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TNM N° 24 • LUGLIO - AGOSTO 2013 • PERIODICO MENSILE

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M I L I T A R Y • L A W ENFORCEMENT • SECURITY

REPORT FROM IL 9° REGGIMENTO D’ASSALTO PARACADUTISTI COL MOSCHIN ALL’ESERCITAZIONE. LONE PARATROOPER

INSIDE

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EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE

Anche noi di TNM

ci stiamo preparando all’estate: dismettiamo tutti le nostre mimetiche, posiamo per un attimo le macchine fotografiche e i computer per goderci un meritato riposo. Dopo le “fatiche” in Sardegna con i nostri amici del 9° reggimento “Col Moschin” usciamo con un numero doppio luglio/agosto, che allieterà certamente i caldi pomeriggi dei nostri lettori. L’esperienza in terra sarda con gli incursori del Nono produrrà, per il numero di settembre, un nuovo importante servizio sul loro addestramento anfibio. A proposito del nostro miglior reparto d’élite, noi di TNM abbiamo in serbo per la fine di settembre una sorpresa ancora più bella per i nostri lettori, i quali meritano sempre il meglio dalla nostra redazione. Un progetto editoriale elaborato in sinergia con il “Col Moschin” che vorrà essere un omaggio a tutti coloro che hanno servito per questo glorioso reparto: un avvincente excursus storico che ci porterà a visitare i campi di battaglia della prima guerra mondiale fino al torrido deserto afghano. Certo, un libro sul 9° non è una cosa nuova, tuttavia noi di TNM daremo un taglio inedito per rappresentare al meglio i nostri amici. Buone vacanze e mi raccomando, tutti operativi per settembre. Mirko Gargiulo (Direttore editoriale)


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GS-07F-0398M Warning: ATVs can be hazardous to operate. Polaris adult models are for riders age 16 and older. Polaris youth models of 90cc for riders 10 and older. Polaris youth models of 50cc for riders 6 and older. For your safety, always wear a helmet, eye protection and protective clothing, and be sure to take a safety training course. For safety and training information in the U.S., call the SVIA at (800) 887-2887. You may also contact your Polaris dealer or call Polaris at (800) 342-3764. For safety training in Canada, contact your local Polaris dealer. ©2013 Polaris Industries Inc.


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CE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDIc

Military - Law Enforcement - Security n°24 - luglio - agosto 2013 - mensile www.tacticalnewsmagazine.it Direttore responsabile Marco Alberini marco.alberini@tacticalnewsmagazine.eu Direttore editoriale Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it Capo redattore Paolo Palumbo redazionetnm@tacticalnewsmagazine.eu

2 EDITORIALE 6 NEWS

Direttore commerciale Giovanni Petretta Art director Matteo Tamburrino tambetti@gmail.com facebook: mt@work

20 company profile Storia e Militanza

22 SPECIAL OPERATIONS 6 Missioni SpeciaLI

30 HOT POINT GLI ARABI E LA LORO PRIMAVERA

34 INSIDE Il tridente di NETTUNO Navy Seals vs Osama Bin Laden

72 FIRE TEST AKS 47 - Semplice e versatile

76 REPORT FROM Al Qaeda combatte la corruzione e perde

96 FOCUS ON LA RICERCA DI SCARPONCINI anfibi PER L’AFGHANISTAN

102 TEST BY TNM SureFire P2ZX Fury Combatlight FURIA NON PIù CIECA 500 lumen di potenza

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120 HOT POINT

84 REPORT FROM

Il filo tagliente della spada dell’Islam

Il 9° REGGIMENTO d’assalTo parACADUTISTI COL MOSCHIN all’esercitazione. lone paratrooper

124 BOOK 126 Appuntamenti

Impaginazione echocommunication.eu Corrispondente dagli Stati Uniti Jae Gillentine Pubblicità redazione@tacticalnewsmagazine.eu Collaboratori Gianluca Favro, Fabio Rossi, Giovanni Di Gregorio, Michele Farinetti, Ovidio Di Gianfilippo, Sergio Giacoia, Alberto Saini, Lorenzo Prodan, Danilo Amelotti, Paolo Palumbo, Daniel Sharon, Norbert Ciano, Luca Munareto, Davide Pisenti, Alessandro Zanin, Rocco Pacella, Guns & Tactics, Jeremy Pagan, Giuliano Palazzo, Jacopo Guarino, Paolo Grandis Fotografie ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, U.S. Navy, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare, Onu Media Press, Michele Farinetti, Marco Alberini, Norbert Ciano, Davide Pisenti, J. Campo, Stickman, 9° Reggimento Col Moschin Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969 Stampa Postel SpA Via Carlo Spinola, 11 - 00154 Roma Distributore Pieroni Distribuzione Srl Via Vittorio Veneto 28 - 20124 Milano Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Partner:

128 glossario Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore


AL VIA IL TOUR PROMOZIONALE 2013 È partito recentemente, nelle principali località turiste italiane, il tour promozionale estivo 2013, per promuovere l’arruolamento nell’Esercito. Fino al 15 settembre, gli info team dell’Esercito, impegnati in tutte le Regioni del Paese, informeranno i giovani interessati sulle modalità di arruolamento e le prospettive di carriera nella Forza Armata. Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, dal Trentino Alto Adige alla Sardegna, presso gli stand informativi, sarà possibile cimentarsi in molteplici attività, quali la scalata di pareti di roccia artificiale o in circuiti di military fitness. Tra gli appuntamenti di rilievo, gli info team saranno anche presenti, dal 16 al 20 luglio, al Rainbow Magic Land di Valmontone. Nel prossimo week end, tra le altre destinazioni, l’Esercito sarà presente anche all’idroscalo di Milano. Il calendario completo delle attività è consultabile, nella sezione comunicazione dedicata alle attività promozionali, sul sito dell’esercito www.esercito.difesa.it. TNM ••• 6


28esimo raduno dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Claudio Graziano, ha partecipato a Prato, al 28esimo raduno dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia. Per le principali vie di Prato hanno sfilato la batteria di formazione dell’Artiglieria, la Bandiera di guerra dell’Arma di Artiglieria, lo stendardo di nave “artigliere” e i Gonfaloni, “a testimonianza viva dei valori fondanti della Patria”. In tribuna, tra gli altri, erano presenti il Prefetto di Prato, Maria Federico, il Sindaco, Roberto Cenni, che con la loro presenza hanno voluto testimoniare la forte vicinanza delle Istituzioni locali all’Esercito e in particolare agli Artiglieri. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Claudio Graziano, dopo aver reso omaggio allo stendardo di nave artigliere, alla bandiera di guerra dell’Arma di Artiglieria e al Gonfalone della città di Firenze decorato di Medaglia d’Oro, ha voluto ricordare: “i caduti dell’Esercito e di tutte le Forze Armate, in particolare, quelli delle missioni di pace, tra cui, il Maggiore La Rosa, i feriti e i loro familiari, che con un comportamento davvero impeccabile hanno reso onore al Paese”. Il Generale Graziano, rivolgendosi poi al presidente dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia, Generale Rocco Viglietta, affiancato dal suo omologo francese, Generale Mayer, ha voluto rimarcare “l’importanza del raduno quale occasione per creare coesione tra i valori etici militari e civili ed esprimere alla nazione un messaggio ottimistico in un periodo di grave crisi economica che si riverbera con la trasformazione in atto nella Forza Armata. La forza centrale dell’Esercito” ha poi proseguito il Generale Graziano “sarà composta da nove brigate proiettabili di manovra, all’interno delle quali ci sarà una componente di supporto di fuoco d’artiglieria per rendere queste Unità impiegabili a giro d’orizzonte in tutti i possibili terreni e situazioni. “In tale contesto” ha aggiunto, “è stato ricostituito il 185esimo reggimento artiglieria paracadutisti per ridare alla Brigata Folgore una capacità completa multiarma quale Entry Force e riserva operativa”. Tra le autorità militari presenti all’evento il Decano dell’Arma di Artiglieria e Comandante Logistico dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Mario Roggio, il presidente dell’Associazione Nazionale Artiiglieri d’Italia, Generale di Brigata (ris.) Rocco Viglietta, il Comandante dell’Istituto Geografico Militare, Generale di Divisione Agostino Biancafarina, il Comandante della regione Toscana della Guardia di Finanza, Generale Giuseppe Vicagnolo, il Comandante dell’Artiglieria, Generale di Brigata Domenico Pintus e il Comandante dell’Artiglieria contraerea, Generale di Brigata Cesare Alimenti.

ACCORDO MINISTERO DIFESA E AMMINISTRAZIONI LOCALI, INAUGURATI ALLOGGI PER MILITARI IN SERVIZIO IN CAMBIO DELLA CESSIONE DI AREE NON UTILIZZATE. Per il 2024, l’Esercito passerà dagli attuali 102.000 effettivi a 90.000 unità e, per il 2018, ridurrà del 30% le infrastrutture militari chiudendone 87 e riorganizzandone 127. Si è svolta il 25 giugno scorso , a Merano, alla presenza del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale Claudio Graziano, la cerimonia di inaugurazione della palazzina alloggi, presso la caserma “Polonio”, destinata al personale militare della Forza Armata. All’evento, erano presenti tra gli altri, il Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, Luis Durnwalder, il Sindaco di Merano, Januth Guenther, il Direttore dell’Agenzia del Demanio, Stefano Scalera, il Segretario Generale della Difesa, Generale Claudio Debertolis. Il Generale Graziano, nel suo intervento, ha sottolineato “l’importanza di questo progetto, realizzato grazie alla sinergia tra l’amministrazione provinciale di Bolzano, l’agenzia del demanio e i comandi militari, che costituisce un vero e proprio modello da replicare su scala nazionale”, ha poi aggiunto il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, “sull’onda dell’attuale crisi finanziaria e la necessità di disegnare uno strumento militare sempre più efficiente, l’Esercito sta attuando una rigorosa razionalizzazione, in senso riduttivo, finalizzata a salvaguardare la propria componente operativa”. L’iniziativa è inserita nel protocollo di intesa, siglato nel 2007, tra il Ministero della Difesa e la Provincia Autonoma di Bolzano. La struttura alloggiativa, realizzata in un’area di 4mila metri quadrati, pari a 23700 metri cubi, ospita 56 appartamenti per una capienza complessiva di 224 persone e rappresenta solo una parte degli interventi previsti dal protocollo di intesa. Nella stessa giornata è stato anche firmato il terzo accordo del programma nell’ambito degli interventi previsti dal protocollo di intesa tra il Ministero della Difesa e la Provincia Autonoma di Bolzano finalizzato alla costruzione e adeguamento di alloggi all’interno delle caserme da parte dell’amministrazione locale che otterrà in cambio aree di pari controvalore non utilizzate dalla forza Armata. In accordo con gli obiettivi fissati dalla legge delega sulla revisione dello strumento militare, l’Esercito dovrà passare, entro il 2024, dagli attuali 102.000 effettivi a 90.000 unità e, per il 2018, ridurre del 30% le infrastrutture militari per la salvaguardia della componente operativa. L’intero progetto della riorganizzazione in atto comporterà complessivamente la chiusura di 87 enti ed unità e la riorganizzazione di altri 127.


IRAN. Rohani si rivolge al Parlamento, ‘Paese in condizioni difficili’ Intervenendo al Majlis, il Parlamento iraniano, il nuovo presidente dell’Iran, Hassan Rohani, ha sostenuto che è necessaria una ferrea collaborazione fra la Camera e il governo per affrontare “le condizioni molto difficili”, specialmente di carattere economico, in cui si trova l’Iran. Rohani ha così voluto prevenire gli scontri, talvolta persino esilaranti, che vi erano stati fra il Parlamento iraniano ed il suo predecessore: i dissapori fra i due organi costituzionali avevano conosciuto il loro apice nel febbraio scorso, quando Ahmadinejad aveva accusato di corruzione la famiglia del presidente del Parlamento, Ali Larijani. Rohani si è voluto concentrare sui problemi economici che hanno investito il paese, anche a causa dell’embargo in corso, con un’inflazione che ha superato il 30%. Così il presidente ha spiegato che “Il Paese si trova in condizioni molto difficili; alcune di queste complessità sono il risultato di questioni interne, altre di ingiuste pressioni straniere”, per cui “per la prima volta l’Iran consoce un’inflazione molto alta, la più alta nella regione e forse nel mondo, la quale è in relazione con la crescita economica negativa”.

ESERCITO: SALVATO DA UN EQUIPAGGIO DELL’ESERCITO UN ALPINISTA DISPERSO. Un equipaggio dell’Aviazione dell’Esercito ha salvato la vita a un alpinista disperso in una parete sul monte Agner, nei pressi di Agordo, nel bellunese. I piloti e gli specialisti del 4/o Reggimento “Altair”, di stanza a Bolzano, grazie all’addestramento al volo notturno in montagna, con l’impiego di strumentazione per la visione notturna, hanno individuato l’alpinista che da ore era bloccato su una parete inaccessibile all’aeromobile militare. L’equipaggio ha pertanto eseguito una manovra di atterraggio al buio, a 2500 metri di altitudine, che ha permesso ai soccorritori del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS) Dolomiti Bellunesi di raggiungere dall’alto l’alpinista, già in stato iniziale di ipotermia. Per la sua complessità la missione di recupero ed evacuazione, iniziata alle 23.00 si è svolta in due sortire ed è terminata alle 05.00 mattina. L’alpinista è stato ricoverato presso il pronto soccorso di Agordo. Solo pochi giorni prima gli elicotteri e gli equipaggi del 4º Reggimento Aviazione dell’Esercito “Altair” avevano eseguito nei pressi di passo Duran, nel bellunese, una prima esercitazione notturna con i soccorritori del CNSAS che sono stati abilitati all’elitrasporto notturno su aeromobili militari dotati di apparati ad intensificazione di luce. TNM ••• 8


Edward Snowden ha in suo possesso informazioni che possono compromettere ulteriormente gli Stati uniti. Delle “informazioni riservate” che potrebbero diventare il “peggior incubo” degli Stati Uniti “tiene in mano” Edward Snowden. Il giornalista che ha pubblicato per primo le informazioni che Snowden ha fatto trapelare, sostiene durante una sua intervista recentemente pubblicata, che il governo degli Stati Uniti dovrebbe essere attento nel suo approccio al famigerato “caso Snowden”. “Edward Snowden ha in suo possesso sufficienti informazioni per danneggiare il governo degli Stati Uniti in un minuto peggio di ogni altra persona in passato” si legge in un estratto dell’intervista. “Il governo degli Stati Uniti dovrebbe quotidianamente inginocchiarsi e pregare che non accadrà nulla a Snowden, perché se succede qualcosa a lui, tutte le informazioni saranno divulgate e questo diventerà il loro peggior incubo” continua il giornalista. Per esempio, Snowden ha a sua disposizione dei documenti che elencano diverse parti del mondo, dove si spiega in modo dettagliato quali programmi di monitoraggio americani registrano le trasmissioni (intercettano) in America Latina e come funzionano. “Un modo per intercettare le comunicazioni è attraverso una compagnia telefonica negli Stati Uniti che ha contratti con le società di telecomunicazioni della maggior parte dei paesi dell’America Latina”, spiega il giornalista senza specificare a quale compagnia si riferisce.

RUSSIA. Possibile scambio di spie con la Germania Scambio di spie fra la Russia di Putin e la Germania di Merkel: lo scorso 2 luglio una coppia sposata di 007 russi, Andreas e Heidrun Anschlag, classificati comunque come “dormienti” in quanto inviati in Germania dal Kgb negli Anni ’80, sono stati arrestati, processati e condannati in Germania; oggi Mosca si è fatta avanti con le autorità di Berlino proponendo, come ha riportato il quotidiano russo Kommersant, lo scambio con almeno una spia tedesca o occidentale. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha comunque smentito che lo scambio di spie sia stato oggetto dei recenti colloqui tra il presidente Vladimir Putin e la cancelliera Angela Merkel, ma voci insistenti fanno sapere che a Mosca si è detto “Porteremo i nostri fuori di lì”.

ZIMMERMAN ASSOLTO PER L’ACCUSA DI OMICIDIO DI Trayvon Martin Innocente è stato giudicato George Zimmerman per tutti i capi d’accusa riguardo al fatale colpo di pistola, nel febbraio 2012, contro il disarmato adolescente afroamericano Trayvon Martin a Sanford, nello stato della Florida. Gli avvocati del 29enne Zimmerman hanno sostenuto che il loro cliente ha sparato a Martin per legittima difesa. Se fosse trovato colpevole, l’ex membro di un gruppo di volontari di vigilanza a Sanford, rischiava l’ergastolo. La famiglia di Trayvon Martin non era presente in tribunale quando è stato letto il verdetto. Subito dopo pero dei manifestanti si sono riuniti al luogo dell’incidente. La morte del 17enne Martin, che era disarmato, ha provocato grande commozione negli Stati Uniti, mentre molti si lamentavano che si è trattato di un delitto a sfondo razziale.

Lo scambio potrebbe avvenire con Andrei Dumenkov, condannato a 12 anni nel 2006 per aver cercato di consegnare alla Germania dati su progetti missilistici russi, e con Valery Mikhailov, un ex colonnello del servizio segreto russo condannato a 18 anni nel 2012 per aver spiato per gli Usa.


LIBANO: RIFUGIATI SIRIANI SUPERANO LA SOGLIA DEI 600 MILA L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha annunciato che il numero di siriani che si sono rifugiati in Libano e che ricevono aiuto da governo, Onu e Ong partner ha raggiunto quota 604 mila, con un incremento di 17 mila nelle ultime settimane. I rifugiati registrati sono 517 mila, mentre più di 87 mila sono in attesa di esserlo. In particolare,


181 mila rifugiati siriani sono stati registrati nel nord del Libano, 175 mila nella regione orientale della Bekaa, 95 mila a Beirut e sul Monte Libano e 65 mila nel sud del paese. L’agenzia riferisce che oltre 150 mila siriani hanno ricevuto buoni pasto dal Refugees Danish Board, dall’International Handicapped Organization e da Ong italiane. L’Unhcr prevede che saranno 138 mila i rifugiati siriani, tra i 4 e i 14 anni, che beneficeranno del sistema educativo ufficiale libanese. Il governo libanese continua a chiedere con insistenza al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e ai donatori internazionali di aiutarlo a sostenere il peso del flusso di rifugiati siriani, che entro la fine dell’anno potrebbero superare il milione. L’Alto Commissario Onu per i Rifugiati Antonio Guterres ha infatti recentemente affermato che il numero di profughi siriani in Libano a questi ritmi potrebbe arrivare al milione entro fine anno ovvero il 25% della popolazione libanese. Centinaia di migliaia di rifugiati siriani sono ospitati anche da Giordania (quasi mezzo milione), Turchia (387.000), Iraq (159.000) ed Egitto (85.000), secondo le più recenti stime dell’Unhcr.

