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mente, con lettere e suppliche, chiesi di non approvare gli atti di quella visita o, almeno, di sottoporli prima ad un'attenta revisione. Alla fine, nel 1757, morì il vescovo Pietro Galletti. Durante il periodo di sede vacante la Chiesa di Catania subì le perdite e i danni maggiori. Come ho già indicato nelle mie lettere al Sommo Pontefice, fu spogliata delle proprietà e delle amplissime giurisdizioni di cui godeva, e cioè la contea di Mascali, che i vescovi avevano posseduto da sette secoli, e la dogana di Catania, di cui aveva il godimento. Frattanto fui nominalo vescovo di Catania io. Vi confesso, o Eminentissimi Padri, che si trattò di una decisione presa da parte mia con eccessiva disinvoltura e temerarietà, le mie deboli forze non mi permisero di valutare la reale natura delle cose e la gravità della situazione. A me, che risiedevo a Palermo, molte cose erano sconosciute, altre non le avrei mai potute credere o immaginare. Perché non sembri che io vada cercando scuse per i miei errori, confesso ancora una volta candidamente che ho sbagliato, e che mi sono gettato incautamente fra i. flutti di un mare in tempesta. Dopo essere stato consacrato con rito solenne a Roma, il 27 dicembre dello stesso anno, di ritorno mi fermai a Napoli dove, avendo esposto senza reticenze a Carlo, principe dall'animo molto religioso, le miserie allora conosciute del gregge affidatomi e il danno inferto alla Chiesa, egli mi promise la sua assistenza e il suo aiuto. Giunsi infine a Catania. Ora vi metterò al corrente delle attività che ho svolto. Per frenare la licenza di una moltitudine di sacerdoti, istruire la· loro ignoranza, spronare la loro pig1izia, era necessario iniziare, con
animo aperto e coraggioso, un lungo e paziente lavoro. A dire il vero da tutto questo non si poteva sperare un miglioramento o un risultato positivo [J3r] e perciò, per risanare la situazione, ritenni che bisognava tentare con urgenza due 1imedi: primo formare con cura i giovani per favorire il sorgere di vocazioni allo stato ecclesiastico, educarli sapientemente per preparare in breve un nuovo clero più santo e più creativo, che sostituisse gli anziani man n1ano che venivano 1neno;
secondo conferire ai più preparati, dopo un regolare concorso e un severo esame, le dignità e i benefici i quali, per guanto modesti per rendite sono tuttavia innumerevoli; in tal modo era possibile spronare
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gli animi di tutti alla virtù e alla dottrina con la sperama di ottenere i premi stabiliti. Quanto al primo punto, ho già ottenuto grandi 1isultati e spero di raggiungerne di maggiori in futuro. Il seminario dei chierici ha assunto una nuova fisionomia: dopo aver invitato da Palermo e da altre città d'Italia i professori e i maestri, affrontando a tale fine non poche spese, ho istituito 6 cattedre: di teologia dogmatica, di teologia morale, di filosofia, di geometria, di sacra eloquenza, di lettere latille e greche. Come rettore del seminario ho nominato un uomo nobile e tenace promotore della disciplina più severa, al quale ho conferito, meritatamente, una dignità nel capitolo della cattedrale. Di recente ho designato un censore dei costumi e un altro a cui ho affidato la responsabilità della cura delle anime e degli esercizi di pietà. Ho disposto camerate separate per i chierici delle di verse età, tutte sottoposte alla vigilanza dei sorveglianti e degli incaricati. La cappella del seminario è frequentata ogni giorno per le pratiche di pietà quotidiane: le preghiere comuni, la meditazione mattutina, l'esan1e serale suJ giorno trascorso, la recita comunitaria dei salmi per i chierici maggiori. Ogni settimana si insegna il catechismo; ogni mese, per un intero giorno, sospeso lo studio ci si dedica agli e.,ercizi di pietà. Otto giorni l'anno sono dedicati agli esercizi spirituali e i giovani, inoltre, sono istruiti nei riti sacri e nel canto. Spesso essi dimostrano i loro progressi nello studi o con la pubblica discussione di tesi prestabilite e con scritti messi a disposizione di tutti. Fin· dall'inizio di questo nuovo corso ho stabilito la norma [l3v) che vieta il conferimento degli ordini sacri e della stessa tonsura a chi non venga giudicato idoneo in sen1inario o non vi abbia trascorso non solo un breve periodo per ricevere gli ordini, ma l'intero corso di dieci anni. In tal modo si ha la possibilità di vagliare attentamente le capacità intellettuali e il comportamento dei candidali. Ogni anno, dopo uno scrupoloso esan1e, vengono conferiti i singoli ordini minori; per gli ordini maggiori si osservano gli interstizi prescritti; l'ordinazione sacerdotale si dà dopo il completamento di tutto il corso teologico. Queste condizioni, a prima vista, potrebbero sembrare troppo severe; ma poiché la diocesi non ha bisogno tanto di sacerdoti, quanto
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di ministri dotti e ineprensibili, ho tenuto fermo questo proposito e non mi sono mai lasciato distogliere da preghiere e raccomandazioni. Con la stessa fermezza d'animo ho sopportato o non ho preso in considerazione i fastidi che mi hanno procurato gli antichi superiori, ai quali il vescovo Galletti tutto aveva permesso. Alla fine i miei voti si sono realizzati e in questo momento vivono in seminario 80 alunni esemplari e di buona indole, che mi fanno ben sperare sulla riforma dell'infelice diocesi. Infatti con gli edifici è cresciuto anche il numero degli alunni e, poiché i locali erano molto angusti, ho fatto costruire ambienti più ampi, che abbiamo anche cercato di rendere più belli. Sto predisponendo una nuova tassa sui benefici, considerato che quella esistente, come ho già detto, era caduta in disuso. Con la nostra presenza, con le eso1tazioni, con i premi ci sforziamo di incoraggiare i giovani studenti e di spronare gli educatori con sollecitudine e amore. Si dà il caso che [o possa disporre opportunamente anche di un collegio per l'educazione dei nobili, che il noto Mario Cutelli, nel suo testamento, volle fondare a Catania affidandone la direzione e l'am1ninistrazione al vescovo. Ho iniziato con entusiasmo a realizzare quest'opera, che era stata dimenticata, e ho fatto di tutto per rendere funzionale il collegio entro breve tempo. Sarei già riuscito nel mio intento se il senato catanese (che avrebbe dovuto incoraggiare i nostri tentativi) non avesse frapposto ostacoli e difficoltà. La controversia lunga e spiacevole è stata chiusa finalmente [l4r], dopo lre anni, con la sentenza di un giud[ce imparziale, confermata dall'autorità regia, che mi ha fatto pervenire l'autorizzazione a continuare il lavoro di istituzione e di apertura di questo collegio, che quanto prima sarà avv[ato con grande vantaggio della società religiosa e civile. Mi riproponevo anche di riordinare e riformare l'università degli stndi di Catania, che è l'unica accademia esistente in Sicilia. Re Carlo sollecitava un'opera così benemerita, che tutti ardentemente desideravano e che era stata affidata al segretario Gaetano Brancone; pertanto sono stato obbligato a impiegare non poca fatica per formulare le norme e predispmTe questo lavoro. Ma, dopo la paitenza di Re Carlo per la sua elevazione al trono di Spagna e la morte di Brancone.
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è venuta meno la speranza di riformare l'università e di promuovere lo studio dei giovani siciliani. Non ho trascurato di realizzare l'altro progetto che, fin dall'inizio, ho ritenuto valido per risollevare le sorti dell'infelicissima diocesi, cioè conferire gli uffici e i benefici solamente a coloro che fossero risultali i più idonei e i più preparati per aver partecipato ad un concorso ed aver superato l'esame. I membri di alcuni capitoli di canonici si opposero alla realizzazione di un così salutare proposito, volendo difendere il privilegio, accordato dal vescovo Galletti, di presentare per ogni prebenda vacante tre candidati, in modo che solo fra questi tre nomi i I vescovo potesse operare la sua scelta. Proprio in forza di questa consuetudine, erano stati scartati i più degni per offrire le prebende ai parenti, agli amici, ai compari, persone per lo più malviste per la loro cattiva condotta o inconcludenti per la loro ignoranza. Ritenendo di non poter più tollerare questa situazione e convinto che i vescovi non possono concedere privilegi, che costituiscono un pregiudizio per i loro successori e un decadimento della disciplina, ho fatto sapere a tutti che in futuro non avrei più accettato alcuna presentazione, a meno che non venisse fatta da coloro che godevano di un vero e proprio diritto di patronato. I canonici di Adrano presentarono contro di me un ricorso al tribunale della regia monarchia. Quando questo ricorso fu respinto, i canonici di Acireale iniziarono una controversia per difendere il diritto alla presentazione con maggiore impegno e ostinazione [l4vJ, come se combattessero per le cose più care che avevano. Gli altri capitoli, che godono dello stesso diritto, sembrano attendere l'esito di questa causa (che è ancora pendente). Se riuscirò ad ottenere la libera collazione degli uffici e dei benefici non si correrà più il rischio di ottenerli attraverso favoritismi e somme di danaro e non dovrò più sopportare l'ingerenza dei potenti: essi saranno conferiti ai ministri che, dopo un attento esame del comportamento e della preparazione dottrinale, saranno riconosciuti idonei a riformare i costumi dei fedeli. Ma, poiché questi provvedimenti riguardano il futuro e solo in prospettiva possono far intravedere una riforma, era necessario portare rimedio ai mali presenti e non trascurare, per disperazione, quella moltitudine di sacerdoti che era frutto del caos degli anni passati. Vo-
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!endo, in qualche modo, risolvere questo problema e avviare una certa disciplina, pensai di promuovere riunioni nelle quali discutere le leggi che regolano il comportamento umano e cristiano, i sacri riti e le cerimonie ecclesiastiche. In un apposito editto stabilii il metodo di qneste riunioni, il giorno, l'ora, il luogo, i responsabili e gli argomenti da trattare; ordinai a tutti i presbiteri di riunirsi ogni settimana e di discutere insieme su tre questioni prestabilite, oppure di ascoltare coloro che le trattavano. A Catania si tengono sette di questi incontri ai quali, spesso, io stesso partecipo e facilmente, con la mia autorità e con il mio esempio, convinco tutti a prendervi parte. Negli altri centri della diocesi, l'impegno di far partecipare agli incontri i sacerdoti è stato più fiacco e tiepido; ma non tralascerò di cercare altri stimoli per far sì che gli animi dei negligenti siano spronati dall'emulazione o dal desiderio di imparare, in modo che a poco a poco si possa colmare la vecchia lacuna del! 'ignoranza. Poiché né le preghiere, né le minacce sono state sufficienti a distogliere i malvagi dai comportamenti peccaminosi e a riportarli sulla retta via [15rJ, sarò costretto a servirmi della vigilanza e a far ricorso alle pene, che dovranno servire non solo per punire le malvagità commesse, ma anche per aiutare i delinquenti a cambiare comportamento e a salvarsi. Infatti, assieme alle frequenti prediche e agli esercizi spirituali ho anche provveduto a predisporre il carcere, perché i malvagi, trattenuti da questi provvedimenti più che dalle catene, si pentano dei loro misfatti e confessino i loro peccati. In mezzo a questi danni e devastazioni ho trovato integra e priva di deviazioni la disciplina delle monache e questo, senza dubbio, non è il frutto dell'impegno umano ma della provvidenza di Dio. Con sommo nostro gaudio abbiamo constatato che i santi monasteri e le badie isolate dal consorzio umano sono ben custodite da venerande norme e da una stretta vigilanza. Ci siamo accorti che queste donne elette conducono una vita povera e rigorosa ma piena di godimenti celesti e combattono una guerra dichiarata e senza tregua contro le comodità e le tentazioni della carne. Poiché solo in 3 di questi monasteri veniva osservata in modo perfetto la regola della vita comune, e cioè in 2 ad Enna e in uno a Piazza, nel corso della visita pastorale
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abbiamo indotto le vergini di altri 4 monasteri alla stessa comunione di vita, che esse con gioia hanno stabilito di accettare e di vivere. Due di questi monasteri si trovano a Regalbuto, il terzo ad Aidone e il quarto ad Assoro. Mi sono anche preoccupato delle condizioni del popolo, soprattutto quando ho notato che i bambini e gli adulti non erano istruiti nelle verità delle fede e non conoscevano né Dio né il divino Salva-tore; poiché i pastori non li istruivano essi si trovavano in una misera condizione di ignoranza delle cose celesti e facilmente sarebbero caduti ancora più in basso. Il mio primo pensiero è stato sempre quello di fugare le tenebre dalla mente degli uomini con la luce della fede, di applicarmi a divulgare gli insegnamenti di Cristo e di istruire i fedeli. Poiché non c'era un compendio della dottrina cristiana, redatto in lingua siciliana, che con metodo facile e idoneo contenesse con buona disposizione i primi elementi della fede che è necessario ed utile conoscere [15vJ (quelli che erano diffusi in Sicilia erano incompleti e scarni), ne ho preparato uno io con un linguaggio semplice e adatto alle persone prive di istruzione: questo ho fatto seguendo le indicazioni e le norme del catechismo del Concilio di Trento, il cui uso è stato raccomandato ai vescovi da Clemente XIII, che in questo momento felicemente presiede la Chiesa cristiana. Ho aggiunto un editto per spronare ad insegnare e i111parare: in esso si raccomandava che lo zelo dei parroci, dei sacerdoti, dei maestri, di tutti i parenti doveva essere ardente e che gli ignoranti e i pigri dovevano essere allontanati dall'Eucaristia, dal sacro crisma, dal matrimonio. Non si può credere con quanto impegno, con quanti consensi, con quanta passione quel decreto sia stato accolto; di quanto zelo di insegnare la dottrina cristiana sia stato infiammato il clero, quanto desiderio di imparare si sia manifestato fra le persone di diversa età, sesso e condizione. Si fa a gara per giungere alle scuole di catechismo, i vicari fanno a gara per sottoporre alla nostra attenzione, con lettere e informazioni, il progresso dei discenti. Stiamo predisponendo l'istituzione di un'associazione che abbia come fine di riunire, in qualsiasi centro abitato, un certo numero di catechisti per moltiplicare le adunanze di bambini e di costituire
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gruppi di sacerdoti che, con sollecitudine costante e tenace, con zelo e competenza, si dedichino ad un'opera così importante. Abbiamo già preparato gli statuti e siamo certi che quest'opera, per una speciale grazia di Dio, apporterà non poco beneficio; spero che in futuro, con il suo aiuto e la sua collaborazione, non ci sarà alcuna regione o villaggio, per quanto sperduto, in cui non risplenda la luce divina della dottrina cristiana. Frattanto, disgustato per la cotTottissima curia vescovile, che non poteva essere considerata il santuario dei giudizi ecclesiastici ma la bottega dei mercanti, fin dall'inizio del mio governo pastorale ho incominciato a rinnovarla e a riformarla. Infatti nei giudizi il vescovo non poteva contare su assessori certi, né era stata fissata una tassa per la redazione degli atti e delle sc1itture; per qualsiasi cosa si chiedevano ingiustificate somme di danaro in proporzione alla cupidigia dei responsabili [l6r]. Il vescovo dava in appalto al cancelliere questa illimitata facoltà di domandare soldi e il cancelliere cercava di ricavare il più possibile nella spedizione degli atti, delle lettere e dei certificati. Per impedire questo vergognoso commercio e per restituire dignità alla cmia scelsi sei giudici assessori, dei quali tre dovevano occuparsi dei processi civili e tre di quelli penali. Al cancelliere e ai suoi collaboratori assegnai uno stipendio e diedi ordine di non chiedere di più di quanto prescrivano le cosiddette tasse innocenziane. Se era richiesta un certificazione scritta, secondo l'uso del municipio, ho disposto che si seguisse la prassi della curia di Ag1igento, che sapevo fosse molto contenuta. Attenendomi alle prescrizioni della legge, ho fatto perdere definitivamente ai monaci la speranza di disfarsi del loro saio; infatti non ho mai reputato di avere immaginari privilegi, né di godere di particolari potestà riguardo ai voti dei religiosi, al di fuori di quelle che sono state concesse dal Concilio di Trento e dai decreti pontifici. Sono riuscito a raggiungere questi risultati impegnandomi nella visita pastorale della diocesi, che da tanto tempo era stata trascurata per inabilità del pastore e perché richiedeva fatica, diligenza e impegno. Infatti erano trascorsi ventiquattro anni da quando i fedeli avevano visto il vescovo ed era stata amministrata la cresima. Iniziata la sacra visita, riuscii a portarla a termine nell'arco di tre anni senza otte-
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nere grandi risultati (devo confessarlo candidamente) sia per la riforma del clero e dei fedeli, sia per l'inventario dei beni ecclesiastici, sia per la difesa dei diritti delle chiese, fino a credere di non aver concluso nulla o quasi. Infatti non potevo fermarmi a lungo nei singoli luoghi (sarebbe stato troppo gravoso per i sacerdoti, considerato che le spese erano a loro carico) né era possibile venire a conoscenza di tutto o por mano a tutto. Molto tempo era richiesto dal conferimento delle cresime ad un'ingente e quasi incredibile moltitudine di persone: per quanto avessi proibito di chiedere questo sacramento per i bambini che non avevano raggiunto i sette anni di età, tuttavia mi furono presentati complessivamente 75.000 persone da cresimare [16v]. Pertanto sto ripetendo la visita della diocesi e per poter fare, dopo maturo esame, ciò che era stato trascurato, fermarmi nei singoli luoghi e nelle parrocchie il tempo necessario a risolvere i problemi più gravi e raccogliere, con l'aiuto di Dio, frutti abbondanti, ho deciso di vivere a mie spese e non con i contributi richiesti al clero. Nessuno deve qualcosa a titolo di imposta, per nessuno la nostra visita sarà motivo di aggravio o di fastidio; non accetto officiali di curia o servitori che non svolgano il loro compito di buon grado e con gioia. In preparazione alla nostra visita ho invialo predicatori seri e preparati, scelti da tutti gli ordini e dalle vicine diocesi, con l'incarico di portare a termine le opere apostoliche chiamate "missioni". Tutto questo volevo riferire a voi, Eminentissimi Padri, sullo stato di questa Chiesa. Dovrei aggiungere molte altre cose e di non poca importanza sulle difficoltà e sui fastidi che mi hanno procurato le autorità civili e i ministri regi. Ma poiché su questo argomento ho inviato da poco, al Santo Padre e Signore nostro, una lettera piena di dolore, di preoccupazioni, di ansie e di angustie, mi sembra più opportuno attendere una sua risposta piuttosto che nan-are ancora una volta un'iliade di grandi sofferenze. Spetta a voi, o Padri, correggere chi sbaglia, sollevare chi soffre, ammonire chi si dichiara disposto a ubbidire, aiutare con la prudenza, il consiglio e i precetti. Infine prego e supplico Dio, ottimo massimo, perché vi conservi a lungo in buona salute per il bene della Chiesa Apostolica e della società. Piazza, 12 maggio 1762
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Eminentissimi Padri della Congregazione del Concilio, Roma Umilissimo e obbedientissimo servo Salvatore Ventimiglia, vescovo di Catania [22r] Catanen. Vis. Lim. Ventimiglia li ritardo della relazione non si rileva, perché si cita da Monsignor Vescovo per accordato dalla Clemenza di Nostro Signore. La riflessione che fa Monsignor Vescovo sopra l'abuso che eone in alcuni luoghi della sua Diocesi, dove la moltiplicità de' canonici produce la moltiplicità de' curati tamquam aequam omnes curam animarum hahentes, potrebbe aver luogo quando si verificasse che tutti eodem tempore esercitassero egualmente la cura, laddove se la cosa succedesse per turno, non ripugna che tutti i canonici abbiano la cura abituale, purché da ciascuno si eseciti ne' suoi dati tempi. Sarebbe dunque necessario che Monsignor Vescovo spiegasse meglio il caso proposto, oppure volendo procedere a qualche sollecito rimedio, conviene che si adatti a quelle condizioni che al ius canonicum non si oppongono. Se dunque la cura abituale fosse addetta ai canonici e l'attuale si esercitasse da ciascheduno per turno, quando anche questo pregiudicasse al buon [22v] servizio de' parrocchiani, potrebbe Monsignor Vescovo trattarne l'accomodamento con lo stesso Capitolo e determinarne qualche innovazione de consensu Capituli. Che se poi l'affare fosse diversamente introdotto cosicché l'attuale cura istessa eodem tempore da ognuno de' canonici egualmente si amministrasse, allora e in questo solo caso potrà Monsignor Vescovo provvedere secondo quello che crederà più opportuno. Perché Monsignor Vescovo possa riscuotere una santa consolazione dal sentire buona opinione di quelli che, ritirati dal mondo si riducono a far vita ne' romitori, sarebbe cosa utile che avesse in vista quelle ottime disposizioni ordinate già nel Concilio Romano dalla santa memoria di Benedetto XllI, a cui fu specialmente a cuore il prevedere di alcune regole pur troppo necessarie a chi vive troppo lontano dagl'occhi de' Superiori Ecclesiastici. Manca la relazione di Monsignor Vescovo in una parte sostanziale, quale è quella del [23r] sinodo. Forse i sudori sin'ora impiegati nel dare nuova forma ad una Diocesi oppressa da tante replicate ro-
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vine, non gli hanno potuto dare un santo ozio da consumare alla convocazione del sinodo; quando però le circostanze di tempo lo permetteranno' spera la Sagra Congregatione sentire ultimato anche questo necessario mezzo con cui sicuramente potrà Monsignor Vescovo dar l'ultima benefica mano al totale ristabilimento di quella sua Diocesi. Quanto ai diversi impegni, ne' quali si trova Monsignor Vescovo per il contrasto della Laica Potestà la S. Congregazione si riporta intieramente a quello che Nostro Signore a dirittura gli ha significato'. Del resto poi si rileva ben giustamente lo zelo instancabile di sì degno Prelato dalla di cui vigilanza, come si vede chiaramente prodotto il gran bene sin'ora portato a quei popoli, così si può attendere continuazione ed incremento in tutto ciò che riguarda la gloria di Dio, il bene della Chiesa ed f23v] il profitto spirituale di quei suoi diocesani. (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO,
Segreteria di Stato, Leuere di Principi,
247, ff. 21 r-27r) [21 r] Santissimo Padre L'obbligo gravissimo, di cui sono incaricato di vegliare alla salute delle anime alla mia cura commesse e di custodire le ragioni e i dritti della mia Chiesa, mi astringe a ricorrere per mezzo di questa umilissima lettera a Vostra Santità ed esporle i molti e gravi disordini, a' quali mi scorgo inabile di riparare, confidando nel paterno clementissimo animo di V. S., che mi accoglierà benignamente e si degnerà illuminarmi e dirigermi, compatendo alle angustie della mia coscienza e regolando co' suoi oracoli la mia condotta. Il primo soggetto di amarezza, che debbo palesare a V. S., è lo spoglio fatto alla mia Chiesa de' due migliori e più importanti fondi
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quando - pennetteranno] ina d'ora in poi scrive e cancella Cod. la - significatol sono stati già tutti in foglio a parte communicati a Mons. Segretario della Sagra Congregazione del Concilio per indi poi aspettare l'esito, scrive e cancella Cod. già noti a N. S. può dirsi a Mons. Vescovo che la Santità Sua possa ..... a quei mezzi che stimo .... all'opportuno rimedio altra correzione Cod. 3
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che possedeva, cioè delle dogane della città di Catania e luoghi adiacenti donate alla medesima Chiesa dal piissimo conte Ruggiero normanno di lei ristoratore e dello stato, città e territorio di Mascali, donato alla stessa Chiesa da Re Ruggiero, figliuolo del conte. Questi due fondi, posseduti per sette secoli da' Vescovi di Catania, furono nello stesso anno 1757 dopo la [2lv] morte del mio predecessore Pietro Galletti e nel tempo della sede vacante, alienati perpetuamente per di due atti di concessioni enfiteutiche fatte dal Tribunale del Real Patrimonio a favore di Sua Maestà; questi atti il Re di Sicilia come amministradore de' beni della Chiesa di Catania per la vacanza del pastore concede perpetuamente a se medesimo e a' suoi successori nel Regno l'uno e l'altro di questi nobilissimi fondi costetuendo un annuo canone, che debba il suo Regio Erario pagare alla Chiesa e Vescovi di Catania, cioè onze 2.800 per Mascali di questa moneta, ed onze 450 per le dogane e trasferendo a se stesso ogni dominio, prerogativa e preeminenza, che sopra ambi due questi cespiti aveano i Vescovi sin ora goduto ed esercitato. Indi il Re medesimo come patrono della Chiesa approva e ratifica l'una e l'altra di queste concessioni. L'irregolarità di questo procedimento e la nuova insolita forma di questi atti ne' quali comprendonsi nella stessa persona il concedente e il concessionario per mezzo de' differenti caratteri, co' quali comparisce, poiché chi amministra, chi concede, chi riceve in suo favore la concessione, chi esamina, chi approva, è sempre sotto di questi titoli lo stesso soggetto. La lesione enormissima della Chiesa per la sproporzione del censo costituito coll'importo annuale, che i due mentovati fondi rendevano alla Chiesa ed oggi rendono al Real Patrimonio, la sollecitudine con cui si proposero, trattarono e conchiusero da' ministri di esso Tribunale le dette concessioni nel tempo sospetto della sede vacante e senza alcun intervento di Autorità Ecclesiastica, il cattivo esempio che venne con ciò ad introdursi di alienare a profitto della Corona i beni delle Chiese in tempo che esse rimangono prive di Pastori che le difendono, tutte queste circostanze e altre molte, che qui tralascio, siccome commossero altamente gl'animi di tutti i buoni contro quei ministri, che abusarono in sì strana guisa del nome ed autorità di un Sovrano religiosissimo come è il Re cattolico Carlo III, allora Re delle due Sicilie, così ne arrivarono a me le universali querele nel
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tempo, che nominato dallo stesso Monarca ad occupar questa Chiesa, era venuto in Roma per esservi consegrato. Giudicai allora mio preciso dovere il ricercare da codesta Sauta Sede Apostolica i lumi e la regola della mia condotta e informare distintamente f22r] di questo affare in voce e in scritto il cardinal Alberico Archinto, Segretario di Stato del Santissimo Pontefice Benedetto XIV, predecessore di V. S., e dal medesimo fui 1imesso con sue lettere all'Arcivescovo di Lepanto, Nunzio Apostolico alla Real Corte di Napoli, di cui dopo varie conferenze fu risoluto che io dovessi ricorrere alla Maestà del Re, per ottenere giustizia alle ragioni della mia Chiesa e non ottenendola ne dessi conto alla Santa Sede. Esposi perciò a quel piissimo Principe in Caserta le mie lagnanze sopra quanto aveano operato in suo nome i ministri di questo Regno e corrispose alle mie speranze la benignità del Sovrano accogliendo con somma pietà le mie istanze e assicurandomi che era lontanissimo dal voler recare pregiudizio alla Chiesa, e vanlaggiare i suoi reali interessi colle facoltà donate da' suoi gloriosi predecessori al santuario.
Avendo poscia avanzate in iscritto le suppliche al suo Real Trono accompagnate dalle prove evidenti del gravissimo danno recato al mio Vescovado dalle due pretese concessioni, uscì il Regio Decreto segnato a 30 gennaro 1759, con cui si commesse la remissione ed esame delle stesse concessioni al Tribunale del Real Patrimonio, acciocchè, ponderate le mie ragioni e quelle del regio fisco, determinar dovesse in giustizia sulla validità di quegl'atti e sulla lesione della mia Chiesa. Or se bene i ministri che compongono quel Tribunale fossero gl'istessi che aveano stipulato gl'atti, de' quali io reclamava, mi accinsi con tutto ciò a trattar la causa avanti ad essi, confidando nell'evidenza manifesta del mio dritto; poicché non alcuna ombra di giustizia o di utilità della Chiesa gli aveva mossi ad alienare i fondi ma solo l'aver creduto di far con ciò cosa grata al Sovrano; né alcuna formalità si era osservata nello alienare, anche di quelle che lo stesso Re avea comandato poco tempo prima di osservarsi nelle enfiteusi de' beni di suo real padronato; e la lesione della Chiesa era già provata con publiche scritture dalle quali apparisce essere i proventi annuali dello stato di
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Mascali e delle dogane assai più del doppio di quanto venne assegnato di canone nelle con- [22v] cessioni. Introdotta pertanto immediatamente la mia petizione, stentai due anni intieri ad ottenere che producesse il fisco le sue eccezioni e prodottele finalmente si arringò da' miei avvocati nel Tribunale e si formò lo scritto per sostenere la invalidità degl'atti e il pregiudizio inferito alla Chiesa. Nulla mancava alla pronta decisione, che già sperava, quando ne' scorsi giorni intesi con gran sorprendimento che i ministri stessi aveano avanzata rappresentanza alla Real Regenza, che oggi governa questi Regni, con esporre che non potevano definir questa pendenza, perché aveano un secondo ordine del Re cattolico, spedito ad essi poco dopo l'altro da me ottenuto, e contrario affatto al medesimo, dal quale venivano impediti a proseguire nella cognizione della mia causa. In questa guisa, Santissimo Padre, dopo quattro anni di fatighe e di considerabilissime spese e dopo due viaggi da me intrapresi a questo oggetto sino alla capitale, ho veduto delusa affatto qualsivoglia speranza di ristorare le perdite sofferte dalla mia Chiesa, che resterà ingiustamente e perpetuamente spogliata de' migliori suoi fondi; e quel che è peggio verrà forse col tempo a perdere anche il canone nelle concessioni assegnato, di cui già incomincia a trascrurarsene a poco a poco il pagamento, rimanendo oggi da soddisfare grossa somma del maturato. E' dunque questo il tempo, che io rinovi, siccome mi fu imposto, le mie istanze a codesta Santa Sede per ricavarne gli oracoli e dirigere sopra di essi la condotta che io tener debba per l'avvenire.
Ma più sensibile riuscirà al paterno cuore di V. S. un'altro pregiudizio fatto a questa Chiesa, che passo ora a manifestarle come quello che non riguarda alcun temporale interesse di essa, ma la salute eterna delle anime redente col sangue di Gesù Cristo. Sono ormai dieci anni che la città di Calascibetta, che era sempre stata compresa nella diocesi di Catania e nella quale aveano sempre i Vescovi miei predecessori esercitata la spirituale autorità come in ogni altro luogo soggetto alla lor giuridizione, è stata per via di replicati ordini [23r] reali sottratta a forza e divisa intieramente dalla cura e governo del Vescovo senza alcun ragionevole fondamento e per via
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della sola podestà secolare. Coll'occasione di un beneficio semplice fondato nella chiesa di quel luogo in tempo de' Re aragonesi e chiamato il canonicato regio di San Pietro, che solea conferirsi da' Vescovi di Catania a presentazione de' Re di Sicilia, si pretese nel 1752 da' Regii ministri dover la cura di tutte le anime di quella città appaitenere a colui che fosse dal Re provveduto del canonicato sopradetto e che dovesse questi esercitarla senza alcuna istituzione ecclesiastica in forza della sola elezione del Sovrano. E se bene si fosse opposto a tal novità con varie sue rappresentanze il Vescovo mio predecessore, non dimeno si passò di fatto per via di replicati ordini reali a mutare in curato un beneficio, che per sette secoli era stato semplice e si fece istituire il nuovo beneficiario e canonico dal Giudice della Monarchia, proibendosi ai Vescovi di Catania ogni ingerenza per l'avenire in Calascibetta. Indi con allri ordini reali si attribuì allo stesso intruso canonico l'autorità e giurisdizione vescovile in tutto il paese, cangiatisi da poi di sentimento gli stessi ministri, fu costui per via di altri ordini della Real Corte ridotto allo stato di paroco e la giuridizione vescovile, già data ad esso, fu attribuita al Giudice della Monarchia, che si volle riconosciuto per Ordinario del 1uogo e si diede al medesimo Giudice ampia facoltà di visitar le chiese, di custodire la clausura delle sacre vergini, di custituire un vicario per la giurisdizione contenziosa, di approvare 1 sacerdoti per l'amministrazione del Sagramento della Penitenza, di concedere le dimissorie per le Sacre Ordinazioni e di usare ogni autorità, che esercitano i Vescovi sopra le Chiese alla lor cure commesse. Tante profane e sacrileghe novità si sono pel corso di dieci anni esercitate impunemente in Calascibetta e continuano ad esercitarsi, rimanendo quella infelice gente in uno scisma tanto più deplorabile, quanto meno può colorirsi o ad alcun pretesto spezioso appoggiarsi la scan- f23v j dalosa e violenta sottrazione dall'antico e vero pastore. Quindi una parte di quel miserabile popolo animata dal fervore della fede e della carità, vedesi ridotta a portarsi ue' dì festivi alla città di Castrogiovanni per tre miglia d'erta e difficilissima salita per trovarvi i legittimi ministri della Penitenza; altri hanno abbandonata la patria, che però oggi è ridotta a scarso numero di abitanti e a lagrimevole miseria; ed a quei che vi restano per lor disgrazia, manca in quel luogo o
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il valore o il frutto o il buon uso di tutti i Sagramenti istituiti da Gesù Cristo per lor salute. In tale stato trovai le cose nel mio arrivo al vescovado e persuadendomi che col ricercare negl'archivi tutte le prove, che dimostravano ad evidenza l'ingiustizia dello spoglio fatto alla mia Chiesa dopo il possesso incontrastabile di sette secoli e col mostrare al Sovrano le conseguenze funeste di questo spoglio e la spiritual rovina di tante povere anime, avrei forse ottenuto il riparo dell'enorme disordine o almeno l'esame accurato delle mie ragioni e diritti, mi posi a radunar documenti e scritture e quando mi parve di esserne abbondantemente provisto, avanzai al Real Trono una umilissima ma calda e fervorosa supplica, nella quale nulla nascosi degli eccessi, che ho qui accennati nulla delle violenze ed ingiustizie commesse, nulla dell'infelice stato di quel popolo, ma non solamente niuna providenza ho potuto sin ora conseguire e niun conto si è fatto del n1io ricorso, 1na ncmn1eno il Segretario di Stato degl'affari ecclesiastici, al quale ho fatto arrivare varie lettere su questo affare, si è mai compiaciuto di darmi alcuna risposta. A questi due gravissimi pregiudizi si è aggiunto il terzo in quest'anno, togliendomisi la cura e governo della chiesa maggiore della città di Piazza, pertinenza della mia diocesi, chiesa assai ricca per una eredità lasciata da un pio cavaliere chiamato Marco Trigona, ad oggetto di fondarsi ivi una collegiata e di più un conservatorio di vergini e molte doti per [24r] le medesime, ed altre pie opere, che tutte sono state eseguite secondo la volontà del testatore. Accesa una briga tra i fidecommissari di quella chiesa per l'elezione del nuovo cancelliere, avendo questi ricorso al governo, fu il ricorso rimesso dal Viceré al Giudice della Monarchia, e questi consultò che dovesse destinarsi la Giunta de' Presidenti con due avvocati fiscali per esaminare se appartenesse al Vescovo di Catania o aJ governo secolare l'amministrazione dei queJJ'eredità, e la elezione degl'ufficiali che devono governarla. La Giunta de' Presidenti ad un ossi, esaminò, decise e riferì al Principe colla maggior sollecitudine; ne uscì un ordine con cui proibissi al Vescovo che non più s'ingerisse nella pia eredità e che gl'ufficiali dipendessero intieramente dal governo del Principe, a cui rimettessero i conti, soggettando senza alcuna ragione al1 aulorità 1
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secolare l'amministrazione del divin culto di quella Chiesa, che sin oggi era stata governata dal Vescovo di Catania, come tutte le altre della diocesi. Né resta ascoso il principal mottivo di sì strana risoluzione, essendo stato eletto poco dopo un presidente di quei che decisero per amministradore di quella chiesa, al quale si è assegnato sopra la stessa eredità un pingue salario per la fatica di tal sopraintendenza e altri salari a suoi subalterni, che debbano aiutarlo in sì lodevole impresa. Né è giovato a me, né a' fidecommissari, né a' canonici di quella chiesa il moltiplicare le rappresentanze e i ricorsi, esagerando lo spoglio dell'autorità vescovile e la certissima dissipazione de' beni ecclesiastici; si continua a procedere senza conto alcuno delle nostre querele. Dopo i tre riferiti disordini particolari della mia Chiesa accennerò qui brevemente alcuni d'altri molli e gravi mali, che soffrono in comune tutte le Chiese della Sicilia, ancorché io creda che dagl'altri Vescovi miei fratelli ne sia stata la Santità Vostra informata. Nell'anno 1749 fu qui ristretto il foro ecclesiastico e levata a' [24vj Vescovi la cognitione di tutte le cause chiamate di misto foro e l'autorità di procedere contro i laici con pene corporali ne' delitti di concubinato, di stupro, di lenocinio, di usura, di violazione de' giorni festivi, di coabitazione di sposi ed altre somiglianti; della quale autorità aveano sempre e senza alcuna contradizione goduto in tutti i tempi con molto vantaggio delle anime; dopo molti ricorsi e molte istanze de' Vescovi avanzate al Real Trono uscì finalmente un decreto nel 1759 in cui accordossi nuovameute dal Re a' Prelati il misto foro, ma per via di delegazione ristretta ad un sol anno e che dovesse in ogn anno rinovarsi, tornando a chiederla al Re e con n1olte restrizioni e limitazioni, e quel che è peggio con dover ogni procedimento de' Vescovi restar soggetto alla revisione de' Tribunali secolari. Sì fatte condizioni troppo indecenti al nostro sagra carattere ci han fatto ricusare costantemente la Real Delegazione a riserva dell'Arcivescovo di Messina, che l'accettò; ci rimangono per conseguenza le mani legate e resta aperta una larga porta alla sfrenatezza de' costumi ed a' più gravi e frequenti peccati. Quasi nel tempo stesso della restrizione del foro s'intraprese di restringere e diminuire le franchiggie degl'ecclesiastici e ciò che non 1
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era potuto mai riuscire a ministri regi per la costante opposizione de' Vescovi si è veduto finalmente posto in pratica in quest'ultimi anni, riducendosi quasi a nulla le franchiggie della farina e trattandosi i sacerdoti quasi nella stessa guisa del popolo. Si è posta mano dalle corti laiche alla cause de' sponsali ed or con un pretesto or con un altro, si è andata restringendo a' Vescovi quell'ampia autorità, che hanno qui sempre esercitato in tutto ciò che riguarda o da lontano o da vicino il Sagramento del Matrimonio. Si sono eccitate ancora nuove controversie e se ne risvegliano ogni giorno circa l'immunità del sacro asilo e delle persone ecclesiastiche e molto più de' beni e [25r] facoltà delle Chiese. Si può ben dire che la nostra vita sia un continuo combattimento e i litigi che sostenghiamo finiscono quasi sempre colla peggio della nostra spirituale giuridizione; poiché decidendosi in questo Regno le competenze giuridizionali della Giunta de' Presidenti, composta di quattro ministri laici senza alcuno ecclesiastico, cd essendo inappellabile il giudicio di questa Giunta, ci tocca aver per giudici d'ogni sacro nostro diritto e ragione coloro che di ordinario sono i più impegnati contro di noi; e in ogni briga in cui per decisione della Giunta va a soccombere qualche Prelato, non si manca d'ordinario di formare subito di quella decisione una legge universale, che obblighi tutti gl'altri Vescovi a soffrire lo stesso giogo. In quest'ultimo anno tre perniciosi ordini ci sono arrivati. Si è proibito col primo che non si dia alle stampe alcun editto o ordinazione vescovile senza essersi prima soggettata all'esame di un laico ministro, cosa non mai per l'addietro fra noi praticata e che può essere origine di pessime conseguenze. Si è comandato col secondo che gl'ecclesiastici che volessero portar le armi per propria difesa o per uso di caccia, dovessero ricorrere alla podestà secolare, dalla quale ne sarà loro conceduta la licenza per poco danaro. E col terzo s'impone a' Vescovi di fissare il numero de' clerici e sacerdoti, che debbansi ordinare per ogni luogo di lor diocesi e tal numero fissato e stabilito debba notificarsi al governo, né possa poi alcuno ordinarsi da essi oltre al nu1nero senza ricercarne il pern1esso e ciò sotto la pena di sequestro di tutte le rendite del Vescovado. E se bene per questi tre or-
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dini abbiamo indirizzate delle comuni rappresentanze al Sovrano con tutto ciò non so lusingarmi che si possa sperare di vederli revocati. Il Tribunale della Monarchia, che eccitò tante contese ne' prin~ipii di questo se- [25v] colo e fu poi restituito fra noi per una bolla di Benedetto XIII, che ne moderò l'esercizio, dovrebbe certamente regolarsi a tenore di quella bolla, che ha forza di concordato e la dì cui puntuale ed esatta oservanza è stata comandata con molte Reali Ordinazioni; ma oggi si regola quel Tribunale dalla sola volontà del Giudice che vi presiede e si trasgrediscono impunemente molti importanti punti della medesima bolla; poiché prescrivendosi in essa che non vi siano delegati di quel Tribunale se non nelle città vescovili e in altre quattro nominate uella bolla, il presente Giudice della Monarchia eligge e mantiene il suo delegato in ogni luogo o grande o picciolo di tutto il Regno e così interpone da per tutto la sua autorità per imnpedire o remorare ogni determinazione degl'Ordinari e ogni delegato ha la sua corte e quei che la compongono sono del foro della Monarchia ed esenti dalla giuridìzione del Vescovo. Di più proibendosi nella bolla del Giudice stesso d'ingerirsi in qualsivoglia maniera in tutto ciò che riguarda la discipplina de' costumi e di accettare alcun'appello e gravame dalle ordinazioni de' Vescovi, qualora procedano come delegati della Sede Apostolica, ciò non si osserva dal presente Giudice e ogni ricorso ed istanza da lui si ammette con grave pregiudizio della buona discipplina e del devoro e santità dello stato ecclesiastico. Essendo inoltre dal Re stata appoggiata al medesimo Giudice la cura di far eseguire i decreti della real visita fatta da Monsignor de Ciocchis di tutte le chiese e vescovadi del Regno, da questa commissione ha pigliato egli animo ed intrapreso di mandar lettere circolari a' Vescovi anche a stampa, dove ci tratta da sudditi e si vale di termini di co1nanùare ed ordinare e ci n1inaccia pene e castighi in caso che contravenissimo a quanto ci impone, del quale ardimento, come cosa non mai veduta e intesa, si è scandalizzato ogn' [26r] uno; mentre il Re. 1nedesi1no e il suo Viceré non ha 1nai usato si1nili espressioni, scrivendo a' Vescovi, ma si è sempre servito dei termini di esortare e di raccomandare.
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Gravissimo ancora ci riesce il vedere che nello stesso Tribunale e presso tutti i magistrati laici del Regno sia un delitto il citare o l'allegare qualche bolla o decreto pontificio se non sia stato sollennemente munito del regio exequatur. Giacché siccome la legge di portarsi ogni rescritto apostolico all'exequatur non fu mai per l'addietro rigorosamente osservata, né prima del 1712 curavano i ministri regi che ciò si praticasse, trovasi che le anteriori bolle e decreti riguardanti la discipplina de' costumi non sono rivestite di tal formalità. Or queste bolle e i santi regolamenti in esse stabiliti, se bene osservati costantemente nel Regno oggi non possono da noi più allegarsi e per conseguenza ogni suddito può scaricarsi delle più gravi e più importanti obligazioni e il governo ecclesiastico ne soffre un incredibile confusione e perturbamento. Ma vi è di più: si arriva a contrastare l'osservanza del decreto di Urbano VIII intorno all'accesso de' regolari alle monache della bolla Ut in parvis circa la visita de' piccioli conventi di regolari e dell'altra d'Innocenzo XII Specu/atores Domus lsra/, tuttocché si veggano le medesime inserite in tutti i sinodi diocesani del Regno e questi sinodi siano stampali col permesso dell'autorità reale. Tante e sì pericolose novità ed altre ancora che qui tralascio, sono state prodotte e produconsi giornalmente da un certo spirito che oggi regna di contradire e combattere in ogni cosa la potestà ecclesiastica e i ministri di Dio. Quindi consideri la Santità Vostra qual soggetto di scandalo sia questo alla pietà de' fedeli in un regno catolico nel quale i piissimi Regnanti hanno fondate, arricchite e nobilitate le Chiese, onorato i Vescovi e rive1ito il sacerdozio di Gesù Cristo più che in altro luogo del cristiane- [26v] simo e nel quale il popolo è avvezzo a rispettare altamente l'immunità de' templi e de' sacerdoti e a riguardare con inviolabile ossequio tutte le ragioni del santuario. Io certamente, Santissimo Padre, in veduta di tanti e sì gravi mali ho concepito un gran timore, che i n1iei peccati e la inia indegnità siano caggione delle disgrazie della mia Chiesa e siccome debbo manifestare alla Santità Vostra con filial confidenza di essere entrato nel sacro ministero con audacia e temeraria presunzione, senza n1olto
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flettere al peso formidabile che mi addossava, così ad altro oggi non aspiro che a deporlo e sottrarmi alla tempesta in sicuro ricovero, ove possa vivere solamente a me stesso e al grande affare della mia eter-
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nità. Priego però caldamente e colle più umili e fervorose suppliche la bontà paterna di Vostra Santità a darmene il permesso per riguardo al maggior bene e profitto della mia anima e delle anime ancora di cento cinquantamila fedeli che compongono quysta vasta diocesi. Che se giudicherà la Santità Vostra di uon appagare il mio desiderio, è d'uopo che mi prescriva il tenore della mia condotta, e ciò che debba pensare, intraprendere ed eseguire neg!'affari sopracennati e particolarmente in quei tre speciali della mia Chiesa. Sopra de' quali aspetto gl'oracoli di Vostra Santità e riconoscerò sempre ne' suoi comandi la voce di Dio e lo Spirito del Principe de' Pastori. Si compiaccia adunque la Santità Vostra d'indirizzar le mie vie, di sollevar le mie du biezze e d'impormi tutto ciò che il Padre de' Lumi le ispirerà alla mente e mi troverà ubbidientissimo e fedele in ogni cosa, poiché se bene io mi riconosca altamente beneficato dal Re, che mi volle proveduto in giovane età del primo vescovado di questo Regno e vegga la mia famiglia assai onorata dalla reale corte, pure pre[27r] ferirò sempre colla divina grazia ad ogni umano riguardo, gl'interessi della religione e della Chiesa ed eliggerò più tosto l'afflizione e l'umiltà de' figliuoli di Dio, che le giocondità e gl'onori di questo mondo. E qui prostrato a' piedi di V. S. imploro col più vivo sentimento del cuore a me e a tutta questa Chiesa, che io servo indegnamente, l'apostolica benedizione. Piazza, 30 aprile 1762 Di Vostra Santità umilissimo, devotissimo, ubedientissimo servo e figlio Salvadore Ventimiglia, Vescovo di Catania.
XXXIV l6r] Eminentissimi et Reverendissimi Domini Etsi quintum iam annum in Catanensi dioecesi rcgenda versaturn gravissimae sollicitudines ac pene infinitae distinuerunt quotninus ad Apostolican1 Scdem ex instituto rnaiorum dc Ecclesiac mcae statu refenem, Summus vero Pontifex Clemens XIII non scn1el diffcrendi venia1n benigne dederit, tamen rerum nostrarum conditione1n diulius latere vos E.n1i Patres 1ninime aequmn cxistimavi. Catanensis Ecclesiae orìgo Catancnsis itaquc Ecclesia iam inde a christianae rcligionis cxordio Sanctun1 Bcryllu1n auctorcm habet, quen1 ve! ipse apoRtolonnn princeps Petrus vel Petri sedcs Episcopum destinavit pluresquc ab ipso martyrio ac religione c.Jarissimos antistites veneralur. Inter suburbicarias cum ceteris Siciliae Ecclesiis descripta Ron1ano Pontifici peculiari adhuc ratione subiiciebatur donec per sun1main iniuriam a Le.one lsaurico Consfantinopolitano !hrono addicta honorein rnetropolco.s c.st con.sequuta. Qualis sub sanaccnorurn tyrannide rerum sacrarutn status fuerit pene ignon11ur; at his a Rogcrio Nortmanno Siciliae co1nite felicissime protligatis, Catancnsen1 Ecclesian1 piissi1nus princeps e fundan1cntis cx- L6vl citavi! honoribus, fundis ditionibusque 1nunificentis.simc ornatam Rornanae Sedi veluti pos!litninii iure reslituit. Sedcs autetn Ro1nana Catanensibus Episcopis pallii usum praecipui honoris causa largita est, quem adhuc retinerent nisi Montis Regalis 1netropoli subinde erectae Catinensis Ecclesia tan1quam suffraganea addicta fui.s.set; ex quo factum est ut inter utra1nque Eccle1'ìiam diuturnae !ites et concertationes interccsserint. Mane( aute1n Catinensi antistiti in Regni contitiis prirnus ante ceieros Episcopos locus; manet litterarum per universan1 insulam pr01novendarun1 potestas, nrnnet ei tandem magni cancellarii Regni ius et officium.
Dioecesis Dioeceseos latissimac fines ad orientem sole1n Hionionrnri continentur; peninent 1neridien1 versus ad Syracusanae, Agrigentinaeque dioeceseon limites, ad occidentem vero solem et septemptriones ad Messanensem dioeccsin spectant. Illustriora oppida seu civitates quatuordecim in ea sita sunt: Catana nempe, Platia, Enna, Agyra, Acy.s, Calaxibetta, Assormn, Hadranum, Paternio, Centuripe, Aidonun1, Regalbutum, Leofortis et Petrapertia; n1inora autem in rnontibus consita: Barrafranca, Albavilla, Pulchcr passus, Monasterium albUTn, Motta Sanctae Anastasiac, Valguarnera, Mirabella, Licodia, Catena nova, Rrunmacca, Nissoria; in ncn1orc vero: Castrmn Acys, Acys Catina, S. Antonius, S. Philippus, S.ta Lucia, Trizza, Vallis Viridis, Bonaccursus, Tres Castaneae, Via 1nagna, Pedara, Nicolosii, Masca·
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lucia, Gravina, S. Iohannes dc Galcrmo, Tria monastcria, S. Gregorius, S. Ioannes a Punta, Trapetum, S. Agatha, Turris Griphi, S. Petrus, Can1pus rotundus quorum nonnulla papulosa et frequentia.
Cuthedra!e templwn Cathedralem Catamie ecclesiam D.0.M. sub titulo pracdarissin1ac Christi mar!yris virginis- (7rJ quc Bealae Agathae Rogcrius comes et Ansgerius Episcopus excitavere, cu1n tcrrae motibus bis corruerit, bis et refect<i est. Anno autem 1693 solo penitus aequatam Episcopus Andreas Riggio maximo sun1plu ac inaudita prorsus celeritate reaedificavit. Amplitudinc vero operisque e!egantia caeteris per Siciliam cxtructis basilicis longc cmteccdĂŹt, sccto marmore strafa, aptis saccllis, Cornice, sublin1ique tholo ins!ructa, laetmn quaque versus lumen capit. Cori pene anun nutximain siti affabre sculpta sedili11. Sed et arngonensium Sici!iae regu1n sepulchra servat; quod vero maximun1 est rcligionis ornamentum Beatissi1nae Agath11e corpus et velun1 i!lud tolies Acthnae ignibus felicissime oppositum quo ad honestissime fieri polesi custodit. Certaliln eni1n reges, Episcopi, principcs homines et popularcs operam contulerunt ad ornandum virginis simufachrum argenteis et ge1n1neis donarĂŹis; ingens argenti pondus ad circu1nferenda virginis hypsana ingens ad servanda. Aure11 vasa et argentea elegantissi1ne caelata ad sacrorum usum et p01npam plurilna; tota verbo suppellex rei divinae faciend<le opportuna, splendida et copiosa. Pro sartis tectis aurea quo!annis ab Episcopo solvuntur 625; pro divino vero cultu servando aurea item 850: utrique autem ccnsui curando cxpendcndoque curatorcs sunt constituti; qui cum ex novissimae regiae visitationis decretis cx sacculariuin ordine deligantur, dati expensiquc rationes Episcopo referre retractant quod antea nunquam usuvenerat. Ceterum praecipuam Lcn1pli frontem, quae ad occidenten1 spectat ab imis stylobutis ad summum fastigium usque opus ex ca!Tariensi et siculo marn1orc perpetuo tegit, quod cum eximia architeclonica arte se con11nendal tun1 praecipue columnis ab Aegipto delatis, reliyuum erat ut statuac marmoreae apponerentur duo supra viginti quod ipse aggressus sum: ex his autem duo absolu!ae suis Jocis sun! collocatac; tertia spcclabitur brevi, reliquas sculptoribus locavi L7vl
Capitll/11111 Ad annuin usque 1569 cathedrali ccclesiae inscrviebant monachi ordinis S.ti Benedicti dance, S. Pio V auclore, seculares canonici eoru1n in locum suffccti sunt. Canonici autem duodccim numero sunt praetcr dignitates quinque: priorern, sci!icet, cantoren1, decanum, thesaurariun1 et archidiaconu1n; quae dignitas cum i.nter n1onachos sccunda esset post priorem et ab Episcopo Nicolao Caracciolo anno 1566 sublata fuisset, restituta e.st sed quinto loco ab Epi.scopo Octavio Brancifortio anno 1643. Archidiaconus vero choro tantum interesse consuevit 1 Episcopo pontificalia exercen!e. Officia autern divina quotidic a d1:wbus dignitatibus et sex canonicis per al!cnms hebdomadas persolvuntur; per dies festos ab cunctis simul. Dignitatmn quinque proventus n1odici .sunt ex bencficiis ab Episcopo adnexis. Canonicoru1n autcn1 oppido pingues. Omnes vero tan1 dignitates quan1 canonici reliquiquc ministri pleno iure ab Episcopo eliguntur et cooptantur. Canonicorum
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consuevitl censuevit Cod.
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unus paenitentiarii officimn tenei, alium ipse theologu1n designavi. Post canonicos secundarii duodccim et ipsi alternis hebdonrndis choro inserviunt et canonicis celcbrantibus deserviunt. Sacran1entis auten1 ministrandis praesbiteri quinque in cathedrali sunt deputati quorum primus 1nat,iister cappellanus audit. Duodecim deniquc qui mansionarii nuncupantur sacris pontificalibus intcrsunt qui et ipsi insigniti. Sacrista rnaior cum sex minoribus sacrae aedis sacresque suppellectilis custodiam nitoremque curant. Musici deniquc stipem ab Episcopo tcnenl ut fcstis diebus in divinis officiis modulentur.
Ecclesiae collet::iatae
Praeter ecclcsiae cathcdralis capitulum tria supra viginti sunt per dioeccsin canonicorum instituta collcgia. Primu1n in urbe Catanac ad ccclesiam S.tae Mariae de Eleemosyna, Eugenii IV auctoritatc, anno 1446. Prima in eo dignitas e.~t praepositus cui est l8r] anin1arum cura per illam paroeciam adnexa, altera cantor, te1tia thesaurarius, quarta decanus. Canonici duodeviginti, mansionarii vero quatuordecim. Illi rocheto et 1nozzetta cinericii co]oris, hi vero nigro almutio 1 insigniuntur. Modico stipendio, summo autem studio divinis servitiis incumbunt: in publicis supplicationibus cathcdralis capitulum praeeunt; praepositus a Sede Apostolica eligitur, reliquae prnebendae per ipsius1net capituli suffragia Episcopo approbante. Duo sunt Platiae collegia. Primum in rnaiori templo B. Mariae dicato, Clementis VIII auctorilate institutu1n cx rebus fortunisque Marci Trigona. Quatuor in eo dignitates: pracpositus, cantar, thcsaurarius, decanus ad quos animarum curn spectat; canonici duo et viginti, secundarii dcce111 et octo, qui omnes cx solemni tncnsiun1 partitione ab Sede Apostolica ve! ab ordinario designantur. Templi fonna spectabilis mole et ornatu; sacra autcm officia quan1 diligentissime persolvuntur; utinam decentes proventus hisce pracbercntur. Etsi enim satis ditissimum sit ecclesiae huius patrimonium, pessimo tamen excn1plo nu\loque iure illius ibi procurationem novissime sibi regii ministri vindicavere. Allcrutn Platiae, quod a Domino Crucifixo nuncupatur, extat collegiurn dignitatum et canonicorum modicae stipis ab Episcopo Riggio anno 1703 erectmn. Riggius ide111 Ennae collegium instituit in 1naiori ecclesia S. Mariae dedicata. Quatuor in ea sunt dignilates, notnine et officio Platiensibus similes, canonici octo, dccem vero secundarii. Ecclesiae vero ditissimum alias patrimonium nunc evertitur et expilatur malorum hominum artibus, quibus ncc obviam ire datum est nobis, cun1 regii 1ninistri cius administrandi potcstatcm sibi vindicantes ohstant quominus auctoritate nostra ordinaria perfungamur. Quod Paternione extat collegium ab anno 1670 in te1nplo S. Mariae de Alto ab Episcopo Michaele de Bonadie constitutum dignitatcs cum aninrnrum cura quatuor habet: pracpositum, cantorem, thesaurariu1n et decanurn; canonicos septemdecim, niansionarios porro octo [8v]. Auctoritate Francisci Carafae Episcopi Hadrani institutu1n est collegium anno 1690, in quo praepQ~itus aninHirwn curam exercet. Dignitates reliquae cantor, decanus, thesaurarius. Canonici duodecim, secundarii item duodecim. Pene coliapsum ministrorum numero ac redditibus inveni Assori collegiun1 quod Episcopus de Bonadic ab anno 1684 constitucrat. Novis statutis censuquc com1nodiorcm in fonnam tributo
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almutìo] am1utio Cod.
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restituerc id aggressus sum; mandataque uni praeposito animarum sollicitudine, divinarmn precum officium cantori, thesaurario, canonicis octo, et rnansionariis sex demandavi. Nu!libi maior canonicorum copia quam apud Agyrcnses. Quinque ibi collegia. Primum ad S. Margaritae virginis preposito, cantore, thcsaurario, decano, canonicis duodeci1n et mansionariis sex conflatum. Alterun1 ad S. Antonii Patavini per omnia priori congruens. Tertium ad Sanctissi1nun1 Salvatorein quod praeposito, cantore, thesaurario, canonicis quinque et mansionariis duobus componitur. Quartum ad S. Mariam Maiorcm tribus iisdern dignitatibus al canonicis quatuor et mansionariis duobus constat. Quatuor haec collegia simul Caraffa Episcopus anno 1689 instituit, animarumque per singulas paroecias curam singulis praep9sitis assignavit. Priora duo Sanctorun1 videlicet Margaritae et Antonii scdulitate ministrorwn dccentique dote sese commendant. Posteriora vero census cxiguitate brevi extinctum iri puto. Quintum vero collegiun1 ab episcopali iurisdictione excn1ptum extat in eccle.sia S. Philippi, guae olim ad S. Benedicti monachos per!inebat, nurw autem eredita est abbati commendéltario. Is est hodie E.mus Hicronimus cardinalis Colmnna, qui suo iure priorem et octo canonicos ibi designat. Recensendum esset vctus Calaxibcttae collegiu1n ad ecclcsiam S.ti Pctri, nisi guae a dc[9rl ccnnio exortae sunt turbae Ca!anenses Praesules prohibuisscnt guominus per ca loca ius illud excrcercnt, guod ab hinc septingentis annis conslantissime retinuerant. Vcrmn cun1 datis litteris ad SS.mun1 Patrem Clementem XIII satis diligenter pcrscripserim, quae regii ministri advcrsus ccclesiac iura tentaverint simulque quid mihi in eo schismale tallendo agendun1, fcrendumve csset, in quo tot animarum ìn ape1tissin10 aetenia sa!us disc1in1ine versaretur rogavcrim diutius ca de re tenere vos Em.mi Patres minin1e opporlunum arbitratus sum. Aidoni anno J 751 collegium instituit Episcopus Petn1s Gallettus in ecclesia S.ti Laurcntii; archiprcsbytcratutn cui animarum cura adiuncta erat in praeposituram con1mutavit, cantorcn1, thcsaurariwn, decanun1, canonicos octo et mansionarios sex instituit. Eodcn1 Galletto institulore coaluit anno 1754 Albevillae collegiun1 eadein dignitatun1 ratione, adiectis sin1ul canonicis duodecim et nlansionariis duobus. Sed quod incommodun1 sane est et a nom1a alienum aeguam his omnibus anin1arun1 corani concredidit; unde factun1 est ut parva haec ecclcsia octodecim non1ine parochos habeat, sed re nullmn. Ad idem cxemplun1 sub id tcmporis aliud collegiu1n cxcitavit Gallettus Centuripe nobilissima oliln civitatc, guod dignitates quatuor, canonicos octo et sucundarios sex habct cuntosque animarmn cura gravatos. Eodcm iure ab Episcopo Caraffa institutum fucrat collegium apud Acyn Regalen1 freguentem civitatem et copiosam anno 1691. Fidelium enin1 curam acque dignitatibus tribus, praeposito, cantori, thesaurario et canonicis duodecim tribuit ab unoquoquc ipsorum per hebdo1nadas exercendam, quibusque congrua ab ccclesiae patrimonio assignavit stipendia scxque adiecit n1ansionarios. Sunt et prope Acyn fini!imis in oppidis collegiatae tres ab Episcopo GallcUo novissime f9vJ excitatae. In oppido Acys Catenac prior, in oppìdo S.ti Philippi altera, te1tia in pago S.tae Luciae. Cuique suus praepositus, suus cantor et thcsaurarius, guarum priores canonicos novcm et mansionarios sex habcnt, tertìa vero canonicos septem, sed et mansionarios sex. Animarum cura praepositos penes est. Tria adhuc restant recensenda collegia: unun1 ad oppidu1n Pulchripassus, quod Episcopum Riggium conditorem habuit ab anno 1700, in dignitates trcs eiusde1n cum superioribus non1inis ordinisque canonicos duodccim e! secundarios sex distributum. Posteriora, Episcopo Galletto auctorc, caepcrunt in pagis Nicolosiormn et Trium Castanearum. Hmumce p1ior per mnnia Pulchripassensi
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collegio congruit, posterior autem tribus homonomis dignitatibus, octo vero canonicis et secundariis duobus absolvitur. Ambo vero cxiguo censu. Ex recensitis collegiis plurima rocheti et mozzettae usum habent; tria Platiense, Ennense, Patcrnionensc, cappatn magnam insuper. Reliqua vero solo epitogio seu a!tnutio insigniuntur.
De animarum ctffa
Per cetera dioeceseos loca animarum cura per rnobiles ad Episcopi nutum vicarios exercetur, qui Episcopus tamquam unus dioeceseos parochus reputatur. Exccpta enim Ennensi civitatc, ncc Catanac, Platiae, aut in locis ceteris nulli sunt parochi perpetui, sed simplices tantum capellani rninistrandis sacramcntis deputati. Velcri siquidem errore persuasum est cunctis Catincnsis civitatis ordinibus parochialia iura cun1 civiun1 libertate pugnare. Ex quo factum est ut irrito successu olim perpctuorum parochormn fundationem tentaverint Episcopi, cuius nunc OTnnis amissa spes est. Ennac autem octo sunt parochi, qui per concursuin eliguntur. Archipraesbyteros veros Leonis fortis et Petracpertiae laici patroni [lOr] praesentant.
Seminarium c/ericorum Scminariu1n clericorun1 post Synodi Tridentinae tempora Iohannes Pharaonius Episcopus humili acdificio, modicisquc opibus construxit. Succedentiu1n Episcopormn incuria cvenit ut bencficiorum taxa ab eadetn Synodo praescripta fcre ubique cessaverit. Post anni 1693 ruinas nova aedium molitio incaepta est auxitque Episcopus Riggius censuro, sed ta1n latae dioeccsis pauperibus cle1icis alendis minime pare1n. Aliud Platiac sen1inarimn PP. Societatis Iesu eurant, quod hodie dese1tum est. Pictatis mons Catanac tenuis, Acy tenuior. Nosocomia per totam dioecesin quatuor angustis aedificis et exiguo censu, Catancnsi exccpto, quod est aedificii et satis capiosis redditibus se tuetur.
Monachi et regularcs Monachorum et rcligiosoru1n hotninmn per univcrsam qua late patet dioecesin quinque super nonaginta coenobia sunt: ex his quatuor ordinis S.ti Benedicti 1nonasteria, quatuor item Societatis Iesu collcgia, duo Socictatis eiusdem ad cxercendos in divinis fideles asceteria, duo clericorum Theatinormn, tria clericorum minoru1n, duo piaru1n scholarum, unu1n clericormn infirmis ministrantìun1. Fratrum vero praedicatorun1 convcntus decem, septem vero supra triginta fratrum 1ninoru1n quorum vide!icct quatuor ad conventuales spectant, ad osscrvantes iteni quatuor, ad refonnatos tredecim, ad tertii ordinis fratrcs quinquc, ad cappuccinos undecim. Sunt praeterea eremitanis S.ti Augustini addicta coenobia undecim, eiusdem regulae excalceatis tria, carmclitis novem, iisdem excalceatis unum. Fratribus S.tae Mariae dc Mercede duo, minin1is iten1 duo, unum ordinis SS.mae Trinitatis aiiudquc fratribus S.ti Ioannis de Dea. Catanae tandc1n oratorium praesbiterorum S.ti Philippi Ncrii [10vl coaluit, guibus fixum ego donlicilium praebui. Dictorun1 coenobiorum plurima exigua sunt, indecora tenuissìmo censu. h1de fit ut in pluribus vix fratres sex alantur, in aliis vero unus aut alter exlCx ociosusquc coenobita reperiatur; ut
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satius esset, si per laicos magistratus Jicuisset penitus supprimere, quam illa cum religionis et regularis disciplinae maximo detritnento, tolerare.
Monia/es Portio vero dominici grcgis satis nobilissimae sanctimonialcs, scilicet uno et triginta monasteriis continetur. Quorum sexdecin1 S.ti Bencdicti regulam, noven1 S.ti Francisci, tria S.ti Augustini, unum S.ti Dominici, duo carrnelitarum sectantur. Cuncta vero sub episcopali iurisdictione vivunt, cxcepto Regalbutensi uno, quod a SS. Angelis nomen habet augustincnsium fratrum dircctioni pennissmn. Tredecim practerca habemus gynecata puellarum culturae, custodiaeque dedicata, cx quibus tria, quae Mariana Collegia nnncupantur, iuxta cardinalis Corradini instituta scholis, femineisque disciplinis vacant; reliqua vero quas parentum orbitas, vel rei fan1iliaris egestas summo discrimini obiiceret, cas bene servatas habent. Duo tande1n illas cxcipiunt, quac post pudoris iacturam ad me!iorem tì11ge1n Dei opitulante grafia convertuntur.
Rremitae Eremos in sylvis vel montibus apud ludican1, Scarpellum, Torcisium, Rosmannurn, Platiam vetercn1 et novissime ad Valle1nviridem fratres aliquot incolunL Sed et prope Catanam praesbiteri aliquot solitariarn degunt vitam in don10, quae de Mecca nuncupatur; alia vero apud Valguarnern1n aedificata est nunc temporis eremico!is vacua.
Sodalitates /aicorum Laicorum pia soda!itia fere ubiquc plurima sunt suis statutis instructa, bene fa- rI I r] bricatis oratoriis, quae sedulo frequentant. At scpissime internis iurgiis discidiisque agitata, tantam rcctoribus molestiam crcant ut pictatis christianaeque virtutìs simulacrum potius, quain rem ipsam tenere videantur.
*** Hic veluti extcrior Catanensis Ecclesiae dioecescosque prospectus est. Superest ut qualem rei christianae collapsum statum offenderim doceain vos Em.mi Patres, qualcs cocperim opcras, quibusque 1ne fluctibus ad reparanda religionis disciplinaequae incon1oda obiecerin1; quid huc usque Deo favcnte profcctum sit quidve adhuc enixis praecibus ab eodcm Suprerno Numine ut perficiatur nlihi sii expetendum. Vere itaque affirmafe possum Catancnsem Ecclesiam septem et scxaginta abhic annis, suis viduatam Episcopis, ea fcnne mala perpessan1 esse quae propheta deflebat; «Ut quid dextruxisti macericn1 eius et vindemiant eam 01nnes qui praetcrgrediuntur viam. Exterminavit cam aper de sylva et singularis ferus dcpastus est eam» <Sal. 79, 13>. Vix enin1 post horrendi 1notus tcrrae ruinas Andreas Riggius Catanensen1 civitatem veluti e sepulchro excitare soloquc aequatan1 ecclesimn sun1mis opibus iinpensisque restituere aggressus fuerat, cum 1nagno anim0111m aestu dissidentibus sub initiu1n seculi huius sacerdotio et imperio, quae inde subortae sunt turbae tam praeclaris incaeptis obstiterunt. Neque enim latere vos possunt
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Ero.mi Patrcs, quae mala viderit olim Sicilia nostra uti divina humanaque iura pessumdata, eversae religiones, ecclesiarum patrimonia direpta, iudicia per vi1n summam exercita, cuncta denique per rapinas et sacrilegia fuerint adnlinistrata. Inter haec Episcopus Riggius solum commutare sub annum 1712 dioecesinque sacris interdictam rcliquerc. Romae quo confugerat post quinquennium diem obire supremum. Legitimi sacrorum 1ninistri iisdem fluctibus agitari pars expclli, pars in vincola coniici, aliique per fcnestra1n ingressi mercenarii, fures potius ac latroncs reliquias lsracl de-
vorarc. Respira- Ll Iv] re Landcm vi sa. est post tantos motus Sicilia nostra, remissis ab Apostolica Sede censuris, nee tamen illico Catanensi Ecclesiae suus pracsul est design<1tus. Vix tandem anno 1722 Episeopus renunciatus est cardinalis Alvarus de Cienfuegos ecclesiamque quam nunquam viderat post triennium dimisit. Vir litterarum studiis animìque virtule clarissimus Alexandcr dc Burgos sueeessor electus tantis reparandis incom1nodis idoneus videbatur, nisi illun1 ad Ecclesiam suam properantem l<1etalis corripuisset morbus et in cathedrale templum non sole111ni inaugurationis pompa sed lugubri supremae diei celebrit<1te elatus est. Nec 111inus acerbo funere Raimundu1n Rubi earthusianun1, quern genere, innocentia, gravitate ornatissimum suspicere coeperat Catana, paucos post menses cxtinctum doluit. Postre1no Pctrus Galletti ad prostratae ac pene perditae Ecclesiae gubernaculum <1ccessit iam senio confectus ac per viginti et octo solidos annos tenui!. Si quid posl tot calamitates et miserias inlegru1n adhuc sanumve supererai, tunc profecto concussun1 ac vio!atum est (!ibcras enim voces ac gemitus apud vos, Sapientissin1i Patres, e1nitterc licebit). Perlustrata semel aut itermn, cursormn more, dioecesi decubuit Episcopus et decrepita aetate, infirma valetudine, auribus oculisque captus iacuit semimortuus. Tunc opcs Ecclesiae cognatis permissac, iura ac privilegia 4uae Catanenses Episcopi amplissima retinuerant imminuta; 01nnia susdeque improborum licentia pcnnixta, 01nnia familiarium ac domcstico1um vilissimoru111 ho1ninum manibus pcrtractata. Nundinae beneficiorun1 institutae, saecrdotia velut hasta posita, divendita ac publicata sunt; null<1 in his confercndis habita litcrarum ratio morun1 censurn nulla. Adlecti passim in clerum sinc !iteris, sine 1noribus, sine legitin10 patrin1onio homines, nec vocati, ncc probati, numerata tantum pecunia initiati sunt. Inde ita cxcrcvit saccrdotum numerus ut pagus propc Catanam cui Viae magnae nomcn cun1 vix sexcentas contineat animas, sexaginta tan1en praesbiteros rccenseat. Al 01nnes hi nomine tenus l!2r] presbycri et linea tanlum circa collu1n signo. Inopcs, pannosi, egeni, qui raro aliquan1 tantum ad sac1ificia elcemosinam corradunt; sepissitne ad vilia quaeque officia conducti, .~erviles opcras laicis ubique praestantcs, cellae et cupae praepositi, vine;1e <1ut agri custodcs, partorii aut vecligaliu1n exactorcs, viatorum comitcs <1rma1i, satellites, turpiora referre erubesco. Si qui aequiore fortuna uti vidcntur, hi scripturas negotiorum conficiunt, comn1utandis rnercibus praesunt, faencratores, publicani, aleae, venationi, otio indulgent. Seminariuin clericonm1 deputatis aliquot traditum, nullmn Episcopo vigilm11ian1 aut sollicitudinern adhibente ila coilapsu1n, perturbatmn atque expilatmn invenimus ut non modo bonarun1 artium studia ac disciplinae negligercntur, sed nec ipsurn redemptionis et praetii nostri sacrificiu1n coratn adolcscentibus quotidie celebraretur. Monachis quoque ampla munita via est ad cucullam deponendan1, quod iamdudu1n cognovissc vos m·bitror. In1probi enim homines episcopalem curia obsidentes, quiquac vera Ecclesiae iura ac privilegia i1nnlinui atquc vastari patiebantur, hanc unani esse Catanensium Episcoporum pracrogativ<1n1 singulari audacia commenti sunt, ut tnonachorum 01nniu1n solcn1ncs professio-
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ncs quovis ex loco ac dioecesi quocumque ex ordine, quacmnquc ex causa Catanam illi con.tluerent (confluebant autem quasi signo dato frequentissimi) possent ad arbitrium irritari. Constrepentibus undique populi clamoribus perlatisque saepe Neapolim querimoniis, Rex catholicus, ut tot tantisque malis rcn1edium aliquod afferret tcr regios visitatores adhibui! sed parum felici successu ii enim a Regc missi sunt qui res fortunasque Ecclesiac distractas rcpetere et vindicare (quod maxime patronum Regem decerc videbatur) aut non· valucrunt aut neglcxerunt, circa sacra vero et disciplinam multa sed frustra atque iJTito conatu decrcverunt. Quac ta1nen a Ioanne Angelo de Ciocchis, Archiepiscopo Brundisino penicta est vi.~itatio ad perdendam potius insanabili plaga, quam ad levandam aut rcstaurandain Ecdesiam valuit; singulis enim ( ! 2v] decretìs et sanctionibus, gravissima ccclesiasticac iurisdictioni ac sacn1e polestati vulnera inflixit, episcopalcn1 authoritatem rextrinxit undique, ilnminuit, ad nihilum pene redcgit, curatoribus ecclesìarum quos laicos deinceps esse voluit fre11a laxavit perpetuas gravissin1asquc pensiones huic atque illi operi aut coetui ab ecclesia solvendas conslituit, quod inconsulta Apostolica Sede non liccbat. Nec resistere aut conqueri Episcopus potuit nec mihi, qui postea supplicibus literis ac prnecibus rogavi ne acta illa obtinercnt aut saltem ad examen rcvocarentur, aures unquam praebere Regis ministri voluerunt. Obiit tandem anno 1757 Petrus Gallettus. Sede vacante, quae nova, luctuosa, inaxima damna ac dc!rilnen!a per sun1mai11 iniuriam Ecclesia caeperit utque praecipuis fundis, ditionibusque amplissimis expoliata sii, comitatu videlicet ac civitate Mascalarum, qumn per septem saecula re!inucrat et iure Catanensis partorii quo fruebatur, Pontifici Maxin10 datis literis indicavimus. Ipse interea Episcopus designatus sum. Fateor E.mi Patres nin1is racilem atquc audacem fuisse nec satis pro rei gravitate vires imbecillitatemque memn, rerum faciem, temponnn conditionem animo perpendissc. Multa etiam me Panonni degentem latuerunL, multa nec opinari, nec suspicari poteram. Sed ne excusationes adducam in pecc<ltis, iterum ingenue fateor peccavi 1neque ingentibu.~ horrendisque iluctibus incautus obieci. Solc1nni rithu Romae inunctus, VI Kal. ianuarias eiusden1 anni, Neapolimque reversus cum Carolo religiosissin1i animi principi quas tunc noverain concredi!ae mihi gregis iniserias atque illatam Ecclcsiae pernicie1n liberis qucrelis oslendissem ope1nque ille aLque auxilium pollicitus esset, Catanan1 veni, obi quac 1 adhuc egerim indicabo. Quandoquidem tantae sacrormn hominum n1ulti!udinis licentian1 coCrcere, erudire ignaviam, socordiam excitare, Jongi ac diuturni Iaboris opus, n1agno sane viriliquc animo aggrcdi oportcbat, verurn haud n1agnus inde profectus aut felix cxitus sperabatur, duo interim [l3r] expcditiora reparandis rebus atque opportunion1 ren1edia expertus ~mm. Primum ut iuventuten1 excolerem diligenter quae deinceps in sortcn1 Donlini adlegerctur ac sapienter inslituta novum clerum brevi exhiberct veterique illi paulatim dcfecturo sanctior fcliciorque succederei. Alteru1n ut beneficia ac sacerdotia rnnnia quae et si minuta plerun1que multa tamen ac pene il1Ilumera sunt, nonnisi indicto concursu ac severo examine ins1i!uto dignioribus conferrem ut constitutis virtuti doctrinaeque pre1niis cunctorum animi accederentur. Et prioris quidem consilii magnun1 iam fruclUJn capimus maiorcn1que in dies Deo favente expcctamus. Seminarium clcricorun1 novam, ut ila dicam in formam redactun1 est. Lectoribus atque 1nagistris Panorn10 atque ctian1 cx Italia non n1odico stipendio accersitis, sex in eo cathedrac institutac sunt theo!ogiae dog1naticae ac moralis, philosophiae ac geornc!riae, sacrae cloqueniiae,
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Ubi guae] ubique Cod.
