Synaxis 29 3 (2011)

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SYNAXIS XXIX/3 - 2011

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO CATANIA



SOMMARIO

Sezione Teologica LA RICEZIONE ECCLESIOLOGICA DELLA LUMEN GENTIUM (Hervé Legrand) . . . . . . . . 7 Secondo l’A., numerose valutazioni sul Concilio Vaticano II, anche di teologi “autorizzati”, interpretano i testi conciliari senza averli letti secondo i criteri metodologici e dottrinali richiesti. Cosi’ nella recezione di LG, non sono considerate le correzioni di traiettoria inerenti alla sua struttura d’enunciazione, si minimizza l’annotazione, e talora si vuol determinare un senso letterale senza riferirsi all’expansio modorum. Notiamo inoltre che questa recezione, non puo’essere dissociata da quella dei decreti di cui LG ha determinato l’orientamento, con degli effetti importanti (ecumenismo, dialogo con gli Ebrei e le religioni non cristiane) o modesti (vita religiosa, sacerdoti e laicato). La lettura attenta del progetto centrale di LG [correggere gli orientamenti emersi dal Concilio Vaticano I con la rivalutazione dell’Episcopato e delle Chiese locali], induce a pensare che LG non ha ricevuto una piena recezione nel CIC e nelle misure disciplinari degli anni 1992- 2003. Tranne in qualche dettaglio, l’ecclesiologia universalista preconciliare è ripresa, e talora rinforzata, come nello statuto attuale del vescovo diocesano. LA LAICITÀ ED IL PRIMATO DELLA COSCIENZA. QUALI CONTRIBUTI ALLA STORIA DELLA CULTURA EUROPEA: IL PUNTO DI VISTA DI J. RATZINGER (Dario Antiseri) . . . . . . . . 55 Il primato della coscienza è stata la grande innovazione della rivelazione cristiana che ha fecondato tutte le culture umane con le quali è venuta in contatto. La ragione, poi, in dialogo con la fede ha potuto esercitare le sue prerogative, spingendosi a sondare il mistero, non in un’accettazione rassegnata ed acritica, ma con il sostegno ed il supporto della Grazia, che con l’Incarnazione del Verbo ha rivelato tutta la sua portata rivoluzionaria.


IL PENSIERO TEOLOGICO DI J. RATZINGER. LINEE FONDAMENTALI (Francesco Brancato) . . . . . . . 61 L’intervento di Brancato ha inteso mettere in evidenza, per grandi linee, i nodi fondamentali della teologia di Joseph Ratzinger il quale, pur non avendo dato vita a un sistema di pensiero organico e sistematico, ha tuttavia trattato praticamente tutti gli ambiti della teologia dogmatica ed ha dedicato importanti studi a questioni di teologia fondamentale e di teologia pastorale, si è occupato di teologia della creazione e di escatologia, di cristologia, antropologia, dottrina della grazia e specialmente di ecclesiologia. Del resto lo stesso Ratzinger ha affermato a questo proposito: “Non ho mai cercato di creare un mio sistema, una mia particolare teologia, se proprio si vuole parlare di specificità. Si tratta semplicemente del fatto che mi propongo di pensare insieme con la fede della chiesa, e ciò significa pensare soprattutto con i grandi pensatori della fede”. VERITÀ E COSCIENZA IN J. RATZINGER (Giuseppe Pezzino) . . . . . . . . 77 Centralità attribuita da J. Ratzinger al concetto di coscienza nella sfera religiosa, morale e politica. Contrapposizione fra morale della coscienza e morale dell’autorità. Per uscire dalla contrapposizione, occorre distinguere fra la coscienza erronea, che dispensa dalla ricerca della verità universale, rifugiandosi nel relativismo soggettivo, e la coscienza autentica, che supera la mera soggettività nell’incontro fra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio. Coscienza cristiana come anamnesi, ossia come memoria e interiore apertura alla Verità e al Bene. La vera novità del messaggio cristiano: il Logos, Verità in persona, è al contempo Logos redentore. Qui l’anamnesi della fede, analogamente all’anamnesi della creazione, si sviluppa in un permanente dialogo fra l’interiorità e l’esteriorità. Sul piano etico-politico, la coscienza cristiana assume una particolare posizione rispetto allo Stato: questo è da rispettare sia come ordinamento giuridico a garanzia della libertà e della sicurezza, sia come prassi politica di governo indirizzato non già all’interesse particolare bensì al benessere di tutti. La coscienza cristiana respinge, però, l’idea di uno Stato come realtà assoluta, fonte di verità e di moralità, che pretenda di legiferare sugli affari di coscienza. LA PROSPETTIVA PERSONALISTICA DI GIOVANNI PAOLO II NELLA GIURISPRUDENZA ROTALE (Salvatore Bucolo) . . . . . . . . 91 L’esperienza odierna, che vede la crescita delle crisi matrimoniali, ha reso dominante la convinzione che il matrimonio assuma soltanto le pure sembianze di un istituto che reca impendimento alla libertà dell’uomo e alla sua realizzazione personale. Un’attenta analisi delle sentenze rotali mostra, invece, come la prospettiva personalistica, ampiamente sostenuta da Giovanni Paolo II, sia in piena armonia con la dimensione istituzionale, per il semplice fatto che l’istituzione in quanto tale costituisce il


fondamento necessario per salvaguardare e tutelare la dignità della stessa persona. Il matrimonio, infatti, non è semplicemente una relazione d’amore tra un uomo e una donna, nella quale i coniugi, in modo libero, totale e incondizionato, scelgono di donarsi e accogliersi reciprocamente, ma è un patto attraverso cui i nubenti, manifestando in modo valido e legittimo il loro consenso personale, danno vita ad una cosiddetta istituzione di amore, che genera in essi il diritto di ricevere la verità dell’altro, nonché il dovere di offrire la verità di sé stessi. È, in fondo, nella natura stessa dell’amore impegnarsi incondizionatamente e assolutamente per l’altro.

Sezione miscellanea IL CAN. F. RUSSO (1829-1890), LE SACRAMENTINE (1888-1896) E LA PRESENZA A PALERMO DELLE RELIGIOSE DELL’ADORAZIONE PERPETUA (1896-1912) (Mario Torcivia) . . . . . . . . 139 Lo studio desidera far conoscere la biografia del can. Francesco Russo (1829-1890), una delle più significative figure di presbiteri palermitani del XIX secolo, oggi totalmente dimenticata. Si sofferma, indi, a trattare delle Suore della perpetua adorazione del Ss. Sacramento (1888-1896), l’Istituto religioso fondato dal presbitero palermitano e della presenza nel capoluogo siciliano (1896-1912) delle Religieuses de l’Adoration perpetuelle du Très-Saint Sacrement, oggi denominate Religiose dell’Eucaristia. Con la Congregazione religiosa belga fondata da Madre Anne De Meeûs si sono fuse (1896), infatti, le poche Sacramentine rimaste dopo la morte del loro fondatore. Il paragrafo finale presenta l’arrivo a Palermo (1912) delle Orsoline di famiglia, che occupano da cent’anni quella che fu la sede dei due summenzionati istituti religiosi femminili. L’ARCHITETTO GIOVAN BATTISTA CONTINI A CATANIA (Salvatore Maria Calogero) . . . . . . . 175 Non può essere mai apprezzata abbastanza l’opera dell’architetto romano Giovan Battista Contini, architetto di regalo, ignoto forse a tanti come l’autore del progetto e responsabile della fase preparatoria alla costruzione della grande Chiesa di S. Nicola l’Arena, annessa al monastero dei benedettini. L’escussione dei documenti e della contabilità dell’epoca — fonte, quest’ultima, di grande importanza per la conoscenza storica — consentono di gettare luce sull’attenzione e la cura con la quale il Contini da Roma seguì i lavori di costruzione, con l’invio a Catania di maestranze romane altamente specializzate.

Note UNA RIVISTA INGIUSTAMENTE NEGLETTA. LA SICILIA SACRA DI MONS. BOGLINO: INDICI (Gaetano Nicastro) . . . . . . . . 209


LA TEOLOGIA NEL TEMPO DELL’EVOLUZIONE. A 150 ANNI DA L’ORIGINE DELLA SPECIE. NOTE A MARGINE DEL XX CORSO DI AGGIORNAMENTO PER DOCENTI DI TEOLOGIA (Francesco Brancato) . . . . . . . 253 ETICA E MORALE IN PAUL RICOEUR (Enrico Piscione) . . . .

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Presentazione

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Recensioni .

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NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO

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INDICE

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Sezione teologica Synaxis 3 (2011) 7-51

LA RICEZIONE ECCLESIOLOGICA DELLA LUMEN GENTIUM Riflessioni criteriologiche per un primo bilancio*

HERVÉ LEGRAND**

Presentare a degli studenti di teologia, in un’unica conferenza, un bilancio della ricezione della Lumen Gentium (d’ora in poi LG), rientra nel campo delle “missioni impossibili”. Tanto più che questi stessi studenti, probabilmente ancora poco familiarizzati con l’esegesi tecnica della LG, non ignorano nulla dei conflitti di interpretazione che essa continua a sollevare cinquant’anni dopo la sua promulgazione1. La scommessa non sarebbe minore se la conferenza si indirizzasse soltanto a degli specialisti. Perciò vorrei porre l’accento, in questa relazione, innanzitutto sui criteri che determinano tale valutazione. Questa scelta, frustrante a prima vista, dovrebbe rivelarsi la più fruttuosa secondo la saggezza del proverbio cinese così spesso citato: “Se qualcuno ti domanda un pesce, non darglielo; insegnagli invece a pescare”. * Disputatio tenuta il 24 febbraio 2011 presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania. Questo testo, tradotto da Lisa Cremaschi, riprende, considerevolmente aumentata, la lezione fatta allo Studio Teologico S. Paolo di Catania. ** Docente emerito di Teologia presso l’Institut Catholique de Paris. 1 Si troverà rapido accesso al dibattito internazionale in A. MELLONI – G. RUGGIERI (curr.), Chi ha paura del Vaticano II?, Roma 2009. Cosciente di questi conflitti, M. BÖHNKE (Wieder die falschen Alternativen. Zur Hermeneutik des Zweiten Vatikanischen Konzils, in Catholica 65 [2011] 169) sottolinea il bisogno di un’“ermeneutica di orientamento storico e sistematico, che si sottometta alla verità”. Cercheremo in questo saggio di contribuirvi in modo limitato, ma non senza preoccupazione di rigore, a rischio di dispiacere.


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Hervé Legrand

Ogni formazione teologica non ha per scopo, di fatto, di procurare un’autonomia di giudizio grazie all’acquisizione dei metodi richiesti? La difficoltà di valutare la ricezione della LG concerne innanzitutto il gran numero di temi, spesso assai complessi, sui quali questa Costituzione ha voluto prendere una posizione dottrinale. Sono rari i singoli teologi in grado di dominare un campo così vasto del programma di un concilio generale o ecumenico2. Per cominciare si sottolinerà che la ricezione della LG non può limitarsi al solo esame del suo testo, perché tale ricezione è strettamente collegata a quella di altri testi conciliari che essa ha direttamente influenzato. In un primo momento ci concentreremo, dunque, sulla ricezione indiretta della LG per la quale si può procedere senza grande sofisticazione metodologica (1.); in un secondo momento ci si sforzerà di mettere a punto, con un po’ più di tecnicismo, un certo numero di criteri ermeneutici che permettono di valutare la ricezione diretta della LG nei suoi obiettivi centrali (2.). A quel punto saremo attrezzati per valutare la ricezione effettiva, nella dottrina e nel diritto, dei punti più specifici della LG, come pure cio’ che resta da recepire o ancora da pensare (3.). 1. LA RICEZIONE INDIRETTA DELLA LUMEN GENTIUM NELLA PROSPETTIVA DEI DOCUMENTI CHE ESSA HA INFLUENZATO IN QUANTO

COSTITUZIONE PERNO DEL VATICANO II

La LG occupa un posto particolare tra tutti i testi promulgati dal Vaticano II. Questo proviene dalla sua anteriorità cronologica in 2 Si osserverà, perché a mia conoscenza non lo si è mai osservato, che la Costituzione dogmatica stessa non qualifica il Vaticano II come concilio ecumenico. Si tratta di un’astensione intenzionale? Non si potrebbe affermarlo. Tuttavia questo silenzio potrebbe essere felice nella misura in cui mostra, da una parte, l’assenza di una lista ufficiale di concili ecumenici nella Chiesa cattolica e, dall’altra, la possibilità di gerarchizzare tra loro i concili chiamati abitualmente ecumenici. Se ne vede immediatamente la portata per il nostro dialogo con la Chiesa ortodossa come lo illustra la Lettera di Paolo VI al Cardinal Willebrands in occasione del centenario del concilio di Lione II, che egli qualifica “concilio generale svoltosi in Occidente” [alterum generale concilium], cfr. AAS 66 (1974) 620-625. Cfr. La Documentation Catholique (= DC) 72 (1975) 63. Paolo VI poteva sentirsi autorizzato a questo dal lavoro storico di V. PERI, I concili ecumenici e le Chiese. Ricerca storica sulla tradizione d’universalità dei sinodi


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rapporto ad altri testi — soltanto la Costituzione sulla santa liturgia gli è anteriore — e più ancora dal suo statuto di Costituzione dogmatica. Giustamente, fin dalla prima riga del suo commento, mons. Gérard Philips, il suo principale redattore, qualifica questa Costituzione come “pietra angolare di tutti i decreti pubblicati”3. Di conseguenza, bisogna impadronirsi della LG come di un elemento decisivo dell’intero corpo conciliare. Nel tempo che abbiamo a disposizione non potremmo riuscirvi, ma si potrà almeno consacrare tutta la nostra prima parte alla ricezione indiretta della LG, passando in rassegna quella dei documenti conciliari che ne costituiscono il prolungamento. Vista l’ampiezza della materia, questo bilancio sarà certamente sommario. Però avrà il vantaggio di offrire agli studenti una visione generale delle recezioni fruttuose e meno fruttuose della LG, non troppo errata, si spera, al modo di un manuale di storia. 1.1. La felice ricezione dei temi della Lumen Gentium attraverso quella dei documenti conciliari che l’esplicitano 1.1.1. Lumen Gentium 15 e Unitatis Redintegratio: l’ecumenismo Gli enunciati della LG 15 sui legami della Chiesa con i cristiani non cattolici sono stati sviluppati dall’Unitatis Redintegratio. Nonostante alcuni incidenti di percorso, il bilancio dell’impegno ecumenico della chiesa cattolica è già molto considerevole. Si è smesso di designare le altre Chiese soltanto sotto l’angolazione dello scisma o dell’eresia; le si riconosce ormai come vie di salvezza e si considerano i loro membri ecumenici, Roma 1965. Il cardinal W. BRANDMÜLLER propone una tipologia per distinguere tra concili ecumenici e concili generali e resta esitante nel collocare il Vaticano II (Zum Problem der Ökumenizität der Konzilien, in Annuarium Historiae Conciliorum 41 [2009] 275-312). 3 Cfr. G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero nel Concilio Vaticano II. Storia, testo e commento della Costituzione Lumen Gentium I, Milano 1969, 11: «Nessuno contesterà che la Costituzione del Vaticano II ‘sulla Chiesa’ sia da considerare come la pietra angolare di tutti i decreti pubblicati. Gli altri testi, anche il documento sulla liturgia che cronologicamente la precede, si appoggiano direttamente o indirettamente su di essa […] non sono altro che l’applicazione di principi dogmatici della Lumen Gentium».


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come fratelli in un solo battesimo4. All’apologetica e al proselitismo, mai liberati di tratti polemici, si è sostituito il dialogo “da pari a pari”5. In cinquant’anni si sono fatti più progressi che nei cinque secoli precedenti6. Nei riguardi della Chiesa ortodossa la dichiarazione di Balamand (1993) ha permesso di aprire nuove vie sulle quali camminare insieme. Si rinuncia a un uniatismo, che aveva notevolmente inasprito le nostre relazioni, e si sconfessa questo “metodo di apostolato missionario”, e anche il suo scopo7. Si dichiara in comune che l’unità futura non si farà né alle condizioni dei cattolici, né a quelle degli ortodossi, ma tra Chiese sorelle, cosa che Giovanni Paolo II accoglie nel 1995, citando nella sua enciclica Ut unum sint i termini forti di UR 148. Questi passi fondamentali dovrebbero permettere di superare le incomprensioni e le resistenze che si manifestano di tanto in tanto9. 4

Cfr. Unitatis Redintegratio 3: «Giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore». Trattandosi di «chiese e comunità […] si devono dire atte ad aprire l’ingresso nella comunione della salvezza […] Lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza». 5 UR 9: par cum pari. 6 Abbiamo tratteggiato questo bilancio con maggiori dettagli in H. LEGRAND, Où en est l’œcuménisme ? Quarante ans après la promulgation d’Unitatis Redintegratio, in Istina 50 (2005) 353- 384. 7 Cfr. la Dichiarazione di Balamand 12: «Questa forma di apostolato missionario […], chiamata uniatismo, non può più essere accettata né in quanto metodo da seguire né in quanto modello dell’unità cercata dalle nostre Chiese»; cfr. anche ibid. 14: «La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa si riconoscono mutualmente come Chiese sorelle, responsabili insieme del mantenimento della Chiesa di Dio nella fedeltà al disegno divino». 8 Ut unum sint 95: «Per un millennio i cristiani erano uniti ‘dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede e la disciplina’ (UR 14)» (Enchiridion Vaticanum 14. Documenti ufficiali della Santa Sede 1994-1995, Bologna 1997, n. 2867. Lo stesso papa aveva legittimato il contenuto della Dichiarazione di Balamand dichiarando nella cattedrale ortodossa di Bialystock: «Oggi vediamo meglio e più chiaramente che le nostre Chiese sono Chiese sorelle. Il fatto di dire Chiese sorelle non è soltanto una frase di circostanza, ma una categoria ecumenica fondamentale d’ecclesiologia», DC 88 (1991) 689-690. 9 Un esempio basterà, in contrasto con la nota precedente: dieci giorni prima


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Nei riguardi delle Chiese della Riforma, la sottoscrizione, ad Augusta, nel 1999, della Dichiarazione comune sulla giustificazione con tutte le Chiese luterane del mondo, rappresenta anch’essa un passo storico, perché la Riforma si è cristallizzata dottrinalmente sull’interpretazione di quest’articolo di fede con il quale “la Chiesa crolla o si rialza”, e che permette anche di “giudicare tutti gli articoli di fede”, secondo le parole di Lutero10. In seguito, anche il Consiglio metodista mondiale ha sottoscritto questo accordo, facendo forse da precursore alle altre Chiese sorte alla Riforma. 1.1.2. Lumen Gentium 6 e Nostra Aetate: il dialogo interreligioso Questi testi sono entrati nella vita della Chiesa in modo molto fruttuoso come ha manifestato l’incontro di Assisi, di cui Giovanni Paolo II aveva preso l’iniziativa e che Benedetto XVI ha ripreso nel 2011. Senza questo nuovo atteggiamento, Giovanni Paolo II avrebbe potuto indirizzarsi ai settantamila giovani musulmani nello stadio di Casablanca su invito del re del Marocco, capo dei credenti? E un domani, come potranno i cattolici del mondo arabo coabitare con i musulmani se la Chiesa, nel suo insieme, non coltiva relazioni pacifiche tra tutte le religioni, contribuendo così a scongiurare la profezia di S. Hungtinton sullo scontro delle civiltà? 1.1.3. Lumen Gentium 16 e le relazioni con il popolo ebraico La posizione presa dalla LG a proposito del popolo ebraico ha portato anch’essa frutti notevoli, tanto più attesi dal momento che è in paesi cristiani che sono stati uccisi sei milioni di ebrei, nel silenzio dell’incontro della Commissione di dialogo nel 2000, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (= SCDF) ha inviato a ciascun vescovo cattolico una Lettera segreta, — cosa che le garantiva una grande pubblicità —, per ricordare che la Chiesa cattolica, una e unica, e madre di tutte le Chiese, non poteva considerare la Chiesa ortodossa come Chiesa sorella. 10 Sulla portata di tale sottoscrizione si veda: H. LEGRAND, La légitimité d’une pluralité de ‘formes de pensée’ (Denkformen) en dogmatique catholique. Retour sur la thèse d’un précurseur: O. H. Pesch, in La responsabilité des théologiens. Mélanges en l’honneur de Joseph Doré, Paris 2002. O, più accessibile, ID., Le consensus différencié


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controverso del papa dell’epoca. Questo sullo sfondo non di un antisemitismo, ma di un antigiudaismo cristiano, millenario e sconcertante, così presente tra i padri della chiesa riconosciuti come grandi santi11. Qui ancora, i gesti di Giovanni Paolo II hanno assicurato la ricezione dei testi. Non è forse stato il primo papa in duemila anni ad attraversare il Tevere per salutare il suo “fratello maggiore”, il rabbino di Roma? Facendo scivolare un foglietto contenente la sua preghiera nelle fessure del Muro del Pianto — un’immagine che ha fatto il giro del mondo — ha fatto ben più di migliaia di scritti teologici per migliorare un clima tanto più pesante in quanto il contenzioso era d’antica data12. In coerenza con la volontà di dialogo della Lumen Gentium, la Dichiarazione sulla libertà religiosa, nonostante le resistenze di mons. Lefebvre su questo punto, come sui tre precedenti, è stata perfettamente recepita nella Chiesa cattolica, sia come richiesta evangelica sia come una necessità del mondo attuale. Nella situazione attuale, come non reclamare questa libertà nei paesi musulmani e in Cina? Come essere credibili, del resto, nel dialogo ecumenico finché resta in vigore, per esempio, il concordato con la Spagna, fortemente discriminatorio nei confronti dei protestanti, firmato nel 1953 tra papa Pio XII e il generale Franco, e abolito soltanto nel 1980? Concludiamo: in materia d’ecumenismo, di dialogo interreligioso, di riavvicinamento con il popolo ebraico, di libertà religiosa sul piano civile, la Lumen Gentium ha conosciuto una buona ricezione nelle società umane, ma anche nell’insieme della Chiesa che avrebbe potuto essere più reticente davanti a questi cambiamenti di accento a volte notevoli in rapporto al magistero ancora recente dei papi. sur la doctrine de la Justification (Augsbourg 1999). Quelques remarques sur la nouveauté d’une méthode, in Nouvelle Revue Théologique 124 (2002) 30-56. 11 Su questo punto l’opera decisiva è: M. SIMON, Verus Israel: les relations entre chrétiens et juifs dans l’empire romain, Paris 19481, 19642, 19833; questa tesi che ha avuto tre edizioni (!), analizza gli atteggiamenti dei principali Padri: Cipriano, Ambrogio, Crisostomo, Gregorio di Nissa, ecc. 12 Per cogliere il mutamento di questo clima nell’insieme della diaspora si leggerà l’articolo molto informato di M. FOURCADE, Le Moment Lustiger, in Nova et Vetera 86 (2011) 267-296.


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1.2. Alcune ricezioni relativamente infruttuose della Lumen Gentium attraverso quella dei documenti che ha influenzato 1.2.1. Lumen Gentium 28 e 29 e Presbyterorum Ordinis: Presbiteri e diaconi LG 28 non aveva realmente saputo sintetizzare teologicamente il ministero presbiterale, accontentandosi di giustapporre le categorie sacerdotali, pastorali e missionarie senza andare al di là di una descrizione. La diagnosi migliore, a questo proposito, sembra essere stata data dal futuro cardinale Paul Josef Cordes che scrive: «Al documento conciliare manca quella forza di convinzione che scaturirebbe da una sintesi acquisita a partire dal suo oggetto. I suoi enunciati danno spesso l’impressione di non essere stati portati a maturità e di mancare di omogeneità; conducono così da se stessi a interpretazioni eclettiche. Non è un caso, dunque, se, dopo il concilio, le posizioni teologiche relative al ministero presbiterale sono andate in tutte le direzioni»13.

Concretamente, questo decreto, abbinato a quello della formazione dei presbiteri, ha ripreso un modello universale che, di anno in anno, si rivela sempre più inadeguato nella maggior parte delle Chiese d’Occidente, come è attestato inesorabilmente dalla curva delle ordinazioni. Troppo spesso questa evoluzione è attribuita alla “secolarizzazione” e alla decadenza dei costumi, senza nessun altra analisi, cosicché la sola prospettiva proposta è di fare meglio quello che si è sempre fatto e di pregare. Non ci si interroga praticamente sul concetto di vocazione, più pietista che teologico, che continua a ispirare la prassi14, così che le diocesi non hanno più la possibilità di chiamare i presbiteri di cui hanno bisogno. Riguardo ai diaconi, LG 29 ha innovato con un ritorno alla tradi13

P. J. CORDES, Sendung zum Dienst. Exegetisch-historische und systematische Studien zum Konzilsdekret. “Vom Dienst und Leben der Priester”, Frankfurt a. M. 1972 (Frankfurter Theologische Studien 9), 307. 14 Come contributo alla valorizzazione di una concezione tradizionale della vocazione, si potrà leggere: H. LEGRAND, La théologie de la vocation aux ministères ordonnés: vocation ou appel?, in La Vie Spirituelle 78 (1998) 621-640.


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zione, senza tuttavia approfondire la teologia di questo ministero15. In pratica, quando i vescovi hanno coscienza che spetta a loro “assegnare gli incarichi”, come si legge in Ippolito di Roma16, si constata che in certi anni, accade loro, per esempio in Francia, di ordinare più diaconi che presbiteri. 1.2.2. Lumen Gentium 2 e 4 e Apostolicam Actuositatem: popolo di Dio e laicato Si è molto inneggiato alla riscoperta del popolo di Dio nella Lumen Gentium17, e giustamente, poiché si smetteva di considerare la Chiesa come una società gerarchica di disuguali e la si comprendeva ormai come popolo di Dio in cammino nella storia, corpo di Cristo e tempio dello Spirito santo. Ma questa dottrina tradizionale era così dimenticata all’epoca, salvo che nelle orazioni del Messale romano, che anche la sua ricezione intraconciliare fu assai modesta. Trattando del laicato, i padri conciliari pensavano, probabilmente, di parlare del popolo di Dio. Non è un’ipotesi irriverente, considerato il lapsus teologico di Paolo VI il quale, nella sua enciclica Mysterium Fidei pubblicata subito dopo il Vaticano II, afferma che «il Cristo presente assiste la sua Chiesa che dirige e governa il popolo di Dio?»18. Questa quasi non-ricezione della realtà teologica del popolo di Dio spiega come i diritti legati alla comunione cristiana (iura communionis) in seno al popolo di Dio non abbiano ricevuto traduzione solida né nel Codice del 1983 né nella legislazione post-conciliare19. È così che i laici 15

Si veda su questo punto: H. LEGRAND, Le diaconat dans sa relation à la théologie de l’Église et des ministères : réception et devenir du diaconat depuis Vatican II, in Diaconat XXIe siècle, Bruxelles 1997, 13-41. 16 PSEUDO-IPPOLITO, Tradizione apostolica 3, a cura di E. Peretto, Roma 1996, 107: «di assegnare gli incarichi secondo il tuo ordine» (preghiera di ordinazione del vescovo). 17 Cfr., ad es., Y. CONGAR, La Chiesa come Popolo di Dio, in Concilium 1 (1965) 19-43. 18 AAS 57 (1965) 763: «Christus praesens adest Ecclesiae Suae populum Dei regenti et gubernanti». 19 Si vedano su questo tema le riflessioni di L. ORSY, Il popolo di Dio. Sull’impossibilità di una teologia del laicato, in Il Regno 54 (2009) 706-727.


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non possono intervenire strutturalmente nel cammino della loro parrocchia e che, in seno al sinodo diocesano (che è veramente una rappresentazione del popolo di Dio, poiché il vescovo lo presiede e i membri del clero vi siedono a pieno diritto con una maggioranza di laici eletti), non possono neppure esprimere dei semplici desideri di veder cambiare la legislazione in vigore, anche quando non è implicata la fede20. Ancora meno, ordinariamente, possono esprimere il desiderio, se non privatamente, sul profilo dei loro futuri ministri (presbiteri o vescovi). In compenso, la teologia del laicato, che non è quella del popolo di Dio, ha avuto una larga ricezione nella prospettiva della grande estensione del diritto di associazione — un prestito al diritto secolare e non al diritto di comunione — estensione già prevista dall’Apostolicam Actuositatem21. Questo si è tradotto molto concretamente nel largo sostegno accordato ai nuovi movimenti da Giovanni Paolo II22 e dal cardinal Ratzinger23. Questi movimenti, preziosi per tutta la Chiesa, specialmente per l’evangelizzazione dei giovani, rientrano nel campo del carisma e non direttamente del dispiegamento fondamentale della teologia del popolo di Dio. 1.2.3. Lumen Gentium 6 e Optatam Totius: la vita religiosa Le risoluzioni relative alla vita religiosa non hanno portato frutti. Il declino della vita religiosa femminile è continuato in tutto l’Occidente, mentre essa continua ad esercitare un’attrattiva su molte donne del Terzo Mondo. Ci si trova davanti a un riflesso dell’evoluzione accelerata dello statuto delle donne in Occidente nell’ultimo 20

Instructio de synodis agendis IV, 4 in AAS 89 (1997) 706 -727. Particolarmente Apostolicam Actuositatem 19. 22 Redemptoris Missio 72: «I movimenti rappresentano un vero dono di Dio […] Raccomando, quindi, di diffonderli e di avvalersene» (Enchiridion Vaticanum 12. Documenti ufficiali della Santa Sede 1990, Bologna 1992, n. 688). 23 Li ha collocati prioritariamente dal lato della Chiesa universale, come gli ordini religiosi tradizionali che si erano appoggiati sul papa e ricevevano in cambio il suo sostegno per stimolare la riforma della Chiesa: J. RATZINGER, Les mouvements ecclésiaux et leur lieu théologique, in Faire route avec Dieu. L’Église comme communion, Paris 2003, 163-183. 21


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mezzo secolo? Gaudium et Spes aveva intuito la sua ampiezza24, ma poi, l’ha affrontata in maniera teologicamente convincente? 1.3. Un primo bilancio della ricezione indiretta della Lumen Gentium La trattazione che ha preceduto è ben lontana dall’aver analizzato esaustivamente la ricezione della LG che si è attuata attraverso la sua ricezione intraconciliare. Si sarebbe dovuto in particolare osservare in che modo l’Ad Gentes ha fatto progredire la teologia delle Chiese locali e della cattolicità tracciata dalla LG, o ancora la definizione della Chiesa diocesana attraverso Christus Dominus 11. Non si è nemmeno tentato di domandarsi perché questa ricezione è stata abbastanza diversificata: è dovuta alla qualità intrinseca degli orientamenti proposti? ai mutamenti storici che sopraggiungono tra le decisioni e la loro realizzazione? ad altre ragioni? Infine, lo studio della ricezione avrebbe dovuto condurre anche a quello della non-ricezione: essa ha condotto i lefevriani a una deriva di tipo settario di cui ci si domanda se la chiave principale non sia più politica che ecclesiologica25. Quest’ultima constatazione suggerisce al teologo di trattare la ricezione della Lumen Gentium in maniera pluridisciplinare: la sociologia e la storia sarebbero preziose per spiegare le divergenze di interpretazione che non hanno la loro unica fonte nella pura teologia. Senza ignorare questo, ci concentreremo tuttavia d’ora in poi sulla teologia. 2. LA RICEZIONE DIRETTA DELLA LUMEN GENTIUM E I SUOI CRITERI TEOLOGICI PROPRI

2.1. La ricezione come realtà tradizionale nella vita della chiesa Assolutamente biblico e tradizionale, il concetto di ricezione, quasi dimenticato nei tempi moderni, è stato riscoperto l’indomani del 24 25

Specialmente Gaudium et Spes 8, 9, 60. È la diagnosi proposta da M. FAGGIOLI, La réception politique de Vatican II, in


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Vaticano II dai teologi sotto l’influenza degli storici del diritto e degli specialisti della letteratura. I primi teologi cattolici a trattarne formalmente, Alois Grillmeier26 e Yves Congar27 si sono ispirati, diversamente del resto, all’opera pioneristica, divenuta classica in questo campo, di Franz Wieacker che ha elaborato questo concetto per rendere conto della progressiva penetrazione del diritto romano in quello germanico28. Più recentemente, i teologi hanno beneficiato di un’altra elaborazione di questo concetto, più congeniale al nostro tema, ad opera di Hans Robert Jauss e dalla scuola di Costanza, che hanno mostrato come il senso di un’opera letteraria non può essere ridotto all’intenzione del suo autore, perché questo senso è condizionato dall’orizzonte d’attesa del gruppo-lettore29. Per quanto stimolanti, questi prestiti alle scienze umane si sono rivelati inadeguati in quanto tali per cogliere l’essenza della ricezione ecclesiale. Il concetto di Wieacker presupponeva una troppo grande eterogeneità tra gli attori della ricezione di un concilio, come Congar ha fatto notare30. Quanto all’attività essenziale del “gruppo-lettore” nella ricezione secondo Jauss, aveva l’inconveniente teologico maggiore di dare al polo della ricezione un ruolo preponderante in rapporto al polo della tradizione e di non tener conto dell’autonomia del testo in rapporto alle intenzioni del redattore31. Questa assenza Spiritus 196 (2009) 263-269. Il vescovo lefevrista Williamson è un vescovo difensore del negazionismo. 26 A. GRILLMEIER, Konzil und Rezeption. Methodische Bemerkungen zu einem Thema der ökumenischen Diskussion, in Theologie und Philosophie 45 (1970) 321-372. 27 Y. CONGAR, La ‘réception’ comme réalité ecclésiologique, in Revue des sciences philosophiques et théologiques 56 (1972) 309-403. 28 F. WIEACKER, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit unter besonderer Berücksichtigung der deutschen Entwicklung, Göttigen, 19521, 19672. In Francia, senza utilizzare il termine, anche P. Legendre ha studiato questo genere di fenomeno nella sua tesi: La pénétration du droit romain dans le droit canonique classique, Paris 1964. 29 Si veda il suo lavoro classico Literaturgeschichte als Provokation, Frankfurt a. M. 1974, tradotto in francese con altri saggi sotto il titolo: L’esthétique de la réception, Paris 19781, 19902. 30 Cfr. Y. CONGAR, La ‘réception’ comme réalité ecclésiologique, cit., 369-370. 31 Per mezzo dell’expansio modorum l’intenzione dei padri diventa la lettera del


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stessa di riflessione teologica sulla ricezione, in un’epoca ancora recente, si verifica facilmente con la constatazione dell’assenza del termine stesso in tutti i dizionari di teologia cattolica32. Un simile occultamento si spiega sia con gli irrigidimenti posttridentini sia con l’ecclesiologia del XIX secolo, elaborata all’insegna dell’autorità gerarchica, un’ecclesiologia troppo spesso ridotta a una “gerarcologia”, secondo l’espressione di Congar33, nel cui quadro la ricezione di un concilio si ridurrà alla sua applicazione nell’obbedienza dovuta alla gerarchia. Eppure la tradizione cattolica parla un linguaggio diverso: il canone delle Scritture si è costituito attraverso la ricezione, così come sono stati oggetto di ricezione i simboli di fede, i credo, i canoni apostolici, i formulari liturgici34, i concili generali, e anche certi sinodi molto locali, come quello di Orange, sono stati accolti dalla Chiesa intera. Il diritto in vigore prevede sempre la ricezione dei ministri, almeno nel caso dei presbiteri in servizio nella parrocchia35. Lo stesso accade per le diversità liturgiche e disciplinari recepite nelle Chiese particolari in seno alla Chiesa cattolica; lo testimonia il Vaticano II trattando delle Chiese orientali cattoliche36. testo, ma questa lettera deve essere chiarita attraverso le discussioni che hanno portato alla sua formulazione. 32 L’articolo è assente nel Dictionnaire de théologie catholique (che ha tuttavia un articolo, negativo, sull’accettazione delle leggi), nell’Enciclopedia cattolica, nel dizionario Catholicisme, nella New Catholic Encyclopedia (però del l967), nel Dictionnaire de Spiritualité, nel Lexikon für Theologie und Kirche, dove non appare prima dell’edizione del 1993. 33 Se ne troverà un approccio globale in Y. CONGAR, L’ecclésiologie, de la Révolution française au concile du Vatican, sous le signe de l’affirmation de l’autorité, in L’ecclésiologie au XIXe siècle, Paris 1960, 77-144 (Unam sanctam 34). 34 In date diverse, ricezione della liturgia romana in Spagna al tempo di Gregorio VII, o in Francia nella metà del XIX secolo. 35 Il contenuto del canone 2147, 2, 2° del Codice de 1917 è stato ripreso in quello del 1983 nel canone 1740. 36 Un solo esempio; il Decreto sui presbiteri fa così l’elogio «dei preti cattolici sposati che si consacrano totalmente al popolo che è loro affidato» (PO 16). Eppure non si accettano preti sposati nel rito latino se non con parsimonia, parsimonia che si ritrova nell’accettazione del diritto consuetudinario; se si fosse accettato il suo ruolo


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Tuttavia l’ethos cattolico attuale, tanto quello dei teologi quanto quello della gerarchia, recalcitra davanti al fatto che la ricezione dei testi conciliari prenda tanto tempo e sia diversificata; l’ermeneutica dotta, quella dei teologi, non coincide sempre con l’ermeneutica magisteriale, e queste due non sono necessariamente in accordo con l’ermeneutica credente non dotta, che si costituisce senza aver abitualmente letto i testi37. Tuttavia, nel processo di ricezione, il corpo tutto intero è all’opera e qui si applica quello che Pio XII diceva in tutt’altro contesto: «La Chiesa è un corpo vivente e difetterebbe qualcosa alla sua vita se le mancasse l’opinione pubblica»38. Vi sarebbe certamente un qualche pericolo nell’ignorare quello che i fedeli pensano della riforma liturgica, del futuro del ministero presbiterale e anche dei problemi morali39. Tuttavia, la ricezione di un testo conciliare, pur costituendo un processo ed essendo diversificato, obbedisce nondimeno a richieste specifiche che occorre enumerare, tanto sono lontane dall’essere sempre rispettate. 2.2. Tre momenti richiesti nella ricezione dei testi conciliari Tre momenti sono richiesti ai credenti nella ricezione dei testi conciliari: un atteggiamento di accoglienza, che non è richiesto davanti ad altri testi; una grande attenzione alla loro struttura di enunciazione che può includere correzioni di traiettoria, e il rifiuto di ogni commento senza lettura previa. in campo liturgico, che si è voluto regolare con decreti, ci si sarebbe indubbiamente risparmiati molti conflitti a partire dal Vaticano II. 37 Molto giudiziosamente L. Villemin nota su questo tema «che a separare questi tre tipi di ermeneutica, si corre il rischio di vedere questi tre discorsi ignorarsi mutualmente o di vedere l’uno dei tre schiacciare gli altri due» (L’herméneutique de Vatican II. Enjeux d’avenir, in Ph. BORDEYNE – L. VILLEMIN (curr.) Vatican II et la théologie, Paris 2006, 256-257 [Cogitatio Fidei 254]). 38 PIO XII, La presse catholique et l’opinion publique, in DC 47 (1950) 327 (AAS 42 [1950] 256). 39 LG 37 insegna che «i pastori [=i vescovi], aiutati dall’esperienza dei laici, possono dare un giudizio più chiaro e più opportuno (distinctius et aptius) sia in materia spirituale che temporale».


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2.2.1. Un primo atteggiamento di ascolto Mentre si dovrebbe coltivare un’ermeneutica fiduciosa d’adesione a dei testi conciliari, non sempre questo è accaduto, come si constata, non senza qualche perplessità, nelle Conclusioni del Sinodo straordinario del 1985, consacrato al Vaticano II. Vi si legge: «Unanimamente e con gioia abbiamo verificato che il concilio Vaticano II è un’espressione legittima e valida, e un’interpretazione del deposito della fede tale quale si trova nella santa Scrittura e nella Tradizione vivente della Chiesa»40.

Una simile retorica è certamente l’eco, all’epoca, di un sospetto nei confronti del Vaticano II. Tale espressione dichiara in maniera maldestra di aver voluto verificare la legittimità della fede enunciata da un concilio ecumenico confermato dal papa. Questo non può essere di competenza se non di un altro concilio generale. Questo sinodo dichiara di aderirvi con gioia e ugualmente tutti i cattolici sono chiamati a fare lo stesso. 2.2.2. L’importanza delle strutture di enunciazione per riconoscere le correzioni di traiettoria dottrinale nella ricezione Tener conto della struttura di enunciazione di un testo conciliare può sembrare un truismo, ma non lo è in tema di storia della ricezione dei concili. Così, poiché la Santa Sede aveva proibito di pubblicare gli Atti di Trento41, questo concilio è stato recepito a partire da una somma di enunciati dottrinali e di norme disciplinari distaccate dalla struttura d’enunciazione che le aveva portate e che dava loro senso. È così che, secondo la formula di Giuseppe Alberigo “Trento aveva dato nascita al tridentinismo”42. 40

Sinodo Straordinario. Celebrazione del Vaticano II, Paris 1986, 550. I corsivi sono nostri. Il testo è del Cardinal Godfried Danneels, segretario speciale del Sinodo. 41 La Görres-Gesellschaft ha iniziato l’edizione soltanto a partire dal 1901. 42 Cfr. G. ALBERIGO, La réception du concile de Trente par l’Église catholique romaine, in Irénikon 58 (1985) 311-337.


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Il pericolo di un “vaticanismo” dopo il Vaticano II è meno minaccioso perché i suoi Acta sono stati rapidamente pubblicati. Occorre tuttavia andare al di là della loro semplice lettura per accedere all’interpretazione corretta dei suoi enunciati, perché il loro senso è ancora determinato dalla struttura di enunciazione che li ingloba43. Ma già la lettura degli Acta Synodalia mostra quanto la struttura d’enunciazione della LG fu discussa perché è già nella programmazione del suo piano che il Vaticano II intraprese la correzione di un certo numero di traiettorie dottrinali, correzioni che una lettura pedissequa non rivela44. Illustriamo questo punto confrontando il piano attuale della LG al suo piano primitivo che fu respinto e considerevolmente rimaneggiato. Ecco l’elenco dei capitoli secondo il piano primitivo: 1) La Chiesa militante e la sua natura; 2) I membri della Chiesa; 3) L’episcopato, grado supremo del sacramento dell’ordine e del sacerdozio; 4) I vescovi diocesani 5) I religiosi; 6) I laici; 7) Il magistero; 8) L’autorità e l’obbedienza; 9) La Chiesa, lo Stato e la tolleranza religiosa; 10) L’evangelizzazione; 11) L’ecumenismo. Un capitolo a parte, integrato tardivamente nella LG, era consacrato a Maria, madre di Dio e madre degli uomini45. Già ridotto a quattro capitoli, lo schema fu presentato ai padri secondo il seguente piano, che rifletteva sempre un’ecclesiologia di società perfetta e gerarchica: 1) Il mistero della Chiesa; 2) La gerarchia; 3) Il popolo di Dio, i laici; 4) La santità. Il piano definitivo volge le spalle a tali prospettive. Invece di cominciare con la Chiesa militante sulla terra, si comincia nel capitolo primo con il mistero della Chiesa, nel suo radicamento trinitario n. 1, 43 Questo vale allo stesso modo per i titoli successivi di un documento: quale teologo serio troverà dottrinalmente insignificante che il documento consacrato ai presbiteri si sia intitolato originariamente De clericis, poi De sacerdotibus, poi De Vita et ministerio sacerdotum, che diventa successivamente De vita et ministerio presbyterorum, mentre il titolo finale adottato dal concilio è l’attuale Presbyterorum Ordinis? Ne conseguirà per lui, a quanto pare, la necessità di non trattare più i presbiteri come un clero, o come “il sacerdozio”, ma nella fedeltà alla tradizione più antica come costitutivi dell’ordine dei presbiteri. 44 Questi arbitrati a volte furono difficili: 1114 voti a favore dell’integrazione dello schema mariale in LG, 1074 contro. 45 Acta et documenta concilio oecumenico Vaticano II apparando, series II, Volumen III, Pars I, Città del Vaticano 1969, 135-231.


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secondo la sequenza seguente: n. 2 Il disegno del Padre, n. 3 La missione del Figlio , n. 4 Lo Spirito santificatore, n. 5 Il regno di Dio. La correzione di traiettoria dà come matrice della trattazione teologica della Chiesa questo radicamento nel mistero di un Dio Padre, Figlio e Spirito santo e nella sua relazione con il Regno di Dio; è notevole, perché a partire dalla seconda metà del XIX secolo, i trattati di diritto pubblico ecclesiastico che presentavano la Chiesa come alter ego dello Stato, modellavano l’ecclesiologia. L’inversione nell’ordine dei capitoli 2 e 3 della Costituzione ha parimenti costituito una correzione di traiettoria altrettanto notevole, immediatamente commentata. La gerarchia non era più presentata come anteriore o superiore ai laici, dal momento che il binomio gerarchia/laicato era riassorbito nell’elemento comune a tutti, il popolo di Dio. Questo ritorno alla Tradizione, diversamente recepito nel linguaggio, lo è stato molto poco nel diritto: l’esercizio dei diritti di comunione resta molto poco sviluppato sia nel quadro parrocchiale come anche nel quadro diocesano. Il popolo di Dio è confuso con il laicato. La non-ricezione del Vaticano II su questo punto costituisce un tema di seria preoccupazione pastorale46 ed ecumenica47. Terza correzione di traiettoria significativa: il capitolo concernente i laici precede ormai quello consacrato ai religiosi nello schema primitivo; la correzione è ancor più accentuata quando la trattazione della vita religiosa è collocata dopo l’appello alla santità per tutti. Infine, la prospettiva escatologica comune a tutti rinnova molto sensibilmente il culto dei santi (c. 7), prima che la LG si concluda sulla 46

Difatti, se i laici continuassero a considerarsi nella Chiesa come cristiani governati e istruiti da chierici che celebrano per loro, non potranno se non difficilmente essere testimoni qualificati della loro fede nelle società occidentali. 47 Il codice di diritto canonico successivo al Vaticano II ha conservato una forma monarchica per il registro delle parrocchie, delle diocesi e della Chiesa intera, mentre tutte le altre Chiese articolano le responsabilità tra tutti e alcuni, come testimonia il Documento di Fede e Costituzione, intitolato Battesimo, eucarestia e ministero, approvato a Lima, nel 1982, anche dai delegati cattolici. La forma “monarchica” si giustifica pienamente davanti alla messa in guardia di Melantone: «Non si deve trasferire alla (sola) gerarchia quello che è detto di tutta la Chiesa [nel Vangelo]»? (Apologie de la Confession d’Augsbourg 188, in La foi des Églises luthériennes. Confessions et catéchismes, Paris 1991, 189).


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figura escatologica del primo membro della Chiesa, Maria (c. 8). Qui, ancora una volta, la correzione di traiettoria è considerevole. Anche con sviluppi identici, il Vaticano II non avrebbe evidentemente insegnato la stessa cosa se avesse consacrato uno schema indipendente alla persona di Maria (come richiedeva la metà dei Padri), invece di integrarlo nello schema sulla Chiesa48. Tutte e ciascuna di queste correzioni di traiettoria che abbiamo evidenziato illustrano quanto si debbano tenere in gran conto le strutture di enunciazione della LG per giudicare la sua ricezione, perché è in esse che si ritrovano le opzioni dottrinali più meditate del concilio. A titolo di esempio, questo permette di valutare la ricezione del nuovo orientamento della mariologia. Essa è stata buona nella riforma liturgica49 e notevole nella Marialis Cultus, in cui Paolo VI presenta Maria come «modello di tutti i credenti»50, uomini e donne. Ma la ricezione è meno netta in Giovanni Paolo II quando parla alle donne della «femminilità vissuta sul modello sublime della Madre di Dio»51 rispetto a quando, nel 1995, rifiuterà di dar corso alla supplica di 540 vescovi e 45 cardinali (tra cui il cardinal Lustiger), che gli chiedevano di proclamare tre nuovi dogmi: quello di Maria corredentrice, di Maria mediatrice universale e avvocata (parakletos, uno dei titoli dello Spirito santo)52. Con la sua fedeltà alla LG53, Giovanni Paolo II 48 Si consulti su questo tema: E. TONIOLO, La Beata Maria Vergine nel Concilio Vaticano II. Cronistoria del Capitolo VIII della Costituzione Dogmatica “Lumen Gentium” e sinossi di tutte le redazioni, Roma 2004. 49 Cfr. P. JOUNEL, Le culte de Marie dans la liturgie romaine rénovée, in ID., La liturgie expression de la foi, Roma 1986, 159-178. 50 «Modello di tutta la Chiesa nell’esercizio del culto divino, Maria è anche, evidentemente, maestra di vita spirituale per i singoli cristiani» (Marialis Cultus 21, in Enchiridion Vaticanum 5. Documenti ufficiali della Santa Sede 1974-1976, Bologna 1979, n. 47). 51 Lettre aux femmes 11, in DC 92 (1995) 720. 52 Cfr. H. MUNSTERMAN, Marie corédemptrice? Débat sur un titre marial controversé, Paris 2006, 9. 53 «Non si deve abbandonare la linea teologica seguita dal Vaticano II», in Osservatore Romano, 4 giugno 1997. Si consolida cosi il passaggio da una mariologia cristotipica a una mariologia ecclesiotipica, correzione ecumenicamente molto importante.


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manterrà, su questo punto, l’orientamento ecclesiotipico della mariologia, mentre tanti cardinali perseveravano in un orientamento cristotipico di cui non misuravano la fragilità dogmatica, irritante da un punto di vista ecumenico. Questa mediocre ricezione della LG 8, trent’anni dopo il Vaticano II, illustra quanto tale processo possa richiedere del tempo. 2.2.3. Non commentare mai il testo senza prima averlo letto personalmente Questa regola è una delle prime che si inculcano ai nostri studenti. Giustamente, perché si constata che anche teologi di fama la trasgrediscono tranquillamente. Dei commentatori che non hanno letto i testi creano così polemiche sterili che annebbiano i dibattiti sulla ricezione. Si illustrerà questo punto con tre esempi che mettono in causa la giusta ricezione della LG e che hanno origine in diversi esperti ufficiali del Vaticano II. 2.2.3.1. Primo esempio: Lumen Gentium ha insegnato che si deve comprendere la Chiesa come sacramento fondamentale? La seconda frase della LG in latino si enuncia come segue: Cum ecclesia sit in Christo veluti sacramentum seu signum et instrumentum intimae cum Deo unionis totiusque humani generis humani unitatis. Tre esperti vi hanno visto un enunciato di teologia sacramentaria, cioè l’adozione da parte della LG dell’idea della Chiesa come sacramento fondamentale o sacramento-fonte (Ur- o Wurzelsakrament), da cui emanerebbero i sette sacramenti, idea abbastanza in voga alla vigilia del concilio. Ma questo insegnamento, senza dubbio legittimo, è divenuto una dottrina conciliare? Secondo tre “periti” del Vaticano II54, sì. Jan L. Witte sottolinea «l’accento messo sul carattere sacramentale della Chiesa», nella quale «i sette sacramenti sono una specificazione ulteriore del sacramento dell’unità che è la Chiesa»55. Peter Smulders 54 Vaggagini e Witte sono stati esperti in tutte le sessioni, Smulders nelle ultime tre; cfr. Acta Synodalia, Indices, 947-949. 55 J.L. WITTE, L’Église ‘sacramentum unitatis’ du cosmos et du genre humain, in


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intitola senza scrupoli un sottotitolo del suo contributo come segue: «La Chiesa come sacramento primordiale»56. Queste citazioni mostrano che degli esperti possono proiettare le loro opinioni private su dei testi ufficiali che dicono tutt’altra cosa. L’interpretazione dello stesso testo data da Cipriano Vagaggini sorprende a tal punto che si può vederne un caso esemplificativo per la nostra dimostrazione: «Cristo è il sacramento primo e primordiale da cui deriva il sacramento generale che è la Chiesa nel suo insieme, che si esprime a sua volta principalmente nel sacramento nel senso più ristretto che è tutta la liturgia e che sono in maniera particolare i sette riti maggiori, che nella nostra terminologia attuale chiamiamo per l’appunto i sette sacramenti»57.

È quanto meno increscioso vedere questi tre esperti presentare la loro propria dottrina come insegnamento conciliare: privilegiano in questo modo l’assioma secondo il quale “la Chiesa fa i sacramenti” a detrimento dell’assioma più fondamentale secondo il quale “i sacramenti fanno la Chiesa”, al punto di ipostatizzare quest’ultima come una realtà platonica, che si tiene come terzo tra Dio e i credenti. Questo ci allontanerà, senza motivo, dai cristiani della Riforma58. Una lettura di prima mano degli Acta synodalia, con il ricorso ai testi paralleli della Commissione conciliare sulla liturgia nelle sue fasi anté-préparatorie e préparatorie, in particolare alle deliberazioni della sottocommissione presieduta da mons. Martimort, permette di ritrovare diversi tentativi da parte di Jungmann e di Vagaggini (che si appoggiavano già su Semmelroth e Rahner) per introdurre l’idea di G. BARAÚNA, L’Église de Vatican II, Paris 1966, 461, 463 e passim (Unam sanctam 51b), ed. ita., Firenze 195, 496. 56 L. SMULDERS, L’Église sacrement du salut, in ibid., 328, ed. ita, in ibid., 377. 57 C. VAGAGGINI, Ideas fundamentales de la Constitucion, in G. BARAÚNA , La Sagrada Liturgia renovada por el concilio, Madrid, 1965, 158 e passim; a p. 171 si fa l’eco del suo fallimento nel far passare questa idea nella costituzione: «È sufficientemente indicato nella costituzione, anche se il testo non ha la perfetta chiarezza auspicabile, perché se ne sono eliminate felici espressioni che la descrivevano [come sacramento fondamentale] nelle redazioni anteriori» (sic). 58 Si veda su questo tema l’opera del dogmatico luterano A. BIRMELÉ, Le Salut en Jésus Christ dans les dialogues œcuméniques, Paris 1986, sezione 4, c. III, (Cogitatio Fidei 141) dove tratta della strumentalità della Chiesa nella salvezza.


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Ursakrament in questa Costituzione, ma permette anche di constatare il loro completo fallimento. Quello che le fonti stampate permettono già di stabilire è corroborato con particolare chiarezza dagli archivi di mons. Martimort che rifiuta i suggerimenti dei suoi dotti colleghi liturgisti nei termini seguenti: «L’idea della Chiesa come Ursakrament è un’idea interessante, forse giusta, ma non è che un’opinione teologica che potete insegnare nei vostri corsi. Ma non potete far assumere le vostre idee personali a un concilio ecumenico»59.

Questo lavoro sulle fonti permette di comprendere l’enunciato come instaurante un paragone (veluti) tra la Chiesa e il sacramento in ciò che essi hanno in comune, cioè di essere “segno e strumento”. L’enunciato in questione non attiene al registro sacramentario ma al registro missionario ed escatologico. Nella globalizzazione che già si annunciava a quell’epoca, la vocazione della Chiesa, di essere un segno e uno strumento di unità, innalzato da Dio contro le divisioni peccaminose dell’umanità, diventa più urgente: si tratta per lei di essere questo strumento dinamico che istituisce un rapporto tra il desiderio di unità di tutta l’umanità e il segno che è l’unità cattolica della Chiesa60. Da questa analisi consegue che non leggendo il testo non si coglie il senso più interessante — in questo caso la dimensione missionaria ed escatologica — e soprattutto si giunge anche a presentare come conciliare un’opinione teologica rifiutata dal concilio, che per giunta crea gratuitamente un problema ecumenico. 2.2.3.2. Un secondo esempio: Lumen Gentium può essere compresa senza il riferimento alle fonti? Karl Rahner, anche lui un esperto conciliare, attribuisce alla LG di aver adottato la propria teologia della Chiesa come Ursakrament nel 59

Si troveranno tutti i riferimenti agli Acta antepreparatoria e agli archivi in H. LEGRAND, La sacramentalité de l’Église selon Vatican II. Le salut en Jésus Christ d’André Birmelé revisité vingt-cinq ans après, in Positions luthériennes 57 (2009) 206-208. 60 Cosa che la critica interna conferma: i sostantivi unio e unitas ricorrono 54 volte nei primi due capitoli della LG, senza tener conto delle forme verbali o aggettivali, mentre non si trova alcuna menzione della Chiesa come sacramento.


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commento che dà della LG nel Lexikon für Theologie und Kirche61. Ma il metodo stesso con il quale legge i numeri da 18 a 27 della LG, relativi al collegio dei vescovi, pone un problema ben più grave per la ricezione della LG. Questi numeri comportano 61 note, generalmente d’ordine patristico e liturgico; soltanto 14 rinviano direttamente o indirettamente al Vaticano I. Non soltanto Rahner non dice nulla della genesi di questi testi, ma soprattutto non tiene in nessun conto la loro annotazione; ma come credere che si accolgono questi testi se si presta a queste note un valore puramente decorativo? Li si priva così dell’orizzonte di interpretazione che i Padri del concilio hanno voluto dargli. Appoggiandosi sul rinnovamento patristico e su quello liturgico, hanno voluto riequilibrare il Vaticano I — uno dei più grandi disegni del Vaticano II — appoggiandosi su un’ermeneutica della continuità con la Tradizione antica. Il testo di Rahner comporta 52 note: nessuna rinvia al contenuto delle note dei testi che commenta! Si ferma esclusivamente alle questioni canonico-speculative sorte dal Vaticano I e discusse dai canonisti della curia, del genere: ci sono uno o due soggetti di potere supremo nella Chiesa? Si diventa membri del collegio in quanto vescovo di una Chiesa locale o si è a capo di una Chiesa locale perché si è fatto prima parte del collegio? Sono tutti problemi ignorati dalla grande Tradizione e non trattati nel concilio. Dal momento che questi testi non erano letti nel loro reale spessore semantico che dà accesso alla Tradizione, non si è sorpresi dalla stupefacente diagnosi portata da Rahner sulla LG: «La Costituzione non porta nulla di nuovo»62, cosa che Joseph Ratzinger contesterà vivacemente63. Con grande acume, egli vide immediatamente il carattere discutibile di questo tipo di interpretazione dei testi, al punto di scrivere “qui 61 Cfr. Lexikon für Theologie und Kirche. Das Zweite Vatikanische Konzil I. Freiburg-Basel-Wien 1966, 210. 62 K. RAHNER, Lexikon, cit., 210-211: «Ciò che viene detto non è nuovo né costituisce, rispetto alla situazione attuale, un progresso molto significativo dal punto di vista della storia dei dogmi». 63 Cfr. J. RATZINGER, La collégialité épiscopale, développement théologique, in G. BARAÚNA, Vatican II, Paris 1966 (Unam sanctam 51c), 767; tale testo è stato ripreso immutato in Das neue Volk Gottes. Entwürfe zur Ekklesiologie, Düsseldorf 1966, 175.


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appare la grave responsabilità dei commentatori, ed essa è di una portata difficile da prevedere”64. Pensa al punto di partenza di Rahner, l’idea di collegio universale, “mentre nei primi cinque secoli, ai quali rinvia LG 3, si cercherebbe invano l’idea di un collegio episcopale, successore in sé del corpo apostolico”65. Si ritornerà sull’ermeneutica di Joseph Ratzinger, a nostro avviso fondamentale, perché sorta dalla lettura stessa di testi e coerente con la Tradizione. 2.2.3.3. Un terzo esempio: nessuna opinione di un esperto, anche se molto diffusa, non può prevalere sui testi stessi L’opinione secondo la quale le ordinazioni delle Chiese della Riforma sono nulle e così pure le loro eucarestie, è molto diffusa e corroborata dalla pratica della ri-ordinazione dei loro pastori. È questo che deve spiegare il fatto che si trovi tale opinione, qualificata giudizio di fede, tanto sotto la penna del cardinal Jäger66, che nel Lexikon für Theologie und Kirche firmato dal prof. Johannes Feiner67, quando commentano Unitatis Redintegratio 22. In modo inspiegabile, ma con gravi conseguenze, tutti e due hanno tradotto l’espressione latina credamus come implicante un tale giudizio di fede. Credamus diventa wir glauben (è la nostra fede) sotto la loro penna, mentre bisognava tradurre wir meinen (è nostra opinione). Questa opzione è richiesta dalla filologia68 e, in ogni caso, attraverso l’expansio modorum, se il primo argomento apparisse insufficiente69. È incre64

Cfr. J. RATZINGER, La collégialité, 778; Das neue Volk Gottes, cit., 187. J. RATZINGER, La collégialité, cit., 776, con la nota 1, che evidenzia l’epistemologia non sempre coerente di Rahner; Das neue Volk Gottes, 185, n. 27. 66 L. JÄGER, Die Konzilsdekrete. Über den Œkumenismus, Münster 1965, 49. 67 Zweite Vatikanische Konzil Bd II, Freiburg i. B. 1967, commento del n. 22 (di J. Feiner), 118: «Il testo evidenzia innanzitutto — e ciò costituisce ancora una volta un giudizio di fede (quamvis credamus) — che l’essenza originale e piena del mistero eucaristico non sia conservato nelle Chiese della Riforma». 68 Rinviamo ai dizionari tedeschi, il Thesaurus Linguae Latinae (Teubner, Leipzig), IV, 1134 e al Mittellateinisches Wörterbuch Bd II, 2, 1995-1998, che danno come equivalenti meinen e glauben, e, dal momento che il testo è stato redatto a Roma, cfr. anche il F. CALONGHI, Dizionario latino-italiano, Torino 1950, 1972 e il L. CASTIGLIONI – S. MARIOTTI, Vocabolario della lingua latina, Torino 19963. 69 Si troverà una lista di questi modi tradotti in Discerner le corps du Christ, 65


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scioso, anche in questo caso, attribuire al Vaticano II una decisione di fede su questo tema (sarebbe del resto l’unico!), al di là della prudenza osservata da Trento70, e anche al di là della pratica canonica certa71. Infatti non si tratta che di un’opinione teologica ancora libera. Ciò si arguisce chiaramente della testimonianza autorizzata del futuro cardinal Jérôme Hamer, uno dei redattori di questo testo; è anche dell’opinione più recente del cardinal Joseph Ratzinger72. Dopo questi esempi, gli studenti troveranno forse meno penosa la nostra insistenza sulla regola d’oro del ricorso al testo, perché essi mostrano che la ricezione della LG è carica di interpretazioni inesatte e conflittuali, provenienti dal semplice fatto che i protagonisti non hanno letto i testi!73

communion eucharistique et communion ecclésiale, Paris 2009, 88-94 (nostra redazione personale). 70 Il concilio di Trento si accontenta di colpire di illegittimità le ordinazioni dei riformati, cfr. G. ALBERIGO, Les conciles œcuméniques, cit., 1513. 71 Diamo un esempio di tale pratica: nonostante la bolla Apostolicae curae, che dichiara le ordinazioni anglicane «assolutamente nulle e completamente inefficaci» («absolutely null and utterly void»), il 27 gennaio 1968, il cardinal Höffner (arcivescovo di Colonia, a lungo presidente della conferenza episcopale tedesca) non ha riordinato il prete anglicano John Jay Hughes, diventato cattolico, ma ha adoperato il rituale dell’ordinazione sotto condizione; cfr. Herder-Korrespondenz 22 (1978) 113115. Tutte le ordinazioni delle Chiese della Riforma non sono dunque sempre sicuramente invalide. 72 Cfr. J. HAMER, Die ekklesiologische Terminologie des Vatikanums II und die protestantische Ämter, in Catholica 26, (1972) 146-153. Sulla prudenza richiesta alle asserzioni in questo campo, si vedrà J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Faire route avec Dieu. L’Église comme communion, Paris 2005, 233 che riproduce la lettera di Ratzinger al vescovo luterano Hanselmann: «Annovero tra i risultati del dialogo ecumenico precisamente il fatto che la questione dell’eucarestia non sia ridotta al problema della ‘validità’. Una teologia che si fonda sulla nozione di ‘successsione’, così come avviene nella Chiesa cattolica e nella Chiesa ortodossa, non nega forzatamente la presenza salvifica del Signore nella Cena protestante». 73 Non siamo i primi a notare questa tendenza assai diffusa; cfr. ad es.: F. NAULT, Comment parler des textes sans les avoir lus?, in G. ROUTHIER – G. JOBIN (curr.), L’autorité et les autorités. L’herméneutique théologique de Vatican II, Paris 2010, 229-246.


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3. LA RICEZIONE DELL’INTENTO CENTRALE DELLA LUMEN GENTIUM: LA COLLEGIALITÀ EPISCOPALE E LE SUE CORRELAZIONI NELLA TEOLOGIA DELLA

CHIESA LOCALE E DELLE CHIESE PARTICOLARI

Per valutare la ricezione dell’intento centrale della LG faremo agire i criteri che la Costituzione stessa ci dà (3.1). In questa luce leggeremo i testi — abitualmente di tipo disciplinare e canonico — che ne sono una ricezione guidata dalla Curia romana (3.2). 3.1. Determinazione dei criteri ermeneutici propri della Lumen Gentium 3.1.1. La Lumen Gentium va compresa a partire dal suo intento: completare il Vaticano I e ri-orientare la sua ricezione Si sa che, convocando un concilio generale di portata ecumenica74, Giovanni XXIII aveva annunciato simultaneamente un sinodo per la sua diocesi di Roma e una riforma generale del diritto canonico. Secondo il parere generale, uno dei principali obiettivi dottrinali assegnati al Vaticano II sarebbe dunque quello di completare l’ecclesiologia del Vaticano I, trattando della natura e del ruolo dell’episcopato nella Chiesa75. L’aggiornamento desiderato doveva rimediare gli squilibri dottrinali e pastorali risultati dall’interruzione del Vaticano I, e poi dalla sua interpretazione massimalista, la quale aveva condotto a un estremo assoggettamento dei vescovi alla Santa Sede76, che molti 74 Osservatore romano dei giorni 26-27 gennaio 1959: «Il concilio non ha per fine soltanto il bene del popolo cristiano [...], vuole essere anche un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità». 75 Cfr. J. RATZINGER, Die bischöfliche Kollegialität, cit., 17, che si apre con la frase seguente: «Uno degli scopi fondamentali che il concilio Vaticano II si propose, fin dall’inizio, fu di completare la dottrina del primato definito dal Vaticano I con una dottrina corrispondente dell’episcopato». 76 A titolo d’esempio, fino al motu proprio Pastorale munus (AAS 56 [1964] 5-12) un vescovo cattolico, pure direttamente scelto dal papa nel 98 % dei casi, non si vedeva accreditato della capacità di decidere da se stesso se uno dei suoi preti di domenica poteva celebrare la messa due volte in caso di necessità pastorale; per questo gli occorreva il permesso della Santa Sede che glielo accordava solamente per


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di loro sentivano come un handicap pastorale e missionario e una pietra di inciampo ecumenica77. Non vi è da stupirsi dunque che, tra tutti i dibattiti del Vaticano II, fosse quello sulla collegialità a suscitare il più gran numero di interventi78, ottenendo una decisione che Yves Congar commentò come segue: «Il Vaticano II ha equilibrato il Vaticano I […] con una maggioranza che non è mai scesa al di sotto dell’87%”. [Lo scopo era raggiunto]: “Dare maggiore importanza e iniziativa all’episcopato nel regime concreto della Chiesa, attualmente dominato da un certo esercizio del primato papale, quello che comporta il sistema della Curia e la centralizzazione romana” [sistema attuale] “sono di inciampo a tutte le altre Chiese che si rappresentano il potere papale come assolutista e monarchico»79.

Da buon storico delle istituzioni egli modificò tuttavia questo ottimismo generale80, già l’anno seguente: «Soltanto l’avvenire e la prassi diranno quello che questa dottrina della collegialità apporterà tanto alle possibilità del dialogo ecumenico che all’equilibrio delle funzioni papale ed episcopale all’interno della Chiesa cattolica. Diranno anche se un abbozzo di una teologia delle Chiese locali contenuta nella Lumen Gentium e ripresa nell’Ad Gentes avrà trovato un’eco nella vita della Chiesa e con quale impatto ecumenico»81. cinque anni, anche se è vero che erano rinnovabili. Tra gli altri quarantasette poteri concessi da questo motu proprio ai successori degli apostoli, si trova anche quello di autorizzare «donne pie a lavare i purificatoi» (p. 10), e di «conservare il Santissimo Sacramento nella sua cappella privata» (p. 12). 77 Paolo VI, il papa del concilio, ne aveva coscienza quando confessava che «il papa, ben lo sappiamo, è l’ostacolo più grave sulla via dell’ecumenismo» (Allocuzione al Segretariato per l’unità dei cristiani, in AAS 59 [1967] 98). 78 Dopo quello su Maria. 79 Citazioni tra virgolette in Y. CONGAR, Le concile au jour le jour. Troisième session, Paris 1964, 44, 37 e ibid., 1963, 18. 80 U. Betti (futuro cardinale) vi rilevò «la spina dorsale di tutto il concilio» e A. Wenger «il centro di gravità del Vaticano II », citato dal cardinale P. EYT, La collégialité épiscopale, in Le deuxième concile du Vatican 1959-1965, Rome 1989, 541 (Coll. de l’École française de Rome, 113). 81 Y. CONGAR, Le concile au jour le jour. Quatrième session, Paris 1966, 134.


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Una lettura attenta dei testi che hanno orientato la ricezione della LG, durante la seconda metà del pontificato di Giovanni Paolo II, dovrebbe consentire di verificare in che misura i timori di Congar erano fondati o meno e ciò che ne è stato della messa in guardia del card. Ratzinger. 3.1.2. La Lumen Gentium completa il Vaticano I e vuole restituire all’episcopato il suo vero posto nella Chiesa Il processo di ricezione del Vaticano I dal Vaticano II, entra pienamente nella tradizione dei concili generali82, secondo il quale un nuovo concilio riceve i precedenti, senza vietarsi riformulazioni; così, vent’anni dopo Efeso che attribuiva a Cristo una natura (mia physis), Calcedonia riconosce in Lui due nature (ek dyo physesin). La correzione di traiettoria della LG in rapporto al Vaticano I è molto meno sorprendente, ma è quanto mai reale relativamente allo statuto dell’episcopato nella Chiesa. LG 22 insegna, in effetti, che tutti i vescovi insieme, quello di Roma incluso, costituiscono un solo collegio che ha un potere supremo e plenario su tutta la Chiesa83, un’affermazione non tematizzata dal concilio precedente. Poi, attraverso una serie di enunciati successivi, LG modifica questa prospettiva universalista ricevuta dal Vaticano I per far apparire che la comunione della Chiesa è sempre una comunione di Chiese. Elenchiamo questi enunciati che sono poco attenzionati. Primo enunciato: LG 26 situa l’origine del potere di ciascun vescovo nella sua ordinazione sacramentale. La dottrina tomista che vedeva nell’episcopato una dignità e non un sacramento viene così corretta84, così come il magistero di Pio XII che aveva insegnato, ripetutamente, 82

Il primo atto di un concilio è la ricezione del concilio che l’ha preceduto; si veda su questo tema: H.J. SIEBEN, Vom Apostelkonzil zum Ersten Vatikanum. Studien zur Geschichte der Konzilsidee, Paderborn 1996, 73-74. 83 Suprema in universam Ecclesiam potestas qua istud Collegium pollet, sollemni modo in concilio oecumenico exercetur […]. Eadem potestas collegialis una cum Papa exerceri potest ab episcopis in orbe terrarum degentibus. 84 TOMMASO D’AQUINO, Comm. in Sent. IV dist. VII qu.3 art.1, qa 2, ad 3um.


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che i vescovi ricevevano la loro giurisdizione dal papa85. La LG fa così percepire che la scissione tra ordine e giurisdizione nell’episcopato è un’anomalia86, del resto senza fondamento nella tradizione87, che si percepisce ancora oggi nell’attribuzione di una Chiesa scomparsa ai vescovi privi di sede. Teologicamente potere e comunione non devono essere dissociati. Secondo enunciato: LG 27 afferma con chiarezza che bisogna vedere nei vescovi «vicari e ambasciatori di Cristo […] non devono essere considerati vicari dei romani pontefici», cosa che ben corrisponde al posto del vescovo diocesano nell’ecclesiologia cattolica (così come nell’ecclesiologia ortodossa), e corregge la ricezione, almeno canonica, del Vaticano I. Il Codice del 1983 sostituirà dunque il sistema della delegazione papale dei propri poteri ai vescovi con il sistema della riserva di certi poteri al papa in funzione del bene comune, riforma fondamentale sul piano dei principi e dal punto di vista ecumenico88. Terzo enunciato: per assicurare in profondità il passaggio da una ecclesiologia massicciamente universale89 a un’ecclesiologia della 85 Cfr. quatro testi almeno: Mystici Corporis, in AAS 35 (1943) 211-212; Ad Sinarum Gentem, in ibid. 47 (1955) 9 e Ad Apostolos Principis, in ibid. 50 (1958) 618. L’anno precedente la sua morte, rifiuta ancora la sacramentalità dell’episcopato accordando a un laico eletto papa «il potere di insegnare e di governare, così come il carisma dell’infallibilità […] dal momento della sua elezione, perfino prima della sua ordinazione», in Sono passati sei anni, in ibid., 49 (1967) 924. 86 La menzione della “hierarchica communio” in Lumen Gentium 21 e 22 non significa la negazione dell’unità della sacra potestas, adottata dal Codice del 1983 e accettata dall’insieme dei teologi, cfr. E. CORECCO, La réception de Vatican II dans le Code de Droit canonique, in G. ALBERIGO – J-.P. JOSSUA, (curr.), La réception de Vatican II, Paris 1985, 380-388. La tesi di G. GHIRLANDA, ‘Hierarchica communio’. Significato della formula nella Lumen Gentium, Roma 1980, che sostiene la posizione contraria è stata accolta con riserve; cfr. specialmente la recensione di Y. CONGAR, RSPT 66 (1982) 93-97. Sulla questione di fondo, si veda L. VILLEMIN, Pouvoir d’ordre et pouvoir de juridiction: histoire théologique de leur distinction, Paris 2006. 87 Nella fedeltà alla LG, il rituale romano rinnovato prescrive ormai che l’eletto non-vescovo “sia immediatamente ordinato”, prima di assumere la carica. 88 Codice di diritto canonico, can. 381. I suoi effetti pratici si faranno sentire soprattutto nella semplificazione dell’amministrazione diocesana. 89 Ha talmente influenzato le mentalità che nella sua traduzione di LG (Concile


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comunione di Chiese, la LG attribuisce alle diocesi, a tre riprese in questo contesto, di essere porzioni della Chiesa intera90, cosa che sarà ripresa nella definizione della diocesi attraverso L’incarico pastorale dei vescovi n. 11. Una porzione possiede, infatti, tutte le qualità del tutto e l’addizione delle porzioni non fa numero; non è il caso della parte che non può esistere al di fuori della sua relazione con il tutto e gli è subordinata91. Da questo punto di vista la tesi della maternità della Chiesa universale in rapporto alle Chiese particolari diocesane, sviluppata durante il pontificato di Giovanni Paolo II, si allontana dalla dottrina tradizionale ritrovata attraverso la LG. Quarto enunciato molto esplicito: LG 23 insegna che «in esse e a partire da esse [le chiese particolari] esiste l’una e unica chiesa cattolica»; l’aggettivo particolare rinvia qui a una chiesa locale diocesana. Questo mutamento di prospettiva si riallaccia all’ecclesiologia tradizionale: la comunione dei vescovi tra di loro è un’espressione della comunione delle Chiese tra di loro. Per il Vaticano II, il collegium episcoporum non saprebbe essere dissociato dalla communio ecclesiarum, percezione teologica capitale, assente dall’orizzonte del Vaticano I per il quale la comunione della Chiesa è sempre al singolare92. Quinto enunciato: tutto quello che precede porta LG 23 a valorizzare queste Chiese «costituite in molti gruppi organicamente uniti, i quali […] godono di una propria disciplina, di una propria consuetudine liturgica, di un patrimonio teologico e spirituale proprio». Questi oecuménique Vatican II. Constitutions, décrets, déclarations, Paris 1967), il cardinal Garrone, prefetto della Congregazione per i seminari e le università, traduce con il solo termine “universale” i termini universus e universalis, benché in latino siano distinti, e anche l’aggettivo totus, non senza conseguenze teologiche per la cattolicità della Chiesa. 90 In LG 23 due volte, e una volta in LG 28. 91 Illustriamo con un’immagine questa differenza: una porzione di dolce, qualunque sia la sua forma o la sua misura, ha in se stessa l’essenza del dolce; l’essenza di un’automobile, invece, non si ritrova in nessuna delle sue parti. 92 Il Proemio della Pastor Aeternus attribuisce come scopo al primato romano di servire «l’unione stretta e reciproca dei vescovi, perché la moltitudine dei credenti sia conservata nell’unità della fede e della comunione», come se i fedeli costituissero un’unità immediata in quello che sarebbe l’immensa diocesi del papa: la Chiesa universale.


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gruppi (che, ad es., hanno attualmente la forma di patriarcato) potrebbero anche prendere quella delle conferenze episcopali, come dice questo stesso numero, perché la responsabilità di ogni vescovo di fronte alla Chiesa intera si esercita dapprima nei confronti delle Chiese della propria regione. Così fondate, le conferenze episcopali evocate in questo contesto, saranno rese obbligatorie in Christus Dominus 38, mentre sono incoraggiati i loro raggruppamenti regionali o continentali (ibid. 38,5). 3.1.3. Portata criteriologica di questi complementi correttivi delle traiettorie recenti Karl Rahner, stando alle sue parole già citate, non ha osservato le correzioni di traiettoria che si sono elencate, e tanto meno ha colto la portata delle annotazioni che specificavano il quadro tradizionale, liturgico ed ecclesiologico, nel quale interpretare gli enunciati della LG. Sarebbe irriverente pensare che abbia commentato questo capitolo 3 della LG “senza averlo letto”? Ne sia giudice il lettore, leggendo la portata criteriologica che Joseph Ratzinger accorda a questi stessi elementi, nelle stesse date, in discussione con Rahner. Ecco come si esprime: «Quattro termini [comunione, collegio, capo e membra] circoscrivono in Lumen Gentium 22 l’appartenenza al collegio […]; essi rinviano alla pluralità di Chiese (locali, episcopali) ed escludono la possibilità di determinare l’unità con la sola relazione al capo del collegio. Al contrario, si esige qui che il collegio rappresenti strutturalmente le Chiese diocesane e le relazioni che esse hanno le une con le altre. La Costituzione riprende così la struttura della Chiesa antica, e lo dice esplicitamente attraverso queste espressioni che le permettono di chiarire e di fondare l’essenza della collegialità attraverso la concezione che aveva della Chiesa dei Padri»93.

Per questo, contrariamente a Rahner che non coglieva alcun mutamento su questo punto, Joseph Ratzinger nota

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J. RATZINGER, Das neue Volk Gottes, cit., 177.


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Hervé Legrand «un duplice cambiamento: appare, senza ambiguità possibile, che non si può vedere nel collegio episcopale una creazione del papa, perché esso ha la sua radice nella realtà sacramentale; costituisce un postulato imprescrittibile della struttura della Chiesa nell’essenza stessa di cui il Signore l’ha dotata […] ordine e giurisdizione devono essere considerati sotto una luce nuova o piuttosto alla luce originale della teologia patristica, temporaneamente velata da evoluzioni moderne»94.