Adly Mansour è il nuovo presidente dell’Egitto Ha prestato giuramento il nuovo presidente provvisorio dell’Egitto, Adly Mansour, all’indomani del rovesciamento del presidente Mohamed Morsi dalle forze armate del paese. La sua nomina è stata basata sul piano di transizione elaborato dall’esercito. Nel frattempo, il relegato ex-presidente egiziano Morsi è stato trasferito da solo al Ministero della Difesa; così ha annunciato il portavoce della Fratellanza Musulmana. In precedenza si sapeva che “Morsi e liintero team presidenziale erano stati limitati al club delle guardie presidenziali repubblicane“, insieme a loro c’erano anche il padre di Morsi e la sua “mano destra”. Dopo aver scacciato l’ormai expresidente, l’esercito egiziano ha cominciato a stringere il cappio anche intorno ai Fratelli Musulmani. Secondo fonti provenienti dai servizi di sicurezza d’Egitto il leader del Partito Libertà e Giustizia, la “fronte politica” dei Fratelli Musulmani, Saad al-Katatni e il vicecapo dei Fratelli Musulmani Bayoumi Rashid, sono già stati arrestati. Il quotidiano governativo Al-Ahram ha inoltre affermato che sono stati emessi addirittura 300 mandati di arresto nei confronti di vari membri della Fratellanza.

RAGGIUNGE 100.000 IL NUMERO DELLE VITTIME DELLA GUERRA CIVILE IN SIRIA L’Osservatorio siriano per i diritti umani ci comunica che 100 mila persone sono state uccise in Siria dall’inizio del conflitto nel 2011. Questa notizia arriva mentre i leader regionali stanno avvertendo di un peggioramento della situazione. Questa figura comprende 18.000 combattenti ribelli e circa 40.000 soldati e miliziani pro-Assad. L’Osservatorio ha aggiunto che a completare tale numero ci sono anche 36.000 civili, 3.000 dei quali donne, e più di 5.000 bambini di età inferiore ai 16 anni. Il gruppo si avvale di una rete di attivisti, medici e avvocati in tutta Siria per raccogliere queste informazioni. Nel frattempo, l’Arabia Saudita ha sollecitato un’azione globale, raccontando al segretario di Stato degli USA John Kerry, in visita al paese, che la guerra civile si è trasformata in “genocidio”. Intanto l’ambasciatrice degli Stati Uniti preso le Nazioni Unite, Susan Rice, ha definito il fallimento del Consiglio di Sicurezza di agire onde porre fine al conflitto in Siria una “vergogna morale e strategica”. Infine Russia e Cina, che accusano Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna di cercare solo un cambio di regime in Siria, hanno ripetutamente utilizzato il proprio veto, come membri permanenti del Consiglio di sicurezza per bloccare le risoluzioni che avrebbero aumentato la pressione sul presidente Assad.


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a cura di MIRKO GARGIULO


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Il Batlskin Cobra P2 di Revision è un elmetto premium da combattimento, con una struttura a guscio unica che utilizza una tecnologia a materiali compositi per assicurare una copertura completa, peso ridotto, una maggiore protezione balistica e un elevata protezione contro gli impatti frontali. il Batlskin Cobra P2 è confortevole e compatibile con i sistemi di comunicazione ed è disponibile in quattro taglie: small, medium, large ed extra-large e in tre colori: nero, verde oliva e tan .


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Fox Knives presenta il “KAPAP” ISRAELI TRACKER Questo coltello è stato disegnato da Avi Nardia, istruttore di arti marziali e di combattimento KAPAP, e delle tecniche di combattimento corpo a corpo Lotar e Jiu Jitsu Brasiliano. Avi ha militato nelle forze speciali israeliane (Israeli Defence Forces) come ufficiale istruttore di combattimento corpo a corpo e ufficiale di sicurezza sia nel periodo di servizio che in quello di riserva. Nelle IDF ha allenato le forze speciali israeliane e guadagnato il grado di maggiore. Ha passato 7 anni in Giappone, dove ha studiato Karate, Jiu-Jitsu e Kendo. Al suo ritorno in Israele, ha iniziato ad addestrare l’unità speciale della polizia israeliana Yamam. Negli anni trascorsi presso la Yamam ha sensibilmente migliorato e arricchito il KAPAP moderno. Oggi presta servizio come esperto presso le scuole SWAT di diversi paesi e come istruttore ufficiale tiene master class sulle tattiche di difesa e comportamento operativo a livello mondiale. L’Israeli Tracker è un coltello da sopravvivenza che può essere utilizzato in tutte le condizioni più estreme, dotato di fodero in cordura e kit di sopravvivenza. Lama: acciaio inossidabile N690 Durezza: HRC 58-60 Spessore della lama: mm 6-0,24” Lunghezza della lama: mm 195-7,63” Lunghezza complessiva: mm 32012,6” Peso: 390 g-13,76 oz Rivestimento della lama: BLACK IDROGLIDER Impugnatura: G10 nera Fodero: nylon con kit di sopravvivenza

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Storia e Militanza La nuova libreria per gli appassionati di storia militare e per gli operatori del settore

Aperta

recentemente Storia e Militanza è una nuova libreria specializzata in storia militare. Storia e Militanza rappresenta una nuova realtà in grado di soddisfare i palati più esigenti sempre alla ricerca di pubblicazioni che sappiano colmare un vuoto troppo spesso lasciato dalle tradizionali librerie. I titolari di Storia e militanza provengono da un’esperienza quindicinale in due importanti realtà editoriali di Milano specializzate in storia militare; realtà che hanno contribuito a costituire e che poi, per vicissitudini varie, hanno dovuto lasciare con grande rammarico. Adesso, in un momento lavorativo, a dir poco instabile, hanno avuto il coraggio di lanciarsi in questa nuova avventura libraria ed editoriale.

“facilmente vendibile”. Il negozio online www.storiaemilitanza.com nasce all’incirca due mesi fa con l’idea di mettere a disposizione degli appassionati di storia militare e anche degli operatori professionali, uno strumento capace di fornire un’abbondante e selezionata bibliografia inerente tutti gli aspetti di questa dottrina. Vengono contemplati tutti i periodi storici, da quello antico fino ai nostri giorni, marina, aviazione e forze terrestri, strategia, pensiero politico, fortificazioni, collezionismo militare e, ovviamente una vasta sezione dedicata alle armi e alle forze speciali. Proprio queste ultime due tipologie godono di un’attenzione particolare, sia per numero di pubblicazioni che per la peculiarità delle stesse.

La realtà delle librerie specializzate, sia fisiche che online, resta l’unica soluzione percorribile in un periodo in cui le grosse realtà editoriali e distributive, hanno praticamente messo all’angolo tutto il settore editoriale della piccola impresa, sacrificando particolarmente quelle tipologie di nicchia, come la storia militare, che mal si adattano ai grossi “supermercati del libro” dove impera il libro “leggero” e

Quindi oltre alle armi bianche che sono presenti in una sezione apposita, suddivisa a sua volta in: libri a carattere generale, DVD e tecniche di combattimento, Storia e Militanza vanta una sezione armi da fuoco suddivisa in: libri a carattere generale, DVD, munizioni e ricarica, sniping e tecniche di tiro e una sezione forze speciali suddivisa in: libri a carattere generale, paracadutisti, DVD, conflitti e dottrine


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non convenzionali, sopravvivenza, manualistica militare e antropologia forense e tecniche investigative. Le pubblicazioni sono sia in lingua italiana che straniera; la lingua inglese in effetti su questo tipo di tematiche la fa da padrona. Una delle peculiarità di questa libreria online è la disponibilità “immediata” della maggior parte degli articoli proposti; nove articoli su dieci sono presenti “fisicamente” nei loro scaffali, cercando cosi di offrire al cliente un servizio immediato (riguardo la disponibilità effettiva del volume) e celere (i volumi vengono spediti entro le 24 lavorative). Storia e Militanza va in controtendenza rispetto alla maggior parte delle altre librerie che tendono ad avere sempre meno “disponibilità immediata” e a lavorare sempre più su ordinazione. Nonostante il lavoro di questa libreria avviene “in remoto”, i clienti di Storia e Militanza hanno sempre la possibilità di contattare telefonicamente per richiedere ulteriori e più dettagliate informazioni sui testi o, più semplicemente, per scambiare quattro chiacchere con il titolare, persona gentilissima e vero esperto del settore. A partire da questo autunno, Storia e Militanza comincerà ad operare anche come casa editrice, incentrando il lavoro su tre linee editoriali: la prima tratterà tematiche inerenti la Seconda Guerra Mondiale; la seconda sarà incentrata sui conflitti del secondo dopoguerra: la terza linea editoriale, strutturata su più collane, verterà su armi, manualistica militare e forze speciali. E noi di TNM in qualità di altrettanti esperti in questo settore, non possiamo che essere felici di fronte ad una iniziativa importante come questa e ci auguriamo vivamente che i nostri amici lettori possano trovare in Storia e Militanza un vero punto di riferimento per questo affascinante settore, troppo spesso trascurato.


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By Mike Ryan


ERATIONS SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPER

Missioni SpecialI E I LORO INSEGNAMENTI AI FINI DEL RAID CONTRO BIN LADEN IL 2 MAGGIO 2011, QUASI 10 ANNI DOPO LA CADUTA DELLE TORRI DEL WORLD TRADE CENTER NELLA LOWER MANHATTAN, UNA PICCOLA SQUADRA DI NAVY SEAL ASSALTò UN COMPOUND DI ABBOTTABAD, IN PAKISTAN, E UCCISE LA MENTE DI AL QAEDA, OSAMA BIN LADEN. L’ULTIMO SECOLO PORTA UN LUNGO RETAGGIO DI MISSIONI DELLE OPERAZIONI SPECIALI, E OPERAZIONI SU SCALA MINORE le quali HANNO SEGNATO ALCUNI DEI PIU’ DRAMMATICI MOMENTI NELLA STORIA DELLA FORZE ARMATE MODERNE. INOLTRE, QUESTE MISSIONI PRESENTANO DEI PARALLELISMI CON QUELLO CHE E’ APPENA SUCCESSO IN PAKISTAN E I LORO INSEGNAMENTI HANNO CONTRIBUITO A FARE DELLA MISSIONE BIN LADEN UN SUCCESSO. DIAMO UNO SGUARDO A SEI DI QUESTE.


SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPERAT

28 MARZO 1942

12 SETTEMBRE 1943

OPERAZIONE Chariot

OPERAZIONE Eiche

LA MISSIONE: UN ATTENTATO BRITANNICO PER DISTRUGGERE UN PORTO NAZISTA NELLA CITTà OCCUPATA DI ST. NAZAIRE, IN FRANCIA IL RISULTATO: SUCCESSO, MA CON INGENTI PERDITE

LA MISSIONE: LA LIBERAZIONE DEL DITTATORE ITALIANO BENITO MUSSOLINI IL RISULTATO: MUSSOLINI LIBERO CON ZERO PERDITE

Gli storici lo hanno soprannominato “Il più grande di tutti gli assalti”. Le forze britanniche imbottirono di auto-esplosivo una vecchia nave della prima guerra mondiale, l’HMS Campbeltown, e distrussero il bacino di carenaggio controllato dai nazisti a St. Nazaire, in Francia. L’esplosione rese il bacino inutilizzabile per il resto della guerra, costringendo ogni nave tedesca a tornare in Germania per le riparazioni. Poiché all’epoca la padronanza delle bombe era piuttosto rudimentale, cercare di distruggere il molo via aria avrebbe annientato la città, inoltre l’operazione Chariot ebbe luogo all’inizio della guerra, quando gli Alleati erano più preoccupati di limitare le perdite civili di quanto non lo furono in seguito. Cosi l’Inghilterra iniziò questa impresa, inviando insieme alla Campbletown altre 18 navi (2 cacciatorpedinieri e 16 motolance) con l’incarico di scortarla e di reimbarcare l’equipaggio. L’esplosione a bordo della Campbletown fu ritardata - i soldati spinsero l’imbarcazione dentro il molo e poi si affrettarono verso le altre navi. La Campbletown rimase li per un po’, così i nazisti non sospettarono che fosse riempita di esplosivo - allorquando la nave esplose fragorosamente. Poiché l’assalto non fu accompagnato da una sufficiente copertura aerea, i nazisti furono liberi di sparare sugli inglesi con l’intera artiglieria nell’area circostante St. Nazaire. Solo tre navi tornarono in Inghilterra; la squadra sopravvissuta all’attacco dovette scappare a piedi attraverso la Francia. Alla fine, dei 622 soldati che facevano parte dell’operazione, solo 228 ritornarono a casa.

Il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del Fascismo ordinò che Benito Mussolini fosse destituito e, successivamente, arrestato. Adolf Hitler, che non voleva perdere un valido alleato, ordinò ad un’unità di paracadutisti di liberarlo. Guidata dal capitano delle SS Otto Skorzeny, la squadra planò nel presidio dove Mussolini era tenuto prigioniero, una località sciistica chiamata Hotel Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Dodici alianti al seguito di un aereo sorvolarono la zona, uno degli alianti compì un atterraggio di fortuna il quale procurò ferite all’equipaggio di bordo: questo fu l’unico imprevisto dell’operazione la quale andò a buon fine senza che un singolo colpo venisse sparato. Una volta che le SS assaltarono l’hotel, la missione si concluse in quattro minuti. Mussolini fu poi rimesso al potere nella porzione d’Italia occupata dalla Germania.

Era una missione ad alto rischio per scelta, aspetto in comune con il raid che ha ucciso Bin Laden. I rapporti indicano che il presidente Obama aveva preso in considerazione l’idea di bombardare il rifugio di Bin Laden, una volta certo che si trovasse lì. Il Presidente voleva avere la possibilità di verificare il DNA di Bin Laden per accertarsi che fosse veramente morto, e così autorizzò la missione più rischiosa: inviare i Navy SEAL. TNM ••• 24

Secondo quanto riporta lo storico dei Navy SEAL e delle operazioni speciali William McRaven, il salvataggio di Mussolini fu un successo perché “dimostra tutti e tre gli elementi della sorpresa: tempismo, inganno e sfruttamento dei punti deboli nella difesa”. Ovviamente nel raid americano che ha ucciso Osama bin Laden furono esplosi diversi colpi d’arma da fuoco, ma l’analoga enfasi sulla sorpresa ha garantito che nessun membro delle forze americane restasse ferito.


ERATIONS SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPER

30 GENNAIO 1945

21 NOVEMBRE 1970:

OPERAZIONE Raid a Cabanatuan Kingpin LA MISSIONE: LIBERARE PIU’ DI 500 PRIGIONIERI DI GUERRA AMERICANI DA UN CAMPO VICINO ALLA CITTA’ DI CABANATUAN, NELLE FILIPPINE IL RISULTATO: SUCCESSO CON PERDITE MINIME

LA MISSIONE: UN’OPERAZIONE DI SALVATAGGIO DI 61 AMERICANI TENUTI PRIGIONIERI NEL NORD DEL VIETNAM IL RISULTATO: UN SUCCESSO TATTICO, CHE PERO’ NON PORTò ALLA LIBERAZIONE DI ALCUN PRIGIONIERO

Dopo la famigerata Marcia della Morte di Bataan nelle Filippine, nel 1942, alcuni prigionieri di guerra americani sopravvissuti furono detenuti in un campo di prigionia vicino alla città di Cabanatuan. Le condizioni di vita al campo erano terribili; le esecuzioni di massa all’ordine del giorno. Temendo che i prigionieri potessero essere giustiziati come era accaduto in altri campi giapponesi, i leader degli Stati Uniti approvarono una missione di salvataggio. Il capitano Kenneth Schrieber concepì un ingegnoso diversivo volando con un P-61 Black Widow sul campo, creando l’illusione che il suo aereo, che volava così basso, fosse in avaria e stesse per schiantarsi. Ci riuscì spegnendo e riavviando il motore, producendo così un rumoroso ritorno di fiamma. Questa distrazione colse i giapponesi di sorpresa e un gruppo di 133 soldati americani, insieme a circa 250 filippini, fuggì dal campo. Durante l’assalto solo quattro americani – due prigionieri e due membri della squadra di salvataggio – furono uccisi.

L’intelligence americana localizzò un campo di prigionieri di guerra nel nord del Vietnam, vicino a Son Toy. Il presidente Nixon approvò la missione e selezionò una squadra di 56 soldati. Come nella missione per catturare Osama bin Laden, la squadra di Kingpin preparò per mesi l’invasione esercitandosi su una riproduzione del campo realizzata alla Eglin Air Force Base in Florida. Le esercitazioni pagarono: la squadra entrò e uscì dal campo di prigionia con un solo uomo ferito. Nonostante il suo successo tattico, la missione fu un enorme fallimento dell’intelligence: tutti i prigionieri erano stati trasferiti dal campo più di quattro mesi prima della missione di salvataggio. Ciò non fu dovuto necessariamente all’inefficienza dell’intelligence, ma piuttosto alla mancanza di comunicazione tra dipartimenti – il gruppo di coordinamento congiunto che pianificò l’operazione non era stato aggiornato dalle altre agenzie dell’intelligence americane.

Come è accaduto con il raid in Pakistan, l’operazione del 1945 nelle Filippine è stata preceduta da un’intensa pianificazione. Le forze americane ottennero foto dell’area del campo e in aggiunta sequestrarono una baracca vicina per poterlo osservare. In cinque ore furono in grado di creare una mappa della disposizione del campo, che utilizzarono per prepararsi prima dell’ attacco.

Al contrario, il raid al rifugio di bin Laden fu un formidabile successo di collaborazione tra servizi segreti. Stando ai rapporti, la Central Intelligence Agency (CIA), la National Security Agency (NSA) e la National Geospatial-Intelligence Agency (NGA) contribuirono tute insieme. La NSA, per esempio, scoprì che il rifugio di bin Laden non era dotato di internet, né di connessioni telefoniche, mentre la NGA procurò mappe e software di ricognizione che aiutarono i Navy SEAL durante la loro missione.

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SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPERAT 4 LUGLIO 1976

ASSALTO AD Entebbe LA MISSIONE: SALVATAGGIO ISRAELIANO DI OSTAGGI A BORDO DEL VOLO 139 DELL’AIR FRANCE IL RISULTATO: 103 OSTAGGI LIBERATI, 3 OSTAGGI MORTI Il 27 giugno 1976 un volo dell’Air France, proveniente da Tel Aviv e diretto a Parigi, fu dirottato. I terroristi ordinarono ai piloti di atterrare a Entebbe, in Uganda, dove rilasciarono buona parte dei passeggeri, trattenendo solo i cittadini israeliani e gli ebrei. Il 4 luglio 1976 fu avviata una missione di salvataggio per recuperare gli oltre cento ostaggi ancora trattenuti nel terminal dell’aeroporto, guidata dal tenente colonnello Yonatan Netanyahu (fratello maggiore dell’attuale primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu). I soldati israeliani arrivarono in auto fino al terminal a bordo di vetture Mercedes, le stesse guidate dagli ufficiali ugandesi. Secondo McRaven questo confuse momentaneamente i soldati ugandesi. Gli israeliani erano quasi riusciti ad arrivare al terminal senza essere scoperti, ma commisero una costosa svista: gli ufficiali ugandesi viaggiavano su Mercedes con la guida a destra, mentre la squadra d’assalto israeliana aveva Mercedes con la guida a sinistra. Due sentinelle ugandesi notarono la differenza. Furono immediatamente uccise dai soldati israeliani, ma oramai l’elemento sorpresa era perso.