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grccarum latinarumque litcrarum. Rectorem nobilern virum severioris disciplinae tenacissimum seminario praefcci, cui optimc merito in cathedrali ecclesia dignitalem contuli. Morum censorem alium qui animarum curae piisque exercitationibus pracessct nuper paravi. Conclavia discreta iuxta cliversas clcricorun1 aetatcs disposui, quae on1nia vigilum ac praepositorum oculis subiiciuntur. Don1esticurn sacel!um quotidiani,s sacris, com1nunibus praecibus, matutina 1neditationc, serotina transactae diei discussione, communi etiam maiorum clericorum psalmodia statutis horis frequentatur. Singulis ebdo1nadis cathechisn1us eccle::;iasticus traditur. Singulis rnensibus dies integra, semotis studiis, pietati ac religioni impenditur. Singulis ~nnis octo dies cxercendis ad virtutem animis destinantur. Sacrorum rithuum atque ecclesiastici cantus peritia adolescentes i1nbuuntur. Frequenter quid in scholis profecerint propositis thesibus aul productis in medium lucubrationibus publice ostendunt. Ab ipso regiminis exordio legc lata 01nnes a spc consequen- [13v] dorum ordinum atque ipsius tonsurae prohibui, nisi in seminario rne1uissent ncc brevem in eo moram ad sacros obtinendos sed inte!,'tUm decem annormn cursmn peragendum sancivi, ut ingenia et n1ores eorum qui initiandi cssent diligentissime probarentur, qui singulis annis post diligens examen singula minora officia capesserent, maiora servatis solcn1nibus interstitiis, sacerdotium nonnisi expleto theologicarum disciplina.rum curriculo consequerentur. Durior visa est prima fronte conditio nin1iusque rigar, verum cum non egeret sacerdotibus dioecesis, scd doctis tantum sacerdotibus et bene n1oratis, sentenliain constantissimc retinui nec ullis praecibus aut comtnendationibus a proposito unquam abduci n1e passus sum, nec minore anùno 1nolesLias ab antiquis illis cleputatis il!atas, quibus Gallettus omnia permiscrat aut contempsi aut superavi. Rcs tandem ex voto successit. Octoginta eni111 lectissimi optimaequc indolis adolescentes nunc in sen1inario excoluntur ac spem maxima111 faciunt reformandac infelicis diocceseos. Crescei etian1 cum aedificio nu1nerus; cum eniin loci angustia pracmerct, novas moliri substructiones atque aedes non sohun laxiores sed et elcgantiores reddere caepimus, nova1n bcnellciormn taxam paramus, antiquam enin1 fere obsolevisse iain dixi. Praesenlia, cohortatione, praemiis, studiosa1n iuventute111 confirmare, pracceptoribus animos addere 01nni studio et vigilantia curamus. Con1mode accidit ut aliud collegiun1 haberc posse111, quod instituendis patritii generis adolescentibus vir clarissimus Marius Cutellus erigi Catanae ac fundari supremis tabulis destinavit, cura1nque eius rei ac providentiam Episcopo Catanensi commisit. Negleclum opus atque intentatum ferventi studio aggressus omnem movi lapidcm ut brevi collegium patere!. Et patuisset, nisi difficultates atque i1npcdimenta senatus Catanensis {qui n1axime conatus nostros favere dcbuerat) suscitasse!. Lis inde molesta ac diuturna, vix tandem L!4r] post triennium acquissi1ni iudicis sentcntia ac principis aucthoritate confirn1atus, intennissain erigendi instituendique huius collcgiì facultatem reccpi, quod mox consurget maximo rei cu1n sacrnc tum publicac emolumento. Mens quoque <1Lque voluntas fuerat componendae ac restaurandae Catanensis Studiorum universitatis, quac unica esl apud sicu!os acade1nia. Preclarum opus, summisque omnium votis expetitun1 urgebat Caro!us rex, quique illi a secretis erat Caietanus Branconus; qua proplcr disponcn<lis lcgibus parandisque adiunctis non pan1m operae ac laboris ùnpendcre coactu.~ fui. Verum Carolo ad Hispaniarum regno vocato, creplo ab humanis Brancono, spes omnis concidit refonnandae acadcmiac ac Siculae iuventutis erudiendae. Altcrun1 quod indicavi sublevandis coITuptissimae dioeceseos incomn1odis efficax in primis visum fuisse rcmedimn adhibere non distuli, ne1npe ut sacerdotiis beneficiisque 01nnibus eos dumtaxat praeficerem quos instituto concursu factoque periculo digniorcs opportunioresque cognovcram. Saluberrimo buie consilio quorumdam coliegiorum canonici obstitcrunt, privilegiis sesc tuentes suis, quae ab Episcopis et praecipue a Galletto i1npetraverant offercndi singulis vacantibus praebendis tres candidatos, inter quos tantum optio darelur Episcopo cligendi: qua vigente consue-
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!udine, non nisi propinquos, bcnevolos, amicos, posthabilis dignioribus, offerebant ul plurimum populis ob nequitian1 noxio.~ ve! ob inscitia1n inutiles. Id ipse non fcrendum ralus, ncc potuissc Episcopos in successorum praeiudiciuin atquc in pcrnicien1 disciplinae huiusmodi privilegia constituere, nullam dcinceps ul!ius praesentationis (nisi quae forte a legitimis patronis iure ac merito postularetur) me rationem habitun1m palam omnibus denuntiavi. Diem propterca n1ihi dixcrunt apud monarchiae tribuna! Hadranenscs canonici. Postquan1 hi causa cecidcre, Acenscs maiori ope atque nisu Jitem instaurarunl pro huiusmodi praescntationis iure vclut [14vJ pro aris et focis certantes. Causae huius exitum (adhuc enim pendei) cxpeclare videntur caetera collegia, quae eodcm iure utuntur: quorum omnium si liberam consequar providenti;un nulla deinceps favori vel pecuniae via ad obtinenda sacerdotia patebil, nulla in his dcferendis potentiorum officia admoveri paticu hique sacris preficientur ministri, qui satis explorati et cogniti ad emendandos populorum 1nores et vitae intcgritatcn1 et Iiteras conferanl. Sed cum his remediis fuluro dumtaxat tcn1pori et re1notae quodainmodo refmmationi prospicerem, 1nalis etiam praescntibus occurrerc oportebaL nec ingens illa sacerdotum manus, quain proximorum temporum licentia invcxera1 prorsus crat ex desperatione negligenda. Huic itaque quoquo n1odo consulerc atque aliquod invehcndac disciplinac primordium ponere me passe putavĂŹ constituto sacrarwn collationun1 usu in quibus de 1norum regulis et christianae cthiccs legibus dequc sacris rithibus atque ecclesias1icis ceremoniis agerctur. Itaquc proposito cdicto 1nethodmn harun1 collationum, dien1, horam, locun1, praefectos, res quae tractarentur decrcvi praesbileri.~que omnibus i1nperavi ut singulis hebdomadis convenirent utque !ribus propositis quaestionibus aut disputarent omncs, aut sa!ten1 aliquos disputantcs audirent. Et Catanae quidem septcn1 huiusmodi conventus cclebrantur quibus ipse frequenter adsum atque officio et exe1nplo ut 01nnes adsint facile persuadeo. Segnius adhuc et remissius per dioecesim ad frequentandas co\lactiones sacrorum hominun1 studimn videtur; scd stimulos addere non pretcrmittain ll1 negligentium anin1i vel discendi desiderio ve! acmulatione incitentur et vetus inscitiae macula paulatim delcatur. Cum vero in nlaleficos, quos neque hortalioncs neque paterna moni1a praeces minacque a peccandi consuetudine dcteJTere et ad mcliorcn1 frugem revocare potuerunt [l5rJ animadvertcre sacpissime cogar, ea uli custodia paenisquc staLui, quibus non tantrnn scelcrum vindictae, quan1 scelcratorum sanita1i monunque conversioni consuleretur. Frcquen!ibus enim concionibus sacrisq11e exercitiis excolendum carccre1n curavi, quibus deten!i magis quam vinculis perditi ac probrosi homines, pe.%imorum facinoru111 paenitcntia !enercntur et peccatorun1 cxrnnologesim perficerent. Tot infer clades ac vastitatcs intcgran1 atquc incorruptan1 invenin1us sacrarum virginun1 disciplinam, quod non hun1anae opi consiliovc sed benig1rne Dei providcntiac tribuin1us. Castissiinos ha1um recessus remotasque ab hominmn consortio solitudines sactissimis Jegibus arctaque custodia bene munitas sun1ma animi voluptatc conspeximus. Nobiles puellas paupcrarn asperainquc vitain sed caelcs!ibus deliciis suavcm ducentcs vidin1us bellun1que perpetuo carni ac solatiis indictum adn1irati sun1us. Cmn vero tria tantum ex his asceteriis esscnt in quibus perfectissima con1n1unis vitae regula vigeret, duo nempe Ennae ac ter!ium Platiae, nos dioecesin1 Juslrantcs quatuor etiam aliorum asceteri01un1 virgines ad ean1dem reru1n on1nium com1nunionen1 pel!cxinius quam laeto hilarique animo ainp!ecti ac perpetuo retinere statuerunt. Duo sunt Rcgalbuti monasteria de quibus loquor, tc11ium Aidoni, qua11tm1 Assori. Populi quoque plebisque cura sollicitum n1e habui 1naxime cum c0Inpcrissen1 pueros eque ac aetate provectos nullo imbutos dogniate, pene nulla Dei op!imi maximi diviniquc Servatoris notitiam ob111utesccntibus pastoribus in misera rerum caelestium ignoratione versari ac facilius inde in prava prolabi. Nihil ergo antiquius habui qumn ut inductan1 111entibus hominmn caligine1n divinae
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fidei lmninc expelleren1 operaynquc n1eam in evulgandis Christi praeceptis erudiendisque fidelibus collocare. Cumque nullun1 cxtaret sacrae doctrinae compendium quod vernaculo ac papulari idioma.te facili aplaque methodo, omnia ex fidei rudìincntis qua.e scitu maxime necessaria alque utilia essent [15v] disposita continere (qua.e enim adhuc per Siciliam vulgata noverarn exilia erant ac ieiunia) novum ipse concinnavi humili stylo ac rudibus ingeniis accomodatum ordinen1 uc Rententias sequutus cathechismi condlii Tridentini, cuius usum Clernens XIII, qui nunc Ecclcsiac christianae feliciter praeest, Episcopis on1nihus c01nmendavit. Edictum addidi, quo docendi discendiquc ardor excitaretur; studia curatorurn, sacerdotu1n, ludirnagistrorurn, parenturn omniun1que fervescercnt. Imperiti ac desides ab Eucharistia, chrismate, sponsalibus arcerentur. Mirum Patres Em.mi qua voluntate, qua 01nniun1 consensione, quam cupido animo edictun1 illud omnes cxceperint, quo doctrinae propagandae studio inccnsus sit clcrus, quantrnn c01nparandae desiderimn 01nnis aetas, sexus, conditio patefecerit. Certatim curritur ad divinorurn praeceploru1n scho!as, ccrtatim vicarii diligentiae nostrne nos literis nunciisque dc profectu disccntium certiorcs recidere gestiunl. Opera1n nunc paramus ut quocu1nque in oppido certus cathechi1.antiu1n nmnerus congregetur ad celebrandos pucrorum conventus ac caetus sacenl0Lu1n coalcscimt qui stabili finnaque cura, labore, solertia, tanto operi ìncumbanl, quibus lcges ia1n paravimus hoc non cxiguum bonun1 singulari Dei beneficio acceptmn refero, ac cius ope atque auxilio futurum confido, ut nulla sit tarn infelix regio aut subduclus oculis pagus quo non chris!iani dogn1atis lux divìna pcrvadnt. Interea corruplissimain cpiscopalem curia1n offendens, quac non ecclcsiasticoru1n iudicionun sacrariun1 sed negotialorum Laberna videbatur, in ipso regiminis exordio rcformandam ac con1ponendam suscepi. Nec cnim ce11i crani Episcopo in iudiciis asscssorcs, ncc certa scripturarUin actoru1nque conficiendorum pensio conslituta. Mirabilis undique exactio, quac insatiabili cupiditati responderet. Effrencm fl6r] hanc exigendi facultatc1n Episcopus canccllario locabat qui dcinde in expediendis diplonrntibus, literis schedulis4ue on1nibus quidquid expilare poterat lucrabatur. Ad cohibendam turpe1n licentian1 splendorernque curiac restituendu1n sex iudiciorum assessorcs de!egi, quormn lrcs civilibus, tres crin1inalibus causis proposui. Carn.:cllario eiusque adiu!oribus stipendiun1 assignavi, nihil exigi nisi ad innocen!ianac (ut aiunl) taxae praescriptum ilnpcravi. Si quid scripturae occurreret cx municipali rithu, quod in ca taxa praeteritmn csset id ad normarn Agrigcntinac curiae, guani castigatissirnain novera1n, prescribendum curavi. Ex legibus 1nonachis spcm ornnem abiicendi cuculli protinus amovi; nullam comrncnticii privilcgii rationem unquam haberi passus sum nullarnque dc religiosorum votis nlihi potesta1en1 concessam existimavi, nisi quae Tridentinis legibus pontificiisque dccretis congruercL Rosee iabores consequuta est pcrlustrandae dioeceseos soHicitudo, quac tamdiu neglccta ac pastori in1pervia, ope1n, diligentiam studiumque 01nnc requirebat; efDuxerant cni1n qualuor et viginti anni quibus et Episcopi aspcctu et chris111alis unctionc carucrat. Sacran1 igitur cxpeditionen1 aggressus, vix triennio percgi, quin {ul candide fatear) tmn paru1n in refonnandis tum cleri, cmn populi n1oribus in recensendis ecclcsiarmn bonis, in vindicandis sacrorun1 iuribus profeci, ut nihil n1e JCcissc hactenus aut pene nìhil existi1nam. Ncc eniln rnoras singulis in locis protrahere (quoti clcricis grave erat quorum smnptibus alebar) nec brevi omnia cognosccre rchus4ue oninibus manus adniovcre liccbat. Horas etiam dicsque absuniebat hominun1 sacro oleo confi1n1andorurn ingens ac pene incredibilis n1ultìtudo. Licei enim pueros qui septennium non explevcran! ad hoc sacratnento prohibuissctn, nihilominus septuaginta quinquc capitu1n millia niihi ad iniungcndmn oblata fuere [16vJ. Ergo .secundis curis dioecescos lustrum modo repeto ac ut nrntura consideratione id omne praestare valcam quod hucusque praete1missmn est utque in singulis oppidis et parochiis pro nego-
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Adolfo Longhitano
tioru111 gravitate immorari uberesque laborum fructus Deo favente capcre possim non collata cleri pecunia sed meis sumptibus mihi videndum constitui. Nemo quidqua1n ob procuratione1n solvet, nemini gravis aut molestus erit adventus nostcr, curiaequc ac familiac nostrac ne1nini non gratus ac periucundus. Misin1us ante nos, qui sacras apostolicasque expedictioncs (quas nlissiones dicimus) strenue peragerent conspicuos probalosquc viros, quos ex diversi.~ religiosorum hominum familiis ~vicinisque dioccesibus se!igere ac para!os habere curavimus. Hacc habui Patres Eminentissimi, guae de huius Ecclesiae rebus ad vos refcrrem. Multa forent ac nrnioris rnomenti quac vobis indicare hic opus essei de di1Iicultatibus ac 1nolestiis quas patiinur a saeculi potcstate regiisque ministris. Sed cun1 dc his nuper Sanctissin10 Patri ac domino nostro literas dedcriin doloris curarum anxiaequc soilicitudinis plenas, nunc eiusdcn1 rcsponsa tamquain Principis pastorun1 oracula expectare magis consentaneum videtur, quan1 ingcntimn maloru1n iliadcm relcxere. Vestrmn crit, Palres, crrantcn1 corrigerc, laborantern recreare, 1norigerum admonere, sapientia, consilio, pracceptisque adiuvarc. Tandem Demn optimum maxin1un1 oro oblestorque ut vos Apostolicae Ecclesiae bono ac christianae rcipublicae utilitati incolumes diutissimc tucatur. Platiae, IV idus maii, 1762 Romam Eminentissimi Patres Sacrac Congregationis Condili Humillimus, addictissimus, oscquentiss,iinus servus Sa!vator Vinctimillius, Episcopus Catanensis.
LA DIOCESI DI CALTAGIRONE NELL'INCHIESTA SUI REGOLARI DI SICILIA DI PIO IX (1847-1850)
RAFFAELE MANDUCA'
l. La riforma dei rego/art' La conservazione e la riforma degli ordini e del clero regolare ha avuto, sin dalle sessioni del Concilio di Trento ad essa dedicate, sess. 25 de regularium et monialium, largo posto nella vita della Chiesa d'anclen régime'. Gli interventi della Santa Sede per il rispetto
"' Dottorando presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales - Paris. ** Abbrev'iazioni: Asv, Archivio Segreto Vaticano. Scc, Sacra Congregazione del Concilio. SCVR, Sacra Congregazione dci Vescovi e Regolari. Pc, Processus Concistorialis. APIX, Archivio Particolare Pio IX, Particolari, Napoli. ANN, Archivio Nunziatura Napoli. As.Pa, Archivio di Stato Palenno. MASE, Ministero per gli Affari di Sicilia - Ecclesiastico. MRSL, Ministero e Real Segreteria presso il Luogotenente Generale. As.Ct, Archivio di Stato Catania. IB, Intendenza borbonica. lBSC, Sottointendenza di Caltagirone. As.Ct.Cl, Archivio di Stato Catania, Sezione di Caltagirone. CR, Corporazioni Religiose. Acvc, Archivio Curia Vescovile di Caltagirone. BcRS, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, Palern10. BcP, Biblioteca Comunale Palermo. BuR, Biblioteche Riunite Ursino e Recupero, Catania. Bee, Biblioteca Conn1nale E. Taranto, Caltagirone. Beve, Biblioteca Pio Xl dcl Seminario Vescovile di Caltagirone. 1 Fra le altre, iinportantc fu la normativa, volta a favorire una scelta più consapevole dello stato religioso, che portava a 16 anni compiuti il limite minin10 per emettere i voti, a cui avrebbe dovuto precedere almeno un anno di noviziato. ln Sicilia una prammatica del 1789 aveva innalzato a 21 anni l'età minima per la professione 111onastica. Sugli aspetti giuridico-canonici del Concilio di Trento cfr. J.
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delle norme tridentine, che sono già notevoli a partire dai primi anm del '600, raggiungono l'apice nel periodo compreso fra il 1649 e il 1700, per poi subire un arresto durante il XVIII secolo, in coincidenza con la ventata giurisdizional-illuminista, ma riprendono nuovo vigore nei primi tre decenni del XIX secolo 2 • Dopo la tempesta napoleonica, che aveva visto l'attacco contro tutti gli ordini religiosi, considerati, salvo pochissime eccezioni, inutili, la ritrovata vitalità della cristianità si indirizza anche verso la restaurazione delle famiglie religiose finite sotto i colpi della rivoluzione e del bonapartismo e nella fondazione di nuove congregazioni che possano meglio inserirsi in un contesto sociale e religioso che ha ora non pochi elementi di novità 3 • Si assiste così alla rinascita della Compagnia BERNHARD, C. LEFEBVRE, F. RAPP, l'épnque de /a R~forn1e et du conc;/e de Trente, in (sous la direction de G. Le Bras et J. Gaudemet), Histoire du Droit et des lnstitutions de l'Eg/ise en Occident, XIV, Editions Cujas, Paris 1990; sui regolilri si veda nel1a medesima opera il contributo di D. R. LEMOINE, Le 111011de des religieux, XV /2, Edìtions Cujas, Paris 1976. Per i singoli ordini cfr. G. PELLICCIA-O. ROCCA (sotto la direzione di), Dizionario degli istituti di pe1fezione, Edizioni Paoline, Roma 1974 -. Fondamentale inoltre J. LE GOFF, Ordres n1e11diants et urhanh·ation dans la France n1édiévale, in Anna/es ESC', nu1nero speciale Histoire et urvanisation, Juillet - Aout 1970, 924-946. 2 L'elenco dei pontefici che 1nettono n1ano a questa opera di riforma degli ordini religiosi è nutrito: Cle1nente VIII, tra la fine del XVI e i pri1nissimi anni del XV11 secolo; Urbano VIH, Innocenzo X, a cui si deve il tentativo di abolizione dei cosiddetti conventini, nella prin1a 1netà dcl XVII secolo; Alessandro VIJ, Clemente IX, Innocenzo XJ, Innocenzo XII, Clen1ente IX, Alessandro VIII e Innocenzo XII nella seconda n1età del XVII secolo; solo Cle1nente XI nel secolo successivo; Pio VII e Leone Xll nei pri1ni. Ire decenni del XIX secolo. Sull'abolizione dci conventini e sulla situazione degli ordini a nictà ciel XVI secolo cfr. S. FORTE, Le provincie do1nenicane d'Italia nel 1650 conventi e relir:iosi, in Archivun1 Fratnon Praedicatoru1n 39 (1969) 425-585; Io., La provincia do1nenicana in Sicilia nel censin1ento generale del 1613, ihid., 45 (1975) 237-304; E. BOAGA, L'abolizione dei piccoli conventi in Italia, Ed. dì Storìa e Letteratura, Ron1a 1971; T. LECCISOTTI, I 111011asteri cassinesi della Sicilia alla n1età del secolo XVII, in Benedictina 26 (1979) 99-160; F.F.
MASTHOJANN1,L'i11chiesta di Innocenzo X sui conventi cappuccini italiani (1650): analisi dei dati, Pontificia Università Lateranense, Ro1na 1985; M. D'ALATRI (a cura di ), 1 conventi cappuccini 11cll'i11chiesta del 1650, Istituto Storico Cappuccini, Ro1na 1984-1986, voll. I-III, Sicilia, III; M. CAMPANELLI, I Teatini, Ed. di Storia e Letteratura, Roina 1987. Per il XVJII secolo soprattutto A. VENTURI, Settecento R1jòrn1atore, II: La Chiesa e la repuhb/ica dentro i loro !finiti 1758-1774, Einaudi, Torino
1976. Sull'opera restauratrice degli ordini religiosi e più in generale sulle condizioni della Chiesa ne'l primo cinquantennio del XIX secolo cfr. A.C. }EMOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultiini cento anni, Einaudi, Torino 1948; J. LEPLON, 3
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di Gesù e di tutti gli autichi ordini religiosi, non senza che si incontrino però delle difficoltà intorno alla filosofia stessa della "riforma" per cui viene impegnata la Congregazione per la Riforma dei Regolari che lavora a questo scopo servendosi di diversi progetti, fra cui particolarmente significativo appare il piano redatto da mons. Antonio Sala. La salvaguardia della purezza delle rispettive regole, unita al controllo della osservanza ma, soprattutto, la costante preoccupazione per il rispetto della disciplina monastica, hanno sempre guidato l'azione romana nei confronti degli ordini, di cui si è riconosciuta la insostituibile funzione all'interno della Chiesa, pur stigmatizzandone deviazioni e disordini. Se la restaurazione sembra essere un periodo particolarmente fecondo per lo sviluppo delle famiglie religiose e del clero regolare, occorre però ricordare che, ancora durante i primi anni di pontificato di Pio IX, erano frequenti i disordini e le inosservanze delle costituzioni monastiche tanto che papa FeJTetti si era subito interessato alla condizione degli ordini e, già nel settembre del 1846, aveva istituito una speciale congregazione di cardinali sullo Stato dei Regolari, mentre con l'enciclica Ubi primum arcano dichiarava la sua Restaurazione e crisi liberale (1815-1846), in A. FLICHE e V. MARTIN, Storia della Chiesa, edizione italiana a cura di Carmelo Naselli, voi. XX/2, S.A.I.E., Torino 1975; G. VERUCCI, Chiesa e società ne!l'Jtalia della Restaurazione, in Rivista di storia della Chiesa h1 Italia 30 (1976) fase. 1, 25-72; G. PENCO, Storia della Chiesa h1 Italia, II, Dal ('onci!io di Trento ai nostri giorni, Jaca Book, Milano 1978; ID., Il inondo 111onastico e le nuove congregazioni religiose del XIX secolo, in Be11edicti11a 36 (1989) 477-496; G. MARTINA, La Chiesa nell'età delf'assolutisn10, del !iheralismo, del totalitaris1110, III, La Chiesa nell'età del liberalisn10, Morcclliana, Brescia 1991 8 ; ID., La situazione degli istituti religiosi in Italia intorno al 1870, in Chiesa e religiosità in /talià dopo l'unità (1861-1878). Relazioni I, Vita e Pensiero, Milano 1973, 194-335; P. BORZOMATT, Chiesa e società n1eridiona!i. Dalla Restaurazione al secondo dopoguerra, Studiutn, Roma 1982; D. MENOZZI, Tra rifonna e restaurazione. Da/fa crisi della società cristiana al 1nito della cristianità n1edioevale (1758-1848), in Storia d'Italia. Annali IX, La Chiesa e il potere politico, Einaudi, Torino 1986, 767806. Nel regno delle Due Sicilie il rilancio degli ordini religiosi fu anche codificato da un apposita nonna del concordato del 1818 che, nell'art. 14, ùnpegnava a«[ ... ] ripristinare in quel 1naggior numero che sarà con1patibile co' nlezzi di dotazioni, e specialmente le case di quegli Istituti, che sono addetti alla istruzione della gioventù nella religione e nelle lettere, alla cura degli infermi, ed alla predicazione»; inoltre dove necessario«[ ... ] Si'aun1enterà il nutnero de' conventi, tuttavia esistenti, de' religiosi osservanti, riformati, alcantarini, e cappuccini, qualora le circostanze ed i bisogni delle popolazioni lo richieggano».
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ferma intenzione di proseguire e di ampliare l'opera dei predecessori in materia di riforma del clero regolare. Il pontefice, inoltre, mise in atto una serie di misure, come visite apostoliche e avocazioni di nomine dei superiori generali alla S. Sede, che dovevano cercare di ripristinare il controllo romano sui conventi e, in più, stimolare un rinnovato slancio spirituale e morale del clero regolare. Particolarmente importante appare in questo contesto I' enciclica che delineava il progetto dell'azione papale4 • In essa il pontefice, dopo avere ricordato i motivi per cui la Chiesa guardava con rinnovato inie· resse agli ordini religiosi, rilevando innanzitutto l'importanza che essi avevano avuto nella sua storia, non solo dal punto di vista strettamente spirituale, ma anche per la loro azione sociale e culturale, annunciava la sua ferma intenzione di tutelare e difendere le famiglie religiose ma, soprattutto, la sua volontà di operare per sostenere e restaurare le rispettive costituzioni e la disciplina regolare'. Il pontefice si rivolgeva
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Sanctissimi Don1ini noslti Pii Divina Provvidentia Papae IX Epistola Encyc/ica ad on1nes supre1nos n1oderatores abbates provincia/es aliosque superiores regu!ariton ordi11un1, Romae, 1847. L'enciclica venne data in S. Maria Maggiore il 17 giugno 1847, nel citarla si farà qui riferimento alla C'o!lezione degli atti ernanati dopo la pubblicazione del Concordato dell'anno 1818, parte undicesitna, Stan1peria dell'Iride, Napoli 1848, 60-70. Già il 25 gennaio 1848 Ja Congregazione sullo stato dei Regolari emanava un decreto rivolto particolarmente a regolamentare l'ingresso in religione per «f ... ] stabilire una certa e ferma legge da osservarsi inviolabiln1ente nell'ammettere i Novizi»; cfr. Decreti intorno allo stato de' regolari emanati dalla Sacra Congregazione per autorità del nostro Santisshno Signore Papa Pio IX , Tip. Lao, Palenno 1855, 3 e segg. Su Pio IX e sul clero italiano a 1netà deJ XIX secolo cfr. G. MARTINA, li clero italiano e la sua azione pastorale verso la 1netà dell'Ottocento, in appendice a R. AUBERT, Il po11t1ficato di Pio IX (1846-1878), in A. FLICHE e V. MARTIN, Storia della Chiesa, cit., 761-807; Io., La situazione degli istituti religiosi in Italia ... ,cit.; Io., Pio IX (1846-1850), Università Gregoriana, Ro111a 1974; Io., Pio IX (1851-1866), Università Gregoriana, Rotna 1986; A. GAMBASIN, Il clero diocesano in ltalia durante il pontificato di Pio JX (1846-1878), in Chiesa e religiosità ... , cit., I, 147-193; G. BATTELLI, Clero secolate e società italiana tra decennio napoleonico e prin10 NoFeclinto, in M. ROSA, Clero e Società nell'Italia conte111poranea, Laterza, Roma-Bari 1992, 43-124; G. ROCCA, Istituti religiosi h1 Italia tra Otto e Novecento, ibid, 207-256. 5Co/lezione degli atti .. ., cit., 64 e passiin «[ ... ] Nostras toto cordis affectu ad vestras Religiosas Fa1nilias eo sane consilio convertere constituimus, ut si quid in ipsis infinnum sit consolidemus, si quid aegrotu1n sanemus, si quid confractu1n aJligemus, si quid perditu1n reducamus, si quid abjectu1n erigamus, quo moru111 intcgritas, vitae sanctitas. regularis disciplinae observantia, litterae, scientiae prae-
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oltre che ai superiori monastici, anche agli ordinari, ritenuti i migliori conoscitori dello stato dei conventi delle rispettive diocesi, inviando loro istruzioni per invitarli a far conoscere all'apposita congregazione i suggerimenti che ritenevano opportuni al conseguimento dello scopo. La congregazione indirizzò pertanto ai vescovi, il 5 agosto 1847, uua "lettera circolare" con accluso un questionario su cui si sarebbe dovuta condurre l'inchiesta6 • sertium sacrae, ac propriae cujusque Ordinis leges ubique reviviscant, ac n1agis in dies vigeant et floreant [... J tamen dolemus nonnullos reperiri, qui eorun1 professionis ac dignitalis obliti a suscepto instiluto ita declinarunt, ut, non sine n1aximo ipsorum Ordinum et Fideliu1n damno, speciem tantum habitumque pietatis praeferant, ac professi instituti sanctitatem nomen vestc1nquc vita et moribus rcfellat [ ... J. Etenim in vestrorum Ordinum disciplina instauranda eo potissin1um Nostra studia, et desideria spectant, ut ex ipsis Ordinibus navos atque industrios operarios pietate non Ininus, quam sapientia pollcntes [... ] ». 6 Altra simile lettera era già stata spedita, il 3 agosto, ai vescovi dello Stato pontificio. Il coinvolgimento diretto dei prelati viene ritenuto indispensabile: la congregazione «[ ... ] prese acconcia111ente il partito d'indirizzarsi agli Ordinari, siccome quelli che consapevoli dello stato attuale delle Comunità esistenti nell'ambito delle rispettive loro diocesi, potevano meglio che altri fornire le bisognevoli informazioni.», cfr. Provvedin1enti per gli ordini religiosi, Palermo 1850, BCRS, Sta111pe, Mise. A. 24; si tratta in realtà dell'annuncio della visita ai conventi per l'arcidiocesi di Palermo del Cardinale Pignatelli, da cui si ricavano anche i quesiti proposti dalla Sacra Congregazione sopra lo Stato dei Regolari. 1 prelati avrebbero dovuto «[ ... ] forn1are una esatta, co1npleta e distinta nota di ciascun inonastero, convento e casa religiosa tanto spettante agli ordini, in cui si professano voti solenni, quanto agl'lstituti di voti sen1plici [ ... ]» (art.1); inoltre essi avrebbero dovuto fare «[ ... l conoscere la capacità di ciascuna casa, e lo stato della fabbrica[ ... ] indicando ancora se la chiesa abbia la cura delle anime» (art.3); «[ ... ] Si dovrà riferire se nei monasteri, conventi, o case vi sia l'osf;ervanza regolare, specificando se, [ ... J vi sia la vita con1une. Se i religiosi [ ... ] disiinpegnlno con edificazione, e lode le obbligazioni, a cui sono tenuti [... ] se godono la pubblica estiinazione, e siano utili al luogo f... J o piultosto siasi rilassata l'osservanza» {art.5). Se «[ ... ] la Casa [... ] sia nece.ssaria o almeno utile agli abitanti del luogo specialmente per l'an1n1inistrazione del Sagramento della Penitenza, e se nel luogo medesimo vi sia la mancanza di Clero secolare (art.6); f... ] Dovrà indicar.si come siano servite ed officiate le Chiese (art.7); [... ] Quali e quanti Religiosi confessino nella rispettiva loro Chiesa, se si prestino in aiuto [ ..._] anche degli altri Parrochi specialmente nelle limitrofe campagne quando sono chiainati in soccorso dei nlalati, e nella istruzione de' Fedeli [... J. Se i Religiosi si occupino nella predicazione, e nell'assistenza agli Ospedali (art.8)»; i vescovi poi «[ ... ] conoscendo, che vi siano degli abusi, e dei disordini nell'an1n1issione dei postulanti, nei noviziati [ ... ] nell'adempilnento dei voti e specialmente di quello di povertà e che i Superiori abusino della loro autorità [ ... ] non 01netteranno di manifestarlo, e di indicare il modo di provvedefvi (art. I 1). Riferiranno come si diportino li perpetua1nente, o ten1poraneamente secolarizzati [ ... ] se vi siano Apostati (art.12). Se vi fossero altre notizie ri1narchevoli [ ... ] queste potranno
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L'enciclica ricevette l'indispensabile exequatur regio per la Sicilia con rescritto del 28 agosto 18477 però i moti del '48 obbligarono «[ ... ]per necessità desistersi dall'impresa, e sospendere gli incominciati lavori»'. Ma, subito dopo il ristabilimento dell'ordine, il papa tornò di nuovo ad occuparsi della questione nel quadro della sua visione fortemente centralizzatrice dell'azione che il papato avrebbe dovuto svolgere, non solo nei confronti del clero, ma anche dell'intero popolo cristiano. Alla preoccupazione pastorale si aggiungeva adesso anche l'assillo politico, derivato dalla constatazione della massiccia partecipazione del clero, sia secolare che regolare, ai moti del '48. Ciò spinse il pontefice ad adottare immediatamente, il 15 novembre 1849, delle "provvidenze" che riguardavano esci usivamente i regolari siciliani. Oltre a dare la facoltà ai vescovi di visitare i conventi come "commissionati" dalla S. Sede, il papa decretò la sospensione, per un biennio, di qualsiasi ammissione di postulanti all'abito religioso e dei novizi alla professione per cercare di pon-e un primo riparo alla grave situazione degli ordini determinatasi nell'isola'. aggiungere nel1c loro relazioni [... ]. Potranno ancora accennare quali misure eglino crederebbero opportune per ottenere efficacemente il 1niglioramento de' Regolari e per renderli sempre più utili alle popolazioni (art.13)». 7 Reale Rescrilto circolare onde darsi aden1pin1ento alla Lellera ponlffh:ia ed alla enciclica per restaurar la disc1ì1fina degli Ordini regolari, in Collezione degli att( .. , cit., 59-60; in cui si sottolinea, oltre all'in1pegno per la riforma dei regolari, anche l'in1portanza di «l ... J promuovere con ogni cura la concordia fra il Clero secolare e regolare». Anche i quesiti ai vescovi della Sacra Congregazione furono esccutoriati il 18 sette1nbre 1847, cfr. Sullo sfato de' regolari, quesiti proposti dalla Sagra Congr. di Cardinali stahi/ita da S.S. PP. Pio IX, s.d. s.l., BCRS, Mise. a.488.19. 8 ProvFedin1enfi ... , cit., f. 3. 9 Provvedin1enfi ... , cit., f. 4, «A causa delle gravi vicende, alle quali per colpa dei tristi, la Sicilia è andata soggetta, hanno ancora 1nolto sofferto le Religiose Fainiglie, per cui sarebbe inopportuno an1mettere nuovi Postulanti all'abito, ed i Novizzi alla Professione nello stato presente delle nledesime f ... ]. Sua Santità pertanto sospende per la Sicilia ad Ùn biennio sotto pena di nullità l'ammissione dei Postulanti all'abito pel noviziato, e di uomini di qualunque siasi Ordine, Congregazione, Società, Istituto anche di voti se1nplici, sebbene degno di speciale, ed individuale nlcnzione, eccettuando sollanto i Novizzi dell'età di anni venti co1npiti, i quali prin1a di questa circolare abbiano tenninato il loro Noviziato [... ]. Vuole inoltre Su<i Santità, che V.S. Ill.1na intanto prenda le più esatte info1mazioni sullo stato di tutti i Regolari dell'Istituii di sopra indicati della sua Diocesi, e speciahnente sulla condotta degli individui, sulle qualità dei Superiori, e dei Maestri dei Novizzi, e circa il nlateriale, ed il formale dei Noviziati, dandole speciali facoltà in
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L'inchiesta sui regolari siciliani ebbe così nuovo avvio, in ciò assecondata anche dalla rinnovata consapevolezza della corte sulla necessità di disporre di un clero regolare più disciplinato e perciò più affidabile. Quest'ultima circostanza permise agli ordinari di svolgere senza nessun intralcio governativo la loro opera.
2. La Sicilia
Il forte peso che gli ordini religiosi hanno avuto in Sicilia, già a partire dalla risurrezione della Chiesa isolana determinatasi in seguito alla conquista normanna, è stato messo in evidenza, oltre che dalla storiografia, anche dalla vivace querelle culturale e civile, iniziatasi già nel XVIII secolo, sull'opportunità economica e sociale della conservazione dei cenobi monastici, che si concluderà solo nella seconda metà degli anni sessanta del secolo successivo con l'abolizione delle corporazioni religiose voluta dal nuovo Stato unitariow Dal punto di questa circostanza soltanto per accedere ai Conven~i, fare l'ascolto anche segreto dei Religiosi, ingiungendo loro col precetto di santa obbedienza cli dire la verità circa abusi esistenti. Quindi Ella si Co1npiacerà trasmettere la relazione alla S. Congregazione sopra lo Stato dei Regolari accennando in pari tempo i provvedimenti che crederà potersi prende1ne a bene, ed utilità degli istituti medesimi». 10 Già l'origine 1nonastica di molte sedi vescovili siciliane testimonia della volontà normanna di servirsi di questo possente strumento per operare un'intensa opera di ricristianizzazzione di un territorio dove fortissima era la presenza inussuhnana. Il dibattito sugli ordini religiosi in Sicilia aveva avuto nuovo impulso nel XVIII e nei primi decenni del XIX secolo, in coincidenza con l'attacco giurisdizional-iJiuminista alla manomorta ecclesiastica, continuatosi poi nel tentativo liberale del '12, a cui faceva da fondmnento la parallela disputa sulla pletora e inutilità del clero tanto secolare che regolare. Su questi temi oltre a F. SCADUTO, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Norn1a1111i ai nostri giorni (sec. Xl-XIX), A. Amenta, Palermo 1887, con a1npia bibliografia, cfr. Risposta di un italiano dimorante in Berlino in qualità di consigliere regio ... circa il proble111a politico in cui si domanda se le Co1nunità Religiose siano utili o dannose alla Religione ca1tolica ed alla Società e se debbono essere soppresse e di.~fatte, s.l., 1768, BcRs, Mise. A. 32.6; Breve difesa dei religiosi claustrali de//'uno, e dell'altro sesso diretta al Generale Parlan1e11to, Solli, Palern10 1813, Risposta alla breve difesa dei religiosi claustrali dell'uno, e dell'altro sesso direi/a ad un amico rappresentante nel Generai Par!an1ento dell'anno 1813, Solli, Palermo, s.d.; F. VENTURA, Men1oria dell'avvocato Francesco Ventura barone di Raulica intorno ai corpi ecclesiastici, e loro beni diretta al supren10 parlan1ento di Sicilia, Adorno, Palenno 1814; A. PUSATERI, R~fonna del clero e del n1011achesin10 di Sicilia. Progef/o proposto dal prete Andrea Pusateri di
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vista economico la maggior parte dei beni degli ordini riuscirà a sopravvivere a tutti i tentativi messi in atto, non solo dai borboni, per tentarne la vendita o la censuazione", praticamente fino alle leggi
Caccan10 a Sua Maestà Ferdinando Ili re delle due Sicilie ... , Tip. Crisanti, Palermo 1815; Sullo stato degli ordini re;?olari di Sicilia, discussioni ecclesiastiche, opera di un P. Francescano n1ù1ore conventuale, Solli, Palermo 1836; L. Coco GRASSO, Del successivo progresso del Cattolicesin10 in Sicilia per lo n1ezzo degli Ordini Religio;oà e Claustrali. Memorie storicho-artistiche archeologiche sacre, Stamperia Barcellona, Palermo 1847, G. Di MARZO FERRO, Poche parole sui M<)}dsteri e C'onventi, s.d., s.l., BCRS, B.C.lH.27.16; N.G. MARISCOTTI, L'abohzione dei conveoti, a spese dell'autore, Firenze 1864; ANONIMO, Studi sui beni ecclesiastici e le Co1porazioni ReliJ?iose (n1anoscritto della metà del XIX della BuR, Mss. c.60); S. CoRLEO, Storia de!l'en.fì'teusi dei terreni ecclesiastici di Sicilia, introduzione di Alfredo Li Vecchi, Sciascia, Caltanissetta-Roma 1977. Fra gli studi più recenti cfr. G. CATALANO, I borboni e la manon1orta ecclesiastica ù1 Sicilia, in Il dù·itto ecclesiastico (1948) 198 e segg; E. PONTIERI, Il r~fOrrnisn10 borbonico nella Sicilia del Selle e de/l'Ottocento, Edizioni Scientifiche Italiane, s.l. [Napoli], 1961 2 ; F. RENDA, La Siciha nel I812, Sciascia, Caltanissetta-Roma 1963; Io., li riforn1isn10 di Bernardo Tanucc( le leggi di eversione dell'asse ecclesiastù·o (1767-1773 }, Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, Catania 1969; M. CONDORELLI, Mon1enti del riforn1isn10 ecclesiastico nella Sicilia borbonica (1767-1850). Il problen1a della n1anon1orta, Ed. Parallelo 38, Reggio Calabria 1971. Sulle condizioni generali della Sicilia nella priina metà del XIX secolo cfr. G. CINGARI, Gli ultilni Borboni, in Storia della Sicilia, Società Editrice Storia di Napoli del Mezzogiorno Continentale e della Sicilia, Napoli 1977 VIII, 3-83; G. GIARRIZZO, la Sicdia dal Cinquecento all'Unità d'Italia, in V. D'ALESSANDRO - G. GIARRIZZO, la Sici/iu dal Vespro a/l'Unità d'Italia, UTET, Torino 1989, 99-793. li L'attacco alla mano1norta inizia con l'espulsione dei gesuiti nel 1767 e la conseguente censuazione dei loro fondi; si ha poi la censuazione dei beni ecclesiastici di regio padronato del 1792 e la vendita dei beni delle badie di regio padronato del 1811, quest'ulti1na con risultati assolutamente irrilevanti. Nessuna ricaduta avrà anche il tentativo di censuazione dei beni ecclesiastici, sia regolari che secolari, votato dal Parlamento, che aveva accolto la proposta del barone Ventura, nel febbraio del 1815. Al viaggio in Sicilia del 1838 di Ferdinando Il è da ricondurre poi l'ordine per la censuazione dei beni delle chiese e 1nonasteri di regio padronato. Mentre all'esperienza repubblicana del '48 è da ascrivere la legge, voluta dal 1ninistro delle finanze Filippo Cordova, che avrebbe dovuto permettere la vendita dei beni di regio padronato, così da aiutare le bisognose casse dello Stato, anche questa però con pochissin1e ricadute reali. Qualche altro tentativo si avrà agli inizi degli anni '50 prima di giungere alla legge dcl 10 agosto 1862 con la quale si arriverà alla definitiva eversione dell'asse ecclesiastico. Su questi terni cfr. S. CORLEO, Storia della enfiteusi dei terreni ecclesiastici in Sicilia, cit.; E. PONTIERI, li riforndsrno borbonico ... , cit.; M. CONDORELLI, Mon1enti ... , cit.; F. RENDA, Bernardo Tanucci e i beni dei gesuiti in Sicilia, cit.; R. COLAPIETRA, l'alienazione di beni ecclesiastici nella Sicilia settentrionale ed orientale dopo l'Unità d'Italia, in Rivista Storica Siciliana l (1974) n. 2, 159-179 e n. 3, 222-242; A. SINDONI, L'eversione dell'asse ecclesiastico, in Storia della Sicilia, cit., IX 203-220. Per il dibattito sulla proprietà ecclesiastica
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eversive della proprietà ecclesiastica del primo decennio unitario, quando la struttura monastica siciliana subirà i colpi più pesanti nell'ambito del nuovo Stato 12 . Ma non è solo la rilevanza economica, aspetto per il quale si possono considerare gli ordini religiosi come uno fra i maggiori proprietari terrieri dell'isola, a fare pesare così tanto il clero regolare'', fuori dal regno delle Due Sicilie, cfr. A.C. JEMOLO, La questione della proprietà eccfesiastica nel regno di Sardegna e nel regno d'Italia ( 1848-1888), Il Mulino, Bologna 1974. 12 Il reddito delle case religiose siciliane veniva stitnato dal disegno di legge Pisanclli nel 1863~1864 pari a 8.554.438 lire su un totale regionale di 13.825.342, cfr. G. D'AMELIO, Stato e Chiesa. La legislazione eccesiastica fino al 1867, Giutfré, Milano 1961, particolarmente le pp. 433-438. Sul patrimonio dei benedettini di S. Nicolò l'Arena di Catania cfr. S. LEONE, Una ricerca in corso: il patriinonio rurale dei benedettini di S. Nicolò l'Arena di Catania dalla n1età del secolo XVII alla liquidazione dei beni ecclesiastici. Consistenza ed a111n1inistrazione, in Archivio Storico per fa Sicilia Orientale 67 (1971) 5-15. 13 Nutrita la bibliografia sulla storia degli ordini religiosi in Sicilia fra questi cfr. A. (Padre) da CASTELLAMMARE, Della venuta dei Cappuccini in Sicilia, Palermo 1937; G. LEANTI, I Cappuccini di Sicilia nel Quarto centenario del loro Apostolato I533-1933, Tip. Zappu!la, Palenno 1933; FLAVIANO DA POLIZZI GENEROSA, Il riconoscimento dei cappuccini in Sicilia da docu111e116 di archivio, in Collectanea jJ·anciscana 38 (1968) 393-397; sui benedettini, T. LECCISOTTJ, li Cardinale Dusn1et, OVE, Catania 1962; Presenza benedellina in Sicilia. Numero unico a cura dei benedettini di Sicilia nel XV centenario della nascita di S. Benedetto, Tip. LIS, Palem10 1980; sui minimi, GIUSEPPE (P.) da MESSINA, Idea storico e cronologica di questa Provincia di Messina dell'Ordine de' Mininii di S. Francesco di Paola, (manoscritto della BUR Mss. D. 36); sui gesuiti A. NARBONE, Annali siculi della Con1pagnia di Gesù (1804-1859), Tip. Bondì, Palern10 1906-1908, 6 voli.; P. A. LEANZA, I gesuiti in Sicilia nel secolo XIX, Tip. Lugaro, Palermo 1914; G. DE ROSA, I gesuiti in Sicilia e la Rivoluzione del '48, Ed. di Storia e Letteratura, Ro1na 1963; F. RENDA, Bernardo Tanucci e i beni dei Gesuiti in Sicilia, Ed. di Storia e Letteratura, Roina 1974; sui francescani, cfr. G. LEANTI, Il Francescanesimo in Sil·i!ia, sua i111portanza nella storia religioso-politica dell'isola, estr. da Miscellanea Francescana 34 (1934), Miscellanea Francescana, Roma 1935; G. PARISI, Il terz'ordine regolare in Sicilia, Antelminelli, Torino 1963; B. S. RANDAZZO, Influenza ji·ancescana su la religiosità popolare di Sicilia, in 'O Theologos 5 (1977) 5-12. Sugli scolopi cfr. A. SINDONI, Le scuole pie in Sicilia, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia lugliodicembre (1971) 375 - 421; VlILÀ] PlALÀ] ClLAUDIO], Men1orie cronologiche della fondazione e progressi della Provincia di Sicilia delle Scuole Pie, scritle da p. Filippo Sco111a, Sch. P., in Archivun1 Scholanan Piarun1 9 (1985) 99-154, 307-372 e 10 (1986) 51-170; sui redentoristi cfr. G. GJAMMUSSO, I redentoristi in Sicilia. Memorie bicentenarie 1761-1961, Collegio PP. Redentoristi, Paleimo 1960; ID., Le n1issioni dei redentoristi in Siciha dalle origini al 1860, in Spiciliegiun1 historicun1 congregationis Snii Rede111ptoris ( 1962) 51-176; sui carmelitani cfr. C. N1COTRA, I I Carn1e!o catanese, T. Samperi, Catania 1943; lo., Il Canne/o palerndtano. Tradizione
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sono anche i portati della spiritualità monastica ad avere segnato, almeno fino alla fine del secolo scorso, molta parte della devozionalità e della spiritualità siciliana, oltre ad avere anche avuto una forte ricaduta sulle stesse strutture mentali e culturali e sulla sociabilità locale 14 • Ugualmente significativo è p01 il contributo del clero regolare in tutti i momenti di forte tensione politica che hanno segnato la storia siciliana della prima metà dell'Ottocento: dalla presenza nelle società carbonare, al diretto coinvolgimento nei moti del '20, del '37, del '48 per finire con la simpatia e l'appoggio all'impresa garibaldina 15 • e storia, Scuola Tipografica Salesiana, Palermo 1960; Io., Il Canneto siciliano nella storia. Storia sinteth·a di 148 conventi Carn1elitani esistenti in Sh·ilia dal 1238 ai nostri giorni, Tip. Sampcri, Messina 1979; sui dotnenicani, M. CONIGLJONE, La provincia domenicana in Sicilia, Tip. Strano, Catania 1937; sugli ospedalieri, G. RusSOTTO,/ Fatebenefratelli in Sicilia. Tre secoli di storia ospedaliera (1586-1886), Utiicio Formazione e Studi dei Fatebenefratellì, Roma 1977. 14 Inoltre i recenti studi di T. LECCISOTTI, I 111011asteri cassinensi della Sicilia alla rnetà del secolo XVII, in Benedictina 26 (1979) 147-160; A. LoNGHITANO, Conflitti di con1petenza fra il vescovo di Catania, i benedettini e gli ordh1i n1endicanti nei secoli XV e XVI, in Benedictina 31 (1984) 372-384; G. ZITO, La vita del n1onastero Catanese S. Nicola l'Arena dalle inedite disposizioni dell'abate Dusmet (1858-1866), in Synaxis 4 (1986) 477-534; Io., Il monastero catanese di S. Nicola l'Arena tra il 1675 e il 1719, in Synaxis 5 (1987) 277-338; Io., Il n1onastero catanese di S. Nicola l'Arena tra 1719 e il 1735, in Synaxis 7 (1989) 517-561; G. GIARRIZZO, Catania e il suo rnonastero S. Nicolò l'Arena 1846, Mai1none, Calania 1990; G. GIANNINOTO, Mistero che attira. Per la storia del carn1elo teresiano in Sicilia, Loco1nonaco, s.i.c., 1986; L. VILLARI, La fondazione dei primi tre conventi do1nenicani in Sicilia, in Archivio Storico Messinese s. 3, 33 (1982) 407-418; A. MATfEO CONIGLIONE - S. FORTE, Il /U1ro dei frati professi del convento di S. Don1enico di Pa/enno. Il: Receptiones post Conciliun1 Tridentinun1 (1575-1813), in Archivun1 fratrun1 praedicatorun1 55 (1985) 115-274; F. CAGLIOLA, Sicilia Francescana, secoli Xl/I-XVII, a cura di F. Rotolo, Officina di Studi Medioevali, Palermo 1984; F. COSTA, Francescanesin10 in Sicilia, Casa ed. Francescana - Centro Kolbe, Assisi-Carini 1985; Francescanesin10 e cultura in Sicilia (sec. XIII-XVI). Atti del Convegno inlernazionale di studio nell'ottavo Centenario della nascita di S. Francesco d'Assisi (Palenno, 7-12 1narzo 1982), Officina di Studi Medievali, Palermo 1987; S. CUCINOTTA, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra CinqueSeicento, Edizioni Storiche Siciliane, Messina 1986. 15 Sul coinvolgitnento politico del clero in questi episodi cfr. V. LABATE, Un decennio di Carboneria in Sicilia (1821-1831), Soc. ed. Dante Alighieri, RomaMilano 1904-1909; F. LEMMI, Le società segrete nella Sicilia dal '1814 al 1819 ne/l'autodifesa dell'ab. Luigi Oddo, in Archivio Storico Siciliano, n.s. 43 (1921) 126132; A. DI GIOVANNI, Sacerdoti e Francescani di Sici/;a ne/l'epopea garibaldina del 1860, estr. da La Sicilia nel Risorgin1ento italiano, II, fase. 1, Frat. Corsel1i, Palermo 1932; G. CULTRERA, I gesuiti a Palern10 nel 1848, in Atti del congresso di s1udi
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E', quella monastica siciliana, una struttura che, sviluppatasi enormemente sotto gli spagnoli, sembra avere avuto un ruolo determinante, assieme alla tipica caratterizzazione beneficiale del clero secolare, nel determinare le forti resistenze che hanno contraddistinto la difficile applicazione di alcune delle più caratteristiche innovazioni dello spirito tridentino, dalla centralità che avrebbe dovuto assumere nella vita della Chiesa la parrocchia, unica depositaria di una nuova più genuina azione pastorale, allo stesso ruolo dei vescovi".
storici sul '48 siciliano, (12-15 gennaio 1948), Tip. A. Priulla, Palermo 1950, 185199. V. CARDTLLO,// clero siciliano dopo la Restaurazione borbonica (1849-1860), in Archivio- Storico Messinese (1956-1957) 71-79; La Sicilia e l'Unità d'Italia, Atti del Congresso Internazionale di Studi Storici sul Risorgi1nento italiano (Palermo, 1520 aprile 1961), Manfredi, Milano 1962; F. BRANCATO, La partecipazione del clero afta Rivoluzione siciliana del 1860, in AA.VV., la Sicilia verso /'Unfrà d'Italia, cit., 7-34; Io., Riflessi delle vicende del '59 sul clero siciliano, in Bollettino del Museo del Risorgi111ento 5 (1960), parte Il, 365-385; G. C. ABBA, Da Quarto al Volturno, Noterelle di uno dei Mi/fe, Zanichelli, Bologna 1961; Il. COMPOSTO, Fennenti sociali nel clero n1inore siciliano prÌlna dell'unificazione, in Studi Storici 2 (1964) 263-279; G. DE ROSA, l gesuiti in Sicilia, cit.; M. CONDORELLI, Stato e (.'hiesa nella rivoluzione Siciliana del 1848, Bonanno, Catania 1965; F. FLAVIANO, Cappuccini patrioti nella Sicilia def/'800, in L'Italia Francescana 50 (1975) 41-45; R. ROMEO, Il Risorgilnento in Sicilia, ristatnpa, Latcrza, Roma-Bari 1982; E. D1 TORRALTA CATERINA, Le vicende della Con1pagnia di Gesù nel 1848 in Sicilia, in Archivio Storico Siciliano, s. IV, 7 (1981) 331-360. 16 Nel 1788 i regolari furono ridotti sotto congregazioni nazionali, esentati dalla giurisdizione dei superiori generali e ricondotti alla giurisdizione vescovile. Ma in effetti era nullo il controllo dell'ordinario e inesistente la possibilità dci vescovi di esercitare la loro potestà su un clero che, in qualsiasi 1nomento, poteva appellarsi al giudice di monarchia; nel 1810 i vescovi chiesero che i regolari fossero riportati sotto la loro naturale giurisdizione senza però essere soddisfatti poiché, a parere della corte, i superiori esteri, per la loro lontananza, non avrebbero potuto vigilare sui conventi con la stessa assiduità dei prelati nelle loro rispettive diocesi. Solo con il concordato del 1818 la giurisdizione dci superiori generali venne formaln1ente ristabilita. Sugli scopi politici del controllo degli ordini religiosi da parte della corona questo il giudizio di Luigi Sturzo: «Però per il governo il frate è setnpre tenlibile. Passa da un paese all'altro, da un regno all'altro assai facihnente. Dipende non dai vescovi ma dal generale dell'ordine che stà per lo più a Ron1a; sono devoti della S. Sede ed hanno influenza nel popolo. Il paese non era maturo per la soppressione. E allora si pensa di decretare che i religiosi e i frali delle Due Sicilie non dipendono più dai loro generali, ma che passino, quanto allo spirituale, alla soggezione dei vescovi. Il decreto fu dato dal celebre 1narchese Caracciolo L.. )», Chiesa e Stato sotto i barboni, in G. DE ROSA, L'utopia polith'lt di Luigi Sturzo, Morcelliana, Brescia 1972, 223. Sull'applicazione del Concilio di Trento e lo stato delle struuure pastorali in Sicilia cfr. soprattutto A. LONUHITANO, la parrocchia nella
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Per queste ragioni ci sembra importante, dal punto di vista storico, assumere una prospettiva di ricerca che tenga conto della centralità degli ordini religiosi; una posizione questa che va sempre più rivelando la sua fecondità metodologica, non solo nella storia siciliana17, per una comprensione più puntuale di «[... ] realtà socio- economiche quali ad esempio il regime di proprietà nelle campagne o la distribuzione della ricchezza mobiliare, sia su molteplici aspetti della vita religiosa e dei modi di penetrazione della controriforma (forme di pietà, devozioni, predicazione e missioni, catechesi, attività assistenziali), sia infine sulla politica centralizzatrice operata dal papato nei confronti delle chiese locali, politica di cui gli Ordini religiosi furono, com'è noto, uno degli strumenti preferenziali»rn Una prospettiva que-
diocesi di Catania prin1a e dopo il Concdio di Trento, Istituto Superiore Scienze Religiose, Palern10 1977. 17 L'interesse per il clero regolare e gli ordini religiosi è un' acquisizione abbastanza recente nel campo del1a storia sociale e religiosa che ha mosso i primi passi a partire da problematiche che assu1nevano come punto centrale l'analisi della struttura ricettizia della Chiesa 1neridionale e l'azione pastorale dei suoi vescovi dopo il Concilio di Trento. Gli studi sulle famiglie religiose si sono però intensificati negli anni ottanta, anche sulla scorta di suggestioni e piste di ricerca offerte da alcuni studiosi, cfr. M. ROSA, Per fa storia della vita religiosa e de/fa Chiesa in Italia tra '500 e '600. Studi recerlfi e questioni di 1netodo, in Quaderni Storici 15 (1970) 653758, particolannente le pp. 752-756; C. Russo (a cura di), La storiografia socioreligiosa e i suoi proble111i, in Società, Chiesa e vita religiosa nel!' "Ancien Régin1e", Guida, Napoli 1976; nonché i richiatni di Gabriele De Rosa per un più approfondito studio degli ordini in ID., Chiesa e Religione Popolare nel Mezzogiorno, Latcrza, Rotna-Bari 1978; e nelle conclusioni del terzo incontro scminariale di Maratea su "Il Concilio di Trento nella vita spirituale e culturale dcl Mezzogio1110 tra XVI e XVII secolo'', in Ricerche di sloria sociale e religiosa XVI, 31-32 (1987) 225-232. Per i primi risultati cfr. V. DE VITIIS, li Concordato del 1818 e la proprietà ecclesiastica: restituzione e ristrutturazione nel Molise, in A. GALASSO, C. Russo (a cura di), Per la storia sociale e religiosa del Mezzogiorno d'Italia, I, Guida, Napoli 1980-1982, 531577; M. CAMPANELLI, Il patrin1onio dei Teatini, ibid., 179-238, ma ora in ID., I Teatini, cii.; B. PELLEGRINO e F. GAUDIOSO, (a cura di), Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno n1oderno, vol. I-III, Congedo Editore, Galatina 1987; L. DONVJTO, Società 111eridiona/e e istituzioni ecclesiastiche nel Cinque e Seicento, Franco Angeli, Milano 1987. La più recente messa a punto dello stato degli studi in G. FRAGNITO, Gli Ordini religiosi tra Rff'or111a e Controrifonna, in M. ROSA, Clero e Società nell'Italia Moderna, Laterza, Rorna-Bari 1992, 115-206; R. RuscONl, Gli Ordi11i religiosi maschili dalla Controrifonna alle soppressioni settecentesche. Cultura, predicazione, 111issio11i, ibid., 207-274. 18 C. Russo, La storiografia socio religiosa .. ., cit., CI-CII.
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sta difficile però a praticarsi, soprattutto in Sicilia, per la semioscurità in cui si trovano tuttora molte delle fonti che potrebbero illuminarla". Direttamente dipendenti dal re, tramite l'istituto della Regia Monarchia, che garantiva un' autonomia senza pari in tutto l'orbe cristiano, i regolari siciliani hanno spesso costituito un problema per Roma che vedeva fortemente limitata la sua possibilità di intervento, anche sotto forma del naturale controllo che i superiori dei rispettivi ordini avrebbero dovuto esercitare sulle famiglie monastiche. Questa eccessiva libertà aveva come conseguenza, secondo la Santa Sede, la continua inosservanza delle regole, le numerose trasgressioni disciplinari, la rissosa conflittualità interna a cui facevano da corollario i molteplici abusi e i frequentissimi ricorsi alla giurisdizione regia per strappare concessioni e rivendicare privilegi. Di fronte a questa situazione si evidenziava la irrealizzabilità di ogni eventuale correzione da parte della gerarchia, che vedeva spuntati tutti gli stmmenti canonici a sua disposizione dalla possibilità dei regolari di appellarsi al giudice di 1nonarchia20 • Ogni rimostranza su questo punto cozzava allora contro la ferma difesa delle regalie in materia ecclesiastica che le varie dinastie susseguitesi sul trono siciliano avevano sempre tutelate con ostinazione; in particolare quelle vantate sul clero regolare, di cui si era sempre inteso preservare la "libertà" attraverso un controllo stret-
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Ci si riferisce qui soprattutto al fondo Regia Monarchia e Apostolica Legazia dell'archivio di Stato di Palenno non ancora accessibile agli studiosi per la mancanza di una adeguata regestazione. 20 Estesissinli erano i poteri, sia in can1po civile che religioso, di questo tribunale, la cui codificazione giuridico-fonnale risale al 1575. Per il clero regolare si pensi alla facoltà di sciogliere dai voti religiosi e a quella di giudicare tutte le cause, di qualsiasi natura, che avessero come soggetti gli stessi religiosi, compresi i delitti cominessi fuori dal chiostro. Il tribunale era inson1ma lo strumento principale per consentire il diretto controllo del re sui regolari, e coinc tale era ritenuto dai curialisti il maggiore responsabile dei disordini e degli abusi fra il clero, cfr. Sullo s1ato degli organi regolari di Sicilia .. ., cit. Estesissima la bibliografia sulla regia 1nonarchia, oltre a F. SCADUTO, Staio e Chiesa .... , cit.; fra gli studi più recenti cfr. G. CATALANO, Studi sulla legazia apostolica di Sicilia, Ed. Parallelo 38, Reggio Calabria 1973; F. M. STABILE, L'abolizione della Apostolica Legazia sicula e del tribunale di regia 1nonarchia, in 'O Theologos. Cultura Cristiana in Sicilia 16 (1977) 53-90; M. TEDESCHI, Struttura ecclesiastica e l'ifa religiosa, in Storia della Sicilia, cit., VIII, 5571; S. FODALE, L'Apostolica Legazia e altri studi su Stato e Chiesa, Sicania, Messina 1991; ai quali si rimanda per una più approfondita bibliografia sull'argo1nento
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tissimo che sarebbe durato praticamente fino alla caduta della dinastia borbonica". Che ciò fosse denunciato come totalmente contrario alle esigenze di una più genuina religiosità, che aveva come fondamentale presupposto la libertà della Chiesa siciliana dai lacci del vecchio regalismo e che, conseguentemente, la ancorasse saldamente alla assoluta dipendenza papale, aveva scarsa importanza e, soprattutto, la rivendicazione era troppo debole, e poco credibile; specialmente perché veniva da un episcopato che, ancora in occasione del primo sinodo regionale nel 1850, era, in maggioranza, pesantemente limitato oltre che da concreti interessi personali, soprattutto da una concezione magnifica e aristocratica del ruolo del vescovo, che solo forzatamente poteva conciliarsi con le rivendicazioni, parallelamente avanzate, di autonomia spirituale e di direzione pastorale sia del clero che del popolo cristiano". Del resto, a volte, il controllo regio sui conventi aveva
21 Nonostante la Concordia Benedettina lin1itassc l'ingerenza del 1nagistrato negli affari degli ordini regolari, forti e ripetute intromissioni si registravano in materia di disciplina monastica. Per la relativa giurisprudenza cfr. A. GALLO, Codice ecclesiastico siculo, Tip. Carini, Palermo 1846-1883. 22 Illuminante il giudizio sui vescovi siciliani che, nel periodo che grosso 1nodo coincide con quello in cui essi tengono, dopo più di un secolo, la loro pri1na assise comune, viene dato in Vaticano: «[ ... J nella nlaggior parte, sebbene ve ne siano stati sempre alcuni distintissimi per zelo, e per dottrina, non erano come altrove uniti da rendere rispettabile il corpo episcopale di questi stati né assuefatti ad alzare la voce sacerdotale per resistere alle usurpazioni» anche perché, «[ ... ] presi forse taluni dalla speranza di pro1nozioni a 1nigliori Vescovati>). In queste condizioni la sconfortata soluzione del relatore era che la Chiesa in Sicilia non era ancora andata incontro a nuove sventure solo grazie alla religiosità di Ferdinando Il. Relazione sugli a.f/Gr; ecclesiastici del Regno delle Due Sicilie (b.), Asv, APIX, Napoli, Particolari. Sulla congregazione generale dei vescovi del 1850 cfr. A. GAMBASIN, Religiosa n1agnificenza e plebi in Sicil!a nel XIX secolo, Ed. di Storia e Letteratura, Roma l 979, che pone soprattutto l'accento sugli sforzi dei vescovi per liberarsi dalla tutela regia, conculcati dalla volontà retriva della dinastia bofbonica; una volonlà che, agli occhi di Roma, se1nbra anche essere incoraggiala dalla scarsa determinazione dei prelati di opporvisi per difendere interessi che non erano certamente né spirituali né pastorali. Bisogna però riconoscere ai partecipanti alla congregazione siciliana una conclainata volontà di riforma che andava nel senso di dare ai corpi regolari una diinensione più paslorale e tridentina, soltoponendoli a un maggiore controllo dei vescovi e liinitando gli ingressi in religione. Ma questi intendimenti non furono però condivisi né dalla congregazione romana, che vigilava sul sinodo siciliano, poiché, oltre ad andare contro i privilegi dei regolari, essi sarebbero stati addirittura ingiuriosi per le loro stesse costituzioni, né alla corte
Il vescovo Bencdelto Denti (vescovado di Caltagirone) (foto F . Ferraro)
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anche degli effetti positivi imponendo un freno a comportamenti illegali23 che, a giudicare anche dal tono dell'enciclica del 1847, non dovevano essere esclusiva prerogativa solo dei regolari siciliani. Che però, nella Sicilia del primo quindicennio della restaurazione, l'area dell'abuso e della devianza disciplinare fosse molto estesa è comunque dimostrato da diversi indizi. Uno di questi è il progetto, mai attuato, di visita apostolica per i regolari del regno delle Due Sicilie. Già nel 1830 la S. Sede faceva pressioni sul nunzio perché anche nel regno si potesse effettuare una visita sul modello di quella portata a termine, nello stesso periodo, in Piemonte. Inoltre il bisogno di interventi urgenti nei conventi viene confermato dalle frequenti denunce di abusi, negli stessi anni inollrate alla Santa Sede che, dal canto suo, ribadiva fcrmamenie l'unica soluzione possibile per porre fine alla rovinosa situazione disciplinare e morale del clero regolare, consistente nella rivendicazione della sna esclusiva potestà sulle "cause" inerenti gli ordini rcligiosi24 • napoletana, in quanto direttamente contrarie alle regalie sovrane, ibìd., 175 e passim. 23 Un n1odo per conservare il potere all'interno dell'ordine consisteva nel ritardare artatan1ente la celebrazione dei capitoli per fare slittare il rinnovo delle cariche, ciò consentiva, in assenza dì interventi esterni, di continuare a governare la provincia con una forn1a che ricorda la 1node111a prorogatio 1:nnn1inistrativa negli enti pubblici. Un tentativo del genere, che però non ebbe molta fortuna, fu tnes.so in opera da alcuni cappuccini della Val di Noto; dal giudice di 1nonarchia arrivò infatti l'ordine che, se concedeva la proroga dell'incarico di "priino diffinitore" al padre Luigi da Vizzini, la li1nitava solo alle questioni urgenti, inti1nando allo stesso di ottenere, il più presto possibile, il permesso generalizio per la celebrazione del capitolo. Si esegua, Palenno Febbraio 1848; As. Pa, MRSL, b. 374. 24 Fu Leon~ XJI ad inviare nel regno di Sardegna un visitatore per conven1i e monasteri con vasti poteri in seguito alle segnalazioni di Carlo Felice sui frequenti disordini che si verificavano negli stessi istituti, cfr. PLICHE - MARTIN, Storia della Chiesa, cit., 1012. Sul progetto di una visita Apostolica per i Regolari del Regno, Asv, ANN, b. 226. li progetto non andò in porto, e ancora quattro anni dopo la Congregazione scrivendo al nunzio in Napoli affennava scoraggiata che «[ ... ] col 1nezzo di progetti, e di note 1ninisteriali non si arriverà giammai a poter rriettere un freno alle scandalose licenze de' Corpi Regolari» affidandosi con1e ulti1na ratio _a un «r ... ] diretto carteggio fra il S. Padre e Sua Maestà», la Sacra Congregazione al Nunzio 14 settembre 1834. Critica appare, negli stessi anni, la siluazione disciplinare delle fa1niglie religiose in alcune province. Scandaloso viene definito lo stato dei pp. Basiliani di Messina, che avevano celebrato il loro capitolo nel giorno della pentecoste; gli agostiniani scalzi avevano addirittura riunito conten1poranea111cnte a Palenno due capitoli nello stesso giorno, il 27 aprile 1833; delicata anche la
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Un forte stato di malessere si ritrova all'interno di alcuni corpi regolari siciliani, come i carmelitani 25 e gli osservanti 26 , ancora negli anni immediatamente precedenti la rivolta del '48. Di nuovo più convulsa, nonostante alcune eccezioni 27 , si presenta la situazione a ca-
condizione dci carmelitani scalzi riunitisi in capitolo lo stesso giorno degli agostiniani. I n1otivi dci disordini sono da ricercarsi nelle elezioni dei superiori che danno adito a scontri fra gruppi e correnti che, secondo la S. Sede, sotto la difesa della «[ ... J scrupolosa osservanza delle loro Costituzioni nascondono la più fina malizia per soddisfare alle loro passioni e specialmente a quella del'inleresse e dell'ambizione». Il 1ncglio sarebbe per il Vaticano che queste cause potessero essere avocate a Roma. Lettera al Nunzio, 2 settembre 1834, ibid. 25 Alcune denunce che rivelano lo stato di profonda crisi degli ordini in questi anni si trovano nel fondo Vescovi e Regolari, Archivio Segreto, dell'Asv., a. 18471850. 11 16 marzo 1847, padre Cannelo denuncia lo stato "deplorabile" della provincia di S. Angelo dei pp. cannclitani calzali a causa degli «[ ... ] empi progetti degli attuali governanti», di questi vengono incrinlinate le «L ... ] bra1nc d'ambizione» a causa delle quali orn1ai è «[ ... J bandita dell'indutlo sia l'osservanza regolare dai chiostri ad esclusione dcl Carmine Maggiore di Palenno e quello di Trapani>), che ha anche co1nc conf>cguenza la decadenza cullurale che vede «[ ... l abboliti perfettarnentc li studi, ed infatti li due Colleggi generalizi di Palermo e quello di Trapani privi sono di studenti». 26 Anche il ministro generale dei rninori scrive al prefetto della Sacra Congregazione il 27 febbraio 1847, «[ ... ] scorgendo le tre Provincie Osservanti di Sicilia non poco disorganizzate sì nella regolar disciplina che nel siste1na economico a causa dei pa1titi, e di varj dominanti, che colaggiù regolano le cose a loro arbitrio: e prevedendo quasi con certezza che nella elezione de' nuovi Superiori Maggiori da farsi nella prossima pri1navera non si romperebbero le catene da più anni inanellate e per conseguenza i disordini degli abusi purtroppo invalsi in quelle provincie sussisterebbero ed au1nenterebbero, la scelta dei futuri Superiori si facesse dagli elettori provinciali, giusta il 1netodo tra noi consueto: per queste gravissi1ne considerazioni l'orante Ministro Generale ricorre umilinenle alla Clemenza della S.V. per implorare che i nuovi superiori lo parola siano deterrninati cd eletti pro hac vice ta11tu111, et ad trie1111i11111 con special Decreto della S.C. de' Vescovi e l~eligiosi per provvedere così al bisogno e tentare ahneno un rimedio ai vigenti inali. A tale espediente si è spesso ricorso anche in passato eziandio a' giorni nostri come nel 1838 per la Provincia Osservante di Basilicata e per la Provincia Rifonnata di Val Mazzara e la Son11na Provvidenza de' Romani Pontefici rnai ha escluso quest'utile te1nperan1ento, specialmente quando si può essere sicuri della Sovrana approvazione e co1npiacenza de' respettivi Governi, siccornc avviene nel caso presente sul quale è stata già prevenuta Sua Maef>tà il Re del Regno delle Due Sicilie». Vengono poi proposti i nomi dei possibili superiori, fra questi provinciale per il Val di Noto viene indicato il padre Salvatore da Vizzini, lettore generale di eloquenza. 27 Asv, SCVR, Regolari, a. 1851 (gennaio-febbraio). Fra Innocenzo da S. Alberto, vicario generale degli agostiniani scalzi al S. Padre da Napoli il 20 agosto l 850, Io informa che attende di sapere se deve recarsi in visita anche in Sicilia dopo Napoli. Affenna che, in generale, «tranne alcun pochi individui» lo stato dell'ordine è
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vallo degli anni '40 e '50, non solo fra gli stessi carmelitani 28 e gli osservanti" ma anche nei ranghi dei cassinensi 30 • 1 motivi del buono anche in Sicilia, dove però segnala di aver già posto riparo a qualche disordine a Messina e Palermo. 28 Asv, SCVR, Regolari, a. 1851 (gennaio-febbraio). Men1oriale per !'Udienza di Pio IX, senza data. In un altra lettera del 19 novembre 1850 del Ministero di Stato dell'Ecclesiastico al padre generale d. Giuseppe Rai1nondo Lobina, ibid. Si denuncia lo stato della provincia scissa in due partiti opposti; uno guidato dall'attuale provinciale padre Giovanni della Santa Croce l'altro dal padre Marcellino Maria della Risurrezione che, con decreto della S. Congregazione, era stato recentc1nentc nominato provinciale, assieme a diversi suoi sostenitori che erano saliti alle più alte cariche della provincia, quelle stesse persone ricorda preoccupata la n1issiva, che erano state fino ad allora ''mahnenate" dal partito nemico per cui ci si sarebbero potute aspettare delle vendette. Il nlinistero accusava inoltre i seguaci di Marcellino di avere preso direttainente parte ai moti e lo stesso nuovo provinciale essere stato «[ ... J esaltato in fervore della rivoluzione». Il governo propone perciò che si azzeri tutto e si formi una nota atnpia di nuovi eleggibili, senza che fosse omesso il principio dell'elegibilità dei regolari da loro stessi, ragione per la quale non si era concesso il regio exequatur agli eletti dalla S. Sede. 29 Asv, SCVR,Archivio Segreto, a. 1850-1851. In un dossier sugli osservanti siciliani padre Cannelo da Spaecaforno viene accusato di aver "detun1ato" il denaro dei novizi e di "negozio" nella celebrazione delle Messe. Si segnalano poi diversi "spogli" operati dallo Spaccaforno ai danni di numerosi suoi confratelli, fra cui p. Gaetano da Scicli, p. Luigi da Terranova, perfino il provinciale Raffaele da Casavigno. Il nieccanismo di arricchimento si imperniava sull'appropriazione di parte del denarò che Spaccaforo raccoglieva in qualità di «Com1nissionato di Terra Santa della Val di Noto». In undici anni della sua gestione egli avrebbe depositato solo 2699 ducati e 7 grani nel 1838, e poi altri 1712 ducati e 64 grani nel 1846. Le deposizioni dei frati addetti alla Pia Opera nel Val Di Noto, n1a anche quelle di altri confratelli, "gridano" «[ ... } sull'abbominevole sacco che si da nel depositare la quarta, la quinta, anche la sola sesta parte delle annue questuate limosine, ritenendosi dal Comn1issionitrio Padre da Spaccaforo presso di sé il restante, ch'è la maggior , quantità». Di questi si denunciano il lusso smodato, i pranzi e i fasti, celebrati nella sua casina di Pozzallo, e vengono ricusati i certificati di buona condotta perché il frate sarebbe in ottimi rapporti col sottointendente di Modica. Lellera da Fra Luigi da Loreto Ministro generale del'Ordine dei Minori, da Napoli al cardinale Orioli prefetto della Congregazione, 28 Marzo 1850 ibid. Lo Spaccafomo sarà poi rimosso dal suo incarico. Lettera della Sacra Congregazione al Nunzio, ottobre 1850, ibid. 30 Alcuni me1nbrì dell'ordine vengono, con decreto pontificio il 12 giugno 1850, degradati dalla badia e privati della voce attiva e passiva. Si tratta degli abati Corvaja, Proto, questi viene anche trasferito dal suo convento di Messina a quello di Montecassino, Cultrera Pappe (?), Drago, Buglio, Adorno; dei priori Giu~eppe e Benedetto Cun1bo, Caffarelli, Sigona, Oddo e Branciforte, e di diversi altri sernplici religiosi. I motivi del provvedi1nento sono le ripetute "delinquenze", da molti contestate nei loro riguardi, condannate dalle costituzioni dell'ordine con la deposizione, e le «ripetute prepotenze» anche nelle adunanze generali dell'ordine. Dell'abate catanese Corvaja si denuncia la sua opera volta a far sì che né gli atti della dieta di Subbiaco del 1844, né quelli del successivo capitolo di Montecassino,
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malessere, oltre ad essere ricollegabili a specifiche cause interne: mancanza della vita comune, continue lotte di gruppi e di fazioni, sfruttamento in chiave personale delle possibilità offerte dalle mansioni ricoperte all'interno dell'ordine, abusi dei superiori ed anarchia dei sottoposti, sono anche da mettersi in connessione con una realtà sociale e religiosa che, in questo momento, agli occhi della S. Sede, sembra essere gravemente compromessa. Dal giudizio già riferito sui vescovi a quello sui seminari'', dalla condizione del clero, sia secolare che regolare 32 , tutto nell'isola appare decadenza e potessero ricevere il regio exec1uat11r a Palermo «[ ... ] fintantoché non si giunse ad ottenere che il padre Abate Corvaja fosse ristabilito Abbate di governo di Catania, da dove per aver già finito il suo Set!ennio in forza de1lc Costituzioni Cassinesi era stato traslato a quello di Messina1>. Nel successivo capitolo di Montecassino il Corvaja avrebbe addirittura procuralo che vi «[ ... J accedesse la forza pubblica fin dentro il 1nonastero Capitolare, dichiarandosi a chiunque che essa era tnandata a disposizione ciel P. Abbate Corvaja» e creando, in questa occasione, di sua iniziativa e contro le costituzioni dell'ordine, il Cultrera e il Proto abbati. Asv, ScvR,Archivio Segreto, a. I 850-5 I. In seguito al decreto furono proposti co1ne abbati dei 1nonasteri siciliani Ignazio Abbatelli, che a Catania guidava il partito contrario al Corvaja, per il monastero di Militello; d. Ruggero Blundo per quello di Palenno; un altro palennilano, d. Saverio Grifeo, avrebbe dovuto avere il governo del monastero di S. Nicolò l'Arena a Catania 1nentre a Messina sarebbe dovuto andare cl. Domenico Gravina (ihid.). Su questi fatti cfr. anche G. MARTINA, Gli istituti religiosi in Italia intorno al 1870, in Chiesa e Religiosità in Italia ... , cit, 212 e segg.; sul Corvaja si veda G. ZITO, La vita del 1no11astero catanese S. Nicolò l'Arena dalle inedite disposizioni de/l'abate Dusrnef (1858-1866), cit., particolannente le pp. 479-482. 31 Asv, APIX, Napoli, Particolari, Relaziont' .. ., cit., a proposito dei se1ninari si affern1a che in essi 1nancano assolutamente i piani di studio e che sono tì·equentati anche da giovani che non hanno nessuna aspirazione ad abbracciare la vita ecclesiastica. 32 Questi i n1ali maggiori ciel clero, ihid., «[ ... J Sin1onia è un vizio non raro nel Clero Secolare e Regolare, anche la i1n1noralità con qualche pubblicità vi predo1nina, né rispetta qualcuna delle case religiose». Si è vero ci sono tanti religiosi di buoni costutni ma «i Confessori prendono dai penitenti regali, e mes.se, lo stesso fanno i Confessori di Monache !... ]. Non parlo del lusso dei Regolari, dei peculii che ritengono, dei così detti co111pli111e11ti che fanno per sostenere i sudditi la loro insubordinazione contro i superiori, questi le loro ingiustizie a danno di quelli». Eloquente, a questo proposito, la descrizione dello stile di vita degli osservanti della provincia messinese (i/Jid.), (f) «[ ... J fatto da persona sicura (che) non appartenente a quella Provincia». A parte il fatto che l'osservanza è completamente perdu!a, nullo è il rispetto per l'abito religioso, in inverno, ad esempio, si usano «[ ... ] stivala, scarpe e calzette, tutti in ogni te1npo tonache di panno fino del prezzo di dieci e dodici scudi alla canna, quel ch'è peggio nell'està usano tonache cli salga (?), e di altra si1nil materia, cmnicie fini con pusini e collarini a comparire da fuori, fazzolettini di seta al collo, e soltanto coloro che non possono arrivare alla spesa ne vanno esenti». Anche
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disordine. Rilevantissimo emerge il problema delle dispense da professioni religiose e matrimoni concesse in numero esorbitante. Al riguardo per Roma i siciliani sono quasi degli scismatici 33 , mentre abbastanza diffuso sembra essere fra i parroci l'uso di amministrare il sacramento del matrimonio al di fuori del controllo degli stessi or· dinari spesso con fini di pura venalità; situazione questa che imporrebbe, a giudizio del relatore, la presenza diretta, seppure discreta, di un rappresentante della S. Sede in Sicilia che potesse
sull'osservanza dci doveri 1nonastici il relatore non è tenero: «La maggior parte non intervengono al Coro f ... j. Un'ignoranza crassa già vi predomina e tranne pochissimi soggetti la maggior parte dcl resto non sa leggere)). Si affronta poi il nocciolo del problema politico: «l ... ] La provincia attualmente è scissa in due par!iti t ... ] financo gli stessi chierici e laici entrano a parte de' divisi partiti, a vicenda l'un partito svergogna l'altro, e reciprocamente rendono palese al secolo le 111ancanze e le debolezza dell'un l'altro)>, stando così le cose, si suggerisce che bisognerebbe eleggere il provinciale fuori dalla provincia, in quanto la carica fa gola a parecchi, non solo per lo status che essa conferisce; ciascun convento deve infatti pagare al capo della provincia una tassa annuale di 12 ducati, in più solo l'eletto può ricevere i novizi che debbono, a tale scopo, versargli una so1n1na di circa 90 scudi. 33 Cenni sugli abusi esistenti in Sicilia in n1aterie Ecclesiastiche, ibid. Gli «l ... ] abusi commessi nelle cause di nu!Iità delle professioni religiose e dei matrin1oni sono nati appunto perché in Sicilia né dalle Curie ecclesiastiche né dal Tribunale della Monarchia si sono osservate le dette Bolle attesa la mancanza del regio exequatur)>, si fa qui riferimento al rispetto della cosliluzione Dei Miseratione sulle cause matri1110niali. Quanto alto fosse il livello di scontro su queste materie si coglie, ancora nel 1855, in una lettera del nunzio al papa del 25 sette1nbre 1855, ibid., nella quale il prelato tenta di giustificare il re e il marchese del Vasto che nulla, nonostante le loro buone intenzioni, avrebbero potuto fare per «[ ... 1 variare i principi dei Siciliani, per non attirarsi una generale indignazione de' suoi sudditi [... ] fra questi principi vi è più d'ogni altro l'uso, per non dirsi privilegio, co111e si crede in Sicilia, da circa un secolo, che tutti gli appelli, inclusi quelli per nullità delle Professioni monastiche, si debbano indistintainente portare in giudizio davanti al Giudice della Monarchia>) con l'aiuto di un cavillo temporale per evitare le sospensioni a divinis ex inforn1ata coscientia. Pio IX non è dello stesso avviso e nella durissima lettera di risposta, del 24 ottobre 1855, ibid., in cui rimprovera il prelato di scarso senso di servizio verso la Chiesa, affenna che il popolo siciliano niente sa dei pretesi diritti dcl t1ibunale e che su questo terreno «f ... J si è a un passo dallo scis1na». Il tribunale regio «[ ... ] annulla con tanta facilità le professioni religiose, e colla stessa facilità scioglie il vincolo Sacrosanto del Sagrarnento del Matrùnonio tal ché il numero di questi scioglimenti in Sicilia eguaglia, o forse supera il nu111ero dei Iv1atrimoni disciolli in tutto il resto d'Italia)), Si tratta qui, afferma il pontefice, non dell'on1aggio della Chinea ma di prerogative in·inunciabili della S. Sede. «lo pertanto conclude - ripeto di non conoscere né poter riconoscere altre facoltà in questo miserando tribunale se non quelle contenute nella Bolla citata di sopra (la Fide/i di Benedetto XIII) e nel Breve lamdiu», quest'ultin10 del 3 niarzo 1846.
