amore è interessante poiché attraverso la storia dei Frati Minori si conosce la storia della Sicilia. Su san Marciano di Siracusa6, “primo vescovo della città”, la convinzione di base e di partenza per p. amore era la verità storica, ma anche quella della fede, così scriveva: «coloro che confondono la tradizione quale regola di fede, con la tradizione popolare quale oggetto di storia, devono essere rimandati alla scuola di teologia e imparare che non ci si deve servire della parola tradizione che in questioni dogmatiche»
interessante la conclusione che ne trae «quando realmente sia stata fondata la Chiesa Siracusana è difficile precisare: non è assolutamente da escludere che i primi fedeli vi esistessero già nel secolo primo, ma la costituzione della Chiesa con la gerarchia, sembra che non possa risalire oltre il secolo ii. È probabile che il primo vescovo abbia avuto realmente il nome di Marciano, ma è da escludere che egli sia morto nella persecuzione di valeriano»7.
6 Cfr. iD., San Marciano di Siracusa. Studio Archeologico-agiografico, in Spicilegium Pontificii Athaenaei Antoniani 12 (1958). 7 Cfr. iD., San Marciano di Siracusa, cit., 70.
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2.3. Incarichi scientifici ed istituzionali8 Segretario della Società dei cultori di Archeologia Cristiana dal 1950 al 1957. è stato redattore per la Storia medievale della Chiesa presso La Enciclopedia Cattolica Italiana, e fino al 1957 anche redattore per la sezione dell’antichità nella Biblioteca Sanctorum; dal 1958 al 1966 direttore della rivista Antonianum. Divenuto professore straordinario nel 1953 e ordinario nel 1954 di Storia della Chiesa e di Liturgia nel pontificio ateneo antoniano, dove aveva avuto già un incarico nel 1948, nell’anno accademico 1969-1970 ha tenuto un corso di Patrologia nella pontificia Facoltà teologica “teresianum” dei padri Carmelitani di roma. Dal 1959 decano della facoltà di Sacra teologia nel pontificio ateneo antoniano, nel 1963 ne divenne prefetto degli studi e nel 1966, con decreto della Congregazione dei Seminari ed università degli studi, fu nominato rettore magnifico. iniziò l’incarico di commissario residente della pontificia Commissione di archeologia sacra, presso la Santa Sede, nel 1961, riconfermato per cinque anni nel 1973, lo stesso nel 1978. Consultore della Sacra Congregazione dei riti (terza sezione) nel 1963, anche qui confermato per cinque anni nel 1968 e nel 1974; consultore del Consilium ad exsequendam Costitutionem de Sacra Liturgia nel 1964; sottoprocuratore della fede aggiunto nella Congregazione dei riti nel 1965. nel 1971 fu nominato membro delle Commissioni per l’esame delle reliquie conservate nelle lipsanoteche del vicariato, del vaticano e delle chiese dell’urbe e per la revisione del proprio romano. anche nell’Ordine dei Frati Minori ha ricoperto cariche istituzionali nel 1971 fu perito e rappresentante dell’Ordine presso la Congregazione del Culto divino per trattare la riforma liturgica dei testi del breviario e del messale. il 13 maggio 1975, ricevette l’ultimo e il più importante incarico: relatore generale dell’ufficio Storico-angiografico della Congregazione per le Cause dei santi.
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Cfr. aSpua, Cartella Padre Agostino Amore; Nascere sancta, 20-25.
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2.4. Per quale via riconoscere i santi? il contributo offerto dal padre amore esposto nel testo, le cause dei santi proposte per un aggiornamento9 dalla via giuridica a quella reale e storica. Come dire che la visione giuridica non esaurisce e soprattutto non coglie la verità profonda delle questioni trattate. padre amore interpretava la richiesta sempre più insistente e pressante di studiosi, vescovi e persone interessate, di una riforma, di uno snellimento, di un aggiornamento nella procedura e trattazione nelle cause dei santi presso il competente Dicastero ecclesiastico. Diede particolare importanza alla prima fase del processo, quella istruttoria o di ricerca delle prove. la prospettiva non deve essere giuridica, ma teologica e agiografica, espressa dal metodo storico-critico. il riconoscimento della santità, riteneva padre amore, è problema eminentemente teologico e storico e non giuridico o addirittura giudiziale. ecco le sue parole: «a mio avviso, per un vero e fruttuoso aggiornamento della legislazione delle cause dei Santi, bisogna avere il coraggio di imboccare una nuova via fin dalla procedura iniziale senza lasciarsi vincere dal sentimentalismo; al “processo” bisogna sostituire l’euristica storico-agiografica secondo i criteri e i metodi oggi in uso in queste discipline. il Santo non è un delinquente o un presunto colpevole da processare, ma un eroe poliedrico, vissuto nel suo tempo sotto i raggi della grazia e di lui si deve conoscere non un solo episodio, né un atto eroico, né soltanto gli ultimi anni trascorsi sulla terra, ma tutta la vita, nel suo progressivo svolgimento è giudicare se abbia raggiunto un eroico grado di virtù attraverso l’esercizio continuo e perseverante, in modo tale da poterlo additare come modello ed esemplare al popolo di Dio».
la Costituzione apostolica Divinus Perfectionis Magister del 25 gennaio 198310, a 38 giorni dalla morte del padre amore, rese legittima e doverosa la sua impostazione. Ma lo aveva auspicato il card. palazzini, il quale nell’omelia tenuta ai funerali, ebbe a dire, in conclusione: 9 10
Cfr. Antonianum 55 (1980) 425-438. Cfr. Acta Apostolicae Sedis 75 (1983) 349-355.
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Benedetto Lipari «Sappiamo che desiderava vedere il giorno di una riforma procedurale, per le nostre Cause, che consentisse, nel rispetto del passato […] un decorso più snello delle nostre qualche volta troppo sofferte esecuzioni».
ancora alcune incisive espressioni del pensiero di padre amore: «Sarebbe utile abbandonare la parola “processo” per le Cause di canonizzazione», «anche la parola “causa” è di pericolosa eccezione, perché evoca facilmente l’idea di “processo”, “si potrebbe trovare un altro termine”. Occorre un modo più giusto e moderno di esprimere cose e fatti veramente concreti e oggettivi»,
così «le parole non sarebbero causa o strumento di equivoci, o semplici suoni vuoti e privi di qualsiasi realtà», in tal modo si evita “indolente archeologismo” o “ignava trascuratezza”. Citava in nota l’abbandono del vocabolo “Breviario” sostituito da Liturgia delle ore11. il senso ultimo della riforma: «impegnare e coinvolgere persone capaci e competenti nelle Cause di canonizzazione, e ciò sia da parte degli attori-postulantori che da parte delle Chiese locali, perché tutti, dignitosamente responsabili, cooperino ad illustrare la santità della Chiesa attraverso l’esaltazione dei suoi figli migliori per l’edificazione e l’esempio del popolo di Dio».
per la fondazione della proposta precisava che i nuovi criteri valorizzano concretamente e profondamente lo spirito di collegialità rivendicato dal Concilio vaticano ii, poiché chiamano le Chiese locali ad un reale e responsabile coinvolgimento nella prima fase della causa. Se si leggano attentamente le norme della citata Costituzione apostolica, le proposte del padre amore si ritrovano esplicitate e ampliate. Ci si riferisce alle fonti circa la vita, le virtù, il martirio o la fama di santità e altro, lo stile, la responsabilità, il modo di procedere del vescovo 11 Cfr. a. aMOre, Le cause dei santi. Proposte per un aggiornamento, in Antonianum 55 (1980) 433.
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Diocesano, ma anche alla richiamata dottrina della collegialità prevista dal Concilio vaticano ii. una regola per fondare storicamente esistenza, vita, missione e messaggio di un santo, la distinzione tra le fonti liturgiche e le fonti agiografiche. le prime registrano, a volte pericolosamente per l’entusiasmo il fatto, le seconde lo fondano. ecco allora il criterio storico che utilizza tutte le fonti e la loro validità, raccoglie tutti i dati attendili per accertare esistenza storica e personalità dei santi. Così si muoveva padre amore con un metodo eminentemente storico-agiografico. COnCluSiOni Due valori con ogni chiarezza padre amore stimava più di ogni cosa: quello dell’autenticità dei meriti di una persona e quello della sincerità nell’amicizia, impegno di studioso serio fino allo scrupolo, storico come modo di essere, come dimensione di vita, che può essere descritta così: valutazione rigorosamente oggettiva dei fatti e delle notizie, dare per certo ciò che è provato; presentare i pro e i contro di ciò che è discutibile; rifiutare ciò che non è documentabile. Dunque amare e difendere la verità, quella storica come ogni altra verità. Su questo punto severo con sé stesso, diventava severo anche con gli altri. possiamo dire combinazione tra inflessibilità di un nordico e calorosa grinta di un Siciliano. Senso della storia, ma anche gusto della storia inteso come ricerca del non detto e del nascosto, del particolare; e del piccolo o dei piccoli santi (cfr. Nascere sancta: p. 56). l’11 ottobre 1980 il padre amore veniva insignito dell’onorificienza del santo padre Giovanni paolo ii della Santa Croce Pro Ecclesia et Pontifice, che viene assegnata a chi si è distinto particolarmente per una attività singolare e straordinaria, svolta con speciale amore e competenza. il 17 dicembre 1982 passava da questo mondo al padre.
COnCluSiOne lo Studio S. paolo con il Movimento Francescano di Sicilia, in occasione dell’viii centenario della nascita di Chiara di assisi, ha celebrato il Convegno di studi su «povertà, giustizia, riconciliazione» nei giorni 25-26 febbraio 1994; e ora ha avuto l’opportunità di celebrare con la provincia Siciliana OFM “Sanctissimi nominis Jesu”, in occasione del i centenario della nascita di Gabriele allegra, il Convegno di studi su «Frate Gabriele Maria allegra. tra Cina e Sicilia, bibbia e Spiritualità». nei giorni 14-15 marzo 1997 il S. paolo ha collaborato con i padri passionisti di Sicilia alla conduzione di un Simposio su «lucia Mangano Orsolina»1, i cui principali scopi — e ritengo siano stati raggiunti — sono stati: la rilettura della biografia cristiana di lucia per fare uscire la venerabile dallo “straordinario” e riportarla nell’”ordinario” della vita cristiana; l’inserimento della Mangano nella storia della “santità siciliana”; l’appartenenza, senza alcuna ombra di polemica, di lucia alla Chiesa, togliendo così l’ipoteca che su di lei avevano i passionisti e le Orsoline. questo Convegno ne costituisce una continuazione logico-ideale per alcuni motivi. p. allegra ama vedere in lucia soprattutto la «cristiana ordinaria» pur non rinnegando lo «straordinario» messo in evidenza dalla letteratura esistente; ribadisce infatti che la Mangano è e, quindi, deve essere presentata come un modello per la “plebs” cristiana. anche p. allegra, del resto, come ha sottolineato questo Convegno, è “frutto” della «santità siciliana» e particolarmente di quella «etnea»: ne è un segno che va messo in rilievo e uno strumento che ne ha arricchito il patrimonio. Occorre peraltro, e non da ultimo, sottolineare l’ammirevole sensibilità ecclesiale della provincia Siciliana OFM che ha voluto coinvolgere lo 1
Gli atti sono stati pubblicati in Lucia Mangano orsolina, San paolo 1997, pp. 302.
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Conclusione
Studio teologico S. paolo appunto perché il venerabile allegra, appartenendo a tutta la Chiesa, è opportuno che venga studiato anche da organismi non francescani. Gli atti che vengono pubblicati in questo Quaderno di Synaxis danno l’opportunità di approfondire ulteriormente la figura di fra’ Gabriele Maria allegra. Fra le impressioni ricevute dai numerosi partecipanti al Convegno mi piace coglierne soprattutto due. l’attività che ha impegnato la vita di p. allegra, e che costituisce la ricca eredità lasciata alla Chiesa, non è solo la bibbia cinese ma anche una grande riflessione e una profonda esperienza di spiritualità cristocentrica e mariana. la considerazione, poi, che p. allegra non è da studiare solo in Cina ma anche in Sicilia: se la prima è stato il campo dei frutti, la seconda tuttavia è il campo fertile dove affondava le radici e da cui traeva l’humus per la sua fertile attività. Dal Convegno sono emersi alcuni auspici. innanzitutto che si curi una edizione critica delle lettere: si tratta di una miniera di spiritualità e di notizie non solo sulla sua persona e la sua famiglia ma anche sulla Chiesa e la società. in secondo luogo che si avviino delle ricerche sulla famiglia allegra2: il contesto familiare infatti è indispensabile per capire a fondo la figura morale e spirituale di fra’ Gabriele e anche l’impegno messo nella sua attività di presbitero e di studioso. ancora, che l’archivio della vice postulazione di acireale possa essere sempre più accessibile e che costituisca un luogo di ricerca anche per tesi degli studenti. 2 Sono preziosi i tre manoscritti di leOne MurabitO OFM, cugino e intimo di p. Gabriele, sulla famiglia allegra: Il canto della volontà di Dio. profilo spirituale di Sarina allegra; P. Gabriele M. Allegra nei miei ricordi; Un dono di Dio alla Chiesa. Gioacchino allegra seminarista: ritengo che vadano pubblicati e, così, potranno costituire un punto di partenza per ulteriori ricerche.
Conclusione
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e infine, che possa nascere un «Centro di spiritualità», a S. Giovanni la punta, che metta ulteriormente in luce le figure di lucia e di Gabriele Maria e la ricchezza del rapporto tra la venerabile Mangano e il venerabile allegra. lo Studio S. paolo, mentre affida questi desideri alla provincia Siciliana dei Frati Minori, offre la propria disponibilità a continuare la collaborazione: ricercare e approfondire figure che hanno incarnato il vangelo e hanno servito il regno costituisce il suo compito specifico nel servizio alla Chiesa. il S. paolo, nel consegnare questi atti ai lettori, ha la gioiosa coscienza di aver messo in luce aspetti nuovi della figura di un figlio delle Chiese della Sicilia sud-orientale: evidenziarne il patrimonio religioso, infatti, per una sua maggiore valorizzazione nell’oggi costituisce un suo compito istituzionale. Salvatore Consoli preside dello Studio teologico S. paolo
appenDiCe
Questo testo di p. Allegra viene pubblicato per gentile concessione del Ministro provinciale fr. Vincenzo Brocanelli della Provincia dei Frati Minori delle Marche.
Fr. Gabriele Maria alleGra OFM
MiO DiO, MiO tuttO! pensieri sull’atto di offerta per sacerdoti composto dalla Serva di Dio Madre lucia Mangano Orsolina (†1940)
edizioni biblioteca Francescana “S. antonio” Falconara M. (ancona) 1956
Fr. G. M. Allegra, «Mio Dio, mio tutto!»
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preFaziOne Avendo conosciuto personalmente la Serva di Dio Madre Lucia Mangano e dovendo tanto alle sue preghiere, ai suoi esempi e alle sue esortazioni, ho avuto la presunzione di commentare l’Atto di offerta da lei composto per i sacerdoti. È una tenue testimonianza della mia gratitudine e al tempo stesso lo scioglimento, almeno parziale, di un voto. Ho scritto questo opuscolo specialmente per i novizi e i chierici della Provincia Francescana del SS.mo. Nome di Sicilia, e di quella di S. Giacomo delle Marche, ai quali lo dedico con l’augurio che diventino sacerdoti santi, come Madre Lucia desidera, o per meglio dire come li desidera il Cuore di Gesù, di cui Lucia altro non fu che la serafica annunziatrice. L’ho scritto pure pensando constantemente al mio fratello seminarista, tanto amato e beneficato da Madre Lucia, Gioacchino, morto da predestinato a 19 anni il 21 Aprile del 1944. Di lui Mgr. F. Pennisi allora suo Rettore, oggi vescovo di Ragusa, scrisse che nel cuore «l’arsura di Dio soverchio il desiderio del sacerdozio» e pertanto se ne volò al Cielo «purissimo ambasciatore del Seminario di Catania». L’ho scritto infine col solo desiderio di far conoscere ai confratelli sacerdoti il messaggio sacerdotale della Serva di Dio, mirabilmente compendiato in quest’Atto di offerta. Composto a pezzi e bocconi nell’ora che precede la Messa solenne della domenica dal Gennaio alla Pasqua di quest’anno 1956, il commento manca di erudizione e di unità, spero nondimeno che sia semplice e immediato e che parli al cuore dei ministri del Signore. Le citazioni son tolte dalla vita di Madre Lucia Mangano, Vol. 1, scritta dal P. Generoso Passionista, e dal periodico «L’Addolorata», edito dai PP. Passionisti di Mascalucia. Benedic, Mater Maria! Hong-Kong - 13 Maggio 1956. Festa della Madonna di Fatima. intrODuziOne Colei che ormai moltissimi fedeli sparsi per il mondo intero chiamano con familiare fiducia: Madre lucia, e coloro che ebbero la fortuna di conoscerla con tenera semplicità: Lucia, era appassionata del sacerdozio, e in conseguenza nutriva un amore riverente e una sollecitudine materna per i ministri del Signore e per i seminaristi. lucia conosceva la sublime grandezza della nostra dignità ma era pure consapevole della umana debolezza onde il sacerdote è circondato: circumdatus infirmitate.