L’operazione Entebbe fu pianificata meticolosamente. Come per il raid al campo di prigionia di Son Toy, nel 1970, e al rifugio di bin Laden, questa settimana, gli ideatori della missione costruirono un’area modello dove i soldati poterono esercitarsi. L’insegnamento di Entebbe è che ogni missione delle operazioni speciali, per quanto ben progettata, è ad alto rischio. Le forze armate israeliane uccisero tutti e quattro i dirottatori, ma il fuoco incrociato con i soldati ugandesi uccise Netanyahu e tre ostaggi.

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ERATIONS SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPERATIONS SPECIAL OPER 12 APRILE 2009

ASSALTO ALLA MAERSK ALABAMA LA MISSIONE: SALVARE I 20 MEMBRI DELL’EQUIPAGGIO DELLA MAERSK ALABAMA, DIROTTATA DA PIRATI SOMALI IL RISULTATO: TUTTI I MEMBRI DELL’EQUIPAGGIO SALVATI; TRE PIRATI SOMALI UCCISI DA UN CECCHINO Il raid per uccidere Osama bin Laden non fu la prima occasione in cui il presidente Obama utilizzò i Navy SEAL per neutralizzare un nemico. L’8 aprile 2009, quattro pirati somali salirono a bordo della nave americana Maersk Alabama. Dopo quattro giorni di ostilità tra i pirati e l’incrociatore americano USS Bainbridge, mandato in soccorso all’equipaggio dell’Alabama, i pirati, disorientati dall’inseguimento e dalla resistenza opposta dall’equipaggio della nave –altamente addestrato e preparato ad un attacco pirata, avendo partecipato ad un’esercitazione il giorno prima – tentarono di fuggire e tornare in Somalia a bordo di una scialuppa, con il capitano dell’Alabama, Richard Phillips tenuto come ostaggio.

I Navy SEAL inseguirono la scialuppa con l’ordine di sparare se la vita di Phillips fosse stata in pericolo. Intuendo che il capitano si trovava in una situazione di grave pericolo, e consapevoli del fatto che se i pirati avessero raggiunto la terra ferma il salvataggio del prigioniero sarebbe stato praticamente impossibile, i SEAL sparare


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evidente come quest’anno l’estate si sia dimenticata dell’Europa. Per di più, alcuni meteorologi predicono un’eclisse solare nei prossimi sette-dieci anni. Degli esperti, ai quali è stato chiesto di spiegare questa tragica previsione, hanno finito per dare la colpa agli arabi: “La colpa è loro: si sono presi tutta la primavera”, dicono.

Ma cos’è successo? Perché la “Primavera araba” si è tramutata in un inverno regionale? Perché la democrazia egiziana non è durata più di un anno? Non risponderò a nessuna di queste domande. Invece, offrirò un semplice metodo per affrontare tali questioni.

Scherzi a parte, uno sguardo agli arabi e alla loro “primavera” rivela una visione agghiacciante: praticamente, un bagno di sangue continuo.

originale: The Wandering Who, A Study of Jewish Identity Politics, n.d.t.), dove spiegavo che, se vogliamo comprendere Israele o la natura del potere ebraico, dobbiamo scavare nella cultura e nelle ideologie che hanno formato lo “Stato ebraico” e prendere in considerazione il tribalismo e la politica ebraica. Il libro ha causato un polverone. É stato encomiato da alcuni dei più importanti accademici e umanisti, ma è stato anche osteggiato da molti attivisti del tribalismo ebraico e da alcuni dei loro zelanti Shabbath Goyim. Tuttavia, è stata

Una grande insurrezione popolare nel nome della “liberazione”, dei “diritti umani”, della “democrazia” e di altre grandi parole, si è trasformata, in un brevissimo lasso di tempo, in un caos regionale: guerre civili, carneficine, perdite di vite umane su vasta scala e decine di apparati interventisti che assicurano ulteriori trambusti imminenti.

Circa 18 mesi fa pubblicai “L’errante chi? Un’inquietante introspezione nella psicologia ebraica”(titolo

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in realtà l’opposizione al mio lavoro a convincermi di essere sulla giusta via: uno studio teorico e critico sulla cultura e sulla politica d’identità è sicuramente la strada da percorrere. Lo studio della cultura ebraica spiega la barbarie israeliana e il mancato rispetto dei diritti umani; fa luce sull’agenda interventista “neocon” e sulla confusione all’interno della sinistra ebraica e dei “sionisti anti-

Se vogliamo comprendere Israele o la natura del potere ebraico, dobbiamo scavare nella cultura e nelle ideologie che hanno formato lo “Stato ebraico”.

sionisti” (AZZ); chiarisce perché i palestinesi vivano ancora in campi profughi mentre soldati americani e britannici combattono per le guerre sioniste. A questo punto, direi che gli studiosi, e gli intellettuali arabi in particolare, dovrebbero parimenti esaminare da vicino la cultura araba e la politica di identità, allo scopo di comprendere e correggere la grave situazione attuale. Tale esame potrebbe rivelare, per esempio, come la “democrazia occidentale” non sia il sistema politico ottimale per vari stati mediorientali. Uno studio di questo tipo dovrebbe tenere in considerazione l’assunzione islamica del concetto di “civile”, e non prescindere dalla demografia delle diverse regioni e stati arabi. Si potrebbe anche contestare la nozione di “stato” in riferimento alla cultura e alla storia araba. La divisione di classe nella società araba è, inoltre, un argomento di valutazione cruciale. Questo esame potrebbe trarre beneficio da un’indagine teorica sulla maniera unica in cui la Repubblica Islamica TNM ••• 32

dell’Iran riesce a bilanciare Islam e democrazia. Un’analisi del genere trascenderebbe la politica, gli affari internazionali e il modo di pensare improntato alla dialettica materiale corrotta, ponendo al centro del discorso un soggetto come gli arabi e il mondo arabo. Tale pensiero dovrebbe sollevare le seguenti questioni: chi sono gli arabi, gli egiziani, i siriani, i

palestinesi, etc.? In cosa credono? Cosa li unisce? Cosa li separa? Su cosa concordano? Cosa li spaventa? Cosa li rende felici? Gli arabi, dopo aver cominciato a trattare questi argomenti, potrebbero così prendere coscienza di chi essi sono realmente e chi sono i loro veri nemici, piuttosto che uccidersi l’un con l’altro per Israele, l’America o la Russia.


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Il tridente di

den a L in B a m a s O vs s l a e S y v a N di Paolo Palumbo


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Nella vita di un soldato esistono diversi momenti in cui la mente viene posta di fronte a scelte difficili e sono altrettanti gli istanti in cui uno pensa di non farcela. Per un americano che sceglie di entrare negli incursori, l’élite della marina, questo pensiero diventa un chiodo fisso in quella che i Navy Seals chiamano la “Hell Week”, la settimana d’inferno. The only easy day was yesterday Durante la guerra del Vietnam la morfologia del territorio aveva obbligato l’esercito e la marina americana ad un nuovo tipo di approccio tattico; questo valeva per i reparti di fanteria regolare, ma anche per le neo costituite unità speciali le quali cominciarono a trarre una serie di lezioni fondamentali per la loro nuova configurazione operativa. Uno dei punti d’infiltrazione principali da dove arrivavano i rifornimenti per i guerriglieri vietcong era il sentiero di Ho Chi Min al quale si aggiungevano gli arrivi clandestini via acqua, attraverso la risalita del Delta del Mekong. In questo settore la marina degli Stati Uniti aveva già dispiegato le sue forze migliori, in particolare aveva affinato l’arma delle cosiddette Riverine Patrol Boat, o pattugliatori fluviali, rese celebri da film come Apocalypse Now. Nel 1962 il presidente americano J.F. Kennedy, i cui trascorsi militari erano vicini alla marina, decise di ampliare e modificare quello che era il ruolo delle squadre di demolizione subacquea, gli UDT (Underwater Demolition Team). Il primo nucleo di SEALs (acronimo che significa Sea Air Land, ma anche foca) venne costituito dagli uomini migliori dell’UDT i quali furono sottoposti ad un nuovo ciclo addestrativo che avrebbe completato e ampliato il loro campo operativo. L’ambiente tattico nel quale furono chiamati ad operare i nuovi Team della marina americana emerse dal profondo del mare per approdare a terra con una serie di compiti che riguardavano la distruzione di obiettivi sensibili, l’infiltrazione elitrasportata o con paracadute, contro terrorismo e contro guerriglia, ricognizione in profondità ecc. I primi due Team ad essere organizzati furono il Seal Team One e il Seal Team Two.

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La caratteristica peculiare della “Hell Week” – dapprima chiamata “Motivation Week” – è la privazione del sonno, il forte stress fisico e le pressanti richieste degli istruttori i quali misurano, senza troppi complimenti, la tua forma fisica

Terminata la guerra del Vietnam le unità Seal inaugurarono un lungo percorso sia in campo addestrativo, sia in quello logistico fino all’organizzazione, nel 1987, della loro struttura portante ovvero il Naval Special Warfare Command (con base a Coronado, San Diego – California) il quale a sua volta è suddiviso in due gruppi principali: East Coast (Team Two) e West Coast (Team One). Ad oggi si contano 10 Seal Team, meno il Seal Team Six il quale, dal 1987, si è trasformato in unità speciale Naval Special Warfare Development Group (DEVGRU). C’è un detto molto simpatico che circola negli uffici TNM ••• 40

operativi della US Navy: “Quando la marina è nei guai chiama i Seal, quando i Seal sono nei guai chiamano il Seal Team Six!”. Tutte queste piccole unità operative sono composte da uomini davvero speciali i quali hanno superato uno degli addestramenti più duri e stressanti di tutti i corpi speciali degli Stati Uniti. Il corso principale a cui sono sottoposti i candidati a diventare incursori della marina si chiama BDU/S SQT (Basic Underwater Demolition Seals e il successivo Seals Qualification Training) che ha una durata complessiva di 48 settimane. La percentuale

di abbandoni in questo lungo periodo è altissima, pochi riescono a superare i test d’ingresso, ancora meno il BDU e il seguente corso di qualificazione che rilascerà il tanto agognato brevetto. L’inferno nell’inferno è la seconda fase del BDU la cosiddetta “Hell Week”; dopo una prima fase d’approccio per nulla soffice dove il candidato supera l’Indoc (Indottrinamento di base), il periodo successivo si trasforma in un incubo ad occhi aperti che condurrà ad una serie continua di “tintinnii da campana”, vale a dire il suono che contraddistingue tutti coloro che abbandonano, i DOR (Drop


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La qualità che contraddistingue un Seal è la sua grande confidenza con l’elemento acquatico, egli deve saperla vivere in ogni circostanza

on Request). La caratteristica peculiare della “Hell Week” – dapprima chiamata “Motivation Week” – è la privazione del sonno, il forte stress fisico e le pressanti richieste degli istruttori i quali misurano, senza troppi complimenti, la tua forma fisica, ma soprattutto la tua volontà di diventare un Seal. In questa settimana, la quinta del lungo percorso, gli allievi apprendono cosa voglia dire il dolore fisico, la stanchezza mentale, il lavoro di squadra, ma soprattutto imparano a vivere in stretta simbiosi con le pesanti imbarcazioni d’addestramento le quali, poco

ci manca, seguono il candidato fino alla sua branda!. Terminata la “Hell Week” il pericolo di essere esclusi dal corso diventa ancor più reale nel corso dell’addestramento subacqueo: nelle torri o in piscina la qualità che contraddistingue un Seal è la sua grande confidenza con l’elemento acquatico, egli deve saperla vivere in ogni circostanza, con ogni temperatura, con o senza difficoltà o supporto tecnico. La prova più difficile riguarda l’utilizzo dei respiratori a circuito chiuso e aperto, soprattutto quando la recluta si trova “bendata” sul fondo di una piscina con un istruttore che gli

manomette l’attrezzatura in modo apparentemente irreparabile. Tu sei li, solo, in apnea al buio e devi venirne fuori… pena l’esclusione. In questi momenti sono molti i ritenuti “DOR” o altrimenti quelli che si sentono male e devono ricorrere alle cure mediche. Il Seal Qualification Training annovera un tipo di formazione intensa dal punto di vista fisico e mentale, ma diversa, più mirata a quelle che sono le caratteristiche di un incursore della marina. Per lo stesso motivo, pur mantenendo un allenamento costante, in questa fase aumentano le ore trascorse in aula dove gli allievi apprendono nozioni sull’uso delle TNM ••• 41


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a rincipale Il corso psottoposti i cui sono si chiama candidati QT (Basic BDU/S Sr Demolition te Underwa il successivo e ls a Se lification Seals Quache ha una Training)omplessiva durata c ttimane di 48 se

più moderne tecnologie messe a loro disposizione. A questo punto i candidati dovranno misurarsi in una prova finale: una missione completa nella quale metteranno in pratica tutto quello che hanno imparato nei mesi precedenti. È il tanto agognato traguardo, la vista della luce in fondo al lungo tunnel, finalmente il tridente, l’aquila e la pistola potranno luccicare sul petto dei nuovi Navy Seals. L’assegnazione ad uno dei team è il passo seguente; dopo un lungo periodo di servizio e missioni operative un Seal può prendere in considerazione di approdare all’élite dell’élite, il Seal Team Six, oggi noto come DEVGRU. Naval Special Warfare Development Group Quanto accadde, nel 1980,

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durante l’operazione Eagle Claw è noto a tutti: il fiasco delle forze speciali americane fece il giro del mondo macchiando, così, la reputazione di quei poveri ragazzi che nulla poterono di fronte all’incompetenza dei loro superiori. Vuoi l’imperizia, vuoi la cattiva sorte, la brutta esperienza degli ostaggi in Iran segnò un punto di svolta definitivo per tutte le operazioni “segrete” condotte dalla Delta Force, dai Berretti Verdi e dai Seals. In quei gironi di grande apprensione, dove Washington era guidata dall’amministrazione di Jimmy Carter, Richard Marcinko ricopriva il ruolo di

addetto della Us Navy presso la task force messa in piedi dal Joint Chiefs of Staff, la TAT (Terrorist Action Team); il giovane ufficiale di marina assistette inerme alla débâcle di “Desert One”, ciò nondimeno comprese che la stessa marina americana doveva dotarsi di un gruppo particolarmente addestrato per quel tipo di operazioni. In tutto il mondo il problema della lotta al terrorismo era già in primo piano da molto tempo: l’Inghilterra aveva il SAS che stava segnando il passo, sia per quanto riguardava le operazioni clandestine, sia per le nuove tecniche messe in atto.


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Gli Stati Uniti disponevano di una compagine “speciale” davvero di prim’ordine, tuttavia la macchina dell’antiterrorismo era, per così dire, ancora troppo giovane e poco rodata. Marcinko canalizzò le competenze dei Seals verso quel particolare tipo di guerra che aveva poco da spartire con le operazioni convenzionali; questa esigenza portò dunque alla nascita del Seal Team Six. Il “Sei” non fu dato come numerazione consequenziale ad altri team, infatti, al tempo, esistevano solo due squadre Seal (One e Two); tutto fu unicamente uno stratagemma adottato per depistare lo spionaggio sovietico il quale, da tempo, seguiva con trepidazione lo sviluppo delle


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Special Forces americane. Nel 1980 il Seal Team Six diventava la prima unità antiterrorismo della marina americana affiancando così la Delta Force; Richard Marcinko rimase a capo dell’unità per tre anni. Quattro anni dopo il suo passaggio di consegne l’unità Seal veniva rimpiazzata dal DEVGRU, di cui abbiamo già accennato, comunque il nome Seal Team Six non venne mai depennato. Il profilo di un candidato del DEVGRU è totalmente diverso da quello delle altre unità Seal. Già al tempo, Marcinko aveva compreso che la preparazione

base doveva essere fornita dalla scuola principale, ma che per diventare un operatore dell’antiterrorismo servivano ulteriori qualità. In primo luogo fu posta grande attenzione all’insegnamento di tipo linguistico e culturale; gli operatori del “Six” dovevano operare anche in clandestinità, dietro le linee nemiche: per questo occorrevano non solo muscoli, ma soprattutto buon senso e scaltrezza. Per quanto concerneva l’uso delle armi, l’allenamento del team verteva soprattutto nelle tecnica di Close-Quarters Battle (CQB), in ogni condizione e con ogni tipo

di arma. Attualmente il team antiterrorismo della Us Navy conta diverse squadre d’azione contraddistinte da un colore: lo Blu Squadron insieme al Red, Silver e Gold costituiscono il gruppo d’assalto, il Black Squadron la componente da ricognizione e il Gray gli equipaggi delle imbarcazioni d’attacco. Dopo aver sostenuto diverse operazioni militari nei diversi continenti, l’11 settembre significava un cambiamento anche per il Seal Team Six il quale era diventato il reparto di punta nella lotta contro i terroristi di Bin Laden. Sembrava il destino, tuttavia il crollo delle Twin Tower aveva aperto un “singolar tenzone” tra i membri dei Seal e i terroristi di Al Qaeda, una partita che sarebbe cominciata con l’Afghanistan

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e che avrebbe condotto fino all’operazione Neptune Spear. Dov’è Osama bin Laden? L’inizio delle operazioni in Afghanistan avevano come obiettivo principale l’eliminazione delle roccaforti di Al Qaeda e la ricerca del loro temutissimo leader, Osama bin Laden. Senza dilungarsi troppo sulle vicende che legavano il terrorista saudita al capo dei talebani, il Mullah Omar, cerchiamo qui di esaminare quale era la posizione di bin Laden nel momento in cui i servizi segreti americani di Leon Panetta smascherarono il suo rifugio. Scott Bowden, nel suo libro “La cattura” parla di un bin Laden oramai in decadenza, senza più mordente e con una vistosa perdita di potere sia in