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prontamente mettere Roma al corrente di qualsiasi abuso o inosservanza delle leggi canoniche su queste materie 34 • Da quanto si è fin qui detto pare non privo di interesse. in un momento così delicato della vita religiosa siciliana, potere disporre di una documentazione che possa dare alcune indicazioni sullo stato degli ordini regolari, sul grado dell'osservanza nei rispettivi conventi, ma anche sulla condizione delle fabbriche religiose, e che, oltre a fornire diverse informazioni generali sul clero regolare, come la sua quantità e tipologia, consenta pure uno sguardo ravvicinato di ciascuno di questi individui. Di essi per la diocesi di Caltagirone, si conosce il rispettivo nome e cognome, tranne per i cappuccini e i carmelitani riformati, per i quali viene dato solo il nome di religione, il luogo di nascita e l'età, la gerarchia religiosa, gli eventuali gradi accademici e la funzione ricoperta all'interno del convento. Per ciascun istituto si conservano anche le osservazioni de] vescovo che, assieme a una parte dei fascicoli personali redatti da ogni religioso, rappresentano uno strnmento abbastanza puntuale che consente di conoscere alcuni aspetti della pastoralità e della devozionalità sviluppata dal clero regolare, oltre a fornire notizie, anche molto particolari, sul livello di impegno con cui il clero regolare viveva la sua scelta vocazionale 35 •
34 Relazione sugli affari ecclesiastici ... , cit., i parroci sono «[ ... ] facilmente venali, o perché trascurano le condizioni prescritte dal Tridentino (e) fanno nascere gravi disordini nella celebrazione de' matrimoni, anche per la negligenza della custodia dei libri. E' invalso l'uso, che non è stato giammai totaln1entc estirpato di contrarre Matrimonio senza denunzie, colla forzata, o accidenlale presenza del Parroco. Di più si narra di essersi introdotta in Sicilia la n1assima, che l'ordinario del Matrimonio sia il Parroco indipendentemente dal Vescovo, sicché tante volte si è tentato, e forse è accaduto di eseguire anche le dispense». La necessità di un rappresentante della S. Sede nell'isola era pure conseguenza della legge organica per la Consulta della Sicilia, emanata in Napoli il 27 settembre 1849, che stabiliva una am1ninistrazione separata nelle due parti del regno anche per gli affari ecclesiastici, ciò avrebbe avuto come conseguenza la impossibilità del nunzio napoletano di "conoscere" gli affari isolani, occorreva quindi «[ ... ] una persona di fiducia senza carattere officiale, che inforn1i il Nunzio, e che ivi agisca per il Nunzio», (ibid.). 35 Il 1nateriale a cui si fa riferimento è conservato in Acvc, b. 324, dove si trovano lo Stato di tutti i conventi e del clero della diocesi calatina, le osservazioni del tninistro Cassisi alla bozza della relazione da inviarsi alla S. Sede sulla riforma dei regolari, preventivamente sottoposta dal vescovo al giudizio 1ninisteriale, il rapporto definitivo per la Sacra Congregazione, tutte riportate in appendice. Nella
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Manca invece qualsiasi informazione di carattere economico il che, se lascia nna zona d'ombra significativa su nn aspetto estremamente importante nella vita dei conventi, sembra riaffermare la volontà soprattutto disciplinare, pastorale e politica che guidava l'inchiesta, caratteri questi che sembrano marcarne anche una maggiore modernità rispetto agli approcci di natnra quasi esclusivamente patrimoniale che contraddistinguevano simili iniziative del passato%
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Eretta il 12 settembre 1816 da Pio VII con bolla Romanus Pontifex 31 , dopo un periodo di oltre sette secoli dnrante il quale nessuna entità diocesana aveva visto la luce in Sicilia, anche in seguito a una lunga serie di richieste che indefessamente il senato della città Gratissima aveva rivolto, fin dal XVI secolo, a Filippo Il per ottenere l'episcopio 38 , la diocesi di Caltagirone fu un fatto tipicamente ottocenstessa busta si notano anche i fascicoli personali, con le risposte all'inchiesta, dei cappuccini e dei minimi di Caltagirone. Gli altri fascicoli personali si trovano rispettivamente nelle buste 296, cappuccini di Ran1acca e Mineo, cannelitani di Caltagirone; 302, conventuali e osservanti di Mineo; 327, conventuali di Caltagirone e cappuccini di Milite Ilo e di Ram acca; 387, francescani riformati di Patagonia. Non ho rinvenuto i fascicoli relativi agli altri conventi diocesani perchè probabilmente andati distrutti a causa dei danni subiti dall'ai·chivio durante la seconda guerra mondiale e negli anni inunediata1nente seguenti o perché confusi fra le carte non ancora catalogate. Per la parte ordinala dell'archivio ctì·. G. ASTUTO - M. MESSINA, I fondi dell'Archivio DiocesanO di Caltagirone, in Asso, a. LXXV, 1979 (II-III), pp. 555-59 l. 36 Non è a mia conoscenza nessun altro lavoro che utilizzi questa fonte. Alcuni dati a partire dallo stesso documento vengono forniti per la diocesi di Caltanissetta in A. SINDONI, Dal R{forn1isn10 assolutisdco al catto/icesi1110 sociale, Il, Studium, Roma 1984, 49-54, che per la diocesi nissena rileva anche l'esistenza di informazioni patrimoniali sui conventi. 37 Sanclissilni Don1i11i Nostri Pii PP. VII Literae Decreta/es super disnie111bratione Quindeci111 1erran1111 a niinis extensa Syracusana Diocesi, et in illaru1n praecipua Civilate noncupata Calatajeronen unius episcopatus ejus non1inis erectione ... , Romae, et iterum Calatagironi, Montalto 1816 38 L'offerta fu di 3000 scudi, peroratore della causa il viceré Marco Antonio Colonna che però morì due anni dopo senza 1iuscire a portare a termine l'opera. Nei primi anni del XVII secolo la richiesta venne rinnovata tramite i buoni uffici di fra' Bonaventura Secusio, calatino patriarca di Costantinopoli e poi vescovo di Catania, ma neppure in questa occasione si arrivò a una·felice conclusione a causa di motivi economici, mancarono infatti i tnille scudi che il viceré duca di Feria chiedeva per il
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tesco, un prodotto caratteristico di questi primi anni del secolo che vedono impegnati sia la S. Sede che la corte borbonica a ridefinire i contorni dello spazio geo-religioso, nonché la stessa natura dei loro rapporti, e che trova l'élite locale caparbiar~1ente impegnata nella conquista di uno statuto che, oltre a significare per la città il raggiungimento di uno status superiore, avrebbe comportato un allargamento dell'area di possibili incarichi ed occupazioni legati alla presenza dell'episcopio 39 •
sostcnta1ncnto dcl capitolo. Anche nel 1629 la nuova richiesta del senato deve fare i conti con uno «[ ... J sbilancio esorbitante nel civico patrimonio» che impedisce di nuovo la realizzazione dcl progetto. Soli) più tardi, in occasione della censuazione del 1790, ci si accorge che esiste nelle casse dell'università una rispettabile son1ma da destinare al vescovado. Così nel Parla1nento del marzo 1802 il senato ripropone la richiesta men1re negli anni successivi lo stesso organo spende 10.000 scudi per l'abbelli1nento della futura cattedrale oltre a destina1ne 50 mila per la costruzione del palazzo vescovile e del se1ninllrio, cfr. Breve Storia sul Capitolo Cattedrale [di] S. Giuliano e S. Giaco1no con Mons. Saverio Gerbino, 1nanoscritto della Bee, 2 e passim. Stavolta niente potranno le resistenze del vescovo di Siracusa, anche in conseguenza del clirna più favorevole all'erezione di nuove diocesi che si respirava sia alla corte napoletana che in Vaticano; così l'antichissi1na sede metropolitana aretusea dovrà rassegnarsi a perdere 15 comuni (oltre a Caltagirone i centri di Scordia, Palagonia, Militello, Mineo, Vizzini, Licodia, Santa Maria di Niscetni, San Michele di Ganzeria, San Cono, Terranovll, Butera, Mazzarino, Riesi e Grarnmichele) che fonneranno ora il territorio della nuova circoscrizione diocesana. Sull'erezione del vescovado e sui vescovi di Caltagirone cfr. V. TURTURETUS, Ereçiòn de Y glesh1 catedral
pretendida de la ciudad de Caltagiron, de la diocesis de Saragoza en e{ reyno de Sicilia, Franciscum Martinez, Madrid 1627; G. BOSCARI, Men1oria inforno la necessità di doversi rin1en1brare la vasta Diocesi di Siracusa e stabilire un Nuovo Vesco11ado in C'altagirone, Montalto, CaltagiroHc 1813; Difesa della Cattedrale di Siracusa contro la vana pretesa di Caltagirone, Pulcjo, Siracusa 1814; I deputati della Collegiata, e Parrochiale Chiesa di S. Giaco1no alla Congregazione Concistoriale ed agli EJni e R.111i Signori Cardinali ... , Vincenzo Poggioli, Ron1ll 1816; ErecOone unius episcopatus in praecipua civitate Calatajeronen µrecante Ser.1110 Principe Ferdinando IV, Montalto, Ro111ae-Callagironi 1816; G. DI MARZO FERRO, Stato presente della Chiesa di Sicilia, Lo Bianco, Palermo 1860, 78-82; L. BOGLTNO, Chiesa di Caltagirone. Notizie storiche del vescol!ado e dei suoi prelati, in La Sh·ilia Sacra 4 (1902) 33-40 e 202-216; CALATlNUS [Luigi Caruso], Il vescovado e i vescovi di Caltagirone, Scuola Tipografica Città dei Ragazzi, Caltagirone 1957; P. SALOMONE, La cattedra/e di Caltagirone nella storia e nell'arte, Scuola Tipografica Città dei Ragazzi, Caltagirone 1972; G. ZITO, La Pastorale dei vescovi calatini, in Visitare et Pascere, nun1ero speciale del Foglio Ecclesiastico, luglio 1991, 14 - 29. 39 Sul concordato del 1818 ctì·. F. TORELLI, La chiave del Concordato dell'anno 1818 e degli atti en1anati posterionnente al n1edesin10 diJposta per otdine di n1aterie e per indice alfabetico, Stan1peria del Fibreno, Napoli 1848-1851; W. MATURI, Il concordato del 1818 tra la Santa Sede e le Due Sicilie, Le Monnier, Firenze 1929; A.
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Dal puuto di vista economico-sociale l'area calatina non sembra far segnare differenze notevoli con la restante parte della diocesi di Siracusa, in cui essa si trovava inserita fino agli inizi dell'800. Tre città regie: Caltagirone, Mineo e Vizzini, sono i poli trainanti in un territorio in prevalenza collinoso, che vede anche la presenza di medie e piccole terre feudali, di cui la comune matrice economica è, comunque, la forte prevalenza del grande latifondo sia feudale che demaniale. La diocesi comprendeva nel 1851, epoca della prima relazione ad limina 40 , 13 comuni e una popolazione di poco inferiore alle 90000 anime (Tabella I). Il primo vescovo, fu Gaetano Trigona, di nobile famiglia originaria di Piazza, che avrebbe retto la diocesi fino al 1832, quando sarà chiamato alla cattedra metropolitana dell'arcidiocesi di Palermo; a lui succederà Benedetto Denti sotto il cui lungo governo, durato fino al 1853, la diocesi subirà un pesante ridi1nensionamento umano e territoriale41 . L'ex priore di S. Martino delle Scale uomo, come lo definiva un testimone nel corso del suo processo per l'elezione a vescovo, di «[ ... ] somma gravità e prudenza molto mite, ed affabile nell'ammonire il suo prossimo, ma insieme molto cauto ed accorto nel disimpegno di qualunque affare di sommo rilievo [... ] non solo ha vissuto da buon Cattolico ma ancora ha menato sempre una vita edificantissima da vero religioso», doveva avere mollo a cuore lo stato e la disciplina del clero regolare dalle cui fila lui stesso proveniva. Sulle sue qualità monastiche anche il secondo testimone era assolutamente d'accordo: «P. D. Benedetto ha sempre menata una vita edificantissima anche
MERCATI, Raccolta di concordati su n1aterie ecclesiastiche tra la S. Sede e le autorità civili, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1954. Molto negativo il giudizio con1plessivo di Luigi Sturzo sulle conseguenze del concordato, per suo n1ezzo in definitiva «I vescovi dovevano divenire gli esecutori del re, da cui dipendevano: e il clero il servo del re», cfr. Chiesa e Stato solfo i horboni, cit., 231. 40 L'unica ricerca condotta su questa fonte per la diocesi è quella di D. F. FERRETO, le relazioni «ad lin1ina» della diocesi di Caltagirone ne/l'Ottocento, lesi di licenza presso la Pontificia Università Gregoriana, moderatore G. Martina, Roma 1991. 41 Il 20 maggio 1844, in occasione della creazione di nuove diocesi, Caltagirone perdette i comuni di Mazzarino, Butera, Terranova, Niscemi e Riesi per acquistare quelli di Mirabella Itnbaccari e Ramacca-Raddusa, ciò si tradusse in un deficit umano di più di 35.000 abitanti.
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nell'esterior portamento non dimettendo giammai non solo l'abito ordinario Monastico, ma nemmeno la Cocolla, onde non è stato giammai a veruno di scandalo, ma si bene di buou esempio»; in pm l'abate era «[ ... ] fornito di tutta quella scienza e prerogative, che sono proprie di un buon religioso, e di chi deve sostenere l'ufficio del Sagro Pastore» 42 • Certo la cultura non doveva fare difetto al nuovo vescovo che,, fin da quando era stato bibliotecario nel monastero palermitano, aveva avuto occasione di dimostrare il suo interesse per gli studi storico-
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Francesco Paolo Antonio Denti era nato a Palermo e lì battezzato nella chiesa di S. Giovanni dei Tartari il 22 dice1nbre 1782. Di nobili origini essendo il padre d. Giuseppe Denti Lucchesi Palli dei principi di Castellazzo duca di Piraino e la madre donna Eleonora Nobile e Staiti di Trapani anch'essa di illustre fainiglia. Fra i suoi antenati alcuni appartenenti alla nobiltà "togata": Lucio, giureconsulto di Castroreale, era stato presidente del tribunale del concistoro dal 1628 al 1639 e poi presidente della regia gran corte, luogotenente e maestro giustiziere, morì nel 1649; il figlio Vincenzo (duca di Piraino), fu anche lui presidenle del tribunale dcl concistoro dal 1661 al 1669, poi presidente del tribunale del real palriinonio. Nel 1672 fu non1inato reggente del supremo consiglio d'Italia a Madrid dove morì nel 1677. Francesco Paolo Antonio fece la professione monastica il 25 dicembc 1803 e prese gli ordini 1ninori il 3 marzo 1804, fu ordinato sacerdote il 28 <liceinbre dcl 1806. Era stato lettore in sacra teologia, revisore dei libri, archivista, bibliotecario e direllore generale del niuseo a S. Martino delle Scale, 1nonastero del quale fu eletto priore nei capitoli di Montecassino del 1828 e del 1831. Nel capitolo di Perugia del 1821 era divenuto comprocuratore generale della congregazione cassinense. Il 25 ottobre 1826 aveva ottenuta la patente di leologo della regia monarchia. Prima di diventare vescovo fu vicario generale nella diocesi di Agrigento sotto il governo del benedettino Pietro Maria Agostino. Durante il colera del 1837 si distinse nell'assistenza ai colpiti dall'infezione assieme ai suoi sacerdoti. Il 1O ottobre dell'anno seguente accolse nel suo palazzo Ferdinando II in visila in Sicilia e nel 1849, dopo i tnoti, si recò a Catania, a capo di una delegazione di cittadini, per rinnovare al principe di Satriano la sua fedeltà e quella della diocesi. Morì a Caltagirone il 3 agosto 1853 a 71 anni. Il processo per la sua elezione a vescovo si trova in Asv, Pc voi. 233, ff. 106-121. Per le notizie sugli avi del prelato cfr M. PLUCHINOTTA, Dizionario Biograjì'co della Sicilia, 1950, 216, BcRs, Manoscritti, XV; A A. GUERRIERO, Elogio Funebre di Mons. Denti, Catania 1853; S. GERBINO, Necrologia, in la Scienza e la fede XXVI, 153 (1853) 245-249; CALATINUS, La diocesi e i vescovi di Caltagirone, cit.; R. RITZLER - R.SEFRIN, Hierarchia cathofica medii et recentioris aevi, VIII (1800-1846), Il Messaggero di S. Antonio, Patavii 1968, 126.
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archeologici oltre a mettere m evidenza la sua versatilità per qnelli fi Ialogico-umanistici 43 •
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Giovanissimo aveva tradotto il più importante poeta latino moderno, cfr. Quo n1ore ac n1odo recitandae sint horae canonicae Santolius Victorius. Con quale esteriore e con quale ~pirito debbansi recitare le Ore Canoniche, traduzione di D. Benedetto Denti Cassinense, Stamperia di Felicella, Palermo 1805; aveva poi collaborato alla Biografia degli uon1ini illustri della Sicilia, ornata de' loro rispeffivi rifratti, con1pilata dall'avv. Giuseppe En1nu11n1ele Ortolani ... e da altri letterati, Nicola Gervasi, Napoli 1817-1821, redigendo i profili dell'abate cassinense Michele dcl Giudice, storico e letterato; dell'altro abate palermitano Nicolò Tedeschi, e di un altro suo confratello, il teologo Totnmaso Mannarini. Anche l'archeologia era entrata nei suoi interessi, cfr. Illustrazione d'un vaso greco-sicolo, Lorenzo Dato, Palermo 1823; De' vasi greci co111unen1e11te chian1ati etruschi, delle loro forrne e dipinture, de' nomi ed usi loro in generale: colla aggiunta di due ragionan1enti, Su' fondan1entali principi de' Greci nell'arte del disegno, e Sulla pittura all'encausto, Lorenzo Dato, Palermo 1823; Indirizzo agl'ilnitatori de' vasi antichi greci, volgannente chian1ati etruschi, in Giornale di Scienze le!tere ed Arti XXVIII, n. 82, 55. Il 31 1naggio 1826 era stato ainmesso a voti unaniini alla Ili classe (scienze morali ed istoriche) dell'antica accade1nia palermitana del Buon Gusto, che nel 1832 aveva mutato il suo nome in Regia Accaden1ia palem1itana di Scienze e Lettere e poi, ancora, in Regia Accadenlia palermitana di Scienze, Lettere ed Arti (cfr. M. MA YLENDER, Storia delle accaden1ie d'Italia, I, A. Forni Editore, ristampa dell'edizione di Bologna 1926-1930, 462-472), di cui diverrà prima segretario e poi vice-direttore. Dopo la sua traslazione al vescovado la sua azione, co1ne emerge già dalla lettera pastorale Ad dilectum suun1 clertun, et popuh11n, Typis Regiis, Panormi 1833, è improntata a una visione del vescovo contrassegnata da un significativo impegno pastorale e di controllo del clero, a cui ricorda il rispetto dci dettami del Concilio di Trento spronandolo al servizio cristiano in tutti i settori di sua spettanza, dalla predicazione, all'insegnainento, al servizio del coro. Denti inoltre si sforzò di elevare il livello di studi del clero secolare invitando a dettar lezioni di eloquenza nel seminario diocesano dei chierici, Gaetano Margani da Niscemi che al vescovo dedicò una sua opera, Sinoniini, oratori e voci proprie di alcune scienze arti e n1estieri, raccolte dai più purgati italiani scrittori con giunta di due discorsi sull'uso di quest'opera e sulla scienza dei sinonin1i, Tip. Giuntini, Catania 1839, cit. in A. NARBONE, Bibliografia C'alatina, Tip. Giustiniani, Callagirone 1871. Sua cura fu anche la promozione della nascente Opera di Propagazione della fede, cfr. Lettera 1Jastorale al suo diletto gregge in occasione della istallazione della pia opera della propagazione della fede in questa Città e Diocesi, Montalto, Caltagirone 1840, inviata alla diocesi nel gennaio del 1840, che è uno dei primi docuinenti scritti sull'opera, riconosciuta ufficialmente in Sicilia con sovrano rescritto del 22 maggio 1840, cfr. S. BELTRAMI, L'opera della Propagazione della fede nell'Italia 111eridio11ale e in Sicilia, Pontificia unione missionaria del clero, Roma 1961, 91; anche se questo suo entusias1no non sen1bra avere trovato una imtnediata rispondenza della diocesi, cfr. Acvc, b. 387, let!era Enciclica Pastorale sul!'opera di Propagazione della fede, 1 agosto 1843, «Ci lusingavamo così che i risultati sarebbero stati proporzionati alle speranze, che ne avevamo concepito, eppure con1eché abbiamo ragione di molto SANTEUL (DE) JEAN,
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Quale fosse lo stato della diocesi nei primissimi anni cinquanta lo si può desumere dalla coeva visita ad limina, che è anche la prima relazione che abbiamo della diocesi calatina44 • A parte le sofferenze dovute alle ristrettezze economiche, soprattutto a causa dell'angustia dei nuovi confini diocesani, buona è invece l'impressione che si ricava sul clero secolare della città sede vescovile che, sia nella collegiata che nel capitolo della cattedrale, appare estremamente ligio ai propri doveri pastorali e spirituali 45 • Anche nelle altre due parrocchie, entrambe delle comunie, viene lodato lo zelo dei rispettivi pmroci e la loro indefessa applicazione nello svolgimento dei compiti specifici del ministero46. Critiche invece le condizioni economiche delle 11 chiese filiali, che sopravvivono solo grazie all'elemosina dei fedeli. Le religiose nei cinque monasteri, rispettano le costituzioni e osservano una rigida clausura, custodendo e bene amministrando i redditi delle rispettive case. Oltre ai 10 conventi, si fa anche cenno ai due eremilori fuori dalla città che non sono però di competenza vescovile. Il seminario accoglie 30 giovani mentre non mancano un
encomiare lo zelo addi1ninistralo dai suindicati nostri vicari pan·ochi curati e clero, non possiaino dissimulare, che maggiori disegni ci avevamo fonnato». Alla sua attività di vescovo è infine da ricondurre la pubblicazione di alcuni volumetti per la celebrazione dei divini uffici, Orda Divini Offici Dicendi Sacrique Peragendi Juxta Ritun-1 Breviari;, et Missali.1' Ron1ani, Que1n D. Benedictus Denti Cassinensis.. typis 1nandari praecipit pro clero suae diocesis pro Anno Do1nini 1834, Monlalto, Calatahierone 1833; ID., Ordo ... pro anno Do1nini 1840, Mantelli, Calatahierone 1839; ID., Ordo ... pro anno don1ine 1841, Manlel1i, Calatahierone 1840; lo., Ordo .. pro Anno DoJnine 1852, Montalto, Calatahierone 1851. 44 Asv, Scc, Visite ad hn1;,1a, b. 170, Calalayeronii, Re/atio Status Ecclesiae Calatahieronen in Sicilia. 45 «[ ... l Cathedralis Ecclesia sub litulo Divi luliani, que ita paucos habet redditus, quos nequide1n sufficere posse ad necessarium Vigintitres Canonicos, ila dictos Primarios [ ... ] duodecim Canonicos Secondarios [ ... ], in utraque vero Cathedrali, scilicel, et Collegiata adarnussirn, respective Constitutiones, et Statura adimplentur, jugiter ac indefesse Canonici Choro intersunt, Matutinu1n, Laudes, Missa1n Conventuale1n celebrant {... ]», ibid. 46 «[ ... ] In quibus 01nnibus Parochijs se1nper residcnt Parochi, viribus indcfessis laborantes, apud sen1et ipsos [ ... ] per idoneos Sacerdotes a Nobis approbatos, oves illis commissas, Verbi Dci predicatione omnibus dieb.us Dominicis, et festis alunt, docendo, que scire 01nnibus, necessarium est ad salutem [... ] quoque diebus fidei rudimenta, et obedientia111 erga Deum, parentes, et Superiores pueris, puellisque docent; item per se, et per idoneos Cappellanos 01nnibus Sacra1nenta petenlibus pron1ptc adn1inistrant [ ... ]», (ibid.).
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monte di pietà, un ospedale di donne e un collegio di ragazze dove si insegnano le arti muliebri 47 . Pure nella diocesi l'organizzazione del clero secolare e la cura delle anime poggia soprattutto su strutture a carattere collegial-comunistico 48 • Nessuna informazione si ricava invece da questa fonte, che è soprattutto preoccupata di descrivere l'aspetto istituzionale della struttura ecclesiastica diocesana, sulle forme della religiosità popolare. Nella città capodistretto fortissima appare la devozione mariana con una miriade di chiese e di altari ad essa dedicati; ugualmente rilevante, sia in città che uella diocesi, la presenza dell'eremitismo laico49 • Altri indizi, ricavabili da fonti coeve, come le relazioni delle missioni della ripristinata Compagnia di Gesù, sembrerebbero confe1mare anche in guest'areà, i tratti classici di una credenza in cui l'alto tasso di fervore religioso era molto legato a grandi cerimonie di purificazione collettiva50, a cui faceva quasi da naturale correlato, la presenza di alcuni se-
47 As. Ct, IBSC, b. 126. Il vescovo di Caltagirone «[ ... ] abita la casa del barone Rosabia. Il seminario trovasi allogato in quella vicina, sì alla prima, ma separata a diversa, dal principe di S. Elia>>, la locazione della casa vescovile ainmonta a 360 onze l'anno interamente a carico del 1nunicipio. Il se1ninario, le cui fabbriche sono in ottimo stato, è in affitto per 120 onze, sempre pagate dal con1une. L'edificio è cotnposto al l 0 piano da sette camere grandi, al 2° piano da sei cainere ((spaxiose, ed una cucina», al 3° piano si trovano «l ... ] tre camere oltre una quarta che corrisponde al ponte di S. Francesco epperò ad occidente». 48 A parte Mineo, Vizzini e Grammichele, luoghi dove vi è aln1eno una collegiata canonicamente eretta, una con1unia si trova anche a Militello. Nelle restanti città vi è un'unica parrocchia, a volte, come a Licodia, con redditi "tenuissimi". Co1npletan1ente tridcntinizzata appare invece l'organizzazione della cura delle anime; solo nella piccola cittadina di S. Cono essa è affidata a un vicario amovibile ad nutun1, mentre negli altri centri parroci, vicari e arcipreti hanno carattere perpetuo. 49 Cfr. CALATINUS, Caltagirone eucaristica e 111ariana, F. Napoli, Caltagirone 1937, 12; E. TARANTO, S111l'apparizione di Maria Sanlissin1a in Caltagirone e sulla Chiesa del Ponte, Galatola, Catania 1866. Forte anche la devozione al SS. Sacran1ento: ibid., 18-20, 1nentre n1assiccia è la presenza di confraternite legate alle locali corporazioni di 1nestiere, nel 1777 se ne contavano 24. Sull'eremitismo nella diocesi di Siracusa alla fine del XVIII secolo cfr. P. MAGNANO, L'ere1nitisn10 irregolare nella Diocesi di Siracusa, AscA, Siracusa 1983. 50 A Gramnlichelc, per ese1npio una nlissione, «[ ... ] la prima di gesuiti che si vedesse in detta diocesi», venne effettuata, a partire dall'S gennaio 1843, da quattro padri, che ritornavano in quel luogo dopo «[ ... l 23 anni, da che una missione d'ecclesiastici della propinqua Caltagirone vi s'eran recati a lavorarvi»; esallante è
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gni di quel sincretismo magico-religioso indicato da De Martino come caratteristica fondamentale della religiosità meridionale; che qui, però, non sembra avere una rilevanza assoluta, anche perché fitta appare l'opera direttiva e di controllo della Chiesa. Le pratiche magiche che si riscontrano, più che di una compiuta, anche se subalterna, specificità culturale, sembrano essere legate a un pulviscolare microcosmo di plebi ignoranti e diseredate che ne scorgono soprattutto la funzione utilitaristica e strumentale per l'ottenimento di piccoli vantaggi quotidiani 51 • l'esito; la partecipazione dei fedeli andò oltre ogni previsione: seguite le prediche di notte e di giorno, la chiesa madre non fu sufficiente a contenere il popolo. Il successo fu coronato da tantissin1e conversioni, dalla pacificazione di numerose fainiglie e dalla normalizza11.ione religiosa di alcuni «sacrileghi matrimoni». A Vizzini invece, nel 1858, la 1nissione si scontra contro i grandissimi ostacoli di un "partito" cittadino che vuole impedirla. L'ingresso in città dei padri non è accon1pagnato, come a Grammichele, da inni e gloria ma è «cstremainente freddo». Il clero è renitente a partecipare agli esercizi spirituali e si deve attendere l'intervento del vescovo perché tutto si aggiusti, anche se permane l'atteggiamento di decisa ricusa dei "gentiluon1ini" Solo quando la «classe più nobile» si rende conto del trionfo riscosso dai padri presso tutti gli altri ceti si decide anch'essa a chiedere gli esercizi. Straordinario diventa allora il fervore degli esercitanti, e il bene operato nei tre inonasteri di S, Sebastiano, S. Maria de' Greci e S. Teresa è tale che, dopo gli esercizi, essi richiedono la perfetta vita comune. Fu tanto l'entusias1no per la tnissione che il co1nune deliberò, assegnando allo scopo 284 onze, la riapertura dell'antico collegio che i padri avevano in città fin dal XVI secolo. [ALESSIO NARBONE] Missioni ;oàcule del/a Con1pag11ia di Ges1ì 1814-1914, I, Scuola Tip. Boccone dcl Povero, Palern10 1914, 185-187 e 224-269. 51 As.Ct, IBSC, b. 327. Il parroco di S. Giorgio al sottointendente, 21 gennaio 1853, espone il «fatto di due donne 1nalefiche» denunciato da donna Vincenza Randazzo. Caterina Collura e Santa Alba hanno gettato dentro un «[ ... ] latrinio proprio della suddetta Randazzo un piccolo sacco, ove vi era involto un cuore, ed un fegato trafitto da innun1erevoli spilli, e da due spuntoni di Zamara». Il parroco afferma che si sono n1oltiplicate queste 1nalefiche donne a Caltagirone tanto da indurlo a denunciarle, già in altre occasioni, alla pubblica autorità; egli poi nota, con scandalo, che i malefici sono praticati, ollre che nel modo descritto, anche in «circoli e denudazioni». In verità l'ispezione di polizia ridiinensiona l'aspetto diabolico dell'accaduto riconducendolo a una legatura ainorosa volta a conservare alla Collura l'amante; in conseguenza anche la punizione sarà lieve: solo poche ore di cella. In un' alLra lettera della parrocatura e prepositura della cattedrale al souointendente di Caltagirone del 20 dicembre 1851, (ibid.), e1nergono anche gli aspetti co1n1nerciali connessi con l'arte del maleficio. A proposito di una certa Agnese Pavone che si spaccia di operare «[ ... J con sortilegi sul 1norale e sul fisico e questo per interesse a suo vantaggio». Anche in questo caso si richian1a l'attenzione delle autorità sull'estensione del feno1neno poiché, si afferma, che la Pavone non è la sola a svolgere questa attività.
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4. Uomini, ordini, conventi (1650-1850) Ci sembra che la storia delle strutture religiose possa solo trarre giovamento dall'assunzione di una prospettiva di longue dureé che può costituire una via privilegiata per apprezzare i cambiamenti in un contesto che sembra fra i più immobili e stagnanti della società, soprattutto se si ha a che fare con piccole entità numeriche e con ristrette aree geografiche; per questo motivo all'analisi della fonte ottocentesca si accompagneranno alcuni accenni sui tempi e sulle modalità dell'insediamento monastico nell'area del calatino. Quanto grande fosse stata la sensibilità e la permeabilità del territorio siciliano verso le istituzioni regolari è già stato ricordato. Anche il calatino sembra essere pienamente partecipe di questa dinamica52. Se si esaminano i tempi e le modalità di sviluppo della struttura regolare, si possono enucleare alcuni momenti particolarmente fecondi. I primi insediamenti, tutti riconducibili alla presenza degli ordini mendicanti, si registrano già nel secolo successivo alla vittoria normanna. Dal XIV secolo fino alla prima metà del '400, la caratteristica sembra invece essere un sostanziale arresto delle fondazioni monastiche. Ma è proprio alla fine di questi anni che inizia una fase di crescita vertiginosa che avrà, all'inizio, come protagonisti conventuali, osservanti e agostiniani, a cui si aggiungeranno nella prima metà del XVI secolo, domenicani e, soprattutto, cappuccini e, nella seconda metà dello stesso secolo, oltre agli stessi cappuccini, anche alcuni ordini di tipica caratterizzazione controrifor1nista, come i gesuiti, o lon-
52 In età anteriore alla venuta dei nonnanni si notano presenze monastiche di matrice greca vicino a Caltagirone, dove esisteva un insediamento basiliano a circa 6 miglia dall'abitato nella contrada S. Basilio; inoltre sulla vetta del 1nonte Scarpello sorgeva pure un'altra chiesa, sempre dei basiliani, in seguito concessa da Ruggero ai benedettini, questo stesso luogo fu poi occupato da una co1nunità eren1itica che continuò a pagare le decin1e all'abbazia di Agira fino al 1867. Cfr. S. RANDAZZINI, Il 1nonte sca1pe//o e la sua storia, Tip. G. Scuto, Caltagirone 1894, 8 e passim. Anche a Mineo l'insediamento benedettino è antichissin10; oltre ai due priorati di S. Giovanni del Borgo e di S. Spirito, di cui non si conosce la data esatta di fondazione, le benedettine avevano, già fra la fine dell'VIII e l'inizio del lX secolo, una badia dedicata a S. Benedetto, cfr. G. GAMBUZZA, Mineo nella storia, nell'arte, negli uon1ini illustri, Edizione a cura dell'autore, Caltagirone 1980.
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tane derivazioni dell'albero francescano come i minimi o, ancora, ordini legati a necessità socio-assistenziali, i fatebenefratelli, o allo sviluppo di antiche famiglie come i carmelitani. Ancora più spettacolare sarà il fiorire di conventi nella prima metà del XVII secolo, quando si raggiungerà il massimo di nuove fondazioni grazie a una ulteriore, rinnovata vitalità, di quasi tutti gli ordini fin qui ricordati, nonché alla penetrazione di altre famiglie religiose, come i cassinensi e il terz' ordine di S. Francesco (Tabella 2). Nel 1650, secondo le cifre del Cucinotta, che ricava i suoi dati dalle relazioni inviate a Roma in occasione dell'inchiesta ordinata da Innocenzo X, l'area della futura diocesi calatina, fa registrare una forte presenza di edifici religiosi regolari con un rapporto abitanti-conventi che, in media, è di l ogni 953,6 abitanti, ma che sale a 1/842,4 a Caltagirone, 1/799,1 a Militello e arriva a 1/579,9 a Mineo. Rispetto alla media siciliana, che è di un convento ogni 1393,4 abitanti, questa zona pare essere particolarmente ricettiva verso questo genere di insediamenti 53 (Tabella 3). La particolare feracità del territorio viene anche confermata da una buona rappresentanza di quasi tutti gli ordini presenti allora in Sicilia che, a parte i basiliani e pochissimi altri, possiedono qui almeno un convento. La forte connessione con lo spazio cittadino pare essere la caratteristica principale dell'impianto monastico: Caltagirone54 e Vizzini, le due più grandi città del circondario, totalizzano il 46,7% degli istituti religiosi maschili, contro una percentuale della popolazione lievemente superiore al 50%; ma è la terza città regia, Mineo, a fare segnare la più spettacolare presenza di conventi, il 20% del totale, contro una popolazione che supera di poco il 12% di quella dell'intero distretto, che fa arrivare la quota di case monastiche presenti in queste città al 66, 7% mentre la popola-
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S. CUCINOTTA, Popolo e clero in Siciha ... , cit., da cui sono stati estratti i dati riguardanti i conventi e il clero del calatino nel 1650. I tassi sono stati da 1ne calcolati rapportando il nu1nero dei conventi fornito da Cucinotta, alla popolazione così come riportata in G. LONGHITANO, Studi di storia de/fa popolazione siciliana. I. Riveli, nu111erazioni, censin1enti (1569-1861), CUECM, Catania 1988. 54 Sulle chiese di Caltagirone cfr. S. LEONARDI, Cenni Storici su la gratissin1a città di Caltagirone divisi in tre libri: li Caltagirone Sacro, libro terzo, F. Napoli, Caltagirone 1892.
Il monastero S. Benedeno di Mili lello V.C. (!010 F. Ferraro)
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zione resta al 62,6%. La propensione cittadina dell'apparato monastico sembra ancora rafforzarsi nel 1737, quando negli stessi centri troveremo il 63,8% dei conventi e solo il 55,7% degli abitanti della diocesi, e continuerà ad essere significativa anche nel 1850: 55,8% di istituti a froute del 49,8% di anime. Per la maggior parte le fondazioni cittadine sono da attribuirsi agli organi amministrativi delle stesse città e, solo raramente, a privati o ecclesiastici. Nelle terre feudali minori, tranne quelle piccolissime, si nota in genere una presenza "politica" di conventi, mentre in quelle di una certa importanza, come Licodia e, soprattutto, Militello, si registrano tassi di edifici regolari appena al di sotto di qnellì delle migliori città demaniali: nella città dei Branciforti c'è, ad esempio, un convento ogni 799,1 abitanti. Qui sono i feudatari ad essere quasi gli esclusivi protagonisti dell'insediamento monastico 55 • In Sicilia, l'abolizione dei conventini, decretata da Innocenzo X, non sembra abbia avuto pesanti conseguenze: furono soppressi solo 106 conventi su 805"'. Anche nel calatino, secondo guanto si può ricavare dall'ampia e dettagliata Pianta del 1737 57 , le ricadute della riforina innocenziana non dovettero essere gravi e, comunque, vennero rapidamente riassorbite. Solo in alcune piccole terre, come S.
55 A Militello solo il convento di S. Francesco d'Assisi fu fondato nel XIIT secolo da fra Paolo da Venezia; quello di S. Domenico fu cretlo nel 1515 da (Jiovan Battista Barrcsi, lo stesso fu ceduto dal nuovo signore, don Francesco Branciforte, ai 1nini1ni quando Ì figli di s. Domenico si trasferirono in un nuovo più confortevole edificio, tnentrc i cappuccini furono insediati da don Vincenzo Barresi nel 1575. L'ospedale dei fatebenefratelli fu istituito da donna Giovanna d'Austria nel 1629, così con1e alla stessa e al n1arito, don Francesco Branciforte, si deve l'erezione, nel 1614, del più itnportante insediainento 1nonastico della città, S. Benedetto dei cassincnsi. Su quest' ulti1no convento cfr. la Notilia Deciina delle integrazioni di V. M. AMICO alla Sicilia Sacra di R. PTRRI, Tipys Bisagni, Catanac 1733. Sui conventi della città cfr. M. VENTURA, Storia di Mili1e!lo i11 \lai di Catania, La Nuova Sicilia Editrice, Catania 1953, 73 e passitn. 56 E. BOAGA La soppressione ... , cit; S. CUCINOTTA, Popolo e clero in Sicilia ... , cit., 433. 57 I dati sui conventi per quest'anno sono tratti da F. NoTARBARTOLO (duca di Villarosa), Pianta del 11ur11ero delle aninu' del Regno di Sicilia, delle chiese, co11ve11ti, henefici, cappe!lonie e, legati di 111esse e degli ecclesiastici secolari e regolari, fa!!a d'ordine di S.M. 11elf'a11110 1737, manoscritto della Ber, segnato Qq h 36, utilizzata per i dati demografici da G. LONGIJITANO, Studi ... , cit. Altro esemplare della Pianta si trova in As.PA, Archivio Notarbartolo di Villarosa b. 27
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Michele di Ganzeria, l'unico convento scomparve per non più riapparire. Nei centri maggiori le conseguenze appaiono meno chiare, così alle leggere flessioni di Licodia e Vizzini che, in questo periodo, perdono un convento a testa, fa riscontro la sostanziale tenuta di Caltagirone, che conserva dodici dei suoi tredici istituti religiosi. Molto accentuato appare invece a Mineo il tracollo delle case monastiche che passano da 9 a 4, mentre le restanti terre feudali mantengono tutte le loro posizioni. Dunque solo un calo, dovuto a una ben precisa e circoscritta situazione locale, si verifica nei quasi novant'anni che seguono il decreto innocenziano, fatto questo che, se fa pensare a una più marcata conseguenza della riforma a Caltagirone rispetto al contesto siciliano, dove negli stessi anni, si nota una tendenza all'aumento di conventi, 832 nel 1737 contro 804 nel secolo precedente, non intacca la fitta presenza regolare nel territorio soprattutto a causa della ricca "dote" seicentesca propria del calatino che solo in parte viene corrosa. Sebbene il tasso popolazione/conventi sia infatti salito a 1/1558,5, ciò sembra essere soprattutto conseguenza dell'aumento delle anime piuttosto che di una crisi generale del sistema monastico e, in ogni caso, questo dato è ancora in linea con la media siciliana di un convento per 1573,7 abitanti. Anche l'osservazione dcl clero regolare dà l'impressione di trovarsi di fronte a un territorio particolarmente accogliente. I tassi a questo proposito, sono abbastanza eloquenti: nel 1650 la media diocesana è di un religioso ogni 111,7 abitanti, con picchi di uno ogni 78,8 a Scordi a, 1/76,6 a· Caltagirone e 1/65 ,2 a Vizzini. Mineo invece, dove abbian10 riscontrato una massiccia concentrazione di istituti religiosi, non fa segnare una presenza altrettanto forte di clero. Questa pletora sembra essere una caratteristica generale dei prin1i decenni del Settecento; in tutta la Sicilia si riscontrano concentrazioni di clero regolare dell'ordine di 1/99,1 abitanti. Pure nel calatino, si assiste a un aumento dei religiosi, da 384 alla metà dcl XVII secolo si arriva a 422 nel 1737 ( +9.9%), anche se nello stesso periodo la popolazione fa segnare un incremento di quasi il 31 %. Tutto ciò mentre ristagnano le nuove fondazioni e arretra il numero totale dei conventi presenti sul territorio, il che potrebbe fare pensare all'esistenza di un'elevata saturazione abitativa degli stessi istituti. Così a Licodia, nonostante la perdita
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di un convento, c'è un lieve aumento di clero; lo stesso fenomeno si registra a Grammichele e a Palagonia, che mantengono il solo convento che avevano già nel '600. Praticamente invariato, solo pochissime le defezioni, il saldo del clero regolare a Militello, Scordia, e Vizzini. Per Mineo invece la dinamica descritta per i conventi si ripete anche per il clero che fa segnare una picchiata negativa del 50%. Ma è Caltagirone che appare la principale responsabile del saldo positivo rispetto ai dati del Seicento. Qui i regolari recuperano ben il 41,4%, passando da 143 a 202. Questo incremento fa sì che anche il tasso di rappresentanza della città sul totale dei regolari della zona si innalzi dal 25,5% al 28,6%, ciò le permette di riuscire a mantenere un rapporto clero/popolazione di 1/79,4, contro 1/76,6 del '600, sebbene di fronte a una esplosione demografica che sfiora il 47%, da 10951 a 16035 anime, che fa attestare Caltagirone, anche in conseguenza del calo registrato a Mineo, sul 29% del totale degli abitanti della futura diocesi; questo significa per la Città Gratissima rimontare dall'undicesimo al sesto posto fra le più popolate città siciliane, dopo Palermo, Messina, Catania, Modica e Trapani. Pare perciò che nell'area del calatino l'espansione del clero, fra la seconda metà dcl XVII secolo e la prima metà del XVIII, sia legata al forte aumento della popolazione registratosi nello stesso periodo e che, anzi, l'incremento del primo termine, +9.9%, non riesca a stare dietro al balzo fatto segnare dalla variabile demografica, +30,7% il che porta anche la conseguenza di un innalzamento del rapporto clero popolazione che ora è di un religioso ogni 133 abitanti. Il lungo periodo che separa questi dati da quelli dell'inchiesta sui regolari di Pio IX 58 è segnato dal forte impegno giurisdizionalista e
58 L'inchiesta a Caltagirone fu cotnpletata abbastanza sollecita1nente, dal 5 agosto 1849, epoca dell'invio ai vescovi dei quesiti della Sacra Congregazione, passarono circa l 6 n1esi prima che n1onsignor Denti inviasse al nunzio in Napoli lnnocenzo Fe1Teri, la relazione concernente i conventi assie1ne alla visita ad /i1nina della sua diocesi, questo il testo della lettera di risposta del nunzio, «Ill.1no e Rn10 Signore. I due plichi per le SS. Congregazioni del Concilio e de' Vescovi e Regolari, che V.ra Signoria Ill.ma e Rev.rna mi accompagnava col suo pregiatissimo foglio de' 4 corrente, sono giunti nelle mie n1ani, e tosto mi sono preso cura d'inviarli al loro destino. Godo di poterne infonnare Vostra Signoria 111.ma per mia quiete, e di avere in
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eversivo portato avanti dalla dinastia borbonica a partire già dai primi anni del suo insediamento. Sotto questa spinta la struttura regolare siciliana subisce, soprattutto dal punto di vista economico, i colpi più pesanti, che però non la scalfiscono che in superficie. Se sì guarda in"fatti alla situazione immediatamente precedente l'abolizioue unitaria degli ordini, ci si rende conto di quale fosse ancora l'importanza economica dei conventi. Anche in quella che nel frattempo è diventata la diocesi di Caltagirone tutti gli indicatori ricavabili dall'inchiesta registrano gli effetti di questo lungo attacco, che pare essere stato, dal punto di vista vocazionale, più inarcato di quello economico 59 su cui si è appuntata fin'ora l'attenzione della maggior parte dei ricercatori; anche se gli stessi sembrano indicare un bilancio non catastrofico, almeno fino a tutti gli anni '20 dell'Ottocento. Dal punto di vista degli istituti religiosi, alla fine dci due secoli che abbiamo considerato, la diocesi fa segnare una perdita di conventi pari al 24,3%, a cui c01Tisponde un calo dcl clero pressoché uguale, 22,4%. Differenti sono però i tempi cli questo processo. Così se per i conventi il periodo più nero pare essere stato quello successivo al decreto innocenziano del 1649, -20%, che fa registrare un parallelo incremento del clero, l'esatlo contrario si verifica a partire dal 1737, quando a un lieve calo degli istituti, -5,6%, fa da contraltare una perdita vocazionale del 29,4%.
tal guisa l'occasione di confern1arle i sentimenti della olia sti1na e rispetto coi quali mi rassegno Napoli 18 Gennaio 1851. Il Nunzio Sedensi al vescovo dì Caltagirone». Asv, ANN, b. 95. Il servirsi della nunziatura di Napoli, da cui non dipendevano fonnalinentc i vescovi siciliani, assien1e alla ricerca dell'assenso regio prin1a dell'invio della sua relazione a Rorna, 1nel\ono in evidenza la delicatìssi1na situazione dei vescovi che appaiono schiacciati fra l'incudine rcgalista e il 1nartello dell'ubbidienza ro1nana nell'espletan1en!o di ogni loro atto. 59 Scarse scinbrano nella diocesi di Caltagirone le rendite di benefici e cappellanie laicali fondate all'interno di conventi cfr. As.Pa, MRSL, b. 721, Stato dei hent:f'ici ecclesiastici esistenti nella diocesi di Caltagirone. Questi i soli benefici laicali rilevati: Cahagirone, s.ta Maria di Gesù, onze 24; s. Bonaventura, onze 24; s. Don1enico, onzc 23,3, 15; cappuccini, onze l 0,0,6; s. Francesco di Paola, onze 44, 18. Minco, i conventuali sono i titolari di una cappellania di messe in s.ta. Agrippina del valore di 16,4. Militel!n, chiesa dei don1enicani, onze 4,5; conventuali, onze 6, 18; cappuccini, onzc 4,26. Palagonia, chiesa del convento, due benefici per onze 13. Vizzini, 4 benefici per poco più di 50 onze.
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In alcuni centri dove più forte e antica era la presenza monastica si assiste, anche nel secondo periodo, a una riduzione sensibile di conventi: di più a Caltagirone 60 , meno a Vizzini e Mineo, quest'ultimo centro, comunque, prosegue nella sua decadenza già da tempo avviata. Invariato rimane il dato di Militello e Licodia. Nonostante questa migliore tenuta, e soprattutto in conseguenza dell'ulteriore forte aumento della popolazione, i tassi di presenza dei conventi subiscono però, anche in questi ultimi paesi, un ulteriore ribasso rispetto alla popolazione. Perfino dove si assiste, nel corso della prima metà del XIX secolo, a nuove fondazioni, come a Gra1n1nichele, il rapporto conventi-popolazione e clero regolare-popolazione, non riusc1ra a pareggiare il disequilibrio conseguente al massiccio incremento di quest'ultima. Così Grammichele che passa da uno a due conventi segna, nel 1850, un tasso conventi-abitanti di 1/5029 contro 1/4287 del secolo precedente". Se queste fondazioni ci fanno pensare a una certa vitalità degli ordini ancora nel corso degli anni '30, sembra in ogni caso confermata almeno una loro sostanziale tenuta, anche se, soprattutto nei centri maggiori, si notano i segni di una certa crisi (Tabella n. 3). Dal punto di vista del clero regolare, il periodo I 737-1850 registra un netto calo che porta il saggio di presenza dei regolari nella
60 A «undici conventi» esistenti accenna il Dizionario di erudizione s!orico ecclesias!ica di G. MORONI, V, Tip. E1niliana, Venezia 1840, 271, per la città di Caltagirone, il che Suggerisce un calo di istituti regolari ancora durante gli anni '40. 61 G. GIANFORMAGGIO, Occhio/à, Giannotla, Catania 1928, 197-198. Nella città si trovava già il convento dei n1inori osservanti ricostruito, quasi contemporaneamente all'edificazione della città, dopo il terremoto del 1693, il nome era però 1nutato, da s.ta Maria la Grazia a quello dell'Immacolata,. Nel 1828 il piccolo ere1no del Calvario fu«[ ... ] trasfonnato in Chiesa e Convento dc' Cappuccini.» 198, d. Giovanni Gianformaggio, allora sindaco, si occupò della parte burocraticoa1nministrativa della nuova erezione tnentre il terreno su cui sorse l'edificio fu donato da Caterina Branciforte principessa di Eutera, signore feudale della terra. L'unica altra fondazione che si registra a partire dal 1737 in tutta la diocesi riguarda il centro settecentesco di Ra1nacca. Qui nel 1746 il signore del luogo d. Benedetto Bernardo Gravina chiede il permesso, che gli verrà accordato con breve pontificio del 30 gennaio 174 7, di fondare il convento dei cappuccini. L'edificio sarà ultimato nel 1757 anno in cui l'ordine ne prenderà possesso. Cfr. G. CANFAILLA, Il convento e fa chiesa dci Cappuccini. Notizie s1orico-ar1is1iche, in Ra1nacca No!izie 32 (1990) s. i. p.
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diocesi a I ogni 296,3 abitanti. Ma la flessione è apprezzabile anche in termini numerici assoluti: non solo si precipita nettamente al di sotto del 1737 ma si toccano livelli più bassi del 1650, pur in presenza di una popolazione che nel frattempo è più che raddoppiata. Il crollo è verticale a Caltagirone, Vizzini e Palagonia, meno grave a Licodia, lievissimo a Militello, unica eccezione Grammichele, che come abbiamo visto, ha però registrato nel frattempo una nuova fondazione (Tabella n. 4). Se confrontiamo ora i dati del 1850 con quelli forniti, su indicazioni del giudice di monarchia monsignor Antonino Maria Trigona, dal Giornale di Statistica per la fine del 1832, possiamo trarre qualche indicazione anche sulla dinamica vocazionale di questi ultimi anni. Bisogna però dire che le cifre del Giornale di Statistica si riferiscono alle intere valli per cui dovremo supporre l'esistenza di una situazione abbastanza omogenea all'interno delle stesse per poterle considerare significative. A questa data in Sicilia il rapporto religiosi/popolazione è, in media, di 1/254, e qui il confronto con il corrispondente dato del 1737, 1 regolare ogni 99,l abitanti, ci dà la misura di quanto debba essere stata spettacolare la caduta di vocazioni in questi anni. Nel complesso la situazione è abbastanza simile nelle valli; se si eccettua Agrigento (l/340), la forbice fra il massimo e il minimo non appare eccessivamente larga: 1/219 a Messina contro l/280 a Siracusa. Catania, la valle all'interno della quale si trova quella che sarà la diocesi di Caltagirone nel 1850, fa registrare un rapporto regolari/anime di 1/266 62 • Stando così le cose, si dovrebbe supporre, che nel decennio reazionario, e poi ancora negli anni '40, dovessero persistere gli effetti della tendenza di lungo periodo caratterizzata da tina contrazione del clero regolare. Questa crisi in pieno periodo della restaurazione pare verificarsi nonostante dall'analisi della piramide di età dei religiosi presenti nei conventi, si ha la netta sensazione che lo stesso ventennio
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Tavola degli ecclesiastici regolari di Siciha alla fù1e del 1832, in Giornale di StatisNca con1pilato dag/'hnpiegati nella direzione centrale della Statistica di Sicilia, I (1836), Reale Stan1peria, Palermo ( 1836), 1O1-111. Nelle altre valli i tassi sono i seguenti: 1/227 a Palermo, 1/248 a Trapani e 1/278 a Caltanissetta.
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abbia visto anche forti tassi di entrata in religione. Oltre a una aliquota significativa di clero giovane, nel 1850 più del 43% dei religiosi ha infatti un' età che non supera i 36 anni, e la percentuale sale al 56% se si considerano anche i religiosi fino a 41 anni, la particolare feracità del periodo viene accentuata anche da quel 37,5% di clero regolare che ha un'età compresa fra i 22 e i 36 anni; cifre queste che fanno supporre una massiccia entrata nei conventi proprio a partire dagli anni trenta, con dei picchi nei quinquenni '30-'34 e '40-'44 e che, unite anche all'ottimo tasso vocazionale che pare essere caratteristica pure degli anni '20, quando avrebbero dovuto fare professione il 23,1 % dei regolari, porterebbero a concludere per l'esistenza di un trend positivo che coprirebbe praticamente tutta la prima metà del secolo (Tabella n. 5). Questa impressione di continuità sembra però contraddetta da alcuni dati sulla popolazione di una parte dei conventi della diocesi relativi al 1825. A questa data, in circa la metà degli istituti religiosi diocesani, il numero di regolari supera infatti del 20,4% qnello dei religiosi presenti negli stessi conventi nel 1850, ciò parrebbe avvalorare quel calo di vocazioni suggerito dalle quasi coeve tavole del Giornale di Statistica 63 • Se le cifre del 1825 fossero rappresentative della situazione dell'intero territorio, in questione, si dovrebbe propendere per una collocazione, almeno nella diocesi di Caltagirone, soprattutto ottocentesca della crisi della vocazionalità regolare. Avremmo infatti una diminuzione del clero regolare nel periodo 17371850 pari al 29,4%, ma la ripartizione di questa perdila avverrebbe in parti uguali in un primo arco di tempo duralo 87 anni e, per la re-
63 Acvc, b. 661, dove si trovano i dati sul clero di 18 conventi (tre dei francescani osservanti, altrettanti dci riformali dello stesso ordine, due dei cappuccini, dei conventuali, degli agostiniani e dei domenicani, uno dei crociferi, dei mercedari, dei fatebenefratelli e dei minimi). I religiosi presenti sono 181 contro i 144 del 1850, il che porterebbe il tasso. regolari/popolazione, quest'ultima considerata sui dati del censimento del 1831, a 1/253,3, cifra che è abbastanza vicina a quella fornita dal Giornale di Statistica per il 1832. Queste le variazioni dei rispettivi ordini al 1850 negli stessi conventi. Conventuali -2, osservanti -19, riformati -11, cappuccini +6, mercedari -3, agostiniani -3, minimi -1, don1enicani -4, invariato il numero di crociferi e fatebenefratelli.
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stante metà, nei soli 25 anni che dividono i dati del 1825 da quelli dell'inchiesta di Pio IX. Lo stesso scenario pare verificarsi anche a Caltanissetta, dove il calo dei religiosi regolari è marcato dnrante gli anni '30 e '40 del XIX secolo. Negli anni 1850-53, epoca della redazione dell'inchiesta sui regolari nella stessa diocesi, ci sarebbe circa l sacerdote ogni 800 abitanti quando la statistica del 1832 dava per la valle di Caltanissetta I regolare ogni 278 abitanti, e un sacerdote ogni 524,8 anime. Questa dinamica, unita a quella che sembrerebbe opposta del clero secolare, pare suggerire l'ipotesi di una ormai avviata discrasia nella scelta vocazionale tutta volta a privilegiare il versante più laico sia per le nuove esigenze pastorali ma, forse, anche in conseguenza delle più interessanti oportunità sociali che esso offriva64 • Un aspetto che l'analisi della fonte permette di approfondire riguarda il rapporto territorio-ordini religiosi dando la possibilità di conoscere guaii erano le famiglie religiose più apprezzale nei differenti contesti geografici non solo a partire dal numero dei conventi ad esse appartenenti ma, anche, rispetto alle quantità di vocazioni regolari che esse riuscivano a suscitare nei centri diocesani. La rappresentanza dei vari ordini a metà del secolo XIX nella diocesi di Caltagirone, fa segnare una situazione solo lievemente diversa da quella di due secoli prima. I pochi vuoti riscontrabili sono inoltre quasi se1npre da ricondurre a situazioni di crisi esterne, co1ne nel caso della Compagnia di Gesù. L'impressione è che, nonostante le sue ridotte dimensioni e la perdita di importanza demografica, ancora negli anni cinquanta dell'800, gran parte delle famiglie religiose maschili abbiano un rispettabile gradimento nel territorio. Un primo dato, valevole per il lungo periodo, che pare perfettamente accordarsi con i tratti classici dell'insediamento regolare in Sicilia, è la costante e fortissima presenza del clero francescano: 18 conventi (40%) nel 1650, 16 (44,6%) nel 1737, ancora 18 (52,9%) nel
6 ~ ·Opposto appare infatti il trend delle ordinazioni del clero secolare nella diocesi di Caltagirone negli anni che vanno dal 1834 al 1838: 64 ordinazioni sacerdotali, 75 agli altri ordini n1aggiori, e 64 chierici, a fronte di 50 sacerdoti, un diacono e 13 chierici deceduti. Cfr. Acvc, b. 324, Movhnenro del clero secolare della diocesi di Caltagirone.
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1850. L'indice percentuale ci dà la misura, all'inizio degli anni '50, nonostante le perdite di certi periodi e il ristagno di altri, dell'aumentata importanza della famiglia francescana fra i regolari della diocesi. A questa data il clero di quest'ordine arriverà al 67,5% del totale diocesano, tutto ciò nonostante, dopo il 1737, qualche ramo della famiglia, come il terz'ordine,. scompaia definitivamente, dalla carta geo-religiosa del calatino. All'inizio del periodo da noi considerato, questa leadership è condivisa fra conventuali e cappuccini 65 , segue una buona presenza di osservanti e una, più discreta, rappresentanza di riformati e terz'ordine. A distanza di duecento anni si assisterà a un ulteriore incremento di conventi dei cappuccini, ancora nel periodo 1737-1850, a un lieve guadagno dei riformati, a una tenuta degli osservanti ma a un netto calo dei conventuali, fenomeno quest'ultimo databile fra la seconda metà del '600 e i primi quattro decenni del XVIII secolo 66 . Più stabile il quadro degli altri ordini mendicanti: i domenicani mantengono, nello stesso periodo, tutte le loro case, nelle stesse città di loro antico insediamento. Gli agostiniani, a parte il caso di Mineo dove perdono un istituto, tengono bene le loro posizioni a Caltagirone, Militello e Vizzini. Meno forte appare la capacità di resistenza dell'ultimo grande ordine mendicante, quello dei carmelitani, che nel 1650 aveva un numero di istituti identico a quello dei domenicani,
65 Sui cappuccini cfr. S. CULTRERA, 1 cappuccini in Caltagirone, Lice, Torino 1938. Il priino convento dei religiosi fu fondato nel 1540 fuori le 1nura della città e poi spostato nel 1585 a Caltagirone. 66 Un indice indiretto della salute economica dei conventi è dato dal grado di conservazione delle fahriche. Da questo punto di vista nel 1850 si notano dei problc1ni fra gli osservanti di Mineo e Gram1nichele i cui conventi sono definiti "1nediocri" dal vescovo, quasi sempre "ottime" sono invece le fabbriche degli istituti dei francescani conventuali, così con1c "magnifici" appaiono i locali del convento cassinense di Militello e di quelli dei carmelitani riformati di Caltagirone. Non molto rosea la situazione degli agostiniani il cui convento di Vizzini addirittura n1inaccia rovina; "cattivissimo" è lo stato dcl convento dei mercedari di Caltagirone. Migliori le strutture di cui dispongono i do1nenicani, anche se a Vizzini occorrono riparazioni. Più differenziata la situazione delle due altre famiglie francescane: riforn1ati e cappuccini anche se dispongono di un ottin10 convento nella città sede vescovile, hanno pure istituti non proprio in ottin1e condizioni, con1e i cappuccini a Militello e a Vizzini.
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mentre nel 1850 riuscirà a conservare solo la metà dei propri conventi, dovendo abbandonare le due piccole terre di Palagonia e S. Michele di Ganzeria. Ci sono poi alcuni ordini che, pur non avendo una rilevante presenza nel territorio, riescono a tenere le loro quote per l'intero arco dei due secoli: è questo il caso dei crociferi e dei cassinensi con il loro unico istituto a Caltagirone e a Militello; altri invece perdono di importanza o scompaiono, forse perché i bisogni sociali legati alla loro "missione" vanno sempre più affievolendosi, è il caso dei mercedari67, o perché vanno incontro al disastro epocale della soppressione, come i gesuiti. Per quanto riguarda le preferenze ambientali alcune costanti appaiono ben delineate. Agevole appare connettere gli ordini francescani con la campagna e le piccole terre della diocesi: osservanti, cappuccini e riformati, ma non i conventuali, costituiscono le uniche presenze di clero regolare a Grammichele, Scordia, Ramacca e Palagonia, le rare eccezioni a questa regola, come i carmelitani di S. Michele di Ganzeria, non sono destinate a durare a lungo (Tabella n. 6).
Nella città la situazione si fa più variegata: mentre i conventuali mantengono quasi inalterate le loro posizioni nei quattro maggiori centri della diocesi, perdendo però Licodia dopo il 1650, i cappuccini sono gli unici a non subire, fino al 1850, nessuna minorazione di conventi negli stessi luoghi, segno questo che, unito alla mancanza di nuove fondazioni cittadine, fa pensare a una maggiore propensione dell'ordine verso la campagna sia con insediamenti nei piccoli centri di fondazione settecentesca, come Ramacca, o in altri, dove un forte sviluppo demografico richiede una presenza monastica maggiore a quella semplicemente "politica", come nel caso di Grammichele. Non altrettanto entusiastica sembra l'accoglienza per la riforma francescana. Solo Caltagirone ospita questa esperienza di stretta religiosità francescana che però attecchisce anche, significativamente, nei due
67 L'ordine, di origine spagnola, era stato approvato da Gregorio IX nel 1235 e, assieme ai trinitari, si occupava de11a raccolta di danaro per riscattare gli schiavi cristiani in n1ano agli infedeli.
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piccoli centri rurali di Scordia già nel '600, e di Palagonia nel secolo successivo. Destinata a spegnersi appare invece la presenza del terz'ordine francescano, che non solo non riesce ad espandersi ma, neanche, a tenere il suo unico istituto durante tutti gli anni della dominazione borbonica. Nettamente radicato nell'ambito cittadino è l'insediamento dei minimi di S. Francesco di Paola; nella feudale Militello e nella regia Caltagirone essi trovano il loro habitat migliore, mentre debbono, dopo il 1650, abbandonare l'altra città regia di Vizzini. Esclusivamente connessa con i centri maggiori appare pure la presenza dell'ordine ospedaliero dei fatebenefratelli 68 , che però a metà del XIX secolo, sembrerà essere ormai segnata da una greve stanchezza che prelude alla sua scomparsa. Ma qual'è la riflessività di questo territorio rispetto alle sollecitazioni vocazionali che l'insediamento di un convento può eventualmente indurre? In altri termini, è questa un'area che oltre alle fondazioni riesce anche a produrre il clero necessario, o deve attingere all'esterno l'indispensabile materiale umano di cui continuamente bisognano gli istituti? A questa domanda possiamo dare una risposta per il 1850 poiché nell'inchiesta risulta il luogo di nascita del clero regolare diocesano. Ad un primo sguardo l'area del calatino sembra essere abbastanza feconda in vocazioni regolari; il dato complessivo indica che 201 religiosi su 298, il 67,4%, sono oriundi della stessa diocesi. Il parametro riferito agli ordini rivela poi le preferenze verso cui si orienta la scelta vocazionale delle popolazioni. (Tabella n. 8). La connessione tra vocazionalità regolare c città appare ancora la caratteristica più spiccata che emerge a questo proposito; dal capo di distretto proviene infatti il 31,8% dei religiosi originari della diocesi, a fronte di una popolazione che raggiunge il 25, 1% del totale; lo stesso rapporto, anche se più flebile, si riscontra a Vizzini: 16,4% di clero e 14,7% di popolazione, Militello, rispettivamente 13,9% e 11,2%, Mineo 10.9% di regolari e 9,5% di anime. Nei piccoli centri,
68 G. RuSSOTTO, I Fate-Bene-Fratelli e l'Ospedale dello Spirito Santo di Caltagirone. Note storiche, Tipografia Arcivescovile dell'Addolorata, Varese, s.d. [1938].
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l'ordine si inverte e, in un solo caso, il tasso del clero regolare supera quello della popolazione; mentre completamente sbilanciato a favore di quest'ultimo termine appare il rapporto nei restanti paesi: Grammichele 10,1 % contro 4,9%, Palagonia 5% e 3%, Mirabella 3.1 % di abitanti ma solo I% di clero originario del luogo. L'unica eccezione in questa geografia dicotomica è rappresentata da Licodia da dove aITiva il 6,9% della popolazione ma ben il 12,9% del clero. Questo fatto suggerisce il forte peso che nell'entrata in religione dovevano avere anche particolari situazioni locali che, però, a partire dal solo materiale dell'inchiesta non possiamo purtroppo apprezzare. (Tabella n.7).