Ci sembra disporre così di criteri teologici sicuri per tentare una valutazione della ricezione della LG sul punto preciso della collegialità e del suo radicamento nella comunione della Chiesa che è sempre, nello stesso tempo, una comunione di Chiese. 3.2. La ricezione del cap. III della Lumen Gentium attraverso i documenti canonici e i testi di tipo disciplinare che la giustificano Per mancanza di spazio non si analizzerà qui la prima ricezione post-conciliare della LG che ha rivalorizzato l’episcopato e le Chiese locali95. Seguendo la cronologia, si analizzerà dapprima la ricezione canonica della LG nel Codice di diritto canonico (CIC) del 1983, e nel Codice dei canoni delle Chiese orientali (CCEO). Ci si concentrerà, in seguito, su diversi documenti canonico-disciplinari di genere letterario e di autorità formale variabili, che si appoggiano tutti sull’Istruzione del 1992 Communionis notio (CN) della Congregazione per la dottrina della Fede, decisiva per l’orientamento dell’ultima parte del pontificato di Giovanni Paolo II in questo campo. 3.2.1. La ricezione della Lumen Gentium nel diritto canonico Tra l’ecclesiologia “teoricamente” professata dal Vaticano II e la sua realizzazione concreta, la mediazione è istituzionale: è dunque indispensabile analizzare con cura la ricezione canonica della LG. 94

L.c. Per una rapida analisi, si veda: H. LEGRAND, Du gouvernement de l’Église depuis Vatican II, in Lumière et Vie, oct.-déc. (2010) 47-50. Riprendiamo nel seguito numerose osservazioni già fatte in questo contributo. 95


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3.2.1.1. Il Codice del 1983 La scelta di sistematica, operata dal Codice del 1983, rivela che esso è rimasto estraneo alle prospettive tradizionali riscoperte dalla LG, riassunte da Joseph Ratzinger. Certo, il secondo libro del Codice ha per titolo “Il Popolo di Dio”, ma questa ricezione resta materiale. Ne è prova il fatto che stabilisce che cosa sono i laici e i chierici, un papa e il collegio dei vescovi, un concilio ecumenico, il sinodo dei vescovi, il collegio dei cardinali, la curia romana così come i nunzi, prima di aver stabilito che cos’è una chiesa locale! Simile scelta sistematica96 non consente più di pensare la Chiesa come comunione di Chiese e porta con sé una dissociazione tra la comunione dei vescovi e la comunione delle Chiese, e con uno stesso movimento, riconduce le impasse pastorali ed ecumeniche che il Vaticano II aveva cercato di ridurre. La scelta di designare la diocesi esclusivamente con il neologismo “Chiesa particolare” mostra in seguito che il Codice è rimasto estraneo all’insegnamento della LG, secondo la quale la Chiesa locale è una porzione della Chiesa. La scelta dell’aggettivo particolare (molto vicino a pars) che è, inoltre, antonimico di “universale” in tutte le lingue latine, come pure in tedesco e in inglese, rischia di indurre, con la sola forza del linguaggio97, una comprensione teologicamente inadeguata dell’articolazione tra le diocesi e la Chiesa intera98, come se esse fossero 96

W.F. Rothe analizza lucidamente questa scelta sistematica: «Essa implica la priorità del concetto di Chiesa particolare su quello di Chiesa diocesana, dell’episcopato di successione apostolica sull’episcopato diocesano e infine della Chiesa universale sulla Chiesa particolare», in Kanonistische Anmerkungen zum Verhältnis von Universalkirche und Partikularkirche, in Forum Katholische Theologie 18 (2002) 224-232. 97 Questo trabocchetto del linguaggio è così poco illusorio che un teologo tanto eminente come il cardinal Dulles sj può esprimersi come segue, in un documento di circostanza, per la verità: «La priorità ontologica della Chiesa universale mi pare vada da sé con evidenza, poiché il concetto stesso di Chiesa particolare presuppone una Chiesa universale, alla quale essa appartiene, mentre il concetto di Chiesa universale non implica che essa sia fatta di Chiese particolari distinte», in Inside The Vatican 20 june 4 (2001) 13. 98 Il termine particolare aveva fatto il suo ingresso nel titolo della Christus Dominus, senza implicare la minima presa di posizione sui rapporti tra Chiese locali e Chiesa intera, ma perché il termine diocesi, «d’origine imperiale e di natura amministrativa», veicolava un’ideologia troppo secolare secondo 57 Padri conciliari che si auguravano di sostituirla con “Chiesa particolare”. La cosa fu accettata nei seguenti


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delle parti subordinate al tutto, una visione che esclude LG 23 (in quibus et ex quibus), ma che sarà più facile interpretare diversamente come fa la Communionis Notio, come si vedrà in seguito. Altra scelta significativa, secondo LG 27, i vescovi sono “vicari e ambasciatori di Cristo” e “non devono essere considerati vicari dei romani pontefici”. Il Codice riserva il titolo al “capo del collegio dei vescovi, Vicario di Cristo e pastore della Chiesa intera” (can. 331), e conserva il silenzio su questo titolo dei vescovi rendendo più plausibile la dipendenza stretta dei vescovi di fronte al papa, secondo i termini del loro Giuramento di fedeltà a partire dal 198799 e secondo le nuove disposizioni disciplinari. Del resto il Codice attribuiva già al papa “la cura quotidiana di governare la Chiesa intera”100, cosa che non era nemmeno nello spirito del Vaticano I. 3.2.1.2. Il Codice dei canoni delle chiese orientali (1990) Se la ripresa dell’ecclesiologia tradizionale e il rispetto della pluralità delle Chiese sono dei criteri della ricezione della LG, non li si riscontra affatto in questo Codice, come si vede da tre sue caratteristiche: è stato redatto in latino, una lingua che non è quella di nessuna di queste chiese; amalgama tradizioni canoniche così eterogenee come quelle di Bisanzio e dell’Etiopia o dell’Armenia e dell’India siriaca; infine, il papa l’ha promulgato da solo, senza associarvi i capi termini: «Secondo la decisione della Commissione, la diocesi sarà generalmente designata come ‘Chiesa particolare’, ma bisogna inserire nel titolo ‘o diocesi’ per mostrare che si tratta di quelle Chiese particolari che oggi si chiamano diocesi» (Acta Synodalia III, VI, 172-163). Ma questo è restato senza effetto: non si trovano che 12 utilizzi d’ecclesia particularis in questo senso per 183 impieghi dell’antico vocabolario ! 12 altri impieghi dell’espressione designano altri tipi di Chiese. 99 Vi si legge: «Giuro di restare sempre fedele alla Chiesa cattolica e a […] il suo pastore supremo, al vicario di Gesù Cristo e al successore di Pietro nel primato così che a capo del collegio dei vescovi […]. Obbedirò al libero esercizio del potere primaziale del papa su tutta la Chiesa, mi sforzerò di promuovere e di difendere i suoi diritti e la sua autorità. Riconoscerò e rispetterò le prerogative e l’esercizio del ministero degli inviati del papa, che lo rappresentano. […] Renderò conto del mio mandato pastorale alla Sede apostolica a date precedentemente fissate o in occasioni determinate e molto volentieri accetterò i suoi mandati o i suoi consigli e li attuerò con sollecitudine». 100 Cfr. Codice di diritto canonico, can. 350 § 1: cura cotidiana universae ecclesiae.


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di queste Chiese101, e alcune delle sue disposizioni allargano ulteriormente il suo potere primaziale102. 3.2.2. In seguito alla Communionis Notio (1992), una serie di documenti soprattutto disciplinari hanno posto dei limiti alla rivalorizzazione dell’episcopato e delle Chiese locali Questa lettera esprime un orientamento perseguito durante tutta la seconda parte del pontificato di Giovanni Paolo II. Essa ben riconosce che “in maniera analogica si può comprendere la Chiesa universale come comunione di Chiese” (CN 8), ma il suo scopo è quello di affermare la priorità ontologica e cronologica della Chiesa universale sulle Chiese particolari e soprattutto la sua maternità nei loro confronti. Questa sorta di assioma ecclesiologico consentirà di giustificare la riduzione dello statuto delle conferenze episcopali, la loro privazione abituale di magistero autentico, di limitare la portata dei sinodi diocesani, di prendere le distanze dalla Dichiarazione di Balamand103 e da altre misure analoghe ma meno significative per meritare di essere specificate. Sono le tesi quelle che meritano attenzione. 3.2.2.1. Gli enunciati della Communionis Notio Primo enunciato: Priorità ontologica e cronologica della Chiesa universale sulle Chiese particolari. 101 Un teologo ortodosso rumeno vi vide il sintomo del fatto che il Codice dei canoni delle Chiese orientali volta le spalle all’autorità sinodale del tempo dei padri per sostituirla con quella del Santo Padre; cfr. R. PREDA, Des Saints Pères au Saint Père. L’ecclésiologie du Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium (CCEO) reflétée dans le processus de codification et dans l’acte de promulgation”, in Inter 2 (2008) 252-278. 102 Secondo il can. 1008, § 1: «Il Pontefice romano è l’amministratore e il dispensatore supremo di tutti i beni temporali della Chiesa», cosa che viene precisata al § 2: «Quanto al diritto di proprietà dei beni temporali della Chiesa, è sotto l’autorità suprema del Pontefice romano, che esso appartiene alla persona giuridica che li ha legittimamente acquistati». Ricordiamo che si tratta di Chiese orientali. Che ne avranno pensato gli ortodossi? 103 Così la nota segreta della SCDF a tutti i vescovi cattolici, che rifiuta alla Chiesa ortodossa il titolo di Chiesa sorella della nostra Chiesa, dirà al n. 10: «anche quando l’espressione Chiese sorelle è utilizzata in senso proprio [tra diocesi cattoliche e orto-


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Hervé Legrand LG 23 enuncia che “in esse e a partire da esse [le Chiese particolari]

esiste l’una e unica Chiesa cattolica”, cosa che richiede di considerarla come una comunione di Chiese, proposta di grande interesse pastorale ed ecumenico. CN sminuisce questa prospettiva in molti modi. La prima sarà di affermare come tesi che “la Chiesa universale è una realtà ontologicamente e cronologicamente preliminare a ogni Chiesa particolare”, cosa che è certamente vera se con questo si vuol dire che nessuna Chiesa può dirsi cattolica al di fuori della comunione della Chiesa intera, al di fuori della rete di traditio-receptio che costituisce la Catholica attraverso lo spazio e il tempo104. Ma il seguito del testo è meno convincente: «Ontologicamente […] La Chiesa, una e unica, secondo i Padri, precede la creazione, e dà nascita alle Chiese particolari come a proprie figlie; si esprime in esse, è madre e non prodotto delle Chiese particolari […]. Nascendo nella Chiesa e dalla Chiesa universale, è da essa e in essa che le Chiese locali hanno la loro ecclesialità. Di conseguenza, la formula del concilio Vaticano II: “in esse e a partire da esse [le Chiese particolari]” (ecclesia in et ex ecclesiis, LG 23) è inseparabile da quest’altra formula: “le Chiese in e a partire dalla Chiesa” (ecclesiae in et ex ecclesia) (CN 9)».

Ma, in verità, è difficile comprendere come la Chiesa universale potrebbe esistere preliminarmente ai processi concreti, confessanti e sacramentali che l’istituiscono, e indipendentemente da quegli stessi processi, una Chiesa priva di credenti e dei sacramenti della fede. Una Chiesa simile sarà “un ente di ragione”105, che niente obbliga a postulare, nemmeno la preesistenza della Chiesa nel disegno di Dio che potrebbe includere la simultaneità della Chiesa e delle Chiese. Di fatto

dosse?], la Chiesa universale non è la sorella ma la madre di tutte le Chiese particolari» (DC 97 [2000] 824-825). 104 Cosa che non significa che la Chiesa universale sia il risultato del riconoscimento reciproco delle Chiese. 105 Secondo il cardinal de Lubac: «Una Chiesa universale, anteriore o supposta come esistente al di fuori di tutte le Chiese particolari, non è altro che un ente di ragione», in Les Églises particulières dans l’Église universelle, Paris 1971, 54. Si è visto approvare, per esempio, dai cardinali Congar e Kasper.


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questa tesi non ha trovato accoglienza tra gli ecclesiologi106 ed è scomparsa dai testi della Curia dopo l’elezione di Benedetto XVI107. Secondo enunciato: maternità della Chiesa universale nei confronti delle Chiese particolari. Certamente la maternità della Chiesa in rapporto alla fede dei fedeli è ben attestata nella tradizione108, così come la maternità di una Chiesa fondatrice di fronte a quella che ha fondato. In compenso, l’idea della maternità della Chiesa universale nei confronti di tutte le Chiese locali non sembra essere mai stata formulata né prima109 né durante il Vaticano II. Terzo enunciato: il ministero di Pietro appartiene dall’interno all’essenza di ciascuna Chiesa particolare (CN 13). Per quanto la comunione necessaria con il vescovo di Roma sia sottolineata da LG, è invano che si troverebbe questa espressione. Del resto, in questo modo si farebbe del papa una specie di vescovo universale, cosa che Pio IX rifiutava con tutta la sua autorità apostolica dopo il Vaticano I110. In una corrispondenza pubblica con il vescovo luterano della Baviera, il card. Ratzinger scrive: «La Congregazione non ha l’autorità di cambiare le dottrine e ancora meno di “correggere” un concilio, essa non può che esplicitare e chiarire 106

Su più di una trentina di ecclesiologi che si sono espressi sul tema, uno solo si mostra convinto, senza dirne il motivo; lista stabilita da A. CATTANEO, La priorità della Chiesa universale sulla Chiesa particolare, in Antonianum 77 (2002) 503-539; l’abbiamo completata in RSPT 88 (2004) 495-496. 107 Si cita di nuovo LG 23 senza riserve nelle conclusioni del sinodo sull’Eucaristia: «Questa unità del corpo di Cristo si manifesta nelle comunità cristiane e si rinnova nell’atto eucaristico che le unisce e le differenzia in Chiese particolari, “in esse e a partire da esse esiste l’una e unica Chiesa cattolica” (LG 23)» 108 Cfr. K. DELAHAYE, Ecclesia mater chez les Pères des trois premiers siècles, Paris 1964 (Unam Sanctam 46). 109 Il titolo di mater et magistra di tutti i fedeli significa altro (cfr. Laterano IV, cc. 2,4,5,236 e Lione II c. 1). Soltanto Clemente VI di Avignone (1342-1352) affermò che «la Chiesa romana istituì tutte le Chiese patriarcali, metropolitane, cattedrali e tutte le dignità di ogni ordine esistenti nel loro seno. Al suo pastore e maestro, il pontefice romano, spetta la piena disponibilità di tutte le Chiese, dignità, uffici e benefici ecclesiastici» (RINALDI, Annales 25, 350). 110 DENZINGER-HÜNERMANN n. 3117.


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Hervé Legrand una dottrina già esistente […]. La lettera presuppone il concilio e deve essere letta nel quadro dei suoi testi»111.

Il peso dottrinale della Communionis Notio non è dunque tale da obbligare a riconoscere che ciascuna delle sue esplicitazioni possa essere manifestamente attribuita al Vaticano II. In compenso, bisogna prendere in seria considerazione la sua messa in guardia contro una possibile autonomizzazione delle Chiese locali. Le misure disciplinari che seguiranno, pur attenendosi al medesimo registro, mostrano bene che la Santa Sede prenderà numerose misure di governo per lottare contro il pericolo che percepisce. 3.2.2.2. Apostolos suos (1998): sottovalutazione del modesto statuto dell’episcopato e delle conferenze episcopali Per Apostolos suos, lo statuto delle conferenze episcopali fa di esse delle creazioni della Santa Sede che le istituisce e determina i loro poteri (nn. 13 e 20112), uno statuto senza rapporto con i sinodi regionali della Chiesa antica, che si tenevano due volte all’anno in ogni provincia. Si toglie loro il magistero autentico che esse esercitavano secondo il can. 753 del Codice latino113, tranne il fatto che devono essere unanimi o richiedere la recognitio romana114. La Santa Sede è stata indotta a 111

J. RATZINGER/Benedetto XVI, Faire route, cit., 232. Secondo Apostolos suos III, 20, perché l’esercizio congiunto del loro ministero pastorale in conferenza “sia legittimo e obbligante per i singoli vescovi, occorre l’intervento della suprema autorità della Chiesa che, mediante la legge universale o speciali mandati affida determinate questioni alla delibera della Conferenza episcopale” (Documenti della Santa Sede 55, Bologna 1998, 20). 113 Can. 753: «I vescovi […] riuniti nelle Conferenze Episcopali […] sono autentici dottori e maestri della fede […]; a tale magistero autentico dei propri vescovi i fedeli sono tenuti ad aderire con religioso ossequio dell’animo» (Codice di diritto canonico. Testo ufficiale e versione italiana sotto il patrocinio della Pontificia Università Lateranense e della Pontificia Università Salesiana, Roma 1997, 563). 114 Apostolos suos IV,1: «Perché le dichiarazioni dottrinali della Conferenza dei vescovi […] costituiscano un magistero autentico e possano essere pubblicate a nome della Conferenza stessa, è necessario che siano approvate all’unanimità dai membri vescovi [unica esigenza di unanimità nel diritto in vigore] – oppure che, approvate 112


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prendere questa misura restrittiva molto probabilmente perché prevedeva i problemi che sarebbero sorti dalle prese di posizioni divergenti delle conferenze sia tra di loro sia con la Santa Sede, soprattutto in una società mediatica come la nostra115. Dalle conferenze si attende che siano il ripetitore degli insegnamenti della Santa Sede e che “vigilino soprattutto a seguire il magistero della Chiesa universale e a farlo conoscere opportunamente al popolo che è loro affidato” (n. 21). Nello stesso spirito sono apportate delle restrizioni alle responsabilità liturgiche delle conferenze concernenti le traduzioni liturgiche nelle loro aree linguistiche attraverso Liturgiam authenticam e, più recentemente, attraverso Summorum Pontificum, alla responsabilità liturgica propria del vescovo nella sua diocesi perché questo motu proprio prevede all’art. 5, § 1 che spetta «al presbitero di discernere da se stesso” se bisogna accogliere le domande dei fedeli legati all’antico rito»116. Qui ci si è allontanati sia dalla lettera del Vaticano II come anche dalla tradizione. Questo stesso allontanamento è verificabile da chiunque relativamente alla teologia dell’episcopato quando Apostolos suos, nel n. 11 afferma che «il Collegio episcopale […] è una realtà anteriore all’ufficio di essere a capo di una Chiesa particolare» e fonda la correttezza di tale asserzione con la nota 54 «come a tutti è evidente, vi sono molti vescovi che, pur esercitando compiti propriamente episcopali, non sono a capo di una Chiesa particolare»117. Non si può più chiaramente nella riunione plenaria almeno dai due terzi dei presuli che appartengono alla Conferenza con voto deliberativo, ottengano la revisione (recognitio) della Sede apostolica» (Documenti della Santa Sede 5, cit., 24). Questa recognitio vigilerà che “la risposta dottrinale” dei vescovi “non pregiudichi, bensì prepari, eventuali interventi del magistero universale” (Apostolos suos III, 22, cit., 22). 115 L’occasione prossima dovette essere la presa di posizione progettata dalla conferenza episcopale degli Stati Uniti sul disarmo nucleare e probabilmente anche il ricordo delle critiche dell’Humanae Vitae espresse da numerose conferenze. 116 Per l’analisi ecclesiologica di questi due documenti, si vedrà L. VILLEMIN, L’autorité des conférences épiscopales en matière de liturgie. Interprétations initiales et réinterprétations récentes, in G. ROUTHIER – G. JOBIN (curr.), L’autorité et les autorités. L’herméneutique théologique de Vatican II, Paris 2010, 151-165: 161-163. 117 Costituiscono il 47% dell’episcopato, tra i quali il 18% sono emeriti. Questo malgrado il can. 6 di Calcedonia che considera nulle le ordinazioni assolute di preti,


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e più profondamente dissociare il collegio dei vescovi dalla comunione delle Chiese che tutta la tradizione attesta. Apostolos suos ha reso manifesta l’erosione costante dopo il Vaticano II dello statuto delle diocesi come Chiese locali. Tale erosione è cominciata dalla trasformazione dei vicariati militari in quasi-diocesi118, in seguito tutte le circoscrizioni ecclesiastiche territoriali sono state, a loro volta, equiparate giuridicamente alle diocesi119, e mentre si creava la prelatura personale120, e recentemente l’amministrazione apostolica personale affidata, in una diocesi esistente, a un vescovo diverso dal vescovo diocesano121 mentre si moltiplicano gli ordinariati per i cattolici orientali122 e ora per le ex fedeli anglicane123. Si tratta di misure empiriche che non meritano alcuna attenzione? Non ne siamo convinti constatando che il primo vero dizionario di ecclesiologia mai pubblicato prima , non ha preso in considerazione il termine diocesi, mentre consacra tre voci alle circoscrizioni ecclesiastiche, divise in tre categorie: orientali, personali, territoriali124. E anche la voce Chiesa locale non prende in considerazione specificamente la diocesi. E già questo un sintomo che le categorie tradizionali della comunione delle Chiese sarebbero sul punto di soccombere di fronte a quelle (del territorio) della Chiesa universale affidata a una carto-

perché quella di vescovi di questo genere è inconcepibile nella tradizione. Si constata anche che dei cardinali più che ottuagenari non esitano a farsi ordinare vescovi. 118 Questa trasformazione è anteriore al Codice del 1983, cfr. la Costituzione apostolica Spirituali militum curae, in AAS 72 (1980) 47. 119 CIC c. 368 che vale per le prelature e le abbazie territoriali, per vicariati e prefetture apostoliche, e per l’amministrazione apostolica costituita in maniera permanente. 120 CIC cc. 294- 297, la prelatura dell’ Opus Dei per adesso è l’unico esempio. 121 Per la Lettera Ecclesiae Unitas, in AAS 94 (2002) 267- 268. 122 Cfr. H. LEGRAND, Les catholiques orientaux dans les diocèses latins: un texte pour la catholicité de l’Eglise?, in L’Année canonique, 52 (2011). 123 Cfr. H. LEGRAND, Épiscopat, episcopè, Église locale et communion des Églises dans la Constitution apostolique Anglicanorum coetibus, in Cristianesimo nella storia 32 (2011) 2, 405- 423. 124 G. CALABRESE – P. GOYRET – O.F. PIAZZA (curr.), Dizionario di ecclesiologia, Roma 2010.


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grafia sacra, — burocratica e moderna125 — già accolta nel Codice dei canoni delle Chiese orientali? 126. Riassumiamo: la ricezione canonica della LG non ha contribuito a rivalorizzare né l’episcopato né la sua teologia. Nel diritto in vigore, lo statuto di un vescovo diocesano dinanzi al papa equivale a quello di un vicario generale dinanzi al suo vescovo. Questa è la conclusione della tesi di abilitazione di Georg Bier che, salvo meliori judicio, è stata accettata come esatta dall’insieme delle recensioni fatte da altri canonisti, di cui abbiamo potuto prendere visione127. Ciò non impedisce loro di constatare che questa non-ricezione della LG non è teologicamente giusta. Così dunque tutti gli sforzi della LG per rivalorizzare la figura del vescovo avrebbero portato alla degradazione del suo statuto. Una tale ricezione canonica, effettiva, è veramente in accordo con il principio ermeneutico stabilito sopra: vi si ritrovano i «Quattro termini [comunione, collegio, capo e membra] circoscrivono in Lumen Gentium 22 l’appartenenza al collegio […]; essi rinviano alla pluralità di Chiese (locali, episcopali) ed escludono la possibilità di determinare l’unità con la sola relazione al capo del collegio»? 3.2.2.3. Limitazione della parola dei sinodi diocesani (1997) L’Istruzione sui sinodi diocesani, comune alle Congregazioni per i Vescovi e per l’Evangelizzazione dei popoli, proibisce loro di formulare “una proposta da trasmettere alla Santa Sede”, se diverge “dalle 125 Essa ha la sua origine nella richiesta di Napoleone I di rifare interamente la carta geografica delle diocesi della Chiesa di Francia per farla coincidere, per quanto possibile, con quella dei dipartimenti. Niente sfugge a questa cartografia, come se ne è reso conto il grande pubblico quando essa ha attribuito al vescovo polacco d’Irkoutsk l’amministrazione apostolica delle Isole Sakhaline con loro nome di Karafuto dal tempo della loro occupazione da parte dei Giapponesi; ciò ha avuto come esito une crisi diplomatica con la Russia e il rientro di questo vescovo in Polonia. 126 Cfr. il can. 57, §1 del CCEO secondo il quale: «i patriarcati possono essere creati, ristabiliti, modificati, soppressi» dal papa o dal concilio ecumenico. 127 Cfr. G. BIER, Die Rechtsstellung des Diözesanbischofs nach dem Codex Iuris Canonici von 1983, Würzburg 2001, 376 (Forschungen zum Kirchenrechtswissenschaft, Bd 32). Il can. 480 prevede: «Il Vicario generale e il Vicario episcopale devono riferire al Vescovo diocesano sulle principali attività programmate e attuate e inoltre non agiscano mai contro la sua volontà e il suo intendimento» (Codice di diritto cano-


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tesi o dalle posizioni [tenute dalla] dottrina perpetua della Chiesa o il Magistero pontificio o concernente materie disciplinari riservate all’autorità ecclesiastica superiore o a un’altra”. Anche in campo disciplinare, in cui molte materie sono libere, le Chiese locali non devono formulare semplici proposte ma coltivare la conformità alla “Chiesa universale”128. Qui si pone la questione della ricezione della teologia del popolo di Dio. Un tale statuto del sinodo diocesano, che raduna il popolo di Dio sotto la presidenza del vescovo, mostra che quest’ultimo non ha reale libertà di parola nella Chiesa. È soltanto in quanto membri giustapposti di questo popolo che i suoi membri possono, individualmente e privatamente, prendere la parola. Questo traduce il diritto di comunione? Il diritto di associazione, importato dalla società secolare, compensa quello che manca? 3.2.2.4. Valutazioni sussidiarie della ricezione della Lumen Gentium 3 L’insieme dei testi di ricezione che sono stati passati in rassegna argomentano con il binomio concettuale Chiesa particolare/Chiesa universale, adottato in maniera arbitraria dal Codice del 1983, come si è segnalato. Questo vocabolario ha connotazioni inevitabilmente poco favorevoli a una teologia della comunione della Chiesa concepita come comunione di Chiese; favorisce dunque un’ecclesiologia universalista129 che per sé stessa rende plausibile nuovamente la centralizzazione secondo il modello legale-burocratico130. Questo binomio nico, cit., 385). Abbiamo letto undici recensioni del lavoro ad opera di altri canonisti, tutti di lingua tedesca, a eccezione di A. de la Hera, spagnolo che scrive in tedesco. 128 Instructio de Synodis diocesanis agendis, IV, 4, in AAS 89 (1997) 706-727. 129 Questo vocabolario unificato è stato scelto per caso? È poco probabile dato che è così adatto al fine perseguito. Se ne ha forse un indice nel fatto che CN 9 chiede di considerare le Chiese particolari “prima di tutto come parti dell’unica Chiesa di Cristo”, fondandosi sull’unico passo del Vaticano II che considererebbe le diocesi come parti della Chiesa; cfr. Christus Dominus 6, 3 dove in effetti pars significa “regione”, come in partibus infidelium, e non “parte”. 130 Prendiamo l’espressione nel senso weberiano, pertinente in questa sede quando si constata che il Consiglio pontificio per l’interpretazione dei testi legislativi, in luogo di rinviare un parroco tedesco al suo discernimento pastorale (o a quello dei suoi superiori immediati), accetta di trattare la questione di sapere se le bambine potrebbero servire la messa come i loro fratellini. La risposta è formulata in tre tappe,


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concettuale ha un altro grave inconveniente nella ricezione della LG; là dove ci si aspetterebbe di leggere “Chiesa intera” o “Chiesa cattolica”, si trova costantemente “Chiesa universale”. È l’indice di una non-ricezione di LG 13 e del suo sviluppo nell’Ad Gentes: la cattolicità sembra di nuovo esprimersi come universalità uniformatrice e non attraverso la capacità della Chiesa di parlare tutte le lingue131, di coniugare unità e diversità, rinforzando così la deriva moderna e infelice della nota di cattolicità in luogo di rettificarla con il ritorno alle fonti, promosso dalla LG132. Segnaliamo, infine, due lacune importanti della nostra valutazione: non si è trattata l’inserzione nella LG 10 di una frase di Pio XII sul sacerdozio comune e il sacerdozio gerarchico, e la loro differenza essenziale; frase circostanziale che ha nuociuto, sia ai i cattolici come anche ai i protestanti, alla comprensione del cambiamento di traiettoria che si ritrova nei titoli successivi di Presbyterorum ordinis, segnalati prima133. Non è stata neanche analizzata l’interpretazione dell’espressione subsistit in nella LG 8. La formulazione iniziale di cui le due prime sono del 1992 e del 1994 (cfr. AAS 86 [1994] 86-87). Questa stessa centralizzazione si constata nel fatto che i dicasteri romani si mettono essi stessi a risolvere questioni storiche: così l’Istruzione sulla collaborazione dei fedeli laici al ministero dei presbiteri (1997), comune a otto dicasteri, afferma «la dottrina teologicamente sicura e la pratica secolare della Chiesa secondo le quali l’unico ministro valido [dell’unzione dei malati] è il presbitero» (art. 9 § 2). Secondo A. Chavasse (Étude sur l’onction des infirmes dans l’Église latine du 3e siècle à la réforme carolingienne, Lyon 1942), essa veniva spesso impartita da un membro della famiglia, con un olio benedetto dal vescovo. Parallelamente l’insegnamento papale aumenta di volume; gli Insegnamenti di Giovanni Paolo II raggiungevano ogni anno tra le 4000 (1982) e le 5000 pagine (1988). 131 Cfr. Ad Gentes 4: «Fu prefigurata l’unione dei popoli nella cattolicità della fede attraverso la Chiesa della nuova alleanza, che parla tutte le lingue e tutte le lingue nell’amore intende e comprende». 132 La riduzione della cattolicità all’universalità geografica e quantitativa in numerosi autori moderni è chiaramente descritta da G. THILS, Les notes de l’Église dans l’apologétique catholique depuis la Réforme, Gembloux 1937, 214-254. 133 Per esempio Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis ricorre quattro volte più spesso al vocabolario sacerdotale che al vocabolario presbiterale quando parla di presbiteri, cosa che non facilita la chiarificazione di questo vocabolario impermeabile per la tradizione protestante; si veda, ad es., l’art. Amt/Ämter della Theologische Realenzyklopädie (1991) 611 («C’è nel cattolicesimo un differenza di essenza tra il


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proposta ai Padri era la seguente: «Il corpo mistico del Cristo è la Chiesa cattolica romana […] soltanto quella che è cattolica romana ha il diritto di essere chiamata Chiesa», formulazione che rinviava all’enciclica Humani Generis di Pio XII134. Una simile identificazione pura e semplice, ed esclusiva, fu respinta energicamente fin dalla prima sessione particolarmente dal cardinal Liénart135, che domandò che il testo fosse interamente rimaneggiato e il Concilio acconsentì. È così che est fu sostituito da subsistit in. L’Istruzione Dominus Jesus (2000) che affermava che questo cambiamento non aveva alcuna portata dottrinale136 non ha convinto i teologi che hanno familiarità con gli Atti del concilio137, e neppure Le risposte a questioni riguardanti la dottrina della Chiesa (2007) sono riuscite a chiarire la questione138. Anche qui ci sembra che bisogna seguire la Congregazione quando tende a eliminare errori piuttosto che esigere da essa un’esegesi scientifica rigorosa. fedele e il detentore del ministero [LG 10], ciò che non avviene nelle concezioni protestanti del ministero»). Nell’Encyclopédie du Protestantisme (Paris 1995), anche P.-L. Dubied scrive anche nell’articolo Prêtre: «Degli aspetti della figura del prete della chiesa romana del XVI secolo restano inclusi fino al concilio Vaticano II (cfr. la differenza di essenza legata al ministero ordinato)». 134 Humani Generis, in AAS 42 (1950) 571: «Il Corpo mistico del Cristo e la Chiesa cattolica romana sono una sola e medesima cosa (unum idem esse)». 135 Membro del Consiglio di presidenza di cardinali, dichiarò: «Domando espressamente che si sopprima l’articolo 7 che equipara in maniera assoluta la Chiesa cattolica e il Corpo mistico e che questo schema sia interamente rivisto» (Acta Synodalia I, IV, 127). 136 Cfr. AAS 92 (2000) 756-759. 137 Si potrà vedere su questo tema: H. LEGRAND, La théologie des Églises soeurs. Réflexions ecclésiologiques autour de la Déclaration de Balamand, in Revue des sciences philosophiques et théologiques 88 (2004) 461-496, 481-486. Più recentemente F.A. SULLIVAN, The Meaning of ‘subsistit in’ as explained by the Congregation for the Doctrine of the Faith, in Theological Studies 69 (2008) 116-114 (L’Autore ha insegnato a lungo ecclesiologia alla Gregoriana); K. SCHELKENS, Lumen Gentium’s ‘subsistit in’ revisited: the Catholic Church and Christian Unity after Vatican II, in ibid. 69 (2008) 875-893. 138 F.A. SULLIVAN conclude il suo articolo Further Thoughts on subsistit, in Theological Studies 71 (2010) 147 esprimendo il giudizio che le spiegazioni di Dominus Jesus sono più soddisfacenti di quelle delle Risposte alle domande.


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Infine la ricezione di LG 29 che ha reintrodotto il diaconato come ministero permanente meriterebbe al tempo stesso di essere valutata perché orienta i cristiani verso una dimensione essenziale della loro vita e perché permette creatività nel campo dei ministeri, un bisogno universalmente sentito in Occidente139. CONCLUSIONE GENERALE Al termine di questa ricerca, gli studenti di teologia proveranno abbastanza naturalmente sentimenti ambivalenti. Il fatto che dei teologi patentati, cioè delle autorità, possano commentare dei testi di un concilio “senza averli letti”, per riprendere la formula di François Nault, non permette di esaltare, senza riserve, la corporazione di quelli che fanno professione di teologia. Ma non vi è qui un avvertimento salutare per ogni studente chiamato a un servizio qualificato della fede? Tale servizio non implica soltanto un apprendimento rigoroso dei metodi; esige anzitutto, e ci si sarebbe piaciuto non doverlo dire, un’etica di costante onestà intellettuale che comincia a imparare a leggere140. Ciò invita a ritornare alla pluralità dei metodi di lettura. C’è la lettura di un concilio in termini di evento, come ha preconizzato Giuseppe Alberigo141; in termini di cambiamento retorico come John W. O’Malley ha saputo fare142, e naturalmente molti altri. Questi metodi si rivelano preziosi strumenti euristici per il teologo e non soltanto per lo storico. Non li abbiamo utilizzati perché per il teologo 139 Il can. 1008 che attribuiva erroneamente ai diaconi di essere dei pastori è stato felicemente corretto dal motu proprio Omnium in mentem, in AAS 102 (2010) 10. 140 Questa esigenza vale anche per i non-teologi: come pretendere di scrivere una storia del Vaticano II senza una adeguata formazione teologica? R. DE MATTEI, Il concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Torino 2011 ne offre un esempio. Benché si dica tradizionalista, non cita un solo Padre della Chiesa (soltanto Agostino come personaggio) quando l’indice del libro comporta, se abbiamo contato bene, 48 rinvii a Pio X, 114 a Pio XII, 33 a Plinio Corrêa, il fondatore brasiliano di Lavoro, Famiglia e Patria. 141 Per una discussione del concetto si veda: J. KOMONCHAK, Riflessioni storiografiche sul Vaticano II come evento, in M.T. FATTORI – A. MELLONI (curr.), L’evento e le decisioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vaticano II, Bologna 1997, 417-439. 142 J.W. O’MALLEY, What happened at Vatican II?, Harvard 2008.


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il metodo di lettura dottrinale dei testi che si è messo in atto143 resterà tanto più necessario dal momento che i documenti del Vaticano II costituiscono già un corpus al quale l’insegnamento teologico fa attualmente riferimento e continuerà a farlo144. Altre due lezioni si possono trarre dalle peripezie della ricezione della LG. La prima concerne il posto del diritto canonico nell’ecclesiologia cattolica. I Padri conciliari che avevano visto nei voti favorevoli alla collegialità la spina dorsale del Vaticano II si sono sbagliati perché non avevano preso nessuna disposizione canonica che traducesse le loro convinzioni ecclesiologiche al di là dei loro discorsi, cioè nella realtà. Per questa ragione LG è stata recepita attraverso una matrice dell’istituzione profondamente secolarizzata, imposta dal Codice del 1917, dove essa è ridotta al suo aspetto legale- burocratico (Max Weber). Si spera che la nuova generazione teologica si dedicherà a riflettere sullo statuto teologico ed epistemologico del diritto canonico; questo punto costituisce già la grande debolezza del lavoro conciliare e non soltanto della sua ricezione. Si può trarre con chiarezza una seconda lezione: la continuità con la tradizione passava, per il Vaticano II, attraverso la rottura con un passato recente, cosa che si è illustrata con l’espressione “correzione di traiettoria”. La vera tradizione esige la riforma, la ripetizione la rifiuta. Il cardinale Joseph Ratzinger ha ben descritto questo movimento nella sua vita personale confidando a Peter Seewald: «Per il concorso di circostanze in cui mi venni a trovare […] erano cambiati e maturati taluni accenti del mio pensiero, tuttavia il mio intento di fondo, particolarmente durante il concilio, è sempre stato quello di liberare dalle incrostazioni il vero nocciolo della fede, restituendogli energia e dinamismo. Questo impulso è la vera costante della mia vita»145. 143 Su questo punto cfr. H. LEGRAND, Quelques réflexions ecclésiologiques sur l’Histoire de Vatican II de G. Alberigo, in Revue des sciences philosophiques et théologiques 90 (2006) 495-520. 144 Al corpus costituito da Trento e dal Vaticano I, al quale l’insegnamento teologico faceva riferimento cinquant’anni fa, si è già sostituito quello del Vaticano II. Con il rischio di restringere l’ampiezza della tradizione, rischio al quale non sfuggivano i due concili precedenti. 145 J. RATZINGER, Il sale della terra. Un nuovo rapporto sulla fede in un colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo (MI) 1997, 91.


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“Liberare dalle incrostazioni il vero nocciolo della fede”: è proprio quello che dovrebbe fare la ricezione del Vaticano II, ed è ciò a cui ogni teologo ben formato dovrebbe contribuire commentando i testi dopo averli veramente letti.



Synaxis 3 (2011) 53-54

COLLOQUIO SU CULTURA E RELIGIONE: L’OPERA DI J. RATZINGER

FRANCESCO ALEO*

L’evento che ha avuto luogo martedì 15 febbraio 2011, nell’Auditorium Giancarlo De Carlo, della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania, può definirsi l’occasione di un felice incontro per affrontare tematiche di grande attualità culturale. Organizzato dalla Libreria Editrice Vaticana e dallo Studio Teologico S. Paolo, ha sollecitato studiosi di varia provenienza culturale ed ideologica a discutere su questioni ed argomenti di grande interesse. Al centro della loro attenzione, come del numeroso pubblico che ha partecipato al colloquio, è stata l’opera di uno dei teologi fra i più importanti del secolo appena trascorso, protagonista del Concilio Vaticano II e della temperie post-conciliare: Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI dal 2005. L’opera teologica di Ratzinger consta ad oggi di 37 volumi e 5 raccolte di saggi. È stata presentata, nei suoi caratteri distintivi e nelle sue linee fondamentali, da: Giuseppe Pezzino, docente di Filosofia Morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia; Francesco Brancato, docente di Teologia Dogmatica allo Studio Teologico S. Paolo di Catania; Dario Antiseri, docente ordinario di Filosofia del Linguaggio alla Luiss di Roma; Armando Toro, responsabile della sezione cultura del giornale Corriere della sera, in sostituzione del suo direttore, Ferruccio De Bortoli, impossibilitato a partecipare. Luigi Ronsisvalle, Vice Segretario Nazionale FNSI, ha moderato l’incontro, *

Docente di Patristica presso lo Studio Telogico S. Paolo di Catania.


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Francesco Aleo

al quale hanno portato i propri saluti: Enrico Iachello, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania; Salvatore Gristina, Arcivescovo di Catania e Moderatore dello Studio Teologico S. Paolo; Giuseppe Costa, Direttore della Libreria Editrice Vaticana. Una polifonia, dunque, fatta di voci varie ed autorevoli, capaci di attirare l’attenzione sui toni e sulle melodie della teologia di Joseph Ratzinger che, a ben vedere, appare non avulsa dal contesto della postmodernità ma calata nella disamina appassionata e “simpatetica” della problematica condizione dell’uomo contemporaneo.


Synaxis 3 (2011) 55-59

LA LAICITÀ ED IL PRIMATO DELLA COSCIENZA. QUALI CONTRIBUTI ALLA STORIA DELLA CULTURA EUROPEA: IL PUNTO DI VISTA DI J. RATZINGER

DARIO ANTISERI*

1. Il 26 novembre del 2003, su «il Giornale», l’allora cardinale Ratzinger, intervistato da Antonio Socci, affronta alcuni temi presenti nel libro Fede, verità, tolleranza (2003) e ritorna, tra l’altro, sulla questione del relativismo. Chiede Socci: «C’è una novità nel suo libro a proposito del relativismo. Lei sostiene che nella pratica politica, il relativismo è benvenuto perché ci vaccina, diciamo, dalla tentazione utopica. È il giudizio che la Chiesa ha sempre dato sulla politica?». Ratzinger risponde: «Direi proprio di sì. È questa una delle novità essenziali del cristianesimo per la storia. Perché fino a Cristo l’identificazione di religione e Stato, divinità e Stato, era quasi necessaria per dare stabilità allo Stato. Poi l’Islam ritorna a questa identificazione tra mondo politico e religioso, col pensiero che solo con il potere politico si può anche moralizzare l’umanità. In realtà, da Cristo stesso troviamo subito la posizione contraria: Dio non è di questo mondo, non ha legioni, così dice Cristo; Stalin dice, non ha divisioni. Non ha un potere mondano, attira l’umanità a sé non con un potere esterno, politico, militare, ma solo col potere della verità che convince, dell’ amore che attrae. Egli dice “attirerò tutti a me”. Ma lo dice proprio dalla croce. E così crea questa distinzione tra imperatore e Dio, tra il mondo *

Docente di Filosofia del linguaggio presso la Facoltà di Scienze politiche della

LUISS Guido Carli di Roma.


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Dario Antiseri

dell’imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo Stato». È per decreto religioso che, per il cristiano, lo Stato non è tutto, lo Stato non è l’assoluto. E all’intervistatore che fa presente che «questo è uno straordinario punto di incontro tra il pensiero cristiano e cultura liberaldemocratica», Ratzinger replica: «Io penso che la visione liberaldemocratica non potesse nascere senza questo avvenimento cristiano che ha diviso i due mondi, così creando una nuova libertà. Lo Stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l’ultimo potere. La distinzione tra lo Stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo Stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello Stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberaldemocratico ha preso le sue strade, l’origine è proprio questa». 2. È un pensatore laico come Karl Popper a porre l’attenzione sul valore che la tradizione cristiana attribuisce alla coscienza di ogni uomo e di ogni donna. Per un umanitario, e soprattutto per un cristiano, egli scrive ne La società aperta e i suoi nemici, «non esiste uomo che sia più importante di un altro uomo». E «riconosco — egli aggiunge — che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influsso del cristianesimo […] Il solo atteggiamento razionale e il solo atteggiamento cristiano anche nei confronti della storia della libertà è che siamo noi stessi responsabili di essa, allo stesso modo che siamo responsabili di ciò che facciamo delle nostre vite e soltanto la nostra coscienza, e non il nostro successo mondano, può giudicarci […] Il metro del successo storico appare incompatibile con lo spirito del cristianesimo […] I primi cristiani ritenevano che è la coscienza che deve giudicare il potere e non viceversa». E ancora la coscienza di ogni singola persona, unita con l’altruismo, «è diventata — scrive Popper — la base della nostra civiltà occidentale. È la dottrina centrale del Cristianesimo (“ama il prossimo tuo”, dice la Scrittura, e non “ama la tua tribù”) ed è il nucleo vivo di tutte le dottrine etiche che sono scaturite dalla nostra civiltà e l’hanno alimentata. È anche, per esempio, la dottrina etica centrale di Kant (“devi sempre riconoscere che gli indi-


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vidui umani sono fini e che non devi mai usarli come meri mezzi ai tuoi fini”). Non c’è alcun altro pensiero che abbia avuto tanta influenza nello sviluppo morale dell’uomo». 3. E, prima di Popper, Benedetto Croce. «Il Cristianesimo — egli scrive nel noto saggio del 1942 Perché non possiamo non dirci cristiani — è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivoluzione dall’ alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo». Tutte le altre rivoluzioni e tutte le maggiori scoperte che segnano gli sviluppi della storia umana — prosegue Croce — rispetto alla rivoluzione cristiana appaiono particolari e limitate: «Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell’arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per non parlare delle più remote della scrittura, della matematica, della scienza astronomica, della medicina, e di quanto altro si deve all’Oriente e all’Egitto». E c’è di più, poiché «le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro precedenti antiche, ma investirono tutto l’uomo, l’anima stessa dell’uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il prima perché l’impulso originario fu e perdura il suo». Dunque: il Cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto. E «la ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità. Gli uomini, i geni, gli eroi, che furono innanzi al Cristianesimo, compierono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna ed affratella, e che il Cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana».


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4. Nel 112 d.C. Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, invia un resoconto all’imperatore Traiano, dove gli notifica di aver condannato a morte tutti quei cristiani che si erano rifiutati di adorare Cesare come Signore (Kýrios Káisar) e di maledire Cristo (Anáthema Christós). Con il messaggio cristiano aveva fatto irruzione nel mondo l’idea che il potere politico non è il padrone della coscienza degli individui, ma che è la coscienza di ogni uomo e di ogni donna a giudicare il potere politico. Per il cristiano solo Dio è il Signore, l’Assoluto. Lo Stato non è l’Assoluto: Káisar non è Kýrios. E con ciò il potere politico veniva desacralizzato, l’ordine mondano relativizzato e le richieste di Cesare sottoposte al giudizio di legittimità da parte di coscienze inviolabili, di persone «fatte ad immagine e somiglianza di Dio». La Grecia ha passato all’Europa l’idea di ragione come discussione critica, ma non fu la Grecia a passare all’Europa i suoi déi. Questi, come ha scritto Giovanni Reale, erano già stati resi vani dai filosofi a cominciare dai presocratici. Il Dio delle popolazioni europee è il Dio della Bibbia e del Vangelo, il Dio giudaico-cristiano: il Dio che desacralizza il mondo e che così, come sostiene Max Scheler, lo rende disponibile alla manipolazione e all’indagine scientifica in una misura prima impensabile; il Dio che desacralizza il potere politico offrendo in tal modo all’Occidente le basi di una prospettiva non teocratica; il Dio che rende sacra e inviolabile la persona libera e responsabile con il conseguente ridimensionamento dell’ordine politico. Per queste ragioni — e non solo per queste ragioni — è davvero impossibile dar torto a Thomas S. Eliot allorché scrive che «se il Cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie». Il messaggio cristiano libera l’uomo dall’idolatria: il cristiano non può attribuire assolutezza e perfezione a nessuna cosa umana. È, dunque, per decreto religioso che lo Stato non è tutto, non è l’Assoluto. E sia con la dissacrazione di Cesare, vale a dire dell’assolutizzazione del potere politico, sia con il valore dato alla libera e responsabile coscienza di ogni persona, il Cristianesimo ha creato, a livello politico, una tensione che attraversa tutta la storia dell’Occidente. Si tratta, infatti, di idee ed ideali che, pur tra tentazioni «teocratiche» o rifiuti «satanocratici» del potere politico, hanno eser-


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citato, nell’ evoluzione storica, una pressione a volte travolgente sull’ elemento mondano antitetico. Ed esattamente su di un breve tratto di questa storia — del periodo che dagli anni del nostro Risorgimento giunge ai nostri giorni — le pagine che seguono intendono gettare un po’ di luce delineando le idee di fondo di pensatori italiani, spesso ignorati anche dal mondo cattolico, i quali costituiscono anelli della grande catena del cattolicesimo liberale. Una tradizione — questa del cattolicesimo liberale — che affonda le sue radici nella Scuola francescana del Trecento e nella Tardo-scolastica spagnola del Seicento, e che, fuori d’Italia, trova esponenti di primo piano — oltre che nelle opere dei pensatori italiani di cui si parla nelle pagine che seguono — in figure come quelle, nell’Ottocento, di Alexis de Tocqueville (18051859) e Frédéric Bastiat (1801-1850) in Francia e di Lord Acton (18341902) in Inghilterra; nel Novecento, in figure quali quelle di Wilhelm Röpke (1889-1966) e Konrad Adenauer (1876-1967) in Germania; e, più vicino a noi, nel pensiero di Michael Novak e Robert Sirico negli USA; di Jacques Garello, Philippe Nemo e Jean-Yves Naudet in Francia; e di Lucas Beltrán in Spagna.



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IL PENSIERO TEOLOGICO DI J. RATZINGER. LINEE FONDAMENTALI

FRANCESCO BRANCATO*

INTRODUZIONE In questo intervento mi limiterò a tratteggiare le linee-guida dell’evoluzione del pensiero teologico di Joseph Ratzinger, con la consapevolezza che ci si troverebbe di fronte ad una difficoltà non facilmente risolvibile qualora si tentasse di costringere il suo pensiero all’interno di una corrente particolare o di un movimento teologico ben definito. La sorgente principale della teologia di Ratzinger è certamente la meditazione continua del pensiero di S. Agostino, alla cui ecclesiologia egli dedicò la sua stessa tesi di laurea1. Dal pensiero del padre latino ha attinto a piene mani soprattutto per delineare la realtà della chiesa come mistero. Nel padre della chiesa Ratzinger ha trovato l’humus di una riflessione sull’uomo, colto come relazione profonda in prospettiva trinitaria, sulla comunità cristiana intesa come fraterna comunione, ed anche la radice della sua ecclesiologia eucaristica. Lo stesso Ratzinger confesserà di aver sviluppato la sua teologia dialogando con Agostino come un uomo di oggi. Un altro importante punto di riferimento per comprendere il pensiero del teologo tedesco è S. Bonaventura e la sua teologia della * 1

Docente di Teologia dogmatica presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania. J. RATZINGER, Popolo e casa di Dio in S. Agostino, 1978, ed. or. 1954.


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storia. Anche in questo caso Ratzinger ha ripreso criticamente la teologia di un grande teologo con il desiderio di «approfondire presso maestri del passato una problematica del presente». Nel teologo francescano ha trovato conferma della centralità della historia salutis: l’idea, cioè, della storia come storia della salvezza perché storia dell’intervento di Dio nella storia, lì dove viene raggiunto l’uomo concreto. Emerge qui una visione storico-salvifica ed escatologica della rivelazione di Dio unitrino il quale parla agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. La stessa rivelazione, in questa luce, è l’evento dialogico e comunicativo per eccellenza, perché è il Dio che parla all’uomo, è il suo appello rivolto all’uomo nelle sue concrete condizioni storiche. Dire questo significa affermare che proprio queste particolari condizioni non sono e non possono rimanere estranee a Dio, ma lo riguardano direttamente. Nessun messaggio astratto per un uomo astrattamente considerato, ma il Dio di Gesù Cristo che, ancora una volta, parla agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. È in Bonaventura che Ratzinger ha trovato un concetto di Rivelazione che considera il soggetto che la riceve costitutivo dell’accadimento stesso della rivelazione perché solo se a qualcuno viene rivelato qualcosa si può parlare in senso pieno di rivelazione. La rivelazione in tal modo non è semplice trasmissione di perentorie verità, ma è evento di salvezza che vede coinvolti Dio e l’uomo nella storia. Non stupisce in tal senso che pensiero storico per Ratzinger significa proprio affrontare i problemi tenendo costantemente presente il loro rapporto con il tempo in cui emergono, vengono formulati ed espressi. La rivelazione è qualcosa di vivo. Unitamente all’influenza esercitata da S. Agostino e da S. Bonaventura, autori che Ratzinger ha studiato con il vivo desiderio di «approfondire presso maestri del passato una problematica del presente», non va sottovalutata la sua simpatia per alcuni teologi contemporanei quali H. de Lubac, H. U. von Balthasar e Y. Congar per non dimenticare J. Daniélou e soprattutto R. Guardini. Ciò che in ogni caso va sottolineato, è che nel suo fare teologia Ratzinger ha sempre potuto attingere alla sua vastissima conoscenza della storia della


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teologia e dei dogmi ed ha anche messo a servizio della teologia un singolare repertorio lessicale e linguistico che ha facilitato la comprensione di tematiche spesso complesse e schiacciate sotto il peso di una complicata riflessione, con il risultato di essere a volte sottratte alla comprensione comune. Il linguaggio e il modo di affrontare le questioni da parte di Ratzinger le ha invece rese quasi trasparenti e certamente le ha avvicinate all’uomo contemporaneo. È in questo quadro che è possibile cogliere l’importanza e la portata di un’opera fondamentale del giovane teologo tedesco, Introduzione al cristianesimo, del 1968, frutto del suo insegnamento a Tubinga. È un’opera, questa, che è stata concepita con la dichiarata intenzione di aiutare l’intelligenza della fede e di presentarla come aiuto all’autentico vivere umano nel mondo contemporaneo; con l’intenzione di spiegarla e interpretarla, attraverso una ritraduzione linguistica dei contenuti del Simbolo di fede, senza per questo annacquarla o svilirla, e senza intaccare la sua forza ancora rivoluzionaria anche per l’uomo contemporaneo. Proprio all’uomo contemporaneo si era tra l’altro rivolto qualche anno prima il Concilio Vaticano II. Forte dell’esperienza viva del Concilio, Ratzinger raggiunge la propria maturità teologica nel triennio 1966-1969, periodo in cui esprime la sua sintesi teologica e la sua vasta conoscenza delle tematiche più profonde del cristianesimo, dalla cristologia — il suo pensiero rivela continuamente un forte cristocentrismo — alla sacramentaria (soprattutto l’Eucarestia); dalla liturgia — cui egli assegna un posto del tutto speciale — all’escatologia e alla teologia della creazione, nodo centrale specialmente per l’indispensabile relazione che deve impiantarsi tra teologia e scienza. Sarà infatti la partecipazione al Concilio che allargherà notevolmente gli orizzonti del giovane teologo, e che lo condurrà ad approfondire temi molto spinosi quali il rapporto tra primato pontificio ed episcopato, il concetto di tradizione e il significato del magistero e della collegialità nell’ambito della visione della Chiesa come comunione2. Il grande dono che il concilio aveva fatto alla chiesa 2 J. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio, 1971, ed. or. 1969; J. RATZINGER – K. RAHNER, Episcopato e Primato, 1966; ID., Rivelazione e Tradizione, 1970.


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era, a suo parere, il processo di aggiornamento che aveva avviato e che consisteva nel ritorno alle fonti bibliche e patristiche e dei grandi maestri del passato per la comprensione della chiesa e della sua missione nel mondo. La chiesa che ne era uscita era una “chiesa del ritorno alle origini”, per prendere in prestito un’espressione di Congar, cioè ricentrata su Cristo e sul suo mistero pasquale. Il rapporto che il Nostro ha stabilito con il dibattito conciliare e con i risultati del Vaticano II può essere ben espresso da quella che è stata definita da lui stesso l’ermeneutica della continuità. Il concilio, infatti, non è stato l’inizio di una chiesa nuova e diversa, finalmente liberata dal peso della sua tradizione bimillenaria, ma è stato un ritorno alle fonti della chiesa, della fede, della sua vita liturgica e delle ragioni della sua missione nel mondo. Ratzinger distingue pertanto tra vero e falso rinnovamento della chiesa, ed esorta a evitare sia la tentazione farisaica per cui la fede sfugge al mondo, sia quella sadducea per cui la fede si identifica con il mondo. Per lui, al contrario, il vero rinnovamento è il ritorno all’origine, cioè a Cristo, e alla tradizione viva della chiesa che scopre continuamente se stessa, il senso della sua missione e l’orientamento del suo cammino nella storia, nell’azione liturgica, massimamente nella celebrazione dell’Eucarestia. Il cammino nella storia, dunque. A questo proposito, è importante riferire, come è stato già anticipato, un dato, di certo non trascurabile. È stato costante in lui il tentativo di presentare all’uomo contemporaneo in modo semplice, chiaro e intellegibile, i contenuti della fede cristiana. Egli ha infatti sottolineato l’innata funzione catechetica della teologia e — elemento altrettanto considerevole — il suo essere a servizio dell’uomo, nonché l’inalienabile relazione esistente tra la fede e il sapere, tra la fede e la ragione. Per affermare la ragionevolezza della fede e il suo legame con il pensiero e la cultura dell’uomo di oggi, ha perciò voluto presentare il cristianesimo in termini esistenziali, personalistici, dinamici e comunitari, nel tentativo di rivelare il senso profondo delle asserzioni della Scrittura, della Tradizione e della teologia con l’orecchio sempre attento agli interrogativi che costantemente provengono dal mondo contemporaneo sempre in continua evoluzione. La sua è stata una


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teologia vissuta, non lontana dalla vita concreta e dalle domande vere dell’uomo, perché è stata una teologia legata strettamente alla sua biografia personale e in definitiva a quella che potrebbe essere detta una sorta di biografia ecclesiale, cioè concernente il vissuto concreto e reale della chiesa. Anche per questa ragione Ratzinger non ha voluto dar vita a un sistema di pensiero organico e sistematico, ma si è voluto mantenere attento alle questioni più urgenti che il momento storico reclamava all’intelligenza della fede, per cercare nella Scrittura e nella ricca tradizione vivente della chiesa la luce necessaria per chiarirle ed eventualmente per fornire un contributo valido ed efficace per la loro risoluzione. La teologia non va perciò pensata come un sistema deducibile da alcune premesse. Lo stesso Ratzinger afferma a questo proposito: «Non ho mai cercato di creare un mio sistema, una mia particolare teologia. Se proprio si vuole parlare di specificità. Si tratta semplicemente del fatto che mi propongo di pensare insieme con la fede della chiesa, e ciò significa pensare soprattutto con i grandi pensatori della fede»3.

Mi limito adesso a proporre in questa seconda parte del mio contributo degli accenni ad alcuni nodi centrali della teologia ratzingeriana: 1. cristologia; 2. ecclesiologia; 3. escatologia; 4. teologia della liturgia; 5. rapporto scienza e fede. 1. CRISTOLOGIA La cristologia, ha affermato Ratzinger, è stata l’occupazione di tutta una vita. Nella sua indagine teologica si evidenzia il costante sforzo di superare il divario, caratteristico della critica moderna, tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. Ciò che conta è che la figura di Gesù Cristo è al centro della storia e il fondamento del vero umanesimo, dell’umanità nuova perché se in lui Dio è divenuto uomo ciò significa che l’uomo acquisisce una dignità del tutto nuova e inaudita. 3 J. RATZINGER, Il sale della terra. Cristianesimo e chiesa cattolica nel XXI. Un colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo 2005, 74.


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Non solo l’uomo acquisisce una dignità unica, ma anche la storia e il mondo assumono un significato nuovi perché in Gesù di Nazareth Dio è entrato definitivamente nella storia ed ha assunto la carne dell’uomo e la materia di cui è fatto il mondo. In questo orizzonte cristocentrico il primo compito della teologia consiste nell’esibire l’affidabilità dell’evento di Gesù Cristo nel quale solamente trova luce il mistero dell’uomo: la verità di fede, in quanto annuncio del mistero di Cristo, è un’offerta di senso per l’esistenza umana. 2. ECCLESIOLOGIA A partire dalla cristologia emerge la concezione ecclesiologica della teologia di Ratzinger: la chiesa è intesa quale comunione e comunità eucaristica che rimanda sempre all’esperienza originaria e originante di comunione fatta dalla comunità dei discepoli riuniti con Gesù nel cenacolo, e quindi all’esperienza della comunità cristiana primitiva che comprese se stessa nella e a partire dalla cena eucaristica. Negli anni ’40 del secolo scorso si era sviluppato un acceso dibattito in seno alla teologia su quale definizione di chiesa bisognava preferire: la chiesa come corpo di Cristo o la chiesa come popolo di Dio? La prima definizione si faceva forte tra l’altro della ricca riflessione della Mystici corporis di Pio XII (1943), mentre la seconda concezione incontrava la simpatia di molti teologi i quali vedevano con sospetto l’immagine della chiesa quale corpo di Cristo e preferivano il concetto di “popolo” nonostante tutti i pericoli insiti nel suo utilizzo politico (soprattutto nell’ambito della teologia della liberazione). Attorno a questa questione nella teologia si era prodotto un vero e proprio «fuoco d’artificio di parole» afferma Ratzinger riprendendo una felice espressione di Norbert Lohfink. Per questa ragione il Nostro si accostò alla questione spinosa e legò la visione della chiesa alla storia della salvezza, tanto da cogliere in unità il concetto di corpo e quello di popolo in riferimento alla chiesa: questa, egli afferma, è popolo di Dio a partire dal corpo di Cristo. Nel dire questo radica la sua concezione ecclesiologica nella Scrittura e nell’insegnamento dei Padri e pensa alla chiesa come popolo di Dio fondato nell’Antica Alleanza, che per il sacrificio eucaristico viene trasformato in corpo di


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Cristo. La chiesa non esiste per se stessa, ma è lo strumento di Dio per radunare gli uomini e ricondurli a lui, per preparare il momento in cui Dio sarà tutto in tutte le cose (cfr. 1Cor 15,28). Il concetto di popolo riferito alla chiesa può perciò essere utilizzato e utile per la comprensione stessa del suo mistero, soltanto nella misura in cui non viene lasciato fuori il concetto di Dio. La chiesa è, infatti, popolo di Dio: se viene a cadere questo secondo elemento che esplicita di chi la chiesa e in rapporto a chi essa è popolo, allora viene a decadere e a perdere di significato la stessa chiesa. Questa è popolo di Dio ma nel corpo di Cristo: è essenziale per essa la sua radice teologica e il suo riferimento cristologico. Questo doppio riferimento, reso possibile dal dono dello Spirito del Risorto, fa della chiesa un mistero di comunione. Così dicendo Ratzinger di fatto accoglie con entusiasmo l’ecclesiologia di comunione che — secondo la sua stessa convinzione — costituisce il principio ordinatore dell’intera ecclesiologia conciliare. La parola communio, infatti, se rettamente intesa, al di là dei riduzionismi di cui è stata vittima (progressiva orizzontalizzazione e democratizzazione del concetto) ha, secondo la testimonianza biblica, un carattere teologico, cristologico, storico-salvifico ed ecclesiologico, e porta in sé anche la dimensione sacramentale, in quanto lo Spirito Santo rende tutti i battezzati membra gli uni degli altri e membra dell’unico corpo il cui capo è Cristo stesso, sino alla pienezza escatologica. La chiesa è sacramento della presenza di Cristo nel mondo e nella storia. Essa rende veramente presente il Signore risorto nella storia, ma non ne esaurisce la presenza né la com-prende totalmente, poiché la sua natura è quella di essere sacramento universale di salvezza e, in quanto tale, è se stessa nella misura in cui e perché con la sua presenza e la sua azione rimanda continuamente a Cristo. E come la missione di Cristo è l’essere-per-gli-altri sino alla fine, sino al dono della vita, così la chiesa nella sua missione è partecipazione al servizio di Cristo, al suo essereper-gli-altri. Non si dà pertanto alcuna chiesa chiusa nel proprio recinto, nella sua cittadella fortificata, ma solamente nella sua apertura al mondo. Se dunque la chiesa è da intendersi teo-logicamente in quanto popolo di Dio, allora essa autotrascende se stessa e si pone al servizio del regno venuto e sempre veniente di Dio. Essa è veramente nel mondo, ma non può essere confusa con qualche aggregazione societaria,


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perché la sua patria è il mistero della comunione di Dio, il Dio di Gesù Cristo, cioè il Dio rivolto all’uomo e alla sua storia. Esiste pertanto «solo una chiesa, indivisibile, che è allo stesso tempo mistero di fede e segno di fede, vita misteriosa e manifestazione visibile di questa vita»4,

ed è la chiesa corpo di Cristo che ha nell’Eucarestia il suo evento sorgivo, la fonte e il culmine della sua vita e della sua azione. Il modo di essere della chiesa le deriva dall’essere stesso di Dio che è comunione di persone, Trinità, perfetta apertura e pienezza di amore. Essa vive in forza del mistero trinitario ed è essa stessa mistero di comunione chiamata a crescere nella comunione e a intessere relazioni di comunione. Quale corpo ecclesiale di Cristo, essa è «il gesto dell’apertura divina»5 e deve pertanto mettersi a servizio di questo gesto perché si realizzi continuamente nella storia sino alla pienezza finale. 3. ESCATOLOGIA Il problema escatologico è la domanda circa l’essenza del cristianesimo in generale. L’intera riflessione escatologica da Ratzinger viene “ricentrata” cristologicamente e ogni asserzione escatologica viene riletta da lui in rapporto a Cristo, il vero eschaton. Tutto ciò perché in fondo le aspettative dell’uomo, le sue ansie, le sue domande circa il proprio futuro e quello dell’intera umanità e del mondo, la sua speranza, hanno una risposta unica, definitiva e insuperabile in Cristo. Infatti «la speranza cristiana è personalizzata; il suo centro non è nello spazio o nel tempo, nella domanda sul dove e sul quando, bensì essa è incentrata sul rapporto con la persona di Gesù Cristo e sul desiderio della sua vicinanza. Ciò che è determinante rimane il riferimento a Cristo»6.

4

J. RATZINGER, Il nuovo Popolo di Dio, Brescia 1992, 85. A. NICHOLS, Joseph Ratzinger, Cinisello Balsamo1996, 164. 6 J. RATZINGER, Escatologia. Morte e vita eterna, Assisi 1979, 31-35. 5


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Unitamente alla dimensione cristologia, Ratzinger ci ricorda che per l’escatologia cristiana è centrale la sua dimensione ecclesiale e comunitaria. La speranza cristiana ha infatti un carattere eminentemente ecclesiale, e il singolo individuo vive la propria fede e nutre la propria speranza in quanto membro dell’unico corpo di Cristo: il suo rapporto e il suo dialogo con Dio, meta e fine della propria esistenza, non avvengono al di fuori della Chiesa e senza di essa, in quanto «uomo non dialoga da solo con Dio e non entra in una eternità che appartiene a lui soltanto, bensì il dialogo cristiano con Dio passa primariamente attraverso gli uomini. Esso si rivela nella storia, nella quale Dio dialoga con gli uomini; esso avviene nel “noi” dei figli di Dio»7.

La dimensione ecclesiale dell’eschaton non si riduce ad una condizione accidentale e aggiuntiva del compimento ultimo dell’uomo, ma ne rappresenta una caratteristica essenziale in quanto «ogni uomo esiste dentro di sé e insieme fuori di sé; ognuno esiste contemporaneamente negli altri; ciò che accade al singolo, si ripercuote sull’intera umanità e ciò che accade nell’umanità, accade al singolo»8.

Recuperando la dimensione ecclesiale dell’escatologia cristiana, il Nostro nello stesso tempo coglie tutte le implicanze insite nella “deprivatizzazione” della speranza cristiana: essa non si riduce più ad una semplice aspirazione, da parte dell’individuo, alla propria salvezza personale oltre la morte, ma diventa lo sprone che guida e orienta le sue scelte a favore del bene comune e in vista dell’instaurazione del regno di Dio. La speranza cristiana è pertanto una speranza operosa che non favorisce l’evasione dell’uomo dal mondo, ma lo spinge a trasformarlo e a lavorare affinché tutte le membra del corpo di Cristo possano raggiungere il loro Capo ed essere a lui ricongiunte. «Cristo non è solo. L’unico obiettivo dell’intera sua vita terrena fu quello di edificarsi un corpo, di giungere alla ’pienezza’ Il suo corpo fa parte di 7 8

Ibid., 170-171. Ibid., 200.


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lui. Per cui l’incontro con Cristo avviene nell’incontro con i suoi, nell’incontro con il suo corpo; motivo per cui la nostra sorte, la nostra verità, proprio quando sia intesa nel senso teologico e cristologico, dipende dal rapporto che abbiamo instaurato con il suo corpo e con le sue membra sofferenti» (J. Ratzinger). Se questo è vero, continua il Teologo, allora «l’escatologia cristiana non è un rifugiarsi nell’al di là davanti ai comuni doveri di questo mondo e non significa limitarsi a una salvezza per così dire ‘privata’ dell’anima. Il punto di partenza di questa escatologia è, al contrario, proprio la ricerca della giustizia per tutti. L’escatologia è un incoraggiamento, addirittura una provocazione a praticare la giustizia e la verità; nel fatto di impegnare la nostra vita per la ricerca della verità, della giustizia e dell’amore consiste l’essenza dell’escatologia cristiana»9.

È nella liturgia che la chiesa vive anticipatamente la condizione escatologica di tutte le cose. 4. TEOLOGIA DELLA LITURGIA Nella prefazione al primo volume della sua Opera Omnia, Benedetto XVI dichiara: «La liturgia della chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita, ed è diventata anche il centro del mio lavoro teologico»10.

È nota la predilezione di Ratzinger per la liturgia, in quanto egli vede nella liturgia l’affermazione della priorità di Dio, che trova nel culto di adorazione della chiesa e soprattutto nella celebrazione eucaristica la sua espressione più alta. Di conseguenza, una buona pratica liturgica può essere stabilita solo sulla base di una solida teologia della 9

Ibid., 115-116. J. RATZINGER, Opera Omnia. Teologia della Liturgia, Città del Vaticano 2010, 5-9: 7. 10


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liturgia. Quest’ultima, specialmente la celebrazione eucaristica, è il “luogo” privilegiato in cui il cristiano fa l’esperienza anticipata della sua pienezza escatologica e della condizione finale del mondo: lì è possibile infrangere i limiti dello spazio e del tempo ed entrare in rapporto con il Cristo venuto e veniente, compimento di tutte le cose; lì si esprime la forte tensione escatologica che caratterizza l’esistenza del cristiano e della Chiesa tutta, e sempre lì la comunità credente viene raggiunta dalla salvezza operata da Cristo nel suo mistero pasquale. «La parusia costituisce l’acme, la pienezza della liturgia. La liturgia è la parusia, è l’evento parusiale in mezzo a noi. Proprio questa Chiesa, che nella liturgia appare come totalmente introspettiva, penetra invece nel più profondo centro del cosmo e opera per la sua trasformazione e liberazione. Ogni Eucaristia è parusia, l’arrivo del Signore, eppure ogni Eucaristia fa aumentare il desiderio che egli riveli il suo splendore nascosto»11.

Traspare così — continua il Nostro — il nesso strettissimo che esistente tra la liturgia e la vita cristiana e insieme l’esigenza di vivere la liturgia quale festa della speranza nell’attesa del Signore del cosmo, il Cristo. Se infatti nella sua croce, il Signore è andato «a prepararci un posto nella casa del Padre» (Gv 14, 2s), nella liturgia, la Chiesa deve preparargli a sua volta abitazioni nel mondo. Da qui il «compito concreto di trasformare la liturgia in realtà, nell’attesa che il Signore stesso le conferisca quell’ultima realtà che per ora può essere cercata soltanto in immagini»12.

Dire ciò significa affermare che anche (soprattutto e in modo unico) l’azione liturgica rappresenta non tanto il momento evasivo ed estraniante della chiesa, della sua vita, e dell’esperienza del singolo credente, quanto piuttosto la sorgente e il momento di costante verifica della sua azione e della sua missione nel mondo.

11 12

Ibid., 213. Ibid., 214.


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5. FEDE E RAGIONE, TEOLOGIA E SCIENZE Sin dall’inizio del suo ministero teologico Ratzinger si è mostrato particolarmente sensibile e attento al confronto tra fede e ragione, tra teologia e filosofia/scienze, tanto che sin dalla prolusione tenuta a Bonn per l’inizio della sua docenza sviluppò il tema: Il Dio della fede e il Dio dei filosofi. Egli è infatti convinto che l’unica via da seguire oggi sia quella che conduce a recuperare quell’unità di filosofia e teologia propria del cristianesimo primitivo, nella consapevolezza che «il viaggio del pensiero non è avviato dal cristianesimo ad una fine precoce ed equivoca, ma al contrario è da questo ampliato, agevolato e corretto»13.

Filosofia e teologia sono perciò per principio vitali l’una all’altra tanto che, come lo stesso Ratzinger ha preso atto che neppure Lutero e Barth sono stati capaci di liberarsi completamente del retaggio delle idee filosofiche nella loro teologia. La teologia, comunque, deve accogliere, purificare e, se possibile, fare proprie le grandi conquiste del pensiero filosofico dando così compimento a quelle intuizioni che altrimenti rimarrebbero senza un’adeguata risposta, in quanto «il sapere filosofico rimane un camminare sulle acque; esso non può darci stabilità. Soltanto colui che, essendo Dio incarnato, ci sostiene con la sua forza, può darci stabilità sul mare della precarietà»14.

La filosofia può pertanto dare sì un valido contributo per l’approfondimento e la penetrazione critica della teologia cristiana, ma solo nella misura in cui la sua riflessione viene assunta dalla teologia e da questa viene riletta alla luce del mistero di Cristo. La ragione non è infatti una prerogativa esclusiva degli uomini di scienza, tanto meno è incompatibile con la fede e con l’apertura al trascendente iscritta nel cuore stesso dell’uomo. Quest’ultimo, al contrario, lasciato solamente a se stesso e privato del suo riferimento al trascendente, subisce una seria 13 14

A. NICHOLS, Joseph Ratzinger, cit., 293. J. RATZINGER, Escatologia, cit., 164.


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menomazione; se viene consegnato unicamente alla scienza è lui stesso a patire una riduzione perché gli interrogativi a lui propri (“da dove veniamo”, “verso dove andiamo”, quale significato e valore hanno le scelte morali) verrebbero spostati in un ambito esclusivamente soggettivo e perderebbero qualsiasi spessore. La teologia, dunque, per rifarmi ad una felice immagine usata dallo stesso Ratzinger nella sua Introduzione al cristianesimo, deve tentare oggi più che in passato di intavolare un dialogo con le scienze, e nel fare questo non può ritenersi tanto felice ed appagata a motivo dei suoi progressi, da considerarsi ormai in grado di rimuovere i vecchi cippi di confine (per poi ovviamente ripiantarli per lo più in altri posti). Il dialogo vero tra teologia e filosofia, da una parte, e tra teologia e scienze dall’altra, non può basarsi di conseguenza su un “di volta in volta” estremamente instabile e provvisorio, ma secondo Ratzinger deve intuire e cercare solide fondamenta su cui poggiare stabilmente. Solo così essa potrà continuare a parlare all’uomo in modo credibile. Anche a chi si professa non credente e tuttavia alla ricerca della verità, perché «Come succede al credente, sempre mezzo soffocato dall’acqua salmastra del dubbio spruzzatagli continuamente in bocca dall’oceano, così esiste sempre anche per l’incredulo il dubbio sulla sua incredulità […]. Egli non sarà mai assolutamente sicuro dell’ermetico isolamento di ciò che ha intravisto e dichiarato come il tutto, rimarrà invece sempre assillato dall’interrogativo se la fede non sia davvero la realtà, e l’unica capace di esprimerla. Sicché, allo stesso modo in cui il credente ha la netta consapevolezza di essere continuamente minacciato dall’incredulità, che è costretto a subire come perenne tentazione, così la fede resta per l’incredulo una continua minaccia e tentazione incombente sul suo mondo apparentemente sempre chiuso. In una parola: non si sfugge al dilemma di essere uomini»15.

Gerard Müller, vescovo di Ratisbona e curatore dell’edizione tedesca dell’Opera Omnia, ha scritto che al centro del pensiero di Ratzinger sta il rapporto tra fede e ragione, ma l’affermazione della 15

J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Brescia 2005, 37-38.


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Francesco Brancato «interdipendenza necessaria tra ratio e religione, egli continua, in Ratzinger irriga e dà vita non solo al campo degli studi teologici, ma anche ai campi del pensare e dell’agire umano»16

perché di fronte al problema del senso della vita e della morte è direttamente l’uomo ad essere chiamato in causa, la sua intelligenza, i suoi sentimenti, le sue speranze, la sua fede. La sua ragione ha tuttavia bisogno di incontrare la fede perché venga condotta oltre se stessa, perché accetti il ruolo correttivo che la fede può svolgere nei suoi confronti. Ma anche la fede subisce un benefico influsso dal suo riferimento alla ragione. Quest’ultima deve essere però una ragione dialogale, uditiva e allargata, aperta alle istanze della fede. Una ragione in ascolto. Non una semplice facoltà dell’uomo. È l’uomo stesso che si scopre intelligente per la sua apertura dialogica a Dio e quindi agli altri. CONCLUSIONE Nel crearlo cardinale Paolo VI disse di Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco: «Diamo attestato a lei il cui alto magistero teologico in prestigiose cattedre universitarie e in numerose pubblicazioni ha fatto vedere come la ricerca teologica, nella via maestra della fides quaerens intellectum, non possa e non debba essere disgiunta dalla profonda, libera, creatrice adesione al magistero, che autenticamente interpreta e proclama la parola di Dio». Ci sarebbero molte cose da dire su questi tre aggettivi, soprattutto sul termine “libera” che definisce la teologia di Ratzinger. Credo infatti che sia quanto mai azzeccata la frase di un noto giornalista francese, pronunciata in occasione dell’uscita del libro Gesù di Nazaret di Ratzinger, il quale ebbe a dire: «Con tanti teologi che si considerano papi, si è lietamente sorpresi nel vedere un papa che si accontenta di parlare da teologo!» (J. Julliard). Un’affermazione, questa, che fa giustizia a Ratzinger il quale per indole e per convinzione personale è stato non solo aperto al dibattito 16 Conferenza stampa dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura del 3 novembre 2010.


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e al confronto, ma anche sempre attento alle istanze critiche dei suoi interlocutori anche fermi su posizioni molto lontane dalle sue. Ciò che infatti egli ha ricercato nel suo fare teologia è stato il tentativo di affrontare la questione della verità, della bellezza e della visibilità della fede cristiana nell’attuale situazione storica e in rapporto alle forme di razionalità e ai modi di intendere la vita oggi prevalenti. La teologia è a servizio del messaggio cristiano che deve mostrarsi come proposta di vita buona e autentica, e per fare questo deve presentare Gesù di Nazareth, vero Dio e vero uomo, come colui nel quale l’uomo trova la verità di se stesso. La teologia deve essere subordinata alla contemplazione, alla carità e alla santità perché, in definitiva, «la vera teologia è sempre costruita sull’esperienza dei santi»17. Non a caso — osserva il Nostro — dietro Atanasio c’è Antonio d’Egitto, dietro Gregorio Magno c’è Benedetto da Norcia e dietro Bonaventura c’è San Francesco. La teologia deve essere contemplativa, ma deve anche essere operazione del pensiero aperto nel e dal dialogo con la fede. La sua attenzione è stata infatti rivolta ad una ragione aperta all’azione sanante della fede che ha il potere di elevarla al di sopra dei suoi limiti e di aprirla a quella eccedenza di senso che da sola non sarebbe in grado di raggiungere e di cogliere, perché ci è offerta solamente nel Logos fattosi carne, Cristo Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo nel quale è dato all’uomo di pre-vedere l’esito finale del cammino storico del mondo, la sua condizione ultima. In tal modo Ratzinger non solo ha fatto teologia, ma ha vissuto il suo ministero teologico come un servizio, ben sapendo che i teologi non sono chiamati a proporre ciascuno la propria personale visione della verità, ma sono chiamati a porsi a servizio della verità stessa che in definitiva è Cristo, il suo vangelo di salvezza, creduto e annunciato nella e dalla chiesa per il mondo. Dire questo non significa togliere qualcosa al legittimo pluralismo in teologia tanto che lo stesso Ratzinger ha parlato a più riprese della «verità della fede che si incontra non come mono-fonia, ma come sinfonia, non come armonia di una sola voce, ma come polifonia». La teologia deve realizzare una continua opera di conciliazione per 17

A. NICHOLS, Joseph Ratzinger, cit., 73.


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Francesco Brancato

andare oltre le conflittualità delle tesi estreme e delle proposizioni esagerate, per favorire un’intelligente e critica via di mezzo, una soluzione evangelica che rifiuti ogni pericoloso eccesso. Alla mensa della chiesa, per usare un’immagine di Nichols, “il menù non è fisso”, ma bisogna anche ricordare che il campo della fede è l’unità, quello della teologia è l’interpretazione e il pluralismo, un pluralismo fruttuoso, posto, cioè, a servizio della crescita e della comunione di tutti. Ciò che si dà è allora un pluralismo riferito all’unità e a servizio dell’unità e della tensione interiore della totalità della fede. Lo stesso studioso domenicano, nella sua ben nota biografia teologica di Ratzinger, afferma: «Il teologo sistematico crea la lingua nella quale possa essere accolto in modo nuovo il significato della Tradizione, in risposta alle preoccupazioni del mondo moderno, ma anche sfidando, completando e trasformando queste preoccupazioni con la potenza divina della Tradizione. È nel suo contributo positivo a questo duplice progetto che dev’essere giudicata la teologia di Joseph Ratzinger»18.

Possiamo in conclusione riferire a Ratzinger quanto egli stesso ha detto in riferimento alla natura e alla missione dei cristiani e dei teologi nel mondo contemporaneo: «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può fare ritorno presso gli uomini»19.

18

Ibid., 310. J. RATZINGER, Conferenza tenuta a Subiaco il 1 aprile del 2005, pochi giorni prima dell’elezione al Soglio Pontificio. 19


Synaxis 3 (2011) 77-89

VERITÀ E COSCIENZA IN J. RATZINGER

GIUSEPPE PEZZINO*

Joseph Ratzinger ha indubbiamente il merito di aver posto al centro della questione morale il concetto di coscienza anche in ordine alla crisi che investe il mondo occidentale. Egli prende le mosse dalla chiara consapevolezza che il dibattito sull’etica ruota attorno alla dialettica di libertà/necessità, di autonomia/eteronomia, di coscienza/autorità. Attorno a quest’asse dialettico, infatti, si sono misurate tesi che, avendo affermato il primato della libertà nell’azione morale, respingono il concetto di necessità che si annida nell’obbligazione della norma; e tesi che, affermando il primato della legge, negano ogni effettiva libertà morale. E ancora: tesi che postulano una legge morale esclusivamente fondata e data dalla ragione; e tesi che considerano un errore di arroganza pretendere di fondare la legge morale esclusivamente sul dettato della ragione. Da qui la contrapposizione fra morale della coscienza e morale dell’autorità. Una contrapposizione che, avendo investito le rispettive aree della filosofia morale e della teologia morale, non può non riflettersi sulla stessa Chiesa che vede fronteggiarsi due modelli di cattolicesimo: uno, che spiega la fede cristiana a partire dalla libertà; e l’altro, che sottopone l’esperienza cristiana all’autorità, ossia ad un complesso di norme dettate ab extra. Rispetto ai due modelli, netta è la posizione di Ratzinger a favore del primo, che offre una «comprensione rinnovata» della stessa * Docente di Filosofia Morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania.


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Giuseppe Pezzino

essenza del cattolicesimo e del valore della libertà, laddove il secondo è da lui giudicato come «modello superato»: «In tale contesto vengono così contrapposte due concezioni del cattolicesimo: da un lato sta una comprensione rinnovata della sua essenza, che spiega la fede cristiana a partire dalla libertà e come principio della libertà e, dall’altro lato, un modello superato, “pre-conciliare”, che assoggetta l’esistenza cristiana all’autorità, la quale attraverso norme regola la vita fin nei suoi aspetti più intimi e cerca in tal modo di mantenere un potere di controllo sugli uomini»1.

Appare chiaramente vincente il primo modello, fondato sulla coscienza-libertà, rispetto a quello di un legalismo etico fondato sull’autorità esterna. E il principio di libertà, che anima la morale della coscienza, sembra incompatibile con il legalismo della morale dell’autorità: «Così “morale della coscienza” e “morale dell’autorità” sembrano contrapporsi tra di loro come due modelli incompatibili; la libertà dei cristiani sarebbe poi messa in salvo facendo appello al principio classico della tradizione morale, secondo cui la coscienza è la norma suprema, che dev’essere sempre seguita, anche in contrasto con l’autorità. E se l’autorità — in questo caso il Magistero ecclesiastico — vuol parlare in materia di morale, può certamente farlo, ma solo proponendo elementi per la formazione di un autonomo giudizio alla coscienza, la quale tuttavia deve sempre mantenere l’ultima parola. Tale carattere di ultima istanza proprio della coscienza viene ricondotto da alcuni autori alla formula secondo cui la coscienza è infallibile»2.