Afghanistan, sia in Pakistan. Nessuno dei due paesi gli negava l’ospitalità e la protezione, tuttavia le sue parole non erano più seguite come il Corano e molti tra i talebani avevano capito che la fine definitiva del loro movimento era da imputarsi proprio ai legami con gli elementi di al Qaeda. Gli americani, dal canto loro non riuscivano a venire a capo di nulla: dopo i primi mesi di guerra e le pesanti perdite subite a Tora Bora, i leader del Pentagono e lo stesso presidente Bush avevano collezionato una serie di rovesci che pesavano

negativamente sulla politica interna e l’opinione pubblica. La guerra aveva bloccato le attività dei terroristi nel mondo, ma nessuno riusciva a trovare il vero autore dell’11 settembre. L’amministrazione Bush, Donald Rumsfeld in prima linea, stava sbagliando approccio: l’Afghanistan non era l’Iraq, i leader dei talebani non erano i generali di Saddam, il territorio afghano non era il deserto. Furono dunque elaborate nuove strategie, dove la tecnologia rivestiva un ruolo considerevole, ma non predominante; non a caso il lavoro sul campo

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svolto dalle forze speciali della coalizione stava portando a risultati soddisfacenti. Bin Laden però era un dilemma a parte, la CIA lo seguiva dal 1991, quando dall’Afghanistan si era trasferito nel Sudan; sulle sue tracce c’era la “stazione ALEC”, un gruppo di 27 persone (quasi tutte donne) che lavorava a stretto contatto con gli informatori di tutto il mondo. Al Qaeda è un’organizzazione sfuggente, tutte le informazioni che arrivavano su bin Laden e TNM ••• 52

la sua cricca necessitavano di un’unica banca dati dove poi, gli uomini dei SEAL o dei Berretti Verdi, potevano attingere prima delle operazioni. Nasceva così un nuovo acronimo che indicava una procedura: F3EAD – Find, Fix and Finish, Exploit and Analyze – la quale serviva a standardizzare i criteri per la lotta contro i terroristi, ma soprattutto ad ottimizzare i risultati. L’avvicinamento alla villa di Abbottabad, lo spy game ad essa legato, è stato il risultato di

questi nuovi metodi, un’indagine scaturita dalla realizzazione di un immenso “motore di ricerca” per i terroristi. Da questo complesso dedalo informatico emerse un nome, apparentemente senza alcun significato: Abu Ahmed al-Kuwaiti, un seguace di al Qaeda detenuto nelle carceri di Guantanamo. Secondo quanto riferisce Mark Bowden nel suo libro “La cattura” (Milano, 2012), il trattamento che la CIA aveva riservato ad al-Kuwaiti discostava molto da quanto poi avrebbe


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dichiarato il presidente Obama quando affermò che nessun uomo era stato torturato per arrivare allo sceicco saudita! Il giovane terrorista avrebbe patito le pene dell’inferno, soprattutto nei primi approcci condotti dagli agenti americani. Era al-Kuwaiti l’uomo che collegava il mondo esterno a bin Laden, era lui a fargli da corriere, sapeva dove si nascondeva e proprio lui aveva l’onorato compito di proteggerlo, non in Afghanistan, bensì in Pakistan. Osama bin Laden

viveva in un paese formalmente alleato degli americani, il cui governo percepiva milioni di dollari per sostenere la causa dell’antiterrorismo! Era certamente inammissibile, tuttavia lo staff di Obama sapeva bene come comportarsi. Sarebbe davvero improbo descrivere tutti i passaggi che hanno portato la CIA a scoprire nel dettaglio dove si nascondeva Osama bin Laden, tuttavia soffermarsi sui dubbi che assillavano la mente del presidente americano e del

suo entourage è importante giacché le stesse ansie occupavano i pensieri dei Seal che attendevano l’ordine di partenza. In primo luogo è bene ricordare che fino all’ultimo, nelle stanze di Langley, nessuno era certo circa la reale identità di chi abitasse oltre il muro di Abbottabad. In seconda battuta andava assolutamente elaborato un piano che prevedesse il miglior risultato con il minimo spargimento di sangue: la villa si trovava ai margini di un TNM ••• 53


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centro abitato, per giunta vicino all’Accademia militare di Kakul dell’esercito pakistano e poi, rammentiamolo, il Pakistan era territorio amico e un’incursione americana poteva essere un atto ostile, lesivo alla sua sovranità. Nella sala ovale della Casa Bianca avanzarono diverse ipotesi d’intervento, tuttavia il presidente Obama gradiva la certezza assoluta di fare un buon lavoro, ma soprattutto la persuasione circa l’identità del misterioso “passeggiatore”. Per questo lo staff di Leon Panetta e del JSOC (Joint Special Operation Command) respinse ogni ipotesi di bombardamento, confidando in un’azione diretta condotta da

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di quell’incontro: l’America si giocava la faccia e, in caso di fallimento, al Qaeda Neptune Spear avrebbe ottenuto una vittoria Il 28 aprile 2011 si spalancavano propagandistica inammissibile. le porte della Situation Room, forse uno dei locali più importanti Una delle ultime ipotesi presentate a Obama fu l’attacco della Casa Bianca. Il presidente Obama aveva indetto una riunione di un drone, ma anche in questo caso fu bocciata poiché d’urgenza per capire, una volta l’identificazione del cadavere per tutte, come e se agire ad sarebbe risultata improba; l’unica Abbottabad; alla spicciola via percorribile era quella di un arrivarono il vicepresidente incursione via terra e a compierla Joe Biden, il segretario della sarebbero stati i Seal del Team difesa Bob Gates, il segraterio di Six. Al tavolo di Washington Stato Hillary Clinton, il direttore mancava una persona molto dell’intelligence nazionale James Clapper, il direttore importante, il vice ammiraglio della CIA Leon Panetta ed William H. McRaven: un uomo altri collaboratori. Tutti erano di mezza età, dal fisico asciutto consapevoli dell’importanza e muscoloso, esperto di anti uomini, dai migliori.

terrorismo e comandante del Seal Team Six. Il comandante dei Seal si trovava già a Jalalabad da alcuni giorni con i suoi uomini, per sottoporli ad un addestramento intensivo e molto affine a quella che sarebbe stata la missione di Abbottabad. Da alcune notti il sonno di McRaven era turbato da angosce, giacché prima di ogni missione incombeva sempre lo spettro del fallimento, malgrado la preparazione di tutto il suo team. Se l’obiettivo non fosse stato presente? Se l’uomo misterioso non fosse stato bin Laden? Cosa sarebbe accaduto se i suoi uomini incappavano in una trappola di al Qaeda? O peggio ancora se fossero

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entrati in contatto contro le forze pakistane? Le immagini dei possibili scenari scorrevano veloci nella testa del vice ammiraglio il quale poteva solo confidare del possente lavoro svolto dall’Intelligence e contare sulla preparazione dei suoi ragazzi. L’uomo nel mirino non

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era un semplice terrorista: bin Laden era “Il Terrorista”, l’incubo di ogni americano e l’uomo che ogni americano – e non solo – voleva morto! Le apprensioni di McRaven erano in sintonia con quelle del presidente americano il quale, per molteplici ragioni, temeva

un tracollo militare e politico. Barak Obama sapeva che, qualora l’operazione fosse stata un disastro, si sarebbe giocato un secondo mandato alla Casa Bianca; l’unico membro del suo staff a premere per un non intervento era Hillary Clinton, forse memore delle difficoltà


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Dopo un lu periodo di se ngo e missioni op rvizio un Seal può erative in consideraprendere zi approdare a one di dell’élite, il ll’élite S Six, oggi no eal Team to co DEVGRU. me

che aveva patito il suo consorte allorquando fallì la missione in Somalia. Il segretario di stato americano era comunque contrario ad un intervento dei Navy Seal, inoltre, sarebbe stata Hillary a dover sopportare tutto il peso di un incidente diplomatico con il Pakistan, e in un momento simile era l’ultima cosa da augurarsi. Mentre a Washington lo staff presidenziale elaborava i piani operativi presentati da McRaven, i ragazzi del Red Squadron attendevano impazienti il via libera per entrare in azione; molti di loro non erano nemmeno a conoscenza di chi fosse l’obiettivo di quell’incursione, tuttavia tutti erano al corrente che non si trattava di un terrorista “normale”. Ogni Seal della marina sa cosa deve fare, ha ben presente cosa significhi la morte e nella sua mente porta stretto il ricordo dei fratelli caduti come Michael Antony Monsoor, caduto in Iraq nel 2006 o Michael Patrick Murphy, ucciso in azione nel 2005 in Afghanistan. Era giunto il momento di vendicarli insieme a


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tutti gli innocenti seppelliti sotto la pesante coltre di ferro e cemento delle Torri Gemelle. Cosa dovevano fare gli uomini di McRaven una volta oltrepassato il muro del compound di Abbottabad? Uccidere o catturare l’obiettivo? Questo interrogativo era fondamentale per la riuscita dell’operazione e lo staff presidenziale non aveva scelto una linea coerente; per tutti era auspicabile che “lui” cadesse sotto il fuoco delle automatiche americane. Nel momento in cui Obama diede il via all’operazione tutto era già predisposto e i ragazzi del “Six” erano pronti a partire; i piloti del 160th Special Operation Aviation

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Regiment (SOAR – chiamati Night Stalker) scaldavano già i rotori dei due Black Hawk MH-60M modificati per risultare invisibili e silenziosi. Tutto sembrava filare liscio, ciò nondimeno l’imprevisto era dietro l’angolo.

di uomini. Il fruscio dei rotori dei due Black Hawk fendeva l’atmosfera, i Seal ostentavano calma, ma ciascuno di loro era ben concentrato su quello che doveva fare; tra gli ospiti degli angusti spazi dei due elicotteri ce n’era uno davvero particolare, si chiamava Cairo, un pastore belga Malinois il cui compito era quello L’assalto di scovare eventuali terroristi in Poco prima fuga o nascosti all’interno del dell’alba del 2 maggio 24 uomini compound. Il pieno prevedeva che i Seal si calassero sul tetto della del Seal Team villa con la tecnica Fast-Rope, Six prendevano mentre un’altra squadra avrebbe posto a bordo dei due elicotteri, lo assaltato il complesso via terra. spazio non era molto e il Nel momento esatto in cui viaggio verso i cieli pakistani l’elicottero cominciò le procedure non sarebbe stato certamente per sbarcare dall’alto gli di prima classe. Dopo circa 10 incursori, un malfunzionamento anni di una dura caccia all’uomo, meccanico fece vacillare il questi erano gli uomini che velivolo dando forti scossoni all’equipaggio. In pochi secondi avrebbero posto la parola fine comparve nuovamente l’incubo al lungo lavoro di centinaia


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dell’operazione Desert One; se l’elicottero fosse precipitato a terra uccidendo i militari, sarebbe stato un gravissimo disastro. L’abilità del pilota, e la buona sorte, permise all’elicottero di recuperare e compiere un atterraggio d’emergenza; ora le squadre non potevano contare più sul fattore sorpresa. Grazie a un sofisticatissimo drone, nella Situation Room di Washington il presidente Obama, Hillary Clinton, Leon Panetta e tutti gli uomini di punta dell’operazione osservavano, preoccupati, quanto stava accadendo a migliaia di chilometri di distanza. Il gioco era iniziato e – secondo le parole dello stesso Panetta – ci sarebbero stato alcuni momenti dell’azione in cui nessuno di loro avrebbe capito cosa stava capitando e se i soldati fossero entrati in contatto con bin Laden. Tutto era nelle mani degli uomini di McRaven. In questi momenti comprendi perché un soldato, ma ancor di più un operatore delle forze speciali, passi la maggior parte del suo tempo in addestramento; le fasi concitate dell’irruzione e della “pulizia” delle stanze durarono 40 minuti, un eternità! Tra i primi a cadere vi fu un dei tanti figli di bin Laden, il 23enne Kahlid; dopo i primi colpi l’eccitazione assalì i difensori, tutto era ancora in bilico, di “Jackpot” (codice usato per indicare l’obiettivo principale) nessuna traccia. Come fantasmi nella notte i ragazzi del “Six” filtravano da locale a locale cercando di intercettare ogni movimento e possibilmente anticiparlo con una breve scarica di M4. Arrivati al piano superiore, i locali nei quali poteva nascondersi bin Laden stavano terminando, i Seal erano “all’ultimo round”. Non appena varcata l’ultima porta due donne sbucarono improvvisamente a protezione di una figura

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Richard Marcinko Creatore del reparto e suo comandante fu Richard Marcinko, I componenti del SEAL Team Six venivano scelti in maniera individuale tra i migliori operatori di tutti gli altri Team operativi, e sottoposti ad ulteriori 6 mesi di addestramento operativo in tecniche di antiterrorismo, con frequenti interscambi esercitativi con la Delta Force. Il SEAL Team SIX era un Team ad elevata specializzazione ed alta segretezza, focalizzato sulle operazioni di antiterrorismo navale.

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Tenente

Michael Patrick Murphy (7 maggio 1976 – 28 giugno 2005) Il Tenente Michael Murphy è stato insignito della Medal of Honor, la quale rappresenta la più alta decorazione militare assegnata dal Governo degli Stati Uniti, per essersi sacrificato nel tentativo di chiamare rinforzi durante un’azione disperata in afghanistan il 28 giugno del 2005, in cui il suo gruppo di soli quattro soldati si è trovato a fronteggiare oltre 50 guerriglieri talebani. Alla fine dello scontro a fuoco, 35 talebani e due dei tre compagni di Murphy sono rimasti a terra. L’unico superstite il Sottotenente Marcus Luttrell. “Ci sono molte onorificenze nell’esercito americano, ma quando vedi una Medal of Honor sai che dev’essere accaduto qualcosa di terribile… Non puoi congratularti con nessuno quando ne viene assegnata una”. Marcus Luttrell

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o m ia s n e p e i z z a g a r i t s Guardiamo que e i s s e t s e s a o n a d r a u g o ‘Che eroi’, lor ” e r e v o d io m il o d n e c a f pensano ‘Sto solo chael Murphy

Dan Murphy, padre di Mi

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longilinea con una tunica color deserto: erano due delle consorti dello sceicco. La prima – Amal al-Fatah – fu freddata all’istante, l’altra prontamente evacuata; in una frazione di secondo la sagoma incerta delineò il suo vero profilo. Nella Situation Room si ascoltarono le seguenti parole: “For God and country – Geronimo, Geronimo, Geronimo” e dopo una breve pausa “Geronimo E.K.I.A – enemy killed in action!”. Un 5,56 mm. al torace e uno alla testa sparati da un HK416: operazione

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Nel 1980 il Seal Team Six diventava la prima unità antiterrorismo della marina americana affiancando così la Delta Force; Richard Marcinko rimase a capo dell’unità per tre anni

Neptune Spear conclusa. Le apprensioni del mondo Barak Obama e Leon Panetta fissavano lo schermo senza proferire parola, l’obiettivo era stato raggiunto, tuttavia rimanevano aperti numerosi interrogativi, soprattutto sulla vera identità di “Geronimo”. I Seal uscirono velocemente dal compound, una squadra teneva a bada i superstiti mentre l’altra iniziò a piazzare le cariche sulla carcassa del Black Hawk

precipitato. Un medico estrasse una body bag per caricare il cadavere eccellente e prelevare tutti i campioni utili per una indiscutibile identificazione. I sopravvissuti all’incursione confermarono che l’uomo ucciso dai Seal era Osama bin Laden, ma alla Casa Bianca occorrevano ulteriori prove. L’urgenza era abbandonare il posto velocemente, l’esplosione del velivolo avrebbe messo in allarme l’esercito pakistano; pochi secondi e tutti erano a bordo

in direzione di Kala Dhaka per il rendez-vous con un secondo Chinook che li avrebbe riforniti in volo. Immediatamente dopo il fatto di Abbotabad cominciarono a circolare sul web numerose foto di presunti cadaveri di bin Laden, cosa che gettava dubbi sulla riuscita della missione. I medici presenti sul campo inviarono agli esperti tutti i dati necessari e il DNA dello sceicco; il risultato non tardò ad arrivare, Osama bin Laden era morto. La notizia fece il giro del mondo, gli americani

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scesero per le strade al grido di “U S A - U S A!!!”, alcuni si sentivano più sicuri, altri, più consapevoli, sapevano che poco sarebbe cambiato. La vittoria ottenuta da Obama era tastabile su tutte le pagine dei quotidiani americani e mondiali; il suo discorso in televisione toccò l’animo di tutto il mondo, le sue parole furono posate e sicure: l’incubo del terrorismo non finiva certo con bin Laden, tuttavia l’11 settembre

era stato vendicato. Se buona parte del mondo tirava un sospiro di sollievo, l’altra parte aveva di che indignarsi, soprattutto il governo pakistano il quale, a sua detta, era stato ingannato dagli alleati americani. L’opinione di Panetta era che proprio il Pakistan aveva offerto consapevolmente rifugio a bin Laden, come del resto buona parte del servizio segreto, l’ISI, simpatizzava per il Mullah Omar. La CIA non poteva ignorare che

da mesi il capo del terrorismo mondiale stava comodamente al riposo in una villa ad Abbottabad, per giunta con una caserma dell’esercito nelle vicinanze. Il governo di Islamabad aveva davvero poco da recriminare, ciò nondimeno la regolarità di Neptune Spear, secondo il diritto internazionale, era opinabile. Violare la sovranità di uno Stato per impadronirsi di un ricercato non era cosa certamente nuova: gli israeliani, ad esempio, ne sapevano qualcosa. Un’altra polemica sollevata dai mass media, soprattutto quelli del mondo orientale, riguardava la fine del cadavere di bin Laden: la sepoltura “in fondo al mare” era vista come lesiva nei confronti TNM ••• 67


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Grazie a un sofisticatissimo drone, nella Situation Room di Washington il presidente Obama, Hillary Clinton, Leon Panetta e tutti gli uomini di punta dell’operazione osservavano, preoccupati, quanto stava accadendo a migliaia di chilometri di distanza

della religione mussulmana. La scelta di Obama era dettata da diversi fattori, non ultimo quello di evitare la creazione di ulteriori santuari dove venerare lo sceicco del terrorismo. L’operazione “Neptune Spear” segnava profondamente l’amministrazione americana, ma anche il DEVGRU che, da quel momento in poi, subì diversi attacchi di varia natura. Il DEVGRU sotto attacco Il 6 agosto 2011 una deflagrazione aerea scosse l’azzurro cielo dell’Afghanistan: un CH-46 TNM ••• 70

dell’esercito americano veniva colpito da un’arma contraerea sparata da alcuni talebani. A bordo dell’elicottero 38 militari perdevano la vita: tra gli occupanti 15 erano Seal del DEVGRU, 7 membri dell’ANA (Afghan National Army), un interprete, altri due Seal del team “West Coast” e un soldato americano. Anche in questo caso l’opinione pubblica, ma soprattutto la stampa statunitense, intravidero un sordido complotto per vendicare la morte del leader saudita.