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Sapeva quali fossero le brame del Cuore di Gesù, ma non ignorava i pericoli, le seduzioni onde il mondo cerca di far cadere gli amici dello Sposo, anzi vide nella luce di Dio le molte miserie che imbrattano le mani di alcuni, che ogni giorno sollevano l’Ostia divina e i di cui cuori, dovrebbero palpitare unicamente per Cristo e per le anime. Siffatta dolorosa conoscenza in lucia produsse i medesimi effetti che in S. Caterina da Siena, in S. teresa del b. Gesù, in S. Gemma Calgani… la mosse a pregare per i sacerdoti, in certi casi magari a esortarli a ritornare, a credere all’amore di Cristo, a offrirsi vittima per loro, e — cosa singolare nell’agiografia — a comporre un atto di offerta per loro1. un tal atto di offerta è intimamente connesso con l’inspirazione, che lucia ebbe di formare una associazione di Sacerdoti consecrati ad amare e a predicare Gesù Crocifisso, uniti fra di loro mediante i vincoli della più squisita carità e dal comune ideale di rendere testimonianza prima colla vita che con le parole all’amore Crocifisso. per questi «suoi sacerdoti», il cui numero va ogni giorno sempre più crescendo e aumenterà di molto quando piacerà al Signore di manifestare nella sua Chiesa la missione di quest’anima serafica, la Madre compose l’atto di offerta, che imprendo a commentare brevemente. il contenuto di quest’atto è nella sua semplicità così pieno di teologia paolina e giovannea, che senza dubbio esso si adatta a tutti i sacerdoti indistintamente. Direi che la Madre abbia colto l’essenza del sacerdozio guardando al Cuore di Cristo e pertando le sue parole trascendono i tempi, le circostanze, le differenze di lingue e di razze, e delineano, sotto la forma di offerta, l’ideale del sacerdote, quale Gesù l’ha proposto, quale la Chiesa di continuo lo inculca e quale noi indegni ministri del Signore abbiamo in parte intravisto e bramato di raggiungere. penso che durante la recita di quest’atto di offerta, Madre lucia dal Cielo si unisca a noi e interceda per noi e che in virtù della sua supplicazione il Signore abbia a guardare con occhi di amorevole compassione alle nostre povere anime. Si, con noi prega e per noi intercede la Madre, che come tante sante vergini sorelle: Chiara, teresa, Catarina, Gertrude... aveva un cuore squisitamente sacerdotale: brama di attuare il regno di Dio, passione amorosa per il Cristo eucaristico, e intrepido amore per la Chiesa: il Cristo mistico. per noi intercede onde ottenere ai «suoi sacerdoti» che le parole semplici e ardenti del suo atto di offerta diventino nei loro cuori uno slancio vitale, un proposito serio ed efficace di vita cristiforme, cui benedice il padre di ogni bene, il Dio e padre di n.S. Gesù Cristo, che è pure il Dio e il padre nostro. 1 p. GenerOSO paSSiOniSta, Lucia Mangano, vol. i, Catania 1950. L’Addolorata, Madre di Dio, periodico edito dai pp. passionisti, Mascalucia (Catania), 1955 e 1956. vedi anche l’ultima elevazione del presente opuscolo.
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e prima di passare al commento ci piace rileggerla e coglierne le caratteristiche. «Viva Gesù Crocifisso! Mio Dio, mio Tutto, che per la vostra infinita bontà e misericordia mi avete scelto ad essere vostro ministro, profondamente vi adoro per me e per tutte le creature. Vi offro tutto me stesso non volendo più vivere che di voi solo: sacrificatemi, disponete di me come vi aggrada, io, povera creatura, mi abbandono completamente in Voi. Per me non vi cerco niente, vi domando per vostra infinita misericordia, che mi guardiate sempre per essere un sacerdote secondo il vostro divino volere e formare così la vostra delizia. Vi domando ancora per la Passione del vostro Divin Figliolo Gesù, che guardiate misericordiosamente tutti i vostri sacerdoti miei fratelli, e che tutte le anime vi diano quella lode e quello gloria, che Voi nella vostra infinita bontà avete stabilito. La mia vita è Cristo e la mia ricchezza è la Croce! Vi offro tutti i miei averi: io povera creatura scelgo la povertà, e sarà una grande misericordia per me, ultimo dei vostri sacerdoti, Potere spendere e sacrificare tutto, tutto per la vostra gloria. Mio Dio, Bontà Infinita, accettate questa offerta che io, povera creatura, faccio a Voi per le mani della cara Mamma mia, lucia». le grandi idee di questa offerta sono l’adorazione, l’offerta, l’abbandono filiale, la supplica. e l’atto nella sua integrità è compenetrato di una fiamma di amore di Dio e del prossimo, che viene solo dallo Spirito Santo. il Sacerdote parla al padre Celeste con questa filiale franchezza, e umile audacia (παςςησία) perché vive o brama sinceramente di vivere nel Cristo Gesù e perché si appoggia ai meriti infiniti della sua passione e perché fa passare la sua offerta attraverso le mani dell’immacolata. Maria è tanto amata dalla SS.ma trinità che la sua intercessione può considerarsi come una sorgente certa di ogni benedizione. e finalmente non mi sembra casuale che l’offerta cominci nel nome di Gesù Crocifisso e termini col ricordo della Madre SS.ma. non è solo vero che Maria conduce a Gesù, ma è anche vero che Gesù conduce alla Madre immacolata e la rivela alle anime. e forse ciò è naturale, appartiene anzi a quella legge sovrannaturale di un profondo delicato amore per cui le più eccelse grazie, i movimenti più fecondi del
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nostro cuore abbiano come punto di partenza e di arrivo il Cuore immacolato della Madre di Dio.
1. viva GeSù CrOCiFiSSO Con questo grido di amore e di vittoria comincia l’atto di offerta. Gesù Crocifisso è perennemente vivo nella Chiesa. il sacrificio della Messa, che viene celebrato ad ogni istante, quasi in tutti i punti della terra, rinnova misticamente la passione e la Morte del Salvatore. in virtù di questo «mistero della Morte del Signore» il mondo viene di continuo arcanamente lavato dal Sangue dell’agnello. È quindi una legge sopranaturalmente spontanea che l’anima cristiana sia attratta e come affascinata dal Signore morente sulla Croce. e non è solamente in virtù del ricordo di quel tragico fatto avvenuto due mila anni fa, ma si è dal Calvario mistico del santo altare che il Crocifisso continua ad attirare tutti a sè. Et ego, si exaltatus fuero a terra omnia traham ad meipsum! (Giov. 12,32). il fascino che emana dal Crocifisso, è nel seno della Chiesa intimamente congiunto all’arcana attrazione che esercita il Sacrificio della Messa. Si è per la Messa che si avvera continuamente il vaticinio del profeta zaccaria ricordato due volte da S. Giovanni: e guarderanno a Colui che hanno trafitto! «videbunt in quem transfixerunt (zac. 12,10). infatti i fedeli che assistono alla Messa assistono e partecipano al «Mistero della morte del Signore», essi vengono attratti da Gesù morente; ricevendo il Corpo del Signore, essi portecipano alla sua morte. Sono attratti con tutta la forza dall’amore di Gesù come S. Giovanni e S.M. Maddalena, che non potevano distaccarsi dal Signore, attratti come il Serafico padre Francesco, che piangeva inconsolabile sul Crocifisso e gridava: l’Amore non è amato!, come la piccola teresa, che con delicatezza angelica guardando il Crocifisso diceva: Almeno ora non soffre più! come il celeste patrono di Madre lucia, S. paolo della Croce, che visse solo per contemplare e amare Gesù Crocifisso, e come lucia stessa, cui veramente spetta il titolo di sposa del Crocifisso, perché tutta la sua vita visse immersa nella passione e Morte del suo Sposo Celeste… È innumerevole la schiera delle anime, che guardano al Crocifisso, ma siffatto numero, per quanto sterminato, deve sempre crescere, anzi dovrebbe adeguare il numero dei fedeli tutti, dell’intero genere umano. per accrescere un tal numero ci vogliono degli apostoli amanti del Crocifisso, ed essi in prima linea sono i sacerdoti.
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non è puro caso che l’atto d’offerta cominci colla esclamazione: Viva Gesù Crocifisso! come non è puro caso che il consecrante trattando degli obblighi sacerdotali dica per prima cosa agli ordinandi: sacerdotem oportet primum offerre, e compendii gl’ideali e le obligazioni della sua vita col monito fulgido e tremendo: considerate quod agitis, imitamini quod tractatis! Considerate quello che fate, imitate quello che trattate. il sacerdote è il ministro necessario di Gesù, destinato a rendere perpetua nel mondo la sua presenza, e a rinnovare la sua Santa Mistica Morte. Se il sacerdote non consecrasse, non si rinnoverebbe nel mondo il mistero della Morte del Signore. egli prima che il dispensatore dei beni del padre Celeste, è un altro Cristo, l’alter ego di Gesù; da Gesù assunto a una certa identità di poteri, da lui chiamato a continuare nel mondo la sua attività sacrificale e profetica. Se c’è pertanto qualcuno che debba guardare al Crocifisso e vivere di lui, questi è il Sacerdote. il vaticinio di zaccaria non potrà mai realizzarsi a pieno se i sacerdoti non stiano in prima fila sul Calvario a contemplare Colui, che gli nomini tutti hanno trafitto, se essi da questa contemplazione amorosa non passano alla decisione di rendersi simili a Gesù morente, se non fanno del Crocifisso la loro gioia, il loro ideale, il loro trionfo. il grido onde comincia l’offerta è un orientamento dell’anima sacerdotale verso il suo ideale, è un sommario delle sue obligazioni, è una promessa di certa vittoria, e pertanto è un grido di trionfo. «io sono confitto alla Croce con Cristo, vivo si, ma non più io, vive in me Cristo. Che se attualmente vive ancora nel corpo, (non monta), io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e che ha donato se stesso per me!» (Gal. 2,20). viva Gesù Crocifisso! 2. MiO DiO, MiO tuttO! Se c’è un essere che può o deve dire realmente: «Dio mio, mio tutto!» è ben l’angelo o il sacerdote. l’angelo dopo la prova appartiene assolutamente a Dio, nè può separarsi da lui o pensare qualcosa all’infuori di lui, amare altro che non sia lui o in lui. per il sacerdote questo amoroso grido è un convincimento e un ideale, cui cerca di avvicinarsi ogni giorno sempre più, una meta, che si sforza di raggiungere, e che di fatto raggiungerà pienamente quando ancor egli arriverà nel seno del padre. tuttavia tanto per l’angelo come per il sacerdote l’essere, che incarnò perfettamente e assolutamente l’appartenenza completa e sublime, tenera e filiale espressa in questo grido, è Cristo Gesù, l’uomo-Dio, il quale nulla cercò se non la
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volontà del padre, e dal primo istante della sua esistenza teandrica sino a quel momento in cui consegnerà il regno a Dio padre, affinché egli sia tutto in tutti e in tutte le cose, o cioè da quando venne al mondo fino alla eternità delle eternità, brama e compie solo la volontà del padre Celeste. e quanto affermiamo del Figlio di Dio a causa dell’unione ipostatica, diciamo pure della Madre sua, perché lei è il giglio della sempre fulgida trinità! Così per Gesù e per Maria la frase: mio Dio, mio Tutto! è semplicemente vera, per gli angeli è pure vera in virtù di una grazia ineffabile, la grazia della conferma nell’amore, per il sacerdote deve e può essere vera, se egli vive quella consecrazione, quella oblazione di tutto il suo essere, che fece a Dio nel giorno dei santi Ordini, consecrarione, che Madre lucia gli ripresenta subito davanti agli occhi del cuore in quest’atto di offerta. prima che il sacerdote possa dire veramente: Mio Dio e mio tutto! deve conoscere il proprio nulla, la santità sublime di Dio, e la sua infinita misericordia. S. agostino supplicava: noverim Te, noverim me! come se questa doppia conoscenza andasse di pari passo e conducesse nel medesimo tempo alla carità. il Serafico padre S. Francesco con maggior semplicità, ma forse con più veemente intensità, agli inizi della sua conversione supplicava anch’egli per giorni e notti intere: o mio Dio, chi sei Tu e chi sono io? per arrivare finalmente a esclamare con gioia trionfale: Mio Dio, mio Tutto! Giacché questa invocazione può essere una pia frase pronunciata anche dalle labbra di un povero peccatore, come può essere l’erompere verace di un’anima infiammata d’amore divino, per la quale la vita è tendenza esclusiva verso l’infinito, brama dei beni eterni e invisibili, anzi brama di Colui che solo è buono. per moltissimi sacerdoti l’invocazione: Mio Dio, mio tutto! è un aspirazione, una affermazione, un proposito santo di distacco da tutte le cose caduche per appartenere completamente a Dio, che li ha scelti per sè sin dall’eternità. e faccia il Signore che così sia per tutti! in tal guisa questa frase, pur nella sua brevità, comprende e i voti religiosi e le promesse sacerdotali, che ci consacrano totalmente a Dio. Se il ministro del Signore vive di questa parola, se davvero egli in Dio trova tutto, se per lui Dio è tutto e pertanto non attacca il proprio cuore alle creature, ai fantasmi della sua mente che si chiamano onori, piaceri, dignità, se Dio lo riempie in tal guisa, che tutte le fibre del suo cuore appartengono a lui, egli è davvero come un angelo della Santa Faccia, vorrei dire, come si legge piamente nelle Cronache del Serafico Ordine del beato Giovanni da parma e del b. Giovanni Duns Scoto, egli è un angelo della Faccia di Gesù: angelus Faciei Jesu. questa espressione è quanto mai pia e soave ed esprime tutta la filiale generosità del sacerdote pieno di Dio. È ricalcata sulla frase dell’antico testamento:
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angelus Faciei Domini. e vuol dire che il sacerdote è l’angelo mandato da Gesù alle anime, alla Chiesa. Come un angelo egli va alle anime senza lasciare la presenza del Salvatore, come un angelo sdegna gli argomenti umani e annunzia solo le parole della Sapienza increata, come un angelo arde di carità e fulge di dottrina celeste. egli è ancora l’angelus Faciei Jesu, perché è il custode nato della SS.ma eucaristia, perché offre a Gesù Ostia e con lui la Chiesa e se stesso al padre; perché ai piedi del tabernacolo ha appreso a contemplare il Signore Gesù, nel cui volto lampeggia il fulgore della paterna, divina maestà, e perciò il suo sguardo è affascinato, da quel volto santissimo, sicché egli cerca sempre il volto del Signore: faciem Tuam, Domine, requiram! (Sal. 26, 9). È un angelo della Faccia di Gesù, perché manifesta la potenza del Salvatore e perché anela alla partecipazione della passione e morte del Signore. Angelus Faciei Jesu è davvero il sacerdote che vive la semplice sublime parola: Mio Dio mio tutto! Oh lui beato, che già su questa terra sperimenta quanto S. Giovanni della Croce espresse nei suoi dolcissimi e profondi versi: nel mio Diletto ho le montagne, le valli solitarie e selvose, le isole straniere, i fiumi rumoreggianti, il murmure degli zefiri amorosi. ho la tranquilla notte che somiglia al levar dell’aurora: la musica silenziosa la solitudine armoniosa il festino che delizia e che accresce l’amore1. 3. l’eleziOne … che per la vostra infinita bontà e misericordia, mi avete scelto ad essere vostro ministro… per infinita bontà Dio ha creato, unicamente per diffondere la sua bontà; egli niente deve alla creatura, al contrario la creatura Gli deve tutto. per sua infinita bontà e misericordia, Dio ha voluto elevare l’uomo alla grazia dell’adozione filiale, lo ha ricercato, lo ha redento quando questi gli si ribellò, reintegrandolo nella 1 Cfr. S. Juan de la Cruz: obras completas, Madrid 1948, pag. 476. versione tolta dalla Storia di un’anima. 1955.
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dignità perduta, anzi largendogli più di quanto aveva perso e promettendogli la medesima gloria del suo unigenito incarnato. È sempre l’incarnazione che spiega tutte le opere esteriori di Dio (ad extra). per la gloria di Cristo, Dio tutto crea e tutto opera; per la gloria di Cristo, egli ci largì la sua copiosa redenzione, la sua ineffabile pace e grazia. l’incarnazione ci fa conoscere chi è Dio, quale sia il suo genio, le sue inclinazioni, le sue brame, ci rivela in altri termini che egli è la bontà, la misericordia, l’amore infinito. i redenti, i figli di Dio, sono tali perché il padre ha talmente amato gli uomini da dare il suo Figlio, da non risparmiarlo, castigando in lui i nostri peccati, e riconciliondoci a sè in lui. in altri termini essi sono diventati figli adottivi di Dio per la sua infinita bontà e misericordia, per il suo infinito amore. essi sono gli eletti, e la loro elezione ha una duplice origine: la gloria di Cristo e l’ineffabile carità del padre Celeste. S. paolo nel primo capo della sua lettera agli efesini, in un inno di ringraziamento e di esultanza, turgido di frasi e di sentimenti ineffabili, svela il mistero taciuto nei secoli, il mistero rivelatore della multiforme sapienza di Dio, che non è altro se non il mistero della Chiesa. la Chiesa è il cosmos santificato sotto la giurisdizione del suo re: Cristo; angeli e uomini che il Cristo adorano e glorificano il padre, che tendono a divenire la sua lode di gloria; è l’adunanza degli eletti, che con Cristo formano un sol corpo, il Cristo totale. È la Sposa di Cristo, che è stata scelta unica e bella, santa e immacolata; è il regno di Dio e del suo Cristo; la santa casa, la dolce nazareth dei fedeli, degli eletti. Come potremo adeguatamente ringraziare il padre per averci chiamato a far parte della sua famiglia, del suo regno, della sua Chiesa? Solo offrendogli il Figlio suo, il Cristo Signor nostro. Se tale è la dignità dei figli del nuovo patto, dei sudditi del regno di Cristo, davvero che non si trovano parole atte a spiegare la dignità dei sacerdoti nella santa Chiesa. veramente è stata l’infinita bontà e misericordia, di Dio, che li ha scelti. il sacerdote continua nei riguardi della umanità e della Chiesa la missione di Cristo. il carattere, che gli è stato impresso nel giorno della sua consecrazione, lo rende partecipe della dignità, dell’autorità e della azione messianica di Gesù. un semplice accenno ad alcuni nomi, che gli son dati nella S. Scrittura, all’ufficio che ricopre, alla dignità onde è investito, ci manifesta come davvero egli è stato scelto ad essere ministro di Cristo per l’infinita bontà e Misericordia di Dio, come piamente e in tutta verità scrive Madre lucia: «Mio Dio, mio Tutto, che per la vostra infinita bontà e misericordia mi avete scelto ad essere vostro ministro…». il sacerdote da Gesù viene chiamato: suo ministro, suo apostolo, suo amico.