A questo punto, però, Ratzinger vira impercettibilmente; e punta a riconsiderare questa contrapposizione in modo più approfondito e meno schematico di quanto non sia stato fatto tradizionalmente all’interno della stessa Chiesa: se è vero, infatti, che bisogna ascoltare la coscienza nell’esperienza morale, è altrettanto vero che la coscienza non sempre è infallibile nel formulare giudizi sull’azione già compiuta 1 2

J. RATZINGER, L’elogio della coscienza. La Verità interroga il cuore, Siena 2009, 5. Ibid., 5-6.


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o da compiere. È un fatto innegabile, insomma, che i giudizi di coscienza spesso si contraddicano tra loro: «È fuori discussione che si deve sempre seguire un chiaro dettame della coscienza, o che almeno non si può mai andare contro di esso. Ma è questione del tutto diversa se il giudizio di coscienza, o ciò che uno prende come tale, abbia anche sempre ragione, se esso cioè sia infallibile. Infatti se così fosse, ciò vorrebbe dire che non c’è nessuna verità — almeno in materia di morale e di religione, ossia nell’ambito dei fondamenti veri e propri della nostra esistenza. Dal momento che i giudizi di coscienza si contraddicono, ci sarebbe dunque solo una verità del soggetto, che si ridurrebbe alla sua sincerità»3.

In altri termini, quando la coscienza di ciascun individuo pone mano ai giudizi, ci si prospetta una selva intricata di posizioni antitetiche e contraddittorie. E, stando così le cose, la coscienza potrebbe apparire irrimediabilmente condannata a possedere una «verità soggettiva». Purtroppo, una «verità soggettiva» non solo ha il vizio logico della contradictio in adiecto, ma addirittura ci spinge verso le molteplici e subdole forme di relativismo, che sfociano tutte nella palude dello scetticismo teoretico e dell’utilitarismo etico. Invero, quanti di noi non hanno innalzato in buona coscienza il proprio “particulare” a ideale di vita e a categoria di giudizio? Forse, persino l’imperatrice Semiramide, la quale «libito fé licito in sua legge», operò in piena lussuria e in buona coscienza. E, se la coscienza permanesse nel soggettivo, inevitabilmente prenderebbe il sopravvento il modello legalistico della morale dell’autorità. Occorre quindi uscire dall’antinomia in cui ci trascina la contrapposizione fra coscienza e legge. Da qui la proposta di Ratzinger, tendente a superare tale antinomia mediante la ricerca di qualcosa di più profondo: «Dal momento che i giudizi di coscienza si contraddicono, ci sarebbe dunque solo una verità del soggetto, che si ridurrebbe alla sua sincerità. Non ci sarebbe nessuna porta e nessuna finestra che potrebbe condurre 3

Ibid., 6.


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dal soggetto al mondo circostante e alla comunione degli uomini. Chi ha il coraggio di portare questa concezione fino alle sue ultime conseguenze arriva alla conclusione che non esiste dunque nessuna vera libertà e che quelli che supponiamo essere dettami della coscienza, in realtà non sono altro che riflessi delle condizioni sociali. Ciò dovrebbe condurre alla convinzione che la contrapposizione tra libertà e autorità lascia da parte qualcosa; che dev’esserci qualcosa di ancor più profondo, se si vuole che libertà e, quindi, umanità abbiano un senso»4.

A questo punto, nell’intraprendere il cammino verso la definizione di una coscienza come autentica fonte di libertà, di verità e di bene, Ratzinger abbandona la forma della trattazione puramente concettuale ed astratta, per adottare invece una forma narrativa — più attraente, ma non meno rigorosa — che gli consente di polemizzare, con leggera ma efficace ironia, contro i sostenitori dell’essenza soggettiva della coscienza. «Fu all’inizio della mia attività accademica che, per la prima volta, divenni consapevole di tale questione in tutta la sua urgenza. Una volta, un collega più anziano, cui stava molto a cuore la situazione dell’essere cristiano nel nostro tempo, nel corso di una discussione, espresse l’opinione che bisognava davvero esser grati a Dio, per aver concesso a così tanti uomini di poter essere non credenti in buona coscienza. Infatti, se si fossero loro aperti gli occhi e fossero divenuti credenti, non sarebbero stati in grado, in un mondo come il nostro, di portare il peso della fede e dei doveri morali che ne derivano. Ora invece, dal momento che percorrono un’altra strada in buona coscienza, possono non di meno raggiungere la salvezza. Quello che mi sbalordì in quest’affermazione non fu innanzi tutto l’idea di una coscienza erronea concessa da Dio stesso, l’idea, per così dire, di un accecamento mandato da Dio stesso per la salvezza delle persone in questione. Ciò che mi turbò fu la concezione che la fede sia un peso difficile da portare e che sia adatto solo a nature particolarmente forti: quasi una forma di punizione, e comunque un insieme oneroso di esigenze cui non è facile far fronte. Secondo tale concezione, la fede, lungi dal rendere la salvezza più accessibile, la farebbe più difficile. Dovrebbe essere felice, pertanto, proprio colui cui non viene addossato l’onere di 4

L.c.


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dover credere e di doversi sottomettere a quel giogo morale, che la fede della Chiesa cattolica comporta»5.

In questa pagina di Ratzinger c’è l’eco del Pascal raffinato polemista delle Lettere Provinciali. In effetti, la forma narrativa scelta non a caso da Ratzinger — col personaggio del collega universitario, buon cattolico, che sostiene candidamente la tesi della positività di una “buona coscienza” senza fede e senza doveri morali — ci riporta, mutatis mutandis, a certe sapide scene rappresentate in quella sorta di commedia che Pascal imbastisce nelle Provinciali. Tra l’altro, il buon collega — che con la sua lode a Dio, per aver concesso a tantissimi uomini di non credere e tuttavia di salvarsi, sbalordisce e turba il giovane professor Ratzinger — assomiglia alquanto al buon Padre gesuita che, tra l’ingenuo e il furbesco, cozza contro i princìpi della filosofia morale e della teologia cristiana, suscitando stupore e indignazione nel giovane Louis de Montalte, nelle Lettere Provinciali: «Benedetto voi, caro padre, — esclama Louis de Montalte — che giustificate così la gente. Gli altri insegnano a guarire le anime mediante austerità dolorose, ma voi dimostrate che quelle che si sarebbero credute le più disperatamente malate stanno benissimo. Che bella via per essere felici in questo mondo e nell’altro! Avevo sempre pensato che si peccasse tanto più, quanto meno si pensa a Dio. Invece a quanto vedo, se si riesce a imporsi una volta per tutte di non pensarci affatto, ogni cosa diviene pura in seguito. Niente mezzi peccatori, con un po’ d’amore per la virtù. Saranno tutti dannati questi mezzi peccatori, mentre questi peccatori decisi, peccatori incalliti, peccatori schietti, pieni e completi, l’inferno non li rinchiude. Hanno beffato il diavolo a forza di concedersi a lui»6.

Ma torniamo alle considerazioni dello sbalordito Ratzinger, in merito alle discutibili affermazioni del suo collega. In primo luogo, egli mostra a quali conseguenze paradossali porta siffatta tesi, secondo cui il possesso di una coscienza senza fede è una felice concessione divina, che ci porta alla salvezza: 5 6

Ibid., 7-8. B. PASCAL, Le Provinciali, Quarta Lettera, a cura di C. Carena, Torino 2008, 67-69.


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Giuseppe Pezzino «La non verità, il restare lontani dalla verità, sarebbe per l’uomo meglio della verità. Non sarebbe la verità a liberarlo, anzi egli dovrebbe piuttosto esserne liberato. L’uomo starebbe a casa propria più nelle tenebre che nella luce; la fede non sarebbe un bel dono del buon Dio, ma piuttosto una maledizione. Stando così le cose, come dalla fede potrebbe provenire gioia? Chi potrebbe avere addirittura il coraggio di trasmettere la fede ad altri? Non sarebbe meglio risparmiar loro questo peso o anche tenerli lontani da esso?»7.

Con paradossale coerenza si potrebbe dire: meglio non diffondere la luce della fede cristiana, per evitare a tanti uomini il pesante fardello dei doveri morali e dei dettami dell’autorità ecclesiastica. Meglio così, perché i tanti uomini privi della luce della fede e liberi da ogni obbligazione si salveranno più agevolmente dei miseri credenti. Ma, beninteso, quella che poteva restare un’ironia di stampo pascaliano, in Ratzinger si fa autorevole ed amara denuncia di un erroneo senso della libertà e della coscienza, che ha paralizzato l’antico slancio evangelizzatore e che, se si diffonde ancora, potrebbe essere fatale per la fede: «Negli ultimi decenni, concezioni di questo tipo hanno visibilmente paralizzato lo slancio dell’evangelizzazione: chi intende la fede come un carico pesante, come un’imposizione di esigenze morali, non può invitare gli altri a credere; egli preferisce piuttosto lasciarli nella presunta libertà della loro buona fede»8.

Una volta denunciata l’inquietante «caricatura della fede», Ratzinger passa a considerare criticamente lo stesso concetto di coscienza che viene formulato nella tesi del collega «cattolico rigoroso». E qui si fa evidente l’insufficienza e la pericolosità di tale concetto di «coscienza erronea», la quale evita il peso della fede e dell’obbligazione morale. Anzi, occorre proprio distinguere la coscienza erronea — che dispensa l’uomo dalla ricerca della verità universale, facendolo rifugiare nel relativismo — dalla coscienza 7 8

J. RATZINGER, L’elogio della coscienza, cit., 8. L.c.


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autentica, che invece supera la mera soggettività nell’incontro fra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio. «La coscienza erronea protegge l’uomo dalle onerose esigenze della verità e così la salva: questa era l’argomentazione. Qui la coscienza non si presenta come la finestra che spalanca all’uomo la vista su quella verità universale, che fonda e sostiene tutti noi e che in tal modo rende possibile, a partire dal suo comune riconoscimento, la solidarietà del volere e della responsabilità. In questa concezione la coscienza non è l’apertura dell’uomo al fondamento del suo essere, la possibilità di percepire quanto è più elevato e più essenziale. Essa sembra essere piuttosto il guscio della soggettività, in cui l’uomo può sfuggire alla realtà e nascondersi. […] La coscienza non apre la strada al cammino liberante della verità, la quale o non esiste affatto o è troppo esigente per noi. La coscienza è l’istanza che ci dispensa dalla verità. Essa si trasforma nella giustificazione della soggettività, che non si lascia più mettere in questione […] Il dovere di cercare la verità viene meno, così come vengono meno i dubbi sulle tendenze generali predominanti nella società e su quanto in essa è diventato abitudine. L’essere convinto delle proprie opinioni, così come l’adattarsi a quelle degli altri sono sufficienti. L’uomo è ridotto alle sue convinzioni superficiali e, quanto meno sono profonde, tanto meglio è per lui»9.

Nel portare a termine la critica contro questo «guscio della soggettività», che è la coscienza erronea e superficiale, Ratzinger torna all’ironia pascaliana della narrazione. Sicché la scena si amplia, ed accoglie più colleghi, i quali dibattono sul potere giudicante della coscienza soggettiva, sino al punto che qualcuno di loro giunge a sostenere, con estrema naturalezza e un malinteso senso della consequenzialità, che persino Hitler e i suoi complici commisero bensì orrendi crimini, ma restarono in pace con la loro coscienza e con la loro morale. «Quanto era stato per me — scrive Ratzinger — solo marginalmente chiaro in questa discussione, divenne pienamente evidente un po’ dopo, in occasione di una disputa tra colleghi, a proposito del potere di giustificazione della coscienza erronea. Qualcuno obiettò a questa tesi che, se ciò dovesse avere un valore universale, allora persino i membri delle SS naziste sarebbero giustificati e dovremmo cercarli in paradiso. Essi infatti 9

Ibid., 9-10.


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Giuseppe Pezzino portarono a compimento le loro atrocità con fanatica convinzione ed anche con un’assoluta certezza di coscienza. Al che un altro rispose con la massima naturalezza che le cose stavano proprio così: non c’è proprio nessun dubbio che Hitler ed i suoi complici, che erano profondamente convinti della loro causa, non avrebbero potuto agire diversamente e che quindi, per quanto siano state oggettivamente spaventose le loro azioni, essi, a livello soggettivo, si comportarono moralmente bene. Dal momento che essi seguirono la loro coscienza — per quanto deformata —, si dovrebbe riconoscere che il loro comportamento era per loro morale e non si potrebbe pertanto mettere in dubbio la loro salvezza eterna»10.

Con un filo d’ironia per la “serietà” di siffatta argomentazione filosofica e teologica, dovremmo fiduciosamente sperare di trovare un bel giorno, in paradiso, qualche “coscienzioso” criminale come Hitler o Stalin. Comunque sia, gli esiti paradossali di quell’argomentare ci aiutano a diffidare della coscienza fondata sui criteri relativistici di un uomo contemporaneo che, avendo spesso perduto il senso della colpa e del peccato, si sente stoltamente sereno e moralmente “in regola”11. Pertanto, una rigorosa riflessione sul concetto di coscienza non può far coincidere sbrigativamente questa con la sicumera di un soggetto che si compiace di sé e indulge ai capricci e agli interessi del proprio “particulare”. E in questo caso Ratzinger trae delle conseguenze ben nette e degne di considerazione: «Non si può identificare la coscienza dell’uomo con l’auto-coscienza dell’io, con la certezza soggettiva su di sé e sul proprio comportamento morale. Questa consapevolezza, da una parte, può essere un mero riflesso dell’ambiente sociale e delle opinioni ivi diffuse. D’altra parte può derivare da una carenza di autocritica, da una incapacità di ascoltare le profondità del proprio spirito. […] L’errore, la “coscienza erronea”, solo 10

Ibid., 10-11. A tal proposito, è opportuno ricordare la parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,10-14). Tra il pubblicano peccatore e il fariseo giusto passa indubbiamente la differenza netta che separa le opere malvagie da quelle buone, e che condanna le prime ed approva le seconde. Ma, al vaglio divino di Gesù, c’è ancora un altro male, un altro peccato: quello del giusto fariseo che non percepisce più la colpa, che si sente in pace con sé stesso, con la Legge e con Dio, mentre non s’accorge del silenzio e del sonno della sua coscienza. 11


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a prima vista è comoda. Infatti, se non si reagisce, l’ammutolirsi della coscienza porta alla disumanizzazione del mondo e ad un pericolo mortale. Detto con altre parole: l’identificazione della coscienza con la consapevolezza superficiale, la riduzione dell’uomo alla sua soggettività non libera affatto, ma rende schiavo; essa ci rende totalmente dipendenti dalle opinioni dominanti ed abbassa anche il livello di queste ultime giorno dopo giorno. Chi fa coincidere la coscienza con convinzioni superficiali, la identifica con una sicurezza pseudo-razionale, intessuta di auto giustificazione, conformismo e pigrizia»12.

Nel citare il cardinale John Henry Newman, Ratzinger fa ben intendere che, per uscire dall’antinomia fra la soggettività della coscienzalibertà e l’oggettività della legge-autorità, occorre riconsiderare il concetto di coscienza alla luce del concetto di verità. Anzi, occorre evidenziare il legame che intercorre fra coscienza e verità: «Per Newman il termine medio che assicura la connessione tra i due elementi della coscienza e dell’autorità è la verità. […] La presenza preponderante dell’idea di coscienza in Newman non significa che egli, nel XIX secolo e in contrasto con l’oggettivismo della neoscolastica, abbia sostenuto per così dire una filosofia o teologia della soggettività. […] La coscienza non significa per Newman che il soggetto è il criterio decisivo di fronte alle pretese dell’autorità, in un mondo in cui la verità è assente e che si sostiene mediante il compromesso tra esigenze del soggetto ed esigenze dell’ordine sociale. Essa significa piuttosto la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso; la coscienza è il superamento della mera soggettività nell’incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio»13.

E qui si avverte la presenza di sant’Agostino: infatti, prendendo qualche distanza dall’oggettivismo della neoscolastica, Newman rivaluta quella coscienza — non certo soggettiva! — che l’Ipponate aveva inteso come luce interiore, che riflette una verità universale ed eterna: «Noli foras ire, in teipsum redi; in interiore homine habitat veritas». E 12 13

J. RATZINGER, L’elogio della coscienza, cit., 13-5. Ibid., 17-8.


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noi, però, trascuriamo sovente quel che egli aggiunge subito dopo: «et si tuam naturam mutabilem inveneris, transcende et teipsum»14. A questo punto è già matura la definizione del concetto di coscienza, che Ratzinger articola su due livelli: quella dell’anamnesis e quello della conscientia. Nel primo caso, ci troviamo di fronte al livello ontologico della coscienza come memoria: un livello che, tralasciato il tradizionale concetto medievale di synderesis ereditato dalla filosofia stoica, pone al centro il concetto di anamnesis che abbraccia e la filosofia di Platone e i temi fondamentali della Bibbia. «La corrente principale della scolastica ha espresso i due livelli della coscienza con i concetti di sinderesi e di coscienza. Il termine sinderesi (synderesis) confluì nella tradizione medioevale sulla coscienza dalla dottrina stoica del microcosmo. Rimase però non chiaro nel suo esatto significato e venne così a costituire un ostacolo per un accurato sviluppo della riflessione su questo aspetto essenziale della questione globale circa la coscienza. Vorrei quindi, pur senza entrare nel dibattito sulla storia del pensiero, sostituire questo termine problematico con il concetto platonico, molto più nettamente definito, di anamnesi, il quale ha il vantaggio non solo di essere linguisticamente più chiaro, più profondo e più puro, ma anche soprattutto di concordare con temi essenziali del pensiero biblico e con l’antropologia sviluppata a partire dalla Bibbia»15.

Pertanto, col termine platonico di anamnesis bisogna intendere, secondo Ratzinger, quel che afferma S. Paolo sulla coscienza, a proposito di quei pagani che per natura agiscono secondo la Legge, perché il dettato della Legge è scritto nei loro cuori: «Cum enim gentes, quae legem non habent, naturaliter, quae legis sunt, faciunt, eiusmodi legem non habentes ipsi sibi sunt lex; qui ostendunt opus legis scriptum in cordibus suis, testimonium simul reddente illis conscientia ipsorum, et inter se invicem cogitationibus accusantibus aut etiam defendentibus»16.

14

De vera religione liber unus, 39.72. J. RATZINGER, L’elogio della coscienza, cit., 23. 16 Rm 2,14-15. 15


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Tra l’altro, questo concetto di coscienza come memoria deve fare riferimento all’insegnamento di Agostino, il quale sostiene che la parte più nobile dello spirito umano (mens humana) detiene l’immagine di Dio, che anzi, pur non essendo Dio, è immagine di Dio: «Nunc vero ad eam iam pervenimus disputationem, ubi principale mentis humanae, quo novit Deum vel potest nosse, considerandum suscepimus, ut in eo reperiamus imaginem Dei. Quamvis enim mens humana non sit illius naturae cuius est Deus: imago tamen naturae eius qua natura melior nulla est, ibi quaerenda et invenienda est in nobis, quo etiam natura nostra nihil habet melius. Sed prius mens in se ipsa consideranda est antequam sit particeps Dei, et in ea reperienda est imago eius. Diximus enim eam etsi amissa Dei participatione obsoletam atque deformem, Dei tamen imaginem permanere. Eo quippe ipso imago eius est, quo eius capax est, eiusque particeps esse potest; quod tam magnum bonum, nisi per hoc quod imago eius est, non potest. Ecce ergo mens meminit sui, intellegit se, diligit se: hoc si cernimus, cernimus trinitatem; nondum quidem Deum, sed iam imaginem Dei»17.

Questo primo livello ontologico della coscienza, dunque, è dato dal fatto che in noi — che nella parte migliore siamo imago Dei — sono impresse in modo indelebile le categorie del bene e del vero: categorie, beninteso, che ci provengono non già dall’esterno, bensì dall’immagine di Dio. Su questa anamnesi di Dio si fonda la natura universale della vera coscienza; su questa anamnesi di Dio si fonda quella sorta di sentimento del bene che nutre e indirizza la coscienza. Ecco: il concetto platonico di anamnesi ci dice che la Verità non proviene e non si impone ab extra, ma dev’essere ricercata e scoperta nelle profondità di una coscienza che, sia pur degradata e precipitata nelle tenebre dell’errore e dell’apparenza, possiede tuttavia la memoriaanamnesis della Verità e del Bene. E come può accadere che, dalla discesa-katabasis fin negli inferi dell’errore e della malvagità, la coscienza possa disporsi alla risalita-anabasis della memoria del vero e del bene? Anche in questo caso, ci soccorre Platone: perché la memoria si rischiari, è necessario aiutare la coscienza con un delicato procedimento di maieutica. 17

De Trinitate libri quindecim, XIV, 8. 11.


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Giuseppe Pezzino

Proprio su questo livello platonico-agostiniano della coscienza intesa come anamnesis, Ratzinger è in grado di superare la vecchia antinomia tra una malintesa autonomia della coscienza soggettiva ed un’altrettanto malintesa eteronomia dell’autorità oggettivamente data dalla legge. Un’antinomia, beninteso, che si rivela particolarmente nefasta, quando lacera e paralizza la vita di una Chiesa, che rischia di parteggiare ora per l’autorità della legge senza la libertà ora per la libertà senza l’autorità della legge. In altri termini, la tesi di Ratzinger sana codesta conflittualità, perché il concetto di coscienza autentica, come anamnesis, soddisfa le legittime esigenze della libertà e, al contempo, il concetto di maieutica garantisce le legittime esigenze del Magistero ecclesiastico. Da questo punto di vista, il Magistero — e in primo luogo il primato del Papa — devono ora intendersi non già come ottundimento e soggezione delle anime, bensì come necessario e prezioso ausilio maieutico a riaccendere la memoria del vero e del bene, la quale risiede nella parte più nobile di ogni uomo e proviene da Dio: «Il Papa — afferma Ratzinger — non può imporre ai fedeli cattolici dei comandamenti, solo perché egli lo vuole o perché lo ritiene utile. Una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato teologico del papato. Così la vera natura del ministero di Pietro è diventata del tutto incomprensibile nell’epoca moderna precisamente perché in questo orizzonte mentale si può pensare all’autorità solo con categorie che non consentono più alcun ponte tra soggetto e oggetto. Ma le cose si presentano del tutto diverse a partire da un’antropologia della coscienza, quale abbiamo cercato di delineare a poco a poco in queste riflessioni. L’anamnesi infusa nel nostro essere ha bisogno, per così dire, di un aiuto dall’esterno per diventare cosciente di sé. Ma questo “dal di fuori” non è affatto qualcosa di contrapposto, anzi è piuttosto qualcosa di ordinato ad essa: esso ha una funzione maieutica, non le impone niente dal di fuori, ma porta a compimento quanto è proprio dell’anamnesi, cioè la sua interiore specifica apertura alla verità»18.

E, affinché la sua tesi non sia male intesa come soluzione “debole” o come atto di sostanziale resa nei confronti di un certo delirio di onni18

J. RATZINGER, L’elogio della coscienza, cit., 26.


Verità e coscienza in J. Ratzinger

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potenza e di onniscienza della coscienza soggettiva, Ratzinger torna a precisare le sue idee sul primato del Papa e sull’autorità della Chiesa: «Ciò non significa che i fedeli possiedano una fattuale onniscienza, ma indica piuttosto la certezza della memoria cristiana. Essa naturalmente impara di continuo, ma a partire dalla sua identità sacramentale, e operando così interiormente un discernimento tra quanto è uno sviluppo della memoria e quanto è una sua distruzione o una sua falsificazione. Oggi noi, proprio nella crisi attuale della Chiesa, stiamo sperimentando in modo nuovo la forza di questa memoria e la verità della parola apostolica: più delle direttive della gerarchia è la capacità di orientamento della memoria della fede semplice che porta al discernimento degli spiriti. Solo in tale contesto si può comprendere correttamente il primato del Papa e la sua correlazione con la coscienza cristiana. Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende»19.

19

Ibid., 27-28.



Synaxis 3 (2011) 91-137

LA PROSPETTIVA PERSONALISTICA DI GIOVANNI PAOLO II NELLA GIURISPRUDENZA ROTALE*

SALVATORE BUCOLO**

L’uomo, nella sua complessità e straordinarietà, è il soggetto al quale il Vangelo si rivolge per offrirgli quell’unica via che lo conduce ad un’autentica redenzione, Gesù Cristo incarnato per opera dello Spirito Santo nel grembo di Maria, morto in croce, risorto e asceso alla destra del Padre. Per questo Giovanni Paolo II, da precursore e figlio del Concilio Vaticano II, all’inizio del suo ministero pontificio, nella sua prima enciclica Redemptor hominis, ha voluto affermare in modo chiaro e fermo che l’uomo è la via della Chiesa1. Questa idea, sulla quale ha voluto continuamente fondare il suo servizio pastorale fin dai suoi primissimi anni di sacerdozio, l’ha sempre sostenuta e annunziata in ogni circostanza. Memorabili, in tal senso, sono i discorsi che annualmente egli rivolgeva al Tribunale della sacra Rota Romana. In uno di questi esordiva con queste parole: «Con profondo spirito evangelico il Concilio Ecumenico Vaticano II ci ha abituati a guardare all’uomo, per conoscerlo in tutti i suoi problemi e per aiutarlo a risolvere i suoi problemi esistenziali con la luce della verità *

Estratto della tesi di Licenza in Teologia morale discussa l’8 ottobre 2010 presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania, relatore il prof. G. Giombanco. ** Baccelliere in Teologia. 1 Cfr. IOANNES PAULUS II, Lett. enc. Redemptor homins (04.03.1979) 10, in EV, 6/1194.


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Salvatore Bucolo rivelataci da Cristo e con la grazia che ci offrono i divini misteri della salvezza»2.

Uno sguardo vero e concreto rivolto all’uomo chiaramente non può prescindere da quella relazione attraverso cui la persona esprime e realizza autenticamente se stessa: l’amore coniugale tra un uomo e una donna. «Tra quelli (problemi) che oggi più travagliano il cuore dell’uomo […] va annoverato come preminente ed inderogabile quello dell’amore coniugale, che lega due esseri umani distinti per sesso, facendone una comunità di vita e di amore, unendoli cioè in matrimonio. […] In verità, aggiunge il Concilio,“il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare”»3.

Le sue catechesi delle udienze del mercoledì, che hanno preceduto e accompagnato il Sinodo dei Vescovi del 1980 sulla famiglia, nonché i suoi diversi interventi magisteriali, rappresentano una ricchezza inesauribile e un punto di riferimento fondamentale per tutto ciò che riguarda i temi del matrimonio e della famiglia. Ma non potrà mai esserci una vera ed efficace azione pastorale, se tali contributi non troveranno risonanza all’interno dell’azione legislativa e giudiziaria della Chiesa, in cui ci si confronta direttamente con lo scenario concreto e quotidiano del matrimonio in tutte le sue complessità e contraddizioni. «Quasi vano potrebbe risultare lo sforzo pastorale, sollecitato anche dall’ultimo Sinodo dei Vescovi, se non fosse accompagnato da una corrispondente azione legislativa e giudiziaria. A conforto di tutti i Pastori possiamo dire che la nuova codificazione canonica sta provvedendo con sagge norme giuridiche a tradurre quanto è emerso dall’ultimo Concilio Ecumenico in favore del matrimonio e della famiglia. […] La Chiesa pertanto, anche con il suo diritto e l’esercizio della potestas iudicalis, può

2 3

ID., Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (24.01.1981), in AAS 73 (1981) 229. L c.


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e deve salvaguardare i valori del matrimonio e della famiglia, per promuovere l’uomo e valorizzare la dignità»4.

In tal senso, la promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico offre fondamenti antropologici, biblici, giuridici e pastorali importanti ed efficaci per una più autentica comprensione e conseguente realizzazione dell’istituto matrimoniale. Tale cammino, però, non può mai considerarsi concluso, perché nello stesso nuovo CIC «rimangono ancora canoni, di rilevante importanza nel diritto matrimoniale, che sono stati necessariamente formulati in modo generico e che attendono una ulteriore determinazione, alla quale potrebbe validamente contribuire innanzitutto la qualificata giurisprudenza rotale»5.

Pertanto, è compito della giurisprudenza rotale, non solo fare opera di mediazione tra lo ius e il factum, ma soprattutto realizzare «una delicata quanto necessaria funzione di inveramento nella legge divina della legalità umana, da qualsiasi fonte prodotta, operando al tempo stesso tutte le correzioni e integrazioni che si rendessero necessarie»6.

Oltre alla promozione della persona nei suoi diritti e doveri fondamentali iscritti nella sua natura dal Creatore, la legislazione della Chiesa possiede una sua peculiarità, che non si trova in nessun altro ordinamento giuridico: «la tutela dei diritti personali di tutti i membri del Popolo di Dio, fedeli o pastori, non deve sminuire la promozione di quella comunione ecclesiale, che si pone come istanza primaria di tutta la legislazione ecclesiastica, e che deve guidare tutta l’attività del popolo di Dio. La Chiesa infatti è definita “sacramento di unità”»7. 4

Ibid., 231-233. ID., Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (02.07.1984), in AAS 76 (1984) 648. 6 G. GIOMBANCO, Il concetto di interpersonalità coniugale nella giurisprudenza rotale, in Apollinaris 70 (1997) 112. 7 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (26.02.1983), in AAS 75 (1983) 556. 5


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Salvatore Bucolo

Tale aspetto richiede un’opera certamente non semplice, perché abbraccia una realtà umana ampia più di qualsiasi altra al mondo, vale a dire il popolo di Dio sparso in tutti i continenti, con le sue diversità di lingua, etnia, colore e cultura, a cui va annunciato l’unico Vangelo che rivela alla persona il suo vero orizzonte di vita e il suo progetto di amore coniugale. Tale annunzio, oggi più che mai, è chiamato a confrontarsi (talvolta a scontrarsi) con i grandi e innegabili progressi apportati dalle scienze biologiche, psicologiche, psichiatriche e sociali nella comprensione dell’identità della persona. «È, in ogni caso, fuori dubbio che una approfondita conoscenza delle teorie elaborate e dei risultati raggiunti dalle scienze menzionate offre la possibilità di valutare la risposta umana alla vocazione al matrimonio in un modo più preciso e differenziato di quanto permetterebbero la sola filosofia e la sola teologia. […] Non si può però non riconoscere che le scoperte e le acquisizioni nel campo puramente psichico e psichiatrico non sono in grado di offrire una visione veramente integrale della persona, risolvendo da sole le questioni fondamentali concernenti il significato della vita e la vocazione umana»8.

A motivo delle nuove conoscenze scientifiche, la legislazione canonica si è aperta, in modo del tutto unico e singolare nella sua storia legislativa, alla possibilità che la persona possa soffrire di anomalie psichiche così gravi da viziare il suo consenso matrimoniale. Infatti il can. 1095 recita così: «Sunt incapaces matrimonii contrahendi: 1° qui sufficienti rationis usu carent; 2° qui laborant defectu discretionis iudicii circa iura et officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda et acceptanda; 3° qui ob causas naturae psychicae obligationes matrimonii essentiales assumere non valent».

Tale condizionamento, però, non va mai visto in modo automatico, 8 ID., Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (05.02.1987), in AAS 79 (1987) 14541455.


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perché bisogna sempre salvaguardare la persona stessa nella sua capacità naturale di fondare e vivere l’unione coniugale, nonché di tutelare il matrimonio, che, in quanto tale, è per il bene vero della persona. A motivo di ciò, perde di senso la diffusa prassi attuale di ricondurre ad ogni minima immaturità affettiva la causa della nullità di un matrimonio, dimenticando che la vita coniugale è un cammino infinito di due che tendono sempre verso una maturità di amore. Il matrimonio è, pertanto, come insegna il Concilio, un patto irrevocabile tra un uomo e una donna, che si sono concretamente e liberamente scelti per ciò che sono e rappresentano l’uno per l’altro9, manifestando all’esterno, secondo la forma canonica, quella volontà interna, chiara e decisa di donarsi e accettarsi reciprocamente, a tal punto da diventare una sola carne in una relazione interpersonale10. Purtroppo, molto spesso ci si scontra con la mentalità diffusa, volta in apparenza a difendere i diritti della persona, ma che in realtà nasconde una visione sempre più individualistica ed egoistica del matrimonio, secondo cui l’arbitrarietà dell’uomo diventa il perno di ogni pensiero e azione. In tale contesto, urge avere una idea chiara e corretta del concetto di persona: ad una prassi ormai frequente che considera la persona in ogni sua singola dimensione, quali l’intelligenza, la volontà, l’affettività, le emozioni, i sentimenti, ecc., bisogna opporre una visione unitaria e integrale della persona (totalità), l’unico essere capace di originare in sé e per sé la propria realizzazione biografica (autoaffermazione), nella sua singolarità e irripetibilità, che sfugge ad ogni schematismo concettuale (storicità), e nella sua naturale tensione verso l’altro, che salvaguarda e sviluppa sempre più e sempre meglio il suo essere persona (comunicabilità) nelle sue aspirazioni più intime e profonde 11. 9

Cfr. GS 48, in EV, 1/1471. Cfr. can. 1057:«§1. Matrimonium facit partium consensus inter personas iure habiles legitime manifestatus, qui nulla humana potestate suppleri valet. §2. Consensus matrimonialis est actus voluntatis. Quo vir et mulier foedere irrevocabili sese mutuo tradunt et accipiunt ad constituendum matrimonium» 11 Cfr. J. M. SERRANO RUIZ, Il carattere personale ed interpersonale del matrimonio: alcune riflessioni su questioni di terminologia e di merito come preambolo per una rilettura delle cause canoniche di nullità, in Quaderni dello Studio Rotale 14 (2004) 45-48. 10


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1. LA PERSONA TRA LO IUS CONNUBII (CAN. 1058) E L’INCAPACITAS MATRIMONII CONTRAHENDI (CAN. 1095) Alcuni dei fondamenti del sistema canonico matrimoniale potrebbero essere definiti di ordine giuridico-naturale, perché propri della natura insita dell’uomo. Fra questi lo ius connubii, così menzionato sia nel vecchio Codice del 1917 al can. 1035 sia in quello nuovo del 1983 al can. 1058: «Omnes possunt matrimonium contrahere, qui iure non prohibentur». A tale proposito, Giovanni Paolo II, in un suo discorso alla Rota Romana, riguardo al matrimonio, afferma: «Questa realtà essenziale è una possibilità aperta in linea di principio ad ogni uomo e ad ogni donna; anzi, essa rappresenta un vero cammino vocazionale per la stragrande maggioranza dell’umanità. Ne consegue che, nella valutazione della capacità o dell’atto di consenso necessari alla celebrazione di un valido matrimonio, non si può esigere ciò che non è possibile richiedere alla generalità delle persone. Non si tratta di minimalismo pragmatico o di comodo, ma di una visione realistica della persona umana, quale realtà sempre in crescita, chiamata a operare scelte responsabili con le sue potenzialità iniziali, arricchendole sempre di più con il proprio impegno e con l’aiuto della grazia»12.

Quando ci si chiede quale sia la capacità necessaria per contrarre validamente il matrimonio, non bisogna mai dimenticare che lo ius connubii è diritto fondamentale della persona. In una sentenza rotale Coram Sciacca13 del 25 ottobre 2002, infatti, si ricorda che il matrimonio è la vocazione di quasi tutti gli uomini, per cui non è possibile esigere una maturità che non si trovi nella stragrande maggioranza delle persone. Anche nei cosiddetti rudiores14 questa capacità va presunta, perché, 12 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (27.01.1997), in AAS 89 (1997) 489. 13 Cfr. Coram SCIACCA (25.10.2002), in Ius Ecclesiae 15 (2003) 699: «Uti compertum, e Divo Thoma sane scimus, hominem naturaliter ad matrimonium, uti totius vitae foedus, inclinare». 14 Cfr. l.c.


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come afferma lo stesso Giovanni Paolo II nel discorso alla Rota Romana del 2001, «per sua natura l’unione coniugale riguarda la stessa mascolinità e femminilità delle persone sposate, per cui non si tratta di un’unione che richiede essenzialmente delle caratteristiche singolari nei contraenti. Se così fosse, il matrimonio si ridurrebbe ad una fatale integrazione tra le persone e le sue caratteristiche come anche la sua durata dipenderebbero unicamente dall’esistenza di un affetto interpersonale non meglio determinato»15.

Detto diritto fondamentale, che esprime in termini giuridici questa inclinatio naturae di ogni uomo al matrimonio, deve essere riconosciuto, promosso e protetto dalla Chiesa non solo come il diritto di contrarre un valido matrimonio e di fondare una famiglia, ma in tutti i suoi momenti di sviluppo nei rapporti coniugali e familiari. Soprattutto quando la stessa relazione coniugale entra in crisi e viene presentata ai Tribunali della Chiesa, affinché ne venga dichiarata la verità sulle relative cause, lo ius connubii deve essere il primo elemento da tutelare e salvaguardare, poiché riguarda la natura più intima della persona nei suoi diritti fondamentali. Non si rende, dunque, un servizio vero alla dignità stessa della persona, se, con grande facilità e, a volte, con disonesta superficialità, essa viene considerata incapace del patto matrimoniale attuale. Purtroppo, il più delle volte ciò accade perché, rendendo nullo il suo matrimonio, la persona si rende libera da ogni vincolo così da poter accedere a nuove nozze. È il servizio alla verità, e non la dichiarazione di nullità del matrimonio fine a se stessa, il compito della sacra Rota Romana, perché soltanto nel rispetto della conformità alla verità, ci sarà la salus animarum, la salvezza di ogni singolo fedele. A tal proposito, Giovanni Paolo II con grande chiarezza ribadisce: «Tutta l’attività del Giudice ecclesiastico, come ebbe ad esprimersi il mio venerato predecessore Giovanni XXIII, consiste nell’esercizio del “misterium veritatis”. In questa prospettiva è facile capire come il Giudice non possa fare a meno di invocare il “lumen Domini” per poter distinguere la 15 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (01.02.2001), in AAS 93 (2001) 362.


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Salvatore Bucolo verità in ogni singolo caso. A loro volta, però, le parti interessate non dovrebbero mancare di chiedere per sé nella preghiera la disposizione di accettazione radicale della decisione definitiva, pur dopo aver esaurito ogni mezzo legittimo per contestare ciò che in coscienza ritengono non corrispondente alla verità o alla giustizia del caso»16.

Purtroppo, come si asserisce nella sentenza Coram Doran17 del 1 luglio 1988, l’affermarsi sempre più dilagante di una mentalità divorzista fa vedere la dichiarazione di nullità come la soluzione più giusta per il bene della persona. Non si comprende che in un’ottica del genere chi viene veramente e realmente mortificato è l’uomo stesso, invece, «ogni tutela della famiglia legittima è sempre in favore della persona; mentre la preoccupazione unilaterale in favore dell’individuo può risolversi a danno della stessa persona umana, oltre a nuocere al matrimonio e alla famiglia, che sono beni e della persona e della società. È in questa prospettiva che vanno viste le disposizioni del vigente Codice circa il matrimonio. Nel messaggio del Sinodo alle famiglie cristiane è sottolineato il grande bene che la famiglia, soprattutto cristiana, costituisce e realizza per la persona umana»18.

Lo stesso inciso presente al can. 1058 «qui iure non prohibentur», affermando che lo ius connubii non è un diritto assoluto e arbitrario 16

ID., Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (28.01.1994), in AAS 86 (1994) 949-

950. 17 Cfr. Coram DORAN (01.07.1988), in RRDS [=Romanae Rotae Decisiones Sententiae] 80 (1988) 457: «In causis autem matrimonialibus bona conclusio, saltem bono totius Ecclesiae Christi considerato, non est semper declaratio invalidatis, nec quidem sententia pro vinculo, sed est recta veritatis comprobatio secundum ordinem processualem ab Ecclesiae lege stabilitum, servata omni celeritate debita. Adversus autem hanc inquisitionem sanctam veritatem eruendam aliquibus in locis militant plura. Imprimis, notari debet “mentalitas divorcista”. Ubi enim florent societates pluralisticae, matrimonium aestimatur tamquam aliquod bonum, iustum, institutum a societate in adiumentum communitatis, sed minime sanctum, unitate et indissolubitate praeditum, perpetuum, ne dicamus sacramentum. Ubi praevalet talis mens, impulsus divortium quaerendi in causis naufragii maritalis est fortior: ut remedium est simplex, velox, pretio vile, vindex» 18 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (24.01.1981), in AAS 73 (1981) 233.


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nel suo esercizio, non fa altro che ribadire il valore della persona nella sua verità. Tale diritto, infatti, spetta ad entrambi i coniugi, per cui il suo esercizio non dipende esclusivamente da chi lo detiene, ma è necessariamente soggetto al libero consenso e alla volontà dell’altro che si unirà a quella del coniuge in un’unica volontà consensuale. Inoltre, data la sua rilevanza in ambito sociale e comunitario, la sua applicazione può anche essere limitata mediante requisiti e presupposti stabiliti dalla competente autorità nella regolamentazione del matrimonio. Tali condizioni, chiaramente, non sono da usare arbitrariamente secondo l’ideologia della singola autorità, ma sono esigenze che appartengono al diritto divino naturale o positivo, perché derivano dalla stessa natura dell’uomo19. In tale contesto si colloca meglio il principio dell’incapacitas matrimonii contrahendi, vale a dire all’interno dello stesso diritto naturale di ogni uomo di poter contrarre matrimonio, è possibile un’anomalia tale che renda la singola persona incapace di sposarsi. Non bisogna però mai confondere l’anomalia psichica con l’incapacità consensuale, perché «una anomalia psichica o una malattia mentale non è mai in sé e per sé la causa di nullità, ma la circostanza di fatto del soggetto sulla quale misurare, sempre caso per caso, se al momento di contrarre matrimonio, lo priva del possesso del sufficiente uso di ragione, della necessaria discrezione di giudizio o della possibilità di assumere i doveri coniugali essenziali, i quali sono i criteri giuridici normativi per misurare e definire l’incapacità consensuale secondo il can. 1095 e, pertanto, le vere cause di nullità»20.

Pertanto, la reale privazione della capacità interna ad emettere il consenso deve rispondere ad una vera e grave anomalia psichica, perché il matrimonio è una realtà alla portata di qualunque persona, essendone essa stessa predisposta per natura. L’incapacitas è, dunque, un difetto, che impedisce alla persona di attuare quanto in modo mirabile ci viene detto da Gaudium et spes 48: 19 Cfr. A. D’AURIA., Il matrimonio nel diritto della Chiesa. Commento ai canoni 1055-1165 del Codice di diritto canonico, Roma 2003, 47-48. 20 P. J .VILADRICH , Il consenso matrimoniale, Milano 2001, 18.


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«Intima communitas vitae et amoris coniugalis, a Creatore condita suisque legibus instructa, foedere coniugii seu irrevocabili consensu personali instauratur. Ita actu humano, quo coniuges sese mutuo tradunt atque accipunt, istitutum ordinatione divisa firmum oritur, etiam coram societate»21;

e dall’esortazione apostolica Familiaris Consortio 11: «amoris coniugalis foedus vel conscia ac libera electio, qua vir ac mulier in se recipiunt vitae amorisque communitatem intimam, a Deo ipso praestitutam»22.

Commentando questi testi, la stessa sentenza Coram Doran recita così: «Vocibus “actus humanus” et “consensus personalis” et “conscia ac libera electio” nil aliud dicitur quam matrimonium instaurari posse ab omnibus et solis illis qui facultatibus coordinatis intellectus et voluntatis ita id aestiment ut ipsum coniugium volentes cognoscant et cognoscentes velint»23.

È importante, allora, affinché possa esserci il consenso matrimoniale, che la persona abbia non una conoscenza tecnica, precisa o di tipo concettuale del patto coniugale, ma un minimo di coscienza comune e popolare del matrimonio come comunità permanente tra 21 22

GS 48, in EV, 1/1471. FC 11, in EV, 7/1562.

23 Coram DORAN, cit., 451-452. La sentenza prosegue così: «Electio conscia, ut sit et fiat, pro concesso sumit intellectum speculativum non ignorare “matrimonium esse consortium permanens inter virum et mulierem ordinatum ad prolem, cooperatione aliqua sexuali, procreandam”(cfr. can. 1096 §1). Sane, nupturiens qui nescit has notas explicite, quibus matrimonialis contractus innotescat, minime consensum dare postest. […] Dein, ut habeatur electio libera, exigitur ille “consensus personalis”, actus nempe voluntatis, “quo vir et mulier foedere irrevocabili sese mutuo tradunt et accipunt ad costituendum matrimonium” (can. 1057 § 2). Cum illud “sese mutuo tradere et accipere” amplectatur summam onerum quae contracti matrimonialis essentiam constituunt, voluntas ea omnia assumere debet, saltem implicite, quatenus verum matrimonium quis contrahere vult. Tandem, qui nuncupari possit “actus humanus” sensu integrali, deliberatus, id est cum deliberatione, versetur oportet circa has nuptias hic et nunc in concreto ineundas».


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l’uomo e la donna, ordinata alla procreazione mediante una qualche cooperazione umana. Solo in assenza di tale consapevolezza libera e responsabile, il consenso potrà considerarsi viziato o, a volte, non esistente. In tale contesto, allora, si potrà parlare non più di difficoltà, fallimenti o crisi matrimoniali, ma di una vera e propria incapacitas matrimonii contrahendi del coniuge o di entrambi i coniugi, che condiziona e compromette lo stesso ius connubii. In definitiva, in una causa di nullità matrimoniale non basta accertare che ci sia tale incapacitas, ma bisogna verificare che essa sia grave, antecedente alla celebrazione, perpetua, insanabile, ma soprattutto che vizi realmente il consenso matrimoniale. Ad esempio, come si legge nella Coram Doran, non è sufficiente che un coniuge soffra realmente di psicosi maniaco-depressiva, ma bisogna soprattutto provare che tale patologia abbia realmente condizionato il consenso matrimoniale24. Se è vero che la dottrina canonica col can. 1095 del nuovo CIC si è aperta a una mentalità nuova, in cui la psichiatria e la psicologia contemporanea offrono contributi non indifferenti per la comprensione di problematiche coniugali e familiari, essa deve anche mostrarsi prudente nell’emettere giudizi sulle varie situazioni matrimoniali che si presentano ai Tribunali. «Per il canonista deve rimanere chiaro il principio che solo l’incapacità, e non già la difficoltà a prestare il consenso e a realizzare una vera comunità di vita e di amore, rende nullo il matrimonio. Il fallimento dell’unione coniugale, peraltro, non è mai in sé una prova per dimostrare tale incapacità dei contraenti, i quali possono aver trascurato, o usato male, i mezzi sia naturali che soprannaturali a loro disposizione, oppure non aver accettato i limiti inevitabili e i pesi della vita coniugale, sia per blocchi di natura 24 Cfr. ibid., 455: «Etsi de exsistentia et gravitate psychosis maniaco-depressivae certo constet, hoc per se ad declarandam matrimonii nullitatem non sufficit. Constare insuper debet vel matrimonium celebratum fuisse incidente phasi aut maniaca aut depressiva, vel, si extra illas, aegroti discretionem fuisse ita perturbatam ut contrahens ad absurdam decisionem matrimonialem pervenerit, aut quia officia essentialia haud sufficienter aestimaverit, aut quia nuptias celebraverit in adiunctis quibus rationabiliter id facere non posset».


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inconscia, sia per lievi patologie che non intaccano la sostanziale libertà umana, sia, infine, per deficienze di ordine morale. Una vera incapacità è ipotizzabile solo in presenza di una seria forma di anomalia che, comunque si voglia definire, deve intaccare sostanzialmente le capacità di intendere e/o volere del contraente»25.

Concludendo, possiamo ora asserire che lo ius connubii e l’incapacitas matrimonii contrahendi affermano, da prospettive diverse, l’unico valore della persona umana nella sua dignità più vera e più autentica. Il primo riconosce all’uomo quel diritto di realizzarsi in ciò che più eleva la dignità della persona, quale l’amore coniugale; se tale diritto viene leso, tutta la persona verrà mortificata nei meandri della sua intimità. Il secondo, invece, prevede l’eccezione di anomalie che non annullano il diritto, ma rendono la persona stessa inabile a tale diritto. Se ad una persona incapace di sposarsi, si dà la possibilità di contrarre matrimonio, ad essa non viene riconosciuto un diritto altrimenti negato né tanto meno viene offerto un aiuto per la sua promozione umana, ma all’anomalia, che già rende problematica la sua vita, si aggiunge il peso di una vita coniugale che va al di là delle sue umane possibilità. Ne saranno conseguenza le crisi, le depressioni, le schizofrenie, le incomprensioni, i litigi e tutti quei fenomeni indice di un profondo disagio umano. Pertanto, una visione integrale della persona, supportata dall’aiuto delle diverse scienze umane, potrà rendere un vero e prezioso servizio all’uomo e all’istituto matrimoniale. 2. FAVOR MATRIMONII O FAVOR PERSONAE ? (CAN. 1060) Il principio generale, per il quale un atto giuridico, una volta posto, si presume valido, finché non si provi il contrario, vige in ogni ordinamento legale, e attribuisce all’atto stesso una stabilità tale che i suoi effetti non possono estinguersi se non con un nuovo atto giuridico. Tale principio trova una peculiare applicazione anche nel sistema canonico, in cui l’istituto del matrimonio gode, in generale, di una 25 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (05.02.1987), in AAS 79 (1987) 1457.


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tutela speciale, chiara e manifesta in tutto il diritto matrimoniale. È propriamente il can. 1060 a stabilire una presunzione di validità del matrimonio celebrato, finché non sia provato il contrario: «Matrimonium gaudet favore iuris; quare in dubio standum est pro valore matrimonii, donec contrarium probetur». Come più volte ribadito, il matrimonio, in ragione della sua stessa natura, è l’istituto giuridico che più di tutti va tutelato e protetto, perché la sua stabilità ha grande rilievo nel raggiungimento del bene comune, del progresso sociale di ogni sorta di comunità e, soprattutto, della promozione di ogni singola persona. Tuttavia, tale principio all’interno della stessa canonistica moderna non è stato mai esplicitato con la dovuta chiarezza per la mentalità secondo cui il favor iuris, in realtà, attribuisce maggiore importanza alla struttura del matrimonio, alla pura protezione delle sue apparenze a scapito della persona in esso coinvolta. A tal riguardo, significativo ed esplicito è il discorso che Giovanni Paolo II rivolge il 29 gennaio 2004 alla Rota Romana: «desidero nuovamente soffermarmi sulle cause matrimoniali a voi affidate e, in particolare, su un aspetto giuridico-pastorale che da esse emerge: alludo al “favor iuris” di cui gode il matrimonio, e alla connessa presunzione di validità in caso di dubbio, dichiarata dal canone 1060 del Codice latino[…]. Talvolta infatti si sentono voci critiche al riguardo. Tali principi ad alcuni sembrano legati a situazioni sociali e culturali del passato, nelle quali la richiesta di sposarsi in forma canonica presupponeva normalmente nei nubendi la comprensione ed accettazione della vera natura del matrimonio. Nella crisi che in tanti ambienti segna oggi purtroppo questa istituzione, a costoro sembra che la stessa validità del consenso debba considerarsi spesso compromessa, a causa dei vari tipi di incapacità oppure per l’esclusione di beni essenziali. Dinanzi a questa situazione, i critici menzionati si domandano se non sarebbe più giusto presumere l’invalidità del matrimonio contratto piuttosto che la sua validità. […]Più a monte, il problema riguarda la concezione del matrimonio, a sua volta inserita in una visione globale della realtà. L’essenziale dimensione di giustizia del matrimonio, che fonda il suo essere in una realtà intrinsecamente giuridica, viene sostituita da ottiche empiriche, di stampo sociologico, psicologico, ecc., così come da varie modalità di positivismo giuridico. Senza nulla togliere ai validi contributi che possono provenire dalla socio-


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logia, dalla psicologia o dalla psichiatria, non si può dimenticare che una considerazione autenticamente giuridica del matrimonio richiede una visione metafisica della persona umana e della relazionalità coniugale. Senza questo fondamento ontologico, l’istituzione matrimoniale diventa mera sovrastruttura estrinseca, frutto della legge e del condizionamento sociale, limitante la persona nella sua libera realizzazione»26.

In realtà, era proprio la visione riduzionista della natura umana a far ravvisare nel favor matrimonii una vera e propria opposizione alla dignità della persona, nella sua libertà e nelle sue aspirazioni più alte di autorealizzazione. Tutto questo spinse gli stessi canonisti alla necessità di proporre una revisione totale di tale principio, al punto che, dinanzi a casi di dubbio sulla validità del consenso matrimoniale, si reputava più giusto optare per la libertà della persona, anziché presumere che il matrimonio fosse valido finché non venisse provato il contrario. Così, contro il favor matrimonii considerato ormai storicamente e culturalmente passato, si afferma un principio nuovo, moderno, a difesa non solo della libertà dell’uomo, ma anche e soprattutto della stessa persona nella sua vera dignità: tale principio viene chiamato favor libertatis o favor personae. In questa nuova visone, il favor matrimonii viene visto semplicemente come un principio, finalizzato esclusivamente a proteggere un’istituzione o un ordine sociale estrinseco alla persona dei coniugi, dimenticando che nessuna struttura giuridica, in quanto tale, nasce per se stessa, ma solo ed esclusivamente per la persona, affinché tramite essa, la persona stessa possa attuare quei fini che da sola non potrebbe assolutamente realizzare. In tale contesto simile, il favor personae non tutela il bene della persona in quanto tale, ma si pone a servizio del suo individualismo. «Questo ingiusto formalismo di coloro che avversano il tradizionale favor matrimonii può arrivare a dimenticare che, secondo l’esperienza umana

26 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (29.01.2004), in AAS 96 (2004) 349-352.


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segnata dal peccato, un matrimonio valido può fallire a causa dell’uso sbagliato della libertà degli stessi coniugi»27.

L’istituto matrimoniale, a differenza delle altre strutture giuridiche, ha la peculiarità importante di essere connaturale alla natura stessa dell’uomo. L’uomo, in quanto tale, possiede questa inclinatio naturae al matrimonio: infatti, escludendo la presenza di una grave anomalia che possa viziare l’atto stesso del consenso, si presume che si sposi sempre validamente, tranne che la presenza di una grave anomalia abbia viziato l’atto stesso del consenso. Dovere del giudice è, quindi, non fare di tutto per dichiarare la nullità del vincolo matrimoniale, ma salvaguardare l’uomo nella sua originaria inclinatio naturae al patto coniugale, e affermarne la nullità, se la realtà della prova lo esige. Da ciò si comprende come il favor matrimonii si fondi principalmente non sulla presunzione di validità degli atti formalmente manifestati, ma sulla realtà della natura umana che, in materia matrimoniale, si riflette dalla inclinatio naturae al matrimonio. Il favor matrimonii, pertanto, non è che un’espressione del favor veritatis, che impone, in questo caso, il riconoscimento della verità sull’uomo e sul matrimonio. È la verità, e non la forma, ciò che importa al nostro CIC: gli elementi formali hanno un loro peso e, come tali, vanno sempre attentamente e saggiamente valorizzati, ma al centro di ogni lavoro canonistico va sempre affermata la verità dell’uomo e del suo patto coniugale. Non si può inoltre non sottolineare che il favor matrimonii ha la sua ragion d’essere in una visione della persona nella sua natura fortemente relazionale che trova la propria realizzazione nel dono sincero di sé, così come leggiamo nella Lettera alle famiglie di Giovanni Paolo II: «Nell’affermare che l’uomo è l’unica creatura sulla terra voluta da Dio per se stessa, il Concilio aggiunge subito che egli non può “ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è affatto. È, piuttosto, il grande e meraviglioso 27

Ibid., 351.


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paradosso dell’esistenza umana: un’esistenza chiamata a servire la verità nell’amore. L’amore fa sì che l’uomo si realizzi attraverso il dono sincero di sé: amare significa dare e ricevere quanto non si può né comperare né vendere, ma solo liberamente e reciprocamente elargire. Il dono della persona esige per sua natura di essere duraturo ed irrevocabile. L’indissolubilità del matrimonio scaturisce primariamente dall’essenza di tale dono: dono della persona alla persona. In questo vicendevole donarsi viene manifestato il carattere sponsale dell’amore»28.

Non hanno senso, pertanto, tutte quelle proposte che ancora oggi continuano a criticare il favor matrimonii a motivo del fatto che in esso, a parere di alcuni, si constata una scelta preferenziale del bene della società a svantaggio del bene della persona e della sua libertà. E lo stesso Giovanni Paolo II in un suo discorso alla Rota Romana il 28 gennaio 2002 continua a ribadire: «Talvolta, in questi anni, si è avversato il tradizionale “favor matrimonii”, in nome di un “favor libertatis” o “favor personae”. In questa dialettica è ovvio che il tema di fondo è quello dell’indissolubilità, ma l’antitesi è ancor più radicale in quanto concerne la stessa verità sul matrimonio, più o meno apertamente relativizzata. Contro la verità di un vincolo coniugale non è corretto invocare la libertà dei contraenti che, nell’assumerlo liberamente, si sono impegnati a rispettare le esigenze oggettive della realtà matrimoniale, la quale non può essere alterata dalla libertà umana. L’attività giudiziaria deve dunque ispirarsi ad un “favor indissolubilitatis”, il quale ovviamente non significa pregiudizio contro le giuste dichiarazioni di nullità, ma la convinzione operativa sul bene in gioco nei processi, unitamente all’ottimismo sempre rinnovato che proviene dall’indole naturale del matrimonio e dal sostegno del Signore agli sposi»29.

La libertà non è in contrasto con la natura stessa dell’uomo, ma ne è un elemento essenziale, in quanto l’uomo si libera veramente non ponendosi, col suo arbitrio, come principio assoluto di ogni verità e scelta morale, ma orientandosi verso il vero bene iscritto nella sua 28

ID., Lett. alle famiglie Gratissimam sane (02.02.1994)11, in EV, 14/203. IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (28.01.2002), in AAS 94 (2002) 344-345. 29


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stessa natura. Non si deve allora parlare di natura e di libertà come di due realtà diverse e persino contrastanti, ma di unica natura umana libera. L’inclinatio naturae al matrimonio non è altro che presupposto e fondamento del consenso matrimoniale, attraverso cui l’uomo pone un atto naturale (cioè proprio della sua natura) e libero, perché consapevolmente e responsabilmente si orienta verso il proprio vero bene. Il favor matrimonii, pertanto, perseguendo il bonum societatis, offre una certa sicurezza a quelle relazioni giuridiche importanti per il bene della persona stessa. La tutela del vincolo matrimoniale indissolubile e validamente costituito promuove il bene personale di ognuno dei coniugi in una stabilità di rapporti che vanno poi a beneficio di tutta la società. La validità di un matrimonio, pertanto, costituisce un bene comune per la Chiesa e la società civile, in quanto ordinato al bonum societatis, non inteso però come fine proprio, ma come effetto, poichè, fondando la famiglia, esso promuove notevolmente il retto ordine sociale, come si può leggere nella sentenza Coram Sciacca30. Questa intrinseca dimensione sociale del matrimonio va tenuta in grande conto nelle cause riguardanti la simulazione del consenso, soprattutto nei casi in cui il presunto simulante sia una persona che, nei diversi ambiti della sua vita, abbia dimostrato un costante interesse per il conseguimento del bene della famiglia e, di conseguenza, della società31. Pertanto, i giudici, i pastori, gli stessi coniugi, devono tener conto del favor iuris, di cui gode il matrimonio, inteso non solo come una presunzione di validità del matrimonio celebrato secondo le formalità stabilite, ma soprattutto come un principio fondamentale del sistema 30

Cfr. Coram SCIACCA, cit.,707: «Caeterum, bonum societatis per se adnumerandum est inter matrimonii effectus, qui unice promanant e consensu utpote actu humano ordinato ad familiam constituendam». 31 Cfr. ibid.,706-707: «autem ficticium novum nullitatis caput in exclusione praedicti boni societatis innixum; quod perperam essemus facturi, quia matrimonium in seipso prima est societas, ergo positiva volutas praeprimis necessario esse deberet contra ipsum matrimonium eiusque essentialia onera, non autem contra generalem societatem hominum fere distinctam seu avulsam a prima societate quae, uti diximus, familia est».


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matrimoniale e dal cui rispetto dipende in gran misura il bonum personae, il bonum societatis e la salus animarum. «Occorre invece riscoprire la verità, la bontà e la bellezza dell’istituto matrimoniale, che essendo opera dello stesso Dio attraverso la natura umana e la libertà del consenso dei coniugi, rimane come realtà personale indissolubile, come vincolo di giustizia e di amore, legato da sempre al disegno della salvezza ed elevato nella pienezza dei tempi alla dignità di sacramento cristiano. Questa è la realtà che la Chiesa e il mondo debbono favorire! Questo è il vero “favor matrimonii”!»32.

3. L’IMMATURITÀ IN RAPPORTO CON LA NULLITÀ DEL MATRIMONIO (CAN. 1095) Tra le cause di nullità matrimoniale per incapacità, quelle per immaturità, soprattutto affettiva, sono ormai da decenni particolarmente numerose in molti Paesi. Tuttavia è opinione abbastanza comune che il tema non sia stato finora chiarito a sufficienza, benché dei significativi passi avanti siano stati compiuti. Oggi è convinzione unanime che l’immaturità affettiva non costituisce di per sé un capo o figura giuridico-canonica di nullità, ma rappresenta una fattispecie che può rientrare più o meno in uno dei motivi previsti dalla dottrina canonica sull’incapacità consensuale (can. 1095): in questo senso si pensa specialmente al grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali, oppure talvolta all’incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica. Ciò nonostante, sussiste tuttora una difficoltà pratica assai frequente: su come l’accertamento empirico dell’immaturità affettiva, generalmente segnalato con l’ausilio di perizie psicologiche o psichiatriche, possa incidere effettivamente sul consenso matrimoniale. A tale questione, Giovanni Paolo II risponde affermando: «che il dialogo e una costruttiva comunicazione tra il giudice e lo psichiatra o psicologo sono più facili se per entrambi il punto di partenza si pone entro 32 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (29.01.2004), in AAS 96 (2004) 352.


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l’orizzonte di una comune antropologia, così che, pur nella diversità del metodo e degli interessi e finalità, una visione resti aperta all’altra»33.

Chiaramente, una concezione dell’uomo chiusa alla trascendenza, in cui la visione della persona oscilla tra determinismo psichico o sociale e autoaffermazione egoistica, porterebbe ad una concezione del matrimonio come «semplice mezzo di gratificazione o di autorealizzazione o di decomposizione psicologica»34. In un’ottica del genere, infatti, si ignora il senso del dovere e dell’impegno coniugale e, soprattutto, quello del peccato e della grazia divina; di conseguenza, ogni lieve riduzione della libertà viene interpretata come assenza di normalità o maturità. Contro l’equivoco insito nello stesso temine maturità, il pontefice mette in guardia, poiché non si può «confondere una maturità psichica che sarebbe il punto d’arrivo dello sviluppo umano, con la maturità canonica, che è invece il punto minimo di partenza per la validità del matrimonio. Per il canonista deve rimanere chiaro il principio che solo l’incapacità e non già la difficoltà a prestare il consenso e a realizzare una vera comunità di vita e di amore, rende nullo il matrimonio»35.

Nonostante questi orientamenti magisteriali siano commentati e citati di frequente nella letteratura canonistica, il cammino da fare è ancora arduo, perché, come si evidenzia nella sentenza Coram Huber36 del 22 maggio 2002, spesso l’affettività, che accompagna l’intera vita umana, viene evidenziata nel suo influsso sulle altre facoltà umane, in particolare sull’intelletto e sulla volontà, determinando a volte l’invalidità del matrimonio37. 33

ID., Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (05.02.1987), cit., 1455. Ibid., 1456. 35 L.c. 36 Cfr. Coram HUBER (22.05.2002), in Ius Ecclesiae 17 (2005) 686: «personae immaturitas adducitur. Notio haec est sat ambigua: sub aspectu psychiatrico maxime indeterminata et sub aspectu iuridico caput autonomum non constituens». 37 Cfr. ibid., 687: «Nihil est dubii[…]quae influxum in facultates intellectus et voluntatis exercere possunt». 34


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L’immaturità umana viene vista come una situazione, in cui la persona non si è sviluppata in modo adeguato in relazione a quello che dovrebbe essere proprio della sua età, manifestando tratti di infantilismo, quali, ad esempio, l’instabilità emotiva, la dipendenza affettiva rispetto ai genitori, l’egocentrismo, l’insicurezza, la carenza di realismo nei giudizi sulla vita e nel modo di superare le difficoltà dell’esistenza, la mancanza di responsabilità. Questa immaturità, in casi gravi, potrebbe dar luogo ad un grave difetto di discrezione di giudizio, dal momento che la persona può essere incapace di deliberare sufficientemente sulla realtà del matrimonio, oppure può mancare di sufficiente libertà interna per dominare i suoi impulsi affettivi. Inoltre, il soggetto affettivamente immaturo, pur essendo capace di intendere e di volere il matrimonio, potrebbe anche essere incapace di assumere gli obblighi matrimoniali, qualora per il suo egocentrismo non fosse in grado di donarsi all’altra parte, o non potesse vivere tali obblighi per mancato controllo della sua sfera affettiva. Siffatta maniera di impostare la questione lascia inevitabilmente un ampio spazio alla valutazione del giudice, uno spazio tale in cui la legittima discrezionalità propria delle decisioni giudiziali rischia di trasformarsi in arbitrarietà. Il compito del giudice sembra così dipendere troppo da valutazioni soggettive: se da un lato potrebbe lasciarsi condizionare dal desiderio di risolvere pastoralmente una crisi matrimoniale, con la conseguente relativizzazione del senso della verità38, dall’altro potrebbe quasi per principio rifiutare ogni dichiarazione di nullità per immaturità39. Risulta, perciò, necessario trovare soluzioni oggettive, che accertino davvero ciò che è giusto in ogni caso. Spesso l’affettività viene eviden38 Cfr. l.c.: «Deficientibus obiectivis immaturitatis criteriis, aestimatio ab arbitrio iudicis subiectivo pendet. Is haud raro, ad solutiones pastorales praebendas fidelibus, qui in abnormibus matrimonii condicionibus versantur, nimis leviter ex ruina connubii pro immaturitate partis vel partium iam tempore nuptiarum exsistenti concludit». 39 Cfr. l.c.: «Saepe accidit, ut iudex per modum syllogismi ita procedat: pars est immatura. Immaturitas matrimonii nullitatem secum fert. Ergo matrimonium partis nullum declarandum est. Nemo est, qui non videat, quam longe a veritate distet hic modus res pertractandi. “Maior” plurimum a iudicio iudicis pendet. “Minor” est falsa, quia non omnis immaturitas connubii nullitatem gignit. Consequentia itaque non est concedenda».


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ziata come una sorta di meccanismo che dovrebbe funzionare separatamente dalla realtà integrale della persona. Ad esempio, si tende a considerare che alcuni traumi infantili possano aver segnato irreparabilmente la persona sotto il profilo affettivo, oppure che alcune reazioni anomale episodiche davanti a stimoli eccezionali possano considerarsi espressioni di immaturità psichica40. Un’analisi così settoriale dell’affettività non fa altro che ostacolare la comprensione realistica dei fatti, per cui diventa urgente chiarire gli stessi concetti di maturità e immaturità, che non vanno riferiti all’affettività, in modo isolato, ma all’insieme della persona, in quanto tale, attraverso la connessione con le facoltà propriamente spirituali dell’uomo, ossia con l’intelligenza e la volontà. Nell’affettività stessa si scopre l’unità corporeo-spirituale dell’uomo, poiché nei sentimenti, nelle emozioni e nelle passioni restano coinvolti sia gli appetiti sensibili che la volontà Anzi, tra queste varie facoltà vi è una tale compenetrazione, da non consentire di operare tagli netti, che denoterebbero una visione dualista dell’uomo. L’atto umano della persona va visto, pertanto, nella sua interezza, in quanto il primato va sempre riconosciuto alle facoltà propriamente dette personali, senza escludere che l’affettività possa avere una ripercussione negativa sulle attività delle stesse facoltà di intendere e di volere. A conferma di ciò, non si può dimenticare la grande rilevanza positiva dell’affettività nel processo che porta all’unione matrimoniale, nell’atto stesso di sposarsi e nella vita coniugale. Quindi, un’adeguata comprensione sia dell’affettività sia della maturità della persona richiede il concorso armonico delle varie prospettive di conoscenza coinvolte, secondo quel modello di interdisciplinarietà lucidamente auspicato da Giovanni Paolo II: «è da incoraggiare ogni sforzo nella preparazione sia di giudici ecclesiastici che sappiano scoprire e discernere le premesse antropologiche implicate nelle perizie, sia di esperti nelle varie scienze umane che 40 Cfr. P. BIANCHI, Quando il matrimonio è nullo? Guida ai motivi di nullità matrimoniale per pastori, consulenti e fedeli, Milano 1998, 194-195.


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promuovono una reale integrazione tra il messaggio cristiano ed il vero ed incessante progresso delle ricerche scientifiche, condotte secondo i criteri di una corretta autonomia»41.

Il realismo, che sorregge l’autentico approccio interdisciplinare, implica da un lato il riconoscimento dell’intrinseca dipendenza di ogni scienza empirica sull’uomo da quella visione integrale della persona, offerta dalla conoscenza filosofico-teologica, dall’altro l’arricchimento del discorso filosofico e teologico sulla persona umana mediante il contatto permanente con tutto ciò che offrono le scienze empiriche sull’uomo. È il concetto di unità integrale della persona che deve stare alla base di ogni sentenza rotale, in cui la maturità non è un’accezione a se stante, ma è riferita alla persona stessa42. A tal riguardo, spesso si dimentica che le persone che normalmente si sposano non sono ancora pervenute alla piena maturità, perché sono ancora giovani. Diventa, pertanto, fuorviante presentare il matrimonio come cammino di esseri che hanno già raggiunto una stabilità e sono al di sopra delle comuni miserie umane. Lo stesso patto matrimoniale sacramentale non è una meta raggiunta soltanto da persone di profonda spiritualità, dotate di tutte le virtù immaginabili, che li rendono pienamente felici in maniera quasi automatica. Anche della felicità coniugale, che rientra nei piani di Dio per ogni coppia, bisogna avere un’immagine reale, che tra l’altro non dimentichi la partecipazione alla croce di Cristo, che si esprime spesso nella necessità di comprendere e di perdonare il proprio compagno. Pertanto, quando si deve accertare la validità di un matrimonio, la maturità deve essere intesa non come abilità per la realizzazione

41

IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae (05.02.1987), cit., 1458. Cfr. Coram HUBER, cit., 688: «Maturitas tangit totam personam, anima et corpore unam. Affectiones vel commotiones, in se ipsis, nec bonae sunt nec malae. Eae nullam operationem propriam efficiunt ideoque non magis vel minus maturae dici possunt. Matura vel immatura est sola persona. Ubi adest proiectus vitae, maturitas in hunc proiectum personae ingreditur. Qua de causa requiri nequit primum maturitas, ut electio compartis peragatur». 42


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perfetta della vita coniugale, ma come capacità minima di fondare e vivere il matrimonio, che è alla portata di qualunque persona, per il fatto stesso di essere tale.43 Tale maturità, inoltre, non deve rapportarsi alla vita coniugale e misurarsi in funzione di essa, ma alla sola capacità di stringere il patto coniugale e di consumarlo. Il can. 1095 § 3, infatti, non parla di capacità adimplendi gli obblighi essenziali del matrimonio nella vita coniugale, ma di capacità assumendi al momento del consenso. Una volta che i coniugi si sono davvero dati e accettati come marito e moglie, essi hanno mostrato di possedere le risorse essenziali, proprio in quanto persone, per vivere matrimonialmente. Pertanto, rendersi conto di ciò che è il matrimonio e volerlo assumere liberamente, è la prova più efficace di un impegno responsabile a vivere il patto coniugale: riconoscere questo diventa realmente riconoscere il valore della dignità della persona. Infine, la maturità per il matrimonio richiede anche che i contraenti scoprano mediante il loro intelletto pratico ed accolgano nella loro libera volontà l’essenza della realtà naturale matrimoniale44. Tante volte ci si trova dinanzi a casi di persone che, per una grave mancanza di maturità o per ragioni di indole affettiva, vivono il rapporto uomo-donna come utilizzo mutuo per l’autosoddisfazione, privi di quel minimo di oblazione richiesta per il patto coniugale: il vero amore uomo-donna sembra essere il grande assente per dare spazio al puro egocentrismo. In casi simili, parlare di immaturità e quindi di incapacità favorirebbe un’indebita deresponsabilizzazione, certamente falsa nonché offensiva, nei confronti degli interessati. Occorre che l’immaturità invalidante il matrimonio sia accompagnata da anomalie di natura psichica, perché, senza di queste, la persona, in forza di quella tanto 43

Cfr. l.c.: «Ad matrimonium ineundum, minima maturitas sufficit acquisita, quae tamen vita communi procedente perfectior acquirenda sit». 44 Cfr. l.c.: «Maturitas se refert ad facultates hominis superiores intellectus et voluntatis. In huiusmodi facultates affectiones vel commotiones influxum exercere possunt, qui interdum talem gradum attingat, ut pars gravi defectu discretionis iudicii laboret».


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citata inclinatio naturae al matrimonio, è considerata capace di sposarsi. Infine, si può concludere con le parole di speranza di Giovanni Paolo II: «la negazione della dichiarazione di nullità diventi occasione per aprire altre vie di soluzione ai problemi degli sposi in difficoltà che ricorrono al ministero della Chiesa, senza mai dimenticare che ogni soluzione passa attraverso il mistero pasquale di morte e di risurrezione, che esige tutto l’impegno degli stessi coniugi a convertirsi alla salvezza per riconciliarsi col Padre»45.

4. IL VIZIO DELL’ERROR NEL CONSENSO MATRIMONIALE E IL CONCETTO DI PERSONA (CAN. 1097) Il momento della manifestazione del consenso dà origine al matrimonio e, allo stesso tempo, rappresenta il punto di arrivo di un complesso processo in cui l’intelletto apporta il suo contributo alla volontà nella scelta del coniuge. Tale scelta coniugale, in realtà, come precisa anche la sentenza rotale Coram Caberletti del 25 ottobre 2002, consta di due oggetti essenziali: il matrimonio46 (voglio sposarmi) e il coniuge47 (voglio sposare te). È evidente che per sposarsi non basta avere una consapevolezza normale sull’essenza del matrimonio ed una capacità minima per fondare e vivere una vita coniugale, ma bisogna avere una conoscenza vera e reale della persona concreta che si intende sposare. Nella Coram Stankiewicz del 28 aprile1988 si sottolinea che le persone dei contraenti sono parte essenziale del consenso matrimo45

IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae (05.02.1987), cit.,1459. Cfr. Coram CABERLETTI (25.10.2002), in Ius Ecclesiae 16 (2004) 186: «Consensus ergo actus personalis, seu integre humanus, haberi debet, et in oblationem interpersonalem vertitur: “Intima communitas vitae et amoris coniugalis, a Creatore condita suisque legibus instructa, foedere coniugii seu irrevocabili consensu personali instauratur. Ita actu humano, quo coniuges sese mutuo tradunt atque accipiunt, institutum ordinatione divina firmum oritur”(GS 48)». 47 Cfr. ibid., 187: «Personae peculiaritas, aut irripetibilitas, corporis ac spiritus qualitatibus, quae esse possunt naturae moralis, socialis, iuridicae, circumscribitur». 46


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niale, perché sono il soggetto specifico del vincolo coniugale, ma, allo stesso tempo, l’oggetto del matrimonio, in quanto, come uomo e donna, essi donano e accettano reciprocamente se stessi in un patto irrevocabile di amore. Questo duplice ed inseparabile significato della persona del contraente, come soggetto e oggetto essenziale del consenso, fa comprendere come un errore della persona vizi il consenso e invalidi il matrimonio48. A motivo di ciò, per garantire una scelta vera, consapevole e libera del proprio coniuge, il Codice di diritto canonico sia del 1917 sia del 1983 ha sempre previsto come capo di nullità l’errore della persona, apportando nel tempo una differenza sostanziale49. Nel CIC del 1917 il can. 1083, oltre all’errore di persona in genere e di quella in condizione di schiavitù reputata libera, (quest’ultima norma del tutto abbandonata dal nuovo CIC a motivo dei mutamenti sociali) afferma: «§ 2. Error circa qualitatem personae, etsi det causam contractui, matrimonium irritat tantum: 1° Si error qualitatis redundet in errorem personae». Si è dinanzi ad una norma restrittiva, che in linea di massima esclude che l’errore sulle qualità possa invalidare il consenso, nemmeno qualora fosse stato causa del contratto. L’unica eccezione, oltre quella citata della condizione servile, era l’errore sulla qualità ridondante50, la quale identifica erroneamente la persona al posto dell’individuazione fisica ignorata. In realtà, questa norma non fu certamente di facile interpretazione né di agevole applicazione concreta, perché non si capiva come nelle 48 Cfr. Coram STANKIEWICZ (28.04.1988), in RRDS 80 (1988) 276: «Inter actus iuridicos sunt quidam in quibus error circa personam cum qua quis agit fit quoque error circa id quod est actus substantia, sicut in consensu matrimoniali qui ex obiectiva natura sua dirigitur essentialiter in ipsam personam cum qua contrahitur». 49 Cfr. ibid., 277: «Cum error circa identitatem concretam personae sit substantialis, iuxta communem doctrinam ex ipso iure naturali, non ex mera statuitione Ecclesiae, excludit consensum seu voluntatem matrimonialem et invalidum reddit matrimonium». 50 Cfr. ibid., 278: «Quare norma ecclesialis Codicis abrogati statuebat errorem circa qualitatem personae, etsi daret causam contractui, matrimonium irritare tantum si error qualitatis redundaret in errorem personae».


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normali condizioni celebrative del matrimonio, potesse verificarsi la sostituzione della persona fisica. L’esempio molto usato dai canonisti classici per spiegare meglio questa norma fu il caso del patriarca Giacobbe, che intendeva contrarre matrimonio con l’amata Rachele (persona quindi conosciuta e voluta nella sua precisa individualità), e che si trovò invece sposato con la non voluta Lia. Il problema di fondo è che il CIC del 1917 si collocava dentro una visione esclusivamente fisicista della persona, secondo cui, ai fini del matrimonio, non si concepiva l’importanza di alcuna qualità del coniuge, oltre a quelle che provenivano dal suo aspetto fisico. Solo dopo il Concilio, ed in particolare con la sentenza rotale Coram Canals del 21 aprile 1970, cominciò ad affermarsi un concetto di persona non più limitato all’identità fisica, ma comprensivo di quelle qualità psicologiche, morali, etiche, sociali e culturali senza le quali la stessa persona risulterebbe completamente diversa. Nella sua sentenza Canals, accanto ad un’interpretazione strettissima del concetto di qualità ridondante (la qualità come unica nota per l’individuazione della persona fisica) e ad un’altra che definiva meno stretta (la qualità intesa direttamente e principalmente rispetto alla persona, così come la intendeva S. Alfonso Maria de’ Liguori nella sua terza regola51), proponeva una terza concezione, secondo la quale un errore circa la persona potrebbe anche verificarsi quando la qualità morale, giuridica, sociale, è così tanto intimamente connessa con la persona fisica che, in mancanza di essa, la stessa persona potrebbe considerarsi diversa52. Detta sentenza rappresentò uno scostamento dalla giurisdizione 51 Cfr. A.M. DE’ LIGUORI, Theologia Moralis, IV, Lib. VI, Tract. VI, De matrimonio, cap. III, dubium II, n. 1016, a cura di L. Gaudè, Roma 1979, 179: «Tertia igitur regula quam tradit Divino Thoma […] est quod si consensus fertur directe et principaliter in qualitatem, et minus principaliter in personam, tunc error in qualitate redundat in substantiam. Secus, si consensus principaliter feratur in personam, et secondario in qualitatem: v. g. si quis dixerit “Volo ducere Titiam, quam puto esse nobilem”, tunc error non redundat in substantiam, et ideo non invalidat matrimonium. Secus si dixerit “Volo ducere nobilem, qualem puto esse Titiam”, tunc enim error redundat in substantiam, quia directe et principaliter intenditur qualitas, et minus principaliter persona». 52 Cfr. A. D’AURIA., Il matrimonio, cit., 196-198.


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del Codice del 1917, spianando la strada alla soluzione di casi che sarebbero rimasti insolubili entro i limiti dell’interpretazione tradizionale del can. 1083; ma l’interpretazione evolutiva della norma che ne derivò non fu esente da abusi. Il lodevole proposito perseguito da Canals, con la conseguente mutazione del concetto di persona in quello più ampio di personalità correva, infatti, il rischio di «abbandonare l’oggetto dell’errore sostanziale di fatto in una Torre di Babele di correnti psicologiche, sociologiche, morali e giuridiche, spesso mere ideologie di moda. Sotto la confusa ed insicura nozione di “personalità” si raccolsero, oltre ai casi limite dell’errore e dell’inganno, molti altri casi che tecnicamente non erano che semplici errori non rilevanti, la cui base di fatto non risultava nemmeno antecedente alle nozze, ma risultava essere frutto dei naturali cambiamenti, non sempre positivi e felici, della vita di qualunque persona o provocati da un cattivo modo di vivere le iniziali possibilità di bontà coniugale di un matrimonio valido»53.