Un fatto davvero strano, giacché la segretezza attorno ai membri che avevano colpito “Geronimo” era davvero ai massimi livelli, eppure dalle lande deserte afghane qualcuno aveva centrato l’elicottero giusto con l’equipaggio giusto. Alcuni famigliari dei Seal caduti sollevarono pesanti accuse contro la Casa Bianca la quale, a loro parere, aveva violato i codici di segretezza per proteggere i propri soldati. Effettivamente il primo shock patito dalle famiglie dei Seal fu quando, il 3


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Il Black Hawk MH-60M modificato, utilizzato per il raid ad Abbottabad

maggio 2011 in occasione di un congresso dell’Atlantic Council, il vice presidente Joe Biden rivelò pubblicamente che gli autori dell’incirsione ad Abbottabad erano Navy Seal. Il contraccolpo di tale affermazione venne subito accusato da numerosi incursori e dalle loro famiglie. Il 10 maggio dello stesso anno, durante la trasmissione Fox News America Live la madre di un Seal, Aaron Vaughn deceduto in Afghanistan, espresse sdegno verso il comportamento di Biden: subito dopo le parole del vicepresidente

il figlio l’aveva chiamata riferendo che le loro vite erano in pericolo, non solo quelle dei membri del team, ma anche dei familiari. Tutta la polemica emerse in toni preoccupanti quando il Chinook venne abbattuto; il Pentagono additò subito la Casa Bianca quale vera colpevole dell’accaduto, tuttavia emersero ulteriori interrogativi dai risvolti quanto meno inquietanti. Come potevano i talebani conoscere così a fondo l’equipaggio di quel velivolo? Avevano forse qualche infiltrato? Le perplessità riguardarono anche il comportamento dello stato maggiore dell’esercito: come era possibile riunire un così alto numero di operatori speciali in un solo elicottero? Era palese che un determinato tipo di “personale” dovesse essere trasferito con molte precauzioni, senza diventare un facile bersaglio degli RPG! Le fonti Per la scrittura di questo articolo mi sono avvalso di due pubblicazioni principali e di numerosi brani o estratti di documenti regolarmente pubblicati on-line. I libri più interessanti sull’argomento sono quello di Mark Bowden,

La cattura (Milano 2012) dove vengono spiegati con dovizia i retroscena dell’operazione. Il resoconto più affidabile dell’attacco è quello di Mark Owen (pseudonimo), No Easy Day (Milano, 2012). I risvolti politici dell’affare bin Laden sono rintracciabili nell’articolo di Kevin H. Govern, Operation Neptune Spear: was killing bin Laden a legitimate miliatry objective? (Washington, 2012); un altro articolo davvero interessante sulle polemiche scaturite dall’uccisione dello sceicco è quello di Amna Yousaf Khokhar (Institute of Strategic Studies Islamabad), Operation Neptune Spear: A watershed in the war against terrorism. Le armi e la tecnologia hanno avuto un ruolo importante in tutta la caccia all’uomo di Abbottabad, lo spiega bene Ajey Lele, Operation Neptune Spear and Role of Technology (Journal of Defence Studies, 2012). Sulle ultime polemiche che hanno investito l’amministrazione Obama e la segretezza sui Seal l’articolo di partenza è quello di Grace Vuoto, What happened to Seal Team Six? The most serious scandal of all (World Tribune, 30 maggio 2013). TNM ••• 71


di Gio vanni Di Gre g

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Semplice e versatile Lo stereotipo del fucile per “eccellenza” penso che sia l’ormai famosissimo e imitatissimo AK-47: adottato da molti eserciti dell’ex blocco sovietico, diffuso tra i terroristi e criminali e venduto a peso per pochi Euro in Africa. TNM ••• 72


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L’abbiamo visto in mano a tutti grandi e bambini e proseliti islamici e mafiosi di ogni fazione; diventato simbolo della lotta armata palestinese e riportato come effige nelle bandiere di alcune nazioni, l’AK 47 si è guadagnato il trono del fucile mitragliatore più venduto e copiato al mondo. Innovativo, al tempo della sua invenzione nel 1947 da parte del sergente Michail Timofeevic Kalašnikov, il fucile automatico d’assalto divenne col tempo una vera icona ispiratrice e temibile per gli avversari. Con calibro originale 7,63 x 39 permetteva di avere un forte potere di arresto e distruttivo, che nella concezione del tempo risultava molto efficace. Semplice e versatile nella pulizia e nel montaggio diventa un precursore delle armi che sparano “in ogni caso”: infangati, annacquati, impolverati o congelati. In pratica adatto a tutte le stagioni e a tutte le latitudini. Grazie alla sua tecnologia di recupero gas e al meccanismo operativo di otturazione semplice, ma efficace, può davvero essere utilizzato anche dalle scimmie (come in un famoso filmato che gira su Youtube). Il modello che abbiamo provato noi di TNM è il modello AKS-47 di fabbricazione cinese, dove “S” sta a significare in russo Skladnoj, quindi pieghevole. In dotazione al Nigerian Mobile Police, differisce dall’originale russo anche dalla bocca di fuoco, che in questo caso manca del noto e caratteristico taglio trasversale. Tecnicamente, quando si imbraccia un AKS 47 si ha sensazione di avere qualcosa di durevole e tenace tra le mani, come caratteristico è il rumore dell’otturatore appena viene armato e si camera la cartuccia, e caratteristico ed unico il rumore dello sparo. Il peso non è indifferente visto i 4.6 kg con caricatore bifilare da 30 colpi con classica forma a banana; una cadenza di fuoco dichiarata di 600 colpi al minuto e una velocità alla volata di 750 m/s. Gittata utile dichiarata di 600 metri. Una TNM ••• 74


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Il peso non è indifferente visto i 4.6 kg con caricatore bifilare da 30 colpi con classica forma a banana; una cadenza di fuoco dichiarata di 600 colpi al minuto e una velocità alla volata di 750 m/s.

altra nota importante è il rinculo del fucile, che comporta qualche imprecisione durante l’ingaggio a raffica. La nostra prova prevedeva di ingaggiare il bersaglio a 100 metri, con una sessione di 5 colpi, a colpo singolo e una raffica. Sarà anche un fucile ormai datato e poco tecnologico, ma possiamo affermare

che risulta essere sempre performante e divertente. Questo modello è molto diffuso in Africa e in particolare in Nigeria dove viene costruito su licenza in una fabbrica di Stato ed in dotazione alle Forze Armate e alla Polizia di Stato. Ma anche questo, presto verrà soppiantato da modelli europei e

israeliani di nuova concezione, come ad esempio il FN2000 e il P90, già in dotazione della Polizia Federale e ai Servizi Segreti nigeriani. Rimane il fatto che l'AKS47 rimane un punto saldo della lotta al crimine, e purtroppo anche un punto saldo del terrorismo islamico che ne ha adottato l'essenza e l'emblema. TNM ••• 75


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Al Qaeda combatte la corruzione e perde

ncora una volta Al Qaeda è stata costretta ad abbandonare le sue posizioni così rapidamente (Mali del Nord) da dover abbandonare preziosi documenti che persino i più intrepidi giornalisti hanno potuto raccogliere. È successo in Afghanistan nel tardo 2001. Allora, come è accaduto oggi, i meccanismi interni di Al Qaeda sono stati divulgati, invece di essere dichiarati riservati e tenuti segreti dalle agenzie dell’intelligence. Le ultime rivelazioni emergono principalmente da una lunga lettera di contestazione scritta da Al Qaeda a un ambizioso, ma indisciplinato, capo

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militare algerino di nome Mokhtar Belmokhtar. Senza prendere in considerazione la promozione offertagli da Al Qaeda, Belmokhtar si è stabilito nel Mali del Nord una decina di anni fa dopo essere fuggito dall’Algeria. Belmokhtar era uno dei terroristi algerini islamici che sopravvissero alla sconfitta della sommossa terrorista algerina islamica degli anni ’90 decidendo di lasciare il paese piuttosto che affrontare la morte per mano delle spietate operazioni di antiterrorismo. Nel Mali del Nord egli continua a professarsi fedele ad Al Qaeda, ma non ne avrebbe eseguito gli ordini. Questo è quanto spiegato nella lettera a lui indirizzata. Una volta che Al Qaeda prese TNM ••• 78

il controllo del Mali del Nord nel 2012, Belmokhtar fu motivato a fare finalmente qualcosa di decisivo per la causa: pianificò (ma non guidò), a gennaio, un raid nell’impianto algerino di estrazione di gas naturale di Tiguentourine. Il raid ebbe esiti disastrosi, tuttavia l’effetto fu spettacolare, come piace ad Al Qaeda. Nello stabilimento algerino furono catturati tre terroristi vivi che rivelarono dettagli sulla pianificazione e lo svolgimento dell’operazione. Le forze di sicurezza misero in salvo 685 algerini e 107 lavoratori stranieri. I terroristi uccisero 37 stranieri e un algerino. Solo uno dei 32 terroristi veniva dall’Algeria, ciò dimostra chiaramente che Belmokhtar era riuscito ad attirare reclute


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Il controllo del Mali del Nord nel 2012, Belmokhtar fu motivato a fare finalmente qualcosa di decisivo per la causa: pianificò (ma non guidò), a gennaio, un raid nell’impianto algerino di estrazione di gas naturale di Tiguentourine. Il raid ebbe esiti disastrosi

straniere nella sua organizzazione. In risposta all’attacco del gasdotto, il controterrorismo occidentale intensificò la caccia a Belmokhtar. Si credeva che fosse stato ucciso sulle montagne del Mali del Nord, a marzo, ma il fatto non era stato confermato; apparentemente Belmokhtar era vivo, dal momento che rivendicò un altro straordinario fallimento a maggio, quando i suoi uomini attaccarono una miniera francese di uranio nel Niger (nonché una base militare a 240 km di distanza). Così ora le forze antiterroristiche nel Mali del Nord hanno raddoppiato i loro sforzi per trovare uccidere e/o catturare Belmokhtar. Le agenzie dell’intelligence hanno mantenuto segreti i dettagli dei

documenti confiscati così i terroristi ignorano quello che il nemico conosce di loro: ciò rende più semplice rintracciare e uccidere i leader terroristi. Nell’ultimo decennio questo sforzo ha portato risultati molto positivi, il che spiega come alla fine un inetto egocentrico come Belmokhtar possa essere diventato alla fine uno dei “principali” capi del terrorismo islamico. Apparentemente, i superiori di Belmokhtar continuano a considerarlo un peso, ma poiché porta avanti attacchi di alto profilo, tenendo occupate molte forze antiterroriste, quantomeno sta fornendo un piccolo aiuto. Lo stesso modello è emerso dai documenti confiscati nel 2001, in Afghanistan. Molti dei leader intermedi di Al Qaeda che hanno ignorato gli ordini hanno fatto poco per la causa senza giustificare il denaro ricevuto. I documenti e gli interrogatori dei prigionieri nel Mali del Nord indicano che non è cambiato molto, se non il fatto che la qualità della leadership è ulteriormente in declino a causa dell’attrito costante. L’altra ragione per cui le truppe francesi si sono fermate più a lungo nel Mali del Nord ha a che fare con quello che gli analisti dell’intelligence continuano a trovare tra i documenti confiscati e gli interrogatori a estremisti e civili del luogo. Nuovo materiale continua ad essere rinvenuto: fino ad ora gli analisti hanno scoperto che Al Qaeda (AQIM, ovvero al Qaeda nel Maghreb, cioè il modo in cui gli Arabi chiamano il Nord Africa) e gli altri due gruppi terroristici islamici cella zona (Ansar Dine e MUJWA) hanno obiettivi e membri differenti. Ansar Dine è composto in larga parte da tuareg, mentre MUJWA (Movement for Oneness and Jihad in West Africa) è unico, perché è guidato da neri TNM ••• 79


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I militari francesi, attivi in Mali, hanno eseguito varie operazioni speciali nel nord del Paese. L’obiettivo era scoprire i gruppi armati degli islamici, nascosti nel nord della città di Gao.

africani. Le tensioni tra arabi e neri africani sono state parecchie: gli arabi disprezzano i neri e questo provoca molta rabbia e risentimento. MUJWA è una fazione di AQIM che intende dimostrare di poter essere più estrema ed efficace di al Qaeda dominata dagli arabi. La leadership dell’AIQM è composta principalmente da sopravvissuti della rivolta degli anni 90 in Algeria, come Belmokhtar. Queste persone tendono ad essere meglio istruite e ad avere una più alta opinione di loro stessi rispetto ai terroristi islamici subsahariani (per lo più neri, anziché arabi). Prima che i francesi si muovessero verso nord a gennaio, Ansar Dine si offrì di lavorare con il governo del Mali per distruggere il controllo esercitato da Al Qaeda sul nord in cambio dell’autonomia delle tribù di tuareg che predominano nel luogo e dell’uso continuativo della legge (islamica) della Sharia. I meridionali sono disponibili a TNM ••• 80

discutere sul primo punto, ma sono refrattari al secondo. Nel frattempo, Ansar Dine ed i suoi alleati Tuareg meno religiosi ritengono che ad essi manchi la potenza di fuoco necessaria ad impedire ad AQIM e MUJWA di prendere il controllo totale del Mali del Nord. Quando, a gennaio, i francesi si spostarono a nord, in quella zone c’erano circa 3000 terroristi islamici armati, ma solo un terzo di loro erano veterani, molti erano reclute di recente acquisizione. Circa metà di queste reclute venivano dal Mali del Nord e si erano arruolate principalmente per denaro (anche se per alcuni la religione era il traino principale). L’altro migliaio era composto prevalentemente da africani provenienti da paesi quali Nigeria, Togo, Tunisia, Burkina Faso, Somalia, Mauritania e Niger. Diverse centinaia arrivavano dal nord Africa (principalmente da Algeria e Libia) e da altre nazioni del Medio Oriente, nonché dall’Europa e dal Nord America.


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La Francia era consapevole del fatto che Al Qaeda stesse reclutando nuove persone da tutto il mondo. Gli informatori dei francesi all’interno delle comunità musulmane confermavano che un numero sempre crescente di giovani uomini stava lasciando la propria casa per posti sconosciuti. Ora la Francia sa dove erano dirette alcune di quelle reclute terroriste. Alcuni sono morti nel Mali del Nord, ma altri, più profeticamente, se ne sono andati; l’intelligence francese ha raccolto nomi, realizzando però che alcuni novizi francesi erano sconosciuti e una volta tornati in Francia avrebbero potuto formare delle cellule terroristiche e causare danni. Lo stesso vale per tutte le nuove reclute che se ne sono andate e per le quali non esiste alcuna registrazione passata relativa alla loro appartenenza al terrorismo islamico. Pare che Belmokhtar abbia dato il benvenuto a questi sovversivi islamici occidentali, anche se fino ad ora sembra utilizzarli

per missioni a senso unico (suicide). AQIM aveva già avviato programmi di addestramento al momento dell’invasione dei francesi, e li stava ampliando velocemente. Il piano era quello di addestrare migliaia di nuove giovani all’anno e mostrare loro come costruire cellule terroristiche una volta tornati a casa, come operare e comunicare senza farsi catturare. L’intelligence francese ha inoltre scoperto l’estensione delle basi dell’AIQM nel Mali nordoccidentale, vicino al confine algerino. E’ stato anche scoperto come AIQM, Ansar Dine e MUJWA si sono procurati parecchio denaro nello scorso decennio per mezzo di rapimenti, spaccio di droga ed estorsione. I francesi hanno ottenuto alcune indicazioni su chi lavorava con i terroristi in queste imprese per recuperare denaro e su dove si trovasse parte dei soldi. Uno dei contatti era Belmokhtar, che ora è quasi in cima alla lista dei “più ricercati”. TNM ••• 81


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Il 9° REGGIMENTO

d’assalTo parACADUTISTI COL

MOSCHIN all’esercitazione By Alcor 32 - Foto: 9° Reggimento Col Moschin


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Le FS e la terza dimensione Una delle peculiarità delle Forze Speciali risiede nella caratteristica di condurre gran parte delle loro operazioni a grande distanza dalle truppe amiche, spesso in aree non permissive o al di fuori del controllo di autorità governative affidabili e/o collaborative ed in completa autonomia operativa e logistica. Tra i sistemi che consentono la proiezione e la penetrazione occulta in zone a ridosso dell’area obiettivo, quello dello sfruttamento della terza dimensione come ambiente per l’inserzione di piccoli nuclei è caratteristica peculiare delle Forze Speciali e come tale viene spesso considerata nelle fasi pianificazione, organizzazione e condotta di Operazioni Speciali. L’aviolancio infatti consente alle unità di FS trasportate tramite vettore aereo ad ala fissa di prendere terra evitando l’atterraggio del velivolo. Benché sia possibile l’aviolancio da vettori ad ala rotante, in genere, si preferisce sfruttare la capacità di atterraggio in luoghi ristretti o di hovering di tali velivoli per attuare sistemi di presa di terra

più sicuri, veloci e che evitano la dispersione del personale quali l’elisbarco, l’impiego della Fast Rope (discesa tramite canapone) o del Rappelling (discesa a corda doppia). L’inserzione tramite aviolancio consente inoltre di sfruttare al massimo l’autonomia e l’ampio raggio d’azione degli aerei da trasporto ma limita la quantità di materiale e mezzi trasportabili riducendo quindi l’autonomia delle unità infiltrate oltre che essere fortemente subordinata delle condizioni meteorologiche. Tra i sistemi di aviolancio di personale, quello della caduta libera con la tecnica HALO (High Altitude Low Opening) o HAHO (High Altitude High Opening) risulta essere uno dei più complessi e significativi. Grazie allo quote di volo e di lancio fino a 30000 ft, tale tecnica consente al vettore che trasporta l’unità di sottrarsi ai sistemi contraerei di bassissima e bassa portata oltre che alle armi portatili e alle artiglierie c/a nemiche. Considerate inoltre la manovrabilità e l’efficienza dei paracadute a profilo alare impiegati