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nell’a.t. il nome di servo, o ministro, era l’appellativo proprio dei profeti. questo titolo importa una dignità ben superiore a quella della santa plebe di Dio, cui il profeta parla nel nome del Signore. questo titolo viene dato pure al Messia in quei misteriosi e sublimi carmi di lsaia, che son chiamati precisamente «i carmi del Servitore di iavhe». questo servitore santo e martoriato è il profeta, l’inviato di iavhe verso tutte le genti, è l’apostolo delle nazioni, è il discepolo fedelissimo del Signore, anzi è qualcosa di più che un servo, un discepolo, un profeta, è l’amato del Signore e l’amante del Signore, cui prova il suo amore, eseguendone eroicamente la volontà giusta e misericordiosa per la salvezza dei fratelli. perché ama questa volontà arcana del Dio tre volte santo, egli accetta la morte quale un agnello destinato al sacrifizio, e in virtù di questa morte obbrobriosa ed atroce riceve da Dio la glorificazione suprema. per essa infatti egli diviene padre, capo e re d’un popolo novello, il popolo santo di Dio, il regno di Dio: la Chiesa (is. 42,1-9; 49,1-7; 50,4-9; 52,13-15; 53,1-12). Gesù solo col chiamare i suoi sacerdoti coi nomi di ministro, apostolo, amico, prima ancora di conferire loro la potestà di consecrare e di santificare, ben chiaramente indicò come egli volesse che essi fossero una copia vivente di sè medesimo, giacché essi altro non sono che i continuatori della sua attività messianica. Simili a lui nella missione, gli saranno e gli debbono essere somiglianti nelle passioni, come di certo gli rassomiglieranno nel trionfo. veramente il sacerdote quale un altro Giovanni battista è un amico dello Sposo. «È sposo Colui che ha la sposa…». lo Sposo è Cristo e la sua sposa è la Chiesa; come Giovanni, il sacerdote è l’amico dello Sposo… (Giov. 3,29). anzi, se fosse possibile, il sacerdote deve amare Cristo più del battista perché la sua dignità supera quella di questo ultimo e massimo tra i profeti, chè il suo officio non consiste soltanto nel preparare al Signore un popolo santo, nel preparargli le vie, ma bensì nel santificare la Chiesa, la Sposa del re Celeste, del Cristo adorato, e nell’espandere questo suo santo regno. egli deve piuttosto assomigliarsi all’altro Giovanni, il figliolo di zebedeo, il discepolo che Gesù amava, affinché riposando sul suo Cuore vi attinga la luce, la forza, la carità, che lo renderanno un sincero e valente cooperatore della verità, cioè del verbo eterno. il sacerdote della nuova alleanza sacrifica, santifica e insegna proprio come il Signore, Cristo Gesù. Sacrifica celebrando il mistero della morte del Signore, la Messa; santifica amministrando i sacramenti, ammaestra predicando la buona novella, rendendo testimonianza alla verità. Ci saranno nel mondo dignità più abbaglianti, ma nessuna come la dignità del sacerdote è tanto vicina a Dio, è tanto divina. «non voi mi avete scelto, ma io ho scelto voi e vi ho destinati affinché voi
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portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Giov. 15,16). Meditando una tale scelta nascono spontanei nel cuore due sentimenti che, sebbene tanto diversi, pure si completano vicendevolmente. l’uno è un senso di dolce, profonda umiltà, che ci fa ripetere la parola di San Giuda taddeo «Signore, cosa mai è avvenuto che ti sei manifestato a noi e non al mondo»? (Giov. 14,22). e l’altro è un sentimento di generosa confidenza, di gagliarda letizia, di audace speranza, quale si rivela in quella proclamazione di S. paolo: «a me il minimo fra i santi tutti è stata concessa questa grazia di evangelizzare alle genti le investigabili ricchezze del Cristo, e di illuminar tutti circa la dispensazione di quel mistero, che da secoli è rimasto nascosto nel (cuore di quel) Dio, che tutte le cose ha creato, affinché venga resa manifesta ora ai principati e alle potestà negli alti cieli per mezzo della Chiesa, la moltiforme sapienza di Dio…» (ef. 3,8). Madre lucia, che conosceva come Giovanni, l’amato, il Cuore di Gesù, che sapeva con quale e quanto amore Gesù sceglie i suoi ministri, aveva un rispetto umile e profondo per la loro dignità. essa come S. Gemma, come S. teresa del b. G. e una schiera innumerevole di anime, si offrì vittima per la loro santificazione. e volendo ricondurci tutti al Cuore di Colui che ci ha scelto, ci ricorda per primo la nostra tremenda vocazione e dignità. Oh lucia faceva ben sua la preghiera della santa carmelitana: viver d’amore, è pur dolce mia vita pregarti a effondere l’amor tuo divino nell’alma eletta d’ogni tuo levita, onde sio puro come un serafino… e promise che dal Cielo avrebbe aiutato «i suoi sacerdoti» a trovare la loro gioia nel Cuore di Cristo e in quello della Madre SS.ma. possiamo noi rispondere a tale chiamata, la chiamata dello Sposo, alla vita di amore!
4. l’aDOraziOne … profondamente vi adoro per me e per tutte le creature. in quest’atto di offerta il sacerdote esprime a Dio attraverso le parole di quest’anima serafica e sacerdotale che fu lucia Mangano, i sentimenti della sua
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adorazione, del suo abbandono, della sua supplicazione. egli adora, si offre, si abbandona e supplica il padre Celeste. e non è forse tutta qui la vita, la missione, l’ideale del sacerdote? non sono forse questi i grandi fini della Messa, gli atti più sacri di Madre Chiesa, i sentimenti più forti del Cuore immacolato di Maria, anzi dello stesso Cuore di Cristo Gesù? il sacerdote adora, adora profondamente per sè e per tutte le creature. Se la preghiera del cristiano, per il fatto che è figlio della Chiesa e membro del corpo mistico di Cristo, è una preghiera sociale, tanto più il sacerdote, che riproduce per virtù del carattere sacro dell’ordine la missione e la dignità messianica di Gesù, non può che pregare per tutti, supplicare, espiare per tutti. e perciò Madre lucia gli fa ripetere soavemente: «vi adoro profondamente per me e per tutte le creature». l’adorazione è la più alta forma di preghiera; è il riconoscimento amoroso dell’assoluta e infinita perfezione di Dio, l’accettazione convinta e riconoscente di questa duplice verità: che noi siamo niente e che Dio è tutto; anzi nel tempo della grazia, nell’economia del nuovo testamento, è l’estasi dell’amore filiale. quando adamo prima della colpa vide la grandezza delle opere di Dio, e comprese la santità delle sue leggi l’adorò stupìto e giubilante. Dopo il pentimento per la colpa, all’adorazione si accompagnò un sentimento nuovo, quello della contrizione, in una al bisogno di espiare, di cancellare il peccato, di riconciliarsi col Signore, che aveva offeso. tale sentimento nella storia dell’umanità sbocciò nei riti del sacrifizio. il sacrificio e l’adorazione sono due concetti e due azioni pressocché inscindibili, per cui si riconosce il dominio supremo e assoluto del Creatore. il peccato del primo padre fece tralignare l’umanità, gli errori si addensarono, si moltiplicarono, l’idolatria coprì la terra come di spessa tenebra, ma l’adorazione e il sacrificio rimasero quali voci gementi dell’uomo, che sospirava i beni perduti e domandava il perdono, la riconciliazione, e la pace. questi due fatti attestano e assicurano che anche in mezzo ai popoli pagani, privi del lume della rivelazione, iddio non si lasciò senza testimonianza, che li guidò e li guida, anche attraverso vie arcanamente impenetrabili alla mente umana, verso la luce del suo Cristo, del suo unigenito. Se tanto possiamo dire dei popoli pagani, quanto non è mai vero, parlando del popolo eletto, di cui dice il Salmista: Non fecit taliter omni nationi, non fece altrettanto con tutte le altre nazioni? (Sal. 147,20). e in verità mentre le tenebre dell’idolatria coprivano quasi del tutto il mondo, lasciando solo passare qualche tenue spiraglio della luce di Dio, su israele invece splendeva il lume del Signore! la storia religiosa di questo popolo si compendia nel binomio: sacrificio e adorazione. la vita di abramo e degli altri patriarchi, la mirabile ed eroica epopea dei
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profeti, la pietà dei poveri e degli umili, classe disprezzata dagli scribi, ma prediletta di Dio, è tutta un’adorazione del Creatore, del Signore, il Signore dell’alleanza Sacra, il Datore della promessa il gran perdonatore. la santità di Dio, la sua onnipotenza, la sua sovrana autorità è riconosciuta nell’adorazione e nel sacrificio. Dio stesso volendo che il suo popolo lo lodasse in maniera meno indegna della sua ineffabile virtù, gli rivelò la legge del sacrificio, e la formula dell’adorazione, gli prescrisse quelle condizioni morali, senza di cui i riti esterni sarebbero divenuti delle azioni ipocrite e quindi inique, e lo preparò, e per suo mezzo preparò l’umanità, ad aspettare e ad accogliere Colui, che doveva rendergli un’adorazione e un amore infiniti, l’ossequio di un amore infinito, alla sua santità infinita, un’adorazione insomma che copiosamente, con una infinita sovrabbondanza espiasse le colpe degli uomini, e forse l’omaggio perfetto della Creatura al Creatore e Signore di tutto. tale omaggio non poteva essergli reso che dal Cuore di un uomo-Dio, al Cuore Sacratissimo di Gesù. e, cosa divinamente tenera, questa adorazione amante non è istantanea, non è transeunte, ma comincia coll’incarnazione e durerà eternamente, cioè sino a quando dura il regno di Gesù, di cui dice il padre, che non avrà mai fine: Cuius regni non erit finis! (lc. 1). e ancora divine meraviglie: questa adorazione amante raggiunge il suo apice nel sacrificio della Croce, che tutti i sacrifici assomma, supera e compie. e questo binomio inscindibile: sacrificio della Croce e adorazione amante del padre, non termina col fatto storico della morte inflitta al Cristo in un dato momento storico, in un dato punto della terra, ma supera i tempi e lo spazio, si perenna nella rinnovazione del sacrificio della Messa, e durerà fino alla seconda venuta del Signore Gesù. Dal primo venerdì Santo sino a quando non spunti l’aurora delle nozze dell’angelo, sul mondo si erge un Calvario invisibile, e su di esso pende una Croce invisibile, e alla Croce sta affisso il Signore, che continua a lavare misteriosamente col suo Sangue le iniquità degli uomini. Ogni altare, su cui il ministro di Dio celebra, è questo Calvario. là Gesù continua la sua adorazione amante e il suo sacrificio accetto al padre. là Gesù dona di continuo alla sua Sposa diletta, la Chiesa, la possibilità di rendere a Dio un culto divino, senza dubbio accetto al Creatore e Signore di tutto, un culto, un omaggio adeguato alla sua infinita santità. tutti i cori angelici non possono offrire a Dio un culto più gradito della Messa, anzi la loro adorazione, la loro offerta, il loro abbandono, la loro supplicazione derivano i propri meriti dal Mistero della Morte del Signore, giacché partecipando essi quali membri della Chiesa ai fini di questo sacrificio, adorano l’ineffabile, Colui la di cui migliore lode è un adorante silenzio. Figli della Chiesa, tutti i fedeli mercè il Sacrificio della Messa, adorano il
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padre di ogni bene e gli rendono anche essi un omaggio degno della sua eterna gloria, della sua tremeda Maestà. Ma tale omaggio, tale culto per il padre Celeste, culto del Cuore di Gesù e del Cuore della sua Sposa, la Chiesa, passa attraverso il cuore del sacerdote, di questo povero figlio dell’uomo, che un giono fu consacrato affinché sacrificasse, offrisse, amasse… affinché fosse il rappresentante di Cristo e il rappresentante della Chiesa pellegrina o militante al cospetto del padre. e qui parmi stia il senso intimo della frase di Madre lucia nell’offerta: … «profondamente vi adoro per me e per tutte le creature». l’adorazione di Gesù sulla Croce e sul santo altare ha un carattere cosmico: nel Cuore di Gesù tutto il creato rende omaggio all’eterno. Somigliante carattere cosmico possiede l’adorazione della Chiesa, che si manifesta nella Santa Messa. per adorare l’eterno per tutte le creature, proprio come Gesù e come la Chiesa fanno, il sacerdote è stato consecrato. Gesù e la Chiesa hanno bisogno del cuore di un figliolo dell’uomo; e di lui, di questo eletto, di questo predestinato si servono per glorificare il padre Celeste. per conseguenza la tremenda vocazione sacerdotale esige che il cuore di questo eletto si rassomigli al Cuore dello Sposo e a quello della Sposa, al Cuore di Gesù e a quello della Chiesa. e chi potrà mai dire cosa sentiva il Cuore di Gesù, che amava il padre con infinita tenerezza, con ineffabile generosità, colla brama ardente di immolarsi per lui per manifestargli il suo amore? Oh questo amore di Gesù per il padre e del padre per il figlio benamato sarà uno dei misteri che formeranno il nostro gaudio eterno nella patria! solo conosciamo il fatto: egli mediante la sua passione e morte espresse l’amore supremo per il padre e per noi. il sacerdote, che è un altro Gesù, deve ardere di questo amore supremo per il padre e per i fratelli suoi. la sua vita deve essere quell’unico orientamento che ebbe la vita di Gesù: vado ad Patrem… ut cognoscat mundus quia diligo Patrem, surgite eamus… nonne haec oportuit pati Christum et ita intrare in gloriam suam? (Giov. 16,16; 14,31; lc. 24,26). andare al padre, far ritorno al seno del padre attraverso la via della passione e della morte. a queste condizioni il sacerdote celebrerà il mistero della morte del Signore, adorerà degnamente il padre, perché partecipa all’amore, alle brame, agli ideali del Cuore di Cristo. e come oltre che rassomigliarsi al Cuore dello Sposo, il sacerdote si renderà simile al cuore della Sposa, della Santa Madre Chiesa? Dov’è il cuore della Chiesa? nell’offerta del sacrificio della morte del Signore, i sentimenti, i gesti, i riti della Chiesa sono una imitazione, una riproduzione, anzi una continuazione dei sentimenti, dei gesti, dell’amore della Madre immacolata, la vergine Maria. il cuore della Chiesa è il Cuore immacolato di Maria. la Chiesa è figlia di
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Maria, la liturgia della Chiesa è l’attuazione e l’esplicitazione della tenerezza della Madre immacolata verso il Santo e dolce Corpo del Signore. l’aspirazione di S. teresa del b. C.… «oh se fossi stato sacerdote con quanto amore l’avrei fatto scendere dal cielo e con quanto amore l’avrei tenuto nelle mie mani…!» il pio sacerdote direi quasi che la cambia così: oh mio Signore, io son figlio della Chiesa, e figlio di Maria, le ricchezze, i tesori della Madre immacolata mi appartengono, colla dolce umiltà del suo Cuore immacolato, con l’ardente brama di lei a nazareth, io vi faccio scendere sull’altare, con la quasi infinita materna tenerezza di lei a betlem, io vi tengo nelle mie mani, con la soavità dei baci di lei, io vi ricevo nel mio cuore, con l’amante adorazione di lei sul Calvario, io vi offro al padre nel momento della consecrazione, col desiderio di lei, che aspettava la visione del vostro Corpo risuscitato nella gloria, io celebro il Mistero della vostra morte nell’attesa della vostra seconda venuta. Giacché io, figlio di Maria e della Chiesa, appartengo a quelli che amano la vostra venuta, — iis qui diligunt adventum Eius — (2 tim. 4,8). io credo con tutte le forze del mio essere, che il vostro Santo Corpo, che noi riceviamo in cibo, è germe e pegno di quella futura gloria, che sarà piena quando il tempo non sarà più e voi, Salvatore adorato, celebrerete le vostre nozze, le nozze dell’agnello, e consegnerete il regno al padre, il quale sarà Dio tutto in tutti! Oh mio Gesù! veramente e solo sull’altare io vi adoro profondamente per me e per tutte le creature!
5. l’OFFerta … Vi offro tutto me stesso, non volendo più vivere che di Voi solo… l’offerta è un dono. e può mai la creatura, che ha tutto ricevuto da Dio, donargli qualche cosa? Cosa può donare l’uomo al suo Creatore, il figlio al padre di ogni bene se non quanto ha da lui ricevuto? veramente Dio è padre: nemo tam pater! scrisse tertulliano. questo padre amante, come i nostri genitori secondo la carne, vuol provare la gioia di vedere i suoi figli che gli offrono i doni che essi hanno da lui ricevuti. il figlio può nella sua offerta dimostrarsi egoista, misurato, generoso. egoista è colui, che fruisce dei beni avuti senza pensare al Celeste Donatore; misurato, colui che agisce coi lumi della prudenza umana, e quindi non offre a Dio tutto ma solo una parte, qualche cosa, per tema che poi non possa vivere e sostentarsi; generoso, invece è colui che tutto ridà al padre suo, e a lui completamente si abbandona, e cerca lui solo e il suo beneplacito.