Questa fu la ragione per cui il legislatore del nuovo Codice, anziché forzare i tratti dell’errore sulla persona del can. 1083 §1, decise di riformare ex novo la disciplina, con il can. 1097 al § 2, «§ 2. Error in qualitate personae, etsi det causam contractui, matrimonium irritum non reddit, qualitas directe et principaliter intendatur». Come si legge nella Coram Caberletti, il nuovo Codice, pur adoperando per certi versi lo stesso linguaggio del CIC del 1917, riordina ex integro la materia54: l’errore ridondante, infatti, scompare totalmente tra gli errori sulla qualità, e la forza invalidante dell’errore non sta più in una qualità sostanziale e identificante la persona del coniuge, ma nell’intenzionalità dell’errante che ha rivolto il consenso verso una qualità propria o comune a più persone, sia essa necessaria o meno a definire il profilo morale, giuridico o sociale dell’individuo. In altre parole, la qualità voluta è anteposta esplicitamente alla 53

P. J. VILADRICH, Il consenso, cit, 194. Cfr. Coram CABERLETTI, cit., 193: «Legislator in novo canone 1097, § 2 suscepit ipsa verba tertiae regulae Alphonsianae, sed non videtur quod tantum ad istam facti speciem error qualitatis adstringi possit; nam agnoscitur novam legem nullatenus prout interpretationem veteris canonis 1083, § 2, 1° habendam esse». 54


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persona del coniuge e diviene l’oggetto immediato e prevalente su cui ricade l’atto di volontà consensuale: la persona stessa, attraverso la propria volontà esplicita, eleva la qualità accidentale del coniuge (ad esempio l’onestà dell’altra parte) a qualità sostanziale, determinando la nullità del vincolo. Quindi, non è più la qualità in sè a costituire il fondamento irritante dell’errore sulla qualità, ma è la volontà soggettiva del contraente che conferisce a quella qualità il peso e la gravità tali da renderla l’oggetto immediato del proprio consenso matrimoniale (directe) e voluto, tra tutte quelle possibili, in maniera prevalente (principaliter) La qualità, essendo direttamente e principalmente voluta, occupa, pertanto, nell’oggetto intenzionale del consenso il posto sostanziale proprio dell’identità personale del contraente, perché l’attenzione si sposta dall’oggettività della ridondanza alla soggettività dell’intenzione di chi vuole direttamente la qualità. Per provare l’esistenza di tale errore, è fondamentale individuare concretamente la qualità che è stata directe e principaliter oggetto della volontà e anche dimostrare che tale qualità nella persona in effetti è inesistente. Tra i mezzi di prova, va presa in considerazione principalmente la prova indiretta: il criterium aestimationis e reactionis55. A tal riguardo, però, non possiamo ancora una volta non citare l’appello che Giovanni Paolo II rivolge alla Rota Romana nel suo discorso annuale del 1993, in cui manifesta la sua preoccupazione di una non corretta e leale interpretazione di tale canone nella concreta applicazione delle cause di nullità: «sarebbe del tutto arbitrario, anzi apertamente illegittimo e gravemente colposo, attribuire alle parole usate dal Legislatore non il loro “proprio”significato, ma quello suggerito da discipline diverse da quella canonica. Non si può inoltre ipotizzare nella interpretazione del vigente Codice, una frattura col passato, quasi che nel 1983 vi sia stato un salto in 55 Cfr. ibid., 194: «Via directa probationis fertur a confessione iudicali necnon extraiudicali praesumpti errantis; ast summi momenti aestimandae sunt indirectae probationes, quod dialectice procedit per criterium aestimationis qualitatis, quae ostenditur a praesumpti errantis institutione, indole, ambitu sociali, eius casibus vitae, necnon per criterium reactionis peractae ab errante statim ac defectum qualitatis intentae detexerit».


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una realtà totalmente nuova. Il Legislatore infatti positivamente riconosce e senza ambiguità afferma la continuità della tradizione canonica, particolarmente ove i suoi canoni fanno riferimento al vecchio diritto. Certo, non poche novità sono state introdotte nel vigente Codice. Altro, però, è costatare che innovazioni sono state fatte circa non pochi istituti canonici, altro pretendere di attribuire significati inconsueti al linguaggio usato nella formulazione dei canoni. In verità, costante cura dell’interprete e di colui che applica la Legge canonica deve essere di intendere le parole usate dal Legislatore secondo il significato ad esse per lunga tradizione attribuito nell’ordinamento giuridico della Chiesa dalla consolidata dottrina e dalla giurisprudenza. Ciascun termine poi deve essere considerato nel testo e nel contesto della norma, in una visione della legislazione canonica che ne consenta una valutazione unitaria»56.

Sicuramente, la nuova legislazione canonica ha affrontato in modo efficace quella linea normativa, proposta da Canals, secondo la quale, col nuovo concetto di personalità, ogni qualità di ordine morale, giuridico e sociale, intimamente connessa con la persona fisica, poteva diventare causa di nullità: la forza invalidante dell’errore, infatti, si sposta dall’oggettività della qualità sostanziale e identificante la persona alla soggettività dell’intenzione di chi vuole direttamente la qualità. La questione, però, rimane tuttora molto aperta, perché, essendo la persona stessa a determinare la qualità come oggetto del proprio consenso, spesso qualsiasi qualità, anche la più marginale, in quanto voluta directe e principaliter, potrebbe diventare causa di nullità del matrimonio. A risposta di ciò, il papa ribadisce che «anche in materia dell’“error facti”, specificatamente ove si tratta di “error in persona”, ai termini usati dal Legislatore non è consentito attribuire un significato estraneo alla tradizione canonistica; come pure l’“error in qualitate personae” soltanto allora può inficiare il consenso quando una qualità, né frivola né banale, “directe et principaliter intendatur”, cioè, come efficacemente ha affermato la giurisprudenza rotale, “quando qualitas prae persona intendatur”»57. 56 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (29.01.1993), in AAS 85 (1993) 1258. 57 Ibid.,1260.


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Spesso, adducendo la tesi di voler rendere un servizio al bene della persona, si afferma la tendenza sempre più diffusa, che diventa sempre più diffusa, di relativizzare le stesse norme canoniche: «dalla stessa norma positiva, non deve distogliere, specificamente in materia matrimoniale, l’intento di una non meglio precisata “umanizzazione” della Legge canonica. Con tale argomento, infatti, si intende non di rado avallare una sua eccessiva relativizzazione, quasi si imponessero, per salvaguardare asserite esigenze umane, una interpretazione e una applicazione della stessa che finiscono per snaturarne le caratteristiche»58.

Non bisogna dimenticare che il matrimonio non è una unione fra esseri perfetti, ma, al contrario, una comunione in cui ciascun nubente, in modo libero e responsabile, si impegna a contribuire al miglioramento proprio e dell’altro. Di conseguenza, un contraente può, nel momento in cui decide di accettare le nozze e al momento di contrarle, fare uno o più errori sulle qualità che suppone abbia l’altro, senza necessariamente contrarre un matrimonio nullo. Oggi è importante e fondamentale salvaguardare l’istituto matrimoniale da tutte quelle insidie relativistiche che si appigliano alle minutezze per dimostrare l’invalidità del matrimonio e riconoscere, ancora una volta, nella persona quel tanto ribadito ius connubii, che identifica la persona nella sua inclinatio matrimonii e nella sua capacità ordinaria di contrarre matrimonio. Lo stesso «error in qualitate directe et principaliter intendatur» vuole sia tutelare la libertà della volontà della persona, sia salvaguardare la persona stessa nella sua identità più vera e concreta, contro tutti quegli attributi relativistici che ne offuscano la sua vera immagine. 5. L’ASSENZA DI VOLONTÀ MATRIMONIALE NELLA SIMULAZIONE (CAN. 1101) Secondo il principio matrimonium facit partium consensu, a determinare la nascita o l’inesistenza del vincolo coniugale è la presenza o assenza del consenso. Tale atto di volontà di ciascun contraente, come 58

Ibid.,1259.


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espresso nella Coram Defilippi del 25 luglio 2005, ha come oggetto materiale la mutua donazione ed accettazione degli sposi, e come oggetto formale la loro dimensione sponsale o coniugale59. Tuttavia, come si legge nel can. 1101 § 1, questa volontà interna non sembra da sola essere sufficiente per fondare il matrimonio, ma ha bisogno necessariamente di esprimersi esternamente in una forma legittima o, propriamente detta, canonica60: «Internus animi consensus praesumitur conformis verbis vel signis in celebrando matrimonio adhibitis». Il patto matrimoniale, infatti, è una realtà unitaria costituita dalla volontà interna dei contraenti e dalla sua manifestazione esterna. La necessità di comunicarsi o materializzarsi in segno visibile, significante delle due volontà interne, è un aspetto intrinseco della volontarietà del dono e dell’accettazione coniugale: tale comunicazione sensibile e corporea, pertanto, non richiede un altro atto di volontà diverso dallo stesso consenso, né costituisce un nuovo oggetto autonomo per il consenso oltre al dono e all’accettazione coniugale. Questo atto di donazione e accettazione reciproca dell’essere uomo e donna richiede, per la sua stessa indole corporeo-sessuale, una manifestazione sensibile che unifichi le due volontà interne della coppia di coniugarsi. Se detta volontà interna che il segno nuziale manifesta maggiormente, non include positivamente tutto il contenuto essenziale del matrimonio, allora questo patto coniugale, nonostante la sua apparenza, falsifica la verità stessa del matrimonio e risulta essere un segno nuziale falso e, di conseguenza, nullo61. Non sempre l’essere umano manifesta esteriormente quanto delibera interiormente nella sua volontà. Questa situazione dà vita al cosiddetto consenso simulato. 59 Cfr. Coram DEFILIPPI (25.07.2001), in Ius Ecclesiae 16 (2004) 141: «Consequenter in “matrimonio in fieri” ipsi nubentes sunt “obiectum materiale” mutuae traditionis ac acceptationis; dum obiectum formale est “matimonium in facto esse”». 60 Cfr. ibid.,142: «Ad matrimonium contrahendum tamen non sufficit mera interna volutas uniuscuiusque ex contrahentibus, sed requiritur “pactum nuptiale”, seu realitas consensualis unitaria. Scilicet: ut nubentium auto-donatio mutua sit, seu inter hunc virum et hanc mulierem, necesse est ut eorum voluntas coniugalis iuxta legitimam formam manifestetur per verba vel externa signa». 61 Cfr. P.J. VILADRICH, Il consenso, cit., 300-313.


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La simulazione può essere totale o parziale, come si afferma nel can. 1101 §2: «At si alterutra vel utraque pars positivo voluntatis actu excludat matrimonium ipsum vel matrimonii essenziale aliquod elementum, vel essentialem aliquam proprietatem, invalide contrahit». È, pertanto, totale quando si esclude in modo positivo lo stesso matrimonio, mentre è parziale quando il soggetto vuole un legame, inteso però secondo le sue convinzioni, escludendone un elemento o una proprietà essenziale62. La distinzione tra la simulazione totale e quella parziale è, quindi, in ragione dell’oggetto dell’esclusione e della coscienza dell’atto di esclusione: in quella totale il simulante è cosciente di voler porre in atto solo un’apparenza del segno nuziale, escludendo in modo assoluto qualsiasi forma di matrimonio; nella simulazione parziale, invece, il contraente chiede una forma di unione, ma configurata secondo le proprie idee, scartando un elemento essenziale del matrimonio stesso. In entrambi i casi la norma canonica esige che l’esclusione avvenga mediante un positivus voluntatis actus. A tal proposito, Giovanni Paolo II, nel suo discorso alla Rota Romana del 21 gennaio 2000, afferma: «La tradizione canonistica e la giurisprudenza rotale, per affermare l’esclusione di una proprietà essenziale o la negazione di un’essenziale finalità del matrimonio, hanno sempre richiesto che queste avvengano con un “positivo atto di volontà”»63.

Tale positivus voluntatis actus viene descritto come atto umano, libero, ovvero procedente dall’intelletto e dalla volontà, e posto efficacemente dal soggetto in modo attuale o almeno virtuale in diretta 62 Cfr. Coram DEFILIPPI, cit., 143: «Quae simulatio, sicut hauritur ex relato textu can. 1101, § 2, potest esse vel totalis (si positive excluditur ipsum matrimonium), vel partialis (si excluditur aliquod elementum essentiale coniugii vel aliqua eius essentialis proprietas, ita ut nubens, quamvis velit aliquam matrimonii speciem, illud intendat tantum iuxta sua placita, quae obiective discrepant a Divina institutione de matrimonio)». 63 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (21.01.2000), in AAS 92 (2000) 352.


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connessione con l’oggetto del consenso matrimoniale. Esso, inoltre, non va confuso con i desideri o con altri stati della mente come l’errore, che non sono atti di volontà64. Non si può, però, non constatare la reale difficoltà di dimostrare, in circostanze concrete, l’esistenza di un atto positivo di volontà al matrimonio di colui che non ha alcuna intenzione di celebrare il matrimonio in Chiesa; infatti, secondo alcuni, manca una norma canonica adatta ad inquadrare le situazioni di completa assenza di volontà matrimoniale. Nella simulazione totale, l’atto positivo di volontà è un atto parallelo e di senso contrario all’atto di volontà matrimoniale: è come se esistessero allo stesso tempo due atti di volontà formalmente diversi, uno diretto alla celebrazione del matrimonio, l’altro, invece, di esclusione degli effetti di tale atto. Nel consenso simulato si rompe quell’unitarietà tra la realizzazione del segno nuziale esterno e una volontà interna che non è la donazione coniugale: in altre parole, il simulante sostituisce la vera intenzione sponsale con un’altra volontà positiva che pone deliberatamente solo un rito esterno ed esclude lo stesso matrimonio. Tra gli esempi di simulazione totale, potrebbe verificarsi il caso di chi celebra il rito nuziale unicamente ed esclusivamente per raggiungere un fine diverso dal matrimonio. A tal proposito, per una maggiore chiarezza concettuale, la Coram Defilippi distingue il finis operis (il fine naturale proprio dell’istituto matrimoniale) dal finis operantis (il fine che il nubente si propone di raggiungere tramite la celebrazione nuziale): quando il raggiungimento del fine estrinseco al matrimonio (finis operantis) diventa 64 Cfr. Coram DEFILIPPI, cit., 143-144: «Tunc dicendus est “positivus” ille actus voluntatis, quando est revera positus, et quidem utpote “actus humanus”, seu deliberate procedens ab intellectu et voluntate; positus modo “actuali” vel saltem “virtuali” tempore nuptiarum, ita ut efficaciter conexus sit cum consensu, cuius obiectum substantialiter determinat; et “firmus”, ita ut matrimonium contrahatur iuxta illam determinationem et non aliter. […] Consequenter simulationi locus non datur in formis psychologicis, quae reapse non perficiunt illum “actum positivum voluntatis”. […]Etiam error circa matrimonium eiusque essentiales matrimonii proprietates (can. 1099), quamvis radicatus sit, si in mente tantum sistit, seu si solummodo manet “iudicum falsum” vel “falsa rei apprehensio”, obiectum consensus non determinat».


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l’unico scopo del contraente, escludendo, di conseguenza, il suo fine naturale (finis operis), il matrimonio è nullo per esclusione totale del consenso65. Invece, per quanto riguarda, ad esempio, la simulazione parziale per l’esclusione dell’indissolubilità, essa si verifica quando uno dei contraenti vuole un vincolo dissolubile. L’indissolubilità è proprietà essenziale di qualsiasi vincolo veramente coniugale, indipendentemente dalla sua sacramentalità, perché è proprio della natura stessa dell’amore coniugale il donare se stessi totalmente senza limiti di tempo, di spazio e di intensità di cuore. Nel mistero di amore di Cristo, come si legge nella Familiaris consortio 20, tale indissolubilità trova il suo compimento e il suo significato più profondo, e il matrimonio viene elevato a sacramento66: «Radicata nella personale e totale donazione dei coniugi e richiesta dal bene dei figli, l’indissolubilità del matrimonio trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione: Egli vuole e dona l’indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell’amore assolutamente fedele che Dio ha per l’uomo e che il Signore Gesù vive per la sua Chiesa»67.

Nei casi concreti, per poter meglio caratterizzare la simulazione parziale per l’esclusione dell’indissolubilità, possiamo distinguere in essa una triplice forma68. La prima forma è data dal rifiuto della stabi65 Cfr. ibid.,146-147: «Quando quis, iuxta ultimam commemoratam factispeciem, nuptias celebrat tantum ad finem a se intentum consequendum (qui nuncupatur: finis operantis), omnino diversum a finibus naturalibus instituti matrimonialis (qui vocantur: finis operis), aliqua saltem animadvertenda sunt. Plerumque “fines operantis”, qui diversi sint a fine operis, obtinentur per matrimonium rite et recta intentione celebratum […], siquidem contrahentis volutas non intendit omnino finem operis, sed tantummodo finem operantis, primum implicite excludens». 66 Cfr. ibid., 147: «Quod autem attinet ad exclusionem indissolubitatis, animadvertendum est indissolubilitatem, utpote “essentialem proprietatem matrimonii”(cfr. can. 1056), praedicandam esse tamquam inhaerentem ipsi vinculo naturali et praeexsistentem sacramento, a quo tamen firmitatem obtinet ita ut sit quasi signum praevalens […] mysterii connubii». 67 FC 20, in EV, 7/1587. 68 Cfr. Coram DEFILIPPI, cit., 148: «E contra, simulatio consensus ob exclusam indissolubilitatem tunc habetur quando quis, celebrans matrimonium, reapse hoc vult


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lità, quando si intende l’unione come transitoria o, come spesso si suole dire, ad experimentum69. La stessa Familiaris consortio dinanzi a questa realtà scrive che «la stessa ragione umana insinua la sua inaccettabilità, mostrando quanto sia poco conveniente che si faccia un “esperimento” nei riguardi di persone umane, la cui dignità esige che siano sempre e solo il termine dell’amore di donazione senza alcun limite né di tempo né di altra circostanza»70.

La seconda, invece, è il rigetto della perpetuità, quando si intende il vincolo come temporale o si vuole contrarre ad tempus71. In altre parole, si vuole il matrimonio come uno stato in sé temporale, la cui durata dipende dal raggiungimento di certi fini soggettivi, ma al cui venir meno perde di validità lo stesso vincolo. Alla base di tale consenso temporale si nasconde una radicale condizionalità del dono di sé e dell’accettazione dell’altro, in netto contrasto con il valore perpetuo del coniuge. L’ultima forma, invece, riguarda l’esclusione diretta dell’indissolubilità in senso proprium, quando uno dei contraenti si riserva il diritto di sciogliere il vincolo, vale a dire riconosce un potere estrinseco al vincolo stesso capace di cancellare giuridicamente ed efficacemente la sua forza unificatrice72. Per irritare il matrimonio non è necessario che l’intenzione di rompere il vincolo sia assoluta, basta che essa sia condizionata ad una determinata circostanza73. dissolubile. In indissolubilitate autem tres gradus inter se intime coniuncti prospici possunt, scilicet: stabilitas, perpetuitas atque indissolubilitas sensu stricto intenta». 69 Cfr. ibid., 148-149: «In primis indissolubilitatem is excludit, qui stabilitatem vinculi matrimonialis respuit. Idque obvenit, si quis unionem transitoriam tantum stipulare cum comparte intendat, seu matrimonium, quod dicitur, ad experimentum». 70 FC 80, in EV, 7/1782. 71 Cfr. Coram DEFILIPPI, cit., 149: «Deinde indissolubilitatem is quoque excludit, qui perpetuitatem vinculi matrimonialis reicit. Hoc autem tunc accidit, si quis unionem temporariam tantum ingredi velit, seu matrimonium, quod dicitur, ad tempus». 72 Cfr. l.c.: «Demum indissolubitatem directe proprieque is excludit, qui sibi servat ius radicale solvendi vinculum matrimoniale, quod ius divortiandi vocari solet vel facultas divortii faciendi». 73 Cfr. l.c.: «Utique ut irritet matrimonium, necesse non est ut intentio abrumpendi


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L’atto positivo di volontà, inoltre, non è soltanto un semplice atto umano, in cui interagiscono l’intelletto e la volontà, ma è un atto umano qualificato, in cui la persona deve essere capace sia di porre un atto di consenso al matrimonio, ma anche di escluderlo volutamente nei suoi contenuti essenziali A motivo di ciò, la capacità correlativa di emettere il consenso deve necessariamente essere presupposta, perché altrimenti non si sarebbe capaci di compiere un atto simulatorio. Il volere della persona incapace di porre un atto di consenso matrimoniale, in genere non supera i confini del volitum (ciò che è desiderato) e non può, di conseguenza, raggiungere la qualità di volontarium (ciò che è efficacemente voluto): il consenso matrimoniale non è, infatti, un atto di desiderio, né un volere inefficace, ma un atto volontario, un volere efficace e operativo. Quindi, chi è incapace di contrarre il matrimonio, non potrà mai essere capace di un atto di simulazione, come, allo stesso modo, chi ha compiuto una simulazione non potrà mai averlo fatto per una sua incapacità matrimoniale. Non si può assolutamente negare che la giurisprudenza rotale si trovi spesso dinanzi ad una realtà umana piuttosto complessa e, nei casi concreti, di difficile interpretazione; tuttavia è impensabile, al fine di rendere un buon servizio alla persona, che si possano trovare soluzioni alle sue umane difficoltà relativizzando o, a volte, tradendo, le stesse norme canoniche: sono le stesse difficoltà umane, infatti, che fanno riscoprire la bellezza della profonda verità sulla vocazione dell’uomo. Illuminanti, in tal senso, sono le parole di Giovanni Paolo II: «Perciò la cosiddetta “legge della gradualità”, o cammino graduale, non può identificarsi con la “gradualità della legge”, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto. Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona umana è in grado di rispondere al comando divino con animo generoso, confidando nella grazia divina e nella propria volontà»74.

vinculum absoluta sit, sed sufficit etiam volutas “condicionata” rescindendi vinculum, uti, si amor vel concordia deficiat, si coniugalis convictus infelix evadat». 74 FC 34, in EV, 7/1632.


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6. LA SESSUALITÀ NELLA RELAZIONE INTERPERSONALE DELLA VITA CONIUGALE (CAN. 1061 § 1) L’essere umano esiste storicamente nelle sue specificazioni complementari dell’essere maschio e femmina. Come si legge nel primo libro della Sacra Scrittura, la parola creatrice di Dio non ha come termine l’uomo, ma la coppia umana. L’uomo e la donna sono fatti fin da principio l’uno per l’altra, e soltanto nel loro reciproco rapportarsi possono giungere ad una realizzazione piena. Poiché il rapporto tra l’uomo e la donna, attraverso il loro essere sessualmente determinati, si pone come qualcosa di originario ed essenziale, esso diventa una questione radicale, che mette in gioco la persona nella sua globalità e coinvolge le dimensioni profonde della sua esistenza. Questa differenziazione e complementarietà dei due sessi è qualcosa che troviamo già scritta nel corpo dell’uomo, e, rappresentando una dimensione essenziale del rapporto con gli altri, essa si estende a tutti gli aspetti della vita, coinvolgendo tutte le manifestazioni della personalità. Contro la concezione finalistica della sessualità, secondo cui l’integrità fisica dell’atto sessuale veniva rispettata solo se diretta alla procreazione, si è affermato il pensiero personalistico, che guarda all’esperienza coniugale come una risorsa per la riflessione antropologica. Il personalismo sottolinea che la sessualità umana si riveste di un significato essenzialmente relazionale: essa si caratterizza come bisogno, capacità e tendenza di un io che non può non entrare in rapporto intimo con un tu particolare, nel suo orientamento psico-fisico all’alterità maschio-femmina. Tale relazione contraddistingue così tanto l’uomo, che il rapporto con la donna fa dell’uomo un uomo e il rapporto con l’uomo rende la donna una donna: la sessualità è il linguaggio per eccellenza, attraverso cui la persona esprime la propria identità relazionandosi con l’altro. In tal senso, possiamo distinguere due tipi di relazione: una di dominio-possesso, l’altra di conoscenza-donazione. Nella prima relazione l’essere umano si percepisce unicamente come essere individuale, per cui l’altro viene oggettivato e diventa solo una res da posse-


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dere, da consumare e, una volta raggiunto tale obiettivo, da rigettare. Nella relazione di conoscenza-donazione, invece, la persona trascende la propria individualità per proiettarsi in una sfera interpersonale, in cui la sessualità acquista una dimensione personale75. Un contributo non indifferente, al riguardo, ci viene offerto, dalla Coram Serrano del 19 maggio 197876, nella quale si afferma che una vita sessuale ordinata ed equilibrata diventa la condizione necessaria e indispensabile perché tra i coniugi possa instaurarsi una comunione interpersonale. La sessualità, infatti, esprime in termini reali e concreti l’oggetto stesso del consenso matrimoniale, cioè la donazione di sé e l’accoglienza dell’altro: in un simile linguaggio d’amore e di tenerezza la persona ritrova e realizza profondamente se stessa nell’esperienza dell’amare e dell’essere amata. In tale relazione non c’è contrasto né contraddizione tra l’oblatività e l’eros, perché la sessualità viene caratterizzata nella sua globalità: gli aspetti del desiderio dell’altro (eros) e del donarsi all’altro (oblatività) sono inseparabili. Separando erotismo ed oblatività si divide la realtà stessa dell’uomo. Una sessualità caratterizzata da atteggiamenti di immaturità, vissuta in modo disordinato e non umano, pregiudica profondamente l’armonia della coppia: la comunione coniugale diventa alquanto difficile e la comunicazione tra i partner pressoché impossibile. La sessualità, pertanto, va intimamente connessa alla persona stessa nel suo significato interpersonale, soprattutto al momento dell’emissione del consenso matrimoniale e nella comunità di vita e di amore coniugale. Il disordine sessuale di ogni fattispecie condiziona la relazione interpersonale coniugale a tal punto da causare una vera e propria incapacità matrimoniale77. In tale contesto, il diverso, cioè colui che si pone al di fuori o esiste al di fuori della natura, non solo viola il codice naturale, ma mette 75

Cfr. M. ALIOTTA, Introduzione all’etica della sessualità, Siracusa 1990, 68-69. Cfr. Coram SERRANO (19.05.1978), SRRD 71(1978) 324: «Et quamvis alia ex parte certum sit relationem coniugalem multum pendere a rite vigente harmonia sexuale inter sponsos; atque pacificum apud autores ad aequatim essecutionem consortium ex sese referre pleniorem personalitatis assecti in ordine relationali». 77 Cfr. G. GIOMBANCO, Il concetto di interpersonalità, cit., 128-130. 76


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disordine nelle relazioni umane e rende ambigua la sua stessa identità. A tal proposito, si va sempre più diffondendo la mentalità secondo cui sia la legge a determinare e a stabilire formalmente la diversità, sottacendo il suo compito proprio di interprete della razionalità iscritta nella natura stessa dell’uomo78. Assai diffuse sono le tendenze omosessuali, che stanno avendo un largo riconoscimento giuridico in diversi Paesi: «non mancano tentativi di legittimazione di modelli di coppia di genitori dove la differenza sessuale non risulta essenziale e necessaria»79. Alla base di tali tendenze, c’è una visione antropologica nuova e deviante: l’uomo non è per natura determinato nel suo genere e teso verso l’altro sesso, ma egli stesso si fa arbitro della sua identità sessuale e della sua tendenza sessuale, in altre parole egli stesso decide di che genere essere e con quale partner stare. In questa nuova ottica, l’eterosessualità non viene più considerata come l’orientamento naturale della persona, ma diventa una scelta del singolo in base alle proprie inclinazioni e tendenze personali: oltre all’eterosessualità, l’uomo può optare per l’omosessualità. È chiaro che le tendenze omosessuali si oppongono decisamente all’essenza stessa del matrimonio e alle sue proprietà, perché vanno contro la natura dell’uomo e la sua identità antropologica, che lo caratterizza nella sua relazione interpersonale. Queste inclinazioni vanno annoverate tra quelle anomalie che rendono la persona incapace di assumere tutti quegli obblighi essenziali per il patto coniugale. L’omosessualità non permette l’esistenza di un amore coniugale ordinato alla prole, non dà all’atto coniugale la possibilità di esprimersi in modo umano, non può garantire la fedeltà coniugale in un vincolo perpetuo ed esclusivo né tanto meno può costituire un consorzio di tutta la vita ordinato al reciproco bene ed aiuto80. 78

Cfr. M. POMPEDDA, Studi di diritto matrimoniale canonico, Milano 2002, 121-151. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia, Roma 1993, 27-28. 80 Cfr. Coram FUNGHINI (19.12.1994), in Ius Ecclesiae 8 (1996) 604: «loquendum est de defectu obiecti cum contrahens homosexualis sese tradendi et acceptandi incapax sit ac ius proprium et exclusivum quale exigitur a iure naturae commutare non possit obligationesque e proprietatibus essentialibus ac e finibus matrimonii deri79


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Pertanto, le unioni di fatto di omosessuali non possono essere mai equiparate al matrimonio: sono convivenze umane, che non hanno nulla in comune col matrimonio e di conseguenza con la famiglia. A tal riguardo, diventa importante distinguere le tendenze omosessuali dal vero omosessuale81: non è possibile asserire che chi ha avuto esperienze di omosessualità può essere subito considerato tale. Ad esempio, la maggiore o minora assiduità e frequenza delle relazioni sessuali con persone dello stesso sesso non è una prova decisoria ed assoluta per determinare l’omosessualità. La manifestazione dell’anomalia costituzionale dell’omosessuale, spesso, potrebbe essere rara, tanto da sembrare agli inesperti una mera deviazione occasionale, poiché di fatto furono poche le occasioni di persone e di luoghi, in cui la persona affetta potesse esercitare attività omosessuale. In questi casi, in effetti, gli atti omosessuali, anche se rari e non frequenti, messi in atto in una reale circostanza favorevole, possono rivelare implicitamente la costante condotta omosessuale, che si rende palese ogniqualvolta si presenta l’opportunità idonea82. Altro il caso di una persona che abbia vissuto diverse esperienze omosessuali a motivo del contesto umano o familiare in cui vive: se vantes assumere et adimplere. Tendentiae homosexualis, quae in anomala personalitatis structura radicantur, oppositae ipsi essentiae sunt et proprietatibus matrimonii: impediunt enim quominus patientes amorem coniugalem, ad prolem ordinatum, prosequantur, matrimonio ad hunc finem consequendum humano modo utantur, fidem in vinculo perpetuo et exclusivo servent atque consortium totius vitae ad mutuum bonum et commodum constituant». 81 Cfr. ibid., 605: «Pro his qui vere homosexuales, ad psychiatrae artis praecepta, dicendi sunt, ad grave vitium vel melius defectum clynicum est confugiendum et quidem quod graviter psyciticam patientis structuram attingunt». 82 Cfr. ibid., 609: «Ad discriminandum homosexualem constitutionalem ab occasionali absolutum ac decisorium argumentum non est crebritas et assiduitas vel raritas relationum sexualium cum personis eiusdem sexsus. Manifestatio ipsius anomaliae constitutionalis rara esse potest et mere occasionalis deviatio imperitis videri quia de facto rarae fuerunt occasiones personarum et loci, in quibus activitatem exercere valuit homosexualitem patiens. Tunc actus homosexuales, per occasionem positi, non raritatem vel infrequentiam ex se indigitant, potius vero realem favorabilem circumstantiam, in qua poni potuerunt et implicite constantem agendi rationem homosexualem patientis revelare possunt cum re evenerint quotiescumque opportunitas vel commoditas idonea ei obiata est ».


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posto in un altro ambiente, possa vivere in modo normale la sua sessualità83. Si comprende, dunque, che per verificare l’omosessualità di una persona e, di conseguenza, la sua incapacità a contrarre matrimonio, non è sufficiente l’esistenza di episodi reiterati di attività omosessuale, messi in atto sia prima che durante la vita coniugale, ma bisogna provare nella persona una repulsione tale verso l’altro sesso, da dominare le sue facoltà di intelletto e di volontà e condizionarla a permanere consapevolmente in tale stato84. Allo stesso modo, bisogna comprovare la sua inversione strutturale del desiderio eroticosessuale, cioè la sua congenita tendenza verso il suo stesso sesso85. In definitiva, solo chi realmente e concretamente manifesta un’inclinazione strutturale esclusiva alla sessualità verso il proprio sesso è incapace di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio e di costituire una relazione interpersonale86. 83

Cfr. ibid., 605: «Non omnes autem qui indulgent activitati homosexuali eo ipso dicendi sunt veri homosexuales. Quidam enim tantum transeunter vel ex occasione homosexualiter agunt, ut qui, coacte viventes ad tempus cum personis eiusdem sexsus (e. g. nautae, in carcere inclusi, milites, ephebei alumni, etc.) tantisper his utuntur in re sexuali in vicem subiectorum alterius sexus; at, vitae consuetudine recte composita vel recuperata, iidem nefandum vitium funditus tollunt ipsoque vacant». 84 Cfr. ibid., 608: «homosexualitem inepte adduci tamquam impedimentum a se stans quia: vel talem gradum attingit ut inducat absolutam et invincibilem repulsionem physicam vel psychicam in alterum sexum et tunc habetur impotentia psychica vel functionalis. Id tamen raro evenit; vel aliis sociatur distorsionibus mentis et defectibus voluntatis, ita ut iter deliberationis intime perversum fuerit et tunc habetur amentia vel dementia, vel insania circa rem uxoriam; vel homosexualis ita integer manet in sua finctione intellectuali ut cognoscat et perpendat suam abnormem propensionem, et consequenter vult disponere quoad futurum. Et tunc erit exclusio boni prolis. Bono fidei non officit intentio homosexuales relations et contactus servandi post nuptias». 85 Cfr. ibid., 611: «Comprobanda, e contra, est illius structuralis inversio in appetitu erotico sexuali, seu congenita tendentia primaria erga proprium sexum, qua exstante impossibilis redditur requisita sui donatio alteriusque acceptatio ad constituendum consortium totius vitae “indole sua naturali ad bonum coniugum atque ad prolis generationem et educationem ordinatum”, et, ideo, idem patiens incapax efficitur praestandi obiectum consensus». 86 Cfr. ibid., 608-609: «iurisprudentia Rotalis edixit homosexualitem incapacem reddere posse contrahentem assumendi essentiales obligationes matrimonii ac costituendi exigitam relationem interpersonalem».


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Alla luce di quanto detto, dovere della giurisprudenza rotale, per poter meglio rispondere a tale problematica, è quello di curare «uno studio globale della persona nella complementarietà, intesa cioè come analisi delle parti e studio delle facoltà intellettive, per comprendere la maturità della persona stessa e la sua capacità di relazionarsi sessualmente, nell’ambito legittimo di una comunicazione fisica, quale è la vita coniugale»87.

Lo stesso Concilio Vaticano II esprime mirabilmente in termini personalistici la sessualità coniugale: «Ita actu humano, quo coniuges sese mutuo tradunt atque accipunt»88. Nella sessualità è il corpo a parlare con un suo linguaggio tutto sponsale, e questo avviene a partire dal giorno in cui i due manifestano il loro consenso nella celebrazione nuziale: «Il segno che essi attuano con le parole del consenso coniugale non è puro segno immediato e passeggero, ma un segno prospettico che riproduce un effetto duraturo, cioè il vincolo coniugale, unico e indissolubile (“tutti i giorni della mia vita”, cioè fino alla morte). In questa prospettiva essi debbono riempire quel segno del molteplice contenuto offerto dalla comunione coniugale e familiare delle persone, e anche di quel contenuto che, originato dal “linguaggio del corpo”, viene continuamente riletto nella verità. In tal modo la verità essenziale del segno rimarrà organicamente legata all’ethos della condotta coniugale»89.

In una prospettiva antropologica unitaria, l’amore investe la totalità della persona, a tal punto da rendere la sessualità presenza di sé all’altro, donazione, gioia, tenerezza, liberazione e, infine, comunione. Se la sessualità e l’amore si separassero, il rapporto uomo-donna diventerebbe insignificante come relazione interpersonale, perché da una parte, in assenza dell’amore, avverrebbe uno sterile interscambio corporeo senza alcun valore per la persona, dall’altra, in assenza della 87

Cfr. G. GIOMBANCO, Il concetto di interpersonalità, cit., 129. GS 48, in EV, 1/1471. 89 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (26.02.1983), in AAS 75 (1983) 559. 88


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sessualità, l’amore sarebbe muto, privo di linguaggio per potersi esprimere. In conclusione, potremmo affermare che la sessualità è il linguaggio dell’amore, mentre l’amore è la verità della sessualità: la persona è l’unico essere che amando parla col linguaggio della sessualità. CONCLUSIONE Mi piace concludere con quelle parole che stanno a fondamento di ogni trattazione antropologica e teologica del matrimonio e che l’apostolo Paolo pronunziò, più col suo cuore che con la mente: «Questo mistero è grande»90. Questa frase, a mio avviso, non è soltanto l’asserzione di una verità fondamentale, ma è, e vuole essere, soprattutto, l’esclamazione di chi percepisce nel matrimonio l’interazione fra le realtà più importanti della storia di tutto l’universo: Dio, l’uomo e l’amore totale e incondizionato tra l’uomo e la donna. Proprio nel matrimonio queste tre realtà si rendono così armoniosamente presenti, che ciascuna necessita e vive dell’altra. L’assenza di uno solo di questi elementi mortifica e svilisce la vitalità e il senso stesso del patto coniugale. Dio, l’Invisibile, l’Infinito si rende presente attraverso il segno visibile e tangibile del matrimonio e soltanto attraverso tale segno l’uomo realizza ciò per cui è stato creato, la sua originaria vocazione all’amore. Il patto matrimoniale, in cui Dio si abbassa all’uomo, facendosi carne e l’uomo si innalza a Dio, mostrandone la sua immagine, è il luogo privilegiato in cui si svolge quella che io chiamerei la danza dell’amore: «giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo»91. Il Vangelo, con il suo annunzio sempre nuovo per l’uomo di tutti i tempi, ha reso fattibile e possibile questa danza che il Creatore, fin dal principio, aveva ordinato. Purtroppo, come si ha modo di constatare, tutte le cose belle del mondo non sempre vengono apprezzate in profondità dall’uomo: nel 90 91

Ef 5,32. Pr 8,30.


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corso dei secoli, paradossalmente, nel tentativo di salvaguardare questa alleanza d’amore e di garantirne maggiore stabilità, si sono offuscati e annebbiati gli aspetti più personalistici del matrimonio, a vantaggio esclusivo di quelli istituzionali e giuridici. Infatti, a motivo di situazioni storico-politiche, il matrimonio è diventato un istituto giuridico di competenza esclusiva della Chiesa, che ha dovuto concentrare la sua attenzione sul suo aspetto di contractus, a scapito di tutti quegli elementi vitali, di cui il Vangelo si era sempre fatto portatore. Finalmente, dopo una lunga e lenta riflessione teologica, il Concilio Vaticano II riporta il patto matrimoniale al suo originario splendore. Di tale corrente, Giovanni Paolo II, da sempre promotore degli stessi principi su cui lo stesso Concilio si fondò, assunse la doppia veste di precursore e di figlio, ispirandosi ad esso nel difendere e sostenere la dimensione personalistica del matrimonio. In questo elaborato ho voluto sottolineare il suo importante contributo anche in ambito delle sentenze rotali, in cui si evince chiaramente come detta prospettiva non solo restituisce al matrimonio il suo vero volto, ma si pone in piena armonia con la dimensione istituzionale, sempre tutelata dalla Chiesa per il semplice motivo che l’istituzione in quanto tale costituisce il fondamento necessario per salvaguardare e tutelare la dignità della stessa persona. Lo stesso Codice di diritto canonico del 1983, in linea con il nuovo spirito conciliare Vaticano II, ha usato la categoria di foedus per indicare il patto coniugale di vita e di amore tra un uomo e una donna ed evidenziarne l’aspetto relazionale e personale; ma, allo stesso tempo, non ha mai abbandonato il termine contractus, perché il matrimonio resta comunque un istituto giuridico da tutelare. Non, quindi, una duplice visione del matrimonio, in cui bisogna scegliere tra il contrattualismo e il personalismo, ma una concezione unitaria e armonica, che Giovanni Paolo II ha sempre insegnato e ribadito nel corso del suo magistero pontificio, soprattutto, nelle sue catechesi e nei suoi discorsi annuali alla Rota Romana. Per lui il matrimonio non è semplicemente una relazione d’amore tra un uomo e una donna con cui i coniugi in modo libero, totale e incondizionato scelgono di donarsi e accogliersi reciprocamente, ma un rapporto attraverso cui i nubenti, manifestando in modo valido e


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legittimo il loro consenso personale, danno vita ad una cosiddetta istituzione di amore, che genera in essi il diritto di ricevere la verità dell’altro, nonché il dovere di offrire la verità di sé stessi92. In tale senso, la categoria di foedus esprime bene l’idea di impegno e di dovere assoluto, che nasce dalla persona stessa e dal suo forte desiderio di donarsi all’altro. È, in fondo, nella natura stessa dell’amore, impegnarsi incondizionatamente e assolutamente per l’altro. In tale prospettiva, l’amore è, pertanto «una relazione che pienamente giustifica il significato istituzionale del vincolo coniugale, ossia la sua indissolubilità, la sua fedeltà e la sua fecondità, in quanto esso esprime il naturale atteggiamento reciproco dei coniugi, ossia il comportamento che i coniugi devono impegnarsi ad assumere reciprocamente nel momento in cui si uniscono in matrimonio»93.

Si comprende, quindi, che nel diritto matrimoniale canonico e nella giurisprudenza rotale non si può prescindere da una prospettiva antropologica per un’autentica comprensione dell’istituto matrimoniale. Per i coniugi cristiani, questa dimensione antropologica trova linfa vitale nella novità del Vangelo, come Giovanni Paolo II ribadisce con fermezza nel suo discorso annuale alla Rota Romana dell’anno 2000: «Il “lieto annuncio della definitività dell’amore coniugale” non è una vaga astrazione o una bella frase che riflette il comune desiderio di coloro che si determinano al matrimonio. Questo annuncio si radica piuttosto nella novità cristiana, che fa del matrimonio un sacramento»94.

Oggi, la Chiesa è chiamata ad affrontare sfide diverse da quelle del passato: se prima il matrimonio veniva soffocato dentro un apparato pubblicistico e sociale, in cui la procreazione dei figli era il suo principale motivo di essere nella mortificazione dell’amore coniugale, 92 Cfr. P. BUSELLI MONDIN, Il personalismo cristiano, in P. GHERRI (cur.), Diritto canonico, antropologia e personalismo. Atti della Giornata Canonistica Interdisciplinare (6-7 marzo 2007), Città del Vaticano 2008, 216. 93 L.c. 94 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (21.01.2000), cit., 351.


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adesso sia il patto matrimoniale sia la persona sono messi in profonda discussione, a nome di un individualismo sfrenato e nevrotico che, pur di difendere la libertà dell’uomo, è disposto a rinnegarne la sua stessa natura, donatagli da Dio. «L’individualismo suppone un uso della libertà nel quale il soggetto fa ciò che vuole, stabilendo egli stesso la verità di ciò che gli piace o gli torna utile. Non ammette che altri voglia o esiga da lui nel nome di una verità oggettiva. Non vuole dare ad un altro sulla base della verità, non vuole diventare un dono sincero»95.

Pertanto, diventa essenziale ai nostri giorni una vera e propria educazione all’amore, di cui la famiglia deve essere il soggetto principale96: fino a quando la persona non riuscirà a vivere l’amore nella sua verità e autenticità, non potrà mai ritrovare se stessa né sarà mai capace di vivere un patto coniugale nella sua totalità e genuinità. Per educare l’uomo all’amore bisogna, anzitutto, lottare contro il soggettivismo e lo spontaneismo, che lo sottraggono alla vera libertà e gli impediscono di uscire da se stesso per rivolgersi all’altro; ma è un esodo che non si può compiere da soli, perché soltanto con Cristo il cuore diventa capace e libero di amare97. Educare è certamente un compito difficile, ma non impossibile (in genere le cose più grandi sono le più ardue). Esso è paragonabile al lavoro di uno scultore: «Si racconta che quando Michelangelo si trovava a dover scegliere fra i vari pezzi di marmo per scolpire una statua, egli li palpasse con le sue mani, come se li accarezzasse, per rendersi conto di quale pezzo fosse più adeguato ad esprimere ciò che l’artista sentiva. Era come se giudicasse il blocco marmoreo di ciò che esso era capace di divenire. E questa è una pallida idea di ciò che accade nel rapporto educativo»98.

95

ID., Allocutio ad Romanae Rotae Auditores (27.01.1997), cit., 48. Cfr. M. ALIOTTA, Famiglia: quale prassi pastorale. Fondamenti biblico-teologici, Siracusa 1992, 35-38. 97 Cfr. C. CAFFARRA, L’amore insidiato, Siena 2008, 347-351. 98 ID. , Creati per amare, Siena 2006, 230. 96


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In tal senso, tutta l’attività della comunità ecclesiale deve essere concepita come un’educazione all’amore: non una catechesi finalizzata alla nuda e cruda preparazione ai sacramenti, ma una scuola di vita per l’amore, in cui i sacramenti sono vissuti come eventi di grazia, attraverso i quali Cristo stesso aiuta l’uomo a vivere il vero amore. Il principale soggetto pastorale di tale opera, lo ribadisco, deve essere la famiglia. Infatti «i coniugi e i genitori cristiani, seguendo la loro propria via […] offrono a tutti l’esempio di un amore instancabile e generoso, edificano una fraternità di carità e diventano i testimoni e i cooperatori della fecondità della madre Chiesa, in segno e in partecipazione di quell’amore, col quale Cristo ha amato la sua Sposa e si è dato per lei»99.

In tale compito educativo, bisogna insistere sul fatto che il matrimonio è un legame personale e definitivo di comunione fra due peccatori. Ciò significa che il coniuge porta in sé la tendenza continua a compiere peccato e, nel caso specifico, a non essere fedele all’amore dell’altro. Ma è proprio del sacramento del matrimonio dare la grazia necessaria, affinché il perdono sia sempre vissuto e concretizzato nella vita di coppia100. Solo Cristo, l’Uomo vero, è l’unica proposta autentica e concreta capace di rompere le catene dell’annientamento dell’uomo per spalancargli le porte dell’amore incondizionato e infinito: Egli non solo è un modello da proporre, ma un evento salvifico già realizzato, che va accolto e vissuto sempre in pienezza. Di tale amore Giovanni Paolo II rimarrà sempre nelle storia un poeta e un cantore unico e singolare.

99

LG 41, in EV, 1/394.

100

Cfr. M. G. LEPORI, Fu invitato anche Gesù. Conversazioni sulla vocazione famigliare, Siena 2009, 65-72.



Sezione miscellanea Synaxis 3 (2011) 139-174

IL CAN. F. RUSSO (1829-1890), LE SACRAMENTINE (1888-1896) E LA PRESENZA A PALERMO DELLE RELIGIOSE DELLA ADORAZIONE PERPETUA (1896-1912)

MARIO TORCIVIA*

Il presente studio desidera far conoscere, seppur per grandi linee, la biografia del can. Francesco Russo (1829 Palermo 1890), una delle più significative figure di presbiteri palermitani del XIX secolo, oggi totalmente dimenticata. Si soffermerà, indi, a trattare delle Suore della perpetua adorazione del Ss. Sacramento (1888-1896), l’Istituto religioso fondato dal canonico della Chiesa Cattedrale di Palermo e della presenza nel capoluogo siciliano delle Religieuses de l’Adoration perpetuelle du Très-Saint Sacrement (1896-1912)1. Con questa Congregazione religiosa — fondata da Madre Anne De Meeûs (1823 Bruxelles 1904)2 nel 1856-1857 per supportare l’Associazione dell’Adorazione perpetua e di soccorso alle chiese povere nata nel 1848 — si sono fuse (1896), infatti, le poche Sacramentiste/Sacramentine3 * Docente di Teologia Spirituale presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania. Legenda: ANR: Archivio Nunzio Russo, Palermo; ARE: Archivio Religiose dell’Eucaristia, Roma; ASDPa: Archivio Storico Diocesano di Palermo. 1 Conosciute allora in Italia col nome di Religiose dell’adorazione perpetua, cfr. Lettera di sr. Aglaé Luc al Card. Celesia, Palermo, 27 settembre 1898 e Lettera di sr. Aglé Luc al Card. Celesia, Palermo, 31 marzo 1899, in ASDPa, Corda 1453. Governi/Celesia. Anni 1871-1904. Sulle, oggi denominate, Religiose dell’Eucaristia, cfr. G. ROCCA, Eucaristia, Suore dell’, in DIP 3, Roma, 1976, col. 1341. 2 Sulla suora belga, cfr. G. ROCCA, De Meeûs, Anne, in DIP 3, Roma 1976, col. 438. 3 Questo il nome con cui sono state comunemente denominate — anche in docu-


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rimaste dopo la morte del loro fondatore. Il paragrafo finale presenterà l’arrivo delle Orsoline di famiglia a Palermo (1912), le quali, ultime, occupano da cent’anni quella che fu la sede dei due summenzionati istituti religiosi femminili. 1. IL CAN. FRANCESCO RUSSO. BREVE BIOGRAFIA Francesco Russo nacque a Palermo il 5 febbraio 18294 e morì nel capoluogo siciliano la sera di mercoledì 9 aprile 18905, all’età di 61 anni. Figlio di Giuseppe e Maria Morello, sorella del famoso scultore Nunzio, Francesco era imparentato due volte coi fratelli presbiteri Nunzio6 e Teodoro Russo7. Il padre era infatti cugino del padre dei menti ufficiali, quali gli annuari dell’Arcidiocesi di Palermo, cfr. infra — le suore, sia nella prima fondazione che dopo la fusione con le suore belghe. 4 Cfr. Elogio funebre del Sac. Francesco Russo. Canonico della Metropolitana di Palermo. Fondatore dell’Istituto delle Adoratrici del SS. Sacramento. Letto nella stessa Chiesa delle Sacramentine il giorno 26 Aprile 1890 dal Sac. Rocco Bondì. Beneficiale e Cappellano Maggiore della Chiesa dei Miseremini in S. Matteo, Palermo 1890, 8. 5 Cfr. Iscrizione dinanzi la porta, in Elogio, cit., [55] e Un vero apostolo in Palermo, in La Sicilia Cattolica 23 n. 83, 14-15 aprile 1890, 1. Il Necrologio, in La Carità 3 (1890) 126, erroneamente, fissa la data di morte l’11 aprile. Anche una studiosa contemporanea, in modo erroneo, scrive come data della morte l’11 marzo 1890, cfr. M.T. FALZONE, Le Congregazioni religiose femminili nella Sicilia dell’Ottocento, Caltanissetta-Roma 2002, 122 (alcuni anni prima, la stessa studiosa aveva fornito alcuni brevissimi dati sulle Sacramentine, cfr. Presenza sociale degli istituti religiosi nelle realtà urbane siciliane (1890-1920), in Chiesa e società urbana in Sicilia (18901920). Atti del Convegno di studi. Catania 18-20 Maggio 1989, Acireale 1990, 256). 6 Sul presbitero diocesano, di cui è in corso il processo di beatificazione, cfr. F.M. STABILE, Nunzio Russo. Secolarizzazione ed evangelizzazione in Sicilia nella seconda metà dell’Ottocento, Caltanissetta-Roma 1997; M. TORCIVIA, Tutto fuoco per le anime. Nunzio Russo. Presbitero della Chiesa di Palermo. Fondatore delle Figlie della Croce, Cinisello Balsamo 2007; ID. (ed.), Don Nunzio Russo. Teologo ed evangelizzatore. Atti della Giornata di studio. Palermo, 21 novembre 2006, Cinisello Balsamo 2007. 7 Sul frate agostiniano scalzo, cfr. A. BENNATI, Diario dal 1° maggio al 19 giugno 1860, in Documenti e memorie della Rivoluzione Siciliana del 1860, Palermo 1910, 393 (27 maggio); C. PONTICELLO, Gli Agostiniani Scalzi in Sicilia dopo la soppressione. Memorie, Santuario di Valverde 1982 (originale: 1923.1944.1946), 19-22; F.M. RAIMONDO, Gli Agostiniani Scalzi, Genova 1955, 310-311; F. RIMASSA, Agostiniani Scalzi. Dizionario Biografico. Provincia Sicula, [Valverde] 1994, 218; L. SAPIA, Gli


Il can. F. Russo (1829-1890), le Sacramentine (1888-1896) …

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fratelli e la madre, sorella della madre di Teodoro e Nunzio. Quest’ultimo chiamava affettuosamente il cugino Ciccio8. Per don Bondì, Francesco Russo «Nell’Oratorio di S. Filippo Neri, fanciullo, giovanetto, secolare e chierico fu sempre caro a tutti»9 e fu deputato dai Padri Filippini «alla custodia della gioventù; ed Egli da compagno fra’ secolari e fra’ chierici, da custode della gioventù secolare di quell’Oratorio, mostrò uno zelo e una attività degna di un apostolo»10. In questo famoso luogo di formazione della Palermo del XIX secolo, Francesco ebbe come direttore spirituale e confessore p. Cesare Carcamo11. Dopo le tumultuose vicende del 1848, il card. Ferdinando M. Pignatelli ordinò che tutti i candidati al presbiterato studiassero in Seminario. Ha inizio così, per il giovane Francesco, la vita seminaristica. Ordinato prete12, non cessò di frequentare le «varie congregazioni ecclesiastiche e di spirito: come erano quelle dei PP. Ricordanti, dell’Oratorio di San Filippo Neri e di San Luigi»13, appartenendo, come già scritto, a quella dell’Oratorio di S. Filippo Neri14. Parlando della devozione mariana, Bondì si rivela prezioso perché elenca alcuni luoghi nei quali il giovane Russo si trovò a vivere ed operare: «Oltre dell’Oratorio di S. Filippo, il Seminario dei Chierici ove fu alunno, la Congregazione di S. Luigi ove era prefetto coadiutore, il corpo de’ Chierici Rossi della Cattedrale ove per due anni fu deputato, furono i campi ove ingegnossi coltivare e dilatare l’amore a Agostiniani Scalzi e la loro riforma in Sicilia. Breve profilo storico, [Valverde] 1993, 208-209. 8 Cfr. [N. RUSSO], L’apostolo della Carità e della Eucaristia, in Letture Domenicali 10 n. 16 (Palermo, 20 aprile 1890) 249; N. RUSSO, Lettera alla sig.na Paolina Turano, Palermo, 11 settembre 1879, in ANR b. 46/13, fasc. 2. 9 Elogio, cit., 44; cfr. anche 13. 10 Elogio, cit., 45. 11 Cfr. Elogio, cit., 14 e 44. 12 Nell’ASDPa abbiamo rintracciato la data dell’ordinazione suddiaconale (24 marzo 1849) ma non quelle delle ordinazioni diaconale e presbiterale, cfr. ASDPa, Corda 1123. Ordinazioni sacerdotali. Anni 1816-1855. 13 Elogio, cit., 17. 14 Cfr. Catalogo dei Padri, Sacerdoti e Chierici dell’Oratorio di S. Filippo Neri, in ASDPa, Corda 1265, Governi/Naselli. Anni 1853-1870, ad n. 114.


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Maria»15. E a proposito di uno dei suddetti luoghi, è il cugino Nunzio a dire come Francesco Russo consacrò gli anni migliori della sua gioventù «alla santificazione degli operai nella Congregazione di S. Luigi a Porta Carini»16. Nel 1860 Francesco Russo «intraprese una colletta dell’obolo di S. Pietro che fu la prima in Sicilia; e per più settimane fu veduto l’ardente ministro di DIO girare con altri a tal fine per le case dei cattolici»17. Essendo però, quel periodo storico caratterizzato da un forte anticlericalismo, il giorno stesso in cui scoprì di essere stato denunziato alle autorità, don Francesco si imbarcò, poiché provvisto di passaporto, per Napoli, portando con sé le 10.000 lire raccolte per offrirle al Papa: «Arrivato a Napoli, subito si traveste da garibaldino indossando la camicia rossa e il fazzoletto a tracolla; parte immediatamente per Roma, e trapassata la frontiera italiana sfugge con quella divisa le ricerche dei poliziotti. A Roma si presenta al Cardinale Antonelli. Il grande Pontefice Pio IX resta commosso a tanto eroico e singolare ardimento del prete siciliano e tantosto gli assegna una particolare udienza»18.

Al termine, il Papa lo benedisse e gli regalò una preziosa medaglia d’argento. Poiché la massoneria aveva saputo dell’incontro del Russo col Papa, arrivato a Napoli — dove doveva consegnare, per incarico del Papa, una lettera all’Arcivescovo del luogo, il card. Riario Sforza19 — don Francesco venne arrestato e incarcerato. Liberato, tornò in Sicilia, dove venne, però, nuovamente arrestato. Don Russo si contraddistinse anche per la lotta contro i preti attirati dalle idee liberali, come attesta il cugino don Nunzio: «[…] al 1860 essendo io ancora chierico, era ammesso alla edificante compagnia del Can. Boccone, del Can. F. Russo, del Can. Calì, del Capp. Mucoli, dei Sac. Ajello e Mercurio, e con denaro nostro e limosine raccolte ritiravamo in più copie il giornale L’Armonia, la cui prima lettura si fece 15

Elogio, cit., 28. [RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 252; cfr. anche Elogio, cit., 45. 17 [RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 248. 18 L.c. 19 Cfr. Elogio, cit., 38. 16


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nella cella del P. Adragna divenuto poi Ministro Generale dei Minori Conventuali. Eravamo uniti nel santo fine di distogliere i sacerdoti dal liberalismo che avea ubbriacato quasi tutto il Clero cattedrale sino al punto da condurre l’Arcivescovo Naselli a visitare Garibaldi al palazzo di città! Cosa che amareggiò tanto Pio IX che se ne rammaricava con tutti i nostri diocesani che andavano a baciargli il piede. Noi eravamo tutti fuoco per iscongiurare l’abominazione introdotta già nel luogo santo»20.

Sempre nel 1860, don Russo «fonda […] in un terreno, da lui acquistato, nel sobborgo della Arenella una Casa di Asilo delle Orfanelle»21. La polizia, però, si oppose fermamente all’opera e il presbitero palermitano, «dopo tante persecuzioni, dovette sciogliere nel 1869»22 la casa. Il Russo, però, «molte di quelle giovinette ritenne in casa sua, che poscia collocò onestamente o curò sino alla morte con paterna carità»23. Nel 1864, in occasione del decennio della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, Russo «organizzò feste splendidissime per ben quattro giorni, nella chiesa di S. Nicolò [da] Tolentino, con immenso giubilo e concorso del popolo»24. Due anni dopo, «Nei sette giorni di anarchia del 1866, fu veduto insieme ad un suo cugino sacerdote religioso agostiniano (p. Teodoro Russo, frate agostiniano scalzo, ndr.) dietro le barricate intento a tirarne i feriti e trasportarli all’ospedale»25. In occasione della detenzione dei giornalisti dell’Ape Iblea (1869) a causa di opinioni divergenti con l’autorità statale, don Russo, travestendosi da popolano per ingannare la vigilanza degli uomini del questore Albanese, si recava nella tipografia del giornale per portare gli scritti e così il giornale poté continuare la pubblicazione26. 20 [RUSSO], Risposta ai quesiti della Commissione istituita per la Congregazione di Sales, dallo E.mo Cardinal Celesia Arcivescovo di Palermo, Palermo, 8 Settembre 1889, 45, in ANR, b. 9/3, fasc. 13. 21 [RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 249. L’Arenella è una borgata marinara della città di Palermo. 22 Un vero apostolo in Palermo, cit., 1; cfr. anche Elogio, cit., 22. 23 Elogio, cit., 48. 24 Un vero apostolo in Palermo, cit., 1; cfr. anche Elogio, cit., 29-31. 25 [RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 249. 26 Cfr. [RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 249.


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Nel 1871 fondò, insieme ad altre tre confratelli nel presbiterato, il periodico religioso La Santa Eucaristia27, stampato «per la diffusione della devozione eucaristica fondata su basi teologiche e storiche»28. Il giornale «Si rivolge alle religiose, alle anime pie, alle famiglie cristiane: “Voi tutti che il mondo ignora”»29. Del periodico, Russo fu direttore per due anni, «anzi avea iniziato una Stamperia Cattolica, che poi non ebbe seguito, per ragioni estranee al suo vivo desiderio»30. E Bondì completa la notizia: «Volle fondare una religiosa Effemeride, e all’uopo si provvide di torchio e di caratteri facendola Egli da direttore, compositore e torchioliere; e per ben due anni si pubblicò quel carissimo periodico che fu La Santa Eucaristia; ma tante spese e tanti lavori doveano arrestarsi, malgrado la di Lui energia, per la deficienza dei collaboratori»31. Il 1° settembre 1883 Papa Leone XIII pubblica l’enciclica Supremi Apostolatus officio per ridestare nel popolo cattolico la devozione alla Vergine del Rosario. Il card. Michelangelo Celesia, riprendendo il desiderio papale, nella sua Lettera Pastorale sul rosario, invita tutti i credenti dell’Arcidiocesi palermitana ad una solenne processione dalla chiesa di “S. Caterina d’Alessandria”, appartenente alle monache domenicane, a quella di “S. Domenico”, appartenente ai Frati Predicatori32. Il Russo fu tra coloro che partecipò attivamente alle iniziative realizzate «per la riuscita del primo mese del Rosario»33. 27 Cfr. F. RUSSO – R. BONDÌ – I. CARINI – A. PENNINO, Lettera a S.E. il Vicario Capitolare [Mons. Antonio Cervello] dell’Archidiocesi di Palermo, Palermo, 29 dicembre 1869, in ASDPa, Corda 1260. Governi/Naselli, Anni 1853-1870, vol. V, n. 9, f. 934 e[RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 251. 28 F.M. STABILE, Palermo, in G. ZITO (cur.), Storia delle Chiese di Sicilia, Città del Vaticano 2009, 645. 29 ID., Il clero palermitano. Nel primo decennio dell’Unità d’Italia (1860-1870), Palermo 1978, vol. II, 422 n. 45. Al termine della nota, Stabile afferma come il giornale sia custodito nell’Archivio del Seminario Arcivescovile di Palermo. A causa, però, di diversi traslochi e anche per gli attuali lavori in corso nella sede storica, non abbiamo potuto consultare l’Archivio e non sappiamo, pertanto, se il giornale è ancora lì custodito o è andato perduto. 30 Un vero apostolo in Palermo, cit., 1. 31 Elogio, cit., 22. 32 Cfr. Lettera Pastorale di Mons. Arciv. di Palermo sul Rosario, in Letture Domenicali 3 n. 38 (Palermo, 23 settembre 1883), 598-603. 33 [RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 252; cfr. anche La cattolica Palermo e la


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In occasione del colera che colpì la città di Palermo dal settembre 1885, «il SAC. RUSSO abbandonò la propria casa e andò a fissare il suo domicilio nell’Oratorio di S. Matteo, facendo colà il centro della sua operatura»34. E il cugino don Nunzio scrive: «Il Card. Celesia trovò in lui un braccio forte, ed il Russo fu l’anima e la vita del comitato di S. Matteo ove molti sacerdoti ed anche chierici portarono generoso il loro concorso […] E quando, cessato il fatal morbo, il nostro Cardinale, per dargli un pegno della sua gratitudine, lo nominò Canonico della Cattedrale, tutta la città ne fu lietissima»35. Nel 1887 il card. Celesia scrive al can. Russo per ringraziarlo per quanto generosamente operato da lui e dai sacerdoti del Comitato dei Crociferi, dal Presule ora sciolto per la quasi scomparsa del colera36. Devoto del Pontefice, in occasione del giubileo sacerdotale di papa Leone XIII (1887) «Si fece promotore e pigliò parte attiva ad un comitato per raccogliere delle somme da presentare all’Augusto Pontefice, e si cooperò a far coniare una medaglia di oro che rammentasse una delle migliori glorie del Pontificato di Lui: l’avere cioè ridestata nel mondo la devozione del Rosario in onore di Maria»37. Sempre Bondì ci dà notizia del diniego del Russo ad accettare la cura della chiesa dei SS. Pietro e Paolo: «L’Arcivescovo Celesia volea cedere a Lui la nuova chiesa di S. Pietro e Paolo nella contrada Carella, perché Egli ne portasse avanti lo edificio recita del Rosario nelle Chiese e nei viaggi, in Letture Domenicali 3 n. 42 (Palermo, 21 Ottobre 1883), 662-667 ed Elogio, cit., 32-33. 34 Elogio, cit., 46. 35 Un vero apostolo in Palermo, cit., 1. Questa l’esatta dicitura del comitato: Comitato permanente dei sacerdoti Sotto titolo di Maria SS. del Perpetuo Soccorso nell’Oratorio di S. Matteo, Palermo 23 Settembre 1885, cfr. ASDPa, Corda 1474. Governi/Celesia. Anni 1878-1898 e ASDPa, Corda 1476, Governi/Celesia Anni 18911904. La nomina a canonico reca come data il 29 ottobre 1885, cfr. Lettera del Card. Celesia all’Arcidiacono della Metropolitana di Palermo, Palermo, 29 ottobre 1885, in ASDPa, Documenti Capitolari. Anni 1882-1879; la presa di possesso il 31 ottobre e la professione di fede l’8 novembre successivo, cfr. ASDPa, Archivio Capitolare di Palermo. Atti Capitolari dall’anno 1865 all’anno 1903, 133. 36 Cfr. Lettera del Card. Celesia al can. Russo, Palermo, 13 Sett. 1887, in ASDPa, Corda 1411. Governi/Celesia. Anni 1871-1904. 37 Elogio, cit., 19; cfr. anche [RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 252.


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iniziato e poscia che ne fosse il rettore ed anche il parroco, se fosse stata, come era idea, elevata a parrocchia; ma egli non volle accettarla sotto quelle onorifiche condizioni, a meno che non gli fosse stato concesso di dirigerne l’uso ad un fine remoto, che fu la preoccupazione costante di tutta la sua vita: la chiesa cioè e casa delle Sagramentine. Se poi egli accettò la dignità di canonico della Metropolitana nol fece per ambizione, sibbene per ubbidire e per avere con quella carica e dignità un titolo di più a compiere il grandioso disegno»38.

Don Russo, inoltre, «Volle egli formare un gruppo di sacerdoti, viventi del medesimo spirito, disciplinati nel campo della ecclesiastica operatura, osservanti delle leggi della Chiesa, edotti delle sacre liturgie, ristoratori della maestà del culto nelle sacre cerimonie, nel canto sacro. Nulla egli omise ad ottenere questo nobilissimo scopo, né se ne sarebbe ritratto se le cariche, e le occupazioni del ministero, cui la diocesana Autorità li chiamava, non avessero strappato ad uno ad uno dal suo fianco coloro che vi avevano prima aderito»39.

Il presbitero palermitano aiutò anche l’opera fondata da don Giacomo Cusmano: «Si diede ad incoraggiare e a coadiuvare la grandiosa e provvidenziale opera del Boccone del Povero, e ne sarebbe stato l’anima e la forza; ma la Provvidenza misteriosamente ne lo tenne lontano, senza però privare quell’Opera dell’appoggio di Lui»40. E alcune pagine dopo, Bondì così continua: «Della istituzione del Boccone del Povero fu Egli valido sostegno: sin dalla fondazione vi lavorò e partecipò al primordiale indirizzo, e quell’anima grande del P. Giacomo Cusmano ebbe sempre cari i consigli del nostro RUSSO, e con replicate istanze lo scongiurò di farglisi socio e cooperatore. Egli lo avrebbe contentato, se IDDIO non lo avesse riserbato all’altra opera, pur essa grandiosa e santa. Però il RUSSO regalò a quell’istituto 38

Elogio, cit., 19. Alcune pagine dopo, Bondì fornisce altre due motivi dell’accoglienza del canonicato da parte di don Russo: «la quale dignità Egli accettò solo per ubbidire al Pastore, e per mostrarsi grato alla generosità di Lui» (47). Il disegno al quale si riferisce Bondì è quello riguardante la «grande istituzione delle Adoratrici del Divin Sacramento» (Elogio, cit., 23). 39 Elogio, cit., 21-22. 40 Elogio, cit., 22.


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varie macchine che avea acquistate: macchine cioè da far calze e da cucire, anche un piccolo torchio e caratteri per iniziarvi colà la tipografia, ed una o due macchine da traforo»41.

Erede dello spirito di don Francesco, in quanto suo figlio spirituale, fu «P. Felice Pignataro della Compagnia di Gesù unico figlio della Superiora delle Sacramentine signora Francesca Damanti vedova Pignataro. Il P. Felice fu dalla madre affidato ancor bambino alla cura e alla educazione del Sac. Russo, il quale con l’esempio e le parole lo avviò alla cristiana perfezione; […] Dato il nome alla Compagnia di Gesù molto contribuì alla fondazione delle Sacramentine»42. Concludiamo queste brevi note biografiche, citando la lode che don Bondì tessé del can. Russo al termine dell’elogio funebre… «E noi lo potrem senza tema rassomigliare a un S. Gaetano Tiene per lo zelo e il decoro della casa di DIO; a un S. Vincenzo di Paoli, per l’amore alla ecclesiastica dignità e per la carità verso i fanciulli; a un S. Francesco di Paola, per l’amore alla penitenza e alla mortificazione; a un S. Ignazio di Lojola per il cooperar sempre alla maggior gloria di DIO; a un S. Francesco Saverio per la brama della conservazione e propagazione della fede; a un S. Girolamo Emiliani per la carità verso gli orfani e i derelitti; a un S. Pasquale Baylon, a un S. Felice da Cantalicio, a un S. Francesco Borgia, a un S. Filippo Neri, per l’ardentissimo amore per la santa castità, per l’amore versò GESÙ Sacramentato e verso l’Addolorata Madre del Redentore»43.

… e le notizie fornite dal can. L. Romano, Cancelliere del Capitolo della Chiesa Cattedrale di Palermo: «13 Aprile 1890. Oggi pervenne al Capitolo il doloroso annunzio della morte del Can. Francesco Russo mancato ai vivi dopo breve malattia, 41

Elogio, cit., 48. Elogio, cit., 41 nota 2. Sr. Francesca Damanti morì a Palermo il 27 dicembre 1906, cfr.: P. SANFILIPPO, Francesca Damanti. Vedova Pignataro, in Letture Domenicali 27 n. 1 (Palermo, 6 gennaio 1907), 12-13. Nell’articolo si dice che il figlio gesuita era morto pochi giorni prima della madre. 43 Elogio, cit., 52. 42


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lasciando l’estinto una cara memoria di se. Fu un sacerdote infatigabile ed operoso, era il Direttore delle Suore Sacramentine ed al suo zelo si deve questa fondazione. La Sicilia Cattolica ne scrive la vita, e il Benef.le Rocco Bondì pubblicò l’elogio funebre. Gli furono celebrati i funerali nella Cattedrale, e nella sua Chiesa delle Sacramentine»44.

2. LE SUORE DELLA PERPETUA ADORAZIONE DEL SS. SACRAMENTO (18881896) E LA PRESENZA DELLE RELIGIOSE DELL’ADORAZIONE PERPETUA A PALERMO (1896-1912) Riguardo alla più importante opera religiosa realizzata dal canonico palermitano, così scrive, in modo un po’ enfatico, il cugino don Nunzio: «Egli (Francesco Russo, ndr.) vagheggiava da gran tempo di dare a Palermo un’istituzione, che altrove è stata albero fecondissimo di frutti celesti: diciamo l’istituzione delle Sacramentine, l’istituzione sublime dell’adorazione perpetua di GESÙ nel SS. Sacramento dell’Eucaristia. E giunse alla desiata meta: egli ne posò le basi, insinuando alla piissima Signora D. Francesca Damanti il santo proposito [di] offrire la sua casa ad albergo del Fattore dell’Universo; egli vide fiorire l’istituzione presso il suo stesso origliere e si diè tutto al trionfo Eucaristico. Prima di morire indossò a ben duecento adoratrici esterne le insegne dell’affiliazione alla grande Opera dell’Adorazione perpetua. Là in sul principio della via Principe di Scordia, entro tanto piccole quanto eccelse mura, in angusto quanto immenso tabernacolo, […] il canonico Russo lasciò ai Palermitani un’eredità che supera in eccellenza il maggior tesoro della vita; lasciò GESÙ CRISTO ascoso nelle specie eucaristiche ed esposto alla perpetua adorazione delle sue anime predilette. […] Egli seppe in quel piccolo tempietto trasfondere il suo spirito di adorazione e di riconcentramento»45.

Ma vediamo come nacque in Russo l’idea della fondazione delle Sacramentine46: 44 ASDPa, Archivio Capitolare di Palermo. Atti Capitolari dall’anno 1865 all’anno 1903, 178. 45 [RUSSO], L’apostolo della Carità, cit., 251. 46 Facciamo notare come nella seconda metà dell’Ottocento forte fu la devozione eucaristica, un aspetto della quale era dato proprio dall’adorazione perpetua del


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«Da parecchi anni era sorta fra noi (nella città di Palermo, ndr.) la bellissima opera detta dei Tabernacoli, a sostener la quale vi mise mano la più cospicua nobiltà del paese: essa ebbe per iscopo di lavorare nel corso dell’anno sacri arredi, nel contribuire larghe elemosine per fornire le povere chiese di arredi e di vasi sacri; come si vede essa è il più bell’omaggio che si potesse rendere a GESÙ in Sacramento a riparazione delle sacrileghe ruberie anzi dei saccheggi operati dagli empi nelle Case del SIGNORE. […] Nessun potea credere che quest’opera stupenda dovesse servire a far nascere qui in Palermo l’altra delle Adoratrici, e farla nascere di un tipo tutto proprio, di un carattere speciale!»47.

Cosa fa allora il presbitero palermitano?: «M. le chanoine Francesco Russo, chargé de l’éducation des enfants de Mme Pignataro, avait obtenu de Son Éminence l’autorisation de conserver le Très Saint Sacrement dans la chapelle privée de cette pieuse dame, et travailla dès lors à réunir des adorateurs parmi ses parents et ses amis. Plus tard, il chercha à obtenir una communauté de religieuses vouées à l’adoration; l’archevêque de Messine (card. Giuseppe Guarino, ndr.), qui, par l’Association établie dans sa ville épiscopale, connaissait l’Institut, le SS. Sacramento, cfr. L. BORRIELLO – G. DELLA CROCE – B. SECONDIN, La spiritualità cristiana nell’età contemporanea, Roma 1985, 107-109 e T GOFFI, La spiritualità dell’Ottocento, Bologna 1989, 123-128. 47 Elogio, cit., 24-25. La Pia Unione Dell’Adorazione riparatrice del SS. Sacramento e del soccorso alle Chiese povere detta dei Tabernacoli in Palermo fu istituita canonicamente da S.E. mons. Celesia il 22 agosto 1881, cfr. Relatio Status Ecclesiae Panormitanae eiusque Dioeceseos anno 1887, in ASV, S. Congregatio Concilii, Relationes Dioecesium, Panormit. 617 B, De novis erectionibus, ad 5; Pro biennis 88-89, Panormitana, in ASV, S. Congregatio Concilii, Relationes Dioecesium, Panormit. 617 B; M. CASCAVILLA, Sulla vita e gli scritti del Cardinale Michelangelo Celesia. Cenni storici, Palermo 1890, CCXCIV-CCXCIX; Les voies de Dieu. Un Jubilé Eucharistique dans l’Église expiatoire du Très Saint Sacrement du Miracle à Bruxelles. 1848-1898, Bruxelles 1898, 207-208; Anna de Meeûs. Fondatrice de l’Institut des Religieuses de l’Adoration perpetuelle. 1823-1904. D’apres ses écrits et le récits de ses contemporains, Bruxelles 1942, 120-121. Ogni anno, in occasione della mostra al palazzo arcivescovile dei sacri arredi confezionati da decine di nobili donne della città di Palermo, mons. Celesia teneva il discorso di inaugurazione dell’esposizione, cfr. Associazione della Pia Opera dei Tabernacoli in Palermo. Discorso di S. E. Monsignor Arcivescovo ed elenco degli Arredi sacri esposti nel 1884 e Discorso di Monsignor Arcivescovo alle dame della pia Opera dei Tabernacoli, in Bullettino de’ Santi Tabernacoli, Roma 1884, 56-57 e 58-64.


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lui indiqua, et M. le chanoine Russo se mit en rapport avec la supérieure générale»48.

Scrivendo, pertanto, nel maggio 1884 ad una delle principali collaboratrici della Madre Generale dell’Istituto, don Russo manifesta quanto comunicatogli da S.E. mons. Celesia e fa il punto sulle promesse vocazioni: «[…] Monsig.r Arcivescovo di Palermo […] vede con piacere che la casa già comincia ad avviarsi bene, mi ha però ordinato di procedere d’accordo con Monsig.r Lancia di Brolo, che è stato direttore diocesano dell’opera dei tabernacoli, e questo acciò non si abbiano ad offendere quelle pie dame, che sono state sino ad ora tanto attive nell’impianto e nella direzione di quest’opera già tanto benemerita della nostra Archidiocesi, e che potrebbero offendersi un poco se si credessero quasi spodestate nella direzione che sino ad ora hanno avuto nell’opera. […] In quanto a quelle ragazze, delle quali ho avuto occasione di parlarle, e che mostrano tendenza ad abbracciare questo istituto delle adoratrici perpetue, e sulle quali io faceva assegnamento per l’ingrandimento della loro casa contigua, debbo per il momento metterle fuori scena, perché oltre che in atto non conoscono abbastanza la regola che devono abbracciare, hanno altresì mostrata una ripugnanza invincibile ad avventurarsi a fare il noviziato fuori di casa»49.

Alla fine dello stesso mese, anche l’Arcivescovo scrive a sr. Leopoldina de Robiano fornendo le assicurazioni richieste dalla Madre Generale delle Religiose dell’Adorazione Perpetua relativamente alla fondazione di una casa religiosa a Palermo. Mons. Celesia si mostra disponibilissimo perché le suore belghe aprano una casa nel capoluogo siciliano, «E questa nostra associazione delle nobili Dame, il cui zelo ha dato così splendidi risultati in soli due anni, da che venne qui stabilita l’Opera dell’adorazione riparatrice e del Soccorso alle Chiese povere, sarà certa48

Les voies de Dieu, cit., 205-206. Lettera di don Francesco Russo a sr. Leopoldina de Robiano, Palermo, 23 maggio 1884, in ARE. Nella lettera, il presbitero palermitano descrive anche la casa e la chiesa di via P.pe di Scordia, dove andrebbero a risiedere le Religiose dell’Adorazione 49


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mente ben lieta di unirsi nel santo scopo con le Sorelle perpetue adoratrici. E pur conservando all’esterno la loro rappresentanza e la loro azione a norma del loro Statuto le nostre pie Dame saranno ancora contente di quella direzione, che potranno ricevere dalle Suore perpetue adoratrici»50.

Il 4 giugno sr. de Robiano risponde alla lettera del Russo del 23 maggio e, parlando delle difficoltà espresse da quest’ultimo in ordine alle vocazioni, scrive: «Essendo Vostra Reverenza che ha avuto il pensiero della fondazione, nutriamo la fiducia ch’Ella ancora avrà grazia speciale per fare conoscere la nostra santa vocazione ed inebriare ad alcune anche il desiderio di abbracciarla. […] Ma, se come lo speriamo, V.R. vorrà proseguire il suo progetto e farsi il vero fondatore della Casa di Palermo, non potrebbe Ella venire un’altra volta a Roma […] affine di prendere più ampia conoscenza dell’Istituto, dello suo spirito, della sua Regola, delle qualità richieste per l’ammissione delle aspiranti?»51.

A metà luglio, Russo rispondendo ad una lettera della de Robiano, di giorno 8, dà notizia che la casa palermitana sarà l’ottava casa dell’Istituto religioso e assicura che sia lui, che sua sorella (Orsolina, ndr.), come anche diversi preti «zelatori e coperatori» hanno fatto di tutto per far conoscere l’opera. La prova sono le numerose vocazioni di suore e di converse già pronte per andare in noviziato, se non vi fosse l’epidemia di colera52. In ottobre, il prete palermitano relaziona a sr. Leopoldina de Robiano il lavoro compiuto con le aspiranti: «Queste buone giovani si raccolgono insieme ogni quindici giorni nella nostra chiesetta a fare la comunione generale ed ascoltare a’ piedi di Gesù in Sacramento Perpetua. Sr. de Robiano, Assistente generale e prima compagna della Fondatrice, morirà a Watermael il 29 aprile 1907. 50 Lettera di S.E. Mons. Michelangelo Celesia a sr. Leopoldina de Robiano, Palermo, 30 maggio 1884, in ARE. 51 Lettera di sr. Leopoldina de Robiano a don Francesco Russo, Roma, 4 giugno 1884 (copia), in ARE. 52 Cfr. Lettera di don Francesco Russo a sr. Leopoldina de Robiano, Palermo, 16 luglio 1884, in ARE. Purtroppo non si possiede la risposta della suora, datata 18 agosto.


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solennemente esposto una istruzione sulla vita religiosa in genere, ed in specie sullo scopo dell’Istituto in cui intendono ascriversi»53. Il Russo dà notizia del buon comportamento osservato dalle giovani sia alle riunioni che in famiglia e sul loro desiderio di andare quanto prima in noviziato. Da parte sua, anche Russo, insieme a tante persone, attende ardentemente che l’opera possa iniziare a Palermo per il grande bene che farà nel campo religioso. Il mese seguente don Russo scrive alla Madre Generale ribadendo ancora una volta il grande desiderio delle giovani aspiranti di conoscerla personalmente per attingere direttamente da lei il carisma dell’Istituto. Il prete palermitano si mostra convinto che l’impedimento del colera — che non ha permesso che la Fondatrice dell’Istituto di suore belghe potesse recarsi a Palermo, a causa della necessaria quarantena — ha giovato, perché ha fatto sì che le giovani potessero ascoltare un ciclo completo di istruzioni da parte del padre gesuita Lo Presti54. In una lettera del Natale 1884, don Russo può finalmente dare la buona notizia alla Madre Generale che è terminata la quarantena e che, pertanto, può risolversi a partire per Palermo55. Per quanto riguarda, poi, l’aspetto economico, il Russo ha pensato anche ai soldi necessari per dare vita alla tanto desiderata fondazione: «Pieno di gioia il Servo di DIO, sente già essere venuto il momento di attuare i suoi disegni; ne parla in famiglia, tratta cogl’intimi amici, chiede consigli ai saggi, ne riceve l’approvazione del Pastore dell’Archidiocesi ed ecco raccoglie le somme accumulate e vola a Roma, dove da pochi anni dal Belgio si era trapiantata quest’Opera. Deposita il danaro qual garanzia del suo efficace volere, ed ottiene che la Generala istessa con altre due suore venisse secolui in Palermo per dar mano alla sospirata fondazione»56. 53 Lettera di don Francesco Russo a sr. Leopoldina di Robiano, Palermo, 11 ottobre 1884, in ARE. Purtroppo non si possiede la risposta della suora, datata 11 novembre. 54 Cfr. Lettera di don Francesco Russo a sr. Anne De Meeûs, Palermo, 22 novembre 1884, in ARE. 55 Cfr. Lettera di don Francesco Russo a sr. Anne De Meeûs, Palermo, 25 dicembre 1884, in ARE. 56 Elogio, cit., 25.