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per tali aviolanci, le zone di atterraggio possono essere notevolmente ristrette, garantendo il profilo occulto dell’operazione, che di norma viene svolta sfruttando l’arco notturno. Di contro tali procedimenti richiedono uno spinto e peculiare addestramento del personale che deve essere anche dotato di materiali ed equipaggiamenti speciali idonei a consentire la sopravvivenza degli operatori in carenza di ossigeno e a temperature bassissime. Questa, in Italia, è una capacità esclusiva e peculiare degli Incursori del 9° rgt. d’assalto par. “COL MOSCHIN”. La “LONE PARATROOPER 2013” Nel quadro delle attività volte mantenere all’avanguardia le capacità di aviolancio ad alta quota, un team di Incursori appartenenti al 1° btg d’assalto del 9° rgt. ha partecipato, dal 19 al 31 maggio 2013

all’annuale esercitazione internazionale denominata “Lone Paratrooper 13”, che si è svolta in Spagna presso l’aerobase di Lèon. L’esercitazione, alla quale il 9° rgt. prende parte da anni come unica componente italiana, ha visto la partecipazione (oltre ai team ed all’organizzazione spagnola), delle delegazioni olandese, portoghese, francese, polacca e brasiliana (quest’ultima in qualità di osservatori) e si è posta lo scopo di riunire i Reparti che hanno capacità di effettuare inserzioni con aviolancio TCL (Tecnica Caduta Libera) ad alta quota (fino a 24.000 ft) con procedure ad ossigeno di tipo High Altitude Low Opening (HALO) e High Altitude High Opening (HAHO) per provare i diversi materiali e condividere le procedure specifiche sviluppate da ciascuna nazione. L’esercitazione si è articolata su un periodo di due settimane, la prima delle quali dedicata ad aviolanci tecnici e scambi procedurali (attraverso la formula di seminari tematici assegnati alle varie delegazioni a premessa della fase condotta), mentre la parte finale della seconda settimana è stata dedicata ad un’esercitazione tattica congiunta di tipo FTX (Field Training Exercise) che ha previsto l’inserzione di teams mediante aviolancio HAHO per la presa di un aeroporto. Le attività aviolancistiche della prima settimana si sono svolte con progressività e modularità ed hanno consentito ai partecipanti di affinare l’amalgama dei teams per favorire il lavoro in formazione sia a paracadute chiuso sia a paracadute aperto, garantendo la dispersione minima delle formazioni in aria. Successivamente si è passati ai lanci ad alta quota di navigazione veri e propri, con distanze dal punto di rilascio fino a 40 km, che hanno messo alla prova la capacità complessiva di pianificazione (attraverso il preciso calcolo del punto di rilascio in funzione delle condimeteo e dei venti) nonché del condizionamento degli equipaggiamenti e dei materiali. Per quanto ci è dato di conoscere, in una di queste occasioni solo i teams italiano e francese hanno raggiunto il punto designato per l’atterraggio, confermandosi tra i leader nello specifico settore. In tale fase si sono svolte anche le attività aviolancistiche di scambio di brevetto, che hanno TNM ••• 87


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consentito di rafforzare ancora di più i legami tra reparti di èlite che hanno preso parte all’evento. Inoltre le attività pomeridiane condotte nella prima settimana dalle singole delegazioni hanno avuto lo scopo di introdurre interessanti temi di riflessione sulle procedure, sulle metodologie di Inserzione e sui materiali tecnici più avanzati in uso. Molto apprezzato è stato il contributo dell’istruttore della delegazione italiana, che per primo ha esposto la metodologia del calcolo dell’HARP (High Altitude Release Point) riscuotendo l’interesse di tutti i presenti. Inoltre in due differenti occasioni sono state predisposte delle mostre statiche che hanno consentito il costruttivo confronto tra i materiali e gli equipaggiamenti utilizzati dalle varie delegazioni ed hanno ricevuto il plauso del Generale Comandante della Brigata Paracadutista Spagnola. La preparazione Come avviene per gli appuntamenti di un certo livello, il 9° rgt ha coinvolto tutta la componente di comando e logistica per consentire al Team partecipante una preparazione ottimale a premessa dell’esercitazione.

A seguito della Main Planning Conference che si è svolta ad aprile a Madrid, sono iniziate le attività di preparazione e confezionamento dei materiali, tra i quali ci risulta anche quelli di recentissima acquisizione, che sono stati testati per la prima volta con risultati estremamente positivi. Il team partecipante, di recente rientrato da un impegno operativo prolungato all’estero, ha organizzato e condotto a premessa un periodo addestramento tecnico- tattico specifico, con aviolanci ad alta quota diurni e notturni su zone lancio non convenzionali, allo scopo di consolidare le procedure e l’affiatamento tra i suoi componenti, sotto la supervisone di uno degli istruttori più esperti del reparto che ha poi seguito la delegazione in Spagna. Inoltre ancora una volta, il trasferimento in Spagna ed il redeployment al termine dell’esigenza sono stati effettuati dai vettori della 46^ aerobrigata dell’AM, con la quale da anni esiste uno stretto e proficuo rapporto di collaborazione e che ha implicato un necessario coordinamento interforze, ormai ordinario per la dimensione strategica del Reparto. La delegazione del 9° rgt. si è presentata TNM ••• 89


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all’appuntamento con l’equipaggiamento operativo per lo specifico ambiente, composto in particolare da: • paracadute operativi per la navigazione PARIS e MT1Z; • sistemi per l’erogazione individuale di ossigeno (IOS); • sistemi per l’erogazione collettiva (le cosiddette “mucche”); • consolle di navigazione con sistema X-SHUT SPIDER, ; • imbraghi per carichi operativi in configurazione “tutto dietro”. • equipaggiamento individuale per la protezione termica da basse temperature, le cui caratteristiche principali sono già state descritte nel numero 16 di giugno 2012 di TNM. TNM ••• 90

Le principali innovazioni Uno degli obiettivi fondamentali della Lone Paratrooper è quello di confrontare le soluzioni tecniche e procedurali adottate dai diversi partecipanti al fine di garantire una maggiore efficienza operativa al singolo operatore e all’intero team in un ambiente caratterizzato da condizioni ambientali estreme e che comporta un elevatissimo stress fisiologico. Di seguito alcune soluzioni che hanno riscosso l’interessse del 9° rgt: Sistema ossigeno individuale autonomo SOLR: adottato da Spagnoli, Portoghesi e Olandesi. Si


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compone di un bombolino individuale in fibra di carbonio e alluminio da 2,5 litri circa, caricabile a 4500 psi (invece dei soliti 3000). Oltre ai vantaggi di peso e dimensioni permette di aumentare l’autonomia di navigazione. Inoltre, associata ad una maschera con regolatore di pressione senza diluizione (fornisce automaticamente ossigeno puro sopra una certa quota) permette di effettuare lanci oltre 24000 ft ed in sicurezza sino a 35000. Questa nuova IOS può essere utilizzata con le normali consolle di gruppo (mucche) oppure con un sistema individuale estremamente modulabile e leggero composto da una seconda bombola di 4 litri circa che fornisce

le stesse prestazioni dei vecchi sistemi, ma dato l’esiguo ingombro permette di lasciare spazio davanti al paracadutista, di poter operare anche da velivoli piccoli, e alla bisogna essere portata via al momento del lancio. Localizzatore satellitare gps individuale: Lo produce la SPOT (ma esistono altre ditte), è grande come un telefonino e permette di seguire gli spostamenti di chi lo utilizza su googlearth anche da uno smartphone, ha un tasto di emergenza e permette di spedire sms. Gli Spagnoli lo adottano con un contratto di tipo telefonico. Da un punto di vista aviolancistico TNM ••• 91


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permette di monitorare il team in volo e a terra (es. in caso di fuori zona), ma data l’elevata precisione può essere utilizzato in tutti gli addestramenti del reparto in zone remote con fattori di rischio elevati (mare, montagna, deserto, bosco) ed andrebbe a sostituire l’attuale apparato N.E.S.T. che è di dimensioni elevate e affidabilità limitata. Imbrago SOV3: utilizzato dalla totalità dei partecipanti (eccetto i francesi) nella variante HH o MM2, quest’ultimo permette una deploy altitude di 35000 ft ed un carico trasportabile sino a 227kg, può adottare 5 sistemi di apertura. Durante gli scambi di brevetto il team lo ha testato, riscontrando un confort nella navigazione ed una buona posizione delle maniglie di sgancio ed emergenza in tessuto e facilmente individuabili (esterne al petto), non è stata gradita invece la pallina da golf utilizzata dai portoghesi nell’apertura comandata di difficile individuazione. Configurato in throw-out la manovra è meno istintiva data la minore vicinanza del nottolino, ma dentro i parametri di sicurezza. Manichetta segnavento portatile: Permette di individuare la direzione di atterraggio dal personale in procinto di atterrare senza l’ausilio di una pattuglia a terra e può essere impiegabile sia di giorno che di notte (visibile/IR). Conclusioni L’esercitazione “Lone Paratrooper 13” si è confermata come un appuntamento immancabile per gli Incursori del 9° rgt. Infatti le opportunità di interscambio procedurale e di attività HAHO-HALO complete, organizzate in maniera impeccabile dai padroni di casa spagnoli, l’estensione delle aree disponibili su cui svolgere l’attività aviolancistica, ed il costruttivo confronto con omologhi reparti stranieri, rendono l’esperienza pagante sotto tutti i punti di vista. Nonostante l’edizione 2013 sia stata fortemente condizionata dalla limitazione nel numerico di assetti aerei disponibili e dalle non favorevoli condizioni meteorologiche, le finalità addestrative prefissate sono comunque state raggiunte. TNM ••• 92


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Le attività condotte hanno dato la possibilità di identificare i trends e gli indirizzi di sviluppo futuri in fase di studio e valutazione da parte di altri Paesi che potranno, qualora ritenuti appropriati ed in linea con i compiti del 9°, indirizzare lo sviluppo tecnico e procedurale nazionale. Alla prossima edizione, di previsto svolgimento a maggio del 2014, il 9° rgt auspica la partecipazione di un vettore italiano per l’effettuazione dell’attività aviolancistica, che garantirebbe un’ulteriore occasione di visibilità internazionale per l’Italia in un ambito molto ristretto ed esclusivo come quello dei lanci ad alta quota.

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Nel 2011 e scels l’esercito Combat 950 i Belleville in Hiker ta Moun vo anfibio come nuo uppe per le tr istan in Afghan

Dodici anni di scontri in Afghanistan hanno obbligato gli Stati Uniti a sviluppare diverse generazioni di anfibi per le truppe impiegate nei combattimenti sulle colline rocciose, dove il freddo è gelido e il caldo insopportabile. Ogni due o tre anni veniva concepito e distribuito un nuovo modello di anfibi. I problemi sono diminuiti con ogni generazione di anfibi e l’ultima iterazione (gli HWMCB, cioè Hot Weather Mountain Combat Boot – anfibi militari da montagna estivi) ha registrato il minor numero di reclami. Agli HWMCB sono state apportate molte piccole modifiche rispetto al modello precedente, la principale differenza è che il nuovo stivale pesa 200 grammi (7 once) in meno dell’ultimo modello. Due anni TNM ••• 98

fa, attraverso un bando di gara molto veloce, gli Stati Uniti hanno selezionato un nuovo anfibio estivo per le truppe in Afghanistan e tale ricerca è durata solo pochi mesi. La selezione precedente richiese due anni ed il risultato fu un nuovo splendido anfibio per le truppe in Afghanistan. C’era solo un problema: lo stivale era stato concepito per un clima freddo. Non c’è quindi da sorprendersi se, durante la caldissima stagione afghana, questo stivale tenesse i piedi troppo caldi e fosse poco confortevole. Ebbe quindi inizio la corsa per trovare uno stivale estivo. Così negli ultimi cinque anni le truppe arrivano in Afghanistan con due paia di anfibi, uno per ognuna delle due stagioni afghane (una molto calda, l’altra molto fredda, e tra queste due stagioni principali ci sono poche settimane di clima inaspettatamente mite in cui entrambi gli anfibi possono essere utilizzati). Nel 2011 l’esercito scelse i Belleville 950 Combat Mountain Hiker come nuovo anfibio per le truppe in Afghanistan. I


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Belleville 950 avevano una suola più rigida e più spessa del 20%, progettata per ridurre lo sforzo del piede e aumentare l’aderenza per i soldati che attraversano terreni impervi (spesso rocciosi) trasportando i pesanti carichi da combattimento standard (più di 30 kg/ 66 libbre). La parte superiore dei Belleville 950 era in pelle resistente all’acqua, tuttavia non erano indicati per un uso continuativo a causa della loro rigidità; di conseguenza le truppe seguitavano a utilizzare i loro soliti anfibi, meno rigidi e più imbottiti. Faceva differenza quando i militari si avventuravano sulle colline, allora tutti tendevano ad indossare i Belleville 950. Due anni fa, durante la stagione calda in Afghanistan, i Belleville 950 si deteriorarono e i problemi dovuti al caldo divennero evidenti. L’esercito cercò immediatamente uno stivale solido come il Belleville 950, ma più fresco nel clima estivo. Furono selezionati due articoli: uno era una versione estiva dei Belleville 950 (denominata 990), mentre l’altro modello, simile,

era una trasposizione militarizzata dei Wellco Hybrid Hiker. Questi due produttori consegnarono complessivamente più di 60 mila paia di anfibi estivi in un anno. Un simile uso di anfibi commerciali non è una novità. Nell’ultimo decennio l’esercito e i marines hanno cambiato il loro approccio nei confronti delle calzature militari. Invece di provare a progettare anfibi in maniera autonoma, le forze armate hanno riconosciuto il design superiore degli scarponi commerciali creati per escursionisti, scalatori e per coloro che svolgono attività all’aperto. Questo ha dato vita a una nuova generazione di anfibi, più resistenti e comodi rispetto alle precedenti generazioni di calzature da combattimento. Nemmeno la ricerca di scarponi particolarmente adatti all’Afghanistan è una novità. Cinque anni fa, per esempio, il SOCOM (Special Operations Command) acquistò 10 mila paia di anfibi progettati per sopravvivere all’uso in Afghanistan, dopo avere scoperto (già nel 2001) che le rocce afghane tendono a strappare gli scarponi. I “desert boot” dell’esercito americano, utilizzati senza problemi fin dalle prime principali esercitazioni nella Guerra del Golfo del 1991, vennero rapidamente distrutti in Afghanistan. Dall’inizio del 2002 i soldati hanno lamentato il fatto che gli anfibi diventavano inutilizzabili dopo pochi mesi. Il problema sembrava essere che suole e tacchi degli anfibi erano costruiti per affrontare sabbia soffice. L’Afghanistan ha molta sabbia, ma anche parecchie rocce affilate, che lacerano il fondo degli scarponi. Apparentemente, gli anfibi non erano stati sufficientemente collaudati in zone di deserto roccioso (non comuni quanto i deserti prevalentemente sabbiosi). L’ambiente desertico è sempre stato un problema importante per i costruttori

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L’Afghanistan ha molta sabbia, ma anche parecchie rocce affilate, che lacerano il fondo degli scarponi.

di attrezzature militari. Le truppe hanno cercato a lungo una soluzione, acquistando velocemente ogni marchio di scarponi da escursione e “da combattimento” (per polizia e SWAT), al prezzo di $100-$150 al paio. Il Corpo dei Marine degli Stati si è quindi rivolto a Bates, uno dei più marchi più popolari tra quelli acquistati dalle truppe, per un nuovo “desert boot”. Il SOCOM voleva uno scarpone che resistesse alle rocce, così come alle temperature estreme dell’Afghanistan e fece creare a Bates il “Tora Bora Alpine Boot”. Internet ha giocato un ruolo fondamentale TNM ••• 100

nell’improvviso rapido sviluppo di nuovi modelli di anfibi. La maggior parte dei soldati utilizza Internet e molti partecipano a forum online, listserv o chat room, dove le nuove scoperte vengono rapidamente commentate e valutate. è necessario che le amministrazioni pubbliche che si occupano di approvvigionamenti militari reagiscano a ciò, poiché i soldati potrebbero fare arrivare al Congresso racconti di equipaggiamenti scadenti. La cosa non è affatto gradita ai funzionari i quali, ora, prestano molta attenzione a quello che le truppe vogliono.


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SureFire P2ZX Fury Combatlight

FURIA NON

PIU’ CIECA 500 lumen di potenza

di Jacopo Guarino e Paolo Grandis - Tadpoles Tactics Fotografie di Pierangelo Timolina e degli autori


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uando Thomas Carlson, rappresentante specialista di SureFire, ci ha consegnato e descritto le torce della linea FURY, credevamo di non aver capito bene, eppure il dato principale sta tutto proprio in una cifra tonda: 500 (ovvero i lumen emessi da questi nuovi eccezionali strumenti di lavoro).

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Sebbene la linea sia composta da quattro diversi modelli, con caratteristiche leggermente diverse (doppio o singolo output, profilo della testa e del fusto differenziato), ci concentreremo sulla versione P2ZX Fury Combatlight: quest’ultima, caratterizzata da una impugnatura “a siringa”, è destinata TNM ••• 104

prevalentemente ad un utilizzo operativo o da combattimento, come giustamente dichiarato nella nomenclatura (“in nomen, lumen”, si potrebbe parafrasare con licenza poetica). La prima cosa che colpisce, come detto sulla carta, è la dichiarata capacità illuminante di questa torcia, soprattutto in proporzione alle sue dimensioni, da tascone o cintura, con una testa di profilo contenuto. Alimentata da due batterie CR123, ha un durata a piena potenza di 1,5 ore, mentre può operare fino a circa 45 ore con minore intensità. Di per sé non sarebbe necessario parlare delle caratteristiche

strutturali della torcia, dovrebbe bastare come garanzia il marchio che la produce, punto di riferimento, per diffusione e adozione, di tutto il mondo militare e di polizia: l’utilizzo quotidiano estremo richiesto in tali ambiti non è cosa da tutti, e la durabilità e qualità delle torce SureFire ha permesso loro di guadagnarsi il titolo di strumento indispensabile per ogni saggio operatore. In ogni caso, ricordiamo che il fusto della torcia è in alluminio aerospaziale mil-spec trattato con anodizzazione dura, le capacità di resistenza all’acqua sono garantite da o-rings di tenuta, la protezione trasparente del led (virtualmente indistruttibile) è trattata e


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temperata per garantire resistenza agli urti ed agli shock termici (al contempo garantendo un’ottimale trasmissione della luce).

Le dimensioni della torcia sono di media entità: 13,7 cm di lunghezza per un peso di 147g. Il target di clientela, tuttavia, non dovrebbe preoccuparsi di un eventuale porto occulto o di backup, per cui riteniamo che le dimensioni siano piuttosto un vantaggio che garantisca la possibilità di utilizzo anche con guanti tattici indossati (ed il porto in cintura).