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Madre lucia nell’atto di offerta composto per i «suoi sacerdoti» al dovere dell’adorazione perfetta, fa seguire il dovere dell’oblazione completa. e ciò in forza di una logica soprannaturale, irrefragabile. quanto più l’adorazione è perfetta, tanto più l’oblazione è completa. l’offerta è una conseguenza dell’adorazione. questa è innanzitutto un atto intellettuale, l’oblazione è un frutto della volontà e del cuore. l’offerta è l’attuazione dell’adorazione. Se dunque l’adorazione del sacerdote è una continuazione, o almeno deve essere una continuazione dell’adorazione di Cristo, del pari come Gesù il sacerdote si deve offrire in lui, con lui, e per lui completamento al padre. Ora Gesù si è donato tutto al padre diletto, e ha vissuto unicamente di lui. l’amore del padre per l’unigenito e l’amore di Gesù per il padre Santo e Giusto, rimarrà sempre un mistero incomprensibile alla povera mente umana, e nel paradiso formerà uno dei nostri più profondi e inebrianti gaudi. tuttavia anche quel poco che possiamo comprendere quaggiù meditando sulle parole delle Sacre Scritture, ci comunica una commozione ineffabile, il desiderio dell’amore infinito, il sentimento di una adorazione umile e ardente. quest’amore di Gesù per il padre e del padre per l’unigenito, ha inizio, consiste e termina, senza consumarsi, nello Spirito Santo, nel «dolce amore della Divinità», in Colui che S. Francesco chiama: ignita et melliflua vis amoris Dei: una forza infocata e melliflua dell’amore Divino! nello Spirito Santo, appena il verbo si unisce alla natura umana, si offre al padre, e gli dice secondo l’insegnamento di S. paolo: «tu non hai voluto gli olocausti e le oblazioni, ecco io vengo, o Dio per fare la tua volontà» (ebr. 10,5). questo fu il primo atto del verbo fatto carne, l’offerta totale di tutto sè stesso al padre. una offerta totale, che veniva rinnovata a ogni istante mediante l’adempimento della sua volontà tre volte santa. il compimento di questa volontà era l’ideale, l’amore, la delizia, il respiro, il cibo di Gesù. Senza cibo l’uomo non può vivere, Gesù non sarebbe potuto vivere senza compiere la volontà del padre suo. in tutte le vite dei santi, degli eroi c’è un’idea forza, un ideale che unifica tutte le attività e le esperienze, per Gesù l’idea-forza, l’ideale supremo fu proprio questo: compiere amorosamente, eroicamente e sempre la volontà del padre suo. niente può distornarlo dal compimento di questo suo dovere, che tutti gli altri comprende; non le familiari affezioni, non l’astuzia e l’odio dei suoi nemici, non l’ingratitudine, la banalità, il tradimento dei suoi e neppure la stessa morte; chè anzi essendo la morte e la morte di croce, il comando paterno cui tutta la vita terrestre dell’unigenito era subordinata, Gesù vi andò incontro con generoso coraggio, con assoluta determinazione. la frase di S. luca: «il suo volto era fisso verso Gerusalemme», (luc. 9,51) significa precisamente questo: egli andava risolutamente verso quella città, dove
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sapeva che morendo ignominiosamente, avrebbe compiuto la volontà del padre. e S. Giovanni, l’amato, ci ha conservato una frase di Gesù da cui appare chiaramente come andare a morire era per il suo Cuore la vera prova dell’amore per il padre: «affinché Sappia il mondo che io amo il padre, disse ai suoi, alzatevi, andiamo!» (Giov. 14,30). e s’avviò nell‘orto del Getsemani! tale offerta di Gesù alla volontà del padre era stata predetta da isaia in quei misteriosi carmi detti del Servo del Signore, che, meditati dopo la passione del Cristo, si illuminano di tutto lo splendore dell’eterno amore. in essi del Messia paziente sta scritto: oblatus est quia Ipse voluit… (is. 53,7) è stato immolato perché l’ha voluto: ma volendo la sua immolazione il Messia, voleva la volontà del padre, che su di lui e in lui volle punire i nostri peccati. Sulla Croce come sui nostri altari il Cuore di Gesù vive in perenne atto di adorante oblazione di sè al padre suo. la Chiesa, sua Sposa diletta durante questo sacrificio si offre al padre assieme a Cristo, l’unigenito, suo Salvatore e suo Sposo; anzi la Chiesa questa sua oblazione compie e proclama per la voce dei suoi ministri. Hanc igitur oblationem servitutis nostrae, sed et cunctae fomiliae tuae quaesumus, Domine, ut placatus accipias… pertanto questa offerta del nostro ministero, anzi offerta di tutta la sua famiglia, te ne preghiamo Signore, accetta placato… Cristo tutto si offrì al padre, la Chiesa per Cristo tutta si offre al padre, anche il sacerdote per Cristo tutto si offre al padre: solo così egli continua misticamente e realmente l’offerta del Salvatore sulla Croce. questo è il significato pronfondo delle parole: vi offro tutto me stesso, non volendo vivere che di Voi solo. vivere solo di Dio nostro padre Celeste, senza lasciarsi mai affascinare dalle illusioni della vita presente, vivere nel tempo la vita dell’eternità, vivere, pur circondati di debolezza, la vita divina il cui seme è stato posto in noi nel giorno del santo battesimo, vivere dediti esclusivamente al compimento della volontà del padre, facendo di essa come Gesù, il proprio cibo, ecco l’ideale della vocazione nostra di sacerdoti. quanto è sublime e come non spaventa la nostra debolezza! bisogna per poterlo realizzare cercare sempre il volto del Signore: faciem tuam, Domine, requiram, guardare come faceva Gesù bambino negli occhi alla Madre immacolata per leggervi la volontà del padre, e come faceva l’immacolata: guardare negli occhi di Cristo Gesù! attraici, o Signore, delizia del padre, affinché viviamo in te solamente per lui e per la sua gloria!
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6. l’abbanDOnO … sacrificatemi, disponete di me come Vi aggrada, io, povera creatura, mi abbandono completamente in Voi. Con queste parole il sacerdote esprime in modo concreto tutta la portata della sua offerta: ne sono una conseguenza. essendosi egli già dato come un’ostia è naturale che dica al padre Celeste: «sacrificatemi, disponete di me come vi aggrada». egli agisce in tal guisa ad imitazione del Signore Gesù. quando il Signore s’incarnò nel seno verginale di Maria, si offrì subito al padre suo dicendogli: tu non hai voluto vittime e olocausti, ma mi hai dato questo corpo, ed io vengo a fare la tua volontà» (ebr. 10,5). iddio padre accettò questa offerta del suo unigenito, e dispose di lui con un beneplacito, che prostra in adorante stupore gli angeli e sconcerta d’altra parte le anime deboli. in lui infatti pose l’iniquità di tutti, in lui e su di lui punì i peccati dell’umanità. C’era bisogno per salvare il mondo che Dio volesse e vedesse il Figlio suo sulla Croce? quanto è complicato per non dire crudele questo piano, o consiglio di Dio! Così pensa chi non ha il senso di Cristo, e sta qui lo scandalo della Croce. essa è una stoltezza per i greci, dice paolo, e uno scandalo per i giudei (i Cor. 1,23); giacché la mente umana non arriva a sondare questo mistero; ma per quelli che credono, la Croce è la forza di Dio, la leva che solleva il mondo a lui, la gloria della Chiesa, il retaggio dei cuori amanti. quando Gesù si offrì al padre suo con quelle parole: «ecco io vengo a fare la tua volontà», si mise a sua disposizione, accettò in anticipo tutte le pene della vita, le avventure dolorose del suo ministero, le ansie, i timori, le angoscie della morte. lasciò che il padre lo trattasse a suo completo piacimento. e il padre lo preso in parola, anzi stabilì una legge formulata così da S. paolo: «omnes qui pie volunt vivere in Christo Jesu persecutionem patientur: quanti vogliono piemente vivere in Cristo Gesù, dovranno soffrire sempre persecuzioni» (2 tim. 3,12). e in verità quanto più le anime si assomigliano al Signore Gesù, tanto più esse vengono sacrificate dal padre. basta pensare al mistero della vita di Maria, la Madre immacolata. la sua vita è una vera celeste e tremenda avventura. nessun miracolo opera per lei il Figlio. Deve nel timore e nell’ambascia fuggire in egitto per salvare il Salvatore del mondo, deve vivere nel nascondimento Colei che è la regina dell’universo, deve essere trafitta dalla morte del Figlio Colei che è l’immacolata. e non è forse una celeste e tremenda avventura la vita della Chiesa? Oh
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quanto essa non ci sembra simile a quella della Madonna! Sempre in ansia perché il suo Sposo viene cercato a morte, calunniato,… sempre trafitta perché molti lo tradiscono, lo rinnegano, lo uccidono… eppure sempre piena di speranza e di gioia: spe gaudentes, sebbene la sua vita di domani si trovi nella medesima incertezza in cui trovavasi quella di Maria quando fuggiva verso le terre di egitto, o quando tornava in Giudea, dove regnava archelao. Giusto e soave pertanto che la figlia si assomigli alla Madre. i santi non sono che la comprova di questa legge cui furono sottomessi Gesù, la Madre immacolata e la Chiesa. la loro vita è una immolazione continua, una vera insospettata divina avventura. quelle che oggi si sogliono chiamare le forze della storia, ben sovente sono scatenate contro di loro, perché scatenate contro la Chiesa. la filosofia, la politica, la stampa, gli egoismi di ogni denominazione... veramente senza la fede, la miglior soluzione del problema della vita sarebbe o l’anarchia o la follia, ma per la fede si ha la soluzione di ogni contrasto nel Crocifisso. al lume della Croce di Gesù si comprende che il mondo è una macchina per far dei santi, un crogiolo, diceva S. agostino, dove si getta di tutto e in cui resiste solamente l’oro della carità. il sacerdote, che continua il ministero messianico del Salvatore, e che è il delegato della Chiesa davanti a Dio, è l’uomo più direttamente, più urgentemente chiamato a vivere piamente in Cristo Gesù, e pertanto a soffrire persecuzioni, a vivere abbracciato alla Croce. questa vocazione e questo desiderio egli esprime con le soavi ma impegnative parole che Madre lucia ha scritto per lui: sacrificatemi, disponete di me, come vi aggrada. Sì, o padre e Dio di Gesù Signore, padre e Dio nostro, noi vostri ministri, noi gli eletti di Gesù, non vogliamo essere dissimili da Colui, che ci ha chiamato. vogliamo al contrario rassomigliarci a lui, la cui vita fu tutta croce e martirio, vogliamo allietare l’immacolata Maria con un amore effettivo per Gesù Crocifisso, e vogliamo in tal guisa rallegrare la Santa Chiesa pellegrina e militante. Sacrificatemi, o Signore. io non fo scelta alcuna, a voi di scegliere, Disponete di me come vi aggrada, io povera creatura, mi abbandono completamente in Voi. la voce dei superiori, la voce della Chiesa, i bisogni delle anime sono per me la vostra voce, ed io voglio seguirla, obbedirla. Dove c’è più umiltà, più nascondimento, afflizioni più intime e ignorate, sia quello il mio posto più ambìto. non posso permettere che mi regoli secondo la legge dell’onore umano, le azioni di tutta la mia vita devono seguire un solo codice, quello del vostro Figlio Crocifisso. qui sta la mia ambizione e il mio onore, qui sta il trionfo della vostra Chiesa.
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7. SuppliCa per SÈ SteSSi Per me non vi cerco niente: vi domando per vostra infinita misericordia, che mi guardiate sempre per essere un sacerdote secondo il vostro divin volere e formare così la vostra delizia! il sacerdote, che vive abbandonato al padre, come faceva il Signore Gesù, che tutto si attende da lui sia per l’anima quanto per il corpo, il sacerdote che respira nel padre, quasi sul suo seno, certamente nulla ha da chiedere per sè, per i comodi della sua vita transeunte; chi ha il padre ha anche il Figlio e in lui è ricco di ogni bene. perciò egli, in questo atto di offerta dice: «per me non vi cerco niente», che è quanto dire: non mi preocccupo dei beni della vita presente, quali possono essere la sanità fisica, questo o quell’altro impiego, la stima o la dimenticanza, il disprezzo o l’onore… niente di tutto ciò che passa può turbarmi, io cerco solo i beni eterni e invisibili, cerco quel dono più grande, che non passa anche quando il tempo non sarà più. e di fatto, chiedendo il sacerdote con quelle umili e dolci parole che seguono di essere custodito dal padre Celeste per essere un sacerdote secondo il suo divin volere, anzi per formare la sua delizia, null’altro chiede se non quel carisma più grande, quello che ambìva San paolo e dopo di lui innumere schiere di amanti del verbo incarnato, e cioè il dono, la via della carità, un allargamento e un approfondimento della carità. la perseveranza nella carità, ma anche la brama della carità piena, di quell’acqua viva, che zampilla sino alla vita eterna, sino al seno del padre (Giov. 4,14). non saprei dirne il motivo ma leggendo queste parole, l’anima mia pensa subito all’inno di S. paolo sulla carità, alla lettera, che S. Francesco scrisse ai sacerdoti dell’Ordine e a una frase di S. ignazio Martire, che è come una eco del vangelo di S. Giovanni. S. Francesco supplica i sacerdoti che si diano completamente a Gesù, perché lui nella S. Messa tutto si dona a loro, e attraverso di loro si dona agli altri figli della Chiesa. e S. ignazio, che possedeva Cristo nel suo cuore, in forza di un amore ineffabile e indomabile, sentiva nel suo profondo risonare continuamente il mormorio di una voce celeste, che gli diceva: veni ad Patrem! vieni anche tu al padre! Madre lucia vuole che tutti i ministri di Cristo sulle orme di lui, uniti a lui, compenetrati, agìti da lui vadano al padre, e Gli conducano molte, molte anime. Oh la Madre gustava tutto il celeste sapore di quella frase, che non esprime solo la
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brama profonda ma bensì ancora l’ideale del Cuore di Cristo: vado ad Patrem! io vado al padre (Giov. 14,12). Ogni sacerdote deve sentire tale nostalgia del padre e deve vivere siffattamente unito a Gesù che il suo ideale si possa e si debba riassumere in questo anelito: vado ad Patrem! e perciò egli supplica il padre, datore d’ogni bene, che lo guardi secondo il suo divin volere, cioè lo conservi nella carità, che gli comunichi, per quanto ne sia capace, l’umile generosa e entusiastica energia del primogenito Gesù nell’opera della espansione e della difesa del regno dei Cieli, anzi arriva a pregarlo con travolgente audacia che egli, povero figlio di eva, nato nel peccato, e soggetto all’infermità di adamo, possa formare la di lui delizia. È mai possibile a una creatura umana siffatta ascensione? Ma affinché il sacerdote formi la delizia del Cuore di Dio, del padre Celeste, non deve essere un altro Gesù, il Figlio diletto, Colui nel quale il padre si compiacque? Colui che fu l’amato e l’amante sin dall’eternità? bisogna rispondere semplicemente: sì, e aggiungo che la supplica, che Madre lucia mette sulle labbra dei sacerdoti, non eccede l’eccelso ideale proposto da Gesù ai suoi seguaci: siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che sta nei cieli, e neppure esula da quei limiti — senza confini invero, cui accenna Gesù nella sua preghiera sacerdotale: «Padre Santo, conserva nel tuo Nome coloro che mi hai dato, affinché siano una sola cosa come noi… essi non sono del mondo, siccome io non sono del mondo… santificali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, alla stessa guisa io mando loro nel mondo, e per essi io mi santifico acciò che essi siano tutti una sola cosa come noi siamo una cosa sola. Io in loro e tu in me, acciò che siano consumati nell’unità e il mondo conosca che Tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Padre, io voglio che quelli che Tu mi hai dato, siano dove sto io, affinché vedano la mia gloria, quella che Tu mi hai dato, perché tu mi hai amato prima della costituzione del mondo Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e ancor essi hanno conosciuto che Tu mi hai mandato. Ed io ho manifestato loro il tuo Nome, e ancora glielo manifesterò, affinché l’amore, con cui Tu mi hai amato, sia in essi, ed io sia in loro!» (S. Giov. 17). Sì, mi pare di comprendere; quando io col cuore spezzato dal pentimento, ma pure acceso da immensi desideri, balbetto le parole: «vi domando per vostra infinita misericordia che mi guardiate sempre, per essere un sacerdote secondo il vostro divin volere e formare così la vostra delizia», altro non faccio che compendiare i desideri di Gesù nei riguardi dei suoi sacerdoti. no, questa invocazione non è esagerata; vorrei dire, ma sopratutto vorrei sentire, che non è impossibile. anzi è una conseguenza naturale di quanto Gesù ripetutamente afferma: il padre ci ama sin dall’aternità in lui, il beneamato
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unigenito, con lo stesso amore onde ama lui, l’unigenito! «Dilexisti eos, sicut et me dilexisti!» (Giov. 17,23). noi vivendo come Gesù, anzi vivendo per lui e in lui, ameremo il padre adeguatamente, e cioè come egli vuole essere amato. O mio Signore Gesù, dissipa le tenebre della mia mente! Ma sopratutto comunicami la forza generosa della tua travolgente carità affinché cerchi sempre, come tu facesti nella tua vita mortale, la volontà del padre, affinché faccia di essa il cibo dell’anima mia, chè così solamente così, potrò formare le delizie del padre. arrossisco nel pronunciare e nello scrivere tali parole, eppure so che questa è la mia vocazione e la mia aspirazione. quando io cerco, come facevi tu, il volto del padre Celeste, quando io dico coi fatti come dicevi tu: vado al Padre, o allora sento di vivere nella tua carità, di rimanere nel tuo amore, allora sento anch’io il dolce suono della tua voce che mi invita dicendo: Veni ad Patrem! vieni anche tu, andiamo al padre! Oh mio Signore, è mai possibile che tu voglia trasportare così in alto questo vile verme peccaminoso? quale pazzia di amore ti spinse a tanto? Giacché se ho ben compreso le tue parole, tu vuoi che io dimori assieme con te nel seno del padre per una eternità beata… Sì, o mio Salvatore, questa è la brama del tuo Cuore, questa è la volontà del padre Celeste, il padre tuo e il padre nostro, questo egli vuole, perché tu puoi transformare il mio cuore nel tuo e puoi farlo diventare oggetto delle sue delizie… o Signore, mi arrendo senza condizioni, e mi abbandono alle onde straripanti del tuo ardente e mellifluo amore. 8. SuppliCa per i COnFratelli … Vi domanda ancora per la Passione del vostro divin Figliolo Gesù, che guardiate misericordiosamente tutti i vostri sacerdoti, miei fratelli. S. Francesco, il Serafico, non ardì ascendere alla sublime dignità del sacerdozio, e molti fra i suoi figli ne hanno voluto seguire l’esempio, come il ven. Franceschino da Ghisone, memori di quelle parole onde egli ammonisce i sacerdoti: «ascoltate, fratelli miei, se la beata vergine Maria è meritatemente tanto onorata perché portò Cristo nel suo santissimo grembo, se il beato Giovanni battista tremava e non ardiva toccare il capo santo dell’uomo Dio, se il sepolcro in cui per qualche tempo il Signore si giacque, è oggetto di venerazione; quanto non deve essere santo, giusto e degno colui, che con le sue proprie mani tocca, e col cuore e con la bocca riceve, e ai fedeli dona Colui che non solo non morrà mai più, ma vivrà