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Pertanto, «En 1885, tout était convenu. La maison habitée par Mme Pignataro faisait partie du patrimoine de son fils, religieux de la Compagnie de Jésus; elle fut offerte pour cette oeuvre, et plusieurs postulantes partirent pour le noviciat, soit de Belgique, soit de Rome»57. Ma seguiamo nel dettaglio le vicende. La Madre Generale delle Religiose dell’Adorazione Perpetua parte da Roma alla volta di Palermo martedì 10 marzo 188558. La prima tappa è, però, Napoli, dove viene accolta da don Russo e dal suo amico e confratello napoletano don Timoteo Ruggieri59. La sera di domenica 29, la Madre Generale rientra nella Capitale con ben 10 postulanti siciliane60. Il 7 aprile vengono inviate alcune lettere a Palermo: «Notre Mère envoit toutes les lettres que les postulantes ont écrites à leur Parents, à Don Russo, elle lui écrit elle même pour le remercier de ses bontés à son égard à Palerme»61. Tutto sembra andare così per il meglio. Al termine del noviziato delle giovani siciliane, si sarebbe aperta la casa palermitana delle Religiose dell’Adorazione Perpetua. Purtroppo, però, le così non andranno come previsto. In una lettera dell’agosto 1886, Russo manifesta infatti il suo disappunto, supportato da una triplice motivazione, per la mancata apertura della casa palermitana delle Religiose dell’Adorazione Perpetua, prevista per il mese seguente: «Io, è vero, ho mostrato dispiacere di non aver ottenuta la parola di aprirsi la Casa dell’Istituto in Palermo pel settembre di quest’anno 1886, ma non l’ho concepito sotto altro profilo, che pell’onore del medesimo Istituto 57

Les voies de Dieu, cit., 206. Cfr. [Agenda della casa romana delle Religiose dell’Adorazione Perpetua] 1885, in ARE. 59 Cfr. Lettre de … à … (copia), mardi 10 Mars-jeudi 12 Mars… [1885], in ARE. Nella lettera si dà informazione della lettura di una epistola da parte di don Russo nella quale si parla di cinque sorelle siciliane pronte ad entrare nell’Istituto e della notizia, avuta poi il 19 marzo, dell’opposizione del loro padre. 60 Cfr. [Agenda della casa romana, cit.] 1885, in ARE. Tra le postulanti c’è la futura sr. Carmela Collorà (morirà a Palermo il 21 gennaio 1944), cfr. Vita delle nostre consorelle defunte in Italia nel primo centenario dell’Istituto, datt. [Roma 1957], 80, in ARE. 61 [Agenda della casa romana, cit.] 1885, in ARE. 58


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essendo stata questa la parola che abbiamo data alle famiglie delle novizie; in secondo luogo perché il mio primario scopo essendo quello della esposizione giornaliera di Gesù Sacramentato, ogni indugio mi è sempre doloroso e dispiacente; molto più, che volendo, si avrebbe potuto gettare la prima pietra con due o tre Suore provette, che devono sempre in appresso accompagnare le novelle, e fra di tanto avrebbero potuto disporre il locale giusta le esigenze dell’Istituto; terzo finalmente per vedere così svanire qualche vocazione di persona aggiata e facoltosa, e che ci sfuggirà mai sempre che sentiranno essere obbligate a fare il noviziato fuori»62.

Si presenta, però, un impedimento che si rivelerà fatale in ordine alla fondazione palermitana delle Religiose dell’Adorazione Perpetua, vivente don Russo: «Il tutto dapprima va a seconda, varie giovanette vengono accettate; ma nel meglio un fortissimo ostacolo viene a rovesciare tutto: quella Istituzione, nata dall’Opera dei Tabernacoli, non potea sorgere né attecchire in Palermo, ove preesisteva digià l’opera stessa, né potea meno sperarsi, anche fatto il noviziato nel Belgio o in Roma, che qui venisse a impiantarsi senza distruggere l’Opera dei Tabernacoli o esser distrutta da questa»63. Per le Religiose dell’Adorazione Perpetua invece, altra fu la causa della non riuscita della fondazione palermitana dell’Istituto: «Les deux annéès de noviciat exigées par les constitutions de l’Institut parurent trop longues à M. le chanoine Russo et, dans son désir de commencer plus tôt l’adoration perpétuelle du Très Saint Sacrement, il tenta de constituer une nouvelle congrégation religieuse. Cet essai ne réussit pas et n’eut qu’une courte durée»64. E in un’altra fonte delle suore belghe, troviamo scritto: «suor Elena […] fu ammessa al noviziato insieme a molte altre giovani siciliane che avevano ottenuto il consenso dei genitori in vista della prossima apertura della casa di Palermo. Motivo che faceva loro sperare di averle ancora vicino a loro dopo il noviziato. […] Le trattative per la fondazione di Palermo dovettero andare a rilento e anche restare sospese 62 Lettera di don Francesco Russo a sr. Anne De Meeûs, Palermo, 16 agosto 1886, in ARE. 63 Elogio, cit., 25. 64 Les voies de Dieu, cit., 206.


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per le difficoltà insorte senza previsione di poterle superare. Le novizie avrebbero dovuto, dopo la professione restare in Belgio… a questa possibilità le famiglie si ribellarono e unanimi reclamarono le loro figlie… Fu una vera guerra. […] Purtroppo molte, anzi la maggior parte delle novizie cedettero alle insistenze dei familiari e tonarono a casa… Suor Elena rimase […]»65.

La mancata fondazione comportò anche una “incomprensione” riguardo alla somma depositata da Russo nelle mani della Madre Generale e di sr. Maria, superiora della casa romana delle Religiose dell’Adorazione Perpetua: «La somma poi delle Lire 38.mila, che fu consegnata dal Canonico Russo a mani di Suor Maria Superiora in Roma, era legata alla condizione di aprirsi l’Istituto in Palermo nel Settembre dell’anno scorso 1886. Malamente si apprende dalla Rev.da M. Generale, che quella somma sia stata come un dono: essa invece non era che un deposito, intendendosi coi frutti di quel deposito, in quanto a Lire 30.000 provvedere alle buone vocazioni per l’avvenire, a favore di tre giovani siciliane, affinché la pia Opera prendesse consolidamento a Palermo; ed in quanto a Lire 8.000 per l’istituzione di una Messa quotidiana perpetua, secondo l’intenzione del Canonico Russo. Questo deposito fu di accordo reso fruttifero durante la vita del Rev.mo Canonico con la rendita di Lire 1.300 annuali, valutando le £ 30.000 al 3% e le Lire 8.000 al 5%»66.

Don Russo, però, non si scoraggia: «Ritorna quindi a Roma, ne parla col Vicario del Papa e da esso certificato della benedizione Apostolica gli viene imposto di fondare in Palermo 65

Vita delle nostre consorelle, cit., 89. Lettera del Card. Celesia a Madame Anne de Meeûs, Sup. Gen. dell’Istituto delle perp. Adoratrici. Vatermael (invero l’esatta dicitura è Watermael, ndr.) Boitsfort. Belgio, Palermo, 23 gennaio 1887, in ASDPa, Corda 1453. Governi/Celesia. Anni 1871-1904. Nella lettera si menziona anche la donazione degli immobili da parte del p. Felice Pignataro per la fondazione dell’Istituto a Palermo. Russo consegnò la somma nelle mani della Madre Generale e della superiora della casa romana, sicuramente prima del 30 marzo 1885, cfr. Lettera di don Francesco Russo a sr. Maria, Palermo, 30 marzo 1886, in ARE. Purtroppo non si possiede la risposta della suora, datata 1 aprile. 66


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le Adoratrici con regole tutte proprie, lasciando svilupparsi nella sua piena vita quella dei Tabernacoli; ond’è che animato l’uomo di DIO dall’oracolo e benedizione del Supremo Gerarca, dall’incoraggiamento del suo Vicario, e dai lumi, consigli ed appoggi sostenuto dall’Angelo di questa Chiesa il Cardinale Arcivescovo D. Michelangelo Celesia, venne a capo di compilare la regola fondamentale di questa santo Istituto, cui, per dargli un carattere proprio e differenziarla da quella di Roma e del Belgio, all’Adorazione del divin Sacramento aggiunse il culto all’Arcangelo Principe delle celesti milizie, e il suffragio alle anime Purganti. La istituzione delle Sacramentine è oramai un fatto!»67.

Il 29 novembre 1887, Francesca Damanti e le compagne iniziavano la vita comune nella casa di via Principe di Scordia68. Tutto questo è motivo di gioia per il Presule palermitano, come attesta la Relazione sullo stato della Chiesa palermitana (4 dicembre 1887) inviata a Roma: «Aliam mei gaudii causam Eminentiis vestris dissimulare non possum. Cum quidam pius fidelis, antequam Societatis Iesu ingrederetur, proprietatem domus, et honorabilis vidua ejusdem mater, usufructum donassent, ut in ea institutum aliquod pietatis ac etiam Religionis constitueretur, R. Sacerdos D. Franciscus Russo, huius Metropolitani Capituli Canonicus, votis offerentium obsecundans, et suae devotionis gratia erga Ss.mum Eucharistiae sacramentum, omni suo aere domum hanc spatiosam ita parare studuit, ut in omnibus fini respondeat, coadiuvandi in ea quasdam pias mulieres sub titulo Sororum a perpetua adoratione Ss. Sacramenti quae vitam communem degant, habitum modestum gestiant, clausuram servent, exceptis horis, in quibus, sub datis regulis, sive in proprio Oratorio, sive in aliis locis de licentia Parochi, in doctrina christiana puellas ac provectiores juvenes instruant. Huic domui attiguum est oratorium cum ostio in via publica: et in eo Mulieres piae sodalitatis ex aedibus internis debitum religionis persolvunt cum quotidiana recitatione parvi officii de Ss. Sacramento et praecipuae adorationi corporis Christi in determinatis horis incumbunt. Ad hoc opus ineundum jam in praesto sunt omnia. Et novem bonae famae juvenes ex civili conditione jam nomen piae sodalitati dederunt, quarum singula taxam vitalitiam sub specie dotis supped67 68

Elogio, cit., 25-26. Purtroppo non abbiamo trovato la regola. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 29 novembre, in ARE.


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itabit ad sui substentationem, dum in commune cum aliis viverent. Dignis laudibus tum viduam [illegibile] domus, cum Canonicum insignem benefactorem prosequutus, Societatem, sicut, in votis est, recognovi, cum reserbatione canonice approbandi Regulas, postquam per aliquod tempus earum fieret experimentum»69.

Dopo appena due mesi, le sorelle Francesca e Domitilla Damanti si presentano al card. Celesia, la prima con il testamento olografo del figlio nella quale la nominava erede dei suoi beni, la seconda con una lettera del nipote, don Felice Pignataro. Le sorelle, troviamo scritto, «hanno risoluto di dedicare fin da ora porzione delle case di sua proprietà, in Via P.pe di Scordia coll’annessa Chiesa di sopra accennate ad uso d’Istituto di claustrali Sagramentiste. All’oggetto autorizzate dal detto Sac. D. Felice Pignataro, si sono esse stesse con altre donzelle riunite nel locale di sopra espresso all’uopo adattato per intraprendere la vita religiosa di Sagramentiste con le Regole approvate dall’E.mo Cardinale Arcivescovo, dichiarando allo stesso E.mo ivi presente le intenzioni del Sac. D. Felice e le loro, di offrire quel tenimento di case in Via Principe Scordia allo scopo sopraccennato […]»70.

Il card. Celesia, prosegue lo scritto, «nel benedire le suddette risoluzioni […] dichiara sacro quel luogo, approva l’Istituto, autorizzando 69 Relatio Status Ecclesiae Panormitanae eiusque Dioeceseos anno 1887, in ASV, S. Congregatio Concilii, Relationes Dioecesium, Panormit. 617 B. De novis erectionibus, ad 3 (parzialmente citata in: FALZONE, Le Congregazioni religiose, cit., 122, n. 110). Nella consequenziale relazione, scrive il Cardinale Prefetto della Congregazione del Concilio: «L’Arciv. è consolato […] per l’erezione di un nuovo istituto detto delle sorelle della perpetua adorazione del SS.mo Sacramento, le quali fanno vita comune, vestono abito modesto, mantengono la clausura, eccettuate le ore in cui o nel proprio Oratorio, o in altri luoghi col permesso del Parroco, insegnano la dottrina cristiana alle giovanette, recitano ogni giorno l’officio del SS.mo Sacramento, ed in ore determinate attendono all’adorazione della SS. Eucaristia. Ogni religiosa paga a titolo di dote una tassa vitalizia. L’Arciv. ha riservato l’approvazione canonica della regola, dopo che per qualche tempo se ne sarà fatto l’esperimento» (Pro biennis 88-89, Panormitana, in ASV, S. Congregatio Concilii, Relationes Dioecesium, Panormit. 617 B; cit., con alcune piccole sviste, in: FALZONE, Le Congregazioni religiose, cit., 122, n. 110). 70 Atto di fondazione dell’Istituto delle Sagramentiste, Palermo, 2 febbraio 1888. Minuta, in ASDPa, Corda 1409. Governi/Celesia 1873-1904. Corrispondenza varia VIII.


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le donzelle a riunirsi nel medesimo luogo. Dichiara inoltre l’Emo che riceve lo Istituto e lo mette fin da ora sotto la sua immediata giurisdizione e dipendenza, proibendo a chiunque di intromettersi nel detto Istituto e di mutarne o modificarne le Regole senza una sua speciale autorizzazione o dei Suoi Successori»71. Alcune settimane dopo, il 26 febbraio 1888, «nella Ven. Chiesa del SS. Salvatore in Via Ppe Scordia contrada Carella»72, alla presenza del card. Celesia, di mons. Giacomo Daddi, Vescovo Ausiliare, del Ben. Giambattista Speciale, primo cerimoniere della Cattedrale, del can. Antonino Calì, Cancelliere della Curia Arcivescovile, e del can. Francesco Russo, «quale Superiore e fondatore dello Istituto»73, quattordici postulanti, dopo che l’Arcivescovo aveva benedetto «le loro intenzioni e i loro propositi, e dichiarando già fondato e canonicamente eretto l’Istituto benediceva ancora […]»74, vestirono pubblicamente l’abito religioso. In seguito «vennero benedette le medaglie di argento rappresentanti il SS.mo Sagramento che l’E.mo vol apporre al loro petto»75. Nascono, così, le Suore dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento, comunemente chiamate Sagramentiste/Sacramentine. Ed ecco come il maggiordomo del Cardinale, che aveva accompagnato il Presule, relaziona su quanto avvenuto in quel giorno: «fu nel dì 26 Febbraro del 1888 che egli (Celesia, ndr.) poté aver la consolazione d’inaugurare nella sua Palermo la pia istituzione delle Suore adoratrici del Santissimo Sagramento, fondata dallo zelo del Can. Francesco Russo, col concorso d’una pia signora (Francesca Damanti, ndr.). L’allocuzione che vi pronunziò nella presa dell’abito, mostra chiaramente il contento dell’animo suo, nel vedere quelle candide colombe volare all’amplesso dello sposo celeste e in modo speciale al culto di Lui consacrarsi nella Ss.ma Eucaristia»76. 71

Ib. Verbale di vestizione delle Religiose Sagramentiste. Minuta, Palermo 26 febbraio 1888, in ASDPa, Corda 1409. Governi/Celesia 1873-1904. Corrispondenza varia VIII. 73 L.c. 74 L.c. 75 L.c. 76 CASCAVILLA, Sulla vita e gli scritti, cit., CCCXXIII-CCCXXV; cfr. Allocuzione per la presa dell’abito delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento. Il dì 26 Febbraro 1888, in 72


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Due anni dopo (1890) muore il fondatore delle Sacramentine, ma «son institution était dejà fort ébranlée. Cependant, Mme Pignataro et sa soeur maintinrent la maison avec le plus généreux dévouement et continuèrent l’adoration quotidienne. Elles étaient assistées par les dames du monde; deux à trois cents personnes avaient pris des heures fixes et venaient très régulièrement faire l’adoration deux fois par mois»»77. Defunto il Russo, appare sulla scena un’altra importante figura del presbiterio palermitano, il can. Antonino Pennino78, il quale prese a dirigere alcune giovani che manifestavano vocazione allo stato religioso. Il Canonico, «conoscendo l’Istituto dell’Adorazione Perpetua, sperava ottenere una fondazione in Sicilia, per indirizzarvi le aspiranti che si erano affidate a lui. Siccome però, per un complesso di circostanze, la desiderata fondazione non si faceva, egli stesso organizzò una piccola comunità di cinque o sei membri che usufruendo della comoda casa della ricca signora Francesca Pignataro, componente anch’essa il piccolo gruppo, facevano vita comune e professavano un culto speciale verso il SS. Sacramento e insegnavano il catechismo»79.

Tra queste donne c’era anche sr. Orsolina, sorella del can. Russo, la quale, con l’obbedienza del card. Celesia, il 16 novembre 1892, fece scrivere, di nascosto della sig.ra Damanti, una lettera — che reca in calce la sua firma — ad una Madre delle Religiose dell’Adorazione Perpetua, dalla quale ricaviamo diverse notizie interessanti per il nostro studio: la domanda di aggregazione all’Istituto religioso belga che queste donne hanno rivolto alla Madre Generale; le difficoltà mosse da quest’ultima all’Arcivescovo di Palermo, latore della richiesta; la consapevolezza del gruppo di donne che conducevano vita comune in casa della sig.ra Damanti di non aver saputo approfittare della grazia che Dio aveva La Sicilia Cattolica 20 n. 50, 2 Marzo 1888, 1 (ripubblicato in Opere pastorali edite ed inedite del Cardinale Michelangelo Celesia. Arcivescovo di Palermo, volume nono, Palermo 1889, 283-289). 77 Les voies de Dieu, cit., 206. 78 Dalla [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 11 giugno, in ARE, apprendiamo che il presbitero palermitano rinunciò a diventare vescovo di Caltanissetta. 79 Vita delle nostre consorelle, cit., 73.


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elargito loro pochissimi anni prima, quando le suore belghe avevano accolto le giovani seguite dal can. Russo — le quali, però, erano quasi tutte tornate a Palermo, rendendo così vana la neonata fondazione; la consegna a fondo perduto delle 30.000 lire e la totale cessione della casa della sig.ra Damanti all’Istituto; riguardo all’Opera dei tabernacoli, la disponibilità del card. Celesia a far sì che le donne che lavorano per gli arredi sacri si riuniscano nella casa delle Sacramentine; il desiderio di una congregazione di adoratrici esterne, fondata dal can. Russo, di essere ammessa al suddetto lavoro nello stesso locale. L’unica condizione che le donne desiderano che venga eseguita è che la casa sia impiantata per sempre a Palermo. Apprendiamo inoltre quante sono le Sacramentine: «degnarsi accettare, qualora le trovino idonee queste povere figliuole che stanno in comunità e che hanno tanto sofferto per non abbandonare la loro vocazione. Esse con me siamo dieci»80, di cui tre converse. Ricca di afflato, si presenta, poi, la richiesta che sr. Orsolina rivolge per la propria persona: «In quanto a me non domando nulla, né posso pretendere di essere computata come Sacramentina perché sono aggiaccata di malanni e vecchia perciò farete di me quel che vi piacerà, mi contento anche d’essere interamente esclusa pur di vedere impiantata l’opera. Io non voglio mano né mettere mano a nessuna cosa»81. Il giorno seguente sr. Maria Francesca Damanti scrive una lettera alla Madre Generale delle Religiose dell’Adorazione Perpetua, firmata anche dalla sorella del can. Russo, sr. Orsolina, nella quale menziona la mediazione operata dal figlio, padre gesuita, presso la superiora della casa romana delle suore belghe «per pregare V.R. di ripigliare la fondazione che una volta fu iniziata e poi con tanta mia pena fu interrotta […]»82. Riguardo, poi, all’operato del canonico palermitano scrive: «R. Madre la prego che metta un velo al passato, il Can. era tanto buono e retto, [ep]pure in questo affare fu mal consigliato ed operò poco conforme a quella fiducia che ebbe alla di lei persona 80

Lettera di sr. Orsolina Russo a R.ma Madre, Palermo, 16 novembre 1892, in ARE. L.c. 82 Lettera di sr. M. Francesca Damanti a Madre Anne de Meeûs, Palermo, 17 novembre 1892, in ARE. 81


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[…]»83. Sulle Sacramentine rimaste, scrive come «le poche Suore qui riunite e che formano una sola volontà hanno molto impegno di progredire nello spirito»84. La Damanti riferisce inoltre del ricordo di sr. Orsolina della bellissima impressione avuta dalle suore belghe, nei pochi giorni in cui la sorella del can. Russo dimorò a Roma. Sempre riguardo a sr. Orsolina, la Damanti continua: «Rammenta con dolore e rossore i fatti passati, cioè la ripresa dei denari, che fece suo fratello. Ne ammirò essa la di lei carità materna nell’aversi trattenuto le Suore che più non pagavano, mentre avrebbe potuto rimandarle alle loro famiglie avendone tutto il diritto. […] Ella desidera che V.R. tolga ogni rancore con lei, e con la buon’anima del Canonico e con tutto piacere le consegnerà i denari del fratello a fondo perduto ed è pronta farlene cautela purché l’opera sia sempre residente a Palermo come desiderava il Can. e così sara contenta che pria di morire adempie la disposizione del defunto suo fratello»85.

Scrive, infine, la Damanti: «con piacere consegnerò tutto il casamento desiderando pure la permanenza dell’opera in questa Città»86. Quindici giorni dopo, arriva la risposta della Madre Generale delle Religiose dell’Adorazione Perpetua, indirizzata ad ambedue le suore palermitane. Madre de Meeûs pone quattro condizioni perché si possa realizzare il desiderio di fondare una casa dell’Istituto a Palermo: 1) numero sufficiente di buone vocazioni, con ottima educazione e con la dote necessaria per mantenersi; 2) i due anni di noviziato, da farsi nella casa di Roma. Infatti: «Le nostre Suore Siciliane non possono abbastanza esprimere quanto si stimano fortunate di aver potuto fare qui, il Noviziato e riconoscono con evidenza quanto siffatta formazione riusciva loro necessaria. Terminato poi il Noviziato, potrebbe farsi la fondazione»87. Riguardo alle sorelle che conducono attualmente vita comune a Palermo, fatta la fondazione, partiranno anche loro per 83

L.c. L.c. 85 L.c. 86 L.c. 87 Lettera di Madre Anne de Meeûs a sr. M. Francesca Damanti e sr. Orsolina Russo, Watermael (Belgio), 3 dicembre 1892, in ARE. 84


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Roma per il noviziato; 3) avere, come già compreso dal card. Celesia, la direzione dell’Associazione dell’Adorazione Perpetua e delle Chiese povere perché «indispensabile affine di metterci in grado di proseguire uno de’ fini principali della nostra vocazione, quello cioè, di lavorare sempre a fare vieppiù amare ed adorare N.S. Gesù Cristo nel SS.mo Sacramento. Ora, noi non conosciamo mezzo più efficace per raggiungere questo scopo se non di approfittare dei doni fatti alle chiese povere, per domandare in ricambio, l’erezione di un’ora pubblica e solenne di adorazione e di riparazione fatta una volta al mese, da tutto il popolo radunato ai piedi di Gesù Sacramentato»88.

E continua, chiarificando il carisma dell’Istituto: «Ho sempre dubitato se la nostra vocazione fosse mai stata pienamente compresa a Palermo, e perciò ho creduto opportuno entrare in questa particolarità, affinché sia ben avverato che, quantunque una bella parte della nostra vita sia consacrata all’adorazione ed agli esercizi della vita interiore, un’altra però, ha da essere dedicata alla propagazione sempre crescente del Culto del Santissimo Sacramento»89; 4) la necessità dell’edificazione di una casa con un grande giardino interno. Di queste condizioni, conclude la Madre Generale, la prima e l’ultima sono indispensabili per l’apertura di una casa dell’Istituto a Palermo. L’anno seguente, l’Arcivescovo di Palermo “torna alla carica” con la Madre Generale delle Religiose dell’Adorazione Perpetua: «L’oeuvre (fondata dal can. Russo, ndr.) n’offrant pas de stabilité, le cardinal Celesia fit, en 1893, de nouvelles démarches auprès de la supérieure générale de l’Institut; il la pria de recevoir celles qui avaient eu le courage de résister à toutes les difficultés par lesquelles la petite famille religieuse avait passé, et de réunir celle-ci à son Institut»90. E in marzo, sr. Damanti e sr. Russo scrivono alla superiora della casa romana delle Religiose dell’Adorazione Perpetua. Nella lettera, le due suore palermitane, saputo che la Madre de Meeûs sarà a Palermo 88

L.c. L.c. 90 Les voies de Dieu, cit., 206. 89


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in aprile si auspicano che tale venuta possa far riprendere le trattative riguardo alla fondazione della casa palermitana e offrono, la prima, la casa e la chiesa con tutto quanto ivi contenuto, la seconda, le trentamila lire di cui si è parlato prima, con un’unica condizione: «che le Sacramentine del Belgio vengono qui a fondare con tali mezzi una casa della loro regola con l’esposizione del SS. Sacramento diurna e che questa casa duri in perpetuo»91. Due mesi dopo, le due suore palermitane scrivono una lettera alla Madre Generale delle Religiose dell’Adorazione Perpetua per ringraziarla di avere accettato la fondazione di una casa dell’Istituto a Palermo e di aver deciso di inviare due suore per prendere gli opportuni accordi92. Le suore comunicano anche che «le nostre buone Dame dell’Opera de’ Tabernacoli hanno consentito che i lavori degli arredi Sacri si facciano in una sala della Casa delle Sacramentine ritenendo per altro la direzione dell’Opera e la distribuzione dei sacri arredi»93. E finalmente, «Après de longs mois passés à aplanir les obstacles, la fondation fut résolue. Trois nouvelles postulantes partirent pour faire à Rome leur noviciat, avec promesse de revenir ensuite à Palerme pour la fondation»94. La Madre Generale delle Religiose dell’Adorazione Perpetua, infatti, «si decise a mandare a Palermo la Madre Leopoldina [de Robiano] e la Madre Emilia Bogoncelli, per studiare la proposta. Vista la possibilità, furono presi accordi con mons. Pennino e le sue religiose e fu stabilito che queste sarebbero passate a fare parte dell’Istituto dell’Adorazione Perpetua, la cui sede sarebbe stata nel palazzo già occupato dalla piccola comunità»95. In realtà, l’Arcivescovo aveva formato una Commissione, presieduta dal 91 Lettera sr. M. Francesca Damanti Pignataro e sr. Orsolina Russo alla Rev. Superiora, Palermo, 9 marzo 1893, in ARE. 92 Una delle due suore sarà sr. Leopoldina de Robiano, cfr. Lettera di p. Vincenzo Licalsi, SJ, a [p. Felice Pignataro, SJ], Palermo, 24 ottobre 1893. 93 Lettera Francesca Damanti e Orsolina Russo a Madre Anne de Meeûs, Palermo, 23 maggio 1893, in ARE. 94 Les voies de Dieu, cit., 206. Tra le postulanti c’era la futura corista sr. Girolama della Santa Croce (al secolo: Girolama Padovano 1872-1947), cfr. Vita delle nostre consorelle, cit., 75. 95 Vita delle nostre consorelle, cit., 73.


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vescovo ausiliare, S.E. mons. Giacomo Daddi, e composta dai canonici Antonino Pennino, Ignazio Zuccaro e Antonino Calì, con lo scopo di trattare tutto quanto riguardasse la fondazione dell’Istituto religioso a Palermo. E dell’esistenza di questa Commissione, mons. Celesia aveva scritto alla sig.ra Damanti96 e alle suore de Robiano e Bogoncelli nel giorno del loro arrivo a Palermo97. Nel 1896 avviene finalmente la fondazione della comunità palermitana delle Religiose dell’Adorazione Perpetua: «Quand elles (le tre giovani palermitane, ndr.) eurent prononcé leurs voeux (29 gennaio 1896, ndr.98), une supérieure et d’autres soeurs furent désignées pour former avec elles cette nouvelle maison. Elles furent conduites à Palerme par la supérieure générale, à la grande satisfaction de Son Ém. le cardinal Celesia, qui le jour de la Pentecôte 1896, les reçut avec une bonté toute paternelle, appellant sur la nouvelle fondation les plus précieuses faveurs du Ciel, et se réjouissant des bénédictions que l’adoration quotidienne, dont elle assurait la perpétuité attirerait sur sa ville épiscopale»99.

Giovedì 21 maggio, pertanto, cinque suore100, accompagnate dalla Madre Generale, da sr. Leopoldina de Robiano e da sr. Aglaé de Luc, designata come superiora della casa palermitana, partono da Roma alla volta di Palermo, dove arrivano l’indomani, al porto, accolte dalle sorelle Damanti e da don Marcataio, rettore della chiesa delle Sacramentine: «La Buona Madre Generale ha deciso che questo giorno del nostro arrivo, sarà quello che la Casa di Palermo festeggerà come giorno della sua fondazione; non potendo scegliere (come nelle altre case) il giorno nel quale per la prima volta il SS. Sacramento 96

Cfr. Lettera dell’Arcivescovo Celesia alla sig.ra Francesca Pignataro, Palermo, 19 giugno 1893, in ARE. 97 Cfr. Lettera dell’Arcivescovo Celesia a sr. Leopoldina de Robiano e Compagna, Palermo, 21 giugno 1893, in ARE. 98 Cfr. Vita delle nostre consorelle, cit., 75. 99 Les voies de Dieu, cit., 207. 100 Sr. Girolama della Santa Croce, sr. Michelina, sr. Rosalia, sr. Adele, (cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 29 maggio) e sr. Annuccia (cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 30 maggio), in ARE.


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viene esposto nella Chiesa, giacché il nostro buon Gesù era già qui da gran tempo, ed era Lui che ci attendeva»101. All’arrivo alla casa di via Principe di Scordia, le suore belghe trovarono otto donne: «la Sig. Pignataro, Suor Domitilla sua sorella, Suor Bernardina suora di coro; Suor Francesca, Suor Giuseppa e Suor Marianna Converse, Antonina e Vita postulanti converse»102. Domenica 24, giorno di Pentecoste, le otto suore arrivate da Roma e la sig.ra Pignataro vengono ricevute in udienza dal card. Celesia. Nei giorni 27-29 si celebra un triduo di ritiro in preparazione della vestizione/inizio del Noviziato delle sorelle Damanti103. Sabato 30, «M.me Pignataro, considérée à juste titre comme fondatrice de la maison, était admise ainsi que sa soeur [Domitilla104], par un privilège tout spécial et en vertu d’un indult du Saint Siège, à faire leur noviciat dans la maison de Palerme. Son Ém. le cardinal daigna lui-même faire la cérémonie et voulut y apporter toute la solennité possible, afin, disait-il, de donner à l’Institut un témoignage pubblic de sa joie, de son estime et de sa reconnaissance»105. 101

[Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 22 maggio, in ARE. [L.c.]. Non si menziona sr. Orsolina Russo perché già morta il 17 ottobre 1895, cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 17 ottobre, in ARE. Sr. Bernardina lascerà pochissimi giorni dopo la comunità perché, a causa dei suoi familiari, non seguì la Madre Generale che avrebbe voluto portarla con sé a Roma per il Noviziato, cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 31 maggio-1 giugno, in ARE. La conversa sr. Marianna, che prese il nome di Marianna delle Cinque Piaghe (al secolo: Marianna Galante 1872-1940), era nata a Castellammare del Golfo (Trapani). Alla chiusura della casa palermitana fu trasferita dapprima in Belgio e, poi, a Roma, ove morì, cfr. Vita delle nostre consorelle, cit., 73; la postulante Antonina divenne sr. Antonina del S. Cuore (al secolo: Antonina La Rocca 1864-1943). Alla chiusura della casa palermitana, ambedue le suore, compagne di vestizione e di professione, furono inviate in Belgio, cfr. Vita delle nostre consorelle, cit., 79. La conversa sr. Francesca, col permesso della Madre Generale, cambierà in seguito il proprio nome e si chiamerà Gaetana, cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 1 dicembre, in ARE. La postulante Vita andrà via due mesi dopo, cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 18 luglio, in ARE. 103 A proposito della vestizione, si riferisce come «Già tutte le altre Suore (all’infuori di Sr. Bernardina) hanno deposto il loro costume per mettere una semplice cuffia» [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 29 maggio, in ARE. 104 Morirà a Palermo il 29 agosto 1900. 105 Les voies de Dieu, cit., 207. Il Rescritto della S. Congregazione dei Vescovi e 102


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Lunedì 1 giugno, la Madre Generale e sr. de Robiano partono alla volta di Roma106. Per la festa di santa Rosalia, ottenuto precedentemente il placet della Madre Generale, il can. Pennino presiede la cerimonia della vestizione delle tre sorelle converse e della postulante, perché tutte ammesse al Noviziato107. Riguardo all’aspetto economico, «Il figlio della Suora Pignataro (Rev.do P. Felice Pignataro della C. di Gesù) volendo dare stabilità alla fondazione donò all’Istituto (intestandola alla Madre Leopoldina de Robiano prima assistente G.le dell’Istituto) un deposito per fondazione di messe e luminarie perla chiesa, ed una casa in Via P.pe di Scordia 5, nella quale si stabilì la nuova comunità. […] Un pianterreno della casa venne adattato a chiesa, nella quale si teneva il S.S. esposto in quasi tutta la giornata»108.

L’arrivo delle Religiose dell’Adorazione Perpetua a Palermo costituì anche la felice occasione perché il card. Celesia manifestasse un profondo desiderio: «Aussi Son Éminence désira que cette Association (l’Opera dei Tabernacoli, ndr.), si intimement unie à l’Institut, s’y rattachât comme à son centre naturel, dès que celui-ci fut installé à Palerme. Le directeur et la présidente se montrèrent pleinement disposés à entrer dans ses vues et s’empressèrent avec une grande bienveillance de venir s’entrendre avec la supérieure générale pour que les religieuses prissent leur part d’action dans l’Association»109.

Nel 1897 la Madre Generale, con sr. Leopoldina de Robiano, si reca Regolari reca la data del 29 aprile 1896. L’anno seguente, al termine del primo anno di Noviziato, viene loro dispensato il secondo anno, cfr. Richiesta e Rescritto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, Roma, 28 giugno 1897, in ARE. 106 [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 1 giugno, in ARE. 107 [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 4 settembre, in ARE. 108 La Casa dell’Istituto dell’Adorazione Perpetua nella Città di Palermo 1896-1912, [Roma, post 29 dicembre 1933], in ARE. 109 Les voies de Dieu, cit., 207-208. Presidente dell’Opera dei Tabernacoli era la Principessa di Fitalia, cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 27 giugno, in ARE.


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ancora una volta a Palermo. Al ritorno a Roma, conducono con loro nuove vocazioni110. Le Religiose dell’Adorazione Perpetua rimasero a Palermo dal maggio 1896 all’aprile 1912, anno in cui andarono via perché, nonostante gli anni trascorsi, non si realizzò mai il desiderio delle suore e dello stesso card. Celesia: «L’opera delle chiese povere, unita all’Adorazione e fondata dalla stessa Fondatrice dell’Istituto, trovavasi già stabilita in Palermo, ed era degnamente presieduta dalla P.ssa di Fitalia. Tanto la presidente come le altre Sig.re componenti l’Associazione si mostravano benevoli verso la comunità, andavano anche nella nostra casa per le riunioni del lavoro e per altre circostanze, non si decisero però mai a consegnare l’opera alle religiose. Non potendo quindi l’Istituto, in questa casa, raggiungere completamente il suo scopo, trovandosi anzi in opposizione alle proprie regole, dopo molte esitanze, il Consiglio G.le dell’Istituto dovette deciderne la chiusura, e nell’aprile del 1912 le Suore ripresero la via di Roma»111.

Pertanto, «la casa di Palermo fu chiusa, con immenso dispiacere delle superiore e delle suore, non riuscendo a realizzare la sua ragion d’essere: il centro dell’opera locale, già esistente presso altre suore 110 Parliamo delle sorelle Elvira (in religione: sr. Elvira di Gesù 1872-1944) e Clementina Fusco (in religione: sr. Clementina di Gesù Crocifisso, morta il 19 gennaio 1949) e di Vincenza Audino (in religione: sr. Vincenza della Madonna di Loreto 1857-1946), sorella del vescovo di Mazzara del Vallo (Trapani) S.E. mons. Nicolò Maria Audino, cfr. Vita delle nostre consorelle, cit., 86.123.118. Le sorelle Fusco avevano già trascorso del tempo dentro l’Istituto, a Roma, cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], 16 luglio, in ARE. 111 La Casa dell’Istituto, cit., in ARE. Nello scritto troviamo la notizia che un prete palermitano, di cui si sconosce il nome, si era recato, il 29 dicembre 1933, nella casa romana dell’Istituto per proporre la fondazione di una casa a Palermo, avendo già trovato una casa con orto e una chiesetta, di proprietà di una signorina che ha deciso «di farne donazione ad una comunità di Adoratrici». La Superiora rispose che, per ritornare a Palermo, «dovremmo avere la certezza che quest’opera (delle chiese povere, ndr.), che ora si esplica presso le Dame del Sacro Cuore, venga trasferita a noi […]». In altre lettere apprendiamo che il prete si chiamava Govanni Agnello, che la sign.na proprietaria della casa e della chiesetta, site in via Lincoln nn. 120-122, si chiamava Antonina Buccola e che il nome dell’oratorio, inaugurato il 10 maggio 1931, era “Gesù al Cenacolo”.


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prima della fondazione»112. E ancora, in un’altra pagina dello stesso testo, leggiamo che la casa di Palermo fu chiusa: «per non aver voluto l’associazione già esistente, trasferire il suo centro presso di noi […]»113. Riguardo ai beni dell’Istituto, «Siccome il lascito del fu Padre Pignataro era per la casa di Palermo, prima della partenza tutto fu consegnato allo E.mo Cardinale Lualdi allora Arc.vo […]»114. Sulla presenza a Palermo delle suore belghe abbiamo pochissime notizie in loco, alcune delle quali riguardano i loro confessori ordinari115, una riguardante la visita del 17 maggio 1899 della Madre Generale alla comunità palermitana116, alcune sulla esplorazione della volontà di due suore converse candidate alla professione perpetua117 112

Vita delle nostre consorelle, cit., 75-76. Vita delle nostre consorelle, cit., 123. 114 La Casa dell’Istituto, cit., in ARE. 115 Nel triennio 1893-1895 confessore fu il Ben. Giuseppe Mondino, cfr. Notamento dei Confessori e Deputati dei Monasteri, Collegi di M. ed Istituti Religiosi pel triennio 1893, 94, 95 – 1° Gennaro 1893, in ASDPa, Corda 1453. Governi/Celesia. Anni 18711904; nel triennio 1896-1898, ritroviamo ancora Mondini, cfr. [Cronaca della Casa di Palermo, 1896], in ARE; nel triennio 1899-1901, il Ben. Silvestro Guercio, cfr. CURIA ARCIVESCOVILE DI PALERMO. CANCELLERIA, Atti diversi 1896-1931, 67; nel triennio 1902-1904, il Provinciale dei Frati Minori, p. Bongiorno, cfr. CURIA, Atti diversi, cit., 113; nel triennio 1905-1907, il Sac. Carmelo Spagnolo, cfr. CURIA, Atti diversi, cit., 181 e Palermo Sacra. Annuario dell’Arcidiocesi di Palermo pubblicato il 1° gennaro 1906, Palermo 1905, 103; nel triennio 1908-1910, il domenicano p. Giuseppe Binelli, cfr. CURIA, Atti diversi, cit., 184 — in verità, a fine marzo 1910, don Calogero Urso scrive all’Arcivescovo per manifestargli la propria indisponibilità a svolgere il ministero di confessore ordinario «presso le Dame dell’Adorazione Perpetua volgarmente dette Sacramentine» (Lettera di don Urso al Card. Lualdi, Palermo, 31 marzo 1910, in ASDPa, Corda 1517. Governi/Lualdi. Anni 1904-1928); e nel triennio 1911-1913 (le Sacramentine andarono via da Palermo, però, nel 1912), il domenicano p. Agostino Morisani, cfr. Stato del Clero della Città ed Arcidiocesi di Palermo. 1911, Palermo 1911, 72, nonostante la Superiora avesse chiesto il domenicano p. Salvatore De Francesco, cfr. Lettera di sr. Aglaé Luc al Card. Lualdi, Palermo, 30 marzo 1910, in ASDPa, Corda 1517. Governi/Lualdi. Anni 1904-1928. 116 Cfr. Lettera di sr. Aglaé Luc al Card. Celesia, Palermo, 29 maggio 1899, in ASDPa, Corda 1453. Governi Celesia. Anni 1871-1904. Nella lettera si menziona un opuscolo (Les voies de Dieu, cit., ndr.), stampato «in occasione del primo Giubileo cinquantenario dell’Associazione dell’Adorazione Perpetua e delle Chiese povere», da cui il «relativo Istituto, suscitato dal Signore per esserne il centro e il sostegno». 117 Cfr. ASDPa, Corda 1517. Governi/Lualdi. Anni 1904-1928. Le due suore sono Raffaella D’Ercole di Rendinara (AQ), morta a Roma l’1 agosto 1920, e Giuseppa 113


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ed altre, degli anni 1897-1899, di auguri vari tra la superiora sr. Aglaé Luc e il card. Celesia118. Due sono state le superiori della casa palermitana delle suore belghe: sr. Aglaé Luc119 e sr. M. Antonietta del SS. Rosario (al secolo Maria Bergami), che «ebbe l’ingrato incarico di andare come Superiora a Palermo, nel 1911, per procedere alle trattative di chiusura»120. Tra le vocazioni palermitane, infine, menzioniamo la corista sr. M. Vittoria del S. Cuore di Gesù, al secolo Maria Vittoria Papé di Valdina (Palermo, 24 aprile 1858-Roma, 20 maggio 1918), figlia dei principi Pietro e Mariannna Papé e Lanza, diretta spiritualmente dal can. Pennino121. 3. L’ARRIVO A PALERMO DELLA COMPAGNIA DELLE FIGLIE DI S. ANGELA MERICI Presentiamo, in ultimo, alcune notizie sull’arrivo della Compagnia delle Figlie di S. Angela Merici a Palermo e sul suo stabilirsi lì dove avevano vissuto fino a pochi giorni prima le suore belghe122. Sono dati interessanti perché aggiungono ulteriori notizie sull’andar via delle Religiose dell’Adorazione Perpetua da Palermo e sull’uso dei locali da loro abitati123. Biasillo di Fondi (CE), morta a Centocelle il 31 marzo 1964. Le date sono il 20/09/1909 e il 30/06/1910. 118 Cfr. ASDPa, Corda 1453. Governi/Celesia. Anni 1871-1904. 119 La ritroveremo a Roma dopo la chiusura della casa: «L’Avvocato Damanti viene nuovamente per le cose di Palermo, dalla B.[uona] M.[adre] Aglaé» (31 maggio, in [Agenda] 1912, in ARE. Morirà a Watermael il 6 dicembre 1913. 120 Vita delle nostre consorelle, cit., 69. 121 Cfr. Vita delle nostre consorelle, cit., 44-50. 122 Su questo argomento rimandiamo a R. MAZZÉ, Storia della Compagnia di Palermo, in ID. (cur.), ISTITUTO SECOLARE «S. ANGELA MERICI», Atti del Convegno regionale delle Compagnie diocesane di «S. Orsola». 2-3 maggio 1987, Palermo 1987, 19-27. 123 Alla luce di quanto da noi esposto, non vi fu, pertanto, come afferma Stabile, assorbimento delle Sacramentine da parte delle Orsoline. Secondo lo storico della chiesa, infatti, le Figlie di S. Angela Merici «per volontà dell’arcivescovo assorbirono le sacramentine del Belgio o Sorelle dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento» (STABILE, Palermo, in Storia delle Chiese di Sicilia, cit., 647).


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La Compagnia delle Figlie di S. Angela Merici/Orsoline di famiglia, fu fatta arrivare a Palermo dal card. Alessandro Lualdi e fu da lui istituita il 6 maggio 1912124. Il Presule milanese «A questa Compagnia affidava poi la chiesetta, che era stata delle Sacramentine del Belgio, nella Via Principe di Scordia. Qui s’impiantò la novella istituzione […]»125. In un altro documento viene menzionata la signora Francesca Damanti Pignataro, quale prima proprietaria e fondatrice della casa e della chiesa, allora detta delle Sacramentine126. In un altro scritto ancora, troviamo che il card. Lualdi nel 1912: «disponeva che, appena partite le religiose Dame dell’adorazione perpetua, la Compagnia destinando alcuni soggetti nella casa rimasta vuota, avesse continuato le loro opere, facendo di detta casa il cuore della Compagnia stessa […]»127. E continuando, troviamo alcune dettagliate notizie sulla casa e la chiesa in questione: «La signora Pignataro, proprietaria dello stabile sito tra via Cavour e via Ppe Scordia, aveva venduto le case di sua proprietà alle signore Bertoville, De Robiano e Leirens. Contemporaneamente, con scrittura privata, depositata presso l’Arcivescovo di Palermo, la signora Pignataro dichiarava che quella vendita era stata fatta a condizione che le suddette signore, facienti parte dell’ordine religioso delle Dame dell’Adorazione perpetua, dovessero mantenere il culto della chiesetta da lei fatta costruire. Dispose pure che se le suddette signore dovessero o volessero lasciare questa città, o in qualunque modo non potessero adempiere agli obblighi indicati nella scrittura privata che trovasi presso l’Arcivescovo di 124 Cfr. Decreto di erezione, Palermo, 6 Maggio 1912, in ASDPa, Corda 1517. Governi/Lualdi. Anni 1904-1928 (riportato anche in R. MAZZÉ (cur.), Testimonianze e documenti della Compagnia di S. Orsola. Figlie di S. Angela Merici. Arcidiocesi di Palermo, [Palermo 1997, 151-153]) e A. FERRARA, Una vita. Profilo della Nobile Maria Giglio Sabatini. Prima Superiora della Compagnia di S. Angela Merici nell’Archidiocesi di Palermo, Palermo 1932, 7-9. 125 G. ANICHINI, Il Card. Alessandro Lualdi. Arcivescovo di Palermo. Ricordi biografici, Palermo 1928, 205. 126 Cfr. Dichiarazioni e disposizioni di Sua Eminenza il Cardinale Lualdi a favore della Compagnia di S. Orsola in Palermo, [Palermo] s.d., in ASDPa, Corda 1517. Governi/Lualdi. Anni 1904-1928. 127 Cenni sulla fondazione della Compagnia di S. Orsola in Palermo, [Palermo] s.d., in ASDPa, Corda 1517. Governi/Lualdi. Anni 1904-1928.


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Palermo, dovevano vendere la proprietà alla persona o ente indicato dall’Arcivescovo pro-tempore. Nell’anno 1912 le suddette Signore furono richiamate nel Belgio e l’Emo Cardinale Lualdi, Arcivescovo di Palermo, dispose che si facesse consegna della casa già abitata dalle Dame dell’Adorazione, come pure della Chiesa, alle Orsoline di famiglia affidando ad esse la cura e la direzione. Dispose pure che continuasse temporaneamente ad amministrare i beni lasciati dalla Signora Pignataro, l’Avv. Carlo Damanti»128.

Passano alcuni anni, continua il documento, e «Dopo non poche controversie, l’Em. Cardinale Lualdi dispose che la proprietà (dello stabile che fu della sig.ra Damanti Pignataro, ndr.) si trasferisse alla Curazia delle Messe quale Ente giuridico da lui scelto a prestanome fiduciario nell’interesse della Compagnia di S. Orsola che, per le leggi civili, in vigore, non poteva né può possedere. Con atto 11 marzo 1916, presso notar Lionti, l’avv. Carlo Damanti, nella qualità di procuratore generale della Sig.ra Giulia Oliva (invero: Alina, ndr.) Teresa Maria Bertoville (e questa anco come erede delle premorte signore [Leopoldina] De Robiano e [Cecilia] Leirens), vendette ai RR.mi Mons. Lagumina e Bibbia, quali componenti l’Amministrazione della Curazia delle Messe, il comprensorio di case site in via Principe Scordia»129.

Dalla prima superiora delle Orsoline di famiglia di Palermo, Maria Giglio Sabatini dei Principi di S. Margherita, apprendiamo inoltre che «Le Sacramentine erano partite pochi giorni prima dei nostri Esercizi e l’istesso giorno della loro partenza per ordine del Cardinale, si dové sostituirle nella casa. Tre figliuole aspiranti, che vivevano già fuori della famiglia vi furono condotte per dimorarvi giorno e notte»130. Ma 128

L.c. L.c. 130 Lettera di Maria Giglio a mons. Romolo Genuardi, s.l., 23 settembre 1915, in Archivio della Compagnia di S. Angela di Palermo. mons. Genuardi era, dal 6 agosto, il Superiore della Compagnia a Palermo. Gli esercizi spirituali delle Orsoline di famiglia a cui fa riferimento la lettera, furono predicati dal gesuita p. Gaetano Romano nella casa della contessa Marianna Majorca di Francavilla, sita in C.so Calatafimi, a Mezzomonreale e videro la presenza della Madre Giulia Vismara, superiora delle Orsoline di Milano, che informò le giovani aspiranti alla Regola di S. Angela Merici. Gli esercizi terminarono domenica 6 maggio 1912 con la celebrazione eucaristica 129


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la situazione creatasi per le nuove arrivate non era certo delle più felici, come scrive la Giglio: «I parenti delle Suore, le persone a loro affezionate, i fedeli del rione, ci credettero la causa della partenza di quelle buone religiose e perciò tutte le ire contro di noi. Per di più rimase in casa per quasi tre mesi una Sacramentina, che non poté partire per ragione di salute, ed i parenti di lei, amici, conoscenti, non riguardandoci che come gente in più, della casa ne fecero un luogo pubblico dove tutti vanno, vengono, si aggirano senza dire: “Deo gratias”. La Chiesa si chiuse i primi giorni, si riaprì, dopo i nostri Esercizi per la Messa e due ore di adorazione prima della benedizione, ma non vennero meno le lagnanze, le lettere anonime, le contestazioni, anche da parte di quelli che avrebbero dovuto agire solo per la gloria di Dio ed il bene delle anime»131.

Riguardo poi alla proprietà, così continua la lettera: «casa e chiesa, lasciata dalla Sig.ra Pignataro alle Sacramentine, con la clausola che, nel caso in cui fossero andate via di tutto dovea prendere possesso l’Arcivescovo pro-tempore per una procura generale fatta dalle Suore al loro Avvocato, continuò ad essere amministrata dalle stesse (e fino ad oggi, malgrado la buon volontà dell’Arcivescovo e l’impegno del Protettore, ci troviamo nella condizione che l’Esposizione del SS.mo Sacramento e le altre opere si sostengono senza esigere quel che si dovrebbe, e fidando nella provvidenza di Dio! Però c’è speranza che si venga ad una conclusione)»132.

Tre mesi dopo l’istituzione della Compagnia di S. Angela Merici (6 maggio 1912), infine, il moderatore diocesano dei Sacerdoti Adoratori, presieduta dal card. Lualdi. Nella stessa mattina il Presule ricevette la professione della sig.na Maria Giglio che, al contempo, venne da lui nominata Superiora generale della Compagnia per la diocesi di Palermo. 131 Lettera di Maria Giglio, cit. Anche una fonte delle Religiose dell’Adorazione Perpetua conferma che una loro religiosa non volle andare via da Palermo: «Vengono le Signorine che hanno preso la casa di Palermo e disgraziatamente confemano il timore che già avevamo che Sr. [iniziali illegibili] non abbia voglia di partire per Roma» (23 maggio, in [Agenda] 1912, in ARE). 132 Lettera di Maria Giglio, cit. Protettore per gli affari temporali della Compagnia era stato nominato dal card. Lualdi, nel marzo 1912, il Cav. Giuseppe Giglio Tramonte, padre della scrivente.


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nonché cappellano sacramentale nella parrocchia S. Lucia al Borgo, chiese al card. Lualdi di istituire una Confraternita nella chiesa «S. Salvatore detta dell’Adorazione Perpetua»133. È una testimonianza preziosa di come l’antico nome della Chiesa fosse ancora noto. Un’ultima nota riguarda la chiesa. Ascoltiamo don Bondì: «La Chiesa del SS. Salvatore, oggi delle Sacramentine in Via Scordia fu tutta opera del suo (del can. Russo, ndr.) zelo. Cominciò prima dall’essere una cappelletta al primo piano, dove riunì agli atti comuni di pietà tutti gli abitanti di quel casamento. Poscia fu una modesta cappella a pian terreno che si aprì al culto anche per gli esterni. Questa cappelletta si ebbe un primo e poi un secondo ingrandimento indi prese la forma attuale. Tutte queste trasformazioni furono da Lui ideate ed in gran parte dalle sue fatiche materiali portate a compimento»134.

La costruzione realizzata dal can. Russo è stata però totalmente rifatta. Nel maggio 1916, infatti, la chiesa fu ampliata, grazie all’interessamento personale del Cav. Giglio135 e assunse il nome — che conserva ancora oggi — di “Tempio della Pace”136. Quattro anni dopo, l’architetto Pietro Scibilia la rifece. La chiesa poté così ritornare ad essere un luogo di culto, presente il card. Gaetano De Lai, Legato della S. Sede per la celebrazione del Primo Concilio Plenario Siculo (dicembre 1920)137. Riguardo alla descrizione del portale della chiesa, scrive l’architetto Chirco: «Al civico n. 5 è la chiesa dei Sacramentini (sic), o Tempio della Pace, edificata su progetto di Pietro Scibilia nel 1930 (sic); nel prospetto, inserito nel paramento dell’edificio a più piani, sede 133

Lettera di don Angelo Verro al Card. Lualdi, Palermo, 6 agosto 1912, in ASDPa, Corda 1517, Governi/Lualdi. Anni 1904-1928. 134 Elogio, cit., 18 nota 1. 135 Cfr. la lapide marmorea affissa sulla parete sinistra della chiesa e il plauso di Benedetto XV per il progetto di ampliamento della chiesa riportato in Testimonianze e documenti, cit., 155. 136 Scrive Stabile: «Accanto alla loro casa fu costruito un Tempietto della pace per l’adorazione eucaristica perpetua» (Palermo, in Storia delle Chiese di Sicilia, cit., 647). 137 Cfr. la lapide marmorea affissa sulla parete destra della chiesa.


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dell’Istituto di S. Angela Merici, la chiesa è evidenziata dal portale principale tardo-déco ad arco, sormontato dal pannello in mosaico con tralci d’uva»138. All’interno della chiesa fatta edificare dal can. Russo, don Bondì menzionava la presenza di una statua: «Ardente desiderio (verso la Madonna, ndr.) lo (don Francesco Russo, ndr.) punse di acquistare una bellissima statua dell’Immacolata, opera dell’insigne professore D. Nunzio Morello, suo zio materno, il quale l’avea destinata in dono all’immortale Pio IX: e quando seppe che non era potuto riuscire ad inviargliela, Egli tanto disse e fece che gliela strappò quasi di mano e collocolla sull’altar maggior prima, e poscia in quella cappella magnificamente decorata della sua chiesetta ove tuttora con grande e devotissimo culto si onora»139.

Oggi la statua marmorea — sulla base sinistra della quale si trova scritto “Morello da Palermo” — si trova posta sopra l’altare maggiore della Chiesa e le è stata aggiunta la corona con lo stellario.

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A CHIRCO, Palermo la città ritrovata. Itinerari fuori le mura, Palermo 2006, 309. Elogio, cit., 28-29.


Synaxis 3 (2011) 175-207

L’ARCHITETTO GIOVAN BATTISTA CONTINI A CATANIA

SALVATORE MARIA CALOGERO*

Nel 1669, il monastero di San Nicolò l’Arena di Catania fu circondato dalla colata lavica e l’annessa chiesa fu gravemente danneggiata. Le «Reparazioni per il foco di Mongibello» iniziarono subito e furono incaricati i mastri «Pedarisi» per levare «la sciara attorno al Monastero» e quella «innanzi la porta della Chiesa»1. In quest’ultima si intervenne ricostruendone la volta e nel mese di gennaio 1680 furono corrisposte «10 onze all’ingegniero di Messina»2 per rimodernare l’intero monastero. Già ai primi del ’600, i monaci avevano avuto l’idea di realizzare una nuova chiesa al posto di quella esistente perché considerata “piccola e angusta”. Infatti, nel mese di settembre 1640, cioè prima della colata lavica del 1669, era stato pagato «l’architetto per misurare lo monasterio», fu acquistata «carta reale per l’architetto » e nel mese di ottobre a si pagò «mastro Francesco Murtari architetto venuto da Messina per haver fatto lo designo della Chiesa nova ed il resto dello monasterio»3.

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Ingegnere specializzato nel restauro di edifici storici e monumentali. «Fabrica e Reparationi per il foco di Mongibello» (ARCHIVIO DI STATO DI CATANIA [= A.S. CT], Fondo Benedettini, busta 1175, da carta 7 a carta 144, da giugno 1670 a gennaio 1672). 2 Ibid., b. 1187, c. 35, gennaio 1680. 3 Ibid., b. 1177, c. 76 sx e c. 81 dx, settembre e ottobre 1640. 1


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La decisione d’incaricare l’architetto romano Giovan Battista Contini4 fu deliberata dai monaci il 13 febbraio 16865 e nel mese di marzo l’architetto arrivò a Catania per effettuare i rilievi del terreno e redigere il progetto della nuova chiesa. Nello stesso periodo si stipularono i contratti con le maestranze calabresi per «farci tutti quelli fossati, che vorrà detto padre Cellerario nelli lochi per esso designandi, quali devono servire per li pedamenti della nuova Chiesa da farsi per il Monasterio in questa predetta Città»6. Il capo mastro della città, «magister Giuseppe Longobardo fabricatore», e «magister Jachino Guglielmino mastro d’ascia catanensis» furono incaricati dai monaci per svolgere il ruolo di «expertus et extimatores ad effectum estimandi, et appretiandi omnes illas domus et palatia per dicta monasteria emend.as et emenda pro Constructione et edificatione novae Ecclesiae per dicta monasteria edificanda et construenda»7. Dall’«Indice di venditioni di casi da varie personi allo nostro monasterio di Santo Nicolò dell’Arena per fare Piano innanzi la chiesa nova fabricanda et innanzi al detto nostro Monasterio per fare un altro Chiostro»8, apprendiamo che il progetto del Contini, oltre alla nuova chiesa, prevedeva la realizzazione di un nuovo chiostro posto a levante di quello cinquecentesco. 4 Giovan Battista Contini nasce a Roma nel 1641 e muore nel 1723 (vedi L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, architettura, Palermo 1993, 118). vedi anche A. DEL BUFALO, G. B. Contini e la tradizione del tardomanierismo nell’architettura tra ’600 e ’700, Roma 1982, che non cita l’attività catanese di Contini. 5 «fabrica della Chiesa nova incominciata in questo anno 9^ inditione 1686 sotto il governo dell’Abbate il Reverendissimo padre don Onorato di Mineo di casa Romano e Colonna e Cellerario del medesimo monasterio il padre don Romualdo di Catania di casa Rizzari fatto computo della construtione come nella dicta Cap.ne 26 dicembre 9^ inditione 1685» (A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 785, c. 41 r., documento senza data). 6 A.S. CT, Corporazioni Religiose Soppresse (= CC.RR.SS.), Appendice, b. 6/2, c. 95, 14 marzo 1686. 7 Electio Pro Monasterei Sancti Nicolai Contram magister Joseph Longobardo et consortes (A.S. CT, primo versamento notarile, busta 990, c. 58 recto, 17 marzo 1686 notaio Francesco Pappalardo). 8 A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 348, c.s.n.


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Nei libri contabili relativi alla «fabrica della Chiesa nova»9 furono riportate le somme corrisposte «a don Giovanni Primo» per pagare l’architetto romano: «onze 697.28.10 spesi cioè per il viaggio del sig. Contini da Monte Cassino in Catania col padre don Gregorio onze 29.18 // per lo ritorno del Sig. Contini Architetto da Catania à Napoli onze 23.12 // per sopra mano al detto ad Agosto e Giugno mastri da lui portati da Roma onze 18 // per legname per conto di tornio per lo modello onze 4.8 // per mastria di detto tornio onze 4.28.10 // per Carta Reale per lo disegno onze 1.18 // per legname d’ebano, e Chianche, e travetti onze 10.12.10 // per mastria a mastro Jachino, et altri mastri onze 21.6 // per chiodi, tacci, colla, e spontoni onze 3.3 // per porto di robba del Contini onze 3.25.10 // per due mazzi di ferro, e due Pali onze 2.19.10 // per 100 tavole di Venetia, porto, e speditione onze 20 // dati al Contini onze 280»10.

Inoltre, nel mese di settembre, fu pagato il capomastro «per settare le lenze con lo ingegniero» e «per fare la strada nova»11. Queste note ci fanno capire che l’architetto Contini venne effettivamente a Catania per realizzare il modello ligneo e i disegni della nuova chiesa (fig. 1), fornendo il disegno di ampliamento del monastero e dirigendo la prima fase dei lavori. Approfittando della presenza del Contini a Catania, i Chierici Regolari Minori, chiamati comunemente Minoriti, nel settembre 1686 gli fecero redigere il progetto della loro chiesa dedicata a San Michele Arcangelo (fig. 2), come documentato dalla paga data «a Giovan Battista Contini Architetto di regalo per li disegni della facciata della Chiesa, Alzato, e spaccato, e della Pianta di essa in tavola»12.

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Ibid., b. 1186, c. 55, agosto 1686. Ibid., b. 1186, c. 63, agosto 1686. 11 Ibid., b. 1183, c. 4, settembre 1686. 12 «Le spese della fabbrica della Chiesa secondo il disegno nuovo modellato da Gio. Batt.a Contini Architetto Romano ritrovatosi in Catania per il disegno della nuova Chiesa di S. Nicolò dell’Arena, nel mese di marzo 1686 si cominciano a notare in questo libro dal mese di Settembre di detto Anno decima Indizione» (A.S. CT, CC.RR.SS., b. 25 (ex 23), c. 249 r., settembre 1686). 10


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Fig. 1 – Pianta della chiesa di San Nicolò l’Arena (S. Boscarino, 1986).

Fig. 2 – Pianta della chiesa di San Michele Arcangelo (S. Boscarino, 1986).


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Confrontando le piante delle due chiese, si evince una comune matrice geometrica, anche se quella dei minoriti risulta dai documenti disegnata dall’architetto Giuseppe Palazzotto13, probabilmente sulla scorta del progetto originario del Contini. La prima pietra nella chiesa dei benedettini fu posta martedì 3 giugno del 168714 e, nel mese di agosto dello stesso anno, furono pagate «onze 29.3 cioè onze 27 per altri tanti dati a Roma a Mastro Geronimo (Beragioli) Stucchiatore dal Sig.r Gio: Batta Contini // et onze 2.3 per nolo di barca da Roma a Messina per il suddetto mastro Geronimo come per lista suddetta»15, facendo intuire l’intenzione dell’architetto di fare intervenire maestranze romane di sua fiducia per realizzare al meglio l’edificio religioso. Il 4 agosto 1687 iniziarono i lavori sulla scorta dei disegni e il modello forniti dal Contini, di cui oggi sono state reperite le relazioni esplicative che descrivono nel dettaglio ogni singola operazione16. In queste relazioni è riportato il «Modo di piantare li fondamenti della chiesa di S. Nicolò l’Arena di Catania ordinati dal Sig. Architetto Gio: Battista Contini conforme il modello piantato in legname, e disegno seu pianta numerata nella Carta de fondamenti», fornendo le indicazioni per tracciare i “fili fissi” dell’edificio, «come tutto si vede e si raccoglie nella pianta numerata de’ fondamenti». Oltre al tracciato, furono date indicazioni sulla tecnica e sul «Modo di piantare i muri sopra terra della Chiesa di S. Nicolò l’arena di Catania con diversi raccordi et avvertimenti sopra la medesima fabrica», da cui si evince la precisione che si prefiggeva l’architetto nel realizzare l’edificio. Infatti, si legge che «Essendosi ben piantati et a suo luogo li fondamenti, certo si è, che non si puole se non che errare 13 Cfr. S. CALOGERO, L’opera di Girolamo e Giuseppe Palazzotto nella “Casa” dei minoriti a Catania, in Synaxis 3 (2005) 195-227. 14 «Fabrica della nova Chiesa // a cassa onze 9.9 spesi cioè per fare la prima pietra tarì 3 // per dormirci mastro Vincenzo due notti tarì 3» (A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 1183, c. 10, maggio 1687). 15 Ibid., b. 1186, c. 47 bis, agosto 1687. 16 BIBLIOTECA REGIONALE UNIVERSITARIA DI CATANIA (= B.R.U. CT), Fondi antichi, Fondo Anastasi Biondi, MSU 264.2, da c. 1 r. a 14 v. (nuova numerazione da c. 275 e segg.). Vedi Appendice documentaria.


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di puoco nelli muri sopra terra; E per meglio accertarsi a non errare anche in minima parte si continueranno le operazioni nella medesima forma che si è fatto nelli fondamenti colle medesime otto linee cioè tre da levante a ponente, e cinque da tramontana a mezzogiorno». Nel cantiere era stata predisposta una stanza dove venivano custoditi il modello e i disegni della chiesa, ai quali le maestranze dovevano attenersi. Per realizzare un edificio di tale grandezza, considerato che l’architetto non poteva seguire personalmente i lavori, i monaci ebbero bisogno di una persona esperta, in questo tipo di lavori, che si dedicasse a tempo pieno alla costruzione della loro chiesa. Fra gli Atti del notaio Francesco Pappalardo, conservati nell’Archivio di Stato di Catania, si trova il contratto di Obligatio, stipulato il 18 dicembre 1687, attraverso il quale «magister Joannes Viola», figlio di Francesco, «magister Aromatarius, et lapidum incisor» della città di Messina, «conoscendo la necessità grande che tiene il venerabile monasterio di San Nicolò l’Arena, dell’ordine di S. Benedetto di questa predetta città di Catania, di mastri della detta Arte e professione per causa della lunga fabrica della nova Chiesa che stà detto Monasterio fabricando, e per altri affari del monasterio suddetto, mosso da divino Spirito, e per la devozione et affetto grande che porta verso detto monasterio e suddetti Gloriosi S. Nicolò e S. Benedetto, e per la salute dell’anima sua, e remissione de suoi peccati, ha determinato devenire, conforme deviene al presente contratto del modo e forma, e sotto li patti clausule e condizioni infrascritti, cioè: Pertanto hoggi il di suddetto il suddetto mastro Giovanni Viola spontaneamente per le cause e ragioni suddette e non altrimenti […] si obligò et obliga durante la sua vita naturali al detto monasterio di San Nicolò […] lavorari dentro detto monasterio tutto quello sarà necessario per servizio del suddetto monasterio, e che li sarà dato dalli superiori di esso; in modo e maniera tale che non possa ne voglia pigliare altri affari e servizi fuori di detto monasterio. In primis che detto padre don Romualdo dicto nomine per se e suoi successori in detto monasterio sia tenuto et obligato conforme in virtù del presente contratto si obligò e obliga al detto mastro Giovanni stipulante durante la sua vita naturale come sopra darci tutto quello e quanto detto monasterio dona giornalmente ad un suo fratello converso conforme e stabilito in detto monasterio cioè mangiare e bevere giornal-


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mente, scarpi, scrina, calsette, tele, berritta, candelette, sapone, seta et altri giusta la consuetudine e costume di detto monasterio, come anche le onze quattro di vestiario ogni anno insieme con altri venti quattro pure ogni anno di sopra più, et questo nelli tempi soliti e consueti et ancora una camera dentro detto monasterio con suo letto et altre cose necessarie conforme tengono et li anno l’altri fratelli conversi, […] Item et ad patto che quando comunque morendo il detto mastro Giovanni sia tenuto et obligato lo detto monasterio conforme per esso si obligò et obliga lo detto padre don Romualdo dicto nomine e con l’assenso e consenso sopradetti stipulati dare al detto mastro Giovanni, anco stipulante, l’habito di detto ordine e la sepoltura dentro la Chiesa di detto monasterio»17.

Il messinese Giovanni Viola aveva stipulato il primo contratto con i monaci di San Nicolò l’Arena il 28 settembre 1687 quando si impegnò, insieme al marmoraro catanese Giuseppe Manosanta, «per fare il fonte per lo recettaculo dell’acqua nello Giardino esistente dentro lo Claustro di detto Monasterio di Santo Nicolò»18. Nei due documenti si fa riferimento alla realizzazione di una fontana marmorea «alla proportione del disegno per tal causa fatto», con «suo piedestallo» e «balaustrata», da collocare nel chiostro di ponente e alla «fabrica della nova Chiesa che stà detto Monasterio fabricando». Quindi il messinese Giovanni Viola, in cambio della sua prestazione per realizzare il grande edificio, chiese di vestire l’abito benedettino e di essere sepolto nella cripta della nuova chiesa, al pari degli altri monaci appartenenti alle famiglie aristocratiche siciliane. Il 30 maggio 1689 fu stipulato un nuovo contratto con alcune maestranze che si impegnarono «intagliarci a punta di picone tutta quella pietra nigra che sarà necessaria per fare l’intaglio della nova 17 Obligatio Pro Monasterio Sancti Nicolai Contram magister Joannes Viola (A.S. CT, 1° vers. not., b. 993, da c. 545 recto a 547 verso, 18 dicembre 1687 – notaio

Francesco Pappalardo). 18 Staleum Pro Monasterio Sancti Nicolai Contra magister Joseph Manosanta et consortes (A.S. CT, 1° vers. not., b. 993, da c. 236 r. a 239 v., 28 settembre 1687 – notaio Francesco Pappalardo). Giuseppe Manusanta appare nei libri contabili il 25 gennaio 1686, insieme all’altro lapidum incisores catanese Giovanni Bertuccio, figlio di Silvestro.


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Chiesa di detto monasterio che si sta novamente fabbricando» e che la suddetta pietra doveva «farsi e tagliarsi dalla Sxiara che è d’interno d’esso monasterio incominciando dalla sciara della parte di ponente, vicino l’infermeria di detto monasterio, con doverci fornire à tutta la sciara del dormitorio di detto monasterio della parte di tramontana, con levarne una, due, o tre canne di pietra d’interno secondo sarà necessario»19. Fra le suddette maestranze era presente mastro Domenico Viola20, fratello di Giovanni, che doveva «intagliarci tutta quella pietra bianca e tutta quella pietra di giurgiulena che sarà necessaria per la fabrica della nova Chiesa di detto monasterio che si sta fabricando vicino detto monasterio di San Nicolò, e questo cossi di liscio, come di scurniciato conforme sarra di bisogno» e che doveva intervenire anche nelle colonne, «in quelle parti che saranno necessarie di farci capitelli e fogliati»21. Mentre Domenico Viola lavorava nella chiesa, nel mese di ottobre 1691, suo fratello Giovanni veniva pagato «per haver fatto un modello di Creta della fontana (grande) del Claustro»22 di ponente, che fu alzata nel dicembre 169223. 19 Staleum Pro Monasterio Sancti Nicolai Contram magister Jannes Bertuccio et consosrtes (A.S. CT, 1° vers. not., b. 996, da c. 399 r. a 401 v., 30 maggio 1689 – notaio Francesco Pappalardo). I mastri furono Giovanni Bertuccio (del fu Silvestro), Giuseppe Nicoloso (del fu Francesco), Francesco Burtone (del fu Filippo), Diego de Benedetto (del fu Giovanni), Domenico Viola (figlio di Francesco), Alonzo de Benedetto (del fu Giacomo), Pasquale de Sergi (del fu Matteo) e Francesco la Sputa (del fu Michele), tutti lapidum incisores. 20 Domenico Viola (messinese), figlio di Francesco e di Teresa de Maria, si sposa con Grazia Amato (messinese e abitante a Catania), figlia di Giovan Maria e Caterina Ferro (ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI CATANIA (= A.S.D. CT), Registri canonici, Collegiata, matrimoni, f. 14, aprile 1689). Nasce a Messina fra maggio 1664 e febbraio 1665 (ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO (= A.S. PA), Deputazione del Regno, Riveli di Catania, vol. 1406, f. 273, 15 aprile 1715. Domenico Viola ha 50 anni). 21 Staleum Pro Monasterio Sancti Nicolai Contram magister Jannes Bertuccio et consosrtes (A.S. CT, 1° vers. not., b. 996, da c. 724 r. a 727 r., 23 agosto 1689 – notaio Francesco Pappalardo). 22 A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 1184, c. 12, ottobre 1691. 23 «fabrica, e reparatione […] tarì 2 per alzare la fontana grande» (A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 1184, c. 23, dicembre 1692).


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Queste vicende furono descritte dagli stessi monaci nella «Mantissae de Monasterio novo Catanae», in cui si trova scritto: «Il tredici febbraio della IX indizione del 1686 da quando il mondo è stato redento, essendo Abate del monastero di san Nicola il reverendissimo P. D. Onorato di Mineo visitatore dei monasteri di tutta la Sicilia nominato dalla Congregazione, economo generale rev. P. D. Romualdo da Catania computatore della congregazione, dopo ampia discussione circa il progetto della chiesa da edificare (omissis) alla fine con il voto del rev. P. D. Giovanni Santonocito da Catania Abate di Gangi, del rev. P. D. Ferdinando Gioeni da Catania abate di Militello, del rev. P. D. Severino Brancati da Messina abate di Monreale, del R. P. D. Innocenzo Russo da Catania priore di Messina, e anche con l’intervento e il consenso del R. P. D. Arcangelo da Palermo priore del chiostro e di trenta monaci del predetto monastero fu approvato il progetto dell’architetto Giovan Battista Contini (che era venuto seriamente da Roma) disegnato … e questo fu sottoscritto e firmato, ed è custodito in una stanza con lo stesso modello ligneo fatto da maestro Gioacchino Guglielmino da Catania; come ugualmente anche il disegno di tutto il cenobio progettato dallo stesso Contini. E tutte queste cose con approvazione del Rev.mo P. D. Sebastiano da Milano generale del Presidio e del Rev.mo P. D. Andrea da Napoli, Procuratore nella città di tutta la Congregazione, furono segnate il 15 luglio dello stesso anno 1686. In verità affinché la costruzione della chiesa fosse portata a termine e non ci fossero rallentamenti nel futuro: si decise concordemente di privarsi volentieri di alcuni beni, e di apportare alcune restrizioni alle abituali comodità, e per questo motivo lo stesso Rev.mo Presule si preoccupò di ottenere una Breve Apostolica, affinché fosse assegnato un esattore particolare dotato di ogni tipo di virtù, che insieme con il vicario del monastero e senza l’interposizione del Generale Economo dello stesso monastero potesse esigere le somme e riporle in cassa, riservando ai medesimi le obbligazioni, le restrizioni e le forme, secondo la Bolla di Alessandro VII, pubblicate dal Cellerario. In calce poi del detto documento furono scritti i beni, cioè: San Nicolò lo Vecchio, Dagala e il Magazino onze 24 …. Pertanto, disposte bene queste cose, e preparato tutto il necessario per la costruzione, la Sacra posa della pietra (come prescrive il cerimoniale di Santa Romana Chiesa) fu assegnata il 3 giugno del 1687. Perciò nello stesso giorno, vestito del mantello pontificale, circondato dall’Infula, e accompagnato dal Rev.mo P. D. Onorato da Mineo, allora abate di S. Martino, una pietra angolare quadrata straordinaria, con sopra una croce


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d’oro e circondata di corde d’oro, fu deposta con fasce di seta dall’Abate già nominato e da don Mario Medina e Tornabene Patrizio di questa città. Fu anche preparata una cassetta di pietra, in cui furono chiusi l’agnello di Dio di cera benedetta, con l’immagine di S. Benedetto e Nicola, e parimenti altre cose d’argento con l’immagine del re cattolico Carlo Secondo, le croci S.ti Thuribii, un vaso di olio, una pergamena, nella quale furono scritte queste cose: “S. M. B. N. quae quidem litterae hunc sensum faciunt: Jesus, Maria, Benedictus, Nicolaus; Innocentio XI summo Pontefice, Leopoldo Primo Austriaco Imperatore electo Romanorum; Carolo Secundo Austriaco Hispaniarum Rege; D. Francisco Benavides Comite S.ti Stephani huius Regni Siciliae Prorege. Urbis Catanae Capitaneo D. Francisco Paternò Barone Raddusa, Senatoribus D. Mario Medina, et Tornabene Patritio, D. Alphio Scammacca, D. Jacobo Paternò, D. Antonino Paternò, e Marchesana, D. Adamo Asmundo, D. Martino Celestre et Tudisco, D. Antonino Paternò et Moncada, D. Mario Gravina Sindaco. R.mo P. D. Anselmo à Panormò Abbate huius Monasteriy S.ti Nicolai de Arenis et Praesidente Generali Congregationis Casinensis. R.mus P. D. Honoratus Romanus et Columna à Mineo Abbas Mon.rii S.ti Martini de Scalis eiusdem Congregationis Casinensis, splendidissimi Templi ad maiorem Dei Optimi maximi gloriam, Beatissimae Verginis sine originali labe conceptae, S.ti Nicolai Episcopi Mirensis Patroni, et S.mi P. Benedicti honorem augendumque cultus Divini decorem erigendi initiali lapide posito, fundamenta feliciter iecit, Anno ab Orbe reparato 1687. die tertia mensis Juny hora 22”. La stessa pergamena avvolta, fu riposta in un contenitore di piombo argentato. Ci fu una grande affluenza di nobili e del popolo e i monaci presenti furono R. P. D. Romualdo da Catania Priore, e l’amministratore di questo monastero R. P. D. Innocenzo da Catania priore di S. Maria Fundronis Plateam rettore di tutta la fabbrica, R. P. D. Arcangelo da Palermo priore di S. Martino delle Scale, e trenta religiosi del nostro convento. La costruzione del sacro tempio fu proseguita poi fino al 1690, con l’aiuto di Dio; e in questo spazio di tre anni, sia per l’acquisto delle case, sia per la calce e cemento necessario, sia per edificare le fondamenta, fu erogata la somma di dodicimila e settecento nummi d’oro»24.

24 B.R.U. CT, Fondi antichi, Fondo Anastasi Biondi, MSU 264.2, da c. 240 a 255 (traduzione dal latino della prof.ssa Mirella Cosentino).


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Dalla contabilità si evince che dal settembre 1689 a maggio 1690 si lavorò per realizzare la nuova chiesa e che a giugno 1690 i lavori furono interrotti a causa dello storno delle somme destinate alla fabbrica, che servirono per pagare i debiti del monastero, confermando quanto scritto nella mantissae. Domenica 11 gennaio 1693, alle ore 21, una forte scossa sismica distrusse Catania, compreso il monastero. Nella «Testimonianza resa alla Gran Corte vescovile di Catania sui danni nelle proprietà dei monasteri di S. Maria di Licodia e S. Nicolò l’Arena causati dal terremoto dell’11 gennaio 1693» si legge che «li suddetti venerabili monasterij havevano in questa città di Catania il suo claustro incolonnato al numero di cinquantadui colonne marmorie, come pure li finistroni capitello e balaustrati sopra il cornicione delle fabriche con molte statue marmorie di gran fattura et havere il dormitorio quatrato con una galleria superbissima piena di quadri di tutti Pontefici Benedettini e le fabriche a tri ordini tutti dammusati con havere pure l’incantine sotterranie con soi dammusi reali e fuori di esso claustro havere pure tutti li granari seu magazeni per commodità delli grani orghi et altri simili, le dispenze grandissime, spezziaria di gran valore, stanze del speziale e molte altre stanze per commodità non solamente di tutte le persone che servivano al monastero come anche di tutti l’operaij pure per il servizio del monastero»25. Nella suddetta relazione non venne citata la nuova chiesa progettata dal Contini, perché era incompleta. Invece di ricostruire il vecchio monastero, i monaci decisero di cambiare sito scegliendo l’area nella collina di Monte Vergine, dove si trovava la torre di don Lorenzo Gioeni e il tratto della cinta muraria in prossimità della porta del Re. L’area del nuovo edificio fu delineata da mastro Giuseppe Longobardo, che fu pagato per “allenzare” il nuovo sito e per la stima della case da comprare. Nel mese di aprile 1695, i mastri Domenico Viola (di Messina), Antonio Palazzo (di Palermo) e Antonio Nicoloso26 (di Catania) 25

A.S. CT, CC.RR.SS., Appendice, b. 27, fasc. 6. Antonio Nicoloso alias lo pazzo (catanese), figlio del defunto Giuseppe e della vivente Domenica Rametta, si sposa con Agata Pappalardo (catanese), figlia del defunto Agatino e Antonia la Motta (A.S.D. CT, Registri canonici, S. Maria dell’Itria, 26


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furono pagati per «haver staccato l’intagli dalla Chiesa nova»27, facendo capire che l’intenzione dei monaci fu quella di abbandonare definitivamente il vecchio sito della Cipriana, utilizzando anche il materiale esistente nel vecchio edificio. I lavori di costruzione del nuovo monastero procedettero velocemente e nel 1699 poteva considerarsi completo in tutte le sue parti, compresa la chiesa e le decorazioni. Però, a causa della decisioni dei «Ministri regii di Guerra, in volere costituire per Castello regio fabricato in legname e fabriche nello loco della Torre nominata di don Lorenzo et Monte Vergine, fu fatta risoluzione doversi rifabricare il Monasterio suddetto destrutto et proseguire la fabrica della Chiesa incominciata a fabricare nell’anno 1686 prima al suddetto orribile terremoto»28. Si riprese a lavorare nel vecchio monastero nel mese di maggio 1700, rimuovendo le macerie del chiostro e consolidando le strutture della chiesa, rimaste incomplete. In un atto giudiziale del 25 giugno 1703 si legge che il messinese Antonino Amato29 «fu seriamente chiamato ad effettuare faciendi et matrimoni, f. 4, 29 gennaio 1694). Nasce a Catania fra agosto 1673 e maggio 1674 (A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, vol. 1404, f. 168, 6 luglio 1714. Antonio Nicoloso ha 40 anni). 27 A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 1181, c. 58, aprile 1695. 28 A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 347, carta senza numero, senza data (in A.S. CT, Horribilis terremotus eventus in die 11 ianuarii 1693, Vol. 2, Misterbianco 1994, p. 33, n. 14). 29 È uno dei principali membri, il terzo con il nome Antonio, di quella famiglia di lapidum incisores attiva nel primo trentennio del Settecento, soprattutto nella Sicilia Orientale, a Messina (M. ACCASCINA, Profilo dell’architettura a Messina dal 1600 al 1800, Roma 1964, 68) e a Catania (G. POLICASTRO, Catania nel Settecento, Catania 1950, 257). Antonio, in particolare, opera prevalentemente a Catania ove giunge dopo alcune significative esperienze messinesi (S. TEDESCO, Antonio Amato, in L. SARULLO, Dizionario degli Artisti Siciliani, Architettura, Palermo 1993, 13). Antonino Amato nasce a Messina fra agosto 1660 e giugno 1661 (A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, b. 1404, f. 396, 6 luglio 1714. Antonino Amato ha 53 anni), da Giovan Maria e Caterina Ferro. Si sposa con Angela Brandomonte e, quando arriva a Catania, nel 1694 aveva tre figli: Giovanna, Andrea (A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, b. 1402, f. 227, 3 luglio 1714. Andrea Amato ha 26 anni), e Tommaso (A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, b. 1404, f. 143, 6 luglio 1714. Tommaso Amato ha 24 anni).