Da quanto è fin qui emerso ci sembrerebbe, comunque, di potere escludere ogni possibilità che, almeno nel campo della scelta vocazionale regolare, si fosse prodotta, già in questi anni, una inversione a tutto favore della campagna, i cui conventi vediamo invece essere ancora fortemente dipendenti dall'afflusso di religiosi esterni. E' la città sede vescovile che con il suo massiccio contributo fa sì che, nonostante il periodo di discesa vocazionale, dovuto però a una minore velocità di entrate in religione, rispetto al parametro demografico, la diocesi calatina dimostri, nel complesso, un soddisfacente grado di apprezzamento per la scelta claustrale che ci mostra quanto ancora essa dovesse essere usuale nel panorama socia.le e nell'orizzonte della spiritualità locale; anche perché non pare inverosimile immaginare che il restante 30% dei regolari, che servirebbe per fare l'en plein dei conventi diocesani, possa essere sparso in altri conventi dell'isola . Anche per ciò che riguarda le preferenze delle singole città rispetto ai vari ordini, alcune affinità sembrano emergere abbastanza chiaramente, a cominciare da quelle che contraddistinguono il clero francescano. I conventuali provengono, per quasi metà, da Caltagirone e, pressoché per l'altra metà, da Vizzini, Militel!o e Mineo; ciò mette ancora di più in evidenza la particolare propensione cittadina di quest'ordine notata già neil'analisi dell'ubicazione dei conventi; inoltre la percentuale di clero autoctono sale all'87,7% il che marca maggiormente la specifica predilezione diocesana verso questo ramo della famiglia francescana. Un po' più estesa l'area di origine degli osservanti, di cui si nota pure una più equilibrata omogeneità distributiva: i
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tassi di gradimento per quest'ordine si ripartiscono infatti abbastanza equamente fra Caltagirone, Mineo e il grosso borgo agricolo di Grammichele, ma è Vizzini il luogo in cui l'ordine riesce a stimolare più vocazioni. Al contrario dei loro cugini, gli osservanti hanno però una maggiore necessità di attingere clero da fuori diocesi, con un grado di dipendenza di esterni che arriva quasi al 38%. Ancora più deficitario appare il saldo vocazionale dei riformati che hanno una percentuale di clero indigeno, che proviene in parti quasi uguali da due unici centri, Palagonia e Caltagirone, che arriva solo al 43,8% del totale dei religiosi presenti nei loro conventi, fatto questo, che sembra far trasparire una situazione se non di crisi, almeno di non sufficiente presa dell'ordine sul territorio diocesano. Esteso è invece il gradimento incontrato dai cappuccini che quasi ovunque registrano una buona risposta vocazionale; tranne a Mirabella e a Palagonia c'è infatti almeno un regolare del luogo che ha vestito le lane dell'ordine; ciò consente loro, nonostante gli alti valori in termini assoluti del clero, di avere nei conventi diocesani una porzione di oriundi pari al 67,4%. Particolarmente intenso appare il rapporto di quest'ordine con le città di Mineo, Vizzini e Licodia, oltre che con il capodistretto, anche se esso raccoglie adesioni pure nei centri agricoli di recente fondazione come Ramacca e Grammichele Per i camilliani, forse anche per l'esiguità del loro numero, la copertura locale si rivela invece ottima; da Caltagirone, unica loro sede, provengono 4 dei 5 padri. La stessa situazione si può riscontrare a Vizzini per le necessità del convento dei mercedari di cui la città del dotario reginale copre completamente i ranghi. Una brusca caduta del clero autoctono, si nota invece fra i cassinensi, solo 2 dei sette regolari del convento di Militello vengono dalla diocesi, dalle città di Vizzini e di Militello. Fra i cannelitani c'è la completa identificazione con il luogo in cui sorge l'istituto: tutti gli undici religiosi sono della stessa Licodia, mentre, anche i riformati dello stesso ordine, provengono in stragrande maggioranza dalla città sede del convento: Caltagirone; bisogna però notare che questi ultimi coprono solo al 40% il fabbisogno di ecclesiastici della èasa: Elevato invece il livello di indigenato di domenicani e agostiniani, con rispettivamente 1'81,8% e 1'86,4% di clero
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autoctono che, in maggioranza, viene anch'esso dai centri con maggiore popolazione: Caltagirone e Militello per i domenicani; Caltagirone, Vizzini e Militello per gli agostiniani. Sembra quindi che, almeno per gli ordini più rappresentati, le preferenze ambientali per le famiglie religiose si ripartiscano su tre livelli. Il primo, dove si ritrovano porzioni di clero diocesano superiore ai 2/3 del totale, è a esclusivo appannaggio di ordini come conventuali, domenicani e agostiniani; anche se per gli ultimi due questa situazione pare più da riconnettersi a uno stato di rendita determinatosi in momenti più felici. Se si guardano infatti le età degli individui appartenenti a queste famiglie, si nota un vuoto completo di clero giovane fra i ranghi dei domenicani, circostanza che, lievemente attenuata, si rinnova per il clero agostiniano (Grafici 1-2-3-4). Nel secondo livello, occupato da cappuccini e osservanti, troviamo aliquote di clero originario della diocesi superiori al 50%; negli stessi ordini soddisfacente appare inoltre anche la continuità vocazionale, che si esplicita in curve di età del clero caratterizzate da una duratura stabilità di ingressi in religione. Fortemente deficitaria appare infine, la situazione dei riformati francescani e dei loro omonimi carmelitani che pare si trovino in una congiuntura 111arcata da un certo esaurimento della loro presa vocazionale sul territorio. Per ciò che riguarda invece i piccoli ordini è più difficile trarre delle conclusioni, anche per la quantità estremamente ridotta di clero da essi inquadrata. Si può semmai notare il contrasto fra mercedari e camilliani da un lato, che riescono a soddisfare nella diocesi le esigenze del personale dei loro conventi e i cassinensi che, al contrario, per raggiungere lo stesso fine, hanno bisogno di ricorrere all'apporto esterno per più di 2/3. Ciò potrebbe indicare, dato il carattere fortemente aristocratico di quest'ultimo ordine, una certa ritrosia della nobiltà diocesana, a fornire religiosi. Naturalmente ciò andrebbe confermato con una approfondita indagine prosopografica che, i limiti impostisi dal presente contl'ibuto esci udono. Ulteriori indicazioni sulla vitalità degli ordini ci vengono da un altro indicatore ricavabile dall'inchiesta del 1850; si tratta del grado di saturazione degli edifici religiosi ricavabile dal confronto fra le disponibilità degli istituti, notate negli appunti del vescovo, e l'effettivo
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numero di regolari presenti nelle case. Pare infatti ragionevole supporre che una condizione di quasi, o addirittura di totale esaurimento dei posti disponibili nei conventi, indichi una situazione di forte presa ambientale degli ordini e segnali, nel contempo, un momento di intensa vocazionalità. I conventi del calatino hanno una disponibilità che nel 1850 raggiunge i 477 posti, occupati da 298 religiosi che coprano il 62,4% delle possibilità di asilo offerte dagli stessi edifici. Questa cifra da sola pare significare una non altissima saturazione degli edifici religiosi, che depone a favore di quel processo già avviato di regressione della vocazionalità regolare da mettersi in connessione, oltre che con la chiusura dei noviziati decretata da Pio IX nel 1849, anche con un calo di richieste dell'abito religioso, databile alla seconda metà degli anni '40, e con la tendenza negativa di medio periodo, già rilevata nell'analisi del clero al 1825. Anche se si può pensare che il dato del 1850 fosse indicativo di una situazione solo temporanea, caratteristica dello stato di estrema mobilità proprio della presenza del clero regolare nel territorio, legato com'è al vincolo dell'obbedienza che lo costringe a spostarsi a discrezione dei superiori, pare comunque avvalorata, anche dalla cm;isiderazione di questo indicatore, una certa diflicoltà degli ordini in questi anni a riempire le case religiose: anche il tasso di occupazione dei conventi nel 1825 è infatti superiore a quello del '50 di più del 10%. Pure confermate appaiono inoltre le ipotesi già accennate sul differente grado di vitalità di alcuni ordini religiosi. Alto è il livello di saturazione dei conventi dei francescani conventuali, 39 religiosi su 46 posti, di minimi, domenicani, 22 su 30 questi ultimi e carmelitani riformati, 20 su 21. Mentre il dato sui cappuccini, 95 religiosi regolari su 145 posti, appare, tutto sommato, soddisfacente se si guarda alla scala numerica assoluta del clero appartenente a quest'ordine, ma indica comunque, anche per questa famiglia francescana che pare essere fra quelle che godono di migliore salute, un livello di saturazione che non supera la media diocesana. Flebili invece appaiono i gradi di occupazione dei conventi di osservanti, 38 ecclesiastici su 78 posti disponibili, rifonnati e carmelitani. Una spia del livello di accettazione della vita claustrale è costituita dal numero delle rinuncie dell'abito monastico riscontrabile fra
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il clero, da questo indicatore emerge nella diocesi una non eccessiva quantità di secolarizzazioni 69 • Dieci fra i cappuccini, sei fra francescani riformati e osservanti, tre nei ranghi dei conventuali e dei carmelitani riformati, due a testa per agostiniani, minimi e domenicani; solo una secolarizzazione per carmelitani, cassinensi e camìlliani, nessuna fra i mercedari. li tasso di abbandono dell'abito monastico raggiunge quindi il 12,4% del totale di tutti i religiosi presenti nei conventi della diocesi. A questo dato, di per sé abbastanza significativo, si deve aggiungere il fatto che alcune di queste uscite dal chiostro risalgono a un tempo ormai lontano; tutto ciò pare indicare un'ancora soddisfacente apprezzamento dei religiosi per la vita monastica. I secolarizzati inoltre non sembrano dare molti problemi al vescovo mentre in un solo caso si riconnette l'abbandono dell'abito alle vicende del '48. Per la stragrande maggioranza i loro costumi appaiono morigerati e importanti sono anche le mansioni da essi espletate fra le fila del clero secolare: la titolarità di alcuni canonicati e, anche, la cura di anime. Un ultimo testimone che depone ancora a favore della feracità della diocesi calatina è il peso politico raggiunto dai religiosi oriundi del suo territorio all'interno delle rispettive province, che, nonostante l'angustia dei suoi confini, pare essere abbastanza rilevante; due provinciali, il primo fra i francescani riformati e il secondo fra gli osservanti, nonché parecchi superiori intermedi ne sono la prova più espJicita70 •
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Il controllo regio su questo atto particolare che pennetteva a un ecclesiastico regolare di tornare al secolo, conservando la sua condizione presbiterale, si era fatto più n1arcato nei pri1ni anni '40 delJ'Ottoccnto quando si era stabilito che i frati secolarizzati, per ottenere l'exequatur regio sui rescritti pontifici di concessione, dovevano presentare al delegalo l'attestato finnato dal vescovo della diocesi in cui il religioso avrebbe dovuto incardinarsi che dichiarava «f ... ] la sua piena annuenza ad a1nn1ettere alla secolarizzazione il fì·ate / ... ]e della di lui ascrizione al servizio di una Chiesa della sua Diocesi, 2) il documento dal quale risulti in n1odo legale, che sia il Religioso 1nedesin10 provveduto del congruo patrin1onio sacro», inoltre si raccomandava agli ordinari il più stretto controllo di questi ecclesiastici invitandoli a sollecite segnalazioni ove ritenessero di adottare provvedimenti sugli stessi. Lettera del Mù1istcro e Real Segreteria di Stato degli A.ffa6 Ecclesiastici al Vescovo di Caltagirone, 23 ottobre 1842, Acvc, b. 258. 70 Si tratta di padre Luigi Vaccaro di Caltagirone provinciale dei rifonnati e di padre Salvatore da Vizzini, provinciale degli osservanti. Inoltre fra i cappuccini di
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5. Disciplina, spiritualità, utilità · Lo scopo principale che la S. Sede si riprometteva di conseguire dall'inchiesta era quello di una preliminare conoscenza, il più possibile dettagliata, dello stato disciplinare e spirituale del clero, per potere così adottare gli opportuni provvedimenti che potessero essere utili all'azione di riforma dei corpi regolari. A questa preoccupazione si aggiunse, dopo i moti del 1848, che videro una massiccia presenza di ecclesiastici fra gli insorti, la pressante inquietudine del governo per riuscire a controllare un clero, specialmente quello francescano, che si era dimostrato infido e inaffidabile per le sue frequenti commistionj nella rivolta71 •
Yizzini si trova padre Luigi, maestro provinciale dello stesso ordine e fra quelli di Militello padre Gaetano da Vizzini che dci cappuccini è custode provinciale. Nutrita anche la categoria degli ex provinciali e diffinitori o di religiosi che hanno ricoperto altre cariche i1nportanti e che si trovano adesso in uno dei conven!i diocesani; fra essi noteremo solo gli ex provinciali oriundi della diocesi: padre Ro::rnrio Barresi di Vizzìni fra i conventuali, padre Nicola lacobello di Militello fra gli agostiniani, padre Salvadorc Buffone di Caltagirone fra i don1enicani. Inoltre è da ricordare il conventuale Ignazio Monten1agno che nel 1837 diviene vescovo di Agrigento, cfr. Venerabi/ihus .fì·atrihus, ac dilectissi1nis in do1ni110 fi/iis clero et popufo urhis Agrigenti, totiusquc diocesis sa/111e111 et be11edictio11e1n, Calatajeronen, s.i.e., 1837. 71 A questo proposito eloquente è il tono della cìrcolare che il ininistro Cassi.si spedisce al luogotenente duca di Taonnina. «A S.E. il Principe di Satriano. Palermo. Tristissi1no spettacolo è stato in Sicilia il vedere nelle ultin1e funeste perturbazioni molti del Clero Regolare mostrarsi ardenti ed avventati fautori della rivolta, e taluni di essi profanar finanche la Santità del Tempio, divulgando dalla Cattedra dcl Signore massiine sovversive cd anarchiche, con essersi in ispecie osservato che dai Conventi dei Mendicanti sieno sortiti i più caldi den1agoghi. Che Religiosi, i quali han solenne1nente giurato a Dio vita esetnplnrc e ritirata nei Chiostri s'ingeriscano negli affari del Secolo, è già non lieve scandalo, 1na assai pili grave, che diinentichi di ogni sacro dovere si faccian pro1notoli di pubblici disordinì ed apostoli di ree dottrine; ne è a dire di quanto 1naggior pericolo sia ciò nei Religiosi 1nendicanti, i quali vivendo di litnosina sono in tnaggior contatto col popolo. Queste cose considerando S.M. il Re N.S., si è degnata ordinare che V.E. incarichi il Gìuclice della Regia Monarchia d'inculcare cfficace1nente ai Superiori di coteste Con1unit~ Religìose la più stretta osservanza della regola e severità di disciplina contro quei Frati che nelle passate vicende si sono ingeriti in politica. Nel Real Non1e partecipo ciò all'E.V. affinché si serva farne l'uso conveniente. Napoli 18 Setteinbrc 1849»,. As.Pa, MASE, b. 2296. In un'altra circolare dello stesso giorno, (ihid.), dal tono ancora più preoccupato il ministro per gli affttri di Sicilia si occupava del clero secolare accusando anche la scarsa vigilanza dei vescovi nell'an11ne1tere i più disparali individui ai sacri ordini.«l ... ]. S. M. osservato che cotanta prevaricazione in tanto numero di Ecclesiastici non sarebbe stata possibile, se al sorgere della rivolta 1nolti
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Questa concomitanza di interessi rinsaldava ulteriormente !'alleanza fra trono e altare, ribadita, ancora nel 1832 dalla Mirari vos, di Gregorio XVI, anche se oramai appaiono diversi i fini che le due parti volevano conseguire, seppure attraverso l'utilizzazione di mezzi 'comuni. Lo stesso classico intreccio, da secoli preminente caratteristica della Chiesa di ancien régime, «tranquillità del Trono e [ ... ] stabilità della Chiesa», viene additato dal vescovo Denti, già nell'attacco della sua relazione alla S. Sede, per giustificare !' opera altamente meritoria di riforma dei regolari intrapresa dal papa e assecondata dal re. In questa ottica, i regolari debbono diventare «un prescelto corpo di riserva» e «[ ... ] impegnarsi per opporsi alla cmTuttela del Secolo, ed alla infausta torrente, che già ha dissestato quasi tutta l'Europa» 72 • Il materiale in nostro possesso, ci fornisce due strumenti di valutazione degli aspetti disciplinari e pastorali, oltre che della moralità del clero regolare. Oltre alle osservazioni del vescovo relative a ciascun convento, si dispone pure di una parte dei questionari, che ogni religioso doveva redarre per replicare ai quesiti proposti dalla congregazione, dove, a volte, non si limita a fornire succinte risposte ma esponeva anche sue personali considerazioni su taluni punti a lui più cari 73 • La possibilità di comparare i due punti di vista, quelli del elementi infetti non si fossero trovati già preesistenti nel Clero. E ciò bene mostra corne nell'am1nissione di 1nolti al sacro Ministero siasi il giudizio sbagliato di loro idoneità. Or se le provvide cure in ciò adoperate dai rispettivi Ordinari Diocesani sono per trista prova dichiarate insufficienti, ha la M. S. veduta la necessità affin di provvedere per l'avvenire, che la pastorale vigilanza si raddoppi in affare di tanto 1nornento, talché d'oggi in avanti resti affatto chiuso l'adito al Santuario per coloro che non abbiano dato lungo e sicuro sperirnento d'inte1nerata condotta, di buona istruzione di vocazione vera al Sacerdozio; rirnuovendosi I'atlliggente spettacolo di Preti, che salgono al sacro Ordine come mestiere, o che privi di sufficiente patriinonio vadano accattando le Messe per vivere, e si addicano ad esercizii disonorabili ed indegni di loro Sacro carattere». 72 La stessa collaborazione veniva chiesta dal provinciale degli osservanti, Luigi da Vizzini il 13 noven1bre 1849 al sottointendenle di Callagirone invitandolo, per la seconda volta, a infonnarlo se ci fossero stati religiosi della sua provincia coinvolti nei disordini affinché per raggiungere lo scopo con1une <<[ •.• ] dell'una e l'altra autorità si prestassero la 1nano senza il n1eno1no allucinainento e prevenzione>\ As.Ct, IBSC, b. 250. 73 Sebbene i fascicoli rinvenuti riguardino meno di un terzo del totale dei conventi, 10 su 34, riteniamo che il ca1npione sia Io stesso abbastanza significativo per due ragioni. In primo luogo in questi conventi di1nora circa il 50o/o del clero regolare diocesano, il che dovrebbe fornire un grado accettabile di significanza
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clero, per comodità venanno riportati per la maggior parte nelle note, potrà rivelarsi utile, oltre che nella descrizione della vita dei conventi anche per capire come il vescovo coglieva la realtà monastica della sua diocesi e per vedere, se emergano ragioni diverse nell'interpretazione di un suo eventuale stato di crisi. Quasi completamente sconosciuta è, nella diocesi di Caltagirone, la qualità pastorale e spirituale dcl clero regolare. Le uniche indicazioni ci vengono da biografie sugli uomini illustri locali e su particolari personaggi di certi ordini che, soprattutto per il '600, sembrano mettere in luce esempi di grande spiritualità74 • Per quanto concerne le condizioni sociali e politiche in cui si esplica la pastoralità locale, da fonti diverse alla visita ad limina, soprattutto di carattere civile, traspaiono, a volte, anche fortissime tensioni fra clero e potere amministrativo sui modi e, soprattutto, sui termini di carico delle responsabilità economiche ad essa connesse, come nel caso di Vizzini75 . Si nota statistica delle risposte; in secondo luogo perché, a pa1te i piccoli ordini, mancano notizie di prima mano solo degli agostiniani e dei do1nenicani, n1entre per le restanti famiglie si dispone dei fascicoli personali riguardanti il clero di aln1eno uno dei conventi diocesani, 74 M. MINEO JANNI, Biografia del V. Innocenzo Marcinnò, con appendice di cenni su i più llfustri Cappuccini Caltagironesi, Giustiniani, Caltagirone 187 l; S. LEONARDI, Cenni storici ... , Gli 11on1ini ilfustri, libro I, cit.; G. GAMBUZZA, Mineo cit., 202 e passim. 75 La mancanza di volontà degli amministratori con1unali di questa città a fare celebrare a loro spese una missione rimonta a lunga data, cfr. As.Pa, MRSL, b. 422, supplica del parrC?co Orlando, 1850. Il parroco dice che da 20 anni non ci sono nella città esercizi spirituali; già dal '43 il curato aveva chiesto una niissione dei gesuiti ma · il sindaco avrebbe tanto brigato da riuscire a farla andare a monlc, nel '48 un'altra 1nissione non si poté svolgere a causa dei 1noti. In seguito il re aveva ordinato, il 20 nove1nbre del 1849, che in tutta l'isola si tenessero le 1nissioni e gli esercizi spirituali a spese delle a1nministrazioni, nonostante ciò il cotnune di Vizzini non voleva ancora accollarsi la spesa. L'arciprete tornò di nuovo alla carica nel clima più favorevole dei primi anni '50, chiedendo, il 20 febbraio 1851, al duca di Taonnina unn missione; il n1unicipio però continunva a sostenere che doveva essere l'arciprete a pagarla perciò essa fu nuovamente bloccata. Il sindaco si giustificava affennando che già in una precedente missione dei padri liguorini, tenutasi nel 1827, il 1nunicipio non aveva pagato le spese, (ibid.). La reazione di tullo il clero cittadino è ferina e compatta: nella supplica al re, dove si afferma che da più anni onnai non c'è stata in paese una «buona tnissione», il clero ne sostiene l'assoluta necessità pastorale,«[ ... ] la chiesta missione è molto necessaria per quella popolazione», inoltre le spese debbono essere a carico del co1nune, che ha fatto n1olte economie sulle uscite religiose nel biennio '49 - '50 e che, fra l'altro, ha anche introitato un legato a questo scopo. La nlissiva si conclude con un consiglio tecnico per riuscire a reperire nel
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poi, soprattutto in alcune zone di campagna e in piccoli insediamenti abitati, una insufficienza pastorale dovuta a diverse cause di natura economica ma anche "politica", nonostante il clero secolare, sul quale non esistono studi, venga giudicato, come si è già notato, positivamente nella visita ad limina e numericamente sufficiente anche nelle risposte dei regolari all'inchiesta"- Alcuni episodi rivelano poi situazioni di attrito dei conventi con le a1nrninistrazioni civiche su questioni cultuali oltre che economiche. Si notano anche forti tensioni fra regolari e secolari che sembrano soprattutto dovute alla volontà di controllo della devozionalità e alla esclusiva rivendicazione della direzione pastorale dei titolari secolari della cura d'animen bilancio comunale le so1n1nc necessarie prelevarle «[ ... ] dall'articolo destinato alle opere pubbliche co1nunali 1ncntrc la rifonna dci costumi è la prima opera pubblica a cui il Coinune è tenuto principalincntc a baciare», ìbid., 1851, senza altra data. 76 As.Pa, MRSL, b. 422. Il vescovo Denti al luogotenente di Sicilia, 13 oUobre 185 l, è necessaria nel villaggio di Raddusa aggregato al con1une di Ramacca «[ ... J la isliluzione del secondo Capellano per viè n1eglio i fedeli adempiere, e ricevere le pratiche religiose. Però si incontra difficoltà nella mancanza di 1nezzi a far fronte rll litolo dì Congrua, rnentre lo attuale Cappellano non è stato, siccome egli asserisce soddisfatto». Da Ratnacca una supplica anoni1na del 2 settembre 1851, (ihid.) sostiene che da mollo ten1po vaca la «[ ... ] Parrocatura della ·Baronia di Camo Pielro, e proprian1entc detta della Gabella; la cui elezione spetta alla Decuria di Caltagirone, e principahncnte. al Sindaco». La denuncia prosegue con l'accusa verso quest'ulti1no di non volere fare l'elezione per farla «cadere devoluta al Vescovo», così da far perdere per se1npre i diritti del co1nune, nel fratteinpo gli abitanti sono cornpleta1nentc privi di tutti i servizi religiosi. 77 As.Ct, Insc, b. 199. Supplica di don Giuseppe Costanzo al sotto intendente, 1 ottobre 1844 e n1en1oria dello stesso del 5 giugno 1844, Uhid.), b.126. L'esponente si duole che i padri riformati di Palagonia non aden1piano alle obbligazioni che hanno contralto con il co1nune che paga per questo 36 onze. Gli obblighi consistevano nell'approntare ogni anno un predicatore quaresi1nalista nella chiesa 1nadre, fare due panegirici all'anno: il 25 giugno festività di S.ta Febronia e 1'8 dicen1bre, giorno della festività dell'hn1nacolata Concezione, 1nantenere nel convento l 2 religiosi e, infine, celebrare due anniversari per l'anirna del fondatore, il principe d. Ignnzio Sebastino Gravina. A Mineo il clero locale si lmnen!ava delle cosiddette Pinzocrhere cappuccine che si riunivano nel convenlo della città, «[ ... ] e che han dichiarato 1nolii Preti e Canonici il loro positivo impegno ad estirparle, ed ha aggiunto il ricorrente che taluni di essi non si sono fennati alle n1inaceie 1na altresì 80110 passati ai fatti, pronunziando delle iinproprerie pubblican1ente nella Chiesa, e con grande scandalo contro tali Pinzoccherc, e qualunque di esse minacciando non solo la forzala svcstizione, 111a eziandio nel'atto di esercitare gli atti Cristiani si è negato anche il pane Eucaristico», ibid., b. 327, l'intendente al sottointendente, 5 aprile 1852; con1unica !a supplica dcl priore del convento che si rifà a un precedente reale rescritto del 29 agosto 1833 con cui il re aveva dato ragione dell'esistenza di una
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All'interno dei conventi non rari dovevano essere inoltre i tentativi di approfittare dell'amministrazione del patrimonio delle case da parte dei religiosi ad essa prepostin Una prima serie di indicazioni di tipo quantitativo, sulla "qualità" del clero regolare, ricavabili dall'inchiesta, sono quelle riguardanti la sua tipologia interna; queste, fra l'altro, ci consentono di conoscere quanti avessero raggiunto il grado presbiterale. Ci pare questo un indicatore abbastanza interessante, anche perché esso può essere rapportato a quelli relativi ai due secoli precedenti. Nel complesso nel 1850 i religiosi hanno una buona percentuale di sacerdoti al loro interno, il 60,7% del totale, che indica un netto miglioramento rispetto al 1737 quando il tasso presbiterale raggiungeva il 50,5% e al 1650, 47,9%. Anche se si nota qualche eccezione, come a Militello e a Mineo, il dato generale viene confermato in tutto il territorio con punte ancora più rilevanti, per esempio a Vizzini, 43,8% nel 1650, 51,3% nel secolo dopo e 68,6% a metà dell'Ottocento (Tabella 9). Ciò dovrebbe indicare un miglioramento, almeno teorico, della "qualità" del clero all'interno dei cenobi, oltre ad essere un segnale di una più matura consapevolezza nella scelta dello stato regolare; conseguentemente è da presumere che le ricadute dell'emorragia verificatasi fra il 1737 e il 1850 abbiano soprattutto colpito l'area laica del clero regolare, enormemente estesa ancora nel XVIII secolo. Nel 1850 questo gruppo, può vantare ancora il 20,8% di professi a cui si deve aggiungere un altro 9,7% di laici non professi. Questo restringimento può significare un affievolimento di alcune caratteristiche funzioni socio-economiche svolte dai conventi «[ ... J Congregazione di donne dette Bizzocche nel convento dci Riforn1ati dì Scordia». Anche fuori diocesi questi conflitti non dovevano essere n1ol!o rari. Il sottointendente di Acireale all'intendente 3 agosto 1854, (ihid.), lo informa della lite dell'arciprete di Piedi1nonte con i cappuccini poiché il curato pretendeva che i padri non «[ ... J dovessero intervenire a una 1no1tuaria associazione, e che in ogni caso non potessero inalberare la croce in presenza del Clero secolare, come se altra insegna o vessillo potesse distinguere quel Corpo Religioso}>. 78 As.Ct, IBSC, b. 126, fra Deodato Piacentino nato in Trapani, laico dell'ordine agostiniano, al sotto intendente, Caltagirone 13 gennaio 1851. Denuncia il priore del convento, padre Fulgenzio Gerbino, che vuole cacciarlo perché era stato accusato dal frate di avere venduto 17 ,26 onze di vino e di averne scaricato nei libri contabili solo 14.
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nelle società di antico regime, non solo di quelle puramente caritativoassistenziali ma, anche, del ruolo equilibrante detenuto dalla scelta religiosa regolare per quanto concerne, ad esempio, il versante della trasmissione dei patrimoni e delle strategie familiari. Alcune differenze, a partire dal grado presbiterale, si riscontrano poi tra le varie famiglie religiose. In talune di esse tutti i componenti hanno raggiunto il massimo grado della gerarchia dell'ordine: è il caso dei cassincnsi, nelle cui fila troviamo il futuro arcivescovo di Palermo Michelangelo Celesia, e dei crociferi; in altre, forse, anche a causa della loro opera pastorale a stretto contatto con le plebi, la fetta del laicato si ingrossa: gli osservanti, ad esempio, hanno solo il 50% di preti, i cappuccini li superano di poco col 53,7%. Altri ordini infine hanno delle presenze alte di presbiteri per motivi che, oltre ad essere forse connessi con l'esiguità del loro numero: gli agostiniani di Vizzini e Militello sono tutti sacerdoti, ma sono solo in sei per due conventi, sono probabilmente da ricondurre alle stesse funzioni dell'ordine, che quasi impongono un forte tasso di sacerdoti: come nel caso dei predicatori di Caltagirone e di Militcllo (Tabelle n. IO, e
n. 11). Sui due punti caldi dell'inchiesta, su cui si appuntavano le attenzioni maggiori del questionario, il rispetto dell'osservanza e della vita comune, che sembravano essere i maggiori responsabili degli abusi e dei disordini all'interno dei conventi, le conclusioni del vescovo paiono essere, a prima vista, abbastanza positive. A parte la denuncia dello stato di tre comunità 79 , che danno la possibilità al prelato
79 Ma tnollo pesanti erano i toni con cui lo stesso guardiano di uno dei conventi si autoaccusava. «La osservanza della regola si è giusta ai tempi attuali, che si trasgrediscono la gran parte dei precetti per accostu1narsi agli abusi introdotti a corrutlela della stessa, o per anco a· non divenire taccialo imprudente presso il Provinciale, che sovente è pressalo il Superiore a pennettere cose contro l'istituto purché non si faccia 1normorare. In tanto gli abusi introdotti sono uso del Denaro senza che la 1naggior parte hanno specifico Apostolico penncsso. Uso di calciamenti senza esser pressati da necessilà. Libertà di gir a cavallo senza manifesta necessità, senza pennesso di superiore. Uso di Biancheria, e nel letto, ed addosso senza averne Ponteficio permesso [... ]. Puoche volte si fà l'orazione [... ]. Il padre lettore [... ] al presente si esenta da tutto; ed alle volte interviene all'ufficio coartato. Si fà puoca Lettura in pubblica refezione e per uso cotidianamente si rompe il Silenzio. Di tulli
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di avanzare alcuni suggerimenti che, più che riferirsi allo stato particolare delle case religiose diocesane, sembrano volere essere quasi le basi ontologiche di ogni eventuale opera di risanamento degli ordini religiosi, Denti concede l'aggettivo "ottime" alle famiglie religiose della sua diocesi. Anche le conclusioni ricavabili dalla lettura dei sui appunti sembrano avvalorare l'ipotesi che questa fosse l'intima convinzione del prelato. Fra i conventuali si ritrova dappertutto la vita comune, anche se non esiste la perfetta comunità, i religiosi godono della universale stima del pubblico e sono utili alla popolazione per la loro opera spirituale e pastorale improntata al binomio confessione predicazione. Simile la reputazione degli osservanti. A Caltagirone, per incarico del parroco essi am1ninistrano i sacran1enti agli infermi nelle campagne ed assistono i moribondi, svolgendo l'unica opera di supplenza pastorale codificata fra i regolari della diocesi, funzione questa che, peraltro, tutti i regolari sono disponibili, ove chiamati, a compiere. I francescani riformati, oltre ad impegnarsi nella predicazione e nelle confessioni, hanno anche nno Studio a Caltagirone dove si apprende la dogmatica e la morale; anche l'osservanza viene rispettata, ma non la perfetta comunità. Nonostante a Caltagirone essi vivano "con esemplarità", fra i religiosi dello stesso ordine di Palagonia si trovano alcuni abusi rispetto all'osservanza regolare, mentre la casa di Scordia viene ritenuta indispensabile per l'opera di ausilio pastorale prestata allo scarsissimo clero secolare del luogo. Per i cappuccini, che coltivano a Caltagirone la devozione di Maria Santissima Addolorata, si riscontra nella città la «universale stima» popolare, pure nei centri di Licodia e Grammichele essi sono «utilissimi al popolo». Nonostante la sostanziale positività di questi e altri giudizi, fra le righe della relazione del vescovo, anche lui uomo di regola monastica, si percepiscono però le sue vere preoccupazioni 1nentre, seppure in uno stile indiretto e mediato che li trasforma, prudentemente, in avvertimenti al clero, traspaiono quelli che dovevano essere i maggiori
questi articoli sono stato io il primo trasgressore [... j», Acvc, b. 387, memoriale di p. Mariano della Ferla guardiano del convento dci francescani rifonnati di Palagonia, 20 marzo 1850.
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abusi notati dal p1:elato, che emergono, a volte in maniera drammatica, da alcuni dei memoriali degli stessi ecclesiastici regolari 80 • Accorato appare l'ammonimento perché i religiosi attendano ai divini uffici più
80 Eccone alcuni ricavali da quelli dei conventuali di Caltagirone e Mineo, fra parentesi le date della visita del convento. P. Maestro Scillama: « Vi è l'osservanza esterna [... J ma se si guarda internan1entc ed alle costituzioni da loro giurate, oh quanto sono trascurate, e neglette! l ... ] dapoicché I 0 Manca in tutti lo spirito di carità, che dovrebbe legarli in perfetto vincolo di pace » e ciò fa sì che insorgano «[ ... ] spiriti di pretta tirannide e dispotismo in coloro che sono al rcgin1e dei Conventi, i quali si credono essere lecito tutto per loro, niente per i sudditi, et quidem nelle cose di somn10 rilievo co1ne sarebbe[roJ i sacrosanti diritti di natura, infatti se qualche Superiore locale si atnmala f... ] si fanno chia1nare i fisici per la guarigione del 1nedesi1no, e questi corrono perché sperano lutto dal medesimo, al contrario se qualche suddilo cade am1nalato nessuno lo visita e lo cura [... ]. Di più contro le Costituzioni dell'Ordine e (del) [... ] Concilio di Trento f... l si puniscono i sudditi senza premettere a1n1nonizioni né correzione fraterna f... ]. Sarebbe cosa giusta che i Superiori delle Corriunilà non esercitassero altri affari come di Guardiani di Monasteri perché badando alle rnonache vengono a trascurare il proprio dovere [... J. Di più è cosa necessaria, o Monsig11ore, che si vietino a tutti i Confessori le visite alle penitenti, perché così ordinano i Canoni generali della Chiesa». Una proposta dello stesso padre indica anche quanto fosse sospetta ogni azione n1enata dai tribunali esistenti in 1nateria di giustizia 1nonastica. «Di più sarebbe cosa giusta istituire in ogni Città, ove sono dei Conventi un giudice incorrutiibilc che diri1ne le liti fratesche f ... ] e perciò si osservassero i decreti riguardanti i Doni, e regali, cioè che si proibbissero a detti giudice di accettare compli1nenti, perché questi sono stati n1ai sempre le cause della violazione della Giustizia». Si1nili le osservazioni del padre predicatore Giuseppe Antonio Patti che, anche lui, la1nenta la univocità del rispetto dell'osservanza che vale solo per i ,o,udditi e non per i superiori, di cui denuncia i 1netodi per perpetuare il loro don1inìo. «Per i superiori tutlo è lecito (anch)e Villeggiatura accompagnati dalle loro penitenti [... ] tutto si spiega per la prepotenza e il dispotis1no» e la causa è la «1nancanza di carità». Il frdtc don1anda poi « la giustizia distributiva negl'impieghi e non moltiplicarli rutti in uno, e finire col il Governo del Guardiano». Si illuderebbe chi pensasse a un diretto intervento dei superiori rnaggiori poiché proprio dalla loro inerzia discende la conseguenza di aizzare la vendetta dci superiori del convento. Infine un avvertimento al vescovo sulla con1pleta inosservanza dei suoi decreti che riguardavano le visite dei confessori alle penitenti. <d Canoni proibiscono la visita alle penitenti, e pure si trasgrediscono ad onta de' decreti dcl Rev.1110 Monsignor Denti zelantissino, ed osservantissilno di questi decreti con 1nassin10 scandalo di n1olti, che per decenza dell'ordine tutto si tace, 1na tutto si sa, e per il ti1nore niuno parla». Acvc, b. 327, (18 febbraio 1850- 6 1narzo 1850). Né meno drammatica appare la situazione dei conventi della provincia a giudizio di alcuni frati del convento di Mineo, ibìd., b. 302. (iniziata il 3 aprile, dal vicario di Mineo d. Lucio Morgana). Il sacerdote Giuseppe Alfonso Palenno a proposito della vita co1nune affcnna che «[ ... J non v'è n'è, né in questo convento né in nessun altro della provincia, e neanco ve ne può essere durando la 1nancanza di quei Superiori ornati della carità perfetta, base fondamentale e necessaria a n1antenerla».
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che agli affari e ai negozi secolareschi e allontanino, conseguentemente, ogni tentazione di lusso e di scandalose mondanità rispettando scrupolosamente le leggi della clausura 81 • Il vescovo inoltre non tace gli abusi a cui sono avvezzi alcuni superiori, anche se ne minimizza l'entità. Più che denunciare una consapevole e pianificata gestione, a scopo di lucro personale, di alcuni mezzi offerti sia dall'amministrazione dei conventi, come sembra emergere da diverse testimonianze dei frati, che lamentano un sisten1atico e ostinato "deturnamento" delle somme destinate al vitto, all'abbigliamento e alla salute dei monaci, che dallo sfruttamento, come si è visto nel caso del padre Spaccaforno, di strumenti finanziari naturalmente impliciti ad alcuni compiti di cui l'ordine è depositario, Denti dà la colpa dell'impossibilità di osservare una perfetta comunità materiale soprattutto alle ristrettezze dei tempi"'·
81 Questa la reale situazione secondo alcuni cappuccini di Minco, ihid, b. 296, (30 settcn1brc - 16 ottobre 1850). Per fra Luigi da Melilli, 1nanca la vita comune a «causa di taluni puochi religiosi>), anche se tutti i frati disi1npegnano i loro doveri eccetto p. Antonio, p. Giuseppe e p. Vincenzo, tutti di Mineo che «[ ... ] tnolto hanno n1ancato intorno al voto della povertà; poiché si sono dimostrati renitendi a deporre l'ele1nosine nella cassa della Comunità». I superiori poi oppri1nono continuamente i sudditi facendoli girare per i diversi conventi, mentre i loro favoriti vivono nell'indolenza. Padre Gaetano da Grammichele, «l ... ] buona l'osservanza [... J la vita comune secondo gli usi della provincia». Il padre lettore afferma invece che «[ ... ] attualn1ente l'osservanza è in tutta la sua estensione regolare, mentre che qualche padre esce dal chiostro senza il co1rispondente compagno, mi si va di none tempo a Mattutino, e in qualche maniera gli atti con1uni regolannente si osservano. Non vi è vita comune O perché la Religione non presta tutto il necessario, e perché i religiosi mala1nente soffrirebbero detta vita Con1une. In quanto agli obblighi della professione dico che si mancò molto sul voto della povertà». 82 Alcune testimonianze sembrano suffragare l'avviso del vescovo, come quella di padre Cilio dei francescani osservanti di Mineo, ibid., b. 302, (visitatore d. Lucio Maria Morgana, 24 aprile - 8 ottobre 1850), per il quale vi è l'osservanza regolare per ciò che riguarda lo spirituale, 1na non la pe1fctta co1nunilà anche se «! ... ] la Religione appresta il vestiario uguale per sacerdoti laici e professi in onze 4, 12 ogni tre anni» e consente le eletnosine di 4 messe mensili, è solo la «carità dci fedeli» che pcm1ette la sopravvivenza dcl convento, alcuni sacerdoti, a causa della poverlà della co1nunità, sono anche costretti a procacciarsi la cappellania nei feudi del terrilorio. Diverse sono però le denunce che danno l'impressione di una ulilizzazione consapevole delle risorse dei conventi per scopo di lucro personale. Ecco alcuni dci tnetodi che servivano allo scopo: p. Scillamà, conventuale di Caltagirone, cit., «Di più se un superiore vuole andare in campagna, va liberamente, mentre al contrario avviene in un suddito r... ] non si ha vergogna di fargli desiderare il cibo [... ].Vi è un
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Altra causa dello stato di prostrazione del clero regolare era comunemente individuata nella mancanza di una accurata selezione degli aspiranti alla vita claustrale, ciò produceva pletore di religiosi che però, in buona parte, non potevano vantare genuine spinte, spirituali e pastorali, ma solo motivi di opportunità e di interesse economico, a giustificazione della loro scelta vocazionale. Su questo punto forti sono le lamentele del clero regolare. Gli «umani riguardi» sono, anche nella diocesi di Caltagirone, una delle cause più frequentemente
abbuso ancora più scellerato, e pernicioso nel medesin10 Ordine, quello cioè di far consumare il n1isero vestiario in viaggi quali dovrebbero essere fatti a spese della Provincia o de' Conventi, ciò non essendo si riducono i frati alla miseria, causa di disperazione dei n1edesimi, di grave scandalo, e di maggiori delitti». Carmelitani riformati Caltagirone, ibid., b. 296, (Caltagirone 26 aprile - 1naggio 1850). Fra Clemene da S. Alfio, «Regolare è l'osservanza e fervorosa, si fà la vita con1une, sebbene in alcuni articoli non si bada dall'intulto, come appunto si è l'osservanza che ogni religioso non può esser, non ben vestito, ma neppure mediocremente. Qual vita co1nune può dirsi e qual regolare osservanza, se ai religiosi 1nancavi il puro e semplice ciò che è di necessità, co1ne può il religioso stare con un solo e semplice faccialetto all'anno cd un solo paro di Calzette, non dico deII'altre necessità che nulla vi esiste, e se cosa facciasi questa prodigalità tnostrasi non eguale per tutti, ma bensì parziale, di quel religioso che a nuIIa influisce mettesi da parte senza pure pensarlo, e che quindi è costretto a vestirsi di quei poveri cienci che per sua cautela rin1asti gli sono quindi pensi chi è di dovere [... ] di prestar cotidiani soccorsi e di invigilare sopra la perfetta osservanza che puoco o nulla si bada». Per fra Felice da S. Fortunato, lettore di Do1nmatica e bibliotecario, nella vita comune «[ ... ] molte eccezzioni si fanno nella medesima, che producono disguidi e malcontenti nei Religiosi, i quali sono precisati ricon·ere ai propri Parenti per essere provveduti di vestimenti, stante l'ingordigia dei Priori che tutto sfacciatamente s'arrogano: quindi ne nasce l'inoservanza e il decadimento deIJo spirito religioso». P. Daniele da S. Agrippina da Mineo, la vita comune è al presente «[ ... J sì ferita che aspersa da tetro e parricida sangue setnbra un 1nostro appena da conoscersi dal non1e, che tuttora itnpropria1nente porta, giacché non ricavano della stessa i Religiosi che la professano, che un 1ncschino diario vitto, puochissimi vestimenta, costretti però allo spesso mendicare per coprire le proprie nudità, dai parenti la bisognevole !... ] ella non così però per i Priori, ed il Provinciale, che avvicenda si sostengono nella loro tirannia governando con il più assoluto dispotismo per più e più anni, senza officiali, ed intervento di Comunità e dando un calcio alla sacrosanta legge dell'ordine ne divino le sostanze riducendo alla ulli1na miseria i Conventi». Il padre guardiano dei cappuccini di Minco rincara la dose, «Relativainente al secondo aspetto asserisco che i sacri Voti non si sodisfano nella vera sua purità, e secondo a professata Regola, precisa1nente quello della santa povertà. In vari Conventi vi sono molti, e nlarchevolissi1ni abusi, ed invecchiati. Si compra, si vende, si cambia, e si possede notabilmente, ed indiscriminatamente !... 1 le tante altre inosservanze di Regola, e di sante costu1nanze, devono in gran parte addebitarsi alla mancanza di rettitudine, di zelo e di religiosità di taluni Superiori inferiori, e maggiori», ihid., b. 296.
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additate, nelle denunce dei religiosi, per spiegare l'ammissione al noviziato di soggetti che, seppure scartati dagli organi preposti alla loro ricezione, vengono accettati in seguito all'interessamento di un superiore83. Sui provvedimenti per i noviziati la posizione del vescovo è
83 Sofferta su questo punto la denuncia del guardiano del convento dei cappuccini di Mineo, ibid., b. 296, (30 settembre - 16 ottobre 1850), che per tre anni è stato anche maestro dei novizi della provincia siracusana, restando «[ ... ] granden1ente scandalizzalo, con intenso dolore del mio cuore, ed a grave danno della religione, che ne ha pianto, ne piange, e ne piangerà le tristissime conseguenze. Ho veduto cogli occhi e toccato con mani le aperte ingiustizie le sfacciate prepotenze e gli orrendi torli fatti alla Religione, che non potrei con tutti gli sforzi possibili riparare, e questi prodotti tutti da spirito di parte e da privato interesse che la peste som1na della Religione. Molti fatti autentici ed inegabili potrei sull'assunto arringare (chi parla è quaresimalista, prefetto di missioni, diffinitore provinciale, oltre che, a giudizio del lettore del suo convento, «Un sant'uomo che da 1nattina a sera ascolta le confessioni»), ma per brevità non ne accenno che due soli. Nel 1846 a meridiana luce si scorse in da' primi gio111i della vestizione del Chierico frate Antonino da Terranova che per la sua pessima condotta indegno era di portare anche per un giorno le sacre Serafiche lane. Ne restavano positiva1nente scandalizzati i suoi Connovizi tutti e l'intera Comunità, venne intanto a spada tratta sempre protetto e dal P. Guardiano di quel tempo Lettore Gaetano da Vizzini, ed originariamente e principalmente dall'attuale Segretario e pri1no diffinitore Lettore Lorenzo d'Aidone, il quale nel forte inverno, e ne' maggiori e fondati ti1nori di essere cacciato dalla religione il suo prediletto Beniamino, venne due volte in Militello luogo del Noviziato, a persuadere a corrompere, e ad atten·ire i Votanti con varie minacce». Anche un giovane chierico di Vittoria viene aiutalo, nel 1847, dallo stesso personaggio il quale lo fa ammettere a Militello e non a Vittoria dove era gà stato scartato. Le responsabilità di questi episodi sono da ricercarsi nello «[ ... ] spirito di parte, l'interesse privato, vile, e non già il pubblico, sacro e divino, e la poca coscienza de' religiosi votanti» che impedisce che, specialmente nei conventi di noviziato, i regolari !>iano puri per servire da specchio ai novizi». P. Bonaventura da Regalbuto, cappuccino del convento di Ramacca, ihid., b. 327 (i risultati dell'inchiesta in questo comune furono inviati al vescovo dal vicario Salvatore Grasso il 13 1naggio 1850). Addebita anche lui allo spirito di parte molti mali, «l ... ] in die~i anni che sono Cappuccino mi son convinto, che domina da pertutto un Spirito di partilo, e le funeste conseguenze che tanto oggimai sfigurizano il nostro ordine derivano da questa perniciosa fonte. La non previdenza nella recezzione dei giovani all'abito, lo allontana1nento degli'individui da un Convento ad un altro, le nere calunnie che a carico dei Religiosi si scagliano. L'intron1ettersi de' medesimi in affari Secolareschi, e talvolta come dicono politici tutte scaturiscono da questo 1nalnato spirito di Divisione». Tutte positive invece le risposte che arrivano da Militello, sede del convento di noviziato dell'ordine, ibid., b. 327 (30 aprile 1850). Qui nessun abuso viene segnalato nella ricezione dei novizi però parecchi questionari personali presentano le identiche forn1ule di risposta, il che potrebbe fare pensare a un' opera di controllo dei superiori, che vengono lodati dai sottoposti per il loro impegno nel fare rispettare l'osservanza. Mollo positivo è anche il giudizio del vicario Vitale Vitali, sui
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estremamente intransigente. L'abate Denti aveva infatti prontamente dimostrato il suo chiaro intendimento di porre un freno agli eccessi, valendosi perfino di una iuterpretazione chiaramente restrittiva del decreto papale sulla chiusura dei noviziati, ordinando immediatamente la spoliazione dall'abito di tre novizi 84 • Pur ammettendo la idoneità dei mezzi e la preparazione dei tnaestri nei conventi diocesani, il vescovo dichiara chiaramente che in futuro si dovrà fare rispettare il limite dei 17 anni per gli ingressi in religione, con fede certa dei parroci; ma che, soprattutto, ci si dovrà preoccupare di più della educazione degli stessi novizi. Una istruzione che dovrà essere estremamente severa, basata da un lato su un' intenso studio delle materie classico-umanistiche a cui deve fare da base una metodologia che ricorda parecchio quella gesuitica, intesa a stimolare, attraverso il forte controllo dei maestri, e con continue prove, i discenti in modo da far sì che essi, oltre a «[ ... ] sapere lingua latina [... ] durante gli studi [... ] non vengano abbandonati a se stessi ma esaminati dai superiori in modo che infine risultino utili alla Chiesa e alla società»; felice intenzione questa in cui alla sincera preoccupazione per le sorti della Chiesa si mischia la consapevolezza dei mutamenti socio-ecclesiali in corso, e che ribadisce tutto l'interesse che l'ex vice direttore della III sezione di scienze storiche dell'accademia palermitana nutriva verso gli studi. Diversi sono i conventi della diocesi che possono contare su uno studentato, collegio o noviziato. I conventuali, i francescani riformati e gli osservanti a Caltagirone; i cappuccini, sempre nella stessa città, oltre che a Mineo; i carmelitani di Licodia, i riformati dello
conventi della città ritenuti utili poiché tutti, tranne i fatebenefratclli, a1nministrano il sacramento della penitenza.
s4 Acvc, b. 327, il cardinale Orioli prefetto della congregazione dei regolari al vescovo di Caltagirone 23 febbraio 1850. I tre novizi sono fra Giuseppe Antonio di Augusta, fra Gaetano da Vizzini e fra Alfonso da Mineo, che si trovavano nel ritiro di S.ta Maria di Gesù degli osservanti. Il provinciale, fra Salvatore Maria da Vizzini, inoltra ricorso alla congregazione sostenendo che il provvedimento del vescovo è ingiustificato in quanto i tre erano già entrati nel noviziato prima dell'emanazione della circolare papale; la tesi sarà accettata dal prefetto che inviterà Denti a riammettere i novizi all'abito, fern10 restando il fatto che essi non potranno professare prin1a del biennio di interruzione voluto dal papa.
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stesso ordine di Caltagirone; nessuna istituzione educativa vantano invece i paolotti, i domenicani e gli agostiniani. Pur non fornendo indicazioni sistematiche sul livello culturale dei religiosi l'inchiesta, soprattutto i dossiers personali, consente di avere qualche informazione sul tipo di studi che essi conducevano. I testi, che rivelano i filoni di cultura filosofico-morale, oltre che teologica, in questo periodo seguiti nei conventi, sono soprattutto da ricondurre all'antigiansenismo e al probabilismo nella versione alfonsiana, che appare la coJTente più praticata negli studi morali tanto fra i conventuali, che si giovano del ristretto dell'autore della Theologia Moralis, che fra i carmelitani riformati della stessa città. Nei conventi cappuccini la dogmatica, che si vale della classica metodologia disputativa, viene appresa dai testi dell'Echarmes mentre per l'oratoria sacra si usa il Bler. Nel convento di Mineo di quest'ordine si coltivano anche gli studi geometrici con il sussidio dell'opera di Legendre, mentre la filosofia è quella scolasticoaristotelica dell'agostiniano Celestino Bruni, anche lui forte oppositore del giansenismo. Altro auctor è il domenicano Pietro Gazzanica, famoso teologo settecentesco, professore all'università di Vienna dove i suoi corsi furono apprezzati da Pio VI e Maria Teresa, delle cui Prae/ectiones Theo/ogicae si nutrono i francescani conventuali. Le opere del gesuita Giovanni Perrone, primo propugnatore italiano della devozionalità al Sacro Cuore e, in seguito, componente della commissione di definizione del dogma dell'Immacolata Concezione, oltre che teologo pontificio nel Concilio, in uso fra i carmelitani, testimoniano come, anche in Sicilia, almeno a livello dottrinale, il controllo papale sugli ordini, non d~vesse sottostare a nessuna mediazione politica, oltre a mostrare la veloce penetrazione delle nuove devozionalità ottocentesche. In campo filosofico invece lo stesso ordine si serve del fortunato adattamento dello scolasticismo alla filosofia settecentesca nelle lnstitutiones loxicae e nelle Institutiones metaphysicae operato dal gesuita Sigmund Storchenau. Basandosi sui giudizi che studenti e novizi danno dei loro maestri, soddisfacente appare il grado di preparazione di questi ultimi, inoltre abbastanza
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ricche sono le biblioteche delle famiglie religiose, almeno a Caltagirone85. Anche i titoli culturali dei religiosi danno l'impressione che, pure nei piccoli conventi, non manchino figure di una certa levatura, come i lettori di teologia e filosofia padre Giuseppe e padre Michele fra gli osservanti di Grammichele e il lettore teologo padre Carmelo da Palagonia fra i francescani riformati della stessa cittadina. Queste circostanze fanno pensare a una maggiore complessità della vita culturale dei conventi anche se permane l'impressione negativa che i viaggiatori stranieri avevano avuto, già a partire dal Settecento, sulla cultura del clero regolare siciliano che, in linea con i loro pregiudizi illuministici, appariva come un inutile parassita che consumava, senza nulla rendere in cambio, le ricchezze della società, in una vita oziosa e, a volte, persino immorale86 •
85 Come si evince dai regesti compilati in occasione dell'inca111era1nento dei
libri delle biblioteche conventuali della città nella biblioteca co1nunale E'. Taranto nel 1867: Corporazione Religiosa San Francesco di Paola S. Agostino Maria SS. del Cannclo S.Don1enico S. Bonaventura Cappuccini S. Francesco di Assisi S. Maria di Gesù minori Legato Signor Maniscalco
ordine paolotti agost. ere1niti cannelitani domenicani minori oss. rif.
titoli volun1i 222 290 290 386 725 1516 772 1272 605 2517 1858 2909 min. conv. 2018 2796 osservanti 458 986 6l2 888 totale 9628 15492 As. Ct.CL, CR, vol. 225, Catalogo dei libri delle Corporazioni Religiose Soppresse di Caltagirone trasn1esse alla Biblioteca del Con1une, 1867. 86 Per un'an1pia panora1nica di viaggiatori francesi nel Settecento cfr. H. TUZET, La Sici/e au XVIIIe sièc!e vue par /es voyageurs étrangers, Editions P. H. lfeitz, Strasbourg 1955, trad. it. Viaggiatori slranieri in Sicilia nel XVIII secolo, Scllerio, Palenno 1988. Nel secolo successivo, fra i tanti, significativo il giudizio del capitano WILLIAM HENRY SMYTH nel suo Me111oir descriptive of the resources, inhahilants, and hydrography of Sicily and its island, John Murray, London, 1824, 60: «So1nc few of the friars alleviate affliction, and soothe the pangs of so1row with a compassionate and unwearied attention; some visit the sick in hospitals and prison, and others practise various branchcs of uscful ingenuity: but frotn such as compose the mass, even allowing them to lead a hannless !ife, what talent, knowlcdge, or theology can be expected? [... ] There is another class equally as ignorant as the friars, bui poorcr and n1ore absurd, called herenlits and anachorels».
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Nonostante le differenze rilevate fra la versione data dal vescovo sullo stato della disciplina e dell'osservanza regolare e quella emersa dall'analisi di alcune risposte dirette dei religiosi, nessuna discrepanza si nota invece sullo scopo che il prelato si propone di raggiungere nella sua relazione: arrivare a una irrefutabile conclusione che ribadisca l'utilità pastorale e spirituale dei cenobi monastici. Questo suo proposito viene infatti perfettamente giustificato anche dai fascicoli personali dei regolari che si sforzano di dimostrare la convenienza e l'opportunità morale della presenza dei conventi. Tutti i religiosi sembrano essere d'accordo, anche quelli che si scagliano con maggiore veemenza contro abusi e inosservanze delle regole, nel ritenere di somma utilità i cenobi che sono, ai loro occhi, un vero e proprio toccasana per le afflitte condizioni spirituali del secolo. Si coglie qui la necessità di riaffermare, specialmente dopo gli attacchi portati ai ceuobi durante il periodo rivoluzionario, che arrivavano persino a mettere in dubbio la loro utilità pastorale e spirituale, oltre che quella sociale, le ragioni della necessità dell'esistenza dei conventi. La difesa messa in atto, sia dal vescovo che dal clero regolare tende a dimostrare, da un lato, la notevole utilità sacramentale, ma anche educativa, dei chiostri, nonché la loro convenienza sociale, oltre che ca1itativa, anche dal punto di vista dell'organizzazione devozionale. Il caposaldo sacramentale viene identificato nella indefessa opera di somministrazione della penitenza che il clero regolare svolgeva, anche nei luoghi di campagna più lontani, come la contrada Ogliastro, distante nove miglia da Caltagirone, per poter confessare «alla povera gente». Ma pure nei centri abitati il contributo dei conventi era, a questo riguardo, massiccio, ben settanta religiosi, ed il numero è sicuramente in difetto, erano infatti approvati dal vescovo per potere esercitare questo sacramento. A questa azione si affiancava, da tutti i pergami delle loro chiese, l'opera di propagazione della dottrina cattolica, a cui si aggiungeva, in alcuni casi, pure l'importantissimo im-
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pegno dell'istruzione cristiana dei fanciulli 87 . Ma l'opera di educazione" e di indirizzo dottrinario si estrinsecava anche nell'indirizzo di buona parte della devozionalità popolare, come quella verso l'Immacolata, esercitata da una confraternita che raggruppava nobili, civili e maestranze, nella chiesa dei francescani conventuali di Caltagirone e, «da pochi anni eccitata», pure a Minco dal medesimo ordine, che testimonia, anche nella diocesi, il ruolo essenziale avuto dagli ordini nella veicolazione e nella penetrazione di moderne devozioni particolarmente care alla S. Sede. Il posto preminente della devozionalità mariana e il legame romano nella sua direzione, sono caratteristiche che si ritrovano anche nella confraternita, «[ ... ] arrollata a quella di Roma dei PP. Barnabiti», sotto il titolo di Madonna Auxilium Christianorum che i francescani osservanti di Mineo dirigono nella loro chiesa. Né manca l'aspetto taumaturgico connesso con la funzione intercessiva della Vergine, di cui si conservano antiche e miracolose immagini, come quella dei cappuccini di Mineo sotto il titolo di Sa!us lnj/I-morum che, insieme alle reliquie di alcuni martiri, la mandibola di santa Filomena, custodita dagli osservanti della stessa città, e alla sentita spiritualità quaresimale, il culto dell'Addolorata a cui sì dedicano i cappuccini di Caltagirone, eccitano la fede popolare e fanno sì che nelle rispettive chiese si abbiano sempre grandi "concorsi" di popolo. Alle classiche devozionalità degli ordini sono da ricondmTe il culto per la SS. Vergine del Carmine, che viene praticato da una «congrega di fervorosi Secolari, ed anche Preti» che, ogni domenica, a Caltagirone, con premura e zelo, sotto la direzione di un padre, adempiono ai santi uffizi, nella chiesa dell'ordine, come pure il fervore verso il compatrono della Sicilia, s. Francesco di Paola, che i minimi di Caltagirone coltivano nella loro chiesa. Altre pie pratiche sono infine da riconnettersi a devozioni di carattere cristologico legate per lo più al periodo quaresilna1e 88 .
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Nel convento degli osservanti di Mineo il catechismo si teneva di sera in tutti i giorni festivi tnentre fra i carn1elitani riformati di Caltagirone un padre si dedicava appositan1entc «[ ... ] all'istruzione dei giovanetti nella dottrina cristiana>:>. 88 A Mineo i frati conventuali sono «costretti» durante la Via Crucis a fare la predica per ogni stazione. Nella chiesa degli osservanti della stessa cirtà «[ ... J la via
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L'opportunità sociale e pastorale dei cenobi calatini è inoltre esaltata dall'opera caritativa-assistenziale da essi svolta: il servizio prestato negli ospedali e nelle carceri, il continuo interesse verso poveri, malati, e moribondi ma, soprattutto, viene confermata dalla "stima" e dal rispetto che i religiosi, tranne rare eccezioni, godono presso i I popolo, tanto da fungere da esempio delle stesse virtù monastiche. La conclusione di tutto ciò è che il vescovo può addirittura sostenere, in aperto contrasto con quanto la maggioranza dei suoi confratelli, soprattutto meridionali, pensava in quegli anni, anche l'utilità dei conventini e delle grance, indispensabili per la cura pastorale nei piccoli comuni e insostituibili per dare asilo ai missionari che, negli stessi luoghi, si recavano per l'essenziale opera di educazione reJigjosa. Secondo alcuni storici locali, l'entusiasmo per i moti del '48, assolutamente non compresi, sarebbe stato a Caltagirone nullo 89 • Estese sarebbero state invece, a giudicare da altre testimonianze, come quelle pubblicate su Il montanaro, settimanale filo rivoluzionario redatto dall'avvocato Gaspare Antonio La Rosa, le dimostrazioni favorevoli al nuovo ordine, fino al visibilio, non solo popolare, in occasione della notizia dell'offerta del trono di Sicilia ad un Savoia90 • Allo stato degli studi, difficile è comprendere quanto la prima ricostruzione possa essere rivelatrice di un tentativo di rimozione di qualsiasi fatto avesse potuto fare supporre una, sia pur minima, simpatia della Città Gratis-
Crucis si fa con predicazione in ogni fermata con gran copia di popolo. Cfr. Fascicoli personali de8h osservanfi e dei conventuali di M;,1eo, cit. 89 Cfr., ad esempio, l'Orazione del Cav. Ennnanuelfo Taranto Rosso, in L(l festa del Conte in Caltagirone, Galatola, Catania 1857, stan1pata in occasione della concessione del titolo di conte di Caltagirone all'ultimogenito di Ferdinando IL Gennaro Maria, che avvalora la versione della «t ... J tradizionale devozione al Trono [... J anche in inezzo a' fiotti di trcrnenda n1area [ ... ] anche a traverso delle ghiacciate sozzure dci tempi lristi e inverecondi», 44. lJ giudizio viene riproposto pari pari dal sacerdote S. LEONARDI nella sua Caltagirone Civile, libro secondo, F. Napoli, Caltagirone 1891, 51. «Qui non fu co1npresa la rivoluzione e servì qunsi ;:i divcrtiJnento pubblico, nissun disordine, salvo l'uccisione dcl C,av. Salv. Nicastro per rissa privata». 9 Cfr. Il Montanaro, anno 1, n. 7, <dl 14 fu cantanto al Duo1no il Te Dc1an. La Guardia Nazionale si schierò in tre file e fece cordone per quanto era lungo il te1npio, stando nel dentro dall'una parte il Vescovo, e dall'altra il Senato, in mez7.o a cui era alla sinistra il Patrizio il Maggiore comandante la G. N. in cotnplcto unifonnc. Il popolo non potea contenersi dal vasto tempio».
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sima per l'esperimento rivoluzionario quarantottino, subito messo in atto dalla stessa classe dirigente. L'atteggiamento, adottato da Denti, già dall'inizio della rivolta, pare inteso a far sì che l'ubbidienza al nuovo governo sia pronta e non 'solo di facciata. Già 1'8 marzo, rispondendo alla lettera del comitato generale di Catania del 21 febbraio 1848, il vescovo annunciava che avrebbe dato tutte le disposizioni opportune affinché si predicasse a favore della "rivoluzione" e, a giudicare dalle lamentele di alcuni ecclesiastici filoborbonici dopo la fine dei moti, le sanzioni previste per i renitenti arrivarono fino alla ininaccia di sospensione a divinis 91 • Dopo pochi giorni Denti si adopererà ancora per assecondare l'azione fiscale del governo rivolgendosi con una diocesana, il cui tono pare tutt'altro che di necessaria n1a solo formale osservanza a una coscrizione impo·· sta dall'alto, ai suoi vicari perché predicassero a favore del pagamento
91 Acvc, b. 416, Il Comitato Centrale dì Catania all'Ill.mo Vescovo di Caltagirone. Catania 21 febbraio 1848. Signore. Con Deliberazione di questo Comitato Generale del dì 5 di questo mese, fu prescritto di scriversi al Vescovo, ed ai Preti degni di predicare la Costituzione, che la predicassero inanimando il popolo alla fortezza, ed alla moderazione. Si è scritto a Monsignor Vescovo e gli si farà tenere la nota dei predicatori. Però essendo conosciuta da tutti la di lui buona morale, lo zelo religioso, l'abilità nell'oratoria popolare, e lo ainore che nutre per la Santa causa della Libertà, 1ni fo un pregio nell'invitarla a predicare al popolo nei sensi sopra espressati, certo che sarà per disirnpegnarsi in sì nobile tninistero. Predicherà nella chiesa [ ... ] e fuori sino [ ... ].Il presidente del Co1nitato generale. Francesco Marletta. N.B. Per i Capi Distreui e tutti i Comuni del Valle la scella de' predicatori e l'esecuzione della predicazione è affidata a' rispettivi Co1nitati di accordo co' capi ecclesiastici, come si è data conoscenza a Monsignor Vescovo di Catania». Il vescovo rispondeva 1'8 1narzo 1848 al presidente del consiglio generale di Catania che avrebbe provveduto .:<[ •.• ]in quanto concerne l'oggetto voluto della Predicazione nei Pcrgatni della rr1ia Diocesi a dare le durevoli provvidenze». As.Ct, lssc, b. 248, l'arciprete di Vizzini Gian Battista Orlando al sottointendente 9 ottobre 1849. Sul conto di d. Salvatore, d. Lorenzo e d. Anastasio Vassallo afferma che furono esagitati nelle passate vicende, soprattutto don Anastasio «[ ... J il quale si condusse in Palern10 ove fu eletto Co1n1ni~sario di Guerra: questi fu colui che profittando della debolezza del nostro V e.scovo lo fè detcnninare a dar un Ordine, diretto a questo Vicario, per obbligare il Clero a predicare la mala intesa libertà, colla pena della sospensione a divinis a chi si negava di predicarla, causa ciò che tutti quali, che predicavano, meno di me, sbilanciavano preposizioni 1nolto sediziose ed offensive alla Dinastia Regnante>>.
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della fondiaria; ciò, pare di poter capire, soprattutto per assicurare il «bene comune>> 92 •
Tutti gli elementi sulla partecipazione del clero ai moti del '48 ricavabili dall'inchiesta, tendono ad avvalorare l'ipotesi di un'assoluta lontananza dei regolari del calatino da ogni tentativo rivoluzionario 93 . Sia gli appunti del vescovo che la relazione per la S. Sede non mostrano alcun coinvolgimento dei chiostri della diocesi mentre praticamente nessuna informazione si può trarre dai fascicoli personali del clero che, su questo punto, si rimettono al giudizio del vescovo. Per quest'ultimo i cappuccini di Vizzini, ad esempio, vivrebbero in una tale riservatezza che «[ ... J non hanno da prestare notizia su gli avve-
92 Il vescovo a tutti i vicari della diocesi 23 rnarzo, 1848, (ibid.): «Le accludo l'annessa stampa, per farla affiggere in cotesta Comune (si tratta dci 1nanifesti per il pagamento della fondiaria), ed al tempo istesso ordinare agli Ecclesiastici tan1o nella predicazione, che nei discorsi familiari di far penetrare di tali principi alla popolazione, 1nentre, il pagamento dci dazi è l'unico n1ezzo della floridezza della nazione, senza i quali ogni risorgin1ento si rende inutile, ed infruttuoso. E' necessità di n1ezzo, perché lo stesso abbia il suo regolar camino. Non lasci dunque ogni opera per portare al suo fine la estrazione dei tributi, ordinati dalle autorità, a cui si bisogna ubbidire, e che· fabricano per il Co1nune bene. Mi darà conto dell'ade1npimento. Benedicendola nel Signore mi sottoscrivo. Denti». 93 Sulla partecipazione dcl clero siciliano ai moti del '48, oltre a quelli citali, cfr. per una ricostruzione di parte borbonica, G. Rossi, Storia de' rivolf?ilnenti pohtici nelle due sh·ilie dal 1847 al 1850, Fibreno, Napoli 1851. Sui gesuiti cfr. R. ROMANO, La causa dei Gesuiti in Sic;/ia, s.i.e., s.l. [Palermo] 1848; A. NARBONE, QuisNone della C0111pagnia di Gesù e~11osta al popolo, Tip. F. Lao, Palenno 1848, G. DE ROSA, I gesuih in Sicilia e la rivoluzione del 1848, cìt. Inoltre cfr. R. ROMEO, li risorgin1e11to in Sicilia, cit. 267 e segg.; G. C. MARINO, Neogue(fisn10 ed ideolof:ia borghese nel '48 siciliano, in Nuovi Quaderni del Meridione 29 (1970) 41-71 e 31 (1972) 308-334; M. CONDORELLI, Sfato e Chiesa nella rivoluzione siciliana del 18481849, Bonanno, Catania 1965; G. CANDELORO, Il movin1ento cattolico in Italia, Edizioni Rinascita, Roma 1953; E. FRATT1N1, Il pensiero politico di Vito D'Ondes Ref?gio, Morcelliana, Brescia 1964; R. DE· MATTEJ, Tre cattolici siciliani di estren1a sinistra al I Parlarnento italiano, in Storia e Politica 2 (1963) 4, 461-491; A. ALESSI, Meditazioni sul pensiero politico di padre Gioacchino Ventura, Cinque Lune, Ron1a 1970. Nel 1821 è invece provato il coinvolgimento di diversi ecclesiastici della diocesi calatina, cfr. V. LABATE, Un decennio ... , cit., in particolare le pp. 130, 156160 e 211; a Caltagirone si notava una vendita carbonara nel conven!o dei cappuccini. Sui moti dello stesso anno nel calatino cfr. A. DE FRANCESCO, La Guerra di Sicilia. Il distretto di Caltagirone nella rivoluzione del 1820-21, Quaderno del Dipartin1ento di Scienze Storiche Antropologiche Geografiche dell'Università di Catania, n. 22, Bonanno, Catania 1992.
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nimenti delle passate vicende». Anche gli osservanti di Vizzini, «nulla hanno saputo dire di rimarchevole su conto delle passate vicende, mentre hanno vissuto tutti in Convento con somn1a ritiratezza». Proprio per questa loro condotta il vescovo loderà i superiori che sono riusciti, «in questa epoca di desolazione», con un con1portan1ento improntato a «somma prudenza», a «[ ... ] conservare il rispetto della Santa Religione, al Vice Dio Sommo Pontefice, Pio Nono alla Sede Pontificia, al Real Trono dell'immortale Ferdinando II», con il positivo risultato di non «I ... ] far mettere a compromesso il loro rispettivo ordine». Una conferma alle asserzioni del vescovo sembra venire dalla quasi totale mancanza nelle segnalazioni di polizia, che hanno ad oggetto individui implicati nella "rivoluzione", di ecclesiastici regolari mentre leggermente più attivo pare essere stato il clero secolare 94 • Eppure già prima che i moti scoppiassero arrivavano agli organi di pubblica sicurezza, anche dai comuni della diocesi, denunce sull'attività di cosiddette "combriccole", all'interno delle quali si postevano notare i nomi di alcuni sacerdoti, sia regolari che secolari, fra i "congiurati,""· E, anche dopo la fine dei moti, si susseguono segnala-
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As.Pa, MRSL. b. 401, Prefettura di Polizia di Palermo al luogotenente, 2 febbraio 1850. li 111ercedario scalzo padre Vincenzo della Beata Marianna, che si lrovava nel convenlo di Vizzini fin dai prin1i di gennaio del 1849, fu obbligato a predicare la rivoluzione «[ ... ] nei tetnpi dei passati disordini». Egli era stato, per n1otivi interni all'ordine, privato della voce attiva nel 1829. As.PA, MRSL, b. 381, L'intendente di Catania al duca di Taormina, 5 gennaio 1852. Il canonico d. Mario Vita da Mineo viene indicato co1ne uomo di condotta i1nmorale e di debolezze per il gentil sesso che nelle passate vicende, pur non partecipando attiva1nente non ha «[ ... ] conservato l'indifferenza propria dcl suo carattere>>. As.Ct, IBsC, b. 327, il sol!ointendentc all'intendente 10 agosto 1855, sul conto del sacerdote don Diego Darnigella di Gra1n1nichele uon10 di «[ ... J n1ediocre condotta. Fu esaltato nelle ultime politiche vicende avendo predicato per la rivoluzione>). Tutte le altre informazioni sui sacerdoti di Urain1nichele e di Caltagirone contenute nello stesso fascicolo sono negative. 95 As.Ct, IBSC, b. 248, il giudice circondariale all'intendente 26 aprile 1846. Giuseppe Di Benedetto denunzia d. Girolamo Cannizzaro e il vicario di Vizzini d. Paolo S:un1nartino, di tenere in casa riunioni settarie. Il giudice regio nel suo rapporto non se1nbn1 dare 1nollo credito alla delazione; a proposito dello spirito pubblico egli affen11a che esso «[ ... ] non ha te1nere di si1nili attentati». Altra denunzia (ibid.), il giudice regio al sottointcndente 7 dice1nbre 1847, di d. Filippo Oifanelli su una socie1à di settari operante a Vizzini e Licodia con1posta dai seguenti individui: dottor
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zioni dove si trovano citati i nomi di alcuni ecclesiastici che continuerebbero a tramare contro la restaurata dinastia borbonica, certuni anche dai posti delle amministrazioni locali". Nessuna indicazione possiamo invece trarre dall'analisi della composizione dei comitati civici, i regolari infatti non erano eleggibili negli organi amministrativi in seguito a una disposizione del parlamento del maggio 1848. Per i secolari si può notare una partecipazione che sembra proporzionale al peso demografico della categoria. La situazione però appare diversa da comune a comune; mentre a Caltagirone fra i 143 del comitato civico troviamo il sacerdote d. Giuseppe Gurreri, i canonici d. Giacomo Alfieri, d. Michele Nigido, d. Gaetano Di Martino, d. Filippo Fanales e i pairnci d. Carlo Incardona e d. Federico Crescimanno, a Scordia il parroco De Cristoforo è invece il capo della fazione borbonica, ed è costretto a fuggire per scampare ad eventuali rappresaglie. A Mineo invece la partecipazione del clero, come del resto di tutta la classe dirigente, è totale, ma ciò d. Paolo Cannizzo di Licodia, Abbate d. Paolo Cannizzo di Licodia, notaro Giuseppe Perrotta, d. Carn1elo Perrotta, d. E1n1nanucle Perrota, d. Giovanni Larocca, d. Antonino Gandolfo, Abbate d. Giuseppe Ventin1iglia, 1nacstro d. Gaetano Sataccri, d. Giacomo Laferlita, maestro Vito Failla Pirruso, calzolaio Paolo Cirnigliaro, calzolaio Paolo Garra, Addaino Vito Anzi1nunda, d. Benedetto Tamn1orrino (ex cappuccino ora «vecchio e claudicante»), d. Gian Benedetto Perrotta, maestro Rosario Giarrusso. Anche questa segnalazione non viene ritenuta affidabile dal giudice che però farà sorvegliare strettaincnte i 1nedesimi individui. 96 As.Ct, b. 248, 1849, il giudice circondariale all'intendente. D. Gaetano Montalto denunzia l'esistenza di un "Club" a Yizzini fom1ato da: «f ... Jd. Giovanni Gurrieri, canonico d. Francesco Cannizzaro, sacerdote d. Salvatore La Medica, d. Benedetto Perrotta, d. Vito D'A1nico Battaglia», essi, che sono stali a capo della passata rivolta, continuano a sostenere che nel prossimo niese di gennaio ogni co1nune della Sicilia si solleverà ancora. Altra denuncia anoni1na per Rainacca, (ibid.), secondo la quale gli am1ninistratori attuali sarebbero stati anche alla testa della rivoluzione, fra questi il cancelliere cornunale e il figlio sacerdote Salvatore Grasso, conservati nelle proprie cariche, il primo al comune, l'altro a vicario. Ancora l'l l tnaggio 1849 il capo urbano di Licodia (ibid.), scrivendo al sono intendente afferma che in paese gli animi sono caldi e che erano anche arrivate notizie da Catania che davano per già trucidati tutti i regi. Anche a Mineo qualcuno aveva mostrato al popolo una lettera che dava notizia dell'avvenuto massacro, a Villarosa, delle truppe reali da parte di alcune bande palennitane, (ibid.), il sottointendente al giudice regio di Mineo 3 1naggio 1849. Fra i presunti autori della tnissiva il canonico Pietro Vita, predicatore in Mineo e in Catania, il canonico Spadaro, il sacerdote don Mario Ta1nburrino, fra Vincenzo Vita e il chierico d. Giuseppe Carcò, supplica anoni1na, Mineo 1 n1aggio 1849, (ihid.).
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solo allo scopo, si asserisce, di evitare i disordini che si sarebbero verificati se si fosse lasciata mano libera ai facinorosi 97 • Per ciò che riguarda gli ordini francescani, che erano stati, a parere del ministro Cassisi, i più coinvolti nelle vicende rivoluzionarie, dalla diocesi di Caltagirone arrivano giudizi favorevoli da quasi tutti i vicari sui cappuccini e, anche quando vengono segnalate alcune irregolarità, esse sono troppo lievi per fare pensare all'esistenza, in quest'ordine di un partito favorevole alla "rivoluzione""- Certo è però,
97 Per Caltagirone cfr. Bee, Docun1enti della sezione dell'archivio di stato trasferiti presso la stessa, b. XIV, f. 320. Nel comitato civico di Vizzini si leggono i nomi dell'arciprete parroco d. Giambattista Orlando e dell'abate vicario Ignazio Caffarelli, cfr. G SANTORO, Da Bidi a Vizzini, Tip. Monachini, Catania 1927, 283 e passin1; su Scordia cfr. U. AMORE, Scordia, Tringale Editore, Catania 1982, 77. Su Mineo cfr. As. Ct, Insc, b. 248, Lucio Morgana vicario foraneo e dei monasteri di Minco al sotlointendentc, IO tnaggio 1849. «[ ... l questo Co1nitato, fu composto da tutte le Autorità elette dal Re nostro Signore e dalle priinarie persone Civili, che Chisiastiche, all'oggetto cli impedire l'anarchia». 98 As.Ct, IBSC, b. 249, Il vicario generale della diocesi di Caltagirone al sottointendente, 6 novetnbre 1849; rispondendo al quesito del rappresenlante governativo che chiedeva se i cappuccini del distretto avessero preso parte alla passate "vicende" riporta le relazioni dei vicari di alcuni dei centri dove hanno sede i conventi. Gratnn1ichele 25 ottobre 1849 «[ ... J la fa1niglia degli stessi si compone di 6 individui, 4 padri conversi [ ... ] niuno fece parte del Comitato; i Circoli popolari furono ignoti in questo Comune [... j tranne che venendo in questa il Con1andante Distrettuale sccondanclo la Ministeriale dall'illegittimo governo comunicata con Diocesana da Mons. Vescovo di Caltagirone, colla quale s'in1poneva predicare la Costituzione, il Padre Angelico Cappuccino cli questa fu coartato salire in Pulpito nella pubblica Piazza, in questo breve sermone si condusse con 1nolto contegno facendo prevalere le 1nassin1e evangeliche adattate ai tempi senza punto scendere ai particolari l ... ] posso coscenziosan1ente accertare che questa piccola Cotnunità per la sua inoralità e concordia riavendo tutte le buone qualità fa onore alla religione e per un giusto riguardo gode la pubblica fiducia ciel paese». Licodia 3 ottobre 1849, «l ... ] nelle trascorse vicende si contennero colla esecuzione de' doveri del suo istituto. Non appartcnero a Co1nitati, non a Circoli, né predicarono altro che il Vangelo del Signore non si ingerirono in somn1a di materie politiche». Vizzini 24 ottobre 1849, «[ ... ] sull'ese1nplarità dei frati del sun1n1enzionato istituto non trovo luogo a farvi la menoma osservazione, essendosi tutti quanti regolati negli scorsi sconvolgimenti con tutta la più inarcata religione Monastica non avendo avuta la menoma parte nelle passate vicissitudini, ciò che meglio potrebbe venir contestato dallo stesso rev. Provinciale naturale di questo Co1nune, e qui residente». Militello 24 ottobre 1849, «l ... ] furono lontani dalle perturbazioni popolari e restarono sempre nel loro convento non avendo fatto parte de' Conlitati, e de' Circoli». Ra1nacca 26 ottobre 1849, «[ ... l co1nc dei Cappuccini di questo Convento coloro che si 1nostrarono più infocati Liberali e che giovaronsi della Costituzione onde darsi in preda ad una gran
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durante i moli, l'assassinio, di cui non si conoscono le circostanze, di fra Benedetto Bruno, laico cappuccino di Caltagirone99 • Un qualche coinvolgimento in una sfera cospirativa più ampia sembra invece emergere fra gli osservanti della famiglia francescana. La scoperta di una missiva sospetta diretta a tale don Giuseppe Mangiafico, dà l'occasione di scoprire il passaggio dal convento di Grammichele del frate di Augusta Francesco Fallanica, che trova qui asilo nel 1851. Nella cella del religioso era stata trovata corrispondenza sovversiva fra lo stesso e il parroco di Vittoria Giuseppe Scrofaui. li frate sarebbe «[ ... ] antagonista al partito Monastico, fedele al Real Governo, del fu Padre Carmelo da Spaccaforno, e seguace di quello ritenuto per sospetto di Padre Carmelo da Terranova». Allo stesso ordine appartengono inoltre anche elementi locali che durante i moti hanno avuto occasione di segnalarsi come convinti assertori della rivoluzione 100 • Troppo pochi sono in definitiva gli elementi per formulare qualsiasi giudizio sulla partecipazione dcl clero regolare ai 1noti. Si può, semmai, imn1aginare qualche correlazione fra più alto grado gerarchico religioso e più frequente implicazione nella rivoluzione. L'impressione che si ricava, alla fine del confronto della relazione del vescovo con i verbali dei monaci, oltre che di altre fonti civili, sembra confermare la sostanziale bontà delle asserzioni del pre-
licenza di costun1i si furono Padre Enrigo e P. Leopoldo, ambidue di questa. Essi sebbene non predicassero dal Pergamo la libertà perché sfo1niti di talenti, di parlare al pubblico né fecer parte di circoli popolari perché in una Comune si piccola come questa non essistevansi Circoli talvolta non languivano nella private conversazioni mostrando un grande entusiasn10 per la libertà. Essi 1nostransi di sovente in pubblico con le armi in mano, essi con voce comune uscir dal Chiostro anche di notte e frequentar case sospette. Gli altri si mantennero piuttosto in una colai riservatezza». 99 As.Ct, Issc, b. 249 Elenco indicante il personale di coloro che fì1rono uccisi durante la Rivoluzione. Gli assassinali nel territorio della sottointendcnza durante i moti furono 20, dal docu1nenlo non si evince però la causa della morte, per cui non si può stabilire se essa sia da attribuirsi alla difesa della rivoluzione o, al contrario, al tentativo di un suo affossamento. 100 As.Ct, Issc, b. 250, il giudice regio di Gratnmichele al sottointendente, 12 febbraio, 1851. Il giudice regio al sottointendcntc, 18 febbraio 1851, (ibid.), Gaetano Casabene ex frate osservante di Grain1nichele «l ... J si assentò per avere ucciso un garzone [... ]. Nel 1848 fu in questa reduce ed era tra gli esaltati intimo del congiunto D. Giuseppe».
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lato, Si ha la sensazione che egli, pur avendo piena coscienza della situazione non proprio felice delle case religiose, si renda conto dei gravi ostacoli contro cui si infrangerebbero le soluzioni riformatrici più radicali, I re di Sicilia avevano sempre ,difeso la "libertà" dei regolari, questo voleva soprattutto dire salvaguardare l'assoluta autonomia dei capitoli nelle elezioni dei superiori che non potevano essere sindacate né in Vaticano né presso le rispettive curie generalizie, ciò garantiva al re, tramite il giudice di regia monarchia, l'esclusivo controllo del clero. Quanto, ancora negli anni Cinquanta, questo principio fosse ritenuto inderogabile dalla corte napoletana Denti poté capirlo dal tono della lettera con cui il ministro per gli affari di Sicilia, Giovanni Cassisi, censurava il prelato, seppur dopo averne lodato lo zelo per aver voluto chiedere il parere del governo prima di inviare le sue proposte di riforma dei regolari alla congregazione romana, per la sua dichiarata propensione, allo scopo di eliminare abusi e contrapposti partiti all'interno dei vari ordini, di lasciare alla S. Sede l'elezione diretta dei superiori monastici 101 •
101 Nel fratte1npo però il governo assecondava le 1nolte richieste di visite, per ovviare agli abusi, che da n101ti ordini siciliani arrivavano alla S. Sede, As.Pa, MRSL, b. 401, supplica del provinciale dei rninori osservanti della Val di Noto fra Salvadore da Vizzini, 26 ottobre 1849, dove si sostiene l'cstretna necessità, dei <<[ .•• ] religiosi Mendicanti di Sicilia (che) hanno bisogno estre1no di riforma.»; si chiede perciò una visita delle province che desse inizio a quest'opera «[ ... ] estirpando gli abusi, richia1nando la spenta osservanza de' francescani Statuti, ripristinando la cultura delle sacre scienze, e punendo o destinando altrove que' frati insofferenti di regolar disciplina, i quali con la loro rilasatezza, e co' loro pessi1ni costu1ni han so1nmainente contribuito al totale decadirnento delle claustrali virtù». Il ministro Cassisi al duca di Taormina il 28 gennaio 1850, (ibid.), con1unica che è stata concessa l'autorizzazione per la visita che il generale p. Luigi da Loreto vuole fare ai 1nìnori di Sicilia, però non può essere accordata alcuna facoltà di con1piere atti straordinari, notnina di nuovi co1nmissari di Terra Santa e stabilin1ento fuori capitolo di nuovi superiori pro~ vinciali. La raccolta per la bolla della crociala era stata infatti consentita dal re nelle tre valli siciliane a condizione che i commissari fossero di no1nina regia. Per le elezioni il generale potrà dunque solo rcdarc una relazione da sottopo1Te al re su ciò che ritiene necessario per il bene della provincia e, nel conte1npo, proporre i no1ni che trova meritevoli di ascendere alle cariche di governo. Si approvano anche gli atti della visita dci 1ncrcedari scalzi, il giudice di monarchia al luogotenente generale s. d. affari ecclesiastici n. 944, (ibid.). Anche dai «Chierici ministri degli infermi» arriva, con carta generalizia del 3 gennaio 1851 con cui se ne chiede l'esecutoria, la richiesta per la visita della provincia sicula. Il placet regio viene concesso con alcune
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La netta opposizione del governo a questa eventualità si fondava su tre principi: le stesse costituzioni degli ordini, che non prevedevano questo rimedio se non in precisissi1ni e rarissimi casi, «la quiete e buona armonia religiosa» ma, soprattutto, la difesa dei diritti sovrani; «[ ... ] direttamente opposto alle Sovrane Regalie», recitava perentorio Cassisi, per cui non si sarebbero potute ammettere deroghe se non in casi del tutto eccezionali e solo dopo avere avuto la sovrana approvazione102. L'ex teologo della monarchia sicula non poteva fare altro che adeguarsi a queste direttive, concentrandosi soprattutto sulle modalità di organizzazione delle missioni e affidandosi al richiamo del rispetto delle rispettive costituzioni, la cui applicazione sarebbe riuscita a «[ ... ] correggere i difetti ed a togliere qualunque abuso e disordine»; anche se, subito dopo, era costretto a dichiarare tutta l'aleatorietà di questa soluzione, riconoscendo che, data la situazione, si sarebbero dovute però «[ ... ] accordare delle facoltà ai Superiori maggiori, per dispensare alcuni tenuissimi articoli delle loro costituzioni», ammettendo così, implicitamente, l'esistenza di uno stato di diffusa trasgressione di alcuni articoli delle regole, che non potevano essere risolti sperando nel personale impegno dei religiosi e che dovevano quindi essere sanati sanzionandone la legalità. Bilancio JJrovvisorio Non era nei propositi di questo tentativo di analisi del clero regolare della diocesi di Caltagirone, né di anivare a conclusioni definilimitazioni in ordine alla possibilità del visitatore di svolgere atti di governo nei conventi ispezionati, e li1nitando la durata della visita stessa per non gravare sulle casse degli istituti. As.Ct, lBSC, b. 126. Supplica dei religiosi dcl terz' ordine di s. Francesco i quali chiedono che per «[ ... J lo stato depauperatissimo in cui si trovano a causa delle passate vicende i conventi non si faccia la visita [ ... ] poiché nessuno dei Con11nissari Generali de' tempi passati ha fatto visita, ancorché in tempi più felici», 8 marzo 1850, As. Pa, MRSL, b. 401. 102 Questa soluzione fu adottata solo pochi mesi dopo, cfr. As.Ct, Issc, b. 126, l'intendente al sottointendente, 9 luglio 1851, comunica la ministeriale del 28 giugno 1851 in cui, preso atlo della grave situazione dei carmelitani riformati della provincia di S. Maria della Scala scissa in due partiti, viene incaricato il generale dei carn1elitani calzati di rimettere una nota dei soggetti secondo lui più propensi facendo deroga, co1ne già nel 1835, al 1nodo usuale di eleggersi i superiori. Si dà inoltre disposizione agli uffici preposti affinché i decreti della visita in materia di disciplina e di osservanza vengano esiguiti dandone subito comunicazione al governo.