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in eterno glorificato, Colui che gli angeli bramano di riguardare? Considerate la vostra dignità, o fratelli sacerdoti, e siate santi, perché egli è santo. e come il Signore Dio mediante questo ministero vi onorò sopra tutti gli altri uomini, così voi per esso amatelo, riveritelo, onoratelo più di tutti. Grande miseria invero e miserabile debolezza, quando avendo lui così presente, voi in tutto il mondo vi curiate di qualsiasi altra cosa! Che tutto il mondo tema, che tutto il mondo tremi, e che il cielo esulti quando sopra l’altare nelle mani del sacerdote c’è Cristo, il Figlio del Dio vivente! Oh ammiranda altezza e stupenda degnazione! Oh umiltà sublime, oh sublimità umile, che il Signore di tutto l’universo, Dio e Figlio di Dio, tanto si umilii, che per la nostra salvezza arrivi a nascondersi sotto una tenue forma di pane! Considerate, o fratelli, l’umiltà di Dio ed effondete davanti a lui i vostri cuori ; umiliatevi anche voi affin di essere esaltati da lui! niente di voi stessi trattener dovete per voi affinché vi riceva completi, Colui che a voi tutto si dona!»1. Sì, neppure con la santità del battista e con la purezza degli angeli, la creatura umana è degna del sacerdozio, degna di toccare e dispensare il santo Corpo dell’unigenito Figlio del Dio vivente. nondimeno quando il Signore chiama, bisogna obbedirgli. lui non accettò la rinunzia di Mosè, e Mosè dovette essere il condottiero d’israele. Gesù chiamò il giovane ricco e si dispiacque perché costui non si mise immantinente alla sua sequela, lui vuole l’obbedienza del chiamato, e quando questi sente debolezza della natura ed è schiaffeggiato dalle tentazioni, deve pregare come S. paolo, ben certo che Gesù risponderà a lui come al grande apostolo: «ti basti la mia grazia, perché la virtù si mostra nella debolezza!». e cioè la virtù di Dio si manifesta nella debolezza dell’uomo (2 Cor. 12, 9). Sì, noi sacerdoti, siamo tutti «pieni di infermità!», portiamo il tesoro del carisma apostolico in vasi fragili, eppure mediante la preghiera diventiamo forti della stessa forza di Dio. Con la preghiera diventa nostro il grido trionfale di paolo: «cum enim infirmor, tunc potens sum». quando sento la mia debolezza, proprio allora divento forte! (2 Cor. 12, 10). Dopo il sacrificio eucaristico, la preghiera è la più grande forza del sacerdote. anzi senza la preghiera, una preghiera umile, filiale, continua, ardente, fiduciosa, la stessa celebrazione della Santa Messa può diventare una abitudine e (Dio non voglia!) un sacrilegio! la preghiera del sacerdote deve essere quella del Cuore di Gesù; deve essere una eco vitale dei fini del sacrificio eucaristico, deve consistere nell’adorazione, nel ringraziamento, nella soddisfazione e nella supplica. Oggetto delle sue supplicazioni sono tutte le anime, e cioè la Chiesa pellegrina e militante come pure la Chiesa purgante, e tutti gli ordini della Chiesa pelle1
Opuscula S. patris Francisci. Epistola ad Sacerdotes ordinis.
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grinante ancora in questo mondo come ci insegna la liturgia del venerdì Santo, e lo stesso canone della Messa, che ogni giorno recitiamo. in esso infatti supplichiamo iddio padre clementissimo per il papa e per il vescovo e per tutti i fedeli, in esso ricordiamo con soave umiltà coloro che nella Chiesa vengono specialmente chiamati i ministri, i servi, di Dio. epperciò preghiamo iddio, padre Clementissimo che si degni di accettare l’offerta di tutti questi servi, e della sua famiglia, cioè della Santa Chiesa intera. questa è la preghiera degli apostoli e di tutti i sacerdoti dal cuore apostolico. Come non è commovente leggere nel «Martirio di S. policarpo» che questo glorioso discepolo di Giovanni, l’amato, prima di rendere a Cristo la testimonianza suprema, pregò per la Chiesa intera, «facta in precibus omnium mentione, notorum ignotorumque, bonorum ac malorum et catholicorum omnium, qui per singula loca Ecclesiae colleguntur!». e cioè «si ricordò anzi fece menzione nelle sue suppliche di tutti, noti ed ignoti, buoni e cattivi e di tutti i fedeli cattolici che si radunano nelle Chiese sparse per l’universo mondo»2. Sovente la liturgia, riecheggiando alcune preghiere del Canone, ci invita a unirci all’adorazione della Chiesa trionfale, ad aggregarci agli angeli e ai Santi che adorano iddio e l’agnello che siede sul trono, ma più spesso essa ci ricorda il nostro officio di intercessori, di mediatori fra Dio e gli uomini conforme a quanto scrisse San paolo, «il sacerdote scelto di mezzo agli uomini è costituito per il bene degli uomini affinché offra sacrifici e oblazioni per i peccati…» (ebr. 5,1). Se a tutti gli uomini, in quanto mediatori siamo obligati, quanto più non siamo obligati verso i nostri confratelli nel sacerdozio! e perciò Madre lucia prima di farci pregare per tutte le anime, fa dire ai suoi sacerdoti: «vi domando ancora per la Passione del vostro Divin Figliolo Gesù, che guardiate misericordiosamente tutti i vostri sacerdoti miei fratelli…». nessun altra invocazione potrebbe essere più caritatevole, più umile, più efficace. È una preghiera efficace perché interponiamo il prezzo del nostro riscatto, la sorgente di tutte le grazie, la passione dell’unigenito, il Diletto del padre. È una preghiera umile perché ci appelliamo solamente alla misericordia infinita del padre: abba, pater! È una preghiera sommamente caritatevole, perché ha per oggetto la porzione eletta del gregge di Cristo: i sacerdoti! infatti nessuna carità più grande si potrebbe dimostrare verso la Chiesa quanto prendersi cura col sacrificio, colla preghiera, colle opere, della formazione di santi sacerdoti. e nessun dono iddio fa alla sua Chiesa più grande di questo: darle sacerdoti santi! Così hanno insegnato tutti i grandi amici di Dio specialmente S. Francesco d’assisi, S. paolo della Croce, S. vincenzo da paoli, i grandi sommi e santi 2
Patres Apostolici edit. Funk. F. 1891.
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pontefici dell’epoca nostra come ven. Condren, il ven. Olier, il Card. De berulle… e i pio ix, S. pio x, pio xi, e il papa della Madonna pio xii… … che guardiate misericordiosamente tutti i vostri sacerdoti miei fratelli… Sì, basta, o padre, che voi li guardiate con occhi di misericordia, ed essi non cadranno, anzi essi cammineranno dietro le orme del vostro diletto e adorato Figlio Gesù, essi diventeranno simili a lui, si rivestiranno di lui, non più essi vivranno, ma il vostro Cristo vivrà in loro,… giacché è mai possibile che quando voi li guardate, li custodite, satana, il mondo e la carne possano sedurli, e imbrattarli? abba, padre! guardateci sempre misericordiosamente! e noi tutti sacerdoti di Cristo! affin di poter vivere sempre nella santità della nostra vocazione, affine di glorificare Cristo nel nostro corpo, sia nella vita che nella morte, guardiamo sempre nel volto di Gesù morente, del Crocifisso per amore! Guardiamo a quel volto come e assieme alla Madre addolorata, a S. Giovanni, l’amato, a Maria Maddalena l’amante. Vultum tuum, Domine, requiram! O Signore, io cercherò sempre il tuo Santo volto, il tuo volto, o amore Crocifisso, o Diletto Figlio del padre, immolato per amore degli uomini. abba, padre! Dateci i vostri santi, i vostri eroi! dateci santi sacerdoti, e santificate quanti hanno ricevuto questa dignità quanti portano impresso nell’anima il carattere della dignità messianica del vostro Figliolo Gesù! 9. SuppliCa per la ChieSa … e che tutte le anime vi diano quella lode e quella gloria, che Voi nella vostra infinita bontà avete stabilito. È questa frase solo una preghiera, un desiderio, o spetta pure al sacerdote far si che tutte le anime rendano a Dio quella lode e quella gloria che, egli, il Creatore anzi il padre, da esse si attende? Se si trattasse solamente di un desiderio, quando noi l’abbiamo devotamente espresso, abbiamo fatto tutto, spetta a Dio realizzarlo. Ma per diversi motivi io penso che Madre lucia facendoci pronunziare queste parole, non solo eccita nel nostro cuore un desiderio santo, ma sopratutto eccita una santa operazione, il nobile proposito di fare per quanto sta in noi tutto quello che si può, affinché tutti gli uomini lodino e glorifichino il padre che sta nei cieli. Gesù ci insegnò a dire al padre: Venga il tuo Regno! e non v’ha dubbio, è essenzialmente opera della onnipotente misercordia del padre l’avvento e lo stabilirsi del suo regno quaggiù, eppure egli ha costituito i suoi apostoli annunziatori
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del regno, li ha fatti cooperatori della verità. Gesù disse pure: «pregate il Padrone della messe affinché mandi i suoi operai…» (Matt. 9,37), e d’altra parte ci paragona a quei servitori che dopo di aver fatto tutto per il servizio del padrone, siano convinti di aver fatto ben poco o nulla e pertanto ripetano: «servi inutiles sumus: siamo dei servi inutili» (lc. 17,10). Sì, il padre fa tutto per mezzo del Figlio, e il Figlio, agisce per mezzo della Chiesa, spetta alla Chiesa di far tutto acciocché nel Cristo Signore, il creato ritorni al Creatore, e l’uomo, cioè tutti gli uomini ritornino al padre. nessuna preghiera, penso, per il figlio di adozione può restare nella sfera del semplice desiderio, essa è una santa operazione, direbbe S. Francesco, cioè un’azione santa e santificante. quindi quando il sacerdote ripete queste parole dell’offerta, è come se ripetesse l’invocazione della preghiera del Signore: venga il tuo Regno! questa invocazione è un gemito del figlio, che ha fame e sete di giustizia e sa che solamente il padre può sfamarlo e dissetarlo, ma è anche il proposito di essere un soldato del regno, un milite di Cristo. È come la parola che pronunziò S. paolo folgorato sulla via di Damasco e che ripetè S. Francesco dopo il sogno di Spoleto: «Signore, cosa vuoi che io faccia?» (atti 9,6). Secondo la frase di lucia, il sacerdote deve far si che tutte le anime rendano al Signore Dio quella lode e quella gloria, che lui nella sua infinita bontà ha stabilito, cioè, a dirla concisamente, il sacerdote deve per quanto sta in lui sempre e dovunque annunziare e stabilire il regno di Dio. Deve far suo il proposito del p. Massimiliano Kolbe: «non lascerò passare un’opera di bene senza farla, nè vedrò il male senza cercare di impedirlo». Mi piace ora meditare i tre argomenti che formano la ricchezza teologica di questa frase dell’offerta. C’è in essa una chiarezza, una profondità e un’unzione da obligarci ad affermare che Madre lucia compose quest’atto di offerta durante una illuminazione del paraclito. Che cosa significa mai quella lode e gloria che la povera creatura umana può e deve rendere a Dio? Donde viene che i gradi di siffatta gloria sono tanto diversi? Cosa deve fare il sacerdote affinché tutte le anime rispondano alla volontà di Dio, che le amò sin dall’eternità, e che, avendo sin dall’eternità dato ad esse il suo amore di padre, ne chiede in ricambio l’amore di figli? la gloria di Dio è la manifestazione fatta alla creatura della sua natura, o della sua presenza, e della virtù. Si tratta sempre di una manifestazione proporzionata alla capacità dell’uomo, ma tale che basta perché egli sperimenti 1’abisso infinito che separa il Creatore dalla creatura. Mosè, S. paolo, S. Francesco e Madre lucia mi pare abbiano ricevuto per certi tratti di tempo anche su questa terra il privilegio di contemplare Dio faccia a faccia, come suole l’amico con l’amico; essi videro più e meglio degli altri nella
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Divina Caligine la luce eterna, essi videro Colui che abita una luce inaccessibile e per sua grazia non morirono! questo fu e sarà sempre il privilegio di pochi, di pochissimi eletti. la piena totale rivelazione della gloria di Dio, la luce del Dio vivente, sarà sempre il premio delle anime, che avendo vissuto in Cristo, si addormentano in lui. Conoscere qualche cosa della ineffabile vita di Dio, sapere e riconoscere che egli è il creatore e il padre, che egli si è rivelato pienamente nel suo verbo fatto carne: Cristo Gesù, che per mezzo di lui e in lui ci riconciliò al suo amore, ci rese figli di adozione, e eredi della sua immensa e ineffabile gloria, vivere in conseguenza di queste sublimi verità, vivere da figli e non da schiavi, non da nemici, ma da figli, figli amanti immensamente, perché amati infinitamente, ecco l’unica via di glorificare Dio, di divenire come scrive S. paolo: una lode della di lui gloria: laus gloriae! (ef. 1,14). lode di gloria ancora sulla terra è il figlio di adozione, che si abbandona alla volontà del padre, che cerca di continuo il suo Santo volto, che a lui sospira con tutte le forze del suo cuore e a lui canta un cantico nuovo. Oh tutti gli uomini creati ad immagine di Dio, redenti dal sangue di Cristo son chiamati a rendere a Dio la gloria che gli spetta, riconoscendolo come Creatore e Signore e padre! e qui mi sento schiacciare dal mistero della iniquità che è così operante sulla terra. O abba, padre di Cristo e padre nostro! molti non ti conoscono, molti pur conoscendoti dubitano di te e del tuo amore, molti ti hanno dimenticato, e cresce la schiera degli iniqui, che lottano contro di te e contro del tuo Cristo. il tuo regno, che è poi il regno del Figlio tuo beneamato, è attaccato con una violenza satanica… e penso a tutte le chiese profanate, a tutti i tabernacoli vuoti, a tutti gli altari sconsacrati e deserti… Exurge, Dornine, et adiuva nos! levati, o Signore, e dacci aiuto! È immenso il numero delle anime che, cresciute nell’odio o nella dimenticanza di te, non può glorificarti, non lo potrà forse mai! la mia povera mente si arresta davanti al mistero del male. Come per S. paolo e per S. Giovanni anche per me, il più miserabile dei sacerdoti, non c’è che un mezzo per affrontarlo: credere all’amore, pregare il padre, lavorare sempre con generosa forza come milite del regno. anche se noi non riusciamo a comprenderlo, tutte le opere di Dio sono misericordia e fedeltà: Madre lucia direbbe che egli ha stabilito tutto nella sua infinita Bontà. il mondo è retto e guidato verso il bene da questa bontà infinita, dal padre di ogni bene. Oltre a questa fede inconcussa, anzi come una conseguenza di tale fede bisogna pregare, pregare il padre nostro, il padre di Gesù e nostro. padre anche di coloro che non lo conoscono e di coloro che l’offendono, padre che attende i tristi e che, in questa lotta tremenda onde Satana attacca il regno suo, dà ai suoi figli
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fedeli l’occasione e la gioia di diventare suoi testimoni, e suoi profeti, suoi angeli e suoi apostoli. e lavorare sempre. Che la tempesta infurii, che le calunnie contro la Chiesa ci assordino, che le defezioni ci attristino, il santo sacerdote è una sentinella, che non può abbandonare il proprio posto, egli deve avere una sola consegna e restarvi fedele: zelare la gloria del Signore iddio degli eserciti! S. ignazio martire, all’alba del secondo secolo scriverà degli ammonimenti che davvero ci fan comprendere il nostro dovere di soldati e di mediatori. «pregate, dice egli a quei di efeso, senza posa per gli altri uomini. anche per essi c’è da sperare che facciano penitenza, e incontrino Dio! ammaestrateli e fate che almeno si abbiano l’insegnamento delle vostre opere. Di fronte alla loro ira, voi siate mansueti, di fronte alla loro tracotanza voi siate di cuore umile, di fronte alle loro bestemmie voi offrite la preghiera, e di fronte ai loro inganni voi restate forti nella fede, di fronte alla loro ruvidezza voi siate miti, senza mai imitarli… (Ad Eph. 10). e a S. policarpo: «Sta fermo come una incudine battuta. È proprio di un grande atleta essere dilaniato e vincere. Massimamente bisogna sostenere ogni cosa per Dio acciocché egli ci dia il suo sostegno» (Ad Polyc. 3). 10. la CrOCe Del SiGnOre … La mia vita è Cristo e la mia ricchezza è la Croce! questa frase paolina squilla nell’offerta di Madre lucia quasi un proposito di amore e di combattimento. essa è come la conclusione dei tre precedenti atti, e cioè atto di adorazione — «profondamente Vi adoro per me e per tutte le creature» — l’atto di offerta — «vi offro tutto me stesso»… — l’atto di supplica: — «vi domando per vostra infinita misericordia, che mi guardiate sempre»… — è la preparazione, se non pure l’affermazione solenne, il desiderio ardente di quell’ultimo santo ideale, che completa la vocazione sacerdotale: l’espiazione. per espiare bisogna vivere in Cristo e di Cristo, bisogna gloriarsi e innamorarsi della Croce di lui. Sino a quando la vita del sacerdote non è quella di Gesù, una continuazione, una proiezione della vita di Gesù, e quindi sino a quando egli non porti nel suo corpo e nel suo cuore la morte di Cristo, egli non potrà essere mai un salvatore, un operaio degno del regno di Cristo, un dispensatore fedele dei misteri celesti. La mia vita è Cristo e la mia ricchezza è la Croce! Se non una realtà beatificante, sia almeno questa parola ignìta, una brama di quella giustizia che è in Cristo, un proposito di amore e di combattimento.