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costruendi nuova pianta e struttura secondo le regole dell’architettura del superbo venerabile monastero e chiesa del Padre S. Benedetto sotto il titolo di San Nicolò l’Arena»30. Ciò trova riscontro nei libri contabili della «fabrica nova» in cui, a partire dal mese di giugno 1703, si trovano registrate le paghe «ad Antonino Amato, che fa il disegno del Monasterio», a suo figlio Andrea, a suo genero mastro Pietro Vivilacqua31 «alias facciabianca» e a suo cognato mastro Domenico Viola, «in conto l’intaglio della Clausura»32. I monaci acquistarono l’occorrente per il disegno33 e pagarono 32 onze «ad Antonino Amato Architetto»34. Con atto notarile del 13 ottobre 1703, magister Antonino Amato e suo figlio Andrea si obbligarono con il monastero, insieme ad altri due maestri «eligendi e nominandi per detto Antonino d’Amato stipulante fra lo termine e spatio di anni due, da contarsi dal primo di maggio prossimo venturo di questo anno presente 12a inditione corrente 1704 innanzi, intagliare tutte le pietre bianche che saranno necessarie per fare l’affacciate di levante, mezzogiorno e noviziato del novo Monasterio di San Nicolò che si sta fabricando e questo secondo il disegno fatto da detto Antonino d’Amato stipulante […] In quanto all’ornato cioè cartocci, figure, mascaroni, bottini, balconi grandi e piccoli et altre figure che si dovranno fare, sia tenuto et obligato come s’obliga lo detto Antonino d’Amato farle di propria sua mano e non di mano d’altre persone per patto ecc., […] Procede di patto che sia tenuto et obligato lo detto Antonino d’Amato stipulante, conforme in virtù del presente contratto, s’obligò et obliga alli detti Monasterji, per essi al detto loro Reverendissimo padre Abbate, con l’intervento e consenso sopradetti stipulante, allenzare il Monastero 30

G. POLICASTRO, Catania nel Settecento, cit. Pietro Vivilacqua alias facciabianca (palermitano), figlio di Giuseppe e di Antonia Faraci, si sposa con Giovanna Amato (messinese), figlia di Antonino e di Angela Brandomonte. 32 A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 1188, c. 73, giugno 1703. 33 «carta reale per il disegno del Monastero», «300 taccioni, e colla rotula ½ per il disegno del Monasterio», «canne 3 di tela per il disegno», «4 tavule d’abeto per lo disegno», «fumo, chiodi, taccia e colla per lo disegno» (l.c.). 34 L.c. 31


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nuovo, e se fosse necessario di farsi qualche disegno farlo, e questo per il medesimo prezzo di tarì sette il giorno da pagarsi di giorno in giorno come di sopra si è detto»35.

In questo documento si legge che i due mastri messinesi erano obbligati a modellare le pietre bianche per «fare l’affacciate di levante, mezzogiorno e noviziato del novo Monasterio di San Nicolò che si sta fabricando e questo secondo il disegno fatto da detto Antonino d’Amato», facendo capire che i prospetti sud ed est dovevano essere realizzati seguendo il progetto redatto dallo stesso Antonino Amato che, oltre a svolgere il ruolo di architetto allenzando la fabbrica, svolgeva anche il ruolo di esecutore, realizzando personalmente l’apparato decorativo e le sculture. Inoltre, è riportato l’obbligo dei padri Benedettini di concedere ad Antonino Amato «tutto il realto vicino detto Monasterio nuovo, dove olim abitarono li padri del Convento di Santa Teresa di questa predetta città, e questo gratis e senza loghiero (affitto) alcuno», che doveva servire metà per lavorare «e l’altra metà per habitarci li detti d’Amato con loro famiglia»36. A causa del crollo del monastero furono persi i disegni della chiesa, realizzati nel 1686 dall’architetto Contini, e i monaci contattarono nuovamente l’architetto romano il quale, nel mese di luglio 1704, fu pagato «per li disegni, e Pianta della Chiesa»37 e nel mese di agosto furono registrate le spese «per intelararsi li disegni della Chiesa»38, consentendo la ripresa dei lavori. Nel mese di febbraio 1707 fu pagato mastro Giovan Battista Longobardo, figlio di Giuseppe, «per allenzare ed assettare l’intagli della Chiesa»39. 35

Staleum pro Monasterio Sancti Nicolai et Antoninum de Amato et consortes. (A.S. CT, 1° vers. not., b. 1024, 13 ottobre 1703 – notaio Francesco Pappalardo, trascritto in F. FICHERA, G. B. Vaccarini e l’architettura del Settecento in Sicilia, vol. I, Roma 1934, Doc. B, pp. 226 e segg.). 36 L.c. 37 «10 zecchine regalate a Contini in Roma per li disegni, e Pianta della Chiesa» (A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 1188, c. 74, luglio 1704). 38 «tarì 6 per intelararsi li disegni della Chiesa» (ibid., c. 76, agosto 1706). 39 Ibid., c. 37, febbraio 1707.


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Il nuovo progetto dell’architetto Giovan Battista Contini fu riprodotto nella pianta del monastero disegnata da Hittorf e Zanth nel 1835 (fig. 3).

Fig. 3 – Plan gènéral du couvent des bénédictins a Catane, Adam Sculp (Hittorf e Zanth, 1835).


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Mastro Pietro Vivilacqua morì nel 170840 e gli subentrò suo fratello Lorenzo41. Nel 1708, quindi, a parte il catanese Antonio Nicoloso, che realizzò le strutture portanti in pietra nera dell’edificio, la squadra che si occupò degli intagli in pietra bianca nel cantiere fu composta dai messinesi Antonino Amato, dai suoi figli Andrea e Tommaso, e da Lorenzo Vivilacqua, ai quali si affiancò nel 1712 mastro Giuseppe Rizzari. I periti incaricati di contabilizzare i lavori furono il capo mastro Giovan Battista Longobardo, figlio di Giuseppe, per conto dei monaci, e il messinese Antonio Biundo42, per gli Amato. I lavori eseguiti dalla squadra di Antonino Amato riguardarono gli «intagli fatti di tutta la facciata della nuova chiesa di detti venerabili Monasteri, incluse le scale contraporte di dentro e cantonere pure di dentro che rivoltano la facciata del Ponente […] inclusi quelli delli mura della clausura verso tramontana che attualmente esistono»43. Oltre a realizzare l’ornato della chiesa (28 tabelloni, 6 scartocci, 6 nicchie, abbacucco delli 4 pilastroni), lo scultore messinese eseguì «palmi tremila ottocento quaranta due per li pilastri del nuovo claustro di pietra bianca»44. Nel Computo finale del 31 gennaio 1712 si legge che i lavori dovevano essere eseguiti «avvertendo che tutto l’intaglio della facciata suddetta di detta Chiesa, e cosciature di dentro, come ancora la metà 40 Sua moglie ricevette un compenso di circa 243 onze per il lavoro svolto dal marito (ibid., c. 61, giugno 1708). 41 Lorenzo Vivilicqua alias facciabianca (palermitano e abitante a Catania), figlio del defunto Giuseppe e di Antonia Faraci, si sposa con Maria Nicosia (catanese), figlia di Antonino e Angela Fassari (A.S.D. CT, Registri canonici, SS. Filippo e Giacomo, matrimoni 1690-1714, f. 9, 8 maggio 1705). 42 Antonio Biundo (messinese e abitante a Catania), figlio del defunto Giovanni e di Agata Rizzari, si sposa con Vincenza Gulotta (catanese), figlia di Pietro e della defunta Angela Tomasello (A.S.D. CT, Registri canonici, SS. Filippo e Giacomo, matrimoni 1690-1714, f. 9, 2 maggio 1700). Nasce a Messina fra agosto 1677 e giugno 1678 (A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, vol. 1403, f. 247, 5 luglio 1714. Antonio Biundo ha 36 anni). 43 Computum finale Pro Monasterio Sancti Nicolai contram Magister Antonino de Amato (A.S. CT, 2° vers. not., b. 1084, da c. 501 r. a c. 503 r., 31 gennaio 1712 – notaio Vincenzo Arcidiacono senior). 44 L.c.


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della clausura della tramontana termina sino a quella parte ove vi è contrasignata la lettera C»45, facendo capire che si seguiva il progetto dell’architetto Contini. Quello di Giovan Battista Contini, rimase il progetto guida seguito dai vari architetti che diressero i lavori di costruzione della chiesa di San Nicolò l’Arena. Quando, ad esempio, nel 1726 fu incaricato l’architetto Crocifero Antonio la Barbera di realizzare nuovi «disegni della fabrica»46, non fu messo in discussione il progetto della chiesa, che rimase quello del Contini. I disegni del progetto di Giovan Battista Contini per la chiesa dei benedettini di San Nicolò l’Arena sono stati perduti dopo la soppressione delle Corporazioni Religiose e la successiva confisca dei loro beni. Pertanto, la relazione conservata nella Biblioteca Regionale Universitaria di Catania, rimane l’unico documento che fa capire quanto l’edificio realizzato corrisponda effettivamente a quello progettato nel 1686. Leggendo le istruzioni contenute in questa relazione esplicativa, inoltre, si può pensare che il progetto fu preso a modello dalle varie maestranze che lavorarono nel cantiere e dovette essere utilizzato come Trattato di Architettura da alcuni architetti che contribuirono alla ricostruzione di Catania dopo il terremoto del 1693, fra i quali vi furono Giuseppe Palazzotto47 e Francesco 45

L.c. «Fabrica nova […] per canna 2 di tela per fodera delli disegni fatti da padre Antonio Barbiera per la fabrica tarì 3.8; ad Pietro il libraro per foderare detti disegni tarì 2 // per regalo in 20 zecchini ad detto padre Barbiera onze 16.20 // e più al medesimo per Galli d’India e Calline onze 1.18» (A.S. CT, Fondo Benedettini, b. 1197, c. 42, dicembre 1726). «Fabrica nova […] per fare 4 telari delli disegni della fabrica tarì 2» (ibid., c. 69 , aprile 1727). 47 Giuseppe Palazzotto nasce a Catania il 2 gennaio 1702, da Francesco e Andreana Grillo. Padrino Giuseppe Buchari (A.S.D. CT, Registri canonici, S. Maria dell’Aiuto, battesimi 1679-1714, f. 15. Cfr. S. CALOGERO, Fra Liberato al secolo Girolamo Palazzotto architetto e “servo di Dio”, in Synaxis 3 [2004]). La presenza di Giuseppe Palazzotto nel cantiere risale al mese di giugno 1730 quando mastro Giovanni Nicoloso, in società con mastro Pasquale Serafino, riprese i lavori di costruzione della chiesa. Giovanni Nicoloso, fratello di Antonio, nasce a Catania nel 1693 (A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, vol. 2367, f. 346, anno 1753. Giovanni Nicoloso ha 60 anni), invece Pasquale Serafino nasce a Catania nel 1688 (A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, vol. 1404, f. 455, 7 luglio 1714. 46


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Battaglia48. Questa ipotesi è confermata da Agostino Gallo, nelle notizie sull’architetto Giovan Battista Contini, in cui si legge che l’architetto romano lasciò a Catania «allievi e imitatori»49.

Pasquale Serafino ha 26 anni) e si sposa con Angela Palazzotto, figlia di Francesco e Andreana Grillo, il 6 maggio 1711 (A.S.D. CT, Registri canonici, S. Maria dell’Aiuto, matrimoni, f. 14, 6 maggio 1711). 48 Francesco Battaglia nasce fra maggio 1701 e gennaio 1702, da Paolo e Angela Biundo (A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, vol 1407, f. 483, 15 aprile 1715. Il chierico don Francesco Battaglia ha 13 anni. Cfr. V. LIBRANDO, Francesco Battaglia architetto del XVIII secolo, in Aspetti dell’architettura barocca nella Sicilia orientale, Catania 1971. Vedi anche A.S. PA, Deputazione del Regno, Riveli di Catania, vol. 2366, f. 25, 28 febbraio 1753. Don Francesco Battaglia ha 52 anni). Il 23 febbraio 1727 si sposa con Agata Amato, figlia di Andrea e Rosa Minardi, dopo aver ricevuto la dispensa dalla Santa Sede di Roma per la loro consanguineità (A.S.D. CT, Registri canonici, S. Maria dell’Itria, matrimoni, f. 6, 23 febbraio 1727). 49 A. GALLO, Notizie intorno agli architetti siciliani e agli esteri soggiornanti in Sicilia dà tempi più antichi fino al corrente anno 1838. Raccolte da Agostino Gallo palermitano per farne parte della sua storia delle belle arti in Sicilia (BIBLIOTECA CENTRALE DELLA REGIONE SICILIANA, MS. XV. H. 14, f. 591. Vedi anche L. SARULLO, Dizionario degli Artisti Siciliani – Architettura, Palermo 1993, 118).


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APPENDICE DOCUMENTARIA Biblioteca Regionale Universitaria di Catania Fondi antichi, Fondo Anastasi Biondi MSU 264.2, da c. 1 r. a 14 v. (nuova numerazione da c. 275 e segg.). (c. 1 recto) Scandaglio delli fondamenti della Chiesa di S. Nicolò l’arena di Catania fatto dal Sig.r Gio: Bactista Contini Architetto. 1 – Muri sotto la metà delle Colonne long: assieme canne 6 grosso canne 2 fond: canne 3 canne 36. 2 – Muro della facciata senza le colonne long: ass: canne 10.1/2 gross: canne 2 fond: canne 3 canne 63. 3 – Muro d’un pilastro della nave di mezzo che divide un’ala et attaccata con la facciata long: canne 2 gr. canne 2 fond: canne 3 canne 12. 4 – Muro del pilastro incontro a canto alla Cappella prima simile al sudd. di n° 3 canne 12. 5 – Muro delli due pilastri delle bande della prima Cappella long: ass. canne 4 gr. canne 1. 1/9 fond: canne 3 canne 3.2 6 – Muro del fundamento del semicircolo della prima Cappella steso canne 5.1/9 gr. canne - ¾ fond: canne 3 canne 1.3 7 – Muro del fundamento sotto il primo pilastrone che divide li due mezzi martelli long. reg.to canne 2.1/2 gr. canne 2.1/2 fond: canne 3 canne 18.3 8 – Muro sotto il primo arco dell’ala contiguo al sud.o pilastrone long: canne 2.3/4 gros: canne 1.1/9 fond: canne 2.1/4 canne 7. 9 – Muro che si framezza fra le due prime Cappelle long: canne 4 gros: canne 2 fondo canne 3 canne 24. 10 – Muro delli due pilastri delle bande della seconda Cappella lungo come l’altro di sopra di n° 5 canne 13.2 11 – Muro del semicircolo della seconda Cappella simile a quello della prima di n° 6 canne 11.3 canne (c. 1 verso) Somme di dette canne 12 – Muro sotto l’altro pilastrone della nave di mezzo consimile a quello del n° 7 canne 18.3 13 – Muro del fianco verso oriente della Cappella laterale al martello maggiore


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longo canne 6.3/4 fond: canne 3 gr. canne 2.1/2 reg.to con gli aggetti canne 25.1 14 – Muro del fondamento sotto il muro di detta Cappella dov’è l’altare long: canne 3.3/4 gr. canne ¾ fond: canne 3 canne 8.2 15 – Muro del fianco verso ponente di detta Cappella long: canne 6.3/4 gr. canne 1.1/2 reg.to fond: canne 3 canne 30.2 16 – Muro d’una metà del semicircolo del Cappellone del martello long: canne 4 gr. 1 fond: canne 3 canne 12. — 17 – Muro del pilastrone della cupola simile all’altri long: canne 2.1/2 reg.to gros: canne 2.1/2 fond: canne 3 canne 18.3 18 – Muro del fondamento sotto il vano dell’arco del martello long: canne 2.3/4 gr. canne 1.1/8 fond: canne 2.1/4 canne 7. —19 – Muro del fond.to sotto l’arco dell’ala simile al detto canne 7 . — 20 – Muro del fondamento della metà dell’arcone sotto la Cupola nella nave principale long: canne 2.1/4 fond: canne 2.1/4 gr. canne 1.1/8 canne 5.3 21 – Muro dell’altra metà del fundam.to sotto l’arcone della Cupola del martello simile al detto canne 5.3 22 – Muri delli fondamenti simili alle suddette partite di n° 12.13.14.15.16.18.19.20.21 canne 139.1 23 – Muro del fianco della cappella del SS.mo verso mezzo giorno long: canne 5 fond: canne 3 grosso canne 1.1/4 canne 18.3 (c. 2 recto) partite di sopra canne 24 – Muro del fond.to del semicircolo della Cappella laterale al Coro long: canne 5.1/4 g.o canne -.3/4 fond: canne 3 canne 11.3. 25 – Muro del fond.to tra la detta Cappella el coro long: canne 10 gros. Reg.to canne 1.1/4 fond: canne 3 canne 37.2 26 – Muro d’una metà del semicircolo del Coro long: canne 4 fond: canne 3 gr. reg.to canne 1 canne 12. – Canne cube in tutto canne 581.3/4 Canne di fabrica sono canne 2327 —Muri de fondamenti dell’altra metà della Chiesa altre canne 2327 —In tutto canne 4654. —S’avverte che lo sopradetto scandaglio fu fatto col supposto che li fondamenti non fossero per andar fondi più di canni tre, quando con l’esperienza si è veduto arrivare alcuni anco a canni 5 ed altri a canni 4. (c. 2 verso)

carta bianca


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(c. 3 recto) Modo di piantare li fondamenti della chiesa di S. Nicolò l’Arena di Catania ordinati dal Sig. Architetto Gio: Battista Contini conforme il modello piantato in legname, e disegno seu pianta numerata nella Carta de fondamenti. Il più facile modo, e più giusto di piantare le fabriche, è quello che viene regolato dalle linee de’ mezzi. Si che ci serviremo per una linea da levante a ponente nel mezzo della nave principale, e dell’altre due linee parallele alla detta linea, segnate nelli mezzi dell’ale, quali saranno distanti ciascheduna d’esse dalla suddetta linea principale del mezzo della nave palmi cinquantadue et 1/3 e per l’altre linee a squadra delle dette da tramontana a mezzo giorno ci serviremo della linea del mezzo del martello già stabilita e segnata sopra la sciara in un pilastrello di muro dove incrocia con la linea del mezzo della nave principale e forma il centro della cubola ed all’altre due linee delli mezzi delle cappelle laterali a’ canto il martello parallele alla suddetta linea del martello palmi cinquantadue et un terzo, che è l’istessa misura detta di sopra della distanza delli mezzi dell’ale al mezzo della linea della nave principale. A queste tre linee di mezzi da tramontana a’ mezzogiorno s’aggiungono l’altre due linee delli mezzi de’ piccoli martelli o Cappelloni al principio della chiesa essendo una di esse distante altri palmi cinquantadue, et un terzo dalla linea del mezzo delle cappelle laterali, e l’altra palmi sessantatre distante dalla suddetta come tutto si vede e si raccoglie nella pianta numerata de’ fondamenti. (c. 3 verso) Sicchè con queste otto linee o fili de’ mezzi tirati giustamente si pianta tutta la Chiesa con reportarle le misure numerate come sono in pianta, quali linee, o fili verranno sempre riprovati dalla squadra, e dalle misure prese dritte, et in piano alle teste delle medesime linee o fili; che per essere la fabrica tutta regolata, e corrispondente l’uno all’altro muro e l’uno all’altro pilastro si renderanno facili le operazioni quando siano prese e fatte per il suo verso. Qualsivoglia muro de’ fondamenti si caverà e profonderà sino al terreno duro, e sodo spianandole egualmente il letto sotto con darli qualche poco di scarpa in fondo, seu piantando il detto muro a piramide acciò habbia il posamento migliore. Tutti li muri de’ fondamenti saranno palmi tre grossi di più delli muri sopra terra cioè un palmo e mezzo per parte, eccettuati i fondamenti delli pilastri quali haveranno maggior grossezza, che sono palmi 23 di quadro in ottangolo.


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Li quattro pilastri sotto la cubola s’intelarano, e collegano co’ li fondamenti, e mura anche sotto li quattro arconi delle Cubole, e sotto l’otto archi inferiori tra la nave maggiore e martello, et ale, facendosi questi dodeci pezzi di fondamenti sotto i vacanti dell’archi grandi, e piccoli grossi palmi nove come si dimostra nel disegno del profilo, alti palmi dieci d’otto, che è il doppio della loro grossezza piantati e fondati sopra il terreno sodo a’ pari dell’altri con palmo uno di scarpa nelle teste, cavandosi e murandosi prima di cavare i fondamenti delli pilastri acciò facendoli poi appresso vengono i fondamenti delli pilastri ad incastrarsegli sopra ad uso di serraglio, seu di chiave d’arco, et oltre il posamento del terreno vergine, duro e sodo haveranno il contrasto, e posamento di detti pezzi di fond.ti sotto li vacanti dell’archi, e verranno grossi li fondamenti (c. 4 recto) sotto li pilastri palmi 23 per ogni verso in cima, però in fondo seu in faccia terza palmi ventuno crescendoli un palmo per banda nel fondo li detti dodici pezzi di fondamenti sotto gl’archi. E li fondamenti delli pilastri verranno scantonati, e faranno otto faccie, cioè le quattro faccie; che verranno unite con li fondamenti sotto li vuoti degl’archi, saranno di palmi nove l’una, quanto è grosso il fondamento sotto detti archi, e l’altre quattro faccie delle scantonature saranno palmi 9.3/4 l’una in circa, dandosi à queste il fondo a’ piramide come il solito de’ fondamenti. Il modo di murare i fondamenti sarà adoprare buona calcina e che sia spartita egualmente per tutto con acqua assai, e particolar diligenza si usi ne fondamenti sotto i pilastri, che siano di pietre spezzate, e che pietra ne accosti con pietra, ma tra mezzo vi sia la calce, e spianino le pietre al possibile. Li suddetti fondamenti s’incominciarno a 4 d’agosto 1687; benché la prima pietra s’avesse buttato alli 3 di giugno giorno di martedì del medesimo anno. (c. 4 verso)

carta bianca

(c. 5 recto) Modo di piantare i muri sopra terra della Chiesa di S. Nicolò l’arena di Catania con diversi raccordi et avvertimenti sopra la medesima fabrica. Essendosi ben piantati et a suo luogo li fondamenti, certo si è, che non si puole se non che errare di puoco nelli muri sopra terra; E per meglio accertarsi a non errare anche in minima parte si continueranno le operazioni nella mede.ma forma che si è fatto nelli fondamenti colle mede.me otto linee cioè tre da levante a ponente, e cinque da tramontana a mezzogiorno. Li fili o lenze delli muri si tireranno nelle maggiori longhezze, che si posssono, cioè da un capo all’altro della Chiesa alle teste delle quali vi si faranno


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li pilastrelli de’ muri co’ li contrasegni, et attaccature delle mede.me lenze alle quali teste si pigliaranno, e metteranno le misure delle loro distanze dalle dette linee de’ mezzi V. G. si vuole piantare uno delli due muri della nave principale si porrà la distanza di palmi 25 dalla linea del mezo alla porta grande della Chiesa, et altri palmi 25 simili alla testa del Coro, e facendovi li detti termini fissi de’ murelli, e tirandovi la lenza tra l’uno e l’altro sarà il filo del vivo del muro della nave Principale. A che aggiuntavi la grossezza di palmi 9 per quella parte che và aggiunta, e che si deve fare il muro si tirerà l’altra lenza, che farà la grossezza del detto muro; quali fili o lenze saranno parallele alle tre linee de’ mezzi tra levante, e ponente et a squadra all’altre cinque linee tra mezzo giorno e tramontana; E così si pianteranno tutti l’altri fili o lenze de’ muri per tutta la Chiesa diminuendo, e crescendo le grossezze di essi con dargli quegli aggetti, e resalti a’ suo luogo, come (c. 5 verso) viene dimostrato, e numerato in pianta. A questi fili de’ vivi de’ muri dentro la Chiesa s’aggiungeranno gl’altri fili degl’aggetti de’ pilastri, quali saranno tre quarti più fuori delli detti vivi de’ muri, e regolandosi dalle misure espresse in pianta si piantarà tutta la pilastratura, che per rendersi più facile si è fatta la pianta, giusta di misure di tavole in grande d’un pilastro sotto la Cupola con i suoi membri sguinci, e resalti, quale ponendola in terra a’ piombo sotto le lenze de’ muri renderà facile il modo di piantare tutta la chiesa, essendo li pilastri e vani tra essi tutti uniformi, eccetto che li due pilastri tra mezzo alli piccoli martelli al principio della Chiesa, quali hanno lo sguincio a due cantoni havendoli tutti gl’altri ad uno solo, come anco li quattro pilastri nel martello tra gl’archetti quadri quali non hanno sguincio alcuno nelli cantoni, come tutto si vede nel modello. Gli aggetti poi delli zoccoli, e base sotto li pilastri, e muri si regolaranno dalli disegni fatti sopra il muro nella stanza del modello, tinti e coloriti di nero dell’istessa grandezza, che dovranno andare in opera, quali aggetti si muraranno nella costruttione del muro. Il simile si dice degl’aggetti dell’architrave, fregio, e cornice, capitelli, cimase, et imposte a torno agl’archi dovendosi tutti murare nella costruttione del muro. Le fascie, che ricorrono sotto le volte principiando di sopra la cornice, saranno larghe palmi quattro et un quarto d’aggetto palmo mezzo, e si muraranno unitamente con la volta. Si danno per misure generali le sottoscritte, cioè: La nave principale, il martello grande, e li due piccoli martelli al principio della Chiesa saranno da vivo di muro a’ vivo di muro palmi 50. e da pilastro a’ pilastro palmi 48. 2/4.


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(c. 6 recto) Gl’archi piccoli, che restano sotto il cornicione che dividono la nave principale, e martello dall’ale tutti saranno larghi palmi 27, come anche tutti gl’altri archi dentro e fuori delle cappelle. Li quattro Archetti piani nel martello corrispondenti alle quattro Cappelle laterali saranno larghi palmi diecisette. Ciascun pilastro sarà largho palmi quattro et un quarto e d’aggetto ¾ il mezzo pilastro palmi due et 1/6 ed aggetto simile ¾. Li vani tra un pilastro all’altro saranno tutti palmi due, et un oncia eccetto che gl’otto vani tra li pilastri delle 4 cappelle al principio della Chiesa delli piccoli martelli che saranno palmi due ¼ l’uno come sono segnati in pianta. E li membretti dalle bande de’ pilastri, che fanno imposte alli detti archi sotto la cornice tutti saranno palmi due come si vede numerato in pianta. Dove raddoppiano gl’aggetti de’ pilastri agli arconi della Tribuna e testa del Coro, et alle teste e Tribune del martello sarà da pilastro a’ pilastro largha la Chiesa palmi 47, e dentro dove principiano li testi o centine delli semicircoli sarra palmi 48.1/2 e li punti delli semicircoli si piantaranno più dentro della drittura di detti pilastri tre quarti. Si che ciascun semicircolo haverà di dritto li detti ¾ staccato dagl’aggetti del pilastro. A. L’altezza delli due zoccoli sotto le basi de’ pilastri quali anco caminaranno carosi, seu più bassi per tutta la Chiesa posando sopra il pavimento, saranno alti assieme palmi sei, come segnato nel modano in grande sopra il muro nella stanza del modello, e richiamato nell’istesso modello con lettera A. (c. 6 verso) B. L’altezza della base sotto li pilastri sarà metà della larghezza del pilastro, che è palmi due, et 1/8 d’altezza; e d’aggetto oncie dieci, e mezza, quale similmente caminerà carosa e liscia per tutta la Chiesa, e dentro le Cappelle, come si vede segnato come sopra e controsegnato con lettera B. C. L’altezza del fuso del pilastro con imoscapo, e collarino sarà palmi 38. ¾ e d’aggetto ¾ come si vede come sopra contrasegnato di lettera C. D. L’altezza del Capitello con abaco sopra è conforme il modello fatto di pietra palmi quattro e 7/8 e conta segnato con lettera D. E. L’altezza dell’Architrave è palmi 2. ¾ e d’aggetto nel minore di sotto quanto il pilastro ¾ come si vede segnato in grande nella stanza del modello, e contrasegnato di lettera E. F. L’altezza del freggio è palmi tre contrasegnato di lettera F. G. L’altezza della cornice è palmi quattro e di aggetto palmi tre, e mezzo dal vivo del freggio come si vede segnato in grande nel modano, e contrasegnato nel Modello con lettera G.


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H. L’altezza della detta Cornice sino all’imposta della volta è palmi sei contrasegnata in modello con lettera H. I. L’altezza del sesto Romano della volta è dall’imposta alla cima palmi 25 che è la metà del suo diametro, e larghezza della Chiesa, qual volta sarà grossa almeno palmi due tanto all’imposta come nella cima. Contrasegnata in modello colla lettera I. L. Le lunette delle fenestre nella volta sopra gl’archi dell’ale saranno larghe palmi 27 quanto li mede.mi archi, (c. 7 recto) et alte dall’imposta della volta sino a tutto il suo sesto palmi 20, e le lunette sopra li quattro archi piani del martello saranno larghe palmi 17. come li mede.mi archi piani, e d’altezza similmente palmi 20. contasegnati con lettera L. nel modello. Avvertendo di dargli il tondo, e sesto giusto come stà in Modello con il punto alto palmi 26 dalla Cornice, e dare anco buon sesto alla vela, e tondo delle lunette. M. Le tre volte a Catino, che sono sopra i due piccoli martelli all’ingresso della Chiesa, e sopra il Coro saranno alti palmi trentasei dall’imposta della volta, et havranno il giusto sesto alla romana per linea diagonale da angolo ad angolo che sarà palmi 72. e verranno a principiarsi in larghezza di palmo 1. ¾ sopra lo smuscio o scantonatura che viene di sotto tra li pilastri, e con detto sesto verranno li Catini ad unire bene all’altre volte come si vede in modello contrasegnato di lettera M. N. Si aggiunge che li quattro pezzi di volta sopra li pilastri tra mezzo alli due piccoli martelli verso la porta principale della Chiesa, che reggono il muro, e tetto più alto della nave principale il larghezza solo di palmi 13 per ogni pezzo si devono fare alte ogn’uno palmi sei in cima ad uso d’archi; e ciò ad effetto di reggervi il muro sopra, e per contrasto, e delfino alla spinta delli due arconi della Cupola sopra il martello che in questa parte hanno meno rincontri. Contrasegnato in modello con lettera N. Tutta la Chiesa sarà alta palmi 92.1/2 dal solo alla volta, e con l’altezza della volta palmi 94. ½ Si che con l’altezza dell’incavallature, e legnami del tetto si faranno li muri, che la circondano alti palmi 96., (c. 7 verso) e saranno delle grossezze espresse in modello, et in pianta con numeri, e caminata la gronda seu canalata del tetto per tutto uguale. O. Le finestre basse delle sei cappelle circolari cioè delle quattro al principio della Chiesa, e delle due attaccate al Coro saranno di vano larghe palmi cinque e mezzo, et alte palmi 16. ½ distante dal mezzo del semicircolo palmi 11. et alte da terra palmi 12 contrasegnate in modello con lettera O. P. Le finestre basse similmente delli due Cappelloni del Martello saranno di vano palmi 10, et alte palmi 22. distante dal mezzo del semicircolo palmi


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Q.

R. S.

T.

V.

X.

Z.

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15. et alte da terra palmi 20. contrasegnate con la lerrera P. avvertendosi di dargli di fuori lo sguincio gagliardo per dar maggior lume. Il finestrone basso in mezzo alla Tribuna del Coro sarà largo palmi 14, alto palmi 28. e sarà alto da terra palmi 27. sguinciato similmente per di fuori con battente largo tre quarti per coprire il telaro contras.to nel modello con la lettera Q. Le finestre dentro le Cappelle mezze tonde sotto gl’archi delle volte saranno di diametro palmi 28. Contrasegnate in modello di lettera R. Li finestroni sopra la porta principale della Chiesa, e sopra le Cappelle delli piccioli martelli come anche sopra il Coro saranno larghe ogn’una palmi 14. Alte palmi 20.1/4 e saranno sopra la Cornice palmi 6. cioè all’imposta della volta, sguinciati similmente per di fuori contrasegnate in modello con la lettera S. Le altre finestre sopra gli archi in mezzo alle lunette saranno tutte larghe per ognuna palmi 11.1/2 et alte (c. 8 recto) palmi 15; eccettuate le quattro sopra gl’archi piani del martello maggiore, che saranno larghe palmi 9, et alte similmente palmi 15. e saranno tutte alte dalla Cornice palmi 6. contrasegnati in Modello con lettera T. Li tre finestroni tondi sopra la Cornice nella Tribuna del Coro, e delli Cappelloni del Martello saranno di diametro palmi 14. et alti dalla Cornice palmi 4. contrasegnate con lettera V. Tutti gli archi sotto la Cornice saranno alti da terra palmi 49.3/$ et il punto, e centro loro sarà alto da terra palmi 36.1/4 come anche tutti gl’archi delle Cappelle dentro e fuori contrasegnate con X. La cornicetta che ricorre sotto l’imposte di detti archi per tutta la Chiesa, e Cappelle sarà mezzo palmo più bassa del punto e centro di detti archi, si che verrà alta da terra palmi 35.3/4.

(c. 8 verso)

carta bianca

(c. 9 recto) Scandaglio delli muri sopra terra della Fabrica della Chiesa di S. Nicolò l’Arena di Catania per il semplice rustico et ossatura de’ muri di Pietra senza gl’aggetti, e muri di mattoni. 1 – (A.B.D.E.) Muro della facciata longo la metà canne, canne 11 alto reg.to canne 16 grosso canne 1.3/4 fa canne 308, dalle quali defalcate canne 33 per li vani delle porte e fenestre resta canne 275. 2 – (C.F.) Muro dell’Arco, e pilastri appoggiati, e dalle bande della porta laterale long. assieme canne 7. alto canne 12. gr. canne –. ¾. siegue che ingrossa dietro il pilastro nella nave principale long. canne 1.3/4 alto


L’architetto Giovan Battista Contini a Catania

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simile canne 12 gr. canne 1. fa in tutto canne 77. dalle quali defalcate canne 14 per il vano dell’arco resta canne 63. – 3 – (G.I.) Muro della facciata della Cappella del p.mo piccolo martello, long. canne 6.1/4 alto canne 12. gr. canne – ¾ fa canne 56. dalle quali defalcate canne 18 per il vano dell’arco finestrone resta canne 38. – 4 – (H.) Muro circolare per la parte di dentro, e per di fuori a tre lati della Cappella del primo piccolo Martello long: steso di giro canne 5.1/2 alto reg.to canne 6 gr. reg.to canne -. ¾ fa canne 24.3/4 5 – (L.M.N.) Muro delli pilastri del primo arco dell’ala, e del muro sopra, che dividono le due primi martelli long. ass. canne 9. alto canne 12. gr. canne 1.5/8 fa canne 175.1/2 defalco del vano dell’arco e finestra s.a canne 34.1/4 resta canne 141.1 6 – (O.Q.) Muro della facciata della Cappella del secondo piccolo martello simile al numero 3. G. I. canne 38. – (c. 9 verso) Somma di dette canne 7 – (P.) Muro circolare della Cappella del secondo martello simile al num.° 4. H. canne 24.3. 8 – (R.Dd.) Muro dell’Arco dell’ala con li due pilastri dalle bande che restringe la Cappella laterale al martello maggiore long. ass. canne 7.1/4 alto canne 12. gr. canne 1.1/8 fa canne 98 defalco del vuoto dell’arco, e fenestra canne 21. resta canne 77. – 9 – (T.) Muro che siegue in testa al detto per un lato della Cappella laterale al martello maggiore long. canne 3. alto canne 7. grosso canne -. ¾ fa canne 16. defalco del fenestrone mezzo tondo canne 2. resta canne 14. – 10 – (V.) Muro della facciata della prima Cappella laterale al martello maggiore dove è l’altare long. canne 5.1/4 alto canne 7. gros. canne ½ fa canne 18.1/2 dalle quali defalcate canne 11.1/2 per il vano del finestrone mezzo tondo. resta canne 17. – 11 – (Y.Aa:Bb:Cc:Ff:) Muro d’un fianco del martello maggiore con li pilastri, et archi long. ass. canne 12.alto canne 12 gros. canne 1.1/9 fa canne 260. dalle quali defalcate canne 31. per il vano dell’Arco tondo, et arco quadro, e due finestre resta canne 229. – 12 – (Ee:) Muro sopra il vano dell’arco tra la nave principale, e l’ala lungo canne 3.1/3 alto dall’arco al tetto canne 7 gros. 1.1/9 fa canne 23.1/3 defalco della finestra canne 3.1/3 resta canne 20.13 – (Z.) Muro del Circolo del Martello Maggiore steso canne 8 reg.ti alto canne 8 reg.to canne -.3/4 fa canne 48. dalle quali defalcate canne 4. per il vano delli finestroni resta canne 44. –


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Salvatore Maria Calogero

(c. 10 recto) Somme di canne 14 – (S.X.) Muro delli quattro pilastri e quattro archi che formano la Cappella laterale ass. coi muri sopra che rialzano per li tetti fa canne 40. 15 – (Pp:Oo.Nn.Mm.Ll.) Muro dell’altro fianco del Martello verso il Coro consimile al numero 11. Y.Aa.Bb.Cc.Ff. canne 229. – 16 – (Qq.) Muro dell’altra Cappella laterale dov’è l’altare consimile al n° 10. V. fa canne 17. – 17 – (Rr.) Muro del fianco di detta Cappella verso Ponente longo con il pilastro canne 6 alto canne 7. grosso canne ¾ fa canne 31.1/2 dalle quali defalcate canne 2 per il vano resta canne 29.2 18 – (S.X.) Muro delli quattro pilastri et archi di detta Cappella simile al n° 14. S.X. canne 40. – 19 – (Ss.) Muro del lato dell’altra Cappella che sta in fianco del Coro longo canne 4.3/4 alto canne 7. gr. canne -.3/4 fa canne 25. dalle quali defalcate canne 2 per il vano del finestrone mezzo tondo resta canne 23. – 20 – (Tt.) Muro circolare della testa di detta Cappella lungo steso canne 8 alto canne 7 gr. reg.to canne ¾ fa canne 42. – 21 – (Vv.Xx.Yy.) Muro del fianco del Coro, e Santuario long. dal pilastrone della Cupola exclusive sino al principio del Circolo della tribuna canne 12.1/2 alto canne 12. gr. canne 1.1/9 fa canne 166.1/4 dalle quali defalcate canne 28 per il vano dell’arco e delli due finestroni resta canne 138.2 22 – (Ef.) Muro della metà della Tribuna e testa del Coro lungo canne 6.1/2 alto canne 8. gr. reg.to canne 1. fa canne 52. dalle quali defalcate canne 2 per il vano della (c. 10 verso) metà del finestrone tondo resta canne 50 canne 50. – Canne cubbe in tutto canne 1614.3/4 Canne di fabrica in tutto canne 6459.0 Muri dell’altra metà della Chiesa simili a tutte le suddette 22 partite canne 6459.0 In tutto canne 12918.0 Muri che crescono sotto li tetti lunghi stesi assieme canne 50. alti canne 3 reguagliate grossi muri 2 di fabrica cioè palmi 4. in tutto di fabrica canne 300. – Muri delle volte della nave Maestra e martelli longhi ass. canne 83. larghe canne 6.1/4 gr. palmi due sono in tutto canne 519 calcolate per tre muri fanno a canne di fabrica canne 1557. – Muri delli tre pezzi di volte delle teste del martello, e del Coro quadrato assieme canne 120. a’ canne di fabrica canne 120. –


L’architetto Giovan Battista Contini a Catania

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Muri delle volte dell’ale, e cappelle longhi ass. canne 45. largh. Canne 3.3/4 calcolate a muri due e mezzo sono canne 421. – Muro del Campanile steso per quattro faccie canne 14. altro reg.to canne 18 gr. reg.to canne 1. fa canne cubbe 252. e di canne di fabrica canne 1008. – Muri del Capitolo stesi per tre faccie canne 20.1/2 alto canne 6.1/2 gr. reg.to canne -. 5/8 fa canne 83 cube e di fabrica canne 332. – canne (c. 11 recto) Somme di canne Muri della volta del suddetto Capitolo long. canne 7.1/2 larg. canne 4.1/4 calcolati per due muri fa di fabrica canne 80. – canne 16736. – Riporto del foglio per li muri de’ fondamenti canne 4654. – In tutto canne 21390. – Misure interne della Chiesa di S. Nicolò l’Arena di Catania. Dalla Porta principale sino alla porta del Coro e longa la nave di mezzo con il Coro palmi 369.3/4 che sono canne 46.1.3/4 Dalla Porta laterale per quanto è longa l’ala per insino allo sfondato di tutto il tondo della Cappella acanto il Coro palmi 321.7/12 che sono canne 40.1.7/12 Dall’uno all’altro Cappellone del Martello vi è di vuoto palmi 261.2/3 che sono canne 32.5.2/3 Dallo sfondato d’una Cappella laterale al martello allo sfondato dell’altra Cappella consimile opposta sono palmi 214.1/2 che sono canne 26.6.1/2 Dallo sfondato d’una Cappella al principio della Chiesa allo sfondato della Cappella opposta vi sono palmi 192.1/6 che sono canne 24.0.1/6. (c. 11 verso)

carta bianca

(c. 12 recto) Dichiarazione delli fondamenti a pezzo a pezzo come si devono cavare, e murare con sue misure richiamati in pianta come segue per lettre. A.

Primo Pezzo fondamento nella facciata tra le Colonne di mezzo sotto la porta principale longo palmi 28.1/2 largh. Palmi 17.


204 B.

C. D. E. F. G. H.

I.

Salvatore Maria Calogero 2° Pezzo di fondamento sotto le due colonne a canto la porta principale e passa dentro sino alli pilastri della Chiesa longo dalla facciata di fuori sino al di dentro della Chiesa palmi 32 largo palmi 25.1/4 Fondamento che segue attaccato ad sotto il pilastro in Chiesa longo palmi 25.1/4. Fondamento che intesta al B. et al C. sotto la porta dell’ala della Chiesa longo palmi 25.2/3 largo palmi 18. Fondamento in facciata sotto le colonne del Cantone longo/ palmi 30. largo palmi 25.1/4 Fondamento che attacca a detto dentro la Chiesa longo palmi 19. 5/12 largo palmi 6. 1/6 Fondamento sotto un pilastro della Cappella prima del piccolo martello longo palmi 11.1/2 largo palmi 9. Fondamento che segue sotto la Cappella del primo piccolo Martello fatto tondo dentro di diametro palmi 25. di sesto palmi 10. ½ gira di dentro la longhezza dell’archo scemo palmi 35.1/2 e di fuori fatto a tre faccie palmi 20 per ciascuna faccia, et il muro viene ad esser grosso nel minore di ciascuna di dette faccie palmi 6. Fondamento sotto l’altro pilastro della Cappella prima del piccolo martello simile alla lettera G.

(c. 12 verso) L. Fondamento sotto il pilastro che esce fuori della Chiesa tra li due piccoli martelli longo palmi 34. 11/12 longo palmi 16.1/12. M. Fondamento sotto il voto dell’arco tra li dui martelli che unisce con il fondamento del pilastro longo palmi 22.2/3 largo palmi 9. N. Fondamento del pilastro tra li dui martelli fatto a ottangolo longo palmi 23. largo palmi 23 con quattro faccie di palmi 9 e l’altre quattro faccie di palmi 9.3/4 in circa. O. Fondamento sotto il pilastro dell’Arco della Cappella del secondo piccolo martello simile alla lettera G. P. Fondamento sotto la Cappella del secondo piccolo martello simile alla lettera H. Q. Fondamento sotto l’altro pilastro della Cappella del secondo piccolo martello simile alla lettera G. R. Fondamento d’uno pezzo sotto il pilastro dell’arco dell’ala longo palmi 20.11/12 largo palmi 12. S. Pezzetto di fondamenti sotto il pilastro dell’arco della balaustrata longo nel maggiore lato palmi 13.1/12 nel lato incontro palmi 6.1/12 dal altro palmi 5.1/2 e nello sguincio palmi 8.1/2.


L’architetto Giovan Battista Contini a Catania T. V. X. Y.

Z.

Aa. Bb.

Cc.

Dd. Ee. Ff.

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Fondamento d’un fianco della Cappella laterale al martello long.e con la testa del cantone palmi 28.1/6 largo palmi 9. Fondamento di detta Cappella laterale al martello sotto il muro dell’Altare longo palmi 33.2/3 largo palmi 7. Dui pezzetti de’ fondamenti sotto l’arco dell’Altare di detta Cappella di palmi 5. ½ per ogni verso. Fondamento che attacca con la tribuna del martello longo palmi 26.5/6 largo palmi 12. a che s’aggiunge in larghezza il principio della Contina e sesto di detta tribuna per quella portione che porterà il circolo di essa, il quale verrà regolato dal Centro (c. 13 recto) situato come si dimostra con numeri nella pianta. Fondamento che segue della tribuna del martello circolare di dentro e sfacciato a tre lati per di fuori, quale dentro verrà regolato dal punto del centro come sopra, e di fuori il lato, o faccia maggiore di mezzo sarà longo palmi 28 e grosso nelle minori grossezze palmi 8 Fondamento sotto il vano dell’archetto quadro che è tra la Cappella et il martello longo palmi 14 largo palmi 9. Fondamento sotto il pilastro tra detto archetto quadro e l’arco tondo dell’ala longo palmi 18.1/4 largo palmi 12 a che s’aggiunge il pezzetto di fondamento sotto il pilastro dell’arco della balaustrata simile all’altro incontro segnato lettera S. Uno dell’otto pezzi di fondamenti per rincontro delli fondamenti delli pilastri della Cuppola che vengono ad essere sotto li voti dell’archi che dividono la nave principale e martello dall’ale, quali devono esser fatti prima delli fondamenti delli pilastri longo nella parte di sopra palmi 22.2/3 e nel posamento sopra il terreno vergine palmi 24.2/3 fatto a piramide nelle teste con un palmo di scarpa per banda largo palmi 9. come meglio si è dichiarato in altra parte. Fondamento sotto il pilastro tra la nave principale et il secondo piccolo martello, et archi dell’ala di misura simile all’altro segnato Ii. Fondamento sotto il voto dell’arco tra la nave principale e l’ala simile all’altro segnato Cc. Fondamento fatto a’ ottangolo sotto il pilastro della Cuppola (quale si deve manipulare con maggior diligenza degl’altri) di misura simile al fondamento segnato N. che è di palmi 23 per ogni verso, (c. 13 verso) restringendosi però nel fondo a palmi 21 che viene ad essere fatto a Piramide al contrario per li 4 lati che intestano alli fondamenti sotto li voti dell’archi, e l’altri quattro lati liberi haveranno la scarpa, e piramide ordinaria come l’altri fondamenti dovendosi questo fondamento fare


206

Salvatore Maria Calogero

doppo fatto l’altri 4 pezzi de’ fondamenti attorno che l’incrociano dovendoli posare et incastrare poi questo sopra. Gg. Fondamento che traversa il Martello sotto il voto dell’arcone della Cuppola tra un pilastro e l’altro da farsi prima delli fondamenti delli pilastri come s’è detto del fondamento Cc. Fatto a Piramide nelle teste longo la parte di sopra palmi 36, e la parte di sotto che posa sopra il terreno vergine palmi 38 larg. palmi 9. Hh. Fondamento che traversa la nave maestra sotto il voto d’un altro arcone della Cuppola di fattura, e misura simile al detto di sopra Gg. Ii. Fondamento incontro detto che traversa similmente la nave maestra sotto il voto dell’altro arcone della Cuppola verso il Coro di fattura, e misura simile al suddetto segnato Gg. Ll. Fondamento fatto a’ ottangolo sotto il pilastro della Cuppola verso il Coro simile misura e fattura del fondamento segnato Ff. Mm. Fondamento sotto il voto dell’arco tra il martello e l’ala simile fattura e misura dell’altro fondamento incontro seg.to Cc. Nn. Fondamento sotto il pilastro tra detto arco dell’ala e l’archetto quadro longo palmi 18.1/4. largo palmi 12 con la giunta del pezzetto di fondamento sotto l’arco della balaustrata della Cappella simile all’altro segnato lettera S. Oo. Fondamento sotto il voto dell’archetto quadro simile all’altro segnato Aa. Incontro. Pp. Fondamento che attacca con la tribuna del martello simile all’altro incontro segnato lettera Y. Con l’aggiunta simile del (c. 14 recto) principio della Contina e verso del circolo del martello simile come sopra Qq. Fondamento sotto il muro dell’altare dell’altra Cappella laterale del martello simile al seg.to V. a che s’aggiungono li due pezzetti de’ fondamenti segnati X. di simile misura. Rr. Fondamento di detta Cappella laterale sotto il muro del fianco verso Ponente longo con il pilastro che unisce con l’altra Cappella incontro l’ala palmi 49.1/12 largo palmi 9. segue il pezzetto di fondamento che cresce sotto il pilastro dell’arco della balaustrata simile a quello segnato lettera S. Ss. Fondamento del fianco dell’altra Cappella laterale a canto il Coro longo palmi 37.3/4 largo palmi 9. Tt. Fondamento sotto l’altare tondo della Cappella a canto il Coro longhi li dui pezzi delli pilastri sotto l’archi palmi 17 l’uno larghi palmi 5.1/2 et il resto circolare di dentro conforme porta il punto, e di fuori a tre lati dui di palmi 14. l’una, e la maggiore di mezzo di palmi 17. largo il muro nel minore di detti tre lati palmi 6.


L’architetto Giovan Battista Contini a Catania

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Vu. Fondamento sotto il voto dell’arco tra il Santuario e l’ala di fattura e misura simile al Cc. Xx. Fondamento sotto il pilastro tra il Santuario et il Coro longo palmi 18.1/4 largo 12. con il pezzetto di fondamento attaccato sotto il pilastro dell’arco della balaustrata simile a quello segnato S. Yy. Fondamento d’un lato del Choro longo palmi 45.1/2 largo palmi 10.1/2 Zz. Fondamento che segue et intesta al detto per fianco la tribuna del Choro e segue per il Campanile longo palmi 51.1/4 largo palmi 12. Ab. Fondamento dell’altra parte del Campanile longo con teste palmi 40. largo palmi 12. Cd. Dui pezzi di fondamento sotto l’altre due facciate e muri del campanile di vano l’uno palmi 16 larg.12. (c. 14 verso) Ef. Fondamento sotto la tribuna del Choro dentro tondo come porta il punto, e fuori a tre lati simile al fondamento Z. Gh. Fondamento dall’altra parte della Tribuna del Choro verso la Chiesa presente, longo sino al muro del Capitolo palmi 20.3/4 largo palmi 12. Il. Fondamento che segue et intesta al detto del Capitolo longo con testa palmi 47 largo palmi 8. Mn. Fondamento d’una facciata del Capitolo verso la nova Chiesa longo di vano palmi 59 longo palmi 8. Op. Fondamento incontro detto dell’altra facciata del Capitolo longo simile di vano palmi 59 largo palmi 8.



Note Synaxis 3 (2011) 209-251

UNA RIVISTA INGIUSTAMENTE NEGLETTA. LA SICILIA SACRA DI MONS. BOGLINO: INDICI

GAETANO NICASTRO*

Sul fascicolo di Synaxis 3 (2010) 221-2301, presentando «La Sicilia Sacra», rivista promossa e diretta — dal 1899 al 1904 — da mons. Luigi Boglino, per «servire di continuazione» alla Sicilia Sacra di Rocco Pirri», esprimevamo la convinzione che un indice completo potesse «riportare alla luce contributi ancora validi, approntando agli studiosi uno strumento indispensabile per la sua utilizzazione e stimolandone l’approfondimento». In questo intendimento forniamo di seguito gli indici promessi, per autore e per soggetto. 1. INDICE PER AUTORI2 ACCARDI M. —Cenni e documenti sulla Chiesa matrice arcipretale di Santa Ninfa, II, 120-122. Ad Messanensium Antistitum Catalogum a Pirro conscriptum additiones usque ad annum MDCCXCI, I, 266-270; 337-342. *

Cultore di Storia siciliana. Scusandoci con i lettori, invitiamo a operare le seguenti correzioni sull’articolo precedente: a p. 221, nota 1, righe -6m corrige «seconda» con «secunda» e «reliquiae» con «reliquae»; a p. 230, riga 9, corrige «possa risultare» con «risulti». 2 I saggi di ciascun autore sono ordinati alfabeticamente considerando anche gli articoli, le preposizioni, ecc.. 1


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Gaetano Nicastro

ANONIMO —Fra Tommaso da Butera. Appunti biografici, VI, 150-169 (cont.). ARRIGO G. (erroneamente, in alcuni casi, D’ARRIGO) —Cenni storici sul santuario di Maria Santissima della Consolazione in Termini Imerese, II, 366-376. —Della Chiesa, della Comunia e della Collegiata di Termini Imerese, III, 423433; IV, 413-424; V, 171-181, 313-323, 543-552. —Notizie sulla Congregazione di San Francesco di Sales in Termini Imerese, III, 69-85. ASTUTO L. —Correzioni ed aggiunzioni alle notizie della città di Noto della «Sicilia Sacra» del Pirri, II, 554-565. BEMBINA G. B. —Alcamo sacro ossia descrizione delle chiese di Alcamo di Giov. Batt. M. Bembina scritta nel secolo scorso e pubblicata con note di Pietro M. Rocca, II, 221-235, 320-328, 528-540; III, 169-182; 315-324; 543-551; IV, 217-230, 399.412. 487-497; V, 272-279, 467-473; VI, 80-86, 346-355, 510-529 (nuova ediz., riveduta ed accresciuta da F. M. Mirabella, Accademia di Studi Cielo d’Alcamo, Alcamo 1956, di pagine VIII+422, tavv.). BIBLIOTECA COMUNALE DI PALERMO —Ad Favarae Notitiam Rochi Pirri appendix (ms. QQ H 124, n. 24), III, 329333, a c. di Luigi Boglino. —Stato di S. Lucia del Mela nel secolo XVIII (ms. 3 QQ C 37 c. 371), III, 406-411. BOGLINO L. (anche M.L.B. e, talvolta, anonimo) —Ai nostri lettori, VI, 1-2. —Al nuovo anno, V, 1-3. —Chiesa di Caltagirone. Notizie storiche del vescovado e dei suoi prelati, IV, 33-50; 202-216. —Chiesa di Nicosia. Notizie storiche del vescovado e dei suoi prelati, III, 97110; 333-344; IV, 385-398; V, 224-243; VI, 46-71, 218-224; VI, 218-224. —Chiesa di Piazza Armerina. Notizie del Vescovado e dei suoi prelati. I. I precedenti del vescovado, VI, 385-394. —Chiesa di Siracusa. Notizie dei suoi prelati dal 1732 in poi, V, 219-225, 289-313.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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—Del corpo di Santa Felicissima V. e M. romana nella Chiesa dell’Ospedale dei Sacerdoti di Palermo, II, 376-379. —Del cristianesimo in Sicilia sotto la dominazione dei saraceni, V, 385-402. —Dello stato della Chiesa in Sicilia al secolo XVII e dei mutamenti in esso avvenuti sino alla fine del secolo XIX (anno 1899), I, 27-45. —Di Andrea Candiloro e dei suoi lavori sulla Chiesa di Cefalù, II, 123-132. —Di Asberto Villamarino arcivescovo di Palermo (1397-1399), I, 145-161; 423-441. —Discorso recitato nella cattedrale di Palermo sugli eventi dell’anno 1904, VI, 558-568. —I Capitolari della metropolitana di Palermo eletti vescovi nei secoli XVIII e XIX, I, 137-138. —I cardinali, i prelati siciliani e il nostro periodico, I, 6-16. —I codici della Cattedrale di Palermo esistenti al secolo XV, VI, 481-509. —I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 112127, 162-171, 205-213, 241-249, 345-354. —Il canonico Luigi Astuto e un suo lavoro su la città di Noto per la «Sicilia Sacra» del Pirri, II, 551-554. —Il can. Vito Coco e i suoi lavori sulla Chiesa di Catania per la correzione dell’opera del Pirri, III, 289-306. —Il clero siciliano e gli studi storici, I, 97-112. —Il Collegio delle Missioni dei Cappuccini in Sicilia, I, 193-204. —Il Congresso internazionale cattolico di Parigi e la Sicilia Sacra, II, 49-53. —Il monumento all’abate Rocco Pirri, V, 97-98. —Il monumento dei Siciliani in omaggio a Gesù Redentore nella fine del secolo XIX, I, 529-537. —Il parroco Gaetano Alessi. Monografia, VI, 289-308. —Il Santuario di Monte Pellegrino a Palermo, I, 385-409. —I primi tre anni del nostro lavoro, IV, 1-10. —L’abbate Rocco Pirri. Commemorazione, I, 21-27. —L’abbate Rocco Pirri e la sua «Sicilia Sacra», V, 99-111. —L’Accademia dei Pericolanti e i lavori della Chiesa di Messina per l’opera del Pirri, I, 260-266. —L’Anno Santo e la Sicilia, II, 399-415. —L’arcipretura di Mistretta e il parroco Antonino Giaconia, III, 325-329. —La R. Cappella Palatina di Palermo, VI, 3-17, 108-126, 458-480. —La sentenza assolutoria di mons. Alessandro Caputo, II, 264-265. —La Sicilia Sacra al nuovo anno, II, 1-8. —La Sicilia Sacra e le nuove istituzioni cattoliche utili a conoscersi, II, 74-79, 170-178.


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Gaetano Nicastro

—La Sicilia Sacra: Programma, I, 1-6. —La Sicilia Sacra al terzo anno, III, 3-9. —Leggenda dei Santi Cosma e Damiano in volgare siciliano del sec. XV, V, 185-189. —Le insegne corali del rev.mo Capitolo della cattedrale di Catania, II, 163-169. —L’inaugurazione solenne del monumento a Gesù Redentore sul Monte San Giuliano, II, 454-462. —Manoscritti dell’Alessi esistenti nella Biblioteca Conunale di Palermo, VI, 320-321. —Manoscritti dell’Alessi esistenti nella Biblioteca Nazionale di Palermo, VI, 309-320. —Memorie storiche della Chiesa metropolitana di Palermo e di suoi vescovi dal secolo XVIII al secolo XX in continuazione al Pirri e al Mongitore (poi solo: Chiesa metropolitana di Palermo), I, 220-237, 275-282, 289-296; II, 5473, 145-163, 235-256; 415-425; 481-505; 540-551; III, 145-168; 513-533; 559563; V, 123-131, 193-218, 510-517; VI, 17-32, 193-211, 322-346. —Mons. Giovanni Di Giovanni e il Codice Diplomatico Siculo, III, 36-47; 261273; 454-462. —Notizie degli arcipreti di Caccamo sino al cadere del secolo XVIII, III, 467-9. —Notizie dei prelati di S. Lucia del Mela in continuazione a quelle dell’Amico, I, 495-509. —Notizie sacre o ecclesiastiche appartenenti alla terra di Aragona nella diocesi di Agrigento (dal ms. QQ H 123, n. 17), IV, 32-45. —Notizie storiche intorno alla città di Barcellona e sue chiese, II, 473-477. —Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 49-93. —Pio X e il nuovo arcivescovo di Palermo, VI 531-538. —Prospetto sinottico sistematico dei lavori della «Sicilia Sacra», I, 16-20. —Raimondo Gaglio e i lavori per la Chiesa di Girgenti sull’opera del Pirri, III, 9-16. —San Gregorio Magno e la Sicilia, VI, 285-288. —Santa Caterina di Bologna e la città di Palermo, II, 178-185. —Stato degli Ordini religiosi in Sicilia nella fine del secolo XIX, I, 128-132. —Su i comuni dell’archidiocesi di Palermo. Notizie estratte dai volumi della Curia non più esistenti, IV, 97-101; 193-202. —Sull’Abbazia di S. Maria di Altofonte. Studio critico, II, 433-453. —Sull’antico monastero basiliano di Santa Maria della Scala presso Paternò, V, 112-122.


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BONFIGLIO PICCIONE C. —Il Crocifisso di Noto, I, 420-422. BURRASCANO M. —Memorie storiche-ecclesiastiche di Castroreale, V, 85-87, 182-184, 279-284, 369-377 (cont.) (pubblicato poi presso lo Stab. Tip. F.lli Nobile, Palermo 1902, come estratto da Sicilia Sacra, ma vol. di pagg. 271). CALCAGNO G. —Gli arcipreti di Ciminna, IV, 31-32. CANDILORO A. —Ad Cephalaeditanorum Antistitum Catalogum a Pirro Regio Historiographo ad annum 1640 conscriptum a Mongitore ad annum 1717 protractum additiones ad nostra tempora progredientes, II, 128-132. CANNELLA E. —Del Santuario di Quisquina. Cenno storico, III, 462-465. CARONNA N. —Notizie storiche di Poggioreale, III, 59-68; 182-192; 345-354; 483-490; IV, 273281, 332-338, 559-564 (ristampato come Memorie storiche di Poggioreale, Stab. Tip. Marsala, Palermo 1901, di pp. 92). CASTELLI B. —Chiesa di Mazara del Vallo. Notizie dei suoi vescovi dal 1731 in poi, II, 256263, 462-472; III, 33-36. CASTELLI C. G. —Sulla Chiesa di Monreale. Discorso accademico, II, 192-208. CIACCIO M. —Sciacca ed il suo clero, V, 26-40. COCO V. —Primo discorso storico critico sulla Chiesa di Catania., III, 306-315. —Chiesa di Catania. Discorso per la correzione dell’opera del Pirri, IV, 101-113.


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Gaetano Nicastro

COCO LICCIARDELLI F. —Sacerdoti catanesi memorabili del secolo XVIII3, III, 215-218; 469-474 (a). —Sacerdoti catanesi memorabili del secolo XIX, IV, 161-167, 498-508; V, 505-509 (b). DAMIANI G. B. —Le onoranze a M.r D’Acquisto in Monreale, I, 213-216. DE SALVATORE (?) —Notizie di S. Lucia del Mela, V, 553-557; VI, 446-458 (cont.). DI BARTOLO S. —Frammenti inediti di una magistratura abolita, II, 34-38. DI PIETRO S. —Baucina. Cenni storici civili religiosi, II, 208-220. —Breve esposizione della leggenda di San Giuliano Albergatore, I, 216-219. —Dell’origine della devozione a Maria del Carmelo in Sicilia, IV, 167-185; 247264; 351-367, 517-527; V, 131-141, 324-355, 402-426. —San Pietro Nolasco e l’Ordine della Mercede in Sicilia, I, 461-473; 509-522; 544-560. —San Silvestro di Troina basiliano, I, 316-330. GAETANI C. —Chiesa di Siracusa. Notizie dei suoi prelati dal 1733 in poi. Mons. Giuseppe Antonio Requesenz (1755-1772), VI 251-265. —Chiesa di Siracusa. Notizie dei suoi prelati dal 1733 in poi. Mons. Giovan Battista Alagona (1773-1801), VI 357-363. GAGLIO R. —Chiesa di Girgenti. Serie cronologica dei suoi vescovi dai primordi al cadere del secolo XVII, III, 16-20; 193-202; 385-391; IV, 231-237, 442-453, 481-487. GERARDI G. —Notizie sopra la Chiesa di Mazara, I, 271-274; 297-300.

3 Erroneamente «XIII» nel titolo (p. 215 del vol. III). La numerazione dei sacerdoti continua nell’articolo successivo.


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GIACALONE G. —Monografia sull’antica Madrice di Marsala, II, 380-398. —Monografia su la novella Madrice di Marsala, III, 433-443; IV, 78-83, 237246, 367-378. —Note biografiche d’illustri marsalesi, III, 123-130; 273-276. —Ricerche storiche sul culto della Beata Vergine Maria in Lilibeo (oggi Marsala), V, 75-85, 162-170, 264-272, 356-368, 496-505; VI, 71-80, 141-149, 421-445. LA SPINA G. —Memorie storiche intorno all’eremo di S. Anna e al suo fondatore fra Rosario Campione da Acireale, III, 21-31, 110-116, 250-261, 392-406, 533543 (tre ediz., di cui l’ultima, del 1951, come Fra Rosario Campione fondatore dell’Eremo di S. Anna, Eremiti di S. Anna). LOMBARDO B. —La chiesa di S. Nicolò in Mazara e i suoi parroci, II, 353-366. LEONE XIII —Sua Santità Leone XIII e la Sicilia Sacra, III, 1. MAGGIO GALLINA G. —Chiesa di Cefalù. Serie cronologica del suoi vescovi dalla fine del secolo XVII al 1900, III, 241-249; 449-454; IV, 75-77; 264-273. M. D. I. (F. nell’indice) —Il tempio di San Giorgio martire in Ragusa (oggi Ragusa Inferiore) e le ceneri del conte Bernardo Caprera, III, 117-123. MELFI C. —I monumenti sacri di Chiaramente Gulfi, II, 104-113. MESSINA V. —Biografie dei Vescovi catanesi nei secoli XVIII e XIX, V, 4-26, 142-162, 445466; VI, 126-141, 228-250, 395-421. MILLUNZI G. —Degli arcivescovi e dell’arcivescovado della Chiesa metropolitana di Monreale dal 1673 al 1883, IV, 289-305.


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Gaetano Nicastro

—L’Ospedale civico ed il regime sanitario di Monreale nel sec. XVI. Appunti storici e documenti inediti, II, 505-527. —Notizie dello stato dell’Arcivescovado di Monreale nella seconda metà del sec. XVII, V, 40-56. MINNELLI G. —Chiesa di Siracusa. Notizie dei suoi prelati dal 1732 in poi, II, 289-319. MORICI C. —Castelbuono Sacro ossia notizie delle sue chiese, III, 48-59; IV, 59-68, 508-517. —La cappella di S. Anna in Castelbuono, I, 417-422. MUSSO G. —Cenno storico della Chiesa Madre di Salaparuta e suoi arcipreti, III, 417422. —Cenno storico della chiesa del SS. Rosario di Aragona, IV, 528-531. —La chiesa delle Anime Sante del Purgatorio in Salaparuta, IV, 438-441. PIO X —Pio X e la Sicilia Sacra, VI, VII. PORTERA F. —Notizie sulla Chiesa di Mistretta e serie degli arcipreti, IV, 157-161. PULCI F. —Chiesa di Caltanissetta o notizie storiche del Vescovato e dei comuni della diocesi, II, 9-17, 97-104; 337-352; IV, 11-27, 306-320; V, 481-495; VI, 266-284. QUINCI G. B. —Chiesa di Mazara del Vallo. Notizie dei vescovi dal 1730 in poi. LVII. Mons. Michele Scavo, VI, 224-227 (erroneo il richiamo in nota, alla pag. 449 del vol. III, che concerne Cefalù; lo stesso deve intendersi riferito alla p. 33 ed all’opera di B. Castelli). RACITI V. —Cenni storici e documenti sulla Chiesa di Acireale, I, 172-188, 250-259; 300316; 354-371; 409-417. ROCCA P. M. —Di taluni vescovi di Mazara. Notizie varie, II, 114-120.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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ROCCELLA A., —Il Gran Priorato di S. Andrea in Piazza Armerina, IV, 41-58. —I monasteri dei benedettini in quel di Piazza, IV, 339-350, 457-478 (già: ID., Il Gran Priorato di S. Andrea e i monasteri dei benedettini in Piazza Armerina, Tip.Pansini, Palermo 1883, di pag. 152). —Monasteri di donne dell’Ordine Cassinese in quel di Piazza, IV, 554-559. ROSSO G. —Cenno storico della fondazione della parrocchia della SS. Annunziata di Caccamo, II, 266-275. RUSSO G. —Chiesa di Girgenti. Notizie dei Vescovi dal 1730 alla fine del secolo XIX, VI, 97-107, 363-375. —Concordato tra i rev.mi Capitoli di Mazara, di Girgenti e di Palermo, III, 218-228. —Osservazioni sull’Eco o Portavoce della Chiesa cattedrale di Girgenti del sig. ab. Actis pubblicate per cura e con note di…, II, 22-34. RUSSO RIGGIO L. —La musica sacra in Sicilia, III, 31-32. —L’episcopato siciliano e la Quaresima del 1899, I, 133-136. SAFINA P. —Mazara Sacra. Illustrazione storica della Chiesa mazarese, I, 371-379, 441460; 486-495; 537-544 (edizione ampliata, Boccone del Povero, Palermo 1900, e in Annali del Liceo Gian Giacomo Adria, a c. di V. Ingrasciotta, 7, 1993, pp. 1-122). SAMPOLO L. —Carini ebbe mai Vescovato?, I, 481-485. SCHIRÒ A. —Memorie storiche intorno alle origini e vicende di Contessa Entellina ricavate da documenti quasi tutti inediti, III, 202-214; 277-282; 355-377; 490-499; IV, 117-156, 321-331, 428-438; V, 56-74, 243-263, 427-444, 518-543. SCIARRINO G. —Il comune di Sclafani-Imerese e le chiese demolite ed esistenti, III, 474-483; IV, 539-548.


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Gaetano Nicastro

SCOZZARI S. —Notizie storiche del Santuario e del convento di Maria SS. dei Miracoli in Mussomeli, III, 412-417; 552-559. SGANGA S. —Gli arcipreti di Ciminna sino al cadere del sec. XVIII, III, 465-64. SIDOTI P. —Chiesa di Patti. Notizie dei suoi prelati dal 1723 in poi, IV, 113-117, 453-457, 557-559; VI, 169-177, 211-218. STRAZZULLA V. —Dei nuovi studi sulle catacombe di Siracusa, II, 18-22. TRAINA G. —Cenni storici religiosi di Castronovo di Sicilia, IV, 68-74, 548-556. VIOLA A. —La nuova Chiesa Madre di Favara, IV, 27-30.

2. MOVIMENTO INTELLETTUALE DEL CLERO SICILIANO ACCARDI M., Monografia del comune di S. Ninfa, Castelvetrano 1899, II, 276. AGNELLO N., Il monachesimo in Siracusa, cenni storici degli Ordini religiosi soppressi dalla legge 7 luglio 1866, Siracusa 1891, I, 330. AGNELLO N., Quadro cronologico di tutti i Vescovi che hanno governato la Chiesa Siracusana, Siracusa 1888, I, 330. AGNELLO N., Supplemento ai ricordi storici della Chiesa siracusana, Siracusa 1899, II, 276. ALESSI G., Gesù Cristo re dei secoli e i suoi trionfi nel secolo XIX. Conferenze, Padova 1900, II, 565. ARCERI G., Necessarie nozioni dell’Ordine Mercedario Scalzo, Palermo 1898, II, 81.

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Erroneamente, nell’indice della rivista, l’autore è indicato in M.L.B.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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Archivio Storico per la Sicilia Orientale. Anno I, VI, 480. ARRIGO G., Conferenze dette al Comitato parrocchiale Beato Agostino Novelli nella chiesa dell’Annunziata in Termini Imerese, Termini 1900, III 130-131. Atti del primo Congresso dello Apostolato della preghiera e del SS. Cuore di Gesù tenuto in Palermo dal 5 al giorno 8 ottobre 1899, Uff. del Messaggere e del Devoto del S.C., Roma 1899, II, 39. AUDINO N., Primae Literae episcopales ad clerum et populum suae dictionis, Panormi 1899, I, 93. BURRASCANO M., La Rosa di Gerico. Sermoni sul Santo Rosario, Ann. Francescani, 1897, I, 379-380. BELLA S., La Sacra Sindone. Panegirico, Acireale 1899, I, 523. BLANDINI G., Lettera pastorale per la quaresima del 1901, Noto 1901, III, 229. BLOISE G., Vita di S. Leone vescovo, Saracena 1898, I, 330. BOGLINO L., Elogio funebre di mons. Luigi Di Giovanni recitato pei solenni funerali, Palermo 1900, II, 276. BOGLINO L., Per la solenne acclamazione di S. M. il re cattolico Alfonso XIII, Palermo 1902, IV, 282. Bollettino della Società Antischiavista d’Italia, Palermo, III, 131; V, 474. BOVA G., Delle Sacre Ordinazioni, Palermo 1899, I, 523. BRIGANTI A., Il Papato l’amico dell’umanità rispetto al gridio massonico. Voilà l’ennemi la Papauté. Studi storici, Napoli 1900, II, 477. CALVINO S., L’assistenza ai moribondi nella parte superiore dell’unica parrocchia di Calascibetta..; difesa del sac. Serafino Calvino, Castrogiovanni 1900, II, 425-6. CAPITOLO CATTEDRALE DI GIRGENTI, Le decime agrigentine (memoria del Capitolo Cattedrale di Girgenti agli onorevoli senatori e deputati del Parlamento italiano), Girgenti 1902, IV, 186.


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Gaetano Nicastro

CARONNA N., Cristo e Betleem. Pontefice e Chiesa. Conferenze, Torino 1900, II, 276. CARONNA N., Filosofismo e linguaggio di fede (conferenze), Torino 1901, IV, 84. CARONNA N., Matrimonio e divorzio, Napoli 1903, V, 87. CASCAVILLA M., La Chiesa ed il Papato nel secolo 1901, III, 282.

XIX.

Discorsi, Palermo

CASCAVILLA M., La Santa Comunione. Elevazioni, Palermo 1898, I, 93-94. Catalogo ordinato delle pubblicazioni di mons. Vincenzo Di Giovanni, Palermo 1899, II, 133. CELESIA M., Allocuzione alle Dame della Pia Opera dei Tabernacoli, in occasione della mostra degli arredi sacri in soccorso delle Chiese povere, il giorno 10 aprile 1899, Palermo 1899, I, 189. CELESIA M., Allocuzione alle Dame della Pia Opera dei Tabernacoli, in occasione della mostra degli arredi sacri in soccorso delle Chiese povere, il giorno 10 aprile 1900, Palermo 1900, II, 328. CELESIA M., Lettera pastorale al Clero ed al popolo dell’archidiocesi per la Quaresima del 1902, IV, 186. CIACCIO M., Notizie storiche (di Sciacca) per cura del can. Mario Ciaccio, Sciacca 1900, II, 328. CIVILETTI M., A Maria Immacolata: Carme secolare, Palermo 1901, III,131. CIVILETTI M., A Santa Rosalia. Sonetti, Palermo, III, 377. CIVILETTI M., Cenno storico della Madonna del Cassaro, Palermo, IV, 83. CIVILETTI M., Cenno storico della Madonna di Libera Inferni, Palermo 1898, I, 283.

CIVILETTI M., I martiri o il trionfo della religione cristiana del visconte F. A. De Chateaubriand – Versione poetica, Palermo s.d., III, 282-3.


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CIVILETTI M., La verità storica del corpo di S. Rosalia. Panegirico, Palermo 1901, III, 499-500. CIVILETTI M., Piccolo manuale per i devoti di S. Anna e di S. Gioacchino, Palermo 1903, V, 284. CIVILETTI M., Sull’Oreto. Armonie poetiche, Palermo 1904, IV, 282. CIVILETTI M., Vita del ven. p. Luigi La Nuza ricavata da un suo antico biografo, Palermo, II, 81. COZZUCLI B., Omelie pastorali, vol. VII, Palermo 1899, I, 330. CUCCIA D., Discorso per l’inaugurazione dei nuovi locali del Seminario Greco Albanese di Palermo, Palermo 1902, IV, 379. D’ALESSANDRO G., Una e per sempre – Contro il progetto di legge sul divorzio (Lettera pastorale), Palermo 1902, IV, 84-85. DAMIANI B., Natura, arte e verismo. Studio critico, Palermo 1900, II 328. DE BONO D. P., Lettera pastorale al clero ed al popolo della diocesi di Caltagirone, Palermo 1899, I, 139. DE GENNARO J., De recta juvenum institutione habita in solemni praemiorum distributione alumnis Lycei romani S. Apollinaris, Roma 1899, I, 332. DE LORENZO A., Un terzo capitolo di Monografie e Memorie Reggine e Calabresi, Siena 1899, I, 380. DEMAGGIO NAVARRA S., Memorie gelesi, Terranova 1896, V, 474. DEODATI G., Manuale pratico di sacre cerimonie per uso dei seminaristi, Catania 1903, V, 474. DI BARTOLO S., De postulatis scientificis catechismo cattolico addendis, 1900, III, 229.

DI BARTOLO S., Il matrimonio cristiano, Palermo 1902, IV, 282. DI BARTOLO S., Monografia sulla cattedrale di Palermo, Palermo 1903, V, 557-8.


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Gaetano Nicastro

DI GIOVANNI G., Gli edifizii sacri territoriali anteriori a Casteltermini, Girgenti 1902, IV, 379. DI GIOVANNI V., Critica religiosa e filosofica. Lettere e Saggi, Palermo 18978, I, 94. DI PIETRO S., Mente e cuore. Lettere ad uno scettico, San Benigno Canavese 1898, I, 94. DI PIETRO S., Il Neomista in esercizio, ossia il sacerdote istruito nel celebrare la messa, San Benigno Canavese 1899, I, 561. DI PIETRO S., Mente e cuore. Lettere ad uno scettico, San Benigno Canavese 1898, I, 94. DI PIETRO S., Di Augusto Blosi studente: Memorie, San Benigno Canavese 1898, I, 94. DI PUMA P., Annuario ecclesiastico della diocesi di Girgenti per l’anno 1902, Girgenti 1902, IV, 379. DI ROBERTO S., Sambuca Zabut e la Madonna dell’Udienza patrona di detto Comune, Napoli 1904, VI 177. FERRIGNO G. B., La peste di Castelvetrano negli anni 1624-1626, Trani 1905, VI, 480.

FERRUZZA F. P., Ragioni contro il municipio di Bompietro esposte a S.E. Rev.ma mons. Dott. d. Gaetano D’Alessandro vescovo di Cefalù pel preteso distaccamento dalla parrocchia di Petralia Soprana, Petralia Soprana 1900, II, 426. Fior (Un) di memoria. Sulla tomba del rev.mo can. G. Battista Castagnola rettore del Seminario e del Collegio dei SS. Agostino e Tommaso di Girgenti, Girgenti 1898, I, 283. FISICHELLA F., Chiesa e Stato nel matrimonio, Torino 1899, I, 561. FRANCICA NAVA G., Eucaristia. Lettera pastorale per la Quaresima del 1903, Catania 1903, V, 284-5. FULLONE P., S. Rosolia V. e M., Palermo 1899, I, 474.


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GAETANI V., Trina comunicazione, ossia illustrazione storica della croce di Casteltermini, Palermo 1895, II, 329. GENOVESE N., Evelina (bozzetto storico), Firenze 1903, V, 474. GENOVESE N., I miracoli dell’Eucaristia per la solennità del Corpo del Signore, Milano 1897, II, 81. GENOVESE N., S. Antonio di Padova. Dramma, Milano 1903, V, 285. GENOVESE N., Scienza e fede ossia due parole sull’evoluzionismo, Palermo 1904, VI, 480. GENOVESE N., Violette del pensiero, Milano 1898, I, 238. GNOFFO D.(Domenico), Piccolo Ufficio del Sacro Cuore, a c. di D. Gnoffo, V, 295. GNOFFO D., Regesto degli atti della città di Palermo dal 1320 al 1430. Continuazione del sommario pubblicato nel 1892 nel volume «Atti della Città di Palermo», Palermo, III, 377-8. IMMORDINI I., In Ateneo Archiep. Syracusano Epigrammata, Siracusa 1898, I, 94. INCORVAIA R., Un fiore sulla tomba di S. M. Umberto I di Savoia…, Licata s.d., II, 566.

KEHR P.l F., Papsturkünden in Sizilien über die Papsturkünden für S. Maria de Valle Iosaphat, Gottingen 1899, I, 523. LAGUMINA B., Lettera pastorale al clero ed al popolo della città e diocesi di Girgenti, Palermo 1898, I, 95. LAGUMINA B., Lettera pastorale sulle Casse Rurali della diocesi di Girgenti, Girgenti 1899, I, 561. Lettera pastorale sulle Conferenze episcopali della Regione Sicula tenute in Palermo nel Settembre 1898, Palermo 1898, I, 94. Lettere edificanti della Provincia Sicula della C.d.G. Anni 1895-6-7, Palermo 1898, I, 139-140.


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Gaetano Nicastro

LICITRA A., La missione sociologica del clero nell’età presente, Ragusa 1900, III, 229. LICITRA A., Studio della vita e delle opere di Giovan Battista Odierna, astronomo, matematico e naturalista ragusano, Ragusa 1899, I, 474. LOMBARDO B., Di due letterati marsalesi. Appunti storico-bibliografici, Marsala 1896, I, 139. LOMBARDO B., Fragmenta, Mazara, IV, 282. LOMBARDO B., La filosofia cristiana delle feste onomastiche, Venezia 1898, I, 139. LOMBARDO B., Orizzonti soprannaturali, Marsala 1902, IV, 564. LOMBARDO B., Studi bibliografici marsalasi. 2. P. Salvatore Colicchia nella storia sua civile e letteraria, Marsala 1900, II, 133. LOMBARDO Fr. V. G., Conferenze religiose e sociali, Acireale 1902, VI, 178. LOMBARDO Fr. V. G., Il Precursore, ossia la missione dei Circoli cattolici, Palermo 1900, II, 185. LOMBARDO S., Il Rev.mo arciprete d. Salvatore Citrano da Ciminna in rapporto ai doveri di sacerdote e di parroco, elogio funebre, Palermo 1902, IV, 379. LO RE (Jacobus), Institutiones ad sacra concinenda in tres libros disposityae, Palermo 1898, I, 189-190. LO RE G., Il canto gregoriano nelle cattedrali e nelle collegiate, Roma 1903, V, 358-9. LO RE G., Tre lettere sul canto gregoriano, in Gazzetta Musicale di Milano a. 55 n. 23, 25 26 e 28, III, 131-132. MERENDINI A., In memoria del parroco don Andrea Orlando, Palermo 1900, III, 132.