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tive né, tantomeno, sperare di esaurire tutte le possibili piste di ricerca che, a partire dalla fonte utilizzata, potevano venire intraprese, fra le quali importantissima ci sembra quella di servirsene come punto di inizio per un approfondimento prosopografico delle coordinate sociali e familiari dei religiosi. Ciò che ci si prefiggeva, molto più modestamente, era lo sfruttamento di alcune potenzialità del documento, a cui si è accoppiata una parallela, indispensabile, opera di comparazione e di verifica con altre fonti di ciò che da esso andava emergendo, allo scopo di delineare un primo quadro del clero regolare diocesano, sia sotto il profilo quantitativo e tipologico-qualitativo che disciplinare e pastorale, a circa tre lustri di distanza dalla soppressione delle case religiose. A questo riguardo i risultati che sembrano emergere non paiono prestarsi a un'interpretazione univoca. Se) da un lato si è riconosciuto il calatino come area di forte stabilimento degli ordini religiosi già nel XVII secolo, si è visto come questa presenza sembrerebbe avere, dal punto di vista vocazionale, dinamiche interne differenti da quelle evidenziate, in contesto regionale, dall'analisi economica dello stato patrimoniale dei conventi, mettendo in evidenza una certa penuria vocazionale solo a partire dagli anni trenta del XIX secolo. Nella diocesi calatina, dal 1737 al 1852, il calo di religiosi pare più lento rispetto a quello medio isolano, ma l' abbassamento del tasso di clero regolare per numero di abitanti, che nel '700 aveva soprattutto ragioni demografiche, che impedivano che l'aumento in valore assoluto del clero si traducesse in una sua maggiore presenza, anche percentuale, nella società, nel secolo successivo appare ormai conseguenza soprattutto della discesa, in termini assoluti, del numero di religiosi regolaii. Ciò è sembrato soprattutto dovuto alla perdita, o comunque al ridimensionamento, dei maggiori centri dell'area, del loro ruolo di serbatoio della vocazionalità regolare, senza che, parallelamente, si assistesse all'afflusso di nuova linfa dai centri minori. Il clero regolare resta un clero con radici soprattutto cittadine: è dalle città che, ancora nella metà del XIX secolo, proviene il surplus di vocazioni che, però, ora riesce solo a tamponare le necessità dei conventi di campagna; quest'ultima, nonostante l'esplosione demografica, continua a fare segnare tassi pesantemente negativi di produzione di clero regolare che
La diocesi di Caltagirone ------
---------
491
esci udono, a questa data, qualsiasi eventuale inversione di tendenza che possa fare pensare a un cambiamento dei suoi connotati cittadini. Neppure dall'esame degli ordini vengono risposte nette sul grado di compensazione, che pare comunque esserci, e che è testimoniato da una buona quantità di entrate nei conventi negli anni '30 e '40, della crisi vocazionale che sembra essersi sviluppata fra la metà degli anni venti e, almeno, i primi anni cinquanta dell'800. Se, infatti, dall'analisi di alcuni di essi emerge, almeno nell'area diocesana, uno stato di prostrazione, è il caso dei riformati francescani e dei loro omonimi carmelitani che debbono ricorrere a una forte dipendenza esterna di religiosi per coprire parte delle disponibilità di cui essi teoricamente dispongono; in altre famiglie religiose, gli agostiniani e i domenicani, si nota una sostanziale stabilità nel lungo periodo, che però sembra, anch'essa, onnai minata se si considera la massiccia presenza nei loro ranghi di clero già decisamente avanti negli anni. Altri ordini invece, come i conventuali, pare assorbano meglio i colpi della congiuntura, mentre i cappuccini, rinforzano la loro presenza, conquistando la leadership assoluta fra il clero regolare, e facendo segnare a loro favore le uniche nuove fondazioni a partire dal 1737. Queste impressioni sembrano confermare una coordinata classica della presenza regolare in Sicilia: la preponderanza francescana, a cui fa da base una massiccia presenza dei cappuccini, sia in città che nelle campagne, mentre si nota una vocazione più cittadina dei conventuali dello stesso ramo. Nonostante tutto però, il calatino, ancora nel 1850, appare un territorio che riesce a soddisfare almeno le fondamentali esigenze di clero dei suoi conventi; inoltre la non eccessiva quantità di secolarizzazioni riscontrata, insieme all'aumentata percentuale di sacerdoti, a cui fa da correlato un certo scadimento di alcune delle più deleterie funzioni a volle assunte dai conventi, pare ora essere spia di una scelta della vita claustrale più motivata e convinta. Il livello culturale del clero non appare iùoltre assolutamente mediocre anche se gli studi restano ancorati ai classici filoni filosofico-teologici dell'aristotelismo e del tomismo. Dal punto di vista pastorale questo clero esercita una intensa funzione nell'amministrazione del sacramento della penitenza. Pare
492
Raff~ele M_~nduc~_
però che, oramai, non si possa più parlare di una sua indispensabile opera di supplenza pastorale nei confronti di un clero secolare che, semmai, a volte, rivendica a questo proposito un suo ruolo esclusivo. Ancora utile appare invece l'azione dottrinale di propagazione della dottrina cristiana, mentre è rilevante la funzione di indirizzo devozionale propria degli ordini, nonostante gli attacchi che venivano dai secolari anche in questo campo. Ciò depone a favore della "vicinanza" degli ordini siciliani alla S. Sede; infatti se dal punto di vista disciplinare il controllo romano appare scarso, esso emerge però nettamente, oltre che nella direzione culturale e teologico-morale, anche nell'opera di penetrazione devozionale prestata dai religiosi. L'impegno politico dei regolari non sembra molto alto, anche se, a questo proposito, non sufficienti appaiono le prove a conferma dell'assunto, manca soprattutto la possibilità di correlare la partecipazione del clero regolare ai moti con variabili sociali, quali l'ambito familiare di provenienza dei religiosi e ecclesiastico-gerarchiche che impediscono qualsiasi giudizio definitivo. Per quanto riguarda lo stato disciplinare, si può coustatare, anche nella diocesi di Caltagirone, la presenza di tutti i motivi classici del malessere claustrale: mancanza della vita comune, abusi dei superiori, esistenza di partiti in feroce lotta tra di loro, ammissione non oculata dei novizi, questione questa su cui si notano le più nette differenziazioni fra il vescovo e i religiosi che vivevano nei conventi. Emerge poi una utilizzazione, in certo modo istituzionalizzata, delle cariche conventuali sia a scopo di interesse personale ma soprattutto politico, che fa sì che sempre più chimerica diventi l'eventualità di una perfetta osservanza delle regole. Resta comunque il fatto che sia l'azione del re che quella del corpo episcopale non appaiono in grado, anche se per differenti motivi, di eliminare le condizioni che determinano gli abusi; né Roma, nonostante le ripetute proteste pare decisa a tentare, a questo scopo, qualsiasi azione che potesse mettere a repentaglio i legami fra trono e altare. In queste condizioni l'unica possibilità di reale riforma poteva forse venire dall'interno degli ordini ma, in questo periodo, sia la Sicilia che tutto il meridione non sembrano in grado di esprimere l'equivalente vitalità spirituale delle aree settentrionali dove si assisteva a un fitto rigoglio di nuove congregazioni religiose.
TABELLE
N.B. Le tabelle 11° 10 e 11° 11 sono in realtà un'unica tabella divisa per esigenze tipografiche. I totali generali, di riferllnento alle due tabelle, si leggeranno quindi nella tabella n° 11.
Popolazione diocesi d! Caltagirone
Tabella n. 1 a.1651
città
%101.d .. i. %1651 a.1737
%101.d .. i.% 1737 a.1798
%1ot.d .. i.% 1798 a.1806
%tot. d. i. %1806
Caltagirone
10951
25,5
16035
28,6
46,42
19609
26,5
22,29
18200
25,7
-7,19
Vlzzlnl
10692
24,9
9004
16,0
·15,79
9181
12,4
1,97
9222
13,0
0,45
Grammichele
1965
4,6
4287
7,6
118,17
7687
10,4
79,31
7688
10,8
0,01
Milite!!o
5594
13,0
6694
11,9
19,66
7205
3,7
7,63
7341
10,4
1,89 -8,58
Mloeo
5219
12,2
6202
11,1
18,84
8226
11.1
32,63
7520
10,6
Scordi a
0<5
4,6
184,87
4117
5,6
52,93
4266
6,0
3,62
Licodla
4371
'·'
2692
10,2
5162
3,,
18.10
6995
3,5
35,51
6441
3"
-7,92
Pa!agonla
1579
3,7
3419
6,1
116,53
3828
5,2
11,96
3160
4,5
-17,45
0,0
656
1,6
2500
3A
179,02
3066
4,3
22,64
264
0,5
1489
,,o
464,02
1382
1,3
-7,19
1450
,,6
2676
3,6
84,55
2155
3,0
-19,47
400
6,5
405
0,7
16,25
73913
100.0
70906
100.0
-4,07
Mirabella Ramacca 1594
S. Michele
3,7
-9,03
S. Cono Raddusa 100.0
56105
100,0
42910
tota li
30,75
31,74
Popolazione diocesi dj Callag;mne 1651-1 861
25000
<400(1 23000
. . . . . . . . . . . d.1651
22000 21000
a.1737
20000 19000 18000
a 1806
17000
a 1831
16000 15000
a 1844
14000 13000
a 1852
12000
•
'1000
a.1BG1
10000 9000 0000 7000 6000 SODO
4000 3000 2000
,,
1000
!l'' • u
'
-~
>
•
" "' $ " 6
"~
§"
I l" I j ",• " '"
!
u w
•
i"
Fonti: G. LoNGHIJANO. Studi di Storia della popolazione siciliana. cii.: Indice a/tabetico dei Comuni di Sicilia con /'indicazione della Valle .. ., in Collezione Ufficio/e degli atti del Comitato Generale di Sicl//o nell'anno 1848, A. Muratori. Palermo 18'18, 170-185: F. MACCAV1No, Briganti e Corpi diPolizio nel distretto di Caltagirone (1838-1852). tesi di laurea, Università di Catania. Facoltà di Scienze Politiche. a.a. 1989-1990, relatore G. Barone
Popolazione diocesi di Callagirone
città
a.1831
%tot.d.
i.% 1831 a.1844
%lot.d
i.% 1844 a.1B52
%lol.d ..
i.% 1852 a.1861
%\ol.d ..
i. %1861 7,94
Caltagirone
21616
26,1
18,77
22062
25,9
2,06
22620
25,6
2,53
24417
25,2
Vlzziri!
11604
14,0
25,83
12103
14,2
4.30
12990
14,7
7,33
13362
13,8
2,86
Grammichele
8438
10,2
9,76
8599
10,1
1,91
8935
10,1
3,91
10058
10,4
12,57
11,2
8,69
9758
10,1
-1,60
9154
9,5
8,74
Mi!itello
8968
10,8
22,16
9124
10,7
1,74
9917
Ml neo
8277
10,0
10,07
8458
3,3
2,19
8418
Scordi a
5803
7,0
36,03
5986
7,0
3,15
5986
'"
-0,47
0,8
0,00
6563
0,8
9,64
Licodia
5799
7,0
-9,97
5823
6,8
6097
6,3
4,71
5769
5,0
-5,38
Palagonia
3980
<,8
25,95
4202
,,,
0,41 5,58
4398
5,0
4,66
4904
5,1
11,51
Mirabella
3115
3,8
1.60
3318
3,9
6,52
3266
3,7
-1.51
3865
,,o
18,27
Ramacca
1822
1853
2070
7,3
11,71
2982
3,1
44,06
3,7
22,60
3674
'"
1,70
2642
'"
31,84
S. Michele
,,3
39,06
2712
3,1
-26,18
3138
3,7
15.71
"'
1,0
70.32
0,0
-100,00
901
1,0
1232
1,3
36,74
82856
100,0
16,85
100.0
2,83
88312
100,0
S. Cono Raddusa totall
85202
3,65
1639
1,7
0,00
96841
100.0
9,66
Totale popolazione diocesi di Caltagirone 1651-1861 100000 95000 90000 85000 80000 75000 70000 65000 60000 55000 50000 45000 40000 35000 30000 25000 20000 15000 10000 5000
o
a.1651
a.1737
a.1798
a.1806
a.1831
a.1B44
Incrementi% della popolazione della diocesi di Caltagirone 1651=0.00
32.50 30,00 27,50.
--1
25,00. 22,50 20,00 17,50 15,00 12,50 10,00 7,50; 5,00. 2,50. 0,00 ·2,50.
-5.00
,'~
a.1852
a.1861
Tabella n.2 periodo
Fondazioni di conventi diocesi di Caltagirone, secoli Xlii-XIX n.rondazloni
Xlii
3 Convenluall(3)
XIV 1401-1450
1 Osservanli(1)
1 Carmelitani(1)
1451-1500
5 Conven1ual1(2), Osservanti(1) , Agosliniani(2)
1501-1550 1551-1600 1601-1650 1651-1737
6 Conventuali(1), Domenicani{2), Cappuccini(3)
1738-1800
12 Mlnlml(1), Cappuccini, Gesuiti, Agost.Centarbi, Falebene!ral,(2). Carmelilani(3)
14
IW o.Fr, camlliianl, e.Gesù, Minimi, Cassinensi, Agosl. Cenlorbi.(1 ), Domenican;.osservanti, Riformali, Merc.Scalzi(2}
2 Riformali,Agost.Ril.(1) 1 Cappuccinl(1)
1801-1850 1 Cappuccinl(1) totale 46 Fra parentesi il numero delle fondazioni
fondazioni di conventi nella diocesi di Caltagirone secoli Xlii-XIX
" " "w
18
Xlii
1401-1450
1451-1500
1501-1550
1551-1600
1601·!650
1651-17~!7
1738-1800
1801-1650
Fonti: F. NOTARBATOLO di VrLlAROSA. Pianta del n1Jmero delle anime del Regno di Sicl/ia, delle chiese, conventi. benefici, etc .. , clt.: G. G1ANfORMAG10. Occhlolò. cll.; S. 01c1NonA, Popolo e clero In Sicilia nello dialettico socio-religioso fra cinque e seicento, cit.; G. CANFAILtA, /I convento e la chiesa del Cappuccini. Notizie storiche artistiche. in Ramacca notizie 32 1990
Tabella n. 3
Diocesi di Caltagirone ConvelÌti 1650-1850
clllà
%
a.1650
%
pop
conlp a.1737
%
pop
%
896
,,,
Raddusa Mirabella lmbacc2.ri
con/p a.1852
%
pop
3268
%
conlp
,,,
'°' ,,, ,,,
,,9
S. Cono Ramacca
,,,
S. Michele di Ganzeria
1594
3,7 1594,0
2,9
2070
2070,0
945,0
,,,
1450 2692
4,8 2692,0
,,9
5986
6,8 5986,0
3,7 1579,0
2,8
3419
6,, 3419,0
,,9
4398
5,9 4398,0
1965
4,6 1865.0
,,8
4287
7,6 4287,0
5,9
8935
10,1 4467,5
4371
10.2 1092,8
8,3
5162
9.2 1720,7
8,8
6097
6,9 2032.3
799,1
19,4
6694
11,9
956.3
20,6
9917
11,2 1416,7 14,7 2165.0
,,,
Scordla
2,2
945
Patagonia
,,2
Grammichele
,,,
1579
Licodia Eubea
8,9 15,6
5594
13,0
Militello V.e
'" ,,,
9,5
2712
Vizzinl
17,8 10692
24,9 1336,5
19.4
9004
16,0 1286,3
17,6
12990
Mineo
20,0
5219
12,2
579,9
11,1
6202
11,1 1550,5
6,8
8418
9,5 2806,0
28,9
10951
25,5
642,4
33,3
16035
28,6 1336.3
rn
29.4 22620
25.6 2262,0
100.0 42910
100,0
953,6
100.0 56105
100,0 1558,5
'4
100,0 88312
100,0 2597,4
Callagironf:!
"
totali
45
"
"
Leggenda a.= numero convenli pop= popolazione conlp~mppor1o
conventi per numero di abi1an1i
%=percentuale conventi sul totale diocesano
Conventi Diocesi di Caltagirone 1650-1050
"
=====
a.1650 a.1737 a.1852
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J'
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o
Tabella n. 4
Diocesi di Caltaglron"' Clero AIO>golare Maschll!O> 1650-1850
città
a.1650
pop
%
cl/pop a.1737
%
%
pop
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0,5
cl/pop a.1852
%
pop
%
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Raddusa Mirabella lmbaccari
S. Cono Ramacca Palagonia(l)
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S. Michele dj Ganzena
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1594
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78,8
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11,9
152.1
7,8
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16,0
272,8
18,0
6202
11.1
81,6
47,9 16035
28,6
79,4
100,0 56105
100,0
133,0
'32
11,7
12990
14,7
22620
25,6
171,4
100,0 88312
100.0
296.3
N.b, 1650 manca il numero del clero del terz'ordine francescano di Callaglrone e dei domenicani di Mililello e di Licodia
(3) 2 eremiti non inseri11. (4) Eremi dell'Annunziala e dì S. Agrippina, 2 eremiti non inseriti (5) Eremi di S. Maria Lore1o e S. Anlonio Abbale, 4 eremili non inseriti cl/pop=rapporto clero per numero di abilanl1
Clero regolare maschile 1650-1050
2o;
'" 185
m '65
'" '" '35
===a.1650
125
a.1852
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243,9
44.3
1737. (1) Eremilorio San la Febronia, 2 eremiti non insenli. (2) Eremforio S.M. Maggiore del P'1ano, 5 eremirl non ·1nseri1i.
pop~popolazione:
595,7
Tabella 5
Cl essi di età del clero re;iolare della diocesi di Caltaglrorw 1850 cl. olà
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Diocesi di Caltagirone Ordini Religiosi 1650-1737-1850
Tabella n. 6
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Militello
VizzĂŹni
Mineo
Licodia
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Palagonia
Totali
1650 1737 1850 1650 1737 1850 1650 1737 1850 1650 1737 1850 1650 1737 \850 1650 1737 1850 1650 1737 1850 1650 1737 1850 1650 1737 1850 1650 1737 1850t.1650 1.17371.1850
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Conventuali
Cappuccini
Riformati
Terz' or<f1ne francescano
Domenicani
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Carmelitani
Carmelitani riformati
Agostiniani
Agostiniani Con. Cen'lorbi
Fatebenelratelli
Camllliani
Gesu'-11
Cassinensi
Mercedari
Totali
13
12
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34
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Conventuali
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Tabella n.7 Comuni di provenienza del clero regolare della diocesi di Caltagirone 1850 cltta Caltagirone Vizzini Mine o Militello Llcodia Grammichele Scordia Palagonia Ramacca Mazzarrone Mirabella S. M. Ganzerla S.Cono totali
clero
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31,8 16,4 10,9 13,9 12,9
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5,0 0,0 3,0 3,0 2,0 1,0 0,0
o 6 6 4 2
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25,6 14,7
6,2 1,7 1,4 2,7 6,0
9,5
11,2 6,9
10,1
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901
6,B 5,0 2,3 0,0 3,7 3,1 1,0
100,0
88312
100,0
3268 2712
-5,1 -6,8 -2,0 0,6 2,0
-2,7 -3, 1 -1,0
Comuni della diocesi.% di provenienza del clero regolare 1850
8,0
32,0 30,0 28,0
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Età del clero regolare della diocesi di Caltagirone. Ordini relìglosi
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Età dei clero regolare della diocesi di Caltagirone. '?rdini religiosi
Grafico 3
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Età del clero regolare della diocesi di Caltagirone. Ordini religiosi
Grafico 4
Agostiniani
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APPENDICE
Tutto il materiale qui trascritto si trova in ACVC., b. 324, Statini ed osservazioni sulla riforma dei regolari ricercati dalla Sacra Congregazione. Compiti e mandati in Roma per canale del Nunzio Apostolico li 4 gennaio 1851. N.B. Dato il carattere abbastanza frammentario degli appunti del vescovo sulla situazione dei vari conventi, che si trovano, in parte nello stesso Stato del clero regolare diocesano e, per l'altra parte, fittamente annotati in diverso foglio, si è ritenuto opportuno di integrarne soprattutto la punteggiatura, e di introdurre anche, fra parentesi, qualche termine che potesse meglio illustrare il senso delle frasi. Fra parentesi anche il titolo dell'istituto della rispettiva chiesa dei vari conventi cosÏ come desunti dalle fonti utilizzate a cui si fa riferimento già nel testo e nelle tabelle.
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Raffaele Manduca -------------
Lettera del ministro per gli affari di Sicilia al Vescovo Denti contenente le osservazioni sulle proposte di riforn1a dei regolati sottoposte preventivan1ente dal vescovo al governo.
Riservatissima Eccellenza Reverendissima Chiamata Vostra Eccellenza Reverendissima a dar relazione alla S. Sede de1lo stato dei Regolari in cotesta sua Diocesi, ed a propon·e quelle riforme che stimasse opportune, servivasi pria di tras1nettere al S. Padre il suo rapporto rassegnarlo riservatamente alla Maestà del Re, N.S, ove conoscere se si trovassero in regola i di lei divisan1enti, e se ostar potessero in qualche punto, anche menomo ai diritti della M.S. Con ciò un omaggio lodevolissimo di devozione ha Ella renduto a Sua Maestà; ed io ho ordine dalla Maeslà Sua di palesarne all'Eccellenza Reverendissma il Reale gradi1nento. Dando ragguaglio della condizione di coteste monastiche Provincie assicura V .E. Reverendissima che nello insieme sono ottin1e le Religiose Fa1niglie, e che si aden1pic al Monaslico dovere: essere ben regolati i Noviziati; i Superiori Maggiori lodevoli per i loro senti111enli religiosi, e per le loro opere: e non aver trovato nei singoli cosa che meriti positivo rimprovero. Che se vi sono dei difetti particolari, riflette con soinn1a saggezza !'E.V. Reverendissima, non entrar questi in mate1ia di riforma, poichè le Bolle Pontificie e le loro approvate costituzioni, ove fedehnente si osservino, sono capaci a correggere i dit-etti, ed a togliere qualunque abuso e disordine. Ben soddisfacente è tal quadro. Pur tuttavia intende V.E. Reverendissima nel suo zelo Pastorale a prevenire ogni rilasciamento negli Ordini Regolari, e ravvisandone l'origine nell'ambizione per le cariche, penserebbe, come unico ed efficientissimo espediente di rifonna che fossero abbolite le Assemblee Capitolari con farsi dalla S. Sede l'elezione dei Superiori. Lodevolissi1ni cerla1nente sono i 1notivi di tal suo divisainenlo. Ma io non posso, in affare sì grave, anche per corrispondere alla di Lei inchiesta, dispensarmi dal dovere di presentare all'E.V. Reverendissima le seguenti osservazioni. Sarebbe affatto superfluo ricordare a V. E. Reverendissi1na come la libera scelta dei Superiori data ai Religiosi da quasi tutte le Monastiche Costituzioni, sia stata anche dai Sacri Canoni, e da 1nolte Pontificie Decretali sanzionata: e ciò sulla importante ragione che, siccon1e la vita dei Regolari è tutta di Santa obbedienza, così sia giusto che i Superiori, cui debbono sempre cd in tutto obbedire, sieno di loro propria fiducia, e quindi di loro scelta. Ma Egli in1porta tenersi presente, che le Leggi del Regno han sempre garantito tal n1odo di elezione e che quante volte si è dato mano a far novità su tal partico-
_La_diocesi
di_Calta~ir()ne_
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lare, l'Autorità Sovrana si è sempre adoprata ad impedirla, tutelando le libere elezioni in Regno. Nella raccolta della Sicole Sanzioni è facile il riscontrare i reiterati Sovrani ordini, con che si è prescritto nei termini più efficaci, invigilarsi con attenzione, per non darsi il Regio Exequatur a verun Breve spedito in Roma per elezione di Superiori Monastici, sulla triplice ragione d'e.sser ciò contrario 1°. ai Sacri Canoni ed alle Costituzioni dell'Ordine. 2°. alla quiete e buona armonia Religiosa. 3°. diretta1nente opposto alle Sovrane Regalie. Basterebbe leggere in proposito i Reali Dispacci del 22 Ottobre, e del 1° novenbre 1732, e del 13 giugno 1733/ Sicole Sanzioni= Tomo 1°: pag:449.450.456. E di tanto rilievo fu riconosciuto questo affare dall'Augusto Carlo III, che contro il fatto di talune decisioni per Breve fccesi richiamo alla S: Sede; ed il Sommo Pontefice Benedetto XIV iiconobbe con carta del 1741, che dovessero lasciarsi libere le elezioni a chi di diritto. Egli è poi evidente che tali elezioni fatte in Roma si sottraggano, in caso di irregolarità e di abuso, ai rimedi legali, che il privilegio dell'Apostolica Legazia appresta per le irregolari elezioni Monastiche che si fanno in Sicilia. Non si vuol disconoscere che qualche volta non possano esservi giusti motivi a farsi eccezione; ma ciò non può ammettersi che in casi particolari, e straordinari secondo l'autorevole avvertenza del saggissimo Cardinal de Luca, il quale pur stando ne11a Corte Romana scriveva così: = "Senza causa più che urgente non si deve tralasciare l'uso che i Religiosi si eleggano con piena libertà i loro Superiori; per lo che vengono per lo più stimate pregiudiziali e poco lodevoli le destinazioni per Brevi per molti rispetti, e per quel che insegna la esperienza; quando le circostanze dei casi particolari non richiedessero diversamente"(Cardinal de Luca= Il religioso pralico, pag: 216). Ed ove occorano questi casi speciali non altriinenti secondo l'attuale Ecclesiastica Polizia di Sicilia, può aver luogo un'elezione di Superiori Monastici per Breve se non dopo d'essersi ottenuta in ogni caso particolare la preventiva Sovrana annuenza per quel modo di lezione, e poi l'approvazione dei soggetti a prescegliersi; opponendosi nell'Exequatur esperessa dichiarazione= "Che quel proveditnento straordinario accordato per specialissimi nlotivi del caso particolare non possa allegarsi in ese1npio; e che non si intenda con quell'atto recato menomo pregiudizio alle Costituzioni dell'Ordine, alle Leggi ed alla Polizia Ecclesiastica del Regno". Or Vostra Eccellenza Reverendissima vede bene come verrebber meno detti principi, e le discipline succennate dirette a tutelare le Sovrane Regalie, ove si spingesse innanzi il progetto di trasferire in Roma tutte le elezioni dei Regolari. Altronde è assai a dubitare che si riuscirebbe con quel progetto a raggiunger il Santo Scopo cui V .E. Reverendissima mira, di togliere cioè l'ambizione dei frati, la quale non farebbe forse che cangiar cainpo ai suoi intrighi, tanto più facili a sorprender la buona fede di chi sta troppo lontano.
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Raffaele Manduca --------
Ho io molta fiducia nei di Lei principi di fede! sudditanza e di sua devozione al Re per lusingarmi che terrà Vostra Eccellenza Reverendissi1na nel dovuto pregio le addotte mie osservazioni. Restami pertanto di riaffermanni con ossequio distinto Di Vostra Eccellenza Reverendissima Napoli 9 Agosto 1850 A Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor D. Benenedetto Denti Vescovo di Caltagirone devotissimo obligadissin10 Servitore Giovanni Cassisi
Lettera del vescovo al Nunzio per fa trasndss;one della relazione sullo stato dei regolari della J;ocesi. Eccellenza Reverendissima Co1npito il lavoro, che mi fu coinmesso dalla Sacra Congregazione sullo stato dei H.egolafi della mia Diocesi, io n1i do l'onore a trasmetterlo alla prelodata Sacra congregazione, e non in altro modo migliore, e più sicuro, che per organo dell'Eccellentissima V. Illustrissiina quale Nunzio Apostolico, presso la Corte di Napoli. Laonde qui Le accludo li corrispondenti plichi pregandola del più pronto invio, perchè io possa nlOStrarmi presso la Santa Sede zelante esecutore dei Suoi Comandamenti, e di notizianni, per sua provata cortesia, il ricapito del presente, onde restarmene sereno. In fine dedico La mia servitù alla Sua degna e distinta persona, ed ho il bene di dichiaranni Caltagirone 4 Gennaio 1851 A Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Arcivescovo Sedensi Nunzio Apostolico in Napoli Devotissi1no, obbhgadissimo Servidore, e confratello D. Benedetto Denti Vescovo
La diocesi di CaltaRirone
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Relazione sullo stato dei conventi della diocesi di Caltagirone. Beatissimo Padre Lo zelo di vostra Santità, sulla riforma degli ordini Regolari, lampeggia co1ne un sole benefico, per risvegliare i frati da un letargico sonno. Emulatori dei loro antenati, si vivificassero dal suo rilasciamento, con edificare il popolo del Signore, ed abbattere la incredulità, che va disseminando zizzania, nel campo dell'afflitta Chiesa. Il nostro Augusto Sovrano, entra anche a parte di si tanta impresa, con porgere la sua benefica e possente mano, acciò i regolari, come un prescelto corpo di riserva, rinovassero lo spirito dei santi Fondatori, con opporsi agli errori, che in questa infelice epoca serpeggiano, per disturbare la pace dei popoli, la tranquillità del Trono e la stabilità della Chiesa. I Religiosi, che in tutti i tempi, sono stati gli eroi dcl Cristianesimo, quali l'hanno illustrato coi loro scritti, promulgato colla Divina parola, animato coi loro ese1npii, difeso col loro sangue, in una parola sono stati l'ornamento di tutto l'Orbe Cattolico, è di giusto, e di scuoterli, animarli, cd impegnarsi per opporsi alla corruttela del Secolo, ed alla infausta torrente, che di già ha dissestata, quasi tutta l'Europa. Non è questa, Beatissimo Padre, la vostra intenzione nella riforma dei Regolari'? A Tale oggetto avete diretta la vostra sorprendente Enciclica a' Vescovi di questa Isola, facoltandoli di accedere nelle case Religiose, ed invigilare, ed osservare i difetti, gli abusi, ed i disordini, con darne conoscenza alla Santa Sede, per provvedere, e porgere opportuni rimedii. Ed ecco che io, qual mini1no nella Casa dcl Signore, ubbidiente alla voce del Supremo Pastore, portandomi ne' rispettivi Conventi, sì piccoli, che grandi di nun1ero, esistenti in questa inia Sede, e delegando nei rispettivi Co1nuni, dei probi e dotti Vicari ho osservato, dopo aver preso ben fatto e (?) il tutto, che nell'insieme sono ottime le Religiose famiglie, e che si adempie al monastico dovere, eccettuando tre Comunità, che chiamati gli individui da solo a solo nel mio palazzo, perchè era assai incomodato di salute, non risparmiandonli poi, al quanto rimesso di visitare, dell'anzidetti locali tutti con premura ed attenzione. Ho ritrovato le fabriche materiali dei Conventi che sono ottime e non sono patite eccetto qualche locale di uno o due dei sopradetti, ma in qualche parte soltanto necessario a riacconciarsi o rifarsi a maggior cautela, che con sollecitudine ho detto e ho an11nonito darsi riparo e subito ristorarsi. TI n1alerialc de' Noviziati è idoneo per il ritiratnento, ed educazione dei novizi gli educandi sono stati bene istruiti, e regolati da buoni superiori e prudenti 1naestri, ma son di fem10 parere, che i futuri giovani pria di ammettersi al sacro Abito, non abbiano più di anni 17. circa, con fede però dei PatTochi, riguardo a' custumi a riceversi ed agli studi dei lettori, sì pubblici che privati; di saper bene la lingua latina, e di csaininarli i superiori religiosi a cui spetta di di1itto, anche con saggi ed esperimento in tutti i 1nodi, onde possano i sopradetti giovani progredire, così nelle scienze, come nelle virtù, per essere utili alla Santa Chiesa, ed alla società.
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I superiori maggiori ho ritrovato di Religiosi sentimenti, ed opere, in questa epoca di desolazione, con som1na prudenza si sono diportali, per non far n1ettere in compromesso il loro rispettivo ordine, e Provincia, ed hanno contribuito a conservare il rispetto della Santa Religione, al Vice-Dio So1nmo Pontefice, Pio Nono, alla Sede Pontificia, al Real Trono de1l'im1nortale Ferdinando Secondo, D.G. alla pace, e tranquillità dei popoli, con stupore applicandosi. Nel richiamo dei singoli l'ho costretto dire la verità, se vi siano abusi, o disordini, e ciò sotto precetto di formale ubbidienza, e non ho trovato cosa di positivo rimprovero, però l'ho avvertito di allontanare anche piccolissima idea di lusso, dalle stanze o ce1le, che oslar potrebbe allo stato Claustrale, di sortir da' conventi, sempre accompagnati fra loro, e ritirarsi nelle congrue ore, per edificazione del pubblico, ed attendere a Divini officii, di non intricarsi in negozi ed affari secolareschi, che deturpan in qualche 1nodo, la fama, fa perdere la opinione, e scandalizza. Di attendere alla loro vocazione, che un giorno devono dare slretto conto, innanzi il Divino Tribunale, di quanto hanno compromesso, e professato solenne1nente. Osservo le loro Chiese, sono bene adorne, e con somma edificazione assistite, che i divini misterj sono celebrati con molta universale soddisfazione, ed il sagran1ento della penitenza fedelmenle am1ninistrato, ed interesse, che forman l'onore dei Paesi; ed il decoro, e la Santità pure ne proviene. Riguardo ai Conventini, Ospizi, e Gangie Ii credo utili e necessari, particolarmente nei piccoli Comuni, che sempre se ne ricava il bene, e quando altro non fosse, in tutti i modi, devonsi conservare, ed aumentare, per essere l'asilo a' missionarj nel caso di destino, ad accrescersi 1naggiormente alla gloria del Signore. Per quello che appartiene alle perfette Communità dico, sono, buone, ma sempre si trovano degli inconvenienti, giacché si lagnano i minori, d'essere trattati con rilievo dai Maggiori, che poi le Communità perfette si possano verificare nei Conventi ben arredati, perchè retti fossero, e giusti, non già in quei che vivono economicatnente, ed in particolare nei mendicanti, massime nei presenti letnpi, che 1'ele1nosina vien meno, e positivamete scarseggia. In tutto questo dettaglio mi giova far conoscere, difetti particolari non entrino in materia di riforma, poichè messa la osservanza, cadono per se stessi, e le Bolle pontificie, e le loro approvate costituzioni, fedelmente osservate, sono capaci di co1Teggerc i difetti, ed a togliere qualunque abuso, e disordine. Relativa1nentc poi all'elczioni, dovrà inculcarsi la esatta osservanza ed esecuzioni delle leggi ecclesiastiche, e civili. Più che quanto avanzano di derrate, fosse posto in cassa centrale, con una Deputazione, a ciò stabilita, con occorrere ai bisogni estraordinarj, e di fabriche, e di elen1osine, o per emolurnento de' Missionarii, con1e infra. Che ciascuna provincia rispeltivamente deve unire uno, o più corpi di Missiona1j, a proporzione del nun1ero, non meno di cinque, non più di nove, a proporzione del nun1ero dei Conventi e de' soggetti, che questo corpo sia fornito, e di prestarsi ad ogni richiesta de' Vescovi, sia nella propria, o aliena provincia, come pure al destino
La diocesi di Caltagirone ---- -- ----- - - -
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della Santa Sede, che l'indicato corpo sia per eccitare una Santa emulazione fregiata con dei privilegi e decorazioni secondo il Signore ispirerà al Santo Padre. Finalmente di accordare delle facoltà ai Superiori maggiori, per dispenzare alcuni tenuissimi articoli delle loro costituzioni ed a quanto va soggetto in foro conscientie per tranquillare le coscienze scrupolose, e per occorrere secondo il bisogno, con faine intesa la Santa Sede. Questo è il mio rapporto, protestandole di non avere altro peso, se non di quanto giudica, e dispone la Santa Sede, e la nostra Santa Religione Cattolica Apostolica Romana, di cui vantomi di essere con som1na gioja, e fenna costanza. Alla Santità di nostro Signore Pio Nono Pontefice Massimo. Roma
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Raffaele Manduca-------Comn1enti del vescovo Denti all'articolato de/l'inchiesta
Conventuali, Caltagirone (S. Francesco d 1 Assisi) Alle analoghe dimande tutti separatamente hanno risposlo come appresso che esistono numero ventisette religiosi in Convento, che le fabriche tanlo della Chiesa che del Convento sono in onimo stato eccetto un muro che guarda a Ponente, come ancora altro muro del Noviziato ed il Campanile quali hanno bisogno di qualche ristoro poichè si sono date delle disposizioni a n1io impulso scusandosi di non avere occorso prima per le passate vicende Politiche; che sebbene il numero attuale degli Individui Religiosi è di ventiseue quello però di figliolanza lo è di ventiquattro, sedici sacerdoti e N. sei Laici professi e due terzini; che vi è l'osservanza regolare: che non vi è vita con1une; tutti adempiono le doverose loro obbligazioni e godono perciò la pubblica estimazione: è utilissimo il convento alla Città, non vi è rilasciamento nell'osservanza, nè tainpoco vi è religioso scandaloso o Apostata. La Chiesa è ben assistita, e frequentata da tutti i Cittadini attesochè si venera ivi la SS1na Vergine Immacolata a cui è devo!issiino questo Popolo, Ataccato alla Portaria del Convento esiste un piccolo 1na efficentissimo Santuario, in ove i Laici congregati con pubblica edificazione recitano nelle Domeniche e feste di Malia SSma l'officio della Beata Vergine ed assistono in fine alla Messa e Predica che si fa da un Padre dello stesso Ordine. Sci sono i Religiosi da me approvati ad ascoltare le Confessioni di a1nbi i sessi e vi assistono con assiduità, si predica la Divina Parola precipainente in ogni Sabbato. Esistono un Educandario sito nella parte inferiore dcl Convento ed un Noviziato nella parte superiore segregato dallo stesso convento con Muro e porta di divisione quali in atlo sono vuoti. Vi sono sei Chierici studenti ed anche Sacerdoti ed imparano la Domatica e la Morale. Vi esistono due soli Saccroti già da più anni secolarizzati, Sac. D. Salvatore Palazzo e Sac. O. Ferdinando Marino Di otlimi costumi e zelanti nei loro uffici.
Vizzini,
Conventuali
(SS.
Nunziata)
AJJ'analoga interrogazione hanno tutti risposto essere tutti religiosi Conventuali sotto il titolo di S. Fancesco non di stretta osservanza e sollo unica regola. Che la capacità del Convento è di sei individui. La frabica del Convento è in ottiino stato, come quella della Chiesa nella quale non vi è cura d'anin1e che vi è l'osservanza regolare non già Comunità perfetta non esistono religiosi di scandalo la chiesa è ben servita e assistita a guisa di una Parrocchia. Che due Religiosi confessano a1nbi i sessi, an11ninistrano la Divina parola, che non esistono giovani sotto l'Istruzione Morale e Scientifica, che nessun abuso si osserva ne da parte de' Superiori
La diocesi di Caltagirone
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ne tampuoco dei sudditi. Non vi sono Apostati. E finalmente che nessuna notizia hanno saputo dare precipamente sui passati rivoluzionari avvenimenti.
Mineo,
Conventuali (S.
Lorenzo)
Alle analoghe domande hanno risposto quanto appresso. Che il loro istituto è minore conventuale e vivono sotlo la regola che han professato con voti solenni del loro Patriarca S. Francesco d'Assisi; la capacità del Convento è di n. 9 individui, in atto ve ne sono numero 5. Le fabbriche del convento sono in ottimo stato come anco quelli della Chiesa, in detta Chiesa non vi è cura d'anime vi è la regolare osservanza, vita cotnunc ma non perfetta; disimpegnano i religiosi le obbligazioni; godono la pubblica stima, sono utili alla Popolazione, la chiesa è servita. V i sono numero 3 confessori approvati da me per l'uno e l'altro sesso che esercitano le confessioni, predicano la Divina Parola, assistono con carità i 1noribondi quando sono chiamati. Non vi sono abusi dal Superiore né dai Religiosi, non vi sono Apostati, uno solo trovasi secolarizzato perpetua1ncnte che chiamasi Don Natale Arona, la sua condotta è puoca regolare, nulla han saputo dire sul conto delle vicende politiche.
Militello,
Conventuali
(S.
Francesco)
Richiesti da me sull'interrogatorio hanno risposto che il loro istituto è Minore Conventuale e vivono detta regola che han professato con voti solenni del loro Patriarca di S. Francesco di Assisi. La capacità dcl Convento è di 7 individui la famiglia però fissata è di numero 6 in atto ve ne sono numero 3 solamente; le fabriche del Convento sono in mediocre stato, quelle però della Chiesa sono in otthno perchè redificata da recente, nella stessa non vi è cura di anin1e, vi è la regolare osservanza vita comune, ma non perfetta, disiinpegnano i Religiosi le loro obbligazioni, godono la pubblica stùna, sono utili alla Popolazione, la Chiesa è servita sebbene vi sia un solo Confessore e Predicatore (che) vi fatiga indefessamente, non vi sono abusi nè Apostati, un solo Religioso trovasi secolarizzato per Breve Pontificio per nome Don Gaetano Barone cui trovasi domiciliato fuori Diocesi in Lentini., nulla sanno dire sulle passate vicende.
Osservanti, Caltagirone (S. Maria di Gesù) Sulle analoghe din1ande hanno tisposto quanto appresso: che sono religiosi dell'Ordine de' Mino1i Osservanti, che vivono sotto la regola che hanno professato con voti solenni di S. Francesco di Assisi, che il Convento è sito un Miglio distante dalla Città, i Religiosi vivono in stretta osservanza perchè ritiro di tutta la Provincia
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Raffaele Manduca -- ----
deIJ'Ordine sudetto. Il Convento per fabbricati è ottiino del pari la Chiesa sebbene abbia bisogno qualche riparo il Convento perlocché i buoni padri si slanno cooperando. E' capace a potere contenere numero 30 Religiosi compresi i Novizi mentre è convento di Noviziato sebbene oggi non ve ne siano perchè serrati i Novizi di tutti i Regolari. In atto esistono numero 14 Religiosi e quindi è vario il numero a discrezione del superiore; vi sono con somma esemplarità i religiosi tutti. La Chiesa è bene assistita a guisa di una Parrocchia e, sebbene non abbiano Cura d'Anime, pure per incarico del Parroco della Cattedrale amministrano i Sacramenli agli Infermi nelle vicine campagne ed assistono i moribondi. Nella Chiesa poi diariainentc confessano ambi i sessi e predicano i buoni Padri la divina parola e coltivano la divozione della Vergine Santissin1a a cui è divotissi1110 questo Popolo essendo un Simulacro di particolare lavoro che attira la universale divozione. Nella Citlà hanno una apposita Infermeria per i religiosi ammalati non vi sono Apostati non abusi vi sono tre soli reiligiosi sfratati, cioè uno per senlenza e uno per breve Apostolico e sono Sac. D. Nicolò Arena, Canonico D. Giovanni Mattia, e Sac. D. :ri.1ario Coniglio quali vivono onestamente da buoni Sacerdoti, nulla hanno saputo dire sulJe vicende passate.
Osservanti, Vizzini (S. Maria di Gesù) Alle analoghe inchieste hanno tutti risposto essere Minori Osservanti sotto l'Istituto di S. Francesco di Assisi con professione di voto solenne, quali vivono sotlo unica regola, che il Convento è capace di numero venti religiosi sebbene vi sia un quarto Coritojo in fabrica quale finito Io renderebbe atto a 1naggior capacità di soggetti. Lo stato delle fabriche dcl Convento è mediocre quello de!Ia Chiesa è ottirno; la Chiesa non ha cura d'anime, la famiglia ordinaria è di n. 0 11 individui, alle volte è più, altre volte meno. L'osservanza regolare vi esiste; vi è vita co1nune e non perfetta Comunità, la Chiesa è bene assistita, anzi può dirsi una vera Parrocchia per la (as)siduità di nu1nero sei Confessori che indefessan1ente si prestano ad ascoltare le Confessioni dei Fedeli, mentre cinque sono da n1e approvati per ambi i sessi, ed uno per gli uomini solamente. Nè manca la Predicazione nella Chiesa; non vi stanno dei giovani sotto l'Istruzione Morale e Scientifica, non vi sono Apostati sebcne vi sia qualche Frate secolarizzato. Nulla hanno saputo dire di rimarchevole sul conto delle passate vicende, mentre hanno vessuto tutti in Convento con som1na ritiratezza.
Osservanti, Gramn1ichele (S. Maria della Grazia poi In1macolata) Alle analoghe din1ande hano risposto quanto appreso; che sono Religiosi Osservanti quali con voti solenni hanno professato la Regola del Patriarca Francesco
La diocesi di Caltagirone
529
d'Assisi che il Convento può contenere la famiglia di numero 10 individui sebbene al presente ne esistono nun1cro 7 e qui11di varia la famiglia. Le fabbriche della Chiesa e Convento sono in tnediocrc slato, la Chiesa non ha cura di anitne e sono di qualche utilità al Paese per la Predicazione e per le Confessioni, essendo due Padri abilitati per aTnbi i sessi; non vi sono dislurbi ed abusi vi è l'osservanza regolare non petfetta vita coinune non vi :-;ono apostati solan1ente vi è un solo Religioso secolarizzato per sentenza (per Breve Pontificio) chiamasi D. Giuseppe Panacia, e vive con edificazione, nulla hanno sapulo dire sulle vicende passate.
Osservanti, Mineo (S.
Antonio
Abbate)
Richiesti da mc sull'interrogatoria han risposto che il loro Istituto è quello dcl Patriarca S. Francesco d'Assisi, sotto la di cui Regola con voti solenni nùlitano; la capacità dcl Convento è di n. 0 18 carncre sebbene la famiglia è con1posta di otto individui alle volte più ad arbitrio dei Superiori. In questo Convento si vede l'osservanza regolare e la vita con1une 1na non perfetta, i religiosi adernpiono lutti il loro dovere, godono la pubblica sli1na del Paese, la Chiesa è ben servita. Vi sono n. 0 3 Confessori da ine apporvati per l'uno e l'altro sesso i quali indcfessa111ente esercitano alle Confessioni che alla Predicazione, istruiscono a' fanciulli nella dottrina Cristiana; le fabbriche del Convento e quelle della Chiesa sono in n1ediocre stato non vi sono Apostati all'infuori di due individui secolarizzati con breve Pontificio, cioè Sacerdote f)on Mario Severino e ~acerdotc D. Giovanni Li1noli quali vivono con edificazione, nulla hJ11110 saputo dire sul conio delle vicende passate.
Cassinesi,
Militello
(S.
Benedetto)
Alle analoghe inchieste hanno risposto quanto sicgue, che il loro istituto è quello del Patriarca S. Benendetto sotto la di cui regola con voti solenni militano nonchè colle Costituzioni Cassinesi. La capacità del Monastero è di n1nnero 9 individui sebbene la fondazione della regolare famiglia fu di n. 0 J 2 soggetti; in atto ve ne esistono n. 0 7 quindi lo n11111cro scn1pre è stato variabile; vi è l'osservan?:a regolare, nia non vita co111une di stTctlo senzo. Aden1piono i Monaci il loro dovere: sono utilissin1i in quella Co1nune. Lo fabricaio della Chiesa e dcl Monastero è n1agnifico. Il Culto Divino e le officinture in Chiesa si fanno con po1npa e devozione non vi è cura di Anin1c, tre Monaci sono approvati ad ascoltare le Confessioni per an1bi i sessi, confessano e predicano la Divina parola anche fuori essendo invitati, non vi sono abusi, non vi sono Apostati; un solo Monaco trovasi secolarizzato con Breve pontificio, il non1e del Religioso è Padre Don Placido Lorcficc da Modica in ove trovasi di din1ora fuori inia Diocesi. Nulla han saputo dire sul conto delle pass<1tc vicende.
530
Raffaele Manduca
Padri Cruciferi, Caltagirone (S. Giovanni Evangelista) Alle analoghe dimande hanno risposto essere Chierici Regolari Padri Crociferi, tutti vivono sotto la Regola di S. Camillo e colla perfetta osservanza dei quattro voti che solennemente hanno professato. La Casa e la piccola Chiesa sono in ottimo stato di fabricato. La capacità è di otto soggetti, solamente al presente ne esistono cinque. La Chiesa non ha la cura di anime ma è però mediocra1nentc assistita dai buoni Padri; sono di so111ma utilità al Pubblico per l'assistenza che prestano ai moribondi, non vi è santuario particolare, non vi sono abusi nè apostati, un solo religioso trovasi secolarizzato per breve di no1ne D. Federico Perticone, la sua condotta è puoca regolare, nulla han detto sulle passate vicende.
Mercenarii,
Vizzini (Madonna di Monserrato)
Alle analoghe richieste hanno riposto essere Religiosi Merccnarii Scalzi, lstìtuto redenzion degli Schiavi Cristiani dì professione, con voti solenni di stretta osservanza sotto unica Regola. La capacità dcl Convento è di n. 0 6 Religiosi in quanto alla rendita però non può 1nantenernc più di n. 0 3 individui. Le fabbriche del Convento sono in caitivissiino stato ed hanno bisogno di grandissiine riparazioni, quelle della Chiesa però sono in rnediocre stato. Non hanno cura di Ani1ne vi è l'osservanza Regolare, i Religiosi sono dì edificazione e disimpegnano l'obbligo a chi sono (ascritti ?), godono la pubblica stin1a sono utilissi111i al luogo in ove esiste il Convento, la Chiesa è servita con decorazione e zelo; un solo religioso è approvato alle Confessioni, non vi esistono giovani sotto l'Istruzione di sorta, non vi sono Apostati né religiosi sfratati, finaln1ente hanno risposto che vivendo da Religiosi ritirati nessuna notiza possono prestare sugli avvenin1enti delle passate vicende.
Padri Ilonfratelli di S. Giovanni di Dio,
Militelio (S. Antonio)
Alle analoghe inchieste ha risposto il contronotato religioso (che) il di lui istituto è quello del Patriarca di S. Giovanni di Dio e vive con voto solenne sotto la Regola di S. Agostino; che il convento cd Ospedale nel suo 1nateriale è capace di n. 0 3 individui, in atto ve ne esiste uno solo per la scarsezza dei soggetti. Le fabbriche della Chiesa e del Convento sono buone. La chiesa appartiene alla giurisdizione del Diocesano, il dello Religioso con l'aiuto di un fervente si presta in sollievo degli ai11malati poveri, e quindi è utilissin10 alla Popolazione. Null'altro per il dippiù ha saputo dire.
La diocesi di Caltagirone -
531
Buon fratelli di S. Giovanni di Dio, Caltagirone (Spirito Santo) Alle analoghe domande hanno risposto quanto appresso. Che sono Religiosi dell'Ordine di S. Giovanni di Dio, quali con voto solenne hanno professato ed osservano i quattro voli della loro Regola di ben fratelli. Il fabricato del convento è 1nagnifico, non che questo della Chiesa e dell'Ospedale. Numero 6 e più religiosi potrebbero abitarvi di famiglia sebbene in oggi essa è di 5 Religiosi, due dei quali trovandosi destinati altrove provvisoriamente, ve ne sono rimasti tre solamente; vi è l'osservanza regolare non vita comune, si prestano in aiuto nell'Ospedale per gli an1malati e quindi sono utilissimi, anzi necessari per il sollievo dei poveri infe1mi. La Chiesa è ben assistita con l'aiuto dei Preti Sacerdoti Secolari, non vi sono abusi nè apostati, nè stfatati, nulla hanno saputo dire sulle vicende passate.
Carmelitani Ref'formati, Caltagirone (S. Maria della Scala) Alle analoghe di1nande han risposto essere Religiosi Carmelitani Rifonnati di S. Maria della Scala, quali professano oltre i tre voti solenni il quarto voto di vita Co111une. Il fabricato del Convento e dalla Chiesa sono 111agnifiche. La Chiesa non ha cura d'anime il Convento può contenere numero 21 Religiosi, al presente ve ne sono 20; quindi la Comunità è varia a seconda si dispone dal Padre Provinciale, compresi in detto attuale numero i Chierici Colleggiah religiosi, mentre va tenuto il Convento sostenere un Collegio. Vi è l'osservanza regolare e la vita comune; è utilissitno detto Convento perchè si prestano i Padri colle Confessioni e colla Predicazione a coltivare la devozione alla SS.ma del Cannine. Vi è un Santuario ossia Congregazione sita nella parte inferiore del convento, in ove i laici esercitano gli atti di pietà con recita del Divino Officio di detta SS.ma ed ove vi è destinato un Padre per predicare, confessare, e celebrare la S. MeS"sa ogni Domenica, e nelle feste di precetto. Non vi sono abusi, non espulS"i, non apostati; tre individui secolarizzati soltanto con breve Pontificio, cioè il Rev. Sacerdote Don Lorenzo Barletta, don Antonio La R9sa, e Sacerdote Don Gaspare La Rosa; il primo canonico secondario in oggi, il secondo Canonico Primario di questa S. Cattedrale, 1nansionario della Collegiata di S. Giacon10 il terzo, i quali vivono con molta edificazione: nulla hanno saputo dire sulle vicende passate.
Car1nelitani della Religione Madre, Licodia (S. Pietro) Alle analoghe inchieste hanno risposto che sono Religiosi Carmelitani di S. Alberto ed hanno professato i voti S"O]cnni dcl loro Istituto, che vivono sotto unica Regola. Non esiste comunità perfetta, la capacità del Convento può contenere nun1ero 30 Religiosi sebbene in atto ve ne siano 11; e quindi è varia la famiglia, come variano le assignazioni del Superiore. Il frabicalo del Convento e della Chiesa è in buono stato, godono la pubblica estimazione, sono utili al Paese, mentre am1nini-
532
Raffaele Manduca
strano il Sacra1nento della penitenza, ed ivi nella Chiesa (c'è) particolare concorso per la devozione verso la SS.1na· Vergine del Canninc; tre Padri confessano con assiduità cn1 ran1bi i sessi, vi è Novizialo in buono stato sebbene in atto vi esiste un solo Novizio. Non vi sono Apostati, non hanno cura di ani1ne, u_n solo religioso perpetua}nente secolarizzato quale vive con puoca regolarità. Nulla sanno relativa1nente alle passate vicende politiche.
Agostiniani,
Caltagirone
(S.
Agostino)
Sull'analoga do1nanda han tutti separatamente risposto che sono Religiosi dell'Ordine di S. Agostino la di cui regola professata con voti solenni osservano. Il Convento è capace di abitazioni nu1nero duodeci Religiosi, in oggi ve ne esistono nu1nero 5 e quindi varia la fa1niglia a seconda le disposizioni del Superiore. II fabricato dcl Convento è buono, 0Hi1no quello della Chiesa quale non ha cura di Anin1e: vi è l'osservanza regolare non vita coinune. La Chiesa viene assistita dai buoni Padri quali si addicono alle Confessioni cd alla Predicazione. Van tenuti per legge di fondazione assistere i poveri Carcerati in gue:;ta Vicaria e quindi va destinato un Padre per celebrare ivi la S. Messa nei giorni festivi confessarli e predicare Ja Divina parola. Non vi sono abusi non Apostati due soli ve ne sono secolarizzati con sentenza cioè il Reverendo Sacefdo!e Don Ferdinando Platania, (e il) Sacerdote Don Giacoino Gagliano quali vivono onestamente, nulla han saputo dire circa le passate vicende.
Agostiniani,
Vizzini
(S.ta
Domenica
Maggiore)
All'interrogatorio sull'articolato hanno dato le analoghe risposte cioè: che sono Religiosi Agostiniani e che hanno fatto voto solenne e sotto unica regola. Il Convento sarebbe capace a potere alloggiare ntnnero 9 Religiosi ma in realtà non ne può rnantencre più dì due o tre e colla 1nassi1na strettezza. Le fabbriche della Chiesa sono in buono stato, quelle però del Convento da un lato 1ninacciano rovina e bisognano ripari. Non hanno cura di Anin1e. La famiglia regolare è nun1ero tre, questa varia a seconda le circostanze. Stante il ristretto 111nnero di Religiosi non può essere di perfetta osservanza, vi è vita con1une 1na non con1ur1ità pcrfettn, ade1npiono per quanto è possibile i Religiosi i propri doveri: godono la pubblica stin1a, sono di utilità al Paese, 1nentre che con tutlo zelo ed i1npegno è servita ed officiata la loro Chiesa. I due Religiosi sono enlra1nbi Confessori e si occupano con Carità ed assiduità e esercizio di tal Ministero, si prestano in soccorso degli a1nn1alati, e dei inoribondi, non vi sono abusi di sorta, nè apostati, nè alcuna notizia rimarchevole che inerita essere indicata han saputo dichiarare.
La diocesi di Caltagirone Agostiniani,
MiliteHo (S.
533
Michele Arcangelo poi S. Leonardo)
Alle analoghe don1ande hanno risposto quanto siegue, che il loro istituto professato con voti solenni è quello del Patriarca S. Agostino e vivono sollo la regola dello stesso. Le fabbriche della Chiesa e del Convento sono in mediocre stato, non hanno cura di Ani111e. La famiglia rcgolannente è fatta di nun1cro 6 individui attualmente ve ne esistono 4. Vi è l'osservanza regolare n1a non vita co1nune, godono i Religiosi buona opinione nel Paese, sono utili alla Popolazione, tre sono i Religiosi facoltati per ambi i sessi, uno dei quali attesa la sua età avanzata non l'esercita, ed un altro nè tampuoco per scrupolosità; il terzo però è francabile, tanto nella Predicazione, che nella Confessione; non vi sono abusi di sorra, non vi sono Apostati o espulsi, nulla sanno relativamente alle passate vicende.
Paulotti~
Caltagirone (S. Francesco di Paola)
Sull'anologhe domande hanno risposto tutti essere religiosi Paulotti quali osservano i quattro voti sotto la regola di S. Francesco di Paola. Il frabicato dcl Convento e quello della Chiesa sono in otti1no stato, la Chiesa non ha cura di Anin1e nla è ben sc1vita con la Predicazionee e le Confessioni dei fedeli e colla coltura della Devozione di S. Francesco di Paola a cui questo popolo professa particolare devozione. Il Convento è capace di numero 15 soggetti, nel presente ve ne sono nu1nero 7 quindi varia la fa1niglia a descrizione del Superiore. Vi è l'osservanza regolare ma non vita con1une, non vi sono abusi, non apostati; non hanno collegi né convitti uno solo trovasi secolarizzato per breve apostolico chian1ato D. Litterio Zinna il quale attual1nente trovasi in Catania, nulla han .saputo dire sulle vicende passate.
Paulotti,
Militello
(Annunziata)
All'interrogatorio da me loro fatto sull'articolato hanno risposto co1ne appresso. Che il loro istituto è quello di S. Francesco di Paola, e con voti solenni han professato, e militano sotto la di lui regola. Il Convento può contenere numero 5 Religiosi quanti lo sono in atto, sebbene alle volte per disposizione dcl Provinciale, vi è stata qualche variazione di fa1niglia. Le fabbriche del Convento e della Chiesa sono in mediocre stato, non hanno cura di anin1e vi è una osservanza regolare, non vi ha vita comune in senso rigoroso, godono la pubblica stima e sono utili al Paese, adempiono le Officiature Chiesastiche nella Chiesa; due soli Sacerdoti sono approvati pro viris tantun1, e si prestano nello esercizio tanto delle Confessioni che della Predicazione, nonchè al soccorso delli Infermi quando sono chia1nati. Non vi sono disordini, o abusi, non vi sono Apostati; uno solo Sacerdote si trova secolarizzato per breve Pontificio, nulla sanno relativa1nente alle passate vicende politiche.
534 Domenicani,
Raffaele - Manduca Caltagirone
(S.
Rosalia)
Domenico e che osservano la di questi Regola professala con voti solenni. Le fabbriche del convento sono in buono stato, quelle della Chiesa in ottimo, quale non ha Cura di Ani1ne. Il numero dei Religiosi che possono abbitarvi è di numero 12 individui come Io sono in atto, la famiglia può variare a discrizione dei suoi Superiori. Vi è l'osservanza regolarc-1na non vita comune, la Chiesa è bene officiata ed assislita dei buoni Padri co11e Confessioni e coila Predicazione, mentre quattro confessori sono da mc approvati pro utroque, si addicono neJlo esercizio di tal officio nè mancano nella predicazione giusta il loro istituto, e quindi attesa la divozione di questo Popolo verso la Vergine SS.ma dcl Rosario, viene frequentata detta Chiesa tutto il dì. Non assistono i Padri agli Ospidali, Collegi e Convitti, perchè non sono tenuti. Vi è l'osservanza regolare non vi sono abusi di sorta, non espulsi, non Apostati; un solo Religioso se~ colarizzato con Breve Pontificio chiarnato Don Gesualdo Maggiore il quale è di buona condotta, nulla hanno saputo dire sulle vicende passate.
l)omenicani,
Militello
(Annunziata)
Alle analoghe dimande hanno risposto che il loro Istituto è del Patriarca S. Do1nenico, la regola però che han professato con voli solenni, è quella di S. Agostino: che la capacità del Convento è atta a potersi ricevere nu1nero 8 Religiosi, ma in atto ve ne diinorano numero 5 mentre che tre sono stati destinati altrove dal superiore. Le fabbriche della Chiesa e del Convento sono in buono stato non hanno cura di anime, vi esiste la regolare osservanza, ma non vita comune in senso rigoroso, non vi è santuario che chia1na un particolare concorso. Tre sono i Sacerdoti approvati per a1nbi i sessi~ si prestano i Religiosi in sollievo degli infenni. La Istruzione ai Fedeli, la Predicazione è per istituto e la esercitano indefessamente, non vi è religioso espulso o Apostata, uno solo trovasi secoladzzato con Breve Pontificio di nome (?) cui è assegnata la prebenda di una Chiesa; nulla costa loro da potere manifestare sul conto delle passate vicende.
Domenicani,
Vizzini
Alle analoghe din1ande congiuntamente tutti han dichiarato essere Religiosi dell'Istituto di S. Do1nenico di voto solenne e sotto unica regola. Che il convento è capace di ricevere nun1ero 6 religiosi e può 1nantcnerli in econo1nia, sebbene al presente ve ne sono nu1nero due tnentre che due Studenti si trovano destinati altrove. Le 111ura del Convento sono in buono stato, sulla Chiesa però vi abbisognano le riparazioni nel coverto quale si stà per riparare; che i Religiosi non hanno cura di Anin1c. Vi è osservanza regolare, vita con1une non già co1nunità per-
U,
diocesi qi <;'.altagirone
535
fetta. Godono i Religiosi la pubblica estimazione sono utili per la posizione del Convento, e per la predicazione, non vi sono giovani sotto l'Istruzione Morale e Scientifica, non esiste abuso né da parte del Superiore, né tampuoco del suddito, non vi sono Apostati e finalmente nulla han detto sapere in materia da potere essere indicata relativa alle passate vicende.
Domenicani,
Licodia (SS.
Salvatore)
Alle richieste da me fatte hanno risposto come appresso, che sono Religiosi dell'Ordine di S. Do1nenico, lo frabicato dcl Convento e della Chiesa è di tnediocrc stato; il Convento è atto a mantenere numero 4 Religiosi, sebbene in oggi ve ne siano 3 soli. L'osservanza è soddisfacente, ed edificante, e godono la pubblica stin1a e sono di qualche aiuto all'unico Pan·oco di quel Co1nunc, sebbene uno solo sia approvato da me alle ContCssioni pure entrambi predicano la Divina Parola, non hanno cura di Anime, non vi sono Apostati; nulla hanno di positivo sul conto dei passati avvenimenti politici.
Rifformati,
Caltagirone
(S.
Bonaventura)
Sull'analoghe inchieste hanno risposto che sono Religiosi Riformati sotto la Regola del Patriarca S. Francesco di ASsisi, quali hanno professato con voti .solenni. Il fabbricato dcl Convento che della Chiesa è ottin10: non hanno cura di Anime. Il Convento è capace di trattenere in abitazione nu1nero 30 Religiosi, l'attuale fanliglia è di nun1ero 16 individui e quindi varia la famiglia a descrizione del Padre Provinciale. Vi è l'osservanza regolare e vita con1une non in tutte le sue estensioni ma secondo le Costituzioni; la Chiesa è ben servita, vi sono numero otto Confessori, sei approvati da me per ambi i sessi e due pro viris tantum quali tutti indefessa1nente si prestano, né mancano i Padri alla predicazione della Divina parola, si danno delle lezioni di Dommatica e Morale ai Chierici e Sacerdoti studenti religiosi. Non vi sono abusi di vita, non vi sono Apostati né espulsi; due soli religiosi sono pcrpetuatnente secolarizzati con breve Pontificio cioè Sacerdote Don Salvatore Cannilla e Sacerdote Don Francesco Burgio. Il prin10 mi dà qualche motivo di disgusto, il secondo, ouin10 di condotta, che esercita da Cappellano nella Parrocchia di S. Giorgio: non sanno nulla sulle vicende passate.
Riffor1nati, Scordia (S. Antonio di Padova) Alle analoghe inchieste tutti hanno risposto separate1nente che sono Religiosi Riffonnati di S. Francesco di Assi.si che il nu1nero dci Religiosi filiato in fonda-
536
Raffaele Manduca
zione sarebbe di nuincro 12 in atto ne esistono numero 8 e quindi varia la fa1niglia a discrizione del superiore. Buone le fabbriche del Convento e della Chiesa, e questa non ha cura di ani1ne; vi è l'osservanza regolare, vivono in comune ma non in perfetta co1nunità, è necessario al Paese perchè unico Convento. Detti Padri si prestano in aiuto dci fedeli colle Confessioni e colla predicazione, non vi sono abusi, non vi sono Apostati; tre sono i religiosi in virtù di breve secolarizzati quali vivono con esemplarità. Nulla sanno dire delle vicende passate.
Rifformati, Palagonia (S. Antonio di Padova) Sulle analoghe inchieste hanno risposto scparatan1entc, che sono religiosi Riffonnali elle hanno professato con voto solenne la Regola del Patriarca S. Francesco; che il fabbricato del Convento e quello della Chiesa è in mediocre stato, non vi ha cura di Anime. Il nu1nero della famiglia affiliala della fondazione è di nu1nero 12 frati, in atlo ne esistono nu1nero 7 e quindi varia la fa1niglia e discrizione del Superiore. Vi è l'osservanza regolare con alcuni abnsi introdotti, ai quali si sta occorrendo per la vigilanza e zelo del degno Provinciale. I Sacerdoti si prestano al servizio della Chiesa colle Confessioni e Predicazione, e quindi il Convento debba esistere perchè unico nel Paese ed aiuta il Clero Secolare; non vi è cura di Ani1ne non vi sono abusi di sorta, non apos!ati; uno solo si trova secolarizzato con breve Pontificio chian1ato Don Salvadorc Mazzei che si esercita a quaresirnalista.
Cappuccinii
Caltagirone
(S.
Maria
delfl()giditria)
Sull'analoghe inchieste hanno risposto essere Religiosi Cappuccini e che hanno professato la regola del Patriarca S. Francesco di Assisi colla Riffonna Capuccina e con voti solenni. Il frabbicato dcl Convcn!o che della Chiesa sono in ottimo stato, non hanno cura di anin1e. Hanno due Ospizi, uno nel Coinune di S. Michele e l'altro in quella di Niscemi. entra1nbi vicini alla Città di Caltagirone in ove sogliono di1norare i frati destinati alla questua. Il Convento è capace di potere ritenere nu1nero 40 Religiosi, attualinente esistono nu1nero 23 individui di famiglia e questa è varia a seconda vi corrispondano le Ele111osinc dei fedeli e a discrezione del Provinciale. Vi è l'osservanza regolare, vita con1une negli alti ordinarii; godono i Padri del beneficio delle ele1nosine di puoche Messe spontaneamente offerte dai fedeli non omettendosi quelle stabilite dalle Regole, e costu1nanze Religiosi. Godono i Religiosi di universale stin1a, non vi sono scandali ne abbusi di sorta, la Chiesa è frequentata ed assistita colle Confessioni di an1bi i sessi e colla Predicazione, coltivano la devozione di Maria Santissiina addolorata, in ove concorre una gran folla di Popolo, non vi sono abusi da parte del Superiore né tmnpoco dei sudditi, non vi sono apostati ne espulsi; tre soli religiosi sfratati si trovano in virtù di Breve apostolico ossia il Reverendo
La diocesi di Caltagirone
537
Sacerdote Don Salvatore Marcinnò, Sacerdote Don Carmelo Ragusa, Sacerdote Don Francesco Barbera, i quali godono buona opinione; nulla hanno risposto sulle vicende passate.
Cappuccini,
Mineo
(S.
Vito)
Sull'analoga domanda han risposto che il loro istituto è Cappuccino e vivono con voto solenne del Patriarca S. Francesco di Assisi; il Convento è capace di numero 28 Individui, la famiglia regolare è di nu1nero 20. In questo Convento vi è l'osservanza regolare e si osserva la vita comune 1na non perfetta, adempiono i Religiosi la loro obbligazione, godono la pubblica stima del Paese sono utili alla Comune, 1nentre la Chiesa è ben assistita colle Confessioni di numero 3 confessori approvati per ainbi sessi ed anco colla predicazione; si prestano anche in soccorso degli infermi. Il fabbricato del Convento che della chiesa sono di buono stato non vi è cura di Anime, non vi sono abusi di sorta non vi sono Apostati, né tampoco espulsi; due soli secolarizzati in virtù di Breve Pontificio, quali in oggi portano il notne di Sacerdote Don Mario Renda e Sacerdote Don Piero Castania i quali vivono da Sacerdoti edificanti. Nulla han saputo dire sulle vicende passate.
Cappuccini,
Militello (S. M. degli
An1malati)
Alle analoghe ditnande hanno risposto che il loro istituto è Cappuccino, e vivono con voto solenne del Patriarca S. Francesco di Assisi. Il Convento è capace di numero 20 individui, la fa1niglia regolare è di numero 12, in oggi però esistono nun1ero 14 e quindi la famiglia è variabile ad arbitrio del Superiore. Le fabriche del Convento sono in nlediocre stato quello della Chiesa è buono. Non vi è cura di anime. Vi è l'osservanza regolare, vita comune, ma non pe1fetta, ade1npiono i Religiosi la loro obbligazione, godono la pubblica opinione, sono utilissimi alla Popolazione, mentre la Chiesa (è) bene assistita tanto colle Confessioni che colla predicazione; si prestano anco in soccorso degli infermi essendo chiamati, non vi sono abusi di sorta, non vi sono apostati nè espulsi ma soltanto vi sono quattro Religiosi secolatizzati, cioè Sacerdote Don Salvatore Virgata, Sacerdote Don Mario Basso, Sacerdote Don Filippo Giglio e Sacerdote Don Giuseppe Montalto. I primi due non esercitano verun officio e sono di passabile condolta, il terzo in oggi trovasi Cappellano Curato in quella Madrice Chiesa, è di ottin1a condotta, l'ultimo da più tempo trovasi do1niciliato in Lentini per cui ignoro quale officio occupa perchè fuori mia Diocesi
538 -
Cappuccini,
Raffaele Manduca - - - - - - - -
Vizzini (S.ta Barbara)
Alle analoghe dimande hanno risposto tutti separatamente di essere Religiosi Cappuccini, e con voto solenne hanno giurato l'osservanza rigorosa dcll Regola; che la capacità del Convento ne potrebbe contenere numero 20 individui sebbene la capacità formale sarebbe di numero 12 solan1ente. Lo stato delle fabriche del Convento è mediocre quale ha bisogno di qualche ristoro. La fabbrica della Chiesa è ottima e non ha cura di Anime. Vi è l'osservanza regolare, la ritiratezza religiosa; vi è vita comune ma non Comunità perfetta e quindi godono di pubblica stima, non vi è religioso che dà motivo di scandalo. La Chiesa è servita ed officiata con decoro e religiosità. I Religiosi facoJtati alle Confessioni sono al numero di 7 quali si prestano indefessamente. Non vi sono giovani di Educazione. Non vi sono Apostati. Finalmente che stante la riservatezza come vivono i Religiosi non hanno da prestare notizia sugli avveni1nenti delle passate vicende.
Cappuccini, Ramacca (Addolorata poi Immacolata) Sull'analoga dimanda hanno tutti separatamente risposto che sono H_eligiosi dell'Ordine Capuccino, e che hanno professato con voti solenni la Regola del Patriarca S. Francesco. Il fabbricato di questo unico Convento del Paese è buono come lo è quello dcila Chiesa quale non ha cura di anitne; il numero dei Religiosi che può ricevere sarebbe di numero 12 soggetti al presente ve ne sono numero 6 di famiglia e questa sen1pre varia a discrezione del Superiore evi una mediocre osservanza, sono di som1nn10 aiuto i Religiosi a(J) ristretto nun1ero di clero colla predicazine e colle Confessioni, la Chiesa quindi è ottima(1nente) servita e tiene gran concorso; non vi è particolare Santuario, non abusi di sorta non vi sono apostati; nulla sanno dire delle vicende passate.
Cappuccini, Licodia (S. Maria degli Angeli) Alle analoghe din1ande hanno risposto essere Religiosi dell'Ordine Capuccino, quali hanno professato i soliti voti solenni. La capacità del Convento è comoda per nu1nero 23 Religiosi, sebbene in attualità ve ne siano numero 11 e quindi la famiglia è varia a seconda le assignazioni del superiore. li frabicato del Convento e della chiesa è buono, l'osservanza religiosa è soddisfacenle ed edificante. Disiinpegnano i Religiosi con edificazione alle obligazioni contnttte dalla loro professione, godono la pubblica stima, sono utilissimi al Popolo, mentre anuninistrano il Sacrmnento della penitenza per ambi i sessi nu1nero
L_a
~iocesi_di _CaJta!Jirorie_
539
3 Padri, predicano allo stesso la Divina parola al Popolo, non hanno Cura di Anime, assistono i moribondi, non vi sono apostati; vi esiste un solo Religioso secolarizzato e vi vive con edificazione. Nulla hanno saputo riferire sugli avvenimenti delle passate vicende.
Cappuccini,
Gra1nmichele
(Calvario)
Alle analoghe inchieste all'articolato hanno tutti separatamente risposto che la Regola che si professa con voti solenni è quella di S. Francesco di Assisi Capuccino. Il Convento è capace a contenere numero 10 Frati, sebbene in atto ve ne siano otto e quindi è variabile la famiglia a disposizione del Superiore. Vi è l'osservanza regolare con vita co1nune, il fabbricato della Chiesa e Convento è in ottimo stato pcrchè da recente fabbricato, vi è l'osservanza regolare. Il Convento è utilissimo agli abitanti, mentre quei Padri si prestano alle Confessioni ed alla predicazione con sommo zelo ed edificazione; non vi sono Apostati, v'è uno solo di recente secolarizzato per breve Pontificio; nulla hanno saputo dire delle vicende passate.
Slato del conventi e del religiosi della diocesi di Ca11aglorone Città 1 Calatagirone
"'
ordina
t11010 dal rel1g1oso
f1gl1olanza
nascita
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Padra
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Lwg1 Anton•o
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Dimnitore Perpetuo e Guardiano
Calatagirone
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Calatagirone
Calatagirone
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Padre
Maestro
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Fonti
Reggente e Presidente
Ca!amgirone
Calatagirone
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Padre
Maestro
Giambamsla
Scillama
Reggente d1 Teologia Doma11ca e Spendrtora
Calatagirone
Calatagi•ona
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Maestro
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Reggente Presidente e Depositano
Calatagirone
Mazzanno
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Padre
Maestro
Antonio
Palazzo
Reggente d1 Teologia Morale e Copista
Calatag,,one
Calatagiron~
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Padre
Giusspps
D1gregono
Diffinitore temporaneo e Procuratore
Calatagirone
Calatag1rone
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Padre
Francesoo Antonio
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CaMagirona
Cala1agirona
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Giuseppe Antonio
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Padre
Fra.,cesco
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Conventuali
nome
cognome
grado
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Calatagirone
ca1arag'1mne
Sacrista Maggiore
Calatagirone
Calatagirone
Scacco
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Calatagicone
Calatagiro"e
Sagone
Studente d1 Teo1og1a Morala
Caiatagirone
Calatagirone
Francesco
Auo:1na
Studente d• Teologia Morale
Piazza
Mazzarina
Padr'ò
Carmelo
BucCllri
Studente d1 Tao logia Mora!e
Piazza
M1neo
Padre
Angelo
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Studente d1 Teolog'1a Morale
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Giuseppa
lannizzo~o
Studenle di Teologia Dornat1ca
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LA FEDE COME PRINCIPIO EPISTEMICO IN JOHN HENRY NEWMAN
GIUSEPPE CRISTALDI'
Nel 1885 Newman scrive, per The Contemporary Review, un articolo in risposta all'accusa di scetticismo fattagli da A. M. Fairbairn 1 • Potrebbe sembrare che il contenuto dell'articolo non corrisponda, stranamente, al titolo che suona così: Revelation in its Relation to Faith. La maggior parte dell'articolo è infatti costituita da un'attenta e sottile, talora anche non priva di humour, disamina semantica del termine "ragione" (Reason). Ma la disanima è fatta in vista del rapporto che la ragione stringe con la fede, la quale si rapporta alla rivelazione. Lo scetticismo latente (underlying scepticism), che il Fairbairn distingueva peraltro, come scetticismo filosofico, dall'atteggiamento esistenziale, si risolveva, in fondo, secondo le stesse parole di lui, nell'affermare, soggettivamente, l'incapacità della ragione a scoprire la verità, e, oggettivamente, l'inaccessibilità della verità da parte della ragione. La difesa di Newman consiste allora nel ripresentare l'uso semantico che egli fa, nelle sue opere, del termine Reason, per rilevare come esso si accordi, in un rappmto dialettico, con il concetto di fede.
~ Dell'Università Cattolica di Milano. 1
Reve/ation in its Relation to Faith, in H. M.
DE ACHAVAL
and J. DEREK
HoLMES, The Theologica/ Papers of J.H. Newn1a11 on Faith and Certainty, Clarendon
Press, Oxford 1976, 140-157. L'articolo è costituito da diciotto paragrafi e venne pubblicato in The Conten1por(11y Review, ottobre 1885.