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la giustizia che è in Cristo, e che da lui ci è stata predicata, quella giustizia, che supera quella dell’antica alleanza, è la giustizia delle beatitudini: beati i poveri, i miti, gli umili, i facitori di pace, gli affamati e gli assetati di giustizia, i perseguitati, i maledetti, i calunniati per questa giustizia e per Cristo suo autore (Matt. 5, 1-11). Se le beatitudini descrivono quale deve essere il cittadino del nuovo regno, il fedele della novella alleanza, il milite di Cristo, quanto più non devono esse formare l’ideale del sacerdote, il ministro di Gesù, l’amico dello Sposo? Ma è impossibile praticare le beatitudini, se Gesù non ci aiuta, anzi se egli non vive in noi e noi non viviamo in lui. ed è questa la suprema lezione che Gesù rivela ai suoi apostoli dopo un tirocinio triennale prima di tornare al padre. «io sono la vite e voi i tralci, come i tralci non possono recar frutto se non rimangono nella vite, così anche voi non lo potrete se non rimanete in me. restate nell’amor mio… io vi ho chiamati, vi ho eletti e vi ho designati quali miei ministri affinché portiate frutto e un frutto che rimanga…» (Giov. 15 passim). l’amore per Gesù e per il padre, l’amore per i fratelli, un amore che si sacrifica, proprio quell’amore più grande che non teme di dar la vita per i propri fratelli, l’amore del pastore, che è pronto a morire per le pecorelle, l’amore dello Sposo celeste per la Chiesa sua Sposa, che si acquistò col suo sangue e che continua a santificare col suo sangue e con la sua parola di vita; ecco quell’amore in cui il sacerdote deve «rimanere» — manete in dilectione mea! (ef. 5, 26-27; Giov. 15, 9) affinché rechi copiosi frutti di vita per sé e per gli altri. Si tratta di un amore eroico, del tutto celeste, dell’amore del Crocifisso! eroico e celeste perché nasce e si nutre di santi ideali, ma sopratutto di magnanime azioni, quali sono gl’ideali di partecipare alla vita di Gesù, di sentire e di amare quanto il suo Cuore sentì e amò, di portare, in sé la morte di lui, di rendersi somigliante a lui morente. Ora le azioni, i propositi, gli affetti, ma sopratutto le azioni praticate per attuare questo ideale non possono essere che magnanime, anzi sono divine perché provengono da Gesù vivente nel Cuore del suo ministro e operante attraverso di lui! È in una parola, l’amore del Crocifisso Signore. non possiamo dire: «la mia vita è Cristo», se non guardiamo al Calvario, al monte degli amanti, sul quale bisogna salire. Chi vive di Cristo sente quello che lui sentì e ama quello che lui amò; ora lui per amore del padre guardò sempre a quel monte su cui doveva rizzarsi la sua Croce, e desiderò la sua ora, l’ora della sua morte, in cui avrebbe reso noto al mondo come e quanto amasse il padre. Oh mio Salvatore adorato, crocifisso per amore, sostieni la mia debolezza e attirami a te! Cambiami in amarezza tutte le gioie e le consolazioni della terra e
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fa che io gusti la dolcezza della tua Croce! Che io guardi sempre il tuo volto, o Crocifisso per amore, come lo guardava la tua afflittissima Madre ai piedi del tuo patibolo. nei tuoi occhi velati di sangue ma di una dolcezza più che angelica, essa leggeva il mistero del peccato e della gloria, della iniquità di satana, l’omicida sin da principio, e della vittoria di Dio, che è poi la stessa tua vittoria, o dolce re Crocifisso, o agnello soave e mite, che lavi nel tuo Sangue le nostre colpe e ci riconcilii al padre e ci fai diventare suoi figli e fratelli tuoi, e figli quindi della immacolata e soavissima Mamma tua! Oh mio Crocifisso Signore, son queste le nostre ricchezze, le ricchezze della Croce! Ma perché cerco l’acqua delle cisterne screpolate, perché corro dietro i miraggi falsi del cuore e del mondo? perché conoscendo questa infinita somma di dovizie lascio, almeno col pensiero e con gli affetti, almeno di tanto in tanto, la casa tua, la casa del padre tuo, perché mi allontano dal Calvario, dai piedi della tua Croce? Oh Gesù, Crocifisso per amore, sostieni la mia debolezza e attirami a te! Se tu mi attiri anch’io correrò dietro l’odore dei tuoi profumi e con me correranno tante altre anime, giacché è impossibile che l’amico dello Sposo giunga solo nella Casa del padre! veramente l’amore non è amato, non amiamo l’amore! Ci trastulliamo, quando non bisogna parlare di tradimenti veri e propri, con le lusinghe dell’amor proprio e delle creature e perdiamo una vita intera senza guardare generosamente e amorosamente negli occhi al Crocifisso, come vi guardava la Madre addolorata e S. Giovanni e S. Maddalena e quell’altra sterminata schiera di amanti, che proprio ai piedi della Croce si sono arricchiti di quei tesori divini onde ricolmano tuttavia la Chiesa. non v’è altra strada per l’amico dello Sposo se non questa: io vivo nella fede del Figlio di Dio che mi amò e che diede sè stesso per me! (Gal. 2, 20). questa fede impastata, compenetrata di amore, mi fa comprendere il mistero della Croce in ogni singola anima e nella vita della Chiesa: «se il grano di frumento non muore, rimane infecondo, ma se muore, porta molto frutto!» (Giov. 12, 24). Siffatto mistero della Croce, o, per essere più concreti di Gesù Crocifisso, bisogna che diventi l’orientameto, l’ideale della mia vita, perché sopratutto noi sacerdoti dobbiamo completare quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo Corpo che è la Chiesa (Col. 1, 24). esso costituisce la nostra ricchezza per il tempo e per l’eternità: Habeo Jesum nudum Crucifixum, hoc solum mihi sufficit! ho Gesù nudo Crocifisso, questo solo mi basta, è questo il grido di S. Francesco e di S. Chiara, che mi sembra come la vetta celeste cui bisogna instancabilmente tendere. questo grido come quello di
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Madre lucia: la mia vita è Cristo e la mia ricchezza è la Croce, esprime un proposito di generoso amore e di umile e grandioso combattimento. la nostra arma è il Crocifisso. Ma il Crocifisso sarà un’arma invincibile, solo quando ancor noi siamo crocifissi con lui, e portiamo in noi la sua morte. e in questo tempo in cui l’anticristo muove sì fiero assalto contro la Sposa del Signore, in questo tempo in cui non dobbiamo lottare contro la carne e il sangue ma contro il principe di queste potestà aeree, non si può ingaggiare la battaglia senza quest’arma unica e certamente trionfatrice: il Crocifisso (ef. 6, 13). e bisogna assomigliarsi a lui, assaporare le amarezze, il fallimento, gli obbrobri, i dolori, le angustie per amore del padre, chè così, fatti simili a lui morente, assicuriamo alla Chiesa la vittoria. veramente mai come oggi mi sembrarono vere le laconiche parole di S. ignazio Martire: «quando il cristianesimo viene odiato dal mondo, non è più questione di persuasione ma di magnanimità!». amore eroico per Gesù Crocifisso, magnanimità di azioni, combattimento generoso; altra via non c’è. Soccorri, o Signore, alla nostra debolezza! 11. la pOvertà Vi offro tutti i miei averi: io povera creatura scelgo la povertà, e sarà una grande misericordia per me, ultimo dei vostri sacerdoti, poter spendere e sacrificare tutto, tutto per la vostra gloria! Se il sacerdote vuole per davvero salire il Calvario per unirsi a Gesù Crocifisso e gloriarsi della sua Croce, se vuole, incoronarsi dell’amore Crocifisso, non può prendere che una sola via, la via stretta, ma breve, ma sicura della santa evangelica povertà. la povertà nella sua condizione mortificativa e affliggente, la povertà, che è distacco e privazione, la povertà che è abbandono filiale al padre Celeste, e piena ricchezza nel Cristo Signore. no, il sacerdote non può possedere; quello che ha, non gli appartiene, tutto deve andare o alla Chiesa o ai fratelli. Come S. lorenzo, egli è l’amministratore della carità in favore dei poveri. egli oggi può maneggiare delle somme ingenti e domani mancherà perfino del necessario: questa è la sua sorte, perché non deve possedere nulla, ma solo essere contento di che vestirsi e di che cibarsi, e lietamente lavorare, sicuro che la provvidenza del padre non gli mancherà mai. io non so come si possa essere ministri di Cristo, suoi rappresentanti, senza amare e praticare la povertà. lui nacque in una stalla, visse da povero artigiano, si
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nutrì del pane guadagnato col sudore della propria fronte, le sue mani s’incallirono nel lavoro, e quando si diede alla predicazione del vangelo del regno, era sostentato dalle elemosine delle pie donne e diceva di sè: «le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del Cielo il loro nido, mentre il Figliolo dell’uomo non ha dove posare il capo» (luc. 9, 58). e, morto, venne seppellito in un sepolcro non suo. la povertà egli esige dai discepoli, che, invia per le vie del mondo come agnelli in mezzo ai lupi, la povertà egli costituisce quale una delle grandi forze del loro apostolato. i santi apostoli, specie S. paolo, di cui conosciamo più diffusamente la vita e le opere, vissero poveri e sentirono le spine della povertà. i loro grandi imitatori lungo il corso dei secoli quali S. bernardo, S. Domenico, S. Francesco, S. ignazio, S. luigi Grignon de Monfort, S. Giovanni bosco, S. C. b. vianney, il p. Massimiliano Kolbe… amarono e praticarono la povertà. S. Francesco di essa scrive: «Haec est illa celsitudo altissimae paupertatis, quae vos carissimos fratres meos haeredes Regni Coelorum instituit, pauperes rebus fecit, virtutibus sublimavit. Haec sit portio vestra quae perducit in terram viventium. Cui igitur, dilectissimi fratres, totaliter inhaerentes, nihil aliud sub coelo pro Nomine D. N. Jesu Christi habere velitis». «questa è l’eccellenza dell’altissima povertà, che voi, fratelli miei carissimi, costituì eredi del regno dei Cieli, rese poveri nelle sostanze, ma sublimò nelle virtù. Sia essa la vostra porzione che vi conduca nella terra dei viventi. pertanto vi scongiuro nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, aderite totalmente ad essa e non vogliate aver altro sotto il Cielo…!». Madre lucia pensando di formare una associazione di sacerdoti che vivessero unicamente per Gesù e per il vangelo, pose come base l’amore e la pratica della povertà. anche in questo come nel suo amore ardente per Gesù Crocifisso, come nelle sue stimmate dolorose e invisibili questa serafica vergine siciliana è tanto simile al Serafico poverello d’assisi. ella era ben convinta che il sacerdote non può partecipare ai dolori, alla passione e alla morte di Gesù Crocifisso senza un vero amore e una pratica reale della povertà. essa sapeva che praticando questa virtù evangelica il sacerdote avrebbe soddisfatto ai desideri del Cuore di Cristo e ai desideri di Madre Chiesa, che nel giorno della solenne ordinazione per bocca del vescovo gli dice: sit odor vitae vestrae, delectamentum Ecclesiae Dei: sia l’odore della vostra vita, la delizia della Chiesa di Dio! e pertanto in quest’atto sublime di offerta fa ripetere alle anime dei sacerdoti, dei «suoi sacerdoti», queste parole che sono un proposito e un ammaestra-
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mento. Vi offro tutti i miei averi, e sarà una grande misericordia per me, ultimo dei vostri sacerdoti, potere spendere e sacrificare tutto, tutto per la vostra gloria. accenno in breve alle idee principali contenute in questo proposito e ammaestramento. innanzitutto bisogna amare e stimare la povertà. essa è «il tesoro della santa povertà», come diceva S. Francesco. e bisogna amarla e stimarla perché Gesù e la sua Madre poverella tanto l’amarono e la stimarono. perciò il sacerdote pensa che egli è fatto degno di una grande e immensa misericordia del Signore, quando esperimenta le spine della povertà, ovvero è chiamato a sacrificare tutto, tutto per la gloria di Dio. Son tanti i modi in cui il Signore ci chiama a questo sacrificio di tutti i nostri averi, forse non ce n’è uno somigliante a un altro, come non c’è un’anima che sia perfettamente eguale a un’altra, ma in tutto deve esserci lo stesso amore per questo sacrificio completo, sia che si dia ai poveri, sia che si adorni la casa di Dio, sia che si aiutino le vocazioni o le missioni. Dall’amore nasce la pratica. poveri noi se ci contentiamo di lodare la virtù senza praticarla! e la pratica della povertà è affliggente, è mortificante. Oh come questa lezione la si impara bene leggendo la vita dei santi sacerdoti e dei santi vescovi! il Curato d’ars, S. Francesco di Sales, S. alfonso de liguori, S. antonio M. Giannelli, S. Giuseppe b. Cottolengo e S. Giuseppe Cafasso… Don Orione, Don Calabria… la pratica della povertà è formativa: forma l’anima dell’apostolo perché lo distacca dai bene del mondo e lo incentra nell’amore di Cristo e delle anime! Ma è sopratutto formativa perché ci insegna a vivere abbandonati sia per le necessità materiali come per i beni spirituali alla misericordia del padre Celeste. Sì, un vero povero di spirito è un figlio di adozione, umile e confidente. È un figlio innanzi tutto. iddio è suo padre, un padre infinito in tutte le perfezioni ma per lui specialmente il padre dall’amore infinito, la sua provvidenza sotto tutti gli aspetti, anzi la Carità, la Misericordia infinita per essenza: abba, pater! il Signore Gesù ci ha comunicato la sua stessa ricchezza: facendoci suoi fratelli ci ha fatto figli del suo stesso padre e della sua medesima Madre immacolata. veramente ha ragione S. paolo di ammonirci: «in Cristo siete stati arricchiti per ogni verso». (1 Cor. 1, 5). Cosa mancherà mai al figlio di un si glorioso padre? può darsi che egli lo metta alla prova come fece col suo unigenito, divenuto nostro fratello, ma allora, proprio allora ci è tanto più vicino, proprio allora sentiamo di vivere più intimamente con lui e sperimentiamo la verità di quanto disse Gesù, il Signore: Pater mecum est: il padre è con me! (Giov. 8, 16). Figlio umile e fiducioso, la cui fiducia è in proporzione dell’umiltà. umile, perché convinto profondamente della parola di Gesù: solo Dio è buono; umile, perché conscio della propria debolezza e miseria: circumdatus infirmitate (Mc. 10,
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18; ebr. 5, 2); umile perché arricchito dei doni paterni, celesti, in Cristo, doni dei quali deve essere un fedele tesoreggiatore e dispensatore; umile, perché sa e constata che nulla possiede da poter dare a Dio o ai fratelli se non quanto ha ricevuto da lui… e pertanto fiducioso sino all’audacia. il figlio di adozione, il sacerdote che è conscio di questa sua dignità, cioè a dire che conosce quanto sia amato, è capace di tutte le audacie, concepisce le più grandi speranze, i più arditi ideali… e ciò con la massima naturalezza: non è forse il padre suo, l’amore Onnipotente? avendoci egli dato il suo proprio Figlio, non ci ha dato forse in lui ogni bene? Cosa non osarono e non fecero quei veri figli del padre Celeste: S. Francesco, S. Domenico, S. vicenzo, S. ignazio, S. Giovanni bosco…? e non siamo noi figli dello stesso padre? Forse che s’è accorciato il suo braccio onnipotente? (is. 59, 1). Figlio, umile e confidente, egli non conteggia, ma ama, pensa solo ad amare, si ciba d’un solo pane sostanzioso, il pane di cui si cibava Gesù, pane contenente ogni soavità: la volontà del padre. la sua via a lui, non è per nulla complicata, è generosa e semplice, è la piccola via dell’infanzia evangelica. egli vuol essere e restare sempre piccolo perché il Signore disse: se non diventerete come fanciulli, non potrete entrare nel Regno dei Cieli (Matt. 18, 8). Gesù bambino negli occhi della Madre immacolata leggeva la volontà del padre suo, e così egli in quegli occhi materni vi legge la stessa volontà, la stessa via di amore, di generosa forza, di illimitata fiducia, di umile dedizione, di completo abbandono. in tal guisa egli spende tutto quello che è e tutto quello che ha per la gloria del padre, e diviene ancora su questa terra la sua lode di gloria: laus gloriae! Oh Salvatore adorato, dacci il tesoro della tua povertà! Che il nostro cuore bramoso di questa perla evangelica, lasci tutto per acquistarla, giacché noi vogliamo vivere con questa ricchezza, beati solo di possedere te e il padre; nell’amore dello Spirito Santo, per la gloria di Colui che è il padre tuo e il padre nostro, il Dio tutto e il Dio nostro! abba, pater! 12. l’aCCettaziOne Dell’OFFerta Mio Dio, Bontà Infinita, accettate quest’offerta che io, povera creatura, faccio a Voi, per le mani della cara Mamma mia. possiamo dire o offrire al Signore non importa che, non abbiamo fatto nulla senza l’accettazione da parte sua.