MESSINA S., L’addio alla salma di monsignor fra Benedetto D’Acquisto arcivescovo di Monreale, Palermo 1900, II, 426. MESSINA V., Catania vetusta (studi critici), Catania 1901, IV, 85.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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MILLUNZI G., Cajetani Blandini episcopi Agrigentinorum elogium, tubo plumbeo inclusum et positum in sepulcro, Palermo 1898, I, 190. MONASTERO G., Orazione panegirica di S. Benedetto Domenico Labre, Palermo 1901, III, 378. OCCHIPINTI C., L’Eneide di Virgilio, traduzione in terza rima, Ragusa 1900, III, 283. OCCHIPINTI G., Panegirico dei SS. Apostoli Pietro e Paolo con una illustrazione delle loro reliquie che si conservano nella Ven. Chiesa Madre di Ragusa, s. l. né d., I, 523. ORTOLEVA V., Brevi osservazioni critiche del can. Vito Ortoleva alla Storia di Vicari del cav. uff. Salvatore Butera, 1899, II, 80. PARDO N., S. Paolo apostolo, spettacolo agli angeli, al mondo, agli uomini, Napoli 1898, II, 80. PARRINO F. F., La Messa greca spiegata al popolo, Palermo 1904, V, 560. PATANÈ F., Gli studi progressivi del Clero, Acireale 1899, II, 39-40. PENNINO A., Pei solenni funerali del P. Giacomo Cusmano, Palermo 1898, I, 139-140. PENNINO A., Pei solenni funerali di Luisa Maria Majorca e Mortillaro, Palermo 1902, IV, 565. Per le Nozze d’Argento di mons. Giovanni Blandini vescovo di Noto. Memorie affettuose dell’intera diocesi, Noto 1900, II, 566. PERTICONE E., Pei solenni funerali del benef. Silvestro Guerriero, VI, 178-9. Poliantea oratoria. Pubblicazione periodica di S. Eloquenza diretta da mons. can. Mario Mineo Janny, Palermo 1898, I, 283. PULCI F., Caltanissetta e la Vergine, Caltanissetta 1904, VI, 480. PULCI F., Guida di Caltanissetta e suoi dintorni, Caltanissetta 1901, IV, 85-86. QUATTROCCHI G., vescovo di Mazara, Lettera pastorale alla sua dilettissima diocesi, Palermo 1900, II 426.


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RACITI R. V., Memorie storiche e letterarie dell’Accademia degli Zelanti e di alcuni illustri soci di essa. I, Acireale 1900, III, 443. RAIMONDO G. M., L’eloquenza sacra in Italia al principio del secolo XX, Palermo 1902, IV, 564-5. Rassegna giuridica ecclesiastica, Roma, V, 474. Relazione e rendiconto della Associazione Cattolica di S. Francesco di Sales per la difesa e la conservazione delle feste nella diocesi di Acireale per l’anno 1890, Acireale 1900, II, 133. Rinnovamento di spirito nelle parrocchie per mezzo dei fanciulli, ossia manuale della prima Comunione, per cura del Vescovo, Cefalù 1899, I, 332. ROCCA M. P., Documenti delle chiese di Alcamo fondate nei secoli XVI e XVII. Aggiunte e correzioni al capo 42 del discorso storico della opulenta città di Alcamo del dott. Ignazio Di Blasi, Palermo 1900, II, 566-7. RUSSO G., Il mio Vicariato Generale nella diocesi di Mazara: ricordi, Girgenti 1898, I, 140. SAFINA P., La Mazara Sacra. Illustrazione storica ecclesiastica della Chiesa Mazarese, Palermo 1900, III, 230. SALERNO G. M., La Madonna del Perfetto Soccorso. Panegirico, Palermo 1898: I, 283.

SANGERMANO L., Girgenti ed i suoi vescovi: quadro cronologico-storico, I, 238. SEVERINO G., Di chi la colpa?, Catania 1901, III, 283. SIDOTI P., Mons. Vincenzo Napoli, vescovo di Patti (Studi storici), IV, 186. STORIANO G., Nei solenni funerali della contessa Antonina Maria Grignano, morta a 24 Giugno 1898, Marsala 1899, I, 332. STORIANO G., Ragioni del rev.mpo can. Gaspare Storiano …intorno al legato modale della signora Giacoma Livigni…, Marsala 1900, II 426. SUSINNO M., Elogio funebre del sacerdote Giovanni Battista Castagnola, rettore del seminario vescovile di Girgenti, Girgenti 1898, I, 190.


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TACCONE G. D., La Chiesa cattedrale di Mileto. Memoria storica e descrittiva, 1888, V, 295. TEODOSIO DA SAN DETOLE, Santa Rosolia Sinibaldi, panegirico, 1899, I, 474. TRAINA G., L’ultimo addio dinanzi l’estinta cenere del rev. benef. sac. Antonino Caruso di Castronovo di Sicilia, addì 7 marzo 1900, Palermo, II, 567. Un mesto fiore alla memoria di mons. Privitera vescovo di Patti, Patti 1904, VI, 178. VITANZA C., Foglie morte. Liriche, Adernò 1901, III, 443. VITANZA C., Il Quo Vadis di Sienkiewicz e l’ipercritica di G. N., Palermo 1900, II, 186. ZUCCARO I., Lettera pastorale al Clero e al popolo della diocesi nel Natale del 1902, Caltanissetta 1902, V, 295.

3. CRONACA DELLA CHIESA SICILIANA I, 45-48; 95-96; 140-144; 191-192; 238-240; 284-288; 332-336; 380-384; 475-480; 524-528; 562-568. II, 40-48; 82-96; 134-144; 186-192; 277-288; 329-336, 427-432, 477-480, 567-568. III, 85-96; 132-144; 230-240; 283-288; 378-384; 443-448; 501-512; 563-568. IV, 86-96; 187-192; 283-288, 380-384, 478-480, 565-568. V, 88-96, 189-192, 286-288, 378-384, 475-480, 561-568. VI, 86-96, 179-192, 375-384, 539-557.

4. INDICE PER SOGGETTI5 ABBAZIE: v. Altofonte; Benedettini; Chiesa locale. S. Lucia del Mela. 5 Al fine di agevolare la ricerca, per i saggi maggiori sono indicati i singoli capitoli, cui corrisponde una specifica voce per quelli che assumono una certa autonomia. Allo stesso scopo si è ricompreso talvolta in più voci il medesimo saggio, anziché limitarsi ad un rinvio. I rinvii topografici sono riferiti alla giurisdizione dell’epoca.


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ACCADEMIA DEI PERICOLANTI: BOGLINO L., L’Accademia dei Pericolanti e i lavori della Chiesa di Messina per l’opera del Pirri, I, 260-266. ACIREALE: v. Chiesa Locale. Acireale. AGOSTINIANI; BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 247-9. Vd. anche: Alcamo. ALAGONA GIOVAN BATTISTA, vescovo di Siracusa: v. Chiesa Locale. Siracusa, Gaetani C. AGRIGENTO: v. Chiesa locale. Agrigento. ALCAMO. Chiese, Monasteri, Ospedali: BEMBINA G.B., Alcamo sacro ossia descrizione delle chiese di Alcamo di Giov. Batt. M. Bembina scritta nel secolo scorso e pubblicata con note di Pietro M. Rocca, II, 221-235, 320-328, 528-540; III, 169-182; 315-324; 543-551; IV, 217230, 399.412. 487-497; V, 272-279, 467-473; VI, 80-86, 346-355, 510-529. (IV.I. Ospedale di S. Spirito e di S. Vito, III, 169-182; IV.II. Ospedale dei Pellegrini, III, 315-321; IV.III. Ospedale di S. Antonio, III, 322-324; V.I. Convento dei PP. Minori Conventuali, III, 543-548; V.II. Convento dei PP. Domenicani, III, 548-551; V.III. Convento dei PP. Minori Osservanti, IV, 217223; V.IV. Convento dei PP. Carmelitani, IV, 224-230; V.V. Convento dei PP. Cappuccini, IV, 399-406; V.VI. Convento dei PP. Minimi di S. Francesco di Paola, IV, 406-412; V.VII. Convento dei PP. della Compagnia di Gesù, IV, 487-497; V.I. Convento dei PP. Agostiniani, V, 272-2756; V.II. Convento dei Padri Mercendari, V, 275-276; V.III. Convento dei PP: Conventuali Riformati, V, 276-277; V.IV. Convento dei PP. del Terzo Ordine di S. Francesco, V, 277-279; VII (ma VI).I. Monastero del SS. Salvatore dell’Ordine del Padre S. Benedetto, V,.2 467-470; VI.II. Monastero di S. Chiara dell’Ordine di S. Francesco, V, 471-473). ALESSI GAETANO: BOGLINO L., Il parroco Gaetano Alessi. Monografia, VI, 289-308. BOGLINO L., Manoscritti dell’Alessi esistenti nella Biblioteca Nazionale di Palermo, VI, 309-320. 6

Con il convento dei PP. Agostiniani inizia il cap. VI.


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BOGLINO L., Manoscritti dell’Alessi esistenti nella Biblioteca Conunale di Palermo, VI, 320-321. ALTOFONTE. Abbazia di: BOGLINO L., Sull’Abbazia di S. Maria di Altofonte. Studio critico, II, 433-453. ALVAREZ FRANCESCO, vescovo di Messina: v. Chiesa Locale. Messina, Ad Messanensium Antistitum Catalogum. AMICO VITO: v. Chiesa locale. Catania, Coco Licciardelli F. (a). ANNI SANTI: BOGLINO L., L’Anno Santo e la Sicilia, II, 399-415. ARAGONA. Chiese di: BOGLINO L., Notizie sacre o ecclesiastiche appartenenti alla terra di Aragona nella diocesi di Agrigento (dal ms. QQ H 123, n. 17), IV, 32-45. MUSSO G., Cenno storico della chiesa del SS. Rosario di Aragona, IV, 528-531. ARDOINO SCIPIONE (ANCHE ARDUINO), abate di S. Lucia del Mela, vescovo di Messina: v. Chiesa Locale. S. Lucia del Mela, BOGLINO L., Notizie; Messina, Ad Messanensium Antistitum Catalogum. ASTUTO LUIGI: BOGLINO L., Il canonico Luigi Astuto e un suo lavoro su la città di Noto per la «Sicilia Sacra» del Pirri, II, 551-554. AVARNA GAETANO, vescovo di Nicosia: v. Chiesa locale. Nicosia, Boglino L., Chiesa di Nicosia. BARCELLONA. Chiese di: BOGLINO L., Notizie storiche intorno alla città di Barcellona e sue chiese, II, 473-477 BASILE MATTEO, arcivescovo di Palermo: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie storiche. BASILIANI: BOGLINO L., Sull’antico monastero basiliano di Santa Maria della Scala presso Paternò, V, 112-122.


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BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 245-7. DI PIETRO S., San Silvestro di Troina basiliano, I, 316-330. BAUCINA: DI PIETRO S., Baucina. Cenni storici civili religiosi, II, 208-220. BAZAN (DE) FERDINANDO, arcivescovo di Palermo: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie storiche. BENEDETTINI: BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 345. ROCCELLA A., Il Gran Priorato di S. Andrea in Piazza Armerina, IV, 41-58. ROCCELLA A., I monasteri dei benedettini in quel di Piazza, IV, 339-350, 457478. ROCCELLA A., Monasteri di donne dell’Ordine Cassinese in quel di Piazza, IV, 554-559. Vd. anche: Alcamo. BIBLIOTECA COMUNALE DI PALERMO. Manoscritti: ms. Qq H 124, n. 24: Ad Favarae Notitiam Rochi Pirri appendix, III, 329-333. ms. 3 Qq C 37 c. 371: Stato di S. Lucia del Mela nel secolo XVIII , III, 406-411. BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 112-127, 162-171, 205-213, 241-249, 345-354. BOGLINO L., Manoscritti dell’Alessi esistenti nella Biblioteca Conunale di Palermo, VI, 320-321. BOGLINO L., Notizie sacre o ecclesiastiche appartenenti alla terra di Aragona nella diocesi di Agrigento (dal ms. QQ H 123, n. 17), IV, 32-45. BIBLIOTECA NAZIONALE (ORA REGIONALE) DI PALERMO. Manoscritti: BOGLINO L., Manoscritti dell’Alessi esistenti nella Biblioteca Nazionale di Palermo, VI, 309-320. BOGLINO L., Leggenda dei Santi Cosma e Damiano in volgare siciliano del sec. XV, V, 185-189. BLUNDO RUGGERO, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Maggio Gallina G. BONANNI GIACOMO, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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BOSCAINO BENSA, vescovo di Nicosia: v. Chiesa locale. Nicosia, Boglino L., Chiesa di CACCAMO. Parrocchie: BOGLINO L., Notizie degli arcipreti di Caccamo sino al cadere del secolo XVIII, III, 467-9. ROSSO G., Cenno storico della fondazione della parrocchia della SS. Annunziata di Caccamo, II, 266-275. CALTAGIRONE: v. Chiesa locale. Caltagirone. CALTANISSETTA: v. Chiesa locale. Caltanissetta. CAMPIONE FRA ROSARIO: LA SPINA G., Memorie storiche intorno all’eremo di S. Anna e al suo fondatore fra Rosario Campione da Acireale, III, 21-31; 110-116; 250-261; 392-406; 533-543. CANDILORO ANDREA: v. Chiesa locale. Cefalù, Boglino L., Di Andrea Candiloro. CAPITELLI ANGELO: v. Marsala. Marsalesi illustri. CAPPUCCINI: BOGLINO L., Il Collegio delle Missioni dei Cappuccini in Sicilia, I, 193-204. BOGLINO L., Stato degli Ordini religiosi in Sicilia nella fine del secolo XIX, I, 131-132. Vd. anche: Alcamo. CAPUTO ALESSANDRO, vescovo di Mazara del Vallo: v. Chiesa locale. Mazara, BOGLINO L., La sentenza; Castelli B.; Rocca P. M. CARAFA SIMEONE, arcivescovo di Messina: v. Chiesa locale. Messina, Ad Messanensium Antistitum Catalogum. CARINI. – Vescovato: SCAMPOLO L., Carini ebbe mai Vescovato?, I, 481-485. CARMELITANI: DI PIETRO S., Dell’origine della devozione a Maria del Carmelo in Sicilia, IV, 167-185; 247-264; 351-367, 517-527; V, 131-141, 324-355, 402-426.


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(VII. I carmelitani in Catania; IV, 517-527; VIII. I carmelitani in Messina, V, 131-141; IX. I carmelitani in altri centri secondari di Sicilia, V, 324-355; X. I carmelitani riformati in Sicilia) Vd. anche: Alcamo. CASTELBUONO. Chiese di: MORICI C., Castelbuono Sacro ossia notizie delle sue chiese, III, 48-59; IV, 5968, 508-517. MORICI C., La cappella di S. Anna in Castelbuono, I, 417-422. CASTELLI BARTOLOMEO, vescovo di Mazara del Vallo: v. Chiesa locale. Mazara, Rocca P. M. CASTELLI GIOACCHINO, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Candiloro A.; Maggio Gallina G. CASTRO FRANCESCO: v. Chiesa locale. Catania, Coco Licciardelli F. (b). CASTRONOVO DI SICILIA: TRAINA G. Cenni storici religiosi di Castronovo di Sicilia, IV, 68-74, 548-556. CASTROREALE. Chiese di: BURRASCANO M., Memorie storiche-ecclesiastiche di Castroreale, V, 85-87, 182-184, 279-284, 369-377. CATACOMBE. Siracusa: STRAZZULLA V., Dei nuovi studi sulle catacombe di Siracusa, II, 18-22. CATANIA: v. Chiesa locale. Catania. CATERINA (SANTA) DI BOLOGNA: BOGLINO L., Santa Caterina di Bologna e la città di Palermo, II, 178-185. CEFALÙ: v. Chiesa locale. Cefalù. CELESIA MICHELANGELO, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. CHAFALLON (CIAFAGLIONE) NICOLA MARIA, arcivescovo di Messina: v. Chiesa locale. Messina, Ad Messanensium Antistitum Catalogum.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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CHIARAMENTE GULFI: MELFI C., I monumenti sacri di Chiaramente Gulfi, II, 104-113. CHIESA LOCALE. Abbazia nullius di Santa Lucia del Mela. BOGLINO L., Notizie dei prelati di S. Lucia del Mela in continuazione a quelle dell’Amico, I, 495-509. (Mons. Antonio Ura, 495; II. Mons. Marcello Moscella, 495-7; III. Mons. Scipione Arduino, 497; IV. Mons. Emanuele Rao Torres; V. Mons. Carlo Santacolomba, 498-500: VI. Documenti). BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 91-93. DE SALVATORE, Notizie di S. Lucia del Mela, V, 553-557; VI, 446-458. CHIESA LOCALE. Acireale: BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 89-91. RACITI V., Cenni storici e documenti sulla Chiesa di Acireale, I, 172-188, 250259; 300-316; 354-371; 409-417. Vd. anche: Campione fra Rosario; Carmelitani. CHIESA LOCALE. Agrigento (già Girgenti): BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 121-5. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 74-8. BOGLINO L., Raimondo Gaglio e i lavori per la Chiesa di Girgenti sull’opera del Pirri, III, 9-16. GAGLIO R., Chiesa di Girgenti. Serie cronologica dei suoi vescovi dai primordi al cadere del secolo XVII, III, 16-20; 193-202; 385-391; IV, 231-237, 442-453, 481-487. ROSSO G., Osservazioni sull’Eco o Portavoce della Chiesa cattedrale di Girgenti del sig. ab. Actis pubblicate per cura e con note di…, II, 22-34. RUSSO G., Chiesa di Girgenti. Notizie dei Vescovi dal 1730 alla fine del secolo XIX, VI, 97-107, 363-375. (Mons. Lorenzo Gioeni, VI, 97-101; II. Mons. Andrea Lucchesi Palli, VI, 102107; III. Mons. Antonio Lanza, VI, 363-375). RUSSO G., Concordato tra i rev.mi Capitoli di Mazara, di Girgenti e di Palermo, III, 218-228. Vd. anche: Aragona. Chiese di; Favara. Chiese di; Sciacca. Clero di; Rosalia (S.), Cannella E.


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CHIESA LOCALE. Caltagirone: BOGLINO L., Chiesa di Caltagirone. Notizie storiche del vescovado e dei suoi prelati, IV, 33-50; 202-216. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 81-3. CHIESA LOCALE. Caltanissetta: BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 78-9. PULCI F., Caltanissetta o notizie storiche del Vescovato e dei comuni della diocesi, II, 9-17, 97-104; 337-352; IV, 11-27, 306-320; V, 481-495; VI, 266-284. (I precedenti della fondazione del Vescovato, II, 9-17; II. Costituzione della sede vescovile, II, 97-104; III. Mons. Antonio Stromillo, II, 337-352; IV-VII. Mons. Giovanni Guttadauro, IV, 11-27, 306-320; V, 481-495; VI, 266-284). Vd. anche: Mussomeli. CHIESA LOCALE. Catania: BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 208-211. BOGLINO L., Il can. Vito Coco e i suoi lavori sulla Chiesa di Catania per la correzione dell’opera del Pirri, III, 289-306. BOGLINO L., Le insegne corali del rev.mo Capitolo della cattedrale di Catania, II, 163-169. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 87-9. COCO V., Chiesa di Catania. Discorso per la correzione dell’opera del Pirri, IV, 101-113. COCO V., Primo discorso storico critico sulla Chiesa di Catania., III, 306-315. COCO LICCIARDELLI F., Sacerdoti catanesi memorabili del secolo XVIII, III, 215-218; 469-474; IV, 161-167, 498-508; V, 505-509. (Giuseppe Recupero, III, 215-6; II. Vito Amico, III, 216-8; III. Vito Coco, III, 469-472; IV. Giuseppe Guardo, III, 472-4). COCO LICCIARDELLI F., Sacerdoti catanesi memorabili del secolo XIX, IV, 161167, 498-508; V, 505-509. (V. Giuseppe Coco Zanghì, IV, 161-4; VI. Antonino Maugeri, IV, 164-7; VII. Mario Coltraro, IV, 498-505; VIII. Francesco Castro, IV, 505-508; IX. Giovanni Sardo, V, 505-6; X. Giambattista Grossi, V, 507-509). MESSINA V., Biografie dei Vescovi catanesi nei secoli XVIII e XIX, V, 4-26, 142162, 445-466; VI, 126-141, 228-250, 395-421. (I-II. Mons. Pietro Galletti [1729-1757], V, 4-26, 142-162; II [sic]-III. Mons.


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Salvatore Ventimiglia Statella [1757-1772], V, 289-313, 445-466; IV-III [sic]. Corrado M. Deodati Moncada [1773-1813], VI, 126-141, 228-250, 395-400). Vd. anche: Coco Vito. CHIESA LOCALE. Cefal첫: BOGLINO L., Di Andrea Candiloro e dei suoi lavori sulla Chiesa di Cefal첫, II, 123-132. BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 167-9. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 55-7. CANDILORO A., Ad Cephalaeditanorum Antistitum Catalogum a Pirro Regio Historiographo ad annum 1640 conscriptum a Mongitore ad annum 1717 protractum additiones ad nostra tempora progredientes, II, 128-132. (Dominicus Valguarnera, 128-130; Agathinus Maria Riggio, 130; Ioachim Castello, 131-132). MAGGIO GALLINA G., Chiesa di Cefal첫. Serie cronologica del suoi vescovi dalla fine del secolo XVII al 1900, III, 241-249; 449-454; IV, 75-77; 264-273. (Mons. Giuseppe Sanz (1696-1698), III, 241-3; II. Mons. Matteo Muscella (1702-1723), III, 244-5; Mons. Domenico Valguarnera ((1732-1751), III, 2468; IV. Mons. Agatino Maria Raggio (1751-1753), III, 249; V. Mons. Gioacchino Castelli (1755-1788), III, 449-454; VI. Mons. Francesco Vanni (1780-1803), IV, 75-77; VII. Mons. Domenico Spoto (1803-1809), IV, 264-6; VIII. Mons. Giovanni Sergio (1814-1827), IV, 266-7; IX. Mons. Pietro Tasca (1827-1838), IV, 267-268; X. Mons. Visconte Maria Proto (1844-1854), IV, 268-273; XI. Mons. Ruggiero Blundo (1854-1888), IV, 424-427). Vd. anche: Castelbuono; Sclafani. CHIESA LOCALE. Lipari: BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 169-170. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 68-9. CHIESA LOCALE. Mazara del Vallo: BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 125-7. BOGLINO L., La sentenza assolutoria di mons. Alessandro Caputo, II, 264-265. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 57-60.


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CASTELLI B., Chiesa di Mazara del Vallo. Notizie dei suoi vescovi dal 1731 in poi, II, 256-263, 462-472; III, 33-36. (Mons. Alessandro Caputo [1731-1741], 256-263; II. Mons. Giuseppe Stella [1742-1758], II, 462-472; III. Mons. Girolamo Palermo [1759-1765], III, 33-36). GERARDI G., Notizie sopra la Chiesa di Mazara, I, 271-274; 297-300. QUINCI G.N., Chiesa di Mazara del Vallo. Notizie dei vescovi dal 1730 in poi. LVII. Mons. Michele Scavo, VI, 224-227. ROCCA P. M., Di taluni vescovi di Mazara. Notizie varie, II, 114-120. (Carlo Riggio, 115-6; Francesco M. Graffeo, 116; Bartolomeo Castelli, 116-8; Alessandro Caputo, 118-9; Giuseppe Stella, 119; Michele Scavo, 119; Ugone Papé, 119-120). SAFINA P., Mazara Sacra. Illustrazione storica della Chiesa mazarese, I, 371-9, 441-460; 486-495; 537-544. Vd. anche: Alcamo. Chiese di; Marsala; Mazara. Chiese di; Poggioreale; Salaparuta; Santa Ninfa. CHIESA LOCALE. Messina: Ad Messanensium Antistitum Catalogum a Pirro conscriptum additiones usque ad annum MDCCXCI, I, 266-270; 337-342. (Simeon Carafa, 266-8; Joseph Cicala et Statella, 268; Franciscus Alvarez, 2689; Joseph Migliaccio, 269-270; Thomas Vidal, 270; Thomas Moncada, 337-8; Gabriel Maria De Blasi, 338-9; Ioannes Spinelli, 339-340; Scipio Ardoino, 340; Nicolaus Maria Chafallon, 341-2; Franciscus a Paola Perramuto, 342). BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 162-7. BOGLINO L., L’Accademia dei Pericolanti e i lavori della Chiesa di Messina per l’opera del Pirri, I, 260-266. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 61-5. Vd. anche: Barcellona; Castroreale. CHIESA LOCALE. Monreale: BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 205-8. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 71-4. CASTELLI C.G., Sulla Chiesa di Monreale. Discorso accademico, II, 192-208. DAMIANI G.B., Le onoranze a M.r D’Acquisto in Monreale, I, 213-216. MILLUNZI G., Degli arcivescovi e dell’arcivescovado della Chiesa metropolitana di Monreale dal 1673 al 1883, IV, 289-305.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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MILLUNZI G., Notizie dello stato dell’Arcivescovado di Monreale nella seconda metà del sec. XVII, V, 40-56. Vd. anche: Contessa Entellina; Monreale. CHIESA LOCALE. Nicosia: BOGLINO L., Chiesa di Nicosia. Notizie storiche del vescovado e dei suoi prelati, III, 97-110; 333-344; IV, 385-398; V, 224-243; VI, 46-71, 218-224; VI, 218-224. (Vescovi: I. Mons. Gaetano Avarna (1818-1841), VI, 218-220; II. Mons. Boscaino Bensa (1844-1851), VI, 220-221; III. Mons. Camillo Milana (18511858), VI. 221-222; IV. Mons. Melchiorre Lo Piccolo, BI, 222; V. Mons. Bernardo Cozzucli, VI, 223-224). BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 69-71. CHIESA LOCALE. Noto: ASTUTO L., Correzioni ed aggiunzioni alle notizie della città di Noto della «Sicilia Sacra» del Pirri, II, 554-565. BOGLINO L., Il canonico Luigi Astuto e un suo lavoro su la città di Noto per la «Sicilia Sacra» del Pirri, II, 551-554. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 85-7. BONFIGLIO PICCIONE C., Il Crocifisso di Noto, I, 420-422. Vd. anche: Astuto Luigi. CHIESA LOCALE. Palermo: BOGLINO L., Di Asberto Villamarino arcivescovo di Palermo (1397-1399), I, 145-161; 423-441. BOGLINO L., Discorso recitato nella cattedrale di Palermo sugli eventi dell’anno 1904, VI, 558-568. BOGLINO L., I Capitolari della metropolitana di Palermo eletti vescovi nei secoli XVIII e XIX, I, 137-138. BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 114-121. BOGLINO L., Memorie storiche della Chiesa metropolitana di Palermo e di suoi vescovi dal secolo XVIII al secolo XX in continuazione al Pirri e al Mongitore (poi solo: Chiesa metropolitana di Palermo), I, 220-237, 275-282, 289-296; II, 54-73, 145-163, 235-256; 415-425; 481-505; 540-551; III, 145-168; 513-533; 559563; V, 123-131, 193-218, 510-517; VI, 17-32, 193-211, 322-346. (Mons. Ferdinando De Bazan [1686-1702], I, 223-237; II. Canonici eletti, I,


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275-282; III. Sede Capitolare: Francesco Giglio, I, 289-296; IV-V. Giuseppe Gasch [1703-1729], II, 54-73, 145-163; VI. Canonici eletti, II, 235-242; VII. Sede Capitolare. Filippo Sidoti, II, 243-256; VIII-IX. Matteo Basile [17311738], II, 415-425, 481-500; X. Canonici eletti, II, 500-505; XII [sic]. Sede Capitolare: Giuseppe Stella, II, 540-551; XII-XIII. Domenico Rosso, III, 145168, 513-533; XIV. Canonici eletti, III, 559-563; …Sede Capitolare: Francesco Testa, V, 123-131; XVI Giuseppe Melendez [1747-1753], V, 193-218; XVII. Canonici eletti, V, 510-512; XVIII. Sede Capitolare: Michele Scavo, V, 513517; XIX-XX. Marcello Papiniani Cusani [1754-1762], VI 17-32, 193-207; XXI. Canonici eletti, VI, 207-209; XXII. Sede Capitolare:. Michele Scavo, VI 209211; XXIII. Serafino Filangeri [1762-1776], VI, 322-340; XXIV. Canonici eletti, VI, 340-344; XXV. Vicario: Girolamo Asmundo Paternò, VI, 345-346). BOGLINO L., Mons. Giovanni Di Giovanni e il Codice Diplomatico Siculo, III, 36-47; 261-273; 454-462. BOGLINO L., Pio X e il nuovo arcivescovo di Palermo, VI 531-538. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 51-5. BOGLINO L., Su i comuni dell’archidiocesi di Palermo. Notizie estratte dai volumi della Curia non più esistenti, IV, 97-101; 193-202. Vd. anche: Alessi; Baucina; Caccamo; Castelbuono; Castronovo; Ciminna; Rosalia (Santa); Termini Imerese. CHIESA LOCALE. Patti: BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 112-127, 162-171, 205-213, 241-249, 345-354. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 65-68. SIDOTI P., Chiesa di Patti. Notizie dei suoi prelati dal 1723 in poi, IV, 113-117, 453-457, 557-559; VI, 169-177, 211-218. (Mons. Pietro Galletti (1723-1728). IV, 113-117; II. Mons. Giacomo Bonanni (1734-1753), IV, 453-457; III. Mons. Giovanni Girolamo Gravina (1754-1755), IV, 557-559; IV. Mons. Carlo Mineo /1755-1771), VI, 169-170; V. Mons. Salvatore Pisano (1772-1783), VI, 171-173; VI. Mons. Raimondo Moncada (1783-1813), VI, 173-174; VII. Mons. Silvestre Todaro (1816-1821), VI, 474-5; VIII Mons. Nicolò Gatto (1823-1831), VI, 475-6; IX. Mons. Giuseppe Saitta (1834-1838), VI, 176-7; X. Mons. Martino Orsino (1844-1860), VI, 211-2; XI. Mons. Pietro Geremia Michelangelo Celesia (1860-1871), VI, 212-4; XII. Mons. Carlo Vittorio Ignazio Papardo (1871-1874), VI, 214-5; XIII. Mons. Giuseppe Maria Maragioglio (1875-1888), VI, 215-6; XIV. Mons. Giovanni Previtera (1888-1903), VI, 216-8).


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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Vd. anche: Mistretta. CHIESA LOCALE. Piazza Armerina: BOGLINO L., Chiesa di Piazza Armerina. Notizie del Vescovado e dei suoi prelati. I. I precedenti del vescovado, VI, 385-394. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 81-85. ROCCELLA A., Il Gran Priorato di S. Andrea in Piazza Armerina, IV, 41-58. Vd. anche: Tommaso (fra) da Butera. CHIESA LOCALE. Sicilia (in generale): BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 49-93. (Chiese di: Palermo, I, 51-55; Cefalù, I, 55-57; Mazara del Vallo, I, 57-60; Trapani, I, 60-61; Messina, I, 61-65; Patti, I, 65-68; Lipari, I, 68-69; Nicosia, I, 69-71; Monreale, I, 71-74; Girgenti, I, 74-78; Caltanissetta, I, 78-79; Siracusa, I, 79-81; Caltagirone, I, 81-83; Piazza Armerina, I, 83-85; Noto, I, 85-87; Catania, I, 87-89; Acireale, I, 89-91; Abbazia nullius Santa Lucia del Mela, I, 91-93). RUSSO RAGGIO L., L’episcopato siciliano e la Quaresima del 1899, I, 133-136. BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 241-5. (Chiesa di: Palermo, 114-121; Girgenti, 121-125; Mazara, 125-127; Malta, 127; Messina, 162-167; Cefalù, 167-169; Lipari, 169-170; Patti, 171; Monreale, 205208; Catania, 208-211; Siracusa, 211-213; Vescovadi non più esistenti, 241-245). (Basiliani, 245-249; Benedettini, 345; Cistercensi, 346-7; Agostiniani, 347-9; Notizie diverse, 349-350; Magione, 350; Santa Lucia, 351; Santa Maria l’Elemosina, 351-2; Cappella Palatina, 352-4) Vd. anche: Catacombe; Cristianesimo. Dominazione araba; Gregorio Magno; Legazia Apostolica; Musica Sacra. CHIESA LOCALE. Siracusa: BOGLINO L., Chiesa di Siracusa. Notizie dei suoi prelati dal 1732 in poi, V, 219225. Francesco Testa (1748-1752), V, 219-225). BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 171. BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 79-81.


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GAETANI C., Chiesa di Siracusa. Notizie dei suoi prelati dal 1733 in poi. Mons. Giuseppe Antonio Requesenz (1755-1772), VI, 251-265. GAETANI C., Chiesa di Siracusa. Notizie dei suoi prelati dal 1733 in poi. Mons. Giovan Battista Alagona (1773-1801), VI, 357-363. MINNELLI G., Chiesa di Siracusa. Notizie dei suoi prelati dal 1732 in poi, II, 289-319. (Matteo Trigona. 1732-1747). Vd. anche: Catacombe; Caterina (S.); Chiaramente Gulfi; Ragusa. CHIESA LOCALE. Trapani: BOGLINO L., Prospetto della Chiesa di Sicilia nella fine del secolo XIX (anno 1899), I, 60-61. CICALA E STATELLA GIUSEPPE, arcivescovo di Messina: v. Ad Messanensium Antistitum Catalogum. CIMINNA. Arcipreti: CALCAGNO G., Gli arcipreti di Ciminna, IV, 31-32. SGANGA S., Gli arcipreti di Ciminna sino al cadere del sec. XVIII, III, 465-6. CISTERCENSI: BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 346-7. CLARISSE: v. Alcamo. COCO VITO: BOGLINO L., Il can. Vito Coco e i suoi lavori sulla Chiesa di Catania per la correzione dell’opera del Pirri, III, 289-306. COCO LICCIARDELLI F., Sacerdoti catanesi memorabili del secolo XVIII, III, 469-472. COCO ZANGHÌ GIUSEPPE: COCO LICCIARDELLI F., Sacerdoti catanesi memorabili del secolo XIX, IV, 161-4. COLTRARO MARIO: v. Chiesa locale. Catania, Coco Licciardelli F. (b). COMPAGNIA DI GESÙ: v. Alcamo.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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CONTESSA ENTELLINA: SCHIRÒ A., Memorie storiche intorno alle origini e vicende di Contessa Entellina ricavate da documenti quasi tutti inediti, III, 202-214; 277-282; 355-377; 490-499; IV, 117-156, 321-331, 428-438; V, 56-74, 243-263, 427-444, 518-543. COSMA E DAMIANO (SANTI): BOGLINO L., Leggenda dei Santi Cosma e Damiano in volgare siciliano del sec. XV, V, 185-189. COZZUCLI BERNARDO, vescovo di Nicosia: v. Chiesa locale. Nicosia, Boglino L., Chiesa di. CRISTIANESIMO. DOMINAZIONE ARABA: BOGLINO L., Del cristianesimo in Sicilia sotto la dominazione dei saraceni, V, 385-492. D’ACQUISTO BENEDETTO, arcivescovo di Monreale: DAMIANI G. B., Le onoranze a M.r D’Acquisto in Monreale, I, 213-216. DEODATI MONCADA CORRADO M., vescovo di Catania. v. Chiesa locale. Catania, Messina V. DE BLASI GABRIELE MARIA, arcivescovo di Messina: v. Chiesa locale. Messina, Ad Messanensium Antistitum Catalogum. DOMENICANI: BOGLINO L., Stato degli Ordini religiosi in Sicilia nella fine del secolo XIX, I, 129-131. Vd. anche: Alcamo; Mussomeli. EREMI: v. Campione fra Rosario. FAVARA. Chiese di. BIBL. COM. PALERMO, ms. QQ H 124, n. 24: Ad Favarae Notitiam Rochi Pirri appendix, III, 329-333. VIOLA A., La nuova Chiesa Madre di Favara, IV, 27-30.


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FELICISSIMA (Santa): v. Palermo. Ospedale dei Sacerdoti. FILANGERI SERAFINO, arcivescovo di Palermo: V. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie. FRATI MINORI, Conventuali – Osservanti - Riformati: v. Alcamo; Mussoneli. GAGLIO RAIMONDO: BOGLINO L., Raimondo Gaglio e i lavori per la Chiesa di Girgenti sull’opera del Pirri, III, 9-16. GALLETTI PIETRO, vescovo di Catania: v. Chiesa locale. Catania, Messina V. GALLETTI PIETRO, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. GASCH GIUSEPPE, arcivescovo di Palermo: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie. GATTO NICOLÒ, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. GESÙ REDENTORE. Monumenti: BOGLINO L., Il monumento dei Siciliani in omaggio a Gesù Redentore nella fine del secolo XIX, I, 529-537. BOGLINO L., L’inaugurazione solenne del monumento a Gesù Redentore sul Monte San Giuliano, II, 454-462. GIACOMIA ANTONINO: v. Mistretta. Arcipretura di. GIGLIO FRANCESCO, vicario capit.: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie. GIOIENI LORENZO, vescovo di Agrigento: v. Chiesa locale. Agrigento, Russo G., Chiesa di. GIULIANO (SAN) ALBERGATORE: DI PIETRO S., Breve esposizione della leggenda di San Giuliano Albergatore, I, 216-219. GRAFFEO FRANCESCO M., vescovo di Mazara: v. Chiesa locale. Mazara del Vallo, Rocca P.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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GRAVINA GIOVANNI GIROLAMO, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. GREGORIO MAGNO: BOGLINO L., San Gregorio Magno e la Sicilia, VI, 285-288. GROSSI GIAMBATTISTA: v. Chiesa locale. Catania, Coco Licciardello F. (b). GUARDO GIUSEPPE: v. Chiesa locale. Catania, Coco Licciardello F. (a). GUTTADAURO GIOVANNI, vescovo di Caltanissetta: v. Chiesa locale. Caltanissetta, Pulci F. LANZA ANTONIO, vescovo di Agrigento: v. Chiesa locale. Agrigento, Russo G., Chiesa di. LEGAZIA APOSTOLICA: DI BARTOLO S., Frammenti inediti di una magistratura abolita, II, 34-38. LIPARI: v. Chiesa locale. Lipari. LO PICCOLO MELCHIORRE, vescovo di Nicosia: v. Chiesa locale. Nicosia, Boglino L., Chiesa di. LUCCHESI PALLI ANDREA, arcivescovo di Agrigento: v. Chiesa locale. Agrigento, Russo G., Chiesa di. MARAGIOGLIO GIUSEPPE MARIA, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. MARSALA. Chiese di: GIACALONE G., Monografia sull’antica Madrice di Marsala, II, 380-398. GIACALONE G., Monografia su la novella Madrice di Marsala, III, 433-443; IV, 78-83; 237-246, 367-378. MARSALA (LILIBERO). Culto Beata Vergine: GIACALONE G., Ricerche storiche sul culto della Beata Vergine Maria in Lilibeo (oggi Marsala), V, 75-85, 162-170, 264-272, 356-368, 496-505; VI, 71-80, 141-149, 421-445.


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MARSALA. Marsalesi illustri: GIACALONE G., Note biografiche d’illustri marsalesi, III, 123-130; 273-276. Il sac. Francesco Mazara, III, 123-130; II. Il p. Angelo Capitelli, 273-276). MASCELLA MARCELLO, abate di S. Lucia del Mela: v. Chiesa locale. Abbazia di, Boglino L., Notizie. MAUGERI ANTONINO: v. Chiesa locale. Catania, Coco Licciardello F. (b). MAZARA DEL VALLO. Chiese di: LOMBARDO B., La chiesa di S. Nicolò in Mazara e i suoi parroci, II, 353-366. Vd. anche: Chiesa locale. Mazara del Vallo. MAZARA FRANCESCO: v. Marsala. Marsalasi illustri. MELENDEZ GIUSEPPE, arcivescovo di Palermo: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie. MERCEDARI: DI PIETRO S., San Pietro Nolasco e l’Ordine della Mercede in Sicilia, I, 461-473; 509-522; 544-560. Vd. anche: Alcamo. MESSINA: v. Chiesa locale. Messina. MIGLIACCIO GIUSEPPE, arcivescovo di Messina: v. Chiesa locale. Messina, Ad Messanensium Antistitum Catalogum. MILANA CAMILLO, vescovo di Nicosia: v. Chiesa locale. Nicosia, Boglino L., Chiesa di. MINEO CARLO, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. MISTRETTA. Arcipretura e arcipreti di: BOGLINO L., L’arcipretura di Mistretta e il parroco Antonino Giaconia, III, 325-329. PORTERA F., Notizie sulla Chiesa di Mistretta e serie degli arcipreti, IV, 157-161. MONCADA RAIMONDO, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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MONCADA TOMMASO, arcivescovo di Messina: v. Chiesa locale. Messina, Ad Messanensium Antistitum Catalogum. MONREALE. Ospedale: MILLUNZI G., L’Ospedale civico ed il regime sanitario di Monreale nel sec. XVI. Appunti storici e documenti inediti, II, 505-52. Vd. anche: Chiesa locale. Monreale. MONUMENTI. Gesù Redentore: v. Gesù Redentore. Monumenti. MASCELLA MATTEO, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Maggio Gallina G. MUSICA SACRA: RUSSO RAGGIO L., La musica sacra in Sicilia, III, 31-32. MUSSOMELI: SCOZZARI S., Notizie storiche del Santuario e del convento di Maria SS. dei Miracoli in Mussomeli, III, 412-417; 552-559. NICOSIA: v. Chiesa locale. Nicosia. NOTO. Crocifisso: v. Chiesa locale. Noto, Bonfiglio Piccione C. ORDINI RELIGIOSI: BOGLINO L., Stato degli Ordini religiosi in Sicilia nella fine del secolo XIX, I, 128-132. (Domenicani, 129-131; Cappuccini, 131-132). Vd. anche: Agostiniani; Basiliani; Carmelitani; Cappuccini; Clarisse; Domenicani; Compagniadi Gesù; Frati Minori; Mercedari; Minimi di S. Francesco di Paola; Terz’Ordine Regolare di S. Francesco. ORSINO MARTINO, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. OSPEDALI: v. Alcamo; Monreale. Ospedale; Palermo. Ospedale dei Sacerdoti. PALERMO. Cappella Palatina: BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 352-4. La R. Cappella Palatina di Palermo, VI, 3-17, 108-126, 458-480.


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PALERMO. Cattedrale di. Codici e manoscritti: BOGLINO L., I codici della Cattedrale di Palermo esistenti al secolo XV, VI, 481-509. BOGLINO L.. I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 245-249, 345-354. (Basiliani, 245-249; Benedettini, 345; Cistercensi, 346-7; Agostiniani, 347-9; Notizie diverse, 349-350; Magione, 350; Santa Lucia, 351 Santa Maria l’Elemosina, 351-2; Cappella Palatina, 352-4) PALERMO. Chiese di: BOGLINO L., Del corpo di Santa Felicissima V. e M. romana nella Chiesa dell’Ospedale dei Sacerdoti di Palermo, II, 376-379. BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 350-4. Vd. anche: Chiesa locale. Palermo. PALERMO. Ospedale dei Sacerdoti: BOGLINO L., Del corpo di Santa Felicissima V. e M. romana nella Chiesa dell’Ospedale dei Sacerdoti di Palermo, II, 376-379. PALERMO GIROLAMO, vescovo di Mazara del Vallo: v. Chiesa locale. Castelli B. PAPARDO CARLO VITTORIO IGNAZIO, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. PAPÈ UGO (O UGONE), VESCOVO DI MAZARA DEL VALLO: v. Chiesa locale. Mazara, Rocca P. M. . PAPINIANO CUSANI MARCELLO, arecivescovo di Palermo: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie storiche. PATERNÒ. Monasteri: BOGLINO L., Sull’antico monastero basiliano di Santa Maria della Scala presso Paternò, V, 112-122. PATERNÒ ASMUNDO GIROLAMO, vic. cap.: v. Chiesa locale. Palermo, . Boglino L., Memorie storiche. PATTI: v. Chiesa locale. Patti.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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PERRAMUTO FRANCESCO DI PAOLA, arcivescovo di Messina: v. Chiesa locale. Messina,. Ad Messanensium Antistitum Catalogum. PIAZZA ARMERINA. Monasteri: ROCCELLA A., I monasteri dei benedettini in quel di Piazza, IV, 339-350, 457478. ROCCELLA A., Monasteri di donne dell’Ordine Cassinese in quel di Piazza, IV, 554-559. Vd. anche: Chiesa locale. Piazza Armerina. PICCOLA OPERA DEL SACRO CUORE: BOGLINO L., La Sicilia Sacra e le nuove istituzioni cattoliche utili a conoscersi, II, 74-79, 170-178. PIRRI ROCCO: BOGLINO L., L’Accademia dei Pericolanti e i lavori della Chiesa di Messina per l’opera del Pirri, I, 260-266. BOGLINO L., I lavori sul Pirri e i manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 112-127, 162-171, 205-213, 241-249, 345-354. BOGLINO L., Il monumento all’abate Rocco Pirri, V, 97-98. BOGLINO L., L’abbate Rocco Pirri. Commemorazione, I, 21-27. BOGLINO L., L’abbate Rocco Pirri e la sua «Sicilia Sacra», V, 99-111. PISANO SALVATORE, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. PREVITERA GIOVANNI, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. POGGIOREALE: CARONNA N., Notizie storiche di Poggioreale, III, 59-68; 182-192; 345-354; 483490; IV, 273-281, 332-338, 559-564. PROTO VISCONTE MARIA, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Maggio Gallina G. RAGUSA. Chiese di: M.D.I., Il tempio di San Giorgio martire in Ragusa (oggi Ragusa Inferiore) e le ceneri del conte Bernardo Caprera, III, 117-123. RAO TORRES EMANUELE, abate di S. Lucia del Mela: v. Chiesa locale. Abbazia di, Boglino L., Notizie.


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Gaetano Nicastro

RECUPERO GIUSEPPE: v. Chiesa locale. Catania, Coco Licciardello F. (a). RAGGIO AGATINO MARIA, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Candiloro A.; Maggio Gallina G. RIGGIO CARLO, vescovo di Mazara del Vallo: v. Chiesa locale. Mazara, Rocca P. M. REQUESENZ ANTONIO, vescovo di Siracusa: v. Chiesa locale. Siracusa, Gaetani C. ROSALIA (SANTA): BOGLINO L., Il Santuario di Monte Pellegrino a Palermo, I, 385-409. CANNELLA E., Del Santuario di Quisquina. Cenno storico, III, 462-465. ROSSO DOMENICO, arcivescovo di Palermo: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie. SAITTA GIUSEPPE, vescovo di Patti: v. Chiesa locale. Patti, Sidoti P. SALAPARUTA. Chiese di: MUSSO G., Cenno storico della Chiesa Madre di Salaparuta e suoi arcipreti, III, 417422. MUSSO G., La chiesa delle Anime Sante del Purgatorio in Salaparuta, IV, 438-441. SANTA NINFA. Chiese di: ACCARDI M., Cenni e documenti sulla Chiesa matrice arcipretale di Santa Ninfa, II, 120-122.

SANTA LUCIA DEL MELA. Sec. XVII: BIBL COM. PALERMO, (ms. 3 Qq C 37 c. 371), Stato di S. Lucia del Mela nel secolo XVII, III, 406-411. Vd. anche: Chiesa locale. Abbazia nullius di Santa Lucia del Mela. SANTACOLOMBA CARLO, abate di S. Lucia del Mela: BOGLINO L., Notizie dei prelati di S. Lucia del Mela in continuazione a quelle dell’Amico, I, 498-500. Vd. Chiesa locale. Abbazia di.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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SANTA LUCIA DEL MELA: v. Chiesa locale. Abbazia nullius di Santa Lucia del Mela. SANTUARI: ARRIGO G., Cenni storici sul santuario di Maria Santissima della Consolazione in Termini Imerese, II, 366-376. SCOZZARI S., Notizie storiche del Santuario e del convento di Maria SS. dei Miracoli in Mussomeli, III, 412-417; 552-559. SANZ GIUSEPPE, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Maggio Gallina G. SARDO GIOVANNI : v. Chiesa locale. Catania, Coco Licciardello F. (b). SCAVO MICHELE, vic. cap. di Palermo, poi vescovo di Mazara: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie storiche; Chiesa locale. Mazara, Quinci G. N. SCIACCA. Clero di: CIACCIO M., Sciacca ed il suo clero, V, 26-40. SCLAFANI IMPRESE (ora Sclafani Bagni). Chiese di: SCIARRINO G., Il comune di Sclafani-Imerese e le chiese demolite ed esistenti, III, 474-483; IV, 539-548. SERGIO GIOVANNI, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Maggio Gallina G. SICILIA SACRA. Effemeride: BOGLINO L., Ai nostri lettori, VI, 1-2. BOGLINO L., Al nuovo anno, V, 1-3. BOGLINO L., La Sicilia Sacra al nuovo anno, II, 1-8. BOGLINO L., I cardinali, i prelati siciliani e il nostro periodico, I, 6-16. BOGLINO L., I primi tre anni del nostro lavoro, IV, 1-10. BOGLINO L., Il Congresso internazionale cattolico di Parigi e la Sicilia Sacra, II, 49-53. BOGLINO L., La Sicilia Sacra: Programma, I, 1-6. BOGLINO L., La Sicilia Sacra al terzo anno, III, 3-9. BOGLINO L., Prospetto sinottico sistematico dei lavori della «Sicilia Sacra», I, 16-20. LEONE XIII, Sua Santità Leone XIII e la Sicilia Sacra, III, 1.


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Gaetano Nicastro

Pio X e la Sicilia Sacra, VI, VII. SIDOTI FILIPPO, vicario capitolare: v. Chiesa locale. Palermo, Boglino L., Memorie storiche. SILVESTRO (SAN): v. Basiliani, Di Pietro S. SIRACUSA: v. Chiesa locale. Siracusa. SPINELLI GIOVANNI, arcivescovo di Messina: v. Chiesa locale. Ad Messanensium Antistitum Catalogum. SPOTO DOMENICO, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Maggio Gallina G. STELLA GIUSEPPE, vescovo di Mazara: v. Chiesa locale. Mazara, Castelli B.; Rocca P. M. STROMILLO ANTONIO, vescovo di Caltanissetta: v. Chiesa locale. Caltanissetta, Pulci F. TASCA PIETRO, vescovo di Cefalù: v. Chiesa locale. Cefalù, Maggio Gallina G. TERMINI IMERESE. Chiese, Congregazioni, Santuari: ARRIGO G., Cenni storici sul santuario di Maria Santissima della Consolazione in Termini Imerese, II, 366-376. ARRIGO G., Della Chiesa, della Comunia e della Collegiata di Termini Imerese, III, 423-433; IV, 413-424; V, 171-181, 313-323, 543-552. ARRIGO G., Notizie sulla Congregazione di San Francesco di Sales in Termini Imerese, III, 69-85. TERZ’ORDINE DI S. FRANCESCO; v. Alcamo. TESTA FRANCESCO, vic. cap. di Palermo, poi vescovo di Siracusa: v. Chiesa locale. Palermo, BOGLINO L., Memorie storiche; Chiesa locale. Siracusa, Boglino L., Chiesa di Siracusa. TODARO SILVESTRE, vescovo di Patti: SIDOTI P., Chiesa di Patti. Notizie dei suoi prelati dal 1723 in poi, 474-5.


La Sicilia sacra di mons. Boglino: indici

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TOMMASO (FRA) DA BUTERA ANONIMO, Fra Tommaso da Butera. Appunti biografici, VI, 150-169. TRAPANI: v. Chiesa locale. Trapani. TRIGONA MATTEO, vescovo di Siracusa: v. Chiesa locale. Siracusa, Minnelli G. URA ANTONIO, abate di S. Lucia del Mela: v. Chiesa locale. Abbazia di, BOGLINO L., Notizie dei prelati. VALGUARNERA DOMENICO, vescovo di Cefal첫: v. Chiesa locale. Cefal첫, Candiloro A.; Maggio Gallina G. VANNI FRANCESCO, vescovo di Cefal첫: v. Chiesa locale. Cefal첫, Maggio Gallina G. VENTIMIGLIA STATELLA SALVATORE, vescovo di Catania: v. Chiesa locale. Catania, Messina V. VIDAL TOMMASO, arcivescovo di Messina: v. Chiesa locale. Messina, Ad Messanensium Antistitum Catalogum. VILLAMARINO Asberto, arcivescovo di Palermo: v. Chiesa locale. Palermo, BOGLINO L., Di Asberto Villamarino.



Synaxis 3 (2011) 253-258

LA TEOLOGIA NEL TEMPO DELL’EVOLUZIONE. A 150 ANNI DA L’ORIGINE DELLE SPECIE. NOTE A MARGINE DEL XX CORSO DI AGGIORNAMENTO PER DOCENTI DI TEOLOGIA

FRANCESCO BRANCATO*

Dal 28 al 30 dicembre 2009 si è svolto a Roma il XX corso di aggiornamento per docenti di Teologia organizzato dall’Associazione Teologica Italiana, su un tema tanto attuale quanto spinoso: La teologia nel tempo dell’evoluzione. Un momento di riflessione critica che ha voluto inserirsi nell’ambito delle celebrazioni darwiniane del 2009, anno del 200° anniversario dalla nascita di Charles Darwin e del 150° della pubblicazione della sua opera rivoluzionaria: L’origine delle specie. Più che una celebrazione di Darwin o un processo giudiziario intentato contro il grande naturalista inglese, il corso è stato, almeno nelle intenzioni degli organizzatori e della maggior parte dei relatori, un confronto tra riflessione teologica e teoria dell’evoluzione. Il darwinismo, infatti, è una domanda inevitabile rivolta ancora oggi alla filosofia, alla teologia e alla scienza non solo sull’origine, ma anche sul destino dell’uomo nell’universo, immerso certamente nel flusso della sua storia, ma anche decisamente eccedente ed eccentrico rispetto ad essa. Un tema che ha inteso riportare al centro un’acquisizione fondamentale per la teologia che riconosce la sua sorgente nell’ascolto intelligente della rivelazione di Dio, e nello stesso tempo ammette di aver bisogno di strumenti di mediazione culturale per interagire con la *

Docente di Teologia dogmatica presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania.


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Francesco Brancato

complessità dei contesti di vita a cui si rivolge e vuole parlare; una teologia che intende ancora mettere a fuoco una domanda nodale sull’uomo e sull’universo. In questo contesto il darwinismo si pone come una questione inevitabile rivolta non solo alla filosofia e alla scienza, ma anche alla rivelazione, sull’origine e sul destino dell’uomo e degli altri esseri viventi, in sé stessi e in un eventuale rapporto con Dio. Una domanda che oggi appare ancora più significativa nonostante il lasso di tempo mediamente lungo che ci separa dalla prima edizione del capolavoro di Darwin. Anni che tuttavia, bisogna confessarlo, non sono stati segnati esclusivamente da un’opposizione insanabile e radicale tra dottrina della creazione e teoria dell’evoluzione, ma hanno conosciuto non pochi esempi di fruttuoso dialogo e confronto critico che ha messo in evidenza le luci e le ombre di una teoria scientifica che ha corso costantemente il rischio di degenerare in una visione ideologica del reale, senza lasciare per ciò stesso alcuno spazio per un eventuale, possibile, doveroso confronto costruttivo tra la teologia e la scienza. Una teologia che non si è dimostrata sempre attenta alle legittime domande della scienza, ai risultati delle sue indagini e delle sue osservazioni; una scienza sovente allergica a quanto poteva apparire come una sorta di contaminazione indebita con la riflessione teologica. La teologia contemporanea, facendo tesoro anche degli errori e delle dolorose incomprensioni che hanno segnato il suo confronto con la scienza e in particolare con la teoria dell’evoluzione, ha invece generalmente tentato di porsi in ascolto di queste domande, non limitandosi alla pura apologia della sua identità o ad assolvere ad un lodevole sforzo di mediazione. Il lavoro che ha avviato e che faticosamente si sforza tutt’oggi di portare avanti consiste, infatti, nell’attrezzarsi per un dialogo rigoroso e coraggioso. Su questa scia si è posto il corso di aggiornamento dell’Associazione Teologica Italiana, nel quadro dell’ampia serie di iniziative che sono state promosse a più livelli durante l’anno darwiniano. Il programma seguito è stato denso e in linea di massima anche interessante. Le relazioni sono state affidate non solo a teologi, ma anche a filosofi e scienziati di diversa estrazione e di diverso orientamento. Le relazioni iniziali, tenute da Paolo Costa (Un’idea di uomo)


La teologia nel tempo dell’evoluzione

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e da Carlo Molari (Un’idea di Dio) hanno introdotto alla trattazione del tema stesso del corso, inquadrando il dibattito attuale in rapporto al secolo e mezzo trascorso dalla pubblicazione de L’origine delle specie. Costa, in particolare, ha approfondito il rapporto tra uomo e natura, ponendo subito in evidenza il nodo problematico che ha scatenato la reazione teologica nei confronti di alcune implicanze proprie della teoria darwiniana: in una cultura fortemente antropocentrica come quella propria della modernità, non si è infatti riusciti ad accettare una teoria come quella proposta dal naturalista inglese che sostanzialmente asserisce la non-eccezionalità dell’uomo rispetto alle altre specie. Quello di Darwin è stato per l’appunto il tentativo di ripensare la natura umana e il suo posto nel mondo. È contro la prospettiva di un appiattimento naturalistico dell’uomo che si sono scagliati e continuano a scagliarsi ancora oggi gli oppositori di Darwin. Costa nella sua articolata riflessione ha inteso proprio interrogarsi sui molteplici significati del termine “natura”, proponendo una distinzione tra la natura intesa come essenza e la natura intesa come aggregato di cose esistenti, con tutto ciò che può derivare da questa precisazione per la stessa comprensione dell’uomo e della sua posizione nel mondo. Molari si è invece chiesto quale idea di Dio la teologia debba prospettarsi nell’orizzonte di una concezione evolutiva del mondo. Il teologo ha voluto mostrare quale modello di Dio sia in gioco nella disputa sull’evoluzionismo darwiniano, sia in coloro che accogliendone le acquisizioni sono giunti a negare Dio, sia in coloro che in base alla loro immagine di Dio hanno rifiutato la teoria darwiniana, sia, infine, in coloro che hanno trovato nel modello evolutivo conferme della loro fede in Dio. Ha perciò parlato dell’evoluzionismo negato dai credenti, del Dio negato dagli evoluzionisti e quindi del Dio degli evoluzionisti, sostenendo la necessità di proporre Dio nel contesto culturale del proprio tempo. L’unica idea del Dio che può aprire ad un dialogo possibile con le scienze della natura è, secondo Molari, quella del Dio creatore il quale costituisce e sostiene la creatura senza però sostituirsi ad essa (creazione continua). In tal senso, ha concluso Molari, i teologi dovrebbero aiutare la comunità ecclesiale a testimoniare la potenza creatrice di Dio nella novità della vita per lo sviluppo di nuove qualità e di forme inedite di umanità, oggi neces-


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Francesco Brancato

sarie perché l’avventura umana possa continuare sulla terra. Giuseppe Accordini, della Facoltà Teologica di Milano, ha sviluppato il tema: Il flusso dell’evoluzione e la singolarità in teologia, mentre il famoso teologo e scienziato francese, il domenicano Jacques Arnould, ha tenuto una relazione, in lingua francese, dal titolo: Teologia della natura - teologia della creazione. Il primo ha riflettuto sul problema del rapporto tra natura come totalità impersonale e la coscienza singolare del soggetto, e intorno al pericolo che la prima persona, l’io, possa regredire verso la terza persona, l’impersonalità, nel momento in cui si verifica una spaccatura tra corpo e anima. La spaccatura tra corpo e anima, tra substrato biologico e mente, orienta facilmente il ritorno dell’io e del tu intersoggettivi all’egli a-personale o impersonale, cioè alla terza persona. Al posto della singolarità subentra così una realtà anonima, un evento della forza invece che un evento della coscienza singolare libera. Bisogna perciò muoversi verso un’unità superiore che agisce attraverso il corpo-mente senza però ridursi ad essi. Accordini ha poi parlato del rapporto problematico e spesso conflittuale tra l’immagine ordinaria dell’uomo nel mondo e l’immagine che viene offerta e a volte perfino imposta dalla scienza, con tutti i limiti e i pericoli insiti in una visione fortemente riduzionista, chiusa ad una metafisica che invece da parte sua non vuole più configurarsi come costruttiva e di tipo oggettivo, ma descrittiva e centrata sull’autocoscienza, sulla fantasia, sull’affettività e la libertà. Il teologo e scienziato domenicano ha proposto una riflessione molto intensa in cui ha ri-espresso la sfida lanciata dalle scienze alla teologia. Oggi, ha affermato Arnould, l’idea della creazione può risultare inadeguata nei confronti dell’enorme ricchezza della natura con tutta la sua dinamicità; è perciò necessario elaborare un nuovo concetto di Dio alla luce delle nuove scoperte scientifiche, anche al fine di abbreviare la distanza tra teologia e scienza, ma soprattutto per offrire ai credenti un nuovo volto di Dio che non sia più in contrasto con le acquisizioni scientifiche. Di grande interesse è stata poi la relazione, di Orlando Franceschielli, L’uomo tra “natura” e “persona”: umanesimo – postumanesimo, un approfondimento critico sull’antropologia naturalistica che guarda all’uomo come capax naturae. La domanda di fondo dell’an-


La teologia nel tempo dell’evoluzione

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tropologia naturale, nella quale al trinomio Dio-uomo-mondo è stato sostituito il binomio uomo-mondo, riguarda la provenienza dell’uomo: troppo poco per essere opera di Dio, troppo per essere frutto del caso. L’uomo è invece un essere capace di una “saggezza solidale” (antropologia ed etica dell’eco-appartenenza). Egli, cioè, è chiamato a considerare il valore della vita solo nel presente, mettendo a frutto le opportunità e le responsabilità che implica la contingenza dell’esistenza terrena. È proprio a partire da un’antropologia e da un’etica dell’ecoappartenenza, infatti, che possiamo sentirci impegnati ad affrontare con solidarietà e responsabilità anche le in-aggirabili urgenze della storia. L’ultima mattinata di lavori è stata dedicata all’approfondimento dell’impatto dell’evoluzionismo sull’etica e prima ancora sulla teologia. Per quanto riguarda l’etica, le comunicazioni che ne hanno delineato i caratteri particolari sono state offerte da Stefano Semplici e da Simone Morandini. Di quest’ultimo, in particolare, è stata interessante la sottolineatura delle implicanze della teoria dell’evoluzione sulla teologia morale circa varie problematiche, tra cui le più importanti sono certamente la messa in questione dell’antropocentrismo e quindi la messa in dubbio della stessa validità del discorso etico a causa della ineliminabile componente di violenza insita nella dinamica evolutiva. L’ormai compiuto superamento delle secolari controversie teologiche sull’evoluzionismo, ha sottolineato Morandini, rende improrogabile per la teologia morale affrontare le sfide etiche che esso pone, imboccando però la via lunga dell’argomentazione che sappia attraversare la complessità dei problemi in gioco. Una riflessione che sappia tenere conto della complessità dell’evoluzione in cui ha un peso importante quell’intreccio di dinamiche biologiche e culturali che contribuisce a costituire l’essere dell’uomo. Proprio in tale dinamica s’innesta la possibilità di continuare a rendere ragione della singolarità umana, lasciando ampio spazio per alcuni approcci etici di tipo antropocentrico. Sempre in questa dinamica si radica, secondo Morandini, una prospettiva che evidenzia l’irriducibilità dei comportamenti umani alle logiche violente dell’evoluzione biologica, come pure una forte istanza di complessità nei confronti di ogni discorso di naturalizzazione dell’etica. Procedendo, la seconda parte dell’ultima giornata è stata occupata dalle relazioni di Gian Luigi Brena, il quale


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Francesco Brancato

ha parlato dell’effetto dell’evoluzionismo nella teologia fondamentale, di Maurizio Gronchi e di Maurizio Aliotta, i quali hanno rispettivamente trattato dell’impatto dell’evoluzionismo nella cristologia e dottrina trinitaria e nell’antropologia teologica. Durante lo svolgimento delle tre sessioni del corso di aggiornamento è risultato sempre più chiaro che in realtà le questioni ancora aperte — prive, cioè, di una definitiva risoluzione — sono molto più numerose di quelle che nel corso del secolo e mezzo trascorso dalla pubblicazione degli studi di Darwin hanno conosciuto una certa soluzione. È stato lo stesso Piero Coda, presidente dell’Associazione Teologica Italiana, che lo ha ribadito raccogliendo quanto di particolarmente interessante hanno prodotto i diversi interventi degli specialisti. Egli, non a caso, ha sottolineato l’importanza e lo spessore della svolta che anche la teologia sta vivendo, la fatica che la scienza teologica fa nel recepire e interpretare ciò che sta accadendo e la volontà di apertura che almeno diversi teologi mostrano di avere nei confronti delle nuove istanze provenienti dal mondo scientifico, quali garanzie per un futuro che di certo conoscerà l’approfondimento del rapporto di collaborazione della teologia e delle scienze per un servizio all’uomo. Il corso di aggiornamento, che non si era proposto altro obiettivo se non quello di fornire ai numerosi docenti di teologia presenti le linee essenziali dell’attuale dibattito e dei principali argomenti inerenti a questo tema, non ha tuttavia soddisfatto sino in fondo le attese, anche perché il più delle volte le relazioni proposte si sono limitate ad approfondire aspetti eccessivamente parziali e settoriali delle complesse questioni legate all’importanza e al ruolo della teoria dell’evoluzione in rapporto alla teologia contemporanea, nonché ai problemi che il neodarwinismo e lo stesso evoluzionismo ancora oggi, forse più che in passato, sollevano, e che interpellano direttamente il pensare teologico, trascurando così l’esigenza di consegnare una sintesi — per quanto incompleta e provvisoria, tuttavia utilissima per chi, anche tra i teologi, non è addentro alle molteplici problematiche legate a questo argomento — dell’attuale staus quaestionis riguardante il confronto tra teologia e teoria dell’evoluzione.


Synaxis 3 (2011) 259-263

ETICA E MORALE IN PAUL RICOEUR

ENRICO PISCIONE*

INTRODUZIONE La distinzione fra etica e morale non è imposta né dall’ etimologia, né dalla storia dell’uso dei due termini. «È, dunque, per convenzione — scrive Ricoeur — che riserverò il termine di etica per la prospettiva di una vita compiuta e quello di morale per l’articolazione di tale prospettiva all’interno di norme caratterizzate ad un tempo dalla presenza di universalità ad un effetto di coercizione»1. La distinzione fra prospettiva etica e norma morale metterà facilmente alla luce due linee di pensiero, quella aristotelica e quella Kantiana, ossia un’etica caratterizzata da un impronta teleologica e una morale definita da un punto di vista deontologico. L’autore si propone due obiettivi: stabilire il primato dell’etica sulla morale e, al contempo, la necessità per la prospettiva etica di passare al vaglio della norma. Impostato così il problema, non assisteremo alla sostituzione di Aristotele con Kant «ad onta di una rispettabile tradizione”2 fra due eredità, “si stabilirà, piuttosto, un rapporto che è, ad un tempo, di subordinazione e di complementarietà, che il ricorso finale della morale all’etica verrà finalmente a rafforzare»3. *

Docente di Filosofia presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania. P. RICOEUR, Sé come altro, a cura di D. Iannotto, Milano 1993, 264. 2 L.c. 3 L.c. 1


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Enrico Piscione

1. LA PROSPETTIVA ETICA L’autore definisce la prospettiva etica come quella che tende «alla vera vita con e per l’altro all’interno di istituzioni giuste»4. La prima manifestazione della prospettiva etica è la stima di sé, la seconda è la sollecitudine che «non si aggiunge — avverte Ricoeur — dal di fuori delle stima di sé, ma essa ne dispiega la dimensione dialogale, passata fin qui sotto silenzio»5. La sollecitudine poi dà al sé “quale faccia a faccia un altro che è un volto»6. Nell’accezione levinesiana del termine. Si potrebbe anche dire che la sollecitudine offre alla stima di sé «un volto che è ciascuno»7. La terza componente della prospettiva etica è la giustizia che è introdotta come amicizia la quale, dietro lo spunto di alcuni suggerimenti tratti da libri amicali dell’Etica Nicomachea di Aristotele, viene presentata come l’orientamento verso l’aspirazione a vivere il bene. È il potere che fa cogliere la terza dimensione della prospettiva etica che, come già si è accennato è la giustizia, ma un giusto che ha una doppia apertura: «sul versante del buono dove marca l’estendersi delle relazioni interpersonali alle istituzioni, e sul versante del legale, ove il sistema giudiziario conferisce alla legge coerenza e diritto di coercizione»8. La giustizia comprende in sé la distribuzione che assicura «la transizione fra il livello interpersonale e il livello societario all’interno della prospettiva etica». La nozione di distribuzione ha il merito di congedare «senza danneggiare né all’uno né all’altro, i protagonisti di un falso dibattito sul rapporto fra individuo e società»9 perché supera sia il sociologismo metodologico di Durkheim sia l’individualismo metodologico. «Una istituzione, considerata come regola di distribuzione, esiste — annota Ricoeur — soltanto in quanto gli individui gli 4

Ibid., 275. L.c. 6 Ibid., 299. 7 L.c. 8 Ibid., 294. 9 Ibid., 297. 5


Etica e morale in Paul Ricoeur

261

prendono parte»10. Una concezione distributiva, dunque, abbatte il muro tra individuo e società e «assicura la coesione tra le tre componenti individuali, interpersonali e societarie» del concetto ricoeuriano di prospettiva etica. Il nome comune della giustizia distributiva e riparatrice è l’eguaglianza. «Aristotele poneva così — osserva l’autore — il terribile problema di giustificare una certa idea di uguaglianza senza garantire l’ugualitarismo». Infine si può sinteticamente dire che «l’uguaglianza sta alla vita nelle istituzioni come la sollecitudine sta alle relazioni interpersonali»11. 2. IL PUNTO DI VISTA MORALE Nell’ottavo studio del volume Sé come un altro Ricoeur sottomette la prospettiva etica, arricchendola, alla prova della norma. Il primo risultato di questo vaglio è la nozione di rispetto di sé intesa come «la stima sotto il regime della legge morale». Ed ancora da questa prospettiva critica abbracciata da Ricoeur non si può forse dire che il mesòtes aristotelico «assume retrospettivamente il senso di un abbozzo di universalità?». Fra etica e morale ci sono, anche, delle corrispondenze per esempio nell’etica avremmo dei «cenni verso l’universalismo» così come l’obbligo morale ha «agganci con la prospettiva della vita buona»12. L’ancoraggio del momento deontologico nella prospettiva teleologica è chiaro, ad esempio, nel ruolo che in Kant gioca il concetto di volontà buona. Entrando nel vivo della morale Kantiana osserviamo che il volere dipende «dalla famiglia degli imperativi», mentre il «desiderio — ivi compresa la felicità — sono atti di discorso di tipo ottativo»13. Ed ancora vita buona e azione compiuta per dovere diventano due espressioni sostituibili l’una all’altra. Se si son visti i possibili parallelismi tra prospettiva etica e norma morale non bisogna dimenticare che una 10

Ibid., 298. Ibid., 299. 12 Ibid., 303. 13 Ibid., 304. 11


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Enrico Piscione

morale dell’obbligo, com’è quella kantiana, presenta dei tratti che la contrappongono radicalmente ad un’etica che ha come prospettiva la vita buona. E l’accusa più grave che la prospettiva etica può muovere alla morale del filosofo delle tre critiche è quella di rigorismo, perché Kant ritiene il desiderio del tutto opposto alla razionalità. Passando adesso all’esame della sollecitudine in regime di legge morale, Ricoeur introduce un elemento interessante ossia la cosiddetta “Regola d’oro” che gli appare come «la formula di transizione appropriata tra la sollecitudine e il secondo imperativo kantiano»14. Sulla Regola d’oro vale la pena di soffermarsi perché essa fa da pendant fra la dimensione etica della sollecitudine e la dimensione morale del rispetto, così come esso è presentato nella seconda formulazione dell’imperativo categorico: «Agisci in modo da trattare l’umanità sia in te sia in quella di ogni altro come fine e mai semplicemente come mezzo». In siffatta formulazione Kant intravede una tensione fra i termini di umanità e di persone come fine in sé. Ricoeur intende presentarci il secondo imperativo kantiano come, lo si è già notato, la «formalizzazione della regola d’oro giacché essa sia nella sua formulazione negativa». Non fare agli altri ciò che detesteresti che ti fosse fatto. Sta qui la legge nella sua interezza: «il resto è commentario»15 come in quella positiva «e come volete che gli uomini facciano a voi così fate anche a loro»16 ci presenta la concretezza di un’alterità e le sue possibili interazioni. CONCLUSIONE Tralasciando le acute analisi sui concetti di distribuzione, ribadiamo conclusivamente che in Ricoeur c’è l’affermazione di un primato della prospettiva etica, sulla norma morale così come è stata tematizzata da Kant. Ciò appare chiaro alla fine dei due studi dedicati appunto a queste problematiche soprattutto quando l’autore sostiene che il principio kantiano dell’autonomia rischia di scoprirsi «come una finzione 14

Ibid., 319. L.c. 16 L.c. 15


Etica e morale in Paul Ricoeur

263

destinata a colmare l’oblio della fondazione della deontologia nel desiderio di vivere bene con e per gli altri all’interno di istituzioni giuste»17. Ricoeur rifacendosi all’aristotelica, propone una saggezza morale in situazione evitando così una soluzione tragica dei conflitti fra gli uomini, come accadde nell’Antigone sofoclea che viene attentamente analizzata ne Il tragico in azione.

17

Ibid., 342.



Presentazione Synaxis 3 (2011) 265-278

STATI E FUNZIONI DELLA CHIESA ANTICA DI SICILIA EMERGENTI DALLE TESTIMONIANZE EPIGRAFICHE

FRANCESCO PAOLO RIZZO*

1. UNA NUOVA E ORIGINALE RICERCA Nel marzo del 2011 ha visto la luce — fra i Documenti e studi di Synaxis — un contributo scientifico1, la cui evidente novità sta nel fatto che vi si trovano per la prima volta raccolte tutte le epigrafi della Sicilia tardoantica accomunate da una specifica tematica protocristiana: vi sono pubblicati, infatti, tutti i documenti epigrafici che contengono un riferimento esplicito agli stati e alle funzioni rilevabili in seno alle comunità cristiane (dunque a vescovi, presbiteri, diaconi, vergini, vedove, servi, monaci, e similia). In un’illuminante prefazione, scritta dal prof. Gaetano Zito, viene fornito l’essenziale profilo dell’Autore, il benedettino Vittorio Giovanni Rizzone, quale studioso competente in ambito archeologico ed epigrafico, docente nello Studio Teologico S. Paolo di Catania e sperimentato ricercatore in vari siti dell’isola. La serietà scientifica del Rizzone si rivela in primo luogo nella meticolosa ricerca delle 200 epigrafi oggetto del suo studio, che egli ha saputo sceverare dalla massa dei titoli restituiti dalla Sicilia antica e tardoantica e via via pubblicati a partire dal secolo XIX, una ricerca *

Docente emerito di Storia romana presso l’Università degli Studi di Macerata e di Storia della Chiesa antica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. 1 V.G. RIZZONE, Opus Christi edificabit. Stati e funzioni dei cristiani di Sicilia attraverso l’apporto dell’epigrafia (secoli IV-VI), Troina 2011.


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Presentazione

che ha comportato pertanto lo spoglio dei fondamentali corpora (CIG, CIL, CIJ, IG), degli assiemi editi da rinomati epigrafisti (Diehl, Wessel, Cavallari, Carini, Strazzulla, Fuehrer e Schultze, Orsi, Pace, Garana, Santi Luigi Agnello e soprattutto Ferrua), nonché — fatica ancora più estenuante — della miriade di studi nei quali sono reperibili gli ulteriori titoli studiati o revisionati dalle nuove generazioni di epigrafisti: una fatica, quest’ultima, scrupolosamente supportata dall’attenta visione delle periodiche notizie del Supplementum Epigraphicum Graecum. Ma non poche sono le epigrafi la cui prima conoscenza è da attribuire al merito dello stesso Rizzone, merito a volte condiviso con la Sammito e acquisito in special modo nell’ambito della campagna netina, di Modica, di Scicli, in particolare di Cava Ispica, e in genere dell’epigrafia iblea. Le epigrafi in tal modo selezionate2 — per lo più funerarie di IVV-VI secolo e provenienti da ogni sito dell’isola, anche se Siracusa fa la parte del leone — sono presentate nel testo originale, talvolta in foto, sempre con traduzione, e per lo più corredate da particolareggiati commenti e dal richiamo di casi analoghi, nonché di parallele testimonianze letterarie, che, oltre a gettare maggior luce sul testo epigrafico preso in esame, forniscono squarci di interesse generale. 2. RICHIAMI LETTERARI Mette conto segnalarne alcuni tra i più significativi. La menzione del vescovo Auxentius Hispanus patria (A1), che si legge sul fronte di un arcosolio della catacomba siracusana di San Giovanni, suggerisce a Rizzone il riscontro del caso del vescovo di Roma Eusebio, mandato al confino nell’Isola, e sul quale siamo informati dall’elogio redatto da Papa Damaso. La bibliografia citata a proposito è sufficiente perché si possa integrare lo scarno riferimento con i particolari che ne sottolineano l’interesse: la vicenda si colloca nel 310, quando, nell’imperversare della controversia penitenziale dopo la persecuzione 2 Le iscrizioni sono state raggruppate in paragrafi, ciascuno dei quali è designato con una lettera: A per i vescovi, B per i presbiteri, C per i diaconi, D per gli ordini minori, E per le vergini e i monaci, F per i servi, G per i cristiani e i fedeli, H per le altre categorie di cristiani.


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dioclezianea, Eusebio veniva appunto confinato in Sicilia a causa di una colpa che il successore Damaso volgeva con fine sensibilità a motivo di merito: miseros docuit sua crimina flere; parole, queste, che rilevavano il grande ideale di perdono che aveva animato l’atteggiamento pastorale del vescovo romano verso i lapsi. Una parte della Chiesa romana aveva dato credito piuttosto ad Eracleone, un intransigente rigorista, che aveva agitato contro Eusebio lo spettro del lassismo3. I Siciliani, con maggiore senso della realtà, dovettero valutare l’enorme portata pratica della tesi eusebiana: l’illustre esiliato portava con sé un’idea che dovette apparire loro luminosa in quell’alba di vita nuova. I nomi dei vescovi Iohannes (A7) e Mauricius (A7bis), entrambi della Chiesa siracusana e attestati dai rispettivi sigilli, sono gli unici che possano leggersi anche nella locale Cronotassi episcopale trasmessa dal Pirro4 e coincidente — quasi del tutto fino al 5905 — con la lista Episcoporum Syracusanorum numerus del canonico Scobar6. Rizzone, ponendosi il problema del fondamento storico di tale documento, ritiene in prevalenza fittizia la parte più antica7, ma fededegna, sebbene lacunosa8, la successiva, di cui rileva alcune corrispondenze9 con i dati forniti dall’archeologia. 3 Diversa è l’interpretazione che della vicenda fornisce il Garana, ribaltando la posizione delle contrastanti tesi sostenute in quel frangente: la propensione al perdono di Eusebio è scambiata quale manifestazione di intransigenza, cui avrebbe reagito, sostenendo «il diritto di rientrare nella chiesa senza pentimento e senza lacrime» quell’Eracleone che al contrario — secondo quella che mi sembra oggi l’interpretazione più verosimile — escludeva la validità stessa del pentimento (vetuit labsos peccata dolere). 4 R. PIRRO, Sicilia Sacra, Palermo 1733 (III edizione a cura di A. Mongitore – V.M. Amico), I, 598-690 (alla p. 607 si conclude la parte relativa al primo periodo fino all’anno 596). 5 Unica eccezione il nome del Chrestus III, presente solo nell’opera dell’erudito palermitano. 6 Riprodotta in folio in un volume della Biblioteca Comunale di Palermo (De rebus praeclaris syracusanis, Venetiis 1520). Il Pirro la cita — in riferimento a quasi tutte le menzioni — col titolo di Catalogus Episcoporum Syracusanorum. 7 Quella cioè che si conclude col nome che precede quello di Chrestus, il vescovo invitato al Concilio di Arles del 314. 8 Tant’è che nessuno degli altri vescovi attestati dall’epigrafia vi viene menzionato. 9 Quelle in particolare pertinenti ai vescovi Germano e Stefano.


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Bisognerebbe però tenere in maggior conto l’antico manoscritto, non più esistente, ma visto dal Pirro (M. S., quem saepe idem Schobar appellat Archetypum, et ego vidi illum) e da lui utilizzato (talvolta financo per correggere lo Scobar) limitatamente alle menzioni che vi poteva leggere: il constatare infatti che queste menzioni risultano meno numerose di quelle trasmesse dai due eruditi induce a pensare che tale Archetypum sia stato compilato secondo un’economia selettiva, tendente a recuperare specialmente le memorie cadute in oblio. Proprio la mancanza del nome del noto Cresto, anziché sorprendere, potrebbe costituire uno degli elementi indicativi di tale concezione compositiva, tendente ad omettere le informazioni già di pubblico dominio, così come l’indugio sui nomi dei vescovi Germano e Stefano che avevano finito i loro giorni fuori dalla propria diocesi10 sembra rispondere all’intento di salvare due casi colpiti dalla damnatio memoriae. Un altro opportuno richiamo letterario del Rizzone è quello suggeritogli dal titolo funerario catanese di [Eu\s]eébiov pres[bute]rov pathér [---] (B12), per il quale, dopo avere riportato la verisimile integrazione del Ferrua pathér [th%v sunagwgh%v] e averne indicato alcuni riscontri, suggerisce la lectio difficilior pathér [th%v poélewv], che richiama un istituto attestato proprio in Sicilia dalla Novella LXXV “De appellationibus Siciliae” di Giustiniano, e presumibilmente esistente ancora prima: di fatto, in questa Novella il legislatore assegna al quaestor sacri palatii il compito di occuparsi anche delle questioni relative a quanti rivestono nell’isola la funzione di defensor o di pater civitatis. Se così, l’Eusebio dell’epitaffio avrebbe ricoperto un ruolo di rilievo a Catania, come lo ricoprirà a Siracusa il Sergios pathér poélewv Surakouéshv conosciuto da un sigillo di VIII secolo. I riferimenti paralleli non sono risparmiati da Rizzone neppure a proposito dell’iscrizione siracusana di Chrysis (FA2), defunta nel 435, per la quale si invoca il dono di una terra di luce e di un luogo di refrigerio nei seni di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: richiamate le attestazioni che di tale formula si trovano in Egitto, in Anatolia, a Creta, 10 Del primo si dice essere morto ed essere stato sepolto in ecclesia sancti Archangeli in Motokis, che è la chiesa di cui si vedono ancora i resti a Cozzo Sant’Angelo presso Modica. Del secondo tale dannata condizione viene espressamente annotata (quem Syracusani non receperunt).