554
Giuseppe Cristaldi
Le osservazioni di Newman partono dalla rilevazione della plurisemanticità del termine Reason. Distingue anzitutto tra l'uso comune o diffuso e l'uso scientifico o rigoroso. Sia sul primo come sul secondo piano il significato preciso e univoco del termine emerge dal contesto. Per questo Newman, facendo richiamo alle sue varie opere, che si collocano in un ben determinato tempo storico-esistenziale, rileva come il termine Reason possa assumere diversi significati che, presi astrattamente, potrebbero apparire anche contraddittori. Così, ad esempio, negli University Sermons, si ha da cogliere il muoversi dialettico della prospettiva in cui il termine si colloca. Così nel IV sermone si parla di «usurpazioni della ragione», nel X di fede e ragione come di «due atteggiamenti opposti dello spirito», nell'XI della «natura della fede vista nel suo rapporto con la ragione», nel XIII si distingue tra «ragione implicita e ragione esp!icit:·»'. Newman si sofferma sul significato di Reason, da lui usato nell'Apologia, che è opera particolarmente rappresentativa, perché legala alla sua personale vicenda, intellettuale e spirituale. La prospettiva che della Reason Newman presenta è dinamica e non statica. «By the exercise of reason is properly meant any process or act of the mind» 3 «Its process is a passing from an antecedent to a consequent, and according as the start so is the issue»4. La ragione è facoltà in movimento: è passaggio rigoroso dall'antecedente al conseguente. La ragione è, perciò, "strumento" («it is a 1nere instru1nent, l(an inferential instrument"» ), 5 che si àncora ai "primi principi" oggetto della facoltà. noetica6 • Nel campo della religione, precisa Newman, se ci si lascia guidare dal senso morale e da un insegnamento che si basa non su semplici assunzioni formali, ma sulla certezza del "fatto", allora si
2 Cfr. NEWMAN, Opere, tr. it. a cura di A. Bosi, UTET, Torino 1988, 503-519; 596-615; 652-672. 3 Theological Papers, cit., 141. 4 lbid., 142. 5 /bid.,151. 6 Jbid., 153.
La fede come principio epistemico
555
giunge alla verità indiscutibile e c'è pace nello spirito'. Ma se ci si serve della ragione come di strumento di premesse assunte arbitrariamente in forza della pressione "mondana»" si può giungere alla irreligione e all'empietà. Denunciare questo rischio, che la ragione corre nel suo uso, non significa disistimare la ragione in se stessa e cadere nello scetticismo, come vorrebbe A. M. Fairbairn. Newman rivendica il diritto ad avere e a seguire la propria prospettiva nei riguardi della "ragione", precisando che il proprio modo di pensare è piuttosto logico, etico, pratico (oggi diremmo "esistenziale") che metafisico 8• Perciò dentro questa prospettiva e questa movenza di pensare vanno collocati e giudicati i suoi scritti. Le osservazioni di Newman si fanno, proprio per l'esprit de finesse, sottili. La mente (mind) è fatta per la verità e alla verità tende. Ma vi giunge, per intuizione, come facoltà noetica, logicamente rivolta ai primi principi, e poi, come facoltà razionale, attraverso la fatica del rigoroso procedere dall'antecedente al conseguente. Nel campo della religione, i primi principi non restano a livello logico-astratto, ma si caricano di densità e di valore morale. E qui entra in campo la scommessa della libertà', sia nel riconoscere e nell'accettare quei primi principi imperativi, sia nel giungere conseguentemente alle decisioni pratiche e operative. E' in questo campo della scommessa della libertà che si colloca la fede, la quale stringe rapporti "anomali" (cioè singolari e paradossali) con la ragione discorsiva. La contesta in ogni pretesa totalizzante, la richiede e la sollecita come strumento di intelligenza. Quando, nel testo, Newman fa riferimento a ciò che Aristotele ci ha insegnato a chiamare vovCJ in nota aggiunge che la bn0·n\µ11,
7 «In the province of religion, if it be under the happy guidance of the moral sense, and with teachings which are not only assumptions in form but certainties in fact, it will arrive al indisputable truth, and then the house is at peacc» (ibid., 142). 8 «My turn of mind has never led me towards 1netaphysics; rather it has becn logical, ethical, practical» (ihid., 151). 9 Nella prospettiva della Grann11atica dell'assenso, la fede, co1ne assenso reale, si muove nel campo della libertà, anche se razionalmente 1notivata dal «cumulo delle probabilità» (cfr. Gran11nar ofAssent, a cura di I.T. Ker, Clarendon Press, Oxford 1985, 263-316).
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Giuseppe Cristaldi
cioè la seconda facoltà secondo Aristotele, corrisponde, analogicamente, a ciò che egli chiama Reason 10 • Analogicamente, cioè con le sfumature dovute al diverso contesto del discorso. Se, allora, l'episteme si dispiega tutta nel movimento della ragione, si può parlare della fede come principio epistemico? Newman non tematizza tale interrogativo, ma nella sua ampia e insonne riflessione si possono individuare le premesse per la risposta ad esso. Bisogna però avvertire che il pensiero di Newman si svolge in maniera tensionale, "antinomica", si potrebbe dire, così che il considerare un solo "polo" del suo pensare, senza tenere insieme presente l'altro "polo" comporta il pericolo non solo del fraintendimento, ma addirittura della deformazione del suo pensiero. Il caso più eclatante è 'stato dato dal modernismo, che soffermandosi sugli aspetti di "soggettività" nella riflessione newmaniana, senza tenere nel debito conto la costante intenzionalità alla "verità oggettiva" che la pervade, ha preteso di fare di Newman un precursore del modernismo stesso".
1. La fede, principio epistemico "indiretto"
La presentazione più dispiegata di un sapere, con dignità scientifica, che proviene dalla fede si ha in Idea of University1 2 • Newman ri-
10
Theolog;ca/ Papers, cit., 153 e nota 1.
11 Cfr. J. H. Newman and Moder1dsm, a cura di A.H. Jenkins, (Newn1anStudien XIV), Glock und Lutz, Sigmaringendorf 1990; Newn1a11 and the Modernists, a
cura di M. Io Weaver, University Press of A1ncrica, Lanhatn, New York, London 1985 (con senso di humour la curatrice conclude così la prefazione: «l-lopeful lhat Newman smiles kindly both on this work and on that of his interpreters, the Modernists» ). 12 NEWMAN, The Idea of Un;versity, a cura di D. M. O' Connel, Loyola University Press, Chicago 1927. Alla struttura della teologia e ai rapporti della teologia con gli altri tipi di conoscenza sono dedicati i discorsi II, III, IV, pp. 36113. Cfr. D. HAMMOND, ln1agination and Hern1eneutical Theology: Ne11 1n1an's Contribution lo Theo/ogica/ Method, in The Dotvnside Review 106 (1988) 17-34. 1-Iainmond ritiene di individuare tre fasi, o mon1enti, del pensiero newmaniano sul metodo teologico. La prima è rappresentata da Idea of University, dove la teologia si configura con metodo deduttivo-inferenziale e, perciò, "nozionale". La seconda è espressa dalla Gra111n1ar of Assent, nella quale l'i1nplicito metodo teologico ha la n1ovenza feno1ncnologico-ermeneutica. La terza, infine, consegnala nella prefazione del 1877 alla Via Media, prospetta il ruolo del1a teologia all'interno della vita della
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vendica per la teologia un posto tra le discipline universitarie, giacché la teologia è un sapere organizzato con rigore deduttivo e l'Università è il "luogo" istituzionale della diffusione del sapere. Il discorso di Newman è, nella tersa prosa, sfumato e sottile. Egli parla sia di teologia naturale (o razionale) che di teologia rivelata. Sembra non rifarsi al "principio" dell'una o dell'altra, ma soltanto al loro costituirsi noetico o noematico, cioè ai contenuti intellettuali, prescindendo dal loro principio genetico. Si potrebbe qui vedere una specie di epoché, del tipo husserliano, nei riguardi del principio, per rilevare la "forma epistemica", che la teologia di fatto assume. Appare cioè che, sia nella teologia naturale che nella teologia rivelata, la forma epistemica è di carattere razionale. La razionalità sta nel rigore deduttivo. Ci sarebbe perciò tra teologia naturale e teologia rivelata una continuità formale, proprio nella forma epistemica. Ne consegue che anche della teologia rivelata il principio epistemico è la ragione, e non la fede. C'è però tra teologia naturale e teologia rivelata una "discontinuità assiologica", che proviene dal principio genetico. La teologia naturale nasce dalla ragione, in essa quindi principio epistemico e principio genetico si identificano. Mentre la teologia rivelata nasce dalla fede come risposta alla rivelazione divina, anche se poi si costruisce come episteme, in forza della razionalità deduttiva. Nella teologia rivelata, quindi, principio genetico e principio epistemico si diversificano. E proviene da ciò la tensione caratteristica e, si potrebbe dire, l'antinomia della teologia rivelata, la quale nasce da un principio assiologicamente diverso dalla ragione, ma si costruisce scientificamente con il principio della ragione. Si configura così il paradosso di una scienza, il cui p1incipio epistemico è costituzionalmente diverso dal principio genetico. Questa costitutiva convivenza di due principi crea la tensione o il "dramma", come lo chiama M. Nédoncelle in riferimento agli University Sermons 13 , dei rapporti tra ragione e fede. Dramma che può diChiesa. Nella seconda e nella terza fase si tratta non più di teologia "nozionale", ma di teologia "reale". 13 Sern1ons universitaires (Textes Newn1aniens l), tr. fr., Introdution et commentaire de M. Nédoncelle, Dcscléc de Brouwer, Paris 1955.
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venire conflitto, qualora non si plachi in una tensione, riconosciuta valida e razionalmente accettata. Ma il subentrare della fede alla ragione come principio genetico conferisce alla stessa struttura epistemica una nuova intenzionalità radicale. Mentre l'intenzionalità della ragione si commisura soltanto a ciò che la ragione può a sé adeguare, l'intenzionalità della fede si commisura con la libera e sorprendente irruzione di Dio nella storia. Si dà, allora, una episteme, che nella sua forma strutturale è razionale, come rigore deduttivo, ma che nasce non da una struttura - quella razionale, appunto - ma da un "evento": la fede come risposta all'"evento" della rivelazione storica, e alla trama degli "eventi" della storia della salvezza radicalmente si intenziona. In questo senso, allora, nel senso di una nuova radicale intenzionalità, la fede come principio genetico si fa anche principio epistemico, che per un verso chiede la mediazione del principio epistemico razionale, ma che per l'altro verso lo "informa" e, in un certo senso, lo sovverte, intenzionandolo oltre l'orizzonte e i confini della pura razionalità. In questo senso, indiretto e intenzionante, la fede può dirsi principio epistemico.
2. La fede, "oggetto" di episteme
Nella prospettiva della Grammar of Assent non sta in primo piano il processo deduttivo, ma l'intuizione e, in particolare, quella intuizione, ad un tempo semplice e complessa, che è !'illative sense e che potrebbe essere definita come intuizione in movimento inferenziale. L'assenso di fede è "logico": questo è lo scopo della Grammar: mostrare la correttezza logica dell'atto di fede. Giustamente perciò si è
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parlato di quest'opera come di «una fenomenologia dell'atto di fede» 14 • Lo spartiacque dell'opera è costituito dalla distinzione tra conoscenza nozionale e conoscenza reale e, conseguentemente) tra assenso nozionale e assenso reale. Nella conoscenza nozionale è impegnata la correttezza del processo deduttivo, ma nella conoscenza reale è coinvolto tutto l'uomo". L'intuizione o apprensione del reale impegna l'uomo, lo scommette. Tra l'assenso nozionale e l'assenso reale c'è uno scarto: quello della scommessa della libertà. La fede è scommessa della libertà, ma non è irragionevole, assurda, cieca. La sua corretteza logica non sta nell'inferenza deduttiva, ma in quella dell'i/lative sense, che dai principi giunge alle conclusioni, non attraverso mediazioni dimostrative, ma in forza dell'intuizione che scorge l'implicito, vi enuclea l'essenziale, ne coglie il valore 16 • L'assenso di fede si configura con la sua propria fisionomia di libera risposta alla libera iniziativa di Dio, ma si salda, nella trama dell'esistenza, con tutti quegli assensi che rendono possibile e umano il vivere di ogni giorno, come l'assenso alla vita, all'amore, all'amicizia, alla ricerca scientifica e così via. Non si danno dimostrazioni cogenti, di tipo matematico o fisico, ma si dà quel "cumulo" di probabilità, che rende l'assenso ragionevole, anche se non apoditticon Ed è proprio nella sfera di tale umana non-apoditticità che si gioca il ruolo e la scommessa della libertà.
14 Cfr. L. KULD, Lerntheorie des Glaubens. RefigiOses Lehren und Lernen nach 111. Newmans. Phii110111eno!ogie des Glaubensakts, (Newman-Studien XIII), Glock
und Lutz, Sigmaringendorf 1989. 15 «I had a greal dislike of paper logie. For 1nyself, it was not logie that carried me on; as well mighl one say thal quicksilver in the baro1neter changes tbc weathcr. It si thc concrete being that reasons; pass a nutnber of years, and I find my mind in a new place; how? The whole inan 1noves; paper logie is but the record of it. All the logie in the world would not havc made 1ne move faster towards Rome than I did [ ... ] Great acts take time>; (Apologia, Oxford University Press, London 1964,
174-176). 16
Cfr. Gran1111ar of Assent, cit., 222-247. «I atn supsicious thcn of scientific de1nonstrations in a question of concrete fact, in a discussion between fallible men. Howcver, Jet thosc demonstratc who bave the gift; 'unusquisque in suo sensu abundat'. For me, it is more congenial to my own judgment to attempt to prove Christianity in the same infonnal way in which I can 17
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La prospettiva del metodo teologico, implicito nella Grammar of Assent, sembra essere quella fenomenologico-ermeneutica. Rilevazione del "dato" nella sua "reale" oggettività e sua interpretazione nell'impegno donativo dell'uomo. Anche qui sembra possibile un riscontro con la lezione fenomenologica". La catarsi dell'epoché, anche nei riguardi della stessa fede nelle sue espressioni culturali e storiche, non equivale al deserto che cresce - di nicciana memoria - fino alle sponde del nulla, ma è lo scabro e tuttavia proficuo lavoro di messa tra parentesi, per far emergere l'originario che è l'autentico. La fede emerge così nella sua radicale nudità di assenso al "dato" che si "dona" - Gei;eben come Gahe -, sia nell'interiorità della coscienza sia nell'orizzonte della storia. E se il "dato" non è "qualcosa" ma "Qualcuno'', se è Dio che parla nel segreto della coscienza e nel divenire della storia, allora l'assenso reale si traduce in canto di lode e in tripudio di preghiera. Così anche il Credo atanasiano si può scandire in preghiera, come il Te Deum /audamus o il Veni Creator Spiritus 19 • In questa prospettiva, la fede, più che come principio epistemico, è vista come oggetto di episteme: episteme che si può chiamare fenomenologica. Si tratta non già della fides quae, come contenuto proposizionale-noematico, ma della fides qua, come atto esistenziale,
prove for certain thai I havc been born into thes world, and thal 1 shall dei out of it. It is pleasant to my own feelings lo follow a theological writer, such as A1nort, who has dedicated to the great Pope, Benedict XIV, what he calls 'a new, 1nodcst, and easy way of den1onstrafing the Catholic Religion'. In bis work he adopts the argument merely of lhe greater prohality; I prefer to rely on that of an accunnllation of various probabilities; but we both hold (that of an acct11nu/ation of various probalities; but wc both hold (that is, I hold with him), that froin probabilities we 1nay construct legititnate proof, sufficient for certitude» (Gran1n1ar l~j" Assent, cit., 264-265). 18 Mi permetto di riinandare al 1nio saggio: Note per una fenon1enologia della fede, in AA. Vv ., La filosofia conten1poranea di fronte al/'e.171erienza rehgJosa (Istituto A. Banfi), Pratiche Editrice, Parma 1988, 79-97. 19 «Consider the breviary offices for Pentecost and its Octave, the grandest, perhaps in the whole year; are they created out of 1nere abstractions and infcrences, or what are sometimes called metaphysical distinctions, or has not the categorial propositions of St. Athanasius, 'Tbc Holy Ghost is God', such a piace in the imagination and thc heart, as suffices lo give birth to thc noble Hy1nns, Veni Creator, and Veni Sancte Spiritus?» (Gramn1ar of Assent, cit., 94).
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come assenso che coinvolge tutto l'uomo. L'episteme fenomenologica rileva la coffettezza logica (grammaticale) di questo assenso; ne rileva pure la solidarietà e la consonanza con gli assensi che intessono la trama dell'esistenza; ne rileva pure l'intenzionalità al mistero come rivelazione di Dio. La fenomenologia è episteme umile, che si ferma alla rilevazione dell'assenso di fede; ma con ciò consente che la fede si presenti come nuovo principio epistemico, che introduce nella "economia" di Dio. E se questa economia ha il suo punto più intensivo, e perciò culminante, nell'incarnazione del Verbo, nel Ciisto Gesù, Verbo di Dio fatto uomo, l'assenso di fede assume allora l'esaltante dimensione di assenso di persona a persona, dell'uomo cioè nella sua intensità di essere personale alla Persona di Gesù, resosi, con l'incarnazione, solidale con ogni uomo 20 . Scaturisce così la nuova episteme dell'amore, che nell'esperienza mistica trova i suoi ultimativi bagliori.
3. La fede, "nuovo" principio epistemico
Nella prefazione del 1877 alla terza edizione della Via Media 21 , la prospettiva si allarga nel senso della coralità della Chiesa. La fede germina nel grembo della Chiesa e dentro il suo respiro materno si sviluppa. La Chiesa, come depositaria della verità che salva, svolge, dentrff il travaglio e le durezze della storia, un triplice ufficio: profetico, sacerdotale o cultuale, regale o di governo. La fede trova il suo luogo di nascita e la sua garanzia nell'ufficio profetico della Chiesa. Ma questo ufficio si salda con quello sacerdotale e con quello regale, nella circolarità dell'economia della salvezza. La fede, perciò, si configura come principio della nuova episteme, non tanto nell'individualità del singolo teologo, quanto nella
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Cfr. F. MORRONE, Cristo, il Figlio di Dio fatto uon10. L'Incarnazione del Verbo nel pensiero cristologico di J. H. Newn1an, Jaca Book, Milano 1990. 21 The Via Media ofthe Ang/ican Church, a cura di H.D. Wcid1ner, Clarendon Press, Oxford 1990.
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viva ricchezza della tradizione, che si collega alle origini apostoliche, e quindi a Cristo Gesù, e si riesprime nei secoli, con la garanzia di un magistero qualificato e autoritativo"- Tale magistero si configura già come "probabilità antecedente" 23 , prima ancora dell'esame storico. Nella vita della Chiesa, mentre la fede come principio genetico, assume la garanzia e il sostegno dello Spirito Santo, che anima e assiste la Chiesa, la ragione, che è il principio epistemico della riflessione teologica, riceve il sostegno di un pensare storico, che si svolge nel ternpo con varie inovenze e converge in una viva tradizione, che ha due versanti: quello garantito perché l'espressione della fede non declini nell'enore e sia autenticamente rispondente alla Parola della rivelazione; e quello non garantito, affidalo all'impegno e all'acribia della ricerca e della riflessione dell'uomo. f due versanti, pur nello scarto assiologico, non sono separati e incon1unicanti. La tradizione garantita ani1na le tradizioni non garantite, a sé le intenziona e, intenzionandole a sé, le vaglia, le discerne, le assume o le respinge. In questo crogiolo storico, la fede si fa, in quanto principio di discernimento, anche principio epistemico, poiché sollecita e, in certa guisa, assume la ragione perché essa, la fede, sia pensala e si esprima nella riflessione e nella elaborazione teologica. In questo crogiolo storico si configura pure il ruolo dei laici, come tcsti1noni della fede dcnlro le concrete situazioni storiche 24 . Nel suo vario e articolato dinamismo, sia a livello storico che a livello esistenziale, il principio epistemico della fede s'incontra, s'intreccia e si confronta con i vari principi epistemici delle diverse zone del sapere umano, dalle scienze naturali a quelle psicologiche, storiche, socia! i. L'assenso che la fede richiede non va confuso con l'assenso alle varie dottrine, che cercano di giustif'icare e di spiegare la fede. Il
22 Cfr . .I. STERN, Bib!e et Tradition chez NetFn1a11. Aux origines de la théorie du déve!oppen1enl, Aubicr, Lyon 1967. 23 NEWMAN, Lo Sl'i/uppo della dot1ri11a cristiana, trad. it. con intr. di A. Prandi, Il Mulino, Bologna 1967, 84-108. 21 ' Io., On Consu!ting the Faithjìlf in A1a!lers r~f' Doctrine (cd. J. Coulson), Collins, Glasgow l 961.
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primo assenso, quello della fede, si basa sulle ragioni "oggettive" della rivelazione, cioè sul fatto che Dio ha parlato e si è dato agli uomini nell'economia dell'incarnazione; il secondo si basa sulle ragioni delle dottrine, in quanto queste sono percepite dal soggetto. Il primo assenso, quello della fede, si salda, per la sua radicale intenzionalità, con la stessa episteme di Dio che si rivela; il secondo si riferisce a quella episteme elaborata dagli uomini, che si può chiamare "secondaria", in quanto subalterna alla prima, alla quale peraltro dice costante riferimento. Ora la fede, con la sua intrinseca referenzialità al mistero di Dio che si 1ivela, fa sì che anche l'episteme secondaria esprima radicalmente, pur dentro le varie movenze e financo dentro prospettazioni errate, l'intenzionalità al dato di fede. Si richiederà la pazienza e la fatica del tempo storico perché dal groviglio delle dottrine e delle interpretazioni umane il dato di fede, cui l'episteme ispirata dalla fede ha fatto costante riferimento di intenzionalità, e1nerga e si chiarifichi in chiara connotazione semantica, come il caso di Nicea, studiato da Newman25 , aveva dimostrato. In questo caso è stata la conoscenza "reale", fatta di vita di fede, a suscitare e a soffeggere la conoscenza "nozionale", perché questa, precisata e chiarita, potesse essere di supporto ad una più approfondita conoscenza "reale". E in questa circolarità tra "nozionale" e "reale", l'episten1e della fede, genitivo soggettivo e genitivo oggettivo, cresce, come alimento di intelligenza e come impegno di carità.
25
ID., Gli Ariani del quarto secolo, trad. it., Jaca Book, Milano 1981.
MARIO E LUIGI STURZO DUE VITE COMPLEMENTARI PER LA RINASCITA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN SICILIA CONFRONTO FRA LA PRIMA LETTERA PASTORALE DEL VESCOVO (I903) E IL DISCORSO DI CALTAGIRONE DI DON LUIGI (1905)
SALVA1DRELA1DRA'
Proseguendo nella nostra tesi interpretativa, che il pensiero e l'opera dei due fratelli Sturzo si integrano, si completano e si illuminano a vicenda, presentiamo due scritti paralleli su uno dei periodi più interessanti della storia del movimento cattolico, che riguardano gli anni del passaggio dal pontificato di Leone XIII a quello di Pio X'. Due scritti contemporanei nel senso che esaminano entrambi un arco di tempo in cui emergono gli stessi nodi storici riguardanti la Chiesa e il movimento cattolico. Don Luigi nel discorso di Caltagirone esamina i problemi della vita nazionale dei cattolici italiani prendendo in considerazione un periodo decisivo di otto anni, dal 1897 al 1904 e sviluppando, sulla base della precedente esperienza, le sue considera-
~ Docente di Filosofia 1·s. LATORA, Mario
nei Licei. e Luigi Sturzo. Per una rinascita culturale del Cattolicesimo, Greco Editore, Catania 1991. Prilna Lettera Pastorale di S.E. Rina Mons. Mario Sturzo, Tipografia Giustiniani, Caltagirone· 1903. Tutte le citazioni sono tratte da questa edizione che riportiamo integralmente in appendice. Il testo del discorso di Caltagirone di Luigi Sturzo, da noi allegato in appendice, si trova in La Croce di Costantino, a cura di G. De Rosa, Ed. di Storia e Letteratura, Rotna 1958, 233~260; le pagine da noi indicate sono quelle dell'antologia, a cura di G. Campanini e N. Antonetti, Lu;g; Sturzo. Il pensiero polith'o, Città Nuova, Roma 1979.
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zioni critiche; considerazioni che poi lo porteranno con lungimiranza alla scelta della fondazione di un partito cattolico popolare e aconfessionale. Mario, nominato vescovo di Piazza Armerina il 22 giugno del 1903, e poi consacrato il 19 luglio dello 'stesso anno, succedendo a mons. Mariano Palermo', in questa prima lettera pastorale, rivolta al clero e ai fedeli della sua diocesi, trasfonde nel piano pastorale le sue idee e la sua esperienza precedente di vescovo sociale. Infatti, tutto un arco di tempo della vita di Mario Sturzo è dedicata all'impegno sociale per lo sviluppo del movimento cattolico in Sicilia; ne abbiamo un'ulteriore conferma dai romanzi come li figlio dello zuavo, Adelaide e il più interessante di tutti, Rivali, che egli andava pubblicando a puntate su La Croce di Costantino, il periodico fondato da Luigi Sturzo ma di cui fu redattore il fratello Mario, dal 1897 fino alla nomina a vescovo, 1903, e che costituirono uno strumento educativo popolare di diffusione delle idee del cattolicesimo sociale e democratico3. Una prima osservazione di carattere generale: già dalla semplice lettura dei due documenti emerge evidente, anche nell'uso del linguaggio, come i due fratelli abbiano assimilato non solo i contenuti, ma soprattutto lo spirito innovativo della Rerum Novarum. Con questa lettura parallela cercheremo di individuare la concezione teologicoecclesiale e pastorale del vescovo Mario Sturzo; e la linea di interpretazione stmico-sociale e politica del fratello Luigi: sarà evidente allora con1e la prima linea operativa mirerà verso Ia seconda, e come quest'ultima abbia a fondamento implicito la prima; l'una e l'altra, quindi, si integrano in un piano globale di rinascita cattolica. Quale, dunque, la concezione ecclesiologica e quale il progetto pastorale che emergono dalla prima lettera del vescovo? E quali le
2 L. VILLARI, Storia della città di Piazza Annerina. L'antica Ibla Erea, La Tribuna, Piacenza 1981, 512. 3 Presso l'università di Catania, Grazia Spadaro ha svolto la sua tesi di laurea su I rornanzi sociali d; Mario Sturzo: Il figlio dello Zuavo, Adelaide, Rivah, che l'A. andò pubblicando a puntale su La Croce di Costant;no dal 1897 al 1903. Relatore il prof. Roberto Osculati. Questa tesi, ancora inedita, è una confenna ulteriore di quanto andiamo sostenendo.
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basi teologiche e cristologiche che sorreggono e giustificano l'impegno sociale del popolo di Dio come conseguenza di una lettura evangelica che il momento storico più propriamente richiede? Il vescovo, fin dall'esordio, pone l'accento su due problemi essenziali: la questione sociale, che caratterizza ormai i tempi moderni per «l'acuirsi quotidiano della lotta tra ricchi e poveri, e il non tener conto più dei richiami della coscienza o degli impulsi della grazia» 4 • Ora ciò impone alla Chiesa e quindi ai cattolici una «restaurazione speciale». Ma gli animi dei cattolici, ecco il secondo problema, sono scissi e quindi il vescovo, ispirandosi alla Graves de Communi, chiede con pari insistenza «l'unità di intenti e la concordia di volontà d'azione»' e poi aggiunge esplicitamente che «questa forma di riedificazione del bene, che sarà il programma del nostro pastorale ministero, all'attuazione del quale vi vogliamo coadiutori, significhiamo col nome di democrazia cristiana» 6 . Per evitare ogni equivoco egli riporta del concetto di democrazia la spiegazione che ne dà il Toniolo: «Il concetto essenziale e più ampio di democrazia è pur sempre quello di una cospirazione di forze sociali, giuridiche ed economiche particolannente rivolte a proteggere, rispettare, elevare il popolo. Alt1i concetti accidentali e più ristretti, per es. quello politico, ne sono una semplice conseguenza razionale e storica» 7 • Tale concetto essenziale di "de1nocrazia" va integrato dall'aggiunta di "cristiana". «Teoreticainente adunque la denzocrazia cristiana è una deduzione logica di più dei principi cristiani di giustizia e carità, praticamente è
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Priina Le Itera Pastorale, cit., 4. I contrasti e le polemiche che in questo periodo affliggono il mondo cattolico nascono tra i den1ocratico-cristiani o giovani cattolici intransigenti dell'ala sociale, tra cui emergono Meda e Murri, e i seguaci dcl Paganuzzi. Jl papa Leone Xlll, nel tentativo di appianarli, interviene con l'enciclica Graves de Co1111nuni ( l 8 gennaio 190 l ), con cui approva la definizione di "de1nocrazia cristiana", ina sottolinea che l'opera dei cattolici deve essere rivolta solamente ad una «benefica azione cristiana a favore del popolo», negando, per il n101nento, ogni i1npegno propriamente politico. Esorta tutti però, come dice l'espressione ripresa dal vescovo, all'unità. Cfr. A. CANAVERO, I callolici nella società italiana dalla n1erà de/1'800 al Concilio Vaticano II, La Scuola, Brescia 1991, 11 lss. 6 Pri111a Lettera Pastorale, cil., 5. 7 lbid., 22-23. 5
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una estensione di più dei benefizii della civiltà cristiana alle classi inferiori»' essa allora, secondo il vescovo, non è altro che !'attuazione sociale del cristianesimo. Su questi principi imposta il suo piano pastorale, per la nuova diocesi di cui ha avuto il governo, secondo il quale vuole parroci e sacerdoti non dediti soltanto a dir messa, a celebrare battesin1i e matrimoni, a so1nn1inistrare estreme unzioni, ma li vuole insieme con i laici impegnati per l'attuazione sociale del cristianesimo. «Uscite di sacrestia!», ripete il vescovo Sturzo con Leone XIII, per risanare l'ambiente e creare quelle condizioni di necessaria sintesi fra giustizia e carità; esorta quindi tutti i suoi fedeli a muoversi fondando associazioni all'ombra della croce per farsi apostoli della restaurazione sociale in Gesù Cristo. E cita a conferma una testimonianza strettamente personale: «Era il 30 giugno, e noi stavamo ai piedi del gran Pontefice della Rerum Novarum. Egli ci parlava del popolo siciliano e ci inculcava il tirarlo a noi, prima che ce lo avessero rubato i socialisti. Allora noi osammo esprimere al S.P. tutto il nostro pensiero e dire con1e l'opera dei democratici cristiani non sortisce tutto l'effetto perché alcuni tra i vecchi del laicato e del clero tuttavia credono che la nostra democrazia cristiana non sia quella del Papa ... Fratelli dilettissimi ci commoviamo a ripensarci: il Santo Padre, che sino a quel punto era apparso stanco, esausto, più un cadavere che un uomo, si animò si fece di fuoco in viso, mentre gli occhi gli sfavillavano di arcana luce "Sì, sì, ditelo, monsignore, ditelo" esclamò con forza; "è il Papa che lo vuole; ditelo, ditelo [ ... ]".E' il Papa che lo vuole, e lo vuole perché è l'opera di Dio, e perciò è anche il vostro vescovo che lo vuole» 9 • Cita poi un'altra confe1ma da parte del papa Le-
g lbid., 23. 9 Ibid., 30. Mario Sturzo fu nominalo vescovo di Piazza Annerina, l'ultimo vescovo creato dal grande Leone XIII, -il 22 giugno dcl 1903 e fu consacrato insien1e con mons. Ferdinando Fiandaca, vescovo di Nicosia, dal cardinale, successore di Dusmet, Francica Nava (1895-1928) nella cattedrale di Catania, il 19 luglio 1903 Leone XIII morì il giorno dopo, con1e dicono le cronache, al vespro del 20 luglio 1903. Bollettino Ecclesiastico della Archidiocesi di Catania, 19 luglio 1903, nn. 1415. Vi si trova una cronaca della cerimonia e un profilo di n1ons. Mario Sturzo. In Me1noria di Mons. Mario Sturzo, Tipografia Pontificia, Palermo 1942, XX. Cfr. Elogio funebre di Mons. G. Jacono, 10-14. G. FEDERICO, li Vescovo Sturzo. Saggio sull'opera e il pensiero, Piazza Armerina 1960,3.
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one X, ma siamo ancora all'inizio del suo pontificato"' e il vescovo non può ancora cogliere il nuovo indirizzo, pur nella continuità, impresso alla storia del movimento cattolico con l'abolizione dell'Opera dei congressi (1904) e con l'enciclica li Fermo Proposito (I I giugno 1905), come poi sarà più agevole al fratello Luigi nel discorso due anni dopo. Questo è l'aspetto storico ed operativo della lettera, ma le idee fondanti che vi stanno alla base sono teologiche, cristologiche ed ecclesiologiche, da cui come conseguenza si ricava quel piano pastorale. Anzitutto, l'antropologia che la sottende è quella realistica del cristianesimo, la quale tiene conto del negativo dell'uomo, dell'uomo peccatore. La storia dell'umanità mostra una tendenza naturale, secondo Sturzo, che si può chiamare legge di corruzione o egoismo che tende a subordinare il bene comune al libito dell'individuo. Allora, per restaurare l'umana società, bisogna invocare una legge più forte dell'egoismo, la sola giustizia non basta. «Le teorie liberiste prima e le egualitarie dopo, che immaginano l'uomo per sé buono ed integro, e che attribuiscono alle leggi umane (le naturali le negano) la depravazione di quello, e che per tornarlo alla prima bontà e innocenza non trovano mezzo che o rallentare il freno delle leggi o togliere via ogni legge [ ... ] sono una prova di più che con la giustizia altra legge bisogna invocare perché si giunga al vero benessere sociale» 11 • Il soprannaturale che integra e non annulla il naturale: è la proposta di Cristo restauratore, che rende l'uomo capace dell'infinito; con la fede infatti si accrescono le forze dell'intelletto, con la carità si integra la volontà e l'operosità umana, e con la speranza si rende possibile una felicità piena nella vita futura. Ma l'intervento della grazia e del soprannaturale lascia l'uomo libero di non accettare: ecco l'impegno e il rischio che esigono responsabilità. «Qui comincia l'opera dell'uomo, ma subito aggiungiamo che anche qui comincia l'opera d'una nuova società, la Chiesa. Come appena creato l'uomo in lui e per lui nasce la
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Prima Lettera Pastorale di S.E. Rma. Mons. Mario Sturzo, cit., 30-3 l. fbid., 8.
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società naturale, senza la quale l'individuo non raggiungerebbe il suo fine prossi1no; così rigenerato l'uomo, nasce la società spirituale, senza la quale neanche raggiungerebbe il suo fine ultimo» 12 • Qui troviamo sviluppati pensieri in linea con una lunga tradizione che considera paradossale l'esistenza del cristiano, come conseguenza della duplicità della sua appartenenza, secondo ad es. l'antica e insuperata testimonianza della Lettera a Diogneto, teorizzata con profondità da S. Agostino. Per Mario Sturzo, dunque, come c'è una società naturale che ha per fine il benessere temporale degli uomini che deve essere reso possibile dallo Stato; così c'è una società spirituale attuata dalla Chiesa, che ha per fine la felicità eterna, estesa a tutti gli uomini, e che ha per territorio il mondo. Il fratello Luigi, in linea con questa teologia della storia, teorizzerà il concetto di "diarchia". Osserva ancora che, «come la natura non è aliena daHa grazia, ma è il subietto su cui la grazia opera; allo stesso modo e per le stesse ragioni le due società sono per lor natura tra loro coordinate e l'una subordinata all'altra nei rapporti del fine ultimo [ ... ]. e perciò la Chiesa direttamente ha missione religiosa e spirituale ed indirettamente o meglio per connessione ha una missione sociale. La cosa che più ripugna all'essenza del cristianesimo è la società fine a se stessa e gli individui subordinati a tal fine, l'uomo per la società e non la società per l'uomo [ ... ]. Ogni individuo nell'ideale cristiano è come se fosse un intero mondo, ed ha il diritto di riguardare come avvenuta solamente per sé la restaurazione dell'umanità» 0 Su questi stessi principi il fratello Luigi imposterà la sua battaglia contro l'eresia statalista. Come ieri il liberalismo alienò da noi le classi abbienti, così oggi il socialismo aliena da noi il popolo; il rimedio per il vescovo è l'impegno nella democrazia cristiana che ci aiuterebbe a risolvere la questione sociale. Dopo questo discorso tutto rivolto all'impegno sociale dei cristiani, il vescovo, citando ancora la Graves de C ommuni, rileva che la
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lbid., 13. Ihid., 17.
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questioue sociale non è soltanto economica, ma è principalmente morale e religiosa e quindi la restaurazione di Gesù Cristo è essenzialmente di carattere soprannaturale. E' una contraddizione che nel mondo cattolico perdura fin dalla politica ecclesiale di Pio IX, e che non si risolverà se non sciogliendo l'equivoco, che la profonda intuizione politica del fratello Luigi chiamerà ibridismo, e adottando il criterio della distinzione fra ciò che riguarda la sfera del fine ultimo e ciò che invece riguarda la sfera temporale; ma distinguere per unire, che sarà espressione maritainiana, di origine tomista e quindi sturziana 14 • Luigi, nel suo discorso preciserà, cosa che è sfuggita o trascurata dal fratello, il senso storico-politico della Graves de Communi, che è quello di marcia indietro o restrittivo rispetto alle ampie e universali vedute della Rerum Novarum. I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani: si tratta del testo del discorso che Luigi Sturzo pronunziò a Caltagirone il 24 dicembre del 1905, presso il locale circolo dei democratici cristiani, in cui presenta il suo progetto per la costituzione di un partito nazionale di cattolici. Ci vonanno ancora 14 anni per la sua effettiva fondazione, ma già le linee portanti sono ben delineate; il testo fu pubblicato più volte su riviste e volumi, ma non ottenne 1'in1primatur 15 .
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Cfr. il saggio di F. TRA NIELLO, Don Sturzo, n1odello nuovo di intellettuale cattolico, in AA. Vv., Luigi Sturzo e la democrazia europea, a cura di G. De Rosa, Laterza, Bari 1990, 443-448. Il Traniello individua un criterio di lettura dell'opera politica di L. Sturzo nella "distinzione" e dice bene, 1na è una 1nezza verità, perché ogni distinzione richiama la sintesi, e per Luigi richiama il "Neosintetismo" del fratello, che ebbe su di lui un profondo influsso dialellico. 15 «A proposito del Discorso di Caltagirone, Luigi Sturzo ricorda che esso fu pubblicato nella Cultura sociale murriana, che lo stesso Muiri volle poi che fosse incluso nel voluine dei saggi sturziani Sù1tesi sociali. Dì tutti gli articoli raccolti in questo volume Sturzo ebbe l'in1prù11atur da Alberto Lepidi, Ministro dei Sacri Palazzi, eccetto per il discorso di Caltagirone. Quando parlò con il Lepidi, Sturzo fece presente che in quel suo discorso non v'era nulla di offensivo per la religione e di iinmorale. Ma il Lepidi: 'D'accordo, è vero. Ma come posso mettere l'hnprhnatur sotto uno scritto nel quale si parla di fondare un partito di cattolici? Non sen1brerebbe che una tale idea fosse nata e approvata sotto il Cupolone?'». G. DE ROSA, Sturzo mi disse, Morcelliana, Brescia 1982,33. La raccolta Sintesi sociali, Società C. di Cultura, Roma 1906, portava l'introduzione di R. Murri, il quale tra l'altro scriveva: «Di uoinini sitnili pochi ne ha il paese, pochissimi ne ha avuti la Democrazia cristiana; ed
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Esso consta di tre parti più l'aggiunta di una nota. I-La prima contiene una analisi storica dettagliata del movimento cattolico dal 1897/98 al 1905. II- Nella seconda Sturzo cerca di rispondere alla domanda : «E' possibile che la potenzialità dei Cattolici si svolga in Italia nella guisa di un partito nazionale». Preliminarmente esamina le due pregiudiziali. III-Nella terza traccia le linee programmatiche del nuovo partito. Vogliamo esaminare il discorso di Caltagirone in parallelo con la I lettera pastorale del fratello vescovo, perché i due documenti, come abbiamo detto, si illuminano <\ vicenda. Il discorso di Luigi è quello di un grande politico; egli stesso lo considerò come il migliore di tutti i suoi scritti, il cui programma egli seguì per tutti i 14 anni che poi lo portarono alla creazione del Ppi, come confidò a De Rosa 16 • Parte da considerazioni storiche, ma i fondamenti teologici ed ecclesiologici sono gli stessi di quelli del fratello Mario; solo che qui essi sono presupposti impliciti, perché l'angolo visuale da cui si indagano i fatti è storico-politico. Un arco di tempo di otto anni dal 1897/98 al 1905 sembra breve ma è come se fosse mezzo secolo, tanti sono gli avvenimenti decisivi che in esso si sono verificati. «Quaudo in Italia l'enciclica Rerum Novarum cominciò a penetrare nella coscienza dei cattolici, e non fu subito, e a destare un nuovo fermeuto di vita, la è bene che uno di essi, la bontà delle cui idee e della cui azione è garantita dai grandi risultati raggiunti, ci dia un saggio direlto del suo animo». Nel volun1e dell'Opera omnia, pubblicata dalla Zanichelli, l'introduzione di Mu1ri 1nanca. Da L. BEDESCHI, Il carteggio Sturzo~Murri, e il Parato popolare, in AA. Vv. Luigi Sturzo e la de1nocrazia europea, cit., 223 e 237 n.9. 16 Nella conversazione che ebbe con De Rosa,Luigi Sturzo disse: «Giudico quel discorso come la cosa n1igliore di tutti i n1ici scritti.Per 14 anni, fino alla fondazione del partito popolare, non ho fatto altro che seguire la linea polilica lì tracciata, non ho fatto altro che lavorare per applicarla. E' stato un momento importante, decisivo nella mia vita, ed ho voluto fare quel discorso a Caltagirone. Mi chiedevano perché non lo avevo tenuto a Milano, che era alJora la capitale morale d'Italia. A Caltagirone chi 1ni avrebbe capito? Ma io volli fare quel discorso in Sicilia, perché lì fosse stabilita la linea del futuro partito dei cattolici, perché dal Mezzogiorno datasse la nascita del nuovo 1novimento politico». G. DE ROSA, Sturzo n1i disse, cit., 56.
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parola e il programma di democrazia cristiana chiamava studiosi e lavoratori a ideali più determinati in ordine alla questione sociale, e creava un falange di forze nuove, che per necessità di vita vennero a contrasto con elementi conservatori, tradizionali, che avevano serbato in Italia e in certo modo esteso i sentimenti religiosi e avevano cercato di formare un'organizzazione nazionale delle forze cattoliche in Italia, raggruppate principalmente nell'Opera dei congressi. Ed è tutta storia vissuta da noi, quella che dal 1897 /98 arriva fino alla tentata fusione delle giovani e vecchie forze dei cattolici d'Italia nel 1902, al mutamento ministeriale (chiamiamolo così) di Paganuzzi in Grosoli, al trionfo della tendenza democratica al congresso di Bologna (1903), alla forte resistenza dei conservatori nel consiglio direttivo e nel comitato permanente generale fino alla circolare e alla caduta di Grosoli (1904), al movimento automista e delle giovani schiere e alla sconfessione susseguente, e infine alla attennazione del non expedit, all'enciclica di Pio X sul movimento cattolico (Il Fermo Proposito)" e al tentativo presente di una nuova e più larga organizzazione dei cattolici italiani (1905)» 18 • Sturzo stima giunto il momento per la formazione di un partito cattolico, solo a condizione che si prenda coscienza dell'ibridismo costituzionale dell'Opera dei congressi, che ha messo il movimento cattolico in un vicolo cieco, perché con quella impostazione potevano verificarsi due ipotesi entrambe difficili da realizzarsi: «O far entrare
17 Pio X nell'enciclica Il Fenno Proposito (11/6/1905) scrive ai vescovi: «Ragioni gravissime ci dissuadono, Venerabili Fratelli, dallo scostarci da quella nonna già decretata dal Nostro Antecessore di s.m. Pio IX, e seguila poi dall'altro Nostro Antecessore Leone XIII, durante il suo diuturno pontificato, secondo la quale, rimane in genere vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislativo. Senonché, altre ragioni, parin1enti gravissi1ne [ ... J possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando Voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità del bene delle aniine e dei supremi interessi della Chiesa e ne facciate domanda [... ]. Quella stessa attività già lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei consigli provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenienten1ente ed organizzarsi per la vita politica, come fu opportunamente racco1nandato con la Circolare del 3 dicembre 1904 della Presidenza generale delle Opere economiche in Italia». 18 Discorso di Caltagirone di Luigi Sturzo, cit., 224-225.
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Papa e vescovi nell'ambito delle lotte, delle discussioni e delle passioni umane [ ... ] come in un partito, in una specie di rinnovato medioevo con i poteri misti di pastorale e di spada o doveva impedire che l'opera laica [ ... ] varcasse i limiti di un campo puramente religioso»". La prima ipotesi è impossibile oltre che dannosa alla stessa Chiesa, che non ha più certo la missione che aveva nel medioevo; la seconda mette in una incomoda posizione la S. Sede, quando a causa della coufusione di ruoli e competenze le si chiede un avallo ufficiale per l'azione politica. E nota che «si arrivò sino a richiedere l'intervento dell'autorità suprema, del papa, prima per averne approvazione ed incoraggiamenti (e ne diedero Pio IX e Leone XIII) [ ... J e continuando di questo passo si arrivò all'urto delle persone, al cozzo dei programmi e l'autorità intervenne ad assicurare la purezza delle credenze e dei principi morali e la regolarità della disciplina ecclesiastica (Graves de Communi, 1901)» 20 • Lo fa, come abbiamo visto, anche Mario Sturzo nella I lettera pastorale, cosa che non si verificherà più dopo che il fratello Luigi elaborerà quell'indispensabile chiarimento. Chiarito quell'ibridismo, per Luigi Sturzo è possibile la fondazione di un partito politico dei cattolici, che abbia carattere laico e aconfessionale. In questa analisi non sfugga quella che è la profonda conoscenza che egli ha anche dei movimenti cattolici europei, di Francia, Germania, Austria, Belgio, Svizzera, ancor prima dell'esilio (1924)! A questo punto, la lettura parallela dei due documenti ci suscita alcuni interrogativi di fondo. Perché dalla data di questo discorso di Luigi Sturzo ci vollero ancora 14 anni per la realizzazioue di quell'ideale? E perché Luigi Sturzo, a cominciare dal 1906 ripiega, per così dire, dal suo prioritario impegno politico, e profonde tutto il suo ingegno nell'attività amministrativa? Per quanto riguarda il vescovo Sturzo, perché dopo questa prima lettera pastorale c'è quasi una cesura nella sua produzione so-
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Jhid., 232. Jhid., 237.
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ciale e abbiamo quasi un dirottamento verso le indagini filosofiche che, purtroppo, lo dovevano portare anche in questo campo ad una interdizione dell'alto con il notorio monitum della Sacra Congregazione del 1931? La risposta sta forse in quell'incontro dei due fratelli Sturzo con Pio X e nell'ammonimento che il papa rivolge a Luigi, ma che Mario avrebbe ritenuto anche per sé? 21 . D'allora in poi il vescovo non pubblica più romanzi sociali ( 1903), si dedica principalmente alla restaurazione del seminario, a cui dedica una lettera pastorale (1904), poi c'è come un vuoto, fino alla pastorale Liberazione che è del 1912; il suo impegno ora è rivolto principalmente al campo filosofico. Mentre Luigi si rivolge all'attività amministrativa, come si diceva, finché non saranno maturi i tempi per la formazione di un partito di cattolici (I 919). Bisogna tenere presente la successione dei papi e il cambiamento di indirizzo del loro governo: Pio X (1903-1914) Benedetto XV (1914-1922) - Pio XI (1922-1939) - Pio XII (1939-1958). A rifletterci un po' sembra paradossale: il vescovo molto più prudente incorre nel monitum del 1931, perché il campo culturale e filosofico, dato il momento storico, è più facilmente vulnerabile (è doloroso leggere le lettere segrete di questo increscioso avvenimento!); mentre don Luigi dovrà andare in esilio nel 1924, ma dall'alto, come motivazione, gli si potrà dare solo un consiglio di prudenza e di opportunità, non lo si potrà far tacere nelle sue idee politiche e sociali che sono giuste e oggi, possiamo ben dirlo, anche lungimiranti. E' la sorte di molti profeti animati da fede religiosa!
21 «Per sua stessa testimonianza, più volte ribadita, egli sarebbe stato indotto a fare questo da Pio X nel coc<;o di una udienza privata. Lo rivelò per la pritna volta molti anni dopo a Carlo Sforza durante l'esilio, narrandogli d'aver partecipato nel nove1nbre 1904 ad una riunione Dc a Ro1na insictne a Murri, già in sospetto alla Curia, e che l'indo1nani, essendo andato col fratello neo-vescovo in udienza da Pio X, questi gli aveva chieslo: 'Da quanto tempo non vedete Murri? - Ieri sera, risposi - Lo so. Ma guardatevi da lui; è uno superbo e non farà tnai del bene'. Il prete siciliano aggiungeva nella lettera a Sforza: 'I miei contatti con Murri cessarono verso la fine del 1906'. E in seguito a De Rosa confidava d'essere rhnasto sbigottito da quel 1nonito papale. Un vero colpo, co1ne se qualcuno gli avesse gettato una pietra sulla testa». Da
L. BEDESCHI, op. cit., 223.
APPENDICE I
Al PRIMI CAPITOLI DELLA CATTEDRALE E DELLf: COLLEGIATE AL CLERO ED AL POPOLO DELLA Cl1TA' E DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA
Salute e pace nel Signore Venendo a voi, fratelli e figli dilettissimi, mandati da Colui che in terra tiene le veci di Dio, nella consapevolezza della nostra indegnità, nella totale diffidenza di noi medesimi, riponendo nelle mani di Dio le sorli di cotesta Diocesi, con1e dalle sue inani ricevemmo la croce del pastorale ministero, ci affrettiamo a metterci all'opera, affinché alla indegnità non si unisca la negligenza a danno di tante anime. Grava oranrni su di noi il dovere, né verrà meno un istante tutto il tempo del nostro episcopato, di consacrare cioè le nostre povere forze, della natura e della grazia, della 1nente e dcl cuore al bene della Diocesi. E noi, benché così poveri di virtù, già sentiamo che nessun legame è più stretto di quello della grazia, e già abbiamo per voi palpiti di padre e di fratello. Voi ci appartenete già in modo così intimo - e cìò 1ncttc il cohno alle agitazioni del nostro spirito - che dobbiamo al cospetto di Dio rispondere della eterna salvezza di ciascun di voi. Or la corruzione dei costumi sen1pre crescente, la miscredenza divenuta quasi universale, la sfrenata cupidigia che insieme col disagio economico spinge a violare ogni diritto a sconvolgere ogni buon ordinamento, l'acuirsi quotidiano della lotta tra ricchi e poveri, il non tener conto più dci richiami della coscienza o degli i1npulsi della grazia ci spingono ad un lavoro di restaurazione speciale; lavoro che non si c01npie in un giorno né in un luogo né da una o poche persone; al quale hanno già dato mano il Romano Pontefice, i Vescovi, i cattolici di buona volontà; ed al quale noi, ultimi venuti, con la grazia del Signore non 1nanchcremo di recare il contributo della nostra opera. E noi ve lo recheremo con tutta l'anima, né per la causa del bene vorremo risparmiare lavoro e sacrifici; nrn non solo senza la vostra cooperazione, non bastiamo, e \'opera nostra non sarebbe che uno sforzo vano. E perciò nel recarvi il saluto fraterno della pace, nel ripetervi che vcnian10 per consacrare tut!i noi stessi al bene della Diocesi che ci appartiene conie sposa e di voi tutti che ci appartenete c01ne figli, vi preghiamo e supplichiamo che vogliate frirvi nostri coadiutori, con1c noi siaino coadiutori di Dio.
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Ma intanto J'i11imic11s homo non posa; e non potendo impedire il bene per altra via, ha procuralo con ogni sforzo di scindere gli animi, dei cattolici fratelli e figli dilc1tissimi, ecco quello che noi vi chiediamo ancora e con pari insistenza, «l'unifa d'intenti e la concordia di volontà d'azìone» 1 per ottenere la quale unità e concordia invochiamo su di voi lo Spirito di carità, che anima ed unifica insie1ne; nel 1cn1po che ci accingiamo a parlarvi di questa forma di riedificazione del bene, •che sarà il programma del nostro pastonile minislcro all'attuazione del quale vi vogliamo coadiutori e che significhiamo col nome di democra:lia cri!'.tiana. Ma noi non possiamo dubitare di voi, dei quali anche prima di ora ci era nota la bontà di animo e J'atrnccamento al proprio Pas!ore. Nel tribul(Jrvene le ineri!ate lodi, non possiélmo non farcene augurio di lavoro fruttuoso, come non possia1110 tacere del nostro predecessore, il pastore angelico, l'uo1110 della preghiera e della carità, che fecondò con le lacrime le zolle di cotesta diocesi e spianò la via all'indegno successore. Salga a Lui !a parola di benedizione e di gloria. Come ci fu dato conoscerlo ed ammir:1rlo mcn!re viveva, così ora i! Signore ci conceda d'imittune le preziose vinù e riaccordare il governo che comincia con quello già da nove 1nesi cessato. La sloria dell'umani!ù, di tutti i tempi e di tu1li i luoghi ci prova esistere negli uomini una tendenza, che, per essere costanlc ed universale, è espressione d'una legge; la quale legge alla sua volla, per essere contraria al fine della società umana e tendendo a subordinare il bene comune al libiio dcll'i11divid110, è riconosciu1a come legge di corruzione e distinta col nome di egoismo. Sotto !'impulso di questa legge 11.1 società umana invece di ~volgersi con le se1nbianze d'una grande fa111iglia, prende 111 figura di s1r<lli che, sovrappoHendosi gli uni agli altri, gli uni sugli altri gravitano a rnano a mano così che gl'in!'eriori sono se111pre i più oppressi. Or se l'umana società csis!e perché l'umno non basta a se stesso, né è concepibile l'uomo soliwrio per origine; se gli urnnini per vivere da uomini hanno assoluto bisogno di comunicare e d'ìntcgrnrsi a vicenda; se non è possibile civillù, progresso, benessere senza l'unione sociale; è necessario che venga evocata una legge pi1) forte dell'egoismo ed ali'cgois1110 contraria, la quale ordini i rnpp011i dei consocia1i e li renda armonici, tuisca i dirilli dei deboli, sollevi gli UJnili, e, mettendo freno ~llle sopraffazioni del!a f"orza, sancisca la 1nor,ile cguagli<1nza di tutti glì uonlini. Al q11;1lc fine la sola giustizia non basta, come cc ne fa fede la esperienza di tuHi i secoli del paganesmo e degli altri posteriori a G. C. Pci secoli del paganesi1no basterebbe solo Rorna a convincercene, nella quale il senso del giure fu così vivo e così costante, da generare il più gran monumento della umana sapienza - il Diritto Rmnano - lnfa!li se quel Diri!1o potè quasi toccare la pe1fez.ionc quando regola i cml!ra!li, venendo a regolare i rapporti delle persone non potè non soggiacere alla forza dell'egoismo, e diede sanzione al divorzio, alla schiavitù, fece dcl marito e del padre un iiranno, riconobbe il civis in contrapposto al harbar11s che è l'espressione più viva della superbia romana. Che se nei secoli posleriori a G. C. la umana socie!à si è andata a mano a n1ano ricostil11endo sotto formè più rispondenti al suo fine, ciò è avvenuto perché lo spirìto del cristianesimo, a malgrado della scienza atea e della politica utilitaria, ha penetrato nelle leggi e le ha, quasi inscnsibilmcnLc, 1rnsfornrn1o. Però a 111isun1 che i popoli si sono o allontanali o avvicinati allo spirito del Vangelo, l'egoismo ha avuto nrnggiore o minore predominio; 1na il suo inflnsso malefico non è nwi cessato del lutto. E la ragione è chi;ll"a, perché, nei rapporti umani la sola gius1izia rimane, qual'è, una legge e non un an1idoto; onde l'umno, restando nell'interno dcl cuore quel che era,
1
Encicl. (;raves de Con11n1111i, 1901.
Mario e L~igi
S~urzo.
D_ue vif!_ comp_lementari
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sfugge, tutte le volte che lo può, la sanzione della giustizia, e quando gliene cade il deslro, tira la legge positiva, a sanzioni egoistiche. Però yuesto non prova che l'uomo ignori il suo dovere o non senta le a1trattive del bene né che l'intuito della giustizia nel suo animo sia spento; ciascun di noi sente quanto sia vero e universale il gemito dell'antico poeta - video me!iora pro/Joq11e, deteriora
sequor;- ma invece prova che la umanità è scaduta da!la originaria perfezione. Inoltre è da considerare che la giustizia, quand'anche valesse a vincere l'egoismo, sola non basterebbe a regolare tutti i rapporti dei consociati. Infatti essa è mi.~ura e adeguazione insieme, e perciò suppone sempre dei rapporti co1nmensur;.1bili e adeguabili; e questo sia che riguardi i rapporti dei membri della società fra loro, nascenti dal diritto di proprietà, sia che riguardi i rapporti del capo della società mnana coi membri nella distribuzione dei beni comuni, degli uffizi pubblici, dei pre1ni; cioè sia che misuri e adegui cosa a cosa, valore a valore, sia che nlisuri e adegui cosa a merito. Ora è evidente che nella uniana società esistono infiniti altri rapporti di nalura diversa; i quali perciò devono essere regolati da altra legge che non sia la giustizia. Rapporti che scaturendo dalla convivenza di u01nini liberi e rispondendo all'ampiezza dell'umana auività e libertà, dovendo pel bene co1nune soggiacere a una legge, vogliono che quesla legge sia ainpìa, regolatrice non coercitrice della libertà, e che possa, ordinando, agevolare non restringere l'attività umana. Le teorie liberiste prin1a e le egualitarie dopo, che i1n1nagirn1no l'uomo per sé buono ed
integro, e che attribuiscono alle leggi un1ane (le naturali le negano) !a depravazione di quello, e che per tornarlo alla pri1na bontà e innocenza non trovano mezzo che o rallentare il freno delle leggi o togliere via ogni legge; se non hanno nessun fondamento nella storia e neanche nella ragione, e se conducono necessariamente ad attenuare o ledere la giustizia, senza nienlc giovare al bene co1nunc, anzi fortemente nocendovi e rendendo i rapporti dci consociati ostili e la convivenza umana una lotta e una sopraffazione continua; sono però una prova di più che con la giustizia altra legge bisogna invocare perché si giunga al vero benessere sociale. Quest'altrà legge, che sia an1pia quanto la libertà unrnna, che comprenda tutti i rapporti dei consociati, che valga ad aniinare ed in!cgrare la legge della giustizia, è chiaro che non potrebbe essere che la legge dell'ainorc. Ma evocare questa legge non è così agevole come potrebbe credersi, infatti non fu evocata in tutti i secoli dcl paganesi1no; e la scienza dcl naturalis1110 o dell'umanesimo, se ha trovato la filantropia o l'altruismo, non ha trovato che fonnule, le quali, appena valgono ad orpellare il gelato egoismo delle generazioni cristiane toniate a ideali e costun1i pagani. Essendo l'egois1no corruzione de!la legge dell'amore, credere di poterlo vincere solo con l'inculcare la legge dell'amore, non sarebbe che un circolo vizioso. Invece bisogna indagare la cagione del 1nale, non l'effetto, e alla cagione non all'effetto applicare il ritnedio. L'umanità pagana lo seppe abbastanza e sospirò con gli ebrei alla venuta d'un restauratore; noi lo sappimno 1neglio che o per avita tradi:done o per notizia attinta da un popolo privilegiato o per intuito del!a natura; noi lo sappiamo per fede: la ragione fu una colpa originaria, c01nmcssa dal prin10 parente, che arcanainenlc coinquinò tutta la sua discendenza. Troviamo registrato dalla storia un avvenimento singolare e del tutto straordinario, la con1parsa di Gesù Cristo, che si presenta con la n1issionc di reslauratorc, e che con le opere e con le parole si rivela Dio, e che solo dctennina un ciclo di civiltà affa!to nuovo, e spinge ia unianità,
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che sino allora nelle vie etiche e religiose aveva camminato a ritroso, a un progresso, che ha per termine l'infinito 2 , Però ritenendo da un lato la missione di G. C., e non potendo neg11re dall'altro che la unrnnitù rimase soggetta alle miserie di prima; e ancora, non potendo negare che G. C. era Dio, tanto sono evidenti le prove con le quali Egli dimostrò la sua divinità e tanto evidente carattere di divinità Egli in1presse all'opera sua, che dura in1mutata attraverso i secoli; trovando poco conveniente a un Dio una restaurazione parziale, 1na parziale sarebbe ri1nasta l'opera sua se i destini dell'uomo si dovessero circoscrivere alla vita presente; perché, se così fosse, Egli avrebbe dovuto tornare l'uomo alla originaria in!egrità e rendere di nuovo pienamente felice la convivenza umana; non si potendo sognare coi poeti e con i filosofi dell'umanesimo che ogni guaio fuggirebbe dal mondo, se si tonrnsse alla «legge aurea, felice, che nalura dettò - se e' piace e' !ice -"-3>); essendo evidente che l'umanesiino, una volta aminesso, dopo sbrigliate le passioni e reso l'uomo niente più che un bruto, conduce per necessaria conseguenza al più turpe pessimisn10; ci troveremmo di fronte a un inestricabile enig1na se non volessimo accettare quel che la rivelal'.ione c'insegna intorno alla elevazione dell'uomo a condizioni soprannaturali e alla felicità piena d'una vita avvenire. Ed oh! come è vero che la fede invece di fare violenza alla ragione, la integra e la subli1na! Quel palpito per l'infinito dato al nostro cuore, quell'instancabile brama di felicità, e il non trovar mai felicità vera in nessun bene della terra, è la più splendida confenna della verità di !aie rivelazione. Ricapitolando: - la legge della giustizia non basta a vincere l'egoismo perché è legge non antidoto - non ba~ta a regolare tutti i rapporti umani, perché non tutti hanno carattere di adeguabilità; - la legge dell'arnorc integrerebbe la giustizia, regolerebbe cd annonizzerebbe tutti gli altri rapporli dei consociati; ma dato il predmnìnio dell'egoismo, per evocare la legge dell'an1ore bisogna che l'umanità venga restaurata. Qui un can1po nuovo si è schiuso al nostro sguardo, il campo del soprannaturale. Non ci deve quindi far nleraviglia se G.C. nell'opera della umana restaurazione tenne·un cammino diverso di quello che si sarebbero aspettati gli stessi discepoli 4: infatti non poteva fare altriinenti per la ragione che ogni questione sociale non è mai sol!anto economica, ma principalmente è morale e re1igiosa5. Ciò posto è evidente che, anche se si fosse traUalo d'una restaurazione puramente naturale, G. C. allo stesso n1odo avrebbe operato salvo a lasciare nei confini della natura la morale e la religione. Data però la elevazione, è chiaro che la n1orale e la religione di G. C. anch'essa doveva essere d'ordine superiore. Inoltre essendo ii" fine ultiino dell'uomo, e perciò il vero fine, la felicità eterna, G. C. non poteva proporsi, come ragione principale ed essenziale dell'opera sua, che rendere capace l'uomo di conseguire questo fine; i! quale essendo d'ordine superiore, richiedeva che anche l'opera di restaurazione avesse avuto carattere essenziahnente superiore cioè sopra1111atura!c. Però G. C. non po!cva trascurare la natura, sia perché conte opera delle sue mani non doveva restar nell'abisso in
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Estate vos perfecti, sicut et Pater l'CS!er calestis pe1fec1us est (Matth. 5, 48). 3 Tasso~ An1i11ta. 4 Jgitur qui convenerant, interroga/Jant eun1, dicentes: Don1ine, si in len1pore hoc restitues regnun1 lsrael? (Act. 1,6). 5 Q11orunula1n enùn opinio est, quae in vulgo 111anat, quaestionen1 socialctn, qucun aiunt, oeconon1icam esse tantum 1nodo; quu1n contra verissin1u1n sit, eam 1norale1n in pritnis et religiosam esse (Enc. Graves de Co1n11111ni).
Mario----e Luigi Sturzo.-----Due vite complementari ------- -----
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cui era caduta, sia, e questa è la ragione principale, perché ciò era necessario al fine ultimo. Gesù Cristo non venne a sdoppiare l'uomo, a stabilire antagonis1110 tra il cielo e la terra, anzi venne a restaurare ogni cosa6 . Se divcrsa1nente avesse voluto fare, sarebbe stata necessaria una nuova creazione; cd allora Egli non sarebbe venuto a cercare cd a salvare questa che già periva,
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altre
creature 7 . La natura doveva restare come fondamento, l'uomo come subietto dcl soprannaturale; quindi i rapporti purmnentc UJnani non potevano essere violati, 1na invece dovevano essere integrati. E perciò quando G. C., annunziando la nuova legge, ha parole di condanna, non vuole colpire che l'egoisino con tutte le sue esplicazioni, che con espressione enfatica designa col nome di mondo; e quando semplicemente disprezza, quello non è un disprezzo assoluto, ma relalivo, diretto a far riguardare i beni presenti come mezzo e non come fine. Infatti quello stesso labbro che si schiude alla famosa esclan1azione dcl quid prodest 8 si schiude anche a rievocare le leggi di natura, a dare nuova sanzione al decalogo, a condannare l'omicidio e il suicidio, l'usura, la fornicazione, la menzogna, l'ipocrisia, a elevare a sacramento il matrimonio, a ingiungere il rispetto alle autorità terrene, a procla1nare la morale eguaglianza degli uomini, la legge della fratellanza, e sopra tutto a proclmnare come legge delle leggi, come legge nuova e innovatrice l'amore esplicantesi non solo nel voler bene altrui, ma nel far bene e nel farlo con preferenza ai piccoli, ai deboli, ai poveri. Ed è evidente che tanta cura doveva prender.~i per tutti gli umani rapporti: anche in quanto umani, perché, crnne è stato detto, l'umanità era appunto il subietto della restaurazione. Però si noti subito che alla natura per sè, scongiuntamente dal soprannaturale non recò nulla; ed è questa la ragione che quando essa si allontana da G. C. torna fatahnente al paganesimo. Per convincersene si guardi nell'intimo di questa palingenesi grande ed unica. G. C. vuole rendere l'uon10 capace dell'infinito, quindi lo mette subito in condizioni di proporzione con esso. E perciò accresce con la fede le forze dell'intellelto e con la carità le forze del cuore. Anche del sentimento doveva tener conto, e infonde all'uomo la speranza. L'uomo è reso capace della scienza dell'infinito; e se, in quanto è limitato, si !rova di fronte al mistero, non si trova però di fronte all'assurdo; ed il mistero per lui diviene argo1nento di nuovo apprendimento del sopranna!urale, come la rivelazione tutta integra le scienze inferiori e coordinate, sostituendo all'opinione il principio, e le spinge a nuovi progressi. Con la scienza dell'infinito è reso capace dell'amore dell'infinito. Assai aveva palpitato il cuore se1npre in cerca d'un bene che saziasse le sue brame, senza mai trovarlo; sempre invocando nuovi beni e sentendo bisogno di nuovo amore. Scende da Dio questo nuovo ainore, come dono; a lui risale come palpito per ridiscendere s11i prossimi, siano congiunti o no, siano anche stranieri, anche nemici, a tutti volendo de! bene e a tu!li facendone. Legge nuova -· mandatum novum 9 - cd innova!rice, riveste i rapporti con Dio del carattere dell'mnicizia - iam 11011 dicam vos servos, sed amicos!O - senza spogliarli di quelli della suddi-
6 Ut notu111 faceret nohh' sacra111entu111 vofuntatis suae, secundurn beneplaciflun eius, quae proposuit in eo, in dispensatione pfenitudinis tcn1pon11n, instaurare 0111nia in Christo, quae in coefis, e! quae in terra sunt, in ipso (Ad Eph. 1, 910). 7 Veni! eniin Fi/ius hon1inis qua ere re et sa!vun1 facere quod periera! (Lu c. I O, 10). 8 Venit enirn Fi!ius hon1inis quaerere et sa/vun1 facere quod perierat (Luc. 10, 10). 9 loan. 13, 34. 10 loan. 15.
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tanza; e dai rapporti tra uomo e uomo il carattere della vera fratellanza - hoc est praeceplum meum, ut diliRatis invicem, sicut dilexi vos 11 - Tra l'uno e l'altro di questi abiti infusi o meglio come conseguenza di tutte e due, all'uomo vien donata la speranza, la quale nelle lotte quotidiane, nei dolori, nelle amare delusioni della vita, nei rimorsi del mal corm11esso e i tin1ori del castigo minacciato, è come un dolce riposo tra le braccia di Dio o come una visione dcl pre1nio promesso, che rianimando, riconforta al bene. Ma ancora con tutto questo la restaurazione non è compita, occorreva penetrare nel fondo dello spirito, mettere il dito sulle piaghe della colpa, sanarle; e sanate le piaghe, dare al!o spirito qualche altra cosa che lo rendesse degno del!'an1icizia con Dio, e che alle opere conferisse una bontà speciale. Ed ecco che G. C. suggella l'opera sua del tutto divina, infondendo nell'anima una forma spirituale, che chiamiamo la f.1razia, e circondando l'uomo delle più paterne cure per invogliarlo alle vie dcl soprannaturale, per farvelo perseverare, le quali paterne cure anche con n01ne di grazie distinguiamo. San Pietro non esita punto di affermare che G. C. rese l'uomo partecipe della stessa natura divina 12 , dalla quale partecipazione deriva che le opere dell'uon10, che vive di fede e di amore, rivestono una essenza nuova, divengono soprannaturali, e stanno in perfetta armonia e proporzione con il pre1nio del Cielo, da poter dire che quel prc1nio venga per veritù meritato. Qui conlincia l'opera dell'uomo. Libero di corrispondere all'oper.:1 di Dio e di non corrispondere, nella certezza però che non corrispondendo sarà punito, ma libero, perché ciò non solo è conforme alla strn dignità e natura, ma perché è essenziale al merito. Egli troverà di avere le forze di conoscere, di volere, di operare; ma egli deve volere; una legge, che non è quella del dovere, convinzione subicttiva o del dovere sentimento, il quale muta o può mutare con le ore e con le persone, 1na di un dovere assoluto, nascente dai rapporti necessari ed inviolabili tra lui, creatura e beneficato, e Dio, bene sommo cd assoluto, creatore, benefattore, lega tutto l'essere dell'uomo, penetra sin nell'intimo dello spirito ed inipone che alla legge si confonnino non solo le opere, ma la vo!orl!à, anzi prin1a la volonlà e poi le opere; sfolgora ogni ipocrisia, si estende dall'infinito al finito, dalla grazia alla natura, dal culto a Dio all'amore dcl prossimo. L'uomo deve come elevato al so~ prannaturale e cmne puro u01no; il dovere è suo inerito e premio, sua dignità e perfezione; é libero fisicamente di non volere, moralmente non è libero; l'uso della sua libertà in questo senso non sarebbe che abuso, segno di depravazione, di malattia, alla quale egli di propria volontà soggiacerebbe, senza cavarne utile vero nel tempo, ed incorrendo il minacciato castigo nella eternità. -·Qui comincia l'opera dcll'umno - abbia1no detto, 1na subito aggiungian10 che anche qui c0111incia l'opera d'una nuova società, la Chiesa. Co1ne appeila creato l'uomo in lui e per lui nasce la società naturale, senza la quale l'individuo non raggiungerebbe il suo fine prossin10; così rigenerato l'uomo, nasce la società spirituale, senza la quale neanche raggiungerebbe il suo fine ultimo. Alla Chiesa G. C. con sapienza infinita dà la prerogativa di essere infallibile per quanto lo richiede un fine, che non è lecito non conseguire, oltre alle potestà legislativa, giudiziaria e coercitiva, proprie ad ogni società perfetta, dà i mezzi di attirare a sé I' anime, senza far Violenza alla loro libe11à, di sostenerle nelle lolle quotidiane col male, di santificarle, di condurle qtrnsi per mano dalla culla alla ton1ba, dal tempo al li1nitare della eternità. Tutto è libero in questa società, come lo starvi e l'uscirne, nrn tulio è obbligatorio, non solo l'cntnu-vi, ma lo starvi cd il vivere la sua vita; ciò sca-
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Ioann. 15, 12. Maxin1a et pretiosa nobis pron1issa donavit: ut per haec eff;cian1ini divinae consortes naturae (2, Petr. 1.4). 12
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turisce dalla legge del dovere e dalle sanzioni teJTibili date a questa legge. E perciò la missione della Chiesa è d'un ordine affa!lo nuovo; quel che gli Stati spesso son costretti oHcnere con la forza, la Chiesa l'ottiene con un certo fascino tutto spirituale e pregno d'una virtù che non viene che da Dio. Quella nuova sociefa però non esiste senza tc1Titorio, rna suo tenitorio è il mondo intero; suoi sudditi sono i cittadini di tutto il rnondo, che libenuncnte vogli<.mo; e perciò essa è dotata d'una forza di espansione irresistibile, che vince il ferro, come vince la volontà; ha diri11o pieno, intero di mandare per tutto i suoi apo.<>toli, ha diritto di penetrare sino nelle terre più barbare o più ne1nichc a G. C. ed ha la potenza di domarle, di farle civili, di salvarle. Questa virtù della Chiesa sta in rappoiio col dovere degli uorr1ini; crnne il dovere degli uo1nini nasce dal fine per il quale sono stati creati. Dalla natura e dalla missione della Chiesa, si dcdva corri'essa ha dci rapporti con le società temporali o Stati che vogliamo chimnarli, e come è gravissiino errore credere che Chiesa e Stato possano, senza danno niaterialc e spirituale dei consociali, stare disgiunti o peggio essere nemici. Come il fine dcll'mnana società, che è il benessere temporale, non è alieno o contrario al fine della Chiesa, che è la felicità ete1na delle anime, anzi come sono due fini coordinati, che svolgentisi da sé, hanno ciascuno ragion di fine ma considerati insieme, l'uno assume ragion di mezzo in ordine all'altro; come !a natura non è aliena dalla grazia, ma è il subietto su cui la grazia opera; allo stesso nlodo e per le stesse ragioni le due società sono per lor natura trn loro coordinate e l'una subordinata all'altra nei rapporti del fine ultimo, e non indipendente l'una dall'altra neanche nei rapporti del benessere te111poralc o fine prossi1no. E questo deriva dalla natura della restaurazione di G. C., coine la natura ùi tale restaurazione deriva dalla elevazione al soprannaturale dell'umanità. E perciò la Chiesa difettanien1C ha una missione religiosa e spirituale ed indirettmncnte o 1neglio per connessione ha una missione sociale. La cosa che più ripugna all'essenza dcl cristiancsrno è la società fine a sé stessa e g!'individui subordinati a tal flne, l'umno per la società e la società per l'uomo; e pe1-ciò ii] primo aleggiare sulla terra dello spirito rinnovellatore, crollano i concepimeuti panteistici della società, nati e svollisi nel paganesmo. Ogni individuo nell'ideale cris1iano è come se fosse un intero inondo, ed ha il diritto di riguardare corne avvenuta solaincnte per sé la restaurazione della tunanità; né questo è egoismo, infatti niente in ciò vi sarebbe di disordinato né porterebbe lesione alcuna ai diritti degli altri, ed infine non sarebbe che un tnodo rigoroso di apprendere il dovere personale, che ciascuno ha di conseguire il fine ultimo. Del resto risulta chiaramente dalle parole di S. Paolo - in .fide viFo Fitii Dei, qui dilexil me, et tradidit seme!ip.1·11111 pro rne 13 - Quindi la legge dcl bene comune assun1e carattere relativo, non più assoluto; ed anche relativamente presa, non varca i confini dcl tempo, perché non sarà mai lecito perdere ne anche un sol uorno, posto che fosse necessario per 1ncnare al Cielo tutte e quante le creature. Or la Chiesa, non già per il benessere temporale, del quale pure è tanto sollecita, ma per la felicità eterna di ciascun individuo, ha la missione d'influire su!l'unrnna società, affinché si con1ponga ed ordini secondo le leggi di natura e di grazia. E per f"enno subietto dei doveri, che scalnriscono dalle due socie!à, la spiri!uale e la temporale, è lo stesso individuo. Or come concepire che su d'una stessa coscienza possano gravare doveri contrarii e ripugnati? Come pens:uc che l'uon10, il quale creda alla coscienza ed al dovere, per osservare una legge, appunto perché legge, possa violarne un'altra, che quanto la pri1na o forse pili gli si presenti rivestita di tulli i caratteri di legge? In tale conflitto avverrebbe per necessità o la corruzione della coscienza e perciò la corru:done
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Ad Galal. 2, 20.
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della vita e perciò la perdita dcl Cielo; ovvero l'eroismo della resistenza 14 - La corruzione o l'eroismo - abbiaino deuo; diciamo ineglio: avverrebbe più la corruzione che l'eroismo. Infatti, quantunque con gli aiuti della grazia !'individuo possa, indipendentemente o in opposizione alla società, serbarsi buono tuUavia è da considerare che egli vive nella società e della società. Le leggi da una mano costringono, l'opinione pubblica dall'altra incalza: il male ha la sua seduzione, maggiore seduzione hanno l'utile, gli onori e le preminenze, alle' quali ogni consociato ha o può avere diritto. Chi non conosce la forza dell'ambiente, non conosce né la società, né l'uomo. Potrebbe, è vero, l'individuo serbarsi buono, infatti c'è sempre chi resiste al male; ma non tutti sono nelle stesse circostanze, né tutte le anime hanno la stessa tempra. - Potrebbe - Questa parola confenna la .forza della grazia; ma generalmente non avviene; e questo conferma la fragilità della natura. Oh! se la Chiesa non avesse il diriuo e la potenza di trasformare la società uniana resterebbe una teoria bella, lwninosa, seducente; ma non più che una teoria. Ma no; o l'accordo tra le due società o la lotta; o amici Stato e Chiesa o nemici sino all'estremo. Nemico cioè lo Stato; perché la Chiesa, anche avversata e cmnbattuta è sempre madre; e, quando alla sua volta assale e con1batte, non co1nbatte mai contro la società civile, ma contro il 1nalc che la corrompe. Da questa missione deriva la inesauribile fecondità dell'apostolato della Chiesa, la sua perenne giovinezza e la virtù di intendere tutte le civiltà, di prevenire ogni progresso e di adattare la sua potenza infonnatrice e trasformatrice alle condizioni speciali della umanità. Conscia di sé sin dal principio della sua esistenza, prima ancora che l'esperienza dei secoli le avesse insegnato quale era lo spirito che !a possedeva, ainmaestrata però dal suo Autore, tutta compresa della missione rìcevuta 15 , sicura in modo che esclude ogni timore o dubbio che non ~ai·ebbe mai venuta meno nella lotta 16 : volge dalla oscura Giudea l'occhio fatidico a Roma allora signora del mondo, ed in Roma fissa la sua sede principale ed ivi i1npegna le lotte più gloriose. Non trovando posto nella città apre le catacombe, non potendo esercitare il suo influsso co1ne cittadina, lo esercita co1ne straniera. Quello non poteva essere che un periodo eroico, perché nulla di comune avevano le due Società, perché sin dalle fondamenta era da trasformare la civiltà romana; e la Chiesa creò gli eroi. Ora da incogniti i primi cris!iani si spingevano in quell'aria satura d'egoismo a stabilire il contrasto più vivo tra il bene ed il 1nale, qual'è quello che nasce dalle opere; ora irrompevano da apostoli ad annunziare senz'altro la nuova rnorale e la nuova religione. Fruire del benefizio della legge, sino a che si poteva senza colpa, appellare a Cesare con Paolo 17 sino a che ciò non importava rinunziare a Cristo; ma quando lo richiedeva la lor fede in Cristo, mettersi contro gli usi, la civiltà, le leggi, lo stesso Cesare, senza temere delle 1ninacce, o dei castighi; al cospetto d'un pretore o d'un imperatore, tra le grida dissennate d'un popolo immen&o, cadere sotto gli artigli d'una fiera; crn quella la loro vittoria, il lor trionfo. Ron1a si trastullava de! martirio dei cristiani; più tardi cercava con voluttà lo spettacolo del mmtirio; da vincitrice passava per la via Sacra, grondante
14 Nen10 po/est duobus doniinis servire: aut enin1 11nun1 odio hahehit et altenon diliget: aut unum sustinebit et alterun1 conten111et. Non potestis Deo servh·e et fnafnn1onae. (Matth. 6, 24). 15 Euntes ergo docete omnes gentes ... servare 01nnia, quaecumque mandavi vobis. (Matth. 28, 19-20). 16 Porta ù~feri non prevalebunt (Matt. 16, 18). 17 Att. 25, 11.