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tante offerte, lo sappiamo dalla Divina Scrittura, non furono gradite al Signore; ad esempio: quella di Caino e quelle del popolo, che credeva di rendersi propizio Dio soddisfacendo a un atto esteriore di culto, mentre viveva col cuore e con le opere lontano dal Creatore. Contro tale enorme aberrazione lottarono vigorosamente i pofeti amos, Osea, isaia, Geremia… e Gesù compendiando e superando, al solito, la morale profetica pronunziò una frase di liberazione e di vita allorché disse alla samaritana: «Donna, è venuta l’ora, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in ispirito e verità» (Giov. 4, 24). Dopo che si è compiuto il mistero dell’incarnazione, manifestazione somma dell’amore di Dio per gli uomini, i figli di Dio godono della libertà sublime, che compete alla loro figliolanza, essi non vivono da servi ma da figli, amati e amanti, vive nel loro cuore lo Spirito del padre, che vive in Gesù redentore, il loro Fratello primogenito, essi quindi mossi da questo divino Spirito parlano al padre con franchezza e semplicità, con umiltà e confidenza. «Noi veramente non sappiamo quello che conviene domadare, e pertanto lo stesso Spirito supplica in noi con gemiti inenarrabili» (rom. 8, 26). «Infatti, continua il glorioso S. paolo, non abbiamo ricevuto uno spirito di schiavitù perché continuassimo a vivere nel timore, ma bensì lo spirito di figli adottivi, nel quale gridiamo: Abba, Padre! Questo medesimo Spirito rende testimonianza all’anima nostra, che siamo figlioli di Dio. Se figli: dunque anche eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo, se tuttavia partecipiamo alla sua passione onde partecipare poi alla sua gloria» (rom. 8, 15-16). alla luce di questa consolante, ma purtroppo spesso dimenticata verità, l’atto di offerta che Madre lucia ha composto per i suoi sacerdoti, non v’è dubbio che sia accetto al padre. Ma vi è un altro argomento che ci rende più certi ancora della sua accettazione e si è che in quest’atto il sacerdote altro non fa se non imitare la vittima Divina, Cristo, Sommo Sacerdote, altro non fa che rinnovare gli intenti e i sentimenti del Cuore adorabile di Cristo nell’istante in cui compiva il suo sacrificio. Come Gesù, anzi con lui, per lui e in lui, noi recitando piamente quest’atto di offerta, adoriamo il padre, bontà infinita, lo ringraziamo per i suoi doni ineffabili, lo supplichiamo per la Chiesa, anzi per l’umanità intera, ci abbandoniamo al suo beneplacito per propiziare ed espiare! Ora è certo che la preghiera di Gesù è sempre esaudita. e questa nostra offerta è ben la preghiera del Signore. Di lui scrive ancora l’ardente S. paolo: «nei giorni della sua vita mortale, offrì preghiere e suppliche a Colui che poteva liberarlo dalla morte, con clamore valido e con lagrime e fu esaudito per la sua riverenza» (ebr. 5, 7). il Signore viene esaudito sempre per la sua dignità di Figlio beneamato, di unigenito che vive nel seno del padre. Ma abbiamo ancora una promessa più rassicurante ed essa è la parola del
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Figlio di Dio benedetto: «In verità vi dico, qualunque cosa domanderete al Padre mio nel mio Nome, Egli ve lo concederà… domandate e riceverte così chè la vostra gioia sia piena… In quel giorno (cioè dopo la venuta dello Spirito Santo) domanderete nel mio Nome: e non vi dico che io pregherò il Padre per voi, giacché il Padre stesso vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io son venuto da Dio» (Giov. 16, 23-24, 26-27). Siamo pertanto certi che la nostra offerta è gradita al padre. essa comincia col grido di amore e di speranza: Viva Gesù Crocifisso! essa continua interponendo la passione del Figlio diletto, Gesù, essa consiste tutta nella brama di assomigliarsi, di rivestirsi di questo Figlio Diletto, di vivere della sua vita, di incoronarsi della sua Croce, essa è tutta compenetrata di fede e di amore in Gesù, essa è stata dettata dallo Spirito Santo che vive e prega con gemiti inenarrabili nel cuore dei figli di adozione, essa è la preghiera dei ministri di Gesù, quei ministri pei quali il Signore pregò con speciali supplicazioni la sera del Giovedì Santo; si, questa nostra preghiera è gradita al padre, bontà infinita. Ma se è così, perché Madre lucia ci fa conchiudere con l’umile supplica: «Mio Dio, Bontà infinita, accettate quest’offerta che io, povera creatura, faccio a Voi per le mani della cara Mamma mia?». Forse che dubita dell’accettazione divina? una sola è la risposta. quest’atto di offerta è composto sotto la mozione dello Spirito Santo, ora lo Spirito di amore, lo Spirito che rende i nostri cuori, cuori di figli, fra i suoi doni ci largisce pure quello della pietà e del santo timore, in virtù dei quali noi parliamo al padre sempre con semplice confidenza, ma insieme con profonda e dolce umiltà. lo Spirito di amore non fece forse parlar così Gesù, il Figlio unigenito beneamato, al padre suo? quando noi con tremante amore e adorante audacia ci facciamo a considerare i rapporti di Gesù verso del padre suo, rimaniamo meravigliati come essi non siano, quali si potrebbe presumere da pari a pari; no, nel Cuore di Gesù Signore questi rapporti sono impregnati di infinito amore, di delicata umiltà, di generosa e ardente confidenza. basta cogliere Gesù nei momenti della preghiera per convincersene. e innanzitutto egli, l’unigenito che sta nel seno del padre, ma anche uomo perfetto e perciò nostro Mediatore, sente il bisogno della preghiera. Che profondo e soave mistero! Si direbbe che nella preghiera si immerga anche con la sua santa umanità nel seno del padre suo. la sua preghiera è diuturna: passava intere notti pregando, osserva specialmente S. luca. i grandi avvenimenti che segnano le svolte decisive della sua vita si verificano durante la preghiera. nel momento dell’incarnazione, egli, secondo San paolo, prega e dice al padre: Non hai più voluto sacrifici e abluzioni, ecco vengo io a compire la tua volontà! (ebr. 10, 5).
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prega quando riceve il battesimo di Giovanni; si prepara al suo ministero messianico nel digiuno e nella preghiera; prega una notte intera prima di scegliere gli apostoli; la trasfigurazione avviene durante la preghiera, prega dopo lo prima missione degli apostoli, prega dopo l’istituzione dell’eucaristia, prega prima della passione, prega sulla Croce… e anche in Cielo egli è il vivente in eterno che interpella per noi (ebr. 7, 25). e come pregava Gesù? con umiltà: prostrato per terra…; con semplicità: ripetendo due o tre volte la stessa parole…; con devozione: elevando gli occhi al Cielo… e non solo i gesti ma le parole stesse della sua preghiera sono piene di umiltà, di delicata confidenza, di esultante amore, di completo abbandono verso il padre: «Ti ringrazio, o Padre… Padre Giusto, Padre Santo… non ti prego solo per essi…». Sì, sempre ma specialmente nella cosidetta preghiera sacerdotale Gesù benedetto anticipa l’offerta che sta per fare al padre sulla Croce di tutto se stesso. Così lo Spirito Santo spingeva a pregare Gesù: potrebbe egli agire diversamente nei cuori dei figli di adozione, egli che è pure lo Spirito di Gesù e il teste di lui? la dolcezza dell’argomento mi ha fatto forse dilungare, ma credo e sento di aver detto ben poco, tuttavia basteranno queste parole a spiegare come Madre lucia, anzi lo Spirito Santo per mezzo di lei, non poteva farci terminare la nostra offerta se non supplicando umilmente il padre che si degni di accettarla, come accetta l’ostia santa, pura, immacolata, che gli offriamo giornalmente sui santi altari. Che egli, il padre di ogni misericordia e il Dio di ogni consolazione, anzi il consolatore degli umili ci usaudisca. non gli abbiamo chiesto i beni perituri di quaggiù, ma il nostro pane supersustanziale, il Figlio suo Gesù, che egli ha dato al mondo per la sua salvezza. Ora i suoi doni sono senza pentimento. perciò siam certi che ci concederai sempre, abba, padre nostro, il Figlio tuo beneamato, e che nel tuo Spirito di amore ci unirai a lui indissolubilmente, facendoci vivere e morire con lui, onde poi vedere e partecipare alla sua gloria, quella gloria che tu gli desti presso di te prima che il mondo fosse, perché tu l’hai amato e in lui ci hai amato prima della costituzione del mondo. amen. 13. la MaDre CeleSte … per le mani della cara Mamma mia! il padre Celeste ha voluto darci il Figlio suo benedetto per mezzo di Maria. Solamente per lei Gesù è diventato, nel senso più vero e più profondo della parola,
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fratello nostro. e perché fratello, solidale con noi, e quindi capace, per la riversibilità dei meriti e delle azioni umane, di essere nostro redentore. Colui che è il Figlio beneamato, filius dilectionis suae, che abita dall’eternità e per l’eternità nel seno del padre, l’immagine della di lui Gloria, il suo verbo, la sua parola sostanziale, è anche il vero figlio di una umilissima verginella: l’immacolata Maria. Maria a betlem in tutta verità dice a Gesù le stesse parole del padre Celeste: tu sei il Figlio mio, oggi io ti ho generato: filius meus es tu, ego hodie genuit te (Sal. 2, 7). Gesù è il dolce frutto del suo ventre verginale, è una immagine vivente di Maria. assomiglia a lei nel piglio, nella voce, nei gesti, nel modo di fare… ma sopratutto nel suo Cuore. il Cuore di Cristo è il Cuore di Maria! il padre Celeste colmò prima il cuore di Maria di quelle grazie, di quei doni, di quelle virtù onde egli voleva ornare il Cuore del Figlio suo divenuto uomo, affinché, per un naturale processo fisiopsicologico, Maria li comunicasse a Gesù. la pietà filiale verso il padre, l’umile confidenza, l’eroica generosità nel compimento della sua santa volontà, la delicata carità verso gli uomini, la compassione tenera per i poveri e i sofferenti, la nobiltà del sentire, la gioia di sacrificarsi, la brama di starsene sempre col padre pregando ininterrottamente, la fame e la sete della sua giustizia… queste le perfezioni, che la Madre immacolata aveva ricevuto dal padre Celeste per comunicarle al nostro Salvatore: Gesù mediatore nostro in quanto uomo perfetto: «Mediator Dei et hominum homo Christus Jesus!» (1 tim. 2, 5). il padre riempì del suo Spirito Creatore e Santificatore questa sua figlia eletta e per mezzo di lei ci diede Gesù! Qui conceptus est de Spirito Sancto natus ex Maria Virgine. per mezzo del suo Spirito Creatore e Santificatore la elevò a una tal quale rassomiglianza con sè stesso, la constituì tabernacolo vivente della sua presenza. Ma le opere di Dio non mutano; sono, dice S. paolo, senza pentimento (rom. 11, 29). e perciò il Serafico S. bonaventura meditando l’elezione e la missione di Maria, stabilì il principio teologico: Come Dio padre ci diede il Figlio suo per mezzo di Maria, così continuerà a darcelo per mezzo di lei. Come Gesù in quanto uomo è l’opera dello Spirito Santo e dell’immacolata Maria, così tutti i membri del Corpo di Cristo, del Cristo totale, sono nati e nasceranno dallo Spirito Santo e dalla Madre immacolata. in altri termini Maria non è solamente la Madre del verbo incarnato, ma bensì dei fedeli tutti. per mezzo di lei noi tutti comunichiamo al frutto della vita: per Te fructum vitae communicavimus! il che significa che Dio tutto si dà per mezzo di lei, che essa è la via che
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conduce a Cristo, che essa è la Donatrice e la rivelatrice di Cristo, anzi assieme con Cristo la Corredentrice dell’umanità. quando l’immacolata rispose all’arcangelo Gabriele: Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola (lc. 1, 88); non solamente accettò le gioie della maternità verginale, ma accettò ancora di divenire madre nostra, madre dei viventi, salendo il Calvario assieme a Gesù, soffrendo pene inenarrabili pur di comunicarci la vita eterna. È ben dolce contemplare la Madre immacolata a betlem, che si bea nella contemplazione del bambino Gesù, ma è anche dolce guardarla sul Calvario eretta ai piedi della Croce, mentre compie la sua missione di Corredentrice. È questa l’ora di Gesù e l’ora di Maria. il figlio è diventato «l’abbietto, l’ultimo degli uomini, l’uomo dei dolori che conosce la sofferenza, e quasi cerca di nascondere la faccia: così abbietto che non ne abbiamo fatto alcun conto. veramente delle nostre infermità si è caricato, e si è addossati i nostri dolori, e noi l’abbiamo reputato come un lebbroso, e un percosso da Dio e umiliato…» (is. 53, 3-4). Colui che non conosce il peccato è diventato come la personificazione del peccato e quindi la vittima della divina giustizia. «egli è stato trafitto per le nostre iniquità, è stato maltrattato per le nostre colpe: il castigo per la nostra rappacificazione fu addossato a lui e per le sue piaghe siamo stati risanati» (is. 53, 5). e cosa provava il Cuore di Maria sul Calvario? la liturgia ci risponde piamente che essa in quell’ora pensava piuttosto alla salvezza del mondo anzi che ai suoi dolori. Maria infatti conformava il suo Cuore a quello del padre Celeste e a quello di Gesù, il suo amoroso Giglio. Come il padre così Maria non risparmiò il proprio Figlio, ma per noi tutti lo consegnò alla morte, rinunziando per amor nostro ai suoi diritti materni. perché si arrivasse a quest’ora aveva pronunziato il suo «fiat», e adesso quell’ora è giunta, l’ora della glorificazione del Figlio e del padre, e Maria la vive in pieno, uniformando la sua volontà a quella del padre. Ma la Mamma sente pure quello che in quest’ora sente il Cuore del Figlio suo. assieme con Gesù, compenetrata e divenuta una sola fiamma col Cuore di lui, essa si offre al padre, lo adora, lo ringrazia, lo supplica, e compie l’atto dell’espiazione perfetta, offre al padre Gesù, e con Gesù anche il suo Cuore immacolato trafitto. l’uno ci redense col sangue, l’altra con le sue lagrime! (b. amedeo da losanna). il Sangue del redentore e i dolori della Corredentrice furono accetti al padre, accetti come non mai potremo adeguatamente comprendere, e così siamo stati salvati con una sovrabbondante redenzione.