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ma anche in altre epigrafi della Sicilia, Rizzone le spiega come probabile riflesso di una pratica liturgica presente nel Liber Sacramentorum di Gregorio Magno, nel rito ortodosso delle esequie, nell’eucologia di Serapione di Thmuis, nonché in una antichissima preghiera per i defunti trasmessa da un papiro del 600 ca. 3. ATTEGGIAMENTI E VIRTÙ EMERGENTI Le 200 epigrafi, fornite come sono delle coordinate geografiche e cronologiche e del riferimento al contesto archeologico, producono su chi le legge la sensazione che si prova allo schiudersi di uno scenario prima non immaginato: lo scenario, evidentemente, è quello della società isolana che si apriva al nuovo Messaggio e la cui capacità creativa ed espressiva si coglie nelle tante pur brevissime parole incise per onorare i defunti. Toccante è il ricordo che del proprio vescovo alcuni fedeli esternano nelle tombe. Una tale Serapia lo ricorda — in una lastra di marmo della catacomba di S. Giovanni (A2) — chiamandolo “il mio signore vescovo Syrakosios”, e ritiene doveroso informare di avere comprato il sepolcro per il marito Polychronios e per se stessa al tempo in cui visse quel presule. E ancora per un vescovo di nome Syrakosios, probabilmente lo stesso del precedente, altri due siracusani, Nikon e Aboundantia (A3), coniano l’attributo mnhsqhsoémenov (“degno di essere sempre ricordato”). Cheperion è invece il nome del vescovo vicino alla cui tomba nel cimitero di San Giovanni i due coniugi Alexandros e Rhodope avevano acquistato la propria: l’averlo voluto notare nell’epitaffio (A4) manifesta un sentimento di sincera venerazione. Nessuna testimonianza epigrafica, però, esiste in Sicilia di vescovi che siano stati martiri. Ciò non dovrebbe meravigliare più di tanto, se si considera che Tertulliano montanista annotava causticamente: novi et pastores eorum: in pace leones, in proelio cervos11. Tra i martiri dell’isola è toccato soltanto alle vergini Agata e Lucia l’onore di un ricordo sulle pietre incise. Non si attribuisce loro l’appellativo a|gòa 11

De corona, 1,5.


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(santa), ma il nobile titolo di kuròa (signora): nell’epitaffio catanese GD2 si chiede ad Agata di donare “la pace” ad un bimbo di nome Agathon; e in un perduto titolo di Ustica GD3 se ne commemorava il giorno della festa, perché in esso era deceduta una sua devota di nome Loukiphera; ed è pure al dies natalis di Lucia che si fa riferimento nel bell’elogio funebre siracusano G1, per segnalarne la coincidenza con quello della morte di una tale Euskia. Ben 21 sono le epigrafi che testimoniano la presenza e, a volte, l’intenso apostolato dei presbiteri: Ianouarios aveva esercitato il ministero per 44 anni a Longariana12 (B6), e per 34 anni aveva operato Dionysios presbitero della Chiesa di Hergetion13 (B7); di altri tre sacri ministri — Darses di Siracusa, Kalemeros di Modica, Dionysios di Salemi — viene segnalata la veneranda età (risp. di anni 85, 62, 55). In alcuni titoli si fa menzione di presbiteri con figli: tali sono il Sabinos di Mineo (B11), il Iason di Catania (bB2) e il Pothetos di ignota località (B18): ciò induce Rizzone a dare qualche chiarimento sulla questione del celibato. Che ce ne fosse l’obbligo almeno a partire dal IV secolo Rizzone si adopera a sostenerlo sulla base del Concilio di Elvira (tra il 303 ed il 312-313), del canone III del Concilio di Nicea (325), della Chiesa di Roma e delle disposizioni di Papa Leone Magno. Ma informa pure che tale norma non veniva rispettata in tutte le comunità ecclesiali, e segnala che l’inadempienza si verificava a volte anche in casi relativi all’episcopato, quali i due attestati in Sicilia: nel 559 Papa Pelagio I indugiò a consacrare vescovo di Siracusa il designato dagli elettori, appunto perché legato a moglie e figli; e per lo stesso motivo ad Agrigento Pelagio II (579-590) depose il vescovo Eusanio. Diversa era, evidentemente, in materia di celibato, la condizione praticata dai presbiteri ebrei, sui quali l’A. più di una volta ha occa12 R. informa trattarsi del “toponimo di un praedium (una massa), che verosimilmente aveva preso il nome da quello del proprietario, un Longarius” (p. 106). E per la sua identificazione propone due località: il pantano Longarini nei pressi di Punta Castellazzo (Porto Ulisse) e Santa Teresa Longarini nelle vicinanze di Cassibile (p. 107). 13 Fra le varie proposte di localizzazione, R. ritiene preferibile quella che riconduce Hergetion alla zona degli Iblei settentrionali, vicino a Ferla, o, più a Ovest, presso Grammichele (p. 108).


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sione di intrattenerci. E, quanto alle donne, Rizzone non manca di osservare che la loro ammissione all’esercizio del ministero sacerdotale avveniva soltanto in alcune sette ereticali gnostiche e montaniste, nonché per abusi severamente condannati dai pontefici. E perfino delle diaconesse non esiste in Sicilia alcuna traccia epigrafica. Tutt’altro che rara era invece la condizione di vergine consacrata. Vale la pena citare almeno i seguenti quattro esempi siracusani: una tale Mark(iane) è detta casta vergine di Cristo e di Dio (E1); si elogia una tale Paschentia per essere vissuta onoratamente da vergine 50 anni (E2); di altre due donne, Photine e Philoumene, si esalta la bella vita vissuta (risp. per 80 e 84 anni) nella verginità (E3-4); anche di Eutychia, vergine irreprensibile (E8), si segnala l’avanzata età (di 75 anni). A volte, però, i corrispondenti aggettivi di parthénos e di virgo designano semplicemente lo stato civile, come il Rizzone bene dimostra esemplificando con gli epitaffi dove tale significato appare evidente per via della troppo giovane età delle donne in essi menzionate: in E9 viene detta vergine la siracusana Meroe di 17 anni, in E10 una Akoubia di 10 anni parimenti siracusana, in E16 una Paskasia morta a 15 anni a Lentini; ed aveva addirittura appena 8 anni la bimba siracusana menzionata con l’attributo di vergine in E17. Il significato di verginità consacrata è, inoltre, esplicitamente escluso dal testo dell’epitaffio (E18), che della catanese Euangelis dice essere stata vergine castissima vissuta anni 20 in modo irreprensibile, e al contempo promessa sposa. Dall’epigrafia è dato conoscere anche alcuni esempi di quella vedovanza che nell’antica Chiesa, secondo il suggerimento paolino, si trasformava in un particolare impegno di dedizione a Dio. Rizzone presenta infatti come verosimili testimonianze di questo status le iscrizioni in cui compare il termine univira-monandros. Esso qualifica la veneranda siracusana Ariagne di 75 anni (EA1); e nell’epitaffio dedicato ad un’altra siracusana di nome Kyriake (EA2) viene potenziato dall’espressione serva cristiana del Signore; simile è a Catania l’elogio di una donna serva di Dio e di Gesù, vissuta bene, con un solo marito (EA3). Altre due testimonianze provengono da Castronuovo di Sicilia (EA5) ed ancora da Catania (EA4), riguardanti risp. una Placidia e una Pelagia. Ma, passando a considerare quella scelta di vita che si concretiz-


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zava nello stato monastico, il nostro A. deve convenire che quasi nulla ci ha restituito l’epigrafia al riguardo. Le recenti acquisizioni (EB1-23-4-5), da lui presentate come eccezionali, certamente attestano che di egumeni, abati e monasteri possa parlarsi anche in Sicilia a partire dal VI-VII secolo; tuttavia non modificano l’opinione che mi sono fatta sull’isola quale terreno inizialmente inadatto alla pianta dell’ideale monastico, come insegna — ancora nella seconda metà del IV secolo — il caso di Ilarione costretto ad una umiliante “ritirata”. Ciò nulla toglieva alla consapevolezza che i Siciliani avevano del loro essere cristiani e all’esigenza da essi avvertita di manifestarla. Sulla scorta di Ch. Pietri, Rizzone conta 29 occorrenze dell’aggettivo cristianoév (G1-29), talvolta associato a quello di pistoév-fidelis, che ne rilevava la connessione con la fede ricevuta in dono dal battesimo; epiteto, quest’ultimo, ricorrente a sua volta in sostituzione del primo ben 28 volte (GA1-28); degno di nota l’epitaffio catanese FA14 di Apra, elogiata come un albero ben piantato nella fede. L’efficacia del sacramento presupposta da entrambi gli aggettivi — ed evidente in special modo nell’iscrizione di Iulia Florentina (GA20) — suggerisce al Rizzone l’importante notazione sul pedobattesimo diffusosi dopo Agostino. E con la medesima aggettivazione, nonché con le derivate forme verbali, si connette talvolta, quale compendium scripturae, il noto chrismon (risultante dalla sovrapposizione delle lettere greche C e R). 4. DIFFICILI PROPOSTE DI INTEGRAZIONE Non poche sono, inoltre, fra le epigrafi studiate da Rizzone, quelle di difficile lettura, epigrafi cui è legata spesso una complessa storia interpretativa, con le connesse varianti di lettura. L’approccio di Rizzone con tali epigrafi parte sempre dalla visione autoptica. E, dopo uno scrupoloso esame delle precedenti letture, lo studioso propone — indicandone il grado di probabilità — la propria interpretazione sulla base di sicuri criteri paleografici, della coerenza storica e del ricorso ai casi analoghi esistenti nell’intero panorama dell’epigrafia protocristiana. Vale la pena considerarne alcuni esempi. In B15 di Catania si legge che alla vergine Theodoule era stata concessa la sepoltura kataè dwreaèn th%v sfragòdov th%v presbute[…


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Un’attenta analisi conduce l’A. a scartare le integrazioni proposte da Rizza (th%v presbuteé[rav) e da Ferrua (th%v presbuteé[rou) e ad accogliere quella di Manganaro (th%v presbute[rikh%v). L’epitaffio E14, proveniente da Cozzo Cicirello e riguardante la vergine Zoe, contiene la sigla “VS”, che Uggeri aveva sciolto in Virgo Sacra e Di Vita in Vita Salus, ma che, seguendo Ferrua, il nostro A. intende come Vivas Semper. L’iscrizione H4 di Noto riferisce di un a\mpelo%na tou% kuriakou% Zosòmou: Bevilacqua e Giannobile l’avevano inteso come il vigneto di Ciriaco figlio di Zosimo; il Rizzone traduce il vigneto della chiesa di Zosimo, accogliendo l’interpretazione di Manganaro, per il quale Zosimo sarebbe un laico, al quale competeva l’amministrazione di una chiesa e dei relativi beni fondiari, come nel caso dell’Aithales, sepolto a Modica, in contrada Treppiedi (H5), ritenuto invece presbitero da S.L. Agnello e architetto da Wilson. 5. INTENSI SENTIMENTI DI DOLORE E DI AFFETTO Non c’è dubbio che quasi tutti i nostri 200 epitaffi ostentino un monotono ripetersi di formulari (qui giace il tale; qui dorme il sonno eterno il tale altro; è vissuto in pace il tale altro ancora, ecc.), che può forse provocare nel lettore una punta di malinconia e infondergli il senso della caducità della vita. Tuttavia, non di rado tale sequela è rotta da tratti che sorprendono per la densità di significati e di emozioni che riescono a trasmettere. Il Rizzone non manca di evidenziarne anzitutto lo spessore religioso conseguente ad una profonda assimilazione delle verità proclamate dai Concili. La divinità di Cristo, per esempio, e il dogma trinitario sono professati in modo del tutto conforme alle definizioni del Concilio di Nicea e del I Concilio di Costantinopoli: Dio e Cristo suo Figlio e lo Spirito Santo ristorano l’animuccia di Ariagne (EA1 di Siracusa); nel nome del Padre e di Cristo e del Santo Spirito si addormentò la serva di Dio Asella (FA21 di Lipari). E ben due volte (F14 di Catania; B20 di ignota provenienza) la Madonna è invocata col titolo efesino di Qeotoékov. La FA18 di Catania, poi, è ricca di riferimenti scritturistici egregiamente commentati dal nostro Rizzone


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La vicinanza di Dio è poi resa in una eccezionale raffigurazione dell’incontro del Cristo con la creatura implorante misericordia: è la scena dipinta in un arcosolio della catacomba di Vigna Cassia, che, oltre a contenere la toccante preghiera “Signore sii benevolo con i peccatori” (che si trova pure in due tombe di Lilibeo), rappresenta implorante con le mani protese la defunta Marcia e accogliente con un gesto della mano destra il Salvatore, che sta tra gli apostoli Pietro e Paolo (FA7). L’ipotesi dell’identificazione con la Santa Marzia del Martirologio Geronimiano, sebbene riferita dal Rizzone a puro titolo informativo, andrebbe però chiaramente smentita grazie alla restituzione Marcianus sensatamente proposta dal Delehaye. Non sono rari, inoltre, i casi di scenari — messi opportunamente in rilievo dal Rizzone — che trattengono la nostra attenzione per una certa maestosità e per l’espressione composta e penetrante del dolore. L’epitaffio catanese (conservato al Museo del Louvre e che la mostra su s. Agata del 2008 ha permesso di vedere in Sicilia) di Iulia Florentina, nata pagana e (per il battesimo) fidelis facta, morta a 18 mesi e 22 giorni, si risolve in accenti di solenne pathos: i suoi genitori non cessavano di piangere in ogni momento la sua morte, ma nella notte si levò la voce della Maestà che proibiva di piangere la defunta. E ha l’impeto di uno sfogo il grido per la morte del piccolo Agathon: O Morte, all’improvviso mi hai strappato il bambino. Che bisogno c’era? Se fosse invecchiato non sarebbe stato pur sempre tuo? (GD2 da Catania). Altre volte l’epitaffio ha invece il tono semplice e musicale di una poesia. Rivolgendosi all’amata sorella Philadelpheia, vergine castissima, Syrakosios così formulava l’estremo saluto: ho scritto questo lamento per ricambiare il tuo affetto, lamento al quale io tuo fratello non riesco a porre fine (E5 di Siracusa). E quanto al loro valore “antropologico”, le nostre epigrafi rivelano un insieme stratificato di costumi e di atteggiamenti. Si pensi, per esempio, all’uso del termine sanctus, mai adoperato, come invece lo sarà nei secoli successivi, per indicare l’investitura ufficialmente dichiarata dalla Chiesa (resa invece con i termini dominus-kyrios): sancti erano detti tutti i cristiani perché partecipi — in forza del battesimo e per la mediazione del Cristo — della santità di Dio.


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Il gran conto in cui erano tenuti gli affetti familiari risalta negli elogi resi alle spose: Euskia, cristiana, fedele, grata al proprio marito, affabile (G1, di Siracusa); Nassiane, cristiana, amabile, amorevole verso lo sposo, in virtù gareggiava con Penelope (G8, di Siracusa); Eutychiane, cristiana, amabile ed amorevole verso lo sposo (G9, di Siracusa). Naturalmente, il ristretto spazio di cui solitamente disponevano gli incisori degli epitaffi ha impedito che molte particolarità di questi primi cristiani venissero rese note. Il Rizzone segnala, per esempio, che l’iscrizione del medico Domestikos (G29) sia l’unica a trasmetterci la professione del defunto, che invece sappiamo essere stata frequentemente attestata nelle altre epigrafi di Sicilia (si pensi, financo quella di un “medico di cavalli” a Siracusa). Ma a chi leggerà per intero i testi trascritti nel volume non mancherà la sorpresa di cogliere tante altre cose di notevole interesse, comprensibilmente omesse nella presente sintesi. 6. SPESSORE STORICO Rizzone ha ben presente lo sfondo politico-economico-culturale del materiale esaminato. E, sebbene non gli competa indugiare sugli avvenimenti che ne hanno determinato lo sviluppo storico, questi tuttavia egli dimostra di conoscere bene: basterebbero a palesarlo le quaranta pagine che a mo’ di “Conclusioni” riprendono tutti i fili con i quali le epigrafi si innestano nel tessuto della storia tardoantica dell’Isola. Anche nel corso della trattazione il Rizzone non manca di dare evidenza a testimonianze che implicitamente rimandano alla storia evenemenziale. Il fatto stesso che dai cimiteri del IV secolo emergano improvvisamente attestazioni di profonda fede cristiana lascia intravedere il lungo periodo in cui tale fede è maturata nelle avverse circostanze persecutorie e martiriali. Così pure il maggior numero di iscrizioni cristiane restituito da Siracusa riflette le condizioni storiche della provincia postdioclezianea di Sicilia, che, mentre subiva nella pars più frugifera (quella occidentale e centrale) lo sfruttamento latifondistico della pagana aristocrazia senatoria, risentiva invece, nella portuale zona aretusea, del flusso di


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affari e di idee provenienti dal ribollente Mediterraneo orientale. La lingua e l’onomastica delle medesime epigrafi concorrono a consolidare ai nostri occhi questo scenario di apporti orientali a Siracusa e nel suo entroterra, come, d’altra parte, il tardo apparire dell’epigrafia cristiana, nelle zone toccate nel centro dell’isola dalla rete stradale creata a servizio dei possidenti, accusa la più lenta accoglienza del Messaggio in questa parte della Sicilia. Quando poi compaiono sulla scena del V secolo un Cresconius di Modica, un Ausanius di Selinunte, un Kobouldeous di Salemi, la caratteristica africana di tali nomi, sottolineata da Rizzone, fa pensare a un rapporto con l’Africa vandala. Il nostro Rizzone richiama un’informazione di Vittore di Vita, secondo cui Genserico avrebbe relegato in Sicilia e in Sardegna i suoi oppositori cattolici. Ma proprio con questa informazione — che rivela, al di là delle intenzioni di Vittore, l’esistenza in Sicilia di un ambiente niente affatto incline a solidarizzare con l’aristocrazia romana — si connette una sequenza di avvenimenti che ebbero come protagonista nell’isola proprio il re vandalo e come esito un profondo mutamento del locale assetto economico, sociale e religioso: intendo riferirmi alle reiterate depraedationes gensericiane, che mandarono in malora le proprietà senatorie, aprendo al contempo nuove prospettive di esistenza ai cristiani, cui fu risparmiata — se si eccettua l’iniziale (!) sofferenza inferta a Pascasino — ogni malversazione. Il conseguente nuovo ruolo assunto dalla pars latina dell’isola, mentre appresta l’habitat di alcune non disprezzabili epigrafi restituite da centri quali quelli di Palermo, Monte Iato, Corleone, Castronuovo, costituisce ad un tempo l’aspetto caratterizzante di un corso di eventi segnato ormai dallo stretto rapporto col papato, dall’incremento delle diocesi e dal fiorire dell’edilizia ecclesiastica. 7. BIBLIOGRAFIA E INDICI Non si può concludere questa rapida presentazione del libro di Rizzone senza metterne in risalto la bibliografia e gli indici. In primo luogo si ha l’elenco di tutte le opere recanti il testo delle epigrafi, un elenco che ha pertanto valenza di un completo repertorio.


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Vi occupano grande spazio i titoli delle pubblicazioni di Orsi, Ferrua, S. L. Agnello, Manganaro e, vale la pena notarlo, dello stesso Rizzone. Nell’insieme, vien fatta menzione di 112 studiosi e di 268 opere. Completa questo elenco la citazione delle opere contenenti il testo delle fonti letterarie richiamate nel corso della trattazione. La seconda sezione bibliografica elenca gli studi relativi alle questioni connesse con le particolarità delle iscrizioni: si tratta di ben 639 opere, del cui utilizzo da parte di Rizzone fanno fede le svariate ed aggiornate conoscenze che egli mostra di possedere all’occorrenza, e di cui comunque risalta la funzionalità in ordine alla contestualizzazione (storica, archeologica, artistica, agiografica, paleografica, linguistica, cultuale, dottrinale) del materiale epigrafico. Il tracciato storiografico che ne deriva evidenzia la vastità delle ricerche specifiche compiute dalla fine dell’Ottocento (cui appartengono i libri di Cappelletti, Carini, Gams, Silvestri, Strazzulla) fino ai nostri giorni (con i recentissimi studi di Cimosa-Bonney, De Fino, Rico, Rizzo R., Sgarlata, Solin). Nello scorrere tale bibliografia ho umilmente avvertito quanto numerose fossero le cose ancora da chiarire nella ricerca da me compiuta per dare corpo alla pur densa storia della Sicilia cristiana dei primi secoli edita pochissimi anni fa14. Nella “Prefazione” al libro di Rizzone, Gaetano Zito — peraltro generoso apprezzatore della mia fatica — ha acutamente colto l’entità del progress nel frattempo compiutosi nell’ambito di tali studi, ed è questa la ricompensa che mi gratifica, nella prospettiva degli ulteriori avanzamenti che questa volta sarà l’opera del nostro A. a provocare. Per finire, mi sia concessa qualche notazione sui meritori “Indici”. Quello dei “nomi antichi di persona” occupa dieci pagine, e dà risalto — attraverso l’uso del carattere corsivo — all’onomastica tratta da epigrafi. Tuttavia, giacché molti di questi nomi in corsivo sono ricavati dai rimandi a testimonianze non isolane, tale indice non consente che ci si renda agevolmente conto della specifica consistenza prosopografica del materiale siciliano. Tale difficoltà si ripete anche in relazione ai nomi cui è opportunamente apposta l’indicazione del ruolo rico14

F. P. RIZZO, Sicilia cristiana dal I al V secolo, I-II, Roma 2005-2006.


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perto (di vescovo, di presbitero, di diacono, ecc.), perché essi non sono soltanto quelli di Sicilia. Segue l’indice “dei luoghi”, che si stende per sei pagine. Vale la pena segnalare che le località non siciliane che vi figurano ammontano a ca. 250, perché tale numero è indice della capacità dimostrata dal Rizzone di spaziare nel campo intero dell’epigrafia protocristiana. Soltanto Roma vi è presente più di una cinquantina di volte. Pertiene, invece, direttamente al quadro topografico delle testimonianze epigrafiche di Sicilia, l’indicazione delle altre località, fra le quali, oltre a quelle che possono considerarsi “punti chiave” (Siracusa, Catania, Modica, Palazzolo Acreide, Salemi, S. Croce Camerina), non sono poche quelle che, fino ad oggi, hanno reso un solo testo. Ma delle novità che ancora ci attendono l’opera di Rizzone costituisce la promessa più incoraggiante.


Recensioni Synaxis 3 (2011) 279-293

C. CERAMI, La Trasfigurazione del Signore nei Padri della Chiesa, Città Nuova, Roma 2010, pp. 283, €22,00. Che cos’è la Teologia nel suo significato originario ed originale se non un theologhéin ovvero un ragionare ma anche e soprattutto un discorrere su Dio, un esprimere le proprietà della natura di Dio in ed attraverso il logos o parola, pur nell’inadeguatezza del parlare umano? Un Dio che «molte volte e in diversi modi» (Eb 1,1) ha parlato nelle Scritture e che negli ultimi tempi ha parlato nel suo Figlio. Dio si è fatto Logos, non semplicemente Parola, ma Parola intima e nascosta, nei secoli, di un Dio che con la sua Parola rivolta all’uomo, si è rivelato Padre: Logos fattosi carne, Figlio suo prediletto, uomo per Dio, Dio fra gli uomini. Se, così, il theologhéin è proprio dell’uomo che con il logos vive e si esprime e che con il logos va incontro al mistero di un Dio che pur si rivela; il dia-loghéin ovvero il dialogare di Dio con gli uomini è proprio di Dio Padre che, rivelandosi, viene incontro all’uomo, a lui si manifesta per conoscerlo e quindi amarlo; si rivela nel Logos fatto carne, sua ultima e definitiva Parola, poiché Dio «ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo unigenito» (Gv 3,16a). Il Figlio, allora, in quanto Parola, rivolta all’uomo negli ultimi tempi, s’intrattiene con lui e lo educa alla vita divina nella sua vita umana e terrena. L’azione del Logos-Figlio è allora un dimorare nell’uomo e con l’uomo, ma indubbiamente anche un dialoghéin, un dialogare fra Dio e l’uomo che nel Figlio, Parola del Padre, diventa stile di vicinanza e di condivisione, significa redimere l’uomo dalle sue colpe e dai suoi peccati, salvarlo. Il Logos, prima che oggetto della teologia, è dià-logos ovvero soggetto e condizione del theologhéin; si pone tra Dio e l’Uomo, conferendo al theologhéin la sua motivazione e la sua profonda essenza. Queste ed altre suggestive meditazioni scaturiscono da quel brano evangelico intenso e dirimente qual è quello della


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Trasfigurazione del Signore sul monte Tabor, tramandato nei Vangeli sinottici (Mt 17,1-9; Mc 9,2-9; Lc 9,28-36). Intenso, perché, anche se l’invito del Padre nella nube è chiaro nella sua apoditticità («Ascoltatelo» [Mt 17,5]), il brano presenta l’esperienza vissuta dai tre discepoli — esperienza pur sempre di vicinanza e di vita con il Logos incarnato — che essi vivono e sperimentano con i loro sensi corporei («Fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero come la luce.» [v. 2]); («Signore, è bello per noi restare qui» [v. 4]); («una nube luminosa li avvolse con la sua ombra.» [v. 5]). Dirimente, perché lo stesso brano mostra come l’autorivelazione di Dio Padre nel Figlio prediletto sia un’autocomunicazione ed un parlare con la Legge ed i Profeti («Ed ecco apparvero loro Mosé ed Elia, che conversavano con lui.» [v. 3]), ma anche con gli uomini («Non parlate a nessuno di questa visione finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti.» [v. 9]), insegnando loro l’importanza del silenzio e dell’apofaticità della conoscenza di Dio. Infine, la nube luminosa, l’alternarsi di luce ed ombra, che fanno trasparire la divinità invisibile, ineffabile ed incomprensibile, salvandone la sua trascendenza, consentono di fondare il theologhéin come continuo dialogare in forma di logos a partire dall’incontro con il Logos-Figlio che vela e ri-vela il Padre, nel senso che lo disvela ma lo vela una seconda volta. Proprio l’esegesi dei Padri greci e latini sul brano della Trasfigurazione è l’argomento scelto da Calogero Cerami per questo suo libro che solo ad un esame superficiale e poco approfondito si può considerare un semplice, anche se articolato, excursus storico delle varie interpretazioni e delle varie “piste” esegetiche battute dai padri in un arco di tempo che va dal I al V secolo. Uno snodo od un centro, nella sua trattazione, si può rinvenire in quella grande e capitale acquisizione di Origéne d’Alessandria, contenuta nel fondamentale Libro IV del De Principiis, ove dice che: «La Scrittura, incarnazione del Logos, infatti presenta al di là del senso letterale, un senso spirituale più profondo, che sfugge ai più, ma che è possibile scorgere tramite lo Spirito di Cristo che ha ispirato gli agiografi e ispira anche gli interpreti.» (p. 67). Questo, che è il risultato più notevole della Teologia del Logos non può essere trascurato e dimenticato, come giustamente sottolinea l’autore: «L’esegesi origeniana alla trasfigurazione apre la possibilità di


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indagare su diversi aspetti della teologia, riconfermando il criterio di interpretare la Scrittura con la Scrittura.» (p. 91); segnalando allo stesso tempo un’esigenza di metodo ed una prospettiva d’indagine per la teologia attuale ma anche per l’esegesi biblica. L’autore riesce a dimostrare come, con Origéne, l’esegesi degli gnostici, applicata alle scritture bibliche, riesca a dispiegare le sue grandi potenzialità, aprendo la strada non solo all’esegesi alessandrina ma a tutta l’esegesi d’età patristica e medievale. Soprattutto, la polimorfìa gnostica, applicata alla persona di Gesù che permetteva agli gnostici di ribadire l’apparenza corporea, come nella variante gnostica doceta e di negare l’Incarnazione, dal momento che il Cristo non poteva essere limitato in un corpo umano (p. 37), viene a trovarsi, nei Vangeli apocrifi, in una primitiva tecnica esegetica che unisce e collega la Trasfigurazione ora alla Resurrezione ora all’Ascensione ora, infine, alla Parousìa. Sono così presenti fra gli gnostici quei lineamenti e quei tratti esegetici che si ritroveranno nella più perfetta tecnica esegetica di Origéne. Questi, fondandosi sulla dialettica uno-molti, interpreta e riadatta, originalmente e genialmente, la polimorfìa del Cristo degli gnostici come adattamento continuo del Logos alle sempre mutevoli condizioni spirituali degli uomini (p. 67). Inoltre, l’Alessandrino, avvalendosi dei termini e delle categorie di visione e di partecipazione, presenti in Ireneo di Lione (p. 57), formula, in maniera teologicamente compiuta, la nozione di divinizzazione che è così associata, sempre sulla scorta di Ireneo, alla glorificazione e questa alla visione; per cui, l’esperienza vissuta dai discepoli nella Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, in Origéne, diventerà l’esperienza della visione della gloria di Cristo come anticipazione della sua Resurrezione ed esito, nonché meta raggiunta nell’ascesa fisica del monte, della vera ascesi spirituale che si compie nello studio e nella conoscenza della Scrittura (p. 91). In tal modo, l’esegesi e la mistica, nell’insegnamento origeniano, mai apodittico o asseverativo, ma propositivo, sono intimamente unite. L’attenzione riservata al particolare insegnamento ghymnastikòs di Origéne, ingiustamente negletto o dimenticato, non soltanto nella teologia contemporanea - avvinta talvolta nelle trame di un cristianesimo etico civile - ma anche in recenti studi origeniani, è uno dei pregi maggiori di questo libro (pp. 80. 82). Per cui, l’aporìa delle interpreta-


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zioni esegetiche, di cui talvolta si accusa Origéne, si deve piuttosto alla molteplicità delle opinioni espresse dai suoi allievi nel corso delle sue lezioni - trascritte dai tachìgrafi messi a disposizione dal ricco Ambrosio, gnostico convertito - senza che si faccia distinzione fra il maestro ed i suoi discepoli, in un clima di partecipazione e di coinvolgimento spirituale ed intellettuale qual era quello che si viveva nel Didaskalèion di Alessandria nella prima metà del III secolo. Si noti, inoltre, la considerazione, ampiamente positiva, che Cerami riserva non allo Gnosticismo quanto piuttosto alla ricerca esegetica e scritturistica degli gnostici che egli enuclea ed individua, offrendo nella sua opera estesi brani tratti dai Vangeli apocrifi. Il Cerami riesce poi a cogliere la costante dell’esegesi origeniana, che è l’allegoria, negli esponenti principali dell’esegesi alessandrina quali Didimo il Cieco e Cirillo d’Alessandria, presso i quali individua come elemento in comune quello dell’unica esistenza di Cristo che assume, da Verbo presso il Padre, la forma corporea, fino ad assumere quella di servo per poi ascendere al Padre e manifestarsi nella Resurrezione. È sempre lo stesso Logos, pur nella diversità delle forme assunte, ora divina, ora umana, tratto, questo della polimorfìa, gnostico, poi origeniano, infine recepito dalla scuola esegetica alessandrina. Metodio d’Olimpo parla invece di eidos, considerato, da Cerami, principium individuationis del corpo; ma, in realtà, indicherebbe, sulla scorta della prospettiva filosofica origeniana, medioplatonica, l’immutabilità dell’anima immortale, che però assieme al corpo, secondo Metodio, sussiste sotto le apparenze della carne vivente, ma destinata a dissolversi per poi riacquistare pienamente alla Resurrezione un corpo glorioso, già in qualche modo presente, insieme con l’anima, ma non ancora rivelato (p. 94). È interessante la notazione relativa ad Efrem siro (p. 108), il quale nota che la Trasfigurazione di Gesù sul Tabor avrebbe permesso ai discepoli di riconoscerlo da risorto. La valenza pedagogica dell’esegesi di Efrem, allora, si collega alla necessità, avvertita da Metodio, di difendere l’identità e l’unicità del corpo risorto di Cristo: il Gesù crocifisso è il Cristo risorto o in termini moderni, il Gesù della storia è il Cristo della fede. L’excursus sia storico sia teologico, compiuto in questo libro, affronta non pochi e non facili temi della teologia e dell’esegesi patristiche, rivelando la ricchezza e l’importanza dello


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studio e della conoscenza dei testimoni della Tradizione come i Padri Cappadoci, i quali, certamente, nell’esegesi sulla Trasfigurazione si pongono il problema della definizione e della qualità della vita spirituale. Se, per Basilio di Cesarea, l’uomo è un essere in trasformazione ed attraverso questo continuo mutamento si avvia alla trasformazione definitiva e finale, di cui segno compiuto è la Resurrezione, mentre la Trasfigurazione ne è segno prefigurativo ed anticipatore; per Gregorio di Nazianzo, nel composto umano-divino del Logos incarnato, è la parte divina che prevale e che assume la natura umana. Dio, tuttavia, rimane inconoscibile all’uomo. Per Gregorio di Nissa, invece, siamo destinati ad essere ricomposti nell’unità di corpo, anima e spirito, immuni e riscattati dal peccato, unità di cui è segno ed anticipazione proprio la Trasfigurazione. Uno dei meriti dell’autore è inoltre quello di essersi soffermato su autori cristiani ancora poco noti ad un pubblico più vasto, appartenenti sia alla Chiesa d’Oriente sia a quella d’Occidente. È il caso dello Ps.-Macario Egizio per l’Oriente (pp. 134138) e di Epifanio latino per l’Occidente (pp. 205-206). Rinviando, per questi ed altri autori, all’ampia e documentata bibliografia, posta alla fine del volume ed all’apparato di note al suo interno, ricco di utili riferimenti bibliografici, occorre citare i testimoni dell’esegesi patristica latina, quali Tertulliano, secondo il quale, nella Trasfigurazione si assiste ad un diverso modo di essere del Maestro (p. 166). Negando la polimorfìa degli gnostici, Tertulliano può affermare che è l’unico Cristo che ha patito, è morto, è risorto e verrà a giudicare il mondo alla fine dei tempi. Si può dire che l’interpretazione allegorica origeniana viene accolta in genere da tutta l’esegesi latina: Ilario di Poitiers, Ambrogio di Milano e Gerolamo di Stridone; non senza differenze ma anche con significativi punti di contatto. Infatti, tutti e tre interpretano la notazione cronologica del brano evangelico della Trasfigurazione, posta all’inizio («Sei giorni dopo» [Mt 17,1; Mc 9,2; Lc 9,28]), in senso spirituale, perché rimanda ai sei giorni della creazione che bisogna superare per entrare nel regno dei cieli (p. 198). Tuttavia, sia l’interpretazione di Agostino sia quella di Leone Magno che chiudono l’excursus di quest’opera insistono sulla purificazione dell’uomo e sulla sua trasformazione. Agostino, in particolare, richiama la vista del cuore che si oppone a quella degli occhi del corpo che dev’essere dunque


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costantemente purificata (p. 207); mentre Papa Leone, insiste sulla trasformazione dell’uomo, a condizione che questi partecipi alla passione e morte del Signore (p. 227), portando a compimento, in ambiente latino, la dottrina greca della divinizzazione. Le conclusioni costituiscono la parte davvero più interessante di quest’opera, dal momento che non si limitano a riassumere le interpretazioni esegetiche patristiche considerate ed esaminate, ma sottolineano l’importanza dell’unità dei due Testamenti che si evince dal dialogo di Gesù con Mosé ed Elia, continuamente ribadita dai Padri a cominciare da Ireneo. Inoltre, la polimorfìa gnostica consente all’autore di osservare con attenzione la premura dei Padri nel difendere l’unità e l’unicità della persona di Cristo. In tal modo, i Padri si concentrarono non tanto sull’esperienza del Gesù trasfigurato sul Tabor (importante l’uso del passivo divino); quanto piuttosto, su quella vissuta dai tre discepoli, testimoni dell’evento, al quale accedono dopo l’ascesa del monte Tabor, introducendo quindi il tema del progresso spirituale (pp. 247250). Teologia, esegesi, dogmatica, all’insegna dell’esegesi della Trasfigurazione nei vangeli sinottici giungono, così, a comprendersi ed a compenetrarsi reciprocamente, in questo libro, in vista della ricerca di una spiritualità autenticamente cristiana, ecclesiale ed ecumenica. Francesco Aleo

G. ARLOTTA (cur.), Santiago e la Sicilia. Atti del Convegno Internazionale di Studi organizzato dall’Università degli Studi di Perugia e dal Centro Italiano di Studi Compostellani (Messina, 2-4 Maggio 2003), Edizioni Compostellane, Pomigliano d’Arco 2008, pp. 404, €40,00. In questi anni è notevolmente cresciuto l’interesse per il cammino di Santiago di Compostella e per il culto verso san Giacomo e numerose sono le pubblicazioni, alcune delle quali sono da evidenziare per il loro indiscusso valore scientifico. Tra queste ultime si impongono gli Atti dei Convegni organizzati dal Centro Italiano di Studi Compostellani (Perugia) che, da quasi


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trent’anni, organizza prestigiosi incontri, i cui frutti sono a tutti noti proprio grazie ai volumi editi. Il testo che presentiamo riporta gli Atti dell’ultimo convegno del CISC, celebrato nella città dello Stretto, nel 2003. L’assise ha visto la partecipazione di insigni studiosi che hanno presentato il frutto delle loro ricerche in campo letterario (Von Saucken), storico (Fodale, Bresc, Seminara), artistico (Plötz, Di Natale, Pugliatti, Musolino), socio-religioso (Sindoni, Pace Gravina, Molonia, Todesco). È stata trattata anche la tematica sull’Ordine militare di Santiago della Spada (De’ Giovanni-Centelles, Travagliato, Sciascia) e sono state presentate, infine, le ventisei Confraternite jacopee siciliane, la maggior parte delle quali non esiste più (Arlotta). Quest’ultimo contributo si impone per la sua ampiezza (pp. 265-397) anche perché riporta la trascrizione di ventisei documenti (dal 1420? al 1900ca.) riguardanti le suddette confraternite. Plaudiamo alla pubblicazione del volume, che rappresenta il secondo tassello di un progetto avviato durante la celebrazione del precedente Convegno (Perugia 2002): l’indagine puntuale delle realtà italiane che hanno a che fare con san Giacomo, il suo culto e il suo celeberrimo santuario. Mario Torcivia

B. PETRÀ, Divorziati risposati e seconde nozze nella Chiesa. una via

di soluzione, Cittadella Editrice, Assisi 2012, pp. 269, €17,80. I responsabili delle comunità cristiane (parrocchie, diocesi) impegnati nel ministero pastorale sono sempre più chiamati a rispondere, in modo non contingente e pastoralmente coerente con la dottrina cattolica, alla domanda di accoglienza sacramentale di coppie di battezzati divorziati e risposati. Gli elementi che entrano in gioco sono diversi: il bene delle persone (la salus animarum si sarebbe detto una volta), l’edificazione della Chiesa (se consideriamo la pastorale come “l’azione della Chiesa per la sua implantatio tra gli uomini”), la


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coerenza dottrinale della teologia del matrimonio con la tradizione, la comprensione della sacramentalità del matrimonio dei cristiani. In realtà non sono poche le diocesi italiane che prestano una particolare attenzione ad una pastorale di accoglienza delle coppie di divorziati risposati, come pure si devono registrare le tante vie che singoli autori cercano di individuare e di cui l’a. da conto [37-66]. Il Petrà, noto teologo moralista e ottimo conoscitore della teologia ortodossa, affronta queste questioni riprendendo una riflessione già proposta più di un decennio fa nel suo Il matrimonio può morire? Studi sulla pastorale dei divorziati risposati [EDB, Bologna 1996; cfr. recensione in Synaxis XIV (1996) 1, 377-381]. Di quel testo, che suscitò reazioni molto diverse tra di loro, ricordate dall’ autore nel suo breve Prologo, vengono qui ripresi, con lievi aggiustamenti, due capitoli che costituiscono il cuore dell’argomentazione. Il testo si struttura in due parti, di due capitoli ciascuno, precedute da due studi introduttivi e seguiti da una breve appendice. I due studi introduttivi servono a contestualizzare la questione. Nel capitolo 1 si esamina criticamente un testo pubblicato nell’ormai lontano 1998 a cura della Congregazione della Dottrina della Fede sulla Pastorale dei divorziati risposati. Il volume raccoglieva documenti [Lettera circa la recezione della Comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati; Esortazione apostolica “Familiaris consortio”, n. 84; Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla XIII Assemblea Plenaria del Pontifico Consiglio per la Famiglia] e commenti e studi [di D. Tettamanzi, M.F. Pompedda, A. Rodriguez Luño, P. G. Marcuzzi, G. Pelland], preceduti da una prefazione dell’allora Segretario mons. Tarcisio Bertone e una introduzione del Cardinale Prefetto Joseph Ratzinger. Nel capitolo 2 si illustra una interessante prospettiva che riguarda la attuale collocazione dei divorziati risposati nella comunità cristiana. Nel capitolo 1 della I parte l’a. rileva le contraddizioni degli autori — antichi, medievali e moderni — che sostengono l’indissolubilità “perpetua” del vincolo coniugale, che neanche la morte può spezzare, e la possibilità di nuove nozze per i vedovi. Nel capitolo 2 di questa medesima parte si entra nel nucleo centrale dell’argomentazione del Petrà: una possibile via di soluzione del problema posto, vale


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a dire la possibilità per la Chiesa di esercitare la sua potestà sui matrimoni rati e consumati. Il capitolo 1 della II parte esamina la relazione possibile tra facoltà del Romano Pontefice e il matrimonio rato e consumato. Con uno stile che gli è tipico l’a. parte da una posizione espressa dal magistero romano per leggerla criticamente alla luce dell’insieme dello stesso magistero. Il capitolo 2 di questa II parte sviluppa una risposta alle critiche avanzate da Rodriguez Luño alle tesi dell’a. L’appendice approfondisce la riflessione sulla possibilità della Chiesa di esercitare la sua potestas sui matrimoni rati e consumati. Tesi centrale del libro è che la Chiesa, nella sua storia bimillenaria “ha riconosciuto e riconosce che i matrimoni falliscono, tutti, anche quelli validi, veri e sacramentali” [268]. L’analisi storica mostra pure che di fronte a tale fallimento “la Chiesa ha variamente affrontato tali situazioni, mettendo in campo diverse modalità di azione che, nell’insieme, disegnano una forma di potere di gestione dei fallimenti matrimoniali in ordine al bene delle persone, anche aprendo nuove possibilità — nuziali — oltre il fallimento” [ivi]. L’analisi storica, che attraversa tutto il libro, ma è particolarmente sviluppata nel cap. 1 della I parte, seria e ben documentata, è accompagnata da una adeguata conoscenza della problematica canonistica e ciò consente all’autore di mettere in luce l’esistenza talvolta di un dualismo tra norma canonica e teologia del matrimonio, con particolare riferimento agli sviluppi di tale teologia negli ultimi decenni. Mi sentirei di sostenere, comunque, che tale dualismo è presente in nuce già in epoca medievale, se consideriamo la vicenda delle discussioni tra canonisti sulla validità del matrimonio (teoria del consenso della scuola parigina; necessità della copula per la scuola bolognese) e le riflessioni in ambiente monastico sull’affectus maritalis. Certamente il quadro antropologico personalista, con la conseguente ricaduta sulle concezioni della relazione tra donna e uomo e sul matrimonio in particolare già presenti in Gaudium et spes, sembra ad oggi ininfluente sulla normativa canonica e sull’approccio complessivo alle questioni sollevate dalla dolorosa esperienza dei fallimenti matrimoniali. Il dualismo consiste nell’accentuare il modello di matrimonio “contratto”, tacendo tutte le acquisizioni della attuale teologia del matrimonio che, avendo


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come punto di riferimento proprio la Gaudium et spes, sottolinea invece primariamente il matrimonio come “comunione di vita”, da cui scaturiscono naturalmente anche gli aspetti istituzionali e quindi la dimensione di contratto. È da sottolineare che il Petrà fa costante riferimento alla Tradizione e al Magistero, mediante un confronto con le fonti scritturistiche, facendo emerge così chiaramente ciò che appartiene alla Rivelazione, le parole del Signore sull’indissolubilità, e ciò che è frutto delle culture all’interno delle quali il messaggio evangelico è stato annunziato, per es. ciò che rende valido un matrimonio (la “consumazione” e la nozione stessa di consumazione). Il libro prende le mosse dalla domanda centrale sul perché la morte scioglie il vincolo (giuridico) coniugale. Alla domanda in realtà non è mai stata data una risposta soddisfacente. La semplice accettazione del “fatto” pone però di fronte alla questione di una certa contraddizione tra un nucleo fondamentale della fede cattolica e la prassi che la Chiesa latina senza grandi difficoltà ha sempre ammesso. Tesi centrale dell’argomento dell’a. è questa: «Come si sa, principio sine quo non dell’antropologia cristiana è che la morte non costituisce la fine della persona e della sua identità […]. Nel tempo, secondo la fede cattolica, si configura la condizione eterna. Ciò vale in modo particolare per l’amore coniugale» [256]. Se ciò è vero occorre comprendere la ragione del perché la Chiesa d’Occidente ha accettato senza molte difficoltà (diversamente dall’Oriente cristiano) le seconde, terze e ulteriori nozze dei/delle vedovi/e. Lo studio di Petrà evidenzia che la Chiesa semplicemente accoglie il pensiero di san Paolo (cfr. 1Cor 7,3940): non ha sentito il bisogno di approfondire i motivi per cui la morte fisica scioglie dal vincolo coniugale, rendendo perciò liberi i coniugi di contrarre nuove nozze. Ha conservato altresì la coscienza della preferibilità della “casta vedovanza” al punto da non prevedere la benedizione nuziale sulla sposa, fino alla riforma liturgica del Vaticano II. Secondo l’a. ci troviamo di fronte ad un caso in cui la Chiesa ha esercitato ed esercita una potestà apostolica, sulla scia di quanto fece Paolo. L’approfondimento del contesto paolino e della Tradizione che ne segue porta a concludere che si potrebbe considerare il caso in cui non la morte fisica, ma una morte “spirituale” intervenga a spezzare un


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legame coniugale richiedendo alla Chiesa un intervento pastorale per il bene delle persone. L’a. precisa che l’analogia che guida il suo pensiero non è tra morte fisica e morte spirituale, ma tra l’atteggiamento pastorale nell’uno e nell’altro caso [209]. Giustamente Petrà sottolinea che il diritto non precede la novità di vita che caratterizza il credente, né può ignorare le acquisizioni e le conoscenze antropologiche che la teologia fa proprie. Non si possono invertire i termini del rapporto, così fa bene a ricordare che «il vincolo coniugale si basa sull’essere relazionale delle persone aperte intrinsecamente alla unione sponsale e il consenso non lo crea ma lo pone in atto in modo determinato e nominativo, tra due precise persone mediante il patto matrimoniale. Tocca dunque l’essere delle persone e non può essere separato da questo fondamento ontologico; proprio per questo, come abbiamo visto, è tale che si ritiene che non possa essere perduto in nessun caso, per nessun mutamento della vita, neppure dunque nel caso del coma irreversibile, dello stato vegetativo permanente, nel caso della pazzia del coniuge, di tentato omicidio del coniuge, di odio distruttivo, ecc.» [235]. Il magistero recente ha sottolineato a più riprese il senso e il valore della permanenza del vincolo di amore tra i coniugi anche dopo la morte di uno dei due. Stando così le cose si pone inevitabilmente la domanda del perché la Chiesa cattolica abbia consentito le nozze dei vedovi e del perché la morte fisica scioglie il vincolo (almeno giuridicamente parlando). Tutto il cap. 2 della I parte affronta precisamente tali questioni indicando una possibile via di soluzione del problema posto, vale a dire la possibilità per Chiesa di esercitare la sua potestà sui matrimoni rati e consumati. Le conclusioni a cui si perviene sono meritevoli di ulteriori riflessioni e approfondimenti. Si tratterebbe infatti di passare dall’implicito all’esplicito, non di stravolgere o tradire la prassi ecclesiale [l’Appendice è interamente dedicata a ciò]. L’a. è consapevole che la sua tesi «tocca punti delicati e sensibili della dottrina cattolica del matrimonio; costringe a dover verificare senza rinvii e senza alibi la consistenza e l’unità di tale dottrina; mette in luce la difficile e contraddittoria articolazione nell’evoluzione


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dottrinale di questo secolo. Una contraddittorietà che si manifesta in modo esemplare nella considerazione della vedovanza cristiana e delle seconde nozze vedovili» [185]. È necessario tuttavia riprendere la riflessione teologica sul perché la morte fisica sciolga il vincolo coniugale, in quanto su questo punto si gioca la possibilità di individuare all’interno della tradizione latina una via di soluzione di fronte alla contraddizione tra la possibilità di nuove nozze dopo la morte del coniuge e la impossibilità dell’autorità ecclesiastica di intervenire sui matrimoni rati e consumati. Ritengo che a distanza di quindici anni sia stato opportuno riprendere l’approfondimento teologico per dare voce alle tante domande che giungono dai pastori impegnati nella cura d’anime, che possono essere lasciati a risolvere i problemi posti dai fedeli o rinviando tutto al foro interno o pasticciando con soluzioni “fai da te” che generano solo confusione e smarrimento. Bisogna essere perciò grati al Petrà che tenta di «ripensare in modo più adeguato tutta la questione stessa dell’estensione del potere» [268], poiché solo seguendo questa strada si può trovare una risposta vera alla domanda sulla possibilità di accoglienza pastorale e sacramentale dei divorziati risposati nella comunità cristiana. Maurizio Aliotta

M. GAGLIARDI, Introduzione al mistero eucaristico. Dottrina, liturgia, devozione, Edizioni Lindau, Torino 20122, pp. 520, €32,00. Si tratta di una seconda edizione riveduta e aggiornata rispetto a quella già pubblicata nel 2007 per le Edizioni San Clemente, Roma. Come scrive lo stesso Autore — professore ordinario di teologia sistematica presso l’Ateneo Pontificio «Regina Apostolorum» nonché consultore dell’Ufficio celebrazioni liturgiche del sommo pontefice e della Congregazione per il culto divino — «in soli cinque anni dalla prima edizione del volume, molta acqua è scorsa sotto i ponti della fede, della liturgia e della devozione eucaristiche. […] Di qui, l’opportunità di una seconda edizione del presente testo» (p. 15). Quest’opera si somma alle tante altre sull’Eucaristia prodotte in


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questi ultimi anni. Tuttavia mantiene la sua originalità, soprattutto in alcune riflessioni personali dell’Autore su questioni più propriamente liturgiche. Nei primi quattro capitoli, in modo abbastanza sintetico ma non per nulla superficiale, Gagliardi ripercorre le tappe fondamentali della storia della teologia eucaristica. La ricerca è arricchita anche dai dati liturgici e della devozione. Non è difficile, infatti, costatare che esiste una profonda connessione tra la teologia, la liturgia e la devozione circa questo «mistero». Nel capitolo I, L’Eucaristia nella Sacra Scrittura, l’Autore raccoglie i dati dell’AT come retroterra della comprensione eucaristica, e i dati del NT riletti — come non potrebbe essere diversamente — all’interno della Tradizione ecclesiale da cui la Sacra Scrittura stessa proviene; con il capitolo II inizia la trattazione dell’Eucaristia nella storia tra teologia, liturgia e devozione (antichità fino al sec. V) che si prolunga nei capitoli III (medioevo ed epoca moderna, secc. VI-XIX) e IV (epoca contemporanea, secc. XX-XXI). L’Autore offre in questi capitoli una panoramica sintetica ma ben documentata circa la fede e la prassi celebrativa della Chiesa intorno a questo «mirabile sacramento». Nel cap. IV vengono presentati anche gli interventi magisteriali sull’eucaristia o qualche aspetto inerente il mistero eucaristico nell’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Si giunge così al capitolo V, Teologia, liturgia e devozione, in cui vengono indicati alcuni elementi per comprendere, vivere e celebrare l’Eucaristia nel terzo millennio (pp. 347 e ss.). Il capitolo si conclude con un paragrafo dedicato al rapporto tra devozione eucaristica, spiritualità ed etica con una brevissima riflessione sul ruolo di Maria e riportando alcune preghiere della tradizione cristiana in cui è contenuta la massima espressione della devozione eucaristica (pp. 500-505). Merito dell’Autore è certamente quello di trattare gli argomenti con una certa profondità teologica e con un sano equilibrio senza nascondere, anche con qualche tratto a volte polemico, le proprie preferenze nelle questioni dibattute. L’Autore mette in evidenza che la riforma liturgica post-conciliare, a suo giudizio, presenta, insieme a tante ricchezze, numerose ambiguità nonché una certa infedeltà al dettato conciliare (pp. 411-412). È


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bene dire che intorno a questo argomento esistono diverse valutazioni. Tuttavia sono d’accordo con Gagliardi quando afferma che «non bisogna dare per scontato che la riforma, a livello teologico-liturgico e di revisione dei riti, sia un fatto compiuto e che resti a noi solo un’attuazione concreta di questo fatto» (p. 450). La riforma liturgica postconciliare infatti, come d’altronde si deve dire di ogni riforma, ha sempre l’impronta umana del momento culturale in cui è stata fatta. Dopodiché si sofferma su una serie di questioni a cui dedica, a nostro avviso, ampio spazio e ciò rivela l’importanza che l’Autore dà a questi temi. Si tratta della musica sacra (pp. 434-442), dell’edificazione delle chiese (pp. 443-447), dell’uso della lingua latina nella liturgia (pp. 453464) e dell’orientamento nella preghiera liturgica (pp. 464-479). Questi aspetti della celebrazione sono considerati non solo storicamente ma anche da un punto di vista teologico-pastorale. Si tratta di argomenti sui quali, pur condividendo le questioni teologiche di fondo, ci si trova talvolta divisi nella prassi esprimendo diverse sensibilità. Rimandando alla lettura delle pagine in questione per conoscere l’opinione dell’Autore su questi argomenti, vorrei soltanto fare qualche rilievo ancora sull’orientamento dell’orante nella preghiera liturgica. A p. 464 viene riportata l’opinione di J. Ratzinger: «La preghiera verso oriente fu considerata nella Chiesa antica una Tradizione apostolica. Benché non si possa datare con certezza l’inizio di questo cambiamento di orientamento, dalla direzione del tempio all’oriente, è comunque certo che esso risale a un’epoca remotissima e che è sempre stato considerato un tratto caratteristico della liturgia cristiana (anche nella preghiera privata). […] Pregare rivolti a oriente significa andare incontro a Cristo che viene». Al riguardo, la Congregazione per il Culto divino in un’Editoriale di Notitiae del 1993 (pp. 245-249) così si esprimeva: «Conviene spiegare chiaramente che la espressione “celebrare rivolti al popolo” non ha un senso teologico, ma solo topografico-posizionale. Ogni celebrazione dell’Eucaristia è ad laudem et gloriam nominis Dei, ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecclesiae suae sanctae. Teologicamente, pertanto la Messa è sempre rivolta a Dio e rivolta al popolo». Stando così le cose, la questione di un orientamento inteso in senso topografico-posizionale, verso cui sembra protendere Gagliardi adducendo anche delle argo-


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mentazioni “teologiche e pastorali” a favore (pp. 475-479), risulta di secondo piano, perché il vero orientamento del pregare cristiano non coincide tout court con il pregare verso l’oriente del mondo e quindi verso quella stella che noi chiamiamo sole, quanto piuttosto verso Cristo, il Sole di giustizia che sorge dall’alto. Mi sento di non condividere la posizione dell’Autore quando considera questi gli argomenti da riconsiderare per condurre in porto la riforma liturgica del Vaticano II (p. 447). A me sembra di poter individuare in altri atteggiamenti la sfida che oggi si pone davanti alla recezione della Sacrosanctum Concilium e della riforma ecclesiale in generale: una certa diffusa disaffezione verso la liturgia e tutto ciò che sa di attinenza al culto e al rito, avvertiti spesso come puro formalismo e vuota esteriorità, il silenzio che è calato su alcune tematiche care alla costituzione liturgica — penso per esempio al tema della liturgia come peculiare momento dell’economia salvifica, per cui essa è culmen et fons, al ruolo dei laici nella liturgia, all’intima connessione tra parola e sacramento che esige una nuova mentalità pastorale —, silenzio che porta inevitabilmente ad una sua recezione formale, a un certo ritorno al tradizionalismo. Come altri documenti conciliari, la Sacrosanctum Concilium può essere ormai superata in alcune sue posizioni, tuttavia il processo di recezione ecclesiale che ha innescato, di certo non ancora concluso, e qui concordo con l’Autore, rimane un cantiere aperto in cui vale la pena di ritornare ad impegnare le proprie energie. Pietro Damiano Scardilli



Synaxis 3 (2011) 295-305

NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO

1. LICENZIATI IN TEOLOGIA MORALE Hanno conseguito la licenza in Teologia morale l’11 febbraio 2011: FISICARO DOMENICO, La maturazione della teologia della pace in Giovanni XXIII. (relatore prof. S. Consoli) BOCCACCIO SEBASTIANO, «Siamo stati battezzati nella sua morte».Il battesimo come esperienza mistica del mistero di Cristo secondo Rm 6,1-5. (relatore prof. A. Gangemi) Il 24 giugno 2011: SIRONI OLINKA, L’amore coniugale alla luce di Deus caritas est. (relatore prof. V. Rocca) CIRINO ANTONELLA, L’etica della solidarietà in alcuni documenti del magistero. L’esempio dei trapianti di organo. (relatore prof. A. Sapuppo) NKUNZIMANA SYLVÈRE, La vita come dono e la procreazione responsabile in Burundi. (relatore prof. C. Lorefice)


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KAYOMBO BERNARD KASIAN, The small Christian Community. With reference to the Association members of Episcopal Conferences of Eastern Africa (AMECEA) from 1976-2005. (relatore prof. J.A. Kudielumuka) MAPELA MOSES ALEX, Family, an ideal school of morals: afro-christian approach. From Vatican II Ecumenical Council to the present in the documents of Tanzania Episcopal Conference. (relatore prof. C. Lorefice) RACITI DANIELE, Il concetto di salute: implicazioni teologico-morali. (relatore prof. M. Cascone) Il 7 ottobre 2011: HARERIMANASÈBASTIEN, L’atto coniugale nelle catechesi generali di Giovanni Paolo II sull’amore umano dal 1979 al 1984. (relatore prof. C. Lorefice) FRANZONE LETIZIA, La preghiera di Gesù e dei discepoli nel Vangelo di Luca. (relatore prof. A. Gangemi) PLATANIA AGATA, «Il discepolo che Gesù amava». Emblema e modello del discepolo ideale nel Vangelo di Giovanni. (relatore prof. A. Gangemi) VECCHIO CATERINA, «Amerai il Signore tuo Dio [...]Amerai il prossimo tuo [...]». (Mt 22,37; Mc 12,29-30,33; Lc 10,25-29). L’amore di Dio e l’amore del prossimo nella tradizione biblica dell’AT e del NT. (relatore prof. A. Gangemi) 2. BACCELLIERI IN TEOLOGIA Hanno conseguito la il Baccalaureato in Teologia l’11 febbraio 2011:


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FRANCHINA MARIA CONCETTA, Creatore del cielo e della terra… Le riflessioni del professor Enrico Medi sulle origini dell’universo (relatore prof. G. Buccellato) ANFUSO ANGELO FRANCESCO, Bellezza del creato, bellezza di Dio. Il concetto di tôb e jäpeh nel racconto della creazione e nella rilettura sapienziale. (relatore prof. C. Raspa) DONATO GIOVANNI, Il significato teologico-morale del lavoro. Nella Gaudium et spes e nelle encicliche sociali postconciliari. (relatore prof. S. Consoli) D’AQUINO MARGHERITA, Fedeltà a Dio e ai fratelli. L’esperienza di fratel Christophe Lebreton consegnata al suo Diario (relatore prof. G.A. Neglia) LO GIOCO VALERIA, La figura di Melchisedeq nella lettera agli Ebrei. Alla luce anche di Gen 14,18-20 e del Sal 110 (109), 4. (relatore prof. A. Gangemi) VETRO GIUSY, L’incontro tra Gesù e la donna samaritana in Gv 4,1-42. (relatore prof. A. Gangemi) SANGUEDOLCE ITALO, Giovanni Bosco e Alfonso Maria de’ Liguori. Influssi teologici, spirituali e pastorali del celeste Patrono dei confessori e moralisti sulla vita e sull’opera del santo educatore torinese. (relatore prof. G. Buccellato) GIUFFRIDA SALVATORE, Il matrimonio canonico alla luce dei discorsi di Giovanni Paolo II al Tribunale della Rota Romana. (relatore prof. G. Giombanco ) BALSAMO ROSARIO, La partecipazione del fedele laico al Munus sanctificandi nel Codice di Diritto Canonico del 1983. (relatore prof. G. Giombanco)


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BELLIA ELISA, «La tunica era senza cuciture» (Gv 19,23). La spartizione delle vesti e la tunica non scissa. Analisi esegetico-teologica di Gv 19,23-24. (relatore prof. A. Gangemi) RAVACI ELISA, Le sette chiese dell’Apocalisse tra il Signore risorto e la Gerusalemme celeste. I sette titoli cristologici e i sette premi promessi alle sette chiese dell’Apocalisse (capp. 1-2). (relatore prof. A. Gangemi) CILIA CARLO, Lanfranco di Pavia e Berengario di Tours nella questione eucaristica. (relatore prof. A. Crimaldi) MUCCIO DAVIDE, Creazione, Rivelazione e Redenzione in Franz Rosenzweig. (relatore prof. A. Crimaldi) AREZZO DI TRIFILETTI MARIA ELVIRA, Il rapporto dell’uomo con Dio in Simon Weil. (relatore prof. A. Crimaldi) Il 24 giugno 2011: CASCONE GIOVANNI, La Diaconia di Gesù nel Nuovo Testamento. Riflessioni esegetico-teologiche su Mt 20,20-28; Mc 10,35-45; (cfr. Lc 22,24-27) e Fil 2,6-11. (relatore prof. A. Gangemi) GARCIA REYES JOSÈ ELVY, Pace e nonviolenza nelle Omelie del vescovo O. A. Romero. Rilettura del Vangelo per superare lo “status” del Salvador. (relatore prof. S. Consoli) ANASTASI G. LAURETANA, L’esperienza artistica della diocesi di Acireale dopo il terremoto del 1693: possibili letture teologiche. (relatore prof. G. Zito)


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TODERO ROCCO, La chiesa Gesù Redentore a Scordia. Progettazione e costruzione di una chiesa dopo il Concilio tra arte pastorale e liturgia. (relatore prof. G. Federico) SCOLLO GUIDO, L’evento della lacrimazione di Maria nel magistero degli arcivescovi di Siracusa (1953-1989). (relatore prof. N. Capizzi) DI MARTINO GABRIELE, Cristo evolutore e Cristo parusiaco nell’epistemologia di Pierre Teilhard de Chardin. Studio di antropologia teologica. (relatore prof. F. Brancato) CAPPUCCIO FLAVIO, Il Sinodo diocesano di Siracusa del 1938. (relatore prof. G. Zito) COPPOLINO ANNA, La grande moltitudine che non si può contare canta la sua salvezza. Analisi esegetico-teologica di Ap 7,9-17. (relatore prof. A. Gangemi) RIVERA CUADRADO IVAN DARIO, La Chiesa “Corpo mistico di Cristo” nella teologia paolina. (relatore prof. A. Gangemi) Il 7 ottobre 2011: AGATI ALBERTO, La povertà del presbitero nella povertà della Chiesa. (relatore prof. N. Capizzi) MONTAGNO CAPPUCCINELLO LUCIA, Osea il profeta dell’amore. Analisi letteraria dei brani 2,18-25 e 11,1.11. (relatore prof. D. Candido)


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FIDONE ARMANDO, L’antropologia teologica nel Corso Fondamentale sulla fede di Karl Rahner. (relatore prof. S. Raciti) SAVARINO MANLIO, «Gioco» di Dio, «gioco» degli uomini. La Trinità come forma di vita nel pensiero di Klaus Hemmerle alla luce del carisma dell’unità. (relatore prof. N. Capizzi) GAROFALO ANTONINO, L’adeguamento liturgico: una necessità! Analisi di adeguamenti nelle chiese della diocesi di Noto. (relatore prof. G. Federico) AVOLA ROBERTO, L’attualità del sistema preventivo di don Bosco nella formazione alla vita cristiana. (relatore prof. C. Lorefice ) GUARRERA MAURIZIO, I diritti dell’uomo nell’insegnamento sociale della Chiesa. (relatore prof. V. Rocca) ROCCASALVO GIOVANNI, L’enciclica Pacem in terris. Attualità e profezia del messaggio di papa Giovanni XXIII. (relatore prof. C. Lorefice) PULVIRENTI MARIO, La devozione mariana nella diocesi di Acireale. Alcuni interventi dei pastori acesi sui maggiori santuari diocesani. (relatore prof. S. Consoli) LA MENDOLA GABRIELLA, «Voi sarete per me un regno di sacerdoti». Proposte e prospettive a partire dal Vaticano II. (relatore prof. G.A. Neglia) 3. PRESENTAZIONE DELL’OPERA DI J. RATZINGER Martedì 15 febbraio 2011, presso l’Auditorium Giancarlo De Carlo del Monastero dei Benedettini di Catania, in collaborazione con lo


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Studio Teologico S. Paolo, la Libreria Editrice Vaticana e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, si è svolto il Colloquio su Cultura e religione – L’Opera di Joseph Ratzinger. Moderati da Luigi Rinsisvalle, Vice Segretario Nazionale FNSI, sono intervenuti: Giuseppe Pezzino, dell’Università di Catania; Francesco Brancato dello Studio Teologico S. Paolo; Dario Antiseri della LUISS di Roma; Armando Torno del Corriere della Sera. 4. DISPUTATIO Giovedì 24 febbraio 2011 si è tenuto l’atto conclusivo della Disputatio su Valutazione attuale della Lumen gentium, guidati da Hervé Legrand, dell’Institut Catholique Paris. All’incontro hanno partecipato docenti e alunni dello Studio Teologico S. Paolo che si sono confrontati in gruppi di Studio e in aula sui molteplici aspetti del tema. 5. PRESENTAZIONE VOLUME Giovedì 24 febbraio 2011 si è tenuta, presso lo Studio Teologico S. Paolo, la presentazione del Dizionario di Ecclesiologia, a cura di Gianfranco Calabrese — Philip Goyret — Orazio Francesco Piazza. Presente Donato Falmi, direttore editoriale di Città Nuova, moderati da Nunzio Capizzi, dello Studio Teologico S. Paolo, sono intervenuti: Hervé Legrand dell’Institut Catholique Paris; Orazio Francesco Piazza della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. 6. SEMINARIO INTERDISCIPLINARE Venerdì 1 aprile 2011 si è tenuto, presso lo Studio Teologico S. Paolo, il 1° dei quattro Seminari interdisciplinari su: Memoria conciliare: le scelte del Vaticano II. Il Seminario di quest’anno aveva per tema: Nodi emergenti di alcuni temi della Costituzione Conciliare Lumen gentium. Ha visto gli interventi dei docenti del S. Paolo: Francesco Conigliaro, “I nodi dell’autorità della Chiesa”; Salvatore Millesoli, “I laici nella Chiesa”; Egidio Palumbo, “La vita consacrata


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nella Chiesa. Dinamismi e prospettive”; Nunzio Capizzi, “Gesù e la Chiesa”; Dionisio Candido, “Maria, nel mistero di Cristo e della Chiesa”; Adolfo Longhitano, “Chiesa universale – Chiesa locale”. Moderatore è stato Corrado Lorefice. 7. PRESENTAZIONE VOLUME DI J. RATZINGER-BENEDETTO XVI Mercoledì 13 aprile 2011, presso la “Tenda di Ulisse” (Catania), in collaborazione fra lo Studio Teologico S. Paolo e la Missione ChiesaMondo, Sua Eccellenza Mons. Mariano Crociata, Segretario della CEI, ha presentato alla città di Catania il volume Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. 8. SERVIZIO DI BIOETICA Sabato 7 maggio 2011, a cura del Servizio di bioetica “Dr. Angelo Cafaro”, si è tenuto presso i locali dello Studio Teologico S. Paolo, il 1° di una serie di incontri su Impegno informativo di antropologia ed etica sanitaria. L’incontro ha messo in evidenza la “Metodologia clinica tra diritto e scienza”. Sono intervenuti, moderati da Gaetano Zito, Preside dello Studio Teologico S. Paolo: Antonino Crimaldi, “L’etica medica e l’etica cattolica”; Santo Fortunato, “Il tumore cerebrale e il senso critico. Il caso di Valerio”; Carlo Pennisi, “Percezione del diritto nella società”; Antonio Sapuppo “Coscienza dell’applicazione scientifica”; Domenico Grimaldi, “Il coordinamento diagnostico e terapeutico del Medico di Medicina generale”. 9. CONVEGNO DI STUDI Il 10 e l’11 maggio 2011 si è svolto, presso il Coro di notte del Monastero dei Benedettini di Catania sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi, in collaborazione con il CeSIFeR, lo Studio Teologico S. Paolo e l’Università degli Studi, il Convegno di studi su La preghiera, manifestazione e/o fattore di identità. Sono intervenuti docenti dello Studio e dell’Università: Teresa Sardella, Giuseppe Ruggieri, Francesco Aleo, Maurizio Aliotta, Rossana


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Barcellona, Carmelo Crimi, Franco Migliorino, Sergio Cristaldi, Roberto Osculati, Antonio Crimaldi, Grazia Pulvirenti, Luca Saraceno, Antonio Sichera, Arianna Rotondo, Rosa Maria Monastra, Giuseppe Dolei. 10. PRESENTAZIONE VOLUME Giovedì 12 maggio 2011 si è tenuta presso il Salone di rappresentanza del Palazzo Comunale di Caltagirone, la presentazione del volume di Francesco Brancato L’ombra delle realtà future. Escatologia e arte. Presente l’autore, sono intervenuti, moderati da Giuseppe Schillaci, dello Studio Teologico S. Paolo: Giovanni Ancona, della Pontificia Università Urbaniana di Roma, Franco Rella, dell’Università IUAV di Venezia. 11. CONVEGNO DI STUDI Il 18 e 19 maggio 2011 si è svolto presso l’Auditorium Giancarlo De Carlo del Monastero dei Benedettini di Catania sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi, in collaborazione tra lo Studio Teologico S. Paolo e la stessa Facoltà, il Convegno di studi su Comunicazione e linguaggi. Sono intervenuti: Virgilio Melchiorre, dell’Università Cattolica del S. Cuore; Rosaria Sardo, dell’Università degli Studi di Catania; Antonio Caramagno, dell’Università degli Studi di Catania; Massimo Vittorio, dell’Università degli Studi di Catania; Giuseppe Ruggieri dello Studio Teologico S. Paolo; Nunzio Capizzi dello Studio Teologico S. Paolo; Andrea Grillo, del Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma; Arianna Rotondo, dell’Università degli Studi di Catania; Fernando Gioviale, dell’Università degli Studi di Catania. 12. SERVIZIO DI BIOETICA Sabato 9 luglio 2011 si è tenuto presso i locali dello Studio Teologico S. Paolo il 2° degli incontri programmati dal Servizio di bioetica “Dr. Angelo Cafaro”, su Probabilità e utilità, consulenza e consiglio. Sono intervenuti: Sergio Pintaudi, “Il caso clinico: probabi-


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lità e utilità nella decisione medica”; Maria Scuderi, “Probabilità e utilità nella ricerca sociale”; Antonio Crimaldi, “Il percorso antropologico del convincimento”; Salvo Amato, “Il medico di medicina generale e la responsabilità del consiglio”; Antonio Sapuppo, “Il consiglio nella spiritualità”. 13. NECROLOGIO Il 22 luglio 2011 è tornato alla casa del Padre mons. Antonino Minissale, docente emerito di Sacra Scrittura dello Studio Teologico S. Paolo. Uomo dedito allo studio della Parola, raffinato esegeta, la cui professionalità è stata riconosciuta a livello internazionale. A queste qualità intellettuali univa un profondo calore umano e la meraviglia estatica per la vita nella sua bellezza, ciò che lo ha condotto a percorrere il cammino affascinante del dialogo tra la teologia e la cultura odierna 14. NOMINA EPISCOPALE In data 26 luglio 2011, Benedetto XVI ha nominato vescovo di Acireale ANTONINO RASPANTI del clero della Diocesi di Trapani. Già Vicepreside e poi Preside della Facoltà Teologica di Sicilia, entra ora a pieno titolo della realtà del S. Paolo, in quanto vescovo di una delle diocesi dello Studio. Il benvenuto si accompagna alla certezza che lo Studio Teologico potrà ampiamente beneficiare della sua competenza nella vita accademica, acquisita negli anni del servizio alla Facoltà Teologica e della collaborazione con la Congregazione per l’Educazione Cattolica. 15. INAUGURAZIONE ANNO ACCADEMICO Venerdì 28 ottobre 2011 si è tenuta l’inaugurazione del 43° anno accademico dello Studio Teologico S. Paolo. La mattina si è svolto il consueto incontro tra la Presidenza, i Docenti, i Rettori dei seminari e i Vescovi delle Chiese che aderiscono al S. Paolo.


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Il pomeriggio, alla solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo di Noto, Antonio Staglianò, sono seguiti: il saluto del Moderatore dello Studio, l’Arcivescovo Salvatore Gristina: la relazione del Preside. mons. Gaetano Zito e la prolusione accademica su Le provocazioni inascoltate della Gaudium et spes, tenuta da Severino Dianich, docente emerito della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. 16. SERVIZIO DI BIOETICA Sabato 26 novembre 2011 si è tenuto presso i locali dello Studio Teologico S. Paolo il 3° incontro curato dal Servizio di bioetica “Dr. Angelo Cafaro”, su Giustizia e Beneficenza. La dialettica tra due dei quattro principi della bioetica all’interno delle azioni sanitarie. Sono intervenuti: Salvatore Castorina, “Soccorso medico e migranti senza diritti”; Angelo Costanzo, “La colpevolezza nella natura umana”; Vittorio Rocca, “Le categorie morali e il limite della loro singolarità”.



INDICE

SOMMARIO

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Sezione Teologica LA RICEZIONE ECCLESIOLOGICA DELLA LUMEN GENTIUM (Hervé Legrand) . . . . . . . . 1. La ricezione indiretta della Lumen Gentium nella prospettiva dei documenti che essa ha influenzato in quanto Costituzione perno del . . . . . . . . Vaticano II 1.1. La felice ricezione dei temi della Lumen Gentium attraverso quella dei documenti conciliari che l’esplicitano . . 1.1.1. Lumen Gentium 15 e Unitatis Redintegratio: l’ecumenismo 1.1.2. Lumen Gentium 6 e Nostra Aetate: il dialogo interreligioso 1.1.3. Lumen Gentium 16 e le relazioni con il popolo ebraico . 1.2. Alcune ricezioni relativamente infruttuose della Lumen Gentium attraverso quella dei documenti che ha influenzato . . 1.2.1. Lumen Gentium 28 e 29 e Presbyterorum Ordinis: Presbiteri e diaconi . . . . . . 1.2.2. Lumen Gentium 2 e 4 e Apostolicam Actuositatem: popolo di Dio e laicato . . . . . . 1.2.3. Lumen Gentium 6 e Optatam Totius: la vita religiosa . 1.3. Un primo bilancio della ricezione indiretta della Lumen Gentium 2. La ricezione diretta della Lumen Gentium e i suoi criteri teologici propri . . . . . . . . . 2.1. La ricezione come realtà tradizionale nella vita della chiesa .

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2.2. Tre momenti richiesti nella ricezione dei testi conciliari 2.2.1. Un primo atteggiamento di ascolto . . . 2.2.2. L’importanza delle strutture di enunciazione per riconoscere le correzioni di traiettoria dottrinale nella ricezione 2.2.3. Non commentare mai il testo senza prima averlo letto personalmente . . . . . . 2.2.3.1. Primo esempio: Lumen Gentium ha insegnato che si deve comprendere la Chiesa come sacramento fondamentale? . . . . . 2.2.3.2. Un secondo esempio: Lumen Gentium può essere compresa senza il riferimento alle fonti? . . 2.2.3.3. Un terzo esempio: nessuna opinione di un esperto, anche se molto diffusa, non può prevalere sui testi stessi . . . . . . 3. La ricezione dell’intento centrale della Lumen Gentium: la collegialità episcopale e le sue correlazioni nella teologia della Chiesa locale e delle Chiese particolari . . . . . . 3.1. Determinazione dei criteri ermeneutici propri della Lumen Gentium . . . . . . . . 3.1.1. La Lumen Gentium va compresa a partire dal suo intento: completare il Vaticano I e riorientare la sua ricezione . 3.1.2. La Lumen Gentium completa il Vaticano I e vuole restituire all’episcopato il suo vero posto nella Chiesa . 3.1.3. Portata criteriologica di questi complementi correttivi delle traiettorie recenti . . . . . . 3.2. La ricezione del cap. III della Lumen Gentium attraverso i documenti canonici e i testi di tipo disciplinare che la giustificano 3.2.1. La ricezione della Lumen Gentium nel diritto canonico 3.2.1.1. Il Codice del 1983 . . . . . 3.2.1.2. Il Codice dei canoni delle chiese orientali (1990) 3.2.2. In seguito alla Communionis Notio (1992), una serie di documenti soprattutto disciplinari hanno posto dei limiti alla rivalorizzazione dell’episcopato e delle Chiese locali 3.2.2.1. Gli enunciati della Communionis Notio . . 3.2.2.2. Apostolos suos (1998): sottovalutazione del modesto statuto dell’episcopato e delle conferenze episcopali . . . . . .

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3.2.2.3. Limitazione della parola dei sinodi diocesani (1997) 3.2.2.4. Valutazioni sussidiarie della ricezione della Lumen Gentium 3 . . . . . . Conclusione generale . . . . . . .

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COLLOQUIO SU CULTURA E RELIGIONE: L’OPERA DI J. RATZINGER (Francesco Aleo) . . . . . . .

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LA LAICITÀ ED IL PRIMATO DELLA COSCIENZA. QUALI CONTRIBUTI ALLA STORIA DELLA CULTURA EUROPEA: IL PUNTO DI VISTA DI J. RATZINGER (Dario Antiseri) . . . . . . . .

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IL PENSIERO TEOLOGICO DI J. RATZINGER. LINEE FONDAMENTALI (Francesco Brancato) . . . . . . . Introduzione . . . . . . . . 1. Cristologia . . . . . . . . 2. Ecclesiologia . . . . . . . . 3. Escatologia . . . . . . . . 4. Teologia della liturgia . . . . . . . 5. Fede e ragione, teologia e scienze . . . . . Conclusione . . . . . . . .

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VERITÀ E COSCIENZA IN J. RATZINGER (Giuseppe Pezzino) . . . .

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LA PROSPETTIVA PERSONALISTICA DI GIOVANNI PAOLO II NELLA GIURISPRUDENZA ROTALE (Salvatore Bucolo) . . . . . . . . 1. La persona tra lo ius connubii (can. 1058) e l’incapacitas matrimonii contrahendi (can. 1095) . . . . . . 2. Favor matrimonii o favor personae ? (can. 1060) . . . 3. L’immaturità in rapporto con la nullità del matrimonio (can. 1095) 4. Il vizio dell’error nel consenso matrimoniale e il concetto di persona (can. 1097) . . . . . . . .

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5. L’assenza di volontà matrimoniale nella simulazione (can. 1101) . 6. La sessualità nella relazione interpersonale della vita coniugale (can. 1061 § 1) . . . . . . . . Conclusione . . . . . . . .

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Sezione miscellanea IL CAN. F. RUSSO (1829-1890), LE SACRAMENTINE (1888-1896) E LA PRESENZA A PALERMO DELLE RELIGIOSE DELLA ADORAZIONE PERPETUA (1896-1912) (Mario Torcivia) . . . . . . . . 1. Il can. Francesco Russo. Breve biografia . . . . 2. Le Suore della perpetua adorazione del SS. Sacramento (1888-1896) e la presenza delle Religiose dell’Adorazione Perpetua a Palermo (1896-1912) . . . . . . . . 3. L’arrivo a Palermo della Compagnia delle Figlie di S. Angela Merici L’ARCHITETTO GIOVAN BATTISTA CONTINI A CATANIA (Salvatore Maria Calogero) . . . . . . Appendice documentaria . . . . .

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UNA RIVISTA INGIUSTAMENTE NEGLETTA. LA SICILIA SACRA DI MONS. BOGLINO: INDICI (Gaetano Nicastro) . . . . . . . . 1. Indice per Autori . . . . . . . 2. Movimento intellettuale del clero siciliano . . . . 3. Cronaca della Chiesa siciliana . . . . . 4. Indice per soggetti . . . . . . .

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LA TEOLOGIA NEL TEMPO DELL’EVOLUZIONE. A 150 ANNI DA L’ORIGINE DELLE SPECIE. NOTE A MARGINE DEL XX CORSO DI AGGIORNAMENTO PER DOCENTI DI TEOLOGIA (Francesco Brancato) . . . . . . .

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ETICA E MORALE IN PAUL RICOEUR (Enrico Piscione) . . . .

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Note

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Indice Introduzione . . 1. La prospettiva etica . 2. Il punto di vista morale Conclusione . .

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Presentazione

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Recensioni .

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