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sangue di cristiani; ma in quel sangue battezzata Roma si trovò cristiana senza quasi saperlo, e su le ali delle sue aquile il cristianesmo fu recato per tutte le terre ad essa soggette. La potenza dell'eroismo non è venuta meno nella Chiesa; ma con la conquista del mondo pagano ne è venuta ineno la ragione. Entrata nella via normale, le sue conquiste sono pacifiche e convenienti ai tempi. Qualunque sia lu cagione che turbi i rapporti di giustizia e carità negli Stati, di qualunque natura siano gli errori dci sistemi sociali, nascano dalla politica o dalla sociologia, ven-
gano dalla scienza o dalle arti, siano semplicemente etici o giuridici; l'azione restauratrice della Chiesa prenderà una guisa speciale, quella che la ragion del male richiede, e ricondurrà gli Stati a quella vera civiltà, alla quale sono maturi, non cessando per questo di spingerli all'ultin1a attuazione degli ideali evangelici. A questa attività e missione della Chiesa, la società umana non può, senza grave colpa e senza grave danno, resistere; perché solo allora che esse due Società sono in perfetta armonia, le leggi della Chiesa, che son quelle di G. C., infonnando la coscienza degli individui, danno pieno vigore alla gran legge del dovere; la quale alla sua volta, pervadendo tutto l'essere dell'uomo, influisce anche nei rapporti puramente umani dei consociati, determinando la più intera esplicazione delle leggi di giustizia e carità, sulle quali ogni umana società si fonda e dalla osservanza delle quali ogni benessere sociale deriva. Ed ora ci è agevole, fratelli e figli dilettissimi, intendere con1e la forma di restaurazione della società, alla quale oggi siamo chiamati è appunto la democrazia cristiana. Oggi è la così detta questione sociale che agita l'umana convivenza, oggi si combatte per regolare la distribuzione della ricchezza, come ieri si cOJnbattè per conquistare le più ampie libe11à. Ma come il liberalismo di ieri creò il proletariato di oggi, così il proletariato di oggi crea il socialismo. L'uno e l'altro di questi sistemi, poggiando su basi egoistiche, non possono non ledere le leggi di giustizia e carità, e perciò non possono non essere anticristiani; infatti il liberalismo è indifferente a qualunque religione, il socialismo, più coerente, è contrario ad ogni religione. Però non possiamo affem1are che disagio economico non ne esista né possian10 non vedere le tristi condizioni fatte al popolo dallo sfrenarsi delle libertà individuali. La Chiesa per missione ordinaria e diretta non dovrebbe fare altro che studiarsi di tenere le nazioni ed i popoli fedeli a G. C.; e questo non cessa di farlo; ma le nazioni hanno apostatato già da G. C. e, più che ascoltare, combattono la Chiesa; i popoli, consunti dal lungo disagio, i quali pur sino ieri serbavano la fede, oggi affascinati dal nliraggio del socialismo, non si danno più pensiero di Dio né della propria anima. Ed ecco la necessità che la Chiesa eserciti la sua missione straordinaria ed indiretta. Ecco cioè la necessità che la Chiesa scenda nel campo sociale ed aiuti la società umana ad uscire dai mali cagionati dal liberalismo e la premunisca contro quelli che arreca ed è per arrecare il socialismo, proponendo un sistema, che risolva, confonne le esigenze della civiltà e del progresso di oggi, la q11e~·1io11e sociale cd anche conforme lo spirito del Vangelo. Ed il sistema che oggi la Chiesa propone e dà mano ad attuare, lo ripetiamo,
è la de1nocrazia cristiana. Per evitare gli equivoci è da premettere che (<il concetto essenziale e più ampio di democrazia è pur sempre quello di una cospirazione di forze sociali, giuridiche ed economiche particolarmente rivolte a proteggere, rispettare, elevare il popolo. Altri concetti accidentali e più ristretti, per es. quello politico, ne sono una semplice conseguenza razionale e storica» 18 . Il quale concetto essenziale della parola -
18
democrazia -
viene integrato dall'aggiunto -
Tonio/o, Il conceuo cristiano della democrazia, V.
cristiana.
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«Teoretica1nente adunque la democrazia cristiana è una deduzione logica di più dei principii cristiani di giustizia e carità, praticamente è una estensione di più dei benefizii della civiltà cristiana alle classi inferiori» 19 Lungi adunque dal concetto di democrazia cristiana le circoscrizioni che derivano dalle speciali configurazioni della società, essa non è che l'attuazione sociale del cristianesmo; e, come il cristiancsmo conviene a tutte le forme di governo, così tutte le forn1e di governo hanno, senza nulla perdere, il dovere di essere democratiche nello stesso modo e nello stesso senso che hanno il dovere di essere cristiane. Infatti non c'è forma di governo che non debba avere per fondamento le leggi di giustizia e carità; come non c'è società umana che non debba avere cura speciale delle classi inferiori. G. C. integrando la giustizia con la fede ed animandola con la carità, portò queste leggi alla più alta perfezione; ma perché la loro funzione sociale si fosse più pienan1ente conosciuta ed esplicata, perché nel inondo si fosse ottenuta quell'arrnonia di rapporti, ch'Egli espriineva nella sublime preghiera al Padre, con le parole - ut on111es unum sint, sicut tu Pater in me, et ego in te, ut et ipsi i1111obis unum sint: ut creda! mundum quia tu me misisti. Ego claritatem quam dedisti mihi, dedi eis; 11t si11t unum, sic11t et nos unum sumus - 20: per ottenere adunque tale armonia di rappmti, ch'Egli reputava come la prov~ più bella della divinità della sua opera, la cosa che più insistentemente raccomandò lungo la sua predicazione, che con maggior cura fu registrata nei santi Evangeli è precisamente l'amore, la protezione, la elevazione degli unlili. Non si può scorrere l'Evangelo, senza trovare a ogni passo o una tenerezza per i piccoli o una benedizione per i poveri, o un comando o una prmnessa o una minaccia a loro vantaggio. Applicando alla vita individuale queste leggi evangeliche voi avrete l'uomo giusto, l'uo1no benefico, il cristiano vero ed intero. Applicando alla vita sociale i 1nedesimi principii voi avrete la democrazia cristiana. Le classi esistono perché è richiesto dalla natura dell'uomo, dalla essenza della società umana; ma le classi non esistono per sfruttarsi, sebbene per integrarsi a vicenda. Le classi inferiori son cmne i poveri, dci qmili G. C. diceva che vi saranno scmpre;21 le classi inferiori vi saranno sempre, ma secondo lo spirito di G. C., che cominciò ad esplicarsi con la redenzione degli schiavi, devono essere toniate a quella dìgnità, a quell'armonia di rapporti, che la 1nor<ile eguaglianza degli uomini richiede; ut unum sin!, acciocché la società mnana sia come una grande famglia di fratelli, che viaggia verso la patria del cielo, dove si uniranno al Padre comune, che è Dio. Ecco la democrazia cristiana, fratelli e figli dilettissimi. Nella sua essenza, che non nlu!erà mai. Se la chiamiamo - l'attuazione sociale dcl cristianesn10 - non avremo detto male; se. vogliamo riguardarla come il battesimo sociale della mnanità, che tanto riscontro ha col battesimo personale dcII'uomo, avremo forse usato la locuzione più atta a togliere di mezzo prcgiudizii e sospetti. Concorrano dunque all'attuazione di sì nobile e necessario progranuna i governanti, i padroni, i ricchi, gli stessi proletarii, che vi sono direttamente interessati; «ma senza esitazione alcuna affermiamo (son parole di Leone XIII) che ove si prescinda dall'azione della Chiesa, tutti gli sfOrzi tornera11110 \lani» 22 - «Quando alla Chiesa perÒJ>, soggiunge l'irrnnortale pontefice, «essa non lascerà mancar mai e in nessun modo l'opera la quale tornerà tanto più efficace, quanto sarà più li-
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Toniolo, I.e. Ioan. 17. 21-22. Matth. 26, 11. Encicl. Rer. Nov.
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bera; e di questo devono massimamente persuadersi coloro che hanno per debito di provvedere al bene dei popoli:>> 23 . E la Chiesa non lascia mancar di fatto l'opera sua; e noi, come coloro, ai quali il Pontefice ha commesso il governo d'una, benché piccola, porzione di essa Chiesa, con la grazia del Signore, non lasceremo neanche mancare !'opera nostra, né cesseren10 di invocare l'aiuto indispensabile della vostra cooperazione. Noi un fine più alto anima e muove, fratelli e figli dilettissimi, che non è quello della soeietà civile; noi sopra tutto anin1a e muove il bene spirituale delle anime, la loro eterna salvezza; e perciò più disinteressata, più costante, più efficace, più apostolica deve riuscire l'opera nostra. La quale molteplice vuol essere oggi: demolire tutta la congerie degli errori, dei falsi siste1ni, che impediscono l'attuazione sociale dcl Cristianesmo - ecce constitui /e ... ut evel!as, et destruas, e/ disperdes, e/ dissipes 24 -; ricostruire l'edifizio del bene socialmente, con1e uno dei mez7,i per richiamare al bene gl'individui- ecce constitui te ... ut edifices, et pla11tes 25 . Lo sappiamo, fratelli e figli dilettissimi, i buoni sacerdoti, non hanno, la Dio mercè, cessato un giorno di attendere alla santificazione delle anime; ma intanto un di più che l'altro abbian10 visto la fede attenuarsi, i costumi scadere e corrompersi; i fanciul!i, che sono usciti dalle nostre scuole catechistiche corne tanti angioletti, dopo qualche anno, presa la via larga, si son perduti; anche le donne e il popolo, un dì così attaccati alla fede degli avi, ci scappano da tutte le parti. Desolante assai è l'ora presente; eppure tuttavia le ca1npane delle nostre Chiese annunziano le solite feste ed i sacerdoti attendono alle solite opere. Che vuol dire tanta depravazione insieme a tanta operosità? Oh! è quel che abbiamo più sopra accennato, è l'ambiente sociale corrotto, che corrompe. Il lavoro dei sacerdoti, che non è qual dovrebbe essere, non basta a salvare la società; forse basta appe1rn a salvare pochi fortunati, che hanno con maggior fedeltà saputo corrispondere alla grazia divina. «Uscite di sacrestia» gridava Leone XIII con accento di dolore e quasi di ra1nmarico; come per dire: - ma perché guardate un lato solo del Cristianes1no, e solo vi affaticate a una attuazione parziale di esso? Uscite di sacrestia, andate, andate in traccia della smarrita pecorella; se occorre, lasciate le altre, che son ben custodite, nell'ovile - Oh sì, scendiarno tutti zelo in tnezzo alle turbe, raccogliamole in associazioni all'ombra della Croce, rechiamo loro lo spirito di G. C. Il peccatore oggi difficilmente cerca il sacerdote. Come ieri il liberalisrno alienò da noi le classi abbienti, così oggi il socialismo aliena da noi il popolo. Però quando noi avremo fondato delle associazioni, quando noi avremo aiutato il popolo a risorgere dalla 1niseria che l'opprime; quando l'avremo fatto nostro e noi ci sare1no fatti suoi salvatori, oh allora, dopo trattati gl'interessi del corpo, ci sarà agevole trattare gl'interessi dell'anima. Non potendo per ora nella società, creeremo nelle nostre associazioni un ambiente nuovo, pieno di fede, di pietà, pieno di G. C. A somiglianza dei primi cristiani, che scendevano dentro le viscere della terra, nell'aria umida delle catacombe per vivere un'ora con Dio, noi andremo nelle nostre associazioni. Ciò che più si lamenta oggi è, che, tolti pochi generosi, i più si rimangono tappati in sé stessi a impegnare tutta la loro attività per poche donne, buone per altro, ma poche e donne. Ciò è desolante. Usciamo di sacrestia, ma, intendiamoci subito e non diamo luogo alle querimonie di nuovi farisei, per rendere la società tutta un gran tempio.
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Loc. cit.
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Ierem, 1, 1O.
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Loc. cit.
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E voi segnatan1ente, parroci, ai quali obbligo di giustizia incombe, non solo di adempire quel che i canoni tassativamente prescrivono, non la lettera dei canoni, ma lo spirito; voi avete il principale dovere di farvi apostoli della restaurazione sociale in G. C. Quando avrete passato delle ore confessando e fatta l'omelia i dì festivi e dato il segno di G. C. a chi nasce, e benedetto chi crea la famiglia e chi si diparte da questo mondo, oh voi non avrete compiuto ancora il vostro dovere, se parte dei vostri filiani sta lontana da Dio. Se anche col pericolo della vita voi siete tenuti a recare il perdono di Dio al peccatore moribondo, con nuovi e anche più gravi disagi siete tenuti a recare la carità di G. C. ai figli peccatori che né vi invocano né vi vogliono. Solamente potreste posarvi, quando tutti i vostri sforzi, che Dio lo tolga, sarebbero riusciti vani. Ma no, neanche allora posarvi; allora vi resterebbe di vegliare le notti a piè d'un crocifisso nella preghiera e nel pianto. Anche a voi, che non avete cura di anime, è rivolta la nostra parola. Il sacerdote non è di sé né della famiglia né, peggio poi, dcl mondo. Egli è l'uomo di Dio pel bene degli uomini: pro hominihu~· constituilur 26 . Anche voi stringe il dovere di tornare G. C. a regnare nelle anime e nella società. I teologi, dopo di avere studiato il caso, se il sacerdote non ancora abilitato alle confessioni, perché gli manca la dottrina, abbia o non il dovere di rendervisi idoneo, e, dopo avere difeso e con1battuto le varie opinioni, son concordi in ultimo nell'affermare, che se c'è urgente bisogno di confessori, ha certo grave obbligo di rendersi idoneo alle confessioni, appunto perché sacerdote. Generalizziamo il caso. Non urge il dovere solo quando i figli chiedono il pane della vita eterna e non c'è chi lo spezzi; urge anche, anzi di più, quando i figli son divenuti così stolti, che non solo non chiedono il pane, di che hanno bisogno, ma lo respingono. Oggi dunque nessuno potrebbe dire con buona coscienza di non aver da lavorare per non averne obbligo di giustizia. C'è l<t carità che ci spinge forse con più forza - clwritas Christi W"f{et nos21 • Nei tempi anormali, adunque, il seinplice sacerdote, con debiti riguardi, può considerarsi non obbligato; 1na quando l'opera dei parroci non basta più, ogni sacerdote diviene un parroco. E' come nei casi di estrema necessità anche il semplice sacerdote ha l'obbligo di soccorrere all'altrui anima, anche col pericolo della propria vita; così nei casi di grave necessità ha obbligo proporzionato di cooperare al bene dei popoli. E che si sia nella grave, lasciate che ripetiamo -- grave necessità, nessuno è che ne dubita. Anche a voi del laicato è rivolta la nostra parola, perché anche di voi abbiamo bisogno per l'opera della restaurazione sociale in G. C. che ridonda principalmente a vostro vantaggio temporale, e più, spirituale. Voi delle classi alte, voi delle classi un1ili, voi spiriti eletti, dedicati allo studio, voi ani1ne semplici consacrate al lavoro manuale, tutti appelliamo, tutti vogliamo cooperatori, tutti stringiamo al seno come fratelli e figli in G. C. L'opera vostra a quella del clero disposata, renderanno presto cotesta illustre diocesi l'oasi fortunata in mezzo al deserto della odierna desolazione. Ed ora schiudete i vostri cuori, fratelli e figli dilettissimi dcl clero e del laicato, alle benedizioni di due Pontefici, che noi abbiamo la fortuna di recarvi. Era il 30 Giugno, e noi stava1no ai piedi del gran Pont. della R. N. Egli ci parlava del popolo siciliano e ci inculcava di tirarlo a noi, prima che ce lo avessero rubato i socialisti. Allora noi osam1no esprimere al S. P. tutto il nostro pensiero e dire come l'opera dei dem. crist. non sortisce tutto l'effetto perché alcuni trai vecchi del laicato e del clero tuttavia credono che la nostra dem.
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Hebr. 5, I. Ad Cor. 5, 14.
Mario e ~uigi Sturzo:J}ue vite corrplementari
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cr. (proprio la nostra ci venne detto) non sia quella del papa; e perciò noi, credendo, come crediamo, che la pace e l'unione sia dono di Dio, implorammo a tal fine una speciale benedizione. Il S. Padre accolse con paterna bontà le nostre parole approvando quel che noi avevamo detto. Ed allora noi osa1nmo supplicarlo che ci autorizzasse a rendere di pubblica ragione la sua autorevole parola di approvazione. Fr. dile!lis. ci commuoviamo a ripensarci: il santo Padre, che sino a quel punto era apparso stanco, esausto, più un cadavere che un umno, si animò, si fece di fuoco in viso, mentre gli occhi gli sfavillavano di arcana luce «Si, si, ditelo, monsignore, ditelo» esclamò con forza; «è il Papa che lo vuole; ditelo, ditelo .,)) E noi ve lo dician10 ora che vi parliamo per la prima volta, e ve lo diciamo con quel sentimento, come si raccoglie e ricorda !'ultima parola del Padre morente. Sì, forse fu quella l'ultima volta che il gran Leone parlò di D. C. e di concordia, e i fortunati a ricevere quella parola fummo noi, e anche voi, fr. e figli dilettissimi, perché per voi ed anche per la nostra patria Caltagirone, che noi espressamente nominammo, invocanuno la benedizione pacificatrice ed unificatrice. E' il Papa che lo vuole, e lo vuole perché è l'opera di Dio, e perciò è ancbe il vostro vescovo che lo vuole. Però ancora abbiamo un'altra benedizione da recarvi, ed è dcl regnante Pont. Pio X. Anch'egli ha detto la sua parola; e la sua parola è stata soave come il balsamo - toniate la società a Gesù Cristo - E noi, dopo aver letto e studiato il docu1nento, diretto a noi vescovi; il giorno l 1 dello scorno mese, che fu il giorno che prenden1mo in mano il governo della diocesi, osammo scrivere al S. P. la seguente leHcra: Beatissimo Padre, il primo pensiero e fa prima lettera ìn questo giorno, per me tanto trepido, che per procura ho già preso il possesso canonico della Diocesi di Piazza Armerina, a reggere la quale fui, contro ogni merito, chiamato da S. S. Leone Xl!/, di gloriosa ricordanza, volano a pie' della B. V. per implorare il conjOrto d'una ~peciale benedizione e per protestare al Vicario di G. C. venerazione ed obbedienza illimitata. Ho ricevuto con profonda venerazione la Lettera Encìclica di V. B., l'ho /etio e baciato, ed ora a V. B. protesto di volere quanto in essa si prescrìve e consiglia, adempire con tuf!e le forze del cuore. - La famig!ìa nella sua costiluzione cristiana, l'educazione cristiana de/fa gioventù, l'osservanza della legge, l'equa dìstrihuzione della ricchezza, l'armonia delle c!assi-quafe copiose mes~·e di operatura! Comì11cerò dal Seminario, come V. B. ha prescri!to, il Clero sarà la mia cura ~·uprema; coll'aiuto del quale potrò, piacendo a Dio, concorrere, benché in minima parte, all'affuazione de/fa Democrazia Cristiana, che V. B. ha in poche parole cosl sapientemente delìneato; cioè alla restaurazìone de/fa società in G. C. Beatissimo Padre, io sm1 gio\lane ed indegno delf'alto mandalo, e perciò phì sento il bi~·o gno di stringermì alla Cattedra di S. Pietro e di vedere avvalorala t'opera mia da una benedizione specialissima di V. B .. /fimo. e Revmo. Signore, per venerato incarico del Santo Padre mi reco a grata premura significare alfa S. \!. /flma. che molto accetta è tornata alla Santità Sua la lettera da Lei in\liatale in data 11 c.m. in occasione de/fa presa di possesso della Diocesi di Piazza Armerina. Sua Santità ha rilevato con paterna soddisfazione i suoi nobili sentimenti di fedeltà ed alfaccamento alla Santa Sede, i qua/i fanno bellamente presagìre di un novello pastore, che si accinge a coltivare la mistica vigna del Signore coi sentìmenti propri della sua elevata missione. In ricambio pertanto del gradito omaggio, l'A11gus/o Pontefì'ce Le invia di cuore l'apostolica benedizione, pegno immanchevole di fecondo apostolato .. Scenda adunque la benedizione di Leone XIII e di Pio X su di voi copiosissima e vi renda ancora più santi e più zelanti di quel che siete.
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Salvatore Latora
Scendano le benedizioni di due pontefici su tutto il clero della nostra diocesi, foriere di zelo e di concordia; scendano sul seminario, semenzaio di bene, speranza dell'avvenire; scendano sul laicato, scendano copiose su tutti, sui buoni e sui malvagi; mentre anche noi da indegni leviamo su voi e su tutto il popolo la nostra povera mano, e pi첫 che la mano il cuore, e con viva effusione di affetto imploriamo su di voi le benedizioni del cielo, nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Dato in Caltagirone il I. Nov. 1903, sacro a tutti i Santi.
t Mario Vescovo
APPENDICE II
I PROBLEMI DELLA VITA NAZIONALE DEI CATTOLICI ITALIANI
Caltagirone, 24 dicembre l 905 Tuuo il complesso di fatti, di docu1nenti, di discussioni, di proposte, attinenti all'organizzazione dei caHolici italiani e che più da vicino ci riguardano, in ragione di tempo ha contribuito a mettere in una luce più netta i diversi problemi della vita nazionale dei cattolici italiani, e ne ha reso pili evidente la portata e più urgente la soluzione; sì che stimo necessario riassumerli in un csan1c oggettivo e sereno, richiamando su di essi l'attenzione di quanti al faticoso sorgere dcl partito de1nocratico cristiano hanno dedic<Jto forze generose di pensiero e di vita. Non pretendo, certo, di portare in mezzo al dibattito presente una parola decisiva (e com'è mai possibile?) riuscirvi riassun1ere in sintesi lo stato di fatto e la mentalità presente, esaininarne le condizioni, penetrare il significato psicologico dci fatti e discutere i problemi che da essi derivano nell'intento di portare un certo contributo di idee, che può dar luogo a una più larga e più sicura discussione. Se questa sintesi fosse sco1npagnata dal continuo svolgersi anche tumultuario e impreveduto, dei fatti, avrebbe un valore molto li1nitato, anzi potrebbe cadere nel gioco degli idealismi apriori~·tici; ma invece essa, nel riassumere e commentare i fatti precedenti, deve seguire l'imporsi dei nuovi fatti, deve penetrarne i problemi concreti, deve palpitare di vita vissuta, svolgentesi nell'incalzare degli avvenimenti. Forse non a tutti sen1brerà conveniente che si affrontino questioni credute ancora in1mature per lo spirito pubblico italiano, o perlon1eno sulle quali debba sentirsi una parola di autorità, più che una libera discussione, ahneno da parte dei cattolici. Senza discutere una si1nile opinione, che pel suo verso potrà anche essere rispettabile, io ritengo che ogni fatto storico si prepara con la fonnazione del pensiero, come ogni legge viene imposta più dai fatti e dalle convinzioni che dalle ragioni di sen1plicc autorità. Anche l'enunciazione esplicita dcl dogn1a Jì; preparata dalla discussione contro gli eretici, fecondata di fede vissuta e di carità operosa; - è quindi preparatoria a ogni soluzione la discussione dei problemi, quando anche non spetti che solo ad un'autorità, qual essa sia, il giudicare e il decidere. Le soluzioni storiche impongono la discussione che diviene vita: e io sento la necessità di tali discussioni, che non riducono la vita ad astratto filosofare, ma che applicano le teorie alla vita,
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Salvatore Latora
e a quella vita che, per un fatto complessivo e naturale di tutti noi, che ne viviamo tanta parte, chiainiamo oggi nazionale. I.
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Un'analisi dell'attuale situazione dei cattolici in Italia è molto difficile e riesce in-
cmnpleta; sono tante e così vive le pre,\'sure sul nostro spirito, determinate da un cumulo di avvenimenti in parte impreveduti, che non si riesce facilmente a mettersi in uno stato di osservazione storica, senza provare i sussulti della vita vissuta. Onde questi abbozzi, queste specie di fotografie istantanee di un cavallo che corre, non ci possono dare tutta intera la figura, ma solo l'ultima mossa, della quale abbia1no cercato di precisare i caratteri obbiettivi. Tant'è, siamo, o almeno crediamo di essere, in un momento decisivo per fa vita nostra nel campo politico e civile; e una rassegna del passalo prossimo s'impone al pensiero; tanto più quanto il presente rnomento, più che di attività nuove, è di raccogliinento, di riflessione, di aspettativa e di speranze. E' il m01nento, dunque, di ricercare noi e le nostre fatiche, e di col/azionare (passi la brutta parola burocratica) i protocolli del passato. Quando in Italia la enciclica Rerum Novarum cominciò a penetrare nella coscienza dei cattolici, e non fu sUbito, e a destare un nuovo fermento di vita, la parola e il programma di demo-
crazia cristiana chiamava studiosi e lavon1tori a ideali più detenninati in ordine alla questione sociale, e creava una falange di forze nuove, che per necessità di vita vennero a contrasto con elementi conservatori, tradizionali, che avevano serbato in Italia e in certo modo esteso i sentimenti religiosi e avevano cercato di formare un'organizzazione nazionale delle forze cattoliche in Italia, raggruppate principahnente nell'opera dei congressi. Ed è 1utta storia vissu!a da noi, quella che dal 1897-98 afriva fino alla tentata fusione delle giovani e vecchie forze dei cattolici d'Italia nel 1902, al mutainento mini~·teriale (chia1nia1nolo così) di Paganuzzi in Groso/i, al trionfo della tendenza democratica al congresso di Bologna (1903), alla forte resistenza dei conservatori nel consiglio direttivo e nel comitato permanente generale fino alla circolare e alla caduta di Grosoli (1904), al movimento autonomista e delle giovani schiere e alla sconfessione susseguente, e infine alla attenuazione del non expedit, all'enciclica di Pio X sul movimento cattolico e al tentativo presente di una nuova e più larga organizzazione dei cattolici italiani (1905). Tutta questa storia di otto anni (bas!il accennarla, tanto è nota nelle sue fasi esteriori e nelle sue ragioni intime) ci si presenta oggi sotto due aspetti: come una lo1ta di due tendenze diverse e anche opposte nel campo delle idee e della organizzazione; e come un lavorìo di trasformazione psicologica e ambientale dei cattolici italiani; ed è l'una e l'altra cosa insie1ne. La lotta e l'urto delle tendenze a molti è sembrato un fenomeno dovuto alle imprudenze, alle internperanzc giovanili, un fatto personalistico di semplice carattere morale; a deten11inarc il quale hanno contribuito vaghezza di novità pericolose, oltre che in materia sociale anche in quella religiosa, scientifica e storica, e spirito critico-razionalistico, che da oltr'alpe è piovuto a noi a infestare le nostre belle contrade. E ciò potrà avere anche un'apparenza di vero; però quelli che così dicono non hanno considerato che anche tali fenomeni, ridotti alla vera e reale entità, senza le esagerazioni polemiche, non avrehbcro potuto essere le cause proporzionate di un n1ovi1nento generale in Italia, di nuove forze esplicantisi nella vita e in tutti i rami della vita, se non vi avesse corrisposto un pensiero vero, reale, profondo, che supera le accidentalità e le modalità delle cose e penetra l'intimo essere della vita. Il cozzo e l'urto delle due tendenze, qualsiasi il modo, doveva avvenire, perché vi erano di fatto e si affennavano queste due tendenze; e i beghini dell'armonia e dell'unione dei cattolici (per quanto necessaria nella vitalità religiosa) tendono a sopprin1ere la vita, perché vogliono soppricosa impossibile~ la discussione, la opinione, il siste1na, la tendenza diversa.
mere~
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Che se la storia della chiesa, anche nel puro campo religioso, ci fa assistere allo svolgersi grandioso delle vive correnti teologiche e tea-filosofiche, all'affennarsi di sistemi pratici e al cadere di vecchie fanne, dando corso alle nuove, è antiscientifico e antistorico pretendere che, n1entre il mondo cammina, i cattolici restino a vivere una vita e ad avere una concezione di essa, forse adatta ad altri tempi o per lo meno che poteva essere la ultima espressione della potcnziali!à di quei le1npi, e non mai rispondente ai tempi, alle forme, al progresso naturale dei nuovi; e co1ne quella vita potè segnare un progresso sulla precedente, così oggi nel progredire e nello svolgersi di altre forme umane, nell'impiantarsi di altre questioni, nell'attuarsi e concretarsi di altre guise sociali, s'impongono allo spirito dei cattolici altre e più adalte forme di vitalità. L'affermarsi della quale, cmne tutte le efficienze mnane, avrà anche esso i suoi lati manchevoli insieme ai suoi pregi; i vantaggi di un'idea, insieme, e quelli di persone che ad alluarla si adoprano, e gli svantaggi che il concreto dell'azione porta con sé nel tmnulto della discussione e della vita. L'avvicinarsi di queste due tendenze nel contatto di idee, di opere, di organismi, doveva produrre, come in tutte le cose un1ane, simpatie, urti, resistenze, trasfom1azioni. Se non fosse così, la personalità umana, con i suoi pregi e i suoi difetti, scomparirebbe insieme con la vita. Ebbene, questi contatli, urti, trasforn1azioni, rifanne, affennazioni, cadute, J"on1iano la storia di otto anni di nlovimento democratico cristiano, che ci sen1bra così lunga cmne se fosse di più di mezzo secolo. E oggi non rimpiangia1no il passato, né noi né i conservatori; c'è qualche cosa che è caduto e che doveva cadere, c'è qualche cosa che è rimasto, e che è bene sia rimasto; ma soprattutto ci stanno esperienza di vita, forze allenate, vitalità nuove, reallà più sentile, difficollà superate, pensiero più 1naturo; e più che altro la grande trasfonnazione che sì è andata operando in questi pochi anni nello spirito, nella cultura, nella orientazione dci cattolici in I!aliu. Se il movimento democratico cristiano, come sembra ad alcuni pessimisti (e !o siamo un po' tutti, nei mo1nenti di sconforto), avesse compiuto il suo ciclo, e non dovesse più nulla !en!arc nel campo della vita sociale e politica in Italia, esso avrebbe già avuta una funzione importantissin1a nello sviluppo del ·movimento dei cattolici in Italia; quella, cioè, di avere prodol!a o aln1eno di essere stato l'esponente più visibile della trasformazione del pensiero e dell'atteggiamento dei cattolici italiani verso la vita moderna e i problemi che da essa sorgono ad agitare la coscienza u1nana. Che se oggi si parla di rca:done, e c'è, essa non può essere se non accidentale, li1nitata anche nei suoi sforzi, e tale che detennina naturalmente gli elementi di rimbalzo, e di controreazione che si produce negli spiriti, la quale, seleziona, in un'opera intima e spesso invisibile, la vitalità, e la slancia al suo dcs!ino. Questa trasformazione non è a tutti visibile né se1nbra generale, anzi fra dubbi, incertezze, manchevolezze (e co1n'è possibile non ve ne siano?) pare che abbiu perduto la forza dell'assi1nilazione e l'energia dello sviluppo. E pure non è così: essa è vitale e forte. Nel campo sociale (è già una conquista) sono penetrati !o spirito e le idee che Leone XIIl assommò, come precisandole, con la enciclica Renon Novarum. la quale volle essere ed è quella faccia di idee e di criteri sociali, che riguarda e prospetta le idee e i crilcii religiosi e cristiani in ordine all'attuale crisi operaia: idee e cri1eri che egli bandì, co1ne parola geniale perenne della chiesa, a cattolici militanti e non nlilitanti, a popoli e a governanti, a poveri e a ricchi, a tu!li, perché tutli richian1ava, dal tmnulto dell'agitarsi di plebi incon1poste, alle sublimi considerazioni del diritto cristiano. Sventuratamente la parola di Leone XIII divenne e fu appresa come esplicazione particolare di vit<1, neppure di tutti i cattolici, e bandiera di un programma specifico, nel campo civile e politico; per cui dovette lo stesso Leone XIII, nella Graves de com1111111i, restringere e precisare meglio i ter1nini religiosi del proble1na sociale, dentro i quali termini credc!1cro doversi organizzare i cattolici. Anche questa forma fittizia doveva venir 1neno; essa servì a far conoscere e amare un documento,
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Salvatore Latora
dal quale si inizia, come concreta guisa di tempi, l'in1ercssamento della chiesa per l'attuale questione sociale. Per virtù del movi1nento democralico cristiano è penetrato il convincimento, ormnai generale, che i cattolici, più che appartarsi in forme proprie, sentano con tutti gli altri partiti moderni la vita nelle sue svariale fanne, per assinlilarla e trasformarla; e il n1odcrno, più che sfiducia e ripulsa, dcsla ìl bisogno della critica, dcl contatto, della riforn1a. E il senso di rifonna, di miglioramento, di revisione della vita, è divenuto generale nella cultura dei cattolici, la cui mentalità si va evolvendo, insieme all'acuirsi del bisogno di un ritorno intero alla vita cristiana e di una trasformazione reale in senso cristiano di tu!!o l'agitarsi del pensiero e dell'attività mode1na, senza le supcrcostruzioni di epoche prcccrlenti e gli ostacoli di clementi fittizi e privi di vita. A tale slancio di pensiero nuovo facevano contrasto k fonne viete che riunivano le forze dei cattolici militanti; forlunali e dolorosi eventi fecero scomparire quelle fonne e quelle fonnule, giìi 1norahncnle cadute da un pezzo dall'animo dei cattolici riformisti. Che se i roUami ingombrano ancora !a strada, e concezioni negative ancora predominano, !o spirito è libero, e nel rifarsi da capo non è possibile tornare indietro. In tutto questo lavorìo, orn lento ora affrettato. in questi precipitati eventi e in questo sollevarsi e riaffermarsi della coscienza nuova, molte speranze sono cadute, molte disillusioni hanno colpito l'anima entusi<ista precorritrice di eventi; ma nel faticoso ascendere della vita 1nolto si è conquistalo, anche quando si temeva un rilmno, anche quando la reazione si 1nostrava più forte, e le crisi scotevano vecchi edifici e nuove speranze. Così !ulli gli eventi umani, quando mostrano che si va indielro, spingono J'unrnni!à in avanti, nel sno cammino fatto di dolorose esperienze, di prove ardite, di lotte in1pari, di sconfitte angosciose e di impreveduti trionfi. Solo oggi, dopo tanto oscillare, dopo una serie di even!i ora lieti ora tristi, dopo avere percorso fa faticosa via de! progresso sen1pre n!Ja coda dcl movimento, facendo anche la funzione di resistenza anziché di spini a, solo oggi possiamo dire di avere la possibilità di porre anche per noi il problema nazionale, come una sintesi di tutti i problemi dcl vivere civile, dal politico al religioso, dn!l'econrnnico al sociale, dall'educativo allo scientifico, in ordine alla vitalitìi presente e al progresso della civillà. Ad alcuni semhrerà strano che io nel problema nazionale, come in una sintesi, includa anche il problema religioso, e 1rovcrà per lo 1neno poco preciso il 1nio dire: per costoro sento il dovere di spiegare la posìzione men1ale che io assumo, e che risponde al carattere reale dcl 1novimento. Quando si parlarli vita nazionale, cioè quella vita che un popolo, uno di noine, di razza, di organismo, vive e produce ed evolve, si deve parlare di tulle le manifestazioni della vita, quali nel fatto esteriore, risponden1e all'interiore 1novimcn10 degli individui e della società, si esplicano e si sviluppano; e della loro realtìi, estensione e intensità. Così anche il problema religioso, il inassimo nell'ordine delle esigen1.c spirituali, fa parte di iuua una aggl01nerazione organica di popoli, ed è lrattato nella misura delle sue 1nanifes1a1.ioni e nella posizione dcl suo svolgi1nen!o. Ora. quando nffcn110 che i cal!olici debbono anch'essi, con1e un nucleo di uo1nini di un ideale e di una vitalità specifica, proporsi il probletna nazionale, che fra gli altri problemi involve in sintesi anche il religioso, io suppongo i cattolici come tali, non cmne una congregazione religiosa, che propugna eia sé un tenore di vita spirituale, né cmne l'autorità religiosa che guida la società dci fedeli, né come la turba dci fedeli che partecipa attivamente e passivamente alle elevazioni e ai cmnba11imenti di vita spirituale, né come un partito clericale che difende i diritti storici della chiesa, in quanto vitalità umana di diverso ordine e di ragione concreta, specifica; ina come
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una ragione di vita civile informala ai principi cristiani nella morale puhhlica, nella ragione sociologica, nello sviluppo del pensiero fecondatore, nel concreto della vita politica. Questa concezione è diversa da quella avuta da 1nezzo secolo a questa parte, quando la ragione così detta clericale faceva i cattolici sostenitori di diritti regi, di tradizioni ecclesiasticocivili, di regimi politico-castali, e li poneva contro le rivoluzioni liberali, che nello affermarsi di un potere laico assoluto, traente origine dalla presente sovranità popolare, assomniava in sé la guerra contro lo spirito della chiesa per abbatterne le fom1c. Oggi, compiuta la rivoluzione, assodati i nuovi regimi, dato !'aire alle nuove fon1wle politiche, sviluppato il carattere costituzionale della vita esteriore, il tipo clericale nel vecchio ed esteso senso della parola è scomparso: gli avanzi sono pochi o ridot!i ;ill'impolcnza; o per lo 1neno non può avere sviluppo una qualsiasi reviviscenza clericale nel suo tipo storico. Non è scomparsa però la tendenza larvata, la minuta concezione tradizionale, la visione piccola di una vita che ha perduto la sua ragione; la quale è ingrandita, ingigantita anche dalla confusione dei principi di vila religiosa con le forme storiche esterne e accidentali di essa. E' chiaro che la ragione religiosa, come movente logico e come finalità ultin1a, rimane integra nel concetto di ogni attività esteriore personale o collettiva di cattolici, anche nella esplicazione della vita civile; ma essa non è più legata a ragioni storiche e solo si adcrgc con il motto assunto da Pio X: instaurare omnia in Christo; è e sarà il 1notto di tutti quelli che 1nilitano nella chiesa con la fede viva, con l'animo vinto dalla grazia, ciascuno secondo la 1nisura di partecipazione avuta dallo Spirito: l'esegeta che da suo studio penetra i segreti delle sacre carte vale quanto l'mnile fra Galdino, che raccoglie le noci mendicando alle porte degli operai di un villaggio, e lascia a loro la benedizione e l'augurio del francescano. T\1a la vi1alità nazionale, alla quale fu estranea, nel suo agitarsi organico, la for;;a dci cattolici (antichi e nuovi), e lo spirilo della vita pubblica, basato sulla laicizzazione delle fanne esterne per arrivare a scristianizzare le interne, non può assumere la guisa di una lolla religiosa, di una contesa per la fede, di una guerra di religioni: essa è e resta civile nella sua caratteristica e nella sua finalità in11nediata, e chi vuole operare in essa, nella guisa presente, deve assumere qucs1a posizione necessaria, impos1a dalla natura dell'àmbito di vita e dalle caratteristiche del pensiero presente. In essa vita ogni tendenza dello spirito, ogni elaborazione di prograinma, ogni fede politica avranno quella rappresentanza morale che la forza dcl pensiero s!esso, la unione degli uomini che vi aderiscono, la comba!tivilà delle forze che necessariamente si sprigionano da essa unione, vanno detenninando. Così, cattolici o socialis1i, liberali o anarchici, n1oderatì o progressisti, tutti si mettono sul terreno comune della vita nazionale, e vi lottano con le armi n1odernc della propaganda, della stan1pa, dell'organizzazione, della scuola, delle am1ninistrazioni, della politica. Ora, io sti1no che sia giunto il momento (tardi forse, all'uo1no, 1na non inia lardi per l'inizio di essi) che i cattolici, staccandosi dalle fonne di una concezione pura clericale, che del passato storico fonnava un'insegna di vita e dcl prcscn!c una posizione anlagonis1ica di lotta e sviluppandosi dalla concezione univoca della religione, che non solo era primo logico e ultimo finale, ma insegna di vita civile e ragione anch'essa antagonistica di lotta ~ si n1etlano a paro degli altri partiti nella vita nazionale, non cotne unici depositari della religione o come an11ala pcrrnancn!c delle au\orità religiose, che scendono in guerra guerreggiata, ma come rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del viver civile, che vuol si impregnalo, ani1nato da 4uci principi 1nonili e sociali che derivano dalla civiltà cristiana, conte infonnatrice perenne e dinamica della coscienza privata e pubblica.
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E la potenzialità della vita cat1olica italiana a trasformarsi in parti!o nazionale è andata maturando attraverso stenti, difficol!à, dubbi, incertezze, avversioni: al congresso di BoloMna si cominciò a credere possibile in Italia la creazione di un partito cattolico nazionale, e il prudente e deciso contegno di Grosoli fece sperare che, in un avvenire non lontano, con la graduale conquista della personalità vera di partito, si fosse potuto dai cattolici (pur chiusi nell'ordinamento dell'opera "<lei congressi) vivere una vita civile e politica collelliva, anche durante il regime del non e,\JJedit. E da quando la lettera circolare dcl cardinal Merry del Val sciolse il comitato generale dell'opera dei congressi, si andò compiendo una vera trasfoimazione nella psiche dei ca1tolici: !e nos!rc forze mìlitanti, nello sfascìarsi del vecchio organisrno e nel veder sos!anzialmente limitata l'attìvità delle associazioni cattoliche al movi1nento religioso, cominciarono a riacquistare la coscienza chiara dell'ibridismo costituzionale dell'organizzazione dell'opera di congressi, e la conseguente impossibilità di raggiungere in essa una posizione qualsiasi di par!ito nazionale. La elaborazione lenta e pertinace, tentala dai migliori uomini di parte callolica messi alla direzione dell'opera dei congressi, verso una personalità propria dei cattolici militanti, cozzava forle1nente, non solo con le tendenze della parte conservatrice e refrattaria, che formava l'elemento tradizionale dell'organismo dei comitati parrocchiali e diocesani, ma con la responsabilità e disciplina ecclesiastica, di che fu circondata un'opera laica, sorta con fini e con criteri veramente d'azione religiosa. Questa responsabilità diretta della chiesa, riguardo un'opera laica civìle e sodale, o doveva far entrare papa e vescovi (in!ervenicnli in una guisa visibile e col carattere dell'autorilii) neffmnbilo delle lolle, delle discussioni e delle passioni umane, e ciò non se1nplice1ncntc conte guida, norma, dottrina, ma come partito, come fazione belligerante - una specie di rinnovato nlcdio evo con i po1eri misti di pastorale e di spada; - o doveva impedire che l'opera laica civile e sociale costituita sotto la responsabilitò dirc1La della chiesa avesse nelle sue attività varcato i lùni!i d'un cainpo puramente religioso. La pri1na ipotesi era ed è i1npossibilc oggi, e sarebbe di grave danno alla chiesa, che non ha cerio la missione storica che ebbe nel 111edio evo, né partecipa direttan1ente o in forma eminente e internazionale al regiine dei popoli cristiani; - !a seconda ipotesi quindi veniva con1e conseguenza logica, e fu imposta in Italia, non solo per una serie di fatti storici legati ai più vivi interessi religiosi, ma anche per le condizioni stesse del pontificato ronrnno che, spoglio, con gli al!ri prìncipi d'Italia, dcll'nnlico potere, non avrebbe polulo alteggiarsi a se1nplice pretendente politico, né avrebbe potuto avviare diretta1nente un'azione nazionale dei cattolici, senza gravi ripercussioni nello spirito stesso della religione della gran massa del popolo italìano.Questo 1nostrarono di non intendere gli uomini di centro del nostro partilo quando, sorta a vigoroso impulso !a de1nocrazia cristiana, buona e decisa a fronteggiare i socialisti sul terreno sociale e politico, vollero circoscriverne l'azione incorporandola nell'opera dei congressi, affidata sempre pili da vicino ai vescovi, al vicario del papa, alla congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, entrando così, non solo (cd ern necessario) come dottrina 1nonlie e religiosa, ma anche c01ne organizzazione laica nel reparto degli affari ecclesiastici. Allora le preoccupazioni dei borghesi, dei ricchi, dei legitti1nisti, dei padroni, dei conservatori, tulli più o meno cristiani e figli della chiesa, si riversarono contro la democrazia cristiana, e crcnrono a!lorno a parroci, a vescovi, non solo il senso della diffidenza, ma il timore che questo movimento celere e alacre nel cainpo sociale, promosso in nome della chiesa, avrebbe allontanato dalla religione n1olti che bene o male erano sostenitori del cul!o, non raramente pro'tettori dci diritti de!le chiese, amici influenti del ceto ecclesiastico, buoni e anche, se si vuole, pii cristiani; e le autorità ecclesiastiche con prudente riserbo (quando non credettero addirittura di levarsi di tra i piedi
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quegl'incomodi agitatori) i1npedivano il 1novimen!o de1nocratico cristiano, evitavano così di esser trascinate nel tmnulto delle passioni popolari, che ora assu1nevano il carattere di attrito fra capitale e lavoro, ora la guisa d'una lotta ainminislrativa, e ora l'effervescenza di ripicchi anliclcricali. Lo s1csso avvenne in altro campo dal congresso di Bologna in poi. Invero, il complesso dei
fatti compiuli, cioè della s1oria della rivoluzione italiana e dcl presente assetto nazionale, per noi cattolici non è una semplice constatazione di fatto, o un punto di partenza per l'avvenire, o un naturale presupposto politico, o un ideale raggiunto; per noi, dopo più di quaran!'anni, rimane ancora una pregiudiziale da risolvere. Mi spiego: tagliati fuori dalla vita nazionale dal 1848, a pigliare una data decisiva, fallito il neoguelfismo, rimasta senza séguito, senza significato, amorfa e personale la partecipazione di alcuni alla vita parlamentare (il più notevole fra tutti, il siciliano Vito D'Ondes Reggio}, e poscia tnismutato in autorevole
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expedir il volontario 11011 eletti
11é
eletrori di don Margotti, i cattolici non
solo non parteciparono allo svolgersi dci fatti nazionali né positivainen!e né negativamente, 1na furono degli a~·scnlcisri, i quali sentivano nella loro coscienza forte il rimbalzo delle sette anticristiane, delle nuove leggi antireligiose, della nuova civiltà portata in nome di una laicizzazione e scristianizzazione generale della vita dei popoli; e alla condanna morale e psicologica del male enomie fatto alla religione, legarono la condanna di nuove forme civili, di nuove aspirazioni e ideali nazionali, di nuovo flusso di vita che pervase la così detta lerza Italia. Questo stato psico-1norale dei callolicì italiani non è passato nella loro coscienza co1ne una riprovazione storica conte1nporanea, che non tocca il presente (co1ne in tante nazioni), ma è rin1as!o duraturo e vivo con la questione romana aperta il 20 settembre 1870, la quale sintetizza in sé i fatti antireligiosi e i fatti poli1ici della rivoluzione italiana. Di questa posizione credeltero avvantaggiarsi i legittin1isti, i borbonici, i credenti nella fonna monarchica di diritto divino, tutta roba da museo, che assunse allora I 'etichella cattolica, perché dalla rivendicazione sempre viva dci diritti del papato potevano avere vita i diritti 1norli delle dinas1ie di antichi re e prìncipi italiani. E quando invece apparve per prìma !a de1nocrazia cristiana, che assunse guise di partito popolare cattolico italiano, i conservatori ca!!olici e i liberali c'interrogarono sulla pregiudiziale; e la pregiudiziale tornò a esser sentita fra una discussione e l'altra, nel rìapparire del partito callolico italiano affemiatosi a Bologna. Però il problema non era facile a essere affrontato, e sen1brava ancora i1nma!uro l'ainbiente; due ostacoli ci si paravano: il 1in1ore (non interan1ente ingius1ificato) che nell'accettare il presente stato di cose e la storia dei fatti compiuti, pur senza assumere responsabilità, si sarebbe recato pregiudizio alla rivendicazione di quella libertà e indipendenza che il papa reclan1a e che gli son necessarie per l'esercizio del suo alto ministero, e il timore che si sarebbe creduto alla ratifica di alcuni fatti che non presentano una sirna figura morale, e di quegli intendimenti delle sètte anticrìstiane che presiedettero alla fonnazione della nuova Italia. Intanto, questa pregiudiziale continuava a incombere co1ne cappa di piombo sui cattolici organi1.zati, nonostante che singolannenle fosse stata dalla gran maggioranza risolla in senso nazionale; ma le franche affennazioni dcl convegno dci giovani lombardi a Varese, l'atteggiamento dei giovani deinocratici cristiani di tutta Italia, le pole1niche giornalistiche sui 1nartiri di Be!fiore e sulle feste dell'8 agosto a Bologna e la decisione dci cattolici bolognesi di partecipare in corpo all'inaugurazione d'un 1nonmnento patriottico mostravano che or'an1ai si era maturi a uscire ufficiahncntc da una posizione incomoda ed equivoca, 1nentre le nuove discussioni sul carattere delle rìvendicazioni pontificie mettevano in luce nuove facce de! difficile problema, staccandolo decisamente dal campo dei diritti storici.
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E proprio questa pregiudiziale doveva essere il tallone di Achille dcl conte Grosoli. Egli credclle possibile autorevofmente, in nome di quell'associazione cui era affidala la direzione di 1utte le forze cattoliche organizzate, sgo1nbrare il terreno dal rottame di vecchie concezioni e mettere libcran1ente i cattolici sul terreno delle patrie conquiste, dopo avere non meno esplicita1nentc affermato che, a base della vitalità pubblica dei cattolici italiani, sta il diritto del pontefice alla libertà e indipendenza, e conie lirnite all'attività pubbliéa la osservanza allora intera del non expedit. Però, per la secOnda volta, in modo rumoroso e con effetti gravissimi, si riscontrava l'antinomia inevitabile tra partilo cattolico laico nazionale di carattere sociale e civile e le posizioni e le funzioni dirette della gerarchia ecclesiastica, specialn1ente del papa. La dichiarazione Orosolì infat!i, necessaria per un partito cattolico nazionale, oltre che urlava i pochi fossili borbonici e lorenesi, urtava il scnli1nento di coloro che, pur non pensando a rivendicazioni legitti1niste, continuano in buona fede, per tradizione cd educazione, ad accomunare l'opera deleteria delle sèuc con le condizioni storiche dell'Italia; urtava non poche case di prìncipi spodestali e qualche corte di re e d'imperatori, non esclusa la vecchia Austria; urtava le diverse sfu1nature dci clericali francesi e spagnoli, che tuttora premono nell'opinione delle sfere ecclesiastiche; urtava infine, e soprattutto, la posizione presa dal papato dal 1870, il quale non può, diciamo così, ratificare, anche negativamente, alcuna delle cause storiche che condussero al presente ~lato, quando ancora 1nanca la soluzione della questione romana o anche un modus vivendi, senza pregiudizio, non dei diritti, ma di quella linea di condotta che il papato segue nell'attuale confiilto. E poiché la dichiarazione del conte Grosoli non poteva sen1pliccmente assumere i caratteri di un fatto libero, limitato all'attcggimnento dei cattolici, o, meglio, di quei cattolici che formavano la base costituzionale della presidenza Grosoli, ma si doveva costi!uzionalmcnte e moralmente far risalire all'autorità ecclesiastica supre1na, questa intervenne recisamente per non rimanere esposla a delle possibili 1ipercussioni, sia nel campo religioso, che in quello diplomatico, rinnovando sotto certi aspetti quello che successe nel l 902 per la democrazia cristiana. 11 1nale di questa condizione antinomica (che diverrebbe enorn1c, se si dovesse fonnare un par!ito calloiico parlamentare sulla base dell'opera dci congressi, perché sul pontefice, sotto la bruUa veste di pretendente politico ricadrebbe la responsabilità perfino di ogni qualsiasi interpellanza; - come nei singoli comuni diviene insostenibile la posizione dei vescovi e degli arcipreti, che diretLainente si n1ettono a capo dci paititi catlolici municipali) il male, dico, di questa condizione antinomica non è né dell'autorità ecclesiastica, che deve salvaguardare quegl'inleressi più al!i che saltano fuori dal quotidiano regime ecclesi<istico, né dell'organizzazione civile dei cattolici, che non possono, perché tali, veder lin1itata l'attività cittadina e sociale, a cui sono legati nlolteplici interessì, senza che venga meno e si esaurisca la stessa attività dei calfolici, che spesso arriva a confondersi con quella dei conservatori liberali: - è il fenomeno triste d'l!alia e di Francia. La colpa, invece, è stato l'ibridismo della tendenza re1igiosa concretizzala nelle associazioni cattoliche, e, principahncnte, l'ibridismo enorn1e che aveva la vecchia opera dei congressi, la quale, sorta con modesti caratteri religiosi, per appoggiare e rendere meno isolata (spccialn1ente nell'alta Italia) l'opera dei parroci e dci vescovi, attorno ai quali si formarono i cOJnitati parrocchiali e diocesani, in uno sforzo di espansione necessaria o di invasione esagerata, cercò di unificare tutte le forze cafloliche preesistenti, e perfino le confraternite, assorbendo il moviinento universitario, che in!ristì; invadendo anche la società della gioventù cattolica, che resistette energicamente; ottenendo nel suo seno rappresentanze della società scientifica, di quella dei pellegrinaggi e della stampa cattolica, e circoscrivendo nel secondo gruppo tutta l'azione de1nocratica cristiana con i
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suoi circoli e fasci, le sue unioni professionali e le sue coopenllive, e fissando una sezione generale pel movimento amministrativo, che rin1ase se1npre locale e autonomo. In tutto questo lavorìo di unificazione e di espansione, se i cattolici assursero a po!enziali1à organizzata, un po' figurativa nei quadri, 1na realissima nell'esercito delle masse, rimase a hase dell'opera il carattere non solo religioso, come vita <li 1ullo il n1ovirncnto cattolico, nrn ecclesiastico, come carattere dell'orgunizzazionc stessa; e si arrivò sino a richiedere l'intervento dell'aulori!à supretna, del papa, prima per averne approvazioni e incoraggian1cnti (e ne diedero Pio IX e Leone XIII), poscia per averne delle credenziali per superare le diffidenze dei vescovi, e si ebbero anche queste; indi per avere una forza reale nell'opera di unificazione di fronte alla giovcn1Ù callolica, alle confraternite, e si ottenne l'appoggio. Infine, sorto il conflitto fra progressisti e conservatori, fra dernocratici e non democratici, il clamore delle contese passò il cainpo della orgaiii1.zazione e arrivò ai principi religioso-sociali, all'urto delle persone, al cozzo dei programmi, e l'autorità intervenne ad assicurare la purezza del!e credenze e dei principi 1norali e la rcgolarilà della disciplina ecclesiastica (Gra\'es de comm1111i, 1901). E vedendo che neppure ciò poteva ridare la cahna e l'ordine alle file dei cattolici, che si sforzavano di trascinare l'auloritù ecclesias!ica nel forte dcl <liballito per strapparle una sconfessione e una condanna, li1ni1ò la portata dell'opera ai caratteri religioso-sociali e ne assunse !'alla responsabilità (27 gennaio 1902). Così si spiega, storicainente e logicamente insieme, la incomoda posi1.ione della Santa Sede nella formazione di un partito cattolico in Halia. La quale posizione, anche dopo i fatti del 1904, si ripete adesso: l'a!lcnoazione dcl 11011 expedit, o il tentativo di una riorganizzazione di forze callolichc, si ripresenta a 1nolti c01ne un tentativo di coalizione clericale, anzi clericomoderata, una specie di ritorno storico della reazione del secolo scorso alle intemperanze e invadenze della rivoluzione francese e freno alle successive. Noi escludiamo lutto ciò dall'ascensione della nostra vitalità, e ci dornandiaino ancora: è possibile che la potenzialità dei cattolici si svolga in Italia nella guisa di un partito 11azio11ale? IL -
Prima di rispondere a questa domanda, occone 1ne1Lere in chiaro ì tennini della
questione: e quindi risolvere anzitutto la pregiudiziale 11azio11ale. Il passo di Grosoli nel!'affennare la nazionali1à iialiana, salvo i diritti della Santa Sede, come prodo1Lo di coscienza già in forrnazione e c0111e risultante di 1nollc affermazioni consin1ili; l'attenuazione del vincolo del 11011 expedit, con la politica dcl caso per caso e la susseguente entrata di alcuni cattolici alla cmnera dci deputati; e, più che altro, l'autorevole ed esplicita dichiarazione del pontefice Pio X nell'enciclica «Il fenno proposito», sono l'esponente della situazione e 1110strano che giù si è maturi ad affrontare la pregiudiziale 11azio11ale. Essa, per quel che riguarda l'unità della nazione, è onriai ristretta a!la sola questione ronlana. Il resto delle questioni storiche non ci preoccupa più che per esempio, se il diritto su Napoli fosse degli Aragonesi o degli Svevi; se i Borboni fossero legittin1i o no; ins01n1na, la 4ueslionc, dal punto di vista del diri!!o, è sfumata; il fatto !'ha soppressa, cmne tu!li i falli storici precedenti. Un popolo non ha i! dovere di studiare la casistica delle guerre e delle conquiste, per giudicare sulla legittirnitù di esse o 1neno; la fedeltà ha il limite nella potenzialità della resistenza; il diritto storico delle famiglie reali ha il valore che su loro riflette il bene di un regno o di un popolo. Oggi l'ideale della vita pubblica costitutiva di regni è quello che ha animato la Svezia e la Norvegia, che senza guerre scindono i loro destini che una forza innaturale o la necessità della difesa aveva unito, e ciò, solo con protocolli e con discussioni, senza diritti di pretendenti o legami di sovranità, senza bagliori di anni o intervento di chiese sanzionanti il diritto divino di quei re.
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Ma la storia della rivoluzione è onesta o disonesta? Questa do1nanda si può estendere a tutta la s!oria; e la risposta sarà identica. Noi oggi possiamo affermare che fu un bene l'unità della patria, che fu un bene che per essa si fosse lollalo; e che però, nel perseguire questo ideale, molti generosi ebbero slanci di virtù, rnolti ingannarono e fecero male. Il patrimonio che oggi abbiamo può essere inquinato, rovinato anche dalle ipoteche di un passato dilapidatore; ma ci ha dato una vita, e l'affermiamo, questa vita, col nostro intervento. A coloro che possono rinfacciarci lo scadere dei costumi, la lo!ta alla chies1.1, il trionfo del liberalisrno, la propagm1da sovversiva, rispondiamo che l'Italia, divisa in sette stati, avrebbe subìto anche peggio, come la Francia, anzi come l'Austria; ove a riprova dei fatti governa Francesco Giuseppe di Asburgo dal 1848, cioè dalla più fonnidabile e retorica rivoluzione italiana; quel Francesco Giuseppe che tenne testa alle rivoluzioni e che poscia vi si dovette sobbarcare. Anche lì c'è tulto quel 1nale che si attribuisce all'Italia una, e che sarebbe stato anche nell'Italia divisa, e anche (forse peggio, per natural reazione) negli stati pon1ifici. Rcs1a dunque solo la pregiudiziale della questione rrnnana. Essa viene posta in questi termini: a) è possibile un partito laico cattolico, che si disinteressi, come partilo, della questione romuna? b) e se è possibile, fino a che punto esso può prescinderne, senza mancare ai suoi doveri? c) e se un qualsiasi fatto concreto dctcnnina un conflitto o lo acutizza, fra lo stato italiano e la chiesa romana, quale può essere il punto di interferenza fra il partito cattolico e i due poteri? Prima però di esaminare i termini della pregiudiziale, bisogna assodare il valore pra1ico, concreto, presente della questione ronrnna in rapporto alla nazione italiana. Il sonnno ponlcfice, come capo della chiesa cattolica, non può rinunziare alla sua ingcni!a libertà e indipendenza: essa è tal cosa che diviene nel concreto il fallo stesso religioso, e pratican1enle e storicamente essa dà origine a quelle fasi storiche che si riducono, semplicizzando, o alle persecuzioni della catacombe, o all'autorità morale della decadenza dell'impero ro1nano, o all'autorità paterna su Roma per consenso di popolo, o al potere internazionale del 1nedio evo o alla potestà poli1ica dell'evo moderno; se1npre o libero o perseguitato mai il papa fu servo, se non a paUo di perdere la sua potenzialità morale e la sua stessa autorità. Oggi la libertà, quella certa libertà religiosa che si consente in uno stato neutro, e che moralmente è acquisita una tregua di lotte sfibranti, è necessità riconoscere che esiste: manca l'e!emcr1lo giuridico che sanzioni la libertà di fatto, e la renda intera ncll'ainbito di vita religiosa che si esplica e si manifesta al di fuori. Fatto giuridico che tolga a un potere laico, non la possibilità (cosa che non fece neppure il potere te1nporale) della violazione dcl diritto alla libertà, 1na la figura giuridica, la ragione o n1eglio il pretesto legale, che sanzioni, invece, la violenza e l'arbitrio di qualsiasi atto in contrario. Precisala in questi limiti la natura essenziale dei diritti della Santa Sede, nessuno ignora che il fa(lo storico preme fin troppo, oggi, da non Consentire altro che un modus vivendi, una ragione equivoca, nella quale questi due poteri convivendo non s'incontrino, né si riconoscano, né si urtino, né si coalizzino: fin che una vera evoluzione storica sciolga il prob!e1na che, sorto dalle persecuzioni rivoluzionarie e 1na!uralo all'ombra di un editto di tolleranza, trovi, attraverso nuovi tempi, una fom1a di vita pubblica. Tutto ciò, si dirà, tende a rafforzare lo stato italiano e a indebolire la chiesa. Preoccupazione fallace di uon1ini senza fede: tutto ciò: è il corso naturale degli eventi. Nessuna affermazione e nessuna negazione può spostare il fatto da questi termini e crearne un altro: nessuna persuasione subbiettiva porta a un termine concreto, possibile, maturo; le vecchie concezioni clericali
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non hanno altra arma che una protesta, un lamento, un insulto; né altra posizione che l'assenteismo e l'aspettare. Oh! l'aspettare! Anche noi aspettia1no, non il francese o il tedesco che rimetta la Santa Sede in trono a Roma (nessuno in Vaticano penserebbe ciò, e il papa rifiuterebbe soccorsi incomodi e posizioni belligeranti); aspettiamo invece che da nuovi ten1pi sorga la nuova orientazione della nazione verso la chiesa: la chiesa come virtù vivificante, non come pretendente politico; come forza unificante, non come energia che dispaia; ragione giuridica di altre garanzie che non siano un potere civile, o una difesa militare, o una vigilanza sbirresca che faccia la ronda al Vaticano. E' così diverso il pensiero contemporaneo, che non si puo' oggi concepire un papa che governi da sé, che abbia il suo parlamento e i suoi soldati, in cui nome si batta moneta o si punisca un delinquente; e la mentalità è il prodotto dei fatti concreti e produce le leggi e la storia. Si sarebbe concepito un potere temporale sotto l'impero rmnano, anche dal più ortodosso dei cattolici del tempo? Con ciò non ho dato la soluzione del proble1na (e come avrei potuto?), ma invece ho dato i contorni di quel che è oggi la questione. Essa è insolubile e dallo stato e da un pa1tito, sia pur cattolico; ma sono il papa e gli eventi che la porteranno alla soluzione. E' chiaro che uno stalu quo, una specie di armistizio, una i1npregiudicata posizione di sosta, che non implichi rinunzie, che non pregiudichi diritti, ma che dia alla chiesa una libertà di mosse e allo stato una sereni!à di lavoro necessaria è la prova di fuoco della coesistenza dei due poteri, non antagonistici ma solo indipendenti, tlei quali nessuno abbia l'animo alla lot!a, alla sopraffazione nel senso politico, e ciascuno senta i doveri della neutralità nei rispettivi ca1npi, civili e religioso. Questo stato reciprocamente pacifico non è possibile in paesi a sistemi costituzionali, ove forze, oggi positive domani negative, si contenderanno la vita; donde deriva la tendenza a invadere il cmnpo religioso, a penetrare nel santuario della chiesa e anche a colpirne il capo. La lotta detta anticlericale, - che non è altro che lotta anticristiana e che non rispannierebbe il più ideale dei governi pontifici, - potrà accendersi ed acuirsi: avrà, certo, i suoi quarti d'ora: invaderà scuole, cattedre, statnpa, vita civile: soffierà nelle passioni patriottiche: invaderà l'organismo sociale. Tale lolla, che non è e non sarà n1ai fase nuova nella vita dei popoli, oggi, nelle fanne costituzionali, dà altra spinta, sia pure negativa, alla fonnazione di un partito di cattolici, che nell'attrito della vita pubblica difenda i diritti del popolo alla vita religiosa e che nei municipi, nelle provincie, nelle opere pie, nelle scuole, nei pm·lamenti combatta vigorosamente le sopraffazioni anticlericali. Tale pm1ito, in Italia, messo a paro degli altri nel terreno della vita nazionale, non potrà spingersi più in là di ogni partito di cattolici in ogni altra nazione e divenire l'esponente di una ragione politica e territoriale del romano pontefice; della quale ragione, come partito e nel concreto della vita della nazione, si dovrà disinteressare, dal punto di vista di un coinplesso di rivendicazioni concrete e tassative. Ed è opportuno che il non expedit venga meno nel momento in cui le autorità civili dell'Italia nlantengono alquanto sereni i rapporti con il ro1nano pontefice, e che la politica ecclesiastica sembra 1neno decisa nel ritorno al passato, perché l'entrata dci cattolici nella vita pubblica non rappresenti una slanciata di soldati a invadere il campo di un avversario politico per sgmninarlo, ma un intervento oppoituno, e quasi direi necessario, a! naturale evolversi della vita italiana. Si dirà cosf il problema della questione rmnana non è stato risolto: ce1to è cosf, ma chi pretende risolverlo avrà un bell'affannarsi: i castelli di carta sempre vengono meno. «O degli umani antiveder bugiardo)>, esclameranno i posteri, quando avranno esaminato quel che si pensa da molti in ordine a tale importante questione, dopo che gli eventi avranno dato il loro responso.
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Qualunque possano essere i criteri presenti, le mire, le finalità, favorevoli o avverse, e del resto tutte vaghe, i1nprecise e indeterminate, la questione romana, anche nella ipotesi (la più razionale) della formazione di un partito cattolico che, come partito politico, se ne disinteressi, rimanà per i cattolici di qualsiasi tendenza, anzi per gl'italiani tutti, favorevoli e avversari, come un necessario punto di arrivo di un cammino a noi ignoto; con1c un necessario svolgimento di una potenzialità insita nell'anima italiana; crnne un necessario punto di partenza di nuova grandezza morale, nell'Europa dell'avvenire.
Oggi noi non possiamo fare più la questione dcl potere temporale, così e semplice111ente come un ritorno al passato, allo stesso inodo che non la potevano fare i cattolici dcl secolo XIV, quando la trasfonnazione del diritto internazionale europeo andò creando il diritto pubblico civile, nella distinzione dci due poteri e del diritto religioso della chiesa da quei diritti e poteri che la chiesa ebbe, cmne centro di vita civile e politica europea, fino alla cattività di Avignone e allo scisma di occidente; e pure anche allora la società progrediva e la chiesa si rinvigoriva, spogliandosi del bagaglio dei diritti medievali, che nelle forn1e concrete non rispondevano più ai bisogni dei tempi. Si avve11a poi che quando noi diciaino che il partito nazionale dei cattolici prescinde dalla questione rOJnana, s'intendono due cose: che esso non la pone come un primo politico nella sua azione, sicché esso debba andare in parlainento ed entrare nella vita pubblica con un programn1a da conseguire, fra cui il ritorno del potere temporale: non sai·à mai possibile che un pattito politico, e peggio il cattolico, possa risolvere con un'azione diplomatica o un atteggiamento parlamentare la questione r01nana, di cui il papa non solo è l'unico giudice competente, ma anche l'unica forza attiva di una soluzione che mille fattori dovranno maturare. E quando dico dovranno maturare, non ho fatto un semplice atto di fede, che 1ni guarderei bene dal fare con una specie di senso profetico: ho semplicemente argomentato con1c uno statista che vede le ragioni dei fatti e ne intuisce il corso. Nessuno potrà prescindere dalla questione romana nel senso che si possa far dimenticare, che possa cadere da sé rimanendo insoluta, che possano perpetuarsi le presenti condizioni dcl pontefice in infinito: non lo credono né i moderati che vorrebbero una conciliazione colla base dello statu quo, né i socialisti che vorrebbero una completa abolizione dell'ente chiesa, né i clericali che sognano il ritorno al passato. Nessuno che pensi che la storia di venti secoli abbia sancito che le sorti d'Italia non possono scompagnarsi dal papato, può ritenere che l'Italia risolverà la questione romana sopprimendola. Essa risorgerà sempre: lo stato di calma, il forte attrito, l'urto, la tacita intesa, un modus vi\lendi, un aperto contrasto saranno le fasi che si ripeteranno, colpa di uomini e di eventi; ma tali fasi faranno ricordare che esiste una questione la cui soluzione sarà maturata nella coscienza italiana. E' chiaro che un qualsiasi partito nazionale di cattolici avrà il diritto e il dovere di intervenire negli atteggiamenti che il governo piglia verso la chiesa, come interviene nelle altre nazioni, sostenendo quei principi e quei diritti della religione e dell'anima cristiana del popolo, che formano la caratteristica dci partiti cattolici 1noderni in tutte le nazioni, senza essere mai un partito clericale, cioè un'emanazione di chiesa. E ribadisco questo concetto, già espresso, con la considerazione che allri1nenti un partito nazionale par!anientarc di cattolici non potrebbe sussistere, né il papa vonebbc affatto le ripercussioni di una attività laica, civile, politica, ispirata sia pure a principi religiosi; né un tale partito potrebbe rappresentare inai il potere ecclesiastico, di cui esso diverrebbe una specie di gerente responsabile.
. Mario
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Sturz"c.Pue vite!'.!>mplementari
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Jn questi termini, che rispondono al comune sentire dei cattolici, oltre che alla logica, la pregiudiziale delle condizioni pontificie è superata senza che né il diritto, sia pure il tradizionale esterno oltre il puro religioso, venga pregiudicato, e senza che esso di1itto po.5sa implicare una posizione antagonistica dei cattolici alla vita nazionale e una posizione di combattimento contro la unità della patria per un ritorno al passato. Un'altra pregiudiziale bisogna risolvere, perché si possano delineare i caratteri del partito nazionale dei cattolici. Quale posizione assumerli tale partito verso la monarchia italiana? Ci fu un te1npo che, sottovoce e come di contrabbando, serpeggiava nelle file dci cattolici una simpatia, non più che una simpatia, per una repubblica italiana, anzi per una federazione re~ pubblicana: anche questo un sogno, di che i facili so]uzionisti dci problemi storici si sono sempre pasciuti nelle lunghe discussioni politiche ricreative. Oggi, per tendenza o simpatia personale, cc ne sono 1nolti, fra i giovani, cui l'ideale repubblicano piace parecchio; ma da un senti1nento platonico non si esce. Non si vorrebbe, e sarebbe sommo errore, che i cattolici facessero dcl repubblicanesimo in Italia: il che vorrebbe dire che non si farebbe niente: oggi, nei regimi parlamentari, svanisce la ragione politica co1ne forza dinamica del pensiero, per subentrarvi altre forze; e la posizione dei pm1iti in Italia è questa: o aderiscono alla monarchia, e ne fanno un caposaldo di program1na come i liberali; o ne prescindono senza sottintesi di ideali repubblicani, co1nc i moderni radicali; o ne prescindono per avven;arla, co1ne i socialisti. Noi non abbia1no nessuna ragione di aderire alla nlonarchia. Per noi non è il simbolo di un passato, né una forza per l'avvenire; per noi, re o presidente, non rappresenta che la somma dei poteri dello stato, non mai l'ideale della potenza militare o i fasti d'una casa cui siano legate le sorti d'Italia. Solo accettiamo il fatto con1piuto, nel senso che nessuna ragione di fatto c'invoglia a mutare quello che è l'ordinamento attuale. Noi, con la monarchia di oggi, troviamo sintetizzata l'unità della nazione e la rappresentazione dell'autorità assomn1ata in un trono; e augurimno che nessuna reazione militare, nessun ideale imperialista, nessuna pretesa di affe1mare diritti antagonistici al popolo induca la monarchia a mettersi in urto con la nazione. Quindi il partito nazionale cattolico non ha ade.~ioni preconcette, non repugnanze sisten1atiehc; risolve la sua posizione colla seguente formula: prescinderne senza sottintesi politici, sostenerne il valore costituzionale senza feticismi dinastici, comba!lcnie, quando occorra, le tendenze 1negalon1ani e imperialiste, senza attaccarne il principio. Inso1nma, il partito cattolico, come non è una emanazione chiesastica nel senso clericale della parola, non è né può essere un'e1nanazione monarchica nel senso che vi danno i liberali; la difesa dell'altare è la difesa della religione; e la difesa del trono è la difesa del principio di autorità: né l'altare né il trono sono coefficienti organici del partito cattolico, ragioni costituzionali dell'organis1no di una vita libera, costituzionale, popolare. Così, sciolti i lacci delle precedenti preoccupazioni, risolte le due pregiudizionali che venivano necessariamente a ingotnbrare il teneno che è stato occupato da quaranlacinque anni sul cmnmino dei cauolici, si arriva a metter le basi, con una caralleristica naturale, al partito nazionale dei cattolici italiani. III. - Ma quale progrmntna avrà mai questo partito cattolico nazionale? sarà forse il contenuto religioso e morale del progran1ma, che unirà tutti i cattolici di buona volontà sul terreno della lotta della vita pubblica? oppure vi sarà un contenuto specifico, che concreterà le aspirazioni dei cattolici italiani in una frnmula programmatica?
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Non è un problema nuovo, questo, per i cattolici italiani ed esteri; anzi è il problema che travaglia vivamente il nostro pensiero e che, insoluto, mina la compagine della nostra esistenza di paitito. Però, più che un caratlere definitivo, il problema piglia in sé un carattere rdatìvo alla vita che si svolge; quindi non si può risolvere in un senso assoluto, indipendentemente dai caratteri comuni di un dato tempo e di un dato luogo. Certo che, quando la forza di una lotta virulen1a contro i caLtolici in terra protestante, destò la vit<1lità dcl centro germanico, gli uomini che risposero all'appello di lotta non poterono avere un contenuto politico cd economico crnne base di prograinma, ma un contenuto principalmente religioso, nella difesa di quei diritti che sono i diiitti della coscienza e della vita. Questo, s'intende, non escludeva il contenuto economico e politico che può sbocciare vivo dal senso cristiano, come un contenuto di giustizia, di 1noralità, di prosperità, di bene. Ma, nella elaborazione di questo contenuto, le fonnole si estendono, i problemi divengono c01nplessi, le posi7ioni si spostano, le tendenze si manifestano unche in senso opposto, pur restando entro la traiettoria degli ideali morali e religiosi. C~sì è avvenuto in Gennania. In Aus!ria però si è svolto un processo differente: la ragione economico-sociale è apparsa con un piano tattico e logico; in essa uomini religiosi e di fede romana hanno trovato una soluzione di indole cristiana, e si sono presentati alla vita con un programn1a specifico nell'ordìne sociale, animalo da vitalità religiose. Questo secondo processo mi sembra sia il più confacente oggi in Italia; quivi la lofla antireligiosa si è confusa con tutto l'evolversi della civil!i:l presente, quale essa sia. Il criterio laico è predominante, non più come un movente di \oUa per la conquista di una ragione politica già ottenuta, ma come stasi di un processo di lotta già superata. Quale sarà per essere la posizione che verso i problemi religiosi assmnerà il governo italiano, sia pure in una recrudescenza massonicoanticlericale, non com111overà mai la coscienza nazionale, di sé sicura, perché la ragione politica di essa è venuta nleno; e oramai lo specchietto anticlericale di una fosca visione del ritorno al potere ten1porale e alla teocrazia non regge alla critica dei fatti quotidiani, che formano il substrato della coscienza moderna. La possibile lotta anticlericale e l'u1io antireligioso safÌl un episodio di un espediente politico o l'esplosione di un odio o l'opportunismo di una puntata contro la formazione del nostro partito; non mai una ragione che specifichi l'andan1ento presente della nazione italiana nella conquista di una libertà, di una indipendenza dal fattore religioso, come volere nazionale. Una lotta antireligiosa si svolgerebbe nello stesso modo e avrebbe lo stesso significato in Francia, come in Austria, corne nel Belgio; così in Italia. In tal caso, tutte le forze dei cattolici, non come partito organico, 111a come fedeli, si unirebbero insieme. Siano essi n1oderati, liberalì, progressisti e, se si vuole, gli spiriti liberi dai pregiudizi del "libero pensiero", tutti sarebbero alla difesa de! diritto religioso della coscienze, cmne avvenne quando fu presentato il progetto di legge sul divorzio; e in tale lotta i cattolici assumerebbero, non tanto una semplice posa politica, quanto una necessaria e doverosa difesa del diritto, del giusto, delle convinzioni loro e dei cattolici d'Italia. Le dissensioni sui metodi potranno aver presa nei casi particolari; n1a allora le vitalità e g!'ideali religiosi accomunentnno tutti gli uomini di buona volontà. Noi intanto diamo cosi un caraUere religioso al partito, in quanto che esso rappresenta un elemento di resistenza legittitna all'urto degli avversari, non mai cmne ragione confcssionalistica, come monopolio di vitalità religiose, come camarilla di a!Iari ecclesiastici, come difesa autentica della chiesa, nella funzione di nuovi patrizi di Roma e patroni della santa rmnana chiesa.