Venendo alle caratteristiche più peculiari, sottolineiamo come la versione da combattimento La versione Combatlight in abbia giustamente optato per nostro possesso è evidentemente pensata ed orientata ad un utilizzo un pulsante di accensione a pressione, da mantenere professionale, ed in particolare premuto durante l’utilizzo. all’utilizzo in combinata con armi Questa scelta, evidentemente corte da fuoco. Le caratteristiche tecniche del progetto, però, lo dettata per compatibilità con rendono uno strumento che, le moderne tecniche di utilizzo una volta in dotazione, risulta tattico della torcia, facilita e velocizza la possibilità di sicuramente poliedrico; nel dettaglio, il tipo di potenza emessa, discriminazione “acceso/ spento” dell’operatore. Qualora, la profondità di campo visivo e la per necessità momentanea, si struttura permettono l’utilizzo volesse optare per un “constant anche in scenari di “search and rescue”, nonché di dissuasione o di on”, ovvero per una accensione prolungata ed indipendente, sarà difesa personale.

possibile ruotare l’alloggiamento del pulsante, o tail-cap, fino ad ottenere questo effetto. Ruotando in senso opposto, si ottiene invece lo svincolo dei contatti elettrici, funzione utilissima per riporre la torcia in una borsa o in tasca ed evitarne l’accensione involontaria (con conseguente consumo di batteria e, soprattutto, surriscaldamento della testa). La torcia, inoltre, sebbene non in maniera particolarmente accentuata, come invece avviene per la “sorella” modello P2X Defender, possiede in testa un anello di chiusura fresato con scanalature a corona che le conferisce un aspetto aggressivo, ma soprattutto la possibilità di utilizzo in combattimento corpo a corpo come oggetto da difesa non convenzionale. L’impugnatura, poi, come anticipato, è stata realizzata con un abbassamento del profilo centrale e l’inserimento di un anello in gomma antiscivolo, a formare la classica impugnatura TNM ••• 105


TEST BY TNM TEST BY TNM TEST BY TNM TEST BY TNM TES La versione pensata Combatlight è un ed orientata ad onale, utilizzo professi e ed in particolar nata bi m co all’utilizzo in e rt con armi co da fuoco.

“a siringa”. E’ sicuramente questa la caratteristica più evidente del modello Combatlight, che si presta appunto all’utilizzo in combinata all’arma corta. Per lo stesso motivo, e sempre stringendo l’occhio alle migliori tecniche (molto spesso sottovalutate o male interpretate da utilizzatori neofiti o superficiali) di utilizzo con armi da fuoco, la torcia è anche dotata di un lanyard agganciabile ad un apposito anello metallico dal basso profilo presente prima dell’interruttore; questo lacciolo, dotato di doppio bottone di regolazione, risulta evidentemente utile per la ritenzione della torcia durante le operazioni che richiedono libertà delle mani (cambi caricatore, ad esempio) o movimenti concitati/ scomposti. TNM ••• 106

Le prove di utilizzo in notturna, poi, ci hanno dato la possibilità di apprezzare fino in fondo le ottime caratteristiche della parabola a trama microscopica di cui è dotata la torcia: il fascio è chiaro e nitido, regolare e senza sbavature. In particolare, anche in campo aperto, l’illuminazione è caratterizzata da un punto centrale molto intenso e definito, circondato da un ampio spazio a corona di minore intensità. Anche in questo caso si percepisce lo sforzo fatto per adattarsi ad un utilizzo operativo, caratterizzato dalla necessità di identificare con chiarezza un oggetto/soggetto centrale (alle corte distanze letteralmente immergendolo in una luce intensissima) mantenendo il controllo anche su ciò che lo circonda. Nessun operatore di law enforcement potrebbe

chiedere di meglio, così come i soggetti eventualmente coinvolti in operazioni di soccorso e ricerca (ovviamente come strumento portatile o di backup). Il fascio, in ambiente esterno, ha una profondità di notevole livello: l’abbiamo messo alla prova in una serata con oltre 32°C ed umidità del 75%, a distanze di 130/150 metri. I disturbi ambientali e naturali (polvere, insetti) non hanno messo in difficoltà la torcia, che ha garantito efficacia ad individuare ed identificare obiettivi (di dimensioni umane) fino a tutta la distanza ipotizzata come limite, sicuramente per merito della struttura a trama microscopica della parabola. L’utilizzo dello strumento in ambiente chiuso o ristretto può,


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però, evidentemente creare un certo disturbo anche all’operatore, soprattutto in presenza di pareti chiare o riflettenti: il rischio di rimanere accecati dai 500 lumen di potenza è tutt’altro che lontano. Per questo motivo l’utilizzo in tali ambienti deve essere preceduto da un buon addestramento. In questo senso, qualora dovessero venir meno le necessità circa il tipo di impugnatura e di utilizzo, potrebbe avere senso valutare l’adozione della versione “dual output”, che distingue a seconda della pressione esercitata sul tail-cap tra due possibilità di utilizzo (50015 lumen), di cui la seconda adatta alla navigazione. Concludendo, possiamo certamente dire che le caratteristiche della famiglia Fury di SureFire sono eccezionali; troviamo solo parzialmente limitante la scelta del modello Combatlight, forse per il fatto che chi scrive non ama molto l’impugnatura “a siringa”, ma le opzioni a disposizione sono quattro ed ognuna di esse può ampiamente soddisfare le necessità di utilizzatori professionali e non, anche le più stringenti. Le dimensioni non sono esattamente classificabili come tascabili, anche se i materiali e le rifiniture la rendono davvero piacevole da gestire, ma la potenza a disposizione deve certamente essere frutto di un compromesso. Un consiglio, infine: sebbene il controllo elettronico del LED gestisca ed ottimizzi autonomamente il consumo (fino ad emettere un impulso a “beacon” a batteria praticamente esaurita), il tipo di utilizzo di questa torcia richiede l’attenzione da parte dell’operatore ben addestrato nel tenere a disposizione un paio di batterie di riserva e a verificarne la carica prima di ogni possibile impiego.

www.surefire.com


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di Giovanni Di Gregorio

Corporate Security Management


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G

ià nei numeri scorsi abbiamo trattato il tema della Gestione della Sicurezza delle aziende che operano in ambienti ostili. Il Security Manager deve tener presente di tanti aspetti legati alle condizioni dal punto di vista sociale e politico dell’area dove l’azienda intende fare business. Uno degli aspetti più importanti che bisogna affrontare è quello dell’evacuazione in sicurezza degli espatriati e degli eventuali interventi medici d’emergenza, denominati propriamente MEDEVAC. Nel corso della mia permanenza in Nigeria, ho avuto modo di apprezzare una società italiana che opera in tutto il mondo, con base a Milano, pronta a portare in salvo espatriati che hanno avuto problemi sanitari di varia natura e in certi casi di seria entità. Una struttura medica di alta efficienza e professionalità, attrezzature di ultima generazione, aerei ed elicotteri affidabili e veloci dotati TNM ••• 110

di tutti i comfort per il paziente viaggiante. Voli effettuati in totale sicurezza ha fatto si che questi “Angeli Volanti” portassero al termine anche missioni mediche in situazione di rischio in ogni angolo del mondo, il tutto coordinato e diretto dal Flight Director Francesco Reggiani, che di esperienza nel settore del Security Management e del Search & Rescue ha fatto una ragione di vita. Un altro aspetto che mi ha colpito e mi ha riempito d’orgoglio è stato scoprire la serietà e la professionalità dello staff medico e del management della Compagnia Aerea il quale a differenza di altre società che si limitano a fare attività di brokeraggio, dispone di un parco velivoli proprio, pronto all’impiego sin da subito. Una realtà italiana con dimensioni globali, che esporta il made in Italy con fierezza, ingegno e improvvisazione e quel tocco di umanità che solo noi italiani sappiamo dare. Incontro lo staff medico presso

la loro sede Milanese e nel loro hangar, tra un Citation II e un Agusta 129, scambiamo due parole. TNM: Dott. Geddo, lei è il Capo Medico dello staff, ci spiega qual è il percorso professionale che i medici debbono seguire prima di poter effettuare operazioni di Medevac? DOTT. GEDDO: Sono convinto che sia necessaria una esperienza pluriennale in area critica per poter effettuare operazioni di questo tipo. Dopo la laurea in medicina e chirurgia la disciplina specialistica che più si confà con questa attività medica è quella in anestesia e rianimazione. Questa è la base. È necessario poi integrare con corsi modulari in ambito di emergenza come BLSD(basic life support), ACLS (advanced life support), PALS (pediatric advanced life support), PHTLS (pre hospital trauma life support), ATLS (advanced trauma life support), al fine di mantenere un aggiornamento ed una costante attenzione in tali aree mediche. Personalmente sottolineo


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quanto sia anche indispensabile un’esperienza di lavoro all’estero al fine di potersi confrontare con le più svariate realtà senza inciampare in problematiche legate a distanze socio/culturali mai affrontate prima. Ho conseguito un Master Internazionale di II livello in Disaster Medicine (ottenendo la qualifica di Disaster Manager) ed ho lavorato, per il Governo Italiano, sia durante il terremoto del Pakistan sia in quello di Haiti. Collaboro con diverse realtà straniere per lo sviluppo di piani di massiccio afflusso ospedaliero in caso di maxi emergenza. Tali esperienze mi permettono di rapportarmi con chiunque, in tutto il mondo, senza incontrare alcun problema. TNM: Quale è il livello di assistenza medica e quale procedure di emergenza è possibile effettuare a bordo dei vostri aerei sanitari? DOTT. GEDDO: Pensi ad un’unità di Terapia Intensiva di un DEA di II Livello (il Top per la sanità italiana). Ecco, nella cellula sanitaria dell’aereo si può fare tutto quello che si può fare in una red room ospedaliera: monitoraggio semplice ed invasivo, posizionamento di drenaggio toracici, pericardici, esami del sangue, ecografie in regime di urgenza... tutto ciò che necessità per una stabilizzazione ed un trasposto in sicurezza di ogni paziente. TNM: Quali sono le maggiori difficoltà che incontra nella sua attività? DOTT. GEDDO: Lo stress psico fisico, soprattutto nelle missioni “lunghe”, è molto elevato. Si possono passare anche 20 ore di seguito in aereo assistendo pazienti ai quali va assicurato un alto livello di cure. Non sempre poi si trovano le situazioni che in regime di report medico era state presentate. Bisogna esser sempre

Il personale ch effettua Medev e proviene dai re ac di cure intensiv parti pluriennale espee con di attività in em rienza er territoriale sia genza mezzi terresti si con a su aeromobili.


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calmi e flessibili, ma sempre all’interno di regole ferree. TNM: Secondo la sua esperienza tutti i pazienti possono essere rimpatriati con un Medevac? DOTT. GEDDO: Serve un minimo di stabilità clinica. Si vola anche con pazienti gravissimi, che hanno avuto in loco una primissima ed essenziale stabilizzazione da parte dei sanitari del posto. Va

valutata la possibile evoluzione della patologia in corso in base alla tratta aerea che va poi effettuata. Bisogna sempre e comunque agire pensando al bene di chi si trasporta. TNM: Nella sua lunga carriera, quale missione le è rimasta particolarmente impressa? DOTT. GEDDO: Portai una giovane ragazza libica, con un importante

politrauma, in un ospedale di Tunisi. Il giorno precedente, appena dopo l’incidente, le avevano asportato milza ed il rene sinistro. Aveva in sede un grosso drenaggio toracico e non aveva in corso una terapia per il dolore. Emodinamicamente era molto ma molto instabile, fu un trasposto molto difficile, ad altissimo rischio. TNM: Cosa consiglierebbe ad un giovane medico che volesse affacciarsi a questa delicata professione? DOTT. GEDDO: Di studiare e fare molta esperienza... e, se poi vuole volare, di chiamarmi fra una decina di anni. Quindi, rivolgo alcune domande agli infermieri del team sanitario i sigg. Mariano Fichera e Luciano Notarpietro, che con grande devozione e anche, a volte, spirito di sacrificio, svolgono questa mansione con grande professionalità. TNM: Quale percorso professionale eseguono gli infermieri per le operazioni di Medevac? LN: Il personale che effettua Medevac con aeroambulanza è personale che proviene dai reparti

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di cure intensive e con pluriennale esperienza di attività in emergenza territoriale sia con mezzi terresti sia su aeromobili. Certificati con brevetti internazionali per le procedure d’emergenza. TNM: Quale missione di rimpatrio vi è rimasta particolarmente impressa? MF: Il trasporto di una bambina di 2 mesi affetta da una grave malformazione cardiaca, era in condizioni molto critiche ed è stata accompagnata in aeroporto da un medico locale Libico. Aveva una frequenza cardiaca molto bassa e abbiamo dovuto stabilizzarla per oltre due ore prima di poterla imbarcare e trasferire in un centro cardiologico pediatrico europeo.

monitoraggio del paziente ed in collaborazione con il medico di bordo e delle procedure terapeutiche. TNM: Voi lavorate a 12 km di altezza mentre viaggiate a oltre 800 km/h. Siete soli insieme al medico rianimatore di bordo e spesso effettuate manovre salvavita in favore dei pazienti che le sono stati affidati. Come vive questa situazione? Non la spaventano queste situazioni? LN: Quando è necessario agire tempestivamente non c’è tempo per pensare, o aver paura. Ognuno di noi sa cosa deve fare e attua i protocolli prestabiliti in maniera attenta e puntuale.

TNM: Ho visto che effettuate dei controlli meticolosi prima di ogni TNM: Da quanto tempo operate volo. Controllate e ricontrollate in questo settore e quali sono le attrezzature elettromedicali le vostre mansioni a bordo e le dotazioni sanitarie e poi dell’aereo sanitario? consultate continuamente delle MF: Abbiamo iniziato insieme ad check list. Mi viene quasi in mente operare Medevac con aereo sanitario; che seguiate dei protocolli stile circa 5 anni fa. Prima ci occupavamo di militare? emergenza intra ed extra ospedaliera. LN: Molto simile, l’organizzazione L’infermiere di bordo ha il compito ricorda quella dei gruppi speciali di controllo di tutta l’attrezzatura dell’esercito. Ognuno ha il suo presente a bordo, il controllo compito affidato e lo porta sempre delle procedure di sicurezza, del a termine in maniera perfetta.

TNM: Mi può raccontare come si articola generalmente una missione? MF: Generalmente dopo l’allertamento c’è la fase di preparazione e di controllo, effettuiamo un briefing sanitario nel quale vengono discusse le condizioni del paziente e i protocolli da mettere in atto, verifichiamo che il materiale sia in perfette condizioni e sia sufficiente alla missione e al tipo di paziente. Dopo effettuiamo un secondo briefing tecnico con i piloti e il nostro operativo voli, nel quale si discute di eventuali accorgimenti particolari per il tipo di paziente, volo “sea level” soste, rifornimenti, poi inizia la missione. Durante la missione ognuno di noi ha il proprio compito specifico. Alla fine della missione si effettua un debriefing sanitario/operativo, dove si discutono eventuali criticità riscontrate e si riportano su un diario di bordo per essere risolte quanto prima. Qualsiasi uniforme si indossi, dal mimetico da deserto al giallo sgargiante, sappiamo che su di noi c’è sempre qualcuno pronto a prendersi cura delle nostre vite. TNM ••• 113


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Cougar

Jacket BY Helikon-Tex

Mike Haytack ex ufficiale degli USAF Pararescue, recensisce in esclusiva per TNM la giacca Cougar della Urban Tactical Line® (UTL) di Helikon-Tex. elikon-Tex® è una società internazionale di abbigliamento ed equipaggiamento militare che da 30 anni fornisce uniformi di qualità, abbigliamento tattico, zaini e anfibi molto popolari tra soldati, forze dell’ordine e appassionati di outdoor in tutta Europa e Asia. La maggior parte dei produttori di abbigliamento tattico produce una linea di abbigliamento civile, che consente agli utilizzatori di operare in un contesto urbano senza attirare troppa attenzione . Il team Helikon-Tex che si occupa del design si sta dedicando allo sviluppo di applicazioni che tengano conto dell’efficienza di azione, utilizzando tagli unici e finiture pulite. L’uso di materiali di alta qualità permette la loro applicazione in molteplici contesti.

H

La giacca Cougar incorpora una membrana anti vento brevettata dalla Helikon-Tex, conosciuta come Shark Skin, ed è rivestita con Teflon Du Pont, che protegge da sporco e acqua. La giacca è dotata di un profondo cappuccio a scomparsa che può essere regolato senza togliere le mani dalle tasche per mezzo di due cordini posizionati in entrambe le tasche sul petto. Inoltre, la giacca dispone di due targhette identificative rimovibili frontali e di una targhetta identificativa rimovibile dorsale, che rimangono nascoste finché la situazione lo richiede. Le targhette

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sono vuote e possono essere personalizzate secondo necessità con ricami o stampe. La HelikonTex ha sviluppato una funzionalità avanzata, denominata Quick Side Access™, o QSA™. Il sistema QSA™ è la combinazione di una coulisse, una fascetta di velcro, una fibbia a sgancio rapido e una cerniera laterale. Tirando la coulisse, il lato della giacca si apre e permette l’ accesso agli accessori montati alla vita. La giacca ha un totale di sette tasche TNM ••• 116


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e due wiring ports posizionate all’interno delle tasche sulle spalle e due all’interno delle tasche mani principali. La giacca è caratterizzata da aperture ascellari e l’esterno è rifinito con cerniere YKK® e fibbie WooJin®. LA MIA ESPERIENZA La prima cosa da fare è valutare in maniera corretta la misura. Io sono alto circa 198 cm e può essere difficile trovare la giusta vestibilità, specialmente quando

si tratta di indumenti tattici. Il mio problema principale è la lunghezza delle braccia e delle gambe. La distanza tra la mia ascella e il mio polso è di circa 53 cm. Le taglie di questa giacca vanno dalla small alla XXL, ma non c’è la misura tall, quindi, quando sono stato contattato dalla Helikon-Tex ho temuto di non riuscire a portare a termine questa recensione. Noto spesso che quando scelgo una taglia XXL per la lunghezza, l’indumento è troppo voluminoso

e pesante nella zona tronco e sembra poco professionale. Una volta indossata la XXL della giacca Cougar color coyote, sono rimasto immediatamente impressionato e sorpreso. La lunghezza delle braccia e del torso era precisa. Il taglio attorno all’area del torso era sorprendentemente rifinito, e ho trovato che la misura del girovita permettesse il giusto occultamento, senza impigliarsi. Tutte le cerniere YKK funzionano con facilità e tutte le tasche sono TNM ••• 117


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posizionate perfettamente in modo da permettere un accesso facile e veloce con la giusta capacità interna. Il colletto completamente chiuso è attillato, ma permette una libera rotazione del collo. Mi preme evidenziare che il materiale è confortevole e non strofina contro la mia barba corta e ispida. Il cappuccio si ripiega facilmente all’interno del colletto e una volta estratto crea una sacca profonda che protegge ampiamente dagli elementi atmosferici. Voglio soffermarmi su un’altra caratteristica che penso meriti di essere valutata separatamente, il QSA. E’ importante riportare l’intento specifico del QSA come dichiarato dalla Helikon-Tex. Dal loro sito: Il QSA è un sistema unico che garantisce un facile e comodo acceso a tutti gli accessori tattici montati alla vita. Grazie alla soluzione ergonomica applicata al sistema QSA, è possibile raggiungere una pistola, un paralizzatore o qualunque altro accessorio con una sola facile mossa, il che aumenta enormemente il tempo di reazione in situazioni di emergenza o che mettono a rischio la vita.

di rilascio, o non si sia in grado di tirare la giacca con forza tale da rompere la fibbia. Detto ciò, quando ho slacciato la fibbia, mi sono sentito sicuro semplicemente afferrando e strappando la metà frontale ed entrando in possesso dell’arma come al solito. Il mio unico commento riguardo a questo metodo è che si fa comunque affidamento sul fatto che la cerniera funzioni. Mi piacerebbe vedere versioni future che sostituiscano una chiusura in velcro alla cerniera e che non utilizzino la fibbia. Ritengo inoltre che aggiungere un’impugnatura al posto del cordino da tirare alla base della giacca aiuterebbe ad afferrare la base e a liberare il materiale. Suggerirei anche di spostare indietro la cucitura saldata in posizione 8:30/3:30. Talvolta, tirando il fondo della giacca per aprire il QSA, la parte posteriore copriva l’impugnatura della mia pistola. Penso che se i progettisti spostassero indietro questa cucitura, l’impugnatura della pistola non verrebbe coperta quando si utilizza il QSA.