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e se purtroppo, per i nostri peccati, avemmo la nostra triste parte in mezzo a coloro che schernirono, insultarono, crocifissero Gesù, consoliamoci che essendoci rappacificati nel suo Sangue con Dio, avemmo pure la nostra consolante parte in mezzo a Maria, le pie donne, S. Giovanni, Giuseppe d’arimatea e nicodemo, che l’assistettero con impavido amore e ne curarono il Santo Corpo dilaniato e contuso, con riverente, adorante tenerezza. Ma soprattutto, consoliamoci, ché fummo rappresentati da Maria la Madre nostra dolcissima. la soavità con cui essa trattò il corpo di Cristo morto, le lagrime onde bagnò il suo volto e le sue piaghe, la tenerezza piena di speranza onde lo pose nel sepolcro, sono la sorgente e il tipo di quei riti con cui la Chiesa ci fa celebrare il «mistero della morte del Signore», ovvero di quelli onde circonda la silenziosa, dolce e divina maestà del SS.mo Sacramento. Si, tutti questi doni, sono nostri, perché le ricchezze della Madre appartengono ai figli! alla luce di queste verità, può il sacerdote terminare il suo atto di offerta senza deporlo nelle mani della Madre Santissima affinché riesca certamente gradito al padre di ogni bene, al Datore della eterna carità? Forse che lui non ci ha dato Gesù per mezzo di Maria? Forse che l’offerta dello stesso Gesù non è stata accompagnata dall’offerta di Maria? in altri termini sul Calvario la Madonna quale Madre di Gesù e di tutta la Chiesa, non offrì al padre Giusto e Santo il Figlio suo unigenito per la nostra salvezza? ecco perché la nostra oblazione viene presentata al padre per le mani la Mamma nostra. Certo Madre di tutti i fratelli di Gesù è l’immacolata, e in tutti essa si sforza di riprodurre l’immagine viva del suo primogenito. nel semplice battezzato l’immagine del figlio di adozione, che vive in Gesù per la gloria del padre; nel cresimato l’immagine del soldato del regno di Cristo; nel sacerdote l’immagine completa e perfetta di Gesù, adorna dello zelo generoso e amante per la gloria del padre, che costituisce l’essenza della sua dignità messianica. perciò il sacerdote in modo del tutto speciale è il figlio di Maria. la Madonna per lui lavora di più che per gli altri suoi figli affinché il suo cuore si conformi alla perfetta immagine di Gesù Messia. il sacerdote vive in speciale dimestichezza con la Madonna. Come S. Giovanni, che se la prese con sè, del pari il sacerdote nel giorno dell’ordinazione cominciò a vivere, a pensare, ad agire sotto lo sguardo dell’immacolata, assieme a lei. Come Gesù bambino, il sacerdote legge negli occhi della immacolata la volontà del padre. Come Gesù adolescente e giovane operaio, lavora per darle gusto, ben certo che piacendo a Maria delizia il padre Celeste. Celebra come S. Giovanni alla sua presenza, e si sforza di tenere nelle mani il santo Corpo del suo Signore col tenero, soave, adorante amore della Madonna.
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Sale il Suo Calvario assieme a Maria. e nelle lotte che ingaggia per il regno di Dio dipende da lei, la eterna vincitrice di Satana. non è puro sentimento e tanto meno sentimentalismo che egli dipenda in tutto e assolutamente da lei, che la ascolti ad ogni istante e ne cerchi continuamente il compiacimento. Gesù medesimo dice a ogni sacerdote la parola che rivolse a S. Giovanni bosco novenne: Mia Madre ti sarà Maestra, senza di Lei ogni sapienza è stoltezza. perciò noi finiamo la nostra offerta affidandola alla Madonna. presentata da lei riuscirà certamente gradita a Dio padre nostro, e noi nutrir possiamo la speranza che Maria quanto prima formerà in noi perfettamente l’immagine del suo Figlio Gesù, sommo ed eterno Sacerdote. Oh Madre immacolata! Dimmi Chi sei, rivelami il tuo nome e fammi conoscere Gesù, parlami, oh parlami di lui, l’unigento diletto del padre! Dimmi cosa vuoi da me, e concedimi ch’io faccia sempre quanto il tuo Cuore immacolato desidera, anzi concedimi ch’io trovi in esso la mia perpetua dimora. Dissipa, o Madre del verbo, le tenebre della mia mente, verginizza, o purissima, il mio povero cuore, dammi, o vergine umile, tenera contrizione e generosa forza, uniscimi, o Gloriosa Madre di Dio, al Cuore di Gesù, per la gloria del padre nell’amore dello Spirito Santo, per tutta l’eternità! Tuus Tibi sum, Mater! Amen. 14. luCia l’atto di offerta è firmato con questo nome luminoso: Lucia. una vergine Sposa del Crocifisso, che amò ardentemente i sacerdoti, come tante altro sue sorelle avevano fatto prima di lei, quali S. Chiara, S. Caterina, S. teresa, S. teresina, S. Gemma,… ma forse lei attuò in modo del tutto peculiare. Certo nella Santa Chiesa di Dio il cuore e la missione della vergine sono somigliantissimi al cuore e alla missione dei santi sacerdoti. entrambi, essendo separati dai beni perituri, cercano solo le cose che riguardano il Signore, entrambi diventano padri e madri delle anime, entrambi vivono di una sola ambizione: l’amore e la gloria di Gesù Signore.
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l’anima della vergine amante sente per i sacerdoti una devozione piena di zelo, e brama per essi le ascensioni della carità. e ove scorge che alcuni di loro si distraggono in mezzo ai piaceri e gli onori di quaggiù, o, quel che è peggio, prevaricano e dimenticano e offendono Colui, che li chiamò, essa allora supplica e si immola per questi traviati, sente di nutrire per loro gli affetti di una madre, e sta come diceva ezechiele, sulla breccia ad implorare la divina pietà. lucia, questa serafica vergine, Sposa del Crocifisso, ebbe dal Signore la missione di far conoscere e amare Gesù Crocifisso e la sua e nostra addolorata Madre, ma ebbe pure in modo singolarissimo la missione di formare e di proteggere i sacerdoti, e di ricondurre al Cuore di Gesù i poveri suoi ministri fuorviati. Gesù stesso in un’estasi del 1927 la invitò ad offrirsi vittima per i sacerdoti e tante volto le comunicò quanto soffrisse per la tiepidezza o i peccati dei suoi ministri. lucia rispose all’invito del Signore con quella semplice ed eroica generosità, che le era propria. il 24 Febbraio di quell’anno fece la sua offerta di vittima pronunziando una preghiera, che non si può leggere senza commozione profonda. quest’atto di offerta, composto per se stessa onde rispondere all’invito di Gesù, illumina quello che essa compose per i sacerdoti e che abbiamo brevemente commentato. leggiamolo devotamente. «viva Gesù Crocifisso! Mio Dio, considerando la passione del vostro Divino Figliuolo e il suo Sangue preziosissimo, sparso per la salvezza delle anime, e vedendo tutta la ingratitudine degli uomini e la loro grande indifferenza a tanto amore, mi sento spezzare il cuore dal dolore, e se mi fosse possibile vorrei spargere tutto il mio sangue perché Gesù sia conosciuto ed amato da tutti. O mio Gesù, io povera e inutile creatura mi offro vittima a voi perché siate da tutti gli uomini conosciuto e amato, perché tutte le anime e in special modo le anime dei sacerdoti, facciano tesoro della vostra passione, perché lo spargimento del vostro Sangue preziosissimo, strappi ad ogni costo i sacerdoti e i peccatori dalle fiamme dell’inferno. Conoscendo la mia debolezza e incapacità, non intendo offrirmi alla Divina Giustizia per attirare su di me i castighi destinati ai peccatori; io non sono capace di questo. nemmeno vi chiedo, o Gesù, di far traboccare nell’anima mia tutto l’amore, che voi volete dare alle anime e che esse vi rifiutano; voglio che esse stesse vi diano quell’amore che voi volete da loro. Da parte mia non vi chiedo nessun genere di patimenti; mi abbandono completamente nelle vostre mani; siate voi il mio sacrificatore,
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Appendice disponete di me come meglio vi piace. quello che vi chiedo è che io vi dia tutto quell’amore e quella gloria che voi avete stabilito, e ciò solamente per darvi gusto, e consolare il vostro augustissimo Cuore, e per salvare le anime dei sacerdoti e dei peccatori, affinché vi amino in eterno».
i sacerdoti e i peccatori! ecco le due schiere di anime per le quali si è immolata questa Serafica vergine. essa chiamava i ministri del Signore «i miei sacerdoti», e come sappiamo, e come sapremo meglio dal secondo volume della sua vita, li protesse e li protegge anche nel purgatorio affrettando il momento del loro beato ingresso in Cielo. e ora che sta nella Casa del padre, lucia attua meglio e più largamente che non abbia fatto su questa terra i suoi immensi desideri. Desideri che bisogna sentire assolutamente dalle sue labbra. «lunedì scorso stando in cappella ebbi un raccoglimento. Mi sembrò di vedere Gesù che mi disse: Figlia mia, io ti arricchirò di grazie, affinché si compiano i miei disegni. voglio affidarti una missione. ed io Gli ho risposto: Gesù mio, io non sono buona a nulla! Gesù mi sorrise e mi disse: io scelgo le persone più inette per le mie opere. e proseguì: Sappi, figlia mia, che le incorrispondenze dei miei sacerdoti (e, nel dire questo, Gesù era tanto mesto, ma di una mestizia che non saprò giammai esprimere) mi trafiggono il Cuore, e voglio che tu mi serva di strumento per consolare il mio Cuore Divino, e la missione che ti affido è di amarmi, farmi conoscere e riparare le offese dei sacerdoti interessandoti di essi e quindi offrirti vittima per riparare le trafitture che i cattivi sacerdoti recano al mio Cuore. … preghiamo molto per i sacerdoti! C’è tanta corruzione nel mondo e i pericoli sono tanti!… poveri giovani (sacerdoti) appena usciti dal seminario tante volte mancano di una buona guida, e a poco a poco perdono il fervore… e possono anche andare a finir male. C’è bisogno di pregare e di pregare molto per i sacerdoti! un sacerdote santo quanto bene fa alle anime, anche con la sola presenza e con l’esempio di una vita virtuosa!… invece un sacerdote che non è quale lo vuole il Signore, oltre a mettere in pericolo l’anima sua, può essere causa che si perdano anche tante altre anime… quale spina crudele per il Cuore di Gesù! io voglio sempre domandare la salvezza delle anime!… voglio pregare continuamente Gesù per coloro che l’offendono, per i peccatori, per coloro che bestemmiano il suo nome, per i sacerdoti traviati e tepidi!… anche per i sacerdoti buoni,… bisogna pregare affinché perseverino fino alla fine, e adempiano sempre la volontà di Dio e facciano alle anime tutto il bene che Gesù vuole che facciano!». e sì per compiere pienamente nella Chiesa la sua missione: far conoscere e amare Gesù Crocifisso e la Madre Addolorata, aiutare e proteggere i sacerdoti, che
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lo Spirito Santo comunicò a lucia lo zelo intrepido e l’amore ardente del Fondatore dei passionisti, S. paolo della Croce, e le diede come padre dell’anima negli ultimi diciotto anni di sua vita un suo degnissimo figlio, e la mosse a lavorare e a soffrire tanto per il ritiro dei passionisti a Mascalucia. quel ritiro non solamente dovrà diventare un grande santuario dell’addolorata, ma anche un Cenacolo, dove i ministri di Dio ritemprino lo spirito e si riempiano di amore divino ai piedi della Madre Celeste. Di questo santo cenacolo Madre lucia diceva: «Oggi ho riflettuto al gran bene che i pp. passionisti possono fare ai sacerdoti dei paesi vicini. nella loro casa i sacerdoti potrebbero fare di tanto in tanto un giorno di ritiro, ricevere da quei religiosi degli incitamenti a una virtù fervorosa e più santa… purtroppo ai nostri giorni sono pochi i sacerdoti che lasciano contento Gesù e nella maggioranza di essi vi è tanta indifferenza… e la casa di Mascalueia potrebbe essere per i nostri sacerdoti un centro dove di tanto in tanto potrebbero andare a ritemprare il loro spirito e trovare quegli aiuti necessari per mantenersi fedeli a Gesù e per diventare dei sacerdoti secondo il desiderio di Gesù». in una lettera, che il 24 Maggio del 1932 scrisse alla Madonna perché le facesse ritrovare Gesù, che le si era celato, vi si leggono queste parole dolci e ignìte come la preghiera di un arcangelo: «…Mamma mia, conoscete i miei desideri, pensateci voi! io non vi cerco altro che Gesù, voglio vivere per Gesù, voglio patire perché Gesù sia conosciuto da tutti ed in modo speciale dai sacerdoti… Mamma mia, poi quando sarò in Cielo voglio fare amare tanto e conoscere Gesù appassionato e i vostri Dolori…». e in un colloquio con la sua fida Maria aggiungeva: «e questo non per un pò di tempo, ma sempre finché durerà il mondo». al padre dell’anima sua poi scriveva: «padre mio, la cara Mamma nostra ci conforti sempre e ci assista con la sua materna bontà! quanto vorrei soffrire per tutti i miei sacerdoti! Ma quando sarò in Cielo, Gesù, infinitamente buono mi farà fare tanto per loro». lucia, questo portento di umiltà, ci ha palesato che la sua azione in cielo a favore dei sacerdoti, sarà un’opera di benevolenza, di illuminazione, di protezione, di difesa, di amore. Ma nulla può sostituire le sue parole: «la sera del 1° Dicembre 1936 ho conosciuto — disse lucia al suo padre spirituale — un sacerdote ai miei piedi e in lui i sacerdoti di tutto il mondo e dei secoli futuri. ho conosciuto, come fosse presente, il grandissimo bene che questi sacerdoti avrebbero fatto nel corso dei secoli ed io partecipavo a questo bene, che era a me presente e che mi apparteneva, e godevo di quella gloria accidentale che godrò nell’eternità per questa grande opera di protezione, di difesa, di benevolenza, di amore su tutti i sacerdoti del mondo, che conoscevo presenti, e lo sguardo bene-
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volo della mia anima si protendeva su tutti questi sacerdoti, che mi sarebbero appartenuti e sarebbero stati strumenti nelle mani di Dio per dare tanta gloria al Signore…». non rare volte, torno a ripetere lo stesso concetto, nella storia del regno di Dio ci imbattiamo nelle figure di sante donne specialmente vergini, elette dal Donatore di ogni bene a delle missioni che hanno profondi riflessi nella vita stessa del suo regno. Conosciamo i nomi e le gesta di Sara, di Debora, di Giuditta, di hulda, di ester, della madre dei Maccabei… nell’antico testamento, e nel nuovo i nomi e le gesta di S. elisabetta, di Maddalena, di Caterina, di Chiara, di S. teresa, di S. teresina, di S. bernadette… Madre lucia appartiene a questa razza di donne forti e ardenti. essa come Maria di Magdala è stata costituita da Gesù per essere apostolo degli apostoli. essa è modello e maestra dei sacerdoti. infatti, a parte i carismi straordinari, la sua anima è l’anima di un santo sacerdote, che non ha altra brama quaggiù se non quella di conoscere e amare, far conoscere e fare amare Gesù Crocifisso e la sua SS.ma Madre. lucia incontrò Gesù, e l’afferrò, e se ne impossessò, e non se lo lasciò mai sfuggire, e si conformò a lui e si transformò in lui, e lo irradiò e lo irradierà lungo i secoli. la missione di lucia è appena cominciata, anzi oso dire che ancora non è scoccata l’ora, in cui, il Signore, come lo promise ripetutamente, si glorificherà in lei in mezzo alla Chiesa intera. Chi l’ha conosciuta e chi sa quanto sta accadendo dal giorno della sua beata morte (10 novembre 1946), quasi presente e attende quella tempesta di gloria onde questa pia vergine sarà investita. Ma la gloria dei santi è la gloria di Cristo Signore; anzi è la continuazione della sua azione salvifica. essi sono una parola di Dio e nello stesso tempo un potere, una «dynamis» del verbo incarnato. alla fine è il Signore Gesù che ha incaricato la serafica lucia di ripetere ai sacerdoti il suo messaggio, lo stesso Gesù che nel giorno della sua resurrezione disse a S. Maria di Magdala: «va piuttosto dai miei fratelli e dì loro: ascendo al padre mio e al padre vostro, al mio Dio e al Dio vostro»! e Maria Maddalena venne e annunziò ai discepoli: «ho visto il Signore e mi ha detto queste cose» (Giov. 20, 16). ripetè insomma il messaggio di Gesù agli apostoli. lucia è pure inviata da Gesù ai suoi fratelli, ai suoi sacerdoti, e altro non dice se non le parole del Maestro. Ma con un accento inconfondibile, l’accento di colei che tante volte vide il Signore e ne portò la passione e la morte nel suo angelico corpo. i vostri occhi, Madre lucia, avevano una profondità di cielo e mi sembravano bruciati d’amore, il vostro portamento era umile e verginale e mi faceva pensare alla Madre immacolata. il vostro parlare era semplice, ma penetrate e indimenticabile.
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Ma sopratutto eravate così gioviale, così soave e così forte! poche cose e quasi casualmente mi avete detto di quanto formava la missione della vostra vita: la santità dei sacerdoti, ma tuttavia mi pare che voi volevate il sacerdote così: amico dello Sposo, figlio di Maria come un altro Giovanni, affascinato dall’amore Crocifisso, e pronto al combattimento per la Chiesa e per le anime. il ministro di Dio, che vi potè ascoltare, comprendeva che lui, sacerdote, amico dello Sposo, non può abbracciare Gesù che sulla Croce, e che essa deve costituire la sua forza, la sua letizia, la sua gloria. Ma sopratutto, Madre lucia, credo di ripetere se non le vostre parole, certo il vostro pensiero, asserendo che per voi il sacerdote deve essere un altro Giovanni: il discepolo che Gesù amava, e che amava Gesù, il figlio di Maria, l’apostolo del suo Cuore immacolato. Madre lucia, compite colla vostra intercessione l’opera appena cominciata; fate che si attuino quanto prima le parole della vostra promessa: «i sacerdoti sulla terra mi hanno fatto soffrire moltissimo; ma quando sarò in Cielo mi faranno godere; desidero che Gesù mi faccia soffrire sempre, sempre su questa terra, ma che i miei sacerdoti siano beneficati e trasformati secondo la loro vocazione». Ghermite dunque, quasi una celeste aquila, i sacerdoti di tutta la Chiesa, e pregate, ora che potete tanto, il vostro Sposo adorato, che essi guardino solo e sempre al suo Santo volto, e lo seguano con l’intrepido e tenero amore dell’immacolata! Amen! pasqua 1956. hong-Kong.
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