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E' perciò che non possiamo farne una bandiera del contenuto religioso delle nostre idee di vita civile e sociale, determinando un reggimento di forze ed elevando questi reggimenti a partito: tanti cattolici che sarebbero contro di noi, avrebbero il gioco di un astio politico, che urterebbe le loro convinzioni religiose, che scinderebbe l'animo italiano e creerebbe di nuovo l'antagonismo clericale anche nel seno dei convinti cattolici. Per Lale ragione noi an1crcm1no che il titolo di cattolici (cosf caro alle convinzioni religiose degli italiani) non frcgia:;;se i! nostro pa11ito e i nostri istituti. Che se urta anche al no.Stra senso este1ico leggere in cima alle insegne delle nostre banche o delle nostre società di assicurazione e dei nostri giornali il titolo di cattolici, urta anche, e più che urta confonde i termini, il vedere che domani un partito politico o an1n1inistrativo assuma la ragione di cattolico. L'uso invalso anche nel ca1npo avverso, come in parte ha fatto cadere il nome di clericale, cosf ha sostituito quello, che io vorrei così sacro, di cat1olici. In Francia si chiamano associazione liberale, in Austria cristiani sociali, in Svizzera conservatori; noi speravamo che ìl non1e e il contenuto della democrazia cristiana fosse passato con1c insegna di un partito militante, 1na anche questa parola si volle, per istinto che non si può evitare, far passare dal campo sociale a quello religioso, e poscia, mantenendo il suo contenuto, è rimasta a significare una frazione di cattolici più che un programma di vita. Ma, a parte la questione dcl nome (ci sarebbe da bizantineggiare parecchio), la questione è vitale per la elaborazione di un programma specifico del partito nazionale cattolico. A!lualmente le tendenze della vita pubblica italiana, nella grande varietà delle facce del partito liberale, si raggruppano in conservatori e socialisti; e si attraversa un periodo speciale, nel quale la politica si è spostata, orientandosi verso il popolo, che diviene centro d'irradiazione; e, in generale, un saliente benessere econo1nico, in un disquilibrio finanziario, acuisce i problemi della vita e dete1mina le lotte politiche. Non ripeto quel che ho dello in al1re mie conferenze: l'individualismo perde a vista d'occhio: la ragione sociale diviene meno incomposta; il pensiero si 1natura verso fo1me più organiche. I cattolici italiani non possono sfuggire a ques1a situazione, né crearne un'altra; essi devono affrontarla: o sinceramente conservatori, o sinceramente dc1nocratici: una condizione ibrida toglie consistenza di partito, e confonde la personalità nostra con quella dci conservatori liberali, staccando i pochi coraggiosi che vogliono spingere il partito sul can11nino delle progredienti den10crazie. Questa situazione indecisa e tendente verso i conservatori è stata assunta in molte parti, dove i cattolici sono penetrati nei n1unicipi e hanno aJTennato una vita elettorale propria; e questa tendenza è stata più che mai manifesta nell'entrare tumultuoso e in1preciso dei cattolici nella vita politica, con l'attenuazione del 11011 e.ìpedit, nel noven1bre scorso. E proprio i primi che, come cattolici, hanno preso posto alla camera, sono stati alcuni conservatori cattolici, dci quali l'esponente più significativo e più noto è !'on. O. Camaggia. E' questa !a constatazione di un fatto, che riassume una situazione creata già da tempo in ltlllia, contro la quale lavorò la giovane scuola dei de1nocra!ici cristiani, che invece assumono posizione politicmncnte diversa, benché concorde nella diJCsa religiosa. A me, democratico autentico, convinto, e non dell'ultima ora, è inutile chiedere quale delle due tendenze politiche, nel senso comune della parola, io creda che risponda meglio agli ideali di quella rigenerazione della società in Cristo, che è l'aspirazione prima e ultima di tutto il nostro precorrere, agire, lottare.
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E' chiaro che io stimo monca, inopportuna, che contrasta ai fatti, che rimorchia la chiesa al carro dei liberali, la posizione di un partito cattolico conservatore; e che io credo necessario un contenuto democratico del progran1ma dei cattolici nella formazione di un partito nazionale. Ma il fatto non si può contraddire, conviene studiarlo. C'è chi opina che, lanciato un partito cattolico nell'attrito dei fatti concreti, determina esso a se stesso il suo programma: questa specie di automatismo programmatico può avere un valore dinamico nella elaborazione di un pensiero vissuto e nella concretizzazione specifica di una formula: se però mancH il pensiero vissuto e tnanca la formula collettiva, resteranno le tendenze personali, che saranno sottoposte al gioco degli eventi, alla forza viva delle persone, lll concreto delle lotte. No, così si andrebbe a finire come in Francia, dove la pregiudiziale politic<1 ha rovinato l'avvenire dei cattolici, e i ral/iés crearono la forza e la debolezza dei melinisti e prcparllrono la lotta religiosa senza un vigore di resistenza, senza un contenuto cosciente di vi!a politica. Noi servircm1no in tal caso i conscrvlltorì liberali, la cui preponderanza numerica e momentanea (non progran1rn<1tica e ideale) detenninerebbe la reazione dei soprnffatti, radicali e socialisti, e ci farebbe trovare impreparati cd esposti (senza gli aiuti dci conservatori liberali) a una lotta religiosa che ci stancherebbe cd esaurirebbe. Da soli, specificamente diversi dai liberali e dai socialisti, liberi nelle mosse, ora a destra e ora a manca, con un programma consono, iniziale, concreto e basato sopra elementi di vita de1nocratica: così ci conviene entrare nella vita politica. Non la monarchia, non il conservatorismo, non il socialismo riformista ci potranno attirare nellll loro orbita: noi saremo sen1pre, e necessariamente, democratici e cattolici. La necessità della democrazia del nostro programrnll? Oggi io non la saprei più dimostrare, la sento come un istinto; è la vita del pensiero nostro: i conservatori sono dci fossili, per noi, siano pure dei cattolici: non possiamo assumerne llkuna responsabilità. Ci sì dirà: ciò scinderà le forze cattoliche. se è cosi, che avvenga. Non sarà certo un n1alc quello che necessariamente deriva da ragioni logiche e storiche, e che risponde alla realtà del progresso umano. Due forze contrarie che si elidono arrestano il movin1ento e paralizzano la vita. Tutto lo sforzo enorme dei cattolici italiani è stato concentrato nell'affermazione di un principio sociale democratico, che comprende tutte le forze sociali della vita presente e le riprova al fuoco del cristiancsin10 per purificarle dalle scorie egoistiche, dalle infiltrazioni materialistiche, dal tufo socialista o liberista. Ne1J'a1lennazionc di un progran1ma specifico sociale, il partito cattolico diviene partito vitale, assurge alla potenzialità di partito moderno combattente, che ha vie precise e finalità concrete. E' logico adunque affermare che il neo-partito cattolico dovrà avere un contenuto necessarian1ente democratico-sociale, ispirato ai principii cristiani: fuori di questi termini, non avrà mai il diritto a una vita propria; esso diverrà un'llppendice dcl partito moderato. Se n1i è lecito, con1pio questa analisi con un augurio: è quello che nessuno più della de1nocrazia cristiana faccia un'insegna di povere e n1inutc iniziative, che nessuno più sfrutti questo no1ne in battaglie vuote di senso, che nessuno 1<1 presen!i come una ragione antagonistica alle forme vuote della nostra organizzazione. Essa, la dcn1ocrazìa cristiana, è un ideale e un programma che va divenendo, anche senza il nome, evoluzione di idee, convinzione di coscienze, speranza di vita; essa non può essere una designazione concreta di forze cattoliche, ma una aspirazione collettiva, sia ancora vaga e indistinta. Resti in questo stato ideale, impalpabile, ispiratrice di concezioni pratiche in tutti i rmni
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del nostro agire: economia, municipalismo, nazionalismo, politica; e sarà l'insegna di un partito autonomo, libero, forte, che si avventuri nelle lotte della vita nazionale. Nota Involuta, dìfficile la via del bene, la concretizzazione degli ideali. Mentre tutto l'andare sociale ci sforza alla vita, questa ci si appalesa e ci si rivela a gradi; si nasconde anche, e ci priva dei suoi lumi, e ritorna vivace a splendere come il sole dopo la te1npesta. Avevo scritto questa conferenza, quando sono venuti fuori gli schemi degli statuti delle tre unioni generali delle organizzazioni cattoliche. L'assenza di un programma o di una nota specifica programmatica e il rafforzamento dell'idea confessionale mostra come non sia nata nella mente dei triun1viri l'idea della costruzione di un partito nal'.ionale. Non so se i rilievi che in proposito la stampa ha fatto, e che hanno pure fatto le associazioni cattoliche invitale al ref"erendum saranno tenuti in considerazione. E' certo che il fatto non depone in senso favorevole alla concezione del partito cattolico, che io ho cercato di abbozzare, e dei criteri aconfessionali e den1ocratici di esso partito. Però non credo che quel che di esse unioni sarà per essere, possa preoccupare troppo le nostre tendenze: l'unione delle forze cattoliche, sia nelle società economiche, sia in quelle elettorali (non credo che il resto sarà cosa concreta), subisce la forza de! pensiero e della propaganda, e non viceversa. E' quindi il valore della nostra propaganda (di più che un'organizzazione a parte e in campo chiuso) che deve arrivare alla coscienza, al pensiero dei cattolici; e siarno noi la maggior parie di quelli che si muovono in Italia nel campo dci cattolici; e quando il nostro pensiero sarà penetrato nell'animo dei più e reso profondamente vitale, avrcnuno conseguito la trasfonnazione dcl parlito. C'e quindi da lavorare, da lottare, da continuare nel nostro stc.<;so campo quella trasformazione che dal 1898 segna l'inizio di una nuova fase, la quale, attraverso gli episodi, non si è chiusa; ed anche - oso dirlo, contro la sfiducia di coloro che guardano la vita nella cerchia stretta dei piccoli fatti - è progredita e di molto. Certo, pochi avrebbero pensato che la formula ingombrante dci congressi sarebbe caduta dopo il congresso di Bologna; ed io sono sicuro che ogni altra formula conservatrice non riuscirà che a essere un ingombro da togliere, non mai un ostacolo che paralizza la vita. L'ideale del partito nazionale dci cattolici resta integro come !'aspirazione più legittima e necessaria alla vitalità dei cattolici militanti, e il program1na democratico-cristiano l'unico ideale che non può essere sostituito da nessun altro. L'influenza di questo ideale non può essere elusa da abbozzi o da tentativi che non riscuotono la fiducia dei più: il cmn1nino, intralciato, non potrà che subire ritardi, ma non sarà arrestato. Del resto nessuno pensa che il progresso sia un'ascensione per linea retta; sarebbe l'errore peggiore, che ci porterebbe al suicidio*. Luigi Sturzo *Da La Croce di Costantino, a cura di G. De Rosa, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1958, 233-260.
UN'INTERPRETAZIONE POETICA DEL CRISTIANESIMO: KHALIL GIBRAN
MARCELLA MUCC!O'
1. Da Bicharri alla East Coast Restano ancora da chiarire non poche circostanze della biografia di Gibran, peraltro solitamente ignorata, anche nei suoi tratti accertati 1, dagli ormai numerosi lettori italiani. Gibran Khalil Gibran nasce il 6 gennaio del 1883 a Bicharri, un villaggio maronita vicino alla famosa foresta dei cedri millenari. Era ancora viva a quell'epoca, nei cristiani libanesi, la memoria del massacro da essi subito ad opera dei Drusi nel 1860. Immediata conseguenza ne era stata l'istituzione, nel 1861, di un governatorato generale. E in effetti, dal 1861, il Libano aveva iniziato a godere di una certa stabilità politica e a esprimere una rilevante vivacità culturale, grazie anche all'istituzione dell'American University of Beirut, nel 1866, e del Collegio Gesuita, nel 1875. In seguito all'apertura del canale di Suez (1869) il commercio della seta, all'epoca sola produzione del paese, era stato però sottoposto alla concorrenza della Cina e del Giappone: i libanesi avevano iniziato quindi ad emigrare in America, soprattutto a New York e a Boston. E sulla via
~ Dottoressa in Lingue. 1
Si vedano soprattutto K.s. HA\VI, Khali! Gihran, his l1ackgro1111d, character
and » ork, Arab lnstitute for Research and Publisching, Beyrouth 1976; Beloved Prophet: the love !etters of Khalil Gibran e Mary Haskel!, editcd by Virginia Hilu, London 1973, ed inoltre B. YoUNG, This it1an .f/·orr1 lebanon, A. Knopf, New York 1977. 1
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dell'emigrazione Khalil segue la madre e i fratelli che nel 1885 s1 stabiliscono a Boston, ad Oliver Piace, un quartiere molto povero dove cercano di custodire valori e abitudini tradizionali. Khalil frequenta la Quincy School; qui rivela molto presto il suo talento artistico, tanto "che la direttrice della scuola, J.F. Beale, raccomanda il giovane all'amico Fred Holland Day, cultore di arte e letteratura che diviene amico della famiglia e sostenitore finanziario di questa. Nel luglio del 1989 Gibran ritorna in Libano, dove studia lingua e letteratura araba nel collegio maronita di Beirut "Madrasat-al-Hikma" ("Scuola della Saggezza"), fondata dal colto vescovo maronita Joseph Debs. Padre Yusuf al-Haddad, uno dei docenti dcl collegio, diviene il vero maestro di Gibran, il quale gli dedicherà il suo primo libro: The 011/y man who ever rhought me anything in college days 2 , dirà di lui lo scrittore. In collegio ha modo di studiare due grandi intellettuali arabi, che influenzeranno poi tutta la sua produzione, F. Marrash (1836-1873) e Adid Jshag ( 1865-1885). Il primo dichiarava il suo credo nell'amore universale come unica base della unità sociale, mentre le idee di Ishag trovavano la loro origine nel pensiero 1noderno europeo e in particolare in Rousseau. Durante l'ultimo anno di permanenza nel collegio, Gibran fonda la rivista filosofico-letteraria Al hakitat ("La Verità") in collaborazione con due suoi colleghi, Yusuf Huwayych, cugino del patriarca maronita dell'epoca e futuro scultore, e Bishara Khuri. Nel 1902 Gibran lascia defiuitivamente il Libano e rientra negli U.S.A. Ben presto viene colpito da gravi lutti familiari, e resta solo con la sorella Mariana ad affrontare una vita di stenti. Mr. Day intanto organizza una esposizione di quadri di giovani artisti, fra cui include quelli di Gibran; tra i visitatori è presente anche Mary Haskell, proprietaria di una scuola femminile, che diverrà per Gibran un angelo inseparabile dal suo destino: «Nobody could write The Prophet withoul yom>3, le dirà. Grazie al suo sostegno economico, anzitutto, Gibran può, nel 1908, andare a studiare a Parigi, dove entra in contatto con la letteratura europea, leggendo Rousseau, Voltaire, Chateau-
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B. YONG, np. cii., 117. Beloved Prophet, cit., 19.
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briand, Hugo, Claudel nonché Blake Wordsworth e Yeats; ha anche l'occasione di conoscere le opere di F. Nietzsche, in particolare Così parlò Zarathustra. Mentre si trova a Parigi, una copia di una sua raccolta di novelle viene bruciata nella piazza del mercato di Beirut da fanatici maroniti, che giudicavano il libro pericoloso e nocivo alle giovani generazioni'. Lo scrittore viene scomunicato dalla Chiesa cattolica maronita, l'autorità civile lo condanna all'esilio perpetuo. Ma nello stesso 1908 viene rovesciato il governo del sultano Abdul Hamid II, e il nuovo governo perdona tutti gli esiliati. Al ritorno negli Stati Uniti, dopo che la Haskell respinge una sua richiesta di matrimonio, Gibran si trasferisce, nel 1911, a New York, dove ospitano i suoi articoli la rivista di arte e cultura A!-Funum, fondata nel 1912 da Nasib Aridah (ma il sopraggiungere della prima guerra mondiale ne avrebbe determinato la chiusura), e la rivista AsSaih, fondata anch'essa nel 1912 e ben presto punto di convergenza dei migliori intellettuali dell'emigrazione araba. Nel 1920, in compagnia di giovani scrittori sirolibanesi, fonda "Arrabitah", una associazione culturale di cui viene eletto presidente. Scopo dell'associazione era pubblicare le opere dei suoi membri, tra cui Abdul-Masseh, proprietario ed editore di As-Sayeh, un giornale arabo pubblicato a New York, e Nasseeb Arida, famoso poeta ed editore di Al-Akh!ak, una rivista mensile anch'essa pubblicata a New York. I membri di "Arrabitah" volevano contribuire alla rinascita della letteratura araba, tentando di farla uscire da un evidente stato di decadenza. Raggiunta la fama in seguito alla pubblicazione di The Prophet (1923), Gibran muore a New York di un tumore ai polmoni il IO aprile del I 931. Le sue spoglie sono traslate in Libano, in confomità alla volontà dello scrittore stesso, che aveva chiesto di essere sepolto nella sua patria. Ad accogliere la salma a Beirut sono il presidente della repubblica, un rappresentante del patriarca maronita, diversi ministri e vescovi, insieme ad una folla di cristiani e musulmani, che la accompagna fino al convento di Marsarkis.
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H.S. HAWI, op. cii., 96.
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2. Il desiderio di i11fi11ito e le istituzioni: le opere arabe Dopo aver esordito con il breve saggio Al Musiqa5, pubblicato a New York dal giornale arabo Al Muhajir nel 1905, in cui si esalta il potere che la musica ha di elevare l'uomo al di sopra del mondo materiale, Gibran scrive Aras' Al Muruj ("Le ninfe delle valli") una raccolta di tre brevi racconti (New York, Al Muhajir, 1906), in cui viene criticata l'ipocrisia che maschera e contraffà la lettera e lo spirito dell'insegnamento religioso'. Spicca il racconto Yuhanna Al Majnun ("Giovanni il Folle") in cui un giovane agricoltore osa leggere le Scritture sottraendosi così all'autorità clericale che proibiva la lettura dci libri sacri ai semplici. Un giorno i buoi che ha portato al pascolo oltrepassano inavvertitamente i confini delle terre appartenenti a potenti inonaci, che confiscano gli ani1nali e i1nprigionano il ragazzo. Questi prega i monaci di perdonarlo nel nome di Cristo, ma essi, come i farisei, lo trattano con crudeltà ed ipocrisia. Quando Yuhanna tenta di denunciare pubblicamente gli abusi del clero, che travisa e anzi sovverte il messaggio evangelico per il proprio tornaconto, non viene seguito né capito dai suoi concittadini, e suo padre stesso, per scagionarlo da accuse più pesanti, testimonia di essersi accorto da tempo che il figlio è pazzo. Interrogato davanti al governatore, il protagonista non risponde, ricordandosi dell'atto di Gesù davanti a Pilato, e viene quindi condannato. In Al'Arwah al Mutamarrida ("Spiriti ribelli"), costituita da quattro novelle (New York, Al Muhajir, 1908) tema dominante è ancora il rifiuto delle leggi, oppressione antietica esercitata in non1c dì una presunta giustizia 7. Gibran continua ad enfatizzare il conflitto tra spirito "veterotestamentario" e spirito evangelico di libertà, caratterizzato da carità e perdono: così in particolare nella novella Khalil al Kafir ("Khalil l'eretico"), in cui un giovane monaco viene accolto nella casa di una povera vedova, dopo essere stato
s Al Musiqa, in Al-Majn11/a Al Kan1ila li Mu'Al/a.fat Gubran Kha!i/ (iubran, 1, Beyrouth 1950. 6 Ara's Al Muruy, in Al Ml{in1u'a Al Kcnni/a, I, cit. 7 A!'Arwah Al Mutarnarrida, in Al Majn1u'a Al Ka1ni!a, Il, cit.
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espulso dal monastero, ove aveva contestato ai superiori la vita agiata in contrasto con il reale insegnamento evangelico, e per di più a spese della popolazione. Trascinato davanti alle autorità civili ed ecclesiastiche, Khalil riesce a risvegliare negli abitanti la coscienza di essere oppressi, e a suscitarne la rivolta pacifica. Gibran non propone però un rifiuto completo dei ruoli o degli ordini della società; come Rousseau egli vuol essere un "riformatore" delle leggi innaturali che urtano quelle innate del cuore e della natura". Emerge così l'atteggiamento conflittuale di Gibran nei confronti della Chiesa, l'aspetto più contestato del suo pensiero religioso. Lo scrittore risente presumibilmente di un clima di sfiducia e diffidenza diffusosi tra gli intellettuali libanesi a partire dalla morte (1829) di Asad al Sidyaq, che aveva buoni rapporti con i missionari protestanti, provocata dal patriarca maronita Hubays. Gibran si oppone dunque alle restrizioni dell'autorità ecclesiastica, affermando che l'eredità religiosa del Vangelo non è suo monopolio. La sproporzione tragica tra ciò che la Chiesa vive e ciò che dovrebbe vivere, lo conduce ad una rottura forse più apparente che reale; certo è che la Chiesa, che detiene potere ed autorità nel nome di Cristo, gli appare di fatto anticristiana. L'alternativa ad una Chiesa senza Cristo è un cristianesimo senza nessun tipo di Chiesa; ecco perché gli eroi di Gibran sono eretici, pazzi, erranti o profeti 9 . Si insinua a questo punto un influsso protestante che emerge chiaramente nella rivendicazione di una libera interpretazione delle Scritture. Il cristianesitno viene così ridotto a "Parola'', che avrebbe con1e ultimo criterio interpretativo la coscienza e il sentimento personali; e questa riduzione apre ad un inevitabile soggettivismo rousseauniano, fondato su una pretesa bontà naturale 10 • Resta che l'uomo raffigurato da Gibran racchiude in sé un desiderio di infinito, di felicità e di compimento a cui con le sue sole forze non riesce a dare una risposta adeguata. Significativamente, Dam:wa lbtisama ("Il pianto e il sorriso") dove Gibran
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J.M. EL
YAMMOUNI,
Khalil Gibran, l'hon1111e et sa pensée philosophique,
Edilions de l'Aire, Lausanne 1982, 32. · 9 N. NAIMY, The Lebanese Prophets o.f New York, American University of Beyrouth, Beyrouth 1985, 40. !OK.
s.
HAWI, op. cif., 169.
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raduna, nel 1914, 56 articoli già apparsi sulle pagine di Al-Muhajir, esordisce esaltando quel travaglio del cuore trafitto che non si appaga delle gioie dei più e preferisce morire di un desiderio struggente piuttosto che vivere stanco e disperato. Sì innesta su una simile istanza la passione dello scrittore per la persona di Cristo. Ed è proprio in quest'opera che si delinea con maggior chiarezza un suo intento positivo: trasformare la vita del Libano secondo la parola e lo spirito del Vangelo, e anzi costruire una base unitaria tra cristianesimo ed islam 11 • Nella parabola La voce di un poeta, sì dichiara che non c'è alcuna differenza tra chi si prostra nella moschea, chi si inginocchia nella chiesa o chi prega nella sinagoga: tutti gli uomini sono figli di una sola fede, lo Spirito, e le diverse confessioni non sono altro che dita di una stessa mano divina. Gibran peraltro era solito dire che teneva Gesù in una parte del suo cuore, e Maometto nell'altra". Non è dunque affine a quella indicata da certo nazionalismo arabo, l'unità tra cristiani e musulmani concepita da Gibran, il quale piuttosto che puntare su una affinità etnica, riconosce anzitutto un comune fondamento spirituale. Il Libano in queste prime opere di Gibran, è d'altro canto un emblema universale: non solo quella libanese, ma la società umana è la preoccupazione centrale dello scrittore.
3. La maturità del desiderio: le prime opere inglesi
Breve raccolta di parabole e poesie, The Madman' 3 ("Il Folle") (l 918) costituisce lo spartiacque tra la fase araba e quella inglese, che si pone comunque nel segno della continuità; resta dominante il contrasto tra valori e convenzioni sociali. In una società che non ha altro fine se non il tornaconto, l'individuo non ha la possibilità di realizzarsi ed è costretto ad indossare una maschera. Il Folle è allora colui che
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lbid, 157. lbid, 158.
u KHALTL GIBRAN, The Mad111an, A. Knopf, New York 1918; The Madn1a11, a cura di W. Heinen1ann, London 1946; Il Folle, a cura di I. Farinelli, Studio Editoriale, Milano 1988. Da quest'ultiina edizione, che riporta il testo a fronte, sono tralte le citazioni come pure le traduzioni riportate in nota.
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rompe ogni innaturale attitudine, per cercare, libero da ogui maschera, il suo io più profondo: la follia è in realtà il tentativo di conoscere la vera realtà delle cose 14 • Così nella parabola The Greater Sea ("Il mare più grande"), in cui il mare è metafora del mondo, il pessimista getta sale nel mare, l'ottimista zucchero, il filantropo raccoglie pesci morti e delicatamente li rimette in acqua, il mistico disegna la propria ombra sulla sabbia, e quando le onde la cancellano torna a disegnarla, l'idealista raccoglie la spuma del mare in un vaso di alabastro, il puritano seppellisce la testa nella sabbia. Ma il poeta non rientra in nessuna di queste maschere, ed è setnprc a11a ricerca di un "greater sea", in cui manifestare la sua "sacred nakedncss" (sacra nudità). Nell'ultima parabola, dall'ironico titolo The Pe1fect World, ("li mondo perfetto") si descrivono popoli dalle leggi compiute, i cui pensieri sono classificati, i sogni organizzati, e unico scopo è nutrirsi) dormire e essere stanchi nel tempo dovuto. Tutto viene concepito con esattezza, governato da regole, ed infine ucciso e sepolto secondo un metodo prescritto. Ma malgrado ciò il poeta si chiede ancora il perché della sua esistenza e della realtà tutta, e qualunque sia il livello di disttuzione raggiunto, nulla può distruggere la sua domanda più vera, con cui si chiude la parabola: «But why should I be here, o God, I a green seed of unfulfilled passion, a mad tempest that seekth neither east nor west, a bewildered fragment from a burnt planet?» 15 • Il dualismo tra ideale e reale creato dalla società può essere superato, per Gibran, solo con un ritorno all'origine. La vita così non è solo un conflitto tra due forze opposte, ma è conquista continua dell'io, proteso verso il suo destino' 6 • Già dalle prime pagine di The Forerunner ("Il
14
B. PIRONE, Introduzione a Lazzaro e fa sua a111ata, di Khalil Gibran, introduzione traduzione e co1nmento di Bartolo1neo Pirone, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1982, 16. 15 T!te Madn1an, cit., 95 «ma perché, Dio, io mi trovo qui: io, verde se1ne di passione inesausta, te1npesta folle che non vola né ad oriente né ad occidente, fra1n1nento sconvolto di un pianeta arso?». 16 J.M. EL YAMMOUNI, Kha!il Gibran, l'hon1111e er sa pensée philosophique, cit., 75.
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Precursore")", breve silloge di poesie e racconti (1920), si nota come per Gibran ogni vita umana sia stata prevista, fissata ancora prima della nascita, quando ancora era solo una parola silenziosa sulle labbra tremanti della Vita. Se la vita è una ed infinita, ogni vivente, e in particolare l'uomo, è un embrione dell'Infinito: come il seme ha in se stesso le potenzialità per diventare un albero, così ogni uomo, seme divino, è animato da un desiderio del divino cui egli appartiene". In questa luce Gibran non poteva più esaltare il "pazzo". Divini e immortali, gli uomini persistono nel fango della loro esistenza terrena perché il divino, in essi, come il fuoco in un pezzo di legno, si è assopito: occorre qualcuno che lo "accenda", che lo risvegli. E questo è il compito del Precursore, «Echo to a voice yet unheard», come si legge in The Last Watch ("L'ultimo sguardo"); egli è stato capace di amare tutti, il gigante e il pigmeo, il lebbroso e il consacrato, il forte e il debole, il ricco e il povero, il loquace e il muto, ma non tutti lo hauno compreso, ed anche lui è stato crocefisso, a causa della sovrabbondanza del suo cuore; e l'amore suo per tutti gli uomini è stato considerato l'amore di un debole, perché i forti amano solo i loro simili, l'amore di un cieco che non distingue la bellezza di uno dalla deformità dell'altro, l'amore di un uomo senza gusto che beve aceto come se fosse vino, l'amore dell'impertinente e del presuntuoso, che abusivamente si ritiene madre e padre, sorella e fratello di tutti. E il suo destino è proprio quello di morire per mano di coloro che ha amato, ma dalle sue ceneri sorgerà un amore più forte che riderà nel sole e sarà immortale. E come Battista precede Gesù, il Precursore annuncia il Profeta 19 •
17 KHALIL GIBRAN, The Forerunner, A. Knopf, New York 1920; W. lfeinemann, London 1963, Studio Editoriale, Milano 1988. 18 N. NAIMY, op. cit., 46. 19 K. S. HAWI, op. cit., 217.
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4. "The Prophet" e la proposta di una nuova umanità
The Prophet, rappresenta l'evoluzione finale di un percorso che sceglie prima la pazzia come punto di partenza necessario per arrivare al divino. Il Precursore è una figura intermedia, sempre alla ricerca del suo io più profondo, anche se con il Precursore la società non è più oggetto di critica, ma di amore e di comprensione'°. Il Profeta assume sia il pazzo che il precursore in una sola personalità equilibrata e centrata sull'amore, modello di ogni essere umano che vuole raggiungere la sua perfezione. The Prophet21 doveva essere il primo libro di una trilogia non portata a compimento e arrestatasi alla sua seconda parte, essa stessa rimasta incompiuta, The Garden of the Prophet. Gibran vi lavorava, in un progetto ancora indifferenziato, fin dal tempo della sua frequentazione della "Scuola della Saggezza" di Beirut. The Prophet, che esce nel 1923, ha dunque dietro di sé più di venti anni di lenta e stratificata elaborazione, che corrispondono a una progressiva presa di coscienza da parte del suo autore. Malgrado il ritardo di Gibran rispetto alla grande poesia degli anni Venti-Trenta (nel 1923 Eliot aveva già pubblicato The Vast Lande Pound aveva già scritto Hugh Selwyn Mauherley), il successo del libro fu immediato e vastissimo, come fra l'altro mostrano le traduzioni in più di venti lingue". C'è anche una probabile filigrana autobiografica che contraddistinguerebbe The Prophet: i dodici anni che il protagonista, Almustafà, trascorre in attesa della nave sarebbero quelli vissuti da Gibran in America fino alla stesura del suo libro, la città di Orfalese sarebbe New York, la sacerdotessa Almitra l'amica e mecenate Mary Haskell. La struttura dell'opera è ben nota: prima di partire per la sua «isola nativa», Almustafà, accondiscendendo alle richieste incalzanti
20
J. M. EL Y AMMOUNI, op.
21
KHALIL GIBRAN,
cù.,
32.
The Prophet, A. Knopf, New York 1923. Le traduzioni italiane disponibili sono quelle di S. Cossu, Sapiem, Roma 1966; G. Bona, con testo a fronte, Guanda, Parma 1977; N. Crocetti, Studio Editoriale, Milano 1987. Da quest'ultima edizione che reca i1 testo originale a fronte sono tratte le citazioni come pure le traduzioni in nota. 22
B. YOUNG, op. cit.,
33.
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della gente di Orfalese, pronuncia i "discorsi" sugli aspetti fondamentali dell'esistenza. Il Profeta è capace di parlare a tutti senza alcuna distinzione e per tutti ha qualcosa di specifico da comunicare. Nelle sue parole non si celano né pregiudizi né rimproveri, perché: «Man's needs change but nol his love, not his desire that his love should satisfy his needs»n In ogni uomo c'è un desiderio di Infinito, poiché è egli stesso infinito: «You are a breath in God's spere and a leaf in God's forest» 24 • Il modo di parlare del Profeta, la sua "tenerezza" nel riprendere e correggere, fanno dei suoi sermoni quasi degli inni in elogio dell'uomo e della vita". Egli non si pone nei confronti del popolo come un legislatore, o come il creatore di nuovi comandamenti, ma crede nella bontà metafisica dell'uomo e della vita: non approva il crimine e il male, ma sull'esempio di Cristo distingue la persona dall'errore e dal male che commette, ma che ultimamente non la definisce: «To mesnre you by your smallest deed is to reckon the power of the ocean by the frailty of its foam» 26 • Ed ancora: «Vague and nebnlous is the beginning of alla things but not their end. The veil that clouds your eyes shall be lifted by the hands that wowe i t. And you shall see»"Numerosi sono gli elementi della tradizione profetistica veterotestamentaria. A parte il tema del viaggio, significativo è che il protagonista, come i profeti biblici, abbia un compito sovrapersonale, universale e provvidenziale: comunicare la sua profezia, cioè. l'apprendimento, per divina ispirazione, di verità di cui non si può
23
The Prophet, cit., 102, «i bisogni dell'uo1no 1nutano, 1na non il suo a1norc, né il desiderio che sia l'an1ore a placarli». 24 lbid, 74 «voi siete un soffio nella sfera di Dio, e una foglia nella sua foresta». 25 I(. S. HA WI, op cit., 228. 26 The Prophet, cit, 122 «misurarvi dalla vostra azione più meschina è come calcolare la potenza dell'oceano dalla fragilità delle sue onde». 27 Ibid., 129 «vago e nebuloso è l'inizio di ogni cosa, rna non la sua fine. Il velo che offusca i vostri occhi sarà sollevato dalla mano che lo ha intessuto. E voi
vedrete».
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normalmente avere diretta conoscenza28 . Guida morale del popolo, il Profeta, assolvendo per divina ispirazione ad un compito di edificazione, ha una funzione che travalica la sua persona e che potremmo considerare religioso-sociale. La profezia è per Gibran la più alta forma di conoscenza, ed ha come materia tutte le cose necessarie e contingenti che possono essere utili alla salvezza dell'umanità. Essa comunque non si esaurisce nel conoscere; il Profeta è pastore e apostolo al tempo stesso, e non rivela tanto un sistema di idee quanto una concreta esperienza di vita; e sono ancora, questi, aspetti caratteristici del profetismo biblico. Vi è in parte riconducibile anche il tema del sogno, che risuona quando il protagonista si rivolge ai marinai, («How often have you sailed in my dreams» )29 quando direttamente invita a confidare nel sogno («Trust the dreams for in them is hidden the gate to eternity» ) 30 , ed infine nel saluto finale al popolo di Orfalese («lt was but yesterday we met in a dream» )3 1 • Superamento di ogni limite spaziale e temporale, il sogno è trasparenza di visione oltre lo specchio opaco della superficie, il primo stadio di conoscenza autentica, vera e propria funzione interpretativa del reale 32 . Va detto però che più che al visionarismo biblico viene fatto di pensare a quello romantico. E' anche vero peraltro che non si conosce nulla del cammino di edificazione che il Profeta stesso compie per giungere a questo stadio di conoscenza. La stessa Ahnitra non può essere considerata la guida spirituale del Profeta alla stregua delle figure mediatrici tra l'eletto e il divino, tipiche dell'Antico Testamento: ella infatti incita il Profeta a comunicare non solo al popolo, ma anche a se stessa, la sua verità ( «Speak to us and give us your truth» )3 '. Il Profeta comunque si concepisce un in terme-
28 Per una esemplare verifica di questi tratti in un'opera letteraria si veda N. I\r1INEO, Profetisn10 e Apocalittica nella Divina Con1111edia, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania, Catania 1968, 41. 29 The Prophet, cit., 13 «quante volte avele veleggiato nei 1niei sogni». 30 !bid., I] 2 «confidate nei sogni perché in essi si cela la porta dell'eternità». 31 !bid., 133 «appena ieri in sogno ci incontrammo». 32 B. PIRONE, Introduzione a Lazzaro e la sua an1ata, di KhaliJ Gibran, cit., 12. 33 The Prophet, cit., 18 «parlaci e donaci la tua verità».
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diario della parola divina, un mezzo attraverso il qnale l'Onnipotente manifesta il suo soffio («Was it 1 spoke? Was I nota listener?») 34 . Forse più arduo esaurire il nesso tra il Profeta e la figura di Cristo. Sin dall'infanzia la meditazione su di essa aveva segnato la personalità dello scrittore, il quale anzi in una dichiarazione a Mary confessò di aver visto Gesù in sogno dall'età di 14 anni. Il luogo dove Gesù appariva era sempre un villaggio dcl Libano 35 • Gibran inizia a parlare dei suoi sogni di Gesù in una lettera del 1912, data di elaborazione della sua opera, e continua a farne cenno nelle lettere sino al 1923, data di pubblicazione del Profeta. Egli considera Gesù «the most humanly enlightened, the most divinely informed being who has ever visited this planet as a being of illimitable wisdom and might, a supreme poet» 36 • Ma la sua visione del Cristo è in contraddizione con quella cristiana secondo cui Cristo è nato povero, vissuto nella povertà e morto sulla croce come i criminali. Gibran rifiuta questa immagine: Gesù per lui ha vissuto come un rivoluzionario ed è morto co1ne un eroe; egli deforma così l'insegnamento del Vangelo e costruisce una sua visione personale di Cristo, convinto che «Christianity has been very far from the teaching of Christ» 37 • L'attaccamento di Gibran a Gesù è più per la sua natura umana e il suo messaggio d'amore piuttosto che per la sua natura divina. Secondo Gibran «the great teaching of Christ was the Kingdom, and this is within yom> 38 : ebbene, scopo del Profeta, il quale molte volte si rivolge al popolo con la tipica espressione di Gesù: «1 say unto you», è appunto annunciare il Regno, luogo non dei riti e delle tradizioni, ma esplosione della fraternità. Il Regno è per il Profeta qualcosa da scoprire nella vita quotidiana, uua realtà nascosta ma già presente. condizione per farne parte è lo spirito
34
lbid., 116 «ero io a parlare? Non sono stato io stesso un uditore?». J.M. EL YAMMOUNI, op. cit., 138. 36 In B. YoUNG, op. cit., 95 «l'essere più u1nana1nente illuminalo, più divino JS
che abbia mai visitato questo pianeta, un essere di una potenza e saggezza illimitate, un grande poeta». 37 Beloved Propht, cit, 345 «il cristianesimo è stato molto lontano dall'insegnan1ento di Cristo», 38 lbid., 359 «il più grande insegnainento di Cristo è il Regno di Dio, che è dentro di voi».
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di Agape, la "Mahabba", libertà che sola può arrivare laddove le leggi e le tradizioni non possono". Con il termine "Mahabba" Gibran intende un amore spirituale, non necessariamente quello cristiano: egli estrapola il comandamento dell'Agape illustrato nel Nuovo Testamento e lo rende un fenomeno naturale, universale, estensibile a tutti i credi. All'interno del gruppo di scrittori arabi emigrati influenzati da Nietzsche si colloca anche Gibran, che aveva conosciuto Così parlò Zarathustra a Parigi; infatti il suo amico Uusuf Al-Huwayyich ne possedeva una traduzione in francese. Egli era attratto e nello stesso tempo disgustato dalla distruzione effettuata da Nietzsche dei valori europei del 19° secolo. L'influenza del libro nietzscheano sul Profeta è innegabile, ma sebbene le due opere siano in parte affini nella forma, nel contenuto sono fondamentalmente divergenti: Zarathustra annuncia il superuomo, Almustafà è uno spirito che indica le sorgenti nelle quali chi ha sete può dissetarsi; le loro filosofie sono dunque opposte. E se Gibran critica certe aben-azioni della società, certe chiusure dogmatiche della religione, Nietzsche attacca invece tutti i valori tradizionali: la critica del poeta libanese è sempre specifica, quella del filosofo tedesco, anche quando è espressa ironicamente, è sempre universale40. li mondo di Nietzsche è un mondo senza Dio, quello di Gibran è "Godfi lled". In sintonia con le altre sue opere, Gibran condanna anche qui la vita sociale inautentica. La società piena di mali, devia l'uomo dalla sua realizzazione; ed è a partire da questa situazione che questi è chiamato ad iniziare il suo cammino di liberazione. Il Profeta è venuto ad illuminare questo cammino, e a liberare dall'autorità, cioè da ogni forza esercitata sull'uomo da un altro uomo. La legge umana uon è altro che l'espressione degli interessi della classe dominante, sacrifica gli innocenti, è sinonimo di ignoranza e repressione del desiderio. Gli uo1nini nascono per la conoscenza, 1na poi si am1nalano nella "man-
39 J. P. GHOUGASSIAN, Kha/i! Gibran: wings of thought, A. D. Sherfan, New Jérsey 1978, 70.
40 S. B. BUSHRUI e P. GoTCH, Gibran of Lebanon, Amcrican Universicy of Beyroulh, Beyrouth 1975, 66.
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made-laws". E' invece la coscienza che deve rimanere il solo e unico giudice 41 ; punire colui il cui rimorso è più grande dell'errore commesso non ha alcun senso, è solo aggiungere un crimine ad un altro: il primo è commesso da un solo individuo ignoraute e fragile, il secondo da tutta la società. Tutte le leggi per il Profeta sono "sandtowers" (torri di sabbia) e coloro che credono ad esse «stand in the sunlight but with their back to the sun and they see only their shadows, and their shadows are their laws» 42 • La legge divina è invece iscritta nel cosmo, ognuno degli elementi rispetta un ordine. Parte di questo universo, l'uomo deve scoprirne l'armonia immanente, e sottomettersi. Ma la legge si trova in noi e non al di fuori. La nostra libertà, deve, per il Profeta, lasciare che il divino si esprima in noi come si esprime nella natura e negli elementi cosmici 43 . La religione autentica non è dunque una istituzione, ma una naturale inclinazione deIJ1ani1na verso il suo Creatore, la di-
mensione metafisica della realtà umana. Eternamente iscritta nel cuore di ogni esistenza umana, non è perciò il privilegio di alcuna istituzione. Si legge nel Profeta: «Is not religion al! deeds and al! reflection? Who can separate his faith from his action, or his belief from his occupation? Your daily !ife is your tempie and your religion» 44 . Gibran invita quindi a comprendere la religione al di sopra di tutte le differenze dogmatiche e di ogni confessionalità. L'investigazione mistica di The Prophet implica una profonda conoscenza sia del 1nisticis1no occidentale che dei mistici 1nusulmani. In effetti, la fede di Gibran in un "Greater Self' identico ad una Realtà assoluta, che comprende ogni cosa, gli fa vedere Dio in tutto. La bellezza della natura è l'incarnazione visibile della bellezza divina e prova sensibile della onnipresenza di Dio. Prima di congedarsi dal popolo di Orfalese il Profeta asserisce: «Look about you and you shall
41
42
J.M. EL Y AMMOUNI, op. cii., 111.
The Prophet, cii., 64 «si stagliano nella luce ma con la schiena rivolta al sole, e vedono solo la loro 01nbra e questa è la loro legge». 43 J. M. EL YAMMOUNI, op. cit., 118. 44 The Prophet, cit., 109 «non è forse religione ogni azione e ogni riflessione? Chi può separare la sua fede dalle sue azioni e il suo credo dal suo lavoro quotidiano? La vita quotidiana è il vostro tempio e la vostra religione».
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see him playing with your children» 45 • L'esperienza mistica è alla portata di tutti; principale virtù "mistica" è l'amore, modo e termine dell'unione a cui aspira ogni vero mistico. Per Gibran comunque la mistica è interconfessionale, parla le lingue di tutte le religioni, ma nessuna le è essenziale. A differenza del mistico cristiano, Gibran non professa la Resurrezione, ma solo una libertà assoluta che non ha bisogno né di ricompense né di castighi; non crede al giudizio finale, ma a un giudizio personale attraverso la reincarnazione; fugge l'ascetismo e la mortificazione per affermare una indiscriminata unità tra corpo ed anima. Il Profeta fidente nell'unità della vita non crede che ad una sola umanità fraterna e solidale, che professa l'unica religione dello Spirito alla base ma al di là di tutte le religioni positive. Nella società utopica proposta da The Prophet, l'uguaglianza e la fraternità sono incarnate in modo assoluto. E' una società liberata da ogni tipo di autorità, in cui l'uomo avrà bisogno dell'altro solo per approfondirsi nello Spirito 46 • L'amore e il lavoro ne sono i principali elementi. L'amore è la quintessenza dell'esistere: «For love is sufficient unto love. When you love you should not say: God is in my heart, but rather: I am in the hea11 of God» 47 • Esso solo svela e dona all'io la segretezza dell'io stesso, rendendo accessibile la verità eterna. Esso è per il Profeta la sola libertà che rivela a ciascuno i "secreti del cuore" e in questo modo ne fa un «frammento del cuore della Vita stessa». Senza amore nessuno sforzo personale è possibile, ma senza lavoro nessun amore è possibile, poiché: «Work is love made visible» 48 • Il lavoro svela la persona e la lega agli altri. Il lavoro è quindi l'iniziazione alla profonda conoscenza del più intimo segreto della vita stessa. Quella di Gibran è in definitiva una religiosità che si ispira al cristianesimo ma a rigor di termine non vi si identifica. Alla maniera di J.J. Rousseau, crea un cristianesimo separato dal corpo mistico di
45
Ibid., 110 «guardatevi attorno a vedrete Dio giocare con i vostri ba1nbini». J. M. EL YAMMOUNI, op. cit., 93. 47 The Prophet, cit., 23 «l'amore basta all'an1ore. Quando amate non dovreste dire: ho Dio nel cuore, 1na piuttosto io sono nel cuore di Dio». 48 Ibid., 44 «il lavoro è l'amore reso visibile». 46
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Cristo, separato dalla Chiesa49 • E il rimprovero che J. Maritain fa all'autore delle Confessions può essere applicato a Gibran: per Maritain Rousseau ha iutuito delle grandi verità cristiane dimenticate dal suo secolo, ma le ha snaturate. Rousseau reagisce contro l'ateismo e il cinismo, evoca il valore della natura, afferma la dignità essenziale della coscienza della persona umana; quindi riafferma sì delle verità cristiane ma svuotate della loro sostanza e del loro significato più profondo. Gibran ha creato un suo "cristianesimo romantico", da cui Cristo salvatore e redentore è assente, un "cristianesimo sentimale" costruito su una interpretazione personale del Vangelo. Quello di Gibran è sempre un parlare di Dio; ma egli voleva parlare di Dio al di fuori dei dogmi. Si tenga però presente che l'arte parla senza dogmatizzare, esprime senza istituire, descrive senza no111inare. L'ambiguità poetica peraltro era il mezzo che consentiva a Gibran di parlare di Dio senza violare il comandamento biblico e il segreto islamico del nome nascosto.
49
J. MARITAIN, Trois Réforn1ateurs, Paris 1952.
VINCENZO LA VIA VALENZE ETICO-RELIGIOSE DELL'ASSOLUTO REALISMO
SALVA1DRE LATOIV\'
Il pensiero filosofico di Vincenzo La Via', che egli chiamò "Assoluto Rcalisn10", come restituzione radicale del realisn10, può essere oggi richiamato o riproposto in questi momenti di crisi, di tra-
" Docente di Filosofia nei Licei. 1 VINCENZO LA VJA nacque a Nicosia (Enna) il 25 gennaio 1895 e 1norì a S. Gregorio di Catania il 31 luglio 1982. Fu discepolo di Bernardino Varisco e di Giovanni Gentile; insegnò pri1na nei licei e poi storia della filosofia nelle Università di (J-cnova e in quella di Urbino; filosofia teoretica e pedagogia nella Università di Messina e dal 1957 in quella di Catania e nell'Istituto Universitario di Magistero della stessa città fino al 1965, anno del suo collocan1ento a riposo. Dal 1967/68 per alcuni anni fu lieto di tenere corsi di filosofia ai serninaristi dcl se1ninario di Catania: nella «casa della sapienza», come egli la chiatnava. Nel 1946 fondò la rivista Teoresi che diresse fino alla rnorte. Dalla critica radicale all'idealismo gentiliano egli giunse all'Assoluto Realis1no, che è una riproposizione conten1poranea della philosophia perennis. Tra le sue opere ricordiamo: L'idea/is1no attuale di G. Gentile (1925). Il proble111a della fondazione della fifoso.fì"a e !'oggettivisn10 antico ( 1936). Dalf'idealìs1110 a/l'assoluto reafisn10 (I 94 J). La riforma blondeliana del filosofare e la sostanza teoretica del blondelis1no (1950). L'unità del .filosl~fOre e la persona (1953). La fi!osqfh1 e l'idea di Dio (1954). Pedagogia allua!istica e crisi del/'i1111na11e11tisn10 ( 1962). La risoluzione defl'f d('a/isn10 i 11 assoluto rea!is1110 (1964). L'idealisn10 e il conoscere fondante (1965). Bionde/ e la questione totale ( 1969). Oltre ai nu1nerosi articoli pubblicati su Teoresi. Per una bibliografia più completa ri1nandia1no al volun1e: Ornaggio a \!. La Via, a cura della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania, Catania 1969. Questo pensatore di cu-i tni onoro di essere stato discepolo durante i niiei studi nell'Università di Catania, e poi per molti anni ancora fino alla sua n1orte, questo pensatore che ricordo con venerata mc1noria, è Vincenzo La Via.
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Salvatare Latoro
passo culturale e di pensiero postmoderno? Dopo la dichiarata fine del "'68 utopico", dopo la "morte delle ideologie" e il "riflusso nel privato", dopo la "morte dell'uomo", e in fine, in un tempo di "pensiero debole", che va diffondendosi come koiné del postmoderno, che significato può avere la ripresa· della relazione ontologica nell'ambito dell'Assoluto Realismo o la restituzione assoluta del realismo?
Ha forse il significato di semplice rievocazione di una memoria storica, anch'essa indicativa di un riflusso nel passato, o non vuol dire piuttosto richiamo all'essenziale, all'eterno nell'uomo come via di risoluzione di ogni crisi e, in particolare, della nostra? Ma, dopotutto, questo richiamo all'essenziale non è il compito sempre ricorrente dell'autentica filosofia o del filosofare, che è ciò che caratterizza il cuore del pensare umano? In uno dei suoi ultimi scritti, pubblicato su Teoresi, la rivista che egli fondò nel 1946 e diresse fino alla morte, avvenuta a S. Gregorio di Catania il 31 luglio 1982, Vincenzo La Via scrive: «Vi è filosofia r... ] allorquando vi è riflessione razionale (più o meno deliberata o approfondita) sul fatto puro o metafisico - cioè fondante tutto il nostro esperire e agire - dell'esser dato alla coscienza di ciò che diciamo mondo a un tempo e inscindibilmente con lo - istituente - esserci della coscienza. La filosofia in tale preciso e giustificato senso è la ricognizione nostra della prima, naturale rivelazione che ci è fatta per mezzo della comunicazione a noi - la quale ci fa essere noi! - della "luce" che ci rende coscienti, o ci dà a noi medesimi come intelligenti e amanti "soggetti)) in sé capaci di riconoscere e volere il "vero" e il "bene" e il "bello". In tale rivelazione originaria è immediatamente e insuperabilmente dato all'io il senso necessario di una positiva "idea" di Dio» 2 • Chi dei giovani di oggi avrebbe la pazienza di seguire un pensiero che si esprime in un tale periodare e suona con1e la voce di altri tempi?
2
V. LA VIA, Filosofia e idea di Dio, in Teoresi 1-2 (1980) 3-10.
Valenze etico-religiose dell'assoluto realismo in V. La Via
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Non vi riuscirebbero, perché abituati a leggere altri tipi di linguaggio attuali, educati da altri stili, come quello dei mass-media, delle immagini o suoni che durano lo spazio di un momento e veicolano discorsi effimeri, che scivolano snlla realtà, incapaci come sono di affondare la propria indagine nella logica profonda dell'essere. Quello del La Via è invece nno stile parentetico, elaboratissimo, tormentato, senza facili concessioni ad abbellimento alcuno, scarno ed essenziale, eppure paradossalmente attuale! Qual è il percorso laviano che lo rende, a nostro parere, attuale? In primo luogo egli ha operato quella che si dice "l'autocritica dell'idealismo", di quel pensiero cioè, che come è stato più volte chiarito, si pone come la conclusione del processo filosofico moderno, il quale, partendo da Cartesio, attraverso Kant ed Hegel giunge all'Attualismo del Gentile. La crisi, sostiene il La Via, è iniziata con Cartesio e con Kant, quando con la rivoluzione copernicana si è voluto avocare al soggetto, come fosse sua fattura, il "Donante principio del conoscimento" o quel "Lumen intellectus'', che è bensì nell'intelletto ma non è dell'intelletto; la linea filosofica che ha preteso di identificare l'Atto con l'io, il quale invece è proprio in virtù di quello che può esistere, costituisce la colpa radicale del pensiero moderno. L'Attualisn10, che ha 1njsconosciuto questa trascendenza, si converte inevitabilmente in problematicismo e in nullismo, come ad es. in Ugo Spirito 3 ; ma d'altra parte pone l'esigenza della restituzione del realismo, che poi è stato il compito, l'unico ma essenziale, perseguito con tanta tenacia, nel suo non breve percorso, da Vincenzo La Via. L'assoluto realismo del filosofo siciliano non ha voluto esse.re un sistema filosofico che si opponesse ad altri sistemi filosofici, ma soltanto la ricerca del principio o fondamento del filosofare, di tutte le filosofie! Per questa ricerca quasi ossessiva delle radici costanti del filosofare una rilettura del La Via, "filosofo monolitico", secondo il Brancaforte, «figura ancora da scoprire nella cultura filosofica italiana» per
3
U. SPIRITO, Le n1en1orie di un incosciente, Rusconi, Milano 1977.
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Salvatore Latora
E. Gennaro e M. Manno 4 , ci sembra sollecitante anche nella nostra epoca. Un altro studioso siciliano, Salvatore Nicolosi, docente di filosofia nella Pontificia Università Lateranense, in un ampio saggio su Aquinas analizza il pensiero del La Via in rapporto a quello del Bionde! e ne 1ilcva la valenza europea'. La Via filosofo europeo! Certamente, perché il suo dialogo speculativo, oltre che con il proprio maestro G. Gentile, il cui Attualismo egli porta alle estreme e radicali conseguenze operandone l'autocritica e oltre che con pensatori dell'area italiana, ad es. Spirito, Bontadini, Sciacca ecc., si confronta anche con Autori di portata europea, come Rosmini, Blondel, Heidegger, Wittgenstein 6 • Come spiegare allora quell'aspetto contraddittorio del suo isolamento? E' evidente che non è stato solo per il suo stile parentetico e tormentato, ma soprattutto per ragioni di politica culturale, dovuta a quella temperie storica del dopo secondo conflitto mondiale, quando tutto il dibattito gentiliano venne accantonato per l'invadenza di altre conenti filosofiche estere, a cui per reazione, dopo anni di chi usura, finalmente si aprivano i nostri intellettuali; oggi invece si comincia a ritornare a quel momento storico ritenendolo un punto nodale del pensiero, non solo italiano ma anche europeo 7 • «Il dibattito sulla "modernità", scrive Nicolosi, appassionò l'ambiente culturale in Francia negli anni a cavallo fra Ottocento e
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A. BRANCAFORTE, Annotazioni introdu!five a uno studio sull'opera filoso.fica di V. La Via, in On1ag;:;io a La Via, cit., 79 ss. lo., La fondazione del realis1no critico co111e assoluto realisn10, in Teoresi 1-2 (1953) 45-83. E. GENNARO, Contr;/Juti per una interpretazione dell'Assoluto Realis1110 di V. La Via, in Teoresi 3-4 (1980) 214 ss.; ripreso in E. GENNARO - M. MANNO, L'Assoluto Reahsn10 di Vincenzo La Via secondo il personalisn10 critico, in Nuove Ipotesi, Palermo 1986. S. LATORA, "L'assoluto reahsn10" di Vincenzo La Via con1e "n1etafisica della presenza", in AA.VV., Un1a11esimo cristiano e un1anesin1i conten1poranei, Massimo, Milano 1983. 5 S. NICOLOSI, La crisi della filosofia europea e la riforn1a del 1netodo del filosofare - Vincenzo La Via e Maurice Bionde/, in Aquinas 1-2 (1985) 141-161. 6 Cfr. V. LA V1A, La speculazione filosofico-religiosa nella cultura europea conte1nporanea, in Teoresi 3-4 (1957) 227-252. 7 S. NATOLI, G. Gentile, filosofo europeo, Bollati-Boringhieri, Torino 1989. A. DEL NOCE, G. Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia conte1nporanea, Il Mulino, Torino 1989.
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Novecento. Mentre Maritain optava per l'antimoderno, [ ... ] Bionde! in Francia e La Via, dopo di lui, in Italia, optavano per il "moderno" [ ... ]. Se Bionde!, recuperando il moderno, apriva la sua speculazione soprattutto ai problemi della storia, La Via, ripercorrendo il sentiero della tradizione idealistica e liberandosi dallo gnoseologismo gentiliano, cercava di affrontare soprattutto i problemi della metafisica, con una particolare attenzione alla risoluzione realistica delle istanze dell'attualismo gentiliano» 8 . Bionde! propone una riforma della filosofia che consiste nel metodo dell'immanenza, il quale ci fa superare le false opposizioni di a-priori e di a-posteriori, di immauenza e trascendenza; alla stessa conclusione approda il La Via, alla luce anche della filosofia classica di Aristotele, di S. Tommaso, Sant'Agostino e S. Bonaventura, con l'Assoluto Realismo e con la riscoperta del conoscere fondante. Tale conoscere fondante è la mediazione razionale dell'esperienza, in rapporto all'intuitiva Presenza donante, un id quo, da cui non si può prescindere in assoluto, e che pennette, non solo di recuperare il rapporto fra immane11te e trascendente, ma anche fra antico e moderno principio del filosofare, fra filosofia classica e filosofia moderna, fra teoreticità e praticità, per cui anche il La Via concorda nel riaffermare il valore prioritario dell'azione, come aveva fatto il filosofo di Aix. Si tratta di quella verità elementare, ma spesso inosservata che «tra l'essere e il conoscere c'è l'agire». Noi avanziamo nell'essere, secondo il La Via, non con la sola vista o con il solo ragionamento, ma con tutta la vita e con l'impegno responsabile. Si afferma così la priorità dell'agire morale, ma evitando l'unilateralità degli estremismi consistenti nel razionalismo, da un lato, e nel pragmatismo o nel fideismo, dall'altro. C'è quindi una profonda convergenza e anche consonanza teoretica fra i due filosofi, e chi l'afferma, il Nicolosi, è un acuto interprete del Bionde!; il La Via anzi usa l'esegesi blondeliana come riprova e conferma del suo itinerario postidealistico.
8
S. NICOLOSl, op. cit., 145.
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«La tesi fondamentale di Bionde!, scrive ancora Nicolosi, che il pensiero moderno, intriso e malato di immanentismo, non deve rifiutare la sua modernità, ma deve svilupparla fino alle ultime conseguenze logiche, per autoliberarsi dalle angustie dell'immanentismo e ritrovare il trascendente, è la tesi che emerge dalle opere principali del La Via» 9 • E qui tanta parte ha avuto anche il rapporto del La Via con il pensiero del Rosmini, come afferma E. Gennaro nel saggio integrato da M. Manna: «La lezione rosminiana (di un Rosmini accettato attraverso il realismo e il kantismo, o un tomismo kantiano della scuola di Maréchal) gli consente un personalismo problematico e rinnovato, fecondo legame fra filosofia e pedagogia: è stato il Rosmini a mostrare come il principio che ci fa conoscenti è lo stesso principio che ci fa agenti e volenti, stabilendo il nesso fra teoreticità e praticità della coscienza, e quindi dell'io. Farsi persona, allora, significa approfondire, potenziare, esercitare quel conoscere che è la nostra struttura» 10 • Sulla restituzione di questa struttura ontologica lavorò tutta la vita Vincenzo La Via e per questa ragione diventa fondamentale per capire il suo pensiero la ripresa dell'argomento ontologico e la tesi sull'ateisn10 con1e negazione i1111Jossihile.
Il dialogo, seppure indiretto, prosegue anche con un altro pensatore epocale, Martin Heidegger, tramite Eduard Landolt, che traduce per Teoresi alcune opere significative del filosofo tedesco; certo lo stile e le esperienze in questo caso sono molto diverse; ma è il confronto che al La Via interessa. Ricordo ancora che su Teoresi" fu pubblicata una lettera di Heidegger, forse l'unica, in risposta alle osservazioni, sulla sua filosofia, di un filosofo italiano, che era Federico Moretti-Costanzo, professore nell'università di Bologna. Landoll sottolinea le affinità, quando dice che Heidegger e La Via si n1ettono su un nuovo sentiero del modo di concepire l'essere,
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lhìd., 143. E. GENNAl~O, op. cit., 43. Cfr. Teoresi 4 (1951) 2ss.
IO 11
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non più co1ne rappresentazione ma come "abisso", il primo, e come "trascendente-immanente", il secondo. «Nei due filosofi, scrive ancora, cambia il metodo di lettura del comportamento dell'essere (del loro comportamento all'essere): fenomenologico, descrittivo l'uno (quello heideggeriano); teoretico speculativo (quello laviano); ma la sostanza, la lettura dell'essere nella sua essenza e struttura, nel suo rapporto all'uomo, non cambia 12 • Noi sottolineeremmo piuttosto la diversità tra i due autori, anche se gli esiti possono sembrare simili. Il La Via, sempre, quando dialoga con altri pensatori lo fa come prova sperimentale e a convalida della sua teoresi. Egli è impegnato fondamentalmente in un discorso metafisico e protologico, e anche quando scrive di pedagogia, si tratta di filosofia pedagogica. Quel che è certo è che i semi gettati dal pensiero laviano hanno dato i loro frutti in vari campi con i discepoli sia della scuola di Messina che di quelli di Catania e si prestano ancora, a nostro parere, a fecondi sviluppi. Della scuola di Messina ricordiamo: Filippo Bartolone, che ha proseguito l'aspetto metafisico e religioso del pensiero del maestro; Francesco Mercadante, quello della filosofia della politica; Mario Manno ha sottolineato l'aspetto critico trascendentale ed ora sviluppa una concezione di pedagogia personalistica, come prima aveva fatto Giuseppe Catalfamo fondando la rivista Prospettive pedagogiche. Della scuola di Catania citiamo: Mariano Cristaldi che ha sviluppato l'aspetto ermeneutico e i rapporti con il pensiero di Paul Ricoeur; Antonio Brancaforte che ha sottolineato le valenze teologiche e religiose della riflessione laviana concludendo che egli «ha gettato le basi di un personalismo teocentrico, cristocentrico e comunitario, ( e perciò il suo pensiero si può caratterizzare) come una filosofia neoclassica della speranza cristiana>> 13 . E ancora, ma siamo sicuri di averne tralasciati tanti altri, Rosario Vittorio Cristaldi sviluppa il senso esistenziale del finito; Eduard Landolt, come abbiamo ricordato, studia i rapporti con Heidegger; Luigi La Via porta avanti la problematica estetica, oltre che
12 E. LANDOLT, Storicità e sisten1alicità teoretica in Vincenzo La Via, in Il Contributo I (1990) 51-57. S. Lo GIUDICE, Vincenzo La Via: un inattuale nell'era def!'attua!isn10, in// Contributo i (1986) 31-49. 13 A. BRANCAFORTE, in On1aggio a La Via, cit., 78.
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studiare il pensiero di Wittgenstein; Carmelo Vullo analizza il rapporto con la epistemologia contemporanea, mentre Lucia Bruno studia gli aspetti pedagogici della filosofia laviana. Ma ciò per cui abbiamo richiamato il pensiero del La Via, oltre che per ricordarlo nel decennale della sua scomparsa, è la necessità attuale di un'autocritica del pensiero "post-moderno", per recuperare le valenze etiche e religiose dell'Assoluto Realismo. Quando diciamo pensiero "post-moderno" intendiamo quella filosofia che si richiama a Nietzsche e all'ultimo Heidegger e che ha i suoi rappresentanti nel post-strutturalismo francese (Foucault, Derrida, Lyotard) e nel pensiero debole italiano (Valtimo, Rovatti, Gargani). Ora tutto il discorso del "post-moderno", che è in senso proprio una categoria storiografica utile per individuare una certa realtà di fatto, si regge, com'è evidente, sulla interpretazione del "moderno", vista in senso nnilaterale, vale a dire come linea unica che da Cartesio porta all'immanentismo di Hegel, all'attualismo del Gentile e al nichilismo contemporaneo. Se si inficia questa impostazione, a partire dall'autocritica dell'idealismo (e qui il La Via è uu profondo interprete) tutto il discorso crolla e va rivisto ab initio. Che tutto il pensiero moderno e post-moderno culmini nel pensiero debole è una vera e propria ignoratio elenchi, cioè un sofisma che, dettato certo dal disorientamento attuale, unilateralmente esclude tutti gli altri esiti alternativi"'· Sicché la lezione del La Via, con la restituzione del realismo, con il chiarimento della falsa opposizione fra antico e moderno modo di pensare, alla luce del conoscere fondante e del rapporto fra teoreticità e praticità, sulla scorta del concetto blondeliano di azione,può essere di giovamento anche oggi, naturalmente senza nulla ripetere perché mai le condizioni storiche possono essere le stesse. Ritornare dunque ai principi del pensare critico, in definitiva, alla struttura del filosofare, può essere una risposta alla crisi attuale,
14 A. DEL NOCE, L'idea di n1odernità, Atti del Convegno di Gallarate, Morcelliana, Brescia 1982, 26-43.
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non come soluzione alternativa ma come autocritica del "post-moderno".
E per quanto riguarda quelle che abbiamo chiamato "valenze etico-religiose dell'assoluto realismo"? Il ritorno al Realismo nella elaborazione del pensiero del La Via, è bene ribadirlo, ha valenze etico-religiose con esiti interessanti anche nel campo pedagogico e politico. Il Conoscere fondante, per cui c'è l'esser cosciente, deve essere non solo conosciuto ma attuato dalla persona, che pertanto è nodo di teoreticità e praticità. E' nella stessa persona umana il darsi di una relazione di trascendenza (la presenza donante e la conseguente affermazione critica necessaria) «la quale non altro può avere per Causa e per Fine che la medesima essenzialmente essente Infinità o Trascendenza: di cui pertanto è irrecusabile perché attuale dimostrazione» 15 • Noi stessi abbiamo definito il pensiero laviano come "metafisica della presenza" istituendo un confronto con la posizione speculativa di Bontaldini e con quella di Severino 16 • Lo so, M. Manno ed E. Gennaro insistono sull'aspetto laico del pensiero del La Via e se la prendono con alcuni allievi del maestro, che avrebbero tradotto e diffuso malamente il suo pensiero portando la sua problematica verso un esito teologico-dogmatico che non rappresenterebbe la vera ispirazione filosofica del La Via. Ma l'aver teorizzato continuamente sul fatto fondante del Conoscere e dell'agire non è contrario all'interna apertura della persona verso il trascendente e il religioso, che anzi ne costituisce una integrazione e un completamento! La Via non è come A. Caracciolo, che dopo avere sostenuto «la religione come struttura e mondo autonomo della coscienza» e affermato il rapporto tra religione ed eticità, respinge poi ogni confessio-
15
V. LA VIA, Pedagogia attualistica e crisi dell'ifnn-1anentis1110, Milazzo 1968; in Pedagogia e Vita 5-6 (1987) 515-520.
L. AGNELLO, Fifosofi'a e pedagogia nel pensiero di V. La Via, 16
s. LATORA, op.
cit.
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nalismo 17 • La Via invece esperimenta la sua teoresi nel confronto con Rosmini e Bionde!, sottolineando in queste filosofie, e come d'altra parte è la sua, «la ripresa moderna della filosofia perenne naturaliter "cristiana" quale itìnerarium ad Evangeliun1» per quella «restituzione della Saggezza smarrita dagli irrazionalismi moderni tendente a recuperare [ ... ] la normale indispensabile armonia del pensiero e della Fede, della filosofia e della Religione» 18 • Non c'è il senso tragico che deriva al Caracciolo dal suo esistenzialismo e che lo porla ad individuare oltre i mala mundi il malum mundi, e a sottoliueare come il nichilismo contemporaneo si apre al religioso 19 • La Via, nel confronto, è autore classico per il suo procedere speculativo: teorizza il dato fondante nella persona e l'ineludibile appello al dato della fede e della carità; anche per questo è alluale.
17 Uno studio con1plessivo è quello recente del suo discepolo: G. MORETTO, Filosofia un1ana di A. Caracciolo, Morcelliana, Brescia 1992. 18 V. LA VIA, Bionde/ e la questione totale, Peloritana, Messina 1969, 6. 19 Cfr. Humanitas 2 (1988); 3 (1991).
CRONACA DELL'ISTITUTO
I. Nuovi soci
Il consiglio direttivo dell'Istituto nella riunione del!' 11 marzo 1992 ha esaminato la domanda di aggregazione al nostro Istituto di amici e studiosi presentati da Soci fondatori. A norma dello statuto è stata accettata l'iscrizione dei seguenti nuovi Soci: sac. Maurizio Aliotta, sig. Alfredo Avola, prof. Francesco Capodanno, sig.na Flavia Feneto, sac. Alfredo Longhitano.
2. Assemblea dei soci
Martedì 31 marzo 1992 nella sede dell'Istituto si è riunita l'assemblea dei soci, a norma dello statuto. In tale seduta è stato presentato il resoconto delle attività del 1991 ed è stato discusso ed approvalo il bilancio 1991. A motivo del prolungarsi della discussione sul bilancio consuntivo 1991 e sui problemi dell'Istituto, il 2° punto dell'o.d.g., cioè Elezioni dei membri del Consiglio direttivo e del Collegio dei revisori, non è stato possibile completarlo, per improrogabili impegni della maggioranza dei soci presenti. L'assemblea elettiva è stata, pertanto, rinviata a data da destinarsi.
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Cronaca dell'Istituto
3. Tavola rotonda: "Il ritorno del sacro: sfida ai cristiani?"
Martedì 17 marzo ha avuto luogo, nell'aula magna del palazzo Sangiuliano dell'Università di Catania, una tavola rotonda sul tema: "Il ritorno del sacro: sfida ai cristiani? li fenomeno delle apparizioni, delle visioni, della magia ... ". Introdotta dal saluto del presidente del nostro Istituto mons. Salvatore Consoli, è stata moderata dal dott. Giuseppe Di Fazio de "La Sicilia" di Catania. Hanno dato il loro autorevole contributo il sociologo prof. Salvatore Abbruzzese della Pontificia Università S. Tommaso di Roma, e il gesuita P. Piersandro Vanzan de "La Civiltà Cattolica". Per i circa 200 partecipanti è stata una occasione preziosa per approfondire la problematica del ritorno al sacro, al magico e alle forme di religione in una società caratterizzata da cultura e mentalità razionale e scientifica. Si è soprattutto sottolineato che la Chiesa, dinnanzi al fenomeno di forme di superstizione e di magia da una parte, e dinnanzi alla ricerca di "nuove religioni" alternative dall'altra, è chiamata ad impegnarsi per una nuova evangelizzazione, che mostri come la fede cristiana sia in grado di rispondere meglio di qualsiasi altra pratica ai problemi umani più profondi, e per un rinnovamento della spiritualità cristiana che rivaluti la preghiera e la contemplazione.
4. Convegno di studi: "Prospettive etiche nella post-modernità"
L'annuale convegno di studi organizzato dallo Studio Teologico S. Paolo, dall'Università di Catania e dal nostro Istituto si è tenuto nei giorni 14 e 15 maggio nell'aula magna della Facoltà di Lettere e nella sala Bonaventura della CISL. Il tema del convegno è stato: "Prospettive etiche nella post1nodernità". li saluto del rettore dell'Università degli Studi prof. G. Rodolico, del preside del S. Paolo prof. S. Consoli, del prof. A. Coco in rappresentanza della Facoltà di Lettere e Filosofia, ha dato inizio ai
Il problema della conoscenza di Dio in A. Gratry
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lavori del convegno. Tutti e tre hanno sottolineato la positività della collaborazione decennale dello Studio Teologico S. Paolo con l'Università degli Studi ed hanno auspicato il prosieguo di tale esperienza di dialogo scientifico pluridisciplinare. Introducendo la tematica del convegno, Antonino Franco dello Studio Teologico S. Paolo, ha indicato come scopo del convegno quello di mettere in evidenza i prospetti antropologici e le prospettive etiche aperte in un momento in cui si predica la fine della stabilità e della universalità dei valori, utilizzando quindi la categoria di modernità, modernizzazione e post-n1odernità. Sul versante filosofico si sono mosse le prime due relazioni. La prima: "La coscienza contemporanea: attese e nuovi compiti", tenuta da Roberto Osculati dell'Università di Catania, ha descritto i disagi e gli smarrimenti della cultura contemp~ranea, ma anche le nuove potenzialità, dopo avere tracciato una storia della coscienza contemporanea aperta alle sfide del futuro. Nella seconda relazione: "Pluralismo etico: sfida alla teologia", Giuseppe Pezzino dell'Università di Catania, ha sottolineato la necessità che grava sull'etica razionale di accettare la sfida dell'attuale pluralismo, affermando che il dialogo tra posizioni diverse si deve realizzare in vista di un accordo razionale sui criteri che giustificano in sede morale una determinata scelta. Sul versante teologico, Raimondo Frattallone dello Studio Teologico S. Paolo, con la relazione: "L'etica teologica e le istanze della post-modernità", ha tentato un approccio costruttivo alla postmodernità, ponendo l'accento sull'impegno di una morale teologica lontana dalle angustie dcl pensiero debole. Il relatore propone una teologia che dialoghi con l'uomo, con le sue domande, con le sue attese e che proponga quindi la risposta fondamentale del messaggio cristiano: l'an1ore come din1ensione deJJfumano e come i1npegno etico. Stella Morra della Pontificia Università Gregoriana, ha presentato la comunicazione: "Tra totale e parziale il percorso dei soggetti: il caso donna". Un "caso" che rivela una irriducibilità radicale, perché originaria c dnnque ineliminabile. A livello etico ciò
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Cronaca dell'Istituto
comporta la capacità di saper "tradurre" il proprio linguaggio nel linguaggio dell'allro per potere stabilire un'autentica comunicazione. La relazione conclusiva di Giuseppe Ruggieri dello Studio Teologico S. Paolo su "Legge e Vangelo" ha ripercorso l'itinerario dell'etica dell'uomo contemporaneo. Se il progetto illuministico era quello di un universalismo monopolitico, quello della ragione e della uatura umana, l'etica dell'epoca contemporanea è quella della diversità di tutti e della comune dignità del diverso. Il Vangelo guarda con simpatia alla ricerca di una nuova etica, tuttavia esso non può accettare di essere ridotto a funzione fondatrice e giustificatrice di essa. Piuttosto il Vangelo accompagna con magnanimità il cammino comune, attraverso la testimonianza e il coinvolgimento dei credenti. Ciò implica la relativizzazione di tutti gli dei di cui gli uomini hanno bisogno e ai quali danno vita. Le conclusioni del convegno sono state tratte da Maurizio Aliotta dello Studio Teologico S. Paolo, che ha rimarcato gli elementi caratterizzanti l'etica che sembra configurarsi nella post-modernità.
5. Pubblicazioni
Il nostro Istituto ha curato le seguenti pubblicazioni: 1. Synaxis IX: nel mese di dicembre l 991 è stato pubblicato il n. IX dell'annuale dell'Istituto. Il volume, composto di 350 pagine, comprende IO contributi e ricerche, con due sezioni ben definite: una sezione di natura etica e un'altra di natura miscellanea. In questa nuova struttura il volume offre ai cultori di etica una serie di contributi su questioni riguardanti la fondazione della morale. 2. Quaderni di Synaxis n. 9: AA. Vv ., La terra e l'uomo: /'ambiente e le scelte della ragione, Galatea, Acireale 1992. Il volume contiene gli Atti del convegno di studi che l'Istituto ha celebrato insieme allo Studio Teologico S. Paolo e all'Università di Catania il 910 maggio 1991. GIAMBATTISTA RAPISARDA Segretario dclì'Istituto
INDICE
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PRESENTAZIONE (Salvatore Consoli) LA CASA COME CI-IIESA. Risvolti sociologici di una fonnula biblica (Lorenzo Alvarez Verdes) 1. Sen1antica della casa 2. Se1nantica della chiesa 3. Il dinainis1no ecclesiale nell'ambito della casa 4. Portata sociologica della formula «hè ekklésia kat'oìkon» 5. Proble1ni che si pongono nei rapporti casa-chiesa Conclusione TEOLOGIA E POLITICA NEL POLICRA11CUS DI GIOVANNI DI SALISBURY (Maurizio A!iotta)
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I. Origine e Natura del Potere 2. 1l concetto di legge
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3. Le virtù e la grazia
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COMMELELEVAINDANS LAPÀTE. UNA VIE CONTEMPLATIVE VÉCUE AU MILIEU DU MONDE: PETITE SOEUR MAGDELEINE DE JÉSUS (Chiara \!ascfa\!eo) 1. Alcuni cenni biografici
2. 3. 4. 5.
La Chiesa cattolica dinllnzi a nuovi problemi «Co1nme Jé~US» «Co1n1ne Jésus conte1nplateur dc son Père». Per una sintesi
lL TEMA DELLA GIUSTIZlA IN SANTAGOSTINO FRA «SAECULUM» ED <(ESCHATON» (Enrico Piscione)
1. Dio con1e «vera giustizia» e la «civitas» terrena 2. La «sacralità» delle istituzioni statuali 3. Il proble1na dello Stato cristiano 4. La «legge di natura» e l'«ordo ;:unoris»
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10! 101 !06 113 118
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Indice
lL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA DI DIO NELLA FlLOSOFIA DI A. GRATRY. Il Etica e Dialettica. Presupposti etici della Teodicea (Antonino Franco) 1. La scommessa della libertà 2. La volontà sana 3. Il sacrificio come metodo di libertà 4. «Resumé» sul metodo morale. Perplessità e suggestioni 5. Appendice prinui. Sulla morte LE SORPRESE DELL'lJMANAMENTE POSS!BlLE: JUVALTA E LA GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE DELL'ETICA (Antonino Crhna/di) QUESTIONI FILOSOFICHE SUL PROBLEMA DEL MALE (Francesco Ventorino) l. In che consiste il male morale o peccato 2. La causa del peccato 3. L'cffeHo del peccato 4. La negazione di Dio come Altro dall'uomo 5. La liberazione del male co1ne problen1a politico. 6. L'etica co1ne n1ortale volontà di verità 7. Se f)io non c'è tutto è pern1esso, n1a tutto è indifferente 8. Il paradosso del peccato e della riconciliazione 9. Il pensiero contemporaneo tra negazione ed esaltazione della coscienza individuale
I25 I26 130 138 145 148
153
183 183 185
187 I89
194 I99 206
2I3 220
LUCA DA CALTANISSETTA E lL SUO DIARIO. Nota commemorativa (Grzet::orz .!. Kaczy;fski)
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lL MONASTERO CATANESE DI SAN NICOLA L'ARENA TRAJL 1738 E IL 1759 (Gaetano Zito) Appendice
251
241
LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA
(1762) (Adolfo Longhitano) 1. 2. 3. 4. 5.
Il vescovo Salvatore Ventimiglia Il governo pastorale Le din1issioni Auività palennilana dopo le dimissioni La relazione «ad limina» del vescovo Ventimiglia Testo tradotto della relazione «ad limina» Testo originale della relazione «ad limina»
315 3I5 335 359 364 370 373 406
Indice
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LA DIOCESI DI CALTAGIRONE NELL'INCHIESTA SUI REGOLARI DI SICILIA DI PIO IX (1847-1850) (Raffaele Manduca)
1. 2. 3. 4. 5.
La riforma dei regolari La Sicilia La diocesi Uomini, ordini, conventi (1650-1850) Disciplina, spiritualità, utilità Bilancio provvisorio
419 419 425 439 447 465 489
Tabelle .
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Appendice
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LA FEDE COME PRINCIPIO EPISTEMICO DI JOHN HENRY NEWMAN
(Giuseppe Crista!di) 1. La fede, principio epistemico «indiretlo>; 2. La fede, «oggetto» di epistctne 3. La fede, «nuovo» principio epistemico
553 556 558 561
MARIO E LUIGI STURZO DUE VITE COMPLEMENTARI PER LA RINASCITA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN SICILIA. Confronto fra
la prima lettera pastorale del vescovo (1903) e il discorso di Caltagirone di don Luigi (1905) (Salvatore Latora) Appendice I Appendice Il
565 577 591
UN'INTERPRETAZIONE POETICA DEL CRISTIANESIMO: KHALIL GIBRAN (Marcella Muccio)
1. 2. 3. 4.
Da BichatTi alla East Coast Il desiderio di infinito e le istituzioni: le opere arabe La maturità del desiderio: le prime opere inglesi «The Prophct» e la proposta di una nuova umanità
609 609 612 614 617
VINCENZO LA VIA. Valenze etico-religiose dell'assoluto realismo. (Salvatore Latora)
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CRONACA DELL'ISTITUTO (Gian1battista Rapisarda)
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FINITO DI ST A!l.1P ARE NEt MESE DI DICEMBRE 1992 DALLA TIPOLITOGRAFIA GALATEA DI GAETANO MAUGERI EDITORE VIA PIEMONTE, 84 - ACIREALE FOTOCOlvlPOSIZIONE SSG ACIREALE