Mi piacerebbe evidenziare un paio di osservazioni che derivano dalla mia esperienza con questo sistema. Complessivamente, ritengo che il sistema richieda un alto livello di destrezza e l’uso di fini abilità motorie. Prima di tutto è necessario afferrare e tirare un cordino di 3” con forza sufficiente a sganciare la fibbia e la fascia di Velcro per aprire la cerniera sperando che le 4 applicazioni non cadano.

Le persone alte possono ordinare senza esitazioni. In assoluto sono stato molto colpito soprattutto dalla vestibilità e direi che la qualità è decisamente superiore alla media e appena inferiore al top. Con alcune piccole modifiche alla funzionalità del QSA, ritengo che questa potrebbe diventare una valida opzione per avere accesso ai sistemi di armi durante le emergenze o situazioni che mettono in pericolo la vita. Vorrei ringraziare la Helikon-Tex per Per la mia esperienza nella essersi messa in contatto con gestione di situazioni di emergenza me ed essersi fidata della mia o che mettono a rischio la vita, opinione. Penso di poter dire con non mi sentirei a mio agio ad certezza che vedremo altre loro utilizzare il QSA come previsto. grandi applicazioni nei prossimi 30 E’ importante notare che la fibbia anni. allacciata non si apre a meno che non venga tirato il cordino

helikon-tex.com

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PRODUCT FEATURES CARATTERISTICHE

Material: 100% nylon DEL PRODOTTO DuPont™ Teflon® protector • Materiale: 100% nylon® Shark Skin Wind Membrane: Helikon-Tex • Protezione in Teflon® DuPontTM Blocker • Membrana: Seven pockets: Shark Skin anti-vento ® Helikon-Tex Two chest pockets with zippers • Due tasche con cerniere sul petto Two upper arm sleeve pockets with zippers • Due tasche conatcerniere sullaof parte One small pocket the bottom left sleeve superiore delle maniche Pocket on the back with two openings • Una piccola tasca in fondo alla manica One inner pocket sinistra Three removable/hidden ID Panels: • Tasca dorsale con due aperture One backtasca ID panel (max. width: 27cm) • Una interna Two front ID panels (max. width: 10 cm) • Tre targhette identificative interne e Adjustable hood hidden inside collar rimovibili: una targhetta identificativa Underarm zip vents posteriore (larghezza massima: 27 cm) Bottom Duedrawstring targhette identificative anteriori Velcro adjustable cuffs 10 cm) (larghezza massima: • Cappuccio nascosto nel colletto Equipped withregolabile QSA™ system ® • Aperture ascellari con zip buckles WooJin ® Chiusura inferiore con cordino zippers All•YKK • Polsinifront regolabili Velcro zipper Two-way YKK® con • Dotata di sistema QSA • Fibbia WooJin® • Tutte le cerniere YKK® • Cerniera frontale con doppio cursore YKK®

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Il filo tagliente della spada

dell’Islam di Giovanni Di Gregorio

Sono

trascorsi diversi mesi e della morte dell’ingegnere italiano Marco Trevisan non se ne parla più. Intanto Boko Haram, nel nordest della Nigeria, sta mettendo a ferro e fuoco tutta l’area. Ultimo, la strage di 40 poliziotti nello Stato Federale di Nasarawa dove dieci di loro sono stati atrocemente fatti a pezzi a colpi di machete. Lo Stato di Adamawa è sotto assedio e hanno interrotto tutte le comunicazioni telefoniche per impedire la conversazione dei terroristi. A Yobe, giornalmente si verificano atti di guerriglia da parte dei membri di Boko Haram a danno dei cristiani e delle forze governative. Il governo centrale, tenta di arginare il problema, inviando forze speciali ed esercito nella zona interessata dagli scontri religiosi, con grandi TNM ••• 120

perdite da ambedue le parti. Una guerra religiosa e sociale che logora l’economia già povera del nord, un disgregamento politico ed economico che impedisce lo sviluppo di una zona martoriata e remota. Noi di Tactical News Magazine, con mesi di investigazione giornalistica che ci ha visto anche in Medio Oriente, abbiamo voluto raccogliere informazioni e certezze su quanto avvenuto al nostro connazionale, prima rapito e poi ucciso di terroristi. Trevisan era dipendente della società di costruzioni SETRACO, una società libanese che da trenta anni fa fortuna in Nigeria, accaparrandosi i più ricchi appalti del settore e operando in zone in cui altre società non vogliono lavorare, proprio per questioni di sicurezza. In trenta anni, la SETRACO, che

conta oggi circa 3.000 dipendenti, ha avuto, a differenza di altre società straniere, solo sette casi di rapimento di cui sei risolti a buon fine. Mentre società come la Total Oil & Petroleum, dove i vari security managers sono veterani della Legione Straniera, dall’inizio del 2013 ad oggi computa 15 dipendenti sottosequestro raggiungendo quota 54 in tutto, tra nigeriani ed espatriati. Quindi viene da pensare, che quello della SETRACO sia un esempio di ottima capacità di gestione della sicurezza, oppure ci troviamo di fronte a quei casi in cui qualcosa di losco riesce a mettere tutto a tacere. Proprio su questo dubbio, abbiamo iniziato a seguire una pista giornalistica che ci porta a Beirut, dentro il quartiere Hezbollah. Veniamo a contatto con alcuni alti esponenti del “Partito di Dio” e ci confermano,


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che SETRACO è un mezzo di investimento per il partito e per la causa libanese, come sono fonti di investimento alcune catene alberghiere e alcune banche. La SETRACO, con un buon gruppo di libanesi che apparentemente non risultano legati alla società di costruzioni, in Nigeria ha interessi economici fortissimi nel campo del materiale edilizio tanto da avere in attivo fabbriche di cemento, acciaierie e cave di pietra e inerti, nelle spedizioni e trasporti e nel campo alimentare/ ristorazione con grosse catene di supermercati, tanto da creare una vera e propria mafia di potere che impedisce ad altre realtà estere di espandersi sul territorio. Proprio uno dei più grandi e prestigiosi supermercati libanesi, Amigo, è stato immediatamente chiuso per sospetta affiliazione ai terroristi, mentre viene comprovata, anche

in questo caso, il filo diretto con Hezbollah. I servizi segreti nigeriani hanno arrestato una quindicina di libanesi tra la capitale Abuja e Kano, nota roccaforte di Boko Haram. Alcuni sono stati subito rimpatriati, nonostante nativi nigeriani, quindi godevano della doppia cittadinanza, ed altri ancora in

stato di fermo presso il quartier generale della Polizia Federale Nigeriana. Nelle loro abitazioni e tra i banchi del supermercato nella città di Kano, sono stati trovati armi di diverso genere, dai famosi AK47 agli RPG e in alcuni casi anche esplosivo da cava proveniente da un lotto destinato proprio alla SETRACO. Armi e TNM ••• 121


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munizionamento, provenienti dal Niger, dal Mali e dal Libano riservato, per qualche centinaio di dollari, al mercato nero che alimenta e approvvigiona il terrorismo islamico locale. La morte di Trevisan, e degli altri 6 espatriati, ha segnato lo scenario in cui la SETRACO si muove fino ad allora, considerato intoccabile baluardo della capacità islamica di fare business in un terreno difficile come la Nigeria integralista, tuttavia a sequestrare ed uccidere il nostro connazionale non è Boko Haram, ma la sua frangia più estremista denominata Al Ansaru. Una delle ipotesi analizzate, sull’attacco al compound della SETRACO, è il fatto che alcuni mercanti di armi libanesi, incalzati dei servizi segreti nigeriani, non abbiano voluto vendere Kalashnikov ai membri degli estremisti islamici, provocando TNM ••• 122

una ritorsione nei confronti di quello che in Nigeria rappresenta la “libanesità” per eccellenza. Un sacrificio in cui i sequestrati sono stati coinvolti in qualcosa al di sopra delle loro entità, in qualcosa in cui sale la rabbia e lo sgomento

per un atto infame e atroce scaturito dall’ignobile mondo del terrorismo islamico, in qualcosa in cui a volte non rimane che stringersi tra le spalle e attendere speranzosi che tutto finisca al più presto.


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Ricaricare. Cartucce per pistola e fucilE Un manuale moderno, completo, aggiornato, a colori e in lingua italiana, dedicato esclusivamente alla ricarica delle cartucce metalliche per armi a canna rigata, pistole e carabine, nel quale sono descritti e illustrati, con apposite foto, componenti e attrezzature facilmente reperibili in Italia. Il manuale è corredato da tabelle di caricamento relative a 256 calibri per pistola e fucile, con numerose combinazioni di palle e polveri diverse. In questa terza edizione sono stati aggiunti nuovi argomenti, mentre l’acquisizione di moderne e sofisticate attrezzature quali: un banco prova con strumentazione digitale, un cronografo laser da laboratorio, una closed vessel, hanno permesso di studiare, testare e comparare polveri, dosi e inneschi di ogni tipo. Lo scopo di questo lavoro è di fornire una utile, precisa, sicura, semplice e, soprattutto, aggiornata guida per chi vuole intraprendere l’attività di ricarica o desidera approfondire alcune conoscenze. A tale scopo vengono segnalate le difficoltà e i pericoli che si possono incontrare, i possibili inconvenienti e gli errori più comuni, ma anche le misure di sicurezza, gli accorgimenti, le correzioni e i rimedi adottabili. Infine sono indicati produttori, importatori, armerie e un glossario dei termini tecnici.

Precision Rifle B.I.B.L.E. (Ballistics in Battlefield Learned Environments)

AUTORE: Gianluca Bordin è perito balistico, svolge la sua attività nel suo studio di balistica forense dotato di attrezzature all’avanguardia. Opera presso tribunali e sudi legali, inoltre è consulente tecnico per alcune ditte del comparto armiero italiano ed estero.

AUTORE: Nicholas Irving è stato un tiratore scelto del III Battaglione Rangers dell’Esercito Americano, ha operato lungamente sia in Afghanistan che in Iraq, perfezionando continuamente la sua tecnica di tiro, realizzando alla fine il presente manuale.

EDITORE: Bordin Gianluca Editore (stampato nel 2012) INFO: Brossura - 15 x 21 – 783 pag. con 480 immagini a colori, tabelle e grafici Lingua: italiana Prezzo: 65,00 euro Disponibile presso: www.storiaemilitanza.com, www.ritteredizioni.com

EDITORE: CreateSpace Independent Publishing Platform INFO: Brossura – 15,5 x 23 – 146 pag. con 50 tra disegni, foto e tabelle Lingua: inglese Prezzo: 26,00 euro Disponibile presso: www.storiaemilitanza.com, www.ritteredizioni.com

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Le informazioni contenute in questo libro sono il risultato dell’esperienza accumulata in anni di combattimenti (Iraq e Afghanistan), sommate alle esperienze delle migliori scuole dei reparti speciali americani. Il volume è stato pensato e realizzato da un ex-appartenente al US Army Ranger Sniper (The Reaper 33), Nicholas Irving. Alcuni degli argomenti trattati in questo libro comprendono: fondamentali per il tiro di precisione, stima del vento e i relativi calcoli per il tiro, tiro ad angolo alto, problemi del tiro con proiettili molto veloci, balistica avanzata, probabilità di colpire, tiro di precisione in ambienti urbani e di montagna, ecc. Il libro è suddiviso in diciannove capitoli che propongono al lettore, in modo esaustivo, tutte le informazioni inerenti il tiro di precisione in ambito militare.


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Sopravvivenza in situazioni critiche Scritto da un noto esperto, Sopravvivenza in situazioni critiche, fornisce consigli di facile applicazione su come affrontare molti tipi di situazioni pericolose e descrive particolari tecniche di addestramento destinate ad aumentare le possibilità di sopravvivenza. In ogni capitolo Stilwell esamina possibili situazioni critiche, offrendo informazioni e consigli su come prepararsi al peggio e su cosa fare se si verifica un qualche tipo di calamità. Illustrazioni chiaramente comprensibili mostrano al lettore in che modo tenersi pronti ad affrontare potenziali emergenze, con suggerimenti relativi a temi come le precauzioni da adottare in casa per affrontare eventuali incendi, inondazioni e tempeste, comportamento in caso di ondate di calore, sicurezza sui mezzi di trasporto, condotta in un incidente ferroviario, autodifesa in quartieri pericolosi, emergenze in mare, campeggio in luoghi remoti e molto altro. AUTORE: Alexander Stilwell è un’analista militare. E autore di Tecniche di sopravvivenza e The elite forces manual of mental & physical endurance e special forces today e collabora abitualmente con la rivista “International Defence Review”. EDITORE: Edizioni Mediterranee (stampato nel 2013) INFO: Brossura – 12 x 21 cm – 235 pagine con oltre 250 illustrazioni in b/n Lingua: italiana Prezzo: 13,90 euro Disponibile presso: www.storiaemilitanza.com, www.ritteredizioni.com

Insurgents, Raiders, and Bandits Dalle piccole bande di guerrieri indiani che hanno combattuto nel XVIII secolo in America del Nord al conflitto contemporaneo in Cecenia, John Arquilla racconta la vita e le vicissitudini dei più grandi maestri della guerra irregolare nel corso degli ultimi 250 anni. Il loro impatto sugli eventi è stata profondo: conflitti asimmetrici (per dirla con la moderna terminologia) che giocano un ruolo cruciale nell’ambito di lotte epocali come il conflitto anglo-francese per il Nord America nel 1700, la sconfitta di Napoleone in Spagna a causa delle tattiche di guerriglia messe in atto dagli spagnoli, la guerra civile americana, entrambe le guerre mondiali (in particolare la seconda con i suoi numerosi esempi di guerra partigiana), e l’era attuale dove il terrorismo imperversa. Cercando di vedere il tutto attraverso gli occhi dei guerriglieri, predoni e banditi, l’Autore ha scritto una storia alternativa che fornisce le lezioni per la guerra nel nostro tempo, che non deve essere ignorata. AUTORE: John Arquilla è professore di materie inerenti la difesa presso la Naval Postgraduate School e autore di Worst Enemy: The Reluctant Trasformation of the American Military. EDITORE: Ivan R. Dee (stampato nel 2011) INFO: Rilegato – 16 x 23,5 cm – 336 pagine con 18 cartine e 15 foto in b/n Lingua: inglese Prezzo: 33,00 euro Disponibile presso: www.storiaemilitanza.com, www.ritteredizioni.com TNM ••• 125


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GLOSSARIO DEI TERMINI E DELLE DEFINIZIONI MILITARI parte 3

ell’articolato processo evolutivo dello Strumento Militare nazionale, le attività di sviluppo, aggiornamento, divulgazione ed impiego della Terminologia Militare rappresentano uno degli strumenti essenziali per concorrere al raggiungimento di un’effettiva integrazione interforze, in ambito sia nazionale sia internazionale. Disporre di una solida e condivisa base di termini e definizioni permette di evitare incomprensioni nell’uso necessario del linguaggio stesso. Dunque, l’integrazione interforze passa anche per un’idonea, chiara, condivisa e disponibile terminologia che, nell’insieme di tutte le altre attività volte a tale obiettivo, risulta essere anch’essa un indispensabile prerequisito per conseguire l’interoperabilità delle Forze, in ambito nazionale, NATO, UE o, comunque, multinazionale. La terminologia è da ritenere parte integrante del veicolo principale con il quale si enunciano e si riaffermano i principi fondamentali che informano le azioni condotte dalle F.A. per il conseguimento degli Obiettivi (la Dottrina).

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Aereo da trasporto per truppe d’assalto Assault aircraft Aereo adibito al trasporto di truppe d’assalto e/o materiali nella zona degli obiettivi. Aereo da trasporto strategico Strategic transport aircraft Aereo destinato principalmente al trasporto di personale e/o di materiale su lunghe distanze. Aereo da trasporto tattico Tactical transport aircraft Aereo destinato principalmente al trasporto di personale e/o di materiali su brevi o medie distanze.

Aereo picchetto radar Air picket Aereo di sorveglianza radar il cui compito principale è di scoprire, segnalare o inseguire di aerei o missili avversari in avvicinamento e di controllare gli intercettori.

Aerodromo alternato Alternate aerodrome Aerodromo, specificato nel piano di volo di un aeromobile, verso il quale un aeromobile può dirigersi qualora non sia consigliabile o possibile l’atterraggio nella località di destinazione.

Aereo pronto al combattimento Combat ready aircraft Un aereo atto al combattimento già rifornito di carburante, armato e dotato di equipaggio pronto al combattimento.

Aerodromo avanzato Advanced aerodrome Aerodromo che dispone di un minimo di impianti situato nella zona degli obiettivi o sue vicinanze.

Aereosgombero sanitario avanzato Forward aeromedical evacuation Fase di sgombero Aereo idoneo al sanitario durante la combattimento quale si effettua il Combat available aircraft trasporto aereo dei Aereo in grado di pazienti dal portare a termine campo di battaglia al la propria missione. luogo di trattamento Esso ha il sistema iniziale e quindi ai d’armamento principale successivi, nell’ambito efficiente, ma per il della Zona di suo impiego necessita Combattimento. 1/3/73, di equipaggio pronto NATO AAP-6 al combattimento, deve essere armato e Aerodromo Aerodrome rifornito di carburante. Aérodrome Superficie di Aereo inseguitore terreno (comprendente Trailer aircraft fabbricati, installazioni ed Aereo che segue e tiene attrezzature) approntata sotto sorveglianza un per il parcheggio, il contatto aereo decollo e l’atterraggio di prescelto. Detto anche: aeromobili. Detto anche Aereo ombra “aerocampo”.

Aerodromo di fortuna Diversion aerodrome Aerodromo che dispone almeno di un minimo di impianti essenziali, utilizzabile in emergenza o nel caso in cui l’aerodromo principale o quello di rischieramento non siano agibili. Aerodromo di rischieramento Redeployment aerodrome Aerodromo non del tutto occupato in tempo di pace, ma disponibile immediatamente allo scoppio della guerra per essere occupato e utilizzato dalle unità rischierate dalle loro basi del tempo di pace. Esso deve disporre per lo più di impianti operativi di capacità analoga a quelli dell’aerodromo principale.


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